Mann gegen Mann

di Cleo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Meine Haut gehört den Herren [La mia pelle appartiene agli uomini] ***
Capitolo 2: *** Wenn sich an mir ein Weib verirrt [Quando una donna si sbaglia su di me] ***
Capitolo 3: *** Ich bin die Ecke aller Räume [Sono l'angolo di tutte le stanze] ***
Capitolo 4: *** Mir scheint die Sonne ins Gesicht, doch friert mein Herz an manchen Tagen [Il sole splende sul mio viso, ma il mio cuore congela certi giorni] ***



Capitolo 1
*** Meine Haut gehört den Herren [La mia pelle appartiene agli uomini] ***


1. Meine Haut gehört den Herren [La mia pelle appartiene agli uomini]

Quando entrò in lui, un gemito doloroso colpì le pareti bianchissime e rimbombò di piacere.
Luca strinse i denti fino a sentirli stridere e affondò le dita nelle cosce dell’amante, cercando un appiglio, un sostegno che non arrivò; il rosso si diffuse sottopelle e nelle loro menti giovani, offuscando la morale, ora spalancata a quell’unico bisogno primario: il piacere.
Marco spinse e morse e graffiò, come a voler lasciare al compagno un segno indelebile di violenza e istinto sul corpo sofferente e ansimante sotto di sé; gli tirò i capelli, strinse la pelle, cercando di non lasciarla sfuggire via.
Stringendo il lenzuolo fresco fra le dita e sentendo il respiro farsi più rapido e il corpo letteralmente squarciato da quell’ondata di calore che partiva dal ventre, Luca pregò che finisse presto e che non finisse mai.

Si baciavano e a Marco sembrava che il mondo scoppiasse tutt’intorno, come una bomba troppo carica di tritolo. Non era mai dolce: tiravano i capelli, spingevano le spalle, mordevano le labbra e stridevano i denti, in una continua lotta che il loro senso di colpa imponeva loro di affrontare, incapace di abbandonarsi alle sensazioni a discapito del buon costume.
Passandosi la lingua sulle labbra per trattenere il sapore ricco e proibito di Luca, Marco si chiese cosa avrebbero pensato i suoi genitori se l’avessero saputo; s’immaginò il volto disgustato del padre e le lacrime sul viso di quella madre che, ancora a diciotto anni, gli accarezzava la nuca prima di coricarsi, e scacciò il pensierio, affrettando il passo sulla via di casa.
‘Mamma, papà, oggi ho fatto sesso con un uomo e ho usato il preservativo.’
Rise e ripensò agli occhi birichini di Luca mentre gli faceva il succhiotto che si coprì con la sciarpa.

Sdraiato sul letto, Luca si accarezzò lo stomaco, con pensierosi movimenti circolari, cercando di concentrarsi sul biancore del soffitto, piuttosto che lasciarsi trasportare dai ricordi di quel pomeriggio, sufficienti a gonfiargli i pantaloni di una poderosa erezione.
La sua prima volta non era stata romantica: aveva avuto l’impressione di soffocare per il troppo affanno e la troppa foga e Marco lo aveva stratto tanto forte da lasciargli segni rossi disseminati ovunque, quasi l’avesse ferito, invece che amato, ma gli era sembrato comunque importante, l’inizio di qualcosa di nuovo.
Tirandosi a sedere con un sospiro, Luca pensò che effettivamente non aveva mai rivelato di essere gay, né l’aveva mai realizzato totalmente: con Marco era tutto così naturale che i pensieri potevano essere lasciati da parte, sebbene i loro gesti fossero sempre un po’ trattenuti da quell’alone di sbaglio che li avvolgeva.
Il che era abbastanza sciocco, pensò Luca, perché non si sentiva sbagliato neanche un po’.

Quando Marco aveva scoperto la propria sessualità, era ormai troppo tardi e rivelarla sarebbe stata una delusione, poiché era diventato un membro indispensabile alla sua società: rappresentante di classe, d’istituto, direttore del progetto teatrale e catechista; così si era adattato e aveva affidato la sua buona reputazione all’unica donna di cui sentiva di potersi fidare, Marta: “stavano insieme”, per così dire, da quasi due anni, e la ragazza ormai si era abituata a sentire che le labbra che baciava sotto gli sguardi fissi dei passanti non appartenevano a lei. Di Marco conosceva vita, morte e miracoli ed era stata la prima a sapere, dopo avergli chiesto come mai il suo sguardo si perdesse nel vuoto, quel pomeriggio. Si sentiva orgogliosa del suo ruolo, era la custode di un segreto importante e prezioso, camminava fieramente per le strade stringendo il braccio di quel ragazzo bellissimo, vantandosi di poterlo chiamare suo e tuttavia non avendolo, ma sapeva bene che un giorno – sarebbe arrivato presto, poteva percepirlo - il suo compito sarebbe finito.
Aveva sempre ottenuto molto, moltissimo rispetto dalla gente, ma mai amore vero; fingere di stare con Marco era più facile che faticare per cercarlo davvero.

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Capitolo 2
*** Wenn sich an mir ein Weib verirrt [Quando una donna si sbaglia su di me] ***


II. Wenn sich an mir ein Weib verirrt [Quando una donna si sbaglia su di me]

Ciò di cui entrambi i ragazzi avevano più paura erano le chiacchiere della gente: scorrevano sulla pelle come acqua gelata, viscide e pregne di pregiudizi, procurando uno strano brivido misto di dolore e sollievo al pensiero che tutti sapessero e rompessero quel tacito patto di segretezza.
Mentre Marco cercava in ogni modo di mascherare ogni possibile comportamento ambiguo, spronando Marta ad aumentare le pubbliche dimostrazioni d’affetto e soppesando ogni parola, Luca soffriva in silenzio per i pettegolezzi, tuttavia senza alzare un solo dito per difendersi dalle accuse e dagli sguardi che gli si incollavano alla nuca ogni mattina; inconsciamente capiva che, così facendo, avrebbe risparmiato a tutti la sorpresa, quando si sarebbe finalmente rivelato.
Nessuno dei due capiva il motivo reale per cui dovessero nascondersi, ma l’istinto alla vergogna era stato radicato in loro sin da bambini e non riuscivano a trovare il modo per liberarsene; essere se stessi implicava una serie di spiacevoli conseguenze e umiliazioni che non erano in alcun modo disposti ad affrontare. Fingere era comodo come un maglione caldo in inverno.

La mattina seguente, a scuola, fecero come sempre finta di non conoscersi e Luca, quando ebbe voglia di prendergli la mano e appoggiarla sul suo petto, affondò le unghie nel palmo e prese un respiro profondo, salendo le scale, dolorosamente conscio della presenza dell’amante davanti a sé.
Marta parlava animatamente, scuotendo la testa e con questa i corti capelli bruni, e con gli occhi scuri lucidi di rabbia elencava gli insulti che avrebbe voluto rivolgere al professore di fisica, mentre il suo ‘fidanzato’ fissava intensamente il vuoto delle scale, pensando che bastavano ancora un paio di passi e sarebbe stato in salvo dallo sguardo troppo familiare che gli bucava la schiena, nella sicurezza della sua classe.
Quando Feltri gli afferrò la nuca con mano fredda, Luca sobbalzò leggermente e sospirò di sconfitta, come tutte le mattine, tirando fuori i compiti di matematica scritti con bella calligrafia sul foglio a quadretti dalla tasca dei jeans un po’ fuori moda; Marco colse la scena di sfuggita e si irrigidì, finché la ragazza non lo afferrò per un braccio e lo spinse via.
“Grazie, frocio”, lo ringraziò Feltri, dandogli una sonora pacca sulla testa, e Luca sospirò di nuovo.
Alzò gli occhi e incontrò quelli di Marco, che lampeggiarono d’ira, disorientandolo, e ad un tratto la scala gli sembrò troppo alta e la salita troppo faticosa per il suo fiato tremante e il cuore che gli squassava il petto ad ogni battito.

Sistemandosi gli occhiali sul naso, Luca sospirò sconfitto dal suo banco in prima fila e lo osservò illustrare alla classe il programma elettorale della sua lista per l’elezione dei rappresentati d’istituto. Parlava con scioltezza, velocemente, facendo saettare i suoi occhi chiarissimi da una parte all’altra dell’aula, come se volesse bucare con lo sguardo ogni singola mente presente; nessuno fiatava, nessuno riusciva a parlare sopra a quella voce autoritaria che sembrava dominarli, tanto intensa e carismatica da lasciarli a bocca aperta per lo stupore e il desiderio di essere così.
La compagna di banco di Luca sospirò e lui capì perché. Marco, in piedi davanti a loro – sembrava sormontarli -, era bello, bellissimo, era in quinto, era un leader, era un sogno per tutte le ragazze, era il fidanzato che ognuna avrebbe voluto portare a casa. Ogni singola donna lì dentro lo desiderava con tutta la forza possibile, e invidiava intensamente Marta, compostamente ritta al suo fianco, con le braccia incrociate e il viso più ordinario che mai.
Sistemandosi gli occhiali sul naso, Luca sospirò di nuovo e sorrise al pensiero che tutte loro, invece, avrebbero dovuto invidiare lui.

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Capitolo 3
*** Ich bin die Ecke aller Räume [Sono l'angolo di tutte le stanze] ***


III. Ich bin die Ecke aller Räume [Sono l'angolo di tutte le stanze]

Luca strizzò forte gli occhi, sperando di poterli chiudere per sempre.
Il sorriso di Marco era troppo, troppo per il suo cuore già stanco e, quando egli espose il collo latteo e profumato al suo tocco, un tremore freddo gli prese le mani. Con la punta delle dita tracciò i contorni di una figura immaginaria sul suo petto, delicatamente, cercando in modo disperato di entrargli dentro, in profondità, attraverso quella pelle così bianca, morbida come le piume di colombe che raccoglieva per strada quando era un bambino. Amandolo, sentendo il suo respiro aumentare ed erompere in uno dei quei tanti gemiti che la sua mente, anche volendo, non avrebbe potuto scordare mai, venerandolo come il suo dio personale, un Adone d’ossa fragili e labbra sottili, Luca pianse. Pianse per quell’amore soffocato che gli serrava la gola, pianse per l’innocenza perduta, pianse per sé e per Marco e per le mille altre persone che li circondavano, pianse per quella stanza troppo piccola che nascondeva un segreto troppo grande e pianse per quel segreto, sì, quel dannato segreto corroborante e bollente come acido che consumava la sua anima ogni giorno di più, lasciandosi indietro solo resti d’odio neri e fumanti; pianse, e le sue lacrime si asciugarono sui capelli e sulla pelle dell’amante.

Quando Marta gli afferrò saldamente la mano, Marco sobbalzò; era raro che lo toccasse, quando non era necessario, ma quel giorno, in quel momento, gli afferrò la mano e avvolse le sue dita sul suo polso magro, come a voler lasciare le impronte. Il suo sguardo era duro, imponente, bramava, pretendeva quel rispetto che lei non aveva mai ottenuto dal padre e che, per questo, ricercava in tutti gli altri. Tutta quella durezza, pensò Marco, era quasi tossica, puzzava d’orgoglio e di lana bagnata.
“Tu pensi che io sia stupida? Dimmi, lo pensi?”
Quando Marco scosse la testa, lei rise amaramente. “Sai, è quasi due anni che sopporto tutto questo, che sacrifico la mia vita amorosa per salvare il tuo patetico culo, perché sei troppo vigliacco per mostrarti come veramente sei, ma credevo ti fidassi di me. Credevo che sapessi che con me ti puoi confidare, che puoi dirmi tutto! E invece, sai cosa, non è vero! Sono solo un’altra stupida che stai usando e basta, hai bisogno di me solo per coprirti, non sei…non mi vuoi bene. Io lo vedo, sai, come guardi quello con gli occhiali in III A, ed ero felice, perché pensavo che avresti finalmente trovato qualcuno da amare veramente, invece hai deciso di tenerlo nascosto, di tenerlo segreto ancora una volta. Non mi hai detto niente, ed io, io ero felice per te. Io volevo essere felice per te. Perché devi sempre rendere tutto così difficile? Perché non vuoi mai essere felice insieme a me?”
Invece di indurire lo sguardo e sibilare quelle parole orgogliosamente ferite che la sua mente gli suggeriva, Marco si avvicinò a lei e l’abbracciò forte, come non faceva da tanto, troppo tempo. L’abbracciò come due anni prima e le accarezzò i capelli, odorando il profumo del suo collo e lasciando che il seno premesse delicato contro il suo petto. La lasciò finalmente essere donna e non macchina, la lasciò essere l’amica che lei era sempre stata, la lasciò sciogliere e singhiozzare nelle sue braccia, la ruppe e la raccolse e le mormorò un “Grazie” che le stampò sulla guancia con uno schiocco.

La donna lo osservò fissare il vuoto, seduto su quella sedia da più di un’ora senza dare il minimo accenno di vita. Poteva chiaramente percepire che qualcosa non andava, era pur sempre sua madre, dopo tutto, ma non avrebbe mai saputo dire cosa, precisamente, lo sguardo di Marco era diventato troppo illeggibile anche per lei. Si avvicinò lentamente e gli carezzò la testa, con un gesto già ripetuto milioni di volte, e lui le sorrise, finalmente, ma gli angoli della bocca restarono sempre rivolti in giù, come se la tristezza si fosse impossessata anche dei suoi lineamenti.
Quando la abbracciò, la donna strabuzzò gli occhi e lo strinse forte, cullandolo come quando era neonato, mentre sentiva che quel ragazzo dagli occhi freddi era diventato di nuovo suo figlio.
“Io non sono quello che credi, mamma.”
“Ma io ti amo per ciò che sei.”

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Capitolo 4
*** Mir scheint die Sonne ins Gesicht, doch friert mein Herz an manchen Tagen [Il sole splende sul mio viso, ma il mio cuore congela certi giorni] ***


IV. Mir scheint die Sonne ins Gesicht, doch friert mein Herz an manchen Tagen [Il sole splende sul mio viso, ma il mio cuore congela certi giorni]

Quel giorno, Marco non lo baciò. Lo guardò con aria greve, ingobbì le spalle, in una posizione di sconfitta che non gli si addiceva per niente, e a Luca bastò un secondo per capire le parole che gli avrebbe mormorato con voce rotta qualche secondo dopo.
Finì tutto com’era iniziato, semplicemente. Marco gli spiegò che era troppo presto, che erano troppo giovani, che non dovevano e basta, gli spiegò le mille altre ragioni per cui non poteva – per cui non riusciva a rivelargli quel ‘ti amo’ che aveva in mente da mesi, gli spiegò che era pericoloso, ma non specificò per chi lo fosse, in realtà. Gli spiegò tutto come se fosse un bambino un po’ stupido, ma Luca rise. Rise, gli carezzò una guancia, con tanta pietà nello sguardo da uccidere l’orgoglio dell’amante, e gli disse quello che, sin dall’inizio, gli avrebbe sempre voluto dire: era solo un vigliacco, patetico, un bugiardo. Con queste parole e con un sorriso che letteralmente lo spezzò dentro, Luca se ne andò, lasciando Marco in quella stanza troppo piccola a deglutire il ‘ti amo’ che continuava a correre fra il suo cuore e la testa.

Quel giorno, Luca si sedette al tavolo silenzioso della cena e parlò, senza toccare quell’insalata odiosa che giaceva inutile sul suo piatto; parlò davanti alle lacrime della madre, che lo abbracciò stretto come se fosse un bambino, e allo stupore del padre, che strinse la forchetta come se con essa dovesse infilzarlo, ma parlò, con la voce di un adulto e l’aria di chi ha finalmente risolto tutte le questioni della vita, mentre gli occhi della sorella si illuminarono di ammirazione e di un sorriso che conteneva tutto l’affetto del mondo, condensato nel semplice colore della sua iride.
Luca parlò e sentì la libertà inondargli le vene, colpirgli il cuore, il fegato e lo stomaco, mentre aria nuova di esistenza gli entrava nei polmoni, incatramati dal segreto; parlò e d’un tratto fu come se niente fosse accaduto, come se nessun problema fosse mai esistito davvero, come se tutto fosse sempre stato così. Si sentì sommerso da quell’amore che trapelava dai loro sorrisi incerti, dalle loro parole insicure che volteggiavano nella stanza, come frecce spuntate timorose di ferirlo, e pensò a quel ragazzo che paura di ferirlo non aveva mai avuto; sorrise, respirò l’aria nuova e parlò ancora.

Quel giorno, Marco si rese conto di avere un grande buco nel cuore, ma di non possedere filo per ricucirlo; l’unico collante che era riuscito per un po’ a tenerlo insieme aveva deciso di esaurire le sue proprietà ed ora non c’era alcun pezzo di scotch che avrebbe potuto ripararlo. Il suo buco nel cuore pulsava ad ogni movimento, terribilmente vivido, fisico, e Marco, per la prima volta in vita sua, si sentì davvero vivo, ma, come ogni sensazione che provava, decise di nasconderlo.
Si guardò allo specchio e osservò quella figura estranea dalla pelle pallida e lucente, con gli occhi quasi incastonati nel viso, bellissimi e orribili, spaventosi, pensando che neanche lui avrebbe mai potuto amare qualcuno con quegli occhi di zaffiro che sembravano appartenere ad un pazzo, ad un disperato. Pensò che avrebbe voluto piangere, per renderli più umani, ma tutto ciò che gli uscì fu una smorfia a metà fra il dolore e fastidio; così rinunciò, come aveva sempre fatto per ciò che considerava importante, e indossò un sorriso agonizzante, camminando fuori da quella stanza le cui pareti urlavano affinché le loro storie fossero ascoltate.

Il giorno dopo, Marco e Luca fecero come sempre finta di non conoscersi.
Marta strinse più forte la mano del ragazzo che un giorno avrebbe sposato in una morsa gelida e dispensò sorrisi a destra e a manca, come un candidato alla presidenza del Consiglio, subito imitata dall’altro, impegnato a fomentare la sua immagine virile tra le ragazze della scuola; nessuno dei due si accorse di Luca e dell’amica, seduti sull’ampio davanzale della finestra, che si stringevano ridendo, in un abbraccio che d’amicizia aveva davvero il gusto.

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