A new direction

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** PRONTUARIO ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 
 

If you understand or if you don't
If you believe or if you doubt
There's a universal justice
And the eyes of truth
Are always watching you.

-Enigma-
 
1.
 
 
 
 
 
«Vostro figlio si sposa, padre.»

La mia voce giunse roca e seccata persino alle mie orecchie, addirittura piccata, ma ne avevo ben d'onde.

Non a causa della notizia da me proferita, appena condotta alle orecchie del mio augusto genitore, quanto per la sua scontata reazione.

Già mesi addietro, con la decisione perentoria e inderogabile di Rohnyn di rinunciare al suo lascito per amore di un'umana, lui era stato irremovibile.

L'aveva imprigionato – anche per mia stolta ingenuità – per riportarlo a più miti consigli, ma nulla era servito.

Nostra madre Muath aveva dato ragione al marito, giungendo persino a ferire il figlio, ma neppure questo aveva fatto desistere Rohnyn dall’amare Sheridan.

Alla fine, non avevo potuto far altro che cercare di liberarlo, pur se questo aveva richiesto svariati, quanto infruttosi, tentativi di fuga.

Il pensiero di sapere perso per sempre mio fratello, non smetteva di assillarmi.

Lui sarebbe vissuto e morto da umano, e io avrei dovuto accettare di perderlo in un tempo, per me, fin troppo breve.

Ma era stata una sua scelta e, pur dolente, l’avevo accettata. L’amore per Sheridan era così forte da far passare in secondo piano ogni cosa, anche l’amore per il mio fratello minore.

Non era valso a nulla spiegare a nostro padre della luminescenza, la parvhein, lo stadio di riconoscimento con cui i fomoriani riconoscono le Prescelte.

I figli di Rohnyn sarebbero stati a pieno titolo dei mac Lir, dei figli del mare, e avrebbero potuto, un giorno, essere ammessi a Mag Mell.

Il fatto che Rohnyn avesse bruciato – letteralmente – il suo status di principe, non significava che i suoi figli non avrebbero potuto fare richiesta di vivere sotto il mare.

Non ero sicuro che Sheridan, l'indomita e futura moglie di mio fratello, avrebbe accettato, comunque.

Il nostro primo incontro mi aveva fruttato – a ragione – un pugno in faccia e, quando ci eravamo rivisti, lei mi era parsa ancora piuttosto guardinga.

Non gliene facevo una colpa. Aveva tutte le ragioni del mondo per avercela con me, con mio padre, con noi tutti.

Avevamo tentato di strapparle Rohnyn. E lui era rimasto per mesi imprigionato nelle segrete di palazzo.

Abbastanza per esaurire anche la pazienza di un santo.

Il fatto che ora Rohnyn fosse impossibilitato, a tutti gli effetti,  a rientrare in patria, non piaceva né al re né alla regina, ma ormai il danno era fatto.

Almeno, ai loro occhi.

«Nessuno dei miei figli si sposa, Stheta. Tu, Krilash e Lithar non mi avete presentato nessun compagno degno di tale titolo, che io sappia.»

Il suo tono burbero fece fremere le mie mani, desiderose di sfoderare la spada che portavo al fianco.

Non aveva nominato Rohnyn, e questo mi diede una chiara indicazione di come sarebbero andate le cose, da lì in avanti.

Reclinai perciò il capo e, rigido, mormorai: «Non vi chiederò licenza di uscire dal regno, poiché sono libero di farlo senza il vostro benestare. Ma vorrei ripensaste alla vostra decisione.»

«E' stata presa. Non vi tornerò mai sopra. E' già tanto che non intenda punire anche te, per averlo fatto evadere.»

Ciò detto, mi fece segno di allontanarmi dal suo alto scranno di corallo levigato.

Sdegnato, uscii con un gran svolazzare del mio mantello, simbolo primo del mio retaggio.

Non sbattei comunque le porte della Sala del Trono, no, non gli avrei mai dato quella soddisfazione.

Ma, quando mi trovai nel corridoio che conduceva al pronao del palazzo reale, fremetti di giusta ira.

Era assolutamente inconcepibile che nostro padre voltasse le spalle a uno dei suoi figli, che stava solo portando avanti il suo desiderio di una vita felice.

Certo, questo gli sarebbe costato la sua lunga vita, ma non era il primo, e non sarebbe stato neppure l'ultimo fomoriano a prendere tale decisione.

La nostra storia millenaria era zeppa di esempi simili.

Camminai spedito, rispondendo ai saluti dei soldati di ronda, ma la mia rabbia balzò così evidente agli occhi di tutti, che nessuno tentò di fermarmi.

Sapevano bene che tentare di chetarmi, in momenti simili, era pari a follia.

Dovevo sbollire l’ira in solitudine, e lasciare che le onde del mare dessero requie al mio cuore in tumulto.

Uscii perciò da palazzo e, oltrepassata la barriera, scivolai nell'acqua con la grazia tipica dei fomoriani e mi andai a sistemare sul ciglio di un crepaccio.

Da quel posto privilegiato, potevo sì e no scorgere la faglia sottomarina in movimento, oltre alle infinite fumarole dei vulcanelli sottomarini.

Mag Mell era immune dai sommovimenti della crosta terrestre, e nessun terremoto o eruzione vulcanica sottomarina avrebbe potuto incrinare il suo splendore.

Millenni addietro, più di quanti io stesso ricordassi, i primi fomoriani scelsero queste lande per vivere, dopo essersi lasciati alle spalle la morente patria natia.

Memori di un passato ancor più lontano in cui, in un altro mondo, le nostre genti erano nate e cresciute, avevano invaso pacificamente le acque di questa nuova casa.

A volte, io stesso trovavo impensabile immaginare la mia esistenza al di fuori della Terra.

Eppure, sapevo bene da chi discendessimo, e quando e come il nostro pianeta d’origine avesse trovato la morte.

Una stella morente ci aveva spinti a quel viaggio tra le galassie, e i superstiti di quel regno in agonia si erano ritrovati sulla Terra, unico luogo adatto da dove ripartire.

Un regno condiviso con coloro che ci avevano aperto le porte su Manaheimr, sulla Terra.

I Tuatha de Danann, gli dèi figli di Dana, erano stati solerti con noi, quanto avidi di ciò che, tra le loro genti, era ormai divenuta merce rara.

Donne di origine in parte divina con cui perpetrare la specie.

Pur se accoppiarsi con la giovane razza umana  era diventato comune, il loro stato di divinità accettava mal volentieri i frutti di simili unioni.

Il nobile sangue fomoriano, che discendeva dagli dèi Vani e dalle prime genti di Vanaheimr, possedeva ciò che loro bramavano.

Purezza e forza.

Se, per i primi secoli, la convivenza era stata pacifica e molte unioni erano state benedette da entrambi i clan, la guerra era stata altresì inevitabile.

Due entità così forti non avrebbero mai potuto convivere pacificamente,  avendo, come fondamento della propria cultura, l’arte guerriera.

Le guerre tra fomoíre e figli di Dana erano state epiche, e narrate persino dalle genti umane che, indifese spettatrici, avevano dato lustro a quegli scontri.

Sul finire delle battaglie tra i nostri popoli, anch’io e i miei fratelli avevamo partecipato al massacro, contribuendo all’estinzione della razza.

Così, il nostro occhio curioso si era allungato sul genere umano.

Non più disturbati dalla presenza dei figli di Dana, avremmo potuto prosperare … e asservire a noi le genti umane, se necessario.

Reclinai il capo pensando a quanto, del nostro mondo natio, avessimo perso e a quanto, la vicinanza con la giovane razza umana, ci avesse dato.

Certo, gli umani si erano dimostrati ancora troppo acerbi, per gli interessi di mio padre, ma mia madre li aveva trovati interessanti. Malleabili.

E il suo contributo per istruirli era ancora evidente a tutt’oggi.

Il medesimo interesse era fiorito, man mano, anche in molti fomoriani, e questo aveva portato alle prime mescolanze tra le genti.

Nei secoli, molti di noi si erano spinti fuori dal mare per vivere assieme a loro, in armonia, generando stirpi meticce e non più legate all’oceano.

Rohnyn non era che l'ultimo della lista. Il guaio era uno, e uno soltanto.

Lui era un principe di stirpe reale.

E comunque avessimo presentato l'argomento a nostro padre, lui non avrebbe mai accettato la mescolanza del suo sangue purissimo con una mortale qualunque.

«Avete pensieri tristi, principe, se vi rintanate qui, ai bordi dell'abisso, e terrorizzate le guardie col vostro umor nero.»

La voce a me familiare di Ciara1 mi portò a volgere lo sguardo alle mie spalle, i chiari occhi color acquamarina – retaggio di noi mac Lir – pronti a fulminarla irritati.

Non vi riuscirono. Come sempre, del resto.

Se c'era una persona immune ai miei attacchi di rabbia, era Ciara.

Capitano della guardia di palazzo, era al servizio di mio padre da quasi mille anni.

Alta e statuaria come molte fomoriane, portava le lunghe chiome rosso fuoco strette in una trina di trecce, raccolte da un intricato fermaglio in oro bianco.

Erano poche le persone che potevano dire di averla vista con i capelli sciolti. E io non ero tra questi, malauguratamente.

Lithar, gemella di Rohnyn, ne era stata spettatrice, e ne aveva decantato la bellezza – con un pizzico di gelosia a condirne il tono – per mesi interi.

I suoi occhi, blu come il mare che ci circondava, mi studiarono pacifici e io, con un lento sospiro, mi alzai in piedi, sovrastandola solo a fatica.

Ciara non era capitano delle guardie solo per diritto di nascita, ma anche per merito.

Pochi uomini l’avevano sopraffatta in combattimento, nel corso degli anni, e rare volte ero riuscito ad averne ragione, nel corpo a corpo.

Eccelleva in tutte le arti guerriere, anche se prediligeva le armi lunghe come le alabarde o le spade a due mani.

La rihall a forma di manta, retaggio della sua famiglia, vibrò sulla sua mano, segno che non era così tranquilla come voleva far credere.

Ciascuno di noi, nasceva con il simbolo della propria famiglia sul corpo.

In quanto figli di stirpe reale, io e i miei fratelli portavamo sulla pelle il simbolo di una stella a cinque punte ricurve.

Lithar, curiosamente, era nata con una stella a punte di freccia, che spiccava sul suo lungo collo sinuoso.

Io, Rohnyn e Krilash, invece, avevamo le nostre stelle sugli avambracci.

Per un attimo, mi domandai se, sotto i bracciali dell'armatura leggera che indossava Ciara, vi fossero altre mante, o disegni altrettanto belli e intricati.

In molti, negli ultimi secoli, erano saliti sulla terraferma perché i mastri tatuatori umani dipingessero loro sulla pelle disegni che ben si abbinassero alle rihall.

Non credevo possibile che Ciara appartenesse a quel gruppo, ma tutto poteva essere. Non ero così addentro alla vita del mio capitano della guardia, per poterlo asserire con certezza.

Questo mi portò a sorridere divertito e lei, per tutta risposta, mi guardò dubbiosa.

«Chi ti ha incaricato di venirmi a salvare dal mio caratteraccio, Ciara? Mia madre, quel codardo di mio fratello, o la mia incantevole sorellina?»

Lo dissi con tono irriverente, ma lei non vi fece caso. Sapeva da millenni, ormai, che carattere avevo e quanto mi piacesse punzecchiarla.

«Nessuno di loro, Altezza. Vi ho solo scorto a palazzo, intento ad allontanarvi col volto adombrato dalla collera, così ho preferito conoscerne i motivi, prima di far intervenire i vostri familiari.»

Assentii, lo sguardo ora più amichevole, e asserii stancamente: «Il problema è sempre e solo uno, Ciara. Mio padre odia mio fratello Rohnyn a cagione della sua scelta, e niente di quello che dirò, o farò, gli farà cambiare idea. Questo mi addolora e, al tempo stesso, mi fa fremere d’ira. So che dovrei controllarmi, ma… mi riesce molto difficile, in questo caso.»

«L'umana nel cuore del principe deve essere degna di nota, se l'ha spinto a rinunciare alla sua genia» sottolineò Ciara, chiaramente sorpresa da una simile eventualità.

Ridacchiando, mi passai una mano tra le folte onde bruno rossicce, rilasciate in quel momento sulle spalle, e replicai: «Sheridan lo ha quasi ammazzato, quando ha saputo cosa aveva intenzione di fare. Lei non voleva affatto che lui vi rinunciasse.»

Ora, la confusione di Ciara si fece totale.

«Scommetto che tu e Sheridan andreste d'accordo.»

Mi parve scettica.

«Con tutto dovuto il rispetto, principe, non ho mai messo piede sulla terraferma, e resto dell’idea che fondere i nostri due mondi non sia necessario. Io sto bene quaggiù e, immagino, loro stanno bene lassù.»

«Quindi, devo supporre che non verrai con me al matrimonio di Rohnyn per proteggermi» la irrisi bonariamente, sapendo di metterla a disagio.

Provavo una sorta di divertimento subdolo nel prenderla in giro, perché sapevo che Ciara era tutto tranne che una persona propensa alle spiritosaggini.

Come avevo sperato, aggrottò la fronte e si fece pensierosa, persino turbata.

«Il mio compito primario è difendere i confini del palazzo ma, se credete che possa esserci pericolo, posso affidarvi nelle mani sapienti di uno dei miei uomini e...»

La interruppi con un gesto della mano, rendendomi conto di quanto avesse preso sul serio il mio dire.

L'idea di farla sorridere era fallita in pieno. Come ogni volta.

Era davvero difficile riuscire a scalfire la sua scorza dura e, per me, era ormai divenuto un punto d’onore riuscirvi.

E un piacere davvero subdolo lanciarmi in simili imprese.

«Ciara, ti stavo prendendo in giro. Pensi davvero che qualcuno potrebbe aggredirmi a un matrimonio?»

«Siete il principe ereditario, e...»

«Ciara.»

«Loro non lo sanno, vero?» borbottò a quel punto lei, pur restando accigliata.

Forse non avrei dovuto metterle la pulce nell'orecchio. Ora, si stava veramente preoccupando.

Sbuffai, maledicendomi per la mia idiozia.

«Dimentica quel che ho detto, Ciara. Non succederà nulla. E Krilash e Lithar saranno con me. Sarò ben protetto.»

«Non credo che, se facessero del male alle loro Altezze Krilash e Lithar, potrei dire di sentirmi meglio» sottolineò con un certo puntiglio Ciara, aggrottando le sopracciglia bionde.

«Cosa ti farebbe stare tranquilla?» le chiesi a quel punto, non sapendo come risolvere quel pasticcio.

E dire che la conoscevo...

«Verrò con voi, e vi terrò d'occhio. Metterò a guardia del palazzo il mio secondo, così il controllo del perimetro verrà mantenuto da una persona di mia fiducia, mentre io mi occuperò della vostra incolumità.»

Il suo tono fu così lapidario che non potei dissentire. Mi preoccupava solo una cosa, a quel punto.
«Cosa hai intenzione di indossare?»

«Come, prego?»

Mi squadrò quasi inorridita, come se il mio accenno agli abiti la disturbasse. E in effetti…

Non era decisamente argomento da trattarsi con il mio capitano della guardia ma, vista la situazione così singolare, non potei esimermi dal ficcare il naso.

«Chiedi lumi a Lithar. Ti dirà lei cosa indossare o, eventualmente, ti procurerà degli abiti adatti allo scopo.»

«So già che sarà un disastro» brontolò, scuotendo il capo.

Io mi limitai a sorriderle contrito, sperando non avesse ragione come, spesso e volentieri, invece accadeva.

Ma sapevo già che, per una fomoriana mai salita sulla terraferma, un matrimonio non era il luogo ideale per assaporare la vita libera e spensierata degli umani.

Sì, sarebbe stato un disastro.
***

La spiaggia appariva deserta, ai nostri occhi, eppure dubitavo fortemente che Rohnyn si fosse dimenticato di venire a prenderci.

Qualche attimo dopo aver formulato quel pensiero, riconobbi in lontananza la figura slanciata e magra di Sheridan.

Munita di torcia elettrica, si stava avventurando su quel tratto di costa deserta per raggiungerci a grandi passi.

Di Rohnyn, nessuna traccia.

Quando ci vide, arrestò il suo incedere, si fece guardinga e infine disse: «Stheta... quasi non ti riconoscevo, in jeans e maglietta. Lithar la riconosco, ma gli altri… Se sono i tuoi sgherri, non provare ad avvicinarti, sennò ti farò un occhio nero. Anzi... due.»

Risi di quella minaccia, ma Ciara non fece altrettanto.

Mosse un passo in direzione di Sheridan, che si mise subito in posizione di attacco ma io, levando un braccio, bloccai il mio capitano delle guardie e mormorai: «Cheta la tua ira, Ciara. Ti ho già detto anzitempo che Sheridan ha tutti i motivi per essere un po' prevenuta, nei miei confronti.»

«Già il fatto che vi abbia toccato non depone a suo favore, principe.»

Il suo brontolio sommesso mi fece sorridere.

Quello che disse in risposta Sheridan, un po' meno.

«Chi è? Il tuo cane da guardia? Non pensavo ne avessi bisogno, Stheta.»

Ecco, appunto. Il caratteraccio di Sheridan veniva fuori in tutto il suo splendore... e nel momento peggiore.

Ciara digrignò i denti mentre Krilash scoppiava a ridere, e Lithar fissava la sua futura cognata con espressione a dir poco affascinata.

Niente che non mi fossi aspettato.

Per questo, avevo sottolineato con Ciara che, solo ed esclusivamente su mio ordine, sarebbe intervenuta in mia difesa. Non un attimo prima.

Battendo le mani con aria deliziata, Krilash si esibì in un elaborato inchino e, con voce tonante, esclamò: «Lascia che mi presenti, cognata. Io sono Krilash, secondogenito dei mac Lir e tuo nuovo fratello.»

Sheridan lo fissò con aria divertita e guardinga assieme ma, ligia al suo carattere solare, gli allungò una mano in segno di benvenuto.

Krilash, un po’ sorpreso, la accettò dopo un attimo di titubanza e, con una sonora stretta a quella di Sheridan, allargò il suo sorriso e disse: «E’ un piacere conoscere la donna che ha preso a pugni mio fratello.»

«Almeno uno che non cerca di farmi fuori, e si presenta in modo cordiale.»

Mio fratello scoppiò nuovamente a ridere di gusto e Lithar, sorniona, mi fissò divertita, asserendo: «Questa parte me l'ero persa. Mio fratello non aveva fatto alcun cenno al vostro alterco.»

Tossicchiai imbarazzato, non sentendomi di sicuro orgoglioso del mio primo incontro con Sheridan.

Avrei dovuto essere più accorto, e fidarmi molto meno di nostra madre Muath. Presentarmi da lei a difese completamente abbassate era stato sciocco, fin troppo sciocco.

E dire che la conoscevo!

Ma ormai era fatta e, nel bene e nel male, avevamo risolto il problema causato proprio di mia mano.
Sheridan si pose infine dinanzi a me e, con un sorriso sinceramente grato sul viso bellissimo, mi allungò una mano con fare amichevole.

«Sono contenta che siate potuti venire tutti, indipendentemente da quel che è successo tra noi due.»

Strinsi quella mano esile, ma che sapevo essere forte, e replicai: «Rohnyn è, e resta, nostro fratello. Non avremmo potuto mancare all'evento.»

Il suo sguardo di cristallo si puntò quindi su Ciara, che ancora stava al mio fianco, silenziosa e letale e, più cortese, allungò la mano anche a lei.

«Devo supporre tu sia la sua guardia del corpo, o qualcosa di simile. Non volevo offenderti, prima, o offendere veramente lui. Stando in mia compagnia, scoprirai ben presto che tendo a essere molto diretta. E, se posso, faccio battutacce di pessimo gusto. Mi scuso fin d'ora. Immagino che l’abito che mi ha commissionato Lithar fosse per te.»

«Mi reputo avvisata» asserì a quel punto Ciara, stringendo la mano protesa di Sheridan con aria piuttosto insicura. «Sì, infatti. Spero che questo cambiamento dell’ultimo minuto non abbia creato troppi disagi a te o al principe.»

Non era ad uso, tra i fomoriani, scambiarsi strette di mano, soprattutto tra persone sconosciute, ma Ciara accetto ugualmente la sfida.

Si valutarono con gli occhi, allungando fino all'infinito quell’incontro fisico ma, quando si sciolsero, parvero aver raggiunto un tacito accordo.

I loro occhi sorridevano.

Sheridan scrollò le spalle e, con un tocco di ironia, replicò: «Se mi faccio fermare dall’acquisto di un abito, allora sparatemi. Il vestito è in casa mia, e dovrebbe andarti benissimo. Spero solo di aver azzeccato il modello. Lithar mi ha parlato di stile greco.»

Ciara assentì. «Non so quanto sia in auge, presso di voi, ma i nostri abiti da cerimonia rassomigliano massivamente ai peplum greci.»

«Allora andrà bene. Per i matrimoni ci si può vestire eleganti finché si vuole» dichiarò Sheridan, reputando chiusa la faccenda.

Più sollevato – Ciara pareva più tranquilla, in quel momento – domandai: «Rohnyn non è venuto?»

«Ci aspetta sul van che abbiamo affittato per venirvi a prendere. Non mi fidavo a farlo venire sulla spiaggia, lo ammetto.»

Lo disse con tono ironico, ma percepii anche un vago sentore di scuse nella sua voce.

Scossi il capo, comprendendola più che bene.

Lithar, comunque, parlò per me.

«Non devi avere timore che la nostra venuta sia un evento infausto, cognata. Siamo qui solo per gioire con te e Rohnyn. E il fatto che tu abbia voluto inserirmi tra le tue damigelle d’onore è fonte di estrema gioia, per me.»

Ciò detto, le sorrise cordiale e Sheridan, sollevando a sorpresa una mano, attese che Lithar battesse la mano contro la sua.

Un attimo dopo, mia sorella la accontentò, ridacchiando divertita quanto imbarazzata. Erano gesti davvero molto inconsueti, per non dire praticamente inusitati, tra noi fomoriani.

Sapevo, però, quanto Lithar ammirasse, più o meno segretamente, il modo di vivere disinibito degli umani.

Sheridan, ghignante, ammiccò al nostro indirizzo, mormorando: «Me l'ha detto Ronan che avresti capito, e apprezzato, il gesto. E credimi, fa piacere anche a me averti al mio fianco.»

«E' questo il nome del principe, tra i mortali?» si interessò a quel punto Ciara, guardandoci con aria dubbiosa.

«Sì, e vi pregherei di ricordarvi che qui nessuno sa che ha discendenza nobile, né tanto meno... beh...»

Indicò il cielo, dove le stelle splendevano serene e tranquille, e tutti noi annuimmo.

Non era proprio il caso di parlare di certe cose.

Sfregandosi soddisfatta le mani, Sheridan annuì a noi tutti e ci indicò uno stretto sentiero presente sulla spiaggia.

Indirizzando il fascio di luce in quella direzione, si incamminò per farci strada.

Subito, Ciara si pose al mio fianco, mentre Lithar e Krilash chiudevano la fila.

Non impiegammo molto a raggiungere una piccola e deserta stradina di campagna, dove Rohnyn ci attendeva con il van.

Se per Krilash e Lithar non fu una sorpresa – loro erano saliti in superficie piuttosto spesso, nel corso dei secoli – per Ciara fu quasi uno shock vedere un’automobile.

Turbata, mormorò al mio indirizzo: «Possiamo stare tranquilli? Non è che ci divorerà?»

Sheridan scoppiò a ridere e, affiancatala, la allontanò da me per condurla vicino al van, dove mio fratello attendeva appoggiato alla portiera.

Salutò con un sorriso e una stretta di mano Ciara, che rispose ampollosamente con un inchino mentre Sheridan, alle prese con il cofano, lo sollevò con aria esperta.

«Ecco, guarda, Ciara. Solo metallo, gomma e olii vari. Nessun mostro, anche se, una volta in moto, potrà darti questa impressione» le spiegò con assoluta semplicità. «Ronan mi ha detto che non avete nulla del genere, a Mag Mell, e che le uniche cose che usate per spostarvi, oltre a voi stessi in forma di delfini, sono le mante e le orche.»

Lei annuì, vagamente sorpresa che sapesse così tanto del nostro mondo.

Il sorriso di Sheridan si allargò ancora e, nel richiudere il cofano, la prese per mano per farla salire – sgomentandola un po’, lo ammetto – dicendo ancora: «Questi sono i sedili, mentre quello è il posto del guidatore, dove si sistemerà Ronan. Io starò accanto a te e ti spiegherò tutto quello che ti verrà in mente di chiedermi, così ti sentirai più a tuo agio.»

«Oh, ma non c'è veramente bisogno che io... sì, insomma, dovrei...»

Si irrigidì, chiaramente combattuta tra il desiderio di non scontentare Sheridan e il suo obbligo morale di difendermi.

Sentendomi a disagio per averla messa in una situazione del genere, desiderai quasi rimandarla a casa.

Le avevo fatto un torto non da poco, portandola lì.

Krilash e Lithar si sedettero sul retro del van, lasciando che a me spettasse quello accanto a Rohnyn.

Sheridan, battendo una mano su quella di Ciara, che ancora tratteneva con forza, asserì: «Stheta lo sa per cosa certa. Non permetterei mai a nessuno che facessero del male a coloro che amo e, visto che in quest'auto c'è la famiglia del mio futuro marito, farò il tutto e per tutto, per loro. Così come so che lo farai tu. Ma posso assicurarti fin d'ora che non corriamo pericoli.»

Poi, lanciata un'occhiata a Rohnyn, che sogghignò, aggiunse: «Certo, se Ronan fosse così sbadato da finire in un fosso, potremmo avere dei problemi. Ma è bravo, a guidare.»

«Grazie, cara. Troppo gentile.»

«Figurati, tesoro.»

Non si parlarono in modo smielato, ma come una coppia affiatata, e io li invidiai.

Non era da tutti, avere un simile rapporto con la propria compagna.

Quando il motore prese vita, scorsi nello specchietto retrovisivo la tensione sul volto di Ciara, e ancora una volta mi sentii in colpa nei suoi confronti.

Anche in quel caso, però, fu Sheridan ad appianare i problemi.

Sorrise a Ciara e le disse: «Sai che il tuo nome assomiglia davvero molto a uno usato da queste parti?»

«Davvero?»

«Oh, sì. Significa 'lancia', e penso che sia appropriato, per te. Essendo una guerriera, ti si addice.»

«E' la mia arma preferita» si sbottonò appena Ciara, accennando un sorriso.

Sheridan ne approfittò subito ed esclamò: «Oh, wow! Ma allora è perfetto. Nessun nome sarebbe stato migliore, per te.»

«Anche il tuo nome ha un significato?»

Il fatto che Ciara ricambiasse le domande, fu un passo avanti.

Forse, non sarebbe ammattita, e io non avrei dovuto sentirmi un emerito idiota per averla costretta a seguirci.

Sheridan ridacchiò divertita e, annuendo, disse: «Eccome se ce l'ha. Vero, Ronan?»

«Significa 'selvaggia', e devo dire che è perfetto, per lei.»

«Taci, 'piccola foca'.» Poi, ammiccando a una sconcertata – ma incuriosita – Ciara, aggiunse: «E’ il significato del nome Ronan.»

Sheridan poi ridacchiò, e così pure Ronan, con tono complice.

Ciara parve conquistata dalla parlantina della nostra futura cognata.

A quel punto, iniziò a farle domande su domande, sfiorando le superfici del van con aria meditabonda, o curiosando fuori dal finestrino quando raggiungemmo la città.

Quelle luci, e le costruzioni che salivano verso il cielo scuro come immense montagne, la lasciarono di stucco.

Mentre Sheridan le spiegava ogni cosa con dovizia di particolari, io la ringraziai silenziosamente con lo sguardo.

Se non ci fosse stata lei, quel primo assaggio del mondo dei mortali sarebbe stato traumatico, per Ciara.

Quando infine raggiungemmo un palazzo in particolare, il van discese un corto scivolo, raggiungendo un locale sotterraneo, dove si trovavano altre auto ferme in sosta.

«E' il parcheggio del nostro condominio. Come avrai visto, i posti all'esterno scarseggiano» disse ancora Sheridan, accompagnando fuori Ciara, sempre tenendola per mano.

Ormai, quel contatto tra loro non pareva più disturbare il nostro capitano delle guardie.

Le indicò le uscite di sicurezza, l'ascensore – spiegandole cosa fossero – e, sempre tenendole la mano, si rivolse a Ronan, dicendo: «Pensi tu ai tuoi fratelli, vero? Io faccio fare un giretto a Ciara. Scommetto che vorrà conoscere il perimetro della zona, giusto per stare tranquilla.»

«Vai pure. A loro bado io.»

Rohnyn la guardò con amore mentre salivano sull'ascensore e, quando fummo infine soli, ci sorrise divertito.

«Beh, questa è Sheridan.»

«Un'ottima scelta, se me lo concedi. Non che non apprezzassi Mairie, ma...» mormorò Krilash, tossicchiando. «Insomma... almeno, lei ce l'hai presentata. Con Mairie, abbiamo dovuto ricorrere ai trucchi più beceri, per vederla.»

«Me ne scuso, ma all’epoca pensai che fosse meglio per voi tenervi alla larga, così da evitare le ire dei nostri genitori» ci disse Rohnyn, prima di farsi serio e fissarmi dubbioso: «Era proprio il caso di portare Ciara? La poverina è spaesata.»

«Non avrebbe dormito sonni tranquilli, diversamente. Era in pensiero; pensava potesse succederci qualcosa» replicai piccato, pur sapendo che aveva ragione da vendere.

«Forse, perché tu le hai messo la pulce nell'orecchio, punzecchiandola come fai di solito?» brontolò a quel punto Rohnyn, colpendo nel segno.

Lithar ridacchiò e, affiancatomi, si avviò verso l'ascensore trascinandomi con sé. «Non vorrete discutere proprio alla vigilia di un evento così importante? Siamo qui, insieme, e Sheridan si sta prendendo buona cura di Ciara. Andrà tutto bene.»

Risalimmo i piani in silenzio, mentre i numeri in rosso evolvevano sullo schermo, come per magia.

Rohnyn me ne aveva spiegato il funzionamento, ma in quel momento non lo rammentavo.

Quando infine giungemmo all'ultimo piano, entrammo nell'appartamento e lì, basiti, ci bloccammo.

Ciara e Sheridan sembravano impegnate in un combattimento.

Con una mossa rapida e precisa, il nostro capitano delle guardie afferrò la padrona di casa a un braccio, torcendolo contro di sé per poi stringerle un avambraccio al collo.

«Oh... wow! Alla faccia della manovra evasiva! Un vero portento!» esplose a ridere all'improvviso Sheridan, mentre Ciara mollava la presa.

Un attimo dopo, sorpresa dai nostri sguardi sicuramente sconvolti, ci guardò divertita ed esalò: «Che facce! Dovreste vedervi!»

Lei e Ciara scoppiarono a ridere un attimo dopo, sguaiata la prima, contenuta e appena accennata la seconda e Lithar, dandomi di gomito, mormorò: «Oserei dire che Ciara ha appena trovato la sua prima amica del cuore.»

Vedendole ridere, gli sguardi complici e sinceri, lo ritenni possibile a mia volta.

Ciara era rispettata e temuta dalle guardie, che la seguivano fedeli da ormai più di mille anni.

Ma era indubbio quanto, la sua carica, fosse anche fonte di disagio, e non solo di onore, per lei.

Molte donne la invidiavano e, più di una volta, guerriere titolate e appartenenti a clan più potenti dei mac Airt, di cui Ciara faceva parte, avevano tentato di scalzarne il ruolo.

Lei aveva sempre accettato i duelli all'arma bianca che, di volta in volta, le erano stati proposti, vincendoli tutti.

Ma sospettavo che quell'ostracismo continuo le pesasse, nonostante all'apparenza sembrasse inattaccabile.

Osservai entrambe le donne, ancora impegnate a parlare di tattiche di difesa e attacco, mentre Lithar si univa alla conversazione e Rohnyn e Krilash sorridevano divertiti.

Forse, dopotutto, non sarebbe stato un week-end disastroso.
 
 
 
________________________
1 Ciara: leggasi ‘Kira’.



Note: Ebbene, eccoci qui, con l'avventura di Stheta e dei fratelli mac Lir. Come anticipatovi, questa storia sarà un crossover, ma i nuovi protagonisti entreranno in scena più tardi, perciò per ora nessun problema.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


2.
 
 
 
 
 
«E’ davvero molto bello, Sheridan. E il tessuto… sembra impalpabile. Ma sei davvero sicura che debba sciogliere i capelli?»

La velata protesta giunse dalla camera matrimoniale, - la porta era aperta - dove si trovavano Sheridan, Lithar e Ciara.

La notte prima, come da consuetudine umana, Rohnyn si era recato da alcuni amici della futura moglie, lasciando alle donne pieno dominio sull'appartamento.

Io e Krilash eravamo rimasti lì con Sheridan, preferendo evitare che qualche nostra gaffe potesse smascherarci.

Entrambi eravamo stati in superficie per un tempo sufficiente a capire le stranezze umane, più o meno, ma tutto poteva succedere.

Era perciò preferibile evitare di esporsi troppo, così da non creare guai a Rohnyn e Sheridan.

Dopo aver dormito su dei letti posticci e aver usufruito del bagno per primi – Sheridan ci aveva consigliato di evitare la cavalleria, quel giorno – avevo iniziato a comprendere il perché di quell'avvertimento.

La futura sposa aveva passato due ore ad arricciarsi i capelli.

Lithar aveva osservato affascinata il movimento di uno strano aggeggio, che avevo poi scoperto chiamarsi arricciacapelli.

Krilash aveva indossato il suo smoking, nel frattempo, divertendosi un mondo a guardarsi allo specchio per una buona mezz'ora.

Di noi fratelli, era sicuramente il più vanitoso.

Fu in quel momento – mentre Krilash si sistemava il risvolto della giacca – che suonarono alla porta e, dalla camera da letto, giunse un ringhio feroce.

Sheridan non voleva essere disturbata.

Ridacchiando, le dissi che me ne sarei occupato io e, a grandi passi, mi diressi verso la porta per scoprire chi cercasse la padrona di casa.

Non appena lo feci, mi ritrovai a fissare quattro facce sconosciute, che parvero altrettanto sorprese di vedere un estraneo alla porta.

La più anziana del gruppo, sorridendomi cordiale, fu la prima a parlare.

«Speriamo di non aver sbagliato appartamento ma, dal suo smoking, penso di no. Io sono Niamh, la nonna di Sheridan.»

Mi stampai immediatamente in faccia un sorriso e, con un leggero cenno del capo, la salutai educatamente, presentandomi.

Ci mancò poco che mi inchinassi come a corte. Cosa da non fare, a meno di non voler attirare troppa attenzione.

Krilash fu subito accanto a me e, con il suo solito modo di fare elegante e faceto, accolse tutti con ampi sorrisi e gesti garbati di mani e braccia.

Era un intrattenitore nato.

«Steve e Kris, è un vero piacere conoscervi» asserì allora la donna anziana, battendo una mano sul braccio di entrambi noi.

Poco alla volta, fummo così presentati a Killian, il nonno di Sheridan, Eileen, la madre, e Fynn, un amico di famiglia.

Quest'ultimo ci spiegò che la moglie e i figli stavano già dirigendosi verso la chiesa, così da non creare guai in casa con la loro presenza.

Li invitai tutti ad accomodarsi e, mentre mi chiedevo se avrei dovuto servire loro qualcosa, Sheridan fece finalmente la sua apparizione in salotto.

La fissai basito, non sapendo che dire.

Era semplicemente splendida.

Il vestito, vaporoso come una nuvola, la abbracciava con delicatezza, rendendo ancor più eterea la sua figura già elegante.

Lo stretto corpetto, su cui splendevano dei brillanti sfaccettati, esaltava le sue linee delicate, mettendo in risalto il fisico slanciato.

Boccoli scuri le ricadevano sulle spalle e la schiena, mescolati a candidi boccioli di rosa, e un diadema sottile splendeva tra quelle masse corvine.

Il trucco era a metà, da quel che potei capire, ma il suo sorriso fu ugualmente radioso, quando vide la sua famiglia.

«Ehi, finalmente!»

Abbracciò tutti, dando poi a Fynn un sonoro bacio sulla bocca.

Rise subito dopo e l'amico, togliendosi il rossetto dalle labbra, la mandò debitamente a quel paese, mentre il resto della famiglia rideva spensierato.

Era chiaro che quel gesto doveva essere consueto, tra di loro.

Se fosse successo a Mag Mell, probabilmente metà delle persone avrebbe gridato allo scandalo, l’altra metà avrebbe commentato inorridita la scena.

Le smancerie si lasciavano alle camere da letto – e ai compagni – e, di sicuro, non si flirtava con gli uomini sposati.

Krilash, invece, non si lasciò sfuggire l'occasione per commentare a modo suo quell’evento per noi davvero più unico che raro.

«Ehi, quasi cognata! Posso avere anch'io lo stesso trattamento?»

Sheridan rise ma si avvicinò a lui, che se ne stava appoggiato al bancone della cucina e, presogli il viso tra le mani, lo baciò con candore e allegria.

Krilash prese un gran respiro subito dopo, rosso come un peperone maturo e, con un inchino, esclamò: «Ora posso vivere felice per altri mille anni!»

«Idiota» mormorò in risposta lei, invitando poi  madre e nonna a seguirla nella stanza matrimoniale.

Lì con noi restarono Killian e Fynn e, a quel punto, non mi restò che fare il padrone di casa, visto che Sheridan ci abbandonò senza dirmi nulla.

Chiesi loro cosa desiderassero e, dopo aver portato un paio di acque minerali a entrambi, notai lo sguardo curioso di Fynn puntato su di me.

Feci perciò un cenno a Krilash, che si mise a parlare a raffica con Killian.

Approfittando di quel momento, uscii sul balcone, dove l’amico di Sheridan mi raggiunse poco dopo.

L'aria di città non mi piacque granché, ma evitai di commentare.

Poggiai le mani sul parapetto in acciaio decorato e, pacato, dissi: «Ho notato qualcosa, nel tuo sguardo. Posso sapere cos'è?»

«Semplice curiosità. Perché non vi ho mai visti a Portmagee, nei cinque anni di lutto di Ronan? O ancor prima, quando Mairie e Ronan hanno vissuto al faro?»

«Sei amico di mio fratello, oltre che di Sheridan. Ora rammento il tuo nome» annuii, consapevole a quel punto dei motivi del suo livore così ben trattenuto, pur se evidente ai miei occhi.

«Quindi saprai perché ho le palle un po' girate... scusa la franchezza.»

Sorrisi, annuendo mio malgrado di fronte a tanta schiettezza.

Nessuno, a Mag Mell, avrebbe mai osato parlarmi con quel tono accusatorio, o senza peli sulla lingua.

Nonostante la sorpresa, mi piacque. L’eccessiva educazione, a volte, era noiosa e fin troppo sopravvalutata.

«Quel che ci tenne lontani da Portmagee, fu Ronan stesso. Non ci volle intorno. I nostri genitori non accolsero di buon grado il suo matrimonio con Mairie, e Ronan pensò di non creare ulteriori dissidi in famiglia. Non voleva che anche noi avessimo a che soffrire di questa tensione tra loro. A volte litigammo aspramente, per questo, perché nostro desiderio era, invece, rimanere al suo fianco… al loro fianco. Ma alla fine ci comportammo come era suo desiderio. Rimanemmo in disparte per il bene di tutti. Quando morì Mairie restammo a debita distanza, attendendo pazienti di poterlo avvicinare. Non ce lo permise mai. Il suo … orgoglio glielo impedì.»

Rammentavo ancora bene quelle lacrime lucide e fredde, sul suo volto scavato dall’angoscia.

Avrei voluto correre in mezzo a quella gente che non lo conosceva, rendergli noto il mio dolore, fargli comprendere quanto, tutti noi, stessimo soffrendo per lui.

Ma sapevo che, all’epoca, non avrebbe mai e poi mai accettato un simile comportamento da parte mia.

Anche grazie a Sheridan, tutto era cambiato. In meglio.

«E perché rifiutaste Mairie, a suo tempo?»

«Nostro padre la rifiutò, così come nostra madre, … ma mai io, o mio fratello e mia sorella. Loro sono molto... all'antica

Fynn mi guardò disgustato, e io non potei che comprendere appieno il suo sentimento. Anch'io, in quel momento, ero propenso a credere che nostro padre fosse un pazzo scriteriato, e nostra madre una donna senza cuore.

Ma, di certo, non potevo dirlo apertamente, o ammettere i reali motivi di quel rifiuto.

«Quindi, suppongo che neppure Sheridan sia quella giusta. Non li vedo da nessuna parte.»

Mi limitai ad annuire, preferendo non proseguire oltre sull'argomento.

Io, di sicuro, non avrei potuto essergli di molto aiuto.

La storia che Sheridan e Cormac MacHugh avevano regalato al mondo, a giustificazione dell’assenza di Ronan, aveva chetato i più.

Non stava a me ingigantirla, complicarla o far porre ulteriori domande agli amici di Ronan.

Dovevo attenermi al copione, e sperare di non incorrere in qualche errore senza che io me ne rendessi conto.

Dovevo ancora troppo sia a Sheridan che a mio fratello, per commettere un’incoscienza proprio ora.

Sapere, però, che mio fratello avesse trovato, tra gli umani, una persona così premurosa e attaccata a lui come Fynn, mi rincuorò.

Era evidente quanto tenesse a lui, e quanto le sue vicende di famiglia lo avessero angustiato.

«Onori mio fratello, preoccupandoti così per lui. Te ne sono grato» gli dissi a quel punto, mettendo nella mia voce tutta la sincerità che provavo nel dire quelle parole. «Purtroppo, il coma di Lisa si protrasse più di quanto avessimo immaginato, e quando finalmente si svegliò, Ronan non volle allontanarsi da lei fin quando non fu certo della sua buona salute. Questo gli permise anche di parlare con i nostri genitori, menzionando così Sheridan ma, da quello che puoi vedere ora, il suo dire non ha sortito gli effetti voluti. Non abbiamo genitori molto comprensivi.»

Lui mi guardò stranito, forse sorpreso dal mio dire, ma annuì.

«Ronan è un bravo ragazzo. E non merita davvero questo ostracismo.»

«Sottoscrivo pienamente. Infatti, noi siamo qui contro la decisione di nostro padre. Ma poco importa. Ronan ha persone fedeli, al suo fianco, e una donna che lo ama. E' questo ciò che conta.»

Fynn si limitò ad annuire, chiudendo così la sua giusta richiesta di spiegazioni.

Sheridan colse quel momento per attirare la nostra attenzione e, dall'interno dell'appartamento, ci fece segno di rientrare.

Semplicemente, sorridemmo ammaliati.

Ora che l'abito e il trucco erano completi, appariva semplicemente radiosa.

La voce trillante di Lithar ci portò poi a voltare lo sguardo verso di lei e, con un sorriso, ammirai mia sorella nel suo completo color cielo.

Intrecciato sotto i seni, scendeva leggero lungo il corpo, e il bolero a maniche lunghe le delineava le spalle diritte e ampie.

Portava i capelli bruni raccolti sopra la testa, trattenuti da un nastro di seta e brillanti.

I suoi occhi, di un curioso color ametista, brillavano deliziati, e io fui felice per lei. Era così raro vederla splendere a quel modo.

Fynn mi guardò sorpreso, esalando: «A quanto pare, l’incidente non ha lasciato strascichi. E’… splendente.»

«Grazie a tutti gli dèi che conosci, sì. Lei è viva e sta bene» assentii, sorridendo a Lithar quando si volse verso di noi per salutarci.

Era divertita all'idea di avere un accompagnatore sconosciuto, alla festa di matrimonio.

Naturalmente, Ronan si era assicurato che fosse un uomo dai modi impeccabili... e, soprattutto, che non avesse strane intenzioni con la nostra sorellina.

Krilash avrebbe pensato a Ciara, mentre io sarei stato impegnato come garçon d’onneur, accompagnando Eithe, un'amica e collega di Sheridan, di cui però non conoscevo nulla.

L'idea di far accompagnare Ciara a Krilash, mi era venuta spontanea.

Sapevo che, con me, Ciara si sentiva sempre a disagio perché ero il principe ereditario, e non volevo che non si divertisse alla festa per causa mia.

Inoltre, per bocca stessa di Sheridan, ero sicuro che Eithe non mi avrebbe causato problemi, evitando così inutili ansie a Ciara.

Stando a Sheridan, era una ragazza a modo e molto timida.

Di certo, non una mangia-uomini. Anche se non ero sicuro di aver capito perfettamente cosa significasse quella parola.

Del tutto preso da mia sorella, che si muoveva vezzosa per l'appartamento col suo abito nuovo, impiegai qualche attimo per rendermi conto dell'arrivo di Ciara.

I capelli, che per la prima volta scorgevo in una pettinatura diversa dal solito, erano raccolti in una crocchia, sulla nuca.

Diverse ciocche erano state lasciate libere di galleggiare attorno al suo viso, delineandolo in maniera molto più che graziosa.

L'abito in stile greco le scendeva fino ai piedi in una cascata di chiffon verde chiaro, che metteva in risalto la sua eccezionale altezza e il fisico perfetto.

Su una spalla, una cascata di brillanti scivolava verso il seno e la schiena, formando arricciature lievi e ombreggiature morbide.

Ma non fu questo a lasciarmi senza parole. Fu la sua incomparabile bellezza e femminilità, di solito nascosta dall'armatura che indossava.

Le ampie spalle e le braccia forti, invece di essere un difetto, la rendevano ancor più perfetta per quell'abito.

La somiglianza con i nostri abiti cerimoniali le impediva di sentirsi a disagio e, al tempo stesso, le permetteva di lasciar trasparire tutta la sua innata eleganza.

Poiché io non riuscii a muovermi, pensò Krilash a fare le presentazioni, sempre stando al fianco di Ciara.

Le parlò ogni tanto all'orecchio, facendola sorridere e, in ogni momento, fu lì per lei.

Mio fratello era veramente più bravo di me, in queste cose e, con Ciara, aveva un rapporto paritario e amichevole che a me mancava.

In un certo qual modo, ne fui geloso.

Mi avvicinai perciò a Lithar, elegante e a suo modo pudica, nel suo abito color cielo, e le sorrisi.

Sapevo che Sheridan aveva scelto, di proposito, un vestito che l’avrebbe fatta sentire a suo agio, evitando scollature accentuate o spacchi.

Non erano davvero particolari ad uso, tra i fomoriani, e lei lo sapeva. Sheridan, pur con il suo carattere pungente, sapeva essere più dolce del miele, quando voleva.

Vedere mia sorella così diversa dal solito, comunque, mi fece uno strano effetto.

E desiderai per un istante riportarla sott'acqua, perché nessuno la guardasse in modo meno che rispettoso.

Era sciocco, perché Lithar sapeva difendersi benissimo anche da sola, ma ero pur sempre il fratello maggiore, e non volevo che le persone la facessero soffrire.

 
***

La cerimonia era stata semplicemente perfetta, la chiesa gremita di parenti e amici, e l'accompagnatore di Lithar il più improbabile tra gli uomini.

A sorpresa, Rohnyn aveva presentato Cormac a nostra sorella, sorridendo all'amico con aria divertita.

L'uomo, dalla pelle bruciata dal sole e i corti capelli brizzolati tagliati a spazzola, doveva avere all'incirca cinquant'anni.

Cormac MacHugh era un pescatore di Portmagee che, per lunghi anni, era stato amico fidato di Rohnyn.

Ed era a conoscenza del nostro segreto, perciò l’accompagnatore ideale per Lithar, che avrebbe potuto parlare liberamente con lui, e senza commettere errori.

La loro amicizia era perdurata, anche dopo la sua partenza dal paese sulla costa e, quando aveva ricevuto l'invito a essere il suo testimone, non aveva esitato ad accettare.

Era evidente quanto Rohnyn lo tenesse in considerazione, e quanto l'uomo lo vedesse alla stregua di un figlio.

Forse, era proprio questo a legarli.

Lithar non ci rimase male per la scelta e, anzi, si vantò con tutti del suo cavaliere che, dopo l'iniziale imbarazzo, si mise d'impegno per farla divertire.

La trattò con gentilezza e premura, e Lithar lo ricompensò con lunghi sorrisi sinceri e strette di mano altrettanto sentite.

Forse, non solo Rohnyn lo vedeva come un padre amorevole, dopotutto.

Sulla pista da ballo dell'albergo, dove si stava svolgendo il rinfresco, la gente danzava allegra, Sheridan e Rohnyn erano sorridenti e lieti e, in generale, tutto sembrava procedere bene.

Persino Ciara pareva divertirsi.

Stava colloquiando amabilmente con Krilash e un paio di amici di Sheridan, accompagnati da due gemelli adorabili, e sembravano rilassati e sereni.

L'unica a sembrare fuori posto era la mia compagna.

Eithe era stata cortese e gentile per tutto il tempo, ma non aveva mai veramente mostrato un sorriso soddisfatto, se non quando si era congratulata con gli sposi.

Ora, sedeva in disparte, accanto a una delle alte finestre che davano sul giardino, e sembrava voler fuggire da un momento all'altro.

Mi chiesi il perché.

L'abito che indossava – identico a quello di Lithar – le stava davvero d'incanto, e sottolineava la sua figura esile e minuta.

I biondi riccioli naturali le scendevano su spalle e schiena in una morbida cascata e, in quel momento, lei ne stava torturando una ciocca, turbata.

I suoi chiari occhi grigi mi parvero pensierosi e, roso dalla curiosità, mi avvicinai per chiedere lumi.

Lei diede l’impressione di irrigidirsi al mio arrivo ma, ligia al suo dovere di damigella d'onore, si stampò in faccia un sorriso di benvenuto e mormorò: «Steve, ciao. Non balli?»

«La mia damigella è qui» sottolineai con un sorriso.

A sorpresa, Eithe reclinò imbarazzata il viso acqua e sapone e si torse le mani, neanche fosse terrorizzata dalla mia presenza.

La cosa mi sorprese. In tutta la mia lunga vita, nessuna donna si era mai comportata a questo modo, in mia presenza.

Soprattutto, quando tentavo di essere piacevole ed elegante.

«Eithe... ho forse detto qualcosa di sbagliato?»

Mi accomodai accanto a lei, sulla panca imbottita sotto la finestra e, senza neppure tentare di sfiorarla, domandai ancora: «Non sono molto esperto sui compiti di un testimone di nozze, ma mi sembrava che, tra i miei doveri, vi fosse anche quello di scortare, e tenere compagnia, alla mia damigella.»

«Oh, sì. E l'hai fatto egregiamente. Ma non sei tenuto a stare con me tutto il tempo. So di essere noiosa.»

Il suo mormorio riuscì a malapena a sovrastare il rumore della musica.

«Non ti diverti, forse? Preferisci che ti accompagni a fare una passeggiata in giardino? Ho notato che è un po' che lo guardi.»

Si irrigidì ancora di più, a quelle parole, ma non seppi come interpretare quel comportamento.

Aveva forse... paura di me?

«Vuoi andarci con qualcun altro? Sono pronto a trascinare qui per i capelli colui che vuoi sia il tuo accompagnatore.»

Non avrei esitato a farlo. Eithe era troppo dolce e tenera, perché qualcuno potesse anche solo minimamente pensare di farle uno sgarbo.

A quelle parole, lei sollevò gli occhi su di me, preoccupata, ed esalò: «Oh, no! Non ce n'è davvero bisogno!»

«Posso sapere, allora, cosa ti turba? Vorrei fare qualcosa per te, se mi è possibile.»

«Perché?»

Era una domanda che piaceva molto, agli umani. Tutto doveva avere un significato, o essere spiegato, oppure finalizzato a qualcosa.

Un po’ come succedeva da noi, ma per motivi decisamente diversi.

Qui c’entravano i sentimenti, non la logica o il pragmatismo.

Non si poteva, semplicemente, desiderare di aiutare per il solo gusto di farlo.

Mi alzai, allungando una mano verso di lei, e dissi semplicemente: «Sei amica di Sheridan e Ronan, perciò sei anche amica mia. E io aiuto gli amici. Né più, né meno.»

Le mie parole dovettero convincerla, perché afferrò la mia mano e si alzò, annuendo.

La presi sottobraccio, pur se un po’ goffamente – ero davvero molto più alto di lei – e, dopo aver aperto una porta-finestra, ci lasciammo alle spalle la cacofonia del salone.

Subito, Eithe parve rilassarsi e, quando si trovò in mezzo alle alte siepi di bosso, il suo sorriso comparve lucente e sereno.

«Non ti piace la confusione, vero?» ipotizzai, camminando lentamente assieme a lei lungo la passeggiata lastricata e i lampioni a forma di fiore di calla.

Scosse il capo, ridacchiando contrita.

«Per niente. Sherry lo sa, per questo non l'hai mai vista venire da me per insistere perché ballassi, o partecipassi ai giochi. Mi conosce. Anche per questo ha scelto questo posto. Sapeva che mi ci sarei sicuramente rintanata, prima o poi.»

Era difficile credere che, una creatura così bella, non desiderasse l'attenzione delle altre persone, ma nelle sue parole era racchiusa la verità più pura.

Le battei una mano su quella che riposava – ora più tranquilla – sul mio avambraccio, e chiosai: «Se non ti è di disturbo la mia presenza, ti terrò compagnia in questo magnifico giardino.»

Arrossì gradevolmente, e scosse ancora il capo.

«Non mi disturbi. Solo, penso ti annoierai a morte, stando con me. Là dentro, ci sono un sacco di donne che vorrebbero danzare con te, e tu le stai deludendo tutte, rimanendo qui con me.»

«Onoro la promessa fatta a Sheridan. Prendermi cura di te» replicai ampollosamente, liberandomi in un frivolo inchino corredato da sorriso scanzonato.

Mi sorrise maggiormente, pur se con aria timida, e annuì. «Sherry proteggerebbe anche il Papa, se glielo chiedessero.»

«Sa essere molto determinata, sì.»

Rise sommessamente, passandosi una mano tra i capelli per sistemare un ricciolo ribelle, e io ammirai quelle dita sottili e dalle unghie laccate di rosa pallido. Erano perfette.

Eithe stessa, sembrava essere stata creata dalle abili mani di un mastro cesellatore.

«E' la mia migliore amica, e non sarei mai mancata al suo matrimonio... ma davvero non sopporto la confusione. Mi piacciono i luoghi isolati, dove non c’è confusione, temo. E sono molto, molto noiosa. Un tono da biblioteca, o qualcosa di molto simile.»

«I topi sono creaturine sgradevoli, e non mi sembri appartenere alla categoria» sottolineai, compiacendomi di vederla nuovamente ridere, e con maggior vigore rispetto a prima. «Inoltre, io amo la cultura nei suoi molteplici aspetti, e trovo che passare del tempo sui libri non sia mai sciocco, o superfluo.»

Mi indicò una panchina in pietra, e lì ci accomodammo.

Dopo essersi sistemata le pieghe dell'abito, levò i suoi occhi chiari a scrutarmi in viso e mi domandò: «Steve non è il tuo vero nome, vero?»

Quella domanda mi spiazzò. Con tutto quello che avrebbe potuto chiedermi, quello proprio esulava da ciò che mi sarei potuto aspettare.

La fissai dubbioso, senza sapere cosa dire, e lei sorrise contrita.

«Scusami. E' che tuo fratello ha continuato a usare un altro nome per parecchio tempo, durante il banchetto, e... beh, non ho potuto non sentirlo.»

E io non me ne sono minimamente accorto, abituato come sono a sentire il mio vero nome, pensai tra me, dandomi dell'idiota.

A Krilash lo avrei dato a tempo debito.

Mi passai una mano tra i capelli, che avevo slegato non molto tempo prima, lasciando che le mie onde castano rossicce scivolassero sulle spalle.

Dispiaciuto, mormorai: «Dovrebbe rimanere più o meno un segreto, sai?»

Sgranò un poco gli occhi, sorpresa dal mio dire. Un lampo di preoccupazione passò nei suoi occhi chiari, ma svanì immediatamente, come se me lo fossi solo immaginato.

«Oh, ma... oh, giusto. Sì, io sono una giornalista, quindi dai per scontato che stia facendo...»

Ridacchiò nervosamente, non terminando la frase, e a me non rimase altro che aspettare di capire cos'avrebbe detto.

Alla fine, prese un bel respiro e mi fissò con una strana forza nello sguardo.

«Non voglio “ficcanasare”,...» asserì, mimando le virgolette attorno all'ultima parola. «... ma mi è parso strano che Kris usasse un nome diverso dal tuo. Come mi è parso strano il comportamento di Ciara. E' evidente che qualcosa la lega a te, e non è la semplice amicizia. Ti sta proteggendo

Fesso,… avresti dovuto immaginare che una giornalista avrebbe notato certe cose, pensai ancora tra me, allungando la lista di insulti da propinarmi a tempo debito.

«Lo fa con molta discrezione, ma mi è parso chiaro. Oppure, è gelosa di me. Ma di questo dubito seriamente.»

Ciò detto, scoppiò a ridere sommessamente, trovando più che assurdo che lei mi potesse trovare interessante.

O che io potessi trovarla interessante.

Me ne chiesi il motivo. Io la trovavo interessante, e glielo dissi.

La notizia parve sorprenderla non poco, e la portò a ridere nuovamente, con maggiore enfasi.

Storsi il naso. Non ero abituato a donne che mi snobbavano a quel modo.

Mosse una mano come per farsi aria e, con le lacrime agli occhi, esalò: «Non prenderla... come un'offesa... sono io che so di non essere interessante.»

«Come?» esalai, trovando quell'affermazione completamente assurda.

Tornando seria, Eithe mormorò: «Nessun uomo mi ha mai detto di trovarmi interessante, Steve. O devo chiamarti Stheta

Non seppi cosa dire.

Di sicuro, avrei strangolato Krilash, ma per quel sordido piacere avrei dovuto aspettare un po'.

Prima, dovevo chiarire un paio di punti con quello strano concentrato di apparente ingenuità ed efficiente acume che era Eithe.

«In privato puoi chiamarmi Stheta ma vorrei che, con gli altri, continuassi a usare il nome Steve.»

Lei si limitò ad annuire, ma non parve ancora del tutto convinta. Non mi aveva detto tutto, il che la diceva lunga sulla sua capacità di osservazione.

E quel lampo negli occhi…

Ora, era ancora più evidente, come se la sua mente, a dispetto delle sue parole, stesse lavorando alacremente alla ricerca di una risposta.

Era tutt’altro che ingenua, e molto lontana dall’essere una donna superficiale.

«Fai parte della protezione testimoni, per caso?»

Strabuzzai gli occhi, a questo punto, perché non avevo la più pallida idea di cosa stesse parlando. E la mia sorpresa dovette metterle la pulce nell'orecchio, perché aggrottò la fronte.

Ma non si era detto di non attirare l'attenzione?

Forse, mi ero perso quel passaggio, durante la giornata.

«Non sai neanche di cosa sto parlando, giusto?»

Imprecai tra me prima di afferrare le sue mani, stringerle tra le mie e guardarla in quei fumosi occhi grigio perla.

Potevo fidarmi di lei? Sheridan era la sua migliore amica, dopotutto. E Rohnyn aveva confidato il suo segreto a Cormac, perciò…

Onestamente, non mi andava di mentire a quegli occhi così carichi di  intelligenza e profondità.

«Non sei chi dici di essere. Neppure lontanamente. E così pure la tua famiglia» terminò di dire Eithe, mordendosi il labbro inferiore, pensierosa. «In principio, pensavo fosse solo Ronan, ma Sheridan mi pareva così tranquilla, che non vi ho dato molto peso. Ma tutti voi… non siete coloro che sembrate essere. E comincio a chiedermi quanto Sheridan sappia. E quanto io possa fidarmi di voi.»

Mi fissò con il dubbio negli occhi, e qualcosa di molto simile al sospetto. La sua ultima frase, poi, il suo desiderio di fidarsi di noi, di sapere Sheridan al sicuro, mi spinse ad agire.

Potevo espormi, con lei? E anche quanto, potevo andare oltre con le menzogne, visto quanto sapeva essere percettiva?

Deglutii, presi coraggio e infine esposi la verità nel modo più semplice che trovai.

«Il mio vero nome è Stheta mac Lir. Ti dice nulla?»

Il mio fu poco più di un sussurro, ma bastò a farle spalancare gli occhi, irrigidirsi appena e, infine, accigliarsi non poco.

Tentò di scostarsi, di allontanarsi da me, forse pensando la stessi prendendo in giro, ma io la trattenni.

«Non sono così idiota come potrei sembrare, e mi basterà lanciare un urlo bello forte, perché arrivi qualcuno qui. Vorrei la verità, o ti riterrò un pericolo per me e la mia amica. E allora, che saranno guai.»

Alla minaccia, più che reale, seguì un gran respiro, come se si preparasse a urlare, ma io la bloccai sul nascere.

La afferrai alla vita e la avvicinai a me, baciandola per istinto e sì, anche per desiderio.

Era tutto il pomeriggio che volevo assaggiare quelle labbra di rosa.

Quel gesto la chetò immediatamente, forse la sorprese più del concepibile, ma almeno non urlò.

Quando mi scostai da lei, mi fissò come se non avesse piena coscienza di sé, e questo mi compiacque.

Non avevo mai lasciato scontenta una donna, dopo i miei baci, e fui lieto che anche un'umana fosse di quell'avviso.

Perciò non mi aspettai che, un secondo dopo, mi giungesse uno schiaffo in faccia.

Uno schiaffo ben dato, tra l'altro.





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Note:
 Direi che, se volevano rendersi invisibili, non ci sono davvero riusciti. Ma è realmente stato solo il nome di Stheta, a insospettire Eithe, o ci sarà qualcosa d'altro? Di sicuro, Eithe non pare intimorita dal nome altisonante di Stheta, e neppure particolarmente sconvolta.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


3.
 
 
 
 
 
Eithe ansimava, la mano ancora levata, quasi fosse indecisa se darmi un altro ceffone o meno.

Io ansimavo, ma per tutt'altro motivo. Mi sentivo un emerito idiota, un cafone, un troglodita.

Bel modo di prendermi cura dell'amica di mia cognata!

«Scusa! Mi sono comportato in maniera incresciosa. Dovresti chiedere la mia testa, per questo. Non avrei mai dovuto prendermi una simile libertà» mormorai, reclinando contrito il viso.

Ma quanto mi era piaciuto, quel bacio!

«Rialza la faccia, Stheta. Non amo parlare con le persone che non mi guardano negli occhi, specialmente quando devo fare loro la ramanzina.»

La voce di Eithe suonò chiara, forse un tantino isterica, ma non mi parve sul punto di mettersi a piangere… o urlare. Era già qualcosa.

Sollevai perciò il viso e, con la guancia ancora pulsante, incontrai il suo sguardo. Ora, il dubbio navigava feroce in quelle profondità perlacee.

Ma, più di tutto, scorsi una forza oscura, ancestrale, che ben poco aveva di umano e molto, decisamente molto, di mistico.

Cosa diavolo stavo vedendo, in quegli occhi?

«Che ti è saltato in mente?!» mi sibilò contro, mantenendo a stento un tono di voce basso e controllato.

«Non volevo che urlassi.»

Mi fissò come se fossi pazzo, e forse lo ero. Dove avevo lasciato tutto il mio intelletto?

Nei calzoni, forse?, rispose per me una vocetta nella mia testa.

Scossi il capo per schiarirmi le idee, e ritentai.

«Volevo... desideravo baciarti, sentire cosa si provava. Hai delle labbra bellissime, Eithe.»

Non disse niente, limitandosi a sbattere sconcertata le palpebre, così continuai.

«Non volevo mancarti di rispetto, scusami ancora. E' stata una reazione improvvisa, imprevista, e tu hai tutto il diritto di disprezzarmi, perché non merito altro. Anche quanto, avrei dovuto chiedere il tuo permesso.»

«Poco ma sicuro» sottolineò lei, dura.

Era davvero la prima volta in assoluto che mi trovavo in un guaio simile. Ma che mi era preso?!

Lei alla fine sospirò, spezzando quel silenzio imbarazzato, e mormorò: «Perché hai tirato in ballo i mac Lir? Pensi che incantarmi con antichi miti, e nomi altisonanti, serva a qualcosa? Non è che sia nata ieri, sai? Se volevi far colpo su di me, bastava inventarsi qualcosa di più credibile.»

Perché le donne erano universalmente cocciute? Esisteva un pianeta dove non lo fossero?

Sospirando, mi slacciai il gemello della camicia e, dopo aver sollevato giacca e manica, le mostrai la mia rihall, il simbolo della mia genia.

Eithe lo fissò dubbiosa, mormorando: «Un tatuaggio. Ebbene?»

«Non è un tatuaggio, ma una rihall. Voi la chiamate... voglia. Toccala.»

Non mi parve convinta ma la sfiorò e, immediatamente, ritirò la mano come se si fosse ustionata. E poteva anche essere vero.

La rihall diventava incandescente, se sfiorata da mani impreparate... o non fomoriane.

«Come può...»

Non terminò la frase, fissandomi con qualcosa di molto simile al sospetto cocente. E alla rabbia.

Forse ero stato un idiota, a parlare. Ma visto che era giornata...

«Non stavi mentendo. E questo conferma i miei sospetti.»

Mi parlò con tono duro, ma il suo viso non mi parve né spaventato né incredulo. Stava pensando, immagazzinando velocemente ciò che aveva fin lì scoperto, vagliandolo con attenzione.

I suoi occhi continuarono a fissarmi attenti, come in cerca di qualcosa, di una conferma o chissà cos’altro.

«No. E ti chiedo ancora perdono per il bacio.»

Scosse capo e mani, come se delle mie scuse non se ne facesse nulla e, solerte, mi domandò: «Sherry sa tutto, vero?»

«Ogni cosa.»

Fu a quel punto che sospirò di sollievo e, tornando lentamente a chetarsi, mi sorrise.

«E' questo l'importante. Non avrei sopportato che sposasse Ronan senza sapere. Per questo, ho passato tutto il tempo a tenervi d’occhio. Volevo capire. Sapere se eravate un pericolo per lei. Non solo Sherry ha una certa tendenza a proteggere le persone.»

Sorrisi di rimando, vagamente più tranquillo, e mormorai: «Sei una strana creatura, Eithe MacLoran.»

«Io? Sono la persona più insignificante sulla faccia della terra. Posso assicurartelo con un ragionevole margine di sicurezza.»

La fatalità con cui si espresse mi spinse a storcere la bocca, sconcertato.

Come poteva anche solo pensare una cosa del genere?

«Mi permetto di dissentire, Eithe. Non trovo affatto che tu sia una persona insignificante.»

Scossi il capo con una certa enfasi, e lei si ritrovò a sorridere divertita.

Non mi credeva!

Si portò una mano alla bocca per non scoppiare a ridermi in faccia, trattenendo così la sua ilarità, ma i suoi occhi parlarono alla grande.

Non solo non credeva alle mie parole, ma trovava sciocco il mio tentativo di mettere in discussione le sue certezze.

Questo mi fece un po' irritare.

Intrecciando le braccia sul torace, bofonchiai: «Non comprendo, in tutta onestà, perché tu debba pensare a te stessa in questi termini. E’ ben chiaro, ai miei occhi, quanta profondità e intelligenza vi siano in te. Senza nulla togliere alla tua indubbia bellezza, questo è assodato.»

«Oddio... si sente che non sei di qui!» ridacchiò a quel punto, guardandomi con limpida ironia.

La mia irritazione crebbe, così come il cipiglio sul mio viso. Nessuna donna mi aveva mai preso così poco sul serio, in tutta la mia esistenza!

«Non era un insulto, Stheta, ma un complimento. Da dove provengo io, difficilmente si dialoga così amabilmente, quando gli animi si scaldano. Si preferisce l’uso delle mani. Sappiamo essere piuttosto… fisici, nell’esprimere le nostre idee.»

Quella frase mi sconcertò. Come poteva, lei, una creatura così delicata e angelica, parlare a quel modo, e con tale serenità?

Chi le aveva fatto del male?! Chi aveva osato toccarla in modo meno che dignitoso?

Forse avvedendosi del mio sguardo turbato, si affrettò a rassicurarmi.

«Non fraintendere le mie parole, Stheta, ma pensa bene a questo. Non ti sei chiesto perché non sono scappata a gambe levate, o non sono svenuta come una pera cotta, quando mi hai detto chi eri realmente? O perché ti abbia detto che tenevo d’occhio tutti voi? Non solo te e Ronan? Come avrei potuto? E perché?»

A ben pensare...

In effetti, a parte i primissimi attimi di sconcerto, Eithe aveva recuperato in fretta il controllo di se stessa, pur avendo scoperto un segreto, di per sé, sconcertante.

Almeno, a mio modo di vedere.

Da quel che mi aveva detto Rohnyn, Sheridan aveva avuto un’autentica crisi di nervi, quando aveva scoperto la verità su di noi.

Eithe, invece, appariva tranquilla e serena e sì, forse un tantino divertita e curiosa.

Inoltre, aveva parlato dei suoi sospetti su tutti noi, non soltanto su me e mio fratello minore.

Cosa voleva dirmi, in realtà?

«C'è qualcosa che dovrei sapere io, a questo punto?» mi informai, accennando un sorrisino ironico.

Scrollò le spalle e, con un leggero sospiro, ammise ciò che teneva dentro di sé come una preziosa reliquia.

«Visto che tu ti sei fidato di me, mettendo nelle mie mani un segreto così importante, penso di poter fare lo stesso con te. Quanto conosci, dei miti e delle leggende umani?»

Aggrottai la fronte, confuso, ma dissi: «Conosco praticamente tutte le maggiori culture mondiali, parlo correntemente più di venti lingue e ho letto quasi tutti i libri sacri scritti negli ultimi quattromila anni. Può bastare?»

Fu il suo turno di guardarmi sorpresa e, finalmente, vagamente sconvolta.

Ma riuscì ugualmente a mormorare: «Beh, direi che allora conosci abbastanza cose.»

Un attimo dopo, però, scoppiò in un risolino sorpreso e aggiunse: «Wow! Quattromila anni! Il mito parla della terra dei fomoriani, Mag Mell, come di un luogo di eterna giovinezza, ma evidentemente non si discostava molto dalla realtà.»

Le sorrisi a mezzo ed Eithe, con un gran respiro, disse d’un fiato: «Sono un lupo mannaro… un licantropo. Sai cos’è?»

La fissai sconcertato, gli occhi sempre più sgranati e increduli, chiedendomi se mi stesse prendendo in giro.

Come poteva quel frugoletto biondo, alto poco più di un metro e sessanta, essere un'ancestrale creatura della notte?

Era pur vero che, di lupi mannari, non me ne intendevo molto, visto che avevo letto di loro solo nei libri.

Avevo perciò pensato, forse erroneamente, che fossero riconoscibili, distinguibili dagli umani.

Evidentemente, mi ero sbagliato alla grande.

Sorridendo, mi allungò una mano e, con un tono vagamente metallico, mormorò: «Stringimi la mano e liberati... se puoi

Accettai la sfida e avvolsi nella mia la manina candida di Eithe che, nel volgere di pochi attimi, allargò il proprio sorriso.

I suoi occhi parvero dilatarsi per un istante e, sotto il mio sguardo attonito, le sue perlacee profondità si confusero come mercurio assieme a un più brillante giallo dorato.

Oro e argento galleggiarono nelle sue iridi per qualche istante, prima di stabilizzarsi nel suo colore originale.

Basito di fronte a un simile spettacolo, rimasi a fissarla come intontito, non accorgendomi di quel che stava succedendo.

La mia mano, ingabbiata tra le sue dita, era impossibilitata a fuggire e, dopo svariati tentativi, esalai: «E' dunque vera, la vostra leggendaria forza!»

I fomoriani erano notoriamente più forti degli esseri umani e, grazie alla capacità di mutare in delfini, nuotavamo più veloci di molti pesci e di svariati mammiferi marini.

La nostra capacità di guarigione era di gran lunga superiore a quella umana e, tendenzialmente, ben pochi malanni potevano colpirci.

Alcuni di noi, inoltre, possedevano potenzialità divinatorie come Rohnyn.

Era stato grazie al suo dono, se era riuscito a ottenere per se stesso, e per tutti noi, un'identità nel mondo umano.

Krilash, invece, era in grado di trasmutare qualsiasi materiale da uno stato all'altro.

Io e Lithar non eravamo dotati di simili doni e, purtroppo per noi, le doti di nostra madre le conoscevamo fin troppo bene. Così come le conoscevano i nostri nemici.

Un dono potente, che comportava enormi responsabilità, ma di cui lei abusava anche troppo spesso, e sui suoi stessi figli.

Eithe, dunque, era una creatura mistica e, a quanto pareva, molto più forte di quanto il suo esile corpo non lasciasse intendere.

Mollò la presa, scusandosi per i segni rossi sulle mie dita ma io, scuotendo il capo al suo indirizzo, sorrisi divertito.

«Non è stato solo il nome a indurti a pensare che nascondessimo qualcosa, vero?»

Scosse il capo, ammiccando.

«Sapevo già che Ronan aveva qualcosa di strano. Il suo odore non è del tutto umano. Il tuo e quello dei tuoi fratelli, poi, è ancora più penetrante.»

«Spero non sia fastidioso!» esalai, domandandomi terrorizzato se avessimo un odore ributtante, per i lupi mannari.

Eithe rise sommessamente, replicando divertita: «Oh, no! Profumate di mare, di zenzero e cannella. Lisa, in particolare, ha un aroma peculiare. Diverso ancora da te e Kris... che immagino non siano i loro reali nomi, giusto?»

«Sono Krilash e Lithar. Ciara, invece, si chiama davvero così.»

Annuì, e proseguì nella sua affascinante spiegazione.

«Beh, Lithar profuma di fiori freschi e terra umida. Profuma d'Irlanda, in qualche modo. Mi ricorda molto gli aromi erbosi di questa terra. E' piacevole starle vicino, e non solo perché è simpatica.»

«Spero sia piacevole stare vicino anche a me» sottolineai, facendola sorridere divertita.

«Certamente... principe

«Oh, ti prego, non ricordarmi questo particolare» esalai, passandomi una mano tra i folti capelli mossi.

«Tu, almeno, hai un ruolo importante. Io sono una mánagarmr senza alcuna importanza.»

Il suo tono si fece triste, e mi chiesi il perché.

«Cosa significa la parola che hai usato prima?»

«E' quello che sono. In sé, la parola significa 'cane della luna', ed è un’antica parola norrena. Tutti i licantropi che hanno combattuto al primo sangue almeno una volta, hanno diritto a questo titolo. Peccato che io non abbia mai vinto, neppure una volta, gli scontri a cui mi sono sottoposta per risalire la gerarchia nel branco. Sono un lupo debole, se paragonato alle altre lupe del clan a cui appartengo.»

Avrei voluto chiederle altro, sapere altre cose su di lei, sul suo misterioso mondo, ma lo scalpiccio dei piedi di qualcuno ci indusse a levare il capo.

Quando scorgemmo Sheridan, ci sentimmo come due bambini con le mani infilate nella marmellata.

Era evidentemente in ansia per l'amica e, quando mi guardò, capii immediatamente cosa stava cercando. I segni della colpa.

E forse li trovò, perché aggrottò la fronte e poggiò le mani sui fianchi, imperiosa come una leonessa a protezione dei cuccioli.

«Devo spaccarti la faccia, cognatuccio?»

Eithe si levò in piedi e, levando le mani per negare qualsiasi problema, esalò: «Sherry, calmati. Stheta mi ha accompagnata fuori perché gliel'ho chiesto io

A quel nome, Sheridan si accigliò immediatamente ed Eithe, mordendosi il labbro inferiore, ammise: «Gli ho estorto il segreto, scusa.»

Lei scosse il capo, carezzò il viso di Eithe con affetto e infine disse: «Ho tirato un calcio negli stinchi a Krilash, quando l'ho sentito usare il nome di suo fratello, ma evidentemente è immune al dolore, quel benedetto pesce su due zampe.»

Ridacchiò subito dopo, di sicuro rendendosi conto del mio cipiglio.

Non ci si poteva dare dei pesci così impunemente! Anche quanto, i delfini sono mammiferi!

A ogni buon conto, Sheridan non parve particolarmente arrabbiata da quella scoperta e, rivolgendomi un'occhiata guardinga, asserì: «Non ho alcun problema che Eithe sappia, anzi, mi fa piacere. Ma togliti quello sbafo di rossetto dalle labbra, prima di rientrare, o sarai subissato da una marea di domande. Già così, Krilash sta ipotizzando le peggio cose, e Ciara è preoccupata a morte per te.»

«Puoi dire loro che sto bene... che stiamo bene

Ovviamente, lei non si fidò delle mie parole e rivolse uno sguardo accigliato a Eithe, che però annuì decisa.

«E' stato un bacio... esplorativo» dichiarò lei, facendo sogghignare l'amica.

«Beh, deve esserne valsa la pena, vista la faccia che ha. Ma lancia uno strillo e io sono da te, chiaro?»

«Vai da tuo marito, Sherry, e non preoccuparti per me.»

«Sei mia amica. Una cosa viene con l'altra» sottolineò, pur dileguandosi un attimo dopo in uno svolazzare di seta e sottogonne.

Eithe, a quel punto, tornò a volgere lo sguardo verso di me, turbata.

La mia non fu una domanda, ma un’affermazione.

«Non lo sa.»

A Eithe non restò altro che annuire.

«Ti prego di non dirglielo.»

«Pensi non l'accetterebbe? Hai ben visto come mi tratta. Non le faccio molta impressione, anche se sono un essere millenario e un principe di antica stirpe.»

Ghignai divertito, scrollando le spalle, e lei si rilassò un poco.

«Vorrei essere io a trovare il coraggio di dirglielo, però.»

«Giustissimo. Manterrò il tuo segreto gelosamente, Eithe.»

«E così io il tuo.»

Ci stringemmo la mano e, assieme, tornammo all'interno dell'albergo.

 
***

La risata di Krilash rimbalzò tra le pareti dell'appartamento di Ronan e Sheridan, come il gong in un tempio buddista.

Non c'ero mai stato, ma avevo visto qualche film al cinema, e sapevo che effetto faceva.

Ma, più ancora del fastidio provocato dalla sua ilarità, fu la costernazione sul viso di Ciara a irritarmi.

Pensava fossi pazzo? O stupido? Non aveva la benché minima fiducia in me?

Eithe, in compenso, se ne stava tranquilla sul divano, seduta accanto a Sheridan, a scrutarci tutti con aria imbarazzata.

La rivelazione del suo coinvolgimento nel nostro segreto non rese felice Ciara, ma in compenso fece divertire un mondo i miei fratelli.

Rohnyn si complimentò con Krilash per la sua lingua lunga, mentre Lithar  sorrise compiaciuta a Eithe per la sua arguzia.

Rohnyn, dopo aver ascoltato divertito la risata di Krilash, andò ad accomodarsi accanto a Eithe, le batté una mano sul braccio e disse: «Sono contento che tu lo sappia. Almeno, Sheridan avrà qualcuno con cui parlare, quando la farò arrabbiare.»

«Dando per scontato che questo succederà spesso... molto spesso.»

Tutti risero dell'appunto di Sheridan, ed Eithe si rilassò un poco.

Non Ciara, però, che se ne andò sul balcone con passi silenziosi, irritata da quella fuga di notizie non prevista.

Mi affrettai a raggiungerla, ben deciso a chiederle scusa.

L'abito da cerimonia era sparito, ma non la sua fulgida pettinatura e, per un istante, desiderai accarezzare quelle chiome fulve dai riflessi dorati.

Fu un pensiero così estemporaneo che mi lasciò interdetto per alcuni attimi.

Mi volsi indietro per un attimo, lo sguardo attirato dalla figura minuta di Eithe, e sorrisi.

Era così bella! Eppure...

«Era davvero necessario ammettere la verità con quell'umana?»

La voce torva e preoccupata di Ciara attirò nuovamente la mia attenzione e, nel poggiare gli avambracci sul parapetto ferroso del balcone, mormorai: «E' amica di Sheridan. Non è un pericolo.»

«Potrebbe diventarlo, se decidesse di aprire bocca.»

«Non lo farà.»

E' abituata a mantenere i segreti, pensai poi tra me.

Lo sguardo gelido di Ciara mi perforò con violenza, portandomi però a comprendere anche qualcos'altro. Qualcosa che non era uscito dalla sua bocca.

Mi risollevai e, vagamente indispettito, esalai: «Non sei preoccupata per il nostro segreto... ma che lei possa interessarmi come donna! Pensi che potrei imitare il gesto di Rohnyn. Abbandonare Mag Mell per un'umana!»

«E' un'ipotesi che non mi sento di scartare» ammise controvoglia lei, arricciando le labbra a cuore. «E' indubbiamente una bella donna, uno stereotipo femminile molto diverso dal solito cui siete abituato, e...»

Irritato, ringhiai per tutta risposta: «Non una parola di più, Ciara. Sei il capitano delle guardie di palazzo, non  il mio educatore, o mia madre. Non ti deve interessare chi mi porto a letto, o con chi ho intenzione di avere una relazione.»

«Lo dico solo per voi, principe. Vostro padre è già irritato con voi per aver fatto fuggire Sua Altezza Rohnyn, figurarsi se gli diceste che siete invaghito di un'umana. Verrebbe qui e ucciderebbe tutti!»

Era realmente spaventata da quest'eventualità, e fu la sua ansia malcelata a chetarmi. Non volevo che si sentisse così, soprattutto perché non le capitava mai di lasciar trasparire a quel modo le sue emozioni.

«Ciara, non agitarti. Non ho intenzione di intraprendere nessun tipo di relazione con Eithe, se non di amicizia. Non c'è pericolo che mio padre dia in escandescenze, come non c'è bisogno che sappia nulla di quello che è successo qui, oggi.»

«Baciate sempre le donne di cui volete diventare amico?» mi ritorse contro, accigliata pur se controllata. Come sempre.

La imitai immediatamente, replicando piccato: «Ci stavi spiando

«Vi stavo controllando. Che vi piaccia o no, voi siete il principe ereditario, assurgerete al trono di vostro padre quando giungerà il giorno dell’abdicazione, e il vostro nome dovrà essere affiancato da una donna di alto lignaggio degna di voi!»

Le sue parole erano vere, maledettamente vere, ma non mi andava di ascoltarle.

Soprattutto, non quando venivano dalla sua bocca. Sentirlo dire da lei, mi feriva in modo particolare.

«So tutto questo molto bene, molto meglio di te, credimi. E non pensare neppure per un istante che io non abbia a cuore il mio regno, o i miei sudditi. Ma non vedo come Eithe possa interferire in tutto questo!» sbottai, dimenando le braccia con fare irritato.

Lei sospirò, scosse il capo, e si limitò a dire: «Lo fa già.»

Ciò detto, rientrò senza darmi la possibilità di replicare e, quando rimisi piede in salotto, trovai lo sguardo accigliato di Krilash a sfidarmi a replicare.

Evidentemente, si era eretto a difensore di Ciara. Una vera assurdità.

Sbuffai contrariato e, senza dare adito di aver notato la sua aria di sfida, mi sedetti su una poltrona.

Non era il momento di arrabbiarsi, ma di essere felici per Rohnyn e Sheridan.

«Qual è la destinazione della luna di miele, quindi?» si informò Lithar, sorridendo ai due neosposi con aria di aspettativa.

Sedeva su una sedia con la sua solita posa marziale, ma scalpitava come una bambina. Per molti versi, lo sembrava ancora, pur se era una bellissima donna e un'ottima guerriera.

Era così strano vederla perdere il controllo a quel modo!

A Mag Mell, non sarebbe mai successo. Piuttosto, Lithar si sarebbe fatta tagliare un braccio, ma non avrebbe mai lasciato trapelare a quel modo i suoi sentimenti.

Sulla terraferma, e in presenza del suo gemello, però, pareva aver dimenticato l’educazione ricevuta nel corso dei millenni.

Non faceva specie che nostro padre temesse tanto l’influenza degli umani sui fomoriani, se riuscivano a far cedere anche una guerriera titolata come Lithar.

A ogni buon conto, mi fece piacere vederla così libera da inibizioni.

Sheridan sorrise alla sua nuova cognata e disse eccitata: «Tre settimane in Australia! Non vedo l'ora! E' uno dei pochi posti che non ho ancora visitato!»

«Todd ti chiamerà di sicuro per fare un reportage fotografico» replicò divertito Rohnyn, sorridendo alla moglie.

«Mi darò irreperibile... e lo farò comunque. Lo farò penare fino all'ultimo.»

Ridemmo tutti di fronte al suo sogghigno, persino Ciara, che pareva ben decisa a non trasferire la sua rabbia alla novella sposa.

Era curioso come Sheridan l'avesse conquistata in così poco tempo. Anche questo, mi faceva capire quanto fosse speciale.
Rohnyn aveva scelto una donna davvero unica, parvhein o meno.

 
***

Abbandonare la terraferma, questa volta, mi parve più difficile del solito, e non seppi dire se fu per colpa di Eithe o meno.

Venne con noi alla spiaggia per salutarci e, quando le strinsi la mano nell’accomiatarmi, mi chinai per sussurrarle all'orecchio di volerla rivedere.

Lei annuì in fretta e, quando ci vide scomparire nelle acque scure del Mar d'Irlanda, ci salutò con un cenno della mano.

Mutai in delfino pochi attimi dopo, ma nuotare fino a Mag Mell non mi diede nessuna soddisfazione, così come non me ne diede vedere nostra madre, all'arrivo a palazzo.

Mi parve accigliata, niente affatto felice che fossimo mancati per ben due giorni dalle sue grinfie.

Sapeva essere dolce come lo zucchero, ma anche aspra come la cicuta, e in quel momento parve voler azzannare tutti quanti noi per farci capire chi comandava.

Riprendemmo forma umana non appena superammo la barriera magica, che ci proteggeva dagli sguardi degli esseri umani e delle loro macchine, ma non fu un benvenuto quello che ricevemmo.

Muath era furiosa.

Le braccia intrecciate sotto il petto generoso – il seno destro, come al solito, coperto dall'armatura in acciaio siderale – nostra madre ci fissò gelida prima di congedare Ciara con un cenno.

Il capitano se ne andò, impettito quanto impenetrabile, e io seppi con certezza che l'argomento 'Eithe' sarebbe tornato a dividerci.

«Spero siate soddisfatti di aver irritato vostro padre, al punto da fargli venire un attacco di nervi.»

Nessuno di noi diede adito di essere pentito, in particolar modo Lithar, che alzò fiera il mento in segno di sfida.

Dopotutto, si stava parlando del suo gemello. Ovvio che fosse la più irritata tra noi.

Muath la fissò con sguardo adamantino e, per un attimo, i suoi occhi si velarono di tristezza.

Non ne compresi il motivo, ma non mi fu concesso di chiederle spiegazioni.

Muath ci mostrò perché, nel regno, era conosciuta come 'la voce possente'.

Il rimbrotto fece tremare i colonnati del pronao e, mentre le poche guardie presenti si defilavano per sicurezza, noi ascoltammo silenziosi le sue reprimenda.

Non si risparmiò.

Tornò indietro fino ai tempi della fuga dalla nostra terra natia, dando la colpa di tutto a nonni e bisnonni che neppure avevamo conosciuto.

Si sperticò in insulti più o meno velati sugli umani e, quando iniziò a lagnarsi della debolezza maschile, io e Krilash non potemmo che sospirare.

Era sempre così. Alla fine, il nostro essere uomini dalla carne debole, era il problema di fondo. L'unico problema, a ben vedere.

Almeno, stando alle ipotesi fantasiose di nostra madre.

Quando, finalmente, decise che gli abitanti di Mag Mell avessero ascoltato a sufficienza quel turpiloquio, si chetò, ordinò a Lithar di rinchiudersi nelle sue stanze e, furente, si rivolse a me.

«Tu più di tutti, Stheta, dovresti dare loro il buon esempio, e invece cosa fai? Li porti a gozzovigliare tra gli umani?!»

Le ultime parole suonarono come insulti veri e propri, e io aggrottai la fronte, già pronto a difendermi dalle sue accuse.

«Vi devo ricordare, madre, che foste proprio voi a muovere i primi passi sulla terraferma, per mostrare agli abitanti delle terre emerse come progredire?»

«Erano una razza sciocca e ignorante. Si potevano gestire con facilità, e all'epoca ero curiosa

Il suo tono spocchioso e offeso mi fece irritare ancora di più.

«State parlando come se foste andata in uno zoo. Ma sono creature senzienti con pregi e difetti, esattamente come noi
Muath aggrottò pericolosamente la fronte e replicò piccata: «Non osare paragonarci a loro!»

«Nostra cugina Niamh non la pensò così, a suo tempo, visto che non solo sposò il mortale Oisín, ma ebbe due figli da lui. La sua casata prese il nome mac Cumhaill in suo onore. E permise ai suoi eredi di vivere sulla terraferma!»

Sapevo che parlare di Niamh mac Lir era un'offesa, per lei, in particolar modo perché la donna era stata cugina niente meno che del re.

Morta ormai da tempo - il dolore per la perdita di Oisín era stata troppo grande da sopportare - Niamh rimaneva come memento di ciò che poteva succedere a innamorarsi di un umano.

Poco contava che Oisín fosse stato un sommo e valoroso guerriero, e che le sue gesta venissero tutt'ora decantate nel mondo degli umani.

«Niamh fece la sua scelta, e ne pagò caro lo scotto. Rohnyn ha addirittura rinunciato alla sua lunga vita per quella... donna. Non posso giudicarla un'azione sensata, mi spiace, e non approvo che tu, invece, la ritenga una scelta giusta.»

Ora, il suo tono era lugubre e stanco.

Era ovvio quanto il voltafaccia di Rohnyn le pesasse, ma da regina della specie, doveva mostrarsi feroce e combattiva.

A volte, quell'atteggiamento perennemente furioso, mi dava noia.

Avrei preferito di gran lunga la calma sincerità di...

Mi bloccai, prima di lasciar trasparire i miei pensieri – quando i nostri sentimenti erano troppo forti, potevano essere percepiti chiaramente – e dissi soltanto: «Amo mio fratello, madre, e trovo che Sheridan sia una donna di valore. Il fatto che sia comparsa la parvhein, è solo la riprova di quel che dico. Ma l'avrei giudicata positivamente anche senza questo particolare. L’arganthe, il Riconoscimento dell’Unica, non è una cosa da sottovalutare, e questo viene insegnato a ogni buon fomoriano ma credetemi, Sheridan O’Connell meriterebbe rispetto a priori.»

«E' umana

Ancora quel tono disgustato.

Scossi il capo, sapendo bene che non saremmo venuti a capo di quella discussione.

«Voi lo vedete come un difetto, io come un pregio. Se avete intenzione di punirci, fatelo pure, madre. Ma sappiate che, trattenermi a Mag Mell, servirà soltanto a spingermi con maggiore forza verso la terraferma.»

Muath aggrottò la fronte, fece per parlare, ma alla fine si limitò a sospirare stanca.

Ci congedò con un cenno della mano e se ne tornò all'interno del palazzo, lasciando dietro di sé una scia di profumo dolce e stucchevole.

Krilash finalmente prese fiato e, passandosi una mano tra i corti capelli, esalò sconvolto: «Pensavo ci avrebbe staccato la testa a morsi.»

«Forse voleva farlo.»

L'abbigliamento umano, in quel luogo ancestrale e fuori dal mondo, era un autentico anacronismo, specialmente agli occhi di coloro che odiavano gli umani.

Ma non volevo ancora perdere questa misera patina di umanità. Ero restio a tornare nei panni del principe.

Volevo tornare sulla terraferma.

Krilash mi batté le mani sulle spalle, torvo in viso, e asserì: «Stai cacciandoti in un guaio di proporzioni epiche, fratello. Sei sicuro di voler portare avanti questa follia?»

«Coltivare un'amicizia sarebbe follia?» replicai, accennando un sorriso.

Mi fissò scettico, ma ritirò le mani.

Infilatele poi nelle tasche posteriori dei jeans, si avviò verso l'ala del palazzo dove si trovavano le sue stanze e, ironico, disse: «Fossi in te, non mi ingannerei. I risultati sarebbero imbarazzanti... e dolorosi.»

Come spiegare perché volevo rivedere Eithe? Era difficile persino per me capirne i motivi, ma sapevo una cosa.

In quel momento, ne avevo bisogno.





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Note: Niamh mac Lir e Oisin sono forse i personaggi più famosi dell'immaginario collettivo irlandese. Qui potete trovare alcune nozioni sulla coppia.
Direi che Stheta si è cacciato in un bel guaio, con il suo capitano delle guardie. E sarà vero che vuole conoscere meglio Eithe solo per amicizia, o ci sarà qualcosa di più? Il bacio porterà a conseguenze? Di sicuro, lo scoprirete nei prossimi capitoli. Non vi terrò con il dubbio, promesso.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


4.
 
 
 
 
 
Quando la vidi sul posto di lavoro, sommersa di fogli, con il telefono poggiato su una spalla mentre, con dita veloci, digitava a computer un appunto, sorrisi.

Appariva seria, precisa, operativa... e maledettamente dolce.

Quei suoi adorabili riccioli dorati le scendevano sulle spalle in onde sinuose, simili ai flutti del mare durante una tempesta.

Gli occhi attenti, in quel momento puntati sullo schermo del PC, brillavano di intelligenza, attirandomi come un magnete.

Sapevo delle pause pranzo, e di come gli umani si prendessero del tempo per loro stessi, durante quei brevi momenti di break dal lavoro.

Per questo mi ero presentato lì sul fare di mezzodì, e non prima.

Speravo sinceramente che, anche Eithe, fosse una di quelle persone ligie alla sacralità dei pasti giornalieri.

Altrimenti, il mio viaggio sulla terraferma non sarebbe servito a nulla.

Quando finalmente si accorse di me, che stavo sulla porta dell'ufficio di Sheridan – dove temporaneamente stava lavorando lei – sgranò gli occhi, si impappinò al telefono e infine mi sorrise.

Salutò il suo interlocutore con fretta mascherata da alta professionalità e, dopo aver poggiato il ricevitore, sospirò e disse senza preamboli: «Ebbene, non scherzavi.»

«Sono piuttosto restio a mentire» ammisi, lanciando un'occhiata dietro di me, dove si trovava Todd, tutto sorridente e con i pollici levati verso l'alto.

Ebbi la sensazione piuttosto chiara che pensasse fosse un appuntamento galante.

E ne fosse pienamente felice.

Entrai e mi chiusi la porta alle spalle, infilando i pollici nei passanti dei jeans, preferendo non pensare a quel che Todd avrebbe ipotizzato.

Non sapevo di cosa farmene delle mani, in quel momento e, se fosse passato ancora qualche secondo, avrebbero preso a tremare.

Che situazione!

Eithe si levò in piedi, inserì la segreteria telefonica e si appoggiò alla scrivania ultramoderna di Sheridan, l'aria curiosa e un po' timida.

«Beh... pensavo di invitarti fuori a pranzo. So che avete un paio d'ore di pausa, e così...»

La mia proposta parve sorprenderla e, di nuovo, l'imbarazzo le imporporò le gote, esattamente come il giorno del matrimonio.

A quanto pareva, non era avvezza a simili gentilezze, e la cosa mi sorprese. Una donna così bella, non poteva che essere subissata di uomini interessati a lei.

E, soprattutto, una donna così intelligente, non poteva che essere al centro dell'interesse di qualcuno.

Oppure, forse la stavo mettendo in imbarazzo per il motivo esattamente opposto. Aveva un uomo, o ne desiderava uno, ed era così carina e gentile da non volermi mettere a disagio, ammettendolo.

Questo mi spinse ad aggiungere una precisazione. «Sempre che tu non sia impegnata con qualcuno. Non ci sono problemi e, anzi, mi piacerebbe conoscere la persona che ti porta nel cuore.»

Quell'appunto la fece scoppiare a ridere e, per diretta conseguenza, i riccioli dondolarono sinuosi attorno a lei.

Sì, era adorabile.

«Stheta, ti giuro... non corri il pericolo che qualcuno ti prenda a pugni per causa mia!»

«Trovo la cosa di per sé assurda, ma me ne compiaccio. Ne ho abbastanza di Sheridan, che attenta alla mia faccia ogni volta che mi vede» ironizzai, scrollando le spalle.

Eithe rise ancor più forte e, nello scostarsi dalla scrivania, afferrò la sua borsetta e si avvicinò a me, allungando una mano per aprire la porta.

«Non c'è nessun uomo interessato a me, posso assicurartelo.»

Nel suo tono avvertii un velo di tristezza, misto a rassegnazione.

Le avvolsi impulsivamente le spalle con un braccio, come avevo visto fare diverse volte a Rohnyn con Sheridan e, nell'accompagnarla fuori dall'ufficio, mormorai: «Allora, sono tutti idioti.»

 
***

Seduti all'ombra di un acero rosso, il laghetto del Phoenix Park dinanzi a noi e alcuni germani che nuotavano placidi tra le ninfee, sospirai deliziato.

Il traffico si udiva a malapena, in lontananza e le molte famigliole, sparse sugli ampi prati, erano così distanti da essere quasi immagini sfocate su un’istantanea.

I fiori di campo danzavano leggeri alla brezza proveniente da est, mentre il sole, in quella rara giornata serena di luglio, sembrava voler abbracciare tutti col suo calore.

Era piacevole sulla pelle, e mi venne voglia di sdraiarmi per assaporarlo pienamente, ma Eithe preferì stare all'ombra, per pranzare.

Dopo aver comprato un paio di panini e delle bibite in un bar, ci eravamo avventurati lungo le vie trafficate di Dublino, raggiungendo quel grazioso parco cittadino.

Sito a nord del fiume Liffey e del monumento dedicato a Wellington, quel parco mi era davvero parso l'ideale per stare tranquilli.

Inoltre, come mi aveva in precedenza detto Eithe, lei non amava i luoghi caotici.

Mentre terminavo il mio panino, divoratolo a grandi morsi e con gran godimento, gliene chiesi finalmente il motivo.

Lei, più delicata e femminile, sbocconcellò il proprio e, tra un morso e l'altro, mi disse: «I sensi dei mannari sono molto sviluppati, e sprechiamo un sacco di energia per tenere fuori dalla nostra testa tutte le intrusioni sensoriali che ci aggrediscono in ogni momento. Per questo, preferisco luoghi isolati e ricchi di pace, se posso scegliere. Non è facile ottenere il giusto equilibrio e, a quanto pare, il mio centro non è così buono come per altri lupi.»

«Per questo, al matrimonio...»

Eithe annuì, sorridendomi appena. Mi parve più rilassata rispetto al nostro precedente incontro, e forse trovò conforto nel parlarmi dei suoi problemi.

Lo sperai sinceramente.

«I luoghi come questo sono i miei preferiti. Ammorbidiscono la bestia e la rendono più docile, cosa che non guasta mai.»

«In che senso?»

«Il lupo che è in me non ama particolarmente la città, e tende a crearmi qualche problema, quando passo troppo tempo entro quattro mura. La mia parte ferina è più forte di quella umana, tendenzialmente, e così a volte è più facile darle quello che vuole, piuttosto che combatterla.»

«Quindi, quando ti ho baciata...»

Rabbrividii al pensiero di ciò che le avevo fatto.

Con tutta probabilità, avevo scatenato una battaglia interna non da poco, e solo perché mi ero sentito spinto a baciarla.

Ero stato davvero un egoista.

La sua mano batté leggera sul mio braccio, mentre un sorriso divertito aleggiava sul suo volto, a memoria di quel giorno.

«Il mio lupo ha gradito.»

«Ma tu no

Arrossì ancora, ma il sorriso rimase.

«Mi hai sorpresa, così mi sono spaventata per un attimo. Ma mi è piaciuto. Anche se sapevo che era semplice libido maschile, la tua, e non un interesse vero e proprio.»

«Come, scusa?» borbottai, contrariato dal suo dire.

Eithe rise con sincero divertimento, e si spiegò meglio.

«Lascia che ti spieghi, perché non vorrei mai ti offendessi. A volte, dimentico che non sto parlando con un licantropo, perciò è normale che tu non capisca cosa sta succedendo. In questi giorni sono... come dire... fertile

Sgranai leggermente gli occhi, sentendomi già pronto a fuggire a gambe levate, ma lei proseguì nel discorso come se nulla fosse.

Evidentemente, i tabù sessuali non facevano parte della cultura mannara.

Per noi fomoriani, invece, le cose non stavano affatto così.

«Il mio corpo produce feromoni sessuali in gran quantità e, per alcuni giorni, sono una specie di fiamma per le falene, se capisci che intendo. Niente di strano, perciò, che tu sia stato spinto a baciarmi... e forse, qualcos'altro.»

Ridacchiò, nel dirlo, e io mi sentii un po' preso in giro dal mio corpo,...oltre che dal suo.

«Funziona con tutti?» brontolai, cercando di non arrossire.

Sarebbe stato oltremodo imbarazzante farle notare quanto, l’argomento, mi stesse turbando anche se, in tutta onestà, non avrei mentito, nell’ammetterlo.

Non mi sarei mai permesso di parlare di cose simili se non con la mia amante, e solo tra le coltri sfatte del letto.

Figurarsi con una ragazza che conoscevo da così poco, e di cui conoscevo così poco!

Annuì spiacente, e asserì: «Con gli umani e i mannari, sicuramente... ma, a quanto pare, anche coi fomoriani.»

Ancora quel sorriso di scherno. E di comprensione sincera.

«Non mi piace molto essere... turlupinato a questo modo.»

«Non volevo offenderti, ma penso che sapere la verità sia meglio. O no?»

Ci pensai sopra un attimo, ma alla fine ammisi: «Per lo meno, so di non essere impazzito di colpo. Stavo cercando di convincermi che, innanzitutto, ero interessato alla tua intelligenza, ma la mente tornava a... a...»

Fu sciocco, ma mi azzittii. Noi fomoriani non parliamo di sesso con così tanta leggerezza, pur se amiamo praticarlo con soddisfacente frequenza.

Lei inclinò il capo su un lato, sorrise comprensiva e infine mormorò: «Sbaglierò ma, per te, è piuttosto difficile parlare di queste cose, vero?»

«Abbastanza. Non siamo così liberali nel parlare, lo ammetto. Abbiamo molti... tabù, da questo punto di vista. Siamo una società piuttosto chiusa, e di certo non ci mettiamo a parlare di simili cose con donne che non sono, anche e soprattutto, nostre compagne. A volte, non ne parliamo affatto neppure con loro.»

Sorrisi spiacente, ma lei scrollò le spalle.

«Ogni cultura ha le sue regole. Noi siamo innanzitutto lupi, e solo dopo umani, perciò la nostra parte ferina ha spesso il sopravvento nelle nostre decisioni. E gli animali non hanno tabù sessuali. Nella cultura umana, invece, ne esistono a centinaia, per cui immagino che anche voi abbiate queste limitazioni. Anche se avete una parte animale anche voi.»

«Immagino che, quando sei un lupo, tu pensi in maniera diversa» ipotizzai, cercando di comprendere cosa volesse dire avere una doppia personalità così distinta dentro di sé.

Non faceva specie che luoghi pacifici come il parco, potessero aiutarla.

Al suo assenso, proseguii nel mio discorso. «Per noi è diverso. Non pensiamo ‘da delfini', per così dire. Siamo sempre noi stessi.»

Quando le avevo accennato alla nostra pelle di delfino, aveva trovato affascinante l’idea che anche noi avessimo una seconda forma animale.

Mi sarebbe piaciuto parlare di questo con lei ma, prima di qualsiasi altra cosa, volevo arrivare a capo di quel piccolo mistero circa il comportamento dei licantropi.

«Ragioni da uomo anche quando sei un animale. Ha senso. Io ragiono da lupo anche quando sono una donna. Per questo, la convivenza con gli umani è così difficile. C'è chi ci riesce meglio, chi peggio, ma la sostanza è questa e, quando siamo lupi, ci liberiamo anche dei pochi scrupoli che abbiamo in forma umana, e siamo solo licantropi. Con le nostre leggi, i nostri principi, … i nostri istinti

Nel dirlo, si massaggiò le mani come se le prudessero, e me ne chiesi il motivo.

Un attimo dopo, fu lei a spiegarmelo.

«E' quello che ti dicevo prima. Non sei solo tu ad avere certi... stimoli sensoriali, standomi vicino. Li ho anch'io, e spero onestamente che questa tempesta passi, perché mi sento un po' a disagio a guardarti e, al tempo stesso, a desiderare di morderti il collo.»

Scoppiai a ridere imbarazzato, e lei con me.

Mi sconvolgeva tanta sincerità, ma mi piaceva.

Mi rinfrancava lo spirito, poter parlare così liberamente con una donna, poterle esporre tutti i miei pensieri, senza paura di valicare qualche confine immaginario.

C'erano troppi tabù nel nostro mondo, troppe regole comportamentali da seguire, troppi salamelecchi inutili e privi di senso.

Essere un principe era noioso oltre l'immaginabile, a Mag Mell.

«Mi presterei volentieri, ma temo che ce ne pentiremmo entrambi, alla fine di questa tempesta, vero?»

«Io non più di tanto, ma tu, credo di sì. Temo potresti sentirti... sfruttato?» ipotizzò Eithe, dubbiosa.

«Il contrario, piuttosto. Mi sentirei di aver sfruttato te. Ma ora che so cosa sta succedendo, mi sento rinfrancato. So di non essere impazzito,… o totalmente privo di controllo sul mio corpo. E’ consolante.»

«Anch'io mi sento meglio. Sei la prima persona non mannara a cui racconto ogni cosa. E' piacevole» mi confessò, sorridendo lieta.

«Posso immaginarlo. Come funziona, esattamente, tra di voi? Sì, insomma… in casi come questi.»

«Ci teniamo le ansie, se non abbiamo un compagno, o non vogliamo trovare un partner sessuale per sfogare il momento di picco ormonale. Accoppiarsi con un umano è fuori discussione. Lo uccideremmo di sicuro, spinti dalla frenesia.»

Lo spiegò in modo analitico, come se stesse parlando del tempo atmosferico, e questo mi colpì. Era davvero così diversa, la loro cultura! Così aperta!

«Dev'essere una scocciatura.»

«Anche per questo, amo i luoghi isolati. Se non ci sono maschi nei paraggi che mi interessano, quasi non me ne accorgo.»

Quel particolare mi incuriosì, portandomi a sorridere divertito e sì, vagamente tronfio.

Lei arrossì appena, e mugugnò: «Insomma, Stheta... dovrei avere gli occhi foderati, per non notare che sei un bell'uomo. Inoltre, mi piace parlare con te. E questa è una cosa che, in un potenziale partner, apprezzo molto.»

«Ricambio il complimento, se posso.»

Eithe, come la volta precedente, mi fissò stralunata e, ancora, mi chiesi il motivo di tanta insicurezza da parte sua.

Perché credeva di non essere bella, o una donna che io potessi trovare interessante?

«Eithe...»

«Dimmi.»

«Perché pensi di non essere una donna che possa interessare veramente  a un uomo, e non solo per un puro diletto momentaneo? O di non valere come gli altri lupi? O le altre donne?»

Quella domanda la intristì, portandola a reclinare il viso. Mi pentii immediatamente di averle posto quel quesito.

Feci per scusarmi, ma lei si irrigidì e il suo viso si fece pallido, quasi insalubre.

Volgendo lo sguardo per comprendere cosa l'avesse spaventata, incrociai lo sguardo con un uomo alto e possente, un autentico colosso. Per un attimo, mi chiesi se fosse lui il motivo di tanta paura.

Portava i capelli cortissimi, tagliati a spazzola, e il suo volto era volitivo, con zigomi alti e labbra serrate.

Non seppi dire il perché, ma i suoi occhi chiari mi trasmisero un messaggio chiarissimo: morte.

Il mio corpo si irrigidì immediatamente e, senza neppure accorgermene, mi parai dinanzi a Eithe, desideroso di difenderla a ogni costo.

Quel movimento impercettibile, però, attirò l'attenzione dell'uomo.

Con movenze feline e passo rapido, risalì la piccola erta dove ci trovavamo e venne a pararsi dinanzi a noi, enorme e scuro in volto.

Le mani sui fianchi stretti e un'aria arcigna dipinta sul viso mascolino, l'uomo lanciò un'occhiata oltre le mie spalle e disse con voce cavernosa: «Tutto bene, Eithe? Quest'uomo ti disturba?»

«No... tutto bene, Díomán1. Nessun problema.»

La sua voce uscì stentata, fu poco più che un sussurro, e questo mi mise in allarme.

Quest'uomo le aveva fatto del male, con tutta probabilità, perciò c'era effettivamente qualcosa  che non andava, ed era proprio lui.

Lo fronteggiai perciò apertamente, pur se non ero alto quanto lui, che raggiungeva sicuramente i due metri, e dissi: «E' evidente che l'unico, qui, a disturbare Eithe, sei tu.»

«Come?!»

La sua voce fuoriuscì come un ringhio profondo ed Eithe, terrorizzata, balzò in piedi e mi circondò la vita con le braccia, trascinandomi via a forza, esalando nel contempo: «Scusalo, Díomán! Ha frainteso tutto!»

A sorpresa, l'uomo annusò l'aria, si fece ancora più torvo in viso... e a quel punto capii.

Era un licantropo anche lui. E pareva furioso come una tempesta. Con me.

Eithe si affrettò a pararsi dinanzi a me per proteggermi, ma io non ne volli sapere.

La scostai e, allungata una mano verso l'uomo, dichiarai seccamente: «Stheta mac Lir, dia dhuit um thráthnóna2. Con chi ho il piacere di parlare?»

La mia uscita a sorpresa, condita da molto sarcasmo, bloccò l'arringa dell'imponente lupo che, irrigidendosi, lanciò un'occhiata significativa in direzione di Eithe.

Lei si limitò ad annuire mentre io, indeciso se prepararmi a uno scontro oppure afferrare Eithe per darmela a gambe, rimasi sorpreso quando lo sentii ridere stentoreo.

Fu come il rombo cupo di un tuono, che scaturì dal suo petto enorme, ma non seppi dire se esserne felice o meno. Forse, era solo la quiete prima della tempesta.

Quando infine la sua risata si spense, Díomán mi guardò dubbioso e vagamente incredulo.

«Non sono ferratissimo in mitologia, ma i mac Lir non sono una casata reale, o qualcosa di molto simile?»

Cercai di non offendermi per il suo tono derisorio, e mi limitai a rispondere con cortesia. «Sono il principe ereditario del regno, per la precisione.»

«Che ci fai, qui, assieme a una licantropa? E perché conosci il gaelico?»

Il suo tono si fece un po' più cupo e sospettoso. Mi parve più preoccupato per Eithe, piuttosto che per la mia presenza assieme a una licantropa qualsiasi.

Rilasciai la mano. Era chiaro che, almeno per il momento, non ci saremmo presentati alla maniera umana.

«Siamo amici. E abbiamo un’amicizia in comune. Quanto al gaelico, è solo una delle tante lingue che conosco. A suo tempo, la imparai direttamente da un precettore dei Tuatha de Danann.»

Díomán si accigliò leggermente, nel sentir parlare di quell’antica casta di dèi che, per secoli, aveva solcato quelle regioni prima di svanire per l’eternità.

Forse, mi riteneva un ciarlatano o peggio, un pazzo, ma non replicò.

Lanciò un'altra occhiata a Eithe e, dopo un attimo, borbottò: «Quella pazza scatenata di Sheridan O'Connell? Tua cognata?»

A quel punto dovetti apparire parecchio sconcertato, perché il mannaro scoppiò in un'altra di quelle sue risate stentoree, e fu Eithe a spiegarmi il mistero.

«Possiamo parlarci mentalmente. Gli ho fatto un riassunto piuttosto semplice di come ci siamo conosciuti, e del perché tu sai di noi.»

«Oookay.»

Non me l'aspettavo, anche se in fondo avrei dovuto.

Anch'io, come delfino, potevo comunicare come loro e, in forma umana, se proprio mi sforzavo, qualcosa riuscivo a captare.

Evidentemente, però, il loro era un potere decisamente più raffinato e potente di quello dei fomoriani.

Quando Díomán tornò serio, mi guardò con estrema attenzione e disse: «E' chiaro che, se tradisci la fiducia di Eithe, sarai carne morta, per me. Non ho a cuore chi ci espone al pericolo di essere scoperti.»

«Ho anch'io buoni motivi per tenere protetto il mio segreto, perciò non mi permetterei mai di tradire il vostro. Né tanto meno Eithe.»

Sperai di essere stato convincente, perché il suo sguardo continuò a mantenere alti i miei recettori del pericolo.

Non disse altro, ma mi scavalcò con agilità per poi affrontare direttamente Eithe, che impallidì visibilmente.

Lui, a sorpresa, sorrise con gentilezza e, nello sfiorarle il viso con un dito, mormorò cavernoso: «Stai attenta, a chailín mo chroi3... non vorrei ti facessi male.»

Eithe si limitò ad annuire e Díomán, così come era venuto, così se ne andò, lasciandomi con mille domande e altrettanti pensieri.

Quando fu abbastanza lontano, però, Eithe crollò a terra, tradita dalle ginocchia malferme, e iniziò a tremare.

Il suo sguardo era perso in lontananza, laddove lui stava scomparendo tra il fitto del boschetto, che cresceva nel mezzo del parco.

Non era paura, però, quella che avvertivo sulla sua pelle, e che lei stava trasmettendo come un'onda radio ad alta frequenza. Era... desiderio.

«Eithe... chi è quell'uomo?»

«Lui è Freki. L'assassino del branco. Il corriere di morte del capobranco» mormorò, stentando a tornare al presente.

Questo non mi stupì, visto ciò che avevo provato fin dal primo sguardo incrociato con il suo, ma non mi diede le risposte che cercavo. Perciò ritentai.

«Cosa rappresenta, per te

Si irrigidì e, torcendosi le mani, reclinò il viso per non affrontare il mio sguardo.

Io le sfiorai una spalla con la mano, comprensivo, e lei mormorò: «Lui è il mio traguardo irraggiungibile.»

Rimasi basito a quelle parole ed Eithe, volgendosi a mezzo verso di me, sorrise mesta.

A giudicare dalla sua ansia, ritenni insensato chiederle oltre di quell’uomo, perciò veicolai la mia attenzione sulle faccende del branco.

«Raccontami di lui e degli altri membri del Clan. Quante figure di potere avete, al suo interno?»

Eithe mi ringraziò con un sorriso, forse avendo percepito perfettamente il mio intento.

«Esistono diverse figure incontestabili, all’interno di un branco. Come immaginerai, c’è il capobranco, che noi chiamiamo Fenrir. Il secondo in comando prende il nome di Sköll, mentre la guardia del corpo privata del capoclan, prende il nome di Hati.»

«Nomi che scaturiscono direttamente dalla mitologia norrena, per quel che io ricordi» mormorai, niente affatto sorpreso.

Lei si limitò ad annuire.

«Fenrir, il dio-lupo figlio di Loki, oltre a Hati e Sköll, i suoi due figli, designati secondo il mito a divorare gli dèi del sole e della luna, durante il Crepuscolo degli dèi.»

Per me avevano anche altri significati, ma dubitai che avessero una valenza diversa da un titolo onorifico, per Eithe.

Lasciai comunque che proseguisse, tenendo per me quei pensieri.

«Essi sono designati dal sangue. Si nasce Triade di Potere, non lo si diventa. Fenrir ha il manto bianco come neve, Sköll ha un pelo rossiccio dorato, mentre Hati è nero come la notte più cupa. Così, vengono riconosciuti i futuri eredi del potere, all’interno di un branco. E, notoriamente, sono sempre gli esemplari più forti e combattivi.»

Annuii, ed Eithe riuscì in qualche modo a chetarsi, pur adombrandosi in volto.

Calò il tono della voce, e aggiunse: «Ci sono poi due membri del branco che, invece, vengono eletti da Fenrir stesso. È il capobranco a riconoscerne l’attitudine spiccata alla caccia. All’apparenza, sono creature non dissimili dagli altri, ma Fenrir è sempre in grado di captare chi possa prendere su di sé i ruoli di sicari del branco.»

«Sicari?» ripetei, vagamente sorpreso.

«Nel corso dei millenni, più volte la nostra razza venne a scontrarsi con quella umana e, in particolar modo, con un gruppo di persone che, a conoscenza del nostro segreto, vollero debellarci dalla faccia della terra. Noi li chiamiamo Cacciatori e sono coloro che, più di tutti, hanno attentato alla nostra sicurezza.»

«Perché non denunciarvi, allora?» chiesi, semplicemente.

Eithe sorrise sprezzante, e disse per contro: «Si ritengono i paladini dell’umanità, e non metterebbero mai a rischio i loro simili, mettendoli al corrente della verità. Si genererebbe il panico, e sai benissimo cosa succede quando gli umani vedono ombre ovunque.»

Caccia alle streghe. Fu il primo pensiero che mi venne in mente, ed Eithe sorrise, annuendo.

Che me lo avesse letto nella mente? Probabile.

Non me ne preoccupai, troppo preso dal suo racconto per chiederle lumi in merito.

«Se si diffondesse la notizia che, tra gli umani, camminano anche dei mannari in carne e ossa, ci sarebbero delle esecuzioni sommarie, ogni scusa diverrebbe buona per sanare dispute personali, e neppure i Cacciatori sarebbero in grado di tenere sotto controllo una simile perdita di discernimento. Perciò, il nostro segreto serve anche a loro, per ironia del destino.»

«Facendo due più due, quindi, i sicari sono serviti – e servono – per tenere d’occhio i Cacciatori troppo intraprendenti.»

Lei annuì. «O i lupi traditori. Non siamo immuni da sentimenti meschini, esattamente come qualsiasi altra razza senziente.»

«Il tizio di prima, quindi…»

«Esistono due tipi di sicari, all’interno di un branco. Freki, che nel mio branco è Díomán, ne è il rappresentante mannaro. Ma esiste anche un sicario umano – o neutro – che viene chiamato Geri.»

«Neutro?» Strabuzzai gli occhi, più che mai confuso.

Lei sorrise maggiormente e, poggiate le mani dietro di sé, mi lanciò un’occhiata a mezzo e mormorò: «Il mio mondo è pieno di stranezze, vero?»

«Ti sto subissando di troppe domande, scusa» replicai, sorridendole generosamente.

Eithe scosse il capo, lasciò che la sua fluente massa di capelli ricadesse all’indietro fino a sfiorare l’erba morbida, e infine parlò.

«I neutri sono coloro che, pur essendo nati da licantropi, non possiedono, né possiederanno mai, il dono della licantropia. Non possono mutare neppure se sottoposti a morso di mannaro, ferita da artiglio o scambio di sangue in forma animale, cosa che invece può trasformare un semplice essere umano.»

«Non… non pensavo che gli umani potessero essere tramutati in mannari.»

La mia sorpresa fu massima.

«La mescolanza di geni ci permise di non estinguerci. E non tutti gli uomini ci volevano morti, anche se eravamo diversi da loro. A tutt’oggi, esistono pochissimi esemplari di licantropo dal sangue puro» mormorò, sorridendomi.

«Capisco. Quindi, avete una gerarchia piramidale non meno della nostra, oltre a un gruppo più o meno nutrito di lupi a differenti livelli di potere.»

«Gli alfa. I guerrieri più potenti, vengono denominati alfa. Poi ci sono  mánágarmr di grado inferiore all’alfa, che rappresentano più o meno la maggioranza del clan, e infine i più giovani, coloro che non hanno ancora combattuto al primo sangue.»

Esalai un sospiro di pura meraviglia, trovando tutto ciò sconvolgente.

Pur se con terminologie differenti, la loro società non era dissimile dalla nostra.

Anche se avevamo un oceano intero a dividerci, per quel che riguardava gli usi e i costumi.

«Perché mi hai detto che Freki è il tuo traguardo irraggiungibile?»

Eithe perse qualsiasi desiderio di sorridere, a quel punto e, sospirando, mi fissò in viso con aria persa, demoralizzata.

«L'ultima lupa contro cui combattei, per evolvere nella scala sociale del branco, mi minacciò di morte se mi fossi avvicinata a lui. E lei è un'alfa troppo potente perché io prenda alla leggera questa minaccia.»

«E' la sua donna?» mi domandai, torvo in viso.

Scosse il capo, e rise di triste ironia.

«Díomán non vuole nessuna lupa, accanto a sé. Per lo meno, nessuna di questo branco. Lui vive per la difesa del clan, e non gli servono delle lupe a distrarlo.»

«Quindi, questa donna non può vantare alcun diritto su di lui» sottolineai, accigliandomi ancor di più.

Eithe mi fissò come se fossi un po' tardo di mente.

«Stheta, non si può pensare di mettersi contro Caitlinn Habbott. E' troppo forte,… per tutte. L'unica che potrebbe sconfiggerla è la nostra Fenrir, Felicity.»

«Intendi rinunciare a lui, perciò?» le domandai, lanciando un'occhiata in lontananza, dove Díomán era sparito ormai da tempo.

«Non ho molta scelta, mi pare.»

Lo disse con così tanta rassegnazione da farmi indignare.

Scossi il capo e, ben deciso a smentirla coi fatti, le dissi: «Tu non hai nulla da temere da quella lupa, Eithe, e io ti convincerò che puoi farcela, a tenerle testa.»

«Ma... Stheta, anche quanto, che importanza potrebbe avere? Díomán non si interesserebbe comunque a me, se anche la battessi.»

La sua voce, ora, era quasi disperata.

Le sorrisi convincente, e replicai: «Quante volte vieni qui, Eithe?»

Arrossì copiosamente, confermandomi quel che avevo pensato dopo la sua stentata confessione. Veniva qui per vedere lui.

«Immagino che Díomán passi di qui piuttosto spesso.»

Annuì vergognosa, e io proseguii nel mio soliloquio.

«Si è preoccupato per te, Eithe. Non appena mi ha visto con te, è venuto qui come un fottutissimo treno merci in corsa, gonfio come un tacchino natalizio e pronto a spaccarmi la faccia.»

Trovò divertente il mio modo di esprimermi, e io avevo volutamente usato quel gergo grezzo per smuoverla un po'.

«Lui si preoccupa per tutti, è differente.»

«Non credo. E, comunque, dobbiamo mettere il sale sulla coda di quella lupa.»

«Cosa?» esalò lei, sbattendo le palpebre per la confusione.

Le sorrisi e, prese le sue mani piccole e morbide tra le mie, dichiarai: «Hai la forza necessaria per batterla, per sconfiggere le tue paure, Eithe. Devi solo convincertene, e io ti aiuterò a farlo.»

«Tu sei tutto matto» mormorò, ma mi sorrise.

Ora, restava solo da capire come avrei fatto a darle una mano.

Non ero esattamente un esperto in licantropia, in effetti, ma avevo millenni di esperienza in combattimenti.

E un esercito intero su cui contare.
 
 
 
___________________________
1 – Díomán: leggasi “Demon”.
2 – dia dhuit um thráthnóna: (gaelico irlandese) Significa ‘Buongiorno a te’.
3 – a chailín mo chroi: (gaelico irlandese) Significa ‘Mia cara ragazza’.



Note: Qui potrete trovare la prima storia della trilogia da cui nascono i miei licantropi, casomai vi avessi incuriosito a sufficienza da spingervi a leggerla. Per quanto riguarda la sequenza temporale degli eventi raccontati qui - e nella Trilogia della Luna - questa storia è contemporanea con l'ultimo racconto della trilogia, All'Ombra dell'Eclissi, come mi avevo accennato poche settimane fa.
Per vostra comodità, aggiungerò un prontuario subito dopo questo capitolo, dove sono racchiusi i vocaboli "mannari" che userò più spesso in questo racconto, oltre a una cartina che indica i luoghi in cui si svolgono le avventure dei nostri eroi.
Spero possa esservi d'aiuto, e grazie per avermi tenuto compagnia fino a ora.

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Capitolo 5
*** PRONTUARIO ***




Contea di Kerry: Dove si trova Portmagee, luogo di nascita di Sheridan.

Contea di Dublin: Dove abitano attualmente Ronan e Sheridan.

Contea di Antrim: Dove è avvenuto l’assalto degli uomini-orso, ai danni del locale clan di lupi mannari di Belfast.

Contea di Cork: Dove esiste un Santuario dei Licantropi, ove è stata curata Eithe all’età di nove anni, dopo essere stata ferita dal cugino.
 

Legenda:

Licantropo: O lupo mannaro. Nella mia storia, è una creatura mistica nata dal dio-lupo Fenrir e dall’umana Avya, circa 5500 anni addietro. Ha la capacità di mutare in lupo ed è suddito della luna, in quanto creatura della notte. Dalla coppia nasceranno i licantropi Hati e Sköll, i capostipiti della razza.

Wicca (plurale ‘wiccan’): O ‘saggia’. Dopo aver bevuto qualche goccia di sangue di Fenrir, Avya acquisisce la possibilità di utilizzare i poteri della luna e, così, il dono di poter parlare con la Madre Terra. Essa sarà la prima wicca della storia. La wicca (nei miei racconti) è la guida spirituale del branco, colei che è tramite con la Madre (o Yggdrasil), attraverso la quercia sacra, che cresce nel Vigrond, o Luogo di Potere del clan.

Yggdrasil: Nel mito norreno, è l’Albero della Vita, colei che tutto sorregge, colei che dona vita ai nove regni. E’ la Madre.

Vigrond: Nel mito norreno, è il luogo in cui avverranno gli scontri finali, durante il Crepuscolo degli Dei. Nel mio racconto, è il luogo in cui i clan si riuniscono per celebrare riunioni, officiare riti o parlare con la quercia sacra.

Quercia sacra: Pianta dalle peculiari capacità. Essa è il tramite con la Madre ed è, al tempo stesso, la memoria storica del branco. In essa sono contenuti tutti i pensieri dei lupi morti del branco, e a queste memorie può accedere Fenrir (il capobranco), o la wicca.

Fenrir: Nel mito norreno, è il dio-lupo figlio di Loki (dio del caos), colui che darà inizio alla Fine di Ogni Cosa, al Crepuscolo degli Dei. Nella mia storia, è sia il dio-lupo che il titolo onorifico spettante a ogni capoclan. Il suo manto è bianco ed è il primo vertice della Triade di Potere del clan, formata da Fenrir, Hati e Sköll. La Triade di Potere viene riconosciuta in base al colore della livrea di ciascun mannaro e, solitamente, sono sempre i licantropi più forti.

Sköll: Nel mito norreno, è figlio di Fenrir, e colui che divorerà Sol (il Sole) durante il Crepuscolo degli Dei. Nel mio racconto, è figlio di Fenrir e anche titolo onorifico spettante al secondo in comando, nella Triade di Potere del branco. Il suo manto è dorato-rossiccio ed è il vice di Fenrir.

Hati: Nel mito norreno, è figlio di Fenrir, e colui che divorerà Mani (la Luna) durante il Crepuscolo degli Dei. Nel mio racconto, è figlio di Fenrir e anche il titolo onorifico spettante al terzo in comando, nella Triade di potere del branco. Il suo manto è nero, ed è la guardia del corpo di Fenrir.

Geri e Freki: Nel mito norreno, sono due lupi di Odino. Nel mio racconto, sono i sicari del branco, il lungo braccio di Fenrir. Si occupano delle esecuzioni, della caccia di eventuali criminali e della soppressione di coloro che hanno tradito il branco. Geri è umano, ed è l’unico appartenente al branco a poter utilizzare armi ad argento, a cui i licantropi sono mortalmente allergici. Freki è mannaro. Sono scelti da Fenrir.

Umani, Neutri (o Nulli) o Licantropi: Esistono tre tipologie di persone, nei miei racconti. Gli Umani possono nascere anche da una coppia di licantropi, da un licantropo e un umano, da un licantropo e un Neutro, e così via. Le combinazioni sono molteplici. Essi possono essere mutati in licantropo mediante morso (in forma animale), ferita da artiglio o scambio di sangue (da mannaro in forma animale). I Neutri (o nulli) possono nascere solo da una coppia di licantropi o da una coppia in cui vi sia un solo membro mannaro. Essi non potranno mai diventare licantropi, né da morso, né da ferita, né da scambio di sangue. Possono in parte percepire i poteri dei licantropi e delle wiccan. I Licantropi possono nascere da coppia mista o da coppia di licantropi, oppure possono essere mutati come sopra indicato, nel caso degli Umani. Se si ‘nasce’ mannari, il primo mutamento avverrà con il risveglio sessuale, cioè durante l’adolescenza. Il Mutamento è spesso causa di morte, nei giovani licantropi, perché il corpo non sopporta lo sforzo fisico di quel primo cambio di forma.

Völva: O Veggente. E’ colei che legge tra le maglie del tempo. Può essere sia umana, che mannara, che neutra.

Bifröst: O Ponte dell’Arcobaleno. Ponte ideale che collega i nove regni, nel mito norreno.

Nove regni: Manaheimr (Terra), Asghardr (Dimora degli dei Asi), Vanaheimr (Dimora degli dei Vani), Svartalfheimr (Regno degli Elfi Oscuri e dei Nani), Muspellsheimr (Regno dei giganti di fuoco), Yotunheimr (Regno dei giganti di ghiaccio), Elfheimr (Regno degli Elfi della Luce), Niflheimr (Regno dei giganti di brina), Hellheimr (Regno dei Morti)

Berserk (plurale ‘berserkir’): O Uomini-orso. Devoti al culto di Odino, sono esseri mistici in grado di mutare in orso, durante lo stato di furia, o berserkergang. Sono potenti guerrieri e il personaggio più noto tra essi, nel mito norreno, è il Mastino dell’Ulster.

Santuario: Luogo in cui i licantropi possono trovare riparo e cure mediche. E’ gestito da umani, che conoscono – e proteggono – il segreto dei mannari, e in esso non possono esservi dispute tra creature.

Cacciatori: Sono umani che conoscono il segreto dei licantropi, e sono intenzionati a debellarli. Il primo Cacciatore fu Fryc, fratello di Avya. Si convinse che la sorella fosse stata concupita da Fenrir, e a nulla valsero le spiegazioni, con lui. Iniziò una faida che dura tutt’ora. I Cacciatori mantengono il segreto dei licantropi per non scatenare inutili cacce alle streghe o isterismi di massa. Si reputano, in buona fede, dei salvatori della razza umana.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


5.
 
 
 
 
 
Il mio rientro a palazzo fu, come sempre, segnato dal malumore - mio, principalmente, della mia famiglia, in secondo luogo – ma, ormai, erano giorni che non badavo più a questo genere di cose.

Muath si era testardamente rifiutata di vedermi, dopo il nostro rientro dal matrimonio di nostro fratello.

Poiché era mia intenzione perorare la causa di Rohnyn, lei mi aveva rifiutato ogni incontro per diretta conseguenza.

Quando voleva, nostra madre sapeva essere più testarda di un mulo.

Il viso contratto di Krilash al mio arrivo a Mag Mell, quindi, non mi colse di sorpresa.

Quando, però, mi avvicinò per afferrarmi al braccio e trascinarmi dentro il palazzo, mi bloccai e lo costrinsi a parlare.

Lui mi strattonò per proseguire, ma io mi impuntai.

Allora, Krilash mi fissò torvo in volto e sbottò: «Maledizione, hai intenzione di seguirmi o dovrò trascinarti a forza? Ciara è nei guai per causa tua

«Cosa?!» esalai, raggelando a quelle parole.

Mi ero recato a Dublino per quasi una settimana consecutivamente, lasciando la mia casa negli abissi fin dagli albori dell’alba, tornandovi solo al tramonto.

Fin dal nostro ritorno dal matrimonio di Rohnyn, non avevo più parlato con il nostro capitano della guardia.

Troppo indispettito per ascoltarla, o cercare spiegazioni che potessero chetarne i dubbi, mi ero disinteressato del nostro litigio.

Avevo messo in primo piano unicamente il mio desiderio di vedere Eithe, sperando così di poterle essere d’aiuto in qualche modo.

Non avevo messo in conto, però, che quel mio vagabondare avrebbe potuto creare dei problemi. Soprattutto, al nostro capitano della guardia.

Perché non dubitavo che, il dilemma alla radice dei problemi di Ciara, dipendesse proprio da quello.

Lasciai perciò perdere l’ira e, assieme a Krilash, mi diressi verso la sala del trono, percorso da una preoccupazione crescente.

Il rimbombo dei nostri piedi rimbalzò tra i muri di corallo e le arcate del soffitto d’alabastro, la voce di nostro padre sempre più chiara al nostro orecchio.

E profumava di rabbia.

Affrettai il passo, e mio fratello mi lanciò un’occhiata caustica, sbottando: «Se le succede qualcosa, giuro che ti spaccherò la testa con le mie mani.»

Questo suo interessamento nei confronti di Ciara mi diede fastidio, ma preferii non dire nulla, sul momento.

Ora dovevamo pensare a levarla dai guai.

Quando finalmente raggiungemmo il centro del palazzo, ove si trovava la Sala del Trono, bloccai i miei passi al suono ormai nitido del suo rimbrotto.

Krilash mi imitò, sconcertato al pari mio.

Curioso che avesse lasciato aperte le porte del salone.

Solitamente, certi colloqui avvenivano nel più stretto riserbo. Questo comportamento voleva ulteriormente mettere in imbarazzo Ciara, rendendo partecipi i soldati del suo richiamo formale.

Un’autentica pugnalata alle spalle.

Fremetti, al pensiero che mio padre si stesse comportando in modo così becero, ma non mi lasciai confondere dalla rabbia.

Già una volta avevo commesso quell’errore, e Rohnyn ne aveva pagato lo scotto.

Dovevo mantenere la calma, e agire per diretta conseguenza.

«Non è tollerabile che il capitano delle guardie di palazzo non sappia dove si trova il principe ereditario. E’ tuo dovere conoscere ogni suo spostamento perché, se mai gli succedesse qualcosa, riterrei te personalmente responsabile! E’ il mio erede, e tu ne sei la protettrice! Tienilo bene a mente!»

Nascosto, al pari di Krilash, poco oltre i portoni della sala, osservai disgustato il volto contratto di Tethra.

I suoi pugni erano piantati sui braccioli di corallo del trono, la sua bocca piegata in una smorfia irritata.

Quello che però mi spezzò il cuore fu vedere Ciara a capo chino, la sua spada poggiata sul lucido pavimento in segno di sottomissione totale, le sue mani sanguinanti.

Cercai i motivi di simili ferite e, quando concentrai il mio sguardo sulla sua arma, compresi.

Si era autoinflitta le ferite come punizione per la sua manchevolezza, e l’unico colpevole ero io.

Io e la mia ostinazione a voler passare del tempo con Eithe.

Mi mossi per raggiungere il palco dove si trovava nostro padre, ma Krilash mi bloccò a un braccio, indicandomi gli abiti con espressione aggrottata.

«Sei un autentico disastro» borbottò, mettendo mano ai bottoni della mia camicia.

Compresi subito cosa aveva intenzione di fare.

Ci scostammo, nascondendoci dietro un alto colonnato mentre, con fare apparentemente casuale, una delle guardie controllava che nessuno giungesse.

Sul volto del soldato lessi ansia, un vago accenno di livore e sì, mestizia.

Non faticai a comprenderne i motivi; era sinceramente preoccupato per il suo capitano ma, da bravo fomoriano, non si sarebbe mai opposto al proprio re.

Solo io potevo farlo.

In pochi minuti ci scambiammo gli abiti – ringraziando mentalmente di avere la stessa taglia – e, con indosso i vestiti di Krilash, resi infine nota la mia presenza.

Ciara non si mosse, ma mi resi comunque conto dell’irrigidimento del suo corpo.

Mio padre fu di tutt’altro avviso.

Si levò dal trono, scese le scale che lo dividevano dal pavimento in corallo rosso del salone e, senza alcun preambolo, mi schiaffeggiò.

Uno schiaffo ricevuto da un uomo alto quasi tre metri, ha sempre un certo peso.

I capelli si scompigliarono, riversandosi sul mio volto, ma non vi badai.

Né badai al dolore cocente che riverberò sul mio viso, spingendosi al collo e alla spalla.

Avvertii senza problemi lo sgomento di Krilash.

Mi giunse addosso come un’ondata di gelida acqua, così come l’ansia di Ciara, calda e vibrante, simile al suono di un’arpa.

Strano come riuscissi ad avvertire così bene i loro sentimenti quando, per millenni, questo mi era stato quasi del tutto impossibile.

Che la compagnia di un licantropo avesse smosso qualcosa dentro di me?

«Vi sentite meglio, ora?» osai dire, aprendo gli occhi per fissarlo con astio malcelato.

Il suo ringhio mostrò la bianca dentatura, e la leggera cicatrice sopra il labbro si contorse.

Potevamo essere creature beneficiate di lunga vita, ma le cicatrici facevano parte integrante della nostra esistenza.

Se non venivano curate adeguatamente, o erano troppo profonde per non lasciare segni, restavano a imperitura memoria, né più né meno che per gli umani.

Quella di mio padre, risaliva ai tempi dell’ascesa al potere dei Romani.

Tethra doveva ringraziare suo fratello, per quello sfregio, reo di aver tentato un colpo di Stato per soppiantare il legittimo re sul trono.

La sua morte era stata orribile, il solo pensarci mi dava ancora fastidio, ma nostro padre era stato inflessibile nell’emettere la sentenza.

E gli squali avevano ringraziato.

«Sei troppo sicuro di te stesso, figlio. Sei il primogenito, ma questo non ti da il diritto di fare quello che vuoi.»

«E a me non sembrava di dover rendere conto a voi, o al nostro capitano, di dove preferissi passare il mio tempo.»

Il mio tono fu lapidario, esattamente come lo era stato il suo, poco prima.

«Diventa basilare, se lo passi tra gli umani!» sbraitò Tethra, sciabolando l’aria con le braccia.

Rischiai di prendermi un altro manrovescio.

«Temete possa seguire le orme di Rohnyn?» sogghignai, aspettandomi per diretta conseguenza un altro ceffone.

Sapevo di non poter usare quel nome, in sua presenza, ma non me ne importò nulla.

Non vi fu uno schiaffo, ma una spinta.

Mi allontanò da sé e, furente come poche altre volte l’avevo visto, mi fissò gelido e ordinò: «Non una parola di più, Stheta, o giuro che ti farò fustigare. Ora vattene, e pensa a quello che hai fatto. Vathra1 Ciara, sei congedata.»

«Sì, mio signore.»

L’uomo che era mio padre e che, in quel momento, stavo detestando con tutto me stesso, si allontanò con un gran svolazzare di mantello.

Io lo imitai, ma sicuramente con meno tracotanza.

Mi avvicinai a Ciara, che stava già avviandosi verso l’uscita della Sala del Trono e, afferratala gentilmente a un braccio, la feci fermare.

«Ciara, aspetta.»

Lei non si mosse, esattamente come mi ero aspettato, ma sotto le mie dita avvertii il suo muscolo fremere.

«Perché non hai detto la verità? Sapevi benissimo dove mi trovavo. Dubito fortemente che tu non sappia sempre dove sono.»

Senza voltarsi ad affrontare il mio sguardo spiacente, lei rimase a capo chino, il corpo fremente di energia repressa a stento.

La vidi deglutire più volte, il nudo collo messo in evidenza dai capelli raccolti in una trina di trecce sul capo.

Per un istante, provai l’assurdo desiderio di carezzarglielo, di chetare quel tremito che potevo scorgere sottopelle.

«Non ne avevo la certezza e, comunque, non vi avrei mai messo in cattiva luce agli occhi di vostro padre.»

«Dubito potrebbe essere più furioso di quanto non lo sia già adesso. Inoltre, hai dovuto fare ammenda per una colpa che non ti era propria» replicai, l’astio ormai abbandonato per un dolente rimorso.

«Guariranno.»

Fece per recuperare il braccio, ma non glielo permisi.

La presi per il polso, appena sopra la sua rihall a forma di manta, e la condussi via con me, in barba a quello che aveva in mente.

Oltrepassai l’ala degli alloggi degli ufficiali e, dopo aver imboccato una lunga scalinata, scesi ai piani inferiori, dove si trovavano le infermerie di palazzo.

Lì, aprii una porta e scacciai gentilmente le guaritrici, obbligando poi Ciara ad accomodarsi su uno dei lettini.

Lei non disse una parola, mi fissò ai limiti dell’insolenza, il suo viso una maschera di gelida cortesia, ma io non volli saperne di lasciarla andare.

Presi i bendaggi, le creme depurative e dei sedativi in polvere dopodiché, con calma, preparai il necessario per curarla in assoluto silenzio.

All’esterno del palazzo, si udiva il classico e continuo sciabordio delle onde del mare.

Eravamo protetti da una barriera di pura energia ma, al tempo stesso, potevamo avvertire tutto ciò che si estendeva al di sopra di quella bolla di potere.

Il canto delle balene, lo stridio dei delfini, il crepitio dei banchi di pesci, l’ondulatorio andamento delle correnti di profondità.

Tutto ci era noto e, in ogni Protettorato del regno fomoriano, si potevano assaporare gli stessi suoni, gli stessi fondali.

Anche per questo, amavo andare sulla terraferma.

Lassù, la varietà di creature, il calore del sole e la freschezza del vento mi riempivano di desiderio.

Sapevo di essere sciocco, che essere gelosi di un mondo che non era il proprio era ingiusto, ma volevo assaporarlo liberamente, senza pensare alla corona che pesava sul mio capo.

Finii di preparare la tisana per Ciara e, avvicinandomi a lei, mormorai: «Posso?»

Lei annuì debolmente, e sporse appena il viso perché potessi farla bere dalla terrina che avevo usato per preparare l’antidolorifico.

Sorseggiò lentamente fino a terminare il liquido biancastro, dopodiché mi ringraziò con voce debole, quasi sussurrata.

Non dissi nulla, limitandomi a sollevare una delle due mani ferite, dove il sangue si era ormai rappreso, formando grumi scuri e rigonfi.

Aggrottai la fronte, sentendomi un mostro all’idea che lei si fosse autoinflitta quelle ferite per causa mia.

Detersi quella pelle chiara, perlacea, segnata da calli dovuti all’uso della spada, e la ripulii dal sangue rappreso, mettendo in evidenza un taglio netto e profondo.

Ricoprii la carne lacerata con un unguento disinfettante dopodiché, con mosse il più delicate possibili, fasciai la sua mano.

Ciara non diede adito di avvertire dolore, ma non me ne stupii.

Avrebbe potuto non emettere fiato anche in punto di morte e, solo per questo, fremetti.

Perché non esprimeva mai ciò che sentiva? Perché non si comportava come…

Mi morsi la lingua per non pensare a Eithe e al suo modo di fare sincero e disinibito, misto a una velata timidezza che la rendeva irresistibile.

Passai all’altra mano e, quando ebbi terminato, cercai con lo sguardo gli occhi di Ciara.

Lei, però, si negò, limitandosi a scendere dal lettino per prodursi in un inchino formale.

Quasi volli scrollarla, portarla a perdere il suo proverbiale autocontrollo, per scorgere cosa vi fosse davvero dietro quegli occhi di scuri e profondi.

Dal suo corpo non giunse nulla. Non rabbia, né lo smarrimento provato in precedenza, quando Tethra mi aveva schiaffeggiato.

Nulla.

Sembrava il mare in bonaccia, anche se sospettavo non lo fosse affatto.

Mi passò accanto senza dire nulla ma, sulla porta dell’infermeria, si fermò un attimo prima di mormorare: «Portate con voi Konag mac Leogh. Il re si sentirebbe più tranquillo, sapendovi al fianco di un guerriero così valoroso.»

«E saprebbe che non sto rotolandomi su un prato con qualche donna mortale» replicai, più aspramente di quanto avrei voluto, lo ammetto.

Lei annuì, ma non aggiunse nulla alla sua richiesta.

«Farò come mi consigli. Grazie. E scusami ancora per le ferite. Avrei dovuto pensare che, prima o poi, mio padre se la sarebbe presa con te.»

«Il mio sangue è al vostro servizio, principe, ma gradirei davvero una maggiore comprensione da parte vostra. Il re vostro padre è solo preoccupato per il suo erede, e questa vostra… passione per il regno dei terreni, lo turba.»

Non fu un rimprovero, il suo, ma solo un dato di fatto. Non stava esprimendo la sua opinione personale.

Come al solito.

Sospirai, provando ancora l’istinto insopprimibile di scrollarla con violenza.

«Dubito che mio padre si preoccupi per me, quanto piuttosto per il fatto che io possa imitare Rohnyn. E’ inutile che io affermi il contrario, perché non mi crederebbe mai. Ma se, per evitarti ulteriori punizioni, dovrò essere scortato da Konag, lo farò ben volentieri.»

Ciara annuì ancora e, senza dire altro, se ne andò, lo scalpiccio leggero dei suoi sandali che andò perdendosi lungo le scale che conducevano ai piani alti.

Io rimasi lì ancora per qualche tempo, indeciso su come meglio affrontare la grande rabbia che sentivo dentro.

 
***

Sapevo perché Ciara aveva scelto Konag.

Non solo era uno dei più forti guerrieri del nostro valente esercito, ma era stato più volte sulla terraferma, e sapeva cosa voleva dire trovarsi in mezzo agli umani.

Quando tornai a recarmi a Dublino per vedere Eithe – quel giorno, saremmo andati da una sua amica, in campagna – non fu con piacere che misi piede sulla spiaggia.

Fu l’infinita rabbia che provavo, a muovere i miei passi.

Stentavo a sopportare l’idea di essere costantemente controllato a vista, neanche fossi un criminale della peggior risma.

Quando, però, scorsi Eithe in lontananza, ferma ad attendermi sul ciglio della strada, mi rasserenai un poco.

Non allo stesso modo rispose lei.

Non appena vide accanto a me un uomo che non conosceva, si irrigidì un poco, preoccupata.

Non persi tempo a dire a Konag di non essere sgarbato, o maleducato con lei. Sapevo già di non dovermene preoccupare.

La sua educazione era famosa quasi quanto la sua capacità sul campo di battaglia.

Quando, perciò, li presentai, non mi stupii nel vederlo inchinarsi con eleganza, sorridere a Eithe e mormorare i suoi ringraziamenti per essersi presentata lì quel giorno.

Eithe mi guardò dubbiosa, e io annuii.

Avevo già parlato a Konag della sua peculiarità  più strabiliante, poiché sarebbe stato assurdo portarlo con me, senza avvisarlo di ciò che avrebbe visto. O udito.

Lei allora assentì, ci invitò a salire sulla sua auto e disse: «Megan mi è parsa parecchio sorpresa dalla mia richiesta, ed è rimasta ancor più sorpresa dal sapere di te, Stheta. Immagino che vedere due fomoriani in carne e ossa, la manderà un po’ fuori di testa. Ma è una ragazza in gamba, e non ci metterà molto a riprendersi.»

«E’ un bene che non ci sia mio padre, qui. Lui sì che vi avrebbe messo in soggezione» borbottai, scuotendo il capo nel sorridere malizioso.

«Perché?» volle sapere, forse un po’ ingenuamente, Eithe.

Io guardai dietro di me in direzione di Konag, che tossicchiò imbarazzato e asserì: «Sua Maestà  re Tethra è di antichissima stirpe, Miss MacLoran, e risale direttamente dai nostri antenati ancestrali. Lui è… piuttosto imponente.»

«Tocca quasi i tre metri di altezza, per intenderci» aggiunsi, sorridendo contrito a una sgomenta Eithe. «Anche per questo, non sale mai in superficie. La gravità terrestre è molto superiore a quella del nostro pianeta d’origine ma, se per me e molti altri fomoriani nati qui, questo non è un problema, per lui potrebbe esserlo eccome. Mag Mell è l’unico luogo sicuro, per lui e i fomoriani di antica stirpe. Inoltre, non penso che passerebbe inosservato.»

Lei deglutì a fatica, annuì e infine si lasciò andare a un’imprecazione sussurrata quanto sentita.

Risi nonostante tutto, comprendendo appieno quanto, quelle notizie, potessero essere dirompenti, anche per una creatura mistica come un licantropo.

Pur se i miti parlavano di una loro discendenza divina, nessun mannaro aveva la certezza assoluta di avere realmente sangue divino in corpo.

E neppure sapevano se, il dio-lupo del mito, corrispondeva al Fenrir della loro genia.

Noi, invece, potevamo vantare con certezza assoluta una genia divina, oltre che plurimillenaria.

Eithe aveva inoltre accennato ad altre creature mistiche, nel corso delle nostre chiacchierate, e questo mi aveva colpito ulteriormente.

Quanto era vario e misterioso, il mondo in cui camminavano gli ignari umani?

Queste creature, metà umani e metà orsi, avevano attaccato un branco di licantropi a Belfast, meno di un anno prima.

Durante quello scontro, ne avevano ucciso il capobranco e il suo secondo in comando.

Da quel giorno, il clan si era chiuso a riccio attorno alla Prima Lupa, la compagna del capoclan appena ucciso.

Lei aveva preso ad interim il ruolo che, un tempo, era stato del marito Marcus, Fenrir del clan e loro guida suprema.

A loro volta, tutti i branchi dell’isola si erano riuniti intorno alla Prima Famiglia di Belfast, per essere loro di conforto e appoggio.

Da tempi immemori, ormai, nessun clan era più stato attaccato in maniera così massiccia e, soprattutto, mai da un branco di uomini-orso.

La difesa del territorio dell’intera isola, perciò, era divenuta impegno primario.

Anche in questo, eravamo fortemente diversi.

I fomoriani avrebbero approfittato di una simile debolezza, non avrebbero cercato di cancellarla o, peggio, di rafforzare un clan in difficoltà.

Scacciai quei pensieri non appena ci inoltrammo nella campagna dublinese; quei paesaggi meritavano la mia completa attenzione, e non solo il mio interesse distratto.

I suoi verdi smeraldini tingevano le colline dolci e sinuose, mentre campi delimitati da bassi muretti di roccia si intervallavano a boschetti e prati di erica.

Oltrepassammo case di pietra, antichi casolari e vecchie ville padronali, finché non raggiungemmo una bassa villetta in stucco e roccia, circondata da un’alta siepe di bosso.

Entrati attraverso il cancello in ferro battuto, lo osservammo chiudersi alle nostre spalle con un fruscio sommesso.

Dalla porta d’ingresso della villetta, a quel punto, fece la sua comparsa una donna di media altezza, dai lunghi capelli castani e la carnagione bronzea.

Morbida e flessuosa, l’amica di Eithe possedeva una forza nascosta ben visibile nei suoi occhi grigio scuri.

Le chiome brune, trattenute in una treccia, dondolavano leggermente al passaggio del vento, che portava con sé odore di pioggia e di torba fresca.

Ci fissò lungamente, in silenzio, le braccia conserte sotto i seni generosi, ma alla fine ci concesse di entrare all’interno dell’abitato.

La casa era curata tanto quanto l’esterno, e mobili di alto pregio si mescolavano a quadri d’autore e tappeti Aubusson di ottimo gusto.

Si presentò a noi come Megan MacBride, e ci fece accomodare in un salottino dalla pannellatura in legno chiaro, soffitto a cassettoni lavorati e bei dipinti alle pareti.

Il mobilio, quasi sicuramente francese, era curato alla perfezione e la nostra ospite, nell’accomodarsi su una poltrona Luigi XV, sorrise e ci disse: «I miei genitori sono collezionisti. Direi che si vede.»

«Abbastanza» assentii. «Ho sempre apprezzato il modo in cui, nei secoli, l’architettura umana si è sviluppata, e qui vedo pezzi di ottimo pregio.»

Mi ringraziò con un cenno del capo ma, dopo qualche momento, perse il suo stoico contegno e ridacchiò. Eithe la imitò.

«Cielo! E’ una storia così assurda! Ma siete davvero fomoriani?! Davvero davvero?»

Io e Konag ci guardammo, annuendo tra di noi e, con un sorrisino divertito, asserii: «Lo darei praticamente per certo. Questa rihall, o voglia, è il simbolo della mia stirpe, mentre quella di Konag è diversa. Ogni rihall rappresenta una famiglia diversa.»

«Fico» esalò Meg, sfiorando la mia con dita esitanti.

Come era avvenuto per Eithe, bruciò un po’ al tatto e la donna, ridacchiando, ritirò il dito, soffiandovi sopra con aria comica.

I suoi occhi espressero tutta la sorpresa e l’eccitazione per aver scoperto qualcosa di nuovo, di imprevisto.

Allo stesso modo sfiorò quella di Konag, a forma di squalo, che si trovava sul suo polso sinistro.

«Beh, non vi stupite se, per un po’, vi guarderò come se fossi una pazza… portate pazienza.» Rise, e aggiunse: «Troppo cool

Eithe si volse verso di noi come per scusarsi, ma io non ci feci caso.

Era già importante che ci avesse accettato in casa, acconsentendo ad aiutarci in quello che, almeno per Eithe, pareva essere un piano folle.

Io non la pensavo a quel modo ma, prima di vederla all’opera, non potevo fare molto.

Tornando finalmente seria, Megan si schiarì la voce e, dopo aver fissato preoccupata l’amica per un istante, scrutò me e mi domandò: «E’ venuta in mente a te l’idea di voler allenare Eithe, perché faccia il culo a strisce a quella fetente di Caitlinn?»
Risi sommessamente, di fronte alla sua parlata piuttosto diretta e per nulla elegante, mentre Konag fece di tutto per non sbattere le ciglia frastornato.

Avessimo passato anche altri mille anni sulla terraferma, la parlata degli umani ci sarebbe comunque parsa strana.

Ma la trovai in ogni caso divertente e sì, piacevole per i nervi.

Era così stancante, ogni minuto della propria esistenza, dover adempiere a ogni rituale prefissato per noi tutti.

Evitarli almeno per una volta, era corroborante.

«Ho ritenuto fosse ingiusto che Eithe fosse costretta a subirne le angherie» mi limitai a dire, scrollando le spalle.

Mi fissò divertita, così mi resi conto di aver parlato in modo un po’ antiquato, perciò sorrisi e riprovai.

«Mi scoccia vederla così in ansia. Non c’è un modo per aiutarla?»

Lei annuì, dando una pacca sul braccio a Eithe, e asserì: «Io ci posso anche mettere del mio, ma è una cosa un po’ delicata. Caitlinn è davvero un’alfa con le palle, se mi passate il termine. Neppure io sono mai riuscita a batterla.»

«Vedervi all’opera ci potrebbe far capire, eventualmente, dove intervenire all’uopo» intervenne a quel punto Konag, fattosi pensieroso.

Il lato guerriero che era in lui stava già fremendo.

Megan allora annuì, trattenendosi a stento dal ridere. Doveva trovarci davvero antidiluviani.

Dopo essersi levata in piedi assieme a Eithe, dichiarò: «Nel giardino dietro casa. Qui, ci sono troppe cose delicate. Se rompessi qualcosa, mio padre romperebbe qualcosa a me.»

Avremmo capito ben presto il perché di quello scrupolo.

 
***

Il cielo terso si era tinto di nubi chiare e gonfie, e il vento era aumentato di intensità.

L’erba smossa dalla brezza dondolava sinuosa, rassomigliando all’altalenante dondolio delle alghe nel mare.

O all’ondeggiare elegante di una chioma sparsa al vento.

Ne rimasi incantato per un attimo, come sempre quando ammiravo le meraviglie del Creato.

Non mi sarei mai stancato della terraferma, pur se il mio amore per Mag Mell non sarebbe mai venuto meno.

Era la mia terra natia, lì avevo mosso i primi passi e, benché fossi in rotta con i miei genitori, amavo il mio popolo e le sue tradizioni.

Solo, lo volevo più felice, più aperto ai cambiamenti.

Non appena raggiungemmo il retro della casa, Megan fischiò, infilando pollice e indice tra le labbra morbide.

Fu solo poco tempo dopo, che comprendemmo il perché di quel gesto apparentemente casuale.

Un lupo enorme fece la sua comparsa da un boschetto vicino, camminando sull’erba come un’apparizione spettrale, giunta dai recessi della terra stessa.

Istintivamente, io e Konag indietreggiammo di un passo, sbalorditi.

Eithe mi aveva detto che, in forma di lupo, un mannaro era più grande dell’animale naturale da cui prendevano le sembianze, ma non avrei mai pensato così tanto.

Il lupo sogghignò, mostrando denti e lingua ciondoloni e Megan, scusandosi con noi con un sorrisino contrito, esalò: «Ops. Forse avrei dovuto far arrivare mio padre in forma umana.»

Deglutii a fatica, scuotendo il capo. «Non… non fa nulla.»

Con una spallucciata, Megan allora ci spiegò quello che avremmo visto e, soprattutto, i motivi della presenza di un altro licantropo sul suolo di addestramento.

A quanto pareva, quando due licantropi combattevano, le loro auree di potere – una sorta di rete energetica esterna al corpo – si espandevano per riflesso.

Se non controllate a dovere, avrebbero potuto creare parecchi guai.

Un lupo non coinvolto nello scontro poteva fungere da parafulmine, da controllore delle energie sviluppatesi durante lo scontro.

Da qui, la presenza di Abraham MacBride, padre di Megan.

«Vi consiglierei di spostarvi ad almeno una ventina di metri. Faremo piuttosto confusione, nel muoverci.»

Il tono di Megan fu serio, non più tinto del divertimento che l’aveva contraddistinto fino a quel momento.

Detto ciò, lanciò un’occhiata di sfida a Eithe e, a sorpresa, iniziò a spogliarsi.

Questo, portò me e Konag a fare tanto d’occhi… e a ricoprirci di un rossore rivelatore.

Eithe, rammentando forse un particolare insignificante che pareva essersi dimenticata, scoppiò a ridere e Megan, fissandoci dubbiosa, esalò: «Ah… Eithe non ve l’aveva detto, vero?»

«Che combattete nude come i greci antichi? No!» gracchiai, fissando la mia amica con aria veramente accigliata.

Lei si scusò, giungendo le mani in preghiera e spiegandoci il perché di quell’accortezza.

«Durante la mutazione, gli abiti esploderebbero. Non combattiamo nude, ma dobbiamo esserlo, prima di mutare.»

Konag si mosse lesto per voltarsi, il corpo ormai interamente rosso come un peperone e io, senza attendere oltre, lo imitai.

Ero curioso di scoprire il procedimento della mutazione, ma non in quel modo.

Era davvero un’altra cultura, la loro!

Sentimmo l’anziano lupo emettere una specie di tosse, come se stesse ridendo del nostro imbarazzo, ma non volli sincerarmene.

Che ridessero pure di noi. Non avevo alcun problema a rendermi ridicolo, vista la situazione così imbarazzante!

Dopo poco più di un minuto, la voce di Megan richiamò la nostra attenzione.

«Dovremmo essere in una posizione più o meno accettabile, per voi. Vedete di non svenire, se volete scoprire com’è un licantropo in fase di mutazione.»

Volsi appena la testa, giusto per dare un’occhiatina.

Pur essendoci esposta più pelle nuda di quanto avrei desiderato, notai che sia Megan che Eithe si erano premurate di nascondere i seni con un braccio.

Le altre parti intime erano egregiamente nascoste dalla posizione acquattata e, per quanto mi sentissi ancora a disagio, mi decisi a volgermi completamente.

Konag, a quel punto, mi imitò e, pur restando di un bel color ciliegia, osservò le due donne cercando di non svenire per l’imbarazzo.

Quel che avvenne subito dopo, però, ci fece perdere di vista qualsiasi ansia da nudità.

I loro corpi, letteralmente, presero a spezzarsi, producendo sinistri suoni, sordi e cupi come tuoni in lontananza.

Fui sul punto di lanciarmi su Eithe per impedirle di farsi del male ma, quando scorsi i suoi occhi tranquilli, capii che il processo non doveva essere doloroso come poteva apparire.

Pelo color nocciola comparve sulla pelle di pesca di Eithe, mentre un manto grigio pezzato fece suo il corpo di Megan.

Poco per volta, entrambe crebbero per dimensioni e stazza, fin quasi a raggiungere le dimensioni di Abraham.

La loro femminilità venne a scomparire, sostituita da una creatura di ancestrale bellezza e dalle dimensioni davvero invidiabili.

Apparivano più minute del lupo che era il vecchio MacBride, ma non dubitai neppure per un istante della loro forza e possanza.

Konag deglutì a vuoto, gli occhi sgranati fino alla massima resistenza fisica.

Una singola goccia di sudore scivolò lungo il suo collo, e io ne compresi bene lo smarrimento.

Neppure io ero così tranquillo come volevo far sembrare.

Eppure, al tempo stesso, ero affascinato da quello spettacolo incomparabile.

Non avevo mai visto nulla di così bello, di così potente e ancestrale.

E dire che venivo da un luogo in cui tutto, o quasi, era pervaso di magia.

La nostra mutazione in delfini non avveniva così.

Era semplice magia, un incantesimo legato al nostro DNA, perciò il tutto si perdeva in un semplice battito di ciglia.

Tutto questo era più viscerale, più carnale, e quindi più forte e mistico.

Eithe scrollò la gorgiera, raspando l’erba e la terra con la possente zampa, e io sorrisi.

Era stupenda.

Mi guardò, reclinò il capo come era solita fare in forma di donna, quando era in imbarazzo, ma io le sorrisi orgoglioso e andai da lei per carezzarla.

Era calda, il pelo ruvido all’esterno e morbido all’interno, in prossimità dei possenti muscoli dorsali.

Era potenza allo stato puro, selvaggia eppure apparentemente addomesticata. Un connubio di estremi davvero affascinanti.

Megan abbaiò una volta, come spingendomi ad allontanarmi e, quando tornai al fianco di Konag, gli sentii sussurrare: «Questa sì che è l’esperienza più impressionante di tutta la mia vita.»

«Non posso che essere d’accordo con te» assentii.

Un attimo dopo, successe di tutto.

Megan partì all’attacco, un enorme lupo dalle zanne sfoderate per attaccare con violenza, mentre Eithe si rattrappiva un attimo su se stessa prima di schivare il colpo.

Io e Konag indietreggiammo ulteriormente e, a quel punto, comprendemmo cosa avesse voluto dire la nostra ospite con auree in combattimento.

Sopra i loro corpi frementi, simili a distorsioni dell’aria, intravedemmo delle scintille azzurrine, tenute a bada da una terza aura, quella di MacBride senior.

Lupi e auree si fronteggiarono parimenti, ma fu subito chiaro a entrambi quanto Megan fosse superiore, e non solo per bravura nel battagliare.

Eithe era terrorizzata, non riusciva a reagire alle mosse repentine dell’amica tanto che, alla fine, si bloccò con i denti sul collo dell’altra, lasciando andare la presa.

Fu a quel punto che, per poco, non perdemmo quel minimo di autocontrollo che, durante la lotta, avevamo faticato a mantenere.

Nelle nostre teste, forte come un bang sonico, la voce stentorea di Megan ci sorprese e ci sgomentò.

“Era questo che intendevo! Non ti sai difendere e, quel che è peggio, non vuoi replicare agli attacchi.”

“Sapevo già che sarebbe finita così… ma Stheta ci teneva ad aiutarmi, e pensavo che…”

Megan ringhiò furente, dandole un colpo di muso contro la spalla.

In forma di lupo, i loro comportamenti mi parvero più impetuosi che mai, e compresi cosa avesse voluto dirmi Eithe, a suo tempo, con reazioni fisiche.

Erano decisamente fisici nell’esprimere le loro opinioni, in forma animale. Nulla a che vedere con la loro controparte umana.

“Non mi interessa quel che dice il tuo amico! Mi interessa quello che vuoi tu!”

A quel punto, Eithe mostrò i denti, letteralmente, e scacciò Megan con un ringhio e un morso nell’aria.

Mi chiesi se stessero litigando, non pensando che, tra animali, le cose funzionavano diversamente che tra umani.

MacBride senior era tranquillo, perciò immaginai che quel battibecco fosse normale.

Non sapevo se lo era altrettanto che noi sentissimo ciò che si stavano dicendo.

Non avevo idea se Megan avesse percepito il mio pensiero, ma si volse verso di me con il suo enorme muso e borbottò: “Ci sentite, vero?”

Annuii, e provai a trasmettere loro il mio pensiero. “Non abbiamo doni sviluppati quanto i vostri, ma la lettura del pensiero è possibile anche tra noi, a certi livelli.”

Assentì, comprendendo cosa fosse successo.

Indicò col muso le auree ancora evidenti, poi disse: “Le auree esposte amplificano i segnali, per così dire. Quando si saranno calmate, smetterete di sentire.”

“Restando in argomento… è possibile sapere perché siete così infuriate?”

La domanda mi venne spontanea ma, per un istante, temetti mi mandassero a quel paese.

Fu MacBride senior a rispondere.

“I lupi sono umorali, molto più degli umani, e le sensazioni sono più forti, in forma animale. Il problema, al momento, è capire come far passare la paura a Eithe, e non è facile, visto quello che ha passato da piccola. Non mi stupisce che sia terrorizzata al solo pensiero di combattere.”

Fissai confuso Eithe, che assentì col muso, mentre Megan borbottava contrariata: “Quel bastardo di tuo cugino Sebastian non avrebbe dovuto attaccarti, quando eri poco più che novenne. Felicity avrebbe dovuto ammazzarlo seduta stante, invece di farlo soltanto bandire dall’Irlanda vita natural durante.”

“Sai perché non poté farlo. Era stato riconosciuto Fenrir, ed era perciò intoccabile.”

“Cavargli un occhio è stato un pegno troppo piccolo, per averti quasi uccisa.”

Quello scambio di battute mi lasciò interdetto, senza parole, e Konag con me.

Eithe, allora, ci spiegò quel rapido scambio di battute perché potessimo comprendere il perché di tanta violenza.

“Sebastian Sheperd è Fenrir del clan dell’Isola di Man e, tra le altre cose, cugino di terzo grado di mio padre. Era in visita presso di noi quando, preda da un raptus, mi colpì, atterrandomi. All’epoca, aveva undici anni, aveva appena passato la prima transizione e si era scoperto essere l’erede dell’allora Fenrir dell’isola di provenienza.”

Megan intervenne, sprezzante.

“Si trasformò davanti a lei, ululando e ringhiando come un forsennato e, per poco, non la ammazzò con i suoi artigli. Fortunatamente Felicity, la nostra Fenrir, era presente, quel giorno. Intervenne per calmare il giovane licantropo impazzito, e salvò Eithe. In quanto capoclan, poté muovere contro di lui senza incorrere in alcun biasimo.”

“Perché Sebastian si comportò a quel modo?”

“Non ce lo seppe mai spiegare. Si scusò, adducendo come scusa di aver perso il controllo della sua bestia, ma nessuno gli volle mai credere veramente. Felicity lo bandì da qui, imponendogli di non mettere più piede sull’isola, così come tutti della Gran Bretagna, a meno di un consenso di tutti i clan d’Irlanda.”

MacBride senior aggiunse, orgoglioso: “Felicity si comportò egregiamente. Salvò Eithe dalla morte, e diede una sonora lezione a quel cagnaccio. Fu durante quella lotta che ferì Sebastian all’occhio, rendendolo guercio.”

Annuii, rendendomi conto che, per quanto differenti potessimo sembrare, per quanto le nostre culture fossero lontane in alcune sue parti, su altre ci somigliavamo molto.

Anche tra di noi esistevano i folli e i traditori e, anche tra di noi, le punizioni per tali voltafaccia, erano esemplari.

Konag annuì a sua volta, a quella spiegazione e, sorridendo a Eithe, le disse: «Forse conosco un modo per aiutarvi, Miss Eithe.»

Noi tutti lo guardammo curiosi e, serio in volto, il mio soldato aggiunse: «Il suo è sicuramente un blocco post-traumatico e, per mia sfortuna, so cosa significa soffrirne. Se me lo consentite, principe, aiuterò la vostra amica a uscire dal tunnel in cui ora è imprigionata.»

Mi sorprese sentirlo parlare a quel modo – nessuno aveva mai saputo che Konag avesse sofferto di un simile problema – ma, quando mi guardò con aria speranzosa, non potei che annuire.

Eithe, a sua volta, si avvicinò a Konag e, sedendosi ai suoi piedi, lo fissò con i suoi bellissimi occhi dorati, asserendo: “Sarò felicissima di lavorare con te, Konag. Sono stanca di avere sempre e solo paura.”

“So bene cosa vuol dire, Miss, e vi aiuterò.”

Mosse una mano verso di lei e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, le carezzò il capo enorme e peloso.
 



 
 
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1 Vathra: significa ‘capitano’. (la parola è inventata, così come le altre che ho usato per quel che riguarda il vocabolario fomoriano)





Note: Ci tengo a dire che, quando parlo di Gran Bretagna, intendo l’isola che comprende Galles, Scozia e Inghilterra. Per i licantropi, Irlanda e Irlanda del Nord non sono divise, fanno parte di un unico territorio.
Per chi avesse seguito anche la Trilogia della Luna, ora sa il perché del bando dei lupi inglesi dal territorio irlandese. Ecco svelato l'ultimo mistero rimasto insoluto fino a questo momento.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


 
6.
 
 
 
 

Il pomeriggio inoltrato portò con sé alcune nubi di pioggia, oltre al sentore di una tempesta poco lontana.

Nel giardino dietro casa MacBride, ciò che rimaneva della battaglia tra Megan ed Eithe sarebbe presto scomparso.

I segni degli artigli sarebbero svaniti con l'acqua scrosciante dal cielo, e medesimo destino avrebbe subito la terra, smossa in più punti.

Quello che avrebbe lasciato a me quella lotta, al contrario, sarebbe rimasto indelebile nel cuore.

Il ricordo di una donna terrorizzata da un passato tremendo, reso ancor più evidente dai suoi gesti, dai suoi occhi spauriti, avrebbe reso impossibile qualsiasi mio cedimento.

A ogni costo, ma l’avrei aiutata a superare quello scoglio mentale, quello scorno lasciato dal suo passato ingiusto.

Ora, Eithe era seduta in salotto assieme a Konag, parlando fitto fitto, le teste vicine, attenti gli occhi di lei, assorti quelli di lui.

Non mi ero voluto immischiare nel loro discorso, pur se sentivo il dovere di proteggerla.

Megan, in piedi al mio fianco e poggiata contro lo stipite della porta, mi sorrise cordiale e mormorò: «E' una cosa molto bella, quella che stai facendo per lei.»

«Stare impalato sulla porta?» ironizzai, ammiccando al suo indirizzo.

MacBride senior se n'era tornato a casa, dopo essersi sincerato che tutto fosse a posto, e aver augurato buona fortuna a Eithe.

Pareva essere trascorsa un’eternità da quell’incontro ai confini della realtà, eppure era avvenuto neppure un’ora addietro.

Di sicuro, ben poche cose avrebbero potuto surclassare, quanto a stranezza, quell’incredibile pomeriggio.

«Sai bene cosa intendo. Nessuno ti ha obbligato a prenderti l'impegno di aiutarla e, anzi, stai facendo molto più di quanto io, o altri suoi amici, abbiamo mai fatto per lei» asserì Megan, strappandomi ai miei pensieri.

Nel dirlo, reclinò il capo, contrita, e io non faticai a comprendere il suo stato d’animo. Mi ero trovato nella stessa situazione con Rohnyn.

«Forse, semplicemente, non era ancora giunto il momento adatto» mi limitai a dire, imitandone la postura.

«Può darsi. Ma avrei dovuto accorgermi del suo desiderio di sfuggire alla prigionia dei suoi stessi incubi. Invece, mi sono limitata a coccolarla quando piangeva, senza chiedermi cosa fare per non farla piangere più.»

Annuii, riscontrando in me stesso le stesse pecche.

Quando Mairie era morta, Rohnyn ci aveva chiuso fuori dalla sua vita, ben deciso a tenere a distanza la famiglia e gli affetti.

Era stato più che convinto di poter riuscire da solo a ricominciare la sua vita e, soprattutto, a tenerci fuori da questo suo nuovo inizio.

Il pensiero di non farci incorrere nelle ire dei nostri genitori, era stato il suo sprone.

Così come lo era stato all’inizio, quando si era sposato con Mairie, così lo era stato il giorno della sua perdita.

Nostro desiderio, invece, avrebbe dovuto essere dargli tutto il nostro amore, la nostra forza, ma avevamo ceduto alla sua decisione, all’abitudine.

Nessun fomoriano avrebbe mai insistito, avrebbe mai forzato qualcuno ad accettare appoggio o sostegno.

Facendolo, avrebbe insinuato una presunta debolezza in colui che avrebbe potuto ricevere un simile aiuto.

E la debolezza era davvero mal vista, nel regno di nostro padre.

Sorrisi mesto nel ripensare a quel tempo; sapevo per certo che anche i genitori di Mairie avevano tentato di avvicinarlo.

Anche in quel caso, però, Rohnyn era stato ugualmente fermo nel non volere sostegno  alcuno.

Per quanto non avesse mai amato Mag Mell come me, si era voluto comportare da fomoriano fin nel midollo. Forse, come un ultimo messaggio di spregio nei confronti del padre, che non l’aveva mai capito.

Chissà.

Il fatto di non aver provato mai nulla del genere, nella sua lunga esistenza, non aveva certo aiutato.

La morte non era un compagno con cui ci era solito intrattenerci.

Le nostre lunghe vite portavano anche a questo; a una totale, o quasi, ignoranza riguardo a eventi simili.

Le morti in battaglia erano differenti. Venivano accettate con onore e rispetto.

Le morti per malattia, o parto, ci erano praticamente estranee.

Con Mairie era avvenuto il disastro, portando ai confini dell’oblio il mio sventurato fratello.

Avrei dovuto insistere, spingere Rohnyn ad accettare il nostro amore, la nostra vicinanza, invece mi ero limitato a prendere il suo rifiuto di volerci vicini come un dato di fatto.

All’epoca, ci era parso giusto accettare la sua decisione.

All’epoca, nessuno di noi aveva mai realmente provato sulla pelle le emozioni umane.

All’epoca, Sheridan non era ancora apparsa ad aprire i nostri occhi, e non solo il cuore di Rohnyn.

Che Eithe fosse il mio riscatto per quella colpa? Forse.

«A suo tempo, lasciai che il dolore e la cocciutaggine di mio fratello surclassassero il mio buon senso. Gli permisi di escluderci dal suo mondo, quando invece avrei dovuto stargli vicino a priori

Megan ridacchiò in risposta, fissandomi divertita.

«Non conosco benissimo tuo fratello Ronan. L'ho visto solo alcune volte, ma direi che non mi sembra una persona a cui si possa imporre qualcosa. Penso che vi avrebbe sbattuto la porta in faccia, indipendentemente dal vostro intento.»

Sorrisi, annuendo.

«Forse. O, più semplicemente, doveva arrivare Sheridan.»

«Lei che può stendere un toro a testate!» rise allegra, stringendo le braccia sotto i seni. «Sarebbe un'alfa con i fiocchi, se fosse una lupa!»

«Già così, morde che è un piacere» assentii, trovandomi più che d'accordo.

Sheridan sarebbe stata un licantropo di grande carisma, poco ma sicuro.

«Forse hai ragione. Per ogni cosa, c'è il suo tempo. E forse, Eithe stava aspettando qualcuno come te, per esternare le sue paure... e cercare di sconfiggerle

Annuii in silenzio, tornando a posare lo sguardo sulla coppia intenta a parlare nel salotto.

Non avevo potuto far nulla per aiutare Rohnyn dal suo personale percorso di rinascita, ed era stata Sheridan a dargli una mano a trovare la giusta via.

Forse, sarei riuscito a fare la stessa cosa per Eithe, anche se attraverso Konag.

Quando la vidi sorridere, gli occhi colmi di lacrime e il labbro tremante, seppi di non essermi sbagliato.

E risi un attimo dopo quando lei, al colmo della gioia, si alzò per abbracciare con foga Konag, che rimase immobile e imbarazzato nella sua stretta.

Megan rise con me, esclamando: «Siete proprio diversi da noi!»

Sì, non potevo che darle ragione.

 
***

Accomodato su una delle scogliere che scivolavano negli abissi, i capelli mossi dallo sciabordio dell'acqua, sorrisi a mezzo a Konag, assiso al mio fianco.

Eravamo tornati a Mag Mell da ore ma, fino a quel momento, non avevamo parlato di quanto era successo sulla terraferma, né avevamo sentito il desiderio di rientrare a palazzo.

Era piuttosto palese che, quello scontro con una realtà inaspettata, aveva turbato un poco Konag, ma volevo comprendere quanto. E perché.

Sperai davvero non ritenesse pericolose le nostre nuove amiche, o mi sarei trovato nuovamente nei guai con Ciara, cosa che preferivo evitare.

A sorpresa, lo sentii prendere un respiro tremulo, per poi dire sommessamente: «Non fatico a comprendere Eithe, Altezza... simili traumi sono difficili, a volte impossibili da superare.»

«Non ho mai saputo tu avessi subito incidenti simili.»

La cosa mi aveva sorpreso non poco, vista soprattutto la sua nomea nell'esercito.

Konag si espresse con un mesto sorriso, prima di parlare.

Il suo tono fu lugubre.

«Mio fratello subì qualcosa del genere. Io arrivai troppo tardi, e non potei che raccogliere i cocci di quel che era rimasto di lui e del suo animo spezzato.»

Turbato, cercai di rammentare quel che sapevo di Konag, ma mi ritrovai a galleggiare in un limbo davvero vuoto. Me ne vergognai.

«Quando ancora io e la mia famiglia abitavamo nel Protettorato di Fhior1 Norvish, il cugino di vostro padre, seguivamo regole di comportamento molto più ferree di quelle tenute qui. Al confronto, oserei dire che potremmo paragonare Mag Mell al clan dei lupi delle nostre due cortesi amiche.»

Il che, ben sapendo quanto era chiusa e restrittiva la nostra società, era tutto dire.

«Non intendo denigrare vostro padre, Altezza, ma il fatto rimane. I Protettorati non sono Mag Mell, e la Corona non se ne rende conto.»

«Ne sono consapevole. Non mi dici nulla di nuovo, ma non pensavo che Norvish fosse così spietato» mormorai, annuendo grave.

Quanto non sapevamo, dei Protettorati? Quanto io stesso non conoscevo il mio popolo?

Preferii non rispondermi per viltà, ma l’evidenza dei fatti era dinanzi a me. Conoscevo Konag solo per le sue virtù in battaglia, ma non conoscevo lui.

«Non è crudele... solo, freddo. Insensibile a qualsiasi tipo di sentimento... umano» mi spiegò, aggiungendo un sorriso freddo al suo dire.

Sorrisi a mia volta, senza alcuna ironia. Sapevo bene cosa intendeva.

Anche Norvish era un Originario, esattamente come mio padre.

Per quanto la Terra fosse divenuta la nostra patria da molti millenni, il loro comportamento rifletteva quello tenuto sul nostro pianeta di provenienza.

Il fatto che vivessimo, e prosperassimo, per tutti i Sette Regni da epoche immemori, non voleva dire che i fomoriani avessero cambiato stile di vita.

La nostra interazione con gli umani, era ormai lontana secoli e secoli. La curiosità nei loro confronti, un mero ricordo.

Lentamente, si stava tornando a una società chiusa e compartimentalizzata, come era stato sul nostro pianeta d'origine.

Come se lasciarsi andare, mescolarsi, diventare veramente un unico popolo, fosse uno spregio, una debolezza.

Le guerre contro i Tuatha de Danann, coloro che ci avevano ospitati nei loro territori, erano state il primo segnale di questo ritorno alle origini.

Dovevano esserci un Re e la sua Corte, una Corona e i suoi seguaci. Non un popolo unito, o popolazioni amichevoli a darci man forte.

Il popolo doveva temere il proprio Re, o avrebbe potuto ritenerlo debole, inadatto alla guida del regno.

I regni confinanti, come lo erano stati i territori Tuatha, andavano combattuti, sconfitti, annientati, perché la supremazia fosse totale.

Tutt'ora adesso, non ne comprendevo il motivo.

«Durante l’ultima guerra contro i Tuatha de Danann, mio fratello fu catturato e torturato. Resistette giorni, settimane ma, alla fine, cedette e ammise dove si trovavano le terre guidate da Norvish. Lo ributtarono in mare come un cencio rotto, e io lo raccolsi per ricondurlo a casa, deciso a curarlo.»

Si bloccò, passandosi una mano tra la corta capigliatura scura. I suoi occhi si sgranarono, come se stesse rivivendo l'orrore provato allora.

Dal suo corpo si espanse un'aura fredda, pungente, che mi graffiò la pelle. Doveva soffrire molto, per lasciar trasparire a quel modo le sue emozioni.

«Norvish mi impedì di ricondurlo a casa. Lo fece prelevare dai suoi uomini perché confessasse ciò che aveva detto. Non furono più teneri dei Tuatha e, alla fine, quando lo riconsegnarono alla famiglia, non era più lui

«Non fatico a crederti» esalai, disgustato dalla mia stessa genia.

«Aveva visto l'orrore di entrambi i mondi» assentì Konag, torvo in viso. «Eithe ha sofferto lo stesso dramma, pur se su scala minore. E' stata aggredita da un suo congiunto, da un membro della sua stessa specie. Ha visto la cattiveria e l'orrore prendere forma da una persona che doveva essergli amica, ma che non si è dimostrata tale.»

«Come aiutasti tuo fratello?» gli domandai, temendo di conoscere già la risposta.

Sospirò, lanciandomi un’occhiata colma di tristezza, e ammise: «Lo uccisi. Non aveva più la forza di vivere, ma nemmeno quella di darsi la morte da solo. Mi pregò,  mi scongiurò di farlo e, alla fine, acconsentii. A volte, è impossibile recuperarli. Non avrebbe sopportato di vivere per migliaia di anni, prima di giungere alla vecchiaia e alla morte.»

«Avrebbe vissuto un'esistenza nella follia, nel dolore e nell'orrore» annuii, comprendendo appieno le sue motivazioni, e il peso che Konag doveva portare sulle spalle.

«Ci trasferimmo qui a Mag Mell una settimana dopo la morte di Enig, e io mi proposi per il corpo di guardia di palazzo. Con il mio status di guerriero delle Antiche Guerre, venni subito accettato.»

«I tuoi genitori?» gli domandai ancora, sfiorandogli una spalla con la mano, comprensivo.

Konag la guardò stranito, ben poco abituato a ricevere simili esternazioni di comprensione.

Non era a uso, tra i fomoriani, e in quel momento desiderai con tutto me stesso di conoscere il modo migliore per consolarlo, per fargli comprendere il mio appoggio.

Rammentai solo quel gesto, ma sperai potesse bastare, almeno per il momento.

«Sono qui a Mag Mell, con me. Sono più... sereni, se così si può dire.»

«Pensi che Eithe corra lo stesso rischio?»

La domanda sfuggì alla gabbia delle mie labbra, indesiderata e spregevole.

Ma Konag scosse il capo, togliendomi dal terrore - che non avevo saputo di provare - fino all'istante in cui lui aveva negato un simile pericolo.

«In lei c'è una voglia di vivere che acceca, tanto è profonda, e c'è volontà di reagire.  Sgrossare la sua paura sarà un procedimento lungo, ma fattibile.»

«E' solo giunto il suo momento.»

«Sì. Ognuno di noi ha i suoi tempi, per reagire a simili orrori. La vostra presenza l'ha ridestata a questo desiderio. O, forse, le avete fatto credere che l'impossibile può diventare possibile.»

Mi sorrise, e io annuii.

Beh, noi eravamo creature mitologiche persino per loro. Poteva davvero essere che, sapendo di me, si fosse convinta che tutto, al mondo, poteva accadere.

E io avrei mosso mari e monti, perché succedesse.

 
***

L’Admiral’s Arms era ormai pronto per aprire i battenti e, a onor del vero, il lavoro compiuto da mio fratello era a dir poco sublime.

Quando avevo saputo, per bocca sua, dell’intenzione di aprire un negozio di antiquariato nel centro di Dublino, ero rimasto scioccato.

Lui ne aveva riso e mi aveva confidato quanto, quell’impresa, lo riempisse di rinnovata eccitazione.

Gli era piaciuto occuparsi del faro, essere sempre a contatto con il mare e le sue creature, ma la navigazione era stato il suo chiodo fisso per millenni.

Le navi, i galeoni, i più agili velieri, le esotiche giunche cinesi, tutto ciò che avevano saputo creare gli umani per solcare i mari lo aveva da sempre colpito.

L’idea di poter far divenire un mestiere il suo antico amore, gli era parsa un’ottima soluzione, e Sheridan si era dichiarata d’accordo con lui.

La ricerca di un negozio che soddisfacesse le sue richieste, era stata l’immediata risposta al suo desiderio.

Aveva passato mesi e mesi a sistemarlo, mentre il matrimonio si avvicinava con sempre maggiore velocità.

I primi reperti da vendere erano giunti pochi giorni dopo il loro ritorno dall’Australia e, mentre Sheridan aveva ripreso il suo lavoro, Rohnyn aveva pensato al negozio.

Ora, quasi ogni cosa era al suo posto.

Le scaffalature, in caldo legno scuro, si abbinavano alle travature lignee del soffitto e alle basse pannellature delle pareti.

Quadri di battaglie nautiche erano appesi alle pareti, affiancati da interi scaffali ricolmi di carte nautiche, sestanti, campane e quant’altro.

In vetrina, erano in bella mostra gli oggetti più imponenti, tra cui l’ancora di un brigantino spagnolo e un paio di cannoncini da giardinetto2.

L’illuminazione calda, di un bel color crema, incrementava l’aspetto romantico e antico dell’ambiente.

Sorridendo a Rohnyn, che stava trascrivendo gli ultimi arrivi a computer, desiderai congratularmi con lui per quell’indubbio successo.

Era un luogo davvero bellissimo.

Quando, però, mi avvicinai al bancone a cui stava lavorando, rimasi in silenzio.

Era ancora difficile, per me, esprimere a parole i miei sentimenti.

Continuavo a sentirmi sciocco, puerile.

Senza dire nulla, perciò, osservai le mani di Rohnyn galleggiare sulla tastiera del computer, così come sulla bolla di accompagnamento prestampata.

Sorrisi appena. Era sempre stato ambidestro, e aveva utilizzato questa sua capacità per terminare sempre per primo i compiti assegnatici.

Sapere il perché avesse imparato a usare entrambe le mani, per scrivere, mi fece però irritare.

L’abilità di Rohnyn non era mai stata ritenuta degna di un principe, almeno agli occhi di nostro padre.

Non fosse nato nella famiglia reale, Rohnyn sarebbe stato destinato al ruolo di scriba, all’interno della Corte.

Un ruolo importante, tenuto in grande considerazione, ma non certo all’altezza di un Reale.

Osservai quelle dita lunghe, eleganti, muoversi flessuose nel compiere la loro magia.

Sulla bolla di accompagnamento, una di seguito all’altra, comparvero parole su parole, diligentemente redatte con elegante grafia.

Allo stesso modo, sullo schermo del computer, i caratteri grafici si affiancarono l’un l’altro a un ritmo sincopato, quasi inumano.

Il tutto senza toccare nulla, con il semplice ausilio della magia che era propria di Rohnyn.

Quando ebbe terminato, sistemò la bolletta nel suo contenitore e, con un mezzo sorriso, celiò: «A che mi serve una segretaria?»

Sospirai, sapendo bene cosa nascondevano quelle parole.

Secoli di insulti, di sibillini rimbrotti borbottati a fianco del campo di addestramento, sguardi irritati e sì, nessuna parola di conforto.

Nostro padre non era stato tenero con Rohnyn, quando il suo dono era apparso palese a tutti noi.

Dopo la nascita di Krilash, il re aveva sperato in un secondo guerriero dotato di poteri mistici quanto unici.

Invece né Rohnyn, né tanto meno Lithar, avevano sviluppato qualcosa di simile al loro fratello maggiore.

Io ero stato lasciato fuori da quella diatriba, utile in quanto primogenito del regno, e figlio maschio a qui lasciare in eredità il nome della mia casata.

Krilash era sempre stato visto come il soldato perfetto, come l’arma ultima, come il deterrente bellico per detenere il potere sui Protettorati più riottosi.

Rohnyn e Lithar?

Per le mire di nostro padre, erano solo altri due figli, due entità a cui devolvere, un giorno, parte dell’eredità di famiglia.

Ma se Lithar, in qualche modo, era sempre stata protetta da Muath, Rohnyn si era ritrovato a galleggiare nell’insofferenza e nel disinteresse di Tethra.

Il suo correre per primo dai maestri di spada, ben oltre il limite obbligatorio imposto dalle leggi, avrebbe dovuto servire a questo. A placare le ire del re.

Cento anni di senturion non avevano convinto Tethra delle ottime qualità guerriere del figlio minore, così Rohnyn aveva perseverato.

Più di tutti noi, si era impegnato nell’imparare tutte le discipline belliche, oltre alla conoscenza di ogni arma costruita.

Nei secoli, era risalito in superficie più di chiunque altro di noi, imparando man mano anche le tecniche di combattimento umane.

Nulla, però, era valso a riconoscergli un qualche tipo di approvazione da parte di Tethra.

Ai suoi occhi, nostro padre vedeva tutt’ora quel dono che, per un principe, non contava nulla.

Non stupiva che Rohnyn, alla fine, si fosse allontanato da Mag Mell.

Con o senza Mairie, con o senza Sheridan, Rohnyn non avrebbe mai atteso la morte nel regno dei mari.

Avere l’affetto – o anche solo – la comprensione dei genitori: ecco cosa aveva sempre sperato di ottenere.

Non si era mai sentito apprezzato, in quei luoghi, pur se aveva sempre saputo di avere il nostro appoggio e sostegno.

Ora, però, dovevo dimostrare coi fatti di apprezzarlo e volergli bene, con le parole, non soltanto con il pensiero.

Era tempo di cambiare quello stato di cose.

Gli afferrai perciò una mano e, sorridendo a mezzo, la scrutai con interesse.

Era una mano forte, ma che sapeva essere anche dolce, quando carezzava la guancia della moglie, o della sorella.

«Niente ha mai contato veramente, se non ciò che desideri tu. E mi pare che tu abbia ottenuto più di tanti altri che io conosco» mormorai, lasciandogli andare la mano.

Rohnyn scrollò le spalle, limitandosi a replicare: «Un negozio è un negozio, Stheta. Niente di più, niente di meno.»

Scossi il capo, ribattendo con veemenza: «E’ ciò che vuoi, il tuo sogno. Come lo è stata Sheridan. E solo una persona coraggiosa e forte può rinunciare alle proprie sicurezze, pur di ottenere ciò che vuole. Tu l’hai fatto.»

Mio fratello mi guardò senza sapere bene cosa dire – in questo, ci somigliavamo tutti noi mac Lir – e io risi.

Mi passai una mano tra i capelli rilasciati sulle spalle, imbarazzato dalle mie stesse parole, ma più che convinto di voler proseguire.

Tornai a guardarlo e, con enfasi, aggiunsi: «Nostro padre è stato un folle a non riconoscere le tue doti. E non parlo del tuo dono. Ma di come sei tu. Sei un valente guerriero, Rohnyn, lo sei sempre stato, ma sei anche – e soprattutto – un ottimo fratello. E ora, un degno marito per tua moglie Sheridan.»

Rohnyn si guardò le mani, forse non credendo alle mie parole.

Insistei, ben deciso a perorare la mia causa.

«Non hai bisogno di un dono come quello di Krilash, per dimostrare il tuo valore. Lo dimostri ogni giorno, amando tua moglie come solo tu puoi,…»

Presi un respiro e aggiunsi, sorridendo orgoglioso: «… dandoci tutto l’amore che solo un fratello generoso e forte potrebbe darci. E, di questo, non posso che essere grato e fiero.»

«Stheta…»

Levai una mano e, con un mezzo sorriso, mormorai: «Ronan O’Sea, sono orgoglioso di essere tuo fratello maggiore. Spero sia lo stesso per te.»

Scoppiando a ridere, Rohnyn afferrò la mia mano e la strinse con forza. Un attimo dopo, mi attirò a sé per un rude abbraccio.

Durò solo qualche istante, ma fu sufficiente.

Ci scostammo imbarazzati e Rohnyn, con una scusa, uscì dal negozio con alcuni scatoloni, desideroso di caricare il suo furgone prima di sera.

O di fuggire da emozioni davvero troppo potenti, per essere trattenute dalle semplici pareti di un corpo di carne e sangue.

Lo lasciai andare. Non c’era bisogno di dire altro.

Fu a quel punto che intravidi Sheridan, poco oltre la porta del magazzino.

A giudicare dal suo viso cupo e serio, compresi che aveva ascoltato il nostro dialogo.

Mi mossi per raggiungerla, ma lei mi precedette.

Si incamminò verso di me a grandi passi, lo sguardo volitivo e che sapeva di tenacia.

Una guerriera fomoriana sarebbe indietreggiata, di fronte a tanta forza.

Non seppi cosa aspettarmi da lei, e fu perciò con enorme sorpresa che me la ritrovai tra le braccia, tremante e con le lacrime agli occhi.

Un’autentica novità, sotto tutti i punti di vista.

Mi strinse con forza, quasi facendomi dolere le costole.

Non sapendo che fare, mi limitai a battere le mani sulla sua schiena, scossa da deboli tremori. Stava piangendo.

«Non… non so cosa vi siete detti…ma grazie. Grazie.»

Quindi, ci aveva solo visti abbracciarci.

Sapevo che il passato di Rohnyn era un punto di domanda, per Sheridan, e che il marito era ancora restio a volerle raccontare ogni cosa.

Fui perciò lieto di non aver commesso l’ennesimo errore, ma apprezzai soprattutto l’abbraccio di Sheridan.

Con me, non si era mai spinta a tanto.

Pur avendo detto più volte di avermi perdonato, dentro di me avevo sempre saputo che, nel suo cuore, era perdurata la paura.

Vederla così arrendevole, dimostrandomi apertamente la sua debolezza momentanea, mi fece piacere.

Ora, ero sicuro che Sheridan non mi odiava.

A un certo punto, mi ritrovai a stringerla come lei stava facendo con me e, depositando un bacio leggero sulla sua chioma, mormorai: «Sono anche orgoglioso di averti come cognata, Sheridan. Credimi.»

Lei rise nervosamente, scostandosi da me con un sorriso, le lacrime a renderle brillanti gli occhi di cielo.

Si mise in punta di piedi e, dopo avermi preso il viso tra le mani, mi baciò.

Fu un bacio leggero, amichevole e dolce come quello che le avevo visto dare al suo amico Fynn, così come a Krilash, il giorno del suo matrimonio.

Mi riempì di un calore tale da rendermi quasi impossibile respirare.

Era dunque questo l’amore incondizionato che provavano gli umani, questo desiderio di dare tutti se stessi, per coloro che si voleva proteggere?

Era questo che stava provando Sheridan per me?

Quando tornò a poggiare i piedi a terra, mormorò: «Non ho mai avuto dei fratelli, ma sono contenta di avere te, Krilash e Lithar. Mi reputo fortunata di potervi chiamare fratelli e sorella.»

Non potei risponderle, la voce divorata dall’emozione che sentivo dentro, ma sperai davvero che il mio sguardo commosso valesse mille parole.

Rohnyn rientrò proprio in quel momento e, nel vederci ancora l’uno accanto all’altra, rise e chiosò: «Ehi, fratello! D’accordo che ti voglio bene, ma Sheridan è mia!»

Risi con lui, lasciando andare mia cognata che, dopo avermi dato uno scherzoso pugno sul fianco, sottolineò le parole del marito correndogli incontro.

A metà del negozio lo baciò con foga e Rohnyn, in barba a millenni di restrizioni, la strinse a sé con voracità, dandomi un’idea più che chiara di ciò che sarebbe successo entro poche ore.

Era un’ottima cosa il fatto che, quella sera, non sarei rimasto a cena da loro.

Avevo idea che mi avrebbero sbattuto fuori di casa, e solo per poter usufruire comodamente di ogni superficie disponibile dell’appartamento.

Sorrisi della cosa e, silenziosamente, mi congratulai con mio fratello.

Era davvero l’uomo più fortunato che io conoscessi.

 


______________________
1 Fhior: (fomoriano) Significa ‘lord’. Il corrispettivo femminile di ‘lady’, è fhiora.(naturalmente, è inventato)
2. Cannoncini da giardinetto. Sono piccoli cannoni, solitamente lunghi un braccio, in dotazione ai galeoni e alle navi del XVIII e XIX secolo. Erano sistemati al coronamento, nella zona della nave denominata giardinetto, cioè sul ponte posizionato sul retro del veliero.



Note: Con questo capitolo, spero di aver chiarito maggiormente gli screzi millenari tra Tethra e Rohnyn, oltre alla storia che ha portato Konag a Mag Mell. Ho inoltre inserito un accenno al ruolo cruciale di Krilash, che però indagherò meglio con la sua storia, così verremo a conoscenza della portata terrificante del suo potere, il suo ruolo nella Corte di suo padre e i motivi per cui - tra tutti i fratelli mac Lir - è il più gioviale e faceto.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


 
7.
 
 
 
 
Subito dopo l’inaugurazione dell’Admiral’s Arms, Rohnyn e Sheridan si dichiararono ben decisi ad acquistare una casa sulla costa, lontano dal centro città.

L'appartamento di Sherry andava bene due persone, ma non era il luogo adatto in cui crescere un eventuale figlio. Troppo poco spazio.

Perché, dai discorsi che sentii fare a entrambi, i due piccioncini avevano in mente, prima o poi, di allargare la famiglia.

La notizia mi rallegrò, ma non tanto quanto mi rallegrò il fatto di sapere da Eithe il suo desiderio di allenarsi con Konag, così da migliorare il suo stile nella lotta.

Erano passate un paio di settimane, dalla prima volta che l’avevo vista nella sua seconda forma, e quel tempo Eithe lo aveva passato a pensare.

A cercare di capire se si sarebbe sentita in grado di affrontare o meno le sue paure.

Seduta sulla staccionata che cingeva la proprietà di Megan, lo sguardo assorto ma limpido, mi disse: «Ho pensato molto alle parole del tuo amico, e penso che sia giunto il momento di tirare fuori gli artigli. Non posso rimanere ancorata a ciò che avvenne in passato, perché sarebbe deleterio. Mi impedisce di guardare avanti, di scoprire cosa significa camminare a testa alta, e non avere paura di nulla.»

«I tuoi genitori hanno mai saputo di questo tuo dramma?»

Lei annuì, contrita, e ammise: «Non perdonarono mai veramente Felicity per aver bandito Sebastian dall’Irlanda. Avere un Fenrir come parente inorgoglirebbe chiunque, e mio padre fu molto risentito dalla decisione presa dalla nostra capoclan. Per un po’, diede anche a me la colpa. Mi disse che, se fossi stata più coraggiosa, avrei potuto difendermi.»

Rise mesta, e mormorò in aggiunta: «Difendermi. Non ricordò mai, neppure una volta, che all’epoca dell’aggressione, io non ero ancora un licantropo.»

Aggrottai la fronte. In questo, i nostri genitori si somigliavano molto. Le debolezze non erano contemplate.

Ma se, nel loro caso, questo poteva dipendere solo da coniugi con un carattere duro – capitava ovunque, sia tra umani che tra mannari, evidentemente – i miei non avevano scuse.

Nessun fomoriano aveva scuse. Poiché tutti erano alieni ai sentimenti, per lo meno di fronte al mondo.

Molti, purtroppo, lo erano anche tra le pareti di casa, ma non mi sarei mai spinto a chiedermi quanti di loro avessero così poco spirito amorevole

Questo mi portò a ripensare a ciò che mi aveva detto Konag.

Mio padre, pur essendo re da tempi immemori, non si era mai spinto al di fuori dei confini di Mag Mell, l'isola sottomarina ove risiedeva la famiglia reale.

Le poche lotte intestine, combattute per il predominio della corona, si erano sempre svolte ai confini di Mag Mell, mai lontano da essa.

I Protettorati si erano sempre spinti verso Mag Mell, mai il contrario.

Le uniche guerre combattute lontano da casa, erano quelle che avevano visto, come nemici, i Tuatha de Danann.

Se questo sottolineava una profonda quanto radicata spinta alla guerra, dall'altra stava anche a intendere quanto poco, il re, si curasse dei suoi sudditi.

Mai una volta, almeno a mia memoria, Tethra si era spinto a visitare i Protettorati per scoprire come andassero le cose, o sapere se il popolo era soggiogato o felice.

Sapevo che non era nella natura dei fomoriani ma, ora che il mondo umano e mannaro mi stavano entrando sottopelle come un virus benigno, capivo i nostri profondi errori.

Umani e mannari avevano importanti difetti, ma assai più grandi pregi.

Sheridan mi aveva sfidato apertamente per salvare Rohnyn, in barba al fatto di essere numericamente inferiore... e umana, dimostrando coraggio da vendere e spregiudicatezza.

Nessun fomoriano avrebbe mai immaginato di trovare tanta temerarietà in una umana, tanto la nostra superbia è grande.

Il solo pensiero mi fece sorridere.

Eithe, pur se condizionata dalla famiglia a tacere i propri limiti, stava cercando di migliorarsi, e non lesinava ringraziamenti sinceri.

E abbracci.

Era questo che avevo imparato, da umani e mannari; la loro forza morale, non solo fisica.

Questo, avrei voluto per il mio popolo, oltre a una maggiore libertà di esprimere sia la forza che la debolezza.

E la gentilezza del cuore.

Questo, in particolare, mi portava a sentirmi bene con Eithe. Il fatto che lei non si sentisse in imbarazzo, nel mostrarmi la sua amicizia, il suo affetto.

Mi piaceva non dover mentire, non dover nascondermi dietro l'etichetta di corte.

Sapevo senza alcun dubbio che i suoi gesti erano dettati da amicizia, del tutto privi della malizia che, il mio popolo, avrebbe visto in simili esternazioni.

E a me piaceva fare allo stesso modo.

Volevo abbracciarla. Non perché era una bella donna, ma perché era una bella persona.

E glielo dissi.

Eithe mi sorprese con uno dei suoi soliti rossori imbarazzati, ma mi ringraziò.

«E' bello quel che dici, e mi spiace che tu non possa essere altrettanto sincero, a Mag Mell.»

Risi sprezzante.

«Sarebbe interpretato come un segno di debolezza. O come un gesto malizioso, quanto mal visto. Per questo, siamo così bravi a schermare i pensieri e a non lasciar trapelare nulla.»

«Forse, se provassi ad aprire la mente, invece di chiuderla, saresti un telepate molto potente. Per creare barriere potenti, serve anche un potere non indifferente» asserì, inclinando il capo biondo.

I suoi riccioli dondolarono come molle e, non potendone fare a meno, ne sfiorai uno, facendolo rimbalzare.

Ridacchiai, ed Eithe sospirò malinconica, mormorando: «Quanta dolcezza tieni strangolata dentro di te, Stheta?»

Quella domanda mi spiazzò, facendomi irrigidire... e ritirare la mano.

Lei, però, la trattenne, facendola affondare nei suoi riccioli morbidi.

«Che c'è di male se vuoi toccarmi i capelli, Stheta? Cosa non va in questo gesto?» mi domandò, trapassandomi l'animo con i suoi occhi di colomba, che quel giorno profumavano d'acciaio.

Mi lasciò andare la mano e io la poggiai sulla coscia, chiusa a pugno.

«Le donne del mio popolo li portano raccolti. Sono un punto debole, sul campo di battaglia, perciò nessuna fomoriana li lascia sciolti.»

«Ma perché questo stato di perenne assedio? Non siete in guerra con nessuno, mi pare di capire.»

Anch'io faticai a comprenderne i motivi, in quel momento, ma tentai ugualmente di spiegarle il nostro punto di vista.

«Siamo un popolo di guerrieri, da sempre in lotta per il predominio. Sul nostro pianeta d'origine, eravamo la razza predominante, la più forte, la più sanguinaria. I precursori della razza ci lasciarono questo, in dono. Forse, ci salvammo solo grazie a questo.»

«Vi salvaste perché avevate le conoscenze necessarie per fuggire dal vostro pianeta morente» sottolineò per contro Eithe, aggrottando la fronte.

«Fummo aiutati, e questo aiuto venne pagato a caro prezzo da chi ce lo offrì così generosamente» replicai con un mesto sorriso.

Lei non poté ribattere. Era ancora presto per raccontarle proprio tutto.

Era già complesso accettare, e credere, nell’esistenza delle rispettive razze. Cos’avrebbe pensato, Eithe, se le avessi detto da chi discendevamo?

«Tanta belligeranza soffoca i cuori, Eithe, e chi non vuole essere guidato da simili regole, ne sfugge, ma solo a fatica. Rohnyn è solo l'ultimo di un non breve elenco di fomoriani sfuggiti alle regole.»

«E non c'è modo di cambiarle? Di rendere meno... freddo il tuo popolo? Io so che tu non sei così! Come non lo sono Krilash, Lithar, Ronan o anche lo stesso Konag. C'è gioia, in loro, c'è bellezza interiore... non solo sangue e morte.»

Risi ancora, con una mestizia quasi palpabile.

«Sarà per questo che nostro padre, e forse anche nostra madre, mal ci sopportano. Forse Muath si è pentita, millenni addietro, di aver dato sapere e conoscenza agli umani.»

«Vostra madre?» mi domandò, sorpresa, gli occhi sgranati per la sorpresa.

Io mi limitai a un breve cenno d'assenso.

L'arrivo di Konag, armato di tutto punto come se dovesse scendere in guerra, mi fece rabbrividire. Non aveva scherzato, nel dire che l'avrebbe addestrata seriamente.

Anche Eithe fece tanto d'occhi e, nell'osservare la linea slanciata della spada del fomoriano, la sua armatura a scaglie e il lungo mantello traslucido, sospirò esterrefatta.

«Wow. Ma combattete veramente così

«Sì, perché?» mormorai, chiedendomi cosa non andasse in quella tenuta.

Mi sembrava perfetta.

Eithe mi sorrise divertita, replicando: «Ma... se i capelli sono un punto debole, in battaglia, non lo è anche il mantello?»

A quel punto fui io a sorridere.

«Il mantello è un'estensione del nostro corpo. La nostra seconda pelle, per intenderci. Ci permette di mutare in delfini. E, visto che combattiamo sott'acqua...»

«Oh. Quindi... l'avversario non può afferrarlo?»

«Certo, ma non può essere strappato di dosso molto facilmente, se è questo che pensi. E, come vedrai presto, è un mantello un po' particolare.»

Mi fissò stranita, quasi pensasse la stessi prendendo in giro, ma non vi feci caso. Avrebbe appreso alla svelta cosa intendevo.

Per facilitare lo svolgimento dell'allenamento, Eithe sarebbe rimasta umana ma, quando vidi le sue unghie divenire artigli, mi domandai quanto fosse pericolosa anche in quella forma.

Noi eravamo potenti, ma loro? Avevo testato la forza di Eithe, ma non sapevo quanto si fosse spinta in là, e quanto mi avesse nascosto.

Per un istante, temetti per Konag, pur se sapevo che quello era solo un allenamento.

Fissai il mio soldato che, nel frattempo, aveva rinfoderato la spada per passarla a Megan.

Mi sorrise tranquillo prima di passare lo sguardo su Eithe, sgranare leggermente gli occhi di fronte ai suoi artigli e infine dire: «Bene, vedo che il detto 'difendersi con le unghie e con i denti' vale veramente qualcosa, per voi.»

Lei sorrise, mostrando zanne lucenti degne di un lupo e, nuovamente, un brivido mi corse lungo la schiena.

Quella forma intermedia era... strepitosa.

Un'autentica arma da guerra.

Konag ghignò in risposta, forse eccitato a sua volta all'idea di confrontarsi con un simile avversario.

Nell'assestarsi in posizione di difesa, mostrò finalmente la particolarità del mantello.

Esso si mosse all'unisono con lui, aderendo al suo corpo come una sorta di corazza a difesa della sua schiena.

Eithe e Megan fischiarono sorprese e quest'ultima, avvicinandosi a me con la spada di Konag in mano, mormorò: «Immagino che quel mantello non sia solo bello, ma anche resistente.»

«Se dovessi paragonarlo a qualcosa di umano, direi che è come il kevlar, ma molto più flessibile.»

«Fico.»

Disse solo questo, ma la sua aria ammirata disse molto di più.

Quando Konag incitò Eithe a colpirlo, vidi il timore negli occhi della donna, ma anche la sua volontà di reagire al suo stato di blocco mentale.

Levò perciò le mani artigliate e, con aria guardinga, cercò un punto debole nella figura di Konag.

Lui la precedette, muovendosi con rapidità fino a portarsi sotto il naso di Eithe, che indietreggiò spaventata.

Konag la afferrò al braccio, strattonandola e lanciandola dalla parte opposta del campo di addestramento, destabilizzando così il suo equilibrio.

Un attimo dopo, le fu addosso.

E si ritrovò con la schiena a terra, schiacciato da una Eithe ansante e dagli occhi sgranati per la sorpresa.

Konag allora rise e Megan, applaudendo, esclamò: «Brava ragazza, così si fa! Fai il culo a quel fomoriano!»

Eithe fissò l'amica con aria spaventata e, come una molla, si levò da terra, fissando spiacente il suo istruttore.

Quest'ultimo, però, scosse il capo, si rialzò e, contravvenendo a migliaia di anni di condizionamento mentale, le batté una mano sulla spalla, dicendo: «Sei stata brava. Hai lasciato che l'istinto prendesse il sopravvento. Sai che sono più debole di te, perciò ti è venuto più facile.»

«Ma... ti ho fatto male...» tentennò Eithe, mordendosi il labbro inferiore, ancora più insicura.

Lui allora scoppiò a ridere e, indicato il mantello impolverato, replicò: «Grazie a lui, non ho sentito nulla. Serve a questo, il mantello. Gli urti posteriori vengono attutiti dalla seconda pelle, che ci difende anche dai colpi di spada più superficiali.»

«Caspita...» esalò Eithe, arrischiandosi a sfiorare la setosa trama del mantello.

Konag ridacchiò, e io con lui.

Megan ed Eithe, allora, ci fissarono confuse, non comprendendo la nostra ilarità.

Asciugandomi una lacrima sul bordo dell'occhio destro – raramente mi ero divertito tanto, nei millenni passati sotto il mare – mormorai: «Essendo la nostra seconda pelle, è come se lo stessi accarezzando.»

«Oh... scusa!» esclamò Eithe, avvampando in viso nel ritirare subito la mano.

«Nessun problema» scosse il capo Konag. «Proseguiamo?»

«Sì.»
***
 
Faccia a terra nella polvere, Eithe si rialzò dopo l'ennesimo agguato di Konag che, nonostante la minore forza, si dimostrò per lei un degno avversario.

La velocità nei movimenti, tipica di un mannaro, veniva annullata dalla stessa agilità di delfino di Konag che, pur se sulla terraferma, non perdeva in abilità e destrezza.

E, vista la millenaria esperienza di guerra del fomoriano, era difficile fargliela in barba.

Ma Eithe si dimostrò piuttosto brava, dopo le iniziali titubanze e, quando il cielo cominciò a colorarsi di rosso e amaranto, dichiarò tregua, esalando: «Va bene... per oggi basta! Ho dato!»

Konag allora si lasciò scivolare a terra, il volto stremato e solcato dal sudore.

«Se avessi aspettato un attimo di più, ti sarei crollato addosso.»

«E perché non l'hai detto, allora?!» esclamò Eithe, fissandolo tra l'accigliato e il sorpreso.

Megan la fissò divertita, la spada di Konag ancora saldamente trattenuta dalle sue mani, e chiosò: «Perché è un uomo, a stoirìn e, anche se è di un'altra razza, dubito sia diverso dai nostri. Non crollerebbe mai per primo.»

Tossicchiai imbarazzato, ben sapendo che aveva ragione da vendere.

Konag si lasciò del tutto andare, a quel punto, sdraiandosi sul terreno battuto a gambe e braccia larghe, il petto ansante e l'aria di uno che aveva appena percorso l'Oceano a nuoto.

«Chi fa la doccia per primo?» domandò a quel punto Megan, poggiando le mani sui fianchi. «Perché alla mia tavola non vi presenterete mai sudati e lerci di polvere.»

«Vai tu, Konag?» mormorò Eithe, arrancando carponi verso di lui per puntare gli occhi di colomba sul suo volto.

Ormai aveva imparato che, quando faceva così, non esistevano no, per lei.

Detto fatto.

Konag annuì e, dopo essersi rialzato a fatica, arrancò verso casa, subito seguito a ruota da Megan, che lo stava fissando con aria meditabonda e... interessata.

Mi venne il dubbio se seguirli o meno, giusto per scongiurare eventi imbarazzanti, ma poi ci ripensai. Konag era maggiorenne da tempo.

Se la poteva cavare benissimo con una femmina di valore come Megan.

Non appena furono scomparsi in casa, Eithe avanzò verso di me con passo non più tanto leggiadro e, poggiate le stanche membra contro lo steccato, mormorò esausta: «Capisco perché Konag ha la nomea del grande guerriero. E' bravissimo!»

«Come ti senti, dopo una giornata del genere?»

«Stanca morta ma... soddisfatta

Mi sorrise, e aggiunse: «Non riuscirei davvero ad affrontare Caitlinn senza scappare a gambe levate, ma mi sento meglio. Più forte. Più sicura.»

«Giorno dopo giorno, andrà meglio» la rassicurai.

Lei allora inclinò il capo, mi fissò con quegli adorabili laghi di perla e asserì: «Sei una persona davvero speciale, Stheta mac Lir.»

Reclinai il capo, mormorando in risposta: «Cerco solo di non commettere due volte lo stesso errore.»

«Quale?»

«Lasciare a se stessa una persona a cui tengo, senza prima aver dato tutto il meglio di me nel tentativo di aiutarla.»

«Oh, Stheta... pensi a Ronan?»

Annuii, e lei si allungò per darmi un tenero bacio sulla guancia. Niente di sensuale, solo comprensione e affetto.

«Il fatto stesso che ti abbia voluto come suo testimone di nozze, dimostra che non ce l'ha con te, ti pare?»

«L'onta rimane, però, e vorrei lavarla aiutando te. Sei una cara amica di Sheridan, e so che tieni a Ronan. Sei una persona buona e generosa, e io tengo molto a queste qualità. E a te.»

Mi abbracciò, mettendo in quel gesto ciò che io avevo faticato tanto a dire.

«Anch'io ti considero un buon amico, Stheta. E sono felice che tu sia entrato nella mia vita.»

Ricambiai l'abbraccio, affondando il viso nei suoi capelli, aspirando il suo profumo di donna e lupa e, nel poggiare la fronte contro la sua spalla, esalai: «Perché non può essere lo stesso con...»

Mi bloccai un attimo prima di pronunciare un nome che, nella mia testa, stava assumendo i contorni dell'incubo.

Sin da quando avevo visto le sue mani ferite, avevo compreso quanto mi stesse a cuore Ciara e, al tempo stesso, quanto trovassi insopportabile il suo contegno inflessibile.

Avevo desiderato fosse come Eithe, e il momento successivo mi ero odiato per averla paragonata a un'altra donna.

Perché era lei che volevo, e non un suo surrogato.

Ma desideravo anche che lei mi volesse, e da quegli occhi non avrei mai e poi mai visto nulla se non rispetto e fedeltà.

E questo non mi bastava.

«Pensi a Ciara?» sussurrò Eithe, scostandosi da me per poi carezzarmi la fronte, quasi a voler spianare le mie rughe di ansietà.

«Voglio l'impossibile?» replicai, sbuffando nel passarmi le mani tra i capelli.

Eithe si appoggiò nuovamente contro lo steccato e mi domandò: «Gliel'hai mai detto? Che ti interessa... come donna

La fissai con triste ironia, scuotendo il capo.

«Non funziona così, tra noi. E' tutto molto più formale di così. Non puoi semplicemente andare da una donna a dirle che ti piace, o che la ami. Per lo meno, io non posso.»

Sbatté le palpebre, scioccata, ed esalò: «Non dirmi che dovete chiedere ai genitori, sennò svengo.»

Ridacchiai, scuotendo nuovamente il capo.

«Sono un principe, Eithe,  e nel mio futuro potrà esservi solo una donna di alto rango. La famiglia di Ciara non è abbastanza altolocata, all’interno della gerarchia di Corte.»

«Non posso non chiedertelo, visto che hai qualche millennio di età. Sei mai stato con una donna?» esalò a quel punto, gli occhi enormi e sgranati.

Ora scoppiai a ridere e, annuendo, esalai: «Cielo! Sarebbe stata una vita orribile, la mia, senza neppure una donna a scaldare le coltri del mio letto. Certo che ne ho avute, Eithe, anche se non so dirti il numero. Sul piano sessuale, non abbiamo molti vincoli, prima di sposarci. Proprio perché ci sono regole ferree per i matrimoni, ci lasciano molta liberà, prima dell’infausto evento. Ma il tutto si svolge in modo molto… privato. Senza sbandierare tanto in giro cosa stiamo combinando. O con chi.»

Ridacchiò, nel sentirmi parlare a quel modo del matrimonio ma, per me, aveva raggiunto i contorni dell’incubo fin da quando avevo saputo la verità a me spettante.

Non una scelta personale, ma dei Saggi.

Non un mio desiderio, ma un segno delle stelle.

Non la voce del mio cuore, ma delle ancestrali credenze fomoriane.

«E le donne coinvolte lo sanno? Sì, insomma, che non ne ricaveranno niente se non buon sesso e basta?»

Sbattei io le palpebre, stavolta, vagamente sconvolto da tanta sincerità. Ma dovevo abituarmi.

Eithe non aveva peli sulla lingua, quando parlava di argomenti come questo.

Ero io ad avere delle remore, ma sapevo che nel suo dire non c'era malizia. Solo reale curiosità.

Non parlai ed Eithe, sgranando se possibile ancor più gli occhi, esclamò: «Avete delle case di piacere?!»

Ridacchiai, scuotendo il capo, e dissi: «Fammi raccogliere le idee, lenny, o non saprò come risponderti. Non è facile parlarne, per me.»

«Lenny?» ripeté, suo malgrado divertita dal mio tono impacciato.

«Significa 'piccola'... è un vezzeggiativo che usiamo con le nostre sorelle, o le nostre amiche più giovani.»

«Carino» sorrise, apparentemente soddisfatta. «Quindi?»

«Quello che sto cercando di dire è che non c'è l'obbligo di arrivare illibati al matrimonio, sia per l'uomo che per la donna ma, dopo la cerimonia, l'adulterio è punito severamente. Le coppie devono essere inossidabili, indipendentemente dal fatto che si amino o meno.»

«Non vi capisco.» E lo disse con estrema sincerità.

«Comincio a trovarlo assurdo anche io.»

Pur essendo abituato da una vita a regole simili, ora che potevo confrontarmi con altre realtà, capivo quanto fossero chiuse e assurde.

Perché l’arganthe non stava ad indicare, necessariamente, la persona amata, ma solo la donna geneticamente predisposta a darci il maggior numero di figli.

Nasceva solo e unicamente per mantenere puro il sangue, forte la dinastia e alto il nome delle famiglie.

L’amore era sempre stato un fattore secondario.

Quello poteva nascere oppure no, non contava molto.

Almeno, non per molti dei fomoriani.

Per Rohnyn aveva contato moltissimo, invece, e proprio per questo aveva voluto essere chiaro con Sheridan.

Perché non interpretasse male la parvhein, dopo avergliene spiegati i motivi.

Eithe fece per parlare ma, sobbalzando di colpo, si volse verso la casa di Megan e, con una gran risata, esalò: «Andiamo a salvare Konag.»

«Come?» esalai, chiedendomi cosa fosse successo, o cosa avesse sentito che io non avevo percepito.

Mi prese per mano, sempre ridendo, e disse: «Anche noi siamo molto liberali, con le unioni prima del matrimonio.»

«Oh.»

Non dissi altro, e mi limitai ad affrettare il passo. Forse, dopotutto, avrei dovuto avvisare Konag delle occhiate di fuoco che gli aveva tributato Megan.





 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


 
8.
 
 
 
 
I palazzi di Mag Mell sembravano risplendere di una luce cupa, terrificante, quel giorno.

Le linee frastagliate delle madreperle che ricoprivano il tetto, riflettevano i flutti burrascosi delle correnti di profondità, rendendo la luce sinistra.

Ogni abitante di Mag Mell avvertiva la tempesta che infuriava sulla costa, e che increspava di onde enormi la superficie dell'oceano.

Lì, nella piazza centrale della città, pavimentata di coralli di ogni genere e sorta, si poteva avvertire quello sconvolgimento naturale, pur non provandolo di persona.

Niente di tutto quello che stava succedendo sopra di noi, avrebbe creato fastidi alla città, ma il senso di disagio rimaneva.

Potevamo udirne lo sciabordio in lontananza, ma non ne subivamo i danni.

La barriera protettiva che sovrastava Mag Mell ci proteggeva anche da quello, non solo dagli sguardi degli umani.

Nessuno di loro avrebbe potuto mai sospettare che, sulla placca continentale che sorgeva a ovest dell'Irlanda, si trovasse uno dei maggiori insediamenti di fomoriani sulla Terra.

Abbracciai con lo sguardo l'orizzonte, composto di strutture dalle linee morbide, eleganti e dai colori chiari, in netto contrasto con l’oscurità del mare.

Richiamavano, per bellezza, le curve e gli arabeschi che, un tempo, avevano reso splendide le nostre città, sulla nostra terra natia.

Io potevo attingere a una simile memoria grazie a libri e manoscritti delle nostre genti, contenuti nell’infinita biblioteca di palazzo.

Ma, più di tutto, preferivo i racconti del Grande Occhio, l'oracolo che ci aveva guidati fino a lì, millenni e millenni addietro.

Essendo nato sulla Terra circa un millennio dopo il nostro arrivo, non avevo mai conosciuto sulla pelle il nostro pianeta di origine.

Di lui, rimanevano solo le reminiscenze degli Originari, i libri che ne decantavano le storie e la conoscenza infinita del Grande Occhio.

Grazie a lui, e al prezioso consiglio dei nostri avi di stirpe divina, eravamo riusciti a trovare scampo dalla distruzione.

I Tuatha de Danann ci avevano fornito la via tramite il Sentiero del Gigante1, e noi avevamo fatto il nostro ingresso nel loro Regno per salvarci dall’annientamento.

Questo, ci aveva consentito di sopravvivere.

Da principio, la convivenza con i nostri confratelli Tuatha era parsa progredire nel migliore dei modi ma, in seguito, le cose erano precipitate.

Due entità così potenti, e di eguale inclinazione bellica, non avrebbero mai potuto sopravvivere senza scontrarsi almeno una volta.

L'iniziale alleanza, stretta dal Grande Occhio per permettere ai fomoriani di aver salva la vita, era ben presto evaporata, sostituita dalle rispettive inclinazioni alla guerra.

Tethra aveva mal sopportato di sottostare alle richieste dei Tuatha – donne, in cambio di territori in cui espanderci – e, ben presto, si era arrivati allo scontro.

I Tuatha si erano spinti verso quella che, in breve tempo, sarebbe diventata Mag Mell e, forti dei loro poteri divini, avevano tentato di ridurci in schiavitù.

Il Grande Occhio aveva perciò rafforzato la barriera protettiva che, ancora oggi, ricopriva Mag Mell e, da quel giorno, le lotte tra popoli erano iniziate.

Stando, per lo meno, ai racconti citati nei nostri libri di storia.

O a quello che avevo potuto vivere io, in prima persona.

Alcune zone, attorno a Mag Mell, riportavano ancora le cicatrici di quegli antichi combattimenti, terminati con la vittoria dei fomoriani e la scomparsa dei Tuatha.

Ciò aveva permesso il proliferare dei fomoriani per il mondo, e il Grande Occhio aveva predisposto in prima persona le barriere divinatorie nei Protettorati.

Di quelle guerre mi era rimasto ben poco, oltre alla loro durata più che millenaria.

La cosa che più mi era rimasta impressa, di quei secoli di sconti, era stata la nascita di Rohnyn e Lithar.

A quell’epoca, la guerra era appena iniziata.

Muath era rimasta per quasi due mesi nelle infermerie di palazzo, di ritorno dal campo di battaglia e visitata solo da una cerchia ristretta di dottori.

A nessuno era stato permesso di vederla, se non al re.

Io e Krilash eravamo stati relegati nelle nostre stanze, seguiti a vista dalle balie e dalla servitù.

Quando però, finalmente, avevamo potuto vedere i due nuovi nati, ero rimasto strabiliato.

Mi erano parsi così diversi, nelle piccole culle! Lui, bruno e dalla pelle dorata, lei, uno strano intreccio tra capelli nerissimi e pelle eburnea.

Gli occhi, di uno strano color viola ametista, mi avevano fatto subito pensare a una fatina e, da sempre, Lithar era stata la mia preferita.

Rohnyn aveva sempre avuto un legame speciale con Krilash e, più volte, si erano cacciati in guai degni di nota, proprio grazie alla loro sintonia.

Io, al contrario, mi ero sempre preso buona cura di Lithar, che nostro padre aveva lasciato sempre, e dal primo momento, alle cure di Muath.

Non avevo mai compreso i motivi di questo comportamento, in nostro padre, ma non era strano che non mi trovassi con le sue scelte.

Con il Sommo Savarhne, il Grande Occhio che ci aveva salvati dall'annientamento, trovavo invece di avere molto in comune.

Erano ormai due mesi che, assieme a Konag, mi recavo sulla terraferma per aiutare Eithe nel suo addestramento.

Stando assieme a lei e a Megan, che sempre osservava gli allenamenti, avevo imparato molte cose.

E altre avevano cominciato ad apparirmi assurde.

Parlarne con mio padre, non sarebbe servito a nulla. Sapevo come la pensava sulle leggi, ed ero certo che non le avrebbe mai cambiate per un mio capriccio.

Parlarne con Savarhne, però, avrebbe forse potuto togliermi qualche cruccio.

Quando, infine, mi ritrovai a fronteggiare il basso palazzo in cui il Grande Occhio dimorava con la sua servitù, bussai e annunciai la mia presenza.

Subito, una donna alta e formosa si presentò alla porta, pregandomi di seguirla.

Non avevo alcun dubbio che, per me, le porte si sarebbero aperte senza problemi, a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Essere principi significava anche questo.

Ben presto, mi ritrovai in un'ampia sala col soffitto a volta, bianchi muri disseminati di microscopiche conchiglie e una fontanella a forma di fiore a zampillare nel mezzo.

Da essa, emergeva acqua di mare che, grazie a complesse tubazioni presenti in tutta Mag Mell, veniva pompata all’esterno della barriera senza causare danni.

Chissà se qualche fomoriano, a parte lo stesso Savarhne che aveva creato quella tecnologia, pensava ai rischi che si correvano, per quel semplice orpello?

Se una sola conduttura fosse esplosa, forse neppure il Grande Occhio avrebbe potuto salvare la capitale da un’inondazione.

La pressione esercitata dalle acque era tale da mettere a dura prova la sua barriera e, ogni giorno, il Saggio doveva sincerarsi che gli incantesimi reggessero.

Sulla Terra, le condizioni erano diverse rispetto al nostro pianeta natio, e la barriera divinatoria di Savarhne ne era l'esempio principe.

Senza di essa, Mag Mell non avrebbe potuto esistere.

L'acqua di mare produceva una spinta eccessiva, perché i nostri semplici poteri mistici potessero bastare, come invece avveniva un tempo, sulla nostra terra d'origine.

Non avevo mai sperimentato su di me quel genere di dolce pressione, ma mia madre, a volte, raccontava di come, nell’antica Mag Mell, tutto fosse stato diverso.

Camminare sui fondali, con una semplice barriera mistica a proteggerli dalle acque leggere e quasi vaporose, respirare quello strano liquido che liquido non era.

Tutto era diverso, lì sulla Terra e, al tempo stesso, era tremendamente simile. Il fatto stesso di poter respirare ossigeno, ci aveva concesso di poterci salvare dalla morte certa.

Diversamente, l'aiuto dei Tuatha e dei nostri avi divini, sarebbe stato vano.

Lasciai perdere quei pensieri errabondi, quando Savarhne si presentò a me oltrepassando una porta a volta, decorata con coralli scarlatti.

Con un inchino elaborato e l’aria vagamente sorpresa, mormorò: «I miei rispetti, Vostra Altezza. E’ da lungo tempo che non frequentate più la mia modesta dimora. In cosa posso esservi utile?»

«Vorrei esserti compagno nella tua consueta perlustrazione della Barriera, se non ti è di intralcio.»

«Sarebbe un onore, Altezza. Mi aggrada avere compagnia in questioni tediose come il novero delle Perle di Risonanza, sbeccate da questo insidioso oceano birichino.»

I suoi occhi bianchi tradirono una certa curiosità ma, di fronte alla servitù, non avrebbe mai espresso domande in tal senso.

Mi disse di aspettare un paio di minuti, il tempo necessario per recuperare i suoi strumenti, dopodiché partimmo per i confini estremi di Mag Mell.

Trovarmi all'esterno della barriera, sotto forma di uomo, aveva sempre uno strano effetto su di me.

Ottenere ossigeno dall'acqua di mare era più difficile, per gli antichi fomoriani, ma non per i nuovi nati come me, già predisposti a sopravvivere in questo ambiente.

Io, primo tra i nati dal nostro arrivo sulla Terra, ero una via di mezzo. Non proprio adattato, ma neppure uguale agli Originari.

Forse, anche per questo mi sentivo sempre un pesce fuor d'acqua.

Mi accostai a Savarhne, quando si approssimò al primo dei tumuli dove erano inserite le Perle, le teche tondeggianti contenenti i suoi incantesimi divinatori.

Dopo averne controllate un paio, e sostituita una già debitamente sbeccata, mi domandò: «Cosa vi turba, principe?»

Sorrisi di fronte alla sua perspicacia, e mormorai in risposta: «Grandi dilemmi, temo, e forse senza risposta. Mi dilettavo a pensare alla vita sulla terraferma, e ai suoi molteplici misteri.»

«La fanciulla-lupo di cui mi parlaste ha su di voi uno strano effetto, vedo. Un effetto, oserei dire, benefico. Ampliare i propri orizzonti è sempre un bene. Non a caso, le più grandi scoperte sono state fatte scrutando oltre il conosciuto.»

Annuì, forse soddisfatto dal vedermi così impegnato a rimuginare, e perdermi in mille e più pensieri così insoliti per un fomoriano.

«Utilizzare lo Specchio Veggente per contattare i Tuatha qui sulla Terra, è stata indubbiamente la nostra salvezza» assentii.

I nostri avi avevano messo tutte le loro energie mistiche per aprire il portale, quello che noi chiamavamo Specchio Veggente, che ci aveva consentito di metterci in contatto con la Terra.

Questo, ci aveva impedito di rimanere vittime dello sfacelo del nostro pianeta, ma era costato molto, in termini di vite, per coloro che avevano dato la loro energia per animare lo Specchio.

Savarhne, unico depositario dei segreti del potente portale, si era fatto carico di distruggerlo per la stessa sicurezza delle nostre genti.

Una volta giunti sul Sentiero del Gigante, lo aveva reso inutilizzabile con le sue stesse mani.

Sapevo però bene quanto, questo gesto, gli fosse pesato.

Come studioso e scienziato, doveva essere stato tremendo, ma lo Specchio Veggente avrebbe potuto essere usato anche da altre forme di vita.

Forme di vita che, giunte sulla Terra, avrebbero potuto distruggerla.

Per questo, il sacrificio della conoscenza suprema era stato compiuto, perché le genti del mondo che ci avrebbe ospitato fossero al sicuro.

La scoperta degli esseri umani, creature ancora giovani e inesperte, aveva però dato nuova linfa vitale alla sua curiosità.

Nel corso dei millenni, Savarnhe ne aveva studiato con interesse le qualità, le peculiarità salienti. I difetti.

Le guerre degli ultimi secoli lo avevano crucciato, ma non credevo se ne fosse stupito più di tanto.

In questo, i terrestri ci somigliano molto.

La scoperta di una nuova razza come quella dei licantropi, per lui, era stata fonte di estrema sorpresa e gioia.

Durante una delle nostre consuete chiacchierate settimanali, gliene avevo fatto menzione, così come gli avevo chiesto pareri in merito alla mia impresa.

Savarhne si era dichiarato ammirato dalla mia decisione di dare una mano a Eithe, così come dallo scoprire così tanto su una razza mai conosciuta prima.

Aveva voluto sapere tutto ciò che io avevo scoperto e, quando gli avevo parlato delle nostre differenze culturali, ne era rimasto sorpreso.

E incuriosito.

Quando, infine, lo avevo messo al corrente dei miei sospetti circa le origini di quella specie antropomorfa, aveva avuto le mie stesse perplessità e curiosità.

Mi aveva promesso di studiare il caso e, nel frattempo, io mi ero dedicato solo a Eithe e al suo addestramento.

Ora che le cose stavano procedendo bene, però, i dubbi erano tornati ad assalirmi, e rivedere Savarhne mi era parso quasi una necessità.

«Mi domando spesso se, questo nostro essere così marziali, non sia di per sé un difetto. Viviamo entro regole restrittive, bandiamo dalla vita di tutti i giorni i sentimenti e le emozioni, ritenendole a torto dei difetti... delle debolezze. Eppure, tra i licantropi, esse non sono bandite, e sono comunque una razza forte e combattiva.»

«Mi avete detto, però, che i genitori di Eithe le hanno sempre fatto pesare la sua apparente debolezza. Quindi, anche loro, reprimono certi sentimenti» mi fece notare Savarhne.

Accigliandomi, annuii. Questo era vero, fin troppo.

«Sono creature orgogliose, non meno di noi, e anche noi nascondiamo la paura o il dubbio. Da quel poco che mi è stato concesso di vedere, però, pare un sentimento legato al singolo, più che una regola di condotta generale. Si parlano spesso mentalmente, mettendo a nudo gran parte di sé, e amano il contatto fisico. Per loro, è quasi vitale. Quindi, ne deduco che simili tabù siano inesistenti, tra loro.»

«E' la loro controparte ferina che parla. I lupi sono animali che vivono in branco, e questo presuppone una vicinanza fisica molto forte» annuì il Grande Occhio, meditabondo.

«Noi reprimiamo persino i pensieri eppure, anche grazie a Eithe, ho scoperto di poter parlare liberamente con loro anche tramite la mente. Ho abbassato le barriere mistiche, per farlo, ma questo non mi ha certo danneggiato e anzi, trovo che sia addirittura gratificante.»

Lo dissi con una certa veemenza, neanche fossi stato un ragazzino scoperto con le dita nella marmellata, e stessi cercando di giustificarmi.

Sospirai, calmandomi, e aggiunsi più chetamente: «Non sono sicuro che reprimere ogni sentimento sia giusto, o ci dia maggiore forza nel combattere.»

«Mi trovate d'accordo con voi, principe.»

«Come?» esalai, sorpreso dal suo dire.

Savarhne mi sorrise, e dichiarò: «I vostri pensieri sono degni di nota, Altezza, e mi fanno sperare in un futuro radioso per il nostro popolo. Vostro padre si avvicina al momento in cui, per legge, dovrà deporre lo scettro, e io auspico che il vostro regno sarà ancora più glorioso e forte del suo. E più saggio

Sorrisi impacciato, non aspettandomi di certo che uno dei Sommi fosse d'accordo con me.

Il Grande Occhio non era l'unico Sommo, o Saggio, di Mag Mell, naturalmente.

Ne esistevano tre in tutto e, assieme a Tethra, guidavano i fomoriani attraverso una oligarchia illuminata, che faceva capo al re.

Il quinto voto utile nelle decisioni reali, ovviamente, spettava a mia madre Muath, così da poter essere certi di un risultato definitivo a ogni mozione esposta.

Dubitavo che Hoenir e Mimir1, da sempre grandi alleati di mio padre, sarebbero stati d'accordo con Savarhne, ma già avere il suo benestare mi rendeva lieto.

Volgendosi per proseguire la perlustrazione, Savarhne asserì vagamente ironico: «Resta da vedere se la sposa che avrete al fianco, sarà altrettanto intelligente e saggia.»

Storsi il naso, a quel commento.

C'era una donna che mi interessava, ma lei non avrebbe mai potuto essere mia.

Almeno, non con le leggi attuali.

 
***

Starmene sulla scogliera a picco sugli abissi, poco oltre i confini di Mag Mell, stava ormai diventando un'abitudine, per me.

Congedato Konag – per quel giorno non ci saremmo recati sulla terraferma, vista la tempesta che infuriava – mi ero rifugiato lì per rimuginare sulla chiacchierata con Savarhne.

Ciò che mi aveva detto era stato, al tempo stesso, illuminante e deprimente.

Non volevo pensare alla donna che il Consiglio dei Sommi avrebbe scelto per me, basandosi unicamente sulla purezza dei geni e sulla nobiltà della sua famiglia.

Sapevo che la visione del futuro, attraverso la lettura delle Sacre Pergamene, aveva sempre portato a ottime unioni, ma questo non mi importava.

Preferivo pensare da solo a trovarmi una donna saggia e intelligente da sposare e, soprattutto, che mi piacesse.

Detestavo il fatto che altri pensassero di sapere cosa era meglio per me.

Era vero; fino a quel momento, i Sommi non avevano mai sbagliato.

La parvhein tra mio padre e mia madre era comparsa addirittura al loro primo bacio, tanto era forte il loro legame.

Ma io non volevo aspettare la scelta di altri, volevo compierla da solo, esattamente come aveva fatto Rohnyn.

«State diventando insolitamente ombroso, principe. E questo posto sta divenendo il vostro tetro santuario.»

La voce di Ciara mi colse di sorpresa, portandomi a volgere lo sguardo di soprassalto.

Era quasi un mese che non mi rivolgeva la parola, e in quel momento mi resi conto che mi era mancata.

La prima cosa che guardai furono le sue mani, ormai guarite da tempo.

Gliene afferrai una, sorprendendola un poco, e le scrutai il palmo immacolato e privo di asperità.

La cicatrice, per fortuna, era sparita.

«Siedi qui con me, per favore.»

Lei annuì, recuperando la mano per poi sistemarsi poco sotto di me, su uno scoglio affiorante.

Si volse a mezzo, sollevando un ginocchio per poggiarvi sopra il braccio, ricoperto dalla solita armatura a scaglie color bronzo.

I suoi occhi color dell’oceano colsero i dubbi sul mio viso e si fecero foschi, preoccupati.

«Vi fa male andare sulla terraferma, da quella femmina. Tornate sempre di umore pessimo, e vi rintanate qui come se la vostra gente vi fosse invisa.»

«Eithe è un'amica, e ora ha bisogno del mio aiuto» mi limitai a dire, scrollando le spalle.

«Ma, se vi angustia tanto aiutarla, perché continuare?»

«Non è colpa sua» replicai, cercando di capire quanto dirle. «Solo che, passando del tempo con lei e con la sua amica Megan, mi sono reso conto di alcune cose.»

«E' lecito chiedere cosa?» mi domandò compita.

Perché devi essere così distante?, pensai tra me, cercando di non tradire il mio malessere emotivo.

«Se te ne parlo, dovrai promettermi che rimarrà tra noi. Diversamente, penso mi sarà impossibile spiegarti cosa ho appreso negli ultimi tempi.»

Lei si accigliò immediatamente, facendo l'atto di alzarsi per un giuramento solenne, ma io la trattenni a un braccio.

«No... non quel genere di promessa. Desidero che tu me lo prometta come amica

Mi fissò confusa, forse non comprendendo appieno le mie parole, forse trovandole poco indicate.

«Altezza, io...»

Mi feci più audace e, con un dito, le tappai la bocca, assaporando per la prima volta la morbidezza di quelle labbra piene e a cuore.

Chissà cosa avrebbe voluto dire baciarle, divorarle poco alla volta?

«Ciara, ci conosciamo fin da quando camminavamo gatton gattoni, e lo sai bene. Non puoi, per una volta, ricordare che da piccoli giocavamo assieme? Che usavamo gli stessi giocattoli?»

«Siete il principe ereditario, e io...» mormorò, la voce stranamente flebile, spezzata.

D’accordo, l'avevo davvero sconvolta.

«Non essere sempre così formale con me, Ciara,… proprio come facevi da bambina. Almeno, quando siamo da soli.»

Non disse niente, ma annuì, e solo per questo desiderai per un attimo balzare in piedi per la gioia.

Era così faticoso avvicinarsi a lei! Fare qualche progresso!

«Perché sei turbato, Stheta?» mi chiese a quel punto Ciara.

Per un attimo la rividi bambina, con le lunghe gambe piene di lividi e graffi, le guance paffute e i capelli rossi corti e piedi di riccioli.

Trovai quel ricordo adorabile.

«Perché sono stato messo di fronte a un modo diverso di vivere, di gestire la mia emotività, i miei desideri, i miei pensieri... e trovo che i nostri siano troppo soffocanti.»

Aggrottò la fronte, ma non mi impedì di continuare.

«Ciara, che senso ha vivere perennemente in stato di assedio? Non combattiamo guerre da secoli, nessuno minaccia i nostri territori, eppure viviamo come se dovessimo combattere da un momento all'altro. Inoltre, reprimiamo noi stessi, non esponiamo mai il nostro cuore, o ciò che pensiamo realmente.»

«Perché vorrebbe dire essere deboli» mi disse meccanicamente, neanche le avessi chiesto il tempo atmosferico.

«Mi reputi un debole?» le ritorsi contro, pur sapendo di farle un torto.

«No, certo che no! So bene quanto siete... sei forte, visto che sei uno dei pochi ad avermi sconfitta sul campo» replicò sgomenta, scuotendo recisamente il capo.

«E ti sgomenterebbe sapere che io e Konag passiamo pomeriggi interi a ridere e scherzare, o ci attardiamo per giocare con le nipotine di Megan, l'amica di Eithe?»

La prima volta che le avevamo viste, gli occhi di entrambi noi avevano brillato. Erano semplicemente deliziose.

Ma, quando Polly e Susan avevano dichiarato di voler giocare con noi, eravamo letteralmente caduti dalle nuvole.

Nessun fomoriano adulto gioca coi propri figli, figurarsi con quelli degli altri.

Megan, a quel punto, ci aveva bonariamente presi in giro, insegnandoci come fare. E mostrandoci cosa ci eravamo persi.

Ciara, a quella notizia, fece tanto d'occhi e io, con un sospiro, aggiunsi: «Non sono cambiato fuori, ma dentro. Perché ho scoperto che ci sono cose che possono cambiare, senza però alterare la nostra forza. Anzi, possono incrementarla.»

«E come?» replicò scettica, le dita intrecciate tra loro e poggiate su un ginocchio.

«Perché difendi la Corona, Ciara?» le chiesi per contro, non sapendo bene cosa aspettarmi da lei.

Aggrottò la fronte, si fece pensierosa e, con tono ponderato, mormorò: «E' un onore che è sempre spettato alla mia famiglia, e io sono orgogliosa di aver preso sulle mie spalle...»

La bloccai, afferrandole il braccio all'altezza della sua rihall.

«Non ti sto chiedendo la versione ufficiale. Ma quello che senti tu, quello che provi tu.»

Inaspettatamente, Ciara reclinò il viso e, torva, sussurrò: «Non sono cose di cui intendo discutere con te.»

«Perché ti infastidirebbe ammettere, con me, che non lo fai solo per l'onore ma anche perché, forse, ci sei affezionata e ti procurerebbe dolore saperci feriti... o peggio?»

Rispondi, maledizione, rispondi!, pensai tra me, quasi urlandolo a voce alta.

Volevo toglierle di dosso quella patina di compostezza, volevo vederla brillare, urlare, strepitare, dare libero sfogo a quello che, pensavo, c'era dentro di lei.

E, forse scioccamente, volevo sentirle ammettere che teneva a noi. A me.

Quando infine levò gli occhi a fissarmi, era irritata come poche altre volte l'avevo vista.

Liberò la mano dalla mia stretta, si fece livida e, levatasi in piedi, mi guardò dall'alto al basso come se avesse voglia di picchiarmi.

Il che, di per sé, fu già un cambiamento non da poco, in lei.

Se non fosse che rischiavo di prendermi un pugno in faccia, avrei gioito per quella reazione.

«Pensate... pensi che io abbia un cuore di ghiaccio? Che non rammenti te o i tuoi fratelli, da piccoli, quando eravamo nelle senturion? Odiavo quei maledetti recinti! Ci stavo bene solo perché c'eravate voi! Perché non mi sentivo fuori posto, la bambina troppo forte, troppo alta, troppo... troppe cose! E ora, tu mi vieni a chiedere se non proverei disagio, o dolore, se vi succedesse qualcosa?!»

Sciabolò l'aria con un braccio, ora furia pura, e aggiunse: «Il mio onore verte unicamente su questo! Proteggere voi! Perciò sì, soffrirei se vi succedesse qualcosa, e non perché avrei fallito, ma perché questo comporterebbe vedervi soffrire

Subito dopo quello scoppio di rabbia si rese conto di ciò che aveva fatto,  e detto, e fece per allontanarsi.

Io fui lesto ad alzarmi in piedi e, paratomi dinanzi a lei, mormorai: «Non devi vergognartene, Ciara. E' bello che tu lo pensi.»

«E' da deboli

La sua replica fu così contrita che non potei non sorridere.

Le carezzai il viso per la prima volta da millenni – l'ultima volta, era stato per toglierle uno sbuffo di polvere, quand'era bambina – e replicai: «Ci vuole coraggio, ad ammetterlo. Non debolezza.»

«Stheta, per favore...»

«Resta ferma.»

Glielo ordinai, ma la mia voce suonò così roca anche alle mie orecchie che, quella che era cominciata come una semplice richiesta, divenne ben presto un imperativo.

Mi chinai su di lei prima che potesse rendersi conto delle mie intenzioni e, avvolta la sua vita con un braccio per impedirle di fuggire, la baciai.

Avevo desiderato quel bacio da così tanto tempo che, quando finalmente poggiai le labbra sulle sue, esultai dentro di me.

Mi ero aspettato labbra morbide e sapor di miele. Quello che non mi aspettai, fu un morso.

Mi ritrassi alla svelta, il labbro inferiore spaccato dal morso di Ciara che, scarlatta in viso non meno delle sue chiome, mi fissò al colmo dell'ira, sibilando: «Non desidero essere un ripiego, quando non puoi andare dalla tua umana

«Che cosa?!» sbottai, tastandomi il labbro dolente e pulsante. Faceva un male cane.

Ciara si avvicinò a me con occhi che sprizzavano scintille e, dandomi uno spintone ben assestato, si fece largo per tornarsene a palazzo.

Senza neppure darmi il tempo di parlare, di spiegarmi, si strinse nella sua seconda pelle e mutò in delfino, così da rendere più veloce il suo rientro.

La guardai allontanarsi, leggiadra e bellissima nella sua livrea animale e, dentro di me, mi sentii un idiota. Un colossale idiota.

 
 
 
____________________________
1 Hœnir e Mímir: Nel mito, dopo la grande guerra tra gli dèi asgardiani e i Vani, gli dèi di Vanaheimr, due divinità per parte avversa vennero scelte perché coabitassero nei regni un tempo invisi. Per Asghardr, furono perciò scelti Hœnir e Mímir, che andarono a vivere con i Vani, per acquisire conoscenze su quel popolo e, al tempo stesso, far conoscere ai Vani la cultura degli Asi, gli asgardiani. Così, allo stesso modo, i Vani inviarono due loro dèi, Njórdhr e suo figlio Freyr, presso Asghard, con il medesimo scopo.
Nella mia storia, Hœnir e Mímir sono i figli omonimi di questi antichi dèi.



Note: Ho pensato fosse necessario inserire qualche nozione in più sulla provenienza dei fomoriani e sui loro primi secoli sulla Terra, tornando a parlare dei Tuatha de Danann. Se vi venisse qualche dubbio sulla mia citazione riguardante Muath e la nascita dei gemelli Rohnyn e Lithar, è presto spiegato. Le donne fomoriane combattono anche se sono incinte. Sono abbastanza forti per poter combattere anche in questo stato. Esistono, tra l'altro, dei precedenti illustri, vale a dire le Amazzoni, che combattevano a cavallo fino a pochi giorni prima del parto (stando per lo meno ai resoconti storici su di loro).

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Note: Mi scurso con tutti/e voi per l'assenza, ma il mio modem aveva pensato di farsi una gita all'altro mondo, lascianomi appiedata.
Ora è tutto a posto, perciò i capitoli verranno nuovamente postati con regolarità.
Grazie per la vostra pazienza e buona lettura! 






 
9.
 
 
 
 
 
Stavo decidendo cosa rompere, o rompermi, quando Krilash fece irruzione nelle mie stanze, il passo pesante e l'aria bellicosa.

Non feci neppure in tempo a chiedergli cosa volesse, e verso chi fosse diretta una simile furia, che lui mi spinse malamente, mandandomi a sbattere contro il muro.

Proprio non era giornata, a quanto pareva!

Parai il suo tentativo di darmi un pugno e, con un'abile mossa difensiva, rigirai la sua forza a mio vantaggio, facendolo caracollare fino al letto.

Aggrappatosi a una delle colonne di corallo, Krilash mi fissò torvo, già pronto a colpire, ma io lo prevenni, esclamando: «Prima di fare a pugni, vorrei almeno sapere perché

Non mi rispose direttamente.

Si limitò a urlarmi 'sai bene perché!' prima di lanciarsi nuovamente contro di me, feroce come poche altre volte lo avevo visto.

Respinsi a stento il suo attacco a testa bassa e, quando avvertii chiaramente la sua aura colma di sentimenti negativi, repulsione e... Ciara, persi la calma.

Lo scansai, scaricandogli in faccia un pugno che lo mandò lungo riverso sul letto e, senza riuscire a contenere la gelosia, mi lanciai su di lui per terminare il lavoro.

Krilash, però, mi schivò di un soffio, facendomi finire con il volto tra le coltri morbide e profumate.

Un attimo dopo, montò a cavalcioni su di me e spinse il mio viso tra le lenzuola, forse con l'intento di soffocarmi.

Cercai di liberarmi, di far valere i miei diritti su Ciara – non che ne avessi ma, in quel momento, ero cieco di rabbia – quando Krilash, parlando accorato, mi raggelò.

«Perché ho dovuto vedere Ciara in lacrime, quando sapevo benissimo che era uscita per cercare te?! Spiegamelo, e forse non spaccherò questa tua testaccia inutile!»

«Non sono affari tuoi» ringhiai, pur con forze esigue.

«E' mia amica! Sono affari miei! E tu dovresti portarle maggiore rispetto, maledizione! Cosa le hai fatto?!»

Krilash continuò a spingere, e il collo iniziò a urlare di dolore, a causa di quella postura innaturale.

Quasi volli che Krilash mi spezzasse, mi riducesse a larva, a un certo punto. Ciara in lacrime? Già di per sé, era un evento più unico che raro.

Ma sapere che ero stato io a causare quel crollo, non mi fece gioire per nulla.

«Da come ti preoccupi, forse è qualcosa di più!» lo accusai con tono gracchiante.

Sapevo di essere ingiusto, ma in quel momento mi sentivo troppo male, per non essere anche velatamente velenoso con mio fratello.

«Che cosa?! Ma sei impazzito?!»

Si tolse da sopra il mio corpo, concedendomi un attimo di tregua, ma fu di breve durata.

Un attimo dopo, mi prese per il colletto della tunica e mi diede un pugno in piena faccia, facendomi vedere le stelle.

«Non osare mai più mettere in dubbio la mia amicizia con Ciara! E' una delle poche persone vere e belle che conosco...non rovinare tutto con l'immondizia che ti esce dalla bocca!»

Fece per colpirmi di nuovo, ma la voce di Lithar lo bloccò, giungendo imperiosa quanto improvvisa a interrompere il nostro dramma personale.

Si mosse lesta, frapponendosi tra noi due con il suo fisico alto e slanciato, l'armatura ancora indosso e la spada già pronta per essere sguainata.

Una degna figlia di Muath.

«Basta! Qualsiasi siano i motivi della disputa, non potete ammazzarvi sotto lo stesso tetto dei nostri genitori e mio! Calmatevi!»

«Questo... schifoso... ha fatto piangere Ciara!» ringhiò furente Krilash, trattenendosi dal colpirmi ancora solo per non mettere in pericolo Lithar.

Nostra sorella mi fissò basita ma preferì non parlare e, scansando Krilash con una spinta, dichiarò lapidaria: «Hai chiarito il tuo pensiero. Ora vattene, prima che nostro padre ci veda così alterati. Sai che lui ama la pace, sotto il suo tetto.»

Imprecò ma fece come dettogli e, nel lanciarmi un'ultima occhiata venefica, uscì con un gran svolazzare di mantello e lesa maestà.

Rimasti soli, Lithar mi aiutò a rialzarmi e, nel tastarmi il labbro spaccato e lo zigomo già gonfio, mormorò: «Presupponendo che non sia stato Krilash a morderti... cos'hai combinato, con Ciara?»

«L'ho baciata, e lei non ha gradito» mormorai, scansando la sua mano per raggiungere il bagno della mia stanza.

Aprii l'acqua per sciacquarmi il viso, ma Lithar non si diede per vinta.

Mi seguì e, poggiatasi contro lo stipite della porta, intrecciò braccia e caviglie in posa mascolina e asserì: «Non ti avrebbe mai morso, solo perché l'hai baciata. Ci deve essere dell'altro.»

«Non credo che Ciara si faccia baciare con leggerezza, anche quanto» replicai, piccato.

Lithar allora rise sarcastica.

«Sei un idiota. Ciara ha un'autentica venerazione per il mio augusto fratello quale sei tu, per questo si sarebbe fatta baciare da te, se dietro ci fosse stato solo questo. Ma, per averti morso, devi averla ferita nel profondo.»

Le sue parole di accusa ne fecero sorgere altre, fasulle quanto comprensibili e, reclinando il viso verso il lavabo – un'enorme conchiglia antica quanto il palazzo stesso – mormorai: «Le stavo parlando di Eithe, di quanto stare con lei mi renda una persona diversa. Volevo farle comprendere che alcune nostre regole sono ormai sterili, ormai inutili e...»

«E tu pensi di baciare una donna che, evidentemente, ti interessa, dopo averle parlato di un'altra? Di un’altra donna che, a quanto pare, riesce a destabilizzare l’equilibrio impeccabile di Ciara? Stheta, onestamente, ma cos'hai in testa? Sabbia?» blaterò Lithar, fissandomi come se fossi stato tardo di mente.

La fissai smarrito, come in cerca di aiuto e lei, con maggiore comprensione, aggiunse: «Non so cosa stia succedendo tra voi due ma, anche se tu fossi interessato a lei solo per del buon sesso, non puoi sbandierare le virtù di una donna, senza pensare che l'altra non si senta in qualche modo... messa a paragone. O addirittura sminuita.»

«Non era mia intenzione.»

«Lo spero proprio! Ma Ciara tiene molto a te, e già sapere che visiti così tanto spesso l'amica di Sheridan, la angustia. Sapere, poi, che tu la tieni in così grande considerazione, non può essere un fatto positivo, per lei.»

«Volevo... volevo solo condividere con lei alcuni miei pensieri, ma mi è sfuggito tutto di mano. Non vuole capire che le cose possono cambiare, che esternare i nostri pensieri, i nostri sentimenti, non è necessariamente una debolezza, ma che può portare anche forza.»

Guardai mia sorella in cerca di comprensione, e aggiunsi: «Giocano con i loro figli. Non si limitano ad addestrarli, a farli crescere nella forza e nel rigore.»

Lithar mi fissò sorpresa, mordendosi il labbro inferiore, pensierosa.

Cominciai a camminare per la stanza, sbracciandomi nel parlare con sempre maggior calore e veemenza e, quando terminai il mio monologo furente, esalai: «E' così tremendo pensare a un regno meno chiuso, più aperto agli altri? E' così tremendo sperare di poter dire a una persona 'ti amo' senza doversi sentire un debole? E' così tremendo abbracciare un amico per il puro piacere di farlo, per comunicargli il proprio affetto?»

«Stheta...»

«Non reputo queste cose come debolezze, ed Eithe mi ha dimostrato che è possibile coniugare forza e gentilezza. Lei e la sua gente sono diversi da noi, e allo stesso tempo simili! C'è forza, c'è coesione, c'è rispetto, c'è disciplina, ma c'è anche amore. Amore sincero e libero. Amore esternato con gesti e parole.»

Ciò detto, mi avvicinai a lei e la abbracciai, sentendola irrigidirsi contro di me, ben poco avvezza a quel genere di contatto.

Le sfiorai la schiena, massaggiandola gentilmente, la fronte poggiata contro la sua spalla, cuore contro cuore.

«E' così brutto?» mormorai, lasciando volutamente aperta la mia mente, così come Eithe mi aveva insegnato.

«Stheta, ma cosa...» esalò, sempre più sorpresa, invasa dai miei pensieri, dal mio affetto per lei, dai miei primi ricordi, dall'amore che avevo provato nel vederla in quella culla ricolma di sete e pizzi.

La sentii tremare contro di me e, alla fine, restituì impacciata l'abbraccio.

«Mi ha insegnato Eithe ad aprire la mente a questo modo e, se mi impegno un po', posso avvertire anche i tuoi pensieri.»

Poi, sforzandomi di rammentare con esattezza ciò che dovevo fare, aggiunsi mentalmente: “O parlarti a questo modo.”

Lei ansò sempre più sorpresa, staccandosi da me per guardarmi senza parole.

Sorridendole, mormorai: «La nostra mente non è meno potente di quella di Eithe e della sua gente. Ora lo so. E quanto può essere importante un simile dono? Pensaci.»

«Pensi davvero questo, di me?» esalò, gli occhi color delle ametiste limpidi e colmi di lacrime di commozione.

Annuii e lei, sorridendo in risposta, mi abbracciò.

Fu un abbraccio impacciato, forse un po’ brutale, ma fu un inizio. Singhiozzò, e disse: «E' caldo. Sento caldo dentro. Non come quando vinco un combattimento,... è diverso.»

«Lo so. Ma pensi di essere più debole, ora che l'hai provato?»

«No. Anzi! Lotterei con tutta me stessa per provare nuovamente una sensazione del genere.»

Annuii ancora, mormorando in risposta: «Dentro di te, inconsciamente, sai già tutto. Qualcosa è andato perso, nel corso dei millenni, evidentemente, ma può risorgere, tornare a far parte delle nostre vite.»

«Era questo che volevi mostrare a Ciara?»

«Sì, ma con lei ho sbagliato tutto. Completamente

«Vai da lei, scusati e, soprattutto, non nominare Eithe. Se anche non è che una tua amica, come mi pare di aver compreso, non fa mai piacere, a una donna, sentir parlare di un'altra. Specie quando si sta chiedendo scusa.»

«Farò come dici tu.»

 
***

L'ala di palazzo destinata alle più alte cariche dell'esercito, non era meno opulenta del resto dell'immenso castello sottomarino in cui risiedevamo noi, Famiglia Reale.

Le alte colonne di corallo sfaccettato erano altrettanto lucide, altrettanto lisce, così come i pavimenti madreperlati o le alcove ricche di statue dei nostri antichi dèi.

L'unica differenza, se si voleva davvero spaccare il capello in quattro, era l'assenza di un numero massiccio di servitù.

Per molte cose, i militari disdegnavano di essere serviti e riveriti.

Dopo aver imboccato il corridoio più a est, dove si trovavano le stanze degli ufficiali di sesso femminile, non impiegai molto per trovare il piccolo appartamento di Ciara.

Era l'ultimo in fondo, quello con la porta interamente bianca, sormontata dal simbolo della sua famiglia. La manta.

Giunto lì, bussai un paio di volte e, con voce piana, mormorai: «Ciara, sono Stheta. Posso entrare?»

Non vi fu risposta.

Feci per ritentare, ma la maniglia della porta si piegò verso il basso e lì, sull'entrata, vidi Ciara.

E rimasi incantato.

Dinanzi a me, esattamente come avevo sognato più volte di quante avrei mai ammesso, i suoi capelli, fluenti e mossi come spuma di mare, scendevano liberi da freni.

Erano una massa scomposta, rigogliosa, lunga fino oltre la vita.

«Cosa desideri ancora?» mormorò, l'aria bellicosa e gli occhi che sprizzavano scintille.

Il desiderio di tornare a baciarla si fece pressante, ma mi imposi di darmi una calmata. Non ero lì per irritarla ulteriormente.

«Posso entrare, o...»

Notando finalmente dove i miei occhi fossero caduti, Ciara si allontanò di un passo dalla porta e si portò una mano sul capo, esalando: «Li lego, e poi...»

«No! Aspetta!» esclamai, non riuscendo a fermarmi.

Entrai, in barba a tutte le più elementari regole della cortesia – umane o fomoriane che fossero – e, supplichevole, esalai: «Ti prego... non legarli.»

La sua mano reclinò verso il basso, i suoi occhi incatenati ai miei, dubbiosi e pieni di domande.

Individuai subito la sua toeletta, proprio accanto alla finestra che dava sul cortile esterno e, notata la sua spazzola, mormorai: «Posso continuare quello che stavi facendo?»

«Come?» esalò, dichiaratamente sconcertata.

E bravo! Meno male che non volevi innervosirla, pensai tra me, dandomi mentalmente dell'idiota.

Lo stavo facendo spesso, ultimamente.

«Per scusarmi del mio comportamento irrispettoso!»

Feci per mettermi in ginocchio, seguendo letteralmente il consiglio di Lithar, ma Ciara me lo impedì.

Mi afferrò ai gomiti, trattenendomi e, aggrottata in viso, borbottò: «Ma tu guarda se devo vederti fare una cosa del genere, e per un episodio risibile come quello che, pare, non stai neppure minimamente tentando di cancellare dalla mente! Non provare mai più a inginocchiarti dinanzi a me! Sei il principe, per tutti i Sette Mari!»

Costretta a rimettermi diritto, visto che non ne avevo minimamente intenzione, mi fissò ancora accigliata, ma più calma.

«Perché diavolo vuoi pettinarmi i capelli? Non è una cosa che dovrebbe fare un uomo. Se volessi, potrei chiedere alla mia domestica, di farlo, ma non lo chiederei certo a te!» aggiunse poi, sbottando.

Abbozzai un mezzo sorriso divertito, e replicai: «Sono stato un cafone, perciò mi abbasserò a servirti per qualche ora, va bene? E, visto che continui a farmi notare che sono il principe, posso sempre ordinarti di farti servire da me.»

Quell'accenno non parve piacerle, perché sbuffò sonoramente, mettendo in mostra una parte di sé che, di solito, non mostrava mai.

Era quasi impossibile vedere Ciara accigliata, o comunque irritata per qualcosa. Il suo contegno era sempre stato esemplare.

Eppure, nel giro di un'ora, ero riuscito a farla arrabbiare, baciarla, farla piangere – cosa di cui non andavo fiero – e farla sbuffare.

Un record, in tutti i sensi.

Si volse decisa, facendo danzare quella massa indomabile di capelli fulvi e splendenti.

Dopo essersi accomodata alla toeletta, mi passò la spazzola, borbottando: «E sia! Se proprio ci tieni a comportarti da stupido...»

«Molto. Ci tendo davvero molto.»

Afferrai la spazzola prima che potesse ripensarci e, dopo aver preso uno sgabello su cui accomodarmi, mi misi dietro di lei, sfiorando per la prima volta quei capelli sericei.

«Dal basso. Devi cominciare dalle punte» mormorò, la voce ora più bassa e quieta.

Annuii, lanciandole un'occhiata tranquillizzante attraverso lo specchio.

Anche lei annuì, dopodiché chiuse gli occhi e reclinò un poco indietro la testa.

Spazzola alla mano, iniziai ad accarezzare con delicatezza quelle pesanti ciocche ramate, trovandole morbide al tatto e profumate.

Non riuscii a capire se fosse per merito degli oli profumati, o se fosse il naturale aroma di Ciara.

A ogni spazzolata, comunque, quel sentore di cedro mi solleticò le narici, eccitandomi.

Calma, ragazzone, sei qui per chiederle scusa, mi ricordò una vocetta perfida nella testa.

Io la scacciai, infastidito, e proseguii nel mio interludio piacevolissimo.

Non parlai per un po', e fu Ciara a spezzare quello strano silenzio.

«Perché Konag aveva un taglio da artiglio su un braccio, l'altro giorno?»

Mi bloccai un momento, ripensando a cosa fosse successo nei giorni precedenti, finché non rammentai.

Sorridendo, ripensai a quando Megan lo aveva atterrato sul campo di addestramento, per poi stampargli un sonoro bacio sulla bocca.

Konag ne era rimasto tramortito.

Era forse la prima volta che una donna lo atterrava per baciarlo. Una donna-lupo, poi, mai.

«E' stata Megan a farglielo» le dissi distrattamente, sollevando di volta in volta nuove ciocche di capelli. Ero quasi stregato da quei riflessi dorati.

«Come?» esalò, confusa.

«Forse, dovrei spiegarti un paio di cosette, prima. Ma solo se mi prometti che non ti arrabbierai, o ti preoccuperai per me. E' tutto perfettamente sotto controllo, e non rischio nulla. Va bene?»

«Se Konag è tornato ferito, come puoi...»

Le lanciai un'occhiataccia attraverso lo specchio – aveva riaperto gli occhi per parlarmi – e lei, annuendo, borbottò: «E va bene. Dimmi tutto.»

Così le raccontai di come Eithe mi avesse realmente smascherato, il giorno del matrimonio, e di quale fosse il suo ruolo all'interno del branco.

Le spiegai succintamente l'incidente che tanto l'aveva segnata nell'infanzia, e di come Konag la stesse aiutando a venirne fuori.

Da ultimo, lasciai l'apparente cotta che Megan sembrava aver preso per il nostro aitante soldato.

A quel commento, Ciara non riuscì a trattenere un sorriso, e ammise: «Konag ha sempre avuto successo con le donne... evidentemente, è un successo interspecie.»

«Tutto bene, quindi? Non sei preoccupata, o che?»

«Se mi dici che quella Caitlinn non se la prenderà con te, allora... direi che va bene. E' un gesto nobile, quello che stai facendo.»

«Non avrebbe motivo di prendersela con me. Eithe mi ha spiegato bene come si svolgono questi combattimenti. Le persone all'esterno non c'entrano nulla.»

«Tranne quel... come l'hai chiamato?»

«Freki. Il killer del branco. Beh, diciamo che questa è una schermaglia amorosa di cui lui, tra l'altro, non sa nulla.»

«Visto che non hanno problemi di alcun genere nell’esternare le loro pulsioni, perché semplicemente non gli parlano?»

Ridacchiai, annuendo, e le spiegai della minaccia che Caitlinn aveva mosso a Eithe.

«Non mi sembra molto corretto» dichiarò a quel punto Ciara.

Annuii ancora, continuando a pettinare ciocche sempre più lunghe di capelli e, con tono sommesso, mormorai: «Eithe non ha affatto fiducia in se stessa, perciò ha preso molto sul serio la minaccia. Ma, da come Díomán la tratta, credo che non avrebbe alcun problema, se anche ammettesse con lui che ne è innamorata.»

«E a te non darebbe fastidio?»

La domanda arrivò così a sorpresa che mi bloccai, sconcertato.

«Non sono innamorato di lei.»

Ci pensai su bene, dopodiché aggiunsi: «Ne sono affascinato. Il suo mondo, il suo modo di pensare, le sue idee. Sono affascinato da queste cose. Certo, è una bella donna, sarei ipocrita a non ammetterlo, ma con Eithe non funziona così.»

«E il bacio al parco?»

A quel punto risi, veramente imbarazzato, ed esalai: «Ehm, temo che in quel caso fossi preda di istinti molto bassi

Ciara arrossì a quel commento, e borbottò: «Lascia perdere. Non avrei dovuto neppure chiedertelo.»

«Non c'è problema. Tutto sommato, è divertente, anche se un po' umiliante.»

Scostai la ciocca che avevo pettinato per intero, sollevandola per poi passarla sulla sua spalla destra.

Così facendo, le carezzai il collo nudo, e fremetti.

Aveva una pelle così delicata!

Mi lappai le labbra inaridite e, delicatamente, lasciai ricadere la ciocca sul suo seno.

Fu come veder scivolare seta dalle mie dita.

«Cosa... successe?» riuscì a dire, pur se stentatamente.

Non seppi dire se fu per imbarazzo, o altro.

La sua voce, comunque, scivolò sulla mia pelle come una carezza, e io non potei che rispondere.

«Ogni mese, le lupe sono fertili per due, tre giorni al massimo, e i loro feromoni attirano i maschi per l'accoppiamento. Non le donne, bada bene. Le lupe. E' la loro controparte ferina, a parlare, e loro possono fare ben poco per fermare questo stato, se nei c’è dintorni un maschio dominante e, oltretutto, piacente.»

Sollevò un sopracciglio, cercando di non ridere, ma io lo feci per lei.

«Su, concedimi un po' di credito! Insomma, non sono esattamente brutto ed Eithe, che mi stava tenendo d'occhio per capire cosa fossi, mi si è avvicinata troppo. Aggiungici, poi, che facevo coppia con lei, al matrimonio, e ottieni un disastro.»

«Eri... eccitato?»

Era un’autentica rarità poter parlare di cose simili con una donna, soprattutto con una donna con cui non si aveva diviso il letto.

Eppure, tutte le ritrosie di Ciara parevano essere sparite, sostituite dall’autentica curiosità che brillava nei suoi occhi di zaffiro.

E io non vedevo l’ora di accontentare ogni suo capriccio o interesse, in quel momento.

«Senza capire perché» ammisi senza alcuna remora. «Mi sono sempre reputato un po' più controllato di così, ma con lei non riuscii che a pensare a una sola cosa. Mi parve molto strano, ma non riuscii ugualmente a chetarmi. Fu così che la baciai. E mi presi uno schiaffo.»

Non riuscì a trattenersi. Stavolta ridacchiò.

«Sì, tu ed Eithe potete darvi la mano. Mi avete schiaffeggiato, in modo figurato e non, con somma bravura.»

«Fu così che ti spiegò i motivi della tua... eccitazione?»

«Dopo essersi smascherata, sì. E credimi, fu un sollievo. Anche se mi sentii un tantino stupido. Ma, per lo meno, ebbi la certezza di non essere diventato, di punto in bianco, un maniaco.»

«Dubito potresti mai esserlo.»

«Grazie» mormorai, terminando anche la seconda ciocca, che passai sull'altra spalla. «Sono davvero bellissimi, sai?»

«Dovrei tagliarli, ma sono vanitosa» replicò, giocherellando con un ciuffo di capelli. Ora sembrava nuovamente nervosa.

«Ho sbagliato, scusa.»

«Sbagliato?» ripeté, dubbiosa.

«Sei di nuovo nervosa. Non dovevo dire nulla sui tuoi capelli» sospirai, scrollando il capo con esasperazione. Se non fosse stato oltremodo imbarazzante, mi sarei dato la sua spazzola in testa.

Ciara bloccò le sue mani e, preso un gran respiro, asserì: «Sei il primo uomo che li tocca così, Stheta. E'... strano

«Ti da fastidio?» Poi, con maggiore veemenza, aggiunsi: «Sii sincera, ti prego.»

«No.»

Disse solo questo, ma mi bastò.

«Ora, posso farti una domanda io?» mi disse a quel punto, lanciandomi un’occhiata incuriosita attraverso lo specchio.

«Prego.»

«Perché sei pieno di lividi in faccia?»

Scoppiai a ridere, e lei mi sorrise.

«Il labbro è opera tua, il resto, di Krilash. Mi ha malmenato con gran diletto perché ti ho ferita. Motivo per cui sono qui. Per scusarmi. Ho fatto una gran confusione, con te, quando volevo soltanto farti capire perché passavo tanto tempo sulla terraferma.»

Lei reclinò il viso, imbarazzata, e mormorò: «Krilash non avrebbe dovuto picchiarti per una cosa così puerile. Sono stata debole, e la debolezza non deve generare risultati simili.»

«E' l'affetto che l'ha generato, Ciara. E questo ti dimostra quanto, i sentimenti, siano potenti. Krilash ti vuole bene, perciò ha pensato di farmela pagare per averti fatta soffrire. E direi che ci è riuscito bene. Ho dolori ovunque.»

Risi di me stesso, sgranchendomi una spalla, e ricominciai a pettinare l'ultima ciocca. Quasi mi spiacque di avere terminato.

«Scusa. Per il morso, intendo.»

«Era ben meritato. Sono stato un cafone. Prima straparlo di una donna, e poi ti bacio. Insomma, non propriamente una mossa degna di nota.»

«Non avrei dovuto in ogni caso. Ho agito da stupida, senza pensare.»

Scossi il capo e, dopo aver poggiato la spazzola sulla toeletta, risistemai le ciocche lungo la schiena per ammirare il lavoro completato.

Ora, sembrava di scorgere una colata di oro fuso.

«Potrei trovare un lavoro come parrucchiere, dopotutto» ironizzai, alzandomi in piedi e poggiando distrattamente le mani sulle spalle di Ciara.

La sentii trattenere il fiato e, subito, mi preoccupai di controllare di non averle fatto male.

Ma non fu per il dolore, che Ciara aveva ansimato.

Pelle su pelle, le mie mani emettevano una debole luminescenza. La parvhein si era manifestata, e questo mi portò ad arrossire mio malgrado.

Anche Ciara parve a disagio ma non disse nulla, si limitò a rimanere ferma sotto le mie mani.

Mani che, un attimo dopo, scesero per carezzarle le braccia, aumentando la loro luminosità.

Fu a quel punto che sorrisi lieto e, deponendo un casto bacio sulla tempia di Ciara, mormorai: «Non potrei essere più felice di così, ora.»

«Ma che dici?» ansò, levando finalmente lo sguardo per incrociare i miei occhi.

Era spaventata a morte, glielo lessi senza problemi, senza neppure accostarmi alla sua mente.

«La parvhein mi ha solo aperto uno squarcio di speranza nel cuore. Ma, dentro di me, sapevo già di volerti.»

Mi inginocchiai accanto a lei, obbligandola a voltarsi e, tenendole ora le mani, aggiunsi: «Trovi così sconcertante che io possa essere...»

Mi chiuse la bocca con una mano, scuotendo la testa, ed esalò: «Non sono alla tua altezza, Stheta. Non va bene.»

«I sentimenti se ne infischiano delle regole, Ciara. C'è solo una cosa che può tenermi a freno, e sei tu. Io posso anche essere innamorato di te, e la parvhein può dirmi che sei la donna della mia vita per motivi che, ora, non voglio neppure stare lì a pensare ma, se tu mi dirai che non mi vuoi, allora la cosa si chiuderà qui. Io non dirò nulla, accetterò per me la donna scelta dai Saggi e vivrò con lei la mia vita. Ma sarai tu a decidere per noi due, non io. Io, la mia scelta l'ho già fatta e, a quanto pare, avevo ragione da vendere.»

Ciara allora reclinò il viso, e i suoi capelli formarono una cortina scarlatta attorno a lei, nascondendola al mio sguardo.

«Ciara, non voglio abbandonare il regno come Rohnyn, ma non voglio neppure sopprimere oltre quello che provo per te. E' ingiusto

«E' un disastro, ecco cos'è! A questo punto, se anche ti sposassi con la donna scelta dai Saggi, la parvhein non comparirebbe! Il Regno stesso sarebbe a rischio!» sbottò Ciara, risollevando lo sguardo per fissarmi accigliata.

La paura sembrava essere passata, sostituita da una più salutare arrabbiatura.

Annuii, sorridendole divertito.

Era corroborante parlare in modo così diretto, senza filtri, senza barriere dettate dall’etichetta.

Anche se mettersi così a nudo poteva causare imbarazzo, o altre reazioni altrettanto destabilizzanti.

Vedere Ciara per quella che era dietro la sua facciata composta e seria, poi, era impagabile.

E lei neppure si era accorta di non aver più sollevato barriere tra di noi.

Sì, valeva la pena starsene lì in ginocchio sul pavimento freddo, a guardarla in quegli occhi mentre prendevano fuoco.

«Lo so, e finalmente tutti capirebbero che è stupido lasciare ai Saggi una decisione simile. Dobbiamo essere noi a scegliere, indipendentemente dal rango.»

«Manderesti in fumo millenni di tradizioni?»

Il suo tono fu più che sconcertato. Rasentò l’indispettito, come se le stessi rivolgendo un insulto personale.

Sorrisi maggiormente, pensando a quanto fosse ben più ligia al dovere – e alla Corona – di me.

«Per te? Volentieri. Meritiamo la felicità, la libertà di sceglierci, se vogliamo.»

«Sei pazzo» sbottò per tutta risposta, incredula.

«Di te» mormorai a quel punto. «Non mi hai ancora risposto, Ciara, e il ginocchio comincia a farmi male.»

«Alzati, maledizione!» borbottò, levandosi di scatto prima di trascinarmi in piedi con sé.

Io ne approfittai per abbracciarla e, contro la sua spalla, mormorai: «Rispondimi, Ciara.»

«Come posso dirti di no?» singhiozzò, afferrando la mia tunica per affondarvi le unghie.

La sentii poggiare la fronte contro la mia spalla, e aggiungere: «Sei l'unico che io abbia mai amato... ma non è giusto

«Sì che lo è. E te lo dimostrerò.»

Ciò detto mi scostai da lei e, presala per mano, le sorrisi. «Vieni con me.»

«Dove?»

«Lo scoprirai.»

La trascinai con me senza nessun’altra spiegazione, senza darle il tempo di approntare qualsiasi tipo di difesa, o di risollevare le barriere tra noi.

No, la volevo così, libera da inibizioni, libera di dirmi ciò che pensava, libera anche di guardarmi storto come stava, per l’appunto, facendo in quel momento.

Perché non c’era nulla di debole, nel farlo.

Solo… di liberatorio.





 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


 
10.
 
 
 
 
Il sole era splendido, l'aria profumata le scaldava la pelle esattamente come a me e, in quel piccolo angolo di Paradiso, nessuno ci avrebbe disturbati.

Riemersi dopo un paio d'ore di navigazione nell'Oceano, diretti verso sud.

Raggiunto l’isolotto dove intendevo fermarmi, uscii dall’acqua assieme alla mia amata e, con attenzione, percorremmo gli ultimi metri nell’acqua bassa.

«Dove siamo?» mi domandò Ciara, guardandosi intorno con aria affascinata.

L'isola, piccola e allungata, era completamente disabitata, niente più di un piccolo punto sperduto nell'oceano infinito. Ma era tutta nostra.

«Siamo poco a nord-est di Santa Maria, un'isola nel bel mezzo dell'Oceano Atlantico. Questo sperone di roccia è completamente disabitato e, a parte gli uccelli marini e le palme, siamo le uniche creature viventi, qui» le spiegai, prendendola per mano per uscire dall'acqua.

Non appena mettemmo piede sulla sabbia calda, Ciara sorrise, guardandomi come una bambina eccitata.

Erano millenni che non scorgevo più quello sguardo libero da dubbi, da paure, da regole.

Era nuovamente la bambina dei tempi delle senturion.

Bambina che, un attimo dopo, tornò adulta e, con curiosità mista a dubbio, mi domandò: «Perché mi hai portata qui?»

«Perché volevo che tu fossi mia lontano dal palazzo, lontano da ciò che ti fa soffrire, da ciò che ti rende cupa e fredda, quando so benissimo che non lo sei.»

Le carezzai le spalle, il collo, le guance, poi tornai alle sue mani e le sollevai, baciandole con tenerezza.

«Sai bene che, anche se daremo libero sfogo a quello che sentiamo, non cambierà niente, alla fine?» si premurò di dire, imitandomi.

Sentire di nuovo la pressione delle sue labbra sulla pelle, fu elettrizzante.

«Non lascerò che un'altra donna si insinui tra noi due, e scusami se ti ho fatto credere di essere stato interessato a Eithe in quel senso. Avrei dovuto chiarirmi prima, con te.»

Mi sorrise timida, una cosa che non avrei mai pensato di trovare, in lei, e replicò: «E io non avrei dovuto tenerti il broncio per così tante settimane, o morderti per mera gelosia. E' stato sciocco.»

«Ma molto gratificante, ora che ti ho sentita dire che l'hai fatto per questo.»

«Sbruffone» mugugnò, storcendo la bocca.

«Sono un principe. E' un sinonimo» ridacchiai, chinandomi un poco per baciarla.

Stavolta, Ciara mi lasciò fare e, quando sentii le sue mani farsi largo nella tunica per carezzare la mia pelle, gioii dentro di me.

Approfondii il bacio e, lentamente, la accompagnai a terra con me, lasciando che i nostri corpi provassero le sensazioni della sabbia calda sulla pelle.

Il mantello di capelli di Ciara si sparpagliò sotto di lei, simile a una colata d’oro fuso.

Lo carezzai debolmente, lasciando che la mano, poi, tornasse sul suo corpo tonico, di donna e guerriera.

Mentre il sole ci scaldava la pelle, e lo stridore dei gabbiani ci teneva compagnia, liberai Ciara della tunica verde scuro che indossava, lasciando che il vento la accarezzasse.

Così come io la stavo accarezzando con lo sguardo.

Ammirai estasiato i suoi seni, li baciai con reverenziale rispetto ma, quando Ciara fece lo stesso con il mio torace, persi di vista l'autocontrollo che tanto avevo tenuto tra le mani.

Lasciai che mi esplorasse, mentre io esploravo e conoscevo lei, carezzando quella pelle che, fino a quel momento, avevo solo immaginato di poter toccare.

Mi sorprese con la sua intraprendenza, con il suo modo sensuale di muovere quel corpo splendido contro il mio, eccitandolo, bramandolo.

Sorrise lasciva quando sfiorò le mie parti intime, facendomi quasi perdere la testa e, solo a stento, la trattenni dall'andare oltre.

Volevo durasse per sempre, non che finisse subito.

Ed ero molto vicino a rovinare tutto, grazie al suo tocco inaspettatamente esperto.

Per un attimo, mi chiesi quanti altri uomini avessero condiviso piaceri simili con lei, e fremetti.

L’idea di tagliare la testa a ciascuno di loro mi sfiorò per un attimo, ma fui costretto a fermarmi lì.

Che diritto avevo di farlo, dopotutto? Io avevo potuto dilettarmi con molte donne, prima di avere Ciara.

Lei avrebbe potuto chiedere giusta vendetta allo stesso modo, e cosa avremmo risolto?

Uno stuolo di giovani fomoriani sarebbero morti per un colpo di testa di entrambi.

No, meglio darsi una calmata e pensare solo a godere di quei momenti magici con lei.

Le bloccai i polsi sopra la testa, portandola sotto di me e, sardonico, mormorai: «Sei perfida, lo sai?»

«Sei tu che hai voluto scoperchiare il cosiddetto Vaso di Pandora.»

«Mea culpa

Affondai la bocca sul suo collo, e lei si inarcò sotto di me, chiedendo di più.

Era così strano pensare che, la donna che stavo amando, era la Ciara dura e combattiva che difendeva il mio palazzo.

Erano due persone così diverse!

«Non voglio più vederti così chiusa e seriosa. Sei così bella, quando sei libera da freni...» mormorai, tra un bacio e l'altro.

«Se mi presentassi così, chi spaventerei?» replicò, dandomi un morso leggero alla spalla.

Ansimai, e le diedi ragione.

D'altro canto, io mi ero innamorato della guerriera indomita, e avevo solo sperato che vi fosse, sottopelle, quella tigre scatenata che ora mi stava facendo impazzire.

«Allora mi correggo. Solo con me, sarai così.»

«Più... credibile...»

Liberò una delle mani, affondò le unghie nella mia natica e mi condusse a forza verso di lei, facendomi intendere cosa volesse da me.

Risi della sua impazienza, ma la accontentai, affondando in lei con una spinta lenta, morbida.

Ciara reclinò indietro il capo, e mi parve di sentirla miagolare, pure se non ne fui molto sicuro.

In quel momento, la mia mente stava vagando nel piacere più assoluto, perciò non fui del tutto certo di avere percepito bene.

Mi mossi lentamente su di lei, dentro di lei, e Ciara mormorò: «Non sarà... mai più... la stessa cosa...»

«Non ne avrai la possibilità. Nessun uomo ti avvicinerà. Mai più

Odiai il pensiero di altri uomini nella sua vita, del primo che l'aveva instradata nelle arti dell'amore carnale, e non potei fare a meno di provare nuovamente un istinto omicida davvero primordiale.

La marchiai con il mio corpo, la feci mia più e più volte e, quando mi ritenni infine soddisfatto, lasciai che lei facesse di me quello che voleva.

E Ciara mi accontentò.

Si dimostrò dirompente, frenetica e instancabile e, quando il sole cominciò a reclinare a ovest, crollai sui nostri mantelli assieme a lei, stremato e sazio.

Il mio corpo non aveva ancora perso la sua luminescenza, pur se ora appariva più fioca, stanca al pari mio.

Sorrisi sornione alla donna che mi aveva ridotto in quello stato e, un po' provato, mormorai: «Sapevo che avrei trovato questo, in te.»

«E io che pensavo di essermi mascherata meglio» replicò, sorridendomi con aria sonnolenta.

Mi carezzò la pelle e sorrise quando, i punti da lei sfiorati, brillarono con notevole intensità.

Mi parve fiera di scatenare un simile stravolgimento emotivo nel mio corpo.

Se le donne avessero avuto lo stesso tipo di reazione chimica, Ciara sarebbe apparsa ai miei occhi come un'autentica dea.

Non che nuda, e asservita al mio sguardo, non lo sembrasse.

Quel corpo mi chiamava a sé come, un tempo, le sirene avevano richiamavato con l'inganno i naviganti tra le loro braccia.

Scivolai verso il basso per darle un bacio sull'ombelico, e lei ridacchiò.

«Il tuo onore, la tua dedizione, il tuo coraggio, il tuo rispetto verso i sottoposti, il tuo buon cuore... tutte queste qualità hanno plasmato la donna che sei ora... e che io amo.»

Mi sollevai a sedere, volgendomi a mezzo per guardarla, lei ancora distesa sui nostri mantelli.

«Lo hai sempre fatto con modestia e parsimonia di emozioni, ma io sapevo che le tenevi ben strette dentro di te. Nessuna persona arida si sarebbe mai comportata come te, nel corso dei secoli. E questo mi ha sempre affascinato. Desideravo con tutto me stesso che, un giorno, questi tuoi sentimenti scaturissero.»

«Per questo hai passato gli ultimi duecento anni a punzecchiarmi su ogni argomento possibile? A farmi ammattire con le tue uscite non programmate? A darmi il tormento con mille e più combattimenti?» ironizzò, carezzandomi un braccio con dita leggere.

Annuii, sentendomi un po' sciocco nell'ammetterlo.

«Allora è vero che sono tarda» rise sommessamente, sollevandosi a sua volta per darmi un bacio sulla spalla. «Io facevo di tutto, invece, per non cedere ai tuoi tentativi di spezzare il mio autocontrollo. Non avevo capito che lo stessi facendo per liberare... me

«Mi avresti creduto, se ti avessi semplicemente detto che mi piacevi?»

«No.»

«Ci è voluta la tua gelosia nei confronti di Eithe, per spezzare il tuo autocontrollo» la irrisi bonariamente, dandole un buffetto sul naso.

Lei storse la bocca, ma annuì.

«Le devo delle scuse. Anche se non sapeva del mio odio, dovrei comunque scusarmi.»

Scossi il capo, dicendole per contro: «Lei sa che ero interessato a te.»

«Le hai parlato... di me?» esalò, avvampando in viso.

Curioso come, su certe cose, Ciara si imbarazzasse ancora.

Annuii, parlandole di ciò che ci eravamo detti, dei consigli di Eithe e di ciò che avevo compreso, stando con lei.

Carezzandole distrattamente il contorno del viso con un dito, mormorai: «Ero furioso con te, perché non ti comportavi come lei. Desideravo vederti più espansiva, più sorridente, più... beh, più un sacco di altre cose che, scioccamente, pretendevo da te perché volevo che le provassi stando con me.»

Risi contrito, e aggiunsi: «Fu sciocco. Perché avrebbe voluto dire cambiarti, farti diventare una donna diversa da quella che avevo imparato ad apprezzare, e amare, nel corso degli anni.»

«Desideravo esserlo, ma non sapevo come. Ma, più di tutto, avevo paura di esternarti ciò che provavo, perché sapevo benissimo che non avrei mai potuto trattenerti, averti per me solo» ammise Ciara, reclinando il viso.

I suoi lunghi capelli glielo incorniciarono, velando anche il suo corpo statuario.

«Mi batterò per averti, Ciara. Non desidero una moglie con cui non potrò avere un futuro lieto e sereno. Rovinerei la mia, e la sua, di vita, e non è giusto. Farò ragionare i Saggi. Savarhne è già dalla mia parte. Grazie a lui, forse avrò qualche possibilità di spuntarla.»

Ciara sbatté le palpebre, confusa, ed esalò: «Non dirmi che ne hai parlato anche con lui?!»

Risi di gusto, scuotendo il capo di fronte alla sua preoccupazione crescente.

«No! Ho solo parlato con lui di alcuni dubbi che mi arrovellavano, e che riguardavano anche la scelta della mia sposa.»

«E lui cosa ti ha detto?»

«Che le cose sono in continuo mutamento, e che quindi è giusto puntare a un cambiamento. Nella sostanza, mi ha detto questo.»

«E'... una buona cosa» mormorò, pensierosa.

Nel cielo, quasi oscuratosi per la notte, scivolò solitaria una stella cadente e, nell'osservarla, sperai che fosse foriera di buone nuove.

«Credo sia tempo di tornare indietro. Che dici?» asserii, rivolgendo uno sguardo malinconico a Ciara.

«Il mondo continua a girare. Noi dobbiamo muoverci con esso» assentì, levandosi in piedi per indossare nuovamente tunica e mantello.

La aiutai, liberandola dalla sabbia che era rimasta attaccata alla sua pelle e, nel darle un bacio leggero, dichiarai con veemenza: «Troveremo il modo. Te lo prometto.»

«Sei il mio principe. Mi fido.»

Mi sorrise e, con un risolino, corse verso l'acqua e si gettò nell'oceano, mutando in delfino.

Un attimo dopo, la seguii a mia volta.

 
***


Notte e giorno, a Mag Mell, erano scanditi dall'andamento in mare delle correnti.

La luminosità accresceva, o diminuiva, in base al rifulgere della barriera di Savarhne, che delineava quali fossero i ritmi sulla terraferma.

Quando infine giungemmo a casa, la barriera era scura e, oltre essa, potevamo scorgere le creature di profondità e i loro strani corpi bioluminescenti.

Parevano stelle in movimento su un cielo notturno e, per un attimo, mi tornò in mente la stella cadente che avevo visto con Ciara, poche ore prima.

Nell'avvicinarmi con lei a palazzo, l'uno vicino all'altra senza esserlo realmente, seri entrambi ed entrambi pacifici, trovammo piuttosto strano vedere giungere di corsa un trafelato Konag.

Quando ci vide, sorrise spontaneamente e, accelerata l'andatura, ci raggiunse quasi senza fiato, l'aria sconvolta e preoccupata.

Si piegò in avanti, poggiando le mani sulle cosce, ed esalò: «Finalmente... vi ho trovato... principe...»

«Che succede, Konag? Perché tutta questa fretta?» gli domandai, chiedendomi cosa fosse successo, di così grave, nella mezza giornata che avevamo passato lontano da Mag Mell.

«Sono salito in superficie non appena la tempesta si è chetata. Ero d'accordo con Eithe di... beh...»

Si bloccò, guardando dubbioso Ciara, ma io lo tranquillizzai, invitandolo a continuare.

Annuendo, Konag allora proseguì nel suo racconto, parlandomi del suo arrivo sulla costa, e di Megan che lo attendeva sulla spiaggia come da programma.

Ci disse di quello che, al loro arrivo a casa di Megan, avevano trovato in giardino, e di quello che la donna era riuscita a fiutare.

L'odore di Caitlinn.

Questo li aveva messi in allarme, portandoli a cercarli nel vicino boschetto, ma senza esito alcuno.

Sempre più in ansia, Megan si era vista costretta a chiamare una delle sentinelle del branco per avere notizie sull'amica, ma di lei non si era vista traccia, nel circondario.

«Megan mi ha spiegato che, di solito, i combattimenti al primo sangue devono avere almeno un testimone, oltre a essere convalidati dal capoclan. Primo, per via della loro aura, come abbiamo potuto testimoniare noi stessi. Secondo, perché qualcuno deve dichiarare ufficialmente la fine dello scontro e il suo risultato. Terzo, perché Fenrir deve essere d’accordo nel consentire lo scontro. Ma nessuno degli interpellati ha detto di averle viste.»

Il suo tono si fece nervoso, concitato, e aggiunse: «Questo, per loro, è un periodo di transizione, perché la loro Fenrir sta delegando tutti i suoi poteri al nuovo capobranco. A quanto pare, si sente ormai troppo stanca per continuare, perciò c'è in atto un cambio di potere al vertice, e Caitlinn pare interessata a diventare Prima Lupa.»

Spiegai succintamente a Ciara cosa fosse una Prima Lupa, ovvero la compagna del capoclan, e quali gerarchie vi fossero all'interno del branco, ivi compresa la figura di Fenrir.

Lei annuì, torva in viso, e asserì: «Un'arrampicatrice sociale, eh?»

«Evidentemente, finché la loro Fenrir era in carica, le bastava la figura di un Freki, per sentirsi importante. Ma ora punta al massimo,… alla Corona» borbottai contrariato quanto furente. «Se penso che ha tartassato Eithe per un uomo che neppure vuole veramente, mi viene voglia di sgozzarla con le mie stesse mani.»

«Temo vi dovrete mettere in fila. A quanto pare, il Freki in questione, saputa della sparizione di Eithe e Caitlinn, si è messo alla loro ricerca, e pare avere un diavolo per capello» ci spiegò Konag, torvo in viso.

«Andiamo a dare loro una mano. Possiamo tenere sott'occhio la costa molto meglio di loro... anche al buio» disse a quel punto Ciara, il cipiglio del comando ben evidente sul suo viso. «Se sono nelle sue immediate vicinanze, le troveremo.»

Annuii, dandole una pacca sulla spalla, e aggiunsi: «Io e Konag conosciamo lo spettro mentale di Eithe. Potremmo rintracciarla anche così.»

«Spettro... mentale?»

Sbatté le palpebre, mi fissò con aria inquisitoria e, alla fine, Ciara aggiunse: «Dovrai spiegarmi un po' di cose, Stheta. Perché ho idea che tu abbia omesso un po' di punti, nel tuo racconto.»

«Non ce n'è stato il tempo» sottolineai, sorridendole sghembo.

Lei non diede adito di avermi sentito – o fece finta di nulla, per non arrossire di fronte al mio velato accenno alla nostra nuova situazione.

Dopo aver scrutato la barriera, dichiarò lapidaria: «Andiamo. Non c'è tempo per discorrere oltre.»

Senza ulteriore indugio, ci dirigemmo verso il limitare della barriera e, dopo averla oltrepassata, nuotammo sotto forma di delfini fino alla riva, dove riprendemmo forma umana.

Lì, sulla spiaggia, trovammo Megan ad attenderci.

Era evidente che Konag le aveva assicurato aiuto, ma che fosse passato parecchio tempo da quando un simile giuramento era stato espresso. Appariva sconvolta e in ansia.

Ci fece un cenno e, nel raggiungerci sul bagnasciuga, lanciò solo una breve occhiata a Ciara prima di dire tesa: «La zona sud di Dublino è interamente perlustrata dalle sentinelle mentre, a est e a ovest, ci sono dei miei amici fidati. Resta la costa a nord.»

«Ci dirigeremo lì» assentì Konag, dandole una pacca consolatoria sulla spalla.

Megan annuì, mormorando pensosa: «E' strano perché, a un certo punto, la traccia olfattiva si è persa. Siamo arrivati su una strada di campagna, e poi più nulla. Probabilmente sono salite in auto, ma per dove?»

«Fin dove potete arrivare, come olfatto?» si informò a quel punto Ciara, pratica come sempre.

«Dalle sei alle dieci miglia, con il vento buono. Se siamo contro vento, invece, è completamente nullo. Ma il punto è un altro. Nessun lupo combatterebbe mai al di fuori dal proprio territorio, e la zona che è controllata dal nostro capo branco non si estende molto a sud, rispetto a Dublino. In città, inoltre, non si sarebbero mai permesse di combattere.»

«Procederemo a nord e...»

Mi bloccai, pensando bene a come fosse composta la costa intorno a Dublino, e dichiarai un attimo dopo: «Se fossero entrate in acqua, avreste perso le loro tracce, vero?»

«Sì, perché?» esalò Megan, prima di iniziare a comprendere dove volessi andare a parare.

«Ci sono isole, nei dintorni?» mi domandò Ciara, già sorridendo speranzosa.

Annuii ma, prima ancora di parlare, un'auto si fermò nei pressi della spiaggia e, a discenderne, fu niente meno che Díomán.

Ancor più oscuro di quanto lo ricordavo, i corti capelli e la barba incolta che gli adombrava il viso aggrottato, discese il breve terrapieno che lo divideva dalla spiaggia.

Muovendosi con rapide falcate, in breve fu da noi e, dopo averci squadrato tutti, mi riconobbe e disse: «Fomoriano. Allora, Megan aveva ragione. Sei qui per dare una mano?»

«Se mi è possibile. Siamo stati informati di ciò che è successo e, visto che possiamo procedere in acqua più speditamente di voi, ci siamo offerti di pattugliare le coste.»

Annuì, sempre più torvo in viso.

«Non ci rimane che il mare, a questo punto, perché la terra è stata scandagliata per bene. Cosa proponi, dunque, fomoriano?»

«Ci sono due isole, nelle vicinanze. Ireland's Eye e Lambay Island. Hanno avuto tutto il tempo di raggiungerle, visto il tempo che è passato da quando sono scomparse, perciò punterei le nostre ricerche lì.»

Díomán annuì e, lapidario, sentenziò: «Quando le troverò, spiegherò bene loro cosa vuol dire farmi arrabbiare

Preferii non dirgli i motivi della sfida e, lanciata un'occhiata al mare calmo, domandai: «Le vostre capacità di nuotatori?»

Megan e  Díomán si guardarono vicendevolmente ma, alla fine, dovettero ammettere che non erano di molto superiori a quelle di un cane comune.

Io e Konag annuimmo all'unisono e, nel lanciare un'occhiata a Ciara, che assentì, dichiarai: «Tu, Díomán, verrai con me e Ciara. Andremo a Ireland's Eye. Konag e Megan punteranno verso nord, a Lambay Island. Chi le troverà per primo, avvertirà l'altro.»

Annuimmo praticamente all'unisono ma, quando ci dirigemmo verso il mare,  Díomán mi domandò: «Come intendi arrivarci?»

Gli sorrisi e, ammiccando, dissi: «Io, nuotando. Tu... a cavallo di un delfino.»

Mi guardò stranito, ma assentì.

Ciara, gettandosi per prima, mutò forma e mi attese in acqua.

Io la raggiunsi, subito seguito dal licantropo che, con un mezzo sorriso, scavalcò la mia groppa e borbottò: «Mai fatta una cosa simile.»

“C'è sempre una prima volta.”

“Oh, bene... così sarà più semplice parlare.”

“Ringrazia Eithe, che mi ha insegnato a farlo.”

Lui ringhiò in risposta, e si limito a dire: “Quando la vedrò, dovremo parlare di un bel po' di cose, io e lei.”

“Non essere duro. Ne ha passate anche troppe.”

“Proprio per questo! Se aveva dei problemi con Caitlinn, avrebbe dovuto dirmelo!”

Risi tra me, chiedendomi se la cecità in amore fosse universale.

Non aprii bocca in merito e, dopo aver fatto un cenno a Konag di allontanarsi con Megan in groppa, io e Ciara ci muovemmo a nostra volta.

Sperando che non fosse troppo tardi per fermarle.

 
***

Non fu difficile notarle, anche nell'oscurità che avvolgeva la piccola isola rocciosa di Ireland's Eye.

Prima ancora di poter avvicinarci alla costa,  Díomán smontò dalla mia groppa per iniziare a nuotare verso riva, un ringhio stampato in viso e gli occhi di un singolare color bianco.

Neppure un attimo dopo, mutò forma, un enorme lupo argentato dalle orecchie e la coda nere.

Fluttuò quasi sull'acqua prima di trovare la sabbia della piccola spiaggia e lì, senza attendere il nostro arrivo, si arrampicò sulla scogliera infilando gli artigli nella roccia.

Fu un'autentica espressione di potenza, oltre che di disperata urgenza.

Quando io e Ciara raggiungemmo la spiaggia, il lupo aveva già quasi raggiunto la radura sovrastante.

«Impressionante» esalò Ciara al mio fianco, iniziando la risalita verso l'alto.

«Abbastanza» assentii, seguendola lungo l'erta. «Ma voglio avvertirti fin d'ora. Non riappariranno gli abiti, quando torneranno umani.»

«Cosa?!» esalò, avvampando in viso per l'imbarazzo.

«Non funziona come con noi, mi spiace. Perciò, preparati.»

Un attimo, e poi mi chiese torva: «Hai visto Eithe e Megan nude

«Ehm... sì. Ma giuro, non ho sbirciato!»

Mi fissò malissimo, ma lasciò perdere a causa dell'urgenza che muoveva i nostri passi. Ero sicuro, comunque, che non me l'avrebbe fatta passare liscia.

Quando infine raggiungemmo la radura erbosa, riuscimmo a scorgere le due lupe impegnate nella lotta e, a sorpresa, il ringhio di benvenuto con cui accolsero Díomán.

Eithe, in particolare, gli ringhiò contro furente e, grazie alle mie nuove capacità, riuscii a comprendere perfettamente ciò che disse all'uomo che amava.

“Devi restarne fuori. Ormai, voglio arrivarci in fondo!”

“Ma non capisci che è illegale, Eithe?! Non potete combattere senza testimoni e, soprattutto, senza l’autorizzazione di Felicity! Fenrir vi farà fuori, se verrà a saperlo!”

“Beh, ora ci sei tu! Ci farai da testimone!” sbottò Eithe, fuori di sé dalla rabbia.

Díomán uggiolò contrariato, ribattendo per tutta risposta: “Non me ne starò qui a guardare mentre Caitlinn ti fa del male!”

“Tutto da vedersi!”

Un attimo dopo, Eithe si lanciò nuovamente all'attacco di Caitlinn e, sotto i nostri occhi sconvolti, l'aspra battaglia tra le due lupe proseguì.

Impotente, e obbligato a non intervenire per espresso desiderio di Eithe, a Díomán non restò altro che contenere le loro auree con il suo potere.

Io e Ciara, lì accanto, restammo in religioso silenzio, impressionati dalla violenza e dalla velocità dei colpi inferti.

Non avevo mai visto Eithe così infervorata, così convinta... così sicura di sé.

Non sapevo se fosse per merito di Konag, o se il gesto di Caitlinn l'avesse fatta infuriare al punto da farle perdere di vista le sue paure.

A ogni modo, stava combattendo da vera maestra.

Schivò con abilità i fendenti dell'avversaria, ribattendo con altrettanta velocità.

Díomán tenne le orecchie basse, in ansia, non perdendosi un solo attimo di quella battaglia senza un vincitore.

Allo stesso modo, noi osservammo quei due enormi lupi combattere tra loro, ammaliati da tanta eleganza e forza.

Pur essendo preoccupato per Eithe, fui anche orgoglioso di lei, della sua possanza, della sua capacità di muoversi sotto attacco.

E, a giudicare dallo sguardo di Ciara, anche lei trovò affascinante quel combattimento. Ne rimase rapita.

Fu grazie a un colpo di zampa ben assestato, che Eithe decretò la sua vittoria, ferendo Caitlinn a un occhio.

Subito, Eithe si allontanò, non desiderando infierire ma, prima che tutti noi potessimo congratularci con lei, Caitlinn si rialzò per aggredirla, in barba alle regole.

Fu Ciara che ci precedette.

Avanzò rapida e, calando un pugno sul muso della lupa, la colpì direttamente sul tartufo, facendola uggiolare di dolore.

Questo bastò a sedare le sue ultime velleità e Ciara, rivolgendomi un sorrisino, scrollò le spalle e dichiarò: «E' pur sempre un cane. E ai cani fa male essere colpiti sul naso, o sbaglio?»

Scoppiai a ridere e, raggiuntala, la abbracciai, esclamando: «Tu sei matta da legare! E' grossa il doppio di te, e tu ti metti in mezzo?»

Scrollò nuovamente le spalle, ma accettò l'abbraccio e, lanciando un'occhiata d'intesa con Eithe, asserì: «Basta l'astuzia, a volte, non la stazza.»

 
***

“Che cosa diavolo vi è saltato in mente, si può sapere?! Dovreste saperlo benissimo entrambe che non si può combattere senza testimoni! E' pericoloso, oltre che illegale!”

La voce di Díomán risultò così potente, nella mia mente, da farmi trasalire.

Non osai immaginare quanto stesse urlando in quelle di Eithe e Caitlinn, che ora giacevano ai suoi piedi, i musi rivolti verso il basso.

Ciara mi guardò, dubbiosa, così mi vidi costretto a spiegarle cosa stesse succedendo.

«Sta facendo loro una ramanzina coi fiocchi.»

«Ne avevo il sospetto. Sento un ronzio fastidioso nella testa, e ipotizzavo fosse a causa sua. Avverto onde davvero potenti, anche se non ne distinguo bene la natura.»

Le sorrisi. «Se vuoi, posso insegnarti come si fa a percepirle meglio.»

«Mi piacerebbe.»

Lo disse con sincerità, non per compiacermi, e questo mi rese felice. Non volevo che si limitasse a dirmi sempre di sì, solo perché ero il principe. E il suo amante.

Volevo che potesse fare quello che desiderava per se stessa, non per soddisfare gli altri.

Tornando a scrutare il trio di lupi a poca distanza da noi, mi chiesi se la manfrina di Díomán sarebbe andata avanti ancora per molto.

Stava veramente mettendoci tutto il suo impegno, per apparire terrificante.

“Questa cosa non passerà sicuramente sotto silenzio, Caitlinn, puoi starne certa! Non ci si impone a questo modo su un altro lupo, e solo per il piacere personale di volerlo vedere sconfitto!”

“Sempre a difendere la povera, piccola Eithe! E' una vita che si va avanti così! Tutto il branco la protegge come se fosse un cucciolo spaurito!”

“Che cosa?!” sbottò Eithe, intervenendo nella discussione tra Caitlinn e Díomán. “E da quando in qua, sono stata protetta e coccolata?! Ho combattuto le mie battaglie esattamente come gli altri e, se ben ricordo, con te ho sempre perso... a parte oggi. Quindi, dimmi quando sono stata portata in palmo di mano!”

Sentirla così furiosa mi fece capire che la sua paura, nei confronti dell'altra lupa, era definitivamente svanita, e nei fui lieto. Il punto, era capire come sarebbe andato a finire quel guaio.

Non ero del tutto certo che, un'infrazione al protocollo, potesse passare sotto silenzio.

“Fenrir ti ha sempre tenuto sotto la sua ala, da quando Sebastian ti ha aggredita! Lo sanno tutti!”

“L'avrebbe fatto con uno qualsiasi dei lupi del suo branco, razza di idiota! E poi, se proprio volevi essere tu al centro dell'attenzione per un motivo simile, ti avrei ceduto volentieri lo scettro, credimi! Non mi è mai piaciuto vedere, negli occhi della gente, quelle occhiate piene di rincrescimento e contrizione!”

Puntò il muso in direzione del suo fianco sinistro, dove era visibile una cicatrice vecchia di anni, non nascosta dal manto di lupo.

“Questa la porterò a vita! E pensi che mi piaccia? E' uno sfregio che porto da quando ho nove anni! Sebastian rischiò di amputarmi una gamba, quella volta! Persi tanto di quel sangue che, per poco, non riuscirono a salvarmi! I miei genitori dovettero portarmi fino al Santuario di Cork, per salvarmi, e solo per l'ingiuria di quell'idiota di mio cugino! Volevi il mio posto? Beh, te l'avrei ceduto volentieri!”

“Ci hai sempre marciato dentro, con quella faccia da innocentina e i tuoi modi delicati!”

L'ingiuria di Caitlinn suonò così querula e infantile, che mi venne voglia di tirarle un orecchio, tanto mi fece arrabbiare.

Ci pensò Díomán a rimetterla in riga.

Le ringhiò contro, mostrando una fila di zanne paurose, tanto che sia io che Ciara indietreggiammo di un passo, sgomenti.

Erano davvero inquietanti.

Caitlinn si stese a terra, a quel punto, del tutto doma... almeno con il corpo. Di certo, non con le parole.

“Non mi vorrai dire che le credi, Díomán? Ma non vedi che fa di tutto per apparire la vittima della situazione?”

“Un'altra parola, Caitlinn, e giuro che ti strapperò la lingua a morsi” gli ringhiò contro il licantropo.

“Se pensi che io sia una vittima, Caitlinn, allora non hai capito nulla di me, e io non perderò altro tempo, con te. Ti ho sconfitta, e questo mi basta. Non devo condividere altro con te, oltre alla terra che calpestiamo. Caccia lontano da me, se puoi, e io farò lo stesso.”

Non compresi bene quell'ultima frase, ma ipotizzai avesse a che fare con qualche loro rituale.

Trattandosi, i lupi, di animali molto territoriali, ipotizzai che la sua richiesta di cacciare lontano da lei sottintendesse anche un altro genere di monito.

“Tieniti pure Díomán, se ti interessa tanto. Io punterò molto più in alto.”

Ciò detto, si alzò zoppicante sulle sue zampe e se ne andò caracollando, dirigendosi verso il lato opposto dell'isola, presumibilmente con l'intenzione di tornare sulla terraferma.

Né Díomán, né tanto meno Eithe tentarono di fermarla. Non erano più interessati a lei.

Quanto, piuttosto, alla bomba che la donna aveva sganciato prima di andarsene.

“Combattevate... per questo?”

“No. Volevo dimostrare a me stessa di potercela fare. E' ben diverso.”

Il muso di Eithe reclinò verso il basso, quasi a smentire in parte la sua affermazione.

“Quando vorrò una donna a questo modo, te lo dirò. Per il momento, io e te, dobbiamo fare un lungo discorso, razza di sciocca che non sei altro.”

Díomán non fu delicato nell'esprimersi, ma le leccò il muso un paio di volte, il che mi fece pensare che, più o meno, le cose erano andate a posto.

Un attimo dopo, dai loro corpi fuoriuscì una patina oleosa e, già conoscendo cosa sarebbe venuto in seguito, afferrai Ciara e la volsi di peso, asserendo: «Se sei debole di stomaco, e non vuoi arrossire fino alla fine dei tuoi giorni, non guardare
In barba alle mie raccomandazioni, si volse a mezzo, replicando: «Ho visto corpi squartati in guerra, Stheta. Cosa vuoi che sia...»

Si bloccò a metà della frase e, sul suo viso, iniziò a comparire un profuso rossore.

Gli occhi si sgranarono, la bocca si socchiuse per lo shock e, a quel punto, non potei che seguirne lo sguardo.

Díomán era già completamente in forma umana... una splendida, enorme forma umana maschile che mi portò, su due piedi, a forzare Ciara perché si volgesse nuovamente.

D'accordo essere aperti, ma qui si esagerava!

Ciara rimase rigida come un bastone, gli occhi spalancati e l'aria di una che aveva appena visto un dio in carne e ossa.

Storsi la bocca, vagamente indispettito, e borbottai: «Te l'avevo pur detto, no?»

«Ah... già. E'... è grosso. Enorme, direi.»

«Centodieci chili di muscoli per due metri di uomo, più o meno» brontolai, sentendomi molto prossimo a un attacco di gelosia.

«Lo hai esaminato così da vicino?» esalò, fissandomi stranita prima di capire. Sorrise divertita e, maliziosa, aggiunse: «Oh... ti senti... in competizione?»

«Smettila, Ciara. Credi che non sappia che è più grosso di me? Ci vedo benissimo

Il suo sorriso si accentuò e, con un gesto che sapeva di intimità e cameratismo, poggiò il capo contro la mia spalla, mormorando: «Mi piaci tu, però.»

«Lo spero bene!» sbottai, volgendomi poi a mezzo quando sentii ridere Eithe.

Díomán, di spalle, copriva per intero il corpo minuto di lei che, salutandomi da dietro la sua enorme figura, esclamò: «Megan mi ha appena detto di non aspettarla!»

«Oh» esalai, ridacchiando.

Ciara a quel punto si volse verso di me, curiosa, e domandò: «In che senso, scusa?»

«Mi ero dimenticato di dirti che, beh, Konag e Megan hanno una specie di storia.»

Strabuzzò gli occhi, mi fissò stranita e infine esalò un sospiro di esasperazione, chiosando: «Tuo padre chiederà la mia testa, se perderò Konag per una donna che non sia fomoriana.»

«Ci farà il callo» replicai, facendo spallucce.

Con un sorriso divertito, osservai Díomán dare una pacca sul capo di Eithe, scompigliandole i riccioli biondi come se fosse stata una bambina.

Lei sorrise, del tutto incurante delle loro rispettive nudità.

Era proprio vero che, per loro, quel genere di tabù non esisteva.

Díomán si volse a mezzo, guardandoci, e mi disse: «Ti devo un favore, fomoriano, e io pago sempre i miei debiti. Per ora ti ringrazio, ma mi farò sentire.»

«L'importante è aver risolto la situazione prima che potessero succedere guai seri. Mi basta questo» replicai, sorridendo a Eithe, che pareva a dir poco raggiante.

Mi sorrise e, lasciato il fianco di Díomán, corse da me per abbracciarmi, stampandomi un bacio sulla guancia.

«Non potrò mai ringraziarti abbastanza!»

Un attimo dopo, si scostò da me – che ancora avevo difficoltà a muovermi – e si gettò su Ciara, rigida come un palo di legno.

«Grazie anche a te! E' bellissimo vedervi insieme, sapete? Non potevate farmi regalo più bello!»

Il suo sorriso le illuminò a giorno il viso e Ciara, dopo quell'iniziale momento di smarrimento, la scrutò con gratitudine e asserì: «Dovrei essere io a ringraziare te. Mi hai aperto gli occhi su un sacco di cose.»

«Io?» esalò Eithe, scostandosi da lei con espressione confusa.

Ciara annuì e, sorprendendo forse se stessa per prima, si chinò a baciare Eithe sulle guance.

«Mi hai dato un coraggio che non sapevo di possedere.»

Eithe allora sorrise, mi guardò, e disse: «E lui lo ha dato a me.»

«Parlerete approfonditamente dei meriti l'uno dell'altra più avanti, ma ora è meglio sparire. I pescherecci si muoveranno a breve dal porto, e non credo sarebbe saggio farsi vedere in giro» intervenne Díomán, fissandoci con ironia.

Ciara fu lesta ad avvolgere le spalle di Eithe con un braccio e, fissandomi divertita, dichiarò: «Io porterò indietro Eithe, è chiaro.»

Ciò detto, si allontanò per raggiungere la scogliera, lasciandomi solo con Díomán, che fece spallucce, dichiarando: «Mai mettersi contro una donna. Non lo sai?»

«Oh, ne conosco un paio che farebbero rabbrividire persino te.»

Il pensiero corse a mia madre e a Lithar e, con un sogghigno, mi accodai alle signore.








Note: Presto scopriremo come Dioman ha intenzione di ringraziare Stheta, e come il nostro principe deciderà di agire per portare sul trono la sua Ciara. Non dimenticatevi del Santuario di cui ha parlato Eithe, perché tornerà più avanti, nell'ultima storia dedicata a Lithar. (niente va mai buttato). Per ora, grazie per avermi seguita fino a qui.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


 
11.
 
 
 
 
 
Díomán non aveva scherzato, dicendo che si sarebbe sdebitato con me e Ciara per l'aiuto che avevamo fornito a lui e al branco.

L'invito mi arrivò a sorpresa, un pomeriggio grigio ma senza pioggia, quando andai a trovare Eithe per sapere come stesse.

Ciara preferì rimanere a Mag Mell, quel giorno.

I suoi impegni come capitano delle guardie non le permettevano di muoversi con la libertà concessa, invece, a me.

Inoltre, desiderava che io parlassi da solo con Eithe.

Ora che sapeva di non dover temere nulla da lei, aveva anche chiaro quanto fosse importante, per Eithe, parlare con me di ciò che era avvenuto sull’isola.

E non soltanto riguardo alla sua prima vittoria come licantropa.

Come sempre, perciò, raggiungemmo il Phoenix Park e, all'ombra dell'ormai nostro acero rosso, mi disse cosa era successo dopo la nostra separazione dall’isola.

Mi spiegò come Díomán l'avesse sgridata per non aver parlato con lui di ciò che le stesse succedendo, per aver mantenuto il segreto sulle minacce di Caitlinn.

Ma, soprattutto, mi disse quanto si fosse dichiarato sorpreso di sapere dei suoi sentimenti per lui.

Rise, nel dirlo, come se solo uno sciocco non avrebbe potuto arrivarci anche da solo.

Le domandai come andassero le cose, tra loro, e lei ammise che stavano uscendo insieme per conoscersi un po' meglio.

Ne fui lieto per lei.

Ma fu a quel punto che arrivò la bomba.

Díomán aveva informato la loro Fenrir del nostro impegno per salvare una situazione potenzialmente pericolosa, e ora la capobranco voleva conoscerci personalmente.

Assieme a una presenza esterna al branco, desiderosa di partecipare a quella riunione così insolita quanto unica, per un clan mannaro.

Non mi disse di chi si trattava, ma la cosa mi incuriosì molto.

Eithe mi spiegò succintamente che, essere ammessi al cospetto della loro quercia sacra, che sorgeva in ogni loro Luogo di Potere, era considerato un grande onore.

Avendo ormai saggiato con mano il misticismo di quelle creature, oltre al loro profondo legame con la natura, non faticai a credere alla mia cara amica.

Da sempre, le religioni pagane erano legate ai culti della Terra, perciò non faceva specie che anche i licantropi avessero simili credenze.

Inoltre la quercia, in quasi tutti i territori del nord, era considerata pianta sacra, perciò non mi stupii neppure di quel particolare.

Considerai questo invito una cortesia davvero inaspettata e doppiamente gradita perché, all’evento, sarebbe stata ammessa anche Ciara.

Dopo aver lasciato parlare Eithe, la ringraziai per il generoso quanto inaspettato invito.

Sorridendomi nello scuotere il capo, lei però replicò: «La nostra Fenrir ti è grata anche per l’aiuto che mi hai dato come amico. Ciò che hai fatto per me è stato molto importante. Lei riconosce questo, prima di tutto. Il fatto che tu sia un principe fomoriano, viene soltanto dopo.»

Allungandomi una mano, mi spinse ad alzarmi da terra e aggiunse: «Vorrei mi accompagnassi in ufficio, oggi. Desidero fare una cosa.»

Le sorrisi spontaneamente, annuendo, e accettai quella mano che, ora, stringeva la mia con maggiore forza.

Non aveva più bisogno del mio aiuto e, qualora lei avesse avuto bisogno di qualcosa, un’altra mano avrebbe stretto la sua.

Le sarei sempre stato amico, ma ora potevo stare più tranquillo, sapendola al fianco di un licantropo potente come Díomán.

Raggiungemmo la sede del National Geografic nel giro di mezz'ora e, quando ci presentammo in ufficio, trovammo ad attenderci sia Todd che Sheridan, impegnati in una discussione colorita.

Risi nel sentirla così sboccata e lei, vedendomi, si interruppe per salutarmi e lanciarmi un bacio con lo schiocco.

«Ma come? Tampini ancora Eithe? Devo suonartele di nuovo, cognatuccio?» ironizzò, scusandosi con il loro capo per raggiungerci.

Mi diede un bacio sulla guancia, tutta sorrisi e allegria e infine guardò l'amica, notando subito qualcosa di diverso, in lei.

Storse il naso, la fissò con maggiore attenzione e infine dichiarò: «Ti sei fatta un uomo!»

Le nostre reazioni furono differenti, ma tutti noi esprimemmo chiaramente cosa ne pensassimo della mancanza di filtri nella testa di Sheridan.

Todd si affrettò a rifugiarsi nel suo ufficio, io mi passai una mano sulla faccia, esasperato ed Eithe, scoppiando a ridere, arrossì in viso ma annuì.

«Non sei tu, ne sono sicura. Altrimenti, Ciara ti avrebbe già castrato. Quindi?...»

Fissai malissimo Sheridan, che pareva del tutto priva di freni, in quel momento, ma lei scrollò le spalle, replicando serafica: «Oh, andiamo! Pensavi davvero che non sarebbe venuta a dirmelo? Non ci sei solo tu, che passeggi allegramente per Dublino. Cosa credi?»

La notizia mi lasciò sconcertato per un attimo, ma poi mi ritrovai a sorridere.

Cosa mi ero aspettato, dopo tutto?

Mi ero convinto davvero che, in tutte quelle settimane passate a bighellonare per la terraferma assieme a Eithe e Konag, Ciara fosse rimasta semplicemente a palazzo?

No, aveva agito nell’ombra per non irritarmi – come aveva sempre fatto nel corso dei secoli – e si era rivolta all’unica persona possibile.

Sheridan.

Dopotutto, quelle due, si erano piaciute al primo sguardo.

Nessuna stranezza che, in un caso come quello, Ciara avesse cercato la compagnia di Sheridan e il suo consiglio.

In parte, ne fui lieto. Era bello sapere che anche lei aveva un'amica con cui confidarsi, oltra a una spalla a cui chiedere assistenza.

Dall'altro, mi chiesi quanto Ciara si fosse aperta con Sheridan.

Non ero sicuro di voler far sapere proprio tutto, alla mia cara cognata.

«Sherry, posso parlarti un momento?» intervenne a quel punto Eithe, afferrando una mano dell'amica con aria speranzosa.

«Eh? Ma certo.»

Ci guardammo un momento, e Sheridan parve un po' confusa da quello scambio di sguardi. Ma io ormai avevo compreso.

Voleva dirle la verità, e chiedeva il mio sostegno in quell'impresa.

Insieme, la accompagnammo nel suo ufficio e, dopo essermi appoggiato alla porta chiusa, Eithe prese un gran respiro e disse: «Quel giorno, al matrimonio, non ho capito che Stheta era diverso a causa di Krilash. Sapevo già da prima che anche Ronan, lo era. Vederli tutti assieme, mi ha solo dato la conferma che qualcosa non quadrava.»

Sheridan annuì, il fianco poggiato contro la scrivania, l'aria attenta e pensosa.

Non mi arrischiai a curiosare.

Eithe mi aveva detto che, con gli umani, poteva essere rischioso, o addirittura del tutto inutile, ficcare il naso nei loro pensieri.

Non volevo correre rischi, con la mia adorata cognata, perciò dovetti accontentarmi di attendere che Eithe proseguisse.

«Visto che sai già che esistono creature diverse dagli umani, al mondo, forse non ti sarà difficile accettare anche me» mormorò, guardandola speranzosa.

Sheridan si irrigidì un poco ma annuì cauta, replicando: «Sei un abitante delle stelle anche tu?»

Scosse il capo e, mordendosi il labbro inferiore, quasi si sentisse in colpa per ciò che stava per dirle, sussurrò d'un fiato: «Sono un licantropo.»

Sheridan, come al solito, mi sorprese.

Non solo non diede di matto, ma si limitò a sorridere.

Forse il suo fu un sorriso un po' isterico, lo ammetto, ma non si alterò minimamente, né esplose a ridere di fronte a una simile dichiarazione.

Si limitò ad avvicinarsi a Eithe, la abbracciò e, rasserenata, dichiarò: «Allora, d'ora in poi starò più tranquilla, perché so che puoi difenderti anche da sola, se qualcuno fa il bullo con te.»

«Oh, Sherry!» esalò Eithe, stringendola a sé con veemenza.

«Ahia! Ehi, calma! Ci sono io, qui in mezzo!» gracchiò Sheridan, scoppiando a ridere con l'amica, che era in lacrime. «No, tesoro, non devi piangere. Mi sta bene, davvero. E poi, cosa c'è di peggio che avere per cognato un uomo pesce? Niente, credo.»

Nel dirlo, mi strizzò l'occhio. «C'è di bello che, per lo meno, dopo tre giorni non puzza.»

Quest'ultima battuta mi fece tossicchiare, ma lei non vi badò.

Era troppo impegnata a guardare l'amica con i suoi brillanti occhi di cielo, e ad asciugare quelli di Eithe con gesti materni.

«Avevo paura che non avresti potuto accettarlo ma, quando ho saputo di Stheta, Ronan e gli altri, mi sono sentita più fiduciosa.»

«Eppure sono passati mesi, da quel giorno. Siamo a novembre, e il matrimonio si è tenuto ad agosto.»

Eithe allora mi guardò da sopra la spalla, e disse: «Prima, dovevamo risolvere un paio di cosette.»

Sheridan ci guardò dubbiosa, ma chiosò: «Cose vostre. Non mi impiccerò. Quindi, devo supporre che quella specie di armadio a tre ante che vidi quel giorno, al parco, sia un lupo mannaro a sua volta... e che sia lui l'uomo che tu hai nel tuo carnet, ora.»

«Diciamo che Díomán e io stiamo esplorando vari sentieri, al momento...»

«E detto da una lupa, ha tutta una serie di significati piccanti e divertenti» ridacchiò Sheridan, tornando ad abbracciare l'amica. «Ah, cara, sono così contenta!»

«Anch'io, Sherry. Anch'io

 
***

La zona di Glenncullen, a sud di Dublino, è immersa in un bosco di faggi, querce e infiniti pendii verdeggianti.

Al chiarore del tramonto, appaiono oscuri e cupi, ombrosi come l’umore di un drago appena destato dal suo sonno.

Nessun drago, comunque, ci avrebbe disturbati, quella notte.

Per lo meno, fu quello che sperai quando raggiungemmo il limitare della stradina imboccata dall’auto di Eithe.

Aperto un cancello in ferro, che delimitava una proprietà privata – appartenente al branco – Eithe proseguì per un altro mezzo miglio.

Si fermò poco più avanti, in prossimità di un altro paio di auto, diversi minivan e una moto da cross.

Chi fosse venuto, a novembre inoltrato, con una moto dalle gomme chiodate, era da stabilire.

Di sicuro, con la neve caduta in quei giorni, era un veicolo per pochi eletti.

Eletti pazzi, ovviamente.

Nel vederla, Eithe ridacchiò e, scesa che fu assieme a me e Ciara, dichiarò: «Quella è sicuramente di Kenneth, il nostro Geri. Non lo vedrete su un'auto neanche da morto.»

Io e Ciara ci rattrappimmo nei nostri parka imbottiti, chiedendoci come  potesse sopportare, un comune umano – pur se sicario – un gelo simile in groppa a una moto.

Era proprio vero che, per certe cose, si doveva essere portati.

Quando iniziammo infine a penetrare nella fitta faggeta, lo scricchiolio della neve sotto i nostri piedi ci fece venire ancor più freddo.

Il sole terminò la sua discesa oltre l'orizzonte, e le prime stelle iniziarono a intravedersi nel cielo.

L'aria si fece gelida e, proseguendo lungo un sentiero che solo Eithe vedeva – non grazie alla torcia che teneva in mano – , mi chiesi cosa avremmo trovato al nostro arrivo.

Eithe ci aveva spiegato che il Vigrond era un luogo sacro, dove venivano celebrati gli eventi più importanti del branco, tra cui nascite e morti.

La nostra venuta nel loro sacrario aveva un che di unico e, da quello che la stessa Eithe ci aveva accennato, non solo per la nostra presenza del tutto eccezionale.

Qualcuno di molto speciale desiderava vederci.

«Com’è successo che questo qualcuno di così importante è venuto a sapere di noi?» domandai a un certo punto, scostando un ramo basso di un carpino bianco.

Un frullare leggero di neve mi cadde su una spalla, e Ciara la spazzò via con la mano.

«Quando Díomán ha parlato di voi alla nostra capobranco, lei ha girato l’informazione a una persona molto speciale. Ricordi che ti dissi che l’anno passato, a Belfast,  un clan fu attaccato da un branco di uomini-orso?»

«Sì, lo rammento.»

«A quell’evento se ne è legato un altro molto importante, avvenuto negli ultimi giorni di agosto. Si è rischiato molto, pur se nessuno di noi ne era al corrente, e questo evento straordinario ha portato alla luce alcune verità1

Mi sorrise da sopra la spalla, come scusandosi per tutti quei misteri, e aggiunse: «Tra queste verità, è presente anche colui che conoscerete stasera.»

«Perché tanti misteri?» si intromise Ciara.

Quella sera, indossava abiti pesanti non meno di me, ma aveva lasciato i capelli liberi dal solito intreccio di chignon e trecce, con cui era solita acconciarli.

Li portava, molto più semplicemente, legati in un’unica, pesante treccia, che riposava sulla sua spalla destra.

A ogni mio sguardo, desideravo scioglierla per affondarvi dentro le dita, ma quello non era sicuramente il momento per indulgere in simili piaceri.

Più tardi, quando fossimo tornati a Mag Mell…

Eithe rise, interrompendo il flusso dei miei pensieri e, sorridendomi divertita, mi confidò: «Io alzerei ben bene le barriere mentali, Stheta. Stai trasmettendo come una radio.»

«Accidenti!» bofonchiai indispettito.

Mi ero del tutto dimenticato che i licantropi, più ancora di noi, potevano avvertire i pensieri fluttuanti.

Ciara rise sommessamente, forse immaginando quale corso avesse preso la mia mente e, ancora una volta, mi diedi dello stupido.

Dovevo stare attento, o avrei fatto sapere a degli estranei più di quel che volevo.

Quando finalmente scorgemmo un bagliore nella foresta, fummo sicuri di aver raggiunto la meta.

Lì, in una radura nel fitto bosco, scorgemmo la sagoma enorme e dalle fronde spaziose della loro quercia sacra.

Attorno a lei, sul limitare della radura, erano presenti una decina di licantropi enormi, oltre a una trentina di persone di ogni ordine ed età.

Sia io che Ciara ammirammo sbalorditi la grande pianta secolare avvertendo, nell’aria che respiravamo, tutta la potenza mistica che ci circondava.

Non erano solo i licantropi presenti, a rendere quasi fisico il loro potere sulla nostra pelle, ma soprattutto la potenza mistica della pianta.

La quercia sacra era la loro memoria storica, recava in sé i ricordi di tutti i lupi che erano stati lì sepolti e, finché essa avesse avuto vita, queste memorie sarebbero state a disposizione dei vari Fenrir.

Alla sua morte, una ghianda sarebbe stata piantata poco distante, perché tutto potesse continuare senza una fine reale, e il branco continuasse a trattenere con sé i ricordi dei defunti.

Questo, rendeva quel luogo così importante, così fisicamente sconcertante. Poterlo sentire sulla pelle mi fece venire i brividi e, a giudicare dall’espressione di reverenziale timore di Ciara, immaginai valesse anche per lei.

Pur avendo poteri mistici differenti dai licantropi, non faticammo a renderci conto dell’unicità di quel luogo, di quel momento.

Sorrisi a Ciara, al mio fianco. I suoi occhi erano ancora incatenati a quella meraviglia dalle fronde apparentemente infinite.

Pur se i licantropi, e la loro forma animale, avrebbero dovuto distrarci, era la quercia ad avere la nostra totale attenzione.

Quando finalmente riuscii a discostare lo sguardo da quella splendida creatura, notai infine la presenza di diversi bracieri ardenti.

Erano loro che ci avevano consentito di scorgere il Vigrond in lontananza.

Splendenti come stelle nel cielo, lanciavano lunghe ombre fluttuanti sul terreno ghiacciato e ricoperto di neve.

In parte, permettevano a tutti di poter visionare senza problema i presenti, in parte riscaldavano l’aria gelida della notte.

Dubitai, però, che li avessero messi per loro stessi. Pensai, piuttosto, fosse una cortesia nei nostri confronti.

La pelle di Eithe mi era sempre parsa febbricitante, ma lei mi aveva confermato che, per un licantropo, era normale avere quel calore corporeo.

Perciò, non faticai a capire che, solo per pura cortesia, avevano pensato di riscaldare un poco l’ambiente.

Mi volsi ancora, curioso di scoprire altro, quindi non mi colse del tutto impreparato l’arrivo di due nuovi personaggi.

Felicity, la Fenrir del branco, e il suo successore.

La donna, esile e alta, teneva una mano sulla spalla del giovane al suo fianco, biondo di capelli e dalla pelle candida. Non poteva avere più di diciotto, diciannove anni.

Appariva troppo giovane per poter detenere il potere con mani salde, eppure sapevo quanto le apparenze potessero ingannare.
Eithe ci sorrise, a quel punto, sospingendomi perché avanzassi assieme a Ciara.

Quando ci ritrovammo nel mezzo della radura, gli occhi di tutti puntati su di noi, Fenrir infine parlò.

«Siate i benvenuti nel nostro luogo sacro, fomoriani di Mag Mell. Importante è la vostra visita, poiché ci rallegra sapere dell’esistenza di altre creature mistiche, sopravvissute al passare dei millenni e alle ingiurie del Destino.»

La sua voce flautata catturò subito l’attenzione di tutti, me e Ciara compresi.

Non fu come ascoltare il tono stentoreo di mio padre, o la possente voce di Muath.

Felicity O’Carolan, Fenrir di Dublino, possedeva un genere di potere che non veniva rimarcato nel tono di voce, quanto piuttosto nella postura regale e fiera.

Pur se donna avanti con gli anni, non appariva né fragile né debole, ma esprimeva un’autorità tangibile con mano, e visibile senza fallo.

Reclinai perciò il viso, omaggiandola come era mio dovere, e replicai: «Siamo onorati di poter muovere i nostri passi su queste sacre terre, e lieti di aver ricevuto il vostro così gradito invito.»

«La nostra gente vi è grata, fomoriani, per aver prestato soccorso a uno dei nostri figli.»

Lo sguardo che mi tributò Felicity disse altro.

Non si riferiva solo all’incidente con Caitlinn, ma all’addestramento di Eithe di cui, evidentemente, sapeva ogni cosa.

«L’amicizia ce lo imponeva, Fenrir» dissi semplicemente, sorridendo a Eithe, che era ancora al nostro fianco. «Anche solo per questo, avremmo smosso mari e monti, per trovarla.»

Felicity allora lanciò uno sguardo in direzione di Eithe, che arrossì visibilmente, e asserì: «La nostra cara lupa ha commesso una sciocchezza, cedendo alla rabbia, ma ne capisco i motivi, e sono lieta che le sue paure siano state dissipate. Mi è giunta voce che uno dei tuoi guerrieri, principe, l’ha addestrata perché annientasse i suoi demoni.»

«Così è, Fenrir» assentii, lasciando che decidesse lei cosa dire, e cosa omettere.

Felicity si volse infine verso Ciara, accennando un sorrisino divertito, e infine disse: «Il mio Freki ha lodato il tuo sangue freddo, guerriera, così come lo sprezzo del pericolo dimostrato nel difendere la mia avventurosa figliola.»

Rammentano il pugno rivolto a Caitlinn, Ciara non poté che sorridere ma, con un aplomb degno della fomoriana quale era, si limitò a dire: «Il duello era terminato, perciò ho ritenuto saggio intervenire.»

Fenrir assentì, accentuando il suo sorriso e, dopo aver rivolto uno sguardo ai suoi lupi, proseguì nel suo discorso.

«Le vostre azioni sono state lodevoli, così come il vostro silenzio. Anche se comprendo quando, i segreti, siano pane quotidiano anche per voi.»

Rise, nel dirlo, e quel suono scampanellante mi diede pace.

«In virtù di un recente patto tra branchi, mi sono sentita in dovere di comunicare la vostra presenza a una persona molto speciale, che rappresenta per noi speranza nel futuro e immensa gloria per la nostra genia» continuò Felicity, lanciando uno sguardo orgoglioso dietro di sé, vero il bosco adombrato dalla notte.

Fu in quel momento che avvertimmo un frusciare di rami e foglie, oltre a uno scalpiccio di rami spezzati e neve schiacciata.

Nulla, però, poteva essere così imponente da poter produrre un simile suono!

O così pensai, finché non mi ritrovai a fissare un lupo gigantesco, molto più grande dei licantropi che avevo fin lì incontrato.

Questo, interamente bianco – anche se definire bianca la sua livrea, era riduttivo – superava i quattro metri alla spalla e il suo muso, enorme, si puntò su di noi con curiosità.

Dalla bocca scaturì una voce metallica, e le sue parole suonarono strane, alle nostre orecchie, come se vi fosse un’eco di fondo a disturbarle.

O giungessero dal profondo degli abissi del cosmo.

«Non appena Felicity mi ha detto dell’esistenza di alcuni fomoriani, il mio cuore ha gioito come poche altre volte» tuonò la voce del lupo bianco, inondando la foresta con la sua forza.

Eithe, reclinando ossequiosa il capo, al pari di tutti gli altri lupi presenti, mormorò: «Il capostipite della nostra razza. Fenrir.»

Fu in quel momento che ricollegai la sua figura a un’altra, persa negli abissi del tempo e dello spazio, relegata nei miei racconti di bambino.

Invero, avevo dunque visto giusto,  quando Eithe mi aveva narrato i miti del suo popolo, ma mai mi sarei aspettato di incontrare un Asgardiano!

Anche Ciara parve pensare la mia stessa cosa e, ansando sconvolta, si inchinò elegantemente, prima di domandare: «Siete… siete quel Fenrir, vero?»

La risata stentorea del lupo risuonò nella foresta mentre, oltre la sua figura, la natura del bosco riprendeva magicamente la sua forma originaria, come se lui non fosse mai passato da lì.

Solo un dio poteva tanto.

Solo il dio-lupo degli Asi, l’enorme lupo che, nelle guerre ancestrali, aveva combattuto per il predominio della sua razza su quella dei nostri dèi, i Vani.

«La guerra tra Asghardr e Vanaheimr fu epica, e si perde negli abissi del tempo, a un tempo in cui io ero spirito di guerra e di sangue, a un tempo in cui il mio procedere nel cosmo era preceduto da orrori e terrore.»

Lo disse come se si pentisse di ciò che aveva commesso millenni e millenni prima, e ora fosse redento da quei peccati.

«Rischiammo di distruggere un luogo stupendo come Vanaheimr, e tutto per avere l’opportunità di dimostrare la superiorità l’uno sull’altro. Mi rincuora sapere che molti di voi sono sopravvissuti alla morte della vostra stella, oltre che del vostro pianeta di origine.»

«Il Saggio Savarhne fu in grado di portarci qui proprio grazie ai consigli dei vostri compatrioti. Essi aprirono il passaggio del Sentiero del Gigante2, e i nostri dèi diedero allo Specchio Oscuro l’energia necessaria per rimanere aperto, così che il nostro popolo potesse avere salva la vita» gli spiegai succintamente, ancora incredulo all’idea di parlare con un dio.

Pur se dotati di lunga vita, grazie al sangue dei Vani che scorreva in noi, non potevamo essere messi allo stesso livello di creature come Fenrir, dotate di poteri oltre l’immaginabile.

Annuendo, l’enorme lupo bianco asserì: «Hœnir e Mímir impiegarono bene le loro conoscenze, creando ciò che voi conoscete come lo Specchio Oscuro. Esso, altro non è stato che un passaggio per il Bifrönt, la porta che collega i Nove Regni… tra cui anche Manaheimr, la Terra.»

Sorpresi, io e Ciara ci guardammo vicendevolmente, incapaci di proferire alcunché.

Era dunque il Ponte dell’Arcobaleno, ciò che avevano utilizzato i nostri avi, i miei genitori, per giungere fin lì?

«I Tuatha de Danann, Mio Signore… chi sono, dunque?» mi permisi di chiedere, ormai desideroso di avere tutte le risposte.

«Sono… erano i figli di Dana, una dea Æsin conosciuta come la Dea Madre, qui su Manaheimr, ed è la dea dai tre volti. Essendo figli di una dea, con la scomparsa del culto, videro svanire anche la loro essenza di carne, e ora sopravvivono solo in forma di spirito all’interno di Colei-Che-Tutto-Regge. Solo i loro figli dal sangue misto, hanno potuto preservare la loro forza, e avanzare come carne e sangue nel corso dei secoli, esattamente come voi.»

«Yggdrasil, che Tutto-Sorregge, protegge le anime immortali di ogni creatura vivente» aggiunse per noi Eithe, riferendosi all’Albero della Vita della mitologia norrena.

Reclinai il viso, impressionato da tali scoperte, e mormorai: «Fu per merito loro, che il passaggio sulla Terra fu aperto per noi… e non sono molto orgoglioso di dire che, secoli dopo, combattemmo contro di loro per il predominio, contribuendo alla loro definitiva scomparsa.»

Fenrir rise ancora, forse divertito dalla mia contrizione.

«Non crucciarti per eventi di cui non hai colpa alcuna, Stheta mac Lir. Così doveva essere, e così è stato. Come ho avuto modo di apprendere, nei lunghi millenni passati nell’abbraccio della Madre, anche noi dèi seguiamo un destino prefissato. Possiamo solo cercare di sgattaiolare qua e là, quando possiamo, e rendere le cose più difficili a chi cerca di guidarci ma, se una cosa deve succedere, prima o poi succederà. Così come so che, domani o tra mille anni, io guiderò le schiere di divinità oscure per il Crepuscolo degli dèi, così so che la guerra tra fomoriani e Tuatha doveva avvenire. Per uno scopo che ora ti è oscuro, ma che presto scoprirai.»

Quelle ultime parole mi lasciarono interdetto, non comprendendo cosa potesse esservi, legato a quelle antiche guerre, che mi coinvolgesse personalmente.

Ugualmente, lo ringraziai per il suo dire, e così fece Ciara.

«In virtù del fatto che hai aiutato uno dei miei figli, ritengo di avere con te un debito d’onore. Hai perciò la mia amicizia e alleanza, Stheta mac Lir.»

«Come ho detto alla tua stimata figlia, è un gesto che ho compiuto per affetto, senza pretendere nulla in cambio, ma ritengo un onore avere la tua amicizia, nobile Fenrir.»

Ciò detto, tornai a reclinare ossequioso il capo, e a me si unì Ciara.

«Cammina in pace sulle terre in cui noi viviamo, Stheta mac Lir. La mia tana sarà tua, nelle notti di tempesta, e il mio artiglio sarà tuo, nei giorni di lotta.»

«Così sarà per me, nobile Fenrir. La mia mano e la mia mente saranno tue alleate, se mai ne avrai bisogno, perché ho trovato amici sinceri e sincera comprensione, tra i tuoi figli.»

Le parole mi vennero dal cuore e, quando scorsi uguali sorrisi sui volti di Eithe e della sua capobranco, seppi di aver agito nel modo giusto.

Dal folto dei licantropi, a sorpresa, fece la sua comparsa un uomo alto, dalla corta chioma corvina e l’aspetto imponente.

Si accostò a Fenrir senza timore alcuno, ne carezzò la gamba con fare intimo e il lupo, volgendosi nella sua direzione, annuì.

Un attimo dopo, un intenso bagliore avvolse l’enorme bestia e, da quel rifulgere intenso, scaturì una giovane donna dalla chioma castano dorata.

Con un rapido drappeggio, l’uomo al suo fianco la avvolse con un pesante mantello, che lei si strinse addosso, grata.

La giovane, dai curiosi occhi ambrati e il sorriso spontaneo, allungò una mano verso di me e dichiarò brillante: «E’ un piacere conoscerti anche in questa forma, Stheta mac Lir. Io sono Brianna Ann Smithson, wicca dei tre shires e Prima Lupa del Clan di Matlock. Lui è il mio Fenrir, Duncan McKalister, e siamo lieti di annoverare te e la tua compagna tra le fila dei nostri amici.»

Fui più che mai sorpreso di scoprire che, all’interno di quella giovane spigliata e propensa al riso, vivesse l’anima immortale di Fenrir.

Così come fui sorpreso nell’apprendere che Duncan, invece, possedeva l’anima dell’amata di Fenrir, Avya, colei aveva dato il via alla stirpe dei licantropi, più di seimila anni addietro.

Dall’unione di Fenrir e Avya, erano nati Hati e Sköll, i primi lupi mannari a camminare sulla Terra.

Dal sangue di Fenrir, poi, Avya aveva ricevuto in dono la divinazione e il controllo dei Poteri della Natura, divenendo la prima e più potente wicca, o Saggia, conosciuta a memoria d’uomo.

Sempre dal compagno immortale, aveva appreso l’arte di parlare con i lupi, di governare le energie della Luna e della Terra, e Brianna ne possedeva in gran parte gli antichi poteri.

Da lei, venimmo a sapere della sua unicità di wicca e lupa, evento mai avvenuto a memoria di tribù.

Nell’avvicinarci alla quercia sacra, Brianna mi spiegò della loro recente alleanza con gli uomini-orso, i berserkir, che tempo addietro avevano attentato alla sicurezza dei licantropi.

Sorrise nel dirmi che, anche grazie a noi fomoriani, ora i licantropi potevano contare su altri potenti e validi alleati.

«Come vedi, il mondo brulica di creature bizzarre quanto mistiche, di questo e di altri mondi» asserì a quel punto la giovane guardiana dell’anima di Fenrir, dando una pacca sul braccio a Ciara, di fianco a noi.

Rise poi deliziata quando Duncan, il suo compagno, le ricordò il suo scetticismo iniziale e la sua paura di essere finita in un covo di pazzi.

Per un attimo, invidiai la loro armonia, la semplicità dei loro gesti, accompagnati però da tutto l’amore possibile.

Quando, però, lanciai un’occhiata a Ciara, mi tranquillizzai.

Anche noi avremmo avuto questo, nella nostra vita futura, a costo di spezzare Mag Mell in due.

«Essere alleati tra di noi è un bene, in considerazione del fatto che, presto o tardi, una qualsiasi delle nostre genti potrebbe avere bisogno dell’altra. Ho imparato a mie spese cosa vuol dire agire in solitudine e quanto, invece, conti avere un branco coeso alle spalle» terminò di spiegarci Brianna, lanciando uno sguardo eloquente al suo compagno.

«Sono più che d’accordo con te. La fratellanza e l’amore sono aspetti importanti, nella vita, e non vanno mai presi sotto gamba. E’ tempo che anche il mio popolo lo ricordi» assentii, trovandomi pienamente d’accordo con la giovane wicca.

«Ebbene, mio millenario amico, sappi che noi saremo al tuo fianco, d’ora in poi» decretò Brianna, poggiando infine una mano sulla corteccia nodosa della quercia.

Un attimo dopo, una potente luce dorata dilavò il Vigrond, inondando i nostri animi e, nello scrutare il viso sconcertato di Ciara, seppi con certezza che nulla avrebbe potuto fermarci.

Non con la benedizione di un dio a proteggerci.

 
***

Molte ore più tardi, chiusi nelle mie stanze, il corpo nudo di Ciara stretto al mio, ripensai alle parole di Brianna e alla cerimonia di benvenuto, a tutto ciò che avevo avvertito in quel luogo sacro.

«Vuoi ancora cambiare le cose, per i fomoriani?» mi domandò Ciara, sorprendendomi.

Avevo pensato fosse addormentata tra le mie braccia, invece stava osservandomi con i suoi caldi occhi di zaffiro.

Annuii, carezzandole delicatamente una spalla con le dita.

Lei si sollevò a mezzo, il mantello di capelli a velarne in parte le morbide curve, e disse: «Se mi vorrai al fianco, combatterò con te. Non per te.»

Mi aprii in un sorriso orgoglioso e, annuendo, mi levai a mia volta a sedere.

Le carezzai il viso con il dorso della mano, fiero del coraggio che leggevo nei suoi occhi, della forza che scorgevo sul suo viso, della tenacia che sapeva irradiare dal corpo, e mormorai: «Sii la mia regina, Ciara.»

Non mi disse nulla. Mi carezzò il labbro inferiore, sorrise e calò su di me con la bocca, suggellando con un bacio il suo tacito assenso.

Non mi occorse altro. Avremmo combattuto assieme contro il Consiglio dei Saggi e mio padre e, alla fine, avremmo prevalso.

Perché non poteva esserci altro destino, per noi due.

Non lo avrei permesso.








Note: 1. 
In questa frase, si fa riferimento a ciò che succede in “All’Ombra dell’Eclissi”, in cui Fenrir, il capostipite della razza dei licantropi, fa la sua comparsa vera e propria, mostrandosi ad altri clan mannari prima di incontrare gli uomini-orso, i berserkir. In quella storia, Fenrir incontrerà anche Wotan (il dio Odino), mettendo in moto una serie di eventi che, infine, salverà il pianeta dalla distruzione che Loki, il dio del Caos, voleva scatenare sulla Terra.
         2.Il Sentiero del Gigante esiste davvero, e si trova in Irlanda del Nord. Essendo i fomoriani Originari creature di oltre tre metri di altezza, ho pensato che il luogo si addicesse alla perfezione, come luogo in cui far aprire il Bifröst per loro.



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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


 
12.
 
 
 
 
Parlare con Hœnir e Mimir, - figli omonimi degli antichi Asi rimasti su Vanheimr dopo le sanguinose guerre contro gli asgardiani – divenne vitale, per noi.

In considerazione di quanto volevo fare a ogni costo, non potevo esimermi dal conoscere le loro opinioni in merito.

Sapere di avere l’approvazione di Savarnhe circa il mio desiderio di cambiamento, era importante.

Mettere a conoscenza gli antichi figli delle divinità asgardiane di ciò che era avvenuto, era più che mai vitale, ora.

Assieme a Ciara, perciò, il giorno seguente ci recammo presso il palazzo dei Saggi, che si trovava poco distante dalla villa di Savarnhe.

Lì, trovammo ad attenderci un folto schieramento di servitù, impegnato apparentemente in un trasloco in grande stile.

Pur chiedendocene i motivi, preferimmo non porre domande. Non eravamo lì per interessarci dell’arredamento della villa dei Saggi, ma per parlare con loro.

Nell’intercettare Rhotan, il capo maggiordomo, indaffarato nel dare ordini, chiedemmo quindi di poter conferire con i padroni di casa.

Questi fu lesto ad accompagnarci nell’ala della villa non ancora toccata dai lavori, scusandosi nel frattempo per la confusione.

Attraversammo l’ala principale, ora simile a un campo di battaglia, prima di risalire una lunga e curvilinea scala in marmo bianco.

Quando infine raggiungemmo il corridoio dell’ala ovest, ci incamminammo fino a raggiungere una porta ad arco, ove Rhotan bussò per essere accolto.

Ciara, al mio fianco, mi strinse un momento il braccio, proprio all’altezza della rihall, e io la sentii vibrare come una corda d’arpa, come rispondesse al suo richiamo.

La parvhein era forte e, se non fossi stato particolarmente attento, avrei mostrato ben prima del previsto ciò che era avvenuto tra noi.

Non era il momento di indulgere in simili pensieri, o tutto sarebbe stato vano.

Dovevo creare una base solida da cui partire, alle mie spalle, perché sapevo benissimo che avrei trovato mio padre, sulla strada che intendevo percorrere.

Nessun  principe ereditario poteva scegliere la propria sposa. Era il Consiglio dei Saggi, a farlo.

Spiegare a Hœnir e Mimir il nostro progetto, e quanti e quali alleati ci spalleggiassero, poteva essere un buon modo per avere il loro voto.

Mi disgustava dover agire a quel modo, per poter raggiungere i miei scopi, ma non avrei esitato a farlo.

Il ricatto non era tra i miei pensieri ricorrenti, e neppure in quelli di Ciara, ma ci eravamo dichiarati entrambi d’accordo, dopo averne lungamente parlato.

Per sconfiggere le ritrosie di Tethra, o i colpi di testa di Muath, l’unico modo era porli dinanzi al fatto compiuto, e con il benestare dei Saggi.

Quando finalmente fummo accolti, mi inchinai compitamente ai due fomoriani di nobile lignaggio, e così pure fece Ciara.

I tre Saggi erano gli unici fomoriani a cui anche un Re doveva inchinarsi.

Mimir ci pregò di accomodarci su un basso divano, che stava proprio di fronte a un’ampia balconata di corallo bianco.

Da lì, la veduta poteva spaziare sulle colline di Mag Mell, su cui sorgevano le ville dei potentati e delle famiglie della Corte.

Hœnir, invece, ordinò a Rhotan di portarci qualcosa di aromatico da bere.

Rimasti infine soli coi due Saggi, notammo immediatamente un cambiamento radicale sui loro volti.

Se la presenza di Rhotan li aveva trattenuti dall’esprimere il loro notevole sconcerto, la sua mancanza permise loro di esprimere la loro perplessità.

Dinanzi alla servitù, nessuno dei due si sarebbe mai permesso di esternare alcun tipo di sentimento.

«Cosa vi porta qui, Altezza, e senza esservi fatto precedentemente annunciare? Cosa mette le ali ai vostri piedi?» esordì Mimir, accomodandosi a sua volta su una poltrona.

I lisci capelli biondi, lunghi fin quasi ai piedi, vennero scostati su una spalla mentre, la mano libera, sistemava le pieghe della tonaca rossa e gialla che indossava.

Hœnir, abbigliato con colori più sobri, rimase accanto alla scrivania e prese ad accarezzare distrattamente la sua fulva chioma, che riposava sulla sua spalla destra.

Entrambi ci osservarono con i loro cangianti occhi blu, dalla strana corona color verde menta.

Li avevo sempre ritenuti occhi bellissimi, ma anche dannatamente difficili da interpretare.

Da quel che sapevo, li avevano ereditati dai genitori asgardiani mentre, le chiome lunghe e fluenti, erano appartenute alle loro madri fomoriane.

Con la perdita del culto degli Asi, gli asgardiani avevano perso corporeità in ogni regno, ivi compreso il nostro, così gli anziani Hœnir e Mimir erano scomparsi.

Le mogli si erano lasciate morire lentamente, assolvendo al loro dovere di madri fin quando i figli avevano avuto la forza di camminare con le loro gambe.

Anche per questo, Hœnir e Mimir erano così legati.

La loro triste e comune storia li aveva avvicinati molto, e questo aveva portato le loro vite a intrecciarci con forza.

Dacché io ricordassi, non li avevo mai visti separati.

«Giungo a voi con una notizia e una richiesta» esordii, allungando gli avambracci sulle cosce e stringendo le mani tra loro con una buona dose di nervosismo.

I due Saggi annuirono, pregandomi di continuare. I loro volti erano imperscrutabili.

Io allora presi fiato e, con un mezzo sorriso, domandai: «State cambiando casa?»

Mimir rise bonariamente, scosse il capo e, con aria esasperata quanto amorevole, chiosò: «Le donne hanno gusti mutevoli, in fatto di arredamento, e questi sono i risultati. Spero che la casa non vi sia sembrata troppo in disordine. Non oso neppure mettere il naso fuori di qui, con il rischio che la mia Celian mi obblighi a spostare qualcosa di mio pugno.»

«Ragionevolmente in disordine. Ma comprendo» assentii, prima di tornare serio in viso.

Ciara mi diede una pacca sulla coscia, gesto che non passò inosservato ai due uomini, che però preferirono non dire ancora nulla.

Dunque, parlai io.

«La parvhein si è manifestata, e Ciara è risultata essere la Prescelta.» Lo dissi senza guardare nessuno in particolare, e così fece la coraggiosa donna al mio fianco.

Quante altre avrebbero accettato – a Mag Mell – di parlare di simili argomenti dinanzi a due uomini, e che neppure erano nostri parenti stretti?

Nessuna, a mio parere.

Gli occhi dei due Saggi si sgranarono leggermente, ma ancora non dissero nulla.

«So benissimo che i mac Airth non rientrano nelle famiglie di nobile lignaggio designate dalla Corona, e che solo voi potete scrutare nelle Pergamene per conoscere il nome di colei che sposerò…» continuai a parlare, con una certa veemenza a inasprire il mio tono. «… ma Ciara è la donna che amo, e solo lei sposerò. Essendo l’arganthe un evento pressoché unico, nonché importantissimo nella nostra cultura, dovrete convenire con me che non può esservi altra donna, nella mia vita, se non lei. Per lo meno, se vogliamo essere certi che io abbia una discendenza sicura e numerosa.»

Parlare a quel modo mi fece quasi desiderare di fuggire da lì, indignato e disgustato com’ero.

Non volevo che tutto si risolvesse al mero, cinico enumero delle potenzialità di una Prescelta, ma era anche l’unico argomento valido che loro avrebbero potuto ascoltare.

Amore.

L’amore non era contemplato nelle scelte dei Reali. Anche se farvi accenno avrebbe potuto accrescere la forza del mio dire.

I due Saggi scrutarono in viso Ciara, che si mantenne stoica e inamovibile, un’autentica roccia al mio fianco, con ancora la mano poggiata sulla mia gamba.

Dimostrava, senza parlare, la forza dei suoi intenti.

Io ero suo, come lei era mia.

Di fronte a tutti o, almeno per ora, di fronte ai due Saggi.

«La vostra richiesta ci è ora nota. Qual è la notizia, quindi?» mormorò Mimir, lanciando occhiate intermittenti a me e Ciara.

Appariva quasi sbalordito, ma non contrariato.

Questo mi diede un barlume di speranza.

Quanto a Hœnir, non seppi davvero che dire. Era più imperscrutabile di un fondo abissale.

«Penso sia importante essere degni di rispetto, e mio padre si è sempre guadagnato il rispetto grazie al suo esercito. Ne convenite?»

I due Saggi non dissero nulla, spingendomi però a proseguire. Se chi tace acconsente…

«Non giungo a voi come un giovane dal cuore debole, o dalla mano malferma. Mio padre si accinge ad avvicinarsi all’abdicazione obbligatoria, visto il raggiungimento dei dodicimila anni di età, e io assurgerò al potere dopo di lui. Ma non sarò né debole, né influenzabile. La mia richiesta di sposare Ciara non deve essere vista in questi termini, ma solo come il primo passo verso un cambiamento che deve avvenire.»

Presi un respiro, e proseguii.

«Le nostre leggi sono immobili da centinaia di millenni, tutto si è semplicemente susseguito senza che nessuno provasse minimamente a comprendere se vi fossero, o meno, dei difetti nel sistema. Tutti davano per scontato che le cose andassero bene così.»

«E non è vero? Già prima di partire da Vanaheimr, le dispute erano quasi scomparse, soppiantate da un rigido controllo sui territori. Da millenni non si combattono più guerre, i Protettorati sono asserviti al potere della Corona di Mag Mell, e nessuno ha più tentato di scalzare vostro padre dal trono dai tempi di suo fratello l’Apostata. Quindi, ove si trova la falla nel sistema?» mi fece notare Mimir, accarezzando l’aria con una mano.

«Siamo diventati niente più che automi che si limitano a eseguire ordini, o seguire regole, senza porci domande. Questo non è progresso, è stagnazione. Desidero un popolo più dinamico, che faccia le sue scelte, e che sbagli, anche. Ma che viva. I nostri progenitori non erano solo dèi dediti alla guerra, ma anche alla luce, alla gioia.»

Strinsi i pugni, sulle ultime parole, e questo attirò l’attenzione dei due saggi.

«Questo produrrebbe nuovo caos, e lo sapete.» Il tono di Hœnir fu paziente, come se stesse parlando a un bambino maleducato e non a me, al suo principe. «Non fu un caso se i fomoriani abbandonarono i culti più… carnali dedicati a Freya. Sviavano l’attenzione, deviavano anche le menti più pure.»

Mi irritò sentirlo parlare a quel modo, lo ammisi tra me e me senza alcuna difficoltà, e non potei esimermi dal replicare aspramente.

«Forse, e forse no. Ma preferisco il caos alla totale immobilità. Inoltre, unirsi carnalmente all’ombra delle pareti di casa non è dissimile dal farlo alla luce di un fuoco, onorando la dea. E’ solo più meschino, perché si tenta di negare l’ovvio.»

Entrambi i Saggi si irrigidirono alle mie parole, e lanciarono sguardi ansiosi in direzione di Ciara, immobile al mio fianco.

Nessun uomo sano di mente, o anche vagamente educato, si sarebbe esposto in quei termini, ma io ero stanco di tergiversare.

«Siamo creature di carne e sangue, non solo di forza e intelletto. Nasconderlo come, ormai da millenni, stiamo facendo, è solo menzogna pura. E io detesto le menzogne.»

Guardai dabbasso, ove la servitù stava lavorando alacremente, e aggiunsi: «Vostra moglie, nobile Mimir, ha desiderato il cambiamento, perché millenni di oggetti sempre uguali l’avevano stancata.»

«Non potete paragonare il rinnovo di un locale alla vita del vostro regno, o dei vostri cittadini!» protestò il Saggio, adombrandosi.

«Se non si cambia, non si noteranno mai le cose belle, così come quelle brutte. Non si potranno mai notare gli errori, o migliorare le cose già di per sé positive, portandole all’eccellenza. Limitarsi a scrutare l’orizzonte senza mai realmente vederlo, porta un popolo all’estinzione.»

Quell’ultima parola li fece irrigidire.

Sorrisi tra me, e proseguii nella mia disamina.

«Pensate non sappia che il numero dei fomoriani sta drasticamente calando? Chiediamoci il perché. Un popolo senza spinte emozionali non prospera,… muore. E i conti parlano da soli.»

Lasciai che pensassero alle mie parole per alcuni minuti di teso silenzio, dopodiché lanciai la bomba.

«Ho avuto l’onore e il piacere di parlare con un asgardiano, pochi giorni addietro. Penso conosciate il nome del dio Fenrir.»

I due Saggi strabuzzarono gli occhi, si adombrarono ancor più in viso e Mimir, torvo, replicò: «Gli Asi sono scomparsi da tempo immemore, né più né meno dei Vani, e questo dovreste saperlo. I nostri genitori svanirono poco dopo la nostra venuta qui su Manaheimr, e lo sapete.»

«Vero, ma gli spiriti divini perdurano all’interno di Yggdrasil in attesa di poter rinascere nei corpi umani, e io ho conosciuto colei che detiene l’anima immortale del dio-lupo.»

Senza dar loro il tempo di digerire la notizia, parlai loro di Brianna.

Dissi loro ciò che aveva fatto per unificare i clan, e di come fosse venuta a patti anche con gli uomini-orso, legati al potente dio Odino.

Narrai di come i licantropi, nel corso dei millenni, furono costretti a fondere il loro sangue con quello degli umani, per sopravvivere, e di come la loro cultura si fosse fusa con quella di altri esseri viventi.

Spiegai come questo avesse sì, in parte, diminuito i loro poteri, ma di come avesse però permesso loro di vivere a dispetto del tempo e dello spazio.

O dei loro nemici.

«Non si sono limitati ad arroccarsi sulle loro convinzioni, hanno tentato, e hanno vinto. Certo, il progresso non è stato scevro di errori, o di perdite, e tutt’ora adesso la convivenza non è del tutto semplice. Ma hanno rinnovato loro stessi

I due Saggi reclinarono i rispettivi volti, ora evidentemente pensierosi.

Fu a quel punto che Ciara parlò per la prima volta, contravvenendo a una delle tante regole che volevo infrangere.

Nessuno, tra le classi inferiori della nobiltà, poteva rivolgere la parola a uno dei Saggi.

«Fenrir e il suo popolo hanno accordato il loro appoggio e la loro amicizia a Stheta come uomo, non perché principe dei fomoriani. E’ l’uomo, non il principe, ad aver ottenuto questo. E tutto ciò perché si è messo in gioco, ha provato a se stesso di poter cambiare, e questo lo ha portato dove ora siamo. Dinanzi a voi, non postulanti, ma con il cuore in una mano e la spada nell’altra.»

Hœnir la guardò con estrema sorpresa, forse stupito dalla forza insita nelle sue parole, o per il fatto stesso che si fosse arrischiata a parlare.

«E voi sareste la spada o il cuore, giovane guerriera?» le domandò con curiosità.

«L’uno o l’altra, pari è, nobile Saggio. Così lui è per me l’uno o l’altra. Siamo paritari, le due entità di una stessa Singolarità.»

Mimir sorrise bonario, e mormorò: «E immagino che Savarnhe ne sia già al corrente. So che passate molto tempo con lui, principe, e dubito non lo abbiate già informato dei vostri propositi.»

«Conosce e approva le mie idee, nobile Saggio, pur se ancora non sa di Ciara. Non intendiamo scardinare il tessuto stesso del nostro popolo, ma far sì che inizi a scorgere un nuovo orizzonte. Nel bene e nel male, i cambiamenti devono avvenire, o rischieremo di avvizzire su noi stessi. Non desidero che ciò accada. Amo il mio popolo, ma ne vedo anche i difetti. Così come i pregi.»

«Desiderate, perciò, che scrutiamo per voi nel futuro, per sapere se la vostra scelta è giusta?» domandò Hœnir, scrutandomi e soppesandomi al tempo stesso.

«No. Né desidero lo facciate mai più. Siate consiglieri, poiché la vostra mente è assai più sottile e articolata di altre. Questo sarà per il nostro popolo dono più grande di una divinazione.»

Mimir e Hœnir tornarono a guardarci, soppesarono le nostre parole, e infine ci congedarono per parlare liberamente tra loro, lontano dalle nostre orecchie.

Nell’uscire dalla villa ancora in subbuglio, Ciara mi prese per mano e, con un mezzo sorriso carico di ansia, mormorò: «Pensi abbia esagerato?»

«Sei stata perfetta. La regina che voglio tu sia. Dovrai sempre esprimere il tuo parere, non tacerlo mai, anche quando differisce dal mio.»

Le sorrisi, lasciando che le nostre mani si dividessero non appena abbandonammo la tenuta dei due Saggi.

Non era ancora il tempo, ma ci stavamo avvicinando.

Presto, Mag Mell avrebbe scorto altri orizzonti oltre a quello che, per millenni, era stato propinato loro per comodità e sordida sonnolenza.

 
***

Ronhyn strabuzzò gli occhi, alla notizia di quanto avevamo appena fatto io e Ciara, ma ci guardò con estremo orgoglio, e io ne fui compiaciuto.

Sheridan, appoggiata al divano dove era accomodato il marito, le braccia conserte e l’aria truffaldina, ghignò all’indirizzo dell’amica e chiosò: «Ti sei scelta una bella gatta da pelare, eh?»

«Se sono facili, non le vogliamo» replicò lei, scrollando le spalle.

L’influenza di Sheridan, nel suo modo di esprimersi, si stava già facendo sentire.

Ancora un po’, e l’avrei sentita anche imprecare.

Tornata seria, mia cognata comunque disse: «Non me ne intendo di golpe pacifici, Stheta, ma ammiro molto ciò che intendi fare. Va da sé che, se dovessero rompervi le scatole all’inverosimile, la porta di casa nostra è sempre aperta, per te, Krilash, Lithar e, ovviamente, Ciara.»

La ringraziai con un cenno del capo, ma replicai: «Rimarremo per lottare per quello in cui crediamo, ma grazie per il sostegno, cognata. Sapere che ci sostieni è importante.»

«Anche se sono una semplice umana?» mi irrise, ammiccando, e ricordandomi quando le avevo rinfacciato le sue origini.

Arrossii mio malgrado.

Sheridan scrollò le spalle, ridacchiò e, nel sollevarsi dalla sua posizione rilassata, aggirò il divano e mi si avvicinò.

Io la guardai dal basso all’alto, e lei si chinò per darmi un bacio sulla guancia, mormorando: «Me l’hai riportato, Stheta, e questo è per me il dono più grande di tutti. Mi avrai sempre al tuo fianco, anche come semplice mortale.»

«Ho imparato sulla pelle quanto poco siate semplici, o anche solo indifesi.»

Rhonyn sorrise, e mi parve di avvertire provenire da lui un’ondata calda, piacevole, dirompente.

«Quando intendete affrontare Tethra e Muath?» ci domandò, lasciando che quell’onda calda dilavasse fino a scomparire.

«Dopo averne parlato anche con Krilash e Lithar. Non abbiamo idea di cosa abbiano deciso di fare i due Saggi, ma ormai è tempo di mettere fine a un po’ di cose, perché altre possano prendere il via.»

Ciara mi strinse con convinzione la mano, e ancora Rhonyn annuì.

Sheridan mi diede una pacca sulla spalla e, con allegria mista a una buona dose di grinta tutta sua, esclamò: «Dobbiamo festeggiare! Al nuovo re e alla nuova regina!»

Ciara rise, e si levò dal divano per raggiungerla.

In barba alle sue antiche paure e ritrosie, avvolse la vita di Sheridan con un braccio e, insieme, si diressero verso la cucina.

Rimasto solo con mio fratello, mormorai: «Desidero questo, per Krilash, Lithar… il nostro popolo tutto. E’ così sbagliato?»

Rhonyn scosse il capo e, adombrandosi in viso, asserì: «E’ così dannatamente giusto che in molti tenteranno di fermarti, nostro padre compreso. Lo sai che l’immobilità è più facilmente gestibile.»

«Tu non lo sei mai stato e per questo, più di altri, sai con certezza a cosa sto andando incontro. Eppure, non sembri tentato dal fermarmi.»

Sogghignò al mio dire, e annuì.

«Non è un caso, se nostro padre ha cercato tante volte di tarparmi le ali. Sono un’incognita impazzita, per lui. E forse, dopotutto, non gli dispiace neppure tanto, che io sia scappato da Mag Mell. Così, non potrò più dargli noia. Perciò sì, so a cosa stai andando incontro e no, non ti dirò di fermarti. Hai ragione, e avrai il mio appoggio.»

Non avvertii dispiacere nelle sue parole, perché nella sua mente scorsi un’altra figura, al posto di nostro padre Tethra.

Cormac MacHugh, il suo vecchio amico, l’umano che più di tutti era stato un vero padre per lui, avrebbe sopperito ai vuoti lasciati da quello di sangue.

No, Rhonyn non aveva alcun rimpianto.

E neppure io li avrei avuti, anche grazie al suo esempio.

Sarei stato anch’io un’incognita impazzita, ma avrei scardinato le leggi del mio popolo, non mi sarei limitato ad allontanarmene.






Note: Freya, oltre a essere la capostipite dei fomoriani assieme al fratello Freyr, è la dea della lussuria e della guerra, nel mito nordico. Per questo, Stheta sottolinea come solo una via è stata seguita, e non entrambe quelle percorse dalla loro dea e Madre. Negando il lato "carnale" della dea, hanno trattenuto solo la sua sete di sangue in guerra, e questo ha reso freddi i fomoriani, quasi mutilati nella loro discendenza. Stheta non vuole negare la passione (a cui sono connessi i sentimenti più forti come l'amore, l'amicizia e sì, anche l'odio), vuole reintrodurla, ma non certo a scapito dell'abilità in battaglia o del culto dell'intelletto. Esse posso convivere pacificamente, così come era stato all'inizio. Prevede errori, ma solo chi è immobile non ne commette. E l'immobilità è noiosa, ammettiamolo.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


 
13.
 
 
 
 
 
 
Raccontare tutta la verità a Krilash e Lithar fu un parto piuttosto difficile e, più volte, mi ritrovai addosso i loro occhi colmi di ilarità a stento trattenuta.

Paradossalmente, Ciara fu più calma di me.

Da quando si era aperta ai suoi sentimenti, non aveva più mostrato segni di cedimento.

L’incontro con la wicca di Matlock, in particolar modo, le aveva dato nuove certezze e una forza nuova, che scorgevo ogni giorno più brillanti nei suoi occhi.

Le sue parole, le storie sul suo passato di solitaria, l'ammissione di aver trovato la vera forza negli amici e nella famiglia, l'avevano rasserenata non poco.

Ora credeva veramente nel nostro futuro assieme.

Quando riuscimmo a terminare il nostro racconto – spesso interrotto dalle domande capziose di Krilash – sospirai e, allargando le braccia, domandai loro: «Che ne dite? Ci aiuterete?»

«Non devi neppure chiederlo, fratello. Ovvio che saremo dalla tua... dalla vostra parte

Lithar scese d'un balzo dal mio letto, dove si era accomodata durante tutta la nostra lunga dissertazione e, allungata una mano nella mia direzione, aggiunse: «Non abbiamo potuto fare nulla per Rohnyn, ma non cederemo di un passo, stavolta. Ciara merita a buon diritto di essere la tua sposa. E non solo per la faccenda della parvhein

Krilash annuì, ammiccando all’indirizzo di Ciara, che gli sorrise grata.

«Spaccherò la faccia al primo che dice una sola parola contro di voi, poco ma sicuro!»

«Spero non si arrivi a tanto, ma sicuramente nostro padre addurrà una marea di scuse in proposito. Per quel che riguarda i Saggi, non so davvero come andrà a finire, ma non voglio attendere oltre. E’ tempo.»

Sospirai, raccogliendo le mie ultime forze e aggiunsi: «La mia unica speranza è che, avendo dalla nostra parte Savarhne, anche gli altri possano convincersi della nostra unione, specialmente dopo quanto abbiamo detto loro.»

L'incontro con il Grande Occhio aveva sorpreso non poco non solo me, ma anche Ciara.

Dapprima mi era indecisa, all’idea di presentarsi dal Saggio, dopo la reazione dubbia di Mimir e Hœnir.

Non appena egli ci aveva accolto nella sua abitazione, però, la sua ritrosia era scemata.

Il Saggio le aveva stretto una mano con le proprie, l'aveva scossa con comprensione e infine le aveva detto quanto capisse le sue ansie.

Ciara aveva ascoltato assorta le sue parole di conforto, e questo mi aveva dato coraggio, rafforzando così i miei intenti.

Presentarmi da mio padre, per ottenere il permesso di sposare la donna del mio cuore, era ormai divenuto un imperativo morale.

Savarhne ci aveva rassicurati, aveva sorriso confortante a Ciara e l'aveva pregata di credere nelle sue possibilità, nel suo amore per me e nella benevolenza dei Saggi.

Con quelle parole ci aveva congedato, e ora ce ne stavamo lì, dinanzi ai miei fratelli, ad ascoltare le loro parole di appoggio e conforto.

Mi resi conto di aver davvero bisogno di sentirli al mio fianco, non solo fisicamente, ma anche con il cuore.

Rohnyn e Sheridan non avrebbero potuto essere presenti – anche se avere al fianco mia cognata mi sarebbe servito molto – ma contavo che, col pensiero, vi fossero.

Così come Eithe e il suo branco che, stando a quello che mi aveva detto lei, avrebbero pensato a noi per darci il loro coraggio.

Se proprio mi fossi visto costretto, avrei accennato anche a mio padre dell'alleanza stretta con Fenrir stesso, ma speravo non si arrivasse a tanto.

Con Thetra mac Lir, non dovevi scoprire troppe carte contemporaneamente.

Krilash mi strappò a quella miriade di pensieri erranti e, ora serio in viso, mi domandò: «Quando pensi di affrontare Thetra e Muath?»

«Questa sera. Ho chiesto un incontro formale con i nostri genitori, e pregato loro di far intervenire anche i tre Saggi, perché l'evento avesse una valenza ufficiale.»

«E hai spiegato loro perché?» esalò Lithar, turbata.

Scossi il capo, torvo in viso.

Rammentavamo cosa fosse successo a Rohnyn, quando aveva accennato ai nostri genitori i motivi della sua richiesta di un incontro ufficiale.

Non era servito a nulla spiegare a entrambi della presenza della parvhein.

Il solo fatto che Sheridan fosse umana, li ha aveva chiusi a qualsiasi tipo di lettura del caso, e Rohnyn era stato imprigionato senza giusta causa.

No, non avrei commesso lo stesso errore e, soprattutto, non mi sarei fatto prendere con facilità dalle mie stesse guardie.

Avendo al mio fianco il loro capitano, contavo sul fatto che, almeno per qualche istante, avrebbero avuto delle remore, ad attaccarci.

Questo ci avrebbe permesso un'eventuale fuga in grande stile.

Speravo comunque non si dovesse mai giungere a tanto.

Ciara amava Mag Mell esattamente come me.

L'idea di condurla in un Protettorato o, peggio, sulla terraferma per sfuggire alle ire di mio padre, mi ripugnava.

Dovevamo risolvere tutto quella sera stessa, o non avremmo mai potuto avere una vita felice, anche se assieme.

«Sai già come scappare, se si dovesse rendere necessaria una fuga dell'ultimo minuto?» intervenne Krilash, comprendendo al volo la mia preoccupazione maggiore.

«Gli uomini non obbediranno mai immediatamente a un eventuale ordine di nostro padre. Sono troppo leali a Ciara, per attaccare subito. Questo ci permetterà di sfruttare l'effetto sorpresa. Inoltre, tra le fila dei soldati presenti stasera, ci sarà anche Konag, che potrà offrire a entrambi una valida spalla.»

«Lo condannerai alla prigione, se non peggio, a questo modo» sottolineò Lithar, aggrottando la fronte.

Sorrisi mesto, e replicai: «Konag non rimarrà qui in ogni caso. Ha deciso di andare sulla terraferma.»

Krilash e Lithar mi fissarono sorpresi, ma io annuii con maggiore convincimento.

Spiegai loro di Megan, l'amica di Eithe, e di come si fossero trovati sulla stessa lunghezza d'onda, dopo aver superato le reciproche differenze culturali.

«Ma... si conoscono da quanto? Tre mesi? Non è un po' poco?» borbottò poco convinta Lithar, passandosi una mano tra i folti capelli neri, ora stretti in una coda di cavallo.

Era una delle poche donne, a Mag Mell, a non portarli rigidamente legati in intricate pettinature, se non durante i combattimenti.

«Se li vedessi insieme, capiresti» la rassicurai, sorridendole.

«Non mi opporrei mai a una decisione altrui, per quanto riguarda la sfera affettiva. Spero soltanto non se ne debba pentire in futuro. Lasciare Mag Mell, vuol dire perdere per sempre la possibilità di tornare.»

La sola idea parve spaventare Lithar, che rabbrividì alle sue stesse parole.

«Credimi, quando ne abbiamo parlato, sembrava assolutamente tranquillo. Anzi, mi pareva addirittura sereno.»

Forse, le vicende che avevano sconvolto la sua famiglia lo avevano convinto che il suo posto non fosse più qui, tra i fomoriani.

Trovare Megan e il suo branco, con le loro leggi e la loro cultura così diversa e, al tempo stesso, così simile alla nostra, gli aveva dato speranza.

Quella speranza che, fino a questo momento, non aveva scorto per sé e per il suo futuro.

Non me la sentivo di biasimarlo. Vicende simili avrebbero sconvolto anche tempre più forti. Io, di sicuro, ne ero rimasto davvero turbato.

«Saremo pronti, fratello. Te lo prometto.»

Krilash mi diede una pacca sulla spalla e, serio in volto non meno di Lithar, annuì. Era chiaro; non avrebbe lasciato nulla di intentato.

Era questo che aveva inteso Brianna Ann, la custode di Fenrir.

L'amore e l'appoggio della famiglia e degli amici, possono tutto.

 
***

Convocare un incontro formale con i Reali non significava soltanto far intervenire questi ultimi, ma anche i Saggi... e tutto il resto della Corte.

Gli alti colonnati di marmo bianco, che accerchiavano la sala del trono, non erano solo simili a imponenti lance puntate verso il soffitto a volta.

Quella sera, mi diedero l’idea di inquietanti quanto pericolose sbarre di una prigione, a cui io avrei dovuto sfuggire a tutti i costi assieme a Ciara.

Le due navate laterali, già gremite di folla curiosa e attenta, erano in fermento, pronte a essere testimoni di ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco.

Della Corte, facevano parte i più alti dignitari del regno.

Molte famiglie erano giunte direttamente dai Protettorati vicini, per assistere a quell'incontro.

Quando un principe si rivolgeva ai propri genitori col tono ufficiale quale io avevo usato, valeva la pena di sobbarcarsi un viaggio per esserne testimoni.

Nel momento in cui mi presentai innanzi alle porte della sala, Ciara al mio fianco nella sua divisa da ufficiale, ma con i capelli sciolti sulle spalle, la folla si azzittì.

Il cerimoniere di corte ci annunciò con voce tonante, che rimbalzò contro le pareti fino a giungere al palco in fondo al salone ovale, dove si trovava la coppia reale.

I tre Saggi, assisi sui loro modesti scranni, si trovavano alle spalle dei Reali, bianche figure incappucciate che tutto ascoltavano e tutto vedevano.

Sperai davvero che tutti e tre fossero d'accordo con la decisione mia e di Ciara, o sarebbe stato un incontro davvero breve quanto infruttuoso.

E, forse, davvero pericoloso per entrambi.

Lanciai uno sguardo a Ciara, ritta al mio fianco, la mano poggiata sul pomo della sua spada ricurva, che sempre sfoggiava quando era in divisa.

Apparteneva alla sua famiglia da generazioni, e lei l'aveva sempre usata con saggezza e bravura.

Sperai davvero non dovesse snudarla, quella notte.

«Insieme» sussurrò, annuendo al mio sorriso.

Ripetei la stessa cosa e, all'unisono, ci muovemmo per raggiungere il palco, le due ali di folla a scrutarci con curiosità e dubbio crescenti.

Lithar e Krilash si trovavano ai piedi del palco, alle sue due estremità, anche loro in armi e cupi in viso come poche altre volte li avevo visti.

Saperli lì mi diede fiducia, oltre alla forza necessaria per prendere per mano Ciara, scatenando così i primi chiacchiericci impertinenti.

Scorsi subito la confusione comparire sul volto di mio padre, mentre il viso di Muath rimase gelido e impassibile.

Ma non gli occhi.

Quegli occhi bruciarono come fuoco, su di me, quasi volessero spingermi a lasciare la presa su quella mano.

Rifiutai di cedere a quel muto pensiero e Ciara, con forza, accentuò la stretta, ripetendo: «Insieme.»

Ora, il brusio divenne quasi fastidioso e, nell'avvicinarci sempre più al palco, scorsi tra la folla i volti di diverse nobildonne farsi sempre più cupi e sospettosi.

Che cominciassero a comprendere da che parte stesse girando l'aria? Probabile.

La famiglia di Ciara, in compenso, era silenziosa e preoccupata, immobile nell'angolo in cui si era rintanata per osservare quello spettacolo imprevisto.

Pareva non essere del tutto certa delle intenzioni della figlia.

O ne avesse paura.

Quando infine raggiungemmo i piedi del palco, riuscii a scorgere l'enorme energia a stento trattenuta da mio padre, che appariva fiero e indomito sul suo trono di corallo.

Imponente come pochi fomoriani, non mi sembrò però così grandioso come altre volte lo avevo visto.

Ora che conoscevo la vera grandezza, non mi parve così imbattibile.

Incontrare un dio ridimensionava, e di molto, l'importanza e la grandiosità degli altri.

Questo mi diede la forza per esclamare stentoreo: «Giungo a voi come postulante, padre, per perorare la causa mia e di questa donna, che io mi pregio di chiamare selhin. Lei è la Prescelta della parvhein, e intendo prenderla in moglie in virtù di questa verità inoppugnabile.»

Ovviamente, questa confessione scatenò una bailamme indescrivibile all’interno della Corte tutta.

Si gridò immediatamente allo scandalo, al tradimento, all'assurdità.

Nessun principe ereditario, prima di allora, si era presentato dinanzi al proprio re per un simile annuncio.

Diecimila anni perdurava il potere sulla corona di ogni Re, e mio padre sarebbe giunto al termine dei suoi nel corso di pochi anni terrestri.

Sapere che io, in spregio alle regole, desideravo prendere in moglie una donna di basso rango, andava contro tutte le antiche leggi, gli usi e i costumi dei fomoriani.

E poneva le basi per un precedente pericoloso, che in pochi desideravano rendere reale.

La parvhein passava in secondo piano, in questo caso. A nessuno di loro interessava veramente quel particolare.

I figli si potevano avere lo stesso, anche senza selhin, la Prescelta, ma sarebbe nato un solo bambino dalla Coppia Reale.

Concubine sarebbero state affiancate al re, affinché la sua discendenza fosse stata ritenuta al sicuro.

Se per qualche motivo qualcosa fosse andato storto, invece, la linea dinastica si sarebbe interrotta, dando la possibilità a un'altra famiglia di regnare.

Fino a quel momento, i mac Lir erano stati baciati da sorte benevola, ma tutto poteva succedere.

Il fatto stesso che la parvhein fosse comparsa al di fuori della cerchia ristretta dell’alta nobiltà, faceva vacillare le basi stesse della legge su cui si basava.

Non contava più che per decine, centinaia di millenni, la parvhein fosse sempre comparsa nelle alte schiere di nobili fomoriani.

Non contava più che per decine, centinaia di millenni, i Saggi non avessero mai sbagliato previsione.

Quella notte, tutto sarebbe cambiato.

«Non ti è concesso chiedere, e lo sai benissimo, figlio. Il fatto che tu abbia disonorato te stesso con questa donna, e il capitano della guardia si sia piegato ai tuoi più bassi istinti pur di compiacerti, non rende merito a nessuno di voi due. La sua famiglia è alla base della scala sociale, non ai suoi vertici. Non può essere tua sposa!»

Il brusio aumentò, i sorrisi floridi di molte nobildonne sorsero come nubi minacciose in un cielo terso, ma io non mi diedi per vinto.

«Non vi importa di avere la certezza di una prolifica dinastia, dopo di voi? Senza Ciara, ciò sarebbe impossibile, e io non mi abbasserò mai a prendere per me schiere di concubine reali con cui riprodurmi.»

Detestavo dover parlare di Ciara a quel modo, come se lei non fosse importante come persona, ma solo come potenziale madre dei miei figli.

Sapevo, però, che era l'unico argomento che interessava alla nobiltà, e ai miei genitori.

Lo vidi aggrottare la fonte, farsi dubbioso, e Muath intervenne a riempire i silenzi del marito.

Era evidente quanto, a nessuno dei due, fosse piaciuto il mio modo di parlare così schietto, e davvero poco consono per un fomoriano d’alto rango.

Scrutai mia madre mentre, furiosa quanto contenuta, si levava dallo scranno per scrutarci imperiosa.

Scese dal palco, maestosa e fiera – non era imponente come il marito, ma superava i due metri di altezza – e, senza dare alcun preavviso, schiaffeggiò Ciara.

Mi mossi per allontanarla da lei, ma Ciara mi lanciò un'occhiata gelida prima di tornare a fissare con aria di sfida la regina.

Nessuna osava mai guardarla negli occhi. A stento noi figli riuscivamo in quest'impresa.

Questo avrebbe voluto dire essere alla completa mercé del suo potere, della sua abilità di leggere forzosamente nella mente.

Un silenzio di tomba cadde nella sala, di fronte a un simile evento.

Muath, subito sorpresa dalla sua sfida, aggrottò le sopracciglia quando, a sorpresa, non riuscì a compiere ciò per cui era famosa.

In qualche modo, da quello che riuscii a percepire, Ciara la stava tenendo fuori dalla sua mente, dimostrando non solo coraggio da vendere, ma anche una forza non da poco.

«Cedi, sciocca ragazza» sibilò la regina, accigliandosi.

«Se cedessi, perderei Stheta» replicò calma Ciara, accennando un sorriso.

«Desideri così tanto la corona, ragazzetta?» la irrise allora mia madre, cercando di far leva sul suo orgoglio di donna e soldato.

Chiamarla 'ragazzetta' era un insulto bello e buono e, in quel momento, la odiai.

Ciara, però, non diede adito di aver udito l'ingiuria, e si limitò a replicare: «Desidero lui. Questo è ciò che conta.»

Muath levò nuovamente la mano per colpirla, ma stavolta la bloccai per tempo, afferrando il suo polso con tutta la forza che avevo.

Contrastarla non era mai stato facile – noi figli eravamo minuti, rispetto a lei – ma, messo di fronte a quel potenziale pericolo per Ciara, non badai al dolore.

Mi interposi fra loro e, sfidandola con lo sguardo come aveva fatto la mia compagna, replicai al suo cipiglio sibilando: «Non è colpendola, che risolverete le cose.»

«Sua Altezza ha ragione, Maestà, se mi è concesso parlare» intervenne a quel punto Savarhne, levandosi dal suo scranno.

Un nuovo coro di voci scoordinate si levò tra la folla presente e, con occhi speranzosi, seguii le movenze del Saggio nel suo lento avvicinamento alla regina.

Muath lo fissò arcigna, ma disse sommessamente: «Il vostro parere è sempre ben accetto, Saggio Savarhne. Parlate, dunque, e rendeteci edotti.»

«Sono umile servitore dei fomoriani, mia regina, e per i fomoriani io desidero il meglio. Di fronte alla forza di questi due giovani, non posso che essere lieto che il principe sia l'erede delle Vostre Grazie, poiché in esso vedo una forza pari alla vostra.»

Sorrise mellifluo, forse lieto che il brusio si fosse attenuato, e aggiunse: «In questa giovane scorgo la vostra forza, Maestà. Solo una donna di pari valore a voi, avrebbe potuto reggere il confronto con il vostro dono, non ne convenite?»

Sogghignai, notando la sottile astuzia di Savarhne. Adulare e circuire.

Paragonare noi a loro, equilibrando le nostre forze alle loro, così che ciò che stavamo facendo non apparisse come spregio, ma come una qualità, un dono.

Ciara aveva vinto la battaglia contro la regina, ma questo Savarhne non avrebbe mai potuto dirlo ad alta voce.

Adulare la regina per la sua forza e mettere Ciara alla pari, ma mai sopra di lei, era un buon modo per calmarla.

Allo stesso modo, Savarhne si rivolse agli altri Saggi, spingendoli a parlare.

Mimir e Hœnir si levarono quindi a loro volta, affiancando il compagno e, dopo aver lanciato svariate occhiate a noi e alla Coppia Reale, esposero infine la loro opinione.

«Ciò che Savarhne ha fatto notare è vero, mio re» iniziò col dire Mimir, lasciando poi la parola all'altro Saggio.

«Inoltre, la parvhein è importante, specialmente ora che viviamo su un nuovo mondo, un mondo così diverso dal nostro, in cui abitano creature tra le più disparate.»

«Una discendenza numerosa porterà forza alla Corona, mio re, non la indebolirà di sicuro» aggiunse a sua volta Savarhne.

«Gli Oracoli cosa dicono?» si informò a quel punto mio padre, restio a darmi ragione solo per partito preso.

«Nessun Oracolo è stato consultato in tal senso, sire, poiché nessuno di noi era al corrente dei motivi per cui ci siamo riuniti qui oggi» asserì spiacente Mimir.

«Senza la voce degli Oracoli, non posso...»

Interruppi mio padre prima che terminasse la frase e, in spregio a un'altra regola, mossi i miei passi sul palco per raggiungerlo.

Sguainata la spada di fronte a un pubblico più che incredulo, dichiarai: «Vi sfido a duello, padre, per ottenere il permesso di sposare Ciara. Se vi batterò, dimostrerò a tutti che sono degno di questo trono, oltre che di scegliere la sposa a me più congeniale.»

Il boato che si levò tra i presenti quasi fece tremare le pareti del salone.

Ero consapevole degli sguardi tesi e preoccupati di Lithar e Krilash, ma ormai avevo lanciato la sfida.

E, in tutta onestà, non me ne pentivo.

Volevo quello scontro, per un sacco di buoni motivi.

Primo tra tutti, vendicare mio fratello Rohnyn, secondariamente, far capire una volta per tutte a mio padre quanto fossi pronto per quel ruolo.

Ciara non fu da meno.

Slacciò il fodero della spada, che teneva legata in vita, e la consegnò infoderata alla regina, dichiarando stentorea: «Vi sfido a duello, mia signora, per ottenere il permesso di sposare Stheta. Se vi batterò, dimostrerò a tutti che sono degna di questo trono, e di essere la sposa del principe.»

Le sorrisi da sopra la spalla, lieto che avesse scelto le mie stesse parole, quasi fossero una nuova formula di rito, quasi stessimo dando inizio alla nostra personale legge di investitura.

Una nuova via, con nuove regole.

La risata reboante di mio padre, però, ci colse tutti di sorpresa.

Si levò dal trono, scostandomi senza neppure troppa educazione e, dopo essere sceso dai gradini del palco, andò a portarsi proprio di fronte a Ciara.

Appariva piccola e indifesa, di fronte a lui, eppure non cedette il passo, levò lo sguardo a sfidare anche il suo re e, da ultimo, sorrise.

Fu un sorriso spavaldo, coraggioso, o forse del tutto folle, ma lo fece.

E mio padre agì in risposta.

Sogghignò, e capii subito che in quel sogghigno era compresa anche una sottile vendetta – non seppi dire se rivolta a noi, o a chi altro – e dichiarò: «Se fossi io ad accettare la tua sfida, combatteresti?»

«Per Stheta, combatterei contro i vostri eserciti, sire. Ne vale la pena» replicò, serena in volto.

Non v'era traccia di paura, in lei. Credeva in noi due, e questo le dava la forza necessaria per lottare contro il re.

Tethra rise ancora, più forte di prima e, dando una sonora pacca sulla spalla a Ciara, che rischiò di cadere per il contraccolpo, esclamò: «La voglio! Nessun'altra donna avrebbe avuto il coraggio di sfidarmi, e nessun'altra donna merita un posto sul trono di regina, se non lei.»

Muath lo fissò accigliata, forse indispettita dal fatto che suo marito fosse così affascinato da una donna che non fosse lei, ma si guardò bene dal dire qualcosa.

Dopotutto, quando il re parlava, anche lei doveva cedere il passo.

Mi padre si volse infine verso di me, l'ilarità ormai svanita dal suo volto, e dichiarò: «Accetterò la tua scelta, figlio, ma solo perché questa donna si è dimostrata all'altezza del compitò che le spetterà come tua regina. Non pensare neppure per un istante che sia per un motivo diverso da questo.»

Non volli dirgli che, il suo spregio nei confronti dei nostri sentimenti, suonava come un insulto bello e buono.

Avevo ottenuto quello che volevo, ma non ne fui orgoglioso.

Reclinai il viso per accettare la sua decisione e, quando mi passò a fianco, non aprii bocca.

Fu lui a farlo, e solo per le mie orecchie.

«Non pensare che questo costituisca un precedente. Il fatto che lei abbia risvegliato in te la parvhein, l'ha salvata dal cappio del boia, ragazzo. Non avrei mai accettato, diversamente. Inoltre, il fatto che resista a tua madre, la rende un'ottima regina potenziale. Potrà trasmettere una simile forza ai vostri figli.»

Sprezzante, poi, aggiunse: «Forza che tu, evidentemente, hai lasciato da qualche altra parte. Ora vattene, e vedi di non sfidarmi mai più.»

Assentii, preferendo non fargli notare l'ovvio, cioè che il solo fatto di sfidarlo era stata la mia, la nostra forza.

Tenni per me quei pensieri e, quando presi nella mia la mano di Ciara, mi allontanai dal palco sotto gli occhi sconvolti di tutti.

Feci solo in tempo a udire un borbottio di mio padre, prima di venire attirato dalle occhiate torve della Corte.

Si udì qualche timido applauso, e alcuni dei soldati si arrischiarono a dare confortanti pacche sulle spalle a me e Ciara.

Non vi fu altro, perché nessuno – neppure io – sapeva cosa realmente stesse pensando il re, tanto meno la regina.

Certo, la proposta era stata accettata, e Tethra aveva dato il suo personale benestare, acconsentendo a prendere Ciara sotto la sua ala.

Tutto poteva succedere, però, da quel momento in poi.

Quel sogghigno ancora mi tormentava. E lo avrebbe fatto per molto tempo ancora, temetti.

Non avrebbero potuto rimangiarsi la parola, essendo stata data dinanzi alla Corte e ai Saggi, ma le nostre sicurezze finivano lì.

Avremmo dovuto tenere un profilo basso, almeno per un po', giusto per non incorrere in qualche problema.

Ma il più sembrava essere stato fatto.

Quando, però, raggiungemmo le mie stanze e ci fummo chiusi la porta alle spalle, Ciara vi si lasciò scivolare contro fino a sedersi a terra.

In silenzio, poggiò la fronte contro le ginocchia e singhiozzò, esalando: «Sono persone orribili

«Se intendi i miei genitori, ne sono pienamente consapevole, ma...» cominciai col dire, inginocchiandomi accanto a lei per darle una pacca sulla spalla.

Lei mi interruppe, sollevando due liquidi occhi di zaffiro per replicare stizzita: «Quelle... donne! Le cortigiane! Non ci ho mai fatto molto caso, perché mi sono sempre occupata della sicurezza del palazzo, e con loro non ho mai parlato. Ma mi hanno guardata in un modo...»

Le lacrime si asciugarono, sostituite dalla rabbia.

«Finché le proteggevo, andava tutto bene. Ma, quando ho messo le mie manacce su di te, mi si sono rivoltate subito contro! Devono davvero odiarmi, per averle defraudate del piacere di averti!»

Da quelle parole, capii una volta di più quanto Sheridan l’avesse plasmata, rendendola non solo più spontanea, ma anche più… sboccata.

L’idea stessa mi fece sorridere, ma non per molto. Non mi piaceva vedere Ciara così nervosa.

A quel punto rise isterica e io compresi appieno quanto, quello scontro, l'avesse provata.

La sollevai da terra, stringendola per cullarla contro di me e lei, senza protestare, si lasciò condurre verso il divano, dove si accomodò al mio fianco.

Era troppo alta perché potesse accoccolarsi nel mio abbraccio, ma trovai il modo di farla sentire comunque protetta e al sicuro.

La feci sdraiare, così che il suo capo fosse poggiato sulle mie cosce e, con gesti teneri, presi a carezzarle la chioma fulva e ribelle.

Le sue onde d'oro rosso scivolarono tra le mie dita, mentre lievi parole di conforto uscirono dalla mia bocca.

Poco alla volta, Ciara parve chetarsi e, quando tornò a levare lo sguardo per incrociare i miei occhi, borbottò: «Scusa. Sono esplosa senza motivo.»

«Ne hai a centinaia, di motivi per esplodere, Ciara. Hai dovuto affrontare l'intera Corte, i miei genitori, i Saggi, ben sapendo di partire in posizione di svantaggio. Hai dimostrato una forza immensa.»

Lei allora mi sorrise, e replicò: «Sei sempre stato tu la mia forza, fin da bambini. Non avevo timore di stare nelle senturion, perché c'eri tu. Certo, anche i tuoi fratelli erano importanti. Ma io guardavo a te, per ispirarmi.»

Le sorrisi, sfiorando le sue labbra con il pollice. Volevo baciarla ma, al tempo stesso, anche ascoltare ciò che aveva da dirmi.

Le senturion, i campi di addestramento e indottrinamento che, per millenni, avevano svezzato e formato i fomoriani, sia qui che su Vanaheimr, non erano un ricordo piacevole per nessuno.

Ci eravamo sempre ispirati ai Vani, nostri amati dèi protettori, nel crescere e addestrare i nostri figli.

Figli noi stessi di dèi guerrieri, – grazie al sangue di Freya e Freyr che scorreva nelle nostre vene – avevamo sempre vissuto cercando di onorarli al meglio.

Le senturion erano servite a crescere guerrieri sempre più forti, così che loro fossero compiaciuti dai nostri successi.

Essi ci avevano donato lunga vita e prosperità, prima di svanire nelle braccia di Yggdrasil per salvare le nostre esistenze.

Doveva essere stato tremendo, per loro, rinunciare a tutto pur di salvare i propri figli.

In uno dei suoi pochi slanci di apertura, nostra madre ci aveva detto di aver avvertito come un pugno nel petto quando, come un ultimo respiro collettivo, i Vani erano scomparsi da Vanaheimr morente.

Essendo nato sulla Terra, avevo accettato come un dato di fatto quel particolare ma, dopo aver parlato con Fenrir, ero più propenso a crederle.

Giungendo sulla Terra, molto era cambiato, ma diversi nostri usi erano rimasti, nonostante non fossimo più su Vanaheimr.

Le senturion, nostro antico retaggio, erano infatti rimaste.

Avevo detestato non meno di Ciara e dei miei fratelli, quei luoghi privi di umanità, dove la competizione era feroce, e solo i più forti predominavano.

Lì, non esistevano distinzioni di rango, e molti avevano approfittato di quella sorta di liberatoria per prendersela con noi e con i figli dei nobili più titolati.

Lithar, in particolare, era stata presa di mira più di noi tutti messi assieme.

Anche per questo, l'avevo sempre protetta più degli altri miei fratelli.

Ciara si era unita a noi quasi subito, diventando spalla e amica di Lithar e, anche a causa di ciò, aveva passato un vero inferno, nelle senturion.

Ma questo, l'aveva anche fatta diventare la migliore combattente che io avessi mai conosciuto.

Come se avesse seguito l'andirivieni dei miei pensieri – e forse era stato davvero così – Ciara mi sorrise e mormorò: «Eri così forte, così coraggioso, mentre proteggevi tua sorella. Volevo essere come te, impadronirmi del tuo stesso coraggio. E avere degli amici da poter chiamare tali.»

«Nelle senturion, non è facile farseli» annuii, cosciente di questa verità indiscutibile.

Gli spartani, a suo tempo, si erano ispirati a noi, per ideare l'agoghé, anche se avevano risparmiato da un simile fato le classi più elevate della società.

Così non era mai stato per i fomoriani. Tutti dovevano sottostarvi, uomini e donne, reali o semplice popolino.

Ogni fomoriano doveva essere addestrato per diventare perfetto, sia nelle arti della guerra che nella cultura generale.

Chi non primeggiava... beh, rammentavo fin troppo bene cos'era avvenuto in passato, per volermici soffermare.

Ciara fu d'accordo con me, preferendo sorvolare su quel particolare atroce delle senturion.

Sollevò il braccio destro e si tolse il bracciale dell'armatura, mostrandomi il polso.

Sapevo di quella ferita liscia e bianca, all’altezza dell’attaccatura della mano, ma non ne avevo mai conosciuto la storia.

Ciara la accarezzò come persa nei ricordi, e mormorò: «Mi tagliarono il polso per farmi morire dissanguata. Mi tennero a terra in quattro, due sulle braccia, due sulle gambe... e risero, risero fino alle lacrime.»

La guardai, ansando sconvolto.

«Fu Lithar a liberarmi. Si lanciò contro uno di loro con tutta la forza che aveva, così che io potessi riappropriarmi dell'uso di una delle gambe. Scalciai come un'ossessa, mentre Lithar cercava come meglio poteva di difendersi. Era così piccola

Tolse anche l'altro bracciale, e proseguì, incurante della mia espressione scioccata.

«Mi liberai degli assalitori, afferrai lo spadino che avevano usato per ferirmi e li uccisi, dopodiché corsi da Lithar ed eliminai anche il ragazzo che la stava picchiando.»

Lo disse con calma, senza mettere nulla nella sua voce. Non la disturbava averli uccisi, non era per questo che mi stava raccontando quella storia.

«Lithar era conciata male, così la presi in braccio per portarla in infermeria, ma non ci arrivai mai. Le ferite mi avevano debilitata a tal punto che svenni a metà del tragitto.»

«Cosa successe, dopo?»

«Mi ritrovai in infermeria. Era vuota, con l'eccezione di Lithar... e di tua madre.»

Sospirai, sorpreso da questo risvolto imprevisto della storia.

Nessun genitore poteva presentarsi nei campi delle senturion, neppure i Reali.

Solo i dottori e gli infermieri potevano prendersi cura degli infanti, mentre gli istitutori e gli addestratori pensavano alla nostra cultura.

«La stava curando personalmente. Quando cercai di alzarmi, notai i polsi fasciati. Tua madre si volse verso di me, l'aria tesa e ansiosa, e mi chiese cosa fosse successo. Le raccontai tutto e lei annuì, promettendomi che non avrei subito conseguenze. Mi ero difesa e, più di tutto, avevo difeso Lithar.»

«Beh,... questa non me l'aspettavo» esalai, più che mai sorpreso.

«Da quel giorno, non venni più attaccata, e neppure Lithar. Ci eravamo guadagnate il rispetto degli altri. E, forse, tua madre disse un paio di parole a qualcuno.»

Non avevo mai neppure sospettato che dietro le ferite di Ciara, e il cambiamento avvenuto nei ragazzi delle senturion, vi fosse questo.

Il saperlo, però, mi fece sorgere una domanda. «Perché, allora, lo schiaffo? Se ti aveva a cuore, perché...»

«Forse, lo ha visto come un insulto nei suoi confronti. Sai, forse pensa io abbia approfittato del suo buon cuore» mormorò, negli occhi il dispiacere per non essere stata compresa.

La sollevai perché si sedesse sulle mie gambe, pur se lei protestò a causa del suo peso, ma io non la ascoltai.

La abbracciai, baciandola, e mormorai sulle sue labbra: «Hai il mio rispetto, il mio amore e la mia riconoscenza. Come hai quelli di Lithar e Krilash. Per non parlare dei tuoi uomini. L'esercito è dalla tua parte, Ciara, non dimenticarlo mai. E poi ci sono Rohnyn, Sheridan, Eithe... il branco. Tutti loro.»

«Posso vivere anche senza i sorrisi delle cortigiane... o di tua madre.»

La baciai ancora, dichiarando con ironia: «Le passerà. Ci vorrà qualche millennio, ma le passerà.»

Rise, e mi abbracciò.









Note: Se qualcuno si chiedesse i motivi del sogghigno di Tethra, o dello strano comportamento tenuto da Muath nelle senturion, posso solo dirvi che tutto verrà spiegato nell'ultima storia, che vedrà Lithar come protagonista.
Per ora posso solo ringraziarvi per avermi seguita fino a qui. Buon proseguimento!

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


14.
 
 
 
 
 
 
Dire che me l'aspettavo, è un eufemismo.

Il come, però, fu una sorpresa anche per me.

Seduti comodamente sul divano dell'appartamento di Sheridan e Rohnyn, terminai il mio riassunto, mentre Krilash e Lithar erano impegnati a capire un nuovo gioco della Wii.

Quei due, erano incorreggibili.

Da quando Sheridan li aveva instradati, poco alla volta, nel mondo dei videogiochi, non c’era stata più speranza alcuna di recuperarli.

Ciara, al mio fianco, sorrise tranquilla, dandomi una pacca sul ginocchio.

Rohnyn scosse il capo, disgustato, e si dichiarò più che solidale nei nostri confronti.

Sheridan, belligerante come sempre, non si levò solo dal divano con un diavolo per capello, imprecando e maledicendo metà delle creature viventi, e l'altra metà inventandosele.

No, fece molto peggio.

Prese Ciara per mano, la trascinò con sé nella stanza da letto e, rivolto a me, ringhiò: «Avrete un matrimonio degno di tale nome, e tra persone  che vi amano! Non tra quei trogloditi con le pinne di pesce!»

Ciò detto, sbatté la porta per chiudersi con la mia selhin nella camera, a confabulare di dio solo sapeva cosa.

Un attimo dopo, Lithar abbandonò il fianco di Krilash per unirsi al gruppo, tutta ridacchiante e felice.

Rimasti noi tre, ci guardammo vicendevolmente con esasperazione, ma Rohnyn non se la sentì di andare a fermare la moglie.

«In fondo, ha ragione. Avete bisogno di una cerimonia vera, sentita. Quella che si svolgerà a Mag Mell sarà intrisa di veleno, lo sai benissimo, e ben poche dame si schiereranno dalla parte di Ciara. Almeno, non finché lei non diventerà regina, e allora, le donne che la affiancheranno saranno in gran parte persone mendaci e senza valore. Sarà molto difficile, per lei.»

«Me ne rendo conto, e in parte mi sento colpevole nei suoi confronti. Ma mentire sarebbe stato peggio» ammisi, sospirando. «I suoi genitori le hanno a malapena parlato. Da quel poco che ho capito dai silenzi di Ciara, non sono stati molto comprensivi con lei.»

Krilash imprecò tra i denti e Rohnyn, sbuffando, accavallò nervoso le gambe per poi dire: «Ci vorranno secoli, prima che capiscano che Ciara non ha fatto nulla di male

Reclinai il capo all'indietro, poggiando la testa contro i morbidi cuscini color cioccolato, ma assentii. Sapevo che aveva ragione, ma sapere anche la famiglia di Ciara contro di noi, mi fece sentire male.

Le avevo letteralmente bruciato i ponti attorno, solo per averla.

Krilash venne a sedersi accanto a me, atterrando sul divano con la stessa delicatezza di un bisonte.

«Scommetto che Ciara sarebbe felicissima di festeggiare qui. Rohnyn non avrà problemi a creare una falsa identità per lei, esattamente come ha fatto a suo tempo per noi, così sarà tutto perfettamente legale. E voi vi divertirete davvero

Sorrise ghignante, mimando le virgolette sulla parola 'legale', e noi sorridemmo.

Rohnyn aveva aperto diversi conti correnti, devolvendo parte dei suoi soldi - guadagnati nei millenni grazie alla vendita di oggetti d’epoca – a ciascuno di noi.

Niente l'aveva smosso dal prendere una simile decisione, e ora avrebbe aiutato anche Konag e Ciara a introdursi nel mondo degli umani.

Sorrisi al mio fratellino, al minore tra di noi, e che in quel momento mi parve il più coraggioso tra tutti.

Aveva volontariamente abbandonato la sua longevità per stare con la donna amata, si era prodigato per darci un'eventuale via di fuga, ci aveva accolti a braccia aperte nella sua nuova vita.

E, in barba alle proteste di Konag, avrebbe provveduto che anche lui beneficiasse in parte dei suoi averi.

«Avervi accanto mi rende più forte, fratelli» mormorai, dando una pacca a entrambi.

Krilash ridacchiò, come sempre imbarazzato dai complimenti, mentre Rohnyn si limitò a sogghignare, replicando: «Non ti sbarazzerai così in fretta di noi, fratello. Ci avrai sempre alle calcagna.»

«Lo spero. Lo spero davvero.»

Fu in quel momento che la porta della stanza da letto si riaprì, e ne uscì quasi di corsa Ciara, diretta a spron battuto verso il balcone.

La seguii con lo sguardo, chiedendomi il perché di quello strano comportamento ma, quando notai cosa vi fosse all'esterno, compresi e sorrisi.

Lasciai che fosse Sheridan la prima a seguirla, poi mi accodai.

Le trovai accanto al parapetto di metallo, in assorta contemplazione della nevicata che stava imbiancando Dublino.

«E’ così, allora, che giunge dal cielo?» domandò sorpresa e ammirata Ciara, sollevando una mano per raccogliere un fiocco di neve.

Sorrise, quando il gelido cristallo si poggiò sul suo palmo, tramutandosi in una gocciolina d'acqua nell'arco di pochi secondi.

«Nessun gioco di prestigio. Solo acqua congelata che cade dalle nuvole, esattamente come la pioggia. Anche se è più carina» le spiegò Sheridan, sorridendole gentile.

«E' bellissima» sussurrò Ciara, levando nuovamente il capo perché i fiocchi bianchi le bagnassero il viso.

Il suo sorriso si fece lucente e, per un istante, desiderai strapparla all'attenzione di Sheridan per baciarla, a lungo e con veemenza.

Repressi a stento quel desiderio, limitandomi a stare al suo fianco mentre scopriva quella bellezza della natura.

Quel momento era suo, e solo suo.

Krilash, Lithar e Rohnyn ci raggiunsero sul balcone, ammirando quella quieta nevicata dicembrina.

I loro sorrisi mi fecero capire che, anche ai miei fratelli, quello spettacolo piacque particolarmente.

«Farò nevicare per te, al tuo matrimonio» le promise di colpo Krilash, guardando Ciara con profonda serietà.

«Come?» esalò lei, fissandolo sorpresa.

Krilash allora afferrò con una mano un fiocco di neve e, trattenendolo sul palmo, lo mostrò a noi tutti.

Il cristallo non si sciolse e, anzi, divenne ghiaccio sotto i nostri occhi, biforcandosi, ingrandendosi fino a formare una piccola statuetta lucente.

«Posso governare gli stati della materia, ricordi? Visto che ti piace tanto, farò nevicare per te.»

Le sorrise e, sorprendendo noi tutti, la abbracciò in modo un po’ goffo, mormorando: «Benvenuta in famiglia, sorella.»

«Oh, Krilash... grazie» sussurrò Ciara, ricambiando l'abbraccio con voce tremante.

Sorrisi a mezzo. Krilash poteva essere uno scapestrato, poteva divertirsi in giro per il mondo, facendo cose più o meno folli, ma rimaneva un tenerone nell'animo.

Abbracciai entrambi e, così pure fecero gli altri.

E restammo sotto la nevicata a goderci quel rinnovato senso di unione famigliare.

 
***

«Lithar, il venti di gennaio non ci sarà affatto caldo. Non voglio morire congelata perché tu devi essere sexy, e solo perché a Mag Mell non puoi indossare niente di simile!»

L'urlo di Sheridan rimbombò nell'appartamento e, nel volgere lo sguardo assieme a Rohnyn, sorridemmo divertiti nel vedere le due donne impegnate a sfogliare una rivista.

«No, tu non capisci, Sheridan... non è questione di essere sexy. E' questione di essere perfette!»

Ciara rise, accanto a noi, ma non disse nulla. Era evidente che non voleva intervenire a favore dell'una o dell'altra.

Essendo amica di entrambe, non voleva fare favoritismi.

Erano tre settimane che, praticamente ogni giorno, Ciara o entrambi noi, ci trovavamo nell'appartamento di Rohnyn e Sheridan per organizzare il nostro frettoloso matrimonio.

Da quel poco che ero riuscito a capire, l'abito di Ciara era già stato scelto, ma le tre damigelle d'onore – o meglio, Sheridan e Lithar – dovevano ancora decidersi in merito.

Eithe, la terza damigella, non avrebbe mai messo il becco in mezzo a quelle due, e questo dimostrava quanto sapesse essere sensata e matura.

«Si tratta di non morire di freddo, testona che non sei altro! Parte della cerimonia si svolgerà nel bosco, per cui dovremo essere coperte!»

«Indosseremo un mantello, oppure una cappa, ma solo nel bosco. Alla cerimonia, e nel salone dei ricevimenti, saremo spettacolari

Sheridan sbuffò, Eithe le diede una pacca sulla spalla con fare consolatorio e Lithar, ghignante, esclamò: «Dammi retta, Sheridan. Saremo esplosive!»

«Voglio un mantello di velluto... pesantissimo

Lithar balzò in piedi come una furia e, afferrata Sheridan a un polso, la attirò verso di sé per un abbraccio stritolante, che fece lagnare la cognata e ridere Eithe.

Da quando Lithar aveva scoperto quanto fossero piacevoli gli abbracci, si era prodigata per recuperare il tempo perduto.

E quando si parla di millenni…

«Sarebbe bello se fossero anche loro a Mag Mell. Sicuramente, si riderebbe di più» mormorò al mio fianco Ciara, sorridendomi malinconica.

«Mi spiace. Ti ho messo in una situazione impossibile.»

«Non mi pare tu mi abbia obbligata a fare nulla, Stheta. Solo, sarebbe divertente se Lithar potesse sempre stare in compagnia di Eithe e Sheridan. Sono un trio affiatato.»

«Diventerebbe un quartetto, se ti unissi a loro» le feci notare, ammiccando.

«Oh, ma non voglio prevaricare nessuna di loro con...»

La azzittii con un bacio ma, prima ancora di dire qualcosa, Eithe afferrò la mano di Ciara e la condusse via, sorridendomi divertita nel dire: «Te la rubo per un po'. Porta pazienza.»

«Non c'è problema.»

Le osservai sedersi nuovamente sul divano, quattro teste indirizzate su un unico giornale dalle pagine ormai sgualcite.

Continuarono a confabulare a bassa voce per un po' ma era evidente quanto, i due bastioni contrapposti, rimanessero Sheridan e Lithar.

Mia cognata, a un certo punto, levò fiera il capo e, fissando arcigna sia me che suo marito, bofonchiò: «Ricordatemelo, per favore; perché mi piace Lithar?»

Scoppiammo a ridere e nostra sorella, data una pacca sul braccio a Sheridan, replicò: «Perché sono dolce, gentile e generosa. Una vera principessa.»

«Dispotica, testarda e irremovibile, vorrai dire» aggiunse l'avversaria, pur sorridendole.

Ciara ed Eithe sorrisero complici, mentre Lithar e Sheridan continuavano a discorrere su quale abito avrebbe colpito gli invitati e, al tempo stesso, non avrebbe fatto congelare tutte loro.

Quella confusione, mescolata con una buona dose di complicità, mi fece sospirare.

Rohnyn, al mio fianco, mi domandò: «Cosa ti turba, fratello?»

«Nulla, Rohnyn. Pensavo solo a quanto sarebbe bello, se la stessa cosa potesse avvenire anche a Mag Mell.»

Lui mi sorrise divertito, e replicò: «Nevicherà per davvero in fondo al mare, quando Muath si metterà al tavolo con Lithar per scegliere un abito, e lo farà con un sorriso stampato in faccia. Perché pensi che nostra sorella si stia scervellando per far ammattire Sheridan? Perché le piace quest'atmosfera goliardica, il modo in cui Sheridan ribatte alle sue idee, la dolcezza con cui Eithe cerca di fare da paciere, o come Ciara sorride loro per chetarne gli scoppi d’ira.»

Tornò mortalmente serio un attimo dopo, e aggiunse: «Non ho rinunciato a Mag Mell solo per Sheridan, ma anche per me stesso. Non era più il mio regno. Da molto, moltissimo tempo.»

«Spero di cambiarlo, anche se per te e Konag è troppo tardi.»

Mi diede una pacca sulla spalla, scuotendo il capo.

«Sono sicuro che lo cambierai, ma non spiacerti per me o Konag. Per me stesso, posso dire che non vivrei in nessun altro luogo se non questo. Ma penso che anche Konag ti risponderebbe nello stesso modo.»

«Anche Ciara pare affascinata da quest'atmosfera. E so già che, a Mag Mell, non potrà mai averla.»

Sospirai, ma ancora Rohnyn mi fu di incoraggiamento.

«Ci sarà Lithar, con lei. E credimi, nostra sorella vale per un reggimento.»

Risi flebilmente e, quando vidi rientrare Krilash in compagnia di Díomán, li salutai con rinnovata fiducia.

Sarebbe andata bene, pur con tutte le difficoltà che avremmo potuto trovare lungo il nostro cammino.

Eithe sorrise nel vedere giungere il suo uomo e, come al solito, arrossì e reclinò il capo, quando lui le baciò i riccioli con fare tenero e protettivo.

Non si era ancora abituata ad avere ciò che aveva desiderato per tanto tempo.

Díomán allora le sollevò il viso, ponendo un dito sotto il suo mento, le sorrise e replicò il bacio sulle sue labbra, mandandola in tilt.

Sheridan e Lithar la presero subito in giro, ma non Ciara, che le diede una pacca sulla  spalla quando Díomán si diresse verso di noi, lasciandola alle sue amiche.

«Futuro sposo... Ronan...porto buone notizie. Fenrir ci assicura un passaggio sgombro fino al Vigrond, così che possiate ricevere la benedizione della quercia sacra» ci riferì il licantropo, sogghignando fiero.

Immaginai che non fosse una cosa che avveniva tutti i giorni, perciò lo ringraziai sentitamente.

Lui si limitò ad annuire, lo sguardo puntato sul viso sorridente di Eithe.

Ebbi il sospetto che neppure lui si fosse ancora abituato ad averla intorno, e la cosa mi fece sorridere.

Essere grandi e grossi non voleva dire, necessariamente, essere più svegli, e io lo avevo imparato a mie spese.

 
***

Se mi stupii della bellezza incredibile di Ciara, avvolta da un abito a sirena bianco e blu, su cui spiccavano stupendi ricami a fantasie fiorate nei toni del cobalto, dovetti ricredermi alla svelta.

Con l’abito al suo meglio, corredato da una bellissima giacca blu dal cappuccio foderato di pelliccia bianca, rimasi semplicemente strabiliato.

Non c’era che dire, Sheridan aveva scelto bene.

Anche per lei, Lithar ed Eithe, naturalmente.

Tutte e tre, indossavano lunghi e sinuosi abiti in velluto blu, impreziositi da applicazioni di paillettes sui seni e, per la loro uscita notturna, avevano abbinato eleganti mantelli scuri.

Avvoltolate nelle pesanti stole di velluto blu notte, coi cappucci levati a coprirne le chiome, sorrisero divertite quando tre enormi lupi si presentarono per accompagnarle nel bosco.

Allo stesso modo, io e Ciara si accomodammo sulle possenti schiene di altri due mannari, mentre Díomán procedette al nostro fianco senza badare alla neve che cadeva fitta su di noi.

Ronan era al mio fianco assieme a Krilash, bardati fin sotto il mento con i pesanti cappotti scuri che Sheridan aveva scelto per il matrimonio.

Proprio non andava a genio a nessuno di noi, il freddo.

Sorrisi nel vedere la gioia negli occhi della mia sposa, che aveva dimostrato di apprezzare la cerimonia in chiesa, svoltasi solo poche ore prima.

L’idea del ‘finché morte non ci separi’ l’aveva fatta sorridere trionfante – non v’era nulla del genere, nel rito fomoriano – e ora, immersa in quella nevicata, sembrava addirittura raggiante.

In quel momento, il freddo doveva essere l’ultimo dei suoi pensieri.

«La tua sposa approva il freddo, fomoriano?» mi domandò all’improvviso Díomán, sorridendomi.

Sorrisi di rimando, replicando: «La neve, per essere precisi. Non l’aveva mai vista cadere, prima di qualche settimana fa, e lo spettacolo le è piaciuto molto. Probabilmente, ha le mani ghiacciate e i piedi congelati, ma non lo dirà mai, visto che è impegnata nell’ammirare questo splendido spettacolo.»

«Deve essere davvero una sensazione unica, se non lo si è mai visto prima» annuì pensieroso. «Sarà lieta di scoprire, allora, che la radura della quercia è satura di neve, molto più della volta precedente.»

«La adorerà.» Poi, tra me, aggiunsi: “Come io adoro lei, del resto.”

Ciara a quel punto si volse verso di me, mi sorrise, e io seppi che mi aveva sentito.

Non solo io ero diventato bravo nell’utilizzare le mie doti mentali, ma anche lei, e tutto grazie a Eithe.

Dovevo ben più di un favore, a quella dolce fanciulla, poco ma sicuro.

Impiegammo quasi venti minuti per raggiungere il Vigrond ma, quando infine giungemmo, compresi che Díomán non aveva affatto esagerato.

La radura era sommersa da almeno cinquanta centimetri di neve freschissima e là, in mezzo a un semicerchio di lupi ossequiosi, trovammo Felicity.

Il fatto che fosse in forma animale diede un che di speciale a quell’incontro, poiché avevo ormai imparato quanto fosse importante, per loro, la forma ferina.

“Rimanete sulle nostre schiene. La neve non vi permette di scendere… a meno di non bagnarvi fino alle ginocchia.”

La voce del lupo su cui ero assiso giunse nella mia mente come un rimbombo solenne e io, annuendo, lanciai un’occhiata alla Capobranco.

La licantropa, volgendo lo sguardo su tutti noi, aprì la sua mente perché potessimo raccogliere il suo messaggio.

“Questa notte è sacra, perché il patto viene rinnovato tra noi e i nostri nuovi alleati. Possa la quercia sacra, che noi onoriamo, benedire questa unione e questa amicizia.”

Avrei voluto dire qualcosa di altrettanto saggio, ma non me ne fu dato il tempo.

L’enorme quercia, che sorgeva alle spalle di Fenrir, si illuminò sotto i nostri occhi sorpresi, emanando luce dorata e inondando per intero il Vigrond.

Avvertii sulla mia pelle il suo potere, la sua saggezza, la sua antica memoria e, al suono di campane lontane, udii parole di benedizione e di fiducia.

Reclinai ossequioso il capo, impressionato da una simile dimostrazione di potere e, contrito, mormorai: “Primo fra i fomoriani, accetto la tua benedizione e metto la mia mano al servizio dei tuoi figli. Se e quando avranno bisogno di me e del mio popolo, noi ci saremo.”

Tu e la tua compagna avete anime lucenti, figlio di Vanaheimr. Gli dèi che vi furono padre e madre hanno lasciato in voi un’eredità importante, fatta di gloria e di forza. Fai che essa sia stemperata anche dalla saggezza e dall’amore, poiché questo vi renderà invincibili. Mia figlia Freya non era solo guerriera indomita, ma anche grande amante della vita. Così come mio figlio Freyr. Siate sia carezza che pugno, e nulla vi potrà sconfiggere.

“Ho potuto toccare  con mano la potenza dell’amore, perciò sarò lieto di portare la tua perla di saggezza tra le braccia del mio popolo, rammentando loro le nostre origini perdute nell’abisso.”

Ciò detto, lanciai un’occhiata orgogliosa a mio fratello e alla sua sposa che, per primi, mi avevano dimostrato quanto forte fosse l’amore, e quanto fosse superiore a qualsiasi altra cosa.

Avevano dimostrato di essere invincibili, e io sperai di dimostrare altrettanta forza, al fianco di Ciara.

Mi volsi poi verso di lei, che sorrise fiera e orgogliosa – forse aveva seguito lo scorrere dei miei pensieri – e, a mezza voce, le sentii dire: «Spenderò tutta me stessa fino all’ultimo respiro, per mantenere salda questa amicizia. E, al fianco di Stheta, sono sicura che essa crescerà nel tempo, attraverso i secoli.»

La luce della quercia si fece più intensa a seguito delle sue parole e, per un attimo, mi parve di scorgere un albero molto più grande, dalle radici infinite e l’infinita chioma.

Yggdhrasil.

L’immagine, però, svanì com’era venuta, assieme alla luce e, a prenderne il posto, fu solo la neve che, soffice, non aveva mai smesso di cadere dal cielo.






Note: Le ultime parole che Stheta scambia mentalmente, sono rivolte a Madre, a Colei-che-tutto-regge, a Yggrdhrasil, per questo la voce dice che Freya e Freyr - gli dei Vani che diedero l'inizio alla stirpe dei fomoriani - sono i suoi figli. Yggdhrasil è madre di tutte le creature viventi, anche degli dèi.

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


 
Epilogo.
 
 
 
 
 
Tre anni dopo.
 

Attendere all’esterno della sala parto non fu piacevole, così come non lo fu non potersi lasciare andare a grugniti indispettiti e imprecazioni.

Tutto ciò sarebbe stato inammissibile, a Mag Mell.

Specialmente, per bocca di un principe.

La presenza dei miei genitori non mi fu di alcun aiuto, poiché essi erano più che miseri corollari, previsti solo dal protocollo reale.

Non era ad uso che i padri in attesa venissero confortati, anche se ne avrei avuto un gran bisogno, in quel momento.

Già pronto a mandare al diavolo l’ennesima regola comportamentale – ne avevo già trasgredite molte, dal mio matrimonio con Ciara, e altre ne avrei infrante – mi bloccai quando vidi uscire le guaritrici.

Una di loro, la più anziana in grado, dichiarò che tutto era andato bene e, dopo un inchino ai miei genitori, mi consigliò di entrare.

Tethra e Muath, a quel punto, si levarono dalle rispettive sedie per andarsene, come era da protocollo, e io non ne sentii affatto la mancanza.

Il fatto che il cerimoniale prevedesse che solo il padre potesse vedere i propri figli appena nati, mi piacque molto, in quell’istante.

Le guaritrici mi fecero entrare e, con rispettosi inchini, si dileguarono dalla stanza, lasciandomi infine solo con Ciara e…

Sorrisi spontaneamente, quando vidi due identiche copertine accanto ai suoi seni, e piccole testoline brune spuntare da quei tessuti morbidi e color lavanda.

Mi avvicinai con occhi sgranati, sicuramente sognanti e, grato che nessuno potesse vedermi in quel momento a parte la mia consorte, iniziai a piangere silenziosamente.

Chinai il capo a baciare le testoline gemelle, dopodiché dispensai lo stesso regalo a mia moglie, che sorrise, stanca ma fiera.

«Due… e chi se lo immaginava?» mormorai, ancora frastornato, ma più che felice che tutto fosse andato bene.

«Così non ce li litigheremo» ironizzò Ciara, la sua voce un po’ fiacca ma soddisfatta.

La baciai nuovamente, stavolta sulle labbra, e le domandai: «Sai già come vuoi chiamarli?»

Lei annuì birichina, e mi mise al corrente della sua decisione.

«Spero che la cosa non ti dia fastidio, ma ho consultato Sheridan, per la scelta. Volevo che i nostri figli avessero nomi con un significato importante, e che provenissero da una cultura alla quale entrambi noi ci siamo ispirati, così mi sono fatta consigliare.»

«Hai fatto benissimo. Quindi, ove è caduta la tua decisione?»

«Il maschio sarà Conor, mentre la femmina sarà Seanán.»

In un sussurro di miele, Ciara poi mi spiegò i significati dei nomi e, nel saggiarli sulla lingua per la prima volta, annuii.

Sì, Conor e Seanán erano davvero perfetti.

«Non vedo l’ora di mostrarli ai tuoi… ai nostri fratelli e sorelle» mormorò Ciara, stringendo un poco più a sé i gemelli.

Le sorrisi. «Ci sarà tempo per tutto. Ora riposa, e sappi che io rimarrò qui ad attendere il tuo risveglio, assieme ai nostri figli.»

Ciara assentì e, dopo aver sistemato Conor e Seanán nelle rispettive culle, mi accomodai sul bordo del letto per osservare, e vegliare, il sonno di mia moglie.

Ci sarebbe stato un tempo per ogni cosa, ma in quel momento volevo godermi da solo quella pace, quella gioia, quell’evento unico.

Avevamo lottato, per ottenerlo, e molte altre volte avremmo combattuto per ottenere altri risultati.

Ma per quel giorno, poteva bastare.

 

 
 
_____________________________________
Conor, leggasi “Conner”. Significa ‘forte determinazione’.
Seanán, leggasi “Shanawn”. Significa ‘grazia di dio’


Note: E con questo breve squarcio nel futuro, si chiude l'avventura di Stheta e Ciara, che comunque ritroveremo nella prossima storia, dedicata a Krilash, che si intitolerà "The eyes of truth".
Avremo a che fare con il passato oscuro di Krilash e con un presente colmo di sorprese, in cui il mito e la realtà si fonderanno, portando il fomoriano a scavare a fondo nei propri ricordi e in quelli dei suoi antenati.
Ringraziandovi per avermi seguita fino a qui, vi do appuntamento alla prossima settimana, con le avventure di Krilash e i fratelli mac Lir.

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