Aion: Oltre L'Invasione.

di Sheera Kavannah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Chiamata. ***
Capitolo 3: *** Reclutamento. ***
Capitolo 4: *** Tramonto. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Un'esplosione lontana ma possente fece sobbalzare il cuore di Syria. Era immobile da tempo, guardava fisso il panorama infuocato dalla finestra del Palazzo Dorato. Fuori, il caos.

Fumi, fuochi e urla riempivano la notte, illuminando l'orizzonte desolato di Gelkmaros. La guerra era appena iniziata e già aveva creato abbastanza danni da mettere in ginocchio l'intera popolazione di Atreia.

 

La porta della Sala dei Congressi si aprì di scatto e un goffo coboldo entrò di corsa, inciampando nei suoi stessi piedi.

 

«Si-si-signora?» balbettò la creatura, ancora affannata.

«Parla, coboldo.» Syria ruotò lievemente la testa verso sinistra per poter ascoltare meglio le parole del suo schiavo.

«Signora… I Balaur… Hanno distrutto entrambe le nostre fortezze e marciano velocemente verso est. Ci raggiungeranno presto, dobbiamo sigillare i portali, potrebbero raggiungere Asmodae, o addirittura arrivare a Pandaemonium! La situazione è critica, siamo ancora deboli, non resisteremo a lungo.»

 

La fattucchiera riaddrizzò la testa e tornò a guardare fuori, osservando il vuoto.

Il coboldo si muoveva spostando il peso da un piede all'altro, in attesa di risposte: sudava freddo, come ogni altra creatura in quella regione. Gelkmaros stava cadendo velocemente, bisognava agire in fretta.

 

«Signora?»

«Contatta Outremus e Valetta. Devo parlare con loro.»

«Ha detto… Outremus, signora mia?»

«Mi hai sentita.»

«Ma… Outremus è...»

«Potrei farti esplodere la testa con uno schiocco di dita, se volessi. Se ci tieni a sopravvivere altre due settimane, chiama Outremus e Valetta. Li voglio entrambi qui.»

Il coboldo abbassò la testa e continuò a dondolare. «Sarà fatto.»

 

La nuova Generale di Brigata del Comando delle Forze Rosse deglutì, con molta fatica, e chiuse gli occhi.

Non avevano tempo. Non avevano forze. Beritra era scomparso solo pochi mesi prima. Nonostante avessero cercato di riprendersi, gli abitanti di Atreia erano ancora deboli. Poche risorse, pochi spazi abitabili, pochi soldati. L'orgoglio di Syria venne profondamente ferito da quelle parole pronunciate da lei poco prima. Ma non aveva altra scelta. Ci teneva al suo popolo, al costo di tentare un'alleanza col nemico di sempre. Avrebbero accettato? Il tempo parlerà.

A Syria non restava che ritirarsi nella sua camera; le scoppiava la testa, doveva riposare, nonostante era certa che i bombardamenti balaur non sarebbero finiti presto quella notte.

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Capitolo 2
*** Chiamata. ***


Il campo allenamenti di Sanctum era spesso pieno, molti giovani Daeva si incontravano lì per duellare e migliorare le loro prestazioni.

Poca gente però conosceva la parte inferiore della capitale elisiana, accessibile con lunghissime corde o con un “semplice” salto di fede, ed era soprattutto questo che tratteneva la gente dall'accedervi. Piccoli e spogli giardinetti circondati dalle fresche cascate che bagnavano la cittadella erano il terreno perfetto per tirare qualche freccia: nessun palazzo, nessun ostacolo, ma soprattutto, nessun Daeva.

Celadon aveva montato vari manichini due mesi addietro, e in quella zona aveva deciso di passare la maggior parte del suo tempo. Sapeva molto bene come usare le sue ali, e raggiungere Sanctum inferiore era una passeggiata per lui. Il cacciatore passò l'intera mattinata a tirare attacchi ai suoi nemici di paglia, urlando e sfogando la sua rabbia: amava urlare, riteneva che così facendo incrementava la percentuale di critico dei suoi attacchi.

Riversò tutto il suo mana in tiri perfetti, centrati, veloci e letali: le sue dita sottili rigiravano l'arco con destrezza mentre con le gambe si spingeva all'indietro a causa dell'elevata potenza sprigionata. La sua sottile armatura di pelle, cucita appositamente da lui per gli allenamenti, lasciava intravedere il petto e le braccia nudi: chiare goccioline scendevano rincorrendosi, dal viso, al collo, fino a concentrarsi tra i pettorali scolpiti; sulle braccia, le vene erano gonfie e pompavano il sangue violentemente, rendendo i muscoli del cacciatore ancora più caldi e vibranti.

Molte volte, quando sferrava un attacco, si mordeva le labbra, anche fino a farle sanguinare: per quel motivo erano costantemente rosse e piene di tagli, esattamente come la sua schiena. Celadon cercava in ogni modo di nascondere quella parte del corpo, dal momento che l'ultima grande guerra aveva lasciato su di lui dei segni indelebili, delle cicatrici profonde non rimarginate a dovere, soprattutto per la poca cura dedicata loro dal ragazzo. Dal giorno della sua nascita, era scritto nel destino che sarebbe diventato cacciatore: quando aveva soltanto 5 anni, fu capace di arrampicarsi fino in cima a un palazzetto nelle campagne circostanti Elian, a mani nude; la sua agilità non era affatto smorzata dal suo fisico possente, e la sua notevole altezza favoriva la sua stabilità nel tiro con l'arco. I suoi occhi erano svegli e attenti, la preda non gli sfuggiva mai e la sua vista era superiore alla media.

Decise di sedersi e ricaricarsi: passò la mano sinistra tra i capelli rosso fuoco, abbassando la sua usuale cresta ora inumidita, e con l'altra si asciugò il sudore dalla fronte e dal viso, accarezzando la sua corta barba. I suoi occhi erano stanchi e segnati: ma non solo dalla spossatezza degli esercizi.

«Daeva.»

Celadon sobbalzò a quel richiamo: una guardia cittadina lo stava osservando dritto negli occhi.

«Cosa.» Alzò un sopracciglio mostrando un sincero disappunto.

La guardia sospirò. «Lavirintos vuole vederti». Il Daeva sollevò le sopracciglia mostrando i suoi grandi occhi verdi: «Mi scusi?»

«Il Comandante del Sacro Ordine di Miraju Lavirintos vuole vederti».

Celadon ruotò lo sguardo in più direzioni cercando di fare chiarezza su quelle parole: il Comandante? Voleva vederlo? A che pro? Quando Lavirintos chiamava c'erano solo guai di mezzo.

Tirando un profondo sospiro Celadon si alzò. «Come mi hai trovato, giovanotto?»

 

La guardia lo fissò con sguardo vacuo e annoiato: «Ho le mio fonti. Ora, se vuoi seguirmi...»

Pare che nessuno dei due avesse molta voglia di camminare quella mattina, nonostante ciò si avviarono verso la Protector's Hall, dove Lavirintos li attendeva.

 

La Protector's Hall era un imponente palazzo nella parte nord di Sanctum: centro di produzione di ogni genere, dalle armi alle pozioni, dove i Daeva erano soliti sviluppare le proprie capacità lavorative grazie alle risorse offerte dal territorio elisiano.

 

Il secondo piano, accessibile tramite una piattaforma mobile fluttuante, era la casa dei Maestri di Classe, i punti di riferimento più importanti di ogni Daeva, fonti inesauribili di consigli riguardanti il percorso intrapreso da ogni elisiano al momento dell'Ascensione. Le colonne di marmo azzurro come il pavimento liscio sostenevano il terzo piano, dove risiedeva Lavirintos; Celadon notò che le guardie erano diminuite nel giro di un mese, e questo lo preoccupò non poco.

 

Sempre scortato dalla guardia, il cacciatore salì le scale, sfiorando con la mano le ringhiere di oro zecchino: scolpite a mano dai maestri orefici molti secoli addietro, erano ancora in perfette condizioni, mostrando la tipica cura e il rispetto elisiano per l'architettura. Finalmente, arrivati in cima, i due si inchinarono di fronte al Comandante Lavirintos, il quale si alzò dal suo trono per salutarli con un debole Arieluma.

 

«Signore».

«Ti stavo aspettando giovane Daeva. Eri ancora ad allenarti immagino».

«Lei… Come...» Non erano così segreti questi allenamenti, quindi.

«Sei uno dei cacciatori più valorosi di questo popolo e non ho intenzione di perdermi in chiacchiere. I Balaur stanno invadendo sia Gelkmaros che Inggison. Le fortezze sono cadute e i terreni bruciano».

Un velo di tristezza cadde sugli occhi di Celadon.

«Ne sono al corrente. Le voci dei Mercuri sono arrivate».

«Esatto. Outremus da Inggison mi ha dato il compito di selezionare i Daeva più valorosi e potenti di Elysea per combattere l'invasione balaur»

«Signore, se posso permettermi, non credo che io abbia le qualità necessarie a-»

«Silenzio.»

«Mi scusi.»

«Tu radunerai una squadra e ti presenterai dinanzi a Outremus venerdì pomeriggio e vi accorderete sui piani di guerra. Non abbiamo molto tempo, quindi ti raccomando di scegliere i soldati che ritieni in grado di sopportare una guerra. Non parlo di battaglie da siege o da conquista di fortezza. Parlo di guerra. Potenzialmente più pericolosa della precedente.»

 

Celadon spalancò gli occhi e deglutì con forza. Più pericolosa della precedente. E' un fottuto suicidio. Fredde gocce di sudore colavano sul collo del Daeva; il suo respiro si fece affannoso. Una enorme, immensa responsabilità gli era appena caduta sulle spalle. Nel giro di tre secondi si rese conto che il destino di Elysea poteva dipendere da lui, dalle sue decisioni, dalle sue azioni. Doveva scegliere. Mille nomi scorsero nel suo cervello, gli offuscarono la mente, i pensieri, le paure, le tattiche conosciute, gli allenamenti vissuti, i suoi equipaggiamenti, il terrore, l'incertezza e all'improvviso la voce cupa e profonda del Comandante lo scosse.

 

«Ti è chiaro tutto?»

Il cacciatore annuì molto lentamente, i suoi occhi persi nel vuoto.

 

Lavirintos schioccò la lingua inclinando la testa: era certo della sua scelta, meno del suo destino.

«Quattro giorni. Dovrebbero essere necessari. Venerdì, alle 18, Inggison, Outremus. Ora va»

Celadon si inchinò debolmente davanti al Comandante, si girò e scese di fretta le scale. Aveva bisogno di aria, doveva uscire, presto. Corse fino all'entrata della libreria, proprio di fronte all'entrata principale della Hall, dove si appoggiò ad un muro con la schiena e scivolò fino a sedersi sul pavimento freddo; si prese la testa con le mani e stese una gamba.

Doveva pensare, Outremus voleva dei nomi, ed era sua responsabilità darglieli. E non nomi a caso, ne andava della sopravvivenza del popolo elisiano stesso. In realtà, anche il popolo asmodiano era in guerra, ma poco gli importava: per Celadon quella razza era solo fonte di disprezzo.

Sospirando, Celadon appoggiò la testa al muro e chiudendo gli occhi, sussurrò una parola: nel giro di sei secondi, il suo corpo si smaterializzò in mille scintille azzurre, lasciando il suo calore impresso nel marmo del pavimento.

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Capitolo 3
*** Reclutamento. ***


«Tu sei pazzo

«Tesoro, ascoltami...»

«E' un SUICIDIO

«Ne va della sopravvivenza di tutti noi, lo sai bene...»

«Non ho intenzione di andare ad ammazzarmi. Non sono abbastanza potente per potermi prendere una responsabilità del genere.»

«Io credo che tu lo sia.»

«Ma taci.»

«Zur, vieni qui.»

Celadon prese tra le mani il viso della giovane fattucchiera.

«Guardami.»

 

Azuralin spostava lo sguardo per evitare quello del giovane.

 

«Io capisco perfettamente che hai paura. Ma ho bisogno di persone fidate. E forti. Ti ho vista agire sul campo di battaglia, e sei incredibilmente potente, ancora non te ne rendi conto solo perché hai da poco finito il tuo percorso di apprendimento. Adesso che hai le capacità adatte a essere una vera guerriera, devi assumerti questa responsabilità. Per tutti noi»

La ragazza prese le mani di Celadon nelle sue, e lo guardò, mentre i suoi occhi arancio si inumidivano.

«Sì, ho paura. Ma lo farò. Per te e Elysea. Spero solo che… Insomma… Vada tutto bene.»

Il giovane baciò la fronte della ragazza e poi l'abbracciò.

«Andrà tutto bene, te lo prometto. E sono certo che sarai bravissima! Dopotutto, hai il mio stesso sangue!»

 

Celadon spettinò i capelli blu della sorella e portò un braccio intorno al suo collo, lei scostò velocemente la testa e si liberò dalla presa.

«Quindi Cel, chi altri hai contattato?»

«Nessuno. Speravo tu potessi darmi una mano.»

Azuralin portò una mano sulla bocca toccandosi le labbra e cominciò a camminare avanti e indietro. Il sole splendeva ancora alto su Elian e l'unico suono udibile erano gli uccelli che cantavano, ignari degli orrori che stavano riducendo a brandelli Atreia.

Azuralin propose: «Che ne pensi di Mariun? Durante la scorsa difesa in Abisso è riuscita a tenere in vita un gruppo di 5 persone senza alcun problema.»

«Mariun potrebbe tenere in vita anche 12 persone, ma le basta un soffio di vento e crolla come un castello di sabbia. Ottime cure ma scarsissima difesa personale.»

«Concordo. Ionus allora, è un templare fortissimo, insomma, hai visto i suoi muscoli… no?»

«Ionus è più lento di una csellide in coma.»

Azuralin sbuffò. Un'idea trafisse la mente della ragazza, che sorrise.

«Che hai da ridere, Zur?»

Lei si girò verso il fratello e lo guardò con aria furba.

«Virydian.»

Celadon spalancò la bocca lentamente e scosse le mani: «No, no, no, no e ancora no! Tu… Lo sai che… No.»

Azuralin rise. «E' un assassino ottimo, non ti pare?»

«Ho detto di no, non ho intenzione di rivolgere la parola a quel… Moccioso… Ah!»

Celadon prese a girare in cerchio, muovendo le mani compulsivamente.

«Pensaci bene, fratellone. Ha un equipaggiamento praticamente perfetto, è veloce, furbo, abile e letale, molti asmodiani ci hanno rimesso più volte la pelle contro di lui, pare che la settimana scorsa annientò quattro corvetti tutto da solo. Non male non trovi?»

«Ma non mi interessa un accidente di quello che fa, è un arrogante, sporco, presuntuoso, egoista, rompiscatole- »

«Affascinante… »

«Affasc- Chi? Trovi quel ragazzino affascinante? Sorella mia, mi deludi.»

«Ah ah, Cel, a parte gli scherzi, consideralo. È veramente in gamba.»

 

Dentro il suo cuore, Celadon sapeva benissimo quanto potente fosse questo Virydian. Nonostante il suo carattere di merda. Il tempo correva veloce e delle decisioni dovevano essere prese: servivano soldati, non ragazzini. Virydian non è un ragazzino. Tranciare di netto la testa a un Drakan guerriero non è semplice. Il suo spirito non sarà nobile, ma almeno sa come cavarsela. Ma in nome di Kaisinel se lo strangolerei…

 

Celadon gettò un grido verso il cielo e guardò la sorella con sguardo demoralizzato: «Dove lo troviamo?»

Azuralin battè le mani e indicò il ragazzo: «Ti sei deciso!! Oh povero tesoro, chissà che mazzata ha avuto il tuo orgoglio ora, ahah!»

«Sta' zitta, per l'amor di Vaizel, portami da lui e basta.»

La giovane abbracciò il cacciatore portandogli un braccio al collo.

«”E' per il bene di tutti!”» disse sbeffeggiandolo, «o sbaglio?»

Celadon tirò un sospiro: voleva solo che quell'incubo finisse il prima possibile, voleva solo tornare a condurre una vita normale, che, per quanto dura, era fonte di certezze e gioie.

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Capitolo 4
*** Tramonto. ***


Il Palazzo Dorato fu costruito poco dopo la sconfitta di Beritra, allo scopo di sorvegliare l'intera Gelkmaros grazie al panorama mozzafiato che offriva l'enorme vetrata decorata in argento, nella Sala dei Congressi: questa offriva un vasto spazio da dedicare a incontri di vario genere. O almeno, questa era l'idea principale: visti gli ultimi eventi, la Sala ospitava soltanto Generali e Deputies delle più importanti legioni e gli argomenti trattati erano esclusivamente di natura bellica.

Un folto gruppo di importanti legionari Asmodiani si era ritrovato in quella sala per discutere sulla situazione e fare un bilancio delle perdite: in poche parole, i soldati a disposizione erano pochi, i fondi quasi inesistenti e il terreno asmodiano andava via via diminuendosi.

Syria era seduta su trono dorato decorato di pietre preziose, mentre accanto a lei erano disposti altrettanti sedili a formare un cerchio. Su ognuno di essi vi era seduto un Generale di Brigata nominato appositamente per dare consulto durante i periodi di guerra, affiancato dal Deputy di maggior spessore.

Sul lato destro della vetrata, quasi nascosto dalle tende di velluto bordeaux, un ragazzo ascoltava distrattamente lo svolgersi della riunione, alternando lo sguardo tra i membri e una coppia di shugo che cercavano di vendere un sacchetto di erbe a una ragazza, visibili dal finestrone.

Un uomo dalla folta barba color smeraldo attirò l'attenzione della giovane Generale: «Lei non crede che i giovani reclutati siano pochi?»

«Non saranno pochi» rispose Syria «Loro saranno al comando di un ordine soldati incredibilmente più vasto.»

«E lei è sicura della sua scelta?»

«Sono sempre sicura di quel che faccio.»

L'uomo annuì. I visi di tutti i Daeva presenti in quella Sala erano cupi, tristi, pensierosi.

«Quanti Daeva sono disposti a partire?» Intervenne una donna dai capelli lunghi.

«Circa dodici mila, più tremila infermieri che non interverranno se non per dare sostegno ai caduti. Un centinaio di mercanti shugo si è messo in viaggio per reperire materiali da lavorazione, e numerosi chimici e alchimisti stanno preparando pozioni e pietre di rianimazione. Gli Elisiani stanno facendo altrettanto.»

«Gli Elisiani… Possiamo davvero fidarci?»

«No. Ma non vedo altre alternative. Per quanto l'odio sia profondo e radicato nei loro confronti siamo costretti a farci aiutare. Se hanno accettato quasi immediatamente, anche loro hanno seri problemi economici, ergo, ritengo che non verremo traditi. Dopotutto, sappiamo quanto egoisti siano gli Elisiani, si farebbero aiutare persino dai Lefaristi se necessario.»

La donna si stropicciò gli occhi e aggiustò il vestito di seta. «Mi vedo costretta a concordare con lei.»

Syria fece un lieve segno con il capo ad indicare approvazione. Il ragazzo di fianco alla finestra schioccò la lingua e scosse la testa. Allora Syria si voltò di scatto e gli urlò contro: «Hai idee migliori?!»

Il giovane abbassò la testa e tacque.

La ragazza trattenne il respiro per calmarsi e continuò piano: «Signori, vi è tutto chiaro? Avete qualcosa in contrario?»

Il Generale di Brigata della Legione del Ghiaccio parlò in nome di tutti i presenti: «No. I piani andranno come stabilito. I giovani prescelti si presenteranno fra due giorni a Valetta, è corretto?»

«Sì.»

«Ottimo.»

Syria si alzò e si rivolse ai presenti: «Signori, la giunta è sciolta. Il prossimo incontro è fissato a domenica notte con i prescelti di entrambe le fazioni per l'illustrazione del piano. Andate.»

Nel giro di cinque minuti, la Sala tornò deserta. Rimasero soltanto in due: Syria e il misterioso ragazzo. La donna si avvicinò in fretta a lui e lo costrinse a voltarsi verso lei, tirandogli con violenza il colletto del lungo cappotto di pelle.

«Devi per forza farti notare? Hai sempre qualcosa da dire!»

Il ragazzo non mosse un muscolo, ma la guardava dritta negli occhi: aveva uno sguardo cupo, penetrante e magnetico. Una scintilla rossa illuminò brevemente gli occhi rossi di lui.

Syria strinse i denti: non aveva paura di quel ragazzo, ma quando lui la guardava così, un brivido scendeva prepotente lungo la sua schiena.

«Io… Capisco cosa provi… Ma non puoi rivolgerti in questo modo durante un convegno… Mi capisci, giusto?»

Il viso del Daeva era debolmente illuminato dalla luce del tramonto e la sua pelle assumeva delle lievi sfumature di lilla e arancio, che sottolineavano i suoi lineamenti delicati; era raro trovare in Asmodae un maschio di una bellezza tale da essere definita quasi… elisiana.

Syria spostò dagli occhi del ragazzo delle ciocche di capelli e gli accarezzò il viso.

«E' una misura necessaria. Finita la guerra, non li vedremo mai più.»

Lui afferrò fermamente la mano della giovane e la allontanò con forza; allora, a passo veloce, si avviò verso la porta della Sala dei Congressi, la aprì e se andò sbattendola.

Syria rimase sola. Appoggiò le mani alla vetrata e chinò il capo. È l'unica soluzione, non puoi fare altrimenti. Il peso delle responsabilità era elevato, ma lei aveva abbastanza esperienza nell'arte della guerra. Il suo respiro si fece affannoso. Stai calma Syria. Calmati. Vincerai, sarà merito tuo. Rilassati.

Il sole tramontò definitivamente, e il cielo fu illuminato dalle stelle. Nessuna nuvola in cielo, nessun rumore, solo il silenzio. Incuteva un certo terrore, come la calma prima della tempesta: sei pienamente cosciente del fatto che qualcosa sta per accadere, ma sei impotente, puoi soltanto restare a guardare e aspettare che la pioggia ti scivoli fredda sul corpo. La calma non sarebbe durata a lungo. Syria si sedette e chiuse gli occhi, liberando la sua mente dai pensieri oscuri.

 

 

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