Dea tra gli Angeli

di cartacciabianca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo, spicchi di memorie ***
Capitolo 2: *** L'Inizio di un nuovo inizio ***
Capitolo 3: *** Partenza ***
Capitolo 4: *** Colei che combatte contro la morte di altri ***
Capitolo 5: *** Scale di pietra e buffi stendardi ***
Capitolo 6: *** Tharidl Lhad ***
Capitolo 7: *** Il mio nuovo Desmond ***
Capitolo 8: *** Tre righe per dire la verità ***
Capitolo 9: *** Limpido come l'Acqua ***
Capitolo 10: *** Con le spalle al muro ***
Capitolo 11: *** Mille voci, un'Anima ***
Capitolo 12: *** Il condotto di areazione ***
Capitolo 13: *** Forza e astuzia, brutalità e agilità ***
Capitolo 14: *** Il Funerale ***
Capitolo 15: *** Un nome, per cominciare ***
Capitolo 16: *** I Falchi della Paura ***
Capitolo 17: *** La tempesta ***
Capitolo 18: *** L'attacco ***
Capitolo 19: *** Gli angeli degli incubi ***
Capitolo 20: *** Veleno sulla lama da lanciare, con cui colpire ***
Capitolo 21: *** The, vino e la Mela della Discordia ***
Capitolo 22: *** Il viaggio ***
Capitolo 23: *** Premessa, la Dimora ***
Capitolo 24: *** Pulizia, atto primo ***
Capitolo 25: *** Pulizia, atto secondo ***
Capitolo 26: *** Acri ***
Capitolo 27: *** Indagini ***
Capitolo 28: *** Il potere incontrollabile ***
Capitolo 29: *** Un vago suono ***
Capitolo 30: *** La follia ***
Capitolo 31: *** Soddisfazione ***
Capitolo 32: *** Le sue Cronache, tra le sue braccia ***
Capitolo 33: *** Ritratti ***
Capitolo 34: *** La certezza di un nuovo capitolo ***
Capitolo 35: *** Paura del sangue ***
Capitolo 36: *** La Dea dell'ulivo ***
Capitolo 37: *** Nello specchio ***
Capitolo 38: *** Coraggio ***
Capitolo 39: *** Fayium, dalla Siria all'Egitto ***
Capitolo 40: *** Un Falco negli occhi ***
Capitolo 41: *** Gridare la verità ***
Capitolo 42: *** Deserti freddi e caldi ***
Capitolo 43: *** E-mails ***
Capitolo 44: *** Ragazzina ***
Capitolo 45: *** Impertinenza e schiaffi ***
Capitolo 46: *** Angeli senza ali, umani ***
Capitolo 47: *** Un odio infondato ***
Capitolo 48: *** Una strana rabbia, un dolce ricordo ***
Capitolo 49: *** Amici tremendamente confusi ***
Capitolo 50: *** Vani incontri, belli duelli ***
Capitolo 51: *** Nessuna pietà ***
Capitolo 52: *** La lotta alla piuma ***
Capitolo 53: *** Gloria e fiducia ***
Capitolo 54: *** La fuga dell'innocenza ***
Capitolo 55: *** Nella luce, nel tempo e nelle ceneri di Acri ***
Capitolo 56: *** La Fine ***



Capitolo 1
*** Prologo, spicchi di memorie ***


::Prologo::        Spicchi di Memorie        ::Prologo::





Lei si rannicchiò vicino ad un barile. –Lasciami andare!- invocò disperata, ed inghiottì le prime lacrime.
-Hai ucciso tu quest’uomo?!- ruggì la guardia facendo un balzo verso di lei, che per lo spavento ebbe un tremito. –Sei un’assassina, è così?!-
-No, non lo sono…! Ora ti prego, farò tutto quello che vuoi, ma non uccidermi… ti prego. Io non volevo colpirlo, io non volevo, io devo andarmene…- disse con voce rauca per il pianto.
L’uomo abbassò allora la guardia, e le si avvicinò ancora, si chinò e le venne ancora, ancora vicino. –Forse- le sussurrò all’orecchio. –Forse possiamo raggiungere un accordo-.





-Prendetela!- sentì alle sue spalle, e subito partì al galoppo.





-Forza, dammi una mano- disse in fine il secondo uomo.
-Credi che…-
-Se stringeva quella nella mano sì, credo di sì. Ora aiutami!-.





Sembrava una A appena stilizzata, oppure un compasso aperto!





-Ehi, smettetela!- intervenne un altro. Era seduto tra i cuscini con la schiena alla parete, coperto da una coperta pesante. Giocherellava con un coltellino che si faceva scorrere tra le dita. –La nostra ultima missione non è andata come credevamo, ma non è stata colpa di nessuno, chiaro?-.
- Taci tu!- lo indicò il ragazzo. – Che hai preferito svignartela!-.





Elena rimase sbigottita, ma il Maestro si voltò e andò ad affacciarsi alla vetrata dietro il tavolo. – Puoi andare, abbiamo finito- disse sospirando.





-Riconosco la sua scrittura…- disse in un sussurro Elena. –Ma non capisco… parla per enigmi, segreti, indovinelli che non riesco a sciogliere!-.
-Non assillarti- le disse Adha.





Marhim indicò Elena con un cenno del capo.
-Non è quella ragazza che abbiamo?…- chiese Halef mentre il ragazzo non scollava gli occhi da lei.
-Sì, lo è. Guarda, sembra essersi totalmente ripresa…- Marhim mosse qualche passo avanti.
-Frena, fratellone- Halef lo prese per il cappuccio. - devi aspettare-.
-Cosa?- sbottò irritato Marhim.
La calca andò a sciogliersi lentamente, e Marhim vide che Elena veniva verso di loro.





Indossava una comune tunica bianca legata in vita da una stoffa rossa. Poi parte della stoffa di avanzo le cadeva sulle ginocchia, e attaccato alla veste c’era un cappuccio che non aveva mai indossato.
Si disse che quello sarebbe stato il momento migliore per cominciare a coprirsi il volto: riconobbe Rhami venire verso di lei.





-Sono Elika- la precedette la ragazza, e dopo che il cestello fu pieno di acqua fresca, le venne vicino. –Ben venuta a Masyaf- le sorrise.
Elena si alzò. –Scusa, ma siete tutti così ospitali da queste parti?- le scappò di bocca.
Ad Elika scappò un risolino. – Non devi avere paura di noi-.
-Chi siete “voi”?-






-Sii forte, non combattere le battaglie che non puoi vincere, se puoi nasconderti fallo, perché non ci sarà nessuno a proteggerti. Quello che posso assicurarti, però, è che all’interno di questo palazzo dimora da anni il tuo fratello maggiore. Questo è uno dei tanti motivi per cui tuo padre ti mandò da me-.





Le persone non sono giocattoli- sbottò Rhami. –o anche io potrei giocare con le vostre vite come voi avete fatto con lei!-.  


L’autrice: “Se, se… parla lui…”







Prima di seguire Adha verso la rocca, Halef fece l’occhiolino al fratello. Marhim, di tutta risposta, gli mollò una pacca sulla spalla ridendo.
Elena sorrise. –Che cosa ha fatto?- chiese.
-Ah, quello che fanno di solito i fratelli minori! Gli scemi- lui la guardò ridendo.







-E tu- proferì Altair arrogante. –e tu saresti scappata da Acri con battaglioni di soldati alle spalle? Secondo me hanno gonfiato un po’ troppo la storia!- sbuffò.







Le scappò di bocca: -codardo-.







Un angelo era caduto, ed era sorta una Dea.







Marhim alzò le spalle e le venne più vicino. –Elena, tu vuoi diventare un’assassina o no?- le chiese serio.
- Sto rivalutando l’offerta…- tirò su col naso.


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Capitolo 2
*** L'Inizio di un nuovo inizio ***


L’inizio di un nuovo inizio










La porta della stanza era grigia, come sempre.
Le federe del letto erano sempre quelle: grigie.
I pannelli del soffitto mi soffocavano, ed io cosa potevo fare per impedirlo?
Così mi alzai dal letto e mi accorsi, che come sempre, indossavo i vestiti di sempre, che guarda caso erano sempre uguali anche nell'armadio di sempre. Cominciavo ad odiare quel posto, come Desmond, ma lui si era già fatto un'idea bella e chiara a proposito di quelli del'Abstergo che ci avrebbero ucciso se non avessimo collaborato, come avevano fatto con i poveracci prima di noi.
Così mi accorsi che durante i pochi istanti in cui la mia testa si era sollevata dal cuscino, la grigia porta di sempre si era aperta. Uscii dalla stanza guardando dritto davanti a me, come ero abituata.
Lucy picchiettava con violenza sul suo portatile, mentre il Prof sorseggiava il suo caffé fumante con le spalle verso l'Animus.
-Dov'è Desmond?- chiesi, ma subito dopo riproposi la domanda schiarendomi la voce.
Riuscii ad attirare l'attenzione di Lucy, che dopo avermi fissata qualche istante, tornò al suo lavoro dicendo: -ci raggiungerà quando avremo finito con te-.
Spaesata, guardai verso Vidic che beveva, ma nessuna perla di saggezza quella mattina.
Tirai un grosso sospiro di sollievo e mi avviai al secondo Animus: sì, proprio così. Non da molto di macchine del tempo ce n'erano due.
Lucy le aggiornava spesso entrambe all'ultimo software così che io e Desmond potessimo catapultarci nel passato nello stesso momento, e la cosa fruttava innumerevoli guadagni di tempo sia all'Abstergo che alla collera del Prof, quindi alle nostre povere anime tormentate.
-C'è qualcosa che il soggetto 17 non può sapere, a riguardo?- domandai.
Nessuna risposta, e  improvvisamente mi sentii salire la pressione. Stava succedendo qualcosa e nessuno voleva forse dirmi cosa?
Il vecchio disse -Si sieda- con un tono di voce che non gli apparteneva, così... calmo.
Giusto per precisare, non ero mai entrata nell'Animus senza Desmond. Ovviamente, la cosa non mi dispiaceva affatto, ma c'erano certe paure che, fin dal primo istante in cui avevo toccato l'Animus, non se n'erano mai andate.
Mi avvicinai all'Animus, mi sedetti, mi sdraiai. Avvenne tutto come al solito.
Un prurito alla schiena mentre la macchina analizzava il midollo della mai spina dorsale, una nausea immensa quando davanti ai miei occhi verdi si parò lo schermo della televisione con la quale passo più di 12 ore al giorno. In fine, la sensazione di cadere nel vuoto che avevo quando la mia coscienza raggiungeva quella della mia antenata.

Ad Acri non brillava neppure quel giorno il sole. Ad Acri non brillava mai il sole, ad Acri le nuvole erano per sempre. Era debitrice ad Acri.
Le nuvole nascondevano il suo viso, e la pioggia lasciava cadere dietro di lei le guardie che la inseguivano. Il sole l'avrebbe mostrata, e lei non sarebbe più stata l'Angelo della Morte che voleva diventare. Sarebbe stato difficile, troppo difficile.
Così, quando provò ad arrampicarsi su un muro, Acri le si rivoltò contro, e lei scivolò dove l'acqua aveva reso tutto inafferrabile, imprendibile.
Presto fu circondata da battaglioni di guardie, che le gridavano contro che non poteva andare oltre, mentre il colpo alla schiena la faceva star male, e si reggeva a malapena in piedi. Era persa, ma trovò d'improvviso la forza per tirarsi su, e guardarsi attorno, in cerca di una via di fuga. Che ovviamente, non c'era.
Sfoderò la lama con quanta forza le rimaneva, e contrattaccò con la leggerezza di un uccello che vira di grazia a destra.
Era una spada rozza, la prima che si riesce a pescare, la spada che si affida ai novellini. Ma lei sapeva trasformare una tela vuota, una rozza tela bianca, nel paradiso che la notte sognava.
Roteò e scivolò per evitare un fendente mal piazzato, così ne approfitto. La povera guardia Ospitaliere andò all'Inferno senza un braccio.
Le era difficile concentrarsi, perché qualcosa di maledettamente doloroso le pulsava in testa.
Levò un grido premendosi le tempie, e la spada cadde al suolo, ai piedi di uno degli uomini che stavano per colpirla. L'uomo si fermò, e tutta la gente che attorno stava fuggendo, per un attimo si voltò a guardarla, come ancora gridava.
Era un dolore che non aveva mai provato, un dolore dentro che le bloccava lo scorrere del sangue e il respiro!
Doveva andarsene, approfittare del fatto che fossero tutti distratti dalle sue urla euforiche. Si lanciò attraverso una bancarella, inciampò e travolse tanta, tanta gente. Ma non cadde, e continuò a correre verso l'unico luogo sicuro che conosceva.
Stava per voltare in un vicolo buio, tra l'oscurità che l'aveva sempre protetta, quando tutto cambiò, di nuovo.
Era tutto finito.
Il dolore, la pioggia, e le grida si dissolsero in un incredibile sensazione di sollievo.
Sopra la sua testa volteggiò un falco che andò ad accovacciarsi sull'alto di una torre poco distante.
Le guardie l'avevano raggiunta.
Lei era senza un'arma per difendersi, ma sorrise sotto il bianco e candido cappuccio, mostrando denti perfetti. Era un sorriso divertito, e le sue mani si allungarono verso la cintura di cuoio. Dove, cosa che la divertiva tanto, c'erano cinque coltelli da lancio per cinque guardie.

-...Ma che cosa?!...-
-Signorina Stilman trovi un modo per tenere la sincronia!-
-Non posso fare di più, i comandi dell'Animus non rispondono.- Così Lucy si voltò verso la porta della stanza di Desmond, che era in piedi sull'uscio.
-Cos'è tutto questo casino, Doc? Per una volta che mi lasciate dormire...- il ragazzo fece qualche passo avanti.
Il prof sembrava preoccupato, perché aveva una faccia inguardabile, colma di stupore per quello che stava succedendo. -Le sembra ora di fare lo spiritoso, signor Miles? Su, se ne torni nella sua stanza e faccia il bravo!- il vecchio era vicino a Lucy, che controllava nervosamente file e cartelle.
Desmond alzò un sopracciglio. -Perché avete cominciato senza di me?- domandò guardando il corpo di Andrea sdraiato sull'Animus, che pareva tanto in via di surriscaldamento.
Il dottore sbuffò. -Si può sapere chi gli ha aperto la porta della camera?- indicò furioso il ragazzo, e si rivolse a Lucy.
-Forse sto riprendendo il segnale, ma è debole- Lucy deviò l'argomento.
-Ah, basta, ne ho fin sopra i capelli!- gridò il vecchio prof tornando alla sua scrivania. -Ricominceremo da capo quando avrà trovato una soluzione anche a questo dilemma, signorina Stilman-. Si sedette sulla sua poltrona e bevve un sorso di caffé.
-Forse- intervenne Desmond -posso essere d'aiuto-.
Lucy lo guardò un attimo. -Non credo che tu possa fare molto, qui ce la caviamo. Torna in camera-.
-Hmm. Non posso far a meno di pensare che tutto questo è proprio stano!...- commentò Desmond massaggiandosi il collo.
Lei alzò gli occhi dal computer un'ultima volta. -Ti spiegherò più tardi- gli sussurra a bassa voce. -Ora va'- aggiunse.

C'è una piccola parte di me che non sa spiegarsi cosa sia realmente successo. Per ora, so di certo, che qualcuno mi ha tirata fuori dall'Animus, perché il formicolio alla schiena è cessato. Sono anche sicura di aver sentito delle voci che parlavano di qualcosa che non sono riuscita a comprendere. Onestamente, non m'importa tanto. Ma dovrei preoccuparmi del fatto che non vedo nulla? Forse no, o forse sì.
Ah, quasi dimenticavo di lasciare spazio ad un ultimo pensiero, prima di aprire gli occhi e rendermi davvero conto di cosa mi ronza attorno.
Si tratta di quello che è successo all'Animus. Be', sappiate solo, cari ascoltatori, che la vita che stavo incarnando non era quella della mia antenata.
La mia antenata era una donna che vendeva tappeti pregati nel centro di Damasco, nel quartiere nobiliare, non una ragazzina fuorilegge. Quella non era la mia antenata.
Ecco, di questo sono totalmente certa. Sicurissima. Al 100%. Non era lei. Non poteva essere lei. Non lo era. No, no.
-Ahi!-

-Ecco, le hai fatto male, guarda!- rise Desmond.
Lucy sbuffò. -Desmond, perché non ti levi dai piedi? Sto lavorando-.
Ero ancora stesa sull'Animus, e aprii gli occhi non appena l'ago toccò il mio braccio.
-Ehi! Ma cosa stai facendo?!- mi spinsi il più possibile lontana da Lucy che teneva in mano la più grossa siringa che avessi mai visto. -Cosa avevi intenzione di fare con quella?!- domandai terrorizzata indicando l'oggetto che tanto mi spaventava.
-Non è più un problema- rispose Lucy. - Sono già riuscita nei miei intenti- sorridente si allontanò.
-Che cosa ti è successo?-
Mi girai verso Desmond. -Che intendi?-
-Be' Lucy mi ha detto che hai respinto l'Animus, più o meno come ho fatto io la prima volta. Ma che ti è preso?-
Non sapevo che rispondere, ma forse condividere con Desmond sarebbe potuto essere utile. Magari a lui era già successo. -Ecco, se hai qualche dritta a riguardo, o sai qualcosa- mi guardai attorno, e fui contenta che il vecchio Doc non fosse in sala. -Quando ero lì dentro, non ero nella mia antenata-.
Desmond annuì beffardamente -stai scherzando, vero?-.
-No, e la cosa mi spaventava a tal punto che non ci volevo più restare là- gli confidai.
Il ragazzo mi diede le spalle. -Magari Lucy può darci una mano…-
-Desmond- prima che potesse aggiungere altro Lucy lo chiamò.  -Ora devi andare. Il professore mi ha lasciato scritto che devo spiegare in privato ad Andrea cosa le è successo-.
-Bene!- balzai giù dall'Animus. -Non vedevo l'ora!-.
-Sei sicura- disse Desmond rivolgendosi a Lucy -che ci sia scritto "in privato"?-
-Desmond...- lo riprese la donna, che aspettava a braccia incrociate davanti al suo portatile.
-Vattene- aggiunsi io guardandolo.
Lui, afflitto, spostò gli occhi da me a Lucy e da Lucy a me. -Certo, certo. Roba da femmine, ho capito. Vorrà dire che il pro-pro-pro-pro nipote di Altair si farà un altro sonnellino- s'incamminò verso la sua stanza e la porta si chiuse.
-Ok- mi voltai verso Lucy. -Spero che il guasto tecnico si possa risolvere al più presto, per quanto riguarda...-
Lucy scosse la testa -non era un difetto tecnico. Era voluto che tu passassi in quel corpo; la tua precedente antenata è morta-.
-C-c-c-cosa?!-
A quel punto mi balzarono in mente le immagini di ciò che avevo vissuto nell'Animus poco prima. Mi chiesi per quanto tempo sarei riuscita a stare in piedi.
Lucy, guardandomi in  un modo strano, annuì come se avesse ottenuto conferma di qualcosa. -So che la cosa può confonderti, ma ti prego, non lasciarti prendere la panico, anche perché non ce n'è bisogno. Ma sappi che se c'è qualcosa che vuoi sapere su questa storia, dovrò prima parlarne col capo-.
Mi sentii offesa da quelle parole. -Che fine ha fatto la mia antenata? E perché Desmond non ne può sapere nulla?!- domandai, ma Lucy non rispose e sparì oltre la soglia della sala conferenze.
Ero rimasta sola nel laboratorio, sconcertata e avvilita.
C'era sempre stato qualcosa sotto, e come aveva detto Lucy, era voluto che io passassi in quel corpo. 
Avevo bisogno di sapere di più, di confrontarmi con la fonte più vicina che avevo, di porre delle domande a qualcuno.
Non avrei mai voluto arrivare a tanto!

-Desmond!- bussai un colpo alla porta chiusa della stanza, ma non rispose nessuno, così riprovai. -Desmond, sono io, dai apri!-
Dall'altra parte sentii una voce poco chiara che si avvicinava. -Sono chiuso dentro, ma non preoccuparti, sto bene!- disse il ragazzo con ilarità.
-Buon per te- mi volati e andai verso la mia camera.
Mi accorsi, poco prima di entrare, del professore che faceva il suo ingresso dalla sala conferenze.
-Doc, proprio lei cercavo!- feci qualche passo indietro e gli andai incontro.
-Oh, altrettanto- senza voltarsi andò dritto alla sua scrivania. -Speravo- cominciò lui mentre lo raggiungevo davanti al tavolo -speravo che la signorina Stilman le dicesse di più, o meglio, che se ne assumesse lei l'incarico, ma sarò comunque lieto di occuparmene di persona-.
-Se sono tanto un peso perché tenermi qui dentro? Me ne vado senza problemi- scherzai.
Vidic mi guardò di sottecchi. Ultimamente sopportava poco sia le mie che le battute di Desmond.
-Avanti, sono qui per rispondere alle sue domande al fine di non rallentare il nostro operato più del dovuto- poggiò i gomiti sul tavolo e congiunse le mani a mezz'aria.
-Sono confusa, Doc. Prima di tutto perché sono informazioni riservate? Poi cos'è successo alla mia antenata? anzi, risponda a questa domanda: che cosa cercate da me? Insomma, Desmond vi ha portato al tesoro dell'Eden consegnandovelo su un piatto d'argento! Ora non capisco cosa c'entro io... cosa c’entro io?-
-Lei si pone troppe domande, Andrea, e lasci che le spieghi come andranno le cose: una volta che certe informazioni le saranno rivelate, non possiamo assicurarle la vita quando tutto sarà finito-.
Soffocai una risata, e attirai lo sguardo di Vidic su di me.  -Non rendiamo il discorso più deprimente di com'è, Doc. Questo lo sapevo già, furono le sue prime parole quando entrai qui dentro per la prima volta! Ormai sembra essere diventata la procedura standar avvertire i pazienti del pericolo di morte se ficcano il naso troppo oltre. Sbaglio, o ve ne siete accorti troppo tardi che Demson sapeva già tutto? Be' ora ho il diritto anche io di sapere, ma non sto parlando di quanto riguarda l'Abstergo e la sua "casa farmaceutica". Parlo di me, e del motivo per cui da due mesi tenete la mia trisavola e la sua bancarella di tappeti sotto osservazione!-
-Le cose non sono cambiate, Tomas. I suoi scopi qui dentro restano sempre quelli che Lucy le ha illustrato il giorno del suo arrivo-.
Strinsi i denti. -Non credo che la sua ricerca si basi solo su quello, Vidic!- era la prima volta che lo chiamavo per nome, e la cosa lo fece irrigidire di colpo.
-Non tollererò questa conversazione ancora a lungo, se non comincerà a mostrare rispetto per l'Abstergo e il suo operato, sono stato chiaro?!- mi gridò contro. Ad un tratto il vecchio si alzò e ripeté. -sono stato chiaro?!?!-
Annuii appena. -Possiamo andare al sodo?-
-Certamente-. Si risistemò comodo sulla poltroncina e accese il portatile. -Siamo riusciti a recuperare una piccola parte di quello che stavamo cercando. All'inizio credevamo che la sua antenata precedente potesse condurci all'uomo che sa dove si trova il frutto più vicino a dove precedentemente stavamo lavorando con Desmond. Ebbene, prima che la sua antenata morisse di lebbra, eravamo già consapevoli di aver buttato due mesi di lavoro con lei al vento, poiché l'Animus aveva analizzato e archiviato i ricordi sbagliati-.
-La prego, continui, la seguo-.
L'uomo si massaggiò le tempie. -La nuova antenata che stiamo sperimentando è la sua più lontana cugina, Andrea, ed ella conosce l'uomo che cerchiamo di persona. Sfortunatamente, quando abbiamo provato ad agganciarci al ricordo che c'interessava, ci siamo resi conto, io e la signorina Stilman, che non avevamo nessun CheckPoint precedente cui l'Animus ha bisogno per funzionare. In poche parole, nella sua mente ci sono troppi pochi ricordi a riguardo, e quello più vicino che abbiamo risale a 4 mesi e 32 giorni prima dell'incontro con la fonte-.
Mi passai una mano tra i capelli. -Quindi non è stata colpa mia se...-
-Invece sì- mi interruppe Vidic. - è stata anche colpa sua, che per tutta risposta ai problemi tecnici dell'Animus ha cominciato ulteriormente a ribellarsi, e abbiamo dovuto arrestare il sistema-.
Rimasi a riflettere sul discorso giusto un attimo, per riordinare le idee. -Ok, fin qui ho tutto chiaro. Un'ultima cosa, Doc-.
Il vecchio non si mosse continuando a scrivere al portatile, senza guardarmi disse: -sarebbe?-.
-Chi è la nuova antenata? Posso sapere che tipo di vita conduce, magari questo può aiutare me a ricordare e l'Animus- feci spallucce.
L'uomo emise un gran sospiro. -Ancora non sappiamo molto di lei, e vorremmo entrare a conoscenza di più ricordi possibili e al più presto. Si accomodi sull'Animus signorina Tomas, cominceremo da ora e per oggi sarò io a gestire il suo passato-.
Indicò con un gesto sfuggente della mano la macchina.
-Non si preoccupi Doc- dissi io mentre mi avviavo verso l'Animus. -Siamo in due a volerci capire di più- mi voltai e gli feci l'occhiolino.

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Capitolo 3
*** Partenza ***


Partenza







-Ah, signorina Tomas!-
Mi voltai alla scrivania di Vidic, e vidi che il vecchio veniva verso di me.
-Che succede, Doc?- domandai sdraiata sull’Animus.
-Volevo avvertirla che il ricordo dal quale cominceremo potrebbe essere tutt’altro di quello che si aspetta-.
-Non è un problema, ma di che cosa si tratta? Anzi!- feci io, ma presto me ne sarei pentita. –Non mi dica nulla, voglio riservarmi la sorpresa-.
Mentre Vidic mi fissava serio, sorrisi e poggiai per bene la testa a guardare il soffitto. –Per ora spero solo che questi non siano i 4 mesi e 32 giorni più lunghi della mia vita-.
Proferendo così, ebbi la familiare sensazione del vuoto sotto e sopra i miei piedi, sui palmi delle mani e tra un capello e l’altro.
Poi fu tutto bianco di una luce accecante.

La spada passò attraverso le placche dell’armatura, e a seguire traforò la cotta di maglia. Raggiunse la carne, e lei spinse ancora finché il suo corpo non fu attaccato a quello dell’uomo. Nella sua mano teneva stretta l’impugnatura dell’arma.
Il suono delle costole che si spezzavano e dei tessuti lacerati le rimbombò nelle orecchie mentre il corpo si accasciava al suolo senza vita. Un colpo ben piazzato aveva ucciso un soldato di Corrado nel bel mezzo della notte, ma il cielo sopra le guglie di San Giovanni d’Acri era celato da un’immensa nube grigia.
La ragazza si guardò attorno terrorizzata di quello che aveva fatto. I suoi occhi mostravano due pupille dilatate e restavano spalancati dalla paura. Che cosa aveva fatto, si chiese nel recuperare l’arma dal petto dell’uomo. Poi sparì avvolta dall’ombra di un vicolo.
Cercò di rallentare il suo cuore, di calmare i suoi polmoni che si gonfiavano e sgonfiavano troppo rapidamente. Si nascose nell’oscurità, e scivolò sulla parete fin a toccare la pietra sporca della stradina.
Era con le spalle contro il muro di una vecchia chiesa quando una guardia notturna, che portava una torcia alla mano, si chinò ad osservare il corpo del compagno. –Ehi! Com’è possibile?!- domandò osservandosi in giro guardingo. –Maledetta, vieni fuori! So che ti nascondi, bastarda!- si alzò e sguainò la spada dal fodero.
La ragazza si strinse l’arma al petto e cercò di pensare a qualcosa che potesse distrarla, e con impegno trasportò la sua mente lontana da quel luogo.
Un piede le scivolò in una pozza d’acqua che s’increspò all’istante. –No!- mormorò e già le mancava di nuovo il fiato.
-Trovata!-
La luce della fiaccola illuminò il vicolo e il viso della sentinella fu a pochi passi dal suo quando tentò di scappare verso la fine del vicolo, il più lontano possibile.
-Non vai da nessuna parte!- disse la guardia tirandola per i vestiti, e con una forza disumana la scagliò fuori dalla stradina.
La ragazza ruzzolò accanto all’uomo che aveva ucciso e anche oltre, tenendo sempre la spada con sé.
Quando riacquistò i sensi, l’uomo veniva verso di lei divertito. –Per poco non mi sfuggivi, ragazzina!- sogghignò il cavaliere.
Lei tentò di trascinarsi in piedi, ma il soldato la spinse di nuovo giù. –Ora non fai più tanto la prepotente!- le gridò.
Lei si rannicchiò vicino ad un barile. –Lasciami andare!- invocò disperata, ed inghiottì le prime lacrime.
-Hai ucciso tu quest’uomo?!- ruggì la guardia facendo un balzo verso di lei, che per lo spavento ebbe un tremito. –Sei un’assassina, è così?!-
-No, non lo sono…! Ora ti prego, farò tutto quello che vuoi, ma non uccidermi… ti prego. Io non volevo colpirlo, io non volevo, io devo andarmene…- disse con voce rauca per il pianto.
L’uomo abbassò allora la guardia, e le si avvicinò ancora, si chinò e le venne ancora, ancora vicino. –Forse- le sussurrò all’orecchio. –Forse possiamo raggiungere un accordo-.
A quel punto, il sorriso malizioso che aveva in volto si tramutò lentamente in un grido muto di dolore.
La torcia gli cadde di mano e subito fu spenta dalla pioggia che venne giù violenta e all’improvviso.
-Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace…- disse lei a denti stretti, e guardò come il soldato scivolava di lato in una pozza di sangue.
La ragazza provò ad alzarsi, ma ricadde piangendo e lasciando la spada che aveva tenuto. Con le ginocchia nel sangue dell’innocente che aveva ucciso, si portò le mani al viso e pianse come non aveva mai pianto.
Nella sua mente, le ultime parole di suo padre riecheggiavano come uno stormo di corvi attorno ad un campo di grano.
Tutto era cominciato poche ore prima, quando il vecchio l’aveva chiamata a raggiungerlo in veranda. Lei aveva obbedito, posando il suo libro e andandogli incontro.
Aveva cominciato più o meno così: -Non ho molto tempo per darti le indicazioni di cui avrai bisogno- ed era accorso in cucina a prendere del pane, che poi aveva avvolto in una pezza assieme a del formaggio. Mentre gesticolava, le aveva parlato così: -Tra pochi minuti degli uomini entreranno in casa nostra e razzieranno questo luogo. Ma prima che ciò accada, voglio che tu sia il più lontano possibile-.
Lei all’inizio non aveva afferrato il senso delle sue parole, ma il vecchio non aveva fatto tregua per permetterle delle domande.  –Prendi questa e non separartene mai, tanto meno non leggerla. Non sono parole indirizzate a te, ma ad una donna di nome Adha. Ella vive a nord di qui, dove tra le montagne si cela un villaggio millenario di nome Masyaf. È lì che sei diretta, ed è lì che troverai Adha. Quando arriverai alle mura della città degli uomini non ti lasceranno passare. Tu mostra loro questo- il vecchio allora le era venuto vicino e le aveva scoperto il braccio sinistro.
-Elena- le aveva detto. –Questo te lo feci io quando eri in fasce affinché quando fosse venuto questo giorno, tu non avessi bisogno di soffrire oltremodo. Ma ora voglio che tu metta in pratica tutti gli insegnamenti che ti ho dato, voglio che quando ti troverai circondata dagli uomini di Corrado, tu combatta come ho avuto l’onore di insegnarti. Elena- aveva aggiunto in tono cupo e inquieto. –Masyaf non è una città come le altre. Quando sarà il momento, voglio in fine che tu ti affidi ad Adha, qualsiasi decisione ella prenda per te. In questa lettera ci sono segreti che non puoi sapere per ora, ma che sarà lei a rivelarti a tempo opportuno. A proposito di tempo-. L’aveva abbracciata e mentre lei lo stringeva a sé, lui le aveva legato alla vita il fodero di una vecchia spada, rozza e dalla forma comune. –Non c’è più tempo- aveva detto.
-Padre, non capisco, cosa sta succedendo?!- senza che il vecchio potesse aggiungere altro, la porta di casa si era rovesciata a terra accompagnata da un boato di voci.
-Va’ Elena!- le aveva gridato l’uomo spingendola su per le scale. -Corri di sopra! Scappa!!! Trova Adha e…- non aveva potuto finire, che una freccia gli aveva trapassato il corpo, e Corrado e i suoi uomini avevano fatto irruzione nell’abitazione.
La ragazza si prese un momento per se stessa, e stette una manciata di secondi a fissare il vuoto davanti a sé.
Strazianti allenamenti avevano dato i loro frutti e ora, due dei milioni di uomini di Corrado giacevano a terra per mano sua.
Chi era Adha?
E perché suo padre la conosceva?
Qual’era la strada più veloce per Masyaf?
Perché quelli uomini avevano ucciso suo padre?
Perché lei aveva ucciso loro?
Come sarebbe andata a vanti, come avrebbe resistito alla tentazione di leggere quella lettera e di scappare tutt’altro che verso quest’ignota destinazione qual’era Masyaf.
Elena era abbastanza grande da potersi gestire da sola, aveva compiuto 17 anni il mese di giugno, e fin da piccola era stata molto diversa da tutte le altre ragazze del distretto. Ma perché se ne rendeva conto solo ora che stava a piangere sotto le intemperie nel bel mezzo di Acri?
Non si era mai spiegata perché suo padre le avesse insegnato ad usare un’arma tanto mascolina, e le avesse riempito la testa di come andava la guerra tra Saldino e Riccardo. La pace di Ramla era stata stipulata tra le due fazioni giusto pochissimi giorni prima, ma poteva rientrare in tutte le vicende assurde che le stavano capitando?
-Non è un caso…- si disse alzandosi.
Strinse la spada, e con una mano raggiunse la tasca dei vestiti, dove la pioggia stava rovinando l’involucro della lettera che il vecchio le aveva affidato.
Suo padre l’aveva nascosta ad una vita normale per preparala a qualcosa che sicuramente l’attendeva oltre le mura di questa Masyaf, città della quale, nella sua ignoranza, non aveva mai sentito parlare.
La pioggia ormai era dappertutto: per terra e nei suoi vestiti.
Si allontanò dalla strada e intraprese i vicoli bui tra una palazzina e un’altra per evitare di essere vista con del sangue sui vestiti.
Rinfoderò la spada con cautela e, passo dopo passo, raggiunse le mura della città senza troppi problemi.
Il fastidio più grande fu il freddo, che le lacerò la pelle e la rese vittima di continui spasmi, senza parlare dei denti che battevano.
C’erano arcieri appostati sull’alto dei muri ridotti a macerie del quartiere povero, 4 guardie a controllare l’ingresso di Acri e altre che facevano continue pattuglie tutt’attorno.
Nascosta nella penombra, Elena pregò che andasse tutto bene perché a quel punto avrebbe dovuto aprirsi la strada combattendo. Di nuovo.
Stava quasi per mettere piede fuori dall’ombra, quando un uomo comparve correndo con la spada in mano, una guardia, e andò dritto verso i quattro soldati appostati sotto l’arco di pietra.
Si scambiarono qualche parola, poi due delle sentinelle si allontanarono di corsa insieme alla guardia che aveva corso fin lì.
Questo le facilitava le cose.
Sguainò la lama e, con tremori alle gambe, deglutì e si mostrò ai soldati.
-Ehi! Guarda qua!- il primo si armò all’istante, mentre l’altro sembrava... dormire.
–Stupido, è la figlia dell’assassino di cui ci parlava quello! Svegliati!- il primo gli diede un calcio e lui scattò con la guardia pronta. –Eh, dove? Cosa? Chi?-
La ragazza non si fece distrarre, e approfittò dello smarrimento del secondo. Lo colpì di striscio ad un braccio, e riuscì a scartare di lato quando la prima guardia le fu addosso.
Con la massima precisione, colpì al petto la prima guardia, che subito si accasciò al suolo.
La seconda, in preda alla collera, divenne un duro avversario. All’inizio la ragazza riuscì a tenergli testa grazie alle parate fluide che le aveva insegnato il suo maestro, ma quando i muscoli non allenati cominciarono a formicolare, ed in fine a cedere, l’uomo riuscì ad aprirle una ferita profonda sulla gamba.
-Vediamo come te la cavi ora, mocciosa!- le gridò contro vedendola in difficoltà.
La ragazza si piegò dal dolore. Mai suo padre si era spinto a insegnarle cosa fosse la sofferenza fisica, e tanto meno quali fossero le reazioni in lei ad un simile squarto.
Lasciò che la spada le cadesse di mano, e scivolò all’indietro.
-Guardatela, poverina…- fece lui girandole in tondo. –Cosa vorresti che facessi, eh? Che ti lasciassi andare? Sappiamo dove sei diretta! Erano mesi che le nostre spie pedinavano il tuo vecchio!-
-Cosa?!-  balbettò lei con un filo di voce.
-Vuoi sapere come sono andate le cose? O meglio, come andranno? Quel vecchio bastardo domani mattina sarà appeso per il collo vicino alla grande Cattedrale come avvertimento per tutti quelli come lui!-.
-Non so… non so di cosa parli!-
-Non mentire!- le puntò la spada al petto. –Oltre che essere capace di far strage dei nostri uomini, hai anche la lingua lunga. Quindi finiamo questa storia prima che anche io rimanga coinvolto tra le tue vittorie! Questo non vuol dire che io ti tema, ragazza, e sappi che di fronte alla tua razza nessuno di noi temerà la morte!-
La guardia si stava fregando con le sue stesse mani, stava spaziando il discorso e volgeva spesso gli occhi altrove, distratto dalle parole che cercava nella sua mante poi da gettarle in faccia a mo’ di strafottente.
Così la ragazza lo colpì al cavallo con la punta della scarpa, e fu lui quella volta a contorcersi dal dolore.
- Cos’è che hai detto su mio padre?!- si alzò ignorando il sangue che colava sulla gamba e lo minacciò alla gola con la lama.
-Bastardo! Maledetto eretico come tutti gli altri!- l’uomo si rotolala a terra tenendosi le mani sui punti bassi, e la voce gli era salita di un’ottava al minimo.
Alla ragazza scappò un risolino vedendo la guardia provare a svignarsela strisciando con una sola mano. –La pagherai! La pagherete tutti…- bisbigliò rabbioso.
Lui non le sarebbe stato più d’intralcio, ed era ora di continuare la sua avventura.
Si voltò verso l’arco di pietra e vi si riparò dalla pioggia qualche istante.
Era arrivata la tempesta più nera su Acri, con tanto di tuoni e fulmini. Una volta fuori dalla città, montò sul primo cavallo che le capitò.
-Prendetela!- sentì alle sue spalle, e subito partì al galoppo.
Le tirarono contro una quindicina di frecce prima che riuscisse a sparire oltre la coltre di acqua che cadeva a fiotti dal cielo.

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Capitolo 4
*** Colei che combatte contro la morte di altri ***


Colei che combatte contro la morte di altri








Cadde da cavallo e rimase a faccia a terra.
Il suo destriero andò a brucare poco distante, ma lei non si mosse.
Era sdraiata a pancia in giù tra gli arbusti, e i passanti non potevano fortunatamente vederla in quelle condizioni.
Era giorno sulle torride strade del regno, e nell’alto del cielo c’era uno strano uccello che pareva le girasse attorno da non appena era sorto il sole.
Lei si girò su un fianco e faccia in su.
Vide l’ombra del volatile che le volava in circolo, e pensò che la fine era giunta. Pensò che presto altri avvoltoi l’avrebbero raggiunta, se mai quello fosse un avvoltoio (pareva una figura indistinta che poteva essere anche una mosca troppo vicina al suo naso).
Dopo quello che aveva passato, era il minimo che non morisse dissanguata sul ciglio della strada. Non le importava di cosa sarebbe successo, voleva solo che il dolore cessasse, che il bruciore sparisse e quale miglior modo se non farsi mangiare da degli uccelli spazzini? Se lei moriva, almeno rendeva felice papà e mamma avvoltoio e i loro cinque cuccioli.
Così, pronta alla sua fine, allungò un braccio verso il cielo azzurro sopra di lei. Quello era il momento migliore per cominciare a credere nel Dio dei cristiani, nell’Immenso che l’avrebbe portata con sé fin nel paradiso. Aprì il palmo, pronta ad afferrare la mano dell’Eterno Salvatore, che però non si mostrò.
Al contrario, la mente di lei ebbe l’impressione di perdersi nell’oscurità, di viaggiare senza meta tra il buio e le ombre. Vide i volti di coloro che aveva ucciso nella sua fuga da Acri, e riconobbe che il luogo nel quale Dio l’aveva mandata era l’Inferno.
Vide anche il volto di suo padre, ma come raggiungere un fantasma, si chiese la ragazza? Suo padre era morto, e lei non poteva fare altro che darsi la colpa. La sua anima era morta in quella casa con lui, e il suo corpo sarebbe morto sul ciglio di quella strada, nella folle impresa che portare a termine sarebbe stata una pazzia! In quei suoi ultimi attimi s’infuriò con se stessa e con il suo vecchio, che le mancava davvero, davvero tanto. Versò una lacrima sul suo volto per il solo pensarci.
Ma… Prima di morire avrebbe rotto una promessa, infranto un patto.
Si cacciò la mano nella tasca del vestito, strinse la carta della lettera tra le dita e quando la tirò fuori era diventata una pallina rugosa e accartocciata. La mostrò alla luce del sole e cominciò ad aprirla con l’uso di una sola mano. L’altra premeva sulla ferita da quando era partita da Acri, ed era diventata un tutt’uno con il sangue secco che vi si era formato.
Stava per leggere la prima riga, la prima parola, quando le mancò il fiato per la nausea immensa che la pervadeva.
Improvvisamente sentì una voce che diceva: -guarda fratello!-.
-Vedo bene…- aveva detto un altro.
-… è ancora viva, dobbiamo aiutarla!-.
-In mezzo a tutta questa gente e queste guardie? Non possiamo fare nulla, andiamo-.
A quel punto gli occhi le si chiusero e il braccio le ricadde di lato. La mano si aprì e la pallina di carta rotolò tra gli arbusti.
-Sta morendo, è un nostro dovere…-.
-No!- lo interruppe la seconda voce. –Il nostro dovere ora è raggiungere Malik. Scordatelo… Halef, cosa stai facendo? Monta in sella, stupido!-.
Nel buio assoluto, le parole perdevano il senso e i suoni s’ingoffivano.
-Che cos’è questa?-
-Halef, vieni via!-
Ci fu del silenzio.
-Fammi leggere- fece l’altro.
E ancora silenzio.
-Forza, dammi una mano- disse in fine il secondo uomo.
-Credi che…-
-Se stringeva quella nella mano sì, credo di sì. Ora aiutami!-.


[…]


-Ha perso molto sangue, ma posso fare ancora qualcosa-.
-Perché è qui? Chi è?-.
-Non lo so Altair, ma ora mandami Adel, mi serve il suo aiuto. Il Maestro ti cercava, puoi andartene-.


[…]


-Grazie, avanti, passami quello-.
-Questo, mia signora?-.
-Sì, sì, avanti, cerchiamo di accorciare. Preparati, se è ancora viva la cosa non le piacerà. Voglio che tu la tenga per le spalle quando si sveglierà, hai capito?-.
-Sono pronto-.
-Bene. Cominciamo…-.

…-AH!- la ragazza aprì gli occhi gridando a squarciagola.
Un bruciore immenso alla coscia  l’aveva svegliata di soprassalto, afferrata con violenza dal sonno e gettata tra le fiamme. –Ah! Aaaah!- continuava a gridare mentre il suo corpo era preda di spasmi e scatti.
Si tirò sul col busto, ma una mano la spinse di nuovo giù con violenza.
-Avevi detto di essere pronto!- emise una donna che pareva innervosita.
-Che succede? Dove sono?! Cosa mi state facendo?!?!- sopra i suoi occhi che si aprivano e chiudevano per il dolore, la ragazza scorse un uomo celato da un cappuccio che la teneva inchiodata per le spalle.
-Sta scalciando, mia signora Adha, dovresti darle il sonnifero!- disse lui irritato.
La stanza in cui si trovava era fredda e ventilata, forse dalle finestre aperte o molto esposta all’esterno.
-No, mi serve sveglia per provare che sia viva!- rispose la donna. –Quando avrò finito ne riparleremo!-.
La ragazza scoppiò in lacrime. –Smettetela, vi prego…- cominciò a frignare. –Dovevo morire sul ciglio della strada, dovevo morire, come mio padre… lui avrebbe capito, per favore, non voglio soffrire ancora! Non voglio!…-.
In quegli attimi di silenzio, l’uomo sopra la sua testa scoppiò a ridere. –Sta delirando o cosa?- domandò.
-Basta!- disse spazientita la donna, e con un gesto doloroso strinse il nodo della benda attorno alla gamba della ragazza. –Mi sei stato troppo di aiuto, Adel, non dovevi! Ora fuori di qui!- gridò.
L’uomo lasciò la stanza.
Nel momento in cui sentì la porta chiudersi, la sua mente riaffiorò ad una frase poco prima citata:
“Sta scalciando, mia signora Adha…” quell’uomo aveva chiamato questa donna Adha, ma poteva… poteva essere lei? Quell’Adha?!
La ragazza riacquistò la calma, i suoi muscoli tornarono a rilassarsi.
-Adha…- balbettò stupita a bassa voce.
Non ci fu risposta, ma dopo tutto, non si aspettava che la donna l’avesse sentita.
A quel punto delle coperte le scivolarono sul corpo e la coprirono fino al collo. Poi una mano venne verso di lei e le prese la mascella, mentre Adha le faceva scorrere sulle labbra un liquido dolce e denso, quasi pastoso.
Elena lo assaporò di gusto, era piacevole e rinfrescante.
La donna si chinò su di lei. –So- cominciò a dire. –So che assurde domande vagano nella tua mente, ma ci sarà tempo per le risposte. Ora riposa, e cerca di dimenticare il passato, perché da domani comincerò il tuo futuro. Questo è quello che tuo padre avrebbe voluto per te-.
Adha lasciò la stanza, ma prima di cominciare a volteggiare nell’oscurità del sonno, ad Elena un solo pensiero s’illuminò di una luce accecante.
Era a Masyaf.

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Capitolo 5
*** Scale di pietra e buffi stendardi ***


Scale di pietra e buffi stendardi



Si svegliò che era notte fonda.
Alle orecchie le giungevano i canti melodiosi delle cicale notturne, trasportati dalla brezza fresca che andava a svolazzare per la stanza.
Si guardò attorno alzandosi.
Era una lunga stanza che aveva la forma di un corridoio. Era larga, spaziosa e poco arredata. Non c’erano finestre, ma tende trasparenti color porpora che lasciavano scorgere il cielo stellato. Oltre le tende, si aprivano archi di pietra retti da delle colonne che davano su uno strapiombo mozzafiato, senza alcun tipo di protezione.
La stanza aveva l’aspetto di un’infermeria: c’erano mobili che ospitavano garze, tomi e fiale di ogni forma e colore.
In fine, la ragazza poté ascoltare nel buio i respiri leggeri di un’altra decina di presenze.
C’erano degli uomini che riposavano stesi, come lei, tra dei cuscini enormi. Dormivano profondamente, e la maggior parte di loro riportava ferite di guerra. Per esempio, un ragazzo poco distante da lei aveva il volto fasciato per intero, e solo un foro per il naso e uno per la bocca. Chissà cosa gli era capitato, pensò lei.
Istintivamente si passò una mano sulla coscia, e rimase sorpresa del fatto che sotto il suo tatto sentì una fresca benda pulita. Alzò le coperte e guardò con attenzione.
Non vi erano macchie di sangue o rughe sul bendaggio. Poteva essere che lo squarto fosse guarito del tutto oppure che qualcuno le avesse fatto un nuovo bendaggio da poco. Con non meno sorpresa notò che qualcuno le aveva anche messo le mani addosso per cambiarle i vestiti!
Indossava una veste che le arrivava più in alto delle ginocchia. Era bianca e leggera, legata in vita da una sciarpa rossa.
Si spostò al bordo del letto e alzò la gamba malata col solo uso dei muscoli. Fu entusiasta che nessun dolore l’avrebbe più infastidita d’ora in avanti. Forse lasciarsi curare era stata la mossa giusta, anzi era certo che fosse stata la mossa giusta. Ora poteva cominciare di nuovo a vivere, qualcuno le aveva offerto un posto dove stare, lontana da allenamenti con le armi, lontana dal sangue e dagli omicidi… Lontana dalla guerra e dalle vittime che si era lasciata dietro. Avrebbe dimenticato tutto quello che aveva appreso da suo padre, che voleva forse proteggerla insegnandole ad usare una spada.
Sorrise. Era andata proprio in quel modo, dopotutto. Se suo padre aveva fatto qualcosa per meritarsi di morire per mano di Corrado e dei suoi uomini, prima avrebbe affidato ciò che gli restava più caro a qualcuno che sapeva se ne sarebbe preso cura. Il pacchetto da spedire era stato lei, Elena in carne ed ossa, ed era arrivata a destinazione.
Ma poteva fidarsi di quel luogo?
E si guardò attorno.
Poteva fidarsi di chi lo abitava?
E guardò il ragazzo fasciato che dormiva.
Poteva fidarsi di Adha? Alla quale suo padre l’aveva affidata?
Ripensò alla donna che non aveva visto in volto mentre un incappucciato la teneva per le spalle.
Era capitata in mano a sconosciuti, a gente che mai si sarebbe immaginata che un giorno sarebbe stata la sua famiglia. Per di più, da quanto ricordava, questa Adha doveva essere qualcuno di abbastanza importante lì dentro. Insomma, per farsi chiamare “sì signora” ci vuole un certo rango, pensò mentre poggiava i piedi scalzi a terra.
Qualsiasi posto fosse Masyaf, non avrebbe speso quell’occasione per dormire altre 20 ore consecutive. Piuttosto avrebbe curiosato un po’ in giro.
Fece qualche passo avanti di prova, e andò tutto bene: la gamba e i muscoli la reggevano.
Silenziosamente, si trascinò verso le colonne. Scansò una tenda e ammirò il paesaggio.
Lo strapiombo si gettava per un centinaio di metri dentro un lago dalle acque immobili e così limpide da specchiare le stelle.
Di lato, la ragazza riconobbe la facciata posteriore di una magnifica ed enorme fortezza di pietra. Buffi ed insoliti stendardi ornavano i balconi esterni. Portavano un simbolo che non aveva mai visto prima. Sembrava una A appena stilizzata, oppure un compasso aperto! Si disse che era strano, ma come tutte le più importanti città di un regno, anche Masyaf meritava un esercito con la rispettiva divisa. Gli artisti si erano lasciati prendere la mano, però!
Con il sorriso in volto lasciò che la tenda tornasse a svolazzare al vento e andò furtivamente verso la fine del corridoio.
L’aria fresca le aveva fatto bene, ma era ora di andarsene a curiosare in giro prima che qualcuno si accorgesse che un paziente mancava all’appello.
S’infilò nella fessura tra un battente e l’altro del portone, e si ritrovò in un’ampia sala ornata di una maestosa gradinata. La scala seguiva le pareti della torre quadrata, e il tutto era illuminato da bracieri ardenti che pendevano dall’alto del soffitto.
Quando alzò lo sguardo, la ragazza poté notare che l’infermeria si trovava in uno dei piani più alti. Sotto, affacciandosi al parapetto di pietra, vide che i gradini portavano di tre livelli più i basso.
Cominciò a scendere che non era più nella pelle.
La sua curiosità, si disse a metà strada, l’avrebbe portata dritta davanti ad una sentinella che sicuramente, vedendo una ragazza girare scalza e ferita, non avrebbe potuto fare a meno che domandarsi quanto fosse strano. Forse molti dei soldati la conoscevano, o già si sparlava di lei in quel luogo, ma non le importava.
Piuttosto, prese a rallentare il passo quando gli arazzi alle pareti cominciarono ad attirarla. Erano magnifici, tutti su un’unica tonalità di colori che andava dal rosso al nero e viceversa. Rappresentavano diverse battaglie o scene di vita comune. Ma quello che più la colpì fu un arazzo che rappresentava due uomini incappucciati. Uno stringeva nella mano una coppa, un calice, e l’altro s’inchinava portandosi una mano al cuore.
Buffo, pensò. Aveva sentito parlare di molte leggende riguardo moltissimi artefatti antichi. Il Santo Graal, il Frutto dell’Eden… suo padre gliene parlava in continuazione durante le lezioni di storia.
Chissà che forse…
Un rumore di una porta la fece sobbalzare. Il botto rimbombò per tutta la stanza, ma la spaventò ancora di più il suono di passi che veniva dai piani alti.
Si appiattì il più possibile contro la parete, nascondendosi nella penombra tra l’arazzo e l’angolo delle scale.
Con i suoi occhi attenti scorse una figura incappucciata che scendeva dritta verso di lei. Era armata, stringeva una torcia in fiamme e portava una buffa veste: un lunga tunica bianca con diversi spacchi. Poi una spessa cintura di cuoio e in fine dei cappi che gli attraversavano il petto dal fianco alla spalla e s’incrociavano dove sfavillava un triangolo di metallo.
L’incappucciato continuò oltre la ragazza senza accorgersi della sua presenza, e sparì nel buio portando con sé il chiarore della fiaccola.
A quel punto Elena riprese a respirare e si accertò che l’uomo se ne fosse andato davvero.
Leggera leggera si allungò oltre il parapetto e lo vide imboccare un corridoio.
Pensò che seguirlo l’avrebbe portata da qualche parte d’interessante, così si affrettò a fare gli ultimi gradini in quanto silenzio le era possibile.
Al piano terra c’era un tappeto che copriva tutto il pavimento, e nei diversi quattro muri della torre si aprivano quattro differenti corridoi.
Non era confusa, anzi, lontano nella direzione davanti a lei poteva ancora vedere la luce della fiaccola illuminare la figura composta dell’incappucciato.
Camminando appiattita contro la parete, seguì i suoi passi.
L’uomo svoltò a destra, poi a sinistra e salì in fine delle scale più piccole che lo portarono in un cortile.
Lei ne rimase meravigliata.
Era un bellissimo giardino ornato di fontane e piante colorate che diffondevano un odore dolcissimo, quasi persuadente, accattivante. Era architettato su dei terrazzamenti esposti ai raggi della luna piena e allo splendore delle stelle. Sul cortile davano diverse facciate della fortezza, ma un balcone-giardino era esposto sullo strapiombo sul lago e abbellito da archi in pietra e colonne.
I porticati erano adornati da tappeti e tavoli lussuosi. Poi vasi, cassapanche e infiniti cuscini che ci si sarebbe potuto nuotare, e per di più, dei colori più richiesti e costosi.
Elena si chiese se per caso non fosse ospite di chissà quale nobile famiglia reale. O magari dei reggenti di Masyaf. Forse Adha era la regina di quel posto… nella sua mente si articolarono ipotesi che le fecero girare la testa.
Per la lunga camminata e per lo sforzo di restare sempre vigile, i muscoli della coscia ferita avevano cominciato a cedere, e la ragazza fu costretta a sedersi su una panca di pietra.
La ferita si era riaperta, si disse, perché le bende stavano assumendo un preoccupante colorito rosato.
 -E ora che faccio?! Che faccio?!?! Stupida, stupida, stupida!- cominciò a picchiarsi la testa.
Scendere dall’infermeria era stata una stupida imprudenza, e ora le sarebbe stato impossibile risalire! Il dolore alla gamba non cessava, il sangue aveva ripreso a fluire in grosse quantità che la cucitura nascosta sotto le bende non riusciva più a reggere!
Il primo terrore che le passò sulla coscienza fu quello di essere notata da qualcuno che si sarebbe ricordata per sempre di lei come la stupida handicappata ficcanaso! Apparire non le era mai piaciuto, il centro dell’attenzione era la sua grande debolezza. Come detestava che in cinque si prendessero cura di lei, un tempo aveva odiato alcune sue amiche per averla lasciata sola con un ragazzo che le faceva la corte. Davanti a suo padre e a quello del giovane.
-Una vita tranquilla!…- si diceva sempre. Ma quale tranquillità! Fin da quando suo madre l’aveva messa al mondo, la sua vita era stata tormentata, e un Dio in fame aveva messo radici sulla sua anima condannandola alle umiliazioni peggiori.
Tutto quello che faceva e che aveva fatto era o si sarebbe rivelato sbagliato! Nessuna delle sue decisioni era mai corretta, nessuno che le dicesse mai: - Hai fatto la cosa giusta-. Mai!
Ripensare a certi avvenimenti le fece luccicare gli occhi, mentre le labbra le si increspavano e il mento le ballava come gelatina.
Non riuscì a trattenere una lacrima, e si disse che stava piangendo perché ormai non si sarebbe potuta rendere più ridicola di così. Tanto valeva sfogarsi una volta per tutte.
Aveva toccato il fondo, il suo animo depresso l’avrebbe condotta alla morte prematura. Se non fisica, allora mentale.
Alzò gli occhi rossi al cielo e si concentrò sulle stelle che ornavano il firmamento pur di distrarsi.
La verità era che non conosceva neppure una costellazione. Per lei erano puntini luminosi senza un ordini logico o sintattico. Qualcuno li aveva messi lì solo per non rendere il cielo notturno più macabro di quanto era davvero.
Ovunque girasse lo sguardo riusciva ad odiare quello che vedeva, quello che la circondava era tutto sbagliato. Lei non doveva essere lì, si disse, ma a sfamare papà a mamma avvoltoio sul ciglio della strada torrida del regno! Chiunque l’avesse salvata condannandola a continuare ad odiare se stessa l’avrebbe pagata cara!
-Ehi, tu!-
Si voltò e vide che due uomini la guardavano attraverso delle sbarre che chiudevano l’ingresso ad una stanza. –Sì, tu!- fece l’altro.
La ragazza scattò in piedi.
-Non è quella che hanno trovato Marhim e Halef?- domandò una guardia al compagno.
-Che importa!- rispose l’altra. –No può stare lì!- disse indicando la ragazza.
Lei indietreggiò sconcertata. –Io…- balbettò.
-Da dove è saltata fuori?-
-Sicuramente è passata da dietro, viene dall’infermeria. Ragazzina- la chiamò uno dei due.
Sicuramente non poetavano raggiungerla se non avevano le chiavi. –Ciao…- mormorò facendosi avanti.
-Sì, da brava, vieni qui-.
L’altro gli diede un botta sulla spalla. –Ma si può sapere che cosa ha in mente?-.
-Lasciami fare, non vedi che è ferita? Forse non ce la fa a tornare su da sola-.
-Invece- disse lei. –invece credo di farcela, grazie- fece confusione con le parole, ma il senso della frase venne fuori.
-Sicura?- le domandarono assieme i due.
Lei annuì. –Scusate se vi ho disturbato, e…-.
-Ehi, ragazza! Sbrigati!- mormorò uno. –Quella benda non reggerà a lungo. Ti manderemo qualcuno appena potremo, ora tornatene di sopra!-.
Ascoltò il consiglio e cercò di ricordare la strada.
-Quarto piano!- gli disse la guardia prima che sparisse nel corridoio.

I piedi si erano intorpiditi dal freddo, la benda andava a sciogliersi e il dolore… be’ il dolore era il dolore.
Al terzo piano già non ce la faceva più, e doveva ancora arrivare silenziosamente fino alla fine dell’infermeria.
Col fiatone e coi muscoli che chiedevano sangue, sangue e ancora sangue quando in circolo ce n’era fin troppo poco, raggiunse l’ingresso della sala ospedaliera.
Il portone era socchiuso come l’aveva lasciato e s’infilò tra i battenti.
Camminò lentamente nei suoi ultimi sforzi, quando davanti al suo letto vuoto vide una figura dritta e vestita di un lungo vestito rosso.
I ricami dorati della veste brillavano alla luce delle stelle. Aveva lunghi capelli corvini legati in una treccia e le dava le spalle.
Elena si nascose dietro un mobile abbastanza spesso.
La donna si girò e cominciò a camminare verso di lei con un cesto in grembo.
Quando Elena credé che non si fosse accorta di lei, la donna si voltò e la vide nascosta nella penombra. –Che cosa credevi di fare?!- le gridò a bassa voce.
-Io…- Elena si strinse al muro.
-Guarda che razza di…- la donna imprecò nel vedere lo stato del bendaggio. –Spero che un giorno ripagherai quello che questo luogo ha fatto per te e tutta la pazienza di chi ci vive! Avanti, stenditi subito!-.
Elena camminò svelta verso il letto e si sedette sul materasso.
La donna lasciò il cesto vicino ad un altro paziente e vi trasse il nuovo rotolo di garza. –Ho detto di stenderti!- ruggì tenendo bassa la voce.
Elena si stese a pancia in su sul momento.
La donna le alzò la gonna e per la prima volta Elena, anche se sapeva che l’aveva fatto parecchie volte, provò imbarazzo.
-Sei… sei Adha, non è così?- trovò il coraggio di chiedere.
Con uno strappo sonoro Adha tirò via le bende vecchie, ed Elena non riuscì a trattenere un mugolio.
-Era un sì?- chiese a denti stretti.
-Tuo padre ti ha insegnato male cos’è il dolore- fu la risposta della donna.
-Non me l’ha insegnato affatto- Elena guardò altrove.
L’infermiera tacque qualche istante e rallentò i suoi movimenti, come stesse pensando a qualcosa che le teneva la mente occupata. Poi, d’un tratto, riprese ad essere dura e scontrosa.
-Sì, il mio nome è Adha. Ma quando ti ho detto che ci sarebbe stato tempo per le domande, non intendevo ora!- strinse con violenza la nuova fasciatura.
-Puoi fare un po’ più piano?- disse stridendo.
-Perdonami! Sono abituata con loro- Adha indicò con la testa gli altri pazienti. –Sai perché sono così tranquilli?- le chiese.
Elena non seppe che rispondere, alzò appena le spalle.
-Li ho imbottiti di anestetico, una mia invenzione. A quanto pare, pensando che a te ne sarebbe bastata una dose minore mi sbagliavo. Un veleno abbastanza forte che uso soprattutto con chi deve amputarsi un arto-.
-Dove sono?- Elena tentò di cambiare argomento.
Adha cercò tra gli scaffali della parete e ne trasse una boccetta.
-Ti ho detto che non è il momento. Finché non sarai guarita del tutto, non lascerai questa stanza, sono stata chiara? Sicuro che non andrai lontana, poche gocce ti terranno inchiodata qui per ancora qualche giorno. Poi sarò io a decidere se sarai in grado di conoscere il Maestro-.
-Chi?-.
Adha non le diede altro tempo: le afferrò la mascella, le aprì la bocca, ed Elena non si ribellò.
Le buttò in gola il sonnifero, e tutto divenne buio.

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Capitolo 6
*** Tharidl Lhad ***


Tharidl Lhad










Il sole splendeva, il cinguettare degli uccelli suonava melodioso e il vento rinfrescava la stanza.
Da quando aveva sentito il potere del sonnifero farsi debole, Elena era rimasta sveglia dall’alba. Seduta sul letto con le gambe incrociate si guardava attorno e ammirava come quel posto potesse cambiare dal giorno alla notte.
Le tende erano state legate con dei cordoni bianchi alle colonne in pietra, e sul pavimento erano stati portati coloratissimi tappeti. Ad ornare le pareti vi erano altri arazzi e rappresentazioni.
Non tutti degli uomini che la circondavano erano ancora sotto l’anestetico. Molti di loro si erano svegliati di soprassalto e le avevano volto solo un’occhiata di sfuggita, prima di mettersi a controllare lo stato delle proprie ferite.
Il ragazzo accanto al suo letto non aveva più quell’orribile bendaggio, ma sembrava stesse ancora dormendo, e russava per di più.
Elena incontrò lo sguardo di uno dei presenti che la fissava mentre si stringeva lo stivale. L’uomo si allacciò una cintura di cuoio e continuò a non staccarle gli occhi di dosso, come tenendola sotto osservazione per analizzare una sua reazione.
Elena ricambiò guardando come lui si finiva di armare con una spada e alcuni coltelli che nascose nella cintura. La guardava torvo, con amarezza e cattiveria.
Ad Elena parve di non conoscerlo, ma forse si erano già visti da qualche parte mentre lei era incosciente.
L’uomo finì di allacciarsi per bene entrambi gli stivali e si sgranchì la schiena con pochi fluidi ed impressionanti movimenti delle scapole. Per finire, si calò il cappuccio sul volto e lasciò la stanza.
Elena rimase impietrita.
Perché lì dentro sembrava che celare il proprio viso fosse una componente della divisa di Masyaf?
- No!- sentì una voce e si voltò verso il ragazzo che ora era sveglio e si stiracchiava sbadigliando.
- Hai qualcosa che non va?- chiese un altro in piedi vicino alle tende, appoggiato ad una colonna. Aveva una gamba intermante fasciata e vicino a lui erano adagiate delle stampelle.
- Speravo che a toglierti dalle scatole ci pensassero i saraceni!- sbottò il ragazzo agitato.
L’uomo alzò un sopracciglio e rispose con uno sguardo truce. – Cosa hai detto?- chiese a denti stretti.
- Ehi, smettetela!- intervenne un altro. Era seduto tra i cuscini con la schiena alla parete, coperto da una coperta pesante. Giocherellava con un coltellino che si faceva scorrere tra le dita. –La nostra ultima missione non è andata come credevamo, ma non è stata colpa di nessuno, chiaro?-.
- Taci tu!- lo indicò il ragazzo. – Che hai preferito svignartela!-.
- Ma guarda caso gli arcieri non mi hanno mancato!- rispose quello. – sarai contento ora- mormorò tra sé.
Il ragazzo annuì. –Certo, certo, ma voglio sapere come mai a te non hanno fatto nulla!- gridò.
L’uomo appoggiato alla colonna si voltò a guardare come l’altro presente nel dibattito alzava la coperta e mostrava che gli mancava la parte inferiore della gamba; dal ginocchio in giù, l’arto sinistro gli era stato amputato. –Hai qualcosa da aggiungere?- fece irritato, e si coprì di nuovo tornando in seguito a girarsi la lama tra le mani.
Elena distolse lo sguardo, ma attirò su di lei l’attenzione dei tre.
- E questa chi è?- domandò interessato il ragazzo.
- L’hanno portata qui Marhim e Halef qualche giorno fa - rispose l’uomo seduto.
Il giovane sbuffò. – Credo che abbia la lingua per parlare da sola, non trovi anche tu?-.
Di risposta alzò le spalle e tornò alla sua lama.
- Non dargli fiducia, ragazza- le disse quello contro la colonna. – L’ultima volta gliene abbiamo data tutti e due, e non è finita bene- borbottò.
- Sei sempre il solito testardo, dai sempre la colma a me!- si difese il ragazzo. – Questa volta sei stato tu a far saltare la copertura, maledetto! Garik ci ha perso una gamba ed è stata colpa tua, NON mia!-.
Elena cercò di pensare a qualcos’altro ma la conversazione si stava facendo interessante quanto strana e pericolosa.
Garik doveva essere quello senza la gamba.
Elena rimase in silenzio.
-E tu sei sempre il solito moccioso. Cresci! Sei un assassino di un certo rango, che secondo me neppure ti meriti, ed è ora di pensare al tuo dovere!- rispose l’altro.
-Mi sono meritato il rango con la fatica che neppure immagini, Jarhéd! Neppure sapresti come arrivare al mio livello!-
-Ma quale livello, ragazzino!- rispose scontrosamente Jarhéd. – Sono di due targhe più in alto di te, stupido!-.
-Non per molto! Per questo avrei preferito che morissi a Gerusalemme…- mormorò il giovane.
-Cosa è che hai detto, Rhami?!- gli ruggì contro Garik fermando d’un tratto la lama che scorreva tra le sue dita. –Non dirlo neppure per scherzo- aggiunse.
-Non mentire, Garik. Sappiamo cos’è successo davvero. È stato un caso che le guardie lo abbiano colpito, forse l’hanno scambiato per me o te, ma so per certo che Jaréd è un traditore, e sarò io stesso a raccontarlo al Maestro!-.
-Non sono un traditore!-.
Non riuscì ad aggiungere altro che Rhami si alzò e cominciò a vestirsi. – è inutile continuare a mentire. Ti ho visto che parlavi con quel saraceno! Ti ho visto!- gli puntò il dito contro.
-Rhami, rimettiti giù- disse Garik.
- Non lascerò che un traditore giri per le stanze della fortezza, non lo permetterò!- continuò Rhami.
-Tutto ciò- fece Jarhéd. – Tutto ciò è assurdo, non sono una spia, tanto meno un traditore. Se hai visto qualcuno quella mattina, ti posso assicurare che non ero io!- tentò di calmare il compagno.
-Sono stanco delle tue!…- non poté terminare la frase che i battenti in fondo alla stanza si aprirono di colpo.
Adha quella mattina indossava un mantello bianco con dei ricami rossi, mentre le guardie ai suoi fianchi indossavano tuniche corte e grigie. Armi alla mano e occhi attenti.
Due donne dietro di loro portavano dei cesti con delle coperte e delle federe pulite.
-Avevo chiesto che questi tre pezzenti fossero divisi prima che si svegliassero, ma il Maestro non ha voluto darmi ascolto, a quanto pare- Adha incrociò le braccia e squadrò i presenti.
-Mia Signora Adha…- Rhami s’inchinò portandosi una mano al cuore, e altrettanto fecero Jarhéd e Garik, quest’ultimo abbassò solo lo sguardo non potendo fare di più.
-Su, chi di voi è in grado di lasciare l’infermeria lo faccia ora o mai più- Adha si rivolse ai pazienti  svegli.
Jarhéd prese le sue stampelle e s’incamminò verso l’uscita, seguito da Rhami.
-Vedete che non si menino sulle scale- disse Adha, e una delle due guardie seguì di paro passo Rhami, che in volto aveva solo rabbia.
L’altro soldato andò di fianco al letto dov’era seduto Garik e lo aiutò ad alzarsi. Garik mise un braccio attorno alle spalle della guardia e lasciò anche lui la sala.
Le due donne poggiarono i cesti accanto al letto.
-Avanti, scendi. Non hai più nulla da temere, puoi togliertela- disse Adha con tono più gentile.
Elena, ancora intimorita, scese dal letto che le due donne presero a pulire e si guardò la coscia.
La fasciatura era ancora lì, così tentò di sciogliere il nodo che la teneva stretta.
Adha sbuffò vedendola in difficoltà e le porse un coltello che estrasse dallo stivale.
Elena lo prese con mano tremante, poi poggiò la lama sulla pelle e la infilò tra la carne e le bende. Con un taglio unico, preciso e potente, le garze svolazzarono al pavimento.
-Ecco fatto- annuì contenta dal donna.
-E ora?- domandò Elena restituendole l’arma.
-Voglio farti conoscere il posto. O meglio- si corresse. –Ho ricevuto l’ordine di farlo-.
Adha andò verso un armadio a parete e prese dei sandali da uno scaffale. Tornò verso di lei e glieli lasciò cadere davanti. –Mettili- disse.
Elena li legò ai piedi in fretta.
-Ora seguimi, e stammi incollata dietro, chiaro?- fece seria.
-Va bene, ma quando posso sapere perché…-
Adha alzò una mano, ed Elena chiuse la bocca. –Non ora- guardò il paesaggio fuori dalla stanza e sospirò. –Non posso essere io a prendere certe decisioni. Ora fa’ come ti ho chiesto, cammina…-.
Adha s’incamminò, e la ragazza, inciampando più volte nei tappeti e pensando che nulla di più strano nella vita le sarebbe capitato, la seguì.
Le stanze del palazzo avevano tutti altri colori con la luce del sole che passava attraverso ampie finestre che la notte prima, Elena non aveva neppure notato.
Molti degli arazzi lungo lo pareti le comparvero cento volte più incredibili, pieni di dettagli.
Si guardò attorno come fosse in un posto nuovo.
Notò subito con simpatia che di gente che girava ce n’era e tanta.
Uomini con la solita buffa divisa salivano e scendevano le scale, fermandosi ed inchinandosi ad Adha chiamandola “signora”. Spesso e solitamente i loro sguardi si posavano anche su di lei, ed Elena, in tutta risposta, provava a mostrarsi distratta.
Il piano terra, e poi verso uno dei corridoi. Non imboccarono quello che andava al cortile, ma seguirono una strettoia che poi svoltava diverse volte.
Sul corridoio si aprivano delle stanze.
Adha si fermò proprio davanti ad una grande porta di legno e l’aprì con una chiave.
L’interno era buio e l’aria che la pervase era intorpidita e malsana.
Adha andò verso la fine della camera e spalancò delle tende.
La luce fece male a quel posto quanto agli occhi della ragazza, che stava cominciando da poco ad abituarsi. –Ma che posto è?- domandò soffocando uno starnuto.
Aloni di polvere si sollevarono per la stanza, mentre Adha correva ad alcuni scaffali poco distanti.
Elena identificò quel luogo come un dormitorio forse, o comunque una stanza trasandata nella quale erano buttati una decina di letti.
-In questa stanza ora ci teniamo la roba che non serve più. Come un tempo…- disse Adha sollevando una vecchia coperta che celava una cassapanca in mogano. – Come un tempo ci dormivano delle persone che alla fine non sono più servite…- lo disse con malinconia e spensieratezza, come se l’argomento la toccasse in qualche modo.
-Era la tua stanza?- chiese ancora Elena.
Adha aprì la cassa e vi infilò le mani, ed Elena rimase all’ingresso accanto alla porta.
In effetti, oltre ai vecchi letti dimenticati, la stanza ospitava antichi mobili, vestiti, armi e tappeti. Il tutto più che coperto da polvere. La polvere lì aveva fondato le colonie!
-Prendi!-
Elena afferrò al volo quello che le parve un vestito che bianco era stato ma non era più.
Adha le lanciò anche una cintura e alcuni lacci di cuoio. In fine, coperta fino al collo, Elena riuscì per miracolo ad afferrare il fodero di una spada.
-Posso sapere cos’è tutta questa roba?!- domandò cercando di non perdere l’equilibrio.
Adha chiuse la cassapanca e rimise la coperta dov’era, poi le indicò la strada fuori dalla stanza.
Chiuse a chiave e s’incamminarono.
-Puoi rispondermi?!- le guardie che passavano di lì le guardavano entrambe stupefatti e sorpresi.
Adha si fermò voltandosi verso di lei. -Vorrei avere più tempo, ma spero che…-
-Mia signora Adha!- la voce veniva dalle spalle di Elena, che non provò neppure a girarsi per quanto l’equilibrio le fosse precario.
-Adel, è un piacere rivedervi, ma cosa?…-
-Mia signora- disse l’uomo guardando Elena coperta fino al naso di vestiti e cuoio. –Il Maestro chiede urgentemente di voi e della ragazza, prima di qualsiasi altra cosa- l’uomo aveva il fiato corto per la corsa, e sotto il cappuccio mostrava le guance arrossate.
-Immediatamente – fece Adha. –Adel, porta questi nella sua stanza- aggiunse.
Elena lasciò che l’uomo afferrasse saldamente la roba che aveva in braccio, e assaporò l’aria pulita lontana dalla polvere che quegli abiti trasudavano.
Adel, nonostante il peso degli oggetti, proferì un inchino e tornò verso le scale.
-Dov’è che andiamo?- domandò Elena prendendo una grossa boccata d’aria.
-Sei molto attenta, vedo…- commentò Adha avviandosi. –Dovrai imparare ad ascoltare meglio ciò che ti circonda, ma veramente… non era in programma tutto questo-.
-Che programma?-
Salirono delle altre scale che le portarono all’interno di una sala divisa su due piani. Il primo sembrava una biblioteca ed era controllato su entrambi i lati da una dozzina di guardie, mentre il secondo era appena sopra le loro teste.
Intrapresero dei gradini di pietra che le portarono di fronte ad una grata di metallo.
-Ehi, guarda chi c’è!- sbottò una guardia.
Elena si staccò da Adha che continuò sulle scale.
-Voi…- balbettò la ragazza riconoscendo i due soldati della notte prima.
Erano di guardia alla grata che ora era per metà alzata e dava sul quel magnifico cortile.
-Un vero piacere vedervi in forma, signorina- disse il più giovane.
Elena non poté far a meno di arrossire.
L’altro gli diede una pacca sulla spalla. –Smettila, sai che non possiamo immischiarci. Avanti, torna a fissare il vuoto davanti a te- fece quello più vecchio riacquistando compostezza.
Elena rimase stupita del rigido codice che dovevano seguire. –Cosa…-
-Fareste meglio ad avviarvi, ragazza- aggiunse la seconda guardia.
Elena riprese il cammino e lanciò un’occhiata ad Adha, che era di fronte ad un uomo incappucciato di una mantella tra il verde e il blu.
Mosse qualche passo avanti, ma si sentì in dovere di restare da parte mentre i due si scambiavano alcune parole.
Rimase dietro una colonna e attese.
Erano bisbigli che non riuscì a cogliere, ma si disse che era meglio non origliare, sarebbe stato scortese.
Adha e l’uomo la videro, e la ragazza arrossì d’un tratto.
-Vieni- gli disse l’uomo con una voce tranquilla.
Elena si fece avanti e si fermò di fianco ad Adha, che fece per andarsene.
-No, ti prego- fece lui. –Mi servi ancora-.
Adha allora tornò di fianco alla ragazza.
Era vecchio, forse sulla quarantina d’anni, ma aveva un corpo giovane ed eretto. Ben composto e davvero imponente.
Elena imitò un inchino col capo, ma non riuscì a proferire parola.
Sotto il cappuccio Elena scorse solo un mento coperto da ciuffi di barba grigia. –Elena, giusto?-
Annuì timidamente.
-Un bellissimo nome, che sicuramente non è di queste parti. Sai perché tuo padre ti diede questo nome?-
A quel punto lei non seppe che rispondere, e si limitò a scuotere la testa.
-Nonostante la tua carnagione scura e gli occhi di tua madre, egli ti diede un nome che potesse assicurare la tua sopravvivenza ad Acri. Egli ti permise con quel nome di poter vivere dentro le sue mura-.
Elena non ci aveva mai pensato. Le venne da chiedergli come facesse a sapere certe cose, ma rimase in silenzio, perché l’uomo proseguì.
-Conoscevo tuo padre, e conoscevo ance tua madre. La lettera che tuo padre ti chiese di consegnare ad Adha, in realtà era indirizzata a me, ma egli non era a conoscenza del fatto che fossi ancora vivo. Vedi, so che all’inizio ti sarà difficile capire, ma sei qui perché lo voleva tuo padre, e so che ti fidi molto di lui-.
-Sì, è così- mormorò la ragazza.
Nel frattempo Adha la guardava commossa.
-Sono contento che ti sia lasciata curare da Adha, anche perché la maggior parte dei nostri medici sono uomini e la cosa posso immaginare sarebbe stata fastidiosa. So cosa hai passato per arrivare qui, e ne porti ancora i segni. Se non sulla pelle, allora nel cuore. Elena, sono felice di accoglierti a Masyaf nei migliori dei modi, in onore di tuo padre e di chi egli ci consegnò molto tempo fa…-.
Adha si schiarì la voce. –Maestro- lo richiamò.
-Sì?-.
Elena la guardò colpita. 
-Sarò felice di occuparmi di ciò di cui mi avete parlato, a cominciare da ora-.
-No, Adha. Ella non è qui per questo. Kalel la mandò a noi affinché la proteggessimo, e mi sento in dovere di rispettare le sue parole-.
Kalel era il nome di suo padre, e le parole di cui parlava “ il Maestro” erano quelle che aveva lasciato sulla lettera.
-Ma maestro! Kalel!…-Adha scattò in avanti.
-No, ho detto di noi! E ora lasciaci soli. Va’-.
Adha scese le scale e lasciò la stanza con passo incalzante.
Rimase sola di fronte all’uomo che sembrava sapere parecchie cose su di lei, su suo padre e sua madre. Poteva restare ad ascoltare anche tutta la vita.
- Elena, questa ora è la tua nuova casa e io non so da dove cominciare per insegnarti in che razza di posto ti trovi. Se hai domande, ti prego, non esitare- rise l’uomo.
Elena ci pensò su. – Vi debbo la vita, a voi e ai due uomini che mi salvarono quando avrei preferito morire. Ma mi chiedevo…-
Si chiedeva tante cose, ma le sembrò davvero irritante chiedere, chiedere e chiedere. – Come mai vi fate chiamare “Maestro”? Qual è, se posso, il vostro nome?-.
L’uomo non si scompose. – Il mio nome è Tharidl Lhad. C’è altro?-.
-Cosa posso fare per rendermi utile?- gli era uscito spontaneo, inevitabile e impulsivo.
Anche sotto il cappuccio, la ragazza poté notare che il vecchio aveva alzato un sopracciglio. –Utile? Per essere utile, qui non basta nessuna delle qualità che possiedi, e sinceramente, molti di noi speravano che tuo padre ti avesse insegnato qualcosa di più…-.
-Non capisco di cosa state parlando- disse in tutta sincerità.
-Non c’è bisogno di capire. Ora più che mai ci servirebbero diverse mani per far tornare questo luogo allo splendore di un tempo. Sarai disposta a barattare la tua salvezza in cambio di alcuni lavori domestici?- un angolo della bocca di Tharidl Lhad si sollevò.
-Qualsiasi cosa, pur che la mia mente sia impegnata e lontana dalle vite che ho spezzato…- abbassò gli occhi al suolo, ma il Maestro le prese il mento tra le mani.
-Un giorno, quando dimostrerai quanto il tuo animo è forte, e i tuoi muscoli sono scattanti, un giorno tutte le tue paure svaniranno, e ai tuoi occhi comparirà la via che devi seguire. Sarò io ad indicartela, e tu potrai scegliere, come in passato fecero molte altre…-
Elena rimase sbigottita, ma il Maestro si voltò e andò ad affacciarsi alla vetrata dietro il tavolo.       – Puoi andare, abbiamo finito- disse sospirando.
Una guardia comparve alla destra della ragazza ed Elena la seguì fino al piano inferiore.
-Il Maestro ti concede il permesso di girare nella fortezza e assistere a qualsivoglia intraprendenza al suo interno- fece il soldato, poi si allontanò fuori dalla sala.
Elena si guardò attorno, sperduta.
Fuori dalla biblioteca veniva il suono del clangore di spade, e fu attirata da quel suono, come un topo che va dritto al formaggio.

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Capitolo 7
*** Il mio nuovo Desmond ***


Il Mio nuovo Desmond







-Sta mostrando un ottimo livello di sopportazione- disse Vidic avvicinandosi a Lucy. – Possiamo lasciarla dentro per ancora qualche ora- aggiunse.
Lucy chiuse il portatile con violenza, e il sistema operativo dell’Animus si spense all’improvviso.
-Cosa sta facendo?!- domandò sconcertato lui.
I miei occhi si aprirono a fatica, mentre il soffitto e il pavimento si rincorrevano. Provai a balbettare un timido –Come mai ci siamo fermati?- ma nessuno parve ascoltarmi.
-I livelli di tossicità mentale erano al massimo, e lo sapeva bene anche lei! Gli ho mandato gli ultimi aggiornamenti un’ora fa, alla sua scrivania! Non si è neppure degnato di guardarli!- sbottò gridando Lucy.
Vidic non parve sorpreso dell’accusa.
-Tossicità?- mi sedetti con le gambe a penzoloni massaggiandomi le tempie.
- Si stenda signorina Tomas!- mi disse Vidic nervosamente, poi si rivolse a Lucy che lo fissava rabbiosa. –Lucy farà ripartire l’Animus immediatamente-.
-Non credo proprio!- la donna staccò il portatile dalla piattaforma sul quale era appoggiato e lo mise sotto braccio. Poi si avviò verso l’uscita dando a tutti le spalle.
-Signorina Stilman, torni subito qui!- Vidic le corse dietro, ed entrambi sparino oltre la soglia della sala conferenze.
-Andrea!- Desmond comparve correndo e venne verso di me.
-Ce c’è? Anzi, se sai cosa sta succedendo…-.
-Lucy lo sta distraendo e lo terrà lontano da qui non per molto, ma ho bisogno che tu cerchi una cosa per me e lei- disse.
Io ci rimasi stranita. –Come?-.
-Nei tuoi ricordi c’è un’informazione che Vidic non deve assolutamente scoprire. Lucy mi ha incaricato di trovare il ricordo e cancellarlo. Non chiedere altro, perché concretamente non so neppure io di che ricordo si tratta. Se ne sarebbe occupata lei di persona, ma quando il Doc ha scoperto che Lucy era dalla mia parte, non le ha lasciato tregua ed io sono sotto stretta osservazione. Ora rimettiti giù!- le disse andando di corsa verso la scrivania del professore. Si sedette ed inserì nel PC una chiavetta.
Ci pensai un istante, poi mi ristesi e lo schermo dell’Animus mi coprì il campo visivo.
Mi aspettavo una luce accecante, ma quando la macchina dei ricordi fece il suo lavoro, un buio intenso mi pervase.
La mia coscienza si perse nell’oscurità come stessi sognando.

Desmond trovò facile accedere ai dati che Lucy aveva salvato sulla chiavetta che poi gli aveva affidato. I file che tenevano i ricordi di Andrea raggiunsero automaticamente l’Animus senza che lui avesse bisogno di alzare un dito.
Sullo schermo comparve una lista di cartelle, e Desmond seguì le indicazioni di Lucy a riguardo.
-Blocco 34…- lesse e vi cliccò sopra.
Nella cartella comparvero una decina di file molto differenti tra loro.
Con il doppio click del mouse aprì il ricordo.
A quel punto, come annotazioni laterali, Desmond vide che Lucy aveva allegato un documento. Quando vi cliccò sopra, vide che era una delle tante e-mail che mandava ai suoi riceventi fuori dall’Abstergo.

Vi informo su alcuni ultimi fatti:

--Ricordo AE.ff34. –

***Il soggetto 18 dimostra una compatibilità eccessiva con l’Antenato Alatir. Temo che certi   ***avvenimenti in questo ricordo possano compromettere i risultati della ricerca che sto portando ***a fine. Affinché in Vidic non sorgano dei dubbi, ho intenzione di eliminare il ricordo sia dal ***soggetto 17 che dalla ragazza. Lavorare con i due pazienti potrebbe essere rischioso se qualora ***Desmond o Andrea ne entrassero a conoscenza. Spero di aver fatto la cosa giusta.

--Memo—

 ***AE.ff34 eliminare e cancellare dal database.

Lucy


-Compatibilità con l’Antenato?…- Desmond allungò lo sguardo alla ragazza stesa sull’Animus, e gli passò per la mente che c’era qualcosa di strano che Lucy non gli aveva ancora detto. –Che cosa vuol dire?- si chiese tornando a frugare tra gli appunti.
Sul desktop comparve una barra rossa quasi del tutto completa.
Quando l’Animus ebbe finito di eliminare il ricordo, Andrea aprì gli occhi all’improvviso.

-Tutto apposto?- Desmond mi venne vicino e mi diede una mano a scendere dalla macchina.
-Sì, sì- risposi, ma sentii un giramento di testa inaspettato e dovetti tenermi al suo braccio.
-Eh, non te approfittare!- proruppe lui ridendo, ma il suo sorriso si spense in fretta.
Sentivo i muscoli venirmi meno e le forze prosciugarsi come se il semplice fatto di stare in piedi mi costasse uno sforzo disumano. Quando Desmond si accorse che non ero più in me, prese il mio volto tra le mani.
-Andrea, Andrea ci sei?- chiese e cominciò a schiaffeggiarmi.
Persi il senso del dolore, mentre la vista mi si appannava e sentivo di crollare al suolo.
Il mio ultimo ricordo fu Desmond, che tenendomi attaccata a lui, gridava: -Ho bisogno di aiuto qui!!!-

La porta della sala conferenze si aprì.
Desmond adagiò il corpo della ragazza al suolo e cominciò ad ammirarne il colorito pallido.
Vidic e Lucy lo raggiunsero, questo si chinò sulla giovane mentre Desmond si faceva da parte.
Lucy spostò lo sguardo da Andrea al ragazzo.  -Che cosa hai combinato?- chiese preoccupata.
-Ho fatto tutto quello che mi hai detto! Nulla!- sbottò Desmond. – è scesa dall’Animus ed è crollata!- aggiunse.
Vidic le strinse il polso, e dopo pochi secondi di silenzio pronunciò il verdetto. –è viva. Si può sapere che cosa è andato storto?- estrasse dal taschino del camice una piccola torcia e le illuminò le pupille. Erano dilatate al massimo.
-Le avevo detto di non esagerare, Vidic!- protestò Lucy chinandosi anche lei.
-Non sono effetti collaterali registrati nei precedenti pazienti, tanto meno dovuti all’eccessivo trattamento, signorina Stilman. Lo riconosco un ricordo cancellato, quando ne vedo uno!- gridò.
Lucy tacque assieme a Desmond.
-Come…-
-Ora non è importante, ne discuteremo a breve! Fatela stendere, tra poco ritornerà in sé- Vidic lasciò la stanza.
Desmond aiutò Lucy a tirare su da terra la ragazza, e insieme la portarono nella sua stanza.
-Mi spiace- disse lui mentre la trascinavano verso la camera.
-Non è stata colpa tua. Sapevo che rimuovere quel ricordo sarebbe stato pericoloso e anche azzardato, ma pensavo di poter contare sul tuo silenzio fin quando non si fosse ripresa- disse Lucy.
-Credevi che vedendomi crollare Andrea tra le braccia non avrei chiamato aiuto?- domandò stupito lui.
Lucy annuì.
-Certe volte le persone non sono quelle che pensi- borbottò.
-Più di quanto immagini- rispose.
La stesero sul letto.
-Se è svenuta- chiese Desmond. –Perché ha gli occhi aperti?-.
-Il suo non è uno stato di svenimento. È cosciente, e forse ora può anche sentirti-.
-Davvero?! Volevo dire, interessante…-.
-Non è affatto divertente, Desmond. Potevamo rischiare molto di più- mormorò lei.
-A cosa ti serviva eliminare qui ricordi? E di che ricordi si trattano?-.
Lucy lo guardò un istante senza dire nulla.
-Perché mi guardi così?- alzò le spalle lui.
-Nulla, nulla. Forza- disse la donna uscendo dalla stanza. –abbiamo molto lavoro da recuperare anche con te, e oziare nell’attesa che lei riprenda i sensi è totalmente inutile. Stenditi sull’Animus prima che Vidic torni-.
Tornò in sala conferenze a prendere il suo portatile e cominciò a risistemarlo dov’era.
Desmond si sedette sul bordo del letto massaggiandosi il collo. Per un minuto pieno fissò la parete dritto davanti a lui, poi spostò gli occhi alla ragazza che sembrava paralizzata da chissà quale shock.
-Cosa c’è nei tuoi ricordi che i miei non hanno?- domandò tra sé e sé.
Non si aspettava che lei le rispondesse, dato le condizioni in cui si trovava, ma gli sarebbe bastato che gli facesse segno che aveva almeno capito.
Di tutta risposta i gli occhi le si chiusero, e Desmond ne fu sorpreso.
-Ehilà, ciao. Ora va meglio?- le domandò avvicinandosi.

Lo guardai farsi più vicino a me, mentre mi fissava inquieto. –Parla, ti prego, non voglio altri morti sulla coscienza. Il mio antenato ha smesso da un pezzo di uccidere, ti prego, parlami!- mi sorrise.
Accennai un sorriso divertito, e voltai la testa di lato. –Non preoccuparti, sto bene…- bisbigliai, ma aveva solo voglia di dormire, di tenere chiusi gli occhi anche per tutto il mese.
-Ottimo- batté le mani una volta e si guardò attorno.
-Sono… Sono tanto pesante?- chiesi d’un tratto, e lui si girò di nuovo verso di me.
-Che intendi?- mostrò ancora una volta il sorriso perfetto.
-Ti ho visto che mi hai messa per terra. E la mia schiena ne risentirà per qualche giorno, se sono fortunata…- gli dissi ironica.
-Davvero? Nel senso, no, non pesi così tanto. Solo che non sapevo cosa fare! Ehe…-.
L’avevo messo in imbarazzo, ed era il mio obbiettivo.
Un angolo della mia bocca si allungò oltre il dovuto.
-Perché ridi?- mi chiese Desmond.
-Ripensavo ad alcune cose. Ora vattene fuori, lasciami dormire e finisci di fare il tuo lavoro…- mi girai di lato stringendo tra le braccia un cuscino.
Sentivo lo sguardo di Desmond indugiare ancora su di me, e la cosa m’infastidiva quanto mi piaceva.
In fine si alzò e andò verso la porta. –Non possiamo chiamarlo lavoro- lo sentii borbottare. –non ci pagano abbastanza per chiamarlo lavoro…-
La porta della stanza si chiuse e alcune delle luci si spensero.
Rimasi al buio, tormentata da chissà quali pensieri.

Quella notte non riuscii a dormire.
Ripensai a parecchi aspetti della mia vita, che effettivamente non mi rendeva felice. Sapevo che prima o poi quel posto mi avrebbe portata alla depressione, che essere sottoposta a continui esperimenti ed estrazioni di memoria mi avrebbe portata alla follia. Se mi chiamavo “soggetto 18” ci sarà stato sicuramente qualcuno prima di me che non aveva fatto una bella fine. Pensai a Desmond e a come avesse fatto a sopportare più di un anno in questa topaia per topi di laboratorio. Le mie materie preferite al liceo erano lettere e grammatica, così a stretto contatto con computer all’avanguardia e tanti, tanti numeri mi sentivo un’estranea.
Se c’era qualcuno che mi mancava in quel momento come mai, era una persona che mi aveva abbandonata nel passato lontano e pochi mesi prima.
Mio padre era stato ucciso da un proiettile. Così mi avevano detto, ma sapevo che mio padre aveva sempre avuto dei precedenti per spaccio e traffico di cocaina al livello mondiale. Lui non ne aveva mai fumata, non assumeva alcolici e raramente beveva vino. Nonostante tutto, a causa dei problemi economici che avevano preso piede a partire dal 2009, era stato costretto a trovare un modo per guadagnare facile.
Pensai che in parte era stata colpa mia che gli ero rimasta sulla coscienza come una bocca in più da sfamare. Se invece di portarmi con sé, l’uomo che era diventato mio padre mi avesse lasciata sul marciapiede, sarebbe stato probabile che non fossi nell’Abstergo.
In qualche modo, i miei e i ricordi di Elena coincidevano alla perfezione.
Mio padre mi aveva venduta all’Abstergo, ora cominciavo a ricordare che il giorno in cui mi ero svegliata tra le mani di Vidic e Lucy, ero uscita con lui per andare al cinema. Nella sala c’eravamo solo noi, e quelli dell’azienda avevano preso me e sicuramente ucciso lui.
Ma se mio padre aveva contatti con l’Abstergo, perché lo avevano ucciso?
Era stata Lucy a dirmi che papà conosceva Vidic da molto tempo, ma non avevo mai saputo dove e quando si erano visti la prima volta.
Mi giravo da parte a parte del letto, arrotolandomi ciocche di capelli tra le dita e concentrandomi per tenere il conto delle pecore.
Lanciai un’occhiata all’orologio satellitare che brillava sulla scrivania e notai con sdegno che no era passata neppure la mezzanotte.
Trovai la forza per alzarmi e trascinarmi fino al bagno, dove mi guardai allo specchio per diversi minuti senza cambiare posa.
Avevo delle occhiaie che facevano paura, i capelli non erano più i miei, avevano cambiato colore. Dal castano brillante andavano a scurirsi sulle punte e in parte alla radice. Era solo un riflesso della luce, ma mi era parso di vedere alcuni capelli bianchi.
Possibile che lo stress che pativo in quel posto mi avrebbe resa più vecchia di quanto non ero già???
Come la mia antenata, avevo 17 anni, e l’Abstergo mi aveva strappata via dalla mia vita, da tutto ciò che di più noioso o eccitante mi avrebbe in futuro coinvolta.
Ora vivevo una maledettissima vita virtuale, quella della mia antenata che non mi sarebbe mai balzato in mente di conoscere!…
Tentai di legarmi i capelli con uno degli elastici neri vicino al lavello, ma i tentativi di sembrare quella di una volta furono vani.
Lasciai che i capelli a caschetto mi cadessero sulle spalle e tornai nella camera.
Andai verso la porta, e mi sorpresi davvero del fatto che appena feci un passo più avanti essa si aprì del tutto.
Qualcuno si era dimenticato di chiudere a chiave le stanze, perché seduto alla scrivania di Vidic, con la luce del desktop che lo colpiva in viso, c’era Desmond.
Il ragazzo alzò gli occhi dal PC e mi vide.
Lo raggiunsi mentre lui si alzava.
-Cosa ci fai in piedi a quest’ora?- domandammo all’unisono, e di seguito tacemmo entrambi imbarazzati.
Allungai lo sguardo al PC e vidi che stava curiosando tra gli appunti di Lucy. –Ma sei tutto scemo o cosa?- gli chiesi accusandolo.
Lui tornò a sedersi sulla poltroncina, e io mi accomodai sul bracciolo.
Fuori dalle vetrata brillavano i grattacieli di New York e i cieli stellati.
-Voglio solo capirci qualcosa di più- sbuffò Desmond. –Sono confuso, e non negare che ultimamente le cose stanno prendendo una buffa piega- mi disse.
-Non lo nego affatto. Oggi ero sotto l’effetto di una crisi epilettica, perché dovrei non essere preoccupata?-.
-Guarda- lui spostò il mouse e aprì una cartella.
-In questi appunti Lucy parla di qualcosa che non riesco a spiegarmi. Dice che c’è qualcosa tra te e il mio antenato, o tra la tua antenata e Altair, non capisco. Vorrei che mi dessi il tuo punto di vista-.
Mi mostrò gli appunti di Stilman che lessi con molta attenzione.
-Sai che fine ha fatto il ricordo cancellato?- gli chiesi leggendo.
Lui scosse la testa. –Ora sarà sicuramente in culo al mondo- fece con tono arrabbiato.
-Se sapevi che era qualcosa che riguardava entrambi, perché lo hai fatto?- mi venne spontaneo porgli quella domanda, perché mi era parso davvero da deficienti quello che aveva fatto.
-Non lo sapevo, Lucy mi ha dato la chiavetta che conteneva delle azioni registrate. Non ho fatto nulla, non ho dovuto, ecco, alzare un dito perché il file si cancellasse-.
-Credi che questo influirà molto sui miei ricordi?-.
Desmond tornò a guardare lo schermo. –Da quanto ho scoperto, non dovresti avere problemi fino al sesto blocco di memoria. Da lì, come mi ha spiegato Lucy, potrebbero cominciare alcuni piccoli anacronismi per entrambi-.
-Roba grossa?-.
Lui annuì. –Molto grossa. In ballo ci sono la vita della tua antenata e quella dell’informatore di cui Vidic è alla caccia. Ma per quanto riguarda le ricerche che Lucy sta portando avanti per sé, so ancora poco-.
-Ben lavoro per un barista- commentai.
Desmond mi guardò, e i suoi occhi brillarono di azzurro alla luce che il PC proiettava su di noi.
-Era il minimo- mi disse. –Ti ho quasi uccisa-.
-So che non è stata colpa tua, e comunque Lucy mi aveva assicurato che l’Animus non mi avrebbe uccisa sul momento- scherzai.
Desmond chiuse il portatile e fu tutto buio.
-Che succede?- chiesi.
-Ah, veramente stavo per chiudere prima che arrivassi tu- mi disse staccando la chiavetta.
-Ok- mi alzai e feci un passo indietro per lasciarlo passare.
Lui al contrario non si mosse e rimase a fissarmi.
-Che c’è? Non…- provai a dire qualcosa, ma provai piuttosto ad immaginare dove voleva arrivare.
Si sollevò dalla poltrona e i nostri visi furono l’uno poco distante dall’altro. –Chissà di quale legame si trattava tra te e il mio antenato…- mormorò.
Era imbarazzante che potessi sentire il suo respiro a pochi centimetri dalla mia pelle, e tanto meno, non ero mai stata così… non mi ero mai sentita così.
Mi guardava dall’alto al basso, perché come tra di noi c’erano quasi dieci anni di differenza, c’erano almeno anche una decina di centimetri.
Mi schiarii la gola e tentai di scostarmi, ma potevo dire che lui mi era addosso, mi copriva quasi.
Così tentai di rammentargli quanti anni avevo: -17, Desmond…- bisbigliai stringendomi nelle spalle.
Non mi diede tempo per aggiungere altro. Con un passo in avanti, mi baciò sulle labbra stringendomi il collo con una mano.
Fu orribile e meraviglioso allo stesso tempo, ma votai più per il meraviglioso.
Ora capivo quanto fosse… meraviglioso sentirsi toccare da un ragazzo che non era un fratello o un padre, ma qualcuno in cui riponevi fiducia e tutta te stessa.
Desmond solo in quegli ultimi minuti mi era parso attraente e… carino. Per il resto della mia permanenza nell’Abstergo avevo continuato ad odiarlo per il semplice fatto che a me interessava quello che l’azienda stava testando su di noi, mentre a lui frullava in testa solo il modo più veloce per filarsela.
Mi appoggiai a lui come avevo fatto nello svenire poche ore prima, mi strinsi alle sua braccia mentre lui continuava a sfiorare le mie con le sue labbra.
Ero incantata da come, ecco, da come ci sapesse fare!
Improvvisamente mi staccai dalla sua bocca e mi gettai ad abbracciarlo.
Ne rimase colpito, anzi, stupefatto, ma alla fine mi strinse a sé come avrei voluto che facesse.
Mi appiccicai a lui, affondando la faccia nella sua felpa bianca e, ascoltando il ritmo del suo cuore notai che, a differenza del mio, restava costante e tranquillo.

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Capitolo 8
*** Tre righe per dire la verità ***


Tre Righe per dire la Verità










Mi svegliai, e il mio primo pensiero fu di non pensare a quello che era successo.
Non ci riuscii.
Ero stesa rannicchiata sotto le coperte del letto di Desmond, che mi stringeva tenendomi per un fianco. Nella stanza c’era un freddo pazzesco e mi sentivo i piedi congelati.
Fui rassicurata dal fatto che non era poi successo molto, poiché sentivo di avere addosso ancora le culottes e la canottiera a coprirmi il reggiseno.
Sollevai la testa dal cuscino e guardai l’orologio sul tavolo che segnava quasi le sei di mattina.
Sbadigliando mi coprii con la coperta fino al naso, e guardai Desmond che mi dormiva accanto. Sembrava sereno.
Tornai a chiudere gli occhi avvicinandomi a lui.
Desmond, nel dormiveglia, si girò verso di me e mi strinse ancora. Si appiccicò a me come fanno i bambini coi loro peluche, e non riuscii a far nulla per impedirlo.
Piuttosto decisi che riprendere il sonno avrebbe reso la mia prima volta meno imbarazzante.

-Signorina Stilman, si occupi lei di svegliarle il soggetto 18- disse una voce.
Desmond spalancò gli occhi all’istante.
-Certamente dottore- rispose Lucy.
Le voci venivano da fuori la stanza.
Il ragazzo scattò in piedi e tirò un cuscino addosso ad Andrea, che rimase ferma dov’era.
-Svegliati, ragazzina!- le disse.
-Hmm- fece lei voltandosi dalla parte opposta.

Le luci della stanza erano accese da un pezzo. –Andrea, avanti!- Desmond mi tirò per un braccio e mi fece alzare. Rimasi barcollante con i piedi per terra.
Mentre si allacciava la cintura dei jeans mi guardò inquieto. –Presto, va’ nel bagno e accendi la doccia!-.
-Cosa?…- domandai con gli occhi appannati, la voce rauca e battendo i denti dal freddo.
-Fa’ come ti ho detto!- mi spinse nel bagno e mi lanciò i miei vestiti che presi al volo, poi chiuse la porta.
Mi guardai in giro ancora assonnata, ma feci come mi aveva chiesto.
Lasciai cadere gli abiti per terra e accesi la doccia.
Mentre guardavo l’acqua frusciare, ascoltai le voci che venivano dalla camera.
-Andrea è qui?- la ragazza riconobbe la voce di Lucy.
-Sì- balbettò Desmond. –voleva farsi una doccia, ma quella della sua stanza non aveva l’acqua calda! Ehe-.
-Quando esce dille che la stiamo aspettando- e Lucy lasciò la stanza.
Mi avvicinai all’ingresso del bagno, e mi trovai di fronte a Desmond.
-Ben fatto- gli dissi stropicciandomi gli occhi.
-Sarà meglio che tu ti vesta ed esca da questa camera- rise lui.
Notai sorpresa che Desmond era già vestito. –Va bene, va bene…- sotto il suo sguardo mi infilai i pantaloni e la felpa.
Si fece da parte e mi sedetti sul bordo del letto per allacciarmi le scarpe.
-Non ho i capelli bagnati- dissi.
-Ma hai sempre un buon profumo-.
Sussultai, lasciandomi scappare un laccio della All Star bianca e nera. –Grazie- mormorai.
Mi alzai e lasciai la stanza senza dire nulla.
Vidic sorseggiava caffè davanti alle vetrate e Lucy picchiettava sul portatile.
-Siediti Andrea, oggi avremo molto lavoro da fare- mi disse la donna.
Desmond mi stava accollato dietro e feci qualche passo avanti verso l’Animus.
-Perché?- chiesi voltandomi e lanciandogli un’occhiataccia.
Lui alzò le spalle.
-Il dottor Vidic- mi rispose Lucy. –ha ricevuto questa mattina una lettera dai nostri clienti. La tabella di marcia si è ristretta-.
Mi accomodai sulla macchina. -Come mai?-
Lucy non aggiunse altro.
- Perché - Vidic si voltò. –Perché non vogliamo riscontrare altri problemi, è tutto chiaro?-.
Desmond si andò a sedere sulla poltroncina.
Lo guardai ancora una volta, poi fu tutto di un bianco accecante.

-Elena-.
Si voltò e vide Adha in piedi dietro di lei.
La donna avanzò di qualche passo. –Prendi- le porse un foglio di pergamena stropicciato ed Elena lo strinse tra le dita. Era la lettera di suo padre.
-Il Maestro ha voluto che te la dessi subito, quando tuo padre ha chiesto di no. Avresti dovuto leggere quelle parole quando davvero saresti stata pronta, ma…-.
Elena le diede le spalle e cominciò a leggere.
C’erano solo tre righe.


Elena è una ragazza piena di coraggio.
La Setta ha un posto per lei.
Deve imparare dal migliore.


Finì in fretta, e si voltò a guardare Adha che aspettava una sua reazione.
-Cosa vuol dire?- domandò con voce tremante.
-Qualche tempo fa, sempre da tuo padre arrivò questa- estrasse dalla tasca del mantello un secondo taglio di pergamena e le porse anche quello.
-Leggi solo le ultime righe- le disse Adha, e lei seguì il suo consiglio.

Elena.



Fidati di questa gente. Sappi che quando ti troverai a dover misurare la tua forza con quella di chi ti allena, i miei insegnamenti ti saranno inutili. Questa gente combatte con la mente concentrata sui propri obbiettivi, ed è stato mio errore non fare altrettanto con te. Voglio che il giorno in cui Adha ti mostrerà questa lettera, tu metta in pratica ciò che di sbagliato ti ho insegnato, voglio che impari da loro e che tu segua i loro consigli. Ma soprattutto, che ti faccia valere, perché questi sono tempi bui in cui la figura di una donna che stringe una spada non è più ben accetta come una volta. Fallo per me, Elena, e per il bene che mi hai voluto. Mostra a questa gente quanto vali, e loro sapranno ricompensarti.



Kalel


A quelle parole si commosse.
Adha le venne vicino e si riprese la lettera.
-Riconosco la sua scrittura…- disse in un sussurro Elena. –Ma non capisco… parla per enigmi, segreti, indovinelli che non riesco a sciogliere!-.
-Non assillarti- le disse Adha. –Fidati di lui- la donna le indicò l’uscita della sala.
Elena fece qualche passo avanti, e Adha scomparve dietro uno scaffale della biblioteca.
La ragazza si ritrovò in un secondo cortile interno. Le mura della fortezza erano controllate da arcieri, mentre continue pattuglie di uomini le passavano davanti al naso.
Elena si sporse dalla terrazza e vide che dove un piccolo spiazzo in pietra era recintato da una staccionata, due ragazzi si stavano allenando con le spade.
Portavano entrambi i cappucci abbassati e si fronteggiavano con spirito.
-Prendi questo, canaglia!- disse uno.
-Non fare il ragazzino!- indossavano tutti e due gli stessi abiti bianchi: una tunica fino alle ginocchia stretta al petto da una cintura di cuoio abbellita da una pezza rosso sangue.
L’ultimo tra i due spinse l’avversario a terra e gli puntò la lama alla gola. –Hai ancora molto da imparare!- rise in seguito. Gli porse una mano e lo aiutò ad alzarsi.
-Sarai sempre più saggio e vecchio di me- sorrise lo sconfitto.
Elena scese i gradini e si mischiò alla calca, cercando di avvicinarsi il più possibile al campo di allenamento.
-Ottimo allenamento, ragazzi- disse la guardia fuori dall’arena. –Ora potete riposarvi, ma riprenderete non appena Altair ci avrà mostrato alcuni dei suoi vecchi trucchi- anche la guardia pareva di buon umore.
I due ragazzi saltarono la staccionata e si avvicinarono ad un uomo appoggiato alla parete. Teneva le braccia conserte e stava in disparte alla folla che andava formarsi. Teneva il cappuccio a celargli la parte alta del volto, e i suoi abiti non erano nuovi alla ragazza: uno spesso cinturone di cuoio dal quale pendeva una spada pregiata. Anche attraverso il tessuto bianco della tunica, Elena riuscì a scorgere una muscolatura davvero ben formata.
-Altair!- il primo giovane gli venne vicino e fece per dargli una pacca sulle spalle.
L’uomo incappucciato gli afferrò il polso di scatto, e il ragazzo non riuscì a trattenere un guaito.
-Halef, credo che per oggi me ne starò qui da parte…- disse a bassa voce.
L’altro giovane lo guardò interrogativo. –Ma Altair, molti di noi sono impazienti di apprendere da voi, vorremmo solo che…-.
Altair lasciò il polso di Halef e si staccò dalla parete.
Molta della gente presente si voltò a guardalo, e Altair tenne gli occhi ancora più bassi.
Per un istante, ad Elena parve di vedere il barlume delle sue pupille buie incontrare quelle celesti di lei.
Fu allora che Altair si mescolò alla calca e lasciò il cortile.
Halef guardò suo fratello massaggiandosi il polso. –Ma che gli è preso?- domandò ridendo.
Marhim fissava lo sguardo alla folla imbambolato, e non gli rispose.
-Ehi! C’è nessuno? Marhim, puoi…-
Marhim indicò Elena con un cenno del capo.
-Non è quella ragazza che abbiamo?…- chiese Halef mentre il ragazzo non scollava gli occhi da lei.
-Sì, lo è. Guarda, sembra essersi totalmente ripresa…- Marhim mosse qualche passo avanti.
-Frena, fratellone- Halef lo prese per il cappuccio. - devi aspettare-.
-Cosa?- sbottò irritato Marhim.
La calca andò a sciogliersi lentamente, e Marhim vide che Elena veniva verso di loro.
I due fratelli si scambiarono un’occhiata d’intesa e si voltarono verso la ragazza che in breve fu a pochi passi da loro.
-Ciao- fece timida lei.
-Salve!- Halef agitò la mano.
Elena guardò il fratello maggiore. -Ho visto come combatti- disse lei.
-Hmm. E?- domandò Marhim sorridendo.
-E conosci delle mosse che non ho mai visto prima- commentò la ragazza.
-Questo è perché!…- Halef ricevette un pugno in pancia dal fratello e le parole gli morirono in gola.
Marhim fece un passo avanti. -Posso insegnartene qualcuna- disse.
Elena sbarrò gli occhi. –Lo faresti davvero?…- balbettò.
Era la prima volta che seguire i consigli di suo padre la lasciava in una forma di smarrimento, come se avesse ricevuto troppe poche informazioni su cosa fare e quando farlo.
-Veramente- proseguì lui. –il campo è libero, la gente se ne va e a mio fratello ora non serve questa!- Marhim estrasse dal fodero la spada del fratello.
-Ma che razza di!- sbottò Halef alzando le braccia.
-Avanti, vieni!- Marhim la prese per mano.
Elena si lasciò accompagnare davanti alla guardia vicino alla recinzione.
-Marhim, che cosa succede?- domandò l’uomo guardando la ragazza. –Vuoi altri complimenti per le tue prestazioni di oggi?- aggiunse.
-No, volevo chiederti se io e…-
-Elena- disse la ragazza.
Marhim sorrise. –Se io ed Elena possiamo usare il campo. Volevo insegnarle qualcosa-.
La guardia rimase di stucco. –Strano, sono confuso. Comunque tutto quello che vuoi, te lo meriti-.
-Grazie maestro- Marhim ringraziò con un piccolo inchino e aprì il cancelletto dell’arena.
-Prima le donne- disse facendosi da parte.
Elena arrossì. –Grazie-.
Quando furono dentro al campo, Marhim le passò la spada. Le venne vicino e fece per dire –è molto facile tenerla in mano, guarda devi…-.
-So come si usa- sbottò lei allungando le labbra in un sorriso.
-Davvero?- domandò sorpreso lui facendosi indietro.
Lei annuì e lanciò in aria l’arma riafferrandola saldamente dall’elsa.
-Wow…- Marhim stava cominciando a sudare.
Elena lo precedette. –Che ne dici di cominciare con qualche affondo?-.
Marhim annuì e si mise nella posizione didattica che aveva imparato. Anche da lontano, Elena sentiva che i suoi muscoli erano tesi e la presa sull’arma poco salda.
Marhim fece un balzo in avanti e mandò un affondo che la ragazza non riuscì a parare del tutto. Fortunatamente le lame scivolarono l’una sull’altra e lei ebbe il tempo di schivare prima che Marhim le tranciasse la carne.
-Stai pronta la prossima volta- le consigliò.
Halef era appoggiato alla staccionata con i gomiti e guardava divertito.
La guardia che li aveva lasciato il permesso di provare guardava senza battere ciglio i movimenti fluidi della ragazza.
Elena si chinava, rotolava e s’inginocchiava per parare o schivare.
- Marhim- lo chiamò ad un tratto Halef.
- Che c’è?- interruppero l’allenamento.
Marhim andò verso suo fratello, ed Elena colse la guardia che le faceva cenno di avvicinarsi.
- Elena, giusto?- domandò.
La ragazza, dal fiato corto e le gote rosse, annuì.
-Mira alle gambe. Quel poveretto ha ancora molto da imparare, e il rango non fa la spada. Se scarta di lato, vai dritta alla spalla esterna. Ma dove hai imparato?-.
L’ultima domanda aveva spezzato l’atmosfera.
-Io…- non poté aggiungere altro che Marhim tornò al centro del campo.
-Forza, ho ancora molto da insegnarti!- rise.
Lui da insegnare a me?
La ragazza si sistemò a pochi passi dal suo avversario, che appena la vide distratta mandò un colpo basso.
Elena fece un saltello indietro e lo prese alla sprovvista.
Marhim perse l’equilibrio in avanti e lei lo spinse con un calcio al petto. Il ragazzo cadde di spalle e si ritrovò al suolo in pochi secondi.
Elena vide che molta gente si stava radunando attorno e molta altra si fermava a guardare da lontano.
-Avanti, fratellone! Rialzati, non vorrai farti battere da una ragazza!- gli gridò Halef.
Marhim si alzò aiutandosi con la spada. Si rimise in posizione e la guardò confuso.
-Come è possibile? Sei sicura di non aver mai combattuto?-.
-Non l’ho mai detto- confessò Elena.
-Vuoi dire- sbottò incredulo Marhim. –che sai combattere? Sei capace di uccidere?-.
-Sì…- Elena abbassò lo sguardo.
-Dimostralo- Marhim si fece arrogante. –Chiunque sarebbe capace di gettare a terra l’avversario con un colpo del genere, dimostrami quello che sai fare e a fine lezione mi dirai chi è stato il pazzo che ha sprecato la sua vita ad insegnare ad una donna!-.
Elena ne rimase toccata.
Marhim aveva trascinato suo padre nella conversazione, e la cosa la turbava irrigidendole la mente, che al contrario sarebbe dovuta rimanere aperta e concentrata sull’esterno. Per di più gli dava del pazzo, ma indirettamente Marhim aveva anche offeso se stesso dicendo che insegnare ad una donna era inutile.
Elena tornò dritta a squadrare il suo avversario, che nervosamente non riusciva a stare fermo.
Marhim aveva capelli castani che incorniciavano un viso spigoloso e due occhi grigi.
Il suo fisico era allenato, ma sicuramente poco portato per la resistenza ad un lungo duello.
Elena si avvicinò, e cominciarono a fronteggiarsi di nuovo.
Quella volta Marhim aveva cominciato a fare sul serio, a menare affondi con più forza e a metterle paura.
Per un istante, ad Elena parve di stare a fronteggiare una guardia di Corrado.
Mentre combattevano, le balzarono alla mente le parole della lettera, di suo padre.
Una certa rabbia ribollì anche in lei, e le diede la forza di far scintille tra la sua e la lama di Marhim, che si fece indietro atterrito.
Marhim le fu addosso di nuovo, e tra parate e affondi improvvisi Elena si trovò in vantaggio dopo poche mosse.
Marhim sudava, e lei aveva il fiato corto.
La gente si radunava a valanghe, e molte delle guardie di pattuglia, assieme agli arcieri sulle mura, si girarono a guardare.
Elena lo costrinse al suolo diverse volte, ma Marhim, con agilità incredibile rotolava di lato e la sorprendeva alle spalle.
Ad un tratto, sentì i muscoli cedere e le bastò parare un solo colpo per trovarsi a terra.
-Allora…- fece Marhim girandole attorno.
Lei poggiò la testa sulla pietra e lasciò che la spada le cadesse di mano. I suoi polmoni stavano per esplodere, il sangue che circolava bollente le bruciava le vene, e non sentiva più le gambe.
-Da chi hai imparato?- Marhim le porse una mano per aiutarla ad alzarsi. Lei l’afferrò e lui, con ancora tanta forza nelle braccia, la tirò su in un istante.
-Mio… mio padre. E credo di essere qui… per migliorare- la fatica le mozzava le parole.
-E per quale motivo?-.
-Ah, sapessi…-.
Marhim si guardò attorno, poi tornò a guardare la ragazza. –Ciao, piacere. Sono Marhim-.
Elena gli strinse la mano. –Elena-.
-Nome che non è di queste parti- osservò lui.
-Sono di Acri-.
-Quindi… quando ti abbiamo trovata per strada era da lì che fuggivi?- sorrise.
-Sì- disse timidamente lei. –Credo di sì-.
Gli sguardi della folla erano puntati tutti su di loro.
-Piacere di avervi fronteggiato, Lady Elena- proruppe in un inchino.
Lei accennò uno sbuffo. –Dai, smettila-.
-C’è qualcosa che non va?- le domandò.
Sì. Essere al centro dell’attenzione era il problema.
Le girava la testa, e quello veniva di seguito a tutti i suoi problemi.
-Stai bene?- fece Marhim. –Hai una faccia-.
-Sei stato un degno avversario…- Elena lasciò il campo di addestramento e andò a restituire la spada ad Halef. –Grazie, tuo fratello è un tipo simpatico…- anche parlare le costava fatica.
Halef sorrise. –Credo che lui pensi la stessa cosa di te-.
-Sì, va bene…- non aggiunse altro e andò dritta verso l’uscita del cortile.
Accelerò il passo sentendosi osservata da tutta quella gente e raggiunse di corsa i piedi della collina sulla quale era arroccata la fortezza.
La folla andava e veniva chiassosa, bancarelle di tappeti e vasi allestivano le strade polverose della cittadella. I bambini giocavano vicino ad una fontana con una vecchia palla.
Elena si sedette su una panchina accanto a due donne che sparlavano dei passanti.
Le due la videro e cominciarono a bisbigliare tra di loro.
Elena distolse lo sguardo e si strinse al bordo della panca.
-Scusa- disse una delle due.
Elena si volse lentamente.
-Sei un’Assassina?- chiese l’altra.
Erano entrambe molto belle e ben vestite. Portavano dei sandali curati e avevano i capelli legati entrambe in una cipolla.
-Una cosa?- domandò non avendo afferrato.
- Un’Assassina- ripeté l’altra.
-Porti la loro veste. Soprattutto quella- rise la seconda indicando il tessuto rosso che portava attorno alla vita. –Era da un po’ che non se ne vedevano in giro!-.
-Non capisco…- Elena si strinse nelle spalle, ancor più stranita.
Le due si scambiarono un’occhiata e scoppiarono a ridere; poi si alzarono e si avviarono sulla strada ridendo. –Ci vediamo!- salutò una.
-Piantala, magari non è di qua…- la riprese l’altra e sparirono tra la calca che andava e veniva.
- Un’Assassina…- mormorò tra sé Elena guardandosi i piedi.
Indossava una comune tunica bianca legata in vita da una stoffa rossa. Poi parte della stoffa di avanzo le cadeva sulle ginocchia, e attaccata alla veste c’era un cappuccio che non aveva mai indossato.
Si disse che quello sarebbe stato il momento migliore per cominciare a coprirsi il volto: riconobbe Rhami venire verso di lei.

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Capitolo 9
*** Limpido come l'Acqua ***


Limpido come l'Acqua










Elena si tirò il cappuccio sul volto.
-Guarda che ti ho vista- rise Rhami.
Nel suo campo visivo Elena vedeva sol gli stivali del ragazzo, che gli era fremo esattamente davanti.
-Cosa?- finse lei. -Volevo solo provare, ecco tutto…- si tolse nuovamente il copricapo.
Rhami le si sedette accanto. –Allora- cominciò guardandola. –Ora sei una di noi-.
Elena non capiva, e le parole delle due donne e quelle appena dette da Rhami non facevano altro che confonderla.
-Una di voi?- non poté far altro che cercare di capirci qualcosa, ma la situazione era talmente assurda che non le andava neppure di chiedere altre indicazioni, per non rischiare di fidarsi ancora delle persone sbagliate.
Rhami si voltò e cambiò argomento (fortunatamente). –Volevo scusarmi per essermi comportato in quel modo, prima…-
Elena rise. –Non dovresti porre le tue scuse a me, e lo sai-.
Lui sorrise assieme con lei. - Forse hai ragione, il fatto è che so cosa hai passato e non volevo peggiorarti la situazione, ecco tutto- i loro sguardi s’incrociarono.
Elena tenne in volto la sua solita espressione neutra, da attesa.
-Sai, molti di noi già lo sapevano che saresti venuta qui. Quando arrivavano le lettere di tuo padre, le voci giravano in fretta-.
-Questo non mi tira su di morale- mormorò lei. –Ma perché sembra che nessuno voglia dirmi come davvero stanno le cose?!- quasi isterica, si passò le mani tra i capelli.
-Be’, fanno così un po’ con tutti all’inizio, poi con le donne credo sia totalmente diverso. Il Maestro e Adha sono i più grossi qui dentro. Lei non da molto, ma assieme ci guidano da parecchio tempo-.
-Che fine ha fatto- chiese lei. –L’arrogante ragazzino dell’infermeria?-.
-Te l’ho detto!- sbuffò Rhami. –sono un assassino che si adatta poco alle situazioni confessò.
Elena tacque.
Quella parola tanto intrigante, che aveva sentito pronunciare più di una volta.
-Sei un cosa?- balbettò, ma cercò di contenere la sua ignoranza, mostrandosi il meno sciocca possibile.
Rhami si alzò. –Devi fidarti di Adha. Ho ricevuto ordine da lei in persona che non posso, che nessuno di noi per ora può, ecco…- sembrava dubbioso. –scusa, devo andare- disse in fine allontanandosi.
-No, aspetta!- Elena scattò in avanti, ma Rhami sparì tra la folla all’ingresso della fortezza.
Ma che diamine, pensò tirandosi i capelli e abbassando lo sguardo.
Nella sua testa le ombre del passato avevano messo radici, e lei non ne poteva più!
Ricapitolando:
Vent’anni a imparare ad usare la spada! Due pazzi che la tengono lontana da qualsiasi verità e risposta agli enigmi di suo padre! Due donne che la incolpano di omicidio e un ragazzo che non può parlare con lei! Basta! Le scoppiava la testa!!!
Le stavano raccontando tutti delle grosse menzogne. Da un momento all’altro l’avrebbero trasformata in una danzatrice del ventre e l’avrebbero fatta ballare sui tavoli della mensa della fortezza. Oppure a rifare i letti e a spazzare i pavimenti, come aveva avuto modo di vedere altre due ragazze.
Assassini?
Forse era proprio a costoro che le guardie di Acri si riferivano chiamandoli “bastardi”.
Solo pensare alle vite che aveva stroncato per seguire le parole di matto di suo padre, le rivoltava lo stomaco.
Si voltò verso l’acqua della fontana, e vide il suo viso increspato e ricurvo dalle onde che lo schizzo creava.
Rimase a guardarsi per minuti interi, fin quando un bambino non cominciò a ridere e a sussurrare alla madre: -Guarda mamma, è una nuova statua!- disse con voce infantile tirando il vestito della donna che teneva in grembo un paniere.
Ad un tratto le increspature dell’acqua si assopirono, mostrando una superficie limpida e immobile.
Una voce rise. –Mio fratello pensa che tu sia una statua-.
Quando alzò gli occhi, Elena vide che una ragazza aveva interrotto il flusso dell’acqua riempiendo un vecchio cestello. Indossava un lungo mantello verde scuro, e sulle spalle le ricadevano dei bellissimi e voluminosi capelli ricci. Castani come il profondo dei suoi occhi, le arrivavano a metà della schiena dritta. –Tirati su, non fare quella faccia- le disse.
Elena era stordita, come se la ragazza parlasse una lingua che non era la sua. –Una statua?- balbettò.
Ultimamente il suo tono di voce era così fievole e insicuro, che non si riconosceva più.
-Sì, sì- continuò lei. –So che l’hai sentito, so che puoi sentire meglio di chiunque altro- aggiunse.
-Cosa?-.
-Sono Elika- la precedette la ragazza, e dopo che il cestello fu pieno di acqua fresca, le venne vicino. –Ben venuta a Masyaf- le sorrise.
Elena si alzò. –Scusa, ma siete tutti così ospitali da queste parti?- le scappò di bocca.
Ad Elika scappò un risolino. – Non devi avere paura di noi-.
-Chi siete “voi”?- ecco qualcuno che avrebbe risposto alle sue domande, o che al meno, avrebbe fatto due chiacchiere senza argomenti tabù.
Elika aggiustò la stretta attorno alla caraffa. –Un tempo avrei dovuto tenere la bocca chiusa, ma sono sicura che ora non è più un mio problema obbedire al credo- guardò altrove.
-Quale credo?-.
-Quello dell’Assassino- disse di punto in bianco Elika, ma quando vide l’espressione contorta di Elena, si rimangiò tutto. –Tharidl Lhad è l’unico che può rispondere alle tue domande. Sappi solo che un tempo ero come te, Elena-.
-Come sai il mio nome?- si stupì la ragazza.
-Tutti sanno di te, e nessuno sa niente di nessuno. Siamo tutti amici e nemici a cui piace parlare bene e male degli altri. Di te si parla bene, Elena. Molti credono nel motivo per cui sei qui, ma una piccola minoranza è contraria a questo. Ai miei tempi c’era Al Mualim a guidarci, il Maestro che precedette a Tharidl, ma so che sei in buone mani. Va’ a parlare col Maestro, e quando avrai finito sfuggi da Adha, che non farà altro che tormentarti ancora, fidati; ho deciso che sarai mia ospite per cena, e non puoi rifiutare-.
-Sono confusa…-
Elika rise. –Per quante volte, dimmi, hai ripetuto questa frase oggi?-.
-Troppe- Elena si mostrò amichevole arrossendo.
Elika fece un passo indietro, verso sua madre e suo fratello che si allontanavano. –Masyaf è piena di gente che può confonderti, ma io credo di conoscerti meglio di chiunque altro. Tuo padre non ti avvertì di questo, ma posso aiutarti a capire. Questa sera a questa fonte!- e sparì tra la gente.
Elena era stordita e incerta anche su quale piede muovere per primo.
Un invito a cena da una sconosciuta… in che modo la sua vita avrebbe preso una piega ancora più impossibile?!?!
Questa nuova Elika le aveva consigliato di tornare dal “Maestro”, ma per quale motivo?
Se ricordava bene, Tharidl Lhad non le aveva voluto dire più di tanto, e lei ci era rimasta avvilita.
Di chi doveva fidarsi? A chi doveva dare ascolto? O soltanto, quale delle troppe voci che aveva sentito era l’unica che davvero poteva capirla?
Ricapitolando:
Elika? Rhami? Marhim o Adha?
Masyaf, si disse, pone fiducia nel suo Maestro e nelle sue guide. Forse doveva provare a fare lo stesso, ma se Tharidl non voleva dirle altro, come avrebbe potuto capirci qualcosa?
Agli abitanti del villaggio sembrava fosse stato fatto il voto del silenzio, una congiura contro di lei per tenerla lontana dalla verità. Ma poteva chiamarsi verità, se erano solo poche parole celate dietro ad un segreto? Un triste ed emarginato segreto?
Cosa aveva Elena di tanto speciale a parte il fatto che sapesse impugnare una spada?
Era giovane e bella, ma dopo quella mattina si sarebbe sentita il peso degli anni di una cinquantenne.
Si diresse verso l’alto della città, camminando tra la gente e cercando di dare meno nell’occhio. Senza sapere cosa o chi rischiava di incontrare, preferiva imboccare dei vicoli bui piuttosto che tenere la strada principale.
Ebbe il tempo di conoscere le abitudini e le vie più nascoste della cittadella, così da poter effettivamente architettare un’eventuale, ma improbabile, fuga da tutto quello.
Suo padre le aveva insegnato anche quello: ascoltare, guardare e comprendere. Poi nella sua ultima lettera diceva che le aveva insegnato male. E ci credo! Si disse Elena. Mi ha insegnato male a capire!
Rise per averci solo pensato, e in breve si trovò davanti all’ingresso per il cortile del palazzo.
L’interno taceva, la calca rispetto a un’ora prima si era diradata, e ora all’entrate non c’era un’anima. Solo qualche guardia con la sua truppa di pattuglia, e un gatto che rincorreva un topo.
La sentinella responsabile degli allenamenti stava chiacchierando con un ragazzo e sembrava gli stesse dando alcuni consigli su come impugnare una spada corta.
Elena entrò e si mostrò agli arcieri, che le furono subito addosso con gli sguardi.
Si strinse nelle spalle e camminò con le braccia conserte.
-Non dovresti essere qui…- borbottò un uomo quando gli passò troppo vicino.
Elena si scansò spaventata con un balzo e rabbrividì.
Ripenso alle parole di Elika, che le aveva detto che molti non gradivano la sua presenza, che molti non l’avrebbero mai accettata.
Mentre rimaneva ferma davanti alle scale, si chiese il perché di tanto odio per lei! Se Marhim l’avesse lasciata morire nel regno, ora nessuno avrebbe problemi, e tutti se ne starebbero per i fatti propri.
Per la prima volta, da quando aveva combattuto con un cavaliere di Corrado e l’aveva ucciso, Elena provò paura. Paura per la gente armata che le girava attorno, paura che le sue ansie la portassero ad isolarsi dal resto, paura che nessuno potesse capirla.
C’era Elika, che restava però, tutt’ora una sconosciuta…
Una guardia si schiarì la voce.
I due uomini appostati accanto alla grata che dava sul giardino fecero un piccolo inchino a turno.
–Il Maestro vi aspetta- disse il più giovane.
L’altro distolse lo sguardo sbuffando.
Elena salì i gradini e cominciò a tirarsi nervosamente una pellicina.
In cima alle scale, distratta dalle sue angosce, Elena non aveva notato che c’era Adha ad aspettarla.
La donna la strinse per un braccio e la tirò fino al cospetto del Maestro, che era voltato a guardare fuori dalle vetrate.
-Basta!- sbottò Adha scuotendo la ragazza, poi guardò il vecchio. –sei un pazzo se credi di aiutarla in questo modo! L’hai mandata a vagare per la città senza chiarirle nulla, mi hai promesso che le avresti detto tutto, infame che non sei altro! Come Al Mualim, il tuo compito sembra quello di farle soffrire, ma ora basta! E guardatemi, Tharidl, quando una donna vi parla!- Adha era furiosa, ed Elena non riconobbe la carismatica infermiera che le aveva guarito la gamba. Adha non era più in lei.
Tharidl si voltò lentamente. –è ciò che ho tentato di fare, Adha, ma ella non ha saputo pormi le domande giuste. Ho sperato che se avesse avuto modo per pensare per qualche istante a se stessa, avrebbe saputo solo a quel punto chiedere senza indugiare- lui, al contrario, era calmo e distaccato.
Adha lasciò la ragazza, che fece spaventata un passo indietro. Elena raggiunse il parapetto alle sue spalle e vi si appoggiò di peso, sentendosi mancare il fiato.
-Basta, vecchio! Se non sarai tu a farlo, allora sarò io a dirle che!…-.
-Smettila, Adha!- la voce dell’uomo riecheggiò nella sala e oltre, poiché fuori dalle vetrata, Elena vide gli arcieri sulle mura voltarsi terrorizzati, e stormi di piccioni levarsi in cielo.
-So quello che faccio, e ora mi sei solo d’intralcio! Essere tornata dopo così tanto tempo non ti concede l’autorità che sembri esserti regalata! Vattene…-.
Adha gonfiò il petto inorridita, e lasciò che un grosso sospiro le uscisse da dentro. La pelle del suo viso tornò limpida e rosea, e lei riacquistò la calma persa.
-Confido in voi, Maestro… perdonatemi-.
-Scuse accetta, ma ora vattene. Se può consolarti, non commetterò lo stesso errore. Va’, ci sono alcuni feriti che necessitano della sua pazienza-.
Adha afferrò due lembi del vestito, ed Elena la vide, per la prima volta, inchinarsi del tutto, prostrandosi col massimo rispetto, poi li lasciò soli.
Un silenzio assurdo era calato sulla fortezza.
In lontananza si udivano solo i rimbombi di voci senza un padrone, e lo sbattere delle ali dei colombi messaggeri chiusi nelle gabbie sullo scaffale della libreria.
-Spero di non averti spaventata, Elena-.
-No, affatto- mormorò lei facendosi di nuovo avanti.
Non poteva esitare. Se il “Maestro” voleva mettere alla prova la sua sicurezza, quello non era affatto il momento giusto per tirarsi indietro, di nuovo.
Il vecchio tacque, e in fondo non era lui quello che doveva parlare.
-Voglio sapere tutto- disse seria Elena, con voce che non tradiva alcuna emozione. Aveva il controllo di sé, e non avrebbe sbagliato.
-Tutto, tutto?- sorrise l’uomo.
Lei annuì decisa.
-Sono fiero di te, Elena. Il coraggio che hai dimostrato non è stato affatto da nulla. Gli uomini che hai ammazzato sul tuo cammino ti saranno ancora di ostacolo, ma in questo luogo imparerai a non temerli più, mai più- prese fiato. –Gli uomini che vedi aggirarsi per queste mura, che celano il loro volto agli estranei e lo mostrano ai loro superiori, sono Assassini, Elena. Essi tengono a lucido i pavimenti di marmo del nostro mondo, proteggono i deboli, aiutano gli innocenti. Masyaf è una città temuta dai saraceni come dai crociati per gli Angeli della Morte che la abitano, e nei secoli dei secoli i più illustri tra di loro si sono succeduti al compito di tenerne le redini.
-Devi sapere che fino a cinque e pochi anni fa, questa setta ospitava sotto il suo tetto un gruppo di donne scelte per la loro bellezza, la loro grazia e la loro maestria affinché intraprendessero il cammino delle “Dee”. Esse erano Assassine, Elena, uccidevano sotto ordine chi non giovava ai giochi politici del nostro regno, e sostavano al credo come chiunque altro fratello. Tua madre fu una delle migliori, ma anche quella che spezzò la catena.
-Alice era una ragazza come te, intransigente, spaventata, e poco autonoma. Ma la setta l’accolse a braccia aperte per la sua incredibile autonomia e autocontrollo di fronte all’omicidio. In poco tempo divenne la più abile, la più letale tra tutte. Col passare degli anni, però, ella legò con tuo padre all’interno della Confraternita, e sotto assoluto segreto concepirono uno dei giovani che ora abita questo tetto. Quando Al Mualim venne a sapere di ciò che era successo tra Alice e Kalel, egli bandì entrambi dalla setta, ma prima di lasciare Masyaf sotto le luci dell’Alba, Kalel affidò a me suo figlio. Non ero in grado di occuparmene, poiché all’epoca fossi solo un ragazzo ingenuo. Lo consegnai come orfano ad Al Mualim, e l’ignoto bambino crebbe tra le braccia del Maestro assieme a molti altri come lui.
-Di fatti, solo anni dopo l’allontanamento di Kalel, molte delle Assassine vennero scacciate, altre uccise senza alcuna pietà. Chi di loro ancora vive, deve ringraziare il Dio in cui crede per aver trovato la forza di continuare ad abitare questo posto. Per questa città circolano ex Assassine che hanno avuto la mano del loro salvatore poggiata sulla testa, e parliamo solo di pochi anni fa, Elena, non dimenticare che molta gente di Masyaf ancora disprezza queste donne che porteranno a vita il nome di Angelo della Morte, ma che, secondo il pensiero della folla, non meritano.
-Al Mualim non volle accogliere più nessuna donna all’interno della Confraternita, e da allora ad oggi i passi sono stati brevi, davvero brevi. Appena sei mesi fa ricevetti la prima lettera di tuo padre, che ritenevo morto o scomparso. Egli mi parlava di te Elena, e di come ti stesse insegnando ad usare la spada, di come ti stesse preparando ad affrontare il giudizio di Al Mualim. Se solo tuo padre mi avesse avvertito prima…
-Io e i saggi della Confraternita ci riunimmo per discuterne, ma molti, troppi erano contrari, Elena. Quando salii alla carica di Maestro, i saggi mi mostrarono alcuni testi in cui Al Mualim, nei suoi appunti, testimoniava di un patto di sangue tra di lui e l’ultima Assassina che abbia mai abitato questo tetto. Nel libro era racchiuso un giuramento macchiato dal sangue dell’ultima Dea, e nulla, come i saggi mi rammentarono alle riunioni, avrebbe potuto infrangere quel patto.
-Elena, prova solo ad immaginare quanto dura potrà essere la tua vita qui! Posso farti accettare, posso raggirare le parole di Al Mualim, posso farlo, ma devi essere pronta ad affrontare chi non si schiererà dalla tua parte, e saranno in tanti. Elena, oggi ti ho fatto scendere nel cortile e ho chiesto a Marhim di farti provare a combattere affinché provassi un assaggio, pur in minima parte, di quello che ti aspetta.
-Elena, ti parlo di ricatti, intimidazioni, violenza! Adha vuole a tutti i costi che tu affronti questi ostacoli, ma lei non può minimamente immaginare cosa davvero si cela dietro i cappucci dei nostri membri. Voglio darti del tempo, Elena, altro tempo per provare ad imparare a convivere con i tuoi nemici più grandi.. Tuo padre, quando scrisse quella lettera, non sapeva del patto tra l’Assassina e Al Mualim, e ti mandò lo stesso qui. Ma sappi che io farò il possibile per non farti soffrire, anche tenerti lontana dalla Confraternita lottando a mani nude con Adha, che secondo le parole di Kalel, ha la massima autorità su di te. Elena, di’ qualcosa…-
Elena sollevò lentamente gli occhi, completamente lucidi e sbiaditi.
Non l’avesse mai chiesto…
Una lacrima le attraversò la guancia, e lei lasciò che precipitasse al suolo.
-No, Elena!- l’uomo le venne più vicino. –Queste, le tue lacrime, la tua debolezza è proprio quello che non devi dimostrare!- le prese il viso tra le mani rugose e le asciugò le guance.
Lei rimase immobile, con gli occhi azzurri che le si riempivano come fiumi in piena.
-Se in te rimane un briciolo di forza, usalo per combattere la prima più grande battaglia. Ora dimmi, piccola- lui la guardò sorridendo. –cos’è che ancora ti spaventa-.
Elena aprì appena la bocca, ma la saliva era pastosa e amara, il respiro irregolare e le ballava il mento. –Non lo so…- pianse.
Il vecchio si voltò e recuperò dal tavolo un oggetto. Era una collana, la strinse tra le dita e poi le venne al fianco.
-Era di Alice- disse lui.
Elena cercò di scorgere qualche altro particolare al di fuori della catenella c’argento, ma il vecchio le prese la mano e le poggiò sul palmo il ciondolo.
La ragazza la guardò sorridendo: era il simbolo che aveva visto sugli stendardi. Era una A stilizzata, il buffo compasso aperto. Intagliata in una sottile lastra di pietra nera.
-Kalel la fece per lei quando s’innamorarono, affinché Alice si ricordasse per sempre di dove si erano amati per la prima volta. Era al collo del bambino che tuo padre abbandonò nell’asilo degli orfani. Così riconobbi che era suo figlio. Tienila, è tua ora. Spero che ti sia di aiuto, ma non sfoggiarla come fosse un bel diamante, anzi, ti auguro di esserne molta gelosa, affinché nessuno possa strappartela via-.
La ragazza si asciugò le lacrime mentre si tirava su i capelli dal collo.
-Ne sono onorato- disse in fine il Maestro, che gliela allacciò delicatamente. –ecco fatto. Sii forte, non combattere le battaglie che non puoi vincere, se puoi nasconderti fallo, perché non ci sarà nessuno a proteggerti. Quello che posso assicurarti, però, è che all’interno di questo palazzo dimora da anni il tuo fratello maggiore. Questo è uno dei tanti motivi per cui tuo padre ti mandò da me. Adha non ne sa nulla. Non farne parola con nessuno. Sarà il nostro segreto…-.
Dicendo così, il Maestro l’abbracciò, poi si allontanò verso la libreria.
Si voltò un ultima volta verso di lei, che si girava nella mano il ciondolo della collana.
-Elena, sono sicuro che prenderti altro tempo non possa fare altro che aiutarti. Per questo non voglio che tu realizzi subito di dover cominciare i tuoi addestramenti, preferisco che prima ti faccia vedere in giro, che ti trovi alleati e stabilisca bene quali sono i tuoi confini. Resterai all’interno del palazzo per svolgere assieme ad alcune ragazze dei lavori che ti terranno occupata le mani, sei d’accordo?-.
Elena, senza dire o fare nulla, annuì.
-Bene. Marhim ti aspetta nel cortile, ti mostrerà la città e l’interno della fortezza. Egli sa tutto quello che deve sapere, e spero che tu ti trovi a tuo agio con i suoi servigi. Ora puoi andare…-.
-Grazie…- bisbigliò, e prima di avviarsi aggiunse: -Grazie, Maestro-.

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Capitolo 10
*** Con le spalle al muro ***


Con le spalle al muro








Elena camminava col mento al petto, senza guardare in faccia nessuno, e senza permettere a nessuno di farlo.
Il suo pugno destro era stretto attorno al ciondolo di sua madre.
Pensò che non aveva mai conosciuto Alice di persona, e senza mai sapere il perché, suo padre, oltre che tenerle nascosto molte altre cose, non gliene aveva mai parlato. Fino a qualche anno prima credeva di non aver mai avuto una madre.
La novella che più la turbava, che la lasciava col fiato sospeso e con le spalle al muro era quella di avere un “fratello”, chissà dove, disperso tra la folla che abitava le mura della fortezza, uno tra i tanti Assassini che la abitavano.
Marhim la stava aspettando con le mani giunte dietro la schiena, come a nasconderle qualcosa. Le sorrise sereno quando la ragazza gli si fermò a pochi passi.
Prima di parlare si schiarì la voce, così da attirare gli occhi azzurri distratti di lei su di lui.
-Che coincidenza, non è vero?- si beffò.
-Posso vedere la mia stanza?- domandò lei pacata, con voce morta.
Marhim ritrasse il suo sorriso. –Ma certo- disse –seguimi-.
La condusse alle gradinate che portavano al picco della torre.
Le dimore si trovavano un piano sopra l’infermeria, ed erano una moltitudine di corridoi spaziosi,  arredati di tappeti e cuscini.
-Qui- intraprese Marhim mentre le faceva strada. –abitano gli Assassini più esperti, i loro alloggi sono stretti perché non vi passano molto tempo, poiché impegnati altrove e spesso molto lontano da Masyaf. Non molte volte ti capiterà di incontrare la stessa faccia due volte di seguito in un solo anno, qui i membri vanno e vengono. Vanno e vengono…- ripeté malinconico.
Elena lo seguiva e taceva, lo seguiva e taceva.
-Al piano sotto a questo teniamo i più giovani, i novizi come direbbero alcuni di queste stanze-.
Qualcuna delle camere che davano sul corridoio erano aperte, e non appena la ragazza vi lanciò un occhiata dentro vide erano vuote o molto buie.
Per il resto, quella sembrava l’ala della fortezza davvero meno frequentata, così desolata e silenziosa che Elena sentiva i suoi e i passi di Marhim perdersi nell’enormità del piano.
Raggiunsero una piccola saletta comune nella quale sfociavano altri corridoi. Al centro della sala, spostava verso la parete, era infossata una stretta scala di pietra.
Si disse che dormire in quel luogo abbandonato e inquietante sarebbe stata una delle sue più grandi sfide.
Elena lo seguì sulle gradinate, e si ritrovarono in una sottospecie di soffitta.
Il pavimento era in legno pregiato e tirato a lucido.
Era una piccola stanza tonda dalla quale si allungavano diversi atri, ciascuno dei quali era decorato in diverso modo, con differenti arredamenti e tappezzeria.
Armadi, arazzi, tappeti dei colori più vivaci. E anche tavoli, e tantissimi cuscini ammassati al centro della sala a formare un piccolo salottino da terra.
Le finestra davano sul panorama ad alta quota, ed erano immense vetrate dalle quali passava continuamente una freschissima brezza. Le tende erano di un colore così chiaro che sembravano trasparenti, ed ondeggiavano come le onde del mare.
Elena alzò il viso, meravigliata. –Sei sicuro che…-
-Un tempo qui abitavano loro- disse Marhim facendo qualche passo avanti, anche lui estasiato. –A noi non era permesso entrare, a nessuno che non fosse Adha o una Dea era permesso assaporare il profumo di queste stanze- aggiunse prendendo un grosso respiro.
Marhim camminò su e giù per la stanza. –Sono contento di aver ricevuto l’onore di accompagnarti fin qua su. Mi sarei aspettato che il Maestro ne incaricasse Adha, ma a quanto pare questo luogo ha perso la sua autorità…- mormorò affranto. –è un peccato-.
Elena si avvicinò ad uno dei diversi ingressi. Portavano a delle stanze, altre decine di stanze.
–Quante erano prima di me?- chiese  tenendo una mano sulla bocca e l’altra che stringeva il ciondolo.
Marhim continuò a fare il giro del salone. –Una ventina, forse di più, nei migliori anni della setta. Parlo di prima che cominciasse la guerra, prima della prima Crociata. Non saprei come raccontarti di più, se sei curiosa dovresti chiedere ad Adha. Lei…-.
-Sai qualcosa di una certa Elika?- domandò all’improvviso.
Marhim si voltò verso di lei. –Come sai quel nome?- e le venne incontro.
-Ecco… me ne ha parlato il Maestro- balbettò, e fu lieta che Marhim non si accorse della bugia.
-Allora, se te ne ha parlato lui…- il ragazzo tornò ad ispezionare.
-Veramente ha accennato questo e altri nomi. Chi era?-.
-Elika fu una delle ultime assassine che lasciò la setta. Il suo nome non è poi così pieno di storia, parliamo di non più di qualche anno fa, piccola!- rise.
-Già, ma ogni Assassina qui sembra essere una leggenda- lei guardò fuori dalla finestra, sospirando.
-Non una leggenda- la corresse brutalmente Marhim.
Lei si voltò sospettosa.
-Ma una minaccia. A Masyaf e nella confraternita non c’era assassino che non le temesse e le amasse al tempo stesso-.
-Che intendi?- Elena sfiorò con la mano il vetro dell’unica finestra chiusa.
-Al Mualim aveva un rigido codice a riguardo. Le donne nella setta d’accordo, ma al fine che nessuna di loro avesse rapporti con altri assassini. Le ragazza non erano mai viste di buon occhio per questo, sempre piene fino al collo della loro bellezza, arma che usavano contro le loro vittime. Poi arrivò Alice, e tuo padre, da ingenuo…- alzò le spalle.
-Mio padre non era un ingenuo!- sbottò lei con un balzo in avanti.
-Non negare l’evidenza, Elena- sbuffò il ragazzo. –Avanti, lo sai benissimo che non era altro che un pazzo. Se Al Mualim costituì quel codice, ci sarà stato un motivo. E nessuno qui dentro vuole che la storia si ripeti. Prova a pensarci, Elena, prova a pensare quando nessuno ti scollerà gli occhi di dosso e alla fine ti ritroverai…-.
-No, non farò la fine di mia madre. Kalel mi mandò qui affinché io potessi imparare, e saldare la catena che Alice aveva spezzato. Ancora non ne sono certa, ancora non so come farò, con l’aiuto di chi…-.
-Visto?- lui le venne più vicino. –Credo che tu sia ancora in tempo per andartene, per lasciare le cose come stanno e come sono andate. Per farti una vita altrove-.
-Non mi sei d’aiuto…- confessò lei sedendosi tra i cuscini.
Marhim sobbalzò. Aveva disubbidito all’incarico che Tharidl Lhad gli aveva affidato: guidare ed essere sempre presente ad Elena.
-Hai ragione, scusa- lui le si sedette accanto. –Perdonami, stavo solo riflettendo ad alta voce-.
-Non fa nulla- borbottò la ragazza giocherellando con la collana. –tanto dovrò farci l’abitudine prima o poi. Come hai detto tu, mi staranno addosso, chi con le buone e chi con le cattive intenzioni-.
-Sono qui apposta. Il Maestro mi ha dato il compito di assisterti in tutto ciò. Sono stato sollevato dai miei precedenti incarichi perché lui crede nel destino che ci ha fatti incontrare sul ciglio di quella strada. A dire il vero, fu Halef a notarti per primo, ma sostituisco mio fratello per via dei suoi itinerari con gli Angeli-.
-Itinerari con chi?- domandò aggrottando la fronte.
-Halef sta imparando l’arte dell’omicidio da poco. Ora segue alcuni degli “Angeli” i così detti più esperti assassini per imparare da loro. È una cosa che un giorno dovrai sperimentare anche tu- sorrise.
-Davvero? Nel senso, devo seguirti mentre…-.
-No!- scoppiò a ridere lui. –Non me, e sicuramente non oggi. Il Maestro ti affiderà uno dei mastri assassini della setta, ma con molto giudizio. Sa che la scelta di chi ti metterà al fianco cambierà per sempre il tuo modo di agire, di pensare, di uccidere-.
-Mi spaventi-.
-Era quello che volevo- rispose divertito.
Elena tacque e si guardò attorno, ma sentiva gli occhi di Marhim ancora su di lei.
-Un certo Adel deve aver portato qui dei vestiti che Adha…-.
-Lo so, ma ora non ti serviranno-.
Elena abbassò lo sguardo. –Posso immaginare perché?-.
-Sono i resti più integri delle ultime divise femminili che sono rimaste. Quando l’ultima Assassina lasciò la confraternita, i loro vestiti furono bruciati, e ci mancava poco che anche questa stanza, completamente in legno, non prendesse fuoco- Marhim si stiracchiò alzandosi.
-So che sono parecchi giorni che te ne stai chiusa nell’infermeria, ed onestamente, le assassine erano celebri per il loro buono odore- rise.
-E pensare- disse lei sollevandosi – che credevo fosse una mia impressione- si annusò i vestiti e arricciò il naso.
-Avvertirò Adha che sei qui. Lei si occuperà del resto-.
Marhim fece per scendere le scale, ma Elena lo fermò chiamandolo.
Lui si voltò attento. –Sì?- le chiese, come se non stesse aspettando altro.
-Dove posso trovarti?-.
Le labbra dell’assassino si allungarono in un sorriso. –Sarò ad aspettarti alla fine delle scale. da lì ti mostrerò il resto del palazzo- poi scomparve di sotto.
Elena si affacciò alla finestra, e il ciondolo le scivolò dalla tunica andando a pendere sul vuoto dello strapiombo.
La vista era davvero mozzafiato.
Stormi di colombi si rincorrevano nel cielo e il vento le scompigliava i capelli.
Chissà, pensò, tutto sommato le piaceva quel posto. Aveva una stanza enorme tutta per lei, e già si era fatta degli amici. Forse non c’erano così tanti lì dentro che la volevano morta o darle fuoco assieme a dei vecchi vestiti.
Curiosò per le stanze e si accorse che c’erano due vaste biblioteche, una quindicina di camere con letti a soppalco e tre bagni muniti di lussureggianti vasche in marmo.
Eccome se quel posto le piaceva!
Entrò in una delle stanze da letto e vide che diversi scaffali correvano lungo le pareti. In fondo, coperta da spesse tende di lana per trattenere il calore in inverno, c’era una finestra chiusa. Aveva scelto la stanza più buia e polverosa nella quale ficcare il naso, e si disse se non fosse proprio quella la più interessante.
C’era un piccolo scrittoio e alcune cassapanche. I letti in totale erano quattro, e tutti lasciati in disordine coperti da vecchie federe ingiallite e cuscini sgonfi. C’era un armadio a parete completamente vuoto, e diversi tomi erano sparsi per il pavimento.
Le condizioni delle altre camere erano più o meno simili, forse sarebbe toccato proprio a lei rimettere ordine.
Ragnatele argentate si allungavano agli angoli del tetto, e non mancavano gli scricchiolii del pavimento.
Andò verso la finestra e scostò le tende. Un alone di polvere si diffuse per la stanza, mentre la luce dava nuovi colori alle pareti.
Il vetro era appannato e graffiato, nella parte in alto a destra era scheggiato. La vista dava all’interno della fortezza, precisamente affacciava sul cortile di addestramento, ma molto più in alto.
Da lì si vedeva tutta Masyaf, arroccata sulla collina, e oltre. Elena poté vedere delle rovine alla fine della strada che portava fuori città, e poi le lande desertiche e asciutte che andavano all’orizzonte.
-Sono contenta che ti piaccia questa stanza-.
Elena si voltò.
Adha era in piedi sull’uscio e la guardava sorridendo.
La ragazza, sorpresa, fece qualche passo indietro. –Era la stanza di qualcuno che ho per caso già sentito nominare?- chiese divertita.
-Alice amava condividere questa stanza con se stessa- proferì Adha.
Elena scorse che due ragazze si spostavano velocemente da una camera ad un’altra con in grembo asciugamani di seta.
Elena capì che era il momento di fare un bel bagno.
-Tu l’hai conosciuta, giusto?- di fece avanti e lasciò la stanza.
Adha richiuse la porta alle sue spalle. –No, poiché in quegli anni fossi solo una bambina e non abitavo ancora a Masyaf. Ma le ultime gesta di tuo padre ho avuto modo di assisterle- le disse accompagnandola nel bagno.
Le pareti e il pavimento erano di marmo, e negli appartamenti delle Dee ce n’erano due di sale che possedevano al centro una grossa vasca bianca. L’acqua era stata portata lì con dei cestelli vuoti che erano adagiati in un angolo. C’era della schiuma, dalla quale si levava una nuvola di fumo di condensa. Doveva essere bollente, si disse.
Le damigelle poggiarono gli asciugamani ai bordi della vasca e lasciarono la stanza. Adha le andò dietro fermandosi all’ingresso. Si voltò verso di Elena, che si guardava attorno pronta a cominciare.
-Quando avrai finito, Marhim avrà l’incarico di mostrarti il palazzo prima che faccia buio. I vestiti puliti sono su quella mensola vicino alla finestra, se hai bisogno di aiuto, le mie compagne ti assisteranno. Hai tutto il tempo, fai con calma, addormentati anche se vuoi…- le mormorò ridendo. Poi uscì.
Elena si spogliò del tutto ed entrò tra la schiuma senza pensarci due volte. Sprofondò fino al naso nell’acqua, sorpresa di quanto la vasca fosse profonda.
La collana le pendeva sul petto, l’accarezzò con due dita guardandola commossa. Sentì lo sporco scivolarle via mentre s’insaponava i capelli con uno speciale trattamento che aveva trovato lì accanto.
Aveva un profumo dolce e zuccheroso, non ne andò matta ma le parve anche l’unico a disposizione.
Seguì il consiglio di Adha e provò a chiudere gli occhi.
Sembrava di vivere in un luogo lontano, ma più bello di un sogno dove profumi sensazioni e sentimenti dolorosi e antipatici si sostituivano letteralmente ai desideri e ai pensieri vuoti. Quei pensieri che sgombrano la mente da altri pensieri, che la liberano e la trasportano via, via, via…

Un campanile rovinato dagli anni suona la sua campana e i corvi neri si levano nel cielo stridendo la loro musica. Sulla piazza c’è un gran silenzio, mentre la gente alza gli occhi all’uomo morto appeso alla forca. Il suo corpo è immobile e sbiadito, le sue mani sono legate dietro la schiena.
Elena è tra la folla, si guarda attorno senza fare nulla, rimane immobile e non riesce a controllare i suoi movimenti. Sta guardando verso il palco, verso il cadavere dell’uomo.
È Kalel.
Il laccio che stringe la gola di suo padre sta per staccargli la testa per quanto è stretto, mentre le guardie sotto di lui ridono a crepapelle.
Un arciere la vede e le lancia contro una freccia. Tutto accade in una decina di secondi.
Un uomo vestito di una lunga tunica bianca le si para davanti e devia la freccia che colpisce il suo guanto rivestito di placche di ferro. L’uomo estrae dei coltellini da lancio, e l’arciere sul tetto si accascia al suolo.
Le guardie li accerchiano entrambi, mentre la folla fugge spaventata.
L’uomo sfodera la spada e con pochi colpi le elimina senza fatica. La piazza rimane deserta e silenziosa, mentre i corvi vanno ad a cibarsi della carne di Kalel.
L’uomo si gira, è celato da un cappuccio, ma prima che lei potesse dire altro, si volta e sfugge nell’ombra di un vicolo.
Elena guarda suo padre, un assassino e poi una vittima.

Una lacrima le solcò il viso poggiando i piedi fuori dalla vasca.
Afferrò un asciugamano abbastanza lungo e se lo legò attorno al corpo, con gli occhi ancora umidi.
L’acqua era diventata fredda, e fuori dalle finestre il sole cominciava a scendere sulla valle.
Andò verso la vetrata e afferrò i suoi nuovi vestiti, stringendoli al petto lasciò il bagno.
-E così le ho detto che non doveva piangere, anzi, avrebbe potuto passare con lui anche…- una delle due damigelle l’aveva vista uscire dal bagno ed era scattata in piedi, mentre l’altra continuava a farneticare guardando altrove.
-Alzati, stupida!- le sottinse la prima.
-Oh, Dea- l’altra si sollevò all’istante.
Elena le guardò sorridendo e asciugandosi gli occhi. –Ho terminato, grazie…- disse andando verso una delle stanze che le due avevano messo in ordine da poco.
Le ragazze si catapultarono rosse in volto nel bagno e cominciarono a sbrigare le diverse faccende.
Elena si chiuse la porta alle spalle, e i suoi occhi tornarono di nuovo umidi.
Provò a ripensare alle parole di Tharidl, che senza esitare le aveva detto che piangere non le sarebbe servito a nulla. Doveva essere forte, ma improvvisamente nuove domande le assalivano la mente, senza darle tregua.
Doveva essere forte per lei? O per non mostrarsi debole agli altri?
I vestiti che Adha le aveva fatto portare erano completamente diversi da quelli che aveva portato per tutta la giornata.
Erano meno insoliti, più semplici come quelli che portavano le sue assistenti.
Era un vestito fino alle caviglie dello stesso marrone chiaro dei suoi capelli, con un innocuo spacco laterale, che andava coperto da un mantello a maniche lunghe verde scuro, munito di cappuccio. C’erano degli stivali leggeri e una fascia da legare in vita rosso porpora.
In fine, sullo scrittoio trovò alcuni piccoli accessori come cerchietti, mollettoni, e vari bracciali. Poi dei guanti e anche delle forcine.
Si legò i lunghi capelli castani in una coda alta e indossò come sopra il vestito anche la mantella.
Nella stanza, addossato alla parete e intarsiato di ricami d’orati, c’era un magnifico specchio alto poco più di lei. Si ammirò, ma per nulla soddisfatta.
Aveva la faccia appesa di sempre, le solite occhiaie e già non ne poteva più di sentirsi così… stanca senza aver fatto nulla tutta la giornata.
Bussarono alla porta.
-Mia signora Elena, Marhim chiede di voi- disse una damigella, appena affacciata nella camera.
Elena si stirò le pieghe dell’abito e andò verso l’ingresso.
La ragazza si fece da parte per farla passare, ed Elena vide Marhim che l’aspettava vicino alle scale.
-Eccoti- sorrise lui. –Adha mi ha mandato ad accertarmi che non ti fossi davvero addormentata nella vasca- rise rimanendo al suo posto.
-Veramente è successo- rispose lei andandole incontro.
-Bene, e cosa hai sognato?- chiese divertito.
Insieme si avviarono sui gradini, lei lo seguiva.
-Lascia stare…- mormorò.

Passando per i corridoi delle dimore degli Angeli, Elena ne contò qualcuno.
Erano uomini alti, giravano col cappuccio sempre abbassato e non la guardavano neppure. Marhim, al contrario, doveva inchinarsi e se loro non facevano nulla di risposta, proseguivano dritto.
Lì il rispetto del superiore doveva essere tutto, si disse la ragazza. Il Credo di un assassino davvero si basava sull’onore di ciascun individuo e sulla sua anima che non doveva mai essere infangata da nessuno e da se stessi. Così le disse Marhim mentre scendevano le scale per raggiungere il livello dell’infermeria.
-Credo che tu conosca bene questo posto- disse lui indicando il grosso portone di legno sempre socchiuso.
-Sì- rise lei.
-Allora proseguiamo-.
Marhim le fece strada fino al piano inferiore.
-Qui- sussurrò scostando appena la porta. –ci sono i piccoletti- sorrise facendosi da parte affinché Elena potesse lanciare appena un’occhiata.
I bambini che abitavano quella stanza non erano bambini, ma piccoli adulti.
Dalle età più tenere a quelle più mature, i visi rosei e bellissimi, pieni di vita e gioiosi nel bene e nel male, ma anche quieti, tranquilli e silenziosi. Erano seduti attorno ad un assassino che stava leggendo loro un vecchio libro.
La sala era ampia, e davvero spaziosa. C’erano dei cuscini, alcuni tavoli e finestre decorate da tende molto spesse.
Se aguzzava l’udito, Elena riusciva a cogliere la voce soave con la quale l’uomo narrava ai bambini la novella.
-… una torrida giornata per correre nel deserto, ma doveva raggiungere la destinazione nel nome del suo Dio, compiere la sua missione per salvare il suo popolo. Arsuf non era distante, pensò il cavaliere bianco…-.
-Andiamo- le fece Marhim richiudendo la porta. –Un giorno avrai più tempo da dedicarli- riprese le scale.
-Davvero?- domandò commossa lei.
Così piccoli, così innocenti, e già con la missione di uccidere…
Marhim si voltò. –Adha vuole che tu l’aiuti in alcune faccende all’interno della fortezza, e tra di queste ci saranno parecchi culetti da lavare…- sogghignò il ragazzo ricominciando a scendere.
-Cosa?!- balbettò incredula lei.
-Vedrai, ti piacerà-.
Elena le andò dietro recuperando la distanza. –Stai scherzando, vero?-.
-D’accordo, non dovrai occuparti tu del bagno, ma sicuramente avrai le mani impegnate- borbottò.
-Ma scusa, quando comincerò a…- Elena era confusa.
Marhim soffocò una risata. –Stiamo parlando della stessa cosa, o no?-.
-Non lo so, è per questo che…-.
-Elena- lui la guardò negli occhi. –Per ora il mio consiglio per te è lasciar fare tutto al Maestro e Adha. Sono loro che daranno parola per te quando verrà il momento. Non assillarti su cosa succederà dopo, o cosa è successo, pensa solo a quello che sta succedendo-.
-Ottimo- commentò. –ma sarò in grado di attenermi?-.
-Questo dipende da te!- rise il ragazzo.
Entusiasta e preservando le sue insicurezze per quando si sarebbe trovata di fronte al Maestro, Elena lo seguì in un corridoio all’altezza del terzo piano.
-Queste sono le sale che collegano la cucina e i saloni di ritrovo. È qui che generalmente la gente di Masyaf si riunisce per occasioni importanti, feste e celebrazioni varie-.
Erano tante sale quante le dita di una mano. L’una collegata all’altra da un corridoio controllato da guardie.
Nel salone principale, Marhim indugiò per qualche minuto.
Il soffitto era alto e si contavano le facciate di diversi balconi. C’era un piccolo palco di pietra rialzato da terra di pochi metri ed era molto vasto. Seguiva tutta la parete ovest della stanza ed era addobbato di ampie vetrate luminosissime, soprattutto quando la luce del sole era calante come in quel momento.
-In questa stanza il Maestro assegna i gradi di un assassino, ne proclama la sua maturità o…- il suo sguardo esitò sulla mano della ragazza.
Elena la ritrasse. –che c’è?- chiese turbata.
-Nulla, avanti- disse riprendendo a camminare. –Ci sono molte altre stanze da vedere-.
Si diressero di un piano ancora sotto, e trovarono quell’ala del palazzo molto frequentata.
Una piccola biblioteca si trovava accanto allo studio del Maestro, dove Tharidl le aveva parlato la prima e la seconda volta, ma la vera fonte di saggezza di Masyaf si trovava al secondo piano.
Enormi scaffali si allungavano per metri e metri quadrati di marmo colorato, mentre arazzi e stendardi ornavano i parapetti dei soppalchi che vi affacciavano.
Gli assassini e i “saggi” (gli uomini compagni del Maestro e suoi discepoli) trottavano da una parte all’altra, ma nonostante i bisbigli, nella biblioteca era re il silenzio.
-Qui vengo spesso- disse ad un tratto Marhim. –ovviamente contro la volontà dei miei insegnanti di armi- allungò le labbra in un sorriso. –non sono poi un tipo fisico quanto sembro- aggiunse.
-Ti piace leggere?- chiese la ragazza allungando una mano verso lo scaffale vicino.
Afferrò uno dei tomi e ne sfogliò le prime pagine.
Erano scritti a mano, in una calligrafia ordinata ed elegante. C’era un tratto di penna differente da capitolo a capitolo, segno che più uomini avevano lavorato allo stesso racconto.
-Moltissimo, e vedo che anche tu hai buoni gusti!- le venne vicino guardando dove la ragazza cercava di decifrare la scrittura in latino antico.
-Uno dei migliori- disse lui guardandola. –Molti dei libri che vedi in quest’ala della biblioteca sono biografie degli assassini del passato. Biografie, ed autobiografie. Ognuno di noi, se l’autore voleva, poteva aggiungere alla biografia qualche appunto. Eravamo molto aperti in materia un tempo. Fu quando venne Al Mualim che le cose cambiarono, ma non dispiace a molti. La gente di Masyaf era angosciata dalla guerra, i nostri fratelli passavano molto tempo in “impieghi” e nessuno aveva tempo per nessuno. È stato davvero un duro colpo per queste pareti, che senza le testimonianze del passato, non potranno garantirci per il futuro…-.
-Quindi non c’è la biografia di nessuna assassina, qui?- sbottò tristemente.
-Esatto- sospirò lui.
Lei rimise il libro al suo posto e lanciò un’occhiata più distante, dove un assassino era seduto ad un tavolo intento nello studio. –Ci sono degli esami teorici da passare, per essere uno di voi?- chiese indicando il ragazzo che trascriveva da un libro ad un quaderno.
-No- scosse la testa Marhim. –Ma l’entrata nella setta non è libera a tutti- lui seguì lo sguardo di lei.
L’assassino studioso alzò gli occhi e li vide.
In u primo momento Elena guardò altrove, poi notò che Marhim stava salutando il compagno con la mano.
-Molti di noi- riprese Marhim ammirando lei. - non aspirano alla carriera di assassini, ma a quella di saggi o scrittori. Devi sapere che Masyaf nasce nella sua storia prima di tutto come città di enorme saggezza e ricchezza culturale. Solo di seguito i nostri predecessori crearono tutto il resto-.
-Interessante- le sfuggì di bocca in un tono annoiato che non avrebbe voluto esprimere, ma Marhim la fulminò lo stesso con un’occhiataccia.
-Sei distante dalle materie che non comportano l’uso di una spada, o hai del risentimento personale?- domandò curioso.
-Mio padre non ha mai perso tempo in questo…- mormorò fievole.
-Capisco- Marhim si passò una mano tra i capelli portandoseli indietro. –Continuiamo?-.
La ragazza annuì e tornarono da dove erano venuti.

Al primo piano, il meno esteso, c’era una vasta cucina e una sala nella quale erano seduti ai tavoli alcuni assassini.
In fin dei conti era quasi ora di cena, ed Elena non aveva toccato cibo da prima di lasciare Acri, sempre che qualcuno non l’avesse imboccata nel sonno.
Marhim la condusse direttamente nelle cucine.
Una stanza vuota e buia illuminata solo, per un taglio di luce, da un lucernario nella parete sopra il forno.
-Hmm- fece Marhim. –è strano, qui dovrebbero esserci…-
Non terminò che nella cucina fecero il loro ingresso tre donne.
Erano vestite più o meno come Elena, che subito le guardò mentre mettevano mani al forno e agli impasti per preparare la cena.
La sala si riempì di farina che svolazzava da parte a parte e dell’odore delle fiamme che ardono la brace.
-Marhim, levatevi dai piedi- disse una mentre si lanciava nelle dispense a recuperare alcune grosse bacinelle di legno.
-Vieni- le disse lui prendendola per la mano. –qui potrebbe succederci qualcosa di molto spiacevole-.
La trascinò fuori dalla cucina e insieme, mano nella mano, si trovarono nella sala comune sotto gli sguardi di una quindicina di assassini.
Elena fece un passo alla sua sinistra scollandosi dal ragazzo.
Lui si schiarì la voce, ed Elena si sentì le guance esplodere.
-Posso lasciarti solo un momento?- domandò Marhim senza guardarla.
-Certo- balbettò lei timidamente.
Elena lo guardò allontanarsi sulle scale a due gradini alla volta verso il piano di sopra.
Restò con le spalle alla parete per diversi minuti, nell’attesa che qualcuno le gridasse qualcosa.
Molti nella sala la fissavano con rabbia, si disse che altri non sapevano chi fosse, e ne rimase consolata.
Quei pochi che le mettevano paura bastavano a lasciarla in disparte, sola con se stessa nella penombra. Anche con quei vestiti simili a quelli delle donne che lavoravano come servette gli Angeli la guardavano con stizza. Chiamarli Angeli non era più tanto appropriato…
Improvvisamente, mentre due assassini parlavano tra di loro, uno dei due proruppe a voce troppo alta. –Non è morto. Corrado lo farà giustiziare, sono io che devo occuparmi della questione-.
-Zitto, non vedi che ti ha sentito?- lo rimproverò l’altro assassino.
Elena cercò di sembrare distratta, ma dalla curiosità cercò di avvicinarsi.
Come avrebbe potuto ingannare due assassini esperti? I due lasciarono la sala, ma quando le passarono ai fianchi, uno di loro gli diede una spallata che ci mancava poco non la spedisse a terra.
Fu sul punto di piangere, quando a darle la forza di trattenersi fu il fatto che gli altri presenti la stavano guardando.
Allora Elena fece quello che non avrebbe mai fatto, ma che si costrinse a fare per sembrare il meno “debole” possibile.
Andò dritta verso il tavolo che i due avevano lasciato e vi si sedette.
Tutti la guardarono sbigottiti.
Sicuramente era una scena che non si sarebbe vista tutti i giorni, si disse notando che le tremavano le mani per l’attenzione che aveva attirato. Forse qualcuno avrebbe avuto il coraggio di dirle in faccia quanto fosse sbagliata la sua presenza lì, ma nessuno si era fatto avanti, pensò.
Si guardò attorno, scrutando uno per uno i ragazzi e gli uomini che la circondavano.
Mai in tutta la sua vita si era sentita tanto a disagio. Come le persone che la guardavano, ora non poteva fare a meno di prendersela ancora una volta con se stessa.
-No, lasciatela stare! Ragazzi!- sentì una voce familiare, ma non poté voltarsi che due giovani le furono ad entrambi i lati.
-Guarda, guarda…- disse il primo alitandole addosso.
Elena fece per alzarsi, ma l’altro l’afferrò per il braccio tirandola di nuovo a sedersi con una forza disumana. Le scappò un mugolio di dolore.
Per quanta potenza le aveva scaricato addosso, alla ragazza parve essersi rotta l’osso. Eppure, il suo aggressore non mostrava alcun segno di sforzo. –Dove vai di bello?- le chiese poi lo stesso che l’aveva ferita.
Elena si massaggiò il polso. –Vi prego- balbettò, e ascoltò il suo cuore moltiplicare i battiti ad ogni respiro. I polmoni in fiamme e la gola secca.
-Sentitela, piccolina indifesa- blaterò quello alla sua destra.
-Vi prego!- le fece il verso quello a sinistra.
Elena trattenne le lacrime.
I due non dimostravano più della sua età, ma celati sotto il cappuccio e col buio che calava sulla fortezza, tutto le pareva oscuro e malsano, oltre che arrogante e pronto ad attaccarla. –per favore- ripeté.
-Come possiamo darle il benvenuto?- domandò quello di destra all’amico.
-Non so- fece il compagno. –Forse non le hanno ancora tagliato il dito, potremmo farlo noi!-.
Elena sobbalzò sbarrando gli occhi. –dito?- tirò su col naso.
I due risero malignamente.
-Sai che non sei niente male- disse uno avvicinandosi e annusando il suo profumo. –Una volta erano tutte così?- chiese all’altro.
-E che ne so io, scusa? Ti sembro più vecchio di Tharidl, forse?- rise lui.
L’altro continuava a fissarla. –quanti anni hai detto di avere?-.
-Non l’ho detto…- mormorò la ragazza, in preda al panico.
-Sembra così piccola, ma anche così…- il ragazzo alla sinistra allungò una mano verso di lei, ed Elena d’istinto si scansò a destra, finendo tra le braccia dell’altro assassino.
-Allora fai sul serio! Gnam!- disse quello che la stringeva a sé.
Elena non riuscì a divincolarsi, e senza accorgersene stava cominciando a gridare.
-Basta, stupidi!-
I due assassini si alzarono smettendo di ridere.
C’era un gruppo di ragazzi in un tavolo all’angolo della sala. Dalla mischia si levò in piedi un assassino che veniva verso di loro.
Elena si spostò scivolando sulla panca il più lontano possibile.
Con entrambe le mani giocherellava con la collana di sua madre.
Si voltò appena il sufficiente per vedere i due che l’avevano infastidita beccarsi un bel rimprovero.
L’assassino indossava una veste più che familiare, ed Elena non si sarebbe mai scordata di lui.
Era Rhami.
-Siete dei deficienti, andate a scassare bottega altrove! È così che avete rispetto per voi stessi e per gli altri?-.
-Dai Rhami, volevamo solo giocarci un po’, nulla di serio!- solo a quel punto Elena si accorse che uno di loro aveva un accento tutt’altro che sobrio.
-Le persone non sono giocattoli- sbottò Rhami. –o anche io potrei giocare con le vostre vite come voi avete fatto con lei!-.
Nel bel mezzo della conversazione, dalla scalinata comparve Marhim, che subito si guardò attorno sospettoso. –Ma che succede?- chiese avvicinandosi ai tre.
Rhami si fece da parte guardando la ragazza all’angolo del tavolo.
Ci fu qualche istante di silenzio, poi Elena, senza aggiungere nulla, lasciò la sala correndo.

-Elena!-
La ragazza continuò dritta su per le scale, superando Adha che non aveva fatto in tempo a riconoscerla.
Elena andava di corsa, due gradini alla volta, verso le sue stanze.
Senza fermarsi di fronte a niente e nessuno, senza riprendere fiato che già le mancava, correva e correva.
Ad un tratto, fissandosi i piedi che ormai andavano da soli sulle gradinate, andò a sbattere contro qualcosa di solido, ma allo stesso tempo caldo e da un lato soffice.
Riacquistando a fatica l’equilibrio, alzò gli occhi e vide l’imponente presenza di un assassino che dimostrava il massimo del rango.
-Io… io!- provò a dire qualcosa, ma le riuscì più facile aggirarlo e continuare per la sua strada.
L’uomo l’afferrò saldamente per il braccio, lo stesso braccio che aveva dolorante, e la tirò nuovamente giù sul suo stesso gradino.
Adha correva verso di loro tenendosi i lembi del vestito con due mani. –Grazie, Altair- disse la donna fermandosi.
Elena distolse lo sguardo, e quel piccolo gesto la costrinse a stringere i denti quando l’assassino irrobustì la presa sulle sue ossa. –Mi fai male!- non poté trattenersi.
Adha e l’assassino la guardarono sarcasticamente sorpresi.
-Davvero, Altair, non spezzarle un braccio proprio ora- Adha spostò lo sguardo dalla ragazza all’assassino e dall’assassino alla ragazza.
Elena vide che l’uomo la fissava mentre la presa sul braccio si allentava.
-Posso lasciartela?- domandò lui.
Improvvisamente Elena aveva già sentito quella voce! Ma certo, si disse. Era l’assassino che stava leggendo la favola ai bambini! Non poté crederci.
Tanta delicatezza con i più piccoli, e dimostrava una brutalità esagerata con tutto il resto. Distaccato, austero, Altair scese le scale e scomparve nell’ombra.
Adha le venne più vicina. –Posso sapere cosa è successo? Cos’erano quelle grida, si è sentito per tutta la fortezza!- le disse sgomentata.
Elena tacque, ma Adha le prese il mento tra le mani fredde. –Elena, se è successo qualcosa devi dirmelo, anche perché Marhim non ha assistito, a quanto pare, e nessun altro può garantire per te! Avanti!-.
-Non è successo nulla, sono io che faccio la solita esagerata e sono una calamita per i pazzi! Due della Confraternita stavano “giocando” e Rhami è intervenuto, stop- disse in un fiato.
Adha ritrasse le braccia lentamente. –sai i nomi di costoro?- chiese.
Elena scosse la testa continuando a tenere il broncio.
- Va’ di sopra, me ne occupo io. Ne parlerò col Maestro e faremo il possibile, ma devi stare attenta a quello che fai, credo che Tharidl te l’abbia già detto- disse in tono premuroso.
La ragazza quella volta annuì, e tirò su col naso.
- L’unica cosa che non devi fare- aggiunse Adha prima di scendere. –è piangere. Se sapranno che sei debole, tutto precipiterà in pochi istanti. Elena, nessuno ti obbliga, ma è un tuo dovere verso te stessa, tua madre e tuo padre, che avrebbero voluto questo per te-.
Adha lasciò quelle parole sospese nel vuoto delle scale.
Elena aveva colto poco il loro significato, distratta dalle poche ore che mancavano al suo appuntamento con Elika.


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Capitolo 11
*** Mille voci, un'Anima ***


Mille voci, un'Anima









Le ombre della notte avvolsero Masyaf.
Le pareti e il soffitto assunsero una sfumatura bluastra e argentata, mentre buffi giochi di luce si proiettavano per la stanza, poiché le tende filtrassero la luce lunare in un modo insolito.
Elena era seduta immersa tra i cuscini. Fissava un punto fermo di fronte a lei strofinando le dita affusolate sulla catenella della collana.
Una folata di vento entrò dalle finestre e andò a scompigliarle i capelli. Un brivido di freddo le attraversò la schiena e si raddrizzò starnutendo.
L’aria tornò immobile.
Elena si guardò attorno e decise che muoversi le avrebbe fatto bene.
Cominciò a fare su e giù per la camera a braccia conserte, ascoltando i rumori che venivano dall’esterno.
Devo trovare un modo per andare in città, si disse guardando fuori dalla facciata. Elika, quella strana ragazza che aveva incontrato poche ore prima, poteva essere già lì.
Andò nella sua stanza e frugò nell’armadio in cerca di qualcosa di più pesante da mettersi. Trovò solo una mantella di cotone e se la legò sopra alla tunica verde che aveva addosso.
Lanciò un’ultima occhiata alla finestra che dava sul cortile, e notò con fastidio che c’erano ancora ù pattuglie del solito, e molti, tanti arcieri sui tetti.
Scese le scale addossata alla parete, confondendosi con i dipinti e gli arazzi.
La mantella sulle sue spalle le svolazzava ai fianchi, ma nonostante la paura di inciamparci e rotolare giù, Elena tenne un passo fermo e serrato.
Da quando era “fuggita” nei suoi appartamenti, non si era fatto vivo nessuno. Neppure Adha, la sua protetta, si era degnata di venirle a fare compagnia. Aveva passato il resto del pomeriggio in totale solitudine, stesa tra i cuscini pensando e ripensando a cosa stava facendo e al perché.
Si disse che in quelli ultimi giorni si era fatta troppe domande, ed era ora, piuttosto, di incassare le rispettive risposte. Quanto lontana l’avrebbe condotta la sua curiosità?
Rise immaginandosi in un fiume circondata da coccodrilli.
Raggiunse il pian terreno, e lo trovò silenzioso e deserto, come il resto delle stanze.
Elena si diresse verso il giardino interno, percorrendo gli stessi corridoi che aveva visto per la prima volta svegliandosi nel bel mezzo della notte.
Quando vide due guardie venirle incontro, Elena si appiattì contro il muro, nascosta nella penombra di una colonna, si strinse i lembi del mantello al petto per non lasciarli svolazzare al vento.
Le due guardie facevano avanti e indietro per il giardino, guardandosi circospetti le donne che vi erano.
Elena approfittò del fatto che erano distratti da due belle ragazze e camminò silenziosa sull’erba, poi oltre la grata alzata.
Tutta fortuna, si disse, ma pregò che essa l’assistesse per qualche istante ancora.
Con la coda dell’occhio, la ragazza scorse Tharidl scambiare una conversazione con una donna che riconobbe subito.
C’era Adha al piano di sopra, con alle spalle due ragazzi celati dai cappucci.
Elena capì all’istante che quella di domani non sarebbe stata una giornata tutto tranne che facile. Se il Maestro non puniva quei due con la morte, Elena se li sarebbe ritrovati di sicuro tra i piedi l’indomani.
Alcuni saggi, agli angoli della stanza e per metà celati dagli scaffali della biblioteca, la stavano guardando.
Elena si fece da parte, avvicinandosi al luogo in cui il Maestro stava svolgendo la sua ramanzina.
-Non voglio che riaccada mai più- disse il vecchio. –Perché come ha detto Rhami, non solo non rispettate Elena e il suo passato, ma anche voi stessi, dovrei uccidervi per questo, ma ringraziate il cielo che Al Mualim oggi non è qui!- aggiunse furioso.
I due chinarono la testa. –Perdono, Maestro- fece uno. Elena lo riconobbe come il cretino della sua sinistra.
-Non eravamo in noi, Maestro, ma neppure sotto droghe o alcolici. Eravamo stanchi, e cercavamo solo un po’ di compagnia differente dal solito- balbettò l’altro.
-Le vostre scuse sono assurde- replicò Adha e li colpì entrambi sulla testa. –quella ragazza porta sulle sue spalle il peso di altre trenta generazioni di assassine prima di lei. È la figlia di Kalel! Avreste potuto scegliere con più attenzione che preda rincorrere, signori cacciatori!-.
-Adha- intervenne l’uomo. –lascia che sia io ad occuparmene-.
Adha guardò altrove, facendo un passo indietro.
Elena si portò una mano alla bocca. Avrebbe assistito ad un omicidio?
Tharidl sfoderò la lama che portava al fianco uno dei due.
-No, la prego Maestro, no!- gridò uno mettendosi in ginocchio di suo.
L’altro rimase immobile, mentre il suo compagno disarmato cominciava a strisciare come un verme al suolo. –non lo faccia!- continuò a gridare.
Elena si coprì gli occhi, ma la tentazione era troppo forte.
-Sono costretto, in quanto le vostre azioni sono state delle peggiori che abbia mai visto dopo il degrado di Altair. Per ciò, non posso fare altro che…- Tharidl alzò la lama e l’abbassò di colpo, tranciando i lacci di cuoio che il giovane ancora in piedi portava sulla spalla.
-Siete stati spostati al grado di novizi. Ricomincerete da zero l’addestramento, a partire da domani mattina!- sbottò il vecchio tranciando anche i cinturini del ragazzo inginocchiato.
-Sì, Maestro- mormorarono assieme, guardandosi i piedi.
Adha, rimasta di spalle per tutto il tempo, li afferrò per i cappucci e li tirò con se verso il piano di sotto.
Elena si spostò sulla facciata opposta delle gradinate, andando contro la parete, e per mera fortuna, Adha e i due non si accorsero di lei, ma qualcun altro sì.
-So che sei qui, l’ho sempre saputo- disse Tharidl chinandosi a raccogliere le cinture di cuoio a terra.
Elena sobbalzò. –Maestro!- le scappò per la sorpresa.
-Vieni avanti, Elena, non temermi e non temere ciò che faccio agli altri, per paura che possa farlo a te. Se in questa setta i membri mi temessero, uno di loro per uccidermi sarebbe emerso tra i tanti già da un pezzo- il vecchio rise. –Elika è una brava ragazza, forse lei saprà “colmare le tue ombre” meglio di quanto possa fare io-.
Elena si fece avanti.
Tharidl poggiò i lacci spezzati sul tavolo e anche la spada. – sai perché è riuscita ad attirare così la tua attenzione?- le chiese da sotto il cappuccio.
Elena scosse la testa. –Ma coma fate a?…-
-Ho molti occhi nella mia città, ricordalo sempre quando sarai in difficoltà come oggi- la interruppe.
-Occhi?-
Il vecchio fece un gesto con la mano socchiudendo gli occhi. –per ora è meglio che tu sappia solo quello che davvero vuoi sapere, scoprire e apprendere, ma prima che tu vada, voglio farti io una domanda, se posso- le disse gentilmente.
Elena alzò le spalle. –certo, Maestro, qualsiasi cosa- rispose allo stesso modo.
-Elena, dopo aver visitato la fortezza, conosciuto chi la abita e aver visto con i tuoi occhi, toccato con mano e combattuto per il tuoi confini, saresti pronta a diventare una di noi?- era improvvisamente serio.
Quella domanda non la turbò come sicuramente il Maestro si aspettava, ma la mise in allarme, irrigidendole la voce e lasciandola sospesa.
-Non posso costringerti ad uccidere ancora, nessuno può farlo, ma io e tuo padre speravamo che nel tuo sangue scorresse la stessa forza di volontà che c’era in Alice- il vecchio le venne più vicino.
-Ora devo andare, Maestro, potrò darvi una risposta al mio ritorno?- chiese allontanandosi.
-Elika, lei saprà consigliarti, e sai perché? Lei era un’assassina- tutto d’un fiato.
Elena lo guardò niente affatto sorpresa. –avevo le mie ipotesi- disse sorridendo.
-Bene, dimostri anche perspicacia e intelletto. Ottimo!- sembrava entusiasta.
Elena si allontanò sulle scale e lasciò la sala quasi correndo.
Una volta lasciato il cortile riprese un passo più tranquillo, e si guardò alle spalle.
Nessun l’aveva seguita, ma onestamente non pensava che qualcuno potesse avere tanto interesse per dove andasse, anzi, contando che molti la volevano il più lontana possibile!
Si diresse ai piedi della collina, e in breve, eccitata e spaventata, raggiunse la fonte.
Elena ne riconobbe solo i capelli, lucidi e fluenti arrotolati in boccoli perfetti.
Elika si alzò dal bordo della fontana e le venne incontro. –Credevo che non saresti più venuta, ho saputo cos’è successo, e…-.
Elena la interruppe. –è vero che sei un’assassina?- le chiese in un sussurro.
Elika esitò guardandosi in giro. –Ero, ma possiamo parlarne a casa mia. Avanti, vieni-.
Elena la seguì passo dopo passo lungo la una stradina secondaria stretta tra le facciate di due palazzine.
Elika si fermò in fine sull’uscio di una porta davvero piccola. Trasse un mazzo di chiavi dal vestito e l’aprì. –accomodati, fa’ come fossi a casa tua- si fece da parte per farla entrare, ed Elena mosse i primi passi dentro l’abitazione.
Il tenue chiarore di una candela faceva luce nell’atrio della casa, e mostrava l’arredamento grezzo ma ordinato.
Elika posò le chiavi e si avviò in una stanza affianco. –vieni, la cena è pronta-.
Elena la sentì trafficare con delle portate.
-Dove sono tua madre e tuo fratello?- domandò raggiungendola.
Elika poggiò il piatto con le verdure sul tavolo, poi si asciugò le mani su uno straccio. –non abitano con me da parecchio tempo, da quando…- Elika s’interruppe, e il suo sguardo si fece serio mentre squadrava la ragazza.
Elena alzò un sopracciglio. – che succede?- sussurrò stranita.
-Il Maestro, credo che lui ti abbia detto già tutto su di me- disse la donna sedendosi.
Elena capì all’istante e si sistemò nel posto di fronte. –sì, ma mi piace dire in giro che avevo già le mie ipotesi- arrossì.
-Bene, allora d’ora in poi non ci saranno argomenti tabù né in questa né in altre tavole. Perfetto, ne sono contenta. Vuoi?- Elika le allungò sul piatto un pugno di verdure.
-Sì, grazie-.
-Da dove hai detto che vieni?- le chiese Elika ad un tratto.
-Sono di Acri, o almeno, da quanto ho saputo le mie vere origini non sono quelle-.
-Parli il francese?-
Elena annuì arrossendo. –Lo debbo a mio padre. Risalendo ai fatti, penso che Kalel e Alice si siano trasferiti lì negli stessi anni in cui la città fu assoggettata dai crociati. Se non avessi imparato la loro lingua, ora sarei morta assieme al resto della mia famiglia…- mormorò cominciando a mangiare.
-Ti sarà utile anche in futuro, puoi scommetterci- le fece l’occhiolino Elika.
Per qualche minuto gustarono la cena in silenzio, solo quando i piatti furono vuoti ripresero la chiacchierata.
-Oggi ti ho invitata qui non solo per aiutarti a sopravvivere nella setta- disse Elika pulendosi la bocca con il tovagliolo. –Ho bisogno che tu mi faccia un favore-.
Elena alzò gli occhi e li puntò in quelli scuri di lei. –cioè?-.
Elika esitò, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. –Vorrei che tu mettessi una buona parola per me al Maestro-.
Elena ci pensò, poi aggrottò la fronte. –Vorresti tornare ad essere un’Assassina?-.
-Non vederla sempre nel verso negativo!- sbottò lei. –un giorno, quando avrai assaporato il potere, capirai che non potrai più farne a meno-.
Elena cominciava ad avere paura. Le parole della ragazza la mettevano a disagio, e all’improvviso, quando pensava che di fronte avesse una donna che potesse aiutarla e capirla, si rese conto di essere seduta a tavola con un’Assassina. Elika, nonostante il bel faccino, gli occhi affascinanti e l’aspetto quieto, aveva ucciso, sapeva maneggiare una spada.
-Non devi avere paura di me, e di quello che vado dicendo- le confessò Elika cominciando a sparecchiare. –Quando Al Mualim mi scacciò dalla setta, egli ferì il mio animo, bruciando assieme ai miei vestiti la mia anima, l’essenza che avevo assimilato fin da bambina, quello in cui credevo-.
Elena si alzò e le diede una mano. –potrei, potrei provare- balbettò la ragazza.
Elika le prese i piatti di mano e la guardò sorridendo. –non importa, davvero. Sono una stupida se penso di poterti sfruttare così, dimentica quello che ho detto. Piuttosto, spolvererò le mie lezioni di quando ero nella confraternita solo per te!- aggiunse.
-Grazie, quindi qual è il primo consiglio?-.
Elika si sedette di nuovo al tavolo premendosi le tempie. –Vediamo, non è semplice, dovresti chiedermi tu qualcosa per cominciare-.
-Allora stiamo bene- sbuffò Elena accomodandosi di fronte.
-Per ora posso dirti quello che ti avrà sicuramente ripetuto il Maestro per non so quante volte:-
Elena aguzzò le orecchie.
-Stai lontana dai novellini. Si credono chissà chi e pretendono di poterti mettere le mani addosso come fossi quella di turno. Te lo dico per esperienza, e anche perché mi servi viva- rise.
-Ho avuto modo di sperimentare- mormorò lei.
-Ah!- proruppe Elika sorpresa.
Elena tacque. –Potresti parlarmi di come si svolgeranno i miei allenamenti? Chi mi addestrerà e come-.
-Ecco una domanda intelligente, vediamo… mi domando se i sistemi sono rimasti gli stessi, comunque…-.
Elika le raccontò dei suoi addestramenti, di quando una per una, le assassine venivano assegnate al migliore di tutta la setta. Per Elika, le parve di capire, furono i giorni più interessanti e pieni di emozioni che si accavallavano le une alle altre. Le disse, per di più, che l’assassino che le avevano assegnato non era niente male!
Elika le parlò poi dei suoi primi omicidi.
Per lei non fu difficile superare i fatti, anzi. Elika le confessò che aveva sempre dimostrato dedizione e il massimo impegno in ciò che faceva, e come lo faceva.
Le disse che ciascuna assassina dei suoi tempi aveva un proprio modo di agire, e Al Mualim le assegnava gli incarichi giusto a seconda delle loro capacità.
-Quante eravate quando c’eri anche tu?-
-Eravamo 6. Solo 6…-
-Hai conosciuto mia madre?-
Elena scosse la testa. –Ho solo 32 anni, tua madre ne avrà molti di più, e lasciò la confraternita molo giovane -.
Continuarono per ore, fin quando nella cucina non cominciò a sentire il freddo pungere la pelle.
-Possiamo spostarci in salotto, no?- chiese Elena. –magari lì fa un po’ meno freddo e…-.
-Elena, veramente ora dovresti tornare nella fortezza- Elika si alzò e andò verso l’uscio della cucina.
-Va bene, come vuoi- mormorò confusa.
-Non preoccuparti, c’è ancora molto di cui voglio parlarti e il tempo non ci mancherà. Domani sarà per te una giornata difficile, posso a stento immaginare, ed è per questo che devi riposare-.
-Mi pare di aver dormito per quasi due giorni di seguito, mentre ero nell’infermeria- borbottò andando verso la porta.
Elika, alle sue spalle soffocò una risata. –Quasi una settimana, per dire la verità-.
-Grandioso!- alzò le braccia al cielo.
-Non fare così- Elika le venne più vicina e le sistemò i capelli dietro l’orecchio. –se solo capissi quanto sei fortunata- disse affranta.
Elena curvò le spalle. –Non riesco a vedere alcun compenso nell’uccidere la gente… non riesco, e forse è proprio quello che posso imparare da te- rispose debole.
-Ne sono certa, e contaci, ho già preso il mio impegno e mi assumo tutte le responsabilità. Elena, uccidere per diletto è sbagliato, uccidere per salvare il mondo dalla corruzione non lo è-.
-Corruzione?-.
-Forse il Maestro non te ne ha ancora parlato, ma nella gente di questa terra ora aleggia un’aria torrida che noi assassini, soprattutto dopo la conquista di Acri, chiamiamo corruzione. Le persone cambiano, e si alleano con i nemici, fanno il doppio gioco, imbrogliano, uccidono senza ragione. Noi siamo gli unici che possiamo impedirlo-.
Elena chiuse gli occhi. –va bene… ora è meglio che vada sul serio-.
-Torna a trovarmi quando vuoi, appena hai del tempo libero. Ah, copriti bene che fuori fa freddo- Elika le strinse i lacci del mantello che aveva addosso.
-Grazie, ancora- le disse.
-Avanti, vattene- scherzò aprendo la porta.
Elena lasciò la casa, e il vento freddo le portò sulla testa il cappuccio.

Passò i cancelli della fortezza, stranamente aperti e desolati.
Le mura riparavano il cortile dal vento che ululava tutt’attorno, le sentinelle in alto camminavano a fatica, mentre le pattuglie che trafficavano solitamente vicino al campo di addestramento erano appollaiate al riparo vicino all’ingresso della sala del Maestro.
Elena accelerò il passo e raggiunse la stanza, salì le scale sotto l’occhio critico delle guardie, e si fermò alle spalle del vecchio Maestro, che guardava fuori dal vetro come la tempesta infuriava sulla sua città.
-Maestro- lo chiamò.
-Sì, anche io sono contenta che tu sia tornata- lui si voltò, e si sorprese vedendola col cappuccio abbassato. –Elika ha soddisfatto le tue domande?- le chiese.
Elena annuì e, d’impulso si abbassò il copricapo. –Volevo solo, ecco, mi chiedevo se…-.
-Elika non è più accetta in questo luogo. Non sono parole mie, Elena, ma di Al Mualim e di chi come lui firmò il trattato. Ci sono piccole sottigliezze che ti esonerano da quel contratto, sottigliezze che non possono valere per chi è appartenuto a quell’epoca. È fuori discussione-.
La ragazza sobbalzò.
-Come fate a saperlo?!- fece un passo avanti.
-Adha- disse l’uomo.
Adha comparve alle sue spalle, ed Elena si girò spaventata. –Ma cosa?!- provò a dire, ma fu interrotta dal Maestro.
-Riportala di sopra, sai bene quale saranno i suoi incarichi domani mattina e nei giorni a venire. Ora ho altro da sbrigare, e non potrò sostare alle sue richieste per tutta la vita- sbottò quasi nervoso l’uomo.
Elena era di nuovo confusa. –ma!-.
-Niente ma, Elena!- le gridò contro. -… guardati da te stessa e dalla gente che hai attorno, quelle questioni più urgenti mi chiamano al dovere di Maestro. Se vuoi restare dalla parte giusta del confine, dovrai adattarti senza dipendere da nessun altro. Basta, portala via, Adha-.
L’uomo si premette le tempie sospirando. –Via, andate via-.
-Vieni- la voce soave di Adha le lasciò muovere i primi passi verso le gradinate.
-Ma cosa gli è preso?- domandò sbigottita.
Adha la condusse in silenzio verso le stanze dell’ultimo piano. –Non è un buon momento. Qualche ora fa è arrivata una colomba nera da Gerusalemme- le disse solo.
-E cosa vuol dire, scusa?- Elena le camminava dietro.
Adha continuò a camminare sui gradini, ma le rispose dicendo: -sta succedendo quello che non doveva succedere. Siccome non ti riguarda, non posso dirti altro, mi spiace-.
Raggiunsero le camere degli Angeli e Adha l’accompagnò anche oltre la scala di pietra che portava alla sua stanza.
Le finestre erano state chiuse, e le tende le oscuravano mostrando un salone buio che quasi non riconosceva.
-Domani la sveglia sarà clemente, te lo concedo, ma dalla settimana prossima in poi dovrai seguirmi e assistermi come dico io, chiaro?-.
Elena annuì e andò verso la sua stanza.
Adha scomparve di sotto, e la ragazza si lasciò cadere sul letto di schiena.
-Che schifo di posto, però- disse tra sé. –perché, papà tra tutti posti del mondo, qui?!- urlò.
Una voce dentro di lei diceva che era l’unico “luogo” che fosse in grado di proteggerla, e la voce avversa gridava “proteggerla da cosa”??? Ma ce n’era una terza che le pulsava in testa dal primo momento che aveva messo piede sulla terra di Masyaf.
-Perché tutto a me…-.
Le voci della sua coscienza erano mille e una, nel suo sangue scorreva quello di sua madre, che senza paura aveva ucciso e si era conquistata un posto sicuro in questo mondo difficile qual’era quello della Setta degli Assassini. Ora toccava a le, ad Elena di Acri che di Acri non era.
Punto primo. Doveva trovare suo fratello.
Punto secondo. Doveva diventare un’assassina.
Punto terzo. Doveva…


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Capitolo 12
*** Il condotto di areazione ***


 "Il" condotto di areazione






Desmond si rigirava i pollici seduto sulla poltroncina.
Lucy era accanto a Vidic, che le mostrava qualcosa al suo portatile.
-No, non va bene. In questi casi intervenire sarebbe un errore, l’arresto del sistema può essere la più fortunata delle probabilità- disse Lucy.
Warren indicò il desktop. –Vede che la barra di sincronia non resta completa? Qualsiasi cosa l’antenata faccia essa si abbassa, continuamente, con il minimo sforzo potremmo perdere di nuovo il segnale- fece tranquillo.
Il ragazzo si appoggiò allo schienale sbuffando.
Lucy lo guardò mentre lui si portava le mani dietro la testa. –Resisti Desmond- disse. –Abbiamo quasi finito, dopo di ché potrai partecipare anche tu-.
Desmond spostò lo sguardo altrove, fuori dalle finestre. –Intanto non posso fare un giro?- chiese sorridendo.
Warren si voltò e andò verso la scrivania. –Signorina Stilman, perché non porta il soggetto 18 a mangiare qualcosa? Qui posso cavarmela io-.
Lucy, sorpresa, spostò il peso sull’altra gamba. –Sta scherzando, vero?-.
Vidic scosse la testa e si sedette alla sua scrivania. –Affatto, forse una boccata d’aria non vi farà altro che bene, ad entrambi- sentenziò cominciando a picchiettare sulla tastiera del portatile.
-Warren, non posso assumermi la responsabilità di…-.
Desmond allargò il suo sorriso. –Posso andarmene da qui?-.
-Non andartene- lo corresse il vecchio. –Lucy l’accompagnerà a fare un giro nel quartiere-.
-Non menta, doc. Che calmanti ha preso, questa mattina?- rise il ragazzo.
-Faccia meno lo spiritoso- sbottò Warren. –posso ancora avere ripensamenti, e comunque, sappiamo come ricattarla, signor Miles, se in caso tentasse di fuggire- Vidic si tolse gli occhiali fissandolo negli occhi.
Desmond alzò le spalle voltandosi verso Andrea, che sembrava dormire stesa sull’Animus. –Già, credo che non vi creerò alcun problema. Mi sono affezionato troppo a questo posto…- mormorò tra sé.
-Forza Desmond, una cosa rapida- disse Lucy andando a passo scattante verso l’uscita.
-Grande!- saltellò lui seguendola.
Il portellone del laboratorio si chiuse alle loro spalle.
Desmond si guardava attorno attratto da quel posto. Era un lungo corridoio con tante porte simili. La gente andava e veniva, vestita con camici bianchi fino alle ginocchia. Sia il pavimento che il soffitto erano tirati a lucido, e il bianco delle pareti illuminava l’ambiente senza bisogno di ulteriori lampade.
Le vetrate percorrevano una facciata del corridoio, e Desmond riuscì a guardarci attraverso.
New York. I suoi grattaceli monumentali, e le sue strade sempre trafficate e tortuose di automobili a basso consumo ambientale ed energetico. Poi la calca, che camminava compatta sui vasti marciapiedi. La vista, nel complesso, era mozza fiato e andava a cadere quasi 200 m più in basso.
Lucy andò avanti spedita.
-Come mai tutta questa fretta?- domandò Desmond raggiungendola di corsa.
Lucy svoltò senza rispondergli in una stanza guardaroba. Afferrò dalle stampelle un giaccone grigio per lei e un giubbetto nero per lui. –Mettilo- gli disse porgendoglielo. –dopotutto è inverno-.
Desmond se lo infilò e lasciarono la stanza.
Lucy teneva un passo che lo insospettiva. –Lucy, secondo te perché Warren mi ha fatto uscire?- le chiese cambiando argomento.
-Non lo so, ed è questo che mi turba-.
Presero l’ascensore alla fine del corridoio e Desmond la vide pigiare sul pulsante del garage –3. L’Abstergo, sostando al numero infinito di tasti, aveva più di una settantina di piani.
-Questo posto è immenso!- commentò il ragazzo.
Lucy soffocò una risata. –Questa è solo l’ala prototipi. L’assemblaggio e la produzione hanno un edificio a parte in altri quartieri della città. L’Abstergo è ovunque- fece triste.
Per un tratto i vetri dell’ascensore davano sul panorama di un modernissimo cortile interno, con una grossa fontana al centro.
In meno di un minuto raggiunsero il piano stabilito, e le porte si aprirono.
Il garage era pieno di auto all’avanguardia della tecnologia, e tutte tra le più costose.
-Quanto pagano in media un dipendente qui?-.
-Sai contare fino al quadrilione?- fu la risposta di Lucy.
Desmond tacque.
La vettura di Lucy aveva la forma di una vecchia cinquecento, ma era modernizzata fino all’ultimo cerchione.
-Carina- commentò lui.
-Grazie, ora monta su- le portiere automatizzate si aprirono.
Lucy al volante e lui sul posto del passeggero, dopo che si furono allacciati le cinture, Lucy mise in moto. –Hai qualche desiderio particolare?-.
-Cheesburger. Dimmi che c’è un Mc Donald qui vicino. Nella vostra mensa per soggetti sotto trattamenti non c’è niente che si possa chiamare cibo!- obbiettò.
Lucy rise e condusse l’auto su una rampa che sfociava in una delle più grosse e trafficate autostrade che Desmond avesse mai visto.
-Quanto tempo sono rimasto chiuso lì?-.
-New York cambia in continuazione, non c’è una data precisa per quando le strade vengono battute e allargate, o per quando nasce un nuovo quartiere-.
-Nuovo quartiere???-.

-Signori, potete accomodarvi- Warren aprì la porta dell’ala conferenze e si fece da parte.
Due uomini in smoking nero entrarono dopo di lui e si sistemarono sulle poltrone attorno al tavolo. Il primo, il più giovane, dalla barba curata e i capelli pettinati all’indietro poggiò sulla superficie in vetro una valigetta. Con un colpo secco ne fece scattare le serrature.
Quello seduto al suo fianco era grasso e aveva il doppio mento. Occhi porcini e l’aria dall’uomo più ricco del mondo.
Vidic si sedette di fronte. –Sono lieto- disse con voce insicura. – sono lieto che abbiate acconsentito a mostrarmelo, potrebbe essere utile alle nostre ricerche-.
-Ancora devi chiarirci come questo possa aiutarvi nella caccia al tesoro. Avete intenzione di mostrarlo ai vostri pazienti e aiutarli, com’è che dite, ah, sì, aiutarli a ricordare?- fece quello giovane tenendo una mano sul dorso della valigetta.
-Sembra assurdo, ma è così- disse Vidic. - Pochi giorni fa abbiamo rimosso un ricordo inutile dalla memoria del soggetto 18 e i risultati non sono stati catastrofici quanto benevoli. Abbiamo risparmiato tempo, ed estrapolato altri ricordi da quello precedentemente eliminato. Con l’aiuto di un input esterno, la paziente ricorderà più in fretta, e nuovi checkpoint saranno accessibili per i blocchi successivi-.
I due lo guardarono distorti. –Non ci riguarda- fece quello grasso.
–L’importante è che troviate quello che cerchiamo, come non è rilevante per la nostra azienda- concluse l’altro.
Vidic annuì. –Ora, possiamo?…- il vecchio indicò la valigetta.
-Ma certo- sogghignò l’uomo. –Alex, aprila- disse al compagno.
Il ragazzo l’aprì e, prima di voltarne il contenuto verso Vidic, gli diede un’occhiata. –Tutto vostro-.
Vidic sgranò gli occhi e si alzò.
Il Frutto dell’Eden brillava di un argento inimitabile. Emanava calore, ed era una grossa e placcata sfera d’acciaio liquido come l’acqua.
-Non lo tocchi- disse il grassone. –uno dei nostri ha fatto una brutta fine- sorrise malvagio.
-Ma certo, ma certo- rispose Warren ancora senza fiato.
L‘interno della valigetta era foderato di velluto rosso, sul quale, il contatto con il tesoro sembrava non avere alcuna reazione.
-Vuole mostrarlo alla paziente?- chiese il ragazzo.
Vidic indugiò ancora sulla magia di quell’oggetto, poi si riscosse. –Sì, certamente, la risveglierò in questo istante-.
Warren lasciò i due soli nella sala conferenze e si diresse al portatile di Lucy.
Innescò la procedura automatica di spegnimento e attese che Andrea riaprisse gli occhi.

-Non è stata una buona idea, capo!- bisbigliò Alex chiudendo la valigetta.
Vidic era appena uscito dalla stanza, quando il ciccione volse al giovane uno sguardo tranquillo. –Rilassati, sembri una mosca sulla carta moschicida. Andrà tutto bene, i nostri uomini controllano ogni ala dell’edificio-. Dicendo così si portò una sigaretta alla bocca e Alex tirò fuori l’accendino dal taschino della giacca. Gliela accese.
-Allora dove è il soggetto 17?- chiese Alex al suo capo, stringendo i denti poiché non fumava.
-Prima di venire qui volevo assicurarmi di non avere intralci. Sono certo che il dottor Warren l’avrà spedito in un altro laboratorio-.
Alex si guardò attorno e, stupito, notò un piccolo pallino verde luminescente che brillava sulla spalla del suo capo. Si alzò di scatto.
-Capo…- disse ingoiando.
-Che vuoi, ancora?-.
Il ciccione seguì il suo sguardo e notò che un laser da mirino lo puntava proprio al cuore.
Il proiettile fu invisibile, ed Alex, per la paura, balzò indietro.
Silenziosamente, un fiotto di sangue andò a scendere lungo il vestito del ciccione, che pochi secondi dopo si rovesciò senza vita sul tavolo.
Alex afferrò la valigetta e corse verso l’ingresso della stanza, che però si chiuse all’improvviso.
Il cuore gli batteva a mille, i muscoli gli si tesero per la prima volta da quando giocava a calcetto coi suoi amici. Scattò nella parte opposta, verso l’uscita secondaria, ma anche questa gli si chiuse davanti al naso.
Sbigottito, tornò al centro della stanza e si strinse la valigia al petto. Ingoiò, pulendosi la fronte sudata con la manica del completo.
Improvvisamente, il condotto d’aria sopra la sua testa si spalancò con un gran tonfo e dal suo interno si calò un uomo che gli atterrò a pochi centimetri di distanza.
Indossava una tuta nera a caratteri mimetici, un casco con vari accessori tra cui diversi occhiali a infrarossi ecc … la visiera oscurata non gli mostrava il volto, e protese le mani verso di lui. Alex all’inizio non si mosse, spaventato.
-Questo lo prendo io- disse divertito l’uomo stringendo il manico della valigia.
Alex, a quel punto, alzò la valigia e colpì l’uomo con la tuta in testa. –Sognatelo, anzi, ricordatelo!- rise vedendo l’avversario in difficoltà.
L’uomo estrasse dalla cintura una buffa pistola e gliela puntò contro. –Dammi la valigia, mosca!- gli ruggì contro.
Alex si portò una mano alla caviglia ed estrasse anche lui la sua arma. –Dicevi?-.
I due erano in stallo. Entrambi con mano ferma a mirare alla tempia dell’altro.
Per alcuni istanti si fissarono, ma dopo pochissimo la porta alle spalle di Alex si aprì in un esplosione assordante.
Alex si chinò, e l’uomo per la sorpresa, sparò un proiettile che andò ad infrangersi contro lo scudo delle forze di sicurezza.
-Fermo!- Gridarono gli agenti facendo irruzione in massa nella sala conferenze.
L’uomo nella tuta mimetica alzò le braccia e lasciò cadere la pistola per terra. –Merda…- disse.

Il cercapersone di Lucy squillò due volte senza che lei se n’accorgesse.
Desmond prese un sorso della coca cola dalla cannuccia e la guardò interrogativo. –Qualcuno ti cerca?-.
Erano seduti ad uno dei tavoli esterni al fast food. Alle loro spalle c’erano gli spalti per i bambini, che si arrampicavano come scimmie chiassosi.
Lucy poggiò il polletto nella scatola e si pulì le mani sul tovagliolo di carta. –Un attimo-. Guardò il numero e sbuffò.
-Vidic?- chiese Desmond giocherellando con la sorpresina dell’Happy Meal.
Lucy curvò le spalle. –il divertimento è finito, avanti andiamo- disse afferrando la sua giacca e infilandosela.
-Sono dietro!- Desmond la seguì cacciandosi il giocattolo nella tasca del giubbotto. –Che succede?-.
Attraversarono sulle strisce. –Opzione prima: è successo qualcosa all’Animus- disse Lucy mentre andavano verso la macchina. –Opzione seconda: Andrea è collassata, di nuovo-.
-Pessimista!- sbottò Desmond.
-Opzione terza: è solo un richiamo e dobbiamo tornare a lavoro-.
-C’è l’imbarazzo della scelta- rise Desmond salendo nell’automobile.
Lucy mise in moto e si sistemò nella corsia si sorpasso.

-Vidic!- Lucy corse verso di lui. –Come mai la polizia è nella sala conferenze?- domandò sconcertata indicando gli agenti che facevano avanti e indietro dai corridoi alla stanza riunioni.
-è una lunga storia- Disse il vecchio seduto sulla sua poltroncina. Si massaggiava la radice del naso con gli occhi chiusi.
Desmond lanciò un’occhiata nella sala conferenze e notò il cadavere di un uomo steso sul tavolo, il tutto colorato da una sconfinata pozza di sangue. Gli agenti stavano facendo pulizia, e chiusero il corpo in un sacco bianco.
Desmond si voltò arricciando l’espressione disgustato.
I suoi occhi si fermarono su Andrea, che da quando aveva lasciato l’Abstergo sognava tranquilli i suoi ricordi. Il suo volto era rilassato, il suo sorriso tirato, e le sue palpebre appena poggiate l’une alle altre.
Quando poggiò le mani sull’Animus, Desmond si scottò le dita e le ritrasse. –Ma che diamine! Volete spegnere questo coso ogni tanto, o la lasciate friggere?- gridò voltandosi verso Vidic e Lucy.
Warren si alzò. –Il signor Miles ha ragione, ma ho preferito lasciarla dentro l’Animus affinché non si spaventasse di quello che è successo. Per lei sarebbe la prima volta-.
-L’uomo che hanno arrestato- intervenne Lucy. –è…-.
-Vivo- rispose il vecchio, e a quelle parole gli occhi della donna si spalancarono.
–Vivo?- ripeté.
Vidic annuì. –Sì, lo scorteranno fuori dall’edificio questa sera, ma come mai tanta sorpresa?-.
Lucy guardò altrove. –Nulla, ora sarà meglio avviare l’Animus alla procedura di arresto-.
Lucy lo raggiunse, e Desmond si face da parte, poi lei cominciò a picchiettare sul portatile.
I federali lasciarono il laboratorio in poco tempo, e anche la sala conferenze tornò pulita e tranquilla.
Desmond si ricordò delle diverse sparatorie alle quali aveva assistito durante i tre mesi dopo il ritrovamento del Frutto. Chissà quanti si erano fronteggiati nella sala conferenze per accaparrarsi il Tesoro, pensò…
-Eccola, si sta svegliando- disse Lucy.
Desmond la vide aprire gli occhi.

Mi sedetti sul bordo della macchina pigiandomi le tempie. –mal di testa assurdo…- borbottai.
-Stai bene?- mi chiese Desmond, e nonostante avesse la solita faccia di sempre, annuii arrossendo.
Poggiai i piedi a terra, ma a malapena mi ressi in piedi.
-Dove sono Vidic e Lucy?- chiesi guardandomi attorno.
-Sono andati, ecco… a sbrigare alcune faccende. Vuoi stenderti, sei sicura di farcela a…-.
Lo fulminai con un’occhiataccia e lui si fece indietro. –Perdono- disse.
Camminai verso la mia stanza, ma mi fermai sull’uscio quando il mio naso fu punto da un odore insopportabile, nauseante.
Avrei detto quasi… sangue.
Mi voltai e vidi che Desmond mi stava seguendo. –Cos’è successo qui?- gli chiesi.
-Eheh, la cosa non ti piacerà, ma devi sapere che capita spesso. Ed è in queste situazioni che Vidic prenderà spesso la precauzione di tenerci lontani da qui-.
-Non capisco-.
-Quando eri nell’Animus…-
Desmond mi raccontò tutto, dettaglio dopo dettaglio, mostrandomi come prova, la sorpresina che aveva trovato nell’Happy Meal.

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Capitolo 13
*** Forza e astuzia, brutalità e agilità ***


Forza e astuzia, brutalità e agilità







Quando Adha entrò nella sua stanza, Elena era affacciata alla finestra.
Il mento poggiato sulla mano, e gli occhi azzurri che scorrevano lungo la linea dell’orizzonte a nord. Era una bellissima giornata, e la tempesta della notte prima aveva strappato via dal cielo le quattro nuvole. Il frastuono della cittadella giungeva fin là su, mentre stormi di colombi si appollaiavano sui tetti della fortezza e sui balconi.
-Oggi brilla il sole- Adha le venne vicino accarezzandole i capelli. –Se ti va, puoi accompagnarmi al mercato- le disse.
Elena rimase immobile dicendo: -va bene-.
-I vestiti sono nell’armadio- Adha tornò all’uscita. –Ti aspetto di sotto-.
Elena sentì la porta chiudersi, poi fece un gran sospiro staccandosi dalla finestra.
Sì abbigliò in fretta e non diede peso all’acconciatura inguardabile che avevano i suoi capelli. Uscì dalla stanza e trovò le due ragazze ad aspettarla sedute sui cuscini. Si alzarono.
-Dea- disse la prima inchinandosi. –Adha vi attende-.
-Non sono ancora pronta a portare quel nome- mormorò Elena dirigendosi sulle scale.
Mosse i primi passi da sola nel corridoio degli appartamenti degli assassini, senza guardare altro che le sue scarpe. Gli uomini cui passava accanto continuando per la sua strada non la degnavano di uno sguardo uno, e disse che forse era meglio così.
Adha l’attendeva sulle vaste gradinate che portavano ai diversi livelli. La vide e le venne incontro.
-Non trovavi il pettine?- le chiese sistemandole i capelli.
Elena sorrise. –Mi sono scordata-.
-Non fa nulla, nessun starà a giudicarti per questo- Adha si avviò.
Elena, seguendola, disse: -ma giudicheranno per altro…-.

La fortezza traboccava di assassini che si spostavano con passo incredibilmente severo da una parte all’altra. L’oscillare delle tuniche bianche e il loro sguardo accattivante, così chiuso attirarono spesso la sua attenzione. Elena camminò il più vicino possibile ad Adha.
La donna indossava un vestito ogni giorno diverso. Quello di oggi era una tunica verde brillante che risaltava i suoi occhi mandorlati. I capelli li portava legati in una cipolla alta, abbellita da alcuni fermagli azzurri, in tono con il soprabito che aveva sulle spalle.
Gli assassini s’inchinavano quando la vedevano passare, la salutavano abbassando il capo o si fermavano e basta, riprendendo le loro faccende subito dopo.
Passarono per il giardino interno e attraverso la sala del Maestro.
Sboccarono sul cortile di addestramento e Adha la condusse oltre le mura della fortezza.
Svoltarono in un vicolo, nel quale il cestaio della città aveva la sua bottega.
-Signora Adha, quale piacere- l’uomo s’inchinò.
La donna tenne la sua severa espressione. –Un cesto medio, prego-.
-Ecco, tenete!- l’uomo le porse l’oggetto e Adha lo passò ad Elena, che lo mise sottobraccio.
-Arrivederci!- disse il mercante vedendole allontanarsi.
-Perché non l’hai dovuto pagare?- domandò Elena sistemandosi meglio il cesto tra le braccia.
Adha non poté trattenere un risolino e la guardò divertita. –Quell’uomo deve un favore a mio marito- sorrise.
Elena all’inizio non comprese, e sapeva che le parole di Adha nella maggior parte dei casi sarebbero state degli enigmi per lei.
Raggiunsero il mercato ai piedi della collina e Adha si fermò ad una bancarella che vendeva della frutta. –E così- cominciò la donna riempiendo il cesto di mele. –ieri hai avuto una chiacchierata interessante con Elika-.
Elena abbassò lo sguardo. –Sì, ecco-.
-Sono curiosa di sapere di cosa avete parlato- le disse guardandola.
Elena alzò le spalle. –Mi ha parlato di lei, e di come viveva quando era nella setta, nulla di più-.
-Hai intenzione di tornarci?- le chiese mentre si spostavano alla bancarella di verdura e spezie.
-Non so, forse è meglio di no…-.
-Come mai?- Adha mise assieme alle mele dei filoni di origano e rosmarino.
Elena esitò sulla risposta. –Una parte di me si fida di mio padre, e sono sicura che lui avesse riflettuto sulla possibilità che nessuna assassina fosse sopravvissuta. Pensava che me la sarei cavata da sola, forse con l’aiuto di mio fratello, se un giorno lo troverò mai-.
-Lui non ti disse nulla a riguardo, vero?- chiese Adha chiedendo una caraffa alla bancarella dei vasi.
-Nulla. Non sapevo quale fosse il nome di mia madre, e c’è stato un periodo in cui credevo che Kalel mi avesse trovata per strada, strappandomi da una barbona- disse con un filo di voce.
Adha la guardò commossa. –Quando tutti i tasselli del puzzle di tuo padre torneranno al loro posto, non ti sarà tenuto segreto nessun segreto. Per ora devi solo pazientare, stiamo seguendo le sue indicazioni alla lettera, affinché tu ti adatti al meglio in questo luogo. È stato molto premuroso da parte sua-.
Adha si diresse alla fontana e riempì la caraffa di porcellana, poi la poggiò sul bordo.
-Come mai- riprese Elena. –come mai i cavalieri di Corrado davano la caccia a mio padre? Prima di fuggire, insomma, uno di loro mi disse che Kalel era pedinato da delle sue spie. È vero?- si sedette accanto alla donna sulla panchina che dava le spalle alla fonte. Poggiò di lato il cesto con la spesa.
Adha si slegò i capelli, che le ricaddero sulle spalle come l’onda del mare. Corvini e voluminosi, le nascondevano il viso ancora giovane.
-Sì, è tutto vero. Se tuo padre avesse lasciato la città per accompagnarti lui stesso fin qui, gli uomini di Corrado l’avrebbero sicuramente sorpreso appena fuori le mura. E comunque, credeva che tu fossi pronta per andare da sola poiché non poteva più mettere piede a Masyaf. Forse non sapeva che Al Mualim era morto, ma il codice e il suo esilio potevano durare un secolo- le rispose.
Elena tacque pensierosa, ma ad un tratto chiese: -La colomba nera da Gerusalemme, cosa?…-
-Ti ho detto che per ora non puoi immischiarti negli affari che riguardano la politica esterna. Se proprio non puoi farne a meno, uno dei nostri migliori assassini è morto nell’intento di eliminare una spia di Corrado infiltratosi a Gerusalemme qualche mese fa-.
-Cosa ci faceva quella spia lì?-.
-Nessuno vede di buon occhio la pace di Ramla. I Crociati non si fidano dei Saraceni e viceversa. Gerusalemme per ora è in mano a Saldino, ma temiamo che la situazione possa ribaltarsi, poiché nessuna delle due fazioni è pronta a spartire il bottino-.
Adha si acconciò i capelli come prima e lanciò un’occhiata lontano, tra la folla. –Interessante- disse.
-Cosa?- Elena seguì il suo sguardo e riconobbe Halef e Marhim venire verso di loro.
Adha ed Elena si alzarono, e i due assassini le salutarono entrambe con un cenno del capo.
-Avanti Halef, aiutatemi a portare tutto nella fortezza- disse la donna.
-Ma certo mia signora- fece il ragazzo, prendendo sottobraccio il cesto e nella mano libera la caraffa.
Prima di seguire Adha verso la rocca, Halef fece l’occhiolino al fratello. Marhim, di tutta risposta, gli mollò una pacca sulla spalla ridendo.
Elena sorrise. –Che cosa ha fatto?- chiese.
-Ah, quello che fanno di solito i fratelli minori! Gli scemi- lui la guardò ridendo.
Insieme si avviarono in una passeggiatina tranquilla per le strade di Masyaf.
Il frastuono delle bancarelle e del bestiame andava ad affievolirsi più si allontanavano dal centro della cittadella.
-Ascolta- le disse lui, e si fermarono.
-Sì?-.
-Volevo scusarmi per la scorsa sera. Non avrei dovuto lasciarti lì con quei due deficienti- borbottò mettendosi a braccia conserte.
Elena si rattristì, pensando che non poteva non accettare le sue scuse. –ormai è passato, prego solo che non accada di nuovo- pronunciò affranta.
-Te lo prometto. Ci sarà un giorno in cui non potrai più fare a meno di me, e uno in cui non vedrai l’ora di tagliarmi la testa!-.
Elena non aveva capito la battuta, ma rise comunque.
-Ho saputo che hai conosciuto Elika-.
Elena sobbalzò. –Le voci girano davvero in fretta, lo sa davvero tutta la setta?- sbottò.
Marhim aggrottò le sopracciglia. –Veramente sì- disse. –ma pochissimi di noi sapevano che Elika fosse ancora a Masyaf- confessò perplesso.
-Tu lo sapevi?-
Marhim scosse la testa. –No, non lo sapevo, ma ormai cosa conta?-.
-Già…-.
Elena ripensò alla prima volta che aveva visto… anzi, sentito la voce di Marhim. Era stato suo fratello ad insistere affinché la portassero in salvo, mentre lui diceva di non volere problemi.
-Perché mi avete portata qui? Come facevate a sapere che ero diretta a Masyaf?- chiese la ragazza.
Marhim si passò una mano tra i capelli. –All’inizio non lo sapevamo. Quando ti trovammo, Halef insistette per aiutarti. Eri su una delle principali strade che portano a Gerusalemme, e per risparmiare tempo e perché eravamo diretti là, ti portammo dal capo sede. Fu Malik ad assicurarsi che stessi bene, ma egli disse che uno di noi avrebbe dovuto portarti a Masyaf comunque. La Dimora non disponeva di tutti i farmaci necessari, e sulla tua gamba andava formarsi una grave infezione-.
Marhim tacque un istante.
-Ma come avete fatto a sapere che…-.
Il ragazzo le venne vicino e le scoprì il braccio sinistro all’improvviso.
Il tatuaggio che le percorreva tutto l’arto dal polso alla spalla era ben visibile. Dipinto di un nero oscuro, disegnava un unico serpente che si contorceva.
-Era il simbolo che portavano le assassine della setta. Precisamente, il simbolo di tua madre. Ognuna di loro aveva un tatuaggio su una parte del corpo differente, e ogni disegno rappresentava l’essenza dell’assassina, la sua purezza e la sua anima-.
-Mia madre… un serpente?- chiese incredula.
-Strano, vero?- rise lui lasciando che la manica del vestito tornasse a celarle il braccio. –Malik lo notò mentre controllava che non avessi altre ferite gravi come la prima. A parte i lividi e i legamenti indeboliti, eri sana come un pesce-.
La ragazza fu spaventata da uno stormo di piccioni che spiccò il volo sopra le loro teste.
Marhim socchiuse gli occhi. –Buffo, comunque: quel tatuaggio era l’unica prova che avevamo della tua esistenza. Tharidl riceveva le lettere di tuo padre, ma tu non arrivavi mai. Scommetto che hai dovuto soffrire molto perché ti facesse quel disegno, giusto?-.
Elena mormorò un no. –Prima che scappassi di casa, mi disse che questo tatuaggio mi era stato fatto da lui quando ero molto piccola, disse che così non avrei dovuto soffrire ancora per quando sarebbe venuto il momento della verità. Non capivo di cosa stesse parlando, eseguivo i suoi ordini, ho fatto quello che mi chiese di fare: fuggire. Solo ora so perché ha fatto tutto questo, e non posso neppure ringraziarlo…- tirò su col naso.
Marhim la guardò avvilito. –Ecco, volevo dirti una cosa, ma potrei pentirmene…-
Elena, distratta, giocherellava con il ciondolo della collana e attirò l’attenzione di Marhim su di essa.
-Posso vederla?- le chiese lui cambiando argomento.
-Certo…- prima che Elena potesse slacciarsela e porgergliela, Marhim le venne vicinissimo e strinse il ciondolo tra le sue dita di assassino.
–Chi te l’ha data?- chiese quasi in un sussurro. –Nessuna Dea ne ha mai portata una, tanto meno un Angelo- commentò.
Elena, imbarazzata per i pochi centimetri che distavano tra di lei e Marhim, rispose balbettando.
–Mio padre la fece per Alice. Tharidl l’ha data a me affinché mi desse forza-.
-Allora Kalel era anche un buono scultore. Ci vuole mano ferma per lavorare questa pietra-.
-Di che pietra parli?-.
-Una particolare composizione di sale che si è formata sulle coste del lago qui accanto. Che io sappia non c’è nessuna spiaggia nei dintorni, tuo padre deve aver rischiato la vita arrampicandosi fino alle grotte marine-.
-Grotte marine?- domandò interessata.
Marhim le adagiò il ciondolo sul collo e fece un passo indietro. –Dove lo strapiombo si getta nell’acqua, col passare dei millenni si sono formate delle grotte marine spettacolari, così si dice. Pochi ci si sono avventurati e hanno potuto raccontare di queste pietre. Kalel deve essere sceso fin là giù solo per tua madre- disse sorridendo quasi commosso.
Elena trattenne le lacrime.
-Al Mualim è stato troppo duro con loro. L’amore vero non può essere messo da parte così, isolato dal luogo in cui è nato. È stato un atto crudele da parte sua, ma in qualche modo è riuscito a portare dalla sua parte tutti i saggi di Masyaf e, di conseguenza, assassini e non-.
Spostando lo sguardo a terra, Elena notò un’ombra insolita proiettata sul terriccio. Cercandone la fonte, vide che Marhim stava guardando in alto, sul tetto dell’abitazione vicina.
-Allora ci hai fatto caso anche tu- mormorò lui.
Elena stette in silenzio.
-Halef, puoi venire giù- disse Marhim sbuffando.
-Ma come hai fatto? È stato Altair ad insegnarmi di mettermi nel verso contrario al sole!- gridò Halef, ancora nascosto sul tetto della casa.
-Vieni qui, scemo!-
-Arrivo, arrivo…-.
Halef si arrampicò goffamente sulla facciata della palazzina e li raggiunse che stavano ridendo entrambi.
-Che c’è da ridere?- domandò, e non poté fare a meno i ridere anche lui con loro.
-Sei davvero un! Guarda, non ho parole-.
Elena rideva perché sapeva che sarebbe cominciata una bella litigata tra fratelli.
Marhim guardò il fratellino che gli venne vicino.
-Allora, cosa stavate facendo tutti e due, soli, in questo vicolo per metà al buio, eh?- mosse le sopracciglia.
Marhim, di risposta all’istigazione, gli tirò il cappuccio ancora più giù, e Halef inciampò. –ma che razza di…- borbottò.
Elena non riuscì a fermarsi, i due la facevano sbellicare dalle risate.
Halef si levò il cappuccio. –Voglio vedervi a voi là su, scommetto che non sapete neppure come ci sono arrivato lì- si rivolse ad Elena. –Mio fratello è sempre così str…-.
-Ehi, ehi! Piantala, va bene?- Marhim lo allontanò. –Avanti, era solo uno scherzo, ehe…- gli disse.
-Lo sapevo!- sorrise Halef mostrando i denti.
-Ecco, bravo, quindi sloggia!- Marhim lo guardò allontanarsi tra la folla.
Quando tornò indietro da lei, Elena gli disse: -che faccia da schiaffi- rise.
-Già. Il bello è che condividiamo lo stessa stanza, le stesse missioni e anche la stessa madre!-.
Elena scoppiò di nuovo a ridere.
-Non è uno scherzo- disse Marhim guardandola seria.

Tornarono alla fortezza.
Nel cortile interno c’erano degli assassini che si allenavano senza sosta, e Marhim raggiunse suo fratello che stava sgranocchiando una mela assistendo allo spettacolo. –Che vuoi?- gli chiese Halef con la bocca piena.
-Nulla- rispose.
Elena si guardò attorno, e vide che c’era parecchia gente a guardare come i due Angeli si lanciavano a terra e si fronteggiavano senza esclusione di colpi.
I due mostravano il massimo del rango, e le loro vesti che oscillavano accompagnavano l’acre suono delle lame che scivolavano l’una sull’altra.
-Chi c’è in campo?- domandò Marhim al fratello.
Elena si appoggiò con le spalle al muro continuando a fissare la lotta.
Halef ingoiò. –Altair e Fredrik. Hanno appena cominciato- addentò di nuovo la mela.
Marhim le venne vicino e le sussurrò all’orecchio. –Stai attenta, sono i migliori. Potresti imparare molto da loro, almeno quelle poche e rare volte che sono qui-.
Elena lo guardò un attimo. –perché?-.
-Anche se Tharidl non gli affida più missioni, Altair si fa vedere poco in giro. Alcuni dicono che passa gran parte della giornata negli appartamenti di Adha, altri che sta dietro ad alcuni degli uomini che si è lasciato sfuggire qualche anno fa-.
-Negli appartamenti di Adha?- domandò lei curiosa.
-Non lo sapevi?- intervenne Halef. –Adha e Alatir sono una coppia!- rise ingoiando il boccone.
Elena sobbalzò.
Aveva appena girato gli occhi e vide che uno dei due assassini aveva spinto l’altro al suolo. Gli teneva puntata la lama alla gola e li stava guardando da qualche secondo.
Marhim si avvicinò al fratello. –deficiente!- gli sussurrò a denti stretti.
Altair rinfoderò la spada e saltò la recinzione. Veniva verso di loro con passo fermo.
-Oh, oh…- la mela gli scivolò di mano e Halef si appiattì contro la parete.
-Altair!- lo chiamò l’assassino suo avversario alzandosi da terra. –è un cretino, lascialo stare!- gli disse.
Altair si fermò a pochi passi dai tre. Da sotto il cappuccio gli squadrò uno ad uno. –tuo fratello dovrebbe imparare anche a tenere la bocca chiusa, ogni tanto- disse l’uomo.
Elena si avvicinò a Marhim, che prese posizione per difendere il fratello. –Poverino, maestro Alatir, non ci sta con la testa- balbettò.
Halef ingoiò il nodo alla gola. –sì, sono un povero scemo!- rise.
Dopo pochi istanti di silenzio, Altair si fece più vicino. –in campo!- mormorò a denti stretti ad Halef.
Marhim, atterrito, guardò come suo fratello sfoderava la spada con mano tremante e seguiva il mastro assassino fino al campo di addestramento.
-Fredrik puoi lasciarci, è uno dei miei- disse all’altro assassino.
Fredrik proruppe in un inchino e lasciò l’arena.
-Tieni piegate le ginocchia, su il volto, stai pronto!- lo rimproverò Altair, e ad Halef cominciarono a tremare le gambe.
-Sì, Maestro- disse tentando di assumere la corretta posizione.
Elena si strinse ancora di più a Marhim. –non gli farà del male, vero?- chiese.
Marhim si girò e i loro volti erano vicinissimi. –No, certo che no. Halef giusto una settimana fa ha seguito uno degli itinerari di Altair, che però è tornato a Masyaf lamentandosi della sua incompetenza e sfacciataggine. Diciamo che ora odia mio fratello a tal punto, da volerlo umiliare in duello. Halef andava in giro a vantarsi della fortuna di assistere Altair in alcune delle sue missioni, ma all’Angelo questo dava molto fastidio. Ed eccoci qua…- sospirò incrociando le braccia.
Elena aggrottò la fronte. –E tu permetti che Altair lo umili così?- domandò sbalordita.
Marhim la guardò interrogativo. –E cosa posso fare? Hai capito o no che si tratta di Altair! So che il nome non ti dice granché, ma prova ad immaginare la mano di Dio in forma umana. È lui che fa la differenza tra la vita e la morte, è lui che ha ucciso Al Mualim!- le gridò in un sussurro.
Halef prese una bella botta alla spalla e cade a terra.
-Alzati, avanti!- quando gli passò di fianco, Altair gli mollò un calcio sulla coscia. Halef gemette ancora, ma riuscì a sollevarsi.
Elena rabbrividì. Aveva in mente una cosa, ma avrebbe avuto il coraggio di farlo? O meglio, ne sarebbe uscita viva?
Ora capiva.
Il problema più grande in lei era che si faceva troppe domande. Doveva agire, e basta!
-Scusa, davvero- disse ed estrasse dal fodero di Marhim la sua spada.
Marhim non fu abbastanza svelto a rendersi conto di cosa gli accadeva intorno, ma vide con chiarezza che Elena si dirigeva verso il campo d’addestramento con la sua spada in pugno.
Comprese sul momento. –ferma, Elena! No!- gridò, ma la ragazza scavalcò la staccionata e fu nell’arena.
La gente attorno si bloccò a guardarla mentre aiutava Halef ad alzarsi.
Altair rimase immobile, a guadarli entrambi.
-Che stai facendo?!- gli bisbigliò Halef una volta in piedi.
Elena gli rispose ad alta voce. –Mi è stato insegnato che in questo luogo il rispetto degli altri e di se stesso è la quarta voce del credo di un assassino-.
-Esci dal campo, ragazza!- le sbottò Altair. –Nessuno ti da questo permesso!- aggiunse collerico.
Elena rimase seria. –Ha ammesso di essere il più deficiente di questo pianeta, non ti basta?!- gli rispose lei indicando Halef. –Vuoi umiliare la sua stupidaggine ancora?!-.
Le voci della folla si confusero in un mormorio caotico.
Marhim si appoggiò alla staccionata. –Elena, non sai quello che fai!- mormorò.
-Sta’ zitto!- Elena si voltò e lo gridò troppo forte.
La gente tacque attonita.
-Bene, dunque- proferì Altair facendo roteare la spada nel suo pugno. –So dove vuoi arrivare, ragazzina- il suo sorriso si allargò malizioso. –Halef, lascia il campo- disse poi.
Halef, imbambolato dov’era con il fiatone, fece qualche passo indietro, e raggiunse il fratello dalla parte opposta della staccionata.
Su quel campo lei e Marhim si erano fronteggiati la prima volta, su quel campo aveva dato spettacolo di quali doti con la spada possedesse, e su quel campo avrebbe messo a tacere l’arroganza del migliore degli Angeli. Forse.
Altair non prese neppure posizione. Restò con le braccia lungo i fianchi, mentre la ragazza portava il piede destro avanti e piegava le ginocchia.
Altair rise.
Elena gli andò incontro con un primo affondo, che l’uomo parò senza doversi muovere neppure di un centimetro. La sua lama restò ferma, come scolpita assieme al suo braccio, mentre Elena finiva a terra per il contraccolpo brutale.
-E tu- proferì Altair arrogante. –e tu saresti scappata da Acri con battaglioni di soldati alle spalle? Secondo me hanno gonfiato un po’ troppo la storia- sbuffò.
-Non è affatto così!- Elena si alzò con un salto e gli fu di nuovo addosso.
Altair quella volta schivò di lato, ma la ragazza lo sorprese mandando un affondo laterale.
Lui riuscì a pararlo, ma dovette roteare su sé stesso per evitare anche il terzo attacco di lei.
Si disse che se non gli avesse dato tregua, prima o poi sarebbe riuscita ad infliggergli qualche danno alla resistenza, così Elena menò colpi su colpi.
Ma, sfortunatamente, non si rese conto che Altair li schiava con immensa facilità. Le sue parate erano sempre fluide, i suoi movimenti freschi e genuini.
Ad un tratto, fu lui ad attaccare.
Uno squarcio si aprì sulla sua veste, ed Elena, spaventata, cadde all’indietro.
-Vattene prima che ti faccia del male- disse l’assassino rinfoderando la spada.
Elena si appoggiò all’elsa dell’arma e si alzò in piedi dolorante. Quando si voltò, vide che l’assassino era diretto fuori dal campo.
Le scappò di bocca: -codardo-.
Altair estrasse la lama corta sal fodero sulla schiena e balzò di nuovo nel cerchio. –Ora mi hai scocciato!- disse.
Quando lui attaccò, Elena schivò a destra e lo spinse via con un calcio; Altair toccò terra con un ginocchio.
Dalla folla si levò un verso unico misto di sorpresa e paura.
Tornando in posizione, scorse con la coda dell’occhio Marhim tenere le dita incrociate.
Altair la fissò allungo, in silenzio. –combatti lealmente- digrignò.
Fuori dal campo si sentì la voce di Halef: -hai paura, per caso?! Non riesci a cavartela con una ragazzina che invece dell’onore usa la scaltrezza in combattimento?!-.
-Giuro che l’ammazzo- sentì pronunciare da Altair.
Elena soffocò una risata.
L’assassino riprese la spada lunga tra le mani e, avvertendo che lo scontro poteva farsi ingannevole, si mise in posizione.
-E andiamo!- rise Elena.
Ripresero lo scontro, e in qualche strano modo, l’uno teneva testa all’altro. Sembravano sulla parità. Quando elena attacca, Altair schivava di lato e poi a sua volta mandava affondi, che Elena riusciva schivare con tenacia saltellando come uno stambecco.
Agilità e brutalità erano i due opposti contendenti di quello scontro.
Le loro lame cozzarono e si ritrovarono faccia a faccia mentre tentavano di spingere l’avversario a  terra. In una situazione di intermezzo tra la battaglia e la fine.
-Dove hai imparato?- le sussurrò Altair rilassato.
Elena, che aveva gocce di sudore sulla fronte, non riuscì a rispondere subito. –mio padre… lui, era lui il migliore prima di te!-.
Gli occhi dell’assassino mandarono un bagliore al suono di quelle parole. Elena si distrasse di tanto fascino, quando riuscì a scorgere in parte il suo volto sotto il cappuccio.
Altair la spinse via, e fu lei a cadere a terra di schiena.
La spada le sfuggì di mano per il dolore, e andò a scivolare sul capo, finendo ai piedi di Marhim quasi.
Elena riprese fiato guardando il cielo azzurro.
I polmoni in fiamme, come le tempie che le pulsavano impazzite.
Altair entrò nel suo campo visivo e si chinò su di lei. –Brava, era questo che intendevo- le batté una mano sulla spalla e si alzò.
Elena non era vinta, e non si dava per vinta! Non era finita là, non avrebbe lasciato che se ne andasse dopo che era stato lui a batterla con l’imbroglio.
Rotolò di lato e afferrò la sua spada, in pochi secondi si voltò e andò verso Altair.
Lui, pronto, parò l’attacco e ne mandò un secondo, ma Elena, nell’abbassarsi al suolo per evitarlo, gli fece lo sgambetto e l’assassino si rovesciò a terra nel clangore delle cinghie di cuoio e dei diversi coltelli da lancio nascosti nella tunica.
La fortezza cadde nel silenzio. Anche i piccioni, appollaiati sui tetti, tacquero.
Le labbra di Marhim si contorsero in una manciata di parole: - L’ha battuto…- aveva detto.
Halef si stropicciò gli occhi.
Adha emerse dalla folla facendosi avanti tra la gente che era rimasta imbambolata. –Non è possibile!- disse la donna stringendosi i lembi del vestito.
Altair la guardava da terra, e il cappuccio gli era scivolato mostrandogli il volto per intero.
In quegli istanti, nei suoi occhi scuri e profondi, Elena vi riconobbe la sensazione di familiarità. Dentro di lei sentiva di conoscere Altair meglio di altri, e di vedere in lui il suo futuro.
Al contrario, l’assassino la fissava sbigottito, con la bocca aperta e i gomiti poggiati a terra. Stringeva ancora la spada.
Elena gli allungò un braccio, ma Altair si riscosse alzandosi da solo.
Si guardarono ancora, senza dire o fare nulla, poi l’assassino rinfoderò la lama e lasciò il campo dileguandosi tra la gente che non gli scollava gli occhi di dosso.
Elena prese a fissarsi i piedi.
Quello che aveva fatto avrebbe cambiato le cose in meglio, o in peggio?


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Capitolo 14
*** Il Funerale ***



Il Funerale

- Ti ho lasciata cinque minuti! Cinque minuti!-.
- Mi dispiace, Adha-.
- Com’è stato possibile, spiegamelo! È stato lui a sfidarti? È stato Altair a volersi confrontare con te? Avanti, parla!- ruggì la donna.
Era calata la notte sulla fortezza, e fuori dalle finestre i vari piani dell’edificio erano illuminati da torce o carboni ardenti.
Adha faceva avanti e indietro per il salone centrale degli appartamenti delle assassine. Teneva le braccia conserte, mentre Elena stava in piedi, curva, a grattarsi una pellicina del pollice.
- No, ma non è stata colpa mia!- disse la ragazza.
- Non è stata colpa tua?!- mormorò Adha fermandosi. Le venne di fronte. –Vuoi dirmi che non eri tu la ragazza nel campo di addestramento con in mano la spada di Marhim! Non eri tu quella?-.
- Mi spiace, Adha, davvero, se solo lui!…-.
- Allora dimmi chi è stato! Raccontami cos’è successo, forza, sto aspettando!- era furiosa.
Elena capiva la capiva: il suo fidanzato non aveva più la reputazione impeccabile.
- Ecco, Halef, lui…- balbettò non riuscendo a tenere gli occhi alzati.
Adha attendeva battendo nervosamente il piede. –Dunque?- fece a denti stretti.
Elena si portò una mano alla bocca, sconvolta. –Halef- disse –lui mi ha detto che tu e Altair, ecco…- esitò ancora.
- Ti ha detto cosa?- insistette sui dettagli.
- Ha detto che tu e lui siete, ecco, ha detto che siete una coppia e…-
- Non sono cose che ti riguardano, va’ avanti!- la donna spostò il peso sull’altra gamba continuando a tenerla sott’occhio.
Elena prese fiato. –Altair si è arrabbiato, è venuto verso di noi e ha cominciato ad intimidirlo. Halef si è reso ridicolo davanti a tutta quella gente, ma al tuo fidanzato non è bastato! L’ha sfidato a duello, ma quando ha lasciato il campo, Halef zoppicava, Dio! È stato allora che ho deciso di fare qualcosa! Sono intervenuta, gli ho dato la possibilità di vivere. Quell’assassino sembrava aver perso la testa!- lei si tirò i capelli.
- Altair sa bene come trattare i suoi allievi! Sei stata una sciocca se pensavi di poter intervenire sui suoi metodi d’insegnamento! È grazie a lui che dobbiamo una nuova generazione di assassini provetti!-.
- Lo stava ammazzando!- replicò Elena, e si rese conto che le loro grida potevano arrivare fino a tre piani sotto. – Che cosa avrei dovuto fare, sennò? -.
- Nulla- rispose Adha massaggiandosi il collo. – assolutamente nulla. Era tanto difficile rimanere a guardare?- le chiese addolcendo lo sguardo, come con compassione.
Elena scosse la testa. – Tu non c’eri, non puoi capire - confessò.
- Capisco, e meglio di quanto credi - sussurrò la donna, ed Elena si fece più vicina.
- Non ci credo-.
Adha guardò altrove. – solo per questa volta le tue azioni non influiranno sui progetti che il Maestro ha per te. Ma sappi che un tale comportamento, in futuro potrebbe costarti la vita. Oggi sei stata solo fortunata, Altair era stanco e tormentato dai troppi novizi che seguono le sue orme. Sei riuscita a metterlo alle strette solo per questo. Egli non sarebbe neppure dovuto tornare a Masyaf con i suoi alunni-.
-Smettila di proteggerlo- le scappò di bocca, ed Adha se n’accorse.
-Cosa?!- si fece più vicina ringhiandole contro.
Elena s’irrigidì. – oggi sono riuscita a battere il tuo amato di massimo rango perché sono fatta così, e tu lo sai! Se non avessi davvero queste capacità, ora non sarei qui! Mi tenete in vita solo perché sono la più forte, la più brava e non volete che caschi nelle mani sbagliate, sono un’arma!-.
Lo schiaffo le arrivò dritto sulla guancia. Potente, centrale e la pelle divenne subito rossa.
-Non permetterò che la vittoria ti dia alla testa!- le disse Adha.
Elena cominciò a massaggiarsi il volto. Le aveva fatto male, e si chiese quanti uomini Adha aveva mai schiaffeggiato in tutta la sua vita.
-Da domani, scordati tutta questa benevolenza! Da domani comincerai a fare come dico io fin quando Tharidl non troverà qualcuno che riesca a contenere la tua insolenza del diavolo! E ora cambiati e va’ a dormire, senza cena!- aggiunse.
Elena fece dietro front e si chiuse la porta alle spalle, sbattendola.
Ascoltò i passi di Adha che si allontanava verso le scale, poi si lanciò su letto e si strinse il cuscino al petto. Di lì a poco avrebbe iniziato a piangere, se lo sentiva.

Le damigelle di Adha vennero a svegliarla di mattino presto.
Il sole doveva ancora sorgere, e Masyaf era avvolta da una coltre di condensa mattutina, detta nebbia.
Elena era già in piedi quando una delle due entrò nella stanza. –Oh, Dea, siete sveglia- disse facendosi avanti. –Verrete a fare colazione con noi non appena vi sarete vestita-.
Elena le sorrise, e la donna lasciò la camera.
Prevedendo le fatiche della giornata, Elena si vestì comoda. Sistemandosi i capelli in una coda alta, ripensò allo scontro con l’assassino. Si sorprese di non aver trovato difficoltà nel fronteggiarlo con un vestito che invece avrebbe dovuto impicciarle i movimenti.
Si guardò allo specchio troppo allungo, distratta nel ricordare mossa dopo mossa come e cosa aveva fatto.
La seconda damigella comparve al suo fianco. –Dea- la chiamò.
Elena si riscosse. –Sì, scusate- disse avviandosi.
-Quello che avete fatto ieri è stato incredibile- disse la donna mentre scendevano le scale.
Elena le sorrise. –Lo pensavo anche io…- mormorò.
Passarono per gli alloggi degli assassini cercando di fare il minimo rumore, ma il più in fretta  possibile.
Le porte delle stanze erano chiuse tutte quante, e nei corridoi soffiava un vento freddo dovuto alle finestre spalancate.
Sulle gradinate principali, l’occhio di Elena cadde diverse volte sugli assassini che si muovevano quieti per le sale, ma fortunatamente nessuno di loro, le parve, aveva visto lei.
La donna la condusse fino nella piccola sala mensa, dove sedute ai tavoli c’erano delle ragazze e altre donne. Banchettavano in silenzio con la loro colazione davanti al naso, svelte. Il buio avvolgeva gli angoli della stanza, e c’era una candela per tavolo.
-Siediti lì- la damigella le indicò un posto vuoto accanto ad una ragazza dai capelli legati.
Elena annuì.
Si sedette e la donna al suo fianco si strinse più lontana, continuando a mangiare.
Elena notò con stupore che era bellissima, e non poté non cogliere i particolari del suo volto e del suo corpo. La ragazza, sicuramente in giovane età, teneva i capelli rossi come il fuoco legati in una cipolla da un rozzo nastrino. I suoi vestiti erano male abbinati e aveva una spalla completamente scoperta, e una scollatura esagerata sul petto. Ciuffetti di lentiggini le circondavano la radice del naso e parte delle guance stirate e lucide. Non portava trucco, aveva un atteggiamento trasandato anche nello stare semplicemente seduta, ma aveva il fascino sufficiente per ammattire chissà quanti uomini.
Probabilmente la donna si accorse che Elena, invece di mangiare, la stava fissando. Si voltò verso di lei, e mostrò le sue iridi verdi. –Ci sono problemi?- le chiese scontrosa.
Elena si strinse nelle spalle. –No, scusa- fece girandosi davanti al suo piatto.
-Aspetta un secondo- disse la ragazza. –Sei lo scricciolo che ha fatto il mazzo ad Altair?- le domandò.
Elena sobbalzò, e gli avvenimenti del giorno prima le tornarono in mente uno ad uno, lasciandola con la gola secca. –sì- balbettò.
-Che onore- fece sarcastica la donna tornando al suo piatto. –è così che vieni punita? Comincerai a fare pulizie con noi?- teneva lo stesso tono arrogante che aveva usato per fare del sarcasmo.
Elena annuì, afferrò il cucchiaio e gustò il primo boccone.
La colazione era composta di un pugno di cereali grezzi affogati nel latte, e lo stomaco di Elena mai si era ribellato come allora.
La donna non disse nulla per tutto il resto del pasto, fin quando non si alzò per portare il suo piatto nella cucina. Poi scomparve assieme ad un altro gruppo di ragazze verso i piani superiori.
La damigella che l’aveva accompagnata lì le venne vicino. –è già tardi, dobbiamo andare- le disse.
Elena non aveva ancora finito, ma portò le sue portate in cucina e le porse a due ragazze che erano incaricate al lavaggio.
Elena e la damigella salirono fino al penultimo piano, ma non si diressero agli appartamenti degli assassini. Svoltarono in un corridoio che Elena non aveva mai visto, ed entrarono in una stanza illuminata da candele.
C’erano una moltitudine di armadi e scaffali, nessun letto e finestra.
La damigella prese delle federe e delle coperte e le porse alla ragazza, che dovette piegare le ginocchia per il peso.
Nel momento in cui anche la donna fu carica di lenzuola, lasciarono la stanza e si diressero altrove.
-Comincia dalle camere in fondo. Prima di entrare bussa, ma non preoccuparti: sono tutti già svegli- le disse.
La damigella andò verso l’inizio del corridoio, ma si voltò. – Se finisci le coperte, torna dove le abbiamo prese-.
Elena annuì e si avviò verso le stanze che le aveva indicato.
Faticando a tenere le federe su un braccio solo, bussò alla prima porta delicatamente, e dall’interno venne una voce chiara e possente che diceva –congedo-.
Così Elena passò oltre, e tutte le volte le risposero allo stesso modo.
Bussò, ma quella stanza pareva vuota, ed entrò.
C’erano pochi metri quadrati calpestabili, coperti da una moltitudine di tappeti. Una piccola branda adagiata sotto la finestra era l’unica superficie dove stendersi.
Elena tolse le vecchie fodere e le cambiò con quelle nuove senza faticare troppo. Ma il peso della stanchezza si fece sentire quando, una volta rifatte tutte le stanze, dovette anche spazzarle.
C’era polvere ovunque, anche sui tappeti, e si chiese come mai quelle camere non erano state utilizzate per tanto tempo. Marhim le aveva confessato che raramente gli assassini tornavano nei loro alloggi, ma prima che la polvere si formasse ci volevano alcune settimane, e se le donne delle pulizie spazzavano tutti i giorni, com’era possibile???
Incrociò la damigella di Adha che correva verso di lei. –Dobbiamo spostarci di sotto, tra poco gli Ashash lasceranno le stanze. Vieni-.
Poggiarono le vecchie federe in una stanza comune e si diressero nell’ala opposta della fortezza.
Scesero delle scale di servizio e raggiunsero le sale delle cerimonie che Marhim le aveva mostrato poco tempo prima.
La seconda damigella di Adha stava spazzando per terra, quando le vide e le venne incontro.
–Dea- s’inchinò, poi guardò la compagna. –A breve questa stanza si riempirà di assassini, e sono tutte impegnate per il banchetto. Dobbiamo finire di pulire per terra e i vetri. Là giù ci sono i cesti con l’acqua, ora vado a prendere gli stracci. Lily, prendi questa e continua tu- porse a Lily la scopa di paglia e si allontanò correndo.
Elena era confusa. –Banchetti? Assassini qui?-.
Lily esitò sulla risposta, cominciando a spazzare senza darle ascolto. –Ecco, Adha vi ha parlato della colomba nera, giusto?- le chiese.
Elena capì all’istante. –Un funerale?-.
La damigella annuì. –era un assassino scelto per un incarico importante, ma è stato preso alla sprovvista dallo stesso uomo che stava seguendo-.
La damigella tornò con gli stracci, e ne porse uno alla ragazza.
Elena andò verso i cesti e ne portò uno accanto alle vetrate. La damigella trasse una scaletta di legno da uno sgabuzzino e cominciò a passare lo straccio nei punti più in alto.
-Non finiremo mai!- borbottò Lily.
-Zitta e lavora!- le disse l’altra.
Dopo un po’ si sentì lo schiocco di una serratura, che rimbombò per tutte e cinque le sale. Elena si bloccò, a differenza delle altre due che continuavano a pulire indisturbate.
Dall’ingresso principale comparve Adha.
Quella mattina indossava una lunga tunica nera, pronta per la cerimonia.
Adha proseguì verso l’altare e vi salì sopra, guardandosi attorno.
Elena, per evitare il suo sguardo truce, riprese a bagnare i vetri.
Dopo di Adha, nella sala entrarono due assassini dal volto coperto, poi un lungo corteo di donne che presero ad allestire i muri con gli stendardi simbolo della confraternita.
- Lily, Luisa!- le chiamò Adha, e le due damigelle sospesero il loro lavoro andandole incontro.
Elena rimase sola a pulire, perché le due damigelle corsero via dalla stanza sotto ordine di Adha.
Nonostante la folla che animava la sala delle cerimonie, c’era un silenzio di tomba. Solo i passi dei tacchi di Adha echeggiavano quando la donna si spostava da parte a parte controllando l’operato delle ragazze.
I due assassini la stavano guardando, ed Elena non sapeva cosa fare per tenere la mano ferma, che invece non la smetteva di tremare.
I due si bisbigliavano a vicenda. Elena li lanciò un’occhiata furtiva, e riconobbe un assassino di grado accanto ad un novizio.
Elena si rallegrò che Rhami fosse lì, la sua presenza, come di chiunque altro non l’odiasse o l’avesse umiliata, era sempre di conforto.
Tirò a lucido tutte le vetrate della sala principale, e ci mise il tempo sufficiente per vedere il sole specchiarsi su di esse e proiettare giochi di luce nella stanza. Sorrise soddisfatta.
Rhami mosse qualche passo verso di lei, che si stava dirigendo verso le altre quattro sale, ma la voce di Adha lo fermò: -I preparativi sono pronti, il funerale avrà luogo a breve. Potete andare-.
Rhami, Adha, il corteo di donne e il novizio lasciarono la sala, ed Elena rimase sola a guadare Masyaf attraverso le finestre.
I raggi del sole le riscaldarono il volto, e lei sorrise pensando che quella di oggi non sarebbe stata una giornata diversa dal solito, anzi, la prima di molte tutte uguali.

Il funerale ebbe luogo senza che nessuna donna potesse assistervi al di fuori di Adha.
Il cortile interno, i giardini, le stanze, i corridoi e la biblioteca erano ambienti vuoti e silenziosi, mentre dalla sala delle cerimonie si levavano canti corali.
Elena era appoggiata alla staccionata del campo d’addestramento e cercava di rivivere ogni attimo passato a fronteggiare il mastro assassino della setta. Si disse che sarebbe stato impossibile dimenticare cos’era successo, di come il cappuccio gli era scivolato via dal volto quando lei l’aveva messo al tappeto. Nessuno dei due l’avrebbe dimenticato, ed Elena avvertiva che il suo destino si era intrecciato ancora una volta con qualcuno che avrebbe avuto un ruolo fatale nella sua vita. Da che parte si fosse schierato Altair, se tra i suoi nemici o i suoi alleati, ad Elena non importava. La ragazza aveva imparato la lezione: dipendere solo da se stessa e dare una mano agli altri.
Elena non aveva sfidato Altair solo per lasciare che Halef riprendesse fiato, ma anche perché aveva sempre voluto farlo. Fin dal primo momento che il Maestro le aveva parlato della forza e della maestria di un assassina, Elena aveva scoperto il sangue di sua madre bollire nelle sue vene, misto a quello di uno dei più grandi assassini dell’epoca.

Un angelo era caduto, ed era sorta una Dea.

-Elena-.
La ragazza si voltò e vide Marhim che le veniva incontro.
Non poté non sorridere, ma la turbava il fatto che fosse lì.
-Come mai non sei alla cerimonia?- gli chiese guardandolo.
Marhim si sedette sulla staccionata. –Perché dovrei assistere al funerale di una persona che non ho mai conosciuto?- rise.
- Scommetto che Adha o il Maestro non ne saranno molto contenti- disse lei alzando il viso.
- Infatti, ma credo che le chiacchiere di Masyaf siano tutte concentrate su di te, ultimamente- apostrofò divertito.
Elena nascose le mani nelle maniche della tunica. – che cos’ho fatto…- mormorò, e le s’inumidirono gli occhi.
- Ehi, non volevo mica farti piangere, avanti!- Marhim tornò coi piedi per terra. –Quello che è successo è successo, e sono sicuro che tu l’hai fatto solo per mio fratello. Se ti è servito come scopo personale, sappi che battere Altair ti renderà la persona che non saresti mai voluta essere-.
- Come fai a dirlo? Di cosa parli?- si corresse puntando le sue pupille azzurre in quelle scure di lui.
Marhim alzò le spalle e le venne più vicino. –Elena, tu vuoi diventare un’assassina o no?- le chiese serio.
- Sto rivalutando l’offerta…- tirò su col naso.
- Era questo che intendevo. Da una parte non vedi l’ora di poterti confrontare con gli altri assassini, essere temuta e rispettata. Dall’altra, la vecchia Elena, la ragazza ferita sul ciglio della strada che perdeva sangue e fiducia in se stessa, sta gridando “no, non farlo!”- Marhim imitò una vocina striminzita, e il suo tono la face ridere.
- “Non voglio uccidere, no, non voglio! Aiuto, salvatemi da me stessa! Ah!”- a quel punto del discorso rise anche lui.
Dopo un minuto di silenzio passato ad ascoltare gli uccellini cinguettare e i canti di chiesa della cerimonia, Elena si slegò i capelli risistemandoseli al meglio.
Marhim la mangiò con gli occhi, ma si costrinse a voltarsi fingendosi distratto. – a quale delle due Elena darai ascolto?- domandò.
- Forse è un bene- riprese Elena –che Tharidl mi dia del tempo per pensarci. Sono certa che una volta cominciato l’itinerario, non potrò più farne a meno- confessò stringendosi nelle spalle; una folata di vento freddo l’investì entrambi.
-Sì, ci puoi contare-.
Elena si sistemò una ciocca dietro l’orecchio. –Ieri mi hai detto che è stato Altair ad uccidere Al Mualim. È così?-.
Marhim la guardò sorridendo. – Temo di sì-.
- Ma allora perché non c’è lui al posto di Tharidl, e come mai l’ha ucciso?- fece curiosa.
- È una storia lunga, che è diventata leggenda- cominciò lui. –Tutto è cominciato quando qualche anno fa Altair, Malik e il fratello minore di Malik, Kadar, furono scelti per recuperare il Frutto dell’Eden-.
- Conosco  questo nome- borbottò la ragazza interrompendolo. – mio padre mi parlava spesso di questo oggetto, ma va’ avanti, ti prego-.
- All’epoca il Tesoro era nelle mani di Roberto di Sable, colui che guidava i Templari nella Terza Crociata al fianco di Riccardo. Durante la missione qualcosa andò storto, e le azioni inconsuete di Altair mandarono tutto a rotoli. Il fratello di Malik perse la vita, e lui un braccio. Fortunatamente, Malik portò a Masyaf il Frutto dell’Eden, ma alle sue spalle l’avevano seguito gli uomini di Roberto e lui stesso. Nella battaglia persero la vita parecchi assassini, e gran parte della gente di Masyaf. Da allora fu un gran casino. Certi assassini lo volevano morto, altri no, ma alla fine Al Mualim lo degradò e Altair ricevette una lista di nove uomini. Posso citarti per esempio Sibrando, oppure Gulielmo del Monferrato. Sono nomi che sono certo avrai sentito, sto parlando di appena qualche anno fa-.
-Sì, sì. Il figlio di Gulielmo ha ucciso mio padre…-
-Mi dispiace, ma all’epoca Corrado non era una minaccia e non si trovava ad Acri. Se invece fosse stato così, Altair si sarebbe assicurato che non ci fosse nessun possibile erede al trono di Acri, così da consegnare la città nelle mani del suo popolo-.
-Continua- disse lei, avvilita da troppi ricordi.
-E così, tutti e nove morirono per mano di Altair, che in breve tempo tornò ad essere il più temuto di tutta la confraternita. Il rango e l’onore gli furono restituiti, ma Al Mualim aveva altri progetti per la Terra Santa. La storia della lista era stata solo una grossa truffa, un pretesto per eliminare chi ad Al Mualim impediva il cammino. Egli voleva il Frutto dell’Eden solo per sé, e assoggettò la gente di Masyaf sotto il suo potere. Altair aveva saputo la verità da Roberto de Sable in persona e gli aveva creduto. Tornato a Masyaf, sconfisse il Maestro e le sue illusione, restituendo la vita alla cittadella e la Terra Santa alle devastanti guerre che sono le Crociate- Marhim si stiracchiò. –Piaciuta la storiella?- le chiese allegro.
La bocca di Elena si allargò in un sorriso. –Sì, è stata interessante, soprattutto la parte in cui Altair prende a calci nel sedere Al Mualim!- rise la ragazza.
Marhim le tappò la bocca. –Ehi, fai più piano!- bisbigliò guardandosi in giro.
Elena sobbalzò quando Marhim le toccò la pelle del viso, e il ragazzo se n’accorse.
- Cos’è successo poi? Se questo posto seguisse una gerarchia logica, ora dovrebbe essere Altair il nuovo Maestro- commentò lei nascondendo il rossore delle guance.
-Con precisione è difficile da spiegare, anche perché non tutti sanno cosa successe dopo. Non sono voci che circolano, queste- Marhim si passò una mano tra i capelli. –Ma posso assicurarti che è stato Altair stesso a rifiutare l’incarico-.
-E ti sembra poco?- disse lei.
-Contando che anche Malik era in carica, be’ sì, sono poche informazioni-.
-Malik? L’assassino senza un braccio, lo stesso che mi ha guarita per primo?-.
Marhim annuì. – Era un tipo affidabile e…-.
-Era?-.
Marhim alzò un sopracciglio. –No, ma che stai pensando! È ancora vivo e vegeto- rise.
-Ah, ecco…-  per un momento aveva pensato che il funerale fosse di questo Malik.
Un secondo alone di silenzio avvolse il cortile, mentre Elena pensava a qualcosa d’intelligente da dire.
-E tu?- domandò.
Marhim si voltò non capendo.
Elena abbassò lo sguardo. – Come ci sei finito qui? E perché ci hai trascinato anche tuo fratello?-.
Marhim sorrise, ripensando alla sua infanzia tormentata. – Io e Halef siamo nati qui, e fin da bambini nostro padre volle che entrassimo come tutti nella setta. Devi sapere che all’interno della confraternita, ci sono fasce di tutte le età. Dai più piccoli ai vecchi e stanchi. Quando io e mio fratello iniziammo i nostri addestramenti, avevamo 6 e 3 anni. Piccolissimi. Il nostro primo omicidio fu qualche mese fa, ma di tradizione già a 8 anni il Maestro affida la lama nascosta-.
-Lama cosa?- chiese lei.
Marhim le venne più vicino. –è un guanto speciale che gli assassini esperti portano alla mano sinistra. C’è una lama celata nella parte inferiore che esce a comando con un meccanismo d’innesco-.
Il ragazzo le pose la mano sinistra e le mostrò come funzionava. La lama venne fuori facendola sobbalzare. –Ma che forza!- rise lei, ma poco dopo Elena rabbrividì. –Marhim- disse.
-Che c’è?- lui la guardò gioioso.
-Perché…- balbettò la ragazza. –Perché ti manca un dito?- indicò il vuoto che il ragazzo aveva tra il mignolo e il dito medio.
Marhim ritrasse il braccio. –Volevo parlartene già da un po’, ma è stata Adha ad impedirmelo- disse, ma lei non capiva.
-Perché? E di cosa?- chiese cercando il suo sguardo, ma Marhim volse gli occhi altrove.
-Ora sarà meglio che vada- fu la sua risposta voltandosi verso di lei. – dopo la cerimonia gli assassini porgono l’ultimo saluto, devo-.
-Posso aspettarti qua?- lo implorò con lo sguardo.
Marhim rimase pensieroso, poi s’illuminò. –No, tu vieni con me!- la prese per il braccio e la tirò verso la fortezza di corsa.
-Scherzi, vero?- lei rideva.
-Affatto, anzi!-.
-Ma non posso entrare!- protestò lei, che invece non vedeva l’ora di seguirlo.
-E chissene!- sorrise Marhim, tenendola stretta salendo le scale, poi per i corridoi ed in fine di fronte all’ingresso della sala.
C’erano due guardie che li guardarono sorpresi.
-Lei non può entrare, Marhim- disse il primo uomo.
Marhim fece un passo avanti, continuando a stringerla. –Avanti, ragazzi! Ha sconfitto Altair in duello, tra un paio di giorni sarà una di noi! Per favore!- cercò di commuoverli, ma i due soldati scuoterono la testa. –Non se ne parla-.
Elena si divincolò lentamente dalla stretta, e Marhim la guardò comprensivo.
-Ti aspetto qua, avanti! Non fare il tragico!- gli sorrise.
Marhim sospirò. –Hai ragione, però non andartene, chiaro?- si avviò verso i battenti chiusi.
Una guardia lo aiutò ad aprire il portone e, prima che Marhim sparisse dentro, Elena lanciò un’occhiata all’interno della stanza che sembrava traboccare per quanta gente c’era.
-E così ci rivediamo- disse una guardia.
Elena non li aveva riconosciuti, ma erano gli stessi due che l’avevano beccata mentre si avventurava per la fortezza la sua prima notte lì.
-Ciao- balbettò lei agitando una mano.
I due chinarono il capo. –Dea…- borbottò uno. –Mi fa impressione dopo tanto tempo chiamare una donna con questo nome!- si rivolse al compagno.
-Già- fece l’altro. –A proposito, complimenti per ieri, gli hai fatto vedere di che pasta sono le assassine a quello lì!- rise la guardia.
-Eheh, sì- sorrise la ragazza, mettendosi a braccia conserte contro il muro.
-Non vi conviene aspettare qui davvero- disse l’altro, quello più vecchio. –Quando la calca varcherà questa soglia, potrebbe non essere divertente per voi- l’ammonì.
-Oh, grazie- disse lei allontanandosi. Non ci aveva pensato.
-Avvertiremo Marhim che siete tornata nelle vostre stanze- aggiunse.
-Scemo, Marhim non può entrare in quelle stanze!- bisbigliò l’altra guardia.
-E vabbé- il vecchio alzò le spalle. –Scommetto che alla Dea non sarà di nessun disturbo, giusto?-.
Elena annuì. –anche se potrebbe essere rischioso- rise.
-Andate, hanno quasi finito!-.
Elena salì le gradinate e tornò nelle sue stanze.
Si accoccolò tra i cuscini e, sopraffatta dalla stanchezza per l’inizio giornata al quanto faticoso, chiuse gli occhi e schiacciò un pisolino.

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Capitolo 15
*** Un nome, per cominciare ***


Un nome, per cominciare

-Che scemo, te ne vuoi andare?!-.
-Guarda che lo dico al Maestro!-.
-Halef, hai rotto, vattene!- rise Marhim cercando di spingerlo di sotto. –Vuoi avvertire tutti gli assassini della setta?!- sibilò a denti stretti.
-Va bene, d’accordo, ma non fare cretinate, chiaro fratellone? Non voglio diventare zio così giovane- borbottò.
-Sparisci!- Marhim lo guardò allontanarsi sulle scale, poi si voltò.
Il salone era avvolto dalla penombra del tardo pomeriggio, e le porte delle stanze erano aperte, assieme alle finestre che facevano passare la corrente gelida che solo a quelle quote soffiava.
Marhim vide Elena rannicchiata tra i cuscini e le si avvicinò con passo furtivo.
La ragazza aveva la testa girata di lato, e i capelli le coprivano parte del viso, arruffati. Nella mano destra Elena stringeva il ciondolo di Alice e l’altra era aperta poggiata a terra. Teneva un respiro calmo e regolare.
Marhim la fissò per diversi istanti, affascinato di quanto fosse bella anche quando dormiva. Ma si riscosse.
Il solo fatto che stesse pensando certe cose lo metteva in allarme. Non doveva neppure trovarsi in quell’ala della fortezza, e suo fratello l’aveva avvertito. Suo fratello! Si ripeté.
Marhim le si sedette lentamente accanto, in attesa che magari si svegliasse da sola, senza il bacio del principe azzurro. –Quanto sono spiritoso- mormorò allargandosi le cinghie del guanto, che erano rimaste per troppo tempo strette. Senza pensarsi, il guanto se lo levò proprio, poggiandolo di lato.
Elena dormì ancora per minuti, forse un’ora, ma a Marhim non dolle affatto restarle accanto. Ogni tanto le lanciava uno sguardo, ma poi tornava a fissare l’orizzonte fuori dalle vetrate spalancate ascoltando i suoni di Masyaf che arrivavano fin là su.
Alla fine si appoggiò con la schiena al muro e socchiuse gli occhi. Nel dormiveglia sentì qualcosa muoversi al suo fianco, ma per pigrizia non riuscì a rivenire dal sonno.

Elena, nello stiracchiarsi, sfiorò della stoffa calda e ruvida. Poi riconobbe del cuoio e anche il fodero di una spada.
La ragazza si sollevò e i capelli le caddero sul viso. Si mise le ciocche fuori posto dietro le orecchie e sorrise sbigottita quando vide Marhim steso sui cuscini poco distante da dove stava riposando lei. Il ragazzo sonnecchiava tranquillo con la bocca aperta e le spalle al muro. La testa gli era caduta di lato, e aveva una guancia appoggiata sulla spalla.
-Ma è così stancante vivere qui?- si chiese lei ridendo.
Si alzò lasciando Marhim steso dov’era e andò verso il balcone.
Era calata notte fonda su Masyaf, ed Elena si apprestò a chiudere le finestre senza fare troppo rumore. Coprì alcune vetrate con le tende, per non permettere al calore di disperdersi in pochi minuti. Andò nella sua stanza e si guardò allo specchio.
I capelli attirarono la sua attenzione. Provò ad appiattirseli con le mani, ma tornavano com’erano. Arruffati e gonfi!
-Il pettine!- mormorò e guardò sulle mensole accanto all’armadio. Lo trovò buttato dietro una mantella nera, e cominciò a slegare le centinaia di nodi.
-Ahi!- tra i denti della spazzola contò una ciocca piena.
Dopo fatica e sopportazione del peggiore tra tutti i dolori di una donna, la chioma tornò fluente e lucida.
Sorrise soddisfatta e mise il pettine al suo posto.
Uscì dalla stanza e notò che Marhim aveva cambiato posizione: tra le braccia stringeva un cuscino, ed era scivolato con il corpo steso metà a terra e metà tra altri cuscini.
Elena soffocò una risata, ma la gioia le passò in fretta.
-Come sarebbe a dire?-
-Mia signora Adha, l’ho visto coi miei occhi!- quella di Adha e la voce di uno sconosciuto venivano dal piano di sotto.
Elena scattò verso il ragazzo e lo svegliò con uno schiaffo.
Lui sobbalzò e d’istinto le strinse il polso. –Ehi!- si lagnò con la vista appannata.
-Svegliati, scemo! Devi nasconderti!- gli disse tirandolo su di peso.
Marhim barcollò stiracchiandosi. –Perché?- chiese sbadigliando.
Elena lo spinse nella stanza più vicina e chiuse la porta.
- Cos’è stato?- domandò Adha dopo aver sentito lo sbattere della soglia.
- Non saprei- rispose la voce sconosciuta.
Elena sentì i due salire le scale, poi Adha comparve sul piano con i lembi del vestito nero stretti nei palmi. –Elena, c’è qualcuno con te qui?- chiese la donna severa.
L’uomo alle sue spalle era un assassino, di un certo rango, ma poco abbigliato perché ad Elena sembrasse Altair.
Elena scosse la testa. –Nessuno, sono sola e stavo giusto scendendo per raggiungere Lily e…-.
- Quest’uomo giura di aver visto un assassino salire le scale. Elena, non mentire!- le gridò contro Adha.
-Adha, se ci fosse qualcuno te lo direi, e non ho visto nessuno salire, stavo dormendo!- rispose la ragazza. Il cuore le batteva a mille, e non sapeva chi tra i due, lei o Marhim, ci avrebbe rimesso di più per quella storia.
Adha le venne più vicino. – E la porta? Perché ha sbattuto?- le ringhiò a pochi passi.
-Stavo chiudendo le finestre, tirava vento- fu la sua scusa mentre teneva lo sguardo basso.
Adha fece un passo indietro. – Sai bene che questo posto non può essere frequentato da chi non ha l’autorizzazione, e colui che viene sorpreso deve pagare con la vita. Così scrisse Al Mualim nel suo codice quando la prima assassina firmò quel contratto. Non infrangere le regole come fece tua madre! Tienilo a mente- Adha fece cenno all’uomo di scendere, e l’assassino lasciò gli appartamenti.
Fu allora che Adha le sorrise. –Com’è andata la tua prima giornata lavorativa?- chiese.
Elena curvò le spalle. –Bene e male- disse.
-Come mai?- Adha teneva le mani giunte in grembo.
-Non c’è molto da dire. I preparativi per un funerale mi rattristano- aggiunse Elena.
Adha si lasciò sfuggire un risolino. – sono contenta che nonostante gli avvenimenti, ti piaccia ancora far battutine. Vieni, sarò lieta di accompagnarti a cena- Adha si avviò verso le scale.
-Veramente, non ho fame- confessò lei, e non era una farsa.
Adha si voltò. –sei sicura? Non hai mangiato nulla tutto il giorno- disse premurosa.
Elena annuì e tornò nella sua stanza, prima di chiudere la porta disse solo: -grazie lo stesso-.
Adha lasciò il piano.
Elena contò fino a dieci prima di uscire, e si trovò di fianco a Marhim che aveva aperto la porta nello stesso istante. –Che tempismo, grazie!- rise lui.
-Ma si può sapere perché ti sei addormentato?-.
-E tu perché te ne sei andata?-.
-Non mi andava di restare sotto gli occhi di un milione di assassini, scusa tanto!- borbottò.
-Va bene, hai ragione, avrei dovuto comprendere che non sei tipa da essere sulla bocca di tutti. Proprio non ti piace stare al centro dell’attenzione, eh?- Marhim sorrise incrociando le braccia.
-Parla lui che sa cacciarsi solo nei guai!-.
-Questa è la prima volta che infrango un ordine o una legge, non farmi la predica! Quella che non sa restare al suo posto sei tu- il battibecco finì lì.
Elena tacque ridendo.
Marhim si fece serio. –Perché non sei andata a mangiare?- le chiese. –Mi sono perso l’ultima parte- aggiunse.
-Non ho fame, ma tu dovresti andartene comunque!- lei lo spinse verso le gradinate.
- D’accordo! Vado! Te l’avevo detto che un giorno non mi avresti più sopportato!-.
Elena rimase sola, ridendo ancora per la buffa ed insolita situazione in cui si era cacciata.
Restare ancora nella stanza non le sarebbe servito a molto, quindi lasciò passare una manciata di minuti prima di avviarsi anche lei fuori dagli appartamenti.
Se non avevi le mani impegnate nella carneficina o nello spazzare pavimenti, quel posto deprimeva, si disse Elena scendendo le scale principali.
Trascorse il resto della serata ad assistere ad alcuni degli allenamenti notturni. Poi si spostò nella biblioteca, dove trovò qualcosa da leggere.
Il custode della libreria la scacciò da lì che era passata la mezza notte, ma riuscì a farsi dare il permesso di portare il testo nella sua stanza.
Una volta tra i cuscini, aprì il libro, ma prima che potesse arrivare al dodicesimo capitolo, si addormentò con la bocca aperta.

Sognò le assassine. Le sei assassine che si muovevano come ombre nell’oscurità delle città. Vedeva le ombre assalire le persone e poi perdersi nella folla. Erano ombre spietate, ma bellissime. Poi sognò se stessa, che galoppava su un bellissimo cavallo nero. Accanto a lei, su uno stallone bianco c’era il suo futuro maestro. Erano diretti ad Acri. Seguivano un sentiero tra i boschi di ulivi, e le guardie li venivano dietro gridando: -Assassini!- ma non riuscivano a raggiungerli. Sognò che arrivati ad Acri, il suo maestro veniva colpito da una freccia e moriva davanti alle mura della città. Sognò il volto di Corrado, che più volte aveva visto durante le sue diverse manifestazioni aperte al popolo. Sognò che con la sua lama nascosta, Elena gli tagliava la gola.
Quel sogno le piacque, e molto.

Una settimana dopo…

-Ah! Scotta!- gridò una donna.
Elena rise mentre pelava le patate in un angolo. –scusa, avrei dovuto avvertirti Lily-.
-Maledetta- borbottò la damigella di Adha buttando l’acqua calda nel lavandino.
Nella cucina c’era il solito trambusto di posate e portate, assieme alla confusione delle chiacchiere di cinque donne.
Lily cominciò a tagliare delle verdure, mentre un’altra ragazza riempiva il forno con delle forme di farina abbastanza tozze.
Elena si era abituata ai lavori che Lily le affidava, e aiutare in cucina era diventato il suo passatempo preferito. Le ricordava quando aiutava suo padre ad apparecchiare la tavola all’età di sei anni. Quando imparò a fare il pane a dodici e quando, in fine, preparava lei la cena per la piccola famiglia che erano.
L’atmosfera non era più la stessa. In una settimana la situazione si era ribaltata, e ora Elena era vista di buon occhio da tutte le donne che lavoravano nella fortezza. Tutte tranne una.
Era riuscita a scoprire che il suo nome era Minha, era la bellissima donna dai capelli rossi che più che una cameriera sembrava un donna di malaffare. Elena guardava con stizza come si vestiva. Sempre così scollata, trasandata a mostrare le spalle e il petto.
Minha lavorava spesso in cucina almeno quanto lei, ma nonostante condividessero le stesse occupazioni, non si rivolgevano mai la parola. Nessuna tra le donne di Masyaf con cui Elena aveva scambiato quattro chiacchiere sembrava sapere qualcosa su di lei, e a Minha, pettegolezzi e scaramucce non davano fastidio. Se ne stava per i fatti suoi, a lavorare come tutte ma senza mai proferire una parola una. Solo quella volta che Elena vi si era seduta accanto, aveva avuto l’onore di sentire la sua voce.
Minha non sembrava umana. Anche quando si spostava da una parte all’altra della cucina, i suoi passi erano silenziosi e aggraziati e tradivano l’aspetto che dava di sé. Profumava, e aveva i capelli sempre lucidi e mai arruffati. Portava spesso le stesse vesti. Teneva sempre lo stesso sguardo afflitto, stanco, vinto, sopraffatto.
-No!-
Elena si voltò ed ebbe solo il tempo di vedere una cesta di grano rovesciare il suo contenuto al suolo. –Ma che diavolo!- gridò Minha passandosi una mano tra i capelli, poi a coprirsi il viso.
La donna s’inginocchio tra i chicchi e cominciò a piangere.
Elena lasciò il coltello e la patata che aveva in mano e le corse al fianco. –Vuoi una mano?- domandò.
Tutte le ragazze presenti nella cucina si voltarono a guardare come Minha versava lacrima dopo lacrima.
-Minha, non serve piangere sul latte versato! Avanti, pulisci!- la sgridò una delle cameriere.
Minha si alzò lentamente ed Elena si fece da parte, perché la donna corse fuori dalla cucina in lacrime.
-Che cosa le hai fatto?- chiese Lily avvicinandosi a lei.
-Nulla, le ho solo chiesto se voleva una mano- rispose Elena.
-Be’- riprese una donna. –Qualcuno dovrà pur rimediare. Lily, perché non vai a vedere cosa l’è preso?-.
Lily annuì e lasciò la cucina.
-Tu, Dea, usa un po’ do magia con quella scopa, avanti-.
Elena afferrò il manico e cominciò a raggruppare il grano. Quando ebbe finito, le donne stavano già servendo il pranzo agli assassini nella sala mensa.
La schiena le dolorava per il troppo tempo rimasta curva a raccogliere il grano versato.
Ad un tratto le porte della cucina si aprirono e nella stanza entrò un uomo.
-Elena?-
Era un assassino, e la ragazza si mostrò ai suoi occhi celati sotto il cappuccio. –Sì?- non era Marhim, ma uno che non aveva mai visto, eppure la voce le era familiare.
-Il Maestro vuole vederti- disse lui.
Ecco! Era l’assassino che l’aveva tenuta per le spalle mentre Adha la fasciava. Adel, le parve si chiamasse.
-Certamente- fece lei seguendolo fuori dalla cucina. Prima di uscire lasciò il suo grembiule sul tavolo pulendovi le mani.
Adel la scortò fino al piano terra, dove Elena incontrò gli occhi di Marhim che stava curiosando tra i vari scaffali. –Elena- mormorò lui e provò ad avvicinarsi.
Elena si fermò, ma Adel la prese per il braccio. –Cammina- le disse.
-Che succede?- domandò lei, divincolandosi. –E lasciami!-.
-è importante, e il Maestro vuole che tu sia sola- le spiegò Adel. –Avanti, andiamo- lui si avviò, ma la ragazza non le andò dietro.
Marhim le corse incontro, e le si fermò proprio di fronte. –Elena, cosa?…-.
-Non so, ma ora devo andare. Ti spiego dopo, semmai- la ragazza seguì Adel che era già accanto al Maestro, in piedi davanti alla scrivania.
Quando Elena raggiunse Tharidl e Adel, quest’ultimo li lasciò soli.
-Maestro- s’inchinò lei.
Tharidl la guardò sorridendo. –Sono felice di vederti sorridere, Elena. Questo luogo sta diventando di tuo gradimento?- le chiese.
Elena annuì. –La mia nuova casa, Maestro. Assolutamente sì- era gioiosa, forse il grande momento era arrivato, così anticipò il vecchio. –Perché mi avete fatta chiamare?-.
Tharidl allungò nuovamente il suo sorriso e cominciò a camminarle davanti. –Il Credo di un assassino si basa su tre fondamentali principi, poiché senza di esso noi non siamo nulla e nulla può diventare troppo. Trattieni la lama dalla carne degli innocenti, poiché essi sono tuoi alleati ed ogni vita risparmiata grava meno alla tua anima e ogni goccia di sangue perduta è un dolore insopportabile. Nasconditi alla vista, il nemico è dietro l’angolo, alle tue spalle e colpisce quando meno te l’aspetti. Confondersi tra la gente comune è ciò che ci facilita gli incarichi. Indiscreto, silente, un assassino sa come e dove colpire senza destare alcun sospetto. Elena, non compromettere mai la confraternita, agisci con la mente e segui il cuore solo quando sei cosciente di ciò che le tue azioni possono comportare. Sii clemente con chiunque cercha di ostacolarti, un giorno potrebbero rivelarsi i tuoi alleati, intuito e prontezza saranno le tue qualità-.
Elena taceva, sconvolta e con gli occhi che le luccicavano. –Maestro…- mormorò.
-Sì, Elena, oggi sono felice di conferirti il tuo primo titolo di Ashash. Inoltre- L’uomo la guardò serio. –Ho scelto il tuo maestro-.
Elena fece un respiro profondo, ma la sua mente non riusciva a restare concentrata. Era un’assassina. Una Dea.
Tharidl le venne più vicino. –è stato difficile. Ho cercato di mettere da parte i vostri incontri e scontri, ho tentato di azzerare le vostre divergenze, e spero di aver preso la scelta giusta. Egli ha avuto il coraggio di guardarti in volto e di abbassarsi al tuo livello, nonostante gli sia costato il suo onore. Ora voglio dare a quest’uomo l’opportunità di redimere il proprio animo-.
-No…- Elena aveva capito di chi stava parlando. –No, Maestro, no- balbettò. –sono sicura che egli non accetterà mai, vi prego, e io non riuscirei a sopportare questo peso!- Elena si aggrappò alla sua tunica, quasi abbracciandolo e scongiurandolo.
Tharidl le prese il viso tra le mani. –Negli anni cui ho guidato questi uomini, ho avuto modo di studiarne ogni particolarità, ogni aspetto, difetto e pregio. Nell’Angelo che ho scelto bolle la rabbia, certo, ma egli ha saputo accettare le mie decisioni poiché la sua ragione, sempre lucida, vede il giusto aspetto delle cose- le sussurrò.
-Elena- riprese accarezzandole i capelli. –voglio che davanti a te sorga un assassino che possa essere al tuo pari e oltre. Ho scelto colui che mi ha dimostrato di saperti tenere testa. Elena, come Adha non ha voluto dirti, tu hai davvero le qualità per diventare la migliore. In te scorre il sangue di tua madre e quello di tuo padre, e assieme loro hanno dato la vita ad una Dea che non ha eguali, e io lo so. Ma come tutte le assassine prima di te, devi imparare a moderare le tue abilità e ad usufruirne il giusto dosaggio-.
Elena fece un passo indietro, e il vecchio spostò gli occhi alle sue spalle, su una terza presenza che Elena sentiva dietro di lei.
-Altair, vieni avanti- disse.
Elena tenne gli occhi chiusi e il volto basso quando Altair si mostrò alla luce delle vetrate.
L’assassino aveva il cappuccio ad oscurargli gli occhi ulteriormente, e teneva le braccia lungo i fianchi. La schiena dritta e il portamento austero tradivano i ricordi che Elena aveva del loro ultimo incontro.
-Altair, sei rimosso da tutti i tuoi precedenti incarichi e i tuoi alunni sosteranno alle lezioni di Fredrik. Da oggi Elena è tua discepola, voglio che tu ti prenda cura di lei e che le insegni tutto quello che ha fatto di te l’uomo che ora si trova al mio cospetto. In fine- Tharidl fece una pausa e spostò lo sguardo su di lei.
Elena era schiacciata dall’imbarazzo, che la mangiava pezzo per pezzo a partire dalle gambe, che a malapena teneva composte. Le spalle tese e i pugni chiusi.
-Elena- sentì la voce del suo nuovo Maestro chiamarla.
Alzò il viso e si voltò lentamente verso di lui. –Sì, Maestro- proferì un inchino verso Altair, ma avrebbe pagato oro per non farlo.
-Bene, allora i preliminari sono conclusi-.
Dalle scale comparve Adha, che le venne al fianco. –Andiamo, devi provare una cosa- le disse prendendola sotto braccio. Prima che si allontanassero, Adha incrociò gli occhi di Altair e annuì due volte rassegnata.
Altair e Tharidl rimasero soli.
L’assassino fece un passo avanti. –Spiegatemi, avanti!- ruggì.
-Altair, non sono dovuto a dare spiegazioni né a te né a nessun altro che non sia me stesso. Ora puoi andare-. Il vecchio si sedette allo scrittoi e intinse la piuma nell’inchiostro.
-Perché? Cose ho fatto per meritarmi questo!- insistette l’Angelo.
-Dovresti esserne onorato! Altri assassini mi hanno chiesto questo incarico, e non mi è importato sapere perché. Ma uno di loro ha avuto il coraggio di ammettere che Elena era attraente! Sei l’unico di cui mi posso fidare in questo, quindi, se non ti dispiace… -.
Altair sbatté i pugni sul tavolo e la boccetta d’inchiostro saltò. –Credete che sia opportuno per questo incarico solo perché non sarei capace di metterle le mani addosso?- digrignò.
-Esatto- rispose tranquillo il Maestro.
-Come fate a saperlo?-.
-So che amate Adha, e mi basta come risposta. E se non sbaglio, Elena è troppo giovane per voi. Avrei potuto affidarla ad Angeli più anziani, lo ammetto, ma credo che questa esperienza possa giovare ad entrambi voi-.
-Giovare? Quella ragazza mi ha umiliato di fronte a tutta la confraternita!-.
-Il tuo ego, Altair- lo ammonì il vecchio. –ricordi quanto avanti ti spinse la tua rabbia anni or sono?- gli rammentò.
-Siete tale e quale ad Al Mualim!- borbottò l’assassino. –non sapete scegliere con giudizio e vi fate influenzare dalla prima opportunità!- lo accusò.
Tharidl non si scompose, continuando a scrivere. – Basta, ho preso la mia decisione, e nessuno potrà cambiarla se non io stesso. La discussione è terminata-.
-Non so da dove cominciare! Il suo modo di combattere è rozzo, antico! Kalel poteva insegnarle un po’ meglio, ed io non so come rimediare! Perché non Marhim, con lui la ragazzina ha legato tanto, no?-.
-Egli non è di grado sufficiente per insegnarle ad uccidere!- il vecchio si alzò, senza riuscire a contenere la collera. – Non comprendi che Elena deve apprendere l’arte dell’assassino e non della guardia di pattuglia? Non comprendi?!-.
-Comprendo, e comprendere è doloroso, Maestro- l’assassino parve calmarsi, staccandosi dal tavolo. –Delle volte mi domando- cominciò Altair con tono più quieto. –se sono ancora degno di portare queste vesti- abbassò lo sguardo.
Tharidl tornò a sedersi. –E delle volte dovresti fare meno domande e agire come ti è stato chiesto-.
-Proprio per questo Al Mualim scelse me per i suoi scopi. Sapeva che non avrei fatto domande, ed io non voglio cadere nella stessa tela due volte-.
Tharidl si mise gli occhiali. – Hai saputo nulla di Minha?- gli chiese.
-Cosa c’entra Minha con?…-.
-Ha lasciato la città poche ore fa, le nostre guardie l’hanno intercettata alla fine della valle. Vorrei che Adha le parlasse, puoi chiedere alla tua promessa questo per me?- lo guardò serio.
Altair annuì. –certo, come desiderate Maestro- chinò il capo e si avviò.
-Ah, Altair!- lo chiamò.
Lui si voltò.
-Vorrei inoltre che le trovasse una spada, ad Elena. Non una qualunque, né pesante né leggera, deve adattarsi al pugno fermo che le ha dato suo padre. Potete occuparvene voi, o debbo lasciare che sia Marhim a farlo?-.
Altair sorrise sotto il cappuccio. –Ora comprendo…- mormorò tra sé. –No, Maestro, mi occuperò anche di questo, non scomodatevi-.
-Puoi andare, allora-.
Altair lasciò la sala si corsa e raggiunse le gradinate principali. Salì due gradini alla volta e camminò per gli appartamenti degli Angeli.

-Ti sta benissimo- disse Adha commossa.
-Ma si può sapere che roba è?- domandò Elena girandosi di fianco.
-Come cos’è?- fece Adha. –è la tua veste di assassina!- rise.
Nello specchio Elena sembrava più magra del solito. La sua immagine la mostrava con indosso una veste bianca che le arrivava alle ginocchia. Adha l’aveva vestita di tutto punto come un comune assassino di rango basso, solo che l’abbigliamento si adattava alle sue forme femminili senza esagerare. Al posto di una cintura di cuoio, la ragazza portava alla vita una pezza rossa che le pendeva davanti, simbolo che non aveva ancora raggiunto neppure il primo grado. In più Adha le aveva allacciato una cinghia di cuoio che andava dalla spalla destra al fianco sinistro, con un triangolo di metallo che le toccava il petto. Gli stivali le stavano larghi solo perché non li aveva allacciati per bene, poiché avrebbe perso una mattinata a fissare come si deve tutti i lacci. Il cappuccio era calato sulle spalle e le maniche dello strato inferiore erano morbide e le cadevano a coprirle anche le mani.
-Mi commuovi- disse Adha.
-Come mai?- Elena fece un giro completo per adocchiare anche il posteriore.
-E pensare che avrei dovuto bruciarla, questa era l’ultima, sai?- le confessò.
-Grandioso. Vuol dire che non ci sono ricambi? E se la strappo, la rovino, la sporco? Non mi ammazza nessuno, vero?-.
Adha rise. –No, non preoccuparti. Le nostre sarte ne faranno altre-.
-Mitico- Elena la guardò sorridendo, e Adha ricambiò.
Elena lanciò un’occhiata oltre la donna, e vide che il suo Maestro veniva verso di loro.
-Maestro- Elena s’inchinò.
-Altair!- Adha, sorpresa, fece un passo indietro.
-Possiamo, un attimo…- Altair indicò le scale con la testa.
Adha si voltò verso di lei. –Elena, puoi scusarci?-
La ragazza annuì e i due lasciarono gli appartamenti.
Elena tornò a guardare lo specchio. Quando provò a tirarsi su il cappuccio, non riuscì a nascondervi all’interno la folta chioma di capelli.
-No! No! No!- gridò a denti stretti. –Vuoi vedere che…-.

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Capitolo 16
*** I Falchi della Paura ***


I Falchi della Paura

-Avrei voluto dirle qualcosa, ma quando l’ho incontrata al mercato è arrivata Adha dal nulla e mi ha scacciata via!- sbottò una delle donne.
-Non dirlo a me, quella poveretta mi fa così pena. E pensare che avrebbe potuto impedirlo- rispose un’altra.
-Come? Insomma, nessuno sapeva che Asaf avrebbe fatto quella fine-.
Elena mangiava composta col suo piatto davanti. La sala mensa era avvolta dalla penombra del sole che doveva ancora sorgere. Ai tavoli attorno c’erano come lei le altre donne destinate alle pulizie, che banchettavano la colazione ognuna col suo piccolo gruppo compatto.
Elena ascoltava interessata parola dopo parola la conversazione di alcune ragazze sedute poco distanti da lei.
-Infatti, ma quando Tharidl gli propose l’incarico, Asaf non accettò. Fu Minha ad insistere che andasse, da vera stolta. Asaf era capace, certo, ma fino ad un certo punto. Minha voleva solo che il suo fidanzato acquistasse fama! È questa la verità, e ora è mangiata dal senso di colpa- fece sdegnata una donna più vecchia delle altre che la circondavano. –Se fosse stata zitta, ora starebbero a farlo dietro quella colonna!- aggiunse.
-Piantala- le disse un’altra, ma non riuscì a trattenere un risolino. –Perché non provi a pensare che forse non potesse prevedere che il corpo di Asaf tornasse senza vita? È distrutta, e noi siamo qui a spettegolare di lei mentre passa le giornate a piangere e a combinare guai-.
-Di che guai stai parlando?- domandò maliziosa una ragazza.
L’altra tacque alcuni istanti. –Diciamo che la notte scorsa l’ho sorpresa lasciare gli alloggi dei novizi, mentre sbattevo i tappeti-.
-Nooo! Non ci credo!- fece quella vecchia. –Ma com’è possibile?- scoppiò sarcastica. –Se è così, allora se lo merita. Minha è solo una gran “donna da lenzuola”!- rise.
Elena lasciò di colpo il cucchiaio, che le cadde nella ciotola di latte e il tonfo rimbombò per tutta la stanza. E così, pensò la ragazza, Minha era innamorata dell’assassino che aveva perso la vita a Gerusalemme. Per nascondere il dolore, qualcosa dentro di lei l’aveva spinta a legare superficialmente con altri assassini, e quindi a svendere il suo bel corpo.
Elena non poté crederci.
-E tu- riprese la vecchia. –avresti voluto parlarle?- chiese ad una delle ragazze del gruppo.
-Sì. Una volta mi ha raccontato qualcosa di lei, ma davvero poco. Forse avrei potuto consolarla, e Adha avrebbe meno anime sulla coscienza…-.
A quel punto Elena si sentì osservata, guardata da occhi pettegoli. Le s’irrigidirono le spalle, e un brivido le percorse la schiena.
-Ehi, guarda guarda chi arriva- sogghignò una donna voltandosi, e tutte le ragazze della sala si volsero ad ammirare l’uomo che si muoveva nell’ombra della mensa. –Il buono della situazione…- aggiunse a denti stretti sorridendo.
L’ignoto nascosto sotto il cappuccio camminava composto ed eretto. La sua figura si stagliava imponente anche da lontano, e soprattutto attraente per tutte le belle fanciulle che popolavano i dintorni, che non riuscivano a staccargli gli occhi di dosso.
Altair avanzò verso il tavolo quale era seduta Elena che si alzò spostando con rumore lo sgabello.
 –Maestro- le uscì di bocca in un sussurrò e s’inchinò.
L’assassino alzò il mento. –Come mai Adha non ti ha informato degli allenamenti? Ti sei dimenticata forse che sei mia allieva?!- la sgridò.
Elena sobbalzò, la sua voce rimbalzava da una parete all’altra ed era schiacciante oltre che umiliante. –Vi chiedo perdono, Maestro, ma non sono stata informata di nulla- rispose ingoiando. Le mani cominciarono a sudarle, e le guance ad infiammarsi mentre spostava lo sguardo a terra, sui suoi piedi e quelli di Altair a pochi passi.
-Questo mi turba a dir poco, ma non è tardi per rimediare- disse Altair squadrandola. –Avanti, andate a cambiarvi, sarò ad attendervi nel cortile-.
Elena annuì e lo contemplò dirigersi verso il buio del corridoio.
Un orribile silenzio calò nella sala mensa.
Elena non rimase lì impalata oltre, e corse sulle scale, senza neppure portare il suo piatto in cucina. Raggiunse la sua stanza, ma quando varcò la soglia trovò Adha ad attenderla con in grembo la sua divisa da assassina.
La donna le sorrise porgendole l’abito.
Elena notò con stupore che Adha vi aveva apportato delle modifiche. Per esempio, c’era una scollatura profonda all’attaccatura del cappuccio sul petto, e quando la ragazza indossò il tutto, sentì freddo anche alla schiena.
-Come mai…- cominciò guardandosi allo specchio.
Adha non aveva proferito parola per tutto il tempo, era rimasta a guardarla senza aggiungere o commentare alcunché. Era seduta sul letto e stava a guardare come Elena assumeva espressioni sempre più contorte. –Insomma, questo non è il vestito che ho provato l’ultima volta, io non capisco- borbottò.
Adha si alzò sospirando e la prese per le spalle, fermandola di fronte allo specchio.
Il volto della donna era calmo, troppo quieto. –quella che ti ho fatto provare ieri era una tunica da assassino, si adattava meglio al tuo corpo solo perché era una delle taglie più piccole che sonoro riuscita a trovare. Perdonami di non avertela mostrata prima, ma questa che indossi ora è la vera essenza di una Dea- sussurrò.
Elena si voltò di scatto spaventata. –Non voglio girare per la fortezza con questi vestiti. Sono così, così… osceni! Adha, non mi sento a mio agio, non riesco- disse cupa.
Adha le mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio. –Elena, c’è una grave differenza tra un assassino e un’assassina che qui intendiamo bene sottolineare. Non diffidare delle nostre tradizioni, indossa queste vesti per i tuoi allenamenti con Altair, e vedrai che presto saranno parte di te-.
Adha le accarezzò la guancia premurosa come una madre, poi lasciò la stanza.
Elena si morse un labbro. E se il mestiere di un’assassina non fosse quello che davvero credeva? Se dietro la maschera di omicidi con l’uso di coltelli e lame nascoste ci fosse qualcosa che Adha non le voleva dire per paura che si tirasse indietro solo agli inizi? E se fosse più pericoloso, rischioso di quanto non lo era già uccidere di per sé?
Elena si ammirò per nulla convinta. Con il petto così scoperto fino alla prima sfaccettatura del seno si sentiva d’indossare gli abiti di Minha, anzi, dopo quello che aveva saputo, si sentiva quello che era davvero Minha.
Nutriva dei rancori con alcuni degli assassini, che si chiese come avrebbero reagito vedendola così. Cosa avrebbe pensato di lei Marhim, o Lily? O Altair, il suo maestro. Poteva combattere, impugnare una spada abbigliata come una, una… una!
Infilò gli stivali e li allacciò per bene. Quando ebbe finito di stringersi anche la cintura alla vita, si affacciò alle vetrate del salotto.
Il sole sorgeva, rischiarava la valle e illuminava di nuova luce il mondo. Gli uccelli gioivano, le colombe svolazzavano e i mercati riacquistavano il loro vigore mattutino, che andava avanti fino a sera. Il cielo, di un azzurro innaturale, era macchiato da poche e benevoli nuvole che proiettavano le loro ombre sulle colline lontane.
Elena si sporse ulteriormente dalla facciata e lanciò un’occhiata di sotto, dove poteva vedere con chiarezza che il cortile interno era desolato, pattugliato dalle solite guardie mentre gli arcieri notturni sulle mura facevano a cambio con quelli giornalieri.
Un puntino indistinto, bianco e isolato l’attendeva al centro dell’arena per l’allenamento, ed Elena sapeva si trattasse di Altair.
L’assassino era riconoscibile anche da quella distanza, solitario e raggiante di rancore.
Elena chiuse le finestre e si avviò giù per le scale.
Raggiunse il piano terra e passò per il giardino, quando si sentì chiamare alle spalle. –Elena! Elena, fermati!-.
Si voltò, e Marhim le fu a pochi passi.
–Ciao- disse lei arrossendo.
Sperava che nessuno che conosceva la vedesse in quello stato, ma Marhim era Marhim…
-Prima di tutto, buongiorno. Hai dormito bene?-.
Elena rise per la domanda d’introduzione. –Sì, grazie. E tu?-.
-Eh, non c’è male. Passiamo al sodo- lui si fece serio. –Cos’è questa roba?- lui indicò il suo “buffo” vestito.
Elena curvò le spalle. –Non voglio parlarne- digrignò.
-Interessante, ma hai intenzione di andare in giro così? È Adha che ti ha dato questo?- domandò ancora sbigottito.
Elena annuì. –No, guarda, volevo vestirmi così da attirare su di me un po’ di gente!- alzò le braccia al cielo. –Ora scusa, ma devo andare- bisbigliò sorpassandolo.
-Lo so, nel senso so che hai gli allenamenti con il tuo nuovo Maestro- Marhim pareva afflitto, perché il suo tono di voce era basso tanto quanto il suo sguardo.
Elena camminò dritta verso il cortile e Marhim le venne dietro.
Altair era al centro della recinzione e fendeva l’aria con precisi affondi di spada. In mano teneva una lama che non era la sua, che invece portava bella dentro il fodero allacciato di fianco. Il suo Maestro stava usando una seconda arma che forse era destinata a lei, si disse Elena.
I due giovani si fermarono vicino alla staccionata e rimasero a guardare Altair che colpiva il vuoto con gli occhi chiusi, come nella meditazione.
-Spero che tu impari molto da lui- le mormorò Marhim all’orecchio. –Mio fratello l’ha preso male il fatto che tu gli abbia soffiato l’insegnante-.
Elena non ci aveva pensato.
Quando Tharidl aveva scelto Altair come suo Maestro, aveva privato Halef e molti altri assassini del migliore da cui apprendere. Si disse che parecchi novizi si sarebbero presto vendicati, in un modo o nell’altro.
Elena già si odiava abbastanza per avere su di lei gli occhi delle guardie di pattuglia, e ora anche Marhim aveva lanciato un’occhiata sfuggente al suo decolté.
Improvvisamente, Altair aveva arrestato il colpo tenendo la lama in alto, tesa come fosse un prolungamento del suo braccio. Aveva aperto gli occhi d’un tratto e la fissava.
Elena lo guardò mentre gesticolava col manico della spada, facendola piroettare come fa un equilibrista coi birilli.
Altair era senza guanti quella mattina, e non indossava gran parte del suo equipaggiamento. Vestiva nel modo più semplice che Elena gli avesse mai visto addosso, e ne fu sorpresa.
Non aveva mai avuto modo di cogliere la normalità in nessuno dei membri della setta, invece Altair, l’Angelo della Morte più letale tra tutti, si era concesso di abbondare solo per quella volta i costumi della Confraternita.
Elena pensò che poteva solo essere un aspetto dannatamente positivo. Il suo Maestro, ma anche l’uomo che aveva sconfitto a duello, abbigliato in quel modo le sembrava un comune ragazzo che voleva insegnarle qualche vecchio trucco. Si disse però che dargli troppa confidenza sarebbe stato rischioso e…
Marhim interruppe il filo dei suoi pensieri spingendola verso l’arena. –Avanti, è mezz’ora che ti aspetta, muoviti!- rise.
Elena scavalcò la staccionata e si avvicinò all’uomo. Proferì un inchino lieve con il capo rimanendo il più possibile padrona di se stessa e del suo cuore, che batteva all’impazzata.
E se l’avesse battuto di nuovo?
-Prendi- Altair le porse la spada con cui si stava riscaldando.
Elena ne afferrò saldamente l’impugnatura e notò che era leggera e piuttosto corta per rientrare nel termine “spada”. Era rozza, certo, poco decorata, ma pur sempre ben levigata, splendente e già parte di lei.
Altair sorrise sotto il cappuccio vedendola così gioiosa. –Sono certo che ti piacerà, ma sappi che non è l’arma che fa l’assassino- disse girandole attorno. –O l’assassina- si corresse poi.
-Maestro, non per indugiare sul passato che resterà sempre il passato- disse Elena senza staccare lo sguardo dalla spada. –Ma se vi ho battuto a duello come mai sono qui oggi?- chiese maliziosa, ma ben intenzionata.
L’assassino colse svelto il senso delle sue parole. –Sapevo che avresti fatto questa domanda, se non a me te la saresti posta diverse volte. Ebbene- Altair si fermò. – Il tuo stile di difesa è rozzo e antico, tendi a muoverti sugli stessi passi, ma sono stati il tuo intuito d’improvvisazione e l’agilità che ti ha donato tuo padre a permetterti la vittoria. I tuoi difetti sono più di quelli che immagini o credevi di conoscere, Elena. Stai sempre pronta, sempre…-.
Le poche occasioni in cui Altair la chiamava per nome la infastidivano, lasciandola smarrita. La sua voce, il suo tono, i suoi atteggiamenti. Tutto in quell’uomo le metteva paura, ma dalla parte opposta sentiva di appartenervi, vi si riconosceva in molti aspetti.
-Elena, mi stai sentendo?- Altair schioccò le dita, e la ragazza si riprese dal fissarlo senza sguardo.
-Sì, scusate- mugolò.
L’assassino aggrottò le sopracciglia. –Bene… prima di cominciare vorrei che tu rispondessi alla mia domanda. Perché sei qui, Elena?-.
La ragazza sobbalzò. Che buffa domanda, pensò guardando il suo maestro. –In che senso, io…-.
-Rispondi, so che ne sei in grado- l’anticipò lui.
Elena non sapeva se stesse sorridendo o se Altair tenesse la solita espressione appesa e estranea tipica di chi ha visto troppi occhi spegnersi davanti ai suoi. Altair andava a camminarle in circolo, anche alle spalle.
-Mio padre, mi fido lui, ho obbedito alle sue parole, tutto qui-.
-Hai avuto l’opportunità di scegliere da quale parte stare, quando la tua gamba è guarita avresti potuto chiedere un cavallo e fuggire. Per te questa gente è estranea e lo sarà sempre, cosa ci fai ancora qui? È questo che voglio sapere…-.
Elena guardò verso Marhim, che assisteva senza proferire parola. Lo vide anche lui sperduto dall’atteggiamento insolito di Altair, e delle sue domande insolite.
-Qui ho trovato la salvezza, due Angeli mi ci hanno portata affinché avessi altri giorni davanti a me. Ed è qui che ho già deciso di restare- disse convinta lei.
Altair annuì estraendo la spada. –Salvezza, la chiami tu? E dimmi, quanti uomini hai “salvato” nella tua fuga da Acri?- la incalzò.
Elena strinse più forte la sua arma. –un paio-.
-Ricordi i loro volti, Elena? Sai almeno quanti di loro avevano una casa, una moglie e un figlio? Sai per certo anche questo?- Altair era tranquillo. La sua voce soave e melodiosa colpiva dritta alle sue orecchie, ed Elena non poteva fare a meno di ascoltarlo, senza distrarsi.
Ma le sue parole le avevano fatto balzare in mente uno per uno i volti dei soldati cui aveva tolto la vita quella piovosa notte ad Acri. Con un po’ d’immaginazione poteva vedere la spada che stringeva nella mano destra tingersi di sangue, e sentire i vestiti bagnarsi come se la stessero prendendo a secchiate. La sua mente la riportò a quella gelida notte…
Ma dove veramente Altair voleva arrivare con quelle domande? Voleva intimorirla, metterle paura, farla scappare in lacrime così da umiliarla? Certo, voleva riscattare la sua sconfitta vendicandosi in quel modo su di lei!
-Sai cosa più ci rende unici?- disse l’assassino dopo un po’.
Elena scosse la testa, sia per rispondere alla sua domanda sia per scacciare i fantasmi dalla mente.
Altair la guardò e gli balenarono gli occhi. –Siamo coloro che di fronte alla morte sappiamo guardala, assecondarla, e darci per vinti. Siamo coloro che non temono di uccidere perché siamo stati i primi a morire. Chi si accascia tra le nostre braccia ci merita abbastanza perché ha peccato più di tutti noi messi assieme, ed oggi, Elena, mi è stata affidato l’incarico che meno desideravo tra tutti. Ciò nonostante, prego per te che tu non abbia ascoltato una parola di quello che ho detto!-.
-Cosa?!- Elena spalancò gli occhi il tempo sufficiente per vedere la lama del suo maestro cozzare contro la sua.
La ragazza cadde di schiena, e la spada le corse dalla mano, scivolando fino ai piedi dell’Angelo.
Altair si chinò a raccoglierla. – Perché quando ti ho chiesto se stavi ascoltando mi hai risposto “si, scusate”, se invece non era affatto così?-.
Elena perdeva il filo del discorso mentre si alzava a fatica.
-Non vi capisco, Maestro- strinse i denti quando la sua schiena cricchiò.
Altair cambiò discorso in fretta.- Cos’è che ti disse tuo padre sulla difesa?- le chiese passando una mano sulla lama.
Elena lo capiva. Dentro il suo maestro si muovevano le correnti impetuose della rabbia. Nell’animo dell’assassino che aveva di fronte si stava combattendo una dura battaglia tra l’autocontrollo e la voglia di tagliarle la testa.
-Nulla, a parte il fatto che è utile per non farsi tagliare la testa quando si è in svantaggio- rispose.
-Qui, ragazza, sbagli. Non devi proteggerti solo quando non sei in grado di attaccare, ma soprattutto quando sei sicura di poter colpire il tuo avversario. Prima di impartirti altre lezioni, però, vorrei che tu mi mostrassi a pieno come e cosa hai imparato con Kalel-.
Altair si mise in posizione, la schiena dritta e le ginocchia piegate.
Elena prese un gran respiro e provò con un affondo troppo, ma troppo debole.
L’assassino riuscì a fermare la sua spada stringendola in pugno, ed Elena, sbigottita, tornò indietro lasciandogliela.
-Posso sapere che ti prende? C’era qualcun altro al posto tuo che mi combatteva quella volta?- sbottò Altair.
Elena si riscosse e riafferrò l’arma quando lui gliela porse. –Avanti! Colpiscimi, se riesci- rise.

Fu uno scontro lungo e straziante.
Altair aveva passato la gran parte del tempo a studiarla di vista, a contare i suoi passi e a misurare la forza che aveva nelle braccia mentre “tentava” di colpirlo.
Elena aveva sentito il fiato mancarle, e il suono delle lame che sbattevano l’una sull’altra le aveva dato alla testa, facendogliela pulsare.
Alla fine cedette: mollò la presa sull’elsa e la spada volò in aria.
Lei cadde in avanti, distrutta. I pugni chiusi a terra, e i capelli le coprirono il viso in modo disordinato.
Potevano essere trascorse ore o minuti, a lei importava solo che quella tortura fosse finita. Avvertì il primo crampo al braccio destro, e strinse i denti.
Altair afferrò la spada della ragazza poco prima che toccasse il suolo. –Non è andata male- le disse porgendole la mano.
Elena lo guardò dal basso e si aggrappò a lui che la tirò su senza fatica. –Dobbiamo lavorare sulla resistenza, ma anche sulla tecnica. Ho notato che metti avanti il piede destro quando attacchi. Se vuoi possiamo riprovare, così magari provi con quello sinistro, che ne dici?- le chiese.
Altair si stanziò ancora, tornando al bordo dell’arena.
Elena si voltò a guardare Marhim, che le sorrideva sempre presente.
-Io… io posso provare- disse la ragazza passandosi una mano tra i capelli.
-Ottimo- Altair le lanciò la spada ed Elena la prese debolmente.
L’assassino se n’accorse. –Sei sicura?-.
Lei annuì, e ricominciarono da capo.
Ripeté tutte le mosse, tutte le possibili inclinazioni della lama, ma cosa più importante, mise avanti il piede sinistro. Le veniva tutto più comodo, ma anche più faticoso: doveva concentrarsi e abituarsi a tenere la posizione corretta, ma anche ricordarsi di tenere la spada. Quando dava peso ad un’azione, si dimenticava quella precedente, così spesso fu costretta a fermarsi perché inciampava o indietreggiava.
Quando involontariamente Elena portava avanti la gamba destra, Altair la puniva colpendola alla spalla o al fianco con l’impugnatura della sua spada. I suoi movimenti erano così veloci, che Elena non si accorgeva neppure di come facesse a guardare i suoi piedi.
-Stai dritta!- di fatti Elena stava piuttosto curva quando combatteva, e ancora di più in attacco. –Su le braccia, alza quella spada! Il tuo nemico ha un cuore, mira lì, non alle gambe!- aggiunse.
Elena a malapena stava in piedi, a mala pena aveva il controllo sulla spada. Si chiese come avrebbe potuto tenere ancora più in alto le braccia, se pochi istanti dopo Altair le disse anche: -In basso i gomiti, o il tuo avversario va a colpo sicuro sui fianchi!-.
Sicuramente Altair le stava dando quelle dritte perché presto avrebbe cominciato lui ad attaccarla, e sarebbe stata lei a doverlo contrastare, gettarlo lontano, divincolarsene.
Era solo il primo di una lunga serie di allenamenti, ma Elena si sentiva forte mai come prima. Combattere con chi sapeva avesse molto da insegnarle le infondeva nuovo vigore, e l’assassino che aveva davanti prevedeva ogni sua insicurezza e gliela schiaffava in faccia senza ritegno.
Senza preavviso, Altair l’attaccò ed Elena schivò di lato con un saltello.
-Bene, bene!- Altair tentò di colpirla ancora, e ancora, e sembrava apprezzare come la ragazza riusciva a chinarsi nel giusto tempismo e ad adattarsi ai movimenti del suo avversario. Se c’era qualcosa di dannatamente positivo nel suo fisico, era la sua scioltezza, i suoi riflessi involontari e la sua agilità con la schiena, il collo e le spalle.
Quando schivava, Elena sentiva il fruscio della lama che sprofondava nell’aria a pochi centimetri dai suoi capelli.
Qualche ora si costrinse a pensare che fosse sul serio trascorsa.
Il cortile interno andava a popolarsi alla svelta, il sole si arrampicava sopra i tetti della fortezza indicando quasi il mezzogiorno.
Ogni qual volta il suo Maestro la rimproverava, Elena dava il meglio e nel tentativo successivo riusciva per certo. Al contrario, se troppo lusingata, si perdeva facilmente e rischiava che la lama del suo Angelo le tagliasse la veste nuova. Fortunatamente Altair aveva tale controllo sulle sue azioni, che spesso riusciva ad ingannarla con delle finte imprevedibili.
La folla si stava radunando attorno alla recinzione, assieme ad un gruppo di assassini divisi per rango che stavano a guardare in silenzio.


Qualche giorno dopo…


Altair era seduto sul cornicione di una finestra.
Fuori il panorama era spettacolare, come solo la vista dalla stanza di Adha poteva mostrare. L’alba si specchiava sulle coste rocciose del lago, prostrando i suoi raggi arancio e dipingendo magnifici giochi di luce coi vetri della camera. I colori dei tappeti prendevano nuove tonalità ad ogni ora differente della giornata, e quella del crepuscolo era la sua favorita.
Masyaf si acquietava, i colombi si accovacciavano nei nidi e sui tetti pronti per la notte, e per la fortezza si aggirava il silenzio, la vera e propria tranquillità.
Altair roteava tra le dita una moneta d’argento fissando l’orizzonte.
Quella mattina si era abbigliato come faceva rare volte; indossava le vesti comuni che metteva nei suoi giorni di riposo: erano una tunica che gli arrivava alle ginocchia stretta in vita da della stoffa color porpora. Il cappuccio a nascondergli il volto e le mani senza guanti.
I suoi pensieri erano agitati, troppo si disse. La sua mente doveva restare lucida, ma gli ultimi avvenimenti l’avevano annebbiata, costringendolo a prendersi una pausa, lontano da tutto e da tutti.
Le voci che giravano sul fatto che passasse molto tempo nelle stanze di Adha erano vere. Altair amava quella donna e la sua stanza, nella quale si rifugiava ogni qual volta avesse bisogno di pensare. Era il suo nascondiglio, che ultimamente non era poi tanto segreto.
Pezzo per pezzo, la sua pelle veniva dilaniata dalla bestia che era il peso della responsabilità. Una Dea, pensò…
Mai gli era stato concesso onore più grande, e se Tharidl aveva scelto lui, Altair non l’avrebbe deluso. Elena faceva progressi, Altair le insegnava nel modo più semplice possibile, slattando da un capitolo all’altro del suo ordine mentale senza seguire nessuna tabella di marcia o costrizione. La sua difesa s’irrobustiva, i suoi muscoli erano sempre più scattanti e tesi in qualsiasi momento. I suoi occhi avevano imparato a vedere le azioni dell’avversario e le sue gambe presto avrebbe potuto portarla dovunque volesse arrivare.
Altair aveva conosciuto di sfuggita le ultime assassine che popolarono la setta, ma chi non aveva mai sentito parlare del loro metodo? Col passare degli anni era nata una distinzione sempre più spessa tra la lama di una donna e quella di un uomo, con tecniche l’una più letale dell’altra. I Maestri che si erano successi, avevano appreso come sfruttare al meglio questa diversità per consentire la riuscita di una missione senza comprometterne le successive. Altair ricordava di aver sentito di alcuni assassini che lavoravano in coppia con delle Dee. Forse sarebbe stato il suo caso, pensò. D’altro canto, Elena era una buona uditrice, sempre attenta ai suoi consigli e pronta a metterli in atto al primo tentativo.
Sentiva che Elena poteva imparare con il minimo sforzo tutto quello che aveva da darle, e se il giorno in cui l’aveva battuto si sarebbe ripetuto, quel giorno avrebbe cancellato le memorie di quello precedente.
L’assassino scattò in piedi.
La porte della stanza si aprirono lentamente, e riconobbe la voce di Adha. –Perché non l’accompagni nella biblioteca. Potrebbe distrarsi dagli allenamenti. Stai pur tranquillo che Altair, in caso non sia d’accordo, se la vedrà con me- la donna parlava con qualcuno fuori dalla soglia.
-Sì, mia signora- disse Marhim, e anche se Altair non poteva vederlo, lo sentì allontanarsi nel corridoio.
Adha entrò nella stanza e rimase sorpresa di trovarlo là. -Altair- disse sorridendo.
-Da quando prendi iniziativa tu per la ragazza?- le chiese.
Adha fece un passo avanti. –L’allenamento di ieri l’ha distrutta, sia fisicamente che mentalmente. Ha bisogno di riposo, ma non voglio che dorma fino a tardi o che faccia le pulizie. La compagnia di Marhim le farà bene, sono lieta di notare quanto i due vadano d’accordo. Speravo tanto che Elena non avesse solo nemici…- sospirò.
-Già, la compagnia di Marhim- sorrise l’assassino in modo sospettoso. –E se…-.
Adha si voltò. –Smettila, mi fido di Elena e del suo buon senso. Tharidl è stato abbastanza chiaro sull’argomento di cuore, e lei non si farà condizionare da nessuno. Ha avuto modo di dimostrarmi che sa pensare con la propria testa, e posso stare tranquilla-. La donna fece una pausa, vedendolo distratto. –Qualcosa ti turba?- gli si avvicinò.
Altair guardò a terra socchiudendo gli occhi. –Cosa posso insegnarle ancora? Quella ragazza mi ha sconfitto a duello- fece affranto.
Adha gli poggiò una mano sul viso. –Nulla, lascia che sia lei a seguire te, non tu a doverle impartire ordini. Per una volta segui il tuoi istinto, perché con le donne ci sai fare, Altair- rise armoniosa.
L’uomo le strinse la mano nella sua, delicatamente. –D’un tratto ho paura che le possa accadere qualcosa, insomma- mormorò. – mi sembra così… piccola che potrebbe essere nostra figlia- rise di malo gusto.
Adha tacque un istante. –Se ti ha battuto in combattimento, perché non dovrebbe cavarsela con le guardie di Saladino, per fare un nome. Sai di che cosa è capace, lo sappiamo entrambi…-.
Altair aggrottò le sopracciglia. –Ebbene?- chiese stupito. – Tutti possono distrarsi, tutti possono inciampare nella corsa. Non so come darle la forza sufficiente per seguirmi, potrei…-
Adha annuì, comprendendo di cosa stesse parlando. –Se davvero sei in pena per lei, cerca di non lasciarla mai indietro. Sono certa che deve ancora acquistare forza nelle braccia e nelle gambe per arrampicarsi sui tetti come te, ed è giusto quello che il Maestro vuole che impari-.
Altair rimase in silenzio.
-Elena è una ragazza svelta con le parole, oltre che molto bella, ma non troppo da attirare su di sé l’attenzione. Se vuoi che raggiunga a pieno il primo rango, devi istruirla sulle basi dell’indagine-.
-Mi stai suggerendo- ridacchiò lui. –di cominciare con gli interrogatori, i borseggi? Le indagini sono tra le ultime delle mie “lezioni” per i novizi- brontolò.
-Non importa, e sai bene che fin ora non hai trovato qualcuno che potesse svolgerle per conto tuo- Adha incrociò le braccia divertita.
Altair allargò le labbra in un sorriso. –Lo ammetto, la ragazza potrebbe essermi utile. Oltremodo, mi terrà occupato, non ce la faccio più!- sbottò.
Adha si coprì la bocca con una mano, ridendo. – Non dimenticare però, che un giorno dovrai esserle accanto quando… e non sarà facile- si fece seria.
-È stato il mio primo pensiero- l’assassino curvò le spalle appoggiandosi alla balconata.
Adha gli venne al fianco. –Solo allora dovrà concentrarsi sulla sua vera natura- abbassò lo sguardo, e delle ciocche di capelli le caddero sulle guance. –Chissà come la prenderà-.
-Non è costretta a farlo- disse lui. –Elena può scegliere che tipo di missioni svolgere, non voglio che diventi come Vedova Nera!-.
-Non possiamo fare nulla, Altair!- Adha lo guardò con gli occhi arrossati. –Giusto, lei potrà scegliere, ma guardiamo in faccia la realtà. È un passo che hanno fatto tutte prima di lei, ed Elena sentirà il dovere di seguire sua madre e tutte le Dee- Adha alzò il mento guardando di lato.
Altair le prese il viso tra le mani. –Tu puoi mostrarle quanto sia rischioso e impuro. E so che lo farai- le disse sotto voce. –Questa setta non ha bisogno di quei servigi. Nessuna di quelle spudorate azioni è più dispensabile. Elena imparerà l’arte del omicidio come gli altri assassini. So che non le darai quelle lezioni, so che non le insegnerai…-
Adha scosse la testa. – Allora ti sbagli. Credo molto in quello che si cela nello spirito di una Dea, ed Elena, poiché ella rimane tutt’ora sotto la mia custodia, seguirà quella via-.
-Sai che non te lo lacerò fare- sorrise malizioso lui.
Adha ricambiò. –Lo so, ma non ho mai avuto abbastanza paura di te per temere i tuoi ricatti-.
Adha lo baciò, dolce, sulle labbra e Altair la lasciò fare come era già successo altre volte. Le strinse il collo con una mano, mentre con l’altra la teneva per la schiena.
E Adha si appoggiò al suo petto caldo.
Qualcuno bussò alla porta, e i due si staccarono all’istante.
-Scusa…- mormorò Adha andando verso l’ingresso.
Altair rimase immobile dov’era, spostando lo sguardo fuori dalla balconata.
Adha aprì e fece il suo ingresso nella stanza un assassino. –Mia signora, il Maestro vi chiama. Stanno portando il Frutto a Masyaf- disse l’uomo.
Altair si voltò, schiudendo gli occhi.
Adha gli lanciò un’occhiata simile, e l’uomo lasciò la stanza.
-Hai sentito?- domandò Altair andandole incontro. –Perché? Doveva restare a Gerusalemme! Non capisco- gridò.
La donna assentì. – Ti prego, non prendere conclusioni affrettare, Tharidl sa quello che fa. Dopo gli ultimi episodi a Gerusalemme, è meglio che il Tesoro sia tenuto qui- pronunciò seria.
-Assurdo, la città è piccola, non vi è luogo dove tenerlo! Si era deciso di non…-.
Adha gli saltò al collo, avvicinando la sua bocca all’orecchio di lui. –Un nostro fratello è morto per difendere la segretezza di dove lo tenevamo celato, ora è bene che il Potere torni al sicuro. A costo di mettere di nuovo a repentaglio la vita della nostra gente…- sussurrò soave.
L’assassino la spinse via, stringendola per i fianchi. – Non posso credere che tu l’abbia fatto. Sai bene che quello che vai dicendo è rischioso!-.
-Sono mesi che rischiamo imboscate e agguati. Ho fatto portare qui il Frutto perché venga discusso in sede definitiva a chi affidarlo e dove lasciarlo- rispose lei in un brusio.
-Sei una pazza- le disse in fine andando verso l’ingresso. –Non esistono mani per quell’oggetto, e portarlo qui è stato imprudente e azzardato. Non avresti dovuto, sento che qualcosa andrà storto…- uscì sbattendo la porta.

-Perché mi hai portata qui?- domandò Elena.
Marhim le camminava davanti. –Adha mi ha chiesto di farti riposare, ma anche di tenere la tua mente sempre allenata- rispose lui.
La biblioteca della fortezza era popolata come al solito. I saggi si spostavano da parte all’altra dei corridoi, sparivano ai piani superiori della stanza portando con sé volumi e pergamene.
-Ti ricordi quando ti portai qui la prima volta?- fece Marhim mentre si fermavano al centro della sala.
Sotto i loro piedi c’era un bellissimo ed enorme mosaico che rappresentava il simbolo della setta. Elena si guardò attorno. –Sì, e devo dire che non siamo mai arrivati così lontani- commentò.
In alto, sul soffitto si apriva un grande lucernario che mostrava il cielo azzurro e un unico compatto raggio di sole si gettava verso terra. –Questo posto è magnifico- aggiunse la ragazza accarezzando l’aria, osservando commossa il pulviscolo atmosferico che brillava come tante perline galleggianti.
-Lo so- Marhim le si avvicinò guardando in alto. –Ma torniamo a noi: c’è qualcosa da cui ti piacerebbe cominciare? Testimonianze, racconti, storia, geografia- le chiese.
Elena si stropicciò gli occhi ancora assonnati. –Ecco, veramente volevo chiederti una cosa-.
-Dimmi- lui, disponibile, attese sorridendo.
Elena si avviò verso uno dei tavoli e vi sedette. Marhim prese posto davanti a lei, aspettando. C’erano dei libri appoggiati ad un braccio da lei, e la ragazza si allungò ad afferrarne uno. Ne sfogliò le pagine.
Ad un tratto, Elena si schiarì la voce. –Mi hai detto che il Frutto dell’Eden è ora nelle mani della setta, ma, non per brutte intenzioni, dove si trova?- curvò la testa di lato.
Marhim alzò le spalle. –Mi spiace, non sono tenuto a saperlo, nessuno lo sa. Per certo posso dirti che il Frutto viene continuamente spostato da una città all’altra del Regno senza sosta. Serve per confondere i nostri nemici, ma anche per non far crescere l’avidità tra i nostri alleati. Da quando Al Mualim fu ucciso, vennero scelti due assassini meritevoli per portare questo peso. Come fantasmi, sostano da città a città senza alcun tragitto. Sono abili nel non farsi riconoscere, e persino alle nostre guardie sono sfuggevoli alla vista. Quando fermano in una Dimora, devono mostrare il Frutto al Capo Sede così da ricevere la tappa successiva…- le spiegò frettoloso.
-Questo coso…- borbottò Elena. –deve avere un certo valore. Cos’è che fa, precisamente?-.
-La specie umana è ancora troppo arretrata per godere del suo potere. Che pare sia immenso…- Marhim la guardava come se stesse sognando ad occhi aperti. Fissava un punto indistinto e rispondeva alle sue domande senza muovere un muscolo se non quello della bocca. –Mi chiedo come facciano i due assassini a non cadere preda delle sue promesse…-.
-Promesse?- Elena alzò le spalle.
Marhim si riscosse. –Ora basta, non mi piace parlarne…-.
-Non l’avevo capito!- rise lei. – è successo qualcosa?-.
-A causa di quella maledetta lampadina è successo fin troppo!- ringhiò il ragazzo. –Se Dio non l’avesse inventata, ora i soldati di Riccardo non sarebbero qui a combattere la loro stupida guerra, e Roberto non avrebbe decimato la nostra gente!-.
Elena pensò che Marhim doveva aver perso qualcuno di caro durante l’attacco di cui le aveva parlato. –Mi dispiace- tornò seria -ma so come ci si sente tra le mani degli altri ed essere l’ultima risorsa…- bisbigliò tra sé.
Marhim la guardò dolce e si alzò, sedendole subito accanto. –Forse dovremmo parlare di qualcos’altro. Per esempio, come vanno i tuoi allenamenti con Altair? Credi ancora che siano le peggiori torture di questo mondo?- domandò beffandosi.
Elena alzò lo sguardo e vide che i suoi occhi erano poco distanti da quelli di lei. –Ecco, ci sei andato vicino- ridacchiò.
-Qui c’è gente che pagherebbe oro per imparare da quell’assassino, e chi ne pagherebbe il doppio per avere avuto l’opportunità di vincerlo al primo incontro. Non mi dispiacerebbe se m’insegnassi qualcosa una volta finiti i tuoi addestramenti-.
Elena si strinse nelle spalle. –Io che insegno a te?Certo, va bene. In ogni caso continuo a pensare che sia stata davvero tutta fortuna, forse non era al massimo delle sue forze. Ho approfittato di lui, e mi dispiace così tanto- mormorò.
Marhim si avvicinò. –Scusa, ma cosa ti fa pensare che tu non abbia le capacità che invece dimostri?-.
- All’allenamento di ieri avrebbe potuto buttarmi a terra con il mignolo, dimostrava una forza che durante il nostro primo scontro non aveva. Te lo posso giurare, è stata fortuna. L’ho sconfitto per mera fortuna, quella volta-.
-Fa’ come credi, ma io continuerò a pensare che sei davvero brava- le sorrise.
Lei arrossì. –Ehi, grazie- le sue guance presero un colorito assurdo, e un brivido le percorse la schiena.
Improvvisamente alla ragazza parve che la sala si fosse spopolata sul momento. I saggi, gli assassini, non c’era più nessuno lì dentro, solo un mostruoso silenzio e un alone d’imbarazzo che l’avvolgeva.
-Marhim! Marhim!-.
Halef veniva di corsa verso di loro, voltando rapido tra gli scaffali di vecchi libri. Il ragazzo comparve di fronte ai due col fiatone. –Marhim, devi venire… presto!- si appoggiò alle ginocchia sfinito per la corsa.
Marhim scattò in piedi ed Elena con lui. –Fratello-.
Halef lo guardò con il volto sudato. –Non sai che corsa! I Falchi, fratello! Loro… stanno venendo qui!- sbottò esausto.
Marhim irrigidì i muscoli, e si voltò verso di Elena.
La ragazza taceva, confusa. –I chi?-.
-Parlavamo giusto di questo. I due assassini, noi li chiamiamo i Falchi, ma non è ufficiale. Avanti, andiamo-.
Marhim le fece strada e lei lo seguì correndo.
Halef, in fondo, ritardò qualche secondo per riprendere fiato. –Non aspettatemi… andate pure avanti!- piagnucolò.

Tutta la gente di Masyaf sembrava riunita nel cortile interno, dove guardie, saggi, assassini e popolani alimentavano il trambusto.
Marhim la prese per il polso e la trascinò con sé verso il piano di sopra.
-Ma che fai? La folla è tutta dall’altra parte!- le gridò Elena che lo seguiva correndo.
-Lo so, ma fidati!- le rispose. –Quando il tuo Maestro venne giustiziato, assistetti da lì, ed è lì che andremo! Non mi sorprenderà il fatto di trovarci qualcun altro!-.
Marhim la portò attraverso un corridoio che dava con delle grosse vetrate sul cortile, ed Elena vi lanciò un’occhiata. Le fu impossibile contare o approssimare quanta gente vi era riunita!
Marhim arrestò la corsa e si ritrovarono di fronte ad una porta schiusa. Quando entrarono, si trovarono su un piccolo balcone di legno che dava sul piazzale.
C’erano altri due assassini. Uno di loro era contro la parete e dal volto celato, l’altro Elena lo riconobbe subito.
-Rhami- mormorò.
L’assassino si voltò e le sorrise. –Marhim, Elena! Halef dev’essere rimasto indietro, non è così?- chiese ridendo.
Marhim la spinse avanti e si sistemò alle sue spalle, per assistere al meglio alla messa in scena.
Erano sopraelevati rispetto alla calca del cortile, e la visuale era ottima su tutto il circondario.
Delle guardie stavano stringendo la gente lasciando libero l’ingresso per la fortezza.
-Sì, poveretto- rispose Marhim. –Tra quanto saranno qui?-.
-Non molto- rispose l’altro assassino, che Elena intese come Adel.
Rhami tornò a guardare di sotto. –Quando ho mandato il piccoletto a chiamarti, abbiamo saputo che erano già nella valle-.
Elena sentì Marhim che la stringeva per i fianchi. –E cosa ci fanno qui?- chiese ancora.
Rhami alzò le spalle, ma l’Angelo dietro fece un passo verso il balcone. –Secondo te?-.
Marhim si voltò di scatto. –State scherzando, vero? Non avranno mica perso il Frutto!- gridò.
I due tacquero. –Non potremmo neppure essere qui, come facciamo a saperlo?…- borbottò Rhami.
Elena vide Adha farsi largo tra la folla, e alle sue spalle camminava Tharidl scortato da alcune guardie.
-Che mi sono perso?!- Halef si aggiunse al gruppetto trovando un buco dal quale sbirciare.
-Nulla, ora sta zitto!- Marhim lo prese per il cappuccio e lo trascinò accanto ad Elena, che stava in silenzio a guardare.
-Arrivano!- gridò una vedetta.
I due Falchi entrarono al galoppo dentro il cortile e la gente si stanziò spaventata.
I cavalieri erano celati da pesanti mantelle bianche munite di cappuccio, e tentavano di tenere a freno i cavalli sbizzarriti dopo la corsa. –Ah!- intonavano tirando le redini.
I cavalli colpivano il terreno con gli zoccoli con una forza spaventosa, i muscoli ancora pulsanti e i nitrii dall’eccitazione.
Il popolo si fece da parte, e i due cavalieri raggiunsero a passo il Maestro e Adha davanti all’ingresso della sala.
Quando smontarono, s’inginocchiarono al cospetto del Maestro. –Tharidl, su vostra richiesta abbiamo ricondotto a Masyaf il Frutto dell’Eden…- fece il primo.
Il secondo si alzò, e recuperò dalla sella del suo destriero un cofanetto di legno.
Tharidl fece un cenno ad una guardia, che si apprestò a toglierglielo di mano. Poi la guardia si avviò scortata da alcuni assassini dentro la fortezza, con in grembo lo scrigno.
-Venite, è tempo che ciò sia fatto- disse il vecchio.
I Falchi, Adha e alcuni assassini lo seguirono dentro e una grata calò a sbarrare l’ingresso.
-Dove stanno andando?- chiese Elena guardando come la gente lasciava il cortile poco a poco.
Rhami e Adel si avviarono abbandonando il balcone, Halef rimase coi due.
-Per un momento abbiamo pensato il peggio- mormorò Halef affacciandosi al parapetto.
–Pensavamo che il Frutto fosse stato rubato, ma a quanto pare qualcuno ha semplicemente ordinato di farlo portare in città- disse Marhim. –Ma perché?…-
Halef si alzò il cappuccio sul volto. –Io vado, fratello. Fredrik mi sta aspettando fuori le mura!- ruggì a denti stretti.
Elena curvò le spalle. –Halef, mi spiace- le scappò di bocca.
Marhim fulminò il fratello con un’occhiataccia. –Non è colpa di nessuno. Se hai lamentele, va’ a parlarne con il Maestro. Non hai motivo di prendertela con lei. E ci sono questioni più importanti che richiedono le nostre attenzioni. Stai certo, fratellino, che Elena dovrà saltare qualche allenamento per questo scherzetto di Tharidl- disse austero.
Halef strinse le cinghie del guanto. –Come vuoi…- e lasciò anche lui il balcone.
-Non farci caso- Marhim si voltò verso di lei.
-Nessun problema, in fondo, sono abituata ad essere vista per quello che sono- borbottò guardando il cortile con gli occhi schiusi.
-E cosa sei?- le domandò Marhim appoggiando i gomiti al parapetto.
-Un parassita. Fin dal mio primo giorno qui sono stata un peso, un problema per tutto e tutti. Sono una calamita acchiappa guai e un’ape che sparge il polline del caos!- si sfogò.
-Non è certo colpa tua se i Falchi hanno portato qui il Frutto, non c’è nulla di male in questo!- rise lui. –Avanti, sei troppo esagerata. Comunque volevo avvertirti che questo pomeriggio non ci sarò-.
Elena alzò lo sguardo, spaesata. –Cosa? Guarda che mi hai promesso di…-.
-Lo so, ma ho bisogno di vedere un vecchio amico non molto lontano. Sarò di ritorno domani mattina, giusto in tempo per buttarti giù dal letto!- sorrise.
Elena trattene la risata –Va bene, sopravvivrò-.
-Grazie- poi Marhim la condusse dentro la fortezza richiudendo a chiave la porta della balconata.







NON CI POSSO CREDERE!
Ho scritto questo capitolo che conta in totale 11 pagine in un solo giorno! Avevo idee che si accavallavano le une sulle altre, la testa mi scoppiava, gli occhi mi si chiudevano. La mia scuola scioperava, ho approfittato anche per ripassare storia, che credete!?
In ogni caso, giunta a questo punto della storia vorrei accennare ad alcuni piccoli chiarimenti che non sono indispensabili.
1.    Avrete notato che l’Altair della mia storia si rifà più a quello dell’inizio del gioco. Infatti è così, mi sono innamorata dell’assassino scorbutico e prepotente che manda tutto a put**ne nel Tempio!
2.    Elena sta ancora cercando suo fratello, ricordate? L’incognito pargolo che portava la catenella di Alice quando Kalel lo lasciò a Tharidl. Ecco, so che in questi capitoli ne ho parlato poco, anzi, me ne sono proprio scordata, ma vedrò di rimediare.
3.    Come punto terzo, scrivete una recensione!!!!! Grazie.
4.    Altair e Adha sono coppia fissa da quando lei ha fatto ritorno. Precisamente, ecco… ve ne parlerò in seguito.
5.    Elena temeva di doversi tagliare i capelli per via del cappuccio troppo stretto.
6.    La divisa da assassina è differente da quella da Angelo per il semplice fatto che un tempo le Dee svolgevano, vediamo, incarichi “differenti”.
7.    Spero di non aver affrettato troppo le cose, forse avrei dovuto dare più spazio agli allenamenti, ma è stata una mia amica a suggerirmi di accorciare, o qui non si finisce più!
8.    Il prossimo capitolo sarà quello che darà l’imput all’inizio dell’avventura. Vi do un indizio, uno solo: Altair aveva ragione…


Continuate a seguirmi!!! ^__^


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Capitolo 17
*** La tempesta ***


La tempesta

La schermata dell’Animus volò via dal mio campo visivo, mi alzai e scattai subito in piedi. –Che novità?- mi guardai in giro.
Desmond era ancora steso nella macchina accanto. I suoi occhi fissavano il vuoto, spalancati.
C’era Vidic in fondo, seduto alla sua scrivania, ma Lucy sembrava essersi dissolta nel nulla. –Dov’è Lucy?- chiesi.
Warren continuò a picchiettare sulla tastiera. – Ha chiesto un permesso e ha lasciato l’edificio. Sarà di ritorno domani mattina- mi rispose.
-Bene- sospirai e mi sedetti sulla poltroncina. –è per questo che sono uscita?- domandai guardando il soffitto.
Improvvisamente, anche l’Animus su cui lavorava Desmond arrestò il sistema, e lo schermo venne via. Il ragazzo sollevò il busto sbattendo le palpebre diverse volte. –Non sono più abituato!- rise alzandosi.
Gli lanciai un sorriso. –E così il tuo antenato fu il maestro della mia ava-.
-Già, assurdo- fece lui mettendosi le mani in tasca. –Doc, dov’è Lucy?-.
Fuori dalle vetrate era notte fonda, le luci dei grattacieli oscuravano le stelle, le strade trafficate e caoticamente mute.  
Warren ripeté esattamente: - Ha chiesto un permesso e ha lasciato l’edificio. Sarà di ritorno domani mattina- non staccò gli occhi dallo schermo e bevve un sorso di caffè.
Guardai Desmond diversi istanti, e lui fissò me, poi ci voltammo verso il professore. –E noi?- domandammo all’unisono.
Warren sottinse una risata e lasciò la tazza sulla scrivania. –E voi potreste approfittarne per recuperare un po’ di forze, no?-.
Alzai le spalle e mi diressi nella mia stanza. La porta si chiuse alle mie spalle, mi gettai sul letto  pancia sotto e dopo pochi minuti presi sonno senza accorgermene.

-Voglio parlare con il prigioniero- disse Lucy seria.
-Mi spiace signorina, non è autorizzata ad entrare- gli sbottò la guardia federale. –è sotto la nostra custodia fin quando non avrà trovato un avvocato-.
Lucy guardò in basso. –Facciamo così. Io glielo chiederò un’ultima volta, e lei risponderà con cortesia: certamente. Sono stata chiara?-.
Era un corridoio buio e silenzioso. Poco illuminato e desolato.
-Ahaha!- rise il poliziotto. –Sennò che mi fai?-.
-Voglio parlare con il prigioniero…- ripeté Lucy paziente.
-Scordatelo, e ora leva i tacchi!- l’uomo indicò la fine del corridoio.
Gli occhi di Lucy balenarono, e la donna alzò un braccio. La sua mano calò, svelta e letale, sul collo dell’uomo, che nell’arco di mezzo secondo si accascio al suolo.
Lucy estrasse un fazzoletto di tessuto dalla tasca dei pantaloni e vi pulì la lama, che in seguito ritrasse. –Non sono più abituata…- arricciò il naso, perché l’odore del sangue le dava alla testa, e alla sua vista la sua mente aveva un attimo di smarrimento.
La donna si chinò sul corpo della guardia e osservò il colpo letale che gli aveva inflitto.
Pensando che non le restava molto tempo, Lucy frugò nelle tasche della divisa e trovò le chiavi.
Scavalcò il corpo e aprì la porta, che si aprì scivolando sul pavimento. Entrò nella stanza, e la porta si chiuse alle sue spalle.
Un solo, unico fascio di luce di una lampada attaccata alla parete andava ad illuminare il volto di un uomo. Era giovane, sulla trentina d’anni ed era rannicchiato nel buio. –Lucy!- sussurrò alzandosi.
–Speravo che venissi, non sai che gioia!- aggiunse andandole incontro.
-Andy- Lucy lo abbracciò. –Confido che tu sia in buona forma per lasciare questo posto, credi di farcela?- gli chiese.
Andy era un uomo alto, coi capelli corti quasi rapati. Indossava parte della sua tuta mimetica, ma a coprirgli il petto aveva una canottiera senza maniche. –Sì, posso farcela, ma tu hai portato il ricordo?-.
Lucy si cacciò una mano in tasca, poi mise nel palmo del compagno una chiavetta. –è tutto qui dentro. Stanno venendo a prenderti, devi raggiungere il condotto fognario e uscire da questa merda!- Lucy lo abbracciò di nuovo.
-Stai tranqui, piccola. Avrebbero potuto ammazzarmi, ma non l’hanno fatto, Dio mi assiste- rise.
-Se lo dici tu- lei si staccò.
Andy la fissava. –Abbiamo quello che ci serve, vieni via con noi- le disse.
Lucy si aggiustò i capelli. –Non posso, se qualcosa andasse storto dovrei intervenire di persona, come oggi. Vorrei tanto, ma l’Abstergo ora sa che la confraternita ha delle ultime risorse. Faranno di tutto per trovarvi e spacciarvi via, il fallimento di oggi è stato un duro colpo. Perché non hai agito come deciso?!- lo rimproverò.
-Ah!- ansimò il ragazzo. –Credi che sia venuto da solo? Oggi Ashley e Nick hanno perso la vita! Dovevano tenere buone le sentinelle e occuparsi delle telecamere, ma qualcosa è andato nel verso sbagliato e cosa potevo fare io se non agire al più presto? E tu dov’eri, scusa?- le rispose con tono troppo alto.
Lucy gli fece cenno di abbassare la voce. –Warren mi ha buttata fuori. Non sono certa che l’Abstergo sappia di me, ma posso solo dirti che dovrete muovervi con più prudenza la prossima volta. E comunque… mi dispiace-.
-Di cosa?- lui la guardò afflitto.
Lucy curvò le spalle e incrociò le braccia. –Per Ashley e Nick. Potevano fare la differenza, e li conoscevamo bene…- mormorò.
Rimasero in silenzio.
Un botto improvviso li fece sobbalzare. –Che succede?!- gridò Andy andandole accanto.
Lucy si guardò attorno spaventata. –Devi andartene! Vai!- lo spinse fuori dalla cella e i due corsero nel corridoio.
Raggiunsero una sala che collegava tutti i diversi androni e si appiattirono contro la parete.
-Muoversi, muoversi, muoversi!- gridava una guardia incitando i poliziotti a lasciare la stanza.
D’un tratto si attivò un allarme assordante che rimbombò per tutto l’edificio.
-Merda!- emise Andy. –Li hanno scoperti!-.
Lucy e il ragazzo attesero che le guardie si allontanassero, poi presero a correre nella direzione opposta.
-Tieni!- Lucy gli porse un cellulare palmare e una pistola. –Ti serviranno. C’è una mappa nel telefono col percorso più rapido fino alle fogne. Arrivaci vivo, per favore!- gli schioccò un bacio sulla guancia e si separarono.

-Magnifico!- Warren sbatté il giornale con violenza sulla scrivania. –Grandioso! Ci mancava solo questa!- gridò passandosi le mani sul volto.
Feci un passo indietro spaventata. –Che è successo?- chiesi flebile.
Vidic si voltò e mi guardò con rabbia, poi spostò il suo sguardo truce sulla persona cui era veramente diretto. –Quel pazzo è scappato!- si rivolse a Lucy. –E qualcuno l’hai aiutato a fuggire! Ma non solo, ce n’erano una quindicina appostati appena fuori la stazione di polizia! È incredibile, stupefacente! Non ci posso credere!- a breve avrebbe cominciato a strapparsi i capelli.
-Si calmi, Vidic!- Lucy gli andò incontro. –è fuggito, d’accordo, ma abbiamo altro a cui pensare, avanti. Lei lo sa bene quanto è importante finire al più presto, non possiamo fermarci ad ogni inconveniente- gli disse tranquilla. –La prego, faccio fatica a stare in piedi anche io alla notizia- aggiunse.
Warren tacque un istante. –E va bene, ma lasciò a lei le redini della carrozza, signorina Stilman- disse mettendosi la giacca. –Questa mattina ho intenzione di discuterne con Alex Viego. Sicuramente starà peggio di me-.
Warren lasciò il laboratorio.
Mi affiancai a Lucy nascondendo il mio stupore. –Che cosa?…- provai.
-Forza, cominciamo- disse Lucy andando verso l’Animus. Accese il portatile e cominciò con i preliminari.
-Nottataccia?- domandai. –Tutti due? Si può sapere…-
Lucy si stropicciò gli occhi. –Non ti riguarda- proruppe.
Mi stesi sull’Animus senza aggiungere altro. –Desmond?- chiesi mentre la schermata mi si parava davanti.
Nessuno mi rispose.
-Avanti, abbiamo troppo lavoro da fare- fu la risposta netta di Lucy.
Mi sciolsi il collo con alcuni movimenti, mi sistemai più comoda e la luce bianca accecante mi avvolse, assieme ad un alone di dubbi.

-Che cosa stiamo aspettando?- domandò la guardia al compagno.
-Non saprei- rispose l’altro, e un tuono squarciò il silenzio della sala.
-Aspettiamo qui da ore, eppure non si vede nessuno!- sbottò quello.
-Aspetta! Arrivano…- i battenti della stanza si spalancarono.
Un assassino entrò, e dietro di lui un corteo di guardie assieme al gran Maestro.
Una guardia stringeva tra le braccia un cofanetto di legno, che andò a poggiare sull’altare di pietra. Alle sue spalle, si sistemarono in semi cerchio tutti i presenti. Tharidl fece un passo più avanti e si schiarì la voce.
L’assassino che era entrato per primo si avvicinò ad Adha. –Spero che sarai contenta- le sussurrò.
Adha non si scompose. –Lo sono- mormorò.
-Oggi abbiamo fatto portare qui il Frutto dell’Eden per vari motivi- cominciò il Maestro. -In testa a tutti, ricordiamo che le strade del Regno sono battute giorno dopo giorno da un numero crescente di spie, seguaci e armate nemiche. Si stanno costruendo i confini di due fazioni che sono incerte sul datarsi, Saladino e Riccardo non potranno tenere buona la situazione ancora per molto-.
Nella sala si aggiunsero i due Falchi, che si sistemarono poco in fondo, vicino alle guardie.
-Il Tesoro, come ben sappiamo, non può sostare troppo a lungo nello stesso luogo, ma dopo gli ultimi avvenimenti a Gerusalemme, spostarlo repentinamente per il Regno in questi tempi sarebbe come metterlo alla mercé del primo passante. Ebbene, io e Adha abbiamo deciso di tenerlo segregato in luogo detto a sapere solo a lei, che in nessun modo oserà rivelare né a me né a chiunque sia in grado di entrarne a conoscenza- gli occhi di Tharidl si spostarono un istante sull’assassino accanto alla donna, e Altair alzò il mento fiero.
Tharidl riprese il discorso. –Per ora non possiamo fare nulla se non preservare la segretezza dei fatti. I nostri fratelli assassini continueranno il loro operato, gli itinerari e gli addestramenti non verranno sospesi ma bensì quadruplicati. La nostra gente è sotto stretta sorveglianza, poiché temiamo che i nostri nemici sappiano che ora il frutto è qui. Fortunatamente entrambi gli eserciti sono impegnati altrove, ma sono tempi in cui non possiamo lo stesso permetterci di tenere bassa la guardia. Per tanto, voglio sentinelle con turni continui a tutte le ore, assieme ad un maggiore controllo da parte delle guardie cittadine. Gli Angeli senza incarichi a pieno presteranno il servizio necessario per rafforzare la nostra potenza di difesa, che chiunque sappia imbracciare un’arma impari ad usarla, e che Dio ci aiuti…- il Maestro guardò a terra, rimanendo in silenzio.
Un tuono, e la pioggia venne giù sulla fortezza.

Elena si alzò di soprassalto.
Le ante delle finestra sbattevano nel buio, e la pioggia entrava a fiotti rovesciandosi sul pavimento.
La ragazza scattò in piedi e corse nel salone, scivolò tuttavia tenne l’equilibrio. Si apprestò alla svelta a chiudere tutte le finestre e a sigillarle per bene, ma la tempesta non ebbe pietà.
Tuoni e lampi si agitavano sopra Masyaf, costringendo il cielo ad una compatta ombra grigia scura, macchiata da improvvisi bagliori giallastri. I luccichio delle gocce, invece, era continuo e quasi accecante.
La ragazza divenne zuppa in poco tempo, e dopo aver chiuso anche l’ultima finestra, si guardò attorno con il cuore che batteva all’impazzata.
L’intero salone: i cuscini, i tappeti e gli arazzi erano fradici. Non sapeva come avrebbe risolto la situazione, non sapeva da dove cominciare.
Corse nel bagno e si buttò addosso degli abiti asciutti. Poi afferrò una decina di asciugamani e li gettò sul pavimento della sala. Tirando su col naso, prese a strofinare tegola dopo tegola di legno. Doveva fare in fretta, o l’acqua sarebbe filtrata e avrebbe rovinato la struttura della camera, cominciando per l’appunto da terra.
Finì in un’ora circa. Aveva ammassato gli stracci bagnati vicino all’ingresso del bagno, e si apprestava a strizzare i cuscini facendo colare l’acqua nella vasca da bagno.
Non poteva fare nulla per gli arazzi e i cuscini: avrebbe aspettato che tornasse il sole per poterli stendere, ma in quel momento decise che per trattenere il caldo nella stanza avrebbe dovuto portarli altrove.
Con pazienza arrotolò gran parte dei tappeti e li scagliò in un angolo del bagno. Si disse che l’umidità non avrebbe fatto granché al pavimento di marmo, e scagliò lì anche gli asciugamani.
Si fermò restando seduta in ginocchio. Le mani giunte in grembo e i capelli che le cadevano sul viso, ancora bagnati.
Alzò lo sguardo lentamente, e osservò stupefatta la pioggia che violentava i vetri. I tuoni che spaventavano gli uccelli e la natura che si abbatteva contro la fortezza.
Pensò che era tutta colpa del Frutto. Come non attribuire quella catastrofe ad un oggetto di tale potere? Forse qualcosa sarebbe davvero andato storto nella sua permanenza. Quella lampadina avrebbe causato parecchi guai se fosse rimasta lì, e Dio, con i suoi tuoni e le sue lacrime, voleva avvertire la gente di Masyaf di questo.
Elena si alzò e si avvicinò alla finestra chiusa.
Gran parte della superficie trasparente era appannata, e la ragazza dovette passarci la mano sopra per poter osservare la vista.
Gli ulivi si piegavano come steli e le guardie sulle mura erano raggruppate contro la parete della torre. La pioggia cadeva obliqua e quello era l’unico modo per non venir “trafitti” dalla sua intensità.
Elena era spaventata, eppure la pioggia le era sempre piaciuta. Le balzarono alla mente le nere giornate di Acri, quando pioveva per una settimana intera e la gente passeggiava come fosse nulla. C’era però una vasta differenza d’intensità che Dio voleva sottolineare. Mai la ragazza aveva visto bufera più spietata.
Camminò dalla parte opposta della stanza e schiarì il vetro della finestra che dava sulla veduta a nord.
Le onde del lago si abbattevano fragorose sul pendio roccioso, che in alcuni punti cadeva a pezzi: esatto, frammenti di roccia si staccavano dallo strapiombo e si gettavano nelle acque tormentate del lago.
Era uno spettacolo accattivante, ma affascinante si disse Elena.
La ragazza andò nella sua camera e si coprì le spalle con un mantello scuro, in seguito lasciò i dormitori.
Camminava scalza sul pavimento di pietra attraversando silenziosa il corridoio degli Angeli. Ad illuminare le pareti c’erano dei bracieri sospesi in alto sul soffitto.
Elena raggiunse le scale e sgattaiolò fino al piano dell’infermeria e oltre.
Quando si fermò, si strinse nelle spalle.
I battenti della sala del secondo piano erano socchiusi, e dall’interno venivano grida e pianti infantili, accompagnati dai boati della tempesta.
La ragazza fece irruzione nella stanza e si apprestò a sigillare sull’immediato tutte le finestre, rimaste anche quelle aperte.
I bambini correvano terrorizzati da parte a parte della camera, chi stringeva bambole di pezza e chi invece si rannicchiava tra i cuscini fradici.
Elena cercò di attirare l’attenzione. –Scusate…- disse flebile spostando lo sguardo a destra e sinistra, girando su se stessa. –Scusatemi, potreste…- balbettò, ma nulla da fare.
I giovani erano sconvolti, i loro volti contratti dalla paura, gli occhi sofferenti e stretti.
Elena notò un gruppo di giovani tra gli otto e dieci anni appartati in un angolo. Seduti in circolo a chiacchierare tranquilli. Elena li si avvicinò.
-Voi state bene?- domandò in un sussurro.
I ragazzi la guardarono con sguardi truci, tutt’altro che spaventati.
-Fanno sempre così- intervenne uno di loro. Aveva i capelli tagliati a zero, e nel buio della notte i suoi occhi brillavano di un verde smeraldo. La carnagione scura e l’atteggiamento superiore. –Nessuno li ha insegnato a tenere un sonno abbastanza profondo, ma dopo un po’ si calmano- aggiunse.
Elena si accovacciò. –Potreste darmi una mano a calmarli?- chiese ai giovani. –Non vorrei che…- sospese la frase sorridendo.
-Non è un nostro problema, siamo abituati. Se a te non sta bene, allora nessuno verrà ad aiutarti- disse un altro. –Qui nessuno interviene mai per calmarli quando gridano. Raramente un assassino si abbassa a questi livelli, e le stanze delle serve sono troppo lontane per sentirli- sbottò cupo.
Elena guardò il più minuto del gruppo. –Già- disse afflitto il ragazzo biondo dal taglio corto. –Tutti gli assassini tranne uno…-.
I ragazzi si alzarono lentamente e tornarono nelle loro stanze, senza aggiungere nulla.
Elena rimase sola nella sala, assieme ad una dozzina di bambini dai tre ai sei anni d’età che sbraitavano e piangevano.
Era dannatamente commossa da quello che i ragazzi più grandi le avevano rivelato. Non solo a questi bambini veniva insegnato ad uccidere, pensò squadrando volto dopo volto i pargoli, ma nessuno dimostrava mai quel tatto sufficiente ad instaurare con loro un vero e proprio rapporto come quello di una madre o un padre.
Quelli erano gli orfani, si disse. I bambini che frequentavano gli addestramenti ma avevano una famiglia sostavano la notte con i loro parenti fuori dalla fortezza, prendendo poi le dovute lezioni all’interno.
Un tempo tra quei bambini era cresciuto suo fratello, e chissà come aveva sconvolto la sua personalità…
Elena si avvicinò ad un bambino seduto a terra con gli occhi arrossati. Il ragazzo sobbalzò quando un tuono squassò l’aria.
Elena gli sedette accanto e lo accarezzò sui capelli. –Di cosa hai paura?- gli chiese dolce.
Il bambino si voltò e improvvisamente la strinse, attaccandosi a lei.
Elena continuò ad accarezzargli i capelli, mentre il piccolo cominciava a bagnarle la camicia da notte con le lacrime.
-Su, su…- mormorò lei.
Alcuni degli altri bambini la guardarono speranzosi da lontano, altri le si avvicinarono.
Elena vide uno scaffale impolverato vicino all’ingresso. Si alzò, portando con sé in braccio il bambino che pesava quanto un gratto. Notò sorridendo che la libreria ospitava qualche libro interessate, ma erano davvero pochi, buttati senza un ordine preciso tra la polvere e le pergamene.
Elena afferrò il primo con una mano e né sfogliò le pagine poggiandolo a terra. Si sedette a gambe incrociate tenendosi stretta al collo il ragazzino.
Era un fiaba che cominciava con un incantevole c’era una volta, assieme a delle bellissime illustrazioni fatte a penna d’oca con un inchiostro particolare.
Fu felice che molti bambini le si erano seduti in circolo, così cominciò a leggere.
Chi non si era avvicinato era rannicchiato altrove ancora in lacrime, ma nei loro occhi Elena vedeva la curiosità balenare di una luce bianca.
- C’era una volta un vecchio mercante di Damasco che vendeva oggetti rubati. Di fatti, il buon uomo mandava i suoi aiutanti a rubare nelle case più ricche di tutta la città!- leggeva dando patos e intonazione, per attirare ancor più attenzione. –Spesso i suoi seguaci gli riportavano gli stessi vasi che aveva già venduto, così un giorno, una donna che era serva della padrona cui era stato rubato un vaso si accorse del suo cesto tra gli oggetti della bancarella e denunciò il mercante. Egli, però, non volle ammettere la verità, e con poche monete riuscì a comprare il silenzio della donna. La padrona di casa si accorse tardi di quello che era successo, ma trovò comunque un modo per spezzare la catena di truffe. Ella si rivolse al Maestro e…- Elena riuscì ad immaginare a quale Maestro la storia s’ispirasse, e andare oltre nella fiaba le sembrava sciocco. Chissà quante volte qualcuno l’aveva già letta…
Un bambino le tirò la manica della tunica, ed Elena si voltò sorridendogli.
-Vai avanti?- le chiese il pargolo con la vocina di uno strumento musicale.
Elena annuì. –Certo, stavo solo pensando: questo mercante era davvero cattivo!- rise, e le guance del bambino si colorarono.
-Bene, andiamo avanti… Ella si rivolse al Maestro, che a sua volta ingaggiò il suo più valoroso assassino. Egli agì con competenza, e la piuma si macchio del sangue del mercante di Damasco…- ma che razza si storia era?! Si chiese Elena chiudendo il libro.
Era terribile che persino nel storie che passava il convento fossero così brutali. La parola “sangue” non doveva comparire in una fiaba, le novelle erano quelle che insegnavano a rispettare le regole della mamma, a non andare nel bosco o parlare coi lupi cattivi.
Elena passò un’occhiata veloce alle storie precedenti, e vide che le ultime frasi di “tutte” le fiabe si concludevano con le parole: “la piuma si macchiò del sangue di”…
Elena chiuse con violenza il testo, e i bambini sobbalzarono. –Facciamo così- intervenne lei, e un tuono attraversò il tempo e lo spazio della stanza.
Elena sorrise, mostrandosi calorosa anche quando tutti i bambini attorno a lei stavano riacquistando freddezza. –Ve la racconto io una bella storia- fece armoniosa.
-Senza leggere?- chiese un ragazzino.
-Sei brava? Come si chiama il protagonista?- domandò un altro.
I piccoletti erano entusiasti delle novità, seppur piccole e insignificanti.
Elena si schiarì la voce. –Allora, il protagonista della nostra avventura è una bambina che portava sempre una mantellina rossa. Il suo nome era cappuccetto rosso, ed era una ragazzina sempre allegra. Viveva con la sua mamma vicino all’argine di un bosco, e tutte le mattine cappuccetto andava a trovare la sua nonna malata. Una bellissima giornata d’estate la mamma di cappuccetto le affidò un cesto con una buonissima torta di mele che doveva portare alla nonna. La mamma si raccomandò come tutte le volte che cappuccetto non passasse per il bosco perché c’era un lupo cattivo che era molto furbo, e cappuccetto la rassicurò che non le avrebbe mai disobbedito. Così cappuccetto intraprese il sentiero che costeggiava il bosco trotterellando allegra. Ad un tratto, vide un bellissimo prato fiorito celato tra gli alberi. Cappuccetto deviò il suo percorso e andò a cogliere alcuni dei fiorellini, pensando che avrebbero fatto piacere alla nonnina. Ma improvvisamente, dal bosco saltò fuori un orribile lupo grigio!-
-Ah!- i bambini gridarono, ed Elena cominciò a ridere.
-Si mangia cappuccetto?- le pianse sulla spalla il bambino che aveva in braccio.
-Aspettate, la storia non è ancora finita! Dunque, dov’ero rimasta? Ah, certo… cappuccetto era molto spaventata, ma il lupo le disse che anche lui voleva fare una bella sorpresa alla nonna. Cappuccetto a quel punto gli chiese quale bella sorpresa, e il lupo le disse che voleva fargli una visita anche lui, perché erano vecchi amici. Allora cappuccetto gli chiese se volevano andare insieme, ma il lupo le rispose…-.
-I lupi non parlano- sbottò una voce adulta, severa.
Elena si staccò dal collo il bambino e si alzò.
Sull’uscio della sala sorgeva la figura di un uomo, il volto celato dal cappuccio e delle vesti che Elena riconobbe subito.
-Maestro- chinò il capo.
Altair mosse i passi dentro la stanza e i bambini corsero subito nei loro letti, svelti, silenziosi, intimoriti dalla presenza dell’uomo.
-Cosa ci fai qui?- le chiese guardandola.
-Ecco, io ho trovato le finestre aperte, la pioggia entrava e bagnava il pavimento- balbettò. –ho pensato che non sarebbe accorto nessuno, così…-.
-Non sei tenuta a certi incarichi, devi capire bene quali sono i tuoi limiti qui- la rimproverò lui.
-Certamente- la ragazza abbassò ancora di più gli occhi.
-Tutta via- continuò l’assassino avvicinandosi. –Sei riuscita a calmarli, e non è da poco- le disse contento.
Elena sorrise. –Sì, e credo che me vanterò- si chinò a raccogliere il libro da terra e lo portò al suo posto.
-Ora puoi andare, la tempesta sta cessando e da domani le cose cambieranno- fece serio.
Elena aggrottò la fronte. –Maestro, se posso, è successo qualcosa? Dopo l’arrivo del Frutto, intendo…-.
-Non ti riguarda, piuttosto ti basti sapere che Tharidl ha ordinato di affrettare i tuoi come gli addestramenti degli altri assassini. Con il Frutto chiuso tra queste mura, ha messo a repentaglio la vita della gente di Masyaf, da vero stolto…- borbottò più per se stesso.
Elena si avvicinò a lui. –Quale sarà il vostro e il mio compito, in tutto questo?- domandò a bassa voce.
Altair alzò gli occhi su di lei e la fissò a lungo. –Ho detto che da domani tutto potrebbe cambiare, ma per quanto ci riguarda, noi assassini non svolgeremo nessun incarico al di fuori di quello che c’è stato assegnato-.
Un altro lampo rimbombò per la fortezza, e i vetri delle finestre sbatterono.
Elena sobbalzò.
–Se il Frutto non è al sicuro qui e in nessun altro posto, sarebbe bene distruggerlo- proferì Altair guardando fuori dalle vetrate.
-Distruggerlo?- ripeté lei sorpresa.
L’Angelo emise un gran sospiro. –Avanti, cerca di riprendere sonno. I tempi duri stanno tornando…-.
Elena lo salutò con un inchino della testa, poi si avviò sulle scale.
Quando raggiunse le sue stanze e si gettò sul letto, non riuscì a riaddormentarsi. Le fu impossibile chiudere gli occhi, ad ogni ululato della tempesta il suo cuore aveva un fremito e lei si girava da parte a parte del materasso.
La collana di sua madre le cadde di lato, finendo accanto al cuscino. Elena la strinse con una mano, pensando che per lei i tempi duri erano cominciati appena qualche settimana prima.

-Elena…- Adha, seduta al suo fianco, le accarezzò una guancia.
La ragazza si stropicciò gli occhi. –Sì?- domandò con voce rauca alzando il busto.
-Devi svegliarti e prepararti, Altair ti attende fuori dalle mura- disse la donna avviandosi all’uscita.
-Fuori le mura?- si chiese Elena vestendosi con la sua divisa. Lasciò gli alloggi con un alone di dubbi in mente.
La fortezza brillava di un grigio intenso. Il tempo non era cambiato, grosse nuvole scure si annidavano sopra la città e l’umidità veniva trascinata da parte a parte della valle da una corrente d’aria fredda.
Raggiunto il cortile interno, Elena notò che c’era una gran massa di assassini e guardie concentrata attorno al campo d’addestramento.
Avvicinandosi, riconobbe Marhim che si addestrava contro un assassino che identificò come Fredrik.
Quando lo sguardo dell’amico volò su di lei giusto un attimo, Elena gli sorrise; poi Marhim tornò a fronteggiare l’avversario.
Stette a guardare finché Fredrik non riuscì a costringerlo a terra. –Sei bravo, non lo nego, ma indietreggi troppo. Il prossimo!- proferì l’assassino aiutando Marhim ad alzarsi.
Nel campo entrò un altro ragazzo, e l’allenamento riprese.
Marhim saltò la staccionata e le venne incontro ancora col fiato corto. –Eccoti- disse. –Hai idea di che ore siano?- le sorrise divertito.
Elena curvò un sopracciglio. –Ho dormito così tanto?- sbottò incredula.
Marhim annuì. –So che Altair ti aspetta fuori le mura, oggi lezioncina comune- la informò.
Elena spostò il peso sull’altra gamba. –Lezioncina cosa?-.
-Quindi Adha non te l’ha detto, pazienza… si tratta di una addestramento particolare. Altair deve aver chiesto un permesso al Maestro per questo, dato che tu ora se la sua unica allieva. Nella lezione comune Altair avrà chiamato altri assassini a fronteggiarsi con te, e la cosa vedrai, sarà divertente. Però non mi quadra che abbia deciso di portarvi fuori. Insomma, spero che ti piaccia, posso accompagnarti?- disse in fine.
Elena annuì. –Anche perché non ho idea di dove debba andare!- rise.
-Bene, seguimi- Marhim s’incamminò e la ragazza gli andò dietro.

Attraversarono tutta Masyaf, raggiungendo l’ingresso principale della città e proseguirono oltre.
Marhim si fermò dove c’erano alcuni cavalli tenuti in un’insenatura nella roccia del pendio.
La strada sterrata continuava per diversi chilometri affiancata da due pareti di pietra, ma solo in un breve tratto alla loro destra comparve lo strapiombo che affacciava sul lago.
La passeggiata durò una manciata di minuti, e raggiunsero un campo recintato che era circondato da alcune tende. C’erano dei cavalli legati alla staccionata, mentre due assassini si fronteggiavano in sella all’interno del recinto.
-Eccoci- fece Marhim fermandosi.
Elena riconobbe il suo Maestro, in disparte che finiva di sellare un bellissimo esemplare nero. Stringeva i lacci e accorciava le staffe.
-Forza, vuoi andare o no?- Marhim la spinse avanti, ma lei si aggrappò al suo braccio tirandolo con sé.
Elena si avvicinò allo steccato e rimase a guardare con Marhim al fianco.
I due Angeli si fronteggiavano in groppa a due esemplari magnifici di razza equina. Il primo era completamente bianco con una macchia grigio scuro sulla zampa anteriore destra. Il secondo era marrone intenso con una stella bianca che sia allungava sul muso.
Il combattimento era animato dalle chiacchiere di altri tre assassini in piedi a guardare lo scontro senza battere ciglio.
-E così- iniziò Elena. –oggi la lezione è a cavallo- arricciò il naso.
La cosa non le piaceva: già era rischioso maneggiare una spada, e in più doveva spaccarsi l’osso del collo se cadeva!
Altair alzò gli occhi dalla sella un istante e li vide entrambi.
Troppo lontano per sentire cosa si dicevano, Elena notò il suo Maestro avvicinarsi ad un allievo. L’assassino annuì alle sue parole e venne verso di loro.
-Elena, giusto?- fece il giovane guardandola.
La ragazza annuì.
-Vieni- l’assassino s’incamminò.
-Vuoi andare?!- Marhim la spinse.
Elena raggiunse l’Angelo e gli camminò al fianco.
Girarono attorno al campo e raggiunsero Altair che apportava le ultime modifiche alle redini. –Era ora- sorrise sarcastico.
Elena si strinse nelle spalle. –è stata Adha, lei non…-.
-Lei non ti ha svegliata in tempo?- concluse Altair e con uno strappo improvviso tirò giù la staffa.
–Credi di essere privilegiata da una sveglia personale?- aggiunse passando dalla parte opposta del cavallo. Tirò giù la staffa.
Elena si mise composta. –Adesso sono qui, mi spiace non essere arrivata prima, lo ammetto!- sbottò. –Scusate tanto!- si permise.
Altair si bloccò mentre stringeva la testiera. Rimase in silenzio qualche istante fissandola da sotto il cappuccio, poi le venne accanto. –In sella!- digrignò.
Elena lo guardò allontanarsi fino al gruppo di assassini riuniti. Toccò la spalla di uno degli Angeli, che subito corse a prendere il suo cavallo.
La ragazza si voltò e montò in groppa al suo destriero.
-Tutto bene?- domandò l’assassino che Altair aveva mandato a chiamarla.
Elena rispose con un timido. –Sì, grazie- accertandosi che tutte le cinghie fossero della sua misura.
I due assassini che stavano fronteggiarsi poco prima lasciarono il campo, e a sostituirli dovevano partecipare Elena e un Angelo che portava vesti di alto rango.
Il ragazzo era già nel capo, e il suo cavallo sferzava la terra con gli zoccoli.
Prima di entrare, Altair le venne vicino e le porse il fodero di una spada. –Niente esclusione di colpi. Niente urletti da femminucce e niente sangue, sono stato chiaro?- le disse.
Di tutta risposta Elena si legò il fodero alla cintura ed estrasse la spada. Un colpo di tacco, e il suo cavallo entrò nella recinzione con un balzo. Elena accorciò di seguito le redini, che si apprestò a stringere nella mano sinistra.
-Il cappuccio!- le ricordò il Maestro, e la ragazza si abbassò il copricapo sul volto.
-Ora ci divertiamo- rise Elena di malo gusto.
Sapeva bene che sarebbe stato piuttosto doloroso…

L’Angelo mandava affondi senza una tecnica precisa, e il suo Maestro l’aveva avvertita che non ce ne sarebbe stato bisogno. Se Altair le aveva detto “niente esclusione di colpi” forse avrebbe potuto sfruttare al meglio alcune delle debolezze umane che hanno solo i ragazzi.
Eppure il suo avversario era distaccato, governava al meglio la cavalcatura ed era sempre pronto a ghermirla senza alcuna regola.
Su un cavallo era poco conveniente combattere, ma quando si sarebbe trattato di uno scontro contro un esercito di cavalieri, doveva essere pronta. Se Kalel le aveva insegnato ad andare in sella e ad usare una spada, non aveva mai sommato entrambe le cose, quindi la ragazza si trovò in svantaggio dopo i primi affondi.
Il suo cavallo risentiva delle fatiche che Elena impiegava nel combattimento, era nervoso, nitriva e ogni tanto sgroppava.
Ci si metteva anche il suo avversario, che non le dava tregua.
Ad un tratto Elena mollò le redini e si ritrovò a tenere un braccio fermo sotto la sua lama per contrastare l’attacco del nemico, che spingeva la sua dritta verso di lei. Le spade scivolarono l’una sull’altra, e la ragazza, per non perdere l’equilibrio, si lanciò in avanti, spingendosi via dalla sella, ma addosso al suo avversario.
I due caddero a terra e rotolarono nel selciato.
Dal gruppo di assassini si levarono risa di divertimento.
Elena era caduta avvinghiata al suo contendente, che ora la teneva stretta a sé senza dare segni di cedimento. Il ragazzo era con le spalle alla staccionata, e la ragazza gli era letteralmente indosso.
Quando alzò gli occhi, Elena lo riconobbe subito.
-Rhami- balbettò, e sentì le guance esploderle.
-Eh, già!- rise lui.
A quella distanza Elena poté scorgere gli occhi di ghiaccio che aveva, e alcuni ciuffi di capelli spuntavano dal cappuccio che era calato per metà. Il respiro bollente del suo avversario le arrivava sul collo, mentre Rhami non la smetteva di ridacchiare.
-Volete rimanere lì fino a notte?!- gridò Altair cominciando a perdere la pazienza.
Rhami si alzò scansandola di lato, poi le porse la mano aiutandola a tirarsi in piedi.
-Hai preso troppo alla lettera “niente esclusione di colpi” non è così?- le chiese il ragazzo sistemandosi il cappuccio.
Elena era ancora tutta indolenzita per la caduta, e per come era finita la storia, il suo cuore non rallentava la corsa. – Forse hai ragione- mormorò portandosi una ciocca dietro l’orecchio.
Rhami le sorrise, poi si voltò, afferrò la spada da terra e tornò in sella.
Elena si riscosse e fece altrettanto.
Gli sguardi truci degli assassini che assistevano erano tutti su di lei, li poteva contare!
Altair era in disparte, assistette al combattimento da una diversa prospettiva. Era con la schiena contro una roccia e si girava una moneta tra le mani.
Elena rimase colpita da come gli occhi del suo Maestro fossero altrove, distratti.
Nella seconda parte del duello, Rhami fu più clemente con gli affondi e le diede anche maggior tempo per preparare a pararli. Elena si trovò agevolata, ma sicuramente Altair si era accorto che non stava andando tutto a dovere.
Il Maestro si avvicinò alla staccionata. –Non fare il galantuomo! Mi sembra di essere stato abbastanza chiaro con il termine simulazione. Se uno qualunque dei nostri nemici mandasse un esercito ad attaccare la città, dobbiamo essere pronti! Ho ripetuto questa roba abbastanza! Combattete!- li rimproverò.
Elena e Rhami arrestarono i loro cavalli.
-Mi spiace, ma se vuole che ti faccia male, ricorda che me l’ha chiesto lui- rise l’assassino.
Elena alzò le spalle. –Vorrà dire che tornerai alla fortezza con qualche livido- rimase al gioco.
-Non mi sottovalutare- borbottò Rhami malizioso.
-Altrettanto- fece lei con lo stesso tono.

Gli assassini si alternarono, ed Elena combatté con tutti i presenti almeno una volta. Fin quando non cominciò a piovere.
Il campo divenne una vera e propria pozza di fango. Il terriccio e la ghiaia si mescolarono in un unico pantano, e il terreno si fece sempre più scivoloso anche per i cavalli.
-Voi potete andare- disse Altair ad un tratto, rivolgendosi agli assassini.
Il gruppo lasciò il campo compatto, ed Elena fece per avviarsi con loro.
-Tu non sei compresa-.
Le parole di Altair la bloccarono con un piede sospeso. Si voltò –piove a dirotto, cosa?…-.
Altair montò in sella al cavallo più vicino ed entrò nel campo. –Non ho tutto il giorno, avanti-.
Elena ubbidì camminando a sguardo basso verso il suo cavallo. Salì in groppa e sfoderò la lama.
-Non capisco, Maestro. Ho fatto come mi avete chiesto, ho combattuto come gli altri!- si lamentò. La pioggia le entrava in bocca, le bagnava la veste e la faceva scivolare sulla sella. La mano sinistra si strinse sulle redini viscide. La vista le sia annebbiava, e le gocce la ferivano in ogni parte del corpo, dalle spalle alla schiena.
Altair stava composto ed eretto, non tradiva alcun fastidio per le condizioni. –Non ho avuto modo d’insegnarti a dovere quello che avrei voluto apprendessi oggi. Per tanto, siccome i tuoi ritardi di questa mattina sono passati troppo inosservati, ho deciso che svolgere la lezione sotto la pioggia sarebbe stato un buon pretesto per recuperare il tempo perso. Ricordati che sarò sleale, e tu dovrai fare altrettanto. Tendo a sottolineare questo aspetto del combattimento perché ne rimasi vittima personalmente. E ora, attaccami- intonò serio.
Un lampo di luce balenò sulla valle, e si diffuse il rimbombo di un tuono.
-Ma che diavoli, però!- sbuffò la ragazza.
Colpì i fianchi del suo cavallo, e partì al galoppo contro il suo avversario.



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PERDONATEMI!
In questo capitolo sarei dovuta giungere al sodo, al nocciolo, alla fiamma che fece esplodere la bomba! Invece, come avrete notato, non succede un ca**o! Però avevo in mente l'episodio con Rhami già da tempo, e siccome non avrei avuto modo d'inserirlo altrimenti, ho dovuto allungare. Per favore, so che la mia fiction sta diventando noiosa e ripetitiva, ma abbiate un po' di pazienza! Oggi è stata una giornataccia, e ieri (3/2/09/ ) è stato il mio complex che ovviamente ho passato con la febbre a 40! Nonostante tutto, però, sono riuscita a mettere su altre 10 pagine della mia fan fiction!



OVVIAMENTE DOVETE RIPETO DOVETE LASCIARE UNA RECENSIONE!!!!


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Capitolo 18
*** L'attacco ***


L’attacco


Quella poca luce andava a spegnersi. I venti freddi della notte avvolsero Masyaf e la sua fortezza, l’ombra del cielo senza stelle, oscurato da nuvole nere, andava ad allungarsi sulla valle. Il mondo taceva, il silenzio divampava tra le strade e la gente si rintanava nelle case accendendo, chi lo possedeva, il camino o un focolare. Fiotti di fumo svolazzavano per i tetti delle abitazioni, assieme ai colombi che andavano ad annidarsi sui balconi. Era l’incanto del buio, che celava sotto una maschera fittizia gli eventi imminenti.
Elena guardava la luna apparire e scomparire dietro la coltre delle nubi, in compagnia a squarci di cielo stellato. Il vento le muoveva i lembi della veste, e la ragazza si strinse nelle spalle quando un brivido le percorse la schiena.
Marhim era accanto a lei e la osservava in silenzio, pensando che non se ne fosse accorta.
Il cortile interno della fortezza era rischiarato dal bagliore tenue dei bracieri, le guardie giravano a norma di pattuglia, mentre alcuni assassini erano riuniti attorno alla staccionata ad assistere ad un allenamento.
La sua mente volò lontana da Masyaf, attraversò la valle e raggiunse le colline all’orizzonte, dove una macchia indistinta nerastra pareva tanto un bosco. Ma poteva un bosco crescere in pochi giorni?
- Ho paura- disse ad un tratto la ragazza.
Marhim si riscosse. –Che hai detto?-.
- Ho paura, Marhim- ripeté lei senza battere ciglio, come incantata.
Il ragazzo alzò le sopracciglia. –Sul serio, e di cosa, scusa?- rimase serio.
Elena contò gli arcieri appostati sulle mura. Erano troppi pochi. –Una sensazione, chiamalo intuito…-  mormorò, e Marhim le venne più vicino.
- Non ti capisco- disse il ragazzo guardandola sospettoso. –C’è qualcosa che vuoi dirmi?- si schiarì la voce.
Elena si voltò verso di lui con gli occhi che parlavano da soli, eppure Marhim scosse la testa aggrottando la fronte. –Non so di cosa stai parlando? O meglio, non stai proprio parlando!- rise.
Elena tornò a fissare l’orizzonte. –Tu non lo senti?- domandò.
- Cosa?- Marhim seguì il suo sguardo.
- Il vento… è così… diverso- disse la ragazza in un sussurro, e un’altra folata le scompose i capelli.
Marhim cominciava a spazientirsi. –Insomma, qual è il nocciolo?- sbuffò.
Elena chiuse gli occhi. –C’è qualcosa che lo devia, qualcosa di dannatamente vasto che gli segna il cammino. Il vento segue un circolo vizioso, ma questa volta è diverso… c’è un ostacolo sulla sua strada- mormorò.
- Elena! Oh!- Marhim le venne di fronte e schioccò le dita. –Sei su questo mondo?- le chiese.
Elena guardò a terra. –Sì, scusa…-.
Marhim le sorrise. –Tutto apposto, sei solo stanca. Vuoi… vuoi che ti accompagni di sopra?- domandò, e il suo tono divenne insicuro, timido come non lo era mai stato.
Elena si appoggiò al parapetto. –No, sto bene, grazie lo stesso- i loro occhi s’incontrarono un frammento di secondo, poi Elena tornò a fissare il cielo. –Ho un presentimento… una sensazione, tu no?-.
- Che genere di presentimento? Buono o cattivo?- Marhim alzò le spalle.
- Pessimo…- sottinse lei.
Elena guardò ancora verso le mura, dove tra gli arcieri scorse una figura bianca e indistinta. Un assassino che rimaneva immobile dando le spalle all’interno del cortile. Guardava lontano, anche lui, turbato.
Quando l’uomo si voltò, Elena riconobbe il suo Maestro che la guardava. Altair le accennò un segno col capo, ed Elena ricambiò annuendo.
Poi l’Angelo scese dalle mura usando una fragile scala di legno e venne verso di loro.
- Che cosa vuole, quello?- le domandò Marhim all’orecchio. C’era un pizzico di dispetto nella sua voce che Elena colse con sorpresa.
Lei lo guardò enigmatica. –Cosa stai pensando?-.
- Niente, scusa- Marhim si passò una mano tra i capelli, voltandosi a guardare l’addestramento di suo fratello.
Altair si fermò al suo fianco e Elena lo fissò alcuni istanti.
- Lo senti anche tu?- domandò l’Angelo fissando gli occhi scuri sulla linea dell’orizzonte.
Elena seguì il suo sguardo, che andava a perdersi esattamente dove stava guardando lei poco prima. – Cosa, Maestro, sento tante cose…- mormorò.
I due rimasero in silenzio, immobili a scrutare l’oscurità della notte che inghiottiva la valle.
La luna sparì dietro le nuvole, e anche quella poca luce si dissolse lentamente. In breve, neppure un frammento di cielo rimase visibile, ma lontano, oltre le coltri di nebbia e le ombre, una macchia nera e compatta avanzava verso la roccaforte, accompagnata da nitrii di cavalli e clangori metallici.
- Sono qui…- sottinse Altair stringendo i pugni.
- Maestro- Elena sospese le sue parole nel vuoto.
- Corrado e i suoi uomini sono qui- ribadì l’assassino.

Elena seguì il suo Maestro di corsa.
-Sei pronta?- Altair si fermò sfoderando la spada. –Questa non è un’esercitazione…- aggiunse fissandola negli occhi.
Assassini e guardie li scorrevano ai fianchi, correndo verso i piedi della collina con le armi in pugno. All’ingresso di Masyaf si stava combattendo la più brutale tra le battaglie, e in Elena bolliva già l’adrenalina.
L’esercito di Corrado aveva passato il confine: i suoi uomini predavano le case e razziavano la città, ammazzavano la gente, e le urla si accavallavano alle grida di piacere dei soldati.
Elena annuì, e Altair la condusse nel vivo dell’azione. –Dobbiamo aiutare la gente a scappare verso la fortezza! È l’ultima possibilità che hanno, tra poco i cancelli verranno chiusi!- le gridò.
-Sono pronta, Maestro!- saltarono sul tetto di un’abitazione e di seguito scesero con un balzo sulla strada principale.
Alcuni soldati avevano messo alle strette un gruppo di paesani. Uno di loro si accasciò al suolo quando il reietto di Corrado lo trafisse senza pietà.
Un fruscio nell’aria, Elena non colse altro, e i soldati si abbatterono al suolo senza vita.
Elena si voltò, e vide che alla cintura del suo Maestro mancavano alcuni pugnali da lancio. Sorrisero entrambi.
-Vedrai- le disse lui. –Un tempo t’insegnerò-.
Elena camminava tra i corpi della gente che le sorrideva armoniosa quando passeggiava con Marhim. Ora i loro sguardi erano vuoti, e sul selciato si aprivano grosse pozze purpuree.
-Andiamo! Non c’è tempo!- Altair la prese per un braccio e la tirò con sé in una stradina secondaria. Si fermarono, ed Elena ebbe il tempo di vedere il suo Maestro gettarsi contro un soldato.
La lama nascosta di Altair penetrò nel collo del crociato.
Il suo Maestro si alzò vittorioso, guardando la donna che prese il bambino in braccio e scappò in lacrime.
-Voglio anche quella…- pensò Elena ad alta voce mentre correvano a soccorrere i prossimi abitanti.
Quella volta toccò anche a lei combattere.
-Ehi, ma sei una…- il cavaliere non terminò, che Elena lo trafisse al petto con un solo colpo.
Altair era accerchiato da alcune guardie, ed Elena afferrò da terra una pietra. Con tutta la forza che aveva nelle braccia, la scagliò e colpì l’elmo di uomo che ne rimase traballante.
-Razza di!-.
-Per questo vorrei tanto dei pugnali…- digrignò la ragazza.
L’uomo le venne contro con un fendente alto e potente, ma Elena li sgattaiolò di fianco e volteggiando su se stessa, lo sorprese alle spalle. Fu un colpo preciso, come sempre.
Altair giocava di contrattacchi. I suoi nemici gli andavano contro e lui schivava e li colpiva, oppure li mollava un pugno sul naso e li colpiva, o ancora li contrastava e poi li infilzava con la lama nascosta. Insomma, quando il suo Maestro aveva insistito ad insegnarle delle tecniche “fuori dalle regole della scherma” era perché Altair sembrava combattere d’istinto, con mosse sempre nuove che lo facevano un grande.
Elena gli venne al fianco, e i due si spartirono gli avversari.
La ragazza non vide arrivare un colpo basso, e all’altezza del ginocchio si aprì uno squarto nei pantaloni. –No!- le scappò di bocca.
Il soldato scoppiò in una risata. –Ehi, aspetta…- disse ad un tratto.
Il dolore era insopportabile, e la gamba le cedette, e la ragazza cadde in ginocchio. Era finita, con un solo colpo il soldato le avrebbe tagliato la testa.
-Non sei la figlia di quell’assassino?- fece la guardia prendendola per il cappuccio.
Elena alzò gli occhi e, anche attraverso la fessura dell’elmo, non le fu difficile distinguere alcuni tratti in quell’uomo che aveva visto nei volti sfuggenti della sua fuga da Acri.
Quell’uomo aveva ucciso suo padre.
Con un ruggito di rabbia, Elena mollò la spada, gli saltò al collo e, una volta sbattuto a terra, cominciò a strozzarlo. –Maledetto!- gridava.
-Elena!!- Altair la tirò via. –Elena, è morto! Gli hai spezzato il collo! Ma ora dobbiamo andare, Elena!- lui se la caricò in spalla e corse verso l’alto della collina.
Elena si strinse al suo braccio, terrorizzata.
Non aveva mai assistito prima di allora ad una “battaglia” vera e propria. Ne aveva sentito parlare solo nelle leggende, nei libri, ecco… ma quella notte lei ci era finita dentro,  vi aveva partecipato, ma non era ancora finita.
Le guardie di Masyaf e reietti della casata di Corrado si affrontavano senza pietà ed esclusioni di colpi. Il sangue, nemico o amico, schizzava ovunque. I corpi coprivano il terreno, la gente scappava, le grida, i pianti…
-RITIRATA!- era Altair che correndo per le strade della città diffondeva le sue parole. –RITIRATA!- ripeteva e ripeteva con quanta più voce aveva.

-Preparate le armi! Arcieri, pronti!- gridò una guardia.
Le campane suonavano per tutta la città, mentre donne e bambini correvano al riparo dentro la fortezza, oltre i cancelli ancora alzati.
L’assassino arrestò la corsa e la mise a terra, assieme a tutti gli altri feriti nel cortile. –Come va?- le chiese chinandosi. Nonostante lo sforzo, Altair non mostrava dati di stanchezza.
Il taglio non era profondo, ma attorno andava già ad infettarsi.
Una guardia corse a medicarla.
Altair e Elena osservavano in silenzio come i soldati effettuavano i preparativi per la difesa: Masyaf era nel caos.
-Elena- Altair si voltò.
-Cosa sta succedendo? Perché…- lui la interruppe prendendola per le spalle.
-Di’ a Tharidl che ho preso alcuni assassini con me, che siamo appostati sulla torre e aspetteremo il suo segnale, ma mettiti al sicuro- le disse serio e calmo. –Il grosso dell’esercito deve ancora arrivare-.
Elena scosse la testa, e il fiato ancora le mancava. –Maestro, questa è una battaglia, ed io posso prenderne parte, di nuovo!- sbottò fiera.
-No, hai già fatto abbastanza, seri ferita, non vedi? Non appena ti sarai ripresa fa’ come ti ho detto e non farti vedere in giro!- Altair corse nel cortile.
-Rhami! Adel! Fredrik! Con me!- chiamò, e gli assassini gli andarono dietro seguendolo contro la corrente di folla. Altair e i quattro Angeli si arrampicarono sulle mura della fortezza, poi Elena non capì perché, ma i quattro assassini si gettarono dallo strapiombo.
-Ho finito- la guardia le aveva bendato il ginocchio e si apprestava a controllare lo stato degli altri feriti.
Lei si alzò, guardandosi attorno.
Lamentele e grida di dolore animavano il cortile interno. I suoi occhi cercavano chi di caro avevano sempre trovato, ma non c’era l’ombra di Marhim.
Elena strinse i denti e scalciò un sasso, poi si avviò dentro la fortezza.
Salì fino allo studiolo del Maestro, e trovò Tharidl che controllava il tutto affacciato alla vetrata. –Il tempo è giunto…- sospirò il vecchio.
-Maestro! L’esercito di Corrado è qui per il Frutto! Siamo in guerra, Maestro! Altair ha radunato un gruppo di assassini e si è diretto al alla torre, cosa ha intenzione di fare? Cosa possiamo fare?!- Elena era spaventata, la sua voce usciva sotto forma di tremule grida. –Maestro!- lo chiamò di nuovo.
Tutte le guardie e gli assassini abbandonarono l’interno della rocca forte, precipitandosi fuori dalle mura per aiutare la gente che gridava e i bambini che piangevano e scappavano dalle grinfie dei soldati nemici.
-Il Maestro si occuperà della trappola che usiamo solo in queste rare evenienze. La torre di cui ti parlò contiene dei legni abbastanza pesanti da spezzare il collo ad un elefante. Altair aspetterà il mio segnale per attivare il meccanismo, non devi temere per la vita di nessuno dei giovani che egli ha portato con sé- Tharidl si voltò.
Il suo volto era calmo, pacato. I suoi occhi socchiusi e le sue mani giunte dietro la schiena. –Elena, vieni, resta al mio fianco. Per adesso non possiamo fare nulla se non aspettare…-.
Elena gli si avvicinò e il Maestro la prese sotto braccio.
Insieme, assisterono al raduno di massa all’interno del cortile.
- Dov’è Adha, Maestro?- chiese lei in pena.
-Ella deve occuparsi di ciò per cui i crociati sono qui. Ora chiudi gli occhi, Elena, e non ascoltare altro che non sia il battito del tuo cuore…-.
Le parole di Tharidl divennero una ninna nanna melodiosa, fin quando la ragazza non si lasciò cullare dal suono soave della sua voce e cadde in sonno contro il suo petto.

-Tira su quella leva, avanti!- gridò Rhami.
-Non viene! Si è incastrata!- rispose Adel, spingendo con la schiena il tronco di legno che era più grosso di lui. Ad aiutarlo c’erano anche Fredrik, ma la loro forza non bastava.
Rhami e Altair erano affacciati dalla torre e controllavano la situazione.
L’esercito di Corrado si arrampicava sulla collina, e in testa agli uomini a piedi c’era un gruppo di cavalieri.
-Sono più dell’ultima volta- commentò Altair.
Rhami scosse la testa. –Dobbiamo tornare dentro la fortezza, è inutile, il meccanismo è andato!- sbottò rabbioso.
Adel e Fredrik caddero a terra quando il tronco di legno si spezzò. Partì una corda, che fin quando non si tese, lasciò scorrere un ingranaggio di poche ruote di legno. La corda si tese, ancora e ancora.
-Non spezzarti…- imprecò Rhami a denti stretti. –Non spezzarti!-.
La corda cedette e il portellone della trappola si aprì.
-No! No!- i tronchi caddero giù dalla torre e scivolarono lungo le strade della cittadella troppo in anticipo. –NO!- Altair si gettò a terra stringendosi la testa con le mani, disperato.
La fune avrebbe dovuto tenere fin quando uno di loro non l’avesse spezzata con la spada, ma invece, aveva ceduto prima e agli uomini di Corrado fu facile evitare di essere travolti dai tronchi.
-Presto, dobbiamo andarcene- fece Adel alzandosi.
-Il piano è andato a rotoli, ma dobbiamo tornare dal Maestro- disse Fredrik avvicinandosi ad Altair.
-Andiamo- Rhami fece strada per scendere dalla torre, e i tre assassini si avviarono.
Altair rimase rannicchiato a terra, pensando che non sarebbe finita così. No, Corrado aveva un intero esercito dalla sua, e la brama del Potere. Come era già successo diverse volte, ci sarebbe stato ancora un ultimo scontro, l’ultimo tassello di quella battaglia.
Uno contro uno…

-Ma guardate un po’ chi si rivede!- gridò Corrado dal suo cavallo. –Al Mualim, giusto?- chiese ridendo.
Tharidl si sporse dalle mura e guardò in basso. –Al Mualim non vi è a capo di questa setta da tempo, ormai. Il mio nome è Tharidl Lhad, e questa è la mia città!- rispose il Maestro con tono arrabbiato.
Il suo esercito lo circondava, e Corrado si alzò sulla sella. –Sapete bene perché sono qui! Datemi ciò che cerco e nulla verrà sottratto alla vostra bella Masyaf!- ruggì scuotendo il pugno.
Accanto al gran Maestro c’erano degli arcieri assieme ad alcuni assassini. –Mi spiace, ciò che chiedi non può essere fatto- scosse la testa.
Corrado scoppiò in una risata fragorosa, e con lui i suoi cavalieri. –Non mi sembrate nella condizione di assentire, Maestro!- continuò a ridere. –Stolto! Noi non ce ne andremo fin quando ciò non sarò nostro! La vostra gente non riuscirà a campare più di una settimana in quelle condizioni! Chiusi nella vostra bella tana, tra quelle quattro mura, patirete la fame e le malattie! Consegnatemi il Frutto dell’Eden ora! Giuro che incendierò le case, brucerò le strade e tutto attorno a Masyaf sarà ridotto a cenere!- la sua collera era spaventosa.
Tharidl rimase in silenzio quando Altair gli comparve al fianco. –Maestro- s’inchinò l’assassino.
Il vecchio sospirò. –Se siete qui così in breve tempo, non oso chiedere per quale motivo…-.
Altair lanciò un’occhiata di sotto. –Il meccanismo non dava segno di controllo, il vostro piano è fallito, la corda si è spezzata da sé in anticipo, mi dispiace- fece serio.
-Quello che Corrado va’ dicendo è vero, non riusciremmo mai a vivere così. Altair, devo chiederti di portare pazienza e fiducia, ora- il vecchio lo guardò da sotto il cappuccio.
Altair parve non comprendere. –Cosa avete in mente?-.
Tharidl si voltò affacciandosi nuovamente verso il cavaliere. –Ebbene, ti propongo una sfida, Corrado del Monferrato, reggente di Acri!- pronunciò affranto, ma con dignità.
Corrado aggrottò la fronte. –Di che si tratta? Sono curioso…- ammise sarcastico.
Il Maestro indicò l’esercito alle sue spalle, e Corrado di voltò. –Il tuo uomo migliore contro il mio assassino più audace!- sentenziò in fine.
Sulla fortezza cadde il silenzio, e nello stesso istante in cui un tuono brillò nel cielo, gli occhi di Corrado balenarono. –Accetto!- disse.

Altair ammirò il suo Maestro. –Sono pronto- affermò.
Tharidl fece un passo indietro e curvò le spalle. –No, non tu…- mormorò.
L’Angelo si sbiancò, la sua schiena perse la compostezza e la fierezza di sempre. –State scherzando, vero?…- balbettò sbigottito.
Il vecchio gli afferrò le spalle.
Altair restò con la bocca aperta senza dire nulla per alcuni istanti, il tempo necessario perché Tharidl trovasse le giuste parole.
-Ho sempre confidato in ognuno di voi. Ora è il suo turno- disse soltanto.
Altair indietreggiò. –Non potete affidare il destino di Masyaf e del Tesoro a chi non è davvero in grado! State commettendo una seconda imprudenza, Maestro! Guardate dove le vostre mosse azzardate ci hanno condotto!- Altair era isterico, dava quasi di matto, eppure il matto della situazione sembrava tanto Tharidl.
Il Maestro fece un gesto di stizza. –Non replicare! Così ho deciso, e se mi prendi per un pazzo fa’ pure, ma non saranno certo le tue opinioni a farmi cambiare idea! Sai bene qual è il tuo compito, forza!- Tharidl gli gridò in faccia, ma Altair non si scompose, rimanendo ferreo.
-No- protestò. –Sono io quello che deve combattere per la salvezza di questa città! Sapete che sono l’unico in grado di andare a colpo sicuro! Non possiamo continuare a fare buchi nell’acqua!- perse il controllo.
Il vecchio trattenne l’escandescenza. –Credi che sia facile?- abbassò la voce d’un tratto.
Altair restò ad ascoltare.
-Affidarsi ad un uomo e consentirgli di cambiare il corso della storia, credi che sia facile?- ripeté.
Altair strinse i denti. –Siete voi che talvolta lo rendete difficile!- digrignò cercando di contenersi.
-Invece no, ti sbagli. Sei solo un ragazzino che gioca a fare l’adulto, ed è questo che non sopporto di te, Altair- Tharidl piantò il suo sguardo in quello rabbioso del suo discepolo.
-Vi ho dimostrato quali sono le mie capacità, e sinceramente dopo la morte di Al Mualim non ho più nulla da dimostrare a nessuno! Invece voi vi ostinate a credermi all’altezza di insegnare ad una ragazza! Sono stufo, ho riacquistato il mio rango con la fatica che nessuno può immaginare! E da quando siete voi il Maestro, a me vengono lasciati i compiti più stupidi tra gli stupidi! Non sfruttate mai a dovere le mie capacità, credete che sia come tutti gli altri, e vi permettete di umiliarmi in mille modi! Fatemi combattere! Perché non vi entra in testa che…-.
Tharidl si voltò e non gli diede più ascolto.
Altair trattene le grida di rabbia, perché quel comportamento di fronte all’intero esercito di Corrado e gli altri assassini sarebbe stato la ciliegina sulla torta.
Fredrik e Rhami lo guardavano stupefatti, increduli.
Adel provò ad avvicinarsi, ma Altair lo scansò con violenza e, arrendendosi, portò pertinenza al suo incarico.

Quando Elena si svegliò, si accorse di essere seduta alla scrivania di Tharidl. Aveva la testa poggiata tra le braccia che erano conserte sopra il tavolo. La schiena le scricchiolò, e già che c’era sciolse anche i muscoli del collo e delle scapole.
Si voltò, e vide che dietro di lei, a guardare fuori dalle vetrate, c’era Altair. –Era ora- mormorò l’assassino contemplando il cortile.
Elena scattò in piedi. –Cos’è successo? Io, mi dispiace, non sarei dovuta… lo so, è stupido, ma… ecco…- balbettò.
-Preparati, devi sopportare un’ultima pazzia del nostro Maestro- la sua voce era silente, come se si fosse dato per vinto ad un grande dolore.
Elena gli andò al fianco. –Io? E quale sarebbe?- la ragazza si sistemò i capelli per bene dentro il cappuccio, portandoseli poi a cadere sulla spalla.
-Tharidl ha chiesto un scontro singolo per decidere della sorte della battaglia- proferì in un sussurro, e un tuono squassò l’aria gelida delle sala.
Elena annuì. –Devo assistervi nel combattimento, Maestro?- chiese. –Sappiate che cercherò d’imparare al meglio, e sono certa che voi riuscirete nell’incarico e…-.
-No, Elena- Altair le rivolse finalmente lo sguardo. –Non sono io colui che Tharidl ha scelto-.
Il volto di Elena passò dal sorriso alla paura in pochi secondi. –M…M…Me?-.
Altair non aggiunse nulla e lasciò la sala.
Elena s’inginocchiò al suolo, e le sue mani corsero allo stomaco che non poteva reggere la situazione.
-Io… io non ce la faccio!- una lacrima le scivolò sulla guancia, e un’altra, un’altra ancora.
I suoi occhi divennero fiumi in piena, mentre il suo corpo era attraversato da tremiti continui.
Dov’era chi poteva consolarla quando serviva? Dov’era chi li dava nuovo vigore quando i loro occhi s’incontravano? Dov’era…
-Marhim!- mormorò il suo nome diverse volte, a voce sempre più alta, fin quando non ascoltò dei passi venire verso di lei.
-Elena- Marhim le scivolò accanto inginocchiandosi. –Elena…-.
Era una visione, non poteva essere reale, si disse. La figura grigia di Marhim ballava come gelatina, era irregolare. C’era solo un modo per provare che fosse davvero lì, di fronte a lei.
Elena gli saltò al collo, stringendolo con quanta forza aveva. Affondò il viso rigato dalle lacrime nella sua veste, ascoltò il suo cuore rallentare i battiti per ogni secondo che trascorreva avvinghiata a lui.
Marhim era davvero là. Elena sentiva i suoi muscoli scolpiti anche sotto a tutti quelli strati di vestiti. E poi era caldo, caldo come un cuscino lasciato steso al sole.
Marhim ricambiò l’abbraccio, e di tutta risposa le accarezzò i capelli. –Sei pronta?- le mormorò all’orecchio.
Elena non voleva ascoltarlo, voleva piuttosto che rimanessero così per sempre e il tempo si fermasse. La ragazza continuò a singhiozzare e a bagnargli il cappuccio con le lacrime, ma Marhim, premuroso, lasciò che si sfogasse.
-Perché me?…- gemé lei. –Perché me, che cosa ho fatto per meritarmi questo?…-.
–Vediamo… forse il Maestro ha assecondato troppo il fatto che tu abbia battuto Altair a duello, e crede che sia tu la migliore- Marhim le prese il viso tra le mani. –E non ha tutti i torti!- rise.
-Maledico quel giorno!- gridò la ragazza tornando a piangere su di lui. –Odio questo posto…- guaì.
Marhim la strinse a sé. –Avanti, devi sbrigarti. Corrado perderà la pazienza a breve, e non vorrai perdere senza neppure averci provato, spero- le disse cercando di nascondere la paura.
Elena lo guardò negli occhi. –E se perdo? Se il mio avversario mi ammazza…-.
-Non dirlo neppure per scherzo!- la rimproverò lui. –Guardare al fallimento dei nostri incarichi è ciò che noi assassini non facciamo mai. Calcoliamo l’evenienza e ci tracciamo una via di fuga, ma è solo prevenzione, non timore. Abbi fiducia- sorrise.
-Non m’importa nulla- ribatté Elena guardando a terra. –Di me, intendo. Che mi ammazzi pure, ma non voglio che Corrado ottenga il Frutto così facilmente!- Elena sciolse le braccia attorno alle spalle di Marhim e poggiò le mani in grembo. –Calcolando l’evenienza… cosa succederebbe poi?-.
Marhim si voltò un istante di lato, pensieroso.
-Non ne ho la più pallida idea- tornò a guardarla e le prese il viso tra le mani. –Tu pensa solo a combattere meglio di come hai sempre combattuto, e andrà tutto bene…-.
Elena poggiò una mano sopra la sua e annuì, convinta.
Marhim aveva fiducia in lei, e quello le bastava.
Il ragazzo si alzò e l’aiutò a tirarsi su. –Come va la gamba?- le chiese.
Elena guardò la fasciatura su ginocchio, ancora integra. Non avvertiva dolore, perché i muscoli erano ancora accaldati. Pregò che nessuna fitta improvvisa la sorprendesse nel combattimento.
-Sto bene-.
Marhim l’accompagnò fuori dalla fortezza, e raggiunsero il cortile interno.
I cancelli delle mura erano alzati, e dall’altra parte Elena vi scorse l’esercito di Corrado che indietreggiava per far spazio all’uomo scelto.
Altair era tornato accanto a Tharidl, che osservava il tutto dai bastioni.
Marhim l’abbracciò un’ultima volta, ma la ragazza rimase immobile.
-Ce la farai, ce la farai !- ripeté più per convincere se stesso.
Gli assassini, la gente di Masyaf e le guardie li fissavano commossi.
Elena sfoderò la spada. –Per mio padre…- disse staccandosi da lui.
Camminò spedita verso l’esterno della fortezza, e le grate si chiusero alle sue spalle.
Era faccia a faccia con gli uomini di Corrado, che per primo scoppiò a ridere. –Una donna!- sbottò l’uomo chinandosi sulla sella dalle risate.
I suoi soldati gli andarono dietro, ridendo a crepapelle.
Elena ascoltò la voce di Tharidl venire dall’alto. –Non diffidare della sua prontezza, ella ha sconfitto il mio migliore assassino senza mai mostrare una preparazione adeguata. I miei uomini l’hanno addestrata a dovere, e lei sarà la tua sfidante-.
Corrado smontò da cavallo. –se vuoi sbarazzarti del Frutto, dammelo subito, e risparmierò la vita a costei!- rise il Re.
Elena l’aveva già visto diverse volte, nelle sue manifestazioni, accanto a suo padre. Corrado era un uomo giovane, e molto bello. La barba corta gli incorniciava il mento, e i capelli fluenti erano celati sotto l’elmo regale. Il simbolo della sua casata, del Monferrato, brillava sul suo petto ricamato d’oro e una lunga mantella rosso porpora gli svolazzava dietro. –Non sono in vena di scherzetti!- Corrado sguainò la lama dal fodero rivolgendosi al Maestro.
E così, pensò Elena, il suo avversario era lo stesso Corrado. Quale pazzo metterebbe a repentaglio la sua vita conoscendo le doti degli aggressori di suo padre? Sicuramente Corrado era molto orgoglioso della sua forza e della sua abilità in guerra, della quale però Gulielmo non si era mai vantato.
Elena strinse con più forza l’impugnatura. –Nemmeno io-.
Ecco l’uomo che aveva ordinato l’omicidio di Kalel, ecco l’uomo che l’aveva fatto braccare come un animale in casa sua! Ecco l’uomo che Elena sognava di uccidere con le sue stesse mani! Eccolo!
Corrado sorrise beffardo. –Ah davvero?- alzò lo sguardo verso Tharidl, poi tornò a guardare lei. –Finiamo questa storia alla svelta- disse a denti stretti.

Elena parò il colpo con difficoltà, e il cavaliere trovò il modo per girarsi e colpirla dalla parte opposta. Elena dovette saltellare all’indietro per ben due volte, fin quando non fu costretta a piegarsi a terra. La lama del suo avversario la prendeva alla sprovvista troppo facilmente. In breve Elena si trovò con le spalle alla parete di roccia, mentre la sua spada tentava in vano di respingere quella di Corrado.
L’uomo aveva una forza disumana, eppure Elena era abituata ai contrattacchi di Altair, che non era mica tutta quella debolezza.
-Dunque- intervenne Corrado per staccare dal combattimento. –Saresti un’assassina?-.
Elena fece scivolare la lama del cavaliere sul muro quando piroettò di lato. –Non ancora!- ruggì col fiato corto. Corrado sarebbe stato la sua vera e propria prima vittima! Si disse.
-Quale onore…- alzò lui un angolo della bocca.
I due presero a girare in circolo, ad aspettare le mosse avversarie, ma nessuno si mosse. Elena ne approfittò per recuperare le forze, ma il suo ginocchio ferito cominciava a pulsare.
Corrado notò il bendaggio di sfuggita, e subito dopo attaccò.
Elena si ritrasse con una capriola all’indietro. Tornò in piedi e sorprese Corrado con un colpo alle gambe. L’uomo riuscì a pararlo, e le spade rotearono assieme scivolando l’una sull’altra.
Quella tecnica serviva per lasciare uno dei due senza la propria arma. Fin quando la punta della spada avversaria non avesse toccato la sua mano, Elena non avrebbe mollato la sua. Altrettanto fece Corrado, che invece ebbe la meglio.
La spada di Elena volò in aria, ma nell’istante in cui il reggente di Acri sollevò gli occhi, Elena fece un balzo spingendosi a lui e la riafferrò cadendo di lato.
Rotolò su se stessa rannicchiata a terra e, quando si fermò, Corrado la guardava stupefatto.
Elena si alzò, in silenzio, dolorante appoggiandosi all’arma.
Tornarono a fronteggiarsi, ma quella volta nessuno dei due ebbe più paura dell’altro.
Elena schivò, ma l’uomo la bloccò con un affondo laterale, che Elena fu costretta a parare, scoprendo la schiena.
Corrado, con un calcio la spinse via ed Elena ruzzolò tra la ghiaia. Si tirò su in fretta, e tornò all’attacco. Nessuna esclusione di colpi, nessun vantaggio, stallo per diversi minuti e poi ricominciavano a imbrogliare.
Corrado tentò con diverse finte, ma Elena aveva assistito a sufficienti allenamenti di Fredrik ed era preparata in materia.
Quando Corrado progettava una finta, i suoi occhi mandavano un bagliore differente, e quello era il segnale ad Elena per scartare dalla parte opposta e colpirlo con l’impugnatura dell’arma.
La ragazza perse diverse volte il controllo e l’equilibrio, e Corrado ne approfittava per afferrarla per la veste e scagliarla a terra.
Dolori ovunque, certo, ma se avesse esitato avrebbe avuto la peggio! Così Elena ignorava ogni sofferenza e tornava a combattere senza mai perdere la concentrazione.
Un tuono, un lampo di luce, un sibilo, e la pioggia cominciò a cadere sulla terra.
Le gocce la ferivano, penetravano nella pelle e arrivavano fino alle ossa. Attorno a loro si stavano formando le prime pozze di fango, quando Corrado la buttò di nuovo al suolo.
La ragazza s’inzuppò la veste e non riuscì a sollevarsi sull’immediato come avrebbe dovuto.
Corrado, con rabbia, l’afferrò di nuovo e la scaraventò contro la parete di roccia.
-Ah!- le scappò un grido, e il colpo alla testa le aprì uno squarto sulla tempia. Lungo il viso le calò un fiotto di sangue caldo, che arrivò fino al collo.
-Hai perso! Arrenditi ora, di’ al tuo Maestro di consegnarmi il Frutto e ti ripeto, ti lascerò vivere!- l’uomo la prese per il cappuccio e la tirò come una bambola a sé. –Avanti! Dillo!-.
Elena sentiva il suo alito caldo sul volto, ma lei teneva gli occhi chiusi.
Corrado la scosse con violenza. –Dillo! Avanti, dillo!- era furioso, e la sua mano si spostò al collo di lei, tirandola sempre più in alto.
Elena non toccava con i piedi, e le mancava il fiato. Il cappuccio le stava per scivolare via, e lei strinse il braccio del suo aggressore lasciando cadere la spada. Soffocava, l’aria si assentava dai suoi polmoni. Con la gola stretta tra le dita di Corrado, Elena non poteva fare nulla se non accettare le sue condizioni, e subito…
-Va bene!…. va bene!…- singhiozzò con la voce roca, terribilmente roca.
Corrado la scaraventò senza fatica addosso ad una pietra.
Elena si ritrovò rannicchiata in una posa innaturale, laddove i soldati di Corrado gridavano di gioia.
Aveva fallito… Divenne tutto buio.

Altair corse giù dalle mura e si precipitò fuori dalla roccaforte. –Presto! Rhami, aiutami!- gridò l’assassino correndo.
-Sissignore!- Rhami gli andò dietro e i due assassini recuperarono il corpo della ragazza.
La portarono nel cortile e l’adagiarono a terra dolcemente. –Piano…- mormorò Altair.
-Un dottore, presto!- chiamò Rhami, e una guardia si avvicinò alla ragazza.
-E ora, Maestro?- domandò Rhami guardandolo.
Altair non gli rispose, ma tornò di corsa da Tharidl, che aveva assistito a tutta la scena dall’alto dei bastioni.
Rhami rimase accanto a lei, e a partecipare alle cure di Elena si aggiunse anche Marhim. –No…- fece afflitto il ragazzo, chinandosi su di lei.
Rhami gli strinse una spalla, poi l’Angelo lasciò solo Marhim con lei.
La guardia finì di medicarle la ferita alla testa e andò.
Marhim le accarezzò il viso, ma Elena non diede segni di ripresa.
La ragazza respirava affannosamente, i suoi occhi erano chiusi e il suo petto si alzava e si abbassava senza un ritmo costante, come se stesse facendo solo un incubo. Però era viva, si disse il giovane, e da un momento all’altro Marhim avrebbe rivisto quei sorridenti occhi azzurri, lo sapeva…

Altair afferrò il vecchio per la tunica. –Pazzo!- alzò il pugno contro di lui, ma una voce di donna lo fermò.
-Altair!- ruggì Adha spingendolo via prima che le guardie potessero intervenire.
L’assassino fece alcuni passi indietro. –Guarda che cosa hai fatto…-.
Adha si mise tra il Maestro il suo amato e, tenendo quest’ultimo più lontano. –Altair, vattene!- gridò Adha.
L’Angelo, guardando altrove, annuì poco convinto e se ne andò.
Tharidl era rimasto pietrificato, attonito ma nascondeva ogni suo pensiero troppo bene perché Adha gli chiese: -Maestro, cosa facciamo?-.
-Tharidl!- chiamò Corrado ridendo. –Dov’è il tuo onore? Forza, ho rispettato i patti! Vuoi che venga a riscuotere di persona?- sogghignò montando in sella.
-Adha- Tharidl le parlò. –Va’ a prenderlo-.
La donna stette di sasso a quelle parole. –Maestro, sul serio? State cedendo…-.
-Basta! Ho ricevuto già abbastanza contestazioni, fa’ come ho detto!-.
Adha abbassò il capo, e un tuono squassò i muri della fortezza, facendo gridare ancora una volta i bambini.

Marhim la prese in braccio e si avviò alla fortezza, seguendo tutta la gente di Masyaf che andava al suo interno per ripararsi dalla pioggia.

Corrado e i suoi uomini lasciarono la città accompagnati da una nube di terra e sparirono nella foschia e le ombre della notte piovosa.
Vittorioso, Corrado galoppava in testa ai suoi cavalieri.



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CI SIAMO!
Come anticipato, ve l’avevo detto che i presentimenti di Altair di qualche capitolo fa si sarebbero rivelati veri! Aveva ragione, poverino…
*Sigh* ho scritto questo capitolo immaginando che Elena avrebbe vinto, ma poi ho pensato che renderlo così tragico sarebbe stato più… entusiasmante. Ecco, anche troppo, sono finita per deprimermi! Comunque siano andate le cose, ora Corrado ha il frutto dell’eden e nel prossimo chiappo ho intenzione di mettere diversi punti di vista più o meno come ho fatto in questo. Siccome devo articolare gran parte della sezione del “presente” ho intenzione di dedicare due o forse tre capitoli interi a quella del “passato” così da non confondervi troppo. Ovviamente mi riferisco a quei quattro gatti che seguono la mia Fan Fiction! Ringrazio i seguenti nomi:


Saphira87: i tuoi consigli e le tue recensioni mi aiutano a capire certi passaggi intricati della mia fiction che neppure io pensavo di aver scritto! Grazie con tutto il cuore! Sono così contenta che la mia storia ti piaccia! Non so che altro dire, grazie, grazie, grazie un centinaio di volte!

Lilyna_93: su msn parliamo sempre della mia fiction e mi sento in dovere di ringraziarti per tutto il supporto e le tue opinioni! Grazie! Grazie! Da te i consigli saranno sempre ben accetti!



CHIARIMENTI:

1.    Mi spiace di aver fatto diventare Altair così isterico, ma mi serviva che fosse in pena per Elena e che facesse tante belle ca**ate contro il Maestro, come afferrarlo per la tunica e agitare il pugno come se volesse menarlo! (se Adha non fosse intervenuta, l’avrebbe fatto! O comunque, le guardie non sarebbero riuscite a tenerlo lontano dal viso rugoso di Tharidl) ^___^ che forza! Vai Altair! Continua a fare stronz**e!
2.    Adha era custode del frutto, vi ricordate? Da come faccio notare poco, quando il Maestro le ha chiesto di portarlo, si riferiva al fatto che l’avrebbero consegnato a Corrado senza ulteriore zizzania. =_= Lo so, lo so cosa state pensando: farò dei riferimenti alla pazzia di Tharidl nel punto tre.
3.    Tharidl ha fatto un po’ il caz**ne, lo ammetto. Ma come accennerò nel prossimo chappo, è stata davvero colpa di Elena, lei aveva davvero le qualità per battere Corrado, qualcosa è andato storto durante il combattimento… “Un lampo, un tuono, un sibilo” tanto per citare… si vedrà hihihihi! ^___^ che bello! Vi tengo sulle spine! ^___^ Hihihihi!

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Capitolo 19
*** Gli angeli degli incubi ***


Gli angeli degli incubi

Aveva paura di aprire gli occhi.
Terrore di dover guardare negli occhi chiunque la circondasse, per timore che venisse ancora giudicata, incaricata o solamente guardata.
Era caduta troppo in basso.
Non avrebbe trovato il coraggio di alzarsi, di camminare tra la gente che tanta, troppa fiducia aveva riposto in lei.
In un attimo, in un solo istante, i ricordi del suo ultimo battito di ciglia le apparvero e scomparvero sotto il naso, allontanandosi poi nel buio che avvolgeva ogni incubo. Stava vivendo un incubo.
Voleva allontanare quelle immagini, ma la pioggia le picchiava addosso con violenza, percuotendola e sbattendola ai piedi di Corrado, che infinite volte la trafiggeva con la spada; e lei non moriva. Non era abbastanza forte nella convinzione che la luce in lei si fosse spenta per sempre, doveva piuttosto patire il dolore eterno per il modo in cui aveva agito. Se avesse ancora il controllo sul suo corpo, si sarebbe tagliata le vene. Avrebbe dimostrato così che nessun male era più grande di quello che avrebbe sopportato ancora, ancora e ancora. Un dolore che non sarebbe scomparso nel tempo, che non si sarebbe rinsecchito in semplici croste o pelli secche. No, parte del suo cuore era già tinto del suo stesso sangue nero, impuro e indegno. Oh, quanto si odiava. Se avesse avuto in mano un coltello, se mai una mano le fosse rimasta, si sarebbe trafitta il petto senza pensarci due volte, perché riflettere sulle proprie azioni voleva dire soffermarsi a calcolare le conseguenze e analizzare il passato. Il suo passato era stato solo fonte di immensi sacrifici che avevano fruttato altri sacrifici, fino a raggiungere il fallimento del suo scopo.
Quel era il suo scopo? O meglio, qual era stato se mai ne aveva posseduto uno?
Combattere? Uccidere? Crescere? Amare? Piangere? Soffrire? Sì, sì… soffrire.
Elena era la prova vivente che anche Dio poteva sfornare delle ciambelle senza buco.
Richiamò a sé i ricordi di quando era caduta da cavallo dopo la sua fuga da Acri, quando si era sdraiata al suolo e aveva teso una mano verso il cielo…
Dio l’aveva abbandonata, lei lo sapeva.
Non c’era cielo azzurro a brillarle sulla fronte, a rischiararle gli occhi, ma solo un buio e un’ombra eterna che l’avvolgeva. Elena galleggiava sul vuoto, allo stesso modo di come i suoi piedi di erano sollevati da terra mentre Corrado la teneva per la gola.
Percepì delle dita robuste stringersi attorno al suo collo, e nonostante gridasse, e fosse cosciente del fatto che stesse urlando, dalle sue corde vocali partì un insignificante e muto fruscio.
Gli occhi bui di Corrado comparvero nell’oscurità, a pochi centimetri dal suo naso. In breve tempo si disegnarono i contorni del suo volto, assieme alle folte sopracciglia e la barba. Le labbra si arricciarono in un sorriso maligno, crudele, mostrando la dentatura perfetta. E Corrado cominciò a ridere.
Elena soffocava, e non poteva fare nulla se non stare a guardare come il cavaliere l’afferrava ancora, ancora e ancora e la scagliava all’infinito contro massi, pareti e muri di mattoni invisibili!
Elena si ridusse in una poltiglia, finché, dopo un medesimo lancio, la ragazza precipitò, sentendosi mancare la gravità.
Il suo corpo cadeva nelle profondità del pianeta e sembrava non arrestarsi mai. Cadeva, cadeva più in basso…
I capelli le frustavano il volto, e la sua veste macchiata di sangue svolazzava impazzita ad un vento che non c’era.
-Basta…- mormorò. –Basta…-.
Precipitava, e tutto in quello come in molti altri sogni… ma che sogni ed incubi?
-Sono morta, e questo è l’Inferno…- sentenziò.
Tutto si arrestò. La sua caduta, il vento, i suoi capelli e i lembi della veste si fermarono dov’erano.
Il tempo e lo spazio assumevano caratteri sempre più assurdi, si disse. Entrambi sembravano essersi bloccati, come Elena aveva desiderato stringendosi a Marhim prima dello scontro con Corrado.
Improvvisamente, tutto riprese a scorrere, mille volte più freneticamente!
Finché…
La ragazza si schiantò su un pavimento duro e freddo.
Poteva toccare con mano, sentire, percepire le mattonelle che appartenevano ad una sola stanza in tutta la fortezza.
Alzandosi a fatica, e riconoscendo le solite figure e ombre contorte tipiche di un sogno, si trovò a pochi passi dal Maestro.
Tharidl aveva una spada stretta nel pugno, la guardava troppo serioso. Gli occhi del vecchio si socchiusero. –Mi hai deluso…- proferì.
Alzò la spada, Elena si accovaccio, ma quando provò a gridare qualcosa, su di lei avvertì solo il caldo, umido e appiccicoso sangue. Sangue, sangue e altro sangue!
Tutto tornò buio, e la ragazza poté tirare un sospiro di sollievo.
Si trovava di nuovo avvolta dall’oscurità, e camminava senza una meta, alla cieca come vagando con la luce spenta in cerca di un appiglio.
Lo trovò, e sentì tra le sue dita una stoffa morbida. Fece un passo indietro.
Di Rhami era visibile solo il volto, così giovane e luminoso come un dipinto. –Elena- lui mormorò il suo nome, e tese una mano verso di lei.
La ragazza non riuscì a muoversi.
L’assassino brillava di una luce propria, e le parve la visione di un angelo, gli mancavano solo le ali.
Rhami le sorrise, sempre più dolcemente. Elena sprofondò nel suo sguardo ghiacciato, che puntava sempre lei e solo lei.
Provò ad andargli incontro, ma la figura dell’assassino si dissolse portato via dalla pioggia.
Elena cadde a terra, e Rhami comparve alle sue spalle, con una spada in mano.
-Mi hai deluso…- sbottò il ragazzo, alzò l’arma e la calò su di lei senza pietà. Sangue, sangue e altro sangue!
Fu di nuovo tutto nero attorno a lei.
Dei passi, in lontananza, passi svelti e corti. Agili, scattanti.
Il fruscio di un mantello, ed Elena cominciò a correre verso quel lungo abito rosso, verso quei corvini capelli brillanti, andò in contro a quel viso tanto bello e familiare.
Adha camminava troppo veloce, quasi correva, ma l’unica a correre ed Elena, che passo dopo passo, perdeva di vista la donna e il suo ancheggiare meschino.
Adha era un puntino colorato lontano quando la ragazza si accasciò sconfitta, piangente.
-Mi hai deluso…- Adha, d’un tratto vicinissima a lei, la colpì con una spada già insanguinata, ed Elena precipitò ancora, di un livello ancora più in basso.
Il suo naso urtò qualcosa di duro, che quando si alzò le parve un altro pavimento. Rimase accovacciata.
Elika e Lily ridevano da lontano.
In lei si mosse il terrore, che come una serpe strisciava nelle viscere, nello stomaco, sulle labbra che si morsero a vicenda. Paura, paura che la fece piangere.
Dopo alcuni minuti, Elena si scoprì il volto guardandosi in giro, ma cosa avrebbe scorto nell’oscurità se non l’oscurità stessa?
Camminò ancora nel vuoto del suo incubo, fin quando delle braccia calde non la strinsero.
Elena si lasciò toccare, e quando si voltò affondò il volto sulla spalla di Marhim.
Il ragazzo sorrise malizioso, e il suo volto si celò nell’ombra del cappuccio. –Mi hai deluso…- le mormorò all’orecchio.
Elena sobbalzò.
La lama la trafisse da parte a parte del bacino. Marhim stringeva l’elsa dalla parte del manico, ed era stato lui… Marhim, lui a compirla…
Elena cadde, ancora, di nuovo, più e più in basso.
Era inginocchiata al suolo che non c’era. I lembi della tunica bianca, tornata improvvisamente candida, si allungavano ai suoi fianchi, assieme al fodero di una spada corta, cinque pugnali da lancio e uno strano guanto.
Una spada corta? Coltelli, uno strano guanto?
Elena si protese ad afferrare quest’ultimo curioso oggetto, ma come si mosse qualcosa dietro di lei la spinse sulla schiena a cadere giù. Finì a faccia a terra, mentre su di lei vigilava lo sguardo di un uomo.
Elena si trascinò sul pavimento, che d’un tratto divenne riflettente come uno specchio, e in quei vetri Elena si vide. Dietro di lei, a schiacciare la sua figura, c’era un essere informe e buio.
Ebbe paura di quel vedere, e si tirò su. Corse, corse con quanta forza aveva nelle gambe.
Era un corridoio senza fine, sul quale affacciavano tante stanze dalle porte chiuse. Elena provò, tentò di aprirne qualcuna, ma erano sbarrate al suo cammino.
L’essere le veniva dietro come un’ombra, ed Elena sentiva il suo fiato sul collo mentre correva. Inciampò, cadde e rotolò rialzandosi poi alla svelta.
Il corridoio terminava in un vicolo ceco, decorato da alcuni cuscini e tappeti. La ragazza si voltò, appiattendosi contro la parete.
L’ombra del suo inseguitore si stagliava di fronte a lei, ed Elena chiuse gli occhi. –Lasciami- disse, e finalmente la sua voce si mostrò.
L’ombra prese colore e forma, in fine si calò il cappuccio sulle spalle.
Altair era l’unico che le avesse mai sorriso davvero, in quel sogno.
Elena si fece avanti, verso di lui speranzosa di un’unica tessera di salvezza.
L’assassino non si mosse quando Elena gli saltò al collo.
Non poté credere che non si fosse ancora dissolto, o che le sue labbra non avessero ancora pronunciato quelle tre parole tanto aspre…
-Elena- le accarezzò i capelli, come a lei piaceva tanto.
Si strinse più a lui, e i suoi piedi si sollevarono da terra.
Ecco il vero Angelo, si disse…



Mini capitolo dedicato alle pene e alle paure di Elena, ma anche alle sue sicurezze, ai suoi punti di riferimento (Altair) ^___^
Dunque, come spiegare la cortezza di questo aggiornamento? Ah, certo…
È stato così faticoso per me scriverla, che mi pare giusto premiare questa frammentazione della storia con delle recensioni a parte, assieme ad un capitolo tutto per sé!
Dunque, da dove cominciare?
Quello che è successo ad Elena lo sappiamo bene tutti: è stata sconfitta da Corrado che ha portato via il Frutto dell’Eden, brutta storia. La povera ragazza si troverà ora ad affrontare più l’odio verso se stessa che degli altri.
Certo, come sempre, ci sarà chi starà dalla sua parte e chi no, ma ho intenzione di modernizzare alcuni caratteri di certi personaggi, per ravvivare un po’ la situazione.
Sto parlando di certi “characters” come Marhim e Rhami… ^___^ ovviamente tutto nella prossima puntata!!!!

RECENSITE! RECENSITE! RECENSITE!!!!

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Capitolo 20
*** Veleno sulla lama da lanciare, con cui colpire ***


Veleno sulla lama da lanciare, con cui colpire

-Maestro- Altair s’inchinò, umile.

Tharidl era solito volto alle vetrate, attraverso le quali il sole buttava i suoi raggi nella sala, illuminando come da tempo non accadeva.
-So perché sei qui, senza che ti fu chiesto- disse il vecchio senza voltarsi. –Altre scuse, or dunque…- sospirò.
Altair strinse i pugni. –I miei atteggiamenti sono stati pessimi, e vengo a portarvi le mie scuse prima che prendiate decisioni affrettate- abbassò il capo, e l’ombra del cappuccio si allungò oltremodo sul suo viso. –Vi prego- sottinse stringendo i denti.
-Non ho mai pensato di punirti, Altair- parlò il Maestro. –Quello che è successo ha mosso in tutti noi emozioni e paure differenti. La gente era spaventata, e lo è ancora. Trattenendo il Frutto nelle nostre mani, le avevamo dato fiducia, ma ora, il popolo di Masyaf ci si rivolta contro…- proferì grave.
Altair mosse un passo avanti. –Tutto ciò è assurdo- commentò. –Elena non era pronta, e voi lo sapevate. Che battesse Corrado era impossibile! Non mi basta sapere che avete fiducia in lei, volevate forse sbarazzarvi del Tesoro gettando la sua carne tra le lame? È assurdo…-.
-Ah!- Tharidl si voltò. –Mi sembrava che fossi qui per scusarti, non per rinnovare le tue accuse- lo riprese seccato.
Altair fece un gesto di stizza. –Elena è mia allieva, mi sono sentito in dovere di partecipare alla scelta di ciò che ne sarebbe stato del suo destino!-.
-Allora non comprendi a pieno quale sia il mio compito, come non comprendi il tuo- gli rispose Tharidl avvicinandosi.
L’assassino rimase immobile. –Siete stato voi ad affidarmi questo peso, che giorno dopo giorno durante il suo coma ho sentito morirmi dentro! Dire che sono stufo è dire poco! Vi chiedo solo di darmi delle risposte, nient’altro…- enunciò.
Il vecchio tacque, pensieroso. –Per ora ti basti sapere che volevo darle la possibilità di saldare i debiti di Corrado. In fondo, ho pensato che il suo odio per quell’uomo l’avrebbe aiutata in combattimento, e per una gran parte dello scontro è andata come speravo… Nessuno avrebbe potuto prevedere quello che accadde dopo, tanto meno io, che dall’alto delle mura non mi sono accorto assolutamente di nulla. Se ti stai chiedendo se rimpiango le mie scelte, ebbene sì. Elena è importante non solo per gli interessi della confraternita…- le sue parole si persero nell’aria della sala.
L’Angelo si voltò. -Ho ripetuto a quella ragazza che il rancore non è alleato in combattimento. Ho insegnato ad Elena a mantenere il controllo sulle sue escandescenza, e lei ha rispettato i miei ammaestramenti. Non avrebbe mai assecondato la sua rabbia, mai…è tutto- disse avviandosi.
-Non ti accuso di questo, anzi te ne sono riconoscente, ma non abbiamo finito- proruppe Tharidl sedendosi sullo sgabello.
Altair si girò, lentamente, confuso. –Sarebbe?- domandò sorpreso.
-A differenza di come credevi, non ho intenzione di lasciare a Corrado il Potere di Dio senza neppure lottare per riaverlo. Altair, voglio che sia tu ad occuparti di Monferrato e della sua vita. Deve pagare per aver violato il confine della nostra città, di averci strappato le vite di molti dei nostri fratelli. Ne sei disposto?- Tharidl alzò un sopracciglio e cominciò a scrivere su una pergamena.
Altair annuì convinto, tornando di fronte alla scrivania. –Come rifiutare…- borbottò tra sé.
-Ottimo-.
-E la ragazza?-.
Tharidl rise. –Aspettavo con ansia questa domanda…- portò la piuma nell’inchiostro.
Altair trattenne il sussulto. –è rischioso, non riuscirebbe a…-.
Il vecchio poggiò il pennino e si mise a braccia conserte. –Vogliamo cominciare da capo?- disse guardandolo serio.
Altair emise un gran sospiro. –No- concluse.
-Ebbene, voglio che cominci le prime nozioni con la spada corta e i pugnali da lancio non appena si sveglia. Quando avrà appreso le tecniche base, sarete pronti a partire per Acri. Il resto lo apprenderà sul campo…- Tharidl riprese a trascrivere.
L’assassino si strinse le cinghie del guanto. –E…- provò a dire, ma il vecchio lo interruppe.
-A tempo debito il rafik verrà informato, ed Elena farà ritorno per l’evenienza. Ti raggiungerà una settimana più tardi, durante la quale voglio che sia tutto pronto per l’assassinio- proferì.
-Una settimana non le basterà per riprendersi, se la conosco bene…- commentò Altair sorridendo malizioso.
Il Maestro alzò lo sguardo. –Nessuno qui la conosce abbastanza, Altair. Tanto meno tu, che con lei sembri avere un rapporto anche troppo poco aperto. Sei il suo Maestro, invece di ridurti ad insegnarle nel metodo più rigido che abbia mai visto, parlale, consigliale; non mi sembra di chiedere molto…- borbottò il vecchio.
Altair s’insospettì. –Sapete qualcosa che io non so?- domandò.
-Sì, molte cose; ora ricevi il tuo congedo-.
Altair alzò le spalle. –Maestro- salutò inchinandosi, poi lasciò la sala.

-Ma che ti è preso?- gli chiese Fredrik quando Rhami finì con la schiena a terra.
L’assassino gli porse la mano, e Rhami l’afferrò saldamente.
Fredrik lo tirò su di colpo, e Rhami per poco non scivolò di nuovo. –Scusa- disse guardando in alto, dove i colombi si appollaiavano sul tetto.
-Sei distante- commentò Adel seduto sullo steccato dell’arena. –C’è qualcosa che ti turba, fratello?-.
Rhami si abbassò il cappuccio, scosse la testa e i capelli tornarono scompigliati come gli piacevano tanto. –Sul serio, io…- borbottò a bassa voce.
Fredrik rinfoderò la spada. –è per la ragazza, non è così?- sorrise.
Adel si schiarì la voce, e Rhami gli lanciò un’occhiataccia. –Sì, sono solo… preoccupato- sbottò fissando storto Adel.
-Si riprenderà, ormai tutti lo sanno. Adha si è occupata delle sue cure personalmente, non vi è da temere- gli disse Fredrik.
Rhami si voltò a scrutare la torre della fortezza, raggiungendo con gli occhi azzurri le finestre dell’infermeria. –Sì, forse avete ragione…-.
-Forse?- Adel scese dalla staccionata e venne verso di lui. –Respira, è viva! Non devi essere in pena-.
Fredrik aggrottò la fronte. –Potresti andare da lei, più tardi- consigliò rivolgendosi a Rhami.
Adel scoppiò in una risata. –Non ci pensare neppure!- disse piegandosi dalle risate. –Quelle stanze sono vietate a tutti tranne Adha e Marhim- confessò.
Rhami gli volse uno sguardo sconvolto. – Elena si trova nell’infermeria ora, ma…Marhim?! Perché? Com’è possibile, quando l’hai visto? Quando è successo? - gli si avvicinò, e Adel fece un passo indietro.
-Non ne sono certo, ma ho ascoltato una delle damigelle di Adha, l’altra sera nella mensa. Ha detto di aver visto Marhim dormire con lei. Nient’altro…-.
-Dormiva con lei?- si aggiunse Fredrik, altrettanto sorpreso. –Questa, poi…- sospirò.
Rhami rinfoderò la lama, abbassando lo sguardo. –Assurdo, non ci credo. Quel novizio, lui…- digrignò.
Fredrik gli cinse le spalle. –Sta’ calmo, va bene? Sono solo voci, per di più da una donna pettegola come Luisa - lo consolò.
Rhami si divincolò e lasciò la recinzione. –Continuate senza di me- disse e si avviò dentro la fortezza.
-Stolto! Altair sarà qui a breve! Dobbiamo riprendere l’allenamento! Rhami!- tentò di fermarlo Adel.
Fredrik si mise in posizione sfoderando la lama corta. –Lascialo andare, magari gli farà bene…- disse. –Forza, sta’ pronto!- Fredrik si avventò sull’assassino, ma Adel schivò con facilità di lato.
Rhami attraversò la sala del Maestro, ma vide Altair venire verso di lui, diretto fuori dalla stanza.
-Mastro Altair- Rhami s’inchinò proseguendo oltre.
Altair lo bloccò afferrandolo per il cappuccio, e Rhami tornò indietro.
-Dove vaghi, ragazzo?- gli domandò accigliato.
-Vago, dove vago?…- parlottò. –Ero diretto nella mia stanza- Rhami si sfilò alcuni pugnali da lancio senza che Altair se n’accorgesse. –Avevo intenzione di allenarmi con i lanci, ma ho dimenticato di prendere i coltellini!- rise voltandosi, mostrando i foderi vuoti.
Altair annuì poco convinto. –Poco male, fa’ in fretta- passò oltre e raggiunse Fredrik e Adel nel campo.
Rhami salì le scale che seguivano le pareti della torre, e si fermò solo all’altezza del quarto piano. Le porte dell’infermeria erano chiuse, ma Rhami scansò un battente lentamente.
Delle voci venivano da dentro.
-Passerà anche questa notte, ma non posso fare nulla per i lividi. Non mi sorprenderei se aprisse gli occhi, ma stesse ancora dormendo. Quel colpo alla testa non ci voleva…- dichiarò Adha.
Rhami si affacciò ancora, entrando del tutto.
Assieme ad Adha, ai piedi del letto di Elena c’era anche Marhim. I due gli davano le spalle, così Rhami poté muovere alcuni passi verso di loro senza essere visto.
-Quanto tempo, fino ad allora?- domandò Marhim guardando la donna.
Adha si pulì le mani su uno straccio che aveva in grembo. –Uno, due giorni, se tutto va bene…- sospirò grave.
-Solo un’ultima cosa- fece Marhim prima che Adha si voltasse.
Rhami si nascose nell’ombra di un armadio abbastanza spesso da coprirlo.
La donna attese.
Marhim esitò qualche istante, indugiando con gli occhi su di Elena, dormiente. –Sta soffrendo?- le chiese.
Adha tornò dov’era, affianco al ragazzo e gli poggiò una mano sulla spalla. –Sì, e più di quello che possiamo immaginare. Se non il veleno, allora sono i fatti a tormentarle il sonno-.
Detto quello, Adha lasciò la stanza spedita.
Rhami emerse dall’ombra e si avvicinò a Marhim, ancora volto dall’altra parte.
Marhim si girò, trovandosi Rhami a pochi centimetri.
Rhami teneva uno sguardo serio, quasi collerico e Marhim indietreggiò. –C’è qualcosa che non va?-
Gli occhi di Rhami mandarono un celere barlume, e l’altro assassino capì al volo. –va bene, non c’è bisogno di essere aggressivi- disse allontanandosi verso l’uscita.
Marhim si lasciò la porta aperta alle spalle e scese le scale quasi correndo.
L’Angelo si avvicinò alla ragazza.
Elena aveva il volto girato di profilo, i capelli raccolti in una treccia che si era offerta di farle Lily quella stessa mattina. Sembrava dormire tranquillamente, ma il suo petto si alzava e si abbassava con irregolarità.
Una fasciatura candida le avvolgeva le tempie, premendo sul punto in cui Elena aveva battuto la testa sulla roccia, quella notte. Le braccia lungo i fianchi, i pugni chiusi.
Il viso contratto in un espressione sofferente, che neppure stesse ancora lottando sotto la pioggia. Rhami si sedette sul bordo del letto, continuando a fissarla, sperando che si svegliasse in quell’istante. Chissà quali sogni, quali incubi straziavano la sua mente mentre era incosciente di quello che accadeva dalla parte del mondo reale. Lo scontro le aveva lasciato lividi ovunque sulle parti scoperte del corpo: braccia, collo… macchie bluastre che Rhami non aveva mai visto. In fine, notò un paio di occhiaie profonde, che sicuramente erano dovute al liquido che le scorreva nelle vene e che Adha aveva fatto il possibile per eliminare. –Dannato…- sottinse.
Gli occhi di lui indugiarono non solo sul volto di lei, ma nonostante l’interesse, Rhami si alzò tornando dritto.
Rimase di stucco quando notò che la mano di Elena si era aperta, e il suo bel palmo bianco era rivolto verso l’alto.
La tentazione di accarezzare quella pelle così candida era troppo forte, e Rhami le sfiorò le dita con le sue.
Appena ci fu il contatto, il pugno di Elena tornò a chiudersi minaccioso.
Rhami lasciò l’infermeria, scacciando le stupidaggini che gli erano passate per la mente.

Il caldo diventava sempre più insopportabile, e su di lei raggiava una luce accecante. Il tutto accompagnato da dei suoni familiari: voci lontane, clangori metallici, ali che sbattevano, vento che alzava la polvere.
Elena si riebbe lentamente, riacquistando coscienza delle mille parti che componevano il suo corpo stanco, adagiato su un materasso comodo e morbido. Le lenzuola le scivolarono dalle gambe spazzate via da una folata improvvisa, e le venne la pelle d’oca.
Un brivido le attraversò la schiena, ed Elena si tirò su col busto di colpo.
Aprì gli occhi, e impiegò diversi secondi ad abituarsi al chiarore intenso di quel luogo.
Dalle finestre entrava la luce del buon giorno, assieme al frastuono cittadino.
Stormi di colombi svolazzavano da parte a parte della fortezza, ed Elena ascoltò anche i gemiti e le voci degli assassini che si allenavano nel cortile interno.
Inspirò a pieni polmoni l’aria mattutina e assaggiò con lo sguardo il cielo azzurro che si stagliava per leghe e leghe all’orizzonte.
Le intemperie avevano abbandonato Masyaf, e si erano spostate altrove, laddove Corrado avrebbe custodito il Frutto dell’Eden.
Elena si guardò attorno, e riconobbe il largo corridoio qual era quello dell’infermeria.
La sala era vuota di gente, eppure, si disse la ragazza, dopo l’attacco molti erano rimasti feriti. Si passò le mani tra i capelli, e li spostò di lato, sulla sua spalla.
Fece per alzarsi, ma mosso appena un muscolo, le porte infondo alla sala si socchiusero.
Elena tornò giù con la schiena, chiuse gli occhi.
I passi venivano verso di lei, e si arrestarono al fianco del letto.
-So che sei sveglia- sorride Marhim, guardandola.
Elena non riuscì a trattenere una risata, anche se avrebbe voluto che il suo scherzetto durasse ancora un po’.
Si alzò d’un tratto e, con grande sorpresa di Marhim, Elena si lanciò ad abbracciarlo.
Marhim la strinse per i fianchi. –Sono contento di vederti così allegra!- confessò.
Elena non riuscì a fermare le risate, che si mescolarono a lacrime di gioia. –Altrettanto…- mormorò commossa.

Chissà quanto tempo era passato, si chiese la ragazza camminando a fianco del suo amico.
Marhim la stava accompagnando alla sala mensa, affinché recuperasse del tutto fermezza sulle gambe ed energie.
Nel tragitto incontrarono assassini e saggi, che però non le rivolsero alcuno sguardo intimidatorio, rabbioso o chissà che cosa come lei si aspettava. La cosa la infastidiva ancora di più, mettendola a disagio.
Marhim le servì la colazione sorridente, e rimase accanto a lei durante tutto il pasto.
La sala mensa era vuota, in un angolo c’era una donna che spazzava silenziosamente il pavimento, ma che preferiva farsi i fatti suoi.
Marhim era seduto vicino a lei, che timidamente saggiava cucchiaio dopo cucchiaio di quella roba orribile, ma per la fame non avrebbe lasciato un cereale uno.
Il ragazzo la fissava, senza aprire bocca.
Elena finì alla svelta, sapeva che c’erano molte cose da fare e da recuperare, e non avrebbe sopportato l’idea di non tornare a rimediare ai suoi sbagli.
-Hai ancora fame?- le chiese.
Elena scostò la scodella. –Fame di vendetta- pronunciò.
Marhim rise. –Avanti, qui tutti hanno superato quello che è successo, dovresti fare altrettanto- le disse.
Elena, sbigottita, si voltò. –Non capisco! Come è possibile che tutti abbiano già dimenticato? Quello che ho fatto è stato imperdonabile… ho perso, vi ho deluso…- una nuova espressione afflitta si disegnò sul suo volto.
Marhim le venne più vicino. –Veramente, devi sapere che non è stata affatto colpa tua se hai perso quello scontro-.
Elena alzò gli occhi azzurri e li puntò in quelli di Marhim, che continuava a sorriderle, sapendo che le sue prossima parole avrebbero portato pace nell’animo di Elena.
-Avanti, ti ascolto- sbottò la ragazza incrociando le braccia sul tavolo.
Lui no attese altro. –Quando i nostri medici ti hanno visitata, hanno trovato un ago- disse d’un fiato.
Elena si riscosse. –Veleno?- balbettò incredula.
Marhim annuì grave. –Era un veleno che aumentava in te il senso del dolore, un erba che viene da terre lontane, che non si trova facilmente. I suoi effetti sono l’ampliamento dei sensi percettivi, e posso scommettere che dal momento in cui l’ago ti ha passato la schiena, hai cominciato a sentire dolore anche dalla pioggia che cadeva su di te- si fece triste.
Elena, sbigottita, non poté crederci.
Quale essere senza onore avrebbe architettato una cosa simile? Quale? Se un giorno lei e Corrado si fossero rivisti, giorno in cui qualcuno l’avrebbe incaricata di ucciderlo, avrebbe chiesto il nome di colui che quella notte piovosa l’aveva avvelenata. Quell’uomo sarebbe morto subito dopo Corrado.
-Elena, ascoltami- Marhim schioccò le dita, e la ragazza tornò in se, assumendo un’espressione meno corrotta dalla rabbia.
Marhim curvò le spalle. –Quello che più ci preme, in questo momento, è il fatto che chi ti avvelenato è ancora qui nella fortezza. Era uno di noi, Elena- sottinse.
Elena scattò in piedi, ma Marhim la prese per il polso facendola sedere di nuovo.
-Calma, il Maestro se ne sta già occupando- aggiunse. –Nella fortezza svolazza libera una spia, ma nessuno ci da il permesso di aggredire nessuno, tutto chiaro?- le chiese.
Elena mormorò un lieve sì, pensando che, chiunque fosse, l’avrebbe pagata!
-Lascia, faccio io- Marhim prese il piatto e lo riportò in cucina, lasciando sola la ragazza nella sala mensa.
Elena si guardò attorno, stava con i propri pensieri, ma d’un tratto, dall’ombra comparve una figura bianca e familiare.
Rhami fece qualche passo verso di lei, ed Elena si alzò sorridendo.
-Allora le voci sono vere- fece Rhami proferendo un leggero inchino col capo.
Aveva il cappuccio alzato a celargli il volto, ma gli occhi di ghiaccio erano i diamanti del solito sguardo da lupo.
Elena si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. –Sì, sono viva, così pare- bisbigliò timida.
Da quando Elena gli era saltata addosso durante l’allenamento comune, non aveva più il controllo sulle sue guance nel vedere Rhami così vicino.
Era scattato qualcosa, una molla che aveva innescato un meccanismo arrugginito: ora Rhami le appariva con colori e sfumature differenti. Da una parte sentiva di temerlo, ma dall’altra di esserne attratta. Poteva una persona essere il tuo peggior amico o il tuo miglior nemico? Si chiese.
Rhami si limitò a sorridere. –Come ti senti?- le chiese affettuoso.
Elena tornò a sedersi di fianco, e Rhami gli si accomodò di fronte. –Molto meglio, grazie-.
Rhami si scompigliò i capelli. –Ho saputo di quello che è davvero successo- disse, ed Elena sapeva si stesse riferendo all’ago, al veleno e alla spia.
-Ti ricordi di quando ci siamo visti la prima volta?- le chiese allungandosi verso di lei.
Elena ci pensò poco, perché ricordava ogni dettaglio. – Jarhéd – ipotizzò.
Rhami annuì, convinto e sorridente. –Non ho alcun dubbio, e questa volta non lascerò correre le cose. Non voglio che quello lì ti faccia ancora del male, ma più di qualunque altra cosa, deve pagarla cara- strinse i pugni sul tavolo.
Elena rimase in silenzio, non sapendo come intervenire.
Rhami la guardò di nuovo, ma trattenne il furore. –Insomma, ci sono stato male sapendo della spia, certo… ma mi sembra così ovvio che sia lui!- gridò.
Elena sobbalzò. –Puoi- balbettò.
-Scusa- sottinse lui. –So che stai passando un brutto momento, e che i tuoi incubi ancora ti assillano, quindi scusa se ho urlato, e…-.
La ragazza scosse la testa. –No, mi chiedevo se potevi raccontarmi cos’era successo nella vostra missione, quella volta. Tutto quanto, forse posso aiutarti…- bisbigliò con un filo di voce.
Rhami le venne ancora più vicino. –Ecco, eravamo a Damasco per occuparci di un generale di poco conto. Se quell’uomo fosse ancora vivo, oggi molte delle truppe di Saladino sarebbero stese sul campo di battaglia. Era un vero pezzente, da quanto risultato dalle indagini di Garik. Invece di pensare ai suoi soldati, a strategie decenti o meglio, seguire alla lettera i comandi di Saladino, se la spassava. Il potere, come si dice, gli aveva dato alla testa. Insomma, il succo è che Jarhéd doveva occuparsi delle sentinelle, io dell’assassinio e Garik delle indagini. Il poveretto è senza una gamba, l’hai visto anche tu, ma ti posso giurare che…-.
Elena non era d’accordo. –Ma scusa- disse guardandolo. –Se Jarhéd ha mandato in rovina la missione per conto di Saladino, cosa c’entra con Corrado?-.
Rhami ci rifletté. –Hai ragione, non ci avevo pensato. Comunque la missione non andò a rotoli. Riuscii a togliere la vita a quel bastardo, ma qualcuno allertò le guardie prima del dovuto. Scappammo dalla città, ma i soldati ci seguirono anche oltre le mura fino ai primi appostamenti degli arcieri nel Regno. A quel punto ci hanno sorpresi ad un posto di blocco. Il resto lo conosci…-.
Elena lo guardò avvilita, e Rhami abbassò lo sguardo, ripensando forse ai giorni di dolore cui però doveva essere abituato. –Ti hanno ferito? Dove?- chiese la ragazza.
Rhami si mise di profilo, indicando una lunga cicatrice bianca che correva dalla tempia al mento. –Una spada- disse, poi si tolse il guanto e arrotolò la manica della veste fino alla spalla.
Ad Elena le luccicarono gli occhi.
I muscoli erano scolpiti sulla pelle scura come in una statua di marmo. Sodi e brillanti anche al chiarore tenue della sala mensa.
Rhami le mostrò un foro che andava ad attraversargli l’avambraccio da parte a parte. –Una freccia. La punta è rimasta dentro una settimana, debbo ad Adha la vita. Sono così contento che sia tornata- fece afflitto. –O molti assassini non sarebbero qui- aggiunse.
Prima che Rhami potesse coprirsi il braccio, Elena allungò una mano e gli accarezzò la cicatrice rosata che aveva un buffa forma tonda.
Rhami la osservò divertito.
Scottava come se avesse la febbre. Elena si disse che l’assassino passava gran parte della giornata sotto il sole, cui calore passava attraverso il tessuto della veste. Era un bollore piacevole al tatto, e la ragazza non riuscì a staccarsene, sfiorando non solo lo sfregio, ma anche il resto del braccio, fino al polso.
Elena si riscosse, scansandosi. –Scusa- balbettò.
-Figurati, anche io vado fiero del fatto che non ci serve una stufa, nella camera- rise lui svolgendo la manica. Si legò con cura i lacci del guanto.
-Adha- cominciò Elena. –Non è sempre stata qui?- domandò ammirando come l’assassino stringeva le cinghie.
-No- rispose. –Non si sa molto di lei, ma è certo che lei ed Altair si conoscevano già da molto. Poi, chissà perché, Adha ha lasciato questo regno per un altro. È ricomparsa da qualche mese, poco dopo la morte di Al Mualim. C’è chi dice che sia stata in Italia, altri suppongono che abbia una famiglia in Inghilterra, o persino in Francia. Ecco tutto- Rhami tornò a guardarla.
Rimasero in silenzio a fissarsi negli occhi, che entrambi avevano di un azzurro innaturale, contemplandosi a vicenda.
All’improvviso, le porte della cucina sbatterono, e Marhim li raggiunse.
Elena si scostò con violenza alzandosi, e Rhami, dopo di lei si sollevò lentamente.
I due assassini si scambiarono un’occhiata buffa, che ad Elena fece ridere.
Marhim aggrottò la fronte. –Come mai sei qui?- interrogò il compagno.
Rhami gonfiò il petto. –Per lo stesso motivo per cui ci sei tu-.
A quelle parole Marhim strinse i denti. –Sarebbe?-.
Rhami e Marhim erano molto differenti tra loro, e quelle differenze li rendevano entrambi belli e affascinante, pensò Elena arrossendo.
Rhami aveva l’aspetto di un vero e proprio Angelo della Morte: la veste lunga e bianca, i coltelli da lancio sulla cintura e negli stivali. Una spada corta, e una lama nel fodero sicuramente più professionale di quella che portava Marhim.
Marhim aveva l’aspetto di uno dei tanti soldati di Masyaf, eppure si ostinava a farsi chiamare assassino. Di rango basso, Marhim era vestito con una tunica bianca fino alle ginocchia dal cappuccio grigio, esattamente come Elena quella mattina.
Ora che ci rifletteva, chissà che fine avevano fatto le sue vesti da assassina…
-Insomma- disse la ragazza facendo un passo indietro. –Io… io vado- balbettò andando verso l’uscita della sala.
Rhami e Marhim la guardarono sorpresi, poi quest’ultimo si apprestò a seguirla.
-Elena, aspetta!- le disse prendendola per la mano.
Elena si voltò divincolandosi. –Scusa, ma ora devo davvero andare- erano sulle scale, e la ragazza puntava al piano terra. –Ci vediamo più tardi, ciao- si avviò.
Marhim la seguì con lo sguardo, fin quando Elena non scomparve in uno dei corridoi.
-Non è andata come speravi- Rhami gli cinse una spalla. –Eh?- sorrise malizioso.
-Lasciami stare- sbottò il ragazzo.
Rhami alzò le spalle e si calò il cappuccio sul volto. –Quello che fai è rischioso, credi che non abbia capito?- lo rimproverò.
Marhim guardò altrove. –Fatti i fatti tuoi!- digrignò.
-E se…- Rhami si mise a braccia conserte. –E se entrassi in competizione?- tenne quel sorriso maligno.
Marhim sobbalzò. –Non so di cosa parli- disse serio, ma Rhami si allontanò ridendo.

-Maestro- Elena s’inchinò.
Tharidl si alzò dalla scrivania e le venne incontro. –Elena! Stai bene, grazie al cielo. Non ero stato avvertito del tuo risveglio, non sai che gioia- le pizzicò la guancia affezionato.
Elena arrossì, ma non disse nulla.
Tharidl la prese sotto braccio accompagnandola accanto alle vetrate. –Speravo che venissi da me, Elena. Ci sono tante cose di cui vorrei parlarti-.
Elena si staccò da lui e poggiò il palmo sul vetro della finestra. –Veramente, vorrei prima chiedervi una cosa, se posso…- mormorò.
Il vecchio annuì, restando dritto e fiero. –Dimmi pure-.
Elena si voltò a guardarlo. –Maestro, quando mi diceste la verità su questo luogo, quando mi parlaste di mia madre e di mio padre, accennaste che mio fratello, quando era in fasce, portava questa collana- Elena strinse il ciondolo con forza. –Tuttora sono turbata. Se voi sapevate che costui, quando Kalel lo lasciò a voi, era figlio di mio padre, dunque la vostra memoria nel tempo non si dev’essere affievolita così da dimenticare il suo volto e da poterlo riconoscere oggi, adulto, tra tutti questi assassini. Maestro, voi sapete chi è e pretendo di sapere se è ancora qui, vivo…- Elena si sentì gli occhi inumidirsi. –Vi prego-.
Tharidl si girò verso l’interno della sala. –Elena, quello che vai dicendo è vero. So chi è e so chi e cosa è diventato- proferì grave. –Nonostante tu ti senta sola, e in difficoltà, non sono tenuto a rivelarti quel nome. Ti basti sapere che è vivo, è vicino e lontano allo stesso tempo. Il suo corpo vaga per la fortezza, ma la sua anima accompagna giorno dopo giorno i volti degli uomini che ha ucciso all’infermo. Cammina nell’aria, si assenta nel momento del bisogno, ma sa risorgere dalle ombre quando sa che sei in difficoltà. Elena, non rimuginare che sia un pazzo se tengo al sicuro questo segreto, piuttosto cerca di capirmi. Questo ragazzo, ormai uomo, non sa della tua esistenza come tu fin ora non sapevi della sua. Voglio che le cose restino come sono, quiete senza ulteriore discordia tra i miei discepoli. La pace ci ha accompagnati nel cuore e nello spirito per molti anni, e non per essere pignolo, ma essa è andata a spegnersi il giorno in cui hai fatto la tua comparsa- concluse.
Elena era sbigottita. –Mi state accusando dei mali che sono accaduti negli ultimi giorni? È causa mia? Giusto nel momento in cui mi stavo convincendo del contrario, voi venite a darmi la causa di tutto?- pianse.
-Non fraintendere le mie parole-.
-Allora spiegatevi meglio!-.
Tharidl sospirò. –Ti offro l’occasione di redimerti, perché sono certo che in te si sta combattendo ancora una dura battaglia, Elena. Altair ti addestrerà alle ultime nozioni con i pugnali e la spada corta, affinché tu sia pronta al meglio a scontrarti con le guardi che ti attendono ad Acri-.
-Acri?- mormorò confusa.
Tharidl assentì. –Ora non preoccuparti, fa’ ciò che ti viene ordinato di fare- tornò alle vetrate, accanto a lei e liberò una colomba dalla gabbietta.
Il piccione si levò in cielo, portando stretto alla zampetta il messaggio.
Elena osservò l’uccello fin quando non fu troppo distante, ma voltandosi notò che Tharidl era scomparso.
Elena si avviò sulle scale, e ad un tratto si trovò di fronte al suo Maestro.
Altair nascose lo stupore di vederla in piedi e fece un passo indietro. –Elena- disse solo.
La ragazza si strinse nelle spalle. –Sì, pare di sì…- sottinse.
-Hai già parlato con il Maestro?- le chiese.
-Sì, e sono pronta per cominciare-.
Altair annuì e le fece strada fino al cortile.
Halef e Fredrik si fecero da parte, uscendo dall’arena ed Elena entrò.
-Come sicuramente non sai, la spada corta preferisco che venga usata in situazioni di estremo bisogno. È facile da utilizzare, ma anche poco conveniente- le disse l’assassino sfoderando la piccola lama.
-Il suo taglio è tozzo, fatale, certo, ma anche poco preciso. Con questo genere di lame bisogna acquistare la massima precisione in ogni affondo, o potresti non ottenere l’effetto desiderato. Al contrario, con un colpo ben assestato il tuo avversario non avrà sangue sufficiente nelle vene per tornare a combattere- rise.
Elena ci trovava ben poco da ridere.
Altair le venne vicino e gliela porse. –Quando partiremo ti consegnerò la tua, ma per ora ti presterò questa. Allora, il pugno stretto qui, il pollice più aperto, e la lama deve seguire il fianco del polso, tutto chiaro?- Altair le sistemò le dita sull’impugnatura, ed Elena strinse la presa.
L’assassino si allontanò ed estrasse la spada standar dal fodero. – Sarebbe sciocco insegnarti a contrastare un’altra lama corta, per tanto cercherò di essere modesto, ma tu non mollare, qualunque cosa accada- le suggerì.
La ragazza annuì poco convinta.
Altair fece un balzo avanti e la disarmò con un solo attacco.
La piccola lama volò in aria e si conficcò nella terra fuori dal recinto.
Elena rise portandosi una mano alla bocca.
-Sapevo che sarebbe successo…- sbuffò l’assassino.
Halef raccolse l’arma dal suolo e la porse ad Elena.
-Grazie- fece lei, e il fratello di Marhim tornò all'esterno del campo.
-Allora il concetto non ti è chiaro- sbottò Altair tornando di fronte a lei. –Avanti, tieni il pugno stretto! So che è difficile, ma non abbiamo molto tempo-.
Elena fece aderire meglio la lama al suo polso, e notò che il taglio seguiva la forma del suo braccio fungendo come da protezione ad esso.
Con il gomito così esposto, si disse la ragazza, una guardia ne avrebbe approfittato. Inoltre, anche il suo fianco destro era molto scoperto agli attacchi avversari.
Provò a spostare la lama in diverse pose, e sorrise nel vedere che con movimenti fluidi e regolari poteva contrastare qualunque affondo.
-Ottimo, è proprio quello che stavo per dirti…- Altair la contemplò in silenzio mentre Elena fendeva l’aria e schivava il suo nemico immaginario, simulando tutti i possibili contrasti.
Dopo poco, la ragazza si fermò, accorgendosi che tutti gli occhi del cortile erano puntati su di lei. Arrossì anomala e abbassò la guardia.
-Magari- suggerì l’assassino suo Maestro. –Se cominciassimo l’allenamento come si deve- rise.
Elena gli si avvicinò, e Altair iniziò con i primi affondi.
Il suo Maestro concatenava attacchi differenti tra loro mettendo alla prova i suoi riflessi, di fatti durante lo scontro, le diceva che con nessun altra arma nell’armamentario di un assassino bisognava dimostrare intuito e scioltezza.
Per il primo quarto d’ora Elena si limitò a parare, ad allenare la resistenza delle gambe e delle braccia. Ad un tratto, non riuscendo a deviare l’attacco dell’assassino, Elena si vide costretta ad abbassarsi e a rotolare di lato, finendo con la schiena sulla staccionata. –Ahio…- borbottò.
La lama corta scivolò finendo ai piedi dell’Angelo.
-Va bene, per ora può bastare. È tempo di passare all’attacco, e sono sicuro che gradirai oltremodo- Altair le porse una mano e l’aiutò a tirarsi su.
Elena recuperò l’arma e tornò in posizione.
Attaccare le venne più semplice. Come con la spada lunga, Elena tenne il piede sinistro avanti, ma passare attraverso la difesa del suo maestro sarebbe stata sempre un’impresa impossibile.
Altair faceva scivolare le due lame l’una sull’altra tutte le volte che lei provava un affondo, e quella era la tecnica base che aveva appreso durante i suoi primi allenamenti.

Il sole andava a nascondersi oltre la valle. Il cielo si tinse di tutte le più stupefacenti combinazioni di colori, fino a diventare un uniforme massa scura punteggiata di pallini luminescenti.
-Non ci siamo- le disse Altair.
Il pugnale da lancio era finito addosso alla parete, oltre il manichino di paglia.
Elena curvò le spalle afflitta. –Non riesco, sono negata-.
-Invece no- Altair le porse un altro coltello, ed Elena lo strinse tra le dita. –Da quanto ho saputo, Alice eccelleva in queste arti di omicidio- disse.
Il suo maestro era appoggiato al manichino vicino. –Forza, prova ancora e piega di più le ginocchia. Serve lo slancio, non solo di polso come credono molti- le propose.
Elena annuì e prese un respiro profondo.
I bracieri nel cortile erano accesi, le pattuglie vagavano sullo stesso tracciato e le sentinelle, dall’alto delle mura, scrutavano oltre le ombre della notte.
Elena si portò la mano che stringeva il pugnale al fianco sinistro e, dopo aver piegato impercettibilmente le gambe, lo scagliò nuovamente addosso alla pietra.
-Visto?!- si voltò isterica verso l’assassino.
Altair alzò il mento. –Ancora- sbottò serio estraendo un nuovo coltellino dallo stivale.
Elena provò di nuovo una decina di volte, finché il suo maestro non terminò l’equipaggiamento.
-Forza, va’ a prenderli- le disse indicando i quindici pugnali buttati a terra alle spalle del manichino.
Elena, sbuffando, s’incamminò.
La distanza dal punto di lancio al manichino erano almeno dieci metri! Come poteva solo sfiorarlo? Durante le ore precedenti Altair le aveva impartito le nozioni basilari su come scagliarlo, ed Elena poteva vedere i coltellini roteare verso il suo avversario di paglia accompagnati da un lieve fruscio.
Si chinò a raccogliere i pugnali uno ad uno, raggruppandoli nella mano sinistra.
Fredrik si avvicinò ad Altair. –Come proceder?- gli chiese indicando con un cenno del capo la ragazza.
-Bene, per essere il primo giorno. Credo che ti toccherà prestarle il cavallo prima di quanto immagini- rise l’assassino.
Fredrik rimase serio. –Intendevo… credi che sia pronta?- gli occhi verdi balenarono sotto il buio del cappuccio.
Altair incrociò le braccia. –Sinceramente no, ma chi sono per battere contro la parola del Maestro- borbottò seccato.
-Se mandasse tutto in fumo? Non puoi rischiare di perdere la vita in missione solo per tornare indietro a rimediare ai suoi danni, Altair. È questo che devi sbattere in faccia al Maestro, e forse quel vecchio saprà guardare la verità con altri occhi- gli disse Fredrik.
-Ho provato, ma sostiene che Elena possa essermi utile. Non so dove impiegarla… potrebbe cavarsela con gli interrogatori, in un modo o nell’altro…- pensò ad alta voce Altair.
L’altro scosse la testa. –D’altro canto, non lascerete la città prima di una settimana massimo, quindi hai tutto il tempo per darle qualche nozione anche su questo- proferì.
I due assassini rimasero in silenzio a guardarla, mentre Elena contava che mancava un coltellino ai quindici che aveva scagliato.
La ragazza cominciò a dimenarsi per trovarlo.
A quella vista Altair si lasciò sfuggire un sorriso diverso dal solito. –è così giovane…- mormorò.
-Lo era anche sua madre, eppure non mi sembra così indietro- commentò Fredrik.
-Lo so- fece Altair staccandosi dal manichino.
-Se avesse cominciato prima, credi che la situazione sarebbe diversa?- gli domandò.
Altair non sapeva cosa rispondere, e si limitò a sospirare.
-Comunque- proseguì Fredrik. –Adha ti cercava. Non so per quale ragione, ma ha detto di dirti che ti aspettava nella biblioteca-.
Altair lanciò un’ultima occhiata alla ragazza, ancora intenta nella ricerca.
Estrasse il quindicesimo pugnale dalla cintura e, con grande sorpresa di Elena che si voltò spaurita, lo scagliò contro il manichino, colpendolo in pieno petto. In fine si avviò verso l’ingresso della fortezza.
Elena fece un passo verso il manichino, e osservò il pugnale perfettamente piantato nella paglia in posizione verticale. Meravigliata, lo estrasse e lo girò tra le mani.
Il manico di quel coltellino era differente dagli altri. Intarsiato in un metallo bianco, forse argento, terminava con tre piume. Sfaccettature e decorazioni si snodavano nel punto in cui la lama era incastrata nell’impugnatura.
Lo aggiunse agli altri e si diresse verso il punto di lancio, ma si accorse che il suo maestro si era volatilizzato.
-Non preoccuparti, tornerà tra poco- le disse Fredrik che la fissava.
Elena si nascose meglio sotto il cappuccio, e si avvicinò al secondo manichino lì affianco. Conficcò i pugnali uno per uno nel petto di paglia, tenendone in mano uno alla volta.
Si mise in posizione, e decise che nell’attesa si sarebbe avvantaggiata per conto suo.
Il primo lancio non andò come avrebbe dovuto, e si apprestò ad afferrare un altro coltello.
Anche questo fallì, ed Elena si sentiva osservata dallo sguardo dell’assassini alle sue spalle.
Fredrik si scoprì il volto, ed Elena, voltandosi a recuperare un medesimo coltello, notò che aveva i capelli biondi, brillanti. Occhi verdi come l’acqua delle spiagge italiane e un viso giovane che tradiva la sua età, superiore ai venticinque anni. La barba bionda e lasciata crescere non troppo.
Elena si volse, perché Fredrik si era accorto che lo sguardo di lei aveva indugiato troppo.
La ragazza riprese ad allenarsi, concentrandosi esclusivamente sul pugnale nella mano e il manichino di fronte a lei.
-Marhim- Fredrik lo salutò.
Elena, colta alla sprovvista, si fece scivolare il coltello che cadde a terra. –Marhim!- Si voltò.
Marhim le sorrise. – fai progressi!- rise vedendola così impacciata.
Elena si sistemò meglio i capelli nel cappuccio, arrossendo.
Fredrik strinse la spalla di Marhim, poi si allontanò lasciandoli soli.
Marhim le si avvicinò. – E così parti per Acri- le disse venendole affianco.
Elena si chinò a raccogliere la piccola arma. –Sì- mormorò.
-Questo posto sarà vuoto, senza di te- gli scappò di bocca.
Elena gli lanciò un’occhiata interrogativa.
-Intendo- Marhim si passò una mano tra i capelli. –non ci sarà nessuno ad addestrarsi nel cortile. Domani parte anche mio fratello per Alhepo assieme ad Adel e altri. Mi sentirò piuttosto solo- sorrise poco convinto.
Elena incrociò le braccia. –Perché non vai con loro?- gli chiese.
Il ragazzo abbassò lo sguardo. –Non saprei… odio ammetterlo, ma Halef è di qualche grado superiore a me, ed è per questo che nessuno mi ha chiesto se potevo andare con loro. Però non mi sono fatto avanti pensando che saresti rimasta anche tu- confessò.
Elena non riuscì a decifrare il suo volto. Gli occhi di Marhim erano due pozzi castani in cui ci si poteva perdere sul serio, in quel momento. L’assassino teneva le braccia lungo i fianchi, la schiena dritta. Eppure, si disse Elena, c’era qualcosa forse nel suo atteggiamento, nelle sue parole insolite, nel suo tono sicuro ma timido… chissà.
-Mi spiace, ma non posso farci nulla- si limitò a dire lei. –Non sai quanto aspettavo questo momento- aggiunse lei felice.
-Come mai?- Marhim le venne ancora più vicino.
In quel momento fu lei ad abbassare il viso. –Assisterò al meglio il mio maestro affinché Corrado non viva un giorno di più- digrignò.
Marhim allungò una mano e le strinse il braccio. –Che cosa ti avevo detto? Niente ripicca, anzi, vedi di controllare il tuo rancore quando ti troverai faccia a faccia con lui ma Altair dirà che non è il momento-.
Elena era confusa, alzò lo sguardo. –Non sarà il momento?- ripeté. –Che vuol dire?-.
-Sai- cominciò lui avviandosi al manichino porta pugnali. Ne estrasse uno e si posizionò. –Un assassino è vigile sulle proprie emozioni, questo è certo, ma devi sapere che ci viene insegnato, seppur sia rischioso, ad aspettare l’ultimo buon momento per colpire- proferì scagliando il coltellino, che andò a colpire il manichino sul piccolo braccetto tozzo.
Marhim, per nulla soddisfatto e imbarazzato, curvò la schiena. –Ma che diavolo…- borbottò.
Elena cominciò a ridere, e gli andò affianco.
-Vuoi fare una gara?- le chiese lui guardandola dall’alto.
Elena annuì.
Marhim piegava le ginocchia, e anche quando i suoi muscoli si tendevano fino all’ultimo, il suo volto restava tranquillo e sereno.
Elena, al contrario, stringeva i denti come nel sopportare un dolore amaro: quello della sconfitta. Per di più, il buio della notte non aiutava mica!
Finché, per la prima volta durante tutta la partita, un coltellino colpì il manichino nel centro esatto della fronte.
-Grandioso!- fecero all’unisono i due.
-Aspetta- dissero ancora insieme. –L’hai lanciato tu?- si domandarono.
Alle loro spalle sentirono una presenza schiarirsi la voce, e Rhami si fece avanti. –Veramente sono stato io- sbottò orgoglioso.
Marhim lanciò all’assassino un’occhiataccia, mentre Rhami si apprestava a recuperare il suo pugnale.
Elena stette in silenzio quando l’Angelo le venne accanto. – è stato divertente vincere facile- rise sarcastico.
-Nessuno ti ha invitato- ruggì Marhim.
Rhami alzò le spalle e si allontanò tra le ombre. Elena lo seguì con gli occhi, e la cosa parve innervosire Marhim.
-Ma cos’ha di tanto interessante, quello lì?- proruppe Marhim.
Elena tornò a guardare l’amico. –Di cosa parli?-.
-Insomma, è così odioso quando si crede chissà chi!- Marhim sembrava sconvolto.
-Ora sei tu quello che non riesce a controllarsi- le labbra di lei si allungarono in un sorriso.
Marhim prese fiato con calma. – hai ragione, scusa. M’innervosisce- aggiunse.
Elena scoppiò in una risata. –Invece io lo trovo divertente. Anzi, vi trovo entrambi divertenti!-.
Marhim fu consolato solo in parte da quelle parole, perché Elena si stava riferendo anche a Rhami.





Salve gentili ascoltatori.
Qui radio Elika che vi parla, e vi ringrazia per la calorosa partecipazione.
Su questo capitolo non ci sono pesanti chiarimenti da fare, a parte il fatto che Elena lotterà con tutte le sue forze per scoprire chi sia poi suo fratello! Spero che sia stato di vostro gradimento, e ovviamente sono obbligata dal mio buon senso a ringraziare alcuni di voi!

Saphira87: tra la mia e la tua fan fiction c’è una botta e risposta impressionante! Entrambe corriamo come delle matte alla scoperta del prossimo capitolo, che, per quanto mi riguarda, invento sempre sul momento! Spero che la mia storia continui a piacerti nonostante i gravosi errori di grammatica e le parole senza senso che compaiono ogni tanto nel testo. Ti prego, continua a recensire nel modo unico che sai fare solo tu, ma, soprattutto, sbrigati a posare l’11esimo capitolo della tua FIC!!!

Lilyna_93: hai seguito la mia storia fin dall’inizio, ne hai assaporato la scrittura confusionaria e ne hai compreso l’anima! A te un bacio per la pazienza che hai quando su MSN ti anticipo un botto di cose! La coccarda d’oro va ai tuoi consigli sul capitolo “gli angeli degli incubi” che senza il tuo aiuto non sarebbe mai uscito così lungo e appassionante! Oddio, non so che altro dire! Be’, un incoraggiamento per la tua rete internet che ultimamente fa un po’ cilecca, ma spero che continuerai a recensire e a tirarmi su il morale con le frasi del tipo: “AMO LA TUA FAN FICTION”!!!

Angelic Shadow: l’unico maschietto che sta leggendo la mia fiction, un gran simpaticone che sta mettendo su una gran bella avventura su uno dei giochi più incredibili dell’anno! Sono sicura di poter spacciare la voce sulla tua fic, Angelic, così cambi un po’ aria (le mie recensioni stanno diventando monotone XD). Con te non so da dove cominciare: ti sono debitrice per esserti avventurato nella mia scrittura trascurata e i molti punti poco chiara, ma anche per molto altro! Buona fortuna col 7imo capitolo della tua fiction, che io aspetto con ansiaaaaa!!!

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Capitolo 21
*** The, vino e la Mela della Discordia ***


The, vino e la Mela della Discordia












Il salone era avvolto dal buio.
Un pavimento di roccia grigia, un lungo tappeto ricamato che attraversava la sala e giungeva ai piedi di uno studiolo, circondato da scaffali e arazzi.
Fuori l’intemperia più nera, con i suoi lampi di luce e tuoni. La pioggia si abbatteva sulla città costiera, i cavalloni del mare si gettavano sul molo e scuotevano le barche senza pietà. I gabbiani fuggivano, rifugiandosi tra i campanili e sotto le guglie delle chiese, mentre la furia del Signore diroccava con violenza su Acri.
Seduto allo scranno vi era un uomo per metà celato nell’ombra; composto, con le braccia poggiate comode sui braccioli. Una modesta corona d’argento gli ornava i capelli curati e bruni, assieme ad una folta barba e occhi scuri. Il viso di suo padre, qualcuno avrebbe aggiunto.
Sulla scrivania di fronte, dentro un cofanetto tappezzato di velluto rosso, brillava di luce propria una sfera. Era dorata, magnifica, accattivante. Era il Frutto dell’Eden. La Mela della Discordia, la Mano dell’Immenso… quell’oggettino così rozzo, tondo aveva davvero quei poteri di cui Gulielmo gli aveva sempre narrato? Poteva, solo stringendolo nel pugno, controllare le menti di coloro che lo accerchiavano? Ma sarebbe stato in grado, di contenerne gli effetti? I pesi? Le responsabilità? Ma quali responsabilità si sarebbero mosse in un uomo che poteva camminare sull’acqua?! Quali pensieri, se non l’avidità di potere, avrebbero fatto comparsa nella mente di un uomo che poteva volare, dominare sulla vita altrui… No, non avrebbe osato scoprire come quell’oggetto agiva, forse l’avrebbe custodito per sempre nel forte che i suoi avi costruirono così saldo, affinché un giorno tra le sue mura dormisse qualcosa di davvero raro e prezioso, più inestimabile della sua vita di Re di Acri.
I battenti infondo si aprirono, lentamente, e fece la sua comparsa una guardia. –Mio signore- il soldato s’inchinò, muovendo alcuni passi avanti.
Corrado rimase dov’era, immobile, continuando a guardare quell’oggetto affascinante.
-Mio signore, una donna chiede di voi- fece l’uomo.
Corrado sbatté le ciglia, ma non mosse altro se non la bocca. –Chi è costei?- domandò accigliato.
-Non ha voluto dirlo, ha solo detto che urge e non ha molto tempo- balbettò il soldato.
Corrado si spostò di lato sul seggio. –Non ho tempo per chi non ha nome, mandatela via- disse guardando fuori dalle finestre.
-Non siate frettoloso, mio caro Corrado- un’ombra si mosse nel buio.
Corrado scattò in piedi, sfoderando la spada che aveva al fianco. –Mostratevi!- gridò.
La guardia si armò avvicinandosi al suo padrone.
-Non avete rispettato i patti!- sbottò la voce; era una donna, celata da un lungo mantello scuro e si muoveva nel nero della camera.
Corrado rilassò i muscoli. –Potete andare- disse il Re rivolgendosi al suo reietto.
La guardia, spaventata, rinfoderò la lama avviandosi quasi di corsa fuori dalla sala.
Corrado tornò a sedersi, posando la spada sul tavolo. Chiuse il cofanetto, e quando la luce del Frutto venne racchiusa nel legno del contenente, l’ombra marciò avanti di un passo.
-Avevate promesso di risparmiare la vita agli uomini di Tharidl, invece ne avete fatto strage!- ruggì la donna. Il volto celato sotto un cappuccio lungo e lo sguardo basso.
-Non me ne avete dato il modo!- si difese Corrado. –I vostri assassini ci sono venuti incontro in massa, armati! Cosa avrei dovuto fare? Lasciare che i MIEI uomini venissero decimanti, o combattere per la causa più giusta?-.
La donna avanzò verso la scrivania, e vi si poggiò. –Mi prendete per una sciocca, forse? Se aveste davvero rispettato l’accordo, con voi avreste portato solo pochi uomini! Invece ne avete approfittato! Sapendo da me che voi e i vostri eravate in maggior numero rispetto ai nostri, avete cominciato la faida! Siete un vile…-.
Corrado scoppiò in una risata fragorosa, che rimbombò per tutta la sala. –Io… io sarei il vile? Voi vi siete venduta alla mia missione senza che vi dicessi nulla. Siete venuta qui ad implorarmi affinché svolgeste dei lavoretti per me. Ebbene, siete voi l’unica a dovervi vergognare…-.
La donna tacque alcuni istanti. –State dunque dicendo che non vi sono stata… utile?- lei avvicinò il suo voltò scuro a quello di lui, allungandosi sul tavolo.
Corrado rimase tranquillo. –Sì- rispose. –vi debbo più di quanto immaginate- gli era costato dire quelle parole.
La bocca di lei si allungò in un sorriso malizioso. –Non sono qui per discutere di questo- fece tornando dritta.
Corrado la guardò passeggiare davanti alla scrivania.
-Tharidl ha incaricato l’assassino di vostro padre di trovarvi e, naturalmente, uccidervi. Assieme a lui c’è la ragazza che avete sconfitto, e me ne prendo parte del merito…-.
- L’avrei di sicuro battuta, quella ragazzina! Non osate dubitare delle mie capacità solo perché vi ho assegnato simile compito- Corrado cominciava a spazientirsi.
-Oh…- fece lei. –Ne sono certa, ma tornando a noi… saranno qui tra qualche giorno, e ho pensato che avvertirvi di persona sarebbe stata una buona idea- poggiò una mano sul fianco magro.
-Sì, accetto la vostra… premura, e intendo darvi ascolto- Corrado si alzò. –C’è altro?-.
-Siate prudenti, Corrado- la donna si fece seria. –L’uomo che Tharidl ha scelto per voi… ci sono voci, sul suo conto, che parlano di nessun fallimento, le sue piume di sangue tornavano sempre macchiate. E la ragazza… non sottovalutate nessuno dei suoi aspetti gentili e fanciulleschi. Ella viene da una stirpe che porta onore alla confraternita di Masyaf da più di una generazione…- parlava come un veggente, una vecchia che leggeva le carte, e Corrado ne rimase interdetto.
-E voi come lo sapete?- domandò l’uomo avvicinandosi.
La donna soffocò una risata. –Credetemi e basta, poiché non ho modo di dimostrarvi il vero. Per quanto vi riguarda, vi consiglio solo di affidarvi nelle mani di chi solo è riuscito sempre a proteggervi, e che il vostro nome vaghi nella storia…- la donna si avviò verso l’uscita, quando Corrado la chiamò.
-Fermatevi- disse.
Il mantello le svolazzò ai fianchi, mostrando per un breve istante l’abito rosso porpora che portava. –C’è altro?- fece la donna aspettando con il peso su una sola gamba.
Corrado le andò incontro. –Mi stavo chiedendo… perché lo state facendo? Pensate di ricevere un compenso, per quello che fate? O forse…- cercò le parole. – state facendo forse il doppio gioco?- sbottò sospettoso.
La donna scoppiò in una risata, mostrando i denti bianchi e perfetti, labbra rosse e carnose. –Mi era parso strano che in voi non fosse nato ancora alcun dubbio, Signore di Acri e figlio di vostro padre!…- tornò improvvisamente sera. –Laddove le vostre spie tolsero la vita al mio amato, avevo già capito di essermi schierata dalla parte sbagliata della scacchiera. La mia famiglia si trasferì in questo Regno così odiato dagli Déi quando non eravate ancora nato, Corrado, e ho avuto modo di apprendere che il Nuovo Mondo che i Templari promettevano fosse l’unica salvezza per queste terre maledette… ebbene, mio signore, facevo sogni e incubi su quello che sarebbe stato il mio futuro se fosse rimasta affianco alla Setta degli Assassini. Quegli esseri sono accecati dalla salvezza che il Maestro porge loro, e io non sopporto la manipolazione che li viene inflitta fin dalla giovane età. Unirmi a voi, nel bene e nel male che avete causato alla mia anima, è la via che ho scelto di seguire…- lasciò la sala e i suoi passi si persero nel corridoio.
Corrado tornò al suo scranno; si sedette lentamente, confuso.
E nel silenzio, si diffuse il boato di un tuono.

-È tutto pronto!?- gridò Adel tenendo buono il cavallo.
Su Masyaf splendeva il sole di una nuova, splendente giornata: gli uccelli cinguettavano e il trambusto cittadino arrivava anche fuori le mura. Alcuni assassini erano intenti negli ultimi preparativi, delle loro bisacce. Erano in totale quattro, compreso Adel, e tra di loro c’era Halef, che stava finendo di sistemare le staffe della sella.
-Allora, ci si vede tra qualche mese- disse il giovane voltandosi.
Marhim ed Elena lo guardarono entrambi sorridendo. –Sì, ma sii prudente. Quella città ultimamente non è più un posto sicuro come una volta- parlottò Marhim.
-Ah!- rise Halef montando in sella. –E da quando hai smesso di pregare perché un arciere mi facesse fuori?- disse scherzoso stringendo le redini, poi si rivolse ad Elena.
-Non è ancora certo, ma al ritorno faremo tappa ad Acri- le fece l’occhiolino, ed Elena allungò ulteriormente il suo sorriso.
-E quando farete ritorno, esattamente?- domandò Marhim sentendosi già il peso dei giorni di solitudine addosso.
Halef si calò il cappuccio sul volto. – Esattamente?- ripeté. –Non si sa. Se tutto va per il verso giusto, per i primi di novembre dovremmo essere qui in tempo per la colazione- rise.
-Parecchio tempo- commentò Elena.
Halef annuì. –Se ne avrò l’occasione, ti scriverò, fratello pigro. E magari, se ti dessi una svegliata, prima del compimento delle indagini, potresti unirti a noi- gli consigliò.
Marhim scosse la testa. –Ho già scelto: l’omicidio non è il mio ramo dell’ulivo-.
-Allora- sorrise malizioso Halef –dovresti restituire quello!- il ragazzo indicò il guanto che ospitava la lama nascosta del fratello. Marhim gli lanciò un’occhiataccia.
Gli assassini, montati sui loro destrieri, raggiunsero al galoppo il loro mentore infondo alla strada.
-Avanti, sbrigati!- Marhim diede una pacca al fianco del cavallo.
Halef li salutò un’ultima volta portandosi il pugno chiuso al cuore, poi si piegò sulla sella e fece partire il cavallo al galoppo.
I quattro assassini sparirono dietro il pendio della roccia in una nube di polvere.
-È andato…- sospirò Marhim.
Elena gli andò affianco e l’abbracciò. –Sei davvero così in pena per lui?- gli chiese.
Marhim ricambiò l’abbraccio, ma esitò sulla risposta. –Nah!- dichiarò in fine.
Elena cominciò a ridere, e i due tornarono dentro nella città. –L’omicidio non è il mio ramo dell’ulivo? Ma come ti è venuta?-.
Marhim non riuscì a trattenersi, e anche lui prese a ridere. –Non so-.
-Davvero? Nel senso…- si fermarono vicino alla fontana sulla piazza del mercato. –davvero hai intenzione di mollare?- gli chiese stupita.
Marhim si abbozzò il cappuccio sulle spalle, e i raggi del sole gli illuminarono il viso. –Non sto “mollando”- disse andandosi a sedere sulla panca più vicina, ed Elena gli andò dietro.
-Mi sto solo fermando, cerco solamente di non salire di rango. Faccio quello che il Maestro mi chiede di fare, tutto qui…- appoggiò la schiena al muro.
Elena gli venne più vicina. – e cos’è che ti ha chiesto di fare?-.
Marhim la guardò perplesso, ma dopo poco rispose: - per ora? Facile, badare a te- sorrise.
Elena nascose il rossore delle guance voltandosi. – un incarico arduo, ne sarai capace?- fece scherzosa.
Marhim non sembrava in vena di scherzi, perché con tono afflitto disse: - sai, Rhami ha denunciato Jarhéd al Maestro, questa mattina-.
Elena s’irrigidì. –Perché?-.
-Come perché? Crede che sia stato lui a spararti addosso l’ago avvelenato, e non lo biasimo. Jarhéd ha dei precedenti inspiegabili anche in alcuni incarichi passati. Questa volta mi schiero dalla sua stessa parte, perché anche Rhami non riesce a mandare giù tutta questa storia orribile…- abbassò lo sguardo a terra.
Elena appoggiò la guancia sulla sua spalla. – che diamine, però- borbottò.
Marhim sospirò. – a chi lo dici-.
Rimasero in quella posa diversi minuti, finché dalla folla non emerse una figura familiare.
-Elika- fece Elena come svegliandosi da un sogno.
-Chi?- Marhim seguì il suo sguardo, ma lui non l’aveva mai vista, così non poté riconoscerla. –L’ex assassina?- le chiese.
Elena lo prese per il braccio e lo tirò con sé verso la donna.
Elika faceva compere ad una bancarella di frutta. Teneva in grembo un piccolo cesto chiaro e canticchiava allegra quando i due le furono dietro.
-Elika- Elena la chiamò, e la donna si voltò di colpo.
-Elena! Quanto tempo! Perché non sei più venuta a trovarmi?- le due ragazze si abbracciarono, e Marhim, imbarazzato, guardò altrove.
Elena sorrise. –Mi spiace, ma in questi ultimi giorni sono successe tante cose. Poi ho avuto gli allenamenti con Altair, e ora io e Marhim stavamo salutando suo fratello che è partito assieme ad Adel e altri per Alhepo- la informò tutto d’un fiato.
Elika notò il giovane accanto a lei. –Marhim… come mai ho già sentito parlare di te?-.
Il ragazzo rimase di stucco. –Non saprei- farfugliò insicuro.
-Oh, be’!- fece Elika. –Sono così contenta di vederti, ragazza mia, che voglio ospitare te e l’assassino qui presente per un buon the, che ne dici?- la donna era entusiasta.
Elena cercò l’approvazione dell’amico, ma Marhim era rimasto senza parole. –sì, sarebbe…- non riuscì a terminare che Elika la prese sottobraccio e la portò con sé verso casa sua. –Ci sono così tante cose che voglio sapere! A cominciare dai tuoi addestramenti, ma soprattutto devi raccontarmi del tuo scontro con Corrado! Oh, quanta roba, sapessi come…- e proseguì senza fermarsi.
Marhim le perse entrambe di vista tra la folla, così fu costretto ad arrampicarsi sul tetto dell’abitazione vicina.
-Ehi, ma che fa quel pazzo?- disse un vecchio vedendolo saltare sul tetto accanto.
Un po’ fuori esercizio, Marhim scivolò e si trovò sospeso a mezz’aria attaccato al cornicione di una finestra.
Elika ed Elena camminavano proprio sotto di lui, e il ragazzo si lasciò andare.
Atterrò alle loro spalle, ma l’unica ad accorgersene fu Elena, che si voltò aggrottando la fronte.
Marhim alzò le spalle tirando un sospiro di sollievo, ed Elika si fece da parte per farli entrare in casa.

Elika poggiò il vassoio sul tavolo basso.
C’erano tre tazze belle fumanti di the scuro, e la padrona di casa aveva messo anche tre biscotti di grano duro.
Marhim ed Elena erano seduti l’uno affianco all’altra su dei grossi cuscini di tessuto arancione, il sole filtrava dalle finestre, facendo brillare il pulviscolo atmosferico. Gli uccellini canticchiavano per le strade affollate della cittadella, assieme alle voci dei passanti e alle grida giocose dei bambini.
Elika si sedette di fronte ai due e prese la sua tazza tra le dita, cominciando a sorseggiare. –Avanti, comincia- le disse.
Elena lanciò un’occhiata all’amico come in segno di aiuto, e Marhim si schiarì la voce. –Elena fa miglioramenti. Questa settimana mastro Altair le sta insegnando l’arte della spada corta, ed Elena sembra portata per qualsiasi cosa. Accanto a queste, Altair le fornisce nozioni sul lancio dei pugnali, in prossimità del viaggio che li attende entrambi per Acri- disse tutto d’un fiato.
Ecco. Marhim aveva illustrato ad Elika la parte meno complessa delle sue giornate, ma sicuramente Elika avrebbe chiesto…
-E come ti senti? Dopo quella sconfitta, poi… ho saputo del veleno! È tutto apposto, vero?-.
Elena prese una tazza e vi soffiò sensibilmente. Il calore passava attraverso la porcellana e le scaldava le dita. –Sì, ora mi sento meglio… ma non solo! Ho un peso in meno sullo stomaco, dato che l’incontro è stato truccato- confessò afflitta.
Elika passò lo sguardo al ragazzo. –Scusa tanto, ma tu chi sei? La sua guardia del corpo?- gli chiese sorridendo.
Marhim prese il suo the allungando la bocca in un sorriso timido. –Più o meno…- fece insicuro.
Elika tornò a guardare lei, ed Elena riprese a raccontare.
-Come hai saputo sono stata avvelenata, e forse sono ancora in rischio di morte. Insomma…- abbassò lo sguardo la ragazza. –non vedo Adha da parecchio tempo, e non ho avuto modo di parlare con lei delle mie condizioni…-.
Marhim si rattristì con lei, ma Elika cercò di cambiare atmosfera.
-E così- cominciò la donna. –Parti per Acri, assieme al tuo nuovo mentore!- sorrise affettuosa.
Elena annuì, e la gioia tornò sul suo volto. Non vedeva l’ora di lasciare il dolore di quelle mura, e raggiungere il prima possibile Corrado! Per ammazzarlo, ovviamente…
-Spero che vada tutto bene…- mormorò trattenendo il furore.
-Perché non dovrebbe?- disse Elika, e sia Marhim che la donna la guardarono sorpresi. –Sei un’ottima combattente, ti sei fronteggiata con le guardie di quella città quando ancora imbracciavi appena una spada. Non hai nulla da temere!- bevve un altro sorso.
Elena strinse con più forza la tazza, cercando di coglierne le ultime sfumature di calore. –Hai ragione, forse sono davvero pronta- bofonchiò.
-Gliela farete pagare a quel maledetto, e riporterete qui il Frutto dell’Eden prima che una qualsivoglia sentinella possa gridare: assassini!- rise la donna.
Elena annuì, di nuovo, cominciando a convincersi che nulla sarebbe andato storto. In fondo, Altair non aveva mai fallito nessuna missione, come diceva il suo rango, e sicuramente avrebbe badato a lei durante tutte le indagini, insegnandole il necessario. E, alla fine, Elena assisterà in silenzio, ma gridando di gioia, quando il suo maestro consegnerà la piuma sporca di sangue al rafik…
-Marhim, giusto?- fece Elika poggiando la tazza quasi vuota nel vassoio.
-Sì- rispose il ragazzo.
Elika lo guardò un istante in silenzio, poi parlò: -Potresti lasciarci?- gli chiese cordiale.
Marhim spostò gli occhi su Elena, altrettanto confusa. –certamente- balbettò alzandosi.
Lasciò la tazza ancora piena e si avviò all’uscita, chiudendosi poi la porta alle spalle.
Elena si volse verso di lei, e si accorse che Elika la fissava.
-So che stai cercando tuo fratello- disse la donna continuando ad osservarla.
Elena sobbalzò. –Sì, e tu sai chi è- si sporse in avanti. –Non è così?!- le uscì di bocca aggressivo, ma subito tornò composta. –Scusa… io… vorrei tanto, insomma… è vero che non l’ho mai conosciuto, e lui non ha mai incontrato, ma vorrei… vorrei solo…. Ecco…- Elena passava il dito sul bordo della tazza, sentendo gli occhi inumidirsi. –è l’unica persona… che mi rimane- singhiozzò. –mio padre mi ha mandata qui apposta per trovarlo, ma quel vecchio non vuole dirmi chi sia…- si sfogò piangendo.
Elika le venne accanto. –so che cosa stai provando… sapere che la tua famiglia è lontana da te, ma perennemente nei tuoi sogni, intendo- le sussurrò all’orecchio abbracciandola.
Elena si strinse a lei e le pianse sulla spalla, ed Elika le accarezzò i capelli tentando di calmarla. –Su, su, avanti… so che è doloroso, lo so! Ma santi lumi, Elena! Sei una Dea ora!- le sorrise staccandosi. Elika le asciugò le lacrime che le solcavano le guance, ed Elena riuscì a prestarle ascolto riacquistando il controllo.
Elika le sistemò i capelli. – Forza e coraggio, determinazione. Sono questi gli elementi giusti che ti condurranno da tuo fratello, dovunque egli sia…- le mormorò dolcemente.
-Tharidl- gemé Elena. –lui mi ha detto che si trova qui, o meglio… che il suo corpo vaga per la fortezza. Non lo sopporto, quel vecchietto, quando parla per enigmi! È odioso… lui che dice di volermi aiutare, lui che era tanto amico di mio padre!- Elena tornò a piangere sulla sua spalla, non riuscendo a trattenersi.
Perché d’un tratto Elika si era rivelata il suo confessionale di dolore? Elena la conosceva appena, ma sentiva di potersi fidare di lei come se fosse sua madre. Non andava a piangere sulla veste di Marhim, come poteva Elika consolarla meglio del suo migliore amico, si chiese.
Nonostante le incertezze, Elena gettò sul collo di Elika tutte le sue paure, raccontandole, tra gemiti e singhiozzi, quello che aveva passato fino a quel punto: i soldati che aveva ammazzato scappando da Acri, la sua prima notte nella fortezza, gli atti vili che alcuni novizi le avevano riservato, il suo primo scontro con Altair, e di come era diventato suo maestro. Le parlò anche del funerale, di Minha e, per ultima cosa, del suo sogno…
Descrisse ogni particolare delle sue cadute nel vuoto, della mano di Rhami tesa verso di lei, di Marhim e anche del suo mentore cui erano comparse le ali.
-Interessante, anche se credo di non intendermi di simili veggenze - rise Elika.
Elena si sentiva meglio: ora che non aveva più nulla dentro, che era riuscita a raccontare tutto a qualcuno, anche di così estraneo, si disse, sul suo voltò tornò il sorriso, e i suoi occhi brillarono di azzurro limpido come il cielo d’estate.
La ragazza tornò composta, silenziosa mentre Elika si apprestava a riportare il vassoio nella stanza accanto. –è meglio che torni da quel poveretto, è rimasto ad aspettare lì fuori per più di un’ora!- le disse Elika dalla cucina.
Elena aveva completamente perso il senso del tempo. Un’ora! Si ripeté.
La giovane scattò in piedi, si affacciò nella cucina e salutò Elika che stava lavando alcuni vecchi piatti sporchi e corse fuori dalla casa.
Il sole, di fatti, andava calare sulla valle. Il cielo assumeva sfumature rosate, le nuvole si coloravano di rosso primario, e la città si preparava per la notte: le bancarelle chiudevano, i mercanti tornavano nelle loro abitazioni, riavvolgendo i tappeti e raggruppando il bestiame.
Trovò Marhim ad aspettarla allo sbocco della via, appoggiato alla parete di una casa.
-Elena!- si voltò gioioso vedendola.
-Scusa, mi spiace averti fatto aspettare, ma ho voluto allungare io la conversazione, non avere rimpianti con Elika- gli disse avviandosi.
Marhim le camminò al fianco. –Non l’ho mai sospettato… ti serviva qualcuno che ti capisse meglio, per quanto riguarda… sei una ragazza, no? È questo che intendo- si passò una mano trai capelli.
Elena soffocò una risata, e i due si allungarono sulla via per la fortezza.

A metà strada, Elena si fermò.
Fredrik veniva verso di loro, e Marhim seguì il suo sguardo senza dire nulla.
L’assassino dal volto scoperto proferì un lieve inchino alla ragazza, poi parlò: -Elena, Adha mi manda a chiamarvi; ella vi attende nei vostri alloggi.
Elena e Marhim si scambiarono una fugace occhiata.
-Grazie- disse la ragazza riprendendo il passo.
Lei e Marhim sparirono tra la folla.
L’Angelo continuò per la sua strada raggiungendo la piazza della città, svoltò in una stradina buia e bussò alla porta di un’abitazione.
-Arrivo- disse un voce di donna da dentro.
Elika aprì la porta e rimase con la bocca aperta, sull’uscio. –Fredrik?- fece stupita.
L’assassino rimase immobile, dritto. –Il Maestro vuole vederti, Elika- la informò abbassando il capo.
La donna, ancora sbigottita, si chiuse la porta alle spalle appoggiandovisi. –Come mai?- domandò, ma Fredrik le diede le spalle e riprese la sua passeggiata. Attraversò tutta Masyaf, bussando alle sole porte cui Tharidl gli aveva detto di recarsi.

Raggiunsero il cortile interno che si stava facendo notte. Comparivano le prime stelle all’orizzonte, e il cielo andava incupirsi, accompagnato dalla brezza fresca notturna.
Marhim l’accompagnò oltre la sala del Maestro, fino alle gradinate della torre, attraverso gli alloggi degli Angeli.
-Va’, ti aspetto qui, se vuoi- le disse.
Elena proseguì sulle scale che portavano agli appartamenti delle Dee. –Se ti va- gli sorrise, e sparì al piano di sopra.
Adha si spostava da parte a parte del vesto stanzone sbattendo i cuscini e i tappeti fuori dalle finestre aperte.
-Che succede?- chiese Elena avvicinandosi alla donna.
Adha le volse una sola occhiata, continuando a svolgere le sue mansioni. –Devi prepararti. Il tuo addestramento è completo, e domani mattina all’alba tu Altair partirete per la vostra destinazione- fece seria spazzando gli ingressi delle stanze da letto.
Elena sobbalzò. –Domani- tartagliò. –Così presto?- le andò affianco afflitta, ma Adha si ridusse solo ad annuire, grave.
-Non è stata una mia decisione. Altair ha sentenziato così questo pomeriggio. Ti ritiene già all’altezza- Adha spazzava con nervosismo, colpendo le tegole di legno con la paglia della scopa rabbiosa.
Elena curvò le spalle. –Va bene- sospirò.
Adha arrestò le pulizie, d’un tratto.
Elena si avviò nella sua stanza, e la donna le venne dietro poggiando la scopa al muro. –Mi sono permessa di apportare delle altre modifiche alla tua veste, mentre eri in coma. Ho incaricato un assassino di lucidarti l’equipaggiamento, che ora è su quel tavolo lì- Adha indicò la scrivania sotto la finestra, ed Elena fece un passo in quella direzione.
-Che genere di modifiche?- domandò sfiorando la cintura di cuoio con le dita.
Adha esitò. –Perché non lo provi tu stessa? Così, se ci sono altri tagli da fare, almeno per domani sarà pronta-.
Elena si voltò di colpo. –Tagli?! Era già tagliata abbastanza quando l’ho messa l’ultima volta!- afferrò la veste bianca tra le mani e la stirò sul letto, osservandola con occhio critico.
Era nettamente cambiata.
Le scollature sul petto, le maniche leggere… dettagli che si erano sostituiti ancora ad una comune divisa da assassino di basso rango. La tunica bianca le arrivava alle ginocchi, come al solito, ma finalmente qualcuno aveva avuto il buon senso di rattoppare quei buchi!
-Ecco, così va meglio- borbottò ripiegandola con cura.
-è stato lui ad insistere affinché ti restituissi un po’… come l’ha chiamata? Ah, sì, un po’ di “decenza”- sbottò la donna.
-Altair?- chiese senza voltarsi, ma lo stesso sorpresa.
Adha riafferrò la scopa e si avviò verso le scale. –Fa’ piccoli i bagagli, mi raccomando! Hai tutto il tempo! Marhim ti accompagnerà a cena…- la donna si dileguò al piano di sotto.
Elena spostò lo sguardo al fodero della bellissima spada, la stessa che aveva usato per i suoi allenamenti. C’erano cinque coltellini da lancio e una lama corta. Gli stivali, nascosti sotto il tavolo, erano piccoli e, quando li provò, calzarono perfettamente aderendo ai suoi piccoli e sodi polpacci.
Elena si guardò allo specchio, vestita con l’intero equipaggiamento .
Con quell’armamentario addosso chi, si chiese, CHI l’avrebbe scambiata per un monaco? E poi, c’erano anche i capelli: se li teneva legati si formava un rigonfiamento orribile all’altezza della nuca, invece, se li teneva sciolti, molti ciuffi le uscivano dal cappuccio.
Si disse che non sarebbe stato un problema spuntarli di qualche centimetro, di fatti…
-Dea- Lily s’inchinò entrando nella stanza.
–Lily!- fece Elena sorpresa.
-Oh- la ragazza arrossì di vergogna. –perdonatemi, non volevo interrompere nulla, ma Adha mi manda per, ecco…- Lily le mostrò un paio di forbici enormi, ed Elena comprese al volo.
Dopo un bel lavaggio, Lily cominciò a tagliarle i capelli.
Elena teneva un asciugamano sulle spalle, mentre ciocche intere andavano a cadere ai lati della vasca.
La ragazza, immersa fino al petto nell’acqua calda, si permise di chiudere gli occhi, perdendo così la cognizione del tempo…

-Ho finito- fece ad un tratto Lily, che le porse un lungo accappatoio.
Elena uscì dalla vasca e vi si avvolse scappando ai brividi di freddo. Coi piedi scalzi sul marmo, si sarebbe presa un accidente.
In ogni modo, su Masyaf si avvicinava l’inverno, e chissà sa un giorno Elena avrebbe visto la neve!
Quando Lily la lasciò cambiarsi, Elena fece il più in fretta possibile.
Si vestì normalmente, allacciandosi ai fianchi solo una pezza color porpora e portando con sé solo i cinque pugnali da lancio, nascosti nei foderi dello stivale sinistro.
Marhim scattò in piedi quando la vide scendere le scale. –Ce ne hai messo di… tempo…- il suo sorriso si spense in fretta.
Sarà per i capelli, si chiese Elena, che Lily aveva accorciato di una, anche due mani. Ma infondo non le importava tanto, soprattutto nel sentire Marhim farle i complimenti. –Stai benissimo!- sorrise, commosso.
Elena arrossì. –Grazie- mormorò.
Ora la chioma le arrivava alle spalle, toccando a mala pena la schiena, ma finalmente entrava nel cappuccio!
-Allora è deciso, questa sarà la nostra ultima sera insieme, per quanto tempo?… un mese, due?- fece Marhim serio mentre camminavano.
Elena colse un tono nuovo nella sua voce, quasi imbarazzato. –Sì, e la cosa mi rattrista un po’. Dopotutto, ad Acri non ho amici come te- rise lei.
Marhim tacque da lì fino alla mensa, dove Elena si sorprese di trovare riuniti quasi tutti gli assassini della confraternita!
-Festa di compleanno?- bisbigliò all’orecchio del compagno.
Marhim soffocò una risata. –No, no- le rispose. –sono tutti qui per te- le fece l’occhiolino.
Elena rimase interdetta. –per me?- balbettò.
Marhim l’afferrò per il polso e la tirò con sé ad un tavolo dove individuarono due posti liberi.
-Stavi scherzando, vero?- le sbottò Elena quando furono seduti; le cameriere entrarono nella sala e cominciarono a servire uno per uno tutti gli Angeli.
-Affatto… oggi Tharidl ha voluto festeggiare la tua entrata nella confraternita- Marhim si guardava attorno, e ad Elena quella situazione cominciava a non piacere.
-Non so se riuscirò a sopportarlo- borbottò tra sé la ragazza. –Una festa, con vino e lusso vario…-
Per la maggior parte del tempo, Elena si ridusse a consumare la cena in silenzio, come al solito, ma il fatto che tanti assassini fossero riuniti lì, e che potessero vederla… accanto a Marhim… in quello stato… insomma, avete capito il tipo di imbarazzo, no? Ecco, bravi.
Ad un tratto, le porte della cucina si spalancarono e nella stanza entrò un intero cinghiale servito su un piatto d’argento, retto da due assassini.
Dal marasma di gente che animava la sala si levò un mormorio di entusiasmo, mentre la portata faceva il giro dei tavoli.
Elena non poté contare pochi secondi, che sempre dalla cucina venne fatto portare nella stanza un enorme botte scusa, dopo di ché gli assassini si accalcarono a riempire boccali dopo boccali di vino.
Elena provò a tirarlo per la manica, ma Marhim le sfuggì di mano e andò a riempire due bicchieri.
-Maledetto!- ora che ci pensava, Kalel non aveva mai organizzato alcuni tipo di festa né per il suo compleanno, né per chissà quale altro futile motivo. Eppure, una quarantina di assassini e donne di corte erano riuniti in quella sala per festeggiare lei… e la veste che ora portava.
Quale onore, pensò.
Marhim fece scivolare il bicchiere sul tavolo, ed Elena lo fermò al volo. –No grazie- disse allontanando la tazza. –Il the mi è rimasto sullo stomaco- nonostante le grida di gioia della gente che la circondava, la musica e i continui balletti tra gli assassini e le donne delle pulizie, Elena teneva il broncio.
Marhim le si avvicinò, lasciando da parte anche il suo boccale. –Non fare quella faccia, ti prego. Volevo che fosse una sorpresa, avanti…- lui le fece gli occhi dolci, ma Elena non cedette.
Erano gli unici due fessi che se ne stavano in disparte, soli, nel buio della sala, mentre le pareti erano addobbate di fiaccole e arazzi, e sul soffitto galleggiavano bracieri d’argento.
-Ti andrebbe…- le parole gli morirono in gola.
Elena si voltò, e lo guardò perplessa in attesa.
Marhim ingerì un nuovo sorso. –Ti andrebbe di… ballare?- indicò con un cenno del capo il centro della sala, che era diventato una vera e propria pista di ballo.
Elena, tra le donzelle strette nelle braccia degli assassini che danzavano, riconobbe Lily e Luisa, entrambe tutt’altro che sobrie.
-Adesso stai scherzando, non è così?- Elena aggrottò le sopracciglia, cercando di nascondere al meglio la paura di gettarsi tra la folla.
Marhim scosse la testa, deciso. –Dai, ho capito che sei astemia! Ma così ti perdi tutto lo spasso! È la tua festa, diamine! Tharidl l’ha organizzata per tirati su il morale, e Adha ha deciso così con lui. Avanti…- la supplicò con gli occhi, di nuovo.
Elena sbuffò, e scrutandosi un’ultima volta attorno, si arrese curvando le spalle: -va bene, ma solo perché sei simpatico!- si alzò e Marhim l’accompagnò tenendola per mano al centro della stanza.
Non seppe contare con precisione quanti spintoni ricevette, forse una dozzina, ma il caos era ovunque.
Marhim la guidava in una danza allegra, accompagnata da pochi e rozzi strumenti suonati da un gruppo ristretto di assassini, in piedi su un tavolo. C’erano due flauti, un buffo strumento a corde, e un tamburello.
Marhim la stringeva con una mano sul fianco, mentre con l’altra le teneva il braccio alzato. Erano passi di danza che Elena aveva visto più volte, nei suoi diciassette anni di vita. Ad Acri si festeggiava spesso anche quando la pesca andava bene, o solamente perché un ricco mercante aveva venduto ad alto prezzo uno dei suoi migliori prodotti. Durante quelle occasioni, Elena si riduceva a guardare da lontano come le donne del distretto danzavano allegramente con i loro cavalieri.
Alle festicciole del quartiere si univano anche le guardie di Corrado, e molti dei cavalieri Ospitalieri. Per non parlare dei parecchi templari, ammirati da tutte le donzelle che incontravano con lo sguardo.
Elena si chiese in quanti la stessero fissando increduli, nel vederla ballare con Marhim. Chissà quali voci sarebbero emerse la mattina successiva, ma ringraziò Tharidl per aver organizzato la festicciola la sera prima della sua partenza!
Nonostante gli acciacchi sui piedi che ricevette dal suo compagno di palco, Elena non poté negare che si era davvero divertita. Sarà stata l’atmosfera, o la musica, o solamente Marhim così gioioso nell’averla così vicina. Chissà, si chiese, che cosa l’aveva fatta sorridere tanto.
Nel momento in cui Elena si lanciò sulla sedia del tavolo, Marhim le passò il boccale. –Avrai sete, spero!- rise, che tanto sobrio neppure lui le parve.
Elena esitò, ma nell’allungare la mano a stringere la birra, si sentì carica di follia.
Tutta quanta! Giù tutta d’un fiato!
Marhim rimase a bocca aperta.
Elena si pulì il rivolo di succo che le cadeva da un angolo della bocca, poi si accasciò sul tavolo.
-Elena!- Marhim la scosse diverse volte, ma Elena rimaneva con la faccia sul legno della superficie. –Elena!- insistette, ma nulla, la ragazza non aveva retto il mezzo litro di vino.
-Scherzetto!- Elena sollevò la testa mostrando i denti.
Marhim abbassò le spalle, prendendo fiato. –Guarda…!!! Sono senza parole!!!…- le disse solo.
La ragazza si sistemò comoda, cercando residui nel piatto che aveva di fronte. Le era tornata fame, ma le donne della cucina avevano già riportato gran parte delle portate nei lavandini.
D’un tratto, i suoi occhi azzurri incontrarono quelli cristallini di Rhami, che la guardava da un tavolo distante e che sicuramente l’aveva fissata fin dal primo momento.
Allo stesso tavolo dell’Angelo c’erano Fredrik e un terzo assassino che Elena riconobbe immediatamente come il suo maestro.
I tre moderati se ne stavano appartati, in silenzio, e dimostravano il massimo dell’autocontrollo. Mentre tutt’attorno infuriava il vivo della festa.
Quando Elena si soffermò su quell’ultimo assassino, si accorse che, da sotto il cappuccio, Altair l’aveva ammirata nella sua danza fino ad allora, con uno sguardo indescrivibile, troppo complesso per coglierne i particolari da quella distanza.
Rhami e Fredrik si scambiarono parole mute che, per il frastuono e la lontananza, Elena non riuscì a cogliere. Poi Rhami si alzò e venne verso di lei.
L’assassino si fece largo tra la calca allo stesso modo di come si preparava a colpire la sua preda, con lo stesso passo felpato da leopardo.
Rhami le fu di fronte senza che Elena se n’accorgesse, a differenza di marhim, che sull’immediato lanciò un’occhiataccia al ragazzo.
Rhami parve non curarsene e porse la mano alla ragazza. –Permetti?- sorrise scoprendosi il volto.
Elena si alzò, scansandosi da Marhim. –Certamente- balbettò con gli occhi che le luccicavano.
Marhim, nel guardarli allontanarsi dal tavolo e raggiungere la pista, strinse i denti.
Rhami le poggiò delicatamente la mano sul fianco, più in basso di dove sarebbe dovuta essere, mentre con l’altra scivolò sul suo braccio fino a stringerle le dita.
Non seppe perché lo fece, ma Elena si morse un labbro.
E, ovviamente, Rhami la tirò a sé.
L’assassino condusse la danza più lentamente di come aveva fatto il suo precedente cavaliere, che ora stava zitto e muto seduto al tavolo ad addentarsi la coda. I suoi movimenti e Rhami stesso erano meno impacciati, e la cosa la fece sorridere: niente più spinte e acciacchi sui piedi!
Tirò un flebile sospiro di sollievo.
Si godette quel momento più del bagno di poche ore prima, e, senza rendersene conto, il suo corpo era completamente aderito a quelli di Rhami, che sorrideva divertito.
Elena chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla musica, fin quando questa non divenne più lenta e soave, come un ninna nanna.
Il frastuono tutt’attorno andava ad affievolirsi, le voci divennero teneri sussurri.
Elena riaprì gli occhi di colpo.
Nel bel mezzo della sala, soli e unici, c’erano lei e Rhami impiegati in una danza lenta; non poté crederci.
Marhim si alzò dal suo posto stringendo i pugni, e Altair, dal capo opposto della sala, fece altrettanto. Ma entrambi avevano in volto emozioni differenti: chi gelosia ed odio, e chi invece paura e timore.
Dalle gradinate comparve Adha, dietro la quale camminava Tharidl scortato da alcuni guardie.
La donna dai capelli corvini venne verso i due, ed Elena si staccò di colpo da Rhami.
-Posso sapere cosa sta succedendo qui?- mormorò la donna guardandoli.
Rhami si calò sul volto il cappuccio, facendo un passo avanti. – è stata una mia iniziativa- sbottò cupo.
Tharidl, fermo all’ingresso delle cucine, osservava cauto con le braccia conserte.
Elena sprofondò il mento nel petto. Come era potuto succedere?!
Non solo le guance cominciarono ad esploderle, ma il suo stomaco si contorceva senza fine! Assieme alle sue gambe, che per i cento e più occhi puntati su di lei potevano cederle da un momento all’altro. Era stata una sciocca, un’incompetente. Tra tutte le belle ragazze che abitavano la fortezza, lei era l’unica che non poteva permettersi certe cose, certe azioni…
Si allontanò da Rhami, sfuggendo allo sguardo di Adha.
-Forza, la festa è finita!- fece Tharidl alzando le braccia e battendo le mani.
Le donne presero a sparecchiare, mentre il corteo di assassini si smistava per la fortezza.
Adha rimase immobile dov’era al centro della stanza, e Rhami ed Elena con lei.
–Voi due- disse Adha quando la sala fu vuota. –Voi due venite con me, avanti!- la donna s’incamminò verso il piano terra, e i due ragazzi le andarono dietro.
Altair, nascosto nell’ombra, la fermò per un braccio quando lei gli passò affianco -Vacci piano, sono ragazzi- le bisbigliò all’orecchio.
Adha arrestò il passo e lo guardò negli occhi. –ragazzi? Sono assassini, vincolati entrambi da un giuramento. Sia lui, che tu per primo dovresti assecondare con una punizione esemplare, e sia lei, che sempre tu dovresti dirle qualcosa!- ruggì Adha.
Rhami ed Elena restarono in disparte, accostati alla parete. –L’abbiamo fatta grossa- sorrise malizioso lui.
Elena non riuscì a voltarsi, l’imbarazzo, il rossore delle guance, era troppo… non poteva sopportarlo, e Rhami dovette accorgersene.
-Scusami- mormorò l’assassino. –se ti ho cacciato in questo guaio solo perché non so restare con la testa apposto!- si appiattì ulteriormente contro il muro. –sono stato uno stupido, e non sapevo quello che stavo facendo e perché lo stavo facendo! Avresti dovuto vedere, però, come ci guardava Marhim!- rise.
Marhim!
Elena sobbalzò. Chissà che fine aveva fatto, e di quale faccia stava parlando Rhami? Forse della gelosia che stava bollendo sul suo volto quando la musica era cessata, e le voci si erano affievolite… sì, forse di quella faccia.
Elena si sentì schiacciata da un peso di tonnellate e tonnellate di pietre! Non si reggeva sulle gambe, le ginocchia le tremavano, e dovette appoggiarsi con le spalle al muro, accanto a Rhami.
-Allora lascia che me ne occupi io- sbottò in fine Altair.
Adha ebbe un momento di smarrimento. Aggrottò la fronte facendo un passo indietro. –Tu?- ripeté. –ne sei sicuro? Ti assumi la responsabilità che la cosa si ripeta?- la donna gli puntò un dito al petto. –Credi di poter sopportare le ripicche di Tharidl anche per questa sciocchezza? Se ti rende fiero di te, va bene! Una fatica in meno sulle mie braccia!- Adha si allontanò nel buio della notte, e scomparve in uno dei corridoi. I suoi passi si persero nell’eco della roccia.
Altair a guardò allontanarsi, poi si voltò. –Potete andare- disse soltanto.
Elena sgranò gli occhi, e Rhami si avvicinò.
–Come?- fece il ragazzo.
-Non intendete…- balbettò Elena –punirci?-.
Altair non trattenne la risata. –Punirvi, e per quale motivo? Per aver bevuto vino ad una festa, ed esservi divertiti un po’? Avanti, Adha certe volte esagera, e personalmente…- Altair abbassò il tono della voce. –non mi sono mai piaciute le regole della setta-.
Detto quello l’assassino li lasciò con la bocca spalancata, l'una e l'altra più che stupefatti, e si avviò nei corridoi.
-Io non ci credo- disse ad un tratto Rhami.
Elena lo guardò interrogativa.
-Sicuramente- continuò il ragazzo. –un giorno dei prossimi me la farà pagare a duello-.
Rhami si avviò verso le sue stanza, ed Elena non poté far altro se non andargli dietro dato che la strada era la stessa.
Camminando dietro al ragazzo, ad Elena balzò in mente una domanda.
-Rhami- lo chiamò, e lui si voltò come se non aspettasse altro.
Elena si mise sul suo stesso gradino. –Oggi, alla festa, non ho visto Jarhéd…- disse fievole.
Rhami annuì. –Sì, ho capito dove vuoi arrivare. Non devi preoccuparti, entrambi non dobbiamo preoccuparci. Il Maestro se ne stava occupando di persona questa mattina. Quel maledetto bastardo è nelle segrete sotto continui interrogatori…-.
-Torture?- domandò incredula. Erano davvero così spietati?!
Rhami le venne più vicino. –Dovresti esserne contenta. Tutte le accuse sono contro di lui, e anche se durante la mia missione a Damasco si è schierato dalla parte di Saldino, non vuol dire che stia giovando ad entrambe le fazioni!- gridò, ma Elena le fece segno di abbassare il tono.
-Scusa, ma certi argomenti mi fanno questo effetto…- si scusò lui.
Elena si abbassò a stringersi i lacci dello stivale. –Quali argomenti?- chiese.
Rhami si piegò alla sua altezza. –La tua salute- disse semplicemente.
Il suo sguardo, il suo viso così poco distante dal suo, il vino che circolava nelle vene al posto del sangue… che cosa sarebbe potuto succedere se non quello che accadde?
Entrambi avevano scherzato col fuoco quella notte, avevano ballato, e ripeto, ballato! Elena sentiva ancora il calore delle sue mani sui suoi fianchi, e il rossore tornò a colorarle le guance.
Eh, be’, quando si sollevarono, Elena non poté trattenersi: lo stato di ebbrezza le fece quell’effetto.
Fingendo di inciampare (ma non le parve tanto per finta) gli cadde addosso, e Rhami l’afferrò per i fianchi. Quel piccolo contatto, così insignificante, fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Fu lui a baciarla, d’un tratto, dal nulla, e lei non si scompose, anzi… si sciolse tra le sue braccia solide e muscolose, e lasciò andare a quel bacio che non poteva definirsi bacio, dato che avevano bevuto almeno mezzo litro di vino a testa.
Rhami finì con le spalle al muro, stringendola sempre più forte.
Elena gli accarezzava il petto caldo, poggiando il palmo all’altezza del cuore, mentre Rhami scendeva giù lungo la sua schiena.
Non potevano negare di avere il battito cardiaco accelerato, e dopo poco scivolarono a terra, finendo a baciarsi sulle gradinate della torre.
Che… che… ma che razza di… ma guarda! Oh!
Elena si staccò con violenza, spingendosi in piedi traballante.
Rhami portò la testa all’indietro, prendendo fiato. –Wow!- disse con accento sbronzo, ma naturalmente finto.
Elena si appoggiò al corrimano. –Demente, che cosa hai fatto!- si sedette sui gradini portandosi le mani al viso.
Rhami le si trascinò al fianco, ma Elena si scansò non appena provò a sfiorarla.
-Siamo ubriachi, tutti e due!- le sbottò in faccia.
Rhami scoppiò a ridere. –Se fossi davvero ubriaca, non saresti qui a chiederti se lo sei o no…- sorrise malizioso.
-Giusto…- mormorò lei, e i capelli le finirono davanti al viso.
Rhami allungò una mano e le portò una ciocca dietro l’orecchio, affettuoso ma non troppo.  –Li hai tagliati- commentò –sei sempre bellissima- il suo respiro bollente le arrivò sul collo.
Elena lo fulminò con un’occhiataccia, ma lui non le diede retta e le andò di nuovo incontro, ritentando.
Le loro labbra si sfiorarono, di nuovo, ma quella volta Elena non riuscì a staccarsene come avrebbe voluto. Tornò ad appoggiarsi a lui, che senza alcun pudore s’infilò tra le sue gambe, afferrandole un ginocchio.
A quel punto fu troppo.
Elena si divincolò con quanta forza le restava, lo spinse via e Rhami si trovò con la schiena a terra –ahio!- digrignò avendo sbattuto la testa sulla pietra.
Elena scappò via di corsa, col fiato corto e senza voltarsi.
Raggiunse gli alloggi degli Angeli e proseguì fulminea dritta negli appartamenti delle Dee, al sicuro da tutto ciò che riguardava l’essere maschile.
Si fermò di fronte all’ingresso della sua camera, riprendendosi dalla corsa. Quando si voltò, tirò un sospiro di sollievo nel vedere che Rhami non l’aveva seguita.
Ancora con le gambe che le tremavano, Elena si gettò tra i cuscini affondandoci il viso. Si nascose tra le loro stoffe colorate, e assaporò l’aria fresca che passava dalle finestre aperte.
Nonostante il suo cuore avesse riacquistato un battito regolare, Elena non riuscì a prendere sonno: come aveva detto Rhami, non aveva bevuto abbastanza perché dimenticasse l’accaduto.

Rhami si alzò dolorante appoggiandosi al corrimano.
Alzando gli occhi, ebbe solo il tempo di vedere Elena scomparire dietro l’angolo del corridoio di alcuni piani sopra; e da allora lo abbandonò l’idea di seguirla.
Si sgranchì la schiena, sciolse i muscoli del collo e ripensò al sapore delizioso che avevano le ragazze sulle labbra. Al solo pensarci, le sue spalle persero la compostezza e la fierezza di assassino, tramutandosi in quello che non era mai stato: un ragazzo come gli altri. Un giovane che aveva provato, ma fallito, con una delle belle fanciulle del palazzo. Qualcosa lo aveva sconfitto, dentro di lui si sentiva affranto e rifiutato come mai prima di allora. Eppure, sapeva di piacerle, ma Elena l’aveva respinto. Che tristezza, pensò…
Andando verso le sue stanze, sentì dei passi seguirlo. Si voltò impercettibilmente e, sorridendo malignamente, riconobbe il suo pedinatore. Continuò sulla sua strada e tornò nei suoi alloggi.

Marhim si lasciò scivolare sui gradini, si prese la testa tra le mani spingendo sulle tempie con forza. –stupido, stupido, stupido… non era in lei, non era in lei!- continuò a ripetersi seduto sulle scale, ma quello cui aveva assistito l’aveva lasciato senza parole, con un vuoto dentro inimmaginabile. Che cosa avrebbe dovuto fare? Se avesse denunciato solamente Rhami, sicuramente Elena sarebbe emersa con una frase tipo: -no, è stata anche colpa mia!- di fronte al gran Maestro. Così si disse che la cosa migliore sarebbe stato tacere e, prima che a partisse, parlare con Elena.

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Capitolo 22
*** Il viaggio ***


Il viaggio




-Ma che casino!- sbottai alzandomi. –Il succo è che la mia antenata se la faceva col primo assassino di turno! Per non parlare di quello lì, com’è che si chiama? Ah, già! Quel Marhim che ha tanto l’aria gelosa attorno!- continuai a gridare. –Ma che roba! Non me lo sarei mai aspetta, pensavo che la mia trisavola avesse del buon senso, ma invece era tale e quale a sua madre! Dio quante gliene avrei dette- mi alzai stropicciandomi gli occhi. –Se solo il mio albero genealogico contenesse qualche bel maschietto orgoglioso, lì la cosa inizierebbe ad essere divertente! Avanti, Doc, non chiedo molto! Perché non controllare il fratello di Elena? Quella ragazzina mi da sui nervi! E chi è poi questo ragazzo dal nome “tutto al suo tempo”!? Perché il vecchio si ostina a tenerglielo nascosto, poverina! E sarei tanto felice di conoscere un altro membro della mia famigliola tranquilla! Caspita, il tempo vola qui fuori, è già… notte…- mi guardai attorno, ammutolendo.
C’era un tipo che mi fissava: aveva i capelli neri, corti e ricci e occhi scuri. Indossava uno smoking scuro e una cravatta rossa. Maneggiava nervosamente con una cartellina bianca stretta nel pugno, sbattendoci contro una penna bianca.
-Andrea - mi chiamò la voce di Lucy e mi voltai.
La donna era alle mie spalle, in piedi accanto a Desmond. –Alex Viego, dell’Abstergo Industries è qui per farti alcune domande- mi disse.
Io sbiancai; quel nome non mi era nuovo. Eccome se non mi era nuovo.
Alex Viego, quel nome compariva sullo screen del cellulare di mio padre quando lui era sotto la doccia ed io girovagavo per casa senza un cavolo da fare. Quel nome era sulle poste che arrivavano in banca, quel nome era sul cerca persone del mio papà, nei suoi documenti, sul suo passaporto e anche sulla sua patente. Alex Viego, Alex Viego, pensai più volte…
Ovviamente lui dovette accorgersi della mia faccia sconvolta e attonita, perché Alex mosse un passo nella mia direzione e si sedette sulla poltroncina beige. –Insisto che sia una conversazione privata- fece il ragazzo guardando Lucy e Desmond dietro di me.
Il soggetto 17 e la signorina Stilman lasciarono il laboratorio rifugiandosi tra i muri della sala conferenze. Li osservai attraverso lo spesso vetro trasparente. Si scambiarono qualche parola, poi Lucy e Desmond si sedettero al tavolo delle riunioni.
Io spostai gli occhi sul mio interlocutore, e mi accomodai di nuovo sull’Animus con le gambe a penzoloni. –Io ti conosco- bisbigliai.
Lui cominciò ad appuntare alcune cose su una griglia, ma mi domandò lo stesso –Come?-.
-Io ti conosco!- ripetei lasciando che il mio inquieto animo si gettasse su di lui. –Mio padre sembrava conoscerti! Il tuo nome era dappertutto in casa mia! Chi sei? Che cosa vuoi?- d’un tratto pensavo che fosse quel Viego la causa di tutti i miei malesseri, i miei sacrifici lì dentro, giorno dopo giorno in quel mondo virtuale di merda!
Alex mi scrutò in silenzio, poi riprese a scrivere. –Sì, conoscevo tuo padre. Gran uomo- rise.
Mi tirai sull’Animus e incrociai le gambe. –Ah sì, e cosa avevi con lui? O contro di lui…- borbottai.
Alex, come risposta, tornò in piedi e mi si avvicinò. –Non sono qui per questo, signorina Tomas. Il lavoro su di lei ha delle scadenze, che a causa degli ultimi avvenimenti sono state anticipate! Per altro, il professor Vidic mi ha appena illustrato che con la rimozione di un ricordo, sono stati cancellati molti dei nuovi checkpoint aggiuntivi e che l’analisi della sua antenata potrebbe portarti troppo fuori dai tempi!- mi gridò addosso schiacciandomi.
Mi feci più indietro. –che cosa vuol dire?- domandai abbassando il tono, sperando che lui avrebbe fatto altrettanto.
Alex lanciò la cartellina sulla poltrona e prese a massaggiarsi le tempie. –I suoi non saranno più due mesi di lavoro, ma bensì quattro, o forse cinque… e non sappiamo chi abbia potuto manomettere i suoi ricordi! D’altro canto l’uomo che ha ucciso il mio cliente è fuggito di galera poche sere fa, e la polizia lo sta cercando ovunque… mi creda, sarà un nuovo periodo orribile per tutti quanti- mi guardò, rabbioso.
Quattro mesi? Bel casino che aveva fatto Lucy… eppure, non sapevo se tenere la bocca chiusa sarebbe stata una buona cosa. Eppure sapevo che Desmond e Lucy erano buoni amici, e tradire la fiducia di entrambi sarebbe stata una cattiva cosa.
Mi ridussi ad annuire, con la verità che mi scalava la gola ogni secondo che trascorrevo davanti a quell’uomo.
Alex cercò nelle tasche della giacca, e dopo poco ne trasse un foglio. Me lo porse.
-Riconosce qualcuno di questi nomi?- mi chiese.
Era una lista compatta di almeno una dozzina di persone. Lessi i primi in cima:
-Bessotti, Serch, Trust, Falchioni, Crew… ma chi sono? E cosa c’entrano con me?- gli restituii la lista, e Alex se la rimise nella giacca.
-Per ora nulla, ma in futuro potrebbe ricordarsi di loro allo stesso modo di come si è ricordata di me, signorina Tomas- sorrise maligno.
Lo guardai torva, sospettosa. – mi piacerebbe saperne di più- parlottai più a me stessa, di fatti Alex non mi rispose.
Afferrò la cartellina, l’aprì e cominciò sull’immediato il questionario.
Furono una decina di domande lunghe e strazianti.
Il signor Viego, negli interessi dell’azienda, doveva accertarsi delle mie condizioni fisiche e mentali, così la maggior parte delle richieste furono problemi matematici delle elementari.
Solo verso la fine, la conversazione si fece più accesa, e l’argomento cadde sull’ “isolamento dal resto del mondo”.
-Io non sono sola- gli risposi tranquilla. –Desmond mi basta e avanza- aggiunsi cercando di dare ilarità al tono. In fondo, sapevo cos’era successo tra me e Desmond soprattutto negli ultimi tempi… ehehe… risi tra me e me.
Quando finimmo, non mi sentivo neppure le forse per trascinarmi nella mia stanza da letto. Rimasi seduta sull’Animus fin quando Alex non si alzò e andò a chiamare Lucy e Desmond nella sala accanto.
-Abbiamo finito- disse il ragazzo.
-Tornerà la prossima settimana?- domandò Lucy accompagnandolo all’uscita del laboratorio, e i due scomparvero nei corridoi bianchi dell’Abstergo.
Desmond mi si avvicinò, notando la mia faccia assonnata e sconvolta. –Tutto bene?- mi chiese aggrottando le sopracciglia.
In principio non risposi. Chissà se per pigrizia o forse perché stavo dormendo ad occhi aperti, ma Desmond mi pizzicò la spalla. –Ahio!- feci risvegliandomi dalla mia convalescenza.
-Ah, ecco, stavo cominciando a preoccuparmi- rise lui.
-Ha fatto anche a te questa roba?-.
Il ragazzo annuì. –Sembra che qualcuno abbia capito che non siamo ratti da laboratorio. Ma resta lo stesso pubblicità per non far incazzare i media, che sicuramente ce l’avranno con l’azienda per tutti quei morti che il progetto Animus ha comportato!- alzò le spalle.
Io scesi dalla macchina e mossi i primi passi verso la camera. –Scusa se sta sera non ti filo, ma non mi reggo in piedi- gli dissi, e la porta della stanza si richiuse dietro di me.

L’alba sorgeva: chiara, maestosa ma lenta, e la valle si riappropriò dei suo colori.
Elena si alzò che aveva un gran torcicollo, e muovere la testa alla sua sinistra le dava un dolore immondo! Maledisse il giorno in cui si sarebbe addormentata di nuovo tra quegli scomodi cuscini colorati.
Si affacciò alle vetrate, cercando di tenere rilassati i muscoli della schiena, o una nuova fitta l’avrebbe sorpresa. –Ci mancava…- borbottò mentre gli occhi le brillavano dei raggi del sole bianchi che vi si specchiavano.
Quella mattina avrebbe dovuto affrontare una pesante cavalcata fino ad Acri, e quel piccolo handicap l’avrebbe rallentata in tutte le sue azioni, innervosendo anche il suo maestro…
Non riuscì a non pensare agli avvenimenti della sera prima, anzi, di poche ore prima.
Altair si era fidato di loro, si disse andando verso la sua stanza per cambiarsi. Nella sua mente si susseguivano le immagini, le emozioni, e un brivido le salì lungo la schiena.
Si vestì in fretta, non volendo farsi trovare impreparata da Adha, che a breve avrebbe fatto la sua comparsa.
Elena si armò di tutto punto, stringendo al meglio i lacci degli stivali e dei guanti. Fissò saldatemene le cinghie con il triangolino di metallo, infilando la spada corta nel fodero sulla sua schiena; raggruppò tutti i pugnali da lancio sistemandoli uno ad uno nei rispettivi astucci, si allacciò la spada al fianco e, in fine, nascose la collana di sua madre sotto la stoffa della veste.
Uscì dalla stanza, e tornò a guardare il cielo azzurro, magnifico.
La vista mozzafiato, lo strapiombo, il lago, i colombi sui tetti che facevano quel piacevole: gruuuu, gruuuu… tutto quello le sarebbe mancato, e in sé sentiva già un gran senso di nostalgia. Andarsene, però, era l’unico modo per occupare la ragione con qualcosa che non fosse il volto di Rhami. Si sentiva in dovere di chiarire le cose con il ragazzo, ma non ne avrebbe trovato la forza. Se si fosse avvicinata di nuovo a lui per dirle che dovevano dimenticare quello che era successo, Elena temeva che le sarebbero balzate addosso ancora una volta le stesse insicurezze, paure, voglie che l’avevano fatta scivolare tra le braccia dell’assassino. No, si disse, non poteva rischiare quello che aveva passato sua madre. Elena era lì per riscattare il nome della sua famiglia, e se le cose sarebbero peggiorate, come Alice, avrebbe dovuto lasciare la confraternita… e lei non voleva. In quel luogo aveva scoperto la sua nuova vita, gli amici e i nemici. Marhim era suo amico, un suo grande amico. Elika l’aveva consolata nel momento del bisogno, e Altair aveva tuttora molto da insegnarle.  L’unico fondamentale motivo che la mandava avanti giorno dopo giorno, tuttavia, era che non poteva certo abbandonare la ricerca di suo fratello così!
Come da lei previsto, Adha non tardò ad arrivare.
La sua tunica lunga e bianca, dai ricami sanguinei, strusciava sulle tegole del pavimento e la donna si teneva i lembi del vestito con grazia. Le sorrise venendole accanto, ma Elena si ritrasse.
-Scusa, vorrei solo fare alla svelta- disse seria la ragazza.
Adha non disse nulla, si limitò ad annuire e l’accompagnò giù per le scale.
Il corridoio delle camere degli Angeli era avvolto nel buio, e i loro passi sbattevano tra le strette pareti.
Elena la seguì fino nella sala mensa, dove fece una colazione veloce tutta sola.
A quell’ora le donne che giravano per la fortezza erano poche, e si spostavano come fantasmi, in un silenzio spaventoso.
Dopo aver finito il pasto, Adha le venne accanto. –Devo avvertire il Maestro che siete in procinto di partire. Se hai tanta fretta, perché non vai a buttare tu giù dal letto il tuo insegnante?-.
Elena sobbalzò.
La donna lasciò la sala mensa, ed Elena rimase seduta al tavolo con il piatto vuoto davanti. E così, pensò, il suo maestro d’armi non si era ancora svegliato? Buffo, anzi, assurdo.
Elena seguì i consigli di Adha, ma si fermò a metà strada.
Dov’era la sua stanza? insomma, dov’è che riposava Altair? Sicuramente non assieme agli altri Angeli, vicino agli appartamenti delle Dee, forse altrove.
La ragazza vagò per tutti i piani della rocca forte, fin quando, per un solo istante, il suo sguardo non si posò su una figura che avanzava in un corridoi buio.
Elena seguì Fredrik quasi di corsa e, dopo averlo raggiunto, si schiarì la voce.
L’assassino si voltò. Aveva il viso scoperto, e la maggior parte del suo equipaggiamento l’aveva lasciato altrove. –Elena- fece proferendo un piccolo inchino.
La ragazza andò subito al sodo, evitando gli occhi verdi dell’uomo. –Adha mi manda a chiamare il mio maestro, ma non ho idea di dove sia. Potreste indicarmi la strada?- disse d’un fiato.
Fredrik le indicò una galleria tra la pietra che aveva sbocco su un cortile che Elena non aveva mai notato. –è la via più corta- le disse guardandola. –c’è un cortile, sali al primo piano. Primo corridoio a destra poi te la trovi davanti, è la stanza in fondo. Non credo comunque che stia ancora dormendo- rise l’assassino.
Elena si strinse nelle spalle. –Grazie- mormorò e si avviò.
Il chiostro mostrava una giovane fontana di marmo bianco nel centro, dalla quale sfavillava acqua cristallina. C’erano delle strette scalette di pietra che costeggiavano la parete fino a due, tre piani sopra, ed Elena seguì le indicazioni dell’Angelo e individuò il corridoio dettatole.
Lo percorse tutto quanto, fino a che davanti a lei non si prostrò un porta a doppia anta, cui uno dei due battenti era socchiuso. Elena si strinse in quel piccolo spazio ed entrò nella stanza.
Una camera sobria, di pocho arredo. Maree di libri ammucchiati a terra e sullo scrittoio di mogano; pergamene, cartine geografiche e geopolitiche.
Le tende erano ripiegate ai lati delle ampie vetrate che affacciavano su un vasto altopiano alle spalle della fortezza. L’erba verde andava a diradarsi nelle prossimità dello strapiombo roccioso.
C’era un soppalco che copriva gran parte del soffitto.
Il disordine e l’ordine si alternavano dovunque Elena puntasse lo sguardo: c’erano dei vestiti buttati sopra una cassapanca, semplici e di poco conto. Un armadio a parete spalancato mostrava le diverse divise impilate tra le mensole.
Elena mosse alcuni passi avanti, quando un urlo acutissimo la costrinse a coprirsi le orecchie.
Il grido cessò, e la ragazza si guardò attorno spaventata.
C’era un magnifico falco, che zampettava sulla scrivania fissandola con rabbia. Il becco ricurvo e le piume brillanti di un argento vivo, artigli appuntiti che sembravano graffiare il legno dello scrittoio. Portava un cappuccio sulla testolina scattante, e una mantellina nera che gli copriva le piume del dorso; la coda lunga e piumata, colorata delle più sgargianti sfumature di grigio.
L’animale saltellò su e giù tra i libri e le pergamene, dilatò le ali un paio di volte e le sbatté mentre il suo petto chiaro si gonfiava, ed un nuovo grido squassò il silenzio della stanza.
Elena si avventò sul pollo e provò a farlo tacere, ma l’uccello si librò in aria e perse alcune delle piume quando Elena provò ad acchiapparlo per la coda. La bestiola si rifugiò sull’alto di una delle librerie e la squadrò con i suoi occhi, che non erano altro che pozzi scuri senza fine.
Chissà come ci era entrato quel tacchino lì dentro! Pensò la ragazza fissando la creatura con insistenza.
Il falco planò sulla scrivania e tornò a zampettare tra i libri, ed Elena si ridusse ad osservarlo divertita.
Muoveva la testa a scatti, voltandosi e rivoltandosi in più momenti sempre dalle stesse parti. Gli artigli ticchettavano sul mogano lasciando solchi invisibili.
-Rashida Hadiya Rania Wafa, via dal tavolo!- sbottò una voce alle sue spalle, ed Elena si voltò.
Il falco spiccò il volo e sparì nel buio del soppalco con un gemito.
Altair era in piedi davanti a lei e controllava che l’animale non lasciasse il suo nascondiglio, nel quale si era ficcato quando il suo padrone l’aveva sgridato.
Altair la sorpassò e si piegò sulla scrivania, verificò che gli artigli dell’uccello non avessero fatto troppi danni. –Che ci fai qui?- le chiese senza guardarla.
Elena si mosse indietro, forse non era ben accetta in quella camera, ma Fredrik l’aveva indirizzata lì senza problemi. –Io…- balbettò.
Il suo maestro si girò a la squadrò dai piedi alla punta dei capelli. –Una risposta?- la interrogò seccato.
Elena prese fiato. –Adha mi aveva mandata a chiamarvi, ho solo fatto quello che mi ha chiesto di… insomma- esitò. –scusate, maestro, se sono entrata senza il vostro permesso…-.
Altair la contemplò allungo senza dire nulla, poi emise un fischio acuto e il falchetto venne giù dal soppalco.
Altair gli accarezzò il becco quando la bestiola gli si artigliò al guanto destro, quello senza le placche di metallo. Affettuoso, l’animale strusciò il proprio muso contro il suo mento. –Sono contento che abbiate fatto conoscenza- disse l’assassino, e anche gli occhi della piumata si spostarono su di lei. Elena rabbrividì.
-È vostro?- interpellò la ragazza indicando la bestiola.
-Se non fosse per lei- cominciò Altair –oggi non indosserei queste vesti-.
Il falco continuava ad appiattire la sua testolina sul mento dell’uomo, come i gatti quando si attaccano e non si scollano più alle gambe di una persona. Elena provò serenità nel ammirare quella scena.
-Mi ha fatto prendere un colpo, mi ringhiava contro- si lamentò lei.
Altair soffocò una risata. –è normale, è addestrata apposta- la informò.
-Una lei?- mormorò stupita la ragazza, avvicinandosi al suo maestro.
L’assassino annuì, accarezzando le fini zampette della falchetta. –Rashida per la sua scaltrezza, la sua furbizia e la sua intelligenza. Hadiya perché mi è stata donata da un vecchio amico… Rania, poiché osserva dall’alto e mi guida verso il giusto. Wafa è la sua fedeltà al mio braccio e alla mia carne. Io la chiamo semplicemente Rashy- Altair le sorrise.
Elena non se ne stupì. Tutti quei nomi che il suo mentore aveva elencato corrispondevano agli atteggiamenti della sua piccola spalla, fatale quanto gracile. –Rashy- ripeté allungando una mano.
L’uccella scattò in avanti gridando e quasi le staccò un dito.
Elena indietreggiò spaurita.
-Ci si comporta così con gli ospiti, eh? Saggia e intelligente quando le va’- rise l’assassino. –Perdonala, è piuttosto nervosa ultimamente-.
Elena osservò il falco zampettare fin sulla spalla dell’uomo, e di seguito cominciò a beccargli il cappuccio, come a volerglielo sfilare via.
-Dunque, siamo pronti a partire- concluse l’assassino.
Elena annuì. –Per quanto mi riguarda, sì, maestro- abbassò il capo.
-Aspettami nel cortile, ho delle ultime faccende da sbrigare- le disse, ed Elena si avviò fuori dalla stanza con passo svelto.
Sperava tanto che Altair le concedesse altro tempo prima della partenza: abbastanza da poter salutare i più cari, ma non troppo da poter incontrare i suoi nemici.
Percorse la strada che aveva fatto a venire e raggiunse il cortile interno dove vi erano le guardie di pattuglia e gli arcieri sulle mura. Il campo di addestramento era vuoto e silenzioso, e soffiava un tenue venticello fresco che sollevava le polveri del terreno.
Elena girò più volte lo sguardo, si aspettava di trovare Marhim magari lì ad aspettarla come faceva di solito, ma nulla: tutti gli assassini sembravano esserci volatilizzati.
Così Elena corse nella sala del Maestro e si fermò trattenendo il fiato davanti alla scrivania cui era seduto il vecchio Tharidl.
-Buon giorno a te, Elena- fece continuando a scrivere su un’antica pergamena.
-Maestro- Elena proferì un lieve inchino. –Sto cercando Marhim, volevo parlare lui prima della mia partenza- lo infornò.
Il vecchio intinse il pennino nell’inchiostro. –Credo che non lo troverai da nessuna parte se non ad Alhepo. Marhim è partito stamani per raggiungere suo fratello-.
Elena tacque, ammutolita.
La prima domanda fu perché? Marhim era sembrato così triste di doversi ritrovare solo a Masyaf senza né lei né suo fratello. Le aveva persino confessato che non si sarebbe riunito ad Halef perché l’omicidio non lo affascinava più di tanto, perché non voleva crescere di rango, perché si ostinava a stare piegato sui libri piuttosto che andare a caccia della nomina di Angelo.
Elena si chiese se il motivo della sua partenza fosse stato influenzato dai comportamenti di Rhami la sera prima. Elena ricordava bene come lui e Marhim tenevano sempre alta cresta l’uno contro l’altro, e ancora quella mattina Elena aveva chiara l’immagine del suo caro amico che stringeva i denti nel vederla ballare con l’assassino suo avversario… avversario? Avversario in cosa, poi…
-Non ha voluto darmi alcuna spiegazione se non ammettere di avere delle capacità da sfruttare- aggiunse Tharidl muovendo il polso in una calligrafia retta e ordinata. – si è alzato che era ancora buio, ed io aveva del lavoro da terminare prima di oggi, così non ho dato peso alle sue parole. Ho forse sbagliato in questo, Elena? Avrei dovuto chiedergli di più affinché nella tua mente non volassero altri dubbi?- le domandò premuroso.
Elena scosse la testa. –No, non ce ne sarebbe stato bisogno- mormorò abbassando lo sguardo.
-Ottimo, puoi aspettare qui il tempo necessario perché il tuo maestro finisca i suoi preparativi. Vieni, siediti accanto a me- le disse indicando lo sgabello al suo fianco.
Elena vi si sedette lentamente, guardando circospetta gli scritti che Tharidl era intento nel maneggiare. Alcuni vecchi tomi polverosi e la cartina di Masyaf ornavano il suo scrittoio, riducendo lo spazio godibile ad una persona sola.
Elena si strinse più al suo posto, lasciando spazio sufficiente a Tharidl per gesticolare coi gomiti nel cambiare pergamena dopo pergamena.
Il suo arabo era impeccabile, una scrittura sempre regolare e rettilinea.
Allungando la vista, Elena riuscì a tradurne alcuni frammenti, ma parevano tanto profezie e testi apocalittici di cui, come Marhim le aveva detto, la biblioteca era piena.
Forse, seduta lì vicino al gran Maestro, trascorse un’oretta piena, fin quando sulle scale non comparve la figura possente del suo mentore.
Elena scattò in piedi, e mosse dei passi verso di lui.
Altair si fermò nel centro della stanza, di fronte a Tharidl che si alzò e lo guardò fiero. –è tutto pronto?- chiese il vecchio.
L’assassino annuì, lanciando una fugace occhiata alla ragazza.
-Sono stato informato dal rafik di Acri, che Corrado sa della vostra venuta-.
Ecco una pessima notizia, la brutta novella di inizio incarico, si disse Elena curvando le spalle. –non ci voleva- parlottò.
Altair assunse un’espressione confusa. –Come è possibile? La spia è sotto strette catene nelle segrete, non aveva modo di lasciare la fortezza- commentò.
Elena pensò allora a Jarhéd, chiuso in chissà quale buia cella puzzolente, oppresso da continue torture.
-Jarhéd è stato sottratto dalle sue pene questa notte, quando è arrivato il messaggio- continuò il Maestro. –Egli non è l’uomo che cercavamo, che in tutto questo lasso di tempo ha avuto modo di andare e venire d Acri senza che qualcuno se n’accorgesse- Tharidl ratteneva bene la collera, nascondendo la paura che il traditore girasse ancora per la fortezza, e così era.
L’assassino si avvicinò ad Elena. –Dobbiamo posticipare la partenza?- domandò.
Tharidl fece di no con la testa. –Non è saggio. Corrado avrà modo di tornare a Masyaf con un numero sempre crescente di soldati, poiché egli si appresta a far accrescere i suoi seguaci, sottoponendoli agli stessi duri servizi militari che amava gestire suo padre Gulielmo. Non possiamo permettere, inoltre, che il Frutto resti nelle sue mani troppo allungo. Molti Templari vivono ancora, e sono disposti a tutto pur di assaporarne il potere- Tharidl cominciò a camminare avanti e indietro. –No, quello che è stato deciso sarà fatto e portato a termine con il massimo del giudizio e della cautela. Mi riferisco ad entrambi: non sottovalutate questo incarico. Ho scelto voi perché so di potermi affidare…- gli occhi del vecchio si posarono su di lei, ed Elena indietreggiò di pochissimo.
Altair abbassò il capo, in segno di saluto.
-Che il Signore vi assista…- sospirò Tharidl osservandoli allontanarsi.
Elena seguì il suo maestro come un’ombra attraverso le strade mute di Masyaf.
C’erano delle guardie di pattuglia, e molte delle bancarelle della piazza erano in allestimento.
Una volta alle porte della città, Altair montò su quel magnifico esemplare bianco che era il suo cavallo, accorciò le redini e sistemò le staffe.
Elena si trovò ad indugiare davanti alla sella del suo destriero. Era nero, bellissimo, dal manto lucido. Aveva una stellina bianca sulla fronte, occhi scuri e muscoli pulsanti pronti alla corsa più straziante. Eppure, provò un senso di paura, ansia nell’infilare il piede nella staffa e nel tirarsi su.
Si ricordò di quel sogno una delle sue prime notti nella fortezza. Di quando all’ingresso per Acri un arciere di Corrado aveva… ucciso il suo (all’epoca) ignoto maestro.
-C’è qualcosa che non va?- chiese Altair accostandosi alla ragazza.
Elena scosse la testa, e per rallegrarsi gli chiese: -Chi baderà alla tua falchetta?-.
L’assassino allungò le labbra in un sorriso e si portò due dita alla bocca. Fischiò con un’intensità incredibile e, di tutta risposta, un grido squillante si levò nell’aria fredda della valle.
Rashy, una macchia indistinta tra le nuvole, comparve sopra le loro teste; svolazzava ad alta quota puntando dritta verso sud come ad indicarli il cammino.
Altair partì al galoppo, ed Elena spronò il cavallo subito dietro di lui.

Il tragitto pretendeva almeno due giorni di cavallo per raggiungere i primi posti di blocco crociati, e qualche altra oretta per arrivare alle porte di Acri.
Impiegarono tutta la mattinata per raggiungere il bivio che portava a destra ad Acri, e a sinistra verso Damasco.
Erano fermi davanti alla lapide di pietra con le indicazioni. I cavalli brucavano da qualche minuto, mentre silenziosi Elena e il suo maestro tacevano ognuno coi propri pensieri.
-Chissà da che parte dobbiamo andare…- canticchiò la ragazza.
Altair le lanciò un’occhiataccia. –Seguire la costa potrebbe essere rischioso. Se Corrado sa di noi, avrà moltiplicato gli avamposti e raddoppiato le pattuglie. Tanto meglio impiegare qualche giorno in più ma arrivare a destinazione con tutti i pugnali da lancio, non trovi?- le chiese.
Elena alzò le spalle. –Per me è uguale- borbottò.
L’assassino le mollò una pacca sulla testa, ed Elena sobbalzò. –Che ho detto?!- lo guardò stupita.
Altair mantenne la sua compostezza. –Sappi che non ti consento di tenere la mente altrove! Devi partecipare attivamente se pretendi di imparare qualcosa! Non stare ad aspettare che sia io a darti indicazioni, pigra!- la canzonò.
La ragazza ci pensò alcuni istanti. –Va bene, avete ragione! Seguire la costa non se ne parla! Va bene, va bene! Siete contento, maestro?- ovviamente assunse un tono prepotente, e Altair la colpì di nuovo.
Lei trattenne il gemito, guardando da un’altra parte.
-Se è successo qualcosa che ti rende così poco agibile devi dirmelo ora, o potresti farci ammazzare!- ruggì a denti stretti.
Elena si voltò. –Nulla, maestro. È il nervoso dell’azione che mi rende così… nervosa- sbottò, cercando di evitare lo sguardo severo di lui. O meglio, di nascondere la grossa bugia.
Quanto le dispiaceva per Marhim, più che altro…
Altair annuì poco convinto, e colpì i fianchi del cavallo. –Stammi vicina, anche i saraceni non scherzano…- si avviarono al trotto su per la collina, proseguendo ai lati della strada.
In prossimità dei posti di blocco delle guardie, rallentavano fino ad essere davvero scambiati per monaci, ma appena cento metri avanti, si avvantaggiavano al galoppo fino al blocco successivo.
Le vie tortuose del Regno erano sempre le stesse: stopparono in diversi villaggi contadini per far abbeverare i cavalli, si guardavano attorno da spie e roba varia e riprendevano il viaggio con una regolarità costante.
Al calar della notte Altair la condusse in un bosco di ulivi stretto tra due crepacci; galoppavano lentamente sul selciato tra gli arbusti e le pietre.
-Dove stiamo andando?- domandò lei.
Il sole andava scomparendo oltre le montagne, la luce mancava già quando Altair arrestò il suo destriero tirando le redini.
Elena lo seguì in silenzio, perché il suo maestro svoltò in un insenatura strettissima tra la roccia senza dirle nulla.
I cavalli quasi toccavano coi fianchi, perché le pareti andavano a stringersi poco a poco. Elena alzò lo sguardo, e vide che il cielo notturno già brillava delle prime stelle.
La galleria cominciò ad incupirsi man a mano che avanzavano al passo, ed Elena credé di sapere dove Altair la stava conducendo.
Ce n’erano un po’ ovunque nel regno, e fungevano da piccoli ritrovi e punti di raccolta, nonché alloggi durante i lunghi viaggi.
Dimore buie e ben celate agli occhi indiscreti che mandavano avanti una propria gestione. Forse era stato Marhim a parlargliene, oppure Elika quando Elena le aveva chiesto di come si sarebbero svolti i suoi addestramenti, non ricordava con precisione.
In un luogo dove la roccia si allargava in uno piazzo irregolare, sorgeva una casupola di grossi mattoni di pietra. Dal comignolo fuoriusciva del fumo, e fuori dalle quattro mura erano appesi stendardi ben riconoscibili: il simbolo della setta di Masyaf.
Rashy, la falchetta del suo maestro, planò sulla piazza e si appollaiò sul tetto piatto della costruzione, guardandoli dall’alto.
C’era una palizzata cui erano legati alcuni cavalli, ed Elena e Altair lasciarono lì i propri avviandosi all’interno della costruzione.
Pareva una normale locanda, con un lungo bancone di legno, qualche botte di vino in fondo e una donna che puliva i pochi tavoli vuoti. Nel compenso, una gran confusione veniva da un gruppo di pochi uomini in bianco stretti in un angolo. Ce n’era uno seduto sul tavolo, un altro con il seggio al contrario e un terzo in piedi che giocava a freccette con i pugnali da lancio. I tre scherzavano e ridevano, ma nel voltarsi tacquero a guardarli.
Elena si strinse nell’ombra del cappuccio come se in quel momento fosse l’unico luogo sicuro nel mondo. Chissà se era lei argomento di tanto improvviso mutismo, oppure gli assassini avevano colto il suo maestro di nuovo in missione.
La donna li si avvicinò, andando dietro il bancone. –Maestro Altair- fece un leggero inchino.
L’assassino andò dritto al sodo. –è nuova, e vorrei che avesse una stanza unica-.
La donna volse un’occhiata curiosa su di lei, ed Elena si voltò di lato
–Non sono sicura di potervi accontentare, ma controllerò lo stesso- la custode della dimora si allontanò in fondo alla stanza e guardò in un cassetto sotto il banco. Tornò indietro stringendo tra le mani delle chiavi. –Siete fortunati- fece lasciandole cadere nella mano dell’uomo. –sono le ultime due- aggiunse la donna.
Altair l’accompagnò fino al piano superiore della Dimora, dove si apriva un piccolo corridoio buio con poche camere. Si fermò sull’uscio di una porta e l’aprì.
Il soffitto era basso, non c’era neppure una finestra. Un tappeto ricamato e qualche cuscino su cui stendersi… cuscini! Ripeté, cuscini!
Ancora le doleva il collo, e le avrebbe dovuto dormire su dei cuscini! Fece rabbiosa dentro di sé.
-Domani mattina saremo di nuovo in viaggio prima dell’alba. Se ti viene fame, la strada non è complicata fino al piano di sotto- le disse, e il suo maestro si allontanò sparendo nella stanza accanto.
Elena cominciò a spogliarsi del pesante armamentario che le pesava sulla schiena. A partire dalla spada corta, slacciando i lacci di cuoio che le stringevano il petto. Poi lasciò cadere a terra il fodero con tutta la spada. In fine, attorno alla vita, si permise di tenere solo la pezza rossa, adagiando in un angolo la spessa cintura di cuoio con tutti i pugnali.
La fame la prese all’improvviso, dopo essersi calata il cappuccio sulle spalle per il caldo.
Lasciò la camera e si allungò al livello inferiore.
Gli assassini erano ancora lì, come Elena li aveva visti pochi minuti prima.
Fuori dalle piccole vetrate si stagliava il cielo stellato e il buio della notte, che per metà avvolgeva l’interno del locale.
Elena si avvicinò al bancone. –Scusa- fece.
La donna, piegata sotto il livello del tavolo, si alzò con i capelli spettinati. –Sì?- chiese.
Elena si sentiva osservata. –Mi chiedevo se potevo avere qualcosa, ecco, qualcosa da mangiare-.
La ragazza, di poco più grande di lei, le sorrise. –Certo- si voltò, aprì una mensola e ne trasse una forma di formaggio. Con un coltello ne taglio alcuni pezzetti e li porse ad Elena.
-Grazie- disse l’assassina cominciando a sgranocchiare.
La donna le versò dell’acqua in un bicchiere di legno e, continuando a sorriderle, prese a pulire tra gli scaffali con un vecchio straccio umido.
Quando una figura imponente comparve al suo fianco, Elena sobbalzò e il pezzo di formaggio le volò via di mano, rotolando sul bancone.
L’assassino la scrutava con gli occhi celati sotto il cappuccio, ed Elena cercò di tornare a mangiare tranquilla, ma era inevitabile che cominciasse a sudare freddo.
Nonostante Elena fosse oggetto di diversi interessi, in quegli ultimi giorni, l’assassino si riduceva a guardarla mangiare, senza dire o fare nulla se non lanciare uno sguardo ogni tanto.
Eppure Elena ne era infastidita, così, d’un tratto si voltò verso l’uomo: -hai qualche problema?!- gli gridò.
Il ragazzo non si scompose, anzi, si allungò verso di lei, che invece di ritrarsi rimase immobile. –Allora?- balbettò ancora.
Che strano… pensò Elena quando l’assassino tornò dai suoi compagni. Una buffa sensazione, come un presagio, una piccola previsione di un futuro che era comparso per metà. Era stata la vicinanza a quell’assassino a farla sentire così, con una specie di estasi interna che non avrebbe saputo spiegare a parole. Il suo corpo era tornato rilassato, ma lo era sempre stato mentre quel curioso moccioso la fissava. Chissà che cosa aveva visto in lei di tanto… interessante.
Elena si alzò, avviandosi di nuovo nella sua stanza.
Lanciò un’occhiata alla camera del suo maestro e, notando la porta chiusa, proseguì per la sua.

La mattina seguente Elena era già in piedi quando, aprendo la porta, si trovò di fronte ad Altair. Gli porse le chiavi della stanza e, già pronta e armata, si avviò sulle scale.
Altair, sorpreso di averla trovata già sveglia, la seguì dopo poco.
Il salone della Dimora era avvolto dalle ombre del primissimo crepuscolo. I tavoli vuoti, il bancone pulito e il silenzio di tomba.
Altair lasciò le chiavi delle stanze nel cassetto dove la donna le aveva prelevate al loro arrivo; poi frugò nella dispensa e trovò due belle mele verdi; fatta la colazione, lasciarono quel luogo.
Rashy, appollaiata sulla roccia e stretta nella sua mantellina nera che le teneva caldo, spalancò le ali e planò fino sulla spalla del suo maestro, infilzando la veste con gli artigli.
Montarono in sella, attraversarono la stretta via nel crepaccio e ripartirono al galoppo una volta raggiunto il boschetto di ulivi.
Di lì in poi galopparono per colline e montagne, raggiungendo punti altissimi e poi scendendo nuovamente a valle, mentre il paesaggio cambiava dallo stupefacente al magnifico.
L’orizzonte… non esisteva l’orizzonte! Da quelle altitudini il panorama stanziava per leghe infinite quante erano i numeri! Dense nuvole coloravano il cielo ad ovest, mentre il firmamento sopra di loro era di un azzurro impeccabile.
Naturalmente loro puntavano verso la città della pioggia eterna: Acri.
Ci fu un momento cui ad Elena parve di vedere la linea dell’oceano, ma fu un istante in cui era comparsa una sottilissima (è dir poco) strisciolina bluastra.
Villaggi e campagne, boschi e praterie, campi e vecchie rovine, chiese e castelli.
Durante la giornata fecero tappa poche ed essenziali volte.
Proseguirono al passo, perché si trovavano nei pressi dei territori della Città Santa, e attirare l’attenzione da quelle parti era sconsigliato.
Quando furono abbastanza lontani dagli accampamenti di massa, scattarono nuovamente al galoppo.
La notte successiva la trascorsero in una Dimora degli assassini simile alla precedente, ma collocata nel bel mezzo di alcune rovine bizantine. Erano resti di colonne e pareti sopraffate dai rampicanti.
La Dimora era ben nascosta alla vista: scavata nel terreno, e loro furono gli unici assassini che vi sostarono per quell’arco di tempo.
Il giorno seguente la fortuna li arrise, come le disse Altair, perché Gulielmo sembrava aver impiegato gran parte dei suoi uomini ai posti di blocco che affacciavano sulla costa.
Di fatti, nel passare accanto ad alcune abitazione controllate da una torre crociata, notarono ben pochi movimenti militari e li fu facile passare senza essere riconosciuti.
Il viaggio proseguì più liscio del previsto. Fronteggiarsi con delle guardie non rientrava certo nei suoi ideali di marcia, ma Elena si trovò costretta a sospettare che fosse piuttosto strano.

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Capitolo 23
*** Premessa, la Dimora ***


Premessa, la Dimora








Elena tirò le redini, portando il cavallo al passo.
Il suo maestro teneva lo sguardo basso e le briglie in una sola mano; la schiena dritta e il braccio libero lungo il fianco.
La gente in prossimità di Acri non era molta, ma la strada era comunque affollata. Sopra di loro si stagliava un cielo grigio e in procinto di tempesta. Aleggiava un’aria gelida, accompagnata dai boati di tuoni lontani. Alcune cornacchie appollaiate su un albero spoglio gracchiavano spietate, ed Elena rabbrividì nel vedere dei corpi impiccati allo stesso ginepro rinsecchito.
Le mura della città comparvero dopo poco, quando svoltarono prendendo una strada secondaria.
-Quello è l’ingresso principale- le disse ad un tratto l’assassino.
Elena si riscosse, lanciando un’occhiata alle porte spalancate. La folla andava e veniva tranquillamente portando con sé carovane e bestiame. Il frastuono divenne assordante nel momento in cui Elena e Altair smontarono da cavallo.
Lasciarono le cavalcature accanto ad una cesta di fieno e si avviarono verso l’ingresso.
Altair la bloccò improvvisamente mettendole un braccio davanti, ed Elena ricevette un duro colpo al costato. –Mi hai fatto male!- bisbigliò contenendo il dolore.
Altair alzò lo sguardo al cielo grigio, dove il puntino scuro che era Rashy svolazzava in circolo. –Aspetta…- fece l’uomo. –Qualcosa non va…-.
Elena si guardò attorno, mentre un groppo di paura le saliva alla gola. –Che… che succede?- balbettò.
-Le guardie…- proseguì Altair. –non ci sono-.
Elena notò che in effetti l’ingresso era per nulla controllato! Non c’era una guardia a presenziare quel pomeriggio, quando invece c’era da aspettarsi chissà quanti battaglioni… buffo, pensò.
Altair sfoderò la spada, ed Elena si strinse dietro di lui imitandolo. –Maestro…- mormorò terrorizzata, ma non riuscì ad aggiungere altro che il grido Rashy si diffuse nel vento.
A quel punto ci fu una voce di un uomo che gridava: -Eccoli! Gli assassini! Prendeteli!- sulle mura comparvero degli arcieri che li puntavano armati.
Elena sbiancò: erano spacciati.
La folla attorno si stanziò e intraprese una corsa di massa verso l’interno della città; tra grida ed urla, Elena assecondò le parole del suo maestro:
- Sta’ pronta…- le disse solo Altair.
- Cosa?!- Elena contò le figure distinte di una decina di uomini che emersero dalla calca e li accerchiarono svelti.
Elena fu con le spalle contro quelle del suo maestro, che senza aspettare che la gente si allontanasse, scagliò un pugnale da lancio contro il soldato, il quale si accasciò a terra. –Combatti!- gridò l’assassino.
Le campane della città tuonarono, e lo scontro ebbe inizio: una guardia si avventò su di lei e la ragazza parò il colpo indietreggiando. Sebbene i soldati si facessero avanti uno alla volta, i due assassini erano nel mirino degli arcieri sulle mura.
Elena estrasse d’istinto la lama corta rinfoderando la spada, e la guardia le fu di nuovo sul collo. La ragazza schivò, e ne approfittò per colpire il suo aggressore alla schiena. Un fiotto di sangue caldo macchiò la terra, e la ragazza piroettò su se stessa quando una nuova guardia tentò di abbordarla.
Elena parò il colpo, e contrattaccò appena le fu possibile. Con un fluido movimento del polso, dopo esser balzata avanti, segò un taglio preciso alla gola dell’uomo.
Alle sue spalle, Altair contrastò con facilità un fendente, sbatté a terra il soldato e lo infilzò con un ultimo fatale colpo di spada in pieno petto. Scartò di lato, e la feccia gli sfiorò il cappuccio. Ben presto le guardie si raddoppiarono, e non ci fu nessuna pietà nel duello, che proseguiva con un susseguirsi di corpi crociati che si accasciavano a terra.
Stava uccidendo: era tornata a colpire, tornata ad assaporare il sapore di un’anima che si sgretolava sotto il taglio della sua lama.
Elena fece un balzo indietro, e la spada dell’aggressore le sfiorò il petto di pochi millimetri. La ragazza attese che il fendente puntasse verso il basso, poi si piegò e conficcò la lama corta nel piede dell’uomo, che gridò immondo. Elena si sollevò e gli tagliò il viso.
L’uomo cadde sfregiato a terra, in preda al dolore. Si portò le mani sul volto, mentre il sangue gli grondava attraverso le dita.
Elena cercò di non pensarci, concentrandosi sul fatto che la sua e la vita del suo maestro erano in pericolo e principalmente rilevanti.
Qualcuno riuscì a ferirla, e la ragazza si accorse che si era trattato di una freccia. Le era comparso uno sfregio rossastro sulle pelle della spalla, dove la veste aveva ceduto.
Il dardo era andato a conficcarsi nel terreno, ma Elena si guardò lo stesso dall’avversario successivo, che venne verso di lei con un colpo ben assestato sulle gambe.
Elena rotolò indietro, si rialzò trattenendo il respiro. Quando la guardia le venne di nuovo contro, si slacciò dalla cintura un pugnale e glielo scagliò nella fronte.
Non c’era tempo di prendersene i meriti, le guardie di Corrado li accerchiavano in un numero troppo elevato!
Elena non perse un istante, e si avventò contro un gruppetto di guardie compatto. Schivò il colpo del primo soldato piegandosi sulle ginocchia, rotolò e colpì alle gambe il secondo. Nell’alzarsi la ragazza spiccò un salto sul cadavere di questo e tagliò la gola al primo. Atterrò coi piedi saldi a terra, e si voltò giusto in tempo per evitare la freccia che le sfiorò il ciuffo di capelli fuori dal cappuccio. Tornò alla carica, ma l’avversario riuscì a frenare il suo affondo spingendola a terra.
La ragazza provò ad sollevarsi, ma la guardia alzò la lama al cielo; il fruscio familiare di un pugnale da lancio si diffuse nell’aria.
Elena scartò alla sua sinistra, evitando così che il corpo dell’uomo le cadesse addosso. Si sollevò a fatica, quando un nuovo fendente entrò nel suo campo visivo.
Si piegò ancora, tornando a stringere tra le dita la spada lunga. I suoi muscoli andavano indebolirsi, e la sua resistenza agli attacchi si affievoliva ogni qual volta era costretta ad indietreggiare.
Era stato l’assassino suo mentore a lanciare il pugnale, e ora Altair si apprestava in combattimento contro i più valorosi tra i soldati di Corrado.
-Non ce la faccio!- sbottò la ragazza tornando al fianco del suo maestro.
Altair scagliò un nuovo pugnale e schivò una freccia. –Maledetti! Ci aspettavano, avrei dovuto prevederlo!- fu la sua risposta a denti stretti. Poi Altair infilzò come uno spiedino la spada nel petto di una guardia, la quale si rovesciò inerme in una pozza di sangue.
-Non sareste dovuti venire!- li gridarono contro.
-Il nostro Signore avrà la vostre teste su un piatto d’argento!- rise qualcun altro.
Altair le strinse un lembo della veste. –Vattene!- le disse in un sussurro.
Elena sobbalzò, evitando di pochissimo una freccia. –Maestro, non vi lascio in questa situazione! E non vi è via di fuga se non combattere!- protestò lei tenendo la voce bassa.
I due si divisero, quando i soldati vennero di corsa nella loro direzione.
Elena si appoggiò a terra con le mani, scartando di lato in una bella e precisa ruota. Lanciò la spada in aria e l’afferrò, lasciando i suoi avversari senza parole.
Una prima guardia le fu addosso, ed Elena scartò in basso. Il colpo era mal piazzato, e le fu troppo facile tagliargli l’addome senza troppa fatica del braccio.
Elena si guardò le spalle da una nuova, improvvisa freccia. Roteò a sinistra, ma qualcosa la bloccò per i fianchi, stringendola con vigore.
Non realizzò in tempo che la spada le volò via, mentre l’uomo che la stringeva a sé la strozzava con il braccio.
Elena sentì l’aria mancarle, e i suoi piedi si sollevarono dal suolo. Provò con tutte le sue energie a divincolarsi, ma il cavaliere crociato la teneva saldamente. I suoi occhi azzurri guardavano verso il cielo nuvoloso, e le sue mani graffiavano la tunica dell’aggressore. Elena soffocava.
-Trouve un moyen de s'échapper!- le gridò in francese un soldato, ridendo sarcastico.
-Maudit assassins !- disse un altro.
La vista le si annebbiava, i sensi si sfumavano. Elena lasciò che le braccia le cadessero lungo i fianchi, ed era sul punto di finirla lì.
Il suono delle campane d’allarme divenne un brusio lontano e fastidioso come quello di una zanzara nel buio e, lentamente, Elena chiuse gli occhi.
Altair si voltò, e scagliò un nuovo pugnale che trafisse il cavaliere sulla spalla.
L’uomo indebolì la presa, gemendo di dolore, e il corpo di Elena si accasciò al suolo.
La ragazza si riebbe lentamente, tossendo sangue e non riuscendo a reggersi in piedi.
L’altro assassino le venne accanto. –Devi andartene! Va’ alla Dimora!- gridò collerico infilzando il soldato in pieno petto con la spada corta. –Ora!- l’afferrò per l’avambraccio e la tirò in piedi come una bambola.
Altair le aprì la strada verso la città scagliando quanti pugnali gli rimanevano, ed Elena scivolò più volte nelle pozze di fango prima di un ultimo scatto verso le mura.
Le frecce degli arcieri la sfioravano, ma lei continuò a correre confondendosi tra la folla.
Si fece largo a bracciate, mentre battaglioni di soldati le venivano dietro; spingevano la gente e gridavano: -Prendre-la!-.
Elena si strinse la gola con una mano, passando le dita sul livido bluastro che aveva. Mugolava di dolore, ma non si sarebbe fermata.
Faticando per mantenere la distanza tra lei e i soldati, si concentrò su cosa era capace di fare un assassino quando si trattava di “scomparire”.
Le parole di Tharidl, quella volta che le aveva spiegato i principi di un Angelo della Morte, le tornarono alla mente, assieme alla figura del vecchio.

Confondersi tra la gente comune è ciò che ci facilita gli incarichi…

Come poteva confondersi tra la gente se portava con sé armi di tutti i generi non ché quelle vesti così ben riconoscibili da tutti i soldati della città?
Elena accelerò la corsa svoltando in un vicolo buio.
Conosceva bene le vie del distretto povero. Mal ridotte, piene di buchi per la strada e case distrutte dalla guerra. Ruderi di abitazioni, travi di legno ammuffito e vecchi mobili.
Strano che non stesse piovendo.
Elena imboccava un viottolo dopo l’altro, cercando di confondere i suoi inseguitori. In parte ci riuscì, ma si trovò presto in un vicolo cieco che quando viveva ad Acri non c’era mai stato.
-Diamine!- gridò.
Ai suoi lati si aprivano due stradine secondarie che gettavano una sulla via principale e in un mare di folla, e l’altra sull’ingresso di una vecchia chiesa.
-Si è nascosta, quella bastarda!- gridò qualcuno, ed Elena si strinse contro la parete.
Le voci venivano dai tetti; già, i tetti… se avesse saputo arrampicarvisi, si disse, sarebbe stato tutto più semplice, ma doveva trovarsi una nuova ed imminente via di fuga o sarebbe finita!…
Lanciò un’occhiata alla folla lontana, sulla via principale, e ci pensò troppo allungo, perché un soldato atterrò con un salto proprio davanti a lei.
-Je l’ai trouvé! …- Elena lo colpì con un pugno ben assestato alla mandibola.
L’uomo volteggiò su sé stesso e si accasciò a terra privo di coscienza.
Elena si massaggiò le nocche miagolando di dolore.
-Eccola!- disse un altro soldato dal fondo della strada, e la ragazza scattò sul momento.
La gente si scostava spaventata, ma mai quanto lei che era preda dell’adrenalina e del battito accelerato del cuore.
Scivolò, rotolò ma si rialzò. Per la sua distrazione, aveva buttato giù una bancarella e qualche passante, da aggiungersi al fatto che le guardie alle sue spalle avevano recuperato la distanza.
Gli arcieri appostati sulle macerie delle case la puntavano, ma gran parte delle frecce le facevano solo il filo della veste.
Basta! Non sarebbe scappata in eterno, ma non se ne parlava di combattere! Se gli assassini si servivano del dono della neutralità, lei avrebbe osservato il credo per compromettere la missione il meno possibile.
Svoltò in un vicolo e cominciò a spogliarsi del suo equipaggiamento.
Iniziò dal fodero della spada, scagliandolo in un mucchio compatto di fieno e fango. La pelle della custodia si mimetizzò con la fanghiglia, e lei continuò imboccando una nuova strada buia.
Fu il turno della cintura di cuoio, che lanciò tra alcuni vecchi barili. Sarebbe tornata a prenderla in un secondo momento o mai più.
Fu il turno delle cinghie sulla spalla destra, che contenevano i cinque astucci dei coltellini da lancio. Abbandonò anche quelli sciogliendosi il triangolo di metallo dal petto. Si strappò i lembi della veste, arrotolandoli nelle mani e poi lasciandoli cadere nelle fogne.
Svoltò ancora, e si accorse di essere prossima al confine con il distretto ricco.
Il vicolo andava a terminare su una piazza mercantile, nei pressi dell’ingresso per il porto. Elena si guardò dietro, ma non vide nessuno.
Si privò del cappuccio e della stoffa rossa che le avvolgeva i fianchi. In fine, slacciò svelta gli stivali tenendosi ai piedi solo la parte inferiore con la suola.
Si sistemò i capelli e prese a camminare tranquilla tra la gente.
Le guance in fiamme, le gambe affaticate e il fiato corto. Elena era stremata, sia nel fisico che nella mente.
Si avvicinò ad una bancarella e prese ad esaminarvi i tappeti quando nel mezzo della piazza comparve un battaglione compatto di soldati.
Il comandante di quel piccolo esercito indicò ad alcuni dei suoi uomini di andare a nord, ad altri di tornare indietro; dei nuovi lo seguirono di corsa verso la Grande Cattedrale.
Elena tornò a respirare regolarmente, avviandosi vigile sulla la strada principale.
Si mosse nel modo più naturale possibile, fermandosi a bere da una fontanella e ammirando le bancarelle allestite sul corso centrale.
Se c’era un posto cui era diretta, era la Sede di Acri, la Dimora dove avrebbe trovato il Rafik… ma dov’era esattamente?
Si fermò, sedendo su una panca di pietra. Prese a massaggiarsi le caviglie stanche per la corsa e il combattimento, pensando che durante i suoi anni ad Acri non aveva idea ci fosse una Dimora di assassini, poiché nelle cartine della città non era certamente segnalata. Per tanto la gente comune non poteva sapere dove fosse.
La ragazza riprese il cammino.
Paura, angoscia e sconforto le mordevano lo stomaco. Il suo maestro… lui… sarebbe sopravvissuto? Elena era scappata da vera vigliacca, ma se non l’avesse fatto la situazione avrebbe preso sul serio una brutta piega. Altair doveva salvaguardarla, ed era quello che aveva fatto: darle l’opportunità di salvarsi.
Ecco qualcun altro che moriva per lei, si disse pensando a suo padre.
Distratta dai suoi pensieri, Elena si trovò in breve in un bel cortile. La gente sedeva sulle panche e una fontana al centro della piazzetta scintillava di acqua chiara. Un gruppo compatto di monaci faceva il giro del quartiere cantilenando il Padre Nostro in latino.
Elena stava camminando tranquilla verso la stradina secondaria, quando urtò con la spalla qualcuno che poi le gridò contro: -guarda dove cammini, razza di…-.
La ragazza incontrò gli occhi del soldato, al quale bastò solo un istante per riconoscerla: -ECCOLA!- sbraitò l’uomo.
Elena sfuggì alla sua presa di pochissimo, e scattò di corsa dalla parte opposta.
-Via! Fate passare!- vociavano gli uomini alle sue spalle. Rieccola al punto di partenza, si disse col fiato che le mancava.
La ragazza saltò agilmente una panchina e abbandonò la piazza issandosi su una fragile scaletta di legno.
I passi dei suoi inseguitori si persero nelle strade quando la ragazza si guardò attorno.
Era sul tetto di una casa, il cuore aveva ricominciato a battere fortissimo e le tremavano le mani.
Fece qualche passo indietro, allontanandosi da dove era venuta, fin quando la terra non le mancò sotto i piedi e la ragazza cadde nel vuoto.
Atterrò di schiena, e un grido di dolore le scaturì dalla gola.
Sopra di lei, precisamente dove era scivolata, si chiuse una grata di legno, ed Elena si sentì in trappola come un topo.
Si girò di lato, ascoltando i lamenti delle sue ossa, e provò ad alzarsi.
L’interno era buio, e sembrava tanto il salotto di una delle stanze della fortezza: c’erano dei cuscini e qualche candela appesa al soffitto. Delle piante ad ornare gli angoli della stanza, una finestrella che affacciava sul locale secondario accanto. Alla ragazza brillarono gli occhi: c’era un simbolo intarsiato nella roccia della parete opposta, sopra una fontana addossata al muro, e la ragazza riconobbe il maestoso emblema della Setta degli Assassini.
Era nella Dimora.
Alzò lo sguardo e ascoltò le voci dei soldati che la cercavano: - dov’è finita?!- sbottò uno.
-Non lo so, ma io l’ho vista in faccia!- rispose l’altro.
-Forza, continuiamo a cercare-.
-Maledetti! Corrado ci taglierà la testa sapendo che ci sono scappati tutti e due!-.
-Morisse, quel bastardo! Mi ha rovinato il fodero, guardate qua!-.
-Piantatela, tutti voi! Il nostro signore non ci darà tregua finché non gli consegneremo l’assassino di suo padre. Avanti! Torniamo a lavoro…-.
I passi sul tetto si allontanarono, ed Elena crollò a terra.
Si prese il volto tra le mani premendo sulle tempie. –è vivo…- si disse. Il suo maestro era riuscito a fuggire da quel bordello alle mura della città. Le parve una cosa impossibile.
-Tu!- il suono di una spada sguainata, ed Elena si voltò restando al suolo. Alzò le braccia, e quello che riuscì a vedere fu un uomo che le puntava la lama contro.
-Chi sei?!- sbottò il vecchio.
Portava una lunga tunica scura, e una cintura di cuoio a tenergli la veste bianca sottostante. Il volto celato sotto il cappuccio e una folta barba bianca che poggiava sul petto. –Chi sei?! Come sei entrata qui?!- proseguì minacciandola.
Elena strisciò in un angolo. –fermo, ti prego, non farlo! Sono Elena!- piagnucolò lei tenendosi una mano sulla spalla lussata. –Ti prego! Ti prego! Sono l’assassina! Elena… sono Elena…- era in preda alle lacrime.
L’uomo tacque, ed Elena scorse la figura che si allontanava rinfoderando la spada. Si chinò su di lei e l’aiutò ad alzarsi. –Dio, perdonami- mormorò il Rafik facendola sedere poi tra i cuscini. – Sei ferita?- le chiese.
Elena tentò ancora di alzarsi, ma l’uomo la spinse giù. –Ho fatto una domanda, rispondi- disse secco.
- Sì, forse… sono caduta, ecco- tirò su col naso.
- Dov’è il tuo maestro?- domandò poggiandole una mano sulla spalla.
Elena trattenne l’urlo quando il vecchio le riaggiustò le ossa dell’omero con sonoro “crack”.
Il dolore successivo fu immenso, ma la ragazza restò composta, cercando di nascondere l’imbarazzo e le sue pene. –Non lo so- balbettò. –I soldati di Corrado ci hanno sorpreso alle mura, ed è stato lui a dirmi di scappare… invece sarei dovuta rimanere a combattere!- sbottò con rabbia.
-Ti sbagli- la canzonò il vecchio guardandola seriamente. –La situazione doveva essere più pericolosa di quanto immagini, se ha scelto di allontanarti da lì. Hai altre ferite?- le chiese prendendole il mento nella mano e facendola voltare, controllando che stesse bene.
-Sì, un graffietto… qui, ma non è nulla- Elena indicò lo sfregio sulla spalla opposta, dove il tessuto della divisa aveva ceduto. Il graffio si era arrossato, e probabilmente andava ad infettarsi.
-Chi sei tu per giudicare?- il Rafik si allontanò nella stanza accanto, sparendo dietro il bancone e chinandosi a prendere qualcosa. –C’è da considerare l’evenienza, seppur assurda, che le frecce siano state avvelenate-.
L’uomo tornò al suo fianco con un rotolo di garza, delle forbici e un liquido in una boccetta. –avanti, levati la camicia- le disse.
Elena obbedì, restando solo con una canottiera di cotone e le spalle scoperte.
Il vecchio Rafik la medicò in fretta, prendendo tutte le premure possibili: disinfettò il taglio e vi versò una sottospecie di “protezione” agli avvelenamenti. In fine fasciò il tutto stringendo il più possibile le bende.
-Ecco fatto- disse riportando il materiale al suo posto.
Elena si alzò e roteò le braccia per controllare che fosse tutto apposto, ma lo stiramento della pelle della spalla le causava ancora qualche fastidio.
Dopo essersi rivestita, la ragazza raggiunse il vecchio guardandosi attorno.
Vaste librerie ornavano le pareti strette della stanza. C’era una scacchiera con qualche cuscino, dei tappeti pregiati e una scala che portava ad un soppalco, sul quale la ragazza contò una moltitudine di spade corte e non attaccate al muro; poi dei giacigli di paglia coperti con delle federe bianche.
Il Rafik tirò fuori da uno scaffale alle sue spalle un libro, lo poggiò sul tavolo e lo aprì alla prima pagina bianca. Intinse la piuma nell’inchiostro e cominciò a scrivere.
Elena gli si avvicinò, osservando nello stesso tempo le cartine dettagliate di Acri distese sul tavolo.
-Tra quanto sarà qui?- domandò la ragazza.
Il Rafik le volse un’occhiata fugace, poi tornò alle sue scritture. –Non so dirti con precisione, ma sappi solo che fuori della Dimora nessuno è al sicuro- le disse solo.
Elena non le colse come parole rassicuranti, anzi, intravide un senso di sconforto persino nel capo sede.
La ragazza si sedette davanti alla scacchiera e cominciò a girarsi un pedone nella mano.
I secondi divennero minuti, i minuti ore, e il sole andava calare dietro la coltre di nuvole, mentre tuoni e lampi infuriavano per la città. Il suono delle campane tacque all’improvviso, segno che… Non poteva pensarci.
Elena vagava per la stanza non riuscendo a stare ferma. Si passava nervosamente le mani tra i capelli; faceva su e giù quasi trattenendo il fiato.
Ad un tratto il Rafik alzò lo sguardo su di lei: - Sta’ calma, siediti; sarà qui a momenti- le disse.
Elena sobbalzò. Un tonfo sordo, un lamento: -Ma che diavolo!..- e sia lei che il vecchio si catapultarono nella stanza accanto.
Altair era piegato a terra, ma dopo poco si alzò composto. Elena non gli diede il tempo di fare, dire o guardare nulla. Gli saltò al collo, ignorando il dolore alla spalla. –Maledetto! Sarei dovuta rimanere a combattere, lo sapevo! Ero certa che vi sarebbe successo qualcosa! Se fossi rimasta al vostro fianco, nulla di questo sarebbe successo! Sono abbastanza forte, voi…-.
-Elena- disse lui scostandola gentilmente. –Sono vivo- aggiunse col solito tono pacato, neutro e così dannatamente tranquillo come se fosse il lavoro di tutti… sì, era il lavoro di tutti i giorni.
La ragazza fece un passo indietro. –Lo so. Insomma… scommetto che siete ferito!- proruppe.
Altair scoppiò in una risata. –Mi credi davvero così poco capace?- domandò guardandola malizioso.
Elena scosse la testa, e si fece ancor più da parte.
Altair si voltò, rivolgendosi al vecchio. –Ci sono altri assassini in giro?- chiese.
Il Rafik annuì. -Mi duole ammetterlo, ma sì. È uscito da solo questa mattina presto, da lì non l’ho più visto. Ha svolto le indagini ieri e doveva occuparsi di un nobile nel distretto ricco, ma suppongo che quello sia il punto caldo- fece il vecchio incrociando le braccia.
L’assassino tacque inquieto, e il suo sguardo volò sulla ragazza.
Elena sentiva mancarle il buio del cappuccio a celarle il volto, come una necessità e un nascondiglio dagli sguardi critici di chiunque la circondasse.
- L’ho indirizzato verso la Grande Cattedrale, potrebbe essere ancora da quelle parti- aggiunse il Rafik, ma Altair rispose cambiando argomento.
-Dov’è il tuo equipaggiamento?- proferì l’assassino guardandola.
Elena sobbalzò, sentendosi i suoi occhi scuri che la squadravano pezzo per pezzo. –Io…- balbettò.
- Già- confermò il Rafik. –Mi stavo giusto chiedendo che fine avesse fatto tutta… la roba…-.
- Elena!- ruggì Altair, e la ragazza fu attraversata da un brivido.
- Io… non sapevo come scollarmeli di dosso! Erano un centinaio, tutte guardie e io, be’… io avevo solo qualche pugnale e la spada corta! Mi è passato per la testa e non ci ho pensato troppo! E va bene! Domani recupererò tutto quanto! Mi ricordo dove ho lasciato ciascuna cosa!- non riuscì a trattenersi.
I due uomini omisero scambiandosi un’occhiata.
- D’accordo- concluse in fine il suo maestro. –Quando la situazione quadrerà tranquilla sarò io ad accompagnarti, ma per il resto…- gli occhi del ragazzo indugiarono ancora su di lei, ed Elena si sentì in dovere di avanzare mostrandosi meglio.
– Per il resto avresti dovuto agire diversamente, e lo sai…- sottinse il suo mentore.
Elena abbassò lo sguardo, debole. –Mi spiace, ma non sono ancora in grado di dileguarmi come avreste voluto che facessi, maestro- mormorò, e i capelli le si pararono davanti al viso.
Altair alzò il mento e, come di risposta ad un ordine, il Rafik tornò al bancone della camera accanto, riprendendo a scrivere, lasciandoli soli.
Elena sfiorò con una mano la pianta sistemata nell’angolo in un bellissimo vaso di cotto.
Altair la guardò allungo. –In ogni modo, te la sei cavata egregiamente- sorrise da sotto il cappuccio.
Elena raddrizzò la schiena. –Grazie- arrossì. Sarebbero state rare le volte, si disse, in cui il suo maestro le avrebbe fatto dei complimenti.
Altair le si avvicinò e allungò una mano.
Elena rimase di sasso quando il suo maestro le scoprì la spalla dalla veste, notando con grande stupore il bendaggio. –Sei riuscita a ferirti- commentò lui di rimprovero.
Elena si schiarì la voce.  – È successo durante il duello alle mura della città- borbottò mesta.
-Come hai trovato la Dimora?- le chiese ammirandola dall’alto.
Elena soffocò una risata. –in tutta sincerità, è stata la Dimora a trovare me- e alla fine non poté contenersi, scoppiando a ridere. –Sono caduta di schiena e per poco non mi ammazzavo! Non potevate mettere l’ingresso civilmente al piano terra?-.
Sul volto dell’assassino si allungò tutt’altro che un sorriso. –Le guardie ti hanno vista entrare qui?!- ruggì.
Elena si ritrasse, riacquistando rigidezza. –No, non credo…- disse confusa.
Altair la fulminò. –Ne sei convinta?!- domandò ancora.
Elena non seppe che rispondere. Se qualcuno l’avesse davvero vista entrare lì, allora quella Dimora poteva ritenersi proprietà di Corrado nel giro di poche ore. –Io…- strinse i pugni nervosamente. –Io non lo so!-.
-Grandioso…- Altair si voltò, passandosi le mani sugli occhi. Si prese alcuni secondi per sbollentare, poi proferì: -Rafik!- andando nell’altra camera.
L’uomo alzò gli occhi dagli scritti.
-Vado a cercare quello sprovveduto, ma se noti qualcosa di strano, non aspettare il mio ritorno- detto così, Altair si arrampicò con maestria sulla parete, scalando con inimmaginabile agilità la facciata della fontana, fino a raggiungere il bordo del tetto. S’issò su e scomparve.
Elena era rimasta a bocca aperta, e si disse che non sarebbe stata la prima volta.
Se un giorno avesse imparato ad arrampicarsi in quel modo su qualunque superficie, solo da quel momento sarebbe stata degna di portare la nomina di assassina. Dopo aver visto tale scioltezza nei movimenti e nessuna difficoltà nell’appigliarsi al primo tentativo, non aveva idea di quanta sofferenza l’aspettasse oltre quella stessa soglia cui il suo maestro aveva varcato con tanta comodità, come se fosse abitudine… era l’abitudine di tutti i giorni. Se nella Dimora non c’erano altri ingressi se non quello sul tetto, allora tutti gli assassini erano costretti a compiere manovre impossibili anche solo per prendere una boccata d’aria. Magari teneva in esercizio, certo, ma poteva diventare stressante, soprattutto per una come lei.
-Elena- il Rafik la chiamò e lei lo raggiunse.
-Sì?- domandò disponibile, tranquilla; ma in lei si agitava di nuovo lo stesso sconforto precedentemente provato. Perché i più bravi dovevano sempre rimetterci per i novellini? Il suo maestro rischiava la vita per assicurarsi che un assassino stesse bene; dov’era il rispetto del prossimo? Acri era nel caos! Perché perdere due assassini al posto di uno!?
-Perché non ti stendi un po’- le disse il vecchio indicando i cuscini. –Sono certo che sei distrutta, che a mala pena ti reggi in piedi. È stata una giornata difficile, e non preoccuparti di altro se non la tua salute, ora- le consigliò.
Elena annuì. –Grazie- e andò verso i cuscini.
Con la schiena al muro, il silenzio attorno e la protezione delle quattro mura della Dimora, Elena riuscì a prendere sonno, nonostante la costante paura che Corrado venisse a strapparle via quell’ultimo rifugio.

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Capitolo 24
*** Pulizia, atto primo ***


Pulizia, atto primo










-Il vostro arrivo qui è stato un vero fallimento!- sbottò il Rafik.
-Non potevo prevedere che…- Altair arrestò le sue parole nell’aria.
-Sai, mi stupisci sempre più- borbottò il vecchio. –Non ti facevo così sciocco; pensavo avessi abbandonato i tuoi vecchi costumi da irresponsabile- fece gravoso.
Il buio e il freddo della notte avvolgevano ogni cosa. Il silenzio più ombroso avvolgeva Acri e i suoi mille tetti.
Elena aprì gli occhi lentamente, stiracchiandosi. Poggiò le mani sui cuscini che la circondavano, stirando la schiena per bene. Qualcuno l’aveva arrotolata in una coperta calda, e sopra di lei brillava il cielo stellato con le sue immense costellazioni. I suoni più soavi delle strade giungevano alle sue orecchie, accompagnati dalle voci del suo maestro e del Rafik.
-Devi comprendere al meglio che non stai più giocando da solo, Altair!- lo canzonò il capo sede. –So bene che un tempo erano altri a seguire le tue orme, ma ora più che mai deve restare vigile in qualsiasi momento- mormorò.
Altair si appoggiò con un gomito al bancone: il vecchio Rafik gli stava fasciando l’arto destro rimasto ferito. –Perché è così importante? È solo una ragazza, non ci vedo nulla… di diverso dai miei precedenti allievi, e non capisco come mai Tharidl la prediliga tanto alle altre assassine. Se non sbaglio, è l’unica ad essere esonerata al patto…- borbottò l’assassino stringendo i denti.
-Non su questo che dobbiamo spaziare- gli rispose stringendo per bene le bende con un nodo piuttosto stretto, ma Altair nascose bene le sue sofferenze. –Dovresti riposare anche tu- gli disse.
-No- sbottò l’Angelo. –Non ne ho bisogno- aggiunse guardando altrove, perdendo lo sguardo nelle ombre della stanza.
-Sei stato ferito, avverto la tua stanchezza anche da qua. Avanti, non dare retta al tuo orgoglio, che non ti ha portato molto lontano queste ultime settimane- rise il vecchio.
Altair guardò il suo equipaggiamento adagiato su un tavolo lì accanto, sul quale erano sistemati diversi tomi e carte geografiche. –Ho contato una gran numero di guardie mentre tornavo…- bisbigliò.
Elena si sollevò lentamente, tendendo le orecchie.
Il Rafik si pulì le mani su uno straccio. –Perché la cosa non mi stupisce?- sbuffò.
Altair strinse il pugno del braccio ferito. Aprì e chiuse il palmo un paio di volte. –Se domani devo scortare Elena a riappropriarsi del suo armamentario, non voglio troppi problemi- disse serio da sotto il cappuccio.
Il capo sede gli lanciò un’occhiataccia. –Se anche fosse, non ti autorizzo a lasciare questa Dimora. Quali miglioramenti potresti apportare, se anche riuscissi a farne fuori qualcuna questa sera? Domani mattina Corrado avrà già moltiplicato le pattuglie prima che tu possa mettere piede in città!- rise di malo gusto dandogli le spalle. Cercò un libro dallo scaffale, lo prese e lo poggiò accanto al gomito di Altair, riprendendo a scrivere.
L’assassino riflette alcuni istanti, poi diede uno sguardo al manoscritto. –Hai cominciato le sue Cronache…- commentò interessato allungandosi.
-Non ti deve interessare- sbottò il vecchio mettendo una mano davanti alle pagine bianche impedendogli di guardare –Se è per questo, ho ricevuto l’ordine di curare anche le tue- ridacchiò.
-Questa sì che è una novità-.
-Tornando a noi… siccome non riesci a prendere sonno, dimmi, come hai intenzione di cominciare i suoi itinerari?- lo interpellò.
Altair alzò un sopracciglio confuso. –Avevo intenzione di portarla in giro per la città, per prima cosa. Anche se ci ha vissuto fin da bambina, Acri ha molti segreti anche per i suoi governanti. Io voglio insegnarle quei segreti- annunciò fiero.
-Ottimo- scrisse.
-Stai scrivendo quello che dico?- chiese.
Il Rafik gli nascose ancora una volta il suoi scritti. –Continua!- borbottò.
Il ragazzo alzò le spalle. –Credo che le farebbe bene acquistare forza nelle braccia. Comincerò dalle torri sulla costa occidentale del distretto ricco. Quando la sua vista avrà acquistato la scaltrezza necessaria, le lascerò svolgere le prime indagini. Nella prima settimana preferisco che mi segua e basta; il fatto che abbia girato per la città senza cappuccio non migliora le cose…-.
Il Rafik annuì. –Scommetto che Tharidl ti ha affidato questo compito conoscendo le tue dosi di pazienza…- proferì accigliato.
Altair emise un gran sospiro. –Dovrei esserci io al suo posto, e quel vecchio pretende di potermi dare ordini così!- si abbassò il cappuccio passandosi una mano tra i capelli corti. –Mi deve il rispetto che gli ho concesso…- si lamentò. –Tharidl… è stato la causa di tutto fin dall’inizio. Dall’arrivo del Frutto a Masyaf ad oggi…-.
-Dimentichi che è stata Adha a voler portare il Tesoro dell’Eden nella Fortezza…-.
Altair strinse i denti volgendogli uno sguardo canino. –Non metterla in mezzo, Adha non centra nulla! Il nodo della confraternita è quel povero scemo!- rise l’assassino.
Il Rafik sbatté un pugno sul tavolo con violenza. –Piantala- digrignò. –Non sei divertente e potresti pentirti di averlo solo pensato. Sei stato tu a cedere l’incarico, non puoi dare la colpa a nessun altro se non te stesso! Se le sue regole ti fanno poco comodo, biasima te e solo te! Sei il primo e l’ultimo a parlare così di lui…-.
-Ah!- ridacchiò il giovane. –Vogliamo scommettere? Quel pazzo ha mandato una novizia a combattere contro il prossimo Re di Gerusalemme! Non negare l’evidenza: sbagliai a fidarmi di lui e sbaglio a seguire i suoi ordini ancora oggi- Altair si passò le mani sul viso. –ma perché sono ancora qui…- mormorò tra sé.
-Eppure non hai esitato- sorrise il Rafik intingendo la piuma nell’inchiostro. –Ricordi perché votasti costui e non altri alla carica di Maestro?- domandò in un sussurro.
-No, e non m’importa…- Altair si alzò e riavvolse la manica della tunica sul braccio fasciato.
-Non andare…- ripeté il Rafik continuando a scrivere.
-Fermami se ne hai la voglia- si voltò appena allacciandosi il fodero della spala al fianco.
-Non andare…- disse ancora il capo sede.
Altair si sistemò al meglio gli stivali. –Sono abbastanza grande per decidere della mia e della vita della mia allieva. Non puoi fare voce per nessuno dei due!-.
-Certo, abbastanza grande; ti comporti come un ragazzino!- sollevò gli occhi al cielo.
Altair si sciolse i muscoli della schiena con pochi fluidi movimenti delle scapole. –Se davvero tieni alla mia vita…- l’assassino tornò davanti al bancone sorridendo.
-Che vuoi?- domandò il vecchio quasi sbuffando.
Altair allungò il suo sorriso, indicano con un cenno del capo le pergamene arrotolate sugli scaffali.
Il Rafik curvò le spalle, lasciò il pennino nel barattolo dell’inchiostro e, voltandosi, trasse dalla parete alcuni rotoli. Li spiegò sul tavolo.
Altair tenne le cartine ben aperte mentre il vecchio gli indicava alcuni punti su di essa. –Non passo spesso da queste parti, ma ho saputo che Corrado ha stretto la sorveglianza attorno alla dimora Ospedaliera. Potresti occuparti di qualche arciere da quelle parti, ma sta’ attento alle porte sud della cittadella. So che girando anche parecchi templari, e c’era del veleno sulla freccia che ha ferito Elena-.
Altair non si scompose, ma chiese lo stesso: -Sei riuscito a fermarlo in tempo?-.
-Tutto risolto. Tornando a noi… qui- il vecchio puntò il dito dove due mura di diverso spessore si chiudevano in un cortile con una fontana. –Fa’ attenzione se passi di qui: Corrado ha fatto appostare alcuni soldati, e da una settimana quasi è nato dal nulla un accampamento nel pieno centro della città. Ah, quasi scordavo… sii cauto nelle vicinanze della Grande Cattedrale. Sanno che ti aggirerai soprattutto nel quartiere nobiliare, e hanno chiuso gli ingressi a tutte le Chiese. Di monaci ne vedo pochi, perché si nascondono. Ti ricordi, vero, la scenata di Sibrando?- lo guardò preoccupato.
Altair annuì. –Non rimpiango la sua morte…-.
Il Rafik si perse nei suoi pensieri, ma si riscosse quando Altair fece per avviarsi. –Torna qui- disse e l’assassino fece alcuni passi addietro.
-C’è altro?- domandò il ragazzo.
-Non ho finito, guarda qui- indicò la piazza centrale vicino ai moli. –Guardati le spalle. Uno dei nostri ci ha rimesso una gamba, hai saputo?-.
L’assassino scosse la testa. –Sei sicuro che sia arrivato vivo?- rise.
Il Rafik lo colpì alla testa con una pergamena arrotolata. –Fai meno lo spiritoso. Si può sapere cosa hai bevuto?!- sbottò infastidito.
-Sapessi…- mormorò celandosi il volto sotto il cappuccio.
-Lo verrò a sapere comunque. Ora avvicinati, ho altro di cui parlarti prima che tu vada-.
Altair tornò di fronte a lui, chinandosi sulla cartina.
-Sai bene che Corrado ti vuole morto- bisbigliò.
-Sì- fece Altair distratto.
Il Rafik lo colpì ancora con la pergamena, e l’assassino si riebbe dai suoi pensieri. –Smettila, ti sto ascoltando!- digrignò.
Il vecchio ripiegò le carte e incrociò le braccia. –Non mi pare!- fece austero. –Avanti, condividi. Sono qui a posta…- fece un gesto con la mano.
-Non posso- sorrise Altair, ricordando commosso. –Non riesco… è troppo… bello-.
Il silenzio calò nella Dimora, e uno sbuffo di vento le alzò la coperta dalle gambe. Un fastidioso brivido, e le venne la pelle d’oca.
-Dunque…- il Rafik si appoggiò al bancone. –Una tale gioia, e tu rischi la tua vita tutta ora?-.
-Mi tiene occupato…- mormorò. –Uccidere… anche se non dovrei… ho paura che…ah!- Altair, frustrato, si allontanò verso la stanza accanto, ma il vecchio lo chiamò ancora.
-Altair!-.
-Che c’è?!- si voltò agitato.
Il Rafik lo guardò allungo, decifrando i suoi occhi scuri, poi annuì come avendo ottenuto conferma. –Credo di aver capito…- sospirò il vecchio portando sul tavolo un secondo testo, più spesso, più ampio e quasi pieno.
-Come… come fai a dirlo?! Non… ti sbagli!- tornò indietro sempre più sconvolto.
Altair conosceva bene quel libro. Erano le sue Cronache. In quelle pagine il Rafik di Acri scriveva tutto e niente su di lui.
L’uomo scosse la testa. –Ora ne sono convinto anche il doppio- rise il capo sede.
Altair tacque, abbassando lo sguardo.  -Adha è incinta- disse solo.

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Capitolo 25
*** Pulizia, atto secondo ***


Pulizia, atto secondo










Elena sobbalzò, portandosi una mano alla bocca. Quale… sorpresa, pensò.
-Non te l’aspettavi, eh?- fece Altair alzando un sopracciglio.
-A dire il vero sì- fece tranquillo il vecchio sedendosi sullo sgabello dietro il bancone. –Piuttosto… tu te l’aspettavi?- gli chiese con un gesto della mano.
Altair lo osservò in silenzio mentre ricominciava a scrivere sulle sue Cronache.
-No, ma…- esitò un istante. -Non voglio che si sappia; non posarlo nelle mie memorie…- borbottò Altair avvicinandosi agli scacchi.
Il Rafik poggiò la penna e chiuse il libro. –Come vuoi. Sarà mica per questo che ultimamente lei è così nevosa e tu… così… vivace?- sorrise mesto.
L’assassino strinse nel guanto la regina. –Forse…-.
-E come credi di tenere in pugno la situazione? Chi dei due lo dirà prima al Maestro?- domandò ancora il vecchio.
Altair non seppe che rispondere; taceva nei propri pensieri girandosi la regina nera tra le dita.
-È comprensibile che tu ti senta così. Prova a guardare per una volta chi come te ci è già passato. Fredrik, per esempio. Ha una moglie e due figli sistemati comodi. Credi forse che possa essere solo un peso, non ti senti all’altezza? Chissà quale bel giovanotto potrebbe crescere sotto un’educazione come la tua- proferì il Rafik.
Eppure le parole del vecchio capo sede non gli furono di conforto. Aumentarono le sue ansie, le sue paure e la voglia di non pensarci, di distrarsi, di tornare all’opera. Di occupare le mani.
Elena appoggiò la testa contro il muro.
Altair ripose la pedina sulla scacchiera. –Non mi sembra il momento adatto. Ci sono questioni più urgenti che richiedono la mia attenzione- Altair lanciò un’occhiata alla ragazza nella camera accanto. –e non mi serve a nulla immaginare un futuro se sono poco certo di poterne costruire uno-.
-Ecco l’errore di ogni padre- il vecchio scoppiò in una risata, attirando gli occhi scuri dell’assassino su di se.
-Sarebbe?- domandò infastidito Altair.
-Assecondi i tuoi doveri ai tuoi desideri. Il credo da una parte e la famiglia da un’altra; non dico che sia sbagliato, ma se il Maestro lo sapesse, Elena potrebbe venire affidata a qualcun altro e tu potresti occuparti di ciò che ti grava tanto sull’animo. Di che cosa hai paura, concretamente? Di abbandonare tuo figlio come il tuo padre anonimo fece con te?-.
-Attento a come parli…- digrignò l’assassino, manifestando i primi scatti di collera.
Il Rafik alzò le spalle. –Se non ti senti chiamato a questo genere di doveri, io non ti impedirò di varcare quella soglia- indicò l’uscita della Dimora.
Altair rimase immobile dov’era, quando Elena si voltò e notò una figura stesa accanto a lei. Era rannicchiato e composto allo stesso tempo, portava una veste anonima e il suo equipaggiamento era poggiato in un angolo della stanza. Era l’assassino che Altair era andato a cercare poche ore prima, che ora dormiva al suo fianco sotto la sua stessa coperta di lana. Elena si scansò appena.
-È tutto?- domandò il ragazzo fissando il vecchio con rabbia.
Il Rafik annuì. –Guardati da te stesso, prima di chiunque altro…- disse in fine il capo sede, tornando a scrutare la mappa della cittadella.
Altair, con passo scattante, raggiunse la fontana alla parete e fece per issarsi su, quando Elena si alzò.
-Maestro!- bisbigliò.
Il suo mentore curvò improvvisamente le spalle, voltandosi affranto. –Sei sveglia…- parlottò.
Elena annuì, ma andò dritta al solo. –Dov’è che andate voglio venire con voi!- disse seria.
Altair alzò lo sguardo, scrutando con occhio critico le costellazioni nel buio del firmamento che andava e veniva travolto da nuvole grigie di passaggio.
-Cosa ti fa credere che acconsentirò?- fece irritato.
Elena si strinse nelle spalle. –Muoversi di notte potrebbe essere più vantaggioso, dato che debbo recuperare il mio armamentario il prima possibile- era brava ad improvvisare quando ci si metteva.
Altair annuì poco convinto solo dopo qualche istante, poi si voltò arrampicandosi sulla fontana.
Elena si riallacciò le scarpe di fretta e provò ad imitarlo, ma riuscì a raggiungerlo sul terrazzo con un immensa fatica.
Altair la prese per un braccio proprio mentre stava per scivolare di nuovo giù, più o meno allo stesso modo di come era caduta nella Dimora la prima volta.
-Ne sei sicura?- le chiese tirandola a sé, fissandola con cattiveria e tormento, come se la ragazza fosse un peso, un altro sulla sua coscienza (cosa che concretamente era).
La ragazza accennò un sì tremante, e Altair le lasciò il braccio.
-Va’ avanti, io ti seguo dall’alto e ti guardo le spalle- le disse.
Elena si calò giù dalla fragile scaletta e si trovò nella piazza con la fontana e le panche. Tutta la folla cittadina di quella mattina era scomparsa. Ora regnava il silenzio più tetro, con accenni a passi di soldati che si muovevano le buio e lamenti di animali, tra cui un gatto inseguito da un topo.
Elena si voltò, ma del suo maestro notò solo l’ombra proiettata da una parete all’altra mentre Altair saltava di tetto in tetto.
Come promesso vegliò su di lei durante tutto il tragitto, ed Elena percorse le vie di Acri in lungo e in largo tentando di orientarsi nella sua città natale nonostante il buio.
Impiegò un’oretta circa a ritrovare i suoi lacci da spalla, nascosti in un vicolo assieme al suo cappuccio e agli stivali. Da lì riuscì ad individuare la strada che aveva percorso nella fuga, così le fu facile riappropriarsi della cintura di cuoio e il fodero della spada.
Raggi di luna le schiarivano il volto a spicchi, in quei brevi istanti in cui il cielo non era coperto dalle nuvole. Elena camminò fino a raggiungere una nuova scala che portava sull’alto di un’abitazione.
Portare quelle vesti la faceva sentire di nuovo se stessa. Il peso delle armi e l’ombra del cappuccio… era a casa!
Una volta sul tetto, qualcuno gridò: -Ehi, tu! Non puoi stare qui! Vattene prima che ti faccia del male!- assieme al suono di una corda che si tendeva, mentre l’arciere alle sue spalle incoccava la freccia e gliela puntava contro.
La ragazza non fece in tempo a voltarsi, che Altair si lanciò sull’uomo gettandolo a terra. La lama nascosta penetrò nel collo del soldato e un lieve fruscio si diffuse nel vento, accompagnato da uno scatto simili ad una serratura oliata.
Elena riuscì a voltarsi solo allora, quando constatò che fosse tutto finito.
Altair la fissava da lontano, imponente sopra il corpo dell’uomo accasciato in una posa innaturale e forzata. Una pozza di sangue si allargava sotto al suo petto, e le frecce della sua faretra si erano rovesciate tutt’attorno.
-Se c’è una scala…- Altair le si avvicinò. –Non ti viene in mente che qualcuno possa averla usata?!- le bisbigliò collerico all’orecchio.
Elena rimase di sasso, sprofondando ancor più nel cappuccio. –Scusate, io…-.
-Lascia stare, non potevi saperlo- lui guardò altrove.
Elena tirò un sospiro di sollievo, squadrando attenta curiosa la fetta di profilo visibile del suo maestro. Il mento sporgente, la mandibola serrata e accenni di giovane barba. Quanti anni poteva avere all’incirca per essere già… padre?
Elena scosse la testa, scacciando quei pensieri, e il suo mentore se n’accorse.
-Qualcosa non va?- le chiese tornando a fissarla.
Una nuova folata di vento freddo agitò i lembi delle loro vesti argentate, che assumevano quella tonalità bianchissima solo al chiaro di luna. –No, no…- mormorò.
-Se hai intenzione di partecipare alle mie pratiche, in queste prossime ore dovrai restarmi dietro, qualsiasi cosa accada ed eseguire ogni mio ordine senza controbattere. Sono stato chiaro?- la incalzò.
La ragazza annuì silenziosa.
-Devo occuparmi di alcune guardie che domani mattina, al sorgere del sole, potrebbero causare alcuni problemi alle nostre indagini. Sei pronta a prendere parte a nuovi strazianti, dolorosi e sanguinari omicidi?- aggiunse girandole attorno.
Annuì, ancor più convinta.
Quella risposta così secca parve turbarlo, poiché l’assassino si arrestò a pochi passi da lei. –Bene… non ho idea da dove tu prenda tutta questa energia, ma puoi stare tranquilla che non te ne resterà molta a fine giornata- sorrise malizioso, ma sul suo volto appena visibile, Elena colse anche un tocco di divertimento.
Era il suo burattino, si disse seguendolo.
Altair intraprese un percorso banale da principianti su e giù per i tetti, ma comunque dopo pochi minuti di equilibrio sulle travi e aggrapparsi a muri, Elena cedette, cadendo a terra.
Non avevano attraversato neppure mezza città, intraprendendo per di più, la strada “meno articolata” tra tutte. Travi, comignoli, muri e finestre erano comodi appigli… sì, se ti restava sufficiente forza nelle gambe per alzarti e guardarti attorno! Si disse.
Era distrutta, mai prima di allora avrebbe immaginato quanto potesse essere faticoso.
-Avanti, salta- le disse ad un tratto.
Elena si reggeva alle ginocchia, riprendendo fiato. –Come?- domandò alzando gli occhi, mentre ciocche di capelli le sguisciavano via dal cappuccio.
-Hai capito bene, avanti salta!- le ripeté indicando il tetto della casa di fronte.
Era distante, troppo si disse. Sarebbe caduta sfracellandosi al suolo prima di toccare anche solo con la mano il bordo del regolato.
-Alzati!- le gridò, ed Elena scattò sull’attenti. –Ci sono guardie che in questo momento potrebbero averci già visti, e tu te ne stai a lì a bazzicare sulle ginocchia! Forza! Salta!- aggiunse.
Elena si sporse, lanciando un’occhiata alla strada sottostante, pattugliata da continue ronde di uomini armati.
Guardandosi in giro, Elena si accorse che erano belli alti. La cima della Grande Cattedrale spiccava su qualunque altre guglia o croce. L’orizzonte si perdeva nel buio, ma andava a schiarirsi nelle prime luci dell’alba.
Già, l’alba… quindi dovevano essere trascorse un bel po’ di orette, e si disse che probabilmente Altair l’aveva fatta girare in circolo senza che se n’accorgesse. Solo per iniziazione alle mille fatiche che essere un’assassina comportava. Maledisse il giorno in cui aveva accettato di stringere una spada in pugno solo per dare retta a suo padre.
-Piegati nello spiccare, accompagnati con le braccia, e fai fare il resto al vento. Se cadi vengo a prenderti più tardi- rise l’assassino.
Elena ci trovava poco e niente di divertente.
-Non ho tutta la notte- sbottò tornando serio.
Elena si allontanò di quale passo indietro, intraprese una buona rincorsa e in beve fu in aria.
Le sue mani si aggrapparono al bordo del tetto, mentre si reggeva a mala pena coi piedi contro la parete. Provò ad issarsi su, ma erano particolari muscoli delle braccia che avrebbe acquistato col tempo… con molto, molto tempo.
Altair la raggiunse e, guardandola dall’alto, le porse una mano.
Elena si lasciò aiutare, stringendosi al suo braccio.
Senza alcuni fatica, l’assassino la tirò sulle tegole della casa, ed Elena tenne a mala pena l’equilibrio.
-Non sei in forze- constatò lui squadrandola.
-Vi sbagliate- fece lei spolverandosi la veste. Le mani le tremavano, assieme alle gambe e alle spalle. Era un tremore umano. –Sono al meglio delle mie potenzialità, e…-.
-Sei addestrata a combattere. Hai muscoli sufficienti per scalare quella torre, lo sappiamo entrambi. Invece che seguirmi dovresti tornare indietro e cacciarti sotto le coperte. Vedrai che domani ti sarà tutto più semplice- Altair alzò gli occhi, dove Rashy svolazzava sopra le loro teste.
-Ne siete… sicuro?- domandò flebile.
Oh, quanto le sarebbe piaciuto tornarsene nella Dimora, al calduccio nelle coperte e cominciare il suo addestramento la mattina seguente, anche alle primissime luci, ma dopo un’abbondante colazione e i riflessi pronti.
-Va’, torna alla Dimora…- le mormorò tranquillo.
Elena sospirò. –Grazie- disse.
-E di cosa?- fece lui. –è il mio dovere insegnarti anche quando e come sfruttare al meglio ogni tua risorsa. Il sonno è una fonte essenziale nel nostro mestiere…- proferì con voce soave.
-Intendevo- sorrise lei. –grazie della vostra pazienza, maestro-.
L’uomo allungò il suo sorriso a quelle parole. –Altrettanto-.
Elena saltò sul tetto dal quale era venuta e ripercorse la strada al contrario.
Altair la guardò allontanarsi nel buio, sperando che quella poca fiducia affidatole nel tragitto di ritorno fosse sufficiente per tenerla lontana dai guai. Poi si voltò, e saettò di corsa verso il bordo del tetto. Si scagliò allargando le braccia nel vuoto, cadendo in un cesto di fieno.
Quando ve ne scaturì, Altair estrasse la lama nascosta. Il Templare era proprio davanti a lui.
 Era tempo di dare una ripulita a quella città abbandonata da Dio.

Una volta raggiunta la Dimora, atterrò poco salda dentro la stanza, facendo sobbalzare l’assassino che sonnecchiava tra i cuscini. –Chi?! Cosa?! Dove?!- si alzò lui.
Elena si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo.
-Ah… sei tu- sbottò il ragazzo tornando a stendersi.
Elena raggiunse il Rafik nella camera accanto.
-Mi stavo giusto chiedendo dove fossi- ammise il vecchio, che ancora scriveva sui suoi vecchi testi.
-Altair mi manda…- sbadigliò.
-Sì, sì; immaginavo che l’avrebbe fatto. Fa’ sogni tranquilli- le sorrise.
Elena si stese con le spalle al muro e, senza pensarci due volte, si addormentò scivolando di lato.
Un tuono, e la pioggia venne giù sulla fortezza di Corrado.


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Capitolo 26
*** Acri ***


Acri










Un raggio di sole le bruciava sul viso, ma sparì in fretta, oscurato ancora una volta dalle nuvole.
Elena aprì gli occhi stiracchiandosi, sollevò il busto e si guardò attorno.
La Dimora era avvolta da un venticello fresco che le passava sotto i vestiti facendola rabbrividire, mentre riacquistava il senso dello spazio perso nel sonno.
C’era il Rafik, nella stanza accanto, dietro il bancone al quale sedeva il giovane assassino.
Elena si alzò e andò in quella direzione.
-Su via, non puoi certo dire che sia andata tanto male!- rise l’uomo che scriveva su un vecchio libro.
-Lo so!- sbottò il ragazzo dal volto coperto. –Ma avresti dovuto esserci; mi ha tolto il lavoro!-.
Elena si sedette accanto al ragazzo, che la salutò con un cenno della mano. Lei ricambiò.
C’era un cesto di frutta sul tavolo, e pensò che dovesse essere quella la colazione.
L’assassino alla sua sinistra mordeva nervosamente una banana. –Non sopporto quando quelli più grossi fanno così. E da uno come lui non me l’aspettavo- curvò le spalle.
Il Rafik tirò fuori da un cassetto un coltello che poggiò davanti a lei; Elena l’afferrò e prese a sbucciare una mela col sorriso.
-Hai capito, Elena? Il testardo qui si sta lamentando perché Altair ha svolto l’incarico per lui, e non solo- le disse il Rafik appoggiandosi al tavolo.
L’assassino sbuffò. –Non è questo!- disse. –Avanti, quando Tharidl lo verrà a sapere, posso star certo che al grado superiore ci passo l’anno prossimo…- brontolò togliendosi il cappuccio.
Era molto giovane, constatò Elena, forse della sua età o poco meno. Il viso tondo e da bambino con una barba appena superficiale, la carnagione scura e gli occhi verdi.
Le vesti parlavano che quello della sera prima doveva trattarsi del suo primo omicidio, poiché dimostrassero la nomina di assassino appena ricevuta.
Elena tornò alla sua mela, staccandone uno spicchio sbucciato alla volta e mordicchiando lentamente.
-Allora c’è qualcosa che ti è sfuggito, caro- gioì il vecchio. –La tua memoria t’inganna: Altair si è offerto di cedere a te la gloria della missione; nonostante abbia ucciso lui la tua preda-.
Al giovane balenarono gli occhi. –Dite sul serio?- chiese col boccone pieno.
Elena soffocò una risata scuotendo la testa, e staccò un nuovo spicchio.
-Bene- sospirò il Rafik stirandosi la vecchia schiena. –Oggi ci sono molte cose da fare, parlo ad entrambi, quindi sbrigatevi a riempirvi lo stomaco- dicendo così sparì in uno stanzino dietro il bancone.
-Elena, giusto?- domandò l’assassino continuando a mangiare.
Lei annuì, ingoiando. –Sì, tanto piacere. E tu?-.
-Il mio nome è Hani, Elena di Acri- fece un leggero inchino con il capo.
-Hani- ripeté lei. –Di dove sei?-.
L’assassino sorrise. –La mia famiglia vive ad Alhepo, ma da quando sono nato ho passato la mia vita a Masyaf- disse.
Elena, tanto per far passare il tempo più piacevolmente chiese: -Come mai hai deciso di diventare un assassino?- spezzò lo spicchio di mela tra i denti.
Hani si strinse nelle spalle. –Non è stata affatto una mia scelta- mormorò. –è stato mio padre, lui l’ha voluto. I nostri avi più antichi aiutarono nella costruzione della fortezza di Masyaf, solo che fino ad allora non c’era stato nessun genito maschio da donare alla causa degli Ashash. Eh, be’, eccomi qui- realizzò con un sorriso forzato.
-E così- rise Elena. –Il mio maestro ha fatto tutto da solo?-.
-Già- proferì lui mentre una smorfia andava delinearsi sul suo volto. –Aspetta!- borbottò.
Elena lo guardò un istante, il tempo necessario perché cominciasse a fissarla in un modo assurdo. –Tuo… maestro?- quella volta fu lui a ridere.
-Non ci credi?-.
-Grande Mastro Altair tuo mentore? Be’, non me ne stupisco… chissà come ci sarà rimasto male Halef!- disse.
Elena rimase sorpresa. –Conosci Halef?-.
Lui annuì. –Ovviamente, abbiamo la stessa età, eravamo nello stesso gruppo finché lui non mi lasciò indietro aggiudicandosi uno dei posti liberi per gli itinerari di Altair. Dio, stavo pensando che ora ce l’avrà a morte con te!- sbottò indicandola.
-Non credo, insomma, è passato un po’ di tempo…- pensò ad alta voce la ragazza.
-Ah!- rise l’assassino. –Conoscendo Halef te la farà pagare. Sai quanti di noi sognano di prendere lezioni da uno come l’Aquila?-.
-Aquila?-.
-Sì, Altair significa Aquila, e tornando a noi… ti rendi conto dell’onore che hai ricevuto?-.
-Veramente- mormorò lei. –Pensavo che fosse un onore per lui- si girò nelle mani l’ultimo spicchio.
Hani scoppiò in una risata, appoggiandosi alla sua spalla. –certo, certo!-.
Elena lo guardò con rabbia, e il ragazzo arrestò il suo tutt’altro che quieto ridere.
-Il regno delle Dee è scaduto, in tutta sincerità ora vali quanto un novizio. Giusto, c’è da considerare che sei la figlia di Kalel, la grande leggenda… ma le assassine di un tempo si meritarono questo appellativo con la fatica, e se le voci corrono abbastanza, mi pare di capire che hai causato solo guai alla confraternita- disse serio.
Elena sbuffò. –Sto cercando di non pensarci- sibilò.
-È dura, posso capirlo. Se Tharidl ti ha messo al fianco di uno come Altair, lui per primo crede che tu posso risollevare il nome delle tue antenate. In questo ti capisco bene…- Hani distolse lo sguardo altrove, poggiando la buccia della banana da una parte.
Il Rafik ricomparve nella stanza; giusto in tempo, si disse lei. Pochi minuti ancora e sarebbe scoppiata in lacrime.
-Ecco qui, prendete- li disse il vecchio poggiando sul tavolo una custodia di cuoio arrotolata. La stese sul bancone, rivelando che al suo interno c’erano una ventina di coltelli da lancio.
Hani si alzò, recuperando il suo equipaggiamento nella stanza accanto.
-Avanti- le disse il Rafik, ed Elena si riscosse. –Prendi la tua roba e riempi gli astucci- aggiunse.
Elena si legò alla spalla la cinghia con la spada corta e, prendendo i coltellini dalla custodia sul tavolo, si rifornì di tutto punto.
Erano entrambi in piedi nel centro della camera quando il Rafik riavvolse la lunga custodia. –Hani, scortala da Altair. Elena, il tuo maestro ti attende vicino al porto, dove comincerete le indagini-.
La ragazza annuì, e seguì Hani sul tetto della Dimora.
Incredibile, si disse, Altair aveva ragione! Quella mattina fece una fatica dimezzata nell’arrampicarsi sulla fontana, emergendo scattante e pronta all’azione accanto al giovane.
-Tutto bene?- le chiese Hani calandosi il cappuccio sul volto, e lei fece altrettanto.
-Certo!- sorrise gioiosa.
-Ottimo, stammi dietro- e si avviarono.
Il Rafik gettò le bucce della frutta in un cesto nascosto sotto il bancone. –Perfetto!- sbuffò. –E ora chi butta l’immondizia?!- sbottò.

Hani era agile sui tetti, ed Elena riuscì a stargli dietro faticando anche meno di lui.
Si sentiva in un altro corpo, le gambe con le quali correva sui muri per raggiungerne il bordo non erano le stesse della sera prima. Nuovo vigore bruciava in lei, e sentiva quel tiepido tepore viaggiarle dentro il sangue.
Sopra di loro si stagliava il cielo grigio di Acri, e attorno le mille guglie della cittadella. Il caos cittadino li accompagnò per tutto il tragitto, fin quando non furono al confine con il distretto medio qual’era quello del porto.
Elena si sporse e lanciò un’occhiata alla strada.
L’ingresso al molo era attraversato da una marea infinita di gente ben vestita, assieme a carrucole e bestiame diretti alle imbarcazioni.
Soffiava un dolce venticello umido, scortato dal canto dei gabbiani.
La salsedine le pungeva il naso, ricordandole quelle giornate passate a comprare il pesce al mercato del molo assieme a suo padre. Quando Kalel la teneva per mano all’età di sei anni e lei gli camminava affianco trotterellando per tenere il passo. I capelli le ondeggiavano sul viso gioioso e il suo naso si arricciava per la forte puzza di pesce.
La ragazza sorrise, assaporando quei ricordi.
Hani le lanciò un’occhiata indagatrice. –Cos’è quella faccia?-.
Elena non gli rispose.
Quale tortura, pensò. Vedere Acri ancora e ancora le scottava al cuore, la bruciava dentro. Avvertiva un dolore immenso allo stomaco e alla mente solo guardando quei tetti, quella gente e quelle strade.
-Va bene, andiamo…- Hani si calò su una scaletta di legno e in breve fu tra la folla.
Elena lo seguì esitando, voltandosi alle spalle innumerevoli volte. Le sarebbe piaciuto passeggiare di nuovo per quelle strade senza dover nascondere il suo volto, i suoi occhi azzurri che brillavano comunque al buio del copri capo.
La ragazza camminava a distanza da Hani tenendolo sempre sott’occhio. Si confondevano ambi due tra la folla, e più volte lo perse di vista andando per conto suo.
Hani le comparve al fianco all’improvviso e raggiunsero una terrazza che affacciava sull’intero molo.
Le guardie Teutoniche si spostavano compatte per le vie che costeggiavano l’acqua scura del porto; armati fino alle unghie, i tedeschi si guardavano dal minimo sospetto.
-Bel casino- commentò Hani scrutando l’orizzonte.
Elena tacque.
Il ragazzo, dopo un po’, le si avvicinò. –Eccolo- disse indicando un punto indistinto tra la folla.
Elena seguì il suo indice, e colse il suo maestro che si infilava nella massa di gente e veniva verso la terrazza col volto celato dal cappuccio.
Altair intraprese una scaletta di pietra che si congiungeva alla terrazza, e i due assassini gli andarono incontro.
Elena si arrestò dietro di lui, e Hani proferì un inchino. –Grande Altair- mormorò.
-Non qui, sciocco- disse calmo l’uomo.
Hani si raddrizzò indietreggiando.
Elena lasciò che il suo maestro la squadrasse arma per arma, stando dritta e fiera.
-Puoi andare- proferì in fine rivolgendosi al novizio.
Hani chinò appena il capo e scomparve nella direzione da dove erano venuti.
-Hai dormito bene?- le chiese, ed Elena fu colta in contro piede da quella domanda.
-Sì, grazie- mormorò.
Altair alzò in mento. –Allora… avevo ragione o no?- sorrise.
Elena si strinse meglio un guanto annuendo.
-Vieni, cominciamo- Altair si avviò giù per le scale ed Elena lo seguì assorta.
Il suo maestro la condusse tra la folla e poi fuori dalle mura del porto. S’immersero nel distretto e camminarono nella gente, giungendo sul confine nord con il quartiere povero.
Sorgeva una stretta cattedrale, imponente e austera proiettava la sua ombra poco chiara su un cortile che affacciava con una vista mozza fiata sul molo.
Sedettero su una panchina, l’uno affianco all’altra in modo anonimo.
-Le nozioni fondamentali su un’indagine avrei dovuto insegnartele a Masyaf, ma il tempo e… le circostanze hanno voluto che partissimo il prima possibile. Devi sapere, dunque, che non puoi tralasciare notizia che riguarda uno: la tua preda. Due: il luogo in cui vive. Tre: gli uomini che la proteggono o, che come te, la combattono. Quattro: i luoghi cui la tua preda fa visita più spesso. Cinque: se la tua preda sa o no di te…-.
-In questo caso- lo interruppe Elena. –Corrado sa già abbastanza di noi- rise sarcastica.
Alatir sospirò. –Sono contento che tu abbia notato da te il gran numero di cavalieri che ci stanno cercando- disse, ed Elena, come una molla, si guardò attorno spaventata.
-Calma- sorrise l’uomo. –Finché resterai al mio fianco non ti succederà nulla. Confida nel fatto che ho passato situazioni peggiori- ribadì.
Elena l’aveva sempre saputo.
-Allora- riprese Altair. –Se io non fossi qui al tuo fianco, come cominceresti le tue indagini?- le chiese guardandola.
La ragazza non seppe che rispondere. Pensava che sarebbe stato Altair a mostrarle tutto, insegnandole nel migliore dei modi quello che lui aveva sempre fatto. Insomma, lei doveva essere solo la sua ombra, non partecipare così attivamente! Per questo si chiamavano itinerari! La strada era spianata, il cammino era quello già percorso da altri! Elena non si aspettava di dover mettere del suo negli incarichi.
Altair accolse il suo silenzio pazientando in eterno, se fosse stato necessario.
Fortunatamente qualcosa le balzò in mente, un’idea sciocca, ma ottenne ulteriore conferma quando, nell’aria gelata di Acri, si levò il grido di Rashy.
-Forse…- bisbigliò, e il suo maestro si fece più attento.
-Sì? Avanti, non avere paura- le disse interessandosi.
-Dovrei comprarmi un falco- assentì in fine.
Il buio del cappuccio del suo maestro parve allungarsi ulteriormente, come se il sole avesse d’un tratto cambiato la sua angolazione. –Cosa? Come ti è venuto in mente?- le chiese, trattenendo la collera.
Ecco, lo sapeva che sarebbe andata a finire così! Se l’era sempre sentito! Era una stupida ragazzina che guardava il lato superficiale delle cose! Si sarebbe tagliata la testa se solo non fossero seduti nelle vicinanze di una Chiesa!…
-Ho pensato che Rashy… lei fosse la fonte delle vostre ricerche, così…-.
Altair scosse la testa. –Guardi il lato superficiale delle cose, e questo non mi piace. Stai cominciando col piede sbagliato, ti credevo più autonoma e meglio preparata. A quanto pare sei come tutti gli altri miei allievi- sbottò serio.
La sua autostima ebbe un picco verso l’inferno. –Mi spiace- ebbe il coraggio di dire.
-Non capisci? Rashy è solo un mezzo, un animale da compagnia! Non avrai davvero creduto che mi affidassi così ad un pennuto!- rise.
Elena curvò le spalle. –Siete stato voi, quando mi parlaste dei nomi della vostra aquila, a dirmi che ella vi indica la strada, è la vostra guida, un libro aperto. Sapevo di essere negata nell’interpretare certe frasi di saggezza, ma così mi demoralizzate, maestro-.
-Se i miei rimproveri ti abbattono così, allora perdonami-.
Elena alzò gli occhi, cogliendo un leggero barlume nell’ombra del viso del suo maestro. –Non è vostro incarico rimproverarmi e lodarmi nelle occasioni pertinenti? Be’, mi sembra di averla sparata grossa, maestro- piagnucolò con voce sempre più striminzita.
Altair appoggiò la schiena al muro, e un gran sospiro gli gonfiò il petto. –Ti prego, non fraintendere, ma non sono più in me…- mormorò flebile.
La ragazza distolse lo sguardo.
Ah! Era il minimo! Rise. Nove mesi e sarebbe diventato padre! Ah. Ah. Ah… non era divertente.
Rimasero alcuni minuti in silenzio, fin quando Elena non cominciò a credere che il suo maestro, immobile con le spalle alla parete, si fosse addirittura addormentato.
-Vieni- Altair si alzò, senza aggiungere nulla ed Elena lo seguì.
So diressero altrove, lontani da quella zona della città. Attraversarono nuovamente il porto, impiegando parte di un’ora per raggiungere la parte opposta del quartiere medio.
Altair svoltò d’un tratto ed Elena ne perse le tracce nel vicolo buio.
-Sono qui- le disse, e la ragazza guardò verso l’alto.
Il suo maestro si reggeva al cornicione di una finestra, le ginocchia piegate e un braccio a penzoloni con la mano tesa verso di lei. –Avanti, non ho tutto il giorno!- sorrise.
Elena afferrò la presa e Altair la issò senza fatica al suo fianco, aiutandola ad arrampicarsi tra le pietre più esposte della parete e le crepe.
Altair saltò sulla parete opposta, arrampicandosi scattante fino al bordo del tetto.
Elena lo guardò senza battere ciglio, impressionata. –Ma… ma- balbettò.
Altair si pulì la veste e le lanciò un’occhiata. –Cammina- le disse.
Elena si issò sul tetto dell’abitazione che stava scalando e saltò su quella opposta una volta risalita.
Dopo di ché, Altair intraprese una corsa lenta ed Elena gli andò dietro quasi sbuffando.
Le case del distretto erano di livello irregolare, delle volte salirono, della altre scesero e altre ancora saltarono.
Le loro ombre si proiettavano sulle strade senza che nessuno vi facesse caso, erano agili come gatti, silenziosi come topi, e liberi come aquile. Erano assassini, esseri superiori che guardando lo scorrere del tempo dall’alto di una torre e si gettano nel vuoto.
Elena si sentì pervadere dall’orgoglio. Quell’angolazione, quell’aria fresca che non aveva mai provato… era irresistibile. Erano una sensazione di libertà e pieno controllo del proprio corpo, che insieme davano un miscuglio affascinante. Ecco il vero potenziale di un’assassina che prendeva forma nelle sue vene, ecco l’immagine di sua madre che sgattaiolava per quelli stessi tetti alla sua età ed ecco suo padre al suo fianco.
Elena non poté che sorridere a quelle visioni così piacevoli.
Altair la fermò per un braccio tirandola a sé. –Ferma qui- le disse portandola al suo fianco.
Erano con le spalle al muro di un’abitazione, mentre il suo maestro lanciava continue occhiate oltre.
-Che succede?- provò a chiedere.
-Dobbiamo arrivare lì- Altair indicò il piccolo bastione costruito al centro di una piazza esposta con la vista sul porto. Il suo dito puntava in direzione della torre più alta della costruzione.
-Lì?- domandò stupita la ragazza.
L’uomo annuì. –C’è solo un piccolo particolare- aggiunse. –Ci sono delle guardie che controllano l’ingresso a quell’area. Affrontarle è un gesto che possiamo evitare, quindi consiglio di distrarle con ben altro…- sorrise malizioso.
Elena non capiva. –Come?-.
Altair le passò al fianco opposto. –Guarda quell’arciere- indicò un soldato teutonico che imbracciava un arco e sembrava godersi ignaro il panorama.
Elena si stupì che quell’arciere non li avesse visti arrivare, li erano passati poco meno accanto, quasi!
-Come intendete agire?- chiese.
 –Stammi accanto…- le sussurrò all’orecchio, ed Elena lo seguì allo scoperto portando una mano all’elsa della spada corta.
Altair si avvicinò all’uomo voltato di spalle. Con u gesto fulmineo penetrò la carne del collo con la lama nascosta sotto il polso sinistro, e lasciò che il corpo dell’arciere si abbattesse sulla strada, precipitando per più di tre piani.
Nonostante il suo maestro avesse ucciso un innocente, Elena colse il nudo e crudo fascino di quello stile di assassinio. Così pulito e silenzioso che l’uomo, ora accasciato tra la folla in fuga, non aveva avuto il tempo sufficiente per proferire un sibilo.
Elena portò le braccia lungo i fianchi, affacciandosi dal tetto.
Osservò come la gente scappava gridando alla vista del soldato morto comparso dal nulla sul cammino.
-Perché l’avete fatto?- chiese voltandosi a guardare il suo maestro, che però era sparito.
-Maestro?!- si voltò più volte, ma Altair si era dileguato in pochissimo. –Maestro?!- un senso di terrore e sconforto l’avvolse.
D’un tratto, il grido di Rashy la chiamò all’ordine, e la ragazza lanciò una vista a terra.
Le guardie delle vicinanze si erano tutte aggruppate attorno al cadavere dell’arciere chiedendosi chi o cosa fosse stato. Alcuni cavalieri estrassero le armi e si allontanarono in cerca dell’assassino, altri rimasero lì a controllare che nulla di più si manifestasse.
Elena si calò da una scala e si appiattì contro la parete quando degli uomini passarono correndo di lì. Si guardò attorno e raggiunse l’ingresso del forte senza che nessuna guardia, china sul corpo dell’arciere defunto, la notasse.
L’arciere era servito solo come esca, affinché le guardie di ronda e quelle di controllo all’ingresso del bastione lasciassero i posti assegnati.
C’era un magnifico cortile interno nel forte, abbellito da alcune panche e una fontana silenziosa.
Come un richiamo, la ragazza cominciò ad arrampicarsi sulla facciata interna del cortile, aggrappandosi saldamente alle ante delle finestre e alle crepe nella pietra. Raggiunse i corridoi aperti e si issò sul tetto.
-Ehi, tu!- gridò qualcuno alle sue spalle, e la ragazza, nel voltarsi, estrasse fulminea un pugnale da lancio che scagliò contro l’arciere di ronda.
-Assassino!- gridò qualcun altro, ma Elena fece in tempo a colpire anche il secondo soldato prima che proferisse altro.
Il corpo di quest’ultimo si abbatté violentemente sulla strada, ma Elena non gli diede peso.
-Sono toccato, davvero- disse una voce che lei riconobbe subito.
Hani le venne incontro quasi trotterellando, ed Elena rimase dov’era.
-Istinto o bravura?- domandò il ragazzo.
-Nessuno dei due, credo…- rispose lei pensando che era tutto merito di chi l’aveva generata.
-Hmm- sospirò l’assassino. –Comunque- si schiarì la voce attirando l’attenzione di lei.
Elena alzò un sopracciglio.
-Ho incontrato Altair che andava di gran corsa e mi ha detto di dirti che da qui a questo pomeriggio te la devi cavare da sola-.
COSA?! Elena spalancò gli occhi. –COSA?!- ripeté.
-Non chiederlo a me!- l’assassino fece un passo indietro. –Mi sa tanto che ha visto qualcosa d’interessante da qualche parte e non ti vuole tra i piedi. Sai, questa missione è molto importante anche per lui, e mandare tutto al diavolo perché sei troppo lenta ad arrampicarti sui muri non gli è sembrato il caso!- sbottò.
Elena gli lanciò un’occhiataccia. –Ti ha detto questo?!- fece dubbiosa.
Hani scoppiò a ridere. –No, no! Scusa, ma non ho resistito. Però sul serio, il senso più o meno era questo- rise.
-Non sei divertente. Ed ora io che faccio?- incrociò le braccia, guardandosi attorno.
-Be’…- riprese lui. –Un’idea ce l’avrei!-.
Elena sobbalzò. –Sarebbe?-.
-Conta che mi ha anche detto che devo occuparmi io di te. Nel senso… che devo insegnarti qualcosa-.
-Ah, ecco…-.
-Perché? Cosa avevi capito?- lui la guardò storto.
-Mah… nulla, lascia stare. Piuttosto, che consigli puoi darmi?-.
-Eh!- rise di nuovo. –Non si tratta di alcun tipo di lezione teorica, mia Elenuccia-.
La ragazza cominciava a perdere la pazienza. –E allora?-.

-Sei lenta!- Hani la guardava dall’alto del vecchio muro. –Forza! Sei solo pigra, guardati! Avanti! Un po’ di muscoli! Forza!!!-.
Se avesse continuato a gridare così, era il minimo che Corrado stesso non li venisse dietro.
Elena perse la presa dal cornicione, e il suo piede destro scivolò. La ragazza si trovò appena per un braccio solo ad una crepa della parete. Ecco arrivata la sua ora.
Aveva impiegato minuti per scalare quella fetta di muro nascosta dal buio del vicolo, ed avrebbe impiegato un decimo del tempo per cadere giù e sfracellarsi tutte le ossa.
Hani assunse un’espressione preoccupata. –Tutto bene?- le chiese.
-Secondo te?- digrignò lei aggrappandosi a fatica.
La scioltezza non tardò ad arrivare. Muro dopo muro che Hani le dava da scalare, Elena acquistava agilità e familiarità con i diversi appigli, lasciandosi cadere in inganno sempre meno volte. Certo, assieme all’esperienza si fece sentire la stanchezza, che come un topo affamato pareva mangiarsi fette dei muscoli delle gambe e delle braccia.
Hani, d’altro canto, insistette sull’irrobustimento dei legamenti delle caviglie, obbligandola a saltare da altezze sempre maggiori. Insistette con i salti in alto e quelli in lungo, le insegnò a lasciarsi cadere da una sporgenza a quella sottostante.
Ovviamente le lezioni di arrampicata si svolgevano in luoghi poco frequentati, come vicoli per metà avvolti dalle ombre o vecchie rovine di abitazioni, il più possibile lontano da occhi esterni.
All’inizio le era sembrato stupido, banale fare su e giù sulla stessa parete, ma col passare del tempo Elena si accorse che, spronata dai lamenti di Hani e dalla voglia di finire il prima possibile, era diventata capace e agile in solo un pomeriggio.

La ragazza si abbatté di schiena sui cuscini, riempiendo i polmoni dell’aria vissuta della Dimora. A braccia spalancate rimase immobile e con gli occhi chiusi. –Giuro che è l’ultima volta…- borbottò.
Hani andò nella stanza accanto, ridendo. –Non credo proprio, è appena cominciata!- il ragazzo si sedette al bancone, e il Rafik poggiò sul tavolo le Cronache della ragazza.
-Dimmi tutto- assentì il vecchio intingendo la piuma nell’inchiostro.
-Va bene…- cominciò Hani.  -allora, siamo stati a nord del distretto nobiliare, sui valichi meno controllati. Poi ci siamo spostati ad ovest, l’ho fatta salire sulle mura della Chiesa Antica…-.
Il Rafik appuntò ogni singola virgola delle sue attività, ma Elena era con la testa altrove.
Quella mattina non aveva affatto dato il meglio di sé. La giornata era cominciata storta quando la ragazza non aveva soddisfatto le richieste del suo mastro, rispondendo distrattamente alle sue domande. Ripensò a come, e si chiese più volte, come aveva potuto solo pensare che Rashy… vabbé, era un maledetto caso disperato, ma si disse che quelle sue fantasie avrebbero dovuto sloggiare il prima possibile. Se voleva arrivare a Corrado prima dell’inverno, non poteva permettersi di rallentare le indagini del suo mentore in quel modo assurdo ed egoista.
Elena si girò di lato, avvertendo le prime lamentele dei muscoli.
Ecco a cosa si riferiva Hani dicendo che era appena cominciata.
La ragazza si rannicchiò ulteriormente come un gattino in un angolo della strada tra i rifiuti, stringendo un cuscino tra le braccia.
Quei cuscini avevano lo stesso odore e la simile morbidezza di quelli delle sue stanze, che a dirla tutta, già le mancavano. Avvertì un immenso senso di nostalgia per tutte le mattine passate a fare colazione con le donne di servizio della fortezza, i pomeriggi trascorsi a passeggiare per Masyaf, le sere a cenare accanto a Marhim… già, Marhim.
Elena si tirò su d’un tratto, trattenendo il cuscino a sé. Ripeté più volte quel nome nella sua mente, perché Marhim era forse la presenza che più le mancava al suo fianco, assieme ai sorrisi di Adha di quando l’aiutava ad indossare la sua divisa d’assassina.
Rifletté su cosa stesse facendo ciascuna delle persone che conosceva, distante da lei ora più che mai. Provò solo ad immaginare Marhim e suo fratello Halef che correvano per le vie strette di Alhepo con le guardie alle spalle, e fu un’immagine che le procurò un male fugace, che sparì nel momento in cui concentrò i suoi ricordi al bacio di Rhami. Che bastardo, pensò, quell’essere non si meritava un centimetro della sua mente, non aveva il diritto di occupare la sua concentrazione distraendola da ciò che per lei contava davvero, distraendola da Marhim e da quanto si sentisse dispiaciuta della sua partenza inaspettata, alla sua fuga.
Sobbalzò. Pensare a Rhami e Marhim come rivali la riportò alla sera della festicciola che Tharidl aveva organizzato per lei. Quale peggiore baldoria tra tutte, si disse. Rise, perché si ricordava chiaramente di aver buttato giù un intero boccale di birra mentre gli occhi di Marhim la fissavano stupefatti. Si portò una mano alla bocca, lasciando che il cuscino tra le sue braccia le scivolasse di lato.
Il tardo pomeriggio andava colorare le strade di Acri, e un brontolio cupo parve provenire dal suo stomaco senza preavviso.
-Elena- la voce del Rafik la chiamò, e la ragazza si alzò dolorante.
Il vecchio capo sede poggiò sul bancone il cesto della frutta. –Buon appetito- le disse l’uomo tornando a scrivere.
Hani era seduto alla scacchiera, mordicchiava una mela sistemando le pedine nello schema di partenza.
-No, grazie…- mormorò la ragazza facendo un gesto con la mano.
Il Rafik la guardò accigliato. –Ne sei sicura? Non ha mangiato nulla, ho sentito il tuo stomaco fin qui…- le disse premuroso.
Lei scosse la testa. –Posso garantirvi che non era la fame…- si sedette davanti all’assassino, passando lo sguardo sulla scacchiera.
Hani tardò alcuni istanti ad accorgersi di lei.
–Sia giocare?- chiese sollevando gli occhi verdi.
Elena alzò le spalle. –Veramente, mio padre non amava molto questo gioco- sorrise.
-Ecco una grande novità!- sbottò il Rafik improvvisamente, ed Elena si voltò.
Il vecchio le lanciò un’occhiata. –Invece io ricordo il contrario…- borbottò il Rafik.
La ragazza trasalì. –Tu… tu conoscevi mio padre?- balbettò.
Hani addentò il frutto masticando tranquillo. Fece tornare il cavallo al suo posto, raggruppando i bianchi dalla parte opposta della scacchiera.
Il vecchio allungò le labbra in un sorriso e inclinò la testa d’un lato, scrivendo assorto. –Sì, sì…- disse solo.
Elena tornò lentamente dritta di fronte ad Hani. –Ecco una grande novità…- ripeté a bassa voce.
-Cominciamo? Vuoi che t’insegni?- fece Hani col boccone pieno.
Elena, ancora sbigottita, annuì poco convinta passandosi più volte le mani tra i capelli.
Mentre Hani si apprestava a spiegarle come si muoveva ciascuna pedina, Elena si cinse lo stomaco con le braccia. Solo il pensiero che un tempo, tra quelle quattro mura, era passata la sua intera famiglia con indosso le sue stesse vesti, la faceva tremare. Sì, reazione assurda, penserebbe qualcuno, ma Elena si sentiva schiava sempre più delle sue responsabilità ogni giorno che passava con una cintura di cuoio legata ai fianchi.
D’istinto, nel bel mezzo delle spiegazioni di Hani, Elena si alzò e prese a slacciarsi l’intero equipaggiamento.
Se doveva recuperare le forze a pieno, tanto valeva non affaticare mente e corpo col peso di quelle cinghie e quelle armi.
-Stai… bene?- le domandò Hani, ed Elena avvertì la stessa ansia da parte del Rafik, che aveva interrotto le sue scritture.
Elena tornò a sedersi, sfiorando con un dito il cappuccio del pedone. Con un movimento agile e veloce, fece avanzare la pedina di due caselle, scoprendo la regina. –Arrenditi ora!- rise la ragazza.
L’assassino riacquistò il sorriso, ingoiando l’ultima addentata alla mela. –Lo prendo come un sì-.
Gli scacchi erano un gioco complesso, che come tutti gli intrattenimenti da tavola, pretendeva una mente allenata alle regole e ai passaggi più frequenti. Nonostante Kalel fosse stato sempre un gran giocatore ma non le avesse mai insegnato nulla, Elena percepiva che parte del talento del padre scorreva nelle sue vene anche in quella piccola finzione.
Elena spostò il suo cavallo di tre caselle avanti e una laterale, divorando uno dei pedoni difensivi di Hani.
-Non avresti dovuto: era una trappola! Guarda, il tuo alfiere ora è scoperto- l’avvertì Hani.
Elena lanciò uno sguardo al bordo del campo da gioco, dove su un riquadro nero il suo alfiere era ben esposto alla voracità della regina del suo avversario.
-Diamine!- digrignò lei.
Hani soffocò una risata. –Avanti, devi solo acquistare dimestichezza. Posso contare sul fatto che eri distratta?- le chiese amichevole.
Elena sorrise beffarda. –Certo- le guance le si arrossarono.
Hani rimise al suo posto il cavallo della ragazza e fece tornare in difesa il pedone appena divorato. L’alfiere di Elena l’aveva scampata bella.
-Perché l’hai fatto?- domandò sorpresa.
-Eh, ti basti sapere che non mi piace vincere con chi non ha alcun titolo. Se riesci a battermi, alla partita successiva non ti sarà concesso alcun bonus!- rise l’assassino.
Elena aggrottò la fronte. –Vuol dire…- mormorò incredula. –che mi stai facendo vincere?!- sbottò.
Hani si strinse nelle spalle. –Più o meno… sì- disse in fine.
-Maledetto, non è giusto! Per te, ovviamente; ma almeno potevi non dirmelo!- Elena non riuscì a trattenere una risatina acuta.
-Senti, parla per te. Io sono fiero delle mie doti, per ora, ma chissà… se t’impegnassi un po’ di più potresti anche battermi. Sempre e solo “se”- aggiunse il ragazzo.
Elena la colse come una sfida bella e buona, per non parlare dell’accento malizioso che Hani dimostrava nelle sue parole e che mise in pratica nelle mosse successive.
Fortunatamente una buona logica e paterna preparazione all’improvvisazione la portarono a tenere il coltello dalla parte del manico, e in una trentina di minuti circa mise Hani alle strette.
Le fu facile cogliere l’ampio spazio vuoto che separava il suo cavallo bianco dal re del suo nemico, ed Elena mosse l’unico suo alfiere restante a chiudere il sovrano nero nell’angolo della scacchiera.
Hani trasse l’asso dalla manica: la sua torre comparve come dal nulla e si pappò in pochi istanti i due pedoni di difesa restanti della ragazza, che era impegnata a stringere in una morsa mortale il re dell’assassino.
Hani prese fiato. –Scacco matto!- disse in fine.
Quale delusione: tutto vero.
Il re di pietra candida era accerchiato dalla regina nera e dalla sua fedele torre scura. Hani aveva vinto, e le fatiche di lei nel concentrarsi sul suo alfiere e il suo reietto cavallo erano state più che inutili.
La ragazza si abbatté alla sconfitta, e con una schicchera fece crollare il suo re sul campo di battaglia.
Hani sorrise divertito, ma Elena poteva notare la fatica di quella vittoria farsi largo sulla sua fronte: il ragazzo sudava!
-È stata dura, l’ammetto. Hai una perspicacia impressionate. Sicura che fosse la prima volta che giocavi?- si sporse verso di lei, ed Elena prese a risistemare le pedine nella situazione di partenza.
-Te l’ho detto: sì, è stata la mia prima volta!- affermò.
Hani annuì, e si apprestò a ricomporre in modo ordinato le file dei suoi pedoni.
-Vuoi la rivinci…- non fece in tempo a finire, che qualcuno atterrò pesantemente coi piedi a terra nella stanza accanto.
Elena scattò in piedi, a seguito anche Hani e il Rafik si irrigidirono.
Altair comparve nella camera e rimase sull’ingresso. –Ho interrotto qualcosa?- sorrise calandosi il cappuccio sulle spalle. Mosse alcuni passi avanti e afferrò dalla cesta di frutta una mela.
Nel salone calò un silenzio assurdo.
Altair si sedette al bancone. –Non l’avessi mai chiesto…- borbottò sfoderando un pugnale da lancio e cominciando a sbucciare la mela con esso.
Il Rafik si schiarì la gola. –Hani ha irrobustito la tua allieva abbastanza, non hanno fatto altro che scalare lo stesso muro tutto il pomeriggio. Sono distrutti, spero che tu ne sia contento…- fece il vecchio.
Altair la fissò allungo da sotto il cappuccio, ed Elena si riaccomodò lentamente sullo sgabello davanti alla scacchiera, sentendosi perennemente sotto una critica osservazione. Sapeva che Altair poteva numerare la sua massa muscolare solo con uno sguardo.
-Non nego di essere sorpreso…- proferì il suo maestro.
Alla ragazza scappò un sorriso.
Altair terminò la frase. –del fatto che tu non ti sia ancora addormentata-.
Perché la credeva tanto incapace?! Si domandò Elena sbuffando e guardando a terra.
-Piuttosto- riprese il Rafik. –Cos’era tutta questa urgenza?- domandò rivolgendosi all’assassino esperto.
Altair si voltò appena. –C’era un uomo nei pressi del porto, ci seguiva. Lo tenevo d’occhio da questa mattina, e mi sono accorto in tempo che era una maledetta spia …-.
Elena sobbalzò, e Altair notò il barlume di paura che gli occhi della ragazza avevano mandato d’un tratto.
-Esatto- confermò il suo maestro. –Hai presente le spie che seguivano tuo padre, Elena?-.
A quelle parole la ragazza si alzò, avvicinandosi al bancone. –L’avete ucciso, spero!- serrò i denti battendo un pugno sul tavolo.
Il suo maestro rimase colpito da quella dimostrazione di improvviso furore. –Ovvio- rispose comunque calmo. –Non ci darà alcun fastidio, ma questo non nega l’eventualità che ce ne siano altri- affermò cupo.
-I tempi si stringono- commentò il Rafik sospirando.
-Già…- Hani si strinse meglio i lacci del guanto sinistro.
-Non solo, ma Corrado ha bloccato l’accesso al forte di suo padre nel distretto ricco. Nessuno, mercante, monaco o servo che sia, può entrare lì dentro e le mura sono controllate da una moltitudine di arcieri che neppure immaginavo- continuò Altair. –L’unico modo per entrare nella sua tana sarebbe abbattere uno per uno tutti i suoi uomini sui bastioni, ma ciò ci esporrebbe ulteriormente. Da domani io ed Elena intraprenderemo le indagini come si deve nel tentativo di coglierlo alla sprovvista magari fuori dalla città stessa. So che ultimamente Corrado fa parecchi giretti altrove, e non ci lasceremo sfuggire queste rare e ottime occasioni. Sul serio, i tempi si stringono…-.
L’assassino sbucciò per intero la mela, lasciando che la buccia cadesse sulla superficie nella forma di un unico compatto serpentello rossastro. Poi cominciò a tagliarne i primi spicchi.
Elena gli sedette affianco. –Maestro- chiamò.
-Sì?- fece lui senza guardarla.
-Quando- esitò, ma si diede della stupida. –quando faremo ritorno a Masyaf?-.
Il coltellino quasi gli sfuggì di mano a quella domanda, e Altair arrestò la sua manodopera puntando i suoi occhi scuri in quelli di lei. –C’è qualcuno che ti aspetta lì?- si beffò.
Elena scosse la testa. –Scusate, era solo… una domanda- sostenne in un sussurro.
Eppure, si diede lo stesso della stupida. Marhim era in viaggio per Alhepo. Ad aspettarla a Masyaf non c’era nessuno.


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Capitolo 27
*** Indagini ***


Indagini





Non poteva, non riusciva a muoversi. Dolori continui e perenni le mordevano il corpo, e il suo volte era attraversato da ghigni di alta sopportazione. Percepiva il bruciore scottante ai muscoli come se li avessero tranciati con un colpo di spada: il collo, le gambe, le braccia, gli addominali. Era la personificazione delle pene dell’Inferno, si disse. Cosa aveva fatto di tanto male?!
Elena si girò sul lato opposto, trattenendo il fiato.
Il buio avvolgeva il salone della Dimora, e la ragazza contò i corpi silenziosi di due presenze.
Hani, sdraiato per intero sui cuscini, dormiva beato.
La seconda figura, retta e composta dall’altra parte della stanza, era appoggiata con la schiena alla parete, e il profilo perfetto spiccava dall’ombra del cappuccio come irradiata da un raggio di luna. Era il suo maestro, che si girava tra le dita un pugnale da lancio. I gomiti poggiati sulle ginocchia, il fodero ancora allacciato alla vita che gli camminava lungo il fianco. Lo sguardo assorto nell’oscurità, come a specchiarsi in ricordi, pensieri, sensazioni…
Elena si riscosse, stropicciandosi gli occhi con una mano, ma quella singola mossa le procurò una fitta alla schiena che le scappò un mugolio.
Altair si voltò, notandola.
Elena non seppe decifrare la sua espressione, la notte confondeva molti dei particolari di lui e della camera. Fu certa del fatto che il suo mentore aveva sul volto tutt’altro che un sorriso. Serio, austero come suo solito, Altair sembrava quasi preoccupato delle condizioni di lei, ed Elena dovette assecondare quel pensiero.
La ragazza provò a chiudere gli occhi, di nuovo, e nel silenzio della sera colse appena un sibilo e qualche passo avvicinarsi.
-Stendi i muscoli…- le disse una voce severa.
Elena si sentì afferrare per le gambe, mentre Altair le stendeva le ginocchia contratte sui cuscini. –E non stare così tesa- aggiunse l’assassino.
La ragazza sollevò il busto, ma una nuova fitta giunse alla sua coscienza tormentata.
-Grazie…- mormorò lei tenendosi tutto dentro. –Ci mancava solo questa!- sbottò arricciando le labbra.
-Perché ti ostini…- iniziò lui allungando le braccia verso di lei. –ad addormentarti con tutta questa roba?- le chiese slacciandole il triangolo di metallo dal petto.
Elena si strinse nelle spalle quando l’assassino adagiò le sue cinghie di cuoio al suo fianco.
Altair era piegato su di lei e la scrutava in volto. –Meglio?- chiese spostando lo sguardo dalle gambe alla ragazza e dalla ragazza alle gambe.
Peccato che il suo tormento non riguardava solo gli arti inferiori, si disse Elena annuendo. –Ripeto… grazie- sorrise.
Altair la guardò allungo, in silenzio, cogliendo l’improvviso rossore delle guance di Elena. L’assassino si alzò e sparì nella stanza accanto.
Elena riprese fiato, accorgendosi col sorriso che i consigli del suo maestro colpivano sempre in centro!
Allungò un’occhiata e notò il suo mentore avvicinarsi al bancone del Rafik, che si era coricato nel suo stanzino parecchio tempo prima. Altair si avventurò tra gli scaffali alle spalle del bancone e trovò quello che cercava, poggiando poi sul tavolo il cesto della frutta. Vi trasse una banana e tornò da lei.
-Prendi- le disse chinandosi al suo fianco, ed Elena allungò una mano tremante, contenendo il dolore di quel piccolo e quotidiano gesto. –Non può che farti bene- Altair lasciò la presa sul frutto già sbucciato, che Elena strinse tra le dita gracili e portò alla bocca.
-Maestro- chiamò la ragazza dopo poco.
-Mmm?- lui si voltò a guardarla, sedendole accanto.
-Se domani…- cominciò la ragazza, ma Altair la interruppe.
-Non pensare a domani- proferì. –Le tue condizioni sono passeggere, ma potrebbero durare una settimana come un giorno soltanto. Più importante, sappi che non ne hai alcuna colpa. Tutto qua- la sua voce, così soave e premurosa quasi la commosse.
Addentò la banana di mala voglia. Potassio o no, non aveva per niente fame, e il suo stomaco era su di giri quanto il suo apparato locomotore.
Quand’ebbe finito di mangiare, attesero in silenzio diversi istanti. Sarebbe servito un miracolo per accelerare il corso della sua guarigione da troppo sforzo, si disse Elena perdendo le speranze nella cura naturale.
Provò a sollevarsi, per sistemarsi al meglio con la schiena sui cuscini. Il suo assistente e maestro l’aiutò ed Elena si trovò in Paradiso dopo aver raddrizzato al meglio ogni parte del suo corpo. Sorrise, socchiudendo gli occhi, assaporando l’improvviso sollievo che aveva un sapore dolciastro e…. familiare.
Accanto a lei, come una piccola stufa, avvertiva il calore dei muscoli sempre pronti del suo maestro. Allungò ulteriormente il sorriso, appoggiando la guancia sulla spalla dell’assassino.
Altair non se ne curò, lanciandole solo una svista ogni tanto, controllando che la sua allieva riuscisse a prendere sonno anche con la poca dose di sonnifero che portava con sé di scorta.


***


Kalel le sorrise, armonioso. –Come va?-.
Elena si tirò su, prendendo una boccata d’aria. –Male!- rise. –Ma cos’era?!- balbettò. –Sei impazzito, vuoi ammazzarmi?- aggiunse la ragazza.
Nel giardino della casa brillava il sole, che rischiarava le piante e i tappeti che ornavano la terrazza. C’era del the ancora fumante sul tavolo vicino ai cuscini, e il cinguettare degli uccelli diffondeva una melodia dolce.
Kalel poggiò la spada sul tavolo, sedendosi sui cuscini. –Non impari mai…- borbottò allegro.
Elena lo imitò, sistemandosi di fronte al suo vecchio. –Padre- chiamò portandosi i capelli su una spalla.
-Sì?- fece lui stringendo la tazza tra le mani rigate e stanche, quasi tremanti.
Elena tacque alcuni istanti, ripensando alla sua sciocca domanda. Il suo aspetto era sempre sereno, chiaro e sorridente. Il suo viso rispecchiava la sua anima limpida, e i suoi movimenti ancora impacciati come quelli di una bambina portavano suo padre ad assumere atteggiamenti comprensivi e troppo poco autoritari.
-Mia madre…- cominciò la ragazza. –Lei… mi hai detto che è morta, ma io… ecco… voglio sapere di voi… prima di me… prima di tutto questo e di quello che verrà! Padre, non mi parli mai di lei, ed ora, che sono riuscita a contrastarti in combattimento e ti vedo così allegro, vorrei… parlare, solo parlare…-.
Kalel si raddrizzò, poggiando la tazza sul tavolo e fissando la figlia con occhi seri. Il suo tormento si affievolì quando sulle guance della ragazza comparve un leggero rossore.
-Sai…- fece lui. –Non hai idea di quanto le somigli. Quando ci conoscemmo… lei faceva tante di quelle domande: chiedeva perché io l’amassi tanto, o come avrei dimostrato di esserle sempre fedele. Sai cosa le rispondevo?- domandò scherzoso.
-No, cosa?- Elena si allungò verso di lui.
Il canto di due uccellini interruppe per qualche istante la conversazione, ed Elena ammirò il volto di suo padre farsi sempre più sereno.
-Io le ho risposto che non c’era modo di contare sulle dita di una mano quanto l’amassi, ma che per dimostrare che le sarei stato sempre fedele, be’…- Kalel rise. –Le dissi solo: o il matrimonio o un figlio!-.
Elena si portò una mano alla bocca, ridendo. –E suppongo che lei abbia voluto entrambi…- mormorò.
Kalel annuì. –Le dissi che non ci sarebbe stato modo di portarci via né l’uno né l’altro, ma…- si fermò, riprendendo tra le dita la tazza e sorseggiando con calma. –Elena, l’amore è il sentimento più complesso e peggio composto… la paura, l’odio sono passeggeri, ma l’amore… oh! Quello è terribile, la pecora nera del cerchio dell’uomo-.
Lei si mise in ginocchio sul cuscino. –Perché?-.
Kalel fece un gesto di stizza. –perché? Te lo dico io perché: l’amore distrae, assopisce la mente e i muscoli. Mi sono accorto che stai diventando pigra… sarà mica che…- sogghignò malizioso.
Elena lo colpì alla spalla con una pacca. –Padre!- rise.
-Beccata!- sbottò lui sollevando l’indice della mano e puntandola. –Ah! Lo sapevo!-.
Elena scosse la testa. –Ti sbagli…- brontolò lei abbassando gli occhi a terra. D’un tratto, colse suo padre emettere un sospiro inaspettato, e con tono rassegnato Kalel disse: -No, Elena-.
La ragazza tornò a squadrarlo confusa. –Cosa?-.
-Non devi farlo, Elena. Lasciarti condizionare è quello che più non devi assolutamente fare o lasciare che accada. Sei una ragazza bellissima, anzi, una donna bellissima e ti sarà difficile scostarti da quelli che sono i tuoi doveri. Adesso, il tuo pensiero- Kalel le sfiorò la fronte con le dita. –E il tuo corpo- e scivolò fino al petto. –Devono rimanere limpidi, inviolabili… ascolta il mio consiglio-.
-Perché, padre, tu sì… ed io no?- domandò lei mentre gli occhi le si arrossavano.
Kalel la prese per le spalle e la strinse a sé, abbracciandola con forza. –Ascoltami, ti prego. Non farlo, non farlo! Non pensare che lo stia facendo solo perché voglio proteggerti, perché non è così! Sappiamo entrambi che c’è qualcosa di più grande sotto… infondo al tuo cuore, cerca l’onore che ti resta e pensa a chi come te si farà queste domande e non saprà darvi risposta perché nessuno glielo ha insegnato. Ed è bene così. Lascia che le cose scorrano, Elena, ma tieni tu le redini e guida questo cavallo il più lontano possibile. Non ti chiedo di fuggire, tanto meno di andare incontro a tutto ciò, ti prego solo di… di moderare le tue scelte e non esitare di fronte al cammino più saggio e giusto!-.
Elena non capiva. La sua mente si perdeva in un vortice di immagini senza una cronologia precisa. Dal volto di suo padre ai suoi sogni, dai suoi incubi alle strade affollate di Acri. Dal volto di Corrado a quello dei suoi uomini. Dalla spada di sua padre alla sua mano destra, e al o dito anulare di quella sinistra.


***


-Elena… Elena…-.
La ragazza mormorò parole mute girandosi più volte da parte a parte.
–Elena!- gridò l’assassino.
Elena si alzò di colpo. –Padre!- rispose ad alta voce.
Hani la guardava stordito col volto celato sotto il cappuccio. Il ragazzo stringeva nella mano una mela, ed Elena gli si era avvinghiata addosso stringendolo con vigore.
-Elena, scusa, ma… potresti… ecco, brava…- Hani trattenne la risata.
Elena gli si allontanò con lentezza, sentendo su di lei ancora il peso del sonno. –Scusa- mormorò.
Il ragazzo si tirò su. –Ma che diavolo, faccio una buona azione e mi ritrovo con una spalla slogata, ma guarda qua…- si lamentò l’assassino massaggiandosi la radice del collo. –Ehi, allora i muscoli ce li hai!- rise.
Elena arrossì ulteriormente. –Può darsi…-.
-Avanti, come ti senti? Riesci a camminare?- proferì lui arrestando d’un tratto la risata.
Elena tentò di sollevarsi e, nonostante qualche dolore permanente alle braccia (arto meno allenato nell’arco di 17 anni) riuscì a saltellare sul posto un paio di volte.
-Grande- l’ammirò Hani. –Prendi questa, fai in fretta. Altair ti aspetta fuori- le disse indicando il tetto della Dimora, porgendole la mela e allontanandosi nella stanza del Rafik.
Il vecchio capo sede sedeva agli scacchi e la partita tra lui e l’assassino riprese come era stata interrotta.
-Ehi, hai spostato il cavallo, brutto vecchio!- sentì Hani gridare.
Il Rafik si strinse nelle spalle. –Ti sbagli, l’occhio novizio inganna- assentì.
Elena addentò la mela col sorriso.
-No, no! Ero sicuro che fosse lì! Rimettilo apposto! Avanti!- sbottò Hani infastidito.
-Sta’ zitto e gioca- il Rafik lo colpì alla testa con una pacca amichevole.
-Questa te la passo…- borbottò Hani.
Elena, con la mela incastrata tra i denti, afferrò il suo equipaggiamento da terra e si legò il fodero alla vita. Cinse con cura le cinghie della lama corta e si assicurò di avere tutti i pugnali pronti all’uso.

Borseggio

Il cielo grigio di Acri si stagliava all’infinito, promettendo pioggia nel pomeriggio se non prima. Le voci cittadine la cullarono assieme al vento che le sollevava gli angoli della veste candida. In lei scorreva di nuovo la voglia di muoversi, qualcosa aveva fatto miracoli in quelle ultime sei ore, perché la ragazza calcolò fossero le undici passate.
Elena si voltò giusto in tempo per cogliere la figura felina del suo maestro che si avvicinava saltando da un tetto ad un altro. Altair si arrestò silenzioso al suo fianco, ed Elena si sgranchì le dita della mano.
-Come ti senti?- le chiese da sotto il cappuccio.
Elena lanciò un’occhiata alla fontana della Dimora. –Be’, non è stato facile- rise.
Altair sorrise. –Ne sei sicura? Oggi ho molta roba in serbo per te. Ti senti all’altezza?-.
Elena annuì, convinta.
I due assassini si allontanarono nella direzione contraria al vento, dirigendosi ad ovest verso il distretto ricco.
Elena correva, certo, ma la parte psicologica di lei tornò a quel sogno… si disse che era stato frutto della sua fantasia. Non aveva ricordi di una certa conversazione con suo padre, anzi: non aveva proprio ricordi così affettivi con suo padre. Era abituata a guardarsi da Kalel solo nei momenti in cui le insegnava a combattere. Un sogno assurdo, in qualche strano modo riconducibile ai suoi tempi attuali, ma… ogni sogno aveva una propria logica, un collegamento ai sentimenti e alle emozioni, alle situazioni e alle conoscenze di chi dormiva. Così Elena si trovò costretta a sentirsi mancare ancora Marhim accanto.
Altair rallentò la corsa, ed Elena gli si fermò vicino.
Il suo maestro guardava in basso, si era esposto sulla strada e puntava lo sguardo da aquila nel bel mezzo del cortile, dove due uomini stavano chiacchierando appartati e muti sotto il portico di una casa. –Eccoli…-.
-Chi, maestro?- domandò lei avvicinandosi.
-È tutta la mattina che li seguo; tutti tuoi-.
Elena rimase dubbiosa. Erano due uomini ben vestiti, uno dei quali indossava una lunga casacca nera, un monaco forse. Lo stesso uomo di chiesa aveva una borsa a tracolla che parve pesante. L’altro era un paesano, un commerciante esile.
-Non capisco, cosa dovrei fare? Ucciderli?- domandò spaesata voltandosi a guardarlo.
Altair sorrise curiosamente malizioso, tenendo le mani dietro la schiena. -Elena, rispondimi, come mai non hai tutti i tuoi pugnali da lancio?-.
La ragazza sobbalzò. Tastò i cinque astucci della sua cintura e riconobbe di averli tutti. Quando però portò una mano alla spalla destra si accorse che uno degli astucci era vuoto. –Ma che cosa…?- sbottò incredula.
Altair la guardò sostenendo il suo sorriso.
-Non capisco!- si lamentò piagnucolando. –Mi dispiace, ma ero certa di… di averli tutti! Ho controllato bene prima di uscire, ve lo giuro!- si strinse nelle spalle, terribilmente in colpa.
In quel momento si sentì come Hani durante la partita contro il Rafik. Imbrogliata dalla sua stessa scarsa e disattenta memoria… sbuffò.
Altair stette in silenzio, e mostrò le mani. Aprendo il palmo di quella destra mostrò il pugnale argentato che Elena andava cercare con tanta paura.
Gli occhi di lei luccicarono. Come cavolo aveva fatto?
-Come avete fatto?- domandò afferrando l’arma dal pugno del suo maestro e girandosela tra le dita. –Come? Non mi sono… accorta di nulla!- rise dannatamente sorpresa.
L’assassino si schiarì la voce. –Era proprio quello che volevo sentirti dire-.
-E con questo che cosa intendete?- domandò lei rimettendo al suo posto il coltellino.
Rashy li osservava dall’alto, confusa tra le nuvole come un nero puntino indistinto, ma il suo grido giunse chiaro, ben distinto e acuto.
Altair guardò di nuovo i due uomini che parlavano. –Non abbiamo molto tempo, ma credo che tu sappia cosa sia un borseggio…- le disse.
Il monaco con la sacca si allontanò dall’altro e intraprese la strada principale che collegava il distretto ricco a quello medio.
Elena annuì. –Devo… borseggiare quell’uomo?- chiese, certa che il suo maestro avrebbe detto…
-Sì-.
-Ottimo, peccato che non abbia idea di come si faccia- rise sarcastica la ragazza.
-Il borseggio… lo spionaggio… l’interrogatorio…l’assassinio. Sono arti, non azioni, Elena…- Altair allungò una mano verso di lei e fermò le dita a mezzo millimetro dal suo naso.
Elena fu sul punto di indietreggiare, ma il suo maestro la bloccò afferrandola per il braccio.
Altair quasi le sfiorava con le dita la punta del naso, ma Elena non avvertiva nessun genere di contatto.
-Secondo te…- formulò l’assassino in un sussurro. –Ti sto toccando… o no?- chiese.
Elena strinse i denti, osservando come la mano del suo maestro restava ferma a mezz’aria immobile, serrata. La vista sulle sue dita le divenne doppia, e le s’incrociarono gli occhi. –No- balbettò, per niente sicura della sua risposta, e distogliendo lo sguardo.
-Errato- Altair abbassò la mano. –Il tocco c’era, io l’ho sentito, ma tu no. Devi concentrarti sulla pelle delle dita e non su quella della superficie che vai toccare, sfiorare o aprire. Il borseggio è un’arte cui non serve la violenza, di alcun genere. È… agilità dei sensi, scaltrezza nel muovere le parti più piccole del nostro corpo. Il borseggio è un furto, un rapido tocco, un mordi e fuggi. È quello che voglio che tu faccia alla borsa di quell’uomo-.
-Cosa… cosa debbo estrarre dalla sua sacca?- domandò.
-Egli possiede in quella borsa il diario della chiesa del distretto locale. Ho saputo che Corrado assisterà ad una manifestazione cattolica nei dintorni. Ma ora va’, il tuo obbiettivo si allontana…-.
Elena, ancora senza parole, si calò sulla strada aggrappandosi ad una trave di legno e lasciandosi cadere a terra con leggerezza.
Il monaco svoltò in un vicolo poco frequentato: ecco l’occasione, si disse.
Rubare… non credeva che sarebbe giunta a tanto. Non aveva mai rubato, forse da bambina una fetta di pane dal fornaio del distretto, ma… quali stupidi pensieri, si disse. Quello non era furto, era… prendere in prestito. Aveva in mente già un piano per restituire l’oggetto in questione senza compromettere né la missione né la confraternita o la Dimora.
Elena si appiattì alla parete e raggiunse più scattante il suo obbiettivo.
Il monaco si voltò, guardandosi le spalle, ma la ragazza saltò dietro un carro di fieno e la folla la nascose mentre riprendeva il cammino per rimediare alla distanza.
Allungò una mano, la cinghia della borsa scattò via con facilità e si trovò facilitata ad infilarvi la mano. Era un diario spesso racchiuso in una pezza dura ed Elena lo tirò fuori con grazia.
Una guardia alzò gli occhi e la notò nell’istante in cui Elena stava richiudendo la borsa.
Il monaco si voltò e fu il caos.
-Al ladro!- gridò il monaco.
La guardia si fece spazio tra la folla. –Macché! È un assassino!- ruggì.
Elena fece alcuni passi indietro, ma il cavaliere teutonico ci mise poco a buttare giù un passante e ad afferrarla per la veste.
Il monaco si fece da parte quando il soldato la scagliò contro la parete con facilità.
-Ah ah ah!- rise il cavaliere sfoderando la spada. –Che cosa abbiamo qui?- un ghigno perfido comparve tra la barba rasata male.
Elena era con le spalle al muro, il diario della Chiesa stretto al petto. La ragazza tentò di fuggire trascinandosi di lato, ma il soldato la colpì alle gambe con un calcio. Lei si rovesciò nuovamente al suolo, attutendo il colpo con una capriola.
-Tu non scappi!- ringhiò l’uomo e altri cavalieri si aggiunsero a lui sfoderando le lame.
Elena ascoltò il suo cuore perdere colpi, ma la sua mano andava ad allungarsi verso l’elsa della spada corta. Estrasse un pugnale e, da seduta, lo scagliò addosso al primo cavaliere.
Questo si accasciò a terra in un urletto di dolore e lei, approfittando della distrazione degli altri tre, si alzò e scattò tra la calca.
Elena sobbalzò, arrestando la corsa.
Alla fine della strada erano appostati due soldati che tenevano le spade alte pronti a colpirla.
La ragazza si voltò, e si trovò circondata fino ai denti dagli uomini di Acri.
Trasse la spada dal fodero, scagliò il diario di Chiesta nel cesto di fieno, ed ingaggiò il duello.
Le vennero addosso in due, si chinò e schivò il colpo del primo riuscendo addirittura a disarmare il secondo. La lama di lei passò da parte a parte del petto della guardia, la quale aprì la bocca senza pronunciare una sillaba.
Elena fece attenzione a non macchiarsi la veste di sangue, perché sarebbe stato facile riconoscerla. Schivò di nuovo e con grande sorpresa dei suoi avversari, per il suo palmo passarono altri due coltellini da lancio che colpirono alla fronte e alla gamba i due crociati.
Elena si lanciò contro quest’ultimo che era ancora in grado di colpirla e gli aprì uno squarcio profondo sulla divisa. L’uomo cadde.
Rimanevano due sentinelle sul suo cammino, le quali se la filarono mollando le ami e correndo a gambe levate il più lontano possibile.
La folla era attraversata dal panico ed Elena approfittò del caos per recuperare dal fieno il diario e dileguarsi sul detto della casa vicina.

-Eccolo…- Elena gli allungò il testo e Altair lo afferrò srotolandolo dall’involucro.
Elena si sedette al suo fianco, perché Altair era con le gambe a penzoloni, ma ben composto, seduto su un muretto alto che dava sul porto.
I gabbiani si gettavano tra le onde e si appollaiavano sugli alberi delle navi, diffondendo nel vento i loro versi melodiosi.
Altair ne sfogliò le pagine velocemente, saltando da un capitolo ad un altro del testo. E per diversi minuti proseguì in silenzio.
La ragazza si prese quel tempo per fare mente locale…
L’aveva vista brutta! Si disse, ma non volle dare a vedere quanto il cuore le battesse ancora senza un ritmo costante. Si chiese se Altair avesse o no assistito al suo borseggio finito in pappa e se avrebbe espresso giudizi a riguardo una volta trovata l’informazione che più gli interessava.
Elena lo scrutò allungo, percorrendo con lo sguardo ancora una volta la sua figura così impeccabile di assassino, ma prima ancora di uomo… ecco… affascinante.
Altair si schiarì la voce continuando a leggere e la ragazza arrossì. Doveva essersene accorto.
L’assassino trovò quello che cercava nelle ultime pagine. Era una cerimonia di celebrazione per la nascitura Maria, prima genita di Corrado ed Isabella, forse il suo compleanno. Oltre ad una data precisa cui si sarebbe svolta la cerimonia, il diario non dava altre informazioni.
-Tra un mese circa…- sentenziò Altair richiudendo lo scritto.
-Cosa?-.
Altair poggiò il libro di lato e si strinse le cinghie dello stivale. –Corrado ha una figlia di nome Maria che festeggerà il suo compleanno qui ad Acri assieme alla sua famiglia. Rimane da stabilire ancora molto altro, come il luogo in cui si terrà. Anche se questi testi parlano della cerimonia, negli stessi non viene mostrata alcuna altra informazione. Le nostre ricerche proseguono. Abbiamo fino ad un mese per scoprire quanto più possiamo- disse serio.
Elena guardò l’orizzonte, oltre il confine tra oceano e cielo. –E adesso?- domandò.
Altair fece un gran sospiro. –Avanti, come ho detto, le ricerche proseguono. Non possiamo prendercela comoda affatto. Meglio impiegare questo tempo che sicuramente ci avanzerà per approfondire al meglio ciascuna indagine-.
Elena si voltò di colpo. –State dicendo che… mi aspetta un nuovo borseggio?!- chiese sbigottita.
Altair alzò un sopracciglio. –Perché tanta meraviglia? È successo qualcosa che…-.
Elena scosse la testa. –No, no… anzi, ne sarò entusiasta-.
-Comunque- riprese lui. –Non mi riferivo ad un nuovo borseggio. Per queste mura circolano tanti di quelli informatori… potrebbe esserci anche quale reietto di Corrado pronto a vuotare il sacco alla vista di un bel pugno di ferro. Forza e coraggio, Elena di Acri-.
Altair si alzò, restando in perfetto equilibrio sul muretto. Le porse una mano, ed Elena si aggrappò a lui che l’aiutò a tirarsi su senza cadere.

Spionaggio

-Dobbiamo salire- Altair alzò lo sguardo al cielo.
-Che intendete?- domandò Elena.
Rashy levò il suo grido nell’aria fredda e Altair le volse una fugace occhiata. –Seguimi- le disse e prese ad arrampicarsi su una piccola torre di pietra.
Era un bastione isolato nel distretto povero della città. C’era una piazza con una rozza fontana al centro sulla quale si rovesciava un marasma di gente. Si trovavano nei pressi dell’ingresso principale della cittadella, controllato dalle guardie Ospitaliere.
Altair si aggrappò alle grate di una finestra e seguì il cornicione della torre fin quando non fu nei pressi di una piccola e stretta impalcatura di legno. La raggiunse con un balzo e si piegò sulle ginocchia per restarvi in equilibrio.
Le porse una mano ed Elena si lasciò aiutare a salire lì.
Altair si sedette con le gambe a penzoloni nel vuoto, ed Elena fece altrettanto. Erano schiena a schiena.
-Non sei certo obbligata ad imitarmi. Quando si tratta di indagare, è nel mio stile raggiungere un punto abbastanza alto dal quale posso osservare e controllare la zona. Per esempio, ti eri mai accorta che là giù… oltre quella casupola, c’è una galleria che porta dritta alle porte del molo?- le chiese.
Elena se ne stupì. –No, mai- disse.
Il vento là su soffiava più forte, sbattendo con violenza sul viso e sulla veste che ondeggiava clamorosamente.
-Non solo…- continuò lui. –guarda… guarda qui tizi là. Sicuramente stanno parlando di qualcosa d’interessante. Che ne dici di dare un’occhiata?- si voltò e i loro visi furono l’uno poco distanti dall’altro per mancanza di spazio calpestabile sulla trave.
Elena annuì, balbettando un tenue: -sì, va bene-.
-Vieni, ti aiuto a scendere- Altair intraprese l’arrampicata di ritorno verso la terra, ma ad Elena piaceva l’altezza. La brezza tra i capelli e la vista libera che poteva scorrere fino all’infinito.
-Muoviti!- la chiamò Altair, che era aggrappato alla parete della torre e aveva un braccio teso verso di lei.
Elena si appoggiò a lui, che stringendola saldamente, la calò verso il tetto della casa e, con un saltello, Elena toccò terra.
Altair le atterrò di fianco senza un rumore in più che non fosse quello del fodero che sbatteva alle cinghie della cintura. –Tutto bene?-.
La ragazza annuì, di nuovo, e i due scesero per una fragile scaletta in legno giungendo sulla strada trasandata del distretto povero.
Si avvicinarono a quei due tipi loschi stando nascosti dietro la fontana.
-Siediti su quella panchina e tendi le orecchie- Altair le indicò la panca sulla quale erano sedute due donne ed Elena obbedì.
Il suo maestro si perse nella folla, e lei fu sconfortata da quella perdita imminente della sua sicurezza, la sua salvezza.
Nonostante la paura di non riuscire al meglio come nell’incarico precedente, Elena si adagiò lentamente sulla panchina, stringendosi nelle spalle.
-No, ma che vai dicendo!- sbottò uno dei due uomini.
-Ti dico che è vero… l’altra notte l’ho vista uscire dal suo forte scortata da quattro dei Teutonici! Incredibile, lo so, ma è così…- rispose l’altro.
Il primo portò una mano all’elsa della spada, minacciandolo con lo sguardo. –Se lo racconti a qualcuno ti ammazzo-.
L’altro parve sorpreso. –Tu… tu lo sapevi?- sbottò.
Erano due soldati. Un cavaliere della casata del Monferrato e un Ospitaliere. Nell’anonimato della panca, Elena colse la loro intera conversazione dal principio.
-Certo che lo so, e ti dico che il mio Signore non ha un’amante… ella è…-.
-Stai solo cercando un appellativo diverso! Che ne dici di prosti…- non completò che il cavaliere di Corrado lo colpì al cavallo con un calcio.
-Razza di!- piagnucolò l’Ospitaliere chinandosi.
-Piantala, ti ho detto. No, non è alcuna forma di ciò che pensi. Ella è una spia proveniente dalla setta degli assassini. Saputo nulla?-.
Quello scosse la testa stringendo le labbra dal dolore.
L’altro si guardò attorno. –Strano, le voci girano poco, allora. Non mi è ben chiaro il suo nome, ma la ragazza fa visita spesso a Corrado per riferirgli di tutte le attività di Mastro Tharidl, il capo di quei bastardi. Al rogo, tutti quanti…- digrignò il cavaliere.
-Ben detto- fece l’altro tirandosi su. –Uno di loro uccise il mio signore, qualche tempo fa. Ti ricordi di Garniero, no? Schiavista, anche lui…- borbottò.
-Sì, mi ricordo. È lo stesso assassino che uccise Gulielmo, non lo sapevi?-.
L’altro annuì.
-Bene. Ti stavo dicendo: l’altra sera, questa donna ha portato qui dei testi, io li ho visti! Avresti dovuto esserci. Corrado era furioso. Sembravano delle cronache su come l’assassino di suo padre svolgeva le indagini su Gulielmo. Ci mancava poco e il Re si metteva a piangere- sbottò.
-Interessante, e credi che questo possa giovare a Corrado per trovare i due assassini che gli stanno dietro?-.
-Ovviamente. Sapere come striscia un assassino è stato molto utile al mio signore. Passando quelle cronache ad uno dei suoi infiltrati a Gerusalemme, egli è riuscito ad ammazzarne uno. Ho saputo il suo nome quando quella donna è venuta qui. Si chiama Asaf. Un pezzo grosso-.
-Grandioso. Ma dimmi, come se la vede il tuo Signore con la piccola Maria?- domandò sorridendo.
-Maledetto pedofilo!- l’altro gli batté un colpo sulla spalla.
-Vogliamo mettere? Ti ho visto l’altra sera al porto. Bordello interessante?-.
Il cavaliere crociato sbuffò. –Per niente. Il prossimo mese ci sarà il compleanno della piccola Maria. Sono tra i primi che Corrado chiamerà a sorvegliarla, la piccolina-.
-Quanto siamo modesti!- rise l’Ospitaliere.
-Scherzi a parte, fratello, devo assicurarmi che quei bastardi non ci siano-.
-Parli degli assassini?-.
Lui annuì. –Bestie spudorate. Se osano infiltrarsi a quel compleanno li ammazzo io tutti e due!-.
-Calma- l’altro gli fece cenno di abbassare la voce. –Dimmi, potrò assistere?-.
-Hmm. Ancora non si sa dove esattamente si svolgerà, mi spiace. Ma appena saprò qualcosa, ti farò sapere-.
-Ehi, amico, è tutto apposto. Piuttosto, posso portarmi qualche bellezza?- rise l’Ospitaliere.
Quello scosse la testa. –Scordatelo, festa privata. Giusto i monaci della chiesa, ma nessuno più. A te posso rimediare una divisa come la mia, ma non puoi trascinarti dietro le tue puttane. Però… magari…-.
L’altro alzò le spalle. –Va bene, ho capito… Mi sta bene. Ora devo tornare in servizio o mi scuoiano vivo-.
I due si salutarono e sparirono imboccando strade differenti; la ragazza li perse di vista.

-Alla cerimonia potranno parteciparvi, come esterni, solo i monaci di Chiesa- disse tutto d’un fiato.
Altair rallentò il passo, affiancasi alla ragazza. –ne sei certa?- domandò.
Lei annuì. –Sì, maestro. Ma… ecco… c’è un’altra cosa che credo nessuno sappia-.
La giornata giungeva al termine. Il cielo andava incupirsi all’orizzonte mentre il sole spariva oltre la coltre di nuvole ad ovest, proiettando ombre sempre più immense.
Camminavano l’uno accanto all’altra in uno dei mercati vicino al centro del distretto ricco, avvolti dalla calca che si fermava alle bancarelle.
-Sarebbe?- domandò interessato.
Elena esitò, ma si maledisse di tanto timore. –Corrado, attraverso la spia infiltrata a Masyaf, è entrato in possesso delle vostre Cronache di quando uccideste suo padre. Egli si è servito di quelli scritti per ammazzare Asaf- le tremavano le parole.
Altair si arrestò d’un tratto, fissandola sconvolto. –è tutto? Non c’era altro che riguardasse la spia?- chiese nervoso.
Lei scosse la testa.
-Bene…- mormorò abbassando lo sguardo.
Rimase in silenzio mentre si dirigevano alla Dimora. Avrebbero ripreso le indagini la mattina seguente con la buona luce.

Interrogatorio (qualche giorno dopo)

Elena aprì gli occhi di colpo, sentendo una mano poggiarsi sulla sua spalla.
-Andiamo- disse il suo maestro da sotto il cappuccio.
Elena si appropriò dell’equipaggiamento in fretta, ma ancora mezza assopita. Fece colazione con una succulenta banana e lasciarono la Dimora di buon mattino.
Altair la condusse nel distretto ricco, nei pressi dei cortili della Grande Cattedrale.
-Lo vedi quell’uomo?- le domandò, ed Elena seguì il suo sguardo attraverso la gente fin quando non incontrò una sottospecie di canta storie che gridava a gran voce.
-Corrado è colui che ci porta al futuro! Guardatevi da coloro che gli sono contro, poiché egli promette ad Acri la ricchezza e la stessa gloria di Gerusalemme! Sposato con Isabella, Regina, Corrado ci trascina verso un periodo di pace, nonostante siamo tutti immersi in questa guerra maledetta da Dio! Corrado ci guida versi la salvezza! Maria, sua prima genita, succederà ad Isabella e guiderà la dinastia dei Monferrato verso la gloria! E con loro, la gente di Acri sarà ricordata nella storia!…-.
-Ebbene?- fece lei confusa.
Altair alzò un angolo della bocca. –Mi pare di averti accennato ad un certo pugno di ferro. Devi farlo parlare, Elena, sono certo che saprà darci qualche informazione interessante sulla cerimonia-.
Elena sobbalzò. –Io… come?-.
-Pugno…- sorrise lui. –di ferro- aggiunse attendendo una sua reazione.
-Io non so fare a pugni-.
-Allora trova un altro modo - sbottò autoritario. –non dovrei essere io a darti da mangiare. Ti chiedo di estorcergli informazioni, come non m’interessa purché resti anonima. Piuttosto, ricordati che devi ucciderlo. Ti aspetto a nord- Altair si allentò tra la folla, lasciandola sola.
Elena, titubante, mosse i primi passi verso il canta storie e ascoltò la sua pappardella per un’ora quasi. Si disse che sarebbe stato bene trovare un luogo appartato dove… agire.
Quando le sue narrazioni ebbero fine e l’uomo si trovò sul punto di perdere la voce, Elena lo pedinò in un vicolo a confine col distretto povero.
La ragazza non sapeva come agire, ma l’obbiettivo si allontanava sempre più in fretta, e lei lo seguiva senza battere ciglio.
Elena prese una buona rincorsa e sfoderò la lama nascosta.
Gli saltò addosso, sbattendolo a terra senza pietà. Lo girò con violenza mentre l’uomo sbraitava spaventato, e gli puntò la lama alla gola.
-No! Fermo! Fermo!- gridava. –Cos’è che vuoi?! Soldi? Ecco, prendi! È tutto quello che ho!- la mano del ragazzo corse alla cintura che portava, ma Elena gli bloccò per bene tutti gli arti.
-Quando e dove sarà il compleanno di Maria!- sussurrò alitandogli addosso.
Lui parve sperduto e sbigottito. –Ma sei una donna!- sbottò quasi schifato.
La ragazza allentò la presa, e lui ne approfittò per capovolgere la situazione.
Elena si trovò in breve tempo sotto di lui, che quasi riuscì a sfilarle di mano la lama corta. –Uh uh! Guarda come siamo messi, ma chissà quale bel faccino si cela qui…- allungò una mano a toglierle il cappuccio.
La ragazza lo colpì al cavallo con una ginocchiata, e l’uomo si piegò da dolore cadendo all’indietro.
Elena si alzò in fretta e si apprestò a sbatterlo al muro, minacciandolo nuovamente. –Dimmi tutto quello che sai!-.
-Sabato! Tra tre settimane! Il cortile della Grande Cattedrale o lì nei paraggi! Non so altro su quello che mi chiedi!- piagnucolò.
-La spia!- le passò per la mente. Già che c’era. –Dimmi chi è! Il suo nome!- insistette la ragazza, tenendolo stretto contro la parete.
-Spia?- l’uomo sudava freddo.
Elena lo afferrò per i capelli e lo sbatté alla parete opposta. –Dimmelo! Chi è?!- gli strillò premendo la lama sul collo.
-Non lo so! Ti prego, farò tutto quello che vuoi! Sarò io la vostra spia! Ti prego!-.
La ragazza tese le orecchie e ascoltò un vociare confuso.
-Cos’è stato?- chiese una prima voce.
-Non so, andiamo a controllare!- disse l’altra guardia.
-Ti prego!- ricominciò l’uomo. –Ho un figl…-
Elena fu inflessibile, e la lama corta penetrò nella schiena dell’uomo, che si accasciò a terra.
I soldati comparvero sullo sbocco della stradina ed Elena scattò ad arrampicarsi sul muro. Raggiunse il tetto della casa e saltò da parte a parte agilmente.
Gli arcieri le venivano dietro gridando, ma Elena trovò un giardino pensile dove nascondersi.
Si lanciò attraverso le tende colorate e si appiattì a terra.
-Dov’è andato?!- sbottò una guardia fermandosi accanto al giardino.
-Non lo so, continuiamo a cercare!- fece un altro.
-Di qua! Eccolo!-.
-Sì, lo vedo! Andiamo!- le guardie si allontanarono all’inseguimento di un altro assassino che, quando Elena si sporse dal giardino, riconobbe come Hani.
Le sue vesti da novizio erano infondibili.
La ragazza scattò fuori dal nascondiglio e intraprese la corsa verso nord.

Elena trasalì.
Una presa ferrea l’afferrò per il braccio e la tirò alla sua sinistra.
Elena tentò di divincolarsi, ma quando si accorse di chi aveva davanti, gemette e rilassò i muscoli.
Altair strinse la presa sul suo polso, e alla ragazza scappò un mugolio.
-Che cosa hai fatto?- le domandò su tutte le furie.
-Ho fatto quello che mi avete chiesto!- sbottò lei.
Altair avvicinò il volto al suo. –Ah davvero, e dimmi… come mai mezza città sa di te ora?! Ti avevo avvertito di essere prudente! Anonima!- le gridò.
Elena ingoiò il suo sguardo furioso, assecondando il fatto che Altair aveva pienamente ragione. In quel vicolo aveva alzato troppo la voce, permettendo al suo informatore di fare altrettanto. Era stata stupida, e in futuro non le sarebbe stato permesso se non pagando con la vita stessa.
Altair le lasciò il braccio con uno strattone. –Torna alla Dimora, mi dirai tutto più tardi. Non ho idea di come ringrazierai Hani per questo!- il suo maestro si allontanò saltando sul tetto di una casa, ed Elena l’osservò sparire dopo poco in un vicolo.

-Stai bene?- le chiese il Rafik, che fino a quel momento non aveva proferito parola.
Elena, con i gomiti sul bancone e seduta su uno sgabello, si teneva il viso tra le mani. Tormentata dal senso di colpa per le sue azioni, giurò che se fosse successo qualcosa a qualcuno dei due assassini si sarebbe tagliata le vene. Stupida, stupida, stupida…
-Sono stata una stupida. Avevo paura, quel tizio sapeva… sapeva come difendersi, ne ero certa…- mormorò più che afflitta, rassegnata.
Il vecchio chiuse il libro delle Cronache e poggiò la penna sul tavolo. Le cinse una spalla amichevolmente, ed Elena poggiò la sua sulla mano del capo sede.
-Ti sbagli, come tuo primo interrogatorio è già molto che torni illesa. Guadarti, ho visto assassini che saprebbero essere più gioiosi intricati in situazioni peggiori. Sorridi, bellissima, non hai nulla da temere-.
-Altair, lui…-.
Il Rafik scosse la testa. –Altair ha i suoi problemi, e al minimo segno di pericolo teme più per la tua vita che per la sua, e tutto ciò è strano, credimi. Torneranno, Elena, saranno qui a breve tutti e due. Corrado non li vuole morti abbastanza-.
-Veramente- balbettò la ragazza.
Il Rafik schiuse gli occhi, attento.
Elena si alzò. –Nulla…- e andò nella stanza accanto, sedendosi tra i cuscini. Appoggiò la guancia contro il muro e fece un gran sospiro. Chiuse gli occhi e cercò di pensare ad altro.

Nel silenzio della notte, qualcuno vociò: -Stupido!-.
La ragazza scattò in piedi quando il corpo di Hani volò nella stanza, atterrando ai suoi piedi.
-Incompetente, bastardo, per non dire altro!- gridò Altair comparendo anche lui nella camera.
Hani si tirò su a fatica, issandosi sulle braccia. –Non è stata mia intenzione…- proferì in un sussurro. Dalla sua bocca colava un fiotto di sangue, e subito accorse il Rafik.
Elena fece un balzo indietro, e davanti a lei si piantò la figura imponente e brutalmente ricoperta di sangue di Altair. Il suo maestro teneva una mano a premere su un grosso squarto aperto all’altezza del petto, nella parte sinistra. L’altra stringeva ancora la spada corta, e l’Angelo si fece avanti andando verso Hani, che ricevette un calcio al costato dall’assassino.
Il novizio si piegò sul colpo voltandosi dalla parte opposta.
-Spiegami come ti è saltato in mente!- continuò Altair col suo tono collerico.
Elena ebbe paura, e il suono del suo cuore terrorizzato riempì la Dimora.
-Fermo!- Il vecchio Rafik si parò tra il corpo di Hani e l’Angelo esperto. –Fermo!- disse di nuovo.
Altair si lasciò scappare una sottospecie di ruggito, scagliò la spada contro la parete.
La lama andò a conficcarsi in un arazzo, e l’assassino si dileguò nella stanza accanto.
-Resta qui- sussurrò il Rafik ad Hani.
-Va… bene…- mormorò il ragazzo senza fiato.
-Elena, occupati di lui- le disse il vecchio capo sede che raggiunse Altair nell’altra camera.
La ragazza si chinò al suo fianco. –Che è successo? Perché ha tutto quel sangue addosso? Perché è così arrabbiato?- domandò terrorizzata.
Sul volto di Hani, privo di cappuccio, comparve un sorriso beffardo. –Ho fatto un bel casino- rise, ma Elena non ci trovava nulla di divertente.
-Sei… sei ferito?- domandò l’assassino, e Hani annuì.
-Dove?- balbettò lei aiutandolo ad alzarsi.
Hani si appoggiò con la schiena alla parete. –Si nota così poco?- proferì quasi seccato, e sul pavimento sputò altro sangue.
Hani aveva solo un lungo taglio che correva dalla spalla lungo tutto il braccio sinistro, e la spada aveva lasciato anche una bella ammaccatura sul guanto con la lama nascosta.
Il sangue fresco diffuse il suo puzzo nel locale, tappandole le narici ed Elena cercò di immaginare che fosse solo vernice.
Ma non era vernice quella che aveva visto colare sulla veste bianca del suo maestro. No. Il sangue l’aveva praticamente tinta, colando a fiumi dalle spalle, dalla testa e non riuscì neppure ad immaginare come Altair potesse essere ancora vivo. Si disse che quella visione l’avrebbe tormentata per il resto dei suoi giorni.
Il Rafik le portò di corsa delle bende e un liquido disinfettante in una boccetta, ma il vecchio capo sede doveva occuparsi dell’assassino peggio ferito e così non prestò molte attenzioni alle medicazioni azzardate di Elena.
Hani si privò di quello che restava dei suoi pugnali da lancio, facendo scivolare a terra le cinghie rovinate e il fodero vuoto della spada. Poi si tolse la cintura di cuoio e scagliò la casacca insanguinata il più lontano possibile da tappeti o cuscini.
Elena lanciò appena un’occhiata alla muscolatura giovane e ben formata, poiché sul braccio sinistro del novizio andava colare un fiotto molto spesso di sangue.
-Starai fermo per un po’…- commentò passando una pezza bagnata col disinfettante su tutta la ferita. Lo straccio divenne ben presto purpureo.
Hani non trattenne la risata, il suo atteggiamento era trasandato in quel momento più che mai. –Buona questa, ma credo che tu abbia perfettamente ragione…-.
Elena pulì sufficientemente la ferita, poi cominciò ad applicare il bendaggio nel migliore dei modi che le era possibile.
Hani le diede una mano con l’arto sano e in poco tempo Elena poté ammirare la sua prima opera d’infermiera della confraternita.
-Grazie- digrignò Hani quando Elena fece un nodo piuttosto stretto alla fine della garza.
-Scusa- mormorò lei, e di seguito si alzò.
Elena lo guardò dall’alto qualche istante, ma Hani cadde in sonno.
La ragazza afferrò lo straccio zuppo di sangue e la boccetta dirigendosi nella stanza accanto.
Le sue spalle si curvarono, le sue gambe la ressero a mala pena.
Altair era seduto dove un tempo sorgeva la scacchiera, e il Rafik stava terminando di fasciargli l’intero addome dal fianco sinistro alla spalla destra. Un bendaggio spesso che andava macchiarsi di rosso in alcuni punti, segno delle innumerevoli ferite profonde che avrebbero impiegato parecchio tempo a rimarginarsi.
Non solo: sulle braccia e anche sulle gambe, segni rossi e profondi di frecce schivate si mera fortuna. Affondi di spade e lividi.
-Elena, passami quello, già che ci sei…- le disse il Rafik ad un tratto, ed Elena si riscosse.
La ragazza poggiò la roba sul bancone e seguì l’indice del capo sede che puntava dritto ad un comodino, sul quale era poggiato un ago e una sottile filatura nera.
Oh… no. Pensò girandosi l’ago tra le dita.
-Avanti, Elena!- sbottò il Rafik collerico.
La ragazza gli porse ago e filo e si fece da parte.
Non c’era modo di arrestare l’emorragia dei tagli sulle spalle, così il vecchio Rafik dovette bucare il suo maestro.
Elena si strinse nelle spalle, ma fu una grande sorpresa quello che vide.
Altair non disse una parola mentre l’ago gli passava la pelle. I suoi occhi scuri, il suo viso perfetto la guardavano, ed Elena non riusciva a credere che fosse oggetto di distrazione da quel dolore immenso che il suo maestro si stava tenendo dentro.
Il suo mentore aveva un fisico scolpito e, nonostante le occhiate furtive di Elena ogni tanto, la ragazza ne colse ogni particolare.
Certo, le ammaccature dell’ultima missione si notavano eccome, ma… sangue compreso, Altair restava sempre un gran…
-Elena!- si sentì chiamare.
Lei corse nella stanza accanto come se non stesse aspettando altro.
-Hani, che succede?- tornò al suo fianco.
Il ragazzo si tastava preoccupato la fasciatura sul braccio, che improvvisamente, stava diventando un bagno di sangue.
L’assassino le afferrò la mano. –Io odio l’ago!- le confessò quasi in lacrime.
Non c’era altro modo… l’emorragia avanzava, il sangue colava sul pavimento. Ma che diamine!
La ragazza volò di nuovo al bancone della Dimora. –Hani perde sangue, devo cu… cucirlo?- balbettò.
Il Rafik, senza voltarsi disse: -Sì, se ne sei in grado…- era assorto nel suo mestiere, e rispondeva sicuramente senza un minimo di logica che li passasse per la mente.
Altair le indicò con lo sguardo un armadietto sulla libreria dietro al banco, ed Elena s’incantò di nuovo.
-Elena!- gridò di nuovo Hani, sempre più spaventato.
La ragazza tornò in sé e si precipitò a cercare nei cassetti l’ago e il filo necessario. Ne trovò a centinaia di diverse misure e prese quello che più le sembrava simile a quello usato dal Rafik.
Tornò dal ragazzo e Hani  prese a stringerle i bordi della veste. –No- pianse.
-Mi dispiace- poggiò tutto a terra e cercò delle forbici. Trovate le forbici tagliò le bende, e il sangue caldo prese a colare come un fiume in piena sul braccio del giovane assassino.
-Non farlo!- Hani strinse i denti.
-Mi dispiace!- gridò Elena, ma in quei pochi istanti, se non avesse agito alla svelta e con competenza, l’assassino che aveva di fronte sarebbe morto dissanguato; e il Rafik non poteva certo sdoppiarsi.
Elena passò il filo nell’esile foro dell’ago, avvicinò la punta alle pelle dell’assassino e, passando uno straccio sulla ferita per scostare il sangue, penetrò nella carne.
Ecco un’altra fondamentale caratteristica di contrasto tra assassino esperto e novizio: la sopportazione del dolore.
Hani sbraitò come un forsennato, ma combattendo la sua battaglia per dimenarsi il meno possibile e permettere ad Elena di fare un lavoro accettabile.
-Una bambola di pezza… una parola di pezza… una bambola di pezza…- si ripeté lei all’infinito.
La mano le tremava, e i suoi occhi si chiudevano bagnati dalle lacrime. Mai in tutta la sua vita aveva pensato che un giorno avrebbe causato tanto dolore ad un uomo, neppure tradendolo.
Si sentì spietata, non più un’assassina della confraternita, ma una torturatrice. Chissà quanti altri modi c’erano di guarire quelle ferite, e sicuramente Elena aveva pescato il più svelto e più doloroso, come al solito.
Buchi precisi e regolari al primo colpo, e meno male! Elena richiuse la ferita in una ventina di minuti, tempo durante il quale Hani ebbe modo di privarsi quasi del tutto delle corde vocali. I suoi lamenti arrivavano certamente fuori dalla Dimora, e sarebbe stata una fortuna che nessun cavaliere teutonico o della casata di Corrado si accorgesse delle loro attività.
Elena era praticamente seduta su di lui, attenta a non pesargli sul bacino e, mentre Hani la stringeva per i gomiti, la ragazza restava vigile sul suo operato.
Più volte l’assassino sbatté la testa contro il muro, e a quel punto Elena credeva che avesse raggiunto l’apice del dolore, la soglia più alta.
Nella stanza accanto, invece, c’era il silenzio nero e quieto che non riusciva però a contrastare quelle urla disumane.
La ragazza strappò il filo coi denti e, dalla stanchezza, crollò su di lui.
Il petto di Hani si abbassava e si alzava di tre quattro centimetri ad ogni respiro, Elena colse per di più il battito impazzito sia del suo che del cuore del ragazzo.
-Ho finito…- mormorò esausta.
Hani alzò il braccio ferito che era mosso da un tremore assurdo. La cucitura rettilinea e impeccabile, il sangue andava ad essiccarsi. –Gra… grazie!- sussurrò col fiato corto.
Elena si riappropriò delle sue energie stando forse un’ora o due sdraiata su di lui, ma Hani parve fare altrettanto.
Che bello… questo silenzio… pensò la ragazza addormentandosi, e l’ago insanguinato le cadde di mano.

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Capitolo 28
*** Il potere incontrollabile ***


Il Potere incontrollabile








Elena sospirò e aprì gli occhi.
Il buio della notte avvolgeva come solito ogni cosa, angolo della stanza impedendole la vista già di per sé poco attenta.
La ragazza era appoggiata alla spalla di Hani, che era con la schiena alla parete e si guardava spaurito il bendaggio sul braccio.
Qualcuno doveva averlo fasciato dopo che lei aveva ricucito la ferita, e le bende candide sembravano reggere a pieno il loro compito.
Elena si sollevò, scansandosi dall’assassino e stiracchiando le gambe.
Hani le volse solo un’occhiata prima di tornare a tastarsi l’arto ferito con due dita, come tentando di percepirne il calore assente.
Aveva perso molto sangue, gran parte del quale si era rovesciato a terra risparmiando, fortunatamente, i cuscini e i tappeti.
L’assassino le lanciò un sorriso. –Ti dev’essere costata cara- le disse.
Elena annuì alzandosi. –Più di quanto immagini- si chinò e raccolse l’ago insanguinato finito nell’incavo tra due mattonelle. La ragazza si voltò e raggiunse l’altra camera.
Silenzio e buio, il vuoto animava quelle pareti.
Elena si appoggiò al bancone, spaesata. Dov’erano finiti Altair e il Rafik? Si chiese.
Si guardò attorno, ma andò a cercare sotto al banco qualcosa con cui pulire il caos che aveva fatto ricucendo il suo amico.
Trovò la stessa pezza che aveva usato ore prima per togliere il sangue dalla ferita di Hani; una brocca con dell’acqua e portò tutto quanto nell’altra stanza.
Hani la osservò in silenzio mentre si chinava a passare lo straccio su una mattonella alla volta, assicurandosi di non lasciare alcuna traccia di sangue e di quella brutta, orribile giornata.
-È stata tutta colpa mia…- proferì il giovane d’un tratto.
Lei alzò gli occhi, quasi scocciata. –Non si era capito- borbottò mettendo più olio di gomito e meno acqua, che andava a mancare nella brocca.
Hani si girò di profilo, guardando un punto indistinto nel buio. Il braccio malato poggiato in grembo, quello sano alzato e la mano dietro la testa. L’assassino rise. –Già… ma non mi sorprende che Altair l’abbia presa così. Gli ho mandato in fumo la vendetta- aggiunse.
Elena si fermò, rimboccandosi meglio le maniche. –A davvero?- sbuffò. –Si può sapere cosa ha fatto precipitare le cose in questo modo?- domandò in un sussurro.
Il ragazzo tenne quel suo atteggiamento beffardo. –Per colpa mia la vostra copertura è saltata. Ho tentato di distrarre le guardie che ti stavano dietro quando, senza accorgermene, sono arrivato di corsa nel distretto ricco. Dio, Elena, mi erano addosso! Mi hanno scambiato per te e m’inseguivano come dei forsennati… il succo è che corri e fuggi ho fatto capolino nel forte di Corrado. Per buona sorte Altair indagava da quelle parti, o io non sarei qui… ora- mormorò abbattuto.
Elena non poté negare, sotto ogni aspetto, che Hani aveva agito nel peggiore dei modi. Non avrebbe dovuto e, se si fosse fatto da parte impicciandosi degli affari suoi, nulla di quello sarebbe successo. I tagli e i lividi che aveva visto sul petto e sulle braccia del suo maestro l’avevano terrorizzata, lasciandola preda degli istinti più temuti quale l’euforia e il pianto facile. Si sentiva ancora gli occhi umidi. Era stato terribile… da non ripetersi, ovviamente.
-Lui… sì, fai bene a chiamarla fortuna!- balbettò Elena socchiudendo gli occhi. –Sei stato uno stupido!- ruggì.
Hani incassò il rimprovero. –Sì, hai ragione, ma non sapevo che altro fare. Eccomi destinato al grado di novizio per l’eternità… sentirai molto parlare di me, per questo- brontolò scontroso.
Elena riprese a pulire terra con più violenza, penetrando con le unghie nella pezza fradicia di sangue e acqua, accompagnando i movimenti con gemiti sempre più frequenti.
-Piantala di essere arrabbiata con gli altri!- le gridò contro Hani all’improvviso, e la ragazza si bloccò all’istante.
-Come?!- strinse i denti voltandosi verso di lui.
-Hai sentito bene- insistette l’assassino fissandola allo stesso modo di come lei lo guardava. –Non puoi negare che tutto è partito da te! Insomma, mi trovavo semplicemente di passaggio quando gli uomini di Corrado si sono accorti di me! Quindi piantala di accusare me e la mia incompetenza, credi che non me lo senta ripetere abbastanza da altri più grossi e dal tuo stesso maestro? Le ho prese di santa ragione durante tutto il tragitto di ritorno! Ah! Che divertente farsi prendere a calci da Altair, dovresti provare a svelargli che sei stata tu l’incompetente che nelle ultime indagini non ha fatto altro che attirare maggiormente l’attenzione dei Templari!- strillò.
Elena strinse lo straccio. –Non è vero. Ho eseguito i miei incarichi al meglio tutte le volte! Tu non sai nulla- tratteneva la collera.
-Mi fai così poco intelligente?- rise l’assassino. –Ci manca poco e Corrado farà appendere manifesti per tutta Acri! Non negare l’evidenza, è stata TUTTA colpa tua! Hai allertato tu le guardie! In tutto questo arco di tempo non hai fatto altro che condurre i soldati di Acri sempre più vicini a noi! Sono diventati a tal punto preparati a contrastarci, che persino Altair non è uscito illeso all’ultimo scontro!-.
Elena gli scagliò contro il panno bagnato, che colpì Hani in pieno volto.
Il ragazzo sbatté la pezza a terra. –Ma che razza di…- digrignò.
Elena prese fiato e lo fulminò con lo sguardo severo. -Corrado ha solo una gran paura. Ci teme abbastanza da moltiplicare le guardie di ronda e istruire sempre più arcieri alle mura del suo forte; ebbene, sono soddisfatta di questo. Mettere alla prova le mie capacità ora che il gioco si fa complicato è quello che ho sempre desiderato. Quel bastardo ha fatto ammazzare mio padre e rubato il Frutto dell’Eden, non hai idea di quanto il mio stomaco tremi all’idea di trafiggerlo. Fidati, ho avuto modo di apprendere nelle mie indagini che egli è in pensiero alla nostra venuta da prima che io causassi certi “danni”, come chiami tu le mie azioni sfrontate. Sento la puzza della sua paura quando mi aggiro per le città, e non sai quanto ci godo…- sorrise maliziosa.
Hani alzò un sopracciglio. –Ti sei calata troppo nella parte, a parere mio- borbottò alzando le spalle.
Elena afferrò lo straccio e lo riportò nella stanza accanto. Tornando a sedersi accanto al ragazzo, parve rasserenarsi, riacquistando il volto da bambina innocente, scordando le parole di pochi attimi prima.
-Come va?- domandò lei.
Hani mosse il braccio malato in rapidi movimenti della spalla, e dalla sua schiena si levò un rumoroso scricchiolio. –Benone, davvero!- si lamentò.
Elena rise portandosi una mano alla bocca. –Era la prima volta che venivi… bucato?- chiese.
Lui annuì. –E pregherò perché sia anche ultima-.
Elena soffocò una nuova risata, voltandosi.
Tacquero, entrambi per parecchi minuti.
Poi, ad un tratto, Hani provò ad alzarsi. –Ti andrebbe una partita?- indicò gli scacchi.
Elena accettò la sfida e andarono a sedersi.
-Stavo pensando- disse lei mentre giocavano.
Hani mosse il cavallo oltre la fila di pedoni. –Hm?-.
Elena si passò una mano trai i capelli, sistemandoli al meglio nel cappuccio a coprirle il volto. –Dove sono Altair e il vecchio?- formulò.
C’era una lanterna poggiata sul tavolo lì vicino che faceva luce sufficiente per spostare le pedine.
Hani tirò su col naso. –Altair è uscito poco fa, credo. Il vecchio sta dormendo lì- il ragazzo indicò lo stanzino alle spalle del bancone.
-Ah, e dove…- cominciò lei muovendo l’alfiere in diagonale di qualche casella.
- Ecco! Che scemo…- Hani si batté una pacca in fronte.
-Che c’è?- fece lei confusa.
-Il tuo maestro mi aveva chiesto di mandarti a raggiungerlo nel distretto povero non appena ti fossi svegliata. Scusa, perdonami, me ne sono completamente dimenticato…- fece a bassa voce.
-Non è vero!- si udì il vecchio Rafik che comparve dietro al bancone dallo stanzino. –Elena, Altair ti attende nel vecchio suk della città a nord-ovest, ma per quanto ti riguarda, Hani non se n’era affatto scordato- il capo sede lanciò un’occhiataccia al ragazzo, che si nascose al meglio sotto il cappuccio.
Elena prese a sorridere. Ecco qualcun altro che gradiva la sua compagnia.
-Ti conviene sbrigarti- le disse il Rafik.
Elena annuì e si vestì del suo equipaggiamento. Lasciò la Dimora e si diresse verso il distretto povero.
Il cielo nero compariva a chiazze tra le nuvole grigie e bluastre che coprivano Acri e le sue guglie. Tra tutte spiccava quella della Grande Cattedrale. Le strade tranquille e i passi dei soldati che riecheggiavano nel silenzio della sera.
Rashy fendeva l’aria fredda con le sue ali piumate sopra la sua testa, come vegliando su di lei. La falchetta la controllò dall’altro per tutto il tragitto e le indicò la strada più breve per il luogo d’incontro col suo maestro.
Saltò e si aggrappò alla parete cominciando a scalarla con agilità. Sorrise.

-Perché ci hai messo tanto?- sbottò il suo maestro trattenendo la collera.
-Mi sono trattenuta nella Dimora oltre il dovuto, vi chiedo perdono- abbassò lo sguardo.
Altair le si avvicinò con le mani giunte dietro la schiena. –Eri stata avvertita della mia attesa, giusto?- chiese.
Lei annuì, alzando gli occhi al cielo nuvoloso della notte e contando le fiaccole dei soldati di ronda che si muovevano tra le ombre. Non le piaceva operare di notte, ma se Altair l’aveva convocata lì di tanta urgenza, doveva esserci un motivo.
L’assassino mostrò il contenuto delle sue mani.
Elena afferrò il diario di Chiesa che aveva borseggiato qualche giorno prima.
-L’uomo a cui l’hai rubato verrà fatto giustiziare se non riconsegniamo questo scritto- disse gravoso, il volto celato dal cappuccio e il portamento fiero di sempre.
La ragazza annuì. –Volete che me ne occupi ora?- domandò.
L’assassino rispose sussurrando un celere sì, poi, prima di avviarsi e scomparire per la strada, si voltò. –Non cacciarti nei guai- l’ammonì.
Elena fece un passo indietro, scomparendo nel buio di un vicolo. –Non mi è mai successo- mormorò scherzosa, ma quell’atteggiamento di ilarità durò ben poco.
-Eccoli!- gridò qualcuno.
Elena vide il suo maestro voltarsi e scagliare un pugnale da lancio verso l’alto. La piccola lama colpì al petto l’arciere che silenziosamente si era appostato sul tetto della casupola vicino.
-Scappa!- le gridò l’assassino, ma Elena non fece in tempo a girare i tacchi che si sentì stringere per la gola.
Il testo le cadde di mano, finendo a cadere in una pozzanghera formatosi sul ciglio della strada. Un acre ed umido odore, assieme ad un sapore amaro in bocca. Braccia possenti le cinsero i fianchi, anche più di un paio e gli uomini di Corrado la trascinarono nell’ombra del vicolo.
 La ragazza perse i sensi.

Altair estrasse la lama corta e schivò l’attacco del cavaliere teutonico con estrema facilità, colpendo poi il suo avversario alla gamba. Dopo averlo sbattuto a terra, Altair calò la spada corta sul suo petto e tanti saluti alla luce dei suoi occhi di reietto germanico.
Schivò una freccia, ma l’arciere che l’aveva incoccata si rovesciò sulla strada quando l’assassino lo trafisse alla fronte con un pugnale da lancio.
Il numero di crociati cresceva a dismisura mentre il suono delle campane riempiva l’aria gelida della notte.
Altair, tenendo la guardia alta con la lama corta, indietreggiò, ma il suo piede urtò qualcosa che annaspò in una pozza d’acqua. Appena un’occhiata e il giovane assassino riconobbe la copertina di pelle del testo che aveva affidato ad Elena.
-No…- mormorò a denti stretti, e un soldato ospitaliere approfittò della sua distrazione.
Nello schivare quel fendente, Altair avvertì quelle fitte dolorose ai muscoli del petto che l’avevano accompagnato durante le ultime ore. Afferrò il libro da terra e si voltò, cominciando a correre.
Si dileguò dall’orda di uomini che lo inseguivano svoltando rapidamente di vicolo in vicolo, confondendo i suoi avversari ogni qual volta si andava a tuffare in un cesto di paglia.
Non osò immaginare cosa le sarebbe capitato, ma Elena non avrebbe passato certo i suoi giorni migliori. Se Corrado aveva incaricato le sue spie di dare la caccia a lui e alla sua novizia, erano guai. Uno dei suoi cavalieri aveva messo fuori combattimento Asaf, il migliore in classifica tra Fredrik e Adel. La situazione stava degradando, finendo troppo a favore di quel bastardo che era Corrado, si disse.
Raggiunse i tetti della Dimora e atterrò silenzioso nella stanza. –Rafik- chiamò.
-State bene?- domandò il vecchio quando Altair entrò nella stanza.
Hani scattò in piedi scendendo dal bancone e fece un piccolo inchino.
-No- disse Altair gettando sul tavolo il testo di chiesa e tirando a sé una delle mappe della città.
-Cose è successo?- chiese invece l’assassino più giovane.
Altair non li degnò entrambi di uno sguardo, continuando a fissare attento i particolari della mappa.
-L’hanno rapita- disse d’un fiato, senza aspettarsi chissà quale reazione da parte dei due accanto a lui.
Il Rafik si portò una mano al viso. –Devo mandare una colomba a Masyaf e avvertire il Maestro; quando avremo il suo assenso, potremo intervenire. Tutto ciò non prima di… Accidenti, Altair!- ruggì. –Avresti potuto fare più attenzione!-.
L’assassino esperto tracciò con un dito sulla cartina il percorso dalla Dimora al centro della rocca di Corrado, ma non rispose.
-Diamine!- proseguì il Rafik nervoso, prendendo carta e penna e cominciando a scrivere.
-Veramente- s’intromise Hani che mosse un passo verso il maestro di Elena.
Altair sibilò alcune parole. –Spera per te che tu non ne sia coinvolto!- digrignò.
-No, signore, io non centro nulla. È stata Elena stessa a cacciarsi in questo caos-.
Sia il Rafik che Altair lo fissarono stupefatti, arrestando le loro diversificate attività.
-Che cosa intendi?- domandò ad un tratto il capo sede, poggiando la penna e sedendosi più comodo allo sgabello dietro il bancone.
Hani indugiò sul volto rabbioso, ma ben nascosto, del maestro della sua amica, e trovò il coraggio di continuare: -Lei non ha voluto dirvelo, Mastro Altair, per timore che l’avreste rimproverata, ma durante molte delle sue indagini Elena ha allertato diverse volte le guardie, che in più momenti hanno avuto modo di riconoscerla. Mi aspettavo che sarebbe successo; tutta la città sa di voi già da prima che iniziaste la ricerca di informazioni- borbottò in fine.
-E tu?- fece Altair, e Hani si rizzò sul posto. –Tu perché non me l’hai detto?-.
Hani tacque.
-Stolta!- il Rafik sbatté un pugno sul tavolo. –Quella ragazzina le risentirà anche da me!-
-Calma, fratello- proferì Altair con voce soave. –Posso occuparmi della faccenda questa sera stessa, non è un problema- i suoi occhi tornarono alla mappa che studiava con attenzione, sulla quale cercava il tragitto più breve per l’eventuale fuga.
-Non siamo neppure certi che Corrado non ordini di ucciderla! Così, Altair, vi consegnereste nelle sue mani e Corrado avrebbe in pugno solo la vittoria! Non sostate al suo gioco!- disse il vecchio in pena.
-Vedete altra soluzione?!- l’Angelo strinse i denti alzandosi, e quelle parole chiamarono il silenzio nella stanza.
-Permettete che venga con voi, allora- fece Hani fiero, ma Altair scosse la testa.
-Non ne sei in grado, ragazzo…- l’assassino si voltò, puntando gli occhi in quelli del Rafik.
-Non ti è chiaro, ragazzo: Altair, non puoi imporre al tuo corpo di portare in salvo Elena prima che esso si sia totalmente ripreso. Sotto quelle vesti porto ancora i segni del suo ultimo esercizio, metti a repentaglio la tua vita estorcendoti le tue ultime forze in questo modo- il vecchio prese a camminare avanti e indietro. –Potremmo approfittare di questa situazione per agire definitivamente, ma…-.
–Dammela- sbottò truce l’assassino.
-No. Non hai informazioni necessarie su quanti soldati accerchiano le sue stanze e quanti veglieranno su di Elena se Corrado avrà intenzione di tenerla viva, sempre e solo “se”. Non posso darti questa piuma Altair, ora come ora è meglio consultare il Maestro prima di agire-.
Altair non aggiunse nulla per diversi istanti, mentre nella stanza riecheggiava solo il suono della penna d’oca che grattava sul foglio di carta color ocra.
Il Rafik scriveva con disordine e rapidità, abbozzando la situazione in poche righe sostanziali. Arrotolò il biglietto e lo legò alla zampetta rosea di un colombo, il quale, quando il vecchio lasciò che spiccasse il volo nella stanza, passò per l’ingresso sul tetto e si librò nel cielo notturno di Acri.
-E ora?- domandò con arroganza Altair, come accusando il vecchio capo sede che la sua era stata la decisione meno retta.
-Ora aspettiamo, pazientiamo con la stessa neutralità di quando capitò altre volte. Restare così tesi non ci servirà a nulla, piuttosto, se vuoi metterti all’opera per prepararti ad agire di già, non sarò certo io a negarti quella soglia, ma niente piuma- fece il Rafik guardando l’ingresso della Dimora.
Altair, ancora una volta, non rispose. Andò a sedersi sui cuscini nella stanza accanto, sospirò, si girò il suo pugnale preferito tra le mani, ma non riuscì a scacciare il pensiero di come fosse potuto accedere tutto quello sotto il suo naso.

Con uno spintone, il soldato la fece inginocchiare sulla terra di pietra liscia e fredda; il pavimento di una stanza alquanto ampia perché c’erano delle voci che trasmettevano il loro eco da piuttosto lontano.
Elena era bendata, sul suo corpo avvertiva i morsi di brutali colpi infieritole chissà quanto tempo prima durante la sua convalescenza, ma all’interno di esso la paura esortava all’azione: provò a divincolarsi, ad alzarsi, ma ricevette in sostanza solo altre botte.
Due uomini ridevano alle sue spalle, la ragazza coglieva il loro divertimento nel cogliere alcuni particolari di lei.
-È una donna!- rideva uno.
-Che novità, non sapevo che Tharidl fosse caduto tanto in basso!- sbottò un altro.
Elena tentò di nuovo la fuga, ma uno dei due le spinse la testa in avanti, facendole perdere l’equilibrio. Così la ragazza si rovesciò al suolo nel clangore delle poche cinghie che le erano rimaste addosso. L’avevano disarmata, perché sulle sue spalle gravava solo il peso dei lacci di cuoio privi del fodero sia della spada corta che dei pugnali. Assieme alla lama alla sua sinistra, se n’erano andati anche i pugnali negli stivali e quelli nella cintura.
Quei suoni, quelle risate da parte dei soldati avevano attirato il silenzio improvviso.
Qualcuno scansò d’un tratto una sedia rumorosamente, e si mossero alcuni passi verso di lei, accompagnati da una seconda presenza più tenue.
-Mio Signore…- s’inchinò una guardia, a seguire anche l’altra fece altrettanto.
Elena si sollevò a fatica, cercando di acquisire una posa presentabile se colui che aveva davanti fosse Corrado.
Il reggente di Acri alzò un sopracciglio. –Posso credere a quello che vedo?- domandò sorpreso.
Uno dei due cavalieri annuì, mentre l’altro la tirava in piedi per un braccio.
-E guardate qua, mio Signore!- sbottò il crociato che teneva la sua mano attorno al fianco della ragazza, e lo stesso le levò il cappuccio dal volto. –è una donna!-.
Si udì un sussurro che chiamava il suo nome, ed Elena colse appena quella voce di donna che le parve familiare: -Elena- fece la ragazza al fianco del sovrano.
Elena sobbalzò tra le braccia del cavaliere, il quale la rigettò a terra priva di cappuccio.
-Voi!- digrignò Corrado riconoscendola e chinandosi su di lei.
Elena avvertì la sua ombra allungarsi su di lei, il corpo di Corrado farsi più vicino al suo, ma non mosse un muscolo proferendo solo un lamento.
-Andate!- disse in fine Corrado, e i due cavalieri lasciarono la sala chiudendo le porte.
Elena si raddrizzò piegata sulle sue ginocchia, i pugni stretti dietro la schiena. Non poteva vederlo in volto, e questo la turbò, rendendola vittima del terrore di quello che le stava succedendo.
D’un tratto, qualcuno le strappò dal volto le bende, e la vista riaffiorò all’improvviso.
La luce accecante si fece largo nelle pupille rilucendo azzurra, perché su Acri era sorto il sole celato dalle nuvole grigie e solite della città. Fuori dalle vetrate di quell’immenso salone, Corrado aveva una vista che dava su tutto il suo dominio. Dalla Grande Cattedrale fino al molo.
Elena lanciò uno sguardo spaurito alle spalle dell’uomo che predominava nel suo campo visivo, notando con rancore chi si celava sotto il nome di spia all’interno della confraternita.
Era Minha.
La ragazza sorrideva sbigottita, guardandola senza battere ciglio ed Elena si comportava più o meno allo stesso modo.
Corrado fece un passo indietro, affiancandosi a Minha rimasta in disparte. –Bene…- sorrise malizioso l’uomo. –Sono lieto di notare che vi conoscete- incrociò le braccia al petto appoggiandosi allo scrittoio alle sue spalle.
Minha indietreggiò. –Veramente… io non avevo idea che si trattasse di costei!- indicò la ragazza a terra rivolgendosi a Corrado. –Non pensavo che le avrebbero assegnato questo compito!- aggiunse irritata.
Elena non capiva.
Perché? Perché lei? L’uomo che aveva ucciso il fidanzato di Minha non era un uomo di Corrado? Perché Minha aveva stretto alleanza con l’essere che più tra tutti avrebbe dovuto odiare almeno quanto di lei?! Doveva esserci una ragione più oscura, anche se Minha le era sempre parsa così… riluttante nei confronti della setta, pensò.
Era sconvolta, non poté crederci…
Corrado sogghignò. –Di quale compito parli? Ammazzarmi? Non m’importa di chi o cosa quei bastardi mi abbiano messo alle calcagna, quello che conta è che uno è fuori gioco- proferì serio.
Elena piantò le sue iridi azzurre su Minha, nel tentativo di mostrarle quanto ora si disprezzavano a vicenda.
-Uccidetela, allora- mormorò Minha avvicinandosi al sovrano.
Corrado la guardò allungo, ed Elena rimase immobile com’era: con le ginocchia a terra.
Tenne il suo sguardo, raddrizzò la schiena, ed Elena colse l’atteggiamento di Corrado come una sfida, una prova che doveva superare per rimanere in vita.
Il reggente di Acri sprofondò il mento nel petto e sul suo volto si distinse un’espressione assorta in chissà quali pensieri, riflessioni.
Dopo un infinito silenzio, le sue parole riecheggiarono melodiose di un tono tranquillo: -No, non la ucciderò- disse.
Minha sobbalzò, voltandosi verso di lui. –Siete impazzito?!-.
Elena ebbe un tuffo nel cuore e una morsa di commozione l’avvolse allo stomaco piegandola dalla gioia. Dio esisteva, e aveva detto a Corrado di risparmiarla!
Fece per alzarsi, quando Minha le venne al fianco e la prese per i capelli.
Elena avvertì dolore, ma trattenne l’urletto da femminuccia che stava per venirle fuori.
-Guardatela! Se non la uccidete ora, mio Signore, questa ragazza sarà capace di ammazzarvi a sangue freddo nel giro di qualche settimana!- gridò la donna.
Corrado, di tutta risposta, fece un gesto di stizza. –Come vi ho detto, e sarò lieto di ripetere in presenza della nostra ospite, non temo nessuno di loro. Che vengano, che sfidino i miei uomini e si cerchino la morte in città. Non macchierò certo questa sala del sangue di quella ragazzina…-.
Minha lasciò i capelli di Elena e si posizionò di fronte all’uomo. –Spero che tu stia scherzando…- borbottò, ma si allontanò in fretta verso l’ingresso della sala. –Fa’ un po’ come vuoi! Peggio per te, stupido-.
Non solo quella donna si era permessa di voltargli le spalle, ma anche di dargli del “tu” e insultarlo. Corrado sospirò quando i battenti della camera si chiusero e i passi nevrotici di Minha scomparvero nei corridoi del forte.
-Alzati- le disse, ed Elena si riscosse guardandolo.
-Come?- chiese, sperduta.
-Ho detto alzati- ripeté l’uomo voltandosi alla sua scrivania e lanciando un’occhiata ai fogli poggiatovi sopra.
-No, non quello…- Elena si alzò, ma le catene le stringevano ancora i polsi. –Perché non avete… intenzione di uccidermi?- domandò flebile, allibita.
Corrado le si avvicinò.
Portava la sua lunga spada al fianco ed era vestito come se dovesse andare in guerra: il simbolo della casata del Monferrato sfavillava sulla sua veste bianca con ricami dorati. –Mi pareva di essere stato abbastanza chiaro- ribadì.
Al giovane sovrano scappò un sorriso.
-E… e se io tentassi di uccidervi ora?- domandò lei, ma si rimangiò tutto non appena il viso di Corrado fu attraversato da tutt’altro che gioia.
Ecco che il suo sogno di vita andava in fumo. Erano bastate poche parole, era una stupida! Corrado avrebbe sfoderato la lama da un momento all’altra, e se ne sarebbe fregato del pavimento lindo e pulito della sala.
-Stai cercando di farmi arrabbiare o sbaglio?- fece lui.
-No, no, io volevo solo…- balbettò. –mi sembra una cosa stupida!- sbottò non riuscendo a contenersi.
L’uomo aggrottò la fronte stupito.
Lei proseguì. –Non solo Minha aveva ragione sul fatto che tra poche settimane io e l’altro assassino tenteremo di uccidervi, ma quando mi lascerete andare rivelerò ai miei fratelli il nome della vostra infiltrata!- era fuori controllo. Davvero non si aspettava che Corrado la risparmiasse, ma il susseguirsi di avvenimenti assurdi le aveva dato alla testa.
-Non osereste mai- mormorò lui.
-Ah! Bella questa, e perché? Tanto voi mi avete lasciato vivere ed ora torno ad ammazzare i vostri uomini e a progettare la vostra morte! Nulla potrà fermarmi! Sono viva, e tanto così separa voi dalla morte! Avete ucciso mio padre, braccandolo in casa mia e ora…- s’interruppe, nel notare Corrado scuotere la testa ridendo.
-Cosa avete da ridere tanto?!- fece la ragazza scattando in avanti e facendo suonare le catene sui suoi polsi.
-Altri dei vostri assassini erano sulle mie tracce fino a qualche tempo fa. So bene che entrambi hanno scoperto che vostro padre è vivo, Elena di Acri figlia di Alice. Credevate che non vi avrei riconosciuta? D’altro canto, mi aspettavo di incontrarvi a Masyaf quella volta che strappai alla confraternita il Frutto dell’Eden, ma non avevo previsto che Tharidl sarebbe stato tanto stolto! Oh, ringrazio Dio per avermi donato il facile cammino…-.
Fermi tutti!
-Mio padre…- fece titubante.
No, no, no… stava mentendo. Elena, non lo vedi che è una trappola?! Sapeva che sarebbe successo! L’aveva previsto nello stesso istante in cui Corrado aveva rifiutato che Elena morisse. Il reggente di Acri non voleva ammazzarla ricattandola di essere lei forse la sua nuova spia?!?! Eh no! Ma tornando a suo padre… anche quello era tutto un imbroglio?
Corrado annuì. –Vuoi rivederlo coi tuoi occhi? Elena, non lo uccisi perché già da mesi sapevo che sarebbe arrivato questo momento…-.
-Voi mentite…- da dove aveva trovato il fiato per parlare?
-Assolutamente. Kalel dimora qui da quando fuggiste quella notte, Elena. Egli mi ha parlato poco di voi, credendo di proteggervi, ma invece siete caduta tra le braccia di questa fortezza con la facilità che non mi aspettavo. Credevo che l’assassino di mio padre sarebbe stato più attento a voi, ragazza- commentò malizioso. – Arrivati a questo punto, intendete cosa voglio da voi?- sorrise maligno.
Elena sbiancò. –No, cosa?-.
Lui scoppiò in una fragorosa risata nel notare il suo colorito improvvisamente pallido. –Vi facevo più svelta di mente, lady Elena. Ebbene, a costo che io tenga in vita vostro padre, voi svolgerete sotto copertura alcuni lavoretti per me-.
Elena d’un tratto capiva, e si trovò a constatare che le sue precedenti ipotisi si erano rivelate vere.
-Credete…- balbettò, e Corrado tese le orecchie.
-Credete di potermi corrompere così?!- trattenne le lacrime e fece un passo verso di lui.
Corrado rimase impassibile. –Sì, si tratta pur sempre di vostro padre. Non faccio leva su questo?-.
-No! No perché non vi credo! Ho ben ottimi ricordi di come i vostri uomini lo ammazzarono la notte in cui fuggii! E sono abbastanza svelta di mente per comprendere che state mentendo!-.
-Volete le prove?!- ruggì all’improvviso il sovrano. –Ebbene, eccole le vostre prove. Guardie!- gridò l’uomo e nella stanza si fece avanti un drappello di otto soldati.
Elena trasalì, mettendosi da parte.
-Portate qui il vecchio!- ordinò Corrado ai suoi uomini, che di seguito si allontanarono nel corridoio.
Quanto sarebbe andata avanti quella farsa?  Forse Corrado non mentiva, forse suo padre era davvero vivo, o forse aveva catturato qualcuno che potesse somigliargli solo da lontano… Elena si sentì la testa esplodere, mentre gli occhi le si colmavano di lacrime.
Se anche fosse… se anche Kalel fosse effettivamente vivo, da quale cuore avrebbe trovato il coraggio per tradire la confraternita? Anche sotto ricatto, suo padre l’avrebbe voluto? Poteva chiederglielo di persona, se a breve l’avesse visto; ma se Kalel le avesse consigliato davanti a Corrado di non sostare alle minacce di quest’ultimo, il sovrano di acri li avrebbe ammazzati entrambi, assassina ed ex assassino.
-Non posso farlo- borbottò la ragazza, allontanandosi verso le finestre.
-Come?!- Corrado si voltò, afferrando a pieno le sue parole. –Aspetta di rincontrare tuo padre, almeno- allungò il suo sorisetto ambizioso.
-Lui non lo vorrebbe, è inutile che tentate di corrompermi! Lui non lo vorrebbe!-.
-Ne sei così sicura?- Corrado la guardò rabbioso.
Lei annuì. –Vorrei tanto che uccideste me al suo posto- disse d’un fiato.
Il re non fu minimamente toccato da quelle parole, ed Elena riacquistò colore agli occhi nel vederlo.
Gli uomini armati lo scortavano circondandolo, e il vecchio Kalel avanzava chino nel corridoio, comparendole prima come un puntino indistinto a causa della nebbia delle lacrime, poi prendendo le vere sembianze di suo padre.
Elena scattò in avanti, avvicinandosi all’ingresso.
Alcune guardie furono sul punto di fermarla, credendo che sarebbe scappata, ma Elena arrestò la sua corsa davanti al drappello di uomini già nella stanza.
-Elena- la sua voce era più sorpresa e furiosa che commossa.
Suo padre era come se lo ricordava. Quella pelle scura e ramata, quegli occhi nerissimi e quella barba che andava diventare bianca nonostante Kalel avesse più o meno una cinquantina d’anni, ovviamente in perfetta forma anche se poco poco sciupato le apparve, ma un assassino poteva adattarsi anche alla cuccia di un cane.
Fu sorpresa di notare un particolare alquanto assurdo. Elena l’aveva visto vestito così durante i giorni in cui si allenavano insieme con la spada. Solo in quei momenti ed ora, di fronte a lei, indossava l’esatta copia di una veste da Rafik: una tunica scura a coprire il completo bianco sottostante.
-Padre- mormorò lei.
-Perché sei ancora qui?! Oh, Gesù Santissimo! Speravo che non restassi! Elena, vattene!- la sua voce era possente come se la ricordava e, sbaglio o le aveva ordinato di andarsene? Sbaglio o Kalel non voleva che accettasse i patti di Corrado.
-Taci vecchio!- intimò Corrado e le guardie afferrarono saldamente suo padre per le braccia.
Elena avrebbe voluto abbracciarlo, ma le catene che le legavano le mani glielo impedirono. Una lacrima le rigò la guancia.
La ragazza stette a guardare come uno degli uomini del Monferrato faceva mettere in ginocchio il pover’uomo e Corrado sfoderò la spada.
-Dimmi: sei dalla mia o dalla parte di Dio?- pronunciò il sovrano puntando la lama al petto di suo padre.
Kalel la implorava con lo sguardo, la sua testa si muoveva impercettibilmente da destra a sinistra e da sinistra a destra. Le stava facendo segno di non accettare.
Kalel desiderava forse la morte? Il suo compito di padre era forse finito? No, Elena avrebbe voluto portarlo con sé alla Dimora, con sé a Masyaf, ma non vi era il modo.
In quel breve stacco di tempo calcolò tre possibili via di fuga da quella maledetta, bastarda situazione.

1.    Diceva di sì, suo padre viveva e Corrado le avrebbe chiesto di pugnalare nel sonno l’assassino di Gulielmo.
2.    Diceva di sì, lasciava la fortezza di Corrado e, non rispettando gli accordi presi cioè ignorando gli ordini, non vi avrebbe fatto più ritorno se non per ucciderlo assieme al suo maestro Altair.
3.    Diceva di no, e padre e figlia morivano lì in quella sala.

Fu orribile. In tutte e tre le opzioni suo padre avrebbe perso la vita. In un modo o nell’altro, Elena avrebbe messo di nuovo piede fuori dal forte di Corrado, per quanto riguardasse la scelta numero due, ma il sovrano di Acri, accorgendosi magari dopo diversi giorni dell’infedeltà della ragazza ai patti, avrebbe ucciso Kalel senza pensarci due volte.
Quello che a Elena non tornava, era il fatto che la ragazza aveva visto chiaramente che, nella notte della sua fuga da Acri, Kalel era morto ammazzato da una freccia.
Elena si riscosse, indietreggiando.
Cos’era quella sensazione assurda che avvertiva nella testa? Come un continuo pulsare senza mai smettere, una martellata dopo l’altra che diventava sempre più intenso, e costante.
All’improvviso un suono acutissimo, un sibilo innaturale che squassò i suoi timpani coprendo tutti i suoni restanti.
La ragazza si voltò, notando un leggero chiarore sfavillare provenire dall’interno di un cofanetto di legno.
Frutto dell’Eden uguale Illusione. E quel detto famoso che faceva “Niente è reale, tutto è Lecito”? Azzeccato o no ad una simile situazione?
Kalel gliene aveva parlato tanto: i poteri del Frutto erano immensi e forse Corrado aveva imparato ad utilizzarne alcuni, come l’illusione, la personificazione dei morti.
Elena riacquistò il senso dello spazio e della realtà nel momento in cui una luce accecante le si parò davanti agli occhi, proveniente dal corpo di suo padre.
Corrado non era riuscito nei suoi intenti, perché i doni del Frutto gli si erano rivoltati contro. Un impuro non poteva padroneggiarne la forza, tanto meno un ignorante come lui che non aveva studiato abbastanza affondo come possederli e moderarli.
La luce si fece più intensa, intollerabile agli occhi ed il sibilo proseguiva.
Lentamente, una ad una le figure che animavano quella stanza si dissolsero come sculture di sabbia travolte dalle onde del mare. Prima Corrado, poi i suoi uomini ed in fine anche lei, Elena.
Accompagnato da un boato assurdo, il potere dell’Eden esplose nella stanza.

-Qualcuno può per favore spiegarmi cosa diamine sta succedendo?!- Alex Viego entrò urlando dalla sala conferenze. Era senza giacca, con indosso i pantaloni dello smoking e la camicia bianca. il cravattino nero mal rifatto che gli pendeva dal colletto.
-Nulla, abbiamo tutto sotto controllo!- rispose Warren con un accenno di sarcasmo.
L’Animus andava in fiamme. Il surriscaldamento stava lesionando il circuito di memoria interno e danneggiando i comandi che non rispondevano.
Lucy, affannata nel mantenere il controllo della situazione, si spostava di corsa da parte a parte della macchina digitando codici in sequenza su ciascuno dei piccoli interruttori che vi erano ai lati del macchinario.
-Santi Lumi- mormorò Desmond avvicinandosi. –Dobbiamo levarla da qui o Andrea sarà cotta a puntino tra un paio di minuti- disse.
-No!- Lucy lo fermò in tempo prima che Desmond potesse afferrare il corpo della ragazza, ancora sdraiata sul quell’Inferno.
-Sta’ fermo!- gli disse ancora e riprese il suo lavoro.
-Che sta succedendo?- Alex partecipava attivamente ai lavori nel laboratorio da un paio di giorni e spesso si chiudeva nella sala conferenze da solo gestendo lui stesso le attività politiche e giornalistiche che dovevano restare all’oscuro di tutto il progetto.
-Quello che non sarebbe dovuto succedere!- sbottò Warren su tutte le furie.
-Ehi, voglio capire anch’io!- s’intromise Desmond avvicinandosi a Lucy.
La ragazza prese fiato passandosi una mano sulla fronte. –Prima di innescare questa sequenza di ricordi avremmo dovuto caricare nel sistema operativo mnemonico un gene chiamato “container”. Il Container si attiva quando nel passato vengono utilizzate le risorse del Frutto dell’Eden, come in questo caso. Il Container si occupa di assimilare le energie del Tesoro dei Templari quando queste vengono sfruttate e ricavarne corrente da impiegare altrove. Ebbene, mi sarei dovuta occupare io stessa di caricare il programma Container, e le mie dimenticanze sono la causa di tutta questa merda!-.
-Signorina Stilman, riprenda il controllo di sé e della macchina!- la rimproverò Vidic.
Lucy abbassò lo sguardo tornando al suo portatile. –Sì, mi scusi dottore- le sue dita cominciarono a picchiare agili sul computer.
-Ebbene, tutto qui?- domandò Alex lanciando un’occhiata al PC della ragazza. –Solo un sovraccarico?- aggiunse.
Lei annuì.
Desmond indietreggiò. –ed è grave?- chiese.
-Per niente, ma potrebbe verificarsi un…- Lucy non terminò la frase che le luci della stanza saltarono. Poi, all’esterno, anche i grattacieli di New York si spensero lasciando il mondo in balia del buio della notte.
-Perfetto!- Vidic stava per strapparsi i capelli.
Alex si raddrizzò collerico. –Senta, dottor Warren, qui l’unico che è devoto a dare di matto sono io! I miei clienti mi mangeranno vivo per questo! Per non parlare dei danni all’azienda e alle questioni ufficiali!- si lamentò.
Non si accesero neppure le luci d’emergenza, tutto era nero ed uniforme.
Anche l’Animus era improvvisamente tornato freddo come il metallo di cui era composto. Desmond percepì un imminente calo della temperatura nella stanza.
Lucy staccò le mani dalla tastiera. –Ho perso tutto- disse.
-Che intendi?- fece Viego.
-Nulla di grosso, ma mancheranno alcuni ricordi all’accensione. Diciamo che sono i conseguenti standar per un calo di energia come questo…- borbottò la donna sedendosi sulla poltroncina.
-E ora che si fa?- Desmond guardò Andrea. –Posso toglierla da qui?- chiese.
-Tra poco dovrebbe riprendersi, la lasci pure stesa sull’Animus, signor Miles- proferì Warren sospirando. –Stilman, tra quanto tempo potremo ricominciare il lavoro?- domandò-
Lucy alzò le spalle. –Si ricorda? L’ultimo calo di corrente registrato nell’azienda risale a qualche anno fa. È durato un paio d’ore -.
Non l’avesse mai detto, perché sia Warren che Alex diedero i numeri.

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Capitolo 29
*** Un vago suono ***


Un vago suono





Trovò quella situazione alquanto familiare.
Il buio l’avvolgeva e i lembi della sua veste bianca galleggiavano nel vuoto. I suoi piedi non avvertivano alcun suolo su cui poggiarsi, e i suoi capelli erano scivolati fuori dal cappuccio ondeggiandole davanti al viso.
La sola differenza dalla volta passata che le era capitato di fare quel sogno assurdo era che non stava cadendo. Il suo corpo restava sullo stesso piano invisibile e lei poteva voltarsi, guardarsi attorno mentre i suoi occhi si contendevano l’oscurità.
Vani ricordi si confusero nella sua mente. Corrado, Minha e poi l’esplosione del Frutto dell’Eden. Ah, quanto ci avrebbe goduto se quella dannata sfera da biliardo si fosse distrutta per sempre! Ma in cuor suo sapeva che non sarebbe mai potuto succedere. Quel coso era indistruttibile, a prova di qualsiasi arma, e avrebbe resistito fino alla fine del Mondo e anche oltre.
Elena percepì la terra comparire sotto i piedi, e il suo corpo lentamente andò giù, a posarsi delicatamente con la schiena dritta e le braccia aperte.
-Elena…-.
Chiuse gli occhi e avvertì un dolore lancinante alla testa.

-Elena!- gridò Altair aiutandola ad alzarsi.
La ragazza si appoggiò a lui, stringendo tra le dita la sua veste. –Maestro- mormorò solo.
L’assassino la prese sottobraccio e cominciò a correre.
Le campane di Acri tuonavano per la città, mentre battaglioni di soldati si radunavano nel cortile della fortezza di Corrado.
Elena ebbe solo il tempo di vedere la sala dalla quale Altair si stava allontanando sopraffatta dalle macerie e, adagiato a terra in procinto di alzarsi, vi era Corrado.
-Prendeteli! Stanno scappando!- gridò il sovrano sfoderando la spada, ma Altair svoltò in una delle stanze del corridoio.
-Forza, vai!- le disse spaccando i vetri della finestra.
La camera era uno studiolo affidato al mantenimento di carte geografiche, impilate a mo’ di pergamene negli scaffali. –Avanti, muoviti!- gridò ancora il suo maestro spingendola fuori dal vetro rotto.
Elena, punta dall’improvvisa ventata di aria gelida, si riebbe in fretta dal suo stato semi-cosciente. Si voltò e cominciò ad arrampicarsi sulla parete, utilizzando gli appigli possibili.
Altair le venne dietro e nella metà del tempo le fu accanto, proseguendo fino al tetto dell’edificio.
I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri.
-Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare.
Rashy vegliava su di loro dall’alto delle nuvole, e il suo grido si levò nella notte.
-Eccoli!- gridarono i soldati che venivano di corsa verso di loro, mentre gli arcieri li scagliavano contro le prime frecce.
Ad illuminare i corridoi delle mura c’erano dei bracieri e Altair, con forza disumana, ne rovesciò uno impedendo così il cammino agli uomini di Corrado.
Dal cortile del forte, Corrado guardava verso di loro e indirizzava i suoi uomini a difesa delle vie d’uscita. La gente scappava per tutte le direzioni, mentre stormi di colombi si sollevavano in cielo spaventati da quel frastuono. Acri era nel caos.
Elena si arrampicò sui bordi della torre e rimase in equilibrio sul muretto. Si sporse dal margine e, nel momento in cui il vento soffiò su di lei con violenza, colse un cesto di paglia adagiato proprio sotto di loro.
-Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto.
Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto.
Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate.
-Mi dispiace, io…- cominciò.
-Fa’ silenzio!- lui le tappò la bocca. –Non è il momento…- mormorò, ed Elena percepì il suo fiato sulla fronte.
Erano nascosti tra la paglia: il suo maestro era steso per lungo sul fondo del carro e lei gli era completamente sopra. Non sapeva quanto il loro nascondiglio avrebbe retto in scena, ma ad Elena tremavano ancora le gambe per il salto di almeno una ventina di metri che avevano appena fatto, atterrando per di più in un fragile carretto di paglia! Era assurdo, assolutamente e dannatamente assurdo che non riportassero ferite alle ossa di alcun genere, eppure erano salvi.
Dovevano aspettare che la situazione si calmasse, magari avrebbero pazientato fin quando le campane non avessero smesso di suonare, ma sarebbe stato pressoché impossibile prima di qualche ora.
Elena appoggiò la testa al suo petto, rilassando i muscoli del collo, e l’assassino l’adagiò più comodamente su di lui, stringendola per i fianchi piuttosto che per le ginocchia.
-Il modo in cui vi siete gettato dalla torre…- sussurrò lei. –mi piacerebbe imparare- disse col sorriso.
-Il volo dell’aquila- rispose lui al suo orecchio. –vecchio trucchetto del mestiere- aggiunse altrettanto allegro.
Il respiro di lei si fece regolare, e quel momento stava diventando particolarmente rilassante e piacevole. Elena percepiva il calore del corpo del suo maestro anche attraverso gli strati della veste, e fu cullata da quel tepore costante. Pareva che la paglia avrebbe potuto prendere fuoco da un momento all’altro, perché Altair era una vera e propria stufa umana. Un caminetto sempre acceso, la luce che sempre riluceva. Non aveva idea di come si sarebbe sdebitata per averla tratta in salvo dalle grinfie di Corrado, che ci mancava poco che la portasse dalla sua parte.
Oltre all’aria che mancava, sotto quel cumulo di paglia era impossibile scorgere oltre il proprio naso, ma i loro volti erano talmente vicini che questi quasi si toccavano.
Elena non riuscì a contenersi allungo, e all’improvviso percepì le guance esploderle dall’imbarazzo. Forse era ora di andare? Sperò tanto di no, ma le campane cessarono il loro frastuono proprio in quell’istante.
-Potrebbe essere una trappola; tu resta qui, vado avanti io…- l’assassino l’adagiò di lato e saltò fuori dal carro con agilità.
Elena rimase sola nel silenzio tra il fieno, e il freddo tornò a pungerle il corpo.
Attese poco, perché una mano si strinse attorno al suo polso e la tirò via dalla paglia.
La ragazza atterrò sulle mattonelle della strada attutendo l’impatto con un movimento delle ginocchia, e Altair le lasciò il braccio. –Tutto bene?- fece preoccupato.
La ragazza annuì. –Voi?-.
-Non nuoce. Ora andiamo…- s’incamminò ed Elena gli andò dietro.
Si arrampicarono sulla prima scala che incontrarono sul tragitto, perché le strade erano pattugliate da un numero infinito di soldati.
Saltarono da un tetto all’altro silenziosi come gatti; quando incontravano degli arcieri, il suo maestro era il primo a sbarazzarsene restando presto a corto di pugnali.
Raggiunsero la Dimora in ritardo rispetto ai tempi abituali, perché avevano avanzato con la massima cautela o lì ci rischiava tutta la confraternita.
Elena si piegò dal dolore atterrando nella stanza della Dimora, e Hani fu il primo ad accorrere.
-Ele…- non terminò che Altair comparve dietro di lei, e il ragazzo indietreggiò proferendo un inchino.
Il muscolo del polpaccio destro si era strappato e il legamento della caviglia aveva forse ceduto, perché avvertiva un dolore lancinante in entrambi i punti.
Altair l’aiutò a sedersi tra i cuscini e al comitato di accoglienza si aggiunse il Rafik.
-Ho pregato perché tornaste entrambi vivi- confessò il vecchio. –Ma sei riuscito a prenderlo?- domandò.
Elena sobbalzò, ignorando le lesioni e guardando stupefatta verso il suo maestro.
Da una delle sacche posteriori attaccate alla cintura, Altair trasse una sfera dorata luminosa di una luce propria, e la Dimora acquistò dei colori tutti nuovi.
-Sì, ma Corrado vive ancora- disse l’assassino.

48 ore più tardi…

Hani spostò il cavallo di tre caselle avanti e una destra, intrappolando in una morsa mortale la sua regina. Elena sbuffò.
-Dannato!- digrignò la ragazza.
L’assassino sorrise divertito. –Hai perso allentamento mentre eri prigioniera di Corrado?- fece sarcastico.
Elena si strinse nelle spalle. –Non credo di aver passato lì così tanto tempo- borbottò.
-Invece ti sbagli, è trascorsa sì o no una settimana. Alla fine Altair non ha retto più ed è venuto a cercarti!- sbottò lui.
-Davvero?…- alzò gli occhi azzurri, piantandoli in quelli verdi del giovane.
Lui annuì. –Da quanto mi è dovuto sapere, quando Corrado ha attivato i poteri del Frutto per trarti in inganno, il tempo nella finzione scorreva più velocemente per tutti coloro che ne erano avvalsi-.
-Quindi mi sono persa una settimana di vita?- sbottò lei spostando una pedina avanti.
-Mi sa…-  Hani divorò il pedone con l’alfiere.
Dalle finestre che affacciavano sulla piazza entrava una gran confusione di passi, chiacchiere e versi di animali. Doveva essere in corso una bella maratona di bancarelle, dopo tutto era una nuvolosissima mattina di domenica.
Il Rafik intinse la penna nell’inchiostro, ammirando la sfera che brillava adagiata nel cofanetto davanti a lui.
-Non disponiamo dei mezzi per tenere qui il Frutto dell’Eden ancora per molto. Possiamo aspettare che il maestro invii i Falchi, oppure potreste partire in anticipo di qualche giorno- disse il vecchio.
Altair si appoggiò al bancone. –La leggo come la soluzione migliore. E sia-.
Il vecchio chiuse il libro sul quale stava scrivendo. –Preparate ogni cosa, e siate cauti nel vostro viaggio- sospirò grave. –Ho il sospetto che Corrado sarà alquanto indispettito dalla sua mancanza…- borbottò rimettendo il testo nella libreria alle sue spalle.
Elena si alzò. –Andiamo?- chiese.
Altair si avviò e lei lo intese come un sì.
-Allora- Hani si sollevò lentamente. –Stammi bene, ti aspetto qui- le sorrise.
Elena gli porse la mano e i due assassini se la strinsero con forza. –Aspettami vivo, però. Voglio la rivincita- rise lei.
Hani mollò la presa e fece un passo indietro, proferendo un piccolo inchino. Poi Elena si voltò salutando il Rafik.
Questo chiuse il cofanetto di metallo e sigillò la serratura. Le porse la scatola che era poco più grande del suo pugno. –Sii prudente- le disse.
Elena ricevette dal vecchio anche la chiave della scatola. –Tu prendi questa, e affida al tuo maestro il Frutto. Così, se qualcosa dovesse dannatamente andare storto, Corrado non potrà avvalersi di uno senza l’altro oggetto-.
Elena si cacciò la chiave in una delle sacche della cintura. –Non temete; difenderò entrambi con la vita- proferì austera.
Il Rafik tornò a sedersi.
Un’ultima occhiata ad Hani che le arrideva sereno, ed Elena lasciò la Dimora.

-Non possiamo passare di lì- Altair indicò le mura del distretto povero, dove sorgeva l’ingresso principale della città. –Corrado avrà messo più uomini lì di quanti non ne abbia uccisi io in tutti i miei incarichi- aggiunse.
Erano sulle rovine di una vecchia chiesa. Più precisamente tra le macerie dell’antico campanile, e la vista da là sopra spaziava per tutta Acri.
Elena si strinse nelle spalle quando una ventata gelata le sollevò i lembi della veste. –Credo che Corrado abbia messo altrettanti uomini agli ingressi secondari, maestro- disse.
-Non lo nego…- Altair allungò lo sguardo nelle varie direzioni, cercando di cogliere la strada più rapida e indolore per attraversare Acri. Sopra le loro teste Rashy compiva cerchi perfetti tra le nuvole.
Elena si appoggiò a quello che restava del muro, nascondendosi al meglio nell’ombra del cappuccio.
-C’è qualcosa che non va?- domandò Altair senza voltarsi.
-No, no… solo…- mormorò. –un brutto presentimento, ecco. Uno dei tanti…-.
Il grido di Rashy si perse nell’aria, e il suo maestro lo intese come un segnale di via libera. –Andiamo- le disse calandosi giù dalla torre.
Elena si scostò dalla parete e, prima di seguirlo, i suoi occhi colsero il bagliore dorato che proveniva dalla tasca della cintura del suo maestro. Sperò che quel chiarore si attenuasse al più presto, o qualsivoglia guardia avrebbe potuto notarlo.
Una volta in strada, i due assassini si divisero intraprendendo due vie diverse ma che si sarebbero ricongiunte alle porte ovest della città, ove Altair aveva individuato il minor numero di uomini di Corrado.
-Non fare stupidaggini- le aveva detto tirandola per un braccio.
-Così mi offendete- aveva risposto lei sorridendo.
Lui aveva annuito ed era scomparso nel buio di un vicolo.
Elena si voltò dalla parte opposta e intraprese il percorso.
Svoltò in una piazza desolata e stava per deviare, quando alle sue orecchie colse un grido: -Aiuto! Non ho fatto nulla! Vi prego! Qualcuno intervenga!-.
E delle voci pressoché riconoscibili: - Sta’ ferma, ladra!- fece la prima guardia.
-Ti insegno io a rubare!- sbottò un altro soldato.
Elena si arrampicò agilmente sul tetto di un’abitazione e si sporse nella strada accanto. Sotto di lei c’era un gruppetto compatto di quattro uomini che circondavano una povera donna. Due di loro le mettevano le mani addosso ridendo divertiti, mentre i due restanti controllavano la situazione con le braccia incrociate.
La ragazza strinse i denti. Odiava quel genere di violenza.
Una sua mano corse ai pugnali da lancio sulla spalla, ma si fermò. Se qualcosa fosse andato storto non se lo sarebbe mai perdonato, perché anche se era lei a custodire un’inutile chiave e il suo maestro il Frutto, rischiava di fare saltare la copertura di Altair a causa delle sue azioni sfrontate.
Ma quella donna aveva bisogno d’aiuto, implorava ai passanti di fare qualcosa, ma questi erano ciechi e si allontanavano senza voltare più gli occhi.
-Aiuto!- gridava la ragazza.
-Ladra!- dicevano i soldati.
Basta, non l’avrebbe tollerato oltre!
Il pugnale da lancio partì, colpendo in pieno volto uno dei due uomini che la stavano violentando. I due di guardia si girarono, attoniti, e sfoderarono le armi.
Elena calò nella strada con un balzo, e atterrò saldamente. Sfoderò la spada corta e, prima che questi potessero accorgersi di lei, scagliò un secondo pugnale che colpì in pieno cuore un altro cavaliere.
-Assassino!- sbottò un soldato che comparve alle sue spalle e si unì al combattimento.
A quelle parole, si levarono gli urli della folla che correva da tutte le parti.
Elena prese un gran respiro e ingaggiò il duello.
Schivò di lato ed evitò un poderoso colpo sulla schiena. Con un rapido movimento del polso disarmò il suo avversario, lo afferrò per la maglia e lo scagliò addosso alla parete.
La donna alla quale era corsa in aiuto si teneva le mani sul viso e si era rannicchiata a terra in un angolo, tremante.
Elena evitò di striscio la lama del nemico che puntava alle sue gambe, e roteò su se stessa per andare a colpire in petto lo stesso che aveva tentato di abbordarla. Questo si accasciò al suolo quando la ragazza estrasse la lama, che per metà gli era entrata in corpo.
Con un ghigno, l’uomo che Elena aveva scaraventato al muro, si era alzato e aveva afferrato la spada del compagno caduto.  –Muori!- gridò balzando verso di lei.
Elena indietreggiò con un saltello, il cavaliere si sbilanciò in avanti e la ragazza lo rigettò a terra con un calcio.
Il cavaliere armato restante tentò con un affondo di sorpresa dietro di lei, ma Elena si chinò sulle ginocchia, roteò e gli aprì uno squarto enorme sul fianco. L’uomo cadde in ginocchio, lasciò la spada e chiuse gli occhi portandosi una mano al sangue che colava dalla ferita.
Elena lo pugnalò sulla schiena e il suo corpo si rovesciò inerte in una pozza purpurea.
Il suo ultimo avversario le fece scivolare la lama a pochi millimetri dal fianco, ed Elena si trovò in difficoltà, stretta tra la parete e delle casse tra cui la gabbia di alcune galline.
Parò il colpo e la spada del crociato scivolò sulla piccola lama producendo sottili scintille. Elena si chinò e, avanzando di mezzo passo perché la situazione si faceva stretta, ruppe la guardia del nemico, entrando tra le sue braccia.
Capovolgendo la presa sulla spada corta, Elena lo infilzò con precisione tra due costole.
Il soldato perse la luce dagli occhi ed Elena si scansò, lasciando che questo cadesse lentamente verso terra.
Quando fu certa che nessun altro l’avrebbe minacciata, Elena si avvicinò alla dona rinfoderando l’arma e l’aiutò ad alzarsi.
-Grazie… grazie!- la povera le strine le mani attorno alla sua. –Non so come ringraziarvi, sul serio! Grazie!- le disse.
Elena allungò le labbra in sorriso, prendendo fiato. –è stato un dovere, non disperarti- seppe solo dire.
-Oh Dio!- sentì una voce di uomo, ed Elena si voltò sguainando la spada.
-Selena, eccoti! Finalmente!- il popolano abbracciò la donna che aveva salvato ed Elena si fece da parte rinfoderando l’arma.
I due si tennero stretti allungo. –Sto bene, fratello- disse lei a tra le braccia del familiare.
-Quando mi sono accorto che eri scomparsa…- il ragazzo la notò, ed Elena fece per andarsene.
-Ferma! Aspetta- la chiamò l’uomo.
Elena rallentò, si fermò poi tornò indietro. –Mi spiace, vado di fretta- si diede della stupida. Che cosa pretendeva da loro restando lì ad accogliere ringraziamenti?
-Mi ricorderò del modo in cui siete vestita, e quando vi vedrò passare per questo distretto io e i miei amici vi saremo utili. La vita di mia sorella è tutto quello che mi resta- accarezzò i capelli della donna. –Grazie, ancora- mormorò stringendosi a lei.
Elena accennò un inchino, e il suo sorriso si fece malinconico… forzato.
Fratello… pensò.
Con la coda dell’occhio l’assassina scorse una guardia venire verso di loro con la spada alla mano.
–Presto! Andatevene!- le disse il ragazzo.
Elena cominciò a correre e sparì nel buio di un vicolo.
-Eccolo!- gridò la guardia seguendola. –Ti ho visto, bastardo!-.
Il ragazzo si staccò dalla sorella e fece lo sgambetto al crociato, che rotolò a terra e la spada gli volò di mano.
-Non avresti dovuto!- ringhiò alzandosi.
-Marcus, andiamo via!- la donna tirò il fratello per la manica e i due scapparono verso casa.

Le campane di Acri la colsero alla sprovvista, ed Elena, per lo stupore, lasciò la presa dal cornicione, andando a cadere di schiena.
Si sollevò dolorante massaggiandosi una spalla e prese a correre.
-Prendeteli!- gridò un arciere dall’alto, puntandole l’arco contro.
Dietro di lei comparve il suo maestro, che la strinse per il braccio e la trascinò ad un’andatura più svelta della corsa.
-Ti avevo avvertita di non fare stupidaggini!- le ringhiò contro.
Elena per poco non inciampò, ma Altair la teneva con forza e riuscì a tirarla su. –Mi dispiace!- gemé riacquistando l’equilibrio.
Andavano dritti verso l’arco in pietra che li separava dalle mura della città, e poi liberi nel regno!
C’era un piccolo particolare, precisamente alle loro spalle:
Erano due, a cavallo, con le spade alle mani e i talloni che spronavano i destrieri ad una corsa folle.
-Corri! Avanti!- le intimava Altair senza lasciarle il polso.
C’erano quasi.
I due cavalieri si avvicinavano, ma le loro cavalcatura avevano difficoltà a spostarsi per le strade. Era stata una vera furbata quella di Corrado: mettere le guardie a cavallo a controllare gli ingressi! Maledetto… si disse.
-Maestro!- gridò Elena quando sentì qualcosa afferrarla per la vita mentre la presa di Altair si allentava di colpo, e il cavaliere di Corrado la issò sulla sella.
-Presa!- rise quello fermando l’animale all’istante.
Elena provò a divincolarsi cominciando a scalciare, ma il crociato le teneva i polsi e la minacciava con la spada alla gola. –Sta’ un po’ ferma!- borbottò premendo la lama sulla sua pelle.
Elena aveva gli occhi al cielo grigio, ma avvertì lo stesso quel sibilo fantastico che correva in suo aiuto ogni qual volta ne aveva bisogno!
Il cavaliere scivolò dalla sella senza vita e si accasciò a terra, ed Elena si resse al collo dell’animale.
Il suo maestro montò al posto di questo e prese le redini. –Tieniti!- le disse aiutandola a sistemarsi dietro di lui.
Elena si strinse alla schiena di Altair, che spronò il cavallo e si diresse all’uscita dalla città.
Nella piazza accorsero una dozzina di uomini che, assieme agli arcieri, li intimarono contro di fermarsi.
Varcarono la soglia di Acri e una coltre di polvere li accompagnò galoppando sulla strada sterrata. La gente si scostava dal loro cammino, ma proseguivano lo stesso troppo lenti.
Elena avvicinò il volto all’orecchio del suo maestro. –Ci stanno raggiungendo!- gli gridò.
-Lo so! Lo so!- rispose lui svoltando e facendo saltare una staccionata al cavallo.
Li erano addosso una decina di cavalieri, mentre gli uomini a piedi avevano rinunciato da un pezzo. Ma quei pochi che erano minuti di una cavalcatura accorciavano la distanza ogni dieci secondi di un metro e più.
Elena sapeva che erano troppo pesanti per poter raggiungere destinazione su un solo cavallo. O meglio, sarebbe bastato ancora qualche chilometro e poi l’animale si sarebbe contorto dalla fatica.
Voltandosi, pensò che il suo maestro avrebbe potuto proseguire anche senza di lei, così…
-No!- sbottò Altair afferrandole una gamba, bloccandola dov’era –Non devi farlo!- disse, avendo compreso le sue intenzioni.
-Maestro, siamo troppo…-.
-Ho detto di no! Tu non vai da nessuna parte, chiaro?!- le gridò spronando ancora il destriero.
Elena si voltò, di nuovo. I cavalieri di Corrado potevano quasi ascoltare cosa si stavano dicendo per quanto erano vicini.
-Avanti, prendiamoli!- disse uno.
-Sono nostri!- gioì un altro.
Elena si concentrò: doveva pensare ad un modo veloce ed efficace di sbarazzarsi dei loro inseguitori, o avrebbero fatto una brutta fine.
Stavano attraversando al galoppo un crepaccio che prendeva diverse ramificazioni e alle loro spalle i nitrii dei cavalli e le urla dei soldati rimbombavano come il suono del mare in una conchiglia. A proposito di mare… l’oceano era una linea indistinta distante, dove la costa terminava a picco con una scogliera cosparsa di abitazioni. Quella era Acri, una città arroccata sulla spiaggia di roccia, con le sue navi e le nuvole perenni sopra i suoi tetti.
Elena strinse con più forza le gambe attorno ai fianchi del cavallo, assicurandosi la malleabilità delle mani. Un’idea l’aveva, ma era improbabile che funzionasse. Corrado non era riuscito nel suo intento, come poteva lei solo sperare in quello che aveva pensato?
Non c’era altro modo, si disse, allungando una mano alla cintura del suo maestro.
-Cosa stai facendo?!- disse Altair acchiappandole il polso.
-Fidatevi di me!- rispose Elena, e con maggior prontezza aprì la sacca nella quale era contenuto il cofanetto di metallo. Con le dita corse alla chiave tenuta nella sua cintura e, in breve, allentò la serratura della scatola.
-Elena! Non…- cominciò il suo maestro.
-Ma che avete capito?! Non voglio darglielo, io posso provare a…- non terminò di dire, che il cavallo s’impennò spaventato da una freccia che andò a conficcarsi nel terreno davanti a loro.
Il cofanetto aperto le sfuggì di mano, volando per aria.
-No!- fece lei quando gli zoccoli del cavallo tornarono a terra e il Frutto dell’Eden rotolò nel selciato.
I cavalieri alle loro spalle li circondarono, mentre gli arcieri li puntavano dall’alto del crepaccio.
Erano spacciati, si disse…
-Avanti, addosso!- ruggì un cavaliere alzando la spada al cielo.
-Ammazziamoli!- digrignò un altro.
Elena lanciò un’occhiata alla sua sinistra, dove precisamente il Tesoro dei Templari era.
La sfera dorata brillava celata tra gli arbusti, la chiamava, e se non avessero fatto qualcosa alla svelta, i loro nemici se ne sarebbero presto accorti.
Altair fece impennare il cavallo diverse volte, nel tentativo di spaventare quelli degli uomini di Corrado, ma nulla da fare.
Elena scivolò dalla sella e atterrò con una capriola.
-Sta scappando!- gridò un crociato.
La ragazza si alzò e s’infilò nella fessura che c’era tra due cavalieri. Con uno scatto, le sue gambe si diressero di corsa verso la sfera.
-Il Frutto!- un cavaliere fece voltare il cavallo e le andò dietro. –Fermatela!- aggiunse.
Elena corse a perdifiato, allungò le braccia, si diede una spinta e, con un balzo, si lanciò sulla sfera, toccandola con un dito.
In quel momento il tempo si arrestò, rallentando il suo scorrere infinito.
I cavalieri alle sue spalle galleggiavano in una nube di polvere, Altair la guardava a denti stretti, la sfera brillava di una luce accecante, e le sue mani arrestavano quel brillare intollerabile avvolgendola.
Elena trattenne il fiato, spalancò gli occhi e pregò solo che funzionasse.

Un boato assordante rimbombò tra la roccia.
Altair si portò le mani alle orecchie, cadendo da cavallo.
Altrettanto fecero i cavalieri, che si rovesciarono al suolo ansimando nel selciato.
L’assassino si piegò in ginocchio e alzò gli occhi.
Al botto si sostituì presto un sibilo acuto, che a sua volta copriva ciascun suono: quale quello degli zoccoli dei cavalli sbizzarriti e dei loro nitrii, le urla strazianti dei soldati e i lamenti del giovane al solo sopportare quel lungo fastidio che solleticava l’udito. Tutto era silenzioso, e di sottofondo questo fruscio costante.
Altair fece solo in tempo a distinguere il corpo di Elena sospeso a mezz’aria che brillava di una luce accecante, quando una vampata cristallina e rilucente di fiotti dorati avvolse la valle, espandendo i suoi raggi d’oro per tutto il Regno.
Il sibilo crebbe d’intensità, fino a divenire intollerabile. Solo all’ultimo, quando l’assassino si piegò a terra straziato da quel suono, la luce si riavvalse della sua fonte, contorcendosi in forme assurde pur di rientrare nella sfera che Elena teneva tra le mani.
L’assassino si alzò a fatica, tenendo premuti i palmi sulle orecchi. –Elena!- gridò.

Il suo corpo vagava nel buio, i suoi occhi si perdevano nell’oscurità e i suoi piedi non toccavano terra.
Si guardò le mani, che avvertiva scottare, e notò un leggero e luminoso chiarore su di esse.
Che cosa stava succedendo? Era svenuta di nuovo? Oppure era morta?
Il fatto che le brillassero i palmi la metteva un po’ a disagio. Forse… il suo piano aveva funzionato? Era riuscita ad attivare il potere del Frutto dell’Eden e ora toccava a lei controllarlo.
Così si ricordò di aver pensato ad un modo veloce ed efficace di sbarazzarsi della gentaglia che minacciava lei e il suo maestro. Si concentrò, e la luce sulle sue mani aumentò notevolmente, fino a mostrare il mondo per come realmente era: aprico e vivo.
Quando la luce nelle sue mani andò a sovrastare la valle, investendo come l’onda del mare le pareti di roccia e la terra, con i suoi rispettivi abitanti, Elena strinse con più vigore la sfera.
Schiuse le palpebre, e le sue iridi azzurre assunsero una sfumatura dorata e magica.
In fine, il potere di Dio scivolò dalle sue mani, e la ragazza si rovesciò a terra pesantemente, priva di sensi.
Il suo corpo vagava nel buio, i suoi occhi si perdevano nell’oscurità…

-Elena!- gridò Altair alzandosi e correndo da lei.
La ragazza era stesa al suolo, nascosta tra gli arbusti, e il Frutto dell’Eden brillava accanto a lei.
L’assassino si chinò sulla sua allieva e le ascoltò il battito del cuore, che era appena percettibile.
Incredibile, quello che era riuscita a fare era incredibile: i corpi degli uomini di Corrado erano stati scaraventati lontano, chi sbattuto contro la roccia del crepaccio e chi volato a metri e metri dal punto in cui Elena aveva sprigionato tutto il Potere del Frutto.
Altair afferrò la sfera e la sistemò nella sacca della cinta, si caricò la ragazza in spalla e si avviò al cavallo vivo più vicino. Montò in sella e fece sedere la sua allieva davanti a sé.
Elena sembrava dormire, perché come sonnambula le braccia della giovane assassina si strinsero al suo petto.
Per riprendersi da quello che era successo le sarebbero servite ben oltre che le ore di riposo quotidiane, e Altair poteva solo immaginare cosa la mente della ragazza avesse sfiorato nell’utilizzare quell’oggetto tanto… occulto.
Ancora non riusciva a crederci.
Gli bastò fidarsi del fatto che erano salvi, le guardie di Corrado non li avrebbero più infastiditi e avevano il Frutto dell’Eden con sé.

Elena si riebbe lentamente.
Prima acquistò la certezza che fosse sdraiata su qualcosa di morbido e caldo, poi che era avvolta in una coperta soffice ed in fine che la sua testa era poggiata su un cuscino che si adattava perfettamente alla forma del suo cranio.
Insomma, non era mai stata così comoda, ma dopo quello che aveva passato, anche dormire per terra le sarebbe parso “comodo” e “confortevole”.
Come seconda cosa, riuscì a stringere il pugno sotto le coperte di entrambe le mani. Percepì di avere ancora tutte e due le gambe e di trovarsi, di conseguenza, nel suo corpo.
Come terza ed ultima, aprì gli occhi.
Era in una stanza buia e ristretta. Sul comodino accanto al letto brillava una candela che diffondeva il suo tenue calore e colore nel locale. C’era una finestrella che dava su un cortile nel quale pascolavano dei cavalli, e sopra la terra si stagliava il cielo stellato.
Quando si voltò, Elena scorse due occhi castani flettere la luce nell’oscurità.
Il suo maestro si alzò e le vene affianco. –Come ti senti?- le chiese soave.
Elena si sollevò sedendo sul materasso. –Bene, sul serio…- mormorò. –Mi sento davvero bene- sorrise.
-Ne sei sicura?- chiese l’assassino afferrando il cuscino dietro di lei e sprimacciandolo, per poi sistemarlo addossato alla parete.
Elena vi poggiò la schiena. –Grazie, ma sto bene- ripeté quasi seccata.
-Fame? Sete?- insistette lui.
-Forse… un po’ d’acqua, quella sì- rise.
Altair si chinò a raccogliere da terra una borraccia e gliela porse.
Elena la stappò lentamente e cominciò a bere.
Finì e gliela restituì. –Dove siamo?- domandò.
-Nel Regno, in una della sue Dimore. Ancora due giorni e saremo a Masyaf; abbiamo ritardato già abbastanza- Altair si allontanò e sedette sul secondo lettuccio della stanza.
Elena si guardò attorno e trovò con lo sguardo quello che cercava: la sfera che, nonostante fosse avvolta da una moltitudine di panni di diversi colori, continuava a brillare e ad illuminare le tegole sulle quali are poggiata.
-Dimenticherò con difficoltà quello che è successo…- sospirò ad un tratto il suo maestro.
Elena si voltò, guardandolo confusa. –Dimenticare? Perché? Non ho agito come avrei dovuto, e lo so! Ma mi era parso l’unico modo, insomma… rischiavano di raggiungerci! E voi non volevate che vi lasciassi proseguire senza di me! Se fossi scesa da cavallo e li avessi rallentati, a questo punto la situazione non sarebbe differente, solo per il particolare che io non sarei qui! Quando Tharidl lo verrà a sapere credete che mi punirà? E Adha, lei mi farà la solita ramanzina…-.
Alla parola Adha Altair sembrò irrigidirsi.
Elena proseguì: - se il Frutto tornasse a Masyaf, Corrado potrebbe tentare di nuovo di strapparcelo via! E sono certa che il vecchio Maestro non sceglierà di nuovo me!… Mmm…Comunque, se ne siete interessato, non è stato difficile fare quello che ho fatto! Anzi, vi confesso che potrei ripetere tutto da capo, anche col doppio degli uomini da abbattere! A dirla tutta, è stato divertente… e poi per nulla faticoso!… -.
-Elena, hai dormito per due giorni di fila. Come puoi pensare che non sia stato faticoso?- borbottò l’assassino.
-Due giorni?- mormorò, stupefatta. Da non credere, era il suo record personale senza l’utilizzo di alcun farmaco. Non sapeva perché, ma cominciò a sorridere.
-Cosa ci trovi di tanto divertente?- sbottò il suo maestro.
Lei lo fulminò con un’occhiataccia. –Ammettetelo, maestro- disse.
-Cosa?- fece lui.
-Non volete ammettere che le mie azioni sono state stupefacenti e alquanto abili. Non è cosa da poco controllare il poteri del Frutto, posso solo immaginare come vi sentiate inferiore a me in questo momento…- si beffò la ragazza.
Altair alzò un sopracciglio, e dopo poco scoppiò in una fragorosa risata. –Io invidioso… di te? A controllare quell’aggeggio sarebbe capace chiunque, basta solo tanta crudeltà e parecchia collera! Ecco come sei riuscita a sbarazzarti di tutti quelli uomini! Eri forte nella convinzione che almeno uno di loro avesse partecipato all’assassinio di tuo padre!- pronunciò con rabbia.
Quelle parole le causarono un dolore immenso, soprattutto se pronunciate dalla persona di cui in quel momento sentiva di fidarsi di più.
La ragazza curvò le spalle e si voltò dalla parte del muro, appoggiandosi ad esso e tornando sotto le coperte.
-Non volevo nuocerti- disse Altair. –Ma devi ammettere che è così-.
-Non ammetto un bel niente- brontolò Elena.
Altair si alzò e uscì dalla stanza.
La ragazza gli volse un’occhiata appena prima che si chiudesse la porta alle spalle, poi richiuse gli occhi e cercò di riprendere sonno.




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Scrivendo questo capitolo ho battuto il mio record: ci ho impiegato troppo, più di 3 giorni e mi odierò per il resto della mia vita per questo.
C’è anche da aggiungere che ho dovuto scrivere da capo parecchi atti di questo chappo, perché avevo in mente la fuga di Elena e Altair da Acri in diversi modi e alla fine ho sorteggiato quello più “assurdo e stupido”.
Dunque, che dire? Non mi viene in mente nulla se non i ringraziamenti.

Saphira87
goku94
Lilyina_93
Assassin e Diaras (non si vedono e non si sentono)
Angelic Shadow (spero che il tuo PC si rimetti presto, perché vorrei tanto sapere che cosa ne pensi tu della mia fiction!!! @__@)

X Saphy: eh, sì. Desmond è soggetto a quel tipo di sindrome: si sente tanto solo lì, così ha abbordato con il primo giocattolino di passaggio. In questo capitolo avrei dovuto aggiungere qualche scena del presente, ma ho sentito necessario (arrivata alle 10 pagine) di aggiornare.

X goku94: sono contenta che nonostante gli orribili capitoli iniziali, tu abbia continuato a leggere la mia fiction! ^__^ grazie.

X Lilyna: sìsì, hai inquadrato bene Minha. Ecco, lei era l’unico particolare vero dell’illusione di Corrado. Il resto (papà di Elena) era tutto frutto del Potere del Tesoro dei Templari.


P.S.
Come avrete notato (oppure no) la mia storia ha perso magicamente un capitolo (da 29 a 28, ma con questo nuovo chappo siamo di nuovo a 29). Ebbene, no, l’ho semplicemente inglobato a quello precedente perché spezzettavo troppo la trama e comunque ho anche revisionato alcune parti dei miei scritti, cacciando via gravosi errori e parole ripetute.
Dannatamente, mi sono accorta troppo tardi che quel capitolo conteneva due delle più meravigliose recensioni… ç__ç mi spiace, chiedo perdono a Spahira87 (proprietaria di una delle due recensioni) e a non mi ricordo chi… credo Agelic, vabbé, insomma… scusate!!! Ç___Ç

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Capitolo 30
*** La follia ***


La follia



Il sole splendeva nell’alto del cielo azzurro. Gli uccelli canticchiavano ai lati della strada, giocando a rincorrersi e appollaiandosi sui rami degli ulivi, scossi da una leggera e appena palpabile brezza, residuo delle correnti d’estate.
Una rara giornata calda degli inizi dell’inverno, si disse Elena accorciando le redini e portando il cavallo ad un’andatura più svelta del trotto.
Il suo maestro gli era davanti e si voltava spesso a controllare più che altro che la sua allieva non fosse distratta, perché stavano attraversando una zona azzardata del Regno: il confine tra i territori crociati e saraceni era segnato da molti avamposti di entrambe le fazioni.
-Hanno… paura?- mormorò Elena affiancandosi all’assassino e guardando sconvolta come nessun arciere osava puntarli contro una freccia una.
-Perché non dovrebbero? Sicuramente avranno ricevuto notizia in questi giorni da Corrado stesso. Sono certo che molti di loro hanno visto chiaro cosa possiamo fare e abbiamo fatto ultimamente…- rise lui alzando il mente fiero.
-Quello che “abbiamo” fatto?- sbottò la ragazza.
Altair sbuffò. -Ancora non ti entra in testa? Vantarsene non è buona cosa, piuttosto stammi vicina- spronò il cavallo e partì al galoppo.
Elena lo seguì e in breve la strada sterrata li condusse in un centro abitato.
Le piccole casupole erano arroccate ai piedi di un pendio roccioso, sopra al quale spiccava una torre controllata da saraceni.
Questi avevano un’ottima visuale di tutta la valle da là su, ma Altair ed Elena non temevano il fatto che li avrebbero riconosciuti.
Era il Frutto: Elena era riuscita a sbaragliare un battaglione intero di cavalieri col suo potere e, come aveva detto il suo maestro, Corrado aveva fatto correre la voce durante i giorni in cui era stata convalescente nella Dimora. Ora sia il sovrano di Acri che i suoi uomini temevano per le loro vite e preferivano starsene a distanza. Chissà che queste novità avrebbero tenuto Masyaf lontana da un secondo assedio da parte dei crociati… sarebbe stata un’ottima cosa, si disse Elena mentre risalivano il pendio attraversando uno stretto sentiero scavato nella roccia.
Una volta ai piedi della torre, i due assassini proseguirono indisturbati, ma gli occhi degli uomini di Saladino erano tutti su di loro.
I saraceni li guardavano con stizza, disprezzo, ma al tempo stesso in loro gioiva l’invidia. D’altro canto, pochi anni prima era nata un’alleanza tra un gruppo scelto di saraceni e alcuni crociati. Costoro si facevano chiamare i Nove Templari, e tra di loro c’era stato Gulielmo, padre di Corrado, e lo stesso Al Mualim. Essi, assieme a molti dei reggenti delle diverse capitali saracene, si erano contesi il Frutto dell’Eden acclamando “Il Nuovo Mondo”. Questo le raccontò Altair per ammazzare il tempo facendo riposare i cavalli, stremati per il lungo cammino che avevano intrapreso e ancora li attendeva.
Elena era seduta su una roccia, e al fianco vi era il suo maestro che poggiava i gomiti sulle ginocchia e guardava a terra senza dire o aggiungere nulla da parecchi minuti.
I cavalli pascolavano poco distante legati ad una staccionata e alternavano l’erba fresca all’acqua di una fonte lì accanto.
Il luogo era deserto, ma affascinante: pareva il rudere di alcune antiche rovine bizantine, che erano sparse un po’ ovunque nel regno. Un tempo doveva essere una magnifica costruzione in pietra pregiata, fatta di marmo e mosaici. Quello che restava dei mosaici era un disegno appena abbozzato dove la ragazza poggiava i piedi, e delle mura rimanevano delle colonne storte e blocchi di marmo mangiati dal tempo.
Attorno solo il silenzio della natura, il canto degli uccelli e il vento tra i rami degli ulivi, che nei secoli avevano avuto modo di crescere anche all’interno delle macerie.
Elena guardò distrattamente alle bisacce che il cavallo del suo maestro teneva legate alla sella. Colse con grande sorpresa che il Frutto al loro interno aveva assunto un chiarore differente, che variava dall’oro all’argento.
-Buffo- commentò la ragazza aggrottando la fronte.
Altair sollevò il viso e seguì il suo sguardo. –Cosa?- chiese con un filo di voce, e tornò a fissarsi i piedi.
-Guardate, maestro- insistette lei. –Ha cambiato colore- sorrise.
-Chi siamo noi per giungere alla ragione per la quale si comporta così…- borbottò lui distante.
Elena curvò le spalle e incrociò le gambe. –Be’, non l’aveva mai fatto- realizzò confusa.
-Hai ragione, non è affatto nella norma- sospirò l’assassino.
Elena si alzò e si avvicinò alle bisacce, e gli occhi di Altair la seguirono nei suoi movimenti.
Slacciò la bisaccia e trasse l’involucro fatto di panni del frutto; qualche passo addietro e tornò al fianco dell’uomo, che la guardava in cagnesco.
-Rimettilo apposto, non vedi che siamo troppo esposti e quel coso è come un faro?!- sbottò a denti stretti, e fece per strapparle via di mano l’oggetto.
Elena schivò con un saltello. –Sanno già abbastanza bene dove ci troviamo, ma… Mi nascondete qualcosa? O è la vostra gelosia famosa, maestro…- sorrise maliziosa scoprendo uno spicchio della sfera e la luce argentata che ne venne fu quasi abbagliante.
-Ti ho detto di rimetterlo dov’era!- L’assassino si sollevò di scatto e le venne più vicino. –Stolta, ubbidisci- digrignò.
Elena tenne il suo sorisetto giocoso. –Venite a prenderlo- lo agitò in aria.
-Non mi sembra il momento di giocare- disse serio e altrettanto sorpreso del comportamento della sua allieva.
Elena poggiò il Frutto dell’Eden sul rudere di una colonna e portò una mano all’elsa della spada. –Ne siete certo?- rise.
Altair comprese al volo, e i suoi occhi mandarono un leggerlo barlume che la fulminò. –Intendi… sfidarmi?-.
Lei annuì, sfoderando l’arma. –Se vinco acquisto il diritto di portarlo fino a Masyaf. Se perdo, lascio a voi decidere- il suo sorriso si allargò ulteriormente.
Altair era sconvolto. –Qualcosa non ti è chiaro, per caso? Siamo in missione, non possiamo rischiare che…-.
-Ancora non vi fidate di me? Mi fate così disattenta ai miei doveri?- si beffò la ragazza.
-Sì- rispose secco il suo maestro. –Sei ancora nel pieno del grado di novizio, non posso permetterti di portare il Frutto. Sia perché non voglio e sia perché potresti farti prendere la mano- proferì composto.
-Gradi di qua, gradi di là! Sono o no l’unica Dea della confraternita? Avrò un po’ di autorità in più di voi, giusto?- lo stava stuzzicando, ed era certa che Altair non avrebbe retto ancora per molto. Era troppo fiero per rifiutare sia di divertirsi un po’ che di mettersi nuovamente sul suo stesso piano.
-Sbagliato. Se credi di essere superiore ai nostri assassini per il fatto che sei l’unica donna, ti sbagli di grosso. Dea è solo un appellativo, alla pari di assassino o informatore. Non hai autorità su nessun altro se non te stessa, e questa conversazione è stupida- Altair si allungò e fece per afferrare il Frutto con una mano, ma Elena gli batté la lama della spada sulle placche del guanto.
-No, no- sorrise mentre il suo maestro ritraeva la mano infuriato.
-Piantala!- proruppe l’assassino.
Elena fece un passo avanti, avvicinandosi a lui. –Sono rimasta a letto per giorni interi, temo di non ricordarmi come si combatte. E poi l’avete detto voi stesso: se vi sentiste tanto superiori a me non temereste certo un confronto -.
Altair drizzò la schiena. –Che cosa hai bevuto?- domandò senza evitare di sorridere.
-Io? Nulla, siete voi che vi state tirando indietro. Mettete da parte la vincita, e accogliete la sfida come un’occasione per redimervi dal vostro ultimo fallimento- centro! Uno a zero per Elena.
Altair curvò il viso da un lato. Portò la mano all’elsa della spada e sfoderò la lama con un gesto incredibilmente veloce. –Redimermi?- rise.
-Non eravate voi quell’assassino che sconfissi a duello tempo addietro?- fece la vaga aggirandolo. –Potrei anche sbagliarmi… non so…- gli lanciò un’occhiata, e Altair l’accolse con maggior fastidio.
-Può darsi…- mormorò guardandola, e i loro occhi s’incrociarono di nuovo.
Lei sbuffò. –Sto aspettando- disse.
-A voi la prima mossa, Lady Elena- l’angolo della sua bocca si sollevò malizioso.
Non seppe come, ma i due assassini scattarono l’uno verso l’altro nello stesso istante.
Elena spinse la sua lama che era orizzontalmente contro quella del suo maestro, che aveva posizionato l’arma in verticale.
La ragazza scartò di lato e, a sorpresa, il suo maestro l’afferrò per la veste tirandola nuovamente davanti a sé; Elena parò il colpo e si piegò sulle ginocchia, ma il nuovo affondo arrivò dritto al suo fianco.
Altair l’aveva colpita con l’impugnatura della spada ed Elena indietreggiò stringendo la veste nel punto ferito. Serrò la mascella e si lanciò nuovamente all’attacco.
Altair schivò abile alla sua sinistra, ed Elena mirò il colpo più in basso, alle gambe. Questo si concluse in una pioggia di scintille, e le due lame rotearono l’una sull’altra.
La ragazza allentò la presa d’un tratto, ma non si lasciò prendere dal panico ascoltando il suono della sua spada che cozzava al suolo.
Mentre il maestro sorrideva soddisfatto, la ragazza approfittò della sua distrazione per rotolare fulminea alle spalle di lui.
Altair era in procinto di voltarsi quando Elena gli afferrò il braccio portandoglielo dietro la schiena. La presa di Altair sulla spada durò poco, perché Elena gliela trasse di mano stringendola nella sua. Una volta che lo ebbe disarmato, la ragazza gli avvicinò la lama alla gola.
Elena si appiattì contro la schiena del suo maestro, infierendo maggiormente la spinta dell’arma sulla sua pelle.
Altair strinse i denti. –Questa dove l’hai imparata?- digrignò restando immobile.
Elena avvicinò ulteriormente la lama al collo di lui. Bastava un minimo movimento purché lei gli tagliasse la gola. –Anche durante gli allenamenti di mio padre adoravo fare di testa mia- rise.
-Distrazione paga- disse lui.
-Cosa?-.
-Eccola!- Altair la colse in contropiede, perché strinse la lama in una mano e riuscì ad allontanarla dal suo collo. Di seguito, prima che Elena potesse realizzare a pieno i suoi movimenti, l’assassino si chinò in avanti, portando Elena, ancora attaccata alla sua schiena, a rovesciarsi a terra accompagnata dal clangore delle cinghie e i foderi di cuoio.
Altair si sgranchì la schiena, si piegò a raccogliere l’arma che le era scivolata di mano durante il volo e si avvicinò alla ragazza che stava per rialzarsi.
-Distrazione paga. Durante quel duello vincesti perché ero distratto, come te ora- le puntò la lama al petto.
Elena era inginocchiata al suolo, il cappuccio storto e la veste stropicciata e coperta delle polveri della terra. –State mentendo, non volete ammettere che il mio stile di combattimento vi lascia alquanto… stupefatto!- rise lei.
-Affatto- lui avvicinò il volto a quello della sua allieva. - Mi fa schifo come combatti, ma voglio comunque apprendere nel migliore dei modi la via per contrastarlo nel caso occasioni simili si ripetano- il suo fiato caldo e affaticato le arrivava sul viso, ed Elena sorrise: un po’ era riuscita a stancarlo.
Altair si sollevò lentamente, le porse la mano e l’aiutò ad alzarsi.
-Abbiamo finito, spero- disse contenuto rinfoderando la spada.
Elena annuì facendo altrettanto. –Avete vinto, e d’ora in avanti me ne starò al mio posto - proferì, improvvisamente avvolta dall’imbarazzo per come si era comportata. S’inchinò appena e guardò il suo maestro afferrare il Frutto e portarlo con sé fino ai cavalli.
Altair richiuse il Tesoro nelle bisacce e montò in sella, stringendo le redini e facendo voltare il cavallo.
Elena lo raggiunse e si issò sulla groppa dell’animale. –Non faccio così schifo- borbottò assorta, e sperò tanto che lui l’avesse sentita.
Altair spronò il cavallo, intanto che un sorriso divertito compariva sul suo volto celato dall’ombra del cappuccio.
I due assassini si allontanarono al galoppo dalle rovine e ripresero la strada sterrata.
Continuarono a quell’andatura per tutto il tragitto e neppure una guardia osò gridarli dietro “assassini”. Poteva essere una forma di paura come una manifestazione di rispetto, si disse Elena. Chissà che ora sia i saraceni che i crociati si sarebbero sentiti inferiori rispetto agli assassini, allo stesso modo di come lei si sentiva ogni giorno più sottomessa da chiunque le stesse accanto.
Il sole calò lentamente all’orizzonte, e il panorama fu avvolto da una magnifica luce arancio. Il cantare degli uccelli si affievoliva col passare delle ore, fin quando sul regno non calò la notte stessa.
Il cielo stellato sostituì così i colori del firmamento, e la brezza fresca divenne un vento freddo e pungente che sollevava la polvere gelata da terra e la gettava tra gli zoccoli dei cavalli.
Elena non poté crederci: ce l’avevano fatta.
L’ingresso alla valle comparve all’orizzonte, controllato da una torre in pietra sotto il dominio degli assassini. Lo stendardo, lindo e magnifico, svolazzava all’alito della notte con fluide movenze, mentre Masyaf appariva come un punto scuro adornato di piccole luci soffuse tra le ombre, arroccata sul picco della collina.
Altair ed Elena si addentrarono nella valle al trotto, e gli assassini lì appostati di vedetta sgranarono gli occhi. Quelli sulla torre si sporsero dal cornicione, altri si piegarono in un inchino, e altri ancora si scoprirono il volto in segno di rispetto.
L’essere di ritorno così in anticipo era gesto che poteva avere mille ipotesi, mille spiegazioni e mille risposte, si disse la ragazza sorridendo.
I bracieri ardenti illuminavano quell’avamposto, ma man mano che avanzarono, i due assassini si persero di nuovo nel buio della strada, percorrendo cauti l’intera valle.
Elena alzò lo sguardo, ammirando commossa quel cielo così lindo nel quale svolazzava Rashy in preda all’allegria. La falchetta planava sulla strada in picchiata, gettandosi con le ali chiuse al petto, per poi spalancarle ad un filo da terra.
La bestiola si contorse in un’ultima piroetta prima di appollaiarsi sulla spalla del suo padrone lasciandosi scappare un grido.
-L’entusiasmo da non tenersi dentro- rise la ragazza, frastornata dall’urlo intenso dell’aquila che ancora rimbombava nelle sue orecchie.
-Quando ci vuole, ci vuole- l’assassino accarezzò il becco dell’animale, che affettuosamente sfregò la testolina piumata sulla sua guancia.
Proseguirono al trotto fino alle porte della città dove, allarmati, i due assassini di guardia sfoderarono le armi.
-Chi va là?!- il buio imbrogliava, così quello alzò la voce e li intimò contro: -Mostratevi alla luce!- indicando il braciere lì accanto.
I due assassini avanzarono e fermarono i cavalli davanti al focolare.
Bastò poco perché uno dei due soldati lo riconoscesse e si piegasse all’istante in un inchino. –Mastro Altair…- mormorò ricacciando la lama nel fodero.
Elena rimase alle spalle del suo mentore.
Altair proferì un gesto col capo e i due si fecero da parte. Poi l’assassino alzò il braccio destro e la falchetta che aveva sulla spalla sinistra piantò gli artigli nel guanto, spalancando le ali.
-Va’!- Altair, con un fluido movimento del braccio, accompagnò Rashy a levarsi in volo nella notte.
L’aquila si perse tra le stelle in direzione della fortezza e, mentre la sua ombra si proiettava sui tetti della città, il suo grido allertò sentinelle, popolani, guardie e assassini.
Questi volsero gli occhi al cielo, ove lei, Rashy l’aquila che tutti riconobbero, annunciava la novella.
Quando le campane di Masyaf presero a suonare, ormai la notizia aveva nido: il Frutto era di nuovo nelle loro mani.

Negli occhi della folla Elena vedeva la gratitudine e la gioia, assieme alla fiducia ben riposta che il popolo di Masyaf aveva nei suoi assassini.
Altair e la ragazza raggiunsero i battenti della fortezza ancora a cavallo, e un corteo infinito di giovani incappucciati venne ad acclamarli.
Ci mancavano solo i fuochi artificiali, pensò Elena sorridendo e tenendo a stento il controllo del cavallo che affogava nella calca.
Molti assassini erano affacciati alle finestre della fortezza, perché le campane avevano di certo buttato giù dal letto gran parte della gente che ora era lì a lodarli.
Altair si allungò verso di lei. –Non dire nulla. Credono che abbiamo ucciso Corrado e gioiscono perché confidano nella vendetta compiuta, ma in verità la nostra missione è ultimata solo per metà- disse gravoso.
Elena curvò le spalle, pensando che parecchi, la notte in cui Corrado aveva attaccato la fortezza, avevano perso familiari assieme ai poveri innocenti che erano stati trucidati dai suoi uomini.
Ecco perché erano in un centinaio al minimo lì a presenziare, in quel momento. Quanti occhi Elena avrebbe contato perdere il loro barlume quando la notizia che Corrado vive ancora sarebbe giunta? Quelli applausi, quelle grida e quei sorrisi erano una finzione che, nonostante la scottante verità, le piacque.
D’un tratto, Elena sollevò lo sguardo al balcone dal quale un tempo aveva assistito alla venuta dei Falchi. La ragazza sobbalzò, perché appoggiato al parapetto e a fulminarla coi suoi occhi di ghiaccio, vi era Rhami.
L’assassino era vestito con le solite vesti da servizio, il cappuccio abbassato e la folta chioma bronzea disordinata. Il portamento dritto e un sorriso misto tra malizia e stupore stampato in faccia.
Elena si voltò di colpo, sprofondando nel buio del suo cappuccio. Non riuscì ad impedire che certe immagine le tornassero alla mente. E lo stesso turbamento di quando era partita l’avvolse ancora, dilaniandole lo stomaco come artigli invisibili.
Quel giorno in cui aveva lasciato Masyaf alla volta del suo itinerario, Elena si era lasciata mille debiti alle spalle: avrebbe dovuto chiarire le cose con Rhami, ma invece di andarlo a cercare, quella mattina aveva preferito starsene nello studiolo del Maestro. E poi Marhim, che senza dirle nulla se n’era andato… ed era stato un colpo basso insopportabile, al quale nessuno aveva voluto dare spiegazioni. Che cosa poteva fare, dunque, se non andarsene anche lei?
Pregò che non sarebbero rimasti a Masyaf più del dovuto, perché non avrebbe tollerato altri addestramenti allo stesso modo di come il solo sentirsi osservata da Rhami le provocava brividi lungo la schiena.
-Prendi-.
Elena sobbalzò, e si riebbe nell’istante in cui Altair le gettò tra le braccia la bisaccia contenente il Frutto dell’Eden.
-Maestro, dove?…- non terminò che Altair spronò il cavallo al galoppo e, facendosi largo tra la folla e abbandonandovi la ragazza, si fermò davanti ad un ingresso secondario a quello principale. L’assassino smontò agile dalla sella, scansò un battente e sparì nella fortezza.
Elena strinse la bisaccia a sé e, confusa, si avviò davanti alle grate del salone d’ingresso, dove Tharidl l’attendeva fiero.
La ragazza smontò lentamente e proferì un inchino.
Tharidl, circondato da guardie e assassini, le venne di fronte. –Elena…- mormorò soave.
Lei sollevò gli occhi devota, e le sue dita si strinsero ancor più attorno alla custodia del Frutto.
Il cerchio di assassini attorno si strinse, ma Tharidl fece gesto di lasciare spazio.
-Elena, sono fiero di te- disse rozzamente.
La ragazza ci rimase di sasso. Non era il genere di elogi che si aspettava dal Gran Maestro, così arrossì.
-Vieni; il tuo maestro ci raggiungerà a breve- Elena si lasciò prendere sotto braccio dal vecchio che la condusse all’interno della sala, fino al suo studio.
-Puoi poggiarlo lì- Tharidl le indicò la scrivania, ed Elena mosse alcuni passi avanti. Srotolando la sfera dai suoi mille involucri, poggiò in fine l’oggetto sul tavolo.
Il Frutto dell’Eden squarciò le ombre coi suoi raggi dorati, illuminando la stanza di un bagliore magico.
Tharidl sorrise voltandosi. –Voi potete andare- disse agli assassini che li avevano seguiti fin lì.
Questi si dileguarono all’istante, lasciando lei e il vecchio da soli.
Elena indietreggiò, fermandosi al suo fianco. –Il Frutto è qui, Maestro, ma Corrado è…-.
-Lo so bene, credi che non ne sia stato informato?- Tharidl tornò serio, avvicinandosi al tavolo e sfiorando la sfera con un dito.
-Sì, ma quella gente…- Elena guardò fuori dalle vetrate, ove la folla stava compatta tornando verso i piedi della collina. –Loro non sanno, vero?- domandò grave.
-No, ma essendo stata una mia scelta agire in questo modo, e avendo Altair ricevuto ordini da me di portare te e il Frutto via da quelle mura, non avranno modo né oggi né domani di contestare- proferì. –Dell’omicidio di Corrado si parlerà a tempo debito in altro luogo- mormorò.
Elena aggrottò la fronte, spogliandosi del cappuccio. –State dicendo che…-.
Tharidl sospirò. –Non nego che in futuro Corrado potrebbe rivelarsi una minaccia, ma i vostri insegnamenti non terminano certamente qui, Elena di Acri- arrise.
-Ah, ecco…- si portò una mano alla bocca, pensando che gli addestramenti nel cortile avrebbero ricominciato ad occupare le sue giornate.
-Le indagini che avete svolto tu e Altair saranno utili ad Hani, che si occuperà di alcuni uomini di poco conto all’interno della corte del Monferrato - fece il vecchio sedendo alla scrivania. –Se ti può interessare, agirà durante il compleanno di Maria, a quanto ho saputo…- si sistemò più comodo.
Elena sorrise, rimembrando le piacevoli partite di scacchi, ma soprattutto ripensando alle assurde situazioni nelle quali quell’assassino era stato capace di cacciarsi.
Sul tavolo accanto alla sfera vi erano due candele, ma erano nulla in confronto alla lampadina che era il Tesoro dei Templari.
Nella stanza c’erano anche due bracieri sistemati vicino alla libreria e altri due al soffitto che pendevano sulla sala d’ingresso della fortezza.
Ad Elena era mancato quel luogo, non c’è che dire, ma più che altro le mancavano le persone che vi aveva conosciuto. Le sarebbe piaciuto che Marhim fosse lì: ecco la verità, si disse.
Tharidl fissò il Frutto allungo, ed Elena con lui.
-Allora- cominciò il vecchio tornando a lei. –le voci sono vere? Riuscisti nell’impresa leggendaria che arrivò alle mie orecchie?- rise.
Elena condivise quella gioia avvicinandosi allo scrittoio. –Sì- seppe solo dire.
-Sai bene che non è cosa da tutti, e sono rimasto alquanto colpito, Elena- confessò passandosi una mano sulla barba.
-Ugualmente io, Maestro- aggiunse lei, avanzando verso la sfera. –Questo oggetto… ho avuto modo di comprendere, può fare qualsiasi cosa. Quando sbaragliai i soldati di Corrado avevo pensato alla soluzione più sciocca, ma anche se avessi chiesto al Frutto di decapitare tutti i crociati venuti in Terra Santa, questo l’avrebbe fatto all’istante… ve lo posso giurare- affermò decisa e spaventata della sue stesse parole.
-Non lo nego- borbottò il Maestro volgendo un’occhiata al Tesoro. –Molti di noi hanno toccato con loro mente il potere che Al Mualim sprigionò da esso tempo addietro…- e sicuramente si stava riferendo a sé stesso, pensò Elena. –E non è balla cosa, dammi retta. Quando si ha il controllo del Potere non ho idea di cosa si provi, quale avidità sfiori il cuore e di quale prepotenza l’anima impari a cibarsi, ma posso assicurarti che essere vittima dei suoi scopi è tutt’altro. Esattamente l’opposto, ed è quando queste emozioni prendono il sopravvento sulla tua coscienza, che non sei più in grado di ribellarti. Ed è in quel momento, che chi ne ha la forza, può trovare il coraggio di schiacciarti senza alcuna pietà- sbottò collerico. –Sono stato eletto maestro dai miei discepoli perché fui uno dei primi suoi quali Al Mualim esercitò i suoi poteri; avendone compreso a pieno i dolori sono diventato aperto alla mia gente e alle loro esigenze. Perdonami…- disse ad un certo punto, scuotendo la testa.
Elena curvò un sopracciglio. –Di cosa?-.
-Divago su argomenti che so possono essere truci quanto noiosi, in questo momento- le sorrise. –E non è da me, quindi perdonami- si alzò e, sospirando, si affacciò alle vetrate, congiungendo le mani dietro la schiena. –Elena, so che le mie azioni nei tuoi confronti tal volta possono sembrare insensate e prive di fondamento, ma ti chiedo, in quei casi, di riporvi tutta la tua fiducia- disse senza guardarla.
-Maestro- lei gli si avvicinò. –Non ho mai dubitato di questo- mormorò.
-Ed è un dono prezioso che accetto da te a braccia aperte, Elena- lui si voltò e le carezzò la guancia dolcemente.
-Mio padre vi affidò mio fratello, è il minimo che io come lui ponga fiducia in voi, Maestro, e questo l’ho capito fin da subito- aggiunse, allungando il suo sorriso.
-Altrettanto- proferì lui fiero. –Altrettanto- ripeté tornando a guardare fuori dalle vetrate, ed Elena lo imitò.
Il cielo stellato era una volta infinita che si allungava fin dove l’occhio umano arrivava. I tetti di Masyaf erano contornati dai fumi dei comignoli, e un vento invernale alzava le foglie secche e la rena della terra.
Era l’incanto del buio, che celava sotto una maschera fittizia gli eventi imminenti.

Altair esitò allungo sull’uscio di quella stanza, di fronte a quella porta che era rimasta sempre chiusa da quando era partito con la sua allieva. Da quando le aveva dato quella notizia da togliere il fiato, da quando il suo cuore aveva cominciato il conto alla rovescia.
Era arrivato lì di corsa, lasciando ad Elena il Frutto e divincolandosi dalla folla, per poi intraprendere la strada più svelta per quell’ala della fortezza.
E ora esitava davanti a quella porta che era rimasta sempre chiusa.
Si diede dello stupido e allungò una mano, esitò ancora e riabbassò il braccio. Forse non avrebbe dovuto, forse stava dormendo, o forse Adha l’aveva aspettato in piedi senza chiudere occhio per tutto quel tempo.
L’assassino sobbalzò, perché la porta da sempre rimasta chiusa si aprì, e davanti ai suoi occhi celati dal cappuccio comparve il bel volto della sua amata.
-Alta…- la donna non poté concludere, che il ragazzo l’afferrò per i fianchi stringendola a sé.
Affondò il volto tra i suoi capelli e assaporò il suo profumo, mentre con un piede chiudeva la porta alle sue spalle.
-È vero?!- domandò quasi ridendo, perché mai aveva provato gioia più grande se non in quell’abbraccio. –Mi hai lasciato un dubbio quando sono partito e non ho pensato ad altro durante tutti questi…-.
Adha si divincolò dall’abbraccio e fece un passo indietro, aggiustandosi le pieghe sulla veste da notte.
Altair dedusse da molti particolari che la sua donna l’aveva aspettato in piedi. C’era una candela consumata sul comodino e diversi testi sparsi un po’ ovunque tra i vari vestiti e gli ammennicoli.
-Innanzitutto- cominciò lei portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. –Ti sembra il modo di piombare in camera mia?- era allegra.
Altair sorrise.
-E comunque, non avresti dovuto darti pena per questo quando il tuo unico incarico era prenderti cura di Elena e della sua istruzione- fece severa.
-Parli già come una madre- mormorò lui dolce.
A quelle parole Adha parve perdere ogni colorito di gioia.
Altair le venne più vicino. –Hai voluto tenere la cosa segreta mandando nessuna lettera ad Acri. Ebbene, ora mi piacerebbe tanto sapere se quello che mi hai detto prima di partire… è vero, o no- si abbassò il cappuccio.
Adha fece un passo indietro, distogliendo lo sguardo dal suo amato. –No- proferì accigliata.
Altair le prese il volto tra le mani. –Come…- non riusciva a crederci –no?- ripeté.
Adha poggiò la mano chiara e gracile sopra la sua. –No, mi spiace… davvero tanto- ribadì. –Ma è stato un falso allarme, e prometto che non succederà più- si allontanò da lui, che però la strinse per il polso e la tirò nuovamente tra le sue braccia.
Fu un abbraccio lungo, e di consolazione per entrambi.
-Perché?- sussurrò lui sul suo collo.
-Vuoi che te lo spieghi?- rise lei.
-No, meglio di no- Altair le alzò il viso e si chinò alla sua altezza per baciarla. E mentre le loro labbra si accompagnavano in movimenti lenti e passionali, l’assassino fece correre le mani sul suo corpo, fino a raggiungerle i lacci del corpetto.
Adha si staccò dalla sua bocca lentamente, ancora con gli occhi chiusi. –Devi andare…- mormorò con un filo di voce e le labbra rosse. –Il Maestro e Elena…-.
Lui non le diede tregua, bloccandole le parole in gola.
Adha tentò di sfuggire a quella presa, ma Altair la gettò dolcemente sul letto.
Nel momento in cui Altair le sollevò appena la gonna, Adha gli bloccò le mani, e lui allontanò il suo volto da quello della donna.
Adha lo guardava severa, quasi furiosa. –Sei pazzo o cosa? Di là ci sono Elena e Tharidl che stanno aspettando il tuo rapporto! Non puoi restare qui e pretendere di rimediare a quello che non è andato come speravi!- proruppe irritata.
Altair sollevò un sopracciglio, e la sua sorpresa divenne un sorriso malizioso. –Allora sono pazzo-.
Adha si scansò prima che le loro labbra tornassero a sfiorarsi e, quando Altair sollevò nuovamente il viso, questo colse negli occhi della sua donna un forte rifiuto e anche un rimprovero.
-Va bene- sospirò tornando in piedi.
-Perfetto- fece lei sedendo sul letto.
Altair indugiò ancora, rimanendo dov’era diversi istanti.
Adha schioccò le dita e indicò la porta. –Vai!- bisbigliò, e l’assassino operò per avviarsi. Sull’uscio si fermò voltandosi.
-Ti amo- disse.
-E perché, io no?- rise.

Elena lanciò un’occhiata distratta alle sue spalle, e fu colta di sprovvista nel vedere Altair venire verso di loro dalla scale.
La ragazza si voltò del tutto, e Tharidl fece altrettanto dopo di lei.
Il mastro assassino si posizionò davanti alla scrivania e proferì un inchino profondo, mentre Elena gli andava al fianco.
Tharidl alzò il mento fiero. –Sono lieto di annunciare ufficialmente che la vostra missione si è conclusa con ottimi risultati. Sottraendo dalle mani di Corrado il Frutto dell’Eden avete risparmiato la vita di innocenti, ma messo a repentaglio quella di chi era già intricato in questo circolo vizioso qual è quello del “Nuovo Mondo” cui i Templari aspirano. Non sottovalutate per nessun motivo i restanti nemici, perché la nostra gente ha risentito il peso di questa guerra abbastanza, e non potrebbe sopportare un ulteriore assedio. Corrado necessita della lama di un assassino che penetri nella sua carne, ma un assassino necessita di una lama…- Tharidl spostò i suoi occhi scuri su di lei, ed Elena non seppe perché.
-In quest’arco di tempo non gironzolerete a vuoto per la fortezza. Altair, mi piacerebbe che Elena apprendesse qualche tecnica di combattimento differente all’uso comune di una spada, perché sappiamo bene entrambi a cosa devi prepararla- disse di sottecchi il vecchio guardando l’assassino.
Altair chinò nuovamente il capo. –Mi assicurerò che il suo braccio sinistro sia ben pronto per allora, Maestro- rispose dritto e austero.
Elena perdeva facilmente il filo del discorso, non capiva a chi si stessero riferendo e di cosa stessero parlando.
-Negli ultimi giorni qui alla fortezza sono nate delle voci, su entrambi voi…- mormorò il vecchio, e i due assassini si scambiarono un’occhiata confusa.
-Cioè?- Altair fece un passo avanti.
-Credo che ognuno dovrebbe pensare con la propria testa e ascoltare la propria coscienza, poiché non mi sento in autorità per interferire- proseguì il Gran Maestro. –Ma sappiate che oltre ai miei, questa fortezza ha occhi anche di altri e siate pronti ad accogliere i passi falsi dei vostri anche più cari, vero Altair?- sorrise mesto.
Il ragazzo annuì. –Vero…- sospirò.
Elena si disse che era colpa della stanchezza, perché non si era mai sentita tanto ignorante per quanto riguardasse le ramanzine e le perle di saggezza del Maestro.
Tharidl proseguì. –Verrà discusso in sede al più presto di come procedere: il Frutto, sappiamo bene, è troppo rischioso tenerlo qui, ma altrettanto lasciare che vaghi per il Regno. Si era pensato di distruggerlo, ma molti hanno rifiutato e altri si sono dichiarati neutrali a tale decisione. Ebbene, Altair, Elena, vorrei che prendeste parte entrambi alle riunioni assieme a me e i miei saggi, affinché voi che avete avuto modo di sfiorarne i Poterei, sappiate come moderare le nostre condanne… sareste disponibili?- chiese.
Elena annuì, senza sapere il perché, annuì e Altair con lei.
-Ne saremmo onorati- aggiunse lui.
Tharidl batté le mani una volta. –Bene, ma non posso aggiungere nulla più. Tratteremo del mancante domani mattina alla luce del sole… quello vero- Tharidl soffiò sulle candele della scrivania e riavvolse il Frutto nei panni colorati. –Buona notte ad entrambi…- sorrise allontanandosi sulle scale.
Elena sospirò.
-Sei distrutta- commentò il suo maestro. –Va’ a dormire, domani abbiamo parecchio da fare- le poggiò una mano sulla spalla, e anche lui si avviò.
-Già- farfugliò lei. –Come sempre, parecchio da fare…- sbuffò e s’incamminò verso le sue stanze.

Attraversando il corridoio dell’ultimo piano, qualcosa attirò la sua attenzione, ma era un suono appena percettibile che, non appena si voltò, cessò.
Elena allungò un’occhiata tentando di vedere nel buio, ma il nero era avvolgente e troppo fitto per scorgere non oltre di qualche metro.
C’era qualcuno alle sue spalle, ne era certa. Così accelerò il passo e raggiunse le scale che portavano agli appartamenti delle Dee. Salì il primo gradino, il secondo quasi di corsa, stava per scomparire al piano di sopra, ma una voce angelica la chiamò, fermandola a mezz’aria.
-Elena-.
Il suo cuore perse un colpo, e lei tornò indietro di alcuni scalini.
Conosceva bene quella voce, che durante la sua permanenza nella setta aveva approfittato di lei. Quella voce che una volta era docile come un cucciolo e la seconda sfoderava gli artigli per prendersi quello che cacciava. Quella voce che le aveva narrato una storia, una volta, di alcuni assassini che riuscirono illesi da una missione. Quella voce che le aveva sussurrato all’orecchio che era sempre bellissima. Quella voce che l’aveva tormentata al suo arrivo, e quegli occhi, tanto simili ai suoi, che l’avevano graffiata fin dal primo momento in cui si erano incrociati.
Rhami avanzò dall’oscurità, e la sua figura bianca e nera era attraversata da fasci di luce lunare.
Non vestiva delle sue vesti, era abbigliato in modo comune e spoglio. Indossava solo la parte sottostante della divisa, senza alcun armamentario o cinghia, tra cui la cintura. Alla vita aveva legata solo la pezza rossa.
Elena stette in silenzio, ma in quel momento l’avrebbe riempito d’insulti. Tutta la robaccia che si era tenuta dentro durante la sua permanenza ad Acri e che l’aveva tormentata alla partenza. Tutto quanto, nulla escluso!
Eppure non lo fece. –Rhami- piuttosto sussurrò il suo nome, che scottò sulle labbra e la privò di tutte le forze che aveva nelle gambe e che avrebbe dovuto impiegare per scappare via nelle sue stanze.
-Sono felice che ti ricordi il mio nome- rise l’assassino.
Che battuta stupida, e solo per attaccare bottone, si disse.
-Sono stanca- trovò il coraggio di dire. –Possiamo rimandare?-.
Rhami scosse tranquillamente la testa.
Elena curvò le spalle. –Ti prego, che cosa vuoi? Non ti sei accontentato di quello che è successo? Non ti è bastato fissarmi con rabbia?- ora era lei che faceva affermazioni stupide. Era ovvio che Rhami non si fosse accontentato, chissà che cosa pretendeva ancora da lei… non volle pensarci, perché le era già troppo chiaro.
L’assassino avanzò. –Non sono qui per porgerti le mie scuse- disse.
Ma come si permetteva?! Elena aprì la bocca senza riuscire a dire nulla se non un: -Che cosa?- balbettò.
-Sai- fece lui poggiando un piede sul primo gradino della scala. – Mi sono accorto che certe volte le regole della setta sono fatte per essere infrante. Insomma, molti di noi qui ne hanno già trasgredite un paio…- si passò una mano tra i capelli avanzando ancora verso di lei.
-Non so di cosa parli- non riusciva a muoversi, quando invece sarebbe dovuta scattare, e di corsa!
Ci stava cadendo di nuovo, la trappola di Rhami stava per scattare e lei non avrebbe fatto nulla per impedirlo? Era ovvio, non ne aveva la forza, perché negare che Rhami fosse un bel ragazzo era come affermare che la terra fosse piatta. E la terra era tonda, allo stesso modo di come Rhami sapeva essere affascinante.
Ormai il ragazzo era a pochi passi da lei. –Credi che non lo sappia?- domandò lui, ma Elena non capiva davvero a cosa si stesse riferendo.
-Spiegati- sbottò frustrata da se stessa, che continuava a gridare: “VATTENE!”. Per ammazzare quel fastidio sullo stomaco, Elena prese a stuzzicarsi una pellicina del pollice.
-Possibile che tu non te ne sia accorta?- Rhami avanzava lento, passo dopo passo erano quasi sullo stesso piano. –Marhim, poverino-.
Elena gonfiò il petto. –Non tirare in campo Marhim! Lui non c’entra nulla!- digrignò.
-Tu dici?-.
Basta! Il suo tono si stava facendo arrogante e presuntuoso, ed Elena aveva sempre odiato quel genere i persone. La ragazza indietreggiò. –è successo qualcosa?- domandò, ma presto si sarebbe pentita di quella domanda.
-Mentre tu non c’eri nulla d’interessante- rispose sereno. –I guai sono cominciati al tuo arrivo. Quando non riuscivo a sopportare l’idea che quel fessacchiotto riuscisse a starti più vicino di quanto non osassi io, tutto qua- sembrava tranquillo, per niente turbato. –Povero Marhim, troppo altezzoso per abbassarsi ad infrangere le regole. Anche se la setta non vietasse certe cosette, lui non avrebbe comunque osato, ma io sì…-.
Elena era in preda alle convulsioni, e sotto gli occhi sempre più vicini e penetranti di Rhami, la sua anima s’inchinava prostrandosi al suolo, chiedendo pietà.
C’era sempre stata l’eventualità che su cinquanta assassini almeno due si scontrassero per quelle stupidaggini, e perché lei era stata così cieca? Be’, veramente non del tutto, dato che alcuni comportamenti di Rhami, fino a qualche settimana prima, le erano sempre piaciuti e l’avevano sempre fatta sentire… amata.
Ma poteva essere la veste a fare l’assassino? Certo, si disse Elena, perché il rango alto era solo una delle mille armi che Rhami aveva usato per far colpo su di lei.
C’era riuscito, perché Elena poteva sentire il suo respiro sul viso per quanto fossero vicini.
-Ora che lui è lontano…- mormorò Rhami guardandola dall’alto, ed Elena aveva il volto alzato verso di lui. –Posso capire come ti senti. Sola, diversa, incompresa…- bisbigliò.
Elena indietreggiò, e con un altro passo i suoi piedi avrebbero toccato il pavimento delle stanze private. Da lì Rhami non avrebbe più potuto interferire, sarebbe stata salva. Ma…
-Quel vecchio stupido non vuole darti il nome di tuo fratello, e tu hai bisogno di qualcuno che sappia difenderti, aiutarti…- continuò con voce melodiosa.
Che voce… sospirò Elena, e nello stesso istante, avvertì un brivido percorrerle la schiena: Rhami… lui aveva un profumo dolce-amaro che la faceva impazzire.
I suoi occhi si chiudevano dalla stanchezza, ed Elena non si reggeva in piedi.
La ragazza indietreggiò, di un altro piccolo passo, e sia lei che Rhami furono in quell’atrio della fortezza tanto segreto, tanto “incantevole”, come l’aveva definito Marhim il giorno in cui l’aveva accompagnata lì per la prima volta.
-Qualcuno come te?- riuscì a dire, ma il suo tono era insicuro e solo aprir bocca la metteva in allarme.
Rhami si chinò su di lei. –Sì- le sussurrò sulle labbra.
Era troppo… non poteva. Anche lei credeva nelle regole della confraternita e vi poneva tutta la sua anima tormentata, ma Rhami le stava chiedendo troppo. Lui le aveva assicurato protezione, ma lei non ne aveva bisogno! Altair le aveva insegnato a difendersi nel migliore dei modi, e anche il suo defunto padre aveva dimostrato di sapere istruire al meglio sua figlia! Elena non aveva bisogno di lui, non aveva bisogno di nessuno. Che Tharidl si tenesse per sé il nome di suo fratello in eterno! A lei non importava, lei era Elena, la grande Elena, la Dea e l’assassina, colei che avrebbe fatto onore a suo madre e schiaffato sulla tomba di Al Mualim che le donne potevano servire questa setta allo stesso modo degli uomini, arrecando alcun danno e senza…
Rhami le prese il collo e la tirò a sé, l’altra sua mano si allungò sulla sua schiena, stringendola ulteriormente al suo corpo caldo.
Elena non riuscì a ribellarsi, perché ancor prima di realizzare cosa stesse accadendo, Rhami l’aveva baciata in modo violento.
Elena s’irrigidì nel percepire le dita del ragazzo correre alla cinta di cuoio, che dopo pochi gesti, si rovesciò a terra nel clangore del fodero della spada e dei pugnali da lancio.
Era lui che la stava spogliando, prima delle sue armi e di seguito dei suoi indumenti, cominciando dal cappuccio, che raggiunse le cinghie e il triangolo di metallo.
Si lasciarono una scia di vestiti fino alla sua stanza, e fu Rhami ad aprire e chiudere la porta senza interrompere il bacio.
Quello che stavano facendo era assurdo, dannatamente e vigliaccamente assurdo. Non poteva succedere, non a lei! Si disse Elena, che disperatamente lottava contro se stessa per dire basta a quella follia.
Non riusciva: la sua forza di volontà era inesistente, e la pigrizia lasciò correre ogni cosa.
Rhami l’adagiò lentamente sul letto ed Elena gli cinse il collo con le braccia, mentre il ragazzo s’infilava tra le sue gambe.
Lei era quasi completamente nuda: non fosse stato per la biancheria che ancora indossava, la situazione sarebbe diventata alquanto rischiosa da tutti i punti di vista.
Rhami si levò la maglia, restando con addosso una canottiera di cotone. Interrompendo per pochi istanti il tocco delle loro labbra, Elena vide la luce.
Con grande sorpresa di Rhami, la ragazza ribaltò i loro corpi e fu lei a stare sopra di lui.
-Uh uh- l’assassino sorrise malizioso.
Elena cercò di non pensarci. -E se domani Adha venisse a svegliarmi?- domandò, ma la risposta di Rhami non si fece attendere.
Il ragazzo si allungò nuovamente verso di lei e i suoi baci le divorarono il collo.
Elena strinse con maggior vigore le federe del letto. –Rispondi!- digrignò collerica.
-Nervosetta?- continuò lui, e le sue labbra calde le lasciarono bruciature dall’incavo del collo alla sfaccettatura del seno.
-No, Rhami, no…- fece lei fermando la sua mano, prima che il ragazzo riuscisse a denudarla del tutto. –Sei uno stupido, ed io più di te che ci casco come una banana!- Elena si alzò da sopra di lui e mosse alcuni passi avanti e indietro nella stanza.
Rhami sedette sul letto. –Che problema c’è?- domandò, come fosse ovvio che non c’era nessun problema.
-Non potresti essere qui- sbottò lei arrossendo, perché l’assassino allungò lo sguardo prima sulle sue gambe snelle e poi sul resto del suo corpo. Rhami la mangiava con gli occhi, e non le piacque.
-Ma và, che vuoi che sia- sorrise. –Non lo saprà nessuno-.
-È proprio questo il punto!- la ragazza si sedette sul bordo del materasso.
Rhami alzò un sopracciglio. –Vuoi… che qualcuno lo sappia?- domandò confuso.
-No!- Elena si voltò, lanciandogli un’occhiataccia. –E mai nessuno dovrà saperlo… qui ci rimetto la carriera- brontolò.
Rhami taceva guardandola.
-Insomma, anche se ora ti senti così “trasgressivo” , quello che stiamo facendo è sbagliato- mormorò afflitta, non riuscendo a trovare parole più coinvolgenti.
Lui non disse nulla, si limitava ad osservarla.
Quell’atteggiamento la metteva a disagio, ma Elena si convinse che doveva trovare un modo per farlo sloggiare da lì.
-Guarda che mi metto a strillare- disse d’un fiato.
Rhami era silenzio.
-Sul serio!- continuò lei.

-Piantala di fissarmi!-.

-Non sei divertente-.

-Rhami, parlami…- gemé.
-Mi piacevi tanto quando portavi quella veste con tutti quelli strappi, che fine ha fatto?- domandò.
Elena curvò le spalle. –Non hai nulla da dire a parte questo?!-.

La ragazza si arrese. –Adha deve averla gettata da qualche parte, perché?-.
-Ti stava bene- sorrise malizioso.
-Io la odiavo- borbottò incrociando le gambe sul letto.
-Davvero disprezzi così il tuo corpo?- Rhami le si avvicinò sfiorandole la spalla nuda con la mano.
-Vattene- strinse i denti, ma il ragazzo trovò la forza di spingerla giù con la testa sul cuscino. Le strinse i polsi con le mani e la guardò mentre tentava di divincolarsi.
-Giuro che te la faccio pagare!- parlottò, e fece per alzare un ginocchio mirando ai punti bassi, ma Rhami si sistemò velocemente tra le sue gambe.
-E come?- prese a baciarla dovunque.
Elena stava per scoppiare a piangere. –A duello, domani! Ti taglio la testa!- tirò su col naso.
-Stai piangendo?-.
-Si nota tanto?- gli occhi le si inumidirono, e sperò tanto che quell’ultimo approccio funzionasse, perché non aveva le energie per proferire una parola in più.
Se Rhami avesse davvero voluto proteggerla, aiutarla, ora le sue labbra si sarebbero staccate dal suo corpo, ma il ragazzo proseguiva, insaziabile e senza fondo.
Era una tortura: vedere i sogni di suo padre che tanto le aveva insegnato sgretolarsi al tocco delle dita di Rhami sulla sua pelle, era una tortura.
Doveva ridursi a pregarlo in ginocchio di avere pietà di lei? Doveva abbassarsi a quel livello pur di far cessare quella follia? Elena non lo amava, e sapeva che Rhami non provava altrettanto, e allora cosa ci facevano in quella stanza, segretamente… al buio, vabbé, insomma, lì! Cosa li aveva spinti a tanto se non l’avido e lussurioso desiderio umano? Rhami era un conoscente… un bastardo, dannato, affascinante e bellissimo conoscente!
Un vigore lontano, la forza di lottare per qualcuno che era più importante di Rhami l’aiutò nella sua impresa: la ragazza lo tirò per i capelli e Rhami piegò la testa all’indietro facendosi scappare un gemito.
-Facciamo sul serio, eh?-.
-Depravato, non sto giocando!- sbottò lei tirando con più forza la ciocca che aveva in mano. Poteva dirigerlo come una marionetta, e la ragazza lo costrinse a lasciare il letto.
Elena si alzò assieme a tenendo ben salde le dita tra i suoi capelli leoneschi. –Una volta hai detto… le persone non sono giocattoli! È ora di dimostrare il vero delle tue parole!- pianse.
-Allora ero uno sciocco!- strinse i denti dal dolore. –Non avevo idea che tu potessi essere così…-.
Elena allentò un istante la presa, ma nel secondo successivo questa si fece dieci volte più robusta, quasi da strappar via quella ciocca.
-Così? Completa la frase! Così?- gli ordinò.
-Così bella! Ecco, l’ho detto! Bella! Ti piace o no sentirtelo dire? Ora se vuoi me ne vado, ma smettila che mi stai facendo male!- Rhami si piegò sulle ginocchia e strinse il polso della ragazza con una forza disumana.
Elena lasciò la presa all’istante. –Vattene, allora. Con te ho chiuso!- la ragazza arretrò, fino a toccare la parete con le mani. –Mi hai mentito per tutto questo tempo! Ero solo il tuo giocattolo! Vattene!- era sconvolta.
Rhami avanzò verso di lei con pochi passi. –Sì, ti ho mentito! Lo ammetto, ma per un buon fine-.
-Cioè?!- si strinse le braccia attorno allo stomaco.
-Devi andartene, Elena. Ti sei mai chiesta perché le altre assassine hanno rinunciato di loro spontanea volontà e solo l’ultima decise di stipulare quell’accordo? Eh? Ti sei mai posta questa domanda? No? Ebbene, prova a concepire qualcosa nella tua testolina! Se Tharidl o Adha avessero saputo di noi sicuramente uno di loro, se non tutti e due, avrebbe preso la decisione sbagliata: quella di tenerti, di perdonarti! Elena, non puoi restare qui, perché quella di essere una Dea è una condanna, non un onore!-.
-Tu come lo sai? Come fai a dirlo?!-.
-Mia madre…- Rhami si voltò e afferrò la maglia, cominciando a rivestirsi. –Lei la chiamavano Vedova Nera. Sai come uccideva le sue vittime, sai come compieva i suoi assassini quando Al Mualim le consegnava il nome dell’uomo che doveva morire?- le gridò, altrettanto spaurito.
Elena scosse la testa, ricacciando le lacrime. La madre di Rhami era stata una Dea, non riusciva a crederci.
-Prova solo ad immaginare perché si chiamava così… provaci, e quando sarai giunta tu alla conclusione, be’… fammi sapere se la sfida a duello di domani è ancora valida- uscì dalla stanza, e la sua ombra si perse nel buio del salotto e oltre le scale.




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I ringraziamenti e poi a nanna, sono le 2.03 del mattino.

Saphyra87

Goku94

Lilyna_93

Assassin e Diaras (chi tace acconsente -_-)


X goku94: su msn non ti ho detto molto, ma spero che questo capitolo ti sia piaciuto. Ecco la scenetta di cui ti parlavo.

X Saphy: sei scomparsa tutto oggi! Ma dov’eri? E come prosegue il nuovo chappo about Eve and Altair?

X Lilyna: ieri ti ho vista effettuare l’accesso ad msn diverse volte. Internet fa cilecca ancora? XD (battuta di poco gusto). Spero vivamente che questo chappo sia piaciuto a te come a tutti gli altri.

Ecco, chiarisco un piccolo punto: sì, Rhami è una sottospecie di maniaco sessuale O.O Allora un saluto veloce e… ZZZzzzzz….

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Capitolo 31
*** Soddisfazione ***


Soddisfazione






Le damigelle di Adha arrotolarono le tende, e i raggi di sole penetrarono violenti nel buio salotto delle Dee. Le due si apprestarono ad aprire le finestre e a sbattere i cuscini, mentre Adha restava immobile al centro della stanza.
La donna poggiò le mani sui fianchi e spostò il peso su una gamba.
C’era una scia di vestiti e armi seminata per il pavimento, e questa si allungava fino alla porta chiusa della camera da letto di Elena.
Adha avanzò bruscamente verso l’ingresso e aprì la porta di colpo, per nulla timorosa di cosa avrebbe trovato.
Elena era rannicchiata all’angolo del letto; la coperta intrecciata tra le gambe e i cuscini sparsi per terra, resti di un sonno agitato.
-Elena, so che sei sveglia- mormorò la donna.
La Dea si tirò su lentamente, stropicciandosi gli occhi e guardandosi attorno sperduta.
-Adha- sbadigliò stiracchiandosi. In realtà Elena non aveva chiuso occhio quasi tutta la notte, ma non poteva far altro se non biasimare se stessa.
La donna lanciò un’occhiata un po’ ovunque, accertandosi che i suoi erano stati vani pensieri. –Dormito bene?- chiese serena.
Elena annuì.
Adha andò a togliere le tende dai vetri. Aprì la finestra e una ventata fresca invase la stanza. Poi richiamò le sue due ancelle.
Le ragazze cominciarono a mettere ordine nella camera.
Adha si schiarì la voce, ed Elena incontrò il suo sguardo.
La donna si fece da parte e indicò i vestiti gettati sul pavimento del salotto. –Quella è roba tua?- domandò seria.
Elena curvò le spalle, e sull’istante le tremarono le gambe. –Sì- balbettò andando a raccogliere vesti e lacci di cuoio. Adagiò le armi sui cuscini e si avviò nel bagno a testa china.
Chiudendosi la porta alle spalle, Elena sperò che Adha non facesse nascere quel genere di sospetti, anche se qualcosa era effettivamente successo quella notte.
Non ci pensò allungo, perché finalmente trovò il modo di distrarsi impiegando gran parte del tempo a disposizione a lavarsi per bene. Una settimana lontana dalla vasca da bagno trascorsa a correre per vicoli bui e arrampicarsi sotto la pioggia… era stato divertente fino ad un certo punto.
Anche se le sarebbe piaciuto rimanere nell’acqua più allungo, Elena si costrinse ad affrettare le cose.
Si avvolse in un asciugamano, lasciò il bagno e si avviò nella sua stanza, che trovò in perfetto ordine.
La damigelle di Adha e la donna stessa si erano dileguate mollandola sola sul piano.
Elena si abbigliò di tutto punto e in una decina di minuti fu in grado di lasciare gli alloggi. Il peso della spada al fianco e gli stivali stretti ai polpacci: si tornava alla carica.

Come prima tappa Elena raggiunse la cucina.
Il locale era deserto, così la ragazza ebbe libero accesso alle dispense accanto ai fornelli, trovandovi della frutta e qualche pezzo di pane da intingere nel latte. Fece colazione lì, di gran fretta, perché non le piaceva rimanere da sola e tantomeno l’idea di non esserlo… se a farle compagnia erano certe persone.
Quando ebbe finito, Elena lasciò la scodella vuota sul ripiano, e si diresse fuori dalle cucine con lo stomaco troppo pieno.
Nel più totale silenzio delle scale, voltò l’angolo e fu investita da una confusione assordante che proveniva dai tavoli della sala mensa.
Assassini, ce n’erano una cinquantina minimo e parlottavano confusamente. La maggior parte di loro erano di rango medio - basso, e quei pochi che portavano una veste bianca erano seduti cauti in disparte, più o meno come la volta alla festa.
Tra di quelli, Elena riconobbe Fredrik che aveva il cappuccio abbassato.
La ragazza andò in quella direzione, ma tra tutti gli assassini che vide seduti al tavolo, le era familiare solo il viso di Fredrik, che si volse ancor prima che la ragazza potesse chiamarlo per nome.
-Elena- si alzò in piedi. –Hai già fatto colazione?- le chiese.
Non avrebbe dovuto avvicinarsi: a quel tavolo poteva esserci anche Rhami, che però mancava. In compenso, gli altri assassini di rango alto si allontanarono dalla mensa.
-Sì- rispose lei afflitta. Perché la sua presenza era tanto indigesta? Si chiese.
-Bene- Fredrik si guardò attorno. –è buffo, ma il tuo maestro non si è ancora fatto vedere; ora devo andare, comunque puoi aspettarlo nel cortile. Non tarderà, vedrai - disse e fece per avviarsi.
Elena osservò l’assassino sparire nei corridoi che collegavano la mensa ad altre piccole salette. Quando tutti gli occhi della mensa furono su di lei, Elena tornò sulle scale e le scese quasi correndo.
Il sole della mattina la colpì in pieno volto, si affacciò dal parapetto che dava sul cortile interno e prese un gran respiro d’aria fresca.
Gli arcieri sulle mura miravano composti l’orizzonte, le pattuglie facevano avanti e indietro senza sosta guardandosi dalla moltitudine di assassini.
Elena non poté far altro che restare dov’era, perché il cortile era pieno zeppo di incappucciati.
-Ma che diavolo succede?- borbottò lanciando un’occhiata in basso. L’arena degli allenamenti era vuota, manco a dire che qualcuno di grosso stava dando dimostrazione delle sue abilità.
La ragazza fece alcuni passi indietro, rientrando nel salone d’ingresso della fortezza. Si diresse verso lo studio del maestro e trovò Tharidl che parlava con un saggio dalla tunica bianca.
-…Tra due giorni potrebbe essere perfetto. Con il rientro di Adel da Alhepo potremmo svolgere le cerimonie in una sola volta- disse il saggio.
Tharidl annuì. –Sì, mi associo. D’altro canto, sono gli unici che mancano all’appello?- il vecchio gran Maestro le volse uno sguardo facendole segno di aspettare, ed Elena indietreggiò chinando il capo.
Il saggio riprese: -Sì. Onestamente, Maestro, molti di noi si aspettavano che i fatti si sarebbero svolti separatamente per ciascun membro- disse.
Tharidl scosse la testa. –Non entriamo nel dettaglio. Ora puoi andare- con un gesto congedò il saggio che si allontanò dallo studio.
Elena avanzò alzando gli occhi. –Allora… una cerimonia?- domandò. –Tutti quelli assassini sono qui per questo?- aggiunse.
Il vecchio Maestro sedette alla scrivania, sulla quale era poggiato il Frutto dell’Eden ancora avvolto nei suoi panni. –Sì, ma per ora non fartene alcuna ragione- disse congiungendo le mani sul tavolo.
-Adel…- pensò ad alta voce la ragazza. –Vuol dire che lui e il suo gruppo torneranno così in anticipo?- chiese ancora. Per “gruppo” intendeva dire “Marhim e Halef”.
Tharidl annuì.
-Potete dirmi di che cerimonia si tratta, o non sono tenuta a sapere?- aggrottò la fronte. Quel genere di segreti non le erano mai piaciuti.
Tharidl sospirò. –Te e alcuni assassini passerete al rango più alto, nulla di ché- proferì composto.
-Tutto qui?- fece sbigottita. –Tutta questa gente per un’investitura? Buffo…-.
-No- disse serio. –Il Tesoro dei Templari è nuovamente a rischio, ho ordinato che gli itinerari venissero sospesi anche per questo motivo-.
-Ah, ecco. Mi pareva strano!-.
-Ma la cerimonia di cui ti parlavo è da assecondare lo stesso. Non è cosa di tutti i giorni che una donna avanzi così rapidamente di rango- mormorò assorto.
-Davvero? Insomma…- abbassò lo sguardo pensierosa. –Mi stavo domandando giusto questo… i miei addestramenti stanno correndo veloci, me ne sono accorta chiaramente, e so che ho tutti gli anni della mia infanzia da recuperare. Ma Maestro… non sono un’assassina, ora?- alzò il viso.
Tharidl sorrise. –Un uomo può essere chiamato assassino se la sua mano è ancora pura?- fece gioioso, con un tono di voce profetico.
Elena curvò la testa da un lato, confusa.
-Non mi sembra di averti mai affidato una piuma, mia cara…- bisbigliò soave.
-No, infatti. Ma nella fortezza sia Adha che le sue damigelle mi chiamano Dea già da molto- dichiarò lei.
-Quel nome è pieno di sottintesi- proferì Tharidl. –Nel momento in cui tua madre ti diede al mondo saresti potuta essere chiamata Dea…-.
-E allora è dopo questa cerimonia che potrò essere chiamata così in sede ufficiale?-.
-Indovini il giusto. Temo di sì…- borbottò il vecchio.
-Perché… temete?-.
Il Maestro si sollevò dalla sedia e andò ad affacciarsi alle vetrate. –Mi ricordi tanto… troppo tua madre, troppo- mormorò.
Tacquero entrambi allungo, fin quando ad Elena non balzò in mente una domanda, che le era ronzata in testa tutta la notte.
-Maestro- chiamò, e l’uomo si voltò.
Elena indugiò un istante. –La madre di Rhami, Maestro, fu una Dea?- domandò, alzando gli occhi e fermandoli in quelli scuri di lui.
Il vecchio alzò un sopracciglio. –Tu come lo sai?- fece contegnoso, celando lo stupore.
Elena, colta in contro piede da quella domanda, indietreggiò come se da un momento all’altro sarebbe scappata. –Ecco- si morse un labbro.
Tharidl si fece ancor più serio. -È stato lui a dirtelo?-.
La ragazza tornò dritta e annuì sospirando.
-Se lo stava tenendo dentro da parecchio-.
L’assassina sgranò gli occhi.
-Non l’aveva mai detto a nessuno. Io lo sapevo perché certe cose non sono tenute nascoste al Gran Maestro, ma Rhami ha voluto da sé tenere il segreto, chiedendomi di tacere. Mi sorprende che l’abbia detto proprio a te… ma pensandoci, forse l’ha fatto per aiutarti? Offrirti il suo aiuto?- la interrogò schivo.
Elena non aveva bisogno di nessuno, ancora non era chiaro? –Non credo- parlottò rabbiosa, ripensando che era stata solo una scusa per abbordarla.
-In ogni modo- riprese il vecchio –dovresti…-.
Non terminò la frase che una colomba grigia si fece largo nella sala, il suo sbattere d’ali confusionario e spaventato si arrestò solo quando l’animale poggiò le gracili zampette sulla scrivania del Maestro. Attorno al collo, quando richiuse le ali, Elena notò che portava un messaggio stretto in una piccola capsula di vetro soffiato.
Tharidl si chinò sull’uccello e gli sottrasse di dosso il messaggio.
La colomba zampettò qua e là.
Il Gran Maestro aprì il piccolo stralcio di pergamena e dovette avvicinarlo al viso per leggere al meglio cosa vi era scritto.
Elena rimase paziente ad aspettare.
-Sono ad Acri- proferì in fine il Maestro, poggiando sul tavolo il foglietto.
-Chi?- domandò interessata.
Il vecchio mostrò tutta la sua gioia in un improvviso e luminoso sorriso. -Adel e i suoi- proferì. -Questa lettera risale al massimo a ieri, e vuol dire che sono già in viaggio e diretti qui-.
Dentro di lei si agitò una felicità immensa. I suoi amici stavano facendo ritorno.
Tharidl accarezzò le piume argentate dell’uccello, che al suo tocco gli montò sul braccio. Poi il vecchio richiuse la bestiolina nella gabbietta sullo scaffale della libreria, assieme alle altre colombe.
-Entro domani a quest’ora saranno qui. Stavo dicendo…- borbottò tornando con gli occhi su di lei. –Dovresti avviarti; ho del lavoro da sbrigare e il tuo maestro ti starà cercando-.
Elena scosse la testa allegra. –Invece era il contrario. Altair non si è fatto vedere tutta la mattina- rise.
-Concordo- parlottò tra sé e sé. -Speravo che passasse da me perché avevamo della cose di cui discutere-.
-Potrei andare… a cercarlo- propose lei.
Il vecchio annuì poco convinto. –Ma non spingerti troppo oltre. Modera le tue destinazioni- l’ammonì.
Elena rimase in dubbio sulle quelle ultime parole; nonostante ciò proferì un inchino e si avviò sulle scale.
Tornò ad affacciarsi sul cortile interno, che traboccava ancora di assassini, ma quei pochi uomini che portavano un cappuccio bianco, Elena non riconobbe né il rango pari al suo maestro; quindi non era lì.
Si avviò dentro la fortezza e cercò nella biblioteca: nulla da fare.
Salendo le scale, si fermò a controllare nelle stanza dei bambini, che trovò curiosamente vuote. Tornò nelle cucine, nella sala mensa e, quando ormai aveva perso tutte le speranze, tentò dicendosi:
-Magari sta ancora dormendo…- era poco probabile, ma tanto valeva tentare con tutte le ipotesi più assurde dato l’evenienza. Quella stanca e ancora sotto le coperte sarebbe dovuta essere lei…
La ragazza raggiunse l’ala degli appartamenti nobili in un batti baleno. Una volta nel cortile con la fontana, si ricordò alla perfezione quale corridoio imboccare e davanti a quale porta fermarsi.
Era lì lì per bussare, quando il suo braccio tornò steso al suo fianco.
Si sarebbe arrabbiato da morire, se l’aspettava! Ma dopotutto, l’aveva fatta girare in lungo e in largo per la fortezza mentre lui era rimasto (forse) a dormire. Chissà che cosa l’aveva stancato tanto…
La ragazza entrò, scostando delicatamente il primo battente.
Si affacciò all’interno e lo trovò ben illuminato di luce solare che penetrava dalle vetrate spalancate, dalle quali passava anche un rinfrescante venticello.
-Rashy!- sussurrò lei entrando del tutto nel locale, e la falchetta, con gli artigli stretti sul cornicione della finestra aperta, si voltò a guardarla coi suoi puzzi scuri.
L’animaletto emise un sibilo acuto, appena percettibile e spalancò le ali come per salutarla.
Elena sorrise, ma tornò presto a guardarsi attorno.
La stanza era schiava dell’ordine e della compostezza, cosa che Elena non aveva trovato nella sua prima venuta. Gli armadi ben chiusi e i libri riposti negli scaffali. Le carte geografiche arrotolate sulla scrivania, i tappeti lindi e impeccabili sparsi sul pavimento.
Era sicura di essere nella stanza giusta?
Sì, era nella stanza giusta, o Rashy non sarebbe là a fissare il panorama dalla finestra.
Elena non sapeva dove altro cercare quando, distrattamente, il suo sguardo cadde sulla scala che portava al soppalco.
Ne valeva la pena di fare qualche gradino constatando che era una gran deficiente se pretendeva di poter ficcanasare nella stanza del suo maestro così? Ovvio.
La ragazza si arrampicò silenziosamente fino ad affacciarsi solo con il busto sul soppalco.
Vuoto.
Il letto era rifatto, c’erano dei testi impilati su una piccola e bassa libreria e una candela spenta sul comodino. Il tutto avvolto da una luce più soffusa perché i raggi del sole non arrivavano fin là su.
-Che cosa stai facendo?-.
La ragazza sobbalzò, perse l’equilibrio e l’unica cosa che vide fu la scala allontanarsi, mentre la sua schiena cadeva dritta dritta verso il pavimento.
Altair l’afferrò svelto e senza sforzo per i fianchi, poi i piedi di Elena toccarono terra.
L’assassina si scansò di colpo voltandosi. –Maestro-.
-È quasi tutta la mattina che ti cerco- rispose lui. Il volto celato dal cappuccio e le armi indosso. –Si può sapere che cosa stavi facendo qui?- sbottò furioso.
E così era lui che la stava cercando? Insomma, si erano rincorsi per la fortezza entrambi tutta la mattina? Ma che scemi, si disse…
Elena fece un passo avanti. –Mi spiace, ma anche io vi cercavo! Sono stata nella biblioteca, nello studio del maestro, nelle stanze dei bambini, ovunque!-.
-Altrettanto- parlottò lui confusamente, in piedi davanti all’ingresso. –Andiamo, oggi non abbiamo tempo da perdere- le disse facendosi da parte.
La ragazza si avviò nel corridoio, e Altair, prima di chiudere la porta della sua stanza, attese che Rashy si posasse sulla sua spalla.
Una volta nel cortile interno, l’aquila si levò in cielo con un grido, e la massa di assassini lì riunita tacque.
Eh no… si disse Elena seguendo il suo maestro fino all’arena per gli allenamenti.
Quell’improvviso mutismo… Elena si sentiva avvolta, graffiata e violentata da quelli sguardi tutti o la maggior parte puntati su di loro.
Al passaggio del mastro assassino, la calca si snodava e lo lasciava continuare indisturbato, mentre Elena, alle sue spalle, avvertiva l’aria mancarle poiché stesse trattenendo il respiro.
Non le andava a genio che dovessero allenarsi davanti a tutta quella gente che non aveva un cavolo da fare se non spettegolare ulteriormente su di lei. Già la voci giravano, e con quell’ennesima comparsa in pubblico, la ragazza non sapeva come avrebbe tirato avanti nelle prossime 24 ore.
La verità era che le mancava Marhim; le mancava il suo sorriso che le dava forza e le mancavano i suoi abbracci quando si convinceva di non farcela.
Altair entrò nel recinto balzando oltre la staccionata, sfoderò la lama corta e restò impalato ad aspettare che Elena facesse lo stesso.
La ragazza non mosse un piede più avanti per diverse manciate di secondi, fin quando non fu il suo maestro a riportarla con la mente sul pianeta Terra.
-Elena- la chiamò.
Eppure non le piacque, perché subito dopo quelle poche sillabe pronunciate, tra la folla alle sue spalle, Elena avvertì nascere un brusio costante e ripetuto, alquanto fastidioso.
La ragazza avanzò, accedendo lentamente all’arena e, con movimenti dimezzati, sguainò la piccola arma.
Voleva far cessare quel brusio innervosente, e l’unico modo era lasciare senza parole tutti i presenti, ovvero combattere.

Non seppe se riuscì nel suo intento.
Erano ore o minuti che si esercitavano nel cortile, alternando l’uso della lama corta a quello della spada. Poco prima avevano interrotto per rinfrescare le nozioni con i pugnali da lancio, ma la cosa si era conclusa presto. Durante l’itinerario ad Acri, Elena aveva affinato parecchie delle sue qualità, tra cui la mira e il lancio dei coltellini. Senza volerlo, il suo stile di combattimento era diventato più classificato e meno rozzo. I suoi colpi andavano spesso a buon fine, i suoi pugnali facevano sempre centro. Altair non aveva motivo di non essere fiero della sua allieva, che sicuramente aveva appreso così velocemente da lasciarlo anche piuttosto stupefatto.
-Sei troppo rigida; accompagna il movimento con le gambe- le diceva sempre.
Ed Elena ascoltava, annuiva, sorrideva e di seguito lo rendeva ancor più sorpreso dei suoi risultati. Imparava troppo in fretta, si disse, perché sarebbe venuto un giorno in cui molte cose sarebbero cambiate. Il giorno in cui sarebbe stata una vera assassina, preda della solitudine e dello sconforto che solo togliere la vita altrui può portare. Solo allora sarebbe stato tutto più difficile, le scuola superiore che tutti temevano, il rango a cui quasi non voleva aspirare. Ma l’avrebbe fatto per sua madre e suo padre, e dimostrare che la sua famiglia aveva donato a questo mondo pullulante di guerra e ignobili bastardi una nuova, poderosa e ben affilata arma tagliente: una Dea.

La ragazza schivò il colpo piegando le ginocchia e, alzando svelta il braccio, menò un pugno con la mano sinistra al costato del suo maestro.
Altair indietreggiò, sorpreso da quell’offensiva, ma senza dare alcun segno di dolore. –Però- gioì.
Elena tornò dritta. –Non avrei dovuto, scusate!- disse avvilita, ma il suo maestro l’aveva messa in condizione di respingere l’attacco solo in quel modo.
-Non scusarti, non mi aspettavo che avresti reagito così, anche se era quello che volevo facessi- disse, massaggiandosi il punto colpito.
Elena aprì e chiuse il palmo libero sgranchendosi le nocche. –Come mai?- domandò.
-Non sempre avrai a disposizione un’arma, e quando ne possiederai una in particolare dovrai essere in grado di usarla- dette quelle parole, l’assassino fece scattare la lama nascosta che fuoriuscì dal suo polso in un sibilo metallico. La lama stette all’aperto frazioni di secondi, perché l’uomo, con un semplice tocco, la richiamò all’interno del fodero celato dai lacci del guanto.
Impressionante, ma possibile che Altair si stesse riferendo a quell’arma?
Elena si guardò il braccio sinistro, distendendo le dita della mano e voltando il palmo verso l’alto. Possibile che un giorno anche lei ne avrebbe posseduta una?
-Forza e coraggio- Altair le venne vicino. –Intendi proseguire l’addestramento?- aveva tono pacato, ma che tendeva all’affettuoso.
La ragazza annuì, pienamente convinta.
-Ottimo- l’assassino si stanziò e i due ripresero lo scontro.
Il cielo azzurro, la brezza fresca e il silenzio della folla. Quel giorno stava diventando piacevole, e alquanto divertente.
Riuscì a pieno nel suo intento, poiché più volte costrinse il suo maestro a faticare per rivalersi nello scontro, e quelle volte gli assassini che presenziavano nel cortile si cimentavano in un gradito silenzio.
In fine, Altair fece scivolare la sua piccola lama contro quella di Elena, afferrò il polso della ragazza e la fece voltare, portandole il braccio dietro la schiena.
Elena trattenne il gemito, ma il suo maestro le puntò la spada corta alla gola. –Situazione familiare?- chiese ridendo, e il suo fiato affaticato le arrivò sul collo.
La ragazza soffocò una risata. –Sì- disse allegra, e l’assassino lasciò che si divincolasse.
Elena tornò dritta facendo scricchiolare le ossa della schiena e slogando le spalle.
Altair la guardò divertito. –Fai progressi ma rimango sempre il migliore-.
Elena ricambiò il sorriso luminoso del suo maestro con altrettanta gioia.
Altair rinfoderò la lama. – Ora…- si guardò attorno. –Mi piacerebbe tanto che qualcuno…- disse.
La giovane sobbalzò. –che qualcuno?- era confusa.
Il suo maestro le lanciò un’occhiata da sotto il cappuccio. –Mi piacerebbe tanto che qualcuno ingaggiasse con te non un addestramento, ma un duello vero e proprio. Nessuna esclusione di colpi e mettiamo da parte le regole accademiche, vorrei che imparassi a fare sul serio- disse accigliato.
La ragazza annuì. –Ebbene?-.
-Ebbene- proseguì l’assassino passeggiando per l’arena. –Lascio a te scegliere il tuo avversario. Uno qualunque, novizio o Angelo che sia! Avanti, me compreso- ridacchiò malizioso.
Elena ci pensò.
-Vo…- stava per dire “voi”. Voi riferito al suo maestro, ma il suo sorriso di sfida si spense lentamente, mentre i suoi occhi azzurri scorrevano tra la folla in cerca di quelli che li somigliavano.
Quando il silenzio cominciò a farsi intollerabile anche per il suo maestro, questo mosse un passo avanti. –Vuoi che scelga io?-.
-Rhami- disse solo in sussurro. –Rhami- ripeté meno incerta.
Altair si arrestò dov’era, ma non assentì. Si voltò verso la calca attorno alla recinzione. –So che hai sentito, ragazzo! Puoi anche venire avanti, ma non ti è concesso rifiutare!- rise.
Era stato lui a chiederle se l’invito a duello era ancora valido, dunque sì, lo era. Era ora di tener fede alle sue parole, di menare qualche colpo a quel ragazzino presuntuoso e arrogante.
-Non ho mai avuto intenzione di tirarmi indietro!- rispose Rhami, ma alle orecchie di Elena giunse solo la sua voce, perché la figura del ragazzo era celata tra la folla di assassini.
Altair le andò affianco. –Ne sei sicura?- le chiese.
-Certo. Avete qualcosa in contrario, maestro?- rise lei.
-No- Altair tornò a scrutare i volti dei presenti.
Rhami avanzò verso l’arena con passo deciso, ed Elena incontrò i suoi occhi di ghiaccio.
Il ragazzo saltò la staccionata e sfoderò la spada. –Sarà un vero piacere- arrise maligno.
-Mi associo!- fece Elena contegnosa traendo dal fodero la sua arma.
Altair si allontanò dal centro del campo e sedette sulla ringhiera di legno. –Cominciate- li disse.
-Eri così impaziente?- assentì Rhami.
Elena disprezzava il suo atteggiamento menefreghista. –Se la metti in questo senso- tenne il suo sguardo accattivante, e c’era una sfida anche in quei piccoli gesti.
-Perché umiliarti combattendo con me?- domandò il ragazzo alzando le spalle.
-Me lo devi, ricordi?- lei strinse i denti.
-Che furore…- commentò l’assassino.
-Che tu possa bruciare all’Inferno…- ribatté lei.
-Accanto a te?- sbottò divertito.
Elena si sentì attraversata da un brivido. Quanto avrebbe pagato pur di poterlo decapitare lì, sul momento! Strinse con più forza l’impugnatura dell’arma. –Fatti avanti!- gridò lei.
Altair sgranò gli occhi. –Che sta succedendo?- domandò sospettoso lanciando un’occhiataccia al ragazzo.
Rhami lo ignorò e fece un passo verso di lei.
Elena gli puntò la spada contro. –Te la sei cercata!-.
-E ne sono tanto, tanto felice!- lui l’attaccò, con un colpo ben piazzato all’altezza dei fianchi ed Elena fu costretta ad indietreggiare.
Il suo avversario menò un nuovo affondo, ma la ragazza lo parò con facilità. Spinse via la sua spada, e Rhami si trovò in breve disarmato. –Ma che cavolo…- borbottò lui.
Elena scoppiò in una fragorosa risata. –Ti sei lasciato prendere… dall’emozione?- avvicinò il volto al suo.
-Può darsi- alzò un sopracciglio.
La ragazza sorrise. –Ho già vinto?-.
-No-.
Rhami scartò di lato con un balzo e la tirò per il braccio. Elena lasciò la presa sulla spada che passò nelle mani del suo avversario. Questo la minacciò alla gola. –Sorpresa!- gioì con il viso poco e nulla distante da quello di lei.
Elena alzò una gamba e lo spinse via con un calcio. Gli saltò incontro e gli sottrasse la spada di mano.
La ragazza rinfoderò poi l’arma ed estrasse la lama corta. Quando tornò addosso al suo avversario, Rhami schivò con un saltello, ma Elena non gli diede tregua e menò un colpo alto.
Il ragazzo levò il braccio sinistro e la sua lama nascosta andò ad impedire che Elena gli infilzasse la spalla. –Anche questa è abilità, non trovi?- rise lui.
Elena restò sbigottita di quel gesto tanto veloce: il meccanismo pareva essersi innescato da solo, eppure i movimenti di Rhami più di una volta erano stati capaci di sorprenderla.
La sua lama corta spingeva contro quella nascosta dell’assassino che, senza attendere un secondo di più, utilizzò la mano libera per sottrarle l’arma.
Quando ritrasse la lama nel polso, Elena finì per perdere l’equilibrio e cadere tra le sue braccia.
-Ben tornata…- le mormorò Rhami assaporando il suo profumo, ma Elena non riuscì a divincolarsi  dalla sua presa, incredibilmente salda e possessiva.
-Ehi, Don Giovanni! Vedi di tenere le mani apposto!- gridò qualcuno dalla folla, mentre altri ridevano.
-Rhami vecchio Rhami!- ridacchiò un assassino.
-Scendi dalle nuvole!- disse qualcun altro.
Altair si alzò d’un tratto dalla staccionata. –Basta così!- era irritato da quel genere di comportamenti. –Se sei qui per combattere, bene; sennò Rhami puoi anche lasciare questo cortile!-.
Il giovane assassino ebbe solo il tempo di aprire la bocca, proferendo parole mute, mentre il suo viso veniva attraversato da un’espressione di dolore extremis.
Elena aveva mirato lì in basso, con una ginocchiata ben assestata, e le braccia del ragazzo si erano sciolte dai suoi fianchi permettendole di indietreggiare col sorriso soddisfatto.
Rhami si rovesciò a terra in ginocchio, portandosi le mani tra le gambe. –Maledetta…- strinse i denti fulminandola con un’occhiataccia. Alla malizia e al furore dei suoi occhi azzurri si sostituì uno sguardo che sapeva solo impietosire.
Forse aveva esagerato?
-Nah- si disse Elena andando a recuperare la sua lama corta da terra, accanto al ragazzo.
-Soddisfatto?- gli mormorò all’orecchio.
Rhami la guardò senza fiato. –hai vinto!- la voce incrinata dal dolore, la stessa voce che non era più tanto angelica. –Maledetta Dea, hai vinto!-.
Elena si avvicinò al suo maestro rinfoderando la lama nel fodero sulle spalle.
Altair sorrideva divertito a braccia incrociate. –ben fatto- le disse.
-Se lo meritava- borbottò la ragazza tra se.
-Hai perfettamente ragione. È sempre stato parecchio strafottente- Altair avanzò verso il giovane al centro del campo.
Rhami si sollevò lentamente, e il suo volto fu attraversato diverse volte da scosse di dolore.
-E tu dovresti imparare a non sottovalutare certi tuoi punti deboli. Soprattutto quando combatti una Dea- gli disse.
Rhami chinò il capo, ma non riuscì a drizzare le spalle dal dolore persistente al cavallo. –…certo- balbettò. –Me lo ricorderò…- aggiunse.
Elena sarebbe scoppiata a ridere da un momento all’altro, sbellicandosi allo stesso modo di come si divertivano gli assassini tutt’attorno nel cortile.
-Che ti serva di lezione- Altair gli diede una pacca sulla spalla e al giovane scappò un gemito.
Rhami si allontanò tutto dolorante come se gli avessero rovesciato addosso tonnellate di pietre, e sparì tra la folla che gli fece largo, al poveretto.
La massa di assassini si disperse per la fortezza lentamente, chi diretto a pranzo e chi invece altrove, come in città, al mercato o nelle proprie stanze.
-Noi abbiamo finito?- domandò la ragazza quando il suo maestro le fu di nuovo affianco.
-Non so, tu che dici?- sorrise.
Lei annuì.
-Allora sei libera, te lo meriti- dicendo così le strinse una spalla e si allontanò dal cortile, avviandosi nella roccaforte.
Elena si guardò attorno. Prese una grossa boccata d’aria fresca e riempì i polmoni di un immenso senso di soddisfazione.




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Novità: Elika non posò codesto capitolo non alle 3 del mattino, ma intorno alle 18.30, mi pare. Sì, sì. Dunque, che dire? Rhami, vecchio Rhami, te lo meriti! E te la sei davvero cercata, mascalzone… parlo come mia nonna. Ma tornando al dunque. Ecco un nuovo capitolo più corto della media ma che spero vi sia piaciuto. Certo, anche qui sembra tutta una situazione di “passaggio” ed è così. Elena ha appena staccato dal vivo dell’azione, e volevo farle prendere fiato… Soddisfazione? Che cos’è questa parola? Un nome, ovviamente in analisi grammaticale. XD Allora… Ora passo ai ringraziamenti.

GRAZIE AI MIGLIORI UTENTI DI QUESTO SITO:

Saphira87
goku94
Lilyna_93
Carty_Sbaut

X Saphi: non c’è molto da dire, se non che mi sto cimentando a cercare qualcosa da scrivere nel presente, insomma nell’Abstergo… e devo dire che mi trovo alquanto a corto di idee. Sia da un punto di vista di “azione” che da un punto di vista “sentimentale”. Sì, sono saltate fuori le vere mansioni delle Dee, e be’… sinceramente metterò un piccolo punto più grosso nel prossimo capitolo, su questo. Col ritorno di Marhim, la cerimonia, e tutto il resto… Spero che ti sia piaciuto questo giovane allocco chappo!

X Lilyna: Non c’è molto da dire… mi mancano le tue recensioni ç__ç

X goku94: su msn ti faccio sempre una CAPA COSI’. Ovviamente sia per quanto riguarda la tua ff che quando aggiorno le mie… insomma, sei il primo a saperlo e il primo a correre a leggere! (assieme alla Saphi). Recensisci anche questo o ti sei stufato di dirmi quanto scrivo bene? *__*

X Carty_Sbaut: nuova lettrice, grazie e sono contenta che la mia ff ti piaccia. Mi dispiace così tanto per Lilyna, ma io qui mi sento male se non scrivo e non poso tutti i giorni qualcosina! Comunque, spero che continuerai a seguire la mia storia, che man a mano che va avanti sta diventando sempre più ben scritta e interessante !!! *__* anche per me!!! ù.ù

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Capitolo 32
*** Le sue Cronache, tra le sue braccia ***


Le sue Cronache, tra le sue braccia






Nel pomeriggio, dopo pranzo, Elena si recò nella biblioteca.
Trovò la sala alquanto silenziosa e spopolata; chissà dove erano tutti quei saggi che di solito si aggiravano per quelli scaffali, si chiese. O meglio, chissà dove erano andati a far casino tutti quelli assassini!
La ragazza curiosò un po’ in giro, adocchiò qualche testo interessante e ben presto raggruppò tra le braccia un mucchietto pesante di libri. Poggiò il tutto sul tavolo al centro della biblioteca, dove fu sorpresa di trovarvi due giovani incappucciati con la testa china sulle le pagine.
La ragazza li osservò in silenzio e immobile, ma i due parevano molto assorti, così si sedette a distanza e cominciò a sfogliare qualche riga.
La luce del sole penetrava dal grosso lucernario sul soffitto e allungava i suoi raggi magnifici per tutta la biblioteca. Si diffondeva il canto degli uccellini appollaiati sul tetto, assieme ai bisbigli indistinti di altri possibili visitatori della biblioteca.
Il pulviscolo atmosferico e la polvere galleggiavano nell’aria minuziosamente, ed Elena starnutì.
Uno dei due si voltò a guardarla solo un istante prima di tornare allo studio.
La ragazza si concentrò sulle parole di ciò che stava leggendo e scoprì quel testo parecchio interessante.
Erano le cronache di un assassino dal nome anonimo. Elena lesse l’intestazione con attenzione e scoprì che costui nell’anonimato aveva scritto di sua mano quel testo sperando che qualcuno lo leggesse. Ebbene, Elena ora c’era ed era tanto curiosa di sapere come se la passava un assassino di medio rango durante i suoi primi addestramenti.
Lesse che il poveretto era stato strappato dalla famiglia a soli cinque anni. I suoi genitori l’avevano dato disperso quando il piccolino si era allontanato dalla madre mentre ella faceva compere nel mercato di Damasco. Il giovane si era allontanato dal centro della città finendo nei distretti poveri, ove si era imbattuto con un soldato ubriaco che gli aveva puntato la spada contro.
Lì era intervenuto un assassino, e da quel momento il piccolo ragazzo non si era più allontanato dal suo mentore.
Elena lesse interessata di come questo assassino divenne presto il suo maestro. Egli veniva nominato dall’autore come il “Dio”. Perché l’anonimo scrittore narrò in quel testo che Elena lesse con tanta voracità di aver imparato da lui così poco da poter essere nominato solo “Angelo”. L’anonimo assassino aveva scritto di voler aspirare alla sua bravura, ma Elena era curiosa di sapere in primis quale fosse il nome di entrambi, sia allievo che maestro.
L’allievo era cresciuto al fianco del Dio durante tutti i suoi anni di gioventù, apprendendo da lui ogni qual si voglia uso d’armi. Elena arrivò al nono capitolo senza troppa fatica e con ancora tanta voglia di leggere dentro che nessuno l’avrebbe potuta fermare.
Questo paragrafo delle Cronache l’aveva scritto con tanto amore il Rafik di Gerusalemme di venti e più anni prima. Egli narrava delle missioni compiute dell’allievo e di come questo apprendesse alla lettera i consigli del suo maestro.
Elena pensò alla sua permanenza ad Acri e a come il Rafik si era impegnato nell’aggiornare repentinamente sia le sue che le Cronache di Altair. Era un uso comune, si disse, perché nell’ala della biblioteca ove aveva trovato il testo anonimo, aveva pescato molte Cronache di tanti altri assassini, soprattutto anonimi.
Elena, immersa fino al collo nella lettura e persa tra l’inchiostro delle parole, lasciò che il tempo corresse via senza che se n’accorgesse.
Uno dei due assassini si allontanò dal tavolo con il libro sotto braccio e lasciò la biblioteca.
Elena alzò gli occhi dagli scritti e lanciò un’occhiata al ragazzo rimasto lì a leggere come lei.
Questo incontrò il suo sguardo e sorrise da sotto il cappuccio, poi tornò allo studio.
Elena notò che era di rango piuttosto alto: quasi paro al suo maestro e gli mancavano solo i cinque pugnali da lancio sulla spalla. Il volto giovane e serio celato dall’ombra scura del cappuccio, gli occhi assorti nella lettura.
La ragazza non si lasciò distrarre ulteriormente, ma quando si accorse di essere arrivata all’undicesimo capitolo e lesse la prima riga, sobbalzò.
Questa frase iniziava con un discorso diretto dell’anonimo autore. Diceva: “Kalel diede me un gran dispiacere. Non credei possibile quello che aveva fatto. Il mio Dio diede me un gran dispiacere…”.
Si stava riferendo a suo padre, Elena l’aveva inteso bene, ma possibile che Kalel avesse salvato quel ragazzo dal soldato ubriaco e fosse stato poi suo maestro? E se quelle fossero le Cronache di suo fratello? No, non poteva essere, quel testo non apparteneva al suo fratello occulto dall’anonimato. Egli non aveva mai avuto una famiglia a Damasco. Elena comprese che suo padre, nei tempi della sua massima maestria, aveva dato insegnamenti ai novizi allo stesso modo di come Altair stava facendo con lei. Elena lesse le parole dell’allievo di suo padre con cura, cercando di estrapolare da quelle complicate riflessioni personali cosa l’avesse turbato tanto.
Scoprì che l’anonimo si stava riferendo all’amore nato tra Kalel e la Dea Alice, che l’anonimo chiamava la “Serpe”.
Ecco spiegato il tatuaggio che Elena portava sul braccio sinistro.
“Serpe assisteva ai miei allenamenti, Serpe mi derideva quando il mio Dio mi batteva a duello, Serpe era alla mensa seduta sempre accanto al mio Dio, Serpe, Serpe, Serpe! Sfidai Serpe a duello. Serpe mi schiacciò a terra e il mio Dio rise di me. Serpe era … una Serpe…” le parole di un assassino tormentato dalla presenza assidua di una Dea troppo piena dal suo amore. Quel punto di vista le fece male, perché scoprì che Kalel era stato parecchio ingiusto con il suo allievo. Non riuscì a credere che quella Serpe così piena di sé fosse sua madre, ma forse l’anonimo scrittore aveva gonfiato a suo vantaggio la storia, esprimendo un giudizio che traboccava di rabbia e furore a causa degli allenamenti sprecati e il tempo perso.
Elena lesse di quanto l’assassino fu felice dell’esilio di Kalel e Alice, ma quel punto fu troppo.
La ragazza chiuse il libro con violenza e lo andò a mettere al suo posto, esattamente dove l’aveva trovato. Tornando a sedersi, si ritrovò da sola in tutta la biblioteca.
Meglio così, si disse alzando le spalle, e aprì il prossimo libro guardandosi attorno circospetta. Eppure non si sentiva affatto sola, anzi…
Questo nuovo avvincente testo erano le Cronache di un assassino poco convinto di quello che faceva. Si lamentava spesso nella maggior parte dei capitoli, di quanto uccidere fosse la cosa più straziante del mondo, insomma, dopo tutto… l’autore anche questo anonimo, sembrava vedere il lato apocalittico della confraternita. Nei suoi scritti, nella sua calligrafia tremolata e incerta, Elena colse la paura angosciante della prossima missione, e il timore di stringere tra le mani una nuova piuma linda da macchiare.
Quando si fu stancata anche di quel medesimo testo senza informazioni interessanti, Elena si costrinse a mettere apposto tutti i libri fin ora scelti e a cominciare da capo la ricerca.
Saziò la sua curiosità in un’ala nascosta della biblioteca, dove grandi scaffali polverosi erano chiusi da spesse grate di metallo, cui era possibile accedere senza alcun tipo di serratura o chiave. Così Elena allungò una mano e passò il dito sui dorsi dei testi, scorrendo con gli occhi i titoli più interessanti.
Da un sondaggio ben accurato, la ragazza scoprì che quelli scaffali traboccavano di Cronache scritte sugli assassini più abili, o meglio quelli di rango alto e che aspiravano all’omicidio perfetto.
Elena sobbalzò.
Mancavano dei testi, in un angolo in basso a destra. Gli spazi vuoti erano attraversati da ragnatele e sopraffati dalla polvere, e il buio lasciava i fori necessari per inserirvi due grossi volumi.
Ecco le Cronache mancanti che la spia aveva pensato bene di portare a Corrado.
Già, la spia… cacciò quei pensieri, non le andava a genio di rovinarsi la giornata, anche se avrebbe dovuto dire a Tharidl chi si celava nell’anonimato e sgattaiolava per la fortezza rubando informazioni preziose. Avrebbe dovuto spezzare la catena svelando il nome di Minha. In lei si muoveva il timore che non fosse realmente lei. Insomma, parlandoci chiaro, quella volta Corrado aveva utilizzato il Frutto dell’Eden per generare l’illusione di suo padre ancora vivo. Come poteva sottovalutare il fatto che anche la visione di Minha poteva essere scherzo del Potere del Frutto? Se Corrado l’avesse fatto apposta indirizzando le sue accuse contro una donna innocente? Cacciò quei pensieri.
Elena si chinò in ginocchio e notò che, accanto a quei fori scuri, c’erano altri testi che portavano un solo nome: Altair.
La ragazza afferrò il primo tra tutti i volumi e si sedette nell’angolo tra lo scaffale e la parete di pietra. Incrociò le gambe e aprì ad una pagina qualunque…

Giorno del peccato. Ha ucciso.

Titolo interessante, pensò lei con malinconia.


Mondo che brucia, fiamme eterne che lo avvolgono. Il Rafik non può aiutarlo, è solo a questo mondo e nessuno può aiutarlo. È marchiato a vita, e il suo animo si perde nell’oscurità. Mi ha chiesto lui di scrivere questo. Ha ucciso.


Elena chiuse il libro lentamente.
Non avrebbe dovuto, insomma… quanti avevano osato leggere quelle pagine? Se c’era una grata, poteva altro non essere un avvertimento, un gran cartello con scritto: alla larga, questi testi possono indurre alla depressione.
E così era, perché leggere sarebbe stato disonorevole nei confronti delle persone cui appartenevano quelle parole, ma anche straziante da un punto di vista oggettivo per il lettore.
La ragazza si sollevò afflitta.
La curiosità l’avrebbe lacerata, ma non poteva, si disse che non poteva. In fondo al suo cuore, sapeva che avrebbe scoperto molto se avesse continuato a leggere, ma quel troppo sufficiente per lasciarle dentro un vuoto immenso.
Ripose il libro dove l’aveva preso e s’incamminò verso il centro della biblioteca, sedette al tavolo e congiunse le mani sul ripiano.
Rimase in silenzio, lanciò un’occhiata a quelli scaffali tanto ombrosi, ma si riscosse, perché ci stava ripensando.
-Elena-.
Voce familiare la chiamò e la ragazza si voltò … parli del diavolo, spuntano nel corna, pensò.
Altair le venne al fianco ed Elena si alzò, cogliendo l’espressione del suo maestro alquanto seria e contenuta.
-È successo qualcosa?- domandò con innocenza. L’aveva vista! L’aveva beccata! Ahi, ahi…
L’assassino tacque pensieroso, poi disse: -Ti ricordi di aver preso un certo impegno, vero?- chiese.
Elena scosse la testa. –Quale?- fece stupita. Quale a parte diventare una Dea, servire e riverire la setta, ammazzare, combattere, allenarsi, farla pagare a Rhami. Cancellò l’ultimo punto: già fatto.
-Il Maestro vuole che assistiamo al raduno per discutere del Frutto- proferì rigoroso.
Elena impallidì. –Sì, è vero… ho accettato- ora ricordava. Ma quella notte le erano passate per la mente tante altre piccole novità che non aveva avuto modo di riflettere più di tanto su questa nuova responsabilità.
Curvò le spalle. Le sarebbe piaciuto avere altro tempo libero, ma la sua stupidità (nell’aver accettato l’incarico) chiamava a rapporto.
Altair addolcì lo sguardo e le perse il mento in una mano, sollevandole il viso. –Sei sicura? Puoi anche rinunciare, non sarò certo io ad obbligarti-.
Elena lo fissò negli occhi alcuni istanti, e in testa le si agitarono le poche parole appena lette. –Ecco…- mormorò, ma ricacciò quell’insicurezza e quei pensieri, allontanando il braccio dell’assassino da lei. –No. Verrò alla riunione e farò la mia parte. Ho tanto da… dire a riguardo- pronunciò compiaciuta.
Il suo maestro annuì e si avviò; Elena lo seguì.

Il convegno aveva luogo in una delle sale secondarie e che circondavano quella delle cerimonie. Vicino all’ingresso principale del salone, erano radunati una dozzina di saggi dalla veste bianca, alcuni assassini di rango alto e delle guardie, immobili davanti ai battenti ancora chiusi. C’era un gran baccano di sussurri, voci e chiacchiere che si diffondeva per tutta la fortezza.
Altair si fermò ed Elena arrestò il passo al suo fianco.
-Reggimi il gioco, quando saremo dentro- disse lui.
-Quale gioco?- domandò confusa.
-Fidati, e forse otterremo quello che vogliamo-.
Elena scosse la testa. –Quello che vogliamo o… quello che volete voi?- squadrò il profilo perfetto del suo mentore.
-Quello che è meglio per tutti- sbottò lui voltandosi.
All’appello mancava solo il Gran Maestro, che comparve dopo poco alle loro spalle.
Con lui, avanzò tra la folla Adha che portava un cofanetto di legno decorato stretto in grembo.
Elena colse un gioia luminosa affiorare sul viso del suo maestro. Chissà cosa stava pensando.
La donna indossava un abito bianco con ricami purpurei e i capelli legati in una treccia che le cadeva sulla spalla. Il viso sereno ma serio, le labbra carnose strette in un sorriso tra fierezza e timore.
Tharidl Lhad schiuse i battenti della sala e la calca di illustri saggi e assassini si rovesciò nella stanza, andando ad occupare in silenzio i posti attorno alla lunga tavolata unica.
Le guardie si sistemarono accanto alle vetrate enormi che davano sul cortile interno, circondarono le pareti della sala, e stettero immobili come statue.
Saggi e assassini si alternarono di posto ed Elena fu costretta a prendere parte al tavolo con accanto due vecchi omuncoli bassi quanto lei.
Adha a capo tavola da un lato e Tharidl dall’altro.
Il raduno ebbe inizio.
Un saggio si levò in piedi senza attendere. –Teniamolo qui! Non c’è altro luogo cui disponga della sicurezza necessaria! Il nostro esercito è meglio attrezzato ad un combattimento!- sbottò.
Un assassino prese la parola. –I nostri fratelli a Gerusalemme sono abbastanza neutrali! Mandiamolo lì- gridò.
-Non se ne parla!- saltò in piedi un altro Angelo. –Propongo di lasciare che i Falchi lo portino in Italia! Abbiamo una sede lì abbastanza celata nell’ombra, se ne prenderanno cura a dovere- disse.
-In Italia?- rise un saggio alzandosi. -Quella terra tormentata dalle rivolte e preda di piccoli e frammentati regni feudali che crollando di continuo sotto il potere altrui?! Neppure morto permetterei una cosa del genere!-.
Il saggio che aveva parlato per primo soffocò una risata. –Ha ragione, in Italia…-.
Elena si strinse nelle spalle, sentendosi piccola piccola.
Altair era seduto alla destra di Adha, che tra le mani stringeva possessiva il cofanetto tanto prezioso.
I due amanti si sussurrarono qualcosa che la ragazza non colse, ed Elena lanciò un’occhiata al capo opposto del tavolo, ove Tharidl taceva fermo.
La sala fu preda del caos in poco tempo, mentre tre fazioni contendenti si schieravano gridando ai quattro venti il loro volere.
C’era chi voleva tenere il Frutto a Masyaf, unica sede centrale che tenesse abbastanza uomini da poter respingere un attacco.
Altri sostenevano che venisse portato… perché in Italia non le era tanto chiaro!
Gli ultimi, una piccola minoranza, chiedevano che il Frutto viaggiasse senza sosta per il Regno come avevano deciso alla morte di Al Mualim.
Qualcuno diede con violenza un pugno al tavolo, che barcollò attirando l’attenzione e il silenzio dei presenti.
Elena si voltò, e vide che il suo maestro si era alzato e aveva entrambi i palmi aperti poggiati sulla superficie di legno. Lo sguardo basso, la schiena dritta. –Basta! Basta!- serrava i denti.
Adha lo guardò sbigottita. –Altair…- mormorò la donna, alquanto stupita.
Elena s’irrigidì quando Altair alzò gli occhi e li passò svelti su di lei. Sentì un brivido percorrerle la schiena, e deglutii. Perché la fissava?
Altair parlò, composto: -Elena, diglielo tu- disse.
La ragazza si nascose al meglio nel cappuccio, ma ormai saggi e assassini la contemplavano attendendo una risposta.
-Cosa?- balbettò Elena.
Altair chiuse i pugni. –Diglielo che cosa hai provato utilizzando quei poteri, di’ loro come sono andate le cose!- digrignò.
-Io…- Elena stava per esplodere, e dentro di sé si maledisse per non aver cambiato idea su quella maledetta riunione! –Non ne sono in grado- proferì.
-Non ne sei in grado?- ripeté Adha spaventata.
Altair poggiò una mano sulla spalla della donna. –Lascia fare a me- le disse, ed Adha annuì, avvicinando il cofanetto ulteriormente al suo petto.
L’assassino la fulminò ancora una volta coi suoi occhi neri. –Non ne sei in grado perché quello che hai passato è stato terribile, non è così?- si allungò verso di lei ed Elena lo colse nel fare l’occhiolino.
Dove voleva arrivare? E la ragazza si ricordò le loro parole prima di entrare nella sala.
-Sì- fece timida.
Altair annuì soddisfatto.
-Io non capisco!- sbottò un Angelo, e puntò il dito contro Altair alzandosi. –Se la ragazzina non sa reggere un po’ di stress, che qualcuno l’accompagni di fuori! Qui siamo tra adulti!- disse scorbutico.
Elena si sentì avvampare. Qualcuno la insultava e lei era troppo sotto i riflettori per infierire ancora. Era troppo in imbarazzo per reagire.
Un saggio si levò dal suo seggio. –Penso la stessa cosa. Una Dea non è mai stata abbastanza privilegiata ad assistere questa conversazione. E con le vostre parole, mastro Altair, non ho idea di dove vogliate arrivare! Ella ha forse provato i poteri del Frutto?!- rise.
-Non lo sapevate?- proferì un altro Angelo della Morte.
Il saggio scosse la testa. –Oh, allora cambia tutto… scusate. Sono d’accordo con Altair, forse questa Dea può davvero aiutarci a comprendere al meglio a chi affidare il Frutto-.
Altair scosse la testa. –No! Basta!- sbottò ancora, furioso. –Dovremmo distruggerlo! Ecco!-.
Fu Adha ad alzarsi. –Sei impazzito?!- gridò.
Il silenzio provocato da quelle parole durò ben poco, perché tutti i membri seduti a quel tavolo si alzarono e cominciarono a strillare l’uno contro l’altro.
Adha conversava accanitamente con il suo amato, che le illustrava sulle dita di una mano i motivi per cui avrebbero dovuto distruggere il Frutto dell’Eden.
Le guardie attorno si scambiarono occhiate sgomente.
La ragazza si portò le mani alle orecchie. Possibile che anche nella confusione più assordante non ci fossero suoni? Vedeva le bocche muoversi, ma da esse usciva solo un sibilo insopportabile sommato al caos di parole confuse e senza senso.
Elena si girò: Tharidl sembrava dormire. Gli occhi chiusi, le braccia conserte. Solo lui avrebbe potuto arrestare quel bordello.
La ragazza si alzò e senza farsi notare, si avvicinò al vecchio Maestro.
-Maestro!- strillò poggiando una mano sulla sua spalla.
Lui, ancora con gli occhi chiusi, rispose: - Hmm ?-.
-Siete sveglio, Maestro?!- fece stupita.
-Certo- le disse avvicinando le labbra all’orecchio di lei.
-E cosa state aspettando? Fermare questa pazzia! Non li sentite?- domandò.
-Sì-.
-E cosa state aspettando?!-.
-Siediti, Elena e pazienta al tuo posto, a breve ti sarà tutto più chiaro…- le indicò la sua sedia, ed Elena tornò lì.
Nel momento in cui sedette, un assassino batté i palmi sul tavolo. –Non resterò un minuto di più! Ci rinuncio, fate come volete, non m’importa!- dicendo così, il giovane Angelo lasciò la sala con passo scattante.
Il Maestro sorrise compiaciuto.
Dopo pochi minuti due saggi si strinsero la mano e uno di loro disse: -Che qualcun altro scelga dove nascondere l’oggetto che causerà la fine del mondo. I nostri nomi, se permettete Maestro, non saranno tra costoro acciari!- e anche quei due si avviarono fuori dal salone.
La stanza si svuotò troppo in fretta.
Elena rimase a guardare in silenzio.
La confusione andava affievolirsi man a mano che attorno al tavolo comparivano sempre più posti vuoti.
Saggi e assassini rinunciavano, sgomentati, a prendere parte a quella riunione che sapeva solo di grida e baggianate. Fin quando…
Le uniche voci in sala erano quelle di Altair e Adha.
-Straziante?- sbottò lei.
-Sì, è straziante. Dovresti provare!- rise lui con aria di sfida.
-Stanne certo, uno di questi giorni me lo faccio tagliare il dito!- si beffò la donna.
-Portare quell’affare qui è stato straziante, ed ora sarebbe bene distruggerlo! E tu lo sai!- le prese il mento con una mano.
Adha si divincolò dalla presa guardandosi attorno.
Il salone taceva, il tavolo era vuoto e solo Elena, il Maestro, alcuni saggi e alcuni assassini ancora vi sedevano.
Elena ora capiva perché Tharidl le aveva detto di aspettare. Il 90% dei partecipanti all’assemblea se l’era filata per il troppo casino.
La ragazza cominciò a sorridere.
Altair tornò a sedersi di colpo. –Ah, non me ne sono accorto- borbottò sorpreso.
Tharidl scoppiò in una fragorosa risata. –Ebbene, ora possiamo tornare alle questioni-.
-Sono onorato di aver preso parte a questa conversazione, Maestro, non me ne andrei per nulla al mondo- disse un assassino portandosi il pugno chiuso al cuore.
Tharidl gioì ancora. –Non credere che ti alzerò di rango, per questo-.
Il giovane si strinse nelle spalle chinando il capo.
-Assurdo- proferì Altair. –Non credevo che avrebbe funzionato, quando me ne parlaste, Maestro- disse guardando il vecchio.
Questo si sistemò più comodo. –Conosco abbastanza affondo molti di voi e ancor meglio il genere umano- si vantò.
Adha rise, e la sua risata acuta rimbombò nella sala. –Ovviamente- arrossì sfiorando con le dita il braccio del suo amato.
Tharidl batté le mani una volta. –Siamo pronti a cominciare?- chiese.
Elena si allungò sul tavolo. –Cominciare cosa?- domandò in un sussurro.
Tharidl si alzò. –Il destino del mondo è stato abbandonato nelle nostre mani. Saranno in così pochi a prendere la decisione, e sono fiero di annunciare che ne sono parecchio contento-.
-Elena- la chiamò il suo maestro, e lei si voltò.
-Spiega a Tharidl e ai presenti quali poteri ha il Frutto. Tu che l’hai toccato e ne hai piegato la volontà…- mormorò.
Il silenzio cadde inaspettato sulla tavola, ed Elena tornò con la schiena poggiata alla sedia. –Non so che dire, ho solo avuto paura in quel momento. Ho pensato che avrei potuto mettere fine alla Guerra Santa soltanto pensandolo, ma qualcosa dentro di me, forse una piccola parte di buon senso- sorrise –mi ha detto di non esagerare, ricordandomi cosa accadde ad Al Mualim e a Corrado per la loro avidità di potere…- alzò gli occhi e si guardò dai partecipanti che la fissavano interessanti.
Un assassino inarcò un sopracciglio. –Allora non stavate… scherzando!- sbottò sbalordito, e si rivolse a Tharidl. –Costei ha padroneggiato davvero il Frutto!- aggiunse agitato.
Tharidl rise, di nuovo. –Siete voi mio caro quello troppo ottuso da non aver afferrato il motivo della sua presenza!-.
L’assassino stette muto.
-Tornando al sodo. Elena- la chiamò Adha con voce melodiosa.
La giovane si girò verso di lei lentamente. –Io vorrei che sia distrutto- disse.
A quelle parole, Altair si alzò. –Avete visto? Ella non è stata affatto condizionata dalla mia proposta né tanto meno dalle altre. In lei bolle solo la paura che qualcuno, anche il più fidato dei Falchi, possa approfittarne! Fino ad ora non successe nulla per mera fortuna, ma in futuro potrebbe essere rischioso! Non temo i nostri nemici, ma i nostri alleati!- sentenziò soddisfatto.
-No-.
Chi aveva parlato? Possibile che Elena non avesse tenuto conto di quella voce? Che non si fosse mai accorta che Fredrik era uno degli assassini che ancora presenziavano.
L’Angelo sollevò il volto che fu ben visibile alla ragazza, che era seduta esattamente di fronte a lui.
-Mi spiace fratello, ma io non sono d’accordo- disse serio.
Altair tornò a sedersi. –Fredrik, mi pareva di averne discusso- sibilò.
-Vai influenzare la ragione altrui, Altair?!- sbottò un altro assassino.
Elena fissò Fredrik con insistenza, fin quando occhioni verdi non la notò. La salutò con un gesto del capo e guardò verso l’incappucciato che aveva appena parlato.
-Affatto!- rispose il suo maestro all’offesa. –Fredrik, perché?- lo interpellò.
Fredrik s’incupì, e l’ombra del cappuccio si allungò sul suo volto. -Ci ho ripensato, e sono restato qui per difendere le mie posizioni, Altair. Però lo ammetto, mi sono lasciato influenzare troppo da te e dai nostri allenamenti assieme. Mi spiace, ma voto perché il Tesoro dei Templari venga custodito qui o lasciato ai Falchi- dichiarò.
Altair, interdetto, non seppe che aggiungere.
-Dunque, ricapitolando- fece Tharidl. –Abbiamo una Dea e un solo assassino su quattro che vogliono distruggere il Frutto. Un saggio che vuole sia portato in Italia, due Angeli che desiderano venga restituito ai Falchi, e quanti a favore perché resti qui?- domandò.
Adha alzò la mano.
-Perché?- bisbigliò Altair.
-Perché privare il mondo del suo pennello? Può un pittore dipingere senza pennello?- rispose lei schiva.
-Pennello?!- eruppe lui agitato. –Pennello!- si passò le mani sul volto, cercando di calmarsi. –Pennello…- si ripeté straziato.
Assieme ad Adha, votarono che il Frutto restasse lì due saggi e un assassino.
Tharidl assentì. –Obbiezioni?-.
Tutto tacque per diversi istanti.
-Sì, io!- alzò Elena la voce.
-Illuminateci, Dea- fece Adha armoniosa, ma i suoi atteggiamenti da mammina le davano solo fastidio.
-Posso assicurarvi che a Corrado non mancano gli uomini per tentare un nuovo attacco!- gridò con coraggio. – Egli fa parte di un’antica alleanza che vive tuttora! I Templari un tempo guidati da Roberto de Sable sono ancora tra noi!-.
Un boato di voci si diffuse nella sala.
Elena si batté una mano un fronte. –Non tra noi qui!- sbottò.
-Ah!- sospirò un assassino.
Elena prese fiato. - D’altro canto…- poteva farcela, poteva dirlo, avrebbe trovato la forza, pagandone tutte le conseguenze. –Io so chi è la spia-.
Prima quelli di Altair, poi tutti gli occhi dei presenti balenarono su di lei.
Elena balzò in piedi come una molla. –Non ne sono certa, ovviamente…- si apprestò a dire.
Altair si sollevò. –Perché non me l’hai detto?- la rimproverò.
La Dea trasalì. –Ripeto, non ne sono certa!- proferì con più voce.
Tharidl fece un gesto di stizza. –Spero solo che di chiunque tu stia parlando  non sia seduto a questo tavolo!- disse.
Elena pensò a Minha, e in chissà quale meandro della biblioteca fosse a rubare le Cronache di altri assassini. –Minha- sussurrò.
Adha si alzò di colpo e andò verso le porte della sala.
-Adha!- la chiamò Altair.
-Quella strega non vivrà un solo istante di più senza presenziare a questa conversazione!- sparì fuori dalla stanza e lo strascico del suo vestito bianco si perse sulle scale.
Tharidl fece un cenno alle guardie, alcune delle quali seguirono la donna di corsa fino ai piani superiori.
Altair si voltò a guardarla, ed Elena tentò di evitare il suo sguardo.
-Stupida! Perché hai aspettato? Chissà quanti danni avrà avuto modo di arrecare in questi giorni!- la riprese avanzando verso di lei.
Elena si appoggiò al tavolo. –Mi dispiace, ma Corrado aveva generato al meglio l’illusione e ho creduto che Minha fosse parte della mia immaginazione, mi dispiace!- sentì le lacrime salirle dalla gola, ma si trattenne.
-Era la prima cosa che avresti dovuto fare! Sapevi quanto tenevo a conoscere quel nome!-.
Sapevi quanto tenevo a conoscere quel nome… buffo sentir pronunciare quelle parole dal suo maestro di armi.
Elena no riuscì più a frenarsi. Odiava il fatto di essere lì allo stesso modo di come odiava la sua demenza, che solo nelle ultime 48 ore aveva fatto più danni di una mandria di cavalli inferocita che corre per la biblioteca. Non resistette.
-Ho detto che mi dispiace!- una sola lacrima le rigò il volto, e le sue braccia si lanciarono da sole ad avvolgere il collo del suo maestro, che sul momento s’irrigidì.
Elena pianse contro il suo petto caldo mentre lui, incerto, le poggiava una mano sulla schiena; alla fine l’abbracciò dispiaciuto, ma comunque distante.
-Ho dato il mio voto- pronunciò un saggio alzandosi. –Con permesso- fece un inchino rivolto al Maestro e abbandonò la tavola.
-Questa discussione sta diventando alquanto deprimente- sbottò un assassino raggiungendo il saggio.
Altrettanto fecero Fredrik e i restanti presenti.
Elena continuò a singhiozzare inondando la veste bianca del suo insegnante delle sue lacrime. –Distruggerlo, dobbiamo distruggerlo; non c’è altro modo, non c’è altro modo… Corrado verrà a riprenderselo, e con lui chissà quanti altri tenteranno…- ripeteva gemendo.
-Lo so- Altair le accarezzò la testa, incerto sui suoi movimenti. –Lo so- ripeté con voce soave.
Perché l’aveva fatto? Si chiese, ma ciò che più la turbava era… perché aveva osato farlo solo quando Adha se n’era andata?
Eppure non riuscì a staccarsi da lui, e dalla presenza così calda del suo corpo. Le era mancato qualcuno che l’abbracciasse, le era sempre servito qualcuno che l’abbracciasse. Marhim avrebbe fatto ritorno a breve, assieme ad Halef, e finalmente lei avrebbe avuto un po’ di compagnia. Eppure, stretta tra le braccia dell’uomo che le aveva insegnato a difendersi, si sentiva cento volte meglio di quando abbracciava suo padre.


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Capitolo 33
*** Ritratti ***


Ritratti





Tharidl, unico rimasto in sala a parte qualche guardia, si alzò e li venne vicino.
-Altair- lo chiamò, e l’assassino alzò gli occhi dalla ragazza incontrando quelli del vecchio.
-Maestro- fece lui mentre Elena lo stringeva con più forza. I suoi singhiozzi andavano affievolirsi, ma la ragazza insisteva col restargli attaccato. E Altair non riuscì a privarsi di quel contatto, sia per compassione che per immenso piacere nel averla così vicina.
-Non ho preso una vera e propria decisione- disse il vecchio serio. –speravo che la minoranza rimasta oggi in sala bastasse, ma mi sbagliavo. Il parere di tutti deve essere ben accolto, e credo che questa assemblea debba ripetersi in futuro- proferì grave.
-Quando mi chiamerete, noi ci saremo- dichiarò l’assassino sfiorando con una mano la schiena della giovane. –E lei sarà più preparata, ve lo garantisco- mormorò.
-Mi dispiace, mi dispiace- continuò a ripetere lei. –So che è stata colpa mia, mi dispiace…- gemette voltandosi, ma le sue braccia cingevano ancora il petto del suo mentore.
-Non disperare; quello che è accaduto oggi in questa sala è solo una piccola parte di quello che vedremo nella prossima seduta. Elena, vorrei tanto che tu ci aiutassi a comprendere cosa si cela dietro la natura del Frutto, poiché rischiare che qualcuno ne sfiori i poteri potrebbe indurlo alla tentazione. E non sai quanto sono sorpreso che tu abbia resistito alla seduzione del Frutto del Peccato- Tharidl le poggiò una mano in testa e le carezzò una guancia. –Come hai fatto?- domandò, e all’inizio Elena fu turbata da quella richiesta.
-Come hai fermato la tua ricerca avida del potere che il Frutto cela quando tutti quanti coloro che lo usarono prima di te non riuscirono ad arrestare la loro ingordigia solo sulla soglia di quella porta? Come?- proseguì Tharidl in tono profetico.
Ecco spiegata quell’assurda domanda. Il suo Gran Maestro voleva sapere perché Elena non aveva voluto avere accesso alla promessa di eterna felicità del Frutto. Ebbene la risposta a quella domanda l’aveva.
-Non era quello che cercavo…- sibilò.
Tharidl, interdetto dalla sua risposta, indietreggiò. –Che cosa vai cercando, Elena?- chiese ancora.
Altair la guardò dall’alto ed Elena si staccò lentamente da lui, accompagnata da una sua mano che la teneva stretta per un fianco.
Avvertì che quello era il momento giusto, e Tharidl avrebbe dovuto sparare quel nome!
-Mio fratello, sto ancora cercando mio fratello!- svelò con fierezza.
Tharidl si appoggiò con i palmi allo schienale di un seggio, volgendo i suoi occhi stanchi verso di loro. –Potete andare. Ho molte nuove novità di cui occuparmi che richiedono la mia attenzione- disse in un sussurro.
-Andiamo- Altair la strinse nuovamente a sé, tirandola con lui fuori dalla sala.
-No!- tentò lei di ribellarsi. –Giuro che se ci avessi pensato prima, avrei chiesto alla lampadina di darmi quel nome! Voglio sapere chi è mio fratello! Maestro!- gridò mentre il suo insegnanti d’armi la trascinava con sé nel corridoio.
Le sue urla si persero sulle scale, rimbombando per tutta la fortezza.
Altair la mise con le spalle al muro e la ragazza tacque d’un tratto.
-Piantala di gridare- disse.
Lei distolse lo sguardo, poiché i loro visi erano troppo vicini l’uno all’altro e quella vicinanza ora la irritava.
-Posso sapere cosa ti è preso? Non potevi tenerti dentro la crisi di pianto e metterti a frignare una volta sola nella tua stanza?!- la rimproverò.
-Tanto a te cosa importa- borbottò lei, e Altair sgranò gli occhi. –Non vedi l’ora di sbarazzarti di me e dei miei insegnamenti, Corrado morto o no non fa differenza- aggiunse.
Il suo maestro fece un passo indietro, lasciandole aria, ed Elena poté staccarsi dalla parete.
-Potresti anche smetterla di dubitare delle scelte di Tharidl. Se egli non vuole dirti chi tuo fratello sia ci sarà un motivo, e non credere di essere l’unica a pensare che sia solo un pazzo! Io mi sono abituato all’idea già da un pezzo, e dovresti arrenderti alla sua ragione anche tu, chinando la testa e cercando di moderare prima di tutto te stessa- sbottò.
Parole sacrosante, pensò Elena.
-Scusatemi- sussurrò e, come Altair le aveva detto di fare, chinò la testa. –Avete perfettamente ragione, sono una sciocca!- si tirò i capelli.
Altair annuì ridendo. –Non era il genere di risposta che mi attendevo, ma fa nulla- le sorrise.
Chissà dove trovava tutta quella gioia, si chiese Elena.
-Non voglio snervarti ulteriormente- proferì lui ad un tratto. –Se c’è qualcosa che devi fare, un posto che devi visitare prima di cena, sappi che hai il pomeriggio libero- fece per avviarsi su per le scale, diretto chissà dove, ma Elena lo fermò stringendogli la mano.
Altair si voltò, scostandosi dalla presa.
Elena lo guardava con occhi di cucciolo bastonato, il suo sguardo azzurro si perdeva in quello castano e buio del suo maestro.
-Che c’è?- fece lui.
-Veramente… non ho nulla da fare, e mi chiedevo se potevamo riprendere gli allenamenti- suggerì.
-Non sei stanca?- chiese.
Lei scosse la testa.
-Io sì, ma non posso certo rifiutare- rise incamminandosi verso il piano terra, ed Elena lo seguì.


L’alba e le sue sfumature arancio avvolsero cielo e terra.
Il canto degli uccelli entrava nella stanza diffuso da una fredda brezza che sapeva d’inverno, ed Elena si strinse sotto le coperte.
Un brivido le attraversò il corpo facendole venire la pelle d’oca e un tremito arrivò fino al collo. Quella ventata le aveva fatto male, si disse cercando di sistemarsi al meglio tra le lenzuola che cominciavano a diventare troppo leggere per il clima.
Erano solo a metà novembre e già tirava un’aria così ghiacciata. Pensò che non avrebbe voluto esserci a dicembre.
Strinse le braccia attorno al suo corpo e stette con gli occhi chiusi, in un tepore di sonno che sarebbe durato ancora poco.
Non le andava di alzarsi per scoprire da quale finestra aperta era entrato quel gelo assurdo, la stanchezza dovuta agli allenamenti del giorno prima e la pigrizia accumulata nel riposo si facevano sentire ed erano capaci di influenzare la sua mente a dir poco convinta di sé.
Che cos aveva sognato quella notte? Mah, tanto non aveva nient’altro da fare, e non appena Adha fosse venuta a svegliarla, Elena non sarebbe stata capace di opporsi al suo tono tanto arzillo che ogni mattina era capace di buttarla giù dal letto senza troppa fatica. Eppure, Elena provava gratitudine per i suoi gesti che delle volte le davano sui nervi, perché Adha era la madre che non aveva mai avuto, in un certo senso. Pensare in quel modo a quella donna non la fece sentire a suo agio, e non seppe proprio perché.
Tornando a noi, che cosa aveva sognato quella notte?
Ora ricordava, ma il suo sogno era avvolto da una nube di mistero per quanto riguardasse sia l’inizio che la fine. Ricordò vagamente di aver intravisto suo padre, cosa che non la sorprese affatto, e di essersi recata nella biblioteca, sfogliando con malizia le sue Cronache. Poi quel filo apparentemente logico si era spezzato, lasciando spazio al volto giovane di Elika. Perché aveva sognato Elika? E pensandoci era parecchio che non si vedevano. Elena aggiunse ai suoi vaghi ricordi di quel sogno di aver visto la ex assassina aggirarsi nella fortezza, coperta da una veste bianca molto simile a quella che Elena aveva portato durante i suoi primi allenamenti con Altair. Le stessi vesti trasgressive che erano piaciute molto a Rhami. Ecco l’oggetto centrale dei suoi incubi. Quella notte Elena aveva sognato Rhami e l’ultima volta che si erano visti, ovvero durante il duello, e aveva sognato (se fosse esistito il verbo derivato dalla parola “incubo” l’avrebbe sostituito al verbo sottolineato) che le loro labbra si toccassero di nuovo. Quale orrore, pensò.
Inconsciamente i suoi sogni potevano rispecchiare i suoi desideri? Ovvio che no, ma solo le sue paure, come in questo caso. Ecco che cosa la stupì: nonostante fosse più forte e abile di lui, Elena aveva ancora timore di Rhami. Si disse che il ragazzo era abile nell’approfittare dei suoi momenti di debolezza, soprattutto quando era parecchio stanca… se Elena non fosse rimasta vigile di se stessa e del suo bisogno d’affetto, Rhami se ne sarebbe avvalso, e lì sarebbe diventato tutto alquanto spiacevole.
Ma ormai era sciocco pensare a tutto ciò: Marhim stava tornando, e assieme a lui chi le dava gioia coi suoi comportamenti assurdi, ovvero Halef.
I suoi due salvatori, gli Angeli che la trassero in salvo dalla strada polverosa nei pressi di Gerusalemme, quando aveva smarrito il cammino e si era abbassata ad implorare un Dio in cui non aveva mai creduto affinché la portasse con sé nell’Eden.
Era stata una stupida se credeva di poter mettere fine alla sua vita in quel mondo. Si dava della stupida molte volte anche ora, e non si era mai biasimata di questo.
Sorrise ripesando alla parte piacevole e terminale del suo sogno, ricordando d’un tratto. Aveva sognato suo fratello e come se lo immaginava il suo io più profondo: un ragazzo che le somigliava in tutto, nel portamento, nel modo di parlare e anche nella maniera di proporsi agli altri, valere a dire timidamente e poco sicuro di sé. Rise, perché mai era riuscita a fare un ritratto tanto schizzinoso di qualcuno in cui si sentiva immedesimata. Di caratteristiche fisiche, ricordava di aver intravisto un volto sereno e una mano pronta a sollevarla quando cadeva. Nient’altro se non occhi di ghiaccio come quelli di lei e capelli castani che… le piaceva… portare… disordinati.
Rhami. Era il ritratto compiuto di Rhami!!!
La ragazza scattò in piedi, e poggiando i piedi scalzi a terra, un nuovo brivido la percosse. Andò a guardarsi allo specchio e non poté credere di aver pensato tutto quello. Non poté concepire che le somiglianze tra lei e quel giovane tutt’altro che blando le somigliasse. Ma le caratteristiche fisiche non bastavano. Rhami era il suo esatto contrario: estroverso, prepotente e strafottente. Non poteva essere…
Elena ammirò la sua immagine riflessa nello specchio, squadrando ogni singola parte del suo corpo troppo simile a quello del ragazzo che più odiava di tutta la confraternita. Non riusciva a crederci, non ne aveva la forza.
Si sarebbe tinta i capelli, gettata negli occhi una polvere colorante ma mai avrebbe accettato che Rhami fosse suo fratello. Dopo quello che era successo, poi…
I suoi occhi azzurri che desiderò fosse altro si spostarono alla finestra e la ragazza vi si sporse dopo aver aperto le vetrate. Forse era stato uno spiffero a darle tutti quei tremori di freddo, si disse.
Il sole stagliava i suoi raggi chiari sulla valle, proiettando le ombre delle nuvole sulle colline e allungando quelle delle montagne sul regno.
Lasciò la sua stanza e si affacciò ad una delle finestre del salotto.
Sotto di lei notò con stupore che il cortile interno era deserto, a parte qualche guardia di pattuglia e gli arcieri sulle mura.
I colombi si appollaiarono sul tetto della torre, stettero lì qualche istante, poi si librarono in cielo in uno stormo compatto.
Gli uccelli migravano a sud, si dirigevano verso il calore dell’Africa e i suoi mille deserti. Beati loro che possedevano le ali per volare, a lei sarebbe piaciuto imparare.
A proposito di imparare a volare, com’è che Altair aveva chiamato quel buffo modo di saltare giù da una torre? Si chiese. –Volo del… volo del falco?- scosse la testa ridendo, la sua memoria aveva ricordo solo dei dettagli meno graditi di quella bella giornata ad Acri.
Minha… un altro nome interessante, pensò. Chissà quale assurdo destino sarebbe toccato alla giovane. Elena era così poco convinta che non fosse lei, che l’immaginazione del Frutto l’avesse accecata. Come avrebbe scontato la sua condanna? Tharidl avrebbe sentenziato di ucciderla? Si tempestò di domande, scoprendo che mettersi sotto pressione era quello che meglio le riusciva dopo cacciarsi in situazioni impossibili.
Adha, anche quando il sole fu bello alto nel cielo azzurro, non si fece vedere.
Elena pensò che era alquanto strano così si vestì di fretta e sentenziò di aver bisogno di saziare il suo stomaco brontolante. La cena del giorno prima era andata giù nello stomaco troppo velocemente, avvertiva un gran vuoto e il suo pancino si lamentava spesso.
Una volta scese le scale che portavano agli appartamenti delle Dee, restò a bocca aperta.
Ricordate i corridoi tanto silenziosi che ospitavano le stanze degli Angeli? Ove sembrava sempre notte perché le tende non venivano mai riavvolte e le porte delle camere erano sempre chiuse, vi ricordate? Ebbene, ad Elena parve di trovarsi in tutt’altra ala della fortezza.
Come prima cosa una confusione assordante che non seppe spiegare come mai non se n’era accorta quand’era ancora di sopra. Poi assassini, a bizzeffe e di rango differente che si spostavano agitati e in gran numero da una stanza all’altra, correndo per il corridoio e aumentando il disordine.
Le tende erano avvolte e nel corridoio entrava la luce chiara e potente della tarda mattinata.
La ragazza indietreggiò sulle scale quando si sentì pungere dagli sguardi di almeno una trentina di assassini.
Avrebbe raggiunto la sala mensa ancora viva? Si chiese, e le sue guance scoperte per via del cappuccio che non aveva fatto in tempo a mettersi si arrossarono in una maniera assurda.
Che cosa ci faceva lì tutta quella gente? Non erano stanze riconosciute solo agli assassini degni di chiamarsi Angeli? Eppure Elena notò che la maggior parte di loro aveva il cappuccio e la veste grigia, segno di un rango pari a Marhim, ovvero basso.
La Dea avanzò distrattamente nel corridoio: la colazione chiamava, e si chiese se tutti gli assassini che la guardavano avessero già mangiato oppure quella fosse la fila per la mensa.
La ragazza tirò un gran sospiro di sollievo: arrivò alla fine del corridoio e trovò le scale come le ricordava, ossia silenziose.
C’era qualche giovane che faceva su e giù da un piano all’altro, un numero ristretto di assassini che conversavano davanti all’ingresso dell’infermeria e qualcun altro che si affacciava rilassato dalle scali a guardare il piano di sotto.
Elena attraversò quell’ala della fortezza calandosi il cappuccio sul volto e in breve giunse alle porte della mensa che, come si attendeva, traboccava d’incappucciati.
La ragazza sobbalzò: c’era un tavolo meno popolato degli altri, in disparte in un angolo della sala, accanto alle vetrate. Vi sedevano tre figure magre e aggraziate, una delle quali Elena riconobbe per i suoi capelli ricci e bellissimi.
La giovane assassini procedé in avanti, andando in contro ad Elika.
Certo che era strano, pensò; se non ricordava male, ad Elika non era permesso mettere piede nella fortezza. E chi erano quelle altre due che sedevano assieme a lei?
Elena si avvicinò, lentamente e con cautela, cercando di scorgere altri dettagli per quanto riguardasse le due ragazze.
La prima, seduta di fronte ad Elika, indossava un vestito corto fino alle ginocchia, delle ballerine ricamate e la sua veste blu oltremare faceva contrasto coi suoi occhi di mandorla che teneva bassi. Capelli biondi legati in una cipolla alta da un fermaglio con alcuni nastrini azzurri.
La seconda, l’unica tra le tre che portasse i pantaloni, sedeva non sulla sedia ma sul tavolo. Alquanto mascolina, pensò Elena notando i suoi occhi verdi e la sua pelle poco ramata. I capelli corti che le arrivavano alle spalle e il portamento, nonostante l’apparenza poco femminile, parecchio aggraziato. Sedeva sì sul tavolo, ma molto composta e stretta nelle spalle, intenta in una chiacchierata amichevole con la ragazza bionda. Sopra ai pantaloni, a coprirle il petto magro di poco seno aveva una maglia a collo alto e un giubbetto.
Quelle tre donne la incuriosivano parecchio, possibile che…
-Elena!- Elika gioì voltandosi e venendo verso di lei. L’abbracciò ed Elena non riuscì ad impedirglielo, sarebbe stato scorretto.
La ragazza riccia le passò una mano sul volto. –Sono contenta di vederti, ti prego! Siedi con noi!- la prese sotto braccio facendola accomodare accanto a lei.
-Kamila, questa è Elena- Elika le presentò la ragazza bionda, che le fece un sorisetto roseo.
-E lei è Leila Muna, ma tu puoi chiamarla Leila e basta! Non le piace essere oggetto di… desiderio- le bisbigliò all’orecchio.
-Ti ho sentito- bofonchiò la ragazza dalla pelle scura e gli occhi verdi seduta sul tavolo. –Piacere di conoscervi, Dea Elena- inchinò la testa.
La giovane Dea si fece piccola piccola, sentendo il peso del braccio di Elika attorno alle sue spalle pesare sempre di più.
-Che cosa ci fai qui?- domandò rivolgendosi ad Elika.
La sua amica fece un gran sospiro guardando le altre due. –Secondo voi possiamo dirglielo?-.
Leila scosse la testa, sedendo finalmente sulla sedia. –No, lascia che sia Tharidl a farlo- disse.
L’altra annuì. –Già, e scommetto che è parecchio affamata! Guardate, sta perdendo colore!- rise Kamila.
Elika gioì. –Hai ragione- e pizzicò una guancia all’assassina.
Elena stava vivendo un incubo. Meglio i baci di Rhami a quella tortura! Si disse, ma pensandoci…
-Che cos’è che deve dirmi il Maestro?!- domandò confusa.
-Non fare troppe domande, per adesso limitati a mettere qualcosa nello stomaco- Elika le passò del pane, una scodella di latte e dei cereali in un bacinella. –Mangia, poi Leila ti accompagnerà da Tharidl. Io e Kamila dobbiamo vedere una persona- sorrise maliziosa, e Kamila con lei.
Elena stette in silenzio, circondata dalla confusione della sala mensa, sette in silenzio, ma dentro continuava a ripetersi che la sorpresa più grande doveva ancora arrivare, e il peggio non era ancora passato.
Finì in fretta, voleva sbarazzarsi di quella situazione imbarazzante al più presto.
Due donne estranee e una ex assassina della confraternita la fissavano scambiandosi battutine su di lei, battutine certamente non offensive, ma purtroppo fastidiose.
Chissà da dove saltavano fuori quelle due, si domandò, ed era ben intenzionata a chiedere spiegazioni a l’unico che “forse” le avrebbe detto perché.
Elika si alzò e assieme a lei anche Kamila.
-Bene, ora noi andiamo. Leila, abbi cura della nostra giovincella!- rise Kamila abbracciando la ragazza dalla pelle scura.
Leila ridacchiò. –Voglio sapere ogni dettaglio, ogni sua espressione contorta!- gioì.
Elika si sistemò i capelli su una spalla. –Andiamo, Kamila? Sennò si fa tardi. Leila, al mercato oggi pomeriggio, non mancare!- le disse mentre si allontanava con Kamila al fianco verso le scale.
Leila salutò con la mano. –Contateci-.
Elena si alzò dal tavolo traballante. Stava diventando tutto piuttosto strano e curioso da quelle parti. Chi stava andando a far visita Elika? Basta, doveva smettere di torturarsi la mente di domande. Poi se le dimenticava e non le porgeva al Maestro.
-Tu hai finito, vero?- domandò Leila indicando la scodella vuota di latte che Elena aveva lasciato.
-Sì- borbottò lei.
-Seguimi- si avviò.
-So la strada!- sibilò e sperò che la donna non l’avesse sentita, ma non fu così.
Leila si voltò continuando a camminare a mo’ di gambero. –Anche io, sai?- rise minuziosamente.
Davvero?!
Elena la seguì fino allo studiolo del Maestro, ma durante il tragitto accadde un fatto insolito.
Gli assassini che incontravano sulle scale si inchinavano, due volte. La prima rivolta alla donna che Elena seguiva pari passo e la seconda rivolta a lei, giovane Dea.
Era tremendamente turbata da quello.
Leila arrestò i suoi passi scattanti sotto il colonnato che si anticipava allo studiolo. –Ferma- le disse.
Elena lanciò un’occhiata più avanti e notò con stupore che Tharidl stava parlando a bassa voce con un assassino.
Quando il giovane si voltò dopo aver proferito un inchino, Elena osservò Adel che silenziosamente si allontanava dallo studiolo.
Adel + fortezza = ritorno di Marhim. Fece un paio di conti veloci, ma era ben intenzionata a non fuggire via così per andare ad abbracciare il suo amico. Quella domanda tanto antipatica quanto i soggetti che riguardava… Chi erano quelle donne? Perché Elika era nella fortezza?
-Avanti- Leila la superò e si fermò davanti alla scrivania del Maestro, che sedeva comodo scrivendo su un testo dalle pagine bianche.
Alzò gli occhi -Leila- mormorò il vecchio compiaciuto.
La donna poggiò le mani sul tavolo e, con fare superiore, avvicinò il suo volto a quello del vecchio. –Quando possiamo tornare in servizio?- domandò maliziosa.
-Sei così impaziente, Leila? I tempi sono cambiati, non aspettarti ciò che hai lasciato- arrise Tharidl. –La cerimonia si terrà domani, non disperate nel frattempo- tornò a scrivere, ma una sua svista veloce cadde su di lei, ed Elena avanzò dal buio delle colonne, e la luce che penetrava dalle vetrate la illuminò.
Tharidl scattò allora in piedi. –Che cosa le hai detto?! Sembra sconvolta!- sbottò indicando la giovane Dea.
Leila scoppiò in una risata fragorosa, e la sua voce acuta rimbombò nella sala. –Nulla, si stava giusto chiedendo cosa ci facciamo Elika, Kamila ed io qui- mormorò schiudendo le labbra.
Tharidl si passò nervosamente una mano sulla barba. –Elena- chiamò.
La Dea chinò il capo. –Maestro, è vero. Elle insistono perché siate voi a spiegarmi cosa non l’ho ancora capito- fece agitata.
Leila si sollevò dal tavolo accostandosi alla ragazza. –Sicura?- le bisbigliò all’orecchio, tremendamente pignola. E le sue risa si diffusero tra le mura della roccaforte ancora una volta.
In breve tempo Elena aveva inquadrato e dipinto il ritratto di quella donna come una ragazza tremendamente piena di sé e dei suoi punti di riferimento, ovvero la forza di un gruppo, formato da Elika e Kamila. Bulla! Ringhiò, e avrebbe voluto gridarglielo in faccia, ma Leila si allontanò sulle scale.
-Maestro!- strillò quando la donna e il suo ancheggiare furono abbastanza lontani.
-Cosa?!- chiese lui turbato.
-Chi sono costoro? Elika non aveva acceso alla fortezza, se non sbaglio!- eruppe.
-Infatti- parlottò il vecchio sedendosi pesantemente sullo sgabello dietro la scrivania.
Elena avanzò decisa. –Che cosa sta succedendo? E se non vi dispiace vorrei andare a salutare alcuni miei amici appena tornati con Adel, quindi vedete di accorciare!- non si trattenne.
E tutta la ramanzina di Altair della sera prima sul rispetto che doveva al Maestro? Che fine aveva fatto? Mah, non sapeva…
-Vi prego, se non volete darmi spiegazioni o perle di saggezza, almeno permettetemi di andare…-.
-No, volevo infatti discutere di questa mia decisione con te e col tuo maestro, ma egli ancora riposa- disse il vecchio assorto nei suoi pensieri.
Eh no! Per una volta che sperava che accorciasse la cosa dicendo: “no Elena, ogni cosa a suo tempo” Tharidl se ne usciva con “certo, resterai inchiodata qui ad ascoltare le risposte alle tue curiosità così da posticipare il tuo rincontro con Marhim e Halef!”. Mentalmente lo mandò a quel paese, ma aspetta un attimo… Altair ancora riposava?
Elena rimase con un’espressione interdetta in volto, e Tharidl rise.
-Il poveretto è più stanco di quanto credi, Elena; ed entrambi noi non possiamo neppure immaginare quanto sia straziante starti dietro nei tuoi addestramenti!- si beffò.
Quella battuta la fece ridere, e Tharidl approfittò della sua gioia per dire: -Va’, quando Altair si sarà svegliato parleremo di perché Elika, Leila e Kamila sono qui. Puoi raggiungere Marhim e Halef nel cortile, te lo concedo-.
E da quando le serviva il suo permesso?!
Elena scattò, di corsa, sulle scale senza neppure salutarlo con le buone maniere. Gioiosa in viso ed estasiata da quelle parole, Elena giunse nel cortile sporgendosi dalla balconata, e li vide.
Un gruppo di assassini compatto riunito vicino alla recinzione per gli addestramenti. Era il gruppo di Adel, che sedeva su una roccia e parlava dall’alto ai suoi discepoli.
Marhim e Halef, assieme ai loro compagni, lo guardavano dal basso annuendo alle sue prediche e critiche.
Elena si gettò di sotto, si fece largo tra la folla.
-Eh, guarda un po’ chi c’è…- Halef si voltò e poggiò una mano sulla spalla del fratello.
Marhim non ebbe neppure il tempo di voltarsi completamente che Elena gli si gettò al collo stringendolo a sé come una bambola.
Marhim perse l’equilibrio all’indietro e finì col sbattere contro la recinzione dell’arena, sedendovi. –Elena!- gioì.
Lei rideva commossa, affondando il viso nell’incavo del collo del ragazzo. –Così in anticipo, e meno male!- sbottò.
Le braccia di Marhim si strinsero attorno ai suoi fianchi mentre tentava di alzarsi. Quando fu di nuovo dritto, Elena gli lasciò prendere fiato indietreggiando.
-Ehi, e a me?- Halef alzò le sopracciglia, ed Elena si apprestò a scompigliargli i capelli. –Dovevo tacere, va…- borbottò l’assassino.
Marhim la prese per mano e la tirò a sé, abbracciandola di nuovo. –Allora- mormorò al suo orecchio. –Come è andata ad Acri? Voglio sapere tutto, ogni particolare!- anche lui pareva non contenere l’armonia di quell’incontro dopo troppo, troppo tempo! (Una settimana e poco più).
-Non vedevo l’ora di poterlo raccontare a qualcuno…- sospirò Elena.
Si strinse con delicatezza al suo corpo, e non le importava se Adel, Halef o chiunque altro assassino la stesse guardando. Chissà dov’era Rhami ora… si chiese. Le sarebbe piaciuto vedere la sua faccia in quel momento, ma staccarsi da Marhim non le era concesso.
Fu lui a scostarla dolcemente ed Halef si schiarì la voce.
-Bene, bene- rise Adel dall’alto della roccia, le gambe a penzoloni. –Ecco perché volevi tornare così di fretta!- la sua risata si diffuse nel cortile, ma non sovrastò abbastanza la confusione che facevano le altre miriadi di combriccole di assassini.
Elena si strinse al fianco del ragazzo sorridendo. –Posso rubartelo un attimo, Adel?- chiese.
Marhim la guardò torvo.
Adel curvò la testa da un lato. –Va bene, ma fa’ in fretta. Avevo intenzione di…- Elena non lo lasciò completare.
Afferrò Marhim per la manica della veste e lo tirò tra la folla, trascinandolo fino dentro la fortezza. Una volta nella sala d’ingresso, Elena proseguì sulle scale e svoltò nella biblioteca. Marhim camminava dietro di lei in un silenzio turbato.
La ragazza doveva sì raccontargli di Acri e della sua missione compiuta, ma doveva come prima cosa chiarire alcuni piccoli punti di questioni lasciate in sospeso.
Entrarono di soppiatto nella biblioteca ed Elena proseguì fino al centro della stanza, assicurandosi che fosse vuota, poi si voltò.
Marhim teneva lo sguardo a terra, afflitto. Probabilmente aveva capito di cosa stavano per discutere.
-Mi spiace- cominciò lui. –Non sarei dovuto partire senza avvertirti. Sei arrabbiata?- alzò il viso e si sorprese di vedere Elena tutt’altro che arrabbiata.
La ragazza si appoggiò al tavolo. –Che dici, scemo!- rise, e Marhim con lei.
-Già, sono uno scemo- borbottò.
Elena andò a caccia dei suoi occhi, che il giovane si ostinava a tenerli bassi. –So perché te ne sei andato, e ti ringrazio di non aver detto una parola- proferì grave, sciogliendo il suo sorriso.
Marhim sospirò, restando fermo di fronte a lei come una statua.
-Quella sera non mi sentivo in me e Rhami ne ha solo approfittato- sbottò lei stringendo i pugni. –Ma gliel’ho fatta pagare. Se ieri fossi stato qui, l’avresti visto coi tuoi occhi!- gioì gustando quelle parole.
E Marhim fece altrettanto. –Che cosa mi sono perso?- ridacchiò.
La ragazza le raccontò del duello in ogni minimo dettaglio, senza rifarsi però all’accaduto di quella notte. Qualcosa le impedì di parlargli di quando Rhami era venuto a farle visita, e si disse che era meglio così. Particolari imbarazzanti non erano ammessi.
-Va bene, va bene, basta ti prego! Mi sto sbellicando!- si piegò dalle risate, mentre lei lo guardava commossa.
-Ma dimmi- il rossore sul suo viso si affievolì. –Come è andato l’itinerario?- domandò interessato.
Elena gli narrò per filo e per segno della sua settimana fugace alla corte di Corrado. Dal suo primo borseggio finito nel panico alle partite di scacchi con Hani.
-Hani! Certo, ora mi ricordo. Halef e lui frequentavano gli stessi addestramenti. Deve avertelo detto- fece lui.
Elena annuì, riprendendo il discorso.
Arrivata al punto dell’Illusione e all’incontro con Corrado nella sala delle armi, Elena raccontò a lui più dettagli di quanti non ne avesse dati al Rafik quando era stata portata in salvo da Altair. Sentiva di poter condividere con Marhim qualunque timore l’avesse accarezzata durante la prigionia. Gli disse di come stava per cascare nella trappola che Corrado le aveva teso, di come avrebbe accettato di servirlo e riverirlo come spia se lui avesse tenuto in vita il suo “fittizio” padre.
Rovesciò nel racconto gran parte della sua rabbia.
-Siediti- le disse ad un tratto Marhim e si sistemarono comodi al tavolo.
Non c’era molto da dire se non accennare alla riunione del giorno prima, collegandola al fatto che avesse imbracciato i poteri del Frutto.
Marhim sgranò gli occhi. –Sul serio? Certe notizie non arrivano mai troppo lontano…- disse.
Elena sorrise. –Non è stato semplice, e ora Altair confida in me per far ragionare i saggi e gli assassini. Quel coso luminoso deve essere distrutto- sbottò.
-Non sono d’accordo- mormorò lui assorto. Il ragazzo guardava un punto indistinto alla sua destra, scrutando tra gli scaffali come se cercasse qualcosa, o qualcuno…
Elena lo colpì sulla spalla con una pacca violenta. –Ahi!- fece lui.
Lei lo contemplava furiosa. –Come non sei d’accordo?! Non capisco qual è il problema che avete tutti quanti!- gridò, ma Marhim le poggiò una mano sulla bocca.
-Abbassa la voce- le sussurrò.
Lei si guardò attorno. –Che c’è?- sibilò sorpresa.
-Niente, niente… scusa- tolse le sue dita dalle sue labbra sorridente.
Elena, confusa, deviò argomento: -Senti- cominciò, e lui si fece attento.
-Sai nulla di Elika, una certa Leila, Kamila…-.
Marhim si voltò verso di lei d’un tratto. –Come sai questi nomi?- domandò.
Lei si strinse nelle spalle. –Non so, questa mattina le ho sorprese tutte e tre nella mensa- affermò.
-Buffo- commentò lui.
-Perché?-.
Marhim stava per aggiungere qualcosa, quando dietro di loro avanzò una figura nel buio.
I due scattarono in piedi, proferendo entrambi un inchino col capo.
-Maestro- sibilò Elena.
Altair si fece avanti ai raggi del sole e si fermò di fronte ai ragazzi.
L’assassino stringeva sotto braccio un testo antico, e volse un’occhiataccia ad entrambi. –Elena- chiamò con voce solenne.
Lei fece un passo avanti e Marhim uno indietro. –Non vi avevo sentito arrivare, scusate maestro- parlò sottovoce.
Altair alzò il mento fiero. –Avanti, vieni; il Maestro voleva parlarci- dicendo così, l’Angelo si avviò verso l’ingresso della biblioteca, sparendo poi sulle scale.
Elena si girò verso di lui, ma Marhim le strinse un polso. –C’è qualcosa che non mi hai detto?- chiese sbigottito.
-No, non credo…- parlottò confusamente, poi sorrise caldamente. –Mi piacerebbe metterti alle armi, uno di questi giorni. Non avrò un cavolo da fare se non prendere parte alla cerimonia di domani, e mi sono completamente dimenticata di come combatti- fece maliziosa.
-Va bene. Quando, dove?- disse con aria di sfida.
La ragazza si allungò sulle punte e gli schioccò un bacio sulla guancia. Il contatto della sua pelle liscia con la barba giovane del ragazzo la solleticò ed Elena allungò le labbra in un sorriso armonioso. –Quando vuoi- terminò.
Incredibile, ma Marhim cambiò completamente colore! La sua pelle abbronzata si arrossò abbastanza da far scoppiare Elena dalle risate. –Va… bene- balbettò.
-Ci vediamo dopo!- gli scompigliò i capelli e la ragazza seguì il suo maestro trotterellando.
Una volta qualcuno le aveva detto che i tempi duri stavano tornando… ebbene, per lei erano appena finiti!




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Elika95 sta pensando a perché abbia deciso di interrompere il chappo in questo punto, ma si convince di avere troppe idee anche per l’altra ff e di doverle mettere su carta al più presto. Quindi, bando alle ciance. Spero che questo aggiornamento sia stato piacevole ma anche riflessivo. Leila, Elika e Kamila hanno in comune qualcosa, ma sta a voi scoprirlo nel prossimo capitolo! Muhahahaha! Quanto sono bastarda!

Un ringraziamento ai migliori utenti di questo sito e non mi stancherò mai di ripeterlo!

Saphira87
goku94
Lilyna_93
Carty_Sbaut

X Saphi: è vero, Altair non era riuscito a distruggere il Frutto perché era controllato da quelli dell’Abstergo che lo usavano come una marionetta. Però nella mia storia ormai il primo Frutto l’hanno trovato, ma ricordo che ce n’è un secondo lì nelle vicinanze… Il rapporto tra Elena e Alty arriverà ad un punto cruciale nei prossimi capitoli, perché ho anche intenzione di alzare il rating. Insomma, ho avuto un certo sogno piuttosto agitato a riguardo… comunque dove sei finita?!?! Qui ho aggiornato tutte e due le ff e mi mancano le tue faccine sconvolte su msn e le tue recensioni! Fatti sentire, però sappi che non è un problema… per ora. Perché lo diventerà se entro domenica sera non posi il nuovo chappo, sono stata chiara?!?! Mi piacerebbe tanto leggere la Lemon prima del ritorno a scuola, dato che questa settimana ho avuto le vacanze “bianche”. Eh, sì… è per questo che ho avuto tempo di scrivere come una matta, lasciandomi gran parte dei compiti all’ultimo momento… ç_ç Un saluto, e … ci si becca su msn!

X goku94: sì, quello era proprio un deficiente: se ne è andato dicendo che la conversazione diventava deprimente, e poi anche Fredrik e gli altri assassini hanno fatto lo stesso, lasciando Tharidl, Elena e Altair, assieme a qualche guardia, soli nella sala. O.O Anche a te dico che potrei alzare molto probabilmente il rating nel giro dei prossimi capitoli. Però che emotions! Insomma, spero che questo chappo sia piaciuto a te ad altri. Ci si becca su msn. Ciau!

X tutti gli altri: se non lasciate recensioni come faccio a chiarirvi poi nei ringraziamenti i punti successivi? So che avete i vostri problemi e che solo una matta come me riesce ad aggiornare da un giorno all’altro… -_- ma fatevi sentire, Dio!

Qui da Elika è tutto. Passo la linea allo studio e vi ringrazio per la collaborazione.

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Capitolo 34
*** La certezza di un nuovo capitolo ***


La certezza di un nuovo capitolo






Altair salì le scale due gradini alla volta.
Raggiunse lo studiolo del Maestro che trovò in piedi a guardare fuori dalle vetrate.
-Tharidl- lo chiamò. –ho trovato quello che mi avete chiesto- strinse con più forza il libro che aveva tra le mani.
Non dare pane ai suoi dubbi era un modo per tenere a freno la lingua. Se Altair non sapeva, non poteva controbattere. Quindi non volle chiedere come mai Tharidl gli avesse domandato di cerare quel libro, cui argomento l’aveva lasciato sospettoso.
Altair si passò una mano in volto. –C’è altro?- chiese rilassato.
Il vecchio sospirò. –Le tue attenzioni su Elena avranno presto fine, non temere. So che ella può comportare delle responsabilità maggiori, ed è per questo che ho chiamato Leila e Kamila a palazzo e riunito alla setta alcune delle Dee-.
-Cosa?- domandò stupito il ragazzo. –Mi bandite da una responsabilità cui traggo interesse ed è solo per qualche trucchetto con la lama che vorreste affidare Elena ad una Dea?- digrignò incredulo. –Un attimo!- tacque un istante. –Avete riunito le Dee?!- fece sbigottito, esterrefatto, ma si diede alla svelta un contegno.
Sul volto di Tharidl comparve un’espressione severa. –Puoi insegnarle ad arrampicarsi sui muri, puoi darle nozioni di spada e coi pugnali. Puoi addestrarla a sopportare il dolore, puoi impartile lezioni di portamento in combattimento, ma neppure tu saresti capace di sfruttare al massimo le capacità di una Dea. Fin dai suoi primi scontri, Elena ha dimostrato una flessibilità incredibile nei movimenti, ebbene non esiterò ancora. Ci sono dei gesti, nel suo polso, che mi lasciano esterrefatto. Mi chiedo se Kalel si sia accorto di tale maestria fin dalla nascita di quella ragazza. Ti stupisci mai di come apprenda in fretta? E ti chiedi mai come abbia fatto a gestire i poteri del Frutto?… taci, mio allievo, taci perché spiegazioni a questa forza inumana non esistono e sono incomprese alla nostra razza inferiore. Leila le impartirà quelle nozioni che tu non sei in grado di darle, e allora, quando sarà pronta, potrete tornare ad Acri e compiere ciò che deve essere fatto. E che la tua mente non si ostini ancora a controbattere la mia, Altair, perché sto cominciando a perdere la pazienza, e i tuoi atteggiamenti confondono oltremodo la tua ancora allieva Elena. Con questo non ho altro da aggiungere-. Tharidl si voltò, e i suoi occhi incontrarono quelli furiosi di Altair.
Il suo maestro d’armi scagliò il libro che aveva sotto braccio sul tavolo, facendo crollare sul pavimento il barattolo d’inchiostro e la penna d’oca, assieme ad alcune pergamene bianche.
Il vecchio alzò un sopracciglio. –Qualcosa non ti è chiaro?- domandò con un filo di voce che non parve affatto sorpreso.
L’assassino rimase immobile dov’era: il volto avvolto dall’ombra del cappuccio. –Spiegatemi questa decisione, avanti!- sbottò colpendo con i due pugni la superficie della scrivania, facendo sobbalzare quest’oggetto. –Attendo le vostre più sentite spiegazioni, vecchio!- proruppe ancora.
Le riserve di auto controllo si erano esaurite: non poteva credere a quelle parole.
Elena, giunta lì da poco, si sentì svenire ed indietreggiò spaventata.
Tharidl si portò una mano alla barba bianca. –Vedete nelle mie gesta un’ennesima follia, mio allievo?- fece tranquillo.
Altair s’irritò oltremodo. –Non sono vostro allievo, poiché le mie capacità superano di gran lunga quelle di tutti all’interno di questa fortezza! Dee comprese!- gridò e la sua voce tuonò tra le mura di pietra della roccaforte.
L’inchiostro si era rovesciato sul pavimento e si allargava in una grossa pozza blu intenso, quasi nero. In questa andava ad infangarsi la carta chiara di una innocente pergamena.
Elena tacque, mentre il suo insegnate dava di escandescenza ancora una volta.
-Non riesco a credere che abbiate trovato un modo per eludere quel patto! Non oso neppure immaginare come abbiate convinto i saggi! Non vi basta che essi siano contrari alla decisione più giusta per il Frutto, ma vi ostinate per di più a schierarli contro le leggi dettate da Al Mualim e Sashara in persona!- eruppe Altair, allungandosi sulla scrivania.
Tharidl, sereno, si avvicinò al ragazzo. –Contesti nuovamente il mio volere? Sai bene che non ti conviene- prese le sue difese, ma con estrema serenità.
Altair fece un gesto di stizza. –Oh, certo. Ebbene, vengo da voi non mettendo sottoquadro il vostro studio, bensì per assistere alle risposte che darete alla mia alunna! Forza, se non siete in grado di rispondere alle mie domande, allora spiegatevi a lei!- proferì risentito mettendosi da parte, accanto alla ragazza.
Elena fece per scansarsi, ma Altair l’afferrò per un braccio e la spinse avanti. –Forza e coraggio, razza di vecchio! Ella si sta domandando come mai la presenza di tre ex Dee all’interno della fortezza! Non è così, Elena?- la interpellò senza preavviso.
-Dee?- balbettò lei, e il suo insegnante la mosse ulteriormente dinnanzi al Gran Maestro.
Altair a quel punto tacque, ed Elena avvertì che stava tentando di darsi un contegno, poiché la reazione di Tharidl andava ben oltre la comprensione della ragazza, capace di ammonire con un solo sguardo quanto l’assassino stesse tirando la corta.
Il vecchio si chinò a raccogliere da terra le pergamene e la fiala d’inchiostro, con quel poco che ve n’era rimasto. –Puoi andare Altair, ti sono grato per avermi consegnato delicatamente tra le mani quello che ti ho chiesto di cercare- disse sereno sistemando il casino che l’euforia dell’assassino aveva comportato.
-Cosa?- fece Altair. –No, no! Sono certo che se non assisto a questa conversazione, troverete un modo sicuro per deviare l’argomento e tardare ad Elena ciò che le dovete da quando arrivò in questo luogo! Ossia il nome di suo fratello e il motivo di vesti tanto differente tra Dea e Angelo della Morte!-.
-Basta!- gridò Tharidl, e quella volta fu la sua voce a far zittire i colombi appollaiati sui tetti.
Elena avvertì un dolore lancinante allo stomaco: era il senso di colpa, il rimorso delle sue azioni insensate manifestatesi nelle ultime settimane. In fondo, in un modo o nell’altro, era stata capace di arrecare tanto tormento al suo maestro, si disse. Ma che Altair si schierasse così a prendere le sue posizioni, la lasciò alquanto stupita. Forse era vero che l’assassino mirava solo a sbarazzarsi di lei e dei suoi allenamenti. Insegnare ad una ragazza era così umiliante? Cosa aveva di tanto losco? Forse il suo maestro ce l’aveva con le Dee in generale, chissà che qualcosa l’avesse turbato nel vedere Elika seduta ai tavoli della mensa, si chiese, e poi pensò che come Elika, anche Leila e Kamila dovevano trattarsi della stessa tipologia di donne…
-So che in questi giorni sei piuttosto perso, Altair, ma l’ho tollerato abbastanza! Ora basta, perché te ne approfitti nella maggior parte dei casi, e questo comporta in te poco autocontrollo nel mantenere i piedi per terra e a non innalzarti oltre chi ti supera di rango! Cioè me, tuo Maestro Supremo!-.
L’assassino strinse i denti e si voltò. -Avete ragione, discolpatemi, ve ne prego- disse d’un tratto e, senza aggiungere altro, si allontanò sulle scale.
Elena lo guardò sbigottita perdersi nelle ombre del corridoio. Non era da lui, pensò, arrendersi così alle offese di Tharidl non era abitudine del suo maestro d’armi. Ma dopo tutto, non era stato proprio lui a dirle di moderare i suoi comportamenti esuberanti da ragazzina frignona giusto il giorno prima? Quindi il buon senso di Altair si alternava alle crisi d’identità. Elena provò ad immaginare come si sentisse il suo maestro nell’accingersi a diventare padre, ma non riuscì minimamente a concepire il peso di tale responsabilità. Otto mesi quasi, e forse avrebbe avvertito più che mai ulteriori cambiamenti in lui, ma Altair, allora, non sarebbe più stato suo maestro, ne era certa.
-Diamine!- il vecchio incrociò le braccia al petto tornando a guardare fuori dalle vetrate. –Chissà quale rivolta sarà capace di far sorgere quello lì!- pensò ad alta voce. –Ho impiegato tutte le mie ultime forze perché i saggi accettassero le mie condizioni, e quel dannato assassino troppo pieno di sé e della sua vita sentimentale farà saltare tutto quanto!- strillò ai quattro venti.
Elena sobbalzò. –Maestro, di cosa state parlando?- domandò incerta, movendo un passo avanti.
Tharidl si girò lentamente, prese fiato passandosi le mani in volto a stirarsi le rughe della pelle, fino a stropicciarsi gli occhi e massaggiarsi la radice del naso. –Perdonami, Elena, avrei dovuto chiedere la tua opinione prima di quella di chiunque altro, e imploro il tuo perdono per questo- proferì calmo.
Elena gli sorrise mesta. –Non tormentatevi, Maestro. Ho appreso che chinare la testa dinnanzi a voi è un dovere cui sento di sostare in ogni caso. Fu Altair a rammentarmelo, ma non mi sorprende che si comporti così, infondo sta per…- le parole le morirono in gola così com’erano nate.
Tharidl aggrottò la fronte. –Stavi dicendo?-.
-Nulla, assolutamente nulla!- fingere le riusciva proprio male.
-Sai forse a cosa mi stavo riferendo?- domandò lui confuso.
-No!- sbottò, invece sapeva che Tharidl sospettasse di lei e delle sue orecchie troppo grandi!
Il vecchio allungò le labbra sottili in un sorriso divertito. –Se il tuo buon udito è arrivato così lontano, te ne prego di non spargere la voce. In quel caso puoi star certa che né io né il tuo maestro ne saremmo tanto felici, anche se…- borbottò.
-Anche se?-.
-Anche se non è certo, ma ora basta divagare su queste sciocchezze. C’è altro che urge-.
Non era certo? E cosa voleva dire se non… ah, pensò la ragazza curvando le spalle. Ci sarà rimasto male, si disse.
-Sì, c’è molto… altro- proferì in un sussurro.
Tharidl aprì con cautela il testo che Altair aveva clamorosamente sbattuto sulla scrivania. –Sai cos’è questo e perché lo feci cercare al tuo insegnante?- chiese con tono profetico e soave.
Elena avanzò ancora, avvicinandosi e lanciando un’occhiata alle pagine ingiallite del tomo che Tharidl prese a sfogliare adagio.
-No- disse in tutta sincerità.
-Unica e sola testimonianza che lasciò Alice di sé quando aveva la tua età. Lo conservavo da parecchio, aspettando questo momento-.
Elena sorrise con gioia. Allora qualcosa di utile nella biblioteca era rimasto, pensò.
-Quale momento? La cerimonia? L’investitura? La riuscita della missione?- lo tempestò di domande che in loro contenevano già le risposte.
Tharidl scosse la testa. –Quelle donne che hai veduto sedute alla mensa, erano Dee, come disse il giusto Altair, che non appena ne venne a sapere, scoppiò su tutte le furie. Ho voluto che queste tornassero non solo in onore della cerimonia di domani, ma bensì per cominciare a spolverare le loro affinità. Kamila, Elika e Leila sono una piccola minoranza di costoro, le altre raggiungeranno la fortezza al calare del sole della prossima settimana massimo. Elle si trovano nei meandri di questa terra e mandai alcuni assassini in quei luoghi affinché le richiamassero tutte. Elena, sono oltremodo fiero di annunciarti che non sarai più sola nelle tue stanze, d’ora in avanti- proferì composto e austero.
Elena aprì la bocca, dalla quale non uscì alcun suono se non un gemito strozzato. –Cosa?- pronunciò confusamente.
-Hai capito benissimo, invece- rise il vecchio.
Elena si riscosse, riacquistando padronanza della sua voce. –Ma perché?-.
-Una mia semplice, solidaria scelta- annunciò.
-Non capisco!-.
-Non ti senti sola, incompresa?-.
-Parlate come Rhami…- borbottò.
Tharidl si fece ancor più serioso. –Elle sapranno aiutarti come non altri, poiché i tuoi addestramenti con Altair avranno termine al fine di questa settimana- disse cupo.
-Questa poi! No!- obbiettò. Era sconvolta, non poteva crederci. –Il mio addestramento non è giunto al termine! Ho altro da imparare da lui! Egli vede il vero in voi, vi vede un pazzo, ed ora neppure io sono capace di non contrappormi alle vostre scelte! Andate dicendo follie, Maestro!- sbraitò.
Il vecchio prese fiato. –Non nego che all’inizio potresti non comprendere, ma chiederò loro di darti alcune nozioni fondamentali perché tu apprenda cosa davvero si cela nella veste di una Dea-.
Sperava che quel momento non sarebbe mai arrivato. L’aveva sentito dire da Rhami, ma non credeva fosse vero. Non poteva essere vero. Se gli incarichi di una Dea rivolgevano certe… “attenzioni” alla vittima destinata alla lama, lei si sarebbe rifiutata. Che bastardi! Pensò. Prima l’attirano al mestiere mettendole come maestro un gran figaccione così da non farle cambiare idea tanto alla svelta, e poi Tharidl pretende che si abbassi a certi livelli! Insomma, parlando chiaro, il nome Vedova Nera diceva tutto, no?!
Elena si sentì avvampare. Perché tanto inganno nei suoi confronti? Si chiese. Era caduta forse nella trappola? Tharidl l’aveva portata a schierarsi dalla parte della setta così che non sarebbe stata in grado di tirarsi in dietro? Si chiese se la storia di sua madre che faceva la Dea fosse o no una farsa per portarla di nuovo ad indossare quelle vesti sconce e orribili che avevano fatto bene a bruciare. Rhami l’aveva avvertita: quel nomignolo, Dea, era una condanna, il codice che davano ai detenuti.
La fortezza di Masyaf aveva già abbastanza carcerati. Basta, lei mollava.
-No! Non mi abbasserò mai a fare la sgualdrina, e se questo comporta la mia licenza di assassina, be’ mi dimetto!- sbottò furiosa.
Tharidl non sembrò affatto sorpreso di quella reazione, tutt’altro disse: -Sapevo che avresti reagito così. Ebbene, voglio che tu dia un’occhiata a questo tomo, che Alice scrisse di suo pugno. Ella fu l’unica che conservò un suo diario privato, poiché alle Dee non era concesso mettere in bella vista i loro pensieri. Oggi ringrazio pregando tua madre di aver lasciato una giovane testimonianza! Tieni, prendi, fatti una cultura- le porse il piccolo scritto che Elena non accolse nel suo pugno.
La ragazza indietreggiò. –In quel diario…- parlottò –è tenuto il nome di mio fratello?- chiese severa.
-No- affermò il vecchio.
Elena fece un gesto con la mano. –Allora non ne sono interessata-.
-Tutto ciò è assurdo! Si tratta di tua madre! Prendilo!- si allungò in avanti, ma Elena indietreggiò di nuovo.
-No!- ringhiò lei. –Mi avete strappato dai miei punti fermi, Maestro! Perché accettarne di nuovi?-.
-Ti stai riferendo ad Altair?- domandò colpito.
-Non solo!- ribatté la ragazza. –Quando Rhami mi parlò di sua madre e accennò alla mansione che ella svolgeva, non credevo che… insomma… -.
Tharidl assunse un’espressione contorta, mista tra smarrimento e sorpresa.
-Che cos’è quella faccia?!- lei s’irrigidì.
-Posso sapere di cosa stai parlando?- rise di colpo, e la sua risata si diffuse fragorosa nel salone.
-Non… non…- balbettò lei, confusa e avvilita. Possibile che stesse pensando il falso?
-So bene cosa ti è passato per la mente!- ridacchiò il vecchio. –T’informo che le Dee da oggi aprono un nuovo capitolo della storia degli omicidi. Incarichi di quel genere risalgono, ecco, ai tempi della madre di Rhami!- si beffò.
-Quindi…- Elena abbassò lo sguardo.
-Elena, ma per favore! Credevi davvero che ti avrei fatto una cosa del genere?- Tharidl poggiò il diario di Alice sul tavolo e le venne incontro, cingendole le spalle con un abbraccio.
Ed Elena si strinse a lui affondando il volto nella sua casacca scura di Maestro. –Non ho idea di cosa mi sia passato per la mente, scusatemi…- mormorò.
Lui le accarezzò i capelli. –Permettimi di aggiungere che…- cominciò con voce melodiosa. –non sarei mai stato capace di fare un simile torto a tuo padre, sappilo. Lui ti mandò qui affinché ti proteggessi e t’istruissi, ma egli aveva sempre visto nelle Dee qualcosa di alquanto riluttante. A quei tempi condividevo il suo sdegno per le mansioni che Tharidl rendeva alle ragazze, e fui io stesso a gioire assieme a lui quando Alice venne bandita, perché ella, come tutte le Dee, non attendeva altro. Alla morte di Al Mualim, questo modo assurdo di disprezzare le Dee è stato rievocato, ma come ti dissi al tuo arrivo, in questo luogo dimora ancora chi non vede di occhi azzurri te né tanto meno chi ti circonda- le sussurrò.
-Dunque…- lei si distanziò appena. –non capisco cosa necessitano Kamila, Elika e Leila di insegnarmi- proferì più tranquilla.
-Devi sapere che il combattimento di una Dea si differenzia con netti contrasti da quello di un Angelo, e dopo la cerimonia ne assumerai a pieno le prime nozioni da Leila, che oso dire sia ancora la migliore- le fece l’occhiolino.
Chi? La bulla? Elena soffocò una risata che se fosse venuta fuori, non avrebbe più smesso. D’altro canto, doveva abituarsi all’idea di ridere poco alle spalle di quelle tre donne. Anche se conosceva il sufficiente necessario di Elika, Elena non si sentiva ancora in confidenza con lei. Giusto, una volta le aveva pianto sulla spalla tutti i suoi dolori, ma presto sarebbero state compagne di stanza e nulla le avrebbe impedito di trattarla come una bambola… la giovane assassina ripensò con fastidio alla scena di poche ore prima nella sala mensa, a quando le aveva pizzicato una guancia. Orribile ricordo che, in un modo o nell’altro, avrebbe rimosso al più presto.
-Apprendere da Altair potrebbe esserti ancora utile, non lo nego, ma vorrei che imparassi a sfruttare al massimo la flessibilità cui gode solo una donna- sorrise armonioso.
-Flessibilità?- domandò curiosa e meravigliata.
Lui annuì. –Avrai modo di scoprire da te che nel tuo corpo si cela una piuma che aspetta solo di essere sospinta da una fresca ventata invernale. A proposito d’inverno…- borbottò voltandosi alle vetrate. –prevedo la prima neve già dall’inizio di dicembre- sospirò.
Elena gli andò affianco.
-Come vola il tempo… mi sembra ieri che ti accolsi in una calorosa giornata d’estate tra queste mura- le carezzò una guancia, e lei arrossì.
-Prima mi avete spaventato, Maestro- disse la ragazza.
-Come mai?- aggrottò la fronte.
Elena esitò un istante. –Credevo davvero che… ma a parte quello, l’idea di allontanarmi dagli allenamenti cui mi sono abituata mi metteva ansia. Ma ora comprendo, e vi sono grata di tutto-.
-Sei tale quale a tua madre- le sussurrò abbracciandola ancora. –Tale e quale-.
Anche se non le piaceva pensare a quali tipologie di incarichi avrebbe svolto, Elena avvertiva il peso di troppi fardelli appartenuti alla sua famiglia per tirarsi indietro. In quelle vesti, sotto quelle vesti bianche e linde che indossava, si celavano l’anima di suo padre e sua madre, una parte delle quali era racchiusa nel corpo di suo fratello. La collana di Alice era come una catena di fiori che la teneva attaccata a quel luogo e a quelle vesti, che avrebbe voluto tanto bruciare… il ciondolo intarsiato nella pietra che Elena strinse tra le dita delicatamente, era tutto ciò che le rimaneva della sua famiglia, una piccola testimonianza che Tharidl e altri dicessero il vero. Non si sarebbe tirata indietro proprio ora che tutto attorno a lei stava prendendo una piega migliore, finalmente il mondo le arrideva, si disse. La cerimonia, l’investitura al rango più alto e un po’ di compagnia nelle stanze che per anni erano rimaste vuote… c’era un incantevole lato positivo in tutto quello.
Come una bambola di pezza, Elena si lasciò avvolgere dalle sue braccia che un poco le ricordavano Kalel; la stessa forza esile e delicata che solo gli adulti o i vecchi hanno.
-Maestro- chiamò ad un tratto scostandosi.
-Sì?- fece lui disponibile.
-Minha… che fine ha fatto?-.
Tharidl si guardò i piedi, spostando poi gli occhi scuri fuori dalle vetrate. –Adha non è riuscita a trovarla e temiamo il peggio… dalla biblioteca sono spariti alcuni documenti di vitale importanza, e la ragazza ci è sfuggita di mano giusto ieri notte, ne sono certo-.
-Fuggita?-.
-Le sue abilità vanno ben oltre ciò che immagini… quella donna fu una Dea, Elena, e le sue doti le sono servite per colpirci tanto in basso- brontolò.
Minha una Dea… avrebbe dovuto capirlo subito, perché la sua bellezza esagerata a la cura che aveva del suo aspetto davano a vedere una donna cui molti uomini si sarebbero inchinati.
-Perché credete che abbia fatto questo?- domandò in un sussurro.
Tharidl sospiro giungendo le mani dietro la schiena. –L’amore che aveva per Asaf l’avrebbe spinta ad allontanarsi dalla setta allo stesso modo di tua madre, ma ella era disposta a tutto pur di garantire l’anonimato delle sue azioni. Pazza e accecata dall’odio, Minha avrà visto in Corrado un modo per vendicarsi di me, suppongo… anche se mi viene celato il motivo certo. Da un punto di vista più lucido, non comprendo come mai Minha abbia stretto alleanza con l’uomo che ha comandato i soldati che uccisero Asaf. Tutto ciò è assurdo, ma non tocca a me assillarti in questo mondo. Alcuni comportamenti umani vanno ben oltre la mia comprensione…- parlottò il vecchio.
Elena allora tacque, ulteriormente confusa.
Poteva essere una coincidenza che Minha non fosse a palazzo?
-Elena, potresti farmi un piccolo favore?-.
-Ovviamente, di cosa si tratta?-.
-Vorrei che cercassi di tranquillizzare il tuo maestro. Sicuramente si sarà chiuso nelle sue stanze e posso star certo che non tornerà da me prima di domani mattina, ma ho bisogno di parlargli di altro, che se posso dire, ti riguarda. Quindi, potresti chiamarlo per me?- il vecchio allungò una mano e le alzò il cappuccio a celarle il viso, ed Elena sorrise.
-Farò come mi avete chiesto- proferì un inchino, ma Tharidl s’illuminò d’un tratto.
-Aspetta, prima avrei avuto piacere ad illustrarti alcune pagine di questo…- sfiorò la copertina scura del libro, ed Elena rimase inchiodata al suo posto.
-Va bene- acconsentì lei gioiosa e curiosa.

Tharidl la lasciò andare dopo che ebbero letto assieme una prima parte del diario di Alice.
Era ferma sulle scale con lo sguardo basso, mentre sotto braccio teneva il testo che Tharidl le aveva dato da spulciare quando ne avesse voglia.
Le rivelazioni di quelle prime pagine erano state come acqua che cade dal cielo nel mezzo del deserto, ma desiderava prendersi del tempo per pensare più affondo a tutto e tutti.
Si diresse nelle sue stanze, nelle quali non avrebbe sostato allungo dato l’incarico affidatole.
Passò per il corridoio, che trovò ancora traboccante di assassini e salì le scalette a chiocciola, fino a giungere negli appartamenti delle Dee.
Elena s’immaginò quelle stanze piene di belle ragazze. Vedeva le loro figure sinuose spostarsi da una camera all’altra, sentiva le loro risate acute alle quali le sarebbe piaciuto prendere parte. Era tempo di ricominciare a credere in loro, si disse, e nel loro operato, poiché esse, presuppose, potevano arrivare ben oltre le indagini comuni.
Elena poggiò adagio il diario sulla scrivania della sua stanza e guardò fuori dalla finestra, ove il panorama si perdeva all’orizzonte nei colori intensi del primo pomeriggio.
-Che cos’è?-.
Elena si voltò e portò una mano all’elsa della lama corta. –Che ci fai qui?! Non potresti essere qui!- digrignò.
Rhami era appoggiato all’ingresso della stanza, le braccia conserte, lo sguardo disonesto che Elena odiava tanto. –Te l’ha dato Tharidl? Che cos’è?- chiese ancora.
Il giovane stava per muovere un passo, ma la ragazza trasse dal fodero un pugnale da lancio e lo scagliò contro la parete, a pochi centimetri dal viso dell’assassino.
Rhami sorrise, ancor più soddisfatto.
-Non ti è bastata la lezioncina?- rise lei. –Ne vuoi ancora?!- sbottò irritata.
-La batosta mi è bastata… Non scaldarti tanto, voglio solo parlarti- disse serio tornando dritto.
Elena portò alla mano un nuovo pugnale. –Resta a distanza!- strinse i denti.
Rhami compié una giravolta. –Sono disarmato, vengo in pace!- ridacchiò mentre Elena notava che effettivamente non aveva con sé armi.
-Che cosa vuoi, dunque?- domandò nervosa.
Lui voltò il viso di lato e abbassò lo sguardo. –Ne sei felice?- mormorò.
Elena sgranò gli occhi. –Cosa?! Di cosa parli?!-.
-Le Dee! Stanno tornando e tu hai permesso che accadesse!- sibilò.
-Non avevo scelta, l’hai detto anche tu…- sussurrò lei. –Mi sento sola ed incompresa, e non capisco come questo possa darti tanto dispiacere- dichiarò.
Rhami avanzò ed Elena glielo permise restando vigile.
-E se ti dicessi che sono solo geloso? Perché quelle ragazze non hanno fatto altro, nella storia di questa fortezza, che rubare a noi gli incarichi!-.
Elena scoppiò a ridere. –Tutto qui? Una questione di… onore?!- rideva e non riusciva a fermarsi.
Rhami era tanto stupido? Gli Angeli della Morte di Masyaf potevano essere tanto stupidi?!?
-Non sto scherzando- sorrise lui. –davvero!- aggiunse allegro.
Dannata gelosia, che spingeva gli uomini a compiere azioni assurde, pensò tornando dritta e constatando che Rhami si era avvicinato ancora.
-Allora non ci siamo capiti- fece maliziosa.
-Oh, scusa tanto- indietreggiò con un saltello.
Guardare i suoi occhi azzurri e notare quanto si somigliassero, le dava fastidio. Così ad Elena balzò in mente un dubbio cui voleva sbarazzarsi al più presto.
-Tua madre- cominciò lei. –Tu l’hai conosciuta?- domandò con un filo di voce.
Il ragazzo soffocò il suo sorriso. –Sì. Se non fosse stato per Al Mualim, ora non sarei qui…-.
Ed io vivrei una vita tranquilla, pensò Elena. –Cosa?!- sgranò gli occhi.
Rhami s’incupì ed indietreggiò ancora fino ad allontanarsi nel salotto.
-Aspetta!- lo chiamò Elena correndogli dietro.
L’assassino, scoprì Elena, si era affacciato ad una delle immense vetrate aperte del salone e guardava il sole specchiarsi sui tetti della fortezza e splendere sulle piume argentate di Rashy che compieva acrobazie gioiose nell’azzurro firmamento.
La Dea gli si avvicinò con cautela e, cogliendolo con un’espressione afflitta e rassegnata che Elena non gli aveva mai visto, si permise di affiancarsi a lui. –Stai scherzando, vero?- balbettò.
Rhami soffocò una risata. –Ti prego, non fraintendere, Al Mualim non è mio padre… non ho idea di chi sia mio padre- proferì tornando serio.
-Ah, ecco… infatti- si aggiustò i capelli. –Credevo… eheh…-.
Rhami le volse un’occhiata, ma tornò alla svelta al panorama. –Sono figlio d’ufficio, capisci? Sono stato concepito in un incarico!- non riuscì a trattenere la collera.
Elena d’un tratto comprendeva.
-Rhami- mormorò il suo nome e lui si girò a guardarla, i loro occhi di ghiaccio s’incrociarono.
-Io… non pensavo, mi dispiace tanto- continuò lei non riuscendo a tenere quello sguardo.
Il ragazzo prese un gran sospiro, mentre una brezza fresca gli scompigliava i capelli ramati. –Non potevi saperlo; ed io non mi sentivo pronto a dirtelo- proferì accigliato.
Ecco cosa rischiava una Dea negli anni passati. Ecco qual’era il tormento che assillava quel povero ragazzo, pensò. Essere figlio di una missione non andata come si sperava, non conoscere il nome del proprio sangue… Elena capiva bene come si sentiva. La ragazza comprendeva meglio di altri cosa Rhami stesse provando in quel momento. Lo stesso sconforto, la stessa rabbia, la stessa dannata colpa che in ogni caso doveva cadere sempre su sé stessi. Un dolore profondo che segnava l’anima con una croce bella e buona che andava durare per tutta la vita.
-Ovviamente non ne vado fiero- bisbigliò lui –ma quando Tharidl mi disse la verità che invece Al Mualim mi aveva tenuto nascosta, accettai il mio destino e solo allora iniziarono i miei addestramenti. Solo all’età di 16 anni appresi l’essenza di essere un assassino. Ero mosso dalla vendetta, dalla voglia di scovare il bastardo che aveva lasciato in cinta mia madre e, se fosse stato possibile, di uccidere Al Mualim con le mie stesse mani. Egli aveva affidato a mia madre il compito più vile tra tutti, ovvero intrattenere la vittima. Un altro assassino avrebbe pensato al resto la mattina successiva… ma questo non si fece vedere e la missione si concluse con la fuga di mia madre. Non ero orfano, non ero figlio di nessuno se non di una puttana! E questo mi faceva arrabbiare e litigare molto spesso con mia madre, che alla fine lasciò la setta come tutte le altre Dee. Da lì non la rividi più, e ora sento mancarmi la famiglia che non ho mai avuto. Lei mi aveva abbandonato al mio destino, lasciandomi alla mano nient’altro se non il mio stesso dolore, che avrei usato come arma il giorno in cui sarei divenuto assassino. Ogni Angelo di questa fortezza ha la sua storia, i suoi dolori, le sue paure, i suoi timori… io mi sentivo all’epoca quello nelle condizioni peggiori. Scartato da tutti, isolato, messo da parte anche negli incarichi e visto di malocchio per quello che ero. Non noti una certa somiglianza? Poi sei arrivata tu…-.
Elena sollevò il volto e si trovò a stretta distanza con quello dell’assassino.
Ghiaccio che scioglieva, pensò Elena fissandolo negli occhi.
Rhami si chinò appena su di lei, ma Elena riuscì a sottrarsi al breve contatto delle loro labbra.
-Certi istinti non riesci proprio a tenerli per te?- domandò rigida.
Rhami scosse la testa, ed Elena rise.
-Sei patetico, avanti, vattene- indicò le scale.
L’assassino sorrise malizioso. –Vuoi davvero che me ne vada?-.
-Ah!- la ragazza si avviò. –Fa’ come meglio credi, ma se non te ne vai tu, levo le tende io!- sbottò scendendo al piano di sotto.

Rhami si guardò attorno, scrutando ogni particolare della stanza che quella “famosa” notte, a causa del buio, non aveva avuto modo di adocchiare. Il ragazzo avanzò sfiorando le federe del letto con due dita, e si fermò di fronte alla scrivania, sulla quale Elena aveva lasciato quel buffo piccolo tomo.
Lo prese tra le mani e cominciò a sfogliarne alcune pagine.
-Che cosa stai facendo?- Marhim entrò nella camera e gli si fermò alle spalle.
Rhami si voltò lentamente, con gli occhi ancora chini sul libro. –Tu perché sei qui?- chiese assorto.
-Rispondi alla mia domanda!- sbottò Marhim. – Che cosa stai facendo qui? Dov’è Elena?-.
Rhami alzò lo sguardo e fulminò il ragazzo con un’occhiataccia. –è nella stanza accanto, sul letto, nuda!- rise. –è stato divertente- aggiunse.
Marhim trovò la battuta tutt’altro che divertente. –Vattene, non puoi stare qui-.
-E tu sì?- Rhami faceva finta di ignorarlo rispondendogli con tono seccato. Nel frattempo leggeva il diario di Alice che stringeva tra le mani, sfogliando pagina dopo pagina.
-Perché non è qui? Gli assassini l’hanno vista salire- disse il ragazzo.
Rhami lo guardò torvo. –Vista salire ma non scendere?-.
Marhim scosse la testa.
-Strano- Rhami chiuse il diario di colpo e lo poggiò sul tavolo. –Sarà in giro sul piano- suggerì avviandosi.
Marhim lo afferrò per il cappuccio quando gli passò affianco.
L’Angelo più esperto lo fulminò con lo sguardo. –Che vuoi?!- digrignò.
Marhim cacciò la paura. –Stalle alla larga, chiaro?- proferì con quanto tono serioso gli era possibile.
-Sa essere distaccata quando vuole, dovresti ronzarle attorno meno anche tu!- Rhami si divincolò dalla presa e, con passo svelto quasi di corsa, scese le scale.

Elena esitò sulla porta, il braccio alzato, la mano in procinto di bussare.
Il corridoio alle sue spalle taceva, ma si diffondeva il canto degli uccellini e il crosciare continuo della fontana del cortile.
La ragazza si allontanò di un passo dall’ingresso serrato della camera. Si guardò attorno, ripensando che non era stata una buona idea. L’aveva visto così nervoso, turbato mentre parlava col Gran Maestro. Era più prudente andarsene e infischiarsene, ed Elena fece per obbedire alla sua coscienza sporca.
Un grido violento, e dall’altra parte della porta Elena colse il suono di fogli di carta che sbattevano, alcuni oggetti che si rovesciavano al suolo e poi una voce che strillava: -Rashy!- con estremo stupore e rabbia.
Elena allora scostò una battente della porta e si sporse nella stanza.
Rashy, l’adorabile falchetta, era con le ali spalancate poggiata sul cornicione della finestra aperta. Lo sguardo spaurito, il becco socchiuso e impiegato in un sibilo acuto e costante.
Sul pavimento erano sparsi fogli di tutti i generi, assieme ad un mucchio di libri, e in piedi dietro la scrivania c’era il suo maestro d’armi che in volto aveva solo agitazione mista a sbigottimento.
Rashy emise un nuovo grido, ma Altair si apprestò a serrargli il becco con una mano. –Smettila!- la rimproverò l’assassino richiudendole prendendola sotto braccio. Quando lasciò la presa dalla sua bocca, Rashy andò ad aggrapparsi alla sua veste fino ad arrampicarsi sulla sua spalla.
-Che cosa le è preso?- domandò Elena, e Altair fu alquanto stupito di vederla lì.
L’assassino tacque un istante. –Non ne ho idea, ma non deve essere stata una bella cosa- borbottò guardando la falchetta.
Elena si apprestò a raccogliere da terra le pergamene che l’atterraggio agitato di Rashy aveva sparpagliato sui tappeti.
-Lascia, ci penserò io più tardi- disse Altair aggirando lo scrittoio. –Tu puoi andare- aggiunse severo.
-Veramente…- cominciò lei raggruppando i tomi di esile carta gialla in grembo. –Tharidl mi manda a parlarvi - annunciò poggiando le carte sul tavolo, e chinandosi a raccogliere il resto della roba sparsa a terra: c’erano delle piume d’oca bianche usate per la scrittura, una bussola, un compasso, fermacarte. Elena raccolse tutto ai piedi del suo maestro che la guardava in silenzio.
-A parlarmi di cosa?- sbottò irritato.
-Di noi- proferì sollevandosi.
Altair alzò un sopracciglio.
-Cioè…- balbettò lei arrossendo. –Non di “noi”! A parlarvi di “noi” Dee…- gli volse un’occhiata.
-Come mai? So già abbastanza di “voi” e non intendo…-.
Elena scosse la testa, guardando Rashy che, scivolando giù dal braccio del suo maestro, zampettò sulla scrivania.
-No, più che altro egli mi manda a spiegarvi, come disse a me, che le Dee non svolgeranno più quel genere d’incarichi che vedete di mal’occhio. E ne sono tanto felice anche io. Inoltre, voleva che vi calmassi. Insomma, sembrate così teso…- mormorò ridendo.
Altair indietreggiò, tornando dietro la scrivania. Abbassò lo sguardo e tentò di mettere ordine sul tavolo. –Non so di cosa tu stia parlando-.
Sul volto di lei si disegnò un istantaneo sorriso malizioso. –Ma maestro- rise. –lo so io e voi no?- domandò giocosa.
-Ti ripeto- realizzò serio. –Non so. Di cosa. Tu stia. Parlando- ripeté.
Elena allora aggirò la scrivania e gli fu affianco. –Devo darvi io la notizia?-.
Altair perse la compostezza della schiena e crollò sulla sedia dello scrittoio, massaggiandosi il volto con le mani. –Va bene, va bene…- sibilò.
Elena sedette sulla scrivania e rimase con le gambe a penzoloni, mentre sistemava bene la veste ai suoi lati. –La vostra memoria dunque funge, maestro- ironizzò.
Lui poggiò le braccia sui braccioli e le lanciò un’occhiata neutra: -te l’ha detto Adha?- chiese affranto.
Elena fece la vaga. –Diciamo che… no-.
Altair a quel punto fu ancora più scioccato. –E come lo sai?- sbottò.
Elena si strinse nelle spalle. –Quando l’avete detto al Rafik di Acri ho ascoltato poco e niente, ma…- mormorò. –ma capito abbastanza-.
L’assassino puntò il suo sguardo silente dritto davanti a sé. –Ah, ecco- disse solo.
Il silenzio calò nella stanza, mentre Rashy aggrappata al balcone della finestra, si spulciava piuma dopo piuma le ali privandole della sporcizia accumulata.
Seduta sulla scrivania del suo maestro, che taceva in un ostinato mutismo, Elena si guardò attorno. Lanciò un’occhiata alla libreria, sui quali scaffali si allungava una scaletta mobile. Osservò taciturna Rashy che completava il suo bagno, contò gli uccellini che svolazzavano nel giardino fuori dalla finestra. Si lasciò cullare dal loro canto melodioso, ammirando il paesaggio di campagna che si perdeva fino ai piedi delle montagne.
-Effettivamente non era vero-.
Elena si voltò, e si accorse che gli occhi scuri del suo insegnante d’armi erano su di lei. –Cosa?-.
Altair rimase impassibile. –Non era vero che Adha aspetta un figlio da me- pronunciò poggiando i gomiti sul tavolo. Curvò la schiena e guardò altrove.
Elena sobbalzò. –Da un altro?- balbettò.
–No…- rise l’assassino.–Mi ha dato la notizia di sfuggita prima di partire per Acri. Quando sono tornato mi ha detto che non era vero- bisbigliò inquieto.
Ecco cosa intendeva Tharidl con “non è certo”.
Elena si rattristì, condividendo quella mancata gioia del suo maestro. –Mi spiace- mormorò chinando la testa.
 -Non dovrei condividere con te certe informazioni- proruppe Altair alzandosi. –Avanti, scendi dalla scrivania- la guardò torvo.
-Oh, scusate…- Elena fece un balzo in avanti e scese dal tavolo arrossendo.
-Hai piani in mente per oggi?- le chiese sorridendo.
-Non particolarmente, perché?- rispose speranzosa che avrebbero fatto qualcosa assieme.
-Se non sbaglio- cominciò lui –Marhim è tornato questa mattina, e non vi eravate dati appuntamento per un piccolo ripasso didattico?-.
Uffa, pensò lei.  -Sì! Avete ragione- disse e proferì un inchino. –Meglio che vada, maestro- si avviò all’uscita e aprì la porta.
L’Angelo seguì i passi della Dea perdersi nel corridoio, poi il silenzio calò in quell’ala della fortezza.
-Avanti, anche noi abbiamo molto da fare- Altair allungò un braccio e Rashy si avvinghiò ad esso. –Ti accompagno a caccia- disse mentre la falchetta saliva sulla sua spalla.


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“-Hai piani in mente per oggi?- le chiese sorridendo.
-Non particolarmente, perché?- rispose speranzosa che avrebbero fatto qualcosa assieme.”


Prego i gentili ascoltatori di non fraintendere il significato di queste parole: Elena intendeva chiaramente “qualcosa” come per esempio un allenamento extra o alcune lezioncine teoriche. (lo ammetto, i pensieri sconci sono balzati in testa anche a me!) XD


Elika95 ringrazia i gentili ascoltatori:


Saphira87
goku94
Lilyna_93
Carty_Sbaut


X Saphi: su msn ti ho detto… troppo. Tutti quelli spoiler, dio, ti avrò rovinato parecchio le sorprese, riducendo il finale della storia a 2 opzioni. Che crudele che sono, e ancora non so come farò per sdebitarmi. Come promesso, ho aggiornato questa sera, e mi sarebbe tanto piaciuto che tu facessi altrettanto… ç_ç Hmm, che altro? Ah, certo. Ebbene, sì, le Dee tornano alla carica, ma per il bene di Elena e della setta Tharidl ha rievocato quel “genere” di incarichi che svolgevano una volta le assassine. Leila e Kamila sono solo due delle centinaia di giovani ragazze che finalmente popoleranno i piani alti della fortezza!!! XD Altair nella biblioteca, quando ha colto in fragrante Marhim ed Elena, era arrabbiato perché Tharidl le aveva chiesto di prendere quel “testo” che aveva stillato in lui parecchi dubbi che non gli andavano a genio… e ci è rimasto un poco così O.O nel sapere che tornavano le Dee… chissà perché ù.ù ehehe (me ride malignamente: muhahahaha). Alla proxima puntata allora, e ci si becca su msn, ciauuu! P.S. Ovviamente spero che questo chappo ti sia piaciuto! XD

X goku94: spero che tu sia riuscito a trovare del tempo tra lo studio e tua madre per leggere questo chappo, che alla fine non è stato così pieno come credevo. In questo capitolo avrei dovuto mettere la cerimonia e tutto il resto, il “zappa dito della mano sinistra” per intenderci. Mi sono allungata troppo tra i litigi di Tharidl e Altair (che è diventato ad un tratto piuttosto isterico o.o). recensisci appena puoi, un saluto e ci si becca su msn, ciao!

X Carty e Lilyina: Carty, sono contenta che la mia ff ti piaccia, e Lilyna… dove sei finita? Avanti, questa punizione non durerà in eterno, ma piuttosto… ho visto che ti hanno taggato l’accaunt, perché sulla pagina del tuo profilo c’è una scritta strana e assurda, devo dire O.O è successo qualcosa che ha fatto incazzare quelli del server? Insomma… vedi tu e, se questo avviso lo sta leggendo Carty, puoi riferirglielo? Grazie ad entrambe e un saluto.

X Angelic, Assassin, Diaras:  fatevi sentireeeeee ç_ç

Ok cari ascoltatori, radio Elika chiude questo aggiornamento dandovi appuntamento alla prossima puntata oppure all’altra ff, come preferite. Un grosso “GRAZIE E VI ADORO” a tutti coloro che seguono la mia ff nonostante: gravosi errori di grammatica, soggetti sintattici “troppo” sottintesi o assenti, parolacce ben distribuite, quindi quasi assenti, e termini come “lampadina” che nel XII secolo non esistevano XD notte a tutti!


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Capitolo 35
*** Paura del sangue ***


Paura del sangue





Elena si aggiustò i lembi della veste stropicciati, spazzando via alcuni residui di polvere. Nella mano destra teneva sguainata la spada, e con quella sinistra si issò il cappuccio grigio a celarle il volto. Con un rapido movimento, si sgranchì i muscoli delle spalle e quelli del collo, tornando dritta su due piedi. –Allora- cominciò lei piegando le ginocchia e saltellando ben riscaldata. –Da quanto ho saputo, ti sei annoiato parecchio ad Alhepo- disse alzando gli occhi azzurri maliziosi e incontrando quelli color nocciola di Marhim.
L’assassino esitò sull’impugnatura della sua arma, ancora nel fodero. –Come… come lo sai?- fece confuso.
Elena fece una smorfia voltandosi alla sua destra, ove Halef era poggiato alla staccionata che cingeva l’arena degli allenamenti.
Il ragazzo fuori dal recinto alzò una mano. –Eccomi- rise.
-Razza di…- brontolò Marhim lanciandogli un’occhiataccia, ed Halef trovò in quelle parole maggior divertimento.
-Che c’è? Le ho solo detto che sei rimasto nella Dimora durante tutto il tempo, poltrendo e annoiandoti accumulando sconfitte imbarazzanti a scacchi col Rafik e che non vedevi l’ora di tornare! Sei pigro, fratello, solo pigro!- ridacchiò Halef.
-Parla lui- sbottò Marhim estraendo la spada.
Elena curvò la testa da un lato, ridendo. –Come mai non ti andava di uscire?- chiese.
Il suo amico si schiarì la voce. –Avevo paura di combinare qualche casino a causa del mio… impacciato muoversi!- si beffò.
-Confermo- annuì Halef, e la sua finta espressione seria la fece scoppiare dalle risate.
-Piantala!- lo riprese Marhim.
-Avresti dovuto vederlo, Elena! Tutto il giorno seduto come un Re di Francia a leggere e a scrivere! Scrivere Dio solo sa cosa, poi! Quando tornavamo dalle indagini lo trovavamo esattamente come l’avevamo lasciato! Il Rafik ha anche provato a dargli un po’ di roba, ma peggio! Il giorno dopo ha ronfato come un ghiro in letargo! Insomma, la droga funge da calmante, su di te, fratello!- disse Halef sgranando gli occhi.
-Lo scherzo è bello quando dura poco, ragazzino- Marhim gli puntò la spada contro a distanza.
Elena si riprese dal rossore lentamente, cercando di trattenersi, ma non sapeva dire di no all’immensa gioia che veniva fuori nel riaverli accanto tutti e due. I suoi Angeli Custodi, pensò. Loro che l’avevano salvata dal braccio della morte ed erano entrambi così simpatici. Li avrebbe abbracciati se quell’azione non avesse suscitato troppo clamore, ma poteva nascere qualcosa di considerevole da un’amicizia, si chiese? Perché erano così adorabili! Si disse.
-Halef- lo chiamò lei, e l’assassino si voltò a guardarla.
-Sì?-.
-Domani sali di rango anche tu?- domandò riscaldando il polso destro con fluidi e aggraziati movimenti della lama.
Lui alzò le spalle. –Probabile, ma solitamente questo genere di cose non si svolgono così in pubblico. Fino ad oggi il Gran Maestro si occupava in privato di ciascun membro- aggrottò la fronte. –mi stupisce che questa volta abbia organizzato un festone- proferì.
-Ovviamente- sorrise Marhim, ed Elena si girò verso di lui. –tutto in onore della Dea Elena!- accennò un inchino.
La ragazza arrossì. –Smettila!- lo canzonò ridendo.
Marhim levò il capo gioioso in viso.
-Può darsi- assentì Halef. –Chi lo sa cos’ha in mente quel vecchio…- borbottò abbassando lo sguardo.
Tutt’attorno c’era la calma confusione di una folla ridotta di assassini, passanti e saggi; la maggior parte dei quali doveva essere impiegata nei preparativi alla cerimonia della mattina successiva.
-Hai finito?- sbottò Marhim.
Halef annuì, si sollevò dalla staccionata e si allontanò dal campo.
Elena assunse un’espressione interrogativa.
Marhim sospirò affranto, massaggiandosi il collo. –Lo ammetto, ho preferito starmene da parte alle indagini e anche all’esecuzioni, ma… nonostante ciò, quello lì è riuscito a farmi impazzire lo stesso!- rise indicando il fratello minore che andava verso l’ingresso della sala.
-Certo, certo!- dissentì  Halef, e si avviò all’interno della fortezza.
Elena trattene a mala pena una nuova risata e, alzando gli occhi, trovò ad accogliere la sua gioia un immenso sorriso luminoso sulle labbra del suo amico.
-Che c’è?- domandò lei arrossendo.
-E non me ne pento di essere tornato così in anticipo- disse solo, facendola arrossire oltremodo.
-Davvero?- mormorò Elena mordendosi un labbro.
Il ragazzo annuì beato.
-Volete darvi una mossa, voi due, o dobbiamo restare qui a guardare come vi guardate fino a notte?- eruppe un uomo dalla folla, ed Elena si voltò, riconoscendo quella voce.
-Avanti, che state aspettando?- Altair si appoggiò coi gomiti alla staccionata sporgendosi verso di lei. –Tieni bene quella spada…- le bisbigliò chiudendo un occhio.
Elena fece un passo avanti verso il suo avversario e sistemò al meglio la presa sull’impugnatura della lama.
-Sono un po’ arrugginito, lo ammetto, quindi abbi pietà- piagnucolò Marhim.
-Ti sembro tanto perbene?- sogghignò la ragazza maliziosa.
Il suo maestra d’armi rimase a guardarli fino alla fine, assottigliando delle dritte ad entrambi i contendenti.
Elena lo osservava spostarsi attorno all’arena con le mani giunte dietro la schiena, e Altair, controllandoli, sorrideva contenuto. Il gran assassino che assisteva ad un allenamento: Elena non poté biasimare il fatto che minimo metà dei presenti nel cortile si fosse girato ad adocchiare.
Marhim era davvero arrugginito: aveva perso compostezza in tutti i movimenti, agilità che, dopotutto, non aveva mai avuto. Il giovane assassino parava con difficoltà i suoi fendenti ben piazzati, e ben presto Marhim si trovò alle strette.
Elena fu clemente e fece finta d’inciampare mentre schivava un affondo rivale.
Altair rimase sorpreso di quell’improvvisa perdita d’equilibrio della sua allieva e, sollevando un sopracciglio, strinse il legno della staccionata con entrambe le mani. –Che ti prende, ragazza?- domandò stupito.
Marhim indietreggiò. –Io non ho fatto nulla!- dichiarò.
-Hai la coda di paglia?- gli pose un quesito Altair ridendo.
Elena si sollevò appoggiandosi alla spada e, tornando dritta, lanciò al suo avversario un’occhiataccia. –Già- sbottò lei.
Marhim si strinse nelle spalle. –Non l’ho toccata, è… inciampata- disse voltandosi verso di lei, e sul suo volto comparve un sorriso commosso.
-Ah, ora hai capito!- Elena alzò gli occhi al cielo.
Quando ripresero il combattimento, non fu cosa rara che Altair interrompeva stupefacendosi delle capacità di Marhim che, con l’aiuto delle finte della ragazza, stava apparendo al meglio sentendosi al peggio.
Da una parte Elena lo fece per sé, poiché residui di stanchezza le erano rimaste in corpo fin dal viaggio di ritorno da Acri. Così quell’allenamento leggero le permise, poiché il fronteggio con Marhim non richiedesse tanto sforzo, di riprendere fiato dopo le estenuanti ultime 48 ore.
Dall’altra, Elena sapeva di farlo per Marhim. Vederlo così poco sicuro di sé e delle sue capacità, tacere mentre il suo fratello minore lo canzonava e sapere che Marhim non si sarebbe mai sollevato da solo, ad Elena intristiva molto.
Era stata una sua scelta non crescere di rango, ed Elena rispettava a pieno ciò che Marhim aveva di ideale di assassino, ovvero il vuoto nel quale ci si perde dopo la fama del primo omicidio. Aveva rinunciato lui stesso a prendere parte alle indagini ad Alhepo, e sempre lui si era allontanato dagli itinerari rinchiudendosi nella contemplazione spirituale. Si vedeva chiaramente che Marhim non fosse un tipo fisico, ma bensì logico e dalla grande qualità intellettiva, ma Elena non riusciva a cogliere il lato positivo di tale scelta di vita.
Fin dal loro primo incontro carnale, ossia al suo risveglio dalla convalescenza dopo la fuga da Acri, Marhim le era parso alquanto simpatico, un tipetto a cui dare una possibilità, una persona con cui parlare veramente e con cui stringere una vera amicizia. Ora che ci pensava, nella sua vita sprecata assieme a suo padre in duri allenamenti con la spada, non aveva mai avuto… amici veri e propri. Nessun parente, nessuna conoscenza abbastanza stretta con cui fare due chiacchiere che non fosse la donna della bancarella di frutta al mercato e il pescatore al porto.
La sua esistenza ad Acri era stata vuota, e lei privata di un’anima. E per cosa? Affinché qualcuno notasse che era capace a combattere ed entrasse a far parte di una setta di assassini? Ebbene, era quello a cui era sempre stata destinata, ma non le piaceva pensarci.
Era distratta, e senza accorgersene, perse il controllo della spada che andò ad aprire uno squarto superficiale sulla divisa del ragazzo, all’altezza del petto.
Elena saltò indietro. –Diamine…- mormorò spalancando gli occhi.
Marhim lasciò cadere l’arma che si sbatté rumorosamente sul pavimento dell’arena. L’assassino si tastò il taglio sulla divisa e, con un’espressione contorta da terrore in volto, vide che due dita della mano erano macchiate di sangue.
Sul suo petto andava delinearsi una ferita dalla quale colò giù un fiotto di sangue.
Altair entrò in campo scavalcando la staccionata e gli si avvicinò.
Elena mosse un passo avanti verso il suo amico, ma i loro occhi s’incontrarono giusto un istante.
Marhim si accasciò a terra privo di sensi.

Halef chiuse la porta lentamente e lo scatto della serratura fu inudibile.
Elena gli andò incontro, fermandosi appena al suo fianco. –Come sta?- chiese.
Il corridoio sul quale affacciavano le camere degli assassini era buio. Dalle finestre aperte lungo la parete entrava il canto delle cicale accompagnato da una brezza gelida. Il cielo stellato si stagliava per leghe e leghe all’orizzonte, mentre la valle di Masyaf era preda delle ombre della notte.
Il ragazzo si voltò, sorprendendosi di trovarla lì. Fece un gran sospiro e la guardò negli occhi. –Potevi startene un po’ più attenta, è un ragazzo fragile…- rise mesto.
-L’ho notato, e mi dispiace tanto, davvero. È stata una mia svista, la spada andava per i fatti suoi ed io pensavo ad altro! Perdonami- mormorò lei implorandolo.
Halef sorrise. –Calma, non è nulla di grave, si riprenderà. Piuttosto, quando si sveglia, è a lui che devi dare le tue scuse. Non te l’ha detto?- domandò ad un tratto.
Elena assunse un’espressione confusa. –Dirmi cosa?- chiese.
-No, a quanto pare non te l’ha detto, e onestamente, pensavo che gli fosse passata- disse.
-Non so di cosa parli- ammise lei.
Erano soli in quell’ala della fortezza. Gran parte degli assassini si erano già ritirati nelle loro stanze, e per le sale della roccaforte dimorava il silenzio della sera tarda.
Marhim era stato fatto portare nella stanza che condivideva con Halef per il semplice motivo che le sue erano condizioni psicologiche, come le aveva detto Adha fasciandogli la ferita.
Durante la permanenza di Marhim nell’infermeria, Elena era rimasta lì a guardare come Adha gli medicava il taglio che la ragazza gli aveva dannatamente aperto sul petto magro.
Era stata una sciocca, si disse, e si sentiva ancora più stupida ripensando a ciò che aveva fatto mentre Marhim veniva spostato in altro luogo invece di restargli accanto. La ragazza se n’era andata in giro per la fortezza, quando sarebbe dovuta stare ad aspettare che Marhim riaprisse gli occhi, così da tempestarlo delle sue maledette scuse da vera demente qual’era stata.
-Fin da piccolo Marhim ha sempre provato un gran ripugno per il sangue- confessò Halef come se si fosse trattata di una sua paura, che però apparteneva al fratello maggiore.
-Questo spiega tutto- proferì lei.
-Lasciami finire!- sibilò il ragazzo.
-Scusa…- si strinse nelle spalle, sprofondando nel cappuccio.
Halef si guardò attorno. –Nessuno lo venne a sapere, e Marhim poté continuare i suoi insegnamenti restando distaccato da qualsivoglia itinerario che richiedesse l’apprendimento dell’omicidio vero e proprio. Mio fratello si limitava a prendere lezioni teoriche, ecco perché è rimasto così in basso; ma era l’unico modo per assicurargli un posto qui. Un letto in cui dormire e un pasto sempre caldo, capisci? I nostri genitori morirono quando Al Mualim ci accolse che eravamo bambini, e questa divenne la nostra casa. A quei tempi la setta non tollerava gli scansa fatiche. Ma tornando a noi…- spostò i suoi occhi scuri incredibilmente simili a quelli del fratello su di lei. –è a causa della sua strizza alla vista del sangue che è crollato come un sacco di patate- disse con un accento ironico.
Elena allungò le labbra in un sorriso. –Se sai che è per i suoi timori che non vuole diventare un assassino, perché continui ad insultarlo? Potrebbe renderlo più vulnerabile di com’è- sussurrò lei.
Halef soffocò una risata. –Senti, io sono il perfido fratellino che tanto gli sta sulle scatole. Tu sei l’amichetta che lo consola, quindi facciamoci un favore i rispettiamo i nostri ruoli- sbottò serio.
Dopo qualche istante di silenzio, entrambi scoppiarono a ridere in maniera contenuta, in modo da non svegliare gli altri fratelli della setta.
-Ora è meglio che vada- disse lui guardando in fondo al corridoio.
-Come mai? È mezza notte passata, e questa- Elena indicò la porta chiusa lì accanto –è la tua stanza- rise.
-Lo so- rispose lui. –Ma quella- indicò il corridoio buio –è la strada per la mensa. Ho fame- disse allontanandosi.
-Puoi fargli compagnia!- aggiunse voltandosi. –Ma devi sloggiare prima che ritorno, sennò facciamo una cosa a tre, chiaro?!- scherzava, ovviamente.
Elena trattene la risata, e lo osservò sparire dietro l’angolo.
Quando il suono dei passi di Halef si perse sulle scale, la ragazza si voltò a aprì lentamente la porta che non emise alcun suono.
Lanciò un’occhiata all’interno e fu contenta di trovare Marhim sveglio e seduto sul bordo del letto esaminando la fasciatura fatta da Adha. La benda bianca andava dalla spalla e passava sotto l’ascella per poi tornare a stringere sul pettorale destro.
Elena bussò dopo essersi affacciata appena, e Marhim alzò gli occhi colto di sorpresa.
-Che ci fai qui?- domandò agitato.
Elena sorrise e fece un passo nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle. –Mi dispiace, non so come farmi perdonare- si avvicinò a lui e gli rimase in piedi di fronte.
C’era una candela accesa sul comodino e alcuni tappeti sul pavimento. Gli alloggi di un assassino erano alquanto sobri e semplici. Un armadio, un piccolo scrittoio e una cassapanca aperta che mostrava tutta l’attrezzatura di Halef che aveva lasciato nella stanza il suo equipaggiamento, avventurandosi alla ricerca di cibo verso la mensa.
Dalla finestra aperta entrava un tenue venticello fresco che smuoveva le tende lasciate sciolte, mentre la luce delle stelle si fletteva nella stanza passando attraverso gli spessi tessuti.
Marhim abbassò il capo, sistemandosi meglio. –Fa’ niente, capita…- borbottò.
Elena gli si sedette accanto, e il letto neppure si mosse sotto il suo peso leggero. –Hai davvero paura… del sangue?- domandò stupita.
-Non è una bella cosa, puoi starne certa, e non ne vado certo fiero. Te l’ha detto Halef?- sbottò nevoso, ed Elena colse la rigidità di Marhim rivolta alla sua presenza. Forse lo metteva in imbarazzo, dopotutto era a torso nudo, ma la ragazza si disse che non poteva essere per quello che Marhim sembrava tanto striminzito.
-Non lo nego- commentò lei. –Credimi, se ci fosse un modo per dirti quanto mi dispiace non esiterei- sussurrò abbassandosi il cappuccio, e i capelli corti le caddero sulle spalle e davanti al viso.
Marhim si scostò verso la parete. –Un modo, eh?- sorrise beffardo.
Elena abbassò lo sguardo. –Non sto dicendo che sarei riuscita ad evitare che sarebbe successo, ma perché non me l’hai detto? Del sangue, intendo…-.
Marhim si tastò distrattamente il bendaggio e un brivido gli percorse la schiena. –Sai, certe fobie non sono l’argomento di chiacchiere tra amici- proferì assorto.
-Hai ragione- rise lei. –Forse avrei dovuto porti io la domanda-.
Marhim curvò la testa da un lato. –Quale domanda?-.
-Oltre a questa, hai altre fobie?- fece la vaga.
-No- rispose sereno.
Il silenzio calò nella stanza e vi rimase per qualche istante, fin quando Marhim non si voltò e afferrò il cuscino.
Elena lo guardò interrogativa, ma il ragazzo diede pane ai suoi dubbi quando le sbatté il cuscino in faccia.
-Ehi!- strillò lei acuta.
Marhim rimise il piumino al suo posto ridendo. –Te la sei cercata, e nei prossimo giorni troverò un modo migliore per fartela pagare!- ridacchiò maligno.
Elena si alzò e si protese sul letto dal lato opposto della camera, strinse tra le dita il cuscino bianco e lo scagliò con forza addosso al ragazzo.
Marhim si parò il volto con le braccia, ma gli scappò un gemito per la ferita ancora aperta. Nonostante il dolore, scattò in piedi e scagliò il dardo addosso alla sua avversaria.
Elena afferrò al volo il cuscino e lo direzionò di nuovo verso di lui, ridendo.
-Com’è che con la lotta dei cuscini te la cavi bene?- sogghignò lei chinandosi a raccogliere un cuscino da terra.
-Mio fratello è piuttosto bravo a questo gioco, si chiama sopravvivenza e lotta alla difesa del terriorio!-.
Marhim le scagliò un nuovo attacco, ma Elena schivò con facilità con un saltello laterale.
–Arrenditi!- gioì la ragazza, trovandosi armata di entrambi i cuscini disponibili.
L’assassino alzò le mani in segno di resa. –Va bene, mi arrendo- riprese fiato lasciandosi cadere sul letto.
Elena rise malvagia. –Nessuna pietà, muhahaha!- e lanciò uno alla volta i piumini addosso al ragazzo.
Marhim si raggomitolò alla parete, sopraffatto. –Mi arrendo! Piantala!- omise.
Elena aveva le guance rosee dalle risate quando si sedette al suo fianco, e Marhim si scoprì dai cuscini che l’avevano per intero nascosto nell’angolo della stanza.
-E tu? Te la cavi bene- commentò sbattendo tra di loro i due cuscini, ed in fine ne scagliò uno al suo posto nel letto accanto.
Elena poggiò il mento sulla sua spalla. –Mi adatto a qualsiasi tipo di arma…- gli mormorò sul collo, e Marhim parve irrigidirsi ancora.
-Guarda che hai fatto- bisbigliò il ragazzo, ed Elena sollevò il viso.
La fasciatura sul suo petto stava cedendo, il nodo si era sciolto, e l’assassina lanciò un’imprecazione. Marhim nel frattempo respirava con affanno per via del sangue che stava arrossando la garza.
-Lascia, faccio io- gli disse poggiando una mano sul suo petto. –Rilassati, e non mi svenire di nuovo- si beffò, e Marhim si voltò dandole le spalle.
Elena prese a stringere la fasciatura attenta a non far crollare il bendaggio per intero a causa della sua sbadataggine in medicina. Per poco non lasciava morire di emorragia Hani ad Acri, quella famosa volta che le era toccato “cucire” pelle umana. Solo pensarci le annebbiò la mente, e si rese conto di aver stretto troppo il nodo.
-Elena!- sibilò lui, mentre un’espressione contorta dal dolore faceva capolino sul suo volto.
-Scusa!- si sveltì coi gesti nel tentativo di allentare la benda. –Va’ meglio?- domandò.
-Certo che no- eruppe l’assassino guardandola. –Mi fa male, e non sopporto neppure l’odore di una goccia di sangue! Certo che non sto alla grande, ma se cominciassi a lamentarmi non saresti capace di fermarmi!- si lamentò serio.
-Ora non esagerare- lo rimproverò, ma Marhim non l’ascoltava.
-Perché deve capitare sempre tutto a me?- si girò verso di lei, rincuorandola con i suoi occhioni di nocciola che sembravano quelli di uno scoiattolo che chiede la sua ghianda.
Elena chinò la testa. -Lo ammetto, è stata tutta colpa mia e me ne assumo le responsabilità: ero con la mente tutt’altra parte, durante il nostro addestramento, ma la verità è che era così facile combattere con te! Per di più ho tentato di farti fare bella figura, ma è come dici tu: o qui c’è una forza Celeste che ti manda addosso tutte le sfighe di questo mondo, oppure fai proprio schifo in duello! È vero, ti ho colpito, ma ti ripeto: ero distratta. Ovviamente se tu ne avessi avute la capacità, avresti potuto fare la tua parte, parando quel colpo! Sei un perdente!- gli rinfacciò.
Marhim distolse lo sguardo, puntandolo fuori dalla finestra. Il viso sereno improvvisamente composto. –Già, un perdente- digrignò.
-Ti prego, non fraintendere, io…-.
Marhim le lanciò solo un’occhiataccia severa interrompendola.
-Non volevo dire questo. Intendo che potresti migliorare! Se è nel tuo interesse…- sussurrò lei stringendosi nelle spalle.
-No, non è nel mio interesse- dichiarò scontroso. –e non lo sarà mai. Halef vede il lato positivo della setta, io no. È inutile che tentate di convincermi. Fin quando nessuno ne avrà voglia, ci penserò io a fare il turno di pattuglia di notte. Solo perché so impugnare una spada, non vuol dire che debba ucciderci sotto richiesta!- aggiunse.
-Hai ragione- Elena rimase in silenzio, e nessuno dei due aggiunse altro.
-Domani alla cerimonia ci sarai?- gli chiese, e Marhim ci pensò un istante.
-Ovvio, perché no?-.
-Chiedevo solo… secondo te perché tutta questa pompa magna?- domandò ancora la ragazza.
Il ragazzo si passò una mano sul viso. –Da quanto ho saputo, il tutto sarà reso ufficiale dal ritorno delle Dee… a proposito- sorrise malizioso.
-Che succede?- fece lei confusa.
-Sei felice?-.
-Che tornano le Dee?-.
Lui annuì.
-Ovvio, perché no?- ribadì sorridente.
-Mi stavo domandando perché farle tornare se Tharidl non ha comunque intenzione di impiegarle negli stessi servigi quali erano dovute anni fa- sussurrò.
-E lo chiedi a me?- Elena si strinse nelle spalle, avvicinandosi a lui. –Dovrei essere quella più informata, ma mi sembra di capirci meno di tutti- chiuse gli occhi poggiando una guancia sulla spalla del giovane al suo fianco.
-Forse dovresti andare- le disse Marhim ad un tratto, voltandosi a guardarla.
I loro volti erano poco distanti l’uno dall’altro, ed Elena percepì nel dormiveglia il respiro dell’assassino infrangersi sulla sua fronte. –No…- sussurrò quasi dormiente.
Quella corrente rinfrescante che passava dalla finestra, il silenzio del buio e il tepore del corpo di Marhim affianco al suo. Non riuscì a resistere alla forza di Morfeo, che la tirava a sé senza alcuna pietà, attirandola al sonno più dolce e profondo.
-Elena, domani ti tagliano un…- s’interruppe, ma lei ormai dormiva.
Marhim sospirò. -Avanti, stai crollando dal sonno e non puoi restare qui- proferì allungando una mano verso di lei, e le carezzò una guancia.
A quel contatto Elena si riebbe all’istante, sbattendo più volte le palpebre e accorgendosi di avere la vista alquanto appannata.
La ragazza si stropicciò gli occhi, sbadigliò e gli sorrise. –Sì, hai… ragione-.
Marhim assunse un’espressione interrogativa. –Prima che tu vada…-.
Elena si alzò in piedi –Che c’è?- domandò stiracchiandosi.
L’assassino parve esitare e con un gesto di stizza, sembrò cambiare pensiero. –Sai dov’è andato Halef?- chiese.
La Dea si passò una mano tra i capelli, andando verso l’ingresso. –Aveva fame ed ha deciso di fare un giretto alla mensa- rise.
-Tanto per cambiare- borbottò lui.
-Spero che il bendaggio regga - disse aprendo la porta.
-Nessun problema, anche se all’idea di svegliarmi… sangue… brrr…- il ragazzo fu percosso da un brivido. –Lascia stare-.
Elena alzò gli occhi al cielo. –Insomma, buona notte!- sbuffò uscendo.
S’incamminò nel corridoio e fu per salire le scale quando, lanciando un’occhiata fuori dalle finestre, scorse tre figure buie nel cortile interno.
Elena si sporse curiosa e, dall’alto, riuscì a cogliere qualche parola.
-Stupida capra, avresti potuto dirglielo!- disse Leila.
-Non me la sentivo, è passato tanto tempo…- mormorò una delle tre donne che, dalla voce, la giovane Dea riconobbe come Kamila.
Elika ridacchio, e le sue risate risuonarono nella fortezza. –Sì, di tempo ne è passato, e siete invecchiati tutti e due!- canzonò.
-Non è una cosa semplice!- ribatté Kamila, portandosi i capelli su una spalla.
-Vuoi vedere come si fa?- sogghignò Leila battendo un pugno nell’altra mano.
Elika soffocò una nuova risata. –Forse ha ragione, vi serve solo altro tempo, e magari le cose si aggiusteranno. Sempre se prima non morirete di vecchiaia!-.
Kamila la fulminò con un’occhiataccia, ed Elika rise di nuovo.
Le tre Dee sedettero sulla staccionata dell’arena per gli allenamenti.
-Dopo tutto…- mormorò Leila. –è stato divertente!- scoppiò a ridere.
-Ora basta. Kamila, non devi farti sottomettere così! O a quel tipetto presuntuoso gliela facciamo vedere io e Leila, non se capisci…- fece maliziosa Elika.
Leila gli diede una gomitata. –Dai, ma piantala- sorrise.
-Fate pure, con lui ho chiuso!- Kamila alzò le braccia al cielo.
I capelli biondi di Kamila flettevano i raggi del sole attribuendoli un colorito dorato incantevole, e la Dea prese a tirarseli su in una coda alta ordinata, con qualche ciuffo a caderle sul viso.
-Che cos’hai, ancora? Non ti starai pentendo di come ti sei comportata!- sibilò Leila.
-No, ma di come vi siete comportate voi!- rispose Kamila seria.
-Che abbiamo fatto?!- domandò Elika stupita.
Kamila si alzò. –Siete insopportabili! Ma davvero, adesso basta, non voglio pensarci!-.
Elika e Leila si scambiarono uno sguardo complice.
-Va bene- fece quella coi pantaloni. –Sto crollando dal sonno- si sollevò in piedi stiracchiandosi.
-Credete che Elena si spaventerà vedendoci comparire dal nulla nelle stanze?- assentì Elika.
-Secondo me Tharidl gliel’ha già detto- pronunciò Kamila.
-Poverina, domani l’attendono delle belle sorprese…- mormorò la riccia castana.
-Saprà cavarsela- commentò Leila. –Fin ora ha resistito, chi ti dice che potrebbe non accettare le cose?-.
-Noi non abbiamo passato questo fardello, ricordate?- ribadì Kamila. –Non potremo aiutarla-.
Elena si appoggiò alla parete. Di cosa stavano parlando?
-Ed è questo che non capisco!- sbottò Elika alzandosi. –Secondo voi Tharidl lo farà anche a noi?-.
Leila scosse la testa. –Spero di no- ridacchiò. –Per il suo bene- aggiunse divertita.
-Sempre la solita!- gioì Elika abbracciandola.
-Per ora, sorelle, atteniamoci agli incarichi che ci ha affidato- pronunciò Kamila severa. –Ha chiesto questo per Elena, e noi lo dobbiamo ad Alice e alle nostri madri che ci hanno tramandato il suo nome-.
Le altre due annuirono serie, ma Elika scoppiò a ridere dopo poco.
-Come mai tanta sofferenza? Ehi! Ragazze! Potrebbe essere divertente!- ridacchiò.
Leila la prese sotto braccio. –Elika, trattieniti! Tharidl sta dormendo!-.
-E sai che novità!-.
Kamila sbuffò. –Qualcuno di voi ha… capito “cosa” dobbiamo insegnarle?- domandò mesta.
Le due alzarono le spalle. –Dipende, dato che non svolgeremo più quelli incarichi- fece Elika.
-Mi sono offerta al vecchio per insegnarle a combattere come si deve, giusto questa mattina. Non ho idea di cosa gli sia passato per la mente, ma ha detto che se volevo potevo occuparmene io!- sulle labbra affiorò un sorisetto divertito.
-E noi?- domandarono assieme.
-Potete fare quello che vi riesce meglio- proferì Leila.
-Cioè?- Kamila strinse un pugno, ed Elika rise ancoro.
Leila si passò una mano tra i capelli -Niente, niente! Come non detto!-.
-Ah, ecco- borbottò Kamila.
-Dovremo andare- annunciò Elika guardando in alto, verso una delle finestre degli appartamenti delle Dee.
Le tre si avviarono e sparirono all’interno della fortezza.
Elena corse al piano di sopra, si spogliò in fretta e, quando ascoltò i passi leggeri di Elika, Leila e Kamila fuori dalla porta della sua stanza, crollò in sonno.

Sulla fortezza si stagliava un cielo azzurro a chiazze bianche. Nuvole grosse e color panna solcavano il firmamento limpido e magnifico. Seppur il vento d’inverno scuotesse gli ulivi e trasportasse le foglioline secche da parte a parte delle strade, c’era sempre un gran caldo, poiché celato appena dietro una gonfia nube vi era il gran sole luminoso che irradiava la valle.
-Elena…- si sentì chiamare, ma la ragazza si girò dalla parte opposta del letto.
-Hmm…- lagnò.
-Elena, svegliati!- qualcuno la scosse toccandole una spalla.
L’assassina aprì gli occhi lentamente, trovandosi faccia a faccia col muro. Si voltò sollevandosi su un braccio, e Marhim indietreggiò colto di sorpresa.
-Finalmente!- ruggì il ragazzo.
Elena adocchiò fuori dalla finestra, accorgendosi che dovevano essere più o meno le undici passate, dato il sole già alto in cielo. –Che ci fai qui?- domandò assonnata.
-Devi muoverti, stanno aspettando te! La cerimonia è cominciata!- Marhim la tirò per un braccio fuori dal letto. –Forza!-.
-E come mai nessuno mi ha svegliata?!- sbottò Elena andando verso l’armadio, ma si accorse di avere già i vestiti e le armi pronti sulla scrivania.
-Tu pensa a prepararti!- Marhim uscì dalla stanza. –Muoviti!- ripeté chiudendo la porta.
Elena rimase immobile con i piedi scalzi a terra per parecchio tempo. Forse Adha era stata trattenuta da altro, e forse nessuno si era ricordato di lei, ma vestendosi ascoltò il vociare confuso levarsi dalla sala delle celebrazioni giungere fin lì, mentre colombi bianchi si spostavano da tetto a tetto della fortezza.
Allacciò al loro posto tutte le armi e si osservò allo specchio commossa.
La veste corta le arrivava poco sopra le ginocchia, e i diversi strappi lasciavano travedere lembi di pelle chiara delle cosce. Sotto la gonna portava un pantaloncino attillato e delle calze che arrivavano a più della metà della gamba. Si rese conto che qualcuno le aveva cambiato ancora una volta la veste, che si presentava con questi e molti altri particolari differenti da quella originale.
Le maniche erano corte, il cappuccio non più grigio, ma bianco e curato di dettagli, e la cintura di cuoio cui pendeva il fodero della spada (anch’essa diversa e più sottile) era diversa, più fine e stringeva oltremodo sui fianchi. Diversi erano anche gli stivali e i guanti, che si adattavano al meglio alle sue ossa sottili e le lasciavano maggior scioltezza dei legamenti.
L’unica pecca era la completa assenza del triangolo di metallo sul petto. Le cinghie erano attaccate le une alle altre attraverso una fine catenella d’argento, al posto della quale sarebbe dovuto esserci la spilla triangolare.
Come risultato, nonostante ciò, era una divisa che lasciava traspirare il corpo, conferendo libertà di movimento. Le sarte della confraternita avevano fatto un buon lavoro, e ad Elena piaceva.
Marhim bussò alla porta, e la ragazza si riscosse.
-Hai fatto? Non hai tutto il giorno! Hai capito o no che ti stanno aspettando?!- sbottò il giovane da fuori.
Elena apportò gli ultimi controlli alle cinghie dei guanti e degli stivali, poi uscì.
-Era ora!- le disse Marhim stringendole il polso e tirandola verso le scale.
-Sembri mio padre- ridacchiò Elena.
-Non fare la spiritosa, Adha confidava nel fatto che ti saresti svegliata da sola! Da non credere!- la rimproverò mentre scendevano quasi di corsa. –Sei una sciocca, possibile che nel mondo dei sogni non ti fosse apparsa l’ipotesi che questa mattina dovessi prendere parte ad una cerimonia?! Ovvio che no! Perché la tua mente era “altrove”!-.
-Elika! Perché lei non mi ha svegliata?-.
-Perché avrebbe dovuto? Lei non ha dormito alla fortezza!- le rispose.
Buffo, pensò accelerando il passo.
Raggiunsero le gradinate della torre, e la Dea si stupì dei corridoi vuoti e silenziosi della fortezza, allo stesso modo della confusione che si faceva più forte man a mano che si avvicinavano alla sala.
Una volta nel vasto androne sul quale affacciavano i battenti chiusi della sala delle cerimonie, Marhim proseguì oltre.
-Dove stiamo andando? La sala è di lì…- mormorò lei.
Il ragazzo la condusse in uno stretto corridoio che s’intricava in diversi gradini. Giunsero più in basso, dove il buio diventava fitto e la pietra delle pareti era illuminata solo da qualche braciere sospeso dal soffitto.
L’assassino si fermò in una piccola saletta appartata. C’era una tenda e alcuni tavoli con sopra poggiate le armi. In fondo alla stanza, vi era una grata sollevata che affacciava sul palco del salone, all’interno del quale vi era una folla di assassini, guardie e saggi impressionante.
Sul palco presiedava Tharidl Lhad che parlava al popolo della fortezza in modo composto e fiero.
-…Un giorno che condividiamo affinché la nostra diventi un’unica grande mente a riguardo. Non sono qui per nuocere ancora, ma bensì per aiutarci, poiché ricordiamo che una di loro…-.
Marhim le lasciò il polso ad un tratto.
-Tutto bene? Sembri pallida…- commentò il ragazzo.
-No, sto bene. Un po’ di panico da palcoscenico, ma mi passerà- lo rassicurò.
-Bene, ma non mi svenire, chiaro?- ridacchiò lui.
Elena strinse di nuovo le sue dita attorno alla mano del ragazzo, che alzò gli occhi su di lei.
-Perché tutta questa farsa? Non poteva risparmiarsi il gran festone? Non ce la faccio… non voglio farlo. Chiamala pigrizia, ma preferisco prendermi il grado superiore in un altro momento- mormorò.
Marhim strinse la presa e la tirò dolcemente a sé.
I due si abbracciarono.
-Capisco come ti senti, sai-.
-Davvero?- sussurrò lei sul suo collo.
-Ovviamente, perché una cerimonia simile la fecero scontare anche a me quando ero piccolo. Me lo ricordo perché non fu una bella esperienza, ma passò in fretta- rise.
Elena si strinse a lui con più forza. –Ti prego, se adesso scappo dirai che non mi hai vista?- sibilò.
Marhim la scansò stringendola per i fianchi. –Che cosa?!- domandò sbigottito.
La Dea sorrise maliziosa.
-Non puoi scappare così!- balbettò lui. –Hai idea di come Adha si arrabbierà con me di questo, e…-.
Elena gli poggiò una mano sulla bocca, bloccandogli le parole. –Fa’ piano; guarda che ho le armi per ricattarti- disse ancora lei.
-Ma sei tutta matta?! E di quali armi parli?- fece confuso.
-Dirò a tutti della tua fobia!- dichiarò.
-Elena, mi stai prendendo in giro?- alzò un sopracciglio.
La ragazza scoppiò a ridere. –Sì, scusa!-.
-Ah, ecco…- Marhim si stanziò di un passo.
-Anche se mi piacerebbe- aggiunse lei.
-Scappare?-.
Elena annuì. –Non ho mai sopportato la massa, persino fare la spesa al mercato mi faceva venire i crampi allo stomaco- abbassò lo sguardo, ricordando brutti incidenti.
Marhim le alzò il viso prendendole il mento. –Ora esageri; sei sopravvissuta due mesi qui dentro facendoti largo tra le occhiatacce e gli insulti altrui! Insomma, è Elena quella che ho davanti?- sbottò.
-Ah!- ridacchiò lei. –Perché, secondo te mi aspettavo che un assassino avesse paura del sangue?-.
-Non cambiare argomento- digrignò il giovane.
-Hai ragione, sono solo una stupida; potevo starmene bella e buona tutt’altra parte…- brontolò.
Marhim l’abbracciò di nuovo, all’improvviso.
-Non ti sopporto quando fai così- le disse. -Ma fattelo dire, questa divisa ti dona. Sei bellissima- le sussurrò all’orecchio.
Qualcuno fischiò.
-Abbiamo interrotto qualcosa?- proferì una voce femminile.
Elena si staccò dal ragazzo e Marhim fece un passo indietro.
Leila teneva le braccia conserte e li fissava con il peso su una gamba sola da sotto il cappuccio, che celava il suo bel viso malizioso.
Al fianco della Dea c’era Elika. Aveva i capelli castano scuro e ricci raccolti in una treccia, il cappuccio abbassato sulle spalle e un sorisetto estasiato in volto.
Kamila era in disparte, avvolta dal buio del corridoio parlando con qualcuno ancor più nascosto tra le ombre.
Le tre Dee indossava una linda e bianchissima tunica identica alla sua, ed Elena sgranò gli occhi. I loro corpi nascosti dalle vesti corte mostravano tutta la loro grazia in un solo sguardo, la loro bellezza accattivante e i loro movimenti impercettibili, nonostante restassero immobili come statue.
Quello che colpì la giovane assassina, fu constatare che alle tre mancava il triangolo di metallo al petto. Le cinghie di cuoio c’erano, ma il triangolo no…
-Scusa tanto, giovanotto, ma questa è una festa privata- sibilò Leila avvicinandosi a lui, e Marhim indietreggiò oltremodo, finendo con la schiena al muro.
Elika allungò le labbra carnose in un sorriso.
-Come va?- le domandò, ed Elena si riscosse dall’osservare le tre ragazze con incredibile stupore.
-Bene, grazie- mormorò.
-È tanto tempo che non ci si vede- commentò Elika.
-Già…- Elena tornò con un balzo affianco del ragazzo, e Leila alzò un sopracciglio.
-Non può stare qui- assentì. –Deve andarsene prima che qualcuno lo veda- Leila indicò con un cenno del capo Tharidl imponente sul palco di pietra.
-Concordo- balbettò Marhim strisciando sul muro. –Ora è meglio che vada-.
Elena lo guardò allontanarsi nel corridoio, mentre Kamila avanzava dal buio.
-Mi sono persa qualcosa?- chiese la bionda, che aveva alcuni ciuffi dei capelli dorati fuori dal cappuccio.
Elika le pizzicò una guancia, ed Elena sobbalzò. –No, qui procede bene!- disse la Dea.
Kamila la squadrò dai piedi alle punte dei capelli. –Però, ti sta proprio bene- e fece il primo vero sorriso della giornata.
Elena arrossì.
Sul palco accanto al vecchio Gran Maestro c’era un gruppo di assassini, tra i quali Elena riconobbe Halef, col volto teso in un sorriso gioioso.
-Ottimo- Leila batté le mani. –Siamo pronte?- chiese.
Elika la prese sotto braccio, ed Elena non si ribellò.
-A questa picciotta ci penso io, voi andate avanti- rise.
Leila e Kamila si scambiarono un’occhiata complice, poi si avviarono verso il palco dal quale Tharidl parlava alla folla riunita nella sala.
Applausi contenuti, confusi tra il parlottare della gente mentre Tharidl le abbracciava una alla volta.
Kamila e Leila si fermarono di fianco al vecchio, una alla sue sinistra e una a destra, e Tharidl riprese il suo discorso.
-Guardati, tremi tutta, piccola mia- Elika la strinse con più vigore, ma Elena tentava di concentrarsi sulle parole del Gran Maestro.
-Sto bene!- digrignò infastidita.
-Fammi un sorriso, avanti- Elika la fece voltare, stringendole le spalle.
Elena si costrinse in un sorriso falso e tirato con gli spilli, e la Dea se n’accorse.
-C’è qualcosa che non va?-.
-Non sono la tua bambola, Elika! Tu e le tue amiche mi trattate come se fossi la bambina del gruppo!- si sfogò tutt’un tratto.
Elika sbatté le palpebre sorpresa. –Infondo è così, non credi?-.
Elena si allontanò da lei. –Ora lasciami stare, per favore…- sibilò guardando fuori dallo stanzino, alla luce delle vetrate che illuminavano la sala delle cerimonie.
Non si sarebbe lasciata trattare in quel modo, ne aveva fin sopra i capelli.
-Stai pronta, che Tharidl li sta scaldano per bene…- proferì Elika in un sussurro.
La giovane assassina non diede peso alle sue parole, si strinse contro la parete e vi si appoggiò sospirando. Chissà che cosa stavano aspettando, si chiese. Perché tutta quella farsa? Si chiese, tormentandosi la pellicina del pollice.
Avrebbe voluto evitare tutto quello, l’aveva detto a Marhim e ne era convinta. Scappare? Si poteva fare, ma Elika l’avrebbe fermata. Guardò verso l’assassina davanti a lei e la fissò con rabbia nei suoi confronti, perché non le piaceva come veniva trattata da quella e le altre. Se certi atteggiamenti fossero continuati, Elena non avrebbe esitato a chiedere di essere allontanata dalle stanze di quelle tre, finendo a dormire anche nella camera di Marhim.
Diventava Dea, si disse prendendo fiato.
Quella cerimonia, il triangolo mancante che qualcuno le avrebbe fissato al petto come segno della sua appartenenza alla causa. C’era qualcosa di dannatamente affascinante in quel rituale, che non seppe spiegare perché le sue gambe non obbedivano all’impulso di fuggire. Fuggire dalla folla, fuggire dagli sguardi di assassini e fuggire dalla stessa setta dannata. Come dal nulla, aveva cominciato a nutrire un certo odio per la versione triste dei fatti. Suo fratello, Rhami e le diverse pieghe della sua avventura, quali la perdita del frutto. Su di lei sentiva il peso di armi che non aveva mai usato… ma quando sarebbe finita quella tortura? Una responsabilità che non aveva mai chiesto, una realtà alla quale avrebbe voluto fuggire. Ma c’era la catena di sua madre al collo a tenerla inchiodata a quel muro, con i piedi su quel pavimento. C’era la forza di lottare per conoscere suo fratello, anche se avrebbe perso altre centinaia di battaglie contro colui che solo ed unico sapeva il suo nome, ovvero il vecchio imbacuccato che le aveva offerto la salvezza.
Salvezza?
Elena ripensò alle parole di Rhami, che le aveva dannatamente aperto gli occhi sulla realtà di un mondo di dannati qual’era quello della confraternita. Elena apri gli occhi! Si diceva. Viveva tra gente che per vivere uccideva, e anche Marhim si era messo da parte a tutto quello. E Halef? Che tanto sorridente su quel palco sembrava trovare la gioia nell’uccidere, che dire di lui?! Uccidere… gente magari innocente… e chi poteva dirlo? Con un solo comando Tharidl mandava i suoi scagnozzi a fare il lavoro sporco, con una sola sua richiesta, egli poteva decidere del destino altrui. Le sue pedine dai cappucci bianchi…
Ed Elena sarebbe diventata una di loro. Fedele al Maestro e al Credo. Fedele ad un giuramento di sangue, fedele alle piume e fedele ad un mondo che sentiva appartenerle, ma che avrebbe rifiutato se ne avesse trovata la forza.
Improvvisamente, Elika la spinse avanti ed Elena si accorse che Tharidl guardava verso di loro.
Elena salì tentoni le scalette e fu sul palco tutta traballante, ma Elika la strinse per il polso e la tirò al fianco del vecchio.
La folla non aveva occhi se non per le tre Dee, ed Elena scrutò uno ad uno i volti dei saggi e degli assassini riuniti lì.
Le tende delle vetrate erano ripiegate con cura e le finestre aperte, lasciando traspirare il salone di un venticello accogliente della prima mattina. I portoni che davano sulle altre sale attaccate a quella centrale erano spalancati, e la gente veniva ad aggiungersi incessantemente.
Quanta gente… si disse Elena, e non poté credere di aver incontrato tutti quelli assassini, o meglio… che la fortezza potesse contenerli tutti quanti.
Con la coda dell’occhio scorse Marhim che si faceva largo tra la calca avvicinandosi lentamente al palco. Le lanciò un sorriso, ed Elena si sentì subito meglio.
Poi si accorse di Adha e il suo maestro d’armi, e passando oltre scorse appena i capelli scompigliati di Rhami.
Le sue gambe tornarono composte, mentre Elika la stringeva più nel gruppo di Dee.
-Elena- Tharidl la chiamò, e la ragazza si volse verso di lui.
Il vecchio le fece cenno di avvicinarsi, ed Elena obbedì.
Che cosa poteva fare se non restare a guardare e cercare di non esplodere dall’imbarazzo?
Tharidl prese dall’altare il triangolo di metallo che mancava al suo petto e lo allacciò alla catenella delle cinghie di lei.
Elena, quando lui ebbe finito, vi passò due dita accorgendosi che anche quest’ultimo piccolo oggetto era stato sostituito. Pregiato di dettagli intarsiati d’argento, era una spilla che poteva valere quanto la spada di Riccardo Cuor di Leone.
-Ben venuta, e questa volta ufficialmente- il vecchio l’abbracciò, ma Elena si distanziò alla svelta.
Tharidl legò uno stesso identico triangolo alle cinghie di Elika, la quale teneva la giovane Elena ancora stretta a sé.
Ma si crede mia madre?! Elena strinse i denti, tentando di divincolarsi, ma Leila e Kamila le cinsero le spalle, trascinandola tra di loro.
Una Dea da una parte e un’altra dall’altra.
Era un incubo.
Dalla folla si levò un applauso clamoroso e assordante, accompagnato da urla e fischi provenienti dal gruppo di assassini sul palco.
-Io… non ce la faccio…- stava per correre via, verso l’ingresso al palco.
Spettacolo assurdo, imbarazzante e basta, ma Leila la tirò per il cappuccio.
-Dove vai, zuccherino?- le sottinse all’orecchio.
-Lasciami!- digrignò Elena.
Leila la strinse con più forza.
-Un giorno- cominciò Tharidl. –un giorno qualcuno…-.
…Il parlare confuso di Tharidl, che volgeva alla folla un discorso pieno di parole senza senso. La mente di Elena era un mare in tempesta, e la nave non reggeva il vento violento.
Le vele sbattevano, i gabbiani gemevano e lei cominciò a gemere, tentando invano di liberarsi alla presa della donna dietro di lei.
Leila in fine lasciò che Elena corresse via dal palco, e la giovane Dea si rifugiò nello stanzino.
Il mondo divenne una chiazza confusa di colori e suoni, mentre i suoi occhi si chiudevano lentamente.
Si appoggiò alla parete con una mano, sentì il fiato mancarle, e il suo cuore batteva troppo accelerato.
Le gambe cedettero, la ragazza si accasciò al suolo e tutto divenne buio.

-Perché non ha dato sintomi fino ad oggi?-.
-Non lo so…-.
-Perché quando era prigioniera di Corrado non è successo?!-.
-Altair, non lo so…-.
-Se sapevi che ne era rimasta qualche goccia, perché non l’hai detto a nessuno?!-.
-Perché io non lo sapevo…-.
-Non ci credo. Mi hai detto che era un tipo di veleno che non mostrava questo genere di dolori!-.
-Non lo so! Non lo so!- ruggì ad un tratto la donna, e Altair tacque.
-Dimmi tra quanto starà bene- proferì l’assassino.
-Qualche giorno, ma non ho idea di come…-.
-Come farai a guarirla?-.
-Era quello che stavo per dire!- Adha si passò una mano in volto. –Non lo so, non lo so…-.
-Allora?-.
-Smettila, mi metti solo ansia e non mi sei d’aiuto-.
-Perché sei certa che tra pochi giorni starà bene? Potrebbe morire, lo sai?-.
Adha rimase in silenzio, ma la sua collera venne fuori lo stesso poco dopo. –Se sei così in pena per lei, perché non te ne vai e ti fai vedere qui tra una settimana con Minha! Cerca quella puttana e solo quando l’avrai trovata sarai di nuovo degno di giudicare qualcuno! Sono sicura che il Maestro l’ha scelta perché si fidava degli addestramenti cui l’avevi sottoposta, quindi non biasimare nessun altro se non te stesso!- gridò. –Vuoi dimostrarmi che vali qualcosa? Portami Minha, e farai un favore ad entrambi…-.
-Credi che dipenda da me?!- sbottò.
-Ovvio!-.
-Invece no! È Tharidl che non vuole che mi metta sulle tracce di Corrado…-.
-Non cambiare argomento! Non mi riferisco a Corrado, ma a Minha! Non dirmi che egli ti vieta anche di darle la caccia?!-.
-Non lo so!-.
-Ah ah! Visto? Bello, vero? Sentirsi gridare contro qualcosa ed essere costretti a ripeter: non lo so!-.
L’assassino fece un passo indietro, urtando qualcosa che andò a cadere a terra rompendosi in centinaia di frammenti di vetro.
-Cosa…- sussurrò Adha senza parole.
-Non lo so…- ribadì Altair.
Adha si alzò, avvicinando il suo volto a quello di lui. –Si può sapere che t’è preso?-.
-Parli con me?- ridacchiò lui.
Adha lo spinse, e il ragazzo indietreggiò mantenendo l’equilibrio.
-Stai cercando di farmi arrabbiare?- lei serrò i pugni.
-No, ovvio che no, ma la tua paziente si è svegliata…- mormorò lui improvvisamente più cauto.
Adha si voltò, incontrando gli occhi socchiusi di Elena, ma quando tornò dalla parte del suo amato, si accorse che questo era sparito.
-Adha…- Elena si sollevò poggiando la schiena alla parete.
Erano nell’infermeria vuota e buia per via della notte calata improvvisamente sulla fortezza.
-Stai giù, torno subito…- Adha si allontanò sparendo fuori dalla sala, e i suoi passi si persero sulle scale.
La giovane Dea si guardò attorno confusa.
La testa le pulsava e un dolore lancinante l’aveva attanagliata alla spalla destra. Nonostante ciò, realizzò qualcosa di quello di cui Altair ed Adha avevano appena discusso, con tanto di fuga silenziosa di lui e irascibilità dovuta alla gravidanza di lei.
Veleno.
Di nuovo?!
Non poteva crederci. Le sembrava assurdo che trascorse delle settimane lo stesso senso di annebbiamento l’avesse colpita… aspettate un attimo!
L’ago che l’aveva trafitta durante lo scontro con Corrado provocava l’innalzamento dei sensi percettivi, con prevalenza al dolore. Eppure… durante la cerimonia, le forze le erano mancate per via di un improvviso giramento di testa. Il cuore aveva rallentato i battiti e il fiato le era mancato. Sintomi totalmente differenti da quelli della volta che…
Il vento fece sbattere le tende, e il suono dell’aria celò quello di un passo silente sul legno del pavimento.
Elena scattò in piedi e si allontanò dal letto, andando verso le finestre. Gli occhi spalancati, le pupille dilatate e i sensi svegli.
Scrutò il buio allungo, fin quando non ebbe conferma della presenza che vi era celata tra le ombre.
Minha avanzò quatta verso di lei, nella mano stringeva una spada corta e su di lei pesavano delle vesti scure, nere.
-Minha!- Elena ingoiò il suo nome nello stomaco.
I capelli della donna erano celati da un cappuccio calato interamente sul volto, che ad Elena fu facile riconoscere quando questa se l’abbassò.
-Furba, la ragazza…- rise la donna.
Elena non ebbe tempo di fare nulla che l’ex Dea le fu addosso, saltando sul letto e scagliandosi contro di lei.
Elena le bloccò in tempo il polso, ma la lama era a pochi centimetri dal suo collo.
-Dannata! Avresti dovuto tenere la bocca chiusa, e forse non sarei qui!- sibilò come una serpe.
Elena indietreggiò, perché la sua avversaria mostrava una forza smisurata in ogni parte del corpo.
Debole com’era e disarmata com’era, l’unica via sarebbe stata fuggire, si disse.
-Perché?! Perché l’hai fatto?- ruggì la giovane Dea.
-Zitta e muori!- Minha spinse con più violenza, ed Elena cedette.
Solo per mera fortuna la lama non le tranciò la gola, perché la ragazza riuscì a schivare rotolando a terra, ma trovandosi con le spalle ad una colonna.
Minha le fu di nuovo addosso, ed Elena si sollevò giusto in tempo per scartare di lato.
In un istante troppo svelto, Elena riuscì a sottrarle di mano l’arma, che scivolò sul pavimento finendo sotto ad un mobile.
-Ah!- rise Elena.
-Aspetta a cantare vittoria!- la donna alzò una gamba e, con sua grande sorpresa, Elena ricevette un calcio ben assestato al costato. A quel colpo se ne susseguirono altri.
Minha aveva quella flessibilità che Elena avrebbe dovuto imparare da Leila.
Come fosse un’artista antica dell’estremo oriente, Minha menò pugni e calci senza darle tregua, ed Elena fu preda di una lenta agonia. Colpo dopo colpo, si piegava dal dolore, le scappavano gemiti assurdi e strilli.
Minha l’afferrò per i capelli e la scaraventò addosso alla colonna senza fatica.
Tentò di evitare il calcio, ma con la coda dell’occhio individuò troppo tardi il pugno che veniva verso di lei.
Minha la colpì alla mandibola ed Elena voltò la testa di lato.
Dolore, ma fosse stato anche uno forse le sarebbe stato più facile reagire, ma non trovò quel vigore necessario.
Cadde in ginocchio, una mano sulla bocca, all’angolo della quale le cadeva un fiotto si sangue bollente.
Le aveva sicuramente spaccato il labbro e qualche dente, e Minha ridacchiò beatamente guardandola dall’alto.
-Non… non la passerai liscia…-.
-Corrado mi manda a finire il lavoro, sai? Risparmiarti la vita credendo di poterti usare come ha usato me è stata una grande stupidaggine, ed ora se ne pente. Mi manda come prima cosa ad ammazzarti, piccola, e poi a portargli il Frutto dell’Eden, che sono dove è custodito- gioì la donna.
Minha si chinò alla sua altezza. –Tu dovresti fare altrettanto…- le disse all’orecchio. –Non allearti con questa gente, Elena. Non sai a che cosa vai incontro…-.
-Consegnati a Tharidl- Elena sputò il sangue dalla bocca. –E lo convincerò a lasciarti in vita- aggiunse, puntando i suoi occhi azzurri in quelli verdi di Minha.
-Non ci credo neppure se mi paghi- rispose lei.
Elena strinse i pugni. Se non agiva alla svelta, sarebbe successo qualcosa di spiacevole.
Minha la spinse giù con un calcio, e la ragazza più giovane si raggomitolò dal dolore.
La donna recuperò la lama corta da sotto il mobile e tornò da lei.
-Salutami tuo padre, va bene?- rise maliziosa.
-Minha!- gridò una voce, e la donna si voltò.
Rhami lanciò il pugnale da lancio, che Minha deviò con un fluido movimento del polso. La lama del pugnale a contatto con quella della lama corta produssero delle scintille rossastre che si sparsero sui tappeti dell’infermeria.
-Cerchi rogna, Rhami?! Non t’immischiare!- ruggì Minha.
Il ragazzo avanzò svelto nella stanza. –Vieni, combatti se ne hai il coraggio!- sguainò la spada.
Elena si tirò su a fatica e, approfittando del fatto che Minha fosse voltata verso l’assassino, le saltò al collo.
-Ferma, Elena, no!- gridò Rhami, ma fu troppo tardi.
Minha si girò ad un tratto e dal suo polso sinistro estrasse la lama corta.
I loro corpi si sfiorarono, e Minha spinse con più violenza la lama nella sua carne.
Il fiato le parve cosa rara che andava pagata con soldi che non aveva. La bocca aperta senza proferire parola, la pelle che sbiancava d’un tratto.
Minha ridacchiò ritraendo la lama nel polso, e quando Elena indietreggiò, questa si portò una mano al fianco, dove il taglio aveva inciso per quasi cinque dita.
Il sangue venne fuori a fiotti, ed Elena si accasciò prima in ginocchio e poi completamente distesa.
In fine, il buio avvolse ogni centimetro della sua vista appannata, mentre sull’ingresso dell’infermeria comparivano i volti cari di un gruppo di assassini.

-Prendetela!- gridò qualcuno.
Minha si lanciò fuori dai balconi e scomparve con un salto nel vuoto. Alle orecchie dei presenti giunse il suono delle onde del lago appena sfiorate, e la figura della donna si perse nella corrente.
L’assassino batté il pugno chiuso sul parapetto del balcone. –Dannazione! Ci è sfuggita!- gridò affacciandosi di sotto, dove lo strapiombo si gettava nell’acqua.
-Adesso non c’è tempo, vieni!- fece l’altro.
-Presto, aiutatemi!- disse Rhami chinandosi sulla ragazza.
-È ferita gravemente, perde sangue! Vai a chiamare Adha!- disse uno.
Un assassino si alzò e corse fuori dall’infermeria.
-Elena, Elena mi senti?- Rhami schioccò le dita davanti agli occhi socchiusi della giovane.
-È ancora viva, ma non possiamo indugiare!- sbottò un fratello, e i due assassini la issarono sul letto.
Adha giunse nella stanza di corsa, e alle sue spalle comparve Altair.
-Cos’è successo?- domandò questo avvicinandosi al gruppo.
-Minha, era qui maestro- dichiarò Rhami.
-Fatevi da parte, portatemi degli asciugamani e delle bende! Forza!- Adha prese a dettare ordini.
Altair fece per lasciare la stanza, ma Rhami l’afferrò per la veste.
-No, maestro- disse serio. –Minha è andata, gettandosi dal balcone ci è sfuggita-.
Altair si divincolò con uno strattone. –Credi che ne sia contento?!- digrignò.
-Ovvio che no- mormorò Rhami, voltandosi a guardare come Adha tentava di bloccare l’emorragia.
La donna pulì la ferita, la fasciò più volte ma questa tornava sempre a perdere sangue, goccia dopo goccia Elena perdeva le forze e il suo cuore era debole.
Solo un miracolo avrebbe fermato quell’agonia, e solo la morte avrebbe cessato quel dolore.



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ORRORE! Dio, non so come scusarmi ma, per chi ha già letto questo chappo prima, credo che gli dispiacerà sapere che ho dovuto rimuovere l’ultima parte per inglobarla nel capitolo successivo. Mi spiace un sacco, ma mi sono dimenticata di aggiungere una piccola parte divertente che avevo già abbozzato su carta ma, come al solito, ho scordato di scrivere… insomma, sono una totale deficiente!!! Scusate, ancora!!! L’ultima parte di cui vi parlo la ripeterò nel proximo capitolo per non perdere il filo, ma siccome questa scena che avevo in mente e ho dimenticato ho intenzione di farla trascorrere durante quel periodo di attesa che scrissi come “… un mese dopo…” ehehe… allora spero di non aver fatto una figura di totale deficiente (cosa che è così) e vi do appuntamento alla “scenetta” del prossimo capitolo… XD me molto bastarda!!!
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Scusate se corro con i ringraziamenti, ma ho staccato solo alla 17° pagina. Ditemi voi… c’è, io mi sento svenire.

I migliori utenti di questo sito:

Saphira87
goku94
Lilyna_93
Carty_Sbaut

Non ho molto da dire, quindi apro una piccola parentesi generale su questo capitolo che vale per ciascuno dei miei lettori.
Le vostre recensioni sono fantastiche, anche troppo, quindi mi stavo chiedendo se… magari, poteste farmi sapere anche quello che “non” va nella mia ff. Intendo, non errori di grammatica o parole scritte come altre, questa roba ci sta sempre… mi riferisco alla trama, ai personaggi, al metodo di scrittura. Vorrei che mi deste un commento più sintattico, se è possibile, riguardante come sto andando avanti con la storia, che secondo me sta uscendo una vera schifezza. Insomma, parliamoci chiaro: inventando tutto sul momento, non ci penso due volte prima di scrivere. Ma avendo taggato la storia come “azione” e “avventura”, e avendo precedentemente aggiunto al posto di generale anche “mistero”… non so, forse dovrei… accorciare? Ho tante di quelle idee, che credo di doverle posare su un blocchetto notes e proseguire quest’estate, perché gli esami si avvicinano e sto un po’ trascurando della roba come storia e geografia… al rogo! Vabbé…

Eccovi una stupenda immagine. Da qui ho preso spunto per la nuova tunica di Elena, e anche quella che indossano le Dee alla cerimonia. Ed è la stessa che la nostra giovane assassina si porterà dietro fino alla tomba! XD ok, qui R.E. (Radio Elika) vi chiude in faccia XD e vi aspetta alla prossima puntata. Bacioni a tutti! Ciao!


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Capitolo 36
*** La Dea dell'ulivo ***


La Dea dell’ulivo





Era stanca di dover sopportare la pietà degli altri, non avrebbe accettato che occhi complici le sorridessero ancora. Non avrebbe patito in silenzio mentre la gente che aveva attorno si scansava con un incredibile tristezza in volto. Non aveva la forza di aprire gli occhi, che le sarebbe piaciuto tenere chiusi per sempre.
La coperta le scivolò via dalle gambe, ed un brivido gelido le attraversò la pelle giungendo fino alle spalle.
Elena si sollevò in piedi, ma i suoi occhi si perdevano nel buio attorno a lei, nell’immenso quadrato uniforme e nero che era spesso oggetto dei suoi incubi.
La ragazza toccò coi piedi scalzi la terra invisibile, e le sue gambe si piegarono fino a farla mettere in ginocchio. Vestita solo della biancheria, Elena sognava ancora una volta di abbandonare il mondo reale, e di lasciarsi rimproverare dai i suoi superiori. Come quella volta dopo l’incontro con Corrado, quando le responsabilità di quel duello le erano piombate addosso come l’acqua di una doccia fredda. Quando il suo corpo aveva vagato tre le ombre dei suoi incubi e il suo sangue aveva macchiato le spade impugnate dai suoi più cari amici e conoscenti. Quando aveva desiderato che tutto finisse, accettando la condizione di essere morta, quando non avrebbe fatto nulla per impedire di mettere una pietra sopra ogni cosa, ricominciando da capo.
Ogni giorno chiedeva di poter cambiare, di poter abbandonare quella sua vita che più e più volte l’aveva costretta a spogliarsi delle sue gioie e ad inginocchiarsi al cospetto del dolore. Era stufa di soffrire le pene altrui… era stufa di mettere in bella vista le proprie.
Ma come sempre, era la collana che aveva al collo a chiamarla al suo dovere. Un destino al quale fare capolino, una missione a cui tener fede, e una famiglia nella quale reinserirsi. Se fosse morta, non avrebbe mai scoperto chi fosse suo fratello, ma si sarebbe unita a suo padre e sua madre che riposavano beati tra le braccia dell’Immenso. Proposta allettante, e Minha le aveva dato l’occasione.
Era una maledetta situazione familiare cui Elena aveva risposto sempre di essere pronta a continuare. Quando Corrado o il veleno per poco non l’ammazzavano, Elena aveva avvertito un forte richiamo verso “la luce”. Quel richiamo che è la porta di andata senza ritorno, oltre la quale vi è l’inesplorato mondo che non è dedito sapere a nessuno che non vi faccia parte per l’eternità. Paradiso o Inferno, per lei non faceva differenza. La sua lama era passata da parte a parte di una decina di uomini e più troppe volte, così tante da aver perso il conto.
La ragazza sfiorò la pietra nera del pavimento con una mano, accarezzando la fredda sensazione di sollievo che provò il suo tatto. La sua mano calda contro la terra gelata della sala. Una sala buia, nera, senza colori e composta unicamente da un’ombra infinita che chissà per quanto si stagliava in avanti, su e giù.
Stava impazzendo, mentre i suoi occhi si schiudevano beati in una condizione di sogno e realtà, mentre la sua mano correva tra le crepe di quella stanza e mentre il suo cuore rallentava sempre più.
Elena decise di attendere, di prendersi altro tempo per pensare. Infondo, quel baratro oscuro non era altro che un’immensa sala d’attesa prima della luce eterna. Si stese di fianco, un braccio teso sotto la testa e l’altro piegato e nascosto nell’incavo del collo. Una parte del suo corpo, quella a contatto con la terra, era fredda, percossa da brividi e le veniva la pelle d’oca. L’altra invece era diventata calda;, e in basso, all’altezza del fianco, si apriva uno squarto pulsante dal quale non sgorgava una goccia di sangue. Eppure era una ferita profonda, ancora aperta e fresca. Si chiese come fosse possibile che litri di sangue non si fossero già sparsi sul pavimento, e rammentò di stare sognando solo all’ultimo.
La luce si fece attendere parecchio, si disse, fin quando avvolta da un improvviso tepore su entrambi i fianchi, la ragazza chiuse gli occhi e il buio divenne ulteriormente buio. Le ombre si allungarono verso di lei, ma sul comodino accanto al letto comparve la luce fioca di una candela, mentre una sagoma retta e composta si stagliava seduta accanto a letto.
Le coperte tornarono a coprirle il bel corpo, e dietro la testa comparve d’un tratto un morbido cuscino. Il materasso si modellò sotto le sue forme, ed una mano si protese ad accarezzarle una guancia, assieme ad una voce melodiosa ed incredibilmente premurosa che sussurrava il suo nome.
Ed in fine, Elena vide Morfeo.

La ragazza si girò di lato, aprì gli occhi nel momento in cui il cuscino cadde dal letto.
Questo si rovesciò sonoramente a terra, e Marhim, rimasto seduto e mezzo assopito sulla sedia accanto a letto, balzò in piedi.
-Cos’è stato?!?!- balbettò l’assassino guardandosi attorno spaventato.
-Marhim…- Elena, sorridente in volto, allungò un braccio fuori dalle coperte e gli strinse la mano.
Il ragazzo si voltò lentamente e, meravigliato, si chinò alla sua altezza per abbracciarla. –Elena!- mormorò commosso. –Sei sveglia!- aggiunse estasiato.
La ragazza si avvinghiò a lui, che lentamente la issò seduta sul letto.
Elena soffocò un lamento straziante di dolore quando una fitta lancinante la sorprese al fianco destro, ove la lama nascosta di Minha l’aveva colpita.
Marhim la guardò allungo in silenzio, ed Elena approfittò di quel momento per ammirare afflitta il bendaggio che le fasciava tutto il basso ventre sotto la leggera canottiera di cotone. –Dio…- sibilò sbigottita, senza parole.
Era un taglio profondo, che doveva per di più ancora guarire.
Era certa di non trovarsi nell’infermeria, ma riconobbe quella in cui si trovava una delle stanze degli appartamenti delle Dee. La vista dava sullo strapiombo sul lago, e stormi compatti di colombi svolazzavano da parte a parte della fortezza preparandosi all’ultima grande migrazione. Faceva freddo, era il freddo dell’inverno. Era giunto l’inverno che coi suoi venti gelidi spingeva lontano gli uccelli e le vecchie foglie secche dell’autunno.
Marhim sedette accanto a lei, ed Elena gli volse un’occhiata sconvolta. –Quanto…-.
-Meno di quanto Adha sperasse- si affettò a rispondere lui.
-Che… che intendi?- sussurrò, passando nuovamente la mano sul bendaggio candido e scottante stretto al suo stomaco.
-Non  è trascorso neppure un giorno da quando… da quando ti hanno cucita- disse serio, celando lo spavento nel tono di voce alquanto insicuro.
-Mi hanno cucita?-.
Lui annuì. –Non c’era altro modo per arrestare l’emorragia. Mi dispiace…- lui le strinse la mano.
-Non devi dispiacerti- sussurrò la Dea guardando fuori dalle finestre, dove il sole andava nascondersi dietro delle nuvole grigiastre ma piuttosto chiare.
-Non è certo colpa tua, e ti ringrazio di essere qui- la presa sulle sue dita divenne più salda, ed Elena puntò i suoi occhi azzurri in quelli nocciola del giovane.
-Mah- rise lui –non c’era nulla di più interessante da fare, ero solo di passaggio…-.
Elena sorrise, e con lei fece altrettanto Marhim.
-Ti fa ancora tanto male?- le chiese.
-Ora non più; sono contenta che il sonnifero di Adha funzioni così bene- dichiarò allegra.
Marhim soffocò una risata. –Non sai che strazio ascoltarti mentre ti lamenti! Pensa se eri sonnambula!- ridacchiò.
-Già…- si strinse nelle spalle. –Avrei potuto prendere a calci qualcuno- borbottò.
-Minha è fuggita. Alcuni assassini sono sulle sue tracce, e sembra non sia diretta ad Acri. Ieri, mentre ero impegnato ad assistere Adha nelle tue cure, ho saputo da un assassino dell’infermeria che era diretta verso Damasco. Non chiedermi perché, ma ho pensato che saperlo ti sarebbe interessato-.
-Infatti…- mormorò lei assorta. –Grazie, anche se credo che dovresti dirlo non a me, ma a qualcuno che possa ammazzare quella maledetta il prima possibile!- digrignò, cercando di irrigidire il meno possibile i muscoli della pancia.
-Faremo tutto il possibile. Quella vipera non la passerà liscia, vedrai…- aggiunse Marhim con stesso tono.
Elena si guardò attorno, constatando che la porta della stanza fosse aperta, così chiese: -dove sono le altre Dee? Kamila, Elika, Leila… intendo- formulò tornando stesa tra i cuscini.
Marhim l’aiuto a non forzare gli addominali, accompagnandola nel gesto. –Da quando Minha è piombata nell’infermeria, le tre Dee hanno badato a te in queste stanze durante la notte. Ormai sono di casa, ormai sono di nuovo nella setta…-.
-Che gran sollievo- sospirò lei.
Marhim si fece più vicino. –Credi di farcela a camminare?- le chiese.
-Ovvio, perché?- sorrise.
-Ti accompagno alla mensa; non  ci sarà nessuno, te lo prometto, che ti vedrà zoppicare, ma hai bisogno di sgranchirti le gambe- le disse.
Elena acconsentì e Marhim l’aiutò ad alzarsi dal letto. L’assassino la prese sotto braccio e l’assistette anche nel vestirsi. Zoppicare non zoppicava, ma i suoi movimenti erano limitati dalle improvvise fitte di dolore che le attanagliavano il fianco fasciato.
Impiegarono dieci minuti buoni per vestirla di tutto punto con le vesti della setta, tralasciando la cintura di cuoio e le armi.
Le scale furono uno dei tanti ostacoli nel raggiungere la mensa, e sedersi ai tavoli anche.
Marhim consumò il pasto assieme a lei dicendole di essere rimasto a digiuno per più di dodici ore; scusa bella e buona pur di riempirsi nuovamente lo stomaco.
Quel pomeriggio Marhim l’accompagnò nella biblioteca e vi restarono allungo, parlando del più e del meno.
Ma cos’era tutta quella svogliatezza che Elena sentiva in corpo? Si chiese. Rispondeva di mala voglia alle affermazioni di Marhim e partecipava il nulla alla conversazione. Non le andava o non ne aveva la forza?…
I giorni si susseguirono lenti e monotoni. Ormai sembrava essenziale che Elena si riprendesse del tutto, e la cosa le piacque. Le piaceva come tutti i suoi conoscenti a parte Marhim la evitavano. Le piaceva dover condividere le stanze con le tre Dee senza che le rivolgesse mai una parola. Le piaceva non dover sostare a strazianti allenamenti e ramanzine da parte del Gran Maestro. Cosa più in assoluto soddisfacente, era l’assoluta lontananza da Rhami! Quanto ci godeva a non aver incontrato la sua faccia per una sola volta durante quelle settimane!
Una sera, Elena stava salendo solitaria le scale della fortezza. Raggiunse gli appartamenti delle Dee e fu per proseguire nella sua stanza, quando la porta aperta della camera di Leila la fece sobbalzare.
-Che cos’hai da guardare?- sbottò una voce femminile dietro di lei, ed Elena si voltò.
C’era Leila con le braccia conserte e il peso su una gamba. Indossava solo la biancheria, a mostrare le sue forme morbide e sode. Lo sguardo severo e malizioso suo tipico, il portamento superiore e così incredibilmente sicuro di sé.
Elena indietreggiò, avvicinandosi all’ingresso della sua stanza. –Nulla, stavo andando… a dormire- balbettò.
Leila la seguì con gli occhi fin quando la giovane Dea non si fu chiusa la porta alle spalle. Elena si appoggiò alla parete e prese un gran respiro. Contò una trentina di secondi, poi socchiuse appena l’uscio.
Nel salottino degli appartamenti c’erano due figure. Una delle quali Elena riconobbe, nonostante la lontananza e il buio della notte, come la Dea che poco prima l’aveva fatto gelare il sangue coi suoi occhi verdi.
L’altra presenza era un ragazzo. Alto, coi capelli corti e dal viso.
Elena cercò di scorgere oltre, e quelle due persone che all’inizio le erano sembrate impiegate in una normale chiacchierata, invece si stavano baciando, abbracciate in una posa di passione.
Elena rabbrividì, chiuse la porta e stabilì che ficcare meno il naso nelle faccende altrui sarebbe stato più conveniente.

Te la senti di combattere?
Sono trascorse due settimane, ma non ne ho voglia…grazie lo stesso…
Non ne hai voglia o non ne hai le forze? C’è più differenza di quanto immagini.
…Non ne ho la forza… né la voglia…
Giustamente, infondo è meglio così. Il riposo ti farà bene.
Lo spero…
Posso capire come ti senti, e non deve essere piacevole.
Esatto…
Ti va di parlarne?
Non credo…
Sei libera, ma non so per quanto durerà.
Libera da cosa?
Dai tuoi allenamenti, da quelle vesti… a proposito, per ora non ne hai bisogno, va’ a cambiarti. non ti servirà indossarle. Riporta nelle tue stanze anche le armi.
Nelle stanze… le Dee…loro…
Non badare a loro. Non ascoltarle, se non vuoi che ti facciano sentire peggio di adesso.
Perché?
Non sono cieco, ti trattano come una bambola e a stento immagino quanto possa essere detestabile.
Già…
Sarà più difficile, d’ora in poi, ma non permetterò che accada di nuovo.
Di cosa parlate?
Minha. È riuscita ad infiltrasi nel palazzo senza che nessuno se ne accorgesse. Quella strega pagherà per cosa ti ha fatto.
Sono viva… mi basta…
Non è vero. Lo leggo nei tuoi occhi. Il tuo odio per Corrado è quello dominante, ma devi imparare a controllarlo. Te l’ho detto, Minha non avrà occasione di toccarti con un dito!
Voi… siete in pena per me? Voi mi proteggereste da lei se dovesse capitare di nuovo?
Sarei pronto all’evenienza.
Per allora non avrò bisogno della vostra protezione. Per allora Leila mi avrà insegnato tutto ciò che debbo sapere per contrastare quella donna…
Sei insicura delle tue parole, c’è qualcosa che ti preoccupa?
Minha… non avrebbe mai agito in quel modo … Corrado le ha fatto qualcosa, lo sento…
Le ha promesso forse di ridargli il suo amato?!
Forse…
In che modo?! Asaf è morto!
Il Frutto…potrebbe averle promesso di farlo tornare in vita…
Può la disperazione di una donna arrivare a tanto?
… stento anche io a crederci…
A cosa ti riferisci?
Nulla…
Spiegami perché sei così distante, e saprò aiutarti.
Non ho bisogno d’aiuto.
Qui sbagli. Non sei ancora nelle condizioni di agire per conto tuo. Hai molto da apprendere prima di ritenerti indipendente.
Non è l’indipendenza che cerco…
…Mi sembra stupido chiederti allora cosa sia ciò che vai cercando.
Molto stupido…
È ovvio.
Infatti…
Ti aiuterò a trovare tuo fratello. Tharidl non ha idea di come ci si senta lontani dalla propria famiglia, ma noi sì.
Noi?…
Sono stato abbandonato quando ero ancora in fasce; pensavo che quel vecchio pazzo ti avesse detto altro di me.
Sì, ma è probabile che non abbia prestato attenzione…
Ah! Ti capita spesso, a quanto pare.
Lo so… non c’è bisogno che me lo ricordiate…
Quella volta… quella volta che ti ho sorpresa nella biblioteca, ti ho vista che leggevi le mie Cronache.
Mi spiace, non avrei dovuto… aspettate! Voi mi stavate spiando?!
Probabile… mi sorprende che tu ne sia stata tanto attratta.
Non avevo nient’altro da fare…e non ne ero “attratta”…
Ah no?
No.
Meglio così, dato che non hai approfondito poi tanto la tua ricerca.
Infatti…
Come mai?
Avevo… paura…
Di cosa?
Di quello che avrei potuto scoprire, e mi sentivo terribilmente in colpa per cosa stavo facendo…
In colpa?
Vi chiedo perdono…
Non ce n’è bisogno. Era il minimo che potessi fare…
Certe volte mi stupisco del mio buon senso…
Altrettanto…
Vi stupite del vostro buon senso?…
Buon senso…Perché chiamarlo così? Ho un qualcosa di cui non riesco a liberarmi sulla coscienza, ed ogni istante che passo con te, questo fardello mi pesa oltremodo.
Con… con me? Perché? E di che peso parlate? Perché vorreste liberarvene?
…C’è altro?
No… ma mi spaventate…
Non era mio intento.
E allora… qual’era il vostro intento?
Alcuno. Non avevo intenzione di dire quello che ho detto.
Perché?
È sbagliato!
Perché?…
Smettila. Non arriverai da nessuna parte chiedendomi questo.
E dove credete che voglia arrivare?… E cosa credete che vi stia chiedendo?
Elena!
Avete cominciato voi.
No. Qui sbagli, ancora.
Che cosa ho fatto?!
Per ora nulla…piuttosto, sarà meglio che tu vada.
E se volessi restare?
Elena!
Va bene, va bene…
Stai lontana dai guai, per favore.
Non sono così sbadata.
Sicura? Vogliamo parlare dei tuoi borseggi finiti nel sangue? Quando ti sarai ripresa lavoreremo anche sul tocco.
Mi state prendendo in giro?
Ah ah ah. No, perché dovrei?
Lo chiedo io a voi!
È la pura verità. Ho sbagliato a darti tanta fiducia. Non farò lo stesso errore.
È stato un caso! C’erano tutte quelle guardie, e anche…
Ti arrampichi bene sugli specchi, ragazza. È vero, c’erano più guardie in giro di quanto immaginassi.
Ecco!
Ma questo avrebbe dovuto metterti maggiormente in allarme.
Come?!
Avevi l’occasione di pazientare che il tuo bersaglio si allontanasse dalle strade affollate.
Giusto…
Perché non l’hai fatto?
Ero sotto pressione!
Avrei dovuto insegnarti anche questo…
Cosa avreste dovuto insegnarmi, ancora?
A mantenere la calma. Un bravo assassino ha il controllo sulle sue emozioni. Tutte quante.
Allora voi non siete un bravo assassino…
Che cosa intendi dire con questo?!
State arrossendo!
Elena!
Non chiedo la vostra compassione, ma un minimo di spiegazioni. Quando mi sarà tutto più chiaro, starò alla larga da voi…
Cosa vai dicendo?…
Non sono stupida. Lo so che vi piaccio.
… che cosa?…
Non è così?
Certo che no! Come ti è saltato in mente?!
Era… era un’ipotesi… solo un’ipotesi…
Sei una ragazzina meravigliosa, Elena ,ma non posso immaginare come si sia sentito Rhami rifiutato in quel modo.
Come… come fate a saperlo?!
Oh, diciamo che… ho occhi per tutta la fortezza.
Vi prego, io non… non saprei come fare se… se Tharidl lo scoprisse…
Non lo saprà.
…Grazie.
Ovviamente, non mi piacerebbe venire informato che fatti del genere si sono ripetuti, quindi sai bene che cosa ti chiedo.
No, cosa?
Stagli alla larga.
Lo so bene.
Non è perché nella setta non è concesso, ma quel ragazzo è solo parecchio avido.
E voi no?…
Stai esaurendo la mia pazienza.
Eh eh… Forse avete ragione, infondo siete sposato.
Smettila.
Era una battuta! Era una battuta!
Lo spero per te.
Ma voi ed Adha…
Sì?
Voi ed Adha… siete sposati?
Non ancora. Anche se…
Sarebbe imbarazzante…
Esatto.
E cosa state aspettando?…
Non… non lo so.
Dovrei chiederlo a lei?
No!
E allora?
Non… non ti riguarda!
Forse più di quanto immaginate…
Cosa?…
Avete considerato… l’”ipotesi”… che potreste essere mio fratello?
Non diciamo stupidaggini.
In quel caso Adha diventerebbe mia cognata.
Elena…
Ed io sarei presto zia!
Elena…
Sarebbe meraviglioso.
Elena…
Ed essere vostra sorella un vero onore.
Elena, fermati, ti prego…
Ora non posso neppure più abbracciarvi?
No.
Ah, grandioso…
Puoi star certa che non sono io tuo fratello, e dovresti mettere una pietra sopra questa storia.
Perché? Non mi sembra di arrecare danno a qualcuno…
Invece sì…
Per esempio?
Me.
Voi?
Sì.
Perché?…
Perché mi stai occupando tutta la giornata.
Mi spiace, davvero.
Ci sono altri… “dubbi” che ti piacerebbe condividere?
Non credo…
Ottimo,  puoi andare.
…Grazie…
Elena.
Sì?
In questo luogo non c’è nessuno che vuole ferirti… piuttosto devi imparare a difenderti da te stessa.
Cioè?
Sei rimasta sola per molto tempo, e non cercare di colmare così le tue ombre.
Ombre?
È un consiglio… d’amico.
Grazie, ma… Non capisco perché mi dite questo.
Forse più in là capirai.
Parlate come Tharidl.
Non mi stupisco che quell’uomo sia diventato Maestro.

Elena si svegliò di soprassalto.
Il buio avvolgeva le sagome dei mobili della sua stanza, mentre dalla finestra aperta entrava un venticello gelido che muoveva sinuosamente le tende. C’era una candela spenta sul comodino accanto al letto, e i vestiti gettati in disordine sulla scrivania assieme alle armi ammassate a terra ai piedi dell’armadio.
La ragazza si sedette sul materasso passandosi le mani in volto, poi tra i capelli.
Era stato un sogno assurdo, irreale, altamente fantastico.
La sua immaginazione poteva vagare senza meta a tal punto di arrivare a certe schiaccianti concAtefni? Se mai avesse rivolto quel genere di domande al suo maestro, lui avrebbe risposto a quel modo? Ovvio che no,  si tormentava da sola. Eppure i sogni erano la concezione dei propri desideri… ma dai!

Marhim le lanciò un’occhiata, ma Elena rimase china sul libro. Si era lasciata distrarre dalla lettura mentre con la testa divagava su una situazione impossibile che le sarebbe potuta accadere. Era una stupida se pretendeva di ottenere tanto libero arbitrio col suo maestro. A proposito di maestro, era un po’ che non si vedevano. Era successo qualcosa?
-Ti fa ancora male?- domandò lui.
Senza staccare gli occhi dalle pagine, lei rispose: -Sì…-.
Il ragazzo si guardò attorno, sospirò e si appoggiò allo schienale del seggio.
Erano nella biblioteca silenziosa della prima mattina, seduti ai tavoli centrali. Nell’immenso salone brillavano i raggi del sole che penetravano dal lucernario sul tetto. Gli scaffali pieni e le ombre dei saggi che vi passeggiavano; una giornata serena e tranquilla, si disse il giovane, tornando a guardare la sua amica.
-E tu come ti senti?- chiese ancora.
Elena si strinse nelle spalle. –Bene, se è quello che vuoi sentirti dire…-.
-Che cosa stai leggendo?- insistette.
La ragazza chiuse il libro di colpo, e Marhim sobbalzò. –Ti prego- mormorò con gli occhi grandi. –Ti scongiuro, se proprio devi, fai domande intelligenti- aggiunse ridendo.
-Giusto, scusa…- l’assassino poggiò i gomiti sul tavolo.
-Come va con Halef?- fece lei assorta.
-Che intendi?-.
-Gli piace il suo nuovo rango?- sorrise.
-Ovviamente, ed è anche entrato tra…- Marhim si bloccò di colpo, fissando un punto indistinto sul tavolo.
-Che succede?- Elena poggiò il libro sul ripiano e gli venne vicino. –È successo qualcosa?- domandò sospettosa.
 Marhim si riscosse d’un tratto, le strinse il polso e la tirò in piedi.
-Dove stiamo andando?!- sbottò Elena seguendolo e quasi correvano.
-Voglio farti vedere una cosa- rispose lui lasciando la biblioteca.
-Fa’ piano! Mi fa ancora male!- sibilò lei stringendosi il fianco destro.
-Scusa- rallentò l’andatura, ma proseguirono di fretta verso il piano terra della fortezza. Una volta nei giardini terrazzati, Marhim la condusse giù per delle scalette di pietra che scendevano nello strapiombo seguendo il bordo di roccia del lago, fino a raggiungere una foresta di ulivi.
Avevano passeggiato per qualche minuto con calma, l’uno affianco all’altra.
-Cosa sta succedendo?- gli chiese portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. –Perché mi hai portato qui?- aggiunse meravigliata.
In pochi minuti si erano allontanati dalla fortezza che sorgeva sul picco del pendio roccioso imponente. L’acqua calma del lago s’infrangeva immobile sulla scogliera bassa, mentre alle loro orecchie giungevano delle voci lontane.
-Mi hai chiesto che fine aveva fatto Halef, giusto?- gioì lui.
-Sì, ma…-.
-Ebbene, diciamo che un certo rango porta anche certi privilegi. Con la scusa che ti ho portata con me, forse mi faranno giocare-.
-Di cosa parli?- giocare?! Si chiese. Che razza di posto era?
Be’, c’era da chiarire che non era mica male quel posto. Era un boschetto di antichi ulivi davvero meraviglioso, e i primi accenni dell’inverno avevano lasciato un terreno umido ed erboso. C’era da considerare il sole accecante e il venticello rinfrescante.
-Stammi vicina, chiaro?- le sussurrò.
-Marhim, vuoi dirmi che succede?- digrignò. Non le piacevano quel genere di sorprese.
-Fidati, non stai mica andando al patibolo, piuttosto… ti piace qui?- chiese.
Lei si guardò attorno sorridente. –Sì, molto-.
Elena ci aveva sentito bene: c’erano delle voci che si facevano più nitide man a mano che si avvicinavano alla destinazione.
-Passa, stupido!- sbottò qualcuno.
-Sei un deficiente, non vedi che è libero?!-.
-Pensa per te!- rispose un altro.
-Usa quei pollici opponibili! E para una palla, ogni tanto!-.
-E tu fai punto, ogni tanto!-.
Elena aggrottò la fronte quando il bosco andò a diradarsi e le fu possibile scorgere delle figure che si spostavano da parte a parte di uno spiazzo erboso circondato dalla foresta. Sembrava un vecchio recinto per il bestiame, ma era vasto, in alcuni tratti la staccionata mancava ed era interrotta da degli ulivi.
C’erano dei cavalli legati ad una palizzata poco distante, delle sacche e dei vestiti gettati in un angolo del campo e ammassati disordinatamente.
Elena trattenne il fiato, e Marhim la prese sotto braccio.
-Trattieni la bava, chiaro?- ridacchiò.
Elena gli diede una gomitata.
Erano una ventina, giovani, abbronzati, bellissimi assassini a torso nudo, che correvano da una parte all’altra del campo passandosi col solo uso dei piedi l’unica palla.
Due grosse pietre delimitavano le porte avversarie, mentre ad arbitrare la partita Elena riconobbe Leila seduta sui rami alti di un ulivo spoglio.
La Dea fischiò, e la partita s’interruppe all’istante.
-Che c’è, ora?!- si lamentò un ragazzo.
Quello con la palla sotto il piede prese a giocarci abilmente palleggiando con le ginocchia. –Maledetta, stavo per fare punto!- eruppe.
Leila allungò le labbra carnose in un sorriso malizioso. –Calma, signori, abbiamo visite- fece con voce soave.
Gli assassini si voltarono a guardarla, ed Elena si strinse alle spalle di Marhim che avanzò di un passo.
-Che ci fa quello, qui?- proferì uno chinandosi a stringere le cinghie degli stivali.
-Buono, tu. È il fratello di Halef- lo rimproverò un altro.
Leila, dall’alto dell’ulivo fischiò di nuovo con due dita chiamando a sé il silenzio.
-Dunque, dunque…- osservò la Dea sporgendosi dall’albero. –Qual buon vento, Marhim?- gridò, e la sua voce acuta e melodiosa attraversò la valle.
-Dov’è mio fratello?- domandò di risposta Marhim.
Leila allungò il suo sorriso. –Ora è occupato- sussurrò.
-Cosa?- Marhim avanzò ancora, appoggiandosi alla staccionata.
-Sono qui, stupido!- sentì la voce di Halef, che era nascosto dietro un albero poco distante. –Sono occupato, un attimo!- aggiunse infastidito.
Elena soffocò una risata, muovendo lo sguardo altrove.
Marhim guardò altrove. –Ah, ti pareva!- ridacchiò.
-Leila, noi riprendiamo! Con o senza il tuo fischietto!- strillò un ragazzo, sottraendo la palla dai piedi del compagno di squadra.
Quello lo seguì fino al centro del campo dove il ragazzo posizionò la palla.
-Due tocchi- mimò quello al compagno.
L’altro annuì.
-Aspettateci, non vale!- si lamentò il capitano della fazione avversaria.
Chissà come si distinguevano, si chiese Elena.
Leila sbuffò e stette a guardare in silenzio come la partita riprendeva tranquilla.
-Passa!-.
-Sono libero!-.
-La vuoi passare?!-.
Halef si avvicinò a loro, ed Elena gli sorrise.
-Quale onore!- sogghignò il fratello più piccolo.
-Vi ho portato una nuova giocatrice- Marhim indicò la ragazza con un cenno del capo.
Halef inarcò un sopracciglio. –Stai scherzando, vero?- domandò sbigottito.
Marhim scosse la testa. –Scommetto che se la sa cavare, e le farà bene riprendere un po’ controllo del suo corpo. È stata tanto tempo ferma, e quale miglior modo per riaversi?- commentò.
Halef fece una smorfia. –Posso tentare, ma non credo che i ragazzi…-.
Marhim ingrandì gli occhi. –Ti preeeeeego-.
Halef aggrottò la fronte. –Da quando ti comporti come… me?- domandò stupito.
-Be’, funziona, no?- rise lui.
Halef indietreggiò. –Non vorranno mai. Non posso! Non ho abbastanza autorità in materia- dichiarò. –E poi- continuò guardandola. –Potrebbe farsi male- fece premuroso.
Elena si fece avanti, fermandosi al fianco dell’amico. –Mi associo. Marhim non è il caso, torniamo nella…-.
Non riuscì a terminare che dal gruppo di ragazzi che palleggiavano si levò un grido.
-Sei un bastardo!- sbottò uno a terra.
-Non l’ho fatto apposta, scusa!- si difese l’altro.
Elena si voltò, spaventata.
-Ragazzi, per favore, ci sono io!- li interruppe Leila.
Quello a terra scattò in piedi e indicò l’assassino che aveva di fronte. –Questo demente mi ha fatto lo sgambetto! L’hai visto anche tu!- eruppe.
-Leila! Non è vero! È inciampato da solo!- si difese l’altro, stringendo i denti.
-Sei solo un vigliacco!- sibilò quello.
I due erano in procinto di prendersi a pugni, Elena se lo sentiva.
Attorno agli assassini interessanti si formò un semicerchio che lasciava libera la vista alla Dea sull’ulivo.
Leila indossava quella mattina le sue candide vesti da assassina, il cappuccio abbassato sulle spalle e i lembi della veste bianca che svolazzavano al vento. Adagiata come un gatto tra i rami dell’albero. –Basta, per favore, mi state deprimendo- si lagnò la Dea.
-Avanti, dicci a chi va la punizione!- fece uno tra gli esterni.
-A nessuno, tornatevene ai vostri posti e voi due ribattete l’inizio! Avete rotto- sbottò.
I ragazzi riavviarono la partita, ed uno di loro si avvicinò di corsa alla staccionata accanto alla quale c’erano lei, Marhim ed Halef.
L’assassino accennò un inchino verso la ragazza, ed Elena arrossì.
-Ti sei svuotato abbastanza, vuoi tornare a giocare o no? Chi ce lo tiene a bada Atef, sennò- rise il giovane.
Halef allungò le labbra in un sorriso divertito. –Perché, Kavel non ce l’ha fa a tenere a bada le sue finte?-.
-Halef, dentro o fuori? Svelto!- aggiunse l’assassino.
Halef si guardò attorno. –Va bene, visto che insisti tanto. Ma ad una condizione-.
Elena sgranò gli occhi. –No!-.
Marhim le tappò la bocca, ed Halef sogghignò.
-La voglio in squadra- disse il fratellino prendendo la giovane Dea sotto braccio.
Il terzo ragazzo ci pensò poco. –Non mi piace, non mi piace! Sai che rischi grosso, vero?-.
Halef la tirò afferrandole il polso.  –Al massimo ci prendo un paio di cazzotti, ma ne vale la pena…- fece malizioso.
Elena sobbalzò. –Non credo…-.
-Halef!- lo chiamò Marhim, mentre i due si allontanavano verso il centro del campo.
-Te la riporto tutta intera, non preoccuparti!- gli rispose lui di spalle.
-Halef, non mai giocato…- mormorò lei.
Lui la strinse per un fianco. –Sta tranquilla, qui siamo tutti amici!- rise.
Dietro di loro si levò un urlo: -Muori, bastardo! Mi ha rubato la palla!-.
Attraversarono il campo camminando tranquilli nel bel mezzo della partita.
Elena era circondata da ragazzi dai muscoli scolpiti che si passavano con calci poderosi una palla che svolazzava da parte a parte, alzando cumuli di polvere. Ogni tanto ci scappava la bestemmia e qualche parolaccia, ma per il resto i maschietti di alto rango della setta sembravano innocui… se, certo, come no.
Halef si fermò di fronte all’ulivo dal quale presidiava Leila, alzò lo sguardo e la chiamo.
La Dea gli volse appena un’occhiata, soffermandosi sulla ragazzina stretta tra le sue braccia. –Ma come- sibilò scherzosa la donna. –Pensavo di essere io l’unica per te, mio caro!- piagnucolò, recitando bene la sua parte da prepotente.
-Macché, è la ragazza di mio fratello-.
Elena, senza pensarci, gli mollò una gomitata.
-Scherzavo!- si apprestò a risponderle lui.
-Che cosa ci fai qui, picciotta? Non dovresti essere al caldo sotto le coperte? Nelle tue condizioni, poi…- pungente come una serpe, Leila si beffò di lei.
-Non sono mica incinta!- digrignò Elena. –Voglio giocare!- sbottò d’un tratto, ed Halef si sorprese di quell’improvviso furore.
Leila inarcò un sopracciglio. –Non dirmi che la vuoi nella tua squadra- la indicò con disprezzo.
-Ovviamente- disse solo lui, con un sorriso da deficiente.
Leila fischiò, e la partita si arrestò al suo comando.
-Attenzione, grazie!- pronunciò maliziosa la donna battendo le mani. –Abbiamo una novità, maschioni!- aggiunse.
Halef ed Elena si voltarono verso l’interno del campo, mentre Leila alle loro spalle illustrava la situazione alle due squadre.
-Piccolo cambio di schemi, ragazzi: gigante, cuccati Gabriel. Atef, riprenditi anche il nanetto. Kavel, con te torna Maher e prenditi anche la ragazza. Spero di aver equilibrato la situazione, ed ora muovetevi, non ho tutto il giorno. Voglio vedervi bruciare!- fece schioccare la lingua.
Atef ululò come un lupo, mentre Maher prendeva sottobraccio il nano della situazione che si confondeva tra la massa di assassini a torso nudo.
-Bene- fece Halef soddisfatto andando verso i compagni di squadra. –ragazzi, questa è Elena- la presentò.
La giovane Dea trattenne il rossore delle guance, sfuggendo agli sguardi chi maliziosi e chi semplicemente curiosi degli assassini.
Kavel, capitano della squadra, strinse una spalla al piccolo Halef. –Aspettate un attimo- proferì avvicinandosi a lei. –Stai scherzando, vero?!- gridò rivolto alla Dea dell’ulivo.
-Nah- sbottò lei antipatica.
-Maledetta puttana! Ci hai tolto nano e in cambio ci dai Maher e la bambina?! Questa me la spieghi!- strillò, ma Leila parve non curarsi delle offese.
-Non ti lamentare, e mostra quanto vali- fu la sua risposta. –Palla al centro, svelti!-.
-Ma chi si credere di essere…- sibilò qualcuno.
-La regina d’Inghilterra?- aggiunse un altro ragazzo.
Elena si avvicinò ad Halef. –C’è qualcosa che non va, vero?- domandò in un sussurro, e le gambe cominciarono a tremarle.
Non avrebbe voluto essere lì, ma ancora una volta il sorriso rassicurante di Marhim dall’altra parte del campo le giunse nel più profondo del cuore, instaurandole nuova forza. Forza per arrivare intera alla fine della giornata.
-Nah, fanno sempre così- le disse tranquillamente Halef. –Facci l’abitudine-.
Abitudine? Dopo quella mattina Elena non avrebbe lasciato le sue stanza per nulla al mondo! Non avrebbe messo mai e poi mai piede di nuovo in quel campo, non avrebbe mai e poi mai rivisto quei ragazzi e ascoltato le loro bestemmie mentre si passavano la palla in uno stupido gioco!
E ora? Si chiese mentre i suoi compagni di squadra prendevano posizione. La ragazza rimase imbambolata dov’era e anche quando Leila fischiò, non si mosse di un passo.
Durante tutta la partita pregò perché la palla non le venisse mai incontro,e all’inizio così fu. I suoi compagni riuscivano sempre a concentrare il gioco nella parte estrema del campo, negli ultimi cinque metri dalla porta avversaria, ed Elena tirò sospiri di sollievi infiniti.
Atef era il capitano della fazione avversaria. Alto, dai capelli corti ben tagliati che conferivano al suo viso una forma allungata e snella quanto il suo corpo, abbellito da una muscolatura esagerata. Trovò nella sua figura qualcosa di dannatamente familiare, ma non riuscì a ricordare quando si fossero mai potuti incontrare.
Kavel, comandante in prima della squadra nella quale era, sembrava un ragazzo totalmente opposto al capitano avversario. Magro, esile, con la sola forza nelle braccia e nelle gambe, con le quali sapeva far piroettare la palla in una maniera incredibile. I capelli castano scuro lasciati crescere e spettinati si compattavano a ciocche per via del sudore che li attraversava la fronte. La pelle abbronzata e il portamento scattante anche durante il gioco gli conferivano un aspetto agile.
Elena impiegò gran parte del tempo a squadrare volto per volto i presenti. Senza prestare minima attenzione alla partita, si trovò ben presto con la palla tra i piedi, mentre attorno a lei si formava un cerchio sempre più stretto dei suoi compagni di squadra.
-Forza! Passala!- strillò qualcuno.
Elena abbassò lo sguardo e, terrorizzata, constatò che effettivamente toccava a lei muovere qualcosa. Senza pensarci due volte, calciò il pallone che finì oltre la staccionata.
E poi non fu facile intuire in che mondo la stessero fissando: sdegno, ripugno, come se fosse un mostro orripilante.
Il colpo alla palla, il movimento della gambe, le aveva conferito una fitta appena percettibile al fianco opposto, ma non avrebbe smesso di giocare per quello! Avrebbe smesso di giocare e basta.
-Halef…- provò a chiamare guardandosi attorno, mentre due ragazzi scavalcavano la staccionata e si apprestavano al recupero della palla nel bosco di ulivi. –Halef!- ripeté individuandolo nel bel mezzo di un gruppo di assassini.
La ragazza si avvicinò lentamente. –Ehm, forse è meglio che mi metto da parte- pronunciò quando il fratello di Marhim le venne incontro.
-No, ma che dici- fu la sua risposta. –Non ti preoccupare, devi prenderci solo la mano- aggiunse divertito.
Perché tenerla in squadra se era una totale schifezza?! –Non riesco, sono negata ed è meglio che lascio stare, ti prego- lo supplicò.
Lui aggrottò la fronte. –Dai, hai giocato neppure dieci minuti. Ne sei sicura?-.
Elena incontrò lo sguardo confuso di Marhim che la fissava dall’altra parte del campo. –Sì, davvero. Magari… un’altra volta- suggerì timida.
Gli altri assassini alle spalle di Halef tacevano, guardandoli entrambi senza parole.
Elena fece per alzarsi il cappuccio a coprirle il viso, ma si trattenne.
-Va bene- acconsentì Halef in fine. –Spero comunque che ti sia divertita- le fece l’occhiolino.
Elena annuì. –Mi farò rivedere- ridacchiò avviandosi.
I due ragazzi rientrarono nel campo ed uno di loro lanciò la palla verso l’alto con un calcio poderoso.
Elena si allontanò svelta quasi correndo e raggiunse l’amico che l’attendeva distante.
-Che cosa…- fece per dire Marhim, ma Elena gli lanciò un’occhiataccia.
-Ah, capito- tacque lui.
-Anche se…- cominciò la ragazza, e Marhim si volse verso di lei confuso.
-Anche se mi piacerebbe tornare. Magari domani o un giorno di questi. Sembra un gioco divertente- omise sorridente.
-Non fa nulla. Infondo da domani saranno in molti meno a giocare-.
-Come mai?-.
-Riprendono gli itinerari. Fredrik e Adel poteranno alcuni di questi con loro nel sud. Ora che comincia a fare meno caldo, possono occuparsi di alcune faccende nell’estremo deserto- proferì serio.
-Ah, bene…- sussurrò.
-Non ne sono sicuro, ma è probabile che anche Halef ci lasci di nuovo- sorrise.
-Spero per te che tu non lo segua, questa volta!- rise la ragazza.
Marhim diede una svista alla partita che era appena ricominciata dopo il fischio di Leila. –No, non andrò. Puoi starne certa-.
-Perché tu non…- chiese lei mentre si incamminavano.
Marhim si voltò e salutò il fratello agitando un braccio.
Halef ricambiò tornando poi concentrato sulla partita.
-Non gioco perché… dopo la mia prima palla fuori campo mi sono lasciato sopraffare dall’imbarazzo. E non me la sento di ritentare. Invece…- la guardò. –mi fa piacere che tu abbia voglia di tornare-.
-Anche a me!- gioì lei, ed insieme tornarono alla fortezza.

La mattina successiva, senza avvertire né Marhim né nessun altro, Elena si avviò da sola al campo da gioco. Si stupì di trovarvi una minoranza impressionante di partecipanti, ma Marhim l’aveva avvertita che le squadre si sarebbero ristrette dei rispettivi giocatori per via degli itinerari di Fredrik e Adel. Molti degli assassini tornavano sotto torchio agli allenamenti con le armi, e il tempo di gioco era finito.
La ragazza si avvicinò alla staccionata e si guardò attorno.
Il sole splendeva e un venticello freddo alzava da terra cumuli di polvere, mentre alcuni ragazzi erano impegnati in passaggi amichevoli.
-Finalmente, stavamo aspettando te!-.
Elena si voltò, ed Halef le strinse una spalla.
La ragazza si contorse dal dolore per l’improvviso irrigidimento dei muscoli del bacino. –Halef!- digrignò.
-Ah, giusto, scusa…- lui mollò la presa dispiaciuto.
Elena si passò una mano all’altezza del fianco, ed Halef la osservò triste. –Te la senti di giocare? Aspetta… dov’è Marhim?- alzò un sopracciglio.
-Ho imparato la strada troppo in fretta?- rise lei. –E comunque, sì- aggiunse. –Mi va di giocare-.
-Siamo di buon umore, eh?-.
La ragazza annuì.
-Ottimo, oggi ti voglio in attacco. Come vedi, mi mancano dei giocatori!- ridacchiò lui.
-Hmm- Elena lanciò un’occhiata al campo semi vuoto.
-Avanti, vieni- lui la prese sotto braccio. –Ieri non ho avuto modo di presentarti i tuoi compagni di squadra. Andavamo piuttosto di fretta perché Leila aveva ecco… delle cosette da sistemare-.
Elena lo seguì al centro del campo, dove si era formato quel cerchio amichevole di giovani che si passavano la palla.
-Ragazzi, la Dea è tornata- gioì Halef.
-Ciao- la salutò uno alzando una mano.
-Ben tornata!- sorrise un altro.
-Mi devo appostare fuori dal campo? Così ci metto di meno a recuperare la palla…- fece la battuta un terzo.
Elena allungò le labbra in un sorriso.
Halef fece una lista di nomi ai quali ciascun ragazzo del semicerchio rispondeva con un immenso sorriso. Alla fine, Elena poté accontentarsi di aver memorizzato il viso di Maher, nome non nuovo. Per il resto restarono tutti degli sconosciuti cui si sarebbe abituata col tempo.
La palla finì improvvisamente di nuovo tra i suoi piedi, ed Elena sobbalzò.
-Dai, passala. Un po’ di riscaldamento- le suggerì Halef al suo fianco.
Elena annuì poco convinta e indirizzò il pallone con un tocco leggero esattamente di fronte a lei. Il ragazzo che ricevette sfiorò la palla con la punta della scarpa e questa si sollevò da terra; lui la fece rimbalzare sul petto e la colpì poi di testa.
Alla giovane Dea luccicarono gli occhi.
Halef squadrò i suoi amici. –Kavel?- domandò.
-È andato- gli rispose un ragazzo.
-Quindi chi lo sostituisce?- chiese ancora Halef.
Gli assassini si scambiarono occhiate complici.
Halef aggrottò la fronte. –Cominciamo bene…- brontolò e calciò la palla con violenza.
Questa uscì fuori dal cerchio e rotolò fino ai piedi di Atef.
L’assassino curvò un sopracciglio. –Passi la palla agli avversari, eh Halef?- si beffò.
-Hai già voglia di perdere?- ribatté Halef divertito.
Atef avanzò verso la loro squadra. –Voglio un cambio- dichiarò.
Il fratellino di Marhim, che sembrava avere più autorità tra i suoi compagni di squadra, si fece perplesso. –Esponi- disse.
-La Dea con noi, e ti do Gabriel- ammise serio.
-Scordatelo- Halef le cinse di nuovo le spalle. –Proprietà privata, non so se mi spiego- sorrise malizioso, ed Elena fece altrettanto.
-Peggio per te- sbottò Atef avvilito. –Cominciamo!- ruggì.
La palla venne posizionata al centro del campo da uno dei ragazzi nella squadra di Atef, e questo si preparò a fare il primo tocco assieme ad un suo compagno.
-Quello è Gabriel- le sussurrò Halef mentre attendevano che i due si scambiassero le tattiche di gioco.
Elena osservò il giovane che aveva portato il pallone al suo posto. –è forte?- domandò.
-Insomma. Ma stacci attenta. È piuttosto impacciato quando si tratta di oggetti rotondi- rise.
Che doppio senso assurdo, pensò Elena.
E Leila? Che fine aveva fatto? Chi avrebbe arbitrato la partita? Chi avrebbe assegnato i calci di rigore e le punizioni?!? Elena entrò nel panico. Senza qualcuno di imparziale, sarebbe stata dura uscire viva o con le ossa intere.
Gabriel, il ragazzo dalla pelle scusa e i capelli color caramello, toccò la palla e la passò a Atef, che a sua volta la alzò alta verso il cielo azzurro.
-Corri avanti!- le gridò Halef, ed Elena lo seguì di corsa verso la metà avversaria del campo.
Un ragazzo della loro squadra si lanciò tra i due e colpì il pallone di testa, mandandolo dritto e potente in contro ad Halef.
Elena si stanziò dal fratello di Marhim e percorse il corridoio laterale del campo, pari con la staccionata. Osservò concentrata la situazione e, nell’istante in cui Halef le lanciò un’occhiata, si stagliò nell’azione di gioco.
Halef teneva la palla, e ai suoi lati, stanziati di qualche metro, c’erano due loro compagni di gioco. Questi si passarono il pallone attenti a non lasciarsi intralciare dalla coreografia avversaria, che faceva di tutto pur di sottrargli la vittoria.
Halef la guardò di nuovo, ed Elena ebbe un tuffo nel cuore quando il pallone guizzò tra la calca di assassini e arrivò ben piazzato ai suoi piedi.
-Tira!- gridò qualcuno.
Elena alzò gli occhi, incontrando quelli maliziosi del portiere a pochi passi da lei.
Questo le venne incontro, lasciando libera la porta, ed Elena si fermò, inchiodando dov’era.
-Oh mamma…- sbiancò, ma nell’istante in cui fu per alzare la gamba e prepararsi a calciare, Gabriel scivolò sul terriccio entrando tra le sue gambe  sottraendole la palla.
Il pallone sfuggì al controllo della giovane allontanandosi verso la parte opposta del campo, ma i due assassini rotolarono a terra avvinghiati.
Elena batté la testa, sentì la polvere del suolo salirle la gola e il fianco dolorante mandare una moltitudine di fitte dolorosissime. Quando riaprì gli occhi, si accorse di essere finita stesa sopra il ragazzo.
Gabriel fece una smorfia, ma non disse nulla constatando la vicinanza dei loro visi.
Elena arrossì d’un tratto, provò a tirarsi su, ma la sua mano toccò non terra ma il braccio muscoloso dell’assassino.
La collana della Dea venne fuori dal cappuccio senza preavviso, scivolando sul petto nudo d Gabriel. Il ragazzo rabbrividì. –Ma cosa…- chinò la testa e osservò il ciondolo di pietra fredda che gli solleticava la pelle sudata.
Elena allora scattò in piedi e lo aiutò a tirarsi su.
-Fallo!- strillò Atef alle spalle di lei.
Gabriel si pulì i pantaloni scacciando la polvere, poi le volse un’occhiata, insistendo sulla sua collana.
Elena abbassò lo sguardo, portandosi una mano al fianco bendato. Il dolore non le permetteva di aprir bocca, e se avesse provato ad ingoiare, la terra che aveva in bocca le sarebbe finita dritta dritta nello stomaco.
Attorno ai due che erano accidentati si formò un semicerchio di assassini che ridacchiavano. Elena si tirò su, raddrizzando la schiena, ma il dolore al ventre si fece più penetrando.
Mentre Halef e Atef litigavano per accaparrarsi il calcio di punizione, Gabriel avanzò verso di lei.
Elena rimase immobile dov’era, osservando sbigottita come l’assassino assumeva la stessa espressione stringendo tra le dita adulte il ciondolo di Alice.
-Elena, giusto?- mormorò lui, e la sua voce giovane e con un leggerissimo accento non del posto.
Lei annuì, trattenendo i lamenti doloranti.
-Dove l’hai presa?- si rigirò nella mano la collana. –Chi te l’ha data?- chiese ancora, smarrito e sbigottito.
La Dea sollevò gli occhi dalle sue dita attorno al ciondolo e li puntò in quelli grigi, e da una parte celesti di lui. –Perché me lo chiedi?- proferì mesta.
Gabriel aveva i capelli spettinati e lasciati crescere ad incorniciargli il viso. La barba folta e della stessa tonalità color caramello della chioma. Gli occhi vuoti, grigi facevano un contrasto meraviglioso e gli conferivano un aspetto astratto e affascinante. La muscolatura giovane ma ben sviluppata. Poteva avere 25 anni massimo, e la sua maturità nel portamento tradivano il fatto che si dilettasse a giocare a calcio con dei sedicenni.
-Gabriel, avanti!- lo chiamo Atef e il ragazzo si stanziò da lei d’un tratto.
Elena lo guardò allontanarsi di corsa verso la porta avversaria. Gabriel si posizionò di fronte alla palla messa a 10 metri dalla porta e si preparò a calciare.
Halef le si avvicinò. –Me che diavolo…- brontolò.
-Scusa, è stata colpa mia- sibilò lei osservando il portiere della loro squadra posizionarsi tra le due pietre.
-Ma che dici- Halef le sorrise. –Capita, ma da Gabriel non me l’aspettavo. Giuro che gliela faccio pagare!- strinse i denti.
Elena gli volse un’occhiata sorridendo. –No, non ce n’è bisogno…- sussurrò.
Gabriel calciò il pallone che assunse un poderoso effetto banana e segnò di laterale, mentre il portiere si era lanciato dalla parte opposta.
-Stupido- sbottò Halef allontanandosi.
Elena si strinse con violenza il fianco dolorante, colpita da una nuova improvvisa fitta.
Dopo poco che la partita era ricominciata, chiese al fratello di Marhim di poter sospendere la partita perché il dolore si era fatto intollerabile. Halef le aveva sorriso afflitto scusandosi di aver preteso così tanto da lei, ma dopo una mezz’oretta di risposo seduta sulla staccionata, Elena si era ripresa del tutto ed era tornata a giocare.

Quella sera a mensa, Elena entrò nella sala e sgranò gli occhi.
Li riconobbe tutti, i suoi compagni di squadra della mattina. Seduti compatti ad un tavolo, formavano un gruppo unico e distaccato dagli avversari.
La ragazza arrossì quando Halef, circondato dai suoi amici, la salutò alzando il mento.
Gli assassini attorno a lui si voltarono a guardarla; alcuni la salutarono, altri tornarono ai fatti propri beffandosi e ridacchiando.
Marhim comparve alle sue spalle, ed Elena si girò.
-Già qui?- domandò lui. –E dove sei stata tutto il giorno? Ti ho cercata dappertutto, ma avevo da fare… così ho abbandonato la ricerca in fretta- rise.
-Mi è venuta fame- rispose. –Oggi è stato divertente giù al campo- gioì.
-Ah, però. Mi sono perso tutto?-.
-Mi sa-.
-Va bene, vedrò di esserci la prossima volta…- proferì assorto, ed Elena seguì il suo sguardo.
Il tavolo delle Dee era appartato nell’ombra, vicino alle vetrate. Vi sedeva solo Kamila.
-E così addio pranzo e cena assieme- commentò il ragazzo.
-Mi sa- sospirò Elena. Accanto a Kamila c’era un posto vuoto già apparecchiato dal piatto pieno di minestra.
-Ti tocca- borbottò Marhim.
-Ci vediamo dopo?- Elena fece per avviarsi.
Marhim annuì e la osservò immobile nel centro della sala fin quando non si fu seduta accanto alla Dea. Poi il giovane si riscosse e andò verso il tavolo del fratello minore.
-Ciao…- mormorò Elena, e Kamila gli lanciò un sorrisetto compiaciuto.
-Eccoti qui. Dove sei stata questo tardo pomeriggio?- non si risparmiò di chiedere.
-Sono tornata nella biblioteca- rispose.
-Leila mi ha raccontato un paio di cosette…- ridacchiò la Dea, ed Elena sobbalzò.
Si riferiva alla partita, al gioco, alla sua fuga improvvisa. Elena pensò ad un modo per cambiare argomento.
-Dove sono Elika e Leila?- domandò buttando giù un cucchiaio della cena.
-In giro. A proposito, ora devo andare- Kamila si alzò alla svelta. –Ci si becca in giro- le fece l’occhiolino e scomparve nel buio dei corridoi.
Elena, sbigottita, non si mosse per diversi istanti. Sbaglio o qualcuno la stava evitando? Forse era solo una sua impressione, ma gli avvenimenti di oggi l’avevano lasciata riflettere. Quand’è che sarebbe tornata al suo quieto vivere? Quando avrebbe ricominciato il suo itinerario e i pesanti addestramenti? Improvvisamente tutte quelle giornate vuote le pesavano sulla coscienza, lasciandole troppe domande a frullare per la testa. Dov’era il suo maestro?… aveva bisogno di combattere con qualcuno. Non le bastavano più le partite di calcio…
Era rimasta profondamente turbata dall’incontro scontro con… Gabriel. Chissà perché era rimasto tanto spaventato dal vederle al collo quella collana.
Quella notte, si coricò subito dopo cena, ma non riuscì a chiudere occhio. La mattina successiva si svegliò coi muscoli doloranti che neppure arrampicarsi sui muri di Acri le aveva portato tanta sofferenza. Per di più il fianco destro non le dava pace, e decise i sospendere anche le partite di pallone.
Trovò conforto nella biblioteca, china sui libri, celata tra le pergamene e gli scaffali. Seduta accanto a Marhim, come ai vecchi tempi prima di cominciare ad appassionarsi al calcetto, Elena si riavvalse della convinzione che presto il dolce-amaro della fatica avrebbe pesato di nuovo su di lei.


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Capitolo 37
*** Nello specchio ***


Nello specchio





-Nervosa?-.
-E di cosa?-.
-Ancora poco e avranno quello che li serve-.
-Parli del Frutto?-.
Desmond annuì, stringendomi più a sé. –Sbaglio o al conto alla rovescia manca qualche settimana di lavoro?-.
Scossi la testa. –I tempi si sono allargati, pensavo lo sapessi- dissi guardandolo.
-Di quanto?-.
-Qualche altro mese; se c’è qualcosa che mi manda in bestia è proprio questa storia-.
-Ah!- rise lui. –Non credere che una volta finito ci rispediranno a casa!- aggiunse.
Lo fulminai con un’occhiataccia. –Lo so; ma ogni giorno che passa, diventa tutto così… pesante- sospirai, poggiando la testa sulla sua spalla.
Chissà se era già giorno, mi chiesi, dato che nella stanza non c’erano finestre. Così lanciai una svista all’orologio sulla scrivania, ma il buio m’impediva di vederne le lancette scure.
-A chi lo dici. Fortuna che ci sosteniamo a vicenda- sorrise malizioso, ed un attimo dopo le sue dita passarono sul mio collo risalendolo fino all’attaccatura dei capelli dietro l’orecchio.
Mi allungai io verso di lui e lo baciai dolcemente sulle labbra, mentre i nostri nasi si sfioravano appena.

Elena richiuse le pagine del libro lentamente, poggiò il tomo sul tavolo e si portò le mani in grembo. Lo sguardo basso e afflitto. Sospirò, stringendosi maggiormente nelle spalle.
Marhim le venne più vicino, ammirandola comprensivo. –Che c’è?- le chiese. –Come mai sei giù? Non ti ho mai vista così…- commentò.
La ragazza alzò gli occhi nei suoi. –Ho bisogno d’aria- disse.
Lui alzò un sopracciglio. –Aria? Vuoi che me ne vada?-.
-Ma che dici, stupido…- si alzò e riprese il libro, andando poi a risistemarlo tra gli scaffali.
Marhim le andò dietro e la seguì fin fuori la biblioteca.
Elena proseguì sulle scale e passò la sala d’ingresso della fortezza, fermandosi all’altezza dei cancelli che davano sul cortile interno.
Il clangore delle spade fu un suono melodioso e ben accetto quando la ragazza si sporse a guardare l’arena degli allenamenti. All’interno della recinzione colse due assassini che si esercitavano alle armi. Uno di loro Elena lo riconobbe subito dato il colore mielato dei capelli, poiché portasse il cappuccio abbassato. L’altro le parve averlo già visto, forse al campo da calcetto.
-Ore ti senti meglio?- domandò Marhim venendole affianco.
Elena scoppiò in una fragorosa risata. –Ti sei bevuto la storia dell’aria fresca? Marhim- lo guardò seria. –Ho solo voglia di impugnare una spada- mormorò mentre un sorriso gioioso prendeva forma sulle sue labbra.
-Ah, no!- lui fece un passo indietro. –Non di nuovo! E poi quei due stanno combattendo, non possiamo piombare lì così e pretendere di interrompere i loro allenamenti! Guarda, c’è anche…- Marhim non riuscì a terminare che Gabriel afferrò il braccio dell’avversario e glielo torse dietro la schiena. All’altro assassino scappò un mugolio di dolore e lasciò la presa sulla spada, che cozzò a terra scivolando ai suoi piedi.
-Basta, basta! Hai vinto! Basta!- si lagnò quello, e un ghigno divertito si stagliò sul volto del giovane dagli occhi celesti.
Gabriel gli lasciò il polso improvvisamente, e l’assassino perse l’equilibrio cadendo in avanti, si appoggiò alla staccionata e si girò con un’espressione arrabbiata in volto.
-Non accetti la sconfitta, eh?- ridacchiò Gabriel rinfoderando la spada.
-Da te? No- sbottò quello sollevandosi e andando a recuperare la sua lama al suolo. –E presto chiederò la rivincita- digrignò scavalcando con un balzo la recinzione.
Gabriel alzò il mento fiero e si guardò attorno. –Qualcun altro?- spalancò le braccia e dalla folla di assassini attorno si levarono risate divertite.
-Bene…- sibilò il ragazzo apprestandosi a lasciare l’arena.
-Elena… non pensarci neppure- sogghignò Marhim.
La ragazza gli lanciò un’occhiataccia. –Perché?-.
-Nelle tue condizioni! Halef mi ha raccontato di cosa è successo, e di questo passo la tua ferita potrebbe impiegare anni a guarire del tutto!- sbottò preoccupato.
-Sei così dolce che ti preoccupi per me…- ingigantì gli occhioni, e Marhim arrossì.
Elena tornò severa d’un tratto, e il ragazzo ne rimase afflitto.
-Mi hai trascinata tu al campo da calcio, e poi che fretta ho di guarire?!- aggirando l’amico, Elena si avviò verso l’arena.
-Elena! Torna qui!- la chiamò, ma la ragazza non si voltò neanche.
Proseguì dritta spedita fino alla staccionata e si guardò attorno.
Marhim la raggiunse quasi correndo e, nell’istante in cui fu per afferrarle la mano dicendo: -Avanti, se qualcuno ti vede qui potrebbe farsi venire qualche istinto di sfida- brontolò.
La Dea si divincolò stanziandosi da lui. –Piantala, o giuro che sarai tu il mio avversario!- ruggì a denti stretti.
Marhim rabbrividì e guardò altrove. –Va bene, ma non hai una spada!- commentò sicuro di sé.
Elena si tastò la cintura di cuoio alla quale mancava l’attaccatura del fodero della sua lama, e da sorriso, le sue labbra si chinarono in una smorfia. –Quanto sei bastardo-.
-Eheh- rise lui. –Avanti, andiamo- fece per avviarsi, ma constatando che Elena non lo seguiva, si voltò. –Forza, andiamo- ripeté autoritario.
Elena si riscosse, balzò in piedi sulla staccionata e si portò le mani ai fianchi. –Qualcuno ha una spada da prestarmi? Temo di aver dimenticato di prendere la mia- sorrise, attirando su di sé gli occhi sbigottiti degli assassini presenti.
-Che cosa fai?!- Marhim avanzò con un saltello e le tirò un lembo della veste bianca.
Elena lo guardò dall’alto e gli poggiò una mano in testa. –Lasciami fare, non sei mio padre!- lo spinse via delicatamente, e Marhim si stanziò sconvolto.
-My lady- sentì una lama venir tirata fuori dal suo fodero, e un giovane che non riconobbe gli porse la sua spada.
-Grazie, sono onorata- arrossì lei.
-L’onore è mio- fece un leggero inchino e tornò tra i suoi compagni, che nel frattempo aveva cominciato a spettegolare senza ritegno e a deriderlo.
Gabriel faceva parte di quella combriccola dalla quale era emerso l’uomo che le aveva prestato la sua spada. Il ragazzo accennò un passo avanti, e subito dopo ricevette una pacca da uno dei compagni. –Avanti, non vedi che hai la tua occasione! Una Dea! Quella lì ha dato filo da torcere ad Altair!- gli disse.
Elena si mostrò distratta schiarendosi la gola. –Se il messaggio non è chiaro, sto cercando uno sfidante!- dichiarò.
Marhim si strinse nelle spalle mettendosi da parte. –Non è una buona idea- borbottò.
-Piantala!- sibilò lei.
-Sì, so bene chi è…-.
Elena si voltò, sorprendendosi che Gabriel, circondato del suo gruppetto di amici, la stesse ancora fissando. O forse fissava la sua collana?
-Ma dai, è ovvio! La faccia della ragazza con cui rotoli avvinghiato non si dimentica mai!- scoppiò a ridere Atef appoggiato con la schiena alla roccia.
-Elena, scendi da lì!- le bisbigliò Marhim.
Forse aveva ragione, si disse la ragazza. Aveva attirato fin troppo l’attenzione, e si comportava da vera stupida di fronte a tutta quella gente. Balzò giù dalla recinzione e atterrò leggera dentro l’arena.
-Ah!- rise. –Speravi che rinunciassi!- fece la linguaccia, e Marhim sbuffò.
-Ti comporti come una bambina- commentò con un filo di voce.
-È quello che sono, dopotutto- sorrise lei come una deficiente.
Marhim curvò le spalle. –Perdo pure tempo a dirtelo, capisci…- parlottò allontanandosi.
Elena lo guardò sparire dentro la fortezza, e si sentì improvvisamente male. Aveva fatto un torto a sé stessa, mettendosi in imbarazzo come una… deficiente tra tutti quelli assassini, ma non solo. Si chiese come mai il suo amico ci fosse rimasto tanto male. Forse anche lui non sopportava sostare troppo a lungo sotto i riflettori, ed esibendosi in quel modo Elena aveva richiamato critiche pure sul ragazzo.
-Ciao-.
Elena si voltò di colpo, trovandosi Gabriel a pochi passi da lei con la mano poggiata sull’elsa. Il giovane si chinò in un leggero inchino. –O dovrei essere più cordiale chiamandovi Dea?- s’interrogò, ed i suoi occhi grigi la inchiodarono lasciandola senza parole.
Elena indietreggiò, permettendogli di entrare nell’arena. –No, figurati- sussurrò.
-Ci siamo già incontrati, ricordi?- le arrise.
-Già… e dato che non ho avuto modo di scusarmi, be’…mi dispiace per “come” ci siamo incontrati- disse confusamente.
-Non darti pena; Halef ha fatto bene a metterti in guardia: quando si tratta di giocare, mi spingo sempre oltre il limite. Piuttosto, spero di non averti fatto del male- le venne più vicino.
-Sì… cioè no!- proruppe la ragazza prendendo colore sulle guance.
-Le voci sono vere- assentì lui cambiando argomento. –Non solo le Dee sono davvero tornate, ma una di loro si è permessa di ferirvi- constatò.
-Come lo sai?- istintivamente, la giovane si portò una mano al fianco destro.
-Ero lì quella notte, quando Minha fuggì dalle balconate dell’infermeria- disse schietto.
-Ah…- lei si guardò i piedi, rimuginando un’altra volta su quella sgradevole nottata.
Gabriel incrociò le braccia al petto; il suo sguardo sfuggì a quello di lei come si stesse trattenendo dal chiedere qualcosa. –Sbaglio o cercavate uno sfidante?- che non era certo questo.
Elena indugiava almeno quanto lui. Voleva delle informazioni riguardanti le domande che aveva fatto sulla sua collana, non le bastava dedurre che Gabriel fosse solo un appassionato di pietre preziose. Hmm… non aveva valutato l’ipotesi.
La ragazza si riscosse. –Sì, effettivamente sì-.
-Credete di esserne capace?- domandò lui alzando un sopracciglio. –Non vi vedo molto in forma- ridacchiò.
-Più in forma di quanto credi!- Elena gli puntò fulminea la lama al collo, con un movimento fin troppo fugace del braccio che Gabriel aveva appena portato la mano attorno all’elsa per estrarre la sua arma.
L’assassino allungò le labbra in un sorriso malizioso. –Accettate la mia sfida, dunque?-.
Lei annuì abbassando la spada al suo fianco, e diede al ragazzo il tempo necessario di armarsi della propria.
-A voi la prima mossa-.
Elena roteò la lama ai suoi lati. -La galanteria fuori da questo cortile, Gabriel. Faccio sul serio- sbottò composta.
L’assassino si alzò il cappuccio sul volto. –Ben e meglio- dichiarò, e fu lui a venirle incontro.
Tentò di schivare, ma lenta coi muscoli, Elena si vide costretta a parere il colpo, e l’improvviso irrigidimento del corpo le causò una fitta lancinante all’altezza del bacino.
Un gomito rivolto verso l’alto e l’altro piegato a sostenere la sua spada contro quella dell’avversario, Elena spinse con più forza e riuscì a stanziare il ragazzo da sé.
Gabriel indietreggiò stupito di tale forza nelle braccia, ed Elena riuscì a nascondere la fatica provata in un sorisetto di soddisfazione.
La Dea parò il secondo affondo, e le lame produssero delle leggere scintille che conferirono agli occhi del suo contendente una sfumatura rossastra attorno alla pupilla.
Fu un istante solo di meraviglia, poi Elena si riavvalse della familiarità con la spada e riuscì a disarmare l’avversario.
L’arma di Gabriel volò in aria, ma nel momento in cui toccò l’apice della sua ascesa, l’assassino balzò sulla staccionata e si diede uno slancio verso l’alto. A mezz’aria, Gabriel si riappropriò della sua arma e tornò a terra piegando le ginocchia.
Elena, meravigliata di tale agilità, trovò quella fugacità alquanto familiare, e alla mente le tornò il vago ricordo del suo scontro con Corrado, fuori dai cancelli della fortezza. Esattamente quando si era appoggiata alle spalle del sovrano di Acri e, slanciandosi verso l’alto, aveva raggiunto allo stesso modo…
Gabriel spezzò il filo dei suoi pensieri penetrando la sua difesa, ed Elena, colta alla sprovvista, si trovò ben presto senza nulla con cui difendersi.
-È stata una cosa veloce- ridacchiò Gabriel dopo che la spada della ragazza fu cozzata a terra. Si chinò a raccoglierla e gliela porse.
-Potevi ammazzarmi!- strillò lei, e attorno a loro si levarono le risate dei presenti.
Ma dov’erano?! A teatro?! Si chiese guardandosi attorno smarrita.
-Mi fai così poco abile? Sono padrone dei miei movimenti quanto basta per tenere un uovo stretto nella mano mentre combatto, senza romperlo- si vantò.
Elena aggrottò la fronte afferrando la sua spada. –Lo sai fare davvero?- domandò.
-È quel genere di addestramento che viene riservato ad un orfano. Quanto sono contento che Al Mualim abbia cessato di vivere!- gioii lui.
Qualcun altro dalla sua parte, si disse.
-Hai intenzione di fissarmi ancora allungo, o possiamo riprendere da dove abbiamo interrotto?-.
Elena si riscosse. –Sì, scusa, mi stavo solo chiedendo…- mormorò portandosi una mano al petto, dove sotto il tessuto della veste avvertiva il solletico freddo del metallo della collana sulla pelle.
Gabriel assunse un’espressione interrogativa.
-Lascia stare- disse lei seria, stringendo con più forza l’elsa della spada.
Il ragazzo annuì e ricominciarono il loro scontro.
Dopo ben poco che si furono fronteggiati, Elena si riavvalse delle sue vere e proprie capacità in combattimento. Gabriel rimase piuttosto colpito di trovarsi presto in svantaggio.
Elena, dritta e fiera della sua maestria, lo metteva spesso alle strette vicino alla staccionata, costringendolo ad abbassare la guardia per poter schivare un suo nuovo fendente.
Nonostante ciò, la situazione restò invariata e sullo stesso piano per entrambi i contendenti, che non erano più oggetto di spettacolo come all’inizio del combattimento.
Gli assassini attorno si dilettavano ad adocchiare ogni tanto il loro fronteggiarsi, ma Elena si accorse con sollievo che la sua presenza era diventata poco allettante col passare dei minuti.
Ad un tratto, Gabriel fece un balzo verso di lei e riuscì a disarmarla.
Elena avanzò con un saltello e, nell’istante in cui la sua spada toccò terra, sfoderò la lama corta dall’astuccio alle spalle di Gabriel.
-Quella è mia!- sbottò lui.
-La prendo in prestito- rise la Dea.
-Facciamo sul serio- commentò lui riprendendo fiato.
-Sei stanco?- ridacchiò la ragazza osservando il taglio della lama.
-Tu no?- si stupì lui raddrizzando la schiena.
Elena chinò la testa da un lato socchiudendo gli occhi. –Non ancora-.
Gabriel aggrottò la fronte -Mi avevano avvertito che saresti stata una degna avversaria-.
-Ti hanno detto bene- sogghignò maliziosa.
Usare la lama corta le procurava fitte continue al fianco, ed Elena si maledisse per aver osato tanto. Con quel genere di arma si trovava obbligata a movimenti fluidi ed interrotti di tutto il corpo, quali piroette e giravolte che le consentivano di andare a colpire i punti più irrisolti dell’avversario.
Gabriel si accorse tardi del suo fastidio, ed Elena si piegò a terra dolorante improvvisamente.
La lama corta scivolò al suolo, e la ragazza si strinse con violenza il fianco ferito.
Gabriel si chinò al suo fianco. –Tutto bene?- domandò ansioso.
La Dea tentò di rialzarsi, e lui l’aiutò prendendola per il fianco opposto.
-Non ti ho toccata, che cosa ti è preso?- chiese guardandola preoccupato.
Elena si scansò lentamente da lui, mentre avvertiva il dolore affievolirsi. Prese un gran respiro e si guardò attorno. –Forse è meglio che vada- disse con voce smorzata dallo sforzo.
Gabriel si fece da parte. –Sicura, posso…-.
-No, grazie. A presto- Elena si chinò a raccogliere la sua spada. Una volta fuori dalla recinzione, la restituì al legittimo proprietario e lasciò il cortile interno tornando nella fortezza.
Entrata nella sala d’ingresso, dovette appoggiarsi ad una delle colonne, mentre alcune delle guardie lì presenti si voltavano sorpresi a guardarla.
-Sto bene, sto bene- si apprestò a dire fissandoli uno ad uno, e gli assassini tornarono con lo sguardo dritto davanti a loro.
Quando si fu ripresa del tutto, fece per sollevarsi dalla colonna ma si sentì chiamare alle sue spalle.
-Elena-.
La ragazza si voltò di scatto, e una fitta di dolore le piegò le labbra in una smorfia. –Maestro- sibilò a denti stretti.
Altair era seduto ad uno dei tavoli nascosti dietro gli scaffali, vicino alle vetrate, la guardava sbigottito allo stesso modo di come l’aveva fissata le guardie della sala. –Che cosa ci fai qui?- si alzò e le venne incontro, abbandonando il libro che stava leggendo.
-Perché, dove dovrei essere?- domandò sorpresa.
-Tutt’altro luogo che nel cortile; non dirmi che hai… stupida ragazzina-.
-Cos’ho fatto ora?!- sbottò irritata.
-Devi smetterla di portare il tuo fisico al limite! Non puoi continuare così, o quel taglio impiegherà anni a rimarginarsi-.
Ecco qualcun altro che le faceva la ramanzina!
Più che arrabbiato, il suo maestro sembrava solamente preoccupato per lei. –Non c’è bisogno che me lo rammentiate, lo so bene! Ma non capisco tutta questa fretta!- digrignò.
Altair si trattenne dal parlare quando il suo sguardo si bloccò alle spalle della ragazza.
Elena, scocciata, spostò il peso sull’altra gamba, massaggiandosi il fianco dolorante.
Nel totale silenzio della sala, si accorse di un sussurro appena percettibile di due voci, una delle quali riconobbe come quella severa e vecchia del gran Maestro. La seconda, femminile probabilmente, non riuscì a farla combaciare con nessuna delle tre Dee.
-Ah, ah!- mormorò Elena, capendo perché il suo insegnante d’armi si fosse seduto a quel tavolo “fingendo” di leggere. -State origliando!- sorrise maliziosa.
L’assassino si riscosse. –No, ti sbagli, ora andiamo. Ti accompagno in infermeria…- dicendo questo, la strinse per una spalla e la fece voltare.
Elena, dapprima rimase immobile senza muovere un passo, poi il suo maestro le diede una spinta. –Avanti, cammina- proferì contenuto.
Salendo le scale, la Dea lanciò un’occhiata allo studiolo del Gran Maestro, nel quale fu colpita di trovarvi Adha, in piedi davanti alla scrivania alla quale sedeva Tharidl.
Gradino dopo gradino, il dolore al fianco divenne insopportabile. Raggiunsero le porte dell’infermeria ed Elena tirò un sospiro di sollievo.
-Come mai stavate origliando la conversazione tra Adha e Tharidl?- domandò curiosa quando entrarono nella sala.
-Siediti lì, manderò qualcuno ad occuparsi…-.
-Ah!- strillò lei improvvisamente.
Altair si voltò.
Elena si appoggiò al comodino. –Fa male, fa male, fa male!- si lagnò.
L’assassino, incerto sul da farsi, le tornò accanto. –Come mai?-.
Quando le fu abbastanza vicino, Elena lo strinse per il polso con una forza incredibile, inchiodandolo dov’era. –Perché stavate ascoltando?- sibilò avvicinando il suo volto a quello dell’uomo.
Altair, colto in contropiede, tentò di allontanarsi, ma Elena non lasciò la presa con prepotenza. I suoi occhi azzurri facevano quasi scintille.
-Non sono affari che ti riguardano- s’irrigidì lui, e con uno strattone riuscì a divincolarsi.
Elena si sollevò e, prima che potesse lasciare la sala, gli si parò davanti. –Vi prego!- disse. –Temo che la ferita si sia davvero riaperta!- lo supplicò.
-Non posso farci nulla, e ti sta bene-.
-C…c… cosa?- rimase a bocca aperta. –Non me lo sono mica fatta da sola, è stata Minha a colpirmi! Non ho nessuna colpa!- ribadì.
-Certo, come no- proferì arrabbiato. –Non eri tu nel cortile a sfidarti con Gabriel. La mia vista deve avermi giocato un brutto scherzo- ironizzò.
Una certa età l’aveva, pensò Elena, ma si trattenne dal dirlo. –Ho creduto che…- provò, ma Altair la interruppe con un gesto della mano.
-No, non m’interessano le tue scuse. Marhim ti aveva avvertita, credi che sia cieco? Fin quando non sarà qualcuno a chiedertelo, non toccherai un’arma, sono stato chiaro?- eruppe autoritario.
La ragazza si strinse le braccia attorno al ventre. –Chiaro, ma perché non siete intervenuto quando ve ne siete accorto?- ribatté.
-Di cosa parli?-.
-Potevate fermarmi! Fare il vostro ruolo, impedire che facessi una delle mie solite stupidaggini!- sbottò.
-Avevo altro da fare, ma speravo che non giungessi all’utilizzo della lama corta. Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, Elena- la rimproverò.
-L’avevo capito- sbuffò.
Altair esitò qualche istante, poi disse: -siediti-.
Elena sobbalzò. –Avete intenzione…-.
-Ti fa male o no?- la fulminò con un’occhiataccia.
Lei annuì debolmente e andò verso il primo lettuccio. Si sedette e osservò in silenzio come il suo maestro gesticolava tra gli scaffali raggruppando il necessario essenziale. Se la ferita si era riaperta, l’avrebbe scoperto a breve.
-Che aspetti? Togliti la magli- le disse piegato a cercare qualcosa in un ripiano più in basso, piegato sulle ginocchi e in perfetto equilibrio sulle punte dei piedi.
Elena slacciò la cinta e la poggiò sul comodino. Si privò del cappuccio e della parte superiore della veste, restando solo con una canottiera leggera che finiva dentro i pantaloni.
-Ne siete in grado?- domandò con un filo di voce.
Lo sentì ridacchiare, poi Altair le tornò accanto mentre metteva da parte la cintura e la sostituiva ad un nuovo rotolo di garza. –Due anni fa mi trovai costretto ad estrarmi un punta di freccia dalla schiena, all’altezza della dodicesima vertebra- si vantò. –Ne uscii vivo per miracolo, ma prima di quella volta salvai la vita ad otto miei compagni e amputai una mano al mio informatore. In entrambi i casi ero braccato in un caverna del regno, in pieno inverno e con a disposizione solo qualche fogliolina di menta e i tessuti della mia veste, che all’epoca era anche più corta di quella che indosso oggi- con maestria e sveltezza, si tolse i guanti e calò il cappuccio sulle spalle.
-Ah, bene… ma i vostri compagni si salvarono, vero?-.
-Due di loro no- disse arrotolandole la canottiera fino all’inizio della gabbia toracica. –Tieni qua e alzati in piedi- le ordinò, ed Elena obbedì afferrando il lembo della maglietta e tenendolo fermo a coprirle solo il seno. Lanciò una svista al bendaggio che le stringeva i fianchi e, con grande ripugno, si accorse della macchia rossastra che vi aveva preso forma.
-Contenta?- proruppe irritato il suo maestro, che si apprestò a recuperare le forbici dal comodino e tagliuzzò poi le bende intrise di sangue.
Elena chinò la testa all’indietro quando quella puzza insopportabile, quale non era più abituata, le arrivò al naso.
-Sei fortunata- disse ad un tratto l’assassino. –Si è aperta superficialmente, o avrei dovuto ricucirtela sul momento-. Gettò le garze sporche in un cesto poco distante e cominciò a pulire la ferita con un impacco di cotone bagnato in erbe disinfettanti. –Non dovrei essere io ad occuparmi di certe cose, sai-.
-Immaginavo- brontolò lei cercando di distrarsi.
All’inizio l’asettico composto le procurò un bruciore intenso più di quanto non le costassero quelle fitte improvvise. Quando Altair ebbe finito di togliere il sangue attorno al taglio, si preparò a riavvolgerle il bacino con le garze.
Contò quelli che le parvero una decina di giri, si disse Elena osservando come il suo maestro la toccava delicatamente, ma allo stesso tempo faceva aderire strettamente le bende alla pelle. Con una mano la reggeva sul fianco opposto, mentre l’altra accompagnava il rotolo a fasciarle tutto il necessario perché una ricaduta del genere non si ripetesse nella guarigione.
-Ora mi dite perché stavate origliando?- chiese.
Altair non si fece distrarre, proseguendo attento. –Ti ho detto che non ti riguarda- insisté.
Al termine del lavoro, l’assassino fece uno stretto e ben accurato nodo all’altezza dell’ombelico ed ammirò il tutto soddisfatto.
-Spera per te che non ricapiti- l’ammonì aiutandola a rivestirsi.
Elena gli sorrise. –Credo di aver imparato la lezione-.

Quella sera sopra Masyaf il cielo stellato era offuscato da una turbolenta nuvola nera. L’ombra del firmamento si stagliava all’orizzonte e sembrava aver ricoperto tutta la valle, spinta dai freddi venti del nord.
Elena raggiunse il corridoio dove era diretta e si fermò di fronte alla porta della stanza. Un’occhiata alle sue spalle, constatando che non ci fosse gente in giro, e alzò una mano per bussare, quando sull’uscio comparve Halef.
-Elena?!- si stupì l’assassino indietreggiando.
La ragazza si allungò sulle punte e guardò dentro la camera. –Marhim è qui con te?- chiese.
Halef scosse la testa. –Veramente stavo venendo a cercarlo, pensando che fosse con te- confessò.
La giovane Dea fece un passo addietro. –Ah, capisco. Ora devo andare, ma se lo trovi puoi dirgli che domani mattina mi piacerebbe che venisse con me in un posto?-.
Halef sollevò un sopracciglio. –Che posto?- domandò malizioso.
-Ma smettila!- sibilò lei.
-Stavo solo chiedendo- sussurrò appoggiandosi alla parete.
-Meglio per te- sibilò la ragazza incamminandosi, e i suoi passi si persero nel buio del corridoio.
Una volta sulle scale che conducevano agli appartamenti delle Dee, Elena si affacciò nel salotto e vi trovò le tre ragazze sedute sui cuscini attorno ad uno dei bassi tavolini di mogano.
-Ah, ecco, parli del diavolo spuntano le corna!- ridacchiò Leila.
Elena distolse lo sguardo e camminò fulminea verso la sua stanza, con un’espressione furiosa in volto. Non vedeva l’ora di cominciare quei famosi allenamenti con quella Dea, così da prenderla a calci nel sedere come si deve!
-Ehi, picciotta, non scappare così!- Elika si alzò e le venne incontro.
-Lasciami stare!- sbottò Elena aprendo la porta.
Kamila e Leila si scambiarono un’occhiata sorpresa.
-Che ti prende, Elena?- domandò premurosa Kamila.
La più piccola tra el quattro sbuffò e ignorò completamente la domanda. Una volta nella sua camera chiuse la porta sbattendola.
Elika indugiò sulla maniglia.
-Lasciala stare- Leila poggiò la tazza che aveva tra le dita sul tavolo. –Sarà successo qualcosa, ovviamente, ma è meglio che se lo tenga dentro-.
-Perché dici questo?- la interrogò Kamila. –Poverina, non vedete come si sente sola? Cerca conforto negli altri assassini piuttosto che in noi- dichiarò.
-Hai ragione- le disse Elika tornando accanto a loro. –Ma non so cosa fare. Un tempo, quando non era ancora successo tutto questo, era così aperta con me. Mi parlava di qualsiasi cosa, e adesso non capisco cosa sia cambiato-.
-Ah!- rise Leila. –Noi, siamo cambiate. Le stiamo addosso come fossimo la sua mamma al cubo- pronunciò severa.
-Confermo. Ma lasciarle il suo spazio potrebbe essere pericoloso- assentì Kamila prendendo un sorso. –Potrebbe lasciarsi andare…-.
-Secondo me si è già “lasciata andare”- sogghignò Leila.
-Taci tu!- la riprese Elika. –La tua storiella con Atef ha le gambe corte, rammenta!- sbottò.
-È solo un gioco, il nostro, non è mai nato nulla di serio- si difese la Dea.
-Meglio mi sento. Chissà quante volte avete “giocato”- parlottò Kamila tornando al suo the.
Leila la fulminò con un’occhiataccia. –Vogliamo mettere?-.
-Almeno io non mi faccio gli altri assassini!- ribadì la bionda.
-Smettetela!- intervenne Elika. –Potrà pure sentirsi oppressa, ma se li fa con piacere i fatti degli altri, la piccoletta… potrebbe sentirvi, abbassate il tono- indicò con un cenno del capo la stanza di Elena.
-Dee!- fece una voce, appena un bisbiglio.
Le tre tacquero, poi Elika e Kamila si voltarono verso la terza.
-No, questa notte gli avevo detto di no. Non può essere Atef- sussurrò Leila.
La voce parlò di nuovo: -C’è nessuno? Per favore!- sembrava giovane, un ragazzo.
-Vado- si offrì Kamila alzandosi. Si sporse dalle scale e lanciò un’occhiata ai gradini più in basso.
-Chi sei? Che cosa vuoi?- domandò la donna.
-Vi prego! Scendete, non posso parlarvi così, o rischio di essere scoperto!-.
Kamila si voltò a guardare le sue amiche.
Elika e Leila annuirono.
-Va’, ma non trattenerti allungo- fece Leila sorseggiando.
-Spiritosa- Kamila scese di sotto.

Elena si spogliò delle sue vesti e s’infilò gli abiti da notte con rabbia. Passò il pettine tra i capelli spezzandone una marea, e con la stessa euforia raggruppò le sue armi via dal letto in un angolo del pavimento, facendo sbattere a terra le cinghie e i metalli.
Si passò le mani in volto, cercando di darsi un contegno. Guardò fuori dalla finestra e, sospirando, si lasciò scivolare sul letto, sedendo a gambe incrociate su di esso.
La notte si preannunciava piovosa dato gli immensi nuvoloni che oscuravano il cielo. Nonostante ciò, il lato positivo era che se la temperatura avesse raggiunto il giusto grado, da lì a poco avrebbe versato la prima nevicata. Infondo erano i primi di dicembre, e per tutto novembre si era protratto un tempo soleggiato e ventilato che pareva estate.
Una volta che i suoi bollenti spiriti si furono placati, Elena si alzò e andò verso la sua scrivania. Trovò il diario di Alice sul tavolo e ne accarezzò dolcemente la copertina.
E pensare che per tutte quelle settimane se n’era quasi dimenticata. Non ne aveva sfogliata una pagina una, e moriva dalla voglia di scoprire come se l’era cavata sua madre alla sua età, quando circondata da belle ragazze dai movimenti sinuosi, lei era stata la più giovane a cominciare a vendere il suo corpo al nemico.
Ora che ci rifletteva, sua madre, allo stesso modo di come lo erano state Leila, Elika e Kamila prima di venir bandite, e Minha compresa, era stata una puttana. Se con la mente si sforzava di capire a cosa servisse una Dea, Elena giungeva alla schiacciante conclusione che, proprio mentre la preda credeva di aver ottenuto tra le braccia la donna più bella che avesse mai visto, questa diventava una vedova nera spietata pronta a divorarlo, e togliergli la vita per mera questione politica, ovvero perché Al Mualim l’aveva ordinato.
Ed Elena era tanto contenta che Tharidl avesse messo fine a quelle torture; eppure, ancora si chiedeva cosa di tanto speciale avevano da offrire le Dee se i principali loro servigi non erano richiesti. Forse potevano passare attraverso cunicoli più stretti, oppure essere capaci di combattere in quella maniera in cui Minha l’aveva stesa in pochi colpi. Cosa poteva avere una donna più di un uomo se l’obbiettivo era sempre lo stesso: uccidere, si chiese.
Forse, da buon uomo misericordioso, Tharidl aveva semplicemente voluto riaccogliere nella fortezza le donne che Al Mualim aveva scacciato con tanto rigetto il giorno in cui Sashara, l’ultima Dea, aveva firmato quel patto.
Finalmente, aveva trovato il coraggio di avventurarsi nelle memoria di sua madre, di cercare di capire che cosa l’avesse spinta ad infrangere le regole, a concepirla quando tutto quello era vietato da un giuramento di sangue. Lo stesso giuramento che la vincolava a non accontentare Rhami e a stare alla larga dal suo maestro.
Fu per aprirlo, correndo svelta sulle prime righe del primo capitolo, quando qualcuno bussò alla porta.
Lasciò il tomo aperto a quella pagina, voltandosi di colpo.
Sull’ingresso della stanza c’era Leila.
-Picciotta, un tizio vuole vederti- disse seria, completamente affacciata nella camera ed in equilibrio sulle punte.
Elena curvò le spalle. –Rhami?- chiese.
-Ah, magari, sarebbe stato divertente- fu la risposta della Dea. –No, ha un’anima bianca, ed è per questo che non vuole salire. Ti aspetta di sotto, non mi ha detto come si chiama, ma chiede di parlare con te. Dice che è piuttosto urgente- avvolta dal suo solito sorriso malizioso, Leila la fissò allungo. –Allora? Che gli dico?-.
Elena rimase a bocca aperta, senza riuscire a proferire parola.
-Va bene, lo mando via-.
-No, aspetta!- fece un passo avanti. –Voglio parlarci, adesso vado- disse avvicinandosi all’ingresso.
Una volta nel salone, Elena fu sorpresa di non trovarvi né Elika, né Kamila.
-Fa’ piano quando torni su, stanno dormendo le due- la informò Leila.
-Come vuoi- mormorò Elena andando verso le scale.
Si affacciò al piano di sotto e si sorprese di non vedervi nessuno. Dietro di lei avvertiva ancora lo sguardo vigile di Leila.
-Che aspetti? Vai!- le disse, e la giovane Dea s’incamminò.
Il color miele dei suoi capelli era inconfondibile e il grigio cristallino dei suoi occhi brillava nel buio del corridoio mentre se ne stava in disparte con le braccia incrociate, avvolto dalle ombre della sala.
Elena era scalza e si fermò in piedi sul tappeto che copriva il pavimento piuttosto che sulle scale di pietra –Gabriel?- domandò smarrita.
Il ragazzo avanzò dall’oscurità. –Mi dispiace avervi disturbata, ma oggi, prima che fuggiste dal cortile, avrei voluto chiedervi una cosa- disse serio.
La Dea s’irrigidì. –Ti riferisci alla collana?- chiese portando il ciondolo allo scoperto fuori dalla maglia a maniche lunghe e di seta. Strinse il simbolo della setta tra le dita con una forza che avrebbe potuto spezzare la roccia di cui era fatto.
-Sì, ecco…- mormorò Gabriel spostando lo sguardo sul ciondolo. –Mi riferisco alla vostra collana, Dea Elena, quando vi chiesi dove l’aveste presa. Vorrei una risposta a quella domanda- affermò contenuto.
-Perché te ne interessi tanto? Collezioni forse pietre preziose?- sbottò irritata. Era la sua collana, la collana di Alice e della sua famiglia. Poteva qualcun altro mostrarsi tanto interessato quando lei ne era così gelosa?! No!
-So di che pietra è fatta quella collana!- sbottò lui d’un tratto, ed Elena rabbrividii.
-Come lo sai…?- mormorò flebile, spaventata. Quella storia stava prendendo una piega insolita.
Gabriel si rabbuiò distogliendo lo sguardo. –è… complicato… potreste non capire- disse.
-Gabriel, se posso… sono stanca, vorrei…- indicò le scale, ma il ragazzo rimase immobile e in silenzio.
Elena attese che fosse lui a parlare.
-Ho un vago ricordo- proferì ammutolito. –Un vago e doloroso ricordo della mia infanzia, forse avrò avuto cinque o sei anni. Ero un orfano come gli altri, e non ho memoria di come vissi prima di quel momento. Il momento in cui un uomo venne da me, una notte, e mi strappò dal collo quella collana, cui avevo sempre avuto, cui ero affezionato allo stesso modo di come una bambina ama la sua bambola. Fu l’assassino mio maestro, un giorno prima di quella notte, a dirmi di quale rara pietra era stato forgiato quel ciondolo. Mi riempì di congratulazioni, mi lodò per il solo possesso di quella catenella. Ebbene, ora… vederla al vostro collo dopo così tanto tempo ha fatto sorgere in me una marea di dubbi e incertezze, vorrei sapere di più! Sapere se l’avete trovata a terra o se è stato l’uomo che me l’ha strappata via quella notte a donarvela per amore! Perché vedete… io vorrei riaverla indietro. È l’unico fittizio oggetto che sento veramente appartenermi, è parte di me, della mia vita, e perderlo quella notte è stato un dolore immenso… non ho mai saputo chi… o con quale coraggio mi sia stato portato via… vorrei riaverlo, vorrei riprendermi ciò che mi appartiene-.
Elena sbiancò, aprì la bocca ma non riuscì a parlare. La sua mano si strinse più convulsamente attorno alla catena di sua madre, mentre percepiva gli occhi inumidirsi.
-So che è difficile da credere! Ma è la verità! Non è per avarizia! Non ho intenzione di sottrarvela e poi rivenderla al primo commerciante, perché lo ammetto, come pietra è anche piuttosto rara e preziosa e un buon mercante vi farebbe una fortuna! Non fraintendete, non sono né un ladro né un ipocrita! Elena, per favore, vi imploro di darmi ascolto- si fece avanti e dopo pochi passi le fu davvero vicinissimo.
-Gabriel…- pronunciò lei confusamente, senza voce. –Tu…-.
Il ragazzo socchiuse gli occhi. –Vi imploro, Dea, di dirmi come. Come è possibile che un raro oggetto tanto irripetibile e che credevo fosse unico sia nelle vostre mani- Gabriel strinse i palmi attorno alle sue dita, che a loro volta strizzavano il ciondolo.
Elena mollò la presa d’un tratto, e la collana di Alice le ricadde sul petto.
Gabriel, stupito, la fissò allungo.
-Io… io non posso – mormorò, non indugiando ancora, Elena si voltò e corse su per le scale. Senza voltarsi giunse nel salotto delle Dee, dove trovò ad attenderla Leila.
Dal piano di sotto venne la voce dell’assassino che chiamava il suo nome, ma la ragazza si segregò nella sua stanza da letto, sbattendo al porta alle sue spalle e appoggiò la schiena contro di essa.
Chiuse gli occhi e si lasciò guidare dalle sue braccia tese in avanti fino allo specchio. Lo sfiorò con le dita e, quando le sue iridi azzurre si rifletterono in esso, la ragazza prese un gran sospiro.
In quell’immagine, quella notte, accanto al suo riflesso, c’era Gabriel.


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Capitolo 38
*** Coraggio ***


Coraggio




I capelli le si rovesciavano arruffati sul viso, mentre la sua guancia era appiattita con forza contro la superficie dello specchio; e il suo corpo, rannicchiato come un micio violentato. Il buio venne colpito da un improvviso barlume di un tuono, il cui suono si diffuse pochi istanti dopo.
Un boato assurdo che la svegliò di soprassalto, mentre su Masyaf si abbatteva la furia di una tempesta silenziosa.
Elena si guardò attorno, scostando appena il viso dal vetro dello specchio.
Si era addormentata lì, rannicchiata sul pavimento della stanza, crollata in un improvvisa botta di sonno che non le aveva lasciato modo di pensare, riflettere, o ancor peggio, ricordare cosa fosse successo la notte prima.
Le nuvole oscuravano il cielo ormai luminoso della mattina, i colombi si riparavano sotto i cornicioni. Cominciava un nuovo giorno, un dannato e piovoso giorno.
La ragazza si sollevò in piedi, stirandosi la schiena dolorante e allungando le braccia verso l’alto. Un sonoro crack le giunse alle orecchie quando si sciolse le ossa delle spalle, rimaste intorpidite per il freddo. Aveva i piedi congelati e temeva di essersi presa un accidente alla gola che sentiva roca e secca.
Addosso aveva ancora i pantaloni e la camicia di seta che usava per la notte e, cominciò ad aggiustarsi i capelli portandosi le ciocche in disordine dietro le orecchie.
Quando si voltò e vide la sua immagine flettersi nello specchio, una morsa al cuore le strine il petto, procurandole un affanno simile a quando percepiva le fitte di dolore al fianco destro, anche quello indolenzito per via della serata passata sul pavimento.
Il suo sguardo così simile a quello di lui. I loro occhi che sembravano essersi mescolati da una stessa tonalità madre ma averne data una completamente diversa come risultato. I loro corpi così prontamente atletici e geneticamente agili, flessibili. I loro capelli, chi color miele e chi caramello. Come aveva fatto a non capirlo subito? Perché fin dal primo momento in cui si erano incontrati, ovvero nel salone della Dimora nel regno, durante il suo viaggio verso Acri, non l’aveva riconosciuto subito? Semplice, si disse. Perché Gabriel somigliava tutto a sua madre che nessuno dei due aveva mai conosciuto, mentre Elena era l’esatta copia di Kalel ma al femminile. Erano rimasti separati per così tanto tempo da non potersi riconoscere con un solo sguardo… Cosa aveva ottenuto fuggendo da lui? Chissà quale vuoto gli aveva procurato in petto, si chiese, perché Gabriel non poteva immaginare che fossero fratelli, e forse, Elena aveva fatto la cosa giusta. Eppure, non trovò la forza di credere che potesse essere davvero lui suo fratello. Che l’uomo di cui Gabriel gli aveva parlato fosse Tharidl, che quella notte era entrato nelle stanza comune degli orfani e aveva sottratto a quel povero bambino ciò che aveva di più caro.
Non riuscì a tollerare un istante di più a guardarsi in quello specchio.
Elena si voltò e lasciò di corsa la sua stanza. Priva dei suoi indumenti e completamente scalza, scese le scale del salotto senza destare attenzione alle tre Dee che facevano colazione allo stesso tavolo della sera prima
La giovane assassina schizzò attraverso il corridoio sul quale affacciavano le stanze degli Angeli, che la fissarono sbigottiti, e proseguì oltre fino alla rampa delle scale che passavano per la torre. Una volta al piano terra, non prese fiato e si lanciò dritta allo studiolo del Maestro, pedinata dagli sguardi sbigottiti delle guardie dal cappuccio grigio.
-Elena?- una svista fugace prima che la ragazza sparisse dietro una colonna, e Altair le andò dietro.
Fortunatamente Elena giunse a destinazione prima che il suo insegnante potesse fermarla, e arrestò la sua corsa contro il tempo di fronte alla scrivania del vecchio.
Tharidl sollevò gli occhi dalla pergamena sulla quale stava scrivendo e li piantò in quelli spalancati della giovane. –Posso fare qualcosa per te, Elena?- chiese con voce soave.
La Dea avanzò di un passo, e avvertì Altair farsi da parte alle sue spalle.
-Sì- sibilò lei.
Il Gran Maestro poggiò la penna accanto al barattolo dell’inchiostro. –Dimmi pure- fece tranquillo.
-Gabriel- mormorò flebile la ragazza, e i capelli le si pararono di nuovo davanti al volto.
Tharidl, al suono di quel nome, parve irrigidirsi, e la tranquillità scomparve dal suo viso tramutandosi in un’espressione di estremo sgomento.
-Gabriel… ditemi che è lui, ve ne prego…- aggiunse Elena.
Tharidl guardò oltre di lei, dietro di lei, dove dal buio delle colonne si fece avanti l’assassino suo maestro. –Le hai detto qualcosa?!- sbottò Tharidl alzandosi di colpo.
Altair si fece avanti. –Nulla- si difese. –Piuttosto è ora che sappia la verità, e le vostre prove su di lei si sono concluse. Non c’è bisogno che le venga tenuto nascosto ancora. Non capisco quest’inutile spargimento di lacrime- digrignò.
-Il mio è un ennesimo rifiuto. Non è ancora pronta-.
Le bastarono quelle parole, dette dal vecchio Tharidl, a colmarle il cuore di un nuovo dolore. Il dolore di non essere pronta, pronta a cosa, poi? Eppure l’aveva sempre saputo che i momenti di verità, piccoli o grandi che fossero, sarebbero stati troppo pungenti perché riuscisse ad affrontarli di petto. E Tharidl faceva bene a nasconderle tutto. Infondo, non era pazzo come molti credevano.
Com’era venuta, Elena lasciò lo studiolo accorrendo sulle scale, ripercorrendo lo stesso percorso che aveva fatto venendo. Qualcuno la chiamava, ma Elena non si voltò e proseguì dritta verso i corridoi.
Stava impazzendo, letteralmente impazzendo. La prova carnale furono le lacrime che le salirono agli occhi, mentre le sue gambe sembravano andare da sole conducendola chissà dove.
Perché stava fuggendo di nuovo? Semplice, per lei era un peso troppo grande. Ma di cosa stava parlando? Ulteriormente semplice, stava impazzendo.
Non sarebbe mai dovuta correre dal Maestro, non avrebbe mai dovuto interrompere le sue scritture e non avrebbe mai dovuto allacciarsi al collo quella collana, e forse quella mattina sarebbe trascorsa in un modo differente. C’era qualcosa che la spingeva a rifiutare. Qualcosa che nel più profondo del cuore le sussurrava che non voleva, non doveva sapere. Si era complicata fin troppo la vita, e come le era capitato una volta di pensare, era ben contenta che Tharidl si tenesse per sé il nome di suo fratello. Ma chi voleva prendere in giro? Ormai era ovvio che si trattasse di Gabriel. L’unica che negava l’evidenza era proprio lei, che si ostinava a fuggire più che combattere. Che invece di mostrare i denti, girava i tacchi e voltava le spalle ai problemi della sua vita tormentata senza affrontarli. Ma il bello era che, se aveva voglia di affrontarli, li affrontava da sola, e non sopportava di avere qualcuno affianco, di sentirsi debole, di essere sostenuta da qualcuno che l’avrebbe sempre vista con l’occhio di chi è superiore.
-Elena, fermati!- urlò Altair ai piedi delle scale.
-Ho cambiato idea! Non voglio saperlo, non voglio saperlo!- rispose lei affacciandosi dal corrimano.
-Ti sbagli. Hai bisogno di lui!- ribatté andandole incontro.
-No! Io non ho bisogno di nessuno!- aveva gridato, aveva chiesto che tutti la sentissero.
Aveva vissuto abbastanza allungo circondata da assassini, unica donna tra centinaia di uomini, e lei non aveva bisogno di nessuno. E suo padre aveva scelto quella strada per lei, consegnandola alla setta, insegnandole ad usare una spada fin da bambina. Fatica sprecata, si disse, se avesse ritrovato suo fratello.
Ed in fine, inevitabile, era scoppiata in lacrime, gettandosi a terra e sedendo rannicchiata con le ginocchia al petto sulle scale. In quella posa da gatto bastonato, dagli occhi arrossati di chi ha ancora troppo per cui piangere.
Altair le si adagiò affianco e la cinse le spalle. Elena si lanciò al suo collo sfogando sulla sua veste tutti i gemiti e singhiozzi. Era ora di finire l’acqua di quella fontana e cominciare a piangere di gioia, si disse. Aveva trovato suo fratello, un pezzo della sua famiglia, e lei era lì a disperarsi tra le braccia del suo maestro per il semplice motivo che era troppo orgogliosa??? Questa è solo deficienza.
Elena benedisse il giorno in cui Tharidl le aveva dato una spalla su cui piangere, ovvero quella del miglior assassino della confraternita.
-Vieni- Altair l’aiutò ad alzarsi, sostenendola per il fianco sano. -Coraggio, leviamoci da qui- le aveva sussurrato dolcemente, placando il suo animo lo stretto necessario per realizzare che una dozzina di incappucciati li fissavano senza parole.
Il suo maestro l’aveva accompagnata fino nella sua stanza, dove Elena fu contenta di trovarvi Rashy, che aveva gli artigli stretti attorno allo schienale della sedia della scrivania. Le finestre dietro lo scranno era chiuse e ancora avvolte dalle tende, che filtrando pochissima luce conferivano alla camera un aspetto lugubre e buio.
Altair la fece sedere tra i cuscini accanto all’armadio. –Resta qui- le disse, poi uscì lasciandola sola con la sua falchetta personale.
Elena ascoltò i suoi passi perdersi nel corridoio, e quando la sua figura si fu dissolta dietro l’angolo, la ragazza si sollevò e andò verso la scrivania.
Vi si appoggiò del tutto, affranta, stanca, priva di forze anche per camminare. Alzò appena gli occhi e incontrò lo sguardo sempre fiero e attento dell’aquila dalle piume argento.
La Dea aggirò il tavolo e andò a sistemarsi sulla sedia, dalla quale Rashy si scansò saltando sul ripiano.
Elena si mise a braccia conserte sulla scrivania, ma dopo poco lasciò cadere la testa in avanti poggiando la fronte su di esse. E il buio divenne ancora più buio, mentre alla gola le saliva lo stimolo ad un nuovo pianto.
Sentì la prima e l’ultima lacrima scivolarle sulla guancia ed infrangersi sul legno del tavolo, mentre le sue spalle si alzavano e si abbassavano nel tentativo di calmare il respiro affannato.
Le parve fosse trascorsa un’eternità quando Altair ricomparve nella stanza chiudendo la porta.
Elena rimase com’era, con il volto nascosto tra le braccia incrociate poggiate sulla scrivania; piuttosto ascoltò come il suo maestro poggiava sul tavolo un piccolo vassoio di legno.
-Fa’ almeno colazione- proferì serio.
La ragazza trovò il coraggio di sollevare gli occhi arrossati e rivolgerli in quelli scuri e celati dal cappuccio di lui. Poi, dal viso del suo maestro, che la guardava con immensa fermezza, Elena spostò lo sguardo alla tazza di the e ai biscotti di grano duro adagiati sul vassoio.
-Perché mi avete portata qui?- domandò, e la sua stessa voce le mise paura.
-Nessuno verrà a disturbarti, qui. Fin quando non mi dirai che cosa ti mette tanto terrore, non lascerai questa stanza-.
-Voi lo sapevate- sibilò lei tornando a poggiare la testa sulle braccia. –Sapevate chi era…- tirò su col naso. –E non me l’avete mai detto…-.
-Sì, lo sapevo; Tharidl mi parlò di questo e altro non molto tempo fa. Ma mi sono fidato di lui credendo nel fatto che egli ti vuole un gran bene, più di quanto immagini, Elena, e allo stesso modo di come te ne vorrebbe tuo padre. Ti prego di perdonarmi se mi sono intromesso nelle vostre faccende, ma vederti così sofferente è un male intollerabile- confessò.
Quella volta non era frutto della sua immaginazione, si disse, il suo maestro stava davvero ammettendo di provare fastidio nel vederla afflitta dal dolore.
-Non mi serve la vostra compassione- brontolò lei.
-Ancora insisti con questa storia?- sbottò l’assassino venendole affianco. –Davvero sei così stupida?- aggiunse.
Elena sollevò la testa d’un tratto, offesa da quelle parole.
Poteva darsi della stupida solo da sola, chiaro?! Non permetteva a nessun altro di darle della pazza o della deficiente che non fosse sé stessa! Chiaro?!
-Elena, Dio! È tuo fratello!- le prese il viso tra le mani. –Ora dimmi di che cosa hai paura! Dimmelo!-.
-Io…- mormorò.
Il suo maestro rinunciò alla svelta, scansandosi improvvisamente e andando verso la porta. –Ah! Il bello di tutto questo è che non mi bastano i miei problemi, ma devo gettarmi anche in quelli di una ragazzina fuori di testa!- si massaggiò il collo.
-Mi spiace causarvi tanti malanni- trovò il coraggio di dire, e Altair si voltò stupito. –Ma non siete obbligato ad essere in pena per me; come vi ho detto, non mi serve la vostra compassione. Me ne sto bene per i fatti miei, e forse avete ragione: non sareste dovuto intervenire- sussurrò.
-Basta! Avanti, dammi quella collana- Altair allungò una mano verso di lei. –Forza, dammela-.
Elena sobbalzò sulla sedia. –Cosa volete farne?-.
-La restituirò di persona al legittimo proprietario nascondendogli la verità. Dirò a Gabriel di dimenticare la vostra conversazione e di starti lontano, e poi vedremo se ti sentirai meglio- sbottò. –Sono stufo di questa storia, che si sta protraendo oltre il dovuto. Sono ulteriori distrazioni, come disse Tharidl, che non ti lasceranno pace. E devi essere pronta-.
-Pronta a cosa?- chiese.
-Dammi quella collana!- sbraitò.
-No!- ruggì lei.
-Obbedisci!-.
-No, no!- gemé chiudendo gli occhi.
-Lo faccio per il tuo bene! Elena, dammi quella collana!- insisté.
Era come esser puniti. Come venir privati della propria libertà e rinchiusi nelle proprie stanze perché si aveva rubato un biscotto o rotto un prezioso vaso di casa. In quel momento Altair aveva il ruolo di colui che la stava punendo, sottraendole qualcosa cui teneva molto e da cui neppure nei suoi incubi peggiori aveva sognato di separarsi.
Nonostante ciò, nonostante la gravosa voglia di combattere la sua richiesta, Elena afferrò il ciondolo da sotto la sua maglia e se lo tolse dal collo tirandolo con violenza. Il filo cedette e si spezzò, poi la ragazza si alzò e strinse convulsamente le dita attorno al ciondolo.
Altair la osservò in silenzio, ed Elena gli andò affianco tenendo il suo sguardo.
Quando gli fu abbastanza vicino, alzò il braccio e, prima che Altair potesse afferrarla, lasciò che la collana cadesse a terra.
Non aggiunse altro e abbandonò quella stanza al silenzio di Rashy e il suo padrone, che tacque ammutolito di tale gesto.

Sboccò nel corridoio e non si sorprese di trovare Marhim davanti alle scale per gli alloggi delle Dee.
-Ele…- sbigottito, il ragazzo non riuscì a terminare che Elena lo afferrò per mano trascinandolo verso il piano di sopra.
-Elena, che sta succedendo?!- domandò mentre attraversavano il salotto comune, dove non vi era ombra di nessuna delle tre donne.
Elena proseguì spedita fino nella sua stanza e lo fece sedere sul letto.
Marhim s’irrigidì guardandosi attorno terrorizzato. –Halef mi ha detto che mi avevi cercato- balbettò.
La ragazza raggruppò tutte le parti della sua veste da assassina e si vestì in fretta, lì, davanti a lui. –Sì, infatti: dove sei stato, eh?- brontolò allacciandosi la cintura di cuoio alla vita.
Marhim si strinse nelle spalle. –Sempre nel solito posto, dove speravo tanto che saresti tornata anche tu- brontolò.
-Il solito topo di biblioteca- rise lei armandosi di tutto punto.
-Che cosa stai facendo?- mormorò Marhim indicandola. –Non avrai intenzione… ma che diamine, Elena!- proruppe improvvisamente.
-Stupido, non hai capito! O meglio- gli lanciò un’occhiata. –Halef non ti ha detto nient’altro?- chiese.
-Che cosa avrebbe dovuto dirmi?- scattò in piedi, avvicinandosi a lei.
-È una storia lunga- si avviò fuori dalla stanza e Marhim le venne dietro. –Te la racconto mentre andiamo- disse seria scendendo le scale.
-Andiamo dove?- sbottò il ragazzo seguendola.
-Adesso vedrai!- gioì l’assassina accelerando il passo ad una corsa lenta.
Marhim sbuffò e prese un’andatura più svelta.
Elena corse sulle scale della fortezza e nella sala d’ingresso, raggiunse il cortile interno e andò oltre, fuori dalle mura della roccaforte, fino alle strade affollate della cittadella.
Marhim alle sue spalle non reggeva più, ed Elena si vide costretta a rallentare.
-Da cosa… stai scappando questa volta?- domandò col fiato corto quando l’ebbe raggiunta.
Elena allungò le labbra in un sorriso. -Potrà sembrarti assurdo, ma ho trovato mio fratello- disse d’un fiato.
-È da lui che stiamo andando?- chiese sorpreso.
-No, è da lui che sto fuggendo- si apprestò ad aggiungere.
-Cosa?! Vuoi andare via così? Elena, io non ti capisco! Perché?- tentò di fermarla, ma Elena si divincolò dalla stretta e ricominciò a correre.
-Vieni, avanti!- gli gridò scomparendo tra la folla.

La ragazza si sporse dalla sella, allungando uno sguardo allo strapiombo che si gettava nel lago, le cui acque calme e scure erano attraversate dai fasci dorati della luce del sole.
Marhim, al suo fianco e seduto chino sulla sella, sbuffò. –Che cosa c’è, ora?- chiese.
Elena smontò lentamente e si avvicinò al bordo del precipizio.
Marhim sgranò gli occhi lanciandosi giù dal cavallo. –No, Elena, no!- strillò correndo verso di lei e afferrandola per i fianchi. –Non risolverai nulla così, che cosa ti salta in testa?!- le disse stringendola a sé.
-Sciocco, non voglio ammazzarmi!- rise lei.
-Ah no?- mormorò il ragazzo allontanandola appena dal suo petto. –E allora perché siamo qui?-.
Elena sfuggì al suo sguardo scansandolo via delicatamente. –Avevo già in mente di andare a dare un’occhiata parecchio tempo fa, ma solo oggi è il giorno giusto- sussurrò tornando vicino all’argine della roccia.
-Di cosa stai parlando?- Marhim si riscosse. –E comunque voglio sapere cosa sta succedendo! Hai detto di aver trovato tuo fratello, no? Ci hai parlato? Chi è? Ora dov’è?-.
Elena soffocò una risata. –Smettila, ora non è importante-.
-Come fai a dire una cosa simile?!- le tornò accanto. –Elena, guardami- le prese il volto tra le mani. –Che cosa hanno messo quelle tre nel tuo the, sta mattina? Notato per caso strane polveri bianche…- pronunciò serio.
Elena scoppiò a ridere piegando la testa all’indietro. –No, ma che dici!-.
-Questa è di per sé una risposta- brontolò lui.
-Forza, vieni con me- disse la ragazza calandosi giù dal pendio.
-Ragazzina fuori di testa, cosa stai facendo?!- Marhim sbiancò fissandola mentre si arrampicava agile sulla roccia dello strapiombo, che in quel punto si gettava solo per una ventina di metri per poi raggiungere le acque del lago.
-Elena!- la chiamò ancora.
-Dai!- lo canzonò lei raggiungendo una sporgenza abbastanza spessa su cui sostare seduta. Si guardò attorno e alzò gli occhi fermandoli su di lui.
Marhim indugiò sul da farsi. Non sembrava complicato, e poco più in basso, lo vide chiaramente, c’era una specie di sentiero naturale scavato tra la roccia che li avrebbe condotti vivi fino alla meta ignora cui era diretta Elena.
Prese un gran respiro profondo e raggiunse la sua amica attento da dove mettesse i piedi. Le radici degli alberi s’intricavano tra le pietre della scogliera solo nel breve tratto iniziale. Verso la fine della parete, invece, gli unici appigli verdi divennero il muschio scivoloso e i rampicanti troppo fragili.
Elena atterrò piegando le ginocchia e aiutò Marhim a compiere quel piccolo saltello che li aveva portati fin al sentiero.
-Credo di capire dove mi stai portando- bofonchiò il ragazzo seguendola.
La Dea gli fece strada dove la roccia del sentiero diventava più stretta, in alcuni punti a tal punto fina che dovettero appiattirsi contro la pietra della parete e riuscire a non guardare di sotto.
Quando il sentiero si concluse, Elena intravedeva già l’arrivo, ma nell’istante in cui furono costretti ad arrampicarsi in orizzontale, il fianco dolorante prese a pulsare mandando le solite fitte odiate.
Attraversarono un tratto paludoso di rena e finalmente giunsero al livello della costa.
-Che avventura, eh?- sorrise voltandosi.
-Il bello è che non è ancora finita!- Marhim, distrutto e col fiato corto, si piegò appoggiandosi alle ginocchia. –Non sono… più abituato- eruppe.
-Già- ridacchiò la ragazza. –Forza, ci siamo quasi!- gioì percorrendo di corsa il profilo della spiaggia.
-Va’ avanti!- le gridò. –Io ti raggiungo…- si accasciò al suolo colpito da un improvviso crampo al polpaccio destro.
Elena aveva un sorriso luminoso stampato in volto, e per l’arco di quella giornata nessuno glielo avrebbe strappato via. La fatica per raggiungere quel luogo era stata abnorme, sia fisicamente che mentalmente aveva sempre desiderato vederlo. Ed ora che al suo collo non pendeva più la collana di Alice, aveva trovato l’ottimo pretesto per farvi visita.
Era un grotta sommersa per più della metà, e per avventurarvisi all’interno avrebbe dovuto passare un tratto sott’acqua, oppure aspettando la bassa marea. Ma aveva aspettato abbastanza, si disse.
Marhim vegliava su di lei seduto a pochi metri, e la ragazza cominciò a spogliarsi delle sue armi o sarebbe andata a fondo.
-Aspettiamo la bassa marea!- suggerì lui alzandosi.
-Scordatelo!- sbottò Elena lasciando cadere tra la sabbia grossa prima il fodero della spada e poi le cinghie con gli astucci dei pugnali e la lama corta.
Quando si fu privata di tutti i coltellini da lancio e dei fardelli in eccesso, si tuffò letteralmente in acqua. Una volta tra le correnti aprì gli occhi che all’inizio le bruciarono appena; tornò in superficie e l’improvvisa ventata che le arrivò sulla faccia la fece rabbrividire. –Non dirmi che non sai nuotare!- rise galleggiando a peso morto.
-Macchè!- fu la risposta del giovane, che imitandola, prese a slacciarsi il fodero della spada e anche la cintura di cuoio. –Piuttosto, per quanto tempo riesci a mantenere il fiato?- le chiese entrando in acqua passo dopo passo.
Elena si raddrizzò di colpo. –Perché? È un pezzo tanto lungo?-.
-Non lo so, non ci sono mai stato- Marhim lanciò un’occhiata alla caverna sottomarina, ed Elena fece altrettanto.
-Ma ne varrà la pena- aggiunse lui guardandola.
-Che stiamo aspettando?!- Elena sparì sott’acqua.
Un brivido intenso le passò da parte a parte della schiena quando la ragazza passò sotto il tetto della grotta, e all’interno di essa l’acqua era più fredda da rizzare i peli. Nonostante ciò, mantenendo un’andatura regolare delle braccia e nuotando agilmente a rana, Elena aggiunse la fine della traversata e riemerse prendendo una boccata d’aria cui si riempì i polmoni.
Non aveva faticato ad arrivare fin lì, anzi. Il tratto era stato anche piuttosto breve, si disse.
Quel posto era meraviglioso: a fare luce di pensava l’acqua trasparente del lago che filtrava i raggi del sole illuminando l’interno della caverna di una sfumatura verde marino strabiliante, da lasciare senza parole. La roccia brillava del sale depositato in essa, e sulle pareti si riflettevano i riflessi di questi minuscoli granelli luminescenti. Le stalattiti e le stalagmiti pendevano da entrambi i lati, conferendo al tutto quell’aspetto lugubre e affascinate.
Marhim comparve dietro di lei dopo poco, ed Elena lo afferrò per il cappuccio tirandolo verso il bordo di pietra sul quale era seduta.
Il ragazzo si aggrappò a lei che l’aiutò a tirarsi su. –Allora?- chiese la Dea alzando il mento.
-Credo che il silenzio valga più di mille parole in momenti simili- mormorò lui seguendo il suo sguardo.
-Tu leggi troppi libri; dovresti goderti la vita, la tua e non quella del protagonista, ogni tanto- ridacchiò.
C’era un minuscolo lucernario per l’aria, in alto a sinistra, dal quale sembrava venir giù la radici di un albero o un rampicante. Ma era talmente lontano, si disse, quindi il soffitto della grotta doveva stagliarsi per chissà quanti metri in verticale.
-Adesso però devi vuotare il sacco- eruppe Marhim voltandosi, e i suoi occhi nocciola balenarono in quelli cristallini della giovane Dea. –Raccontami che cosa è successo. Chi è tuo fratello?- aggiunse.
Elena chinò la testa, stringendosi più vicina a lui. –Gabriel- disse afflitta.
Marhim sobbalzò. –E come l’hai scoperto?- domandò con un filo di voce.
La ragazza si passò una mano tra i capelli bagnati e scompigliandoli. -Ieri notte è venuto a cercarmi dicendomi che voleva indietro la sua collana. Mi raccontò che aveva un ricordo di quando un uomo venne da lui mentre dormiva e gliela strappò via dal collo. Solo mio fratello portava una collana simile, e quando Tharidl gliel’ha strappata via per tenerla per me, Gabriel ha sofferto molto. Da lì è stato ovvio, ma sono corsa dal Maestro chiedendogli conferma, chiedendogli se fosse effettivamente lui e rinfacciandogli che ce l’avevo fatta a scoprirlo da sola. Eppure lui si ostinava ad assentire, a tenermi ancora sul dubbio. Da una parte non lo biasimo…- sussurrò. –Prima che potessi sentire di più, sono scappata via, e Altair mi ha portato nella sua stanza. Lì ha provato a farmi parlare, a chiedermi cosa mi stesse succedendo più o meno come hai fatto tu… io mi ostinavano ad assentire, ed oro io l’unica che non voleva aprire gli occhi di fronte alla verità. Gabriel sarà pure mio fratello, e ormai le prove sono schiaccianti, ma io non lo sento così… non voglio che sia così…-.
-Sei completamente pazza se credi una cosa del genere!- le gridò contro. –Siete legati da un patto di sangue, non puoi rinnegare tuo fratello! Elena, perché butti via un’occasione del genere? Sono più felice io per te di quanto lo sia tu! Come fai a non renderti conto delle stupidaggini che stai dicendo?- proferì furioso.
-Lo so, sono solo una stupida…- sibilò staccandosi da lui.
-Davvero non ti capisco, Elena- bofonchiò il ragazzo guardando altrove. –Ma vorrei tanto aiutarti-.
-Lo stai già facendo. Il solo fatto che tu mi abbia accompagnata qui mi aiuta molto, sai?- gli sorrise.
-Davvero?- si commosse.
La Dea annuì.
Marhim curvò la testa da un lato, allungò una mano e le accarezzò il collo.
Elena s’irrigidì al passaggio delle sue dita sulla sua pelle, mentre il suo cuore cominciava una corsa folle.
-Dov’è la collana?- domandò lui spostando il lembo della veste che le copriva la parte alta del petto.
Elena sfuggì al suo sguardo. –L’ho ceduta ad Altair, che si è preso l’incarico di riconsegnarla a Gabriel…- disse flebile, e come se l’avessero appena messa sotto un carro, le sue spalle si piegarono schiacciate da un peso intollerabile. Il solo pensare a quello che aveva fatto nelle ultime 12 ore era una tortura.
-Cosa?- fece Marhim ritraendo il braccio. –Scherzi, vero? E perché?- sbottò tornando arrabbiato.
-Ho scelto così, è meglio così… almeno fin quando non mi sentirò pronta-.
Marhim aggrottò la fronte. –Pronta a cosa?!- chiese sbigottito.
Elena a quel punto tacque. Si era fidata ciecamente delle parole di Tharidl quella mattina, quando il vecchio aveva gridato che “non era ancora pronta”. Se il suo Maestro voleva questo per lei c’era un motivo, e un giorno di quelli sarebbe venuto tutto a galla, se lo sentiva.
-Fatto sta che non capisco cosa ci sia di sbagliato in Gabriel che non ti va a genio- s’interrogò lui.
-Nulla, in Gabriel non c’è nulla di sbagliato! Sono io il problema, Marhim, ed è soltanto colpa mia. Non c’è nulla che possa fare per rimediare, ormai sono segnata, sono stata forgiata così! Mi sento come una spada che, nonostante abbia la lama incrinata, viene utilizzata ancora e ancora! Non sopporto di essere quello che sono, non sopporto di restare sola, non sopporto di non avere nessuno affianco, ma Gabriel… lui non cambierà le cose- lo fissò negli occhi.
-Tutto questo giro di parole per dire?- domandò Marhim alzando un sopracciglio.
A quel punto fu inevitabile, non riuscì a fermarsi e, allungandosi verso di lui, le sue labbra si scontrarono con quelle dell’assassino.
Restarono immobili, in quella posa, immortalati per sempre tra la roccia di quella caverna. Nessuno dei due azzardò la prima mossa, e restarono così allungo.
Chissà con quale coraggio, fu Elena a prendere l’iniziativa e, senza interrompere il bacio, si avvinghiò a lui facendo aderire completamente il corpo umido al suo, ma Marhim s’irrigidì oltremodo.
Baciandolo, Elena sentiva il sapore dell’acqua del lago sulle sue labbra, che cominciò a mordicchiare appena coi denti bianchi.
Marhim non riuscì a muoversi e il cuore di entrambi batteva a mille al minuto.
Elena alzò una mano sul suo viso accarezzandogli dolcemente il sottile strato di giovane barba sulle guance, e a quel tocco Marhim si rilassò del tutto.
Le sue braccia si strinsero attorno ai fianchi di lei, unendola ulteriormente contro di sé, ed Elena si mise a cavalcioni sulle sue gambe.
Elena si staccò riaprendo gli occhi lentamente.
-Era già tutto programmato?- domandò Marhim in un sussurro, il viso così vicino a quello di lei che sentiva il suo respiro infrangersi sulle labbra schiuse. Le sfiorò la schiena con le dita.
Elena scosse la testa, ed un istante dopo tornò con la bocca sulla sua.

O____________________________________O

Cristo, non mi sono accorta che sono esattamente due capitoli che non scrivo ringraziamenti, e questa cosa è intollerabileee!!! Ebbene, tendo a precisare che… stavo scrivendo come una matta e non vedevo l’ora di postareeee!!! E poi sapete che vi voglio un mondo di bene solo perché avete aggiunto la mia ff ai vostri preferiti.

Grazie a tutti voiiii

Saphira87
goku94
Lilyna_93
Carty_Sbaut
Angelic Shadow
Assassin
Diaras

X gli ultimi 3 della lista: appena avete un momento libero… cioè, la recensione ci scappa, no? XD Scherzo, scherzo. Scommetto che avete le vostre buone ragioni per tacere, e non vi biasimo!

X Saphi: eeeeeh (sospiro) che dire. Ho rinunciato al rapporto allieva-maestro. Proprio non ce li vedevo, anche se ti prometto che qualcosa di toccante potrebbe anche succedere, non lo nego… però il cuore di Elena apparterà per sempre al piccolo ed innocuo Marhim (che dopo tutto, ha vinto la sfida contro Rhami XD Si vedrà come mi divertirà nei prossimi capitoli, che si preannunciano… calmi, ma fino ad un certo punto).

X goku: quanto sono bastard, vero? Insomma, non nego che mi sia venuta la schizzo-idea di postare dopo che tu avessi lasciato la rece al capitolo precedente! Ma così davvero mi sembrava troppo crudele. Quindi, fammi sapere che ne pensi di entrambi i chappy in una rece unica, te lo concedo, ma su msn ti bombardo di emoticon incaz****!!! XD Scherzo, ovviamente… <.<


Ed ora?!?!?
Ovvio, è tutta da vedere dato che arrivata a questo punto della storia non ho assolutamente idea di come finirà o andrà avanti! Vi confesso che inventerò tutto sul momento, tranne un’altra piccola parte ma davvero insignificante che ho buttato su carta quando ho iniziato a scrivere questa ff. Nel complesso, fate sentire la voce del popolo e che le vostre recensioni superino le 3 righe ç___ç XD Ovviamente, il mio umorismo non ha mai fine! Tanto da un capitolo di sole 8 pagine non posso pretendere roba tanto larga. Per quanto riguarda chiarimenti e appunti vari, eccovi una giovane lista:

1.    Lo ammetto, quando penso ad Elena, penso di aver creato un personaggio davvero stronzo e bastardo, demente e parecchio stupido. Però mi piaceva l’idea che avrebbe dato la collana a suo fratello restando nell’anonimato. Se pensate che sia un comportamento assurdo, vorrei che me lo sbatteste in faccia nella recensione, grazie.
2.    Marhim, classico topo di biblioteca, è verginello poverino, ma anche se non l’ho mai menzionato, il ragazzone ha una ventina d’anni. Non sembra, lo so… ma che aggiungere? Be’, anche Elena lo era… prima di quest’ultima scena… muhahahahahah XD
3.    Chissà, chissà se Altair darà davvero la collanina al piccolo Gabriel!!! XD e chissà se terrà la bocca chiusa!!!
4.    A proposito di Altair: stava spiando Adha che parlava con Tharidl perché qualcosa di losco si sta muovendo nella loro relazione… e non si tratta del pargolo.
5.    Ah-ah! Pensavate che Elena si volesse suicidare, sporgendosi dal precipizio, vero?!?!? E invece no! Devo dire che… all’inizio l’idea era allettante … e arriva Marhim che la salva! XD
6.     Come potete notare, ho trovato un carattere di scrittura molto più carino!!! XD
7.    >.> credo di aver detto tutto.
8.    Recensite!!!

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Capitolo 39
*** Fayium, dalla Siria all'Egitto ***


Faiyum, dalla Siria all’Egitto




Adha richiuse la porta all’istante, ma Altair la fermò poggiando una mano su di essa. –Aspetta- disse tranquillo.
La donna lo fissò con rabbia. –Cosa vuoi?- sbottò irritata.
-Voglio solo parlarti- proferì serio.
-Non ci credo- arrise maliziosa.
-Allora non è un problema mio. Posso entrare?- chiese educatamente.
Adha esitò, lanciando un’occhiata alle spalle dell’assassino, poi indietreggiò e lo lasciò entrare.
-Grazie- sorrise soddisfatto mentre lei richiudeva la porta.
-Perché sei qui?- sibilò osservandolo muovere alcuni passi su e giù nella stanza.
-Ti ho sentita parlare a Tharidl di una nave- la fulminò con uno sguardo, ma Adha rimase impassibile.
Altair le venne di fronte. –Posso sapere che cosa ti sta succedendo? Ultimamente sei…- le accarezzò i capelli –distante - commentò soave.
Adha scansò la sua mano lentamente, chinando la testa. –Perdonami, ti prego di perdonarmi-.
Sul volto dell’assassino comparve un’espressione confusa. –Di che parli?-.
Adha alzò i suoi occhi verdi in quelli neri e profondi di lui. –Me ne vado, Altair, devo partire-.
Gli ci volle del tempo per realizzare a pieno quelle parole, ma quando il senso venne lui, Altair fu sul punto di crollare. Aprì bocca ma non riuscì a proferirne suono.
Adha indietreggiò allontanando il suo sguardo alle spalle di lui, che si voltò.
C’era una valigia riposta sul grande letto a baldacchino. Era chiusa, piena e pronta. Era la valigia con la quale Adha era tornata alla fortezza una piovosa notte di quell’autunno.
-Non può essere- mormorò lui sbigottito. –Perché?- ruggì a denti stretti.
Adha si avvicinò al letto, e nella stanza fecero il loro ingresso Luisa e Lily.
-Signora- le due s’inchinarono, e la più giovane tre le sue damigelle afferrò la valigia.
-Il vostro cavallo è pronto, Adha, e attende nelle scuderie- la informò Luisa seria in viso.
Adha chinò il capo. –Grazie, sarò lì a breve- disse, e le due, come erano venute, se ne andarono.
 Lo sguardo della donna incontrò quello sconvolto dell’assassino. -Sono stata via troppo tempo, Altair, e tornando qui ho fatto solo il più grosso sbaglio della mia vita. Devo andarmene prima di peggiorare le cose- assentì avviandosi verso la porta.
Altair le andò incontro, sbarrandole il cammino. –Adha, non farlo- gemé.
-Non posso!- la donna ricacciò le lacrime, ma una di esse le scivolò sulla guancia e si sveltì nel farla sparire passandovi la manica del vestito –Ho una famiglia, in Italia, Altair. Sono stata via tutti questi anni e lì ho trovato la mia vera casa. È lì che devo tornare, dai miei figli, da mio marito!- pianse. –Ti prego, non rendere tutto più difficile- la sua voce incrinata dalla tristezza venne fuori.
-Perché sei tornata? Se non mi hai mai amato perché sei tornata?!- digrignò lui non riuscendo a contenere la rabbia.
-Volevo dirtelo- pronunciò affranta. –Sono tornata con l’intenzione di raccontarti la verità, tutta la verità…-.
-E che cosa ti ha fermata se non l’amore che provi per me?- sibilò sfiorandole una guancia, ma Adha fermò la sua mano stringendola nella propria.
La donna intrecciò le sue dita a quelle di lui. –Non capisci quanto mi dispiace averti imbrogliato così? Mi sento una stupida, e non ti biasimo se sei arrabbiato, ne hai tutti i motivi! Ma ti supplico di capirmi…-.
Altair alzò il mento. –Bambini, hai detto?-.
Lei annuì. –Perdonami se non ho trovato il coraggio di parlare, ma la gioia di rivederti è stata tale da cancellare ogni mio briciolo di coscienza-.
-Gioia? Tutto qua?- sgranò gli occhi. -E quella notte che ci siamo amati? Quando mi hai chiesto di avere un figlio da me! Anche quella era solo gioia?!- le disse furioso.
La donna tacque, ammutolita, spaventata. –Ti prego- bisbigliò.
-Che cosa dovrei fare ancora, spiegami? Starmene con le mani in mano e lasciarti andare così? Hai una minima idea di come mi senta?!- la strinse per le spalle.
-No, non riuscirei mai ad immaginare, ma ti scongiuro: lasciami andare-.
L’assassino respirava con affanno, stringendo forse troppo forte la presa sulle fragili ossa della sua amata. I suoi occhi persero quel vigore furioso, mentre i suoi muscoli si rilassavano poco a poco. Possibile che le fosse così semplice dirgli addio? La gioia della sua vita, l’unica che avesse mai provato davvero, gli stava scivolando via dalle mani come sabbia, andando a consumarsi in terre lontane.
Altair l’abbracciò di colpo, sovrastandola con la sua figura e poggiando una guancia sui suoi capelli corvini. –Dimmi che stai scherzando, dimmelo…- mormorò.
-Temo di no- lei si strinse a lui affondando il volto nell’incavo del suo collo. –Temo proprio di no- rispose afflitta.
Altair risalì la sua schiena con una mano fino a raggiungere la nuca, le alzò il viso e fece per baciarla, ma Adha girò la testa da un lato, mostrando la guancia bianca.
-Ti ho chiesto di non rendere tutto più difficile- disse seria, voltandosi a guardarlo negli occhi. Dopo un istante di silenzio che parve infinito, Adha si alzò sulle punte dei piedi e raggiunse con le labbra l’orecchio dell’assassino, che continuava a stringerla tra le sue braccia.
-Ma sappi- gli sussurrò –che porterò sempre una tua piccola parte dentro di me- e detto questo, si allontanò da lui.
-Prenditi cura di Elena- mormorò, poi le loro mani si staccarono, ed Adha si dileguò nel buio, scattante verso le scale.
Già in quello aveva fallito, si disse lui.

-Halef-.
-Sì, Maestro- il ragazzo s’inchinò.
-Potresti farmi un favore, prima che tu vada?- chiese il vecchio senza distogliere l’attenzione alle pergamene che stava leggendo.
-Certamente- fece disponibile.
Tharidl intinse la penna nell’inchiostro e, dalla lettura, passò alla scrittura. –Vorrei che chiamassi qui da me sia Altair che la sua allieva, se ti è possibile trovarli-.
-Subito, Maestro?- domandò aggrottando la fronte.
L’uomo annuì, ed Halef lasciò lo studiolo scendendo di corsa le scale.
All’ingresso della sala trovò di fortuna alcuni assassini, tra i quali riconobbe Rhami. –Avete visto Altair?- chiese loro.
Questi scuoterono la testa, poi Halef si rivolse esclusivamente al ragazzo dagli occhi di ghiaccio. –E tu, sai dove posso trovare Elena?-.
Rhami si strinse nelle spalle. –Non ne ho idea, e onestamente non m’importa-.
Halef riprese la sua ricerca, raggiunse prima la biblioteca ma non vi trovò nessuno, e poi si diresse agli alloggi più alti della fortezza.
Camminando tranquillo per il corridoio, arrestò il passo improvvisamente, si girò di lato e fu sorpreso di trovare la porta della stanza di Adha spalancata. Ma ancor più colpito di intravedervi all’interno, solo e abbandonato, il grande Altair, seduto su una sedia vicino al cornicione della finestra.
Halef bussò sulla porta già aperta e fece un passo dentro la camera.
Altair gli volse appena un’occhiata, prima di tornare a fissare l’orizzonte fuori dai vetri puliti.
Non l’aveva mai visto così affranto, ma Halef cercò di rientrare piuttosto nel suo ruolo. –Mastro Altair, Tharidl desidera vedere voi e la vostra allieva, al più presto possibile- dichiarò serio.
-Non so dove ella si trovi- mormorò lui. –Per quanto mi riguarda, sarò da lui a breve- sospirò.
-Bene, ma per caso, Altair, avete visto Marhim questa mattina?- chiese.
L’assassino alzò il volto, ma l’ombra del suo cappuccio si allungò oltremodo sui suoi occhi. –No, pensavo fosse con lei- proferì.
Halef ci pensò poco prima di giungere alla schiacciante conclusione, e assieme a lui, anche Altair assunse un’espressione ansiosa.
-Credete che…-.
-Spero per Elena che non sia così!- sbottò alzandosi e uscendo di corsa dalla stanza.

-Forse…-.
-Taci- si apprestò a dire Elena, mentre la sua bocca si spostava agli angoli di quella del ragazzo.
-Non è una buona idea- provò a dire, ma l’assassina non gli lasciò tempo di aggiungere altro privandolo del cappuccio.
-Non qui- aggiunse insicuro, ma Elena non diede pane alle sue paure. Piuttosto portò le mani all’altezza della fascia rossa e cominciò a scioglierla dai fianchi di lui. Con sveltezza lo denudò della parte superiore della veste, sorprendendosi della muscolatura che certo non si aspettava da un topo di biblioteca.
-Reagisci, non fare il tozzo di legno- ridacchiò lei ammirandolo.
-Tozzo di legno? Elena, sto morendo di freddo!- sbottò.
La ragazza gli accarezzò i muscoli delle braccia e si accorse che effettivamente aveva la pelle d’oca. -Sempre a lamentarti- si adagiò completamente sopra di lui, che lentamente stava scivolando con la schiena sempre più giù, fino a toccare terra.
-Si staranno domandando dove siamo finiti- azzardò lui.
-Non credo- fu la sua risposta ed Elena si chinò a baciarlo sul collo.
Marhim s’irrigidì d’un tratto, mentre il cuore gli batteva con violenza contro la cassa toracica.
-No, ferma!- disse improvvisamente, fermandola giusto prima che Elena si sfilasse la sua tunica.
-Che c’è?- fece affranta.
-Non possiamo, capisci?- aveva il fiato corto, sembrava terrorizzato. –La setta non lo permette, non possiamo, non…-.
La Dea si sollevò in piedi. –Rhami aveva ragione- rammaricò avvicinandosi al bordo della roccia, dove l’acqua sembrava essersi equilibrata per via della bassa marea.
-Che c’entra Rhami?- balbettò lui affrettandosi a rivestirsi.
Con un immenso senso di rifiuto, Elena si tuffò in acqua e attraversò lo stretto cunicolo che la portò allo sbocco sulla spiaggia. Non attese neppure il suo amico e cominciò ad avviarsi su per la roccia.
Marhim emerse dalla corrente e si guardò attorno. -Elena, aspetta!- la chiamò, ma la ragazza era già troppo lontana per sentirlo.
L’assassino scattò di corsa sulla sabbia e in breve dimezzò la distanza. –Elena, ti prego!- gridò di nuovo, ma nessuna risposta da lei che andava a scalare mutamente la scogliera.
Troppo codardo, le aveva detto Rhami riguardo a Marhim, e lei solo adesso ci credeva. Magari il loro poteva essere vero amore, ma pur di tener fede ai principi della confraternita, Marhim avrebbe rinunciato a lei, ne era certa.
Una volta risalita tutta la parete di roccia, Elena montò fulminea sul suo cavallo e lo spronò al galoppo. Comportandosi in quel modo, fuggendo così da lui, era stata parecchio ingiusta. Marhim le aveva sempre dato ascolto, le aveva sempre detto cos’era meglio per lei, ed ora che lui bisognava di comprensione, Elena gli voltava le spalle.
Raggiunse le porte della città e smontò di fretta dal suo destriero; con grande stupore delle guardie che la fissarono ammutolite, Elena dissellò l’animale e lo legò alla staccionata vicino all’abbeveratoio. Poi lasciò il cortile delle stalle e si avviò verso la fortezza.
Raggiunse il giardino interno della roccaforte e passò oltre l’arena degli allenamenti, ma non appena mise piede nella sala d’ingresso, gli occhi bui neri del suo maestro la inchiodarono con un ginocchio piegato.
La giovane Dea s’inchinò appena. –Maestro- mormorò, e questo le si avvicinò.
-Dove sei stata tutto questo tempo?- domandò irritato.
-Piuttosto voi avete fatto ciò di cui vi siete incaricato?- fece sfrontata.
Altair aggrottò la fronte. –Non ne ho avuto modo. Tharidl ci ha convocati dopo pranzo, vedi di esserci- le disse.
-Di cosa si tratta?- chiese lei tenendo un’espressione neutra in volto.
-Lo vedremo-.

Quella mattina nella mensa c’era una massa ristretta di assassini. Si poteva perfettamente dire che erano quattro gatti per davvero! Elena entrò nella sala e si stupì di trovare, seduta al tavolo vicino alle vetrate, solamente Kamila.
La Dea era sistemata composta sulla sedia con le gambe accavallate. Lo sguardo fiero che pareva assorto nel panorama fuori dalle finestre.
Elena le si sistemò di fronte, e Kamila si girò con cautela verso di lei.
-Ciao- mormorò con voce melodiosa la donna.
Elena gli scoccò un sorriso pacifico.
-Allora, raccontami. Chi era il giovanotto?- strizzò un occhio.
La giovane mordicchiò una fetta di pane di grano duro. –Mio fratello- disse d’un fiato.
-Questo lo sapevo già, e so che ti riferisci a Gabriel. Ma io palavo dell’altro, il maschietto di questa mattina che hai trascinato nella tua stanza- ridacchiò.
Elena quasi si strozzò con il boccone. –Ah, Marhim- proferì roca. –Ma come sai di Gabriel?- deviò l’argomento.
-Tharidl, la rana dalla bocca larga!- rise la bionda.
-Infatti, mi sembrava strano- bofonchiò.
Kamila si fece improvvisamente seria. -Elena, sinceramente non ti conviene. Te lo dico da amica-.
-Adesso di cosa parli?- proruppe irritata.
-Di entrambe le tue storie. Gabriel è bene che sappia di avere una sorella, e con Marhim non ti consiglio di approfondire più di tanto. È per esperienza, fidati- le arrise.
-Esperienza? Ma non era Leila che si faceva gli altri assassini?- sogghignò.
Kamila le lanciò un’occhiataccia. –Abbassa la voce!- mormorò. –Se non ti dispiace, tengo alla mia vita, e se Leila venisse a sapere che qualcuno a parte noi sa di lei e Atef, non vivremmo abbastanza per vedere come andrebbe a finire- pronunciò in un sussurro.
Ovviamente scherzava, vero?… vero?…
-Leila- ripeté Elena. –Sarà lei ad insegnarmi, non è così?-.
Kamila annuì. –Temo di sì, piccola mia, temo proprio di sì-.
Elena rabbrividì -perché temi?-.
La Dea si guardò attorno. –Spero che tu ti sia accorta dei suoi modi di fare alquanto mascolini-.
-E allora?-.
-Se c’è un consiglio che posso darti è di stare lontana dai suoi ganci sinistri- fece una smorfia. –A suo tempo, Leila ed io ci litigammo un bracciale quando avevamo più o meno la tua età. Finì piuttosto male, per me, ovviamente. Da quel momento, lo ammetto, Leila è cambiata ed è sicuramente meno violenta, ma proprio in quella sua giovane età amava sentirsi chissà chi ed essere lodata delle sua forza bruta-.
-Non potrebbe insegnarmi Elika?- balbettò intimorita.
Kamila scoppiò in un’acuta risata. –So come ti senti, piccola mia, ma come Tharidl ti avrebbe detto a breve, io ed Elika raggiungeremo un gruppo di assassini a Damasco per seguire i loro itinerari. Così, per riprendere un poco la mano. Anche una Dea come me ha bisogno di una spolverata, ogni tanto- gioì.
-Che genere di spolverata?- domandò maliziosa la ragazzina.
-Sei ancora troppo piccola per certe cose- rise la bionda, ed Elena stette al gioco.
-Piuttosto, stai in guardia questo pomeriggio, va bene? E tieni fede ai consigli che ti ho dato-.
Elena sapeva si stesse riferendo a Gabriel e Marhim, i due ragazzi che erano entrati a far parte della sua vita per sempre, e i cui volti l’avrebbero tormentata nei sogni e nei suoi incubi se non avesse preso posizione al più presto.

Dopo essersi riempita lo stomaco, Elena si diresse verso lo studio dove era stata convocata dal Maestro. Sulle scale, i suoi occhi sfuggirono a quelli di Marhim che, lanciandole appena un’occhiata, si dileguò in uno dei corridoi.
Aveva sbagliato tutto, ancora, un’altra volta aveva scelto l’approccio sbagliato, ed ora si trovava davvero sola, come in fondo aveva sempre voluto restare. Perché era stata tanto stupida? Perché non aveva dato retta a chi più volte e più volte l’aveva avvertita con un grande e grosso NO? Si sentiva solo una sciocca, quello che era successo nella grotta marina giù al lago era spazzatura, da gettare per sempre nel cesto dell’immenso mai più, nello stesso cesto nel quale era finito Rhami.
Ma Marhim era diverso. I suoi sguardi, i suoi abbracci, già le mancavano da morire mentre percorreva quel piccolo tratto che la separava dalla destinazione. Con quei suoi atteggiamenti intraprendenti nella caverna, Elena aveva messo per sempre una pietra sopra la loro amicizia, e forse Marhim stesso ne era afflitto. Dopo tutto, Elena l’aveva sempre saputo che il fratellone di Halef aveva una cotta per lei. Si vedeva lontano un miglio, insomma… il modo in cui l’aveva guardata negli occhi poche ore prima, la maniera in cui le sue mani le avevano accarezzato la schiena facendole sentire un brivido nel sangue, e come le loro labbra si erano sfiorate appassionatamente…
E poi, era caduto tutto giù dal precipizio. Avrebbe dovuto capirlo che gli aveva solo chiesto troppo. Il loro amore proibito era appena sbocciato, ma più di quando avrebbero avuto il loro primo rapporto, Elena si chiedeva se sarebbe continuato tanto allungo… Marhim avrebbe trovato il coraggio di dirle di no? Di metterla da parte nel momento in cui avrebbe dovuto scegliere tra lei e la setta, nella quale neppure sembrava mostrare grande interesse. Torturarsi in quel modo era inutile, si disse.
Salì due gradini alla volta e si fermò al fianco di Altair, che trovò già ad attenderla di fronte alla scrivania di Tharidl.
All’appello c’erano loro due ma sembrava mancare Tharidl, che come le disse Altair, li avrebbe raggiunti a breve.
-La mia collana posso star certa che ora pende al collo di Gabriel, Maestro?- sbottò lei ad un tratto, con rabbia repressa rimuginata assieme ai ricordi di quella primissima mattinata.
Altair sospirò. –No, sono stato… trattenuto da altro, mi dispiace- mormorò, ed Elena si stupì di tanto scoraggiamento nel suo tono.
-È successo qualcosa?- domandò addolcendo il tono. Doveva per forza essere successo qualcosa, e allo stesso modo di come il suo maestro si preoccupava per lei, la sua allieva si preoccupava di lui.
-Ora non è importante- Altair tornò a fissare il pavimento stringendo i pugni.
-Ma maestro- obbiettò lei. –Non posso vedervi in questo stato, non giova al mio addestramento- rise.
Un sorriso smorzato prese forma sulle labbra dell’assassino. –Quale addestramento?-.
-La formazione e…- divagò con le parole. –e l’apprendimento della mia… autorità- proferì con una faccia da totale deficiente.
L’uomo parve rallegrarsi. –Sì, è come dici tu- sibilò guardando altrove.
Tharidl finalmente si mostrò, comparendo dalle scale alle loro spalle.
-Ma che gioia nel vedervi entrambi così allegri!- il vecchio batté le mani e si sistemò dietro la scrivania.
I due tacquero, attendendo che fosse il Gran Maestro a proferire altro.
Tharidl sembrava allegro quanto loro, eppure Elena e Altair smentirono presto la loro gioia.
-Perché ci avete fatto chiamare?- intervenne il ragazzo.
-Impazienti, eh? Non temete, si preannuncia una stagione invernale ben poco tranquilla per entrambi-.
C’era qualcosa che non sapesse già in quello che Tharidl voleva dirle?! Si chiese.
Il vecchio soffocò d’un tratto il suo sorriso. –Questa sera si discuterà del Frutto. Verrà deciso chi, e dove sarà portato, poiché nell’incontro di cui mi sono occupato in separata sede con alcuni saggi, abbiamo stabilito che è meglio tenerlo lontano da Masyaf, ma tanto meno non distruggerlo e farlo viaggiare da che mondo a mondo. Resta solo da decidere in quale Dimora segregarlo, permettendo al Rafik soltanto di sapere. Alla seduta prenderanno parte i pochi più fidati della cerchia, miei cari, e voi due compresi- gli balenarono gli occhi.
-Non metterete in scena la stessa farsa dell’ultima volta, spero- avanzò Elena.
-Non temere, ragazza, non accadrà-.
-Questa sera?- chiese conferma Altair, e Tharidl annuì.
-C’è altro?- intervenne la Dea.
-Sì, molto altro, ma per proseguire avrei bisogno di discutere privatamente con ciascuno di voi- sospirò il vecchio. –Per tanto, vi congedo dai vostri impegni lasciandovi il pomeriggio libero. Elena, puoi andare- disse.
La ragazza sobbalzò. –Io?- si portò una mano al petto.
-Esatto, va’. Ci rincontreremo direttamente questa sera- proferì calmo.
Elena li salutò entrambi con un inchino e si avviò alle scale.

I bracieri nel cortile erano accesi, per i corridoi della fortezza si diffondeva lo scoppiettare dei carboni nelle torce appese alle pareti. Stormi di neri colombi si appollaiavano sui tetti, mentre le pattuglie delle guardie facevano la solita ronda attorno all’arena. Sopra la fortezza si stagliava un cielo stellato interrotto da una nuvola grigia frammentata, ai lati delle strade della cittadella vi erano ancora le pozzanghere per la pioggia della nottata precedente.
Elena avanzò spedita nel corridoio, e i passi dei suoi stivali risuonavano leggeri sulla pietra del pavimento. Fu quasi per allungare una mano al battente dell’ingresso della sala quando una voce bisbigliò il suo nome, e fu costretta a voltarsi.
-Chi c’è?- domandò lei, ma sapeva con chiarezza di chi si trattasse.
Marhim fece un passo verso di lei avanzando dalle ombre del corridoio opposto.
Elena attese che fu perfettamente davanti a lei.
-Scusa- dissero assieme, ed Elena arrossì sfacciatamente.
-No, è stata colpa mia- assentirono entrambi.
Stufa, Elena gli poggiò una mano sulla bocca facendolo tacere. –Sono una stupida- dichiarò lei, schietta, senza ulteriore indugi. –Non avrei dovuto comportarmi in quel modo, so quanto sei… timido e… fedele al credo, quindi non potevo pretendere quello che non mi avresti mai dato-.
-Veramente!- provò a dire, ma Elena si avvicinò ulteriormente a lui premendo con più forza sulle sue labbra.
-Ti prego, ora non posso. Ne parliamo più tardi-.
Marhim abbassò lo sguardo ed Elena allontanò la mano dal suo viso, sfiorandogli appena la guancia.
-Sì- mormorò lui. –Ho saputo che il destino del Frutto si deciderà questa sera, e tu prenderai parte alla seduta- sorrise fiero.
-In effetti- gioì lei.
-Allora- indietreggiò di un passo. –Allora ne parliamo più tardi- aggiunse.
La ragazza annuì e Marhim sparì infagottato dal buio del corridoio. Poi si voltò e scansò silenziosamente il battente della sala.
Attorno al grande tavolo sedevano una decina di saggi dalla tunica bianca, Tharidl, Altair e nessuno più. Quest’ultimo, accanto, aveva un posto vuoto al quale si sedette immediatamente Elena.
-Era ora- sibilò Altair. –Dov’eri? Sono dieci minuti che aspettiamo te!- digrignò.
-Davvero?- si stupì lei squadrando i volti dei presenti uno ad uno.
-No- ridacchiò Altair, allegramente in vena di scherzi quella sera.
Tharidl, dal capo tavola, si sollevò spostando rumorosamente la sedia, attirando così l’attenzione dei sudditi. –Oggi non vi chiederò, fratelli, di prestare attenzione a me, ma bensì di esporre ogni vostro dubbio affinché questo sia pertinente all’argomento di cui trattiamo, ovvero la città nel quale segregare per sempre il Frutto dell’Eden-.
C’erano delle guardie appostate vicino alle immense vetrate, le quali erano state coperte dagli spessi tessuti delle enormi tende scure. La sola luce era quella dei bracieri accessi per l’evenienza e sistemati attorno al tavolo.
-La nostra gente è perennemente terrorizzata dalla minaccia di subire un nuovo attacco e in maggior forze da parte di chi vuole il potere tutto per sé. Vi sto parlando di un essere spregevole che da suo padre non ha ereditato altro se non la brama di diventare un uomo di estremo prestigio, mentre la sua famiglia si avvicina sempre più al Trono di Gerusalemme. Siamo qui riniti oggi per impedire a Corrado, con l’utilizzo di qualsiasi mezzo, di entrare in possesso del Frutto che egli e i restanti Templari chiamano a gran voce. Al termine di questa seduta, verrete posti di fronte ad un giuramento che vi vincola a mantenere il silenzio nella vostra buona o cattiva sorte. Sono tempi in cui non possiamo permetterci debolezze, ritardi, e ripensamenti- e a quelle parole lo sguardo del vecchio si posò sui due assassini. –Piuttosto, giunge il momento di agire ed impugnare la spada dal verso del manico e colpire il nemico dove è più vulnerabile; o egli potrebbe adottare la stessa tattica su di noi, non trovate?- e un coro di voci si levò dalla cerchia di saggi, che risposero alla domanda assorti con: “sì” “certamente” “avete ragione”.
Tharidl poggiò una mano sul cofanetto al suo fianco. –Questa mattina sono stato informato che una truppa Templare sta battendo le terre a sud ovest nei pressi di Acri. Il nostro Amato Sire teme forse per la propria vita?- ridacchiò, e con lui anche i saggi. –Ma ora basta indugiare. Mi prendo la libertà di stabilire una prima idea. Sono a favore di segregare il Frutto del Peccato nella stessa Damasco. Città affollata di gente, ben protetta dall’esercito di Saladino e lontano dagli occhi indiscreti di Corrado e la sua combriccola-.
Un saggio si levò in piedi. –Non sono di parte, Tharidl. Rammento con ripugno che molti dei più fidati generali di Saladino e i più prestigiosi mercanti di Damasco un tempo facevano parte della Cerchia Templare. Non è così, Altair?- si rivolse all’assassino.
L’uomo col cappuccio seduto accanto a lei annuì. –Posso confermare- proferì contenuto.
Elena si guardò attorno spaesata. –Dov’è Adha?- chiese d’un tratto.
Altair le volse appena un’occhiata, sospirò e ignorò completamente la domanda.
Brutto segno, pensò Elena, e una volta terminata quell’agonia, era ben intenzionata a saperne di più.
-Invece- parlò il saggio vicino alla ragazza. –Sarebbe bene trasferirlo a nord. I nostri alleati di Aleppo ne saranno più che onorati- disse.
-Non si tratta di una questione d’onore!- intervenne furioso un altro vecchio. –Il tesoro andrà trasferito dove meglio è possibile proteggerlo, ma senza destare sospetti!- ruggì.
-Sono d’accordo- fece un terzo. -Ne vale la vita della gente che andrà ospitarlo, e, come sappiamo, portare il Frutto in un luogo troppo affollato non gioverebbe a quei poveri innocenti in caso di un attacco. Consiglio un villaggio contadino alle porte di Beirut. Lì sarà al sicuro, sorvegliato giorno e notte dai nostri compagni di quella città-.
-E bene!- ridacchiò un altro. –Intendete condurre il Frutto nel bel mezzo della Guerra? C’è da considerare che il viaggio deve battere strade non conosciute, e non possiamo rischiare di interferire in troppi accampamenti nemici!- dichiarò austero questo.
-Mi associo- proferì un quinto. –Ma aggiungo di mia ipotesi che potrebbe essere altrettanto sconsigliato segregare l’oggetto in prossimità di mare, cittadelle come Beirut e i loro villaggi vicini sono sì centro di focolari di guerra, ma anche molto esposte ad invasioni-.
La confusione stava sorgendo man a mano che nella conversazione vi comparivano nuove voci, nuovi nomi di città e nuove ipotesi che venivano subito rimpiazzare da quelle successive. Il caos divampò nella sala ben presto, e Tharidl rimase in disparte anche questa volta.
Elena sbuffò voltandosi a guardare il suo maestro.
Altair taceva, assorto in chissà quale dei suoi pensieri. Vederlo così chiuso in sé stesso, così distratto e affranto ad Elena sorprendeva molto, e in quel momento si accorse di un nuovo Altair che non aveva mai visto: schivo, malinconico, e tristemente umano.
-Hama! È a pochi giorni di viaggio da qui ed è ben celata tra le montagne almeno quanto questa fortezza!-.
-No, tacete! Quella città imperversa di malanni a malattie, facile preda di assalti epidemici! Sappiamo bene che molti degli assassini che la abitano muoiono giovani!-.
-Assurdità! Io provengo da Hama, e sono sano come un pesce a 56 anni!-.
-Fermate le vostre inutili chiacchiere. Proprio per la troppa vicinanza a Masyaf, Hama viene scartata. Qualcuno offra di meglio!-.
-Per piacere, non siamo mica ad un’asta!- sbottò scocciato qualcuno.
-Potremmo tentare fuori dal continente. Forse lontano da questa terra maledetta da Dio, il Frutto potrebbe essere maggiormente al sicuro- propose qualcuno d’intelligente, pensò Elena.
Gli occhi della ragazza saettavano da un volto all’altro, a seconda di chi prendeva la parola.
-Menzogne! Ci sarebbe impossibile controllare che sia così! Piuttosto, non esiterebbe nessuno ad usufruirne scomparendo poi dalla faccia del pianeta!- rise un saggio.
-Ricapitolando- delimitò il più giovane tra i vecchi. –Stiamo cercando meta distante ma non troppo. Così da assicurarne controllo, ma distanziarlo il sufficiente necessario per non instaurare alcun genere di contatto. Il posto che menzioniamo non esiste! Dio solo lo sa!-.
-In Paradiso, allora- Altair fece la battuta, e attorno al tavolo scoppiarono le risate.
Elena accennò un sorriso.
–Sarebbe un bene, ma qualcuno di voi sa dove si trovi questo Paradiso?- domandò un saggio, e i presenti si rallegrarono di nuovo.
-Tornando a noi- parlò un vecchio. –Mi sembra di capire che non siamo molto d’accordo, Fratelli- unì le mani poggiandole sul tavolo.
-Dovremmo cominciare col delimitare una zona precisa nella quale volgere le nostre attenzioni- suggerì un altro.
-La Siria è più che pronta a sopportare questo fardello. All’estero imperversano già abbastanza guerre- parlò qualcuno.
-Così isoliamo la nostra alle regioni esterne, non lasciandoci il modo di avvicinare le nostre scelte a città come Gerusalemme o Aleppo-.
-Non siamo costretti mica a prendere in considerazione ogni singolo villaggio popolare!- sbottò un saggio.
-Ma il tempo ci è prezioso, questa sera, e non possiamo indugiare per poi pentircene. Gerusalemme è fuori portata dai nostri raggi d’azione-.
-Anche se- cominciò Altair, ma Tharidl prese la parola bruscamente.
-Malik non è abbastanza forte per sopportare questo peso. Egli manca di un braccio e in caso di attacco, di nostri assassini in quella Dimora ce ne sono già troppi pochi. Escludiamo questa possibilità- proferì il Gran Maestro, e alle sue parole la sala tornò nel silenzio.
-Basta, io getterei fuori dalla nostra attenzione qualsivoglia Dimora. Sarebbe bene celare il Frutto in una delle Sedi centrali a sud, oltre la Città Santa. In Egitto si occuperebbero con dedito rispetto della questione- intervenne un saggio.
-Egitto?- ripeté un vecchio. –Quale scelta più ovvia?- si guardò attorno.
Questi si ammutolirono, e con loro anche Elena fu sorpresa di tale ipotesi, denunciata ovvia, per di più. Cosa c’era in Egitto che assicurava ai Fratelli della Confraternita sogni tranquilli? Si chiese.
Negli occhi di Tharidl balenò una scintilla.
-Stolti che siamo!- ruggì il giovane accorto. –Come non abbiamo fatto a pensarci subito?!-.
-Sembra assurdo, non è così?- gli diede una gomitata un uomo.
-Insomma- il ragazzo si girò a guardare i volti dei seduti al tavolo. –Il Cairo gode di un’ottima nostra sorveglianza, dopotutto. Non siamo certo dediti ad affidare il Frutto nelle mani di quella città, ma attorno ad essa vi sono varie delle nostre sedi!- disse meravigliato.
-L’Egitto- un vecchio assaporò quel nome. –Patria della cultura e madre delle civiltà- proferì.
-Sono di parte! In Egitto andrebbe benissimo, e i nostri discepoli ne saranno onorati!-.
-Ancora con questo onore?!-.
-Diceva per dare Patos, fratello, patos…-.
-Ovvio, l’Egitto! Mi associo -.
-Che la Biblioteca di Alessandria risorga dalle ceneri! Dio e me sono con voi, fratelli!-.
-Ottima decisione. Sembra possibile come mossa: la nostra parte è quella migliore di tutta la scacchiera- gioì un altro.
-Precisamente, dato la moltitudine di alleati in quelle terre, ove desiderereste porre l’oggetto in questione?- domandò qualcuno ancora dubbioso.
A quel punto nuovo silenzio divampò attorno al tavolo, mentre gli occhi si puntavano uno ad uno su di loro, ed Elena si strinse nelle spalle.
-Angelo e Dea, chiediamo il vostro parere. Non siete qui a riscaldar la sedia- rise un vecchio.
Altair alzò il mento dal petto e si voltò verso di lei. –Allora?- chiese.
-L’Egitto?- Elena si guardò attorno, mentre un nodo alla gola senza pari le stringeva la carotide. –Egitto- ribadì alla svelta, pur di levarsi il peso dallo stomaco. Non aveva idea di perché i saggi lì dentro fossero tanto favorevoli a quella destinazione, ma tanto valeva allearsi alla maggioranza, pensò.
-La Dea parlò. E voi, Angelo?- sorrise un altro.
-Sono di parte- dichiarò composto Altair, con tono pacato e neutrale.
Elena gli lanciò un’occhiata, e Altair incontrò i suoi occhi azzurri. –Piantala di fissarmi- sibilò a bassa voce, e la Dea arrossì d’imbarazzo. Probabilmente se n’era accorto che era dall’inizio della seduta che lo guardava con chissà quale espressione da demente in faccia.
-Maestro- chiamò un saggio guardando il vecchio a capo tavola. –Questa decisione che abbiamo preso ci mette d’accordo; ora è la vostra parola a mancarci- disse.
Tharidl si riscosse e poggiò i gomiti sul tavolo congiungendo le mani a mezz’aria. –Sono pienamente d’accordo. Di questi tempi non vi è posto migliore. Ma rimane da stabilire in quale precisa area situare il nostro beniamino-  mormorò assorto, e un istante dopo fece schioccare le dita.
Una guardia scomparve dall’ingresso della sala di corsa, ma tornò subito dopo con in grembo una moltitudine di testi e pergamene recuperati dalla biblioteca. Si avvicinò al tavolo e distese su di esso le carte geografiche e i tomi. Poi tornò accanto alle vetrate, riacquistando rigidezza al suo posto.
Elena si allungò in avanti e diede una svista alla mappa ben dettagliata del territorio egiziano. Il fiume Nilo era una sottile linea che costeggiava il bordo della carta, mentre il deserto africano prendeva piede per gran parte del territorio.
-Le nostre sedi principali si annidano nella piana attorno a Faiyum. Ed è lì, in quei terreni, che il Frutto sosterà-.
-Intendete, Maestro- intervenne un saggio. –Far viaggiare repentinamente il Tesoro dei Templari da una cittadella all’altra nella piana?- chiese.
Tharidl annuì.
-Mi sembra più che conveniente- proferì un vecchio.
-E in caso…- intervenne un altro, ma il Gran Maestro fece tacere i suoi dubbi precedendo la domanda.
-In caso che qualcosa vada storto, i Falchi riceveranno ordine immediato di recarsi a Nazla e di sostare tra le braccia dei nostri alleati egiziani. Non è certo per ripicca, ma credo che tenere il Frutto in movimento sia comunque conveniente. I miei occhi hanno assistito a fin troppi tradimenti- mormorò severo.
-E sia!- vociarono assieme i saggi.
Dopodiché, i vecchi della cerchia si apprestarono a decidere tappa per tappa la strada più breve e intricata, ovvero celata, per far giungere intero il Frutto a destinazione.
-Insomma- sopirò Elena. –Abbiamo parlato anche troppo- ridacchiò, e Altair allungò le labbra in un sorriso.
-Effettivamente, Tharidl poteva anche risparmiarti questa tortura- le disse guardandola.
-Già- sbadigliò portandosi una mano davanti alla bocca.
-Puoi andare; qui me la cavo anche da solo- mormorò serio.
Elena aggrottò la fronte. –Ma veramente…-.
-Siamo tornati da Acri per farti riposare, ma mi sembra di capire che in questi giorni si sono susseguiti avvenimenti alquanto strazianti- rise.
La ragazza, senza parole, cominciava a preoccuparsi. –Come mai tanta premura da parte vostra, se posso chiedere?- fece maliziosa.
-Lo devo ad una persona…- fu la sua risposta, e l’assassino distolse lo sguardo.
Dopo qualche istante di silenzio tra i due, mentre attorno armeggiava la confusione del parlottare dei saggi, Elena si alzò piano dalla sedia.
-Grazie- disse, e si allontanò dal tavolo.
Tharidl sollevò gli occhi dalle carte e la guardò andar verso le porte della sala, poi Elena varcò la soglia e il rumore delle voci dei saggi l’accompagnò fin sulle scale.

La Dea afferrò Halef per un braccio e lo tirò di fronte a lei nell’ombra di una colonna.
-Uh, uh- fece lui. –Una cosa seria?- mormorò malizioso.
-Smettila, oggi non è giornata- sbottò la ragazza affondando le unghie nella sua pelle.
Lo sguardo del giovane si fece meno arrogante. –Marhim non mi ha detto molto: dove siete stati questa mattina?-.
-Fatti gli affaracci tuoi!-.
-Sei stata tu a trascinarmi qui! Me ne stavo andando bello tranquillo per la mia strada e…-.
-Dimmi dove posso trovarlo-.
-Veramente lui mi ha chiesto la stessa cosa esattamente dieci minuti fa, credendo che il torneo di scacchi coi vecchi fosse finito da un pezzo!- confessò.
Elena gli lasciò il polso. –E dove si trova ora?- chiese severa.
-Allora è qualcosa di davvero serio! Dea, non scherzare col fuoco! Mio fratello sa essere molto bollente- sibilò.
Elena gli diede una gomitata, e il ragazzo si piegò dal dolore. –Parla; ti avevo avvertito che oggi non è giornata, e sono anche parecchio stanca- proferì.
-È andato verso le scale, è salito fino al terzo piano e oltre! Ti posso giurare che stava venendo a cercarti nelle tue stanze!- strinse i denti massaggiandosi il punto colpito sul fianco.
-Grazie- sorrise e s’incamminò.
In breve, quasi di corsa, Elena raggiunse il corridoio degli appartamenti degli Angeli e proseguì percorrendoli tutti. Una volta nella saletta nella quale si arrampicava la scala a chiocciola che portava nelle camere delle Dee, la ragazza si sorprese di trovarvi Marhim.
L’assassino era seduto su uno sgabello accanto ad una delle finestre aperte. I gomiti poggiati sulle ginocchia e lo sguardo basso, mentre i capelli arruffati gli ricadevano sul volto celandogli gli occhi irradiati dalla luce della luna.
-Marhim- lo chiamò, e il suo sguardo color nocciola la trafisse nel più profondo del cuore.
Il ragazzo scattò in piedi all’istante. -Alla buon ora! Non pensavo che…-.
Elena non gli lasciò il tempo di aggiungere altro, avvicinandosi a lui con un balzo e premendo inaspettatamente le labbra su quelle di lui.
Fu un bacio lento, silenzioso come il primo; entrambi spaventati da cosa sarebbe successo dopo o cosa sarebbe semplicemente potuto succedere. In quella saletta angusta d’ingresso alle stanze delle Dee erano esposti, a rischio di sviste indiscrete e pettegole che non avrebbero esitato a confabulare alla prima occasione.
Quando si staccò da lui per riprendere fiato, Elena temeva di conoscere la sua reazione. Così tenne gli occhi chiusi finché non fu certa che qualcosa era andato storto.
Li riaprì lentamente, accorgendosi del modo estasiato con il quale la guardava Marhim. A quel muto discorso, Elena rispose avvolgendogli il collo con le braccia e avvicinando la bocca al suo orecchio.
-Vieni di sopra con me… per favore…- sussurrò, e percepì un brivido assurdo attraversare il corpo rigido del giovane assassino.
-Elena, non lo so- rispose lui incerto, tentando invano di stanziarsi da lei, ma Elena fece aderire meglio il corpo a quello di lui.
-Ti prego- mormorò lei con le labbra poggiate sul suo collo.
-Va bene- acconsentì in fine con un gran sospiro.
Elena intrecciò le dita delle loro mani e lo tirò fino al piano di sopra. Alzandosi sulle punte, si guardò attorno constatando il più nero silenzio per gli appartamenti femminili, quindi proseguì spedita fino alla sua stanza da letto; aprì e richiuse la porta alle loro spalle, e quando si voltò, trovò Marhim immobile al centro del pavimento.
-Non possiamo farlo- disse serio. -Non dobbiamo farlo- ribadì con stesso tono.
Elena aggrottò la fronte. -Ho capito quali sono i miei e i tuoi limiti - proferì avvicinandosi. –E non ti ho portato qui per questo-.
-Ah no?- inarcò un sopracciglio, d’altro canto parve rilassarsi a quelle parole.
La ragazza si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. –No, vorrei semplicemente… che tu dormissi con me, soltanto questo- un leggero colorito purpureo affiorò sulle sue guance; un’immensa fatica le era costata pronunciare una cosa del genere.
Marhim indietreggiò. –Ne sei sicura?- chiese.
-Sì, non devi preoccuparti. Non mi farò prendere dai miei istinti omicidi nel sonno, stai tranquillo- sorrise cominciando a spogliarsi della cintura di cuoio e i lacci sulle spalle, adagiando il tutto sulla scrivania accanto alle armi.
Marhim, titubante, fece altrettanto slacciandosi dalla vita il fodero della spada, gli stivali e privandosi della parte formale della veste; restando solo con i pantaloni e una canottiera di cotone.
Per farlo sentire meno in imbarazzo, Elena distolse lo sguardo e si infilò il pigiama il più in fretta possibile mentre lui era impegnato con l’occuparsi dei suoi abiti. Li sistemò ordinatamente in un angolo della stanza sopra una sedia. Poi il ragazzo sedette sul lettuccio opposto e fece per stendersi giù, quando Elena gli andò incontro.
-Ma che fai?- ridacchiò; gli afferrò i polsi e lo tirò in piedi, guidandolo fino al letto nel quale lei aveva sempre dormito.
-Staremo un po’ stretti, non trovi?- provò a dire, ma Elena lo spinse giù e Marhim si sdraiò sotto le coperte con la schiena alla parete.
Elena s’infilò nel piumino al suo fianco e si strinse al suo petto. –Ma che dici- mormorò cercando di accogliere tutto il calore del suo corpo.
Marhim, dal solito tozzo di legno che era, si rilassò in breve e, quando Elena stava ormai per chiudere occhio, le poggiò una mano su un fianco, accarezzandole il lembo di pelle che la camicia di seta aveva tralasciato prima del laccio dei pantaloni.
Elena si avvinghiò più stretta a lui, e Marhim fece scorrere le dita delicatamente fino al bendaggio candido, lì su quel fianco dall’inizio del mese.
-Ti fa ancora male?- domandò in un sussurro.
-No- assentì flebile lei, e il tepore del sonno l’avvolse allo stesso modo di come il calore del sangue di Marhim le riscaldava la pelle.
Senza pensarci, Elena intrecciò una gamba a quella del ragazzo, che a quel contatto non si fece per nulla intimidire.
Ripensando alla sua domanda di poco prima, Elena si disse che ormai molte delle sue ferite si erano rimarginate del tutto. Da tempo.
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Che dire? Chappo intenso e pieno di emozioni!!! Mi stavo per mettere a piangere per quanto riguarda la storia finita male tra Adha e Altair, storia che, pensandoci, non era mai cominciata. devo ammettere che all’inizio era stata allettante l’idea di fargli, scusate il termine, “scopare” nella caverna; che freddo! Mi vengono i brividi solo a pensarci! E poi come prima volta sarebbe sembrata piuttosto eccessiva. No, mi sono detta, meglio rallentare la corsa e infatti, come avete avuto modo di scoprire, i due piccioncini si sono lasciati sfuggire anche quest’occasione. Pensandoci, non avrebbero poi potuto fare tanto trambusto dato che nelle stanze accanto dormono le tre comari!!! XD Per quanto riguarda la scelta di dove trasferire il Frutto… be’, quella ci voleva. L’Egitto! E chi se l’aspettava!!! Mi sono improvvisata tutto sul momento, e dato che mia nonna è tornata da poco da El Cairo XD Tutte le città menzionate in questo chappo esistono. Piuttosto! Mi scuso per questo mio gravoso errore, ma Alhepo non si scrive così!!! Ma così: Aleppo!!! Sono una totale deficiente, lo so, ho inventato una città che non esiste. Comunque, mi riferisco ad Aleppo perché alcuni chappo prima Halef, Adel e un gruppo di assassini sono diretti lì per un itinerario, mentre Marhim si unirà a loro dopo aver scoperto lo “scandalo” di Elena e Rhami la notte prima che lei partisse per Acri!!! Che soap-opera che sto mettendo su, mamma mia!!! Ed ora, che cosa succederà??? Bho!!! XD
Nonostante ciò, spero che come chappo vi sia piaciuto.

Sento il dovere di elencare ancora una volta i coraggiosi che si sono avventurati nella mia ff nella buona e nella cattiva sorte.

Saphira87
goku94
Lilyna_93
Carty_Sbaut
Angelic Shadow
Assassin
Diaras

Hmm… … … …

Ah, ecco! Ciao! XD non mi veniva!!!








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Capitolo 40
*** Un Falco negli occhi ***


Un Falco negli occhi








La seduta terminò a notte fonda.
Lentamente, i saggi si alzarono da attorno al tavolo e si scambiarono le ultime strette di mano tra fratelli; il giuramento si era appena concluso, e Altair aveva ancora la bocca impastata di quelle parole tanto cariche di responsabilità.
Il Frutto dell’Eden, sigillato nel cofanetto di legno affianco al vecchio Gran Maestro, sarebbe partito per l’Egitto quella sera stessa.
Tharidl si sollevò dal suo posto e passò una mano sul legno intarsiato del baule. –È fatta- mormorarono le sue labbra fine, poi i suoi occhi incontrarono quelli dell’assassino, e Altair sollevò il mento dal petto.
Quando la sala si svuotò del tutto, lasciandovi al suo interno solo le guardie, il ragazzo sospirò e scansò la sedia. Raggiunse Tharidl che stava parlottando con l’ultimo saggio restante e attese che la loro conversazione finisse.
-Due giorni per varcare il confine. E quattro per raggiungere il centro abitato- proferì Tharidl assorto.
L’altro vecchio annuì. –Siamo convinti che un maggior supporto armato possa giovare- suggerì questo.
-Fino ad un certo punto. Vorrei che piuttosto che combattere, i Falchi traversassero nell’anonimato. Qualche uomo di più sarebbe sufficiente ad allertare ad una distanza di un chilometro. Le lande desertiche e le tempeste di sabbia saranno loro di aiuto- dichiarò in fine.
Il saggio proferì un inchino contenuto, si voltò e scomparve nel buio del corridoio.
Tharidl fece un segno si assenso ad una guardia dal cappuccio grigio, e questa si apprestò a venirgli incontro. Strinse le mani attorno al cofanetto e lo sollevò dal tavolo.
-Va’, e portalo ai Falchi nelle scuderie. Ma di’ loro di attendere la mia venuta prima di partire. Ci sono alcuni punti che tengo chiarire sul viaggio- disse Tharidl porgendo ad una seconda guardia una mappa arrotolata, nella quale il Gran Maestro stesso aveva tracciato la strada da percorrere per giungere a Faiyum in sei giorni massimo di cavallo.
Altair chinò il capo attendendo che tutte le sentinelle avessero lasciato la sala.
-L’Egitto?- domandò ad un tratto l’assassino, quando Tharidl sollevò lo sguardo su di lui.
-C’è qualcosa che ti turba? Avresti dovuto parlare prima, ragazzo- commentò l’uomo.
-No, nulla m’inquieta se non il fatto che tutta questa gente sa dove e come il Frutto raggiungerò la città- sbottò.
Tharidl allungò le labbra in un sorriso. –Non devi preoccuparti di questo, Altair. I saggi che hai veduto oggi sono i miei più cari discepoli, gli unici che mi sostenerono nella scelta di far tornare le Dee nella confraternita e gli stessi che presero con me la decisione di affidare a te la giovane Elena- disse tranquillo.
-Be’, ora le vostre scelte sono infondate. Ho perduto Adha per sempre ed Elena è colei cui sono più legato. Se permettete, potrei non risultare l’uomo tanto affidabile che credete- ridacchiò.
Tharidl lo prese sottobraccio. –Non ne dubito, ma vederti in vena di scherzi mi rallegra, sai- dichiarò.
-Altrettanto, Maestro-.
-Dimmi, Altair, cosa è cambiato in te in questi ultimi giorni. Se non la partenza di Adha, già da prima che ella ti rinfacciasse la verità notai in te insoliti atteggiamenti. C’è qualcosa di cui vorresti parlarmi?- domandò armonioso.
Altair si scostò piano da lui. –Veramente, non c’è una ragione precisa per la quale mi sento così. Anche se… era come se l’avessi sempre saputo, Tharidl. Di Adha, intendo. Come se l’avessi sempre sospettato ma che in tutti questi mesi l’avessi negato a me stesso-.
-Hmm- Tharidl si adombrò. –Sei sicuro si tratti di questo? E in che modo avresti voluto celarti la verità, scusa?-.
Altair scosse la testa. –Non lo so. Sono ancora confuso, e da oggi avrò ulteriore tempo per pensare e dissociarmi oltremodo-.
-Ed è un male?- si stupì Tharidl fissandolo.
-Ovviamente- brontolò l’assassino.
Tharidl sospirò. –Altair, non ti costringo certo a restartene con le mani in mano. Chiedimi pure un drappello di assassini e ti lascio libero accesso alle Dimore! Ho creduto che il riposo ti avrebbe fatto bene, che Leila avrebbe potuto occuparsi della tua allieva nel frattempo cui avresti necessitato di riflettere. Ma se è l’azione che cerchi, se è una mente assorta che vai chiedendomi, ti basta esporre, caro figlio- assentì.
-Leila- ripeté quel nome, disprezzandolo come il gusto penetrante di una caramella amara.
Il Gran Maestro congiunse le mani dietro la schiena. –Leila saprà preparare a dovere Elena per ciò che l’attende-.
-Perché lei sì ed io no?- domandò scocciato il ragazzo. –Non capisco quale differenza tendete a sottolineare tra una Dea e un Angelo ora che ad esse certe mansioni sono state revocate!-.
-Non hai tutti i torti, Altair- parlò composto il vecchio. –Ora che le differenze si assottigliano, non ho motivo di prediligere una certa qualità di addestramento per Elena, che già com’è andrebbe benissimo per ciò che l’attende. Ma per lei ho riservato un genere di responsabilità ben maggiore di quanto tu possa immaginare- lo guardò nel profondo delle pupille.
Altair sgranò gli occhi. –Non avrete intenzione di…-.
-Mio carissimo, la rabbia può scaturire malanni, lo ammetto, ma imparando ad essere gestita, essa può rivelarsi l’arma più potente. In Elena bolle quella rabbia, la vendetta che la porterà al compimento della sua missione-.
-È troppo inesperta: nell’evenienza di un frangente non calcolabile, non saprebbe cavarsela!- digrignò. –Vorreste mandare al patibolo una povera ragazzina?-.
-No, e questo è certo- Tharidl si sedette sul bordo tavolo, le mani poggiate in grembo. –Per allora Elena sarà sufficientemente pronta perché tu le insegnerai ciò che le rimane da apprendere. Leila terminerà presto le sue nozioni, lo sento. Elena apprenderà in fretta da lei, ne sono più che sicuro, e prima del nuovo anno potrete recarvi…-.
-Se si scontrassero di nuovo, Corrado non avrebbe pietà!- lo interruppe Altair. –Rammentate che solo per mea fortuna la salvai dalla prigionia. Se Corrado fosse stato meno egoista e più contenuto, a questo punto Elena sarebbe ancora rinchiusa nelle celle del suo forte ad Acri. Se egli non avesse usurpato il potere del Frutto senza prima essere capace ad usarlo, ora lei non sarebbe qui!-.
-Non lo nego! E devo dire che la scelta di Corrado di non toglierle la vita mi ha lasciato alquanto perplesso, ma chi può dire cosa si annida nella mente di un pazzo?- alzò gli occhi al cielo.
-Ebbene? Vorreste che una volta terminati gli insegnamenti di Leila, fossi io ad occuparmi di Elena? Di nuovo?- domandò stupito.
Tharidl annuì. –Posso star tranquillo, vero?- rise.
Altair mostrò la sua gioia in un improvviso sorriso. –Ve l’ho già detto. Non sono più l’uomo affidabile che credete io sia-.
-Mi domanda che cosa ti stia passando per la testa ora- mormorò il vecchio.
-Perché vorreste saperlo? E comunque, con l’uso del Frutto ne sareste in grado- sibilò scherzoso.
Tharidl scosse la testa. –Sarà meglio che tu vada; si sta facendo tardi- brontolò avviandosi.
-Veramente- fece Altair seguendolo. –Avrei voluto accompagnarvi fin nelle stalle, se posso. Non mi sento ancora dovuto a prender sonno- confessò.
-Bene, nessuno ti vieta di giunger nelle scuderie con le tue gambe, ragazzo- proferì armonioso.
Tharidl e Altair s’incamminarono verso le scuderie ai piedi della città.
Sopra Masyaf si stagliava un meraviglioso cielo stellato irto delle costellazioni dell’inverno.
Alzando il mento per osservare quella meraviglia, Altair chiese: -Maestro, perché l’inverno tarda ad arrivare?-.
Proseguivano a passo lento e tranquillo, attraversando la quiete di Masyaf e le sue strade inumidite dalla pioggia.
Tharidl raccolse le mani dietro la schiena seguendo lo sguardo dell’assassino.
-Tante cose sono state posticipate in questi mesi, e Madre Natura si è semplicemente adattata ai nostri ritardi- sospirò il vecchio.
-Non ne dubito, ma cosa abbiamo sbagliato?- chiese ancora il ragazzo.
-Ah!- rise Tharidl. –Il primo anello della catena non si trova in questa parte della storia, che deve ancora essere scritta- proferì compiaciuto.
-State facendo riferimento alla Guerra, Maestro?- si stupì lui.
-Sì e no- fu la sua risposta pacata, e Tharidl gli volse un’occhiata sorridente. –Siamo stati coinvolti, risucchiati in questo circolo vizioso il giorno in cui Adamo non trattenne la mano di Eva-.
-L’avidità di quella donna non aveva pari- ridacchiò Altair, e con lui anche il Gran Maestro.
-Sì, è possibile che l’uomo a quei tempi dovesse ancora sperimentare molte delle sensazione umane. Eva fu la prima, ma dopo di lei… altri, tanti altri- fece grave, afflitto.
-Siamo macchiati dei peggiori peccati di questo mondo. Perché Dio non ci fulmina tutti e ricomincia da capo?- rise.
-Altair, il mondo non è un puzzle. Se mancano alcuni pezzi, non si butta via e se ne compra uno nuovo- lo riprese il vecchio.
-Non dico questo- mormorò lui.
-Dimmi, Altair- lo chiamò Tharidl, e l’assassino sollevò il capo. –Perché rinunciasti all’incarico di Maestro? Quando fu la tua mano a strappare il Frutto alle dita di Al Mualim e a togliergli la vita, perché ti facesti da parte?- domandò assorto, pensoso come se stesse cercando già una risposta.
Il ragazzo si prese tempo prima di parlare. –All’epoca non mi sentivo neppur sicuro di voler continuare a servire questa setta- proferì grave.
-Come mai?-.
-Non c’era valore in quello che avevo fatto, e credevo mi sarebbe stato impossibile trovarlo in futuro- ammise. –E chissà dove trovai la forza- sospirò.
-In Adha, forse?- suggerì Tharidl commosso.
-Forse- ribadì Altair. –Ma in che modo avrebbe cambiato la mia prospettiva? Alla morte di Al Mualim, non sapevo cosa mi sarebbe capitato se avessi accettato il mio destino, ovvero la carica di Maestro. Ma solo ora mi rendo conto che è stata una scelta più che saggia-.
-Mi lusinghi, dicendomi questo- disse il vecchio.
-Ma è la pura verità. Anche se spesso siamo in disaccordo, anche se delle volte può capitare che voi abbiate torto ed io ragione, anche se delle volte i vostri gesti mi paiono infondati e assurdi, anche in quelle volte non mi pento della mia decisione. Ed ogni giorno che passo ad insegnare a quella ragazza che sta diventando donna, mi sento sollevato da ogni mio peccato. Nel trasmettere ad Elena ciò che mi ha reso quello che sono oggi, mi sento sollevato, consapevole che su di me pesa la responsabilità di una vita innocente… ora capisco come vi sentite, voi che trasmettete il sapere ad altri e me compreso. Voi che gravate su di me lo stesso tenore, la stessa gioia nell’insegnare ad altri ciò che è più prezioso di una vita passata ad ammazzare la gente. A riguardo…- abbassò lo sguardo. –Mi domando in che modo saprò istruire Elena fino a quel punto da non temere il vuoto negli occhi altrui, il bianco della pelle e il respiro assente…-.
Tharidl tacque, e Altair proseguì indisturbato.
-Questo è il dubbio che mi assilla. Potrei fallire, potrei non riuscire come credete, ed Elena verrebbe solo aggravata da un una forza maggiore chiamata coscienza! Non voglio che quella ragazza soffra per mano mia. Non l’ho mai voluto, e sto cercando di evitarle tutti i dispiaceri possibili. Eppure… non riesco, sbaglio sempre qualcosa! Ditemi che cosa ne pensate, Maestro. Mi serve sapere cosa credete che sia, se un pazzo o un folle- mormorò affranto.
Il vecchio si passò una mano sulla barba. –Non credo ci sia molta differenza tra l’uno e l’altro, ma analizzando il contesto che mi ha posto, credo di poter delimitare un netto confine tra i due tenori-.
Altair lo guardò sbigottito, e Tharidl allungò le labbra in un sorriso lodevole. -Il pazzo è colui che nella mente vede ciò che vorrebbe fosse la sua vita, colui che perseguita il suo mondo e, in maniera totalmente passiva, lo trasmette a parole; ciarlatano per le strade e mordendosi le carni non riesce a sopportare la realtà nettamente in contrasto con ciò che costui s’immagina. Il folle, al contrario, è colui che fugge alla realtà e spera in una dimensione differente delle cose. Egli immagina la perfezione e vuole perseguirla in un modo violento o meno. Fatica, dolore, sacrificio animano lo spirito del folle, e Altair, in te vaga tutto ciò- dichiarò austero. –Devo solo trovare rimedio alla confusione che non deve lasciar a piede libero nessuno di questi tre sensi. Non ti sto imponendo le fatiche dell’altro mondo, non voglio ce tu soffra il dolore delle mille vite che hai stroncato, e non chiedo a te alcun tipo di sacrificio-.
-Grazie, Maestro. In futuro, da oggi in avanti, comprenderò meglio quali sono i miei dubbi e saprò affrontarli-.
Tharidl guardò dritto davanti a sé. –Sono contento che delle volte tu non ti ponga sul mio stesso piano, Altair- pronunciò.
L’assassino chinò il capo. –Fin ora ho compreso male, ma vi prometto che sosterò al meglio nelle mie vesti. Sono un assassino come un altro, dopotutto-.
-Lieto di sentirtelo dire-.
-Vi chiedo perdono se delle volte…-.
-Ti ho già perdonato-.
-Quando?-.
-Molto prima che ti ponessi questa domanda-.
Raggiunsero le scuderie in breve.
I Falchi, coi loro mantelli bianchi e il cappuccio a celargli il volto, li attendevano all’interno dei box per i cavalli.
Altair e Tharidl li raggiunsero che stavano controllando le ultime cinghie delle selle, ed uno di loro si voltò, mentre l’altro stringeva i lacci che tenevano il cofanetto di legno nascosto sotto le bisacce.
-Maestri- s’inchinò questo ad entrambi. –Siamo pronti a partire- disse serio.
I Falchi erano due precedenti assassini che avevano scelto di perseguire quella causa alla morte di Al Mualim. Erano un quarantenne vissuto che quando ancora praticava nella setta, un tempo Altair aveva anche conosciuto, e un ragazzo dall’aspetto giovane che negli occhi aveva qualcosa di familiare, si disse, ma che durante i mesi non aveva mai guardato sotto il cappuccio. L’identità dei Falchi era tenuta nascosta ai membri della Confraternita per il solo fatto che molti assassini soffrivano di spudorata gelosia cronica. Un tempo, persino Altair aveva desiderato di indossare quella mantella bianca e viaggiare da parte a parte del Regno consegnando di giorno in giorno il Frutto nelle mani dei Rafik del posto. Un’onorevole uomo per un’onorevole causa, si diceva.
-Non ne dubito, ma vi ho fatto trattenere per esporvi alcune tematiche di cui avrei voluto discutere in privata sede- proferì Tharidl, e l’altro Falco si girò a partecipare.
-Illuminateci- disse il più giovane, e improvvisamente, dopo il suono di quella voce, gli fu tutto chiaro.
Altair fece per avanzare, ma Tharidl gli scoccò un’occhiataccia che lo inchiodò alle sue spalle, così l’assassino indietreggiò.
-Sulle coste orientali del fiume Nilo si sono accampati da poco alcuni nostri fratelli. Molti di loro sono feriti dopo il loro ultimo incarico e vorrei che vi occupaste di costoro, se vi sarà possibile trovarli- annunciò Tharidl.
-“Se”?- domandò il Falco giovane.
Altair cercò di scrutare oltre l’ombra del suo cappuccio, ma la notturna della notte non era d’aiuto.
-Vi prego di non considerare questa mia richiesta come un ordine. Essi si trovano in balia di alcuni soldati, e non vi impongo certo di andare in contro a morte certa dato l’oggetto che vi è stato affidato. Rammentate che il Frutto deve raggiungere Faiyum qualsiasi cosa succedeva, chiaro?-.
I due annuirono, si voltarono e montarono in sella accorciando le redini.
Il primo lasciò al trotto composto le stalle e Tharidl uscì con lui.
Altair si parò di fronte al cavallo del più giovane e ne afferrò le briglie. –Fermatevi, voi- sbottò.
Il Falco osservò mutamente sbigottito l’espressione seria dell’assassino, poi balbettò. –Cosa vuoi?-.
-Scopritevi il volto, solo un istante- disse.
-Cosa?!-.
Altair si cacciò una mano nella sacca attaccata alla cintura e trasse da essa la collana della sua allieva. Strinse un attimo la catenella tra le dita, poi la sollevò davanti al naso del ragazzo.
-Questa- proferì grave. –Questa è vostra, o mi sbaglio?- digrignò.
Il Falco si abbassò il cappuccio liberando la chioma mielata, e i suoi occhi grigi balenarono riflettendo nelle pupille la sagoma perfetta del ciondolo. –Dove… chi…- mormorò confusamente, e la sua presa dalle redini si allentò.
Gabriel rivolse il palmo verso l’alto e Altair lasciò scivolare la catenella nella sua mano.
Il ragazzo fissò il ciondolo commosso, ma quando il suo sguardo tornò dove un tempo c’era stato l’assassino, si stupì di non trovarvi nessuno.
Altair si era dileguato nel buio della notte, abbandonando la scuderia e fuggendo tra le ombre.

La luce affiorò ai suoi occhi lentamente, mentre prendeva coscienza di un freddo intollerabile sul suo corpo. Le venne improvvisamente la pelle d’oca, e le sue iridi azzurre si spalancarono di colpo, mentre le coperte scivolavano via dalle sue gambe.
Elena si girò di fianco, accarezzò il materasso vuoto alle sue spalle, si sollevò sulle braccia e si guardò attorno.
La sua stanza era attraversata dalla corrente gelida che entrava dalla finestra semi-aperta. Le tende ancora abbassate, ed una di esse che svolazzava sbattendo sul vetro.
La ragazza, sola nella camera, scattò in piedi e si apprestò a chiudere per bene le ante.
Marhim se n’era andato, e probabilmente dalla finestra, pensò Elena andando verso la porta.
Quando l’aprì, si stupì di trovare Leila seduta ad uno dei tavoli del salotto.
La donna si voltò a fulminarla con i suoi occhi verdi; vestita a puntino della veste da Dea, Leila sorseggiava il suo the stretto tra le dita affusolate. –Alla buon ora- ridacchiò con la sua voce acuta e melodiosa.
-Perché, che ore sono?- domandò assonnata e trattenendo uno sbadiglio. Probabile che i suoi capelli avessero un aspetto inguardabile, perché Leila la squadrò dalla testa ai piedi con un sorriso divertito sulle labbra carnose.
-Tardi, troppo tardi. Mi domando cosa ti abbia stancata tanto- sogghignò, ed Elena s’irrigidì.
-Dove sono Elika e Kamila?- domandò scrutando ogni angolo della sala.
-Sono partite poche ore fa- mormorò afflitta la donna. -Avanti- divenne improvvisamente severa. –Lavati e vestiti; oggi abbiamo molto da fare-.
-Ma non faccio… colazione?- chiese insicura.
Leila balenò di collera. –Non è certo colpa mia se ti sei svegliata adesso!- sbottò dura.
La ragazza sobbalzò. –Ma!- provò a replicare.
-Niente ma- la interruppe Leila bevendo un nuovo sorso. –Fa’ quello che ti ho detto, e guai a te se ti sento lamentarti nel corso della giornata prima che sia ora di pranzo o cena, sono stata chiara?-.
Era un incubo.
Elena annuì poco convinta, terrorizzata, più che altro.
-Avanti- ripeté la donna.
La giovane Dea girò i tacchi e tornò nella sua stanza. Senza pensarci troppo, afferrò i suoi vestiti e lanciò una svista dove la sera prima Marhim aveva lasciato i propri.
Una gioia malinconica le comparve in volto, si girò verso lo specchio e ammirò l’arruffata sua massa di capelli castano chiaro. Quello stesso color caramello tanto simile alla tinta miele di Gabriel, pensò. Sarebbe stato bene, però, non indugiare ancora o Leila gliele avrebbe fatte sentire di tutti i colori.
Si recò in bagno e fece tutto di gran fretta.
Se c’era una cosa che aveva appreso, era sostare agli ordini dei superiori, e i racconti di Kamila confermavano il suo nuovo ideale. Leila le avrebbe insegnato a combattere, Leila le avrebbe reso la vita un Inferno, Leila l’avrebbe tenuta a stecchetto, e Leila lì per rovinarle l’esistenza come si erano già impegnati di fare Marhim e lo stesso Corrado, assieme a tutta la sua famiglia! Gabriel compreso!
Quand’ebbe finito, tornò nel salotto comune e la Dea più anziana le venne di fronte, stringendo le cinghie di cuoio che reggevano la lama corta sulle sue spalle.
-Sarebbe bene che tu imparassi- le disse -a tener a stretto contatto le armi con il tuo corpo-.
-Come mai?- domandò Elena inarcando un sopracciglio.
-Si tratta del semplice fatto che il tuo nemico ha più facilità nelle sfilartele via. Tu e Gabriel avete lo stesso vizio. Tornando a noi: al più presto ti verrà concessa un’arma alla quale dovrai gran parte della tua dedizione; se non apprenderai nel migliore dei modi il genere di combattimento che voglio insegnarti, ti sarà difficile sopportare i tuoi futuri addestramenti- proferì seria mentre scendevano le scale.
-Allora illuminatemi- ribadì Elena seguendola attraverso il corridoio, il quale era popolato dalla solita massa di assassini.
-Non devi preoccuparti di cosa ti riserva il futuro- si beffò la donna. –Sappi piuttosto che per assicurartelo, dovrai saper combattere al meglio il tuo presente- strizzò un occhio, ed Elena rallentò il passo rimanendole dietro.
Leila la condusse fino alla rampa delle gradinate della torre e oltre, a raggiungere finalmente il pian terreno.
C’era un fare odioso che non sopportava il lei, si disse. Quel suo ancheggiare per la fortezza in un modo tanto superiore, e le sue battutine, e i suoi sguardi maliziosi a chiunque le passasse accanto. Tutto in quella donna le dava sui nervi, fin dal loro primo incontro nella mensa, Elena non l’aveva mai vista di buon occhio. Sapeva che le cose non sarebbero cambiate, che Leila sarebbe stata la sua insegnante per molto tempo, e che le sue si sarebbero sostituite alle nozioni di Altair nell’arco di quei mesi. Si arrese al concetto di schiavitù eterna, dolore immenso e tutta quella fatica che non aveva mai provato nei suoi primi giorni a Masyaf. Si era trovata agevolata a farsi strada nella setta grazie agli addestramenti di suo padre, ma ora che Elena doveva cominciare da zero, apprendendo una nuova arte, una nuova tecnica da una donna che già le stava sui… insomma, quanto avrebbe resistito?
Giunte nel cortile interno, Elena si guardò attorno.
La quiete del buon giorno sorrideva alla fortezza e ai suoi abitanti. Doveva essere il cielo sereno, oppure il fresco venticello di quella mattina ad irradiare la roccaforte di una luce accecante. Altrimenti tutta quella luminosità era dovuta dal fatto che fosse mezzogiorno passato.
Il lamento del suo stomaco non si fece attendere, e Leila sbuffò scocciata.
Elena si strinse nelle spalle. –Non posso mica ordinargli di tacere!- sbottò.
La Dea anziana le fece strada fino all’arena degli allenamenti, la quale era stata lasciata libera per l’evenienza.
La donna entrò nella recinzione con un balzo e si portò le mani ai fianchi. –Bene, bene- sussurrò. –Tornano i bei vecchi tempi- fece assorta guardandosi in giro.
I ragazzi della setta non erano certo stupiti di vederle entrambe lì. Anzi, parlottavano armoniosamente e il clima era quello solito delle normali giornate nullafacenti.
Leila si voltò a guardarla, mentre Elena portava una mano all’elsa della spada.
-No, no- intervenne la donna, e la giovane sgranò gli occhi.
-Che ho fatto, ora?- sbottò.
-Ti ho detto mica di armarti di spada, ragazza?! No, quindi aspetta i miei ordini anche solo per respirare!-.
Elena indietreggiò intimorita. –Va bene- balbettò.
Leila fece crocchiare le nocche dei pugni chiusi. –Alta la guardia, Elena, forza- sussurrò maliziosa.
-Cosa?- ma Elena sapeva bene si stesse riferendo a quel genere di combattimento a mani nude, lo stesso con il quale Minha l’aveva stesa a terra in poche mosse.
Così la giovane Dea alzò le braccia a pararsi il viso.
Leila avanzò verso di lei con un saltello, penetrò tra i suoi polsi e allontanò le braccia colpendole entrambe con forza. In fine, quando la difesa di Elena fu sparita del tutto, Leila le avvolse il collo e la scagliò in avanti facendola rovesciare a terra in una frazione di secondo e senza il minimo sforzo.
Elena riprese fiato, le pupille dilatate e il cuore che pompava spaventato.
-Dio!- gemé, e Leila irrobustì la presa sulla sua gola. Con la mano libera la Dea anziana aveva libero accesso al suo petto e le sarebbe bastato un colpo ben assestato al costato per metterla fuori combattimento. Erano tecniche di una terra lontana, si disse Elena, ad osservazione dei più grandi artefici del combattimento corpo a corpo.
Quando la donna le lasciò il collo, ad Elena cedettero le gambe e si accasciò al suolo in ginocchio. Le mancava il fiato, la gola le bruciava, il sangue pulsava tutt’altra parte che alla testa e si sentiva a tal punto spossata che sarebbe potuta crollare morte da un momento all’altro. Fortunatamente fu una sensazione momentanea, che si ristabilì col passare dei secondi.
Leila scoppiò in una fragorosa risata. –La tua difesa nuda fa schifo!- le rinfacciò schietta, ed Elena rabbrividì.
Possibile che fosse tanto stronza la sua nuova maestra? Forse era uno stile di apprendimento che Elena sopportava meno dei sorrisi compiaciuti di Altair, ma avrebbe dovuto arrendersi a ciò che ancora l’attendeva e che sarebbe stato cento volte peggio della parola “schifo” gettata in faccia senza pietà.
La ragazza si sollevò traballante, reggendosi alla staccionata. –Che cosa mi hai fatto?-.
Leila incrociò le braccia. –Ci sono alcuni punti nel nostro corpo che ospitano le principali vene del sangue e arterie. Le mosse che andrò ad insegnarti colpiranno in primis quei punti, e come seconda lezione acquisirai l’auto difesa che ti manca. Terza ed ultima, mi fronteggerai con quello che ha appreso. Eccoti illustrato il programma scolastico, ora tirati su e sprizza di energia! Niente musi flaccidi finché respiro, chiaro?- sbottò crudele.
Elena era la sua vendetta personale, si disse.
La giovane Dea si raddrizzò e fece scricchiolare la schiena sonoramente. Le mancavano le forze dato l’assenza di cibo nello stomaco, e chissà: per quanto avrebbe retto prima di adagiarsi priva di sensi al suolo?
Nonostante lo stressante atteggiamento di Leila nei suoi confronti, Elena ricevette da quella donna quanto di più prezioso. In quelle prime ore della mattina le insegnò quali erano le principali fondamenta per un attacco ben piazzato. Le mostrò il palmo sempre rigido e teso della mano, assieme ai muscoli delle gambe pronti a scattare e le ginocchia.
Il corpo diventava una macchina da guerra, un’arma dai mille manici, ed Elena rimase completamente assorta da quel modo di vedere le proprie capacità.
Anche la caviglia poteva diventare un buon appiglio, la lama tagliente di una spada, con la stessa potenza nel colpo che aveva un martello scagliato da un braccio adulto.
Poche parole per definire quella giornata?

-Una tortura!!!- Elena batté la testa sul tavolo, e le posate sobbalzarono. –Tortura, tortura, tortura!- ripeté più volte battendo e ribattendo la fronte sul legno.
Halef si ritrasse e guardò spaventato il fratello. -Secondo te è matta?- gli domandò.
Marhim la osservò in silenzio; in una mano stringeva la tazza di the e l’altra era poggiata sulle pagine aperte di un libro. –No, è solo stanca- parlò lui tornando a leggere.
Elena sollevò lo sguardo impietosito sui due. –Stanca? Io… stanca?- si puntò un dito al petto. –No, no- brontolò. –Sono… distrutta! Quella donna mi porterà all’esaurimento nervoso e fisico! Non riesco a tenere gli occhi aperti- mormorò abbassando le palpebre. Barcollava sulla sedia, le tremavano le mani.
Halef si grattò dietro la nuca. –Forse qualcuno di noi dovrebbe portarla in braccio fino di sopra!- sorrise come un deficiente mostrando i denti verso di Marhim.
L’altro ragazzo si voltò e lo fissò con rabbia. –Taci- digrignò composto, poi bevve un nuovo sorso dalla tazza fumante.
Elena allungò le labbra in un sorriso, e con gli occhi ancora chiusi disse: -Non sarebbe una cattiva idea-.
Halef scoppiò in una fragorosa risata che si diffuse per tutta la biblioteca. –Ho occhio per certe cose!- aggiunse allegro.
Marhim sospirò pesantemente. –Allora portacela tu di sopra- sbottò. –Ho da fare- fece altrettanto scontroso, chino sul suo libro.
Elena curvò le spalle e il suo sguardo si posò stanco su di lui. –Cosa ti è successo questa mattina? Perché sei sparito così?- domandò, e chissene di Halef.
L’assassino più giovane guardò da una parte all’altra, prima lei e di seguito suo fratello. –Che cosa state confabulando?- alzò le sopracciglia divertito.
Marhim gli mollò una gomitata. –Nulla, e fatti i fatti tuoi!-.
Elena si strinse nelle spalle ridendo.
-Eh, no!- sibilò Halef dolorante. –Quando fate così sono ancora più sospettoso!- ridacchiò.
-Halef, vattene!- proruppe ad un tratto Marhim.
Il più piccolo tra i tre si alzò dal tavolo con il muso lungo. –Te la faccio pagare, questa!- brontolò avviandosi e scomparendo nel buio tra uno scaffale e l’altro.
Elena lo seguì fin quando non udì le porte della biblioteca chiudersi, poi si girò verso il ragazzo che aveva di fronte.
Marhim si passò le mani sul viso. –Ma che palle…- alzò gli occhi al cielo.
Elena si appoggiò allo schienale. –Chi dei due, lui o io?- domandò afflitta.
Marhim le volse un’occhiata smarrita. –Di cosa stai parlando?- mormorò.
La ragazza posò le mani in grembo. –Perché questa mattina sei sparito così?… E se mi avessi svegliata forse ora non sarei così sfinita. Leila mi ha fatto saltare la colazione solo perché mi sono svegliata tardi!- confessò rimuginando i crampi allo stomaco di prima che si riempisse la pancia a cena, dato che ormai era calata la notte sulla fortezza. –E non so perché, ma mi ha messo anche a dieta oggi a pranzo…- fece affranta.
Marhim tacque alcuni istanti. –Mi dispiace, non pensavo…-.
-Ah!- rise lei. –Credevo che uno come te invece pensasse troppo!- ironizzò.
Il ragazzo richiuse lentamente il libro. –Questa mattina sono uscito dalla finestra quando ho sentito le tre Dee che parlavano nel salotto. In progetto avevo già l’idea di andarmene… prima che ti svegliassi, ma uscire dal balcone è stata una necessita. Mi sono reso conto troppo tardi di aver lasciato la finestra aperta, mi spiace-.
-Ah, va bene… se la metti in questo modo- sussurrò stendendo un braccio sul tavolo. Con le dita sfiorò quelle di lui poggiate sulla copertina del tomo, ma Marhim si ritrasse a quel tocco.
Rifiutata, messa da parte ancora una volta. Si sentiva uno schifo mentre le sue guance si sbiancavano dalla tristezza e i suoi occhi perdevano il solito vigore azzurro tramutandolo in un ombreggiatura di grigio celeste orribile, davvero triste.
-Perché- tirò su col naso. –Perché mi allontani con tanto ripugno, come se ti facessi schifo! Perché? Credi che quello che provo per te sia falso? Credi che mi stia approfittando di te allo stesso modo di come fece Rhami con me?- gemé.
Marhim distolse lo sguardo altrove. –Te l’ho già detto-.
-No! Non ci credo! Quello che mi hai detto è infondato! Vivi in questa fortezza solo per difendere le posizioni di tuo fratello, per prenderti cura di lui! Sei sempre stato distaccato dal credo, non hai mai creduto nella setta e mi vieni a dire solo ora che “non puoi” perché “non puoi” infrangere le regole?- scoppiò a piangere.
-Anche se fosse, non me la sento. Il rischio è troppo alto- parlò contenuto.
-Non è vero, mi stai mentendo. Ti ho visto come mi guardavi, ti ho visto come mi sorridevi, e in che modo eri geloso di Rhami! La tua gelosia è debita al fatto che ti piaccio, ma non vuoi ammetterlo! Perché? Che cosa ti ferma in questo momento… non credo fortemente che sia la setta… ma ho le mie ipotesi- parlottò.
Marhim soffocò una risata, e onestamente, Elena non ci trovava nulla da ridere nelle sue lacrime. –Quali sarebbero le tue ipotesi, sentiamo!-.
Elena si guardò attorno, poi puntò le sue iride azzurre in quelle cioccolato di lui. –Sei gay- sussurrò schiva.
La reazione di Marhim a quelle parole fu incerta, ma in entrambi i casi la sua ipotesi potesse essere vera o no, il ragazzo si manifestò su tutte le furie.
-Ma come ti salta in mente?!- ruggì scattando in piedi. –Sei pazza?!-.
Elena quella volta non seppe trattenere le risate, mentre Marhim rimaneva a bocca aperta.
-Scusa, scusa… lo so, ho esagerato- si riprese improvvisamente. –Ma davvero, mi hai fatto venire questo dubbio, sai?- ridacchiò.
Marhim tornò a sedersi serrando la mascella. –Non azzardarti, che certi peccati nella setta sono meglio punibili di altri- bofonchiò.
Elena trasalì sulla sedia. –Intendi dire che l’omosessualità è più vietata che mai?-.
-Se ti ammazzano perché hai un rapporto con una Dea, prova ad immaginare cosa sarebbe capace di farmi Tharidl se fossi gay!- incrociò le braccia al petto.
Elena aggrottò la fronte.
-No, non lo sono!- si apprestò a ribattere lui.
-A me puoi dirlo, così ti lascio in pace- fece spallucce.
-Piantala- sorrise.

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Capitolo 41
*** Gridare la verità ***


Gridare la verità






-Spenga la luce, signorina Tomas. Domani ci attende un gran giorno- disse Vidic entrando nella mia stanza.
All’inizio non seppi perché mi aveva detto ciò, ma in breve realizzai che doveva essere successo qualcosa che lo rendeva così di buono umore. E in fatti, prima che potessi domandargli nulla, il vecchio dottor Warren sedette sul bordo del letto dicendo: -Tutto ciò per cui abbiamo combattuto sta per realizzarsi-.
Lo guardai interrogativa, chiudendo il libro che avevo in grembo e poggiando su di esso le mani. –Si spieghi meglio- assentii.
-Domani lei e il signor Miles cambierete il corso della storia-.
Non era stato affatto chiaro, anzi. Avevo più dubbi di prima, molti dei quali erano alquanto turbolenti e malsani. –Doc, cosa…-.
Il vecchio prof sembrava estasiato, completamente assorto nel sapore della vincita. Si alzò dal letto tornando sull’ingresso della camera. Giunse le mani dietro la schiena e, senza voltarsi, proferì serio: -Da domani, il mondo vedrà il nostro operato sotto una differente prospettiva, e ciò ci rende fieri dei risultati che abbiamo raggiunto. La signorina Stilman ha avuto accesso ad un ricordo più avanzato ed è da lì che riprenderemo domani. Entro la fine di questa settimana saremo a compimento della nostra missione- sospirò e uscì, scomparendo nel buio delle luci spente del laboratorio.
Strinsi tra le mani il mio libro, lo stesso libro che per lunghi mesi avevo letto e riletto. Ora questa tortura finiva, e non potei negare a me stessa di essere contenta almeno quanto Warren. Ma qualcosa pulsava ardentemente in me, qualcosa chiama coscienza, l’unica parte restante dentro il mio corpo che fosse davvero cosciente di cosa l’Abstergo aveva cercato e stava per stringere tra le mani, ancora, di nuovo come io stringevo il mio libro.
Il Frutto dell’Eden, un altro Tesoro dei Templari, sarebbe stato consegnato alla società nell’arco di una settimana, ed io avevo contribuito a quel grande passo per la scienza. Avevo cambiato la storia, come aveva detto Vidic. Eppure… sapere che un oggetto di tale potere… non volli neppure pensarci, era il lato terribilmente crudo della mia vita. Avevo contribuito a creare il Nuovo Mondo, e mi sentivo immensamente male di questo.

Quella notte non chiusi occhio.
I tempi si erano ristretti, andavamo in contro alla fine della mia e della prigionia di Desmond, che aveva scontato la sua pena più allungo di me. Mi giravo e rigiravo nel letto nel tentativo di prendere sonno, ma ero troppo eccitata per riuscirci. Mi alzai svariate volte, andai in bagno e mi guardai allo specchio, girovagai senza meta per la stanza, come una folle ne carezzavo le pareti e rabbrividivo al gelido contatto dei miei polpastrelli. La mattina successiva, se quella notte fosse continuata in bianco, non avrei avuto le forze necessarie per dare all’Abstergo quello che cercava, ovvero i miei ricordi. Una mente fresca e sana per una causa acerba e putrida, mi dicevo spesso. Mi chiedevo come avrei trascorso la mia vita se tutta quella tortura non fosse mai iniziata. I miei diciassette anni sarebbero trascorsi più beatamente fuori da quelle mura grigie, e forse, se stavamo correndo in quel modo col progetto, avrei rivisto il mondo esterno prima di compierne diciotto. Ma chi volevo prendere in giro? Mi avrebbero ammazzata, la loro causa non era dedita a nessuno dei soggetti. Avrebbero ammazzato me e Desmond senza un minimo di pietà; dalla nostra parte c’era solo Lucy, che più di tanto non avrebbe potuto neppure intervenire. Eravamo topi in gabbia, tenuti all’oscuro del Governo e costretti ai supplizi di due pazzi quali Alex e Warren. Forse non erano loro la mente del progetto, e non ci pensai tanto poiché dietro Viego e Vidic si celavano i volti di coloro che finanziavano e appagavano il progetto, per poi appropriarsi del dovuto compenso. Di lì a due o tre ore in che mani sarebbe finito il Frutto dell’Eden che la mia Antenata avrebbe riportato alla luce? Per quali scopi malvagi e subdoli sarebbe stato impiegato il suo immenso potere? Avrebbero ammazzato il Presidente degli Stati Uniti per sostituirlo al doppiatore della voce di Omer Simpson, come desideravo facessero quando ero bambina. Risi, anche se le mie condizioni mentali, fisiche e psicologiche mi imponevano che quella in cui mi trovavo era una situazione tutt’altro che divertente.
Fissavo i miei occhi vuoti, stanchi e inappagati nello specchio.
Che valore aveva chiedere una ricompensa in denaro se tanto quelli mi ammazzavano? Nessuna, non c’era un briciolo di umanità in quei signori, in nessuno di loro. Persino Warren, che mi costrinsi a pensare fosse solo una marionetta, agiva per conto avido della paga assurda, oppure accecato dal merito che gli sarebbe stato riconosciuto alla conclusione del progetto. Il Progetto Animus.
Il 2012 era l’anno dell’Apocalisse, e non ricordavo neppure più secondo quale Apostolo. Ma durante la mia permanenza lì avevo perso anche la fede in Dio, se mai ci avessi creduto.
Forse una mia impressione, forse la mia immaginazione, forse i primi sintomi della follia, ma sul vetro dello specchio comparve una scritta sempre meglio definita che andava crearsi sulla condensa.
-Death, anywhere- lessi.
Ero terrorizzata, e ne avevo motivo. Quelle parole si erano scritte dal nulla, o meglio… io non ero stata, e mi costrinsi a pensare che nel bagno della mia stanza fosse entrato qualcuno.
Cancellai quella scritta con la mano, ma questa andava ricrearsi costantemente. Con il respiro affannato strofinai sul vetro entrambi i palmi, ma nulla da fare. Death e anywhere erano sempre lì.
Mi voltai, afferrai un asciugamano e presi a pulire con questo lo specchio, ma fu pressoché inutile.
Ormai spaventata e col cuore che batteva all’impazzata, mi allontanai dalla superficie riflettente, e con pochi passi all’indietro andai a sfiorare qualcosa di morbido e segoso. Mi girai e mi accorsi dell’immensa figura che si stagliava nel buio delle ombre del bagno.
Rabbrividii, mi piegai in ginocchio trafitta da quegli occhi scuri e pieni di ardore.
Stavo impazzendo, mi dissi, ma il bello era che ne fossi consapevole! E nonostante ciò, non riuscii a divincolarmi da quella dimensione assurda delle cose, quel mondo parallelo inquietante e terribile.
Mi rannicchiai a terra come inchinandomi, e sentii la mano di Alex viego poggiarsi sulla mia spalla.
Strinsi i pugni, gridai perché quel solo tocco mi aveva causato un bruciore immenso a contatto con la mia pelle.
-Vattene, vattene e lasciami in pace…- sibilai, la fronte poggiata sul pavimento freddo che faceva conflitto con l’immenso dolore sulla mia spalla.
Mi sentivo la testa scoppiare di voci, e grida. Grida della gente in fuga che scappa dall’apocalisse.
Chissà dove trovai la forza per alzarmi e scappare da quella stanza.
Inciampai e caddi, ma presto mi tirai su e corsi verso la porta.
Prima che potessi raggiungerla, mi fermai, d’un tratto le mie gambe inchiodarono. Mi voltai lentamente, ad osservare l’uomo vestito di nero che mi seguiva come un’ombra. E quell’ombra andò a confondersi con le altre della camera, mentre i suoi occhi rilucevano di una luce rosso sangue.
E ancora le grida, le urla di gente che non conoscevo e non avrei mai conosciuto, perché la mia esistenza era condannata all’eterna prigionia in quel laboratorio fino alla morte certa.
In preda alle convulsioni, mi accasciai al suolo scivolando sulla porta d’ingresso. –No, no…- mormoravano le mie labbra ma io stessa a malapena udivo la mia voce.
Desiderai che fosse tutto solo un sogno, o meglio dire un incubo. Uno di quelli che svanisce presto, che si dissolve solo quando l’essere superiore che comanda è soddisfatto della tua sofferenza.
Ero nella terribile condizione, sul filo che si stava per spezzare. Mancava poco perché precipitassi nell’immenso baratro della follia, e c’ero quasi… c’ero quasi… eccomi, stavo arrivando.
La parete contro cui ero poggiata scomparve d’un tratto e mi rovescia sul pavimento del laboratorio. Desmond si chinò su di me e mi cinse con un abbraccio, sollevandomi da terra.
Ed io mi avvinghiai a lui, graffiandogli la pelle delle braccia con le unghie e nascondendo il viso nell’incavo del suo collo, mentre il mio respiro affannato s’infrangeva su di esso.
Mi tirò su fino a prendermi in braccio, ed io non staccai la mia presa da lui neppure quando mi adagiò sul letto.
Forse stava dicendo qualcosa, forse mi stava chiamando per nome e forse mi aveva schiaffeggiato appena la guancia per farmi riprendere, ma le mie pupille restavano costantemente dilatate e il mio cuore non accennava a rallentare.
Se mi voltavo, vedevo ancora la malvagia ombra di Alex Viego dietro l’armadio, vicino all’ingresso del bagno, e in quel momento un nuovo brivido mi percorse la schiena.
-Andrea!- ebbi la conferma dei miei mille “forse”: Desmond aveva strillato il mio nome stringendomi come un peluche.
Sentire il suo petto caldo scontrarsi con il sangue freddo che circolava in tutto il mio corpo mi fece riprendere, e percepire le sue mani stringermi le spalle dissolse il pozzo nero nei miei occhi.
-Desmond!- sollevandomi in ginocchio sul letto, ricambiai l’abbraccio fino a quel momento stato parziale.
Mi sentii subito meglio quando le sue labbra si scontrarono con le mie.

Non poteva durare, non sarebbe potuta essere la sua consolazione in eterno. Non negava l’evidenza che qualche mano santa superiore gli avesse dato qualcuno con cui legare durante la sua prigionia in laboratorio, e fare due chiacchiere delle volte aiutava. Ma la sua storia con Andrea non poteva durare. Si consolavano a vicenda perché non avevano nessun altro con cui sentirsi “umani”. L’Abstergo li aveva strappati via dalle loro vite gettandoli chi prima e chi dopo in quel circolo vizioso di malanni mentali e stressanti terapie intensive in un mondo parallelo altamente surreale e malsano alla saluta. Catapultati nel passato dei loro antenati il soggetto 17 e 18 condividevano ora paura, gioia ed un inutile amore.
-So che cosa stai pensando- disse lei.
Desmond abbassò il volto. –Cosa?-.
-Quello che siamo diventati è prettamente inutile. Ad entrambi-.
Desmond sospirò. –Come fai a dirlo? È vero, io l’ho pensato, ma che cosa t’infonde tanta sicurezza?- domandò guardandola, lei stretta tra le sue braccia e seduta accanto a lui.
-Nulla- rispose Andrea svolgendo le se braccia da attorno al suo collo. –Non so che cosa mi sia preso- bofonchiò sedendo a gambe incrociate sul letto.
-Ti capisco, è capitato anche a me. Quelle visioni, intendo. Anche tu la scritta…- stava per chiedere, ma la ragazza l’anticipò.
-Death, anywhere- disse. –Sì- gemé.
Desmond tornò al suo fianco. –Fa paura, vero?-.
Lei annuì.
-Non possiamo farci nulla- proferì assorto.
-Vidic. Questo pomeriggio è venuto da me e ha detto che stanno per finire. Lucy ha trovato un ricordo al quale agganciarsi, e presto termineranno anche su di me- mormorò.
-Immaginavo- assentì lui. –E poi chissà- distolse lo sguardo. –Se mi hanno tenuto in vita fino ad ora, perché dovrebbero ammazzarci?- ridacchiò portandosi le mani dietro la testa.
-Ma tornando a noi- la ragazza si voltò. –Credi che…-.
-Non è mai iniziata- sbottò Desmond. –Ma sarebbe stato…-.
-Non dirlo- intervenne Andrea. –E poi io sono troppo giovane per te. Se ti faranno uscire di qui, dovresti contattare mia madre; si sente sola, poverina- rise.
Desmond afferrò il cuscino alla sua sinistra e glielo sbatté in faccia. –Ti riprendi in fretta, ragazzina!- digrignò. –E poi tua madre non era morta? Come i miei, dopo tutto…- brontolò.
-Sì- rispose lei. –Ma era una battuta, stupido!-.
-Ah, ecco!- la colpì di nuovo.

La nostra storia era iniziata poche settimane dopo il nostro primo incontro nel laboratorio. Ero entusiasta di non aver perso la verginità con un ragazzo che in fin dei conti conoscevo ancora appena. E poi avevo ragione: lui ero troppo vecchio. Allo stesso modo di come tra Elena e il suo maestro non sarebbe potuto nascere nulla, come potevo pretendere io di innamorarmi di Desmond? Certe volte lo trovavo interessante, affascinante, ma come avevo azzeccato che stesse pensando lui, la nostra storia non poteva durare. Eravamo la consolazione l’uno dell’altra, giocattoli con cui distrarsi nel frattempo che quelli sclerati ci mettevano le mani addosso per impadronirsi dei nostri ricordi.
La compagnia di Desmond quella notte fu essenziale. Avevo avuto uno degli attacchi psico-fisici di post trattamento, e la mattina seguente ne parlai con Alex che si occupava del mantenimento pazienti.
Gli descrissi ogni dettaglio, e come Desmond mi aveva detto di fare, raccontai al signor Viego anche della scritta sullo specchio. Alex si accorse subito della coincidenza tra me e Desmond, ma era dettaglio irrilevante poiché le conclusioni fossero sempre le stesse: la rinvenuta del Frutto avrebbe causato morte, in ogni luogo.
Quando alla luce del sole mi fecero sedere sull’Animus, mi sorpresi alquanto rilassata e tranquilla.
Desmond, Alex, Lucy e Vidic mi osservavano attenti come se aspettassero una qualche reazione istantanea al solo tocco con quell’aggeggio.
-Ascolti bene, signorina Tomas. Il ricordo che stiamo caricando ora è collegato strettamente a quelli che abbiamo appena passato ed influenzerà quelli futuri. Il che vuol dire che la sua antenata si troverà di fronte ad un nominato “bivio”. Cercheremo di aver maggior presa sulla ragione di Elena per permettere al progetto di agganciarsi al ricordo più avanzato, ma essa, la Dea, non dovesse presentarsi disposta all’impiego di quella direzione, i tempi resteranno invariati e lei dovrà sottoporsi ad altri due mesi di trattamento- aveva annunciato in pompa magna il dottor Warren, mentre le dita svelte di Lucy picchiettavano sul portatile.
-Che!?- per me era come se avesse parlato arabo.
Alex trattenne una risata dandomi le spalle.
Lucy avviò il caricamento e nel frattempo si prese qualche istante per spiegarmi in una lingua umana cosa aveva appena detto Vidic.
-Nel giorno 12 dicembre del 1191 d.C. la tua Antenata si troverà a dover prendere una tra le due strade che le verranno proposte. Non sappiamo con certezza a cosa si riferisca questa scelta, ma per ora è certo che da questa postazione noi dell’Abstergo possiamo fare poco e niente per interferire nella sua coscienza. Quindi, quello che ti chiediamo è, per il fatto che non abbiamo idea a che cosa andiamo incontro, di stare vigile su quale delle due scelte potrà condurci al prossimo ricordo-.
Sgranai gli occhi. –Ed io come faccio a saperlo?!- sbottai.
Lucy sospirò, ma al discorso si sostituì Alex.
-Questo è il problema. Siccome solo tu e tu soltanto puoi indirizzare la tua Antenata, il massimo che possiamo fare noi è indirizzare te! Per tanto, siccome il ricordo cui vogliamo agganciarci risale alla rinvenuta del 2° Frutto dell’Eden, dovrai valutare tu stessa le due opzioni date ad Elena e scegliere cosa può avvicinare il processo genetico della tua mente a quello stabilito ricordo- disse Viego.
Cominciavo a capirci qualcosa, ma forse Desmond poteva illuminarmi.
Mi girai verso di lui, che a braccia conserte mi osservava da lontano appoggiato ad una delle colonne del laboratorio.
Lo vidi stringersi nelle spalle e annuire, poi distolsi lo sguardo non riuscendo.
Potevo essere in grado di prendere quella decisione al posto della mia antenata? Da quanto mi disse Vidic mentre mi stendevo sull’Animus, in quel momento avrei potuto decidere io per Elena perché lo stesso filo mnemonico della mia Antenata sarebbe stato interrotto per catapultarmi direttamente nelle sue vesti. Questo solo per pochi secondi. Il tempo sufficiente di dire sì o no, a seconda di cosa sarebbe successo e chi avrebbe chiesto cosa alla povera Elena. Dopo di allora, la mia antenata avrebbe vissuto quella condizione, quella mia scelta fino alla fine senza mai ripensamenti e assenze di memorie. Mi dissi che era una cosa assurda, perché Elena si sarebbe accorta che qualcosa le era mancato durante quel “sì, lo voglio” oppure quel “ma vaff…” ecco, quello. Non riuscivo a comprendere come la mia Antenata avrebbe potuto mentirsi dicendosi che era stata “lei” a scegliere e non qualcun altro. Forse le nostre menti combaciavano davvero in quel modo. Anche se avevo gli occhi verdi e lei azzurri, forse i nostri corpi e le nostri ragioni potevano davvero essere così simili da non potersi porre quesiti l’una sull’altra. Già, ma maledizione a chi inventò la parola… “forse”. Ero già conscia che Elena avrebbe subito ogni cosa passivamente, e la sua mente sarebbe stata sopraffatta dalla mia solo per pochi istanti, ma causare tanto annebbiamento altrui non mi faceva certo sentire sopra le nuvole.
Senza accorgermene, la schermata dell’Animus mi era balenata davanti e il bianco accecante del passato mi aveva inghiottito nel suo vortice temporale. Nel momento in cui la mia coscienza aveva raggiunto quella della mia Antenata, avevo avvertito un inattendibile gelo far tremare il “suo” corpo.

La folata di vento fu improvvisa, spettrale e risuonò nella stanza facendo svolazzare le tende.
Elena balzò giù dalla sedia della scrivania e si apprestò a chiudere la finestra.
Fuori dai vetri, il paesaggio era cambiato in appena una settimana.
C’era la neve, così candida e bianca che sovrastava le strade di Masyaf e compattava il mondo esterno ricco solo dei bagliori azzurrini e grigiastri. Ai lati delle strade della cittadella si accumulavano pozzanghere marrone di terra mischia alla neve, che anche quella mattina cadeva dal cielo lentamente soave e bellissima. I bambini correvano per il villaggio coi loro cappotti di lana, mentre l’inverno si era abbattuto persino sul campetto da calcio degli assassini che ora sembrava più una pista da pattinaggio. Le spiagge del lago si erano ghiacciate, la vegetazione era imbiancata nell’arco di pochi giorni, e l’arancione dell’autunno si era sostituito alla stagione che per lei sarebbe stata sempre la più meravigliosa e incantevole.
Il suo respiro si infrangeva sul vetro appannandolo in quel punto ristretto, mentre si sorprendeva di come le attività nella fortezza restassero sempre le stesse nonostante il freddo pungente.
C’erano due assassini che si allenavano nell’arena, le solite pattuglie che facevano il giro del cortile e i colombi padroni dei tetti che si appollaiavano vociando il loro cantico grave su di essi.
Nell’alto del cielo latteo, Elena scorse a mala pena la figura piccola e agile di Rashy che compieva piroette tra le nuvole. Quella scena la fece sorridere, ed una nuova giornata apriva le porte alle novità della nuova stagione.
La ragazza tornò a sedersi alla sua scrivania e si riappropriò della lettura del diario di sua madre. Dopotutto, era da quando Tharidl l’aveva consegnato lei che non gli dava un’occhiata. E finalmente Leila sembrava aver terminato le sue torture. Era stato bello imparare da lei, ma i tempi, chissà perché, sembravano essersi ristretti per tutti. Stava solo divagando, non godendosi a pieno il fatto che i suoi addestramenti erano compiuti ed ora poteva essere chiamata “Dea”. Aveva appreso ogni tattica, ogni mossa di quello stile sopraffino di combattimento, ma nonostante si fosse sforzata al massimo, Leila riusciva sempre a metterla al tappeto. Nell’ultimo periodo un po’ meno, dato che la giovane assassina riusciva a tener testa a parecchie delle sue finte e a molti dei suoi duri e violenti attacchi, per non parlare della sua difesa impenetrabile e la rigidezza delle sue gambe. Era stato doloroso, lo ammetteva assaporando sulla lingua il sapore acre del sangue e della fatica, ma ne era valsa la pena. Avrebbe potuto mettere all’angolo Corrado stesso con il solo uso delle sue mani, e doveva tutta quella maestria alla sola ed unica sua torturatrice e insegnante.
Ma tornando al diario di Alice; le sarebbe piaciuto scoprire cosa celavano quelle pagine a proposito dell’avventurosa storia d’amore tra sua madre e suo padre.
Come prima cosa, si stupì della calligrafia impeccabile e preziosa che teneva Alice in ogni singola riga del testo. Come seconda, Elena notò una certa familiarità tra i suoi e gli atteggiamenti di Alice durante i loro rispettivi primi tempi nella Confraternita.
Alice parlava di sconforto, timore, ignoranza e curiosità. Narrò del suo incontro con Al Mualim, delle amicizie che strinse con le Dee, soprattutto con una di nome Nicole che aveva lo stesso suo accento francese. Scoprì che sua madre era una francesina importata a Masyaf per via dei suoi genitori, ovvero i nonni di Elena, che l’abbandonarono sul ciglio della strada a soli sei anni. Alice cominciò a scrivere il suo diario all’età di quattordici e da allora buttò giù mezza pagina al giorno in una scrittura di per sé minuscola!!! Così Elena si ritrovò mezza ciecata dopo aver appena letto la sesta pagina.
A metà del secondo capitolo, sua madre mostrava già il suo interesse per Kalel. Kalel di qua, Kalel di là! Elena scoppiò a ridere per quanto riguardasse le fantasie di sua madre a proposito del giovane Kalel, che all’epoca aveva quasi otto anni più di lei.
Come primo espediente, Elena lesse che le Dee amiche di sua madre sapevano da parecchio che la piccola Alice sbavava dietro quel temuto assassino, ma che per evitare problemi, non erano mai state di parte. Alice le descriveva come le “galline dal becco corto” perché piuttosto che avvertirla di quanto stesse sbagliando, le Dee quasi la incoraggiavano facendosi i fatti loro. E Alice, giovane e diventata la migliore praticante tra tutte, fu presto notata dall’alto mastro Kalel, che finì da subito con l’osare troppo.
Era emozionante leggere dei loro sguardi, immedesimarsi in sua madre che descriveva con tanta dedizione e attenzione i propri sentimenti. La sua relazione con Kalel era tanto vera che le fece salire una morsa allo stomaco solita di quando si sentiva emozionata. Sembrava di leggere una novella destinata a non finire con un felice e contenti, perché Alice, pur amando quell’uomo, era ben distaccata e sembrava attenersi compostamente alle regole della setta.
E in quelle righe, Elena riuscì a specchiarsi più in suo padre che in sua madre. C’era un che di familiare in quella storia, un che di dannatamente familiare e riconducibile a ciò che stava vivendo assieme a Marhim. Desiderio e confini illegittimi, li chiama la Dea, poiché nulla può restare celato così allungo.
Arrossì di vergogna nel leggere della loro prima volta assieme, precisamente nella biblioteca
Alice era andata lì per cercare alcune pergamene che Al Mualim l’aveva incaricata di portargli, ma il “giocherellone” assassino era comparso alle sue spalle dal nulla e l’aveva gettata nel buio senza lasciarle fiato. Come sul dire, c’era parecchia passione tra loro.
Questa fu la sua adolescenza, ed Elena non riuscì a spingersi oltre perché cominciò a girarle la testa.
Richiuse il libro che era arrivata appena al quarto capitolo e si abbandonò allo schienale della sedia.
Prese un gran respiro e adocchiò di nuovo fuori dalla finestra.
Qualcuno bussò alla porta, e la ragazza sobbalzò.
-Cos’hai da ridere tanto?- bisbigliò una voce.
Quando si voltò, saltò giù dalla sedia. –Marhim!- gioì. –Che ci fai qui?-.
-Ero di passaggio, e Halef mi ha detto che Leila si trova al campetto; così ne ho approfittato- sorrise lui chiudendosi la porta alle spalle.
Elena gli andò incontro. –Effettivamente, da quando Leila ha concluso il mio addestramento, è tornata ad arbitrare le partite di calcio. Su ghiaccio, per di più- proferì divertita.
-Ebbene- sopirò lui. –Sono davvero curioso di sapere cos’è tutta quest’allegria!- allungò un’occhiata alle spalle della ragazza e notò il libro poggiato sulla scrivania. –Che leggevi?- chiese superandola e avvicinandosi al tavolo.
Elena gli si parò davanti e afferrò il tomo stringendoselo al petto. –Aspetta!- disse.
Marhim inarcò un sopracciglio.
-Tutta ha un prezzo- rise maliziosa.
A quel punto, il giovane assassino parve ancor più sconcertato. –Cosa…-.
La Dea si allungò sulle punte, lo baciò dolcemente sulle labbra e Marhim non si oppose; anzi.
Dopo una prima reazione alla “tozzo di legno” il ragazzo la cinse in un abbraccio gentile. A separare i loro corpi c’erano solo le trecento pagine del libro, che Marhim le sfilò dalle mani.
-Brutto!…- digrignò la ragazza, sentendosi profondamente imbrogliata.
-Ah, chi è che ride ora?- fece lui una smorfia sedendosi sul letto.
Elena gli si accomodò affianco, mentre Marhim ne apriva la copertina rigida.
-Non ci credo- gli balenarono gli occhi, che poi si sveltì a piantare in quelli di lei.
Elena aggrottò la fronte.
-Dove l’hai trovato?- domandò l’assassino strabiliato, e le sue dita corsero già alle pagine centrali del tomo.
-Me l’ha dato Tharidl, ma…-.
-Sono anni che lo cerco! O meglio, che ne cercavo uno!- aggiunse lui.
Elena gli si avvicinò. –Come mai?-.
Marhim distolse lo sguardo assorto dallo scritto e lo piantò in quello confuso della Dea. –Tharidl aveva accennato alla possibilità che una Dea ne avesse scritto uno, ma non credevo che… ho setacciato la biblioteca in lungo e in largo, e solo ora vengo a sapere che quel vecchio pazzo l’ha tenuto sottobraccio tutto questo tempo!- sbottò irritato.
Elena allungò le labbra in un sorriso. –E fin qui va bene, ma perché t’interessi tanto?- chiese.
Marhim tornò a sfogliare il diario. –Non so, forse era l’unica testimonianza tanto proibita cui aspirassi davvero. Sono sempre a caccia di qualcosa di nuovo da leggere, e ho pensato che sapere delle Dee, cui testimonianze sono pochissime anche nelle Cronache altrui, sarebbe stato interessante- confessò in tutta sincerità.
La ragazza annuì compiaciuta.
-Ti andrebbe…- mormorò lui ad un tratto, attirando l’attenzione della ragazza.
-Sì?- sperava davvero che…
-Ti andrebbe di leggerlo insieme?- i suoi occhi da cucciolo e color cioccolato la sciolsero ad un solo passaggio, ed Elena accettò.
-Un capitolo a sera?- rise lei.
-A me sta bene- assentì.
-No, intendo…-.
Marhim sobbalzò. –Elena!- la riprese.
-Che c’è?!- scattò in piedi.
-Non ti facevo così…- sibilò lui.
-Così come?- si chinò alla sua altezza e sul suo volto si stagliò un nuovo sorriso malizioso.
Marhim deglutì. –Così… schietta a proposito-.
Elena si sedette a cavalcioni sulle sue gambe. –A proposito di cosa?- mormorò avvolgendogli il collo con le braccia.
Il diario di Alice capitava di nuovo al posto sbagliato nel momento giusto, ovvero ad intermezzo tra i loro corpi.
Marhim s’irrigidì improvvisamente, e per sciogliere la tensione Elena avvicinò il viso al suo.
-Che stai facendo?- balbettò lui stringendo convulsamente le mani attorno alla copertina del tomo.
-Nulla, ma ti prego, se vuoi continuare ad ignorarmi, fai finta che non ci sia- il fiato di lei s’infranse sulle sue labbra, poi Elena chinò la testa e lasciò una scia di baci lungo il profilo del suo mento.
-Eheh, facile a dirsi…- bofonchiò il ragazzo.
Elena allontanò improvvisamente il volto dal suo, e Marhim rimase interdetto.
-Ti sei fatto la barba- constatò lei carezzandogli una guancia.
-Ovvio, giusto per l’evenienza!- alzò gli occhi al cielo.

La giovane Dea Elena sedeva su una delle panche del giardino. I suoi occhi celesti spicciavano svelti sulle pagine del diario di sua madre che aveva poggiato sulle gambe, mentre il fruscio silenzioso del vento invernale accompagnava l’aria gelida della mattina attorno alla fortezza. Tutto taceva, tutto era bianco di un bianco candido e la neve aveva da poco smesso di piangere dal cielo argenteo.
La fine dell’anno si avvicinava. Gli ultimi giorni di dicembre erano trascorsi in quel modo adorabile e tranquillo che Elena aveva imparato ad amare. A proposito di amare… certo le sue sviste contro le regole con Marhim si facevano sempre più frequenti, o nella sua stanza quando Leila era fuori oppure nella biblioteca nell’ora in cui tutti, assassini e saggi, erano a pranzo e vi restavano solo loro due. Non poté che rallegrarsi, anche se aspettava con impazienza il momento in cui Marhim avrebbe voluto “crescere” insieme a lei. Era impaziente, avida di quel momento ed ogni secondo che trascorrevano assieme, nella sua stanza o nella biblioteca che sia, le pareva quello giusto per la loro prima volta. A quei pensieri le si arrossavano sempre le guance, lasciandola spossata e sorpresa di se stessa. L’Elena di una volta non c’era più. Quella ragazza che era approdata nella fortezza spaurita e con l’unico ideale da perseguire, ovvero di riscattare i peccati di sua madre, non c’era più. Col passare del tempo aveva appreso che i desideri, i sogni e i sentimenti umano non possono essere repressi; ma lei come sua madre a suo tempo, si sentiva in dovere, quel minimo, verso la confraternita che tanto l’aveva accettata calorosamente. Dopotutto, persino il fatto che si trovasse lì, seduta su quella panca, era un piccolo strappo alle regole che Tharidl si era permesso per salvarle la vita, o Elena non avrebbe avuto altro posto dove stare.
Improvvisamente si voltò, attratta dallo scricchiolare di alcuni passi sulla neve.
-Maestro- proferì un inchino con la testa e si alzò.
L’assassino avanzò verso di lei. –Tharidl vuole vederti- proferì composto.
La ragazza si strinse il libro al petto. –Come mai?- domandò.
Altair scosse la testa. –Avanti, vieni- fu piuttosto la sua risposta.

La fortezza sembrava un cimitero in quel periodo dell’anno, e chi vi abitava veniva avvolto da un’ombra sempre più profonda di silenzio e rispetto.
Altair camminava composto a pochi passi da lei e le fece strada fin nella sala d’ingresso della roccaforte, dove al piano superiore attendeva conscio il Gran Maestro.
Elena aggrottò la fronte. Quell’ala del palazzo era deserta; le guardie ai lati delle colonne e i saggi assorti tra gli scaffali delle librerie… non c’era anima che vagava per quelle mura che non fossero lei e il suo insegnante d’armi.
Altair si fermò di colpo, si voltò e la ragazza per poco non sbatté contro il suo petto.
Elena indietreggiò confusa. –Perché vi siete fermato?- domandò.
L’assassino la osservò allungo da sotto il cappuccio. Nel buio dei suoi occhi Elena colse appena del timore, come un risentimento.
-Elena- cominciò lui. –Qualsiasi cosa Tharidl ti dirà, sappi che tu potrai scegliere… sia che lui te ne dia o no la possibilità. E se non acconsentirà, sarò io a fermarlo- disse in un filo di voce.
-Di cosa parlate?- era spaventata.
Il suo maestro ignorò la domanda e guardò verso l’alto, dove Tharidl, poggiato al parapetto di pietra, li osservava entrambi.
-Non abbiamo altro tempo- dicendo così si avviò ed Elena lo seguì restando al suo fianco.
Perché tutt’un tratto quella paura? Le parole di Altair l’avevano lasciata col fiato sospeso, incerta persino su quali passi muovere restando appiccicata a lui come la sua ombra.
Tharidl aspettava con le braccia conserte davanti alla scrivania. Lo sguardo austero e fiero. Elena si sentì congelare da quegli occhi così bui e improvvisamente inesorabili.
Era successo qualcosa?
-È successo qualcosa?- chiese senza preavviso, e si portò una mano alla bocca subito dopo aver parlato.
Altair si fermò in disparte, ed Elena avanzò al centro della stanza.
Dalle vetrate alle spalle del vecchio entrava una luce grigia e bianca affascinante, che conferiva alla saletta una luminosità contenuta ma ben distribuita. Era l’atmosfera tipica dell’inverno che Elena vedeva spesso ad Acri negli stessi mesi circa, quando il cielo diventava ancor più cupo e solo nelle mattinate si azzardava qualche nevicata. Ora Masyaf era in preda al candido tocco della neve, che si poggiava sui tetti e andava ad infangarsi ai lati della strada in cumuli marroncini.
-Per favore…- sibilò afflitta. –Vi prego, se sono qui per essere punita di qualcosa…- balbettò, e subito le balzò alla mente la prima e l’ultima volta che aveva infranto le regole della confraternita, ovvero i suoi mille tentativi di allacciar bottone con Marhim.
A quel punto tacque. Se era davvero successo qualcosa, se qualcuno aveva davvero parlato o vuotato il sacco, Elena l’avrebbe scoperto a breve; non c’era motivo di torturarsi oltremodo.
Era stata scoperta!!! Ma che diamine!!!
-Elena, oggi sono pronto a dirti la verità, tutta la verità-.
La ragazza sollevò gli occhi spauriti e incontrò quelli del vecchio. –Cosa…- mormorò flebile.
Altair si fece ancor più da parte, riparandosi nell’ombra delle colonne. Quel gesto la mise solo maggiormente in allarme, mentre Tharidl muoveva alcuni passi verso di lei.
-Rispetto la tua scelta di non opporti alle mie conclusioni, Elena, e sono fiero del coraggio che mi stai dimostrando quando in qualche modo resisti alla tentazione di strapparti i capelli dal voler chiedere di più. Ebbene, questa mattina il tuo maestro mi ha aperto gli occhi su ciò che ti devo da quando entrasti in questo luogo per la prima volta-.
-Maestro, so già chi degli assassini che abitano questa fortezza è mio fratello- abbassò il capo. –Non c’è bisogno che vi preoccupiate per me- sussurrò afflitta.
Tharidl allungò le labbra in un lucente sorriso. –No, Elena, di quello sono certo. Ma vorrei che i tuoi dubbi sulla mia follia finissero qui, vorrei dirti perché ti ho tenuto nascosta la verità quando credevi non ne avessi motivo-.
La ragazza si raddrizzò, ascoltando curiosa.
Il vecchio prese un gran respiro. –Gabriel non compare spesso nella fortezza perché egli è un Falco, il Sacro Incaricato di condurre il Frutto nell’Eden da capo a capo di questa terra maledetta da Dio. Assieme al suo compagno, egli viaggia di città in città rischiando ogni particella del suo essere in un tracciato che non avrà mai fine. Elena, temevo che se avessi saputo che Gabriel era di tuo stesso sangue, avresti fatto di tutto per fargli rinunciare all’incarico, e trovare qualcuno di affidabile come quel giovane assassino è stata un’impresa più che ardua. Egli ha le capacità per vivere allungo nel deserto senza bere e mangiare, il suo fisico forte e allenato ha passato incolume le tempeste delle tempeste e non avrei voluto interrompere la catena proprio ora che pensavo di avere tra le mani la vittoria-.
I Falchi…
Aveva ragione. Forse Gabriel era davvero il ragazzo con quelle doti che l’avrebbero portato più lontano di altri nel suo compito. Suo fratello… un Falco. Le ci volle parecchio, parecchio tempo trascorso in un silenzio interdetto e meravigliato per poter realizzare a pieno quelle parole. Il pieno non si fece attendere, perché gli occhi le luccicarono.
-Lui… rischia la vita per… il Frutto?- balbettò.
-Sì, ogni giorno. Agguati, assalti, e la stessa madre natura che spinge i soldati di Corrado vi è contro a questi due folli. Elena, mi è abitudine chiamarli folli perché la scelta che hanno preso entrambi, Gabriel e Amir, è di nobili radici. E l’appellativo “folle”, per me è simbolo di immensa saggezza…- il vecchio spostò lo sguardo sull’assassino nascosto nel buio, e Altair accennò un sorriso.
-Ti è più chiaro, ora?- proferì allegro Tharidl camminando su e giù per la sala. –Mi vedi ancora come un pazzo che detta ordini senza sapere a chi e cosa va incontro? Elena, avresti tentato di fermare tuo fratello se te l’avessi detto prima?- chiese tranquillo.
-È probabile- rispose in un sussurro. –Ed ora capisco, e avete ragione… come sempre- assentì.
Ora le era possibile scorgere sotto la scrivania poiché Tharidl si fosse allontanato da essa.
Buffo, pensò Elena notando un secchio di legno tenuto discosto sotto lo scranno. Sembrava contenere del ghiaccio o della neve fresca, e vicino ad esso c’erano degli asciugamani bianchi e uno straccio. Poi, altro particolare che la colpì, fu il guanto posato sul tavolo. Vi era allacciato il meccanismo della lama nascosta che la ragazza riconobbe bene, e sul dorso vi erano le placche di metallo che più volte Elena aveva notato al polso sinistro del suo maestro d’armi.
In fine, un pugnale, adagiato sopra alcune vecchie pergamene; ma non vi era altro sulla scrivania, che sembrava essere stata sgombrata per l’occasione.
Tharidl la squadrò chiuso in un orribile e fastidioso mutismo.
C’era dell’altro? Ovvio.
Indizi, si disse… il secchio di neve, gli asciugamani, il pugnale e il piccolo e minuto guanto con la lama nascosta. Erano tutti indizi. Possibile che… no, non poteva essere… perché dopo così tanto tempo trascorso in riposo, Tharidl la chiamava al dovere in quel modo violento?! Ricominciavano così le sue dure giornate di allenamento e i suoi sali-scendi da una torre all’altra di Acri? Era quello il primo passo per tornare alle calcagna di Corrado?
Non poteva crederci. Era assurdo che il suo vecchio Gran Maestro desiderasse questo per lei.
Elena si trovava nel posto giusto al momento sbagliato.
Doveva scappare, dire di no e andarsene alla svelta! Altair le aveva detto che le sarebbe stato possibile scegliere. Ebbene, lei aveva deciso di rimandare.
Non ora che una nuova stagione stava spazzando via i ricordi di quella precedente! Non ora che indossava delle vesti linde, e non ora che la sua mano sinistra aveva appreso neppure il necessario per sopportare tale dolore!
Tharidl si volse verso l’assassino, ignorando l’espressione spaurita della ragazza.
-Dunque?- domandò composto il vecchio.
Altair alzò il mento fiero. –Non dovete chiedere a me, Maestro- rispose lui.
-Ella non è ancora pronta per prendere alcuna decisione. Troppo piena della sua giovinezza, ho sbagliato a conferirle tale fiducia. Ho avuto modo di scoprire da me molte cose, ultimamente, quindi vorrei che prendeste voi una decisione per lei- sbottò Tharidl, improvvisamente furioso.
E così Elena non veniva reputata degna di decidere delle sue dita?! Assurdo, maledettamente assurdo… che cosa aveva fatto per meritarsi quello? Forse Tharidl davvero aveva scoperto qualcosa, ed Elena pensò di nuovo a Marhim, ma ancora prima a Rhami. Ma che cavolo!
Tharidl si distrasse un secondo, andando a scrutare fuori dalle vetrate con le braccia conserte. –Chiedo a voi, Altair. Confido che sappiate scegliere cosa è giusto per lei, ora… ma vi rammento che in futuro potrebbe non esserci modo di agire…- proferì contenuto.
La ragazza scattò di lato, allungò un passo verso le scale, era quasi per lasciare la stanza, quando il suo insegnante d’armi l’afferrò per i fianchi e la strinse a sé, inchiodandola dov’era.
-Sta’ calma- le sussurrò all’orecchio, ed Elena s’irrigidì. –Andrà tutto bene, ma è importante che lasci fare a me- aggiunse soave.
Elena gli lanciò un’occhiata, lo vide sorridere e se ne stupì.
Tharidl Lhad voleva affettarle un dito e il suo maestro era così tranquillo? Forse Altair avrebbe provveduto lui stesso a tirarla fuori da quella situazione, ma non ci contò poi tanto.
Era la sua vicinanza ad infonderle tanta sicurezza? Era il calore del suo petto e delle sue braccia che le cingevano le spalle a darle nuovo vigore? Oppure era stato solo il suono delle sue melodiose parole a rassicurarle il cuore e a rallentarne i battiti, che nel momento in cui l’aveva sfiorata erano andati alle stelle.
Altair la lasciò, ed Elena si riebbe della forza delle proprie gambe, sentendosi però mancare il conforto del suo maestro, che si allontanò di qualche passo.
Elena strinse i denti, voltandosi lentamente a guardare il vecchio.
Questo osservò muto come la ragazza riacquistava compostezza di fronte a lui, e passò una mano sul guanto poggiato sul tavolo. –Non possiamo aspettare. I nostri impegni e doveri si stanno accavallando, e non possiamo permetterci altri rinvii e ritardi. Elena, ti ho concesso abbastanza tempo per pensare da te a quello che ti sarebbe spettato un giorno di questi. Oggi giunge il momento in cui viene a dimostrare la tua fedeltà alla setta- proferì tornando con gli occhi su di lei.
-Fedeltà?- eruppe Altair all'istante, e la ragazza stette in silenzio smarrita.
Tharidl inarcò un sopracciglio.
Altair avanzò a sguardo basso. -La chiamate fedeltà?- continuò - Quell’arma non è certo dovuta alla fedeltà al credo! Non è certo per atto morale che ci viene fatto quel che deve essere fatto! È una questione di comodità alla pratica di quell’oggetto, ed oggi voi parlate di fedeltà? Vi rifugiate dietro a delle farse pur di far acconsentire Elena a tagliarsi un dito?!- ruggì. –E cercate di confondere anche me?!-.
Elena sgranò gli occhi e sentì mancarsi il fiato. Era vera, la storia del dito era vera… non riuscì a crederci. Più che altro non volle crederci. Non concepiva il fatto che Tharidl la odiasse a tal punto! Lui che l’aveva sempre protetta e le aveva offerto sempre il meglio. Perché d’un tratto pretendeva tanto da lei?
I tempi si stringevano, giustamente dovevano agire al più presto. Corrado si apprestava a divenire Re del Regno di Gerusalemme, con al suo fianco Isabella e la sua piccola Maria, ed era ora di affrettare ogni cosa. Capiva il timore di Tharidl, comprendeva che in quei giorni fosse occupato e messo sotto pressione oltre il dovuto.
-È un segno, una devozione alla causa che ho appreso essere essenziale! Al Mualim me ne parlò in persona- ribatté il vecchio.
Altair soffocò una risata. –Al Mualim era un vecchio pazzo che voleva al più presto raggiungere i suoi scopi! Le sue parole di promesse e “fedeltà al credo” erano vuote fin dal primo momento in cui sedette a quella scrivania!- obiettò l’assassino.
-Vedila come vuoi, ragazzo, ma abbiamo già discusso del perché ella ha bisogno di quest’arma e subito!- eruppe Tharidl indicando prima il guanto e di seguito lei. –Forza Elena, avvicinati. Sono certo che hai compreso a dovere e sei pienamente d’accordo. Avvicinati, cara-.
Prima che Elena potesse muovere un muscolo, Altair le si parò davanti e Tharidl batté un pugno chiuso sul tavolo.
-Basta!- gridò il vecchio.
L’assassino prese un gran respiro e curvò le spalle.
-Vattene, ho detto. Ti sei reso complice abbastanza, puoi andare- sibilò con più calma.
Elena osservò la rassegnazione farsi largo sul volto del suo maestro, mentre questo le volgeva un ultimo sguardo.
-Avete detto che potevo prendere parte alla vostra decisione attivamente- sottinse guardandola, ma quelle parole erano riferite al Gran Maestro, che sedette alla scrivania pesantemente.
Elena piantò i suoi occhi azzurri in quelli neri e profondi del suo insegnante, fin quando egli non aggiunse voltandosi verso il vecchio: -Non è obbligata certo da voi, non ha bisogno di tutto ciò e le basterà stare a guardare…- disse solo.
Tharidl poggiò i gomiti sul tavolo. –Ne abbiamo già discusso, adesso va’-.
Altar fece per avviarsi, ma Elena lo afferrò per la manica della veste. –No- mormorò lei.
L’assassino lanciò un’occhiata stupida al vecchio, poi strinse la mano di Elena avvinghiata alla manica della veste nella sua. –Ora esageri- le sorrise.
Elena restò seria, respirando cauta e, con le dita della sua mano sinistra ancora stretta tra quelle del suo maestro, si voltò a guardare il vecchio.
-Sono stata in silenzio a guardare anche abbastanza, e ho capito a cosa vi riferite entrambi. Ho avuto modo di comprendere che quell’arma è dedita solo ai meritevoli della setta, ed io… come Dea e come mio volere, non ho intenzione di raggiungere il rango superiore a quello che ho adesso. Insomma… no, non voglio quell’aggeggio!- sbottò.
Sul volto del suo maestro si disegnò un ampio sorriso soddisfatto, e la presa attorno alla mano di lei si fece più stretta.
Elena cercò di non farsi distrarre da quel contatto e proseguì. –Vi prego, Maestro. Non ho bisogno di uccidere, ma se proprio devo non è con la lama nascosta che debbo raggiungere il mio scopo. Vi supplico, voi che avete sempre pensato al mio bene! Voi al quale vi ha affidato mio padre, vi prego…- mormorò affranta.
Tharidl tacque, e con lui l’assassino al suo fianco, ed Elena si girò a guardarlo.
Altair soffocò il suo sorriso che divenne una smorfia, prese fiato e lasciò la mano di lei. –Avete le vostre conferme, Tharidl. Oggi non mi contrappongo al vostro volere, ma vi impongo di ascoltare il suo- disse. -Se ella intende rinunciare all’incarico, è un suo desiderio, e non potete interferire in questo- proseguì sicuro.
Tharidl ridacchiò. –Ma ella non sa neppure di che incarico si tratta!- rise.
Elena avanzò. –State parlando di un omicidio? Be’, allora… Corrado… quando morirà assisterò in disparte, come era previsto che facessi. Dopo tutto, avete affidato ad Altair l’impegno di…- le parole le morirono nella gola, nell’istante in cui si accorse che i due uomini la fissavano seri.
La ragazza sbiancò. –Non…- balbettò. –Non avevate mica…- esitò indietreggiando. –Non avevate intenzione di… io… avrei dovuto ammazzarlo io?- la voce le veniva meno, e la testa cominciò a girarle.
Giunta con le spalle al parapetto del piano, si appoggiò completamente ad esso, sconvolta.
Era quella la verità. Tharidl le stava affidando il compito di prendere parte attivamente ad indagini e omicidio. Una volta ottenuta la lama nascosta, sarebbe stata la sua a trafiggere la carne di Corrado, la sua lama a mettere fine alla sua vita, e Tharidl… confidava in lei.
-Elena!- Altair le venne al fianco. –Non farti pervadere dalla rabbia! È il suo scopo, egli ti sta assegnando questo compito solo al fine di dannarti per sempre! È una trappola…- mormorò inquieto.
Tharidl si alzò spostando rumorosamente lo sgabello. –Adesso basta; Altair, puoi andare- dichiarò.
-Vile… guarda che cosa le hai fatto!- digrignò l’assassino.
Elena si strinse nelle braccia e si sollevò dal parapetto. Andò verso il tavolo e puntò i suoi occhioni di cristallo sul vecchio. –E sia…- disse.
Tharidl annuì soddisfatto, mentre Altair osservava in silenzio sconvolto.
L’assassino si passò le mani sul volto. –Dov’è finito il tuo onore?!- gli gridò contro. –La stai colpendo dove è più vulnerabile! Guardala! Elena, hai gli stessi occhi di quando Al Mualim usò i poteri del Frutto sulla gente della città! Sono vuoti e offuscati dalla collera! Elena, ascoltami!- provò ad avvicinarsi, ma Tharidl alzò una mano.
-Non ti conviene, se non vuoi rischiare grosso- proferì serio.
Elena non sapeva che fare, che aggiungere o che dire. Combattuta tra rabbia e paura, dava troppo poco ascolto alle parole del giovane suo insegnante, senza lasciar spazio alla ragione, colma di dolore.
Ma Altair aveva ragione, i suoi occhi erano vuoti… e lei, sopraffatta da una seconda coscienza, non poté ribellarsi.
-Non interferire. Ha fatto la sua scelta, ed era giusto che nelle mani avesse ogni tassello del puzzle. Saresti stato tu l’unico ad imbrogliarla se ella non avesse saputo di quale uomo avrebbe dovuto occuparsi. Ora è libera di cambiare idea, ma come vedi non lo farà…- enunciò Tharidl composto, ed Elena strinse i pugni.
-Permettetemi almeno- mormorò Altair avvicinandosi. –Di restare- aggiunse rassegnato.
Elena si girò a guardarlo, e lo colse più vicino a lei di quanto si aspettasse.
-Elena?- la chiamò il vecchio.
La ragazza annuì. –Sì, vi prego…- sussurrò. –Voglio che resti-.
-Bene, allora avvicinati. Vorrei che tu lo provassi prima di iniziare- dichiarò, ed Elena si avvicinò alla scrivania.
Fu Altair ad aiutarla ad allacciare ogni cinghia del guanto, che divenne a tal punto a stretto contatto con la sua pelle, che quasi il peso del meccanismo era nullo. Lo sentiva già parte di sé, sentiva quell’arma già parte del suo passato, presente e futuro.
Altair le mostrò come innescare il meccanismo, che partiva con un lieve tocco del mignolo. La lama venne fuori di colpo, scattante, pulita, brillante e ancora pura come la sua nuova padrone.
Dopodiché, ad Elena venne chiesto di privarsene, e lì ebbe inizio l’agonia.
Il vecchio issò sul tavolo il secchio di neve e vi distese accanto un asciugamano.
Elena ammirò ancora una volta la perfezione della simmetria delle sue dita, una delle quali presto avrebbe perduto.
Il vecchio le fece addormentare tutta la mano lasciando che la neve gelida arrestasse la circolazione. Quando perse la sensibilità dei polpastrelli, la ragazza fu attraversata da un brivido. E l’incoscienza dei suoi muscoli si allungò tra le ossa, avvolgendo centimetro dopo centimetro prima le dita poi l’intera mano.
Dopo poco, trasse dal cesto l’arto addormentato e quella sensazione le diede un fastidio smisurato. Tremava, ovviamente, ma erano tremori di freddo. Ormai i timori erano stati cancellati dalla voglia di combattere e arrivare fino all’ultimo, spingersi oltre il limite del dolore e ottenere per “mano” sua la morte di Corrado.
Elena lanciò un’occhiata al guanto fino e magro adagiato in disparte. Prese un gran respiro e aprì il palmo sinistro sfiorando appena il tessuto dell’asciugamano, che il tatto assente non riconobbe.
Che cosa ne avrebbero fatto del suo dito? Si chiese, e un sorriso divertito le affiorò sulle labbra.
-Pronta?- domandò Altair guardandola dall’alto.
Elena annuì di nuovo e lentamente, con un braccio teso sul tavolo, si avvicinò al petto del suo maestro. Si avvinghiò a lui affondando il viso nell’incavo del suo collo; una guancia poggiata sul cappuccio che portava abbassato.
Altair s’irrigidì scoccando uno sguardo sorpreso al vecchio.
Tharidl sorrise commosso. –Va bene così- bisbigliò.
L’assassino alzò gli occhi al cielo e ricambiò il dolce abbraccio della sua allieva. La strinse a sé avvolgendole le spalle e accarezzandole i capelli.
Il tempo sembrava essersi fermato. Tharidl assemblava i preparativi, e dovevano fare in fretta o il sangue avrebbe ricominciato la sua corsa svegliando la mano.
Il tocco della lama fu improvviso, più gelido della neve nella quale aveva affondato le dita. Veloce, agile… Tharidl le tagliò così un dito.
Elena soffocò il grido riempiendo di lacrime la veste del suo maestro. Singhiozzò senza sosta, strinse con violenza il tessuto bianco della tunica e cercò di darsi un contegno.
Quale contegno? Tra i suoi denti non aveva neppure un legnetto da stringere, piuttosto avvertiva il calore freddo del corpo del suo maestro così vicino al suo.
Tharidl le fasciò la mano e lei non volle assistere a nessuno dei suoi gesti. Piuttosto cercò ulteriore riparo tra le braccia di Altair, che la sentiva diventare sempre più rigida e scossa da brividi continui.
Quando Tharidl ebbe finito con le bende, Elena perse totalmente il controllo.
Il taglio pulsava sia nel corpo che nello spirito. Gridò con quanto fiato avesse pur di liberarsi di quel peso, e le sue urla s’infransero tra le mura della fortezza, raggiungendo gli alloggi degli Angeli, gli appartamenti delle Dee e il cortile interno nel quale si stavano allenando due assassini.

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Capitolo 42
*** Deserti freddi e caldi ***


Deserti freddi e caldi









“Gridò con quanto fiato avesse pur di liberarsi di quel peso, e le sue urla s’infransero tra le mura della fortezza, raggiungendo gli alloggi degli Angeli, gli appartamenti delle Dee e il cortile interno nel quale si stavano allenando due assassini.”






Marhim inciampò e cadde in avanti, ai piedi di suo fratello.
Halef lo aiutò ad alzarsi afferrandolo per il cappuccio. –Stai bene?- gli chiese distratto, guardando verso l’ingresso della fortezza.
Marhim si sollevò lentamente, la spada ancora stretta in pugno e la bocca aperta.
-Elena…- mormorò, ed un istante dopo scattò di corsa fuori dall’arena.
-Marhim, aspetta! No!- gridò Halef. –Fermo!- aggiunse, ma il fratellone saltò la staccionata e continuò dritto verso la sala.
Una volta nell’androne, Marhim rinfoderò la spada e proseguì sulle scale che portavano allo studio del Maestro.
Il ragazzo si arrestò nell’ombra delle colonne, non poté credere ai suoi occhi.
C’era un gran silenzio nella stanza, accompagnato dai gemiti continui della giovane Elena, stretta tra le braccia del suo maestro.
Marhim lo riconobbe subito: Altair stringeva la sua allieva a sé mentre Tharidl impiegava le ultime forze per fasciare alla Dea la mano sinistra. Il bendaggio, come vide chiaramente Marhim, correva dal polso allo spazio vuoto tra il dito medio e il mignolo.
Non riuscì a guardare oltre, nascondendosi dietro la colonna. Il respiro gli si faceva irregolare, e il cuore accelerava la sua corsa.
C’era del sangue sul tavolo del Maestro. Il sangue di Elena.
Non poteva starsene lì come un ebete e permettere che accadesse tutto quello. O meglio, era già accaduto, ma non avrebbe tollerato oltre che la sua Elena stesse un minuto di più attaccato a quell’uomo.
Ecco che i sentimenti per quella ragazza si facevano più forti, si disse lanciando un’occhiata. Se provava quel genere di gelosia, doveva essere davvero stracotto, pensò.
Come si era permesso Tharidl di tagliarle un dito? Così inaspettatamente … non era da lui accelerare a tal punto le cose. Ma perché Elena avrebbe dovuto accettare con tanta convinzione? Era stata forse costretta? Le imposizioni della confraternita ponevano limiti assurdi, e pensare che Tharidl non fosse capace di imporle una tale sofferenza gli pareva dannatamente possibile.
La ragazza soffocava i suoi lamenti sulla veste del suo maestro, l’unico braccio libero dal fardello del dolore era avvinghiato al suo collo, e in tutto questo Altair restava impassibilmente severo cercando di consolarla con delle innocue carezze.
Trovò il coraggio per mostrarsi, e nell’istante in cui Marhim emerse dall’ombra comparendo nello studio, Elena si allontanò dal petto del suo maestro.
La ragazza traballò facendo quale passo all’indietro.
-No, tienila ferma!- gridò Tharidl, ma Elena diede una svista al vuoto tra le due dita, ed un secondo più tardi si accasciò prima sulle ginocchia e di seguito completamente distesa a terra.
Marhim scivolò al suo fianco. –Elena!- sibilò non sapendo dove mettere le mani.
Altair aggrottò la fronte. –Cosa ci fai qui?- ruggì.
L’assassino più giovane le cinse le spalle e sollevò seduta il corpo della Dea. –Elena, Elena!- le sussurrò abbracciandola.
Tharidl inarcò un sopracciglio. –Per adesso può bastare, avanti: Altair puoi occuparti tu di riportarla nelle sue stanze?- chiese.
L’uomo annuì. –Se solo…- con un cenno del capo indicò Marhim che pareva non staccarsi da lei.
Tharidl prese fiato. –Marhim, lascia immediatamente questa sala!- ordinò.
Il ragazzo scattò in piedi come una molla, scostandosi dal corpo inerte della sua amica. –Sì, Maestro!- balbettò terrorizzato.
-Bene- fece Tharidl soddisfatto, e Marhim abbandonò lo studio con una smorfia.
Altair si piegò a raccogliere la sua allieva, afferrandola sotto le ginocchia e dietro la testa. Se la caricò in braccio e fece per avviarsi giù dalle scale.
-Assicurati- cominciò Tharidl, e l’assassino si fermò voltandosi.
-Assicurati che non sia sola, quando si risveglierà. Non voglio che tenti di levarsi la fasciatura prima del tempo- sospirò.
Altair annuì e sistemò meglio Elena tra le sue braccia.

D’inverno le desertiche lande egiziane erano una sterminata e compatta chiazza grigiastra che, alla luce del sole oscurato delle nuvole, pareva infinita.
Vi era qualche ciuffo di erba che spuntava dal terreno, ma la sola vegetazione di quei luoghi abbandonati da Dio, erano le pozze salmastre di neve sulle montagne e i cespugli essiccati di erba fredda.
La piana di Fayium era costellata di villaggi contadini e articolata in una serie di strade pietrate che calpestavano il deserto per diversi chilometri, collegando un centro abitato all’altro.
I due Falchi avevano ricevuto ordine di evitare ogni accesso affollato alle cittadelle e astenersi dalle vie più frequentate e meglio rintracciabili; proprio per questo motivo era stato chiesto loro di aggirare le città ove non si trovasse una Dimora e raggiungere le destinazioni percorrendo il deserto.
Su di loro gravava il freddo della notte, e i loro cavalli sfiniti mantenevano l’andatura regolare di una corsa lenta.
Gabriel si strinse nel mantello, nascondendo sotto ad esso le mani che stringevano le briglie.
Il buio inghiottiva la pianura e giocava brutti scherzi, in cielo si agitavano le nuvole di una tempesta di tempesta.
Il suo compagno anziano gli era affianco e puntava le sue veglie attenzioni dritto davanti a sé, pronto e scattante a qualsiasi evenienza.
-Che cos’è?-.
Gabriel seguì il braccio del Falco e fermò il cavallo. –Cosa?- chiese.
-Aguzza la vista, ragazzo! Guarda!- lo rimproverò il vecchio assassino.
C’era un barlume lontano, forse un accampamento nel bel mezzo del nulla. Le luci soffuse di fiaccole, e poi il suono ben distinto di metallo contro metallo.
-Dove siamo? Cos’è, un villaggio?- domandò il ragazzo.
-No- sibilò l’altro Falco. –Siamo nel bel mezzo del deserto! Secondo te cosa può essere?- sbottò furioso, e il suo cavallo parve agitarsi. –Presto, prendiamo un’altra strada!- ruggì facendo voltare l’animale.
Intrapresero una nuova direzione, sparendo avvolti dalle ombre della notte e punti da una gelida ventata che sollevò la polvere e gliela gettò negli occhi.
Giunsero ad un crepaccio roccioso e vi passarono attraverso in uno stretto ed intricato sentiero di pietra, mentre il suono degli zoccoli dei cavalli si diffondeva tra le ruvide pareti.
Gabriel si guardò attorno spaesato, ma costantemente vigile.
Quel posto non gli piaceva, quelle pietre avevano un che di dannatamente sinistro, e le ombre erano troppo immobili e silenziose.
-Perché ho un brutto presentimento?- mormorò.
L’incappucciato davanti a lui si voltò a guardarlo. –Tieni a freno i brividi, siamo al sicuro qui. Ci siamo già passati, ricordi?-.
Gabriel scosse la testa e si allungò sul collo del suo cavallo. –Compagno, non mi piace. Ascolta questo silenzio!- gemé.
Amir fece un gesto di stizza e lo azzittì con un sibilo. –Piantala; dei cavalieri si sono accampati lì e questa è l’unica via. Azzittisciti, per favore- digrignò.
Gabriel risedette composto sulla sella e portò una mano dalle redini all’impugnatura della spada al suo fianco. –Stolto vecchiaccio- bofonchiò.
Sopra le loro teste volteggiò un aquila che levò il suo grido, e poi fu il caos.
Dalla parete di roccia emersero una dozzina di figure oscurate dal nero della notte e copertE da lunghe mantelle scure. C’era una croce rossa di una filatura brillante sulle loro tuniche, e non potevano non trattarsi di quell’unica casata che meno si sarebbero aspettati di incontrare in quelle lande desertiche.
Gabriel sfoderò la sua lama. –Diamine!- strillò.
L’uccello del malaugurio andò a stringere i suoi artigli attorno al braccio sinistro di un uomo a cavallo che comparve dal nulla, con grande sorpresa dei due missi dal mantello bianco.
Amir accorciò a tal punto le redini da far indietreggiare la sua cavalcatura, e Gabriel con lui.
-Dateci il Frutto, e la vostra vita sarà risparmiata- ridacchiò il Templare a cavallo.
-Mai!- fu la schietta risposta del ragazzo.
Amir lo riprese mollandogli una pacca in testa, e quasi il cappuccio gli scivolò via dal volto.
-Sta’ calmo, ragazzino! Vuoi farci ammazzare?!- strinse i denti Amir.
Gabriel tentò di darsi un contegno, avvolgendo la presa attorno all’impugnatura della spada con maggior vigore.
Il semicerchio di uomini a piedi si stringeva attorno a loro, ed erano spacciati.
-Siate diplomatici- ridacchiò il Templare. –Perché rischiare inutilmente la vita?- sorrise malizioso.
Senza esitazione, un istante dopo che Gabriel si fu convinto che quella fosse la loro fine, Amir fece scattare in avanti il suo cavallo sguainando la sua spada.
Con un taglio netto, preciso e impeccabile, il vecchio assassino tranciò la testa ad uno dei soldati che li accerchiavano, e l’aquila che il cavaliere aveva sul polso prese il volo spaventata.
-Addosso!- gridò il Templare, e il duello ebbe inizio.
Gabriel smontò dalla sella e raggiunse l’elsa della lama corta. Estrasse la piccola arma e, prima che due soldati potessero colpirlo, scartò in avanti con una capriola e li sorprese alle spalle, pugnalandone prima uno e poi l’altro.
I fiotti di sangue si persero nel buio della notte, le urla di dolore raggiunsero il cielo. La quiete delle stelle era stata turbata, e fin quando il silenzio non avrebbe regnato, nella piana si sarebbe combattuta quella piccola guerra.
Amir toccò terra e trascinò il Templare giù dalla sua cavalcatura, ingaggiando così uno scontro alla pari.
Gabriel tenne a bada la maggior parte degli uomini lì presenti, ma dalla roccia si sporsero improvvisamente un gruppo di arcieri.
Il ragazzo scartò alla sua sinistra evitando un fendente e poi indietro con un balzo, per schivarne un secondo. Dopodiché, corse contro la parete di pietra e si aggrappò alla prima sporgenza. Agile come un gatto, raggiunse il pendio sul quale erano nascosti gli arcieri e, sfilando impercettibilmente i pugnali dallo stivale, ne fece fuori due.
Gli arcieri rimasti gli furono addosso armati di spade,  il combattimento proseguiva agitato anche al pian terreno.
Amir parò un colpo e respinse l’arma dell’avversario che fu costretto ad indietreggiare. Il Templare sembrava in difficoltà di fronte alla maestria del vecchio assassino e a tal punto messo alle strette, che dovette ridursi a schivare piuttosto che contrattaccare.
Gabriel si chinò a raccogliere l’arma di un arciere morto e la scagliò con forza addosso ad un altro, che dal colpo si chinò all’indietro e cadde giù dal pendio.
Con un taglio alla gola, Gabriel eliminò dalla sua portata anche un secondo arciere che gli era sembrato inesperto con la spada, ed in fine si lanciò contro il terzo ed ultimo soldato.
Questo, prima di attaccarlo, gli scagliò contro una freccia e Gabriel non riuscì ad anticiparla.
Il dardo penetrò nella carne all’altezza della spalla, andando a lesionare anche le ossa. Sul mantello bianco si disegnò ben presto una spaventosa chiazza nera che sudava sangue e bruciava intensamente.
Il ragazzo aprì bocca ma dalle sue labbra non venne altro che un gemito. Atterrito, col cuore che pompava troppo velocemente, toccò con mano l’asticella della freccia. Fece qualche passo indietro, fin quando il suo piede non scivolò sul bordo del crepaccio e la terra scivolò via dalle sue scarpe.
Gabriel precipitò verso terra e l’impatto col suolo gli strappò via i sensi, consegnandogli le chiavi di una stanza eternamente oscura.

“…Riaversi è fonte costante di dolore. Aprire gli occhi, anche solo per un istante, può essere a tal punto difficile da sembrare un’impresa impossibile. Ma delle volte siamo spinti da una sensazione, un presentimento, una forte richiesta di alzarci e combattere pur di vedere, piuttosto che immaginare il cambiamento del mondo dietro le nostre palpebre chiuse…”

{Dal diario di Alice}

Elena trovò la sue dita strette nella mano calda di qualcuno che era steso al suo fianco; qualcuno che le dormiva severamente accanto, un qualcuno che la stringeva dolcemente a sé e l’avvolgeva in un soave abbraccio. Sul viso della giovane Dea comparve un sorriso gioioso nell’avvertire il profumo di Marhim arrivarle nei polmoni, mentre tutto attorno al letto della sua stanza prendeva forma e colore. Le tende erano schiuse e lasciavano travedere un lembo della valle imbiancata dalla neve; le finestre erano chiuse, le ombre dei mobili si allungavano sul pavimento pulito della camera traversando i decori dei tappeti.
Improvvisamente ricordò ogni cosa, ma ciascun ricordo fu presto sostituito dalla smaniosa avidità di vedere, e quindi il suo sguardo cadde sulla mano sinistra, ancora fasciata da una benda candida.
C’era un sottile spazio vuoto tra il medio e il mignolo, dove alle sue cinque dita era stata sottratta quella simmetria tanto perfetta che Dio le aveva donato. Era una sensazione fastidiosa quella di non poter controllare uno dei cinque arti della mano, ma presto si sarebbe abituata e a quel punto non se ne sarebbe manco più accorta. Non riuscì a non guardare ai lati belli e solari della sua scelta: sarebbe stato il suo pugno a colpire Corrado. Tutto ciò le bastava.
L’altra sua mano era intrecciata a quella di Marhim, che vegliava dormiente alle sue spalle abbracciandola.
Chissà che non fosse mattina, si chiese la Dea sbadigliando.
La luce soffusa, il tepore del sonno come si fosse appena svegliata da un lungo sonno e rinvenuta da un magnifico sogno. Pensò che dovesse trattarsi delle prime ore dopo l’alba.
Lentamente, scivolò via dalle braccia di Marhim e si sollevò seduta sul letto. Voltandosi, poté notare come il ragazzo sonnecchiava spensierato con la bocca semi aperta; il corpo rilassato e la schiena contro la fredda parete della stanza.
Si chinò per osservarlo più da vicino, e subito ebbe un tuffo nel cuore. Le era restato affianco per tutto quel tempo, le aveva dormito vicino vegliando che non le accadesse nulla di male, ed Elena dubitò fortemente che si fosse trattato di un ordine di Tharidl. Le balzò addirittura alla mente che l’avesse portata lui stesso in braccio fino all’ultimo piano della fortezza, ma poi si ricordò delle carenti competenze fisiche del suo amico.
Amico…
Dopo quello che avevano passato, Marhim aveva varcato la soglia dell’amicizia fin da troppo. Eppure, forse per i suoi continui rifiuti, Elena non riusciva a considerarlo il “suo” Marhim. Forse mancava quell’ultimo passo; quell’ultimo “osare” che nessuno dei due aveva mai passato. Sì, doveva trattarsi proprio di quel modo assurdo di concepire le cose, perché non c’era altra spiegazione logica. Però… una volta aveva tentato, e una volta le era bastata come rifiuto. Non avrebbe riprovato alla cieca, sarebbe stato da stupidi farsi dire ancora e ancora un chiaro no in faccia per poi vedersi sgretolare tutto davanti al naso.
E lei, cautamente si avvicinava sempre più, quasi sentiva il suo respiro regolare e tranquillo.
D’un tratto Marhim aprì un solo occhio facendola sobbalzare.
Prima che Elena potesse scattare in piedi, il ragazzo le afferrò il polso inchiodandola dov’era. -Elena- mormorò sollevandosi.
I capelli arruffati gli cadevano sul viso, e la sua era un’espressione mista tra sconforto e gioia, impossibile da definire.
La Dea sorrise mesta, ma un istante dopo abbassò lo sguardo.
Marhim tacque alcuni secondi speranzoso che Elena tornasse a guardarlo, ma niente. La ragazza sembrava completamente assorta nelle sue tristezze, e lui cosa poteva fare per consolarla?
L’assassino si sedette a gambe incrociate dietro di lei e le cinse le spalle. –Sei stata tu?- le sussurrò all’orecchio, e istintivamente Elena strinse il pugno della mano sinistra.
La fitta di dolore le salì lungo tutto il braccio, arrivando alla nuca sottoforma di una scossa gelata. Nonostante ciò, rimase in silenzio.
Marhim non parve sconcertato, anzi. Lasciò che la ragazza si appoggiasse a lui che a sua volta finì delicatamente con la schiena alla parete. –Sei stata tu a volerlo?- chiese ancora.
Elena non seppe che rispondere, e il suo mutismo proseguiva indisturbato.
-In questo modo non migliorerai le cose- ridacchiò lui.
-Peggio di così non potrebbe andare- finalmente parlò, stupendosi di una voce tanto stanca come se tutta quella notte non avesse chiuso occhio. E con stesso fare sfinito, Elena si adagiò completamente contro il suo petto.
-Che ore sono?- domandò flebile lei.
-Presto, è ancora presto-.
-Cosa…- s’interruppe, nascondendo la mano fasciata sotto il gomito del braccio destro. –Cosa è successo poi? Non ricordo-.
-Non molto- sospirò Marhim poggiando la testa al muro. –Sei svenuta poco dopo che… ecco- indugiò.
-Sì, va bene. Ho capito- brontolò. –Ma adesso? Come sei arrivato qui?- lo interrogò voltandosi a guardarlo.
Marhim sbadigliò. –Dalla finestra-.
-È chiusa- sbottò lei.
-Come vuoi che sia arrivato? Credi che solo perché non ho il rango alto non sappia muovermi furtivamente? Ti sbagli! Leila aveva il sonno profondo, sai. Spero piuttosto che non ci senta ora…- si guardò attorno.
-Grazie- sorrise.
Marhim aggrottò la fronte. –E di cosa?- fece confuso.
-Di essere qui, adesso- adagiò la guancia sulla sua spalla e la punta del suo naso era solleticata dagli accenni di barba che lui aveva sul mento.
-È il minimo, per come mi sono comportato, intendo- parlottò.
Elena inarcò un sopracciglio. –Perché? Come ti sei comportato?- arrise maliziosa.
-Ah, io non ho fatto assolutamente niente di male!- dichiarò. –Qui sei tu il problema, non lo capisci?-.
Elena si raddrizzò tornando seduta. –Che intendi?- balbettò sconvolta.
Marhim distolse lo sguardo.
-Tu non provi niente?- insisté lei. –Non provi niente mentre quella che sta al gioco da sola sono io?-.
-Non capisci, io…- provò a dire, ma Elena lo interruppe.
-Perché sei qui, allora?!- ruggì. –Che cosa ci fai qui se il solo vedermi e sentirmi troppo vicina a te ti fa così male?!- aggiunse, e avvertì il pizzico delle lacrime salirle agli occhi.
-Non mi fa “male”!- ribatté lui.
-E allora qual è il problema? Marhim, non sono cieca! Non ancora, ma mi manca solo quello e sto apposto!- ironizzò alludendo al suo dito ora mancante. –Lo so che ti piaccio- arrossì per averlo detto così schiettamente.
-Tu non capisci, non vuoi capire. Rischiamo la morte! Tutti e due! E sarebbe meglio… credi che non sia doloroso anche per me?!- i loro toni di voce si facevano troppo alti, pensò Elena.
La ragazza non fu in grado di rispondere: Marhim era distaccato solo per… proteggerla?
-Tu…- mormorò lei.
-Io cosa?!- sbottò contenendo a stento la rabbia.
-Tu…- deglutì a fatica. –Tu mi ami?-.
Marhim perse colore, sbiancando improvvisamente e diventando freddo, un tutt’uno con i muri della stanza. Aprì bocca, ma non ne venne nessun suono, almeno prima che Elena gliela serrasse con un bacio.
Premette dolcemente le labbra sulle sue, e la risposta di Marhim si fece attendere uno, due, cinque secondi. Poi dovette staccarsi per prendere fiato, ma temeva di doverlo guardare in volto e tenne gli occhi chiusi.
-Al diavolo la setta- assentì lui.
Elena s’irrigidì e aprì gli occhi il tempo necessario per cogliere il volto del ragazzo riavvicinarsi al suo, e il fiato caldo di Marhim le s’infranse sul palato.
L’assassina scivolò giù, e Marhim l’accompagnò con la testa sul cuscino senza interrompere il bacio. Lui assaggiò smanioso ogni centimetro della sua bocca mentre, impacciato, veniva accolto tra le gambe di lei.
-Aspetta- disse ad un tratto, e la magia finì.
Elena avvertì il suo cuore rallentare i battiti di secondo in secondo. –Cosa?- trovò la forza di chiedere.
I capelli di Marhim le solleticavano la fronte, e poteva ancora sentire il respiro affannato di lui caderle sulle labbra arrossate.
Marhim le accarezzò il braccio fino a raggiungere il bendaggio sulla mano. Quando le dita di lui s’intrecciarono alle sue, un brivido percorse la schiena della giovane Dea.
-Aspettiamo che sia passato- le sussurrò soave.
-Che sia passato cosa?- domandò lei.
Marhim strinse con più forza la sua mano, e questo le procurò una fitta che risalì i muscoli dell’avambraccio. Il volto le si contorse in una brutale smorfia di dolore. –Perché l’hai fatto?- digrignò.
Marhim capovolse i loro corpi e la Dea si ritrovò in un istante sopra di lui, che la stringeva per i fianchi. -Ammetti che ne hai passate troppe negli ultimi mesi. Non posso rischiare di farti del male- pronunciò sorridente.
Elena si addolcì, nonostante la sprezzante avidità che folgorava il suo animo in quel momento. –Non mi serve la mano sinistra per…- Marhim interruppe le sue parole baciandola improvvisamente, ed Elena, interdetta, si tese tra le sue braccia.
Il ragazzo si staccò da lei che lo fissò negli occhi con rabbia.
-Aspettiamo che sia passato- ripeté Marhim.
La ragazza annuì, poggiò la guancia sul suo petto e, forte nella convinzione di aver ottenuto quello che desiderava, si abbandonò al sonno.
 
Una ventata gelida spazzò via le sabbie del deserto e le rovesciò sul suo corpo inerte al suolo, mentre il suo mantello bianco ondeggiava al respiro degli Dei e sulla sua pelle si disegnava il colore della vita.
Sopra di lui andava stagliarsi un cielo immensamente azzurro, punteggiato da poche nuvole bianche e gonfie. La tormenta fioriva nonostante le spesse pareti di roccia, e il vento s’insinuava nei cunicoli del crepaccio e soffiava tra sangue e dolore.
Gabriel tossì uno, due colpi di tosse prima di riuscire a girarsi su un fianco. La polvere della terra gli era entrata in gola, poiché la bocca gli fosse rimasta aperta durante tutta la sua convalescenza.
Si gettò nuovamente al suolo non tollerando l’immenso dolore che lo colpì alla spalla, e i muscoli lacerati di quella zona tornarono a chiedere sangue che, nella maggioranza, si era essiccato sulla parte alta del mantello. Sul tessuto candido si stagliava ora una chiazza di sangue secco e parte della ferita si era fortunatamente rimarginata da sé, senza l’uso di medicinali e impedendo maggior spargimento di liquidi. Quello che si chiese Gabriel fu, dopotutto, che fine avesse fatto la freccia che gli aveva perforato la tunica.
Si guardò attorno con la vista ancora appannata, ma riconobbe solo parte del paesaggio che lo circondava, ovvero le rocce calde dell’alto sole di mezzogiorno e una massa di cadaveri abbandonati in un angolo dello spiazzo.
Erano i corpi di coloro, Templari, che avevano combattuto il Frutto la notte prima, quando tutto era diventato improvvisamente buio.
Dello scontro con le forze Crociate ricordava poco e niente e, nel tirarsi su, Gabriel si trattenne dal ricadere giù afflitto da una nuova insopportabile manciata di scosse doloranti.
Finalmente riuscì a tirarsi in piedi.
Se n’erano andati, tutti quanti. Nella piazza tra le rocce del crepaccio restava solo la puzza di morti e sangue dipinto a schizzi sulle pietre, ma nient’altro.
I Templari si erano portati via il Frutto, i cavalli e le armi vinte in duello, poiché Gabriel si accorse di essere stato completamente depravato delle sue lame, compreso il meccanismo sotto il guanto sinistro.
Nel tentativo di tener sottocontrollo il taglio, si portò una mano alla profonda ferita sulla spalla e mosse i primi passi avanti.
Nord, sud, est o ovest? Il sole era alto nel firmamento, impreciso definirne l’ora attraverso le ombre delle pietre e ben presto Gabriel si trovò circondato dall’immenso ed infinito nulla del deserto.
Trascinava i piedi sulla sabbia alzando cumuli di polvere; era stanco, assetato, debole e privo di forze.
Camminò per pochi minuti prima di crollare di nuovo a terra, tra gli arbusti rinsecchiti e la vegetazione assente di quella vasta landa desolata.
In ginocchio sul selciato, gli occhi gli si chiudevano, quando una voce chiamò il suo nome.
-Gabriel!-.
Piuttosto che innalzarsi, il ragazzo cadde ancora più giù, finendo con la faccia tra la sabbia.
-Gabriel, presto!- disse Amir sollevandolo di peso e trascinandolo verso il crepaccio.
-Che succede?…- brontolò Gabriel incosciente e Amir lo adagiò seduto con la schiena poggiata sulla roccia.
Il suo compagno sembrava integro, chissà da dove veniva si chiese Gabriel, ma il solo alzare gli occhi richiedeva troppe energie.
Amir si accovacciò al suo fianco -Tieniti!- gridò.
Non ci fu tempo di aggiungere nulla più che un boato assordante riecheggiò nella gola di pietra, traversando e facendo tremare il deserto e le sue sabbie.
Istintivamente si coprì il volto e, al dolore per l’improvviso movimento del braccio, si sostituì presto un’ondata calda assurda che travolse la piana di Fayium nascondendo la valle in un bagliore intenso e accecante di una sfumatura giallastra mielata.
-Che succede?- strillò il giovane Falco terrorizzato.
Amir aveva il volto celato sotto il cappuccio, ma neppure quel riparo bastava. –Hanno trovato il Frutto! Un altro Frutto, Gabriel! Dobbiamo andarcene, ora!- ordinò Amir tirandolo in piedi.
La luce intensa andò ad affievolirsi, mentre il mondo si riappropriava dei suoi naturali colori.
Il cielo tornò azzurro, le nuvole bianche, ma quando i due Falchi intrapresero una corsa sfrenata ed estenuante verso l’ultima salvezza, un nuovo boato e una nuova vampata bollente di energia magica li travolse, e furono costretti a ripararsi in un dosso stretto del terreno.
-Corri, ragazzo! Corri!- lo incitò Amir calando il braccio del giovane sulle sue spalle e aiutandolo a correre.
Ripresero la loro fuga.
A intervalli regolari la piana veniva investita da lampi accecanti e improvvisi, provenienti da un piccolo accampamento dietro di loro, nella direzione opposta. Quando la luce gli abbagliava, era impossibile scorgere dove mettere i piedi, così si affidavano ai loro istinti per quei pochi secondi in cui durava il lampo. Quella luce bruciava sulla pelle, corrodeva i tessuti e scottava sotto i vestiti.
Raggiunsero un oasi vicino alla quale era issata una tenda scura e vi si gettarono all’interno, rifugiandosi da una medesima ondata di calore.
Gabriel atterrò di schiena sul tappeto e spalancò le braccia prendendo fiato. Ormai tutti i dolori del suo corpo si mescolavano in un unico grande desiderio di farla finita.
-Ieri notte, quando sei stato ferito non pensavo fossi ancora vivo- lo informò Amir aggirandosi per la tenda in cerca di cibo, acqua. Sembrava il ristoro di qualche pastore ma era abbandonato da quelli che potevano trattarsi di anni.
-Sei caduto da parecchio, fratello- si stupì Amir rovistando tra le dispense di alcune casse ammucchiate vicino a dei barili.
Amir strappò del tessuto dai cuscini che ornavano la tenda e ne ricavò un bendaggio improvvisato per il taglio di Gabriel che aveva ripreso a perdere sangue.
Il suono costante, ripetitivo del potere del Frutto dell’Eden che guaiva nella valle era segno che avevano fallito la loro missione.
-Stanno usando la nostra Sfera per trovare quell’altra, che non so come, hanno scoperto si trovi nei paraggi. C’è un accampamento Templare a nord, che non è un vero e proprio accampamento, ma siti archeologici che Corrado stesso ha richiesto riprendessero le loro attività. Non ho idea di come abbia fatto quel bastardo a sapere dove si trova un’altra di quelle lampadine!- sbottò amir fasciandogli la spalla.
Gabriel gettò la testa all’indietro stringendo i denti. –Dove sei stato fino ad ora?-.
-Mi hanno lasciato andare loro- confessò il Falco. –Gli ero solo d’impiccio e volevano che portassi la notizia a Tharidl affinché le glorie dei Templari prendessero piede nelle nostre terre. Subdoli maledetti…- digrignò stringendo il nodo.
-Cosa…- mormorò debole Gabriel. –Cosa facciamo… adesso?-.
-Torniamo alla Dimora più vicina; ma è bene aspettare che abbiano lasciato questi confini. Quando si muoveranno con i Frutti dell’Eden e abbandoneranno la pianura, saremo liberi di muoverci- dichiarò serio.
Quella notte i boati proseguirono in eterno, ma fortunatamente la corrente calda di energia che veniva dagli scavi portava fin nella tenda il suo calore.
I soldati di Corrado si apprestavano a picconare la terra e la pietra del sottosuolo in cerca dell’Immenso.
-Due frutti…- pensò ad alta voce Gabriel prima di prendere sonno.
-Dio aveva fame, si vede- ridacchiò Amir sprimacciando il cuscino.
Sulle labbra del giovane comparve un sorriso mesto, infastidito da tanto sarcasmo.
-Prima la spia… ed ora questo- bofonchiò girandosi su un fianco, dando le spalle al compagno.
-Tharidl non ne sarà molto contento-.
-Al diavolo Tharidl! Non pensare alla setta, per una volta, ma piuttosto ai centinaia di morti che il Frutto nelle loro mani saprà causare! Coma abbiamo potuto permetterlo?!- gridò rabbioso.
Amir sospirò. –Qualunque tono arrogante tu assuma adesso, Gabriel, sappi che non otterrai nulla in cambio. Tanto vale aspettare che le cose si calmino e affrontare la realtà. Forse non è destino che la setta tenga quegli artefatti- mormorò assorto.
-Destino? È questo il nostro destino… respiro a mala pena, questo può essere chiamato destino?-.
-Stai forse delirando, ragazzo?- domandò scherzoso.
Gabriel ignorò le sue parole e chiuse gli occhi.
-Domani saremo a Nazla prima del tempo. Da lì manderemo una colomba a Masyaf e vi faremo ritorno solo quando ti sarai ripreso. Non fare la vittima, che ce ne sono già abbastanza- lo rimproverò severo.
Il ragazzo si strinse nelle spalle, e la collana scivolò da sotto la coperta andando a poggiarsi a terra, di fronte al suo naso.
La pietra grigia delle grotte del lago riluceva alla luce dei poteri dell’Eden, assumendo una sfumatura argentata magnifica.
Strinse il ciondolo tra le dita tremanti ed infreddolite della mano destra e cercò di addormentarsi senza il costante pensiero della ragazza cui l’aveva vista al collo dopo tanti anni.

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Capitolo 43
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Ore: 12.04 pm
Da: Warren Vidic
A: Lucy Stilman.
Oggetto: rapporto dei mesi dicembre 2012 e gennaio, febbraio, marzo 2013.

Ottimo. I progressi di questi quattro mesi, nel complesso, sono stati eccezionali e ringrazio il lavoro del personale autorizzato alla lettura di questa e-mail affinché i vostri rapporti combacino alla ben è meglio con il mio delegato all’Azienda. Sono stati giorni difficili, questi ultimi, ma assieme abbiamo saputo raggiungere i nostri scopi e saperci adattare con il massimo della lode. Ringrazio il suo duro lavoro, signorina Stilman che, con la sua pazienza, ha donato a questa nobile causa il suo tempo e la sua dote. Sapevo di poter contare sul suo aiuto e non vado certo ripercorrere i miei passi senza ulteriori complimenti al suo intelletto, e per tanto, mi sento in dovere di premiarla con quanto più affetto mi è rimasto provare. Ma venendo a noi.
Durante i primi periodi al trattamento secondario i pazienti si sono dimostrati indisposti, e vorrei maggiori dettagli per quanto riguarda la compatibilità dei file mnemonici coi ricordi cui siamo in possesso. Dunque, non tollererò nuove interferenze in quanto il nostro fine ultimo si avvicina. Dicembre, con l’avvenire del nuovo anno, ha portato nei nostri laboratori troppi scompigli. Non è mancato lo sciopero del personale datato 23/12/2012. Di conseguenza a questo primo problema, è sopraggiunto il blocco della corrente del giorno 31/12/2012. I nostri macchinari quella sera, se ricordo bene, sono stati sovraccaricati dall’utilizzo abnorme del programma Container. Spero che in futuro non si riproponga una sfortuna del genere, e in tal proposito, Lucy, si dia una secchiata d’acqua fredda! In questo periodo mi è più distratta del solito, e non posso tollerare ulteriori indugi nel lavoro.
Cosa successe il 10/01/2013 resta tutt’ora un mistero. Alex Viego si è accertato di persona delle condizioni psicofisiche dei pazienti, ma entrambi, la mattina successiva, non erano comunque in grado di fornirci i loro ricordi.
Nota: sostituzione del personale addetto alla mensa.
Il giorno 14/01/2013 è uno da dimenticare, signorina Stilman. L’Animus ha mostrato i primi chiari segni di cedimento, e la manutenzione è costata al progetto una somma che va ben oltre i 50.000 dollari. Si regoli lei.
Data 02/02/2013. Il soggetto 18 ha assistito imparziale ad una conversazione che doveva rimanere altamente segreta a tutti i pazienti! Dio, ma perché non fate tappare qui maledetti condotti di aerazione!
La mattina del 16/02/2013 Desmond Miles è stato trasferito d’urgenza nella sala psichiatrica dell’edificio. Sembrava essersi trattato di un’eventualità post-trattamento e non eravamo molto in pensiero. La signorina Tomas, invece, pareva alquanto turbata e di fatti, 32 ore più tardi, ha subito lo stesso trauma. Abbiamo rimosso il tumore il più in fretta possibile e, nel giro di una settimana, eravamo in grado di riprendere la caccia.
28/02/2013. Sebbene fossimo ad un passo dalla meta, tutto precipitò nel momento in cui i pazienti hanno iniziato a riscontrare gli anacronismi previsti all’epoca della rimozione del famoso ricordo. Sono stati i binari più arrugginiti, ma uscimmo incolumi da quella disavventura.
05/03/2013 i soggetti sono stati trasferiti fuori dal laboratorio e condotti nell’ala accoglienza dell’edificio.
Nota: chiudete quella dannata perdita di gas!
06/03/2013. Questo stesso pomeriggio mi sono accorto personalmente, su richiesta del soggetto 17, che non avevamo fornito loro le necessarie “protezioni”. È stato piuttosto imbarazzante.
Nota: provvedere ad un acquisto di profilattici.
08/03/2013. Un forte temporale ha scosso New York e molti dei macchinari sono andati in tilt, tra cui l’Animus (b). Siccome avevamo urgenza di terminare il trattamento del soggetto 18, il paziente 17 è stato allontanato dal laboratorio e condotto sotto sorveglianza in “vacanza”.
Nota: voglio un rapporto completo sia da lei, Lucy, che da Desmond per quanto riguarda questa scappatoia alle regole che mi è costata un braccio! I clienti non riusciranno a tollerare oltre la nostra testardaggine, e tempo che metà del compenso possa sfumarsi tra le nostre mani. Al fine di evitare un taglio del guadagno, chiedo che la questione venga rimandata in sede ufficiale il più tardi possibile.
La notte del 17/03/2013 abbiamo dovuto riprendere il blocco di memoria sei per accertarci che non ci fossero problemi e interferenze con quelli successivi. Stavamo riscontrando, con la signorina Tomas, più di un anacronismo e le assenze di chek-point erano solo un avvertimento.
20/03/2013 Manutenzione completata dell’Animus (b). La borsa dell’azienda ha appena lasciato nelle mani dei nostri scienziati 50.000 dollari. Non intendo parlare oltre; sono sconvolto.
21/03/2013. Aggiornamento del software “Container”. Abbiamo perso l’Animus (a). Non ho parole.
27/03/2013. Il signor Miles e la signorina Tomas hanno avuto un “contatto” (cosiddetto bacio) di fronte alla porta della stanza del soggetto 18. Sono scomparsi entrambi dopo pochi secondi.
29/03/2013 (oggi). Visita da parte degli acquirenti. Alex Viego ha portato via con sé il primo Frutto e tornerà tra 15 giorni a ritirare le informazioni sulla localizzazione precisa del secondo Tesoro dei Templari.
Attendo presto il suo rapporto signorina Stilman, ma nel frattempo sarei disposto a lasciarle prendere un periodo di riposo. Ormai, con la scoperta del secondo artefatto, andiamo a colpo sicuro in qualsiasi direzione, e spero che questa mia offerta venga ben accolta.

Warren,
responsabile e coordinatore del progetto Animus.











Data: 30/03/2013
Ore: 2.56 pm
Da: Lucy Stilman
A: Warren Vidic
Oggetto aggiuntivo: buon lavoro.
RE: rapporto dei mesi dicembre 2012 e gennaio, febbraio,  marzo 2013.


La ringrazio, dottore.
È stato un immenso piacere ricevere le sue congratulazioni, ed è per me una gioia rispondere col sorriso sulle labbra a questa sua e-mail. Non nego che abbia faticato al suo fianco per raggiungere certi obbiettivi, e non vado dicendo di non essermi lamentata delle volte sia del suo operato che del personale a proposito delle esigenze eccessive verso i pazienti, ma nel complesso, come ha menzionato lei, è stato un ottimo lavoro. Certe esperienze non me le scollerei dal cervello per nulla al mondo, e sento di essere ormai parte del progetto e di averci gettato l’anima  per intero. Accetto volentieri l’offerta di vacanza che mi ha dato; sarà per me un toccasana e potrebbero bastarmi pochi giorni, il tempo necessario per cambiare aria e tornare trovando il laboratorio in preda ai festeggiamenti. Mi piacerebbe notare questa allegria più spesso, ma quando si tratta di lavoro, sono ben fiera di restare entro i miei limiti di sua assistente.

Lucy,
 assistente e coordinatrice del progetto Animus.










Data: 01/04/2013
Ore: 7.22 am
Da: Lucy Stilman
A: Warren Vidic
Oggetto: nascituri problemi?


Scrivo questa lettera nel mentre i pazienti sono entrambi occupati col progetto. Warren, mi chiedo cosa siano quei tremori che Andrea ha al braccio sinistro mentre è stesa sull’Animus. Dovremmo chiamare un medico?

Lucy











Data: 01/04/2013
Ore: 8.41 am
Da: Warren Vidic
A: Lucy Stilman
Oggetto: RE: nascituri problemi?


Mi occuperò personalmente, ed è probabile che durante la scansione dei ricordi la signorina Tomas soffra di alcuni nodi mnemonici. Provi a pensare al soggetto 11. Si ricorda del suo sonnambulismo acuto post-trattamento? L’Antenata di Andrea è stata sottoposta al taglio di un dito proprio in questi ultimi blocchi di memoria, e se non sbaglio, c’è un’articolazione principale che potrebbe risentirne. Per tanto, non abbiamo di che preoccuparci. Lucy, quando esattamente ha intenzione di prendersi questa sua vacanza? Se non parte un giorno di questi, non sarà qui in tempo per assistere alla fine del Progetto II.

Warren










Data: 01/04/2013
Ore: 12.34 pm
Da: Lucy Stilman
A: Warren Vidic
Oggetto: ///

Warren, non si preoccupi. Quando avrò intenzione di partire gli farò un cenno. Ma l’avverto che avevo stabilito la partenza per questo pomeriggio. Avvertirà lei i pazienti?

Lucy









Data: 01/04/2013
Ore: 2.09 pm
Da: Warren Vidic
A: Lucy Stilman
Oggetto: RE: ///

Perfetto. Non esiterò ad esporre i fatti al soggetto 17 e 18. Non vedo cosa possa andare storto. Si diverti, signorina Stilman, si merita tutto questo.

Warren Vidic,
responsabile e coordinatore del progetto Animus









Data: 01/04/2013
Ore: 4.26 pm
Da: Lucy Stilman
A: Warren Vidic
Oggetto: RE: RE: ///

Sono in partenza e sarò di ritorno in data 02/05/2013. Ancora i miei più sentiti ringraziamenti.
Arrivederci, dottore.

Lucy Stilman,
assistente e coordinatrice del progetto Animus











Data: 02/04/2013
Ore: 7.43 pm
Da: Alex Viego
A: Lucy Stilman (portatile a connessione esterna, autorizzato)
Oggetto: quella cataratta di Vidic!

Ho saputo che sei fuori in vacanza. Schiatto dall’invidia. Quelli del Progetto non mi pagano abbastanza, e qui il lavoro scorre liscio. Sì, esatto. Sarei dovuto rimanere in disparte al progetto finché non fosse stato riportato alla luce la localizzazione precisa del Frutto, ma Vidic stesso ha insistito che lo aiutassi in laboratorio. Nel mentre sei all’esterno, Warren mi tratta come il suo schiavo e non posso lamentarmi, ma ribadisco: non mi pagano abbastanza. Siamo al termine, Lucy, mancano pochi giorni e il secondo Frutto verrà consegnato nelle nostre mani, ma nel frattempo ho appreso molte cose interessanti su questo posto che non immaginavo. Il soggetto 18, alias Andrea Tomas, mi ha parlato delle scritte nel suo bagno, mentre Desmond si è limitato a raccontarmi dei segni sul muro della sua stanza. Sono particolari che mi avete tenuto nascosto, ma che allo psicologo di sala non possono essere silenziosi. Mi servivano quei dati, o in caso di un attacco di follia non avrei saputo stabilire alcuna radice delle cause. Mi viene da piangere, questo posto deprime! Warren mi ha chiesto di farti rapporto giornaliero sui fatti, ebbene non strattonerò i suoi ordini.
Qualche ora fa ho visitato di nuovo i pazienti. Stanno bene, ma Desmond fa strani sogni di cui ricorda pochi particolari. Andrea, invece, non sogna affatto. Temo che il trattamento le abbia ridotto al minimo le capacità produttive e se così fosse, tra un paio di giorni potrebbe non essere più in grado di provare emozioni. A riguardo, Warren mi ha parlato del soggetto 02 che aveva gli stessi identici sintomi, con la sola differenza che questi si manifestavano ante-trattamento. Ebbene, mi sorgono una miriade di dubbi, e se non torni alla svelta, li ammazziamo questi poveri Cristi.
Il personale della mensa è stato sostituito, e Vidic è tra le nuvole per questo. Andrea ha sofferto di torsione dello stomaco ancora una volta, ieri, e solo oggi la cascina è stata rimpiazzata. In compenso, persino parecchi degli scienziati che lavorano nella sezione 8 staranno meglio nei prossimi giorni!
Il futuro è ancora incerto. Ci spostiamo lentamente tra un blocco e un altro di memoria alla ricerca del filo conduttore, ma entrambi i pazienti non collaborano. Warren è su tutte le furie.
Domanda: c’è qualcosa che posso fare per evitare che Vidic mi strangoli per questo?

Alex












Data: 03/04/2013
Ore: 5.33 pm
Da: Lucy Stilman (portatile a connessione esterna, autorizzato)
A: Alex Viego
Oggetto: RE: quella cataratta di Vidic!

Smettila di arrabbiarti col mondo, Alexander. Warren è solo parecchio stressato e non serve nessun altro che si comporti come lui, pertanto, cerca di essere il più distaccato possibile e di obbedire ai suo ideali. È un consiglio, per esperienza. Anche se la fine di questa storia si avvicina, non posso negare che lavorare al fianco di entrambi voi è stata un’esperienza entusiasmante, ma… se possibile… da non ripetere. L’Animus è destinato a fare grandi cose, e siamo solo all’inizio del suo impiego. L’Abstergo è una casa farmaceutica che presto avrà sedi in ogni angolo del globo e non possiamo niente per impedirlo. C’è forse un lato positivo in questo? Alex, porta pazienza, e se puoi, cerca di aggiornarmi il più spesso possibile sugli avvenimenti in laboratorio.
p.s. prima di uscire non ho caricato il programma container e bisogna aggiornarlo al nuovo software. Potresti occupartene? Non dirlo a Vidic!

Lucy











Data: 03/04/2013
Ore: 9.28 pm
Da: Alex Viego
A: Lucy Stilman (portatile a connessione esterna, autorizzato)
Oggetto: RE: RE: quella cataratta di Vidic!

Troppo tardi, Lucy. Warren se n’è accorto da solo. Circa un’ora fa il laboratorio è esploso in fiamme! Già ci manchi. :D

Alex












Data: 03/04/2013
Ore: 11.04 pm
Da: Lucy Stilman (portatile a connessione esterna, autorizzato)
A: Alex Viego
Oggetto: RE: RE: RE: quella cataratta di Vidic!

°__° ALEXANDER! Spero tu stia scherzando! Warren mi ammazza, capisci? Oddio, come ho potuto permetterlo??? Spero che stiate tutti bene! E l’Animus? I danni sono irreparabili??? Andrea, Desmond, loro stanno bene? Rispondi presto!













Data: 05/04/2013
Ore: 3.55 pm
Da: Alex Viego
A: Lucy Stilman (portatile a connessione esterna, autorizzato)
Oggetto: … BUM!

Ah! Ah! Ah! Quanto mi diverto! ^__^ Lucy, mia piccola e dolce Lucy, stai tranquilla. Ho caricato il programma Container personalmente appena arrivato, dubitavo fortemente del fatto che te ne fossi ricordata, e così… per precauzione. Stiamo tutti bene, ovvio, e a Vidic non ho detto una parola per quanto riguarda la tua dimenticanza, anzi… sappi che quando tornerai ti aspetteranno altre congratulazioni. Il software nuovo funziona con la lode e Warren è… tra le nuvole, di nuovo. Vederlo saltellare allegramente da una parte all’altra del laboratorio è… inquietante. Mi chiedo quando ricomincerà a dettare ordini: sarà più spietato di prima? :D










Data: 05/04/2013
Ore: 6.58 pm
Da: Lucy Stilman (portatile a connessione esterna, autorizzato)
A: Alex Viego
Oggetto: RE: … BUM!

STR***O! Ti avevo chiesto di rispondermi immediatamente, perlomeno! Invece no, ti sei degnato di scrivermi ben 32 ore più tardi! Questa te la faccio pagare, Alexander. Ma venendo a noi: come procede il lavoro? È questo che m’interessa. Desmond e Andrea sono predisposti al trattamento o le cose si stanno volgendo di nuovo dalla padella alla brace?

Lucy












Data: 06/04/2013
Ore: 12.32 pm
Da: Alex Viego
A: Lucy Stilman (portatile a connessione esterna, autorizzato)
Oggetto: dalla padella…

Giriamo intorno all’argomento cucina, eh? Come vedi il mio rapporto prettamente accademico si sta trasformando in una conversazione molto alla MSN, non trovi? Lucy, se Warren mi scopre a scrivere certe cose, insisterà personalmente per rimpiazzarmi. L’hai detto tu che è meglio che mi attenga ai suoi ordini, perciò è bene che ti parli di cosa è davvero importante che tu sappia.
Desmond si è ammalato. La febbre a 40° ha cominciato questa mattina e da allora non si è più alzato dal letto. Mi sto occupando personalmente di lui, mentre il lavoro prende una sfumatura bluastra che ha colpito me e Warren all’improvviso. Le cose precipitano, e abbiamo bisogno di un intervento esterno. Crediamo di sia qualcosa che non va nell’Animus, ma sia io che Warren non sappiamo dove mettere le mani. Potresti connettere il tuo portatile al server del laboratorio e agire direttamente da dove ti trovi… a proposito, dove ti trovi?

Alex














Data: 06/04/2013
Ore: 4. 19 pm
Da: Lucy Stilman
A: Alex Viego
Oggetto: RE: dalla padella…

Questa volta non scherzi, e lo so per certo. C’era l’eventualità che i numerosi surriscaldamenti dell’Animus portassero a questo genere di conseguenze, ma non vi è nulla di grave. L’oggetto da sostituire nel macchinario va estratto manualmente, perciò dovrai farlo tu o Vidic, tirate una moneta, ma Cristo, dovete disattivare il Container prima di agire. Ti manderò via e-mail un’immagine che inquadra la zona interessata e l’oggetto da estratte. Si tratta di una vite dalla forma cubica che è magnetizzata alla parete interna dell’Animus. Nella prossima lettera allego l’immagine. Ricordati di arrestare il sistema e operare senza che i pazienti siano stesi sul macchinario. Grazie, tengo molto alla loro incolumità. Per la cronaca, sono sulle coste soleggiate di Miami.
p.s. come sta Desmond?

Lucy











Data: 11/04/2013
Ore: 11.06 am
Da: Alex Viego
A: Lucy Stilman (portatile a connessione esterna, autorizzato)
Oggetto: RE: RE: dalla padella…

Fatto, l’immagine è arrivata e il problema è risolto. Il livello di radiazioni dell’Animus si è abbassato del 66% ed è tutto merito tuo. Desmond migliora in fretta, e questa mattina, appena svegliato, si è voluto mettere subito all’opera, ma ancora prima aveva chiesto un gelato al cioccolato. Come vedi, certe persone non cambiano mai. Warren ed io tiriamo un sospiro di sollievo e attendiamo impazienti il tuo ritorno che, in data definitiva, segnerà la conclusione del Progetto II.

Alexander Viego,
responsabile della sorveglianza e paramedico del progetto Animus












Data: 12/04/2013
Ore: 3.57 pm
Da: Lucy Stilman (portatile a connessione esterna, autorizzato)
A: Alex Viego
Oggetto: … al forno!

Mi sarebbe piaciuto trascorre con voi certi periodi all’interno del laboratorio. Quanti giorni conto di un colore grigio passati in quelle mura, e assistere all’improvvisa allegria che sprizza era uno dei miei sogni. Non mi sono legata più di tanto a quello che l’Azienda va cercando, e il modo in cui persegue i suoi obbietti mi resta ancora indigesto, ma solo ora vedo qualcosa di positivo in tutto questo.

Lucy Stilman,
assistente e coordinatrice del progetto Animus













Data: 15/04/2013
Ora: 2.33 pm
Da: Warren Vidic
A: Alex Viego; Lucy Stilman (portatile a connessione esterna, autorizzato).
Oggetto: termine

Annuncio la fine del progetto e la riuscita della localizzazione satellitare del Frutto dell’Eden. Alex Viego riceve oggi la convalida del luogo e la valigetta.

Grazie a tutti.


Warren Vidic,
responsabile e coordinatore del progetto Animus















P.S.
Non finisce così! ---------------> c’è molto altro da vedere…


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Capitolo 44
*** Ragazzina ***


Ragazzina




Il sole penetrò violento nella stanza, e i suoi raggi bollenti le scaldarono il viso.
Elena aprì gli occhi e impiegò diversi istanti per abituarsi alla luce, ma quando le sue pupille si furono ristrette a sufficienza, riconobbe una donna in piedi di fronte alla finestra.
-Kamila?- la giovane si sollevò seduta sul letto passandosi le mani in volto, così da stropicciarsi gli zigomi.
La Dea si voltò dall’osservare il panorama e sfogò un sorrisolo gioioso sulle labbra carnose. –Buon giorno- disse venendole incontro. Prese dall’armadio le sue vesti da assassina e le poggiò sul letto al suo fianco. –Tharidl vuole vederti; è urgente- e detto questo si allontanò sparendo giù per le scale del salotto.
Elena poggiò i piedi scalzi a terra e si avvicinò alle ante schiuse della vetrata. Si affacciò dal balcone e prese un’immensa boccata d’aria. Poi il suo sguardo cadde sulle dita della mano sinistra stretta attorno al cornicione della finestra, e sorrise mesta.
La fasciatura era stata rimossa, il taglio si era cicatrizzato e poteva finalmente tornare a vivere. Il vuoto tra il medio e il mignolo era ormai d’abitudine, e non le dava neppure fastidio, anzi. Era diventata anche mancina, come era dovuto agli insegnamenti di Leila.
Era stato un inverno lungo e difficile da sopportare; pieno di dolori, sia fisici che mentali, e non sopportava quel modo di fare premuroso che tutti atteggiavano verso di lei. La sua mano era guarita, ora alle sue carni poteva essere installato il meccanismo della lama nascosta, e non avrebbe atteso un momento di più.
Si vestì alla svelta, ma senza tralasciare alcun dettaglio: abbigliò i capelli in una composta coda alta e si lavò il viso in bagno, sgattaiolò di nuovo nella sua stanza e allestì ciascun fodero di cuoio con la rispettiva arma.
Quand’ebbe finito, scese le scale e trovò Kamila ed Elika ad attenderla nel corridoio e assieme alle due Dee si avviò allo studio del Maestro.
Tutte e tre assieme facevano paura, ma era una bellezza che inquietava e particolarmente accattivante. Erano Dee, e camminavano l’una affianco all’altra mentre assassini e saggi si scostavano al loro passaggio.
Tharidl attendeva in piedi, composto, di fronte alla sua scrivania pulita e ordinata più del solito. Era forse una precauzione per evitare maggiori scompigli in caso di infuriate? Elena rise per averlo solo pensato.
Nello studiolo vi era anche una presenza nuova ma vecchia.
Altair avanzò dall’ombra delle colonne e comparve colpito dal fascio di luce proveniente dalle vetrate.
-Grazie, potete andare- Tharidl congedò le due Dee con un gesto del capo e Kamila ed Elika si allontanarono dalla sala.
-Maestro- Elena s’inchinò ad entrambi.
Altair si posizionò al suo fianco, e Tharidl si voltò per andare a cercare qualcosa tra gli scaffali.
-Tutto bene?- domandò l’assassino.
Elena gli rivolse un sorriso. –Sì, grazie- involontariamente strinse il pugno sinistro.
Altair annuì poco sicuro e tornò a fissare l’orizzonte davanti a sé.
Tharidl rinvenne dagli scaffali un cofanetto lungo e abbastanza spazioso da poter contenere delle tozze pergamene e lo poggiò sul tavolo. –Elena- chiamò severo, e la ragazza avanzò.
-Questa mattina tuo fratello Gabriel e il Falco Amir faranno ritorno da Nazla, ma devi sapere che uno dei due è stato gravemente ferito. Durante una delle trasferte nelle terre egiziane, i Templari hanno teso loro un’imboscata e solo per miracolo si sono salvati. Abbiamo perso il Frutto, cui notizie abbiamo poco e niente, ma sappiamo che verrà trasferito a Gerusalemme assieme al suo legittimo proprietario, ovvero Corrado. Oggi ricevi la tua arma- aprì il cofanetto –e il tuo incarico. Questo stesso pomeriggio, tu e Altair partirete per la Città Santa e una volta tra la sua gente, scoprirete quanto è più possibile affinché il vostro attacco non fallisca-.
Tharidl trasse dalla custodia il guanto con le placche di metallo e chiese gentilmente alla Dea di slacciare quello che aveva.
Il meccanismo era leggerlo, più minuto rispetto agli standart da uomo e si applicava perfettamente al suo polso. Con pochi tentativi, Elena fu già padrona di quella lama che venne fuori dal suo astuccio una, due, tre volte. Al termine, la Dea sorrise soddisfatta e si allontanò dal tavolo.
Tharidl richiuse il cofanetto e lo adagiò di lato, spianando sulla scrivania una mappa dettagliata delle terre attorno a Gerusalemme.
-Ci saranno avamposti Crociati qui, qui e qui- indicò tre differenti punti attorno alla Città Santa: uno accanto ad un torrente, un altro alle porte della città e il terzo nei pressi del Tempio di Salomone. –Corrado riceverà tra una settimana la nomina a Re di Gerusalemme e voi avete il fardello di togliergli la vita prima che questo accada. Non voglio ulteriori indugi, alcun rimpianto, e che la vendetta muova entrambi alla vittoria. Ho mandato sulle sue tracce due informatori che vi hanno preceduto attraversando la città dal distretto ricco fino al confine con quello povero. Dal Rafik non ho altre novelle se non la presenza in massa di continue pattuglie per la città. Corrado e la sua famiglia al completo sostano nel palazzo Reale, ma non è certo perché sanno della vostra venuta prossima. Ci sono domande?- chiese improvvisamente.
Elena si riscosse. –Quale dei due Falchi è stato ferito?- mormorò.
-Gabriel- fu la risposta schietta del vecchio. –Ma sta bene- si apprestò a dire. –Per ora conta muoverci più svelti possibili. Altair- chiamò, e l’assassino fece un passo avanti.
-Le insegnerai come usarla- Tharidl indicò la lama nascosta al braccio di lei. –Le insegnerai ad usarla durante il tragitto. È importante che sia lei e lei soltanto ad ammazzare quel bastardo. Voglio che questo sia il suo primo omicidio, e ogni cosa dev’essere perfetta, sono stato chiaro?- proferì serio.
Altair abbassò il capo. –Chiaro- ribadì.
Tharidl si voltò e guardò fuori dalle vetrate giungendo le mani dietro la schiena. -Molte delle Dimore nel Regno sono state chiuse per via dello spostamento dell’esercito di Corrado e troverete il viaggio alquanto scomodo e i banconi delle locande poco ospitali. Per tanto, siate anonimi quanto più vi è possibile- sospirò.
Altair annuì. –C’è altro?- domandò.
Elena serrò i denti. –Sì! C’è molto altro!- l’assassina fece un balzo in avanti e batté il pugno chiuso sulla scrivania, facendo sobbalzare i libri impilati ordinatamente e le pergamene.
Tharidl tacque ammutolito e Altair, alle spalle di lei, irrigidì i muscoli.
La Dea non si scompose. –Non lascerò questa fortezza prima di aver visto mio fratello e ottenuto la reale conferma che sta bene! Non mi fido della vostra parola! Potrebbe essere solo un inganno per allontanarmi da qui! Ho aspettato tanto, ed è stato un errore non affrontare la verità fin da subito. Devo vederlo, vi prego…- sibilò con rabbia repressa.
Il Gran Maestro chiuse gli occhi. –Mi spiace, ma se non saranno qui in tempo prima della vostra partenza, darò l’ordine al tuo maestro di non aspettare oltre. Pazienterete fino a questo pomeriggio, ma non oltre. Come ho già detto e ribadisco: non possiamo permetterci altri rinvii e questo è l’unico momento buono che ci rimane per colpire Corrado quando meno se l’aspetta; così da anticipare le sue mosse e porre fine al suo dominio ingiusto che, spero con tutto il cuore, non si riversi mai nelle strade della città Santa- dichiarò in fine. –Ora andate, effettuate i vostri ultimi preparativi e pranzate in compagnia dei vostri amici. Per adesso…- prese ad arrotolare la cartina geografica. –Per adesso è tutto- ripeté.
Elena si girò non appena avvertì la mano del suo maestro stringersi attorno al suo braccio.
-Avanti, andiamo- le disse lui, ma la ragazza lo ignorò completamente.
-No, andate voi- sbottò improvvisamente seria, e Altair rimase interdetto.
-Ho alcune cose da chiedere… al Maestro- disse puntando lo sguardo sul vecchio che, allo stesso modo di Altair, pareva alquanto sorpreso.
Dopo poco, Tharidl si riscosse e diede congedo ad Altair, che scomparve quatto sulle scale.
-Dimmi pure- assentì il vecchio riportando al suo posto la custodia del guanto.
Elena si avvicinò di qualche passo. –Maestro. Perché me?- domandò.
-No è ovvio?-.
Lei scosse la testa. –Se la vendetta fosse un arma, avreste scelto qualcun altro, ne sono convinta- sorrise.
-Elena- Tharidl la guardò severo. –Mi spiace non poter indugiare, ma rivedrai tuo fratello a cose fatte, te lo prometto-.
La ragazza si portò una ciocca di capelli dietro le orecchi. –Capisco le vostre intenzioni, sono solo… scossa, dopotutto. Mi avete messa per troppo tempo da parte e ora mi chiedete di ammazzare l’uomo che assassinò mio padre. Sono… atterrita dai vostri ordini, ma non per questo disubbidirò- chinò la testa in segno di rispetto.
-E di questo vado molto fiero- il vecchio aggirò la scrivania e le venne incontro, abbracciandola. –Vuoi sapere perché ho scelto te?- le mormorò all’orecchio.
-Mi sembra di non aver ancora ottenuto risposta a questa domanda, quindi perché no?- ridacchiò lei.
-Semplice- si stanziò appena per accarezzarle una guancia. –Per lo stesso motivo per il quale ti scelsi la prima volta; per lo stesso motivo per il quale ti affidai Altair come tuo maestro!- gioì lui.
Elena non capiva. –Cioè?- chiese confusa.
Tharidl le prese il viso tra le mani. –Salva tuo padre, Elena. Egli è vivo, rinchiuso nelle prigioni di Corrado ad Acri e con sé ha ancora il tuo ricordo- le punzecchiò il naso. –E non mento, sta volta- sorrise armonioso.
-Kalel…- le mancò il fiato. –Mio padre…- le lacrime le salirono agli occhi e presero a scorrerle incessanti sulle guance, rigandole il volto di linee compatte e argentee. –Che cosa aspettavate a dirmelo?- non era rabbia la sua, ma gioia.
Tharidl l’abbracciò con più forza. –I due Frutti dell’Eden sono custoditi ad Acri e tu e il tuo maestro vi dirigerete lì una volta compiuto l’assassinio. Porterete Kalel in salvo e tornerete qui a Masyaf, affinché riceviate i miei e della setta più sentiti… onori- proferì commosso.
Elena si strinse a lui e scoppiò in un pianto clamoroso, soffocando i suoi singhiozzi di felicità nella veste del Gran Maestro.
-Mi spiace non avertelo detto prima, Elena… ma ci sono cose che neppure io, di me stesso, riesco a spiegare. Ed ora che persino tu sai la verità, tutta la verità, sono immensamente felice di poterla condividere con te. Tuo padre era un mio grande amico, e riaverlo tra queste mura sarà il dono al quale non potrò mai rinunciare- la sua voce era incrinata dalla gioia, Elena lo sentiva forte e chiaro.
-Ma allora… la visione… quella volta che sono stata catturata da Corrado!- gemé, e Tharidl le asciugò le lacrime.
-Gli inspiegabili poteri del Frutto…- sussurrò lui. –Secondo i piani di Corrado non era previsto che il Tesoro si attivasse, egli voleva solo portarti dalla sua parte, capisci? Tuo padre, Minha, le persone nella sala quella notte erano reali, ma il Frutto creò di sua spontanea scelta l’illusione che niente fosse reale, e tutto lecito- arrise. -Chissà quale forza celeste ha scelto questo destino per te, Elena, ma qualunque Dio esso sia, sono con lui per le decisioni che ha saputo prendere e prenderà in futuro per te-.
Elena tirò su col naso e si stanziò dal vecchio di qualche passo. –Sì, capisco…-.
-Questo mondo è un puzzle del quale molti pezzi sono nascosti, e basta solo sapere dove cercare- aggiunse soave. -Ora va’- le disse tornando alla sua scrivania.
La ragazza chinò il capo e indietreggiò. -Maestro, grazie di tutto- s’inchinò e lasciò la sala quasi correndo. –Grazie! Grazie!- ripeté più volte traversando la sala. –Grazie!- tra lacrime di gioia e singhiozzi, Elena sparì nei corridoi.

-Elena!?- Marhim scattò in piedi e lasciò cadere a terra il libro.
La ragazza si gettò tra le sue braccia e per poco non lo buttò giù. –Speravo di trovarti qui!- gemé.
-Stai… piangendo?- si stupì lui ascoltando i suoi singhiozzi.
-Sì!- la presa attorno al suo collo si allentò appena. –Scusa, scusa- ingoiò il groppo che aveva in gola e lo guardò con occhi nuovi e arrossati.
-Posso sapere che è successo?- Marhim inarcò un sopracciglio chinandosi a raccogliere il tomo dal suolo della biblioteca.
-Non puoi nemmeno immaginare!- Elena tentò di asciugarsi quelle altre lacrime che venivano fuori da sole e prese a camminare su e giù davanti al tavolo. –Non riesco…!- si portò le mani al viso. –Scusami, io…-.
Marhim si guardò attorno spaesato. –Va bene, facciamo così: come prima cosa- le mormorò prendendola sotto braccio. –Siediti, ecco- la fece accomodare ai piedi di una colonna e si sistemò al suo fianco, ma improvvisamente Elena tornò a soffocare i suoi gemiti sull’uniforme di lui.
-Elena, per favore!- sbottò ad un tratto afferrandola per le spalle. –Dimmi che cosa sta succedendo, e sono serio- proferì preoccupato.
La ragazza scosse la testa e si voltò dalla parte opposta. –Dammi solo… un momento- implorò. –Devo solo riprendermi!- non riuscì a credere di essere tanto stupida.
Marhim attese silente, paziente accanto a lei.
Dopo qualche minuto di silenzio, Elena si girò con cautela e lo fissò negli occhi. –Mio padre è vivo- disse d’un fiato e un istante dopo una lacrima bianca le ricadde sulla guancia.
Marhim aprì bocca ma non riuscì a proferire parola.
-Lo so, sembra assurdo, ma…-.
-Te l’ha detto Tharidl?- domandò lui.
La Dea annuì.
-Non è così stupido da mentirti su certe cose. In quel caso sapresti essere molto vendicativa- annuì complice.
La ragazza sorrise, rallegrando il suo animo turbato. –Sì, in effetti-.
-Tutto qui?-.
-Devo partire-.
Marhim tacque, mentre Elena affogava nella mandorla dei suoi occhi.
-Questo pomeriggio. Io e Altair raggiungeremo Gerusalemme e sarà lì, prima della sua incoronazione, che ammazzerò Corrado- digrignò con gusto.
L’assassino aggrottò la fronte. –Mi avevi accennato al fatto che saresti stata tu ad ucciderlo, ma tuo padre… dove si trova?-.
Elena prese fiato. –È tenuto prigioniero ad Acri e dopo aver assassinato Corrado porteremo via da San Giovanni sia mio padre che i due Frutti-.
Marhim si riscosse. –Due Frutti?!- chiese sbigottito.
Elena annuì. –Mio fratello ha rischiato la vita pur di salvaguardarne uno… e adesso, voglio proprio sapere che cosa ce ne faremo di un altro!- sbottò nervosa.
-Ho saputo- bofonchiò il ragazzo. –Di tuo fratello, intendo-.
Elena sbuffò. –L’ultima a sapere le cose qui sono io-.
-Ehi- lui l’avvolse in un abbraccio dolce. –Non essere così in pensiero. È vivo, e farà ritorno qui a breve assieme ad Amir e lo…-.
-No- lo interruppe. –Non lo rivedrò prima del mio ritorno. È così che ha detto Tharidl. Dobbiamo partire subito ed è probabile che Amir e Gabriel siano qui ben oltre la nostra partenza- brontolò.
L’assassino le accarezzò una guancia. –Sempre a guardare il lato negativo delle cose, eh? Ti rendi conto di cosa sta davvero succedendo attorno a te? Guardati in giro, Elena! Tuo padre, tuo fratello! Da qui a due settimane massimo sarete di nuovo una famiglia! Non sei felice di questo?… o era per questo che stavi piangendo?- mormorò.
-In parte- rispose lei.
-Guarda, guarda- Marhim sfiorò il guanto sinistro della ragazza. –Non mi dire- gioì.
Elena sollevò il mento fiera. –Dovrai abituarti all’idea che ora sono più pericolosa di prima- scherzò.
-Non ne dubito- sorrise lui passando le dita sul meccanismo legato al polso della Dea, ed un istante dopo le loro labbra si scontrarono immobili e per pochi secondi.
-Adesso, ti prego-.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio. -Cosa c’è?- balbettò.
Elena si adagiò a lui che si sistemò più comodo con la schiena poggiata alla colonna.
-Pur di saltare il pranzo, posso restare qui con te?- domandò flebile lei. –Niente di strano, solo… restare qui… seduti-.
Marhim la strinse maggiormente a sé. –Va bene- acconsentì. –Tanto non avevo fame- ridacchiò.
Elena allungò la bocca in un sorriso gioioso, mentre, lentamente, una solitaria goccia dei suoi occhi si rovesciava sul pavimento.

-Fa’ attenzione-.
Elena si guardò i piedi. -Ovvio-.
-Metti in pratica qualsiasi cosa tu abbia imparato, grande o piccola- Marhim le strinse la mano ed Elena alzò gli occhi azzurri nei suoi.
I nitrii dei cavalli la fecero sobbalzare ed Elena si scostò improvvisamente da lui.
-Devo andare- mormorarono le sue labbra incamminandosi all’indietro verso le scuderie.
Il sole del pomeriggio si specchiava sui tetti di Masyaf in tutto il suo arancio splendore. La cittadella taceva dei suoi solito suono confusionari, mentre il cielo azzurro assumeva lentamente sfumature magiche e limpide.
Marhim le sorrise affettuoso ed Elena montò in sella, di fianco al suo maestro che la osservava da sotto il cappuccio dall’alto del suo cavallo.
-A ritorno parleremo anche di questo- proferì severo Altair e partì al trotto.
Elena accorciò le redini e piantò i talloni nei fianchi dell’animale; si voltò e, nell’istante in cui la figura di Marhim scompare tra le polveri alzate dagli zoccoli dei cavalli in corsa, il viaggio ebbe inizio.
 
-No, no!-.
-Allora così!-.
-Ho detto di no!-.
-Ma non c’è altro modo!-.
-Sì che c’è! Guarda, stupida!-.
Elena tacque osservando il movimento impercettibile delle dita del suo maestro, e la lama nascosta venne fuori dal suo fodero prima che la ragazza potesse rendersi conto di come Altair avesse fatto.
-Visto?-.
-Veramente mi dev’essere sfuggito qualcosina…- mormorò assorta.
-Elena!-.
La ragazza sobbalzò sulla sella. -Scusatemi, io… sono distratta-.
Altair richiamò la lama nel guanto. -Ora prova tu, avanti. E non m’importa un fico secco se sei distratta. Le tabelle di marcia non pazientano- sbottò serio.
Elena riportò le redini strette in una sola mano e allungò il braccio sinistro lungo il fianco. Nonostante si fosse impegnata al massimo, le fu difficile tenere ferme le tre dita restanti quando il mignolo solo avrebbe dovuto far scattare il meccanismo.
-Sbagliato-.
Sbuffò. –Non riesco!-.
-Riprova- Altair guardò tutt’altra parte. –Avanti, non ti guardo; vediamo se così funziona-.
-È stupido- bofonchiò la ragazza. –Perché dovrei riuscirci?-.
-Ah, non lo so- rise lui. –Con le persone stupide bisogna tentare cose stupide- aggiunse.
Elena s’irrigidì e, senza preavviso, lo colpì alla spalla con un pugno poderoso.
Altair si voltò e la inchiodò sulla sella con un’occhiataccia più che truce. –Come, scusa?-.
-Ah, ne vuoi ancora?-.
L’assassino distolse lo sguardo. –Fallo di nuovo se ne hai il coraggio- disse tranquillo.
Elena non esitò, ma prima che potesse solo sfiorare il cappuccio del suo maestro, questo si girò e le afferrò il polso con maestria, contorcendoglielo poi dietro la schiena.
-Basta! Basta! Va bene, va bene! Scusate!- digrignò la ragazza mentre una fitta di dolore l’attanagliava lungo tutta la schiena.
Altair lasciò la presa arridendo divertito. –Riprova- assentì.
Elena fece scricchiolare le ossa della spalla lesionata per il brusco movimento e rincominciò la sua lezione da dove l’aveva interrotta.
Tentò più e più volte, ma in tutti i suoi tentativi non riuscì mai ad acquistare quella gestualità che avrebbe dovuto ottenere prima del momento ufficiale.
Calò la notte.
Il cielo stellato si specchiava sulle rive del ruscello accanto al quale si stagliava un piccolo bosco di cipressi.
-Spero che non ti dispiaccia- cominciò lui smontando agile dalla sella. –Se per questa sera accampiamo all’aperto. L’hai sentito Tharidl, no?- le chiese slacciando le bisacce dalla groppa del cavallo e adagiandole vicino ad un albero.
-No, ovvio che no- borbottò Elena scivolando giù. Slacciò la sella e legò il cavallo al ramo basso di un ulivo.
-Lascia libero il tuo cavallo, porta la sella con te- disse ad un tratto Altair sparendo tra gli ulivi. –E seguimi!-.
Elena, un po’spaesata, obbedì e seguì il suo maestro.
Il buio della notte giocava orribili scherzi e proiettava le lugubri ombre degli alberi sul selciato scricchiolante ai loro passi.
-Maestro, perché ci allontaniamo dai cavalli?-.
Altair le rispose senza voltarsi. –Siamo in zone calde del regno. È meglio non attirare l’attenzione e separarci dalle nostre cavalcature soprattutto la notte. Domani mattina saranno lì, vedrai- sorrise.
Per poche ore, fino all’alba, sostarono in quel boschetto appartato dal resto della valle. E la mattina successiva, con sua grande sorpresa, Elena ritrovò il suo cavallo esattamente dove l’aveva lasciato.
Il viaggio riprese tranquillo, sereno e sorridente da un punto di vista climatico.
Sulle piane del Regno splendeva un sole da spaccar le pietre e la primavera era piombata tra la vegetazione diffondendo i suoi suoni e colori.
Nonostante l’imminente arrivo a Gerusalemme in pochi giorni, i due assassini saltarono la seconda tappa notturna e si diressero per una via nascosta tra le montagne al fine di evitare un drappello di Crociati che battevano le strade principali.
Rashy vegliava su di loro dall’alto del cielo azzurro e indicava loro il cammino più rapido e sicuro da brava falchetta. Con il suo aiuto scostarono innumerevoli posti di blocco e Altair, allo stesso modo di Elena, pareva molto soddisfatto del lavoretto del suo animale domestico.
Si accamparono nei pressi di un antico crepaccio sovrastato di rampicanti e contornato di un silenzioso bosco di ulivi. Lasciarono liberi i cavalli che scorrazzarono lì attorno pascolando sereni e accesero un piccolo focolare che bastava giusto ad illuminare due metri attorno all’origine.
La ragazza sedeva con le gambe incrociate sopra un roccia. Il cielo stellato si stagliava fino all’orizzonte ove assumeva una ultima sfumatura rossastra.
Erano ore che tentava invano di riuscire, ma si costringeva a pensare che la colpa fosse dello stesso guanto, che in sé ospitava un meccanismo arrugginito e parecchio tirchio!
Altair sorrise divertito.
-Cosa c’è da ridere?- sbottò Elena fulminandolo con un’occhiataccia.
L’assassino ignorò la domanda tornando a fissare lo scoppiettare delle fiamme, ma sul suo volto rischiarato dalla tenue luce selvaggia si ostinava quel sorriso beffardo che la infastidiva tanto.
Elena chiuse il pugno con rabbia. –Invece di starvene lì senza dire o far nulla, potreste degnarvi di dare alla vostra allieva tutti i consigli possibili, non trovate sia più interessante?- digrignò.
Altair non accennò una risposta e le volse appena uno sguardo.
A quel punto la Dea perse la pazienza. –Ah! Scusate tanto se disturbo il filo ininterrotto dei vostri pensieri! Ma vi rammento che arrivare impreparata all’assassino non gioverebbe ad entrambi-.
Il ragazzo sospirò. –Non impari mai-.
-Non ci credo!- Elena scattò in piedi sulla pietra. –Avete parlato! Non ci posso credere!- saltò giù con un balzo e scivolò al suo fianco. –Vi prego! Quale essere superiore ha fatto sì che vi riappropriaste del dono della parola?! Quale?! Allah? Dio? Mi convertirò a qualunque religione esso appartenga!-.
-Sei in vena di scherzi, ragazzina?- Altair sollevò un sopracciglio.
Elena curvò le spalle e si sedette composta. –Sto cercando di pensare a qualcos’altro che non sia questo- mormorò sfiorando il complesso meccanismo sotto il suo polso. –e al giorno nel quale dovrò attivarlo per spezzare la vita di Corrado- fece affranta.
-Non sei molto sicura di quello che stai facendo, ma sappi che puoi ancora cambiare idea- alzò una mano e le carezzò una guancia, e dopo quel breve contatto si ritrasse guardando altrove.
Fu il turno di lei sorridere divertita. –State cercando tutti i modi pur di ottenere voi l’incarico, non è così?-.
-Mettila in questo modo- sussurrò afflitto.
-E perché vorreste che rinunciassi?-.
Altair si girò lentamente verso di lei, poi il suo sguardo indugiò di nuovo sulle fiamme. –Molti assassini muoiono durante il loro primo incarico- disse d’un fiato, ma Elena non lo interruppe. –L’inesperienza fa la sua parte, ma credo sia soprattutto mancanza di… familiarità. Nella maggior parte dei casi si arriva alla vittima, ma poi chiamalo un fattore sentimentale e gli assassini si paralizzano. C’è un inspiegabile forza maggiore che li inchioda dove sono ad osservare fino all’ultimo la vittoria, senza curarsi di cosa ci sia attorno, ovvero interi battaglioni di guardie che ti corrono addosso senza pietà con le armi in mano! Ho cercato in tutti modi di prepararti al meglio, ma come vedi… non impari mai-.
Elena gli venne più vicina. –Ma non io! Vi prometto che non indugerò un istante di più dopo averlo trafitto con la lama! Scapperò come mi avete insegnato! Saprò cavarmela, e voi sarete lì, ad aiutarmi! Ne sono sicura! Vi nasconderete nei paraggi e osserverete ogni mia mossa!… giusto?-.
-Non posso prometterti niente- fissò allungo il falò.
-Ancora non capisco!- si prese la testa tra le mani.
-Cosa?-.
-Se siete così certo che vada incontro alla morte, perché non fate nulla per impedirlo? Aiutatemi, siate partecipi ai miei vani tentativi di familiarizzare con quest’aggeggio!- indicò il meccanismo al suo polso.
-Ti ho detto tutto quello che devi sapere! Sta a te trovare il tuo equilibrio!- ruggì lui, ed Elena sbiancò di terrore.
-Voi- balbettò. –Voi non mi state certo aiutando, in questo vostro modo di fare!- sbottò ella sollevandosi in piedi. –Se almeno…- s’interruppe.
-Se almeno cosa?!- sibilò l’assassino.
-Ah! Lasciate stare…- Elena si allontanò tornando seduta sulla sua roccia. Accavallò le gambe e ricominciò da capo quella tortura.
Era difficile trarre dal fodero la lama nascosta senza un complessivo movimento del resto dell’arto che non fosse il mignolo, e Altair le aveva detto più volte che quell’assenza di gestualità sarebbe stata la sua rovina se non fosse riuscita a correggere un tale errore prima dell’assassinio.
Sotto l’occhio critico e attento del suo maestro che la osservava da lontano, Elena s’impegnò al massimo, ma ad ogni suo fallimento un nuovo brivido di collera le scorreva lungo la schiena. Perdeva la concentrazione per via dei suoi scatti di furia, e sul suo volto giovane si stagliavano smorfie ogni qual volta il fruscio e lo scatto si diffondevano nell’aria immobile della valle.
Soffriva, e i primi segni di cedimento si manifestarono in una lacrima che comparve improvvisamente sulla sua guancia. E dopo di quella ce ne fu una seconda, ed Elena tirò su col naso ma senza interrompere il suo allenamento.
Ma che razza di padre sarei…
La ragazza si arrestò d’un tratto, mentre i suoi occhi azzurri si scontravano con quelli neri e profondi del suo maestro.
-Cosa…- mormorò lei.
Altair assunse un’espressione confusa. –Cosa?- domandò.
Elena scivolò lentamente giù dal sasso. –Vi ho sentito- proferì flebile. –Quello che avete detto, l’ho sentito, sapete?-.
-Io non ho detto un bel niente!- assentì scocciato.
Elena rimase in piedi fissandolo con insistenza. –Allora, se non avete parlato, devo averlo sentito nei vostri pensieri- provò a dire.
-Non so di cosa stai parlando- fece più tranquillo.
-E questo fa di me un essere superiore!- guardò fiera il cielo stellato. –Ho dei poteri!- ironizzò.
-D’accordo! Lo ammetto, sono stato io! Ho parlato, ho detto quelle cose- confessò irritato, e la Dea sorrise soddisfatta.
-Ma grida un po’ più forte, mi raccomando- bofonchiò l’assassino.
Elena s’inginocchiò al suo fianco. –Maestro- lo chiamò con un filo di voce, e lo sguardo cagnesco del suo mentore non si fece attendere.
-Che vuoi?-.
-Adha- cominciò la ragazza, e avvertì il corpo dell’uomo irrigidirsi d’improvviso. –Perché se n’è andata?-.
Altair tacque ammutolito da quella domanda, ed Elena non poté biasimarlo. Stava toccando con mano argomenti ai quali un tempo non aveva mai dato troppo peso, ma di certo il suo maestro soffriva parecchio di certi ultimi avvenimenti e per tutti quei mesi si era trattenuto dal parlarne con qualcuno. Ed Elena aveva deciso: quel qualcuno sarebbe stata lei, ora.
-Perché t’interessa tanto?- la domanda nella domanda di lui che, schivo, tentava di evadere dalla questione.
-Non è ovvio? Prima di diventare la vostra amante ho bisogno di sapere qualcosa di più sulla vostra ultima fiamma- annuì come una deficiente.
Altair scoppiò in una clamorosa risata. –Che sciocchezza, e spero per te che tu stia scherzando- aggiunse allegro.
-Sì, va bene- lei abbassò lo sguardo. –Sul serio, m’interessa-.
-E cosa ti fa credere che te ne voglia parlare?- ridacchiò.
-Oh, voi mi direte ogni cosa!- la ragazza si allungò verso di lui e lo spinse giù con la schiena a terra, gli bloccò i polsi con una mano e avvicinò quella sinistra al suo collo. Stranamente, Altair non oppose resistenza. –Siete ancora certo che sia così inesperta con l’utilizzo di questa?- sorrise maliziosa la ragazza avvicinando il mignolo all’innesco del meccanismo.
L’assassino si liberò dalla presa, ma non tentò ulteriore ostilità. –Mi sono ricreduto in parte. Ma so che non lo farai- arrise, e il cappuccio gli scivolò via dal volto.
-Ne siete così certo?-.
-Ammazzeresti il tuo maestro?-.
-Quando non serve più, sì- dichiarò lei.
La voce dell’uomo riecheggiò nella valle in una nuova risata. –Tutto ciò è assurdo, spostati-.
-Non finché non mi avrete detto quello che voglio sapere!- rise.
-Non intendo certo condividere la mia vita privata con l’allieva di turno!- la scansò d’un tratto, ma Elena restò accollata a lui stringendo le ginocchia attorno ai suoi fianchi. –Elena!- la riprese.
-Non avete la forza per opporvi? Strano- sogghignò.
-Ti faccio male!- la minacciò.
-Avanti!-.
-Conto fino a tre…-.
La ragazza tacque paziente.
-Uno…-.
Sulle labbra di lei comparve un sorriso malizioso, mentre irrigidiva i muscoli pronta a ricevere la batosta.
-Due…-.
-Divento vecchia!- si lamentò.
-Tre!- Altair capovolse i loro corpi, le afferrò i polsi e la tirò in piedi assieme a lui. Un istante più tardi, Elena non ebbe tempo di realizzare il passato che il futuro divenne il presente, e Altair la mise in ginocchio contorcendole il braccio con la lama nascosta dietro la schiena. Si chinò al suo fianco ascoltando i gemiti di dolore di lei. –Dicevi?- le sussurrò all’orecchio.
Elena strizzò gli occhi ed un secondo dopo li riaprì brillanti di vigore. Portò la mano libera alla veste del suo maestro e, con una forza disumana, lo trascinò a terra. La spalla di lei fece un sonoro “crack” ma non se ne curò e piuttosto tornò ad immobilizzarlo bloccandolo allo stesso modo di come aveva fatto lui poco prima.
-Leila è stata un’insegnante degna del suo rango!- sibilò Altair mentre una smorfia di dolore compariva sul suo viso.
-Questa è solo una piccola parte di quello che ho appreso da lei!- gioì la ragazza irrobustendo la presa sull’avversario.
-Non abbiamo tempo per i giochetti- digrignò l’assassino.
-Vi arrendete, di già?- domandò stupita.
-Non era una richiesta di resa!- sbottò.
Elena lo sorprese ancora di più quando si posizionò fulminea alle sue spalle e gli strinse il collo in una morsa mortale. –E adesso?- ridacchiò divertita la ragazza.
-Non te lo ripeto, ragazzina!-.
-Tremo dalla paura!-.
Altair si diede una spinta in avanti ed Elena perse l’equilibrio rovesciandosi al suolo nel clangore delle cinghie metalliche. Dietro di lei, il suo maestro scattò in piedi e le venne incontro ma, un istante prima che potesse bloccarle i movimenti, Elena schivò la sua presa e si sollevò sulle braccia. In perfetto equilibrio con la sola superficie dei palmi che toccavan terra, la Dea si spinse contro di lui e lo colpì con una ginocchiata ben assestata all’addome. La ragazza subì un piccolo contraccolpo, ma mai vi fu soddisfazione più immensa nel cogliere la sottile ombra di dolore che attraversava il corpo del suo maestro.
-Però…- fece lui con la voce incrinata dalla sofferenza.
Elena tornò dritta e fiera di fronte a lui compiendo una ruota impeccabile. –Quanto mi diverto!-.
Altair si massaggiò il punto colpito che era appena sopra la cintura di cuoio. –Adesso basta giocare; domani saremo a Gerusalemme e ci aspettano grosse responsabilità. Per tanto ti consiglio di prendere sonno a l più presto e…-.
Elena sfoderò la spada lunga e gliela puntò alla gola. In viso aveva un’espressione spietatamente bastarda. -Qui l’unico stanco siete voi- rise.
-Se anche fosse? Non puoi costringermi a…-.
Elena avvicinò il filo della lama alla sua pelle. –Ne siete sicuro?-.
-Abbassa l’arma, ragazzina- digrignò poggiando una mano sul taglio della spada.
La ragazza inclinò la testa da un lato ed oppose resistenza al suo rifiuto. –Prima della partenza non abbiamo avuto tempo, ed è bene spolverare qualcosa della scherma prima che sia toppo tardi! Pensate alle guardie che mi troverò ad affrontare una volta ammazzato Corrado!- ipotizzò. –L’avete detto voi stesso!-.
-Non girare attorno all’argomento. Te la caverai benissimo- borbottò allontanandosi; si sdraiò accanto alla sella e alle sue bisacce e prese a fissare il cielo stellato. –Forza, non fare la sciocca. Piuttosto, dovresti ringraziarmi-.
-Perché?- sbottò lei rinfoderando la spada e andando a sistemarsi affianco a lui.
Altair allungò le labbra in un sorriso sornione senza scollare lo sguardo dal firmamento. –Perché faccio io il primo turno di guardia-.
-Non eravate stanco?- ribadì Elena.
A quel punto l’assassino tacque, e la ragazza non insistette oltre.
Si accovacciò e trasse dalle bisacce una sottile coperta di tela, vi si avvolse e il buio fu tutto ciò che vide da lì in poi.



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O__________O  Scrivendo questa scena finale, mentre Elena prende sonno, mi è venuta un’idea pazzesca da scrivere subito nel prossimo capitolo! Idea che piacerà mooooolto ai miei lettori! XD Con l’omicidio di Corrado, alla mia ff mancheranno poche scene prima della conclusiva, contando che avevo intenzione di chiudere la storia anche prima di questo capitolo, interrompendola al chiappo sulle lettere. Ma in cambio a questa mia decisione avrei ricevuto soltanto manifestazioni acute di disprezzo da parte dei miei lettori! XD Mantenere in vita 2 fan fiction è stata la mia sfida, e ci sono stati alcuni momenti in cui mi ricredevo di me stessa e stavo per cancellare la seconda, dicendomi che avrei revisionato la trama e aggiustato alcuni passaggi. Ma invece no! Io, Elika95 detta Irene, ho una mente contorta che non si tira certo indietro a certe sfide! Ma tornando al capitolo. U.U Che dire? Io sono quasi senza parole, e mi piace un sacco descrivere scene come queste. (Altair tirchio ed Elena rompi cogliones!) Credo che questa, ahimé, sarà però l’ultima. Ma chissà, tutti sperano in un sequel di AC, ed io potrei anche toccare con mano la seconda vicenda di Dea tra gli Angeli che, secondo me, finirebbe per acquistare anche un altro nome dato che di Dee ce n’erano più di una. Arrivata a questo punto della storia, voglio parlarvi di alcune cosette prima di mettermi all’opera sul prossimo capito.

1.    Iniziando questa storia credevo che Elena e Altair si sarebbero scoperti fratelli, di fatti, in uno dei primi capitoli della vicenda, metto in evidenza la familiarità che Elena prova soltanto guardando il suo futuro maestro.
2.    Gabriel sarebbe dovuto morire. Ho avuto solo parecchia pietà della mia protagonista. Se fosse andata così, però, Elena avrebbe pazzeggiato un po’ meno col suo maestro questa notte e si sarebbe messa sotto con lo studio della lama nascosta insistendo ancor più di come ha fatto adesso.
3.    Il padre di Elly è davvero vivo; è stato un colpo di genio all’ultimo momento dato che non sapevo cosa inventarmi per dare una spiegazione alla scelta di Tharidl di mandare Elena ad ammazzare il povero Corrado.
4.    Qualcuno di voi ha visto Minha? <.<      >.> io devo averla persa di vista… muhahahahah!!! Le ultime informazioni su di lei risalgono ad una fuga disperata verso Damasco. Ma molte delle strade che portano a Damasco coincidono con quelle dirette a Gerusalemme!!! Muhahahahahah!!! U________U
5.    In caso non aveste compreso, per via di descrizioni poco accurate, Marhim ed Elena NON l’hanno fatto nella biblioteca. Perciò la mia protagonista è ancora vergine! Muhahha! U___U
6.    Ma perché certe volte ho l’impressione che i miei personaggi saltino pranzo, cena e colazione? °___° Vabbé, l’ho dato per scontato che hanno mangiato, dai. XD
7.    Ho finito. Ora passo ai ringraziamenti, ma voi TUTTI siete OBBLIGATI a lasciare una RECENSIONE! Nessuno escluso, grazie… U____U

Saphira87 (grazie, felice che anche quella merda di capitolo precedente ti sia piaciuto! Sinceramente, a me ha messo un po’ di malinconia zizi. Che fine ha fatto EVE? Mi manca la ragazza!!! Posta presto!!! Ciauuu!!)

goku94 (Il tuo supporto nel capitolo precedente mi è servito! Credevo di aver fatto la più grossa cazzata della mia vita scrivendo quelle lettere! Anche tu! Muoviti a scrivereeeeeee!!! XD)

Lilyna_93 (ciau! Saluto anche il tuo vecchio accaunt! XD)

Carty_Sbaut (dove sei finita? O__O)

Angelic Shadow (appena torni avrai un bel po’ dal leggere! Muhahah)

Assassin (non ti si sente e non ti si vede, vabbò)

Diaras (idem)

Kasdeya (La tua rece complessiva che riassumeva 40 e passa capitoli l’ho adorata con tutto il cuore! mi serviva capire quali punti della mia ff restano più impressi e tu mi hai aiutata molto in questo! Sto morendo dalla voglia di sapere cosa combini nella tua storiaaaa!!! Aggiorna prestooooo domani ci saròòòòòò!!! XD)

Renault (anche mia mamma ha una scenic! XD Spero che tu arrivi presto a questa parte della storia, dato che sta per finire! XD)


E a tutti…
BUONA PASQUA!!! *___* Uovo al cioccolato bianco… arrivoooooo!!! XD








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Capitolo 45
*** Impertinenza e schiaffi ***


Impertinenza e schiaffi







Tirava un insolito vento freddo che faceva gemer le fronde degli ulivi e aveva spento il fuoco in una sola folata. I cavalli, legati al ramo basso di un albero, si scaldavano a vicenda mentre il gelo della notte dominava sulla valle. Una ventata più forte, scontrosa e improvvisa spazzò via un cumulo di polvere e gliela gettò negli occhi, che Elena strizzò più volte prima di aprire.
La coperta era scivolata via per metà dal suo corpo e le copriva giusto fino alle ginocchia, ma la cosa che la colpì maggiormente fu il braccio destro del suo maestro, che le cingeva il fianco stringendola a sé.
Elena trattenne il fiato, ma non poté credere al calore che sentiva provenire oltre le sue spalle e che percepiva diffondersi per tutto il suo corpo. Per un attimo ebbe la sensazione di essere stretta a Marhim, che era capace di infonderle quella familiare protezione che le veniva offerta la notte, quando più si sentiva sola e infreddolita nella sua stanza. Era probabile che il suo maestro l’avesse notata piuttosto tremante e le si fosse stretto affianco pur di non farla ammalare giusto in quei giorni. La sua era la premura di un padre, quindi nessun altro genere di affetto. Eppure, fu in evitabile che le guance della ragazza si colorassero di un rosa più acceso del solito.
Era stupendo. Sentiva il suo respiro tra i capelli, avvertiva il suo profumo invaderla e farla prigioniera allo stesso modo delle sue braccia. E poi il palmo aperto di lui poggiato appena accanto al suo gomito.
Rimase immobile: dietro di lei il suo maestro si mosse e allungò una mano verso le gambe della ragazza. Un brivido le percorse la schiena quando le sue dita le sfiorarono il limbo di pelle lasciato esposto dalla cortezza dei pantaloncini sottostanti alla parte bianca della veste.
Senza muovere un muscolo, Elena avvertì la coperta tornare a coprirle le membra infreddolite da quell’improvvisa e gelida ventata. Altair la infagottò per bene, poi la strinse nuovamente in quell’abbraccio bollente che la metteva tanto in imbarazzo.
Tirò un sospiro di sollievo nel cogliere l’indifferenza di Altair al fatto che fosse sveglia; probabile che non se ne fosse accorto, così richiuse gli occhi mentre una nuova folata di vento le scompigliava i capelli e sollevava grumi di polvere.

Poche ore più tardi, il cielo si tinse in lontananza di una sfumatura più chiara e l’alba si accentò appena oltre la coltre della leggera nebbiolina che avvolgeva la valle. Ma era una strisciolina affusolata e distante, poco distinguibile dal resto del cielo quando Elena si riebbe del tutto dal sonno.
La coperta si era intrecciata alle sue gambe e metà di essa era appoggiata al suolo, a coprire quel lembo di prato sopra il quale un tempo aveva sostato il maestro, abbracciato alla sua allieva.
Mancavano delle ore al sorgere completo del sole e, nel calcolare che fossero forse le cinque o le sei del mattino, Elena si sollevò sulle braccia e si guardò attorno. Sbadigliò. –Mae…-.
Non terminò che una mano le tappò la bocca e il braccio forzuto di Altair la tirò in piedi a forza. –Fa’ piano e prepara le tue cose!- le mormorò all’orecchio, ed Elena si riscosse dalle ultime tracce di pigrizia trascinate dalla dormita. I suoi sensi divennero vigili e i suoi muscoli pronti.
-Mi raccomando, fa’ piano!- insisté Altair allentando la presa sulle sue labbra.
Elena annuì e, silenziosamente, si chinò a raccogliere la coperta ripiegandola a casaccio. Di seguito la legò alla sella e in fine fece per poggiare il tutto sulla groppa del suo cavallo; quando alle loro spalle, si udì un grido.
-Assassini! Prendeteli!-.
-Scappa!- Altair montò in sella.
Elena estrasse la lama corta e, nell’istante in cui una decina di uomini emersero dalla boscaglia, trasse un pugnale da lancio e colpì alla tempia un soldato senz’elmo.
-No, combattiamo!- strillò lei.
-Ho detto scappa!- Altair la raggiunse al galoppo e l’afferrò per i fianchi issandola sulla groppa del suo cavallo.
Ad Elena sfuggì la presa sulla lama corta che andò a perdersi tra i cespugli. –Diamine!- digrignò la ragazza.
-Non c’è tempo, monta!- l’assassino la spinse in sella al suo cavallo, Elena infilò i piedi nelle staffe e strinse le redini. Un istante dopo, erano già in fuga.
Alle loro spalle comparve un battaglione intero di uomini a piedi i quali si fermarono demoralizzati dopo poco. Ma poi, nell’aria gelida dell’alba si stagliarono i nitrii di una quindicina di cavalieri, e i Crociati emersero dal sentiero che percorreva il bosco.
-Prendete quei bastardi! Sono diretti a Gerusalemme!- gridò qualcuno, ma Elena si trattenne dal voltarsi.
I due assassini seguirono la strada sterrata per un breve tratto, poi si persero tra le ombre dei secolari cipressi che costeggiavano la strada, ed in fine risalirono un pendio ripido al quale i destrieri dei loro inseguitori non avrebbero opposto troppa resistenza dato le pesanti armature dei cavalieri.
-Di qua!- Altair piantò i talloni nei fianchi dell’animale che spiccò un balzo e raggiunse una sporgenza più in basso del crepaccio. Elena fece altrettanto sollevandosi sulla sella nel momento del vuoto sotto gli zoccoli, ma l’impatto fu violento e la ragazza quasi non perse le staffe.
-Di là! Stanno scappando!-.
-Ammazzateli! Arcieri, pronti!-.
Elena accorciò le redini. –Arcieri?!- sbottò terrorizzata.
-Continua dritto, non fermarti!- le consigliò Altair affiancandosi a lei in quella corsa contro il tempo.
Dall’alto delle parete di roccia si sporsero una dozzina di arcieri che non esitarono a puntargli e spaventare i loro cavalli quando le frecce si conficcavano a terra di pochi millimetri al loro passaggio. Il pendio intraprese una strettoia ed Altair rallentò consentendo alla ragazza di stare in testa.
-Avanti e poi e poi a destra! Separiamoci, ma ci ritroviamo alle rovine! Ah!- con un colpo deciso ai fianchi dell’animale, Altair la superò di nuovo e scomparve in una biforcazione secondaria alla strettoia.
Metà dei cavalieri che li avevano seguiti fin lì lo pedinarono, mentre i restanti si avvicinavano sempre più alle spalle della Dea.
-Non vivrete ancora allungo!- ridacchiò un crociato, ed Elena perse la concentrazione.
Il suo cavallo inciampò su un sasso, rallentò appena la corsa ma quel poco sufficiente perché un dardo penetrasse nella carne all’altezza della scapola. La povera bestia si impennò dal dolore e si rovesciò al suolo nel trambusto delle bisacce. Elena riuscì fortunatamente a sfilare le staffe e rotolare via prima che il peso dell’animale la schiacciasse.
Dopo essersi ripresa dalla botta alla testa e i crampi alle ossa, la ragazza scattò di lato e fuggì via di corsa senza voltarsi.
Cercò i cunicoli più stretti tra gli alberi e saltò le staccionate di vecchi campi abbandonati. Il fiato si faceva grosso, i muscoli cedevano, ma gli zoccoli poderosi dei suoi inseguitori erano costantemente il suo incubo.
-È in trappola!- gioì festoso un cavaliere.
Elena si girò, ammirò spaurita le lame scintillanti dei quattro uomini a cavallo che la inseguivano, ma la sua corsa fu arrestata da un muro che comparve come per magia davanti al suo naso. Si rannicchiò al suolo in una posa innaturale, strisciò per qualche metro appoggiandosi alla parete, ma nulla poté contro la forza con la quale due cavalieri la costrinsero in ginocchio. Uno di loro le scoprì il volto, mentre un altro rideva divertito. Il terzo, invece, osservava dalla sella del suo bel destriero nero.
-Sei finita, ragazzina- il fiato dell’uomo le arrivò dritto in gola dato la bocca aperta che aveva per riprendere fiato. Era sfinita, non trovò neppure la volontà di opporsi o soltanto l’idea, il desiderio di farlo. Consegnarsi o morire per mano degli uomini di Corrado erano le uniche due vie che le restavano.
-E adesso?- domandò uno dei tre sbattendola al suolo con violenza, ed Elena si strinse le braccia attorno allo stomaco in una posa fetale. –Che cosa ce ne facciamo?-.
Tra i tre soldati calò un silenzio imbarazzante. I due a terra le girarono attorno ed uno di questi la spinse con un calcio che Elena ricevette dritto al fondoschiena. L’essere ridacchiò divertito.
-Corrado ha ordinato di ammazzarli tutti e due- sbottò quello dalla sella.
-Ma che spreco!- un crociato si chinò all’altezza del suo viso, ed Elena tentò di trascinarsi il più lontano possibile, ma il soldato l’afferrò per il cappuccio inchiodandola dov’era.
-Non possiamo disubbidire!- ringhiò il cavaliere a cavallo, ed un istante dopo estrasse la spada dal fodero. –Forza! Chi di voi è abbastanza uomo?!- aggiunse squadrandoli entrambi, ma i due crociati si stanziarono l’uno dall’altro.
-Ma bene!- sbuffò quello in alto e si apprestò a smontare dall’animale. –Infami codardi!- digrignò sputando a terra.
Elena si stanziò con uno scatto, macchiandosi la veste in una pozza di fango, ma il cavaliere allungò una mano e le tirò la testa all’indietro per i capelli. Alla giovane scappò un mugolio di dolore mentre il gelido filo della lama si poggiava sulla pelle della sua gola.
L’uomo esitò, premette con più forza la lama sul suo collo, ma non incise. Rimase incerto, immobile alcuni secondi, poi si sollevò e rinfoderò la spada.
Alle sue spalle i due soldati semplici si scambiarono un’occhiata complice e confusa.
-Generale- chiamò uno.
Il cavaliere dal lungo mantello alzò una mano e azzittì il suo sottomesso. –Fatene ciò che volete- sibilò tornando alla sua cavalcatura. –Ma assicuratevi che sia ben stretta! Non voglio vederla gironzolare ancora in giro, sono stato chiaro?!-.
I due annuirono.
Il cavallo del generale s’impennò. –Raggiungetemi al blocco nord a cose fatte. Ma al fine di ciò, portatemi la sua testa- ordinò indicando la ragazza, e detto questo sparì al galoppo tra gli alberi.
Elena si appoggiò alla parete e lentamente si tirò su.
-Guardala, mi fa quasi pena-.
-Quasi!- rise il secondo uomo.
-Già. Ma presto, sta facendo luce!-.
-Tu la tieni ferma ed io…-.
-Secondo me non ne vale la pena. Portiamola all’accampamento!- suggerì.
-Fratello, stai scherzando? Così ci toccherà dividerla con gli altri!-.
-Non capisci? Siamo troppo esposti e ho paura di quell’altro!- gemé.
-Ma dai!- schiattò in una clamorosa risata. –Se ne saranno già occupati di quello lì!-.
-Io continuo a temere…-.
-Cosa?-.
-E se fosse qui dietro? Ora? Guardati attorno!- i due si girarono da parte a parte.
Elena, una volta che furono distratti, sgattaiolò via reggendosi alle insenature tra i vecchi mattoni della parete, aggirò la rovina e si trascinò fino a qualche metro più avanti, scomparendo poi tra gli arbusti. Lì, nascosta tra le fronde della natura, riprese fiato accovacciandosi al suolo sopraffatta dalla spossatezza.
-Ehi! Ma dov’è andata!?- udì gridare.
-Perfetto! Ora ci ammazzano, lo sai?!-.
-Non è stata colpa mia!-.
-Invece sì! Chi ha suggerito di portarla all’accampamento?!-.
-Io! Ma a buon fine!-.
-Cioè?-.
Ci fu un lungo minuto di silenzio, ed Elena aguzzò l’udito per scorgere oltre il suono indistinto di zoccoli che battevano la terra. Poi le saettò all’orecchio il nitrio di un cavallo, e in fine uno dei due soldati sbottò rabbioso: -Levati dai piedi, straniero!-.
-Ehi, ma non è uno straniero!- e il secondo crociato sfoderò la spada.
-Assas…-.
Il fruscio impercettibile di un solo coltello da lancio, e in fine il tonfo di un corpo senza vita che si accasciava al suolo.
-Tu- chiamò Altair dall’alto della sella.
Il crociato gettò l’arma lontano dalla sua portata e s’inginocchiò umile supplicando l’assassino di lasciarlo vivere.
-Dove si trova la ragazza?- domandò il suo maestro.
-Ci è scappata, non ho idea di dove sia!-.
-Menti!- ruggì Altair. –Uno dei tuoi superiori l’ha portata con sé?! L’ho visto che si allontanava verso nord! Hai un’ultima possibilità, perciò bada bene a quel che dici!-.
-Ma è la verità- il crociato si privò di ciò che rimaneva del suo onore strisciando come un verme. –Vi prego! Ho una moglie, tre figli!-.
Il mutismo avvolse quella scena buia che Elena poteva a stento immaginare.
Una folata di vento nascose ogni suono, ma subito dopo si udì il lamento smorzato e il gorgoglio del sangue. L’uomo si rovesciò al suolo inerme e in una posa innaturale, ed Altair fece voltare il suo cavallo.
Poco prima che partisse al galoppo, Elena si spinse fuori dagli arbusti. –Fermo, fermo!- chiamò e la sua voce intimorita, terrorizzata attirò l’attenzione dell’assassino.
Altair impennò il destriero che, quando ritoccò terra con gli zoccoli, le venne incontro.
-Perché ti sei nascosta, avanti! Non abbiamo tempo!- l’assassino le porse una mano, la Dea l’afferrò saldamente e lui la issò alle sue spalle sulla sella.
-Scusatemi, io…- cominciò a dire.
-Non importa, ora reggiti!- spronò il cavallo che intraprese un galoppo all’ultimo delle forze.
Elena si strinse alla schiena del suo maestro avvolgendogli le braccia attorno ai fianchi. Strinse le gambe alla sella e si resse saldamente pur di evitare una brutta caduta.
-Sei ferita?- le chiese ad un tratto Altair mentre galoppavano.
-No!- rispose lei.
-Bene; qualcosa in meno a cui pensare! I Crociati hanno ristretto l’area attorno alle rovine e ci circondano in numero che non possiamo né evitare né contrastare! Per tanto, l’unica possibilità che ci rimane è quella di aspettare l’indomani affinché si stanchino di cercarci o ricevano ordine di raggiungere il loro signore a Gerusalemme. In quel caso, ci rimarrebbe tempo sufficiente per arrivare alla Città Santa e svolgere poco e niente di indagini, ma è l’unico modo che abbiamo per uscirne vivi!- la informò.
Elena annuì distratta. –A me sta bene, ma dove ci nasconderemo?-.
-Non preoccuparti; a questo penserò io-.
-…Grazie!-.
-E di cosa?-.
-Per avermi salvata da quei due!- sorrise, ma lui non poteva vederla.
L’assassino tacque alcuni istanti. –Sei stata fortunata- proferì in tono grave.
Elena aggrottò la fronte. -Perché?-.
-Sono rari i soldati che bisticciano tra di loro aprendoti una via di fuga! Certi tizi mi saranno capitati una volta in tutta la mia vita!- ridacchiò compiaciuto.
La ragazza non poté evitare di rallegrarsi. -Durante le vostre indagini?-.
Altair allungò le labbra in un sorriso sornione. -Non proprio- sogghignò.

-Eravamo ad Aleppo- disse ad un tratto rallentando l’andatura del cavallo.
Elena si fece più attenta. –Cosa?-.
Altair inclinò la testa da un lato. –Eravamo ad Aleppo quando successe. Io, Malik e il suo fratellino Kadar.  Ricordo come fosse ieri: un interrogatorio, nel distretto ricco della città. I due si misero a litigare come dei matti e l’uomo ci sfuggì da sotto il naso- arrise.
Stavano traversando un bosco di ulivi costeggiato da un torrente guizzante di acqua cristallina. Il cielo notturno andava sfumarsi delle prime tonalità mattiniere, mentre le stelle lentamente scomparivano dal firmamento lasciando il posto a chiazze biancastre che andavano formarsi. Erano su un pianoro rialzato che affacciava ad est sulle valli appena passate e ad ovest sulle montagne. Nord e sud si confondevano tra vegetazione locale e crepacci montuosi. Da là su erano ben visibili diversi appostamenti crociati che circondavano perfettamente la zona. Erano state innalzate palizzate di legno per frenare i cavalli in corsa e, di conseguenza, la loro fuga da quella cerchia della morte.
-E poi?- domandò Elena curiosa.
Altair sospirò. –E poi niente; mi sono occupato personalmente di ritrovare quel furbetto e metterlo sotto torchio come si deve- il suo era un sorriso malinconico. –Altri tempi, quando gli inesperti eravamo noi tre- mormorò assorto.
Entrambi distratti, i due assassini non si erano accorti che il cavalo sul quale sedevano era andato a brucare dell’erba in un fraticello secco lì vicino. Altair si riappropriò delle redini e indirizzò l’animale nuovamente sulla strada sterrata. –Sei stanca?- domandò.
Elena sbadigliò. –Non nego che avrei preferito dormire un po’ di più…- il suoi pensieri furono invasi dagli ultimi ricordi pacati che aveva di quella notte. Ovvero il braccio di Altair stretto attorno al suo ventre, il corpo del suo maestro a farle da stufa vivente. Si riscosse, tentando invano di assumere un’espressione meno beata in viso.
-Cosa c’è?- rise lui ad un tratto.
-Cosa cosa c’è?!- sobbalzò la ragazza, e a quelle parole l’assassino scoppiò in una fragorosa risata.
-Mi nascondi qualcosa, mia allieva?- chiese lui guardando dritto davanti a sé, ma le sue spalle erano rilassate, come il resto delle sue membra ed Elena lo sentiva attraverso il contatto delle sua braccia strette attorno ai fianchi di lui.
-Cosa credete che vi stia nascondendo?- fu evasiva e maliziosa.
-Non saprei- si guardò attorno sorridente. –Dato che l’esercito di Corrado al completo ci da la caccia e che queste potrebbero essere le nostre ultime ore di vita, tanto vale condividere, non trovi?-.
-Allora cominciate voi!- sbottò la ragazza.
-Va bene- annuì compiaciuto.
-Parlatemi di Adha, avanti- lo punzecchiò.
-Che ragazzina impertinente…- digrignò irritato. –Ma si può sapere… ah, giusto- alzò gli occhi al cielo. –ti serve saperlo o non potrai mai essere la mia amante- la sua voce assunse un tono malizioso e alquanto in vena di scherzi.
-Già!- sottinse allegra.
-Non c’è molto da dire- bofonchiò l’assassino. –Una storia morta in partenza. Forse, quando ci conoscemmo sei anni fa e prima che partisse, c’era davvero qualcosa, ma quando mi abbandonò senza dare alcuna spiegazione mi rassegnai al mio destino. E poi, giusto pochi mesi fa spunta fuori dal nulla. Se n’è andata perché in questi ultimi attimi assieme non aveva fatto altro che mentirmi, parola dopo parola, ed io non riuscivo a credere che stesse capitando proprio a me. Era tornata in Siria con l’intenzione di raccontarmi della sua vita in Italia, della sua famiglia e dei suoi figli. Bambini, capisci? Quando da me aveva chiesto altrettanto…-.
Elena distolse lo sguardo e anche le sue, come le spalle del suo maestro, si curvarono afflitte. –Io…- mormorò. –Mi dispiace, non credevo…-.
Altair aggrottò la fronte sollevando il viso d’un tratto. –Eppure, oggi mi torna un dubbio-.
-Cioè?- poggiò il mento sulla sua spalla.
L’assassino si voltò appena verso di lei. -Quando partì disse che avrebbe portato per sempre una parte di me con sé, ma non ho mai capito cosa volesse dire- si fece ancora più confuso.
Elena si raddrizzò improvvisamente. –Ma siete stupido forte, maestro!- sbottò colpendolo con una pacca in testa.
-Ehi, modera i termini, allieva!- le lanciò un’occhiataccia.
-Davvero siete così ottuso? La vostra mente calcola solo quanti passi distano da voi alla vostra vittima?- lo derise.
-Dove vuoi arrivare?- domandò indispettito.
Elena alzò gli occhi al cielo. –Con una frase del genere una donna vuole intendere solo una cosa!-.
-E sarebbe?- chiese interessato.
-Maestro- si avvicinò nuovamente a lui. –Adha conserva un piccolo voi nel pancino- sorrise affettuosa.
Altair frenò il cavallo all’istante, i suoi muscoli si tesero. –Non è possibile…- sussurrò.
Elena poté quasi dire che gli si fossero ristrette le pupille a quella notizia. –Bacato sarà anche vostro figlio, non ne dubito!- incrociò le braccia.
-Non ci posso credere… io ho…- deglutì.
Elena gli batté una mano sulla spalla. –E a giudicare di come trattate me, non sareste affatto un buon padre- scosse la testa.
Il volto del suo maestro si riempì gradualmente di gioia. –Non immaginavo…- sospirò gonfiando il petto. Qualche minuto di silenziò servì ad entrambi, poi Altair fece partire il cavallo al trotto riscendendo la collina.
-È passato lo shock?- domandò la ragazza premurosamente.
-Sì, grazie, mi sei stata molto d’aiuto- fece assorto.
-Eeeeeeeeeeeee?- indugiò ancora lei.
-E forse è meglio che sia andata così- proferì tranquillo.
-Bene! Ottimo! Sapete, vi meritereste un biscotto ad ogni risposta esatta. A proposito, io ho fame, voi?-.
Altair soffocò una risata. –Quand’è che il tuo stomaco la pianterà di chiedere cibo solo in viaggio? Avresti potuto pranzare prima di partire, piuttosto che startene con…-.
Elena lo colpì con uno schiaffo. –Voi!- strillò.
Altair si passò una mano sulla guancia. –Chi ti da certe libertà, ragazzina?!- sibilò.
-Chi la da a voi la libertà di spiarmi!? Come sapevate che ero con Marhim?!-.
-Non lo sapevo. Ne ho avuto conferma ora da te- sorrise malizioso.
Il secondo schiaffo non si fece attendere, e a quel contatto Altair frenò del tutto il cavallo. –Ora basta!- ruggì guardandola in cagnesco.
-Ho notato di cosa siete capace quando vi “arrabbiate”!- ironizzò, alludendo alla sera attorno al falò.
-Così metti a dura prova la mia pazienza!- prima gli scappò un nitrio, poi l’animale sgroppò innervosito da tante chiacchiere.
-Ecco, persino il cavallo è dalla mia parte!- si lamentò la ragazza.
L’assassino sbuffò e distolse lo sguardo. –Della tua storia con Marhim parleremo a ritorno- brontolò azzardando il galoppo.
-Non è una “storia”- mormorò lei.
-Ah no?-.
-No!- sbottò con più convinzione. –Siamo solo ottimi amici-.
-Ah! Va bene! Ora capisco molte cose: per esempio i vostri baci, uno nella biblioteca quel pomeriggio, ma ancora prima ce n’è stato uno nel salotto che porta alle stanze delle Dee! E dimmi un po’, dov’eri la mattina che fosti convocata dal Maestro? Io e Halef ti cercammo ovunque! Fu lo stesso giorno in cui dovetti presenziare al mio fianco alla seduta per decidere del destino del Frutto! Non hai scuse, ragazza!-.
Elena non riuscì a pieno col terzo schiaffo poiché Altair le bloccò il polso con un movimento impercettibile del braccio. –Non lo farei se fossi in te- sussurrò cauto e intimidatorio.
La Dea si divincolò con uno strattone e abbassò lo sguardo affranta. –Va bene, lo ammetto. Io…-.
Il sibilo di una corda che vibrava, e la freccia penetrò nella coscia del cavallo.
-Diamine, no!- digrignò Altair tentando invano di tener buona la bestia, ma questa si rovesciò al suolo e i due assassini rotolarono tra gli arbusti finendo l’uno distante dall’altra.
-Prendeteli, sono a tiro! Non ci scapperanno!- gridò un arciere incoccando una nuova freccia.
Le torri di legno erano state allestite per l’evenienza e, senza rendersene conto, si erano azzardatamene avvicinati troppo ad un posto di blocco.
Altair si sollevò con uno scatto e balzò al fianco di lei. –Resta giù!- la spinse nascosta tra le felci, ed Elena si appiattì raso terra.
L’assassino si mosse fulmineo schivando i dardi che si piantavano nel terreno e raggiunse la scala che saliva fino all’apice della torre. Due gradini alla volta raggiunse lo spiazzo che ospitava ben tre soldati muniti di faretra. Uno si apprestò a spingerlo giù, un secondo lo colpì con un pugno assestato alla mandibola e questo piroettò su se stesso per poi precipitare verso il basso. Il terzo, Altair lo afferrò per la tunica e lo utilizzò come scudo umano alle frecce che gli tiravano addosso gli arcieri dell’appostamento di fronte.
Con un salto e un atterraggio da maestro, Altair tornò giù e si avviò di corsa verso la seconda torretta. Ripeté più o meno le stesse mosse, con la sola differenza che l’ultimo dei tre si dileguò a gambe levate.
-Fermalo!- gridò il suo maestro ed Elena emerse dagli arbusti, si portò lesta una mano allo stivale sinistro, piegò abile le ginocchia e il pugnale da lancio schizzò via dalle sue dita trafiggendo il mal capitato tra le scapole.
Un sorriso soddisfatto affiorò sulle labbra di Altair che la fissò allungo dall’alto della torre. –Bene!- gioì.
Elena si poggiò le mani sui fianchi e alzò lo sguardo verso di lui. –Avete intenzione di scendere o no?- domandò col peso su una gamba.
-Aspetta. Da quassù si vede un sacco di roba interessante!- fu la sua risposta, ed Elena non insistette oltre.
Se c’erano degli accampamenti nascosti, Altair l’avrebbe certo notato da quell’avamposto, quindi era meglio lasciare che preparasse un piano migliore se mai fossero stati colpiti di nuovo.
La Dea tornò con passo svelto sulla strada e si chinò affianco al cavallo che giaceva sdraiato a terra, mentre la ferita attorno all’asticella della freccia conficcata nella coscia pulsava dolorosamente. Stava soffrendo, ed Elena gli accarezzò il muso percorrendo la chiazza grigiastra che andava dalla fronte fino al naso dell’animale. Respirava con affanno, era nervoso e i suoi nitrii di dolore avrebbero attirato troppo l’attenzione. La Dea sapeva bene cosa avrebbe dovuto fare il suo maestro una volta sceso dalla torre, ma persino con tutto il ripugno che provava dentro, avrebbe dovuto assisterlo.
Altair fischiò, ma non era indirizzato a lei, perciò Elena non se ne curò.
Sopra la sua testa celata dal cappuccio, comparve un’ombra che schizzò fugace via.
La ragazza alzò il mento, guardò il cielo e ammirò il suo colore già pienamente azzurro sull’orizzonte. Poi il grido di Rashy si diffuse per la valle e la falchetta sbatté un paio di volte ali prima di stringersi al braccio alzato del suo padrone.
Elena tornò in piedi. –Era ora! Non poteva avvertirci un po’ prima?!- sibilò a denti stretti.
Non ottenne alcun cenno dal suo maestro che pareva impegnato nell’accarezzare le piume argentate dell’uccella. Qualche secondo più tardi, il suo polso scattò in avanti e Rashy si librò in aria; con maestria, la falchetta si gettò giù dalla torre con le ali chiuse al petto e riprese quota solo dopo aver volato raso terra. Spalancò le sue vele piumate e diffuse nuovamente il suo canto per il cielo.
Fatto ciò, Altair si apprestò a scendere ed Elena gli andò incontro.
-C’è un recinto abbandonato, più avanti. Quando ci passo vi trovo sempre alcuni cavalli a pascolare. Va’…- disse lui avvicinandosi al suo destriero ferito. –Ma se trovi la zona controllata dai crociati, torna indietro- si chinò al fianco dell’animale e, prima che Elena potesse voltarsi, estrasse da una bisaccia della sella una fiala contenente della polvere scura.
-Hai sentito?- chiese Altair cominciando a gesticolare con il contenuto della fiala. Lo versò in una garza e lo mischiò ad alcune zollette di zucchero che rimediò sempre dalle bisacce.
La ragazza si riscosse. –Sì, ora vado- e s’incamminò senza voltarsi.
Era già parecchi metri avanti quando ascoltò i lamenti del cavallo tacere per sempre.

Nessun accampamento crociato più avanti. Ma la sfortuna fu nel fatto che riuscì ad acchiappare un solo cavallo, che il proprietario del bestiame reclamò a gran voce.
Elena l’aveva azzittito dandogli in cambio una manciata di monete, ma appresso non aveva poi tanto e il contadino non si era certo sentito appagato! Così dovette agire come non avrebbe voluto.
Nascose il corpo tra le felci e nella piccola stalla dell’uomo rimediò anche una buona sella e un secondo cavallo. Lasciò il campo al galoppo e andò in contro al suo maestro che attendeva tutt’altra parte a dove l’aveva visto l’ultima volta.
Altair era nei pressi del ruscello che scendeva dalla collina, con le ginocchia piegate e una mano allungata a sfiorare l’acqua del fiumiciattolo con una pezza bianca stretta tra le dita; la manica sinistra dell’uomo era arrotolata fino alla spalla e sulla pelle abbronzata dei suoi muscoli scolpiti scorreva un rivolo di sangue proveniente da un taglio prolungato che si allungava fino al gomito verticalmente. Il guanto con la lama nascosta era adagiato su una roccia poco distante.
Elena smontò dalla sella e legò i cavalli ad un ramo basso di un ulivo. -Siete stato ferito?- domandò accovacciandosi al suo fianco.
Altair la schizzò con l’acqua in eccesso sulla pezza. –Ovvio, per caso sei cieca?- rise. –Ma non preoccuparti. È solo di striscio, niente di grave. Tu sei ferita?- chiese.
-No, grazie. Ho trovato i cavalli- lo informò col sorriso, che però si spense presto.
-Bene- assentì lui lanciando un’occhiata alle due bestie dietro di loro.
-Ma il contadino del campo mi ha sorpresa e temevo che avrebbe parlato a qualcuno se l’avessi lasciato vivere- proferì in un sussurro. –Mi spiace, ma non avevo abbastanza monete. Si è messo a strillare a ladro! E poi mi ha riconosciuta come un membro della setta e…-.
Altair si girò verso di lei e le inchiodò le parole ancora in gola. –Sta’ calma, ho capito- fece tranquillo. –Non c’era altro modo, avrei agito altrettanto- disse passando la pezza bagnata sulla ferita e ripulendola dal sangue. –Piuttosto, hai notato nessun avamposto nelle vicinanze? Non nascondermi che sei stata avvistata, come quell’ultima volta ad Acri- mormorò serio. Lasciò la pezza sulla stessa roccia ove era poggiato il suo guanto ed estrasse da una delle sacche dietro alla cintura una fiala con del liquido trasparente. La stappò coi denti e la versò sulla pezza che riprese in mano, e con essa disinfettò il taglio.
-No, vi assicuro che a parte il vecchio in Paradiso, nessun altro sa che abbiamo questi cavalli- arrise.
-Ottimo, buon lavoro- disse sollevandosi la manica e riappropriandosi del suo guanto. Dopo che ebbe legato per bene ciascun laccio, raddrizzò le ginocchia, gettò la pezza e la boccetta vuota tra gli arbusti e montò in sella ad uno dei due cavalli.
La ragazza si issò sull’animale senza fatica, mentre il suo maestro pareva risentire del disinfettante che bruciava sul suo braccio.
-Andiamo- sibilò lui e partirono al galoppo.

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Capitolo 46
*** Angeli senza ali, umani ***


Angeli senza ali, umani






Erano dovunque.
In alto sulle montagne, ai piedi delle colline e attorno ai fiumi. Appostati sulle rovine, in marcia verso tutte le direzioni! Era un incubo: i Crociati di Corrado erano ovunque.
-Deve tenere molto alla sua vita- commentò Elena aggiustando le staffe.
Altair guardò in alto, ma non vi era traccia di Rashy. –Sì, non ne dubito- borbottò lui che scrutava a destra e a manca, ma non poteva girare lo sguardo che i soldati erano ad ogni angolo.
Altair fece indietreggiare la sua cavalcatura e le tornò affianco. –La vecchia Dimora dove sosteremo è nascosta poco più a sud di qui, oltre quel valico- indicò il posto di blocco controllato dai francesi. –Ma non c’è altro modo di raggiungerlo se non scalare a piedi quella montagna e poi scendere giù, magari con un salto!- ridacchiò.
-Maestro, se dobbiamo combattere io ne ho le forze- proferì fiera la ragazza.
L’uomo emise un gran sospiro e le volse un’occhiata triste e assorta in altri pensieri.
Elena assunse un’espressione confusa. –Maestro?- lo richiamò.
-Sì, scusami- si riscosse. –Se li aggiriamo potremmo colpirli alle spalle evitando di essere a tiro degli arcieri che, mica scemi, si sono posizionati lì-.
Elena seguì la linea dei suoi occhi. –Non vedo nessuno lì-.
-Fidati. Ci sono, ci sono- smontò dalla sella. –Dobbiamo fare piazza pulita e scappare prima che ricevano rinforzi o passi una ronda, sono stato chiaro?- le chiese mentre camminavano celati tra gli alberi.
La Dea annuì. –Va bene-.
-Nessuno deve riuscire a fuggire. Dovranno accorgersi di cosa abbiamo fatto quando saremo già a Gerusalemme. Ah, Elena- si voltò e i loro visi si trovarono l’uno poco distante dall’altro. Le poggiò una mano sulla spalla e si accovacciarono più nascosti dietro una felce. –Se qualcosa va storto- cominciò lui, e già quelle parole la mettevano a disagio. –Se qualcosa va storto- ripeté –quella è la direzione- indicò oltre il blocco crociato. –non esitare. Scappa, sono stato chiaro?-.
La ragazza annuì di nuovo. –Non vi deluderò, e niente andrà storto, ve lo prometto- sorrise.
-Non essere così allegra. Oggi rischiamo grosso- proferì malinconico carezzandole una guancia.
Elena arrossì spudoratamente, e il suo cuore accelerò a tal punto da farle male contro la cassa toracica.
Altair le sistemò al meglio il cappuccio a celarle il volto. –Usa tutti i pugnali da lancio che hai: non ci sarà altra occasione di utilizzarli. Dopo questo scherzetto, raggiungeremo Gerusalemme con la strada spianata- mormorò.
Oltre il cespuglio dietro al quale erano riparati, l’accampamento crociato era in preda ai preparativi per la partenza i massa verso la Città Santa. Gli uomini che indossavano la candida uniforme rossa e bianca della casata del Monferrato si spostavano in tutte le direzioni armeggiando con selle, lance, scudi e lame di tutti i generi. Da quell’angolazione, Elena riuscì a scorgere gli arcieri appostati tra le fronde del crepaccio che si gettava a picco sull’avamposto. La maggior parte delle tende, sparse confusamente sul pianoro, venivano smontate e caricate sui dei carri, mentre davanti all’ingresso di altre, sparsi gruppi di soldati chiacchieravano allegri e ignari.
-Pronta?- Altair sfoderò la lama corta e la ragazza fece altrettanto.
Un istante dopo erano già fuori dal loro nascondiglio.
Uno, due pugnali da lancio lasciarono gli astucci dello stivale del suo maestro, ed Elena bilanciò il peso in avanti estraendo da principio quelli sulla spalla.
Uno ad uno, i soldati colpiti si accasciarono al suolo, ma nessuno si accorse della loro comparsa. La Dea scartò in avanti e trafisse di soppiatto all’addome un crociato isolato dagli altri. Ci fu il tempo sufficiente di scagliare qualche altro coltellino, e poi l’allarme suonò.
-Assassini!-.
Centinaia di occhi rabbiosi si puntarono su di loro, una dozzina dei quali venivano di corsa, con le armi alla mano, verso i due incappucciati.
Lesto con il lancio, il suo maestro esaurì il suo ultimo pugnale nell’ammazzare l’uomo in testa alla mandria inferocita di soldati; ed ebbe inizio la vera battaglia.
Li accerchiarono, colpirono due o uno alla volta con alternanza a mosse di scherma e finte, assieme ad una miriade ininterrotta di frecce che si conficcavano al suolo per via della troppa distanza che vi era tra loro e i bastardi appostati sulla roccia.
Schiena a schiena, i due assassini piroettavano tra la massa di gente colpendo con minuzia e astuzia i punti mortali dei loro nemici, quali la gola, l’addome e il centro perfetto della fronte.
Sul terreno comparvero ben presto una serie di pozze scure che andavano crescendo di numero man a mano che un nuovo crociato si accasciava tra gli arbusti. Quanti lamenti strazianti di dolore e sangue represso si levarono al cielo? Elena perse il conto, ma non avrebbe avuto alcuna pietà pur di arrivare viva. Armata. Forte. A Gerusalemme, e di conseguenza, a Corrado.
Dilaniare i suoi uomini le diede un immenso senso di soddisfazione che pareva tanto una antipasto a quello che sarebbe stato il vero e proprio assassinio. Godeva nell’ascoltare quelle urla, godeva nello scagliarsi contro i suoi nemici che tentavano la fuga! Rideva, trovata tutto ciò quasi divertente, e i suoi sorrisi sfigurati lasciarono parecchio interdetto il suo maestro che, al fianco di lei, colpiva con quella sua solita maestria e nuda crudeltà, parecchio distaccato.
Quando gli avversari vennero a mancare, Elena si permise di rinfoderare la spada corta e appropriarsi di quella lunga, più malleabile e meno faticosa.
Gli insegnamenti di Leila li mise in atto solo nell’ultima parte dello scontro. Aveva isolato un gruppo di soldati che, disperati, stavano tentando di svignarsela ed uno alla volta non riuscivano a fare due passi oltre di lei senza prima venir ammazzati. Neppure in quel frangente ebbe pietà: Altair aveva esplicitamente richiesto che nessuno fuggisse dall’accampamento e che il lavoro fosse il più svelto possibile.
Il suo corpo aveva acquistato ogni flessibilità dedita ad una Dea, ed Elena ne andava fiera. Piroette, capriole, affondi, parate, stoccate, ruote e verticali. Cielo e terra si confondevano più e più volte nel momento in cui i suoi palmi toccavano il suolo e le sue ginocchia affondavano duri colpi agli avversari. Ogni parte di lei, braccio, testa o gamba che fosse, era un’arma inestimabile, ed era questo che Leila le aveva insegnato di tanto prezioso.
Tardatamene, la pattuglia di ronda composta di tre cavalieri non si fece attendere più di tanto, e i soldati a cavallo si rovesciarono sul pianoro con le armi alla mano.
-Dannazione!- sibilò Altair estraendo la lama dalla carne di un uomo. Si guardò attorno svelto e trovò la sua allieva che se la cavava intrepidamente con due abili spadaccini.
-Elena!- la chiamò.
La ragazza deviò il fendente avversario e scagliò l’arma dell’uomo lontano dalla sua portata. Quando il soldato, spaurito e disarmato, tentò la fuga, Elena gli diede addosso comparendo improvvisamente al suo fianco ed estraendo la lama nascosta. Penetrò nell’addome dell’uomo che si accasciò tra le sue braccia accompagnato da un gemito strozzato, ed Elena lo adagiò al suolo. –Sono impegnata, maestro!- ruggì lanciando un’occhiata in direzione del suo compagno assassino.
-Elena, i cavalieri! Va’ via!- le ordinò Altair sorpassandola di corsa.
Elena si voltò e osservò imperterrita ogni sua singola mossa.
Altair spiccò un salto e, nel bel mezzo del volo, fece scattare il meccanismo della lama che fuoriuscì dal suo polso. L’assassino si abbatté con violenza sul cavaliere conficcando la lama con maestria e precisione nella gote dell’uomo. Il Templare si rovesciò a terra, ma Altair, prima che questo potesse riposare in pace, gli sottrasse un piccolo pugnale dalla cintola e lo scagliò con milizia tra gli occhi del cavaliere vicino. Questo secondo Templare morì all’istante e scivolò giù dalla groppa della sua bestia, mentre il terzo ed ultimo si dirigeva a tutta velocità verso la giovane Dea.
Altair ebbe solo il tempo di cogliere un grido acuto diffondersi nell’aria tersa di sangue del pianoro e successivamente, correndo nella stessa direzione, si accorse con stupore di ciò che stava succedendo.
Elena si lanciò in groppa all’animale sorprendendo il Templare alle spalle; fece per pugnalarlo alla schiena con la lama corta quando, il cavaliere l’afferrò per un braccio e la gettò a terra ridendo.
Questo smontò dalla sella e impugnò con maggior il lungo spadone a due mani. Si avvicinò passo dopo passo a lei che, nel frattempo, era rotolata all’indietro e rialzata con incredibile agilità.
-Infami quei due bastardi, e stupido me che ti ho lasciato vivere troppo allungo! Adesso ci divertiamo, bambina!- le si avvicinò con un balzo, ed Elena schivò il colpo finendo sopraffatta dalla polvere del terriccio che alzarono i suoi stessi piedi.
Era lui: il cavaliere che le aveva risparmiato la vita a costo di farla stuprare dai suoi uomini. Non poté credere che fosse lì. Il suo ghigno crudele le metteva un’ansia della malora, la lama corta della ragazza non era all’altezza del robusto spadone, si sarebbe spezzata anche quella della sua spada normale.
Altair sfoderò la sua arma e si contrappose alla ragazza subendo al posto di lei un montante mal piazzato. -Va’ via, ho detto!- le ribadì Altair respingendo con fatica la spada avversaria.
-Maledetti assassini! Morirete tutti!- ridacchiò l’uomo girando attorno ai due.
Elena si sistemò al fianco del suo maestro. –È un solo uomo, possiamo…- provò a dire.
-Ubbidisci!- Altair si distrasse il tempo sufficiente perché il Templare potesse disarcionare la sua guardia e spingerlo al suolo con un calcio all’addome.
Elena si stanziò spaventata. Se non riusciva Altair, pretendeva di uscirne viva lei?
Il suo maestro si rialzò lentamente leggermente scosso. Allungò un braccio alle sue spalle e parò Elena dietro di esse. -Ti è rimasto qualche pugnale?- le mormorò indietreggiando, così che l’avversario non potesse udirli.
Dato la mano di Altair poggiata dolcemente sul suo fianco, la ragazza assunse un colorito più roseo visibile anche sotto al cappuccio. –Io…- balbettò.
-Che cosa confabulate, eh?!- ringhiò il Templare venendogli incontro, ma i due si spostarono all’unisono con un balzo alla loro destra.
-Due, maestro- rispose lei in un sussurro.
Altair strinse i denti vigile sulle mosse dell’avversario. –Lasciamene due e scappa, intesi?!- sibilò.
Elena obbedì a pieno: afferrò i due coltellini da lancio dalla sua cintura e gli infilò, lesta e attenta a non attirare l’attenzione del Templare, nei foderi vuoti che il suo maestro aveva alla vita.
-Avete fatto strage dei miei uomini, ma non vi permetterò di proseguire oltre!- il cavaliere si scagliò su di loro all’improvviso levando lo spadone al cielo. –Le vostre anime infette marciranno qui!-.
-VA’!- gridò, e Altair la spinse via.
Elena inciampò, ma riuscì a levarsi di lì prima che accadesse nulla di spiacevole.
Il colpo infierì di striscio sulla sua veste, e all’assassino scappò un lamento di dolore.
-Maestro!- la ragazza si voltò e portò la mano all’elsa della spada; fece per tornare indietro.
Sul torace dell’incappucciato si apriva uno squarto rossastro profondo; il sangue andò presto ad imbrattare il lembo scisso della tunica.
-No! Elena, no!- Altair estrasse la lama corta e contrattaccò aprendo un varco nella difesa dell’avversario. Il cavaliere indietreggiò schivando il colpo, ed un istante dopo rinvenne con un nuovo affondo.
La ragazza, combattuta tra l’ordine del suo maestro e l’adrenalina che la spingeva ad intervenire, rimase allungo immobile. Le dita strette attorno all’elsa della spada, pronta a partecipare. Quel Templare si stava mostrando parecchio pericoloso, e ad infierire sul combattimento dei due vi erano gli arcieri che assistevano imparziali. Probabile che avessero esaurito le frecce, si disse.
-Vattene, stupida!- ribadì Altair rotolando per evitare un colpo, e lo spadone del Templare lacerò una pianta, restando incastonato nel terreno arido.
-Mi occuperò della tua ragazza quando avrò finito con te, bastardo!- ridacchiò il cavaliere estraendo la lama da terra con una forza disumana.
In confronto alla brutalità di quell’uomo, Altair pareva tanto impacciato nei movimenti quanto inesperto. Indebolito dal taglio che perdeva sangue sul suo petto, sul quale aveva poggiato una mano per rallentare l’emorragia, il suo maestro stentava in parate azzardate e posticipate rispetto agli affondi avversari.
In conclusione: non stava andando affatto bene.
L’uomo scansò improvvisamente la sua lama corta e penetrò con un braccio teso nella sua guardia. Afferrò l’assassino per il bavero del cappuccio e lo avvicinò al suo volto. –Muori!- gli ringhiò in faccia, ed un istante dopo lo gettò con violenza a terra.
-Elena!- eruppe Altair allo stremo delle sue energie.
Prima che potesse assistere oltre, Elena girò i tacchi e intraprese una corsa sfollata verso la fine dell’accampamento. Una volta sul confine del posto di blocco si portò due dita alla bocca e fischiò con quanto fiato le restava. Rashy planò in picchiata tra le tende e volò radente al terreno raggiungendola. –No, non da me, stupida!- Elena si stanziò, ma la falchetta si avvinghiò al suo guanto destro. –Va’ da lui! Aiutalo!- gemé la ragazza cercando di staccarla dal braccio.
Rashy si levò nell’aria, ma accorse nella direzione opposta, indicandole la strada probabilmente verso la Dimora abbandonata.
Elena aguzzò l’udito, e il cozzare delle lame giunse fin da lei. Questo suono tacque del tutto quando una folata di vento le spazzò della terra negli occhi, ondeggiandole i lembi della veste, indirizzandola alla fuga; ed Elena fuggì, accorrendo al riparo nel boschetto di ulivi.

I muscoli delle sue gambe cedettero, inciampò innumerevoli volte in sassi, arbusti, radici e crepe; ma tutte quelle volte si rialzava, mentre sul suo volto si arrampicavano lacrime disperate. Non poté credere di aver abbandonato il suo maestro a quel destino, a quella sorte crudele. Avrebbe preferito di gran lunga morire al suo fianco, combattendo, e non scappando come una codarda. Non meritava di essere sua allieva: lui che le aveva offerto la vita invece di richiedere il suo aiuto in duello. Non meritava di avere Altair il grande come pari, non meritava i suoi sorrisi e le sue carezze affettuose che solo un padre avrebbe potuto esprimere più gioia nel farlo. La sua presenza, i suoi passi accanto a quelli di lei già le mancavano; nel cuore avvertiva un dolore straziante, come se fosse accanto a lui e stesse subendo la stessa pena, come se il Templare di quel duello stesse colpendo malamente lei e non il suo maestro. Si asciugò le lacrime con il collo del cappuccio che le era calato sulle spalle, e le sue gambe ormai viaggiavano da sole verso la destinazione, seguendo la scia della ombra di Rashy che vegliava su di lei dall’alto del cielo limpido.
Prima di tutto questo, gli aveva promesso che nulla sarebbe andato storto. Era una bugiarda, ecco cos’era. Non poteva promettere quello che non avrebbe mai potuto dare, e in quel momento si maledisse almeno un centinaio di volte.
L’insenatura che era l’ingresso della Dimora comparve d’un tratto al suo fianco, ed Elena arrestò la sua corsa inciampando subito dopo.
Si tirò su tutta dolorante e s’infilò nel sottile crepaccio, alternando il correre al camminare per riprendere fiato. Le mancava l’aria, si sentiva il cuore e i polmoni esplodere nel tentativo di assimilare la maggior quantità di ossigeno possibile.
Rallentò, fino a raggiungere un’andatura stanca e affranta, quando la casa nascosta dalla foresta comparve davanti ai suoi occhi.
Dall’esterno compariva tutto normale: c’erano dei cavalli legati ad una vecchia recinzione, le colombe che svolazzavano sopra la Dimora e si accovacciavano sul tetto, cantilenando la loro litania bassa e rumoreggiante. Il silenzio pervadeva il pianoro stretto da spesse pareti di roccia, e la stessa casupola era scavata in essa.
Una volta sull’ingresso, si addentrò in quella landa desolata, ammutolendo di fronte al paesaggio apocalittico: le finestre rotte, frammenti di vetro gettati al suolo, tappeti e cuscini sparsi sul pavimento, tavoli rovesciati, cesti di paglia rosicchiati e tagliati a fior di spada, frutta ammuffita sparsa negli angoli del locale.
I Crociati non avevano risparmiato niente, ma soprattutto nessuno: c’era il corpo di una donna, steso a terra dietro il bancone della sala.
Elena distolse lo sguardo ripugnante di quella vista. Trovò il telo di una tovaglia accartocciato vicino alla parete e coprì quello scempio.
Corrado avrebbe pagato tutto. Ogni singola vittima avrebbe fatto la sua parte nel momento in cui la lama nascosta che aveva al polso fosse penetrata nelle sue carni. Per quella donna, per il suo maestro, per sua madre e suo padre prigioniero ad Acri! Corrado sarebbe morto e guardando il volto della ragazza alla quale aveva rovinato la vita!
Si diresse al piano di sopra, cercando disperatamente qualcosa da bere, o da mangiare, ma tutto quello che raggruppò fu una mela mordicchiata dai topi e un vecchio fialone d’idromele.
Si sistemò in una stanza, in quella meglio tenuta della Dimora e si andò a rannicchiare in un angolo portando con sé l’idromele e una coperta.
L’indomani mattina avrebbe lasciato il Regno per l’entroterra di Gerusalemme, e da lì… dritte verso la sua preda. Da sola.
Chiuse gli occhi, e alla cieca si bagnò le labbra di quello che era fonte di liquidi. Un sorso alla volta, s’inebriò la mente di immagini sfuggenti delle ultime ore e, quando ascoltò il ruggito di Rashy levarsi nell’aria gelida della notte, colse il suono tonante di passi che venivano verso di lei.
Ecco gli uomini di Corrado che l’avevano trovata. Ecco che avrebbe raggiunto il cadavere di quella donna, si disse. Era giunta la fine, era spacciata, morta stuprata e magari lasciata marcire nuda come la frutta trovata sul pavimento del piano inferiore. Carne da macello, com’era destino che fosse fin dalla sua nascita.
Un’immensa e nera figura si stagliò dinnanzi ai suoi occhi, e questa allungò una mano verso di lei.
Elena si strinse sotto la coperta, spingendosi il più possibile contro la parete. Un gemito di paura le uscì dalla gola e strizzò gli occhi nel tentativo di spannarsi la vista.
Sentì le dita dell’uomo stringersi attorno ad una sua spalla, e a quel punto gridò di paura con tutto il fiato che le restava in petto.

Schiena a terra, Altair sollevò un braccio e lo spadone che calò su di lui dall’alto andò ad ammaccare le placche che aveva sul guanto della lama nascosta, provocando un’esplosione di scintille. Il filo della lama scivolò fino al suo gomito e gli aprì un taglio anche sulla manica della veste. Il dolore era sopportabile, così Altair scartò di lato e balzò in piedi. Riappropriandosi della lama nascosta sdrucciolata al suolo, si avventò con furia contro l’avversario, trovandolo alquanto spossato dato il contrasto improvviso.
-Non ti arrendi proprio, eh?!- sibilò il Templare indietreggiando alla serie di colpi ben piazzati che Altair menò ininterrottamente.
L’assassino piroettò su se stesso e comparve al fianco dell’uomo. Fece scattare il meccanismo della lama nel suo polso e tentò un approccio pulito all’addome, ma il cavaliere gli menò una gomitata che lo colpì alla mandibola, facendogli assaporare il suo stesso sangue in bocca.
Altair indietreggiò, mollò la presa sulla lama corta e si portò due dita all’angolo delle labbra.
-Non te l’aspettavi, stronzo!- ruggì e il suo avversario scagliando la sua arma lontano. Si avventò sull’assassino afferrandolo per la gola e spiazzandolo al suolo con un pugno in pieno volto.
-Questo è per i miei compagni!- strillava euforico il Templare, e cazzotto dopo cazzotto, Altair non riusciva a contrastare i suoi affondi diretti.
Ad ogni colpo, vedeva le stelle avvicinarsi sempre più e offuscargli la vista. Il cappuccio gli scivolò sulle spalle mostrando il suo viso per intero.
Le gambe dell’assassino cedettero e si rovesciò al suolo, ma in breve il Templare s’inginocchiò su di lui, l’afferrò per la collottola della veste e continuò coi suoi ganci destri poderosi.
-Siriano di merda! Cercherò quella ragazza di persona e non la presterò ad uno solo dei miei uomini! Quando avrò finito con te, ella non avrà abbastanza voce neppure per pensare per quanto l’avrò fatta gridare io!- digrignò.
Elena…
A quel punto fu troppo.
In lui scoppiò la vena che ospitava una quantità assurda di adrenalina che si rovesciò per tutto il suo corpo. Il solo ascoltare quelle perverse parole piene di rabbia e crudeltà, Altair trovò la forza di opporsi: frenò il pugno chiuso dell’uomo prima che potesse nuovamente colpirlo, stringendogli il polso. Sulle nocche del Templare c’era il suo sangue, il sangue di un Angelo della Morte.
Il cavaliere oppose una nuova resistenza prendendogli il mento tra le dita, ma Altair levò la testa e gli diede una di quelle craniate da spaccar le pietre.
Il Templare alzò gli occhi al cielo e un istante più tardi crollò a terra nel clangore dell’armatura.
Altair scattò in piedi e si allontanò tutto traballante e incerto sui suoi passi sconnessi. La testa gli girava, gli pulsavano le tempie e le diverse ferite del duello davano i loro frutti dolorosi.
Qualche secondo dopo, il cavaliere che credeva fosse morto, si alzò e riafferrò la sua spada. –Ah, non ti arrendi, mai. Peccato, stai solo rubando tempo a me e alla tua piccola…- la voce gli s’interruppe in gola, mentre dalle sue labbra proveniva un sibilo senza suono. L’uomo crollò nuovamente a terra in una posa innaturale. I due pugnali di Elena piantati nel cuore.
Le spalle di Altair si alzavano e si abbassavano senza una regolarità precisa. Quel duello l’aveva sfiancato, privato di ogni forza e della sua veste bianca, inzuppandola di sangue suo e non.
Si chinò sul cadavere e gli strappò dal petto entrambi i coltelli dal lancio. Sul suo volto, Altair, aveva la sua solita espressione anomala e pacata, distaccata. Un morto come un altro, si diceva: un crociato come un altro. Pulì il sangue dell’uomo rimasto sulle piccole lame sulla sua stessa veste, poi si alzò e si voltò.
Il crepuscolo era una macchia arancione all’orizzonte che avvolgeva il cielo. Il vento sollevava cumuli di terra, gli uccelli tacevano, la natura ostentava il suo muto silenzio di morte.
Altair s’incamminò a passo lento verso il bosco, raggiunse il nascondiglio ove avevano lasciato i cavalli e montò in sella. Infilando i piedi nelle staffe, avvertì una fitta intollerabile al petto e dovette piegarsi in avanti, sopraffatto dal dolore.
Pur di giungere a destinazione, si costrinse a tollerare quelle sofferenze. Attraversò tutto l’accampamento al passo, tirando con sé il cavallo di Elena. Giunse nei pressi del nascondiglio della Dimora solo a notte inoltrata.
Legò le bestie alla staccionata assieme alle altre e si addentrò nel salone d’ingresso della sede. Trovò la confusione e la desolazione che si aspettava di trovare. C’era un telo ripiegato a nascondere un qualcosa steso sul pavimento, ne sollevò un lembo ma un secondo più tardi distolse lo sguardo.
-Dio- sibilò incredulo. Pregò per quella donna e lasciò lì il suo corpo.
Si guardò attorno, abituando gli occhi stanchi alla poca luce dell’androne. –Elena!- chiamò, e si stupì della sua stessa voce incrinata dal dolore.
-Elena!- chiamò ancora salendo le scale.
Una volta nel corridoio controllò di fretta tutte le stanze, spaventato, terribilmente in pena. Perché non rispondeva? Possibile che la sua allieva non fosse giunta sana e salva fin lì? Stava impazzendo, le ombre dei mobili rotti gli giravano attorno intimorendolo e la mente gli si offuscava. –Elena…-.
Finalmente scorse una figura, rannicchiata in un angolo della camera più piccola tra tutte. Entrò, mosse qualche passo in avanti e si inginocchiò di fronte ad ella, che la guardava con terrore. Negli occhi della sua allieva ribolliva la paura, paura di lui? Si chiese. Forse era il suo aspetto malsano a spaventarla; da quando aveva lasciato l’accampamento, sul suo viso era rimasto impresso del sangue, e così sulle sue vesti.
-Elena- allungò una mano e le sfiorò una spalla, stringendo poi la presa attorno ad essa.
La ragazza gridò improvvisamente, ma Altair le tappò la bocca. –Elena, sono io…- la strinse con forza a sé, abbracciandola. –Sono io, Altair- le mormorò all’orecchio.
Le unghie della giovane penetrarono nella carne delle sue braccia, e la coperta scivolò via dal suo corpo. -Altair- sussurrò il suo nome.
-Sì, sì…- lui le accarezzò i capelli. -Sono qui, stai tranquilla, sono qui- ripeté più volte, e magari anche per rasserenare se stesso.
-Altair- ribadì la Dea, sollevando il mento e versando una, due, tre lacrime. D’un tratto, prese a tremare tutta come infreddolita da un vento freddo che non c’era.
Elena sentiva freddo, non percependo più alcun calore provenire dalle membra del suo maestro, che la teneva così stretta a sé. Altair era freddo, stanco, e privo di quel senso di forza che scorreva sempre in un lui. Tutte le sue sicurezze, le sue aspirazioni verso di lui si erano estinte, ma a buon fine: Altair non era più quel Dio al quale Elena doveva sostare sottomessa. Era finalmente come lei, spaventato, afflitto e debole. Finalmente… umano.
Il palmo del suo maestro riscese dai suoi capelli fino al suo collo, ed Elena lo anticipò.
La ragazza chiuse gli occhi e premette le labbra su quelle schiuse di lui. Fu un istante che durò un secolo, un bacio immobile, triste, rassegnato ma che avrebbe lasciato il segno.
La Dea chinò la testa da un lato, insistendo in quel contatto che pareva appena una carezza. Sentire il respiro di lui infrangersi sul suo volto, e immaginare soltanto cosa sarebbe successo dopo, la pervase di un senso magnifico di gioia, che riparò presto a tutte le tristezze passate nelle ultime ore.
E in fine, anche l’uomo che aveva di fronte socchiuse il suo sguardo perso nel vuoto e si arrese alle sue emozioni, acconsentendo quel bacio e accompagnandolo con passione.
Elena gli gettò le braccia al collo, e si avvicinò ulteriormente facendo combaciare perfettamente i loro corpi l’uno compresso contro l’altro; come tasselli di un puzzle le quali simmetrie perfette s’incastravano perfettamente.
Altair fece scorrere le sue mani alla cinta di cuoio che contornava il ventre di lei e, esperto con i diversi lacci della stessa, privò la sua allieva di quel fardello. Adagiò il tutto poco distante, cercando di essere il più silenzioso possibile.
Lei lo lasciò fare; entrambi vittime dei sentimenti e desideri umani, dediti solo a chi aveva da tempo perso le ali…
La spogliò dei lacci di cuoio che correvano dalla sua spalla al fianco sinistro, privandola degli astucci vuoti sia dei pugnali che della lama corta. Le sfilò dolcemente il cappuccio, ma una terribile mancanza l’avvolse quando le loro labbra furono costrette a separarsi per alcuni istanti. Però, nel momento in cui tornarono a condividere i loro respiri, c’era più foga di prima. La ragazza poggiò una mano sul suo petto, ove vi era quella ferita di guerra che scottava ancora. Ad Altair scappò un sibilo, ma non ci fu il tempo per lei di focalizzare che l’assassino la privò della fascia rossa attorno al suo ventre. Di seguito Elena perse la protezione dell’intera uniforme restando con indosso quei morbidi pantaloncini di cuoio che le arrivavano ad un terzo di coscia, assieme alla canottiera che terminava all’interno dell’elastico di questi.
Non c’era un filo di senno del perché stavano continuando, del perché i loro corpi nudi si attraevano a tal punto. Ma ciò che rimembrò Elena di quella notte, fu solo l’inizio e la fine di tutto.
Come inizio, c’era stato quel bacio.
Come fine…
In quel momento desiderava soltanto che niente di quella perfezione avesse fine. Che restassero in quella Dimora per sempre, avvinghiati, abbracciati. Il loro rapporto padre e figlia si era estinto per sempre nell’attimo in cui l’aveva sentito in lei, nell’istante in cui i gemiti del suo maestro le avevano riempito la testa di mille altri suoni confusi.
Era bellissimo… lui, il suo corpo, il suo viso e i suoi muscoli, tranciati da tagli che ormai le parevano invisibili e inesistenti. Tagli di quando aveva lottato per lei, per tornare da lei, per abbracciare di nuovo lei, per rivedere lei e lei soltanto.
Erano bellissimi… i suoi sussurri, i suoi movimenti perfetti anche in quel frangente. I suoi gesti dolci in un momento tanto delicato.
Erano bellissimi… insieme.

_________________________


...Prima di dire o pensare qualsiasi cosa, mi esonero da ogni vostra infuriata per quanto possa riguardare quest’ultima parte che, dirò soltanto, avevo in mente fin dall’inizio della storia. Ma poi, che è successo? Gli avvenimenti hanno preso delle pieghe più interessanti e inaspettate, e nel frangente “inaspettate” sono piuttosto brava… non ho idea di perché io abbia scritto una cosa del genere. O da quali vocabolari nella mia mente contorta abbia pescato certe parole, certe metafore… ma quello che so è una cosa sola: in questo capitolo i personaggi si muovevano da soli. Li vedevo davanti a me, mentre combattevano, mentre si guardavano, mentre collaboravano, e mentre provavano paura, sconforto, terrore… questo è un mio modo per ringraziargli. Sì, parlo di loro: Elena e Altair, che assieme sono una coppia che non potrebbe mai essere, ma che in questo aggiornamento è stata. Non aggiungo altro né per quanto riguarda Marhim e Adha; ma vi anticipo solo che, qualsiasi dubbio voi state architettando, qualsiasi domanda, avrà risposta nel prossimo post. Per tanto, ora vi chiedo un’ultima cosa…

Vi è piaciuto, eh? 

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Capitolo 47
*** Un odio infondato ***


Un odio infondato





Tutto ciò che fece poi fu fissare il soffitto della stanza dritto davanti a sé, mentre la sua allieva si stringeva a lui poggiando una guancia sul suo petto e potendo ascoltare il battito del suo cuore che, come eccezionalmente era capace di controllare, era lento e regolare.
Le accarezzava dolcemente un fianco, gustando la morbidezza di quella pelle bianchissima alla luce delle stelle che brillavano fuori dalla finestra. Un raggio di luna penetrava dal vetro e irradiava la stanza di quel suo chiarore argenteo che conferiva una tonalità più lattea persino ai capelli di lei, di molto spettinati. Il respiro di Elena gli arrivava sulla pelle, e lo sentiva caldo, bollente, quasi scottare.
I loro vestiti gettati a terra in un angolo buio della camera, mentre condividevano una sola soffice coperta che bastava sì e no a coprirli.
Altair sorrise. Certo, su un pavimento e nel bel mezzo delle macerie di una Dimora predata dai Crociati non ci si poteva aspettare il massimo del confort, ma ugualmente tutto ciò lo rasserenava enormemente.
… Tutti quei gesti, quelle carezze e quei sorrisi erano finalmente sbocciati in qualcosa, si disse poggiando una guancia sui capelli di Elena, inspirandone il profumo. Dovette però ricredersi in fretta.
Era stato un immenso errore, e lo sapeva. Elena l’avrebbe saputo non appena si fosse svegliata, non appena si fosse accorta dei loro corpi nudi avvinghiati; ma a quel punto sarebbe stato intollerabile dirle la verità. Già… ma qual’era la verità? Stentava a credere a se stesso, poteva convincere Elena di quello che era successo? Oppure sarebbe stato bene rivestirla di persona e sperare che avesse dimenticato, così da ritrovarsi con indosso le sue armi come niente fosse mai accaduto. Sarebbe stato saggio in quel frangente, si disse, perché le aveva portato via qualcosa di molto prezioso quella notte e, per di più, ingannandola…
Inevitabilmente pensò a Marhim, e al modo radicale col quale si era contrapposto a ciò che la sua allieva e quel giovane assassino avevano condiviso e avrebbero dovuto ancora condividere. Sapeva cosa si provava, sapeva come si sarebbe sentito quel poveretto, perché un giorno qualcuno avrebbe dovuto dirgli la verità…
Proprio lui che aveva passato le pene dell’Inferno nel venire a conoscenza della vita vera, reale della sua amata Adha, e lui che dall’unione di un uomo e una donna sperava in qualcosa di diverso, sperava in una famiglia. Lui che aveva approfittato di Elena per colmare i suoi vuoti, lui che invece, adesso, ne aveva più di prima.
Era stata la sua allieva, ed era stata sua con così poco.
Giovane, a volte triste, spensierata e debole, quasi implorasse protezione e avesse una mano sempre tesa a chiedere aiuto. Questa era Elena, che dalla vita aveva avuto poco e niente di quello che le spettava.
Si voltò, guardando con attenzione attraverso il buio, e solo allora capì.
C’era un una fiala stappata di idromele adagiata vicino alle gambe di un mobile. Era vuota per metà, di un vetro sporco e graffiato che al suo interno ospitava quel liquido giallognolo e trasparente. Ricordò improvvisamente di averla intravista poche ore prima tra le dita della ragazza.
Quella verità gli fece male davvero, facendolo sentire ancor più incazzato verso se stesso. Avrebbe dovuto capirlo subito!
I suoi occhi accesi di ardore, il suo sguardo assopito e offuscato, i suoi movimenti disperati nel mentre lasciavano correre le loro emozioni! E poi il suo respiro caldo che gli s’infrangeva sul palato e il dolce sapore della sua pelle che Altair aveva toccato con il medesimo desiderio.
Era stato uno stupido, e se lo ripeté nella capa cento e passa volte! Se nel momento in cui i loro sguardi si sarebbero incrociati di nuovo, Elena avesse ricordato, sarebbe stato il primo a sentirsi l’uomo più crudele del mondo. Non solo era stato ingiusto, vile, avido nei confronti della persona che meno al mondo avrebbe dovuto ricevere certe attenzioni da lui, ma aveva privato se stesso e la sua allieva di ciò che restava impresso molto più allungo di una sola notte d’amore.
Sarebbe cambiato tutto. I loro sguardi, i loro sorrisi. Persino la loro missione era compromessa, e chissà che strigliata avrebbero ricevuto da Malik che, da due e passa giorni li attendeva paziente alla Dimora di Gerusalemme.
Rimuginava sugli ultimi duelli passati l’uno affianco all’altra, sventrava i ricordi di quando e in che modo si era preso cura di lei come fosse… era inevitabile dirlo.
Come fosse sua figlia, quella che non aveva mai avuto.
Ma ormai tutto ciò era morto per sempre. Il loro rapporto, la loro strettissima amicizia quasi fossero parenti… si era istinto col solo compiere assieme un medesimo gradino di quella scala che saliva senza troppa pendenza verso l’alto. Una scala facile e semplice da seguire, ovvia, se così si può dire.
Da un lato, certe libertà gli erano state concesse dall’irrefrenabile bisogno di affetto che implorava. Ma dall’altro, era tutto enormemente sbagliato. Gonfiato dal fatto che sarebbe stato impossibile tornare indietro, ripercorrere i propri passi. Non perché non ne sarebbero stati in grado, ma per il semplice motivo che non ne avevano voglia, nessuno dei due.
Questa visione degli aspetti lo mandava su tutte le furie.
Si domandava perché, con quale coraggio aveva osato tanto, ma non riusciva a rispondersi. Si domandava cosa gli fosse passato per la testa quando era cominciato, ma non riusciva a rispondersi. Si chiedeva cosa sarebbe successo dopo, ma…
Ammirò la curva della schiena nuda di Elena, contemplandone la perfezione e la morbidezza.
… non riusciva a rispondersi.
Con un ultimo sforzo, combattendo quell’ingiustizia, Altair scostò il braccio di Elena avvinghiato al suo petto stringendole con delicatezza il polso. La ragazza non diede segni di risveglio e l’assassino poté stringere le fragili membra della sua allieva a qualcosa che non fosse lui.
Afferrò un cuscino e lo sistemò dove un tempo vi era stato steso il suo corpo, ed Elena, cullata dal dolce tepore del sonno, lo stritolò a sé premendolo sul seno, mentre un sorriso gioioso le affiorava sulle labbra.
Altair si sollevò piano, scivolando via dalla accaldata coperta. Non appena fu in piedi mosse qualche passo verso i suoi abiti gettati a terra poco distanti da quelle della sua allieva. Egli si rivestì dei suoi pantaloni e armeggiò il più silenziosamente possibile con le cinghie e i foderi di cuoio. Adagiando le armi su ciò che rimaneva di un vecchio scrittoio, liberando il pavimento di altro che non fosse il corpo della Dea sdraiata sotto le coperte.
Dalla finestra aperta della Dimora entrò un’improvvisa manata di gelo.
L’assassino si chinò su di lei piegando le ginocchia, stando in perfetto equilibrio sulle punte dei piedi.
Mangiò con gli occhi ogni fibra di quel corpo atletico ma fragile che lui stesso aveva contribuito a formare. Ne ammirò le curve infantili e ciò che rimaneva del suo aspetto innocuo, e sorrise ripensando ad alcune fugaci immagini di cosa era successo. Le sua colpa, la sua coscienza che gli rammentava di quel sidro di idromele mezzo svuotato divennero tutto ciò che bastava a fermarlo quando allungò una mano e le carezzò una guancia.
Sentì la sua pelle caldissima sotto i polpastrelli, e per un istante credé che potesse avere la febbre. Smentì i suoi timori nel poggiarle il palmo sulla fronte, ed un istante più tardi intrecciò le dita ad un ciuffo dei suoi capelli sistemandoglielo dietro l’orecchio. Passò in fine sul profilo del suo mento e scese giù fino al collo.
Ed ella dormiva serena. Le braccia avvinghiate a quel morbido cuscino che le copriva i seni piccoli e sodi. Le palpebre appena poggiate le une sulle altre e un sorriso gioioso sulla bocca. Trasmetteva felicità solo guardarla; finalmente in pace con sé stessa, realizzata forse, ma poteva Elena sentirsi estasiata per via di quello che avevano passato? Se credeva in questo modo al loro amore, il cuore le si sarebbe spezzato in due parti che sarebbero rimaste l’una distante dall’altra per troppo tempo. Oppure, poteva semplicemente trattarsi dell’effetto assuefante dell’alcol ancora in circolo nelle vene.
Ma se si fosse trattato del primo caso, in che modo avrebbe risposto lui? Allontanandola, cercando un disperato pretesto pur di rinnegare se stesso e ciò che provava. Sarebbe stato capace di fare una cosa tanto orribile? Ma ormai il torto era stato fatto, non vi era null’altro per cui combattere, così da sperare che si trattasse forzatamente della sua dannata seconda ipotesi.
C’era solo da aspettare: era questione di ore, ed Elena sarebbe tornata padrona del suo corpo e della sua mente. Lo incuriosiva in che modo avrebbe reagito. Quel sorriso sarebbe durato allungo e per il resto della giornata, o viceversa, Altair avrebbe dovuto prestarle una spalla su cui rimpiangere i suoi sbagli?
Allontanò lo sguardo dal suo volto fanciullesco e percorse la linea dei suoi fianchi, fino a raggiungere la superficie morbida e piatta del suo ventre, dove più in basso di lì vi era la coperta.
Distese un braccio e strinse il lembo di questa, sollevandola fino alle spalle della ragazza.
Il suo fu un totale e consumato gesto di affetto, e dopo di quello si allontanò silenziosamente dalla sua allieva. Si affacciò alla finestra, ammirò i colori caldi dell’alba che sorgeva sopra le montagne irradiando pietre e prati. Osservò la meraviglia di quello spettacolo e si chiese come facesse Madre Natura a non innamorarsi di nessuno.

Sognò di trovarsi in una cella angusta.
Attorno a lei si diffondevano i suoni di passi, grida e litanie assordanti che parevano delle preghiere. Attorno ai suoi polsi e alle caviglie le catene erano troppo strette e, ad ogni suo impercettibile sussulto o movimento, queste diffondevano il loro canto battendo contro la pietra nera del pavimento. Il gelo lo sentiva sulla sua pelle, sotto i suoi piedi scalzi, e alle sue orecchie non giungevano altro che canti disperati di aiuto. Voci che venivano da luoghi lontani, ma erano toni familiari, note di una musica ascoltata più volte. Ma d’un tratto, queste voci cessarono, lasciando il silenzio ad infagottarla.
Vi erano quattro pareti strette a contenere il suo terrorizzato sguardo che invece vagava oltre le sbarre della sua gabbia, perdendosi nel nero di quelli immensi corridoi oscuri e malvagi. La luce filtrava, ma chissà da quale finestra e chissà che luce era! Se di una candela, o del sole, ma quel luogo in cui si trovava sembrava più notte che giorno.
Di fatti, in un battito di ciglia, i meri corridoi si volatilizzarono, e dinnanzi ai suoi occhi spalancati, Elena vide una sala ampia, luminosa, invitante e accogliente. Vi erano ampie arcate che mostravano i tetti di una città caotica e colorata. Arazzi ai muri, tappeti pregiati, candelabri, affreschi e scaffali colmi di libri e pergamene. Era la più bella stanza che Elena avesse mai visto, ma lei era ancora lì, accovacciata al suolo con quelle catene infrangibili ai polsi.
Vi era un tavolo al centro della sala, e su di esso sedeva una donna cui zigomi e il volto non apparivano chiari, ma dalla fluente massa di capelli rossi, le fu facile riconoscerla. Subito dietro, vi era uno scranno, sul quale sedeva composto e regale un uomo. Anche il viso di costui era appannato, incerto, ma tra la folta chioma scura, egli teneva un magnifico diadema d’orato incastonato di pietre preziose. Era in questo salone che presiedeva il Re di Gerusalemme. Era in questa sala che sostava Corrado.
Elena si trascinò in piedi, trovandosi scattante, agile e leggera come non mai. Si chiese se, dritta dinnanzi a loro, Minha e Corrado potessero vederla. Ma essi non diedero alcun segno vitale. Erano fermi, immobili come manichini senza né occhi, né bocca, né naso. Era ben visibile la barba dell’uomo, ma non le sue orecchie come il suo sorriso.
La ragazza, interdetta, avanzò ancora, trovandosi a poter toccare con mano il volto di egli che però, non si mosse. Era lì in attesa di qualcosa… ma cosa?
Elena balzò indietro, quando nella stanza comparve improvvisamente una quarta presenza. Vestiva di una lunga tunica bianca che ne copriva ogni indumento indossasse al di sotto di essa. Il cappuccio candido gli celava il viso, del quale era possibile scorgere solo un pizzetto chiaro sulla punta del mento. Pareva una fantasma, per forma e per colore.
Ma al suo collo pendeva un ciondolo d’argento. Una catenella luccicante che terminava con un buffo simbolo che in principio non riconobbe. Era confuso, così come i volti di Minha e Corrado che… erano spariti.
Elena si guardò attorno, e si fece una ragione di quello che stava succedendo, di quanto quel sogno fosse inquietante e triste, ma almeno, lì con lei, c’era suo fratello Gabriel che… se n’era andato. Pure lui. Il Falco dagli occhi di ghiaccio aveva abbandonato quel luogo per sempre, e chissà se sarebbe tornato oppure lei avrebbe avuto occasione di vederlo… magari altrove, non in sogno.
Ora lo scranno del Re di Gerusalemme era vuoto, vagante in quella sala che restava sempre bellissima ed esemplare. Elena, solitaria, si avvicinò alle balconate aperte e si affacciò di sotto. Riconobbe il Tempio di Salomone, e quella dove si trovava doveva essere una delle stanza più ampie di tutto il palazzo Reale. Ma cosa ci faceva lei lì? Perché stava sognando queste persone, questi oggetti e certi particolari le venivano nascosti? Non aveva senso tutto quello. Era solamente, dannatamente e maledettamente assurdo.
Alle sue spalle sentì una voce angelica, melodiosa che chiamava il suo nome. Si voltò, ma attorno a sé trovò un paesaggio completamente differente da tutto quello che si attendeva di trovare.
C’era un prato, verdissimo, quasi brillante di quel colore che pareva estratto dalle piante più pregiate solo per dipingerlo in un quadro. C’era un sole che si arrampicava tra le nuvole, che invece erano bianche e soffici. Il canticchiare degli uccelli, il fruscio del vento che la pervase soffiando violentissimo tra i suoi capelli, dandole quasi la sensazione di volare.
-Salta!- ancora quella voce, che distante e confusa azzardava parole che incantavano.
Chiuse gli occhi, ma quando li riaprì, vide il vuoto sotto i suoi piedi e la gravità la trascinò verso il basso in una caduta senza fine. Come quelle volte in cui aveva toccato con mano il potere del Frutto dell’Eden, quando era riuscita a sprigionarne la forza immonda e a simularne le catastrofi.
D’un tratto, attorno a lei divenne tutto ancor più buio e la sua caduta ebbe fine, atterrando in un cesto di paglia grande quanto un letto. Le scappò un gemito, e qualcuno rispose…
-Fa’ silenzio!- e lei tacque ammutolita, mentre attorno alle sue membra percepiva la forza di un paio di braccia. –Non è il momento…- mormorò ancora quella voce.
E di nuovo, tutto cambiò.
La ragazza crollò seduta su una sedia. No, era una panca che contornava un tavolo. C’erano candele accese per la stanza, gente che ballava, tanta gente che cantava e ballava ed era vestita di bianco. Tanta gente che ballava, cantava, vestita di bianco e che portava buffi cappucci.
Al suo fianco, vi era una presenza che indosso aveva una tunica familiare dal copricapo grigio abbassato sulle spalle. Anche il suo volto era appannato, e al fianco gli pendeva una spada accurata in un fodero semplice. Questa strana figura la fissava, ma restava prettamente immobile, ed Elena si girò guardandosi attorno spaventata, quando i suoi occhi caddero su un volto differente dagli altri.
Era un uomo, composto, retto e contornato di altri uomini che chiacchieravano allegramente in quel clima di festa. Quest’essere anche lui la guardava, ma accanto vi era una figura più minuta ma molto simile. I capelli leoneschi, dal volto oscurato. Rhami si alzò dal tavolo d’alto rango e venne verso di lei. Lo vide porgerle una mano, mentre il manichino alle sue spalle restava immobile. Ed Elena accettò, seguendo l’assassino verso il centro della pista da ballo.
Quando le dita di lei s’intrecciarono a quelle del suo accompagnatore, tutto svanì, di nuovo.
Restava solo lui. L’uomo alto e padrone di se stesso che, altri non era, se non un qualcuno che Elena conosceva troppo bene per poterlo confondere con altri. Il cappuccio ne nascondeva il sorriso, poiché il suo fosse l’unico tra tutti i volti che riusciva a scorgere a pieno. Ma anche questa figura, si dissolse come polvere.
E dalla stessa polvere si formò un nuovo individuo, in piedi, di fronte a lei che era ancora seduta. Chissà su che cosa, ma era seduta.
Quest’uomo, questo ragazzo dal cappuccio grigio portava sottobraccio un libro. Elena allungò le mani e glielo sfilò lentamente. Quando le dita di lei passarono sulla copertina rigida del tomo, il ragazzo si dissolse come fumo.
Ma dallo stesso fumo nacque una donna, dai fluenti capelli corvini e vestita di un lungo abito rosso ricamato e merlettato d’oro. Le braccia conserte e il peso su una sola gamba volevano dire molto, e come se non bastasse cominciò a battere un piede.
Elena allora comprese che il libro che aveva in grembo non doveva essere sfogliato, e apparteneva a quella donna, o a qualcuno cui quella donna non voleva si venisse a sapere nulla. Così glielo porse, e la magnifica dama, in cambio al suo gesto, le carezzò una guancia fissandola col suo sorriso vuoto e sfumato. Anch’ella era senza volto, ma il tocco della sua mano sulla pelle di lei le provocò un formicolio lungo tutta la schiena, ed Elena scattò in piedi.
Sotto le suole dei suoi stivali si aprì una botola e, come se non bastasse, al suo grido si aggiunse quello di  una voce che chiamava il suo nome e la incitava a fuggire.
La botola nera non aveva fine e, solo nel momento in cui Elena spalancò le braccia si udì lo sbattere di un paio di ali, e sulla sua spalla comparve un bellissimo uccello.
Aveva un becco, due ali, due zampe, ma nessun occhio. I suoi artigli le attanagliarono le carni ed Elena gridò di dolore ma, spaventata da tale strillo, il falco volò via.
Senza che se ne fosse accorta, sotto di lei era comparso un terreno arido e polveroso, mentre tutt’attorno rimbombavano nelle sue orecchie nomi che non aveva mai sentito, gente che chiamava a gran voce:
-Palla!-.
E così si trovò sopraffatta da una mandria di corpi a torso nudo e senza volto che la gettarono a terra, e il cielo comparve limpido davanti ai suoi occhi.
Qualcuno si chinò per osservarla, e questo qualcuno aveva un aspetto familiare. Le porse una mano, l’aiutò ad alzarsi, ma non fece nulla di più, allontanandosi poi e sparendo in una tempesta di sabbia.
Era sabbia bianca, che le girava in circolo, e questa sabbia bianca si depositò d’un tratto al suolo, tingendo di un bianco candido tutto il paesaggio.
Vi era l’ingresso in pietra di una fortezza, ed Elena varcò quella soglia. Sulle scale trovò ad attenderla un uomo. No, non un uomo. Quell’uomo.
-Tharidl vuole vederti- pronunciarono le sue labbra. Lui solo che tra tutti quelli che aveva incontrato ne possedeva un paio.
-Come mai?- chiese, ma ella non aveva mosso un muscolo. La sua voce suonava senza che lei aprisse bocca, come amplificata dalla sua stessa mente.
-Avanti, vieni- e quell’uomo risalì le scale.
Elena lo seguì, ma molto più tardi si accorse che stavano percorrendo gradini infiniti. Sempre gli stessi, per di più.
Intontita, demoralizzata ma per nulla stanca, Elena si fermò. -Vi prego, se sono qui per essere punita di qualcosa…-.
Non c’era senso in quello che le stava accadendo. Era tutto assurdo, privo di logica e dunque un sogno.
Un dolore immenso le ribollì alla mano sinistra. Sollevò il braccio, notando un fiume di sangue che andava inondare tra le sue quattro dita mancanti.
Sì. Era stata punita.
Erano i suoi ricordi. Quelli più difficili da accettare, quelli più contorti da interpretare, quelli che erano rimasti appesi ad un filo troppo allungo e che era bene spolverare almeno in un luogo come quello: in un incubo.
Se stava gridando, qualcosa interruppe il suo urlo, ed era un braccio che le cingeva il fianco, mentre si conveniva stesa su un qualcosa di duro e con la testa appoggiata ad un qualcosa di caldo, che le respirava tra i capelli.
La ragazza si trovò improvvisamente catapultata nella dimensione reale del tempo: il buio di una stanza, dove passato, presente e futuro dei suoi ricordi non si mescolavano ed avevano ancora un senso logico.
Quando sognava, la Dea era schiava di un qualcuno che prendeva decisioni per lei e non le lasciava minimamente il tempo per riflettere su cosa e come fare. Nella realtà, ogni sfumatura e colore pareva vero e intenso, non sfumato e approssimato come i volti della gente che aveva incontrato.

Il calore di un corpo stretto al suo, ma questo calore si consumò in fretta allontanandosi dal battito sereno del suo cuore. Sentì il fruscio di un telo, ascoltò dei passi leggerissimi muoversi quatti sul pavimento mentre a sé stringeva un qualcosa di morbido e setoso. Altri passi. Udì dei sussulti metallici, dei ganci, forse delle cinghie, e rabbrividì. La ragazza emise un gemito, come per dire basta a quel frastuono assordante che non le permetteva di indagare oltre nei suoi ricordi. Voleva svoltare ogni vicolo della linea temporale della sua breve vita, e strapparla via dalla finzione in quel modo sarebbe stato disonesto. Dalle gola di ella si levò  un mugolio, e con cautela si voltò dalla parte opposta, scappando alla fonte di quei suoni bizzarri che, improvvisamente, tacquero.
Gli occhi di lei restavano chiusi, sigillati dal dormiveglia di un sonno che reclamava parecchie altre ore. Quanta energia aveva speso, si chiese, ma il bello fu… non ricordarsi in cosa avesse faticato tanto.

-Tu!- sbottò una voce. –Chi sei?- e una lama le fu puntata alla gola.
Sì, era proprio una stanza stretta e angusta, l’androne di quella che Elena riconobbe alla svelta come la camerata della Dimora. E in piedi, di fronte a lei, vi era il Rafik che impugnava saldamente una spada. –Chi sei?! Come sei entrata qui?!- gridava il vecchio dalla barba bianca, capo sede di Acri.
-Sono Elena!- ruggì lei, ma un momento dopo tutto scomparve.
Odiava quel genere di sogni. Detestava dover rivivere scene già passate della sua vita.
Dalla polvere del vecchio Rafik si disegnò ben presto un incappucciato di bianco, ansimava riprendendo fiato, appena piegato sulle ginocchia.
Senza pensarci, senza ragione in zucca, Elena si gettò al suo collo abbracciandolo disperata, avvinghiando il suo corvo a costui che, al momento, pareva solo un perfetto sconosciuto.
-Maledetto! Sarei dovuta rimanere a combattere, lo sapevo! Ero certa che vi sarebbe successo qualcosa! Se fossi rimasta al vostro fianco, nulla di questo sarebbe successo! Sono abbastanza forte, voi…-.
-Elena- disse lui scostandola gentilmente. -Sono vivo- aggiunse col solito tono pacato, neutro e così dannatamente tranquillo…
Vi era un che di dannatamente familiare, ma tra le sue memorie non riuscì a ripescare altro ricordo che non fosse di quella notte quando Elena era giunta ad Acri nelle sue vesti di assassina. Ricordava bene come il suo maestro era rimasto prode a combattere fuori dalle mura, mentre ella, codarda di, si era data alla fuga… quante altre volte avrebbe deluso il suo maestro? Si chiese.
Tutto scomparve in una folata di vento.
C’erano dei bracieri, un corridoio buio, un grosso portone di legno nero intarsiato e le fiaccole accese alle pareti di pietra. Un battente dell’ingresso alla sala era scostato, ed Elena lo attraversò.
I suoi passi svelti la condussero fino al fianco di un uomo; si sedette accanto al medesimo incappucciato di bianco che, appena ella prese posto attorno al tavolo, la fulminò con un’occhiataccia.
Egli aveva degli occhi: neri, nerissimi! E una bocca, che in breve si schiuse.
-Era ora- sibilò Altair. –Dov’eri? Sono dieci minuti che aspettiamo te!- digrignò.
-Davvero?- si stupì lei squadrando i volti dei presenti uno ad uno.
-No- ridacchiò Altair allegramente…

Elena si strinse nelle spalle, avvolta d’un tratto da una gelida manata di vento.
Ascoltò dei passi, e poi il silenzio.
Percepì una mano calda poggiarsi sulla sua pelle e accarezzarle appena la guancia, quando il tepore di una coperta diffuse in lei un terribile e maggior senso di annebbiamento, quasi il sogno che stava vivendo la stesse chiamando nuovamente a sé.
Ascoltò degli altri passi, impercettibili, ma poi di nuovo il silenzio.
Vi era una figura, poco distante, immobile dinnanzi ad una fonte di luce soffusa e naturale, ma alquanto sobria e ristretta. Questa figura si girò appena, e sul suo volto balenò un sorriso triste, tristissimo…

-Mi è stato insegnato che in questo luogo il rispetto degli altri e di se stesso è la quarta voce del credo di un assassino!- perché aveva parlato e detto tutto ciò? Quale essere superiore muoveva le sue labbra in tali parole, quale?! Era terrorizzata, ma in quella situazione vi si riconosceva. Aveva vissuto anche quella medesima avventura…
-Esci dal campo, ragazza!- le sbottò Altair. -Nessuno ti da questo permesso!- aggiunse collerico.
Ci fu il vuoto dopo quell’immagine, ma ne comparve immediatamente una completamente nuova, ed egli era di due passi più vicina a lei che, invece, era crollata al suolo spinta da un colpo che non c’era stato.
-E tu saresti scappata da Acri con battaglioni di soldati alle spalle?- proferì Altair arrogante. -Secondo me hanno gonfiato un po’ troppo la storia!- ridacchiò.

C’era uno sguardo, nel nero della notte che andava consumarsi dato il leggero chiarore di un’alba. Era uno sguardo che la fissava, dall’angolo della camera. Due pozzi scuri che si confondevano alle ombre dei mobili, ma nei quali balenava un luccichio suffuso e assorto, distante, pensoso. Fu un istante quello in cui la Dea si accorse di quegli occhi; qualche secondo più tardi tutto scomparve nell’istante in cui le palpebre le si richiusero sulle iridi azzurre, ma ancor troppo stanche per riavvalersi di quella realtà…

Era bello tornare in sé, riappropriarsi della coscienza di avere un corpo, delle gambe, delle braccia che non erano più schiave di un burattinaio onnipotente nelle proprie decisioni, nei propri movimenti. Era quella la sensazione che Elena provava nell’immaginare sé stessa lontana dalla fattezza concreta del mondo: la completa assenza dei sensi su sé stessa, ed era più o meno la stessa cosa che accadeva quando…

Era ubriaca.

Strinse le palpebre e serrò i denti, rifiutandosi di accettare quelle parole. Ma ben presto le fu tutto più chiaro, nitido, e la verità le venne schiaffata in faccia con incredibile violenza e senza un briciolo di tatto.
In un lasso di tempo pari a qualche secondo, Elena ricordò ogni cosa: lo scontro col templare, i due pugnali che aveva prestato al suo maestro, poi la fuga nel bosco, il corpo di una donna dilaniato sul pavimento dietro il bancone; il caos della Dimora e la stanza nella quale si era rifugiata. La sua mano stretta attorno alla fiala di idromele, la coperta, dei passi che venivano verso di lei, delle braccia salde che la riscaldavano, e il sapore di labbra che non aveva mai saggiato.
Poi, il nero più nero di tutti i neri.
I suoi ricordi s’interrompevano lì, ma era successo ben altro, lo avvertiva sulla sua pelle e nel suo cuore. Percepiva un dolce amaro che si mostrava sottoforma di una fitta dilaniante allo stomaco. Era venuto il momento di reagire, svegliarsi, e la Dea si rivoltò con violenza sotto le coperte.
No. Desiderava tornare in quel mondo dolce e pacifico dei sogni, e avrebbe pianto pur di ottenere ciò che voleva. Era una sensazione terribile e delle più sgradevoli.
Elena…
Chiamata a gran voce da un sussurro distante, la ragazza spalancò gli occhi trovandosi avvolta dalla luce di una mattina piombata all’improvviso. Un bagliore accecante al quale, ahimé, si abituò in fretta, così da scorgere una figura seduta con le gambe a penzoloni su un vecchio tavolo.
Lo riconobbe subito: il suo maestro con indosso solo i pantaloni. Era seduto, ma assorto nel tentativo delicato di appurarsi le ferite riportate dal duello. Controllava minuziosamente ciascun taglio e passava su di esso una pezza umida bagnata certamente di un efficace disinfettante. Egli non si accorse di lei e proseguì nella sua opera trafficando con delle garze e avvolgendole sui lembi di pelle lesi.
La Dea si sollevò seduta e, nell’istante in cui Altair alzò lo sguardo dalle medicazioni per piantarlo nel suo, Elena sussultò.
-Oh mio dio…- mormorò ella tirandosi le coperte addosso. –Cos’ho fatto…- c’era il vuoto nei suoi occhi che un tempo erano stati azzurri come il cielo. Ora erano spalancati di paura, come se avesse visto un fantasma, e le parole scorrevano sulle sue labbra rimbombando troppo forte nelle sue orecchie.
-No!- gridò d’un tratto stringendo con maggior vigore la coperta attorno al suo corpo nudo. Il suo corpo che sapeva ancora del profumo del suo maestro. –No!- strillò di nuovo.
Altair tacque, fissandola allungo in silenzio. Egli poggiò la garza in eccesso sul tavolo al suo fianco e giunse le mani in grembo; -Mi dispiace-.
Elena scoppiò allora in un pianto disperato, le lacrime le rigarono le guance senza alcuna pietà, e lei non fece niente per trattenerle. Non era riuscita a sfuggire da se stessa, pensò affondando il volto nel cuscino. Sapeva che era stata sua la colpa, e aveva troppi rimpianti che temeva non le sarebbe bastata l’energia per piangere su ognuno di questi.
Ingerendo quella quantità anomala di alcol, Elena non avrebbe poi potuto fare nulla per impedire alla parte più umana, spietata e innamorata che dormiva in lei. Ed inconsciamente, era successo. Aveva perso ciò che avrebbe dovuto regalare all’unico ragazzo che avesse mai amato fin dal suo arrivo nella confraternita.
-Non ero io, non ero io…- gemé lei. –Era un’altra, era un’altra! Non ero io, era quell’altra…-.
Era stata un’altra Elena a volerlo. Precisamente quella Elena che nel suo maestro aveva sempre visto qualcosa in più di un insegnante di ruolo. La piccola ed insignificante parte di lei era venuta a galla, chiamando di diritto ciò che erano stati i suoi desideri nascosti troppo allungo. Quella Elena era rimasta a piede libero il tempo sufficiente per prendersi ciò che voleva.
Terrorizzata, in preda alle convulsioni, la ragazza si voltò più volte da un lato all’altro della stanza, una volta incontrando gli occhi severi e rammaricati di Altair e un’altra fissando il vuoto della parete davanti al suo naso. –Perché…- mugolò. –Perché…- le lacrime le entrarono in gola ed ella le gettò giù nello stomaco.
-Va bene così- udì un sussurro di una voce stanca, incrinata dal dolore.
Elena si volse, sollevandosi su un gomito e aprendo bocca, senza però riuscire a proferire parola.
-Va bene così- ribadì il suo maestro smontando dal tavolo. Riunì le garze e le fiale di disinfettante in una sacca adagiata a terra. –Va bene così- sospirò e, senza aggiunger nulla, lasciò la stanza. Esitò nel chiudersi la porta addietro, scrutando nel corridoio e lanciandole un’ultima occhiata immensamente triste.
Elena ammutolì.
-Ora rivestiti. Dobbiamo riprendere…- s’interruppe, tacendo di fronte all’infinito dolore che si specchiava sul viso della sua allieva.
Per un momento, Elena credé di cogliere una nota ulteriormente dispiaciuta, ma ciò che aveva appena detto l’aveva lasciata incerta.
Nonostante ricordasse poco e niente di quella notte, sapeva che era successo. Eppure, alla sua immensa tristezza si unì l’irrefrenabile rabbia accompagnata da un ardore impulsivo che balenò nei suoi occhi.
-Questo è tutto quello che sapete dire?!- ruggì improvvisamente.
Altair serrò i denti e, trafitto da quelle parole, si ridusse ad abbassare lo sguardo.
-Non è stata solo colpa mia- sibilò l’uomo.
-Ero io quella ubriaca! Voi non avete scuse! Perché non vi siete fermato…- gemé. –Perché non mi avete respinta, perché…- miagolò tirandosi le coperte fino al collo. –Non avevate motivo di farmi questo, non ne avevate… a meno che non lo voleste, ma…- ingoiò il groppo che aveva in gola. -è così?- domandò, in ansia che la risposta a quella domanda potesse essere ciò che si aspettava e che la seconda Elena in lei desiderava follemente.
Altair sollevò il mento guardandola e fece alcuni passi dentro la stanza. –Io…- provò a dire, ma ella si stanziò da lui tenendosi stretta il telo sul corpo.
-Statemi lontano!- digrignò fissandolo furiosa.
-Non so spiegare ciò che ho fatto- mormorò egli. -Ma ti prego di capirmi- aggiunse tentando un approccio più sorridente.
-Cosa dovrei capire? Che siete innamorato di me? Che mi amate, oppure è solo stato un desiderio passeggero e mi butterete fuori dalla finestra! Non sono quel genere di allocca, maestro! Spuntai le corna a Rhami non molto tempo fa!- ridacchiò collerica.
-No!- ribatté Altair. -Non ho mai pensato di approfittarmi di te, mai!-.
Elena tirò su col naso. -Spiegate allora le vostre intenzioni…- sussurrò trattenendo a stento un nuovo pianto.
Il suo maestro prese fiato e abbassò il tono di voce. -Ero terribilmente stanco… e ferito… e debole. Perciò non ho saputo opporre resistenza, e me ne rammarico, più di te- il suo volto era serio, composto come se quella conversazione fosse una semplice chiacchierata a proposito di un’indagine poco attendibile.
-C’è dell’altro?- balbettò Elena stringendosi nelle spalle, distogliendo lo sguardo.
-Sì- proruppe, così da attirare l’attenzione della ragazza su di lui. -Voglio sapere cosa hai da dire tu, a riguardo- allungò le labbra in un sorriso sornione che, invece di rincuorarla, le diede solo maggior conferma di ciò che aveva in mente di confessare.
-Io…-.
-Parla-.
-Io vi odio! Quello che mi avete fatto è il gesto più crudele che poteste osare! Vi odio, con tutta me stessa!- strillò. –Vi odio, e dovete scomparire dalla mia vista!
L’assassino indietreggiò a capo chino stringendo i pugni. -Bene, allora! Se è questo che pensi, ho solo un’ultima cosa da aggiungere!- eruppe tornando all’ingresso della camera.
-E sarebbe?!-.
-Rivestiti! Non ci rimane altro tempo. Dobbiamo essere a Gerusalemme prima di questa sera, avanti! E non preoccuparti: ammazzato Corrado, salvato tuo padre e restituito il Frutto alla setta, non mi rivedrai mai più! Stanne certa!- sbatté la porta e permise che il silenzio calasse su di lei come una secchiata di acqua fredda.
Prima che Elena potesse pensare, dire o fare niente, un gridolino acuto si diffuse per la stanza, ed un secondo più tardi Rashy si posò sul cornicione della finestra artigliando il legno.
-Rashy- mormorò flebile la ragazza; e la falchetta si levò in volo tra i mobili e in pochi battiti d’ali le fu di fronte, zampettando sul pavimento a pochi passi dalle sue ginocchia che spuntavano da sotto la coperta. –Rashy- ripeté piangendo, e l’animale avvertì il suo rancore.
Forte nella convinzione di poterle essere d’aiuto, la falchetta domestica del suo maestro le saltò sul braccio graffiandole appena la pelle.
-Grazie- ridacchiò euforica Elena notando il rossore lasciato dagli artigli dell’animale.
Rashy la guardava coi suoi infiniti pozzi scuri e a scatti muoveva la testa di qua e di là. –Whà!- scappò dal suo becco.
Elena alzò una mano e le carezzò le piume soffici del petto. –Che cosa ho detto?- gemé la ragazza. –Che cosa ho fatto? Perché l’ho allontanato da me così? Sono più crudele io di lui se pretendo di poterlo trattare in questo modo- tirò su col naso percorrendo le piume argentate del dorso dell’uccello. –Sono stata più stupida io! Ma perché me ne pento solo ora che è troppo tardi? Perché sono così cieca? Ma ho paura, Rashy…- le sussurrò. –Ho paura di perdere per sempre qualcun altro che mi sta a cuore. Come mio padre e mio fratello, ma essi sono tornati da me lo stesso! Non so cosa fare, piccola. Ho paura, ho sbagliato, non ho la forza di rimediare. Diglielo tu, ti supplico!- strillò abbracciandola, e Rashy si fece spupazzare come un cuscino. –Diglielo tu, digli che mi dispiace! Digli che lui non ha colpa, digli che è umano ciò che ha fatto e digli anche che sono disposta a rinunciare a Marhim!-.
Non poté credere di aver davvero detto una cosa del genere.
-Ho capito, Rashy! Doveva finire così fin dall’inizio!- bagnò le piume della falchetta delle sue lacrime. -Forse era proprio ciò che Tharidl cercava di raggiungere mettendoci l’uno così vicino all’altra! Sennò perché lui? Perché affidarmi lui come maestro? Non voglio perderlo… io lo amo! Lo amo, lo amo!- di risposta a quelle parole, Rashy si comportò nel modo più plausibile possibile. Le picchiò il becco sul naso e alla ragazza scappò un sussulto di dolore.
-Ehi!- con un gesto svelto del braccio, scacciò l’animale via dal suo braccio.
Rashy spiccò il volo e si allontanò nel frastuono delle sue ali fuori dalla finestra, andando volteggiare sul pianoro circondato dalla roccia.
-Stupido uccello…- blaterò Elena sfiorandosi con due dita la punta del naso. –Non ci si può fidare di nessuno!- strillò levando gli occhi al cielo.
D’un tratto, la sua attenzione cadde su un movimento fuori dalla porta e, con suo immenso stupore, score un’ombra di piedi che vegliava fuori da essa.
Elena sbiancò. Aveva ascoltato ogni cosa…
Nel silenzio della stanza, la ragazza ascoltò i passi di Altair allontanarsi nel corridoio.
Si alzò di colpo, afferrando tutto ciò che le capitò tra le mani e rivestendosi alla svelta. Non avrebbe permesso che egli fosse il primo a fraintendere! Non gli avrebbe concesso il tempo sufficiente per ricredersi! Quello che aveva ascoltato era stato uno sfogo finito lì! Altair non doveva ricredersi e accettare il fatto che la sua allieva l’amasse.
Piuttosto, quando si lasciò calare la coperta dal corpo, fu imbarazzante accorgersi di una piccola macchiolina rossa all’altezza dell’incavo dei suoi seni. Ce n’era un’altra, sulla spalla sinistra e una terza all’altezza del fianco poco distante dall’ombelico.
La ragazza arrossì spudoratamente, ma cercò di non pensarci e indossò di fretta i pantaloncini corti e la canottiera, sovrapponendo a questa la parte della veste con le maniche.
Impiegò quelli che le parvero una manciata di minuti per ritrovare nella confusione di libri e pergamene il resto dell’uniforme, ma maledisse la sua ricerca e volò fuori dalla stanza in quello stato. Dopotutto, non aveva più motivo di vergognarsi!

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Allora, per questo capitolo intendo aprire solo qualche piccola parentesi.
1.    neppure io ho capito perché Elena ha confessato a Rashy di amare il suo maestro.
2.    Nella parte centrale del capitolo ci sono alcuni pezzi scritti in corsivo e altri no. Quelli in corsivo corrispondono ai sogni di Elena, mentre quelle parti in stampatello sono estratti di quello che accade mentre la Dea è semi cosciente nel sonno. Insomma, avete presente quando ci rendiamo conto di quello che ci accade intorno ma stiamo ancora “dormendo”? Ecco, proprio questo intendo. Lo so, è parecchio confuso e, sinceramente, i sogni assurdi di Elena non mi sono mai piaciuti un granché, ma scrivendo quelle parti era come se stessi facendo io quei sogni, e descrivevo esattamente quello che vedevo. XD assurdo, orribile e senza senso, ma spero comunque che vi sia piaciuto.
3.    Ho staccato raggiunte le 11 pagine piene e sono esausta.
4.    pensavo che con questo capitolo sarei arrivata oltre, ovvero all’infuriata di Malik nel lamentarsi del loro ritardo! *dannato spoiler!
5.    E pensare che avevo previsto che questo sarebbe stato l’ultimo capitolo, ma come avete potuto vedere, sono bravissima a dilungare su certe cazzate! XD
6.    Qui è tutto, Elik.












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Capitolo 48
*** Una strana rabbia, un dolce ricordo ***


Una strana rabbia, un dolce ricordo











Il legno freddo sotto i piedi scalzi e i suoi passi leggeri che si diffondevano nell’aria immobile della mattina. Elena corse nel corridoio e scese le scale poggiando una mano sulla parete. Indosso aveva i cortissimi pantaloncini e la maglia bianca a maniche lunghe. Della sua uniforme non aveva altro con sé, neppure gli stivali.
D’un tratto, dalla stanza infondo si levò un grido rabbioso e la ragazza udì il suo maestro che sfogava tutta la sua ira sulla poca mobilia intatta del salone della Dimora.
Raggiunse il piano terra, si fermò spaventata e si appiattì contro il muro. Si sporse a dare un’occhiata, ma il piatto di ceramica volò a pochi centimetri dal suo naso andandosi a frantumare in pezzetti contro la parete e, terrorizzata, ella si ritrasse senza fiato.
Se prima c’era stata la confusione, ora era l’Inferno. Ai ruggiti collerici del suo maestro si alternavano lo sbattere incessante di oggetti quali posate, piatti e bicchieri! Ma Altair non risparmiò neppure sedie, libri e pergamene.
Elena si maledisse per quello che aveva fatto e quello che aveva comportato. Ancora una volta era stata solo una stupida, e se lo ripeté ancora e ancora.
Quando improvvisamente tutto tacque, ella si permise di adocchiare la sala invasa dal caos di mobili rovesciati e carte sparse e ancora svolazzanti nell’aria. Il pavimento era celato sotto cumuli di pergamene e tappeti strappati. Altair, invece, respirava affannosamente coi pugni chiusi poggiati su un tavolo. La pelle bronzea era imperlata di goccioline di sudore e le sue spalle si alzavano e si abbassavano in un ritmo frenetico e costante. I denti serrati, gli occhi neri persi nel vuoto di fronte a sé. In quel momento, Elena poté saggiare la sua stessa rabbia, e se la sua coscienza non l’avesse frenata, ella si sarebbe aggiunta al suo maestro aumentando il casino! Spaccare cose era il miglior modo per sfogare le proprie colpe, le proprie collere e reprimere i propri ardori. Meglio su “qualcosa” che “qualcuno”, no? Sorrise, ma il suo sorriso fu un ridacchiare malsano che in un frangente come quello poteva farla sembrare solo una pazza.
La ragazza mosse un passo nel salone, ancora sorridente come se tutto ciò fosse una messa in scena.
Altair si raddrizzò voltandosi e scorse la sua allieva scendere la tromba delle scale.
Era assurdo, ma era capitato proprio a loro che meno tra tutti sarebbero dovuti inciampare in una simile situazione.
In pochi secondi, il sorriso sornione di lei divenne una risatina striminzita che si diffuse per tutto il locale. Rideva perché se avesse pianto, chissà dove sarebbero finiti.
Altair la fissò allungo perplesso, mentre il suo respiro si faceva lentamente più regolare. Un istante più tardi, gli angoli della sua bocca si allungarono e neppure il suo maestro poté far a meno di cogliere l’ilarità di quella buffa mattina.
Risero insieme, mescolando le loro voci tanto differente l’una dall’altra. D’un tratto, Altair scosse la testa e la sua gioia si consumò in un ultimo sorriso benevolo. Le volse un’occhiata, ed Elena sfuggì al suo sguardo che la metteva parecchio in soggezione.
L’uomo incrociò le braccia al petto. –Hai fame?- chiese.
La ragazza sobbalzò colta in contropiede dalla domanda. –Io…- balbettò flebile.
Altair attese composto una sua risposta, ammirando nel mentre ogni centimetro del suo corpo.
Era bello sapere che la stesse di nuovo guardando, come potesse toccarla. Il rossore sulle sue guance comparve inatteso e prepotente. –Io…- ripeté timidamente.
Non era scesa lì sotto per fare colazione, ma bensì per chiarire certe sue vane affermazioni una volta per tutte! Non poteva posticipare ancora, non poteva permettersi di lasciar correre ogni cosa, di dimenticare (che non sarebbe mai stato possibile) o di accettare quella verità! Doveva in tutti i modi contrastarla, ma prima di tutto… era scesa in quel salone per conoscere la verità. Tutta la verità.
La luce entrava dalle finestre senza vetri illuminando la Dimora del chiarore intenso della mattina presto. Il canto degli uccellini appollaiati sul tetto giungeva fin qui e una calda brezza estiva traversava la valle inebriando il salone dei profumi dei boschi.
Altair si schiarì la gola.
La ragazza, richiamata dai suoi pensieri, chinò il capo e annuì.
-Bene- l’assassino si diresse al bancone e vi frugò nelle dispense più in basso.
Elena rimase immobile dov’era e lo osservò ammutolita. –Ho già cercato del cibo lì, e ieri non ve n’era- mormorò stupita.
-Aspetta e vedrai- proferì l’assassino chinandosi a terra e sollevando lento una tegola del pavimento. Sotto di questa vi era una piccola botola scura dalla quale trasse un panno bianco avvolto grande quanto un libro. Lo poggiò sul bancone e cominciò a srotolarlo, mostrando in fine il suo contenuto.
Vi erano due mele, una banana e una forma di formaggio stretta a sua volta in un secondo involucro. Altair sorrise soddisfatto e afferrò da un cassetto un coltello. Stagliò a spicchi entrambe le mele e li raggruppò sul panno.
La ragazza si avvicinò al tavolo ancora stupefatta. –Ma dove…- non capiva.
L’uomo sorrise soddisfatto. -Buon appetito- disse voltandosi e chinandosi a risistemare al suo posto la tegola di legno.
-Ma dove… come sapevate…?- sussurrò estremamente confusa.
Altair si tirò su lentamente. -La donna a capo di questa Dimora- proferì in un sussurro. –Metteva da parte per me in questa botola quello che non volevo condividere con gli altri assassini-.
Elena si adombrò. –E come mai?-.
-È una storia vecchia!- ridacchiò l’assassino. –Quando le chiesi per la prima volta di raggruppare per me questo fagotto- cominciò lui –ero ancora giovane, inesperto e senza il rango di adesso. Nonostante sia cresciuto fin dalla culla nella confraternita, ho disprezzato per parecchio tempo la setta stessa e gli uomini che la componevano, miei compagni. Quello che pensi di me è il vero. Non ero molto sociale, all’epoca- disse con rammarico. –Geloso di me, della mia abilità e di tutto ciò che potesse entrare a far parte della mia vita. Non permettevo a nessuno di toccare questo fagotto! A costo di difenderlo con la vita!- rise. –Ma adesso sono cambiato. Profondamente cambiato-.
-L’ho notato- borbottò Elena.
L’assassino emise un gran sospiro. –Avanti, mangia-.
La ragazza spostò lo sguardo sugli spicchi di mela adagiati sul telo bianco, accanto alla banana e alla forma di formaggio.
-Forza! Mica è avvelenato- fece allegro.
Elena sollevò il volto e la sua occhiata smarrita trattenne la gioia dell’assassino. -Veramente non sono venuta per fare colazione, maestro- sibilò.
-Lo so- fu la sua risposta schietta e tranquilla. –Ma adesso mangia. Ti prego-.
La Dea ubbidì, afferrò uno sgabello ancora integro e vi sedette poggiando le mani in grembo. Esitò alcuni istanti, ma anticipando il gorgoglio del suo stomaco, alzò un braccio e afferrò il primo spicchio.
-Dov’è…- mormorò Elena lanciando un’occhiata dietro il bancone, sul pavimento del quale ricordava ci fosse quel corpo dilaniato.
Altair si rattristò. –L’ho sepolta, questa mattina presto, qui fuori- chiuse gli occhi.
-Ah…- mormorò la ragazza. –Mi dispiace. Se metteva da parte il vostro pranzo, dovevate essere molto… legati- intuì sorridendo mesta.
Nei suoi occhi balenò un luccichio di gioia, ma durò solo un istante brevissimo. –No, non proprio. Era una ragazza molto dolce e premurosa verso chiunque. Suo fratello maggiore è il Rafik di Damasco da molto tempo; ci conoscevamo per i contatti che avevamo in comune, ma non ero certo il suo prediletto-.
-Come si chiamava?- domandò ella.
Altair tacque per diversi secondi. –Anisa-.
-E suo fratello…- sussurrò Elena.
-La notizia giungerà con noi a Gerusalemme; una volta lì sarà Malik stesso ad informare prima Tharidl e di conseguenza Aban, suo fratello. Solo allora egli lo saprà- sospirò.
La ragazza rifletté in silenzio. –Vuol dire che nessun assassino sa di questo scempio?- eruppe.
L’assassino si strine nelle spalle. –Non tutte le Dimore del Regno sono state attaccate. Alcune sono intatte e ancora nascoste tra le montagne. Altre, come questa, sono state saccheggiate. Altre ancora bruciate- digrignò.
-Malik…- ripensò Elena. –Questo nome non mi è nuovo- sorrise.
-È ovvio. Marhim e Halef ti portarono a Gerusalemme quando ti trovarono sul ciglio della strada. Fu lui, Malik a guarirti delle infezioni più gravi. E fu sempre lui a trovare il tatuaggio sul tuo braccio- dichiarò serio.
Elena addentò un nuovo spicchio di mela, ma non aggiunse nulla.
Altair si appoggiò con la schiena alla parete e si mise a braccia conserte. –Cosa farai quando salveremo tuo padre?- chiese ad un tratto.
Elena per poco non si strozzò col boccone. Lo guardò allungo interrogativa, ingoiò e poi chiese: -perché v’interessa saperlo?-.
Altair abbassò il mento sul petto ma non disse nulla.
La ragazza tossì. –Resterò nella setta, e lui potrebbe essere utile lì. Dopotutto, sa usare una spada. È stato un ottimo maestro, mi ha insegnato nel migliore dei modi l’arte del combattimento ed è questo che lo terrà impegnato a Masyaf. Sono sicura che Tharidl stesso ne convennero- annuì fiera.
-Ho chiesto cosa farai tu- ribadì l’assassino con tono truce.
Elena non seppe che rispondere. –Non lo so…- provò a dire. –Sono ancora troppo…- s’interruppe abbassando lo sguardo. –troppo confusa, in questo momento- bofonchiò.
Ascoltò il silenzio del suo maestro trafiggerla come un colpo di lama. Sapeva che la stava guardando, sapeva che stava studiando ogni sua reazione e sapeva che stava tentando di interpretare ogni suo pensiero. Pertanto, era terribilmente spaventata dal fatto che presto o tardi, in quella conversazione sarebbe saltato fuori qualcosa di spiacevole. Per ora stavano entrambi girando intorno all’argomento, deviando su propositi secondari e dall’importanza meno tagliente. Ma quanto avrebbero resistito senza dirsi la verità? Quanto tempo ancora avrebbero tenuto saldi i loro mutismi e chi, si chiese, avrebbe fatto la prima… mossa?
-Confusa? E perché?-.
-Basta!- sbottò improvvisamente. –Sapete benissimo perché!- ruggì. –Avete ascoltato quello che ho detto, non sono né cieca né sorda, non ancora! Ecco perché sono confusa…-.
Altair soffocò una risata. –E sei venuta fin quaggiù per rimangiarti ogni tua parola? Un gesto davvero infantile, non me l’aspettavo- la rimproverò.
-Non siete più tenuto a giudicarmi. Quando saremo a Gerusalemme, io…-.
-Tu cosa?- sibilò in tono di sfida.
Provò un incredibile timore. Quel suo sguardo truce la metteva parecchio a disagio. I punti fermi di quel discorso si erano volatilizzati nel nulla. Non aveva più nulla per cui combattere. Non sapeva cosa dire, cosa fare, cosa pensare.
-Io…- ripeté. –Io…-.
Altair si voltò di profilo ridendo.
Elena parve innervosirsi. -Dove vorreste arrivare comportandovi così?!- strillò.
L’assassino tornò serio all’istante. –Dove “io” voglio arrivare?- domandò sarcastico.
-Cosa volete ottenere facendomi questo?!- ribadì la Dea stringendo i pugni sul tavolo.
-Io ho già ottenuto quello che volevo. Sei tu che ti ostini a non voler sapere cosa desideri davvero!-.
-So benissimo cosa voglio!-.
-E cioè?-.
Elena esitò. La sua bocca era aperta, ma da essa non veniva suono se il suo respiro forzato a tenersi regolare. -Voglio dimenticare, ogni cosa… nascondermi, come non fosse mai successo… nulla- mormorò, e ci mancava pochissimo che scoppiasse a piangere.
Altair addolcì il suo atteggiamento presuntuoso. Si scostò dal muro allungandosi sul tavolo, poggiando i gomiti su di esso. Dopo un minuto di silenzio che parve un’eternità, l’assassino parlò in un sussurro. –Chiedimelo-.
Elena levò mento dal petto e una lacrima argentata scivolò sul suo volto. -Chiedervi cosa?-.
-Avanti, chiedimelo- insisté lui. -Forza- fece con tono soave.
-Non capisco…-.
-Chiedimelo; e dimenticherò le ultime ventiquattro ore-.
Il suo maestro dimenticava a comando? Alquanto strano, pensò. Forse era semplicemente un modo retorico per dire che, come lei desiderava, avrebbe ignorato ogni cosa, dimenticando per l’appunto… le ultime ventiquattro ore.
-Chiedimelo- disse ancora.
Che cosa doveva chiedere precisamente? Elena fissava quegli occhi neri, bellissimi che ricambiavano il suo sguardo sperduto in modo del tutto innaturale. Sembrava così tranquillo, rilassato, e la sua sola voce le infondeva sicurezza. Era magnifico poter tornare a vedere nel suo maestro qualcuno in cui porre la propria fiducia. Fu elettrizzante sapere che, anche dopo quello che avevano passato, presto sarebbe potuto tornare tutto come prima.
-Chiedimelo- Altair avvicinò ulteriormente il volto al suo, ed Elena in principio si ritrasse.
-Sai bene che è l’unico modo- aggiunse l’assassino, e poteva sentire il suo respiro arrivarle sul naso.
Era vicinissimo. –Io…- mormorò per la quinta volta. –Io…- ecco la sesta.
-A meno che- intervenne Altair. –A meno che tu non lo voglia davvero; a meno che tu non voglia dimenticare niente e…-.
Elena gli bloccò le parole ancora in gola. Si sporse verso di lui e gli sfiorò appena le labbra con le sue. Persino quel contatto leggerissimo durò troppo allungo. Doveva trattarsi di un solo piccolo e innocuo mordi e fuggi, ma la ragazza non riuscì a scollarsi da lì per diversi secondi. Troppi secondi, che si agglomerarono in un minuto che lentamente diede i suoi frutti.
Altair si staccò una frazione impercettibile di tempo e scavalcò il tavolo trovandosi dall’altra parte del bancone, precisamente di fronte a lei che, prima di poter capire cosa stesse succedendo, percepì la bocca del suo maestro riappiccicarsi alla sua con il doppio del trasporto.
La ragazza si sollevò in piedi, alzò le braccia e le avvinghiò attorno al suo collo mentre lui l’attirava a sé.
Elena chinò la testa da un lato, smarrita nel momento in cui le mani del suo maestro riscesero la curva dei suoi fianchi fino a sollevarla e allacciarle le gambe attorno al suo bacino. Poi egli la prese in braccio facendola sedere sul tavolo. La ragazza si staccò dalle sue labbra per riprendere fiato, ma Altair non le diede tregua andando ad assaggiare la pelle di una sua spalla scoperta.
Era il colmo! Si disse Elena. Stava ricominciando tutto da capo, la sola differenza quella volta era che nelle vene sentiva il suo sangue pulito e bollente scorrere senza la compagnia di nessuna tossina d’alcol. A quel punto si sentì ancor più confusa di prima.
Poteva essere tutto vero, si disse. Quello che provava per il suo maestro, quello che aveva confessato alla sua falchetta. Poteva trattarsi della verità; ma cosa la faceva star così male, dunque? Quali torti stava facendo e a chi? Immediatamente pensò a Marhim, ma quel pensiero si dissolse come polvere nell’istante in cui Altair le sollevò un lembo della maglia sfiorandola con le dita appena sotto la curva del seno.
Un brivido la percorse da cima a fondo svegliandole i sensi. Con gli occhi chiusi e le labbra arrossate, Elena smontò giù dal ripiano e tentò di allontanarsi da lui, ma l’assassino le prese il mento con una mano e riallacciò le loro bocche in un bacio tutto nuovo, che quasi le mise paura.
La ragazza rabbrividì. Le stava indirettamente chiedendo qualcosa… una conferma, e pazientemente aspettava… se, se, come no… pazientemente per modo di dire.
Elena poggiò una mano sul suo petto, toccando appena la garza bianca che passava da parte a parte del torace. Ribellandosi a se stessa e a quella seconda personalità che aveva imparato ad odiare, lo spinse via sfuggendo al contatto delle loro labbra e dalla piega passionale che stava prendendo tutto questo.
La ragazza fece uno, due passi indietro spalancando gli occhi, atterrando in quel modo violento nella realtà. -No!- gemé.
-Siamo al punto di partenza, a quanto pare- sbuffò l’assassino.
-Cioè… sì! Insomma, no!- balbettò.
-Sei stata tu a baciarmi!-.
-E se voi aveste avuto un minimo di buonsenso mi avreste fermata!-.
-Ti sbagli- sibilò.
-E perché mai!?-.
Tacque. Incerto, il suo maestro tacque. Non poté credere di essere riuscita ad azzittirlo, a lasciarlo senza parole. O forse le parole le aveva, ma chissà… cosa gli costava dirle.
E all’improvviso, inaspettatamente, Elena capì e sbiancò letteralmente.
-Elena, non è come credi- cominciò Altair venendole incontro.
-Razza di!…- lasciò in sospeso la frase alzando un ginocchio e colpendolo lì, dove i maschietti sono più fragili.
L’assassino serrò i denti e si piegò appena in avanti. Sulla sua tempia comparve una piccola vena. –perché l’hai fatto?- la sua voce era salita di un tono.
Elena indietreggiò ancora finendo ad urtare uno dei tavolini bassi della sala. -Vi rammento che ho 17 anni!-.
Altair si appoggiò al bancone distendendo il braccio, mentre la mano libera era… lì. –Che cosa stai dicendo?!- proruppe nervoso.
-Chi vi ha dato il permesso di usarmi così?!-.
-Elena!- digrignò lui sopportando a malapena il dolore.
La ragazza proseguì, imperterrita. –Dio! Solo pensandoci mi fate schifo!- ruggì guardandolo con disprezzo. -Adha se n’è andata prima che poteste ottenere quello che volevate, e ora siete passato a me?! E senza neppure chiedermi il consenso! E senza neppure immaginare che potessi restarci parecchio, parecchio avvilita!- si strinse un braccio attorno al ventre. –Sono senza parole…- mormorò in fine.
Altair la lasciò proseguire senza interromperla.
-Non vi bastava trattare me come fossi vostra figlia- tirò su col naso stringendosi nelle spalle. –Non vi siete fermato a questo, certo che no- borbottò e una lacrima le bagnò la guancia, ma la ragazza se l’asciugò prima che potesse precipitare al suolo. –Quando avete capito che stavo dalla vostra parte, quando avete compreso che ci sarebbe stato un minimo di speranza avete agito, ingannando me per prima e voi stesso. Vi consolava il fatto che la “casualità” dell’evenienza avrebbe nascosto ogni vostra bugia, ma logorato dalla rabbia e spinto a farlo per chissà quale motivo, mi avete usata… per i vostri meri… avidi… ma da una parte dolci… scopi- dichiarò schietta, immensamente afflitta.
-Che cosa stai dicendo?…- sussurrò lui tornando dritto.
Elena sollevò il mento puntando gli occhi azzurri, lucidi e gonfi in quelli neri del suo maestro.
-Non so come dirvelo, ma sapete benissimo di cosa sto parlando!- strillò senza riuscire a trattenersi oltre. Si portò le mani al viso, coprendoselo coi palmi chiusi e vagando nel buio, mentre i suoi singhiozzi riempivano l’aria immobile e silenziosa della Dimora.
La ragazza, traballante, crollò a terra in ginocchio nascondendo il volto tra le dita, senza arrestare il pianto euforico che si levava dalla sua gola.
Altair si allontanò dal bancone e andò a chinarsi al suo fianco. La prese sottobraccio, ma Elena si stanziò da lui con violenza andandosi a rifugiare contro la parete.
-Mi fai davvero così privo di etica?- ridacchiò l’assassino.
Elena si voltò a guardarlo, arrestando improvvisamente i suoi singhiozzi.
-Non sono quel genere di mostro. Non ti farei mai una cosa simile, mai- mormorò flebile. –Piuttosto, avresti potuto risparmiarti questo colpo basso- mugolò sedendosi a terra accanto a lei.
-Mi spiace- proferì spiaciuta. -Se mio padre non me l’avesse insegnato, probabilmente non avrei mai saputo che potesse fare tanto male…- sorrise triste.
Altair le lanciò un’occhiata divertita, mentre una sua mano si stringeva attorno alle dita affusolate della sua allieva. -No probabilmente no; ma tuo padre era un ottimo insegnante-.
-È…- lo corresse lei.
Altair annuì ridendo. -È un ottimo insegnante, perdonami-.
-Dunque…- proseguì Elena poggiando una guancia sulla sua spalla. –Mi devo ricredere?- domandò.
-Sì- assentì lui.
-E allora, se non era per lasciarmi incinta che l’avete fatto…- sussurrò ella. –per che cosa?-.
L’assassino sospirò. –A questo punto penso sia abbastanza ovvio, non credi?- chiese guardandola dall’altro.
La ragazza scosse la testa.
-Non so come dirvelo, ma sapete benissimo di cosa sto parlando!- le fece il verso.
Elena scoppiò in una fragorosa risata.
-Avanti, quello bacato ero io, no?- le accarezzò una guancia.
-Non posso…-.
-Che intendi?-.
-Ho capito che vi siete innamorato di me, maestro, ma vedete, io… non posso-.
-Perché?-.
-Marhim… io credo di… averlo già tradito abbastanza-.
-Sapevo che avresti detto così- sibilò. –Ma non sarò tanto crudele da strapparti da ciò a cui tieni. Perciò- disse alzandosi. –non farti venire altre strane idee, chiaro?- le porse una mano che Elena afferrò aiutandola a tirarsi su.
-Grazie- l’abbraccio senza preavviso, aderendo perfettamente al suo corpo, potendo ascoltare i battiti regolari del suo cuore. -Grazie- ripeté.
Altair le pettinò i capelli dietro l’orecchio. –Dimmelo ora se serve che dimentichi- le sussurrò.
-No, non serve. Sarebbe ancor più doloroso-.
-Sei pronta a sopportare il fardello?-.
-Sì!- gemé ancora avvinghiata a lui, ed una nuova lacrima le bagnò il volto.
Il suo maestro gliel’asciugò con dolcezza. -È bellissimo sentirtelo dire, perché per me sarebbe stato impossibile-.
-Mi associo- sorrise stanziandosi di un passo indietro.
Altair la contemplò diversi istanti, poi Rashy comparve d’un tratto dalla finestra e svolazzò nella stanza, andando a posarsi sul bancone della Dimora. Il suo grido invase l’aria asciutta del salone.
-Ha ragione- disse l’assassino.
Elena assunse un’espressione interrogativa. –Perché, che cosa ha detto?-.
-Siamo troppo in ritardo. I soldati di Corrado muovono su Gerusalemme e noi siamo ancora qui- eruppe avviandosi sulle scale, ed Elena lo seguì. –Dobbiamo muoversi: Malik sarà su tutte le furie e rischiamo di non arrivare in tempo per l’incoronazione!- dichiarò mentre entravano in camera, dove la gran parte dei loro vestiti era mischiata alla confusione della stanza.
-Su, rivestiti- le disse raccogliendo la sua roba da terra.
-Certo, ma voi? La vostra uniforme è piena di sangue! Se vi vedessero passare in questo stato, attirereste troppo l’attenzione delle guardie- commentò ella.
-Lo so perfettamente, ma ho già trovato la soluzione, non preoccuparti. Ora fa’ come ti ho detto!- le ordinò uscendo dalla camera e percorrendo il corridoio.
I suoi passi si persero fino in una delle stanze vicino, ed Elena si vestì in tutta fretta cercando ogni parte del suo equipaggiamento. Quand’ebbe finito, si fermò un istante, meravigliata da cosa aveva tra le mani.
Erano gli astucci dei cinque pugnali da lancio che portava sulla spalla, attaccati ai lacci di cuoio che percorrevano il petto e s’interrompevano giunti da quel triangolo di metallo tanto ben lavorato. La cosa che la colpì in particolar modo fu ritrovare negli astucci i due pugnali che aveva prestato al suo maestro. Ma ancor più estasiata la lasciò il fatto che ci fosse un terzo piccolo pugnale. Era finemente lavorato, con un impugnatura d’argento e delle piume intarsiate nel manico. Elena riconobbe subito quel pugnale, e nella sua mente si aprì un ricordo lontano che copriva i giorni più felici passati alla fortezza. Ovvero quelli dell’addestramento. Si ricordò di una sera passata a scagliare coltelli da lancio contro un manichino di paglia. Anzi, non una sera soltanto, ma una giornata intera trascorsa a far avanti e indietro per raccogliere quelli finiti a terra. Fu un ricordo dolcissimo e piacevole, e quel pugnale lavorato un tempo l’aveva cercato credendo di averlo perso poiché i conti non tornavano. Invece, Altair gliel’aveva nascosto sotto il naso scagliandolo poi addosso al manichino con incredibile precisione, tanto per farla rosicare. Sorrise malinconica. Quei giorni le erano piaciuti parecchio, e ricominciare da capo era il suo grande sogno. Ma ormai, che senso aveva ricominciare se tutto quello che desiderava ardentemente era già tra le sue mani?
No. Non tutto, si disse.
Corrado doveva ancora morire.

____________________________________________-


Ok, in questo capitolo mi prendo la rara libertà di scrivere i ringraziamenti. XD Ma per prima cosa, famo dei piccoli chiarimenti. XD fa anche rima!

1.    Elena stupida, io sapere, ma per ragioni di… *interruzione acustica a difesa degli spoiler* … ho dovuto deviare la vita sentimentale dell’allieva. Eh, sì. Mi dispiace un casino, ma almeno ho risolto non alla svelta, ma con meno impicci la questione. Sennò qui mi scappava il pianto anche dal maestro.
2.    Tharidl non voleva che maestro e allieva si mettessero assieme, Manu! Era Elena che, come suo solito, si faceva le cosiddette pippe mentali! XD
3.    … veramente non ho altro da aggiungere.

Ringrazio i seguenti adorabili utenti! XD

Saphira87 (Sorpresa: oddio, so che speravi molto che la storia andasse a finire in un altro modo, ma ti prego… abbi pietà! Non sono brava a prendere delle scelte, ed Elena [ho deciso] starà con Marhim, ma… vedremo! <.< )
Goku94 (l’idea della ginocchiata nei marones è tua!!! GRAZIE, fratellino, sei un genio! XD)
Carty_Sbaut (Donde stai?!?!?)
Lilyna_93 (Saluti all’accaunt!!!)
Assassin e Diaras (Donde state, pure voi? O-O)
Angelic Shadow (Riprenditi sto cazzo di PC! Ups… eheh)
Renault (Arriva presto a buon punto!)
Kasdeya (Adoro le tue recensioni, e mi chiedo come tu faccia ad andare a capo quando ti aggrada o.o)


Bene miei giovani allocchi! XD Che cosa abbiamo intenzione di fare, adesso??? EH? Ovvio, lasciare una recensione e… sperare che non rovini anche il prossimo capitolo! Cauuuu!! O.O Cau??? XD Caiuuu!!! (Puntiamo sul banale: Ciaoooo!!!) XD













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Capitolo 49
*** Amici tremendamente confusi ***


Amici tremendamente confusi











Sopra di loro si apriva un cielo magnifico, limpido, e i loro cavalli saettavano nel vento galoppando sulla terra, mentre il fruscio delle loro vesti si confondeva a quello delle fronde degli alberi.
Era un sentiero angusto che traversava un montarozzo di una leggera pendenza. Il bosco di folti ulivi li contornava, e tutt’attorno vi era solo il suono della natura. Se un tempo quelle strade erano state battute da uomini in marcia verso la Guerra, ora questi uomini marciavano verso la pace che, di lì ad una settimana, avrebbe preso piede con l’incoronazione del nuovo Regno di Gerusalemme, al trono del quale avrebbe seduto Corrado al fianco della Regina Isabella. Ma qualcuno avrebbe impedito che tutto ciò accadesse, e quel qualcuno aveva il volto celato sotto un cappuccio bianco, e al suo fianco correva il cavallo del suo maestro. Egli vestiva di una lunga mantella grigia e teneva corte le redini dall’alto della sella.
Erano in due, ma avrebbero fatto i danni di un esercito. Bastava una sola lama per privare il mondo di una delle sue mille pecore nere e a breve, Elena avrebbe sgozzato con gusto quell’agnello. Quanto aveva atteso questo momento? Non solo per suo padre, ma per la gente oppressa che era morta sotto il dominio di Corrado e soprattutto di suo padre che per primo aveva firmato l’alleanza che c’era tra lui e i vari rappresentati della Guerra! Era una sola grande battaglia che si sarebbe protratta nei secoli, ma tanto valeva combattere per raggiungere i propri scopi in minima parte. Come Corrado aveva combattuto per quel trono, Elena di Acri avrebbe lottato per la sua morte.
La Dea si sporse in avanti allungandosi sul collo dell’animale per alleggerire la fatica. Risalirono il pendio trovandosi ben presto in cima, dove piccoli ciuffi di erba verde si confondevano alle sabbie del deserto e alle felci rinsecchite e sciupate dall’assenza di acqua.
Si fermarono sul cucuzzolo della collina e arrestarono quella corsa contro il tempo che sfociò in un cumulo di polvere sollevato dai possenti zoccoli che picchiavano la terra.
La ragazza tirò le briglie, irrobustì la presa delle gambe, ma in fine la videro.
Era Gerusalemme, che all’alba di quella mattina dopo ore di galoppo ininterrotto li accoglieva dei suoi mille rumori caotici. Altissime mura in pietra si levavano verso l’alto e finivano a picco in un crepaccio roccioso da un lato e nel mezzo del deserto dall’altro. L’immenso portone dai battenti spalancati era controllato da una dozzina di guardie; ma quello era nulla in confronto alle centinaia di tende montate attorno ad esso. Era sorto un vero e proprio accampamento, con tanto di cavalieri crociati e Templari che, senza sosta, muovevano le loro truppe a destra e a manca dentro e fuori la città. Il traffico dei contadini era stato deviato verso gli ingressi secondari, e le bancarelle che correvano lungo le mura erano state abbandonate per dar spazio per intero all’insediamento francese.
I fumi della cittadella si annebbiavano in un sottile strato appena sopra i tetti. Erano magnifiche le sue cupole e le sue Moschee, assieme a quelle monumentali torri intarsiate d’oro e di colori brillanti che, alla luce del sole del mezzogiorno, luccicavano. Era la Città Santa, che con il solo osservarla da lontano incantava il pellegrino confondendolo in quale, delle tre maestosissime Religioni che vi dimoravano, intraprendere.
Un’improvvisa folata di vento le scompigliò i capelli e il cappuccio le cadde sulle spalle. Elena inspirò a pieni polmoni, osservando Rashy allontanarsi nel cielo, mentre la sua ombra si proiettava sulle tende e batteva l’accampamento. C’era in trambusto di armi, grida di ordini e contrordini. Nitrii di cavalli e ancora grida.
-Bhé- proruppe Elena ad un tratto, ed Altair si voltò a guardarla. -Non abbiamo sorteggiato l’ingresso migliore, eh?- ridacchiò l’allieva.
L’ombra sotto il cappuccio di lui si allungava sino al suo mento. -È troppo tardi per prendere un’altra strada- proferì serio. –Questo è il nostro unico accesso alla città- mormorò squadrando tenda dopo tenda dell’avamposto attorno alle mura.
-Cosa facciamo? Attendiamo che si cali la notte?- suggerì la ragazza.
-Non abbiamo tempo neppure fino a questa sera, Elena. Siamo in ritardo, terribilmente in ritardo con le indagini- dichiarò levando i talloni dalle staffe. -Lasceremo i cavalli qui e ci sposteremo tra le tende. Spero vivamente che gli eruditi del piccolo cimitero ci siano ancora- borbottò smontando dalla sella e abbandonando le briglie.
-Eruditi?- domandò ella confusa.
-Monaci. Pensavo di averti dato qualche ripasso teorico di mimetizzazione- sorrise Altair facendole strada, e i due si calarono giù dal pendio roccioso.
-Ma il vostro mantello è grigio- commentò la ragazza. -So che gli Eruditi si vestono di bianco, e sì- arrossì cogliendo l’imbarazzante ed inevitabile doppio senso di quelle parole. –mi avete dato un ripasso più che teorico!-.
-Sì, infatti- borbottò lui aiutandola a saltare giù da un masso. –Ma non preoccuparti per me. Io prenderò un’altra strada e ci divideremo. Tu andrai con i Monaci, e una volta all’interno della città, dovrai spostarti con cautela e raggiungere un posto isolato– si chinarono celati dietro una felce. -Dopodiché- riprese l’assassino accompagnandola al suo fianco. –in un qualche modo ti troverò e raggiungeremo assieme la Dimora. Non mi placa l’animo l’idea che tu vaghi per le strade quando è in atto l’Incoronazione della Terra Santa. Chissà quante guardie- bofonchiò assorto facendo mente locale.
-Ma maestro, voi!- provò a controbattere, ma Altair le serrò le labbra poggiando una mano su di esse.
-Che c’è, non ti fidi di me?- alzò un sopracciglio.
Elena scosse appena la testa. –No, ma…-.
Il grido di Rashy squassò il silenzio della valle, e Altair alzò il mento osservando il cielo. –Non ci rimane altro tempo. Presto!- la tirò a sé abbracciandola e, insieme, si gettarono da una decina di metri dritti in una balla di fieno.
Le sue braccia la stringevano ancora al suo petto, e la sua mantella grigia era andata ad intrecciarsi alle sue gambe così da tenerli entrambi stretti l’uno all’altra. –Sollevati piano e va subito a destra- le sussurrò Altair all’orecchio.
La ragazza annuì, obbedì e sbucò fuori dal fieno. Subito a destro trovò ad attenderla una roccia abbastanza grande, si nascose di dietro ad essa e attese che il suo maestro le fu di nuovo accanto.
-E adesso?- balbettò Elena contando almeno un cinquantina di tende e un centinaio di crociati.
-Il cappuccio, Elena- le rammentò il suo maestro, e lesta la ragazza se lo rialzò sul volto.
-Scusate- mormorò pentita.
-La tua identità è tutto ciò che ti resta quando si tratta di fuggire. Già è un male che tu abbia degli occhi così…- si voltò a guardarla.
Elena si strinse nelle spalle. –Così come?- domandò timidamente.
Altair scosse la testa. -Così difficili da dimenticare- sospirò tornando a controllare gli spostamenti dei soldati.
-Grazie-.
-Resta concentrata, per favore-.
La ragazza annuì e si guardò attorno. –Dove sono gli Eruditi?- chiese.
Altair le indicò un punto dell’accampamento, ma il suo sguardo volò oltre ed Elena lo seguì, andando ad incontrare le figure poco chiare di quattro uomini seduti su una sola panchina vicino alle mura.
-Ti accompagno lì, ma qualsiasi cosa succeda, sappi che i monaci ti scorteranno nel bene o nel male fin oltre quella soglia, hai capito?-.
Elena rabbrividì. –Cosa intendete per… “nel male”?-.
Altair ignorò la domanda. –Fa’ come ti ho detto e nulla andrà storto- proferì serio. –Adesso vieni- la prese per mano e la tirò fuori dal loro nascondiglio.
Aggirarono il piccolo accampamento e capo chino, ed Elena gli camminò affianco con passi piccoli e stretti. Gli sguardi dei soldati non si soffermavano su di loro se non per pochi secondi, giusto il tempo per adocchiare il colore sfumato della mantella del suo maestro.
Rashy gridò ancora, e a quel sibilo gli Eruditi seduti sulla panca si guardarono attorno smarriti. Uno di loro si alzò in piedi dal seggio di pietra e gli venne incontro giungendo le mani in forma di preghiera, e a questo si unirono presto anche gli altri tre.
Si muovevano lentamente, cantilenando una litania in latino che risuonava ben oltre il frastuono di armi e cavalli.
-Va’- Altair l’allontanò piano da lui, ma Elena, prima che il bianco della sua veste da assassina potesse confondersi con le tuniche dei monaci, strinse con maggior vigore le dita del suo maestro.
-Elena, avanti!- strinse i denti lui, ma la ragazza non mollò la presa.
-Forza, messere- la chiamò un uomo di chiesa. –le attenzioni si volgono a noi, dobbiamo fare in fretta!- sibilò questo.
Elena si scostò dagli Eruditi scagliandosi al collo del suo maestro, abbracciandolo con foga e nascondendo il viso nel suo mantello. Rimasero immobili per alcuni istanti, fin quando una guardia non adocchiò la situazione con una certa curiosità.
-Andrà tutto bene, avanti- le sussurrò lui poggiando una mano sulla sua schiena, accarezzandole dolcemente la linea dei fianchi.
La ragazza svolse le sue braccia dalle sue spalle con un certo rammarico, profondamente turbata. Si voltò, raggiungendo quasi di corsa i monachi che erano già a metà strada. Si confuse tra di essi, accogliendo il loro fare silenzioso e assimilando l’andatura tranquilla dei loro passi. Pregò per il suo maestro, pregò che niente andasse come l’ultima volta, pregò perché filasse tutto come l’olio. Lanciò diverse occhiate dietro di lei, e Altair era sempre là che la fissava da sotto il grigio cappuccio. La osservava, ammirava i suoi movimenti e tentava di infonderle coraggio perché non si lasciasse distrarre proprio in quel frangente.
Varcarono l’arco in pietra, i monaci la circondavano da tutti e quattro i lati e lei si sentiva protetta. Quando si voltò, il suo maestro si era volatilizzato nel nulla.

Gerusalemme era terribilmente caotica. Le sue strade, anche quelle scure e appartate, erano attraversate da una marea di gente che non sapeva astenersi dall’urlare ai quattro venti tutto ciò che poteva essere messo a buon mercato. Non mancavano dunque le bancarelle, le donne radunate attorno alle fontanelle con in grembo vasi di ceramica e caraffe da riportare nelle proprie case. Ma anche guardie, che si fermavano ai lati della via principale chiacchierando spensierate del più e del meno. I vecchi seduti alle panche, gli arcieri sui tetti. Le mendicanti agli angoli degli edifici, e i palazzi stessi, alle finestre dei quali erano affacciate le donne che sbattevano tappeti e appendevano i panni al sole.
-Siate prudente- le spifferò un Eredito mentre si allontanava col suo gruppo.
Elena gli sorrise benevola. –Grazie ancora- mormorarono le sue labbra.
Egli chinò il capo e condusse i suoi fratelli in un vicolo buio che girava attorno alla piccola chiesa lì vicino.
La ragazza si guardò attorno e sedette poi disinvolta su una panchina. Si prese comodamente il tempo necessario per sfuggire agli sguardi delle guardie e, quando fu certa che nessuno la stesse guardando, scattò via dalla sua posa mimetica e s’infilò in un cunicolo stretto e buio. Lo percorse fino al capo opposto che si gettava nel corso principale della città, quello che passava tutto il distretto ricco e raggiungeva il confine con quello medio. La ragazza si mescolò alla folla e ne percorse un gran tratto.
Non conosceva un vicolo di quella stupenda città. In tutta la sua vita, mai una Moschea di Gerusalemme aveva avuto l’onore di vedere, ed ora, quelle strade la incantavano lasciandola senza parole, con la bocca aperta anche sotto l’ombra profonda del cappuccio.
Trovò una piazza tranquilla nella quale aspettare il suo maestro che, condotto da Rashy che vegliava esattamente sopra di lei, l’avrebbe, sperò, presto raggiunta.
Sedette su una panca, all’ombra di una palma. Accanto a lei c’era una donna con in braccio il suo bambino di pochi mesi. Lo cullava amorevolmente e le guance arrossate e pacioccose del bimbo erano tirate in un sorriso in preda alla gioia.
Distolse lo sguardo, pensando chissà cosa nella sua testa che troppe volte aveva immaginato e sbagliato ad immaginare. Restò lì ad attendere in silenzio, col solo suono della grande Gerusalemme che le rimbombava nelle orecchie.
Contò una dozzina di drappelli di guardie che si sbattevano da parte a parte della città, e molte di questi erano crociati, belli e fieri della loro casacca che luccicava d’oro della casata del Monferrato.
A quella sola svista, in lei ribollì l’amata rabbia, mentre l’impazienza di cominciare immediatamente le indagini la costringeva a stringere i pugni e conficcarsi le unghie nella pelle dei palmi stretti.
Corrado stava racimolando troppo tempo, si disse. Doveva morire subito! Subito! Gridò, ma qualcosa la implorò di darsi un contegno, di ascoltare e rimuginare sugli insegnamenti che più persone le avevano dato. Eppure, i principi di un assassino non includevano: “porta pazienza ai tuoi incarichi”. Ma la terza legge, non compromettere mai la confraternita, era un modo riassuntivo che in sé inglobava ciascuna azione insulsa e avventata.
D’un tratto, un ombra calò dal tetto della casa vicina e in una frazione di secondo Elena ascoltò il fruscio di un mantello. Altair sedette in fine, leggero e dal respiro regolare, accanto a lei nel posto vuoto sulla panca.
Neppure quella donna si era accorta che quest’essere dalla casacca grigia era comparso da nulla. Ella continuava a coccolare il suo bimbo nascondendogli il naso tra due dita.
-Aspettiamo che passino quelle guardie e lasciamo questo cortile. Andiamo a sinistra, ma passeremo una zona comunque parecchio sorvegliata. Devi restarmi vicina- sibilò l’assassino con lo sguardo basso. Il cappuccio ne copriva il volto per intero. Il mantello era talmente lungo da celare ogni parte della sua veste.
-Sto bene, grazie per l’interessamento- bofonchiò Elena.
-Non nego di essere alquanto stupito- fece allegro. -Mi aspettavo che come minimo ti stessero dietro una cinquantina di uomini- ridacchiò.
La ragazza tacque incrociando le braccia al petto. -Se anche fosse, ammazzerei quel bastardo prima di dare a Corrado il tempo sufficiente di scappare per via delle campane-.
-Così ti voglio, e ora andiamo- disse lui alzandosi, ed Elena lo seguì.
Si mescolarono alla folla, sgattaiolarono in stradine piccole e anguste, traversarono piccoli mercati coperti e si inoltrarono nei più prestigiosi Suk del distretto nobiliare.
La Dimora sorgeva sul confine tra i tre quartieri della città. Una piccola e bassa cupola accompagnata a delle impalcature. Strette finestre, e un tetto ampio.
-Dove sono le guardie?- domandò la ragazza issandosi sulla scaletta di legno che li condusse sopra l’edificio.
Quando furono in cima, Altair si guardò attorno abbassandosi il cappuccio sulle spalle. –Molti dei crociati sono appostati più ad ovest, nei pressi del tempio. È lì, nell’accampamento crociato oltre dietro il palazzo che presiede Corrado coi suoi uomini. E se ci brigheremo, sarà lì che colpiremo- pronunciò assorto.
Elena annuì compiaciuta, e i due assassini si calarono nella Dimora.

La Dea si piegò sulle ginocchia ed ebbe solo il tempo di raddrizzare la schiena e le gambe.
-Razza d’imbecille! Ti avevo detto di passare da dietro!- sbottò una voce rabbiosa proveniente dall’altra stanza.
Un ragazzo dal cappuccio grigio inciampò sul tappeto, si rialzò e si diresse di corsa verso l’uscita della Dimora. Un piatto di ceramica si andò a frantumare in tanti pezzetti volando fuori dalla stanza. -Sei un buono a nulla, Rauf!- gridò ancora quella voce.
-È pazzo, è pazzo!!!- gridava disperato e in preda al panico il giovane assassino. Tentò di arrampicarsi sulla parete saltando agilmente sulla fontana, ma Altair lo afferrò per il cappuccio intimidendolo a restare nell’edificio.
-È pazzo!- ripeteva quello, anche quando l’assassino di alto rango lo sbatté a terra inchiodando la sua fuga. Il giovane strisciò tirandosi su, in viso aveva l’espressione di chi aveva visto un fantasma. –È pazzo, è…- s’interruppe improvvisamente, e da sconforto, gli occhi neri gli s’inumidirono di gioia. -Dio esiste!- strillò il ragazzino abbracciando d’un tratto il suo maestro, ed Elena si scostò interdetta.
-Maestro Altair! Che il cielo sia lodato!- gemé Rauf inginocchiandosi. –Meno male che siete qui, maestro! Allah, Cristo! Quale dei due devo ringraziare…-.
Altair aggrottò la fronte ma non disse nulla.
-Razza di codardo, torna subito qui!- la voce che veniva dall’altra camera si fece più vicina. –Con che coraggio fuggi, novizio!?! Torna indietro, o giuro che il dito te lo taglio di persona anche all’altra… mano… e…-.
Il Rafik senza un braccio comparve sull’uscio della stanza. Il suo sguardo color nocciola si spostava svelto da un assassino all’altro, prima indugiando sul novizio dal cappuccio grigio che aveva tentato la fuga dalla sua collera, ed in fine sul sorriso sbigottito di Altair che mosse un passo in avanti.
-Posso sapere che cosa succede, Malik?- domandò ridendo.
-Tu…- sibilò il Rafik. –Tu… e…- Malik la notò, ed Elena si abbassò il cappuccio in segno di rispetto. –Tu e lei!- digrignò egli. –Sareste dovuti essere qui due mattine fa! Cosa vi ha trattenuti, se è da una settimana che Corrado muove i suoi uomini in questa direzione!- gridò ancor più rabbioso.
Altair e la ragazza si cambiarono un’occhiata complice alla quale, però, Elena non seppe resistere allungo così da abbassare svelta lo sguardo sul pavimento.
-Ci sono stati degli…- cominciò Altair ammirando la malinconia della sua allieva un’ultima volta. –Ci sono stati degli imprevisti- ribadì serio.
-Imprevisti!?- Malik gli fu di fronte con solo tre passi. –Imprevisti?! Altair, Corrado riceve la sua nomina domani all’alba! Mi stavo caricando del fardello di affidare l’incarico a Rauf e Abbas perché voi non vi eravate presentati!- proruppe terribilmente angosciato.
Elena si fece da parte, stringendosi contro la parete dell’ingresso, appoggiandosi di seguito al bordo della fontana sulla quale sedeva anche Rauf che sorrideva beffardo, quasi divertito.
Altair si guardò attorno. –Avresti mandato Rauf e Abbas al nostro posto?- domandò incredulo.
Malik annuì. –Chi altri, io?!- ribatté sarcastico alludendo al suo braccio mancante. –Il tempo stringe, le loro indagini li hanno condotti a buon punto, ma questo stupido!- indicò l’assassino dal cappuccio grigio seduto accanto a lei. –Questo stupido ha tentato di intrufolarsi nel Tempio passando dall’ingresso principale! Guardalo, ti prego!- Malik si avvicinò al ragazzo e gli afferrò con violenza il volto. Questo non si ribellò, ma nelle venne prese a scorrergli la paura che si riversò nei suoi muscoli cominciando a farlo tremare come una foglia. -Guarda come ride, questo bastardo fuori di testa! Il consenso gliel’avevo dato, ma ha perduto persino la piuma oltre alle sue armi!- con uno strattone, gli lanciò il mento.
Rauf rimase dov’era incrociando le braccia al petto e sprofondando nel cappuccio nascondendo il suo profondo rammarico.
-Rauf- lo chiamò Altair, e il ragazzo si voltò. –È vero che hai perduto la piuma? E le armi?- chiese.
Egli annuì.
Il maestro della Dea, che nel frattempo si era isolata in uno dei quattro angoli del loca accanto ad una pianta, si adombrò. –Perché lui e non Abbas? C’è una differenza di rango piuttosto esaltante, non trovi?!- gli rinfacciò, e il Rafik tacque alcuni istanti.
-Ah!- rise improvvisamente il capo sede. –Credi che se non ci fosse un motivo plausibile, prenderei certe decisioni azzardate?!-.
-Maestro Altair!- chiamò una terza voce nuova, proveniente dalla stanza accanto.
Elena fu la prima ad adocchiare un ragazzo seduto tra i cuscini nell’altro locale. Era più vecchio del capo sede stesso che invece pareva avere la medesima età del suo maestro. Quell’uomo steso a terra con una gamba stretta in uno spesso bendaggio era Abbas, che dalle vesti mostrava lo stesso alto rango di Altair.
Altair e Malik si spostarono nella seconda camerata e, con grande stupore del primo, Malik aggiunse: -Stavano facendo delle indagini alla porta nord. Un bravo arciere che mirava alle gambe- borbottò collerico.
Elena si avvicinò al bancone e stesse in disparte accanto a quello. Rauf si alzò dalla fontana e rimase in piedi in un angolo della camera.
Altair si chinò al fianco del ferito. -Fratello, cosa l’ha permesso?- chiese.
Abbas, senza pensarci due volte, spostò lo sguardo sul novizio dal cappuccio grigio.
Rauf sgranò gli occhi, mentre quelli dei presenti si puntavano tutti su di lui.
-È stato un incidente!- si difese il ragazzo stringendosi nelle spalle. -Ci accerchiavano, ed è già molto se sono riuscito a riportarlo qui vivo!- gridò.
-Sì, certo! Già è molto se ti sei accorto che ti gridavo di tornare indietro a riprendermi, dato che correvi come un forsennato e mi hai lasciato steso a terra senza neppure degnarmi di uno sguardo se non cento metri più avanti! Quand’eri nascosto in un giardino pensile!- proruppe Abbas inferocito.
-Basta!- strillò Malik, che tra tutti aveva cominciato quello scempio per primo scagliando quel vaso.
-La questione è molto più seria di quanto possiamo immaginare- si diresse dietro il bancone sul quale era distesa una cartina dettagliata del solo distretto medio. Su di questa vi erano puntati alcuni spilli che stavano ad indicare le zone maggiormente controllate riportate dalle indagini a poco svolte.  
Altair si avvicinò al tavolo ed Elena con lui, voltando le spalle agli altri due assassini.
Malik sollevò la sua attenzione dalla carta alla ragazza. -Mi spiace dover convenire ai saluti in questo modo, Dea, ma come vedi…-.
Elena annuì silenziosamente.
-Bene- sospirò il Rafik volgendo il suo sguardo sul maestro della giovane. –Sarò pronto a consegnarti la piuma, fratello, dopo che avrai prestato attenzione alle informazioni che abbiamo ricavato dalle indagini. Ma temo di dover confessare che il tentativo di Rauf di questa mattina, ha mandato a rotoli i nostri piani. Per tanto, molto del ricavato potrà esserci ancora utile, ma l’omicidio è dovuto essere posticipato alla data stessa dell’Incoronazione. Ovvero, domani all’alba- pronunciò schietto e contenuto.
-Malik, pensavo che Tharidl ti avesse informato-.
-Di cosa?-.
Altair le volse un’occhiata ed Elena prese fiato.
-È a me che dovete consegnare la piuma- disse la ragazza.
Malik tacque allungo interdetto. –Perché non ne sapevo nulla?!?!-.
Altair alzò le spalle.
-Quel vecchio pazzo se la vedrà con me un’altra volta! Ma come? È assurdo, inconcepibile… Altair, non possiamo rischiare che…-.
-Mi fido di lei. Così come si fida Tharidl, e di come ti fiderai tu. Ora esponi- dichiarò serio il suo maestro.
Malik si scostò dal bancone indietreggiando. –No!- strillò. –È una decisione alla quale avrei dovuto prendere parte pur io! Come Rafik, ma ancor prima come tuo compagno! Non se ne parla, è una ragazza, una Dea! Non posso credere alle tue parole, fratello! Non è arrivata nessuna colomba che spiegava ciò!-.
-Impossibile- intervenne lei.
-Mah- bofonchiò il Rafik.
-Malik, è assurdo che tu non ne sappia nulla, ma c’è una spiegazione plausibile-.
-Come Rafik sta a me giudicare! Ma se c’è un motivo per il quale non ne sono stato informato, bhé parla!- ruggì irritato.
-Probabile che molti dei nostri piccioni viaggiatori siano stati intercettati. Non c’è altro modo. Ho assistito Tharidl nel mente liberava la colomba dal suo studio, dopo aver letto con lui la lettera! Temeva che sarebbe potuto succedere, così ha voluto che fosse la mia parola a lottare con la casualità dell’evenienza! Malik, devi credermi!- digrignò allungandosi sul tavolo. –Può farcela, ne è in grado! Non come Dea, ma…- si volse a guardarla, ed Elena chinò il capo. –Ma come mia allieva- pronunciò più cauto tornando con gli occhi su di lui, ma Malik restò rigido.
-Non la conosco abbastanza. Come posso giudicare le sue capacità se le indagini le sono già state svolte, eh? Dimmi questo- proruppe.
-Non ti serve conoscere lei- proferì Altair in tono calmo.
Malik assentì sbuffando.
-Ti basti conoscere me, e sapere che io mi fido di lei- ribadì. –E so bene che questo basta e avanza- sorrise armonioso.
Il capo sede distolse lo sguardo assorto nei suoi macabri pensieri. Il broncio sul suo visto si calcò oltremodo quando Altair aggiunse:
-O preferisci che sia Rauf a ritentare, domani?-.
-No- Malik sedette allo sgabello dietro il banco. –Va bene- sospirò soffermandosi su di lei, ed Elena accolse la sua occhiata sorridendo.
-Ma voglio che non sia sola- dichiarò il Rafik allungando l’unico braccio verso la libreria alle sue spalle ed afferrandovi un tomo bianco che poggiò sul tavolo. Intinse una piuma nel calamaio e prese a scrivere, mentre un ghigno ancora insoddisfatto si stagliava sulle sue labbra.
-In che senso?- domandò Altair.
-Domani voglio che prenda parte anche tu alla cerimonia. Devi essere lì con…- indugiò rabbrividendo. -Con Rauf per qualsiasi evenienza-.
-E sia- annuì il suo maestro.
Malik lo fulminò con un’occhiataccia. –Che è successo alle tue vesti?- domandò continuando a scrivere.
Altair si trattenne dal ridere. –Ah, vedi… uno dei nostri imprevisti è stato un Templare piuttosto intransigente-.
-Sei ferito?- chiese ancora poggiando la penna.
-Lo ero- mormorò l’assassino. –Mi servono solo delle nuove vesti- si guardò attorno.
-Sul soppalco. Secondo baule- gli disse Malik.
Altair si avviò sulla scaletta di legno e scomparve sul ripiano in legno.
-E tu- la chiamò ad un tratto, ed Elena si voltò a guardarla. –Elena, giusto?-.
Lei annuì.
-Mi spiace essere così diffidente, ma spero che tu comprenda la situazione e…-.
La ragazza lo anticipò rincuorandolo ancora una volta. –Sì, lo comprendo-.
-Ottimo. Quindi, sarà la tua la lama- commentò poggiando l’unico braccio sul tavolo.
Chinò la testa. –Sì-.
-Se posso, perché Altair confida tanto in te- alzò un sopracciglio, ed Elena non riuscì a trattenere un sorriso schiavo dell’imbarazzo.
-Credo di aver ottenuto alcune conferme- rise il capo sede.
Rauf e Abbas, intanto, chiacchieravano rumorosamente dalla stanza accanto.
-Sei un dannato! Questa me la paghi!-.
-Ne avevamo già scusso! E non è colpa mia se hai voluto che prendessimo quella strada!-.
-Mi riferivo ad oggi! Perché non hai ubbidito alle indicazioni del Rafik!?- ruggì quello da una gamba ingessata.
-C’erano troppe guardie pure da quella parte!-.
-Cretino! Perché, se passi dall’ingresso principale non ce ne sono?!-.
-No non ce n’erano!-.
-Buffo, ma non ti credo!-.
-Fa’ come vuoi!- sbuffò Rauf, e proseguirono ben oltre.
Altair tornò giù dal soppalco con la maglia bianca pulita e si spogliò della mantella grigia.
-Non metterle adesso!- gli suggerì Malik sistemando il tomo che aveva sul tavolo tra gli scaffali.
-Come mai?- domandò interrogativo l’assassino.
Malik sorrise ad entrambi i nuovi arrivati. –Se permetti, vorrei dare un’occhiata e controllare che non si sia infettato nulla. Ma come seconda cosa sarete stanchi, affamati e sporchi.
Altair si privò della parte superiore della tunica che, in quel punto, era tranciata da una decina di colpi di spada e si avvicinò al bancone. -Va bene, ma non abbiamo tempo per…- provò a dire.
-Se confidi così bene in lei, sarai tu ad occuparti delle ultime indagini- intervenne Malik avviandosi in un buio stanzino alle spalle del tavolo. -Mentre Elena avrà modo di prepararsi a dovere. Non preoccuparti, è in buone mani- gli arrise tornando nella stanza con una sacca che poggiò sul banco.
Altair annuì per niente certo.
Elena si sistemò al tavolino degli scacchi e cercò di osservare il meno possibile ciò che Malik fece alla pelle bronzea del suo maestro. Tentò persino di giocare da sola, fin quando il capo sede non chiamò Rauf che, sotto suo ordine, le fece compagnia.
Elena perse due volte di seguito mosse appena le venti pedine. Non era che non le andasse di giocare, era semplicemente distratta. Sì, distratta da quel corpo a torso nudo seduto accanto al bancone del Rafik che si apprestava a controllare ciascun taglio, come quella volta ad Acri.
Provò un incredibile rimorso, ma non seppe spiegarsi il perché. A breve Altair avrebbe svolto per lei le indagini mancanti perché la sua allieva potesse infiltrarsi a palazzo e partecipare all’Incoronazione attivamente per poi infierire sulla vita del festeggiato. Quei tasselli Altair li avrebbe scoperti vagano a vuoto per la città, arrampicandosi sui muri e saltando da tetto a tetto traversando il vento. Elena avrebbe voluto essere lì con lui, ma Malik aveva parlato di “preparativi” differenti per quanto la riguardasse. Non poté far altro se non interrogarsi su che genere di preparativi si trattassero.

-A sta sera, dunque- disse Altair finendo di allacciarsi la cintura di cuoio.
Elena, spaventata, si alzò dallo sgabello d’un tratto, attirando impacciata l’attenzione di Rauf e Malik, oltre che del suo maestro.
-Sì, ecco… meglio che mi sto zitta- si risedette lentamente.
Altair e il capo sede si scambiarono un’ultima occhiata, poi l’assassino si volatilizzò fuori dalla Dimora.
-Elena- la chiamò Malik qualche istante di silenzio più tardi. Il ragazzo si apprestò a risistemare i medicinali e le garze pulite nella sacca, gettando invece quelle usate in un cesto sotto il bancone.
La ragazza tornò in piedi e si avvicinò a lui. -Sì, Rafik-.
Malik le sorrise benevolo avviandosi nello stanzino. -Seguimi- ed ella obbedì.
C’era una scaletta stretta e di legno che scendeva fino ad una saletta del seminterrato dove, Elena notò bene, vi era un salotto più grande che al centro ospitava una vasca che faceva concorrenza a quelle che ricordava negli appartamenti delle Dee.
Riempita fino all’orlo di acqua cristallina e contornata di cuscini sui quali vi erano adagiati degli asciugamani, era tanto, tanto invitante.
-Spero non ti dispiaccia se è a temperatura ambiente, ma vi aspettavamo parecchio tempo fa- ridacchiò l’uomo senza un braccio.
-No, non è… nulla- mormorò Elena guardandosi attorno.
-Bene. Prenditi tutto il tempo che ti serve, per qualsiasi cosa sono di sopra- disse e si avviò risalendo la scala.
Elena esitò una manciata di minuti a fissare la vasca senza accennare un movimento. Quasi non le andasse di lavarsi, quasi volesse scappare come faceva da piccola, esitò quello che le parve un tempo troppo breve.
Si spogliò lentamente, entrò in vasca e fu sorpresa di trovarvi l’acqua ancora abbastanza calda e ospitale.
E, inevitabilmente, chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi, pensando a qualcosa o qualcuno che non riguardasse né Corrado, né Marhim e il momento in cui l’avrebbe rivisto, né il suo maestro.
In conclusione, pur di lasciar correre il tempo, preferì addormentarsi.

La lama penetrò nella carne, all’altezza del petto. Fu un istante infinito quello in cui i suoi occhi neri si persero in quelli azzurri di lei che, pur di liberarsi dalla stretta, iniziò a strillare disperata. Il suo nome, quello che non avrebbe mai dovuto rivelare a nessuno dei cavalieri presenti alla cerimonia. Il nome di un assassino, il nome dell’uomo che aveva amato, il nome del suo maestro. Era questo che gridava, strattonandosi e tentando di divincolarsi. Ma il nero di quegli occhi si spense in un barlume grigiastro, ed infine calarono le palpebre, chiuse come stesse dormendo. E Corrado rise.

Si svegliò d’un tratto, agitando appena le braccia nell’acqua e irrigidendo i muscoli.
Quello che aveva immaginato o sognato fugacemente era stato orribile, da gettare nel dimenticatoio e da non prendere neppure in considerazione.
Alquanto interdetta di aver solo chiuso occhio ed essersi svegliata in piena serata, Elena si guardò attorno spaurita. Si accorse che nel bagno erano state accese delle candele e ne contò una quindicina, mentre dal piano di sopra venivano delle urla…

Altair piegò le ginocchia per attutire il colpo, ma una fitta di dolore lo pervase su tutto il fianco sinistro. Strinse i denti, ma tentò di non darlo a vedere ai due assassini seduti agli scacchi.
-Era ora! È notte fonda, fai rapporto- sibilò Malik senza neppure salutarlo, e quel suo atteggiamento lo lasciava terribilmente confuso.
Ma dopo la morte di Al Mualim non avevano fatto pace? Si chiese.
Gli raccontò per filo e per segno cosa aveva fatto in tempo a fare. Si erano tratti per la maggior parte di piccoli lavoretti sul confine del distretto medio con tanto di alcuni interessanti borseggi.
L’assassino si appoggiò di spalle alla parete, accanto a lui si ergeva lo stendardo della setta.
-Di guardie ne ho eliminate a più non posso, ma il lato nord del palazzo è ancora coperto dalle pattuglie che, fortunatamente, non sostituiranno fino alla sera di domani dato che diffidano nei cambi di turno. Ma è qui che si sbagliano; se non manderanno nessuno a prendere il posto degli uomini che ho ucciso, non si accorgeranno che quelle zone sono vuote. Così Elena avrà via libera. Ma ti ripeto, il lato nord è ancora occupato. Ero troppo stanco e… sono tornato indietro-.
-Troppo stanco?- lo derise Malik.
Lui annuì, sperando che non se la prendesse troppo. Ma dopotutto, a rimetterci erano tutti quanti se Altair aveva sbagliato qualcosa. E scommesse con se stesso che Malik avrebbe adottato quel genere di ramanzina, facendogli pesare sulla coscienza che non era il solo a rimetterci.
-Non m’importa, avresti dovuto fare tutto il possibile per sbarazzartene!- sbottò Malik.
Altair si stanziò dalla parete incrociando le braccia al petto. –E l’ho fatto. Almeno la metà delle guardie sulle mura sono cadute a precipizio dall’altra parte. Il tetto sud del Tempio è pulito, e prima che qualcuno se ne accorga, domani mattina all’alba io, Elena e Rauf saremo già alla cerimonia-.
-Non potete passare dal tetto. Hanno dei soldati appostati sulle torri del palazzo, vi vedranno- pronunciò nervoso il capo sede.
-E chi ti dice che non abbia pensato anche a quelli?- ridacchiò l’assassino.
-Cosa ci trovi di tanto divertente?! Qui ne vale in gioco la tua, la mia, la sua- indicò lo stanzino alle sue spalle alludendo alla Dea che era di sotto –e la vita di quei poveri cristi!- puntò l’unica mano nella camera accanto dove Rauf e Abbas si sfidavano a scacchi. –Scusami tanto, ma ancora non colgo l’ilarità di tutto questo!- ruggì.
Altair si voltò di profilo abbassando lo sguardo.
-Come credevo- disse Malik tornando lentamente seduto dietro il bancone.
-Perché mi tratti ancora così?-.
-Perché sei un irresponsabile! Ti ostini a voler fare come sempre di testa tua, e guarda che cosa hai combinato! Corrado deve morire prima di diventare Re, hai capito?! Prima! Si può sapere cos’altro ha ritardato il vostro arrivo oltre quel maledetto Templare che giuro, se è ancora vivo, lo ammazzo di persona!- strillò alzando gli occhi al cielo.
-Mi spiace deluderti, ma costui che disprezzi tanto è morto, grazie alla mia testa- sogghignò tra sé e sé.
Malik restò parecchio interdetto. -La tua testa?…-.
-Lascia stare- sorrise mesto.
-Ti sbagli, invece insisto! Avanti, illustrami i tuoi rammarichi! Se c’è qualcosa che ti turba, dovresti raccontarlo a me. Ma non come Rafik- pronunciò sbollentandosi. -come tuo amico- sospirò.
Altair si guardò attorno circospetto. –Avanti, chi ha cerbottanato il mio Rafik preferito?!- scherzò.
Malik scoppiò in una fragorosa risata. –Non ci sono sedativi in questa Dimora, mi spiace. Sarà stato qualcun altro- rise. –Forza, parla- fece allegro.
Altair prese un gran respiro e si sedette su uno degli sgabelli di fronte a lui.
-Tanto lo so che riguarda la tua allieva- borbottò divertito il capo sede.
Altair accennò un sorriso che durò pochi secondi.
-Non puoi mentirmi, quindi ti conviene parlare prima che lo vada a chiedere a lei- azzardò un passo indietro.
-No, fermo! Va bene, va bene- ridacchiò l’assassino, e Malik tornò al suo posto. –Scusami, è che me ne vergognò un po’, ecco tutto-.
-Quanti anni ha, la fanciulla?- chiese allegro.
-Diciassette-.
Il Rafik tacque alcuni istanti. –Sei un bel guaio. Se mi diventi scapolo che attacca con le ragazzine adesso, non oso immaginare dove andrai a finire di questo passo!- lo derise.
-Malik, non sto scherzando. Quella ragazza mi ha totalmente preso, e cerco di dare una vana spiegazione ad ogni mio atteggiamento scartando l’ipotesi che…-.
-Ne sei innamorato?-.
-Sì, esatto- borbottò. –Parlare di tutto ciò adesso mi sembra assurdo, Malik. Domani…-.
-No, no!- lo interruppe. –Adesso va benissimo, anche perché se te lo tiri dietro durante la giornata di domani, qui mi torna vivo solo Rauf- sbuffò.
Altair trattenne una risata. –Qualcuno ti ha davvero sedato-.
-Cerca di fare in fretta. Devi parlare con Elena delle indagini. Perciò stringi, fratello-.
-Beato tu che te ne stai in questo buco- si mise a braccia conserte sul tavolo.
-Ah! Già, beato me. Hai idea di quanto mi manchi qualcuno che mi faccia compagnia che non siano quei due squinternati!- sussurrò guardando gli assassini che giocavano a scacchi poco distante.
-L’ho sempre saputo che ti serviva una donna- ridacchiò lui.
-Non ho detto questo!-.
-Si vede lontano un miglio, Malik-.
Il capo sede lo fulminò con un’occhiataccia. –Perché siamo arrivati a questo punto? Non parlavamo di te?!- digrignò.
Altair si strinse nelle spalle.
-Stavi dicendo?- bofonchiò l’uomo senza un braccio guardandosi attorno.
L’assassino prese a stringersi le cinghie del guanto destro. –Speravo di chiederti qualche consiglio, ma in questo frangente sei meno esperto di me- pronunciò serio.
-In che frangente? Ah…- lo inchiodò con uno sguardo in cagnesco. –Vogliamo parlare di Adha?-.
-Colpo basso! Colpo basso!- strillò Altair sotto tono.
-Ma scommetto che è per questo che hai l’innamoramento facile. Trovi in Elena qualcosa che in Adha non c’era? Forse… la giovinezza?-.
-Stai andando fuori strada, Rafik- lo stuzzicò.
-Fammi riflettere- fece assorto Malik. –Avete ritardato di 36 ore… siete stati soli… magari in una qualche Dimora abbandonata del Regno…- parve illuminarsi d’un tratto.
Altair rabbrividì. –Che c’è?-.
Lo sguardo di Malik vagava nel vuoto della stanza dritto di fronte a sé e si spostò lentamente nel suo.
-Altair…- digrignò il capo sede.
-Che c’è?!- ribadì ancor più sbigottito.
Malik scoppiò a ridere dopo pochi secondi. –Ora capisco tutto. Avanti, vattene. Di questo non devi discutere con me, forza- gli indicò lo stanzino alle sue spalle. –Va’ a parlarle- continuava a ridere, incessantemente, attirando per di più l’attenzione di Rauf e Abbas.
Altair sospirò pesantemente e riscese le scalette che portavano nel seminterrato.

Sorrise, e il fatto che fosse lì non poté far altro che rallegrarla.
-Spero di non aver interrotto nulla- fece allegro Altair entrando nella stanza.
-No, nulla- mormorò Elena abbassando lo sguardo sul suo corpo, fortunatamente, poco guardabile dato il soffuso coloro dell’acqua che le arrivava fino alle spalle.
Altair si sedette su uno dei cuscini accanto alla vasca e appoggiò la schiena contro la parete. Il cappuccio abbassato, il sorriso sulle labbra, lo sguardo che non si soffermava su altro che non fossero gli occhi di lei.
Le guance le si colorarono di quel poco che bastò ad Altair per allungare ulteriormente il suo ridere.
-Ci sono stati problemi? Perché siete qui?- balbettò flebile.
-Sì, in effetti qualche problema c’è stato- ridacchiò –ma nulla di grave. Piuttosto, siccome Malik ha insistito affinché riposassi il più possibile, mi ha chiesto di riassumerti tutti i dettagli delle indagini concentrando il tempo in un breve lasso di questa sera, così che tu possa allungare il sonno quanto ti basta-.
-Siete venuto a rompermi le scatole mentre faccio il bagno piuttosto che parlarmene a cena o domani mattina a colazione?!- chiese incredula.
Lui annuì. -Assurdo, ma è incredibile quanto Malik stesso voglia accorciare la faccenda. Piuttosto, mi stavo chiedendo…-.
-Cosa?- domandò lei distogliendo lo sguardo.
-Sicura di non avergli detto nulla? Mi guardava in modo strano quando sono tornato- rise, ed Elena con lui.
-Nulla, ma credo che sia abbastanza sveglio come Rafik- sorrise lei.
-Quell’uomo mi conosce da molto più tempo- sussurrò assorto nei suoi pensieri, chinando la testa.
-Come mai?- chiese curiosa.
-Mi pare di averti parlato di quella volta ad Aleppo, quando…-.
-Sì!- gioì Elena. –Mi ricordo, ecco perché il suo nome mi era duplice familiare- rise.
-Prima e dopo di quella volta- cominciò lui. –ce ne sono state tante altre. Kadar non veniva poi così spesso con noi, ma io e Malik eravamo inseparabili- rimembrò probabilmente alcuni dei suoi ricordi migliori.
Elena ci pensò alcuni istanti. –Come mai adesso è Rafik?-.
-Al Mualim gli propose questa carica per non restare in disparte alla confraternita. Ma è stata di per più una sua scelta. Era particolarmente legato a questa città e il Rafik che vi era prima di lui morì qualche anno addietro alla missione nel Tempio di Salomone. Erano mesi che cercavano qualcuno di nobile alla Dimora di Gerusalemme, e alla fine l’hanno trovato. Al Mualim e i suoi saggi si sono complimentati del suo coraggio; io ricevetti la notizia assieme alla lista dei celebri nove nomi, ma quando giunsi a Gerusalemme per l’uomo di cui dovevo occuparmi, Malik continuò ad odiarmi nonostante tentassi in mille mondi di scusarmi! Prima Kadar, poi un braccio ed è stata tutta colpa mia…-.
Elena rabbrividì. -Come colpa vostra? Cosa avete fatto precisamente?-.
Altair sospirò carezzando un asciugamano lì vicino. -Ancora una volta ti accorgi di come neppure il tuo maestro sia perfetto, non è così?- domandò spensierato.
-Sì, in effetti- mormorò ella affondando fino al mento nell’acqua.
-Cerca di non distrarti- le sussurrò soave.
-Distrarmi, e come?- chiese confusa.
-Pensando a cosa è successo. So bene che ti tormenta ancora-.
Elena scese giù fino a nascondere le labbra nell’acqua della vasca. –Hmm- mugolò.
-È stato davvero sciocco farlo accadere ora, e me ne prendo ogni colpa se può farti star meglio-.
La ragazza tacque, e il suo maestro proseguì.
-So che sei in grado di isolare la mente e concentrarla sull’ardore della rabbia che provi per Corrado, anche se è l’unica cosa che non ti ho insegnato. Sono certo al cento per cento che ce la farai…- s’interruppe pensando ad altro. -Quando ti ho chiesto che cosa avessi intenzione di fare una volta che avessimo salvato tuo padre, mi riferivo al fatto se gli avresti parlato di me e in che modo-.
Un brivido le percorse la schiena ed Elena si risollevò tornando con l’acqua alle spalle. –Io…-.
Altair scosse la testa. –Ti prego, lasciami finire-.
Elena annuì, percependo gli occhi inumidirsi.
-Quello che più mi ha sconvolto è stato scoprire che cosa ti passava per la testa!- scoppiò in una fragorosa spiegata. –Non voglio mica darti pena, ma spiegami come sei arrivata ad una simile conclusione!-.
Sembrava tanto divertente? No, perché invece di ridere Elena cominciò a piangere silenziosamente, trattenendosi dal singhiozzare.
-Non ho idea di cosa gli avrei detto a riguardo…- mormorò lei. –Ma probabilmente ci sarebbe arrivato da solo- trovò la forza di sorridere –dato che con Malik è successo così-.
Altair si rallegrò a quelle parole, ma non notò comunque il tono di molto affranto di Elena. –E se glielo avessi detto io?-.
-Dirgli che cosa, poi? Che avete sottratto voi la verginità di sua figlia!? Ah! Forse sarebbe stato contento- sibilò scontrosa.
-No, scusami- intervenne lui –era una domanda stupida- disse serio.
-Sì, parecchio- sibilò la ragazza.
-Ma venendo a noi- Altair si tirò su. –Ascolta bene e cerca di sognarti una tattica che funzioni, sono stato chiaro? Domani mattina avremo i minuti contati, necessari solo a stabilire il percorso più breve sulla carta e raggiungere il Palazzo…-.
Altair le fece una lunga lista di luoghi, appostamenti. Accennò al fatto che nessuna pattuglia di guardie effettuava cambi fino alla sera successiva, così da non avere buchi nel quale presunti assassini avrebbero potuto infiltrarsi. Le disse che si era occupato dalla stragrande maggioranza degli arcieri sui tetti e che l’avrebbe accompagnata fin dentro la sala dell’Incoronazione che Elena, dannatamente, poté a stento immaginare dato il fatto che non vi era mai stata. Rauf sarebbe venuto con lei, l’avrebbe scortata oltre e si sarebbe mimetizzato tra i posti a sedere spartani vicino all’ingresso. Altair, invece, avrebbe vegliato su di lei dall’alto dei balconi che affacciavano sulla navata principale.
Pochi minuti per un lavoro pulito e accurato. Prima del suo ingresso in sala, Corrado avrebbe sostato nella parte nord del ovest del palazzo in una delle stanze riservate. Avrebbero colpito all’alba anche prima che si svegliasse.
-Domani, 21 Aprile 1193, a quest’ora, Corrado sarà già morto- concluse così il suo discorso, ed Elena annuì soddisfatta.
-Ora esci di qui, prima di prenderti un accidenti- l’assassino si chinò a raccogliere un asciugamano abbastanza grande e glielo porse.
-Posso fare da sola, o dovete…- mormorò lei percependo il calore delle guance aumentare.
-Sì, scusa- si voltò e andò dritto verso le scale. Ascoltò il fruscio dell’acqua smossa dai suoi movimenti, ma sull’ultimo, senza che Elena se ne accorgesse, si girò per scorgere da lontano la morbidezza dei suoi fianchi e le goccioline correre verso il basso correndo lungo le sue gambe.
Nient’altro, poiché Elena fosse di spalle e si avvolse svelta nell’asciugamano stringendoselo attorno al seno. Le arrivava appena a metà coscia, ma già quella vista lo fece sorridere.
-Ehi!- la ragazza afferrò un cuscino e glielo scagliò contro.
Altair fece un passo indietro e lo afferrò al volo. Non disse nulla, ma sul volto gli comparve un sorriso strano: divertimento e gioia, questi due elementi mescolati ad un incredibile imbarazzo. –Scusa- sussurrò appena.
Elena rimase immobile, di fronte a lui. –Siete stato voi a dirmi che andava bene così, ed io non ho insistito oltre- mormorò.
-Sì, ma quello tremendamente confuso sono io. Quindi non pensare a me- lanciò il cuscino dove Elena l’aveva pescato e si avviò al piano di sopra.

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Capitolo 50
*** Vani incontri, belli duelli ***


Vani incontri, belli duelli











Quando tornò al piano di sopra, già vestita della sua veste, Elena si strinse nelle spalle e andò a sedersi sullo sgabello dinnanzi al tavolo da scacchi. I capelli ancora umidi li teneva legati in una coda alta.
Malik l’adocchiava ogni tanto circospetto nel mentre la sua unica mano lo teneva impegnato nella tra scrittura sulle Cronache di qualcuno degli assassini lì presenti. –Finisco subito, poi sono da te per la cena- le disse.
-Non ho fame- brontolò lei.
-Stiamo scherzando?- domandò serio Malik continuando a scrivere. –Che per caso siete telepatici? Avete la stessa malattia?!- fece sbigottito squadrano sia lei che il suo maestro. –Tu, mia cara, sei pelle e ossa, e questo qui mi fa il depresso! Non mangiate tutti e due da tre giorni, ed è l’unica spiegazione concreta- si voltò a guardare l’altro assassino. –Come mai vi si è bloccato lo stomaco in questo modo?- chiese, ma non ottenne risposta.
Altair era appoggiato alla parete con le braccia conserte e fissava assorto il pavimento sotto i propri stivali. Elena, in disparte nel buio, contemplava le pedine parecchio turbata dalla piega degli atteggiamenti del suo maestro.
-Ehi! Parlo ad entrambi voi!- strillò Malik attirando l’attenzione.
-Fratello, se non ha fame non puoi pretendere di imboccarla- proruppe Altair.
Il capo sede sbuffò scocciato. –Sì, ma dato che siete sotto la mia responsabilità e domani sarà una giornata pesante, non posso permettere che andiate in missione senza aver messo qualcosa sotto i denti. È inammissibile, oltre che parecchio strano- commentò.
Rauf e Abbas chiacchieravano nella stanza accanto. Sopra il tetto della Dimora si apriva un magnifico cielo stellato, e Gerusalemme taceva nel silenzio della notte.
Altair sorrise. -Comunque sia, ribadisco: se non ha fame, non possiamo costringerla-.
-Parli così solo per dare una scusa a te stesso! Guarda che a te ti ci imbocco!- sbottò Malik.
-Chi ti da certe libertà?- ridacchiò il suo maestro. -Cancella subito l’ultima frase!- lo minacciò.
-Devo restare imparziale, mi spiace- sorrise beffardo Malik. -Non puoi interferire ed è il mio occhio soltanto a giudicare- assentì divertito.
-Come sei arrivato ad una tale conclusione?!- si stupì Altair abbassando il tono.
Malik si girò ad afferrare dalla libreria un piccolo tomo che poi aprì sul tavolo. Prese la penna che intinse nell’inchiostro e cominciò a scrivere. –Se lasciassi alcune testimonianze nelle vostre Cronache, almeno in futuro si saprebbe che la causa della vostra morte in missione è stata per astinenza da cibo!- eruppe. –Pertanto, mi astengo nell’alludere a tutti- rise sotto i baffi –e dico tutti i dettagli-.
Elena osservava assorta le pedine della scacchiera prendendone in mano una e ammirandone la lavorazione elaborata e dettagliata. Sembrava non curarsi affatto di cosa stessero discutendo, ma al contrario, come non dava a vedere, non si aspettava altro che una divertente chiacchierata tra i due cui assistere imparziale! E chissà, magari di mezzo ci sarebbe andata lei, ma la cosa l’avrebbe ulteriormente rallegrata.  
-No, aspetta- borbottò Altair avvicinandosi. –Come prima cosa non ti permetto di portare certa sfortuna alla missione, quindi corna!-.
Elena soffocò una risata, ma un istante dopo si schiarì la gola tornando assorta sugli scacchi.
-E come seconda punto, che genere di dettagli?- domandò allungandosi sul tavolo.
-Oh, bhé- fece il vago. –Ci siamo capiti, no?-.
-Mi stai ricattando!-.
-Veramente ce l’ho anche con la ragazza!- ridacchiò il capo sede, ed Elena s’irrigidì.
-Io?- balbettò la Dea indicandosi.
Malik sbuffò divertito. –Ditemi che almeno domani…-.
-Ti preoccupi troppo- sospirò Altair.
-Mi preoccupo il giusto!- ribadì il capo sede.
Altair si allungò sotto il bancone e afferrò una mela dal cesto nascosto nelle dispense. –Prendi!- la lanciò alla sua allieva che l’afferrò al volo. –Almeno lo fai contento- brontolò.
-Sì, e tu chi sei? La figlia dell’oca bianca?!- digrignò Malik guardandolo serio, afferrando un’altra mela e battendola sul tavolo. I due si fissarono allungo contorti in un’espressione che metteva paura.
Ma in un breve lasso di tempo scoppiarono entrambi a ridere.
Elena strusciò la mela sulla stoffa della tunica e prese a mordicchiarla col sorriso.
Nel mentre la ragazza consumava la sua cena, Altair si sedette dinnanzi a lei spostando in avanti la prima pedina.
La Dea inarcò un sopracciglio. –Voi…-.
-Avanti, prima che cambi idea- rise. –Sta a te muovere-.
Elena lo guardò in silenzio, alquanto sorpresa del fatto che volesse confrontarsi con lei agli scacchi.
-Attento Altair! Secondo me rischi la reputazione in questa Dimora- ridacchiò Malik riponendo le Cronache ai loro posti.
Dall’altra sala si udirono le risatine sconnesse degli altri due assassini.
-Vedremo- le sorrise l’uomo che aveva di fronte, ed un istante più tardi Elena accolse benevola la sfida.
Il cavallo bianco di lei si mosse di tre caselle avanti e una destra, e neppure mezzo secondo dopo Altair avanzò scoperchiando la barriera impenetrabile dei suoi pedoni spostandone avanti quello che precedeva la sua regina.
-Non dovevo riposare?- domandò ad un tratto la ragazza.
-Ha ragione, perciò sii clemente e lasciala vincere- intervenne Malik studiando la carta stesa sul tavolo.
Altair si voltò lentamente. –Grazie- sibilò.
Il Rafik allungò le labbra in un sorriso tutt’altro che veritiero. –Prego-.
-Mi avreste fatta vincere?- chiese lei sorpresa.
Altair tornò a guardare la scacchiera e poi lei. –Ovvio che no!- rise.
Elena lo fulminò con un’occhiataccia.
-Va bene, forse mi sarei abbassato al tuo livello, ma…-.
-Al mio livello?!- si sporse in avanti.
-Che c’è, vuoi fare sul serio? D’accordo! Ma guardati anche dai tuoi alleati…- sogghignò maligno.
-Tremo dalla paura-.
-E poi si sorprende che le piace quella. Ci credo, lui stesso è ancora un ragazzino- brontolò tra sé e sé Malik.
-Ti ho sentito!- proruppe l’assassino, ed Elena arrossì miseramente. –E giuro che te la faccio pagare, Malik- digrignò rabbioso.
-Ma quanto vi volete bene…- mormorò la ragazza ridendo di gusto.

La partita si chiuse in fretta, con la schiacciante vittoria del suo maestro che, senza un briciolo di pietà, aveva saputo intrappolare il suo Re con poche abili manovre.
-La sua è tutta memoria. Impara delle mosse e non se le scorda più. Una volta che sarai in grado di riconoscere i suoi spostamenti, lo metterai all’angolo con la stessa facilità- le aveva sussurrato Malik quando si era seduta al bancone della Dimora per bere dell’acqua, giusto prima di coricarsi.
E le ore di sonno nel frattempo si accorciavano. Pur di ritardare il tempo del riposo, Elena aveva contemplato allungo le dettagliate cartine della città. Accovacciata accanto alla parete con la mappa poggiata sulle gambe incrociate, era stata lì le ore ad osservare assorta vicoli, cunicoli, chiese e piazze. Doveva far sua quella città come le sue tasche. Se l’indomani avesse dovuto affrontare una fuga, avrebbe saputo cavarsela egregiamente senza il soccorso né di Rauf e né del suo maestro, che era ben intenzionata a lasciare stupefatto della sua buona abilità.
Il giovane assassino dal cappuccio grigio e Abbas risposavano tra i cuscini nella camera accanto; Malik sembrava aver chiuso appena gli occhi appoggiato alla parete dietro il bancone, e la ragazza restava accovacciata nello studio con una candela poggiata sullo sgabello vicino. A quel tenue chiarore, coccolata dal calore dei tappeti sui quali sedeva, si convinse che sarebbe potuta crollare in sonno da un momento all’altro. Ma invece avrebbe resistito: il distretto povero della città richiedeva ancora le sue attenzioni, e non le bastava sapere dove trovare dei buon nascondigli; doveva riconoscere strade, ricordare palazzi e simboli.
Altair si sedette ad un tratto al suo fianco, ma Elena tentò di non dare a vedere l’incredibile imbarazzo che le metteva la sua vicinanza soprattutto negli ultimi giorni. Diede un contegno al rossore delle guance e ritentò più volte di riacchiappare la concentrazione perduta, ma nulla da fare…
Altair la guardava, e quelle sue occhiate repentine l’assoggettavano parecchio. Forse era un suo modo per dirle basta, per ordinarle di spegnere quella maledetta candela, ripiegare quella cartina, stendersi e chiudere gli occhi fino all’indomani. Contò che le restassero forse sette sei ore di sonno prima dell’alba, e il suo maestro la implorava con lo sguardo di sfruttarle a pieno.
Era assurdo, ma indosso ella aveva ancora tutte le parti della sua tunica; non si era neppure degnata di alleggerirsi di certe stoffe inessenziali della casacca. Il fodero della sua spada, le cinghie di cuoio e gli astucci dei vari pugnali erano adagiati vicino all’ingresso della seconda stanza, assieme all’equipaggiamento del suo maestro e quello degli altri assassini.
Altair distese un braccio e le sottrasse la carta da sotto il naso. –Basta, va’ a dormire-.
-Ehi!- gli si lanciò contro riappropriandosi del papiro. –Chi siete, mia madre?- proruppe irritata accavallando le gambe e riprendendo da dove aveva interrotto.
Altair sorrise compiaciuto. –Ti rendi conto di cosa stai facendo? Dovresti dormire, pensa a domani come il giorno più importante della tua vita- le disse fissandola, cercando il suo sguardo, ma ella sfuggiva ai suoi occhi che l’avevano incantata fin troppe volte.
-No, ho lottato con le unghie per ottenere questa cartina e la studierò fino in fondo!- dichiarò fiera.
-Sì, con le unghie!- ridacchiò l’assassino. –Quando un uomo come quello si addormenta- indicò Malik che russava con la testa appoggiata alla libreria. –è molto difficile svegliarlo- si beffò.
Elena non riuscì a trattener il sorriso. –Ma è stato piuttosto difficile tentare di non svegliare quell’uomo- ribatté allegra.
-La mia pazienza ha un limite, Elena-.
-Vi prego, altri trenta secondi e ho finito, promesso!- proferì fissandolo nel profondo delle pupille dilatate per via della poca luce.
Altair si mise a braccia conserte alzando il mento, così da osservare il soffitto. –Il conto alla rovescia parte ora…- sospirò.
La ragazza si guardò attorno.
-Ventinove…-.
-Ma!- provò a controbattere.
-Vent’otto…- proseguì lui ridendo.
-Trenta secondi era metaforico! Mi serve giusto qualche minuto!- lo scosse per una spalla.
-Ventisette…-.
-Uffa!- alzò gli occhi al cielo scocciata.
Sulle labbra dell’assassino crebbe un sorriso sempre più gioioso. –Vent’uno-.
-Se alla fine della vostra conta non dovessi aver terminato?- disse ad un tratto.
-Quindici…-.
-In quel caso cosa …-.
Non terminò la frase che Altair le strinse il polso costringendola a mollare la presa sulla cartina; dopodiché la spinse lentamente giù sovrastandola con la sua figura. -Dicevi?- le sussurrò all’orecchio.
La ragazza deglutì a fatica, mentre il suo cuore intraprendeva una corsa folle battendo con violenza contro il suo petto. –Ehm…- balbettò.
-Vi prego, fate come se non ci fossi- ridacchiò una voce.
Altair si sollevò di colpo. –Tu! Infame, sei sveglio!- ruggì, e nel frattempo Elena si stanziò strisciando verso la parete. La guance le esplosero di un colore assurdo.
Malik scoppiò in una fragorosa risata. –Sul serio, non fate a caso a me- fece allegro il Rafik sedendo più composto sullo sgabello. –Però povera, non me la traumatizzare!-.
L’assassino d’alto rango si trattenne dallo sfuriare.
-A quanto pare ho interrotto qualcosa sì- Malik si guardò attorno circospetto. –Tanto vale togliere il disturbo- sospirò lasciando la stanza, sparendo nello stanzino accanto.
-Elena, non era mia intenzione, ma Malik ormai ha questa visione distorta di noi, e…- disse voltandosi, ma la ragazza scivolò giù fino a toccare terra con una spalla, attirò un cuscino a sé, lo strinse tra le braccia, si girò a guardare la parete e non volle più ascoltare una sola parola.
Altair sospirò pesantemente e tornò dov’era stato seduto. Attese qualche istante, contò fino a… trenta, ma Elena non gli diede segni di assenso.
Così, in preda al più nero sconforto, l’assassino si allungò verso il comodino e spense la candela con un solo, piccolo spiffero delle labbra.

Il mattino arrivò troppo presto, e di gran lunga avrebbe preferito dormire. Ma poi si ricordò che aveva un certo tale da ammazzare, suo padre da tirare fuori di galera e la cosiddetta Arma di Dio da riportare alla setta.
Insomma, si preannunciava una giornatina niente male.
Sentì una mano poggiarsi dolcemente sulla sua spalla, ed Elena aprì gli occhi in quel preciso istante, trovandosi il volto del suo maestro a pochi centimetri dal suo.
-Tutto bene?- le chiese.
Aveva l’aria di una che sprizzava allegria? No. Desiderava soltanto concludere la faccenda il più in fretta possibile, senza ritardare o posticipare ulteriormente niente che non fosse la colazione che, molto sinceramente, preferiva non fare.
Altair l’aiutò ad alzarsi, e subito dopo ella si stiracchiò sbadigliando silenziosamente dietro il palmo aperto.
-Come ti senti?- domandò ancora premuroso. Anche troppo, pensò la ragazza guardandolo male.
-Sto bene- proruppe lei scontrosa allacciandosi il fodero della spada alla vita e constatando che lui fosse già pronto e armato.
-Non hai dormito affatto, eh?- sorrise sornione l’assassino.
La Dea abbassò il capo mostrando il suo profilo. -Non proprio- borbottò.
-Ehi, voi due!- sussurrò Malik piano dalla stanza accanto. –Sì, voi! Spicciatevi, avanti-.
I due assassini si avvicinarono al bancone.
-Dov’è Rauf?- chiese Elena ancora assonnata ma senza darlo a vedere, nascondendo la sua stanchezza dietro un tono di voce serio.
Malik si apprestò a stendere una custodia di cuoio sul tavolo. -È uscito pochi minuti fa per controllare in giro la situazione, ma ora non pensare a lui!- la rimproverò truce, sfilacciando i cordini che tenevano la custodia arrotolata. Al suo interno si mostrarono una trentina di coltellini da lancio. –Mi lasciate a secco, ragazzi- blaterò il capo sede. –Spero che nel vostro viaggio come minimo vi siano stati utili tutti quei coltelli- gli fulminò entrambi con un’occhiataccia.
Altair cominciò a munirsi di pugnali, quando malik parve illuminarsi d’un tratto.
-Mi stavo quasi dimenticando- proferì assorto.
-Cosa?- chiese l’assassino.
-Assieme a te e Rauf, ad accompagnare Elena ci sarà anche un altro nostro fratello-.
-Chi?-.
-Vi raggiungerà alla porta sud del distretto medio e verrà con voi fin negli alloggi-.
-Bene, e chi è il fortunato?- domandò Elena stringendosi i lacci del guanto destro.
-È arrivata una colomba questa notte da Acri, ma il compagno Rafik non ha fatto nomi-.
-Non ci rimane tanto tempo, forza- interrompe bruscamente Altair. -Dalle la piuma, avanti- sembrava parecchio nervoso.
-Lo conosco il mio mestiere- sibilò Malik voltandosi mentre la Dea estraeva dalla custodia i coltellini necessari a rifornirsi del tutto. Quando sul suo corpo gravò in fine il peso di tutte quelle lame, si accorse che il capo sede aveva poggiato sul ripiano una bellissima, bianchissima piuma grande quanto la sua mano schiusa.
-È magnifica- commentò sfiorandola con le dita.
-La prima volta fa sempre quest’effetto?- domandò allegro Malik, e Altair sorrise spensierato.
-Perché, tu te la ricordi la prima volta?-.
Il ragazzo senza un braccio scosse la testa sospirando. –No- disse solo.
-Dopo di un primo omicidio, ne vengono talmente tanti altri, che le memorie di uno cancellano quelle precedenti…- mormorò Altair assorto.
-E senza che te ne accorgi, ogni passo avanti lascia indietro una piccola parte di te…- concluse Malik.
Elena li guardò entrambi sbigottita. Sembravano l’uno patire le stesse sofferenze dell’altro, e fu incredibilmente bello notare il legame che c’era tra di loro.
Se un tempo il suo maestro era stato alquanto asociale, vederlo così legato a qualcuno che non fosse lei la turbava infondendole una malinconica gioia.
-Ragazzi- fece Elena, attirando su di sé la loro attenzione.
-Così non mi aiutate per niente!- ridacchiò ella. –Sono già nervoso di mio…-.
Altair allungò le labbra in un nuovo sorriso. –Forza- chiamò l’ordine. –Tra quanto sarà qui il piccoletto?-.
Si udì un tonfo proveniente dalla camera accanto, ed Abbas, che dormiva sereno tra i cuscini, sobbalzò.
-Parli del Diavolo- intervenne Malik.
-E spuntano le corna!- rise l’altro assassino.
-Rafik, maestro Altair- Rauf s’inchinò ad entrambi, volgendo in fine una maggiore reverenza alla ragazza. -Dea- sussurrò.
-Che novità? La strada è buona, novizio?- chiese Malik.
Il giovane parve innervosirsi. L’appellativo novizio era davvero così dispregiativo? Si chiese lei.
-Ho trovato una scorciatoia non controllata dalle guardie che percorre le mura meridionali della città e si ricongiunge alle torri del Tempio. Avrei dovuto accorgermene prima, perché quell’ala del palazzo era vuota di soldati anche nel mentre m’intrufolavo ieri mattina- raccontò il ragazzo.
-Elena- intanto che Rauf e Altair discutevano di quest’ultimo indizio prezioso, Malik la chiamò ed ella si volse.
-Prendi la piuma, mettila in un posto sicuro. Altair ti spiegherà a suo tempo cosa farne- assentì avvicinandole l’oggetto.
-Ho intuito di mio che su di essa vi dovrò lasciare la testimonianza del mio operato- sorrise lei stringendola tra le dita e nascondendola in una delle sacche della cintura.
-Bene- Malik annuì soddisfatto. -Allora ciò che vi era da dire è stato detto, non resta che mettere qualcosa sotto i denti e partire- sorrise fiero.
-Non ho molta fame- si trattenne lei.
-Di nuovo questa storia?!- sbottò irritato. -Non ti lascio uscire da questa Dimora a stomaco vuoto, signorina- la riprese mettendo sul tavolo un cesto di frutta. -A quanto pare non ti basta aver dormito poco e male- la derise. –Tu compreso, don giovanni!-.
Altair lo fulminò con un’occhiataccia. –Mi vedi tanto magro?-.
-No, ma parecchio sciupato!- ridacchiò. –Siete entrambi degli stracci viventi- borbottò.
-Questa volta non avrai la meglio!- intervenne Elena partecipando. –E non mi lascerò imboccare!-.
-Ah! Ma io ho metodi molto più efficaci- fece malizioso.

La ragazza si issò a fatica sul tetto dell’abitazione poiché una sua mano fosse impiegata nel tenere stretta una mela matura. –Aspettami!- strillò sotto tono, e Altair si volse per aiutarla.
-Se avessi fatto meno storie nella Dimora- la rimproverò lui tirandola su di peso. –Ora non avresti questo fardello!- sibilò attirandola a sé, stringendola per il gomito.
Elena ingoiò il boccone. –Se fosse stato per me avrei aspettato di finire la mela prima di partire!- digrignò.
-Mi spiace, ma hai torto. Il tempo corre, e Rauf ci ha già preceduti verso le mura- si girò ad ammirare il paesaggio notturno dei tetti di Gerusalemme.
Il chiarore dell’alba si avvicinava alla terra annunciando l’imminente grande giorno. La città si animava lentamente dei suoi suoni, dei suoi profumi e delle sue correnti estive che le muovevano i lembi della veste mentre correva.
L’alba non era ancora sorta. Il cielo scuro luccicava delle primissime luci appariscenti solo oltre la linea dell’orizzonte. Faceva un gran freschetto, e tirava un venticello che la cullava dolcemente accompagnandola di salto in salto da un palazzo all’altro. Tutt’attorno Gerusalemme taceva dei soli suoni dei loro passi e quelli delle strade mute, avvolte dal silenzio ancora accogliente della notte.
Si mossero rapidi, scattanti.
Le guardie furono uno dei tanti imprevisti, ma quelle che incontrarono lungo il loro cammino morivano sotto taglio delle loro lame prima di poter aprire bocca. Raggiungere le mura non fu un arduo compito, e i due assassini si calarono tra le strade saltando giù dai tetti agili come gatti.
Il loro compagno era lì che li attendeva, accanto ai battenti chiusi che davano sul Regno fuori dalle mura. Le braccia strette al petto, il cappuccio grigio a celargli il volto, lo sguardo basso che, quando levò per guardarli avvicinarsi a lui, mostrò due occhi incastonati di una rara pietra verde.
-Hani! Hani!- Elena si lanciò ad abbracciarlo, lasciando alquanto interdetto il suo maestro. La ragazza lo strinse a sé con vigore, poggiando una guancia alla sua. –Che ci fai qui?- le sussurrò gioiosa all’orecchio. Era troppo tempo che non si rivedevano, e tutto ciò le metteva addosso solo una gran felicità.
-Non è ovvio?- domandò egli sorridendo. –Ti accompagno dritta alla vittoria!- la baciò in fronte, ed Elena lo lasciò fare.
-Hani, dunque- intervenne Altair, Elena si stanziò da lui e il giovane assassino chinò il capo.
-Maestro Altair- pronunciò con profondo rispetto.
-Rauf non è con voi?- chiese severo.
Hani scosse la testa. –L’ho visto dirigersi su per le mura, ma non oltre o avrei dovuto allontanarmi da questo luogo, e di conseguenza, dal nostro incontro- guardò sorridente la ragazza.
-Forza, andiamo. Statemi dietro- disse contenuto Altair facendoli strada, ed Elena e Hani lo seguirono.

-Ecco Rauf!- indicò Elena la cima della torretta che, immediatamente, si apprestarono a scalare.
Quella fu la parte più difficile del loro percorso, ma una volta in cima, la vista era mozzafiato. Peccato che non ci fu il tempo di ammirare il paesaggio che Altair la chiamò all’ordine.
C’erano i corpi di tre arcieri sullo spiazzo di quel bastione, e Rashy era accovacciata sulla piccola impalcatura di legno sospesa sul vuoto.
-Eccovi il passaggio, maestro- Rauf aprì una botola nel centro del pavimento, mostrando una scala che si avventurava nel buio per una decina di metri.
Hani, Altair, Elena e Rauf in questo preciso ordine si addentrarono negli stretti corridoi delle mura trovandoli curiosamente deserti.
Le fiaccole alle pareti mostravano il cammino fino ad uno slargo che si ramificava in altre tre direzioni.
-Da questa parte!- li chiamò Rauf incamminandosi verso il tunnel di estrema destra.
In fila l’uno dietro l’altro, i quattro assassini sbucarono in un seminterrato illuminato da delle vaste vetrate colorate. C’erano delle altre gradinate più ampie che salivano verso una porta di legno che aveva un battente aperto.
-Sempre dritto, poi a sinistra e siamo nei corridoi!- sussurrò Rauf andando in quella direzione.
-Ci sei per caso già stato, Rauf?- domandò Altair sospettoso, aggrottando la fronte.
-No- il ragazzo si fermò sulle scale. Il piede su un gradino e l’altro su un altro. –Ho solo studiato bene le cartine- strizzò un occhio nella sua direzione, ed Elena gli sorrise amichevole.
L’alba era sempre più prepotente all’orizzonte. Il loro tempo stringeva, e presero a correre silenziosamente spostandosi separati tra un’ombra e l’altra delle varie stanze che traversarono.
Era quello il palazzo di Reale di Gerusalemme, con i suoi mobili pregiati, gli incantevoli tappeti, le coloratissime finestre, e con le sue guardie mezze assopite e posizionate agli ingressi delle stanze. Gli fu facile sbarazzarsene. Bastava un pugnale, e si accasciavano al suolo; dopodiché nascondevano i corpi dietro le colonne o sotto i mobili, così da non lasciare eventuali intrugli in un’eventuale fuga.
-Gli appartamenti sono di qua!- Rauf proseguì dritto sulle scale centrali dell’enorme salone.
Da lì fino ai corridoi principali del palazzo non incontrarono una sola guardia, quando ad attenderli vi sarebbero dovuti essere battaglioni interi di uomini che gli incitavano a… soccombere.
Era tutto troppo strano, troppo facile.
Elena fu assalita dai brutti presentimenti suoi soliti. Immagini fugaci di cavalieri che saltavano fuori dai loro nascondigli da un momento all’altro e gli tranciavano la testa con colpi di spada precisi, inattesi.
Rauf si fermò, rallentando il passo. Scivolarono lungo una parete ed entrarono in una piccola stanza ornata di scaffali colmi di libri. –Da qui in poi dobbiamo procedere arrampicandoci sulla parete del Palazzo, o le guardie davanti agli alloggi ci vedranno- li informò.
Altair annuì. –Bel lavoro ragazzo. Mi sorge il dubbio come sia possibile che tu abbia smarrito quella piuma non riuscendo nella missione. Hani- chiamò, e il giovane assassino fece un passo avanti.
Elena pregò perché non lo incaricasse di…
-Hani, voglio che ti occupi tu delle guardie davanti alla sua stanza. Quando Elena fuggirà, voglio che non abbia alle calcagna un uomo di più oltre me- disse serio guardandola. Chissà quanti altri doppi sensi aveva quella frase, pensò la ragazza.
Hani annuì. –Sissignore- e dicendo così, lasciò lo studio sparendo nel buio del corridoio dal quale erano venuti.
Niente da fare. Il compito più arduo era toccato al suo amico.
-Rauf, sali questa parete esterna e raggiungi il tetto dell’edificio. Fai piazza pulita, chiaro?-.
Rauf annuì, aprì la finestra e si slanciò fuori da essa cominciando a risalire la facciata del Palazzo.
-Ed io?- domandò Elena spaventata.
-Tu vieni con me- Altair la prese per mano avvicinandola a sé, ed Elena arrossì imbarazzata. –Prepara la tua piuma, tienila stretta e andrà tutto bene- l’abbracciò di sprovvista.
La ragazza si avvinghiò a lui ricambiando con foga l’abbraccio. –So cosa devo fare- proferì seria scostandosi di poco.
-Ed io so cosa accadrà- mormorò lui abbassandosi alla sua altezza e lasciandole un lungo bacio che scottava all’angolo della bocca.
Elena socchiuse gli occhi e chinò la testa da un lato, così da far combaciare invece le loro labbra.
Restarono in quella posa troppo allungo, anche quando i polmoni di lei reclamarono aria. Il loro bacio immobile, silenzioso proseguiva, e tutto ciò per volere di entrambi; con tanto di iniziativa di Elena!
In quell’istante una marea di dubbi l’assalirono. Si chiese cosa l’avesse spinta ad agire in quel modo e che cosa le avrebbe dato la forza di ribellarsi ad un medesimo, stupido sbaglio! Ah! Si maledisse un centinaio di volte, non sapendo mai dare una spiegazione concreta alle sue azioni ingiustificabili.
Amava Altair. Ma il verbo amare era una parola troppo grossa per lei, che invece doveva conoscere tanti, troppi altri aspetti dell’amore. Era ciò che non la convinceva, perché se si fosse trattato di una semplice condizione di prospettiva, a quel paese il piano, a quel paese la setta, a quel paese Marhim e l’avrebbe spogliato lì! In quello studio nel bel mezzo dell’Incoronazione del futuro Re di Gerusalemme, con tanto di guardie assatanate che non avrebbero esitato a pattugliare ogni centimetro quadrato finché non li avessero trovati.
Dopotutto, Corrado sapeva fin troppo bene che stava venendo da lui, ma non poteva immaginare che avrebbe posticipato la missione per uno dei baci più belli di tutta la sua vita. Paragonato all’ardore di Rhami e alla codardia di Marhim, il bacio che le aveva lasciato Altair impresso sulla bocca, pregò perché non avesse cambiato o mosso nulla di differente in lei.
Elena si staccò lentamente da lui, facendo scivolare via la sua mano da quella del suo maestro. Si avviò senza voltarsi fino alla finestra e fece per scavalcarla quando, con un piede fuori e uno dentro, ascoltò la voce seria di Altair che la chiamava.
-Elena- e sentirgli pronunciare il suo nome lasciò che il suo cuore perdesse un colpo. Si girò di tre quarti, aspettando che aggiungesse qualcosa.
-Perché?- domandò egli in un sussurro.
-Da una parte- cominciò lei sorridendo mesta. –da una parte ho un uomo da ammazzare. Dall’altra, un uomo che non potrò mai amare. Mi compiaccio di aver scelto solo adesso dove andare, ma di non avervi trovato un perché- mormorò flebile senza guardarlo, ma poteva bene immaginare quali emozioni stessero traversando ogni centimetro del volto del suo maestro. -Pertanto, non posso più indugiare-.
Altair tacque alcuni istanti. Il suo sguardo si perdeva ben oltre le spalle della ragazza, ora volta completamente verso di lui.
Elena si sporse dalla balconata e si allungò verso la finestra chiusa accanto, scivolando agile da un appiglio all’altro, quando sentì una presa salda afferrarla per il polso e si voltò.
-Lascia almeno che venga con te-.
-È il mio bersaglio, non il vostro!- ruggì lei mentre il vento li scompigliava i lembi delle vesti.
Altair era serio sotto il cappuccio. –Non influirò, voglio solo… guardarti- disse allentando la presa.
Elena acconsentì con un gesto del capo, riprendendo la traversata della facciata esterna del palazzo.
La balconata degli alloggi di Corrado era cinquanta metri più avanti. Era vasta, poco più in alto rispetto a dove si trovavano ora. Salirono, saltarono agili come ragni sulla propria tela da un appiglio all’altro. E sapere che Altair fosse lì accanto a lei e che non l’avesse lasciata andare da sola le infondeva più coraggio e vigore di quanto non ne avesse pensando al solo volto morto di Corrado.
Si issarono abili sul balcone, e Altair l’aiutò ad atterrare leggera sul terrazzo prendendola per i fianchi.
Eccolo lì, appisolato sul suo bel lettuccio oltre quelle arcate colorate e dipinte di leggere arabe. Era una stanza ampia, una magnifica sala dedita solo ad un Re. Ed Elena riconobbe subito quella camera, come se ci fosse già stata.
L’aveva vista in sogno. Aveva visto quello scranno nel centro perfetto della simmetria rotonda del locale. Aveva visto quel seggio sovrastato di pergamene sul quale aveva seduto Minha nel suo incubo.
E Corrado era lì, al caldo sotto le coperte, col viso stanco e maturo affondato nel cuscino, girato nella loro direzione ma con gli occhi chiusi, i sensi vigili.
Le armi di Corrado erano su quel tavolo finemente lavorato, assieme al suo diadema d’Argento che quella mattina sarebbe diventato d’oro zecchino.
Elena fece un passo avanti, mentre Altair restò alle sue spalle, portando una mano all’elsa della lama corta.
La ragazza snodò le quattro dita della mano sinistra, le cui ossa scricchiolarono perché aveva stretto troppo forte il pugno. Fu un istante quello in cui il suo mignolo si posò sull’innesto, e la lama venne fuori silenziosa, fatale.
Elena si mosse ancora, più avanti, camminando con movenze impercettibili in quella direzione, verso di lui, verso il suo letto. Era vicinissima, poteva sentire il suo respiro, poteva ammirarne i tratti rilassati dal sonno pesante. Vedeva il suo petto alzarsi e abbassarsi, il palmo aperto poggiato di lato, dove le lenzuola erano bianche e di poco scoperte.
Avanzò ancora, fin quando non intravide l’esatta vena che avrebbe a breve trafitto.
-No!- sentì gridare ed ella si voltò.
Un’ombra, una mantella nera calò dall’alto sul corpo del suo maestro abbattendo questo al suolo, sovrastandolo. Una chioma folta e rossiccia venne fuori dal cappuccio, e Minha ridacchiò di gusto minacciando Altair alla gola con la sua stessa lama corta.
Alle sue spalle, Elena avvertì il suono di una spada che viene estratta velocemente dal fodero. –Benvenuti alla vostra fine, assassini- proferì quella voce adultera che apparteneva all’uomo che più aveva odiato in tutta la sua vita.
Altair tentò di divincolarsi a Minha che, invece, non gli permise alcun movimento graffiandogli appena il collo, così da permettere ad un fiotto scuro di sangue di ricadergli fino alla nuca. –Elena, scappa!- gridò a denti stretti.
Elena non si mosse, avvertendo il freddo prepotente di una punta d’acciaio sfiorarle la schiena, poggiarsi su di essa. –Elena- rise Corrado. –Colei che mi sfidò a tempo, e mi sfida anche oggi!- ruggì collerico.
-Elena, va’ via!- insisté Altair.
-Sta’ zitto! Tu non dovresti neppure essere qui, se non sbaglio- fece Minha maliziosa avvicinando il volto fanciullesco al suo.
-Questa giovincella dai capelli di fiamma si è mostrata molto coerente- proferì il Sovrano da dietro di lei, ed Elena ancora non poteva vederlo, mentre la sua lama premeva con più violenza contro la sua pelle. –Senza il suo aiuto, non so dove sarei andato a finire. Quando sarò Re, avrà il giusto compenso. Ma voi, non vivrete abbastanza per veder sorgere l’alba!-.
La ragazza trattenne il fiato. Tutto ciò per cui aveva lottato stava andando in fumo. Era finita. Non aveva idea di come se la sarebbe cavata ora.
Corrado fece scivolare il filo della sua lama lungo la spalla di lei fino a puntargliela alla gola, ed Elena rabbrividì, percependo il gelo del metallo sulla pelle. Il Sovrano le fu finalmente di fronte, così da guardarla negli occhi.
Aiutandosi con la punta della spada, Corrado le calò il cappuccio giù dal viso sorridendo soddisfatto. –Eh sì, siete proprio voi. Guardie!- gridò d’un tratto, ed ogni vana speranza, a quelle parole, divenne ancor più vana.
Un battaglione di crociati si rovesciò negli alloggi regali, ed Elena ne contò più di una dozzina.
Un paio di braccia andarono a sollevare di peso il corpo del suo maestro non più stretto dalle gambe snelle e bianche di Minha. Delle altre afferrarono la giovane Dea per i capelli e la fecero inginocchiare dinnanzi al Grande Corrado. Gemé di dolore, ma il suo gridolino si confuse ai versi soddisfatti dei soldati che, seppur piegati dal rispetto per il loro signore, non si lasciarono sfuggire la gioia di quel momento di vittoria.
-Questa volta non avrò… pietà!- digrignò Corrado alzandole il mento con la spada. –Sbagliai due volte a lasciarti esistere, mocciosa!- le ruggì in faccia. –Ma ora mi hai davvero stufato! Tu e quello lì!- indicò il suo maestro, ma ella non volle guardare.
Elena teneva gli occhi chiusi, con la schiena china e riversa al pavimento. Piegata sulle ginocchia al volere di un Dio che aveva scelto quel destino per lei.
-Rauf!- strillò Altair, ed ella alzò lo sguardo.
Vi era Rauf tra gli uomini che erano entrati nella stanza. Egli era in disparte, accanto a Minha che teneva le braccia conserte assistendo divertita a quello spettacolo.
Quel… quel ragazzo dal cappuccio grigio in mezzo agli uomini di Corrado spiegava molte cose… il fatto che sapesse dove andare, quando, e che non avessero incontrato problemi nel raggiungere quelle stanze.
-Bastardo, maledetto bastardo!- gridò Altair in preda alle convulsioni.
Rauf si nascose alla meglio dietro il mantello nero di Minha.
-Giusto, sono dovuto alle presentazioni. Costui segue i miei scopi fin da quando giunsi a Gerusalemme. Grazie a lui oggi siete qui- sorrise malvagio il Sovrano apprestandosi a rivestirsi della sua armatura sopra la parte superiore della tenuta che pareva tutt’altro che da notte.
Li stava aspettando. Sapeva come, in quanti e da dove sarebbero venuti. E Rauf e Minha avevano avuto un ruolo cruciale in tutto il suo piano.
-È davvero un peccato che non possiate assistere alla mia Incoronazione che si terrà a breve- disse egli sistemandosi il diadema d’argento tra i capelli. –Ma non posso rischiare che mi scappiate di nuovo da sotto il naso!- digrignò ammirandosi allo specchio. –Anche se- proseguì indifferente e più tranquillo. Si voltò. –Anche se avrei voluto occuparmi in persona di voi. Sarebbe stata una tale soddisfazione vedere il vostro sangue!- indicò il suo maestro. –Il sangue dell’assassino che senza pietà sottrasse la vita a mio padre! Che altro non era se non colui che meno al mondo meritava la morte!- sbraitò furioso.
La causa per la quale Gulielmo aveva meritato la morte era tanto vana che Altair stette muto, restio a quelle parole. Ma Corrado, più avido del parente, succedeva alla carica e bisognava più di chiunque altro di una lama che gli sottraesse la linfa vitale dalle vene!
Elena tentò di divincolarsi, strattonò la presa saldissima dei due uomini che la tenevano incollata al suolo. Provò ad alzarsi, gridò, ma ogni suo fare era più vana della stessa speranza.
-Pazientate, my lady- ridacchiò Corrado, poi si volse verso i soldati che bloccavano il suo maestro.
-Ammazzateli- dichiarò rinfoderando la spada. –E portatemi le loro teste- disse avviandosi fuori dalle sue stanze seguito da Minha, Rauf e un drappello ristretto di uomini, mentre la maggior parte dei crociati presenziava lì.
-Non ho altro tempo da spendere qui. Devo diventare Re!- gustò l’ultima parola levando lo sguardo fiero e altezzoso.
Un solo secondo più tardi che Corrado si fu dissolto nei corridoi, che l’uomo accanto a lei sguainò la sua lama e gliela puntò alla gola. –Muori- sibilò questo.
Elena chiuse gli occhi, e per la prima volta chiese il permesso di entrare in un luogo che non aveva mai aspirato a varcare. Il paradiso.
-Fermo! Fermo!- strillò Altair, e il soldati arrestò il fendente.
-Che vuoi?- sbottò la guardia.
-Ma lo stai pure a sentire! Ammazza prima lui, così ci risparmiamo il suo pianto per questa puttana!- ridacchiò in francese il cavaliere.
Erano in otto, ed erano tutti parecchio determinati a non risparmiare nessuno.
Mettere in pratica tutti i suoi addestramenti, le sue lezioni con Leila le risultò alquanto complesso. Mantenere la concentrazione, in punto di morte, era la grande dote di un assassino che sapeva cavarsela anche all’ultimo delle forze. E lei era destinata ad essere una grande assassina. Era scritto nel suo sangue che non sarebbe morta se non nel tentativo stesso di ammazzare Corrado. Voleva provarci, perlomeno. Ribellarsi al destino è un dono di pochi, pensò, e lei aveva quel dono.
Prima di riuscire a muovere un solo muscolo, assisté all’inizio del suffragio che però era ben intenzionata a bloccare sul nascere.
Un crociato che pareva di alto rango mollò un calcio al torace del suo maestro, e questo si piegò in avanti serrano i denti. Un ghigno terrificante di dolore si mostrò sul suo volto, a contrasto con quello divertito che vi era sotto l’elmo del cavaliere che l’aveva colpito.
Lo stesso uomo si apprestò a puntargli la lama al petto.
-Una morte lenta e dolorosa!- gioì un cavaliere. –Lenta e dolorosa!- ribadì. –Hanno ucciso mio fratello qualche tempo fa, e voglio fargliela pagare!-.
-E mio cugino! Era nelle truppe di Garniero!- fece un secondo.
-Sì!- strillò un altro. –Rivendicherò mio padre!-.
Elena ne approfittò fulminea.
Rotolò in avanti, scivolando via alla presa dei cavalieri. Estrasse la lama corta e portò le mani a quattro pugnali che scagliò ininterrottamente. Peccato che uno di essi andò a conficcarsi nel centro perfetto di un arazzo piuttosto che nel petto di un uomo.
Scattò in piedi e, senza realizzare cosa stesse accadendo attorno a lei, si scagliò sull’unico tra tutti i presenti che potesse nuocere al suo maestro, estraendo un quinto pugnale e perforando la fronte del malcapitato tra gli occhi.
Altair ebbe modo così di rialzarsi e sfoderare la sua lama corta, cogliendo alla sprovvista i due soldati più vicini a lui. Il sangue colò a fiotti sul pavimento, mentre i gemiti smorzati di dolore si diffondevano per la sala.
Schiena a schiena, i due assassini ingaggiarono un combattimento frenetico, senza esclusione di colpi e con tutte le tattiche possibili.
Corrado non li sarebbe sguisciato via così da sotto il naso. E bastava questo pensiero a trasportarli entrambi al massimo delle loro forze.
Quando la sala fu vuota di altri corpi vivi tranne i loro, i due si scambiarono un’occhiata complice.
-Sono contenta che siate venuto con me- mormorò Elena col fiato grossi, rinfoderando la spada.
Altair la prese per mano ricacciando la sua ne fodero. –Ora non abbiamo tempo! Dobbiamo trovare Corrado prima che raggiunga la sala!- e corsero assieme fuori da quella camera.
Il modo egregio con cui se l’erano cavata assieme era stato stupefacente, e l’adrenalina scorreva ancora a fiumi in lei all’idea di aver fallito ma di avere la doppia energia, forte nell’ideale che presto e comunque, Corrado sarebbe morto e per di più senza aspettarsi il loro ritorno.


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Capitolo 51
*** Nessuna pietà ***


Nessuna pietà






Corsero a perdifiato nei corridoi, svoltarono su per scale, in altre stanze e si gettarono giù per delle colonne.
-Sapete dove stiamo andando?!- domandò Elena, mentre la sua mano era ancora intrecciata a quella del suo maestro che la tirava dietro di sé.
-No!- fu la risposta di Altair che si guardava attorno col fiato corto.
-Eccoli!- udirono alle loro spalle, e fu la rovina.
-Di qua, presto!- Altair la trascinò in una stanza e si chiuse la porta alle spalle, girando la chiave nella serratura. –Dalla finestra!- indicò l’apertura che affacciava su un grande cortile interno. I vetri erano aperti, ed Elena scavalcò la piccola terrazza aggrappandosi al cornicione. Altair le fu affianco e la guidò verso il basso, raggiungendo la camera del piano inferiore.
-Perché scendiamo?- chiese lei col cuore che le batteva a mille, i muscoli scattanti che rispondevano ad ogni suo comando. Non si era mai sentita così viva, agile e forte!
-Dobbiamo raggiungere la Sala dell’Incoronazione, no?!- strillò lui gettandosi nel vuoto e atterrando su un balcone più in basso. Quando Elena fece lo stesso, egli l’afferrò al volo in braccio e l’adagiò al suo fianco.
-Sì, ma!!!…-.
-Sono a tiro, prendeteli!- gli arcieri sull’alto del tetto gli puntarono contro, e una pioggia di frecce cadde nella loro direzione.
-Non potevamo contare sul fatto che Rauf si fosse occupato degli arcieri!- gemé Elena seguendo Altair di corsa sul tetto. Una volta al bordo della costruzione, i due assassini si affacciarono di sotto. Perché i carri di fieno non erano mai nel posto giusto al momento giusto?! Imprecò la ragazza.
-Avanti, vieni!- Altair tornò a stringerle il polso e intrapresero un’altra direzione.
Il tratto di tetto che percorrevano era quello adornato di cupole e torri del Palazzo Reale, così ebbero modo di evitare gran parte delle frecce che si frantumavano in pezzetti a pochi passi dalle loro gambe.
Si nascosero abbracciati dietro una costruzione quadrata e attesero il tempo necessario per riprendere fiato.
-Ci sei?- le chiese lui.
Elena, che aveva una guancia poggiata sul suo petto che si alzava e si abbassava agitato, annuì. –Io sì- disse solo.
L’assassino si sporse fuori dal loro nascondiglio dando un’occhiata in giro. –Non ho idea di dove sia la Sala…- borbottò nervoso.
-Se mi aveste lasciato finire di studiare quelle carte, forse io!…- Altair le bloccò le parole in gola poggiandole una mano sulla bocca.
-Sssh!- le sussurrò. –Strilla di meno, che forse siamo sfuggiti alla loro attenzione. Magari penseranno che abbiamo rinunciato- le sorrise.
-O magari aspettano che usciamo allo scoperto!- digrignò lei.
-Quanto siamo pessimiste, eh?-.
-E voi anche troppo tranquillo! Maestro, Corrado non…-.
-Andiamo, via libera…- la tirò con sé fuori dal loro riparo e si calarono lentamente giù dal tetto appendendosi a cornicioni di finestre, tarsi nella roccia, pietre e pendagli vari della pietra lavorata e candida del palazzo. Giunsero in prossimità di un’ampia terrazza e atterrarono rumorosamente su di essa.
Ancora piegati entrambi sulle ginocchia, ascoltarono un grido di donna, e subito dopo quello più acuto di una bambina.
Quando sollevarono lo sguardo, si accorsero che Isabella e sua figlia Maria, genita di Corrado, li guardavano in un modo terrorizzato. Ella, la prossima Regina di Gerusalemme, indossava un lungo vestito turchino ricamato d’oro e, assieme al velo che però teneva abbassato sulle spalle, portava sulla testa una sfarzosa corona d’argento. La piccola che si era avvinghiata alle gambe della madre mostrava poco più di sei o sette anni, al massimo una decina. Gli occhini dilatati e impauriti da cerbiatto erano quelli di suo padre, mentre i capelli, di un biondo color camomilla, erano tutti della madre.
-Assassini…- sibilarono le labbra carnose della donna.
Altair fece un passo nella stanza e sguainò la lama corta. –Tacete, astenetevi dal gridare, e la vita vi…-.
-No!- Elena balzò nella stanza e si posizionò di fronte al suo maestro. –Rinfodera quell’arma, stupido! Non vedi che l’hai terrorizzata?!- gli rinfacciò, e Altair inarcò un sopracciglio.
-Elena, non abbiamo tempo per…-.
La ragazza gli diede le spalle e s’inchinò ad entrambe le due damigelle con estremo rispetto. –Maestà, il mio maestro è delle volte… turbato da sé stesso- convenne sorridente.
Isabella indietreggiò portando con sé sua figlia. –Siete qui per mio marito, è così?- domandò ella in un sussurro. –In quali guai si è cacciato questa volta? L’avevo avvertito di lasciar stare la Fratellanza! È per questo che siete qui? O siamo noi che cercate?- si chinò all’altezza della bambina sollevandola in braccio. La piccola Maria si strinse amorevolmente al collo della madre e mormorò con vocina flebile: -Maman… Qui sont-ils?-.
C’era il terrore negli occhi arrossati della piccola Maria, ed Elena si sentì un mostro come se dal nulla qualcuno le avesse dato la licenza di quello che era: un assassino. Reietto a caccia di sangue.
-Non vi faremo del male, ma dovete lasciarci passare, senza allertare le guardie- intervenne Altair, ed Elena gli diede una gomitata.
-Rinfoderate l’arma!- digrignò la Dea.
Alla sola vista della lama che Altair aveva in mano, Maria si stringeva con più forza e vigore al collo della mamma.
L’assassino ricacciò la spada corta nel fodero e si guardò attorno circospetto. –Fa’ in fretta!- le mormorò all’orecchio. –Se vuoi avere tatto con questa gente, fai in fretta!- aggiunse.
Elena annuì. –Maestà, voi siete con o contro l’operato di vostro marito?- domandò schietta, rigida.
-Fate a Corrado ciò che volete- fece scocciata la donna. –Ma vi prego, lasciateci andare. Non fate del male alla mia bambina- le baciò una guancia.
-No, ma dovete indicarci la strada più breve per la sala dell’Incoronazione- insisté la Dea.
-Mi stavo giusto dirigendo lì, ma non posso garantirvi che se le guardie vi vedranno con me, non oseranno…- cominciò lei, ma Altair s’intromise.
-Non c’è bisogno che ci scortiate- fece duro. –Dateci solo le indicazioni, e cercate di non essere lì quando entreremo in azione- l’ammonì truce.
Isabella fece scendere la bambina dalle sue braccia e strinse la piccola manina nella sua. –Per di là, dietro quella porta, vi è un corridoio, ed infondo c’è una scala - indicò i battenti schiusi vicino a quelli dell’ingresso principale della stanza. –Vi condurrà sani e salvi fino al podio dell’Incoronazione, sul quale saremmo dovute salire io e la mia piccina- mormorò preoccupata avvicinando la bambina al suo fianco.
-Perché ritenete che Corrado…- proferì la ragazza, che venne bruscamente interrotta da una presa salda sul suo polso.
-Non c’è tempo, Elena!- gridò Altair spingendola nella direzione che aveva indicato Isabella. Varcarono l’uscio, ed un istante dopo che furono avvolti dal buio del corridoio, nella stanza che avevano appena lasciato si udì lo sbattere di una porta.
-Maestà, state bene?!- domandò una guardia mentre il suo drappello di uomini faceva irruzione nella camera.
Isabella annuì. –Ovvio, perché non dovrei?-.
-Gli assassini del padre di vostro marito si aggirano per il Palazzo e tenteranno di assassinare il vostro promesso! Li abbiamo visti entrare da quella finestra!-.
Isabella si strinse nelle spalle riprendendo in braccio la sua bambina. La futura Regina sedette su uno sgabello di fronte allo specchio da tavolo e prese a pettinare i capelli di Maria. –Di qui non è passato nessuno. Ora, se potete scusarmi. Dobbiamo prepararci alla cerimonia- scoccò affettuosamente un bacio sulla guancia arrossata della bimba.
Maria si voltò ad osservare i cavalieri che ricevevano congedo e lasciavano la stanza, ma prima che l’ultimo di loro potesse varcare quella soglia, la bimba gridò:
-Sono andati di lì! Vogliono ammazzare papà!- indicò il portone che conduceva alla sala.
-Marie!- Isabella la strinse a sé con violenza.
-Presto, di qua!- il generale crociato chiamò a rapporto i suoi uomini e si gettarono all’inseguimento nel corridoio.
-Marie, pur-quoi?- domandò la donna dandole un piccolo schiaffo.
-Papà…- mormorò la bambina scendendo dalle ginocchia della madre e avviandosi di corsa verso i battenti schiusi.
-No, Maria!- la sgridò Isabella strattonandola. –Papà è un uomo cattivo- si chinò alla sua altezza per abbracciarla.
-No, no… loro sono cattivi!- ribadì la bimba graffiando le spalle della donna con le unghie.

-Eccoli, li vedo!-.
Una freccia partì inaspettata, il fruscio giunse lieve alle sue orecchie, ed Elena non ebbe il tempo di realizzare cosa stesse accadendo.
-Dannazione!- Altair la tirò a sé avvolgendola tra le sue braccia, riparandola dal dardo che andò a perforare di striscio la manica della veste all’altezza della spalla. Il dardo scivolò poi al suolo privo perdendosi tra le ombre.
All’assassino sfuggì uno straziante lamento di dolore, seguito dal rumore di passi in corsa dei soldati.
Ripresero a fuggire, e nel mentre puntavano diritti verso la meta ignota di quel corridoio senza fine, Altair si tastò il punto leso riconoscendo al tatto il taglio profondo della lama della freccia che aveva lesionato la pelle fortunatamente in superficie. Ma il taglio pulsava terribilmente e in modo anomalo.
Il suo maestro rallentò il passo d’un tratto, come strafatto dalla quasi assenza di energie. Spossato, si posò alla parete con una mano fermandosi del tutto.
La ragazza, che aveva corso per qualche altro metro avanti, si voltò e tornò indietro.
-Scordatevelo! Non vi lascio qua!-.
Elena gli cinse un fianco aiutandolo a camminare e per un breve tratto Altair si lasciò soccorrere, incombendo su di lei una minima parte del suo peso.
-Sono vicinissimi, stanno sfuggendo dietro l’angolo! Prendeteli, Cristo!-.
Gli scagliarono addosso altre frecce, ma i due svoltarono rapidi imboccando un corridoio differente.
Raggiunsero una piccola sala poco spaziosa e si nascosero nella penombra di un arazzo.
Fuori dalle finestre era quasi pienamente giorno. Il cielo spumeggiante del suo azzurro perfetto e ogni stella cancellata completamente. Restava solo la luna, bianca come fosse una nuvola dalla forma perfetta.
Celati nell’ombra, l’assassina strinse le braccia attorno al busto del suo maestro così da sorreggerne il peso che andava aumentare. Altair si appoggiò pienamente a lei affondando il volto nell’incavo del suo collo. Il respiro affannato della ragazza s’infrangeva sulla sua pelle leggermente imperlata di sudore, mentre Altair l’attanagliava in un abbraccio disperato, imprecando a denti stretti.
Egli teneva la bocca aperta e la mascella serrata, concentrato nel tentativo di regolarizzare il battito accelerato del cuore.
-State bene?- domandò la sua allieva in un sussurro, e con un’occhiata fugace scorse il taglio rossastro già infetto sulla spalla dell’uomo.
Altair non rispose. Eventuale cenno che quello non fosse il momento migliore per discuterne.
-Dove sono andati?- s’interrogò una guardia.
-Proviamo di qua!-.
-No, eccoli! Vedo un’ombra!- ruggì un altro.
Altair la strinse con più forza a sé, quasi con rabbia, e il suo respiro irregolare e instabile mischiato al sudore che gli traversava la fronte, erano chiari segni di ciò che meno avrebbe sperato.
-No! Siete stato…- Altair le poggiò una mano sulla bocca, facendola tacere.
Il gruppo di guardie li oltrepassò guardandosi attorno circospetti.
-Saranno andati più avanti!- disse uno.
-Ma non andranno comunque molto lontano!- gioì un secondo. –Sono sicuro di averlo colpito, quel bastardo!-.
-Se è davvero come dici, lo troveremo steso a terra cinquanta passi in là!- ridacchiò la guardia, e le loro figure corazzate della cotta di maglia si persero nell’ombra dei corridoi.
-No, no!- gemé Elena quando percepì il corpo del suo maestro perdere improvvisamente vigore e accasciarsi su di lei. –No, vi prego! Ditemi che non era veleno, ditemelo!- lo abbracciò con foga, tentando di risollevarlo, ma Altair si lasciò scivolare giù con la schiena alla parete.
-Io… io temo di sì, Elena- mormorò interrotto da singhiozzi, e finalmente sedette a terra rilassando i muscoli contratti del corpo.
-No, vi prego…- una lacrima le passò sul volto mentre gli gettava le braccia al collo. –Non fatemi questo, non lasciatemi ora!- strillò.
-Elena!- la chiamò, e la ragazza si scostò violentemente.
Altair le sorrise accarezzandole la guancia e asciugandole quell’unica lacrima. –Non sto morendo, e non morirò se non dopo averti visto compiere ciò che devi-.
-Cosa?…- sibilò incredula.
-Stupida ragazzina. C’è una sacca, dietro alla mia cintura. Vi è una boccetta trasparente con del liquido biancastro. Prendila, spicciati!- le ordinò sereno, ma il tremore che aveva sulle mani tradiva quella sua allegria. Afferrò da una seconda sacchetta un liquido differente e più pastoso che applicò superficialmente al taglio.
-Va bene- tirò su col naso dandosi mille volte della stupida. Si allungò a cercare nella piccola sacchetta nera cucita alla cintura del suo maestro e vi trovò all’interno diverse fiale. Individuò quella giusta, la stappò coi denti.
-E adesso?- chiese confusa.
-Dammi qua- Altair gliela sfilò di mano e ne rovesciò il contenuto dritto in gola, tutto d’un sorso.
-Che cos’era?- domandò.
-Terrà buona l’avanzata del veleno finché non torneremo alla Dimora, ma sappi che ho i minuti contati-.
Elena gli cinse il fianco con un braccio aiutandolo ad alzarsi, ma Altair le prese il polso allontanandola da lui. –No. Devi lasciarmi qui- disse solo, in un sussurro. –Prima che l’antidoto faccia effetto, parte dei miei muscoli si addormenteranno-.
La ragazza, terrorizzata da quelle parole, non seppe che dire. –No! Non vi lascerò qui! Mai, voi verrete con me! Forza, posso farcela anche a portarvi in braccio, io…-.
-Elena, devi andare avanti senza di me!- ruggì serio. -So che puoi farcela, so che ce la farai, e sono certo che ci rivedremo…- le sorrise. –Io me la caverò, te lo prometto. Ma tu devi andare, o non raggiungerai Corrado in tempo prima…-.
Non gli lasciò aggiungere altro e  lo abbracciò con foga, travolta dalla disperazione. –Mentite, sapete bene che se vi lasciassi qui in balia delle guardie, non trovereste altro modo di fuggire! Non posso lasciarvi, non voglio abbandonarvi al vostro destino! Se morirò, sarà accanto a voi! E se sarete voi a morire, vorrò almeno aver combattuto per impedirlo!- singhiozzò.
-Che razza di testona- borbottò l’assassino con fare allegro. –Basta, prendilo come un mio ordine, non come una richiesta! Avanti, va’… troverai l’anticamera della Sala della Cerimonia più avanti- la scostò via da sé delicatamente, ed Elena fece per alzarsi quando, sull’ultimo, le sue lacrime parvero asciugarsi da sole, mentre il suo viso si abbassava all’altezza di quello del suo maestro per lasciargli un lungo bacio sulle labbra che sapevano di medicinale.
-Avete promesso- mormorò ella intrecciando la sua mano a quella di lui. –Avete promesso che ci rivedremo, l’avete promesso!- ribadì più seria.
-Non infrangerei per nulla al mondo questa promessa- proferì gioioso.
Elena si sollevò in piedi e mosse un passo verso la direzione da prendere, ma Altair la chiamò e la ragazza si volse, come se non stesse aspettando altro.
Il suo maestro la guardava con un immenso dispiacere, la schiena poggiata alla parete, un ginocchio tirato al petto e l’altro disteso. Parlò, ma quando lo fece la sorprese di un tono di voce tutto nuovo.
-Ormai è troppo tardi, non troverai Corrado nell’anticamera della Sala. Egli avrà già avuto tempo di ripassare il suo discorso cento volte, pertanto dovrai agire durante la Cerimonia. Ci saranno gli ospiti, ci saranno i cavalieri, ci saranno civili, donne, bambini e vecchi. Tu ignorerai tutte queste persone e raggiungerai il podio della Sala. Se tutto andrà come da me previsto, Corrado sarà lì a tenere il suo discorso prima di venire incoronato, ma quando ti vedrà non esiterà a richiamare all’appello ogni singolo crociato lì dentro. Le guardie ti accerchieranno, ma tu non combatterai loro. Ti ordino io di ignorarle e correre dritta dietro la tua unica preda. Perché devi sapere che nel vedere la sua morte prossima, Corrado fuggirà e sarà allora che, troppo lento, tu lo ammazzerai. Focalizza ogni tuo briciolo di concentrazione su di lui e la sua fuga, e nulla andrà storto. Ora va’-.
-Maestro- ella chinò il capo, facendo tesoro di quell’ordine. Indietreggiò ancora, finché non si voltò e cominciò a correre perdendosi nel buio del corridoio, lasciandosi alle spalle il suo maestro che, osservandola con un sorriso soddisfatto in volto, restò immobile dov’era.

Traversò una saletta angusta ornata di cuscini e qualche divano e fece per gettarsi nel corridoio subito dopo, quando un colpo improvviso infertole all’altezza del costato la spiazzò a terra piegata dal dolore.
Si diffuse una risatina acuta per tutta la stanza, e Minha saltò giù dal cornicione della porta atterrando leggera sul pavimento, ancora avvolta da quella tenebrosa mantella nera che metteva in risalto i boccoli rossi e gli occhi verdi, ora accesi di un insolito ardore.
-Vai da qualche parte?- domandò la rossa.
Elena si tirò su a fatica, trascinandosi all’indietro e traballante sulle sue stesse ossa. –Perché, Minha?!- strillò. –Perché tradirci?! Lasciami andare, e metterò una buona parola con Tharidl per…-.
La donna arrestò la sua risata isterica e si mise a braccia conserte. –Pensi che me ne importi qualcosa di quel vecchiaccio? Lui mi ha rovinato la vita! Corrado me ne ha offerta una nuova e bellissima!- gioì mostrando la dentatura bianca e perfetta.
-Cosa ti ha promesso in cambio dei tuoi servigi, sentiamo!- ruggì Elena portando lesta una mano alla spada corta. –I suoi uomini hanno ammazzato Asaf senza alcun ripugno! Senza nessuna pietà! Ti sei schierata dalla parte sbagliata, stupida!- le rinfacciò.
Minha, profondamente irritata da tali affermazioni, scattò in avanti e le afferrò il polso girandoglielo con violenza.
Elena perse la presa sulla sua arma che cozzò al suolo, mentre la rossa dai capelli di fiamma le contorceva il braccio dietro la schiena immobilizzandola e facendola inginocchiare. –Tu dai della stupida a me?!- digrignò. –L’unica scema qui sei tu, ragazzina! Quello che fanno gli assassini è sbagliato, quello che facevo come Dea è sbagliato, quello che la setta persegue è più sbagliato ancora! Vuoi sapere cosa mi spinge a fare tutto questo? Benissimo, prima di spargere il tuo sangue su questo pavimento, voglio che tu sappia una cosa! I Poteri del Frutto sono illimitati, Elena! Sì, Corrado mi promise che Asaf sarebbe tornato tra le mie braccia! Ed è così, mia cara Elena! Chiedi a chiunque dei tuoi compagnucci di andare a scavare nella sua fossa, e non lo troveranno mai! Perché lui è qui, al mio fianco!-.
-Io non lo vedo…- blaterò la ragazza.
Minha irrobustì la presa e dalle labbra di Elena fuoriuscì un sibilo di dolore. –Non è qui perché ora veglia sul Frutto e su tuo padre ad Acri! Ah, ecco un’altra interessante novità! Tuo padre è vivo, Elena, ma dopo questo scherzetto, non credo che Corrado sarà più tanto clemente con lui!-.
-Perché non l’ammazzò a suo tempo, quando tentò di corrompermi?!- domandò Elena confusa e spaurita.
-Fu tuo padre ad indirizzare le mie ricerche sui testi che servivano a Corrado. Non solo dalle vostre biblioteche trassi le Cronache dell’assassino di suo padre, ma Kalel mi diede utili informazioni su dove trovare le pergamene che narravano dei Frutti! Fu egli stesso, Kalel, una volta che portai ad Acri quegli scritti, a decifrare gli enigmi in esso e ad indirizzare gli uomini di Corrado in Egitto! Casualità, lì trovarono ad attenderli anche tuo fratello Gabriel e l’altro Falco, se non erro! Ecco che il Potere del mio Signore cresce a dismisura! Con un Tesoro dei Templari per mano e la Corona di Gerusalemme sulla sua testa, Corrado governerà questo Regno e il mondo intero, ed io, non tu, avrò l’onore di assistere alla Rinascita di una Nuova Era!- la sua voce acuta si gonfiò di fierezza.
-Parli come loro! Come i Templari!- sbraitò la Dea.
-Dopotutto- Minha si chinò alla sua altezza. –Sono una di loro- le sibilò all’orecchio, pungente come una serpe. –E ora, muori- ridacchiò la rossa estraendo un pugnale che aveva alla cintura.
Elena serrò la mascella e irrobustì i muscoli. Con uno scatto rapido e fulmineo, sbilanciò in avanti il suo peso facendo inciampare Minha su di lei, e la donna si rovesciò al suolo nel clangore delle armi.
Elena sfuggì alla sua presa e si alzò estraendo la spada lunga dal fodero. –Combatti, se ne sei ancora in grado!- strillò ferocie.
-Mi hai stufato, bimba!- Minha si alzò con un balzo ed estrasse due lame corte da dei foderi nascosti sulla schiena.
La Dea rabbrividì. Non aveva mai contrattaccato un avversario che avesse simili armi, e Minha non esitò con l’anticipare ogni sua mossa.
La rossa la fece indietreggiare con piccoli e ben diretti colpi bassi che Elena parava con difficoltà. La sua spada corta era scivolata al suolo poco distante e le pareva l’arma adatta per contrastare i fendenti di Minha che, abile, padroneggiava i suoi movimenti con la solita grazia ed estrema agilità dedite ad una Dea.
La ragazza si piegò sulle ginocchia e balzò in avanti penetrando la sua guardia, e Minha, colta in contro piede, lasciò la presa su una delle due lame che si conficcò nel centro di un arazzo.
-Risparmierò al mio signore di vedere lo scempio delle tue carni! Morirai in questa sala, preparati!-  Minha le scagliò contro la sua seconda lama, ma Elena la deviò posizionando obliqua la spada e il contatto fu breve e un’esplosione di scintille.
Minha, a corto di armi, si avventò su di lei con una ruota così da confonderla, ed Elena ricevette una ginocchiata ben assestata all’altezza del ventre.
La Dea tenne a stento l’equilibrio e Minha, in un perfetto baricentro, la colpì ancora e ancora in una serie di giravolte che si concludevano con un dolore immenso ad una qualsiasi ed inaspettata parte del corpo.
Ma quella volta aveva la dote necessaria per contrastarla, e non poteva permettersi altro tempo o addio Corrado! Doveva agire, alla svelta, scattante, immaginando di essere vittima di uno degli spietati addestramenti che aveva passato con Leila. E la cosa funzionò.
Nel bel mezzo di una ruota, Elena afferrò la caviglia della donna disarcionandola, e Minha si ribaltò al suolo. Quando si alzò scattante, le fu di nuovo addosso, ma Elena schivò il pugno e andò a colpo sicuro con una testata.
Minha indietreggiò traballante, ma dopo poco si riebbe piegandosi sulle ginocchia e le fece lo sgambetto, così da farla inciampare a terra.
Elena rotolò di lato ed evitò il pugno poderoso dritto allo stomaco, strinse il braccio magro della donna e la tirò al suo fianco. Le due si ribaltarono più volte, con l’una le mani strette ai gomiti dell’altra pur di avere la meglio. Sembrava di assistere ad un incontro di lotto libera senza esclusioni di colpi, e così fu.
Elena la colpì di nuovo, con una bella craniata che lasciò disorientata persino lei. Minha perse il senso dello spazio per alcuni istanti, e la Dea ne approfittò, capovolgendo i loro corpi e facendo scattare la lama nascosta nel suo polso.
Fu un attimo, un istante che però parve durare in eterno.
La lama penetrò nella sua gola, e Minha dilatò gli occhi perdendo lentamente colore nella pelle. Le labbra schiuse e arrossate dalle quali non proveniva altro suono se non il gorgoglio del sangue che le saliva lungo la carotide tranciata.
Fu uno spettacolo orribile quando un fiotto di liquido rosso le scivolò fuori dall’angolo della bocca, ed un istante dopo la presa della rossa sulle sue ossa, Elena l’avvertì affievolirsi fino ad annullarsi del tutto. I muscoli tesi le si rilassarono, distese gambe e braccia. Perse la vita.
Richiamò la lama nel guanto, ed essa rientrò nel suo fodero colorata di sangue.
Era morta, la traditrice e spia Minha era morta per mano sua, ma non aveva tempo per auto lodarsi.
Si sollevò dal gelido pavimento e allontanò la vista da quel corpo cadaverico, indietreggiando fino a toccare la parete di spalle. Improvvisamente ricordò il loro primo incontro. Era stata un’innocente svista nella mensa della fortezza. Si erano parlate, si erano sorrise, e vedere un’espressione… morta stampata sul volto fanciullesco e affascinante di quella donna le fece salire al cuore una moltitudine di pene.
Si disse che aveva ucciso un innocente. Si disse che aveva tradito uno dei principi della setta, perché quella donna era una totale sconosciuta incontrata per caso. Si diede della stupida, della sciocca, lottando contro sé stessa per quello che aveva fatto. Combattuta tra due estremità. Da una parte, vi era il sorriso di una donna che rivoleva solo stringere tra le sue braccia il suo amato Asaf, e che per ottenere i suoi scopi aveva trovato luogo in quelli di Corrado. Dall’altra, vi era la donna che le aveva reso la vita impossibile.
Ma che prezzo chiesero i suoi pensieri, le sue continue perdite di tempo? Semplice.
-Eccola!- gridò una voce, ed Elena scattò fulminea fuori da quella stanza.
-Ma dov’è l’altro?!-.
-Presto! Sta scappando!-.
La ragazza corse a perdifiato, giungendo in prossimità di una vasta gradinata. La salì tutta e raggiunse il secondo piano, controllato da una continua ronda di guardie a parte quelle che le erano ormai alle calcagna.
Si sentì afferrare per un braccio, trascinata nell’ombra del vasto corridoio che stava percorrendo. Per un attimo ebbe paura e chiuse gli occhi, battendo la testa contro quella che le parve una colonna a base tonda. Quando la presa insisté sul suo polso e la tirò via di corsa, Elena li riaprì di botto.
-Hani!- strillò inchiodando e strattonandolo di fronte a sé.
-Sssh!!!- sibilò lui guardandosi attorno. –Dobbiamo andarcene, e alla svelta! Questo posto sta brulicando di crociati! Dov’è Altair?!- domandò mentre stava per riavviarsi di corsa, ma Elena restò immobile dov’era.
-Ragazzina, avanti! Stupida, non vedi che cosa sta succedendo!? In questi casi si scappa! Si rimanda la missione ormai fallita!- sbraitò collerico e, in parte, terrorizzato.
-No, Hani- proruppe lei seria. –Io resto, tu va’ se vuoi- gli indicò il corridoio sfuggendo alla sua presa attorno al braccio. –Ma Corrado morirà oggi. Quel bastardo non camperà un secondo di più!- digrignò trattenendo a stento la rabbia.
-No, Elena! Allora sei davvero sciocca quanto credevo!- Hani tentò a vano di trascinarla con sé. –Elena, ti prego! Ti ammazzeranno! Ci ammazzeranno entrambi! Ti prego, Elena!- la implorò quasi piangendo.
La ragazza restò una statua. –Hani- disse più calma, sorridendogli. –Hani, guardami-.
Egli si voltò, lentamente. –Ti guardo, e sai cosa vedo? Un ragazza che merita di vivere oltre la fine di questa giornata!- alzò gli occhi al cielo. –Se restiamo ci ammazzano!- ribadì. –Guardati attorno! Guarda quante guardie!- strillò.
Elena gli andò incontro gettandosi ad abbracciarlo. –Non cercare di fermarmi, non ci riusciresti- ridacchiò la ragazza, ed Hani rimase imperterrito di quella manifestazione d’affetto. –Ma ti prego, se credi che sia tanto rischioso allora fuggi, perché mi saresti solo d’intralcio. Ma io non posso, capisci? Altair… - mormorò flebile percependo le braccia del ragazzo stringerla per i fianchi, così da ricambiare l’abbraccio. –Altair… lui si trova ancora qui e non so che fare! Ho paura, ma sento che l’unica cosa sensata cui posso dedicarmi ora è l’assassinio di Corrado- dichiarò fiera scostandosi da lui, muovendo un passo addietro verso la direzione dalla quale era venuta di corsa.
Hani levò il mento. –Dove si trova lui?- chiese.
-L’hanno avvelenato ed ha dovuto fermarsi…- cominciò la ragazza.
-Sì, sì! Conosco i rimedi ai veleni. Avanti, vieni con me-.
-Ho detto di no!- sibilò ella sfuggendo alla sua mano aperta.
-Sciocca- sospirò Hani. –Lascia almeno che ti scorti nella sala dell’Incoronazione. O vuoi arrivarci da sola giusto per fare la grande entrata trionfale?- la derise.
-Da dove hai preso tutto questo coraggio?-.
-Dalla nostra grande amicizia-.
Elena gli strinse la mano. –Di qua!- gli indicò la via e sgattaiolarono nel buio.

Era una sala enorme, luminosa, e i partecipanti la riempivano delle loro chiacchiere confuse. Le vetrate colorate delle navate filtravano raggi di luce azzurrognoli e rossastri, altri dorati. Vi erano tanti posti a sedere da ospitare l’intera Gerusalemme, e a presiedere su un trono sull’alto dell’altare vi era un uomo dallo sguardo fiero e il portamento retto. La veste gli era stata ricamata di dettagliati motivi dorati e argentati su uno sfondo celeste, mentre sulle spalle ospitava una lunga mantella rossa porpora. Egli era Corrado che ammirava il suo futuro popolo mentre dal fondo della sala, si apprestava a raggiungere il podio traversando la navata, un corteo di crociati e Templari, due dei quali affiancavano Isabella e la figlioletta Maria.
I presenti tacquero e si alzarono nel veder comparire la Regina, e subito dietro di ella vi era l’onorevole uomo di Chiesta che avrebbe reso alla Cristianità l’evento.
Corrado, seduto bello sul suo scranno, era contornato dei suoi generali più fidati e guardava tutti con estrema superbia.
Elena strinse i pugni portando il mignolo al meccanismo della lama nascosta.
-Ferma- le fece Hani. –Aspetta almeno che abbia indossato la corona! Quando le sue guardie s’inchineranno lasciandoti libero il passaggio- le suggerì.
Si trovavano su una delle terrazze interne che affacciavano sull’androne. Da lì avevano una vista sull’intera camerata centrale, e dove adesso vi erano appostati loro, un tempo vi era stato un arciere che ora riposava bello che morto ai loro piedi, con un braccio a penzoloni fuori dal parapetto.
-No!- digrignò la ragazza. –Non gli lascerò neppure la soddisfazione dell’oro tra i suoi capelli!- e detto quello, prese a scalare la parete che scendeva nell’ombra fino alla navata di destra.
-Ti copro le spalle- le sussurrò Hani guardandosi attorno. Sulle facciate del lato opposto della sala vi erano appostati altri arcieri, e il ragazzo gli eliminò con cura sfoderando i sufficienti coltellini da lancio. Fu un lavoro pulito, e quand’ebbe finito, riconobbe la sua amica nascosta tra un gruppo di monaci dalla veste bianca.
-Perfetto- disse Hani tra sé e sé sorridendo.

I monaci l’accompagnarono fino al centro perfetto della navata. I loro passi lenti, calmi traversavano la sala in direzione del palco ed Elena era perfettamente parte del silenzio che perseguivano. Aveva fatto sue le loro movenze e la loro neutralità. Poteva essere adocchiata senza venir riconosciuta, ed andava fiera di quel grande insegnamento che le aveva lasciato il suo maestro.
Corrado era in piedi dinnanzi alla moglie che teneva per mano la piccola Maria. Il sacerdote prese la Corona d’oro dal cuscino di velluto che teneva un suo caro e si avvicinò allo scranno del futuro Re.
-Corrado del Monferrato muore oggi come Proprietario delle terre di Acri, ma nasce come Re del Regno di Gerusalemme!- pronunciò con fierezza l’uomo di chiesa. Una moltitudine di antichi canti latini si levavano alle spalle dell’interessato. Vi era un coro di anziani vestiti di bianco e rosso che cantavano assorti e dediti le litanie antiche per benedire quel giorno Sacro.
Elena si staccò dal gruppo di monaci, che proseguirono oltre tra la folla, attirando su di lei l’attenzione della sua preda.
-Non è possibile…- sibilarono le labbra di Corrado mentre questo si apprestava a sfoderare la spada dal suo fianco. –Non mi avrai prima di essere diventato ciò che sono!- digrignò l’uomo.
Elena estrasse lesta un pugnale da lancio e arrestò le braccia di Corrado prima che questo potesse solo sfiorare con un dito la Corona d’oro stretta tra le mani del sacerdote.
Egli lasciò che il diadema si rovesciasse a terra e, spaventato, intraprese la fuga come la gran parte dei presenti.
Il suo piccolo pugnale penetrò nel polso di Corrado traforandogli la pelle e alcune delle vene. Sulla sua manica bianca comparve una grossa macchina purpurea. Il Sovrano gridò di dolore, nel frattempo che Isabella scortava la figlia con sé fuori da quell’Inferno che fu.
Chi non correva via terrorizzato erano i cavalieri che emersero dai posti a sedere e si fecero largo tra la calca a mo’ di spintoni e gomitate, mentre la folla scappava urlante verso le uscite.
Elena, ancor prima di estrarre un qualsiasi tipo di arma, si lanciò alla carica sulle scale e scostò con uno strattone chiunque si parasse dinnanzi a lei.
Una volta di fronte alla sua preda, premette l’innesco della lama e si avventò contro di lui, ma…
Corrado trasse la sua lama dal fodero e deviò il suo braccio colpendo le placche di metallo sul guanto. Elena si ritrasse, rotolò sulle scale e, quando si alzò, notò con stupore che le guardie la stavano accerchiando. Erano Crociati e no, i diversi ordini di cavalieri erano ospiti alla cerimonia e le ringhiavano contro da tutte le parti.
-Uccidetela!- e nel frattempo Corrado e la sua famiglia fuggirono via per una piccola porticina dietro l’altare.
Elena approfittò del caos e si mescolò alla folla, così da aggirare gli uomini che le venivano incontro con le spade sguainate. I loro volti eran celati dagli elmi come il suo era nascosto dal cappuccio. Pareva uno scontro alla pari se non fosse stato per l’incredibile inferiorità numerica che aveva la sua parte. Ben presto si trovò costretta al duello. Gli uomini di Corrado la strinsero con le spalle al muro nella navata di sinistra, ed ella tentò di scappare via più volte.
Le ultime parole del suo maestro le tuonavano nella testa. Le aveva chiesto, ordinato di non badare alle guardie, di inseguire Corrado se mai avesse intrapreso la fuga. E così avrebbe fatto, o meglio: aveva tentato di fare, ma pareva impossibile divincolarsi a quella situazione.
Se le grida della gente in corsa verso le uscite dalla cappella le fecero venire il mal di testa, Elena si trovò costretta a stringere i denti per via del suono delle campane che venne dal campanile della Chiesa. L’allarme stava suonando, la missione era ormai compromessa, quando una figura incappucciata si calò dal balcone del piano di sopra e atterrò con un balzo proprio davanti a lei.
-Hani!- strillò la ragazza provando a tirarlo indietro, ma egli si scagliò a tutta velocità sul primo dei cavalieri che gli capitò a tiro, intraprendendo un duello con la maggior parte degli uomini di Corrado.
Il suo amico le stava aprendo la strada, stava dando se stesso in quello scontro pur di farla arrivare a Corrado. Sbaragliava un crociato dopo l’altro, e la sua maestria in combattimento la lasciò sbigottita alcuni istanti.
-Va’, Elena! Ammazzalo!- sentì gridare, e ad Hani si affiancò un secondo assassino.
-Rauf?!- domandò ella sbigottita.
Rauf si volse e le fu affianco dopo aver scagliato un piccolo pugnale da lancio nel petto di un cavaliere. –Perdonami, perdonami! Voglio rimediare, ho sbagliato! Voglio un’ultima possibilità per riscattarmi! È stato stupido, sono uno stupido!- trafisse con la lama corta un uomo che tentò di avvicinarsi a loro e un istante dopo riprese la sua litania. –Sono stato uno stupido! Tharidl mi metterà una taglia sulla testa per cosa ho fatto! Ma ora voglio aiutarti, voglio aiutare te, Hani e il maestro Altair! Se sopravvivrò, ne riparleremo! Vattene, qui ci pensiamo noi! Ammazza quel bastardo anche per me!-.
Ancora incredulo, la ragazza scartò di lato scivolando via dalla parete della navata. Senza voltarsi, raggiunse il passaggio nascosto che avevano intrapreso Corrado e i suoi familiari per svignarsela dalla sala e varcò la soglia, trovandosi a correre per un buio corridoio di pietra grezza.
Al termine di esso, Elena si trovò a salire una scala a chiocciola che correva lungo il muro di una piccola torre, fino a raggiungere l’ingresso ad un immenso salone decorato di mobili pregiati e da vaste finestre. I vetri affacciavano sulla caotica Gerusalemme con la vista sul quartiere medio della città. Il suono delle campane entrava dai vetri spalancati e si diffondeva per il palazzo accompagnato alle grida di terrore dei paesani (che giungevan fin lì), assieme ad un venticello gelido insolito.
Elena si guardò attorno, quando i suoi occhi pieni di ardore e coraggio, intravidero una figura dal lungo mantello bruno che si spostava di corsa verso una prossima sala.
Era Corrado. Ella riconobbe il luccichio della sua armatura e l’imponenza della sua figura ora chinata dalla paura. Con egli non vi erano la moglie e la figlia, segno che probabilmente le avesse accompagnate in un luogo più sicuro.
Elena lo seguì, scivolando tra le ombre del corridoio e pedinandolo con passo svelto fino in una stanzina di sola pietra adornata di qualche affresco. Era un’angusta Cappella fatta di cemento e pietre, adornata di alcune panche e un unico lungo tappeto rosso che giungeva dinnanzi al Crocifisso alto sulla parete di fondo.
Corrado s’inginocchiò svelto di fronte al piccolo altare e giunse le mani. Vederlo costretto ad un qualcuno che era più superiore di lui, ovvero Dio, ad Elena parve strano, come stonante. Perché si era riturato in quel luogo? Come e dove aveva trovato tanta stupidità?
Ella gli si avvicinò, estraendo la spada. Nessuna pietà, alcun rimorso. Quell’uomo meritava la morte e la morte lo accoglieva a braccia aperte. Probabilmente egli si accorse del leggero fruscio della sua lama estratta dal fodero, ma non si voltò, giungendo invece le mani e intonando una litania. Quand’ebbe finito, il suo viso si sollevò di poco dal pavimento e le sue ginocchia lo alzarono in tutta la sua maestosità. Il mantello gli cadeva sulle spalle e il suo sguardo vagava sui decori di quella sala magnifica, semplice, e perfetta dove morire pensò Elena.
-Ti senti realizzata, ragazzina?- sospirò l’uomo.
Elena, interdetta, indietreggiò di un passo.
Corrado si volse, portando una mano all’elsa della spada che aveva al fianco. Il suo polso sinistro era fasciato di un bendaggio buttato alla svelta attorno alla carne, un tempo tagliata dalla mira infallibile della Dea.
-Ti senti soddisfatta di ciò che stai facendo?- riprese lui. -Sei contenta di questo? Hai rovinato tutto, e sappi che non lascerò nulla in sospeso. Ti affronterò, e sono certo che tutta questa messa in scena sarà stata inutile. Sarai tu a morire, sei stata tu a giocare col fuoco, e alla fine ti sei scottata! Non proverò alcun rimorso, non lo sto provando neppure ora. Mi sento come te, esattamente allo stesso modo! Siamo più simili di quanto credi, dopotutto… ogni essere umano è simile all’altro! Siamo sulla stessa barca, come si dice!- rise isterico. –Eppure, scordatelo di avermi così facilmente! Oggi, chi morirà in questa sala non sarò io! Ho combattuto per ottenere ciò che ho e per vedere crescere in me ciò che sono! Non abbandonerò tutto questo senza combattere! E in te brucia il mio stesso ardore… assassina…- digrignò traendo la lama dal fodero. –Questa spada ha spezzato le vite di molti di voi, quand’ero ancora generale al servizio di mio padre! Ma la tua oggi non spezzerà la mia e quella della mia famiglia! Sei solo un’ingenua, non sai cosa voglia dire l’onore! Nessuno della tua razza lo sa! Siete i parassiti della nostra società costruita con sangue della fronte, non con quello della gola alla quale colpite! Siete indegni di accostarvi alla nostra grande civiltà! Voi che ne avete fondata una tutta vostra e pretendete di poter aggiustare ogni cosa col solo filo delle vostre lame! Vi sbagliate, vi sbagliate di grosso! E questo mio padre lo sapeva! Guglielmo e chiunque della Fratellanza lo sa! Sa che quello che fate è sbagliato e azzardato e porterà il nostro mondo alla rovina! Ma noi siamo nati per impedirvelo, la nostra congrega è cresciuta nel vostro sangue per impedire tutto questo! Pensa bene a ciò che fai, pensa a cosa fai e cosa farai quando nulla potrà tornare sui suoi passi! E…-.
-Basta!- gridò d’un tratto, riuscendo ad ammutolire la voce di Corrado che tuonava e rimbombava tra le pareti della stanza.
Lei socchiuse gli occhi, mettendo a fuoco sull’uomo che aveva di fronte. –Non mi frega un cane di cosa state dicendo! Se è vero ciò che pronunciate, bhé non mi riguarda! È vero, il nostro ardore è simile, combattiamo per lo stesso ideale, ma cosa me ne dovrebbe importare di questo mondo se a breve verrà, come dite voi, spazzato via?! Un piffero! Ebbene, Corrado, oggi sono qui per sostare agli ordini di chi mi ha dato l’occasione di pensare a me e a me soltanto! Oggi vi ammazzo perché è anche un mio grande desiderio dal giorno in cui fuggii dalla mia città per mano vostra!- strillò su tutte le furie. –Basta, basta! Facciamola finita!!!- scagliò un pugnale da lancio senza preavviso, ma il Sovrano lo deviò con la sua lama.
-Se intendi accorciare la storia…- ridacchiò lui avvicinandosi. –E sia. Credevo che potesse farti piacere campare qualche ultimo secondo!- scattò in avanti e diede un affondo dritto e impeccabile che Elena parò con difficoltà. Ella indietreggiò, di nuovo, fin quando non trovò un varco nella guardia avversaria e colpì all’altezza del fianco con l’impugnatura dell’arma. Corrado avvertì forse solo un solletico di quel colpo, ma Elena insisté col menare senza tregua nei punti più esposti quali spalle e gambe.
Uno scontro alla pari che si andava concludere velocemente con la stupefacente abilità che la ragazza aveva acquistato dai suoi più cari maestri. Si assottigliò in una scattante ruota e azzardò una ginocchiata, ma Corrado le afferrò la caviglia disarcionandola dal suo equilibrio.
-Vi chiamate Dee, non è così!?- sbottò l’uomo scagliandosi su di lei con la lama al cielo.
Elena rotolò di lato, e la spada avversaria cozzò al suolo in un’esplosione di scintille.
-Vi fate chiamare così!- aggiunse lui.
La giovane non rispose. Il fiato le mancava, la forza nei suoi muscoli si esauriva col passare del tempo che scorreva troppo lentamente. Se sapeva che avrebbe vinto, perché Corrado non gettava le armi?! Era stupido pensare che egli potesse cavarsela, Corrado non aveva speranze contro di lei che era dieci volte la sua agilità e venti la sua astuzia in duello! Combatterono allungo, senza mai interrompere con altre parole quel frangente che si avviava alla fine.
Era difficile stabilire, arrivati ad un certo punto, chi dei due fosse in vantaggio. Parevano entrambi sfiniti, stremati quando Corrado si stanziò da lei celando la sua spossatezza dietro il solito sguardo fiero e il portamento eretto. –Quando questa storia sarà conclusa, farò ammazzare vostro padre!- godé nel dirlo, ridendo da solo.
-No!- Elena si lanciò su di lui e lo gettò al suolo, sovrastandolo, ma ambedue si trovarono senza le rispettive armi. La ragazza  trasse la lama nascosta dal polso, ma Corrado premeva contro la forza del suo braccio tenendo la punta dell’arma lontana dalla sua gola. Elena osservò allungo il ghigno distorto del suo avversario, come la fierezza di Corrado perdeva ogni sua sfumatura quando guardava in faccia la morte. Ed ella era la morte.
In quella posa di stallo per diversi istanti, finché egli non ribaltò i loro corpi e riuscì a storcere il gomito della ragazza che gridò dal dolore.
-Pensavi di potermi battere?!- lui l’afferrò per il cappuccio sbattendole la testa con violenza al suolo. –Credevi davvero di poter riuscire?!- insisté tirandola poi per i capelli. –Sei solo una sciocca! E da sciocca morirai!- proruppe assaporando la vittoria.
Con forza disumana, la sollevò da terra e la scagliò contro la parete.
Elena batté la tempia e si rovesciò sul pavimento nel sonno dei suoi sensi. La vista le si appannava, la forza nelle gambe e nelle braccia era sufficiente a sollevare una piuma ma non il suo corpo. Quello che vide fu solo gli stivali di Corrado avvicinarsi a lei e il bagliore di una lama che riluceva tra le luci soffuse della Cappella.
-No!- poi, d’un tratto, si sentì questo grido euforico e rabbioso e la figura imponente di Corrado venne come spazzata via da una seconda presenza. E fu così che il suo maestro si mostrò sul confine tra la vita e la morte, spingendo via Corrado prima che questi potesse calare la spada sulla testa della sua allieva.
I due si rotolarono al suolo fin quando Corrado non si stanziò dall’assassino e si alzò in piedi di scatto. –Bastardo infame!- stridettero i suoi denti nel mentre si chinava a raccogliere la sua spada.
Altair era allo stremo delle forze. Tentò di alzarsi, ma in lui l’assopimento causato dal veleno premeva ancora e non gli permise di sollevarsi. Se era intervenuto in tempo per salvare ad Elena la vita, era stato perché in quel momento aveva consumato ogni suo ultimo briciolo di forze. Accasciato a terra, nel tentativo di sollevarsi e combattere.
Elena lo vide, ribellandosi alla forza che premeva in lei e la implorava di chiudere gli occhi. Ma lei non l’avrebbe fatto. Cercò a tentoni, appoggiandosi alla parete, di tirarsi su, ma quel che videro poi le sue profonde pupille fu uno spettacolo al quale assistere fu più che doloroso.
Corrado si avventò sul corpo stracciato di Altair e lo afferrò per il cappuccio, tirandolo di sua forza in piedi, così da guardarlo negli occhi. –Ancora tu? Ma non è possibile!- ridacchiò il Sovrano. –E così…- egli si volse poi ad adocchiare lei, l’allieva. –E così, se vi ritrovo qui oggi a combattere con così tanta foga, ci dev’essere qualcosa di grosso a muovere entrambi… tanto ardore può nascere da una cosa soltanto!- rise piegando la testa del suo maestro all’indietro, così da mostrare per bene la sua gola, sulla quale pelle si arrampicavano goccioline di sudore.
L’assassino respirava con affanno, sopraffatto dal veleno che quel curativo non aveva tenuto abbastanza lontano dalle sue vene. Era così che aveva speso le sue ultime energie: per darle l’occasione di…
-Scappa…- sibilarono le sue labbra.
Elena si piegò in avanti, in ginocchio sul pavimento. In sé aveva trovato un qualcosa che le aveva risvegliato il corpo, ma ciò che ascoltavano in quel momento le sue orecchie, era inaccettabile da comprendere.
-Scappa…- pronunciò ancora confusamente Altair; gli occhi socchiusi dall’immenso dolore che provava, la bocca asciutta e lo sguardo che la incantava, la implorava di dare ascolto alle sue parole. –Scappa, Elena, scappa…-.
Corrado afferrò la collottola della veste dell’assassino e l’avvicinò al suo volto. –Ma come?!- gli alitò in faccia. –Non voi che la tua amata assista alla tua fine?! Mi deludi, assassino. Vi facevo entrambi meno privi di etica…- ridacchiò isterico.
-Elena, non ascoltarlo…- Altair si voltò, ignorando del tutto il viso di Corrado. –Scappa, vattente, salvati…- sussurrò stremando.
La ragazza si sollevò in piedi traballante.
-Basta! Se c’è qualcuno che deve pagare con la vita, oggi sei tu!- sbottò Corrado poggiando il filo della lama sulla sua gola, e Altair inghiottì. –Mio padre non ti meritava abbastanza…- sussurrò Corrado al suo orecchio. –Le tue ultime parole?- gioì il cavaliere.
Altair prese un gran respiro e la guardò di nuovo.
Elena tremava tanto quanto lui. Interrogarsi su cosa fare era tanto stupido quanto inutile. Sapeva bene di dover scappare via, di dover fuggire e che non era in grado di proseguire la missione, già fallita da tempo. Avrebbe ritentato, ma era alquanto probabile che in futuro l’avrebbe accompagnata qualcun altro… stava morendo. Il veleno che gli scorreva nel sangue lo stava ammazzando. Stava ammazzando il suo maestro. Nonostante ciò, Corrado premeva la spada alla sua gola minacciandolo, rivendicando la morte di Guglielmo con quella sciocca accusa. Ed egli ci godeva. Corrado godeva nel vederli entrambi in quello stato. Si dilettava nell’assaporare le loro sofferenze, nel percepire in loro un legame che si sarebbe spezzato per sempre ad opera sua, reclamando la sua vendetta. In qualunque modo si sarebbe conclusa quella faccende, Altair voleva che si salvasse e che tornasse quando sarebbe stata più in grado di ritentare. Era il volere del suo maestro, non poteva disobbedire… e mai l’aveva fatto.
Elena indietreggiò di uno, due passi fino a poter toccare con mano la porta di legno scuro della Cappella.
Corrado insisté. –Allora? Quali sono le tue ultime parole, avanti! Sono proprio curioso!- strillò scuotendolo, ma Altair ancora la fissava.
Il pozzo profondo dei suoi occhi neri si perdevano sulla figura della sua allieva, a cercare l’azzurro immensamente triste e sopraffatto delle sue iridi. Quando lo trovò, quando i loro sguardi l’uno più rassegnato dell’altro s’incrociarono…
-Che ci fai ancora qui?- mormorò Altair con un mezzo sorriso sulle labbra. Sembrava arridere di quella situazione, sembrava cogliere l’ilarità di quella sua battutina fuori luogo.
-Benissimo!- persino Corrado ridacchiò divertito. –Ma adesso mi avete davvero scocciato…-.
Elena s’irrigidì.
Era tutto troppo simile. Quante volte aveva passato una simile situazione? Troppe, e in tutte quante non aveva fatto nulla per opporsi senza peggiorare però le cose. Pensò al Templare di quel giorno e alla sua fuga disperava verso la Dimora abbandonata, mentre il suo maestro se la cavava da solo. Pensò a quella stessa mattina, quando non aveva fatto nulla per opporsi se non impietosire Corrado stesso che si era ribellato all’idea di dover svolgere lui un certo incarico.
E ancora Altair la guardava, aspettando una sua reazione, attendendo che si voltasse e levasse i tacchi da quella Cappella. Paziente, egli sperava che Elena facesse tutto ciò, ma probabile che non la conoscesse abbastanza da poter interpretare il sorriso bieco che le si stampò in volto.
Codarda.
Stupida.
Innamorata.
Elena estrasse il pugnale da lancio, quello bello con il manico intarsiato di decori d’argento e lo scagliò a tutta velocità. Questo scivolò nell’aria e raggiunse la mano di Corrado stretta attorno all’elsa della spada che, una frazione di secondo più tardi, si rovesciò al suolo nel clangore del metallo contro la pietra.
-Dannata!- sbraitò Corrado dopo aver lasciato la presa dalla veste di Altair che invece, ricadde prima in ginocchio e poi completamente disteso, assente di ogni forza anche solo per restare a guardare.
Elena avanzò. –La questione doveva essere la nostra…- sibilò lei debolmente.
-Ma certamente!- Corrado si chinò a riafferrare la sua lama. –Con nessuno dispiacere, my lady Elena!-.
-No… Elena…- proferì agonizzante il suo maestro.
-Sta’ zitto tu!- Corrado infierì su di lui con un calcio, e l’assassino rantolò giù dalle basse gradinate dell’altare finendo dolorante e rannicchiato in una posa innaturale nell’angolo della Cappella.
Gli scappò un gemito, e il suo volto era imperlato di sudore e stretto in un ghigno di sopportazione. Il suo maestro non si alzò da lì per tutto il tempo che venne dopo.
-Fatti sotto, avanti!- la chiamò Corrado scendendo giù dalle scale.
Elena estrasse la lama corta dal fodero e si avvicinò al suo avversario insicura sui suoi passi, traballante e con la testa che le pulsava per via di quel colpo.
Ripresero lo scontro, più accanito di prima, ma nonostante l’estrema difficoltà di Elena a parare i suoi colpi, Corrado trovava altrettanto arduo il compito di respingere i suoi rari e ben piazzati affondi. Tornarono ben presto alla pari.
Corrado abbassò la lama con violenza, ma Elena schivò il colpo e la spada andò a frantumare lo schienale di legno della panca. –Dove fuggi?!- strillava l’uomo in preda alla rabbia.
Elena salì sull’altare e, da quella posizione sopraelevata, gli scagliò contro un pugnale che Corrado deviò alla svelta.
-Giochi sporco?! E va bene! Ci sto!- ridacchiò il sovrano raggiungendola e spingendole contro tutto il tavolo.
La ragazza si gettò a terra di lato, evitando di venir schiacciata dal peso dell’oggetto. Ancor più debole, tentò di rialzarsi, ma Corrado le venne incontro aprendole uno squarto piuttosto profondo sul braccio, all’altezza del gomito.
Gemé, ma trovò la forza necessaria per schivare il secondo affondo, piegarsi sulle ginocchia e azzardare uno sgambetto.
Lui e tutta la sua armatura cozzarono al suolo cadendo giù dalle gradinate, ed Elena approfittò per appoggiarsi alla parete e riprendere fiato nel frattempo che egli impiegava le sue fatiche nel tirarsi su.
-Bastarda! Non ti arrendi proprio!- strillò collerico.
Elena si portò una mano al taglio e, quando aprì il palmo davanti al suo naso, si accorse della marea di sangue che correva tra le sue dita. Il taglio era profondo, bruciante, e la rendeva più invalida di quanto non fosse già. La carne attorno alla ferita aveva assunto un colorito violaceo, e sulla pelle le si allungavano delle ramificazioni violacee come fossero radici sottocutanee, dalla forma delle vene. La linfa purpurea andò ad inchiostrare la manica della sua veste, e sul suo volto si disegnarono i segni del dolore, mentre le sue labbra si schiudevano per far venire dalla sua gola un grido stentato.
-Bastardo!- si volse lei. –Veleno! Sulla vostra spada! Bastardo!- ribadì a denti stretti.
Corrado rise di gusto, facendo scivolare le dita della mano dal polso fasciato sulla lama. –A mali estremi…- sorrise maligno –estremi rimedi- concluse.
Elena serrò i pugni e gettò a terra la sua spada.
Corrado interpretò quello come un gesto di resa e le si avvicinò risalendo sull’altare. –Di già? Non immaginavo- proferì tranquillo chinandosi ad afferrare la lama corta della ragazza che, nel frattempo, chinò la testa da un lato appoggiandosi alla parete.
Quella maledetta ferita bruciava come il fuoco. Ardeva come se le ceneri di un braciere le fossero state lanciate addosso proprio dove la carne rossa era più scoperta.
Lanciò un’occhiata al corpo del suo maestro accasciato oltre le gradinate, in un angolo della sala, e quella vista bastò a donarle un ultimo barlume di speranza.
Finse quando le gambe le cedettero, e finse anche quando si raggomitolò su sé stessa ansimando.
Corrado, cadde nella trappola e si chinò su di lei, così da poterla guardare negli occhi.
-Farà effetto a breve se tutto va bene- ridacchiò lui. –Ma nel frattempo, sono ancor più contento che tu possa…-.
Non terminò la frase che Elena alzò un braccio e si scagliò contro di lui rovesciandolo a terra, mentre un ruggito di rabbia le risaliva il petto.
Uno scatto, un sibilo, e la lama penetrò nel collo della sua preda.
Dapprima, gli occhi di Corrado si spalancarono di stupore, poi, lo stesso dolore che Elena sentiva sulla sua pelle, egli lo avvertì dritto in gola, mentre fiumi di sangue si rovesciavano sul pavimento e tra le dita di lei, strette al suo collo.
E in nell’istante in cui Elena percepì i suoi muscoli assopirsi sotto di lei, Corrado morì.
In modo disperato, quasi piangendo e ansimando dal dolore, la Dea scivolò via dal suo corpo morto stendendosi al suo fianco. Si prese qualche istante infinito o troppo corto per realizzare solamente cosa e come aveva fatto… ma tutte le volte che si ripeteva che ce l’aveva fatta, che Corrado era morto, in lei si apriva la porta con su scritto: “non è possibile…”
Stava vivendo un sogno e un incubo al tempo stesso. Ma d’un tratto si ricordò e scattò in piedi, portandosi una mano alla ferita sul braccio così da bloccare l’emorragia.
Altair era ancora lì, steso a terra in quella posa innaturale e sofferente, quasi se lo stessero ancora prendendo a calci.
Elena scivolò in ginocchio accanto a lui e lo girò delicatamente. Le sue palpebre erano abbassate come stesse solo dormendo. Il suo respiro… non era neppure certa che ci fosse, e questo pensiero bastò per poggiargli una mano sul petto e stendere un braccio dietro la sua nuca, sollevandolo lentamente e adagiandolo contro il muro.
-Avevate promesso…- mormorò, e una lacrima trasparente le solcò la guancia cadendo troppo in fretta sul pavimento. Una volta che le sue spalle furono alla parete, Elena si gettò ad abbracciarlo soffocando i suoi singhiozzi sulla veste inzozzata e lurida di polvere del suo maestro. –L’avevate promesso!- gridò terrorizzata, tremando.
Non doveva. Non poteva essere morto. Con quale scusa, poi, pretendeva di abbandonarla così? Aveva paura che risiedere in un’ultima speranza le sarebbe costata la vita, dato che un gran numero di guardie stavano pattugliando tutto il palazzo, ora avvolto nel caos più caotico.
Il suono delle campane divenne una litania distante quando, abbracciata con foga a lui, Elena percepì un tocco flebile sulla sua schiena.
Scostandosi appena da lui e dal suo corpo freddo, intravide un leggero bagliore provenire dai suoi occhi, adesso semi schiusi e volti a guardarla.
-Maestro!- gemé lei abbracciandolo di nuovo, con più forza.
In un primo momento egli restò immobile, sorbendosi tutto il calore proveniente dalla sua allieva, carezzandole amabilmente i capelli. Poi, nel riacquistare familiarità con le articolazioni, ricambiò quell’abbraccio con trasporto.
-Perché mi avete spaventata così?- domandò ella nascondendo il volto nell’incavo del suo collo.
-Speravo- cominciò lui con voce soave –che ti ricordassi che fossi sotto anestetici…- le sussurrò all’orecchio sorridendo.
-Avrei dovuto capirlo prima… che non potevate muovervi…- singhiozzò lei.
-Basta- Altair l’allontanò sa lui con delicatezza. –Asciuga le lacrime, Elena, e andiamocene da qui- fece per sollevarsi e la sua allieva gli diede una mano. Ma quando furono entrambi in piedi, ella azzardò un brusco movimento della gamba dato la scossa di dolore che la percorse da cima a fondo.
-Cosa…- mormorò sbigottito il suo maestro con una mano poggiata alla parete e l’altra protesa a sorreggerla.
-Corrado…- intervenne lei. –Ha impiegato del veleno sulla sua spada! E sono stata… ferita!- strillò agonizzante.
-Adesso non c’è tempo, devi resistere- l’abbracciò incamminandosi.
Elena s’irrigidì, rallentando il passo e parve riflettere su alcune cose.
-Fermo!- disse lei d’un tratto tornando indietro, portando una mano alla sacchetta legata alla cintura. Raggiunse il corpo steso al suolo di Corrado e si chinò su di esso. Trasse dalla sacca la piuma e la passò sulla gola insanguinata dell’uomo, macchiandone metà.
Nascose di nuovo l’oggetto nella sacchetta e tornò affianco al suo maestro. –Ora possiamo andare- proferì fiera, tradendo però quel momento pieno di gloria con la sua voce incrinata dalla sopportazione del dolore.
Altair la prese sottobraccio. –Sono fiero di te…- le mormorò con immensa gioia, e detto ciò lasciarono quella stanza che puzzava ormai troppo di sangue e veleno.

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Capitolo 52
*** La lotta alla piuma ***


La lotta alla piuma












-Hani! Hani, di qua!- Elena gridò più volte il suo nome.
Il ragazzo sollevò lo sguardo e subito scattò di corsa via dal gruppo di guardie che lo accerchiavano. Si arrampicò svelto sulle colonne della sala e, in pochi secondi fu sul loro stesso piano.
-Maestro Altair!- salutò egli col fiato corto.
-Presto, dobbiamo andare!- gridò Altair affrettandosi, e i due gli andarono dietro seguendo il corridoio che costeggiava le balconate della sala dell’Incoronazione.
-Stanno scappando!- strillò un cavaliere dal piano terra.
-Arcieri, pronti!-.
Altair in testa, Elena in mezzo e Hani che chiudeva la fila si dileguarono nel buio di una galleria di pietra che portava su una terrazza esattamente sopra l’ingresso del palazzo Reale.
-Rauf!- Elena si volse, ma Hani l’afferrò con violenza per il braccio rimettendola dritta.
-Non c’è tempo, Elena!- la riprese trascinandola.
-No! Non merita di morire! Dobbiamo aiutarlo! Dov’è? Come sta?!-.
Hani la posizionò di fronte a sé e la fissò negli occhi. –È morto, Elena! Rauf è morto aiutandomi a tenere le guardie lontane da te!-.
-Voi due, forza!- udirono e si girarono verso di Altair che si stava arrampicando più in alto, seguendo la facciata della sala.
-Morto?…- balbettò la ragazza, ma Hani le strinse il polso.
-Non ora, forza!- la strattonò ed Elena raggiunse il tetto del palazzo seguendo a ruota gli appigli presi dal suo maestro.
E gli arcieri non ebbero alcuna pietà, mentre il suono distinto, tuonante delle campane la distraeva facendole scivolare da sotto le dita ogni possibile aggancio.
Una volta sul setto, i tre assassini si calarono su una balconata vicino ed entrarono in una delle stanze laterali del palazzo.
-Da questa parte, eccoli!-.
-Diamine!- stridette Altair sfoderando la spada.
-Sono in troppi!- gemé Elena, nel frattempo Hani si parò davanti a lei estraendo la sua arma.
-Stai indietro!- sibilò il ragazzo.
I Cavalieri Templari si precipitarono nello studiolo armati, erano in sei, e alle loro spalle li seguivano un corteo di guardie molto numeroso.
Il suo maestro e Hani avanzarono su di loro e ingaggiarono un lesto combattimento per nulla alla pari.
Elena, in disparte e invalida al duello a causa del braccio ferito e infettato, si appoggiò alla parete ed estrasse, con la mano sana, quanti più pugnali da lancio le restavano alla cintura. Svolse un lavoro eccellente, agevolò i suoi compagni assassini nello scontro ma, rimasta con un solo ultimo coltellino, si guardò attorno spaurita.
Altair era in piedi sulla scrivania e combatteva dall’alto di essa disarcionando i suoi avversari con l’utilizzo degli stivali e schivando, in perfetto equilibrio, i fendenti che gli arrivavano alle caviglie.
Dal lato opposto del locale vi era Hani che, oltre all’impiego della lama corta, scagliava contro i suoi nemici alcuni dei volumi che gli capitavano tra le mani, dato la stretta vicinanza con gli scaffali zeppi di libri.
Elena sollevò il mento e guardò in alto, dove ad illuminare quella stanza dove non battevano i raggi del sole vi era un gran lampadario fatto di candele, alcune delle quali erano ancora accese e di molto consumate.
A quel punto estrasse l’ultimo suo pugnale e lo tenne stretto nella mano. Andò a caccia degli sguardi dei suoi compagni e, quando li trovò entrambi pronti a prendere parte al suo piano, si scostò dalla parete avanzando verso il centro della stanza.
-Prendete quella mocciosa!- sbraitò un Templare.
Altair saltò giù dal tavolo e cominciò a raggruppare i suoi avversari attorno a lei, portandoli il più possibile nel centro del tappeto.
Hani, nel vederla sorridere maligna, fece altrettanto scagliando contro i soldati un’intera libreria.
-Ma sono pazzi o cosa?!- ridacchiò un Templare; gli altri si scambiarono un’occhiata divertita, ma la loro allegria durò ben poco.
-Via!- gridò Elena indietreggiando e scagliando il pugnale verso l’alto, dritto a tranciare le funi che tenevano il lampadario saldo al soffitto. La struttura di metallo di questo si rovesciò al suolo ad intrappolare e schiacciare molti dei soldati, mentre un’improvvisa vampata di fuoco si allargava sul tappeto ustionando i cavalieri sopravvissuti all’impatto.
-Filiamocela!- Hani la prese per un fianco mentre Altair faceva loro strada fuori da quella camera ardente.
Le pareti, il pavimento e il soffitto della stanza che si erano lasciati alle spalle crollarono devastati dall’incendio che le candele del lampadario avevano appiccato. Con l’astuzia e l’ingegno, avevano privato l’esercito di Corrado di almeno una quindicina di uomini.
Rapidi, i tre assassini scesero le gradinate che si gettavano sulla sala d’ingresso del palazzo e intravidero l’uscita della reggia, quando sul loro cammino si contrappose un uomo a cavallo vestito di una lucente armatura; portava un lungo mantello bianco, l’elmo calato sul volto e la sua bestia calpestava il marmo della sala. Attorno a lui si radunarono altri tizi simili che spuntarono dal nulla con le spade alla mano, ma Elena notò che sul loro petto era scolpita una croce greca, rossa come il sangue che colava sul suo braccio.
-La Fratellanza!- sibilò Altair indietreggiando.
Il primo dinnanzi a loro alzò la visiera dell’elmo e mostrò un viso giovane.
-Vi prego! La Cerimonia è appena incominciata!- sbottò irritato il ragazzo dall’alto della sella, avvicinando la sua nera cavalcatura al gruppo dei tre.
Elena si strinse al petto dell’amico, e Hani la prese sottobraccio tornando con un piede sulle scale. Davanti a loro vi stava Altair che trasse la spada dal fodero.
-Sentite queste campane?!- sbraitò il giovane cavaliere. –Io le sento! E non posso credere che voi!- indicò il suo maestro con la punta della lama –che voi, lo stesso bastardo che ammazzò mio padre, vi siate permesso di togliere la vita persino a mio fratello!- era davvero su tutte le furie, mentre attorno a loro la cerchia della Fratellanza fatta di dodici, o tredici uomini stentava nel tener calmi i cavalli.
Elena capì subito chi aveva davanti: era Bonifacio. Appena un ragazzo già prestava servizio alla causa cattolica e sudicia di suo fratello maggiore Corrado. Egli, tutto suo padre e copia esatta del suo predecessore…
-La Fratellanza oggi non esiterà!- assentì un altro cavaliere.
-Ammazziamoli! In nome della Fede!-.
Bonifacio sorrise malizioso. –La voce del popolo…-.
-Ma quale voce!- ribatté Elena.
-Una donna?!- si stupì il fratello di Corrado, e dietro di lui alcuni cavalieri risero.
Elena ed Hani tentarono a vuoto la fuga tornando sui loro passi, ma in cima alle gradinate comparvero una ronda di guardie che estrassero le lame e accorciarono la distanza da loro.
-Mio signore…- lo chiamò all’ordine un cavaliere, e Bonifacio si volse sbuffando, facendo impennare la sua cavalcatura.
-Consegnatemi quella piuma!- sbraitò il ragazzo.
Elena s’irrigidì, e lanciò un’occhiata terrorizzata al suo maestro che, invece, pareva tranquillo come suo solito, ma il braccio che reggeva la spada gli tremava segno che i primi sintomi del veleno si stavano ribellando agli antidoti temporanei.
Dovevano sveltirsi, e persino la sua ferita sul gomito pulsava sempre più.
-Piuma? Come sapete della piuma?!- assentì Altair spaventando il cavallo di Bonifacio con un rapido movimento della spada. L’anima s’impennò ancora e quando i suoi zoccoli tuonarono al suolo, la cerchia di Templari si strinse ulteriormente attorno a loro.
-Siamo spacciati…- gemé Elena avvinghiandosi al suo collo, ed Hani la strinse a sé guardandosi attorno.
-Non fare così! Non migliori le cose!- s’irrigidì il ragazzo.
-Forse possiamo giungere ad un compromesso!- proferì calmo il suo maestro.
Bonifacio s’innalzò sulla sella accorciando le redini. –Un compromesso? State scherzando, vero? Quello che vogliamo da voi è solo la vostra vita. Una richiesta alla quale non è dovuto domandare per favore!- rise lui.
-Non siete nella condizione di fare accordi!- ruggì un cavaliere indirizzandosi al passo accanto a loro, ed Elena e Hani sollevarono appena lo sguardo, quando le braccia robuste dell’uomo la sollevarono per i fianchi.
Hani tentò di riavvicinarla a sé, ma l’uomo lo colpì con un calcio in pieno volto e l’assassino si rovesciò al suolo lasciandosi scappare un sussulto di dolore.
Elena non si ribellò, non ne ebbe la forza e il Templare le posizionò con sveltezza la lama alla gola. –Lei per prima!- sbottò.
Bonifacio allungò le labbra in un sorriso sornione. –Il mio compagno ha perfettamente ragione. Non avete nulla che possa riscattare la vostra… fuga!- alzò gli occhi al cielo. –Nessuna pietà per quelli come voi, assassini!- alzò un braccio e, nel momento in cui l’avesse abbassato, sul pavimento della sala si sarebbe versato il sangue della Dea stretta tra le braccia robuste come catene del cavaliere.
Altair si voltò alcuni istanti, esitò sul da farsi; sulla fronte gli comparvero delle goccioline di sudore e il suo volto era contratto in una smorfia. –Fermo- trovò la forza di dire, volgendo uno sguardo fugace alla sua allieva.
Elena d’un tratto capì, ma restò in silenzio. Se ciò che importava tanto a Bonifacio fosse… non riusciva a pensarci. Non poté crederci… ma era l’unica via.
Hani si rialzò a fatica, ma un membro della Fratellanza smontò dalla sella e lo spinse al suolo con una gomitata, pigiando poi la spada sulla sua gola, allo stesso modo di come l’uomo alle sue spalle stava facendo con lei.
-Fermo, aspetta!- insisté Altair lasciando cadere la spada, disperato. –Ti prego!-.
-Cosa c’è?!- proruppe il fratello di Corrado. Terribilmente irritato, scoccò un’occhiataccia al suo maestro e lo ammonì con un solo sguardo di non aggravare di un passo la situazione, o le conseguenze sarebbero state inevitabili e terribili.
-Lasciate andare loro… e prendete me- concluse Altair curvando le spalle, prendendo un gran respiro.
-No! No!- strillò Elena dimenandosi d’un tratto.
Sapeva che avrebbe funzionato. Cosa non avrebbe fatto Bonifacio per rivendicare la morte dei suoi familiari se non stremare l’uomo che più gli aveva arrecato danno? Era assurdo che andasse così, ma non c’era altro modo. Elena pregò che non accettasse, pregò che Dio posasse una mano sulle loro teste e li tirasse fuori da quella storia che stava finendo nei peggiori dei modi. Preferiva morire piuttosto che concedere una cosa simile! Gridò ancora e ancora, fin quando il cavaliere che la teneva stretta sulla sella le infierì un graffio sulla guancia con il filo della lama.
-E sta’ un po’ zitta!- sibilò egli.
Bonifacio inarcò un sopracciglio. –Ma no…- rise. –Sono davvero curioso di sapere perché mi state offrendo un tale… compenso. Non nego di provare più interesse per la vostra assassina che per voi!- la sua risata invase l’androne del palazzo e assieme a lui si dilettarono molti dei membri della Fratellanza.
Altair strinse i pugni e serrò la mascella. –Non ho detto questo…- digrignò.
-E allora spiegatevi meglio!- eruppe infastidito Bonifacio, e dalle narici del suo cavallo si levò uno sbuffo.
-No, no…- singhiozzò Elena. –Ma perché… perché…- pianse.
Hani nel frattempo assisteva clemente e afflitto a tutto quel vedere. Chinato in ginocchio e con la lama poggiata sulla gola, non pareva certo tra le nuvole.
Altair alzò il mento fiero verso di lui, e Bonifacio sedette più comodo sulla sella. –Lasciateli andare e in cambio avrete solamente la vita dell’uomo che uccise vostro padre e vostro fratello- mormorò.
Bonifacio raddrizzò la schiena. –E chi di voi tre è costui?-.
-Me- dichiarò Altair.
Il fratello di Corrado tacque alcuni istanti, il tempo necessario perché due dei suoi compagni gli si affiancassero a cavallo.
-Ma signore, non è per onore che li ammazziamo! Sono assassini, vi è bisogno che nessuno di loro venga risparmiato!- sbottò uno.
L’altro alla destra di Bonifacio accorciò le redini e fece impennare il cavallo. –Guardateli come chiedono umilmente pietà nel tentativo di commuovervi! Sareste davvero così suscettibili, Fratello?!- eruppe questi.
Altair, nel frattempo, rimase immobile e composto nella sua figura. Assorto in chissà quali pensieri, Elena intravide appena il nero dei suoi occhi sotto il cappuccio, prima che Bonifacio sollevasse il braccio.
-Fermatevi!- ordinò il cavaliere all’uomo che teneva stretta per la gola la ragazza, e la presa attorno alle sue membra divenne man a mano meno presente, ed Elena toccò terra con i piedi accasciandosi poi in ginocchio sul pavimento.
Bonifacio ripeté la stessa messa in scena e il cavaliere che serrava il terzo assassino, si allontanò da Hani che scattò subito in piedi e corse verso di lei.
-Bloccatelo! Tenta la fuga!- strillò un Templare, ma quando Hani si gettò ad abbracciarla manifestando le sue vere intenzioni, i cavalieri attorno abbassarono la guardie e rilassarono i muscoli.
-Stai bene?- le sussurrò Hani tra i capelli, stringendola con forza.
Elena si avvinghiò a lui che l’aiutò a tirarsi in piedi. –La ferita… fa male… tanto- balbettò ella.
Altair volse una mezza occhiata prima di tornare a guardare negli occhi Bonifacio che, con un gesto della mano, congedò i suoi Fratelli che tirarono le redini prtando i cavalli ad indietreggiare.
Fu aperta loro la via d’uscita, ma Elena e Hani restarono a guardare ammutoliti, l’uno stretto nella braccia dell’altra.
-Voi due potete andare- sibilò irritato Bonifacio. –Ma lui resta, e questa sera al tramono verrà processato dinnanzi a tutto il popolo di Gerusalemme!- esordì in fine, e un grido di gloria si levò dalle guardie attorno.
-No!- Elena si stanziò di colpo da lui e Hani non fece in tempo a fermarla. La ragazza si avventò sul suo maestro abbracciandolo di fronte a tutti quei cavalieri. Egli ricambiò l’affetto e il trasporto di quell’ultimo saluto, sorbendosi tutto il restante calore che vi era nel suo corpo. –Va’… avanti- le mormorò flebile all’orecchio.
Con un movimento piccolo e veloce, estrasse la piuma dalla sacchetta della sua cintura e la passo in quella del suo maestro, mentre l’abbraccio proseguiva accompagnato dai commenti esilaranti e bramosi dei soldati.
Rimasero in quella posa allungo. Elena non volle staccarsi da lui per quei minuti che parvero un’eternità; avvertì la mano del suo maestro risalirle la schiena fino ad arrivare alla nuca e per alcuni istanti non fece nulla se non godersi a pieno le sue carezze. Poi, d’un tratto, sollevando di poco il viso, lo baciò svelta e sfuggente, quasi non l’avesse fatto. Il tocco delle loro labbra fu a tal punto impercettibile, che nessuno dei presenti si accorse di cosa fosse realmente successo.
Allontanandosi da lui, ammirando la sua espressione rassegnata, stremata dalla tristezza, Elena tornò tra le braccia di Hani e s’incamminarono voltando completamente le spalle. Affrettarono il passo e, una volta trafitti dai raggi bollenti del sole, intrapresero le gradinate di pietra che li portarono entrambi oltre le mura del palazzo. Quando furono finalmente nascosti tra la folla cittadina e avvolti dal caos delle strade, Elena ebbe il coraggio di girare appena lo sguardo verso quell’immenso portone.
Il suono delle campane divenne sempre più flebile, finché non si spense del tutto accompagnato da una folata di vento estivo che le sollevò i lembi della veste e i capelli.
-Andiamo, avanti- le intimò Hani intrecciando le dita alle sue, e ripresero la loro calma passeggiata, confusi tra i passanti e ombrati dal cappuccio.
-Vieni- il ragazzo la fece sedere su una panca e si sistemò al suo fianco, strettamente vicino a lei. Erano appartati all’angolo di un buio vicolo che affacciava su una piazza con una fontana. I colombi se ne stavano appollaiati sui tetti, mentre nel cielo azzurrissimo sopra la città si specchiavano le nuvole bianche e candide di quella primavera perfetta. Soffiava un dolce venticello, pareva tutto così allegro, eppure…
-Perché gli hai dato la piuma?- chiese Hani.
-Voglio andare alla Dimora…- deviò lei l’argomento.
-No. Non possiamo, ci tocca aspettare che le ronde ricevano l’ordine di infischiarsene di noi o non ci arriviamo con due gambe alla Dimora. Nel frattempo, rispondi alla mia domanda- non l’aveva mai visto così serio.
-Per due semplici motivi- brontolò ella.
-E cioè?-.
-Primo: Bonifacio ha chiesto della piuma e se non fosse stato Altair a mostrargliela, avrebbe capito che non è stato lui ad ammazzare suo fratello. E la nostra copertura sarebbe saltata. Secondo: finché Altair terrà con sé quella piuma, avremo un buon pretesto per tornare indietro a…-.
-Cosa ti fa credere che Bonifacio gli lasci tenere la piuma e…- fece una pausa, sgranando gli occhi.
-Scordatelo!- sbottò improvvisamente furioso. –Ma come ti salta in testa?! Noi non torneremo lì dentro a salvargli le chiappe, chiaro? Abbiamo già rischiato troppo, la tua ferita impiegherà giorni a guarire e per allora non potremo mandare nessun altro a salvare il tuo spasimante!-.
-Non è il mio spasimante!- ruggì lei.
-Mi duole ammetterlo, Elena- si strinse nelle spalle –ma Altair ha scelto di sua spontanea volontà questo destino. Chissà la faccia di Malik quando…- borbottò.
-No…- una lacrima le passò sulla guancia. –Non puoi dire così… noi torneremo. Questa sera torneremo, quando Malik mi avrà medicata noi torneremo a prenderlo! Lo salveremo, e assieme a lui riporteremo alla Dimora anche la piuma macchiata del sangue di Corrado!- gemé andando a soffocare i suoi gemiti sulla sua spalla, ed Hani la cinse in un abbraccio di mera consolazione.
-Sai bene che le cose non andranno così…- le mormorò.
-No, no!- assentì lei continuando a piangere disperata. In quel pianto sfogò ogni suo dolore, fisico compreso dato il colorito violaceo e preoccupante della pelle attorno al taglio sul suo braccio.
-Elena, abbassa il tono, per favore- le suggerì.
-Perché dici che non possiamo fare nulla… quando non è vero?! Perché non sei pronto a dare la vita per un tuo superiore?!- sbottò ella scansandosi da lui con violenza, dandogli le spalle e incrociando le braccia al petto.
-Perché non è quello che avrebbe voluto!- rispose sincero Hani, avvicinandosi a lei. –Sei davvero così testarda?!- chiese incredulo.
-Sì!- bofonchiò lei.
-Avanti, leviamoci da qui prima che qualche arciere ci punti contro…- la prese per il polso e la tirò via per il vicolo. Salirono su una fragile scaletta di legno e raggiunsero il tetto della Dimora senza nessun problema. Troppo curioso, pensò Elena atterrando nella stanzina buia piegando le ginocchia, e subito dopo, senza riuscire a controllare i propri muscoli, le gambe cedettero e si accasciò al suolo.
-Rafik!- chiamò Hani a gran voce nel vederla in quello stato moribondo.
La vista le si appannò gradualmente, i sensi le vennero meno ma percepì chiaramente una presa salda attorno ai fianchi e la forza di due braccia che la issavano su un tavolo.

-Prendetelo-.
Basto dire questo a Bonifacio, e assieme al suo corteo di cavalieri della Fratellanza si avviò fuori dalla sala.
La forza di due paia di braccia lo sollevarono con violenza inaudita e lui non si ribellò. Lasciò che i due Templari lo conducessero nei sotterranei del palazzo Reale e si fece chiudere in gatta buia senza fiatare. Lo privarono prima delle sue armi, poi di ogni parte del suo equipaggiamento lasciandolo con indosso neppure la veste per intera. Lo depravarono del cappuccio, degli stivali, della cinta. E chissà che cosa ne avrebbero fatto di quegli oggetti. Ma prima che riuscissero a sottrargli di dosso le sacchette, estrasse dalla prima di queste la piuma macchiata del sangue di Corrado e la nascose nei vestiti, incastrandola nell’elastico dei pantaloni che, in tutta sincerità, pregò non gli portassero via.
Altair si sedé a terra, le gambe incrociate, i gomiti poggiati sulle ginocchia e lo sguardo al pavimento, mentre i pugni li teneva stretti quasi a graffiarsi i palmi con le unghie.
Era stata la cosa più sensata che avesse potuto fare, e ancora ringraziava un Dio nel quale non credeva che aveva convito Bonifacio a risparmiare la vita della sua allieva e di quel ragazzo che era fuggito con lei. Non si pentiva minimamente delle sue azioni. La scelta a questa soluzione sarebbe stata morire nel tentativo di fuggire. In un modo o nell’altro, la morte l’avrebbe portato con sé, ma scegliendo questa strada Altair aveva trovato il modo di allungare la permanenza di Elena nella parte viva del mondo. Non aveva rimpianti, ma sapeva di averne fatti nascere in altri. Si chiese che cosa ne sarebbe stato di lui, ma più che altro pregò perché Elena non tornasse indietro o che nessun altro lo facesse. Se conosceva davvero così bene la sua allieva, sapeva che ella avrebbe tirato fuori le unghie piuttosto che arrendersi all’idea che il suo maestro stesse morendo. Poteva averle insegnato male a controllare i propri istinti? Si domandò più volte se Elena avesse appreso al meglio le sue intenzioni, se avesse compreso che non voleva essere salvato, che non lo desiderava e che si sentiva pienamente realizzato morendo in quella giusta causa. Lottare al suo fianco, al fianco di una Dea, era stato un onore e una gloria che non aveva avuto pari in tutta la sua vita. E innamorarsi di lei in quel modo passeggero l’aveva colmato solo delle più gradevoli delle infatuazioni, regalandogli degli ultimi giorni davvero memorabili.
Il sole tramontava. I suoi raggi dorati s’infrangevano sulle sbarre di una piccola finestra che dava sulla strada dietro le mura del palazzo e lasciava travedere solo i piedi dei passanti.
Altair era rimasto chino, chiuso in sé stesso e nel suo dolore. L’effetto dei medicinali presi giusto qualche ora prima si andava ad affievolire. Il punto ferito dal quale era entrato il veleno bruciava intensamente, la testa gli pulsava e una fastidiosissima emicrania non gli permise di chiudere neppure gli occhi.
Ascoltò dei passi, poi il suono di una porta pesante e di legno e ferro che sbatteva, ed infine due toni distinti che dicevano:
-Signore- s’inchinò la prima guardia della cella.
Era piuttosto buio, e i suoi occhi stanchi non riuscirono a scorgere troppo oltre il suo naso. Intravide la figura retta di un uomo in piedi dinnanzi a due sempliciotti soldati.
-Desidero parlargli- dichiarò serio il fratello di Corrado.
-Ogni vostra richiesta è un ordine- s’inchinarono entrambi e una delle due guardie fece scattare la serratura della cella, aprì e richiuse la porta alle spalle del signorotto.
Bonifacio restò allungo in piedi sull’ingresso della prigione. Senza ombra di dubbio, la sua attenzione fu calamitata dal corpo rannicchiato e scosso da continui brividi dell’assassino che, non appena lo vide, tentò di dare un contegno alla sua ormai inesistente sopportazione del dolore.
-Veleno, non è così?- domandò Bonifacio avanzando nella stanza, e i tacchi dei suoi stivali tuonarono per tutta la prigione. –Mio fratello ha ordinato ai suoi uomini di intingere ogni singola freccia e spada nei barili di Sangue di Pervinca non appena arrivato a Gerusalemme- rise. –Metodo alquanto… sleale da parte sua, ma io stesso mi occupai della sua lama mentre era occupato coi preparativi della cerimonia- si guardò attorno sospirando. –Quanta fatica inutile. Mio fratello non meritava di morire prima di veder realizzati i suoi scopi! E altrettanto faceste con nostro padre… ma chi sono io per darti più colpe di quante non ne hai ne hai già, assassino?-.
Altair tacque sollevando appena lo sguardo, così da scorgere non solo i suoi stivali ma anche il suo volto.
Bonifacio, giovane e bello, si chinò alla sua altezza. –L’assassina cui non tolsi la vita questa mattina. Parlami di lei…- ridacchiò.
-Cosa… dovrei dirvi?- mormorò tremante.
-Del perché avete permesso che ti abbracciasse in quel modo! Non è spettacolo di tutti i giorni-.
-Era la mia allieva… di appena 17 anni…-.
-E così…- gli afferrò il mento alzandogli il viso. –Quello che è prigioniero in questa cella è un mastro assassino. Non posso crederci, la perla della setta, è così?-.
-No-.
-Mio padre e mio fratello non erano facili bersagli!- sbottò irritato tornando dritto. –La tua maestria, assassino, parla da sola!-.
-Lo so-.
-Quale coraggio- commentò divertito. –Donare la tua vita in cambio della sua. Devo dire che certe storielle romantiche mi sono sempre piaciute…- sogghignò.
Alcuni secondi di imbarazzante silenzio, poi Bonifacio allungò una mano verso di lui. –So che tieni con te quella piuma. Ora porgimi il sangue di mio fratello, o verserò il tuo su questo stesso pavimento!- sbraitò d’un tratto collerico.
-Che cosa ne farete?- domandò con un filo di voce, sollevando appena il mento dal petto.
-La brucerò! Che cosa vuoi che me ne faccia? Troverò un buon posto dove conservarla; avanti, dammela! Nelle tue bisacce non vi era! So bene che la nascondi nei vestiti, forza!-.
Altair sollevò un lembo della maglia mostrando la piuma stretta dall’elastico dei pantaloni a contatto con la pelle del suo fianco. La strinse con delicatezza tra le dita e la porse all’uomo che aveva di fronte.
-Godetevela. Qualcuno verrà presto a strappare via la caramella al bambino…- digrignò l’assassino osservandolo allontanarsi verso l’ingresso della cella.
Bonifacio non accennò a voltarsi e, quando il carceriere aprì la porta, sparì oltre la soglia della prigione confondendo il suono dei suoi passi e lo svolazzare del suo mantello tra le ombre del corridoio dei sotterranei.
-Mi raccomando. Tenetelo sveglio- ordinò ai soldati di guardia. –Per le otto di questa sera deve essere scortato nella piazza-.
I due si scambiarono un’occhiata complice e attesero che il loro signore si fosse allontanato a sufficienza.
-Che razza di …- sputò uno a terra. –Ma chi si crede di essere?!-.
-Corrado le arie se le dava perché sarebbe diventato Re! Ma Bonifacio resta tutt’ora solo un nobile “marchese”! E persino noi siamo di rango più alto, quasi!- rise l’altro.
-Questo scherzetto gli toccherà la vita. Ormai non resta nessuno della sua famiglia a parte lui ed Isabella- proferì il soldato, giocherellando con il mazzo di chiavi. –Prevedo che la setta di questi infami non si lascerà dietro alcun rimpianto-.
Il compagno, seduto su una panca di pietra al lato della cella, lo fulminò con uno sguardo truce. –Non coinvolgere Isabella in questa storia-.
-Donna di poca fede! L’avevo sempre saputo che complottava contro la Fratellanza. In tutti i modi ha tentato di tenere suo marito lontano dalla cerchia di Bonifacio!-.
-Isabella…- mormorò incredulo questi. –Isabella complottava cosa?!-.
-Non hai saputo? Pare che stesse nascondendo alle guardie da che parte erano fuggiti quei due- indicò la cella nella quale era tenuto l’assassino. –Mio fratello era a capo del battaglione che avvelenò questo bastardo!- rise.
Altair s’irrigidì, scosso da una nuova fitta di dolore per tutto il corpo.
-Ehi, secondo te sta dormendo?-.
-Non credo. Non è così facile sfuggire alle sofferenze del Sangue di Pervinca!-.
L’altro sbatté le palpebre più volte. –Sangue di Pervinca?!- sbottò. –Quando Bonifacio ordinò di consegnare ai suoi uomini le nostre armi, non pensavo che egli avesse escogitato di…-.
-Alla famigliola del Monferrato quello che manca è l’onore- disse tutto d’un fiato.
-Guglielmo di onore ne conservava anche troppo-.
-Ed era proprio questo che infastidiva gli assassini!- sospirò.
Nel frattempo in cielo si accentuarono le primissime stelle.

-Dannazione!- digrignò Malik. Il suo sguardo furioso indugiò sul taglio profondo e violaceo che la ragazza aveva sul braccio.
-Che succede?- chiese Hani intimorito.
Abbas, dalla stanza accanto, si sollevò dai cuscini e raggiunse il bancone sul quale era adagiata Elena aiutandosi con una stampella. –Posso essere d’aiuto?- si offrì.
Malik tacque alcuni istanti poggiando una mano sulla fronte della ragazza. –Ha la febbre. Hani, aiutami a levarle di dosso i vestiti- ordinò, e subito si misero all’opera.
-Quanto tempo fa è stata ferita?- domandò il Rafik sfilandole gli stivali.
Nel frattempo, Elena pareva essersi solo addormentata, stesa sul bancone della Dimora. Le palpebre abbassate, il corpo immobile erano chiari segni positivi se analizzati da un occhio non attento. Ma chi di esperienza ne aveva, poteva notare il sudore bagnarle la pelle alla radice dei capelli e un sorriso contratto dal dolore, come se assieme al sonno, la sua mente fosse stata invasa da un terribile incubo al quale non poteva sottrarsi.
Hani non seppe che rispondere. –Non so, con esattezza!- sbottò slacciandole la cintura e adagiando i foderi delle armi a terra. –Probabile un’oretta fa, o di più!-.
Una volta con indosso soltanto la canottiera e i pantaloncini corti, i due si affrettarono a trafficare con quanti più possibili composti e intrugli che alleviassero il dolore attorno al taglio. Malik analizzò attentamente il colorito insolito della pelle attorno al punto ferito e in fine decise di applicare un liquido verdastro estratto da una boccetta che teneva nascosta tra gli scaffali.
Ne era rimasta giusto una goccia e, quando il liquido s’insinuò nella fessura tra un lembo e l’altro della pelle, il braccio intero di Elena fu pervaso da un brivido e le venne la pelle d’oca.
-Garza- chiamò Malik, e Hani gli passò il rotolo.
Avvolgendo stretta la ferita, fasciando l’intero arto della ragazza dalla spalla al polso, pregò perché quel fugace intervento bastasse a annientare gli effetti del veleno; ma nel frattempo la temperatura della febbre aumentava.
Hani e Malik l’adagiarono tra i cuscini e la coprirono con una coperta abbastanza spessa così da ripararla da eventuali colpi di freddo. Quando nella Dimora tornò il silenzio, le prime stelle in cielo stavano già comparendo mentre il solo iniziava la sua discesa verso l’orizzonte occidentale.
-Dov’è Altair?- domandò il Rafik sedendo stravolto sullo sgabello dietro il bancone.
Era stato un duro lavoro, c’era da ammetterlo, ma per ora Elena riposava tranquilla in un angolo della stanza in perfetta armonia.
Hani abbassò lo sguardo in un modo afflitto che fece subito preoccupare l’assassino senza un braccio.
-È rimasto indietro ad occuparsi delle guardie, non è così!?- chiese mentre nei suoi occhi mandorlati si accendeva un barlume di terrore. Eppure, non poteva…
Il novizio si strinse nelle spalle sedendo a terra, accanto all’allieva del grande mastro Altair che, dopo il passare di quella notte, avrebbe concluso in quella città i suoi giorni.
-Mi dispiace…- mormorò Hani voltandosi, sfuggendo all’occhiata ansimante del Rafik.
Malik, senza fiato, sbigottito da una tale affermazione, scattò in piedi e si portò la sua unica mano al volto, cominciando a fare su e giù dietro al banco. –No…- assentì stropicciandosi gli zigomi. –Non posso crederci… non è possibile… non Altair- continuò.
Abbas, dalla stanza accanto, chinò il capo in modo complice. –Che dura perdita- brontolò.
-No!- ruggì Malik improvvisamente, e il suo grido fece rivoltare Elena sotto le coperte.
La ragazza si svegliò di soprassalto, sollevandosi seduta e guardandosi attorno.
Hani si avvicinò a lei e l’abbracciò.
Malik, nel frattempo, diede le spalle a quella scena e si ritirò nello stanzino.
-Che cosa… è successo?- mormorò ella con voce tremante, stringendosi all’amico con una tale forza che Hani avvertì i muscoli contratti attraverso il solo contatto delle sue braccia. –Credo che Malik l’abbia capito da solo…- le sussurrò all’orecchio, tentando di essere il più delicato possibile.
Elena abbassò il volto sprofondando il viso nell’incavo del suo collo, e soffocò lì i suoi singhiozzi.
-Altair…- gemé piangendo senza freno.
Hani le accarezzò i capelli, la schiena, tentando di consolarla in ogni modo che gli era concesso.
-Mi spiace- disse egli.
Elena si scostò da lui con violenza e si sollevò in piedi; non voleva ascoltare le sue parole, ma piuttosto cercò di trovare conforto e comprensione nella persona che tra tutte si sentiva come lei.
Entrò nello stanzino e trovò Malik seduto sui gradini, nascosto nell’ombra. Raggomitolato come un gatto, sofferente, stretto attorno al corrimano delle scale; teneva l’unica mano a coprirgli gli occhi, sugli angoli dei quali comparivano alcuni luccichii argentati rilucenti nel buio della piccolissima stanzetta.
Elena si avvicinò a lui sedendogli accanto.
Chissà dove trovò una tale confidenza, si chiese mentre lo abbracciava. E Malik assecondò la sua richiesta, seppur con un certo stupore iniziale. In breve ricambiò quell’abbraccio e si lasciò andare con trasporto stretto a lei, avvolgendola col suo unico braccio. Elena lo sentì tirare su col naso, poi colse la sua mano andare ad asciugare le due lacrime due che gli passavano sotto gli occhi. –Grazie- proferì il Rafik in un sussurro. –Posso a stento immaginare quanto siano simili le nostre sofferenze… ora- aggiunse malinconico.
Elena, senza staccarsi da lui, serrò i denti. –Mi dispiace, ma è stata colpa mia- singhiozzò scostandosi di poco.
Malik le aggiustò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ed Elena poté cogliere il rossore dovuto al pianto nei suoi occhi. Conosceva da troppo poco quell’uomo per poterlo giudicare come un amico. Ma se il legame tra lui e il suo maestro era stato tale, non poteva che trovare conforto in lui piuttosto che altri.
Altair era stata forse la persona che li aveva avvicinati, ed ora che, doleva dirlo, non c’era più… cosa avrebbe fatto accrescere la loro amicizia? La Dea avrebbe dovuto continuare a trattarlo come un qualunque Rafik, esponendo i fatti di un indagine e contestando le Cronache. Eppure… Malik le infondeva fiducia con un solo sguardo, e con un solo pensiero sapeva riempire la sua mente di tutti i ricordi che Elena aveva di quando il suo maestro le raccontava del suo periodo di assassino, prima che perdesse il braccio sinistro e suo fratello.
-Colpa tua?- rise lui tristemente. –E perché, sentiamo?-.
-Ho permesso che accadesse… non ho impedito che succedesse!- strillò tornando a soffocare i suoi singhiozzi sulla veste scura del Rafik.
Malik chiuse gli occhi. –La piuma- domandò d’un tratto assorto. –L’hai macchiata? Sei riuscita a portarla indietro?-.
-No! L’ho lasciata a lui… Corrado è morto… ma…-.
Ad interrompere le sue parole fu un tonfo, e poi un grido di dolore.
Malik ed Elena si sollevarono in piedi e scattarono di corsa fuori dallo stanzino.
Nell’ingresso della Dimora vi era una figura incappucciata di un copricapo grigio. Le ginocchia piegate per attutire il colpo.
Hani fece un passo avanti irrompendo nella sala. -Rauf?!- domandò interdetto.


Il cielo era macchiato di una magnifica tonalità rosso scura, tinta di arancio nella parte più vicina al sole che tramontava all’orizzonte.
Altair osservò i raggi purpurei attraversare le sbarre della finestrella e specchiarsi sulla pietra fredda del pavimento, proiettando buffi giochi di luce.
La notte si avvicinava, e contò che dovessero restargli sì e no due ore di vita prima del processo. Era stato condannato a morte, gli toccava quella fine che il destino aveva scelto per lui. Non si sentiva affatto un ingenuo a porre fine ai suoi giorni in quel modo. Anzi, tutt’altro: era più che realizzato nei suoi scopi. Sapere che Elena stesse bene gli bastava. Aveva abbandonato da tempo ogni tentativo di fuga o speranza in un miracolo. Non era quel genere di credente che chiedeva aiuto ad un Dio nel quale non poneva alcuna fiducia.
Se ne stava così, per i suoi pensieri quando il suono flebile, indistinto di passi si avvicinò piano alla sua cella.
-Lady Isabella!- scattò in piedi una guardia che, col passare del tempo, si era più che beatamente appisolata sulla panca.
Anche il secondo soldato di ronda si fece attento salutandola con un inchino.
Altair si alzò traballante avvicinandosi alle sbarre della sua cella, sporgendosi all’esterno di essa.
Vide la moglie di Corrado nel centro dell’androne della prigione. Vestita di un lungo mantello grigio e col cappuccio abbassato, le erano celati pure gli abiti turchini. I capelli biondi e lunghi tirati in un ordinato chignon. Ma ciò che colpì maggiormente l’assassino fu il corteo di cavalieri Ospitalieri che ella aveva alle spalle.
Uno di questi estrasse la spada e non esitò a trafiggere nel centro del petto la guardia con le chiavi della cella legate alla cintura. Un altro Ospitaliere mozzò la testa al secondo carceriere, e i loro corpi si accasciarono all’unisono al suolo.
Lady Isabella si guardò attorno e i suoi occhi neri, calmi di Regina incontrarono quelli dell’assassino.
-Eccolo!- sussurrò ella ai suoi uomini. –Tiratelo fuori, presto- ordinò.
I cavalieri si avvicinarono alla sua cella e forzarono la serratura con la chiave. Altair si fece indietro finendo con le spalle alla parete della gabbia. –Non può essere già…- mormorò spaurito.
Le braccia robuste di due Ospitalieri lo afferrarono trascinandolo fuori dalla cella, dinnanzi alla quasi Regina.
-Altair Ibn La-Ahad. In nome della Corona di Gerusalemme siete libero di andare- pronunciò la donna con fare superiore.
Non poté credere a tal parole, ma i fatti confermarono il miracolo.
I cavalieri si allontanarono da lui e Isabella si spogliò della sua mantella grigia porgendogliela.
Egli l’afferrò e la strinse tremante tra le mani. –Non capisco…-.
-Per ora vi basti cogliere questa mia iniziativa senza contestare, assassino- dichiarò. –Ma fate in fretta. Non vi resta molto tempo prima che gli uomini di mio cognato giungano qui per portarvi al patibolo!-.
-Come posso ringraziarvi?-.
Isabella chinò il capo. –La vostra allieva ha dimostrato già i sentiti ringraziamenti. Corrado sbagliò a seguire le orme di suo padre, e sono lieta che qualcuno abbia interrotto la catena prima che potesse essere troppo tardi…-.
Gli mancò improvvisamente il fiato, e vestendosi della mantella che Isabella gli aveva lasciato, chiese: -Che ne sarà della vostra Corona di Regina? Quando Bonifacio…- provò a dire, ma una nuova fitta dovuta al veleno gli scacciò via le parole di bocca.
Isabella s’irrigidì. –Mi spiace non potervi offrire le dovute cure, ma spero che riusciate a raggiungere la Dimora prima di perdere completamente la vita. Il distretto controllato dagli Ospitalieri vi sarà ospitale, perciò passate di lì- gli suggerì alludendo agli uomini che le erano fedeli. –Ma per rispondere alla vostra domanda, vi basti sapere che io e Maria avremo modo di mostrarci in futuro…- sorrise.
Altair abbassò il capo e accennò un inchino. –Grazie ancora, Maestà-.
Altair sgattaiolò nel buio, ma improvvisamente Isabella lo richiamò ed egli si volse.
-Quasi dimenticavo- gli andò affianco, estraendo da una taschina ricamata nel vestito azzurro la piuma macchiata del sangue di suo marito. –Tenete- gliela passò in mano, e Altair non esitò a stringerla tra le dita.
-Perché fate questo?- chiese lui soave.
Prima che ella potesse rispondere col sorriso sulle labbra, si udì un grido:
-Isabella!- strillò una voce familiare, tuonante. –Isabella, ferma!-.
-Andate!- la donna lo spinse via e Altair corse nel corridoio dileguandosi nel buio avvolto nel grigio mantello.
Bonifacio e i suoi uomini giunsero dinnanzi ai cavalieri Ospitalieri al servizio della Regina, ed egli per primo non poté credere a ciò cui aveva assistito.
-Isabella! Perché?!- ruggì Bonifacio con la spada in pugno, puntandole la lama alla gola.
La donna diede ordine ai suoi uomini di non intervenire, mentre i soldati di Bonifacio si lanciavano all’inseguimento dell’assassino fuggito.
-Non sono dovuta a darvi alcuna spiegazione!- ribatté lei.
Il fratello di Corrado, in preda alla collera, la colpì alla tempia con l’impugnatura della spada e la donna si rovesciò a terra priva di sensi.
-Stupida puttana!- digrignò. –Andate, e portatemi la testa di quell’assassino!- impose ai cavalieri lì presenti.
Questi con la croce Ospitariera sull’uniforme nera non si mossero, e un grido spaventoso si levò dal petto dell’uomo.

-Non sono Rauf, stupido!- ansimò l’uomo dal cappuccio grigio.
Elena si scagliò su di lui e abbracciò il suo maestro, ma questi perse l’equilibrio e cadde di schiena sul tappeto della Dimora.
-Non è possibile!- strillò invasa dalla gioia, avvinghiandosi al suo collo e singhiozzando su di lui. –Non ci credo! Siete vivo!-.
Malik assistette alla scena cercando di dare un contegno all’immensa commozione che stava prendendo piede sul suo volto. –Già- sospirò smorzato.
Hani accennò appena un sorriso. –Elena, così lo ammazzi tu!- rise.
Il grigio copricapo gli scivolò sulle spalle così da mostrare il suo volto, ed Elena si stanziò dalla sua veste lo stretto necessario per osservare da molto vicino il nero di quegli occhi. –Maestro- mormorò.
Egli, in preda agli spasmi per via del veleno, tentò di sollevarsi e in suo aiuto accorse il Rafik che gli porse una mano, mentre l’allieva scivolava via dal suo corpo.
-Devi fare qualcosa… alla svelta…- disse Altair diretto all’amico senza un braccio.
-Immaginavo che fossi stato ferito; nulla se non il veleno avrebbe potuto farti cadere nelle mani nemiche; avanti, vieni- gli mostrò la strada fino nella stanza accanto.
Elena lo strinse ancora, sostenendolo per un fiancalo e aiutandolo a raggiungere il bancone al quale si appoggiò del tutto.
-Risparmia il fiato per quando starai meglio- gli suggerì Malik raggruppando tutto lo stretto necessario sul tavolo. –Limitati a fare un bel sorriso alla tua allieva, piuttosto, che era parecchio in pensiero- ridacchiò il Rafik accennando una buffa allegria.
Elena arrossì. –Non ero l’unica ad essere parecchio in pensiero- ribadì, e Malik le scoccò un’occhiataccia.
-Azzardati a farci prendere di nuovo un colpo del genere, e…- il Rafik non terminò la frase che Elena percepì le intere forze del suo maestro affievolirsi del tutto, e il corpo di Altair si accasciò per intero contro il suo.
-No!- gridò la ragazza spaventata.
Il battito del suo cuore stava rallentando, il suo respiro era smorzato dalla sola fatica di tenere gli occhi aperti; così, dopo pochi secondi, li chiuse e non li riaprì per molto tempo.


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Che palle!!! Quanto sto allungando sull’argomento veleno… vabbé, a parte questo, mi è piaciuto scrivere alcuni degli avvenimenti narrati qui. Non che ci sia tutta ‘sta allegria, lo ammetto, ma dubito fortemente che alcune parti non vi abbiano emozionato quanto me!!! XD Ebbene, non credo di avere grossi chiarimenti per questo capitolo, così passo ai ringraziamenti individuali.

Ecco chi ha aggiunto la mia ff ai suoi preferitiiiii:

_Angelic Shadow (aggiusta questo cazzo di PC!!! XD)
_Assassin (salveeee !!! Ma a quanto pare non ci conosciamo!!! XD Fa nulla!!! XD)
_Carty_Sbaut ( Sono contenta che questi ultimi capitoli ti appassionino tantoooo!!! Wuhhahahaha!!! Recensisci appena puoi!!! XD)
_Diaras (silenzioooooo!!! XD)
_goku94 (Bella frate! Allora, com’è stato questo macro chiappo? :D )
_Kasdeya (Però, ogni volta mi domando come tu abbia fatto a sorbirti 40 capitoli in una botta sola arrivando in così poco tempo a pari passo con gli ultimi post O___O XD!!! Spero che questo capitolo abbia lasciato il segno come quelli precedenti!!! XD)
_Lilyna_93 (saluti al vecchio accaunt!!!XD)
_renault  (ti muovi ad arrivare a leggere qui?!?!?!? XD Scherzo, fai con calma! Solo che sono impaziente di leggere cosa ne pensiiiii!!! XD)
_Saphira87 (allura… XD E sì, contenta che sia stata la tua la 100° recensione!!! XD Vado fiera del modesto successo della mia ff!!! Dunque, quali sono le impressioni del Gran Maestro Saphi? <.< XD )

E detto questo, vi saluto miei cari ascoltatori e vi do appuntamento al capitolo nel quale si scoprirà quale atroce fine farà il nostro assassino favorito! XD Me bastarda, me non vuole mandare avanti la storia!!! Me ha troppe idee drammatiche per il prossimo capitoloooo!!! XD
Un bacio a tuttiiiii
Elik.







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Capitolo 53
*** Gloria e fiducia ***


Gloria e fiducia










Il suo corpo era brividi continui. Il suo volto contratto in una smorfia inverosimile, gli occhi chiusi da ormai troppo tempo. Tutta quell’agitazione la metteva terribilmente in ansia, ma allo stesso tempo cercava di non manifestarsi più disperata di quanto non lo fosse già. Lo stava guardando morire, e ciò le dilaniava il cuore a furia di sprangate. Lo osservava dall’alto mentre era disteso tra i cuscini, passando delicatamente una pezzetta inumidita sulla sua fronte imperlata di sudore. Soffriva: in lui aveva preso piede il male più brutale; lo stesso dolore che Elena stava traversando sulle sue carni, tentando invano di distaccare le sue sofferenze dovute al veleno nel suo sangue all’immensa tristezza che provava nel guardare il suo maestro in quelle condizioni. Era notte fonda: le stelle brillavano nel nerissimo cielo specchiandosi sulle terre tranquille e silenziose attorno a Gerusalemme. Erano state le ore più lunghe della sua vita quelle trascorse a prendersi cura di lui. Forse c’era persino scappata la preghiera con le poche parole di latino che conosceva. Era rimasta al suo fianco, rinfrescandogli il viso di tanto in tanto con il fresco della pezza bagnata che, dopo aver immerso nel secchio lì accanto, si apprestava a strizzare dell’acqua in eccesso. Non si stancava mai di ripetere all’infinito le stesse azioni, non perdeva un istante del suo tempo per poter carezzare la pelle bronzea e magnifica di quel volto che, sperò sopra ogni dire, in un qualsiasi momento riacquistasse il suo solito colore vitale.
-Elena-.
La ragazza si volse di scatto.
Malik la osservava da lontano, seduto al bancone della Dimora. Metà del suo viso era nascosto nell’ombra degli scaffali, e l’altra mostrava una serietà che la inquietava parecchio.
-Per ora può bastare. Vieni qui e lasciamolo riposare- mormorò il Rafik, ed ella ubbidì sollevandosi lentamente in piedi.
Adagiò la pezza sul bordo del secchio di legno e si avvicinò al bancone a sguardo basso. Lanciò un’ultima occhiata alle sue spalle, vegliando premurosa sul suo maestro anche da quella distanza.
Malik gonfiò il petto prendendo un gran respiro. –Dovresti distrarti, provare a prendere sonno, per esempio- le suggerì accennando un sorriso, ma Elena non gli diede quasi per niente ascolto.
Il Rafik non si arrese certo così facilmente. –Non nego che può essere dura, ma devi sforzarti di pensare ad altro…- tentò.
La ragazza giunse le mani in grembo e chiudendo gli occhi si sedette di fronte a lui. –Sono ore che và avanti così…- mormorò flebile.
-Ho fatto tutto il possibile, e ti sono grato dell’aiuto che mi hai dato. Ma come ti ho già detto, devi concentrarti su qualcos’altro almeno finché non…- fece una pausa. –finché le cose non miglioreranno o viceversa- sospirò affranto.
La Dea protese il suo silenzio oltremodo, ma questo fu interrotto bruscamente dalla voce dell’uomo che aveva davanti.
-Tu come ti senti?- chiese severo Malik.
Elena sollevò la testa di poco lanciandogli una risposta col solo sguardo: male… molto male.
-In che senso?- insisté lui preoccupato.
Stava male per tutto: il bruciore al braccio, il mal di testa incessante, i crampi ai muscoli e un torcicollo pazzesco. Ci si mettevano pure la febbre che non aveva accentuato nessun abbassamento della temperatura e l’intollerabile spossatezza che a mala pena si reggeva sulle gambe. Questi erano i suoi fastidi da un punto di vista prettamente fisico… c’era da aggiungere il costante pensiero che, pezzo per pezzo, le persone a cui voleva più bene le stavano scivolando via dalle mani come polvere.
Hani e Abbas erano nella stanza vicino, seduti tra i cuscini a scambiarsi una conversazione fatta di soli bisbigli. Probabilmente si stavano raccontando dell’esito della missione e in primo luogo, lo stesso assassino dal cappuccio grigio, lo capì subito, pareva vantarsi delle sue gesta.
Elena tentò invano di nascondere il suo sorriso, e Malik interpretò il tutto come un presunto accenno di positività.
-Te la senti di parlarmi tu di questa mattina?.. - domandò il Rafik allungando l’unico braccio ad afferrare un volume dalla libreria dietro di lui. -Dato che nessun altro può farlo…- prese un respiro profondo. -per ora- concluse.
La ragazza si mise più comoda sullo sgabello e annuì.
Osservò in silenzio come Malik prendeva appunti veloci sugli ultimi avvenimenti. Registrava sulle Cronache i nomi dei farmaci e dei medicinali che aveva utilizzato per curare entrambi, assieme ad alcune delle terrificanti scoperte che aveva fatto visitandoli.
-Non avevo idea che si trattasse di questo genere di veleno- commentò ad alta voce l’assassino senza un braccio. –Il Sangue di Pervinca si vende a caro prezzo ed è piuttosto raro di queste zone. Se non sbaglio… furono gli stessi Crociati a portarne qui barili interi dalle loro terre. Come composto, non viene estratto per intero dalla pervinca, ma quasi. Vi sono mescolati intrugli cui non saprei dare un nome… mi è stato facile riconoscerlo dato gli effetti catastrofici che ha al livello fisico, soprattutto sul piano superficiale e della pelle. Le vene violacee attorno al taglio sul tuo braccio…- disse guardandola, ma Elena sfuggì al suo sguardo. –sono come radici- proseguì lui tornando a scrivere.
-Ti intendevi di medicina anche prima di diventare Rafik?-.
Malik s’irrigidì al suono della sua voce, scaturita così improvvisamente dalle labbra serrate della giovane. Ma non indugiò oltre limitandosi a rispondere alla domanda: -No. Quando persi un braccio, mi si proiettava dinnanzi un futuro alquanto sedentario. Tanto valeva trovare qualcosa d’interessante da fare prima di perdere anche la fresca mente con gli anni- si puntò un dito alla tempia sorridendo.
Dopodiché Malik intraprese la parte più dolorosa delle scritture. Le chiese della missione, le fece tante di quelle domande che Elena perse il conto, e volle sapere i particolari. Non ricordava certo il numero di guardie che avevano tentato di bloccarle la strada, ma il solo ricordo degli attimi tirati e agitati di quella missione le fece venire un nodo allo stomaco che non si sarebbe potuto sciogliere neppure prendendo delle pinze.
Mentre raccontava, mentre le parole le venivano su e sfociavano dalle sue labbra come le stesse vomitando a forza, cacciandosi due dita in gola. Mentre faceva tutto ciò con estremo rigetto, notò la piuma insanguinata poggiata poco distante sul bancone, accanto alle pagine ancora bianche del libro sul quale Malik annotava svelto ogni suo periodo. Il sangue si era incrostato sui bianchi filamenti della piuma, e non riuscì ad immaginare quanto potesse puzzare una roba simile; eppure era in bella vista sul tavolo, spiccava nel buio della Dimora come avesse luce propria. Tutt’attorno vi era il solo chiarore di alcune candele e un piccolo barattolo d’incenso adagiato tra gli scaffali. Emanava una suadente odore e vi si levava un fiotto di fumo che si dissolveva nell’aria immobile e silenziosa del locale.
-… Eravamo nella sala d’ingresso del palazzo. Non c’era più un civile attorno a noi, ma prima che potessimo solo sfiorare la via di fuga…-.
Malik la interruppe. –Perché siete passati per la porta principale?- chiese affranto.
Elena curvò la schiena. –Ci avevano accerchiati, e nessuno di noi…- tirò su col naso. –sarebbe stato in grado di saltare sui tetti. Eravamo stremati, tutti quanti…- resistette all’impulso di voltarsi, di confermare le sue parole con ciò, o meglio chi aveva alle spalle.
-Capisco- mormorò lui, scarabocchiando sul foglio.
La ragazza riprese il suo discorso. –Bonifacio, il fratello minore di Corrado era alla Cerimonia assieme alla fratellanza cui il futuro Re di Gerusalemme faceva parte. Ci hanno bloccati sull’ultimo, ed è stato allora che…- singhiozzò. –ed è stato allora che credevamo di essere ormai spacciati-.
Malik si tirò su. –Bonifacio?- domandò stupito. –Lo credevo altrove, non e tanto meno non pensavo che potesse arrecarvi tanti disturbi. È solo un ragazzino, avrà sì e no la tua età, Elena-.
La Dea sgranò gli occhi. –Davvero?!-.
Egli annuì assorto.
-Non pensavo…- bofonchiò lei abbassando nuovamente lo sguardo.
-Ora non darti pena di questo. Forza, continua- Malik deviò l’argomento tornando alle questioni più urgenti.
Elena inghiottì il groppo che aveva in gola. –Si è offerto per lasciarci andare. Si è preso la responsabilità dell’omicidio di Corrado così da vendersi lui unico a Bonifacio che l’avrebbe giustiziato questa sera, al tramonto…- ricacciò il pianto, ma la sua forza di volontà durò ben poco. –è stata tutta colpa mia! Avrei dovuto consegnarmi io! E a questo punto lui starebbe meglio, avresti avuto il tempo sufficiente per guarirlo, per non farlo soffrire così!- si portò le mani al viso nascondendo gli occhi grondanti di lacrime. –perché sono sempre così stupida!!!- gemé quasi gridando.
Hani, spaurito, fece per sollevarsi dai cuscini, ma Malik gli fece cenno di restare dov’era. Il ragazzo si rimise giù fissando sconcertato la scena assieme ad Abbass, comodo al suo fianco.
-Ti sbagli- pronunciò Malik seriamente. –Da quando Al Mualim è morto non ho più dubitato in un solo momento delle azioni del tuo maestro. Se Altair ha scelto di fare ciò, devi essere forte nella convinzione che egli ha saputo valutare al meglio ogni sua possibilità. E credo bene che, persino io nella sua posizione, avrei fatto la stessa… identica… cosa- dichiarò severo.
Elena si volse di profilo guardando altrove. –Non mi serve la vostra compassione. So bene di valere la metà della metà del mio maestro, non aveva diritto di sacrificarsi così per me!- sbraitò.
Malik mantenne la calma che Elena, invece, pareva aver perduto. –Non è il Rango che conta, in questa Dimora. Se sei contraria, farai bene a lasciare Gerusalemme il prima possibile e tornartene dove l’uomo non è arrivato a pensare agli amici prima della setta!- la rimproverò indicando l’ingresso della Dimora. –Se sei così legata al Credo, ti invito cortesemente ad andartene. Se invece in te prevale il pensiero che l’atto di Altair sia stato prettamente morale, o meglio dire “umano”, puoi restare…- borbottò.
-Non ho detto questo- digrignò lei.
-Allora spiegati con maggior accuratezza. Non ho tempo da perdere- disse secco.
La ragazza s’irrigidì a quelle parole. –Sono una perdita di tempo?- mormorò.
Malik la fulminò con un’occhiataccia. –Se c’è dell’altro che devo sapere sulla missione, ti conviene darmi le informazioni che restano. Forse, solo quando avremo finito, potremo spostare la conversazione su qualcosa che non sia sangue, morte e veleno- sbottò irritato.
-Scusami…- Elena chinò la testa. –Hai ragione sulla storia della setta… io per prima non posso darmi dell’eccellenza per ciò che riguarda le regole del Credo- sorrise.
-In questa Dimora non vi è assassino che non le abbia infrante almeno una volta- ridacchiò il Rafik.
-Veramente sì!- Abbas alzò una mano.
-Sta’ zitto! Tu non vali!- Hani gli abbassò il braccio e l’altro scoppiò a ridere.
La Dea scese giù dallo sgabello e lo sistemò più vicino al tavolo. –Ho finito, non c’è altro che ti serve sapere da me…- sussurrò una volta in piedi.
Malik annuì compiaciuto. –Se ciò ti aiuta, puoi tornare a prenderti cura di lui come stavi facendo poco fa. Sono certo che non possa far altro che alleviare, seppur in minima parte, l’immenso dolore che sta provando…- assentì il Rafik guardando il corpo steso sotto le coperte di Altair.
Elena s’inginocchiò al fianco del suo maestro e ricominciò il suo piccolo lavoretto da infermiera. Immerse la pezza nell’acqua fresca e la strizzò per bene. Successivamente la passò delicatamente sulla fronte di lui imperlata di sudore e sul collo, bagnò le spalle scoperte e rinfrescò i muscoli del braccio nudo poiché fosse stato denudato della parte superiore della veste. Sulle parte lese dal combattimento Malik aveva applicato degli spessi bendaggi, ma a macchiare la pelle bronzea di quel petto perfetto vi erano anche diversi lividi bluastri e resti di trascorse cicatrici. Fece attenzione a non sfiorare quei punti; si disse che dell’acqua fresca poteva certo alleviare il dolore, ma non sopprimere il male del veleno. Nonostante Malik avesse ammesso di aver impiegato ogni curativo alla loro portata, egli stesso aveva sottinteso che il più forte tra tutti i medicinali che restava loro tra le mani era la speranza. E fino al suo ultimo respiro, fino all’ultimo gemito del suo maestro Elena avrebbe sperato, impiegando nella fede tutte le sue forze.
Neppure lei era nelle migliori condizioni, dopotutto. Sul suo braccio era come se stessero ancora premendo dei carboni ardenti; un bruciore inarrestabile in parte dovuto alla marea di disinfettanti, e in altro luogo al presidio del veleno nelle sue vene.
Era stato Malik, poche ore prime a confessarle che la sua era una condizione prettamente migliore in confronto a quella del suo maestro. I tempi d’esposizione al veleno erano stati differenti tra Elena e Altair, quindi la Dea non aveva da preoccuparsi della propria salute. Ma Malik pareva così affranto, sopraffatto e turbato… forse le stava nascondendo la verità, quella pura e cruda realtà che il suo maestro non avrebbe passato la notte.
Senza accorgersene, nuove lacrime avevano preso a solcarle il viso scivolando leste sulle sue guance. Andando ad infrangersi sul pavimento.
Non riuscì a trattenersi, di nuovo. Gettò con violenza la pezza nell’acqua provocando uno schizzò che andò a bagnare poco attorno. Chinò la schiena, poggiò le mani in grembo singhiozzando con foga, troppo addolorata. Pianse, e nessuno fece nulla per fermarla.
Malik lasciò che si sfogasse, Hani condivise il suo turbamento assistendo da lontano. Abbas, Elena lo scorse abbassare la testa e distogliere lo sguardo.
In fine la vista le si appannò a tal punto dalle lacrime che tutto divenne sfocato, confuso. Si gettò ad abbracciarlo, avvinghiandosi al collo del suo maestro e premendo la guancia contro quella bollente di lui. Strinse i denti, gemendo sul suo corpo caldo, troppo caldo e immobile.
Fu un pianto che durò forse pochi minuti, forse un’ora. Fatto sta che il tempo la costrinse ad esaurire ora e mai più tutte le lacrime. Si svuotò completamente dell’acqua che contenevano i suoi occhi e, in fine, senza rendersene conto, scivolò piano sempre più giù, fin quando tutto non divenne buio.

Quella notte sognò suo padre. Il Frutto dell’Eden e Marhim. Questi tre elementi le fecero tornare alla mente la terza ed ultima parte della sua missione che, giunta a questo punto, restava tutt’ora incompleta. Doveva tirare suo padre fuori dalle prigioni di Acri, rubare il Frutto al Palazzo di Corrado e tornare vittoriosa a Masyaf abbracciando il suo ragazzo.
Non le restavano minuti da perdere, e quel sogno le aveva dato la giusta causa per cui combattere ricordandole di ciò che le restava da portare a termine.
Aprì gli occhi d’un tratto, riconoscendo un suo braccio stretto attorno al petto scolpito del suo maestro. Completamente adagiata contro di lui e il suo corpo caldo, Elena si riebbe completamente sollevandosi seduta tra i cuscini. I capelli le caddero davanti al volto e se ne nascose una ciocca dietro l’orecchio. Sulle sue gambe vi era a coprirla la coperta che condivideva con Altair, immobile e silenziosamente dormiente al suo fianco.
Era mattina presto, il canto degli uccellini invadeva l’aria fresca e riposata della Dimora diffondendosi per la città assieme al primo vociare delle strade. Doveva trattarsi delle otto nove circa, si disse guardandosi attorno. Raggi di luce luminosi penetravano dalle grate dell’ingresso della sala e proiettavano tanti quadretti sul tappeto davanti alla fontana silenziosamente scrosciante. Hani pisolava appoggiato alla parete e poco distante da lui vi era Abbas completamente steso tra i cuscini con una gamba alzata.
Malik era già sveglio, seduto dietro il bancone a prendere appunti su alcune vecchie pergamene. Assorto e con la fronte corrugata, il Rafik sollevò appena lo sguardo per lanciarle un’occhiata sorridente.
-Come mai già sveglia?- domandò in un sussurro egli.
Elena si guardò attorno passandosi una mano sul collo, ma non rispose.
Quando i suoi occhi caddero sull’uomo che aveva accanto, notò una buffa espressione sul suo volto. Pareva dormire, riposare tranquillo. Gli poggiò una mano sulla fronte e la sentì ancora bollente. Il suo petto si alzava e si abbassava con irregolarità, come scosso da impercettibili fremiti.
Elena fece scivolare la sua mano sul lembo della coperta e la scansò completamente da sé regalandola al suo maestro. Si alzò in piedi, si stiracchiò e raggiunse il bancone sedendo sullo sgabello davanti all’assassino senza un braccio.
-Non posso restare- disse seria.
Malik inarcò un sopracciglio e arrestò le sue scritture. –Cosa…-.
-Non voglio esserci quando…- interruppe la frase a metà, chinando la testa.
L’uomo sospirò. –Capisco- mormorò grave.
-Pertanto- ella si tirò su. –La mia missione non si è conclusa mica con la morte di Corrado- dichiarò fiera, austera come non lo era mai stata.
Malik si adombrò. –Che intendi?-.
-Probabile che la stessa colomba che portava le indicazioni sull’omicidio contenesse anche queste…- borbottò lei.
-C’è qualcos’altro che devi fare? Qualcosa che Tharidl ti ha affidato in segreto?- chiese lui.
-No- sbottò lei. –Con te saranno tre le persone che sanno di ciò. Devo partire per Acri-.
-Spiegati meglio-.
-Mio padre è tenuto prigioniero lì. Corrado lo usava per i suoi scopi e fu egli, sotto torchio, a rivelare al figlio di Guglielmo dove si trovava il secondo Frutto che Monferrato cercava. Sarei dovuta andare accompagnata dal mio… maestro…- si prese una breve pausa per calmare gli spiriti agitati. –Ma la faccenda ha preso una piega inaspettata e mi toccherà svolgere il compito da sola-.
Malik ci pensò su alcuni istanti. –Non mi convince. Acri… tutti quei soldati, e tu sei in queste pessime condizioni. So dove vuoi andare a parare- disse. –te ne uscirai con la scusa che presto Bonifacio e la sua corte faranno ritorno nella loro città e che devi agire prima che questo accada, ma non posso lasciarti andare- sospirò.
-Perché?! Si tratta di mio padre, e ancora prima dei Frutti dell’Eden! Due, per di più!- si sporse in avanti.
-Elena, non complicare le…-.
-Malik, ti prego!- lo afferrò per la veste avvicinandolo a sé. –Devo andarmene, devo tornare a Masyaf, non ci voglio più restare qui!- gemé. –Posso farcela, e ci proverò! A costo di morire nel tentativo! Ti prego…- singhiozzò.
Il ragazzo le strinse il polso allontanandola delicatamente. –Elena, perché non…-.
-Non voglio guardarlo morire- pianse tornando seduta sullo sgabello.
Interdetto, il Rafik la osservò in silenzio.
-Ho detto di volermene andare? Ebbene, è vero. A Masyaf mi resta ancora qualcuno di vivo su cui contare! Amici, e persino tu hai detto che sono più importanti del credo!-.
-E allora torna a Masyaf senza passare per Acri, no?- assentì come fosse ovvio, ma dopo poco si rimangiò le sue stesse parole, constatando che la ragazza lo stesse fissando con un profondo odio negli occhi.
-Tuo padre… hai detto?- domandò incredulo.
Lei chinò la testa.
-Kalel?- chiese conferma.
Ella non rispose, chiudendo gli occhi e godendosi il buio delle palpebre abbassate.
-Kalel…- ripeté lui esterrefatto. –Non ci credo… lo conosco di nome, durante i suoi anni nella setta ero solo un ragazzino; non pensavo… o Cristo- si passò una mano in volto. –E Tharidl ha mandato te a portarlo in salvo?-.
Elena annuì debolmente.
-Quel vecchio è pazzo!- ridacchiò il Rafik.
-Lo dicono in molti- sorrise mesta.
Malik tacque per uno, due minuti. –Senti- disse d’un tratto appoggiando il gomito sul tavolo. –Non posso certo impedirti di gettarti in pasto ai leoni, ma non hai neppure il mio consenso. Durante l’omicidio di Corrado non hai saputo cavartela al meglio in diverse situazioni, e c’è da ammetterlo-.
-Lo ammetto- sussurrò lei.
-Ecco, perciò… come pretendi di arrivare solo viva ad Acri?-.
-Contando sull’effetto sorpresa, precedendo Bonifacio e i suoi uomini! Sarò svelta, abile come Altair mi ha insegnato!-.
Malik le poggiò una mano sulla bocca. -Abbassa la voce, piccola- sibilò.
Prendendo fiato e calmandosi Elena aggiunse: -Tharidl si fida di me. Altair si fida di me. Perché tu no?-.
-Non è la fiducia quella che non ti ho concesso- mormorò lui sistemandosi più comodo. –Hai tutta la mia stima, ragazzina- le sorrise –Ma prima voglio sapere se lui lo sapeva- disse guardando l’assassino steso tra i cuscini.
Elena si volse ad ammirare il suo maestro. –Suppongo di sì…-.
-Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa lui, più che altro. Come tuo maestro, sta ad Altair decidere del tuo destino dopo il Gran Maestro. In questi casi, ha più autorità lui di me- confessò incrociando le braccia.
-Ma sta morendo- gemé. –So che è così, non continuare a mentirmi-.
Malik curvò le spalle affranto. –Non ho mai cercato di tenerti nascosta la verità, sarebbe fare un torto a me stesso. Elena, se vuoi andare, sei libera di farlo. Se credi che la tua vita non valga la pena di essere vissuta schivando altri eventuali pericoli, allora ti lascerò varcare quella soglia- mormorò triste.
Lei abbassò lo sguardo.
Il Rafik distese il braccio e le sollevò il mento prendendolo tra le dita. –Vuoi almeno che Hani venga con te?-.
Lei scosse la testa allontanando la sua mano dal viso. –No. Per favore, io…-.
-Questo si chiama suicidio, stupida- rise Hani entrando nella stanza e sedendole accanto.
-Ha ragione- proferì Malik afferrando il cesto della frutta da sotto il bancone.
-Ciao- la salutò lui stringendole una spalla. –Come va?- sbadigliò.
Elena si volse dal lato opposto. –Secondo te?…- sibilò acida.
-Rispondi un’altra volta in questo modo e non ti lascio muovere un passo fuori da questa Dimora- l’ammonì il Rafik.
La ragazza sorrise, si girò verso di lui e abbracciò l’amico. –Ti prego, non voglio coinvolgere nessuno in questa faccenda…-.
Hani la strinse a sé. –Meglio soli che male accompagnati?- rise.
-Sì, esatto…-.
-Mi fa piacere sapere che gradisci la mia compagnia- scherzò lui.
Elena sbuffò e si alzò dal tavolo.
Sotto occhi critici del Rafik e dell’amico, si armò di tutto punto allacciandosi alla vita la cintura e il fodero di cuoio. –Vado in città. Devo accertarmi che Bonifacio e i suoi uomini non partano prima di questo pomeriggio. Svolgerò alcune indagini e tornerò qui non appena saprò qualcosa- proferì seria.
Controllò di avere gli astucci pieni di pugnali e strinse i lacci degli stivali e dei guanti, soffermandosi su quello sinistro.
Estrasse la lama con un rapido tocco dell’innesco e si meravigliò di trovarla linda, brillante in tutto il suo splendore.
-Mi sono preso la briga di metterci le mani mentre dormivi- sorrise Malik prendendo una pergamena dagli scaffali e distendendola sul bancone.
Elena si volse. -Grazie- mormorò flebile.
Hani tornò nell’altra stanza e cominciò a rivestirsi delle sue armi.
-Vieni, devo mostrarti una cosa- la chiamò il Rafik, ed ella si sedette nuovamente di fronte a lui.
-Sono d’accordo con te. È bene che tu svolga delle fugaci e svelte indagini su questo punto. Ma davi stare attenta: Bonifacio sa bene che entrambi voi siete riusciti a scappare, perciò farà di tutto per trovarti e ucciderti senza esitazione. Avrà ordinato ai suoi uomini di setacciare ogni angolo di questa città. Elena, pensa più volte su cosa stai facendo…- l’ammonì.
-Malik. Non devi preoccuparti- alzò il mento fiera.
-Se fosse sveglio, sarebbe fiero di te. Hai preso il meglio di lui…- sospirò.
Elena distolse lo sguardo posandolo sulla cartina distesa sul banco. –Ti prego, non…-.
-Sì, hai ragione- si riscosse lui. –Forza e coraggio, avanti. Ti indicherò alcuni dei luoghi dove trovare dei nostri informatori che sapranno darti alcune informazioni preziose. Baratteranno ciò che sanno forse con del denaro, o altro. Non lasciarti spaventare, sono innocui, ma svolgono il loro lavoro meglio di quanto credi- disse.
-Benissimo, sono pronta- ricacciò le lacrime.
Malik la fissò allungo in silenzio. –Ottimo; allora…- si chinò sulla carta e le diede tutte le indicazioni che le servivano. Quand’ebbe finito, le porse un sacchetto di monete bello abbandonante.
Prima di lasciare la Dimora, Elena lanciò un’ultima occhiata al suo maestro steso tra i cuscini e congedò con ripugno Hani dall’accompagnarla.

-…Amir abita nel distretto ricco della città assieme ai suoi due figli ed è probabile che lo trovi lì. È un informatore che lavora agli scopi della setta da quando aveva poco più di dieci anni, e la sua famiglia non ha mai saputo nulla della sua reale mansione. È un tipo affidabile, che per mero profitto fa ciò che gli viene chiesto. Si attiene ai suoi compiti, è leale e fedele e saprà forse darti una parte delle informazioni che cerchi…-

Alloggiava in una bella casa con un cortile interno traboccante di piante, al cui centro vi era una piccola fontana crosciante d’acqua limpida. Elena atterrò nel giardinetto attutendo il colpo con le ginocchia e trovò l’ingresso all’abitazione già aperto. Si fece strada tra i mille vasi di cotto ed entrò in casa quatta quatta. Ad attenderla trovò un non molto vasto salone decorato di tappeti e mobili pregiati. Seduto tra i cuscini color porpora, vi era un uomo di media statura che leggeva un vecchio libro rilegato in una copertina dorata. Amir portava una lunga veste sobria di un colorito marrone tendente al rosso, decorata in alcuni punti di giallo. Il cappuccio abbassato sulle spalle, i capelli corti e lo sguardo nero severo.
Non si accorse subito di lei, ed ella si avvicinò alla sua figura composta fermandosi poi al suo fianco.
Solo allora l’uomo sollevò gli occhi dalle pagine ingiallite del tomo, che richiuse svelto, e si alzò prorompendo in un vasto inchino.
-Dea…- mormorò con voce acculturata.
-Amir Lhad-Sayun?- domandò lei portandosi una mano al petto e chinando la testa.
-Per servirvi- ribadì egli.
-La vostra famiglia è in casa?-.
Lui scosse la testa. –Mia moglie è al mercato. I miei figli sono a scuola. Siete libera di parlare- proferì calmo.
Elena annuì e andò dritta al dunque. –Corrado del Monferrato è morto ieri a quest’ora-.
-Ho saputo- intervenne.
Ella proseguì: -Ho bisogno di sapere verso che ora suo fratello minore Bonifacio si appresterà a fare ritorno ad Acri assieme al suo esercito. E se avete delle informazioni riguardanti la Fratellanza, non tenetevi nulla dentro- disse schietta.
-Mi spiace Dea- assentì lui. –Non posso ricambiare le domande vostre riguardante la partenza di Bonifacio. Ma della Fratellanza posso darvi un nome-.
-Parlate-.
-Una cerchia ristretta ai soli nobili di sangue del nord alla quale non poteva non prendere parte il celebre Guido di Lusignano…- la informò.
-Terrò a mente questo nome. Non avete nient’altro?-.
Scosse la testa.
-Vi ringrazio- gli porse una decina di monete d’oro e lasciò l’abitazione allo stesso modo di come vi era entrata.

-…Abdel Allyhad è un povero mendicante che abita per le strade della città e traffica raramente nel distretto nobile, perché scacciato dalle guardie e delle volte deriso. Ma passando gran parte del suo tempo nel quartiere malfamato di Gerusalemme, non fa grande fortuna e considera, di conseguenza, l’alleanza con la setta l’unica sua speranza di vita su questo pianeta.
Un uomo lasciato in mutande dalla stessa civiltà che un tempo aveva servito con tanto amore. Abdel, fino a pochi anni or’sono, prestava servizio nell’esercito di Saladino, ma egli fu scacciato dai suoi superiori con l’accusa di debolezza mentale. Insisto su questo punto dicendoti che non fa buon uso del denaro che gli assicuriamo. È probabile che lo troverai brillo come molti prima di te. Non ti chiedo di provare compassione. Sappi che non ci rimangono abbastanza ore per dar retta alle sue prediche su quanto la sua vita faccia schifo. Ti assicuro che pur di distrarsi troverà ogni modo possibile di allungare la tua permanenza al suo fianco. Feccia della popolazione locale, Abdel ci è stato molto utile in passato perché scambiato per matto da molti. Passa inosservato molto facilmente, quando vuole, ovviamente…-

Elena traversò il distretto medio senza nessuna difficoltà. Sfuggì abile alle guardie, si nascose sulle panche e nel fieno. In una manciata di minuti raggiunse il luogo nel quale, come detto dal Rafik, avrebbe trovato ad attenderla il suo prossimo informatore.
Abdel vestiva di stracci ed era seduto comodamente tra dei vecchi tappeti abbandonati nel vicolo nel quale “viveva”. Il volto consumato dalla fatica di sopportare il dolore e il corpo assopito. Gli occhi fuggivano alla gente che, passando, gli lanciava una sola svista per poi proseguire indisturbata sulla strada.
Elena gli atterrò esattamente affianco con un balzò, così da farlo scattare in piedi spaventato.
-Ehi! Chi c’è?! Chi va là?!- sbraitò guardandosi attorno e tremando sulle sue stesse gambe.
Non le parve molto vecchio. Forse di mezza età, tra i ventinove e trentacinque anni. Abbastanza robusto, ma consumato dal tenore di vita che perseguiva.
-Abdel Allyad?- domandò ella poggiandogli una mano sulla spalla.
L’uomo si volse a guardarla e le sorrise. –Dea?!- chiese sbigottito e subito dopo si prostrò a terra in un inchino esagerato. –Onori, onori…- sibilò devoto come stesse pregando.
Elena strinse i denti. –Nessuno ti ha mai insegnato a non dare nell’occhio?!- sbraitò tirandolo per gli stracci e trascinandolo nell’ombra del vicolo.
-Adesso dimmi cosa sai sulla partenza di Bonifacio da Gerusalemme verso Acri, avanti!-.
-Avete toppato alla grande. Non so nulla di una partenza- ridacchiò poco sobrio.
-E cosa sai?!- digrignò lei avvicinandosi a lui minacciosamente. –Come mai nessuno di voi sembra fare il vostro lavoro come si deve?!- quella situazione stava diventando alquanto fastidiosa, pensò.
-Non scaldatevi troppo, Dea, ci sono diversi modi per estorcere informazioni…- ridacchiò malizioso.
Elena lo afferrò per il colletto degli stracci che indossava e lo sbatté con violenza al muro. –Non ho tempo da perdere! Se la tua lingua non sputerà qualcosa di sensato entro otto secondi, giuro che te la taglio!-.
-D’accordo, d’accordo!- gemé intimorito. –Vi chiedo perdono, ma le cose non mi vanno molto bene ultimamente…- borbottò, ed Elena lasciò la presa sulla sua lurida maglia.
-Svuoterò le tasche se mi darai ciò che voglio sapere, è una promessa- disse lei.
-Lo so bene!- eruppe scocciato. –Ma i soldi che mi date bastano a mala pena una settimana…-.
-Vedi di conservarli in qualcosa che non sia l’alcol, allora- lo riprese.
-Chi siete, mia madre?- ringhiò.
-Possiamo tornare a…-.
L’uomo fece un gesto di stizza. –Va bene, come volete… ma ve l’ho detto. So poco e niente della partenza di Bonifacio. Mi è certo soltanto che i suoi uomini si stanno radunando in forze alle spalle del Tempio. Quindi sono in procinto del viaggio, probabilmente. Non mi è chiara l’ora prefissata, ma persino gli accampamenti alle mura della città stanno levando le tende. Un folto numero di guardie pattugliano le strade, è successo qualcosa, non è così?- rise.
-Corrado è morto. È il minimo che ci diano la caccia…-.
L’informatore sgranò gli occhi. –Voi… avete ucciso Corrado del Monferrato?-.
La ragazza annuì scontenta.
-Voi e chi altro?-.
-Altair-.
-Che Cristo resti in cielo…- mormorò incredulo. –Bel casino; Bonifacio è intento nelle vostre ricerche ed è probabile che magari non lasci la città fin quando non vi avrà trovati- disse assorto nei suoi pensieri.
-Mi servono conferme, non supposizioni. È tutto?- fece irritata.
Abdel si guardò attorno. –Sì, è tutto-.
Elena gli lasciò abbastanza denaro da poter campare non una ma due settimane e filò via dileguandosi tra la folla.
Due su tre informatori le avevano svuotato per metà il sacchetto di monete e le restava un ultimo spiraglio di conoscenza al quale estorcere informazioni.

-Akram è noto per il suo prestato servizio nella setta, ma a causa di una lesione permanente alla gamba sinistra, ha dovuto abbandonare le pratiche dell’omicidio. Si è stabilito a Gerusalemme assieme alla famiglia. Ha quattro figli, ma la moglie morì durante l’attacco a Masyaf da parte dei Crociati. Posso dirti di lui poco, anche se di Cronache che lo riguardano in questa sala ce ne sono parecchie. Lo troverai a trafficare nel distretto medio della città; dalla mattina alla sera non fa altro che impiegare il suo tempo negli spionaggi. È un mestiere che apprezza, ed è un uomo che viene apprezzato per ciò che fa. Sono certo che il suo modo di parlare e di fare ti stupirà oltremodo, e forse è colui dal quale riceverai le informazioni necessarie e che stai cercando. È probabile che, come fa di solito, rifiuti il tuo denaro. Non insistere, e porta il dovuto rispetto ad un assassino che fu di rango pari a tuo padre…-

-Akram?- domandò flebile.
Indossava un copricapo bianco fatto di un tessuto candido ma sporco in alcuni punti di sabbia. La veste chiara gli arrivava fino alle caviglie e ai piedi portava dei comodi sandali. Al ventre era legata la fascia rossa con sovrapposta la spessa cintura di cuoio alla quale erano legate diverse sacche. Le cinghie e il triangolo di metallo gli correvano sul petto e sulle spalle portava un piccolo zainetto di pelle dall’aria pesante. Era alto, e trascinava di poco la gamba sinistra come le aveva detto Malik. Elena lo chiamò più volte, seguendolo tra la folla che percorreva la via principale della città.
Il sole cocente andava a brillare nell’alto del cielo azzurro e limpido. Vi si specchiavano solo tre o quattro piccole e innocue nuovole, e il canto degli uccellini si mescolava al vociare accentuato dei passanti.
-Akram!- la ragazza gli toccò appena il braccio e l’uomo si volse di scatto, foderando con un gesto fulmineo del polso un piccolo pugnale da sotto la veste.
Elena avvertì la lama premere su un suo fianco e fece per indietreggiare, ma l’informatore la stringeva per un gomito inchiodandola dov’era.
La giovane Dea sbiancò di fronte allo sguardo truce della persona che aveva davanti. Non doveva avere più di una quarantina d’anni, ma parte del suo volto era celato dal tessuto del copricapo, lasciando un lembo sottile dal quale spiccavano due occhi incredibilmente azzurri.
-Aspetta…- mormorò lei.
La sua presa sul braccio di lei si affievolì con calma, poi egli chinò il capo rinfoderando il pugnale.
Elena si ritrasse azzardando un passo indietro. -Akram, giusto? Il Rafik non mi diede il vostro cognome…- sibilò pensosa.
L’uomo la fissò allungo tacendo. Improvvisamente, un gran sospiro gli gonfiò il petto. Poi rise.
Elena, stupita del suo atteggiamento, aprì la bocca ma non seppe che dire.
L’informatore arrestò la sua risata sfociando in un luminoso sorriso.
-Cosa ci trovate di tanto divertente?- proruppe.
-Noi ci conosciamo. Solo che tu non lo ricordi. Eri troppo piccola…- disse solo con una voce familiare che, senza avviso, le scaldò il cuore.
La ragazza ammutolì. Da qualche parte, in qualche tempo, in qualche luogo… aveva già incontrato di fatti quest’uomo.
Akram la guardò dritta negli occhi. –Quanto sei cresciuta…- assentì sqadrandola dalla testa ai piedi.
Elena arrossì, ma non aggiunse nulla.
-So perché sei qui. È bene non dilungarci, vieni- proferì voltandosi e incamminandosi.
La Dea lo seguì in silenzio e si ritrovarono ben presto in un vicolo appartato.
-Bonifacio sta preparando i suoi uomini dietro il Tempio di Salomone. Si apprestano a partire, ma l’ora precisa è stabilita per questo tardo pomeriggio. Si muoveranno prima di cena e raggiungeranno Acri in quattro giorni di marcia. I membri della Fratellanza, però, saranno già lì precedendo il grosso dell’esercito di Corrado...- la informò composto.
-Grazie…- non c’era altro che le servisse sapere e si sbrigò ad afferrare le ultime monete dalla sacchetta che aveva legata alla cintura.
-Elena- la chiamò d’un tratto.
Lei tacque sollevando il mento.
-Non hai alcun ricordo, non è così?-.
-Non so di cosa stiate parlando…- prese una moneta tra le mani e iniziò a giocherellarci nervosamente.
Akram si sfilò via dalla testa il copricapo e mostrò per intero il suo volto. –E adesso?- chiese.
Elena sollevò di malavoglia lo sguardo e, incredula di ciò che aveva… o meglio, di chi aveva davanti, restò senza fiato.
Le monete le caddero sbadatamente rovesciandosi al suolo. –Non è possibile…-.
La somiglianza era troppa, ma si diede della stupida per non aver associato tali occhi ad una voce tanto familiare. Ogni tratto del suo viso era troppo… troppo simile a…
-Kalel forse preferì non parlarti di me, ma quelle poche volte che venivo a farvi visita ad Acri, egli mi allontanava con ripugno. Mi odiava per il semplice fatto che più volte mi contrapposi alla storia che nacque tra lui e Alice nella setta… Alice non mi era mai stata simpatica, né prima né dopo la loro fuga da Masyaf. La consideravo un fastidio repentineo che avrebbe infangato il nome della nostra famiglia. Una Serpe vera e propria come quella sul suo tatuaggio. Fui suo allievo; allievo di tuo padre, e per molti anni lui mi vide così. Non più come suo fratello, ma come un suo semplice apprendista. Fu allora che ci sperammo, fu allora che mi ripudiò del tutto. Il dolore che mi trascino sulla gamba sinistra fu il simbolo bruciate tutt’ora del mio tradimento. Era stata la mia voce a parlare ad Al Mualim di loro. Ero stato io a raccontare la loro vita sentimentale al Gran Maestro, e questo Kalel non me lo perdonò mai… credevo troppo nell’onore, e questa mia etica mi trascinò nell’oblio di questi anni passati ad implorarlo sulla sua porta. All’epoca, mio fratello non mi parlò neppure di Gabriel, ma lo venni a sapere da Tharidl una o due settimane fa. Da vero idiota, il mio comportamento fu la rovina della vostra famiglia. Mi diedi la colpa della morte di Alice e adesso mi condanno all’inferno per ciò che è successo a tuo padre. So che si trova ad Acri prigioniero del defunto Corrado, e vederti ora di fronte a me, chiedendomi informazioni preziose per portare a compimento la “tua” vendetta… mi riempie il cuore della stessa fierezza che provai insegnandoti a camminare…-.
Senza pensarci due volte, Elena si gettò ad abbracciare suo zio con una stretta poderosa, sfogando su di lui tutta la sentita mancanza di affetto familiare che aveva passato negli ultimi mesi.
Akram la strinse a sé disperato. –Elena…- le mormorò all’orecchio.
-Verrai con me ad Acri?- domandò ella trattenendosi dal singhiozzare.
-Questa gamba non mi porterà molto lontano. Ti ho vista mentre saltavi da tetto a tetto…- sorrise fiero. –Invidio il modo con cui Kalel ti ha allenata in così poco tempo…-.
-Poco tempo? Otto anni della mia vita li chiami poco tempo?- ridacchiò gioiosa.
-Sì, hai ragione-.
-Va bene lo stesso, ma zio…- lo chiamò.
-Sì?-.
Non c’erano altre parole per descrivere la sua felicità in quel momento, ma dilungarsi avrebbe significato la rovina forse della sua missione. Ci sarebbe stato tempo per guardare da vicino la sua famiglia al completo, ma ora doveva scattare verso la vittoria. –Dimmi che verrai a Masyaf-.
Lui annuì. –Sto già facendo le valige-.
-Non posso crederci, ho quattro cugini…- sibilò stupefatta.
-Forse più di quattro…- s’interruppe ridendo. -Presto li conoscerai, ma ora devi andare- l’allontanò dolcemente.
-Sì, infatti…-.
Akram le volse un’ultima occhiata, ed ella si dileguò dal vicolo confondendosi alla folla.

Doveva restare concentrata, si disse atterrando nella Dimora.
-Allora?- Hani le venne incontro.
-Tu non vieni- sbottò la ragazza avviandosi al bancone.
Il giovane scoppiò in una fragorosa risata. –Stai scherzando, è così?-.
-No!- Elena raggiunse la stanza accanto e si precipitò al fianco del suo maestro, ancora steso tra i cuscini.
Malik lasciò la sua postazione dietro il bancone. –Non mostra alcun tipo di miglioramenti, mi spiace- mormorò afflitto.
Elena gli passò una mano sulla fronte, sentendola ancora bollente e imperlata di sudore. Poco dopo tornò in piedi e strinse i pugni.
-Bonifacio partirà assieme ai suoi uomini questo pomeriggio. La Fratellanza li precederà di qualche giorno, quindi devo andare, e subito- annunciò seria.
-Allora avvicinati. Non abbiamo tempo da perdere- il Rafik cercò tra le pergamene sugli scaffali e ne distese una sul tavolo.
-E io?!- domandò imperterrito Hani.
-Ha ragione- Malik le lanciò un’occhiataccia. –Non ti permetto di partire da sola- disse composto osservando la mappa.
Elena si avvicinò a lui, ed Hani la squadrò silenziosamente.
-E va bene!- alzò gli occhi al cielo. –Ma non dovrai essermi d’impiccio, chiaro?!- gli puntò un dito contro.
Hani rise di gusto. –D’accordo…-.
Detto ciò, i due giovani assassini si avvicinarono al banco sedendo composti davanti ad esso.
Malik fece correre il suo dito sulla cartina. -Questa pergamena rappresenta il Regno, ma poiché copre una vasta estensione di territorio, non è molto precisa. Perciò prestate attenzione- disse severo.
La ragazza annuì.
-Bene…-.
Il Rafik fece una lunga lista di appostamenti nel quale era probabile che il terreto fosse controllato da arcieri e vedette. Disse loro di evitare i tragitti percorsi popolarmente dalla gente e di traversare il più possibili boschi e montagne. Ciò richiedeva un maggior sforzo, ma era in ballo la vita di entrambi e quella di Kalel, assieme alla lotta sfrenata per il Frutto.
-Ma non c’è nessuno ad Acri che possa operare al nostro posto? Insomma…- intervenne Hani pensoso. –Se la sorveglianza al Tesoro dei Templari è così ristretta ora che Bonifacio è qui, non possono…-.
-No- lo interruppe Malik bruscamente. –Se non sbaglio, l’unico nostro fratello che si trova lì, per ora è il Rafik stesso, pertanto… siccome siete gli unici assassini in circolazione più vicini alla meta…-.
-D’accordo- Elena batté i palmi sul tavolo. –Siamo pronti, no?- si guardò attorno.
Malik ripiegò la carina e gliela porse. –Legala alla sella del tuo cavallo. Potrà esservi utile. Una volta ad Acri, non preoccuparti di passare nella Dimora. Ovviamente, considerate questa ipotesi se non siete nei guai. Altrimenti, fate tappa lì e ripartite l’indomani come da piani. Ho avvertito il capo sede con una colomba questa mattina mentre eri fuori, Elena, e mi risponderà al più presto non appena sarete arrivati in città-.
Elena si stanziò di qualche passo raggiungendo il centro della stanza. Si volse, chinandosi poi al fianco di Altair.
-Se dovesse riprendersi…- mormorò triste. –digli che ci rivedremo a Masyaf a cose fatte- annunciò tirando su col naso.
Malik chinò la testa. –Lo farò-.
Poco dopo, Elena si sollevò in piedi e quasi correndo, si gettò ad abbracciarlo. –Grazie di tutto!- gemé affondando il volto nell’incavo del suo collo, e Malik le cinse i fianchi con l’unico braccio.
-Elena…- la chiamò Hani dal tetto dell’edificio.
La ragazza si allontanò camminando a capo chino verso l’ingresso della Dimora.
Si arrampicò abile e raggiunse l’amico che l’attendeva sul margine.
-Pronta?- le chiese serio.
La ragazza annuì, lanciando un’ultima svista alle sue spalle.
Abbas la salutò agitando una mano.
-Sì- sorrise mesta, e si calarono giù dalla parete, immergendosi poi nel mare di folla che erano le strade popolose di Gerusalemme.






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Capitolo 54
*** La fuga dell'innocenza ***


La fuga dell’innocenza










Prima di lasciare la città, Hani e Elena si accertarono che effettivamente l’esercito di Bonifacio fosse davvero dove gli informatori le avevano detto. Si recarono nel distretto medio della città e, rampicandosi abili sulle mura, giunsero sull’alto dei bastioni così da potersi affacciare sulla vasta steppa che si estendeva attorno al Tempio di Salmone. L’armata Crociata e la Fratellanza stessa erano lì.
-Ass!!!…- gridò qualcuno, ma la ragazza si volse svelta estraendo due pugnali e scagliandoli con furia e maestria contro gli arcieri alle loro spalle.
Quando tornò dritta, non diede peso alla bocca aperta di Hani.
-Non abbiamo tempo- disse composta e una folata di vento le scompigliò i capelli. –Andiamo…- si calarono giù dalle mura ripercorrendo i loro passi e raggiunsero le porte della città senza troppi impicci.
Si confusero ad alcuni monaci (gli stessi del suo ingresso la prima volta) e abbandonarono al galoppo Gerusalemme senza voltarsi indietro.
Aggirarono la città e puntarono dritti nella direzione cui andavano incontro.
Non c’era tempo per fare domande, per guardarsi dietro e per rimuginare sul passato e futuro. Elena guardò solo al suo presente durante tutto il viaggio, restando concentrata come non lo era mai stata e isolando la mente da tutto ciò che era distrazione al suo mondo di piani contorti. Conosceva bene ogni angolo di Acri e, anche da quella distanza, si sforzava di escogitare una strategia che li portasse entrambi dentro-fuori il palazzo di Corrado evitando ogni genere di problemi.
Frutti dell’Eden.
Papà.
Masyaf.
Fissò questi tre punti nella testa e si disse che qualsiasi cosa fosse andata storta, avrebbe rispettato la scaletta. La sua missione cominciava ora, con la parte più difficile. Era sola come mai; sola con la forza della mente e dei muscoli che erano stati allenati dai migliori nel settore. Non poteva fallire, e l’obbiettivo che perseguiva era tanto semplice quanto ardito. Non avrebbe permesso che nessuno gli si parasse davanti, ostruendole il cammino spiazzato dal sangue di molti. Elena avrebbe dimostrato a sé stessa e a coloro che la circondavano che potevano contare su di lei e viceversa. Per una volta nella vita, s’impose come non credeva avrebbe mai fatto in tutta la sua esistenza. C’era stato un tempo in cui credeva di non poter riuscire in nient’altro che non fosse farsi del male e arrecare dolore agli altri. Adesso lo credeva ancora, ma a differenza di prima, ora era totalmente convinta di possedere le armi, o le cure, necessarie a risparmiare l’animo di tutte quelle persone cui aveva arrecato tanto disturbo. Dimostrare al mondo che poteva farcela, e rappacificarsi anche solo con se stessa, voleva dire una tale forza, un tale sforzo cui molti, uno dopo l’altro, si erano impiegati pur di insegnarglielo. Toccava a lei scegliere, riuscire in un’ultima battaglia così da conquistarsi un posto caldo con su scritto il suo nome. Toccava a lei legare con un unico filo consigli, sorrisi ed emozioni provate e ricevute, saldarle poi nel suo cuore e trarne la forza di combattere!
Non si era mai sentita così diversa e vigorosa, si disse, e da una parte se ne rammaricava e parecchio. Tutto ciò che si era trascinata alle spalle stava consumandosi lentamente e davanti a lei si apriva il vuoto di un futuro tutto da scrivere. Ma con quale sangue avrebbe scritto le righe di quelle pagine? Ovviamente col proprio, ma sapeva che altri, nonostante fosse pronta a resistere, avrebbero versato i loro sacrifici. Alcuni avevano già fatto la loro parte, altri stavano condensando le ultime forze accumulandole in un’unica grande spinta finale. E gli ultimi, ma non d’importanza, Elena li aveva strettamente affianco.
Si diede della stupida, perché ancora una volta stava mancando al suo dannato ordine mentale divagando, annullando la sua concentrazione. Rise, perché dopotutto certe parti di lei sarebbero rimaste sempre le stesse. Così come avrebbe conservato i ricordi delle stupidaggini commesse in passato, allo stesso modo si sarebbe avvalsa della convinzione di poter sbagliare anche in futuro. Ed era ciò a renderla sorridente quella mattina: si sentiva libera di gestire il suo tempo e la sua anima come meglio credeva; era libera di scegliere cosa sarebbe successo e cosa avrebbe cambiato il corso della sua storia, e tutto ciò si condensava in un’unica, immensa, e strabiliante voglia di vivere. Non aveva assaggiato mai sulla sua pelle una così intensa gioia e sapeva che sarebbero state rare le volte in cui le fosse capitato di nuovo.

Mancava meno di un giorno all’arrivo sulla costa, e la loro corsa contro il tempo non si era certo fermata.
Stavano traversando un tratto erboso quando alle loro spalle udirono un suono familiare.
-Cavalli…- mormorò Hani rallentando l’andatura del suo destriero.
-Non fermarti!- sbottò Elena spronando con più forza l’animale. –Avanti, cammina!-.
Si tuffarono in un boschetto di alberi bassi e sparirono tra le ombre che andavano allungarsi per via del sole che calava all’orizzonte. Per un breve tratto si separarono e si ritrovarono un’oretta dopo sul confine della foresta.
Arrestarono i cavalli e si guardarono attorno entrambi col fiato corto per la grande galoppata.
-Chiunque fosse…- bofonchiò Hani. –Di certo ha perso le nostre tracce!-.
-Voi due!- sbraitò una voce dal timbro familiare.
Elena rabbrividì facendo impennare la sua cavalcatura. –Presto, scap…-.
Non terminò la frase che dal boschetto emersero tre figure composte a cavallo. Fermarono le loro bestie proprio davanti ai due e non ci fu bisogno che si abbassassero i cappucci bianchi perché li riconoscessero.
Elena sgranò gli occhi, incredula. –Adel…- riconobbe per primo, e l’assassino chinò il capo in segno d’assenso.
-È stato Tharidl a mandarci- intervenne un altro fratello, quale voce Elena associò al colorito biondo dei capelli di Fredrik.
-Chissà perché, ma sapeva con chiarezza che vi avremmo trovati su questo tragitto-.
La ragazza sobbalzò sulla sella. –Rhami?- domandò con ripugno.
L’assassino si scoprì il volto facendo sfavillare la folta chioma leonesca fuori dal cappuccio. –Contenta di vedermi? O semplicemente… abbagliata?- sorrise mostrando la dentatura bianca.
Fredrik gli diede una gomitata, e il ragazzo si piegò appena in avanti.
Hani accorciò le redini. –Verrete con noi ad Acri?- domandò serio.
-Ovviamente- proruppe Adel. –Il Maestro ha insistito perché vegliassimo sulla Dea, sulla salute del prigioniero Kalel e sui Frutti del Peccato. Attende paziente il nostro ritorno- dichiarò.
-È un aiuto prezioso che non potete rifiutare- sbottò Rhami con accento seccato.
Elena strinse i denti, ma non disse o aggiunse nulla.
-Allora avanti!- Fredrik si mise in testa indicando la direzione. –In marcia!- spronò il cavallo e in quest’ordine, Adel, Rhami, Hani ed Elena gli andarono dietro.
Da quel momento in poi il viaggio fu piuttosto estenuante.
La ragazza ripensò a tutta la sua mentalità di quella mattina, quando si era detta che avrebbe potuto farcela da sola, che era forte e bla, bla, bla… dovette rimangiarsi tutto per il semplice fatto che, ancora una volta, Tharidl aveva mandato qualcuno a sostenerla nelle sue imprese. Ma quell’uomo aveva sì e no così poco fiducia in lei? Era il minimo, comunque. Come aveva detto Hani prima di partire, era alquanto strato che il Gran Maestro affidasse un incarico di tale importanza a lei sola, che a mala pena era riuscita ad ammazzare il grande Corrado. Ammise suo malgrado di necessitare bene dell’aiuto di qualcuno, almeno finché tutta quella storia non fosse finita e ne cominciasse una nuova.

Sostarono in una radura erbosa e umida, situata nel centro di alcune vecchie rovine bizantine che Elena conosceva bene. Lei e il suo maestro erano spesso e involentieri passati da quelle parti più volte e, sotto quel cielo stellato meraviglioso, la ragazza gustò a pieno simili dolci ricordi.
Avevano acceso un piccolo falò vicino ai resti di un’alta parete che riparava il focolare dalle improvvise e gelide ventate nordiche. Le ombre dei cinque assassini suoi compagni si proiettavano sul muro di pietra allungandosi su di esso come giganti, fuori da qualsiasi canone artistico.
Elena teneva lo sguardo basso sui propri stivali, le ginocchia strette al petto e il broncio pensoso da quando erano partiti da Gerusalemme. Al suo fianco erano seduti da una parte Fredrik e dall’altra Hani che in modo serio, raccontava ai compagni le vicende degli ultimi giorni.
Elena, al contrario, trovò quel frangente distorto e poco piacevole. La fierezza e la gioia del viaggio si erano istinti nell’istante in cui avevano passato il confine tra il Regno Crociato e quello di dominio alla Città Santa, e da quel momento in poi la sua mente si era annebbiata e dissociata dalla realtà andando a perdersi in tutto ciò che riguardava il suo maestro.
C’erano Rhami, Adel, Hani e Fredrik a farle compagnia, ma i quattro non potevano competere allo stretto legame di amicizia e non che aveva col mastro della setta.
D’un tratto, il più giovane tra i ragazzi, ovvero Hani, si alzò dalla cerchia stiracchiandosi. –Domani ci attende qualcosa di grosso, se non sbaglio. Tharidl vi ha dato altre informazioni riguardo la posizione dei Frutti o… quella del padre di Elena?- domandò.
Adel si schiarì la gola. –Veramente no. Il Gran Maestro contava sul fatto che…- esitò.
-Corrado, nel momento dell’omicidio, avesse esalato i suoi ultimi respiri raccontando ad Elena ciò che ci serviva sapere- concluse Fredrik.
-Bel guaio- commentò Rhami.
Elena si fece piccola piccola. –Mi dispiace… di non aver agito nel modo più appropriato-.
Hani le s’inginocchiò accanto. –Scherzi?- rise. –Non c’è nulla di cui devi pentirti, sorella-.
A quelle parole, l’assassino dagli occhi azzurri scattò in piedi sbuffando. –Certo, come no…- blaterò arrogante allontanandosi dal gruppo.
-Dove vai?!- proruppe Fredrik. –Dobbiamo restare insieme, sciocco!- sbraitò.
Rhami, senza voltarsi e incamminandosi verso il bosco, disse soltanto: -Dove vuoi che vada?! Mi scappa, e non ho altro da aggiungere!- e la sua ombra si confuse a quelle degli ulivi della foresta.
-Ad una tale impertinenza ci ho fatto l’abitudine- rise Adel scansando una brace ardente con l’uso di un fragile bastoncino di legno. –Nonostante delle volte ami fare di testa sua, Rhami è un buon assassino- sorrise mesto. –Fa bene il suo mestiere e Tharidl l’ha scelto bene per quest’incarico. Saprà esservi molto utile, Dea. Lo sapremo essere tutti quanti- si guardò attorno alludendo agli altri fratelli lì riuniti.
Elena chinò la testa. –Grazie, ma quasi non merito tutto questo sostegno…-.
Fredrik stava per aggiungere qualcosa, ma Hani lo fermò con un gesto della mano, e l’assassino biondo tornò a fissare il vuoto delle fiamme, scaldandosi a quel tenue calore.
Con un’occhiata serena, Elena ringraziò il più giovane del gruppo perché avesse smentito un qualsiasi tentativo di intervento o ulteriore supporto morale. La pietà degli altri era l’ultima delle cose che aveva imparato a cercare nei suoi amici, pertanto si diede della stupida per essersi mostrata tanto debole e affranta di fronte ad una missione che si presentava più grande di lei.
D’un tratto, si sentì per niente all’altezza dell’incarico. Il cosiddetto panico da palcoscenico, forse.
Non le andava di parlare, pensare, mangiare, e non necessitava di bere da diverse ore. Pregò perché il suo fisico resistesse in quello stato ancora allungo, perché si annunciava una giornata faticosa l’indomani. Ed ella voleva essere al meglio delle forze per combattere la poca autostima in sé stessa e saper dipendere da nient’altro che non fosse il proprio ed unico vigore. Eppure…
Era troppo il dolore che provava.
La ferita sul suo braccio, il bendaggio candido nascosto sotto le maniche della veste… tutto era un ricordo pulsante degli avvenimenti tragici, catastrofici della sua vita. Le fu inevitabile non pensare a lui e a cosa gli stesse accedendo mente lei era lì, a godersi la gloria di una missione tanto degna di onore.
Prima che Rhami facesse ritorno dai suoi bisognini, Elena si offrì di fare il primo turno di guardia e, con modesta convinzione, riuscì a far leva sia su Adel che Fredrik, i quali insisterono allungo perché rinunciasse.
A quanto le parve, non dovevano conoscerla così affondo come credevano. Rise, sedendo poi in alto sul culmine di un’antica colonna coperta di rampicanti.
Da lassù si vedeva chiaramente la luna, nel centro del cielo contornata dalle sue mille stelle fedeli. Un grosso nuvole incombeva sulla piana lungo la costa dove, arroccata su un’ampia collina a picco sul mare, vi era la sua amata Acri.

-Elena… Elena, svegliati. Elena, svegliati! Non te lo ripeto! Ti butto giù, ma conterò fino a tre… uno… due…-.
La ragazza riaprì gli occhi lentamente, trovandosi il volto familiare di Rhami a pochi pollici dal suo.
-Ehi!- la Dea gli poggiò una mano sulla guancia e lo spinse via, accorgendosi solo in seguito delle braccia del giovane strette attorno ai suoi fianchi.
L’assassino ridacchiò divertito scendendo dalla colonna e atterrando con un balzo sul terriccio erboso. –Felice di riaverti su questo pianeta!- rise guardandola dal basso.
-Infame, è ancora il mio turno di guardia!- sbottò lei sollevando il mento e ammirando la lucente costellazione di Orione.
Aveva appena calato le palpebre e il tempo era volato così velocemente? Per di più, addormentandosi, aveva messo a repentaglio la sua e la vita dei suoi compagni.
-Piantatela voi due!- sbraitò una voce, e Hani si rigirò dalla parte opposta sotto le coperte.
-Certo, come no!- abbassò il tono Rhami tornando a fissala.  -La prossima volta potati dietro il gallo e tutta la fattoria…- la derise.
Elena si stropicciò gli occhi sbadigliando. –Mi dispiace, è stato un errore che non ricapiterà. Ora vattene…- proruppe seccata. Aveva già abbastanza problemi, perché doveva immischiarsi anche quel ragazzino petulante?
-Non fare quella faccia- sorrise egli. –So quanto sei realmente felice di vedermi-.
-Ti sbagli. E ora tornatene nel tuo boschetto e accovacciati sulle stesse foglie che hai annaffiato!- ridacchiò di gusto.
-L’idea è allettante-.
-Rhami, cosa vuoi ancora?!- domandò in fine.
Il ragazzo abbassò lo sguardo e si guardò attorno circospetto. –Non posso parlartene da quaggiù! Scendi oppure salgo io?!- bisbigliò.
-Che scemo…- alzò gli occhi al cielo, esasperata. –Avanti- disse scansandosi e facendogli un po’ di posto accanto a sé sul cucuzzolo della mezza colonna. –Vieni, e sii breve per cortesia- borbottò.
Il ragazzo s’illuminò di luce propria e, con un solo balzo, si arrampicò agile come un gatto fino al suo fianco. –Eccomi, dicevamo?- arrise malizioso facendosi troppo vicino.
-Parla- involontariamente, la ragazza portò una mano all’elsa della lama corta.
-D’accordo, vado al dunque- sibilò lui. –Non farmi tanto scemo, so che cosa è successo- dichiarò.
La giovane Dea fu percorsa da un brivido. –Non so di cosa parli…-.
Rhami sospirò. –Non immaginavo che un tipo come Marhim potesse arrivare a tanto-.
A quel punto fu troppo, e l’impulso di spingerlo giù fu forte a tal punto da farle battere i denti. –Come?!…-.
-Calma!- Rhami le poggiò una mano sulla bocca bloccando la sua sfuriata in principio. –È stato Halef a dirmelo, ma non di sua spontanea volontà. Sapevo bene come ricattarlo…- ridacchiò malizioso.
-Bastardo!- digrignò la ragazza scansando via il braccio di lui che, sorridente, distolse lo sguardo.
-E non solo…- proseguì l’assassino. –Quando la notizia dell’avvelenamento di Altair è giunta a Masyaf, la città e i suoi fratelli sono entrati nel panico. Si credeva che Corrado fosse giunto alla Corona di Gerusalemme e le voci contorte ed errate sopraggiunsero a quelle veritiere. Insomma, certa gente si divertì a gonfiare di diverse sfaccettature la storiella…- rise, ma chissà cosa ci trovava di tanto divertente.
-Senti, Rhami- intervenne lei portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. –Perché non te ne torni a dormire, eh? Faresti un favore ad entrambi, lo sai bene…- poggiò un gomito su una sua spalla, e il ragazzo non si scompose.
Tutt’al più allargò il suo sorriso gioioso. –Dimmi un po’… ti sono mancato, eh?-.
-Stupido…- soffocò una risata lei.
-Quand’è stata l’ultima volta che ci siamo visti, eh? Prima di questa primavera, intendo…- mormorò assorto.
Elena ci pensò su allungo. –Veramente… è passato un bel po’ di tempo- disse flebile, sorpresa di quanto avesse dopotutto ragione. Un poco… molto poco, le era mancato. Le erano mancati tutti, e pensando a Rhami, automaticamente la sua mente si catapultava su Marhim, Adha, Tharidl e di conseguenza suo fratello e suo padre. Era una catena fatta di pochi ed essenziali anelli, il circolo vizioso che era la sua famiglia. Ne facevano parte persino Akram e i cugini che non aveva mai conosciuto.
-Stai bene?- domandò improvvisamente lui, attirandola sul pianeta terra. –Ti vedo… distratta- rise.
-Si tratta di mio padre, e tutta la bella famigliola che gli gira attorno!- levò le braccia la cielo. –Odio le pieghe assurde che hanno preso la mia vita ultimamente…- bofonchiò.
-Ehi, col letame fino al collo ci siamo pure noi!- eruppe indicando gli altri assassini dormienti attorno al falò che andava a spegnersi.
Elena si trattenne dal ridere. –Effettivamente hai ragione…-.
Il silenzio calò sulla radura come una secchiata di acqua gelida, ma neppure pochi secondi più tardi, l’erba del prato venne smossa da una fredda ventata celere.
-Basta, va’ a riposare- disse Rhami guardandola con occhi dolci, sinceri. –Qui ci penso io-.
Le gote della ragazza si pennellarono da sole di un rosa intenso. –Grazie- sussurrò, allunagndosi poi verso di lui e scoccandogli un bacio fugace sulla guancia, pungendosi appena col sottile strato di barba.
Rhami, più che interdetto, restò immobile ad osservarla mentre si apprestava a riscendere la colonna. Una volta a terra, Elena si avvicinò al fuoco e afferrò la sua coperta. Poggiò la testa sulla sella del suo cavallo e si addormentò in una posa fetale, perdendo ancora una volta la cognizione del tempo.

-Voglio gli arcieri disposti sulle mura, tutti quanti!- sbraitò Bonifacio battendo un pugno sulla cartina, e i boccali di vino poggiati sul tavolo sobbalzarono. –Subito!- aggiunse. –Quei bastardi non passeranno il valico della città neppure da morti! So che sono diretti ad Acri per i Frutti, e noi impediremo loro di riuscire anche in questo!-.
Era una tenda allestita nel centro di un piccolo accampamento militare sul confine dei territori Crociati, a stretta vicinanza con quelli controllati dalla Corona di Gerusalemme. La notte inoltrata brillava delle sue mille stelle nel cielo nero ed infinito. Tutt’attorno vi erano le foreste e le montagne, traversate da un’insolita corrente d’aria davvero fredda.
Vi erano altri due uomini in quella tenda grande da ospitare un tavolo e una decina di seggi però vuoti. Ad uno di essi sedeva Bonifacio, assieme a due suoi compagni della Fratellanza, alle quali armature erano sovrapposte delle bianche casacche con una rossa croce colorata come il sangue.
Sul volto di Guido si disegnò un vasto sorriso sornione. –Siamo in buona posizione, i nostri uomini ci raggiungeranno a breve e non dovete temere né per la vostra vita che per quella dei vostri Fratelli, Bonifacio-.
-Domani- dichiarò il terzo uomo in sala alzandosi dal seggio. –Domani saremo dentro la vostra città, e dopo esservi maritato con Isabella, il Regno di Gerusalemme potrebbe forse passare nelle vostre mani- propose tranquillo questi.
Guido fulminò il compagno con un’occhiataccia. –Oppure…- intervenne con malizia. –Oppure potreste punire quella sgualdrina che fu la moglie di vostro fratello lasciandola preda del deserto. Ella consegnò Corrado agli assassini, e solo Maria vostra nipote, se non sbaglio, parlò con onore!- rise.
-Sì- Bonifacio chinò il capo. –Dopotutto, c’era da aspettarselo da un matrimonio combinato. Puttana infame…-.
-Esatto- gioì Guido. –Lasciate la donna a me e ai miei uomini, e prendetevi di diritto la casata di vostro fratello. Esortate il popolo ad eleggervi Re, e conquistate la fama in Terra Santa in una nuova gloriosa Guerra!- sguainò la spada poggiandola sul tavolo. –La mia lama è dalla vostra- disse calmo.
-Aurelio- Bonifacio si volse verso il terzo uomo, e questi sfoderò la sua arma sovrapponendola a quella di Lusignano.
-Eccomi, Fratelli- annuì fiero Aurelio.
Bonifacio, in fine, incrociò la sua spada a quelle dei compagni. –Sia fatta la volontà di Dio!- strillarono.
In quell’istante, un soldato semplice irruppe nella tenda con l’arco in mano e la faretra vuota di frecce. –Mio signore!!!- chiamò a gran voce accorrendo da lui, e Bonifacio si girò di colpo.
-Mio Signore! Isabella è fuggita e porta con sé Maria verso nord! Alcuni dei nostri la stanno inseguendo, ma…-.
Guido lo interruppe con un gesto della mano, e l’arciere indietreggiò.
-C’era da attenderselo- digrignò Aurelio.
-Fratello, pazientate. E le bestie feroci faranno ciò a cui la natura le addestra- sorrise Lusignano.
Bonifacio, più che pacato, rinfoderò la sua arma. –No. Voglio che il suo corpo venga riportato ad Acri, perciò mandate più uomini sulle sue tracce e, se necessario, uccidetela, risparmiando mia nipote…- mormorò, e detto questo lasciò la tenda a grandi passi.

Adel scagliò il pugnale da lancio che andò a conficcarsi nel centro del tronco saldo di un ulivo.
Era l’alba, che sorgeva di un color arancio arrampicandosi nel cielo. Poche nuvole incombevano sulla piana, ma una brutale tempesta si abbatteva su di Acri, a poche ore di galoppo dalla loro posizione.
-Che succede?!- sussurrò Rhami portando una mano all’impugnatura della spada al suo fianco.
Adel, in testa al gruppo, scrutò allungo e in silenzio le fronde del bosco che li circondava.
-Fratello, cosa…- intervenne Fredrik, ma un istante dopo si udirono dei passi e una figura celata nell’ombra scattò di corsa allo scoperto, tentando la fuga oltre la loro posizione.
Adel fece impennare il cavallo e bloccò la strada alla donna, dietro di lui, Fredrik e Hani si posizionarono a semicerchio, imprigionandola.
Ella vestiva di un lungo mantello blu ricamato di bianco; in spalla portava una bambina cui occhi Elena riconobbe all’istante. Poi, nell’aria tersa della mattina, risuonò la voce terrorizzata di Isabella.
-No, fermi! Vi prego!- la Regina si piegò in ginocchio alzando un braccio, mostrando il palmo bianco. –Fermi, vi prego!- gemé ancora voltandosi e voltandosi più volte, guardandosi attorno come una preda in gabbia.
-Una spia! Ci stava seguendo!- sbraitò Fredrik.
Elena smontò dalla sella. –Ma che dici?!- proruppe andandole incontro, e Isabella si girò verso di lei.
-Fermi, state fermi ho detto!- imprecò la Dea parandosi dinnanzi alla Regina. –Ella è Isabella, la moglie di Corrado! E guardate chi ha in braccio, stupidi!- ruggì.
Vi era la piccola Maria tra le braccia della donna che la stringeva con premura al suo petto. Il volto della Regina era celato da un copricapo lungo dai caratteri arabeschi che ella si apprestò a togliere. –Pietà- implorò ancora la donna.
-Non temete, Maestà- la rassicurò Elena. –Non vi faranno del male- disse scoccando un’occhiataccia agli assassini dietro di sé.
Isabella, attonita, indietreggiò. –Lasciatemi passare, vi prego-.
-Stavate fuggendo, my lady?!- domandò Rhami irritato.
Isabella si volse. –Sì, sono in fuga da Bonifacio e la Fratellanza! Sono accampati poco a sud di qui e vi hanno preceduti verso di Acri! Saranno lì a breve, e la loro armata è proprio alle vostre spalle!-.
-Siete giunta fin qui per ammonirci di questo?!- intervenne Fredrik avanzando col suo cavallo.
-No! Egli mi vuole morta, o peggio ancora preferirebbe donare il mio corpo ai suoi uomini! No, io e mia figlia siamo in fuga da loro, sperando di trovare un luogo lontano dalla guerra nel quale riposare… sono ore che siamo in marcia- poggiò una mano sulla piccola testa dai capelli lisci di Maria, semi dormiente sulla sua spalla.
Ancora sospettoso, Adel accorciò le redini. –I vostri intenti sono puri? Non vi è alcun male dietro la vostra fuga?- insisté.
Isabella annuì. –Vi prego, ora lasciateci passare…-.
-No!- strillò Elena, attirando su di sé l’attenzione dei presenti. –Se viaggerete a piedi non andrete molto lontana, Maestà. Uno di noi deve portarvi nell’unico luogo sicuro a noi conosciuto…- scrutò uno ad uno i volti dei suoi compagni.
Rhami, inorridito di tale proposta, fece impennare la sua cavalcatura. –Elena, sei fuori di te, questa mattina?!-.
-Ha ragione- mormorò Fredrik assorto. –Non possiamo lasciarla in balia della Fratellanza o del suo esercito. Sono con voi, Dea. Uno di noi deve vincolarsi al suo incarico e scortare la Regina Isabella e suo figlia Maria a Masyaf- dichiarò severo.
A quelle parole, il volto della donna s’illuminò di luce propria. –Grazie…- chinò la testa. –Grazie…-.
Elena le si avvicinò sorridendo. –Maestà, è il minimo-.
Isabella incontrò il suo sguardo premuroso.
-Il vostro ruolo fu cruciale nella mia missione, e ve ne debbo la riuscita. Perciò, è il minimo che vi offra in questo modo spartano la salvezza…- sottinse la Dea.
-Tutto ciò è assurdo! Stiamo solo perdendo tempo!- proruppe Rhami, azzittito però alla svelta dall’intervento di Hani.
-Mi offro io- disse il più giovane tra di loro.
-Scordatelo, ragazzo- sbottò Adel. –Sarò io a fare ritorno in città con sua Eccellenza-.
Elena si trattenne dal ridere. Stavano contendendosi un grado superiore oppure il buon occhio della Regina?
La Dea rimontò in sella al suo destriero. –Però ha ragione l’accaldato- rise indicando Rhami con uno sguardo. –Il tempo che ci rimante è troppo poco, decidetevi-.
-Facciamo scegliere alla suddetta, a questo punto- propose Hani.
Isabella esitò, sistemando meglio Maria sulla spalla. –Adel, giusto?-.
L’assassino avanzò col suo cavallo affiancandosi alla donna che, con il suo aiuto, si issò sulla groppa dell’animale. –Al vostro servizio- sibilò fieramente.
-Sta’ attento, fratello- disse Fredrik conducendo il resto del gruppo dalla parte opposta.
Adel, nel frattempo, s’indirizzò al trotto verso nord. –Altrettanto. Buona fortuna, Elena di Acri- fece un leggero inchino col capo, mentre Isabella si stringeva a lui mettendo le gambe all’amazzone e poggiano Maria ormai sveglia sulle ginocchia. Un braccio attorno al petto dell’assassino, e le loro ombre si persero tra le mille luci che andavano colorare la mattina.
-Sei contenta?!- sbottò Rhami avvicinandosi a lei, ed Elena piegò la testa da un lato.
-Ovvio. Ella non meritava mica la morte! Pensavo che conoscessi i fatti…- digrignò la ragazza in risposta.
Il gruppo riprese il sentiero nella foresta intraprendendo un galoppo veloce, e in breve si trovarono già sulla strada per Acri, popolata di carovane contadine e gente che andava e veniva su cavalli o a piedi.
Si spostarono con cautela, riscontrando pochi, pochissimi problemi durante la traversata dei posti di blocco poiché gran parte degli uomini Crociati fossero alle loro spalle e impiegati altrove.
Le porte della vera e propria città s’intravidero ben presto oltre una fitta coltre di nebbia; l’aria era tersa di salsedine, il cielo oscurato da grosse nuvole gonfie di pioggia, e lo stormire dei gabbiani giungeva fin lì mescolato al canto di morte delle cornacchie appollaiate sui rami secchi degli alberi.
I quattro assassini entrarono indisturbati nel distretto povero, quale ingresso non era per niente sorvegliato.
Una volta confusi tra la folla, si mossero quatti verso la Dimora e giunsero sul tetto dell’edificio sbarazzandosi sì e no di pochi arcieri. Acri pareva deserta delle sue autorità, completamente vuota della sua protezione, così Elena, atterrando salda all’interno della Dimora, sperò che Bonifacio fosse ancora parecchi chilometri addietro.


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Mah… capitolo cortino, me ne rendo conto, ma giunta a questa parte della vicenda ho sentito la necessità di aggiornare subito staccando qui e non dove la trama toccava dei punti più caldi, come capitò all’epoca dell’attentato al palazzo di Gerusalemme, con la morte di Corrado ecc… quando per descrivere poche ore impiegai tipo quattro capitoli? Sì, ecco…

Non me la sento di fare né i ringraziamenti, né i chiarimenti… sono parecchio confusa, stressata, stanca, assonnata e… ZZZzzzzz….

Elik.

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Capitolo 55
*** Nella luce, nel tempo e nelle ceneri di Acri ***


Nella luce, nel tempo e nelle ceneri di Acri










-Perché ci avete messo tanto?- domandò serio il Rafik.
Fredrik prese posto nel centro della stanza, e i tre assassini si schierarono dietro di lui. –Abbiamo preso una strada secondaria uscendo da Gerusalemme e siamo stati costretti a ritirarci per la notte. Ma ora siamo più che pronti ad agire- proruppe dignitoso.
Il vecchio capo sede li squadrò uno ad uno, soffermandosi ad un tratto su Hani ed Elena.
-È bello riavervi qui entrambi- sorrise mesto.
-Altrettanto- annuì il ragazzo.
La Dea distolse lo sguardo. –Non ci rimane tempo- disse scontrosa avviandosi già fuori dalla stanza.
Rhami corse dietro di lei e le afferrò un braccio, mentre nella camera accanto sentivano Fredrik e il Rafik scambiarsi le ultime informazioni necessarie.
-Elena- la chiamò tirandola verso di sé, e la ragazza non tentò di ribellarsi.
Rhami la guardava in un modo serio, composto che non gli aveva mai visto. –Ti senti bene?- le chiese duro.
-Sto… benissimo!- digrignò lei liberandosi con uno strattone. Andò verso l’ingresso della Dimora. –Avanti! Dobbiamo sbrigarci…- sbottò autoritaria.
L’assassino dagli occhi azzurri tacque ammutolito.
Hani si avvicinò a lui e insieme la osservarono dal basso arrampicarsi agile e sparire sul tetto dell’edificio.
-Possiamo andare- Fredrik comparve al suo fianco e il più giovane sobbalzò.
-E…- provò a dire, ma l’assassino biondo si calò il cappuccio sul volto e intraprese la scalata della fontana.
-Non ci servono altre indagini- proruppe Fredrik quando tutti e quattro si furono ritrovati all’interno della Dimora, disposti in circolo l’uno di fronte all’altro.
Elena, unica tra di loro che pareva distratta, volgeva lo sguardo a nord, ove vi era il distretto ricco e sul quale imperava la Grande Cattedrale e la sua altissima torre, assieme al Forte dei Monferrato situato nella zona più esterna del quartiere. Una leggera brezza le scompigliò i capelli, e solo allora la ragazza si alzò il cappuccio sul volto. –Ottimo- disse.
-Elena, nelle tue condizioni, forse…- intervenne Hani debolmente.
-No- ella si volse, fulminandolo con un’occhiataccia. –L’ho già detto tante di quelle volte…- sbuffò scocciata. –Sto bene. Non mi fa male niente che non sia la mia coscienza che continuerà a premermi se ce ne stiamo qui troppo allungo. Quindi muoviamoci!- strillò. –Bonifacio e la Fratellanza saranno qui a momenti. Non possiamo permetterci ulteriori ritardi se vogliamo tirare fuori dal suo palazzo mio padre e i Frutti dell’Eden senza troppi problemi! Riuscite a comprendere questo o no?!- era su tutte le furie, la pressione di quel frangente l’aveva portata allo stremo. Non era più in lei.
Rhami sbatté le palpebre diverse volte, stupito. –Non possiamo portarla con noi in questo stato- intervenne d’un tratto, guardando Fredrik che pareva stupefatto allo stesso modo.
-Infatti- borbottò questi.
Elena si passò le mani in volto stropicciandosi gli zigomi. –Ma che diamine…- mormorò flebile.
-Forza- comandò Hani. –Ha ragione. Non c’è tempo. Ormai non possiamo più cambiare idea, e che Elena venga con noi è il volere di Tharidl e del Rafik. Quindi… avanti, Fratelli- sorrise mesto avviandosi, calandosi giù dal tetto.
La ragazza lo seguì subito dopo. In coda restarono Rhami e Fredrik che si scambiarono un’occhiata d’intesa.
-Ti ha dato la piuma?- domandò il più giovane tra i due.
Fredrik sospirò. –Sì, me l’ha data…-.
-Non sei costretto a farlo tu, se non vuoi- pronunciò serio.
-Rhami- lo guardò dritto negli occhi. –Prima di cominciare a fare pregiudizi sulla situazione, perché non attendiamo di avere conferma a ciò che ci è stato chiesto di considerare?- sbottò. –Preferisco aspettare piuttosto che portarle altri dispiaceri… so che è un uomo che non lo farebbe mai-.
-Ma l’ha fatto! Se siamo qui è solo per questo! Ci ha traditi…- sibilò il ragazzo.
-Attento a come parli. Da quanto ho saputo, ci sono diversi modi per “tradire” la setta, e tu hai già praticato almeno uno di questi- proruppe.
Rhami abbassò lo sguardo, curvando le spalle, ma non aggiunse nulla.
-Come potrebbe prenderla lei? Sarebbe stato meglio agire una volta che l’avessimo riportato a Masyaf, ma i Saggi di Tharidl ci hanno costretti ad eliminarlo prima che potesse mettere piede nella fortezza-.
Rhami s’irrigidì. -Loro non sanno come sono andate davvero le cose!- sbraitò.
-Ma non sta a noi decidere!- ribatté Fredrik.
-Hai ragione- si guardò gli stivali stringendo i pugni. –Perdonami-.
-Presto, prima che quei due si caccino nei guai- ridacchiò l’altro avviandosi.
-Ti seguo- fece Rhami sorridendo.

Saltavano agili come gatti da un tetto all’altro, una volta compatti e una distanti tra loro. Sfruttavano ombre e cunicoli nei quali pararsi in casi di sguardi di arcieri che, nel complesso, furono molti pochi, ma risparmiarono loro la vita per la semplice concezione di “poco tempo”, e in caso di un urletto nemico, non avrebbero avuto modo di sbarazzarsi in tempo delle guardie a seguire. Per tanto, si tennero molto concentrati sui loro stessi passi.
Il palazzo della casata del Monferrato apparve l’oro dietro l’angolo di una torre delle sentinelle, e gli assassini si arrampicarono quatti sulle mura traversando in primis la piazza deserta e sfollata di guardie, e poi seguendo il perimetro del borgo eliminando con estrema minuzia gli arcieri a sfavore.
Il cortile interno era desolato e silenzioso. I vicoli bui che s’insinuavano convergendo nella piazzola erano pattugliati da un’unica piccola ronda composta di pochi soldati che faceva lo stesso giro infinite volte e con passo davvero lento, straziante.
Si fermarono tutti e quattro sul tetto di un capanno e osservarono dall’alto la zona.
-Rhami- chiamò d’un tratto Fredrik, e il ragazzo si volse.
-Hm?- fece questi da sotto il cappuccio.
-Tu ed Elena passerete dal retro. Hani, tu vieni con me dall’ingresso principale. Mentre faremo piazza pulita, voi vi dirigerete nelle celle del palazzo. Al Frutto ci pensiamo noi- dichiarò severo.
I tre annuirono.
Hani si allontanò di un passo da lei, ma Elena, prima che questi potesse seguire Fredrik gettarsi in strada, lo afferrò per un polso.
-Fa’ attenzione. Ho un brutto presentimento…- gli sussurrò sotto occhio critico di Rhami.
L’altro assassino stava in disparte con le braccia conserte.
Hani gli volse un’occhiataccia, e Rhami guardò così altrove. –Anche tu- mormorò in risposta. –Ci rivedremo sicuramente a cose fatte, ma sii cauta come ti ha insegnato…- le poggiò una mano sulla spalla e poco dopo scomparve tra le ombre dei vicoli sinistri.
-Andiamo- sbottò Rhami avvicinandosi.
Elena si scansò di colpo. –Stammi lontano-.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio. –Che c’è, adesso?- domandò irritato. –Cos’ho fatto?!-.
-E che ne so! Se Hani ti guardava male ci sarà stato un motivo…- digrignò la Dea saltando sul tetto vicino.
-Sei perfida- eruppe lui. –Perché hai questa visuale così distorta di me? Sono un bravo assassino, lo giuro…- sorrise in un modo che non la convinse affatto, anzi.
La ragazza si trattenne dal ridere. –Sai qualcosa che io non so, e questo basta ad innervosirmi-.
Il giovane alzò gli occhi al cielo stellato. –Possiamo concentrarci sulla missione?-.
Senza rispondere alla sua domanda, Elena saltò giù in strada sorprendendo la pattuglia di guardie che, neppure il tempo di gridare, si trovarono a terra l’una dopo l’altra con un pugnale alla gola.
Rhami atterrò sonoramente nel clangore delle cinghie della sua veste al fianco di lei, ed Elena lo fulminò con un’occhiata più che truce.
Il ragazzo avanzò. –Non mi stupisci, avanti- disse contegnoso, indifferente.
I due si diressero dietro il palazzo ed adocchiarono una finestra aperta la quale, dopo essersi arrampicati fin lassù, notarono era parte di una vasta cucina silenziosa e buia.
Elena si calò giù lentamente, rotolando svelta dietro la dispensa più vicina e attendendo che Rhami facesse altrettanto.
-Dove si…- provò a dire, ma il ragazzo le mise una mano sulla bocca attirandola verso di sé.
-Sssh- le sussurrò soave, e nella cucina entrò sbattendo le porte un drappello ristretto di uomini.
-Vi giuro che ho sentito qualcosa cadere!- balbettò una giovane guardia.
-Impossibile- sbraitò una seconda voce. –Anni di esperienza mi gravano sulle spalle, e io non ho sentito nulla- aggiunse.
-Forse la vostra vecchiaia, generale…-.
-Cosa vai insinuare?!-.
La conversazione proseguì fuori dalla cucine con un gran tonfo dei battenti che si richiudevano.
Rhami l’aiutò ad alzarsi, ma Elena si allontanò alla svelta da lui correndo alla parete che ospitava l’ingresso della stanza.
-Cammina!- ordinò lei sotto tono, e il giovane la imitò, poggiando le spalle al muro.
-Le segrete si trovano di qualche livello più in basso. C’è un passaggio nel corridoio che porta al salone principale- disse serio.
-Come ci arriviamo nel…- s’interruppe nel vedere Rhami fare ciò che non si sarebbe aspettata.
Il ragazzo aprì la porta della cucina ed emerse nel vasto corridoio. –Eccoci arrivati- le sorrise divertito.
Elena lo afferrò per il cappucci trascinandolo dietro di sé. –Ma che fai, scemo?! Sei impazzito, per caso??- sbraitò sbattendolo al muro, così che l’ombra di una vecchia armatura li nascondesse.
Alla fine della galleria in pietra vi sostavano due uomini armati e uno che pareva solo un servo di corte.
-Il corridoio di cui parli si trova al piano superiore, e non possiamo passare di lì!- gli ruggì a pochi centimetri dal suo volto, e Rhami ghignò ancor più divertito.
-Perché?-.
-Perché in quella parte del palazzo è custodito il Frutto e non possiamo rischiare di intrometterci nella parte del piano che riguarda Fredrik e Hani!- digrignò.
-Hai una soluzione migliore?- domandò nervoso, adocchiandosi attorno di tanto in tanto.
Le guardie infondo al corridoio se ne stavano buone per i fatti loro, sordi al bisbiglio confuso che provocavano le loro parole.
-No…- sibilò lei scostandosi di un passo e abbassando lo sguardo pensosa.
-Bene, allora…- Rhami si sporse dal loro nascondiglio e, fulmineo, scagliò due dei suoi pugnali contro i soldati. Questi si accasciarono al suolo nel flebile sussurro delle lame nell’aria, mentre il servo presente si guardava intorno spaventato.
Elena fermò la sua mano prima che Rhami potesse colpire anche quest’ultima creatura.
-Rammenta i principi del Credo, se sei un bravo assassino…- gli mormorò suadente all’orecchio, poi si allontanò quasi di corsa bloccando il servo prima che potesse svignarsela.
-Conducici nelle celle dove Corrado tiene Kalel- pronunciò con calma la Dea. –Non ti faremo del male-.
Il ragazzo proferì un leggero inchino. –Che Dio sia lodato. Se siete qui, vuol dire che Corrado è morto-.
Elena annuì. Chissà quanta gente non aspettava altro che il suo sangue venisse versato, si chiese.
Il giovane li condusse fino al secondo piano che trovarono deserto di qualsivoglia ronda di pattuglia, e poi dritti spediti per una stretta scalinata a chiocciola che convergeva, scendendo di diversi livelli, in un’angusta stanzina illuminata da fiaccole e solcata da diversi ingressi secondari che conducevano a differenti corridoi, a loro volta stretti e puzzolenti di aria viziata.
-Venite, il vecchio saggio è qui!- disse loro scostando una delle varie porte di pesante legno e ferro.
-Perché non c’è nessuno a controllare le celle?- domandò Rhami dietro di lei, ed Elena s’irrigidì.
Non ci aveva pensato. Era stato tutto fin troppo facile. Quasi si trattasse di…
-Sorpresa- ridacchiò Bonifacio emergendo dalle ombre alle loro spalle, e i due assassini si voltarono all’unisono.
Dalla parte opposta del corridoio comparvero altri membri della Fratellanza, ma non tutta al completo.
Elena sfoderò la spada all’istante mettendosi schiena a schiena col suo compagno. –Impossibile!- ruggì a denti stretti.
-Eravamo parecchie ore di cavallo prima di voi!- aggiunse Rhami altrettanto stupito, impugnando la sua arma. –Come avete fatto a…- s’interruppe.
-Questo è ora il mio regno ora!- sottolineò Bonifacio mostrando la sua bella spada estraendola dal fodero intarsiato. –Credete che non conosca meglio di voi le terre nelle quali sono cresciuto?!- sbraitò.
Erano quattro i cavalieri Templari lì presenti. Un numero che avrebbero potuto superare con facilità in combattimento, ma in un luogo tanto stretto non avrebbero avuto la meglio.
-Va’ da Kalel, li trattengo io!- strillò Rhami spingendola via, e la ragazza rotolò a terra finendo ben oltre i piedi dei membri della Fratellanza. Si rialzò a fatica, udendo solo alle sue spalle la voce penetrante e rigorosa di Bonifacio che strillava:
-Non deve fuggire! Prendetela!-.
Due dei cavalieri le furono dietro mentre, disperata, la ragazza svoltava di corridoio in corridoio perdendosi nella vastità di quelle gallerie di pietra e mattoni, ansimando per trovare suo padre e una via di fuga passabile che non fosse combattere. Il clangore di spade del duello che aveva ingaggiato Rhami col fratello di Corrado, poi, non aiutava.
Le sue gambe l’accompagnarono fino a destinazione quando, improvvisamente, un dei due Templari, dopo essersi avvicinato troppo alle sbarre di una cella, si vide stretta la gola da due mani solcate da profonde rughe e incallite. Il cavaliere si accasciò al suolo con l’osso del collo distorto, e l’altro si scostò con un balzo dalla parete dal quale erano emerse quelle mani.
-Paura, eh!- intimò una voce vecchia, potente, intimidatoria sopra ogni dire.
Elena indietreggiò e approfitto dello stupore del Templare per saltargli addosso e penetrarlo con la sua lama nascosta, infierendo nell’incavo lasciato debole tra l’elmo e la cotta di maglia.
-Papà!- gioì lei sollevandosi e affacciandosi oltre le grate. –Papà, sei tu!- pianse allungando una mano e sentendo le sue dita intrecciarsi a quelle tremanti del suo vecchio.
-Sì, Elena, sono io! Chi altri?!- neppure lui riuscì a trattenersi, e un singhiozzo incrinò la rigidezza del suo tono maturo.
-Le chiavi! Dove sono le chiavi?!- domandò lei guardandosi attorno in preda agli spasmi. –Dobbiamo portarti fuori di qui, subito!- strillò piangendo.
Nel frattempo, nelle gallerie sotterranee erano accorse una dozzina di guardie che davano supporto a Bonifacio impiegato nel combattimento contro l’assassino.
Rhami scartò di lato evitando il fendente proporzionato che arrivò dall’alto, piegò le ginocchia e fu alle spalle del suo assalitore. L’altro Templare, che osservava attonito la scena in disparte al duello, ordinò intanto agli altri Crociati di dirigersi alla caccia verso l’altra infiltrata.
Nei corridoi delle segrete si sparsero così un numero sempre crescente di guardie che allontanavano sempre più la loro fuga da quell’Inferno.
-Lì, piccola, lì in alto!- Kalel indicò la parete esattamente di fronte alla sua cella ed Elena afferrò di fretta il mazzo di chiavi appese al chiodo. Le provò tutte, con immensa fortuna, solo al quarto tentativo su undici riuscì ad aprire la gabbia di suo padre.
Kalel si gettò ad abbracciarla ed Elena lasciò cadere il mazzo per terra, diffondendo il suono metallico che andò ad affiancarsi al clangore di spada contro spada.
La ragazza affondò il volto nell’incavo del suo collo, stringendolo con forza a sé, avvinghiandosi al suo corpo gracile e stanco ma che, nonostante la fame e le condizioni, mostrava tutto quel fisico che ci si poteva aspettare da un ex assassino di buon rango. Poco più sciupato, Kalel era esattamente come se lo ricordava da quell’ultima notte, la sera della sua fuga da Acri. La barba grigia e scomposta si arrampicava sulle guance, i capelli bianchi, che alla luce delle fiaccole alle pareti rilucevano di bagliori bronzei, non erano di un taglio corto come li portava all’epoca della loro vita tranquilla, ma bensì molto disordinati e funghetti, tirati all’indietro.
La giovane si asciugò le lacrime sulla sua veste scura e lacerata. –Papà…- mormorò ancora.
-Presto, ora non c’è tempo!- la prese per mano. –Dobbiamo portare i Frutti dell’Eden via da qui, non è così?!- domandò serio mentre correvano ripercorrendo i loro passi.
Lei annuì. –Ci stanno pensando altri due…-.
-No, no! Bonifacio li ha fatti spostare, non si trovano più al secondo piano di questo palazzo, ma nella torre della Grande Cattedrale!- la informò.
Elena fu percorsa da un brivido. –E perché mai??? Avrebbe fatto prima a portarli via da Acri direttamente!- strillò.
-Eccoli!- sentirono alle loro spalle, e un battaglione di soldati li fu presto alle calcagna.
Chissà con quale benedetta mano santa poggiata sulla testa, Kalel ed Elena sgattaiolarono le buio e risalirono la scala a chiocciola che portava nei corridoi principali del palazzo. Una volta lì, si diressero nei saloni e spalancarono i battenti.
-Presto, fuori dalle finestre!- le ordinò suo padre.
-Cosa?!- sbottò lei scettica.
Kalel la trascinò con sé di corsa verso le vetrate. –Spero solo che la memoria non m’inganni…-.
Frantumarono in vetro in mille pezzi e scaglie che le ferirono una guancia, ma nel complesso si lanciarono assieme fuori dal palazzo galleggiando per interminabili secondi nel vuoto del vento che ululava tra i tetti di Acri.
Come aveva fatto Altair la prima volta, Kalel la strinse a sé proteggendola dall’impatto violento che fu quello nel cesto di fieno a dieci metri più in basso, dopo una caduta libera e acrobatica avvinghiata al suo petto.
Tutto tacque, ma neppure il tempo di riprendere fiato che il suo vecchio la tirò violentemente allo scoperto, cominciando a correre a perdifiato per le strade della cittadella.
 -Papà, gli altri assassini… loro!…- provò a dire, ma non notando un minimo assenso a quelle parole da parte di suo padre, Elena perse in fretta la speranza.
-Non capisci la gravità della cosa!?- sbraitò lui mentre si nascondevano in un vicolo buio. –E’ già abbastanza se Rhami si è occupato così allungo di Bonifacio! Prego perché ne esca vivo…-.
-Come sai il suo nome?!- domandò incredula lei.
Kalel fu evasivo sull’argomento. –Adesso non c’è tempo. E comunque, ti basti sapere che conoscevo sua madre e sapevo bene che nome avrebbe dato ad un possibile figlio- disse solo.
E mezzo secondo più tardi ripresero a correre.
-Chi altri era con te a palazzo?!- chiese col respiro corto.
Elena esitò. –Hani e Fredrik!- proferì.
-Ah! Fredrik!- ridacchiò il vecchio, e svoltarono in una stradina secondaria e più stretta.
La guglia più alta della Grande Chiesa era imponente dall’alto e sembrava seguire ogni loro spostamento. Kalel ed Elena si mossero furtivi e velocissimi tra le ombre delle strade senza mai necessitare di ingaggiare alcun duello, ma il rimbombo delle campane prese loro così alla sprovvista che la ragazza cadde inciampando dallo stupore.
-Avanti, Elena!- digrignò lui tirandola su a fatica.
I portoni della Cattedrale erano sorvegliati, e l’immensa e desolata piazza sui quali affacciavano, erano pattugliati da una quantità assurda di uomini.
Ecco dov’erano tutti! Rise sarcastica lei.
-Ci serve un diversivo…- intervenne Kalel guardando in alto.
Elena piegò la testa da un lato e seguì il suo sguardo perso tra le stelle quando, d’un tratto, la sua attenzione fu attirata da un puntino nero e indistinto che vagava sopra di loro con le ali aperte e gonfie al vento.
-Rashy!- gioì la ragazza facendo un passo avanti, così da esporsi alla luce della luna. Un istante dopo si portò due dita alla bocca e fischiò, mettendo in allarme la maggior parte degli uomini presenti nella piazza.
Kalel la tirò dietro l’angolo di una stradina. –Ma sei scema o cosa?!- la rimproverò.
Ma Elena non prestò attenzione alla collera di suo padre, piuttosto si godette lo spettacolo.
Rashy levò il suo grido acutissimo che squassò l’aria gelida e immobile della città, e poco più tardi ripiegò le ali e si scagliò in picchiata contro la piazza. I suoi artigli si avvinghiarono alla maglia di uno dei soldati di guardia ai battenti della Chiesa, dilaniandogli la gola a furia di poderose beccate.
Questo, travolto dal dolore e dalla morte certa, fu ricoperto del suo stesso sangue che andò a macchiare alcune delle piume della falchetta che, senza alcuna pietà, si avventò persino sul secondo soldato.
Le pattuglie in piazza si guardarono attorno allertate dalle grida strazianti dei due morenti e moribondi, accompagnate dai gridolini acuti di Rashy che ammirava soddisfatta la sua opera.
Kalel ed Elena entrarono di corsa nella Chiesa e attraversarono tutta la navata centrale, giungendo sull’altare e arrampicandosi sulla scala che risaliva fino alle piccole balconate del piano superiore. Traversarono un vasto corridoio dipinto di maestosi affreschi e raggiunsero, in fine, la saletta che custodiva i due Frutti.
Vi erano quattro uomini di guardia e, prima che questi potessero solo muovere un muscolo, Elena percepì il suono di una lama estratta dal fodero, accorgendosi poi di suo padre che aveva estratto dalle sue cinghie la piccola e tozza lama corta.
Elena lanciò un primo pugnale e di seguito impugnò la sua spada lunga.
I soldati vennero loro incontro gridando furibondi, e tra di quelli vi era un membro della Fratellanza che aveva una bella croce rossa ricamata sulla maglia bianca. L’elmo lucente e argentato, assieme all’armatura che specchiava la luce delle stelle che filtrava dalle vetrate colorate.
Fu un duello durante tutto il quale Elena non prestò minima attenzione ad altro che non fosse sé stessa. Se anche in minima parte si girava ad osservare suo padre che combatteva al suo fianco, rischiava di perdere la concentrazione.
Non appena restarono soli loro due assieme al Templare, Elena scorse con la coda dell’occhio suo padre lanciarsi su di lui cor rabbia.
-No, papà!- strillò.
Il Templare schivò il fendente del vecchio scartando di lato e aprendo un vasto squarto sanguinante sul fianco di suo padre.
Il cavalieri ridacchiò divertito allontanandosi di qualche passo, ed Elena si avventò su di lui cogliendolo alla sprovvista.
Con un colpo netto, ben assestato, gli tranciò di dritto la testa che ricadde, con ancora indosso l’elmo, sul pavimento, macchiandolo di conseguenza di un sangue nero e denso.
Kalel si reggeva in piedi a fatica, ormai, ed Elena dovette prenderlo sotto braccio e condurlo assieme a lei all’interno della saletta.
-Stai bene?- domandò col fiato corto.
Lui annuì. –Eccoli- indicò con mano tremante.
Erano due cofanetti di acciaio neri adagiati su un sobrio scrittoio privo di altro che non fosse qualche testo  o volume, assieme a pochi scaffali che ornavano le strette pareti.
-Prendili, Elena. Mettile nelle sacche della cinta…- le ordinò flebile, e la ragazza ubbidì.
Svuotò i cofanetti e rovesciò i loro contenuti sul tavolo, così che la luce dorata delle due sfere luminescenti potesse travolgere la stanza irradiando ben oltre le vetrate.
-Fa’ alla svelta!- imprecò Kalel appoggiandosi al muro, premendo una mano sul fianco ferito.
-Non cambi mai, eh?!- strillò lei nervosamente, maneggiando con cura e molto lentamente le due sfere. Prima che riuscisse a richiudere la seconda nella tasca della cinta, sul corridoio del piano comparvero una dozzina di guardie.
-Dannazione!- digrignò il vecchio raggiungendola dietro al tavolo.
Elena strinse con più vigore la piccola sfera che pareva d’oro colato. –Aspetta, ho un’idea…- sibilò nel mentre i soldati si avvicinavano di corsa verso di loro, gridando come forsennati frasi del tipo: -Eccoli!- oppure –Ammazziamoli!- o anche: -Hanno il Frutto!-.
L’uomo si voltò a guardare sua figlia in modo intimorito, quasi con paura. –Elena, spero tu stia scherzando…-.
Lei scosse la testa e alzò il braccio cui mano impugnava la sfera. Si concentrò e, impedendo al nero di avvolgere la sua coscienza, respinse le guardie scaturendo dal Frutto un’onda d’urto che infranse i vetri delle finestre e gettò per aria i libri dello studio.
In tutto ciò, dopo quell’incredibile e assordante boato, Elena e suo padre erano rimasti indifferenti, senza un minimo graffio.
Il silenzio calò nelle navate della Cattedrale.
-Come diamine…- mormorò strabiliato il vecchio.
-Non lo so- rispose lei avvicinando la sfera al volto, incamminandosi nel corridoio. –Ma non è la prima volta che ci riesco- aggiunse evitando i corpi sdraiati e senza vita dei soldati rovesciati al suolo, nel caos di frammenti di vetro e roccia.
-Elena!- Kalel l’afferrò saldamente per un braccio, strattonandola. –Sai cosa significa questo?!- azzardò scontroso.
La giovane aggrottò la fronte.
L’anziano assassino alzò gli occhi al cielo. –Quando ne venni a sapere da Corrado, credevo che si fosse trattato di qualcun altro… il Potere del Frutto dell’Eden è incontrollabile da nessun essere umano! Come è possibile?- gemé. –E nascondilo immediatamente nella cinta!- ordinò anche.
-No, papà- ribatté la ragazza. –È l’unica possibilità che abbiamo per arrivare vivi nella Dimora- sbottò riprendendo il passo.
Il calore della Sfera che aveva nella mano le risaliva il braccio e pareva fondersi al suo stesso sangue, come fosse parte del suo corpo.
Una volta fuori dalla Cattedrale, i due si confusero tra le ombre sfuggendo alla miriade di battaglioni crociati che andavano pattugliare la città. I volti terrorizzati dei soldati che, nella maggior parte, avevano risentito degli immensi poteri che il Frutto dell’Eden era in grado di liberare.
Pertanto, erano come tante formichine sul cui formicaio si era abbattuta la suola di una scarpa.
Elena e Kalel intrapresero un vicolo buio e cominciarono a correre.
-Eccoli!- sbraitò qualcuno, e il sibilo di una freccia la fece voltare verso l’alto.
Il dardo andò a conficcarsi a pochi centimetri dal suo piede, ed ella sobbalzò gridando impaurita.
Il vecchio alle sue spalle la prese sottobraccio conducendola al riparo all’ombra di un terrazzo.
-Dammelo!- sbottò lui.
Elena avvicinò la sfera al suo petto. –No, io so usarlo, ma te no!-.
-Elena, questo non è un giocattolo! Dammelo! So usarlo meglio di quel che credi!-.
-Prendeteli!- il rumore di passi e zoccoli arrestò la loro piccola litigata familiare, e la fuga disperata riprese.
Due cavalieri vestiti di una lucente armatura comparvero sulla piazzetta e la traversarono in pochi secondi, arrivando in breve esattamente dietro di loro.
Uno di questi allungò una mano e fece per afferrare alla ragazza la sfera che stringeva tra le braccia, ma Elena si volse di colpo accecando lui e il suo cavallo col bagliore dell’oggetto.
I nitrii spaventati dell’animale si diffusero in un rimbombo assordante accompagnato alle grida dell’uomo che, prima accecato e poi disarcionato dalla sella, si dissolse in polvere sulla strada.
Elena, attonita, continuò nonostante ciò a correre di dietro a suo padre.
Il secondo Templare, accompagnato da un vasto battaglioni di soldati, sostituì il primo e tentò di colpirla con la sua spada, ma Elena balzò di lato finendo in vicolo, staccandosi però da suo padre che proseguì a correre per la via principale.
Le campane divennero una litania lenta e costante, sempre più amplificata nella sua mente, e la ragazza si accorse tardi che, lucente di una luce azzurrognola, il Frutto che aveva tra le mani aveva mostrato così uno dei suoi poteri più strabilianti.
Gli zoccoli del cavallo alle sue spalle si arrestarono nel vuoto, esattamente fotografati nell’istante in cui nessuno dei quattro tocca terra. L’arma dell’uomo galleggiava in aria tenuta in una presa salda e possente, e persino la nuvoletta di condensa che veniva dalle narici del cavallo restò ferma dov’era.
Elena rallentò la sua corsa fino a stopparsi del tutto. Si guardò attorno confusa e solo allora capì.
C’era uno stormo di colombe nere immobili nel cielo stellato, e lo sguardo perso all’orizzonte di un cane nascosto in un vicolo, assieme all’immagine ferma di un gatto, seduto su una cassa, che stava leccandosi una zampina.
Il tempo si era fermato, e assieme a questo tutta la natura attorno.
Elena, però, poteva muoversi liberamente all’interno di quel quadro surreale della realtà. Si avvicinò all’uomo sulla sella del cavallo e gli sfilò l’arma lentamente, quasi questa pesasse troppo appesantita dalla stessa inarrestabile forza del tempo immobile.
Impugnò l’elsa dell’arma e, con un colpo diretto e sicuro, infilzò la carne senza vita del cavaliere che restò immobile dov’era con ancora la lama in corpo.
Si allontanò di qualche passo addietro e riprese a correre, tornando nella direzione che aveva percorso assieme a suo padre che, immobile come tutti in quella città fantasma, trovò piegato sulle ginocchia per evitare il fendente mal piazzato di un soldato.
Gli altri crociati erano disposti in circolo attorno a lui; Elena estrasse la sua lama dalla cintura e fece strage di quei corpi senza vita approfittando dell’irrealità della situazione.
D’un tratto, una vampata bollente esplose tra le sue braccia e fu costretta a mollare la presa sulla sfera dorata, che rotolò al suolo camminando di suo tutt’altra parte.
-Diamine!- imprecò, ma in quell’istante il tempo riprese il suo corso naturale, e le tredici guardie disposte in circolo a suo padre si accasciarono a terra con grande di Kalel.
-Cosa?!?…- non fece in tempo ad aggiungere altro, che guardò sua figlia allontanarsi di corsa dietro alla sfera che rotolava e la seguì.
-Vieni qui!- sibilò la ragazza piegandosi e saltellando, tentando in vano di recuperare la palla che proseguiva indisturbata evitando casse, colonne, porte e pietre come se la strada fosse in pendenza, cosa che non era.
-Elena! Prendilo subito!-.
-Ci sto provando! Ci sto provando!- strillò lei gettandosi poi sulla sfera, che però le sfuggì ancora.
Si lanciò per terra una decina di volte, ma il Frutto scivolava via come unto di un olio speciale. Sbucava con violenza via dalle sue braccia che si stringevano aggressive attorno alla composizione dorata e viva di questa, ed Elena cominciò a prendere la pazienza.
Così estrasse dalla tasca sulla cintura l’altra compagna e la volse verso la sfera birichina.
-Vieni qua, infame di una lampadina!- sbraitò collerica, e l’oggetto che aveva in pugno si illuminò ci un’accesissima luce verdognola.
Il Frutto sfuggevole arrestò la sua fuga d’un tratto, ripercorrendo la sua scia e spegnendosi del tutto del suo potere raffreddandosi di un grigio metallico e rugoso.
Elena sgranò gli occhi chinandosi ad afferrare quello che adesso, da magnifica sfera dorata, le pareva solo un sasso comune come quelle della strada.
Kalel le venne affianco. –Su, dammelo!- ordinò.
-Aspetta, io…- non terminò che il suo vecchio glieli strappò entrambi di mano. Li avvicinò l’uno all’altro e questi s’intrecciarono come gli anelli di una catena.
La ragazza sobbalzò nell’udire una voce fredda, e distaccata, oltre che familiare, gridare: -No! Fermo!- Bonifacio emerse dalla stradina vicina in groppa al suo cavallo. –Non farlo, vecchio!- portò l’animale al galoppo con una sola tallonata ben piazzata.
Un istante dopo suo padre pronunciò in un sussurro quelle che le parvero parole senza senso, ma che in fine associò al freddo suono della tonalità latina di quella stessa lingua morta. Mormorò una dozzina di parole, suo padre, prima di sollevare i Frutti dell’Eden verso il cielo.
Un bagliore accecante invase tutta Acri, che splendé d’oro per pochi secondi, accompagnato dal suono fortissimo di un boato assurdo e squillante che si allargò per le strade, giungendo fino all’oceano.
Il cavallo di Bonifacio galleggiò nel vuoto di fasci di luce dorati e argentati, poi egli stesso si dissolse come polvere del deserto, e così tutta Acri scomparve sospinta dal vento, tramutata in una quantità di sabbia che sgrumò come uno sciame di api sospinta dal vento.

_____________________________________


°___°
Ma che diavolo ho scritto?
Allora, pochi punti fondamentali:
In questo chappo compaiono alcuni dei poteri del Frutto, ovvero:

1.    fermare il tempo
2.    tramutare la gente e le intere città in polvere da sparo! XD
3.    Tramutare gli oggetti in… altri oggetti.

Nonostante queste novità che mi paiono assurde allo stesso modo di come paiono a voi °___° spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Avevo detto che questo sarebbe stato l’ultimo aggiornamento… ebbene, ho dovuto dividere in due il capitolo perché per intero conta esattamente 19 pagine e mezzo, fate voi i conti… <.< xD Ma nonostante il chappo subito dopo a questo sia già così corposo, credo comunque di non poterlo postare molto presto. Si tratta del fatto che, seppure alle 20 pagine, non ho descritto tutte le restanti scene che ho in mente! XD Ah, ma per quanto riguarda il possibile sequel, bhé… non smentisco una parola di quello che ho detto. Chissà, con Isabella a Masyaf le cose potrebbero farsi interessanti per tutti… e poi, chissà cosa se ne faranno le dee e gli angeli dei poteri così occulti del Frutto! XD

Ringrazio gli utenti che recensiscono con continuità e tanto amore questa ff tanto assurda e illeggibile, perciò… xD sono troppo pigra, non mi va di mettere i vostri nomi in colonna! XD
Tagliando corto… <.<
A voi la parola.
Elik.

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Capitolo 56
*** La Fine ***


>>>    La Fine    <<<









“Cosa successe dopo restò ed è tutt’ora un mistero.
Ma sotto sotto è meglio così. Di certe cose sarebbe bene per l’intera specie umana non farne mai parte.
I poteri del Frutto scatenatosi quella notte si votò perché restassero nascosti, occulti da un velo tessuto di segreti e dedito solo alle saggezze supreme. I testimoni dell’accaduto sono proprio davanti a me, in questo luogo. Rhami sta mettendo le mani sul bendaggio che gli ho applicato ieri notte, quando rientrato alla Dimora soprafatto di tagli e sangue ovunque, era scampato in uno stato raccapricciante alla morte certa. Lo scontro con Bonifacio, come mi ha raccontato, l’ha tenuto impegnato per più del tempo necessario, e raggiungere la sede è stata un’impresa particolarmente ardua… ma ancora adesso si domanda come abbia fatto a trovarsi improvvisamente qui, quando aveva chiaro ricordo di trovarsi parecchio in difficoltà durante il duello. Eh, io non posso certo rispondere a questa sua domanda. Piuttosto, spero che qualcuno non lo faccia mai…
Il ragazzo è in piedi vicino al tavolo, alla luce di una fioca candela che gli ho messo a disposizione. La luce dell’alba è quella che è e sopra di Acri si staglia ora un cielo grigio e compatto.
Nonostante sia presto, molto presto, qui nella Dimora sono tutti già svegli.
Fredrik è nella stanza adiacente, sta risistemando alcune delle sue armi e stringendosi le varie cinghie della sua uniforme. Sono certo che Tharidl sarà fiero del suo operato, nonostante il piano messo appunto la mattina precedente sia andato a rotoli.
C’è Hani seduto tra i cuscini; gesticola svelto con i lacci degli stivali stringendoli al meglio. Si sistema il cappuccio a coprirsi il volto e, sollevandosi lentamente, si avvicina al banco sedendo su uno degli sgabelli. Gli sorrido, e lui ricambia con altrettanta gioia.
I miei occhi si spostando svelti su un tavolo poco distante dalla mia posizione. Sopra di questo vi sono i due Frutti dell’Eden l’uno adagiato affianco all’altro e brillano di una luce tenue e minuziosamente debole, più di quanto immaginassi… come fossero… scarichi. Ma chi sono io per giudicare? Solo un Rafik che non può permettersi neppure di simulare in sé pensieri troppo complessi perché rischierebbe di confondere prima se stesso e poi gli assassini cui deve rivolgere consigli.
Kalel è seduto a quel tavolo, coi gomiti poggiati sulla superficie lignea e le mani giunte. Lo sguardo basso, assorto e pensoso, diritto verso le due sfere che fissa con insistenza, quasi tentasse invano di sprigionare il loro potere, ma questa volta senza l’utilizzo di mistiche parole latine.
A proposito di ciò, è stata una sua richiesta conferire in privato dell’accaduto solo con il Gran Maestro, ed io non posso far altro che accontentarlo.
In fine, la mia attenzione cade sulla giovane Elena, rannicchiata sul soppalco che percorre due delle mura della Dimora. La ragazza, noto con stupore, è distaccata sia con la mente che con il corpo. Si tiene in disparte da quando si è svegliata ad adesso, e nessuno ha provato a rivolgerle la parola, neppure suo padre.
Forse è stato un suo espresso desiderio quello di tacere, ma conoscendola, Elena non è certo tipo da tenersi tutto dentro. Qualcosa la turba, e quel qualcosa è dorato, tondo e ha un’esatta identica copia. Potrei pure sbagliarmi, penso. In lei potrebbe dimorare persino la straziante angoscia dei malanni del suo maestro, senza contare l’irrefrenabile desiderio di rientrare al più presto a Masyaf, riappacificando il suo spirito e tornando circondata dalla sua famiglia che, da quanto ho saputo, è riuscita a ricostruire.
Ovviamente sono immensamente contento per lei. Anzi per tutti, che hanno lottato al fine di raggiungere questa grande vittoria in questo grande giorno.
Sono fiero di annunciare la riuscita della missione, conclusasi con un ennesimo perfetto compimento.
Fredrik, Rhami, Elena e il traditore Kalel saranno da voi, Maestro, in trentasei ore di viaggio.

Acri, 2 maggio 1192”

-Elena… Elena, svegliati- le sussurrò una voce soave all’orecchio.
La ragazza riaprì gli occhi lentamente, accorgendosi gradualmente di trovarsi ancora in sella al suo cavallo in viaggio su una stradina sterrata. Sbatté più volte le palpebre raddrizzando la testa, si volse appena cogliendo il volto di Kalel che le passeggiava affianco.
I quattro incappucciati percorrevano al passo la via in pietra costeggiata da alti cipressi e antichi ulivi. Era notte fonda, le fronde degli alberi venivano scosse da una leggera brezza estiva che profumava l’aria del sapore della natura e di erba bagnata.
Un cielo limpidissimo e punteggiato di milioni di stelle si stagliava sopra le loro teste, volgendo infinito e inarrestabile il suo velo luminoso sino all’orizzonte, dove i colori dell’alba andavano disegnarsi i colori dell’alba.
-Che c’è?- domandò ella con voce roca, voltandosi e guardandosi attorno confusa. –Mi sono addormentata solo un attimo, mi spiace…- borbottò sbadigliando.
Il vecchio allungò le labbra in un mesto sorriso. –No sciocchina- rise –siamo arrivati-.
La ragazza sgranò gli occhi d’un tratto, allungando lo sguardo a nord e cogliendo solo in quel momento il margine della strada, che finiva dove s’innalzava una torre in pietra di dominio degli assassini. Gli splendidi stendardi ornavano le facciate della costruzione quadrata e altri simboli della setta svolazzavano al vento appesi alla pietra del crepaccio d’ingresso ai territori della sua amata Masyaf.
Riconobbe i cappucci grigi delle guardie di ronda e il viale stretto tra la crepa della montagna che conduceva fino ai piedi della città.
La ragazza si riscosse balzando nel vero senso della parola sulla sella. –Arrivati?- balbettò.
Kalel si voltò a guardare dietro di loro, dove a sorvegliare il cammino c’erano Rhami, Hani e Fredrik.
Quest’ultimo si avvicinò ai due in testa portando il cavallo al trotto.
-Pochi chilometri. Saremo a Masyaf per questa mattina- annunciò l’assassino. I suoi occhini verdi erano celati dietro l’ombra scura del cappuccio.
-Tharidl ci riceverà appena arrivati- aggiunse Rhami affiancandosi al gruppo.
Hani recuperò terreno infilandosi tra il cavallo di Elena e quello di suo padre. –Non vedo l’ora. Questa lampadina conta almeno dieci chili in più!- borbottò alludendo alle bisacce legate strette alla sella.
-E che stiamo aspettando?- domandò lei.
Rhami si strinse nelle spalle. –Che ci sia un po’ più di luce e un po’ più di gente ad assistere alla nostra entrata trionfale!- levò gli occhi al cielo così da assumere una posa da totale deficiente.
Hani soffocò una risata.
-Forza, dunque- ribadì Fredrik avanzando e stanziandosi dal gruppo. –Andiamo- chiamò partendo al trotto.
Elena e suo padre restarono in coda con Rhami che chiudeva la fila.
-Ho paura- disse lei d’un tratto.
Kalel girò la testa rilassando i muscoli del collo. –A cosa ti riferisci?-.
-Cosa ne sarà dai Frutti, ora?- domandò flebile. –Insomma…- abbassò lo sguardo. –Tharidl voleva portarli al sicuro in altri luoghi lontani, mentre alcuni dei saggi erano favorevoli a…-.
-Conosco la storia- la interruppe suo padre. –Sono discussioni che si ripetono e si ripeteranno. Il nostro arrivo segnerà forse la rovina di questo luogo, credimi- sospirò.
Ella s’irrigidì. –Come mai dici questo, papà?-.
Gli occhi azzurri, cristallini del vecchio si scontrarono coi suoi ed Elena ebbe un tuffo nel cuore nell’ammirare la sua espressione afflitta ed estremamente contrariata. –Ci accomuna il timore che neppure la setta possa farne un buon uso. Ma in che modo potremmo intervenire se non sta a noi decidere? Elena, ho saputo controllare i poteri del Frutto per il semplice fatto che non era la prima volta che li usavo…- fece il vago, sottraendosi con sveltezza a quell’argomento. –Devi sapere che Corrado ha trovato i modi più spregevoli perché collaborassi con lui, e ti assicuro che non ci sono prove a testimoniare la mia innocenza-.
-Non capisco- mormorò confusa.
Kalel guardò alcuni istanti di fronte a sé, dove le figure indistinte e ombrose di Hani e Fredrik li guidavano mostrando la strada da percorrere a quelli dietro.
-E’ esattamente ciò che stai pensando, piccola- disse poi, serio. –Fin dove sarà disposto ad arrivare l’uomo pur di raggiungere i propri desideri?- formulò profetico, e ciò la rese ancor più inebetita dinnanzi alle tematiche che stava toccando tale discorso.
Elena distolse lo sguardo pensando ad altro.
E c’era molto altro a cui pensare.

Quando il sole fu alto in cielo, trovarono ad attenderli i cancelli aperti di Masyaf.
La gente scorrazzava per il villaggio nel solito caos cittadino, tra vari trambusti di carri e pentole ai diversificati versi degli animali al mercato. Stormi di piccioni si appollaiavano sulla salita sterrata che conduceva alla roccaforte sbarrando loro il passo, e i cinque profughi erano entrati in città ancora a cavallo, attirando di conseguenza maggiormente l’attenzione dei popolani.
Questi non attesero molto prima di spostarsi verso la fortezza in grande masse confusionarie e chiassose. Una lunga scia di gente li seguì fin dentro il cortile interno del palazzo, esattamente come quella volta durante la quale Elena fece ritorno in città assieme al suo maestro.
Egli, dopotutto, era al centro dei suoi pensieri ancor più di quanto non lo fosse Marhim o chiunque altro.
I cinque a cavallo sostarono accanto all’arena vuota degli addestramenti, e non appena smontarono dalle rispettive selle, per tutta la fortezza si diffuse il suono scandito, ritmato e maestoso di applausi.
Molti assassini si affacciarono dalle finestre che davano sul cortile, mentre altri si disponevano attorno a loro cinque mostrando anch’essi l’immenso rispetto e gratitudine.
-Dannato…- digrignò Rhami nascondendosi al meglio sotto il cappuccio.
Fredrik scoppiò in una fragorosa risata, ma gli applausi non cessavano sovrastando ogni altro rumore. –Ah! Guarda che non puoi prendertela col Refik se ora l’intera Siria sa che i Frutti sono qui! E non era la fama ciò che volevi? Eccotela servita su un piatto d’argento!- scherzò.
Il ragazzo si strinse nelle spalle. –Lo so…- sibilò. –Lo so…- ripeté.
Elena si avvicinò a suo padre tentando invano di nascondersi dietro di lui, ma Kalel si spostò di lato sistemandosi in disparte assieme agli altri tre assassini. Questi, notò Elena una volta rimasta al centro dell’attenzione, avevano un buffo ghigno in volto: divertiti e maliziosi, tutti quanti (Hani, Rhami, Fredrik e suo padre).
Nel frattempo gli applausi andavano ad affievolirsi sempre più, e il silenzio piombò nel cortile nell’arco di pochi secondi.
Elena lanciò un’occhiata spaurita tutt’attorno, guardandosi dai mille presenti che, a loro volta, parevano attendere che lei facesse o dicesse qualcosa… o semplicemente attendevano che succedesse qualcosa… o ancor più semplicemente, attendevano qualcuno.
Solo allora ella capì, sollevando il viso e ingoiando a fatica il groppo che aveva in gola. Il nodo allo stomaco dei giorni trascorsi nella speranza si sciolse del tutto in quell’istante; i ricordi delle notti trascorse a fare incubi l’uno dopo l’altro sparirono, dissolvendosi come cenere, spazzati via da un’improvvisa folata di vento che traversò le sabbie del cortile interno, sollevando tanta di quella polvere.
Elena si stropicciò gli occhi non potendo semplicemente credere che fosse vero.
Trattenne il fiato nello scorgere la figura dritta e composta di un uomo emergere con passo lento dalla folla e posizionarsi di fronte a lei. Addosso, egli non aveva altro se non parte della sua uniforme di assassino d’alto rango qual’era, le braccia prive di guanti, una sobria cintura legata alla vita senza il fardello di nessun arma, il cappuccio abbassato sulle spalle. Il sorriso festoso sulle labbra traversate, nell’angolo, da una stretta e leggendaria cicatrice. I nerissimi occhi che guardavano lei e che l’avevano sempre guardata con attenzione, premura e, da una parte, amore.
Elena restò traballante sulle sue stesse gambe all’incirca una decina di secondi, circondata dal silenzio emozionante di cento e passa persone che serravano la bocca in un profondo rispetto.
Le luccicarono gli occhi, mentre stringeva i pugni serrando la mascella, trattenendo il pianto.
Altair le sorrise piano, tranquillo più che altro. Non lo aveva mai visto così colmo di gioia e fierezza allo stesso modo, mai visto così pieno d’affetto per lei. Ma ciò che più contava, era soltanto poterlo vedere, sapere che stava bene, e che era sfuggito alla morte.
C’era un solo modo per accertarsi che non fosse frutto della sua immaginazione. Poteva trattarsi di un sogno, e lei di davvero verosimili sapeva inventarsene a bizzeffe. Perciò… fu inevitabile.
Scattò di corsa verso il suo maestro e si gettò ad abbracciarlo, avvinghiandosi al suo collo e soffocando i singhiozzi nel tessuto candido e pulito della veste bianca.
Nel momento in cui le braccia di Altair la strinsero a sé con maggior vigore ricambiando quell’abbraccio e sfiorandole la schiena con le mani, ella percepì il calore del suo corpo e la rigidezza dei suoi muscoli, assaporò il suo profumo inebriandosene i polmoni.
Intanto, la gente tutt’attorno taceva ammutolita, ostinata in un commosso silenzio che purificava e rendeva l’aria ancor più tersa ed emotiva.
-Siete qui…- mormorò.
-Ti è così difficile crederlo?- domandò spensierato accarezzandole i capelli.
-Adesso non più- gemé chiudendo gli occhi, restando accollata a lui così da non poterlo lasciare andare mai più via. Non avrebbe permesso a niente e nessuno di contrapporsi a loro, e neppure il veleno era riuscito nell’intento. Perciò, perché non sperare che sarebbe potuto rimanere tutto per sempre così? In questo meraviglioso clima di pace, gioia, amore…
Qualcuno si schiarì la voce, attirando l’attenzione dei presenti che si voltarono a guardare chi avesse osato interrompere un tale gesto.
Elena allontanò appena il viso dal suo petto, e Altair la tenne stretta a sé nel mentre si girava alle sue spalle.
Vi era Tharidl, nel centro del semicerchio che si era creato. L’uomo vestiva della sua lunga casacca scura tirata a lucido, la folta barba bianca e i capelli grigi che ai raggi del sole alto nel cielo rilucevano fasci argentati. Era arduo decifrare le emozioni che andavano disegnarsi sul suo volto solcato dagli anni: forse gioia, forse rancore. Fatto sta che al suo fianco vi erano due differenti assassini che Elena conosceva bene.
Gabriel, alla destra del Gran Maestro, mostrò la dentature bianca sorridendo come poche volte Elena l’aveva visto fare, dato le rare occasioni durante le quali si erano incontrati. Egli indossava una tunica bianca, corta, gli stivali e il guanto d’acciaio, assieme al cappuccio calato sul volto a risaltare l’azzurro luminescente degli occhi e alcune delle ciocche color miele che spuntavano fuori da questo.
Il ragazzo fece un passo avanti al vecchio Tharidl e chinò la testa. –So tutto- disse tranquillo.
Elena, ancora stretta al suo maestro annuì. –Sì, ecco…-.
Gabriel fu evasivo. –Ne parleremo più tardi, noi- dichiarò sorpassandola e andando a confondersi tra la folla alle sue spalle, raggiungendo Kalel sistemato distante al resto della gente.
Marhim, alla sinistra di Tharidl, piuttosto che avanzare, indietreggiò.
Elena a quel punto capì e, sorridendo mesta, si scansò di propria volontà dal suo maestro. Prese un gran respiro e si avvicinò a lui.
Marhim rimase silenzioso irrigidendo i muscoli.
La ragazza accorciò ancora la distanza e si sollevò sulle punte per baciarlo inaspettatamente sulle labbra, di fronte a tutta quella gente che aggravò oltremodo il silenzio.
Elena lo avvicinò a sé afferrandolo per la veste, senza interrompere il bacio che proseguiva immobile l’uno con le labbra premute delicatamente su quelle dell’altra. Non appena si separarono per riprendere fiato, la ragazza lo strinse con vigore allacciandosi a lui e nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.
-Mi sei mancato troppo- gli sussurrò all’orecchio.
Marhim poggiò una guancia sui suoi capelli e parve rilassarsi del tutto. –Anche tu- mormorò commosso avvolgendole le braccia attorno ai fianchi.
Tharidl sorrise compiaciuto. –Bene- ridacchiò guardandosi attorno.
Nel frattempo quello della folla era diventato un chiacchiericcio allegro e compiaciuto.
Andò ad affiancarsi ad Altair che osservava ammutolito.
-Suvvia- rise il Gran Maestro. –Credevi con tutto te stesso che non lo sapessi?- domandò adocchiando divertito i due giovani.
L’assassino si riscosse ed incrociò le braccia al petto. –Come facevate a saperlo? Non immaginavo che poteste esserne a conoscenza- borbottò.
-Ah, Altair- sospirò il vecchio. -Ed io non immaginavo di sembrare così cieco e stupido. Non sono nato mica ieri- Tharidl annuì beffardo e gli strinse una spalla amichevolmente, poi si allontanò da lui andando incontro agli assassini reduci della missione.
Kalel si avvicinò a lui e i due si scambiarono un fragoroso abbraccio fraterno.
-Sono contento di riaverti qui tra noi- disse il Maestro.
Kalel si massaggiò il collo. –Tu sì, ma come la mettiamo coi tuoi saggi?- rise. –Sono loro che hanno ordinato la mia morte ai tuoi sicari, neppure io sono nato ieri-.
-Ed io sono contento di sapere che non dubiti di me ma bensì di altri- sorrise Tharidl.
-Dopo quello che hai fatto per lei- gioì Kalel guardando sua figlia tra le braccia di quel giovane assassino dal cappuccio grigio. –Dopo quello che hai fatto per Elena, dopo esserti preso cura di lei così… come potrei dubitare di te?-.
Tharidl giunse le mani dietro la schiena. –Ebbene, ora rimane poco e niente da fare- dichiarò serio.
Fredrik, Rhami ed Hani chinarono la testa in segno di saluto e rispetto.
-Ben tornati- proferì guardandoli.
L’ultimo di questi slacciò le bisacce dalla sella del suo cavallo e ne mostrò il contenuto al Gran Maestro che, tendendo le braccia afferrò le due sfere ammirandole soddisfatto.
-Ottimo- disse loro, e i tre assassini si scambiarono un’occhiata complice.
Elena intrecciò le dita alle sue e Marhim poté finalmente guardarla negli occhi, anche se per pochi istanti.
Altair comparve al suo fianco ed ella si volse a scambiare con lui un sorriso luminoso.
Il suo maestro le carezzò un’ultima volta la testa, poi si allontanò dal cortile confondendosi alla folla e scomparendo dentro la fortezza.

Una luce abbagliante penetrò le vetrate dello studiolo del Gran Maestro, alla quale scrivania sedeva pensoso Altair. Erano fuochi d’artificio che s’innalzavano al cielo per poi esplodere festivi tra le stelle di quella notte priva di nuvole.
L’assassino era completamente stravaccato sulla sedia, un gomito poggiato sul tavolo teneva il cappuccio alzato sul viso che mostrava un incredibile smarrimento e severità.
Assorto nei suoi pensieri, guardava fuori dalle finestre la gente applaudire divertita e godersi a pieno quella notte di festa.
Solo nello studio, avvolto dal silenzio della vuota fortezza, Altair sospirò mesto.
Alla gioia immensa di quella serata avevano preso parte tutti gli assassini della setta.
Un nuovo fuoco artificiale partì ed esplose nel cielo, illuminando la valle di una luce verde smeraldina. Un altro, e un altro ancora. Questi spruzzarono una marea di scintille che si confusero alle mille stelle del firmamento, rovesciandosi in fine come coriandoli sulla piazzetta.
Da lassù poteva vedere e riconoscere i volti sorridenti della sua allieva stretta tra le braccia del giovane Marhim, avvolti dalla gente di Masyaf che cantava e ballava senza freno.
Vi erano anche Kalel e Tharidl, assieme a molti dei saggi riuniti a godersi quello spettacolo in un angolo. Buffo, pensò riconoscendo tra i presenti, molto vicino a Kalel, un uomo che Altair conosceva bene. Era un informatore che adoperava nel distretto medio di Gerusalemme, un certo… Akram, se ricordava bene. Egli aveva il viso scoperto e sorrideva giocoso accanto al padre di Elena. Non si soffermò oltremodo sulla questione, piuttosto riconobbe i volti di Fredrik e Adel sorbirsi la meraviglia pirotecnica, e pensò che avrebbe dovuto trovarsi lì con loro.
Fece per alzarsi, così da rimediare all’immensa solitudine che provava, quando una voce acuta, melodiosa e dall’accento francese lo chiamò per nome.
-Come mai siete qui?- domandò Isabella.
Altair alzò lo sguardo incontrando gli occhi scuri della donna che era in piedi dinnanzi alla scrivania. Vestiva di un bell’abito beige e un velo azzurrino attorno alle spalle.
-Nulla più dovrebbe turbarvi, ora che niente vi minaccia- aggiunse lei con tono profetico.
L’assassino si sollevò lentamente dallo scranno. –Stavo giusto dirigendomi… fuori- assentì. –Ma voi?- chiese lui. –Cosa state facendo qui, e dov’è vostra figlia Maria?- allungò un’occhiata alle spalle della donna.
Isabella allungò le labbra in un sorriso radioso. –Volevo ringraziarvi-.
Altair inarcò un sopracciglio. –E di cosa?- formulò confuso. –Forse mi confondete con qualcun altro, non sono io l’assassino che vi portò qui assieme a vostra figlia- disse composto.
-Lo so bene- mormorò flebile la sovrana. –Ma non è di ciò per cui vi debbo le mie gratitudini-.
-Illuminatemi- ghignò l’uomo.
-Ammetto che fu la vostra allieva a risparmiarci la vita una prima volta- ridacchiò –nonostante ciò, il suo immenso rispetto per noi deve derivare per forza dal suo maestro. È di questo che voglio ringraziarvi-.
-Credo di non capire- proferì avvicinandosi a lei. –Mi state porgendo i vostri sentiti ringraziamenti per aver insegnato alla mia allieva ad essere com’è?- domandò stupito. –Curioso- borbottò.
Isabella si portò una mano alla bocca ridendo. –In effetti può sembrar strano, inizialmente, ma permettetemi di aggiungere che ho assistito alle agonie dell’uomo che mio marito Corrado teneva prigioniero. Kalel, se non sbaglio… il padre della vostra allieva, mi presi cura di lui assicurandomi che Monferrato non lo ammazzasse prima del tempo. Così ho avuto modo di sapere quant’egli fosse certo che Tharidl Lhad scegliesse per Elena qualcuno davvero speciale, e quel qualcuno dovete essere voi- sussurrò.
Altair distolse lo sguardo. –Vi sbagliate, si sbagliava anche Tharidl- sbottò. –Non sono l’uomo dignitoso che tutti voi pensavate io fossi. A quella ragazza ho fatto torti che a stento immaginereste!- digrignò.
Isabella tacque alcuni istanti, e d’un tratto fece un passo verso di lui, accorciando la distanza che gli separava e salendo due dei bassi gradini. –Ciò non mi spaventa, se è questo che credete. Ho conosciuto uomini peggiori di voi-.
-Non è mai stata mia intenzione spaventarvi- eruppe irritato. –C’è altro?- aggrottò la fronte.
-Veramente no- guardò altrove. –Adesso sono in pace con me stessa- sorrise soddisfatta.
-Ottimo- sibilò lui massaggiandosi il volto.
-Ma voi no, è così?- rise lei.
Altair alzò gli occhi al cielo, ma dopo poco non riuscì a trattenersi dal ridere. –In effetti- ribadì allegro.
Il sorriso sulle labbra di lei si fece ancor più vero, e rimasero allungo in silenzio.
Quando il botto di un nuovo fuoco d’artificio squassò l’aria immobile della fortezza e una luce rosata a brillante invase la sala, Altair fece un passo avanti annullando del tutto la distanza che c’era tra di loro sistemandosi al suo fianco.
Sorridendo beffardo, l’assassino alzò un gomito e disse: -Posso avere l’onore di accompagnarvi alla festa, mia Regina?- domandò.
Isabella sorrise felice e acconsentì con un gesto del capo, legando il braccio a quello di lui. –Certamente- mormorò mentre si avviavano.

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The End
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Eccoci.
Alla fine, l’inevitabile è successo. Ogni storia ha il suo lieto fine, ed io ho scelto questo.
Arrivata a l’ultimo capitolo, non so che dire… ci sarebbero così tanti punti da chiarire, così tanto di cui discutere, così tanto a cui pensare! Eppure… sono troppo coinvolta emotivamente e non riesco a dire qualcosa di sensato. Mi sono emozionata troppissimo scrivendo quest’ultima parte del capitolo. Sia perché era così vivida nella mia mente che avevo l’impressione di star guardando un film, sia perché ormai sono troppo affezionata ai protagonisti di questa storia. È la prima volta che concludo davvero qualcosa, di solito non finisco neppure tutti i compiti! Dico sul serio, e devo dire che ci si sente davvero bene.
Quindi.
Adesso sta a me dimostrare quanto tutti voi siete stati speciali per me e mi avete sostenuto nello sviluppo di quest’avventura strampalata e assurda che solo la mia mente contorta poteva inventarsi!







Come promesso, ho imparato a mettere i link ai vostri accaunt, ma è talmente faticoso che posso permettermelo solo alla fine di ogni storia! Grazie a tutti voi!
Ora basta. Penso di aver parlato abbastanza. Vi avviso: nelle recensioni è permesso e ben accetto qualsiasi tipo di scler! XD grazie!
Vi voglio bene!!!

A presto...
Elik.

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