Resta con me

di _cercasinome_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Resta con me
 
Incrocio le braccia al petto, osservando la scena davanti a me. Il cielo si è dipinto di arancio e di porpora, mentre il sole cala lentamente all’orizzonte, nascondendosi dietro l’oceano. Da quell’alto promontorio vi è una vista davvero magnifica. L’oceano tranquillo ha assunto le stesse sfumature del cielo, rendendo il tutto più affascinante ma più malinconico.
Si, per me il tramonto porta solo malinconia, e anche un po’ di tristezza. Probabilmente, se fossi qua, mi daresti un forte pugno sulla zazzera verde, dicendomi che sono un inguaribile pessimista. Ma non ci posso fare niente. Per me, il sole che tramonta, che scompare, indica la fine di qualcosa. La conclusione di un giorno ad esempio.
A questo punto tu mi diresti che rappresenta anche un nuovo inizio. Ed avresti ragione. Ma, la fine di qualcosa e l’inizio di un'altra lasciano comunque una scia di sensazioni, di sentimenti che ci pervadono: tristezza, angoscia, malinconia, rimpianto, paura.
 Accidenti, sto diventando un sentimentalista.
Detto questo mi avresti colpito un’altra volta, ma solo per non ammettere che in realtà io avevo ragione. Purtroppo non ti è mai piaciuto conferirmi neanche una piccola vittoria.
Ma questa volta non puoi biasimarmi. Quando è successo, il sole stava tramontando.
Sospiro, cercando di mettere da parte quei pensieri, almeno per il momento. Devo mantenere un certo autocontrollo, soprattutto davanti agli altri.
Mi danno tutti la schiena. Chi seduto per terra, chi accovacciato su se stesso a piangere. Altri si abbracciano in modo da condividere la loro tristezza. Altri ancora, stanno in piedi, con la schiena dritta e atteggiamento fiero. Devono farsi vedere forti, Rufy e Sanji. Se si lasciassero andare alla tristezza anche loro la ciurma crollerebbe come un castello di sabbia colpito dal mare.
Vedo Robin che si alza e si passa le mani sul viso, forse per asciugare le lacrime. Rufy si avvicina a lei e le cinge i fianchi con un braccio, posandole un delicato bacio sulla fronte.
L’avresti mai detto? Probabilmente tu sapevi tutto, sei sempre stata un passo avanti agli altri (fatta eccezione per l’archeologa). Quei due hanno sorpreso tutti. Anzi! Forse è stata Robin quella a lasciarci a bocca aperta. Sanji tutt’ora non accetta questa cosa, non spiegandosi come una donna matura e intelligente come Nico Robin possa amare uno stupido ed infantile uomo di gomma. Adesso hanno anche un bambino: Ace, davvero troppo movimentato e allegro come il padre.
Sanji se ne farà una ragione, prima o poi. Proprio come è successo per noi due.
Si alzano tutti quanti da terra e capisco che è arrivato il momento di andare via. Almeno per loro.
Mi passano tutti accanto, uno dopo l’altro, cercando di nascondere le lacrime con le mani e le braccia. L’ultimo è Rufy che si ferma proprio al mio fianco. Lo guardo con la coda dell’occhio. Il suo sguardo è nascosto dal cappello di paglia abbassato sul viso. Mi appoggia una mano sulla spalla, stringendola per infondermi coraggio e forza, nonostante le sue labbra tremino a causa del pianto che aveva colpito pure lui. Gli sorrido, un po’ malinconico e triste, ma a noi basta questo. Sappiamo entrambi che possiamo contare uno sull’altro. Si allontana anche lui raggiungendo gli altri.
Torno a guardare ciò che poco fa era circondato dalla nostra famiglia e stringo i pugni lungo i fianchi. Inspiro ed espiro qualche secondo, cercando la forza per avvicinarmi.
Mi siedo per terra con un tonfo, alzando un po’ di terra. Incrocio le gambe e guardò attentamente ciò che ho davanti.
Sono passati 18 anni.
18 lunghi anni.
 Ma siamo tornati.
Sono tornato.
Ma tanto so che tu non ci hai mai abbandonato e che continui a viaggiare insieme a noi alla scoperta di nuove isole e alla ricerca del One Piece.
 Sai, ancora non l’abbiamo trovato. Rufy ancora non è diventato il re dei pirati ed io al momento non sono lo spadaccino migliore del mondo. Nessuno ancora ha realizzato i propri sogni. Ma sapevamo che la strada sarebbe stata lunga e tortuosa e nessuno ha intenzione di rinunciare.
Tranquilla, anche il tuo sogno si realizzerà. Volevi disegnare la mappa del mondo e ti prometto che succederà. Se ne occuperà lei.
Osservo il mare per qualche secondo. Il sole è sparito, lasciando dietro di sé soltanto una scia di colori che presto saranno inghiottiti dal blu della sera.
Sento un groppo alla gola che non mi permette di respirare regolarmente e mi inumidisce gli occhi. Perché? Perché è così difficile? Sono passati 18 anni, credevo di aver più o meno superato la cosa.
Ma quest’isola, questa croce conficcata nel terreno con il tuo avviso di taglia affisso con un chiodo, quest’odore inconfondibile di mandarini che mi annebbia la mente…
No, in realtà non ho mai superato la tua morte.
Ho solo imparato a controllare le mie emozioni.
Ma forse è meglio così. Non voglio superare, non voglio dimenticare. Anche se penso che sia davvero impossibile.
No, non potrei mai dimenticarti. Ogni cosa che ti riguarda è ben scolpita nella mia mente. Potrebbero anche passare altri 15 anni, o ancora di più, ma non cambierebbe nulla.
Sorrido malinconico ricordando il nostro primo incontro.
Una ragazzina sconosciuta che cercava di salvare il mio capitano, nonostante la decina di soldati che aveva alle spalle. Immediatamente capì che non potevo lasciarti morire, che dovevo difenderti, proteggerti, proprio come tu stavi facendo con il mio unico amico.
 Con un veloce scatto mi misi fra te e quei pirati da quattro soldi, bloccando il loro attacco con le mie katane. Come scordare lo sguardo sbalordito con cui mi osservavi mentre ti chiedevo come stessi e, nonostante le ferite, trasportavo quell’enorme gabbia di ferro che conteneva Rufy.
Forse tu non l’hai notato, ma mi hai colpito fin da quel momento. Il tuo coraggio, la tua tenacia, la tua furbizia e i tuoi rotondi occhi nocciola che mi scrutavano come se fossi un mostro. In effetti, non per vantarmi, ma il cacciatore di pirati Roronoa Zoro era molto conosciuto e probabilmente la mia fama di assassino era arrivata fino a te.
Eppure tu non hai mai avuto paura di me. Né quando eravamo compagni, né quando eravamo nemici.
Ah, come scordare tutta la faccenda di Arlong! Eri proprio una mocciosa testarda ed orgogliosa. Hai rifiutato il nostro aiuto fino all’ultimo, pensando di poterti fidare di quell’uomo-pesce. Per tua fortuna Rufy ti voleva a tutti costi nella sua ciurma. Dopo tutti questi anni, ammetto che ero d’accordo con lui, nonostante dimostrassi il contrario.
Ho sempre saputo che non eri semplicemente una ladra scaltra e senza cuore, sottoposta di Arlong. E me l’hai dimostrato quando mi hai salvato e poi mi hai liberato.
A quel punto ho sentito l’obbligo di ricambiare il favore. Ancora una volta sentì il bisogno e il dovere di salvarti. Ti volevo nella nostra ciurma. Avevo notato come fossi felice quando eri partita con noi e quanto tu ti sia impegnata sull’isola di Usopp. Eri una nostra nakama ormai e ti avremmo salvato dalle grinfie di quel mostro.
Ti avrei salvata, ad ogni costo.
Volevo rivedere quel sorriso che avevo visto mentre viaggiavamo. Quel sorriso così allegro che illuminava l’intera Going Merry. E a me è sempre piaciuto tanto.
Ma mi piaceva anche la smorfia imbronciata e arrabbiata che facevi quando ti arrabbiavi con me. Sono stato sempre la tua ‘preda’ preferita, non è vero? Ti divertivi tanto a picchiarmi e ricattarmi. Ma sappi che ti è andata bene perché sono un uomo con dei sani principi e non farei mai del male ad una donna (che non sia mia nemica). Anche perché, se solo ti avessi toccato, Sanji avrebbe fatto di me uno spiedino.
Non che mi spaventi del cuocastro, lo sai bene.
Ma una lite con il biondino comportava un altro dei tuoi pugni in testa. E a quel punto si sarebbe trasformato in un circolo vizioso senza fine.
Mi sdraio sul terreno divaricando le gambe e allargando le braccia. Osservo il cielo, non riuscendo più a guardare quella croce di legno.
Nonostante non sia ancora completamente buio, si può già vedere qualche piccolo puntino di luce splendere nel cielo.
Lo so che sei lì. Lo so.
Sei in mezzo a quelle stelle e splendi più di loro, accompagnandoci nel nostro viaggio.
Facevi parte della ciurma di Cappello di Paglia, e ne farai parte per sempre.
Allungo una mano verso l’alto, come a voler prendere qualcosa.
Voglio stringere di nuovo le tue mani , Nami. Voglio stringerle tra le mie, come facevo sempre quando facevamo l’amore.
Voglio stringerti di nuovo a me, mocciosa, come facevo dopo ogni battaglia durante la quale avevo paura di perderti. Come facevo per far ingelosire quel damerino e per tenere lontani da te tutti quegli uomini che, come me, ti trovavano bellissima.
Voglio sentire di nuovo le tue mani, le tue dita, accarezzarmi dolcemente.
Ti voglio di nuovo qui con me, Nami.
Ti voglio qui, cazzo!!!
Però…
Se potessi tornare indietro nel tempo, fino a quel giorno, non so se avrei il coraggio di cambiare le cose.
Ricordo tutto, purtroppo o per fortuna.

Le tue urla echeggiavano per tutta la Sunny.
Avevo perso la cognizione del tempo. Da quanto tempo eravamo chiusi in infermeria? Sicuramente già da qualche ora.
Con la coda dell’occhio osservo Chopper correre di qua e di là, trafficando con strani aggeggi e parlando serio con Robin, che eseguiva ogni suo ordine. Ma tutta la mia attenzione era incentrata su di te che, sudata e con i muscoli contratti, stavi sdraiata sul letto dell’infermeria.
Continuavi ad urlare senza sosta, ad inspirare ed espirare velocemente, mentre con una mano stringevi forte il lenzuolo fino a farti sbiancare le nocche e con l’altra stringevi la mia mano, conficcandomi le unghie nella carne.
I segni mi sono rimasti per circa un paio di giorni, dannata mocciosa!
Ma in quel momento non mi lamentai. Tu ti trovavi in una situazione ben più dolorosa e un mio lamento mi avrebbe assicurato la morte a causa tua.
-Dannato Roronoa! E’ tutta colpa tua!!!- ringhiasti a denti stretti, trucidandomi con lo sguardo. L’avrei passata brutta, ne ero sicuro.
-Volete muovervi?!- urlai io verso Chopper e Robin che, negli ultimi minuti, non avevano fatto niente di concreto, limitandosi a parlottare a voce bassa.
Mi osservarono entrambi, per poi scambiarsi un’occhiata seria che non mi piacque per niente. Vidi Chopper annuire all’archeologa, che si avvicinò a me per poi mettermi una mano sulla spalla.
La guardai confuso, senza capire cosa stesse succedendo, mentre lei mi spingeva fuori dall’infermeria.
Prima che Robin mi chiudesse la porta in faccia, ti guardai per un’ultima volta. Ero confuso e preoccupato e riuscì a leggere le stesse sensazioni nei tuoi occhi, che mi osservavano tristi scomparire dietro alla porta. Vidi le tue labbra sussurrare il mio nome mentre tendevi una mano verso di me, sperando che io l’afferrassi di nuovo, ma poi, davanti a me, ci fu solo il legno della porta.
Il tuo viso, sudato e tirato, era sparito davanti a me, insieme ai tuoi lunghi capelli ramati e arruffati. Mi voltai, dando le spalle alla porta e guardando il resto dei nostri nakama. Mi osservavano con sguardo interrogativo, ma non avevo risposte da dargli. Ne sapevo quanto loro.
Così mi allontanai, gli occhi sbarrati e fissi su un punto imprecisato, il nulla. Volevo stare solo. Avevo una strana sensazione che mi stava lacerando lo stomaco.
Perché mi avevano cacciato? Cosa stava succedendo?
Non so quanto tempo passò, ma da quando ero uscito da quella stanza, da quando mi avevano separato da te, non facevo altro che camminare impaziente avanti e indietro per tutto il ponte.
Il sole stava tramontando, lasciando il cielo dipinto di rosso quando il resto della ciurma mi raggiunse sul ponte.
Mi fermai di colpo, osservandoli attentamente, in attesa di tue notizie.
Perché non parlavano? Perché avevano tutti il capo chino? E perché stavano piangendo? Perché nessuno mi diceva niente? Perché nessuno riusciva a guardarmi negli occhi?

Quella sensazione allo stomaco stava diventando sempre più forte ed avevo un orribile presentimento. Tuttavia, prima di dare conclusioni affrettate, decisi di raggiungerti in infermeria per costatare con i miei stessi occhi cosa fosse successo, visto che nessuno mi dava le risposte che cercavo.
Mi incamminai a passo di marcia verso il sottocoperta, ma una mano forte mi afferro per il braccio, facendomi bloccare in mezzo al ponte.
Guardai sempre più confuso Sanji, che aveva trovato il coraggio di fissarmi negli occhi. Mi fece segno con la testa di non proseguire.
Spalancai gli occhi e iniziai a sudare freddo quando feci caso al suo viso rigato dalle lacrime. Perché piangeva? Cosa cazzo era successo?
Per un attimo pensai che la nostra bambina non ce l’avesse fatta. Sentì subito l’esigenza di correre da te, stringerti tra le braccia e cercare di consolarti, nonostante fossi certo che neanche io sarei riuscito a trattenere le lacrime.
Ma quella sensazione allo stomaco, che si era trasferita anche al petto e mi provocava un dolore allucinante, mi suggerì che mi stavo sbagliando.
Allora ricambiai lo sguardo di Sanji, pregandolo, supplicandolo con gli occhi. Doveva dirmi qualcosa.
Il cuoco mi lasciò il braccio, per poi voltarsi verso Chopper, che singhiozzava a causa del pianto. Lo imitati, attendendo impaziente una risposta.
La renna, nella sua forma umanoide, si avvicinò, e si fermò proprio davanti a me. Gli occhi fissi sui suoi piedi/zampe.
-Mi dispiace Zoro- sussurrò fra le lacrime.
Iniziai ad arrabbiarmi sul serio. Non mi piacevano questi giochetti, i giri di parole. Preferivo le frasi dirette, decisamente. Eppure nessuno sembrava volermi dire chiaro e tondo quello che fosse successo.
Così lo afferrai per le spalle, strattonandolo.
-Cosa è successo? COSA CAZZO E’ SUCCESSO?!- urlai, perdendo il controllo. Rufy si avvicinò, strattonandomi in modo da liberare Chopper, che piangeva sempre più forte.
Mi guardò serio, gli occhi e le guance ancora umidi nonostante in quel momento non stesse piangendo.
-Rufy…- sussurrai, in modo da fargli capire che stavo soffrendo, davvero tanto e che avevo bisogno di spiegazioni. Era ed è il mio migliore amico. Sapevo che mi avrebbe capito anche solo con un sguardo.
Ma mi lasciò senza parole quando mi abbracciò. Appoggiò il mento sulla spalla, mentre con le braccia mi circondò il busto.
-La bambina sta bene- disse e capì immediatamente che aveva ricominciato a piangere. Io rimasi fermo, immobile, con le braccia tese lungo i fianchi. Era una bella notizia, ma c’era dell’altro, per questo non feci niente. Prima volevo sapere tutto quello che era successo.
-Nami… lei non… MI DISPIACEEE!!!- frignò come un bambino il nostro capitano, stringendomi ancora più forte. Assimilai le poche parole che aveva detto, ripetendole più volte nella mia mente.
No. Non ci credo. Non poteva essere vero.
-Cosa è successo, Rufy?- me lo dovevano dire chiaro e tondo. Non avrei più accettato una spiegazione di poche parole senza senso. Misi fine all’abbraccio, che non avevo mai ricambiato, allontanando Rufy da me.
Il capitano si coprì gli occhi con un braccio, continuando a piangere.
-Zoro, Nami non ce l’ha fatta. Durante il parto….ZORO?!-
Non rimasi un secondo di più. Corsi via, verso l’infermeria. No, non era vero. Non poteva essere vero.
Chopper poteva anche essere il miglior medico del mondo, ma si stava sbagliando.
Ma allora perché stavo piangendo? Perché il cuore mi batteva forte nel petto e mi faceva male?
Mi bloccai di fronte alla porta di legno. Inspirai ed espirai per qualche secondo. Mi asciugai le lacrime perché, se mi avessi visto, mi avresti preso in giro a vita. Misi una mano sulla maniglia e mi stupì non poco quando notai che stava tremando. In realtà tutto il mio corpo tremava. Scoprì che non avevo il coraggio di abbassare la maniglia ed entrare in quella porta.
Mi rimproverai, dandomi dello sciocco. Tanto sapevo che tu mi stavi aspettando dietro quella porta, sorridente e stanca, con in mano un piccolo fagottino: nostra figlia. 
Infine mi decisi. Con un gesto rapido e deciso spalancai la porta. Rimasi sull’uscio, osservando il letto dell’infermeria.
Tu eri stesa su di esso. Gli occhi chiusi. Una mano penzolava dal letto.
Mi avvicinai, sempre più lentamente. Sorrisi come un deficiente. Stavi dormendo. Si, sicuramente. Dovevi essere davvero stanca a causa del lungo travaglio.
Afferrai la tua mano dondolante e la sentì estremamente fredda, ma non mi importava. La strinsi forte tra le mie, cercando di scaldarla.
Passai una mano sulla tua fronte, scostando la frangetta rossa che ti copriva leggermente gli occhi. Anche il tuo viso era gelido, nonostante lo sforzo e il sudore di pochi minuti fa.
Le labbra erano stese in un sorriso splendido che mi intenerì. Non avrei voluto disturbare il tuo sonno così tranquillo, ma dovevo, capisci?
Ti scossi leggermente con una mano, ma tu non ti muovesti di un millimetro. Ripetei l’azione, stavolta con più forza.
Niente.
Neanche un minimo movimento, un brontolio, un mormorio.
Niente di niente.
Mi chinai sul tuo viso, e quando vidi qualche goccia sulla tua guancia capì che avevo ricominciato a piangere. Ma non mi importava più che tu mi vedessi piangere, la cosa importante era che tu mi guardassi, di nuovo. Volevo che tu aprissi quegli occhi da cerbiatta.
Mi abbassai ancora di più, poggiando le mie labbra sulle tue. Anche queste erano fredde, troppe fredde.
La mattina, quando non avevi voglia di alzarti, ti svegliavo così. Ricordi? Avrebbe funzionato anche quella volta, lo sapevo.
Era un bacio delicato ed estremamente dolce. Avevo paura di farti del male. Durò solo pochi attimi, poi mi sollevai dal tuo viso.
Era molto meglio quando tu ricambiavi il bacio. Ma quella volta non l’hai fatto. Non l’hai potuto fare.
-Zoro…- gli altri mi avevano raggiunto, erano proprio dietro di me.
-Lo so- risposi semplicemente a Rufy.
Si, lo sapevo. Lo avevo capito. Lo avevo accettato.
Anzi, la mia testa lo aveva accettato. Il mio cuore non voleva, non ci riusciva.
Perché? Perché era successo? Perché ti avevano portata via da me? Era questa la mia punizione per aver ucciso e distrutto ovunque mettessi piede?
Strinsi i pugni lungo i fianchi. Perché proprio tu, Nami? Avrei dato di tutto in quel momento, anche la mia katana, pur di vederti aprire gli occhi.
Mi sentivo così impotente, così inutile e vigliacco. Ti avrei difeso da tutto, da qualsiasi cosa. Ma come avrei potuto difenderti in quel caso? Come?!
Era questa la cosa che più mi faceva incazzare. Io non avevo potuto fare niente. Non avevo potuto salvarti. Non ti sono neanche stato accanto.
Ed io sarei dovuto diventare il miglior spadaccino del mondo?
Ero patetico. Si, solo un patetico arrotacoltelli, incapace di proteggere la persona che più ama al mondo.
Senza neanche accorgermene, mi accasciai per terra, stringendo ancora la tua mano e piangendo come un disperato su quel letto sul quale la tua vita ti scivolò dalla dita.
Non riuscivo a smettere di piangere. E non m’importava. Mi sembrava l’unica cosa giusta da fare in quel momento. Non mi interessava neanche che i nostri compagni mi vedessero in quelle condizioni.
No, non mi importava più di niente. Volevo stare accanto a te, per tutta la vita, per sempre.
Guardai ancora una volta il tuo viso. Era più pallido del solito, ma eri comunque bellissima.
Perché stavi sorridendo? Perché eri così felice mentre io soffrivo come mai prima d’ora? Perché?
-Durante il parto ci sono state diverse complicazioni. L’avevo avvistata. Avevo detto a Nami che avrebbe rischiato la vita, ma lei ha voluto continuare. Ha voluto far nascere vostra figlia. Disse che non si sarebbe mai perdonata se, per salvare se stessa, avesse messo fine ad un’altra vita. Non è riuscita neanche a vedere la sua bambina, ma se n’è andata felice, sorridente- le parole di Robin mi arrivarono ovattate, ma capì tutto.
Maledetta mocciosa.
Stupida, testarda, bellissima e dolcissima mocciosa.
Ti sembrava una decisione da prendere sola? Potevi anche consultarmi, baka!
Anche se, non mi avresti mai dato ascolto, vero?
Ma non hai pensato alle conseguenze? Non hai pensato a me? Non hai pensato a tutti i tuoi nakama? Come faremo a navigare senza di te? Come faremo a sopravvivere alle tempeste in mare aperto?
Mocciosa egoista.
Improvvisamente, un debole pianto attirò la mia attenzione.
Continuando a piangere e con le gambe tremanti, mi alzai in piedi e mi avvicinai molto lentamente ad una piccola culla.
Subito notai delle manine alzate verso l’alto che si muovevano freneticamente. Poi vidi un piccolo corpicino, avvolto da una coperta di cotone rosa e una piccola testolina con una leggera peluria…rossa?
La guardai per qualche secondo. Aveva gli occhietti ancora chiusi e dalla bocca uscivano strani versi.
Lei era mia…
Lei era nostra figlia.
Era così piccola. Se l’avessi presa tra le braccia, probabilmente l’avrei spezzata.
La lasciai lì. Non la toccai. Non volevo.
In quel momento il mio cervello e il mio cuore in pezzi fecero un breve e semplice ragionamento.
Era colpa sua. Era per colpa sua se tu non c’eri più. Era stata lei a portarmi via la persona più importante di tutta la mia vita.
Un’indomabile rabbia si impossesso del mio corpo. Strinsi i pugni lungo i fianchi, facendo sbiancare le nocche e conficcando le unghie nella carne. Emisi qualche piccolo ringhio, che si mischiò ai singhiozzi dovuti all’interminabile pianto.
Mi voltai un’ultima volta verso di te.
Non ci riuscivo. Non potevo.
Se avessi passato un altro secondo in quella stanza, in mezzo a te, che giacevi morta e sorridente, e lei, che aveva rubato la tua vita, sarei impazzito.
Era arrivato il momento. Ti dovevo lasciare, Nami.


ANGOLO DELL'AUTRICE
Salve a tutti! Ecco a voi... questa cosa ahahahah
E' da molto che ce l'ho in testa e volevo pubblicarla per la settimana zonami. Ma purtroppo non ci sono arrivata. La fiction si è rivelata più lunga del previsto, infatti era nata come one-shot, ma l'ho dovuta dividere in due capitoli. Tranquilli, non dovrete apsettare molto per il prossimo e ultimo capitolo, è già pronto. 
Fatemi sapere cosa ne pensate, ci tengo!
Una bacio a todos!
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


RESTA CON ME
 
A passo di marcia, uscì dalla stanza. Ignorai tutti i nostri nakama, non guardando in faccia nessuno. Ad un certo punto mi bloccai, dando le spalle a tutti.
-Lei non è mia figlia- dissi semplicemente. Udì un leggero ed indecifrabile vociare. Ero sicuro che non mi avrebbero capito. Nessuno di loro poteva capire.
-Zoro…-
-E’ COLPA SUA!!!- urlai, voltandomi verso di loro mostrando il mio volto carico di disperazione e rabbia, e zittendo Usopp che indietreggiò spaventato.
Tutti mi osservarono con gli occhi spalancati e con un’espressione triste. Forse non si aspettavano una reazione del genere, ma in che altro modo avrei dovuto reagire?
Mi voltai di nuovo e uscì sul ponte. Mi bloccai qualche secondo solo per prendere una boccata d’aria fresca, sperando che mi tranquillizzasse. Il sole ormai era tramontato completamente, ma il cielo era ancora colorato di rosso.
Ringhai, con il viso rivolto verso l’alto.
Rosso.
Rosso come i tuoi capelli.
Rosso come i tuoi capelli che non potevo più avvolgere fra le dite.
Decisi di rifugiarmi nell’unico posto che riusciva a distrarmi, a calmarmi. Salì fin sulla palestra e mi chiusi lì dentro, solo.
Solo.
Si, mi sentivo talmente solo senza di te.
Afferrai due dei miei pesi, e iniziai ad alzare ed abbassare ritmicamente le braccia. Dovevo distrarmi, dovevo scaricare la rabbia.
Passai minuti, o forse ore, con quei pesi in mano. Ma in testa avevo sempre e solo te. Dannata strega, mi avevi fatto un incantesimo, non è vero? Si, doveva essere così.
Buttai i pesi per terra e mi passai una mano fra i capelli verdi.
Mi accorsi che stavo ancora piangendo. Queste dannate lacrime non finivano più!
Concentrai tutta la mia forza nel mio pungo e colpì la parete della palestra, urlando disperato. Continuai a scaricare la mia rabbia sulla parete che si deformava sotto i miei pugni.
Le mani iniziarono a sanguinare, ma non mi importava. Volevo farmi ancora più male, in modo da riuscire a sostituire il dolore della tua perdita con un altro dolore.
Ma nulla faceva più male della tua morte, Nami.
Rimasi chiuso in quella palestra per giorni, non so precisamente quanti. Non mangiavo, non bevevo. Non avevo voglia di fare niente, non ce la facevo.
Non avevo voglia di vivere, non ce la facevo.
Non piangevo più, non ero triste e neanche arrabbiato. Ero diventato insensibile a tutto. Non mi importava più niente.
Forse la cosa migliore sarebbe stata morire e raggiungerti.
Ma, un giorno, mentre stavo sdraiato per terra e osservavo il soffitto, Sanji e Rufy entrarono con forza nella palestra.
Io non mi alzai, non mi mossi, mentre loro si avvicinavano a me.
Erano in piedi accanto a me, uno da un lato e uno dall’altro. Non dissero niente, ma dopo qualche secondo, un pugno e un calcio mi fecero contorcere leggermente dal dolore.
Tuttavia non mi alzai. Non sapevo cosa avessero intenzione di fare, ma non mi importava. Se mi avessero ucciso, mi avrebbero fatto solo un favore.
-Fantastico! Ho sempre sognato di prenderti a calci in questo modo-
Non risposi. Sanji poteva riempirmi di calci, non mi importava.
-Zoro, smettila di fare il deficiente e torna tra noi- aggiunse Rufy.
Se erano saliti con l’intento di convincermi ad abbandonare la palestra per farmi stare con tutti loro e con quel quella marmocchia assassina, stavano perdendo tempo.
Non risposi neanche a lui e questo mi procurò un secondo pugno in pieno stomaco.
-Credi che Nami vorrebbe questo?-
No, questo non potevo accettarlo. Non poteva salire fin qui e pronunciare il suo nome, usandolo contro di me.
Con un balzo mi misi in piedi e diedi un forte pugno in faccia a Sanji che indietreggiò di qualche passo mentre la sua sigaretta cadeva per terra.
-Non nominarla!- lo rimproverai.
Un calcio mi colpì al fianco e mi fece infuriare ancora di più.
-Credi che manchi solo a te, testa d’alga?!- mi urlò contro mentre ingaggiavamo una lotta a mani nude.
Forse, mancavi pure a loro, dovevo ammetterlo. Ma era una cosa diversa. Io ti amavo, tu eri la cosa più importante per me. Ero pronto a rinunciare a tutto per te, il mio sogno, le mie katane, il mio orgoglio. Avrei dato l’altro mio occhio o addirittura la vita per proteggerti e vederti felice.
-Perché non provi a metterti anche nei nostri panni?! Non eri l’unico che l’amava!!!-
Mi bloccai. Cosa aveva detto quel cuocastro? Tutti sapevano che aveva una strana ossessione per te, ma era veramente amore? Pensavo che si comportasse in quel modo con te perché eri una donna, lo faceva con tutte! E poi, anche se non lo avrei  mai ammesso, avrei cercato di non far iniziare la nostra relazione se l’avessi saputo. Sanji è odioso ma è pur sempre un nostro nakama, no?
-Anche io l’ho amata, lo dovresti sapere. Fino a quando incontrai Violet, ma il mio affetto per Nami non è mai diminuito. Per me era come una sorella- continuò lui cercando di ricomporsi. Si sistemò il nodo della cravatta e si accese un’altra sigaretta, guardandomi serio.
Lo sapevo che anche loro le volevano bene. Lo sapevo! Ma perché non riuscivano a capire che io mi sentivo molto peggio?! Avevo perso la mia metà, una parte di me.
Si, Nami. Mi hai lasciato un vuoto enorme, incolmabile. Almeno credevo.
Poi c’ha pensato lei a colmarlo.
-Era la mia navigatrice, la mia migliore amica. Avevo promesso che l’avrei sempre fatta sorridere e adesso non può più farlo!- Rufy si aggiunse alla discussione, facendo una strana smorfia poiché cercava di trattenere le lacrime.
Guardai il mio capitano e poi di nuovo Sanji.
Egoista.
Si, ero stato uno sporco egoista.
Mi ero chiuso in me stesso, facendomi ancora più male, dimenticandomi dei miei amici, che erano pronti ad aiutarmi in ogni momento.
Sicuramente anche gli altri stavano soffrendo molto e io me ne stavo fregando.
Usopp si sentirà davvero inutile, non avendo più nessuna arma da costruire e perfezionare per te.
Chopper non saprà più a chi chiedere aiuto quando farà degli incubi. Non avrà più nessuno che gli racconterà delle storie.
Robin ha perso la sua migliore e unica amica. Non avrà più nessuno con cui confidarsi, con cui fare shopping o con cui piangere la notte quando sognerà sua madre e tutti i mostri del suo passato.
Franky ha perso la sua compagna di ballo, la prima che quando si scatenava sulla pista si univa a lui.
Brook non riuscirà più a suonare quelle canzoni che ti piacevano tante, dedicate solo ed esclusivamente a te per quando volevi rilassarti sul ponte. E non scoprirà mai il colore delle tue mutandine.
Ma soprattutto, tutti noi Mugiwara siamo persi senza di te. Letteralmente. Soprattutto io.
Mi butto per terra, stringendomi la testa fra le mani. Ricominciai a piangere, scoprendo che il mio corpo aveva una riserva infinta di lacrime.
Egoista.
Egoista.
Egoista.
-E poi Nami non ci ha lasciati soli. Anzi, non ti ha lasciato solo- notai che Rufy e Sanji si erano inginocchiati davanti a me. Il primo, mentre parlava, tornò a sorridere.
Lo guardai confuso, ma scoprì che il sorriso del nostro capitano è davvero tranquillizzante.
-Già. C’è vostra figlia- continuò il cuoco.
Nostra figlia…
Mia figlia?
-E’ colpa sua- dissi semplicemente.
No, non mi ero scordato di lei. E neanche di quello che ha fatto.
-Non dire cazzate!-
-Non è mia figlia-
-NAMI HA DATO LA VITA PER LEI! VUOI MANDARE A PUTTANE IL SUO SACRIFICIO?!-
Osservai sbalordito Sanji.
Quelle parole mi colpirono il petto come una pugnalata.
Nami era morta per far nascere nostra figlia. Tu non agivi d’istinto. Ogni tua azione, ogni tuo pensiero, aveva origine da un lungo ragionamento. L’avrai fatto perché ne eri convinta, più che convinta. Non hai pensato a te stessa. Hai pensato a lei, hai pensato a me.
Sono stato io il vero egoista. Non volevo neanche capire ciò che ti aveva spinto a compiere quel gesto.
-Forse ho esagerato- sussurrò Sanji, dandosi una calmata, dopo essere stato rimproverato da Rufy. Neanche lui si aspettava quella reazione da parte del cuoco.
No, non aveva esagerato. Aveva fatto più che bene.
Ne avevo bisogno.
Avevo bisogno di qualcuno che mi sbattesse violentemente la verità in faccia.
Mi alzai, barcollando un po’. Ero tremendamente stanco.
Stanco di tutta quella situazione.
-Voglio vederla-
Rufy e Sanji si scambiarono un occhiata, per poi fissarmi negli occhi. Io avevo trovato il coraggio e la forza di alzare la testa e di sostenere i loro sguardi.
I due sorrisero e batterono il cinque, soddisfatti del loro lavoro.
Tuttavia io ancora non avevo deciso niente. Volevo vederla si. Volevo capire perché tu avessi deciso di morire per lei. Ma tutto qui. Non sarei andato oltre. Ero ancora troppo confuso e abbattuto.
Mi accompagnarono fino alla cabina di Robin. La porta era aperta e potevo vedere l’archeologa che, dandomi le spalle, sistemava qualcosa nella culla che qualche giorno fa era in infermeria.
-Robin- disse piano Rufy attirando la sua attenzione. Lei osservò il capitano sorridendo e poi sposto lo sguardo su di me. Il suo sorriso si allargò ancora di più.
Tuttavia aveva gli occhi gonfi e umidi, il viso tirato Già, soffriva anche lei.
Ci raggiunse sulla soglia e mi poggiò una mano sulla spalla, in modo da infondermi coraggio. Poi la sentì allontanarsi insieme a Rufy e Sanji, lasciandomi solo.
Puntai gli occhi su quella culla. Strinsi i pugni lungo i fianchi ed entrai.
Con un po’ di esitazione mi avvicinai sempre più,fina a quando non riuscì a vederla perfettamente. Era avvolta da una copertina arancione che lasciava libere le manine ai lati della paffuta testa.
Stava dormendo e dalla piccola bocca uscivano delle bollicine. Senza accorgermene sorrisi intenerito. Per la prima volta dopo quel giorno, sorrisi.
Era così dolce. Mi ricordava così tanto….te.
Un po’ tremante avvicinai la mano al suo viso, accarezzandole una guancia rosea con un dito e scoprendola davvero morbida.
Quel leggero tocco però la fece svegliare e lei puntò i suoi occhioni su di me. Sembravano due noccioline, proprio come… i tuoi.
Continuava a fissarmi e io ritirai una mano, facendo una smorfia. Sarebbe stato meglio chiamare Robin prima che iniziasse a piangere.
Ma proprio mentre stavo per voltarmi, un suono acuto e talmente melodioso e dolce attirò la mia attenzione. La guardai stupito mentre la sua risata inondava la stanza. Aveva chiuso gli occhi e le manine si muovevano verso di me.
Avvicinai pericolosamente il viso a lei, incuriosito e affascinato, ma con una mano afferrò i miei tre orecchini, tirandoli e facendomi dannatamente male.
-Ahi! Stupida mocciosa!-
Alzai il busto, togliendo i miei pendagli dalla sua portata, e mi bloccai.
Come l’avevo chiamata?
Mocciosa?
Mocciosa.
Proprio  come chiamavo te.
In quel momento capì tutto.
Tu avevi dato la sua vita per lei, ma non eri morta.
No, assolutamente no.
Tu vivi in lei, non è così?
Sanji e Rufy avevano ragione. Tu non mi hai lasciato solo.
Tu non mi lascerai mai, vero?
Afferrai quel batuffolo fra le braccia, il più delicatamente possibile, terrorizzato all’idea di poterle fare del male.
Con mia grande sorpresa, lei si accoccolò sul mio petto, proprio come facevi tu quando volevi un po’ d’attenzioni, e si rimise a dormire.
Sorrisi di nuovo. Ma mi sentivo tremendamente in colpa.
Io l’avevo abbandonata. L’avevo lasciata sola per giorni. Avevo caricato sulle sue spalle una colpa molto più grande di lei.
Un mostro.
Si, ero un mostro.
Mi dispiaceva davvero per quella povera bambina. Era nata senza una madre e con un padre terribile come me.
Forse sarebbe stato meglio affidarla a Robin. Io non sapevo come fare a crescere, da solo, una bambina.
Che stupido! Non ero solo!
C’erano tutti i nostri nakama e soprattutto c’eravate voi due!
Sentì una calda e salata lacrima scivolare lunga la guancia. Una, solo una. L’ultima.
Ormai avevo capito.
La strinsi più forte fra le braccia, per poi rimetterla nella culla. Ma non mi allontanai. Volevo rimanere lì, accanto a lei.
Accanto a te.
Inoltre, mi era davvero impossibile andar via, perché quella mocciosa, nonostante stesse dormendo, continuava a stringere il mio indice fra le sue mani.
-Suuuper!-
-Missione compiuta con successo, grazie al fantastico capitano Usopp!-
-Non sapevo che il marimo sapesse essere così tenero-
-Dite che è troppo piccola per chiederle il colore delle sue mutandine?-
-ANCORA NON PORTA LE MUTANDINE, IMBECILLE!-
-E’ una bambina davvero dolce-
-Sono sicura che Zoro se la caverà-
-Anche se io non ce lo vedo proprio Zoro come papà!-
-Sappiate che vi sento, idioti!- ringhiai, facendo attenzione però a non svegliarla. Mi voltai, notando tutte le teste dei nostri nakama che, curiose, sbucavano dal corridoio.
Loro risero e si avvicinarono.
Tutti tranne Rufy, che rimase sull’uscio, sorridente mentre guardava la sua famiglia. Afferrò il cappello di paglia e lo strinse al petto. Sussurrò solo due parole, ma io riuscì a sentirle.
-Grazie Nami-
Sorrisi, in direzione del nostro capitano.
Si, grazie Nami.
Grazie davvero di tutto.
Dopo la tua morte pensavo di non poter più amare nessuno, che nel mio cuore non ci fosse spazio più per nessuno. Ma dovetti ricredermi.
Ogni volta che la guardavo, che mi sorrideva, che si addormentava accoccolata sul mio petto, che mi chiamava ‘papà’ con quella vocina buffa, io mi innamoravo, ancora e ancora.
Adesso è cresciuta e…

-PAPA’!-
Alzo il busto da terra, voltandomi verso quella voce che conosco bene.
Sorrido, mentre la vedo correre verso di me.
E’ cresciuta davvero tanto, adesso ha 18 anni.
Indossa un vestito verde, fin troppo corto per i miei gusti, con una cintura marrone alla vita, alla quale è legata una spada, e degli stivaletti, anche’essi marroni.
E’la tua fotocopia, Nami.
Lunghi capelli ramati tenuti in una coda alta e occhi nocciola. La pelle, però, è leggermente più scura della tua.
E’ capricciosa, testarda e orgogliosa proprio come te. E’ golosa di mandarini, ma per fortuna non è troppo attaccata i soldi. Ma è una scaltra ingannatrice, e si diverte a fare scommesse con tutti quanti, riuscendo sempre a vincere. Non tanto per guadagnare berry, ma per puro divertimento. Vuole dimostrare che è la migliore.
Ma, per fortuna, nelle vene le scorre sangue di spadaccina.
Eh si. Ha deciso di seguire le mie orme.
Quando aveva solo 5 anni, prese la mia Wadō Ichimonji e, alzandola verso il cielo, disse che un giorno sarebbe diventata la miglior spadaccia del mondo, in modo da dimostrare di essere più forte di me.
E’ davvero molto competitiva, proprio come me.
Ma, tranquilla. Avevo detto che si sarebbe occupata anche del tuo sogno.
Un giorno, la vidi scarabocchiare qualcosa sull’albero maestro (immagina la reazione di Franky e Usopp) e si rivelò una vera e propria artista. Così, quando divenne un po’ più grande, le raccontai del tuo sogno.
Lei mi guardò seria e mi disse che ci avrebbe pensato lei. Avrebbe disegnato, anzi, completato la mappa del mondo. Disse che voleva riuscirci a tutti i costi perché era l’unica cosa che poteva condividere con te.
E’ davvero fantastica, vero?
-Ehi papà! Ho conosciuto Genzo e la zia Nojiko. Sono davvero simpaticissimi!- mi dice non appena mi raggiunge.
- Già, lo so, Bellemer-
Lo sapevo. Sapevo che avresti tanto voluto chiamare tua figlia come tua madre. Me ne avevi parlato una sera mentre, sdraiati nella nostra cabina, ti accarezzavo il pancione. E quindi ti ho accontentata.
-Adesso, posso stare un po’ qui con te?- mi chiede dondolando sulle punte dei piedi e tenendo le mani intrecciate dietro la schiena. Ha già 18 anni, ma rimane sempre una mocciosa. La mia mocciosa.
Le sorrido, sistemandomi meglio. Lei ricambia il sorriso felice e si siede fra le mie gambe, accoccolandosi sul mio petto come fa da quando è piccola. Appoggio il mento sulla sua testa e la stringo forte. Non è più una bambina, adesso è una ragazza, ma per fortuna questi momenti così speciali tra noi due non finiscono mai.
-E quindi è qui che riposa la mamma-
-Proprio così, accanto alla nonna della quale porti il nome-
Allora, ci era sembrata la cosa più giusta seppellirti qui, nel villaggio di Coco. E quale miglior posto se non accanto a Bellemer. Abbiamo dovuto affrontare un lungo viaggio, ma non ci importava. Dovevamo portarti qui, a tutti i costi.
-Era davvero bella- sussurra, nonostante non possa sentirci nessuno, sfiorando il tuo avviso di taglia.
-Si, era bellissima. E tu sei bella proprio come lei- rispondo.
E’ l’unica persone con cui parlo tranquillamente, senza essere troppo duro o freddo.
-Ti manca?-
-Si, tantissimo. Ma non sono triste, perché ho te e tutti i mugiwara- sono sincero. Non sono triste. Devo e voglio essere forte, per lei.
Lei mi stringe più forte e poi si avvicina alla tua croce, inginocchiandosi.
-Mamma, dovevi essere proprio una persona fantastica se sei riuscita a far innamorare di te papà!- sorrido divertito. Si lo era, per questo mi sono innamorato di lei –Mi sarebbe piaciuto tanto conoscerti, ma mi devo accontentare dei racconti di papà e di tutti gli altri. Lui ti ha amata e ti ama davvero tanto ancora ora, lo sai vero? Avete vissuto così tante avventure insieme, che lui mi ha raccontato e che ho letto sul tuo diario, che vi hanno legato tantissimo. Spero di diventare una donna forte, bella e coraggiosa proprio come te-
Le guardo la schiena, sorpreso ed intenerito. Sareste andate molto d’accordo voi due, ne sono certo. Mi dispiace che lei non ti abbia potuto conoscere.
 Ad un certo punto la sento abbassare la voce, così mi avvicino maggiormente, curioso.
-E forse ho trovato un ragazzo con cui vivere tutte le avventure che voi due avete vissuto insieme. Si tratta di Ace. Questo è un piccolo segreto fra noi due, papà si ingelosirebbe subito quindi…. PAPA’! STAI ORIGLIANDO, PER CASO?!-
-Assolutamente no!- dico, colto in fallo, alzandomi in piedi. Poi qualcosa attira la mia attenzione.
-Che cos’hai nel collo?- indico una piccola macchia, o forze un livido circolare sul suo collo. Sembra…
Lei arrossisce leggermente, ma continua a sorridere birichina. Il tuo stesso sorriso.
No. Non può essere! Non dirmi che quello è prorpio…
-Me l’ha fatto Ace- dice, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, non curandosi dell’infarto che potrebbe colpirmi da un momento all’altro.
-QUEL BRUTTO…-
-Si è fatto tardi! Andiamo!- mi interrompe, saltando in piedi e correndo via, verso il paese.
Ad un certo punto si ferma e guarda verso di me, continuando a sorridere.
-A presto mammaaa!!!- urla, mettendo una mano accanto alla bocca e muovendo con forza l’altra, alzata verso il cielo.
Poi scappa via.
Può correre quanto vuole, ma me la pagherà. Non solo lei.
Quell’Ace da strapazzo ha osato toccare mia figlia! Quello era un succhiotto, lo so!
Lui e anche quel babbeo di suo padre, se la vedranno con me!
Una debole brezza mi avvolge il corpo, e mi rilasso sotto quelle carezze. Un inconfondibile odore di mandarini raggiunge le mie narici.
Sei tu?
Sei tu, non è vero?
Chiudo gli occhi, facendomi cullare ancora da quel soffio.
Si, non puoi che essere tu.
Adesso mi pizzichi leggermente il volto.
Lo so, lo so. Bellemer ha 18 anni, è abbastanza grande. In più Ace è un ragazzo affidabile, figlio dei nostri migliori amici. Ma non credo si necessario per lei avere un ragazzo. Rimanere single non ha mai ucciso nessuno.
Sorrido, sentendo il vento che mi soffia nelle orecchie e immaginandomi la tua risata.
Se solo ci fossi tu…
Osservo il cielo blu, un tappeto di luminose stelle sopra la testa. Senza accorgermene si è fatta sera. Sento il vociare delle persone del villaggio.
Ah, mi stavo dimenticando della festa che avevano preparato per il nostro ritorno.
Sarà meglio andare, o finiranno tutto il sakè.
Mi girò un’altra volta, guardando il tuo avviso di taglia.
Grazie Nami.
Grazie per tutto quello che hai fatto per me.
Mi hai insegnato ad amare, e non lo scorderò più.
Ma solo se tu resti con me.
Non abbandonarmi.
Continua a seguirci, a vegliare su di noi.
A vegliare su di lei.
Su di me.
Resta con tutti noi mugiwara, per sempre.
Resta con me.


ANGOLO DELL'AUTRICE
Salve a tutti! Ecco il secondo ed ultimo capitolo della fiction. Mi è dispiaciuto molto che nessuno l'abbia recensita, ma forse è perchè sarebbe stato meglio leggerla tutta in una volta e non dividerla in due capitoli, errore mio. Comunque vorrei ringraziare chibi_onigiri che, anche se non ha recensito la storia, l'ha inserita tra le seguite.
Adesso che la storia è completa spero che qualcuno mi dica cosa ne pensa.
Un bacio a todos!


 

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