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di changeling
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Contratti e Sussurri ***
Capitolo 2: *** Partire è un po' morire... ***
Capitolo 3: *** Chiacchiere da bar ***
Capitolo 4: *** Odio ripetermi ***



Capitolo 1
*** Prologo - Contratti e Sussurri ***


Un giorno e una notte.
Questo è il patto.
Per un giorno e una notte durerà il contratto.
Sarò moglie, sorella, amica, figlia.
Amante, strumento, arma, famiglia.
Questo è il patto.
Per un giorno e una notte durerà il contratto.

L'Eco annuncia il loro arrivo.
Spalanca i cancelli.
Annunciatore delle Profondità.
Avvicinati.
Allontanati.
Sussurra.
Grida.
Vivi per poco.
Spira in un istante.
La tua richiesta è stata accolta.
L'ultimo sussurro...
Scappa!!

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Capitolo 2
*** Partire è un po' morire... ***


_Sorel_

-"Un giorno e una notte". Era questo il nostro patto. Non è così?-
-Non mi basta!- ansimò l'uomo, il sudore che gli colava sulla fronte, sulla bocca, negli occhi.
-Voglio di più! Voglio più tempo!-
La lingua si agitò, viscida, tra le labbra sottili e pallide. Un rossore disgustoso, chiazzato, gli colorava le guance.
Le mani scheletriche si protesero verso di me, avide, animate da un desiderio morboso.
Che essere repellente.
Tutto, in lui, mi nauseava.
Eppure non riuscii a non paragonarlo a Lui, non riuscii a impedirmi di vedere le Sue mani, la Sua bocca, i Suoi occhi, al posto della cretura ripugnante che avevo davanti. Non riuscii a non desiderare di essere di nuovo tra le Sue braccia.
Tra le braccia dell'unico uomo con cui sarei voluta restare, a cui avrei voluto appartenere.
Un giorno e una notte.
Con Lui avevo stretto quello stesso Patto.
Non avrebbe potuto essere di più, ed entrambi sapevamo perchè.
Nonostante ciò avevamo desiderato di rimanere insieme.
Un giorno, una notte.
Un altro giorno, nessun'altra notte.
Anche quell'essere basso e meschino conosceva le conseguenze, eppure continuava a supplicare che mi trattenessi al suo fianco, nel suo letto, nella sua casa. Consapevole di non avere alcun futuro.
Sarei potuta andare via. Avrei potuto risparmiare la vita di quell'uomo. Se mi fossi dileguata in quell'istante sarebbe sopravvissuto.
-Resta con me!- m'implorò ancora una volta.
Avrebbe continuato a vivere.
Avrei dimostrato di considerare dipiù la sua vita rispetto alla Sua, a quella dell'uomo, l'unico uomo, che avessi mai amato?
Sorrisi.
-Come vuoi.-

Tornai a casa prima dell'alba. Il metallo dell'alto cancello cigolò mentre lo chiudevo alle mie spalle con una mano guantata. Salii rapida le scale, m'infilai sotto il portico e oltre il battente di legno dell'orfanotrofio. L'ampio atrio mi accolse con freddezza, come se volesse ricordarmi che, pur essendo stato la mia abitazione per sette lunghi anni, quello non era il luogo a cui appartenevo.
"Ma non temere", pensai sfiorando con la mano la liscia balaustra di pietra mentre salivo i gradini diretta al primo piano, quello delle camere da letto. "Molto presto andrò via per sempre".
Sì. Entro due giorni avrei finalmente lasciato quel luogo inospitale per fare ritorno alla mia patria. Solo una cosa doveva ancora essere sistemata...
-Signorina Mirror...- mi chiamò una vocina sottile non appena raggiunsi il corridoio buio. Mi voltai, facendo svolazzare la lunga gonna attorno agli stivali. Davanti alla camerata dei bambini, un piccolo timoroso mi iguardava incerto, con le maniche del pigiama blu e bianco strette tra le mani e grandi occhi azzurro-viola spalancati.
-David!- esclamai, muovendomi svelta verso di lui.
Il piccolo non si mosse e io lo raggiunsi, inginocchiandomi davanti a lui. Gli accarezzai dolcemente una guancia rosea, e lui allentò un po' la presa sulle maniche.
Con apprensione mi accorsi che tremava.
-Cosa c'è, tesoro?- chiesi, preoccupata. -Non ti senti bene?-
David abbassò il capo, seppellendo il viso nel mio abbracciò finchèl'unica cosa che distinsi di lui furono i boccoli castano-dorati.
Povero bambino. Doveva essere terrorizzato. Abbandonato alla nascita in questo luogo poco accogliente, cresciutovi per sette anni, ora stava per lasciarlo, e con esso tutto ciò che conosceva.
Eppure non riuscivo a biasimare del tutto la madre: tenendolo con sè l'avrebbe fatto solo soffrire, mentre così facendo aveva reso disponibile a David la possivilità di essere adottato da una famiglia normale. Una possibilità che si sarebbe presto realizzata.
-Oh, piccolo...- mormorai, stringendolo forte. Respirai a fondo il suo giovane profumo. Sapeva di latte, di paura dell'ignoto. Di innocenza.
Lo presi in braccio e mi sollevai da terra senza fatica, continuando ad accarezzarlo, sulla testa, sulla schiena, strofinandogli il naso freddo contro la guancia per fargli il solletico.
Lo sentii rilassarsi lentamente mentre gli canticchiavo la sua filastrocca preferita, mentre lo portavo in camera conme, sempre le stesse strofe, ricominciando da capo ogni volta che terminavo l'ultimo verso.

"Due avventurieri cercano le nuvole,
vedono la luce di cui parlano le favole,
come uccelli volano, ritornano di là,
portando quel bel fuoco nelle Profondità.

Sotto un altro cielo brillano due stelle,
si avvicinano e allontanano, le chiamano sorelle;
guardano dall'alto coi loro grandi occhi
vegliano sui piccoli nei loro begli specchi.

Attraverso il sole passano di notte,
gli echi li annunciano, discendono le vette,
sussurri di giganti, grida di folletti,
i bambini dormono nei loro caldi letti."

-Miss Mirror?-
M'interruppi. David si raddrizzò tra le mie braccia per guardarmi in faccia con quei suoi occhioni spettacolari che avrebbero fatto di lui un uomo bellissimo. Non sarebbe potuto essere diversamente, pensai sorridendo tra me e me con una punta di amarezza.
-Ho paura- mormorò con quella sua vocetta acuta -E se mi dimentico di qui? Di Joy, di Maestra Iole e di te?-
Ricambiai lo sguardo senza dire una parola, perchè David era un bambino intelligente e capiva quando qualcuno gli mentiva.
-Mi verrai a trovare?-
Smisi di accarezzarlo e respirai a fondo. Mi sedetti sullo sgabello da toletta nella mia stanza. David si accoccolò sulle mie ginocchia.
-Non potrò venire a trovarti, David.- gli spiegai tranquillamente. Mi fissai sui suoi occhi lucidi e sentii un brandello della mia anima strapparsi. Come spiegargli che non mi avrebbe rivista mai più, che non avrebbe sentito la mia mancanza? Che nel momento in cui me ne sarei andata via avrebbe dimenticato tutto di me?
-Devo partire- gli spiegai dolcemente. -Devo tornare a casa mia, e non so se verrò più qui. Ma se succederà, la prima cosa che farò sarà cercarti. Se vorrai- aggiunsi con leggerezza -potrai anche venire con me. Ma da domani devi stare coi signori Foster, e vivere con loro, perchè saranno i tuoi nuovi mamma e papà.-
-Finchè torni a prendermi.- precisò, serio.
Esitai per un secondo, ma annuii. David appoggiò la testa alla mia spalla e sospirò. Un bambino non dovrebbe sospirare così, pensai. Così piccolo, e già così grande.
Con aria supplice, David sollevò di nuovo la testa, e m'implorò: -Miss Mirror, posso dormire con te stanotte?-
Sorrisi. Lo sollevai e lo portai sul mio letto, coprendolo poi con la coperta. Mi sdraiai accanto a lui e ripresi a canticchiare, lentamente, sussurrando.

"Due avventurieri cercano le nuvole,
Vedono la luce di cui parlano le favole,
Come uccelli volano, ritornano di là,
Portando quel bel fuoco nelle Profondità... "

Pochi minuti dopo sollevai una mano e scostai la frangetta dal suo piccolo viso. Dormiva sereno.
Il mio piccolo David...
Il sorriso mi morì sulle labbra. Domani me l'avrebbero portato via. Lo avrei seguito fino alla sua nuova casa. Avrei aspettato ancora un altro giorno per essere sicura che fosse tutto a posto, e poi sarei sparita per sempre. David non mi avrebbe più rivisto, non si sarebbe mai ricordato di me. Non avrebbe mai saputo chi sono.
Sentii i miei occhi farsi caldi e qualcosa di gelato scorrere lungo la mia guancia; agli umani sarebbe sembrata la carezza di un cristallo di neve, o forse una goccia di pioggia invernale.
Scivolò dal mio mento e cadde sul cuscino. La raccolsi. Ecco com'era fatta una mia lacrima, pensai. La osservai con amaro interesse: era solo la seconda volta in tutta la mia vita che ne vedevo una. Brillava sul palmo della mia mano, fredda e dura, più piccola dell'unghia del mio mignolo. Non c'era luce, eppure la superficie sfaccettata continuava risplendere di riflessi dorati.
Qualunque gioielliere avrebbe venduto l'anima per uno di questi, per un diamante d'oro. E qualsiasi demone avrebbe offerto il proprio sangue per averlo, visto che dall'anima non potevano separarsi, loro.
Forse quella di un mezzo demone sarebbe stata un prezzo equo, riflettei distrattamente. In ogni caso non ero intenzionata a vendere la mia lacrima, per nulla al mondo. La strinsi nel pugno. Quando lo riaprii, era diventata un orecchino a punto luce. Così avrei completato il set, pensai sfiorandomi il lobo destro, decorato da un gioiello identico. Erano passati sette anni da quando l'avevo pianto, ed erano sette anni che lo indossavo.
D'ora in poi l'avrei sfoggiati entrambi, il primo per il padre; il secondo per il figlio.
Per mio figlio.

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Capitolo 3
*** Chiacchiere da bar ***


Chiacchiere da bar


Attesi fino a che la mano svolazzante di David smise di salutare dal finestrino dell’auto, poi augurai tutto il bene possibile a Maestra Iole e ai bambini e me ne andai. La direttrice mi osservò con gli occhi ancora umidi dopo l’addio a David, e io mi limitai ad un rapido cenno prima di voltarle le spalle e incamminarmi per il vialetto con le mie due valige. Appena voltai l’angolo e non fui più in vista feci sparire il mio scomodo bagaglio, ed entrai in un caffè.
Mi sedetti al bancone e ordinai una pinta di birra, poi cominciai a mordermi il pollice.
-Buongiorno Barney- disse il barista mettendomi la birra di fronte –Sempre mattiniero, eh?-
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo.
-Bevo quando diavolo mi pare, ok?-
-Certo, certo!!- rise lui –Ma tu sei l’unico tra tutti i miei clienti che mi chiede una birra per colazione.-
Risi piano, roca. –E’ perché io sono l’unico che l’apprezza veramente.-
Era chiaro che quell’uomo voleva farsi quattro chiacchiere, anzi, sembrava morire dalla voglia di raccontarmi qualcosa, ma io me la presi comoda e ingurgitai un quarto della pinta in  un sorso. Era veramente… abominevole.
Mi guardai intorno e notai un capannello di persone, quasi tutti maschi, riuniti intorno a un tavolo circolare, in silenzio e vestiti a lutto.
Li indicai con un cenno del mento e chiesi: -Chi è morto?-
Il barista seguì il mio gesto per capire di chi parlassi e per un attimo distolse da me la sua attenzione.
Ne approfittai e lasciai cadere una goccia del mio sangue dal pollice che mi ero morsa nella birra. La ferita si richiuse subito e il sangue si diluì nel liquido altrettanto velocemente, senza lasciare traccia. Bevvi un altro sorso e sospirai. Il piacere mi face arricciare le dita dei piedi.
La partenza di David, la mia partenza imminente, la depressione, il pianto… avevo assolutamente bisogno di qualcosa di forte.
Aprii gli occhi e incrociai lo sguardo curioso del barista.
-Che c’è?- domandai, brusca.
Quello smise subito di guardarmi e io mi toccai furtivamente la guancia: pelle ruvida e secca, un viso spigoloso invaso da una corta barba scompigliata, decisamente non il mio.
-Ho qualcosa in faccia?- berciai, seccata.
Quel tizio mi aveva quasi fatto prendere un colpo. Avevo temuto di aver ripreso il mio aspetto originale per la goduria. Avevo sentito che poteva succedere; a me non era mai capitato, e non avevo intenzione di farlo accadere mai, altrimenti non mi sarei scrollata l’umiliazione di dosso per chissà quanti secoli.
-No, no. E’ che non avevo mai visto nessuno a cui piacesse tanto la mia birra- spiegò con un sorriso storto.
Sbuffai. –Da dove vengo io, beviamo una cosa del genere. Ha un sapore simile, ma non è alcolica. Questa roba me la ricorda, ma è più buona.-
Solo se un po’ corretta, però. Altrimenti sembrava fiele unito a olio di ricino.
-Ah! Se lo dici tu. E da dove vieni?-
-Dal posto dove sto per tornare. Temo che non mi vedrai più, amico mio- scherzai, eludendo la domanda.
-Peccato. Perderò un altro dei miei clienti migliori- si lamentò adocchiando di nuovo il capannello di luttuosi.
-Quello che è morto veniva qui?- chiesi.
Lui annuì, mesto. –Il povero Donald. Quattro giorni fa stava benissimo, e ieri, così, dal nulla, l’hanno trovato morto in camera sua. Un infarto, dicono.-
Ecco il bello di questo bar: le notizie giravano a una velocità tale da essere indecente, e il barman era più pettegolo di una portinaia. Gli augurai
 di cuore una vita lunga e sana.
-Hanno fatto in fretta col funerale- commentai a bassa voce.
Lui colse l’imbeccata e si sporse sul bancone per raccontarmi per bene tutti i dettagli. –E’ proprio vero. In giro si dice che negli ultimi giorni fosse stato visto insieme a una bellezza con la metà dei suoi anni, e che quando l’hanno trovato stecchito era… non proprio vestito di tutto punto, diciamo, ecco. Mi sono spiegato, no?-
Ero certa che gli sarebbe piaciuto aggiungere qualcos’altro per spiegarsi meglio, ma il morto era un ex-cliente e questo lo rendeva degno di un minimo di rispetto.
Annuii per mostrare che avevo capito.
-Probabilmente la ragazza è stata… troppo per lui, e il suo cuore non ha retto. Comunque, il fatto è che la sorella è sposata con un tizio in politica, no? Quindi tutta la faccenda è stata tacitata nel più breve tempo possibile, per non farne parlare. Non hanno nemmeno denunciato il caso alla polizia.-
-E meglio così, no?- ammiccai –Altrimenti sarebbero potuti venire a ficcare il naso qui, visto che era un frequentatore assiduo.-
Il barman rise fragorosamente, scostandosi. –Proprio così-
Finii la mia birra ridendo con lui, poi scesi dallo sgabello su cui ero seduta e lo salutai. Lasciai sul bancone una banconota. Il barista la guardò con tanto d’occhi e poi puntò lo sguardo sbalordito su di me.
Risi più forte.
-Goditi la vita, amico mio! Finché non spenderai quei soldi, i tuoi affari decolleranno. Sono un portafortuna!-
Il barista sorrise con gli occhi brillanti, e io me ne andai volgendogli le spalle. Questo mondo mi sarebbe mancato, ma mi ero fatta una promessa, e l’avrei mantenuta. Un altro giorno, un altro giorno ancora, e avrei liberato questa terra dalla mia presenza. Per sempre.

Salve a tutti!! E' il primo messaggio che lascio, e, bè, insomma... cosa ne pensate? Cioè, voglio dire, lo so che i tempi di pubblicazione sono stati lunghi, ma spero che chiunque abbia buttato un'occhio a questa storia abbia continuato a seguirla, e mi farebbe molto piacere ricevere le vostre opinioni, idee, e, in generale, commenti XD
Per quanto riguarda il racconto, per il momento siamo ancora nelle fasi preliminari, ma vi assicuro che ha uno scopo e che vale la pena di seguirlo (anche se detto da me, alias: l'autrice, non ha molto senso.. ^^'). In ogni caso, spero che alla fine sarete d'accordo con me. Grazie a tutti per l'interesse, lasciate le vostre impressioni e, almeno per stasera, buona notte!! <3 <3 <3

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Capitolo 4
*** Odio ripetermi ***


Odio ripetermi
 
Visto che avevo intenzione di riservare tutto il giorno seguente a David, pensai di concludere il mio giro di addii in una volta sola. In ogni caso non avevo molti amici: me ne restava solo uno da incontrare.
Passai il resto della giornata a girare per la città come una turista, passeggiando tra i parchi e respirando a fondo per assicurarmi di non dimenticare il profumo che permeava le strade.
A pranzo mi fermai a mangiare in un ristorante italiano, e solo verso il tramonto raggiunsi il posto dove sicuramente il mio amico sarebbe andato, sperando che non ci mettesse molto. Nell’attesa scalai la parete di un palazzo e raggiunsi il tetto, dove mi accomodai per godermi lo spettacolo del sole morente. Il vento trasportò alle mie orecchie centinaia di conversazioni in una sola folata, e io lasciai che mi attraversassero. Distinsi liti, chiacchiere amichevoli, dichiarazioni e sussurri, persone che parlavano al telefono e altre che gli rispondevano dall’altro lato del microfono. Infine mi rilassai sdraiandomi sul tetto, finché l’unica cosa che sentii fu un brusio diffuso, e il calore del sole sulla pelle.
Quando riaprii gli occhi, su di me vidi la luna. Era argentea, sottile e bellissima.
“Mi mancherà da morire, la luna”, pensai. Non che il cielo del mio mondo avesse qualcosa da invidiare a quello degli umani, ma la luna sembrava così… pacifica.
Niente affatto come Lucifero, così bellicoso e iperattivo, con quelle sue dannate sciabole. Ero sicura che la luna sarebbe stata un’ospite molto più piacevole per un tè pomeridiano.
Mi drizzai a sedere. Non mi sentivo insonnolita, perché non avevo dormito: in realtà ero caduta in una sorta di trance meditativo durante il quale avevo perso la cognizione del tempo, ma ora che mi guardavo intorno mi rendevo conto di quanto fosse tardi. Tutto intorno a me era calato il buio della notte, e la posizione delle stelle mi diceva che erano passate le dieci.
Tuttavia ero sicura di non aver perso la possibilità di vedere il mio amico, perché se fosse passato mi sarei riscossa all’istante. Un pericolo come lui ero in grado di percepirlo a distanza, anche quando si nascondeva bene.
Come quella sera. Mi sporsi oltre il bordo del tetto su cui avevo passato la serata, affacciandomi sull’angusto vicolo da cui mi ero arrampicata. Lui era proprio sotto di me, e la sua aura era talmente ben mascherata che qualsiasi mostriciattolo o demonucolo che l’avesse incrociato l’avrebbe scambiato per un normale umano; non io.
Il mio amico era in compagnia. Aveva un giubbotto di pelle nera e i capelli ingellati, e teneva una donna sui trent’anni sottobraccio.
All’improvviso la afferrò per le spalle e la sbatté contro la parete di mattoni dell’edificio di fronte. Veloce come un lampo, sfoderò un coltello di ferro scuro decorato con incisioni in ebraico, ma stavolta il suo obbiettivo sembrava non essere un’inetta totale. Lo spinse indietro un attimo prima di essere trafitta, cavandosela con un graffio esteso ma superficiale lungo il braccio.
Ruggì poco elegantemente, e intorno a lei si materializzarono lingue di fuoco che si scagliarono contro il suo assalitore, ma io non mi preoccupai.
Mi diedi una leggera spinta in avanti, e caddi nel vuoto, atterrando con tranquillità sei piani più in basso proprio mentre il mio amico estraeva una fiaschetta di acqua santa dalla tasca interna del giubbotto. Con un gesto rapido la stappò e se la versò addosso, spegnendo le fiamme che avevano attecchito ai suoi vestiti. Subito dopo si scrollò come un cane, schizzando acqua benedetta tutto intorno, me compresa.
-Buonasera Peter- lo salutai, asciugandomi il viso con noncuranza. A contatto con la mia pelle, l’acqua divenne brina e poi si disperse nell’aria in rapidissima successione.
La donna che Peter aveva portato con sé non fu altrettanto fortunata: le gocce sfrigolarono come acido, lasciando sulle braccia e sul viso estese piaghe rosse che le strapparono un verso straziato da bestia ferita.
Peter ne approfittò per assestarle un calcio all’addome che la scaraventò tra la spazzatura ammucchiata da una parte.
La morte per esorcismo, però, non faceva gola a nessuno, quindi la diavolessa fu svelta a indietreggiare, generando altre fiamme che tornarono a incalzare il mio amico, che, guarda caso, sembrava proprio aver finito l’acqua santa.
Alzai gli occhi al cielo quando vidi che era il suo turno di indietreggiare. Per le corna di mio fratello, glielo dicevo sempre di portarsi delle scorte!
Non avevo sprecato un intero pomeriggio in cui avrei potuto vedere mio figlio per questo.
Sbuffai e mi feci avanti, oltrepassando il fuoco della diavolessa senza nemmeno prestarvi attenzione. Mi parai di fronte a lei, infastidita.
-Va’ via.- le intimai.
La donna mi squadrò con tanto d’occhi e io cercai di capire se stesse occupando un ospite umano o meno. Le grosse ustioni da acqua santa e il sangue giallo zolfo suggerivano di no, ma forse era rimasta tra gli umani troppo a lungo, finendo per perdere la capacità di reazione degna di un demone, per quanto di bassa lega.
Continuò a guardarmi a bocca aperta finché non mi chinai su di lei e ripetei, con raddoppiata irritazione: -Ho detto: sloggia, nullità!-
Finalmente la diavolessa tornò a muoversi, ma non fu per scappare via a gambe levate; si prostrò ai miei piedi come un miracolato di fronte a un santo.
-Mia signora…- mormorò, tremante.
-Oh, perfetto…- gemetti, il fastidio che cresceva esponenzialmente di secondo in secondo –Cos’è, non capisci quello che dico? Vattene!!-
Non si mosse di un centimetro. –Non potrei mai voltarvi le spalle dopo che mi avete salvata da quel maledetto esorcista!- esclamò, ossequiosa.
A quel punto sentii Peter gridare da dietro di me. –Sorel! Che ci fai qui?! Lontano dal mio demone!-
Lanciai un’occhiata alle mie spalle e vidi Peter alle prese col fuoco infernale, riuscendo poco a poco a soffocarlo. Ma prima che potessi rispondergli, la diavolessa si frappose tra noi.
-Viscido umano!- sputacchiò spargendo saliva incandescente –Come osi mancare di rispetto alla suprema Sorel?!-
Le fiamme che lo circondavano riacquistarono improvvisamente vigore e lo ricacciarono indietro con un grugnito.
A quel punto avevo proprio perso la pazienza. Non solo quella feccia non si degnava di ascoltarmi, ma ignorava anche i miei ordini.
Sollevai la mano e schioccai le dita. La diavolessa non fece nemmeno in tempo a capire cosa stesse per succederle; un lampo di luce percorse il suo corpo, e lei sparì. Al suo posto rimase solo un mucchietto di cenere giallognola.
-Odio ripetermi.- borbottai.
 
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Eccomi tornata, finalmente!!
Non avete idea di quanto mi siate mancati!! Ma finalmente adesso è finita la scuola e posso riprendere a pubblicare in pace. Allora, intanto volevo ringraziarvi tutti perché, anche se NON AVETE LASCIATO RECENSIONI (vaga allusione che non significa assolutamente nulla), ho visto che i lettori che mi seguono continuano ad aumentare, e di questo vi sono infinitamente grata.
Ora, parliamo di questo capitolo. Appare per la prima volta un personaggio che adoro e di cui sono molto fiera. Parlo, se non lo avete capito, di
 <3 Peter <3. Più avanti acquisterà molta più importanza, ma questo capitolo e quello che seguirà servono soprattutto per presentarlo e per spiegare il suo legame con Sorel, che andrà complicandosi e ampliandosi con l’andare del tempo. Spero di avervi incuriositi ancora, e di avervi spinto a continuare a leggere.
Al prossimo capitolo!!

Baci!!
 Changeling
 

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