La pianta di rose
Seconda parte
Harry aveva aspettato quel
momento con trepidazione mista a
timore. Aveva sempre serbato nel suo cuore ogni sentimento nei
confronti di
Snape senza parlarne a nessuno. Strana la vita e ciò che a
volte capita, come
il fatto di svegliarsi un giorno e capire di amare e odiare qualcuno
allo
stesso tempo. Snape gli aveva sempre avvelenato l’esistenza
con le sue battute
acide, con parole taglienti e sguardi gelidi, eppure Harry non poteva
semplicemente ignorarlo. Con il passare del tempo si era reso conto che
aveva
bisogno della sua voce, aveva bisogno delle sue attenzioni, anche se lo
feriva
continuamente. Quando aveva capito di non poterne fare a meno si diede
dello
stupido, strinse i pugni e si maledì per aver lasciato
entrare il professore
così a fondo nella sua mente, anche senza l’uso
della legimanzia.
Sapeva che era un
sentimento malato, un bisogno doloroso di
avere la sua approvazione, del suo sguardo sopra di lui.
L’anno prima era
arrivato addirittura a provocarlo di proposito per passare del tempo
con lui,
anche se si trattava di punizioni durante le quali al massimo ne usciva
umiliato e deriso.
Quell’anno
invece aveva deciso di provare un’altra strada;
evitare di provocarlo e cercare di fargli capire i suoi sentimenti in
un altro
modo. Ci aveva riflettuto tutta l’estate, soprattutto mentre
si occupava di
curare il giardino di sua zia. Fu in una di quelle afose mattine,
mentre potava
i rosai di Petunia che gli venne l’idea. Aveva stretto con
troppa forza il
gambo di una rosa ferendosi le dita, e le gocce di sangue che caddero a
terra
erano rosse e corpose come i petali delle rose. Il dolore era una
piccola fitta
fastidiosa, ma passò nell’esatto momento in cui
infilò il dito tra le labbra e
le strinse sul taglio, succhiando il sangue e lenendo la ferita con la
punta
della lingua.
Le rose erano come Snape.
Ti affascinavano ma se ti
distraevi un momento, ti potevano ferire, e tutto ciò che ti
restava tra le
dita erano i petali morbidi misti al tuo stesso sangue.
Aveva passato gli ultimi
mesi a curare e far crescere quelle
piantine di rose con l’intento di regalarne una al suo
professore il giorno
esatto del suo compleanno. Si ricordava che cadeva il sette gennaio, e
così in
fine arrivò il giorno.
Aveva preso il mantello
dell’invisibilità e si era recato di
nascosto nell’aula mentre tutti gli studenti stavano facendo
colazione. Aveva
sistemato il vasetto sul pavimento al lato sinistro della cattedra, e
poi aveva
raggiunto gli altri in Sala Grande per evitare di suscitare sospetti.
Entrò
nell’aula di pozioni dopo gli altri, cercando di nascondere
l’agitazione che
gli cresceva dentro. Aveva scritto anche un biglietto, ma non lo aveva
firmato.
Sarebbe stato troppo umiliante se il professore avesse voluto deriderlo
pubblicamente davanti ai suoi compagni, e decise di non scrivere il suo
nome.
Gli avrebbe detto in seguito dopo aver visto la sua prima reazione, di
essere
lui il mittente.
Gli occhi di Snape non
avevano fatto trapelare emozioni
all’inizio, però non appena aveva letto il
biglietto, il suo sguardo acuto si posò
su di lui. Harry non riusciva a capire come avesse fatto a scoprirlo
subito, ed
era talmente sorpreso e terrorizzato dalla cosa che non poté
trattenersi
dall’avvampare. Ormai era inutile far finta di niente,
avrebbe aspettato il
termine della lezione per parlare con lui.
Neville fu tra gli ultimi
ad abbandonare l’aula, non prima
di concedergli un sorriso dolce. Harry avrebbe anche dovuto
immaginarselo che
l’amico non ci avrebbe messo molto a riconoscere la pianta
infiocchettata che
si trovava accanto al professore. Si sentì così
stupido e arrossì nuovamente.
Presto avrebbe parlato con Neville, anche perché di sicuro
aveva intuito fin
troppe cose riguardo ai sentimenti che aveva nascosto così
bene a tutti quanti.
Snape prese in mano i
compiti della classe, e si apprestò a
sistemarli in ordine alfabetico. Alzò lo sguardo solo nel
momento in cui sentì
chiudersi la porta. Harry era ancora dentro, in piedi accanto al suo
banco con
lo sguardo fisso su di lui e non accennava ad andar via.
“Perché
l’ha fatto?”
“Fatto
cos-“
“Sa benissimo di
che parlo. Questa cosa, - disse
indicando la piantina con la mano, - perché?”
Harry sopirò
passandosi una mano sulla faccia. Il momento
era arrivato e non sapeva davvero come affrontarlo.
“Oggi
è il suo compleanno.” Disse in fretta, ammutolendo
poi
nuovamente.
“Noto che
è in grado di sottolineare l’ovvio, i miei
complimenti.”
“Intendevo dire
che essendo il suo compleanno non trovo poi
così strano che abbia ricevuto un regalo.”
Snape rise, non una risata
felice, ma più un suono simile a
delle unghie passate su un vetro.
“Sono velenose
per caso? Ha creato una qualche specie
mortale che vuole testare su di me?”
Harry saltellò
da un piede all’altro, nervoso e mentalmente
impreparato ad affrontare una nuova sequela di insulti a suo carico.
Quell’uomo
sapeva davvero dargli ai nervi, ma stavolta ci si era messo da solo in
quella
situazione. Prese un respiro profondo e cercò di reprimere
la voglia di mandare
al diavolo lui e quella sua maledetta espressione strafottente.
“No, non sono
velenose, – mentre parlava, si avvicinò
lentamente alla scrivania del professore. – Sono solo delle
rose, niente di
più.”
Snape aggrottò
la fronte in una delle sue migliori
espressioni accusatorie. S alzò in piedi aggirando la
cattedra. Ora erano a
pochi passi di distanza.
“E allora, se
non si tratta di una pianta letale, per quale
ragione si trova nella mia classe?”
Harry si
avvicinò ancora un po’.
“Gliel’ho
detto, oggi è-“
Snape appoggiò
il mento su una mano osservandolo in modo
penetrante.
“Esatto questo
l’ha già detto. Ciò che voglio sapere
è
perché dovrebbe regalarmi qualcosa, giacché non
ricordo di essere tra i suoi
professori preferiti.”
Harry sostenne il suo
sguardo. Era la solita espressione
fredda e derisoria, che sempre gli dedicava. Faceva male ma allo stesso
tempo
ne aveva bisogno, anche se si sentiva tremendamente bloccato,
soprattutto visto
ciò che avrebbe voluto dirgli. Avrebbe voluto afferrargli il
viso tra le mani e
sorridergli, dirgli ‘fammi entrare,
smettila di tenermi fuori da ciò che realmente sei’,
ma non poteva farlo.
“E’
solo un regalo, non pensavo avesse bisogno di tutte
queste spiegazioni.”
Snape non
sembrò per niente soddisfatto dalla sua risposta.
Lo fissò con gli angoli della bocca
all’ingiù, l’espressione severa.
“Beh, se si
tratta solo di questo, allora può anche
riprendersela, non la voglio.”
Harry spalancò
gli occhi. Come poteva essere così
dannatamente contorto? Si arrabbiò.
“Bene, io
gliel’ho data, ora me ne vado.” Gli
voltò le
spalle ma il professore lo afferrò saldamente trattenendolo
con un braccio
intorno alla vita. Se lo schiacciò al petto e a Harry
mancò il respiro per la
forza del contatto che stavano avendo. Poteva percepire un incredibile
calore
sulla schiena, dove la sua pelle, anche se coperta dai vestiti era
premuta sul
corpo dell’altro. Snape da quella posizione lo sovrastava
quasi di una spanna.
Portò una mano ad afferrargli il viso, e lo voltò
di lato verso di sé.
La voce era poco
più di un sussurro quando gli chiese:
“Che cosa vuole
da me.”
Harry aveva il fiato corto
come se avesse corso. Se avesse
voluto, avrebbe potuto tranquillamente staccarsi da lui, reagire o
anche
mandarlo a quel paese, ma si sentiva la bocca secca come se non avesse
bevuto
per giorni e il cervello non mandava segnali coerenti. Socchiuse gli
occhi
sentendo il fiato caldo dell’altro sulla sua guancia mentre
parlava. Sentiva
perfettamente i fianchi spigolosi di Snape su di sé, la
linea del suo petto e
il suo ventre, il suo inguine premuto contro il suo sedere, e non
capì più
nulla. Gli aveva chiesto qualcosa, ma cosa? Ah sì, ora
ricordava.
“Tutto
ciò che mi può dare.” Riuscì
in fine a rispondergli,
ancora perso nella nebbia che offuscava la sua mente a causa di quelle
sensazioni. Poco dopo sentì un leggero sussulto provenire
dal petto dell’uomo,
che crebbe fino a divenire una sonora e crudele risata.
“Non credo di
avere nulla da darle Potter.” Disse,
staccandosi di scatto da lui. Harry si voltò a guardarlo
furente. Che uomo
terribile, come poteva volerlo?
“Prenda quel
vaso e se ne vada ora.”
“No non lo
riprendo, è un regalo e ora è suo. Se non lo
vuole lo butti o lo bruci, non m’importa.”
Harry aveva davvero il
brutto vizio a volte di parlare a
sproposito, e spesso le cose che diceva per rabbia non corrispondevano
a ciò
che realmente pensava. Forse il professore lo sapeva, o forse era solo
un gran
bastardo, perché appena Harry finì di dire
così, ghignò crudelmente.
“Se è
così… - disse,prendendo la bacchetta e facendo
levitare
la pianta verso il cestino della spazzatura. Il vaso si
adagiò con un leggero
tonfo sul fondo, ed Harry non aveva davvero più voglia di
restare in quella
stanza.
Sentì un
leggero crack
provenire dal cestino, e capì che qualche gambo si era
spezzato. Pensò ai
giorni e le ore che aveva dedicato alla sua cura. Con quanta dolcezza
aveva
canticchiato per loro, parlato per loro. Aveva seguito i suggerimenti
di
Neville fino in fondo, anche se alcune cose come quelle sembravano
ridicole, ma
tutti i consigli e le letture notturne avevano funzionato,
perché le tre
piantine lo avevano ripagato con tutto il loro splendore. Ora quella
che aveva
scelto come regalo per Snape non c’era più.
Sentì
qualcos’altro fare crack
dentro il suo petto, e corse via dall’aula, corse e corse
senza nemmeno
guardare dove andava.
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Neville lo vide molte ore
dopo, quando rientrò in stanza. Si
accorse subito che era triste e sembrava anche molto stanco.
“Come stai
Harry? Non hai un bell’aspetto.”
Harry lo vide seduto sul
letto. Aveva un’espressione
preoccupata.
“Non sono sicuro
di stare molto bene in effetti. Forse mi
farebbe bene dormire un po’.”
Neville lo
osservò mentre si cambiava e si infilava il
pigiama.
“Ma è
presto per andare a dormire, non scendi giù per la
cena?”
Harry aveva perso il conto
delle ore che aveva passato fuori
dalla scuola, nei pressi della foresta a pensare da solo. Era rientrato
che il
sole stava tramontando.
“Non ho fame al
momento, e se penso al cibo mi si chiude lo
stomaco. Resterò qui, ma tu vai pure Neville. Ci vediamo poi
ok?”
“Harry…
so che non sono affari miei ma… è successo
qualcosa
dopo, emh dopo che me ne sono andato dall’aula? Ti vedo molto
turbato e sembri
così giù.”
Harry sospirò,
e sdraiandosi sul letto con il braccio sugli
occhi si mise a raccontare tutto a Neville. Tutto quanto.
Quando ebbe finito, si
azzardò a guardare il compagno.
Neville sembrava furioso, il
suo corpo
era scosso da tremiti e teneva i pugni chiusi con aria minacciosa.
Harry pensò
stupidamente che lo avrebbe colpito, invece dopo aver mormorato
qualcosa che
somigliava a ‘viscido bastardo’, si
voltò e uscì in fretta dalla stanza.
Severus Snape si trovava
nelle sue stanze, impegnato nella
preparazione di una pozione curativa per l’infermeria. Si
seccò alquanto per
l’irritante presenza che batteva insistentemente alla sua
porta. Andò ad aprire
pronto a mandare a quel paese chiunque si era permesso di disturbarlo
in un
momento tanto delicato, e restando invece sconvolto perché
davanti a lui c’era
un Neville Longbottom in assetto da guerra. In sette anni di scuola non
gli era
mai capitato di vedere quel ragazzo, sempre piuttosto timoroso nei suoi
confronti, così infuriato. Dopo alcuni secondi di assoluto
sconcerto, Snape
notò che Neville teneva tra le mani la pianta di rose di cui
si era disfatto la
mattina. Probabilmente il ragazzo era andato a recuperarla dalla
spazzatura.
“Posso
entrare?”
Più che una
domanda pareva un ringhio, e la totale sorpresa
fece si che il professore si mettesse da parte senza proferire verbo.
Si voltò
verso il giovane, che pareva una bomba pronta a scoppiare.
“Perché
l’ha trattato così? Che bisogno c’era di
gettare il
suo regalo nell’immondizia? E’ solo una pianta, non
si tratta di un qualche
pericoloso demone malvagio.”
Snape lo guardò
male. Come si permetteva quel moccioso di
andare da lui e dirgli come si doveva comportare? Questo fece
sì che ritrovasse
il dono della favella.
“Che cosa
diavolo vuole Longbottom? Non le sembra di essere
finito un po’ troppo distante dal suo territorio? E moderi il
tono, perché altrimenti-”
“Altrimenti
cosa? Mi toglierà dei punti? Mi metterà in
punizione? Lo faccia pure se questo la fa sentire meglio.
Ciò non toglie che
stavolta ha davvero esagerato con Harry. Non le è bastato
tormentarlo per tutti
questi anni, vero? Doveva necessariamente dargli il colpo di grazia
ferendo i
suoi sentimenti.”
Snape si
raddrizzò in tutta la sua altezza ed era così
minaccioso che Neville per un attimo ebbe timore. Quell’uomo
lo aveva sempre
terrorizzato, ma ora che aveva trattato Harry a quel modo, dopo tutto
l’amore
che aveva riposto in quel dono, aveva finalmente trovato la forza di
tirare
fuori il suo coraggio Grifondoro. Non doveva avere paura, si disse.
Snape era
solo un uomo, solo un uomo.
“Longbottom io
l’avverto, la smetta subito e vada fuori di
qui prima che sia costretto a cacciarla con la forza.”
Neville lo
fulminò e andò verso la sua scrivania,
spostò le
carte che vi erano sopra e ci poggiò il vaso. Alcune foglie
erano spezzate,
così come due o tre gambi. I petali di alcune erano caduti,
ma nel complesso la
piantina era ancora viva.
Il ragazzo si
voltò a fronteggiarlo, e Snape era sicuro di
non averlo mai visto così prima.
“Lei non ha idea
di tutto l’impegno che ci ha messo Harry in
questi mesi per crescere questa pianta. Ha dedicato ogni minuto libero
del suo
tempo, l’ha trattata con tutto l’amore e le cure
necessarie e lo ha fatto solo
per LEI!”
Il professore
corrugò la fronte. In realtà aveva creduto che
la pianta fosse stata acquistata in qualche serra, visto
l’aspetto rigoglioso.
Non avrebbe mai pensato che il ragazzo se ne fosse occupato di persona.
Certo
questo non rendeva il suo comportamento meno spregevole…
“Potrà
anche non piacerle, ma è comunque un pensiero gentile
nei suoi confronti, e come tale sarebbe stato corretto accettarlo. Ora,
Harry
mi ha detto di averle dato un biglietto con le istruzioni per la cura
della
pianta, quindi non ha bisogno d’altro. Arrivederci.”
Neville lo
fissò un ultimo istante prima di lasciare la
stanza, senza dargli il tempo di ribattere.
Snape andò a
sedersi alla scrivania, e contemplando la
pianta prese il foglio che teneva in tasca da quella mattina.
Il caro Potter si era
dimenticato di camuffare la
calligrafia, quindi per lui che era abituato a correggere i suoi
compiti da
sette anni non era certo stato un problema capire chi era il mittente.
Il
biglietto era scritto con inchiostro rosso.
“Le
rose non
necessitano di molta acqua ma hanno bisogno di luce. E’
preferibile non bagnare
le foglie e i petali, concimare una volta ogni sei mesi, e per
qualunque altra
informazione io sono a disposizione per aiutarla. Buon compleanno
professore.”
Snape sospirò e
si grattò il mento, in cerca di un luogo
dove mettere quella dannata pianta.
Vi ringrazio per averla letta, con questo si conclude la trilogia sulle
piante iniziata con Tetranicus Urticae, poi The Flame Tree e in fine
questa. Se non avete letto le prime due date un occhiata e fatemi
sapere, la prima soprattutto è la mia preferita.
Ringrazio chi ha commentato la prima parte, vi risponderò
direttamente con il tasto contatta, e grazie a chi
commenterà anche la seconda parte.
A presto, Apple
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