C'Era Una Volta Su Marte

di La Setta Aster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Titoli d'Inizio ***
Capitolo 2: *** Once Upon a Time on Mars ***
Capitolo 3: *** Wanted - Dead or Alive ***
Capitolo 4: *** "Every Single One's Got a Story to Tell" ***
Capitolo 5: *** Corvo Grigio Non Avrai Il Mio Scalpo ***
Capitolo 6: *** La Grande Fuga... Dagli Schiavisti Marziani ***
Capitolo 7: *** Leaving on a Jet Plain ***
Capitolo 8: *** When the Wild Wind Blows ***
Capitolo 9: *** Femme Fatale ***
Capitolo 10: *** Giù la Testa, Cog***oni ***
Capitolo 11: *** Per Un Pugno di Crediti ***
Capitolo 12: *** Dead Man Walking ***
Capitolo 13: *** We Can Be Heroes ***
Capitolo 14: *** Quel Treno per Ma'Adim ***
Capitolo 15: *** Locomotive Breath ***
Capitolo 16: *** Ombre Grigie ***
Capitolo 17: *** Dall'Alba al Tramonto ***
Capitolo 18: *** Bad Moon Rising ***



Capitolo 1
*** Titoli d'Inizio ***


In un futuro in cui la Terra non è altro che una scomoda capitale della decadenza, Marte è una colonia umana in tumulto, e la galassia è attraversata da cosmonauti di ogni forma e colore, in questo futuro di grandi viaggi spaziali e colonialismo galattico, esistono uomini che hanno a cuore l’onore, dei valori morali che li portano a distinguersi dagli altri umani e dagli alieni, che lottano per la libertà, per i diritti dei viventi e per la conservazione delle culture non ancora in grado di viaggiare nello spazio. Esistono questi uomini, certo… ma ne esistono altri a cui invece non frega niente di tutto questo, gli basta una buona paga e nessuno che gli dica cosa fare.
 

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  John Malkovich as Cobra Jack 

Colin Farrel as Mark Stirling .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  . 

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  Zoe Saldana as Blacky Hole

Shia LaBeuf as Mat Wallace.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  . Music by Ennio Morricone

Original song ‘Knights of Cydonia’ Performed by MUSE .  .  .  .  . 

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  . Creature Design by Stan Winston

Produced by 30th Century Fox .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  . 

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  . Screenplay By The Krypteia

Directed by
The Krypteia .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .


 

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Capitolo 2
*** Once Upon a Time on Mars ***


 
L’aria su Marte era respirabile ormai da più di cento anni, ma il colore: quello non è mai cambiato. Rosso, un rosso che domina su tutto, un rosso che nasconde il sangue versato dopo un duello tra due impavidi uomini che vivono solo per morire, nutriti dal desiderio di vendetta o dalla sete di ricchezza. Marte è un’immensa distesa di sabbia, rocce e morte, una colonia terrestre che brama la sua indipendenza, ma mentre i fili d’acciaio degli intrighi politici lavorano per scatenare una guerra contro la madrepatria, ora debole più che mai, per le selve di terriccio rosso non vige alcuna legge, se non quella della mano più svelta ad estrarre una pistola. Una nuvola cremisi si alza turbinando nel desolato orizzonte di Cydonia. Quella nuvola porta un grido lontano, il grido di un revolver laser placcato in argento con rifiniture in rame e ottone rappresentanti motivi floreali, che esploderà il suo colpo fatale nella cittadina di Spirit, una delle tante, disseminate per la vastissima Valle di Cydonia, la regione di Marte più ampia, che comprendeva anche la capitale del pianeta, il centro del potere politico, o forse l’unico luogo in cui esisteva davvero potere politico: Ma’Adim. Spirit non è una città come la capitale, ma vanta una popolazione di quasi trecento abitanti, alcuni commercianti di beni di prima necessità, come carne o verdure, un dottore, un maniscalco, e, ovviamente, un becchino. E non mancava certo il saloon, punto focale della vita del paese, o della morte, dove si vendevano alcolici, droghe, donne, dove ogni sera la radio mandava l’ologramma di qualche gruppo musicale terrestre, e dove, in breve, si poteva trovare un cranio da forare, casomai si fosse presentata la necessità o l’istinto omicida. Ma tra quelle casupole di legno e ferro arrugginito si nascondeva un uomo, che se avesse potuto riscuotere da solo la taglia sulla sua testa avrebbe potuto finanziare in grande stile la sua causa: l’indipendenza marziana. Era uno di quegli uomini che la Terra voleva morto, uno di quelli che fomentava le folle, che aveva la motivazione e abbastanza sale in zucca da poter raggiungere, un giorno, il proprio fine. E questo spaventava non poco i potenti del pianeta madre. Quindi, non potendo ucciderlo in maniera ufficiale, in quanto sarebbe stato fatto martire di una causa giusta, e avrebbe di conseguenza nutrito le idee indipendentiste, il governo terrestre decise di assoldare uno dei più scaltri, veloci e pericolosi cacciatori di taglie di tutto il settore marziano:

Fermo immagine sul primo piano del tagliagole mentre scende dalla sua rombante moto volante.

COBRA JACK

Lo stivale di nero cuoio di dingo di Ares fece tintinnare il propulsore che vi era agganciato, e che serviva, oltre a compiere salti di notevole altezza, a dare una potente accelerazione alla già non trascurabile velocità della moto volante. Quei mezzi assolutamente affascinanti per gli amanti del colpo di scena, somigliavano vagamente alle vecchie moto terrestri che percorrevano in lungo ma non in largo la famigerata Route 66, le Harley, solo che invece delle ruote, portavano quattro zampe robotiche, che si appoggiavano a terra per camminare quando la velocità non richiedeva il volo, e che invece si piegavano, rivolgendo all’indietro gli zoccoli, quando la moto partiva al galoppo, o meglio al volo, sprigionando la propulsione che permetteva al mezzo di raggiungere una gran velocità. Il pilota guidava inginocchiato, coi piedi rivolti verso la strada già percorsa, come gli zoccoli della moto, e con le ginocchia poggiate ad appositi sostegni. L’argentata carrozzeria della Dakota, la moto volante di cui si parla, luccicava – anche se in varie zone era sporca o arrugginita – colpita dai raggi del sole, filtrati da un’atmosfera completamente diversa da quella di duecento anni prima. Lo spolverino scuro fatto di pelle di bucefalo, un bufalo a due teste tipico delle praterie di alghe marziane, era ricoperto di polvere rossiccia, che opacizzava il colore nero lucido che quell’indumento avrebbe dovuto avere. Da sotto l’ampia visiera che percorreva la circonferenza del cappello, anch’esso nero, sbucavano, dietro alla testa, i resti nostalgici di quella che un tempo era una folta chioma di capelli lunghi, ora ridotti a ciuffi grigi che parevano steli di paglia. Quando l’uomo alzò lo sguardo, mostrò due piccoli occhi sfuggenti, furbi e attenti, d’un azzurro glaciale. Questi guizzavano da una parte all’altra con la velocità di una serpe di prateria, osservando e valutando rapidamente l’ambiente e le persone, alcune delle quali lo guardavano curiose, altre spaventate, e altre ancora che non mostravano interesse per il nuovo arrivato. Una barba rada ricopriva il volto come erba appena nata, ancora bassa, mentre si rinfoltiva un poco attorno alla bocca stretta. Mentre camminava a passo lento, studiando la cittadina, la sua Dakota lo seguiva muovendo le sue quattro gambe metalliche al passo. I pesanti zoccoli d’acciaio suonavano un ritmo ben cadenzato sul suolo arido. Meno regolari e più trascinati, gli stivali dell’uomo erano diretti al saloon. La passerella fu lenta, per dare il tempo alla popolazione di quel paese di rendersi conto che Cobra Jack era giunto fin lì per un motivo, e qualcuna, di quelle trecento anime e poco più, non era più al sicuro. Come tamburi della morte, i tacchi degli stivali di Cobra Jack si portarono davanti alla porta a due battenti del saloon. Un’insegna al neon mancante di troppe lettere per essere comprensibile sovrastava l’entrata: “Sal  n of Spi   ”. Dopo aver ancorato la Dakota a un palo apposito, al cacciatore di taglie bastò stendere il braccio, con la mano aperta e il palmo rivolto verso la porta, per vedere i due battenti spalancarsi, e aprire la strada verso al locale: dritto davanti a Cobra, verso il muro, vi era il bancone, dietro al quale un barista stava agitando qualche cocktail alieno, mentre sbraitava contro un droide cameriere che era andato di nuovo in cortocircuito dopo che un cliente ubriaco gli aveva gettato del whiskey in faccia. Ammesso che si possa chiamare faccia. I droidi cameriere non avevano piedi, ma come unico supporto un carrello a più piani che si concludeva con la testa: la forma di un’arachide – e anche il cervello – e due occhi che spuntavano come quelli di una lumaca. Per muoversi utilizzavano degli invertitori gravitazionali posti sotto al carrello. In mezzo alla stanza, fra Cobra e il bancone, una piattaforma rotonda proiettava un ologramma che fluttuava a mezz’aria, e che rappresentava tre tizi che suonavano. Il cantante, che suonava anche una chitarra argentata come la Dakota, stava continuando a urlare con un falsetto molto femmineo “no one’s going to take me alive, the time has come to make things right. You and I must fight for our rights, You and I must fight to survive”. Cobra non lo avrebbe mai ammesso, ma quella canzone gli stava piacendo tanto che avrebbe volute concedersi una pausa dalla caccia. Avrebbe voluto piazzarsi davanti al bancone e, accompagnato da una tequila, godersi quella musica dal primo all’ultimo minuto. Intorno alla piattaforma, la gente seduta ai tavoli beveva alcool come se l’acqua su Marte non fosse mai esistita. A destra, oltre un piccolo rialzamento raggiungibile da tre gradini, vi era la sala da giochi, con un biliardo, un ping pong virtuale e diversi videogiochi, in pratica dei caschi collegati ad uno schermo, e il giocatore che indossa il casco entra nel mondo digitale del gioco, mentre sullo schermo compare ciò che lui vede, per far sì che anche gli spettatori siano in grado di godersi lo spettacolo. Spesso quei videogiochi venivano usati per fare sesso virtuale abusivo con altri giocatori in tutta la galassia, attraverso la rete extranet, soprattutto in cittadine come Spirit, in cui non vi era alcuna caserma o un ufficio che garantisse il rispettarsi della legge: vi era solamente un centro comunicazioni castamente in contatto con la vicina – ma neanche poi tanto – Phoenix, questa volta grande città di svago, luci, corpi contorti in balli isterici o nudi in una Casa del Sesso, una di prima categoria. Era simile all’antica Las Vegas sulla Terra, in quel dimenticato continente chiamato America. Sulla sinistra di Cobra, invece, i tavoli erano quasi unicamente dedicati al poker, al black jack e ad altri giochi d’azzardo. Il nostro tagliagole fece segno ad un cameriere robot indicandolo con il dito, e questo gli si avvicinò.

“porti del whiskey a quel tavolo” disse indicando col medesimo dito una tavolata alla quale cinque signori che parevano vestiti troppo bene per abitare a Spirit stavano giocando una mano di poker.

Subito dopo, si sedette a quello stesso tavolo, prese le carte e le osservò. Quando fu il momento, posò con fare flemmatico il suo full d’assi sul banco, ben sapendo che nessun altro, fra quei cinque individui lo avrebbe battuto. Lo capiva dai volti, dagli occhi.

“che si giocava?” domandò un tizio dal viso ben rasato e il sudore che gli imperlava la fronte.

Cobra estrasse un sigaro marziano, fatto con del vero tabacco Cydonense, non un sigaro elettronico come quelli che ormai avevano preso piede dovunque nella galassia. Trasse un profondo respiro di fumo, assaporando quel retrogusto ferroso che lasciava. Giunse il suo whiskey, ma non gli diede attenzione alcuna. Sbuffò un nugolo bianco, e poi fece schioccare la lingua “la pelle” disse.

Il terrore prese spazio tra quei lineamenti curati, e la fronte era sempre più umida. L’odore del sudore varia a seconda che la sudorazione avvenga per caldo, stanchezza o paura. Quell’odore, quello della paura, ora aleggiava sotto il naso esperto del cacciatore. Scoppiò a ridere.

“nah, scherzavo, avanti!” portò i piedi sul bancone, con le gambe incrociate, e si mise comodo inclinando la sedia all’indietro.“informazioni” rivelò alla fine. Fece passare il suo sguardo congelante su tutti i presenti “sto cercando un uomo”

“aspetta un secondo, cavaliere del deserto” si fece sentire una voce giovane. Proveniva da un uomo sui ventisette anni, forse aveva raggiunto i trenta, con una scura barba ben curata e i capelli più corti dietro e leggermente più lunghi davanti, che calavano sul viso. Probabilmente li avrebbe pettinati indietro per le occasioni. Quel ragazzo, insomma, che era arrivato in quel momento e aveva appena preso in mano le carte, mostrò un poker, la mano più alta esistente. Portò a se tutte le fiche luminose, e parlò di nuovo: “la pelle, hai detto”. A quelle parole, gli altri uomini si alzarono con cautela, mostrando le loro pistole, ancora nei foderi.

“veramente ho detto che volevo informazioni” ribadì “sto cercando un uomo che ti somiglia incredibilmente, forse è tuo fratello o forse è una somiglianza dovuta al fatto che la madre del tizio che sto cercando è piuttosto famosa” la sua provocazione dimostrava che aveva la situazione sotto controllo. Il trucco è far imbestialire la vittima, perché la rabbia, si sa, rende più forti, ma anche più stupidi e distratti. “il nome del morto che cammina è Mark Stirling”.

Quando pronunciò quel nome, scandendo bene le lettere, i quattro uomini che accompagnavano quello che aveva giocato il poker fecero per estrarre le pistole, ma finirono tutti folgorati da quattro infallibili, rapidi raggi laser del revolver di Cobra. Aveva estratto silenziosamente l’arma mentre distraeva il suo pubblico con quelle parole provocatorie. Era ancora seduto nella medesima posizione. La sedia era ancora pericolosamente inclinata, ma non cedeva né faceva perdere l’equilibrio a Cobra. Si alzò dalla sedia, godendosi lo sguardo sgomento di Mark Stirling, ammutolito.

“un bel numero, complimenti” disse poi il ragazzo, ricomponendosi “ma qui si gioca qualcosa di molto più importante di una mano lesta”

“sinceramente ho ben poco interesse della tua piccola rivoluzione”

“non è una piccola rivoluzione!” esclamò Stirling con foga “è l’indipendenza di questo pianeta da una madrepatria che non può più garantirci benessere né tantomeno sicurezza! La Terra è ormai un derelitto nel Sistema Solare, e spera di rialzarsi sfruttando Marte, tassando anche il respiro del suo popolo!”

“sì, ma al resto della galassia non frega molto, sai, ragazzo?”

“quando le truppe terrestri verranno qui a portare la legge dalla quale fuggi e ti costringeranno a pagare per ogni volta che vai al cesso che farai?”

“sarò lontano da qui, dall’altra parte della galassia, con una nave pagata con la taglia che pende così saporitamente sulla tua testa” così dicendo, prese un piccolo cerchio, all’interno del quale una sostanza simile al sapone – ma che di certo non sarebbe scoppiata come avrebbe fatto la suddetta sostanza – riempiva il vuoto all’interno della circonferenza con un velo che contemplava tutti i colori dell'arcobaleno, ammesso che Cobra sapesse cosa sia un arcobaleno. Pareva uno di quei giochi per bambini in cui si adagia un cerchio, appunto, nel sapone, e quando lo si estrae rimane un velo saponato, e se ci si soffia dentro, dal cerchio volano delle bolle. Cobra inserì un disco argentato dentro al cerchio, e, come lo accostò, la sostanza saponosa si alzò, ma non si staccò in una bolla, bensì plasmò la forma esatta del volto di Mark Stirling; in effetti qualche bollicina prese a galleggiare nell’aria, dividendosi dalla riproduzione della faccia del ragazzo, ma solo per andare a formare un numero: la taglia, che fluttuava ora davanti al naso di Stirling, decisamente alterato. Il ragazzo fece scoppiare le bolle che andavano a formare i numeri 1.000.000 stringendole in un pugno.

“ma io non sono un uomo così privo d’onore come credi” ritirò in una tasca dello spolverino il cerchio e il disco. Togliendo il disco, il volto del ricercato svanì, e la sostanza saponosa si appiattì di nuovo “ti darò la possibilità di salvarti”

“scusami ma ci credo poco” digrignò i denti l’altro.

“una leale sfida a duello, qua fuori”

Stirling sapeva bene che la fama di Cobra lo precedeva. Non sarebbe mai sopravvissuto. Ma non poteva mostrarsi debole: Spirit gli aveva dato protezione, fiducia, e prometteva di diventare capitale dei raduni segreti dei massimi esponenti indipendentisti. Incamminandosi verso l’uscita insieme a Cobra, Stirling parlava “puoi uccidere me, ma ormai è troppo tardi, ciò che rappresento non morirà con me: altri uomini porteranno avanti la rivoluzione e otterranno l’indipendenza marziana!”

“sì sì, e spero davvero che sia così, ci sono affezionato a questo pianeta, ma ancora di più sono affezionato alla tua taglia, quindi scusami, ragazzo, ma devo ammazzarti” fece Cobra con tono ironico, come quello che si usa con un bambino.

“tu sarai il primo bersaglio della nostra vendetta!”

Erano fuori dal saloon, davanti a loro si stendeva una strada dritta fiancheggiata da edifici, che si apriva, alla fine, verso il deserto. Cobra rimase fermo in mezzo alla strada, e lasciò avanzare Stirling di dodici passi più lontano, come era tradizione. Mentre il ragazzo camminava, il cacciatore gli domandava se preferisse uno scontro tradizionale, in cui ci si fissa finché uno dei due non estrae l’arma, e Cobra, essendo più veloce, ha comunque la meglio, oppure lo scontro musicale, in cui si ascolta una canzone finché un terzo uomo non la interrompe, e a quel punto il più veloce ad estrarre e il più attento alla musica ammazza l’altro. O, almeno, in condizioni normali, ma in quel caso avrebbe vinto comunque Cobra, a suo dire. Stirling decise per lo scontro classico, ma nonostante questo, aleggiava nell’aria una strana musica, che pareva, portata dal vento, un gridolino lontano, o forse un fischio nell’aria. Ma a quel punto non aveva importanza, tutto divenne muto. Nessun suono aveva più importanza del battito del cuore dell’avversario, il rumore del suo respiro, lo scricchiolare degli speroni di Stirling e dei razzi propulsori di Cobra, il fruscio scaturito dallo sfregarsi dei tessuti degli indumenti dei due duellanti, trasportati dalla brezza calda. Un modesto pubblico era sopraggiunto per osservare lo scontro. Gli occhi di ghiaccio di Cobra luccicavano, da sotto l’ampia visiera del cappello nero. Quelli di Stirling lottavano contro il sudore, ma mai le pupille né dell’uno né dell’altro si staccavano da quelle dell’avversario. In lontananza, gli sciacalli emettevano dei versi famelici: avevano trovato carne morta per le loro mandibole. Avvoltoi e corvi iniziavano ad accorrere per vedere chi sarebbe morto, e per saziarsi delle sue membra. Portavano un fetido odore di carogna. Stirling stava per estrarre la pistola, quando la voce di un giovane, che a giudicare dalla cadenza doveva essere ubriaco fradicio, sopraggiunse.

“fermi!” urlò questo ventenne di primo pelo, uscendo dal saloon barcollando. Aveva un cappello chiaro, meno ampio di quello di Cobra ma di forma simile. Gli occhi spioventi faticavano a rimanere aperti, e la camicia a quadri che indossava era ormai lurida.

MAT WALLACE

“fermi!” strillò di nuovo. Cobra si voltò leggermente verso le sue spalle per osservare chi stava interrompendo il duello.

“tu!” il giovane indicò il cacciatore. “tu sei Cobra!”

“l’unico e il solo” sibilò con un cenno di vanità.

“tu hai ucciso mio padre!” la rabbia trasportata dalla voce contorta dall’alcool suggeriva che lui ne fosse piuttosto certo.

“qual è il tuo nome?”

“Mat Wallace!”

Cobra alzò lo sguardo e si grattò la barba per pensare. “Wallace?” ripeté.

“Wallace!” ribadì Mat.

“in che anno è capitato, scusa?” mentre domandava, si voltò per avvicinarsi al ragazzino. Un colpo di pistola gli passò a qualche centimetro dalla spalla, e andò a piantarsi sul battente sinistro della porta del saloon. Cobra, con estrema flemma, gli rivolse uno sguardo da sopra il colletto dello spolverino.

“e poi dici che non ti fidi del mio, di onore” disse, poi scosse la testo con disapprovazione, facendo schioccare la lingua “no, figliuolo, non si spara ad un uomo di spalle”. Mentre riportava lo sguardo su Mat Wallace, si vide arrivare un pugno ben poco preciso e talmente lento da poter essere atteso con tranquillità. Cobra lo afferrò con una mano, e lo strinse tanto da costringere Mat ad inginocchiarsi. “non voglio ucciderti, ragazzo”

Una quarta persona armata uscì furiosa dal saloon: una giovane donna – non più vecchia di Mat – dalla pelle ambrata e una bellezza folgorante. Indossava una canottiera verde muschio sudata e con una scollatura strappata piuttosto audace. I pantaloni in jeans un tempo dovevano essere neri, ma ora il rosso di Marte stava prendendo il sopravvento. La suola di uno dei due stivali minacciava di andarsene per fatti suoi da un passo all’altro. Tornando alla canottiera, essendo senza maniche scoprivano un particolare che destò l’attenzione di Cobra: un avambraccio cibernetico, quello sinistro, piuttosto ridotto male, che necessitava riparazioni e manutenzione.

“voi!” urlò, brandendo on il braccio sano, il destro, un fucile di precisione assemblato probabilmente da lei, modificato con un mirino che si adattava alle lunghe distanze e alle brevi, e un caricatore da fucile a ripetizione in grado di sopportare le temperature di un alto rateo di fuoco, così come la canna, più stabile e resistente, e non poteva certo mancare una verniciatura personale, tigrata, a strisce nere e arancioni.

“tu ti sei scopato mia sorella!” si rivolse a Mat, ancora in ginocchio.

“e tu!” portò le sue accuse a Cobra “tu mi hai fatto questo!” mostrò il braccio cibernetico. Un tendine della mano doveva essere danneggiato, perché il dito medio penzolava senza controllo.

BLACKY HOLE

“ sei sicura di non aver scambiato le accuse?” mollò la presa su Mat “Io non faccio mai del male alle donne , e se non sono consenzienti le faccio ubriacare e poi me le porto a letto, ma non mi sognerei mai ridurre così il braccio di una fanciulla così bella”

“ero ad Ares, quando tu e la tua banda avete messo a ferro e fuoco quel posto”

“è stato quindici anni fa, ero un altro uomo, all’epoca” si giustificò.

“non m’importa, ti sfido a duello!”

“anch’io ti sfido a duello!” s’intromise Mat.

“sta’ zitto!” sentenziarono in coro.

“a te penserò quando questo vecchio sarà ormai steso a terra, freddo” lo minacciò la ragazza.

“non mi importa niente del tuo stupido braccio, lui ha ucciso mio padre, devo ucciderlo io!” ribatté Mat.

“nessuno mi ammazzerà, e soprattutto nessuno muoverà un muscolo finché non avrò finito il mio lavoro!” concluse Cobra, e fece per tornare al suo duello, ma Mark Stirling se l’era svignata. Cobra si guardò intorno, sorpreso e decisamente adirato. Calciando il terreno per rabbia sollevò un polverone, e urlò. “maledizione!”

La ragazza si fece avanti e si parò dinnanzi a Cobra. “sfida me a duello!”. Subito dopo, come se volesse seguire la fanciulla a ruota, si portò davanti al cacciatore Mat Wallace “no, sfida me a duello!” “oh, ma sta’ zitto, a te ci penso io dopo questo vecchio” “va bene, ti ucciderà, e dopo io avrò strada libera” dibattevano i due giovani parlando l’uno sull’altro. Cobra si portò le mani al volto, massaggiandosi gli occhi, poi le tempie, infastidito dalle grette voci dei due.  

“ora basta, fatela finita!” strillò isterico, zittendoli entrambi.

“io non ammazzo dei ragazzini di vent’anni o poco più, chiaro? E soprattutto non perdo tempo a fare il babysitter mentre il mio bersaglio è fuggito!”

“cosa? Babysitter a chi? semmai noi dobbiamo farti da badante!” lo schernì Mat. L’altra ridacchiò, ma smise subito, rimproverandosi di aver riso alla battuta di un ragazzo che doveva morire per mano sua.

“è incredibile” brontolò Cobra, mentre si dirigeva verso la sua Dakota. Si rese conto ben presto che Stirling gliel’aveva rubata da sotto il naso. Alzò gli occhi al cielo, cercando di contenere il desiderio di radere al suolo Spirit e massacrare i suoi abitanti.

“pare che il tuo sacchetto di monete ambulante se ne sia andato, nonno” osservò la ragazza.

“sì, lo vedo da me che se n’è andato, piccola bastarda!”

“Blacky” disse lei con calma, portandosi una mano al petto, per presentarsi “mi chiamo Blacky”

“non me ne frega niente di come ti chiami!” le strillò inviperito.

“non lo prenderai mai, Cobra, ormai sarà lontano!” sogghignò un uomo dalla folla. Cobra lo squadrò con lo sguardo feroce di un predatore che aveva perso la cena.

“sì, lo so, grazie per avermelo fatto notare” digrignò i denti.

A grandi passi si diresse verso la fine della strada, l’inizio dell’immensa distesa desertica. Vide un puntino luminoso, che rifletteva la luce del sole, lontano, all’orizzonte: era Stirling.

“figlio di puttana” sibilò tra i denti.

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Capitolo 3
*** Wanted - Dead or Alive ***


Cobra pagò caro un carro di legno sormontato da una lamiera di ferro, con un motore a energia solare che doveva aver costruito il figlio del sindaco come compito di scuola. Acquistò anche diverse provviste per il viaggio, cibo, batterie termiche per il revolver, e poi si diresse verso la piccola banca del paese. Era un edificio costruito con un materiale molto primitivo: il cemento. Vi entrò, estrasse la pistola e la puntò al banchiere.

“forza, sai come si fa, non perdiamo tempo”

“purtroppo tutti i cittadini hanno un conto vocale: ognuno prende i soldi solo se lo scanner audio riconosce la loro voce. È stato un regalo, una miglioria gratuita apportata dal signor Stirling” disse con ammirazione il banchiere, un ometto basso e stempiato. Cobra si morse un labbro per non sparare in viso al tizio che aveva davanti.

“svuoti pure il mio conto” disse Blacky, entrando in banca.

“ma certo, signorina” rispose servizievole. Quando la ragazza fu vicina, le porse un microfono, e lei vi disse dentro il suo nome, e la cifra che desiderava prelevare “Helen Sarah Jane Rodriguez, prelevo l’intero conto in banca” disse.

“ma non ti chiamavi Blacky?” le domandò Cobra.

“Blacky Hole, è il mio nome d’arte di quando facevo la ragazza di piacere, e poi uccidevo i miei clienti per prendergli i soldi”

“capisco”

Dalla scrivania dietro alla quale stava seduto il banchiere comparve un lungo e flessuoso collo metallico, che terminava con una placca liscia, a specchio, con un piccolo buco al centro. Helen Sarah Jane Rodriguez vi posò il pollice. Un ago scattò, trapassando la pelle e raccogliendo in una frazione di secondo una goccia di sangue. Ora il sangue della ragazza poteva essere riconosciuto da uno scanner dei crediti, oppure da un terminale portatile per i crediti. In pratica poteva pagare in ogni negozio tramite ‘assegno’ di sangue, oppure trasferire il suo conto in un terminale grande quanto una mano umana, che, se collegato alla cassa di un negozio, vi trasferiva il costo della spesa.

“bene” disse alla fine la ragazza “ora sono una banca vivente, abbiamo circa cinquemila crediti”

“fantastico, allora siamo ricchi” scherzò Cobra.

“da queste parti sì!” Blacky portò le mani ai fianchi.

“è poco più di quel che ho speso per comprare tutto l’occorrente per il viaggio! Avresti dovuto lasciarmi rapinare la banca, a costo di far venire qui ogni singolo cittadino sotto minaccia di morte”

Mentre uscivano, Blacky si avvicinò al cacciatore e gli sussurrò “chi ti dice che non lo abbia fatto io?”

Cobra si fermò sul posto, perplesso “cosa?”

La ragazza ridacchiò “avevo manomesso il sistema affinché mi consentisse, con il mio sangue, di prelevare i soldi di tutti questi poveri disgraziati, in vista di una possibile partenza”

Nemmeno aveva finito di parlare, che un colpo laser fece saltare in aria il cappello di Cobra, che però non ebbe che un leggero sussulto. Rivolse quel suo sguardo penetrante, anche se ora un po’ rassegnato verso Mat, che aveva esploso il colpo.

“dimmi che hai rubato anche i suoi, di soldi” disse indicandolo col pollice.

“certamente”

Cobra raggiunse il suo cappello, che pian piano rimarginava il buco grazie al tessuto vegetale di piante carnivore venusiane, e si chinò piegando le ginocchia per prenderlo. Lo indossò, sistemandolo bene sul capo, e quando Cobra fu pronto a sfoderare il suo ghigno da serpente da sotto la visiera, il buco era ormai un ricordo lontano, rammentato solo da una cicatrice in più in quel tessuto carico di vestigia.

“voi non andate da nessuna parte” disse Mat, che ora pareva miracolosamente ripreso dalla sbronza. Anche lui sapeva sfoggiare uno sguardo piuttosto minaccioso, da sotto la visiera. E aveva anche addosso un trench.

“infatti noi due non andiamo da nessuna parte, ora questa piccola cosetta malefica della tua amica mi sgancia sul mio terminale di credito i soldi oppure le faccio saltare la testa”

“ma tu mica non facevi male alle donne?”

“per te farei volentieri un’eccezione, dolcezza”

“senti, vecchio, tu non duellerai con una ragazzina, e io non sparo alla schiena, soprattutto non a uno che potrebbe essere il mio bisnonno, quindi verrò con te e non ti perderò di vista un attimo, fino al momento in cui potrò sfidarti a duello”

“e lo stesso vale per me” s’intromise nuovamente Mat.

Esasperata, Blacky raccolse da terra un sasso rosso e lo scagliò contro il ragazzo. Inaspettatamente, con la sveltezza di un falco, Mat estrasse la pistola e colpì la roccia, che si trasformò in polvere e si propagò come fumo. La precisione del colpo era impeccabile, e sia Cobra che Blacky rimasero di stucco.

“ha ucciso mio padre, e devo avere almeno la possibilità di affrontarlo” lo disse con tono talmente suadente e carico di dolore, che Blacky, sbuffando, dovette accettare.

“cosa?” esclamò Cobra. “state decidendo su chi mi seguirà e chi no? Ma è assolutamente fuori discussione! Io non faccio da balia!”

“se vuoi impedirci di venirti dietro sparaci. E poi sei davvero sicuro di volere che in giro si sparga la voce che il famigerato Cobra ha rifiutato un duello contro due ragazzini?”

“dite quel che vi pare, non m’importa, ma lasciatemi in pace!” il temibile pistolero stava andando incontro ad una crisi di nervi.

In quello stesso momento, il rombo di una navetta li investì: della forma di un furgone, sul fondo portava quattro invertitori gravitazionali, e due acceleratori sul retro. Era un mezzo goffo, ma portava sei uomini più due piloti, ed era armato di mitragliatrici laser sul muso. Sulla fiancata era verniciato lo stemma del governo centrale terrestre: il pianeta Terra e sovrimpressa la scritta Earthlings. Secondo alcuni cultori delle antiche arti, avevano rubato l’idea a una vecchia casa cinematografica, tale Universal. Comunque sia, si trattava dell’esercito della madrepatria. Si calarono dalla navetta quattro soldati, con corazze bianche che parevano fatte di plastica, con particolari anatomici volti a far apparire le truppe muscolose e possenti, anche se dai volti emaciati doveva essere tutto il contrario. Altri due soldati, con fucili di precisione, furono calati sul tetto del saloon. I soldati puntarono contro Cobra, Mat e Blacky, subito, dei fucili d’assalto laser, delle orribili armi nere con caricatore, manico, poggia spalla, un mirino… ma totalmente anonime, non un briciolo di gusto né stile. Due dei soldati a terra avanzavano da una parte, due dall’altra, portarono i tre eroi ad essere praticamente schiena contro schiena.

“vi dichiariamo in arresto per aver aiutato un pericoloso terrorista o per non aver avvisato le forze militari di stanza a Ma’Adim della sua presenza”

“va bene, ragazzino, tu che sei così bravo a sparare colpi precisi, fai a pezzi quei due cecchini” bisbigliò Cobra a Mat.

“bene, io penso alla navetta, tu fai saltare la testa a questi quattro idioti” disse Blacky.

“e come diavolo pensi di fare a distruggere quella navetta?” gli domandò Mat.

“al mio tre lo scoprirai” concluse con un accenno di divertimento nella voce.

“se sbagliate colpo vi folgoro tutt’e due, sia chiaro, ragazzini” sentenziò Cobra.

“uno…” cominciò Blacky “due…” erano tutti pronti, e concentrati “tre!”

Cobra fu lesto ad estrarre il revolver, e quattro raggi laser andarono a segno alla perfezione, esplodendo contro la corazza bianca in uno zampillare di scintille, seguite dall’ultimo grido di sorpresa dei soldati, mentre cadevano a terra. Quasi nello stesso momento, Mat aveva steso il braccio che impugnava la pistola verso uno dei due cecchini, e con rapidità e precisione, sparò prima ad uno, poi all’altro. Ma la mossa più spettacolare fu quella di Blacky: unendo le punte delle dita della mano cibernetica generò un potente raggio laser, molto potente, d’un rosso accecante, che tagliò in due la navetta come fosse burro. Questa esplose in una vampata di fiamme, una trottola di fuoco. I pezzi caddero su alcuni edifici, distruggendoli, e tutt’intorno regnavano fiamme e rottami. Blacky si guardò intorno, soddisfatta, col fiatone. I nostri tre eroi erano ancora in piedi, schiena contro schiena, che ammiravano il lavoro svolto. Mat sorrideva, ben conscio che aveva messo a segno due colpi notevoli, per un pistolero della sua età. Cobra non si sbilanciava troppo, ma sparare a dei soldati, quattro soldati che gli puntavano le armi, e uscirne illeso portava comunque una buona dose di compiacimento.

“che bello, dicevo” intervenne Mat “mi basterà colpire il pilota di quella navetta e poi avremo un mezzo volante invece di quella carretta malandata” ovviamente era una frecciatina riferita a Blacky “ma questo lo dicevo prima che una cyborg annichilisse il suddetto mezzo”

La ragazza aprì la bocca per rispondere, indignata, ma un gesto della mano di Cobra la zittì. Tendendo l’orecchio esperto, l’uomo disse “rimandate a più tardi i vostri dispetti, ne arrivano altri!”.

Senza aggiungere altro, balzarono tutti e tre sul carro, guidato da Cobra, e partirono con gran fretta. Il solito nuvolone si alzò alle loro spalle, mentre schizzavano via per salvarsi la pelle. Infatti, ben cinque di quelle stesse navette erano giunte a Spirit in cerca di Mark Stirling, e a quanto pare di Cobra, Blacky e Mat.

Qualcuno, nel paese, doveva aver fatto la spia in favore di Stirling, indirizzando le forze contro i tre che ora fuggivano, sapendo che ormai l’indipendentista era fuggito; in questo modo, l’esercito avrebbe catturato o ucciso Cobra, togliendo un problema dall’agenda di Stirling. Ma ormai ci erano andati di mezzo anche i due ragazzi. Due navette si fermarono in città, mentre le altre tre partirono all’inseguimento del carretto. Dal retro, Blacky tentava di colpire il motore, o almeno l’abitacolo. Ma la sua mira con l’arma da lei assemblata non era buona come la sua abilità nel costruire e nell’utilizzare il suo raggio laser. Solo pochi colpi andavano a segno, ma non recavano molti danni.

“perché non usi il tuo raggio laser?” domandò Mat, sovrastando con la voce il frastuono degli invertitori gravitazionali che lavoravano per dare al carro una velocità decente.

“perché sono stanca, va bene? Mi prosciuga le forze usare quel raggio!”

Cobra teneva la cloche stretta, mentre faceva correre quel rottame nel deserto, diretto verso delle alture rocciose, a circa un centinaio di chilometri di distanza. Manteneva una guida irregolare, sterzando spesso e cambiando direzione, per evitare i colpi delle mitragliatrici.

“allora” proseguì Mat “ lascia sparare chi è capace!” così dicendo, le strappò dalle mani il fucile, e, senza prendersi nemmeno un secondo per regolare la mira sul pilota, puntò e sparò, trapassando il vetro della cabina di pilotaggio, nonché il cranio dello sventurato soldato che aveva i mano i comandi della navetta. La testa cadde sui comandi, e il velivolo precipitò in picchiata, trasformandosi presto in un’altra trottola di fiamme.

“non ti do il permesso di rubarmi i bersagli!” sbraitò Blacky, prima di sfoggiare tutta la potenza distruttiva del raggio laser scaturito dalla sua mano. Un’altra navetta fece la fine del burro spalmato su troppo pane.

Dall’ultima navetta sbucarono fuori sei soldati, con dei jet pack, che aprirono il fuoco sul carro. La copertura ferrea parve reggere piuttosto bene, con una modesta resistenza al laser protesse Mat e Blacky, che ora stava distesa, semi svenuta, in mezzo alle provviste. Cobra fu costretto a mettere mano al suo fido revolver placcato in argento. Non appena tre soldati osarono avvicinarsi al carro, furono colpiti in pieno, e caddero come mosche. Ma un revolver poteva ben poco contro la navetta che si parò proprio davanti al mezzo guidato a fatica da Cobra; al cacciatore occorreva l’incredibile precisione di Mat.

“Mat! Navetta!” urlò.

“capito!”

Cobra frenò bruscamente, spegnendo gli invertitori gravitazionali, per poi compiere un ammirevole testa coda e riattivare i propulsori prima che si schiantasse al suolo. Il carro, però, urtò il terreno, ma sfrecciò subito in una nuova corsa. Nel testa coda, la navetta si ritrovò a portata di tiro di Mat, che non attese nemmeno di essere di fronte all’avversario: sparò quando ancora la manovra non era conclusa, colpendo, questa volta, il motore, posto sul tetto del velivolo, che esplose immediatamente.

“sì!” esultò Mat.

“bel colpo, lo ammetto”.

Non appena Mat si accorse che Blacky respirava a fatica, e che era prossima a perdere i sensi, accorse immediatamente.

“Sarah!” esclamò, quando fu sopra di lei. Le prese la testa fra le mani.

“chiamami Blacky, o ti friggo il cervello” disse lei, prima di svenire. 

Il sole scivolava verso il tramonto, alle loro spalle, e la notte si faceva avanti con un bel vestito stellato per la sera.

ANGOLO DEGLI AUTORI:
Quanta attesa per pubblicare il nuovo capitolo... Lo sappiamo, siamo tremendamente in ritardo, e ci dispiace.
Ma finalmente l'avventura dei nostri eroi ha inizio! Tre eroici pistoleri formano una banda scalmanata, e ognuno di loro fugge dal proprio passato, perché non si pianta una pallottola in fronte al passato. Nella prossima puntata: Cobra sta inseguendo Stirling per la sua taglia, per fuggire da Marte, ma soprattutto per fuggire da quello che è il suo vero nemico. Mat è deciso ad affrontare Cobra per l'omicidio del padre, ma dovrà fare i conti con ciò che veramente sa di suo padre. Blacky crede di voler uccidere Cobra per vendicare il suo braccio menomato, ma sa bene anche lei che non è ciò che cerca davvero.
Un saluto dalla Setta Krypteia, e ci vediamo nella prossima puntata! Che speriamo non sia tra nove mesi... Non è che dobbiamo partorire i capitoli, anche se la metafora è azzeccatissima XD

 

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Capitolo 4
*** "Every Single One's Got a Story to Tell" ***


La giornata era stata stancante e carica di eventi, per quella che fino a ventiquattro ore prima era la monotona vita dei nostri tre eroi: un cacciatore di taglie che non incassava una taglia ben pagata dagli anni della gioventù, e che ormai viveva grazie al timore nonché al rispetto che il suo nome aveva riscosso nei suoi anni d’oro; un ragazzo con una mira infallibile, ma rassegnato a sprecare la sua vita dentro a un bicchiere; una ragazza senza più una famiglia e con un braccio cibernetico che era più un ammasso di ingranaggi e cavi, ma almeno in grado di sbaragliare i nemici con un raggio laser devastante, prosciugandole però le forze.
Cobra non si divertiva in quel modo da tanto di quel tempo che stentava a ricordarselo. Mat e Blacky, loro due non avevano mai vissuto una vera e propria avventura, solo scorribande e qualche omicidio o rapina qua e là. Ora, questo improbabile gruppo si era appostato su una vasta rientranza pianeggiante in uno dei monti che preannunciavano l’impetuoso e possente Canyon Ma’Adim, così chiamato perché al suo interno ospitava la capitale, l’enorme metropoli luccicante come un diamante incastonato nella cicatrice della formazione geologica. Ma nulla in confronto al Gran Canyon Marineris: in pratica, protetta all’interno di quelle imponenti mura di roccia rossa, si nascondeva una regione intera, con vari villaggi, paesi, città, che avevano ormai creato un loro mondo a parte, con leggi proprie, una propria amministrazione. In pratica avevano già, fra quelle braccia rocciose, ciò che gli indipendentisti volevano per il pianeta intero.

Era un ottimo riparo, quello dei nostri eroi, una specie di grotta, un’insenatura. Là accesero un piccolo fuoco, che ora riscaldava Blacky, percorsa da forti tremori. Sul fuoco stavano due pentole: una contenente della zuppa, l’altra una strana crema marrone preparata dal più anziano dei tre. Cobra, dopo aver messo quella brodaglia sul fuoco, si era messo a sistemare il carro parcheggiato appena sotto all’altura, davanti all’inizio del sentiero a tornanti che conduceva fino al riparo dove avevano allestito l’accampamento. Stava organizzando l’equipaggiamento. Mat, invece, osservava il cielo, intento a fissare Fobos. Quando Cobra fece ritorno al campo, portando un sacco pieno, entrambi si portarono nei pressi del fuoco. Mat posò una coperta presa dallo zaino sulle spalle di Blacky, dicendo “la notte è fredda, nel deserto”; era vero: in netto contrasto con le temperature asfissianti delle ore diurne, la notte costringeva a coprirsi molto.

“tieni pure tu il mio fucile: lo usi meglio di me” era il suo modo di ringraziare.

“lo ammetto, è vero” rispose l’altro, con ben poca modestia, ma equilibrò subito: “ma non sarei mai riuscito ad assemblare un’arma tanto eccezionale”
Cobra le porse, invece, un bicchiere pieno fino all’orlo di quella strana brodaglia fumante marrone che si scaldava sul fuoco, solo che ora era stata aggiunta una bizzarra polvere rossa.

“cos’è, merda?” scherzò lei con un filo di voce.

“no, gallina starnazzante” rispose l’altro, con un tono amichevole che nemmeno lui avrebbe mai creduto di usare “i precursori che crearono la razza umana sulla Terra lo chiamavano Xocohatl, perché Xochiquetzal era la dea della fertilità nella cultura di quegli uomini primitivi che non distinguevano un bellissima scienziata genetica dalla pelle scura da una dea” si sedette su un sasso con una ciotola di zuppa e cominciò a mangiare.

Blacky bevve un sorso insicuro, ma era ammaliata dal suo profumo dolce amaro. E il sapore: non aveva mai assaggiato nulla di simile nei suoi giovani anni di vita. Sentì la vita tornare in lei, accompagnata dall’ebbrezza di quella dolcezza stregante. Si passò la punta della lingua sulle labbra. Ammiccò un sorriso.

“non dovresti aiutare una che vuole farti fuori, Cobra Jack” disse lei.

“finché mi date una mano a sfuggire a quelle carogne terrestri non sarete miei nemici. Dopo se vuoi ti ammazzo, però”

“ma un giorno finirà questa condizione, e noi avremo la nostra resa dei conti!” bofonchiò Mat, trangugiando della zuppa.

A quel punto Cobra s’inviperì “ma per la miseria, siete una noia! Possibile che qui tutti mi vogliano morto?”

“non è che tu sia stato un sant’uomo, Cobra” intervenne Blacky.

“ascolta, signorina, ti ho già detto che non faccio più le cose che facevo con quella banda, l’ho abbandonata proprio per i suoi metodi. Io inseguo la ricchezza, e uccidere per essa è un buon motivo, credo, ma loro uccidevano solo per divertimento. Io perlomeno ho un codice d’onore”

“ed è stato seguendo questo codice che hai sparato in fronte a mio padre?” continuò Mat.

“sarà stato durante un duello. In che anno hai detto che l’ho fatto fuori?”

Mat parve titubante, reticente, intimidito. Poi, rivelò “era il…” si interruppe “2392”

Cobra sgranò gli occhi “2392? Ma è stato più di vent’anni fa, non eri ancora nato!”

“sono nato il giorno dopo!” ribatté.

“e tu vuoi uccidermi per aver ucciso un padre che non hai mai conosciuto? Magari ti ho anche fatto un favore”

“ciononostante era mio padre, non posso lasciar correre”

“ragazzo, accetta un consiglio da uno che ha superato da tempo l’età media da queste parti: di motivi per alzarti dal letto pieno di rabbia e partire per vendicarti ne avrai molti, crescendo su Marte. Ciò che puoi lasciar correre, lascia che corra lontano da te. Tuo padre non lo hai mai conosciuto, e se tua madre ti lascia affrontare Cobra Jack alla tua età non deve essere una molto sveglia…”

Mat abbassò lo sguardo. “lei mi ha chiesto di vendicare mio padre, ma pare che nemmeno lei lo conoscesse molto bene, era un pirata errante. Credo sperasse nella mia sconfitta, un peso in meno”.

Fossero state un paio di decadi prima, Cobra avrebbe odiato soffermarsi a pensare, a riflettere su una storia o sulle parole di qualcuno, ma ora invece gli dedicava un minimo di attenzione. Dopo un lungo silenzio, il cacciatore passò ad interpellare Blacky. “e tu di che ti lamenti? Hai perso un braccio e ci hai rimediato un cannone”

“me lo sono fabbricata io, a tredici anni, con una mano sola! Dopo aver perso il braccio a cinque anni, ero una bambina! Una delle vostre esplosioni fece saltare in aria lui e i miei due precettori, degli stronzi incredibili. Da questo punto di vista devo ringraziarti”

“due favori, a giudicare dall’efficienza del tuo braccio. Sei molto brava, comunque, a costruire” poi indicò Mat “e se alla tua età avessi saputo sparare come te, ragazzo, avrei conquistato da solo il pianeta! E sarei stato alla larga da Cobra Jack” si indicò con il pollice “Sopravvivi fino ai trentacinque e sarai imbattibile”

“grazie, ma ora vorrei maggiori chiarimenti sulla sorella di Blacky: chi è, quando me la sono fatta?”

“si chiamava Mary Rodriguez,  l’hai scopata cinque anni fa, aveva sedici anni”

“ah certo!” si ricordò “era ubriaca fradicia, fu lei a propormi la cosa, io ho solo accettato. E poi, lasciatelo dire, era uno schianto! Come sta ora?”

“è morta” tagliò corto lei.

Mat incupì lo sguardo, caricandolo di mestizia “mi dispiace. Posso sapere…”

“l’ho uccisa io perché voleva vendermi a un tizio come prostituta, o schiava, o valla a sapere!”

“Allora perché vuoi uccidermi?” domandò, sorpreso.

“diamine, ragazzi, uno che vuole ammazzarmi per aver ucciso il padre che non ha mai conosciuto, ma comunque era uno stronzo, e l’altra che vuole ficcare una pallottola laser in testa all’altro per aver scopato la sorella che lei stessa ha poi ucciso…” fece una pausa e ridacchiò con ironia “mi chiedo se qui su Marte sono tutti così oppure io ho una calamita per gente con problemi di prospettiva!”

Ecco un altro imbarazzante silenzio che si faceva sentire – se così si può dire – sull’accampamento. Qualcuno doveva trovare alla svelta un argomento di dialogo. Ci pensò Mat a salvare la situazione. O forse a peggiorarla.

“e qual è la tua storia, Cobra?”

Lui scoppiò a ridere “non provate a farmi raccontare una di quelle storie melodrammatiche tipo le vostre”

“avanti, vogliamo sapere la storia del leggendario Cobra Jack!” lo incoraggiò Blacky.

Non lo sapeva nemmeno lui, ma quella domanda l’aspettava da tutta la vita. Nessuno gli aveva mai chiesto la sua storia, il suo punto di vista, ma inconsciamente sentiva il bisogno di raccontarla, di redimersi, e di esorcizzare le sue paure e le sue colpe. Il fuoco scoppiettava. Le lingue ardenti frustavano l’aria, mosse da un lieve respiro di vento; riportarono alla memoria dello spietato cacciatore ricordi di una vita talmente lontana che poteva non essere mai stata vissuta dal Cobra che ora stava per narrare a due ragazzi le vicende che lo portarono ad abbandonare la sua banda di fuorilegge.

“ero giovane, all’epoca, non mi spaventava nulla, ed ero abile con ogni tipo di arma. Uccidevo, stupravo, bevevo e se qualcuno osava farmi una predica, finiva folgorato. Ma un giorno ci fu una predica che non mi dimenticherò mai, né dimenticherò la persona che me la fece: Marisol. Un raggio di luna nella notte più cupa. Bella come nessun’altra donna nella galassia. E tanto forte ma tanto gentile che riuscì a farmi appendere la pistola al chiodo. Per due anni tenni lontana la mia vecchia banda, lavorando come maniscalco e tenendo la bocca chiusa. Ma un giorno vennero a cercarmi per compiere il colpo del secolo alla banca di Ma’Adim. Quando rifiutai, bruciarono casa mia, il paese dove vivevo… E uccisero Marisol e mia figlia di un anno e mezzo. Ecco un’altra cosa che non dimenticherò mai: il ghigno sul viso di Lince mentre sparava a mia moglie e alla mia bambina” ora il volto di Cobra era alterato in una smorfia di rabbia e dolore “non voglio scordarlo perché la mia sete di vendetta è tutto ciò che mi tiene in vita” digrignò i denti, e gettò un sasso nel fuoco, che sbuffò, scagliando tizzoni ardenti per aria. In quel fuoco in tumulto, Cobra rivide lo sguardo del suo nemico, avvolto dalle fiamme, con i suoi occhi, uno nero e uno azzurro, che scintillavano, da sotto l’ampio cappello bianco, sospinti dal solito ghigno che era come un marchio sul suo viso. “se solo non fossi così codardo avrei già affrontato il Duca”

“il Duca? Parli del Duca Bianco? Il terrore del sistema solare?” esclamò Mat.

“sì, lui, all’epoca si faceva chiamare Lince. Lui e i suoi cani rabbiosi, i Ragni di Marte” sospirò, buttando fuori da se, oltre che aria, la sua rabbia e la disperazione. “ma se dovessi incontrarlo, un giorno, prima che la vecchiaia si prenda le mie carni, non fuggirò davanti a lui, ma lo affronterò, e lascerò che il deserto decida chi dei due diverrà cadavere divorato dagli sciacalli cerberi”

ANGOLO DEGLI AUTORI
Questa è la quarta volta che proviamo a pubblicare questo capitolo, che il Grande Spirito ce la mandi buona! XD
Questo è un episodio in cui i nostri protagonisti mostrano una grande fragilità: Mat e Blacky vengono messi davanti al fatto che gli scopi della loro vita, gli obiettivi,i motivi che li spingevano ad alzarsi dal letto, non gli appartenevano veramente, non erano altro che sabbia rossa nei loro occhi. Cobra, invece, racconta un doloroso frammento di se; probabilmente quei due ragazzi erano le uniche persone con cui Cobra aveva rapporti simili da anni. C'è anche una sorta di coesione, tra i nostri protagonisti, e iniziano a vedersi i germogli di un'amicizia. A cosa porteranno? Nascerà una pianta solida e forte? Chi vivrà vedrà! ;-)
Ps: vogliamo ringraziare di cuore chi di voi ancora ci segue, nonosante i nostri tempi biblici. Siete i nostri eroi, davvero! ;-)
Pps: chi di voi ha capito la frecciatina del 'Duca Bianco' non avrà difficoltà ad immaginare quale volto famoso incontreremo più in là nella storia ;-)


 

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Capitolo 5
*** Corvo Grigio Non Avrai Il Mio Scalpo ***


La fresca brezza mattutina ululava, incanalata nel Canyon che per svariati chilometri si estendeva, lungo e profondo. Ma non fu la suddetta brezza a svegliare Mat, bensì la sensazione che qualcosa di appuntito gli stesse punzecchiando la punta del naso. Senza pensare troppo a cosa potesse o non potesse essere, si mise seduto con la velocità di una lepre, puntando la pistola verso la probabile origine del fastidio. Dovette ricredersi a abbassare l’arma molto presto: il loro piccolo accampamento improvvisato era stato invaso da forse una decina di marziani autoctoni, che avevano confiscato le armi a Cobra e Blacky, e lei non avrebbe potuto usare il suo raggio laser finché praticamente tutti gli indigeni puntavano le frecce contro di loro, pronte a essere scoccate dagli archi bianchi come l’avorio, fatti con il legno degli alberi che crescevano nelle oasi nel profondo del Canyon, dal tronco eburneo e le foglie rosso vivo. Gli archi marziani differivano leggermente da quelli che si vedevano nei musei terrestri di una volta: pareva fossero due di quegli archi antichi incrociati, con un nodo nel punto dove le due corde si incontravano – dove veniva posta l’estremità piumata della freccia – e un foro nel centro formato dall’unione a croce delle due aste; il foro aveva un quadrante mancante, un quarto della circonferenza apriva il cerchio, e da quella feritoia veniva inserita la freccia. Una mano veniva posta proprio in corrispondenza di quel foro, tenendo la freccia tra indice e medio. I marziani che utilizzavano simili armi erano creature umanoidi, simili agli umani stessi per fisionomia, muscolatura, numero di arti, solo erano più alti, con la pelle grigiastra e due piccoli fori sulla fronte che fungevano da naso, il quale mancava laddove un umano lo avrebbe cercato. I piccoli occhi neri osservavano con diffidenza i prigionieri. Altro piccolo particolare che differiva dagli umani: i capelli argentei, o grigi, con svariate tonalità che andavano dal più comune grigio topo al vero e proprio argento, che però si sviluppava con l’età. Erano tenuti lunghi, oppure legati in trecce o rasati ai lati. Quando Mat era scattato a sedere, i marziani avevano iniziato a bofonchiare nella loro lingua incomprensibile, e ad agitarsi, messi in allarme dal movimento inconsulto dell’umano. Cobra, con le mani alzate, disse “ragazzo, fossi in te non farei lo spocchioso, con questi gentiluomini” e Blacky aggiunse “giusto per non farci ammazzare tutti e tre, sai com’è”.

Si ritrovarono ben presto legati l’uno all’altro da corde che stringevano i polsi. Alcuni marziani avevano preso possesso del loro carro, e seguitavano con quelli, mentre altri cavalcavano possenti bestie, i cavalli di Cydonia, con ammirevoli muscoli che sporgevano dalla peluria rada color bordeaux. Sei piccoli fori, simili ma poco più grandi di quelli dei marziani, occupavano in due file da parallele da tre la fronte di quegli animali: il loro naso. Gli occhi parevano due grosse biglie di granito. I loro cavalieri non smettevano mai di puntare gli archi contro i tre prigionieri.

Cobra, Blacky e Mat camminarono per tutto il giorno, facendo solo un paio di pause da dieci minuti. Quando il tramonto cambiava nome in crepuscolo, giunsero ad un accampamento di una trentina di capanne rosse a cono, sulla sommità delle quali vi erano piccole antenne paraboliche per captare la musica psichedelica proveniente da obsoleti satelliti terrestri, musica che veniva utilizzata durante i riti in cui si apriva la mente al cosmo. I nostri eroi furono condotti in una capanna relativamente più grande, rispetto alle altre, e legati al palo che la reggeva, quello con l’antenna in cima, facendo passare una fune bella robusta attorno ai prigionieri, messi con la schiena al palo. Una volta legati ben saldi, i marziani uscirono dalla tenda bisbigliando nella loro solita lingua incomprensibile.

“ma come diavolo avete fatto a farvi catturare?” domandò Mat, isterico ma mantenendo la voce forzatamente bassa.

“noi cosa?” esclamò nella medesima maniera Blacky.

“più o meno nello stesso modo in cui ti sei fatto catturare tu” disse invece Cobra, contemporaneamente alla ragazza.

Mat emise uno sbuffo esasperato “e va bene, ora come usciamo da qui?”

“semplice:” intervenne Cobra “non usciamo”

“come sarebbe a dire che non usciamo?”

“sarebbe a dire che non usciamo, ragazzo, là fuori ci sono almeno trenta marziani, ma è plausibile che ce ne siano anche di più, con cavalli e armi, e abituati a cacciare anche di notte animali molto più furtivi di noi. Non avremmo speranza”

“dov’è finito il coraggio di Cobra? Andato con gli anni?”

“se sono vivo non è certo grazie alla spavalderia, ma dal dono, concesso a pochi, di sapersi scegliere gli avversari e le battaglie che si possono vincere. Dono che a te ovviamente manca, stronzetto”

“ora basta, tutt’e due!” li zittì Blacky, atteggiandosi come la più matura dei tre.

In quello stesso momento, entrò nella tenta un marziano, che li studiò con quei suoi occhi neri fin troppo furbi. Li squadrò talmente a fondo che Blacky si sentì a disagio. Poi gli si avvicinò con una tale convinzione che pareva volesse farli a pezzi. Invece, li liberò dal palo, ma non dalle corde che ancora gli legavano i polsi. Ancora una volta, punzecchiati con una freccia, furono fatti spostare. Attraversarono il campo, al centro del quale – doveva essere una specie di piazza, per loro – era stato acceso un grande fuoco. Quello stesso fuoco che brillava come un faro, riflesso dall’argentea carrozzeria della Dakota. Era parcheggiata di fianco alla tenda dove erano diretti. Nel vederla, Cobra si agitò, e tentò di liberarsi dalle funi. “la mia Dakota, maledetti!”. Alcuni marziani intervennero per tenerlo fermo. Dalla grande tenda, che era più un padiglione, di fianco alla quale era posta la moto volante, uscì un marziano alto, piuttosto muscoloso, ma con un volto profondo seppur giovane. Pareva portar con se una grande saggezza.

Caccia Demoni -Jared Padalecki-

I marziani si allontanarono da Cobra e dagli altri due prigionieri, per lasciare spazio alla camminata lenta del marziano, che doveva essere una sorta di sciamano. La risposta giunse da un annuncio “Caccia Demoni deciderà la vostra sorte”.

Caccia Demoni era il suo nome. Eppure il suo volto non suggeriva nulla di pericoloso. Anzi, pareva che i suoi occhi scuri come buchi neri nel cielo stessero scrutando nel più profondo abisso delle anime dei tre eroi, e stesse soffrendo. Le sue sopracciglia erano inarcate in modo tale da conferirgli un aspetto mortificato. Estrasse un coltello dalla cintura che portava ai pantaloni di cuoio. Si avvicinò a Blacky, muovendo i suoi piedi scalzi con una tale flemma che dava l’impressione di non voler far male al terreno. Blacky, però, era spaventata, quell’uomo era alto quasi due metri, e con una notevole massa muscolare. Ma non le fece del male: la liberò. E così fece con Mat. Quando giunse a Cobra, gli rivolse un solo sguardo, anche se non si sarebbe potuto dire, data la mancanza di punti di riferimento negli occhi quali iride o pupilla, un solo sguardo di pochi secondi, poi abbassò il capo, con quel suo fare mortificato che doveva caratterizzarlo presso la tribù. Liberò anche lui.

“la tua moto è danneggiata, e qui non abbiamo i pezzi di ricambio per aggiustarla, dovrete usare cavalli veri” disse, con tono sommesso.

“ci lascerai andare?” domandò Blacky.

“non prima di aver esorcizzato i vostri demoni”

“demoni?” chiese Mat, sorpreso.

Senza aggiungere altro, gli fece segno di seguirlo nella tenda. Era strano, per tutti e tre, ma non provarono nemmeno l’esigenza o l’istinto di fuggire, ma piuttosto si sentirono spinti da una strana curiosità a seguire il marziano. L’interno della tenda era offuscato da una fitta nebbia di fumo; dal profumo doveva trattarsi di un qualche tipo di incenso. Si vedeva a malapena il prossimo passo da compiere. Eppure i tre camminavano, e camminavano… da fuori quella tenda non pareva certo così ampia. E più si addentravano all’interno, più la nebbia s’infittiva. Ad un certo punto, ognuno dei tre si accorse di non riuscire più a scorgere gli altri due. Il cuore iniziò a battere dalla paura. Cobra, Blacky, Mat, erano persi in quella coltre di fumo senza tempo e senza spazio, un piccolo angolo della loro anima ritagliato solo per loro.

Cobra teneva un braccio teso davanti a lui, tentando di trovare qualcuno o qualcosa a tentoni. Dalla nebbia, pian piano, iniziò e delinearsi una forma, una sagoma umanoide. Ma pareva che i passi di Cobra non lo avvicinassero mai all’individuo che stava là, fermo ad aspettarlo.

“in questa nebbia gli occhi non ti serviranno” disse la voce di Caccia Demoni “chiudili”.

Cobra obbedì, e incominciò a muoversi seguendo il proprio istinto. Adesso riusciva ad avvicinarsi alla sagoma. Diventava sempre più chiara, ma nella sua mente, davanti agli occhi dell’anima. Finalmente fu di fronte all’avversario: vide davanti a se il Duca in persona. Era ancora avvolto nella nebbia, solo gli occhi trasparivano, ma Cobra li avrebbe riconosciuti in mezzo a milioni altri: uno nero ed uno azzurro.

“finalmente arriviamo alla resa dei conti” disse l’uomo dai due occhi di diversi colori.

“Lince?” domandò spaventato Cobra, chiamandolo col suo nome da rinnegato della loro vecchia banda.

Senza rispondere oltre, l’uomo dal cappello candido sferrò un pugno alla velocità di una saetta, diretto verso il petto di Cobra, che fu colpito in pieno. Quando cadde a terra, udì nella sua testa la voce di Caccia Demoni. “tu lo temi” diceva il sussurro nella mente “è per questo che non hai saputo prevedere l’attacco. Vinci la paura, conosci il tuo nemico, vedi oltre il vostro passato, metti un piede nel tuo futuro”.

Cobra si alzò, ma solo per essere atterrato nuovamente da un altro colpo, stavolta in pieno volto.

“non temere la morte, Cobra, perché essa ti riconcilierebbe con le persone che ami, portandoti in un mondo più vasto, dove i dolori della carne non esistono più. Con questa consapevolezza, affronta il tuo nemico, e se lo sconfiggerai, attendi con pazienza la morte che non è riuscito a darti quello stesso nemico”

Non erano le parole a infondere coraggio a Cobra, ma ciò che esse risvegliavano dentro di lui. Vendetta o morte. In qualunque caso, avrebbe vinto, e il Duca Bianco sarebbe stato sconfitto. Un fendente giunse con mano tesa dal lato sinistro di Cobra, ma fu bloccato con una prontezza di riflessi che nemmeno lui credeva di avere. Il Duca Bianco era scomparso nella nebbia, mentre gli occhi del guerriero erano ancora chiusi. Ricomparve per rinnovare l’attacco, accompagnato da un ruggente muro fiammante, che li circondò come un’arena.

Nella tenda erano trascorse circa tre ore; Blacky e Mat osservavano, dopo aver vissuto la medesima esperienza, Caccia Demoni e Cobra battersi nella tenda con una agilità propria solo dei giaguari, e una furia che era concessa solo alle tigri. Ma la cosa impressionante erano gli occhi: entrambi lottavano ad occhi serrati. Un marziano batteva un ritmo forsennato su un tamburo di pelle. La velocità dei colpi sferrati dai due combattenti aumentò tanto che si faticava a tenerli d’occhio.

“solo attraverso la lotta io posso vedere dentro di te, e guidarti a sconfiggere i tuoi demoni”

Nessuno dei due riusciva a colpire l’altro, e lo scontro durava ormai da un’ora, forse due. Cobra non percepiva il tempo come i suoi compagni di viaggio, che avevano terminato la loro discesa dentro la loro anima. Fu questione di un secondo: Cobra cadde a terra, con un gran tonfo e un lamento, mentre Caccia Demoni rimaneva fermo nella sua forma, l’ultimo colpo sferrato. Massaggiandosi la mascella, dove era stato colpito, l’avversario a terra lamentava la propria sconfitta.

“maledizione. Sono stato sconfitto, la mia prova è fallita”

“fallita?” ripeté Caccia Demoni “e chi lo ha sentenziato?”

Corba lo guardò con aria interrogativa “mi hai colpito, sono stato sconfitto”

“la tua prova non consisteva nel battermi, ma nell’affrontarmi, nell’affrontare il tuo demone, e lo hai fatto. Se sei a terra non importa, perché il timore di cadere non ti ha impedito di volare”

Queste parole lasciarono di stucco Cobra, come dovevano aver lasciato di stucco Blacky e Mat, a loro tempo. Il silenzio dominò i prossimi minuti, finché non fu decretato che gli ospiti avevano bisogno di cibo, bevande, un buon sonno, e dei cavalli per il giorno seguente.

Il cielo tempestato di diamanti cullava con un morbido soffiare di vento i nostri tre eroi. Le lune di Marte apparivano fiere e vanitose in mezzo all’infinita coperta di velluto blu scuro della notte. Deimos si prendeva più tempo di Fobos, che invece, più grande e vicino, pareva voler correre a nascondersi oltre l’orizzonte per paura del sole. La luna più piccola e lenta, nel suo passaggio, si accostò, ad un certo punto, alla Terra, una stella fra le tante, non più luminosa né più grande di un lontanissimo sole, tanto che si sarebbe potuta confondere con qualsiasi altro corpo celeste, lontano anni luce. Cobra se ne stava seduto per terra, ad osservare quel meraviglioso spettacolo notturno, insieme ai due compagni di viaggio. Gli pareva strano pensare che in quell’affresco tanto silenzioso e splendido potesse nascondersi il degrado della Terra, guerre, caos, pianeti abitanti da specie frenetiche e rumorose. Ma qualunque suono si perdeva nell’immensità dello spazio, e nemmeno la vendetta pareva poi così importante, né l’indipendenza una causa così grande. Blacky pensò che le specie che schizzavano come insetti indaffarati da una parte all’altra della galassia erano ridicoli, con i loro problemi, con la loro fretta, con i loro piani e ambizioni, con le loro guerre per decidere a chi appartenesse un pianeta. Nessuna terra appartiene a qualcuno: è quel qualcuno che può avere l’onore di abitare in affitto in una terra, pensò Mat. Caccia Demoni doveva leggere le loro menti, perché sorrise, sedendosi accanto a loro, senza dire una parola. Semplicemente rivolse il volto verso di loro, come era usanza marziana, per salutare, si adagiò a terra, e sorrise ad ognuno dei tre, che però non potevano smettere di fissare il cielo. Non riuscivano a capire se nella loro testa si agitassero migliaia di pensieri oppure uno solo. Ma non gl’importava: un raggio di pace dal profondo del cosmo li toccò. Ben presto, la stanchezza del viaggio prese il sopravvento, e sulle pesanti palpebre di Cobra Jack, Blacky Hole e Mat Wallace, calò il sonno come cala la notte sul deserto.

ANGOLO DEGLI AUTORI
Un nuovo personaggio giunge ora, la star della serie tv Supernatural Jared Padalecki! Diciamo che abbiamo voluto omaggiare affettuosamente il personaggio chiamando lo sciamano Caccia Demoni. Dunque, in questo capitolosi incontrano i veri abitanti di Marte, una sorta di indiani, perché nelnostro sapce western ci sono gli indiani marziani XD speriamo che la descrizione dell'arco sia chiara, ci siamo stati su per settimane! XD Che altro succede? Certo, i nostri tre eroi affrontano le loro paure, e Cobra scopre che teme più il confronto con il Duca Bianco, e quindi con il suo passato, che non la morte stessa. Ora è libero da questo demone... Forse ;-)     alla prossima puntata di C'Era Una Volta Su Marte! ;-) 

 

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Capitolo 6
*** La Grande Fuga... Dagli Schiavisti Marziani ***


La sveglia da quel sonno pieno di pace e deserto di incubi giunse con spari e urla. Mat spalancò gli occhi e si alzò di scatto, cercando di capire innanzitutto chi fosse, poi cosa stava accadendo attorno a lui. Cobra sparava con entrambe le sue pistole in ogni direzione, mentre Blacky puntava il suo raggio verso l’alto. Così, Mat alzò lo sguardo, solo per vedere una gigantesca astronave che oscurava il sole sopra di loro. Dalla forma ricordava una schifosa scolopendra. Dei mercenari scendevano a terra tramite jet pack; era palese che non fossero soldati, per via degli indumenti vari e degli armamenti fuori dotazione, modificati e alcuni usurati. Quegli uomini sparavano sui marziani, e furono svelti a piegare l’intera tribù. Non ci volle molto, che anche i nostri intrepidi eroi furono costretti ad alzare le mani. Mat sfoderò due occhioni da cucciolo che avrebbero intenerito persino il Duca Bianco, e disse “parlez?” sorridendo. Ma quello sguardo magnetico non poteva funzionare che con qualche ragazza aliena ubriaca e spaesata trovata in un locale di Ma’Adim, non certo con dei mercanti di schiavi che altro valore non conoscevano se non quello del denaro, virtuale o fisico che fosse.

Ed ecco i nostri paladini dell’ingiustizia, incatenati in una squallida cella buia della gigantesca astronave, immersi nella sozzura e pervasi da una puzza che non avevano mai sentito. Blacky era stata messa a sedere su una viscida sostanza che probabilmente non era nemmeno mai stata classificata dall’uomo, e che di lì a poco avrebbe messo le zampe e se ne sarebbe andata  a popolare il mondo e a scrivere un nuovo capitolo dell’affascinante storia biologica di Marte. Ma, per il momento, rimaneva lì, immobile nel suo repellente splendore, sotto il sedere il Blacky, con tutta l’invidia di Mat. Cobra si era completamente dimenticato della pace raggiunta la notte prima, e adesso fissava i due ragazzi con lo sguardo che era un misto fra cane rabbioso tenuto al guinzaglio e bambino mandato a letto senza cena. Continuava a borbottare frasi del tipo “tutti quei soldi…” “a quest’ora sarei lontano da Marte…” “sarei dall’atra parte della galassia a tracannare rhum avvolto in un manto di nebulosa azzurrina!” “e invece no, mi ritrovo qui, con due bambini incapaci!”

“ah, tante grazie! E che fine fa il nostro gruppo?” disse Mat.

“non c’è mai stato un gruppo, voi mi siete venuti dietro mentre inseguivo la mia preda, dannazione, e appena avrò finito con lui farò un buco in testa pure a voi!”

“appena avrò finito con lui farò un buco in testa anche a voi, gne gne gne!” lo scimmiottò Blacky con una voce ridicola, accompagnata da smorfie sbeffeggianti. “la verità, caro Cobra, è che tu, più che dei soldi, hai bisogno di compagni di viaggio”

“cosa??” esclamò lui, indignato “bada allo sterco che ti esce dalla bocca! Io non ho bisogno di nessuno, e tantomeno di un paio di marmocchi a cui fare da balia”

“occhio tu a come parli, nonno, ti abbiamo salvato il culo, con quei soldati, giù a Spirit” gli fece notare Mat.

“sì, certo, dopo che me lo avevate messo per bene in una fumante montagna di guai! Vorrei ricordarvi che tutto quel casino è esploso perché non mi avete lasciato uccidere quello Stirling, e ora è fuggito!” dalla rabbia, Cobra agitò le catene come un bambino indispettito.

Una risata sommessa e smorzata, che doveva appartenere ad un uomo che era stato malmenato, proveniva da un angolo oscuro della cella.

“e così, ecco che il destino ci fa incontrare di nuovo, Cobra Jack” parlò, ma il cacciatore aveva sentito quella voce solo una volta, e l’età gli aveva rallentato il cervello: se molti anni prima avrebbe riconosciuto subito una preda dalla prima sillaba, ora dovette scrutare meglio nel buio per avere almeno un indizio su chi fosse.

“chi sei?” domandò infine.

“è Stirling, idiota, non lo avevi ancora capito?” lo canzonò Blacky.

“tu!” ringhiò Cobra. “aspetta, se tu sei qui… vuol dire che posso ucciderti!” esclamò poi, eccitato come un bambino terrestre durante l’antica festa del Natale, in cui gli umani erano soliti scambiarsi costosi doni per festeggiare la nascita del loro messia: la moneta.

“ma possibile che non riesci a vedere oltre la visiera del tuo cappello? Io posso cambiare questo pianeta, lo so! Posso fare in modo che schiavisti come questi non ci siano più, su Marte, posso dare libertà alla gente, e sicurezza”

“hai ragione, Stirling” ammise Cobra, sotto gli sguardi attoniti di tutti “sei una bava persona” si complimentò, con tono ammirato. “quindi sarai così gentile da concedere a questo povero vecchio la sua meritata pensione, che intende riscattare con la tua taglia!” era ovvio che non poteva essersi arreso all’idea di salvare un pianeta a cui non doveva nulla.

Stirling rise, ma con arrendevolezza.

“ora basta” sentenziò Blacky, alzandosi da terra e dirigendosi verso Mat. La guardarono tutti sorpresi.

“come hai fatto a liberarti?” domandò il ragazzo.

Ecco che inizia la tipica scena con l’immagine offuscata, bassa saturazione, colore giallognolo, eccetera eccetera, del flashback. Blacky puntò l’indice in direzione di un anello della catena che la teneva legata ad un tubo orizzontale e basso, posto in modo da costringerla a terra. Prodigandosi in smorfie di concentrazione, iniziò a fondere il metallo con un raggio laser che fuoriusciva proprio dal dito indice della ragazza. “è così che mi sono liberata” spiegò, in perfetto stile Jessica Fletcher giunta alla risoluzione di un caso, per chi di voi, che sia terrestre, ne ricorda il mito. Intanto, aveva già liberato Mat, e si avvicinò a Cobra, ma prima, puntandogli un dito sul naso, “se ti libero cercherai di ucciderci?”

“non fatemi più scappare questo balordo e sarò felice di lasciarvi vivi, nel deserto, e senza una briciola della ricompensa, che ne dite?”

“perlomeno ci aiuterà a dirottare quest’affare” sospirò Blacky.

“dirottare?” ripeté Mat, sorpreso.

Blacky alzò le mani, e le agitò, come per svegliare un bambino che dorme “sveglia, in cosa credevi che consistesse il piano?”

“è vero, lo avevo capito anche io” intervenne l’ancora prigioniero Mark Stirling.

“tu sta’ zitto, e immobile” lo raccomandò Cobra, puntandogli il dito come ad un cane “che quando finiamo torniamo a prenderti”

Blacky si mise al lavoro immediatamente, iniziando a fondere il ferro ormai rugginoso di cui erano fatte le sbarre della loro cella.

“questo è il bello delle navi di schiavisti, non sono come quelle dei pirati: i pirati ci vivono dentro, quindi tentano si trasformarla in una casa più o meno accogliente. Ma gli schiavisti no, loro si preoccupano solo delle loro cabine e delle loro case chissà dove, e lasciano le sbarre in ferro” parlava, parlava, mentre fondeva, parlava e nessuno la stava a sentire.

Ad un certo punto, Cobra la fece fermare: drizzando le orecchie riuscì ad udire che due tizi si avvicinavano dal corridoio, percorso ai lati da altre celle identiche. Si fermarono proprio davanti alle loro sbarre, ma non notarono che una era danneggiata. Erano troppo impegnati a notare che uno dei loro prigionieri era una grossa taglia.

“ma guarda un po’, quindi è vero: sul nostro regale vascello viaggia il capo della rivoluzione, niente popò di meno che Mark Stirling!” e ridevano di gusto, al pensiero che ben presto quella taglia sarebbe stata loro. Ma i nostri eroi non dovevano fare altro che attendere che le due guardie se ne fossero andate per evadere. Si sa, però, che le donne dall’indole forte e combattiva come Blacky hanno poca pazienza. Così, iniziò a camminare con passo sensuale verso le sbarre, stropicciandosi la maglietta per lasciar desiderare ai suoi secondini di vedere di più. Quando fu abbastanza vicino da consentire a loro di toccarla, disse con voce suadente “per una come me è un vero insulto non venire considerata a causa di un uomo, e per di più da altri uomini”.

Uno degli uomini si avvicinò a lei, e osò cacciarle una mano sotto alla maglietta. Mat, in quel momento – non lo avrebbe mai ammesso – stava bruciando d’invidia. Ma la sua invidia svanì, quando la mano di Blacky afferrò con forza e poi stritolò i gioielli di famiglia del povero innocente schiavista senza scrupoli. L’altro imbracciò subito l’arma e la puntò contro Blacky, che invece gli sorrise “non fare una mossa o gliele strappo via”

“dice sul serio, sta usando un braccio bionico, non le sarà difficile trasformarlo in uno schiaccianoci!” la supportò Mat.

A questa affermazione, Blacky scoppiò a ridere. Persino nella sua risata malefica era affascinante. “ma io non sto usando il braccio biotico” mostrò la mano meccanica pronta a sparare; infatti, diresse un raggio rosso verso l’altro malcapitato, a taglio, fendendolo come una spada laser. Ma essendo un raggio a bassa potenza, non tagliò di netto anche le sbarre, quindi il corpo dello schiavista fu dilaniato solo laddove il raggio non era stato interrotto dal ferro. Era alquanto ridicolo, vedere la proiezione delle sbarre sul mercenario, ma non c’era tempo per riderci su. Dopo aver tranciato dal basso all’alto – e per basso si capisca cosa s’intende – anche l’altro secondino, Blacky poté tornare al proprio lavoro, fischiettando.

“tu resta immobile, torniamo a prenderti tra poco, mettiti comodo!” sibilò Cobra a Stirling.

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Capitolo 7
*** Leaving on a Jet Plain ***


 Tre misere guardie erano ad un tavolo, davanti agli armadietti che contenevano le armi e gli effetti personali dei nostri eroi. Stavano giocando a una sorta di scacchi ologrammatici, per chi di voi ha visto Guerre Stellari li conoscerà, e saprà anche che bisogna sempre lasciar vincere gli wookie, altrimenti quelli ti staccano le braccia senza fare troppi complimenti. Vanno famosi per questo. Ma stavolta, i tre malcapitati furono interrotti da Blacky, che tutta emozionata prese posto abbracciando tutti i presenti, che rimasero ammutoliti e sbigottiti.

“allora, signori chi vince? Hey tu!” si rivolse a uno di loro “sai che se muovi il bufalo bucefalo di due passi in avanti e quattro di lato, avrai vinto contro il giocatore rosso?” gli suggerì.

Questo rispose con un cenno soddisfatto e un sorpreso “ah”. Si mise a ridere, mentre l’altro invece era verde di rabbia. Si alzò, urlando che non era valido nel gioco avere aiuti. Anche l’altro giocatore rimasto nella partita si lasciò andare alle risate, infierendo sul compagno sconfitto. Blacky e le due guardie non perdenti presero a ridere di gusto, finché lei non smise all’improvviso, facendo smettere anche gli altri.

“certo che siete proprio scemi!” osservò, prima di tranciarli con un fascio laser rosso splendente.

Quando furono tutti messi fuori gioco, Cobra e Mat entrarono per prendere le proprie armi. Cobra salutò le sue pistole con baci, e chiamandole “piccola mia” “zuccherino” “bambolina” e altri nomi osceni. Mat, invece, prese il fucile costruito da Blacky. La ragazza iniziava ad essere spossata, respirava affannosamente, e le girava la testa. Ma poco alla volta si stava abituando a raggi a bassa potenza. Scrollò il capo, e fu pronta a ripartire.

“sì, abbiamo Stirling, e lo stiamo trasportando a Ma’Adim, ci aspettiamo di essere trattati con le cortesie dovute, e soprattutto vogliamo essere pagati per questo prigionieri, chiaro? Prezzo pieno!” il pilota del vascello schiavista parlava con un contatto nella grande metropoli di Ma’Adim, speranzoso di poter incassare la taglia il prima possibile. Certo non aveva calcolato, nei suoi conti, tre inarrestabili forze della natura che in quello stesso momento si erano dirette alle celle di detenzione in cui erano rinchiusi i marziani della tribù di Caccia Demoni. Non sarebbero divenuti schiavi, non finché Cobra Jack, Mat Wallace e Blacky Hole vegliavano su di loro! Gli stretti corridoi dell’astronave degli schiavisti erano un tripudio di luci dei revolver laser, sormontate dall’accecante raggio di Blacky. Come un fiume il fiume abbatte la diga, la loro avanzata fu prepotente e repentina. Solo chi si ritirava o abbandonava la nave con i jet pack sopravviveva.

Giunsero davanti alle celle dalle sbarre rugginose. Caccia Demoni era in piedi davanti al cancello chiuso a chiave.

“vi stavo aspettando. I granelli di sabbia che viaggiano nel vento mi hanno sussurrato che stavate arrivando”

“ma a tirarti fuori da lì sarà il mio raggio!” esclamò Blacky, prima di tranciare le sbarre fino a creare un varco. Fu molto minuziosa nell’evitare di affettare anche i prigionieri dietro di esse.

“lo spirito del deserto vi guida, fratelli miei” disse Caccia Demoni “avete una missione da compiere, ed è mio compito aiutarvi finché non saremo fuori da questa nave”

“di’ ai tuoi uomini di raccogliere le armi degli schiavisti morti” suggerì Cobra.

“non sono i miei uomini” rispose Caccia Demoni, raccogliendo da terra un revolver laser usurato e rovinato “sono miei fratelli, così come ogni vita è mia sorella, sacra ed inviolabile” proprio mentre pronunciava queste parole, dall’altro capo del corridoio giunse urlando uno schiavista, puntando l’arma verso Caccia Demoni. Senza pensarci, e con la rapidità di un serpente a sonagli, folgorò l’avversario, con calma e freddezza. I tre che lo avevano liberato si sorpresero nel vederlo uccidere con tanta disinvoltura, soprattutto dopo il suo discorso sulla sacralità della vita.

“a meno che non ti puntino un’arma contro, dico bene?” ridacchiò Mat.

“pregherò più tardi perché gli spiriti di Marte accolgano la sua energia vitale”

Un esercito di marziani, capitanato dal loro giovane sciamano e da tre eroi in cerca di denaro e vendetta infuriati per non aver trovato la loro preda dove l’avevano lasciata, marciava verso la plancia.

I suoni degli spari provenienti da una furente battaglia preannunciavano l’arrivo di grossi guai, per gli occupanti del ponte di comando. I due revolver argentei di Cobra sputavano laser in ogni direzione, il raggio di Blacky – ad una concentrazione minima – falciava gli avversari, mentre Mat utilizzava il suo fucile, anche a breve distanza. Ogni marziano faceva la sua parte con le rami trovate a terra, mentre Caccia Demoni pareva aver chiamato a se il vento del sud. Il capitano, dopo essersi rifugiato nella cabina di pilotaggio insieme a Stirling, ordinò di chiudere la porta ignifuga anti laser che divideva quel locale dal resto della plancia, condannando chi non aveva ancora oltrepassato tale porta. Questa calò rumorosamente fino a chiudersi, bloccando il passaggio. Gli spari continuavano ad imperversare, e il capitano poteva sentirli dal suo covo sicuro, insieme ai piloti. Ma ben presto, i cannoni tacquero.

Dall’altra parte, Cobra sbraitava per la porta anti laser. Mat lo aiutava ad imprecare in maniera sempre più fantasiosa, finché non caddero nel ridicolo.

“forza, fatevi da parte, ci penso io” si propose Blacky, preparando il colpo.

“Blacky, sei già allo stremo delle forze, e per sfondare questa porta ti servirà una carica esagerata!” la avvisò Mat.

Rendendosi conto della sua avventatezza, la ragazza domandò a Cobra se avesse ancora quella sua pozione magica marrone per far tornare in vita i morti. Lui pareva titubante. Dimostrazione che teneva alla vita della ragazza fu ciò che fece: estrasse la sua fiaschetta.

“sentite, se vi fate sfuggire che qui dentro c’è Xocohatl invece che whiskey giuro che vi ammazzo!” brontolò, passando a malincuore la fiaschetta a Blacky. Dopo un paio di poderose sorsate, la fanciulla dalla pelle del medesimo colore della mistica bevanda fu pronta a sfondare la porta. Quello che non poteva sapere era che dall’altro lato dell’ostacolo vi fosse il capitano della nave, con un pesante lanciarazzi compatto, che ordinava al copilota di spalancare la porta al suo tre.

“uno!” iniziò a contare l’uomo, a bassa voce.

“va bene, Blacky, respira, conta fino a tre e spara!” la incoraggiò Mat.

Si concentrò, e nella sua mente iniziò il conteggio: Uno!

“due!” sussurrò il capitano.

Blacky sapeva che quel colpo l’avrebbe stancata, ma doveva farlo. Dall’altra parte, il capitano sapeva che avrebbe perso la nave, ma si consolava, sapendo che con la taglia incassata con Stirling vivo si sarebbe potuto ritirare. Il ricercato si riparò in un cantuccio.

Tre!

“tre”

La porta si alzò rapidamente, emettendo uno stridio agghiacciante. Blacky fu svelta a sparare il suo raggio, che non solo tranciò di netto le gambe del malcapitato, ma squarciò la cabina come fosse aria. Cadendo, il capitano premette anche il suo grilletto, ma ormai la mira era stata corrotta: il razzo si levò rombante dall’arma, e sfrecciò sotto alle gambe divaricate di Blacky, per poi dirigersi oltre la plancia, in fondo al corridoio centrale che percorreva la nave per tutta la sua lunghezza fino alla poppa. Si andò a scagliare contro i motori, provocando una potente esplosione che fece tremare l’intero vascello. La porta ignifuga anti laser calò nuovamente, questa volta per permettere alla cabina di sganciarsi con un unico slancio dettato da un propulsore a combustibile, presto esaurito e utile solo per un balzo iniziale. Mentre la nave schiavista spostava la sua direzione verso un fragoroso schianto nel canyon, la cabina ebbe la spinta necessaria per superare la parete rocciosa, e andare a scaraventarsi nel deserto. In plancia vi erano diversi sedili, ma mai abbastanza per tutta la tribù. In primo luogo, Cobra assicurò Blacky, ormai svenuta, ad un sedile con le cinture di sicurezza, poi ordinò a Mat di fare lo stesso. Era difficile rimanere in equilibrio, data l’inclinazione del pavimento, ma Cobra era abile nel tenersi ad ogni oggetto saldo che gli fosse utile per non cadere. Si guardò alle spalle, per intimare a Caccia Demoni di trovare un sedile e salvare quanti più marziani potesse, ma quando diresse uno sguardo laddove prima vi erano almeno venti persone, non c’era più nessuno. Disse a se stesso di farsi le domande una volta sopravvissuto a quell’impatto. Trovò un sedile, e vi si assicurò. Erano morbidi, pensati apposta per diminuire i danni alla scatola cranica in caso di impatto, ma non era certo una garanzia confortante. Infatti l’intero sedile si sganciò dal pavimento e precipitò fuori dalla nave. A pochi metri da terra, Cobra avrebbe attivato i propulsori che portava ai piedi, per rallentare la caduta. Si preparò allo schianto.      
    
Un rombo mostruoso accompagnò la carcassa della nave schiavista sul terreno. Si formò un cratere, e un’enorme nuvola di polvere rossa si sollevò.

ANGOLO DEGLI AUTORI:
I nostri eroi non si imprigionano con facilità! Con l'aiuto dei marziani riescono a conquistare una nave intera! Ed arrivano ad una porta di distanza da Stirling! Ma, come al solito, gli sfugge. Certo, stavolta non era sua intenzione scappare, ma i nostri eroi se lo sono fatti scappare di nuovo XD E adesso sono precipitati in una nuvola di polvere rossa? Se la saranno cavata tutti? Come faranno ad uscire da canyon per raggiungere la loro lepre in fuga? Tutto questo nei prossimi episodi di C'Era Una Volta Su Marte! :-D
Ps: come sempre ringraziamo di cuore i coraggiosi avventurieri della parola scritta che ci seguono, possiamo solo promettervi che ne varrà la pena! ;-)

 

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Capitolo 8
*** When the Wild Wind Blows ***


Cobra riaprì gli occhi, ma dovette sbattere le palpebre una decina di volte, prima che si abituassero alla luce accecante del sole del deserto. Era stato scaraventato fuori dalla nave, ad almeno cinquanta metri di distanza dal cratere. Vide molte persone vicino alla carcassa della nave schiavista, a giudicare dal colore della macchia informe dovevano essere marziani. Il vecchio pistolero si convinse ad alzarsi per accorrere in aiuto dei due ragazzi. Dentro di lui sentì il bisogno, quasi un istinto naturale, di preoccuparsi per loro. Decise di repellere quella domanda che gli frullava per la testa: perché preoccuparsene?

Quando fu vicino poté constatare che la tribù di Caccia Demoni era sopravvissuta, ed ora era riunita in cerchio davanti a qualcosa, che Cobra si apprestò a scoprire. Spostando a forza la folla, riuscì a farsi strada, fino a vedere il corpo di Blacky disteso sul terreno, ricoperto della rossa polvere di Marte bagnata di un sangue del medesimo colore. Sentì mancargli il respiro e stringersi il cuore. Sdraiato di fianco a lei stava Caccia Demoni, ma non pareva ferito, mentre inginocchiato vi era un anziano sacerdote, che invocava gli spiriti del deserto tramite la musica di un flauto che emanava un fumo profumato; l’effluvio pareva avvolgere in un abbraccio sia Blacky che Caccia Demoni. Mat stava chino dall’altro lato, con gli occhi vistosamente rossi e lucidi.

“Blacky!” esclamò smorzato Cobra “Mat, tu stai bene?” gli mise una mano sulla spalla.

“Cobra, sono felice che tu sia vivo! Io sto bene, ma Blacky…” la guardò con mestizia, poi indicò lo sciamano “È almeno un’ora che va avanti a suonare ma non succede nulla” disse Mat, con la voce corrotta dall’angoscia.

“Caccia Demoni, dimmi qualcosa” chiese Cobra.

“Caccia Demoni non può parlare, sua anima sta cercando quella di ragazza in mondo degli spiriti”

E non mentiva, non era mera superstizione.

*

Caccia Demoni calcolava con estrema cura ogni sua mossa: le mani per issarsi, i piedi per spingersi. Si stava arrampicando su una vertiginosa torre di roccia rossa all’ombra di un mesto crepuscolo. Aveva errato per mesi interi nel Deserto della Perdizione, senza cibo, acqua, né riposo, forte solo della speranza di trovare quella formazione rocciosa. L’unico modo per uscire da quella distesa di sabbia fredda era desiderare una meta più di ogni altra cosa, desiderare di raggiungere il proprio obiettivo più del cibo stesso, e della sacra acqua; più della vita stessa. Sapeva bene che un’anima mortale che si avventura nelle terre di Oltre Vita è in pericolo: gli spiriti guardiani danno loro la caccia, e se l’anima muore in quei luoghi resta rinchiusa in un limbo per l’eternità. Per questo aveva portato con se la lama ricurva e stretta appartenuta al suo antenato Bosco dell’Est, che per primo viaggiò e tornò dal regno degli spiriti. Nel manico erano incastonate quattro pietre: Rubino, la pietra di Marte; Ametista, sacra a Vento Selvaggio; Zaffiro, talismano di Notte, lo spirito dell’Oltre Vita; infine, uno Smeraldo, che invece era talismano di Giorno, controparte di Notte, lo spirito della vita terrena. Il nome di tale spada era Velo. Il cielo ondeggiava, ed esplodeva di milioni di colori, pur rimanendo buio, come un incredibile agglomerato di aurore boreali, che si agitavano come un vespaio, in numero incalcolabile. La roccia sotto il mocassino di Caccia Demoni cedette, e per qualche metro fu preda di una caduta che lo avrebbe abbandonato nel limbo, ma con estrema prontezza e caparbietà estrasse la sua lama e la conficcò in una crepa nella dura roccia. Ringraziò lo spirito guerriero Marte – che diede il nome al pianeta – per aver donato al suo avo quella lama tanto affilata. Riprese la sua arrampicata senza indugio. In un tempo che a lui parve un giorno intero, giunse ad un suo primo sguardo in vista della sommità della torre, ma la seconda volta che guardò, la cima parve essersi allontanata. Senza demordere, Caccia Demoni strinse i denti ed aumentò la velocità. Quel luogo risucchiava la speranza dalle anime mortali, impedendo loro di innalzarsi fino alle cime delle torri rocciose, dette Flauti del Sempre; questi erano canali attraverso i quali le anime immortali, una volta aver riflettuto e compreso gli errori compiuti in vita e aver apprezzato ed amato ogni gioia avuta in dono quando era mortale, potevano ascendere al mondo del Grande Spirito del Deserto, chiamato Vento Selvaggio. Ma Caccia Demoni doveva credere di poter raggiungere la cima, affidarsi alla sua speranza, con enorme forza d’animo, per riuscire ad arrivarci come anima mortale. Gli sembrava di essere appeso a quella parete da giorni interi, e dovette cacciare più volte il pensiero che in diverse occasioni aveva tentato di farsi strada nella sua mente: torna indietro, perché rischi la tua anima per salvare una assassina di cui non sai niente? Non ti ascolto, tu esisti solo per mettermi alla prova. Il solo fatto che tu mi consenta di rimanere qui significa che stai perdendo la prova, sai? Caccia Demoni non rispose, si concentrò solo sulla salita. Rischiava sempre di perdere da un lato il controllo della sua presa sulla roccia, dall’altro il controllo della sua presa sulla mente. Non doveva cedere: doveva convincersi che salvare Blacky era l’obiettivo di tutta la sua vita. E doveva sapere che avrebbe raggiunto la ragazza e che avrebbe portato la sua anima fino al suo corpo.

*

Nel mondo dei vivi, Cobra cercava risposte. Si rivolse all’anziano sciamano che stava suonando il flauto, scuotendolo.

“si salverà?” domandò, ma subito fu bloccato da due marziani nerboruti. Quando tentò di divincolarsi, uno di loro gli spiegò che il flauto non solo era un omaggio per gli spiriti benevoli, ma anche un modo per nascondere la visita di Caccia Demoni nel regno dell’Oltre Vita agli occhi degli Spiriti Guardiani.

*

Un agghiacciante grido straziante perforò le orecchie di Caccia Demoni. Prima si guardò intorno, in preda alla paura, poi volse lo sguardo in alto, e vide, con disperazione, che la cima era ancora più lontana. Urlò al vento.

Un nuovo stridente suono lo avvisò che uno Spirito Guardiano era vicino: in rotta verso di lui, sbattendo le sue enormi ali di pipistrello, emettendo terrificanti versi dal muso a forma di cinghiale, e agitando le chele di scorpione. La coda era una pesante catena di ferro, che sferzava il vento. Caccia Demoni sentì il cuore battere tanto forte che gli parve volesse fracassargli la cassa toracica per uscire come fosse un parassita alieno germinato nel suo ventre. Voltò la testa di lato, e il suo terrore fu ancora più martellante: vide se stesso, camminare di traverso sulla parete di roccia rossa, con un ghigno malvagio sulle labbra, e una collana fatta di teschi di neonati. Digrignava i denti.

“allora, il possente Caccia Demoni che teme la propria morte! E la teme più della morte di quella ragazza!” lo schernì “a cosa ti porta quest’inutile missione?” emise una risata isterica “lascerai il tuo popolo senza guida, verranno spazzati via in meno di un ciclo di Fobos!” lo stava provocando. Indicò verso l’alto con un dito, ridacchiando “oh, dov’è finita la cima?” scoppiò a ridere fragorosamente.

“tu non prenderai il sopravvento, demone” sussurrò più a se stesso che all’avversario. La bestia era ancora più vicina, alle sue spalle. La voce si alzò, fino a divenire ruggito “sono io il padrone della mia terra, io il padrone della mia anima, tu sei un occupatore, e ti scaccerò via come si fa con gli avvoltoi!” urlò con furore. Detto questo, preparò i muscoli delle gambe e delle braccia, preparò il suo cuore. Attese che lo spirito guardiano fosse vicino, poi, con tutta la forza delle membra e dell’anima si spinse verso la proiezione malvagia di se stesso, estraendo Velo. Mollò un micidiale affondo laterale, trafiggendolo mentre ancora rideva. La lama lo trapassò, e andò a conficcarsi nella roccia della torre; il demone svanì in un nugolo di sabbia rossa, mentre la bestia si schiantava contro la parete, facendola tremare. La presa della spada cedette, e Caccia demoni fu costretto ad aggrapparsi rapidamente alla roccia con una mano. Sentì i muscoli dolere atrocemente, e sentiva la sua mano lentamente scivolare. Ma quando vide la cima a una decina di metri da lui si sentì percorrere da una nuova, possente forza, e con rinnovato vigore si issò, afferrò la roccia con le mani e con i piedi, dopo essersi liberato dei mocassini, e ricominciò l’arrampicata, più svelto che mai. Aveva ucciso il suo demone, e lo spirito guardiano che gli dava la caccia ora stava ancora precipitando, tutto questo dopo aver superato il Deserto della Perdizione. Non doveva più temere niente. Quando la sua mano toccò finalmente la meta, issarsi dall’altra parte fu come aver visto casa dopo un lunghissimo viaggio. Ma non era quella la sua casa, e il viaggio non era finito: ora davanti a Caccia Demoni si apriva una fitta foresta fluviale, oltre la quale era sicuro di trovare Blacky. Trasse un profondo respiro, rivolse un saluto a Vento Selvaggio, che si agitava nel cielo, creando galassie e disfando universi interi. Caccia Demoni era profondamente grato di essere dinnanzi a quello spettacolo, tanto meraviglioso da non poter essere descritto dalle parole dei racconti. Vedeva l’infinito, lo poteva percepire, e respirare. In quel luogo gli atomi stessi cantavano, intonavano una melodiosa nota, una musica che faceva sentire di poter vivere per sempre. Ma avrebbe potuto contemplare l’eternità una volta morto, ora doveva proseguire la sua missione, e poi godere di una vita da mortale, assaporando gli attimi vissuti lontano dalla morte. Mosse un passo avanti, poi un altro, risoluto, e un altro ancora, ostinato, e un altro ancora, sicuro, finché la sua camminata non lo portò nel fitto della giungla.
La mirabile visione di quel cielo scomparve nella imperscrutabile ragnatela di piante. Ben presto, Caccia Demoni dovette fare affidamento alla sua spada, Velo, per falciare le liane che gli impedivano il passaggio. Più si addentrava, più l’oscurità prendeva il sopravvento sulla gentile luminescenza notturna donata dal cielo. Caccia Demoni iniziò a provare ancora paura. Si sentì assalire da un freddo che gelava il suo sangue e le sue ossa. Ma sapeva che non era reale: il suo corpo era al caldo sotto il sole cocente del deserto. Versi inquietanti si facevano sentire da ogni direzione, e ogni movimento faceva scattare i sensi di Caccia Demoni. Poteva vedere occhi gialli apparire nel buio per poi scomparire. Il respiro si fece affannoso, ma continuava a pensare alla sua precedente vittoria, e ritrovava la grinta per muovere i suoi passi nel cuore delle tenebre. Giunse ad una pozza d’acqua sorgiva. Ringraziando Vento Selvaggio e ritrovando il sorriso, s’inginocchiò alla fonte ed iniziò a bere copiosamente. Dovette subito sputare: l’acqua si era tramutata in sangue. Con sgomento, si scostò dalla fonte. Vide dall’altra sponda una figura sdraiata. Cercò di osservare meglio, riducendo gli occhi a due fessure. Capì che si trattava di Blacky. Corse da lei. Si inginocchiò al suo fianco, e le prese la mano: era fredda.

“Blacky!” disse.

I suoi occhi si spalancarono, ed erano neri come una notte senza lune e senza stelle.

“mi hai lasciata morire” sussurrò la sua voce “potevi salvarmi ma hai fallito”

Caccia Demoni si alzò di scatto, e si allontanò dal corpo esanime che parlava. Sentì una forza invisibile afferrare il suo braccio destro, quello che impugnava Velo, e alzarlo di lato. Quando guardò in quella direzione, vide la sua lama conficcata nel ventre di Blacky, che lo guardava piangendo.

“perché?” la voce era soffocata “perché mi hai uccisa?”

Caccia Demoni estrasse la lama, e accolse tra le sue braccia la caduta della ragazza. Gemeva e si lamentava, premendosi la ferita. La vita pian piano scivolò via da lei. La sua testa si lasciò cadere, gli occhi perduti nell’infinito.

“mi dispiace” disse il marziano, in preda alla disperazione. Le diede un bacio sulla fronte.

Si posò la lama sul polso sinistro, ed era pronto a farla scorrere fino a recidere vene e tendini. Arrestò la sua azione, sgranando gli occhi, in tempo per non uccidere la sua anima. Scosse la testa.

“no!” urlò “lei non è morta, e io non darò mai la mia resa! Non avrai la mia vita, Notte, e non avrai la sua! Io non cederò!” così dicendo, rinfoderò la spada. Al suono che fece Velo nel ritornare nel suo fodero, il cadavere di Blacky svanì.

Caccia Demoni si concesse una risata di soddisfazione per aver superato anche quella prova.

Attraverso la vegetazione, dritto davanti a se, il giovane sciamano vide una luce blu. Senza esitare, la seguì. Come scostò l’ultimo strato di foglie, Caccia Demoni dovette lasciarsi scappare un sospiro di meraviglia, al cospetto di una simile visione: una bianca sponda sabbiosa, in riva ad un mare che si stendeva nella più infinita notte. Una luna, immersa per metà nel buio blu marino, emanava una carezzevole luce azzurra, che si specchiava sull’acqua. Pareva uno zaffiro. Ondeggiando, il suo riflesso catturò gli occhi di Caccia Demoni. Si sentì in pace, privo di ogni affanno, come se la sua anima fossa stata svuotata da tutte le preoccupazioni, tristezze, ma anche dalle passioni. Rimase solo una assoluta tranquillità ed ammirazione per quella notte tanto quieta. In riva al mare, seduta sulla sabbia, stava Blacky. Avvicinandosi, lo sciamano notò che possedeva entrambe le braccia. Indossava un morbido vestito di lino, che lasciava scoperte le spalle, e scivolava lungo le cosce color mogano, tanto levigate da lasciarsi accarezzare dolcemente dalla luce della luna, riflettendola come faceva il mare. Senza dire una parola, Caccia Demoni si sedette di fianco a lei. Gli atomi cantavano ancora dolcemente, cullando i sensi.

Seguì un interminabile silenzio, durante il quale entrambi fissarono l’orizzonte ignoto, oltre la luna cristallina. Dopo quel tempo, Blacky parlò.
“è bellissimo, non trovi?”

Caccia Demoni rispose con calma: “sì” era come se la voce uscisse dalla sua bocca senza che lui compiesse la fatica di muoverla. “però è strano” ridacchiò “è come se qualcosa bussasse alla mia testa” non smettevano mai di guardare la luna. “come se ci fosse qualcosa che devo fare” tornò serio. “qualcosa che un tempo era così importante” rimembrare quelle preoccupazione gli costava una fatica immane, era come se una parte di lui si rifiutasse di ricordare. Gli pareva di essere lì seduto da anni interi, e forse lo era.

“non puoi sdraiarti qui e lasciarti cullare dal canto degli atomi?”

“vorrei tanto, ma questo grillo nella testa non mi da pace!” si picchiettò le tempie; iniziava a sentire dei sentimenti contrastanti: rabbia, verso se stesso, e fretta, amore verso la vita, desiderio “mi piacerebbe che questo grillo se ne andasse, lasciandomi qui, in pace, su queste sponde” disse “mi piacerebbe che questo grillo mi lasciasse naufragare dolcemente in queste acque” poi, per la prima volta da quando si era seduto, scostò lo sguardo dall’orizzonte, per rivolgerlo verso il viso di Blacky.

“Blacky, dobbiamo andare”

“non ho mai avuto un vestito come questo” rispose lei, come per fuggirgli “mi sento bella”

“tu sei bella, Blacky, anche con vestiti luridi e con u braccio meccanico” con queste parole, le prese la mano. Finalmente, anche lei smise di fissare l’orizzonte, e guardò Caccia Demoni. Approfittando di quell’attimo, lui la baciò. Entrambi si sentirono pervadere da una moltitudine di sentimenti: prima quelli dolci dell’affetto, dell’amore e dell’amicizia. Poi, sentirono entrambi una punta d’imbarazzo, e poi vennero tutti gli altri sentimenti, positivi e negativi, tutti insieme. Il respiro si fece faticoso, per i due prigionieri dell’Oltre Vita. Finalmente i loro spiriti tornarono gravidi di tutte le emozioni che rendevano speciale un’anima che camminava nel mondo dei vivi: dall’amore alla rabbia, dalla gioia alla tristezza.

“torniamo a casa, Caccia Demoni” disse Blacky.

*

Cobra camminava nervosamente avanti e indietro davanti al corpo senza vita di Blacky e a quello disteso di Caccia Demoni. Mat stringeva la mano della ragazza, e si sforzava di non lasciarsi andare ad un pianto, non davanti a Cobra. Lo sciamano anziano ancora suonava, pareva non stancarsi mai né perdere il fiato. Ormai erano passate tre ore dall’impatto. Un guaritore aveva già risanato le ferite del vecchio pistolero e del giovane tiratore tramite unguenti e pozioni di erbe e radici, rimedi che funzionarono in meno di trenta minuti.

Ad un certo punto, Blacky spalancò gli occhi, e trasse un profondo respiro, come se avesse passato le ultime ore in apnea. Prese a tossire ferocemente, per poi cercare di riempire nuovamente i polmoni di aria pulita. Si sdraiò, per calmare i muscoli, abbassando le palpebre, ferite dai raggi del sole. Deglutì, poi si sentì pronta per riaprire gli occhi. Così, li strizzò, e, con cautela, tornò a vedere. Per prima cosa si guardò intorno, poi, quando notò che Mat le stava stringendo la mano, se ne riappropriò violentemente, poi lo guardò negli occhi. Gli mollò un pugno dritto sul naso, e per fortuna del ragazzo non utilizzò il braccio bionico.

“non provare mai più a tenermi la mano, capito?” ruggì “e non osare piangere per me, chiaro? Non sopporto il peso di qualcuno che si metterebbe a frignare se io morissi!”

“e cosa ti fa pensare che piangessi per te?” protestò l’altro.

“ma per favore, mi tenevi la mano e hai gli occhi gonfi e lucidi, per cosa piangevi, per la botta che hai preso al culo quando sei atterrato?”

“che donna impossibile!” Mat era indeciso se detestarla o ridacchiare, contento che fosse tornata con tutte le sue rotelle fuori posto, niente di diverso.

Cobra si stava massaggiando le tempie “ma tu guarda se devo farmi venire un’ulcera per questi due delinquenti”

In quel momento, anche Caccia Demoni si alzò tremante e molto debole. Subito, un guaritore e lo sciamano anziano lo fecero sedere, e gli portarono una foglia secca da masticare e dell’acqua da bere.

“per ringraziarti di quello che hai fatto per Blacky voglio offrirti quello che resta della mia riserva personale di poltiglia magica” disse Cobra, estraendo la sua fiaschetta “non basta per farti rimettere completamente, ma almeno ti rimetterà in forze quel tanto che basta per arrivare alla tua tenda.

“l’alcool disidrata, e io ho bisogno di acqua” rispose dolente.

“questo non è whiskey, e Xocohatl” gli prose di nuovo la fiaschetta.

Ai marziani, quella bevanda era ignota. Così, contro ogni suggerimento del guaritore e dello sciamano anziano, Caccia Demoni bevve con gusto fino a dare fondo alla fiaschetta. Mentre beveva, Blacky si avvicinò al suo salvatore.

“devo ammettere che ha un effetto molto rinvigorente, e in più è anche molto gustoso, questo Xocohatl” confessò.

“Caccia Demoni” Blacky gli si pose davanti, con la testa china “volevo ringraziarti per quello che hai fatto”

“non potevo lasciarti nel regno dell’Oltre Vita, il tuo destino qui non è ancora compiuto” rispose sorridendole “e poi è stato un viaggio rivelatore anche per me”

“hai visto Vento Selvaggio?” domandò ansioso un marziano della tribù.

Caccia Demoni annuì.

“e che aspetto aveva?” domandò un altro, curioso.

“all’inizio egli era l’intero cielo che mi sovrastava, ma per parlarmi e concedere a me e Blacky il permesso di lasciare l’Oltre Vita…” fece una pausa, come se stesse cercando di ricordare un evento accaduto diversi anni prima “assunse l’aspetto del mio antenato Bosco dell’Est: sguardo severo, con la mascella serrata, e le palpebre strette, come se avesse il sole negli occhi” descriveva “portava un cappello simile a quello di Cobra, e indossava una specie di coperta con un buco in mezzo”

“un poncho!” disse Mat.

“scusami, Caccia Demoni, riguardo a me” Blacky riprese il discorso “di quale destino blateravi?”

“devi aiutare Cobra ad uccidere il demone bianco”

Blacky si sorprese, e ridacchiò tra i denti.

Caccia Demoni si rivolse a Cobra “ricostruirò il mio villaggio smantellando la nave degli schiavisti e prendendo quanto più posso dalla sua carcassa. Tu prendi i nostri cavalli; a sei miglia da qui, una lunga strada in salita vi condurrà fuori dal canyon, poi proseguite a sud, costeggiando il precipizio, e troverete una città: là il vostro destino vi attende” mentre ancora stava parlando, tre marziani portarono altrettanti cavalli. Cobra si chiese da dove fossero sbucati.

“non mi hai ancora detto come ve la siete cavata tutti, eravate spariti dalla nave!”

Caccia Demoni tentò di ridere, ma la sua debolezza gli impedì di fare più di un paio di sbuffi divertiti “siamo in comunione con gli spiriti e con il pianeta: la sabbia del deserto ci ha salvati”

Cobra capì che non era il caso di chiedere oltre. Ringraziò, e salutò Caccia Demoni con una pacca sulla spalla. Blacky, invece, gli concesse un fugace bacio sulle labbra, con la sorpresa di tutti. Corba e Mat avevano gli occhi fuori dalle orbite, e la tribù cominciò a bofonchiare e ad agitarsi. La ragazza fece spuntare un sorriso malizioso sul suo volto.

Colto dall’invidia, Mat si limitò a fare un cenno con la mano a Caccia Demoni “ci vediamo” gli disse. Si dimenticò persino di ringraziare.

“ma avrete dieci anni di differenza!” brontolò Cobra.

Dopo un lauto pasto e un meritato riposo, i tre eroi montarono a cavallo. Il sole andava tramontando dietro al canyon, quando lo abbandonarono alle loro spalle, rivedendo l’immane deserto rosso davanti ai loro occhi, oltre la salita. Col rosso rovente che precedeva il crepuscolo alla loro destra, oltre il canyon e oltre l’orizzonte planetario, Cobra Jack, Mat Wallace e Blacky Hole ripresero il loro cammino verso la cittadina dove avrebbero sicuramente trovato Mark Stirling.   
   

ANGOLO DEGLI AUTORI:
E rieccoci! Dopo un interminabile periodo di silenzio radio, per il quale vi chiediamo di perdonarci, torniamo con un nuovo capitolo (finora il nostro preferito!) di C'Era Una Volta Su Marte!
Innanzitutto consigliamo la lettura con l'ascolto dei brani Strange World (una linea di basso da pelle d'oca! ndUE&Hanck) e la canzone da cui prende il nome il titolo di questo episodio, When the Wild Wind Blows (il testo non c'entra una fava, ma poco importa perché la musica è azzeccatissima!). I suggerimenti delle colonne sonore li faremo più spesso, d'ora in poi, come se i titoli non bastassero! XD 
Questo capitolo è senza alcun dubbio diverso da tutti gli altri, più complesso, più profondo e psicanalitico, e anche più lungo! Troviamo anche uno spaccato su quello che è il mondo degli spiriti, e quindi la sfera sovrannaturale di Marte, da cui derivano le credenze marziane.
IN questo capitolo abbiamo le grandi citazioni, da Cloud Atlas a Supernatural (mica per niente c'è Jared Padalcki! ndHanck), vi sfidiamo a trovarle tutte! E soprattutto l'inconfodibile volto di Bosco dell'Est (il cui nome è già una garanzia! XD)! 
Al prossimo episodio!  
 

 

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Capitolo 9
*** Femme Fatale ***


Una timida luce nel cielo preannunciava il sorgere del sole, di lì a poche ore. I cavalli marziani alzavano piccoli sbuffi di sabbia cremisi ad ogni passo, mantenendo tutto in un silenzio sereno. La notte del deserto sarebbe stata la più buia che un occhio avrebbe mai potuto vedere, se non fosse stato per il cielo tempestato di stelle, e per Fobos, la più grande luna di Marte. Esse, stelle e luna, illuminavano la via ai viaggiatori. Nessuno dei tre aprì bocca: la quiete della notte era sacra. Non avevano nemmeno spronato i cavalli ad andare al galoppo, tant’è che l’intera notte fu la durata del loro viaggio. Quel silenzio fu turbato dalla voce di Cobra, che, fermando il cavallo, indicò un piccolo gruppo di luci poco distanti, che parevano fiochi soli che ardevano nel cielo notturno.

“ci siamo” annunciò “quella è Yakhim, la città sullo strapiombo”

“le luci sembrano tutte piuttosto basse, tranne una, la più luminosa” notò Mat, mentre incitarono i cavalli ad andare al passo.

“si tratta della prigione” asserì Blacky “una torre che termina in una forte luce, che funge da faro per chi non vuole finire giù dal canyon”

“una prigione?”

“sì, Mat: una serie di celle poste dalla parte dello strapiombo, aperte verso di esso, così i prigionieri che intendono farla finita possono gettarsi”

“ma non c’è il rischio che fuggano?” domandò il ragazzo.

“certo che c’è, ed è questa la crudeltà della prigione:” intervenne Cobra “puoi provare a scendere il canyon, ma moriresti sicuramente nell’impresa, e anche se così non fosse, la città più vicina è a tre giorni a piedi, una tratta che un prigioniero senza cibo né acqua non può intraprendere”

“senza contare che non è così semplice trovare una città nel deserto” aggiunse Blacky.  

“e se qualcuno riuscisse a rubare una navetta?”

“non ci sono navette, a Yakhim, è proibito proprio per questo motivo. I viaggiatori devono porre i loro veicoli sotto la custodia dei ranger, che li sigillano in un hangar protetto da guardie e sigillato con ben due chiavi, a loro volta tenute al sicuro e sorvegliate all’interno della caserma” spiegò Cobra “ma per fortuna dei semplici cavalli non sono considerati veicoli” ridacchiò.

In meno di un’ora giunsero alle porte di Yakhim, e furono lasciati entrare come civili di passaggio. Appena fuori dalle mura che cingevano il sito, videro accuratamente parcheggiata la cabina di pilotaggio della nave schiavista: doveva essere stata trainata da un rimorchio accorso da Yakhim, probabilmente in vista di una riparazione e qualche modifica che l’avrebbe resa in grado di volare. Ma quel che più importava era che adesso Cobra, Blacky e Mat erano certi che Mark Stirling si trovava all’interno di Yakhim, il loro viaggio non era stato vano. Era una piccola cittadina, quella, composta da case più o meno cubiche costruite con l’argilla, un tempo appartenuta al popolo marziano dei Ma’Adim, il ricco popolo di commercianti che diede il nome alla capitale; differivano dai marziani come Caccia Demoni non solo nello stile di vita, ma anche dal colore della pelle: se questi ultimi erano di carnagione grigiastra, alcuni tendenti ad un grigio-marrone, i Ma’Adim avevano la pelle nera come la pece, e gli occhi a mandorla. Furono massacrati tutti durante la colonizzazione, i pochi superstiti trovarono rifugio nel canyon Marineris. Ora quello che un tempo era un semplice punto di ristoro per le carovane Ma’Adim era diventato un incubo per i fuorilegge. Cobra non avrebbe mai creduto di visitarlo come civile. La torre pareva una spirale che s’innalzava per oltre trenta metri, al limite della grande strada centrale della città, ai cui lati sorgevano le abitazioni, più o meno grandi. Ora non restava che trovare un alloggio dove poter organizzare il colpo: dovevano sapere se davvero Stirling era tenuto nella prigione, e per quanto tempo sarebbe rimasto là, quante guardie vi erano a custodire la sua preziosa testa, e se quest’ultima fosse ancora attaccata al corpo. A destra, affacciato sulla strada principale, la cosiddetta Tariq Sarie, vi era un cartello che annunciava “Albergo del Nomade Fortunato”, mentre a sinistra, proprio di fronte, vi era un altro cartello, che stavolta vedeva scritto sopra “Albergo della Torre”.

Ad un certo punto, due bambini si avvicinarono ai nostri eroi. Erano vestiti con umili abiti, sporchi e probabilmente di ennesima mano.

“signori, signori! Siete i benvenuti a Yakhim, e se volete alloggiare in questa prestigiosa cittadina un tempo appartenuta al popolo Ma’Adim, il luogo migliore è il Nomade Fortunato!” sentenziò uno.

“certo, se vi piacciono le cimici!” ribatté l’altro.

“ non mi piacciono le cimici” disse Cobra, e fece per svoltare verso sinistra.

“oh, quindi preferite prezzi esorbitanti e frequenti visite di banditi attaccabrighe, o peggio: ranger?”

“i ranger li odio di più, scusa piccolo” decise Cobra, scompigliando i capelli neri e sudici del bambino con un mano.

Fu deciso: Nomade Fortunato sarebbe stato l’albergo che avrebbe ospitato i nostri eroi. Erano ormai sulla soglia d’entrata, quando Cobra notò che due guardie di paese, passando di lì in ronda notturna, stavano parlando del “nuovo prigioniero, quel tizio è una miniera d’oro!”.

Cobra disse a Blacky e Mat di prendere una stanza e di aspettarlo lì, lui sarebbe tornato entro breve. Si abbassò il cappello e si alzò il collo dello spolverino, così fu pronto a pedinare quei due ranger.

“lascia stare, i due schiavisti che lo hanno portato qui avevano già inviato un messaggio a Ma’Adim, una navetta Earthling sarà qui nel pomeriggio”

“tutto perché quel caprone del meccanico non è stato in grado di riparare la navetta, a quest’ora avremmo la possibilità di prenderci la taglia!”

“hai visto com’era ridotta? Squarciata come una fetta di pane bianco!”

*

Blacky posò il polpastrello del pollice su un telecomando, in uno spazio concavo studiato apposto per accogliere un dito, posto al centro. Con un impercettibile ‘tic’ un piccolo ago bucò il polpastrello di Blacky; rimase conficcato nella carne finché non comparve il numero di crediti necessari per la spesa sullo schermo di un computer posto sulla scrivania del proprietario, in fondo all’atrio d’entrata.

“bene, è fatta, la vostra è la stanza tredici, al secondo piano; appena salite le scale, sulla sinistra” disse il proprietario dell’albergo.

Ringraziando, i due ragazzi obbedirono.

“spero che il letto sia di vostro gradimento!” esclamò l’uomo, sogghignando divertito.

Mordendosi le labbra, Blacky lo insultò tra i denti, e sperò di non prendersi una malattia al sangue, dopo aver usato un ago che aveva tutta l’aria di non essere sterile. Per sicurezza, disinfettò con la saliva e succhiò il sangue infetto, sputandolo sul pavimento del corridoio.

*  

Cobra sfruttava gli angoli d’ombra per nascondersi, e spesso fingeva di essere sperduto e disorientato, per non destare sospetti.

“dannazione, la nostra prigione non può incassare la taglia!”

“e nemmeno noi, levati quell’idea dalla testa!”

*

Mat aprì la malridotta porta scorrevole tramite una leva. Nonostante fosse stato lui ad aprire la porta, concesse a Blacky di entrare per prima. Quando Mat porse la mano verso la camera, cedendole l’onore di essere la prima a varcare la soglia, lei lo guardò come se avesse voluto sparargli.

“cosa ti aspetti da una simile cortesia?” domandò “stai sprecando il tuo tempo”

“quanto sei egocentrica, è solo che se ci fosse qualche intruso all’interno ucciderebbe prima te” Mat si divincolò con estrema goffaggine da quella situazione.

“già, e poi piangeresti come un bambino” lo schernì.

“no, se ti ammazzo io con le mie mani!” rispose un po’ seccato il ragazzo “vuoi entrare sì o no?”

Sbuffando, Blacky entrò. All’interno vi era un letto singolo composto da un materasso di pelo di bucefalo e un cuscino riempito con piume di oca terrestre, puzzolenti e di pessima qualità. Vi era anche una piccola scrivania con uno specchio, sotto alla finestra che dava sulla strada. Sulla destra, proprio di fronte al letto, una semplice tendina nascondeva l’accesso al bagno.

“grandioso, se dovrò fare bisogni grossi dovrò chiedervi di uscire dalla stanza, per il vostro bene e per la mia dignità” scherzò Mat.   

*

“con tutte quelle guardie, poi, la caserma è svuotata!”

In Cobra iniziava ad agitarsi un turbinio di calcoli dediti alla formulazione di un piano. Avrebbe potuto ordinare a Mat e Blacky di assaltare la caserma, fungendo da esca; quando poi i ranger sarebbero accorsi per supportare i propri colleghi alla caserma, lui avrebbe avuto un facile accesso alla prigione. Avrebbe catturato Stirling e se la sarebbe filata con il suo cavallo. Ma un nuovo pensiero affiorò nella sua tempesta di idee; anzi, non affiorò, non ce ne fu bisogno: un semplice fischio, un eco, e già Cobra aveva cambiato idea. Nemmeno lui si rese conto di cosa lo avesse convinto a cambiare il piano. Si trattava dei due ragazzi, e non lo avrebbe mai ammesso, ma iniziava a tenere alla loro vita.

*

Mat avvisò Blacky che avrebbe ‘battezzato il bagno’.

“Blacky, vado a battezzare il bagno”

“vedi di non pisciare sulla tazza, ci devo appoggiare il culo, là!” lo canzonò lei.

“come se non fosse già abbastanza sporco” anche se avrebbe voluto rispondere che cesso fortunato, ma temendo la reazione di Blacky si trattenne.

Scostò la tendina, e non appena indicò indignato un buco nel terreno, alla sua sinistra, laddove si sarebbe dovuta trovare una tazza, ci si pose davanti, senza nemmeno dare uno sguardo al bagno: avrebbe dovuto. Si slacciò i pantaloni sporchi di sabbia rossa, e cominciò a soddisfare il suo bisogno fisiologico di espellere scorie, tossine e altre sostanze di scarto in forma liquida. Ma il suo momento di liberazione fu bruscamente interrotto da uno sparo diretto a far saltare per aria il suo cappello. Atterrito, fece per tirarsi su i calzoni, ma non riuscì in tempo per evitare che Blacky entrasse, puntando il suo braccio bionico verso il luogo da cui proveniva lo sparo. A destra vi era una cabina di lavaggio del corpo, volgarmente detta doccia, e appena fuori da essa stava dritta con la schiena una splendida fanciulla rossa di capelli, con la pelle chiara e gli occhi glaciali, che puntava un revolver laser con una fiamma dipinta sulla canna verso Blacky e Mat.

ROBIN – AMY ADAMS

Era totalmente ed esplicitamente nuda, e fradicia, ma teneva con la mano libera un asciugamano – che un tempo sarebbe dovuto essere bianco – premuto sul seno per nasconderlo, e lo lasciava scivolare per tutta la sua lunghezza giù per il ventre, finendo a coprire anche le intimità inferiori. Nonostante fosse una situazione piuttosto imbarazzante per lei, la sua posa mostrava una fermezza e una classe invidiabili: elegante nei suoi ventisette, forse ventotto anni di tempra e ostinatezza. Blacky dovette riconoscere a se stessa che nel vedere Mat così preso dall’ammirare la donna provò una certa gelosia. Pensò che se avesse indossato il vestito che portava nell’Oltre Vita sarebbe stata una valida sfida per quella candela umana. La divertì il paragone che aveva immaginato: una donna col corpo bianco come la cera e i capelli rossi come il fuoco, vale a dire una candela umana.

“chi siete?” domandò la donna.

“ti spiace se prima ti sparo e poi te lo dico?” rispose con sarcasmo Blacky.

“suvvia, non c’è ragione per essere così ostili, Blacky!” protestò Mat, attirando uno sguardo laser della ragazza.

“oh, certo, semplicemente è un’intrusa che si stava facendo la doccia nel nostro bagno!”

“in realtà io ho pagato per questa stanza” ammise l’altra.

Blacky sbuffò sonoramente “dannato alberghiere!”

“comunque sia io sono Mat Wallace, e questa ragazza è Blacky Hole” indicò la fanciulla dalla pelle color mogano.

“ma che stai facendo? Le dai i nostri nomi? Non puoi farti rincretinire solo perché è praticamente nuda!”

“non sono rincretinito, e non sono gentile con lei solo perché è nuda”

“certo che sì”

“e va bene, ma che ci posso fare, sono un maschio! Spogliati la prossima volta che vuoi che ti faccia un favore”

Quella provocazione di Mat non le dispiacque affatto, ma non poteva mostrare che le faceva piacere ricevere apprezzamenti sul suo corpo. Però era così difficile, pensò, trovare qualcuno che non la chiamasse ‘donna bionica’ e avesse bisogno di essere ubriaco prima di riuscire a fare sesso con lei senza continuare a fuggire dal suo braccio meccanico. Comunque sia, come risposta Mat ricevette un pugno bionico sul naso, che lo fece cadere a terra, proprio sul buco. In tutto quello, la donna rossa era rimasta nella stessa identica posizione, quasi fosse una statua di marmo perfettamente scolpita.

“rivestiti, forza” disse Blacky.

I due ragazzi attesero la loro ospite seduti sul letto, l’uno intento a ripulire il suo fucile frammento per frammento, l’altra invece si oliava le articolazioni meccaniche. Quando si rifece viva, indossava una corta canottiera bianca aderente che scopriva il ventre, un paio di pantaloncini e degli stivali anfibi molto resistenti. I capelli focosi erano raccolti in una raffinata coda di cavallo. Riusciva comunque a catturare l’attenzione degli occhi di Mat.

“non ci hai ancora detto il tuo nome” osservò Blacky.

“mi chiamo Robin” rispose lei “sono qui di passaggio, sto andando a Ma’Adim”

“noi invece diamo la caccia a Mark Stirling!” confessò Mat, meritandosi nuovamente un pugno bionico sul naso.

Ma quell’informazione fece sgranare gli occhi di Robin. Si sedette sul letto.

“anche io gli do la caccia” disse poi.

A quelle parole, i due ragazzi tennero pronte le armi.

“ma non per la taglia: i suoi amici mi pagano lo stesso per portarlo vivo a Ma’Adim, dove dovrebbe guidare una sorta di resistenza, ma la taglia non c’entra niente” spiegò “quindi se uniamo le forze per prenderlo potreste incassare voi la taglia e io la mia paga”

“e in che modo intendi incassare entrambi i pagamenti, candela? O lo si consegna ai tuoi clienti o ai ranger” osservò Blacky.

“lo consegniamo ai ranger, poi lo facciamo evadere” illustrò “e a quel punto lo consegnamo ai miei clienti”

Mentre i due ragazzi pensavano alla proposta della candela umana, Cobra fece capolino dalla porta, e, appena vide Robin, le puntò l’argenteo revolver contro. Vedendo quell’arma, unica nel suo genere, la donna impallidì. O, almeno, lo avrebbe fatto se non fosse già stata bianca come la zanna di un olifante gigante a quattro zanne.

“tu sei Cobra Jack!” esclamò.

ANGOLO DEGLI AUTORI
Ormai i nostri eroi sembrano essere ad un passo dalla loro preda, ma, attenzione, si aggiunge un personaggio a questa storia avventurosa! Robin, interpretata dalla focosa Amy Adams! (a sapere che va così di moda Jessica Chastain, ultimamente, avremmo scelto lei! XD ndSetta" Sarà una minaccia? Una nuova preziosa alleata? Chi è questa misteriosa e bellissima Femme Fatale? Lo scopriremo nella prossima puntata... O in quella dopo ancora... Insomma, se siete curiosi continuate a seguirci, prima o poi lo scoprirete! ;-P 

 

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Capitolo 10
*** Giù la Testa, Cog***oni ***


Cobra sedeva come quarto inquilino del letto, che, date le pessime condizioni, avrebbe potuto rompersi da un momento all’altro. Gli era stato illustrato il loro piano.

“ci farebbero comodo due abili braccia in più” considerò Mat.

“e come fai a sapere che sono abili?” domandò Cobra.

Mat prese a balbettare “beh, perché ha l’aspetto di una in gamba”

Cobra scosse la testa “voi giovani di oggi pensate con un solo organo, e purtroppo non è il cervello” l’antifona fu chiara a tutti. Poi si alzò in piedi, aggiustandosi il cappello sulla testa, e aggiunse “ma per fortuna, per l’esecuzione del mio piano ci occorreva una quarta persona, e a quanto pare ora ce l’abbiamo” guardò Robin, che sfoderò uno sguardo a punto di domanda.

Era quello che Cobra stava cercando: un’esca che attaccasse la caserma attirando i ranger lontano.

“quale piano?” domandarono in coro.

Il pistolero sogghignò “molto bene, ora statemi a sentire” cominciò “quasi tutti i ranger sono occupati a fare la guardia a Stirling” nelle menti dei presenti presero a comparire veloci immagini descrittive di come si sarebbe dovuto svolgere il piano “quindi la caserma è praticamente vuota, ed è ora che entra in gioco Robin: mentre lei attira i ranger fuori dalla prigione, noi entriamo e catturiamo quel bastardo”

Un silenzio tombale rovinò l’eccitazione della voce di Cobra.

“in pratica io sono l’esca” Robin ruppe il silenzio.

“non metterla così, senza di te l’operazione non riuscirebbe”

“voglio uno dei tuoi”

“non se ne parla, molti ranger rimarranno nella prigione a fare la guardia! E poi mi serve la mia squadra”

“e io come faccio a sapere che una volta preso Stirling voi non mi lascerete qui a morire?” domandò, incrociando le braccia.

La risposta di Blacky giunse da un cigolio, a pochi centimetri dall’orecchio di Robin, del cane di un revolver che annunciava che la carica termica era entrata in funzione, pronta per limitare la dispersione di calore e dissipare quella di radiazioni. La bocca di Blacky si avvicinò allo stesso orecchio di fianco al quale aveva posto la canna del revolver.

“perché altrimenti ti faccio saltare le cervella, Candela”   

“non commettere l’errore di credere che un lago ghiacciato ti regga sempre” rispose la donna rossa: nascosto tra le braccia incrociate, impugnava ancora la sua pistola, che ora tamburellava sulle costole di Blacky.

“suvvia, signore! Non è il caso di essere violenti!” Cobra fece da ambasciatore.

Mat lo indicò e annuì “bravo!” disse.

“mi hai riconosciuto subito, ragazza” disse il pistolero alla donna rossa “e se sai che sono Cobra Jack saprai che sono molto affezionato ad entrambe le mie pistole, per noi pistoleri è una questione importante che le nostre compagne di scorribande siano in buone condizioni: te ne cederò una, che terrai come garanzia e mi renderai una volta concluso l’affare”

Robin si prese del tempo per pensarci su. Nella mente della donna si stava tessendo una ragnatela di possibili soluzioni a quella situazione. Soppesava le possibilità, calcolava le probabilità. Alla fine, un buon piano mise radici.

“accetto”

Il sole giunse presto, e per il loro piano occorrevano le tenebre. Così, attesero in quella angusta camera per tutto il giorno, mangiando insieme, dormendo – basandosi sulla certezza che nessuno avrebbe preso Stirling senza l’aiuto di ognuno dei membri della banda – e giocando a carte utilizzando un mazzo trovato per caso in un cassetto della scrivania. Peccato che tutti gli assi fossero forati, come se qualcuno li avesse usati come tiro al bersaglio. Chissà qual era la loro storia.

Giunse il crepuscolo. Cobra era restio a cedere la sua amata Rosemary, sorella di Chloe, ma non poteva lasciarsi scappare quell’occasione.

“fanne buon uso, e non rovinarla!” si raccomandò.

“come se già non fosse usurata” commentò Robin.

“sta’ zitta, gallina starnazzante!”

Una nuova ventata d’invidia assalì Blacky quando sentì chiamare Robin con un nomignolo dispregiativo che le apparteneva.

Cobra per primo si era avvicinato alla torre e si era piazzato dietro un vicolo con un cannocchiale con visore notturno e rilevatore di presenza organica, subito seguito da Mat. Robin, senza nemmeno salutare, era corsa verso la caserma con due revolver inseriti in altrettante fondine che pendevano dalla cintola. Ancora non si faceva viva Blacky: aveva detto ai suoi due colleghi che doveva sistemare il suo equipaggiamento, a li avrebbe raggiunti appena finito. Non avrebbero mai immaginato che per “organizzare il mio equipaggiamento” intendesse una revisione del suo abbigliamento: aveva usato il suo raggio per regolare la sua canottiera fino a renderla corta come quella di Robin. Quando la videro Cobra e Mat rimasero di stucco, tanto che smisero per un attimo di fissare con minuzia febbrile la torre. Scuotendo la testa, Cobra disse “ah, tutte sconce queste ragazzine di oggi”.

Mat si concesse un’osservazione più intima “per me stai bene così” disse.

Blacky, indecisa se rispondere in maniera carina, per convincerlo a farle altri complimenti in futuro, oppure se azzannarlo con una battuta mordace. Decise di rimanere in silenzio. La brezza notturna le raggelava la pancia, ma non poteva mostrare di aver freddo: incrociò le braccia per scaldarsi, fingendo però di averlo fatto con aria professionale.

Il vento ululava tra le case, le balle di paglia rotolavano, e un gatto a nove code miagolava su un tetto. Questi erano gli unici suoni che si potevano udire in quella notte. Fobos era coperto da una nuvola solitaria, come se una mano beffarda avesse voluto oscurare l’assalto dei nostri eroi. Un uomo stava accendendo le lanterne a plasma sparse per città, ma era un anziano individuo che faticava a camminare se non con l’ausilio di un bastone, non avrebbe rappresentato un problema. Cobra, Blacky e Mat attendevano, in silenzio, senza perdere di vista l’entrata della torre, un arco ad arcata singola, scanalata. L’intero edificio, nel suo innalzarsi così sparutamente come un tornado che dalla terra arriva in cielo, aveva un sapore fortemente barocco.

Giunse il segnale: spari dalla direzione della caserma. I tre si voltarono d’istinto, poi tornarono ad osservare il varco della torre, aspettando di vederne uscire i ranger. Non tardarono, una decina di uomini vestiti con camicia, bretelle, spolverino, cappello e l’immancabile spilla a forma di spada dei ranger sciamarono fuori come formiche da un formicaio. Quando furono lontani, Cobra diede il via libera.

“è ora, gente, andiamo!” ordinò.

L’assalto ebbe inizio. Corsero costeggiando le case, per avere sempre un riparo vicino. Mat cercava dei cecchini con il suo fucile di precisione. Ecco che ne trovò due soli in tutta la torre.

“faccio fuori quei due e voi entrate” disse.

“va bene!”

“fai centro, Mat!” lo incoraggiò Blacky.

Senza nemmeno prendere fiato, Mat sferrò due colpi dalla precisione chirurgica, e gli sventurati spiccarono il volo dalle finestre ad arco e cominciarono a cadere verso terra. Quando toccarono il suolo, come accade con il fazzoletto bianco durante le corse di navette gravitazionali, fu il segnale per partire: Cobra e Blacky fecero irruzione nell’atrio, e Mat udì due spari e il suono sibilante del raggio di Blacky: quattro ranger, a giudicare dalla lunghezza del sibilo, e le vittime di Blacky furono falciate assieme, ma si trovavano ad almeno tre metri di distanza, facendo il calcolo con la forza del braccio della ragazza e il peso dell’impianto bionico. Questi erano calcoli matematici che un tiratore come Mat aveva dovuto imparare a fare da un pezzo. Si apprestò a raggiungere i suoi colleghi. Oltre il portale d’entrata vi era un ampio atrio, con una bolla luminosa che galleggiava in alto. Una scalinata a chiocciola saliva dal centro, e ad ogni piano un ponte collegava la scala a una passerella senza parapetto, che passava davanti alle celle. Trenta piani, dieci celle per piano, e non avevano le sbarre: erano porte di ferro, fragili per Blacky, ma avrebbe dovuto fare attenzione a non tranciare anche Stirling. Dai piani superiori giunsero dei colpi laser, nessuno dei quali andò minimamente a segno. Era chiaro, per Mat, che due guardie stavano al piano terra, altre due al primo piano, ed ecco spiegati i quattro cadaveri. Ma ora dovevano sbarazzarsi degli altri. Mat prendeva la mira da terra e faceva fuoco, raramente mancando il bersaglio, mentre Cobra e Blacky presero a salire le scale sparando come ossessi, e urlando con ferocia. Raggiunto il primo piano, furono al riparo dai proiettili. Mat aveva difficoltà a raggiungere i piani più alti.

“mi raccomando, Blacky, sta’ attenta”

“se stai zitto forse mi concentro meglio, vecchio!”

La ragazza bionica colpì la serratura in obliquo, così da dirigere il raggio verso il muro, una volta attraversato il ferro. Questo si sciolse, assumendo il colore del sole al tramonto. Con un calcio, Cobra sfondò la porta.

“Mark Stirling è qui?” domandò.

“no, qui non c’è l’eroe di Marte, non sappiamo dove lo tengano!”

In quello stesso momento, Mat li raggiunse.

“e tu che ci fai qui?” chiese con sgarbo Blacky.

“al piano di sotto le cose iniziavano a farsi troppo vicine per un tiratore a distanza come me”

“come?” Cobra si affacciò, e vide che i ranger che erano accorsi alla caserma avevano fatto ritorno, forse perché Robin era stata presa o uccisa, o forse perché avevano ricevuto un allarme maggiore; erano circa una decina.

“va bene, prigionieri, è la vostra occasione: vi copriamo noi, voi andate laggiù, prendete le armi che trovate a terra e iniziate a sparare!” ruggì Cobra.

“per Marte!” urlò uno, e tutti lo seguirono all’assalto.

I tre li coprivano sparando dal primo piano. Costrinsero i ranger a ritirarsi fuori dalla torre, ma tentavano ogni volta di rientrare. Quando furono sicuri che i prigionieri se la sarebbero cavata da soli, proseguirono l’ascesa. Al secondo piano c’erano solo nove celle: la decima era l’armeria.

“ancora meglio!” esclamò Cobra.

“vuoi una nuova arma, visto che la tua cara pistola è perduta?” domandò Mat.

“ero preparato all'idea che non l’avrei mai più rivista, o forse credevi che saremmo davvero tornati a salvare quella rossa focosa?”

“ma, Cobra! La tua Rosemary!” nemmeno Blacky avrebbe mai detto che un pistolero come lui avrebbe rinunciato tanto facilmente alla sua migliore amica.

“le leggende tendono ad ingrandire le cose, e a volte fanno molto comodo” rispose “e poi ho sempre Chloe!” aggiunse, baciando la sua pistola.     

Una volta liberati anche i nuovi prigionieri, li scortarono in armeria. Pareva tutto così semplice, finché non si udì l’ormai familiare suono dei furgoni volanti degli Earthlings.

“che ci fanno qui gli Earthlings? Non dovevano essere qui prima di domattina!” domandò Mat.

“questa è una prigione di rivoltosi, ragazzo! C’è sempre qualche squadra stanziata, ma nessuna con l’autorizzazione a traportare l’eroe di Marte!” gli rispose un prigioniero.

“bene, allora combattete per la causa, e affrontate il nemico da bravi soldati!” spronò Cobra.

Incendiati un grandissimo ardore, i soldati imbracciarono le armi e presero a sparare dalle celle che davano sullo strapiombo, colpendo le navi degli Earthlings. Ma molte riuscirono a sbarcare dei soldati. Anche Cobra, Blacky e Mat dovettero combattere strenuamente.

Il laser illuminava la notte, e riempiva con il suo rombo il silenzio che per natura avrebbe dovuto regnare per tutta la valle di Cydonia. Blacky dovette rinunciare a usare il suo raggio contro gli avversari, o non sarebbe arrivata ad aprire trecento celle, anche se erano piuttosto fragili, non come la porta anti laser che l’aveva messa ko il giorno prima, o una navetta. Già iniziava a sentirsi debole ed intorpidita. 

Arrivati al ventesimo piano, con loro grande sorpresa, non trovarono più resistenza. In compenso, alle spalle dei nostri tre eroi vi era un intero esercito di rivoltosi. L’ultimo piano giunse presto, e con lui, anche l’ultima porta, la cella di massima detenzione, spessa e anti laser.

“oh, merda!” imprecò Blacky “io muoio se faccio saltare in aria questa porta”

“fortuna che qualcuno ha pensato anche a questo” quella che giungeva da un angolo buio alle loro spalle era la voce di Robin: subito, si voltarono, puntando le armi.

Lei era seduta su una cassa di ferro, con una gamba che penzolava e una poggiata sulla cassa, mentre giocherellava con una specie di spesso disco del diametro di una decina di centimetri facendolo saltare sulla mano.

“che fine avevi fatto?” domandò Blacky, diffidente.

“quando è arrivato l’allarme se ne sono fregati della loro preziosa caserma, e io ho fatto un po’ di compere; sì, ho preso qualche regaluccio” disse, dirigendosi con passo provocante verso la porta della cella. Vi applicò sopra il dischetto, che doveva essere magnetico, poi, percorrendo con il dito il bordo in senso orario, lo illuminò. Premette il centro del cerchio che si era formato sul disco per cinque volte, poi ripercorse il bordo, questa volta in senso anti orario, e quello iniziò a far comparire al suo centro un conto alla rovescia da cinque.

“lontani dalla porta, indietro!” avvisò Robin, prima di allontanarsi di corsa.

Presi dal panico, anche i nostri eroi, seguiti dal loro esercito, si allontanarono, rifugiandosi vicino a Robin dietro il muro di una cella.

“giù la testa” disse “coglioni” come pronunciò quest’ultima parola, un boato annunciò l’esplosione.

Accorsero immediatamente per vedere Mark Stirling uscire indenne dal nugolo di polvere che si era alzato in seguito al gran botto pirotecnico. Senza timore, l’uomo si avvicinò a quelli che erano i suoi seguaci. Quando vide Cobra, però, trasalì.

“Cobra Jack!” esclamò.

“salve, gentiluomo” lo salutò “sono felice di rivederti” con queste parole, Cobra alzò il braccio che impugnava la pistola, per puntarla contro Stirling, ma Robin intervenne, afferrando il suo braccio e alzandolo verso l’alto.

“acclamate: il salvatore dell’Eroe di Marte!” gridò, per farsi sentire da tutti gli uomini “Cobra Jack!”.

“cosa?” Cobra rimase stranito, quando l’intera prigione urlò gioiosamente il suo nome.

 “e acclamate i suoi coraggiosi apprendisti, Blacky Hole e Mat Wallace!” anche i loro nomi riecheggiarono, favoriti dalla forma della torre.

Mentre la folla esultava, Cobra puntò discretamente il suo revolver verso Robin.

“ma che stai facendo?”

Lei sorrise maliziosamente “suvvia, non vorrai affrontare tutto questo fedelissimo esercito rivoluzionario con una squadra di tre persone” il sarcasmo non era il ben venuto “sorridi, Cobra, per la prima volta nella tua vita sei un impavido eroe” poi rivolse il suo sguardo verso Blacky e Mat “e lo siete anche voi: siete tutti gloriosi eroi della rivoluzione!” urlò ancora, fomentando ancora di più l’esaltazione della folla.

La prossima mossa che fece fu correre ad abbracciare e baciare Mark Stirling.

Blacky era inviperita, e Mat non era da meno. Che Cobra fosse inviperito s’era già capito.

“io la falcio, quella sgualdrina!” grugnì la ragazza, digrignando i denti.

“io la tengo ferma e tu la soffochi” aggiunse Mat.

“e per di più la mia maglietta si sta rigenerando, ormai nemmeno il mio ombelico si vede più! Dannato tessuto di piante carnivore venusiane!”

“giuro che l’ammazzo” anche Cobra espresse il suo disappunto per il doppio gioco della donna rossa.

ANGOLO DEGLI  AUTORI:
Come avrete capito, questa è una storia ultracitazionista, e stavolta il titolo stesso funge da citazione e da spoiler! Ed ecco che poi citiamo pure noi stessi! XD poco modesta, come cosa, ma noi siamo legati con affetto ai nostri personaggi, piazzarli come fossero fan service qua e là ci piace da matti! :-D Quindi, come potevamo non riproporre i nomi delle due pistole di Cobra? ;-) 
Bando alle ciancie, ora sappiamo che Robin era stata fin dall'inizio non solo sostenitrice della rivoluzione, ma addirittura la donna di Stirling stesso! E ora che combineranno i nostri - ora a tutti gli effetti, a quanto pare - eroi? Lo scpriremo nella prossima puntata! ;-)

 

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Capitolo 11
*** Per Un Pugno di Crediti ***


Cobra affrontava le prime luci di un’alba fresca e gradevole. Rosemary e Chloe erano tornate insieme nelle due fondine. Camminando da solo, fuori dalle mura, verso una normale moto gravitazionale, indegna di un cavaliere come lui, sentiva la mancanza della sua amata Dakota, che ancora lo attendeva ai piedi del rifugio dove furono catturati dai marziani. Fino a quel momento non aveva avuto l’occasione di andare a riprenderla, si sarà sentita sola e abbandonata. Salì in groppa al mezzo senz’anima, accese il motore tramite una goccia di sangue, prelevata da un meccanismo simile a quello dei crediti, e si preparò a schizzare via in una nuvola rossa. Ma una voce lo trattenne. Se quella voce l’avesse chiamato un paio di decadi prima, Cobra Jack non si sarebbe mai voltato, nemmeno avrebbe udito parole distinte, ma solo l’ululare insensato di un vento vuoto. Ma ora, come sapeva che il vento parla come gli occhi di una donna, concesse a quella voce il lusso di fermarlo.

“Cobra!” urlò Blacky.

“Cobra, dove credi di andare?” domandò Mat.

“dovunque non siano affari vostri” rispose scostante.

“non fare finta che non ti sia divertito, a collaborare con noi” Mat pesò bene le parole: una sola che fosse troppo sdolcinata, e Cobra Jack avrebbe accelerato, fuggendo via da quei sentimenti.

“non è solo questo, non è vero? Non si tratta di divertimento, credi che non lo abbia capito?” Blacky alzò la voce, pareva infuriata. Sapeva bene che Cobra teneva a loro, ma ogni volta che tentava di provare affetto per loro, si ricordava di sua figlia, del bene che le voleva e del dolore provato. Mat le sussurrò che non doveva essere troppo sentimentale con lui, o lo avrebbero perso, ma lei nemmeno lo ascoltò.

Si avvicinò a Cobra, fintanto che potesse sentirlo anche se moderò il tono di voce, che si fece quasi mesto.

“qual era il nome di tua figlia?”

Quella domanda di Blacky colpì Cobra più in profondità di quando avrebbe fatto uno dei suoi raggi. Rimase fermo qualche istante, con gli occhi persi nel vuoto, che vagavano in ricordi lontani e tormentosi. Senza dare una risposta, mise in moto, riempiendo Blacky e Mat di sabbia rossa. La ragazza tossì e si strofinò gli occhi, poi urlò alle sue spalle:
“qual era il nome di tua figlia, Cobra?”

Mat le si avvicinò, e fece per metterle una mano sulla spalla, ma dovette ammettere a se stesso che toccarle la pelle in quel momento sarebbe significato quasi certamente la perdita della mano, quindi si limitò a parlarle.

“lascialo andare, Blacky” disse “io punto la taglia di Stirling che torna”

La ragazza non rispose, ma si voltò e si incamminò verso la locanda dove alloggiavano. Ma non vi fece ritorno: si fermò davanti alle mura della città, si appoggiò al muro, e si lasciò cadere a terra, con la schiena poggiata ai mattoni di argilla, resi gelidi dalla fredda notte. Guardò Mat, mentre si sedeva accanto a lei, mantenendo una distanza di sicurezza troppo ridotta, ma non gl’importava.

“mi sento persa, Mat” decise di aprire il suo cuore “e quel che è peggio è che mi viene voglia di dare fiducia, ora! Ora che è stata tradita!”

“la verità è che la nostra vita finora è stata uno stupido scherzo” disse Mat “ci hanno detto di vivere solo per poter uccidere. Ma ora? Ora che l’uomo che abbiamo desiderato di uccidere per tutta la vita è stato per noi più simile ad un amico di quanto non lo fosse stato chiunque altro”

“cosa faremo ora? Non abbiamo più niente! Quello che ci teneva in vita era la sete di vendetta” si alzò, e si tirò indietro i lunghi capelli bruni “per questo mi sento persa. Per la prima volta, questo deserto mi sembra troppo grande, infinitamente grande, e io non so nemmeno da che parte andare”

“abbiamo ancora una taglia da incassare, ricordi?” Mat tentava di tenere un tono leggero, amichevole e sereno. Infatti, Blacky ridacchiò. “se non la sete di vendetta, sarà quella di denaro a tenerci in vita! Che, al contrario della sua sorella violenta, questa non si estingue mai!” Mat le aveva fatto tornare il sorriso, e, ancor più importante, la voglia di sperare; o, meglio, di sparare.

*

Stirling era nella sua stanza, all’Albergo della Torre, proprio la stanza che, in linea d’aria, era di fronte quella di Blacky e Mat, a meno di trenta metri di distanza. Le due camere erano praticamente identiche l’una all’altra, l’architetto dei due edifici doveva essere lo stesso, e anche pessimo. L’unico particolare per cui differivano era la porta del bagno: all’Albergo della Torre possedeva delle normali porte di ferro a scorrimento, che insonorizzavano il bagno ed evitavano che le flatulenze giungessero, con l’odore e col rumore, alla camera da letto, patria di riposo e passione amorosa. Stirling attendeva sul letto, con indosso solo un paio di calzoni da notte bianchi. Robin era in bagno, e probabilmente si stava preparando per il sesso con un abbigliamento provocante. L’attesa fu interrotta da uno stivale di Blacky, che prima sfondò la porta d’ingrasso – stavolta di legno – e poi andò a posarsi con un calcio sul petto di Stirling, costringendolo a sdraiarsi sul letto. Il tacco dello stivale era premuto sullo sterno, mentre un revolver di Blacky gli solleticava la punta del naso.

“vogliamo i soldi della tua taglia, bastardello” disse Blacky.

In quello stesso momento, Robin uscì dal bagno, vestita con un lingerie translucido rosso che copriva solo i seni con della stoffa bordeaux, e un paio di mutandine di pizzo del medesimo colore.

“il mio eroe è pronto a…” si interruppe quando vide la scena, e, emettendo un urletto – come se volesse nascondere di essersi fatta prendere dal panico per un momento –, corse a prendere la sua pistola, rimasta nella fondina, a terra insieme ai pantaloni accartocciati.

“lascialo andare!” minacciò. 

Senza nemmeno degnarla di uno sguardo, le rispose con calma “non lo farei se fossi in te, Mat ti sta tenendo sotto tiro dalla nostra stanza, dall’altra parte della strada: un passo falso e sei morta”

Robin andò a nascondersi dietro al muro, di fianco alla finestra.

“non ti salverà, il suo fucile può vedere la tua sagoma attraverso i muri; l’ho costruito io stessa”

Quasi quelle parole fossero profetiche, un proiettile laser si fece strada nel muro e passò in mezzo alle gambe di Robin, a pochi millimetri dall’inguine, tanto che lei poté sentire il calore attraverso il pizzo. Atterrita, rimase immobile.

“c’è un altro modo” disse Stirling a Blacky, tremando.

Robin puntò il revolver verso la ragazza, ma questa le fece saltare via dalle mani l’arma con un preciso raggio.

“cosa dicevi, prima che questa cagna ci interrompesse?” domandò con estrema goduria per l’insulto rivolto alla donna rossa.

“questo pomeriggio arriverà qui una navetta degli Earthlings per prendermi: aiutate me e i miei uomini a proteggerci, anche il paese è dalla mia parte!

“abbiamo ucciso dei ranger di questa città, dubito che vorranno il nostro aiuto”

“tutti i ranger, in ogni città, giungono da Ma’Adim, e sono scelti dal partito filo terrestre, è una delle iniziative del governo degli Earthlings, una legge entrata in vigore un anno fa” poi fissò Blacky nelle pupille scure “Vi pagherò!” disse con occhi languidi.

Blacky fece un verso con la bocca che esprimeva dubbio, dubbio che si mostrò anche in uno sguardo a punto di domanda sul viso della ragazza.

“saremmo i tuoi mercenari” disse, per sentire se suonava bene. “vogliamo i soldi in anticipo”

“metà ora e metà a lavoro finito, come si fa coi mercenari” intervenne Robin.

Gli occhi ridotti a fessure di Blacky la trafissero come raggi laser. Però doveva ammettere che era una soluzione equa.

“accetto” come parlò, fece un segnale con la mano a Mat, e in due minuti fu nella stanza, col fiatone.

“che mi sono perso?” domandò.

*

Il sole ardeva furente, nel mezzogiorno marziano, ma Cobra sentiva solo il vento sferzargli il volto. Quella domanda, quella di Blacky, gli si rigirava nella testa come una lama arroventata in una ferita. Non poteva negare di aver temuto che Blacky e Mat fossero morti, dopo lo schianto. Giunse in vista del relitto della nave schiavista, e tornò alla sua mente la paura che gli attanagliò quel suo vecchio cuore raggelato quando vide Blacky a terra, priva di vita. Una parte di lui voleva dimenticarsene, ma un’altra pensava che se c’era stato un momento della sua vita, dopo da morte di sua moglie e di sua figlia, in cui aveva desiderato che qualcuno vivesse, quel momento lo stava tormentando in quel preciso momento. Avrebbe voluto vedere Mat diventare il più grande tiratore di tutti i tempi, e Blacky trovare l’amore, magari proprio con quel ragazzo. Nella mente del vecchio pistolero si faceva strada un’immagine, un affresco: quei due giovani con un ranch, e un mucchio di bestiole, sia animali che portate in grembo da Blacky. E vedeva lui stesso, ormai alla fine delle sue sabbie, passare a trovarli ed essere felice per loro, ma non fermarsi troppo a lungo per timore di essere un disturbo, e per lasciarli liberi di sfornare un altro paio di marmocchi. Ma poi si corresse: solo i terrestri fanno una marea di figli, e nella sua visione prese piede solo un figlio, anzi, una figlia: identica alla sua bambina.

*

Stirling teneva in mano un dischetto lucido, dal quale si alzava un ologramma che rappresentava la città di Yakhim. L’ologramma mostrava dei soldati stilizzati di colore blu per indicare i ‘buoni’, e in rosso per indicare i ‘cattivi’.

“gli Earthlings giungeranno da quella parte” disse Stirling, indicando sull’ologramma le porte della città. Tutt’un tratto, l’immagine iniziò e tremolare, e poi sgranò. “dannazione!” imprecò, picchiettando il dischetto.

“ma per favore, Stirling! Sei incapace e maldestro, non ti affiderei neanche una pistola giocattolo scarica!” così dicendo, Mat invitò gli uomini a seguirlo.

Si posò davanti alle porte della città, aprendo le braccia. “da qui entrerà il furgone, diretto verso la torre” spiegò “staranno a bassa quota; questo paese ha pochi punti di atterraggio, nemmeno la strada centrale è abbastanza larga da creare un comodo approdo, solo la piazzola davanti alla torre, e questo per noi è un vantaggio:” indicò le case alla sua destra e alla sua sinistra, che, strette tra di loro, creavano vicoli angusti e bui “questi vicoli sono perfetti per nascondersi e tendere un’imboscata!”

“E altri si posizioneranno nelle case vicino alla torre, i paesani vi consentiranno di usare le loro abitazioni” aggiunse Blacky.

“e i cecchini potranno posizionarsi sulla torre” concluse Mat.

“Ma prima di far scattare la trappola, aspettate che il furgone sia giunto alla torre, a quel punto, al segnale delle vedette, uscite allo scoperto, e accerchiate gli Earthlings, e se non si arrenderanno, fateli a pezzi!” Robin caricò quegli uomini come giocattoli a molla, e, presi dal furore, iniziarono a prepararsi: mancavano due ore all’arrivo degli Earthlings.

Il sole avrebbe potuto cuocere una bistecca di facocero unicorno sul cofano di una navetta. L’aria pareva tremolare, l’ossigeno sembrava prendere fuoco appena entrato in bocca. E l’attesa del nemico rendeva quel caldo rovente ancora più insopportabile. Non vi era persona che non avesse gli indumenti fradici di sudore. Tutto era immobile: sarebbe stato facile credere che di essere già morti nella battaglia. A risvegliare gli animi e le menti fu un annuncio dai cecchini appostati: “arrivano!”

A quella voce, tutti ripresero conoscenza dal torpore dell’attesa.

“sei furgoni!” urlò la vedetta.

Il cuore dei soldati saltò in gola per tentare di uscire e abbandonare la nave. Blacky guardò Mat, che tentava di infonderle coraggio “ce n’è abbastanza per entrambi, piazziamo le scommesse”.

“no, dieci! Dieci furgoni degli Earthlings!” fu il conteggio finale.

“non ce la faremo mai” si lamentò Stirling.

“ecco, così sì che si vincono le guerre” lo schernì Blacky.

Robin gli si avvicinò e lo baciò teneramente “ce la faremo, e stasera festeggeremo la nostra vittoria sull’oppressore con la più infuocata notte di sesso della nostra vita, gioendo di essere vivi!”.

Blacky pensò che era patetico, per un condottiero quale Stirling si definiva, farsi dare coraggio in quel modo, con il premio alla fine della battaglia.

Mat decise che era il momento di portarsi in mezzo alla strada, per far sì che tutti gli uomini lo vedessero.

“uomini! Ascoltatemi!” catturò la loro attenzione “questa sarà la battaglia che darà inizio alla rivolta o vedrà la sua fine! Se volete la libertà, prendetevela! Sappiate che se falliamo noi, oggi, i vostri figli ne pagheranno le conseguenze, quindi levatevi la coda dalle gambe e rimettete le palle a posto, siete un popolo fiero, strappate ai tiranni la vostra libertà!”

Tra le urla esaltate, si fece avanti un dissidente “loro sono molti più di noi, e meglio armati! Non possiamo vincere! Dobbiamo fuggire, finché ancora c’è tempo!”

Mat lo fulminò con lo sguardo. “certo, chi combatte può morire, chi fugge resta vivo; almeno per un po’” puntò il fucile verso ogni membro di quel manipolo di combattenti “agonizzanti in un letto, fra molti anni da adesso, siete sicuri che non vorrete barattare ogni istante vissuto a partire da adesso” il popolo lo guardava, e i cuori iniziavano a prendere fuoco “per avere un’occasione, solo un’altra occasione, di tornare qui sul campo, a gridare ai nostri nemici che potranno toglierci la vita, ma non ci toglieranno mai” prese fiato, e si preparò alla parola chiave “la libertà!” urlò finché ebbe fiato.

Tutti gli uomini urlarono insieme a lui, tanto forte che rischiarono di farsi udire dai furgoni in avvicinamento. Ritrovarono il coraggio in quelle parole, e presero a bere avidamente ognuno dalla propria fiaschetta di whiskey.

Quando Mat tornò al riparo, in un vicolo, Blacky lo guardò con ammirazione, e fu quello il grido di battaglia del ragazzo.

“quelle cose le pensavi davvero?” gli domandò.

Mat rise “certo che no, se vinceremo sarà solo perché agli Earthlings non è concesso bere alcool!”

Blacky dovette ammettere che il compagno non aveva tutti i torti.

“se solo ci fosse quella sbobba marrone di Cobra!” la ragazza ricordò l’effetto che lo Xocohatl aveva.

La nuvola rossa oltrepassò le porte della città, portando con sé tempesta. I ribelli se ne stavano nascosti nei loro nascondigli, sulla torre i cecchini erano travestiti da ranger. Il primo furgone della carovana si fermò ai piedi della prigione, e ve ne uscì un ufficiale, con divisa bianca non ancora sporcata dalla rossa sabbia marziana e un cappello intonso del medesimo colore. Diverse stelle e medaglie erano fissate sul petto dell’uomo dal volto severo.

“che significa, dov’è Stirling?” ringhiò.

Quella voce così feroce fece rabbrividire i rivoluzionari: nessuno di loro aveva il coraggio di attaccare, e dalle vedette sulla torre non giungeva alcun segnale.

“non mi farò prendere in giro ancora a lungo, consegnate il ribelle o raderò al suolo la città!” ruggì ancora.

Mat e Blacky si guardarono, e annuirono l’uno all’altra. Fecero per sparare, dando così inizio alla battaglia, ma prima ancora che potessero uscire dal loro nascondiglio, Robin era già uscita dalla casa dov’era nascosta, imbracciando una pesante mitragliatrice laser, di quelle che esplodono se non viene cambiata in fretta la batteria di raffreddamento, l’equivalente delle munizioni per le antiche armi da fuoco. A quel punto, uscirono allo scoperto anche i due ragazzi, urlando e mostrando i denti, come leoni. L’intero esercito di ribelli fece lo stesso, attaccando battaglia. Nella opprimente luce del mezzogiorno i laser erano difficili da veder balenare a destra e a manca. Uscire allo scoperto era stata una buona idea, da parte di Robin, Blacky e Mat, per ispirare le truppe, ma tornarono immediatamente al riparo in un vicolo. Molti uomini non furono così furbi, e andarono in contro agli Earthlings come se volessero ingaggiare uno scontro corpo a corpo. Ma, non essendo nel medioevo, i soldati terrestri non gli offrirono la cortesia di posare l’arma laser per iniziare un incontro di pugilato. Così, ben presto il numero dei ribelli fu dimezzato. Ma bisogna riconoscere che anche gli Earthlings erano bravi a diminuire di numero.

“dannazione, chi me l’ha fatto fare di non andare sulla torre?” imprecò Mat.

“hai detto che non ti saresti mai messo uno di quei ridicoli vestiti da ranger, e che preferivi morire quaggiù col tuo cappello che vincere lassù con quella roba addosso” Blacky gli ricordò le sue esatte parole.

“giusto, grazie per avermelo ricordato, ora ho un motivo per essere fiero di me!” 

Robin combatteva furiosamente, dimostrando una grande forza fisica per portare quella pesante arma. Stirling ogni tanto metteva il naso fuori da una finestra per sparare un colpo a casaccio con un revolver di piccolo calibro. I colpi della mitragliatrice si concentrarono su un furgone, fino a farlo esplodere, portando con sé qualunque Earthling fosse nelle vicinanze.

“però ci sa fare!” constatò Mat, ammirato.

Blacky, schifata, gli fece una smorfia. Per redimere il suo orgoglio, Blacky caricò un colpo in grado si sciogliere una porta anti laser. Rilasciò la carica in un fascio laser che percorse l’intera carovana, facendo esplodere tutti i nove furgoni rimasti, uno dopo l’altro. Questo pareggiò i conti: non erano più inferiori di numero.

“visto?” si gongolò Blacky, barcollando come se fosse ubriaca “la sfido a fare di meglio!” detto questo, cadde sulle ginocchia e svenne.

Mat accorse immediatamente, evitandole di sbattere la testa. Ben presto, il vantaggio ottenuto grazie a Blacky fu perso di nuovo, e molti ribelli furono stanati.
“certo che siete una noia, voi donne!”

Mentre era impegnato ad insultare Blacky per essere svenuta proprio sul più bello, Mat sentì cessare gli spari. Incuriosito, uscì dal vicolo per vedere: un soldato terrestre teneva in ostaggio Stirling.

“porca miseria, che idiota!” commentò tra sé e sé.

Il soldato intimava i ribelli di gettare le armi, o avrebbe giustiziato immediatamente il loro condottiero. La battaglia pareva perduta, ormai: i ribelli rimasti erano una dozzina, mentre ancora ventuno Earthlings respiravano. La disperazione prese i cuori dei ribelli, mettendoli davanti al dubbio, erano confusi: continuare a combattere, per la gloria e per la libertà, oppure arrendersi per salvare la vita dell’uomo che per primo si era mosso contro l’oppressore terrestre? La risposta giunse dal deserto: una nuova nuvola rossa si avvicinava. Mat salì sul tetto di una casa per vedere meglio, e seppe per certo di conoscere quella nuvola.

*

Circa un’ora prima, Cobra Jack correva verso Yakhim, in soccorso di Blacky e Mat. S’imbatté in un evento piuttosto singolare: una tromba d’aria, che vorticava in un turbine rosso, proprio davanti a lui. Si era formata nel giro di pochi secondi, costringendo Corba a frenare. Quando il tornado si placò, pian piano comparve, laddove prima vi era una trottola di sabbia cremisi, un luccichio. La polvere iniziò a calare, e quando l’aria fu di nuovo tersa, davanti a cobra non v’era più una tromba d’aria, ma, con sua enorme sorpresa, lo attendeva la sua amata Dakota, splendente nella sua argentea carrozzeria.

“abbiamo pensato” la voce che proveniva dalle sue spalle, fece voltare Cobra: era Caccia Demoni, con la sua intera tribù a cavallo “che un cavaliere avesse bisogno del suo scudiero, quando va in battaglia”

Cobra gli sorrise.

*

“ogni cavalcata ha la sua voce, e io questa la conosco” disse Mat, mentre dalle porte di Yakhim entrava la tribù di Caccia Demoni, con Cobra alla testa, a bordo della sua possente moto volante a forma di cavallo argentato. Il leggendario pistolero uscì dal fumo nero creato dalle esplosioni come da un sipario, e, senza nemmeno tenersi al manubrio con alcuna mano, prese a sparare in ogni direzione, colpendo sempre un bersaglio. Nessun soldato terrestre, in compenso, era in grado di colpirlo: era troppo veloce, troppo terribile da affrontare, e la sua Dakota rifletteva la luce del sole negli occhi degli avversari, impedendogli di mirare con cura. Chiunque si lasciasse dietro che fosse ancora vivo, incontrava una freccia dei marziani. Caccia Demoni stesso falciò con la sua leggendaria spada più di cinque soldati a meno di cinque secondi l’uno dall’altro. Mat guardava Cobra combattere, e non poteva che ammirarlo e rispettarlo. Avrebbe voluto divenire così, un giorno.

Ben presto, la battaglia fu vinta dai ribelli. Cobra scese dal suo scudiero con un sorriso fiero sul volto, e un sigaro donatogli dai marziani in bocca, ancora spento; ci pensò il fuoco di un furgone in fiamme a provvedere. Mentre fumava il suo meritato sigaro, Mat gli si avvicinò.

“Cobra!” esclamò “sapevo che saresti tornato!” era palesemente felice di vederlo, lo si capiva dal sorriso a trentadue denti che non si sforzò di nascondere.

“ora non prenderlo troppo sul personale, mi sentivo in colpa per aver lasciato due incapaci come voi nelle mani di quell’idiota di Stirling” disse. Poi, si guardò intorno, e il suo voltò s’incupì. “dov’è Blacky?”

Mat fece una smorfia “sta bene, è solo svenuta perché ha usato un raggio dalla potenza devastante per dimostrare di essere migliore di Robin, dalle qualche ora e sarà ancora in piedi a detestare quella donna”

“e come darle torto?” ridacchiò Cobra, lieto di sentire che Blacky non era stata ferita in battaglia, o peggio.

A quel punto, si appropinquò verso di loro lo stesso Stirling, insieme a Robin, mentre in tutta la città si festeggiava.

“ti porgo i miei sentiti ringraziamenti” disse a Cobra.

Il pistolero sbuffò del fumo, poi parlò “non l’ho fatto per te” disse “l’ho fatto per un pagamento”

Stirling parve deluso di non essere riuscito ad ispirare l’uomo, ma annuì “mi sembra giusto”

Robin lo guardò con disappunto.

“già, e anche io e Blacky avevamo sentito parlare di una ricompensa, ricordi?”

“ed entrambi avrete ciò che vi spetta”

“Mark! Quei soldi ci servono per la rivoluzione!” lo contraddisse Robin.

“che razza di capo sarei se non sapessi mantenere le promesse?”

Così dicendo, porse a Cobra il suo trasferitore di crediti, e lui vi posò il dito. Il solito aghetto gli bucò il polpastrello, e da quel momento nel suo sangue scorrevano cinquecento crediti in più. Lo stesso fece con Mat, pagandolo mille crediti, con la promessa solenne del ragazzo di cedere a Blacky la sua parte, quando si fosse risvegliata.

Avuto il pagamento, Mat salutò l’amico, dandogli appuntamento nella loro stanza dell’Albergo della Torre, dove avrebbe messo Blacky in un letto a riposare.

“bah, per questo pugno di crediti me ne sarei rimasto fuori!” commentò il pistolero, disgustato.

Caccia Demoni diede un’amichevole pacca sulla spalla di Cobra.

“dove andrai, adesso, marziano?” gli domandò il pistolero.

“credo che porterò la mia tribù lontano da qui, verso oriente, a Marineris”

Cobra annuì “starete bene laggiù, sono molto ospitali e per nulla belligeranti”

“vorrei chiedere a voi, illustre capo tribù marziano, di unirvi alla nostra grande lotta per liberare queste terre dalla tirannia e dall’oppressione!” Stirling prese parola.

Caccia Demoni abbassò lo sguardo, poi prese un sigaro e lo accese con un fiammifero, e ne trasse una profonda boccata. Espirando, scosse la testa.

“il governo terrestre da una parte” indicò la direzione della Terra nel cielo “quello marziano dall’altra” indicò i pochi rivoluzionari rimasti, poi scosse di nuovo la testa, senza mai incrociare lo sguardo con Stirling “troppo pericoloso”

Queste furono le sue ultime parole prima ti rimontare in groppa al suo cavallo e ripartire, seguito dalla sua tribù.

“se tutti i tuoi uomini fossero così, Stirling, la vittoria sarebbe tua” disse Cobra.  

ANGOLO DEGLI AUTORI
Eeeeee via con la caccia alle citazioni! E in questo capitolo ne abbiamo davvero tante! XD 
Questa è praticamente la secona battaglia che i nostri eroi combattono al fianco dei rivoluzionari; che dite, ci si affezioneranno o continueranno sulla strada del denaro? Nessuna delle due ipotesi si può escludere, su Marte! ;-P 
Al prossimo episodio! ;-)

 

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Capitolo 12
*** Dead Man Walking ***


I preparativi per l’attacco a Suq andavano protraendosi ormai da due giorni, ma stavano giungendo al termine: erano quasi pronti, i ribelli, per assaltare una ricca cittadina commerciale a tre giorni di distanza. Cobra, Blacky e Mat avrebbero barattato un passaggio fino allo spazioporto di Tatooine, dove avrebbero trovato un trasporto pubblico verso Ma’Adim, e lì non era certo un’impresa, per tre cacciatori di taglie, trovare un incarico. Finché si trattava di sgominare bande di criminali non era un problema, ma nessuno dei tre voleva avere nulla a che fare con una guerra. Nella loro camera, anche i nostri eroi facevano i bagagli. Blacky se ne stava seduta alla finestra, e guardava l’orizzonte, mentre Mat sistemava degli strumenti per la manutenzione del fucile donati dagli abitanti di Yakhim in una saccoccia. Cobra, invece, pensava al cibo e ai rifornimenti. A Blacky era stato offerto uno smorzatore di energia, utilizzato solitamente per armi laser di grosso calibro e potenzialmente devastanti. Fu facile, per la ragazza, montarlo sul suo braccio bionico, riducendo così l’utilizzo di energia e conferendole una maggiore resistenza fisica quando utilizzava il suo raggio. Quasi si commosse.

Una nocca gentile ma sicura bussò alla porta: era Robin. Ottenuto il permesso di entrare, si presentò con una valigia tra le mani.

“Robin” salutò Cobra, toccandosi la visiera del cappello in segno di amicizia.

“ciao Robin!” il saluto di Mat fu senza dubbio entusiasta.

Blacky, invece, fu meno esuberante “oh, ciao, Robin” disse, prima di tornare a guardare fuori dalla finestra.

“salve, ragazzi” si rivolse a tutti “vi ho portato anche io dei doni” posò la valigia sul letto “non possiedo molto, sono nata povera, ma questi sono preziosi oggetti che mi appartengono e che credo non userò mai, quindi voglio che le abbiate voi, eroi, qualunque scelta prendiate a proposito della rivoluzione”

“l’abbiamo già presa, Robin, mi dispiace” la interruppe Cobra, con cortesia e senza arroganza “in guerra c’è troppa morte persino per me”

“di certo non vivrete lontani da essa lavorando come cacciatori di taglie”

“si rischiano meno pallottole”

“non importa quante ce ne siano, al diavolo ne basta una, col tuo nome scritto sopra”

Quelle parole crearono un silenzio imbarazzante. Per spezzarlo, Robin cominciò a distribuire i doni.

“dunque, Cobra:” si rivolse a lui “per te ho una cintola con borchie in madreperla o bottoni d’argento, e due fondine belle robuste, in cuoio bianco di daino albino delle steppe”
Cobra le accettò con gratitudine, ben felice per quel mirabile dono.

“Mat, ora viene il tuo turno” come lo chiamò, si fece avanti, nascondendo la curiosità, e decisamente imbarazzato, e più emozionato per Robin che per il regalo “per te ho un nuovo mirino, bianco come l’avorio, placcato in oro sulla giunzione che lo collega all’arma; possiede un visore notturno, un identificatore di energia vitale, un identificatore di vita non organica, un rilevatore di movimento, un rilevatore di calore, è in grado di vedere oltre i muri e può marcare i bersagli”

“accidenti, è grandioso!” esclamò Mat.

Poi, Robin si avvicinò a Blacky, che ancora guardava fuori dalla finestra.

“io e te siamo partite col piede sbagliato, temo” disse “ma tu sei una ragazza forte e coraggiosa, per me sarebbe un onore se potessimo essere amiche”

Blacky si voltò, e vide che Robin teneva in mano un vestito molto simile a quello che indossava nell’Oltre Vita. Come poteva essere? Forse Vento Selvaggio le voleva suggerire di accettare quel dono? Era scuro come la notte, e delle scaglie di un esotico pesce blu facevano luccicare la zona del ventre. Si concludeva con una gonna morbida, che si fermava diversi centimetri sopra il ginocchio.

“l’ho indossato una volta sola, ma temo che, se da una parte mi sta piccolo, dall’altra mi sta proprio male”

Blacky non sapeva cosa dire.

“e non è finita” riprese Robin. Estrasse altri indumenti dalla valigia, e li presentò alla ragazza “una nuova canottiera verde muschio e una gonna nera, morbida e versatile, ottima anche per andare in battaglia” l’ultimo capo d’abbigliamento che Robin avrebbe donato a Blacky era un guanto bianco, che pareva fatto di seta. “questo non è un guanto comune, l’ho fatto fare su misura due giorni fa dai droidi sarti, è stato completato solo oggi” spiegò “è stato lavorato da un laccio di seta diamantina, creata in laboratorio per essere inserita sui propulsori delle navette adibite alle celebrazioni sacre del capodanno marziano” tutti su Marte sapevano di che si trattava: sui propulsori di quelle navicelle venivano posti involucri di seta diamantina, che, se colpita dal laser o dal plasma, lo lasciava passare attraverso il tessuto, senza disfarsi minimamente, ma, in compenso, la scia – o il raggio laser, come nel caso di Blacky – assumeva un colore molto acceso, vivace, brillante, e che riproduceva i colori dell’arcobaleno, come accade ai raggi solari riflessi da un diamante. Ma non era l’effetto del raggio che importava a Blacky: poteva finalmente nascondere il suo braccio meccanico senza perderne l’efficacia in battaglia.

“non fraintendere, Blacky, secondo me tu sei bellissima anche con il tuo braccio bionico, ma essendo donna capisco quante paranoie ci facciamo per questi piccoli difettucci”
Senza dire altro, Blacky le corse incontro e la abbracciò, lo fece senza pensare.

“non credere di avermi comprata” le disse “ma questi regali sono ciò che ho atteso per tutta la vita”

Robin, dapprima titubante e quasi atterrita dal comportamento insolito di Blacky, decise poi di ricambiare l’abbraccio. Non durò a lungo: ben presto Blacky si scostò dicendo che era finito il tempo delle smancerie.

*

Un’ora più tardi, i nostri eroi erano pronti per ripartire, convinti non meno dell’ora precedente, e decisi ad intraprendere una carriera insieme, come cacciatori di taglie. Passarono a porgere saluti e auguri a Stirling e ai suoi rivoluzionari. Erano riuniti – presenziava anche Robin – in consiglio di guerra, nel saloon, e stavano pianificando l’attacco a Suq, una florida città commerciale controllata dagli Earthlings. Conquistarla significava mandare un messaggio diretto a Ma’Adim: la ribellione non era più costituita da un manipolo di guerriglieri, era diventata una rivoluzione armata, con un esercito in grado di dar battaglia alle bianche truppe terrestri. Il bancone era stato sgombrato dalle bottiglie di whiskey e dai bicchieri sporchi, ed era stato sistemato per ospitare un ologramma della città in questione. Cobra vide Stirling alle prese con la strategia, e poté constatare che era uno stratega migliore di quanto non dimostrasse sul campo. Era sicuramente un uomo intelligente, ma non era cresciuto tra le sabbie rosse, non era in grado di sostenere una battaglia. Infatti, pensò Cobra, quello era compito dei soldati: lui doveva solo ispirare le truppe e dire loro come giungere alla vittoria.

I tre non dissero nulla, non finché Stirling si accorse di loro.

“ah! Amici miei, accomodatevi!” esclamò, facendo cenno con la mano alla barista di avvicinarsi. Ordinò tre whiskey e una crema di whiskey.

“per me del rhum” disse Blacky.

“no, grazie, siamo in partenza” Cobra fermò la barista.

Stirling abbassò lo sguardo “quindi avete preso la vostra decisione”

“non combatteremo questa guerra; state pure certi che non appena avrete vinto arriverà qualche politico ambizioso che vi farà rimpiangere il governo terrestre”

Il rivoluzionario ridacchiò “è confortante saperti così sicuro della nostra vittoria”

A quel punto intervenne Mat “i vostri non sono soldati, ma lottano con una ferocia ammirevole”

“non sarà facile, ma alla fine vincerete” Blacky ammiccò.

Il silenzio cadde su di loro: Cobra, Mat e Blacky parevano voler attendere il momento più opportuno per congedarsi, ma non sapevano se era il caso di parlare ancora oppure no. Alla fine, fu l’anziano pistolero a prendere le redini.

“beh, noi ora andiamo” disse.

Dopo un altro saluto e un cenno col cappello, si voltò, seguito a ruota dai due giovani. Un uomo che correva come se avesse alle calcagna sciacalli sputa fuoco urtò Cobra, ma, senza nemmeno chiedere scusa, andò dritto da Stirling, con qualcosa in mano.

“hey, tu!” lo chiamò Cobra “vedi di scusarti, prima che ti faccia pentire di essere nato”

Quello, quasi senza guardarlo, gli rivolse delle fugaci scuse. Pareva spaventato da qualcosa.

“un messaggio da Suq” disse, consegnandogli quello che pareva un pezzo di stoffa.

Insoddisfatto ma ansioso di lasciare Yakhim, Cobra tornò sui suoi passi, ma dovette arrestarsi immediatamente.

“è un lembo di seta bianco, ma non c’è scritto niente: è macchiato di sangue” Stirling descriveva ciò che teneva tra le mani per essere sicuro di ciò che stava guardando.

Fu in quel momento che Corba s’impietrì.

“non capisco” disse uno dei suoi consiglieri.

“che può voler dire?” domandò un altro.

Senza voltarsi, Cobra si riprese dal terrore che lo aveva pervaso, modificò la sua espressione facciale da bambino spaventato in una più corrucciata e preoccupata.

“è l’addio del Duca Bianco: un pezzo del sudario di Stirling” spiegò il pistolero, rimembrando quel demone eterocromatico.

“cosa?” il coro dei consiglieri e di Stirling esigeva più informazioni.

“quando il Duca Bianco intende mietere una vittima, le fa dono di un lembo di seta bianca, strappata dal velo con cui coprirà la carcassa dello sventurato, una volta morto” Cobra sospirò “questo tre giorni prima della morte, a partire dal giorno che segue la visione del messaggio”

Mentre la paura si faceva strada nei cuori dei rivoluzionari, e, in particolar modo, in quelli di Stirling e Robin, Mat domandava al messaggero chi avesse portato il drappo.

“un droide, una specie di palla argentata con un grosso oculare rosso in mezzo e due parabole ai lati” rivelò, atterrito.

“e ora dov’è?” chiese Blacky.

“fuori dalla città, credo!”

In quello stesso momento, il droide si fece vivo nel saloon. Cobra si voltò all’istante, per evitare quell’occhio rosso acceso, che sicuramente stava inviando immagini al Duca Bianco e ai Ragni di Marte. I rivoluzionari gli puntarono contro le armi, pronti a sparare ad un ordine di Stirling. Quest’ultimo si apprestò a nascondere l’ologramma con i piani d’attacco.

“non ti affannare, Mark Stirling” la voce che proveniva dal droide, quella voce Cobra l’avrebbe riconosciuta tra mille, così sibilante: era lui, era Lince, il Duca Bianco. “so già che attaccherai Suq” il tono pareva calmo, misurato, quasi divertito, come se in quel momento, mentre parlava, stesse sorseggiando un buon tè.

“qualcuno dei nostri ti ha rivelato quell’informazione?” chiese uno dei consiglieri, meritandosi un’occhiata fulminante di Robin: aveva appena rivelato che era effettivamente quella la loro meta.

“non darti pensiero per i tuoi cagnolini fedeli, Stirling nessuno di loro è un Giuda” ogni parola del Duca era come un proiettile rovente che bruciava nel petto di Cobra. Era paura, era rabbia, era disperazione, era sete di vendetta. “non serviva un genio, e io lo sono, per capire che avresti sguinzagliato là i tuoi animali domestici: importante centro commerciale, e il più vicino bersaglio degno di tale nome rispetto alla tua posizione” Stirling impallidì “non che abbiate molta scelta, da Yakhim non c’è che quella città come meta obbligata, tutt’intorno ci sono solo piccoli villaggi e tende dei marziani” ridacchiò, e Cobra si sentì pugnalare le tempie. “la città è vostra, consideratelo un piccolo regalo d’addio per il mio amico Mark” stavolta la risata si fece sentire, ancora più perfida “è governata da una potente e spietata famiglia, i Roth, che controlla la banca di Suq, e ha l’ha resa più un covo di strozzini. Sotto le coperte di velluto e i gioielli di Suq il marcio viene fuori, come da ogni poro di questo sudicio pianeta. Prendete il controllo della città e liberate quelle povere anime in pena” il tono era palesemente ironico “a me non importa”

A quel punto, il droide si voltò, dirigendo il suo tremendo occhio luminoso verso Cobra, ancora di spalle.

“ah!” esclamò la voce del Duca “guarda chi c’è!” si mise a ridere come se stesse riabbracciando un vecchio amico “Cobra!” il droide si avvicinò “che piacere rivederti! Come sta il mio birbante preferito? Spero non te la sia presa per quell’incidente con la bella Marisol” Cobra si sentiva bruciare vivo, come sul rogo “e quella bambina, come si chiamava?”

A quelle parole, Cobra estrasse svelto Parsley e centrò l’occhio del droide, che cadde a terra con un pesante tonfo. Il segnale scomparve poco alla volta, ma si poteva ancora udire la più malefica risata immaginabile uscire dai microfoni del droide, andando storpiandosi finché non si spense completamente, insieme alla luce rossa dell’occhio elettrico.

Cobra lanciò un’occhiata colma di panico a Stirling, che a sua volta rispose con altrettanto sgomento nelle pupille.

“sono un morto che cammina” disse tremante l’uomo che teneva in mano un lembo del proprio sudario.

Il pistolero trasformò la paura in rabbia, e, impavido, puntò un dito verso il condannato a morte “verrò con voi a Suq, e ucciderò il Duca Bianco, ma sarà l’ultima volta che incroceremo i laser, tu ed io” così dicendo, uscì dal salone, furente.

Mat e Blacky si guardarono, senza sapere bene cosa avrebbero dovuto fare, o pensare. Se avessero seguito Cobra gli avrebbe ruggito contro, ma se non l’avessero fatto non avrebbero onorato la loro nascente amicizia. Decisero di inseguirlo.

ANGOLO DEGLI AUTORI:
Allora, dov'eravamo rimasti? Blacky detestava Robin, ma dopo questo capitolo si può sperare in una pericolosa amicizia tra le due belle donzelle della nostra storia ;-) Mat è sempre più cotto di Robin, ma non smette di avere un debole per Blacky. Ma veniamo alle cose serie...
Il Duca Bianco ha lanciato il suo ultimatum: riusciranno i nostri eroie ad evitare il disastro?

 

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Capitolo 13
*** We Can Be Heroes ***


Mancavano poche ore all’alba: a breve sarebbe scattato l’orologio della morte, per Stirling, e le lancette non si sarebbero fermate fino al terzo giorno. Ma il rivoluzionario mostrò molto più coraggio di quanto non mostrasse in battaglia: non fuggì, ma proseguì con la preparazione dell’attacco, finché non giunse alla conclusione che avrebbe dovuto inviare dei ricognitori, col favore delle tenebre, per giudicare la situazione di Suq, raccogliere informazioni sul numero di truppe stanziate, le tipologie di armamenti, e altro. Questo ci porta a Mat che striscia su per una duna, imbracciando il fucile costruito ed assemblato da Blacky, con annesso un nuovo mirino, quello donatogli da Robin. A fianco a lui stavano i suoi due compagni. Cobra non voleva parlare di quello che era successo nel saloon, e concentrandosi sul proprio lavoro, sull’attacco, era tornato il vecchio pistolero che aveva a cuore il destino di quei due ragazzi.

Mat prese ad osservare la città da dietro una duna rossa, attraverso il sofisticato mirino.

“all’interno delle case paiono essere tutti civili che dormono, e non rilevo veicoli degli Earthlings, né un numero eccessivo di ranger” disse Mat, senza staccare l’occhio dal visore. “c’è una grossa villa sul promontorio adiacente alla città, uno sperone di roccia solida che ospita la casa dei Roth, e quella è ben protetta”

“non ha mentito” disse Cobra “il Duca ha un codice d’onore: non elimina mai una preda prima del tempo, e se Stirling attaccherà vincerà di sicuro” spiegò “non vuole che al suo trofeo venga fatto del male”

“sarebbe una bella beffa uccidere ora Stirling, prendere la taglia e fuggire dal pianeta” scherzò Blacky “lasceremmo il Duca senza preda e noi lontani da qui con un mucchio di soldi!”

“Blacky, non farmi venire strane idee, sono un uomo che cede facilmente alle tentazioni!” ridacchiò Cobra.

La ragazza si sentì sollevata: la sua battuta aveva fatto tornare il buon umore al vecchio pistolero, anche se solo per un istante, il tempo di una risata.  

“a proposito, Blacky” le si rivolse Mat da sopra la duna “complimenti per il lavoro che hai fatto alla navetta: nessun altro c’era riuscito”

Erano giunti fin lì con la cabina di pilotaggio della nave schiavista, opportunamente riparata e modificata per diventare una silenziosa navetta a forma di testa di calabrone, in grado di nascondere la propria presenza ai radar e ai rilevatori di calore e di movimento: l’unico modo di vederla era coi propri occhi. Mat aveva colto l’occasione di fare un complimento a Blacky in un momento in cui era soddisfatta di sé stessa, come dopo essere riuscita a far ridere Cobra. Funzionò, perché la ragazza lo ringraziò con un’insolita dolcezza nella voce.

Quando fu convinto delle sue rilevazioni, Mat si scostò dal mirino, e scivolò giù dalla duna, avvisando i compagni che non c’era altro da vedere. Tornarono alla navetta, e Blacky si mise ai comandi. C’erano due sedili, uno per il pilota e uno per il copilota, dove sedeva Cobra, ma la ragazza, abile meccanico, inserì un terzo sedile per Mat.

“come hai detto che si chiama questa perla barocca?” domandò il ragazzo.

Blacky rise per il paragone “Nomad” rispose.

Silenziosa come una vipera, si alzò in volo, coperta dall’oscurità, e si diresse verso Yakhim.

“sono ansiosa di vedere come se la caverà il mio raggio con questo guanto” disse Blacky.

“sono sicuro che sarà uno spettacolo indimenticabile” commentò Cobra.

“sembra essere stato creato per calzare sulla tua mano”

Cobra scoppiò a ridere “Mat, sei un adulatore davvero pessimo!”

“perché mai?”

“sembra che stai recitando un melenso teatrino, devi essere più naturale”

Anche Blacky si lasciò scappare una risata. Questi attimi di serenità però portavano sempre la puzza di angoscia, che aleggiava nell’aria da quando la voce di Lince l’aveva portata.

Giunsero presto in vista di Yakhim. Quando atterrarono, furono accolti da Stirling e Robin. Mentre il primo si affiancò a parlare con Cobra, la donna stette indietro coi due ragazzi.

“cosa dice il vostro tiratore?” domandò Mark.

“non troveremo resistenza, se non quella dei Roth e dei loro ranger”

La donna rossa fece la stessa domanda a Mat, che rispose di non aver trovato nulla di insolito.

“temi per questo attacco?” chiese Blacky a Robin.

“dopo quello che è successo ieri nel saloon ho molta più paura”

“del Duca Bianco?” intervenne Mat.

L’altra sospirò “se lui coordina le forze terrestri qui su Marte ho ragione di essere spaventata”

“è l’uomo più potente e ricco del pianeta, e forse del Sistema Solare” spiegava Mark a Cobra “avevo ragione di credere che il potere fosse stato ceduto a lui, ma è stato furbo a non esporsi”

“è un uomo intelligente e pericoloso, un abile avversario”

“e conosce fin troppo bene i nostri piani; sembra che li conosca prima lui di noi” scherzò Stirling per sdrammatizzare.

Tornarono nel saloon, dove nessuno aveva chiuso occhio.

“il Duca non mentiva” disse Stirling entrando.

“allora come agiamo?” domandò uno dei consiglieri.

“portiamo pochi uomini, io andrò con loro” rispose “cercheremo di prendere la casa, stando a quello che dice il nostro ricognitore…”

“Mat!” precisò il ragazzo, interrompendo il condottiero “non sono un ricognitore, sono un tiratore scelto!”

Stirling lo accontentò “certo, come dice Mat” si corresse “è ben protetta – anche se lo stesso non si può dire del resto della città – e non può essere presa dai lati perché è costruita su un promontorio, la cui unica via d’accesso è una salita sterrata”

“l’unico modo di prenderla è con un attacco frontale, ma quelle sono milizie rammollite dalla ricchezza, non terranno testa a noi tre, figuriamoci se viene anche Robin!” intervenne Cobra.

“allora è deciso: attaccheremo non appena pronti, non importa se ci sarà il sole” sentenziò Mat.

E così fu: al sorgere del sole, Cobra, Mark, Blacky, Mat e Robin, seguiti da un manipolo di altri rivoluzionari, erano alle porte della città di Suq. Entrarono indisturbati, mentre la vita della frenetica città commerciale iniziava a svegliarsi. Le case fatte di terra erano alte e strette, ogni piano equivaleva ad una stanza, in questo modo vi era molto più spazio: non esistevano vicoli, ma solo vie, ed ognuna di esse era percorsa ai lati da banchi di vendita, intervallati dalle porte d’entrata delle case. A Suq si potevano trovare i più disparati prodotti, dalle armi alle spezie, dai pezzi di ricambio ai ripetitori musicali. Alcuni banchi erano spogli, pronti ad accogliere un venditore errante o un mercante itinerante, giunto fino a Suq per alloggiare in una locanda e presentare i suoi esotici prodotti. Non era raro incontrare bizzarre razze aliene che arrivavano dall’altro capo della galassia in cerca di nuovi oggetti e nuovi clienti. Un tempo Suq era chiamata ‘la perla di Cydonia’, per la sua bellezza derivata dall’architettura dei marziani antichi, oppure ‘la piccola Ma’Adim’, alludendo al fatto che sia nell’una che nell’altra era possibile soddisfare ogni genere di necessità commerciale, ma a parte questo la bellissima e suggestiva Suq non aveva nulla da spartire con la caotica metropoli di Ma’Adim. Imponenti cupole dorate riflettevano il sole, fungendo da faro per le carovane, e alti minareti erano prova dell’abilità degli antichi costruttori marziani.

Si trovavano nella piazza centrale: un’immensa arena di terra rossa che si apriva intorno ad un pozzo, che, come vuole la leggenda, fu la prima costruzione del paese, attorno alla quale si espanse fino a diventare la grande città commerciale di Suq. Le carovane erano solite rifornirsi a quel pozzo, così un bel giorno un mercante decise di stanziarsi là con il suo carro, e iniziò a scambiare oggetti con gli altri commercianti. Da lì, nacque il primo insediamento, che crebbe in poco tempo, sempre mantenendo il pozzo come ombelico della città. Proprio là i nostri eroi erano attesi da un branco di pistoleri rabbiosi e bavosi, che sputavano a terra il tabacco masticato. Parevano dei lama, quelli con la bava corrosiva che si vedevano negli zoo galattici. Erano i Roth. Vestiti come damerini, con abiti puliti, giacche e spolverini fatte con chiari tessuti preziosi, ma quegli indumenti così pregiati ospitavano la peggior specie di bestia che il deserto avesse avuto la sfortuna di ospitare.

Cobra, che capitanava i rivoluzionari, si fermò ad una decina di metri dal padre di famiglia dei Roth, un vecchio orribile con disgustosi gusti sessuali per i quali richiedeva le giovani fanciulle di Suq come tributo, insieme ad un disumano pagamento in denaro, in cambio della protezione da gruppi malavitosi alimentati dagli stessi Roth.

“ho una proposta per te, Cobra Jack!” grugnì.

“ti ascolto, Francis” gli rispose dai dieci metri di distanza di sicurezza.

“la tua pistola contro quella del mio ragazzo, Steve Mano Svelta, per il controllo della città!”

“me lo stai proponendo perché sareste spacciati?” ridacchiò Cobra.

Francis sputò a terra ed emise un vero e proprio ringhio.

“quel bastardo bianco se n’è andato ieri, e si è portato via tutta la milizia, mi restano solo pochi ranger” la sua voce era carica di astio, e Francis Roth non era mai stato bravo a mentire. “io ti sto solo mettendo davanti ad una scelta che risparmierebbe la vita dei tuoi uomini”

“non sono i miei uomini” rispose Cobra “ma ho una controproposta: lascia la città a noi”

L’altro scoppiò a ridere.

“ti sto solo mettendo davanti ad una scelta che risparmierebbe i tuoi uomini” citò.

“hai forse paura, pistolero?” domandò con tono di sfida “forse hai paura che al momento cruciale la tua mano ceda o i riflessi ti abbandonino?” bofonchiò una risata.

Intanto, Robin si era avvicinata all’orecchio di Blacky “è un mostro, manda avanti suo figlio invece di battersi lui stesso, un ragazzino!”

“non ha speranze contro Cobra” rispose Blacky, certa della vittoria del vecchio pistolero.

“soprattutto perché il soprannome di Mano Lesta gliel’ha dato il caro paparino, ma il ragazzo non ha mai vinto un solo duello, è buono solo a stuprare ragazzine troppo piccole per opporre resistenza e picchiare vecchi indifesi” s’intromise Mat.

Cobra, intanto, aveva preso una decisione: “manda avanti tuo figlio”

Back e Mat si sorpresero: aveva detto di non voler uccidere dei ragazzini. Questo si fece largo tra i parenti fino ad uscire dal branco, con un ghigno inappropriato sulle labbra.

“pronto a trapassare, vecchio?” gli ruggì.

“quando sei pronto spara!”

Il giovane impetuoso non attese un solo secondo, non sentì l’aria tra le dita, il suono del silenzio prima dello sparo, non si prese nemmeno un istante per respirare: estrasse il revolver. Ovviamente, Cobra fu più svelto, ma non lo uccise: il proiettile andò a disarmare l’avversario, colpendo la sua arma, che cadde a terra fusa dal laser. Ma un secondo colpo fu esploso Cobra, e andò a trapassare il cranio del vecchio Francis Roth. Cadde a terra, con gli occhi incrociati e la bava alla bocca.

“padre!” urlò il figlio, ma non mosse un muscolo.

A quell’affronto, i ranger e il resto dei Roth puntò le armi contro Cobra, ma Blacky e Mat furono svelti a sbarazzarsi dei primi, lasciando vivere i terrorizzati secondi.

“era un viscido verme con le mani così sporche di sangue che nemmeno se tu ti impegnassi lo raggiungeresti”

“se non vogliamo contare che ha inviato il suo figlio prediletto ad affrontare il grande Cobra Jack senza una minima esperienza di duelli! Era spregevole!” aggiunse Blacky.

“ma tu non sei triste per tuo padre, esulti piuttosto per la tua eredità!” Cobra prese il ragazzo per un braccio e lo allontanò “alzati, prendi la tua famiglia e cerca di costruire con loro un rapporto che vada oltre gli interessi economici”

“va bene, certo, lo farò, ma non vorrai uccidermi, vero?”

“certo che no, devo ancora derubarti della tua eredità e cacciarti da questa città con un carro e qualche provvista” rise di gusto Cobra, mentre l’altro versava per quel denaro perduto le lacrime che non aveva versato per il padre.

A quel punto, mentre Robin urlava alla folla di rivoluzionari che la città ora apparteneva al suo popolo, Cobra si diresse di corsa verso Stirling, acclamato da un’ovazione.

“prenderò la mia parte dai soldi di quella villa e me andrò, Stirling, qui non c’è traccia del Duca Bianco”

“inoltre quel denaro ci sistemerebbe per un bel pezzo, supera di gran lunga la tua taglia!” notò Mat.

“non sarebbe male acquistare una nave, per poi modificarne le prestazioni motorie ed offensive per iniziare una carriera dedita alla pirateria!” propose Blacky.

I due apprezzarono l’idea, e già pregustavano viaggi stellari, cavalcando onde di comete e nascondendo tesori sugli asteroidi. Ma qualcosa di inatteso interruppe quel momento, costringendo i tre eroi a rivedere la loro posizione: un gruppetto di cuccioli di essere umano, comunemente detti ‘bambini’, si accalcò contro i “liberatori di Suq”. Ben presto, furono sommersi, assediati, da un esercito di bambini che volevano conoscere quelle leggende. Uno si aggrappò alla gamba di Blacky, e le disse che era “un bellissimo angelo venuto per salvarci!”. Quella voce infantile, innocente, la confuse: era intenerita, forse? Un altro bimbo andò a tirare un lembo dello spolverino di Cobra per richiamarne l’attenzione “quando sarò grande voglio essere come te, Cobra Jack!”. Il vecchio pensò a quanto avrebbe voluto che fosse stata sua figlia a dirgli qualcosa del genere. Infine, anche Mat ricevette la visita di un bambino, anzi, di un ragazzino di tredici anni “sei il mio idolo, sicuramente tutte le donne cadranno ai tuoi piedi, liberatore di Suq!”.

I nostri eroi si guardarono, sbigottiti e confusi, non avendo la minima esperienza di come affrontare dei cuccioli di uomo.

“guarda, Mark” gli sussurrò Robin all’orecchio “affrontano qualunque minaccia, ma temono un branco di bambini” ridacchiò “perché non ne prendi uno in braccio?”

“no, non voglio che si pensi che strumentalizzo questi bimbi così adorabili” prima ancora che la frase fosse arrivata al suo compimento, fu il turno proprio di Mark Stirling.
Una manina candida gli strattonò i pantaloni. L’uomo si abbassò, e gli porse attenzione.

“sei tu il capo dei buoni?” domandò la piccola.

Robin scoppiò a ridere per la dolcezza di quella creatura.

“io sono quello che parla per dare coraggio ai buoni, ma i veri eroi sono Cobra, Mat e Blacky”

“la mamma dice che i veri eroi non sparano”

È incredibile come spesso la sincerità pura ed incorruttibile dei bambini possa scalfire l’animo di un uomo. Robin guardò il suo amato con estrema dolcezza.

“saresti un buon padre” gli disse teneramente.

Mark prese in braccio la bambina, ma senza alzarsi in piedi, per poter rimanere coperto dalla folla. La donna lo abbracciò, e poi si concesse qualche smorfia per far divertire la bimba.

A mezzogiorno, Cobra, Mat e Blacky erano decisi a portare quella rivoluzione fino alla vittoria, per poi ritirarsi alla vita da pirata, dopo aver saccheggiato Ma’Adim.

ANGOLO DEGLI AUTORI
Siamo tornati! 
l'orologio inizia a scorrere, per Stirling, la clessidra ha iniziato a rilasciare le sabbie, che inesorabilmente scivolano verso il Duca Bianco. Ma, nel frattempo, i nostri eroi si godono una vittori, assaliti da un temibile esercito di bimbetti e fans! 
Un enorme abbraccio a chi di voi ancora ci segue, per farci perdonare della lentezza vi annunciamo (scoooooop! ndS) che abbiamo ufficialmente iniziato la stesura del seguito di questa storia! :-D 


 

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Capitolo 14
*** Quel Treno per Ma'Adim ***


Quali erano state le parole di Mark, durante la festa di liberazione di Suq?

“non c’è tempo: il mezzodì ormai è giunto, ma abbiamo un pomeriggio per fare ancora qualcosa per la nostra causa:” Cobra, Mat e Blacky ascoltavano attenti “c’è un treno che passa a pochi chilometri da qui, seguendo i binari gravitazionali che costeggiano il Canyon” mostrò loro un ologramma del mezzo e del suo itinerario “voglio che ve ne impossessiate o che lo distruggiate”

“che cosa trasporta?” domandò Cobra.

“armi” rispose Stirling “dopo il vostro colpo a Yakhim, Ma’Adim ha richiesto armi e truppe dalla Terra. Mentre voi pensate al treno, noi prepariamo l’attacco allo spazioporto di Pyreus, da dove arrivano i rifornimenti per l’esercito degli Earthlings”

E così fu: Cobra, indossando dei nuovi occhiali da sole in stile steampunk tondi, capitanava la sua squadra, sfrecciando a bordo della sua Dakota, con fierezza e uno strano solco lungo il viso, come una specie di sorriso. Alle sue spalle, a bordo di anonime moto gravitazionali, lo seguivano l’audace Mat, Blacky detta “L’Angelo Nero di Cydonia”, e l’agguerrita Robin, coi capelli rubizzi che sferzavano il vento. Il turbine rosso preannunciava l’arrivo dei “Cavalieri di Cydonia”, come li si donava chiamare. Questo il pilota del treno lo sapeva, per questo ordinò di armarsi e di prepararsi alla battaglia. I soldati presero posizione: quattro sul tetto di ogni vagone, pronti a fare fuoco. Ma l’inarrestabile cavalcata dei nostri eroi non avrebbe sentito ragioni: quel treno sarebbe caduto. Il verme d’acciaio scivolava nel deserto, fluttuando su rotaie d’argento, sfruttando il magnetismo. Mancavano diversi chilometri al Canyon, poi lo avrebbe costeggiato fino a Ma’Adim. Sebbene in movimento, Mat non ebbe difficoltà a centrare tre delle quattro sentinelle che sorvegliavano l’ultimo vagone. Quando il terzo volò giù dal treno strillando come si sentiva fare solo nei vecchi film, fu dato l’ordine di ritirarsi all’interno del treno. Così, senza bisogno di rallentare né fermarsi, Cobra accostò di fianco ad una rampa posta come chiusura del treno. Senza difficoltà alcuna, i quattro cavalieri dell’apocalisse furono sulla rampa. Blacky sapeva cosa fare: col suo raggio, protetto dal guanto, tagliò i cardini della porta di ferro, poi Mat la sfondò con un calcio, subito prima che Cobra e Robin facessero irruzione sparando a raffica. Erano una catena di montaggio della morte, questo probabilmente era il l’appellativo con il quale erano noti presso le truppe degli Earthlings. Non fu difficile conquistare il primo vagone, ma per il secondo non avrebbero usato la stessa strategia. Pareva esserci una tale sintonia, tra i quattro, una tale intesa, che senza nemmeno consultarsi capirono qual era la mossa da fare: si arrampicarono lungo i fianchi del secondo vagone, sfondando le finestre ed entrando col fuoco spianato, facendo strage di chiunque vi fosse all’interno. Per il terzo vagone, invece, sbucarono dai boccaporti superiori, passando dal tetto del vagone. Nemmeno in quel caso ci fu una resistenza capace di creare problemi ai nostri eroi. Quasi per farsi beffe dei soldati Earthlings, quando giunsero al vagone della cucina, lasciarono in vita il cuoco e lo costrinsero a cucinar loro un buon pasto, con l’attenta supervisione di Robin, che si accertava che nel cibo non ci fosse qualche tipo di veleno. Comunque sia, fecero assaggiare le pietanze al cuoco, prima. Dopo aver scaraventato il cuoco fuori bordo avvolto – anzi, legato – in un materasso morbido, si sedettero comodamente ad un tavolo, il più elegante, a fianco ad un finestrino, e presero a mangiare e bere, atteggiandosi come principi.

“signori, debbo proprio convenire che i nostri nobili avversari sono stati alquanto deludenti” commentò Cobra, imitando l’accento e il tono di un nobile terrestre.

“suvvia, collega, questo pranzo è offerto dagli Earthlings, dovremmo ringraziargli e lasciare la mancia” disse Blacky “la mancia” ripeté, mostrando una candelotto di dinamite.

Robin scoppiò a ridere, e bevve un altro sorso di vino rosso “devo ammettere che con voi ci si diverte! Non avrei mai creduto di ridere tanto durante una battaglia”

“vieni più spesso con noi, allora!” la invitò Mat.

Lo avesse detto solo pochi giorni prima, Blacky lo avrebbe fulminato con lo sguardo, ma ora invece ne sarebbe stata felice.

“ormai sei parte della squadra, Robin, non ti liberi di noi!” ammiccò la ragazza ambrata.

Un gruppo di Earthlings, a quel punto, sfondò una porta e fece irruzione nel vagone ristorante, sperando di liberarsi dei Cavalieri di Cydonia. Nemmeno si riuscì a capire chi cadde per mano di chi: tutti furono messi fuori gioco in un turbinio di laser. Cobra nemmeno smise di bere, né si alzò: fece fuoco dondolandosi sulla sedia e bevendo il suo scotch. Conclusa la sparatoria, con la massima calma proseguirono. Il prossimo vagone vedeva una mitragliatrice a fare da guardia sul tetto. Era ben protetta da altri soldati e da un campo di forze, una cupola che lasciava uscire i proiettili laser, ma non li lasciava entrare. Ma nessuno si preoccupava di badare all’interno del vagone.

“poveri scemi!” disse Mat, mentre apriva la porta agli altri.

Cobra entrò per primo, ringraziandolo cordialmente abbassandosi il cappello e sorridendogli come se fosse la più famosa dama del più rinomato bordello di Ma’Adim. Blacky fece un inchino da perfetta principessa. Robin, invece, si posò due dita sulle labbra, le baciò, e poi soffiò quel bacio verso il ragazzo, che rimase piacevolmente rimbambito. Entrarono indisturbati, e giunsero perfettamente sotto al campo di forza, dove una gentilissima grata consentiva persino di mirare con diligente cura ai gioielli di famiglia del malcapitato mitragliere. Cobra preparò il colpo e puntò, ma Blacky gli fermò la mano. Il pistolero temette subito che la ragazza avesse riconosciuto in lui un vecchio amico: questo avrebbe senz’altro rovinato una bella giornata passata a sparare e scherzare tra amici, come non gli capitava da … Anzi, mai gli era capitato! Non si era mai divertito tanto, e pensò che era meglio tardi che mai. I suoi timori si trasformarono in una risata maligna, quando la ragazza mostrò che il generatore del campo di forza era proprio di fianco al mitragliere, ed era raggiungibile attraverso la grata. Cobra capì immediatamente le intenzioni della sadica fanciulla dalla pelle color mogano. Facendo il massimo silenzio, fece passare un dito bionico – dopo essersi levata il guanto – attraverso una delle fessure, dopodiché lo allungò come fosse un cannocchiale telescopico. Si mordeva la punta della lingua con le labbra, facendole fare capolino fuori dalla bocca come una timida marmotta squamosa dalla sua tana nelle praterie di erba arancione, più a nord. Un filo laser fuoriuscì dall’estremità del dito bionico di Blacky, subito seguito da un risolino ritenuto.

“sì!” esclamò tra i denti, ridendo.

Era il momento: Cobra uscì alla scoperto con le mani in alto, senza le sue pistole.

“mi arrendo” disse, salendo sul tetto del vagone “sono stanco di fuggire e di uccidere”

Dagli Earthlings giunse una risata “mi dispiace, ma la tua testa vale troppo!” disse il mitragliere. Fece fuoco subito dopo, ma non avrebbe mai potuto immaginare che Blacky avesse invertito la direzionalità dello scudo, trattenendo i proiettili in uscita, e lasciando passare quelli in entrata: l’intero campo di forze si trasformò in una accecante trottola di laser, pareva l’interno di una discoteca! Quando Blacky disattivò del tutto il campo di forza, del mitragliere non rimase che un cumulo di cenere bene ordinato. Nel frattempo, Robin e Mat avevano eliminato gli altri soldati. La loro avanzata proseguì senza intoppi finché non poterono esclamare “il prossimo vagone è la locomotiva!”.

Ricordava vagamente i vecchi vagoni terrestri in uso nell’antichità, e si parla del diciannovesimo secolo, praticamente l’età della pietra! Posto sul muso, aveva una grossa costruzione a delta in acciaio, dalla quale spuntavano aculei appuntiti, e occorreva per falciare persone, veicoli, rocce, grosse statue in bronzo di qualche dittatore… insomma, tutto ciò che si trovasse a portata. Al posto del camino, vi era un mortaio di forma del tutto simile a quella dei suddetti camini.

I nostri eroi erano tutti radunati davanti al portello della locomotiva. Cobra urlò “esci, macchinista, tu non c’entri niente con questa storia, ti diamo la possibilità di fuggire!”

Dall’interno, si udì una voce profonda e cavernosa “se vuoi le cose fatte bene, fattele da solo”. Dopo queste parole, un gran frastuono e il suono di pesanti passi preannunciavano … Beh, nulla di buono.

ANGOLO DEI REGISTI:
Dopo una interminabile assenza, la Setta torna, e vi porta in treno insieme ai nostri eroi, Cobra, Blacky, Mat e, ultima arrivata ma non ultima, la rossa Robin! Ridendo e sterminando, i Cavalieri di Cydonia (questo capitolo è da leggere rigorosamente ascoltando Knights of Cydonia dei MUSE! ndHanck) si fanno strada attraverso le difese del treno, fino a giungere alla locomotiva.

Nella prossima puntata: 

“e va bene, la giornata non è ancora finita, e purtroppo non ci pagano ad ore, quindi fate andare i culetti, gente!” spronò Cobra.
 

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Capitolo 15
*** Locomotive Breath ***


Il portellone si aprì, e una gran quantità di fumo ne uscì, nascondendo nella sua coltre qualunque tipo di mostruosità. Una piacevole musica era riprodotta dalla radio della cabina di pilotaggio della locomotiva. C’erano un basso e una chitarra che facevano molto blues elettrico, una batteria più vicina al southern rock, un pianoforte che ricordava quel primitivo blues che si intersecava con il folk portato dai pionieri irlandesi nel vecchio west; tutt’un tratto, appariva un flauto traverso, che, se in un primo momento poteva sembrare lo strumento meno indicato per quel genere, si rivelò incredibilmente efficace; pareva quasi il respiro di una vera locomotiva! Comunque sia, dal fumo si fece strada un corpulento individuo appartenente a qualche strana razza aliena, con un muso che dedicava più peli ai baffi che al capo. Pareva un tricheco. Le zampe invece erano più simili a quelle di un elefante. Ma le possenti braccia e le grosse mani erano tutte umane. Anche la ciccia che straripava da un maglietta lurida e sgualcita era da attribuire ai peggiori bevitori della Terra. Questo distinto galantuomo imbracciava un cannone laser pesante, in pratica come quello di Blacky, solo tante, troppe volte più potente. Prima scaraventò Cobra sul tetto del vagone precedente alla locomotiva con un mal rovescio micidiale, poi mollò un pugno a Mat, che, sfondando la porta del vagone, vi entrò, scivolando fin quasi a metà della sua lunghezza.

“non picchio le signore” disse con il suo vocione “quindi vi pregherei di entrare di vostra spontanea volontà nel vagone” con queste parole, puntò il cannone, e lo attivò, attendendo con pazienza che fosse carico e pronto a sparare. Nel frattempo, le ragazze erano fuggite all’interno del vagone.

Ripreso dallo schianto, Mat fece per alzarsi, ma fu nuovamente buttato a terra da Blacky, che gli urlava “giù la testa, coglione!”. Cobra si era trascinato coi gomiti fino a che non ebbe sotto tiro il macchinista, per ficcare una pallottola laser in quella testa di tricheco. Ma nemmeno poté sporgersi dal tetto, che il devastante raggio impugnato dalla suddetta testa di tricheco tranciò in due il vagone per il lungo, come fosse una baguette pronta per essere farcita. La logica conseguenza fu che il tetto crollò, posandosi sui sedili interni del vagone. In pratica, ora Cobra si ritrovava faccia a faccia col macchinista pur essendo sdraiato sul tetto. Gli sorrise con aria innocente. Mat, Blacky e Robin, intanto, trovarono riparo sul pavimento. Il revolver di Cobra cantò, e un proiettile rosso acceso colpì in pieno il macchinista in mezzo agli occhi. Ma il pistolero rimase deluso: lo aveva solo fatto arrabbiare. La testa di tricheco fece per arrampicarsi sul tetto, ma Cobra gli sfuggì facendo una capriola all’indietro e finendo in una delle botole e cadendo all’interno del vagone. Non poteva sapere che, esattamente sotto di lui, Mat tentava di nuovo a rialzarsi. Fu cacciato a terra ancora una volta. Riuniti gli eroi, strisciarono fuori dal ponte, inseguiti da un raggio laser che fece uno squarcio nel vagone. Percorsero quasi metà treno, correndo a perdi fiato, mentre il macchinista correva sui tetti, ogni volta incurvandoli per il grande peso della sua stazza. Le rotaie costeggiavano il vertiginoso canyon, che pareva portare iella chiamando a gran voce un treno deragliato che finiva dritto nella sua gola famelica. Erano quasi alla fine del treno, e il piano di Cobra era di riprendere le loro moto, che per tutto il tempo avevano inseguito automaticamente l’ultimo vagone, pronte per una fuga, e sparare al macchinista schizzando da ogni parte come vespe per evitare il raggio laser. In quel modo lo avrebbero neutralizzato con un fuoco incrociato. Ma li precedette, e la sua faccia da tricheco si presentò davanti a loro proprio davanti all’entrata dell’ultimo vagone. Indietreggiarono, e fecero per correre nella direzione opposta, per ripercorrere il treno fino alla locomotiva; ma non potevano fuggire: ora li aveva tutti nel mirino. Rimasero immobili, cercando una soluzione mentre il macchinista si godeva il momento della vittoria e sghignazzava sotto gli spessi baffi.

“Mat, te l’avevo detto di non fermarti nel vagone ristorante per berti un ultimo goccio di scotch! A quest’ora io starei cavalcando la mia Dakota a avremmo spedito questo bestione nel mondo degli spiriti!”

“fatevi da parte, maschi, come al solito noi donne vi salviamo il culo e l’onore!” esclamò Robin, mentre gettava una granata nella bocca del cannone. Probabilmente sarebbe uscito un insulto, dalla bocca di tricheco, ma l’esplosione giunse prima, insieme alle esultanze di Cobra e Mat. Non avevano capito: non era ancora finita. Infatti, quando il fumo dell’esplosione si diradò, mostrò una faccia da tricheco ancora più arrabbiata, con due occhi rossi iniettati di sangue. Ma l’esplosione fu utile a distrarre il macchinista mentre Blacky caricava un colpo abbastanza forte da fondere la giunzione che collegava l’ultimo vagone al penultimo. Quando questa fu distrutta, Robin lanciò un’altra granata sotto al vagone dove stava il macchinista, dirottandolo con la nuova esplosione. Come la voce del canyon aveva previsto, fece merenda con un vagone deragliato.

Ora, finalmente, Mat e Cobra poterono esultare insieme a Blacky e Robin. Ridendo, scherzando, e complimentandosi a vicenda, tornarono verso la locomotiva. La sganciarono dalla sua sede, e Cobra la portò in volo fino alla coda del treno (la locomotiva era dotata di un propulsore gravitazionale, a differenza degli altri vagoni, che fluttuavano e basta; per questo si chiama locomotiva, perché dedita alla locomozione!), dove Blacky la saldò alla giunzione ormai inutilizzabile in maniera normale. Erano pronti per riportare il treno a Yakhim, per la gioia di Stirling e dei suoi instancabili rivoluzionari. Ma qualcosa di inatteso accadde, annunciata da Mat.

“ehm … Cobra?” chiamò il ragazzo, di vedetta sul tetto.

“cosa c’è, rompi scatole?”

“questa la devi proprio vedere!”

Così, il pistolero uscì sbuffando. Vide una nuvola di polvere rossa avvicinarsi rabbiosa.

“andiamo, scherzi?” brontolò Cobra.

“alcuni marziani si sono schierati con gli Earthlings” spiegò Robin “nella speranza di ottenere i loro favori e di ottenere posizioni privilegiate nella società coloniale terrestre. Sono blasfemi nei confronti della loro terra e delle tradizioni del loro antichissimo popolo! Bestie coi blue jeans!”    

I nostri eroi caricarono le armi.

“e va bene, la giornata non è ancora finita, e purtroppo non ci pagano ad ore, quindi fate andare i culetti, gente!” spronò Cobra.

Lui prese i comandi, mentre Mat, sul tetto del vagone immediatamente precedente alla locomotiva, era pronto con il suo fucile. Robin, con esplosivi e pistole, era di guardia alla coda del treno, sicuramente presa di mira per un assalto. Blacky, invece, si sarebbe divertita a correre come un’invasata per tutto il treno, sparando attraverso i finestrini. Tutti erano pronti, qualcuno con tanto di sigaro tra i denti.

Cobra cercò nella playlist della radio del macchinista una canzone adatta. Doveva ammettere che aveva buon gusto, ascoltavano buona musica le sue orecchie di tricheco!

“ah! Ma certo!” esclamò, quando trovò il brano adatto.

Un riff di chitarra elettrica molto allegro apriva la canzone, dalle sonorità profondamente ‘80s. le prime parole erano “don’t look back!”, che lanciarono Cobra in uno sfrenato karaoke.

“don’t look back!”, certo: se si fosse guardato indietro, come stava facendo Robin, non si sarebbe visto altro che una cavalleria marziana colorita e folta, con varie decine di individui pronti a dare la vita per le bibite gassate. La nuvola rossa si avvicinava.

ANGOLO DEI REGISTI
L'assalto al treno prosegue, e i nostri eroi... Beh, pare che si ivertano pure! Ma adesso è in arrivo un'armata di marziani a cavallo. Togliete loro la vita, ma non togliete loro i blue jeans! 

 

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Capitolo 16
*** Ombre Grigie ***


Con la promessa di protezione, diritti, terre, libertà e blue jeans, la cavalleria marziana era abbastanza vicina da far cadere sul treno una pioggia di frecce. L’unico a cui ciò creò problemi fu Mat, che era comodamente posizionato sopra ad un vagone. Dovette scendere ed entrare da una finestra il più presto possibile. Quando tornò al suo posto, il suo vagone era diventato un istrice di frecce. Non si fece troppi problemi, ma prese di mira un marziano a cavallo, e lo centrò; poi passò ad un altro, e poi un altro ancora: la battaglia era cominciata. Blacky alternava grandi falciate con il raggio laser e colpi di revolver ben piazzati. Per pura tenerezza del suo cuore, tentava sempre di mirare ai cavalieri e mai ai cavalli. Ne stava salvando moltissimi, e il che la rendeva fiera del suo operato. Dal retro, i marziani che tentavano di sfondare le difese tenute da Robin erano fin troppi: pareva che facessero a gara. Entravano anche in due per volta, incastrandosi nella porta d’ingresso. Per il momento, la donna rossa non aveva il minimo problema a freddare brutalmente chiunque tentasse di assaltare il treno. In tutto questo, Cobra se ne stava tranquillo e felice nell’antro del macchinista, ascoltando antichi cantici dalle grintose melodie. Il treno sputava fuoco da ogni direzione, respingendo gli sciami di marziani che s’avventavano con furore. I binari scorrevano, mentre la corsa si faceva più rapida e movimentata. Ogni qualvolta Blacky colpiva un cavallo, gli urlava le sue più sincere e mortificate scuse, mentre Mat non si faceva tutti questi scrupoli. E il ragazzo nemmeno si concedeva un attimo per riposare il dito dal grilletto, proprio no! Continuava a fare strage di poveri marziani innocenti. Essendo lui sdraiato e i suoi avversari in movimento, per loro era estremamente difficile colpirlo con una freccia, e lo stesso valeva per Blacky, nascosta dietro una finestra che già di suo era ardua da centrare. Robin invece era quella che combatteva più strenuamente. Non demordeva mai, e non cedeva terreno, a costo di dover intrattenere uno scontro corpo a corpo in cui lacerare brandelli di carne con i denti e con le unghie; letteralmente, le unghie di Robin era ben lavorate per essere armi da taglio micidiali! Anche se era improbabile che fosse quello lo scopo principale. Ma dopo non molto tempo la situazione si fece insostenibile: richiese l’aiuto di Blacky, ma dovette ripetersi più volte, perché nel gran frastuono della battaglia la sua voce non giunse fino alle orecchie dell’amica.

“Blacky! Mi servirebbe una mano!” urlò per l’ultima volta, prima che una freccia le si conficcasse nel fianco. Stavolta urlò per il dolore. Il destino del marziano che la colpì fu decisamente più violento. Fu solo a quel punto che notò che vi era un primitivo sistema di comunicazione tra i vagoni: bisognava spingere un tasto e parlare in un microfono, e allora la voce sarebbe giunta attraverso un altoparlante fino al vagone selezionato tramite la pressione di un altro bottone.

“uno fa in tempo a crepare prima di chiedere aiuto!” imprecò, mentre con una mano sparava e con l’altra premeva tutti i pulsanti del caso. Quasi si era dimenticata di avere una freccia nel fianco. Quando se ne ricordò, invece di pensare a fermare l’emorragia pensò che se l’avevano colpita significava che era un bersaglio troppo largo: doveva dimagrire!

“Blacky! Vieni al mio vagone, mi serve una mano, possibilmente bionica!”

“arrivo subito!” finalmente rispose.

Senza nemmeno freddare il bersaglio che già aveva il raggio rosso sul collo, Blacky smise di combattere e corse verso il vagone in cui resisteva Robin. Quando la vide ferita, seduta a terra che sparava da dietro un riparo, sentì qualcosa di strano in lei: paura, paura per la vita di una persona alla quale teneva. Non lo avrebbe mai ammesso a sé stessa, ma sì: ci teneva a Robin. Stava stringendo un’amicizia con quella ragazza, e ben sapeva che le amicizie sono rare, su Marte, soprattutto tra donne. Da una parte era quasi felice di aver provato paura, voleva dire che non era totalmente vuota di emozioni, ma dall’altra la metteva davanti ad un dilemma: sarebbe stata disposta alle sofferenze che potevano derivare dall’avere qualcuno nel suo cuore? Rischiava già con Cobra, che aveva la sua veneranda età, e Mat, sempre in cerca di guai. Scosse la tesa: a che stava pensando? Ora si metteva a fare mamma chioccia? Mai! E poi c’era un’amica da salvare … ecco, appunto. Era meglio pensare che c’erano dei marziani da falciare, e allora sì che ripartiva la grinta omicida!
Sparando e falciando riuscì a respingere l’orda che ormai aveva occupato il vagone, ma questo fu utile solo per portare Robin fuori da lì e a chiudere la porta.

“passeranno dalle finestre!” disse la ragazza rossa, agonizzando e stringendo i denti.

“li sopravvaluti, mia cara, ora attenta e resisti!”

Caricò il raggio a tranciò in due il gancio che collegava l’ultimo vagone al penultimo, dove le due fanciulle avevano trovato rifugio. I marziani che ancora erano rinchiusi all’interno volarono giù dal burrone insieme al vagone.

Intanto Cobra aveva una lacrima che gli rigava il viso, e intanto cantava “Gotta knock a litte harder!” si asciugò il ruscello salato che andava ad invischiarsi nelle rughe “no, troppi ricordi, mandiamo alla prossima!”.

Mat si stava chiedendo dove fosse finita Blacky: senza il suo raggio era difficile tenere a bada un esercito con un fucile solo! E come se non bastasse stava finendo i proiettili termici.

“ma dov’è quella ragazza?”

E dove poteva essere, se non al fianco ferito di Robin, ad aiutarla a reggersi in piedi, nonostante insistesse che non ce n’era assolutamente bisogno e riusciva a camminare da sola. Ora i marziani avevano capito come entrare dalle finestre, e stavano accerchiando le due guerriere. Potevano credere che le loro avventure si sarebbero concluse con quella battaglia, ma il marziano che scoccò una freccia verso Blacky sbagliò mira, e le colpì un polpaccio. Avrebbe dovuto ucciderla: nonostante fosse sfinita, fu presa da un impeto furioso, e ringhiò all’amica “giù la testa” con la rabbia tenuta tra i denti. Ed ecco che il suo raggio scaturì impetuoso e magnifico, roteando insieme al corpo sinuoso della bella, trasformandola in una trottola lucente. Ora la bella era anche bestia. Il soffitto cadde sulle teste delle eroine, ma la loro prontezza di riflessi fu vitale. Solo quando anche Blacky fu seduta a terra si rese conto di quanto le faceva male la gamba. Gridò, dapprima digrignando i denti, poi aprendo la bocca in tutta la sua vorace grandezza. Ne uscì un acuto degno di Ian Gillian, tanto che si meritò i complimenti di Robin. Blacky sorrise, tentò di ridere.

Ripresero la loro corsa. Anche il vagone più avanti era occupato, dovettero farsi strada lottando.

Intanto Mat sentiva che al piano di sotto v’era un gran frastuono, ed escludendo che Blacky si fosse data al sesso selvaggio con un marziano, decise di indagare: sporgendosi a testa in giù fece capolino con la testa da una finestra per sbirciare dentro al vagone. Si ritrovò addosso gli sguardi di almeno cinque marziani che lo fissavano straniti.

“ehm, salve” disse con disinvoltura, reggendosi coi piedi al tettuccio, e il cappello con una mano per non farlo volare via. Proprio in quel momento, una tempesta di luci s’infranse sui marziani, e comparvero Blacky e Robin. Mat le osservò per bene, e loro fecero lo stesso.

“che aspetto trasandato, ragazze!” commentò sarcastico il ragazzo.

Blacky lo prese per la camicia e lo trascinò all’interno insieme a loro, poi lo strattonò, guardandolo con occhi iniettati di sangue.

“ascoltami bene!” strillò sgraziatamente “quando una donna perde sangue, che sia da mezzo alle gambe o da un polpaccio, non va fatta arrabbiare, chiaro?”

Mat fece cenno con la testa, e balbettò un “sì”, impaurito.

“bene! E ora muoviamoci a raggiungere Cobra alla locomotiva”

“avremo più speranze di difenderci là, almeno avremo due cannoni in più e nessuno ad accerchiarci!” spiegò Robin.

Corba era seduto tranquillo che pilotava il mezzo, e nel mentre ascoltava della buona musica, che si stava godendo appieno. Quando, tutt’un tratto, qualcuno osò interromperlo bussando alla porta. Seccato, si alzò dal sedile e andò ad aprire.

“che c’è adesso?”

Di tutta risposta, i tre entrarono camminando a ritroso, mentre sparavano alla miriade di marziani che già s’andava affollando fuori dal portellone della locomotiva.

“ragazzi, ma si può sapere che cosa state facendo? Perché sparate a quei poveri marziani?” domandò Cobra sorpreso “e perché Robin ha una freccia nel fianco? E perché Blacky ne ha una nella gamba? Sapete, conoscevo un tizio che si era buscato una freccia nel ginocchio, e da allora …”
“zitto!” lo zittì Blacky. Lei e Robin estrassero dolorosamente le frecce e si cauterizzarono le ferite con un sottile e debole raggio laser di un dito della ragazza bionica.

“va bene, devi solo affrontare la cosa con calma, è solo una battaglia come tante, può darsi che muori, può darsi che vivi, e …”

“vuoi fare silenzio?” la ragazza stava cercando di ascoltare i rumori all’esterno della locomotiva.

Aprì il portellone, mentre tutti gli altri tentarono di fermarla. Non fecero in tempo: ormai Blacky aveva spalancato la grossa placca metallica. Eppure, nessuna freccia li trapassò. Con grande sorpresa, videro che i marziani che li stavano assaltando erano morti, trafitti da frecce, anch’esse marziane. Uscirono, dunque, dalla locomotiva. Fu con notevole impeto di gaudio che salutarono Caccia Demoni e i suoi marziani aiutarli nella battaglia, a cavallo e sul treno.

“Caccia Demoni è venuto a salvarci!” urlò Blacky, felice di vederlo.

“ma certo, ti da un bacio una volta e diventa il tuo eroe!” borbottò Mat tra sé e sé. Si riposizionò sul suo trespolo, mentre vide che gli altri si presero una pausa per osservare il combattimento, senza sparare. Poi realizzò che non era una pausa: non appena tentò di colpire un marziano si rese conto di non capire se fosse un alleato o un avversario.

“dannazione, a quali marziani devo sparare? Non capisco!”

Con l’aiuto dei marziani ancora fedeli alla loro terra, i nostri eroi cavalcavano il treno, questa volta diretti, indisturbati, verso Yakhim.

ANGOLO DEI REGISTI
L'assalto alla locomotiva è finalmente concluso, con l'eroica resistenza dei nostri impavidi eroi e il coraggio soccorso della cavalleria marziana... I marziani quelli là, sì, insomma, quelli buoni, no? Avete capito. E Blacky sembra iniziare a chiedersi: meglio amare e perdere o non amare affatto? 

 

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Capitolo 17
*** Dall'Alba al Tramonto ***


Prima dell’arrivo alla città, i marziani – quelli ‘buoni’ – si erano già diramati tra le sabbie del rosso deserto, rosso di sangue.

Il treno giunse a Yakhim con le armi, e i nostri eroi furono di nuovo elogiati come eroi, riempiti di complimenti e promesse di grandi ricchezze … le solite cose da eroi, insomma. Blacky e Robin passarono la notte in infermeria, con l’ordine di esaudire ogni loro desiderio. Povere infermiere, tartassate di richieste, mentre gli infermieri potevano dirsi fortunati ad essere corteggiati senza sosta da Blacky, completamente rintontita dalla morfina. Aveva perso molto sangue, ed era solo grazie all’adrenalina e a tanta forza di volontà che non era svenuta. Robin la guardava e rideva da beota, anche lei sotto l’effetto dei farmaci. Ben presto, su entrambe il sonno ebbe il sopravvento. Approfittarono, i medici, della calma conferita dallo stato dormiente delle due ragazze per trasferirle in due stanze più consone ad altrettante eroine. Ma la notte non a tutti portò riposo tra morbide coperte: Cobra guardò il sole scappare dietro l’orizzonte, e attese che rispuntasse dall’altro lato seduto su una vecchia sedia cigolante, fumando una pipa elettrica.

“che fai qua fuori, vecchio? Rischi di ammalarti!” lo canzonò Mat, mattiniero.

“mi godo il tramonto” rispose flemmatico.

“quella è l’alba, Cobra …” poi gli si pose di fianco, incrociando le braccia e guardando davanti a sé. “fa venire le vertigini, vero? È così vasto, il mondo”

“per me è fin troppo piccolo, e so che da qualche parte il Duca Bianco respira la mia stessa aria”

Prima che Mat potesse introdurre un discorso a proposito, Cobra si alzò e fece per andarsene. Ma l’arrivo di Blacky lo sorprese sul fatto, costringendolo a desistere dal desiderio di fuggire in una bottiglia.

“che fate, ragazzi? Ammirate il tramonto?” chiese con aria serena. Zoppicava a malapena, la sua ripresa era formidabile.

“è l’alba! Che avete tutti oggi? Non riuscite più a distinguere l’alba dal tramonto?” ribatté Mat.

“non sapendo quanto ho dormito potrebbe essere anche il sole che si spegne” scherzò Blacky.

“e tu, Cobra? Che scusa hai?”

Ridacchiò. “a volte mi capita di confondere il giorno con la notte, e ho bisogno di un bicchiere che mi ricordi che è notte” così dicendo, si avviò verso il saloon.

“ma è mattino, Cobra!” gli urlò Mat.

“fa lo stesso” rispose il vecchio pistolero, agitando la mano.

Rimasero Mat e Blacky, soli con l’aurora. Lui era desideroso di trovare un argomento con cui rompere il ghiaccio. Non gli capitava spesso di rimanere solo con lei, e quando accadeva sentiva il forte bisogno di corteggiarla.

“hai combattuto molto bene” disse infine. Si ricordò da solo quanto fosse patetico e scontato come complimento.

“lo so, ma mi sono beccata una freccia!”

“sono cose che capitano, chi non si è mai beccato una freccia?”

“non capitano a me. Io uccido prima” rispose la ragazza, con un cenno sarcastico.

Mat ridacchiò, un po’ per farle piacere, ma anche perché si sentiva sinceramente divertito. Quando vide Blacky tornare seria, quasi rattristata, le domandò cosa stesse pensando di tanto blue.

“non potrò più mettere quel vestito” disse “le gambe erano l’unica parte del mio corpo che ancora era bella. Ho una cicatrice sulla pancia, quindi di scoprirla non se ne parla, un braccio cibernetico che ora grazie a Robin posso coprire, ma la gamba …” sospirò sommessamente “il gel cicatrizzante ha fatto il suo lavoro fin troppo bene”

“andiamo, sono sicuro che non è poi così grave! Era una freccia, non una falce!” Mat sperava vivamente di poter convincere la ragazza a levarsi i pantaloni, magari in una stanza privata ed intima.

“ti assicuro che è così grave”

“fammi vedere, sono sicuro che le tue gambe sono belle come sempre”

A quel punto Blacky distolse lo sguardo dall’aurora, e cercò gli occhi di Mat, sperando di trovarli fissi su di lei, ammirandola nonostante non stesse indossando né il suo guanto né vestiti eleganti, o provocanti. L’espressione di Mat era più inebetita che ammirata, ma se il motivo era lo stesso, la ragazza lo avrebbe accettato come complimento.

“per farlo dovrei levarmi i pantaloni”

Una strana forza mistica stava avvicinando i loro volti, come un lento magnete nascosto nei loro incisivi.

“questo si può fare”

Cobra li osservava da lontano, con la pipa spenta ancora in bocca e un bicchiere di whiskey in mano. Era appoggiato ad una colonna di legno che reggeva la veranda del saloon, e sorrideva.

Ormai lo scontro era imminente: tre, due, uno … contatto!

I due ragazzi si scambiarono un bacio rapido e timido, che mostrava quanto fragile fosse il loro animo, nonostante ormai quasi tutto il pianeta li temesse come spietati guerrieri. L’aurora, insieme a Cobra, era l’unica testimone di quel dolce abbandono ad un istante di tenerezza.

Il vecchio pistolero pensava con serenità che, se fosse morto, avrebbe comunque lasciato il mondo sapendo che quei due ragazzi avrebbero messo su una famiglia in qualche ranch. Non poteva andare altrimenti: Mat e Blacky a dirigere un ranch. E già li vedeva, uno a cavallo, mentre portava al pascolo le greggi di bucefali, e l’altra che gli portava una limonata fredda e gli diceva che lo avrebbe aspettato nella vasca da bagno, nuda.

Era mattino presto, e una malinconica ballata folk-country aleggiava dal saloon, troppo bassa per dare fastidio a chi ancora dormiva. Pareva che il sole non avesse alcuna fretta a svegliarsi, ma già sembrava voler fischiettare quella vecchia canzone. Anche Cobra la conosceva, anche se non sapeva come: era un motivetto antico, di quelli che aveva sentito da piccolo, un canto popolare intonato dai contadini mentre lavoravano. Diceva qualcosa sugli occhi, occhi blu che piangevano confondendo le lacrime e la pioggia. Ma la musica non era così triste come le parole. Bevve il suo whiskey, e poi tornò dentro per chiedere a Betty, la locandiera, di lasciare la bottiglia.

La luce filtrava appena dalle persiane della camera di Blacky, creando un gioco di luci sulla sua pelle ambrata. Si era levata i vestiti lentamente, come le avevano insegnato a fare nei bordelli. Nuda, davanti a lui, si sentiva coraggiosa, non più intimorita. Mat vide la cicatrice che portava alla gamba, ma non rese lei meno attraente agli occhi del ragazzo. La baciò delicatamente, come se potesse far sparire l’increspatura nella pelle con quel bacio. E per Blacky fu così: smise di esistere quando capì che non comprometteva l’ammirazione del ragazzo. Mat risalì la coscia morbida della fanciulla, stringendola a piene mani, sentendo la pelle liscia e madida di sudore. Trovò un’altra cicatrice che si presentava in verticale di fianco all’ombelico, quest’ultimo lievemente sporgente. Lungo tutto quel segno passò la punta della lingua. Per ultimo, lui la guardò negli occhi, le prese la mano cibernetica e se l’avvicinò al volto. Si accarezzò una guancia, il metallo era fresco. Si passò l’indice e il medio della ragazza sulle labbra. A quel punto, Blacky non resistette: e quel che accadde è affare loro e di quelle lenzuola.

ANGOLO DEI REGISTI
Ebbene sì, finalmente i nostri due giovani eroi vanno a letto! Un punto per chi shippava per quei due. Ma intanto Cobra ha nella testa pensieri che lo preoccupano molto, riflette su una decisione da prendere. Ormai abbiamo superato la metà della stagione, si sente lontano il profumo del finale. Siete pronti alla mirabolante discesa verso l'ultima puntata? Iniziamo a collaudare i motori per il lancio, scaldiamo la bestia ignea per il salto nell'iperspazio!

 

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Capitolo 18
*** Bad Moon Rising ***


Mentre ancora l’alba era giovane e gli occhi lontani da lui, Cobra preparò la sua Dakota per un viaggio di almeno un giorno, si sarebbe potuto intuire dai rifornimenti che aveva caricato sul veicolo. Senza guardarsi indietro, partì. Nel suo cuore si agitavano dubbi, rabbia, mestizia, angoscia. Sapeva che era causa sua se quei due ragazzi si trovavano in quella situazione, e sapeva anche che quando il Duca Bianco sarebbe arrivato per la pelle di Mark Stirling, entrambi si sarebbero battuti per impedirgli di portarsela a casa. Idealisti … pensò Cobra che mi venga un colpo se proprio io dovevo farli diventare degli idealisti. Cobra sapeva bene che ormai i soldi erano un fattore secondario. A Blacky e Mat interessava avere una causa, un obiettivo, un motivo per vivere, o un motivo per morire. Doveva affrontare il Duca per primo, e doveva portargli gli onori che riservava per lui da molto, troppo tempo. Gli aveva dato appuntamento, dicendo che si sarebbero contesi la taglia di Stirling in un duello nella vecchia casa in cui la loro banda era nata. Non disse a nessuno dove era diretto, non poteva rischiare che i due giovani corressero in suo soccorso, ed era certo che lo avrebbero fatto. Accese i motori della sua vecchia amica di metallo e sfrecciò tra le sabbie ancora fresche dalle gelide temperature notturne.

Blacky si ridestò di scatto, era nuda in un letto con Mat che russava di fianco. Ma in quel momento non aveva tempo per esserne felice: qualcosa l’aveva fatta svegliare col cuore che batteva forte di agitazione. Poi si rese conto di cosa fosse il motivo di quella brusca sveglia. Agguantò un accappatoio dal bagno, lo indossò mentre usciva dalla porta e corse fuori, per strada, scalza com’era. Vide una scia di polvere accompagnata da un rombo di tuono. Tutto quel trambusto svegliò anche Mat, che si sorprese di non trovare Blacky al suo fianco. Gli sarebbe piaciuto passarle le mani sulla schiena per svegliarla, ma a quanto pare quelle dolcezze dovevano attendere.

“ogni mezzo, su questo pianeta, ha la sua voce” disse Mat tra se e se “e questa la conosco”.

Quando sentì urlare la sua Blacky, “Cobra!” si precipitò in strada ad una velocità che avrebbe preteso il rispetto dalla luce stessa. La ragazza color mogano stava seduta a terra, con l’accappatoio semi aperto, che piangeva. Svelto, la raggiunse, si sedette accanto a lei e la cinse tra le braccia. Senza fare troppe storie, la bella gli poggiò il capo al petto, calmandosi al ritmo del cuore del ragazzo.

“non di nuovo” bisbigliò Blacky, tra sommessi singhiozzii e l’indecisione tra il resistere stoicamente o il lasciarsi andare e piangere sulla spalla di Mat. Il ragazzo non volle chiederle cosa volesse dire, ma poteva intuire qualcosa. Chi nasce su Marte conosce la storia di ogni suo abitante, tutti hanno una storia simile da raccontare.

Altre persone iniziavano ad interessarsi, e si riversavano per strada, alcuni armati, altri ancora nel mondo dei sogni. C’è chi già iniziava a sussurrare commenti.

“sta piangendo. L’eroina sta piangendo!”

Al sentire quelle parole, Mat estrasse la pistola, rapido come una saetta, e fece saltare in aria il cappello di chi aveva osato esternare un qualunque commento. Vi fu solo un commento che non meritò un proiettile:

“spesso le lacrime sono piante dai più forti tra noi. Chi non ha lacrime da piangere o è un ipocrita, o un malvagio”

Era Caccia Demoni, spuntato da chissà dove, ma ormai nessuno si prendeva più la briga di fargli domande.

“che cosa ci fai qui, Caccia Demoni?” domandò Mat.

“le sabbie” rispose il marziano “loro mi hanno detto di correre dai miei amici”

A quel punto, Blacky si alzò e corse da Caccia Demoni, inferocita “dimmi dov’è! Dimmi dov’è andato! Tu lo sai!” ruggì, spintonandolo. Non che spingere Caccia Demoni lo facesse anche solo ondeggiare, ma almeno dava modo alla ragazza di sfogarsi”

“non so dove sia, Blacky” rispose, con voce calda, pacata ed amichevole “ma se io fossi in lui andrei dove tutto ha avuto inizio”

Il volto della fanciulla si fece da triste a pensieroso.

“la sua vecchia casa?” propose Mat, ma Caccia Demoni scosse la testa.

“quel luogo è come sacro, per lui. Non porterebbe mai un demone in quella terra”

Mentre i due uomini parlavano, Blacky, rendendosi conto che era sotto gli occhi di tutti, tentò di rifugiarsi nell’edificio dove aveva trascorso la notte. Vide che Robin la stava rispettosamente aspettando, ed era davanti a lei, ora. La ragazza in lacrime fece per abbracciarla, ma poi si tirò indietro. Al che, la donna rossa le alzò lo sguardo tenendole una mano sotto il mento, e disse:

“ci siamo passati un po’ tutti, mia cara. E ti assicuro che nessuno di noi ha trattenuto le lacrime”

Con queste parole, la triste Blacky si lasciò andare ad un pianto sommesso, quasi assonnato.

“è andato là per morire” disse.

“no, se arriviamo noi prima del Duca Bianco”.

In quell’istante, Mat sopraggiunse, esordendo “so dov’è diretto”

ANGOLO DEI REGISTI
Capitolo breve ma intenso, dico bene? La nostra Blacky mostra in pubblico la sua fragilità, mascherata dietro ad un cannone laser falcia astronavi! E i nostri eroi sembrano intenzionati a correre verso la resa dei conti. Sarà la fine della prima stagione? Il numero dei capitoli non ve lo diciamo ma neanche!    ;-P

 

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