Street of Dreams

di QueenVLondon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42 ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43 ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44 ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45 ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46 ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47 ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48 ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49 ***
Capitolo 50: *** Capitolo 50 ***
Capitolo 51: *** Capitolo 51 ***
Capitolo 52: *** Capitolo 52 ***
Capitolo 53: *** Capitolo 53 ***
Capitolo 54: *** Capitolo 54 ***
Capitolo 55: *** Capitolo 55 ***
Capitolo 56: *** Capitolo 56 ***
Capitolo 57: *** Capitolo 57 ***
Capitolo 58: *** Capitolo 58 ***
Capitolo 59: *** Capitolo 59 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Temo che il mio angelo sia mutato
 in diavolo, non ne sono certo;
ma sono entrambi lontani, fra di loro amici,
credo l’angelo nell’inferno dell’altro.
Non lo saprò mai, vivrò nel dubbio
finché l’angelo cattivo avrà bruciato il buono.

William Shakespeare
 
 
Capitolo 1

 
La hall dell’hotel era colma di avventori con indosso abiti dall’aspetto costoso. Poveri facchini si lanciavano sguardi di rammarico, mentre si apprestavano a svolgere il proprio lavoro con aria professionale ed espressione neutra.

Seduta su una poltrona di pelle nera, una giovane donna stava controllando la propria corrispondenza, facendo scivolare con disinvoltura l’indice destro sullo schermo dell’iPhone.

Un uomo dall’aspetto elegante le lanciò un’occhiata, apparentemente interessato, ma lei non se ne accorse, perché non era lui quello che stava aspettando. Le sue labbra sottili si schiusero in un sorriso quasi di sollievo quando scorse un uomo di corporatura media e dalla carnagione olivastra andare verso di lei.

«Miss Kant, di Inside The Movies Magazine?», le domandò gentilmente.

Parlava con voce stanca come se fosse reduce da una lunga notte, o da una sfiancante discussione.

«Sì, sono io», gli assicurò lei.

«Mi spiace per questo ritardo. Mr Wellington la raggiungerà fra pochi minuti».

«D'accordo», disse educatamente.

Non era entusiasta di essere stata costretta ad arrivare con un’ora di anticipo per poi dover pazientemente attendere che lui si degnasse di apparire, ma dai suoi lineamenti dolci non trasparì alcuna irritazione.

«Come ho già detto, qualunque domanda che esuli dall’ambito prettamente professionale implicherà la fine dell’intervista», le ricordò Stephen Olsen in tono pratico.

La giornalista annuì appena e dopo che gli ebbe assicurato che non avrebbe toccato tali argomenti, l’uomo si scusò di nuovo e la congedò.

Trascorsero altri quindici minuti e di George Wellington neppure l'ombra. Stava veramente iniziando a innervosirsi. Era sempre stato noto nell'ambiente per la sua puntualità per cui quel ritardo era decisamente inaspettato.

Per fortuna pochi istanti dopo finalmente l’attore comparve di fronte a lei e la ragazza tirò un sospiro di sollievo.

Erano passati più di tre anni dall'ultima volta che lo aveva visto, quando era ancora soltanto una stagista, e non avrebbe mai sperato di avere la chance di intervistarlo. Quando Mr Bones le aveva affidato quel compito si era mostrata impassibile, ma il suo cuore aveva perso un battito.

Cercando di essere il più professionale possibile, Sarah lo salutò con un sorriso cordiale e gli strinse la mano, che l’uomo le stava porgendo.

L'attore la guidò nella Club Loungue Board Room dell'hotel.

«Mi scusi per il ritardo, Miss Kant», disse.

Il suo tono pareva un’eco di quello del suo agente.

«Nessun problema. Ne ho approfittato per portarmi avanti con del lavoro arretrato», replicò lei con voce neutra.

La giornalista tirò fuori il registratore e gli pose le prime domande. Iniziò con quelle standard sul suo nuovo film, Otherside e su com’erano i rapporti con i colleghi. Gli chiese quale fosse la scena che aveva preferito girare e come l’aver trascorso sei mesi nel deserto lo avesse aperto a nuove prospettive.

George rispose a ogni quesito, ma lo fece senza mai guardarla negli occhi e la ragazza ebbe l’impressione che avrebbe preferito trovarsi in qualunque altro luogo fuorché lì.

Probabilmente aveva già ascoltato quelle stesse domande un’infinità di volte e le sue risposte erano finite con il divenire delle semplici battute che si limitava a ripetere intervista dopo intervista.

Da parte sua Sarah conosceva quasi a memoria quello che lui stava dicendo, ma il giornale non la pagava per le proprie parole, bensì per le sue. Così recitò quel copione insieme a lui.

Cinque minuti dopo che l'intervista era iniziata, George fece una smorfia e si portò una mano alla tempia, massaggiandosela. Incerta sul da farsi, e assolutamente consapevole che non avrebbe potuto fare cosa più stupida e meno professionale, mise il registratore in pausa.

«Tutto apposto?», gli domandò, non riuscendo a trattenersi e sperando di non perdere la propria credibilità in un nanosecondo.

Lui annuì.

Il tuo colorito verdastro sembra dire il contrario, pensò lei, ma stette ben attenta a tenere per sé le proprie considerazioni.

«Sì, grazie», rispose, brusco. «Possiamo proseguire?»
 
«Certo».

Riaccese il registratore e continuò con la serie di domande che si era preparata.

Stava per porgli l'ultima, quando il cellulare dell’attore squillò.

George si scusò e controllò chi lo stesse cercando.

La sua fronte si aggrottò. Di qualunque faccenda si trattasse, il suo già precario umore non dovette giovarne, poiché quando mise l’iPhone nella tasca dei pantaloni, la sua espressione era ancora meno cordiale.

«Abbiamo finito?», chiese a Sarah, guardandola per la prima volta negli occhi.

 «In realtà credo che ci sia il tempo per un'ultima domanda».

Quando i loro sguardi si incrociarono per un momento la ragazza si sentì mancare il respiro: gli occhi di George erano dello stesso colore dell’oceano, solo molto più profondi.

«Certo... Prego», acconsentì lui, senza preoccuparsi di apparire garbato.

Sarah gli chiese qualcosa riguardo a un nuovo progetto, ma l'attore tergiversò. Forse stava solo cercando di confonderla, oppure stava giocando. Oppure non aveva idea neppure lui di quello che stava dicendo. O semplicemente non voleva rispondere.

Fatto sta che alla fine Sarah si arrese, lo ringraziò per il suo tempo ed uscì, insoddisfatta, dal Ritz.

 
Una volta rimasto solo, George rientrò nella sua suite e si stese sul letto. Il suo mal di testa era in crescente aumento e un'idea continuava a balenargli nella mente, nonostante cercasse in ogni modo di scacciarla. Estrasse l’iPhone dalla tasca e fissò il display.

Aveva la mascella serrata, mentre scorreva i numeri della rubrica. Chiuse gli occhi per un attimo e poi gli riaprì, scorse di nuovo l'elenco e decise di chiamarla.

Il telefono squillava a vuoto. George sospirò e fissò di nuovo quell'apparecchio inutile. Odiava i telefoni. Lo gettò dall'altra parte del letto e si alzò proprio mentre Stephen, il suo agente, entrava nella stanza.

L'uomo sembrava molto nervoso e George si augurò di non doverlo affrontare di nuovo.

«Allora. Com'è andata l'intervista?», gli domandò, guardandolo con una certa preoccupazione.

Solitamente restava con lui nella stanza per assicurarsi che i giornalisti si attenessero al loro copione; tuttavia – onde evitare ulteriori discussioni – aveva deciso che forse era meglio lasciare l’attore da solo per questa volta.

«Routine», tagliò corto lui.

«Nessuna domanda...?», insistette l'altro, lasciando la frase sospesa a metà, certo che il suo interlocutore avrebbe capito a cosa si stesse riferendo.

George scosse la testa. Poi senza prestare attenzione all'uomo accanto a lui, andò in bagno e prese un paio di analgesici, sperando che il suo tormento finisse.

«Stasera c'è...», cominciò Stephen, ma l’attore lo interruppe.

«No».

Il suo tono non ammetteva repliche, ma l’agente non si arrese e tentò di farlo ragionare.

«Si tratta di un evento...», ripeté Stephen per la milionesima volta.

L'attore smise di ascoltarlo. Conosceva a memoria l'importanza di quel party per il lancio dell'ultimo film di Ryan Gosling, ma non aveva la minima intenzione di farsi vedere. Non avrebbe sopportato le inutili chiacchiere di rito, non avrebbe tollerato di stringere mani e sorridere. Tanto meno di trovarsi di fronte fan urlanti.

Non quella sera e Stephen lo sapeva bene.

Sapeva che la sua presenza era stata confermata, ma il suo agente avrebbe trovato una scusa. Lo aveva già fatto in passato. Inoltre, aveva già altri programmi per la serata che non includevano un abito elegante, né tanto meno persone ipocrite.

Erano soltanto le 9:45AM e non desiderava altro che quella giornata fosse già finita.


Ciao a tutti!
Avevo in cantiere questa storia da un bel po' e finalmente sono riuscita a metterla "su carta".
Se qualcuno ha già fatto incursione nelle mie storie precedenti potrebbe notare una certa somiglianza con i primi tre capitoli di una mini-long autoconclusiva di tre anni fa: i personaggi infatti sono gli stessi, ma stavolta ho deciso di portare avanti le loro vicende e di dare a Sarah la possibilità di capire le ragioni che si nascondono dietro alla freddezza (e al comportamento) di George.
E' la mia prima long originale e spero che vi piacerà! Se vi andasse di lasciare un commentino, ne sarei felice. ;)
Intanto colgo l'occasione per ringraziare chi mi ha sostenuto in questa impresa e chi ha aspettato questi tre anni per sapere cosa sarebbe successo dopo! Mi auguro di non deludervi!
A presto
Vale

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Intanto dall'altra parte della città degli angeli, Sarah stava terminando il suo pezzo su Wellington.

Il suo ufficio si trovava al ventesimo piano dell’Empire Longe Building e aveva una discreta vista sullo skyline della città. Il grattacielo era stato costruito solo qualche anno prima sul modello dell’Empire State Building newyorkese ed era provvisto di posti auto privati.
Tuttavia, questi non erano alla portata di tutti e la ragazza non ne aveva mai visto uno neppure da lontano.

Mettere insieme l'intervista non le richiese molto tempo visto che ne aveva già buttato giù una bozza prima dell’incontro con l'attore. Così, operando pochissime modifiche, l'articolo fu pronto in tempi record, permettendole di controllare alcuni pezzi su cui stava ancora lavorando.

Quasi non si accorse che il buio in ufficio era calato, finché l'oscurità non le impedì di vedere quello che aveva davanti.

«Sai, dovresti farti pagare di più», commentò una voce maschile, facendola sussultare.

Sorrise quando scorse Gregory Bones, il suo capo.

«Potrebbe mettere una buona parola col direttore», replicò con un sorriso, chiudendo il portatile.

«L'intervista con Wellington?», si informò.

«La preview sarà online domattina».

«Ottimo. E adesso va' a casa», disse Bones in tono burbero.

«Certo, capo. Buona serata».

Detto questo, Sarah afferrò la giacca nera dall'appendiabiti e uscì dall'edificio.

Prima di salire in auto avvisò il suo ragazzo che si sarebbero incontrati direttamente al Blue High e, dopo aver lanciato un’occhiata al suo riflesso nello specchietto retrovisore, mise in moto.
 

Il volto dell’avvocato si illuminò non appena la vide e, quando gli fu vicino, la baciò appassionatamente.

«Ciao», le sussurrò.

«Ciao», ripeté lei.

L'ultima arrivata salutò anche Samantha e Thomas, due colleghi di Will, dopodiché ordinarono da bere.

La serata trascorse allegramente, chiacchierando del più e del meno, almeno fino a quando Samantha, che oltre a lavorare con il suo ragazzo era anche una sua cara amica, non le chiese qualche pettegolezzo sulla sua intervista con George Wellington.

«Beh, potrai leggere la prima parte insieme a tutti i comuni mortali domani mattina!», le disse la giornalista con un sorriso.

«Simpatica! Dai».

«In effetti, sono curioso anch'io. Non mi hai raccontato nulla in proposito», s’intromise Will, poggiando una mano sulla sua coscia.

«Perché so essere discreta», replicò Sarah. «Non c'è molto da dire... Mi sono limitata a fare le solite noiosissime domande».

Le cui risposte sapevo a memoria, aggiunse mentalmente.

«E come ti è sembrato lui?», le domandò Sam.

Sarah rimase in silenzio, incerta su come rispondere.

Quale impressione gli aveva fatto George Wellington?

Aveva atteso pazientemente anni per riuscire a farsi affidare un'intervista importante e la delusione che aveva provato era stata palpabile. Era abbastanza sveglia da non aspettarsi di riuscire a strappare chissà quale informazione cruciale a uno degli attori più riservati di Hollywood, però aveva almeno sperato di essere trattata con un minimo di cortesia da lui. Per non parlare del fatto che l’aveva lasciata ad aspettarlo per oltre un’ora.

Insomma: le sue attese si erano sciolte come neve gettata nel fuoco.

George non si era nemmeno sforzato di essere gentile, cosa che l'aveva ferita più di quanto sarebbe stato lecito, ma non era necessario che tutti i presenti ne venissero informati.

«L'ho intervistato, Sam. Non l'ho incontrato per una chiacchierata fra amici», rispose, forse un po' troppo acidamente.

«Cavoli, è andata così male?», le chiese il suo ragazzo, riponendole un ciuffo ribelle dietro all'orecchio.

In realtà, Will sapeva quanto tenesse a quell'occasione.

«È stata solo un'intervista. Tutto qui», si limitò a dire con una scrollata di spalle.

«Beh, magari era solo di pessimo umore», suggerì.

O forse avrebbe preferito essere intervistato da un'altra persona..., pensò lei suo malgrado.

Aveva fatto il possibile per scacciare quel pensiero ridicolo, in modo da non rovinarsi completamente la giornata, ma non c'era riuscita.

Nonostante la marea di lavoro che era riuscita a sbrigare quel giorno, George Wellington e il suo atteggiamento ostile erano rimasti il suo chiodo fisso. Era riuscita persino a buttare casualmente l'argomento nella conversazione durante la pausa pranzo con Rebecca, che l'aveva intervistato qualche mese prima e anche lei le aveva assicurato che Wellington era stato un vero gentleman.

Tutti avevano avuto un'impressione totalmente positiva nei suoi confronti. Tutti tranne lei.

Non poteva fare a meno di ripensare alle sue risposte brusche, ai suoi modi tutt'altro che gentili e, soprattutto, a quello sguardo nei suoi occhi. Sembrava arrabbiato per qualcosa e Sarah era certa di non aver toccato nessuno degli argomenti tabù con le sue domande.

Ma forse era davvero solo indisposto e non aveva voglia di rispondere alle solite domande. Doveva essere per forza così. Era impossibile che quell'uomo, che non la conosceva affatto, ce l'avesse con lei.

Un'ora dopo Sam e Thomas se ne andarono, lasciando la coppia da sola. Restarono lì per un altro po', dopodiché decisero di rientrare anche loro dal momento che Will aveva un'importante riunione in ufficio la mattina seguente.

L’avvocato la precedette, tenendole aperta la porta dal locale. Sarah stava per avvicinarsi a lui e baciarlo, quando sentì una risata provenire da un paio di metri accanto.

Si voltò senza pensarci e lo vide lì con quelli che ipotizzò essere dei suoi amici.

George Wellington. A pochi metri di distanza.

In quel momento, Sarah non era una giornalista andata lì per intervistarlo. Era soltanto una ragazza che si trovava davanti all'improvviso il ragazzo che le piaceva, che l'aveva sempre affascinata e di cui seguiva la carriera dalla notte dei tempi.

«Vuoi rimanere qui a fissarlo?», le chiese Will a un certo punto.

Nonostante avesse la pazienza di un santo, non potevo chiedere la luna. Era umano anche lui.

«No, certo», replicò lei con un sorriso nervoso.

«Intanto vado a prendere la macchina, okay?»

«Va bene. Grazie, tesoro», disse, baciandolo.

«Faccio in fretta», aggiunse.

Sarah diede a Will le chiavi della sua auto, dal momento che il ragazzo era arrivato insieme ai suoi colleghi, dopodiché guardò attentamente George e si rese conto delle condizioni in cui era.

Sapeva bene che non erano affari suoi quello che l'attore faceva, specie nel proprio tempo libero, ma ringraziò mentalmente che gli altri non fossero lì. Né Sam né Thomas erano attenti al gossip, però sarebbe stato impossibile trattenere la sua amica da cominciare un’accesa discussione in proposito. Nonostante fosse nata a Los Angeles non era una grande fan di ciò che ruotava attorno allo star system e riteneva il 99% delle celebrities soltanto degli ipocriti viziati e Sarah fu costretta ad ammettere che quella mattina George non si era dimostrato differente.

Sarah diede un’occhiata in giro, ma il quartiere sembrava tranquillo e fortunatamente per lui non scorse neanche l’ombra di un paparazzo.

Si stava chiedendo quanto tempo avrebbe impiegato Will a tornare, quando vide George camminare verso la propria auto con le chiavi in mano, dopo aver salutato i suoi compagni.

Ma era totalmente pazzo?!

Tutti i suoi buoni propositi sul farsi gli affari propri e sul non lasciarsi coinvolgere in faccende che non la riguardavano andarono in fumo in un istante.

Non poteva permettere che si mettesse al volante in quello stato. Non sarebbe più stata capace di guardarsi allo specchio nello stesso modo se gli fosse successo qualcosa.

Così, consapevole di stare avventurandosi in un terreno pericoloso, la ragazza fece un profondo respiro e lo raggiunse proprio mentre stava infilando la chiave nell'auto.

Beh, sarebbe più corretto dire che ci stava provando.

Sarah si schiarì la voce e gli toccò una spalla con un dito, rendendosi conto che era la prima volta che approcciava uno sconosciuto in maniera tanto esplicita, anche se in fondo non riusciva a considerarlo davvero tale.

George si voltò verso di lei infastidito e la fissò con sguardo interrogativo, probabilmente domandandosi chi diamine fosse.

Il suo sguardo passò dal vuoto allo sconcertato all'irritato in un nanosecondo, quando riuscì a identificarla.

«Mi dispiace Miss Kant, ma non penso di voler continuare l'intervista di questa mattina. Ho già detto tutto ciò che dovevo», le disse in tono brusco, mangiandosi mezze parole.

«Non si tratta di questo... Mi spiace, so che non sono affari miei, ma dovrebbe prendere un taxi», replicò Sarah, cercando di apparire calma.

Lui le restituì un'occhiata incredula, poi scoppiò in una risata senza gioia.

«Sta scherzando?! Non penso che quello che faccio la riguardi. Non è mia madre. Non è nessuno. Non devo certo chiederle il permesso per salire sulla mia auto», borbottò fra una risata e l'altra, scuotendo la testa divertito.

Detto ciò, dopo vari tentativi andati a vuoto, riuscì finalmente a inserire la chiave nella serratura della sua Porsche nera e aprì lo sportello.

Incerta su come rispondergli, si limitò a restare lì in piedi in silenzio accanto all'auto, mentre lui saliva a bordo.

Qualunque altra persona sana di mente a quel punto lo avrebbe mandato a quel paese e se ne sarebbe andata con un'alzata di spalle. Si trattava della sua vita e sì, poteva farne ciò che voleva. Era nelle sue facoltà.

Le sue parole l’avevano ferita, perché in cuor sapeva che corrispondevano alla verità: lei non era nessuno per quell’uomo e lui avrebbe dovuto essere nessuno per lei. Purtroppo però non era così, quindi non si allontanò e, quando lui ebbe chiuso lo sportello, bussò con insistenza sul finestrino.

Sapeva di non avere alcun diritto di agire in quel modo, ma fu più forte della sua razionalità.

George la guardò furioso e, per un attimo, Sarah ebbe quasi paura di lui. In fondo non lo conosceva, per cui non poteva immaginare quale potesse essere la sua reazione in quelle condizioni.

Fortunatamente in quel momento sentì dei passi famigliari alle proprie spalle.

Si voltò e vide Will.

«Ehi, ci sono problemi qui?», chiese il nuovo arrivato, piombandole alle spalle.

Sarah lanciò un'altra occhiata all’attore e poi spiegò la situazione a Will. Mentre parlava si rese conto che stavano attirando un po' troppo l'attenzione di alcune ragazze, che si stavano concedendo una pausa sigaretta fuori dal Blue High.

Will prese in mano la situazione. Era uno dei lati positivi del suo mestiere di avvocato: sapeva gestire ogni imprevisto e ogni tipo di persona e, in quel momento, Sarah avrebbe pagato oro per possedere il suo stesso sangue freddo.

«Scendi», ordinò a George in tono risoluto.

«Stai scherzando, spero!», replicò quest'ultimo.

«Andiamo, non puoi guidare in queste condizioni. Non me ne frega niente se vai a sbattere contro un albero, ma non sei il solo sulla strada. Scendi».

L'espressione dell'attore passò dallo sbalordito al rassegnato.

In quale universo parallelo chiunque osava dargli ordini?

«Sono disposto anche a tirarti fuori da lì personalmente», aggiunse Will.

Conoscendolo, Sarah sapeva bene che non stava scherzando e sapeva anche che quella situazione non gli piaceva affatto. Se fosse stato per lui se ne sarebbe andato senza dire una parola, ma era consapevole che per lei significava qualcosa.

La ragazza fissò preoccupata entrambi, temendo una rissa. Sapeva che Will era un uomo pacifico, ma se c'era una cosa capace di fargli saltare i nervi era qualcuno che non trattava col dovuto rispetto la sua fidanzata. E George Wellington non lo stava facendo.

Per fortuna però l'attore parve riacquistare un grammo di lucidità, perché aprì lo sportello e scese dall'auto. Si reggeva a malapena in piedi.

Will gli diede una pacca sulla spalla, come si fa fra due vecchi amici, e diede un'occhiata in giro.

Iniziava a esserci parecchia gente e nemmeno l'ombra di un taxi.

«Senti, c'è qualcuno che può passare a prenderti? Puoi chiamare qualcuno…?»

L'attore si sfregò un braccio con una mano e scosse la testa.

«No».

«D’accordo», borbottò Will.

«Possiamo accompagnarlo noi», propose Sarah, senza dargli neanche il tempo di soppesare le alternative.

«Amore, non ce la faccio a passare pure a Beverly Hills, o dove abita. Devo svegliarmi fra meno di quattro ore».

Aveva totalmente rimosso la riunione di Will coi soci anziani dello studio. Doveva presentarsi riposato.

«Hai ragione».

Un'idea assolutamente malsana si fece largo nella sua mente.

«Potrei accompagnarlo io», gli sussurrò, certa che quella proposta non avrebbe riscosso il consenso sperato.

«Non se ne parla», ribatté, infatti, il suo ragazzo.

«Tesoro...».

«Senti, Amore. Non è che non mi fidi di te, okay? Non mi fido di lui, viste le condizioni».

«E cosa proponi?», gli chiese, interrompendolo. «Non possiamo restare qui tutta la notte a cercare un taxi».

E non possiamo lasciarlo da solo in mezzo alla strada, aggiunse mentalmente.

Will sospirò, vagliando le varie opzioni.

Mai nella vita avrebbe voluto lasciare la donna che amava in compagnia di un uomo nelle condizioni in cui attualmente si trovava George Wellington, ma conosceva abbastanza bene la sua donna da sapere che ormai aveva già preso la sua decisione.

Sarah era una persona  dolce, ma quando si metteva in testa qualcosa era impossibile farle cambiare idea. La sua testardaggine era anche uno dei motivi principali per cui si era innamorato di lei.

Così, anche se stavolta avrebbe preferito gettarsi in un palazzo in fiamme, disse:

«D'accordo. Ma voglio che mi chiami non appena sei a casa, va bene?»

«Certo», acconsentì lei, accarezzandogli una guancia e baciandolo.

George non sembrò prestare la minima attenzione a quello che stava accadendo intorno a lui. Complici i numerosi drink che aveva ingurgitato quella sera, la sua mente era momentaneamente in black out e, visti i suoi pensieri ricorrenti, non avrebbe potuto esserne più felice.
 



Ciao a tutte!
Visto che per alcune questi capitoli sono un po' una rilettura più dettagliata, ho deciso di postare prima del previsto e metterò il 3 capitolo martedì. :)
Nonostante Sarah sia rimasta alquanto delusa da George non se la sente di voltargli le spalle, ma avrà esagerato un po' a volerlo riaccompagnare a casa da sola? Il suo ragazzo si arrabbierà? E come si comporterà George con lei?
Lo scoprirete prestissimo, ma mi piacerebbe sentire le vostre opinioni.
Intanto ringrazio le persone che hanno aggiunto questa storia alle seguite, lasciato un commentino o semplicemente hanno deciso di provare a scoprire qualcosa di più su questi personaggi!
Un bacio e a presto
Vale

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


«Hai mai guidato una Porsche?», le domandò George non appena furono fuori dal parcheggio.

«Certo. Ne ho una decina nel mio garage, di colori diversi. La scelgo quotidianamente in base al mio umore», replicò con un sorriso.

Lui ridacchiò.

Per una decina di minuti nessuno dei due disse più una parola e la ragazza iniziava a sentirsi molto a disagio. Non aveva mai amato il silenzio e di certo in quella situazione due chiacchiere, o un po' di musica avrebbero allentato la tensione. Ma non era abbastanza spudorata da accendere la radio di sua iniziativa in macchina d'altri.

George, da parte sua, sembrava rilassato. Ma probabilmente dipendeva dal fatto che aveva a malapena cognizione di dove si trovasse.

Quando finalmente Sarah scorse l'insegna del Ritz, prima emise un sospiro di sollievo, poi sgranò gli occhi e si lasciò sfuggire un “Oddio”. L'hotel, infatti, era circondato dai paparazzi. Ce n'erano praticamente ovunque.

Scalò la marcia e rallentò. Lanciò un'occhiata all'uomo accanto a sé in attesa che le dicesse cosa fare; peccato che George Wellington avesse gli occhi chiusi.

Incerta sul da farsi, decise di accostare in una via poco lontana dall'hotel. Spense l'auto e sfiorò il braccio dell'attore nella speranza che ciò bastasse a svegliarlo. Speranza che si rivelò vana.

Fece un respiro profondo e gli toccò con maggior vigore la spalla. Ci impiegò qualche secondo, ma alla fine aprì gli occhi e la guardò, confuso.

Chiaramente non aveva la più pallida idea di chi fosse. La ragazza non si scompose e gli espose la questione. Lui si prese la testa fra le mani e le indicò quella che ipotizzò fosse la strada che portava a un altro ingresso dell'hotel.

Si era trasferita a Los Angeles soltanto da cinque mesi insieme a Will e ancora non aveva memorizzato tutte le vie.
Tuttavia, si rese improvvisamente conto che si stavano allontanando. Molto.

Stava per farglielo notare, quando lui le sussurrò con voce roca:

«Non stiamo tornando là. Ho una casa da queste parti».

La notizia la spiazzò. Non aveva mai visto foto della cosiddetta casa. Possibile che fosse riuscito a tenerla nascosta ai paparazzi a Los Angeles?

Più probabile che avessero ottenuto qualcosa per non fotografarlo lì.

«Okay. Dimmi quando devo fermarmi».

Ormai era passata dal lei al tu quasi senza accorgersene.

Sarah seguì le indicazioni di George per un altro centinaio di metri e svoltò soltanto quando l'attore le indicò una villetta con un alto cancello grigio. L'uomo aprì il cancello con il telecomando e così varcarono quella soglia.

Un confine che Sarah non avrebbe mai creduto possibile oltrepassare, ma soprattutto che non avrebbe mai neanche dovuto pensare di superare.

Dopo che ebbe parcheggiato la Porsche nell’ampio vialetto lanciò un'occhiata a George, che si stava sganciando la cintura, e spense la macchina.

Come diamine avrebbe fatto a tornare a casa adesso?

L'unica opzione plausibile era cercare un taxi.

George scese dall'auto e lei lo imitò.

«Grazie del passaggio», bofonchiò, voltandosi a guardarla.

C'era solo quella splendida auto a dividerli.

«Figurati», replicò la ragazza educatamente.

Fece rapidamente il giro dell'auto e gli restituì le chiavi.
Lui la trafisse con i suoi occhi chiari.

Perché non stava già andando verso il cancello?

Sembrava che avesse persino scordato come girarsi e camminare. Il problema era che aveva fantasticato fin troppe volte su come sarebbe stato vedere il luogo dove George Wellington viveva e adesso si trovava veramente lì, insieme a lui.

Osservò il giardino perfettamente curato, la Lamborghini gialla parcheggiata poco più lontano e cercò di memorizzare ogni dettaglio. Avrebbe desideravo osservare meglio anche la facciata dell’abitazione, ma era troppo buio.

L’attore le fece un cenno meccanico con la testa e si incamminò verso il portone con passo malfermo.

Sarah impiegò circa due secondi per capire che non sarebbe neppure riuscito ad arrivarci da solo. Così lo raggiunse e gli passò un braccio intorno alla vita. Lui si appoggiò a lei e, nel farlo, gli sfiorò involontariamente la schiena. Considerando che era alto almeno 15 cm di più e che era molto atletico l'impresa si rivelò titanica, ma, miracolosamente, riuscì a trascinarlo in casa.

Una volta dentro trovò il suo volto a pochi centimetri dal proprio. L'attore le accarezzò il mento con le dita e le ripose un ciuffo di capelli dietro all'orecchio come era solito fare Will, dopodiché poggiò le labbra carnose sulle sue.

Il contatto con la sua bocca per Sarah fu qualcosa di indescrivibile: si sentì ribollire il sangue nelle vene e la sola cosa che la portò a respingerlo fu il pensiero di Will.

Sapeva che George non poteva essere suo, sapeva bene che era soltanto ubriaco, che per lui non avrebbe significato nulla. Che lei per lui non significava niente. Glielo aveva anche già detto chiaramente.

Eppure si ritrovò a pensare che se Will non avesse fatto parte della sua vita, non sarebbe riuscita a fermarlo. Non avrebbe voluto fermarlo.

Invece, si scrollò di dosso George e si illuse che lui avesse capito il concetto. Tuttavia, la sua speranza si rivelò vana.
L'attore, infatti, non si perse d'animo e riprese a baciarla, stavolta sul collo.

«Ti prego...».

Il suo sussurro fu il suono più straziante e al tempo stesso seducente che avessi mai udito. Ogni parte di lei lo desiderava.

Quante volte avevo immaginato uno scenario simile? Quante volte avevo sognato che la toccasse in quel modo? Troppe…

Certo, nelle sue fantasie lui non era ubriaco e a malapena consapevole di dove si trovasse, ma poco importava. Restava il fatto che fosse lì e la volesse. Quanto avrebbe voluto assecondarlo... Invece non cedette di un millimetro e lo spinse verso la parete, il più lontano possibile da sé.

Cercò di riprendere fiato e distolse lo sguardo da lui.

Quando lo fissò di nuovo, era ancora contro il muro, lo sguardo basso: sembrava quasi un bambino messo in punizione dalla maestra. Era pallidissimo.

«Stai bene?», gli domandò un po' in ansia.

Perché le importava così tanto dei suoi sentimenti?

Aveva cercato di baciarla, avrebbe addirittura potuto denunciarlo per molestie sessuali, avrebbe dovuto essere furiosa e non preoccupata. Le sue sensazioni non avevano più senso.
Lui non rispose, però – prima che potesse dire qualcosa – il cellulare della ragazza squillò.

Era Will. Senza neanche pensarci, prese la chiamata con mani tremanti.

«Sarah, dove sei? Ho provato a chiamarti a casa, ma c'è la segreteria», disse il suo ragazzo con tono angosciato.

 «Non sono ancora tornata», gli rispose piano, certa che questo avrebbe scatenato un'altra serie di domande.

«Non sei tornata? Stai bene? Sei ancora...?», lasciò la questione sospesa a metà.

«Sì... L'ho appena accompagnato a... in hotel», si corresse. «Stavo giusto uscendo per cercare un taxi».

«Senti, vengo a prenderti io».

«No, non ce n'è bisogno. Devi alzarti presto domattina...», gli ricordò, consapevole della propria bugia.

Come avrebbe potuto spiegargli che si trovava a casa di George?

Silenzio dall'altra parte.

«Sei sicura?», le chiese infine.

«Sì, tranquillo. Sarò a casa fra poco», lo rassicurò.

«Va bene. Ma chiamami appena arrivi, okay?»

«Sì».

«Ti amo e stai attenta».

«Certo».

Detto questo riattaccò e si rese conto che George non era più davanti a lei. Avrebbe voluto andarsene, ma prima doveva accertarsi che stesse bene.

Vagò per qualche secondo per l'immensa villa dalle pareti color crema. L’ingresso era enorme e arredato in maniera molto moderna. Riconobbe anche un quadro di un artista contemporaneo piuttosto famoso, ma di cui in quel momento non riusciva proprio a ricordare il nome.

Oltrepassò le scale e scorse di sfuggita quello che doveva essere il soggiorno. Senza perdere ulteriore tempo nonostante stesse fremendo dall’eccitazione e dalla curiosità, finalmente arrivò in sala da pranzo e lo trovò lì, piegato sul lavello.  

Sarah non aveva mai avuto il complesso della crocerossina, eppure si avvicinò prontamente a lui e, senza dire una parola, gli accarezzò la schiena e gli tenne la testa mentre vomitava. La cosa inquietante è che non fu neppure disgustata da tale spettacolo poco piacevole.

Quando finalmente ebbe finito gli porse un asciugamano per ripulirsi la fronte madida di sudore.

«Tutto bene?», gli domandò, incerta su cosa dire.

Lui annuì.

«Okay... Forza, hai bisogno di sdraiarti e di dormire un po'».

Detto questo accompagnò George nella prima camera da letto che trovò nonostante fosse poco convinta che fosse quella che era solito usare e lo aiutò a togliersi le scarpe e il giubbotto di pelle che aveva indosso.

Lui chiuse gli occhi, il suo colorito non prometteva bene.

Sarah diede un'occhiata alla sveglia che c’era sul comodino: segnava le 2:44AM. Pregò che fosse avanti.

«Beh... Io dovrei andare adesso», esordì, torturando la maniglia della sua pochette.

«Resta...», biascicò lui, sforzandosi di articolare una frase di senso compiuto.

Si sentiva la testa esplodere dal dolore. Il mal di testa di quella mattina era una passeggiata in confronto. Aveva la vista annebbiata dall’alcool e riusciva a malapena a rammentare cosa fosse successo quella sera.

«Ti prego. Resta e basta. Ti giur... Ti prometto che non ti sfiorerò con un dito... Solo... resta».

Sarah rimase senza fiato a contemplarlo. I suoi pensieri fecero un triplo salto mortale. Sapeva bene di non poter rimanere lì con lui. A che pro? L'indomani mattina la situazione sarebbe stata a dir poco imbarazzante. Inoltre, aveva promesso al suo ragazzo che sarebbe rientrata subito a casa. Doveva anche chiamarlo... Doveva andarsene da quella casa. E di corsa anche.

Tuttavia, commise il terribile errore di fissare con attenzione il volto dell'uomo sdraiato a meno di un metro da lei. Un dolore straziante traspariva da ogni lineamento del suo viso perfetto.

Così, fece la cosa più stupida che potesse fare. Poggiò la borsa su una sedia e si sedette accanto a lui.

George si spostò più in là per farle spazio.

«Grazie», mormorò, accarezzando la sua mano, sempre a occhi chiusi.

Cosa diamine stava facendo?

 
Fu colpita negli occhi da una luce accecante. Accidenti. Provò a rigirarsi dall'altra parte, ma nulla da fare. Così si rassegnò e quando aprì gli occhi quello che vide la spaesò.
 
Le pareti color crema erano quasi spoglie. L'unico quadro appeso era un'opera di Picasso. Fu solo in quel momento che realizzò dove si trovasse e, soprattutto, con chi. Per poco non ebbe un infarto. Fece un profondo respiro e cercò di calmarsi.
 
Ma cosa aveva fatto?
 
Cercò di riconnettere il cervello e, senza voltarsi, lanciò un'occhiata al suo fianco. Il letto era vuoto.
Non sapeva se considerarlo un buon segno, oppure no. Fortunatamente, prima di addormentarsi, aveva mandato un sms a Will dicendogli che era tornata a casa.

Non le piaceva mentire, ma dubitava che sarebbe stato entusiasta delle sue recenti azioni.
D'altra parte, non aveva fatto nulla di sbagliato. Non era successo assolutamente niente fra lei e George.
Si era solo limitata a restare a casa sua per la notte.

Will non la vedrebbe così, disse una vocina nella sua testa.

Tuttavia, ormai non poteva tornare indietro, per cui si limitò ad alzarsi e a recuperare la giacca e la borsa. La sua idea era quella di sgattaiolare via prima che George tornasse, ma non poté metterla in pratica perché l'attore apparve, quasi fosse stato capace di leggerle nel pensiero, mentre si stava chiudendo la giacca.

La sua espressione era contrita: pareva imbarazzatissimo e, in effetti, ne aveva motivo.

«Buongiorno», gli disse, cauta.

«Buongiorno», le fece eco con voce vuota.

Restarono a fissarsi come due manichini per qualche istante interminabile.

George guardò la ragazza di fronte a lui, cercando di ricordare chi fosse. Ma non ne aveva la più pallida idea. Il suo volto gli pareva quasi famigliare, era abbastanza sicuro di averla già incontrata altrove, però non riusciva proprio a ricordare dove.

Dal momento che si era svegliato poco prima accanto a lei, aveva tentato di ripercorrere mentalmente le vicende di quella notte, ma ne aveva conservato ben pochi ricordi.

Per cui non trovò cosa migliore da fare che iniziando scusandosi. Non sapeva bene neppure per cosa, ma in ogni caso era abbastanza certo di non aver dato il meglio di sé.

«Mi dispiace molto per quello che è accaduto stanotte», esordì serio. «Era una brutta serata», aggiunse.

Sarah non replicò.

«Ehm... Potresti rinfrescarmi la memoria sul tuo nome?»

«Sarah. Sarah Kant. Ci siamo conosciuti ieri mattina al Ritz. L'intervista», gli ricordò.

Sarah vide un lampo di preoccupazione farsi strada negli occhi azzurri dell'attore.

«Troverò questa roba sull'edizione della sera della tua rivista? Oppure hai già postato lo scoop su Twitter?», le chiese a bruciapelo.

«Scusa?», gli domandò lei, senza capire dove volesse andare a parare.

O forse non volendolo comprendere.

«Non fingere di non capire. Hai passato la notte qui», le rammentò George.

«Perché tu me lo hai chiesto», ribatté, confusa e irritata.

«Non ti sei fatta sfuggire l'occasione. Quindi quanto vuoi per far sparire le foto che hai scattato e l'articolo?»

Sarah rimase senza fiato.

«Non c'è nessuna foto. Non c'è nessun articolo, a parte quello di cui abbiamo parlato insieme».

La ragazza era sconvolta. Credeva davvero che durante la notte avesse scattato delle foto? A giudicare dal suo tono e dalla rabbia che traspariva dal suo volto pareva proprio di sì.

«No, certo», disse lui, sarcastico.

George la guardava come se fosse un mostro. Anzi. Il Mostro. Il suo sguardo era carico di odio e la ferì più in profondità di quanto non avrebbe dovuto.

Ma cosa mi ero messa in testa?, si chiese Sarah.

Avrebbe dovuto fare quello che la sua parte razionale le aveva ordinato: fregarsene di quel tizio che non conosceva e farsi gli affari suoi. A quest'ora sarebbe stata a casa, nel proprio letto, invece che dall'altra parte dalla città a discutere di soldi con uno sconosciuto. Senza contare che non avrebbe neppure dovuto mentire al suo fidanzato.

Doveva andarsene da quella casa. Il prima possibile. Subito.

«Senti, non voglio i tuoi soldi e ti garantisco che non c'è nessuna foto».

«Quindi qualcuno ti ha già offerto una bella cifra. Posso raddoppiartela».

Sarah gli restituì uno sguardo schifato.

«Io non sono in vendita e di certo non lo è il mio lavoro! Non c'è nessuna foto e ora, se vuoi scusarmi, dovrei andare a cercare un taxi e tornare a casa», precisò gelida.

Fece per andarsene, ma George la bloccò, afferrandola per un braccio.

«Mi fai male», gli disse, guardandolo negli occhi.

Forse rendendosi conto di aver usato fin troppa forza per trattenerla, George la lasciò andare, si allontanò di qualche passo da lei e le chiese di nuovo:

«Non troverò questa roba su internet?»

La ragazza scosse la testa, ferita.

Di fronte al suo sguardo, l'espressione di George si addolcì. Evidentemente aveva compreso che stava dicendo la verità.

Si passò una mano fra i capelli e fece del suo meglio per scusarsi. Di nuovo.

«Mi dispiace. Senti, posso chiamare un taxi e...».

«No, grazie. Hai già fatto abbastanza», rispose lei a denti stretti e, detto ciò, si diresse verso la porta alla velocità della luce, sbattendo la porta in faccia a George Wellington.



Ciao a tutti!
Il gesto senz'altro carino, e forse un po' avventato di Sarah, non pare aver riscontrato la riconoscenza di George...
Sarah ha ragione nell'affermare di aver commesso un grosso errore nell'aver cercato di aiutarlo e questo potrà avere ripercussioni sul suo rapporto con Will? Gli racconterà quello che è successo davvero, o farà finta di nulla?
Sicuramente George non si è comportato bene con lei, ma quali motivazioni si nasconderano dietro alla maniera nel quale ha trattato Sarah e, soprattutto, se ne pentirà e cercherà di fare qualcosa per rimediare?
Spero di ritrovarvi al prossimo capitolo! Intanto se vi andasse di dirmi cosa ne pensate, mi farebbe molto piacere. :)
A presto
Vale
 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Erano trascorse tre settimane dal malaugurato incontro con George e, nonostante facesse il possibile per non pensarci, Sarah era ancora sconvolta e delusa dal suo comportamento.

Non poteva dire di conoscerlo, poiché non sapeva assolutamente niente di lui, però… Neanche nelle sue peggiori aspettative avrebbe mai immaginato di essersi sbagliata così tanto nel giudicarlo.

Una parte di lei tendeva lo stesso a giustificarlo: che razza di esistenza conduceva per non fidarsi più di nessuno, per credere che chiunque tramasse per affondarlo?

Tuttavia, la sua parte razionale le consigliava di mettersi l’anima in pace. Il George Wellington che aveva idealizzato era solo il frutto della sua immaginazione, non esisteva nella realtà.

Forse aveva trascorso troppo tempo a fantasticare su di lui, ma – per quanto sciocco potesse sembrare – scoprire che non aveva niente in comune con l’uomo che aveva immaginato era sufficiente per farle male.

Lei e Will non avevano più toccato l’argomento e Sarah era grata di non dover rivangare quello che era accaduto. Era stata la prima volta in cui aveva mentito al suo ragazzo, ma confessargli di essersi fermata a casa dell’attore non avrebbe fatto altro che creare scompiglio per nulla. Stavolta tacere le sembrò la soluzione migliore.

In ogni caso, il suo pezzo su George aveva raggiunto un numero di visualizzazioni record sul sito del magazine e le aveva procurato altre due interviste con delle stelle nascenti di Hollywood, per cui da quella faccenda era derivato almeno qualcosa di buono.

Stava controllando alcune bozze al computer, quando qualcuno bussò alla porta del suo ufficio.

«Avanti», disse con tono professionale, senza smettere di leggere.

Sulla soglia apparve una ragazzina sui diciotto anni.

«Sarah, scusa se disturbo, ma volevo sapere cosa devo portarti per pranzo», disse timidamente la stagista.

Indossava una camicia griffata rosa antico sopra dei jeans chiari, ai piedi un paio di ballerine Prada.

Sarah alzò finalmente gli occhi dallo schermo e sorrise alla nuova arrivata.

«Un sandwich al tacchino andrà benissimo. Grazie, Rose».

«Sai, non avevo ancora avuto modo di dirtelo, ma ho letto il tuo articolo su George Wellington. È incredibile!», commentò Rose, lanciando alla giornalista un'occhiata piena d'ammirazione mista a invidia.

«Ti ringrazio».

«È davvero bello come appare in foto? Speriamo venga qui qualche volta! O forse è meglio di no, potrei morire vedendolo!», aggiunse con una risatina nervosa. «Beh, vado a prenderti quel sandwich. Buon lavoro».

Una volta rimasta sola, Sarah tirò un sospiro di sollievo.

Riusciva a comprendere perfettamente la gioia e l’entusiasmo, l’eccitazione di Rose, ma in quel momento il solo parlare di George era sufficiente a innervosirla.
Com’era possibile che le interessasse tanto un uomo che non conosceva e che l’aveva trattata malissimo?

«Sarah, posso parlarti un attimo?», le domandò una voce maschile, cogliendola di sorpresa.

La ragazza si voltò e sorrise al direttore del reparto Marketing.

«Certo, Daniel. Dimmi pure», disse in tono efficiente.

«Si tratta della festa per Gregory. Tu e Will sarete dei nostri?», le chiese.

Gregory Bones avrebbe compiuto sessantacinque anni la settimana seguente e tutto l'ufficio si stava adoperando per organizzare un party, che nei loro progetti sarebbe stato l'evento del mese.

«Will sarà fuori città per lavoro, ma io ci sarò sicuramente», gli assicurò.

«Ottimo. Beh, io vado in pausa pranzo», disse in tono stanco. «Non sono neanche riuscito a fare colazione stamani», aggiunse, uscendo a grandi passi dall'ufficio.

Poco dopo, la giovane Rose tornò con il pranzo di Sarah, che quest'ultima divorò in fretta, visto che alle 3PM avrebbe dovuto recarsi  allo Chateau Marmont per un'intervista con una star emergente. Un tale Ryan McBerry che, nonostante all'anagrafe risultasse avere sedici anni, aveva l'ego di un uomo navigato di oltre quarant'anni con una carriera piena di successi alle spalle.

Quando il ragazzino si accese una sigaretta ed espirò il fumo di fronte a lei, Sarah dovette far appiglio a tutto il suo autocontrollo per mantenere la calma e non interrompere l'intervista.
Non c'era niente di peggiore che avere a che fare con ragazzini raccomandati convinti che il mondo fosse ai loro piedi e che tutti fossero lì solo per servirli.
Tuttavia, nonostante l’arroganza e la maleducazione del giovane, riuscì a lasciare l'albergo con un'ottima intervista.

Tornò direttamente a casa, in modo da evitare di essere interrotta ogni minuto per discutere dei dettagli legati alla festa.

Una volta arrivata, aprì la porta e appoggiò la borsa all'attaccapanni dell’ingresso.
Si accorse immediatamente che c’era qualcosa di strano. Tutto le sembrava al proprio posto, ma aveva la singolare sensazione di non essere sola.

Non era solita lasciarsi prendere dal panico, ma Los Angeles non era esattamente la città con il minor numero di infrazioni e lei aveva visto fin troppe volte Bling Ring, sebbene non rientrasse fra i suoi film preferiti e la sua non fosse esattamente la dimora di Paris Hilton.

Molto cautamente, e stando ben attenta a non fare rumore nonostante il tacco 12, diede un'occhiata in giro e quando varcò la soglia del soggiorno, per un istante, temette che il suo cuore si fermasse.

«Ma cosa...?», sussurrò, fissando lo spettacolo di fronte a sé con occhi sbarrati.

L'intero pavimento era ricoperto di petali di rosa rossi. Ce n'erano praticamente ovunque e al centro della stanza il tavolo era apparecchiato a lume di candela per due.

Il responsabile poteva essere soltanto uno. Sarah sorrise, si portò una mano alla bocca, con il cuore colmo di gioia e di amore per l'uomo straordinario che aveva la fortuna di avere al suo fianco.

«Oh accidenti! Sei in anticipo!», esclamò una nota voce maschile.

Pochi secondi dopo Will apparve accanto a lei.

Sarah sorrise divertita osservando il suo ragazzo, un noto avvocato dalle dubbie doti culinarie, con un grembiule addosso.

Will la guardò come se non avesse mai visto niente di più bello, andò verso di lei, la spinse verso una delle pareti della stanza e la baciò. Fu un bacio passionale, lento e al tempo stesso deciso.

Le loro lingue si unirono, si assaporarono sapientemente. Poi Sarah si staccò da lui.

«Sei arrivata in anticipo», le ripeté lui con voce roca.

«Mi dispiace. Avevo pensato di finire del lavoro da casa».

«Beh, sono felice che tu sia qui, ma dovrai aspettare almeno mezz’ora per la cena. E... Buon anniversario, piccola».

Solo in quel momento Sarah, sentendosi una completa idiota, realizzò che effettivamente sì, quello era il loro terzo anniversario.

«Buon anniversario», gli fece eco, arrossendo.

Come aveva potuto dimenticarsene?

«Non te lo ricordavi. Come sempre», la prese in giro Will, ridendo.

Ricordare le date non era mai stato il suo forte. Ma Will non pareva irritato, né tanto meno deluso dalla sua dimenticanza.

«Adesso va' di là, per favore. Non riesco a cucinare se stai qui a fissarmi! Ogni chef ha i propri segreti!», dichiarò Will, dopo averla baciata di nuovo.

«Sì, signore!»

Sarah sorrise di nuovo e andò nel suo studio. In realtà più che uno studio era un vecchio stanzino, che suo padre l'aveva aiutata a rimettere a nuovo. Lo spazio era molto angusto, ma c'erano un paio di bei quadri di paesaggi alle pareti e delle foto della sua città natale, Chicago, e questo le bastava.

 
Quando Will le annunciò che la cena era pronta, Sarah richiuse il portatile e lo seguì in soggiorno.

L’uomo le scostò la sedia affinché si sedesse e poi riaccese una delle candele, che evidentemente nel frattempo si era spenta.

«Quindi, signor chef, cosa prevede il nostro menù stasera?», gli domandò curiosa.

«Diciamo che ho rispolverato le mie conoscenze italiane e ho preparato dei piatti che sicuramente ti piaceranno».

«Mmm...», mormorò la ragazza non del tutto convinta.

Amava Will, ma non erano state molte le volte in cui l'aveva visto davanti ai fornelli e dubitava fortemente che avesse prodotto qualcosa di vagamente commestibile. Tuttavia, quando il ragazzo le mise davanti un piatto di succulenti lasagne alla bolognese le sue certezze vacillarono.

«Non te l'aspettavi, eh?», la prese in giro.

Lei storse il naso, lo guardò con aria di sfida e ne mise in bocca una forchettata. La besciamella bollente le ustionò una gengiva, ma dovette ammettere che il sapore non era niente male. Anzi. Al secondo boccone, dovette ricredersi: erano veramente deliziose.
Guardò il suo ragazzo con un'espressione sorpresa e lui scoppiò a ridere.

«Ti avevo detto di possedere delle doti nascoste», gli rammentò lui, disarmandola col suo sorriso spontaneo.

«Non credevo ti riferissi alla cucina!», replicò lei maliziosa.

«Infatti non mi riferivo solo a quelle», affermò. «Ho fatto un corso di cucina quando sono stato in Italia qualche anno fa e ricordo ancora qualcosa».

«Direi più di qualcosa», lo contraddisse. «Quindi mi hai sempre detto di non saper cucinare, perché...?»

«So cucinare. Ma non mi piace farlo», precisò lui.

Lei gli fece la linguaccia.

«Bene. Lo terrò presente, Mr Ho-Doti-Nascoste».

Finirono le pietanze senza dire molto. Non avevano bisogno di parole per dirsi quanto si amavano, i loro continui sguardi valevano più di mille dichiarazioni orali.

Una volta che ebbero ripulito i piatti, Will si alzò e sparecchiò. Per Sarah era un piacevole cambiamento non dover essere lei a farlo. Il suo ragazzo, infatti, aveva molti pregi, ma le faccende domestiche di certo non rientravano fra questi. Per fortuna caricare i piatti sporchi in lavastoviglie non richiedeva una laurea in economia domestica e Will ci riuscì senza far troppi danni al servizio buono.

Quando tornò in soggiorno, trovò Sarah al telefono a parlare con suo padre. Il signor Kant le augurò una buona serata, gli disse di porgere i suoi saluti a Will, dopodiché la chiamata si concluse.

«Wow!», esclamò Sarah, dando un'occhiata al piatto che Will aveva in mano. «Quello è il dessert?», domandò, stupita.

Il cheesecake al cioccolato che il suo ragazzo le mise davanti aveva un aspetto delizioso. Aveva proprio deciso di dare il meglio di sé quella sera.

«È solo una parte del dessert», precisò lui, guardandola con un'occhiata carica di sottintesi.

«Lo spero bene. Sai che amo i dessert», disse con tono complice.

Will si avvicinò alla sua ragazza, le prese il viso fra le mani e iniziò a baciarla. Non occorse molto tempo prima che la coppia si scordasse del dolce.



Ciao a tutte!
In questo capitolo ho voluto concedere un po' di spazio a Sarah e Will, mettendo George da parte, anche se è lei stessa a non riuscire a smettere di pensarci. ;)
Sarah ha quindi deciso di non fare parola con Will di quanto è accaduto con l'attore, ma riuscirà a mantenere il segreto?
Will si dimostra ancora una volta più che comprensivo nei suoi confronti e nel prossimo capitolo avrete la possibilità di sapere qualcosa di più anche su di lui!
Ringrazio chi mi sta seguendo in questa nuova avventura e spero di ricevere qualche vostra opinione. :)
Un bacio e al prossimo capitolo!
Vale

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Mentre Sarah dormiva ancora beata dopo una notte di passione, Will Turner non poteva fare a meno di pensare.

Ormai stavano insieme da tre anni e, nonostante non si fosse mai considerato un uomo da rapporto stabile, era stato costretto a ricredersi, perché quella donna dalla carnagione chiara e dai lunghi capelli biondi gli aveva rubato il cuore. Mai Will si era più sentito attratto da un'altra donna da quando si erano conosciuti. Il suo lavoro di avvocato lo portava spesso fuori città, in altri Stati e le proposte non gli erano mai mancate.
Tuttavia, non era stato difficile declinarle una dopo l'altra.

Osservò il volto della sua ragazza e la sua espressione si addolcì. Le accarezzò una guancia con l'indice, delicatamente, poi si alzò e decise di farsi una doccia per riscuotersi dal torpore di quella notte e svegliarsi completamente prima di andare a lavoro.

Sotto il getto dell'acqua rigorosamente fredda, l'uomo rifletté per un attimo su un paio di cause su cui stava lavorando con gli altri soci dello studio legale.

Ottenere quella promozione era stato un vero e proprio colpo di fortuna. Il lavoro che stava svolgendo gli piaceva molto di più rispetto a ciò che faceva a Washington, ma gli portava via molto più tempo. La sua speranza era di diventare presto socio e, per raggiungere questo scopo, stava dedicando la maggior parte delle sue ore libere al lavoro.

Apprezzava quasi tutto della sua nuova vita in California, con un’unica eccezione: non riusciva proprio a comprendere la ragione che spingesse Sarah a non voler vivere insieme a lui. Era ridicolo e non solo perché era stata proprio lei a spingerlo ad accettare quel trasferimento, assicurandogli che sarebbe partita con lui, ma soprattutto perché trascorrevano la maggior parte del tempo insieme, a casa di Will.

Aveva provato ad affrontare quel discorso parecchie volte, ma non era mai riuscito ad avere l’ultima parola in proposito. Probabilmente ormai anche le pareti di casa ricordavano le loro discussioni su quell’argomento.

«Sai, non credo abbia molto senso avere due case... Pagare due affitti», aveva detto alla ragazza un paio di mesi prima.

Sarah lo aveva guardato preoccupata, ma poi le sue labbra sottili si erano schiuse in un sorriso.

«Il tuo ragionamento non farebbe una piega, se tu pagassi l'affitto», l’aveva rimbeccato.

Will, infatti, come la maggior parte dei soci dello studio legale godeva di parecchi privilegi, fra cui una casa a suo personale uso e consumo.

«A maggior ragione potresti trasferirti da me e risparmiare non pagando il tuo», aveva ribattuto lui, non perdendo un colpo. «Dormiamo insieme ogni notte da me, o da te. Non ha senso continuare così».

«Ne abbiamo già parlato, Will».

«E tu mi hai detto di no».

«È troppo presto per andare a vivere insieme».

«Eppure stiamo insieme da quasi tre anni e ti sei trasferita a Los Angeles con me», le aveva fatto notare gentilmente.

A quel punto Sarah gli aveva sfiorato la mano e aveva detto, fissandolo negli occhi:
«Amo quello che abbiamo. Amo il nostro rapporto così com'è. Dammi ancora un po' più di tempo per ambientarmi. Per favore».

«D'accordo», aveva acconsentito alla fine. «Ma ne riparleremo».

«Certo. Ci conto», gli aveva sussurrato Sarah, sporgendosi verso di lui e baciandolo.

Riusciva a comprendere solo fino a un certo punto le ragioni della sua riluttanza, ma sperava che ormai avessero superato le difficoltà: evidentemente non era così.

Anche il pomeriggio precedente, mentre dava sfoggio delle sue doti in cucina, aveva immaginato come sarebbe stato domandarle di sposarlo. Aveva già pensato a tutto: le parole con cui le avrebbe detto quanto teneva a lei e quanto la amava, il modo in cui si sarebbe inginocchiato di fronte a lei e l’avrebbe guardata.

Però sapeva che si trovavano su due piani diversi e se lei non era ancora pronta a vivere a tutti gli effetti insieme a lui, di certo non avrebbe mai accettato la sua proposta. L’ultima cosa che desiderava fare era spaventarla e rischiare di rovinare tutto per un capriccio.
Doveva soltanto pazientare ancora un po’.
 

Era appena uscito dalla doccia, quando un tocco famigliare lo fece fremere di piacere.

«Buongiorno», sussurrò Sarah, baciandogli la schiena.

«Buongiorno», gli fece eco.

«Facciamo colazione insieme?»

«Mi piacerebbe, ma non ho neppure il tempo per un caffè», sospirò l’avvocato.

«Okay».

«Oggi sarà una giornata infernale».

«Pensi di riuscire a passare al party per Gregory questa sera?», gli chiese per sicurezza.

Lui scosse la testa.

«Ne dubito. Sarei già felice di riuscire a sopravvivere fino a stasera!», esclamò.

Lei accennò un sorriso.

«D’accordo. Vorrà dire che ci andrò da sola», disse, passandogli un asciugamano.

«Mi spiace, tesoro».

«Non preoccuparti. Ma domani mattina ti consiglio di trovare il tempo per la colazione. Potrebbe essere interessante».

Lui inarcò un sopracciglio.

«Volevo preparare i pancakes», gli rivelò in tono solenne.

«Allora ci sarò sicuramente!», esclamò lui, prendendole il viso fra le mani e baciandola.
 

Alla sede di Inside l’attesa per la festa in onore del direttore era molto alta e la maggior parte degli organizzatori era al limite dell’esaurimento nervoso. Gregory Bones, infatti, non solo aveva creato il magazine dal nulla insieme a suo fratello Owen, ma svolgeva anche un ruolo di primo piano nella vita della comunità. Era noto per il suo impegno nelle cause benefiche ed era benvoluto da tutti.

Inoltre, nonostante l’età avanzata, era ancora una delle colonne portanti di Inside. Era presente in ufficio notte e giorno e ogni pezzo, ogni sillaba che veniva pubblicata doveva ricevere la sua benedizione, pena l’essere oscurata.

Il terrore del suo giudizio era un incubo perenne, ma c’era una persona che non aveva alcun timore di contraddirlo, suo figlio Chad.

«Non comprendo la ragione di così tanta agitazione», affermò quest’ultimo, scrutando con un ghigno divertito la gente che si affaccendava per il corridoio del diciottesimo piano.

«Buongiorno anche a te, Chad», disse Sarah.

«Pensavo ci fossero le stagiste per preparare il caffè», osservò l'uomo dopo qualche istante di silenzio.

«Ci sarebbero, se tu non le tenessi così impegnate», replicò lei.

«Touchée.  Credo che mio padre ti stesse cercando poco fa. L'ho visto andare verso il tuo ufficio».

La ragazza lo ringraziò per l'informazione e tornò indietro velocemente.

Una volta lì, trovò il suo capo seduto sulla sua sedia.

«Mr Bones, mi stava cercando?», gli domandò educatamente, dopo essersi scusata per il ritardo.

Il direttore annuì.

«Volevo parlarti del tuo pezzo su Wellington», esordì.

«La ascolto».

«Vorrei che ne realizzassi un altro simile la prossima settimana», le comunicò Bones.

«Con chi?», si informò la giornalista, cercando di non far trapelare la propria emozione e il proprio orgoglio.

«Con lui», precisò il direttore.

«Wellington?», chiese Sarah, confusa.

Si sentì gelare il sangue quando l'uomo annuì.

Un'altra intervista con lui?

E come avrebbe potuto presentarsi da lui dopo quello che era successo?

Sarah iniziò a sudare freddo, ma cosa poteva dire a Mr Bones?

Che non era la persona giusta, perché – fuori dall'orario d'ufficio – aveva soccorso un ubriaco George Wellington, aveva trascorso la notte a casa sua, perché lui l'aveva supplicata di restare, e poi l'aveva trattata a pesci in faccia al suo risveglio?

Non poteva farne parola con nessuno. Non l'aveva detto al suo ragazzo. Di certo non l'avrebbe rivelato al suo datore di lavoro.

Fece un respiro profondo e ascoltò con attenzione i dettagli che Gregory le stava comunicando.

Perché il destino pareva ostinarsi ad accanirsi proprio su di lei?

 
«Non riesco proprio a capirti, Sarah», osservò Samantha un paio di ore dopo, mentre prendevano un caffè da Starbucks. «Per settimane non hai fatto altro che parlare della tua intervista con Wellington e ora che Bones te ne vuole affidare un’altra hai la stessa espressione di chi viene mandato in guerra contro la propria volontà».

«Lo so. Hai ragione. Non dovrei lamentarmi», mormorò Sarah.

«Fra l’altro, non mi hai raccontato praticamente nulla del vostro incontro. Mi devi qualche dettaglio succulento per il solo fatto che mi sono sorbita tutti i suoi film da quando ci conosciamo».

Lei arrossì appena.

«Non c’è molto da dire», ripeté per l’ennesima volta.

«Ti ricordo che stai parlando con un avvocato. Capire quando qualcuno mi sta mentendo è il mio lavoro».

«Credevo che fosse far assolvere gli innocenti», osservò Sarah con un sorriso.

«Temo che si siano estinti a Los Angeles», sospirò l’amica. «Di certo ultimamente non ne ho conosciuti».

«Il problema non è l’intervista, Sam», ammise infine.

«Okay, sono tutta orecchie».

Samantha sgranò gli occhi, mentre ascoltava quell’allucinante resoconto e, quando la sua amica ebbe terminato di esporle i fatti, comprese benissimo le sue remore di fronte all’ipotesi di avere di nuovo a che fare con quell’uomo.

«Ti ha baciato», ripeté allibita.

Sarah suo malgrado annuì.

«E lo ha fatto contro la tua volontà e dopo che lo avevi anche aiutato!», commentò Sam furiosa. «Una denuncia avrebbe messo in crisi la sua bell’immagine da bravo ragazzo».

Non le erano mai state particolarmente simpatiche le celebrità, ma aveva imparato ad apprezzare George Wellington come attore, tuttavia come essere umano chiaramente era un disastro.
Avrebbe voluto continuare la sua arringa contro quell’individuo spregevole, però si rese conto che non era il caso di inferire sull’umore già messo fin troppo alla prova dell’amica.

«Se non altro adesso sai che tipo è e puoi lasciarlo perdere una volta per tutte. Fa’ questa intervista, dimostrargli che sei migliore di lui, e poi dimenticati il suo nome», le consigliò saggiamente.

Sarah apprezzò davvero le sue parole, però questo non bastò a rassicurarla del tutto.
Apparentemente la situazione vista dall’esterno era molto semplice e il consiglio che aveva appena ricevuto aveva senso, tuttavia riuscire a pensare razionalmente quando si trattava di lui non era una passeggiata…

In qualche modo assurdo, lui era stato quello di cui aveva bisogno quando non sapeva neanche cosa stesse cercando.

Quel ragazzo l’aveva colpita dalla prima volta in cui aveva visto il suo volto sul grande schermo e nonostante si sentisse una sciocca per avergli conferito così tanta importanza la verità era che si sentiva legata a lui. Aveva sempre pensato che in un’altra vita, in un’altra circostanza, avrebbero potuto avere molto in comune: entrambi avevano perso la madre e quindi sapevano cosa significasse crescere senza una figura materna presente.
 
Ma, al di là di questo, c’era qualcosa in George che l’attraeva, qualcosa a cui non era neanche capace di dare un nome, probabilmente perché non ne esisteva uno adatto.
 
«Quali che siano i suoi problemi, non sono affari tuoi», aggiunse Sam.
 
«Lo so».

«Scusa, ma devo proprio rientrare in ufficio, o rischio che mi facciano saltare la testa. Comunque non angosciarti per l’intervista. Sicuramente non nominerà l’accaduto: agli uomini come lui non piace rivangare le brutte figure».

«Grazie, Sam».

«Figurati. Ci vediamo presto, okay?»

«Volentieri».

In fondo la sua amica aveva ragione: era giunto il momento di cancellare la sua idea di George Wellington e accettare la realtà per com’era. Si era sbagliata su di lui e, con un po’ di fortuna, quell’errore di valutazione non avrebbe avute conseguenze dirette sul suo lavoro.
 

Ciao a tutte!
So che qualcuna forse sperava di leggere qualcosa di preciso su George in questo capitolo, ma prometto che ci sarà nel prossimo. ;)
La posizione di Sarah pare divenire sempre più difficile da gestire... Will vorrebbe fare un passo avanti con lei, ma la ragazza sembra molto restia nell'esporsi così... Quale sarà la vera ragione dietro ai suoi timori?
Anche a lavoro le cose non vanno meglio: Sarah riuscirà a sorvolare su quanto è accaduto con George e a rivederlo senza lasciar trapelare nulla? E Samantha "Sam" ora che sa la verità terrà la bocca chiusa visto che è anche amica e collega di Will?
Decisamente la strada di Sarah non pare in discesa...
Spero che la storia vi stia piacendo e spero di leggere anche qualche nuovo commento. Fa sempre piacere sapere cosa ne pensate. :)
Grazie come sempre e al prossimo capitolo!
A presto,
Vale



 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


«Temevo non saresti mai arrivata!», esclamò Chad, comparendo accanto a lei e prendendola sottobraccio.

Indossava un completo scuro, che esaltava la sua carnagione abbronzata e, a giudicare dal modo in cui le donne presenti lo stavano fissando, non si era trattato di una scelta casuale.

«Sospetto che mio padre sappia tutto questo da settimane, ma non farne parola in giro. Non vorrei saltasse qualche testa per causa mia», aggiunse in tono falsamente preoccupato.

Sarah sorrise appena e, non appena vide Leslie e Misha, due sue colleghe, si staccò dal suo fastidioso e inopportuno accompagnatore e le raggiunse.
La serata si rivelò un successo e, anche se Mr Bones forse ne era già a conoscenza, sul suo volto si dipinse una sincera espressione sorpresa quando scorse tutte quelle persone che si erano riunite lì per sostenere lui e la sua rivista.
L'uomo strinse parecchie mani e bevve parecchi drink.

«Auguri, Gregory», gli disse Sarah, quando lo vide da solo.

«Grazie, Sarah. Il tuo fidanzato?», aggiunse, non vedendo l'alto profilo di Will Turner da nessuna parte.

«È dovuto andare fuori città per lavoro, ma le manda i suoi saluti», rispose gentilmente la ragazza.

«È un bravo avvocato», borbottò Bones, sorseggiando un sorso di champagne. «Spero di non avere mai bisogno dei suoi servigi», dichiarò con un sorriso, che Sarah ricambiò.

I due stavano parlando del più e del meno, quando Chad si aggregò a loro e poggiò con molta nonchalance una mano sulla schiena della ragazza, che si irrigidì immediatamente.

«Posso requisirti per un ballo?», le domandò, ammiccando.

«In realtà stavo per andarmene», mentì Sarah.

L'ultima cosa che avrebbe voluto era ballare con quell’uomo. Sapeva bene che lui avrebbe mal interpretato il suo assenso.

«Ti accompagno», si offrì.

Fortunatamente prima che la ragazza potesse ribattere che non ce n'era assolutamente bisogno, il vecchio Bones intervenne.

«Penso che gli autisti siano qui apposta», ingiunse, ammonendo il figlio.

Sentendo quelle parole Sarah ringraziò mentalmente il suo capo e, dopo un rapido giro di saluti, salì in auto. Poco dopo che la vettura fu partita il suo telefono squillò.
Lo estrasse dalla pochette e sorrise nel leggere il numero del suo ragazzo.

«Ciao, Amore».

«Ciao. Com'è andata la serata?», le domandò subito Will.

«Come fai a sapere che me ne sono già andata?», replicò sorpresa.

Lui rise di gusto.

«Ho tirato a indovinare! Ormai conosco i tuoi limiti di resistenza a questi eventi, specie se sei da sola».

Sarah sorrise di nuovo.

«Vedo tutte quelle persone ogni giorno in ufficio», disse a mo’ di spiegazione. «Ah, il vecchio Bones mi ha chiesto di te».

Will parve sorpreso da quella rivelazione.

«Davvero?»

«Sì. Si è augurato di non avere mai bisogno di te come avvocato».

«Beh, visto che mi è simpatico, anch'io spero di non averlo mai come cliente!», convenne lui.

Tuttavia, considerando che il capo di Sarah non aveva mai preso neppure una multa per eccesso di velocità, entrambi potevano dormire sogni più che tranquilli.

I due restarono incollati al telefono per tutto il tragitto che separava Sarah dallo Chateau Marmont al suo appartamento e si salutarono soltanto quando per la ragazza arrivò il momento di scendere dalla macchina.

Sarah ringraziò l'autista con cortesia, dopodiché entrò in casa.

La serata era proceduta meglio del previsto, ma non riusciva proprio a tollerare di trascorrere anche il suo tempo libero con la maggior parte delle persone con cui lavorava. Era uno dei lati negativi di vivere a Los Angeles: tutte le ospiti femminili non facevano altro che parlare di quanto era costato loro l'ultimo intervento di chirurgia plastica, o di chi era stato paparazzato a letto con chi.

Non nutriva alcun interesse per tali argomenti di conversazione, per cui sopportare tali discorsi non le era facile, nonostante ultimamente avesse iniziato a farci l'abitudine.
Inoltre, quelle informazioni potevano tornarle sempre utili a lavoro. Per cui ormai era solita fingere un discreto interesse. Non le importava quello che la gente pensava di lei, ma era troppo appassionata al proprio lavoro per permettere all’eventuale assenza a tali eventi di metterlo a rischio. Quindi presenziava, quando il dovere glielo imponeva, cercando di dare il suo contributo a quegli sciocchi discorsi.

Di certo quella serata sarebbe stata più piacevole se Will fosse stato insieme a lei.

Non erano il genere di coppia che sentiva la necessità di tenersi per mano, o di scambiarsi effusioni continuamente, però amavano passare del tempo insieme e soprattutto trovavano naturale, quasi doveroso, spalleggiarsi.

Non era stato facile per Sarah convincersi a trasferirsi sulla costa Ovest degli Stati Uniti, ma non voleva perdere Will e non credeva che un rapporto a distanza potesse funzionare nel loro caso.

Scegliere di andare con lui le era sembrata una scelta fin troppo spontanea. A volte aveva quasi timore di quanto tenesse a lui, ma c’era una cosa che l’aveva convinta che lui fosse l’uomo giusto, quello con cui voleva stare. Will non l’aveva mai costretta a prendere quella decisione e non aveva mai fatto dipendere la sua da quella della donna che amava. Forse qualcuno avrebbe trovato più romantico una sorta di ultimatum d’amore, ma il loro non era un rapporto di quel tipo.

Nessuno dei due avrebbe mai sacrificato se stesso e le proprie ambizioni per la loro relazione. Erano stati entrambi molto chiari fin dall’inizio: non avrebbero messo da parte i propri sogni per far funzionare le cose e, contrariamente a quello che gli altri avrebbero potuto pensare, questo aveva agevolato la loro relazione.

Certo, la ragazza aveva deciso di seguirlo a Los Angeles nonostante amasse l’Illinois, tuttavia l’impiego presso Inside The Movies Magazine era molto vantaggioso, quindi Sarah non lo considerava un vero e proprio sacrificio.

La verità era che la giornalista era sempre stata convinta che se un giorno un uomo l’avesse messa di fronte all’alternativa di scegliere fra lui e il proprio lavoro, avrebbe compreso che quella persona non era adatta a lei.

Era stata proprio una questione di quel tipo a far capire alla ragazza che le cose con il suo ex, un architetto di Philadelphia, non potevano continuare. Nel momento in cui lui l’aveva quasi costretta a quell’aut aut, Sarah aveva compreso che lui in realtà non l’aveva mai amata davvero, perché se lo avesse fatto, se l’avesse accettata per quello che era, una ragazza tenace e ambiziosa, non le avrebbe mai chiesto un sacrificio del genere.

Per questo motivo le era stato quasi facile dargli il benservito, ma con Will era tutto diverso.

Era un uomo magnifico e lei lo amava con un’intensità di cui in passato non si sarebbe mai creduta capace. Sapeva che il suo fidanzato avrebbe desiderato costruire una famiglia insieme a lei, ma, nonostante lo amasse e fosse sicura del loro rapporto, non si sentiva ancora pronta per un cambiamento del genere. Ne avevano parlato con sincerità e lui aveva rispettato il desiderio di Sarah di aspettare.

Al contrario avevano discusso poco dell’eventualità, molto remota, di avere dei figli in futuro. In cuor suo la ragazza aveva sempre creduto di non volerne, di non essere tagliata per essere madre.

Chi avrebbe dovuto prendere come modello per quel ruolo così delicato? Sua madre? Era fuori discussione. Non avrebbe augurato a nessuno di vivere un’esperienza come la sua.

Era un altro degli argomenti di cui Sarah non era ansiosa di parlare e al quale cercava di pensare il meno possibile. La maggior parte del tempo riusciva a evitare di soffermarsi sulla sua assolutamente irresponsabile e assente madre.

Però non poteva non confidare nulla a Will e così un pomeriggio, quando uscivano insieme da un paio di mesi e le cose si stavano facendo serie, Sarah gli aveva raccontato qualcosa a proposito della sua infanzia e sulla poca rilevanza che la donna che l’aveva messa al mondo rivestiva nella sua esistenza.

Da allora non ne avevano più conversato e Sarah era contenta che il suo compagno non ne avesse fatto parola in seguito. Affrontare quel discorso una volta per lei era stato più che sufficiente.

Sua madre se n’era andata. Non c’era molto altro su cui discutere.


Il profilo dell’Empire State Building si ergeva imponente di fronte a lui.

Erano passati mesi dall'ultima volta che era stato a New York e, in tutta onestà, non poteva dire di averne sentito la mancanza. Detestava Manhattan con ogni fibra del suo essere.

«Amore, vieni a letto», disse una seducente donna dai capelli rossi, richiamando la sua attenzione.

Odiava essere ignorata.

George sorrise, poggiò il bicchiere di scotch che aveva in mano su un tavolino e raggiunse la sua ragazza.
Lei sorrise soddisfatta e gli passò una mano fra i capelli castani. L’uomo la baciò con passione.

«Sei tremenda», le sussurrò con voce roca di desiderio.

«Non lo sono», replicò Lindsay, accarezzandogli l'avambraccio e arricciandogli la manica della t-shirt sopra la spalla.

«Oh, sì che lo sei», sentenziò lui, baciandola di nuovo.

Quelle ultime settimane erano state un inferno e l’uomo sapeva bene che il peggio doveva ancora arrivare.

Tuttavia, in quel momento, non c'era altro posto nel quale desiderasse essere. La voleva. Ne aveva bisogno, perché lei poteva essere la risposta a ogni sua domanda.

Senza smettere di baciarla, la fece sdraiare sul letto e la liberò dei pochi indumenti che ancora aveva addosso. Era incredibilmente sexy con quello sguardo da bambina cattiva. George con tocco sapiente le accarezzò il collo, per poi giungere al seno fino ai suoi fianchi.

Aveva un corpo stupendo e ne era totalmente consapevole e questo ai suoi occhi la tendeva ancora più affascinante. Gli era sempre piaciuta la sicurezza di Lindsay.

La donna mise le gambe intorno ai fianchi di lui, voleva sentirlo ancora più vicino. Lo desiderava dentro di sé. Gli sfilò la t-shirt, che cadde sul pavimento della camera.

Nel frattempo lui si era liberato dell’ultimo impedimento che c’era fra i loro corpi e, dopo averle mormorato ancora una volta di amarla, pose fine al suo supplizio ed entrò in lei, soddisfacendo il suo desiderio.
 

«Hai già parlato con Stephen?», gli domandò, passandogli una mano sul torace e puntandogli addosso il suo sguardo inquisitore.

«Vuoi discuterne adesso?», ribatté George.

Avevano appena terminato di fare sesso e non aveva voglia di rovinare quel momento.

«Beh – iniziò lei – prima glielo dirai, prima ti toglierai il pensiero. Inoltre, non ha senso farlo lavorare così tanto per un ruolo che non accetterai».

«Gliene parlerò non appena torneremo a Los Angeles», le promise.

«Bene. Ora devi lasciarmi dormire, o domani neppure il trucco riuscirà a farmi sparire le occhiaie».

«In cinque anni non credo di averti mai vista con qualcosa di simile a delle occhiaie», la prese in giro lui, baciandola dolcemente sulla fronte prima di spegnere la luce.

Sapeva bene che il suo agente l'avrebbe scorticato vivo non appena lo avesse messo a conoscenza delle sue intenzioni, ma non aveva molte altre opzioni.
In fondo quel progetto difficilmente avrebbe potuto essere un punto di svolta per la sua carriera, mentre quasi sicuramente avrebbe affossato la sua relazione con Lindsay. La loro relazione non avrebbe retto a quella lontananza.

Erano già stati separati in precedenza, però la situazione era molto differente: all’epoca sapeva di potersi fidare di lei, alla luce degli odierni avvenimenti invece… Non poteva dare niente per scontato.

Inoltre, quella era una decisione che spettava solamente a lui. Per quanto Stephen agisse nel suo interesse, c’era qualcosa di più importante della carriera e del denaro e avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere ciò a cui più teneva.


 
Ciao a tutte!
Qualcuna sarà più contenta di altre di rileggere e di scoprire finalmente qualcosa di più su George. Neanche lui, infatti, è "propriamente libero" e pare innamorato della sua ragazza a tal punto da rinunciare a qualcosa che desidera per stare insieme a lei. Avrà fatto la scelta giusta e soprattutto Lindsay sarà consapevole del sacrificio che questo gli ha comportato? Lindsay lo amerà davvero?
Per ora Will pare propenso a concedere a Sarah il suo tempo, ma per quanto ancora la aspetterà?
Intanto il giorno dell'intervista si avvicina... Come reagirà George di fronte alla prospettiva di rivedere Sarah?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo! :)
Un bacio
Vale



 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


La mattina seguente Lindsay si alzò molto presto e, dopo un rapido saluto al suo ragazzo, salì a bordo dell’auto scura che l’avrebbe condotta agli Studios per il photoshot, noncurante della spiacevole conversazione in cui lui stava per imbattersi.

«Cosa significa che non hai intenzione di accettare?» gli sibilò Stephen.

George, cercando di mantenere un tono di voce pacato, disse semplicemente:
«Non sono interessato, Stephen».

Dall’altra parte del telefono, Stephen fece un bel respiro. Ormai lo conosceva a sufficienza da sapere che usare le cattive maniere con lui era un’arma a doppio taglio. Per cui tentò un approccio diverso.

«Una della ragione per cui mi paghi è trovarti ruoli del genere. Aspetti di lavorare con McHumprey da quasi tre anni. È il genere di progetto che hai sempre cercato», gli ricordò Stephen, cercando di fare presa sul suo buon senso.

«Non è il momento giusto per rischiare così tanto».

«È il momento perfetto. È stato lui a cercarti», ripeté. «Cosa sta succedendo, George?
Hai…?»

L’attore lo interruppe.

«No».

Stephen parve credergli.

«D’accordo», sospirò. «È una tua decisione, ma sappi che secondo me stai commettendo un grave errore», aggiunse.

«Non puoi saperlo», replicò George.

«E spero di sbagliarmi», precisò Stephen in tono più conciliante.

«Grazie, Stephen».

Rinunciare a quell’opportunità non era piacevole, ma l’altra ipotesi era insostenibile.
L’agente lo mise a conoscenza dei suoi prossimi impegni e nell’udirne uno rimase assai perplesso.

«Inside? Di nuovo?»

«Per qualche inspiegabile motivo è il pezzo che ha avuto più visualizzazioni», gli spiegò.

George sbuffò. Ma se le domande che gli avevano formulato erano sempre le stesse!

«Non posso… Non è una buona idea che sia la stessa persona a intervistarmi. Richiedi qualcun altro. Esplicitamente», gli ordinò.

«Perché?»

Poteva tacere a Stephen le ragioni che lo avevano spinto a rifiutare una parte (anche se con ogni probabilità non erano difficili da indovinare), ma mentirgli su quello che era accaduto con quella donna non era possibile vista la gravità della situazione.

Stephen, che aveva mantenuto il sangue freddo fino a quel momento, smise di essere conciliante e lo spronò a raccontargli ogni dettaglio prima di sgridarlo come se fosse stato un bimbo di cinque anni, che aveva appena disubbidito all’insegnante.

«Sei completamente fuori di testa, George?! So che era una giornata particolare per te, ma hai cercato… Hai fatto dormire una completa estranea, e per di più una giornalista che stava scrivendo un pezzo su di te, in casa tua?!»

«Non c’è bisogno che tu mi dia dell’idiota, Stephen».

Si era reso conto di essersi comportato come un imbecille già quella mattina e, come se non bastasse, aveva aggredito verbalmente (e quasi fisicamente) una persona che non aveva altra colpa che quella di aver cercato di aiutarlo.

«Come possiamo essere sicuri che non stia solo aspettando il momento più opportuno per ottenere la maggior attenzione mediatica possibile…», rifletté Stephen.

«Ho fatto un casino, lo so».

«Ormai è un po’ tardi per accorgersene, non credi?», constatò l’agente, sarcastico. «Farò quello che devo per far sparire questa storia».

«Grazie», mormorò George.

«Ma la prossima volta non aspettare tre settimane prima di informarmi».

«Non ci sarà una prossima volta», lo rassicurò l’attore.

Stephen non replicò e dopo aver concordato alcuni dettagli riattaccò, certo che quella storia avrebbe potuto avere fin troppe conseguenze se non si fosse sbrigato.
 

Intanto in California anche Sarah aveva numerosi grattacapi. Aveva aperto quel nuovo documento di testo da almeno dieci minuti, ma per ora non era riuscita a scrivere nulla.
Sospirò scoraggiata, ticchettando le dita sulla tastiera del suo portatile. Di solito era brava a ideare domande per le interviste, specie se inerenti a un progetto che le interessava, ma non quel pomeriggio e purtroppo la causa della sua insofferenza era da imputarsi a un solo soggetto.

Perché quell’uomo la ossessionava tanto?

Non aveva idea di con quale faccia presentarsi da lui e, soprattutto, non aveva la più pallida idea di quale sarebbe stata la reazione dell'attore nel trovarsela davanti.

Si sarebbe scusato con lei, avrebbe fatto finta di nulla, oppure l'avrebbe nuovamente trattata come l'ultimo dei parassiti?

Non poteva andare avanti così per tutti i giorni che mancavano all'intervista, o le sarebbero saltati i nervi. Tuttavia, la fiumana delle sue preoccupazioni fu interrotta da un’inattesa chiamata da parte di suo padre, Aaron.

«Ehi, papà! Non pensavo di sentirti oggi», lo salutò in tono cordiale.

«Tesoro, scusami per l'ora, ma avevo bisogno di parlarti», attaccò suo padre, in tono concitato.

«Okay. Ti ascolto».

Nonostante fosse un ex-marine Mr Kant aveva imparato a essere un uomo tranquillo e non era sua abitudine contattare la figlia durante l’orario d’ufficio. Quindi doveva trattarsi di qualcosa d’importante.

«Mi stavo domandando se fossi in città il prossimo week end».

«Sì, certo».

«Anche William?», s’informò.

«Credo di sì. A che cosa devo questo interrogatorio?», gli chiese, spegnendo rassegnata il portatile.

Ormai era chiaro che quel pomeriggio non sarebbe riuscita a concludere nulla, inoltre quella sera aveva promesso a Will che sarebbe tornata un po’ prima.

Suo padre rise.

«Scusami, deformazione professionale. Avevo intenzione di venire a trovarvi e volevo essere certo che foste in città», le spiegò l'uomo.

«Ci saremo sicuramente, papà! Mi manchi».

«Mi manchi anche tu, piccola. Dovresti venire a trovarmi a Chicago più spesso».

«Prometto che farò il possibile», giurò Sarah con un sorriso.

«Ci conto», borbottò l’uomo. «Non voglio farti perdere altro tempo, ti richiamo non appena avrò tutti i dettagli del volo».

«D’accordo».

«Buona serata, tesoro».

«Grazie, anche a te».

Dopo aver concluso la telefonata, la ragazza radunò le sue cose e uscì.
 

Il tragitto dal suo ufficio all’appartamento di Will le richiese solamente una decina di minuti. Ovviamente nell’ottica dell’uomo quella era un’altra buona motivazione logica in base alla quale lei avrebbe dovuto trasferirsi da lui.

Sarah sapeva che era sciocco ostinarsi a vivere separati, ma non si sentiva ancora pronta per un passo del genere. Avrebbe reso tutto troppo definitivo e non aveva mai visto qualcosa di definitivo durare sul serio.

La porta si aprì prima ancora che posasse un piede sul pianerottolo del dodicesimo piano e trovò ad aspettarla il sorriso dolce e carismatico del suo ragazzo.

Dopo una rapida doccia, i due cenarono quasi in silenzio, dopodiché la ragazza lo mise a conoscenza delle ultime novità.

«Quindi tuo padre verrà a trovarci», ripeté infine Will. «Non vedo l’ora», aggiunse ironico.

Lei gli fece la linguaccia.

«Sappiamo entrambi che a tuo padre non piaccio granché, Amore».

«Ma non è vero. È solo un po’ iperprotettivo», provò a dire lei, al che l’avvocato le lanciò un’occhiata incredula.

Suo padre e Will erano partiti con il piede sbagliato, ma le ultime volte in cui si erano incontrati le loro divergenze sembravano essersi appianate, anche se questo non significava che il suo ragazzo avesse scordato ciò che era accaduto in precedenza.

«Tuo padre vorrà controllare lo stato della mia auto visto che ho preso quella multa per divieto di sosta la scorsa settimana!», commentò con una risatina priva di allegria.

«Sono sicura che non lo sappia», mormorò Sarah.

«Non ne sarei così convinto al tuo posto».

Effettivamente il fatto che Mr Kant avesse fatto un controllino molto approfondito sui precedenti di Will non era servito a calmare gli animi, anche se aveva reso il primo molto più tranquillo: il fidanzato di sua figlia era davvero un uomo senza macchia.

Tuttavia, l’essere soggetto di un’indagine di quel tipo non aveva riscontrato il favore del diretto interessato e da quel momento il padre di Sarah era diventato un argomento da trattare con molta cautela.

«Tu e mio padre riuscirete a mettere da parte questa storia prima o poi?», gli chiese seria.

Lui sbuffò.

«Will», lo rimproverò.

«Farò del mio meglio, okay? Ma non tollererò un’intrusione del genere una seconda volta».

«Non succederà», gli assicurò lei.

«Speriamo, non ci tengo a rovinarmi un intero week end», borbottò Will senza che la sua ragazza riuscisse a udirlo.

 
Quella mattina Sarah arrivò in ufficio prima del solito, spinta dalla convinzione che sarebbe riuscita anche a ultimare il lavoro rimasto indietro il giorno precedente.
Aveva appena tirato fuori dal cassetto della scrivania alcuni appunti, quando la porta si aprì e sulla soglia comparve Rose.

«Sarah, Mr Bones vorrebbe vederti. Potresti andare subito nel suo ufficio?»

Parlava con tono concitato, era paonazza in viso e sembrava molto agitata.
La giornalista annuì, un po' sorpresa.
Cosa avrebbe mai potuto volere il capo da lei alle 9AM?

«Siediti, Sarah», le disse il suo datore di lavoro senza indugi non appena ebbe varcato la soglia.

La ragazza seguì il suggerimento e prese posto sulla sedia di fronte alla scrivania del boss.
Da quando si era trasferita nella sede di Los Angeles era entrata in quella stanza soltanto un paio di volte e mai per ricevere le notizie sperate.

L'ufficio di Bones si trovava al trentaduesimo piano del grattacielo e offriva una vista spettacolare, ma in quel momento alla ragazza non sarebbe potuto importare di meno delle meraviglie naturali.

Non era un’esperta nel decifrare il linguaggio del corpo, ma a giudicare dalla mascella contratta e dallo sguardo rammaricato dell’uomo che la stava osservando c’erano problemi in arrivo.

«Mi dispiace averti fatta venire qui così presto, ma pensavo fosse meglio fare questo colloquio subito», iniziò dopo un attimo di incertezza, portandosi una mano sulla tempia imperlata di sudore.

Pareva più agitato di lei.

«Rose mi ha detto che voleva parlarmi. Di cosa si tratta?», s’informò, ostentando una calma che non le apparteneva.

L'uomo sospirò di nuovo, prima di tornare a fissarla.

«Ho letto il tuo pezzo su Whitney. Non ho mai amato le commedie, ma mi è quasi venuta voglia di vedere quel film», disse Bones.

Era l'ultima cosa che si sarebbe aspettata di sentire.

Perché metterla in allarme, se doveva soltanto complimentarsi con lei?

Non poteva trattarsi di quello.

«Dobbiamo fare dei tagli, Sarah», continuò, arrivando al punto che gli premeva.

«Al pezzo?»

«Fra il personale. Mi dispiace molto. Hai svolto un lavoro eccellente, il tuo modo di scrivere è accattivante, ma sei l'ultima arrivata e ho le mani legate».

«N-non è possibile», mormorò sottovoce.

Mr Bones aveva voluto vederla per licenziarla? Non aveva mai nemmeno preso una A- e adesso veniva sbattuta fuori dal suo posto di lavoro senza tanti complimenti.

Non poteva stare accadendo davvero. Doveva svegliarsi da quell’incubo.

«Se vuoi posso fare un paio di telefonate, ti darò ottime referenze. Mi spiace. Non posso fare altro», aggiunse il suo ormai ex-capo.

Con tutta la dignità che le era rimasta, Sarah si mise ben dritta sulla sedia e replicò:
«Mr Bones, la prego, almeno non mi prenda in giro. Siamo... Questo è il magazine più importante della costa ovest degli Stati Uniti. Se addirittura Inside è in crisi, non credo che le sue referenze possano fare la differenza e convincere un altro giornale ad assumermi da un giorno all’altro».

L'uomo la guardò con gentilezza, ma non riscosse altro che uno sguardo glaciale.

Salutò educatamente Mr Bones, gli strinse la mano e uscì dal suo ufficio, con la terribile consapevolezza che alla fine della giornata non avrebbe più avuto un lavoro.
 

Ciao a tutte!
Alla fine George è stato costretto a rivelare almeno al suo agente quello che ha combinato... Per sua fortuna però pare proprio che non sarà Sarah a intervistarlo.
Il dubbio sorge spontaneo: mere coincidenze o nel licenziamento di Sarah c'è lo zampino di Stephen?
Se non altro la ragazza ha ricevuto almeno una notizia positiva: l'imminente visita del padre (con sommo disappunto di Will!).
Cosa farà Sarah adesso che ha perso il lavoro che amava e come faranno la sua strada e quella di George a incrociarsi di nuovo?
Sarei proprio curiosa di conoscere le vostre teorie in proposito. :)
Come sempre ringrazio chi ha deciso di seguirmi in questa nuova avventura!
A presto
Vale

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Sarah fece un respiro profondo. Era come se stesse andando in pezzi. Aveva preso tutte le sue cose e si era rintanata in macchina.
Non aveva mosso un muscolo di fronte a Bones, ma questo non significava che non si sentisse distrutta. Aveva messo tutte se stessa in quel lavoro e adesso si sentiva svuotata. Dei suoi sforzi non era rimasto nulla.

Compose il numero di Will, ma lui non rispose. Non aveva voglia di lasciargli un messaggio in segreteria, così guidò fino a Venice Beach.

Solitamente non aveva mai il tempo per concedersi una passeggiata sul lungo mare, purtroppo però, mentre osservava due ragazzi conquistare le onde dell’oceano, si rese conto di non avere più quel problema. Non c’era alcun lavoro a tenerla occupata.

Deglutì, ricacciando indietro una lacrima.

Il suo curriculum era eccellente, ma credeva davvero a quello che aveva detto al suo ex-capo: non c’erano molte chance che un altro magazine l’assumesse, neppure con ottime referenze e sicuramente non in tempi brevi. Inoltre, la sua lista di contatti a Los Angeles allo stato attuale le consentiva ben poche manovre.

Dopo aver passeggiato in lungo e in largo sulla spiaggia decise di tornare a casa. Sarebbe voluta andare da Will, avrebbe desiderato che lui la stringesse fra le sue braccia dicendole che tutto sarebbe andato bene, anche se probabilmente non sarebbe stato vero, tuttavia mancavano ancora troppe ore al suo rientro e non aveva voglia di aspettarlo lì.

Era meglio non pensare che nel giro di una settimana avrebbe dovuto versare l’ennesima rata dell’affitto… Aveva messo da parte del denaro, ma quanto sarebbe durato?

Vista la situazione immaginava che il suo ragazzo ne avrebbe approfittato per suggerirle di andare a vivere insieme a lui.

Da un punto di vista prettamente logico non aveva alcun torto: avrebbe risparmiato denaro che non possedeva, però non voleva permettere a quell’imprevisto di forzarle la mano.

Il problema era che Will non poteva capire fino in fondo le sue remore: per quali fossero state le difficoltà con la sua famiglia, lui aveva avuto entrambi i genitori su cui poter contare, lei no.

Non che suo padre le avesse fatto mancare qualcosa. Anzi, era stato sempre presente, però ogni tanto c’erano dei momenti in cui Sarah avrebbe tanto desiderato avere anche una madre a consolarla e a ripeterle che tutto sarebbe andato bene. Però non l’aveva.

Sua madre Rachel aveva deciso di lasciarla: era stata una scelta che aveva preso consapevolmente e da allora non le aveva mai più parlato e la sua genitrice non l’aveva mai più cercata. Era come se sua figlia non fosse mai esistita.

Sarah, da parte sua, era riuscita a rintracciarla quasi dieci anni prima. L’aveva vista lasciare quello che supponeva fosse il negozio dove all’epoca lavorava in compagnia di un uomo alto dai capelli brizzolati. Aveva pensato a lungo a quello che le avrebbe detto quando ne avesse avuta la possibilità, ma nel momento in cui si era trovata lì, a pochi metri da lei, aveva finalmente compreso che non c’era nulla che volesse dirle. Quella donna per lei era un’estranea, niente di più, niente di meno. Improvvisamente comprese che riaverla nella sua vita non avrebbe migliorato nulla.

Sua madre aveva rinnegato la sua stessa famiglia: chi era lei per obbligarla a prendere una decisione diversa?

Rachel era una donna fredda, che aveva sempre messo se stessa al di sopra degli altri e alla fine sua figlia si era convinta che andarsene fosse stata la cosa più altruista che la sua genitrice aveva mai fatto nella sua vita. Crescere con qualcuno che non voleva essere una madre non avrebbe potuto giovarle, mentre suo padre aveva fatto l’impossibile per far sì che crescesse serena e c’era riuscito.

Ebbe un attimo di sollievo pensando che entro pochi giorni lo avrebbe riabbracciato e decise di tornare a casa.

 
Dopo aver sbrigato con lentezza esagerata un po’ di faccende domestiche, Sarah si regalò una salutare doccia e sperò che finalmente l’uomo che amava rispondesse alle sue chiamate.

Ipotizzò anche di provare a contattarlo di nuovo, tuttavia prima che potesse avvicinarsi all’iPhone, saldamente poggiato sul comodino della camera da letto, questo quasi fosse dotato di volontà propria squillò.

La ragazza lo prese al volo, ma rimase perplessa quando lesse il numero di Leslie.

Non aveva voglia di parlare con nessuno dell'ufficio, però la sua ex-collega non le aveva fatto niente, per cui rispose.

«Sarah. Scusami se ti chiamo... Hanno dato il benservito anche a te?», attaccò Leslie, senza darle il tempo di aprire bocca.

Quindi non era stata la sola a essere licenziata quel giorno.

«Sì... Bones me l'ha comunicato stamattina», disse Sarah con un groppo in gola.

«Ma cosa diamine sta succedendo?! Ho parlato con Dean, Jacob e Katie: hanno messo alla porta anche loro. Più un'altra ventina di persone a quanto pare. E' vergognoso! Sai cosa me ne faccio delle loro scuse sincere e delle ottime referenze di Bones?! Al massimo potrò usare la sua raccomandazione per trovare lavoro come cassiera al McDonald’s».

«Lo so», convenne Sarah con un sospiro. Non aveva nemmeno più voglia di arrabbiarsi con Bones ormai. «Fra qualche settimana mi scadrà il contratto per la casa e non so davvero su quali basi potrò chiedere che mi sia rinnovato».

O con quali soldi pagarlo, aggiunse mentalmente.

«È un casino. Ho rovinato tutto con il mio pessimo pezzo su Jones lo scorso mese. Non ho verificato abbastanza accuratamente la fonte e ho dovuto dare la smentita. Bones era furioso», aggiunse poi Leslie in preda al panico.

Sarah ricordava bene il marasma conseguente al pezzo di Leslie in cui la sua collega era stata certa di aver smascherato una delle vallette di Hollywood molto impegnata con un noto produttore sposato con figli. Peccato che non avesse controllato la fonte.

Infatti, poco dopo che la news era andata online, era saltato fuori che la ragazza in questione non era altro che la figliastra dell'uomo e che le effusioni non erano altro che semplici baci paterni sulla guancia. Ovviamente il diretto interessato era andato su tutte le furie e aveva quasi fatto causa al giornale. Per far tacere le acque, Bones era stato costretto a trattare direttamente con i legali del produttore e il giornale aveva smentito immediatamente la notizia.

Tuttavia, si erano ricoperti di ridicolo e Leslie aveva giustamente ricevuto una bella strigliata.
Da parte sua, Sarah sapeva di non aver mai commesso una simile leggerezza, però non le pareva carino sottolinearlo con l'amica in quel momento.

Le due ragazze restarono al telefono per un po', vagliando insieme le varie alternative, ma nessuna delle due era in vena di ottimismo.

Dopo che si furono salutate, Sarah mangiò qualcosa e poi decise di andare ad aspettare Will a casa sua.

Per un fortunato caso del destino, l'avvocato rientrò prima del previsto e fu sorpreso di trovare la sua ragazza lì, accovacciata sul divano con il portatile davanti a sé a quell’ora. Solitamente faceva molto più tardi in ufficio.

«Speravo di farti una sorpresa preparandoti la cena!», esclamò lui, poggiando a terrà la ventiquattr'ore e allentandosi il nodo della cravatta. «Ho un bisogno estremo di farmi una doccia. È stata una giornata terribile».

Sarah sorrise appena. Era certa che la sua giornata fosse stata ben più brutta.

L’uomo si accorse della sua espressione abbattuta, buttò senza troppa gentilezza la giacca griffata su una sedia e si sedette accanto a lei.

«Ehi, cosa succede?», le domandò, sfiorandole una guancia, premuroso.

«Bones mi ha licenziata».

«Cosa?», sbottò Will, furioso. «Non è possibile!»

«A quanto pare sì», mormorò la ragazza.

Will l’abbracciò.

«Bones è solo un pazzo eccentrico con l'acqua alla gola. Sono sicuro che troverai di meglio, Amore. Sono loro a perderci. Rimpiangeranno presto questa decisione», le disse dopo aver ascoltato il suo resoconto.

«Non hanno licenziato soltanto me... Non so come sia potuto succedere, Will. Non ho mai commesso nessuno sbaglio. Ero la prima ad arrivare! Non ho avuto un solo week end libero negli ultimi tre mesi e non mi sono mai lamentata. Non è giusto».

«Lo so, piccola. Troverai di meglio e Bones si mangerà le mani per averti dato il benservito. Guardami. Io. Ne. Sono. Certo», le assicurò Will, guardandola con espressione sicura e senza tentennare.

Sarah accennò un piccolo sorriso.

«Sei molto più bella quando sorridi», le sussurrò, baciandola. «Domani inizierai a fare un po' di telefonate e sicuramente presto salterà fuori qualcosa d’interessante».

«Speriamo».

«Cosa ne dici se faccio una doccia veloce e poi preparo la cena?»

«Sembra perfetto», mormorò, poggiando la testa sulla sua spalla.

Almeno una parte della sua vita non stava andando a rotoli.
 

Mentre si preparava un caffè, Sarah non poté non sentirsi una fallita.

Non avrebbe mai creduto possibile che la sua vita cambiasse così rapidamente; si sentiva tramortita e dolorante come se un tram fosse passato sopra di lei, rendendole difficile persino fare le cose più semplici come respirare.

Quel giorno suo padre sarebbe arrivato a Los Angeles e la ragazza si era offerta di passare a prenderlo all'aeroporto. Non era stato semplice raccontagli per telefono quello che era successo, ma non poteva certo tenerglielo nascosto fino al suo arrivo.

Mr Kant fece il possibile per rassicurare la figlia: la conosceva abbastanza bene da sapere che, passata l'iniziale delusione, sarebbe riuscita a trarre il meglio da quella incresciosa situazione. Riponeva una cieca fiducia in lei. Sarah si augurava davvero di non deluderlo stavolta.

Per ora tutte le chiamate che aveva fatto erano state un buco nell'acqua. Nessun magazine con sede in California pareva disposto ad assumere.

Quando anche un piccolo giornale le sbatté il telefono in faccia, la ragazza iniziò davvero a temere che l’impresa potesse rivelarsi impossibile. L'unica cosa che poteva fare era mettere da parte almeno per un po' le sue pretese e allargare il suo campo di ricerca.

Sospirò e, dopo aver bevuto un sorso di caffè, poggiò la tazza sporca nel lavello e uscì.

Aveva provato a guardare la situazione da diversi punti di vista, ma non era ancora riuscita a capire cosa fosse meglio fare. Quando si era trasferita in California insieme a Will non avrebbe mai immaginato di potersi innamorare della Costa Ovest. Aveva sempre vissuto a Est e le piaceva il clima ventoso e umido di Chicago; tuttavia, in quel momento la mera ipotesi di fare marcia indietro la faceva stare male. Aveva imparato ad amare Los Angeles e non riusciva a pensare di abitare in un altro luogo.

Quella città assolata era diventata la sua casa.

Forse avrebbe davvero dovuto accettare la proposta di Will e trasferirsi da lui… Se non altro così il suo ragazzo sarebbe stato soddisfatto e lei avrebbe avuto un problema in meno a cui pensare.

Tuttavia sapeva bene che quello non era il momento migliore per prendere una decisione di quel tipo.

Accostò l’auto in doppia fila e, senza scendere, compose il numero di suo padre, ma non ci fu bisogno di attendere molto perché Mr Kant l’aveva già avvistata e le stava andando incontro con un borsone nero in spalla e un ampio sorriso.

La ragazza aprì lo sportello e lo abbracciò.

«Mi fa piacere che tu sia così contenta di vedermi», commentò Mr Kant in tono spigliato.

Lei sorrise.

Dopo aver caricato la valigia nel bagagliaio, i due si ritrovarono immersi nel caotico traffico cittadino.

«Com’è andato il volo?»

«Non troppo male», rispose lui. «Ma dovrebbero smettere di costringere i bambini di quattro anni a una tale sfacchinata», aggiunse, ripensando ai pianti a cui aveva assistito nelle ultime ore.

«Ne deduco che non è stato un volo rilassante».

«Direi di no. Ma pur di vedere la mia unica figlia avrei percorso la strada a piedi».

«Non sarebbe stata una scelta molto pratica», gli disse ironica.

«Il tuo vecchio è ancora in splendida forma», asserì Mr Kant,togliendosi gli occhiali da sole in un gesto molto macho.

La ragazza ridacchiò.

«Quindi… ci sono novità?», le chiese, dopo qualche istante di silenzio.

Lei scosse la testa.

«Sai, non capisco per quale ragione tu voglia vivere qui. Los Angeles è così… caotica», disse lui, quando un paio di minuti dopo restarono imbottigliati nel traffico dell’ora di punta.

«E' il lato negativo dell'avere un sistema di mezzi pubblici carente», ribatté lei con un sorriso. «A me piace vivere qui, papà».

«Se tutte queste persone non uscissero anche per andare a prendere un caffè in macchina, sono sicuro che le strade non sarebbero così congestionate», continuò Mr Kant come se la figlia non avesse parlato. «Avevi un ottimo lavoro a Chicago, Mr Portman ha sempre apprezzato il tuo lavoro, magari ti riassumerebbe».

«Papà, non lascerò Los Angeles», lo ammonì subito.

Nonostante quello che suo padre pensava, dubitava fortemente che Mr Portman avrebbe preso in considerazione l’idea di restituirle il suo vecchio posto, senza contare che non c’erano speranze che quell’offerta le interessasse. Doveva solo pazientare e qualcosa sarebbe saltato fuori.

Quando finalmente la fila parve smaltirsi un po’, Sarah ingranò la marcia e ripartì. Suo padre parve ritenere accantonato il discorso, ma sua figlia era convinta che avrebbe provato a riaprirlo di nuovo.
 
 
George Wellington era cambiato. Arrivare a possedere 120 milioni di dollari a soli ventotto anni lo aveva trasformato, e per quanto inizialmente avesse cercato di nasconderlo a se stesso e agli altri, era accaduto.

Non avrebbe saputo individuare il momento esatto in cui il denaro avesse iniziato a corrompere la sua anima. Forse tutto era cominciato con il primo contratto da capogiro che aveva firmato, oppure quando aveva insistito per percepire una percentuale sugli incassi del suo primo BlockBuster al cinema.

Ormai erano anni che non si poneva domande filosofiche guardando il proprio riflesso nello specchio la mattina. Lui, un attore stra-pagato di Hollywood, aveva smesso da tempo di riflettere su tali argomenti.

La rivista Forbes l'aveva incoronato l'uomo che aveva guadagnato più soldi di chiunque altro per tre anni di fila e, conseguentemente, gli era spettato di diritto il titolo di uomo più sexy del mondo negli ultimi quattro.

Aveva iniziato la sua carriera a quattordici anni comparendo in una sit-com per fare felice sua madre, che premeva affinché almeno uno dei suoi due figli riuscisse a entrare nell'ambiente. All'inizio le cose non erano andate come la donna aveva sperato, ma paradossalmente dopo la sua morte, le offerte erano iniziate a piovere dal cielo e a diciotto anni si era ritrovato sulla cresta dell’onda quasi senza accorgersene.

Il passaggio dal piccolo al grande schermo era avvenuto con più rapidità di quanto il ragazzo avrebbe mai potuto immaginare. Improvvisamente la rete si era riempita di fan forum e siti internet dedicati a lui e il suo nome era divenuto in breve tempo una macchina per fare soldi per chiunque avesse intorno.

Non aveva mai inseguito il successo, ma questo gli era quasi caduto dal cielo e ormai sapeva di non poter più tornare indietro. Così aveva smesso di guardare al suo passato, godendosi soltanto il presente. Ma così facendo aveva perso di vista molte delle cose a cui prima dava importanza.

La sua famiglia, i suoi vecchi amici non potevano più fare parte della vita che aveva scelto. Suo fratello Liam, di quattro anni più grande di lui, si era trasferito in Australia e adesso faceva l'insegnate di surf e nella maggior parte dei casi era abbastanza fortunato da far sì che nessuno in quella terra affiancasse il suo nome a quello dell'attore.

Mentre suo padre... Beh, non era un argomento su cui si soffermava a riflettere.

Probabilmente Stephen era la figura più paterna che avesse accanto negli ultimi otto anni. Fra loro c’era una sincera stima reciproca, ma non avrebbe più permesso a nessuno, nemmeno a lui, di ostacolare in qualsiasi modo le sue scelte.

George ormai era un uomo molto diverso dal ragazzino ingenuo e spaventato degli inizi. Aveva imparato da tempo a fregarsene di quello che la gente pensava di lui. Vivendo a Hollywood, ed essendo sbattuto sulle prime pagine delle riviste scandalistiche quasi quotidianamente, non poteva permettersi di pensarla diversamente, o sarebbe finito con l’impazzire.

All'inizio il suo vecchio agente, Richard Campbell, gli aveva assicurato che dopo un paio di anni sulla cresta dell'onda le persone avrebbero smesso di essere ossessionate da lui, ma evidentemente quella era solo un’altra cosa sulla quale l’uomo si era sbagliato.

Non leggeva quasi mai articoli che lo riguardavano, lasciando che fosse Stephen a pensare alla parte pratica. Erano distrazioni che non poteva permettersi.

«Sembri molto pensieroso», affermò Lindsay, osservandolo con sguardo languido.

Lui si sforzò di sorriderle.

«Mi spiace».

«Ho sentito che Liam è in città», gli annunciò, immaginando che fosse quella presenza la causa del malumore del suo ragazzo.

Tuttavia, le bastò un attimo per scoprire che quell’informazione gli giungeva assolutamente nuova.

«Magari potresti chiamarlo», provò a dire senza molta convinzione.

Lui sbuffò.

«Non mi pare una grande idea».

«So che non vi sentite spesso, ma è pur sempre tuo fratello. Hai discusso con tuo padre, non credo che Liam la pensi nello stesso modo».

«Davvero?», le chiese, sarcastico.

«Potresti almeno tentare».

Lui le accarezzò il labbro inferiore con un dito, poi la baciò.

«Sei dolce a preoccupartene, ma non ho voglia di vederlo e non c’è niente che potrei fare per aggiustare le cose», le sussurrò con voce roca.

Suo fratello era l’ultima cosa di cui voleva parlare in quel momento. Desiderava soltanto lei.
Lindsay Brown era l’unica famiglia di cui aveva bisogno.
 

Quasi come se suo fratello fosse stato in grado di leggergli nel pensiero, la mattina seguente George aveva trovato ben tre chiamate perse sul suo cellulare.

Per quale ragione lo aveva cercato?

Il sistema più veloce per scoprirlo sarebbe stato quello di telefonargli e chiedere al diretto interessato, tuttavia – nonostante quello che aveva detto la sera precedente a Lindsay – aveva un vago sospetto su quella che potesse essere la motivazione che l’aveva spinto a cercare un ricongiungimento proprio in quel momento.

Cinque giorni dopo, infatti, sarebbe stato il compleanno di suo padre e probabilmente Liam si illudeva di poter mediare fra di loro.

Suo fratello era proprio un ottimista!

Il suo cellulare vibrò di nuovo proprio mentre stava per posarlo sul comodino.

Prevedibilmente era lui.

La tentazione di ignorarlo fu forte, ma alla fine George rispose con un sospiro.

«Ciao, Liam», lo salutò.

«A quanto pare qualcuno ha dimenticato quel comune mezzo di comunicazione noto ai più come telefono. Dicesi che il suo utilizzo sporadico non causi gravi problemi, fratellino», affermò in tono canzonatorio il maggiore dei figli di Patrick Wellington.

«Beh, non credo che gli effetti collaterali siano neppure un tuo problema», replicò George in tono tranquillo.

Ormai si parlavano sporadicamente su Skype e le loro telefonate vertevano soprattutto su argomenti insulsi come i risultati delle ultime partite di baseball e, più raramente, su qualche aneddoto che Liam gli raccontava sulle lezioni di surf che impartiva a ragazze interessate più alla sua compagnia che allo sport.

«Resterò in California per qualche giorno», lo informò Liam senza perdere tempo in altri convenevoli. «Magari potremmo vederci», aggiunse.

George si passò una mano fra i capelli, spettinandoli più di quanto non avesse fatto la notte di passione appena trascorsa.

«Sono molto impegnato in questi giorni», disse infine.

«Ma immagino che potresti trovare un’oretta da dedicare a tuo fratello».

«Onestamente, Liam, so per quale motivo vuoi vedermi e la mia risposta è e sarà sempre no».

«Sono trascorsi quasi quattro anni, George! Magari potreste provare a buttarvi questa storia alle spalle».

L’attore fece una smorfia.

«Forse non sono interessato», disse senza traccia d’ironia.

«È nostro padre! Non capisco cosa possa aver fatto di così terribile da meritarsi questo trattamento da parte tua», dichiarò Liam. «Non è stato neanche lui a cominciare questa faida», precisò, pentendosi amaramente delle sua pessima scelta di parole.

«Mi farebbe davvero piacere vederti, Liam. Facciamo un’altra volta?»

«Certo», borbottò il suo interlocutore. «Dirò a papà che lo saluti».

«Non scomodarti», replicò l’altro a denti stretti e, senza aspettare di sentire altro, salutò sbrigativamente suo fratello e concluse la telefonata.

Si sedette sul bordo del letto con il telefono ancora in mano e si prese la testa fra le mani.
Non avrebbe voluto trattare in quel modo Liam, sapeva che lui non c’entrava nulla, ma non era riuscito a controllarsi.
Non ne era mai capace quando la discussione verteva su suo padre.

Una mano famigliare gli accarezzò vogliosa la schiena nuda e atletica.

«Buongiorno», mormorò Lindsay.

Si stampò un’espressione serena in faccia e si voltò per baciarla.

«Stavi parlando al telefono?», gli domandò.

Lui annuì.

«Niente d’importante».

«Era Liam?»

Lui annuì di nuovo.

«Vi incontrerete?», s’informò.

«Non stavolta», disse con un sorriso.

Lei lo baciò di nuovo.

«Vado a farmi una doccia, okay?»

«Mi trovi qui», lo tentò lei.



Ciao a tutte!
Ancora non mi pare vero che siamo già ad Agosto... Avrei intenzione di continuare ad aggiornare regolarmente questa storia, sperando che qualcuna sia lo stesso disposta a leggermi anche "nel periodo vacanze". :)
Dettagli tecnici a parte, ha fatto la sua comparsa anche il padre di Sarah che avrà un ruolo di un certo rilievo in seguito...
Chissà se Will avrà ragione a dire a Sarah che presto troverà un lavoro più interessante! Avete idee su quale potrebbe essere questa nuova occupazione?
Nel frattempo pure George pare essere tutto tranne che sereno. Cosa sarà successo fra lui e suo padre per giustificare un silenzio di quasi quattro anni? E, soprattutto, di chi sarà la colpa del loro litigio?
Nel prossimo capitolo molte di queste domande troveranno risposta e... Ormai manca pochissimo all'incontro fra George e Sarah!
Ringrazio come al solito tutte coloro che mi stanno seguendo! E' sempre bello sapere se una storia piace a chi la legge. :)
Un bacio e al prossimo aggiornamento!
Vale





 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Quando Sarah si svegliò alle prime luci dell'alba, sentì un piacevole odore di pancakes provenire dalla sua cucina. Prese la vestaglia dalla sedia, la indossò e andò nella stanza accanto, dove trovò suo padre intento a preparare la colazione.

«Papà, non dovevi!», esclamò.

«Buongiorno, tesoro», la salutò lui, poggiamo sul tavolo un piatto di pancakes fumanti con tanto di salsa alle more, la preferita di sua figlia. «Ho visto la roba che hai nel frigo. Non dovresti mangiare sempre cereali la mattina. E' importante variare l'alimentazione», disse Mr Kant con un tono che probabilmente sarebbe stato più appropriato a una vecchia governate che non a un ex-marine.

La ragazza ridacchiò, ma prese una forchetta e ingoiò volentieri un boccone di quella delizia.

«Sai, dovresti davvero aprire una caffetteria. Nessuno potrebbe resistere a questi pancakes!», gli disse con un sorriso.

Aaron rise con lei e poi si sedette.

Erano passati diversi mesi da quando le aveva preparato la colazione e, nonostante facesse da contraltare ai suoi modi a volte un po' burberi, amava trascorrere del tempo con sua figlia senza fare nulla di speciale.

Era stato difficile per lui salutarla quando aveva finito il liceo ed era stata ammessa a Yale. Erano stati soltanto loro due per tanto tempo e sebbene l’uomo si sentisse un po’ solo da quando lei si era trasferita dall’altra parte degli Stati Uniti non gliel’aveva mai fatto pesare.

I suoi amici e i suoi colleghi lo aveva spronato più volte a cercare una nuova compagna, qualcuna con cui condividere la vecchiaia, però l’uomo non si era mai sentito nello spirito giusto per legarsi stabilmente a un’altra donna dopo quello che aveva patito con la sua ex-moglie.
Era uscito con alcune signore, ma a parte qualche rapporto sporadico nessuna di loro era riuscito a far scattare la scintilla: ormai si era abituato alla sua vita da scapolo e difficilmente sarebbe tornato indietro.

Non era stato semplice crescere una figlia da solo, ma Sarah non gli aveva mai creato troppi problemi e, nonostante l’assenza della moglie, era riuscito a tirarla su forte e serena, era la sua roccia.

«Cosa ne dici di accompagnarmi al supermarket stamani? Will dovrebbe venire qui durante la pausa pranzo», lo informò Sarah, bevendo un sorso del suo succo di pompelmo.

«D’accordo».

«Bene. Finisco di fare colazione e poi vado a prepararmi. Prometto che non ci metterò molto», aggiunse.

Suo padre la osservò divertito, ma non replicò. Non era certo che prepararsi in fretta rientrasse tra le abilità di sua figlia.

 
Come previsto, infatti, soltanto un paio di ore dopo i due arrivarono al supermarket.

Mentre giravano fra i numerosi reparti Aaron si soffermò a guardare sua figlia, che stava domandando un qualche prodotto difficile da trovare a una delle commesse.

«Papà, quale indizio stai cercando esattamente?», gli chiese la ragazza, dopo che ebbero riposto le buste della spesa nel bagagliaio dell’auto.

«Nessuno», le assicurò.

Lei gli lanciò un’occhiataccia.

Non erano molti i momenti in cui Sarah gli ricordava sua moglie Rachel, ma quando lo guardava così… La somiglianza fra loro era singolare.

«Solitamente quanto lavora Will?»

«Puoi prendere il numero delle ore che già immagini e raddoppiarle», rispose con un sorriso.
«Spera di diventare socio nell’arco di un paio di anni», gli rammentò.

«Fra voi va tutto bene, sì?»

«Va tutto benissimo, papà», affermò con lo sguardo che le brillava.

Lui annuì.

«Forse è meglio andare: il pranzo non si cucinerà da solo», disse Aaron, facendola ridacchiare.

A volte suo padre sembrava davvero una vecchia signora.

 
Solitamente non amava restare troppo tempo a letto da sola, però quella mattina non aveva alcun impegno a costringerla ad affrettarsi fuori dalle coperte così decise di godersi la quiete della casa.

Ormai conosceva George abbastanza bene da capire quando qualcosa lo preoccupava, ma di regola lui non desiderava conversare di faccende legate alla sua famiglia neppure con lei e, in tutta onestà, Lindsay non poteva dirsene scontenta.

Aveva incontrato Wellington Senior soltanto un paio di volte nei sei anni in cui stavano insieme e di certo l’ultima non era un evento che lei e George amavano rivangare.

La coppia si era recata a casa Wellington negli Hampton il giorno del Ringraziamento di quattro anni prima e per l'occasione era arrivato anche il fratello maggiore di George, Liam, che all'epoca viveva già in Australia.

Il pranzo era sembrato procedere bene fino a quando quest’ultimo non aveva ingenuamente tirato in ballo nel suo discorso di ringraziamento la madre.

Lindsay non sapeva molto di quella donna. George le aveva accennato qualcosa soltanto nei primi mesi in cui stavano insieme e poi si era sempre rifiutato di aggiungere altro.
Elisabeth Wellington a quanto pareva era morta a soli quarantadue anni, quando suo figlio minore ne aveva quindici e la modella dubitava che lui fosse riuscito a superare sul serio l’accaduto.

Tuttavia, probabilmente al suo posto anche lei non avrebbe dimenticato quello che era successo tanto facilmente. Era stato lui il primo ad arrivare e lo spettacolo che gli si era parato davanti non doveva essere stato dei più facili da assimilare. Quel corpo ormai privo di vita era quello della donna che l’aveva messo al mondo e alla quale Lindsay era convinta che pensasse ancora.

Il suo ragazzo le aveva detto che si era trattato di un arresto cardiaco e che, quando l’aveva trovata, non c’era stato già più nulla da fare. Aveva chiamato il 911, ma non era servito: di ciò che Elisabeth era stata in vita non era rimasto che un involucro vuoto.

Lindsay che non aveva perso nessuno che potesse dire in tutta sincerità di amare davvero e per questo si rendeva conto di non poter comprendere quello che lui doveva aver provato di fronte al cadavere della madre.

Durante l'epico pranzo la ragazza aveva capito quanto il suo uomo fosse in conflitto con se stesso e soprattutto con suo padre. Le cose erano precipitate in un batter d'occhio, tanto da non permetterle di capire cosa stava succedendo finché non era stato troppo tardi.

Nella maggior parte delle case le persone erano solite pronunciare i loro discorsi di ringraziamento prima di pranzare, ma i Wellington a quanto pareva avevano una tradizione diversa. Peccato che lasciare tali rituali a fine del pasto, poco prima del dessert, poteva rivelarsi una scelta pessima se le persone riunite intorno a un tavolo, dopo molti bicchieri di troppo, avevano fin troppe ragioni per avercela le une con le altre.

Il padrone di casa si era limitato a esprimere qualche parola sulla sua gioia nell’avere la sua famiglia riunita almeno in quell’occasione e nessuno aveva trovato nulla da ridire, almeno finché Liam non aveva preso la parola.

Via via che il suo discorso procedeva, Lindsay aveva visto l’espressione di George cambiare fino a divenire una maschera di puro odio.

La modella non ricordava di averlo mai visto così prima e per un istante aveva quasi avuto paura dell’uomo seduto accanto a lei e con il quale stava condividendo la vita da un paio di anni.

«George», lo aveva ammonito immediatamente suo padre in tono minaccioso, forse scorgendo qualcosa che gli altri commensali non potevano vedere.

«Sai, Liam, non mi pare ci siano molte ragioni per rendere omaggio a qualcuno che è... Sparito dalle nostre vite da quasi dieci anni. Idea grandiosa la tua, fratello. Davvero magnifica!», aveva detto George con sarcasmo. «Ringraziamo nostra madre per essere morta!»

Il volto di Patrick Wellington aveva assunto uno spiacevole e quanto mai minaccioso colorito violastro, ma se sperava che suo figlio si fermasse lì purtroppo aveva torto, poiché il peggio doveva ancora venire.

A quel punto, infatti, George si era alzato in piedi, visibilmente alticcio, e aveva continuato il suo monologo.

«E grazie anche a te, papà, per aver organizzato questa bella riunione di famiglia! Non sai quanto mi sia mancato questo posto. E sono sicuro che manchi anche a te, Liam, visto che sono... Quanti? Cinque anni che non ti fai più vedere da queste parti?»

In ogni altra occasione, Lindsay non avrebbe mosso un muscolo, però la situazione stava degenerando così tanto che si sentì in dovere di intervenire per cercare di calmarlo.

Tuttavia, suo fratello fu più rapido di lei.

«George, sei ubriaco e ti stai rendendo ridicolo. Non capisco quale problema avessi con la mamma, ma datti una calmata. È morta, che bisogno c’è di rovinare il pranzo a tutti?»

Il diretto interessato accennò un sorriso privo di allegria.

«Tu non sai nulla. Non hai alcun diritto di dirmi cosa posso o non posso pensare di mia madre», ingiunse.

«Nostra madre», lo corresse Liam, iniziando a scaldarsi.

Patrick lanciò un’occhiata a quest’ultimo per pregare almeno lui di tacere e il suo primogenito ubbidì.

«Siediti, George. Per favore», gli disse suo padre. «Possiamo ritenere concluso l’incidente?»

«Davvero, papà? Ti importa di quello che penso adesso, o ti diverti semplicemente a impartire ordini? Non sei niente per me e sai cosa c’è? Non eri nulla neppure per lei».

Nella sala da pranzo era calato un silenzio di tomba.

«Non credo ci siano altre ragioni per stare qui. Non credo… che nessuno voglia davvero essere qui oggi. Linds – aveva detto, rivolgendosi per la prima volta a lei negli ultimi cinque terribili minuti – Andiamo via».

La ragazza non se l'era fatto ripetere due volte, aveva afferrato la mano che il suo ragazzo le stava porgendo, aveva preso il soprabito e lo aveva seguito fuori.

«Dammi le chiavi», gli aveva sussurrato.

Lui aveva fatto quello che lei gli aveva detto, ma – prima che potesse salire in auto – suo fratello Liam era corso verso di loro come una furia.

«Qual è il tuo problema, George?», aveva domandato al fratello. «Papà voleva soltanto organizzare un pranzo tutti insieme, perché hai voluto rovinargli tutto?»

George aveva guardato il fratello quasi con compassione e, dopo aver lanciato un’occhiata di sfuggita a Lindsay, gli aveva risposto:

«Può essere il tuo eroe, Liam, ma di certo non sarà mai il mio».

I due si erano scrutati come due leoni in gabbia e alla fine Liam li aveva salutati, con la promessa di sentirsi presto, cosa che ovviamente non era accaduta. Erano tornati in California il giorno seguente e da allora non avevano quasi più fatto cenno a quanto era successo.

La ragazza non aveva mai indagato a fondo su quale che fosse stata la causa scatenante di tutto quel rancore, poiché sapeva che non ne avrebbe cavato un ragno dal buco. Patrick Wellington era un argomento off-limits.

In tutta sincerità, non poteva dire di provare una qualche antipatia per il padre del suo ragazzo: non lo conosceva, però, se George ce l’aveva così tanto con lui, doveva essere successo qualcosa di molto grave, qualcosa di imperdonabile, e di cui lei non voleva sapere proprio nulla.

A volte l’ignoranza era un bel dono.


Inaspettatamente il pranzo con Will e suo padre era andato bene: il suo ragazzo non scherzava quando le aveva assicurato che si sarebbe sforzato di farsi andare a genio il suo vecchio.

Sarah sapeva che non sarebbero mai diventati due amiconi, ma già vederli seduti a tavola a conversare amabilmente per lei era sufficiente e, cosa ben più importante, ognuno di loro lo stava facendo per lei.

Questo era il più grande regalo che potessero farle, specie in quel momento.

Negli ultimi tre giorni aveva vagliato tutte le ipotesi possibili e non era arrivata a nessuna soluzione. Nonostante l’incoraggiamento del suo ragazzo, quella situazione era tutt’altro che facile da sopportare, ma doveva restare positiva. Presto qualcosa sarebbe cambiato: doveva crederci.

Intanto, dall’altra parte della città, Stephen Olsen stava concludendo una sorprendente conversazione telefonica con un suo ex-collaboratore.

«Ti ringrazio, Logan. Certo. Ti farò sapere e salutami Clotilde», disse.

L’uomo senza perdere un secondo compose un altro numero e riferì tutto quello che aveva appena udito, pensando che finalmente qualcosa stava iniziando a girare dalla loro parte.
 

George ascoltò in silenzio quello che il suo agente gli stava dicendo prima di ribattere.

«Non sono sicuro che sia una buona idea», dichiarò infine.

«È la soluzione migliore, George».

«Non mi fido di lei e credevo che non lo facessi neanche tu».

«Una ragione in più per tenerla vicino», affermò Stephen in tono deciso.

«Per farle avere altre informazioni?!»

Capiva quello che Stephen voleva dire, ma il problema era ben più ampio dal suo punto di vista.

Come poteva anche solo stare di fronte a lei dopo il modo in cui si era comportato? Forse potevano pagarla e assicurarsi così il suo silenzio, che bisogno c’era di procurarsi ulteriori grattacapi per quella storia?

«Stavolta la decisione non spetta a te: è una mia responsabilità curare e proteggere la tua immagine».

«E cosa ti fa credere che prenderà in considerazione la tua proposta?», gli chiese dubbioso.

«Penso non abbia molte altre opzioni in questo momento».

George ci rifletté per un altro minuto, dopodiché fu costretto a chinare la testa.

«D’accordo, ma pensaci tu, per favore».

«Naturalmente».

I due discussero degli ulteriori dettagli e si accordarono per risentirsi il giorno seguente.

Stephen poteva anche apparire sicuro di ciò che aveva detto, ma George era tutt’altro che entusiasta di quello che stava per succedere e si preparò psicologicamente ad affrontare il marasma che ne sarebbe derivato.
 

 
Ciao!
Nel precedente capitolo avevamo lasciato la povera Sarah in preda allo sconforto per aver perso il suo posto di lavoro e qui la ritroviamo in compagnia di suo padre, che fin dalle prime non pare un grande estimatore di Will anche se entrambi sembrano stiano facendo il possibile per appianare le loro divergenze.
Quanto durerà la loro tregua? E quanto questo influenzerà la decisione di Sarah di trasferirsi da lui?
Nel frattempo le riflessioni di Lindsay aprono uno spiraglio sul passato di George e sul litigio che l'ha spinto ad allontanarsi dalla sua famiglia. Secondo voi la modella dovrebbe insistere di più per sapere a cosa è dovuto il suo rancore?
In ogni caso, sembrerebbe proprio che George abbia ben altri grattacapi... Riuscite a indovinare quale idea ha avuto Stephen? :)
Per ora vi anticipo soltanto che finalmente nel prossimo capitolo George e Sarah si vedranno... e niente sarà più come prima!
A presto,
Vale



 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


La via brulicava di avventori, ma Sam non avrebbe potuto farci meno caso: tutta la sua attenzione era volta ad ascoltare le parole della sua amica.

«Quindi di cosa credi che voglia parlarti questo Olsen?», le domandò infine.

«Non ne sono ancora sicura…», ammise Sarah.

In effetti una piccola parte di lei aveva temuto quel momento, ma dopo il suo licenziamento da Inside si era convinta che la faccenda fosse stata archiviata dallo stesso responsabile.

Se la cosa non fosse stata assurda avrebbe quasi pensato che sotto alla chiamata di Stephen Olsen ci fosse ben altro. Il suo tono di voce, la sua oculata scelta di parole, l’avevano fatta sospettare che quella fosse quasi una telefonata d’affari, ma ovviamente quella possibilità era molto più che remota.

Tuttavia, anche nell’ipotesi più probabile che l’attore avesse raccontato quello che non era accaduto fra loro quella notte, perché l’uomo aveva aspettato così a lungo prima di contattarla?
Non aveva molto senso… A meno che lui non gliel’avesse rivelato solamente ora.

«Non credo che dovresti accettare d’incontrarlo, Sarah», disse a un certo punto Sam. «Dubito che si tratti di un incontro di cortesia e mi pare che Wellington sia stato abbastanza maleducato per tutti e due», aggiunse risentita come se quel torto fosse successo a lei.

Sarah sorrise. Era molto dolce a preoccuparsi così: Sam prendeva tutto sul personale quando una faccenda coinvolgeva i suoi amici o la sua famiglia.

«Onestamente non sono tanto sorpresa dalla sua chiamata, ma dalla tempistica», affermò Sarah in tono cauto.

«Di qualunque cosa si tratti, non dovresti lasciarti coinvolgere», ribadì l’avvocato.

La sua amica in linea teorica poteva anche aver ragione, però lei sentiva il bisogno di chiarire quella faccenda: doveva archiviare George una volta per tutte.
 
                                                                     ***

Mentre porgeva le chiavi della sua Audi al parcheggiatore dell’hotel, Sarah si chiese per l’ennesima volta se non stesse commettendo un errore.

Per quale motivo non riusciva a ragionare razionalmente se qualcuno nominava George?

Era ridicolo. Non era più un’adolescente e allora perché la sola idea di incontrare il suo agente la metteva così tanto in agitazione?

Era stata lì un paio di volte quando ancora lavorava per Inside, per cui ormai sapeva orientarsi abbastanza bene e, senza dare nell'occhio, raggiunse rapidamente la terrazza.

Mr Olsen, fin troppo elegante nel suo completo grigio scuro, la stava già aspettando e la ragazza si pentì di non esser passata a casa a cambiarsi. Il suo abbigliamento casual non era molto indicato alla circostanza, ma aveva preferito non concedersi tempo per cambiare idea: sapeva che se si fosse fermata a riflettere solo un altro secondo non sarebbe andata fino in fondo.

L'uomo le andò incontro con un moderato sorriso.

«Miss Kant», la salutò, porgendole la mano in modo professionale.

«Salve, Mr Olsen», contraccambiò lei, stringendogliela.

«Prego», le disse, invitandola a sedersi a uno dei tavolini.

Sarah lo ringraziò e si accomodò. L’agente la imitò.

Rimasero a scrutarsi per un attimo, poi una cameriera arrivò per prendere le loro ordinazioni.

«Cosa prende?», le domandò.

«Un caffè andrà benissimo».

«Due», ingiunse l'uomo.

«Arrivano subito», disse la cameriera, allontanandosi.

«La ringrazio di essere venuta con così poco preavviso, Miss Kant».

«A giudicare dalla sua insistenza, mi pareva importante», replicò Sarah, senza distogliere lo sguardo da lui.

Stephen sorrise leggermente.

«Non amo i giri di parole. Non quando posso evitarli. So che non lavora più per Inside», esordì schietto.

Quindi l'aveva chiamata per rigirare il coltello nella profonda piaga?
Si sentì la protagonista di una commedia demenziale di serie B.

«Non credo che questo la riguardi, Mr Olsen», replicò, cercando di mantenere un tono pacato, nonostante avrebbe volentieri sputato in faccia a quell'uomo.

Quest’ultimo aprì la bocca per ribattere, ma la cameriera apparve con i loro caffè. Li posò sul tavolo con un gesto esperto e si allontanò a velocità record, forse percependo la tensione fra i due.

«Ma potrebbe riguardami. Ho dato un'occhiata ad altre faccende di cui si è occupata. Penso che il suo talento non sia mai stato apprezzato quanto avrebbe dovuto ad Inside», proseguì.

La ragazza lo ascoltava con attenzione, stando ben attenta a non far filtrare nulla. Non aveva mai preso parte a una partita a poker, ma immaginava che il principio fosse lo stesso. Doveva essere lui a svelare le sue carte per primo.

«In seguito ad alcuni... cambiamenti, abbiamo bisogno di qualcuno che diriga l'Ufficio Stampa di Mr Wellington. Ho pensato che lei fosse la persona giusta, Miss Kant».
Quindi non si era immaginata tutto, c’era qualcosa dietro a quell’incontro, ma difficilmente avrebbe creduto che si trattasse proprio di quello.
Nonostante il suo volto non tradisse nessuna emozione, dentro di sé Sarah era indecisa fra il morire dalle risate o dallo sconforto.
La situazione era tragicomica.
«Non ho mai gestito un Ufficio Stampa, Mr Olsen. Sono onorata che abbia pensato a me, ma non credo di essere la persona giusta».

Era impossibile pensare che questa offerta e quello che era accaduto fossero due coincidenze casuali, però Sarah non riusciva a capire: George voleva farsi perdonare, o voleva controllarla? Oppure entrambe.

«Le manderò il contratto completo entro stasera. Ci rifletta. L’offerta scadrà domani», disse, bevendo un sorso del suo caffè.

«Valuterò la sua proposta, Mr Olsen», gli assicurò Sarah con tono professionale.

«Aspetterò una sua telefonata e, per qualunque dubbio, non si faccia scrupoli a contattarmi», disse Stephen.

                                                                    ***
 
Rilesse per l'ennesima volta il contratto che Mr Olsen le aveva inviato e sospirò.

Aveva giurato a se stessa che gli avrebbe dato un'occhiata veloce e poi avrebbe confermato all'uomo che declinava la sua gentile offerta.

Tuttavia, c'era qualcosa che le stava impedendo di mettere da parte quei fogli e di dimenticare l'incontro avvenuto poche ore prima.

Tutto era riferibile a un nome. Quel nome. George Wellington. Ancora.

Sarah si sciolse i capelli e appoggiò il fermaglio sul tavolino del salotto. Non avrebbe dovuto essere tanto difficile chiudere quella porta. L'aveva già fatto quando se n'era andata dalla villa dell'attore.

Sul desktop del suo portatile acceso, comparve una nuova e-mail.

Era di Will. L'aprì senza pensarci e la lesse, mordicchiandosi una pellicina dell’indice.

Ho fatto vedere il contratto ad Allison. Ritiene che non ci sia niente che non va.
Non aspettarmi per cena, ho una riunione.
Ci vediamo più tardi.
Ti amo.
Will”


Sarah archiviò il messaggio e spense il computer, sbuffando.

Una parte di lei aveva sperato davvero che ci fosse qualcosa di irregolare, o di sospetto in quei pezzi di carta. Almeno avrebbe avuto un'ottima ragione per rifiutare l'offerta di Olsen senza perdere altro tempo.

Se quella maledetta sera non fosse mai esistita avrebbe ottenuto lo stesso quel lavoro?

Probabilmente no. Forse Olsen stava veramente cercando qualcuno, ma se lei fosse stata soltanto la giornalista che aveva intervistato George un lunedì mattina qualsiasi quante chance avrebbe avuto di essere anche solo presa in considerazione?

Indipendentemente da come sarebbe andata in quel caso, alla luce dei recenti fatti, immaginare di accettare quella proposta le sembrava un insulto al proprio orgoglio. In vita sua non era mai scesa a compromessi e di certo non voleva creare quello che Will nel suo gergo legale avrebbe definito un “precedente”.

Non aveva mai diretto un Ufficio Stampa, ma teoricamente avrebbe saputo come gestire le cose. Ma era davvero questo quello che voleva? Lavorare per una star di Hollywood?

Secondo il suo ragazzo non c'era nessuna ragione affinché non accettasse, visto l’ottimo stipendio e i numerosi bonus che avrebbe ottenuto. Peccato che lui non fosse a conoscenza delle vere ragioni del suo tentennare…

L’unica persona che ne era a conoscenza era Sam e aveva già espresso il suo disappunto di fronte alla mera ipotesi che incontrasse Olsen, per cui Sarah era certa che la sua reazione a quella proposta sarebbe stata tutt’altro che entusiasta. Chiamarla di nuovo era fuori questione; inoltre, sentiva di dover decidere da sola.

Era innegabile che il compenso che le era stato offerto la allettava. Certo, avrebbe potuto far finta che non fosse successo nulla, ricominciare da capo con un colpo di spugna. Era abbastanza verosimile che George sarebbe stato d'accordo e non avrebbe tirato in ballo il passato. Ma lei sarebbe stata in grado di scacciarlo?

In quegli anni aveva posto George su un piedistallo e, più che essere trattata da lui in malo modo, la cosa che l'aveva ferita maggiormente era stata vedere sgretolare le sue fantasie su quell'uomo in un solo istante.

Un’unica sera poteva farle rivalutare gli anni in cui l'aveva stimato? In cui si era sentita scioccamente legata a lui? Lavorare per lui le avrebbe dimostrato che si era trattato soltanto di una spiacevole serata? Oppure le avrebbe fatto irrimediabilmente capire che l’attore non aveva niente in comune con l'uomo su cui tanto a lungo aveva fantasticato?

Sarah non era sicura di essere pronta a conoscere quella risposta…

Inoltre, se una parola di George era stata sufficiente a convincerla che in fondo non era poi così grave mentire al suo ragazzo e passare una notte nel suo letto (anche se non era successo nulla), cosa sarebbe accaduto lavorando a stretto contatto con lui?

Il problema non era gestire un ufficio stampa, ma tenere a bada le proprie sensazioni e, soprattutto, frenare i propri desideri. Avrebbe voluto accettare quel lavoro, bramava di conoscere meglio George, ma poteva fare tutto questo senza perdere di vista se stessa?

Non voleva fare nulla che potesse creare tensione con l’uomo che amava e, se avesse saputo la verità, Will non avrebbe mai dato il suo consenso a quell’impiego. Non che alla ragazza servisse, però, nonostante l’amore che provava nei confronti del suo ragazzo, George aveva sempre occupato un posto di riguardo nel suo cuore.

Poteva lavorare con lui senza restarne coinvolta?

Non era certa che vivere una sua fantasia adolescenziale valesse il rischio di perdere la persona che, dopo suo padre, amava di più.

Decise tutto nell’arco di un istante: se voleva veramente anche solo pensare di poter prendere in considerazione quella proposta c’era una sola persona con cui aveva bisogno di parlare.

Lui.

                                                                     ***

 
Aveva fantasticato tante volte su quel momento, sull'attimo in cui lo avrebbe visto, in cui i loro sguardi, con un po' di fortuna, si sarebbero incrociati per un solo istante. Teneva la macchina fotografica in una mano, mentre nell'altra aveva un blocchetto per l'autografo.

L'attore, apparentemente senza prestare troppa attenzione a tutto quel marasma, lo prese, firmò e poi glielo restituì. Sarah lo ringraziò e, mentre lo riprendeva, gli sfiorò accidentalmente la mano. La sua pelle era morbida e calda.

George Wellington aveva delle mani bellissime.

Uno dei suoi bodyguards gli staccò di dosso una fan che si era avvicinata troppo e gli fece cenno di proseguire.

Sarah osservava ogni suo movimento come se ne andasse della sua stessa vita. Era convinta di non essere mai stata così attenta, di non essersi mai sentita così viva come in quel momento.

Quello che la ragazza riconobbe essere il suo agente gli sussurrò qualcosa all'orecchio. George annuì con espressione seria, passò il pennarello nero che aveva in mano a una donna alle sue spalle, si voltò di nuovo, un'ultima volta, verso la folla in delirio, sorrise, dopodiché entrò nel teatro insieme al suo entourage.

Dovettero trascorrere parecchi minuti prima che la ragazza fosse in grado connettere nuovamente il cervello, o semplicemente di spostarsi da lì.

Quando la folla intorno a lei si diradò, recuperò i suoi averi e – considerando che non rammentava l’ultima volta in cui aveva mangiato – si fiondò nel primo McDonald's che scorse.

Avrebbe voluto salutare le due ragazze che aveva conosciuto in quelle interminabili ore di attesa di fronte agli Studios, ma sembravamo sparite.

Chiamò suo padre Aaron dopo che ebbe cenato e gli raccontò brevemente la sua avventura, tralasciano i dettagli che di certo non era ansioso di conoscere.

Una volta tornata in hotel, stesa sul suo letto, Sarah non poté fare a meno di pensare a lui e, otto anni dopo, si era ritrovò a ricordare quel momento, quella prima volta in cui l'aveva visto. Aveva ripensato al suo sorriso, al suo sguardo dolce e al tempo stesso sexy, alla sua gentilezza.

Tutto questo poteva essere scomparso? O peggio ancora era mai esistito davvero?

La ragazza sospirò e ricontrollò il suo riflesso nello specchietto dell'auto. Aveva raccolto i capelli in una coda di cavallo e aveva optato per un trucco leggero; visti i precedenti era meglio non dare l’impressione sbagliata.

Scese dalla macchina sbattendo leggermente lo sportello e facendo voltare una signora di mezza età, che le passò accanto con un sussurro.

Percorse a piedi i pochi metri che la separavano dal Roosvelt, pensando che le sue domande stavano per ricevere una risposta.

Entrò nell'hotel e trovò George al bar della hall. Stava leggendo un giornale con una tazza di caffè davanti.

Il suo sguardo era concentrato, lesse qualcosa e aggrottò la fronte. Poi scosse leggermente la testa.

Sarah fece un profondo respiro e, racimolando tutta la sua calma, si avvicinò a lui. George alzò lo sguardo proprio nel momento in cui la ragazza gli fu davanti, permettendole di non interromperlo.

La guardò per un attimo e poi sorrise, piegò il giornale e si alzò in piedi, da vero gentleman.

«Salve, Miss Kant», la salutò, porgendole la mano.

Il suo atteggiamento non lasciava trasparire la minima traccia d’imbarazzo e la ragazza finì per domandarsi se esistesse qualcosa capace di turbarlo esplicitamente. Anche quella mattina, nonostante la situazione fosse più che compromettente, non aveva mai messo in dubbio di essere dalla parte giusta. Forse aveva soltanto un ego smisurato.

«Mr Wellington».

«Prego», disse, facendole strada verso la terrazza.

Possibile che tutti amassero così tanto le terrazze a Los Angeles?

«Stephen mi ha detto che voleva parlare con me», esordì l'attore.

Un paio di signore che stavano sorseggiando un tè interruppero improvvisamente la loro conversazione quando lo riconobbero. Doveva essere quasi impossibile per lui passare inosservato.

Indossava una camicia grigia sopra un paio di pantaloni neri e delle scarpe che era certa di avergli visto in qualche altra occasione, che in quel momento non rammentava. Al taschino della camicia aveva agganciato un paio di occhiali da sole griffati Gucci.

Sarah fu costretta ad ammettere a malincuore, e ben poco professionalmente, che era davvero bellissimo.

«Ho valutato molto attentamente la proposta di Mr Olsen. Ma per poter prendere una decisione vorrei sapere per quale ragione avete pensato proprio a me», disse con voce pacata, guardandolo negli occhi.

Lui accennò un inaspettato e quanto mai disarmante sorriso. Sapeva giocare bene le sue carte e Sarah si domandò quante volte una donna avesse osato rispondergli con un “No”.

«Credevo che Mr Olsen le avesse già spiegato i dettagli. Non sono solito mettere in dubbio le sue decisioni, ma officiosamente parlando diciamo che nel corso del tempo ho imparato ad apprezzare la discrezione», le disse. «Temo di non aver mostrato il meglio di me durante il nostro ultimo incontro. Sono molto dispiaciuto per quello che è successo, Miss Kant», aggiunse e stavolta le sue parole le parvero sincere.

«Vorrei che prendesse in considerazione l’offerta, mettendo da parte il resto. Se il lavoro non le interessa, o non le sembra adatto a lei, può rifiutare. Ma se non vuole accettarlo per ciò che è accaduto… Vorrei davvero che potessimo ricominciare, Miss Kant. Sarà come non fosse mai successo, se lei è d'accordo».

Cosa doveva fare?

Avrebbe voluto bloccare il tempo per riflettere con calma, ma George stava ancora aspettando la sua risposta.

La fissò con sincero interesse: sembrava curioso di verificare se il suo discorso avesse sortito il risultato sperato.

«D'accordo, Mr Wellington. Ma per poter svolgere al meglio il mio lavoro, ho bisogno di essere sicura che il nostro rapporto rimarrà più che professionale», disse infine.

George annuì, con espressione seria.

«Certamente».

Poi sorrise, si mise gli occhiali da sole e porse la sua mano alla ragazza, che gliela strinse, stavolta con maggiore tranquillità.

Dopo un paio di minuti di convenevoli, i due si salutarono e, mentre saliva a bordo della sua auto, una sola domanda riecheggiava nella sua testa: Che cosa ho fatto?
 
                                                                     ***

Will accarezzò la schiena della sua ragazza e la tenne stretta a sé.

«Sai, non mi eri sembrata tanto propensa ad accettare la proposta di Olsen stamattina», le disse l'avvocato.

Sarah lo fissò per un attimo prima di rispondere.

«Non avevo ancora deciso. Avevo bisogno di chiarire alcune cose con Wellington visto che, tecnicamente, lavoro per lui».

Will aggrottò la fronte, come faceva sempre quando stava riflettendo.

«Inoltre, questa è la migliore offerta che potessi ricevere, tesoro».

Per non dire l’unica, aggiunse mentalmente.

«Dovrai seguirlo durante le interviste, i tour promozionali…», affermò a un certo punto Will.

«Dobbiamo ancora discutere questi dettagli. Ci sarò quando le circostanze richiederanno la mia presenza, ma non sarà la regola».

«D'accordo. Scusami, sono soltanto un po’ stanco. Sono felice che tu abbia ricevuto questa offerta. So che hai visto parecchi suoi film».

«I nostri rapporti saranno solamente professionali, Amore», gli assicurò lei.

«Lo so».

«E poi...».

«E poi cosa?», gli chiese lui, sfiorandole una guancia.

«Questo significa che avrò molti più week end liberi e potrò svolgere parte del mio lavoro da qui».

«Da qui, eh?», ripeté con un sorriso.

«Già... Se lavorassi per Inside adesso sarei ancora in ufficio», gli ricordò Sarah, passandogli una mano sotto canotta di cotone bianca con cui era solito dormire.

«Ah, grazie George Wellington», borbottò Will con voce roca, facendo montare la sua ragazza sopra di sé e baciandola.



Buongiorno!!!
Spero che le vostre vacanze siano andate bene e che siate sopravvissute tutte al pranzo di Ferragosto! :)
Un capitolo un po' più lungo del solito, ma non volevo più farvi aspettare per questo incontro fra Sarah e George.
Dopo attente riflessioni la ragazza ha deciso di accettare la proposta di Stephen, ma quanto avrà davvero influito la sua "cotta" per George? Di certo l'attore anche se non è entusiasta della situazione stavolta è stato molto cortese con lei e Sarah sembra avere tutte le intenzioni di tenersi a distanza da lui, ma ci riuscirà davvero? E per quanto tempo Will sarà così grato a George? xD
Un bacio
Vale

 

 
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Al suo risveglio, Sarah si trovò a sorridere. Era da giorni che non si sentiva così bene. Quando era stata licenziata da Bones per pochi terribili brevi istanti aveva creduto davvero che per lei non ci sarebbe stata una proposta degna di questo nome.

Se qualcuno anni prima le avesse detto che un giorno avrebbe firmato un contratto per lavorare per George Wellington, la ragazza non avrebbe esitato a dare a quella persona del pazzo. Invece, stava per accadere.

Si alzò, fece una rapida doccia e si vestì. Scegliere una mise richiese parecchio tempo e sbatté l'anta dell'armadio così forte da svegliare Will.

«Sai che saresti stupenda con qualsiasi cosa addosso», gli sussurrò ancora mezzo addormentato, stropicciandosi gli occhi.

Sarah sorrise di nuovo.

«Grazie, Amore».

Di solito non era il genere di ragazza che passava tanto tempo di fronte allo specchio, ma quella mattina era diverso. Da che ricordasse soltanto altre tre volte aveva impiegato così tanto tempo a prepararsi. Il giorno del matrimonio di una sua cugina, in cui doveva fare da damigella quando aveva sedici anni, il primo giorno di college e quello della laurea.

Sapeva che nel terzo caso era inutile, visto che avrebbe indossato una lunga toga nera, ma era stato davvero difficile decidere cosa mettere sotto per la festa organizzata da alcuni suoi compagni di corso. In fondo quello era stato uno dei giorni più belli della sua vita, anzi forse addirittura il più bello e Sarah voleva sentirsi all'altezza della situazione.

E quel lunedì mattina le cose non erano differenti.

Dopo vari tentativi, decise di tenersi addosso un tubino blu, non troppo scollato. Controllando il suo riflesso allo specchio si ritenne soddisfatta. Non era elegante, ma neppure troppo casual. Perfetto.

Salutò Will con un bacio frettoloso a fior di labbra e, dopo aver fatto colazione, uscì.

                                                                     ***

Ultimare gli accordi con Mr Olsen allo studio legale richiese meno tempo di quanto la ragazza si sarebbe aspettata e, dal momento che era circa l'una, l'uomo insistette per portarla fuori a pranzo.

Visto che stava letteralmente morendo di fame, accettò con piacere.

«Miss Kant, credo che potremo iniziare a darci del tu. Cosa ne dice, Sarah?», gli propose l'uomo, quando furono davanti a un fumante piatto di spaghetti.

Dovette ammettere che la scelta di un ristorante italiano era stata molto appropriata e in linea coi suoi gusti.

«Volentieri, Stephen», acconsentì.

«Ti invierò tutto il materiale che ti servirà domani mattina. Ma questo è solo un pranzo informale per conoscerci meglio. Ti sembrerà un po' insolito, ma è una mia abitudine scambiare informazioni coi miei colleghi e coi membri dello staff. Devo sapere di chi posso fidarmi e chi non è adatto per certe cose».

Sarah rimase un po' sorpresa da quel cambiamento di tono, ma non replicò e si limitò ad annuire educatamente.

L’uomo proseguì, lasciandola interdetta.

«Lavoro per George da quasi otto anni. Lo seguo nei tour promozionali e ovunque ritenga necessario», la informò, poi accennò un sorriso e proseguì in tono più leggero. «Sono sposato da sette anni e detesto il sushi, quindi non portarmi mai in un ristorante del genere, perché allora avremmo un bel problema».

La ragazza sorrise di rimando. Al di là del suo atteggiamento a volte poco rassicurante, Stephen Olsen sembrava una brava persona.

«Va bene. Niente ristoranti di sushi. Lo terrò a mente. Non so come tu riesca a vivere a Los Angeles: sono stati la prima cosa che ho notato una volta trasferitami qui», dichiarò Sarah, bevendo un sorso d'acqua.

«Non amo essere scontato. Gli evito quando posso».

«Cosa vuoi sapere, Stephen?», gli domandò Sarah in tono neutro.

«Cosa ti ha convinta ad accettare?»

«È molto importante?», replicò lei.

«Non lo so», rispose serio, studiando la sua espressione.

«Credo che tu sappia quello che non è accaduto, quindi forse potresti fidarti di me» gli disse. «In ogni caso, ho un ragazzo e mi sono trasferita in California per stare con lui e non amo discutere della mia vita privata».

Lui continuò a osservarla con discreto compiacimento: gli piaceva il modo in cui gli aveva tenuto testa.

«Beh, piacere di conoscerti, Sarah», disse infine Stephen.

«Piacere mio».

Il pranzo andò avanti senza ulteriori sotterfugi e quando ebbero finito si salutarono e Sarah tornò a casa.

Una volta lì, chiamò Will per comunicargli che tutto era andato bene, dopodiché assaporò l’eccitante novità.

Lei, Sarah Kant, adesso lavorava ufficialmente per George Wellington.
 
                                                                    ***

Al contrario delle sue rosee aspettative le settimane che seguirono furono tutt'altro che tranquille, tuttavia la ragazza si ritenne piuttosto soddisfatta del proprio operato e soprattutto era lieta che i suoi incontri con George fossero stati praticamente inesistenti. Stephen non le aveva mentito quando le aveva assicurato che almeno per i primi tempi avrebbe riferito e tenuto contatti solamente con lui.

Si era scatenato un vero e proprio putiferio quando avevano annunciato che, contrariamente a ogni previsione ed a ogni precedente rumor, l’attore non avrebbe preso parte in nessun modo al nuovo progetto di Dustin McHumprey.

In cuor suo, Sarah era rimasta sorpresa da quella notizia: credeva che quest’ultimo fosse proprio il genere di regista con lui volesse collaborare, ma evidentemente non era così.

Tuttavia, quale ragione poteva aver spinto un attore del suo livello a ripiegare su un progetto che era al di sotto dei suoi soliti standard?

Stava controllando alcune mail, quando il suo cellulare squillò.

Stephen la stava cercando.

«Ciao, Stephen. Di cosa si tratta?», gli domandò senza preamboli.

Ormai aveva capito che l’uomo non gradiva perdere tempo. Era molto simile a Bones sotto questo aspetto, ma dubitava che condividesse anche lo stesso senso dell’humor del suo ex-datore di lavoro.

«Ho bisogno che tu mi sostituisca domani», dichiarò l'uomo.

Per poco non le cadde il telefono di mano.

Sapeva bene cosa preveda l'agenda di George per quel giorno. L'attore aveva in programma un'intervista con Inside The Movies Magazine.

Era il servizio che Bones aveva inizialmente affidato a lei e che per qualche ignota ragione era stato posticipato.

«D'accordo», disse, cercando di apparire tranquilla.

Ringraziò che Stephen non fosse davanti a lei per vedere la sua espressione, perché in quel caso le sarebbe stato impossibile mentire: l’idea di entrare di nuovo lì la raggelava, ma non era necessario che qualcuno lo sapesse.

L'uomo le comunicò i dettagli, dopodiché riattaccò, lasciandola con la spiacevole sensazione che niente sarebbe filato liscio.

                                                                   ***     
 
«Non hai idea di quanto mi sei mancato», mormorò Lindsay, baciandolo.

«Sto iniziando a farmene un’idea», replicò in tono tranquillo, ammirando la giovane donna che giaceva accanto a lui.

In verità probabilmente era lei a non sapere quanto George avesse notato la sua assenza, ma non aveva senso sottolineare un’ovvietà.

«Ti sei divertita?», le chiese.

Lei piegò leggermente la testa a destra e fece una smorfia.

«Non proprio. Parigi non era bella come la ricordavo e non sono riuscita a vedere molto».

Aveva scordato la sottile antipatia della sua ragazza nei confronti di ogni cosa fosse francese – eccezion fatta per vestiti costosi e profumi.

«Sarebbe andata meglio se mi avessi accompagnato», aggiunse.

Lui sorrise.

«Sai che mi sarebbe piaciuto. Magari la prossima volta?»

«D’accordo. C’è niente che vorresti dirmi?», gli chiese Lindsay dopo un po’.

«A proposito di cosa?»

«La ragazza nuova».

George rimase impassibile. Trovava divertente che per una volta fosse lei a mostrarsi possessiva.

«Ho incontrato Stephen per caso e così ci ha presentate. Non mi avevi raccontato nulla in proposito».

«È una fitta di gelosia quella che sento, piccola?»

«Non essere sciocco. È solo molto bella».

«Mai quanto te».

«Magari non con quel taglio di capelli», precisò lei.

Lui scoppiò a ridere.

Non aveva notato niente che non andasse nei capelli di Sarah, ma non era solito soffermarsi su quei particolari.

«Sai che stavamo cercando qualcuno», le ricordò George. «Credi veramente che potrei guardare qualcun’altra, che potrei amare qualcun’altra come amo te? Ti amo, Linds».

Lei sorrise e si accoccolò fra le sue braccia.

No, non correva proprio nessun pericolo.
 

Buon pomeriggio!
Finalmente Sarah ha cominciato a lavorare per George e con sua somma gioia i contatti con lui sono stati pressoché inesistenti per ora... Tuttavia, cosa succederà quando dovrà accompagnarlo a Inside? I suoi ex colleghi saranno carini con lei?
Intanto Sarah e Lindsay sono state presentate e la modella non pare molto contenta di questa nuova "presenza" nella vita (seppur lavorativa) del suo uomo.
Per ora posso solo dirvi che nel prossimo capitolo vedremo un altro lato di George  e che non farà altro che mandare ancora più in confusione Sarah!
Visto che questo pezzo è un po' "di passaggio" penso di aggiornare prima del prossimo week end. :)

Baci
Vale

                                               

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Sarah era sicura che non avrebbe mai più messo piede negli uffici di Inside, ma ancora una volta si era sbagliata.

Indossava un corpetto color perla molto semplice su una gonna nera lunga a vita alta, che le scopriva qualche centimetro del ginocchio e in piedi aveva le sue Louboutin preferite.
Quella mattina sentiva di aver proprio bisogno di qualcosa di confortante.

Mai come in quel momento aveva ostentato una sicurezza che non possedeva. D'altra parte, era stata lieta di apprendere che l'intervista era stata affidata a Misha, che oltre che una ex-collega, considerava anche un’amica.

Forse con un po’ di fortuna sarebbe riuscita a uscire da lì senza incorrere in alcun tipo d’incontro spiacevole.

Dal canto suo, George sembrava tranquillo. O almeno così parve alla giornalista di Inside, la quale sembrava più interessata a far correre il suo sguardo da Sarah all'attore piuttosto che a porgli le domande, precedentemente concordate.

Alla fine, George strinse la mano della donna e seguì il direttore, Mr Bones, fuori, lasciando le due donne da sole.

«E così Bones ha affidato questo pezzo a te», le disse Sarah, felice di vedere una faccia amica.

«Qualcuno doveva pur occuparsene. Mi ha sorpreso apprendere che adesso lavori per Wellington», dichiarò Misha.

«Non era previsto. Sono stata fortunata».

«Tempistica interessante. Sai, ho parlato con Leslie qualche giorno fa e mi è parsa alquanto disperata. Non dev’essere facile trovare un’occupazione soddisfacente in questo periodo. È strano, perché fra voi due ho sempre pensato che fosse lei quella più qualificata».

«Sono sicura che Leslie troverà un lavoro adatto alle sue competenze. È molto brava», convenne Sarah, sperando di porre fine a quella conversazione sgradevole.

«A quanto pare possiedi più doti nascoste di lei», affermò Misha con un sorriso malizioso.

«Scusa?»

«Diciamo che per quanto Leslie sia in gamba non vincerà mai un concorso di bellezza».

Il suo tono di voce era accusatorio e Sarah si mise sulla difensiva.

«Se vuoi insinuare qualcosa Misha, faresti bene a parlare chiaro».

«Niente. Figurati. Mi stavo solo domandando quali interessi possa nutrire Wellington nei tuoi confronti tanto da arrivare a assumerti».

«Non so di cosa stai parlando», disse Sarah, risentita.

«Sei sempre stata brava a cogliere le occasioni giuste. Hai fatto in fretta a trovare quel lavoro. Avevi trovato anche quello per Inside velocemente… E quanto hai retto qui? Tre/quattro mesi? Non hai molta resistenza, o sono questi uomini a stancarsi di te?»

Sarah rimase a bocca aperta a fissare quella che fino a pochi istanti prima aveva considerato un’amica.

«Cosa?!»

«Non fare quella faccia da ingenua. Sappiamo entrambe che non ti si addice. I miei complimenti per essere andata a letto con Bones. Almeno George è bellissimo. Sono sicura che sarà un buon amante, pare un tipo passionale».

«Va’ al diavolo! Pensi che mi sia scopata Bones, o George? Al contrario di te, so fare il mio lavoro», disse, tremando di rabbia.

«E quale sarebbe esattamente? Puoi atteggiarti a santarellina, ma non inganni nessuno. Sei soltanto una puttana».

Quelle parole la ferirono e per un attimo non seppe cosa replicare. Misha si era già fatto la sua idea degli avvenimenti e niente di quello che lei avrebbe detto avrebbe potuto cambiare le cose. Inoltre, il fatto che la stesse accusando di essersi guadagnata i favori di George la rendeva una persona con cui era inutile tentare di aggiustare un rapporto, che forse non era mai esistito.

«Credevo fossimo amiche. Chiaramente mi sbagliavo. Buona fortuna, Misha. Da quello che sto vedendo, ne avrai davvero bisogno», replicò a denti stretti, dopodiché uscì da quella stanza, senza dare il tempo all'altra di replicare.

La ragazza alla reception la salutò con un sorriso, che lei ricambiò a malapena. Non desiderava altro che andarsene da lì.

Fu in quel momento che scorse George a pochi metri di distanza insieme a Bones.

«Sarah», la salutò quest'ultimo.

«Gregory. Mi spiace non poterci trattenere, ma Mr Wellington ha un'agenda molto fitta oggi», gli disse in tono professionale.

«Naturalmente. George. Sarah, è stato un piacere rivederti».

«Anche per me», mentì, dopodiché uscì insieme all'attore da quell'edificio, sperando che quella fosse veramente l'ultima volta che ci metteva piede.

                                                                     ***
 
Una volta che i due furono saliti in macchina, l'autista mise in moto e si addentrò nel fitto traffico losangeliano.

Sarah rivide insieme all'attore alcuni dettagli riguardanti i suoi impegni, rispose ad alcune mail di Stephen e infine rimise il telefono nella borsa.

Notando un incidente sulla strada che stavano percorrendo l’autista svoltò a destra, sperando di evitare l’ingorgo. Nel frattempo la ragazza stava facendo del suo meglio per non lasciar trasparire il suo turbamento.

Non riusciva a credere a quello che Misha le aveva detto soltanto una decina di minuti prima.

Come poteva anche solo aver pensato che lei avrebbe venduto il suo corpo e la sua dignità per un lavoro?

Ormai avrebbe dovuto conoscerla a sufficienza da sapere che mai avrebbe fatto una cosa del genere. Evidentemente si era sbagliata. Misha Collins non era mai stata una sua amica. Ingoiò il rospo e finse che tutto andasse bene.

A un certo punto però George, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé, ruppe il silenzio che si era creato fra loro dopo aver esaurito le faccende di lavoro.

«Mi dispiace per quello che è successo», le disse. «Ho involontariamente carpito qualche stralcio della tua discussione», aggiunse.

Accidenti.

L’ultima cosa che avrebbe voluto era che lui l’ascoltasse.

«Mi spiace che tu abbia…».

«Ero a una festa qualche anno fa. A casa di un... amico. Almeno all'epoca lo ritenevo tale», proseguì, interrompendola. «La serata si surriscaldò un po' e il giorno dopo il mio agente mi chiamò per avvisarmi che USWeekly avrebbe fatto uscire uno speciale solo per questo».

La ragazza lo fissò sorpresa.

Perché glielo stava raccontando?

«Era stato il mio migliore amico Michael a scattare delle foto e a venderle al giornale. Avrei voluto ucciderlo per quello che aveva fatto. Aveva tradito la mia fiducia e dodici anni di amicizia per un nanosecondo di notorietà e di denaro», concluse con espressione dura.

«Mi dispiace», gli disse sincera.

Aveva visto anche lei quelle foto, come la maggior parte degli abitanti degli Stati Uniti e come tutti coloro che possedevano un qualche mezzo per connettersi a internet. Ma il nome di questo Michael non era mai uscito fuori. Nessuno aveva mai pubblicato il nome della “fonte vicina all'attore”.

In quel momento Sarah comprese e lesse in maniera differente la reazione che George aveva avuto quella mattina al suo risveglio, quando l'aveva trovata in casa sua.

Misha non era la sua migliore amica e di certo lei non era una star di Hollywood e nessuno, a quanto pareva tranne George e Bones, aveva assistito a quella umiliazione. L'attore al contrario aveva dovuto affrontare la stampa, i giudizi della gente e, per di più, la perdita di una persona di cui si era fidato.

Sarah non voleva giustificarlo, ma comprese che per lui essere diffidente doveva essere diventata la miglior difesa.

La sua espressione parve addolcirsi un po'.

«È successo molto tempo fa. Volevo soltanto farti sapere che sono l’ultima persona al mondo con cui dovresti scusarti», disse, guardandola finalmente negli occhi.

Il volto dell’attore non lasciava trasparire più nulla, ma Sarah comprese che era stato uno sforzo per lui aprirsi raccontandole quell’accadimento e che l’aveva fatto per darle un po’ di conforto.

Tuttavia, preferì non sbilanciarsi. Aveva già un’idea troppo formata di lui e cambiarla le era costato molto: non avrebbe commesso di nuovo il medesimo errore.

                                                                 ***

George continuò a fissare i lineamenti delicati di Sarah, cercando di non farsi notare.

Forse aveva osato troppo raccontandole quell’accadimento, eppure non era riuscito a evitarlo. In realtà avrebbe voluto entrare in quella stanza e tappare la bocca a quella donna, ma si era imposto di non fare nulla.

Non era solito difendere damigelle in pericolo e Sarah non aveva l’aria di essere indifesa, però gli era dispiaciuto vederla così turbata.

Non ripensava a Michael da molto tempo. C’era stato davvero un tempo in cui lo aveva considerato quasi come un fratello… Di certo l’aveva sempre sentito più vicino di Liam. Aveva creduto che la loro amicizia non sarebbe mai stata scalzata e, per i primi tempi, era stato proprio così.

A Michael non dispiaceva usufruire dei vantaggi che il nome di George aveva iniziato a portare e forse lui era ancora troppo giovane e ingenuo per accorgersi che qualcosa stava cambiando. Michael era diventato astioso, quando chiacchieravano o stavano semplicemente seduti sul divano a giocare alla X-Box, l’amico non era cordiale come al solito. Ma erano poco più di due ragazzini e George non aveva compreso quanto Michael fosse divenuto invidioso.

Forse se l’avesse intuito avrebbe potuto risparmiarsi quello che era accaduto in seguito…

La cosa che rendeva il tutto ancora più ridicolo e inverosimile era che all’epoca l’attore era più che geloso di lui: all’apparenza la sua vita poteva sembrare sensazionale, ma lontano dal clamore delle telecamere il ventenne George si sentiva tutto tranne che fortunato.

Preso dai fantasmi del suo passato, l’attore quasi non si accorse che l’auto si era fermata. Sarah gli accennò un sorriso e gli fece cenno di scendere.

Una folla di fotografi e di curiosi gli ricordò bruscamente che tornare indietro non era un’opzione praticabile.

Un paio di uomini della sicurezza gli furono accanto in un istante. George non ci fece neanche caso e, dopo aver firmato un certo numero di autografi e sorriso ai fan, entrò negli studios insieme alla sua addetta stampa.

Ormai quella era la sua vita.
 
 

Ciao a tutte!
Dal momento che questo capitolo e il precedente sono strettamente collegati, come promesso, ho deciso di aggiornare un po' prima.
Il ritorno a Inside non si è rivelato piacevole per Sarah, anzi, è stato peggiore che nelle sue aspettative e l'ha portata alla rottura con quella che credeva essere un'amica...
Cosa ne pensate di quello che le ha detto George? Che l'uomo stia iniziando a capire che può fidarsi di lei, o voleva semplicemente essere gentile?
Spero che la storia vi stia piacendo, ci sono ancora tantissime cose da sapere su George, Sarah... e non solo! :)
Se voleste usare un minuto del vostro tempo per farmi sapere che cosa ne pensate mi farebbe molto piacere. :)
A presto
Vale

 
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Nelle settimane seguenti George fu molto impegnato con le riprese del suo nuovo film, The Secret of Noah Hamilton.

Ogni minuto della sua giornata era pianificato e i suoi numerosi impegni lasciavano poco spazio allo svago. Inoltre, dal momento che la maggior parte delle scene si svolgevano in esterni, era costretto a essere affiancato sempre da Oliver.

Ormai il bodyguard lavorava per lui da sei anni e i due uomini erano in buoni rapporti. Al di là dei comuni pregiudizi, Oliver era un uomo molto loquace e di ampia cultura e i due erano soliti discorrere di musica e di libri. Tuttavia, all'attore non sarebbe dispiaciuto trovare un po’ di tempo per sé.

Era un miracolo che l'altro non lo accompagnasse persino in bagno, ma dopo l'incidente avvenuto qualche settimana prima in cui dieci delle comparse lo avevano letteralmente assalito mentre usciva dalla sua roulotte la sicurezza era stata raddoppiata.

George non era rimasto troppo turbato dall'accaduto, ma spiegarlo a un regista ipocondriaco e a un produttore che aveva investito una montagna di soldi in quel progetto era impensabile. Senza contare il fatto che l'assicurazione non aveva intenzione di correre rischi inutili.
Conseguentemente, l'attore poteva contare su un livello di protezione maggiore di quella del Presidente in carica, Barack Obama.

In ogni caso, la sua tortura stava per giungere al termine: soltanto un paio di giorni e il suo lavoro avrebbe potuto definirsi concluso. Almeno fino al tour promozionale.

Erano passate due settimane dall'ultima volta in cui aveva visto Lindsay. Gli sembrava un'eternità! Ormai le uniche persone con le quali aveva rapporti, al di fuori della troupe e di Oliver, erano Stephen e Sarah.

Girare a Vancouver non sarebbe stato male se avesse potuto mettere il naso fuori dal suo hotel senza essere braccato come un animale. Possibile che fosse l’unico esemplare di sesso maschile nel raggio di mille miglia?

Sorrise pensando che soltanto qualche anno prima quella situazione non gli sarebbe dispiaciuta affatto, però non allora non aveva ancora conosciuto Lindsay.

C’era qualcosa in lei che lo aveva affascinato fin dal primo momento e non si trattava della sua bellezza. Aveva visto una luce diversa nei suoi occhi; era così esuberante e sicura di sé da non permettere mai a nessuno di metterla in ombra e all’attore questo suo lato piaceva.

Questo non implicava che talvolta non fosse anche scostante e fredda, ma in fondo lui non poteva certo definirsi perfetto. Anzi, probabilmente – al di là dell’apparenza – era la persona più lontana dalla perfezione che potesse esserci.

C’erano stati molto momenti in cui avrebbe potuto mettere la parola “Fine” a quella relazione, ma non c’era mai riuscito. Aveva bisogno di Lindsay e non poteva permettersi di perdere un’altra persona che amava.

                                                                       ***
 
Proprio in quel momento, in una stanza vicina, Sarah stava avendo un'accesa discussione con un assistente un po' troppo zelante.

Quando ebbe rimesso al proprio posto il ragazzo, che doveva avere massimo vent'anni, approfittò di quella pausa per chiamare Will.

«Iniziavo a credere di stare insieme a un fantasma!», dichiarò l'avvocato, non appena udì la sua voce al telefono.

«Ah Ah Ah. Divertente», commentò Sarah, sedendosi sul divano della sua stanza e ringraziando di poter finalmente dare un po' di sollievo ai piedi doloranti.

«Come sta andando?»

«Va bene. Solo un paio di giorni e torneremo a Los Angeles», lo informò lei in tono pratico.
«Ottimo. Non vedo l'ora di riabbracciarti, Amore», gli disse Will con voce roca.

Sarah sorrise.

«Mi manchi anche tu. La causa Webber contro Altman?», le domandò, ricordando che stava lavorando a quel caso da almeno tre settimane.

«Forse siamo finalmente giunti a un punto di svolta», le rispose, dopodiché cambiò argomento, raccontandole alcuni divertenti aneddoti su un paio di colleghi particolarmente inflessibili.

«Probabilmente si scioglieranno non appena avranno capito come funziona allo studio», concluse l'avvocato.

Sarah aveva tutte le intenzioni di dirottare la conversazione su terreni più soddisfacenti, ma i suoi propositi furono intralciati da un ticchettio sulla porta.

Senza staccare l'orecchio dal telefono andò ad aprire convinta che si trattasse di Stephen, oppure del poco brillante assistente della produzione con cui aveva da poco terminato di discutere.

Rimase sorpresa, invece, nello scorgere George.

«Ciao», la salutò lui, poi ammutolì di colpo quando si accorse che la ragazza era al telefono.

Sarah gli fece cenno di entrare e si sentì molto in imbarazzo quando si rese conto che l'attore stava osservando i suoi piedi scalzi.

Dannazione.

Facendo finta di nulla, George si accomodò sul divano, dove fino a pochi istanti prima era seduta lei. Sul pavimento c'erano ancora le sue decolté nere.

«Will, ti spiace se ci risentiamo domani?», domandò al suo ragazzo.

Non si sentiva a suo agio a flirtare con lui di fronte all’attore – nonché suo capo.

Will sembrò preso in contropiede, ma si ricompose in fretta.

In fondo, era abituato ai cambi di programma.

«Certo. È arrivato qualcuno?»

«Sì, esatto».

«Va' pure, tesoro. Buona serata e non stancarti troppo», le disse. «Ho molti progetti per noi che non includono l'uscire di casa nei prossimi giorni», precisò.

Sarah sorrise maliziosa, gli augurò una buona giornata, poi chiuse la telefonata e si concentrò sul suo nuovo ospite.

«Mi spiace essere arrivato in un momento inopportuno», disse George.

Lei scosse la testa.

«Stavo soltanto sbrigando alcune faccende personali».

George sorrise, leggermente a disagio.

«Mi domandavo se ti andasse di uscire stasera. Potrei diventare matto restando qui ancora cinque minuti».

«Stephen?»

L'uomo scosse la testa.

«Impegni improrogabili. Sua moglie», rivelò l'attore con tono quasi solenne.

«Ah, capisco», mormorò.

Un'uscita da soli?!

Avrebbe desiderato accettare senza remore, ma forse non era una grande idea... Tuttavia, quali ragioni concrete aveva per rifiutare?

Dopo il loro incontro chiarificatore, entrambi avevano fatto finta che niente fosse mai accaduto e anche i loro rapporti erano cordiali e rilassati. Inoltre, anche lei ne aveva abbastanza delle pareti della sua stanza, così si trovò ad accettare il suo invito.

«D’accordo».

George le sorrise riconoscente.

«Dove vorresti andare?», gli domandò.

Non aveva con sé abiti eleganti e si augurò che l'attore non volesse portarla in qualche posto chic.

George capì la fonte della sua preoccupazione e ridacchiò.

«Vestiti casual. I jeans che avevi oggi andranno benissimo. Ripasso fra una ventina di minuti, okay?», le propose, poi accorgendosi della sua espressione, rise e si affrettò ad aggiungere: «Passa tu quando sei pronta».

Sarah annuì e, quando l'attore se ne fu andato, iniziò la sua caccia alla mise.

Non aveva portato molti indumenti con sé, ma per fortuna non partiva mai senza avere almeno un paio di jeans. Scansò volontariamente quelli che aveva portato quella mattina sul set e ne indossò un altro paio con delle perline sulle tasche posteriori.
Poi si mise una camicetta blu notte e un cardigan grigio.

Dopo aver controllato la sua immagine nello specchio, afferrò il cappotto e la borsa e uscì dalla sua camera. Percorse il corridoio fino ad arrivare alla stanza di George.

Si stampò un sorriso in faccia, nonostante l'ansia all'idea di restare da sola con lui e bussò.

Nessuna risposta.

Stava per ripetere il gesto con maggiore intensità, quando sentì la voce di George.

Stava decisamente urlando contro qualcuno. Probabilmente al telefono. Sarah non impiegò molto a capire chi fosse il suo interlocutore.

«Non è quello che ho detto, Linds. Pazienza, lasciamo perdere… Non ha più importanza a questo punto. Sì. Ci sentiamo domani. Ciao».

Forse non era un buon momento per entrare. Ma ormai era lì, per di più era stato George a chiederle di uscire.

Fece un respiro profondo e bussò di nuovo con la stessa espressione che avrebbe avuto di fronte a un plotone di esecuzione.

L'uomo andò ad aprirle dopo un istante.

«Ciao», la salutò.

Sarah constatò subito che non aveva la stessa aria spensierata di poco prima. Sembrava molto più teso.

«Ciao. Io sono pronta se vuoi andare...?»

Lasciò la frase sospesa a metà, in modo da permettergli di cambiare idea.

George si costrinse a sorridere.

«Certo», acconsentì. «Non ne posso più di stare qui», mormorò fra sé.

Sarah lo guardò un po' preoccupata, ma non disse nulla.

Qualcosa le faceva temere che quella non sarebbe stata una bella serata...
 
                                                                      ***

Una volta arrivati al Camelot si sedettero a un tavolo e, solo quando le loro ordinazioni arrivarono, la ragazza studiò l’abbigliamento di George, a cui sulle prime non aveva prestato la benché minima attenzione.

L'uomo indossava una camicia a quadri bianca e nera sopra un paio di jeans scuri e scarpe da ginnastica. Era la prima volta che lo vedeva con una tenuta simile. Di solito il suo stile era molto più raffinato.

Sarah continuava a sentirsi un po' in soggezione insieme lui, nonostante niente nel volto dell'uomo gliene desse motivo. George in quel momento non sembrava affatto una star di Hollywood, ma soltanto un uomo comune, anche se bellissimo.

Nessuno dentro al locale li stava fissando.

In effetti, non era il genere di posto in cui pensava lui l'avrebbe portata, o che era solito frequentare. Forse lo conosceva ancora meno di quanto non credesse.

Sarah stava aspettando che fosse lui a rompere il silenzio, ma quando finalmente parlò quello che disse la spiazzò. Letteralmente.

«Forse non te ne sei accorta, ma quel ragazzo laggiù ti sta fissando da quando siamo entrati».

Sarah arrossì.

«Sì, certo», mormorò, sarcastica.

«Te lo garantisco».

Sarah si voltò leggermente, ma come sospettava non c'era nessuno a guardarla. Inaspettatamente George le prese la mano sul tavolo e poi si sporse verso di lei, facendole battere più forte il cuore.

«Guarda adesso», le sussurrò all'orecchio.

Sarah seguì il suo sguardo e notò che un uomo dall'altra parte del locale li stava osservando. Anzi, la sua attenzione sembrava rapita da lei.

George sorrise.

Probabilmente era sollevato di non essere lui il centro dell'attenzione per una volta.

Mangiarono i loro hamburger in un ritrovato silenzio, ma fra loro non c'era più alcuna tensione.

«Grazie di essere uscita con me stasera. So che non ne avevi molta voglia», le disse a un certo punto.

Allora si era accorto della sua iniziale titubanza.

«Ero solo un po' stanca».

«Beh, sono io quello che è stato legato a dei cavi tutto il giorno!», esclamò l'attore. Poi riprese, più serio: «So che avevamo stabilito che il nostro rapporto sarebbe stato professionale, ma mi piacerebbe che non fossimo soltanto questo, Sarah. Potrà risultare abbastanza patetico, però non conosco molte persone con cui mi senta a mio agio».

George parlava piano soppesando le proprie parole; non voleva darle l’impressione sbagliata, né apparire insistente. Però parlare con lei gli piaceva.

Quello che lui aveva appena detto la sorprese: forse il vero George Wellington aveva veramente qualcosa in comune con l’uomo che aveva immaginato.

«Chiaramente se non vuoi... Non c'è problema. Lo capirei, Sarah», si affrettò ad aggiungere.

Non aveva mai costretto nessuno a frequentarlo e di certo non avrebbe iniziato proprio con lei.

«Okay», mormorò infine la ragazza.

«Okay», ripeté lui con uno strano sguardo negli occhi. «Vuoi andare a parlare con quel tipo? Temo che fra poco si presenterà qui», le fece notare, riportando alla mente della sua interlocutrice l'uomo che la stava fissando.

Lei scosse la testa con un sorriso.

«No, grazie! Dubito che il mio ragazzo ne sarebbe entusiasta», gli disse, bevendo un sorso di tè freddo.

«Già. Posso immaginarlo», assentì George. «Da quanto state insieme tu e...?»

«Will», gli rispose. «Tre anni».

Stava davvero parlando della sua vita sentimentale e del suo ragazzo con lui?

La vita è proprio imprevedibile, pensò Sarah.

«Come vi siete conosciuti?», le domandò l'attore.

Sarah deglutì. Non si aspettava una domanda così diretta da uno che era suo amico da meno di cinque minuti.

George dovette accorgersi del suo imbarazzo, perché si affrettò a scusarsi per la sua invadenza.

«Mi dispiace. È da un po' che non sostengo una conversazione del genere. Devo essere parecchio fuori allenamento!», aggiunse, ridendo.

«Ci siamo conosciuti a un'asta di beneficenza. Ero lì per fare un favore a un'amica e ho incontrato Will».

Quasi senza rendersene conto iniziò a raccontargli del loro primo appuntamento e dell'imbarazzante momento in cui in una serata di pioggia era salita sull'auto sbagliata, credendo che fosse la sua.

George a quel punto scoppiò a ridere.

«Chi c'era invece a bordo?», le chiese con sincero interesse.

«Un vecchietto sugli ottant'anni», ammise lei, rabbrividendo a quel ricordo.

«E tu sei salita nella sua macchina? Sto cercando di figurarmi la scena!», dichiarò l'attore, cercando di ricomporsi (senza apprezzabili risultati). «Non è possibile! Questa è quel genere di cosa che accade solo nei film».

«È stata una delle situazioni più imbarazzanti della mia vita», mormorò lei.

«Beh, sicuramente l’uomo ha apprezzato il cambiamento di programma!»

«Non ne sono sicura», disse lei, lasciandosi contagiare dal sorriso del suo interlocutore.

Era difficile credere che l’uomo solare con cui stava conversando amabilmente fosse lo stesso che l’aveva quasi cacciata da casa sua qualche mese prima.

Quando ebbero terminato di cenare, i due chiacchierarono un altro po’, dopodiché tornarono in hotel.

George accompagnò Sarah alla porta della sua stanza e, dopo averla ringraziata per la piacevole compagnia, la baciò sulla guancia e le augurò la buonanotte.

                                                                     ***
 
Quando aveva chiesto a Sarah di uscire insieme a lui dopo che Stephen aveva declinato l’invito, George non era del tutto certo dell’esito della serata, invece, era stato costretto a ricredersi.

Non aveva neppure pianificato di proporle di essere amici: aveva pronunciato quelle parole d’istinto e, stranamente, non avrebbe desiderato rimangiarsele. Era stato bello trascorrere del tempo con lei e ascoltare i suoi racconti era stato davvero divertente.

Non era mai stato d’accordo fino in fondo con la decisione presa da Stephen, ma a quanto pareva anche stavolta il suo agente non si era sbagliato e forse oltre che una fidata collaboratrice aveva trovato anche un’amica.

Non erano molte le persone che potesse annoverare in quella cerchia: la maggior parte delle sue frequentazioni erano dettate da obblighi d’immagine e circostanze.

L’interesse di Sarah nei suoi confronti, al contrario, non pareva una costrizione. Quando l’ascoltava, la ragazza sembrava veramente attenta a quello che diceva e quando avevano riso e scherzato quella sera, George si era sentito spensierato come non gli succedeva da tempo.

Ovviamente avrebbe dovuto immaginare che il suo ritrovato buonumore sarebbe stato messo di nuovo a dura prova.

Quando vide che lei lo stava cercando, per un attimo la tentazione di ignorare quella chiamata fu forte.

Non aveva la benché minima voglia di discutere ancora perché era chiaro a entrambi che non sarebbero mai riusciti a trovare un punto d’accordo.

Era sempre stato così con Lindsay: le cose andavano fatte a suo modo. George si era presto adattato a non aspettarsi nulla, però qualche volta era ancora difficile nascondere i suoi desideri.

Non sapeva quanto sarebbero potuti andare avanti in quel modo, ma era conscio che lei non si sarebbe mai piegata. Tuttavia, si era stancato di essere sempre lui ad assecondarla. L’amava, ma questo non implicava che dovesse sempre avere l’ultima parola in ogni discussione.

Peccato che altri scenari nella realtà della sua ragazza non fossero contemplati.

Lindsay sapeva farsi apprezzare da chiunque avesse intorno. Era intelligente ed era in grado di ammagliare le persone fin dal primo momento. Solo Stephen non aveva mai subito il suo fascino e, per quanto non le fosse apertamente ostile, di certo non avrebbe potuto annoverarsi fra le schiere dei suoi fan.

Forse aveva solo intuito fin dall’inizio il forte ascendente che esercitava su di lui.

In principio ne avevano discusso, ma quando l’agente si era reso conto di star lottando contro dei mulini a vento aveva lasciato perdere.

Cercare di metterlo in guardia da Lindsay era fiato sprecato, poiché l’uomo conosceva perfettamente tutti i pregi e i difetti della donna che aveva vicino e non gli importava. Non sempre almeno.

L’ennesimo squillo del cellulare gli fece saltare i nervi al punto di rispondere.

«Finalmente!», esclamò lei. «Ti sei calmato?», gli domandò con lo stesso tono di una maestra che ha a che fare con un bimbo particolarmente bizzoso.

Lui sospirò.

«Diciamo che sono stufo di litigare».

«Non riesco a capire quale sia il problema, George», ripeté lei. «Hai sempre sostenuto il mio lavoro. Cosa c’è di diverso questa volta?»

«Niente».

Forse per una volta speravo che fossi tu a non mettermi da parte, pensò.

Era tanto sciocco augurarsi di avere la sua ragazza tutta per sé almeno durante le feste? A quanto pareva sì.

Non aveva mai obiettato prima, perché sapeva che Lindsay prendeva molto seriamente la propria carriera, però stavolta temeva che dietro alla sua imminente partenza ci fosse ben altro.

«Quindi siamo d’accordo? Amore, non voglio discutere con te al telefono», mormorò la modella.

«Sì, certo. Fa’ quello che ritieni più opportuno», si limitò a dire.

Le labbra della giovane donna si schiusero in un sorriso compiaciuto, che lui non poteva vedere.

«Ottimo», commentò. «Vedrai che saprò farmi perdonare al tuo ritorno», aggiunse.

Lui fece una smorfia.

Non dubitava che l’avrebbe fatto… ma si chiese per l’ennesima volta per quanto tempo tutto questo gli sarebbe bastato.

Lei sarebbe mai stata capace, o avrebbe mai voluto dargli di più?

Rimasero al telefono per un altro paio di minuti prima di darsi la buonanotte.

Parlare con Lindsay era sempre stato difficile, ma negli ultimi mesi le cose fra loro erano peggiorate. Anche quando trascorrevano del tempo insieme, lei sembrava aver la testa da un’altra parte e fingere che non fosse così lo stava sfinendo.

Sotto la luce dei riflettori continuavano a essere la coppia perfetta, ma fra le mura di casa era tutta un’altra storia. L’ultima cosa che desiderava era perderla, ma cos’altro poteva fare per trattenerla? Aveva provato a concederle più spazio, a non starle addosso… Poi aveva tentato con la tecnica opposta e le cose erano peggiorate.

Il lato peggiore di quella situazione era che lui stesso non avrebbe saputo dire quale fosse il problema. L’amava più di quanto fosse lecito e, se questo per lei non era abbastanza, non avrebbe saputo cos’altro darle.

Forse trascorrere un po’ di tempo lontani non era una cattiva idea…

In fondo cos’aveva da perdere?


Ciao a tutte!
Spero abbiate trascorso un bel week end. :)
Nello scorso capitolo avevamo lasciato Sarah a "leccarsi le ferite", mentre per la prima volta George le aveva aperto un piccolo spiraglio, confidandosi con lei.
Stavolta li abbiamo ritrovati a Vancouver verso fine delle riprese del nuovo film dell'attore, che, stanco dei colleghi e degli obblighi a cui deve sottostare (e dei suoi problemi sentimentali!), decide di chiedere a lei di uscire.
Cosa ne pensate della proposta di George di essere amico di Sarah? E dell'episodio che lei gli ha raccontanto? :)
E George avrà ragione di preoccuparsi per l'imminente partenza della sua ragazza? O la sua è semplice gelosia...? Cosa fareste voi al suo posto?
Ringrazio chi mi sta seguendo in questa nuova impresa e spero che la storia vi stia piacendo! :)
Alla prossima settimana!
Baci
Vale

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Gli ultimi giorni di riprese passarono in fretta. Miracolosamente non c’erano stati intoppi e Sarah era grata di essere riuscita a vedere qualcosa della città canadese, ma niente poteva eguagliare il pensiero che di lì a poche ore avrebbe riabbracciato Will.

Erano trascorse solo tre settimane, eppure le era mancato più di quanto non avesse creduto possibile.

Forse dopotutto andare a vivere con lui non era un'idea malsana. In quel momento improvvisamente si rese conto di essere pronta per fare quel passo avanti che il suo ragazzo desiderava così tanto.

Conscia e sorpresa da quella ritrovata sicurezza, sorrise fra sé, mentre osservava il panorama al di fuori del finestrino.

Le era sempre piaciuto osservare i piccoli particolari e le luci di Vancouver viste dall’alto erano uno spettacolo indescrivibile.

George, al contrario, dubitava di trovare la sua ragazza sulla soglia di casa, ansiosa di vederlo.

Nei tre giorni successivi alla loro discussione telefonica, l’attore si era pentito della scenata di gelosia che le aveva fatto e nessuno dei due ne aveva più fatto menzione. Era solo un altro degli argomenti che potevano considerare “risolti” e archiviati.

L’uomo si ridestò dalle sue riflessioni soltanto quando sentì la voce di Sarah ricercare la sua attenzione.

«Va tutto bene?», gli chiese sottovoce, scrutando il suo viso nella penombra che avvolgeva l’aereo.

La maggior parte dei passeggeri – Stephen compreso – stava dormendo, ma a quanto pareva non era l’unico a essere ancora sveglio.

«Non ho mai amato dormire in aereo», affermò, sviando la sua domanda.

Lei sorrise.

«Neanch’io. Non è confortevole come il proprio letto», disse, accorgendosi che la sua dichiarazione poteva suonare un po’ ambigua.

«Già».

Tuttavia quella risposta non parve convincerla.

«Sei sicuro che sia solo questo?»

Lui rimase in silenzio.

Che cosa poteva dirle?

«Sì, non preoccuparti. Sto benissimo».

«Okay».

Confessarle come si sentiva non avrebbe migliorato le cose e l’ultima cosa che desiderava era lamentarsi con lei della sua relazione. Non sarebbe servito a nulla parlarne. Non con lei.

«Ma grazie per averlo chiesto», aggiunse George.

La ragazza non insistette oltre, ma spostò leggermente la mano sul bracciolo del proprio sedile in modo da sfiorare la sua. Fu un gesto molto delicato, ma per George significò più di quanto sarebbe stato capace di esprimere a parole.

Forse Sarah poteva veramente essere sua amica.

                                                                        ***
 
Quando l’aereo atterrò a LAX, Sarah trovò una piacevole sorpresa. Le sue labbra si inarcarono in un sorriso spontaneo nello scorgere il profilo di Will.

Quasi dimenticando di non essere sola, si allontanò da George e Stephen e lo raggiunse. Lui le passò un braccio intorno alla vita, la tirò a sé e la baciò.

«Non credevo di trovarti qui», mormorò Sarah, dopo essersi staccata da lui.

«Non volevo passare un altro minuto lontano da te. Inoltre, la riunione è andata per le lunghe. Non aveva senso aspettarti a casa», le spiegò, prendendole la valigia.

Gli altri due uomini – che fino a quel momento si erano tenuti un po’ in disparte per concedere alla coppia un po’ di privacy – si avvicinarono quando l’avvocato li guardò, accennando un sorriso.

La ragazza fece rapidamente le presentazioni.

Lo sguardo dell’attore indugiò su Will un secondo più del dovuto, ma nessuno ci fece caso.

«Io e George andiamo. Ci vediamo domani, Sarah», disse Stephen. «William, è stato un piacere», aggiunse, facendogli un cenno.

Dopo averli salutati, si allontanarono.

                                                                      ***

Per George fu un sollievo non aver a che fare con i paparazzi almeno quella sera. Non li avrebbe proprio sopportati.

Non conosceva i dettagli degli accordi presi dal suo agente, ma per l’ennesima volta ringraziò mentalmente di averlo al suo fianco. Senza di lui si sarebbe sentito perso in più di un’occasione e in più di un senso.

«Non sembri molto felice di essere qui», osservò Stephen, mentre l’auto accostava per farlo scendere.

«La mia ultima conversazione con Linds non è stata piacevole. Dubito di trovare un cartellone con scritto Bentornato», sospirò.

Stephen stava per replicare, ma fu bloccato dall’imprevisto arrivo di sua moglie, Clara.
L’uomo scese dall’auto, seguito da George e l’abbracciò.

«Mi sei mancato», gli sussurrò all’orecchio. «Com’è andato il volo, ragazzi?», chiese, rivolgendosi a entrambi.

«Direi molto tranquillo», rispose l’attore.

«Hai l’aria stanca. Lo fai lavorare troppo, Stephen», rimproverò suo marito. «Almeno avete cenato?»

Dopo che le ebbero ripetuto per ben due volte che non erano stati in un Paese del Terzo Mondo, ma in una nota città del Canada, finalmente la donna si convinse.

George rimase un po’ perplesso da quella strana reazione: Clara non si era mai mostrata così emotiva, né tantomeno così insistente.

A cosa era dovuto quel cambiamento?

«Credo che dovrei tornare a casa adesso», disse.

«Certo. Scusa, avevo scordato che Lindsay ti sta aspettando!»

George mantenne un’espressione neutra, limitandosi ad annuire.

Stephen gli diede una pacca sulla spalla senza aggiungere altro, poiché entrambi sospettavano che quella sarebbe stata tutto tranne che una nottata piacevole.

                                                                  ***
 
Mentre era intento a giocherellare con il telecomando facendo saltare l’indice da un pulsante all’altro, George si trovò a pensare per l’ennesima volta alla sua relazione con Lindsay.

La donna non aveva risposto alle sue due ultime chiamate, ma forse non aveva sentito il telefono. Questa era senza dubbio un'ipotesi migliore da affrontare rispetto a quella in cui lei lo stesse volutamente evitando. Sapeva di non potersi neanche lamentare visto che aveva agito nel medesimo modo soltanto pochi giorni prima, ma quanto sarebbe andata avanti quella continua lotta?

Lindsay conosceva l’ora del suo rientro, ma non aveva neanche pensato di farsi trovare a casa. Probabilmente aveva trascorso gli ultimi giorni impegnata negli ultimi acquisti prima della sua partenza.

In ogni caso, l’uomo non amava lamentarsi: fingere che tutto andasse bene era più facile rispetto a spiegare cosa ci fosse di sbagliato. Era abituato alla volubilità della donna di cui era innamorato, ma a volte era difficile non restarne ferito.

E vedere la gioia nello sguardo di Clara o di Will di fronte alle persone che amavano era stata una pugnalata nel petto.

Da quanto tempo Linds non lo fissava nello stesso modo?

Anche se non amava granché le effusioni in pubblico, il problema era che ormai non ce n’erano neppure in privato. Ovviamente facevano sesso, ma per quanto cercasse di convincersi che fosse la medesima cosa non era così. Gli mancava quello che avevano all’inizio.

Si alzò e spense il televisore.

Aveva senso continuare ad aspettarla? Magari non sarebbe nemmeno rientrata quella sera…

Tuttavia, i suoi dubbi non poterono impedirgli di sorridere, quando all’improvviso riconobbe il rumore di una chiave girare nella toppa della porta.

«Ciao», lo salutò Lindsay, togliendosi il cappotto e riponendolo con cura all’attaccapanni vicino al portone.

Sotto indossava un abito nero sopra il ginocchio, che contribuiva a slanciarla ancora di più.

«Ciao», ripeté lui.

«Mi dispiace, non ricordavo che saresti tornato proprio stasera», gli disse confusa. «Il tuo volo non era domattina?»

Lui annuì.

«Sì, ma abbiamo anticipato la partenza. Ti avevo lasciato un messaggio».

«Sai che non li ascolto mai», ribatté. «In ogni caso, sono felice che tu sia qui stanotte. Mi sei mancato, piccolo».

«Mi sei mancata anche tu», disse, baciandola.

In quel momento vicino a lei ogni suo dubbio, ogni sua preoccupazione svanì.

Era davvero così importante preoccuparsi del futuro, quando aveva il presente?

Si guardarono negli occhi per un intenso istante, dopodiché George la spinse contro il muro. Le sue labbra si muovevano incaute sull’incavo del collo di Lindsay, facendola gemere di piacere.

Oh, se le era mancato!

George fece passare una mano sotto il tessuto leggero e semitrasparente del suo vestito e cominciò ad accarezzarla. Le sue mani erano fredde, ma alla ragazza parvero roventi da quanto erano bramose del suo corpo, di lei.

Senza smettere di baciarla, George tirò giù la zip del suo vestito, che cadde sul pavimento con un fruscio muto.

Ormai stavano ansimando.

Con una mano le sganciò il laccetto del reggiseno, mentre con l’altra la privò degli slip di pizzo nero che ancora indossava.

Vederla nuda era uno spettacolo a cui difficilmente si sarebbe mai abituato. Nel suo corpo non c’era una traccia di imperfezione, sebbene probabilmente lei sarebbe stato di tutt’altro avviso. Tuttavia, per lui era perfetta.

Desiderava solamente farla sua. Doveva, voleva averla. Non aveva intenzione di aspettare un attimo di più.

Fece sparire in fretta i pantaloni e i boxer. Lindsay sorrise appena, le piaceva l’effetto che aveva su di lui, non si era mai sentita tanto desiderata in vita sua.

Le loro mani erano unite e quando i loro corpi si congiunsero George seppe con sicurezza che non c’era altro di cui avesse bisogno. Soltanto lei.

                                                                   ***
 
La sua testa era poggiata contro il suo torace e, mentre George l’accarezzava, Lindsay non poté che sentirsi appagata. Avevano fatto l’amore due volte e la seconda era stata addirittura più soddisfacente della precedente.

«Non credevo di esserti mancata così tanto», dichiarò, stringendosi a lui. «Non c’erano ragazze carine a Vancouver?», lo stuzzicò.

«Ce n’erano molte, ma riesco a pensare soltanto a una donna in particolare», asserì lui, poggiandole una mano sul viso e baciandola.

Lindsay sorrise beata.

«Mi mancherai davvero nei prossimi giorni. Mi spiace di dover partire così presto», gli disse.

«Beh, se questo è quello che mi aspetterà al tuo ritorno, credo di potermi abituare all’idea».

«Quello che ti aspetterà sarà ancora meglio. Te lo prometto», rincarò lei con sguardo malizioso.


Ciao a tutte!
Mi spiace per il ritardo nell'aggiornamento, ma la connessione non voleva proprio saperne di collaborare!
Le riprese del film sono terminate, ma George non pare molto contento di tornare a casa e sia Sarah che Stephen l'hanno capito. Cosa ne pensate del gesto di Sarah? Fino a che punto si avvicineranno lei e George? I suoi problemi con Lindsay lo spingeranno verso di lei?
Nel frattempo, invece, Sarah pare aver finalmente preso una decisione sulla convivenza con Will...
Ringrazio tutte le persone che mi stanno seguendo assiduamente! Il prossimo capitolo ci porterà a respirare un po' di "atmosfera natalizia". :)
Un bacio
Vale


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Sarah alzò gli occhi e osservò con attenzione quasi maniacale il suo piccolo capolavoro.

«Sai che è un po' ridicolo avere un albero alto quasi due metri quando fuori ci sono circa 24°, vero?», le fece notare Will, ridendo.

La ragazza storse il naso.

«Mr Non-sento-lo-spirito-natalizio-finché-non-scarto-i-miei-regali, perché invece di fare il polemico non mi dai una mano ad appendere questi fiocchi?»

Effettivamente il 1.82 m dell'avvocato poteva essere utile.
Will sorrise, afferrò la sua ragazza da dietro e la baciò sul collo.

«Non provarci», lo ammonì subito lei. «Ho un lavoro da finire».

«Beh, potresti averne un altro», dichiarò lui con fare allusivo.

Sarah sorrise.

Sebbene l'idea la attraesse, non aveva intenzione di lasciare il suo abete decorato a metà, per cui scosse la testa e si liberò dalla stretta del suo ragazzo. Lui cercò di trattenerla, ma lei non cedette, così alla fine l'avvocato sospirò e tornò a controllare alcuni documenti sul suo tablet.
Decisamente non era un tipo natalizio. Ma non era un problema.

Era abituata a pensare agli addobbi da sola. Anche suo padre non amava quella ricorrenza. Ma forse dipendeva dal fatto che era stato proprio alla vigilia di Natale di diciannove anni prima che aveva ricevuto il benservito da parte di sua moglie, la madre di Sarah.

Da allora Aaron Kant non adorava celebrare quella festività e, se nel corso degli anni aveva accettato di allestire l'albero e sorridere, era stato soltanto per amore di sua figlia. Il primo Natale senza sua madre era stato molto traumatico, ma poi aveva imparato ad attribuire a quella data un valore diverso: le ricordava chi contava davvero.

Una ventina di minuti dopo, Sarah fece un passo indietro per valutare il suo lavoro. Forse quell’albero non poteva essere paragonato a quello che si ergeva imponente fra la 49th e la 50th Avenue, ma se non altro aveva curato ogni dettagli con le sue mani.

I fiocchi dorati si abbinavano alla perfezione con le palline argentate. Il tutto rifinito con le luci bianche donava a quell'abete un aspetto caldo e raffinato.

«Wow!», esclamò Will, alzando finalmente la testa dal tablet.

Sarah assunse un'espressione compiaciuta.

«È incredibile! Mia madre lo adorerebbe e probabilmente ti strozzerebbe per essere riuscita a creare un albero di Natale più bello del suo», dichiarò l’avvocato con una risatina, avvicinandosi a lei.

«Possibile», mormorò la ragazza, convinta che la futura suocera sarebbe arrivata a strozzarla per molto meno.

Aveva incontrato i genitori di Will svariate volte e, sebbene si fossero mostrati cortesi nei suoi confronti, aveva intuito di non essere la nuora che ipoteticamente la donna avrebbe desiderato avere. Al contrario, Mr Turner poteva annoverarsi fra i suoi alleati.

Era rimasto incantato da lei fin dal loro primo incontro: gli era bastato vedere il modo in cui suo figlio la guardava. Inoltre, il fatto che si fosse trasferita in California pur di restargli vicino, per lui era stata una prova più che sufficiente del suo amore.

«È una fortuna che non ti abbia aiutato. Dubito di possedere tale buon gusto», osservò Will, contemplando con maggiore attenzione ogni dettaglio.

«Beh, possiedi altre qualità», gli sussurrò Sarah, gettandogli le braccia al collo e baciandolo.

«Mi spiace di dover partire dopodomani. Ti prometto che sarò di ritorno la Vigilia».

«Lo spero per te. Sai cosa mi piace fare sotto l'albero, con tutte quelle luci che brillano», mormorò maliziosa.

«Oh, lo ricordo perfettamente».

Rammentava ogni attimo dei Natali precedenti e, se anche avesse dovuto dirottare un aereo, sarebbe stato lì.

«Non mi hai raccontato molto di Vancouver», disse a un certo punto ripensando agli ultimi giorni. «Non è successo nulla di interessante?»

«Mmm… Abbiamo avuto un mix di fotografi un po’ troppo insistenti, fan troppo zelanti… E sono riuscita a visitare qualche museo carino».

«Quindi nessun canadese ci ha provato con te?», le chiese Will con un sorriso sereno.

«In effetti, ora che mi ci fai pensare, un tipo molto carino pareva interessato», scherzò lei.

«Ah, davvero?»

«Già».

«Dovrò tenere gli occhi aperti allora», le disse con voce roca, cingendola con un braccio in modo da avvicinarla a sé.

Dopo che l’ebbe lasciata andare, Will le diede una mano a riporre negli scatoloni gli addobbi in eccedenza.

«Sai, sono veramente felice che tu abbia deciso di trasferirti qui», affermò a un certo punto l’avvocato.

Non era quasi riuscito a credere alle proprie orecchie quando l’aveva sentita pronunciare quelle parole. Era accaduto la notte in cui era andato a prenderla in aeroporto e si sentiva su una nuvoletta rosa da allora: in fondo non era cambiato molto, ma per lui era tutto, poiché adesso aveva la certezza che Sarah fosse pronta anche per il resto.

Era così all’antica desiderare che diventasse sua moglie?

Di certo la sua ultima preoccupazione era apparire antiquato. Avrebbe fatto qualunque cosa per renderla felice, perché il solo averla accanto per lui era la gioia più grande che avesse mai potuto immaginare.
 
                                                                    ***

Dopo pranzo, la ragazza decise di andare in giro per Rodeo Drive alla ricerca di qualche regalo e, mentre stava accarezzando l'idea di entrare da Victoria Secret's, notò un profilo familiare.

Si avvicinò di qualche passo, onde evitare una figuraccia, e sorrise quando constatò di trovarsi di fronte proprio Samantha. Sarah non realizzò quanto tempo fosse passato dall’ultima volta in cui si erano viste finché non constatò il radicale cambio di capelli dell’amica.

I lunghi riccioli di Sam erano del tutto spariti per lasciare spazio a un taglio corto e sbarazzino.

«Ciao!», la salutò Sarah.

«Sarah! Non sapevo fossi tornata. Will non me l’ha detto», asserì l’amica.

«Avrei dovuto pensarci io. Mi dispiace, sono stata molto indaffarata».

L’altra rispose con un’alzata di spalle.

«Posso offriti un caffè per farmi perdonare?»

Sam diede un’occhiata all’orologio, sebbene sapesse di essere libera.

«D’accordo», rispose infine con un sorriso.

Le due camminarono fianco a fianco per un centinaio di metri prima di trovare rifugio in una bakery dove Sarah ordinò caffè e cupcakes per entrambe.

«Il nuovo taglio ti sta molto bene», osservò.

«Grazie. Sai come si dice, no? Nuovo amore, nuovo look».

«Quindi fra te e Kyle…?»

Sam scosse la testa.

«Non ha funzionato».

«Tu stai bene?»

«Sì, non era una storia seria. Ci siamo divertiti per un po’», disse Sam, mordicchiando la glassa alla vaniglia.

«Il vostro accordo mi ha sempre lasciata un po’ perplessa», ammise Sarah.

«Perché tu credi nell’amore a prima vista e altre sciocchezze del genere!», esclamò Sam, facendole l’occhiolino. «Anche volendo, non avrei né il tempo né l’energia per portare avanti una relazione stabile. Lo studio mi assorbe completamente e non tutti gli uomini sono come Will».

Sarah sorrise. Sapeva di essere fortunata, così come era conscia che nelle parole di Sam non c’era traccia d’invidia.

Dal momento che il suo ragazzo era stato tirato in ballo, ne approfittò per informarla delle ultime novità.

«Sono sicura che Will avrà fatto i salti di gioia. Non aspetta altro che metterti l’anello al dito, tesoro. Onestamente non capisco cosa ti stia frenando».

«Non lo so», mormorò, bevendo un sorso di caffè. «Amo Will, ma… il matrimonio è un grande passo».

«Che lui sarebbe pronto a compiere da un bel po’».

«Lo so».

«Fra l’altro, sono sicura che in fondo a tuo padre lui piaccia», aggiunse di punto in bianco Sam.

Sarah sgranò gli occhi.

«Sarà anche iperprotettivo, ma solo uno sciocco non capirebbe che Will è davvero innamorato di te. Il fatto che abbia aspettato così a lungo per me è una prova sufficiente».

«Forse hai ragione».

«In ogni caso, quando verrà il momento dovrai prendere in considerazione solo me come damigella. Non voglio sapere di cugine né altre parenti: le ho incontrate una volta e sono tutto tranne che simpatiche».

Sarah scoppiò a ridere.

Ancora non riusciva a vedere la sua cerimonia di nozze come un evento imminente, ma questo non toglieva che ogni tanto aveva fantasticato su come sarebbe stato quel giorno.

Come tutte le ragazze da bambina si era immaginata con indosso un bellissimo abito bianco e coi capelli raccolti. Sua madre l’avrebbe aiutata a prepararsi e poi suo padre l’avrebbe accompagnata all’altare, dove avrebbe coronato il suo sogno d’amore.

Tuttavia, quando l’infanzia era passata, Sarah aveva dovuto fare i conti con la realtà: sua madre non sarebbe stata lì a ripeterle fino allo sfinimento quanto fosse orgogliosa di lei e quanto fosse magnifica con indosso il vestito.

Quel pensiero era stato sufficiente a far cessare le sue fantasie su quel giorno e, per parecchio tempo, ogni volta in cui vedeva una sposa in un film o in un servizio fotografico si era trovata a cambiare canale, o a voltare pagina. Tutto pur di tenere a distanza quella sofferenza.

Le cose erano cambiate soltanto quando aveva dovuto presenziare come damigella alle nozze di una sua cugina. Fra le due non c’erano mai stati molti rapporti, però suo padre aveva insistito affinché partecipasse, forse per dimostrarle che non c’era nulla da temere da pizzi e merletti.

Sarah sapeva che sposare Will non avrebbe avuto niente di spaventoso, ma col tempo aveva smesso di attribuire a quel semplice rito un qualche valore aggiuntivo. Il problema era che lui non era ancora riuscito a capirlo.

«Invece come sono andate le cose con l’importantissimo Wellington? Nessuna scenata da divo incompreso?», le domandò Sam cambiando argomento.

«Contrariamente alle tue aspettative, no».

Sam parve sorpresa.

«Quindi non ha cercato di portarti a letto?»

Sarah la guardò malissimo.

«Devi convenire che i suoi precedenti non sono rassicuranti», le rammentò.

«George si è comportato da vero gentleman per tutto il tempo», le assicurò Sarah. «In effetti, è successa una cosa che non mi aspettavo», aggiunse titubante.

«Cioè?»

«Siamo usciti a cena insieme una sera e…», di fronte all’espressione di Sam si affrettò a precisare che non c’era stato assolutamente nulla di romantico in quell’uscita.

«Quindi ti ha proposto di essere sua amica?», ripeté perplessa.

La ragazza annuì.

«E come l’ha fatto esattamente? Ti ha passato uno di quei bigliettini con scritto Siamo amici: sì o no?»

Sarah scoppiò a ridere.

«No, scema. Mi ha semplicemente detto che gli piacerebbe potermi considerare tale», le spiegò. «Onestamente non credo ne abbia molti».

«Beh, se li tratta come ha fatto con te, non faccio fatica a crederlo».

«Potresti passare sopra alla cosa come ho fatto io, per favore? Te ne sarei grata».

«Okay, ma continua a non piacermi, Sarah».

«Concedigli solo il beneficio del dubbio».

«Diciamo che lo concederò a te su di lui», mediò Sam.

Sarah sospirò.

«Vedrò di accontentarmi», disse.

«Will cosa ne pensa di questa amicizia con una star di Hollywood?», le chiese subito dopo l’amica.

«Non ne sa molto. Si sono incontrati di sfuggita in aeroporto quando è venuto a prendermi».

«Vuoi che dia una seconda chance a Wellington? Perché non organizzi un’uscita di gruppo!»

«Ti stai autoinvitando?»

«Ovviamente».

Sarah ci rifletté, ma alla fine annuì.

Will non si era mai mostrato apertamente ostile a George, però non poteva certo annoverarlo fra i suoi stimatori: forse l’uscita proposta da Sam sarebbe stata l’occasione giusta per appianare eventuali attriti.
 
                                                                  ***
 
Controllò per l'ultima volta la sua casella di posta elettronica prima di scendere dall'auto.

Era trascorso un po' di tempo dall'ultima volta in cui era stata a casa di George. Anzi. L'unica volta in cui era stata lì risaliva a quasi cinque mesi prima e la ragazza non poteva certo ripensarci con gioia. Tuttavia, stavolta non aveva alcun motivo per essere nervosa.

Aveva già avuto modo di proporre a Will l’idea di Sam e lui non si era detto contrario, sebbene dalla sua voce non trapelasse entusiasmo, per cui non le restava che porgere quella stessa domanda all’attore.

George le aprì la porta prima ancora che arrivasse sul vialetto e, quando la ragazza fu entrata in casa, la salutò con un ampio sorriso.

«Buon compleanno!», esclamò.

Lui la guardò, sorpreso.

«Grazie», disse. «Stephen non è insieme a te?»

La ragazza scosse la testa.

«Mi ha detto che ci saremmo trovati qui».

Ottimo, pensò George. A me ha detto il contrario.

«Forse ho capito male», borbottò lui.

Il padrone di casa le fece strada fino alla cucina, dove Sarah trovò una presenza inattesa.

Di fronte a lei, con indosso soltanto una vecchia t-shirt dei Mets e un paio di slip, c'era una bellissima donna dai lunghi e folti capelli ramati, che non aveva bisogno di presentazioni.

Quando Lindsay la vide non parve minimamente a disagio per il fatto di essere mezza nuda davanti a una persona che aveva incontrato solo una volta. Al suo posto, Sarah pensò che si sarebbe nascosta sotto al tavolo sperando di scomparire. Non aveva particolari problemi con il proprio corpo, ma non l’avrebbe neanche mai mostrato così apertamente.

Per un attimo si chiese se la modella fosse stata informata del loro arrivo.

Lindsay le sorrise, poi si avvicinò a George e lo baciò.

L’uomo fu il primo a restare stupito da quel gesto, ma non poté dirsene scontento. Sempre più a disagio, Sarah pregò che Stephen non tardasse ad arrivare.

«Vi lascio alle questioni di lavoro», disse infine Lindsay, allontanandosi da George. «Vado di sopra. Non farmi aspettare troppo», aggiunse sottovoce, rivolgendosi soltanto a lui.

Teoricamente quella poteva essere una buona occasione per parlare con entrambi, ma Sarah decise che sarebbe stato più facile discuterne solo con lui.

C’era qualcosa in Lindsay che non riusciva a piacerle. Non si sentiva gelosa di lei, ma qualcosa in quella donna la metteva a disagio. Inoltre, il modo in cui George la guardava sarebbe stato sufficiente di per sé a farle desiderare di non trovarsi mai più in una stanza con loro due da sola.

«In realtà, volevo chiederti una cosa prima di addentrarci nelle faccende di lavoro», esordì, prendendo posto sulla sedia che lui le stava indicando.

«Ti ascolto».

«Probabilmente avrete già altri programmi, ma io, Will e alcuni amici vorremmo organizzare qualcosa domani sera. Magari tu e Lindsay potreste unirvi a noi».

George rifletté un attimo prima di rispondere.

«Ne sei sicura?», le chiese titubante.

Lei lo fissò, incapace di comprendere il senso di quella domanda.

«Non siamo esattamente una compagnia che passa inosservata», precisò.

Avrebbe desiderato accettare, non voleva fare un passo indietro, ma non poteva neppure costringerla ad adattarsi alla sua vita. Non al di fuori dei suoi normali compiti almeno.

«Credo che riusciremmo a sopravvivere», dichiarò Sarah, capendo solo in quel momento a cosa si stesse riferendo.

«Okay. Mi farebbe piacere. Penso che Lindsay non avrà niente in contrario, ma avresti potuto chiedercelo un minuto fa».

Sarah arrossì appena.

«Lo so, ma volevo conoscere prima il tuo parere. Siamo amici, no?»

Lui annuì.

«Certo».
 


Ciao a tutte!!!
Spero che il week end sia andato bene. :)
Natale si avvicina e Sarah e Will paiono avere già qualche programma per come "sfruttare al meglio" tale festività, ma siamo sicure che tutto andrà come desiderano?
Nel frattempo sotto consiglio di Sam la ragazza ha deciso che è giunto il momento di far incontrare di nuovo Will e George. Secondo voi cosa accadrà durante l'uscita di gruppo? I due andranno d'accordo? Chissà se l'idea di Sam causerà danni...!
E per quale motivo Stephen è così distratto?
Vi lascio con molte domande, ma nei prossimi capitoli troverete tutte le risposte. :)
Spero che la storia vi stia piacendo!
A presto
Vale

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Stephen si presentò una ventina di minuti dopo con un’aria al tempo stesso preoccupata e sognate. Sarah che lo conosceva poco lo notò appena, ma a George lo strano umore del suo agente non sfuggì.

Probabilmente si trattava solo di un caso sporadico, ma se c’era sotto altro aveva bisogno di saperlo.

Tuttavia, affrontare quel discorso in presenza di Sarah era fuori questione, così propose all’uomo di trovarsi in palestra quel pomeriggio. Forse così avrebbe risolto il mistero di Stephen.

Quando i due se ne furono andati, George raggiunse Lindsay. Lo spettacolo che gli si parò davanti non fu dei migliori.

«Stai già preparando i bagagli?», le chiese.

Si era ripromesso di non perdere la testa, così cercò di concentrarsi su qualcos’altro, ribattezzando la partenza della sua ragazza come una cosa non importante. In fondo lo sarebbe stata davvero se solo…

Lindsay si allontanò dalla mole di vestiti, gli posò una mano sulla guancia e lo baciò con passione.

«È un bel po' di roba per pochi giorni», constatò lui in tono pacato.

«Già... Temo che dovrò stare via per più di una settimana, tesoro», ammise lei.

L’uomo fu preso in contropiede, ma non lasciò trasparire alcuna emozione. Nonostante la rabbia, restò calmo e si costrinse a sorridere.

«Va bene».

«Sai che non vorrei andare», mormorò, strusciandosi a lui.

«Non c'è problema, Linds», ripeté.

Lei parve convinta della veridicità delle parole appena udite, poiché si staccò da lui e riprese a occuparsi dei suoi indumenti.

George rimase in piedi a osservarla.

«Sono un po’ preoccupato per Stephen», disse a un certo punto.

«Come mai?»

Lui si sedette sul letto, vicino a lei.

«Una sensazione. È diverso dal solito».

«Forse ha qualche problema con Clara», mormorò Lindsay.

«Cosa te lo fa credere?», le domandò.

Lei scrollò le spalle e, lasciando da parte ancora una volta i vestiti, si accomodò sulle sue gambe.

«Non lo so. Però è l’ipotesi più probabile in questi casi», affermò con convinzione.

George le accarezzò una guancia.

«Dovresti parlare con lui».

«Sì, ho già in programma di farlo».

«Bene», mormorò, baciandolo. «Comunque stiamo parlando di Stephen: sono sicura che non sia nulla di grave».

George annuì più tranquillo. Lindsay aveva ragione: non aveva alcun motivo per preoccuparsi per il suo agente.

«Cosa vorresti fare stasera per celebrare il tuo compleanno?», gli domandò la ragazza, sfiorandogli la schiena atletica.

«Sorprendimi».

Lei lo guardò maliziosa.

«Lo farò».

«A proposito di domani sera, Sarah ci ha chiesto se ci andasse di uscire insieme a lei e…».

«Non sapevo fosse tua amica adesso. Credevo lavorasse per te», replicò lei, guardinga.

«Infatti. Una cosa non esclude l’altra».

«Da quando?»

«Linds…».

«Sto solo cercando di capire», si giustificò lei.

«La troverai simpatica. È una ragazza in gamba. Non ha alcun interesse per me e soprattutto io non ne nutro per lei. Quante volte dovrò ripetertelo?»

Lei mise su un’espressione imbronciata, come se il suo giocattolo le fosse stato portato via.

«Okay», disse infine. «Ma questa uscita non programmata ti costerà una cena molto molto costosa».

«Affare fatto», affermò lui con un sorriso.

Dubitava che Lindsay fosse realmente gelosa di Sarah, però non gli dispiaceva sentirla così protettiva.

Forse quella serata avrebbe portato più di un lato positivo.

«E adesso smettila di chiacchierare, George», gli ordinò lei, spingendolo a sdraiarsi sul letto.

Qualunque altra cosa poteva aspettare.

                                                                     ***
 
Stephen si ripulì la fronte madida di sudore con l’asciugamano. Aveva ogni centimetro del corpo dolorante e aveva trascorso gli ultimi cinque minuti a tentare di rammentare come si facesse a respirare. Anche quel gesto automatico gli causava sofferenza.

«Non riesco a credere che questo sia il tuo allenamento standard», dichiarò.

George rimise al suo posto il bilanciere e sorrise magnanimo.

«Ormai sei vecchio, Stephen!»

L’uomo scoppiò a ridere quel tanto che gli fu consentito dai suoi polmoni.

«Non credo di essere ancora decrepito, George», ribatté sicuro. «Ma tutto questo esercizio fisico è massacrante».

«Non lo era quando te lo feci notare io», gli ricordò.

«Vado a fare una doccia. Ti aspetto nello spogliatoio. Dubito di poter reggere un altro minuto. La vecchiaia», aggiunse ironico.

Mentre ripeteva la stessa sequenza di esercizi, George non poté che ripensare alla prima volta che era stato nella medesima palestra. All’epoca aveva condiviso le medesime perplessità del suo agente. Per settimane si era trascinato lì titubante, convinto di trovarsi nel posto sbagliato, invece la disciplina imposta dal suo allenamento rigoroso gli era stata d’aiuto a mantenere il controllo quando tutto intorno a lui pareva destinato a sgretolarsi.

Se non avesse scaricato i nervi probabilmente sarebbe imploso. Era poco più di un adolescente quando si era trasferito in California e i ritmi incessanti, gli eccessi di Los Angeles lo avevano messo a dura prova.

All’inizio si era sentito perso, ma tutto era migliore rispetto alla prospettiva di vivere a casa di suo padre. Per quanto ci avessero provato, la convivenza fra loro si era rivelata impossibile e, quando anche suo fratello Liam aveva ultimato i suoi studi alla New York University e si era trasferito a Sydney, George aveva fatto armi e bagagli e se ne era andato.

Los Angeles agli occhi di quel ragazzino pareva il regno della spensieratezza, ma aveva dovuto ricredersi in fretta.  Aveva impiegato parecchi mesi e aveva commesso molto errori prima di capire come poter vivere lì senza venirne risucchiato.

In questo senso, Stephen per lui era stato una vera e propria manna dal cielo. Gli era sempre stato vicino per quanto le cose si mettessero male. Sentiva di dovergli tutto e, proprio per questo, doveva scoprire se qualcosa stesse andando storto.

Non si trattava di qualche semplice svista, c’era sicuramente dell’altro sotto e George era pronto a svelare quel mistero.
 
                                                                       ***

La Ocean Wellness era senz’altro la palestra più esclusiva e discreta di Los Angeles. Era una sorta di luogo proibito ai paparazzi: soltanto i soci potevano avvicinarsi a quel paradiso e la privacy di tale élite veniva garantita a qualsiasi prezzo.

«Ricordami di non venire mai più qui con te. A Clara potrebbe far piacere avermi accanto», disse a un certo punto Stephen, bevendo un sorso d’acqua.

Dal momento che quel nome era stato sollevato dal diretto interessato, George non si lasciò sfuggire l’occasione di approfondire quel discorso.

«Fra te e Clara è tutto apposto?», gli domandò serio.

Sapeva di essere terribilmente invadente, ma fra loro c’era un rapporto di assoluta trasparenza.

Stephen gli rivolse uno sguardo sorpreso e scoppiò in una fragorosa risata.

«A quanto pare Adam Sandler dovrà rinunciare alla sua carriera. Devo essere diventato un vero comico», commentò l’attore.

«Cosa ti ha fatto pensare che ci fossero problemi?», gli chiese l’agente più serio.

George rispose con un’alzata di spalle.

In effetti, non c’era stato nessun segnale inequivocabile…

«Sei molto distratto in questo periodo ed entrambi eravate piuttosto strani quando vi ho incontrati. Lascia perdere, ho chiaramente frainteso».

Stephen parve sul punto di dire qualcosa, ma si bloccò titubante.

Quindi qualcosa c’era...

George rimase in paziente attesa.

«Non avevo ancora detto nulla, perché… volevamo esserne sicuri stavolta. Aspettiamo un bambino», lo informò infine.

«Wow! Ma è meraviglioso!»

«Non volevo tenertelo nascosto, è solo che ci siamo già passati così tante volte ormai e ogni volta dirlo diventa più difficile e doloroso».

«Non c’è bisogno che tu aggiunga altro, Stephen», lo interruppe l’attore.

Rammentava perfettamente il dolore segnato a fuoco sul suo volto. Tentavano di avere un figlio da almeno quattro anni, si erano rivolti a una marea di specialisti in fertilità, ma il verdetto era stato sempre il medesimo: le possibilità che il loro sogno si realizzasse rasentavano lo zero. Nessuno gli aveva detto che era impossibile, ma le statistiche non erano dalla loro parte. George non conosceva i dettagli, poiché l’amico non lo aveva mai messo a conoscenza, però sapeva quanto desiderassero allargare la famiglia.

«A parte i genitori di Clara, sei la prima persona a cui lo raccontiamo. Preferiremmo aspettare un altro po’, ma sembrerebbe che tutto stia procedendo più che bene», aggiunse Stephen.

Il sollievo nella sua voce era palpabile.

«Sono davvero felice per voi», gli disse sincero. «Manterrò il segreto, non preoccuparti».

«Grazie, amico. Quindi ho sopportato un’ora e mezzo di sala attrezzi per questo?»

«Lo hai fatto perché l’attività fisica è importante», replicò, ironico.

«Mia moglie non si è mai lamentata», asserì, compiaciuto. «In tal proposito, credevo che avresti trascorso la giornata insieme a Lindsay».

«Doveva sistemare alcune cose prima della sua partenza».

Stephen lo guardò sottecchi.

«A me va bene, Stephen», mentì. «E poi un vero gentleman non si vanta delle sue performance», aggiunse George con un sorriso.

Il suo interlocutore non replicò. Aveva già provato in un numero immemorabile di occasioni ad affrontare “l’argomento Lindsay”, ma non c’era stato modo di distogliere George dalla sua posizione. Per amore di Lindsay sarebbe passato sopra a tutto.

Sapeva quanto la sua presenza l’avesse aiutato nei momenti bui, ma proprio per questo era conscio che quella donna fosse in grado di esercitare una forte influenza su di lui e l’uomo aveva iniziato a supporre che il confine fra il bene e il male in quel rapporto fosse quanto mai labile.

Tuttavia, George non aveva bisogno di una intromissione in tal senso, anche perché – se si fosse arrivati al punto di rottura – l’agente non era certo di cosa sarebbero andati incontro e in quel momento la sua priorità erano Clara e il bambino.

George poteva badare a se stesso.


Ciao a tutte!
Mi è sembrato giusto lasciare un po' più di spazio al legame che intercorre fra George e Stephen in questo capitolo e il primo mistero riguardo all'agente è stato risolto! :) Alla fine George non aveva ragioni per preoccuparsi.
Dal momento che Natale si avvicina la domanda è: Linds riuscirà a tornare in tempo per passarlo con George?
Nel prossimo capitolo vedremo l'uscita con Sarah e Will e.... ci saranno alcune sorprese!
Spero che la storia vi stia piacendo, se vi andasse di commentare e farmi sapere cosa ne pensate ne sarei felice. :)
A presto
Vale


 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Il locale era gremito di avventori e il chiacchiericcio era assillante, ma non tutti parevano essere in grado di godersi una tranquilla serata in compagnia. Specie se la compagnia era così ricercata.

Nell'ultimo quarto d'ora erano state ben dieci le visite al loro tavolo.

George sorrise all'ennesima ragazza capitata come per caso a chiedergli una foto ricordo, mentre i suoi compagni si sforzavano di mostrare una calma indifferenza. 

«Grazie, George. Sei fantastico!», squittì la fan, prima di allontanarsi. 

Dopo che se ne fu andata, George rivolse uno sguardo avvilito in direzione dei presenti, in particolar modo di Sarah. 

Era stato felice di ricevere quell'invito, peccato che la serata stesse andando molto diversamente rispetto alle sue aspettative. In ogni caso, scegliere un comune locale vicino a Hollywood Boulevard si era rivelata una mossa da veri principianti, però l’attore non si trovava nella posizione giusta per muovere quel genere di critiche.

«Mi spiace molto», ripeté.

«Se non altro abbiamo ravvivato il locale», intervenne Will.

«È un modo interessante di vedere la cosa», disse Sam.

George mantenne un'espressione neutra. Aveva capito fin dal primo momento di non esserle simpatico e il continuo via vai di ragazze intorno al loro tavolo non aiutava la sua causa. Purtroppo tenerle a distanza non pareva un'ipotesi fattibile... Perlomeno il ragazzo di Sarah si era rivelato dotato di spirito di adattamento. Credeva sarebbe stato imbarazzante sedere di fronte a lui, così come lo era stato incontrarlo in aeroporto.

Rammentava solo pochi stralci della prima volta in cui lo aveva visto: era annebbiato dall'alcool, per cui poteva solo immaginare ciò che gli aveva detto. Aveva creduto che lo avrebbe insultato per quello che era successo, ma per fortuna si era sbagliato. Oppure non era a conoscenza di tutti i dettagli e, in tal caso, di certo lui non glieli avrebbe rivelati. 

«È possibile che ti abbia vista sulla copertina di Glamour UK lo scorso mese?», chiese Colin, rivolgendosi a Lindsay. 

Lei sorrise, passandosi una mano fra i capelli. Al contrario del suo ragazzo, le piaceva essere il centro dell'attenzione. 

«Ero anche su quella di Marie Claire», precisò. 

«Ne ero piuttosto sicuro», mormorò il ragazzo. «Mia sorella è una patita di riviste di moda», spiegò Colin sotto lo sguardo sorpreso di Sam.

Si conoscevano soltanto da un paio di settimane, ma era già chiaro che non sarebbero rimasti insieme a lungo. 

Sarah e Will si scambiarono un'occhiata colma di sottintesi.

«Dovrei partire per un servizio fotografico domani», disse la modella.

«Affascinante».

La leggera ironia nel commento di Samantha passò inosservata a tutti meno che a Sarah.

«Sam», la riprese sottovoce.

«Okay, scusa».

Quando l'undicesima ragazzina si materializzò di fronte a George, la calma scomparve.

«Direi che ho scelto il locale peggiore e più affollato di Los Angeles stasera», affermò Will magnanimo.

«Credo che la responsabilità sia soltanto mia», ribatté l’attore.

«Potremmo andare da un'altra parte», suggerì Sarah.

«Non mi pare giusto rovinarvi ancora la serata, Sarah».

«Non c'è problema».

La ringraziò mentalmente per la sua premura, ma era inutile negare l’evidenza: quel posto non garantiva un minimo di privacy e cercare di proseguire la serata senza intoppi restando lì era impossibile.

Di fronte al chiaro disagio di George, Will disse:

«Hai ragione, tesoro. Questo posto è pessimo e i drink non sono neanche un granché. Perché non ce ne andiamo?»

                                                                       ***
 
Come Will aveva previsto, nessuno al Silver Lake pareva interessato alla presenza di George Wellington. Al contrario, un uomo alto e ispanico, vestito elegantemente, salutò l’avvocato con un cenno della testa.

«Conosci il proprietario?», gli domandò Sarah sottovoce.

Lui annuì.

«Ogni tanto organizziamo qualche incontro con dei clienti qui», le rispose. «Non sarà il posto più in di LA, ma è altamente improbabile che qualche ragazzina lo frequenti», aggiunse a voce più alta.

«Come descrizione per me è più che sufficiente!», dichiarò l’attore con un sorriso carico di gratitudine.

Spesso si era ritrovato a pensare che gestire la sua notorietà sarebbe stato più semplice se solo fosse nato trenta o quarant’anni prima, quando non esistevano ancora i telefoni con la fotocamera integrata, né social network quali Twitter, o Facebook, o Istangram.

Perlomeno in quel posto non doveva preoccuparsi né di fan eccitate, né di sguardi indiscreti; tuttavia Will si sbagliava, poiché qualcuno aveva notato quella presenza estranea e non si lasciò sfuggire di farlo notare.

Erano trascorsi circa una ventina di minuti dal loro arrivo al Silver Lake, quando un uomo sui quarant’anni si avvicinò a loro e diede una pacca a Will.

«Non credevo che questo fosse il nuovo locale sulla A-list di Los Angeles», commentò l’uomo, lanciando un’occhiata a George.

«Cerca di non essere il solito sgarbato, Jerry!», gli disse Will con un sorriso.

«Lo eviterei volentieri, credimi. Peccato che abbia una moglie che mi ha praticamente costretto a venire qui», spiegò, lanciando un’occhiata in direzione del suo tavolo a cui era seduta una signora di circa la medesima età, che stava facendo il possibile per non guardare dalla loro parte.

«Pensavo che in ufficio ti chiamassimo "barracuda" per una ragione!»

L’uomo scrollò le spalle, arrossendo appena.

«Purtroppo non posso sempre contraddirla», sospirò. «Mi rendo conto di chiederle molto, ma se potesse solo venire un attimo al nostro tavolo a…».

George provò una certa pena per lui: non doveva essere piacevole per quell’uomo essere andato fin lì a chiedere un favore a una persona che non pareva piacergli granché.Fu una vera e propria fortuna che almeno le ragazze non fossero presenti per vedere quella scena.

Prima che George potesse accettare o meno, Will intervenne.

«Andiamo Jerry, quante probabilità ci sono che un attore hollywoodiano entri in questo posto? Dì a tua moglie che si è sbagliata: per quanto mi riguarda George è soltanto un amico del college».

«Non c’è problema, Will», affermò il diretto interessato.

Will scosse la testa e guardò Jerry con aria di sfida. L’uomo comprese che non l’avrebbe avuta vinta e così, dopo aver salutato i due, si dileguò.

Lo osservarono parlare concitatamente con sua moglie, dopodiché Will ridacchiò sotto lo sguardo perplesso dell’attore.

Proprio non si sarebbe aspettato una tale reazione.

«Direi che a questo punto ti devo un favore», dichiarò, bevendo un sorso di birra. «Sono mesi che cerco un pretesto per discutere con lui. È uno stronzo in ufficio. Quindi grazie».

«Figurati», disse George con un sorriso.

«Hai idea della ragione per cui le donne vanno sempre in bagno in coppia?», gli domandò subito dopo.

L’attore scoppiò a ridere.

«Nessuna. Dev’essere una qualche legge non scritta e inviolabile».

«Beh, stavolta ne sono felice: Sarah non sopporta Jerry».

I due rimasero in silenzio per un minuto buono, poi, quando un non ben identificato gruppo musicale iniziò a suonare, si lanciarono in un’interessante conversazione circa i vari generi musicali.

«Suoni anche tu?», gli domandò a un certo punto George, curioso.

«Decisamente no! Mia madre ha sempre amato la musica classica, così una volta ha tentato di impartirmi qualche lezione. Credo che sia ancora traumatizzata».

A quanto pareva era stato l’unico della famiglia a non possedere quel gene.

«Tu invece?»

Stavolta fu il turno di George di ridacchiare.

«Più o meno le mie doti sono simili alle tue! Una volta quando avevo diciassette anni provai a fare l’audizione per un musical… Beh, dopo aver visto la mia performance il mio agente mi giurò, mano sul cuore, di non aver mai sentito nulla di peggiore!»

«A quanto pare abbiamo qualcosa in comune», sentenziò Will, senza lasciar trasparire la propria sorpresa.

«Will, so di essere molto in ritardo, ma vorrei scusarmi lo stesso», disse George, approfittando del fatto che la sua ragazza non fosse ancora tornata al tavolo.

Capendo a cosa si stava riferendo, Will lo bloccò alzando una mano.

«Mi piace giocare a Superman ogni tanto».

«Ti avrei immaginato di più come Capitan America», disse la sua ragazza, comparendo all’improvviso accanto a lui e riprendendo il suo posto.

«Ah davvero? Non mi pare di assomigliargli», ribatté lui.

«Ho incontrato Chris Evans a un evento di beneficenza e, ora che Sarah l’ha fatto notare, beh, c’è una certa somiglianza fra voi», disse George.

Lindsay posò la testa sulla sua spalla e sorrise.

«È vero. Avete anche la stessa struttura fisica», aggiunse.

«A quanto pare sono un supereroe inconsapevole».

«Come tutti i migliori», gli sussurrò Sarah, baciandolo.

Probabilmente nessuno avrebbe scommesso sull’esito positivo di quella serata, ma – complice l’assenza di Sam e Colin – alla fine le due coppie tornarono a casa molto più rilassati di quando erano uscite.

                                                                      ***
 
«A cosa devo tutto questo?», chiese Will, baciando la schiena umida della sua ragazza.

Nonostante dovesse alzarsi presto l’indomani, non era il tipo da rinunciare a un caldo bagno condiviso a lume di candela.

Inoltre, l’aver affrontato rimesso al proprio posto Jerry gli avrebbe regalato l’energia sufficiente per scalare il monte Everest.

Non era mai corso buon sangue fra loro. L’avvocato era abituato alla competizione, ma quello che lui aveva fatto per sabotare la sua promozione a socio era stato troppo torbido. Il problema era che Jerry era abile nel tessere le sue tele e senza alcuna prova non poteva dimostrare niente.

Tuttavia, in quel momento non voleva pensare a Jerry e a quello che l’avrebbe atteso l’indomani in ufficio. Sapeva che gli avrebbe fatto scontare i suoi commenti, ma non gli importava.

Sarah si lasciò andare al suo tocco e poggiò la nuca contro la sua spalla.

«Al fatto che sei un uomo meraviglioso», gli rispose.

Lui le baciò i capelli. L’odore della schiuma da bagno si confondeva con quello del suo balsamo, ma quel profumo dolce non gli dava fastidio. Anzi, aveva iniziato ad amarlo, poiché gli ricordava lei.

«Sei stato molto carino con George e Lindsay stasera».

Will le spostò i capelli su una parte e le accarezzò il collo con la punta della lingua, facendola sospirare di piacere.

«George non è poi così terribile. Beh, se escludi il fatto che ha una ragazza insopportabile e richiama eserciti di ragazzine e donne eccitate», dichiarò con voce roca.

«Avevo capito che era successo qualcosa fra voi in nostra assenza», disse. «Mi dirai mai di cosa avete parlato?»

«Discorsi da uomini, piccola».

Per tutta risposta, lei si voltò.

«E non c’è modo per me di convincerti a raccontarmeli?»

Lui si finse dubbioso.

«Dipende da te».

Sarah sorrise.

«Tu saresti in grado di convincermi a fare qualunque cosa, Amore», aggiunse, baciandola sulle labbra con trasporto.

Lei si accoccolò contro di lui, serena.

«Però neanche una modella troppo piena di sé può reggere il confronto con quel Colin!», disse dopo Will. «Hai idea di dove lui e Sam si siano conosciuti?»

La ragazza scosse la testa.

«Non glielo avevo mai sentito nominare».

«Io avrei fatto a meno anche di conoscerlo», replicò lui. «Pensavo stesse frequentando quel Kyle», precisò.

«Si sono lasciati un paio di settimane fa», lo informò Sarah.

«Ah, lui era simpatico. Perlomeno era in grado di dare un contributo sensato alla conversazione».

Sarah ridacchiò.

Dubitava che Sam li scegliesse in base alle loro doti di oratori. Non aveva mai espresso un parere deciso sui gusti dell’amica, però non poteva dire di non essere rimasta un po’ perplessa nell’apprendere che avesse trovato i numeri di quegli uomini su un sito di incontri.

Tuttavia, non era necessario che Will lo sapesse.

L’uomo si lasciò sfuggire un sonoro sbadiglio.

«Forse è meglio andare a dormire», disse lei. «Non vorrei che crollassi in ufficio», aggiunse ironica.

Lui sorrise.

Se disgraziatamente fosse capitato di certo Jerry avrebbe preparato personalmente la sua lettera di licenziamento.

«Forse è una buona idea», acconsentì controvoglia, baciandola di nuovo.


Ciao a tutte!
L'uscita di gruppo, dopo un inizio un po' titubante, è terminata senza troppi intoppi e anche George e Will hanno avuto modo di chiarirsi. Ma quest'ultimo sarà davvero così tranquillo come appare?
Ormai la partenza di Lindsay è imminente e George è più che convinto che non tornerà in tempo per le festività natalizie... La donna lo sorprenderà tornando per Natale, oppure lo lascerà da solo?
Manca solo un capitolo alla Vigilia di Natale e vi prometto che ci saranno molte sorprese!
Ringrazio come sempre chi mi sta continuando a seguire in questa nuova avventura e spero che quello che ho ideato vi stia piacendo. :)
A presto
Vale

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Mentre osservava la pila di fascicoli accatastati sulla sua scrivania, Will sospirò. Quella giornata avrebbe potuto essere definita “caotica” nella migliore delle ipotesi e “infernale” nella peggiore. Inoltre, come aveva immaginato, Jerry gli aveva fatto scontare ogni sillaba pronunciata dalla sua bocca.

Il solo fatto che quell'uomo credesse di avere in pugno l'ufficio e ogni suo sottoposto era sufficiente a farlo infuriare. Era un avvocato mediocre, ma suo padre era uno dei maggiori azionisti del gruppo, per cui questo secondo lui gli dava diritto di sedere in un ufficio più ampio e di trattare chiunque come una pezza da scarpe. Per Will tutto ciò era inaccettabile.

Aveva lavorato sodo per essere lì e non si sarebbe fatto portare via quella promozione per nessuna ragione al mondo. Neanche se questo significava sacrificare le sue vacanze con Sarah. Fra l'altro, se avesse giocato bene le sue carte, niente avrebbe potuto impedirgli di rientrare a Los Angeles per la mattina del 24 Dicembre.

Non era stato entusiasta di apprendere di dover sostituire Allison all'incontro con alcuni dei soci di New York, però non si trovava nella posizione giusta per fare lo schizzinoso.

Come se l'avesse letto nel pensiero, il suo cellulare trillò. Era lei.

«Ciao! Iniziavo a temere di dover chiamare la protezione nazionale», gli disse Sarah.

«Scusa, Amore. Sto avendo una giornata infernale. In realtà, avrei voluto chiamarti io durante la pausa pranzo, ma non credo che l'avrò», sospirò lui.

«Non c'è problema, tesoro. Vorrà dire che ti preparerò una cenetta deliziosa stasera».

«Non vedo l'ora!»

La sentì ridere di gusto.

«Mi spiace, ma devo riattaccare prima che qualcuno mi veda parlare al telefono», le disse.

«Certo, non preoccuparti. Ci vediamo stasera a casa».

Era bello sentire quelle parole dopo averle attese tanto a lungo.

«Buona giornata, piccola».

«Grazie, anche a te».

                                                                                               ***

Sarah ripose l'iPhone nella borsa, scese dall'auto e raggiunse Stephen.

«Scusami per il ritardo», gli disse, prendendo posto di fronte a lui.

«Sta' tranquilla, sono arrivato un istante fa», la rassicurò l’uomo.

«Quindi siamo entrambi in ritardo», affermò lei con un sorriso.

«Già».

I due si sedettero e ordinarono da mangiare, dopodiché Stephen prese la parola.

«Potrei avere qualche difficoltà a seguire tutta la campagna promozionale di George nelle prossime settimane».

Si interruppe un secondo, ma poi proseguì.

«Io e mia moglie avremo un bambino», le annunciò.

Non era certo che diffondere quella notizia fosse una buona idea, però si sentiva in dovere di fornirle qualche spiegazione.

«È una bellissima notizia, Stephen!»

«Grazie. Abbiamo avuto qualche inconveniente, ma adesso tutto pare andare bene, quindi…».

«Non te la senti a lasciarla sola», concluse al suo posto.

«Ha molti controlli da fare. So che non era quanto avevamo concordato, ma…».

«Non preoccuparti. Direi che posso occuparmi dei comunicati stampa e seguire George contemporaneamente».

«Grazie, Sarah», disse con un sorriso.

Continuarono a parlare dei dettagli dei prossimi impegni dell’attore per tutta la durata del pranzo, ma al momento dei saluti l'uomo cambiò argomento.

«Tu e il tuo ragazzo avete programmi per le feste?»

Lei scosse la testa.

«Niente di eccezionale. Saremmo dovuti andare a Chicago a trovare mio padre, ma Will non ha molti giorni di ferie. Credo che resteremo qui».

«Ah, mi spiace. Io avrò a che fare coi parenti di mia moglie...», disse Stephen con tono tutt’altro che allegro.

«Sono così atroci?», s’informò la ragazza con un sorriso.

«A sufficienza da farmi invidiare George», rispose, enigmatico. Poi aggiunse: «Lindsay è all’estero per lavoro. Tornerà solo per Capodanno».

«Potrebbe andare dalla sua famiglia», suggerì Sarah con naturalezza.

L’uomo accennò un sorriso dubbioso.

«Non credo che i Wellington siano grandi amanti delle festività. Ho provato a convincerlo a venire da noi per farmi da spalla coi cugini di Clara, ma ho fallito miseramente».

Sarah non replicò, ma dopo che ebbe salutato Stephen continuò a pensare alle sue parole.

Sul serio George preferiva trascorrere le vacanze da solo piuttosto che con la sua famiglia?

In ogni caso, se era così, doveva avere le sue buone ragioni.

                                                                                                 ***
Un paio di giorni dopo.


The Grove era un’accozzaglia di luci e colori, ma c’era almeno una persona che non si stava godendo quel clima natalizio.

Sorseggiando una cioccolata calda, Sarah ripensò per l’ennesima volta alla sua telefonata con Will.

Maledetta nebbia!, pensò, arrabbiata.

Non era stata felice di apprendere che il suo ragazzo sarebbe partito per New York, però era comunque certa che sarebbe tornato in tempo per la Vigilia…

Purtroppo si era sbagliata.

Il JFK, difatti, era stato chiuso insieme a tutti gli altri aeroporti della Grande Mela a causa delle pericolose condizioni meteo. La ragazza sapeva bene che nessuno poteva controllare tali imprevisti, tuttavia questo non le rendeva affatto facile abituarsi all’idea di trascorrere quella serata da sola.

Ormai era troppo tardi anche per chiedere a Sam se poteva unirsi a lei e ai suoi amici… Non c’era via d’uscita.

Tuttavia, dopo un’interessante quanto breve chiacchierata con suo padre Aaron, un’ipotesi si palesò davanti a lei. Non era una cosa alla quale aveva pensato precedentemente e si sentiva molto imbarazzata anche solo a rimuginarci sopra, ma in fondo cosa aveva da perdere? Una triste serata davanti alla televisione da sola? Non era proprio quello in cui sperava.

Senza ulteriori indugi, prese il telefono e compose il suo numero. Attese e finalmente sentì la sua voce.

«Ciao, Sarah».

«Ti disturbo?»

«No, figurati. Non stavo facendo nulla di speciale», la rassicurò George in tono cordiale.

Sarah fece un profondo respiro. Sapeva cosa voleva chiedergli, ma le parole sembravano non uscire.

Forza, Sarah!, si auto-spronò.

«Ho parlato con Stephen e abbiamo rivisto alcuni dettagli del tour promozionale», disse per guadagnare tempo. «Ti farò pervenire tutto entro domattina».

«Va bene. Ma non c'è bisogno che rovini la tua serata per questo. Mandami tutto con calma. Anche fra un paio di giorni andrà benissimo».

«In realtà, non c'è molto da rovinare», ammise a malincuore. «Will è bloccato a New York», gli rivelò.

«Ah, mi dispiace».

«In effetti, ti ho chiamato anche per questo… So che è una proposta dell’ultimo minuto, ma Stephen si è lasciato sfuggire che non avevi impegni, così mi stavo domandando se ti andasse di fare una buona azione e di non lasciare una povera fanciulla da sola la Vigilia di Natale», gli disse Sarah, torturando la pellicola protettiva dell’iPhone. «Ovviamente, se hai altro da fare non importa», si affrettò ad aggiungere.

Non voleva apparirgli disperata.

«No. No, sono libero…», mormorò lui.

Peccato che dal suo tono traspariva tutt’altro che entusiasmo.

«George, se non ti va, non c’è problema. Davvero», gli disse sincera.

«Non sono sicuro di essere la compagnia ideale stasera», ammise. «Però sono sempre disposto a soccorrere una damigella in pericolo».

«Sei sicuro?»

«Sì», disse in maniera più convincente. «Forse sarebbe il momento di conoscere il tuo indirizzo».

                                                                                  ***

George era rimasto sorpreso di sé. Era certo di trascorrere la Vigilia di Natale da solo visto che Lindsay era stata costretta ad allontanarsi per lavoro.

D’altra parte, l’uomo non amava quella ricorrenza, per cui passarla in solitudine non sarebbe stato un dramma. Aveva rifiutato persino l’invito a cena del suo agente. Non si sentiva in vena di compagnia e non era sua intenzione rovinare la serata ad altri.

Allora perché aveva accettato la proposta di Sarah?

Se lo domandò numerose volte, senza riuscire a trovare una risposta soddisfacente. A onor del vero, aveva inizialmente pensato di declinare l’offerta, ma alla fine si era ritrovato ad acconsentire. Non sapeva dire cosa lo avesse spinto verso tale direzione, forse era stato semplicemente il fatto che insieme a Sarah si sentiva a suo agio. Stava bene quando era con lei.

Quindi perché avrebbe dovuto negarsi una serata in compagnia di un’amica?

In fondo Sarah era solo questo per lui. Un’amica. Non provava un interesse diverso nei suoi confronti, anche se più di una volta si era soffermato a guardarla, ma, d’altra parte, era un uomo per cui aveva tutto il diritto di ammirare una bella ragazza. E, nonostante teoricamente il legame che lo univa a Lindsay gli avrebbe permesso di stare insieme ad altre donne, l’attore non l’aveva mai desiderato. Non da quando l’aveva conosciuta. Avrebbe soltanto voluto che per lei fosse lo stesso.


Ciao a tutte!!!
Come va? :)
Alla fine Will sembra aver "pagato" il suo piccolo scontro con Jerry e dovendo sostituire la sua collega non riuscirà a tornare in tempo per trascorrere la Vigilia di Natale insieme alla sua ragazza.
Secondo voi Sarah ha fatto bene a invitare George, o si creeranno fraintesi? Ho come l'impressione che non tutti ne saranno contenti! ;)
E George sarà veramente così disinteressato a lei?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo totalmente "Sarah/George-centrico"!
Ho notato un po' un calo nelle letture dello scorso capitolo... Se voleste dirmi che cosa vi piace e cosa invece non vi ha convinto mi farebbe comunque piacere. :)
Ringrazio come sempre tutte le persone che mi stanno leggendo e che hanno aggiunto questa storia ai preferiti, alle ricordate e alle seguite.
A presto,
Vale

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Sarah cercò di non fissare il suo ospite, impegnato a osservare il suo appartamento. Se qualcuno le avesse mai detto che George Wellington un giorno si sarebbe presentato a casa sua, non avrebbe esitato a dargli del pazzo. Eppure era accaduto davvero. Anzi. Stava succedendo.

L’attore indossava una camicia celeste su un paio di jeans scuri, ai piedi le sue solite Prada.
I capelli castano scuro erano un po’ più lunghi del solito e, secondo la ragazza, gli stavano davvero benissimo. Avrebbe dovuto portarli in quel modo più spesso.

«Quest'albero è bellissimo», commentò George, ammirando l'abete che si ergeva imponente di fronte a lui.

Sarah sorrise.

«Grazie. Lo preparo da sola da quando avevo nove anni», gli rivelò, seguendo il suo sguardo.

«I tuoi non ti aiutavano a decorarlo?», le domandò curioso, rendendosi conto che non sapeva molto della sua vita.

«Non proprio…», mormorò la ragazza. «Mio padre ha sempre preferito il Ringraziamento al Natale».

«E tua madre?»

La ragazza sentì l’imminente esigenza di controllare l’arrosto.

George dovette rendersi conto di essersi avventurato in un terreno troppo personale, perché distolse lo sguardo dall’abete e cambiò argomento.

«Sto proprio iniziando ad apprezzare questa festa», dichiarò con un sorriso, osservando il tacchino che Sarah stava togliendo dal forno.

«Dai, siediti», lo invitò la padrona di casa.

L’uomo, dopo aver scostato la sedia di Sarah in un gesto da vero gentleman, obbedì.

I due parlarono del più e del meno per tutta la cena e George si complimentò più volte con la sua amica per le ottime pietanze.

Era strano per lei vedere un'altra persona, e non una persona qualsiasi, al posto di solito occupato dal suo ragazzo, ma era felice che George avesse accettato il suo invito. Quando arrivarono al dessert, un cheesecake al cioccolato, l'uomo si alzò e prese anche il piatto della ragazza.

«George, non c’è bisogno…!», esclamò lei.

Si sentì non poco a disagio, guardando il suo ospite riporre i piatti nel lavello.

«Figurati. Ma non chiedermi di lavarli, perché non l’ho mai fatto in vita mia e non saprei da che parte cominciare!», dichiarò con un sorriso disarmante, che Sarah non ricordava di avergli mai visto nei mesi in cui aveva iniziato a lavorare per lui.

«Mai?», gli domandò incredula.

Lui ammiccò.

«Lavastoviglie», si limitò a dire.

«Anche per due tazze?»

George annuì imbarazzato, mentre Sarah scosse la testa, divertita da tale rivelazione.

«Quando tornerà Will?», le chiese dopo un po’.

«Non lo so ancora… Spero che la situazione meteo migliori».

Sperava davvero di non essere costretta a passare il giorno di Natale senza di lui. Inoltre, aveva pensato a un modo molto piacevole di trascorrere quella giornata, che anche il suo ragazzo avrebbe gradito.

«Lindsay?», si azzardò a chiedere.

L’attore non lasciò trasparire alcuna emozione nel sentir pronunciare il nome della sua ragazza, ma Sarah notò che la sua mano era stretta così forte da far diventare le nocche bianche.

«Probabilmente sarà qui per Capodanno».

In realtà, ne era tutt’altro che convinto…

«Comunque credo di doverti ringraziare per questa cena: mi sarei limitato a mettere qualcosa nel microonde», disse George.

Sarah ridacchiò.

«La tua famiglia non ama festeggiare il Natale?», gli chiese subito dopo.

«Mio fratello Liam vive in Australia e mio padre… È anche lui molto impegnato. Non siamo tipi natalizi. Solo mia madre amava questo genere di occasioni».

Sarah non insistette oltre dal momento che sapeva bene che Elisabeth Wellington era venuta a mancare parecchi anni prima.

«È morta tredici anni fa… Come forse saprai», aggiunse.

In fondo chiunque leggendo la sua biografia su IMDb, o su qualunque altro sito internet, avrebbe potuto scoprirlo in un solo click. Inutile farne un mistero.

«Mi dispiace», gli disse sincera.

«È successo tanto tempo fa», mormorò lui con un’indifferente alzata di spalle.

Se la ragazza si fosse soffermata a osservare soltanto il suo volto forse gli avrebbe creduto, ma gli occhi azzurri dell’uomo tradivano una sofferenza che non poteva essere nascosta.

«Vuoi un altro po’ di dolce?», gli chiese.

«No, grazie», declinò, gentilmente lui. «Sarah. Non mi sono mai veramente scusato per il modo vergognoso in cui ti ho trattata. Tu sei sempre stata molto gentile con me e io alla prima occasione sono stato uno stronzo. Mi dispiace davvero».

Fece una pausa, poi riprese.

«Era l’anniversario della morte di mia madre e… Non ero in me. Non sono mai in me quel giorno e mi dispiace di aver gettato la mia frustrazione su di te. Non lo meritavi. Onestamente non so come tu possa esserci passata sopra, io non ci sarei mai riuscito».

La ragazza ripercosse mentalmente il calendario e si rese conto che in effetti quella sera era il 23 Luglio. Aveva letto quella data un’infinità di volte nelle biografie dell’attore su internet, ma sul momento non l’aveva ricollegata.

Questo spiegava ogni cosa. Si sentì una perfetta cretina per non esserci arrivata da sola.

«Mi dispiace», ripeté.

Avrebbe desiderato rassicurarlo, dirgli che non aveva bisogno di scusarsi ancora e, invece, le parole che uscirono dalla sua bocca furono diverse.

«Mia... Mia madre se ne è andata quando avevo otto anni».

Lui la guardò dispiaciuto.

«Non ne avevo idea».

«Non è una storia della quale amo conversare. Ricordo di averla sentita litigare con mio padre quella mattina. La sera quando sono andata a dormire mi ha rimboccato le coperte come ogni giorno e la mattina dopo… semplicemente non c'era più. Non ho visto le sue valigie accatastate vicino alla porta d'ingresso, non mi ha lasciato niente. Mi sono solo svegliata una mattina e...».

«E la vita come la conoscevi era finita», concluse lui con consapevolezza.

Conosceva fin troppo bene quella sensazione.

«Già. Proprio così».

«Cosa è successo dopo?»

Non voleva farle rivangare il passato, eppure non era riuscito a reprimere quella domanda.

«Rammento solo di aver pianto ogni sera fra le braccia di mio padre per settimane o mesi… Non mi sono svegliata una mattina dimenticandomi di lei, ma forse ho solo realizzato che non avevo molte altre scelte. Era stata lei a decidere per tutti noi. Le ho portato rancore per molto tempo e poi ho capito che non potevo più farlo».

«Non hai mai più provato a cercarla?»

Lei sospirò.

«L’ho fatto. Una volta. Ho trovato il suo indirizzo, cioè quello del posto in cui allora lavorava e... L’ho vista mentre usciva da lì», ammise. «Sai, avevo pensato a così tante cose che avrei desiderato dirle, ma in quel momento mi sono resa conto che qualunque cosa le avessi detto non avrei riavuto mia madre. Non lo era più».

«Mi dispiace davvero tanto, Sarah».

«Non è stato poi così terribile crescere senza di lei», lo rassicurò. «Mio padre è stato fantastico e forse alla fine lei ha davvero fatto la cosa migliore per tutti noi».

«Lo credi davvero?»

«Sì, lo penso», affermò sincera.

«Sei incredibile», dichiarò lui, forse vedendola davvero per la prima volta.

«Ti garantisco di no», disse lei con un sorriso.

«È impossibile da credere», ribatté George.

Sarah arrossì. Ricevere un complimento del genere proprio da lui era troppo per restare impassibile, tuttavia, prima che qualcuno dei due potesse rompere quell’atmosfera imbarazzante, il telefono della ragazza squillò, spezzandola.

«È Will», gli disse. «Scusa, dovrei rispondere».

George annuì e distolse lo sguardo. Sapeva davvero essere discreto.

«Chi è l’uomo più incredibile che tu abbia mai conosciuto?», le domandò in tono retorico il suo ragazzo dall’altra parte del telefono.

«Sicuramente so chi è il più modesto», replicò lei con un sorriso.

«Beh, credo che le nostre risposte si equivalgano. Sono riuscito a trovare un posto sul volo che parte domani mattina!», le annunciò con enfasi. «Dovrò fare uno scalo, ma sarò da te nel pomeriggio».

Sarah sorrise entusiasta.

«È meraviglioso!», esclamò lei.

«Ti amo, tesoro».

«Anch’io».

«Penso che questo significhi che sei d’accordo con me sulla prima domanda!», commentò Will, ridendo.

«Può darsi…», mormorò Sarah.

«Se ci fossero altri imprevisti ti farò sapere», ribadì. «Non stai passando la serata guardando la tv, vero?», si premurò subito dopo.

«No. Anzi. Ti spiace se ti richiamo più tardi?»

«No, certo», acconsentì lui. «È qualcuno di cui dovrei essere geloso?»

Sarah lanciò un’occhiata all’uomo di fronte a sé.

«Non direi. Ci vediamo domani».

«A domani, piccola», disse Will, dopodiché riattaccò.

George, che aveva finto un cortese disinteresse per la conversazione della sua amica, si voltò di nuovo verso di lei.

«Buone notizie?»

«Sì. Will mi ha detto di aver trovato un volo che parte domani. Sarà qui nel pomeriggio».

«Bene. Beh, forse adesso è meglio che vada».

«Se l’idea di vedere un film natalizio non ti uccide, potresti restare», disse lei.

Avrebbe desiderato davvero restare, ma non se la sentiva di parlare ancora, le aveva già confessato anche troppo.

«Credevo mi avessi promesso un salvataggio. Non sono più una damigella in pericolo?»

Lui sorrise. Dubitava che avesse bisogno di qualcuno che la salvasse.

«Lungi da me deludere le aspettative di una dolce fanciulla», disse infine.

Perché doveva negarsi la sua compagnia?

Non aveva senso.

Sarah, sotto la supervisione del suo ospite, caricò la lavastoviglie, dopodiché entrambi si accomodarono sul divano del salotto.

Come la ragazza aveva previsto, gli unici programmi trasmessi dagli emittenti televisivi erano film natalizi visti approssimativamente mille volte.

Dopo numerosi tentativi, la ragazza si rassegnò a guardare per le milionesima volta una delle tante versioni di Tutti insieme appassionatamente.

«Penso che quei bambini ormai abbiano qualcosa come quarant’anni», commentò a un certo punto George, riferendosi ai figli del protagonista.

«Probabile», convenne Sarah.

«Mi domando come possano trasmettere annualmente questi film».

«Beh, cosa preferiresti vedere?»

«Non lo so. Un film di Lynch?», propose lui con un sorriso. «Ma persino ET sarebbe meglio di questa roba!»

«Dovresti provare a sporgere un formale reclamo. Magari potrebbero prendere in considerazione l’idea di rivedere il palinsesto», disse Sarah.

«Ottimo suggerimento. Credo proprio che lo farò», acconsentì George, fingendo un tono solenne.

Sarah scosse la testa, divertita.

I due scherzarono per tutto il resto del film, parlando del più e del meno senza prendersi troppo sul serio.

George aveva dimenticato l’ultima volta in cui si era sentito così; Sarah invece non riusciva ancora a realizzare che tutto questo stesse accadendo seriamente.

Lei e George, seduti l’una accanto l’altro a guardare un vecchio film la Vigilia di Natale. Anche senza considerare la confessione dell’attore, la situazione era a dir poco incredibile.

«A cosa stai pensando?», le chiese lui, rompendo quel momento di silenzio.

«Stavo facendo mentalmente la lista dei miei propositi per l’anno nuovo», confessò, realizzando che uno dei suoi vecchi propositi si era concretizzato proprio quell’anno.

«Fai ancora quell’elenco?!»

Sarah arrossì lievemente.

Anche il suo ragazzo la trovava una cosa piuttosto naif, ma lei riteneva che fosse positivo porsi degli obiettivi e scriverli nero su bianco.

«Anche Will la considera una cosa infantile», mormorò un po’ imbarazzata.

«No. Credo sia una cosa molto tenera», le assicurò, guardandola con dolcezza. «Sarah?»

«Sì?»

«È davvero meglio che vada adesso. È molto tardi e non credo che reggerei a un altro film del genere».

«Va bene».

«Grazie di nuovo per la serata».

«Figurati».

George si sporse verso di lei e la salutò, baciandola sulla guancia. Fu un bacio casto, ma fu comunque sufficiente a farle accelerare il battito cardiaco e a riportarla alla sera in cui l’uomo le aveva fatto delle avances. In quel momento, la ragazza fu doppiamente felice di non averle ricambiate: in caso contrario non solo avrebbe tradito l’uomo che amava, ma non avrebbe neanche avuto l’occasione di conoscere lui.

«Ci vediamo dopo le feste», le sussurrò.

Lei annuì.

«Buon Natale, George».

«Buon Natale, Sarah».
 
                                                                               ***

Una volta tornato a casa, George si fece una rapida doccia e sotto il getto dell’acqua calda non poté non ripensare alla serata appena trascorsa.

Non sapeva esattamente come ciò fosse stato possibile, ma per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva bene. Non aveva voglia di strozzare qualcuno la Vigilia di Natale e non sentiva neppure tutta questa irritazione per le poche decorazioni che la sua ragazza aveva insistito per appendere in soggiorno. Non avevano messo l’albero, poiché l’attore era stato categorico in proposito, ma era stato impossibile non darla vinta a Lindsay almeno su qualche fiocco.

Per la prima volta da almeno un paio di settimane non aveva dovuto fingere di stare bene.

Non aveva trovato fastidiosa neanche l’atmosfera natalizia che si respirava in casa della sua amica e, nonostante ci avessero scherzato su per un paio d’ore, aveva sopportato volentieri persino quei filmacci.

Non sapeva cosa l’avesse spinto a parlare ancora una volta con Sarah, ma aveva sentito di doverle più di un paio di scuse riciclate. Le doveva almeno una spiegazione, sebbene forse niente avrebbe potuto giustificare il suo comportamento indegno.

Credeva davvero in quello che le aveva detto: se le parti fossero state invertite, non sarebbe mai stato capace di far finta di nulla.

Forse, se fosse stato in grado di perdonare, quella notte sarebbe stato negli Hampton, ma quello era un passo che forse non avrebbe mai voluto compiere.

Non poteva passare sopra a quello che era successo e non poteva nemmeno continuare a fingere. Non poteva perdonare suo padre e, ne era convinto, non sarebbe mai stato capace di perdonare se stesso.


Ciao a tutte! 
Un'altra settimana è cominciata e con essa anche questo capitolo dedicato alla cena della Vigilia di Natale di Sarah e George.
Nonostante entrambi fossero un po' a disagio all'inizio, l'atmosfera poi si è sciolta e George si è reso conto di avere in comune con lei più cose di quanto non avrebbe mai immaginato. E per qualche ragione che lui stesso ancora non riesce a capire si sente quasi "in dovere" di essere sempre sincero con lei.
Servirà ancora un po' di tempo prima che il "mistero" su quello che dà tanta pena a George sia svelato, ben presto infatti l'uomo avrà altro a cui pensare...! 

Intanto Will riuscirà a tornare a Los Angeles per Natale? E perché Sarah non gli ha semplicemente risposto che c'era George a casa loro? 
Sarei curiosa di leggere le vostre teorie. :)
Al prossimo capitolo!
Baci

Vale



 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Mentre guardava con scarsa attenzione una delle hostess illustrare ai passeggeri cosa fare in caso di incidente aereo, Will Turner si sentiva emozionato.

Riuscire a trovare un volo in partenza per Los Angeles si era rivelato più complicato del previsto, ma alla fine c’era riuscito. Sapeva che Sarah teneva molto ad averlo con sé per Natale, per cui aveva fatto il diavolo a quattro, ma aveva trovato posto su quel volo.

«Localizzate l’uscita più vicina a voi», continuò l’assistente di volo, indicando le porte poste in prossimità delle ali.

Will la ascoltava con espressione scettica. Aveva visto parecchi documentari in proposito ed erano tutti abbastanza convinti che difficilmente il passeggero medio sarebbe uscito indenne da un incidente aereo.

Aveva sentito quelle elementari nozioni un’infinità di volte, ma nonostante un Q.I. di gran lunga superiore alla media, dubitava che sarebbe riuscito a metterle in pratica in caso di necessità. Non amava considerarsi una persona fatalista, ma in quel caso poteva dire a ragione di stare alla sorte.

Scambiò a bassa voce qualche parola con l’uomo di fianco a lui sull’inutilità di tali avvisi e fu ripagato con un’occhiataccia da parte dell’hostess, sicuramente non lieta che qualcuno non le stesse prestando i dovuti riguardi.

Will alzò gli occhi al cielo e ringraziò mentalmente quando poté mettersi le cuffie e godersi uno dei film offerti dalla American Airlines.

Essere stato incaricato di recarsi a New York insieme a Jerry e Allison per  raccogliere le deposizioni di Christian Osborn e consorte gli aveva procurato una notevole soddisfazione, però non si vergognava ad ammettere che la sua ragazza gli era mancata.

Era abituato a svolgere il proprio lavoro con dedizione e non aveva mai disdegnato di partire per seguire i casi più importanti. Non poteva ancora esserne certo, ma aveva intercettato un paio di conversazioni e ormai era convinto che la sua promozione fosse soltanto una mera formalità.

Diventare socio dello studio sarebbe stato la realizzazione di un sogno. Soltanto qualche anno prima non avrebbe desiderato nient’altro, però aver incontrato Sarah aveva cambiato tutto.

La sua professione continuava a restare in cima alle sue ambizioni, tuttavia se l’avessero posto nella condizione di scegliere fra la sua carriera e la donna che amava, non era sicuro che sarebbe stato capace di rinunciare alla seconda.

Non aveva mai creduto possibile poter amare con tale intensità, ma, nel momento stesso in cui l’aveva conosciuta, aveva compreso che quella ragazza era la sola che avrebbe potuto completarlo.

Una volta che l’aereo atterrò a LAX, Will impiegò un arco di tempo quasi pari a quello che aveva trascorso in volo per passare i controlli. Dopo che ebbe mostrato il suo passaporto a un’impiegata –  che non tentò neanche di nascondergli che avrebbe gradito passare la propria giornata in famiglia e non a lavoro – uscì dall’aeroporto e si riappropriò dell’auto.

Arrivare fino a casa fu un gioco da ragazzi: le strade erano sgombre e la sua Mercedes andava che era uno splendore.

Non aveva più parlato con Sarah da quando l’aveva chiamata la sera precedente per comunicarle la buona nuova ed era curioso di sapere con chi avesse trascorso la Vigilia.

Sulle prime aveva pensato a Sam, poi aveva ricordato che la sua collega sarebbe stata in Louisiana dalla famiglia.

Vista la particolare ricorrenza e lo scarso preavviso immaginava che anche il resto delle sue amiche non fossero state disponibili, per cui la sua mente andò a briglia sciolte alla ricerca di un qualche nome palpabile.

Ci rifletté cantando distrattamente il ritornello di una canzone trasmessa alla radio. Non avrebbe mai ammesso con lei quanto gli piaceva, però almeno da solo poteva concedersi quel momento imbarazzante.

Quando riconobbe Drury Lane svoltò a destra e parcheggiò l’auto. Poi prese la sua valigia dal bagagliaio e aprì la porta di casa.

Si tolse gli occhiali da sole e diede un’occhiata in giro. Ma la sua ragazza non si vedeva da nessuna parte, così lasciò e la valigia nell’ingresso e andò in camera.

Niente.

Stava per chiamarla, quando udì il rumore della porta che dava sulla terrazza chiudersi di scatto. Poi sentì dei passi e, pochi istanti dopo, la vide di fronte a lui.

Will sorrise, andò verso di lei e la strinse fra le sue braccia.

«Bentornato, straniero», gli disse Sarah.

«Grazie».

«Com’è andato il viaggio?»

«Ho rischiato di essere picchiato da un’hostess non proprio cortese, ma sono riuscito a sopravvivere!», dichiarò, come se stesse narrando le gesta di Ulisse.

La ragazza ridacchiò.

«Sei stanco?», gli chiese.

Lui scosse la testa.

«Bene. Allora credo che dovresti proprio scartare il tuo regalo», mormorò con voce calda.

«Di là. Dammi cinque minuti», aggiunse, lanciandogli uno sguardo a dir poco provocante.

«Non chiedo di meglio».

Sarah gli fece l’occhiolino ed entrò in bagno, chiudendosi dietro la porta.
 
                                                                          ***

«Sai, quest’albero ha un aspetto diverso visto da questa prospettiva», commentò Will, accarezzando il fondoschiena della sua ragazza, distesa nuda sopra di lui.

«Quindi sta iniziando a piacerti?», gli domandò, scettica.

«Direi di sì», mormorò.

Sarah sorrise.

«E il fatto che abbiamo appena fatto l’amore all’ombra dei suoi folti rami c’entra qualcosa?»

Will finse di rifletterci su.

«Può darsi!», disse infine, baciandola.

«Lo sospettavo, avvocato», gli sussurrò lei, passando una mano sul suo avambraccio.

In quel momento un pensiero si fece strada involontariamente nella mente dell’uomo e, anche se probabilmente quello non era il momento più adatto, non riuscì a trattenersi dal chiederle spiegazioni sulla serata precedente.

«Non mi hai ancora detto chi era il tuo misterioso ospite ieri sera», esordì Will.

Sarah s’irrigidì.

«Vorresti davvero parlarne adesso?», gli chiese. «Pensavo potessimo continuare a fare altro», aggiunse, maliziosa.

«Sono solo curioso», minimizzò.

Tuttavia, il fatto che lei stesse tergiversando, lo mise in allarme.

La ragazza si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sospirò.

Pessimo segno, pensò Will.

«Allora?», insistette.

Si era subito pentito di essere stato così irruento, ma non era riuscito a farne a meno.

«George».

«Wellington?»

La ragazza annuì.

«Perché non me l’hai detto ieri sera?», le chiese, cercando di restare calmo.

Sarah lo guardò, prudente.

«Non mi pareva tanto importante. Sai che detesto passare la Vigilia da sola. Ho incontrato Stephen a pranzo e mi ha detto che anche George non aveva programmi. Così ho deciso di invitarlo a cena. Avevo già provato con Sam, ma aveva da fare. Tutto qui».

Will osservò gli occhi sinceri della sua ragazza e si rilassò.

Era stato uno sciocco a prendersela per una sciocchezza del genere. Sapeva bene di potersi fidare di Sarah: se lei diceva che non c’era altro, allora non c’era altro.

«Quindi la modella non era qui a tenergli la mano?», le chiese con un sorriso.

«A quanto pare doveva lavorare».

L’uomo annuì. Non era nella posizione giusta per muovere alcun tipo di illazione, considerato che era stato il primo a essere spedito fuori dal Paese durante le festività.

«Se l’interrogatorio è terminato, potresti riprendere da dove avevamo lasciato», gli mormorò, facendo scivolare la sua mano lungo il suo corpo e facendolo fremere di desiderio.

Will non si fece pregare un secondo di più. I suoi baci divennero sempre più intensi e famelici, le sue mani la cercavano vogliose.

Sarah gemette di passione a ogni tocco del suo uomo e quando ebbero terminato, si lasciò andare contro il suo torace, felice come non mai di riaverlo di nuovo accanto a sé.
 
                                                                             ***

Afferrò il telefono e lo posò senza fare troppa attenzione sul tavolino di fronte al divano. 

Non aveva mai pensato di accettare davvero l’invito di Stephen, però quel giorno, osservando i resti di pizza sul lavello della cucina, si ritrovò a rimuginare su molte delle sue scelte. 

Quando aveva parlato con Lindsay al telefono quella mattina, la sua ragazza gli aveva fatto gli auguri di Natale, dopodiché si era prodigata nell'informarlo su ogni dettaglio riguardante il suo photoshot.

L'uomo l'aveva ascoltata con interesse. Ricordava ancora le prime volte in cui l'aveva accompagnata su un set fotografico. Si era accorto subito di quello scintillio nei suoi occhi, del modo in cui sorrideva. Aveva un'aura particolare intorno e per George era stato afrodisiaco starle accanto. Lindsay ben presto era diventata la sua oasi di serenità. 

Tuttavia, si era reso conto di aver commesso un errore: si era illuso di conoscerla meglio di quanto credesse, così aveva finito con il plasmarla secondo l'idea che si era costruito di lei.

Quando si era accorto che non era così perfetta come aveva immaginato era stato troppo tardi per tornare indietro.

L'amava, più di quanto le parole potessero esprimere, e avrebbe dato qualunque cosa possedesse pur di avere la dimostrazione che anche lei provava lo stesso. 

Sapeva che secondo Stephen era un pazzo a voler stare a tutti i costi insieme a lei, però non riusciva a farne a meno. Aveva bisogno di lei come se fosse ossigeno. 

Tuttavia, la telefonata della sua ragazza non era stata l'unica che avesse ricevuto quel giorno. Anche suo fratello sembrava aver stabilito che quella ricorrenza forzata fosse l'occasione giusta per rispolverare il loro rapporto. 

L'attore non ne era rimasto troppo sorpreso. Sapeva che Liam agiva sempre guidato dalle migliori intenzioni, ma questo non gli aveva impedito di sentirsi prudere le mani non appena l'altro gli aveva nominato il loro genitore. 

Nonostante volesse bene a suo fratello, se l'avesse avuto davanti, non avrebbe esitato nel tirargli un bel gancio destro.

Secondo Liam la sua rabbia nei confronti del padre era alquanto eccessiva; forse non era stato un genitore modello, però non aveva fatto nulla di irreparabile!

Quelle erano state le sue esatte parole e George, udendole, aveva tenuto il suo iPhone così stretto che le nocche gli erano divenute bianche.

In ogni caso, ormai aveva imparato a mettere da parte le proprie riserve quando parlava con il fratello e, indipendentemente da ciò che il diretto interessato poteva pensare di lui, non avrebbe mai fatto nulla per distruggere il loro legame. Anche se lui e suo padre non avevano più niente da spartire, questo non significava che Liam dovesse andare  incontro alla medesima sorte. Non c’era alcun bisogno che conoscesse una verità che non sarebbe mai stato in grado di superare.

«Ho capito che non vuoi affrontare il discorso, ma non potreste cercare di appianare le vostre divergenze? Non ti sto chiedendo di andare a trovarlo, ma solo di fargli una misera telefonata», proseguì Liam.

George non replicò e il suo interlocutore sembrò interpretare quel silenzio come una resa.

«Dopotutto è ancora nostro padre, che tu lo voglia o no, e sono sicuro che gli farebbe piacere sentirti, specie oggi».

A causa di quelle parole, l’altro sembrò riscuotersi dal torpore.

«Parli sul serio? Non mi pare di essere stato subissato di sue chiamate nelle ultime ore o negli ultimi anni», gli fece notare George, non provando neanche più a celare il suo astio.

Sapeva di aver gettato benzina sul fuoco durante la loro ultima riunione di famiglia, però – passata la collera – aveva immaginato che suo padre volesse rimetterlo al suo posto, o quantomeno ricordargli quanto c’era in gioco. Invece fra loro era sceso un muto silenzio.

La maggior parte delle volte quella situazione non gli dispiaceva, però sfogarsi contro di lui sarebbe stata un’ottima occasione per lasciar andare un po’ della sua frustrazione. Aveva fantasticato svariate volte sull’ipotesi di presentarsi a casa sua e di affrontarlo, ma aveva sempre desistito.

Si era raccontato di aver maturato quella decisione per Liam, tuttavia stava iniziando a pensare che l’unica ragione che lo tenesse ancora a distanza dal padre fosse la sua medesima sanità mentale.

C’erano stati tanti momenti in cui avrebbe potuto confidarsi con suo fratello, però alla fine non l’aveva mai fatto. Non amava mentirgli, ma la verità l’avrebbe ferito troppo, così come aveva sempre fatto con lui.

Certi demoni dovevano restare sepolti nel passato.

«Quindi non farai niente e lascerai le cose come stanno?», gli domandò Liam con voce rassegnata.

«Credimi, è meglio per tutti», aveva replicato George in tono secco.

Liam doveva aver compreso che continuare a insistere sarebbe stato fiato sprecato, così, dopo aver ciarlato del più e del meno per un paio di minuti, aveva salutato il fratello minore.

Quando il cellulare emise un suono vuoto, George sospirò di sollievo e cancellò la telefonata.

Non voleva aver nessun ricordo di quanto si erano appena detti.

Da ragazzino aveva pensato molte volte a come sarebbe stata la sua vita se sua madre non fosse morta, se il rapporto con suo padre non si fosse guastato, o semplicemente se fosse stato abbastanza egoista da raccontare ogni cosa a Liam.

Forse ci sarebbero state ancora quelle infinite cena pre-natalizie, o perlomeno si sarebbero riuniti tutti intorno allo stesso tavolo in varie occasioni durante l’anno.

Tuttavia, Elisabeth Wellington era stata il collante che aveva tenuto insieme i pezzi della loro famiglia e George sapeva bene che senza di lei niente sarebbe più stato lo stesso. L’aveva compreso nel medesimo istante in cui l’aveva persa e aveva letto quello stesso pensiero negli occhi di suo padre quando l’aveva guardato.

Forse se fosse stato più simile a Liam sarebbe stato in grado di passare sopra a tutto il resto, ma lui non era affatto somigliante al fratello. Avevano sempre avuto caratteri diversi fin da bambini e, crescendo, le loro differenze si erano fatte via via più evidenti.

Questo non gli aveva impedito di volersi bene, ma aveva anche posto un oceano di distanza fra di loro.

Quando il fratello gli aveva comunicato la sua decisione di trasferirsi per un anno in Australia, George non aveva fatto i salti di gioia. Dopo la morte di Elisabeth i due per un certo periodo avevano cercato di farsi forza l’un l’altro, ma Liam non voleva mettere in stand-by la sua vita per dedicarsi al fratellino. L’anno lontano da casa era poi diventato un trasferimento permanente e, pochi anni dopo, anche George se n’era andato.

Più la sua notorietà cresceva, più aveva iniziato ad allontanarsi dalla sua famiglia e, quando Liam aveva cercato di riprendere il loro rapporto, si era trovato di fronte un muro impossibile da scalfire.

Aveva fatto numerosi tentativi, ma non erano valsi a nulla, così complice il suo nuovo lavoro di allenatore di surf e la distanza materiale, l’uomo aveva desistito, lasciando che fosse l’altro a dettare le regole del loro rapporto.

Non si trattava di una situazione che uno dei due aveva cercato, ma ormai i loro contatti si limitavano a qualche telefonata sporadica e il solo che avrebbe avuto il potere di cambiare quella realtà non pareva aver alcuna intenzione di farlo.


Ciao a tutte!
Alla fine Will è riuscito a tornare a casa e a riabbracciare la sua Sarah. Forse qualcuna si aspettava una scenata di gelosia, ma ancora una volta l'uomo ha deciso di fidarsi delle parole della donna che ama, anche se non ha fatto i salti di gioia! 
Ma fino a quando sarà così comprensivo? 
Nel frattempo George continua ad aspettare il ritorno di Lindsay... Ci saranno novità anche per loro? Il mistero riguardo alla famiglia Wellington intanto si infittisce e spero di essere riuscita a incuriosirvi almeno un po'!
Liam comunque non pare disposto a lasciare in pace il fratello e fra qualche capitolo avrete modo di conoscerlo meglio. :)
Come sempre se mi lasciate un commentino non mi lamento!
A presto <3
Vale



 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


«D’accordo. Glielo dirò. Ti voglio bene anch’io, papà», disse Sarah, chiudendo la telefonata.

Era stata felice di apprendere che il pranzo organizzato da sua zia era andato così bene. Le era spiaciuto non trascorrere quella festività insieme a suo padre, ma in parte era convinta che il suo vecchio avesse preferito così.

Inoltre, la notte appena trascorsa era stata talmente appagante da renderle impossibile lasciarsi prendere da altri pensieri.

«Mio padre ti saluta», disse, rientrando in camera. «William Samuel Turner! Quello è un tablet?!», tuonò, lanciando un’occhiata feroce in direzione del suo ragazzo e del congegno che teneva poggiato sopra le cosce.

Lui fece un sorriso, che sembrò più simile a una smorfia.

«Scusa!»

Sapeva di averle promesso che il lavoro sarebbe stato un argomento off-limits almeno per quei due giorni, ma lo studio non sembrava essere della medesima opinione. Uno dei soci, infatti, gli aveva spedito una fitta documentazione, che necessitava di essere verificata entro un paio d’ore.

Sarah lo guardò storto, ma alla fine sospirò e si sedette accanto a lui, sul letto.

«Di cosa si tratta?», gli domandò.

«Soltanto dei fascicoli da controllare. Ci impiegherò al massimo un paio d’ore», le assicurò.

«Okay. Vorrà dire che andrò a fare una passeggiata», mormorò, rassegnata.

«Potresti restare qui», le propose lui, accarezzandole la schiena.

«Potrei, ma allora impiegheresti molto più di due ore per terminare il tuo lavoro», ribatté lei con un sorriso malizioso, scoccandogli un leggero bacio a fior di labbra. «Ci vediamo più tardi».
 
                                                                            ***

Si ritrovò a passeggiare nei pressi di Venice Beach senza neanche farci troppo caso e rimase ancora più sorpresa quando riconobbe una sagoma a dir poco famigliare venirle incontro.

«Sam!?», esclamò, guardando l’amica. «Non dovresti essere in Louisiana?», le chiese a bruciapelo.

L’altra scosse la spalle.

«C’ero».

«Che cos’è successo?»

«Niente di imprevedibile. Prima mia madre ha discusso con mia zia per l’arrosto – che secondo me era delizioso. Poi mio padre e mio fratello hanno litigato per chi dovesse tagliare il benedetto pennuto. Sono scappata prima di sapere l’identità dell’agnello sacrificale di oggi!»

Sarah ridacchiò.

Aveva ascoltato abbastanza racconti delle festività in casa dell’amica per sapere che qualunque evento poteva trasformarsi in un girone dell’inferno dantesco.

«Tu, piuttosto! Per quale motivo non sei a casa a intrattenere il tuo ragazzo? Credevo fosse tornato da New York ieri».

«A quanto pare il vostro studio ha un’idea molto astratta del concetto di giorno libero».

«Avresti dovuto nascondergli il tablet da qualche parte, o legare le mani di Will in modo da impedirgli di afferrarlo», le disse Sam, dopo che l’amica le ebbe esposto rapidamente i fatti. «Certo, questo avrebbe potuto rendere anche altre attività un po’ complicate!», aggiunse con una risatina allusiva.

«Sei proprio senza ritegno!», esclamò la diretta interessata, arrossendo.

Era abituata ai commenti poco celati di Sam, tuttavia erano ben poche le volte in cui questa consapevolezza le impediva di arrossire.

«Dico solo le cose come stanno», replicò. «Credi che possa rapirti per pranzo? Hanno aperto un nuovo locale a pochi passi da qui e muoio dalla voglia di provarlo».

«In effetti forse dovrei rientrare…».

«Se le scartoffie di Will hanno a che fare con il caso di New York credo che ne avrà per molto più di un paio d’ore. Inoltre, si merita di essere lasciato un po’ sulle spine, non ti pare?», aggiunse con fare cospiratorio.

«Okay. Mi hai convinta! Andiamo a provare questo locale. Ma offri tu».

«Ci sto».
 
                                                                        ***

Il Four Actually Restaurant si rivelò più affollato del previsto, così – dopo aver aspettato per oltre trenta minuti – le due ragazze decisero di trovare un altro posto dove pranzare.

«Non riesco a credere che tu mi abbia convinta a pranzare sul serio in un fast food», affermò Sam, guardandosi intorno con espressione sconcertata.

«Dai, non è poi così terribile ogni tanto!»

L'altra la fissò come se fosse matta.

Sapeva che non si trattava di un locale di lusso, tuttavia non le dispiaceva mettere da parte i pasti ricercati in favore di qualcosa di più confortevole.

Da adolescente durante l'ultimo anno di liceo era solita pranzare in un McDonald's vicino all'edificio scolastico una volta a settimana. Era una sorta di rituale per lei e le sue amiche.

Si erano più volte giurate che sarebbero riuscite a portare avanti quella piccola tradizione nonostante la scuola stesse per finire. Tuttavia, rendere quel semplice proposito effettivo, si era ben presto rivelato più complicato del previsto.

Tutte avevano preso strade diverse in college molto lontani l'uno dall'altro, quindi i loro contatti si erano ridotti a qualche telefonata sporadica e a una visita durante le vacanze di primavera.

Un anno dopo anche quelli erano venuti meno e quando si era riviste una volta laureate erano ormai divenute delle estranee. Sarah aveva tentato di riallacciare almeno il suo rapporto con Natalie quando erano tornate a Chicago e per un po' le cose avevano funzionato, però entrambe si erano rese conto di non essere più le stesse persone che si erano conosciute al liceo e di aver ben poco in comune.

Non avevano mai deciso di porre fine alla loro amicizia, ma era accaduto.

In ogni caso, l'aver appreso tramite suo padre che la sua vecchia compagna di scuola si era sposata e adesso viveva con suo marito in New Mexico le aveva fatto davvero piacere.

Inoltre, Sam si era dimostrata davvero un'amica preziosa. Non si erano prese subito, ma alla fine Sarah avevo dovuto ammettere che era veramente la persona speciale che il suo ragazzo le aveva descritto. 

Dopo che la sua amica le ebbe raccontato ogni increscioso dettaglio circa il Natale trascorso in compagnia della sua famiglia, Sarah le rivolse un sorriso magnanimo.

«Dai, non può essere stato tutto così terribile».

«Per fortuna ho avuto un appuntamento decente ieri sera». 

Sarah scosse la testa divertita.

«Chi è stato il fortunato?», le chiese, curiosa.

«Onestamente non ne ho idea. Non gli ho chiesto i suoi dati e di certo non gli ho comunicato i miei».

«Come puoi fare sesso con uno sconosciuto chissà dove?»

Sam scrollò le spalle. 

«È divertente. Zero coinvolgimento emotivo. Puro piacere», affermò. «Inoltre, potrebbe rivelarsi l’uomo della mia vita. Mai visto Grey’s Anatomy

«Dubito che il tipo si chiamasse Derek Shepherd», replicò Sarah, divertita da quel paragone.

«In effetti non somigliava al Dottor Stranamore», ammise la sua interlocutrice. «Comunque è piacevole: avresti dovuto provare. Prima di Will intendo».

«Un vero peccato non averci pensato!», commentò Sarah sarcastica.

«Tu invece cosa hai fatto la Vigilia lontana dal tuo ragazzo? Non dirmi che ti sei ritrovata a guardare vecchi film in televisione».

Sarah le lanciò un'occhiataccia.

«Perché siete tutti convinti che abbia guardato vecchie pellicole?»

«Perché sei prevedibile, tesoro. Non l'hai fatto?»

«Tutti insieme appassionatamente», ammise infine. 

Sam sogghignò.

«Però non ho trascorso la serata da sola davanti alla tv», precisò.

«Dal momento che io non c'ero, Will era a New York, tuo padre...».

Sarah la interruppe prima che iniziasse a nominare tutte le sue conoscenze, che a Los Angeles non erano ancora molte.

«Ero insieme a George». 

«Wellington? George Wellington?! La Vigilia di Natale?!»

Sarah annuì.

«Non dirmi che è stata una tua idea».

«Non è che avessi esattamente un’ampia scelta di compagnia, inoltre te l’ho già detto: io e George siamo amici».

Sam sembrò riflettere prima di replicare.

«Sbaglio, o George si è avvicinato un bel po' a te ultimamente? Forse sperava di concludere la serata in un altro modo».

«Giusto per la cronaca, si è di nuovo scusato per il suo comportamento».

«E tu gli hai creduto?»

«Sì».

«Sei troppo ingenua, Sarah».

«Non mi pare di vivere sulle nuvole, Sam», replicò lei.

«Non volevo dire questo, ma diciamolo: George ti è sempre piaciuto. Vorrei solo essere sicura che tu non sia portata a giustificarlo per le ragioni errate». 

«Non è quello che sto facendo, ma sono lusingata che ti preoccupi così tanto per questa faccenda».

«Quindi di cosa avete parlato tu e Mr Hollywood?», s’informò.

«Più che altro di lavoro».

«Un vero intrattenitore di folle!»

«E della sua famiglia», aggiunse Sarah.

«Questo pare più interessante», osservò la sua interlocutrice, assumendo una posizione più eretta sulla sedia e addentando una patatina ormai tiepida. «Cosa ti ha detto?»

«Non molto. Solo che non è un fanatico del Natale».

«Beh, allora cerca di tenerlo lontano da Will! Il tuo capo e il tuo ragazzo che si spalleggiano non sarebbero una bella combinazione per te», disse, facendole l'occhiolino. 

Sam portò nuovamente la conversazione su Will e sulla mole incredibile di lavoro allo studio legale dove entrambi lavoravano e Sarah fu più che felice di poter considerare chiuso l'argomento George.

Aveva compreso quanto fosse difficile per lui aprirsi con qualcuno e, per quanto si fidasse della sua amica, non le avrebbe detto niente di più di quanto l'uomo le aveva confidato.

Non sapeva se si fosse pentito di quanto le aveva raccontato, ma di certo non avrebbe girato il coltello nella piaga.

Le era parso piuttosto evidente che George fosse molto restio a rendersi vulnerabile e la ragazza non faticava a comprenderne il motivo.

Non si era mai soffermata a chiedersi davvero come dovesse essere vivere la vita che lui conduceva, ma nel suo piccolo aveva imparato a proprie spese quanto potesse costare abbassare la guardia.

La sua discussione con Misha durante lo spiacevole incontro dopo l’intervista a George era stata un episodio isolato, ma ogni volta che le balenava in mente non poteva fare a meno di sentirsi irritata.

Non osava neanche immaginare quante vicende simili dovesse aver sopportato lui.

Non le aveva detto quasi niente di nuovo, ma non aveva potuto fare a meno di notare la sofferenza che traspariva dai suoi occhi chiari. Non si trattava di cosa le avesse raccontato, quanto del modo in cui glielo avesse detto. Avrebbe potuto sviare le sue domande come aveva fatto lei all’inizio, eppure non ci aveva neanche provato. Era come se sembrasse volergliene parlare sul serio, ma qualcosa lo avesse frenato.

Forse Sam aveva ragione: non sarebbe mai riuscita a essere del tutto obiettiva su George. Una parte di lei sarebbe sempre stata portata a valutarlo con un metro diverso da quello che usava sugli altri e questo, se non fosse stata prudente, sarebbe potuto divenire molto pericoloso per svolgere il proprio lavoro nella maniera più professionale possibile.

Doveva assolutamente relegare la sua idea di George in un angolo e dimenticarsene.


Ciao a tutte!
Purtroppo la "luna di miele" di Sarah e Will è durata ben poco, visto che lui è già stato sommerso di lavoro. xD
Cosa ne pensate della chiacchierata fra Sarah e Sam? Nell'ultima scena che avevo dedicato loro quest'ultima era stata poco gentile nei confronti di George e di Lindsay, complici i suoi pregiudizi e il passato comportamento di lui.
Sam farà bene a mettere in guardia l'amica o sta solo cercando di creare zizzania fra lei e Will? So che qualcuna di voi propende per questa teoria!
Vi piace il soprannome che Sam ha dato a George? Mr Hollywood?
Intanto vi informo che il prossimo capitolo sarà interamente dedicato a lui. ;)
Baci
Vale

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Aveva quasi dimenticato cosa si provasse a star fuori alla luce del sole. I pochi giorni che aveva trascorso a Berlino erano stati frenetici e la modella aveva ricordato a pieno cosa significasse dedicarsi totalmente ai servizi fotografici ed essere il vero centro dell'attenzione.

Sapeva che molte sue colleghe cercavano di tenere separate la sfera privata da quella professionale, ma lei non aveva mai sentito l'esigenza di mantenere un profilo basso.

Non girava per strada con indosso una felpa col cappuccio, né occhiali scuri e non si lamentava quando veniva immortalata dai paparazzi.

Certo, non sentiva la necessità che chiunque fosse dotato di un accesso a internet e di un account su Instagram conoscesse ogni minimo dettaglio della sua vita, però poteva ritenersi alquanto soddisfatta di ciò che era riuscita a ottenere.

E in quella poco tranquilla mattinata di Gennaio il suo livello di compiacimento non poté che salire fino a toccare le stelle, mentre il suo ragazzo fece una delle cose che preferiva in assoluto. 

Avevano già fatto sesso due volte, ma di certo non si sarebbe tirata indietro per la terza. Anzi, non c'era alcun modo per iniziare meglio la settimana. 

Gemette di piacere, quando lui le accarezzò il ventre piatto fino a giungere al suo seno.

Credeva di essersi abituata a quel tipo di attenzioni, ma c'era qualcosa nella maniera, nella smania, con cui la cercava da renderle impossibile pensare ad altro mentre stava con lui.

I suoi capezzoli si irrigidirono sotto il suo tocco. Senza smettere di accarezzarla riprese a baciarla, mentre l'eccitazione di entrambi cresceva.

Il respiro di Lindsay si faceva sempre più irregolare mano a mano che la pressione esercitata dal contatto con il suo corpo aumentava. Era difficile dire dove finisse l'uno e cominciasse l'altro.

Era come se in quei momenti fossero parte di una sola identità. E quando George penetrò dentro di lei ne ebbe la più assoluta certezza.

La sua passione esplose e si aggrappò forte a lui onde sentirlo ancora più vicino.

Percepiva l'odore della sua pelle misto a quello del dopobarba che era solito usare e questo non fece altro che farla mugolare ancora di più di piacere quando lui iniziò a muoversi nella sua intimità.

Avrebbe desiderato protrarre quel momento all'infinito. Ogni carezza, ogni respiro, ogni bacio non l'aveva mai fatta sentire così amata.

C'erano stati molti uomini prima di George e anche qualcuno durante i suoi soggiorni all'estero per lavoro, ma di una cosa era del tutto certa: nessuno di loro l'aveva mai bramata quanto lui. 

Quando lui uscì rendendola di nuovo libera da quella gioia dolce amara, Lindsay non poté far altro che poggiare la nuca contro il suo torace, pienamente appagata. 

«Vorrei che tutti i giorni fossero così», gli sussurrò. 

Lui le accarezzò una guancia e la baciò.

«Non chiederei di meglio».

Il suo cuore batteva ancora forte. 

«Sei sicura di non voler venire stasera?», le chiese George.

«Di regola approfitterei di ogni occasione per sfoggiare un paio di Jimmy Choo su un red carpet, ma ho già detto a Brooke che ci saremmo viste».

George sospirò.

Sapeva bene che quando la sua migliore amica, nonché cugina, era in città non c'erano chance per lui di convincerla.

Inoltre, era felice che almeno lei fosse ancora così legata a un ramo della sua famiglia: anche se aveva ben pochi contatti con i propri genitori, voleva molto bene a suoi zii paterni.

Invece, nonostante quanto si era ripromesso, lui si era aggrappato a qualunque scusa esistente pur di non avere un faccia a faccia con suo fratello Liam qualche mese prima. 

«E poi mi affascina l'idea che migliaia di donne si domandino la ragione della mia assenza», aggiunse Lindsay con una risatina. 

Quando avevano iniziato a frequentarsi pubblicamente la ragazza non aveva potuto fare a meno di stupirsi di quante persone provassero l'esigenza di esprimere la propria opinione. Non si era mai preoccupata troppo di cosa pensava la gente, però non si sarebbe mai aspettata che la sua relazione divenisse un affare di stato. 

Aveva trovato la cosa un po' fastidiosa all'inizio, ma poi ci si era abituata. Ogni tanto era lei stessa a curiosare su internet per scoprire quale fosse il pensiero del momento. 

A quanto pareva la cerchia si divideva in due linee di pensiero diametralmente opposte: la prima li riteneva la Coppia perfetta, quella con la “c” maiuscola; la seconda, al contrario, non avrebbe disdegnato di investirla con l’auto.


«Comunque per chetare le malelingue ti prometto che domani mi avrai tutta per te per l'intera giornata», gli assicurò. «Adesso però sarà meglio che ti alzi. Non vorrei che Stephen piombasse qui e ci trovasse nudi».

«Dubito che gradirebbe tale visione. Ma sarebbe capace di trascinarci entrambi fuori dal letto senza sgualcirsi la giacca», affermò George.

«Non credo ce la farebbe», commentò Lindsay.

«Non lo conosci bene tanto quanto me, tesoro», la contraddisse lui.

Si baciarono un’ultima volta, dopodiché l’uomo scostò il lenzuolo di cotone bianco e si alzò.

«Sei sicura di non voler fare una doccia con me?»

«In quel caso, neanche Stephen riuscirebbe a farti arrivare agli studios in tempo».

«Beh, mi dispiace per te. Avevo appena avuto un’idea che credo ti sarebbe piaciuta».

«Vedi di tenerla a mente», gli disse.

«Oh, credimi. Non potrei mai dimenticarmene», le garantì lui con lo sguardo ardente di desiderio.

Per un attimo Lindsay pensò di cedere, ma sapeva bene quanto George odiasse arrivare in ritardo, per cui si limitò a contemplare il suo corpo scolpito e a ripensare alla notte appena trascorsa. 

Aveva commesso molti errori da quando stavano insieme, ma non si era mai soffermata a rimuginarci sopra. Non era nella sua natura analizzare tutto, tuttavia forse non era troppo tardi per sistemare le cose e per divenire la persona che lui meritava di avere accanto.

                                                                     ***
 
Erano bloccati nel traffico da almeno una decina di minuti e, nonostante l’aria condizionata e i vetri scuri, George riusciva quasi a sentire il calore del sole sulla sua pelle.

Si era tolto la giacca blu scuro griffata Burberry e l'aveva poggiata con cura accanto a sé, onde evitare che si sgualcisse troppo. Non poteva non rimpiangere la leggera camicia che aveva indossato durante la conferenza stampa quella mattina.

Era uno degli svantaggi dati dal vivere in una città in cui non esistesse una vera e propria stagione invernale: non sarebbe mai riuscito a sentirsi a proprio agio con un completo quando fuori il termometro indicava 25°.

Tuttavia, mentre fissava quella piccola immagine in bianco e nero, che Stephen gli aveva appena mostrato, non poté trattenere un sorriso.

Non riusciva a identificare niente, però l'espressione del suo agente gli era stata sufficiente a capire a pieno cosa, o per meglio dire chi, stesse guardando. 

«È troppo presto per conoscere il sesso», gli disse Stephen.

«Sono sicuro che ve la caverete, indipendentemente dal sesso», gli assicurò l’attore.

«Lo spero. Clara vorrebbe una femmina, ma io non sono molto sicuro di poter tenere testa a due donne in giro per casa! Me la caverei senz'altro meglio con un maschio».

George ridacchiò. 

«Se avrai una femmina ti darò man forte nel tenere a bada i suoi pretendenti in futuro», dichiarò, restituendogli la foto.

Stephen gli diede una pacca sulla spalla.

«Ti offrirai anche per farle il discorsetto

Capendo subito a cosa si stesse riferendo, George scosse la testa con vigore.

«Non mi spingerei mai così oltre. Però potrei assumere qualcuno per spaccare la testa a chiunque proverà a toccarla», rilanciò.

«Affare fatto».

«Sai, non credo di averti mai visto così felice prima d'ora», gli disse sincero. 

«Neanche tu sembri stare poi tanto male».

George sorrise.

Per la prima volta dopo tanto tempo tutto sembrava star andando nel verso giusto e l’uomo aveva l’impressione di trovarsi esattamente dove avrebbe dovuto essere.

Non aveva mai creduto molto nel fato, ma di recente aveva iniziato a convincersi che forse al di là delle discussioni, dei capricci, Lindsay potesse essere sul serio la persona con la quale era destinato a stare.

Neanche lui sapeva come avessero fatto ad arrivare a quel punto, però c'erano davvero.

«Tu e Lindsay potreste venire a cena da noi al tuo ritorno dall'Europa», gli propose Stephen. 

«Volentieri».

Aveva riguardato i suoi impegni con la sua assistente quella mattina e aveva compreso subito che anche stavolta non avrebbe avuto molto tempo per vedere davvero le città in cui si sarebbe trovato.

All’inizio della sua carriera aveva creduto che i tour promozionali sarebbero stati una piacevole vacanza; tuttavia, venuta meno l’iniziale soddisfazione per gli hotel di lusso e i viaggi in prima classe, si era reso conto che non sarebbe stato in grado di visitare niente durante quei soggiorni all’estero.

Il massimo che avrebbe fatto sarebbe stato sorridere per i fotografi e con un po’ di fortuna all’after-party non ci sarebbero stati soltanto i soliti ospiti poco graditi.

«Sai, mi sono reso conto che questa sarà la prima volta che non ti seguirò durante una promozione», disse a un certo punto Stephen, interrompendo il fluire dei suoi pensieri.

«Temi che non ricordi come si firma un autografo, o che non sia capace di rispondere a un paio di domande da solo?», commentò, ironico.

Stephen sorrise spontaneamente.

«So che non hai più bisogno di me da tempo per gestire la tua vita».

«Ah, non dire sciocchezze. Potrei sempre farti cambiare idea. In ogni caso, ci sarà Sarah a tenermi la mano e ad assicurarsi che non dica stupidaggini», gli ricordò, divertito. Poi aggiunse più serio: «Avevi ragione a volerla assumere. L’avevo giudicata male».

«Dovresti ascoltare il tuo vecchio agente. Anni e anni di saggezza a tua disposizione. Che cosa ha fatto per farti mutare opinione così in fretta?»

«Niente in effetti».

Era la verità, eppure c'era molto di più. Non si trattava di cosa lei gli avesse detto – nonostante venire a conoscenza di quei dettagli sulla sua infanzia l'avesse toccato – ma del modo nel quale sia era sempre comportata nei suoi confronti.

Non aveva approfittato della sua vulnerabilità neanche per un istante e, cosa ancor più sorprendente, non gli aveva rinfacciato nulla. Non una parola, non un gesto.

Sarah lo aveva ascoltato come se le importasse davvero dei suoi sentimenti. Si era comportata da amica fin dal primo momento e lui era stato abbastanza sciocco e prevenuto da voler a tutti i costi trovare del marcio anche dentro di lei, senza accorgersi di trovarsi di fronte una delle poche persone prive di scheletri nell'armadio. 

«Ha sorpreso anche me», ammise Stephen.

Non era certo di aver preso la decisione giusta nel costringere George a quella convivenza forzata, ma, alla luce dei fatti, Sarah si era dimostrata più competente che nelle sue rosee aspettative. Inoltre, era piuttosto convinto che fosse un bene per l’attore avere qualcun altro di cui potersi fidare.

Non poteva ancora mettere la mano sul fuoco su di lei, però era abbastanza certo che non ci fosse niente in quella ragazza che avrebbe potuto costringerli a mutare opinione.

«Ce la caveremo anche senza di te. Dovresti pensare soltanto a tua moglie e al piccolo in arrivo, Stephen», proseguì George. «Non vorrai sprecare le tue energie continuando a preoccuparti per me?»

«So bene quanti pasticci sei in grado di combinare», affermò con un sorriso paterno.

«Mr Olsen, siamo arrivati», comunicò l'autista in tono professionale, accostando l'auto vicino al marciapiede e interrompendo così i suoi pensieri.

«Grazie, Thomas», disse Stephen.

George si rimise la giacca e, dopo essersi scambiato un'occhiata d'intesa con il suo agente, aprì lo sportello e uscì. 

Non appena furono fuori dall'auto scoppiò il putiferio. 

La maggior parte delle persone si sarebbe sentita schiacciata da quelle grida, dagli spasimi, ma l'attore ormai vi era talmente abituato da trovarle normali. 

Prese il pennarello che il suo agente gli stava porgendo e, seguito a breve distanza da uno dei bodyguard dal viso noto, Oliver, George si avvicinò alla folla di fan in delirio.

La prima volta che si era trovato immerso in quel girone infernale non aveva potuto fare a meno di sentirsi euforico. Aveva diciotto anni e l'idea che tutte quelle ragazze fossero lì per lui, che avessero trascorso moltissime ore lì pur di vederlo per qualche minuto l'aveva fatto sentire importante.

Con il passare del tempo tutto era diventato una semplice routine e ogni magia si era spezzata.

Avrebbe volentieri fatto a meno di tutto quel clamore, ma c'erano ancora molte cose su cui non aveva alcun potere e soprattutto doveri contrattuali a cui non poteva sottrarsi. 

Sorrise distrattamente a una delle ragazze che gli stava porgendo una sua foto per l'autografo.
Firmava senza neanche rendersene conto. Ogni tanto Oliver gli faceva cenno di muoversi, di proseguire. 

Posò per qualche foto con le fan. Cercò di scambiare qualche parola con loro, dopodiché le salutò con un cenno della mano, rivolse un ultimo sorriso al bagno di folla e seguì il suo agente dentro gli studios del Jimmy Kimmel Show.
 

Ciao a tutte!
Dopo molti giorni di assenza finalmente George ha potuto riabbracciare Lindsay ed è indubbio che la modella gli sia mancata parecchio. xD
Durante il suo soggiorno in Germania anche la ragazza pare aver avuto modo di riflettere e sembra aver maturato la decisione di dare qualcosa di più a George, che finora si è costretto a piegarsi spesso ai suoi voleri per il quieto vivere.
Ma Lindsay sarà davvero capace di mantenere fede ai suoi propositi? O farà soffrire ancora George?
E Sarah sarà sul serio priva di "scheletri nell'armadio" come pensa lui?
Ormai soltanto un paio di capitoli ci dividono da una grande svolta, che cambierà molte delle carte in tavola!
Se voleste dirmi che cosa ne pensate finora, che cosa vi piace e cosa eventualmente vi ha convinte meno ne sarei felice, i pareri sono sempre importanti per migliorare! :)
A presto
Vale <3 

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Erano trascorsi svariati mesi dall'ultima volta in cui Sarah aveva avuto il “piacere” di incontrare i genitori del suo ragazzo e non poteva dire in tutta onestà di averne sentito la mancanza.

Anche se era riuscita a farsi accettare dai Turner, era conscia che la madre di Will avrebbe gradito tutt'altro genere di nuora.

La ragazza aveva fatto il possibile per ingraziarsela, ma Margaret era un osso duro e ogni punto che credeva di aver segnato in suo favore poteva ben presto divenire un'arma a doppio taglio. 

L'unica differenza fra lei e Will era che non era ansiosa di compiacere la possibile futura suocera mostrandosi accondiscendente e se questo significava non essere la prima persona sulla lista delle sue preferenze poco importava, infatti, la stima che Mr Turner nutriva nei suoi confronti era più che sufficiente per entrambi.

Si era domandata alcune volte come si sarebbe comportata sua madre nei confronti di un ipotetico ragazzo, ma non aveva avuto modo di scoprirlo. 

C'erano momenti in cui ancora sentiva la sua mancanza, però non avrebbe perso ulteriore tempo a immaginare scenari che non avrebbero mai potuto realizzarsi.

Credeva veramente in quello che aveva detto qualche settimana prima a George: non rimpiangeva la vita che sua madre avrebbe potuto darle. Quello che aveva era più di quanto avrebbe mai potuto chiedere. 

Ovviamente non avrebbe disdegnato che Will fosse rimasto vicino a lei per tutta la durata del loro soggiorno in Connecticut, tuttavia il suo ragazzo e suo padre erano dovuti andare a Hartford per sbrigare alcune commissioni e con suo sommo dispiacere non parevano intenzionati a rincasare presto.

Erano già trascorse due ore da quando si era allontanati dalla villa e Sarah non sapeva più a quale discorso aggrapparsi per portare avanti una conversazione neutra con Margaret.

Paradossalmente avrebbe preferito discutere di auto con Dennis, ambito del quale non comprendeva nulla.

Aveva già propinato quasi tutti gli argomenti che si era preparata e stava iniziando a raschiare il fondo del barile. 

Non erano molti gli interessi che le due donne avevano in comune. La madre di Will amava dedicarsi al giardinaggio e alla cura della casa, mentre lei... Beh, non era esattamente l’esatta copia di una casalinga degli anni cinquanta. 

Tuttavia, se avesse potuto prevedere dove la seguente frase pronunciata dalla padrona di casa l’avrebbe portata, non avrebbe disdegnato di conversare per l’intero pomeriggio di bignè e macarons.

«Michelle, una delle figlie della sorella di mio marito, ci ha appena annunciato di essere in dolce attesa», le comunicò Margaret, versandole una tazza di tè.

Sarah ne bevve un sorso, sperando che la conversazione si esaurisse da sola.

Tuttavia, la sua interlocutrice non pareva essere del medesimo avviso.

«Il tempo continua a passare, cara. Forse tu e mio figlio dovreste iniziare a pensare all'idea di allargare la famiglia».

Sarah per poco non si soffocò con il tè.

Sapeva che prima o poi quell'argomento sarebbe venuto alla luce, ma dal momento che non ne aveva mai parlato approfonditamente neanche con il suo ragazzo non le sembrava il caso di affrontarlo proprio con la persona che nutriva meno simpatia nei suoi confronti.

Inoltre, dubitava che la madre sarebbe stata entusiasta della sua linea di pensiero.

«Siamo entrambi molto impegnati con il lavoro, non credo sia un buon momento per assumerci una responsabilità del genere», le disse infine. scegliendo accuratamente le parole. 

«Sai, ritengo che la primavera sia la stagione migliore per i matrimoni, non sei d'accordo? I fiori, i profumi, il sole. In quel periodo tutto acquista una nuova luce, non trovi?»

Sarah cercò di non prendere la teiera e versarle il contenuto in testa. 

Non aveva voglia di dirle quello che pensava davvero, perché non aveva mai avuto il coraggio di ammetterlo neanche con Will. Tuttavia, la verità era che non si era mai immaginata nelle vesti di madre. Non era ciò che desiderava ed era piuttosto certa che non avrebbe mutato idea. Amava Will con tutto il cuore, ma aveva compreso che forse non avrebbe mai voluto dargli un figlio.

«Los Angeles non è certo il posto giusto per crescere dei bambini», proseguì la sua interlocutrice. 

«Margaret, non vorrei sembrati sgarbata, ma dei figli non sono il primo dei nostri pensieri in questo momento».

«Quindi il tuo nuovo lavoro ti soddisfa?», le domandò, bevendo un sorso di tè.

La ragazza annuì con decisione.

«Non è quello che avevo immaginato di fare, ma non posso lamentarmene».

«Non mi intendo molto di star system, ma credo sia tutto molto frenetico».

Sarah non comprese dove la signora volesse andare a parare fino a quando non notò le sue guance colorarsi di un leggero strato di rosso.

Non ricordava di averla mai vista nervosa, o in imbarazzo per qualcosa. Dopo averla conosciuta, infatti, Sarah aveva compreso da quale dei due genitori il suo ragazzo avesse ereditato la sua proverbiale calma e il sangue freddo. 

«Non dev'essere semplice lavorare per una celebrità del calibro di George Wellington. Immagino che ti rivolga richieste assurde!»

«Contrariamente a quanto si pensi in realtà George è molto gentile e affabile», le garantì. «Comunque credo che non esiga cose eccezionali dalla sua assistente», aggiunse la ragazza per ricordarle che lei si occupava di mass media e non di caffè. 

«Quindi è una piacevole compagnia?», insistette in tono civettuolo. «È un po' imbarazzante alla mia età, ma ho visto molti dei suoi film e trovo assolutamente ingiusto che non abbia ancora ricevuto nemmeno una menzione agli Oscar!», continuò sotto lo sguardo sbigottito di Sarah.

Dunque la madre di Will, l'imperturbabile signora del maniero, aveva una cotta per il suo datore di lavoro?!

Non avrebbe mai fantasticato di trovarsi in una situazione del genere. Forse aveva sbattuto lei la testa contro la teiera. 

«Non avrà ancora l'esperienza di un Di Caprio – altro che avrebbe meritato quel premio – ma è oltraggioso che quell'uomo non sia neanche stato menzionato per Dark River».

A quel punto Sarah realizzò che forse c'era qualcosa che lei e la madre avevano in comune e dovette trattenere una risatina.

Era sicura di non pensarla come lei su nessun argomento, invece, George le aveva offerto qualcosa su cui in una circostanza diversa avrebbero potuto dibattere con serenità.

«Lo credo anch'io», disse in tono neutro. Poi aggiunse: «Se non avete altri impegni, potrei far inserire i vostri nomi fra quelli degli ospiti alla premiere di New York fra qualche settimana».

«Veramente?»

«Certo, non è un problema».

«Beh, dovrei parlarne con mio marito, ma se il lavoro glielo permette...!»

Sarah le sorrise, cercando di non sghignazzare, ma prese nota di ringraziare il suo capo per quella provvidenziale assistenza non prevista. 

                                                                        ***
 
Intanto dall’altra parte degli Stati Uniti, George stava avendo una quasi piacevole conversazione con il noto presentatore televisivo.

Era stato ospite di quel programma per la promozione di quasi ogni suo film, tanto che ormai conosceva quasi a memoria la scaletta.

Tuttavia, non sarebbe mai riuscito ad abituarsi alle consuete urla che accolsero il suo arrivo. Con il tempo aveva imparato a non trovarle fastidiose, ma continuava a domandarsi quale bisogno ci fosse di perdere un polmone in quella maniera.

Dopo aver salutato il pubblico con un semplice cenno della mano e un sorriso, strinse con decisione la mano di Kimmel e si accomodò sulla poltrona di pelle nera posta di lato alla scrivania di mogano.

«George Wellington, signori e soprattutto signore!»

L’attore guardò nuovamente nella loro direzione.

«Anche se direi che non c’è bisogno di presentazioni. Sapete, stamattina quando sono arrivato qui ho visto letteralmente una folla di ragazze fuori dagli studios e ho pensato: “sicuramente sono qui per me!” Poi ho realizzato che stavano aspettando te», gli disse Kimmel, accompagnando le sue parole con un gesto esplicito della mano.

«Ne sei sicuro?», gli domandò George.

«Beh, ho verificato e una delle presenti mi ha detto a chiare lettere che non aveva la più pallida  idea di chi fossi».

Il pubblico, udendo quelle parole, scoppiò a ridere.

«Bene, vedi? Dirigo questo programma da un numero indicibile di anni e ancora si domandano cosa faccio qui», dichiarò. «Ma veniamo a noi. Questa è la sesta volta che sei ospite qui…».

«Veramente è la settima», lo corresse garbatamente l’attore.

«Ah? Vedete questo è uno dei segnali che mi invitano a imitare Letterman e a regalare lo show a qualcun altro. Forse quella volta hai parlato con un altro?»

«No, potrei giurare che eri proprio tu. Forse hai un gemello?»

«Non lo so, ma indagherò. Grazie, George».

Continuarono la loro gag, facendo sghignazzare i presenti a più riprese e finalmente Kimmel si focalizzò sulla ragione per cui si trovava lì. La promozione del film.

«In The Beauty in Her Lies interpreti un uomo che ha perso ogni cosa e si tramuta in un eroe per salvare la sua famiglia. Quanto è importante la famiglia per te?»

Senza lasciargli il tempo di rispondere, proseguì.

«So che hai girato quasi tutte le scene. Avevano licenziato lo stuntman?»

George rise.

«Era fuori budget», scherzò. «Mi sono allenato molto per essere in grado di farlo».

«Lo vedo», convenne Kimmel. «Sei in forma smagliante e sono sicuro che ogni donna qui la pensi nel medesimo modo!»

«Tutti i membri della crew sono stati molto disponibili e, credimi, non ero la persona più in forma sul set. Ma abbiamo lavorato duramente e spero che il nostro impegno sia ben visibile nel film», disse George. «Non volevamo portare in scena una società distrutta dalla miseria, ma un luogo dove è ancora possibile riscattarsi. Dove c’è ancora posto per l’amore, anche se spesso non si trova nei posti più scontati».

«Parlando di amore… Tu sei fidanzato con una bellissima e invidiatissima donna, Lindsay Brown».

George scosse la testa, fingendosi imbarazzato.

«Ah, mi spiace, Jimmy. Ma non parlerò di questo».

Dal pubblico si levò un boato. Chiaramente era uno degli argomenti più succosi che potessero trovare e di cui ogni presente avrebbe voluto sapere di più. Tuttavia, non aveva mai venduto la sua vita privata e le sue relazioni al miglior offerente e non avrebbe certo cominciato in quel momento.

Aveva già concordato con il suo interlocutore che la sua vita sentimentale era off-limits, per cui non si preoccupò per quel commento isolato.

Quando era arrivato a Los Angeles e il suo volto aveva iniziato ad apparire sulle copertine dei rotocalchi sembrava che chiunque fosse solamente interessato a sapere quale donna si rotolasse fra le sue lenzuola.

Quella situazione l’aveva divertito, poiché fino a poco prima le sue conquiste non erano state numerose come qualcuno si sarebbe aspettato. Aveva soltanto diciannove anni e aveva avuto soltanto due storie che all’epoca gli erano parse importanti e che in seguito aveva quasi messo nel dimenticatoio. Aveva fatto sesso soltanto con tre donne, ma non era trascorso molto tempo prima che arrivasse la numero quattro e tutte quelle che ne erano seguite.

Probabilmente se qualcuna di loro gli fosse apparsa davanti avrebbe stentato a riconoscerla.

«Sei un gentleman fino in fondo. Mi dispiace, signore. Io ci ho provato! Potete continuare a invidiare la sua adorabile fidanzata, mentre guardate questa clip tratta da
The Beauty in Her Lies».

[Continua...]



Ciao a tutte!!!
Visto che questi capitoli sono strettamente collegati fra loro ho deciso di aggiornare un po' prima. :)
Sarah si ritrova a chiacchierare con la madre di Will e, proprio quando la situazione sembra star diventando insostenibile per lei, succede qualcosa che mai si sarebbe aspettata!
Cosa ne pensate della sua proposta? Will la troverà un'idea altrettanto buona? 
Intanto George pare piuttosto tranquillo durante l'intervista, ma sarà veramente così?
Nel prossimo capitolo scopriremo uno dei suoi segreti e... cambieranno molte cose!
Vi ringrazio per avermi seguita fino a qui! Spero sempre in qualche vostro commento. ;)
Aggiornerò martedì o mercoledì prossimo.
Buon week end!
Vale



 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Non era mai riuscito a superare la strana sensazione che provava nel rivedersi sul grande schermo, specie se tutto ciò avveniva sotto gli occhi di persone in totale adorazione per lui.

Estraniarsi da tutti loro per la maggior parte del tempo era divenuta un’ottima tecnica esistenziale per evitare di impazzire, o semplicemente di lasciarsi stravolgere da tutto ciò che aveva intorno, ma non gli era sempre stato così semplice rimanere coi piedi per terra.

Quando si era trasferito a Los Angeles gli era sembrato di trovare il Paradiso. Il suo nome era già abbastanza altisonante da permettergli l’accesso in qualsiasi luogo della città. Pareva che ogni regista, ogni singola persona che avesse conosciuto nella Città degli Angeli stesse aspettando proprio lui.

Era riuscito in breve tempo a ottenere ogni cosa che aveva sempre creduto di desiderare. Ed era stata a una di quelle feste esclusive nell’ancora più eclettico Chateau Marmont che aveva incontrato per la prima volta una delle persone che avevano cambiato tutto.

George si irrigidì pensando ad Austin.

In qualche modo erano andati subito d'accordo, nonostante non avessero poi molto in comune.

C'era stata solo una cosa a legarli: la fama. Entrambi si erano ritrovati sbattuti sulle pagine delle riviste da un giorno all'altro e darsi man forte era sembrata la cosa più naturale del mondo.

Con lui non aveva mai dovuto fingere neanche per un istante che tutto fosse normale, cosa che al contrario era sempre stato costretto a fare con Michael.

Austin gli era parso l’unica persona al mondo in grado di capirlo.

Aveva sempre incolpato Michael per la fine della loro amicizia, ma, guardando al passato con un minimo di obiettività, fu costretto a prendere in considerazione l’ipotesi di non essere del tutto esente da responsabilità.

Certo, non c’era alcuna giustificazione per il modo in cui il suo migliore amico l’aveva venduto ai paparazzi, ma forse se avesse gestito la situazione in modo differente non sarebbero mai arrivati a una frattura così netta.

Non aveva ricordi molto precisi di quel periodo, ma era conscio che lui e Austin erano riusciti a tirare fuori il peggio l’uno dall’altro e l'unica ragione per cui non si era mai ritrovato nella sua stessa situazione era stato Stephen. 

Il suo ex agente, Richard Campbell, non si era mai posto alcun tipo di problema: l'unica cosa che gli importava era che sorridesse ai fotografi, che fosse disponibile con le fan e che rispettasse i propri impegni con gli sponsor. Per il resto l'aveva lasciato libero di utilizzare il proprio tempo come preferiva senza perdersi in inutili chiacchiere.

Non aveva alcun interesse nei suoi confronti e quando si era accorto che era immischiato nello stesso affare di Michael l’aveva licenziato.

Si era rivolto a Stephen un paio di settimane dopo, quando ogni aspetto della sua vita sembrava star andando a catafascio.  

Non avrebbe mai immaginato di trovarsi in una situazione del genere, ma era successo. Non aveva più nessun appiglio che lo tenesse ancorato alla realtà. Chiunque avesse intorno gli permetteva di fare ciò che voleva e ben presto si era abituato a vivere in quella maniera, senza limiti.

Era arrivato al punto di non avere la più pallida idea di dove si trovasse per il 90% del tempo. In ogni momento non riusciva a far altro che pensare a dove non avrebbe voluto essere. I demoni che lui stesso aveva costruito minacciavano di divorarlo ogni singolo giorno e alla fine non aveva potuto far altro che soccombere di fronte a essi.

Probabilmente se Stephen si fosse limitato a svolgere il proprio lavoro non avrebbe potuto essere vivo per ricordarlo. 

George non era mai riuscito a spiegarsi perché l'uomo l'avesse preso tanto a cuore, però l'aveva salvato in un momento in cui lui non era più convinto di valerne la pena e non sarebbe mai stato capace di sdebitarsi per aver creduto in lui quando lui stesso aveva smesso di farlo.

Quando aveva appreso del decesso di Austin non ne era rimasto sorpreso, ma non era riuscito a non sentire nulla. Erano stati legati, anche se nel modo peggiore.

Non ripensava spesso al suo passato, preferendo vivere nel presente, o almeno cercando di farlo, e non riusciva a capire come mai quello sciocco pensiero fosse riaffiorato proprio in quel momento. Tuttavia, ci pensarono gli applausi del pubblico a riportarlo alla realtà.

«The Beauty in Her Lies», ripeté di nuovo Kimmel. «Uscirà nelle nostre sale fra due settimane».

George non disse nulla, aspettando che fosse il presentatore a chiamarlo in causa, cosa che avvenne dopo circa venti secondi.

«Ho sentito dire che Roger Wilson, che nel film ha un ruolo centrale per il destino del tuo personaggio, si è rotto un braccio durante l’ultima giornata di riprese. Spero che tu gli abbia mandato dei fiori!»

«Non ci crederai, ma non è un regalo faccio a tutti, Jimmy», replicò con un sorriso.

«A maggior ragione allora le signore qui presenti dovrebbero sentirsi onorate», dichiarò il l’uomo nel momento in cui cominciarono a distribuire delle rose fra i presenti.

Era stata un’idea a suo parere un po’ esagerata, ma dovette ammettere che tutti sembravano piuttosto estasiati dal gesto.

Jimmy proseguì con le sue domande sulle riprese, dopodiché lo congedò, dicendogli:

«Grazie per essere stato con noi, George», aggiunse.

«È sempre un piacere, Jimmy».

Salutò cordialmente l’uomo e, dopo aver sorriso ancora una volta ai presenti, uscì dallo studio, non senza aver prima stretto un paio di mani.

Si era chiesto molto volte come persone che non lo conoscessero affatto potessero essere così ossessionate dalla sua vita, o più semplicemente da lui.

Era consapevole di essere piacente, ma a volte si era domandato che cosa in lui potessero trovare così attraente. Forse era stato soltanto più fortunato di altri e per questo motivo aveva imparato a non dare più niente di ciò che aveva per scontato.

In ogni caso, la serata di gala a cui sarebbe stato costretto a partecipare avrebbe potuto considerarsi una punizione più che sufficiente per quella sera.

Aveva sempre detestato tali eventi in pompa magna, ma non gli era facile evitarli, specie quando Stephen premeva affinché partecipasse.

Non sentiva la necessità di esplicitare ciò che possedeva e neanche quella di sorridere a persone con cui avrebbe gradito non spendere un solo istante del suo tempo, però in nessun caso avrebbe potuto immaginare che quella che stava per affrontare sarebbe stata la serata più terribile di tutte.

                                                                            ***

Will le accarezzò i capelli con dolcezza. 

Quando suo padre gli aveva chiesto di accompagnarlo a Hartford per alcune faccende finanziarie non ne era stato entusiasta.

Non sentiva spesso la mancanza della residenza semi-isolata dove era cresciuto insieme alla sua famiglia. Aveva avuto un'infanzia serena lì, ma non gli era spiaciuto allontanarsi per cercare la sua strada al college.

Sua madre non gli aveva mai perdonato del tutto di essere andato così lontano e l'avvocato si era convinto che parte del suo risentimento nei confronti di Sarah fosse dovuto proprio al fatto di aver acconsentito subito a seguirlo.

Paradossalmente sembrava quasi che lei la incolpasse per qualcosa di cui non era responsabile: anche se lei non fosse entrata nella sua vita non sarebbe rimasto in Connecticut.

Tuttavia, quella sera a cena gli era sembrato che le circostanze fossero mutate.

Non c'erano state frecciatine, o allusioni velate da un sorriso educato. Sua madre era apparsa davvero entusiasta durante l'intero pasto e aveva rivolto alla sua ragazza solo sguardi di soddisfazione. 

«Sai, credo che tu mi stia nascondendo qualcosa», le sussurrò con voce roca. 

«Perché?», gli chiese Sarah, guardandolo incuriosita.

«È successo niente questo pomeriggio?», s'informò. «Fra te e mia madre». 

«Perché me lo domandi?»

«È stata cordiale e ha preparato la tua torta preferita, il che per lei equivale a un evento inimmaginabile».

La ragazza ridacchiò. 

«Beh, ho scoperto una cosa interessante oggi», ammise.

«Vuoi davvero tenermi all'oscuro? Perché conosco un ottimo modo per farti cambiare idea», le sussurrò con voce bassa e roca.

Senza attendere la sua risposta, iniziò a baciarla. Prima sul collo, poi scese giù fino sul seno.

Sarah sospirò. Era una tortura lenta e piacevole. 

«Vuoi che continui?»

«Non chiederei di meglio», mormorò lei.

«Andiamo, piccola. Di cosa si tratta?»

«George», sospirò infine lei.

Sentendola pronunciare quel nome, Will si tirò su e le lanciò un'occhiata interrogativa. 

«A quanto pare tua madre ha un debole per lui», proseguì.

Lui fece una smorfia.

«Così l'ho invitata alla prossima premiere a New York».

«Mia madre e George?!», esclamò dubbioso. «Ripensandoci avrei preferito non mi avessi detto nulla».

«Fino a poco fa ti sembrava una questione di vita o di morte», gli ricordò, divertita. «Quindi possiamo considerare l'argomento chiuso e riprendere da dove avevamo lasciato poco fa?»

«Direi proprio di sì. Ci sono molte cose che preferirei fare invece che parlare», dichiarò l'uomo, riprendendo a baciarla.

                                                                       ***
 
Sarah dormiva beata accanto a lui, ma, nonostante la passione con cui avevano fatto l'amore, Will non riusciva proprio a prendere sonno, perché c'era anche un'altra ragione che l'aveva spinto a tornare a casa quel week end. Un motivo che aveva confidato a suo padre quel pomeriggio e che ben presto (ma mai abbastanza) avrebbe rivelato anche a lei. 

Era stato semplice parlarne con il suo vecchio, ma sospettava che sua madre non sarebbe stata altrettanto entusiasta nell'apprendere che voleva chiedere a Sarah di sposarlo.

Margaret avrebbe cercato di convincerlo a cambiare opinione, ad aspettare di essere più sicuro.

Tuttavia, quello che sua madre non era mai riuscita a comprendere era che Sarah era la persona giusta. La sua anima gemella. Colei che non solo lo faceva sentire completo, ma lo spronava a diventare migliore.

Lei era quella che aveva sempre cercato. La sua non era stata un'idea improvvisa: aveva riflettuto a lungo e ormai aveva deciso. La voleva nella sua vita. Amava tutto di lei. Ogni dettaglio che forse altri avrebbero trovato insignificante, o superfluo. Non sarebbe mai riuscito a immaginarsi con una donna che non fosse lei e sperava di non doverlo fare. 

Aveva cercato in tutti i modi di frenare i propri desideri, di concederle il tempo per farla arrivare alla medesima decisione, però non poteva più aspettare e una volta tornati a Los Angeles gliel'avrebbe chiesto. 

«Ti amo», le sussurrò, chinandosi su di lei e sfiorandole i capelli chiari. «Per sempre».

Aveva acquistato l'anello un paio di mesi prima, mentre lei si trovava in Canada con George. Era un semplice topazio su una montatura d'oro bianco. Elegante, ma non vistoso. 

Le poche volte in cui sua madre l'aveva costretto ad affrontare quell'argomento gli aveva suggerito di regalare alla sua fidanzata uno degli anelli di famiglia, ma quando aveva conosciuto Sarah e aveva capito che fosse quella giusta si era reso anche conto che non avrebbe voluto portare uno di quelli. Serviva qualcosa di nuovo per lei, perché era la persona più straordinaria che aveva mai incontrato. 

Rassicurato dai suoi medesimi pensieri, chiuse gli occhi e poco dopo si addormentò. 

Tuttavia, il suo riposo durò ben poco, perché una ventina di minuti dopo un suono che non si sarebbe aspettato di udire a quell'ora lo svegliò di soprassalto.

Inizialmente pensò si trattasse della sveglia, ma erano soltanto le 1:15 del mattino.

Will cercò di ignorarlo, ma quel rumore non pareva intenzionato a chetarsi, così rassegnato accese la lampada sul comodino fino a comprenderne l'origine. 

Un telefono stava squillando, ma non si trattava del suo. 

Lo afferrò lo stesso e lesse il numero che lampeggiava sul display.

Stephen Olsen.

Per quale ragione cercava la sua ragazza a quell'ora?!

Senza perdersi in ulteriori indugi, prese la chiamata.

Sapeva di star agendo nel modo sbagliato, ma non poté farne a meno. 

«No, sono William», rispose bruscamente l'avvocato non appena udì la voce del suo interlocutore.

«Mi dispiace, so che è tardi, ma ho bisogno di parlarle subito», disse Stephen.

Parlava in tono grave e concitato e fu questo a fargli capire che non c'era tempo per tergiversare.

Si girò per svegliarla, ma si accorse che lo era già e lo stava fissando con espressione preoccupata. 

«Will?»

«È Stephen. È per te», le comunicò, porgendole l'iPhone.

Lei lo prese senza esitazione. 

«Stephen, cos'è successo? George sta bene?»

Silenzio dall’altra parte.

«No», sospirò infine l’uomo. «No, non sta bene».


Ciao a tutte!
Scusate per il ritardo nell'aggiornamento, ma mi sto preparando per un breve viaggio e sono alle prese con la valigia.
A quanto pare il week end a casa dei genitori di Will è andato piuttosto bene e lui pare ormai deciso a non lasciar passare altro tempo: è sicuro dei suoi sentimenti per Sarah e spera che lei accetti di diventare sua moglie. Che cosa risponderà lei? 
Intanto siamo venuti a sapere uno dei segreti sul passato di George... 
Tuttavia, la domanda è solo una adesso: che cosa sarà successo di tanto grave da costringere Stephen a chiamare Sarah a notte fonda??
Lo scoprirete nel prossimo capitolo! ;)
Dal momento che lunedì non ci sarò, il prossimo aggiornamento sarà il 23 Novembre.
Grazie come sempre a tutte coloro che mi stanno continuando a leggere. 
A presto
Vale

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Era stata di fronte al portatile di Will fino all'alba, mentre lui preparava i bagagli.

Avevano stabilito di trattenersi a casa dei suoi genitori per un altro paio di giorni, ma niente era andato come previsto e, dopo quanto aveva appreso, Sarah non aveva intenzione di restare lontana da Los Angeles per un minuto di più.

Margaret e Dennis si erano mostrati alquanto addolorati nell'apprendere la ragione della loro partenza improvvisa e per la ragazza fu strano pensare che probabilmente, se le cose fossero andare in modo diverso, quello avrebbe potuto essere considerato il primo week end decente a casa Turner. 

Non aveva discusso con la padrona di casa e forse sarebbe riuscita addirittura a farsi benvolere da lei per un motivo che non avrebbe mai potuto immaginare, lo stesso per cui doveva tornare a casa.

Aveva pensato a cosa dirgli per l'intero viaggio in aereo, ma non era riuscita a trovare niente, poiché era conscia che qualunque cosa gli avesse detto non avrebbe potuto restituirgli quello che aveva perso.

La donna che amava. 

Aveva incontrato Lindsay soltanto in un paio di occasioni e le erano stati sufficienti a mostrarle quanto fosse importante per lui. Non contava chi avesse intorno o con chi stesse parlando, lo sguardo di George si posava sempre e solo su di lei.

Non era sufficientemente ipocrita da poter affermare di aver visto il medesimo sentimento in lei, ma era consapevole di non aver avuto gli strumenti giusti per valutare il loro rapporto. Però se ci fosse stato un modo per cancellare quello che le era successo l’avrebbe trovato.

Non aveva potuto fare a meno di torturare la mano di Will per tutto il tempo del volo, mentre lui le accarezzava con dolcezza i capelli.

Erano trascorsi quasi sei mesi dalla prima volta che aveva rivisto George ed era inverosimile quanto le cose fossero mutate da allora. Quanto una persona che non avrebbe mai creduto possibile conoscere fosse entrata nella sua vita.

Quella sera quando lo aveva riaccompagnato a casa aveva commesso un grosso errore. Voleva sentirsi a tutti i costi più vicina a un uomo che non conosceva, che non le apparteneva, che non le sarebbe mai appartenuto e nell’inseguire quella fantasia a occhi aperti per poco non aveva rischiato di compromettere il suo rapporto con Will.

Non era mai riuscita a spiegarsi come fosse possibile provare dei sentimenti tanto contrastanti e complessi per qualcuno di cui non sapeva nulla, ma nell’istante in cui le sue mani avevano accarezzato il suo corpo, in cui le sue labbra avevano trovato le sue, non aveva potuto fare a meno di desiderare di ricambiare quelle attenzioni.

Era una certezza che le aveva fatto male e che il suo ragazzo non meritava. Si era sentita un mostro per quello che per un solo misero momento aveva desiderato fare. Era riuscita a frenare i suoi desideri e da quando aveva iniziato a lavorare per George non ci aveva più pensato.

Tuttavia, mentre parcheggiava l'auto nel vialetto di fronte alla villa dell’attore non poté che sentirsi agitata tanto quanto quella sera e forse persino di più, poiché stavolta sapeva bene cosa aspettarsi.

Non era ancora arrivata al portone quando questo si aprì e sulla soglia comparve Stephen.

Indossava una camicia bianca spiegazzata sopra un paio di pantaloni scuri. Era piuttosto sicura di non averlo mai visto con un capello fuori posto e questo dettaglio insignificante non fece altro che aumentare il suo disagio.

Probabilmente erano gli stessi indumenti che aveva addosso la sera prima.

«Ciao», la salutò, spostandosi su un lato per lasciarla passare. 

«Ciao», ripeté lei, varcando la soglia di casa.

La ragazza si guardò intorno, ma non vide alcuna traccia di George.

«Com’è andato il volo?», le chiese, gentilmente l’uomo.

«È stato tranquillo», mormorò lei. «Come sta George?», gli domandò abbassando la voce.

Stephen poggiò una mano sulla maniglia della porta e sospirò.

«Bene, considerate le circostanze. Si sta sforzando».

«Hai trascorso la notte qui?»

«Sì, non me la sono sentita di lasciarlo solo e non ha voluto saperne di venire da me. Siamo rientrati poco prima all’alba».

Fra lui e Lindsay i rapporti non erano mai stati distesi. Aveva cercato di convincere George ad allontanarsi da lei un'infinità di volte, però non avrebbe mai voluto che la loro storia finisse in quel modo. 

«I medici hanno fatto tutto il possibile, ma non c'è stato nulla da fare. Lui lo sa, però questo non cambia le cose».

«Mi dispiace davvero tanto, Stephen. Se c’è qualcosa cosa che posso fare…».

«L’hai già fatto. Ti ringrazio di aver fissato i dettagli per la commemorazione di domani. Non volevo che fosse lui a doverci pensare», disse l’uomo in tono grave e stanco.

Lei annuì appena.

Avrebbe voluto aggiungere altro, ma la voce le venne meno nel momento stesso in cui si accorse che c’era qualcun altro che stava ascoltando la loro conversazione.

All’improvviso ogni sua remora venne meno, poiché l’unica cosa che avrebbe bramato fare quando vide George a pochi metri da lei fu abbracciarlo, tuttavia, non appena provò ad avvicinarsi, lui si tirò indietro.

«Ciao», gli disse con gentilezza la ragazza, cercando di non fare troppo caso alla sua reazione.

«Stephen mi ha detto quello che hai fatto», affermò con voce roca. «Ti ringrazio. Non volevo rovinare il tuo week end», aggiunse.

«Non dire sciocchezze. L’ho fatto volentieri», ribatté Sarah, rendendosi subito conto di aver optato per una pessima scelta di parole.

«Ascoltate. Non vorrei sembrarvi irriconoscente, ma vorrei davvero stare da solo. Non è necessario che restiate qui».

«Ne sei sicuro?», gli domandò Stephen, poggiando una mano sulla sua spalla e guardandolo con fare paterno.

Lui annuì.

«Sto meglio, non preoccuparti», gli assicurò, sebbene nessuno avrebbe mai potuto credergli.

Stephen lo guardò per un istante negli occhi e qualunque cosa vi scorse lo convinse.

«D'accordo. Ma chiamami se ti serve qualcosa. A qualunque ora».

«Certo. Ci vediamo domani», disse, invitandoli così ad andarsene. 

Sarah comprese che non era il momento giusto per tentare un nuovo contatto con lui, così si limitò ad accennare un sorriso che l’uomo con apprezzabile sforzo ricambiò.
 
                                                                    ***

Non appena fu rimasto solo George tirò un sospiro di sollievo. 

Credeva in ogni parola che aveva rivolto a Stephen, però non ne poteva più di essere controllato a vista da lui e la presenza di Sarah non aveva fatto altro che incrementare la sua insofferenza. 

Afferrò il telecomando e spense il televisore. Poi fece un respiro profondo e si prese la testa fra le mani.

Persino respirare gli procurava dolore. Ogni secondo che passava si illudeva che ciò che sentiva sarebbe svanito, oppure che qualcuno gli avrebbe svelato l'inganno. Doveva essersi trattato di uno sbaglio e se non avesse visto e toccato la realtà coi suoi occhi forse avrebbe potuto crederci. 

L’idea del corpo martirizzato e freddo di Lindsay gli piombò addosso senza preavviso, o forse sarebbe stato più corretto affermare che non se n'era mai andata. 

Quando il suo telefono era squillato durante la cena non se n'era neanche accorto. Aveva risposto al secondo tentativo e le parole che aveva sentito pronunciare da una voce estranea gli erano risultate incomprensibili.

Aveva chiesto al suo interlocutore di ripeterglielo un’altra volta e solo allora era riuscito a realizzare che cosa fosse successo.

Los Angeles era nota per gli incidenti stradali, ma quante probabilità c’erano…

Probabilità.

Non erano mai state dalla sua parte.

Per tutto il tragitto in auto verso l’ospedale aveva cercato di chetare il suo animo, di non arrovellarsi la mente con ogni possibile eventualità. Forse le cose erano sembrate più gravi di quanto non fossero in realtà, forse lei non era rimasta ferita.

Forse…

Aveva percorso il lungo corridoio dalle pareti grigie con Stephen dietro di sé con il cuore in gola. Probabilmente avevano violato almeno una decina di norme stradali, ma non avrebbe potuto importargliene di meno. 

Quando erano arrivati nei pressi della sala operatoria un medico dai capelli brizzolati e con l’aria annoiata li aveva informati che era troppo tardi. Lei non c’era più.

Era stata quella l’unica frase che aveva capito prima che l’oscurità lo risucchiasse. Si era sentito le ginocchia molli e non aveva potuto fare altro che poggiare la schiena contro la parete.

Stephen l’aveva invitato a sedersi e aveva chiesto al chirurgo di allontanarsi, gesto per cui George non aveva potuto che essergli grato. L’ultima cosa che desiderava era che qualcuno lo vedesse così.

Avevano passato il resto della notte seduti su una delle tante sedie disposte nel corridoio prima che l’agente riuscisse a convincerlo ad andarsene da lì prima dell’arrivo dei fotografi.

George non era stato capace di esprimere a parole quanto avesse significato per lui la presenza di Stephen, eppure soltanto qualche ora dopo non sopportava più neanche di averlo vicino.

Il tempo pareva essersi fermato nell'istante stesso in cui aveva appreso che lei non c'era più, che non avrebbe più rivisto il suo viso, che non avrebbe mai più sentito la sua risata.

E, cosa ancora più importante, non avrebbe mai potuto dimostrarle quanto l'amasse. 

Fece un altro respiro profondo. Si sentiva mancare l'aria e aveva la nausea. Non ricordava di essere mai stato peggio.

Avrebbe desiderato vederla un’ultima volta, ma i medici erano stati categorici in proposito e alla fine si era lasciato convincere da Stephen a non turbare l’ultimo ricordo che aveva di lei con l’immagine di un corpo straziato. Il suo corpo. Quello della donna che amava.


Ciao a tutte!
Vi ho fatto aspettare un po' più del solito per questo capitolo, ma finalmente il mistero della strana telefonata di Stephen è stato svelato: Lindsay è morta.
Come reagirà George a questa tragedia? Sarà capace di permettere a Sarah e a Stephen di stargli vicino, o finirà con il chiudersi nuovamente in se stesso?
Di certo non si prospettano tempi facili per nessuno... ;)
Vi consiglio fazzolettini e cioccolatini per i prossimi capitoli! 
A presto
Vale 
Ps. 
Qualche volontaria per consolare il povero George?

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Finché non furono usciti dal vialetto della villa nessuno di loro parlò, lasciando che fosse soltanto il tenue suono della musica proveniente dalla radio installato nella macchina a riempire il loro silenzio.

«Spero di non portarti troppo fuori strada», disse a un certo punto Stephen.

«No, figurati».

In verità non aveva molta voglia di tornare a casa, poiché nonostante abbracciare il suo ragazzo fosse la cosa che desiderava di più, non si sentiva del tutto a posto all’idea di aver lasciato George da solo.

«Ti devo molte scuse, Sarah», aggiunse senza preavviso l’uomo seduto dal lato del passeggero. «Quando George mi ha raccontato cos’era successo ho pensato che se non potevo tapparti la bocca, la cosa migliore fosse tenerti il più vicina possibile. Non credevo avresti retto un mese».

Lei rimase imperscrutabile.

«Beh, grazie».

«Mi sbagliavo e adesso so quanto», asserì in tono grave.

Tuttavia, nella sua voce c’era anche qualcosa di diverso…

Riconoscenza forse?

«Sappiamo entrambi che non avevo molte altre alternative. Ho sempre saputo che non avrei mai ottenuto neanche un colloquio se non fosse accaduto nulla», ammise la ragazza in tono tranquillo.

«Allora abbiamo giocato allo stesso tavolo».

Lei accennò un sorriso.

«Non hai bisogno di scusarti, Stephen. Credimi, George si è già ampiamente giustificato per entrambi».

«Era una serata particolare per lui… e sono contento abbia incontrato proprio te».

La ragazza approfittò di quell’accenno velato per chiedergli ciò su cui stava meditando da tempo.

«Che cos’è successo fra lui e suo padre?»

Stephen ticchettò le dita sul sedile dell’auto, nervoso.

Aveva tentato molte volte di affrontare quell’argomento con George, ma non era mai riuscito a cavarne un ragno dal buco.

Non conosceva l’origine dei dissensi che si erano creati con la sua famiglia, tuttavia non occorreva un genio per comprendere che anche la sua insofferenza non avesse aiutato un riavvicinamento.

Aveva provato a fare da tramite almeno con suo fratello Liam un paio di volte, ma George era più testardo di un mulo. Alla fine aveva deciso che non era giusto forzarlo.

«Non può affrontare tutto questo da solo. Non dovrebbe», precisò Sarah.

Sapeva di non avere il diritto di giudicarlo, eppure non riusciva a scordare il dolore che aveva visto trasparire nei suoi meravigliosi occhi azzurri la vigilia di Natale.

«È più forte di quanto pensi, Sarah. Se la caverà».

La ragazza approfittò del semaforo rosso per guardare negli occhi il suo interlocutore.

«Sei orgoglioso di lui», affermò, leggendo l’espressione di Stephen.

«Ci conosciamo da molto tempo e ho già visto la sua tenacia. Non è soltanto uno degli artisti migliori che abbia mai rappresentato. È una delle persone migliori. È parte della mia famiglia».

Sarah non replicò, limitandosi ad annuire educatamente.

Aveva capito quanto i due fossero legati, ma non poteva fare a meno di considerare uno sbaglio quel silenzio.

Tuttavia, non era una decisione che spettava a lei. Solo George poteva scegliere chi avere nella sua vita, specie in quel momento.

«Beh, io sono arrivato», dichiarò l’uomo con un sospiro di sollievo quando scorse il profilo della sua casa.

«Stephen. Lui lo sa».

«Che cosa?», le chiese prima di scendere dall’auto.

«Quanto gli vuoi bene», gli disse. «Ci vediamo domani in chiesa».

                                                                            ***
 
Quando rientrò a casa quella sera Sarah ripose la giacca nel guardaroba e fu sorpresa di trovare il suo ragazzo con una chiave inglese in mano davanti al lavello della cucina. 

«Ehi, non ti avevo sentita», affermò Will con sorriso.

«Da quando abbiamo problemi idraulici?», gli chiese dopo averlo salutato. 

Will si tirò su e si sfregò le mani sporche sui jeans. 

«A quanto pare da oggi, ma credo di essere riuscito a trovare il guasto», la rassicurò in tono pratico. «Com'è andata da George?», le chiese, riponendo la chiave inglese nella scatola degli attrezzi ai suoi piedi. 

«Non lo so», mormorò, sedendosi. «È stato tutto molto strano». 

«Mi sorprenderebbe se tutto fosse normale, Amore», disse Will, prendendo posto accanto a lei e accarezzandole una mano, salvo poi rendersi conto delle proprie condizioni igieniche. «Scusa», le sussurrò.

Lei sorrise più apertamente.

«Sai, è alquanto inverosimile vederti impegnato nelle faccende domestiche».

Lui scoppiò in una risata. 

«Già, non amo sporcarmi le mani, ma non credo che sia possibile trovare un idraulico di sabato sera a Los Angeles. Non era un lavoretto difficile per fortuna». 

«Sei un uomo pieno di sorprese, Mr Turner», gli sussurrò lei, prendendogli il viso fra le mani e baciandolo con trasporto. 

Un po’ troppo trasporto.

«Ehi, va tutto bene?», le chiese con dolcezza. «Sei preoccupata per George?»

«Vorrei solo poter fare qualcosa per aiutarlo, o almeno per rendergli le cose più gestibili».

«La mia piccola crocerossina», sussurrò Will. «Hai provato a parlarne con quel tipo, il suo agente?»

Lei annuì. 

«Secondo Stephen gli serve solo un po' di tempo, però non sono sicura che possa essere sufficiente e credo che dovremmo almeno iniziare a pensare di cancellare il tour promozionale».

Will rifletté sulle sue parole per un attimo.

«Sei certa che sia una buona idea?»

«Non dovrebbe sobbarcarsi anche quel tipo di impegno adesso. Affrontare fotografi e giornalisti mi pare pretendere troppo».

«Forse... Però non mi sembra il genere di persona a cui può giovare stare con le mani in mano. Magari potrebbe aiutarlo concentrarsi sul lavoro». 

«Forse hai ragione», disse infine Sarah. 

«Non c'è una maniera corretta di affrontare il lutto, Sarah», proseguì Will, saggiamente. «Ascolta, cosa ne dici se adesso ti porto sotto la doccia e ti bacio ripetutamente fino a farti scordare questa orribile giornata?»

«Non potrei chiedere di meglio, Mr Turner», assentì lei.

                                                                          ***
 
Quella mattina quando aprì gli occhi Will si rese subito conto che la sua ragazza non era più coricata accanto a lui. 

Avevano trascorso tutta la notte abbracciati e l'avvocato non aveva potuto fare a meno di pensare a quello che era successo a George.

All’inizio non era stato entusiasta di apprendere che lavorasse per l’attore dopo ciò che aveva visto la sera in cui l'avevano incontrato fuori dal Blue High.

Tutto in lui sembrava urlare che fosse esattamente come la maggior parte dei clienti che era stato costretto a difendere ogni giorno da quando era arrivato allo studio legale. Sembrava arrogante, irresponsabile e assolutamente insofferente a chiunque avesse intorno.

Non gli era piaciuto il modo nel quale aveva trattato Sarah quella sera, tuttavia conosceva abbastanza bene la sua ragazza da sapere che era in grado di valutare una persona con le sue sole forze e se era così in apprensione per George doveva valerne la pena.

Inoltre, era stato costretto ad ammette che ogni volta in cui si erano visti dopo quella occasione l'attore era stato sempre amichevole e le sue scuse gli erano sembrate sincere.

Forse George era una persona migliore di quanto avesse mai pensato.

Tuttavia, qualunque fossero le sue colpe, Will non riusciva neanche a immaginare come dovesse essersi sentito nell'apprendere di aver perso per sempre la donna che amava.

Al suo posto probabilmente sarebbe impazzito. 

Sapeva che non era il momento giusto, ma non poteva più aspettare per chiedere a Sarah di sposarlo. Non poteva permettersi che la crisi passasse, poiché con ogni probabilità si sarebbero presentati nuovi imprevisti.

Non si era mai ritenuto un pessimista, era soltanto pragmatico e razionale: voleva che Sarah diventasse sua moglie e non poteva attendere il momento perfetto, poiché non sarebbe mai giunto. Poteva semplicemente prendere quello che già avevano e rendendolo speciale. 

Sbadigliò, dopodiché si alzò e andò in cucina, dove trovò la sua ragazza impegnata in una fitta conversazione telefonica.

«Sì, esatto», stava dicendo. «Non voglio fotografi né giornalisti nei pressi della chiesa. Dì a Clark che gli devo un favore. Sì. Ti ringrazio, Nicholas».

Chiuse la chiamata e bevve un sorso di tè. 

«Niente caffè stamani?», le chiese Will, abbassandosi verso di lei e baciandole i capelli.

Lei sorrise.

«Buongiorno», gli disse.

«Buongiorno», gli fece eco lui.

«Sono già troppo nervosa», ammise. 

«Andrà bene, Amore. Mi piaci quando sei autoritaria. È molto sexy».

«Credi di riuscire a passare?», gli domandò.
 
Lui si avvicinò alla credenza e si versò una tazza di caffè. 

«Temo che Jerry mi farà scontare ogni minuto di ferie, però dovrei riuscire a liberarmi almeno per un'ora». 

«Va bene». 

«Non credo di farcela per la cerimonia, ma prometto di passare al rinfresco. Anzi, sarà meglio che vada a vestirmi», aggiunse, afferrando la tazza.

«Non vuoi fare colazione?»

«Magari, ma vorrei sbrigarmi stamani. Mangerò qualcosa in ufficio».

«Come preferisci», mormorò lei, sbadatamente, riaffondando il naso sul suo iPhone.

«Sarah?»

«Sì?»

«Lo sai quanto ti amo?»

Lei si alzò e gli gettò le braccia al collo.

«Lo so», gli assicurò, baciandolo.

Avrebbe desiderato tenerla fra le sue braccia per sempre, poiché temeva che ogni cosa che amava potesse sfuggirli, proprio com'era successo a George, ma se fosse veramente arrivato in ritardo Jerry l’avrebbe spennato vivo.


Ciao a tutte!
Spero che il vostro week end sia andato bene. :)
Al momento la situazione è alquanto delicata e tutti gli occhi saranno puntati sul povero George...
Sia Sarah che Stephen sono terribilmente in ansia per lui. Cosa pensate potrà succedere al funerale? 
Inoltre, abbiamo scoperto che quale che sia il segreto della famiglia Wellington, George non ne ha fatto parola neppure con Stephen!
Anche Will è molto scosso per quanto è accaduto e per questo pare sempre più deciso su cosa desidera, ovvero trascorrere il resto della sua vita insieme a Sarah. Ma lei sarà dello stesso parere quando lui le porrà la domanda?
Dovrete aspettare ancora un po' per scoprirlo, adesso il palcoscenico è tutto per George. ;)
Grazie come sempre a chi mi sta seguendo (anche solo silenziosamente!) e a coloro che non si dimenticano mai di farmi sapere cosa ne pensano. ;)
A presto!

Vale

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Come Will aveva previsto la sua scrivania era sommersa di scartoffie. Non era stata una mossa furba chiedere un paio di giorni di ferie poche settimane dopo Capodanno, ma ormai non poteva certo tornare indietro.

Fissò gli appuntamenti più urgenti insieme a Melanie, la sua segretaria, dopodiché chiuse la porta del suo ufficio nella vana speranza che nessuno lo disturbasse.

Il caso Altman versus Webber era ormai a un passo dalla chiusura, tuttavia quello di Dawson versus Jensen pareva richiedere tutta la sua attenzione. Un amministratore delegato che cerca di derubare il suo socio e l'80% dei suoi azionisti non era qualcosa su cui si poteva eclissare, neanche a Los Angeles. 

Aveva riletto la documentazione un numero svariato di volte e, dopo averne parlato con uno dei soci, Martin, forse era riuscito a trovare uno degli errori di Jensen. Forse quella gente non avrebbe perso tutti i risparmi che aveva duramente messo da parte. 

Tuttavia, quella mattina non era il lavoro il primo dei suoi pensieri. Non aveva avuto il coraggio di confessare a Sarah che non aveva molta voglia di presenziare alla cerimonia funebre, né tantomeno alla successiva commemorazione nella villa dell'attore.

Immaginava che non fosse molto diversa dalla dimora in cui era cresciuto, ma non era certo quello a metterlo in agitazione.

Aveva sempre detestato le inutili frasi di circostanza che tutti ripetevano in tali situazioni e detestava dirle a sua volta, tuttavia quando varcò la soglia della residenza di George qualche ora dopo comprese per la prima volta il motivo per cui ognuno pronunciava quelle cose.

Non era per mettere a suo agio l'altra persona, o per dare loro conforto, ma per sentirsi meno ridicolo e goffo.

La sala era affollata di persone vestite più o meno elegantemente e alle pareti erano appesi dipinti (che non sembravano riproduzioni) di artisti dell'avanguardia italiana del primo decennio del Novecento. 

Diede un'occhiata intorno con discrezione e il suo sguardo si illuminò nel momento in cui vide Sarah.

Indossava un abito di seta nero con una sola spallina con sopra una giacca scura e un paio di decolté con il tacco alto. Nonostante la spiacevole circostanza non poté fare a meno di constatare che fosse bellissima. 

Stava conversando con un uomo di circa quarant'anni dall'espressione corrucciata. Sembrava un discorso tutt'altro che leggero e l'avvocato ritenne che fosse il caso di intervenire.

Non aveva mai considerato Sarah una damigella bisognosa di aiuto, ma per qualche ragione quel giorno di sentiva particolarmente protettivo nei suoi confronti.

Forse si stava soltanto lasciando auto suggestionare da ciò che era accaduto poco più di ventiquattr’ore prima. 

Will si schiarì la voce onde annunciare la sua presenza e si avvicinò a loro.

«Può scusarci un attimo, Smith», gli disse Sarah.

L'uomo annuì e si allontanò in silenzio.

«Sono felice che tu sia qui», gli sussurrò quando furono rimati soli, o almeno quanto potevano considerarsi tali in una casa piena di persone.

Lui le prese la mano e gliela baciò con delicatezza. Desiderava cullarla fra le sue braccia, però non gli sembrava il momento più adatto per quel tipo di effusioni.

«Ti avevo promesso che sarei venuto».

Sarah sorrise.

«Dov'è George?», s'informò l'uomo. 

«Poco fa stava parlando con gli zii di Lindsay», rispose lei, abbassando la voce. «I suoi genitori non sono riusciti a venire».

Will mantenne un contegno invidiabile, nonostante fosse scioccato.

Quale genitore manca al funerale di un figlio?

«Will, scusami. Devo scambiare due parole con Oliver, voglio essere sicura che là fuori stia filando tutto liscio».

«Certo, nessun problema», le assicurò lasciandola andare. 

                                                                        ***
 
Aveva quasi perso il conto di quante chiacchiere inutili aveva dovuto sorbirsi nell'ultima mezz'ora.

Non era rimasto sorpreso nell'apprendere che i suoi genitori non avrebbero partecipato: in tutto il periodo in cui lui e Lindsay erano stati insieme non li aveva mai conosciuti.

Chissà, forse era per questo che non gli aveva fatto troppa pressione affinché riallacciasse i rapporti con la sua famiglia. 

A volte certi legami potevano soltanto essere spezzati definitivamente. 

Bevve un sorso di scotch senza neanche sforzarsi di tenere viva l'ennesima conversazione superflua e piena di luoghi comuni.

Quello che era successo era terribile, come poteva essere capitato proprio alla dolce Lindsay... Non si trattava altro che di una continua ripetizione di bla, bla, bla privi di senso. O forse erano soltanto gli svariati drink che aveva ingurgitato a rendergli così insulso ogni discorso che sentiva. 

Ringraziò mentalmente il suo interlocutore quando si diresse a salutare un suo conoscente.

Aveva preteso che quella commemorazione fosse soltanto per pochi intimi, ma in realtà non ne conosceva neanche la metà. Erano solo persone che si era sentito quasi in obbligo di invitare poiché sapeva che a lei sarebbe interessato. Oppure tutto ciò che aveva appena pensato era una sciocchezza, poiché in fondo lei non era più lì per scoprirlo.

Qualunque cosa avesse fatto da quel momento in avanti sarebbe stato solo un suo problema.
Niente di più, niente di meno. 

Aveva parlato per qualche minuto con gli zii di Lindsay, Adelaide e Mark, e li aveva trovati gentili e addolorati.

Si erano incontrati qualche anno prima durante una breve vacanza alle Hawaii, dove abitavano, e aveva avuto la medesima impressione su di loro. 

Tuttavia, non aveva alcuna voglia di rimembrare il passato, o di pensare a quanto lei fosse straordinaria. 

Non voleva più pensare.

Svuotò l'ennesimo bicchiere fino a poco prima colmo di liquido ambrato e si accorse che qualcuno stava facendo un passo nella sua direzione. 

«Will», lo salutò con voce roca, passando le dita sull'orlo del bicchiere. 

Il suo interlocutore sembrava piuttosto a disagio e l'attore si sentì quasi dispiaciuto per lui. Non erano veri e propri amici e George immaginò che l'unica ragione per cui avesse fatto più di venti miglia nell'ora di punta fosse Sarah. 

«George, mi dispiace molto per la tua perdita», gli disse Will. 

Era una delle frasi più gettonate. Tuttavia, se solo avesse perso un istante del suo tempo a scrutare il volto dell'uomo di fronte a sé si sarebbe reso conto che l'avvocato pareva sincero. 

«Ti ringrazio», disse, invece, sbadatamente. «Sarah, mi ha detto che sei stato molto indaffarato in queste settimane», proseguì.

L'uomo annuì.

«Stiamo lavorando a un caso piuttosto complesso, ma dovremmo essere appena usciti dall'impasse», gli rivelò Will. 

«Beh, buon per voi», fu il commento di George.

Era stanco di quei convenevoli. Avrebbe soltanto desiderato sbattere tutti fuori da casa sua e rilassarsi.

Poggiò il bicchiere vuoto e lo scambiò con uno pieno non appena un cameriere si materializzò vicino a loro.

Ne bevve un lungo sorso, lasciandosi riscaldare la mente da quella piacevole sensazione di torpore. 

Will stava ancora parlando.

«Quindi dovremmo riuscire a concludere entro la prossima settimana», concluse l’avvocato.

George annuì appena. Non aveva idea di cosa stesse blaterando, ma in ogni caso anche da sobrio difficilmente sarebbe riuscito a decifrare una conversazione piena di termini legali.

Si era imbattuto in quanto di più simile durante le riprese di uno dei suoi primi film, ma quel periodo era solo un vago ricordo, probabilmente come lo sarebbe stato anche quel lungo pomeriggio. 

«Senti, ti andrebbe di accompagnarmi al buffet?», gli chiese a un certo punto l'avvocato. «Non vorrei approfittarne, ma ho saltato il pranzo oggi», aggiunse imbarazzato.

«Lo trovi in fondo sulla destra», lo informò George. «Scusami, ma ho ancora delle persone con cui parlare».

«Sì, certo».

«Grazie ancora di essere passato, nonostante il lavoro», gli disse l’attore e, senza permettergli di aggiungere altro, si allontanò da lui.

                                                                    ***
 
Dopo essere stata rassicurata da Oliver, Sarah rientrò in casa più tranquilla. Se non altro Clark aveva mantenuto la sua parola e aveva tenuto la stampa fuori dai piedi.

Un po’ di privacy era il minimo che poteva fare per aiutare George. Quando era arrivato in chiesa insieme a Stephen e a sua moglie Clara, aveva fatto quasi fatica a guardarla e la ragazza si era sentita molto dispiaciuta per lui.

Non si era seduta con loro, poiché onestamente non le sembrava che lui avrebbe potuto apprezzare. Tuttavia, nonostante si fosse ripromessa di non farlo, non era riuscita a staccargli gli occhi di dosso per l’intera durata della cerimonia.

Ogni suo gesto, ogni sua emozione pareva controllata, come se tutto ciò che stesse accadendo intorno a sé non lo toccasse neanche, come se non fosse lui ad aver appena seppellito la sua ragazza.

Avrebbe potuto ingannare chiunque, forse persino se stesso, ma Sarah temeva che internamente stesse molto peggio di quanto non volesse mostrare. Will aveva ragione: non era il genere di persona che amava farsi vedere debole, però non poteva fare a meno di controllarlo, aspettando il momento in cui ciò che voleva reprimere sarebbe venuto a galla.

Quando erano tornati alla sua dimora l’aveva visto parlare con una serie quasi infinita di ospiti e Sarah si era domandata come potesse esserne in grado. Al suo posto probabilmente l’unica cosa che avrebbe desiderato fare sarebbe stata rinchiudersi nella sua stanza fino a prosciugare le sue lacrime.

Lui, invece, sembrava soltanto un qualsiasi invitato a una festa. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare quale fosse la circostanza di tale riunione e Sarah non sapeva se esserne spaventata, o ammirata.

Scorse Will vicino al buffet e si avvicinò prontamente a lui prima di essere risucchiata nell’ennesima chiacchierata sulle terribili circostanze che avevano portato tutti a riunirsi lì.

«Ehi», la salutò lui, cingendole la vita con un braccio.

«Affamato?», lo stuzzicò.

Lui sorrise.

«Riunione nell’ora di pranzo», ammise, divorando una delle deliziose tartine al salmone.

Lei gli restituì uno sguardo magnanimo.

«Sei riuscito a parlare con George?», gli chiese poco dopo.

«Solo per qualche minuto», rispose Will. Poi aggiunse: «Cerca di fargli mangiare qualcosa. Mi pare abbia tutte le intenzioni di ridursi uno straccio».

Lei annuì seria.

«Scusami, tesoro. Ma devo proprio rimettermi in macchina adesso».

«Tranquillo. Non c’è problema».

«Ci vediamo stasera a casa», le disse, sporgendosi verso di lei e dandole un rapido bacio sulla guancia.
 
                                                                      ***

Dopo aver salutato il suo ragazzo, Sarah si guardò intorno alla ricerca di George, ma pareva essersi volatilizzato.

Forse era semplicemente salito al piano di sopra per prendere le distanze da quel chiacchiericcio. Stava per avventurarsi in quella direzione quando Stephen la bloccò.

«A quanto pare TMZ non ci ha preso molto sul serio», la informò in tono grave. 

«Stai scherzando, spero».

Aveva verificato soltanto una decina di minuti prima e Oliver le aveva assicurato che tutto era tranquillo.

Accidenti.

«Erano accampati qui fuori, probabilmente speravano di trovare qualche gossip succoso in una giornata come questa», commentò aspramente. «Comunque sono già stati allontanati. Non preoccuparti».

«In realtà stavo cercando George», ammise. «L'hai visto?»

«No, stavo parlando con Clara al telefono poco fa».

La ragazza studiò la sua espressione ansiosa.

«Va tutto bene?», gli chiese con gentilezza.

Stephen si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore. 

«Mi ha assicurato di sì», rispose. 

Sarah aveva capito che le era dispiaciuto andarsene dopo la cerimonia, tuttavia la sua era una gravidanza ad alto rischio e tutto quello stress non le faceva bene. Senza contare del caldo asfissiante che si respirava in quei giorni a Los Angeles. Nonostante fosse solo Gennaio il clima pareva quello di Giugno. 

«Sei sicuro di non voler tornare da lei? Posso restare io qui».

«No, ma ti ringrazio per l'offerta. Forse George è salito di sopra».

«L'ho pensato anch'io. Faccio un giro in cortile, tu puoi controllare là?»

«Certo».


Ciao a tutte e buona Immacolata (seppure con un giorno di anticipo)!!! 
Siamo arrivati al giorno del funerale di Lindsay e George pare non poterne più... 
Dove sarà finito? E chi sarà a trovarlo?
Intanto vediamo che pure in questa circostanza Will cerca di dimostrarsi il più solidale possibile, anche se forse l'attore non ha apprezzato molto la sua presenza.
Fino a che punto la morte di Linds ha distrutto George? E quanto potrà fare Sarah per aiutarlo?
Vi lascio con una bella serie di domande, che troveranno in buona parte risposta nel prossimo capitolo. :)
Ho intenzione di continuare a postare regolarmente il lunedì anche durante le feste e spero che mi seguirete!
A presto
Vale <3 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Forse lo stavano davvero trattando come un bambino, ma Sarah dubitava che stesse bene e più cercava di mostrarsi forte più lei temeva che stesse male. 

Trascorsero un'altra decina di minuti prima che riuscisse a lasciare la sala principale.

Non appena mise il naso fuori di casa si sentì meglio. Nonostante la villa fosse praticamente immensa, quel pomeriggio non le sembrava che ci fosse sufficiente spazio per ospitare tutti e a quanto pareva George doveva essere d'accordo con lei.

I suoi occhi impiegarono qualche secondo prima di abituarsi alla luce accecante del sole, ma quando accadde la prima cosa che vide fu lui. Era seduto su uno dei lettini collocati vicino all'ampia piscina e pareva completamente assorto nei suoi pensieri. 

La ragazza si chiuse la porta scorrevole alle spalle e si avvicinò con passo leggero.

«Ti ho cercato dappertutto», affermò Sarah.

Lui si voltò lentamente e parve impiegare un attimo per metterla a fuoco.

Will non aveva esagerato quando l'aveva avvisata che George era fuori controllo. 

«Beh, adesso mi hai trovato», commentò con voce strascicata, non riuscendo neanche a sostenere il suo sguardo. 

Aveva gli occhi vitrei ed era totalmente ubriaco. Aguzzando la vista Sarah notò una bottiglia di champagne poggiata ai suoi piedi. 

Non sapendo bene come comportarsi, decise di procedere per gradi e si sedette vicino a lui sul lettino.

L'attore la ignorò, troppo concentrato a fissare qualcosa che la ragazza non poteva vedere.
Aveva trascorso molto tempo con Lindsay a bordo piscina, semplicemente a guardarla mentre nuotava o prendeva il sole. Lei era l'unica ragione per cui quell'aggeggio si trovava lì.

Personalmente aveva sempre preferito la vastità dell'oceano a una bagnarola, ma lei non era mai stata del medesimo avviso. 

Ormai non ha più importanza, sentenziò, prendendo la bottiglia e bevendo un lungo sorso di champagne. 

Aveva iniziato a perdere la concezione del tempo, stava perdendo coscienza di sé e non avrebbe potuto esserne più felice. Qualunque alternativa gli sembrava preferibile all'essere se stesso.

«Forse dovremmo rientrare e magari mettere qualcosa nello stomaco», gli suggerì tranquilla.

«Sto bene qui, grazie», ribatté lui sgarbatamente.

Era stanco di dover rendere conto a chiunque di quello che faceva, era stufo marcio di essere costretto a controllare ogni sua azione. E soprattutto non sopportava più di dover ripetere che stava bene. Ogni volta che pronunciava quelle parole parevano perdere significato.

«Per favore».

Nonostante non nutrisse più interesse per niente e per nessuno di fronte al suo tono angosciato non poté restare indifferente.

Annuì e fece per alzarsi, ma gli girava la testa e nonostante le buone intenzioni si sentiva le ginocchia molli. Non realizzò di non riuscire neanche a stare in piedi finché non fu costretto ad appoggiarsi a lei per non ritrovarsi faccia in giù sul pavimento.

Sarah gli posò una mano sulla schiena e lo spronò gentilmente a camminare verso la porta scorrevole. La ragazza gli sfilò la bottiglia di mano e la ripose su una delle mensole della cucina.

Avrebbe dovuto ringraziarla, mostrarsi grato per ciò che stava facendo per lui, al contrario, non sopportava la sua presenza e non riusciva a capirne il motivo.

Posò la mano sullo stipite della porta e si appoggiò contro il muro.

Sebbene avesse chiuso gli occhi riusciva quasi a sentire lo sguardo preoccupato della ragazza su di sé.

Sarah non voleva rischiare che qualcuno degli ospiti lo vedesse in quelle condizioni, ma era conscia di non poter risolvere quella incresciosa situazione da sola, così dopo avergli dato un po’ d’acqua e averlo invitato a sedersi, tornò in soggiorno alla ricerca dell’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo.

                                                           ***
 
Mentre saliva le scale che portavano al piano di sopra, Sarah non poté che sentirsi sollevata. Aver congedato tutti si era rivelata la strategia migliore per permettere a George di avere un po’ di pace.

«Come sta?», chiese a Stephen, quando lo scorse nel corridoio.

Si era tolto la giacca e aveva arricciato le maniche della camicia.

Sembrava stremato.

«Andrà meglio domattina. Credo abbia solo bisogno di lasciarsi questa giornata alle spalle», rispose l’uomo, passandosi una mano fra i capelli.

«Pensi davvero che possa riuscirci?»

«Onestamente? Non lo so, Sarah».

La ragazza gli accarezzò gentilmente l’avambraccio. Non ricordava di aver mai visto Stephen così sconvolto e anche se ne aveva tutte le ragioni la sua espressione la spaventò.

Sapeva di non conoscerlo bene quanto lui, ma in quel momento l’unica cosa che desiderava era stargli accanto.

Stava per afferrare la maniglia della porta della camera di George, quando Stephen disse:

«Credimi, in questo momento qualunque cosa tu potresti dirgli non cambierebbe nulla. Al massimo rimedieresti un insulto».

Era consapevole che il suo interlocutore aveva ragione, tuttavia non riuscì a fermarsi, poiché ripensò alla prima volta in cui era stata in quella casa e al suo sguardo quando l’aveva supplicata di restare.

George era distrutto e soltanto perché era l’anniversario della morte di sua madre; come poteva lasciarlo nel momento in cui aveva perso la donna che amava?

Non importava quello che Stephen ritenesse più giusto, non poteva semplicemente tornare a casa come se niente fosse. Non poteva lasciarlo da solo con il suo dolore, neanche se fosse stato lui a chiederglielo.

Così, ignorando il suggerimento dell’uomo di fronte a lei, Sarah aprì la porta ed entrò.

La camera non era molto diversa dall’altra che aveva visto, ad accezione per i quadri appesi alle pareti color crema e alle spesse tende.

Lui era in piedi al centro della camera, stava armeggiando con i bottoni della camicia. La giacca era buttata ai piedi del letto in malo modo.

Onde guadagnare tempo e annunciare la sua presenza la ragazza la raccolse e la ripose con cura sul comò.

Poi si avvicinò a lui.

«Lascia, faccio io», disse in tono pratico.

George la fulminò con lo sguardo.

«Non ho bisogno del tuo aiuto», replicò fra i denti.

Tuttavia, Sarah lo ignorò e con mano esperta lo liberò dalla camicia. Poi gli sfiorò una guancia con la punta delle dita.

Lui rimase perfettamente immobile. Il suo tormento traspariva da ogni lineamento del suo volto. Era come se in quel momento non ci fosse più nessuna maschera, come se non avesse più la forza di mentire. Come se fosse stato svuotato di ogni energia che possedeva, come se potesse andare in pezzi se avesse osato dire o fare qualunque cosa superiore al continuare a fatica a respirare.

All’iniziò sembrò che volesse respingerla, ma le sue azioni erano lente, frenate dall’alcool e dal dolore, così fu costretto a cedere e si accasciò sfinito sul letto.

Si sentiva martellare le tempie, aveva le palpebre pesanti e il suo stomaco non pareva ancora essersi chetato.

«Non c’è bisogno che tu rimanga, puoi andare», le disse con voce bassa e roca.

Non voleva la sua compassione.

Sarah gli accarezzò gentilmente i capelli.

«Non sono qui per il mio capo, sono qui per il mio amico», gli sussurrò con voce chiara e penetrante.

George la guardò con aria di sfida, eppure non scorse pietà negli occhi della giovane, solo sincero affetto e preoccupazione. Più di quello che sentiva di meritare.

Lei si sporse su di lui e lo baciò sulla fronte sudata.

«Cerca di dormire un po’. Sarò qui per tutto il tempo», gli assicurò con calma.

Avrebbe desiderato ripeterle che non c’era bisogno che restasse, che poteva farcela da solo, che non la voleva lì, invece, si ritrovò ad aggrapparsi a lei come se fosse l’unico modo per non andare in pezzi.

Sarah lo accolse fra le sue braccia e lo lasciò sfogare. Non disse niente, limitandosi a tenerlo stretto a sé e sentendosi assolutamente inetta nel confortarlo.

Non c’era molto che potesse fare per farlo sentire meglio, ma non avrebbe lasciato che dovesse affrontare tutto quanto da solo.
 
                                                                     ***

Gli stava accarezzando i capelli da quelle che le sembravano ore. George si era addormentato con la nuca poggiata sul suo grembo. Il suo braccio le cingeva la vita, mentre l'altro era vicino alla sua coscia. In ogni altro momento quella situazione avrebbe potuto essere ritenuta intima, ma non quella notte.

Non era una posizione confortevole, però non voleva spostarsi.

Immaginava che sarebbe crollato subito, invece, aveva impiegato molto tempo per tranquillizzarlo. Alla fine, stremato dal dolore e dall’alcool che aveva in circolo aveva perso i sensi.

Non sapeva neanche se Stephen fosse rimasto, ma sospettava che anche lui non se la fosse sentita di andarsene. Tuttavia, non aveva sentito alcun rumore provenire dal piano di sotto.

L’unico suono che udì e che la riportò al presente fu quello della suoneria del suo iPhone.

Era Will.

«Piccola, stavo iniziando a preoccuparmi», le disse il suo ragazzo non appena udì la sua voce.

Possibile che si fosse dimenticata un’altra volta di avvisarlo? Se la situazione fosse stata diversa vi avrebbe trovato di certo un lato comico.

«Scusami, non sono riuscita a telefonarti prima», replicò lei, abbassando la voce.

«Non c’è problema. Sono appena rientrato. Pensavo che ti avrei trovata a casa».

Lo credevo anch’io, pensò lei.

«Mi dispiace di essermi trattenuto così poco, ma non ho potuto fare altrimenti. C'era troppo lavoro in ufficio e ormai devo essere finito sulla lista nera di Jerry!»

Nonostante tutto Sarah sorrise.

«Un giorno forse riuscirai a trovare il modo per andare d’accordo con lui», lo rimproverò.

«Ah, figurati. Si crede una divinità scesa in Terra. È impossibile compiacerlo».

La ragazza non poté dargli torto.

«Com’è andata là?», s’informò Will.

«Non troppo bene», ammise lei, lanciando un'occhiata involontaria a George. 

«Hai intenzione di rimanere ancora per molto?» 

«Io e Stephen non crediamo sia il caso di lasciarlo solo, non stanotte».

«Quindi la situazione non è migliorata dopo che me ne sono andato», commentò lui.

Non voleva mentire all’uomo che amava un’altra volta, ma Will lesse il suo silenzio nel modo giusto.

«Immagino che mi aspetti una notte solitaria», concluse tranquillo.

«Sei un angelo», mormorò lei.

«Va bene, non preoccuparti. Sarah…?»

«Sì?»

«Ti amo. Torna presto da me», disse lui con uno strano tono.

«Promesso».


Ciao a tutte!!!
Prometto che nei prossimi capitoli ci saranno anche scene pucciose e non mancheranno le battute divertenti, anche se il dolore non può sparire da un giorno all'altro. 
Parlando di questo capitolo invece proprio come temeva Sarah, George è esasperato, non ne può più di stare in mezzo alla gente e alla fine crolla. Per fortuna ci sono lei e Stephen a prendersi cura di lui, ma... basterà?
So che qualcuna si aspettava la comparsa a sorpresa di suo fratello Liam, ma in questo momento non credo che l'avrebbe aiutato averlo intorno.
Sarah decide di fermarsi lì per la notte e ancora una volta Will si dimostra il sant'uomo che è sempre stato finora: non le chiede di tornare a casa, non le rimprovera nulla perché ha visto coi suoi occhi la situazione e non sembra neanche troppo contrariato.
Ma sarà veramente così? 
Intanto Sarah pare essere l'unica per ora a riuscire ad abbattere le barriere di George, laddove neanche Stephen c'è riuscito.
Il prossimo capitolo ci porterà a New York un paio di settimane dopo questa scena, proprio durante la campagna promozionale, che riserverà più di una sorpresa!
Vi ringrazio come sempre per avermi seguito fino a qui e spero che la storia vi stia piacendo.
Alla prossima settimana per gli auguri di Natale!
Baci
Vale


 
 
 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Mentre toglieva alcuni capi dalla valigia, Sarah non poté fare a meno di ripensare alla prima volta in cui era stata a New York insieme ai suoi genitori. Era un ricordo che custodiva gelosamente, tuttavia quel magico Natale non era la sola cosa a cui legava quella città.

La grande mela, infatti, era anche il luogo dove un altro suo desiderio si era esaudito.

Lì aveva visto George e mai avrebbe immaginato che in un futuro neanche troppo lontano ci sarebbe tornata proprio insieme a lui. 

Era trascorse due settimane dalla scomparsa di Lindsay, eppure a giudicare dal comportamento dell'attore parevano passati già due mesi, o addirittura anni. 

Sarah aveva insistito affinché cancellasse, o almeno riducesse al minimo i suoi obblighi contrattuali, ma George era stato irremovibile nel persistere nel voler mantenere fede alla parola data, così quella sera la ragazza si trovava a fissare il panorama di Central Park pensando al suo passato e al suo futuro. 

Will era stato più attento e dolce del solito in quei giorni. Con ogni probabilità quello che era accaduto aveva scosso anche lui più di quanto non volesse ammettere. In più di un’occasione Sarah si era ritrovata a essere osservata dal suo ragazzo in maniera diversa e sapeva che ormai era solo questione di tempo prima che i suoi timori venissero portati a galla.

Aveva compreso che Will non aspettava altro che chiederle di sposarlo, eppure c'era qualcosa che le impediva di pensare con gioia a quell'idea.

Non aveva alcun dubbio sui suoi sentimenti e aveva la certezza che lui provasse lo stesso. 

Tuttavia...

Se legalizzare la loro unione avesse rovinato tutto? Era davvero necessario avere quel pezzo di carta?

Per lei non era altro che questo: un documento dal mero valore legale.

Però se era davvero così insignificante, perché non accontentare Will?  Ma era giusto doversi sforzare per renderlo felice?

Se c'era una cosa che aveva appreso dal matrimonio dei suoi genitori era che non si poteva costringere qualcuno a essere ciò che non era.

Aveva impiegato parecchio tempo per capirlo, ma, per quali e quanto gravi fossero state le colpe di sua madre, forse c'era stato anche qualcos’altro a spingerla ad andarsene.

Suo padre desiderava una famiglia, una normalità che lo aspettasse al suo rientro dalle missioni e per un po' era riuscito ad averla. Ben presto però sua madre aveva lasciato cadere la maschera e aveva smesso di fingere che fosse ciò che voleva, che loro fossero la famiglia che aveva scelto.

Semplicemente, non ce l'aveva più fatta e aveva preso la decisione più egoista: lasciare tutto, fuggire lontano da una vita che non poteva affrontare, da un'identità che non riusciva a sopportare. 

E la sua più grande paura, quella che non era mai stata capace di ammettere, era di essere proprio come lei. 

Non aveva mai avuto dubbi sul fatto che Will fosse l'amore della sua vita, però...

Era possibile che i loro sogni li portassero ad allontanarsi l'uno dall'altra? 

Si sentiva una sciocca irriconoscente per soppesare anche solo l'ipotesi di mettere da parte i suoi sentimenti dopo aver visto quanto George stesse soffrendo per aver perso Lindsay.

Non poteva rinunciare a Will, non importava quanto sarebbe stato difficile. Lo amava e avrebbero superato le loro divergenze insieme.

Dopo aver appeso un tubino nero dentro l'ampio armadio, Sarah si ricordò di aver scordato un'altra cosa molto importante. 

Prese il telefono e, sorridendo, ringraziò di aver controllato la sua agenda poco prima.

«Buon compleanno!», esclamò senza dare il tempo alla sua interlocutrice di ribattere.

«Tre anni e finalmente ti ricordi di me! Sono onorata!», dichiarò Sam, scoppiando a ridere.

Sarah le fece la linguaccia, ma la sua amica non poteva vederla.

«A cosa devo tanta premura?»

«Dovresti ringraziare la mia agenda».

«Lo sapevo! Sei un'amica terribile!», commentò. «Ti perdono soltanto perché sono di buonumore e so che sei stata impegnata in questi giorni». 

In effetti, lei stessa stentava a tenere il passo con i propri spostamenti. Quella mattina quando aveva aperto gli occhi prima di recarsi in aeroporto per un attimo aveva faticato a orientarsi.

Non era ancora abituata a quei ritmi serrati, e complice l’assenza di Stephen, aveva molto a cui pensare.

«Dove sei adesso? Ho visto Will a pranzo, ma non ne aveva idea».

Sarah ridacchiò.

«New York. Tornerò dopodomani».

«E come se la sta cavando Mr Hollywood?», s'informò Sam in tono leggero.

Sarah fece una smorfia. Date le circostanze avrebbe preferito che la sua interlocutrice smettesse di utilizzare quel soprannome. 

«Piuttosto bene».

«Quindi è come se non avesse appena seppellito la sua ragazza?», domandò, perplessa.

«Credo che non pensarci lo stia aiutando. Mi preoccupa l'idea di quello che potrebbe succedere quando il tour promozionale sarà finito», sospirò Sarah.

«Quindi la vostra idea qual è? Tenerlo occupato per mesi finché non sarà passato un ragionevole arco di tempo?»

«No, ovviamente». 

Sapeva che non era una soluzione fattibile.

«Tesoro, scusami. Devo proprio salutarti! Ci vediamo al tuo ritorno, okay?»

«Certo!»

«Grazie ancora per gli auguri», disse Sam in tono allegro prima di chiudere la telefonata. 

Aveva affrontato il medesimo discorso con Stephen qualche giorno prima della partenza per l'Europa, ma non erano ancora stati capaci di trovare una strategia per affrontare la questione.

Inoltre, non le faceva piacere trascurare Will, però la prospettiva di lasciare George da solo la preoccupava troppo e, sebbene non volesse darlo a vedere, la ragazza era convinta che si sentisse tutt'altro che bene. 

Non avevano più realmente parlato dopo la notte del funerale di Lindsay. Quella mattina quando George aveva aperto gli occhi c'era stato un certo imbarazzo fra loro e in seguito si era rifiutato di pronunciare una singola parola in proposito e lei non se l’era sentita di insistere affinché si aprisse.

Stephen continuava ad affermare che era giusto lasciare che George affrontasse il lutto nella maniera che riteneva migliore, tuttavia la ragazza aveva notato la maniera semi-morbosa in cui l’uomo si angosciava per lui e non era certo un caso se il suo iPhone squillava in continuazione da quando erano partiti.

Era come se entrambi stessero aspettando soltanto il momento in cui sarebbe crollato.

Per ora tutto stava procedendo come previsto. Non c'erano state domande fuori programma durante le interviste e George era rimasto sempre padrone della situazione, come se non esistessero altro che i personaggi di cui parlava.

Si era concesso generosamente alle sue fan e si era addirittura fermato per qualche autografo fuori dall’ingresso dell’hotel nonostante il lungo viaggio che entrambi avevano alle spalle.

Era stato perfetto, eppure in più di un'occasione le era parso di scorgere una luce diversa nei suoi occhi, o per meglio dire la sua totale assenza.

Agitarsi però non avrebbe portato alcun risultato positivo, così, dopo aver finito di sistemare le ultime cose e aver chiamato il suo ragazzo, si concesse un lungo bagno rilassante e, infine, si coricò. 

                                                                    ***

Intanto a pochi metri di distanza George era disteso sul letto con le cuffie agli orecchi.

Era circa l'una e, considerando che la giornata seguente sarebbe stata tutt'altro che tranquilla, forse avrebbe fatto bene a spegnere l'iPad e a riposare.

Sarebbe stata un'ottima idea in linea di massima, ma nella pratica gli sembrava ben poco realizzabile visto che aveva trascorso la notte precedente e quelle ancora prima a fissare il soffitto della sua camera d'albergo.

Non importava se il panorama che si estendeva fuori dalla finestra fosse la Tour Eiffel, il London Eye, o Central Park. Una città valeva l'altra e mentre ascoltava un po’ di musica non poté che riaffermare quella teoria. 

Non ricordava da quanti giorni non dormisse, non era riuscito a prendere sonno neanche in aereo e non riusciva a capire perché quella notte avrebbe dovuto rivelarsi diversa.

Quando aveva insistito per proseguire il tour promozionale non voleva dimostrare niente a nessuno; desiderava soltanto mettere più chilometri possibili fra sé e Los Angeles.

Sentiva l'esigenza di allontanarsi, di tornare a respirare e si era illuso che ciò bastasse, mentre avrebbe dovuto sapere che non sarebbe servito a nulla.

Non importava in quale Stato si trovasse, né in quale letto dormisse: ogni notte era preda del medesimo incubo e si svegliava poco dopo essersi coricato madido di sudore e col cuore in gola. 

Stava camminando per un corridoio dal pavimento di marmo, le pareti immacolate.

Intorno a sé regnava il silenzio. Questo avrebbe dovuto rassicurarlo, al contrario, i suoi sensi erano allerta.

Non riusciva a rammentare perché si trovasse lì, non sapeva come ci fosse arrivato e non sapeva se esistesse una maniera per andarsene. In verità, non era neanche certo di voler lasciare quel posto dimenticato da Dio.

I suoi passi divenivano sempre più incerti e difficoltosi, come se i suoi piedi fossero di piombo, come se il pavimento potesse aprirsi e risucchiarlo.

Ciò nonostante, aveva la sensazione di dover restare lì, di dover continuare a camminare per raggiungere qualcosa, o qualcuno.

Avrebbe voluto smettere di cercare, gli pareva di aver già ispezionato ogni centimetro di quel posto centinaio di volte, ma non riusciva proprio a ricordare che cosa stesse bramando.

Poi la sua attenzione veniva catturata da una luce fioca proveniente da una piccola stanza in fondo al corridoio a sinistra. Non sapeva che cosa contenesse, ma sentiva di dover fare il possibile per scoprirlo, che qualcuno lì dentro aveva bisogno di lui. Non poteva tirarsi indietro.

E poi la vedeva. Lindsay.

Il suo corpo sembrava privo di vita, adagiato sul lenzuolo di seta bianco. Rimaneva a fissare quell'immagine così famigliare e al contempo così sbagliata per degli istanti infiniti, dopodiché le accarezzava il viso pallido. Lindsay non era mai così diafana.

La prendeva fra le braccia e la teneva stretta a sé, come se qualcuno potesse portargliela via ed era in quel momento che qualcosa cambiava. Sentiva il suo cuore spezzarsi e quando abbassava lo sguardo sul corpo esangue vicino a sé non era più lei la donna che stava abbracciando.

Ma colei la quale per tanto tempo aveva popolato i suoi tormenti.

Sua madre. 

Ormai quello era divenuto il suo incubo ricorrente e sembrava che niente di ciò che facesse fosse in grado di scacciarlo. Doveva solo stringere i denti e sperare che presto o tardi qualcosa di nuovo avrebbe preso il suo posto.

                                                                    ***
 
La prima volta che si era allontanato da New York aveva sentito le catene che gli sembrava di portare ai polsi allentarsi.

Finalmente non ci sarebbe stato più nessuno a ordinargli cosa dire, o come comportarsi.

Per una decina di giorni aveva potuto fare soltanto ciò che desiderava. Si era sentito padrone di se stesso in un modo che fino a poco prima credeva impossibile. 

Dopo la morte di sua madre, infatti, i rapporti con suo padre si erano ulteriormente allentati e ogni volta in cui il suo sguardo si posava su di lui, George non desiderava altro che sparisse, che la smettesse di assillarlo.

Ottenere quella piccola parte in quel telefilm era stata una manna dal cielo. Credeva si sarebbe trattato di un episodio isolato, invece, non era stato che il nuovo inizio di cui aveva disperatamente bisogno.

Il suo personaggio, grazie soprattutto al sostegno delle fan, aveva conquistato una fetta sempre più grande di visibilità fino a diventare la star incontrastata dello show. 

Era come se tutto fosse piovuto dal cielo, ma non gli era occorso molto tempo per rendersi conto che il personaggio che lo aveva condotto al successo e alla fama non era altro che una nuova gabbia. Svincolarsi dall'idea che il pubblico si era costruito di lui gli diveniva ogni giorno più difficile, poiché lui stesso aveva smesso di vedersi per quello che era davvero.

O forse chissà era proprio ciò che non voleva fare. 

Tuttavia, quel tempo era ormai lontano, oppure così gli sembrava. 

Aveva perso quasi del tutto i contatti con suo fratello più o meno nello stesso periodo in cui aveva iniziato a frequentare Austin e da allora il loro legame non si era più rinsaldato. 

Aveva parlato con Liam il giorno dopo la scomparsa di Lindsay.

Nonostante il tono di voce calmo e addolorato, George aveva percepito la sua rabbia.

In effetti, ne aveva tutte le ragioni.

Non aveva neanche pensato per un momento di chiamarlo per informarlo di quello che era successo, cosicché Liam aveva dovuto apprendere quella notizia dai giornali. Sapeva di essersi comportato male nei suoi confronti, però non gli importava.

Inoltre, suo fratello non l'aveva rimproverato. Ma d'altronde erano ben poche le occasioni in cui avesse espresso una qualche opinione in sua presenza.

Probabilmente temeva che se l'avesse ripreso per qualcosa i loro rapporti si sarebbero interrotti del tutto, così com'era accaduto con suo padre. 

Non ricordava neanche cosa si fossero detti quel giorno…

Probabilmente secondo suo fratello se fosse stato soltanto un po' più tollerante, o riflessivo le cose si sarebbero sistemate.

Liam era fatto così. Continuava a vedere il lato migliore delle persone, non importava quante volte queste lo deludessero. La sua filosofia di vita era sempre stata molto naïf. Non si preoccupava troppo di ciò che gli altri pensavano, preferendo concentrarsi su quello che riteneva davvero importante.

C'erano state occasioni in cui l’attore lo aveva invidiato: era geloso della tranquillità nella quale l'altro viveva, poiché probabilmente non l'avrebbe assaporata mai.

A volte sentiva la mancanza del rapporto che avrebbero potuto avere. Tuttavia, non erano mai stati tanto distanti e la realtà non sarebbe mutata. 

Doveva soltanto mettersi l'anima in pace e guardare avanti.

Era un consiglio che si era dato spesso, ma non era mai stato in grado di metterlo in pratica a pieno, per cui dubitava che adesso qualcosa potesse cambiare.

Vedere il suo futuro gli pareva impossibile.

Come poteva averne uno senza di lei?

Come poteva meritarne uno dopo tutto quello che aveva fatto?

Non sarebbe riuscito a cancellare il passato. 

Ogni giorno pareva un'ulteriore ripresa della giornata appena conclusa, si sentiva svuotato, come se tutto ciò che era fosse svanito. Come se fosse soltanto un guscio vuoto e anche quella sera, mentre osservava Sarah conversare amabilmente con il direttore di Vanity Fair, non poté che provare la medesima consapevolezza. 

Quella ragazza gli piaceva: c'era qualcosa in lei che credeva di aver perso molto tempo prima e a cui ancora non era capace di dare un nome. 

Inoltre, si era sempre dimostrata gentile nei suoi confronti e lo trattava in una maniera diversa da quella a cui era abituato.

Non che fosse solito ricevere pesci in faccia, ma per lui era consueto vedere l'invidia, il disprezzo, o l'ammirazione nei volti delle persone che aveva intorno. Tutti cercavano qualcosa da lui, che fosse un favore, o una foto ricordo. 

Ma non lei.

Aveva dei ricordi molto vaghi e nebulosi di quello che era accaduto durante la commemorazione organizzata a casa sua e rammentava ancora meno di ciò che era avvenuto in seguito.

Aveva stretto mani, scambiato convenevoli, sorriso e… bevuto parecchio. A un certo punto doveva aver perso i sensi, poiché ricordava soltanto di essersi ritrovato nella sua camera e di aver urlato qualcosa contro Stephen.

Decisamente non era stato uno dei suoi momenti migliori.

Non era quello che voleva fare. Avrebbe dovuto essergli grato per essere rimasto lì, così come lo era a Sarah.

Non aveva alcun motivo per fermarsi da lui per l’intera notte, eppure l'aveva fatto. 

Non ricordava molte cose, però rammentava il modo in cui Sarah lo aveva tenuto stretto fra le sue braccia finché non si era calmato, la maniera in cui gli aveva accarezzato i capelli senza dire niente.

Era stata lì insieme a lui perché teneva a lui, mentre tutto quello che George era riuscito a pensare svegliandosi l'indomani mattina era stato che lei non era Lindsay.

Per un attimo, sentendo il calore del corpo di Sarah contro il suo, aveva sperato davvero che tutto, l'ospedale, il funerale, tutto non fosse che un incubo.

Ma non era così e non c'era nessuno che potesse riaggiustare le cose. 

Se non altro in quel momento non tutti gli occhi erano puntati su di lui, o almeno così credeva.

«Quello è il terzo», gli fece notare una voce famigliare. 

George si voltò verso la sua interlocutrice, accennando un sorriso.

«Controlli i miei drink adesso?», le chiese in tono pacato.

«Dovrei?», lo rimbeccò Sarah. 

Lui scosse la testa impercettibilmente.

«Era Dalton quello con cui stavi parlando poco fa?», le domandò, poggiando il bicchiere sul bancone. 

La ragazza annuì. 

«Voleva approfittare della situazione per estorcermi qualche pettegolezzo».

«Non ne dubito. Sono tornato sull'A-List molto in fretta a quanto pare», borbottò sottovoce. 

«Comunque non credo che cercherà di parlarti».

George la guardò riconoscente.

«Non pensavo che qualcuno potesse spaventare Dalton». 

«Ho molte frecce al mio arco». 

«Suona come una poco velata minaccia», dichiarò l'attore, ironico. 

«In realtà, volevo chiederti un favore, ma forse questo non è il posto adatto», ammise Sarah, titubante.

Da quando il suo telefono aveva squillato quella notte, Sarah si era quasi dimenticata dell’invito rivolto alla madre del suo ragazzo, tuttavia non se l’era sentita di disdirlo senza neanche parlarne con il diretto interessato.

«Sono tutto orecchi».

«I genitori di Will saranno all'after-party domani e io e sua madre non siamo esattamente grandi amiche, ma ho appreso che…».

«Ah, non dirmelo!», esclamò lui, fingendo di rabbrividire.

«Lei apprezza molto il tuo lavoro, così ho pensato che le avrebbe fatto piacere essere presente», concluse.

George la guardò divertito e al tempo stesso incredulo.

«Quindi mi stai chiedendo di intrattenere la madre di Will?».

Era la prima volta da giorni in cui sentiva davvero voglia di sorridere. 

«No, ovviamente», si affrettò a precisare lei.

«Lo farò volentieri».

«Non sei costretto». 

«Lo so. Sono lieto di darti una mano a guadagnare un po' di punti».

Sarah gli sorrise, grata.

«Vuoi andartene da qui?», gli domandò. 

George la guardò sottecchi.

«Non chiederei di meglio».

«Vado a prendere la giacca».

«Ti aspetto qui», le disse.


Ciao a tutte!
Ormai sono trascorse due settimane dalla morte di Lindsay e nonostante tutto George sta facendo del suo meglio per mantenere fede ai propri impegni.
Ma se di giorno riesce a concentrarsi su quello che deve fare, non è lo stesso quando si ritrova da solo la notte. Il poverino non riesce a dormire... Cosa ne pensate del suo incubo? E cosa c'entra sua madre?
Intanto Sarah sta facendo quello che può, ma purtroppo lui non le permette di aiutarlo... e probabilmente anche Stephen sta impazzendo all'idea di non potergli stare vicino in questo momento.
Il prossimo capitolo sarà l'ultimo del 2015 e vi regalerà una scena che credo molte di voi apprezzeranno! 
Cosa ne pensate di ciò che Sarah "chiede" a George alla fine di questo capitolo? La madre di Will non darà di matto vedendo l'attore, vero? XD 
Intanto vi ringrazio per avermi seguita fino a qui e... Non mangiate troppi dolci!
Buon Natale!!!
A presto,
Vale

 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Non le erano mai piaciuti gli spazi piccoli e angusti, ma in quel momento non se ne stava preoccupando. 

«Sai, non sono mai piaciuto granché alle madri delle mie ragazze», disse a un certo punto George.

«Sul serio?», gli chiese lei sorpresa.

«Non è così difficile da credere», osservò lui con un'alzata di spalle. «Fratello minore di un atleta, nessuna capacità particolare. Nessun piano per il college… Il che, per inciso, in una scuola privata equivale a essere un perdente. Se un agente non si fosse preso cura di me, probabilmente sarei stato fra i camerieri del catering di stasera!»

Sarah ridacchiò.

«Tu invece? Scommetto che avevi una fila di spasimanti lunga un chilometro».

«In quel caso mio padre sarebbe corso ai ripari», replicò lei.

«Tutti i padri sono protettivi con le figlie. Stephen è già terrorizzato all'idea di doverci aver a che fare». 

«Già, ma non tutti sono ex-marine».

«Com'è andata con Will?», s'informò George, quando l'ascensore si fermò al loro piano.

«Non molto bene», ammise lei. «Ha controllato i suoi precedenti».

George sgranò gli occhi. 

«Non ci credo!», esclamò, facendosi da parte per lasciarla passare. 

Anche lei avrebbe desiderato che fosse solo uno scherzo. Si infuriava ancora quando ci ripensava, ma purtroppo era tutto vero e molto umiliante.

Camminarono fianco a fianco senza aggiungere altro finché non si trovarono davanti alla porta della stanza della ragazza. 

«Beh, sarà meglio che ti lasci andare. Quei tacchi sembrano infernali», le disse George.

«Ti va di entrare?», gli propose lei. «Non è molto tardi e ho visto che ci sono noiosissimi film in televisione stasera».

«Sono tentato, ma credo che passerò». 

Dal momento che il suo tono di voce era deciso, Sarah non insistette oltre.

«Va bene. Ci vediamo domattina allora».

Lui annuì.

«Sarah... Buonanotte».

«Buonanotte, George».

                                                                         ***
 
Dopo aver salutato George, Sarah decise di concedersi un bagno rilassante.

Era piacevole ogni tanto non doversi affrettare, sebbene l'ideale sarebbe stato farlo insieme a Will.

Aveva parlato con lui quella mattina e l'avvocato le era sembrato lieto di apprendere che sarebbe tornata a Los Angeles venerdì. 

Al contrario, la notizia che l'indomani avrebbe visto i suoi genitori l'aveva lasciato allibito. Non credeva che sua madre fosse così affascinata da George da lasciare Hartford al volo e rinunciare al pranzo al Country Club pur di incontrarlo. 

«Promettimi di non raccontarmi nulla di quanto mia madre dirà, d'accordo? Non è una scena che ci tengo a immaginare», si era raccomandato per l’ennesima volta l’avvocato.

«Dubito che tua madre possa fare qualcosa di imbarazzante, tesoro», gli aveva detto.

Anche per lei quell'aspetto del carattere della signora Turner era ancora una novità. Fra l'altro, si sentiva nervosa di fronte alla prospettiva di chiacchierare con i genitori di Will senza di lui.

Era riuscita a sopravvivere l'ultima volta soltanto grazie al sostegno imprevisto di George e non le piaceva l'idea di obbligarlo in qualche modo a conversare anche con loro, soprattutto poiché sapeva quanto Margaret potesse diventare invadente.

Sperava solo che il suo buonsenso del Connecticut avesse la meglio sulla sua emozione nel trovarsi di fronte l’attore. 

Nonostante fosse già da tempo passata la mezzanotte la ragazza non aveva sonno, così tirò fuori l'agenda e controllò i suoi prossimi impegni. 

Le sembrava trascorso un secolo dall'ultima volta in cui era stata a Chicago da suo padre... Una volta finita la campagna promozionale doveva assolutamente ritagliarsi un fine settimana di tempo per andare a fargli visita.

Stava inserendo la sveglia sull’iPhone, quando qualcuno bussò.

Un po' sorpresa si alzò e si avvicinò alla porta. Nell'aprirla rimase ancora più perplessa nel trovarsi di fronte proprio George. 

«Ciao», lo salutò cordiale.

Sembrava parecchio a disagio.

«Mi sono reso conto di non avere sonno, così mi domandavo se l'offerta del film fosse ancora valida», disse. Poi parve accorgersi della mise della ragazza, poiché si affrettò ad aggiungere: «Scusa, avrei dovuto dare un'occhiata all'orologio».

Sarah arrossì appena. Per fortuna quel pigiama era carino. 

«Non c'è problema. Stavo soltanto controllando la scaletta di domani».

«Beh, in ogni caso è davvero tardi. Dovrei tornare in camera e lasciarti riposare». 

Era stato sciocco da parte sua cambiare idea.

«Entra», affermò lei in tono autoritario. «È un ordine».

«Sei sicura?», le chiese titubante.

Per tutta risposta Sarah lo invitò ad accomodarsi con un teatrale cenno della mano.

Solo fino a pochi mesi prima quella situazione le sarebbe parsa inverosimile, adesso invece c'era un qualcosa di normale e rassicurante nel vederlo lì. 

«Cosa vorresti vedere?», gli domandò la ragazza, invitandolo a sedersi sul letto. 

«Dal momento che mi sono presentato in camera di una signora a un orario indecente lascio la scelta a te».

«Okay».

«Sarah...».

Mormorò il suo nome in modo diverso dal solito, cosicché lei distolse lo sguardo dal telecomando per posarlo dritto su di lui. 

«Siamo amici». 

George annuì.

Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma la voce gli venne meno.

«Sai, anch'io non amo molto parlare di me, ma talvolta aiuta non tenersi tutto dentro», gli disse lei gentilmente.

«Non me la sento, ma ti ringrazio». 

«Va bene».

«Allora cosa offre il ricchissimo palinsesto televisivo stanotte?»

                                                                         ***   
 
Non ricordava a che ora si fosse addormentata, ma la prima cosa che vide al suo risveglio la mattina seguente fu il volto di George.

All’inizio fu imbarazzante pensare di avergli dormito così vicino per tutta la notte, poi osservandolo meglio si tranquillizzò. 

Era come se tutte le tensioni che aveva accumulato negli ultimi giorni fossero svanite, pareva rilassato come un bambino e Sarah non poté fare a meno di sentire l'istinto di proteggerlo. 

Aveva finto di non vedere le ombre nere sotto ai suoi occhi, ma le era chiaro che avesse difficoltà a dormire. Non osava immaginare che cosa potesse provare ogni giorno da quando Lindsay era morta. 

Si lasciò sfuggire un sospiro e decise di indossare qualcosa di più consono. 

Era appena uscita dal bagno, quando lo trovò ai piedi del letto intento ad armeggiare col cellulare.

«Buongiorno», lo salutò Sarah.

Lui ripeté il saluto, poi ripose l'iPhone in tasca e disse: 

«Ormai pare essere diventata un'abitudine».

La ragazza non ebbe bisogno di chiedergli a cosa si stesse riferendo.

«Eravamo entrambi stanchi». 

«Beh, adesso sarà meglio che vada a cambiarmi», disse, passandosi una mano fra i capelli scompigliati. 

«Va bene. Ci vediamo fra un'ora nella hall».

Lui annuì.
 
«George. Per qualunque cosa io ci sono».

L'uomo la guardò con dolcezza e senza replicare a quell'affermazione uscì, lasciando la ragazza sola con i suoi pensieri.
 
                                                                         ***

Non sapeva cosa fosse cambiato, ma se non altro quella notte non era stato preda dei suoi soliti incubi. Era riuscito a dormire per più di venti minuti e non si era svegliato sudato e agonizzante.

Forse era per questo, o per il clima pungente di New York, ma mentre l'auto lo portava agli Studios si sentiva meglio. Guardandosi nello specchio del bagno quella mattina per un attimo aveva stentato a riconoscersi. Le occhiaie che segnavano il suo viso non erano certo scomparse, ma anche loro avevano tratto giovamento da quella notte di inaspettato riposo. 

«Stephen mi ha chiamata stamattina», gli comunicò Sarah.

George sogghignò.

Aveva ricevuto pure lui la medesima telefonata. 

«Probabilmente voleva essere certo che non avessimo distrutto il suo tour promozionale», scherzò l'attore. 

Sarah sorrise.

Era bello vederlo più sereno. 

«Dovrò dare al nascituro un po' di dritte su come calmarlo. Non vorrei avesse una crisi di nervi». 

«Beh, se inizia a impazzire adesso sarà difficile quando il bambino sarà nato».

«Stephen è così. Ama preoccuparsi quando tiene a qualcuno. Anche quando non dovrebbe farlo», disse con intensità. «Sono sicuro che saprà cosa fare quando arriverà il momento. Non riuscirei a immaginare un padre migliore». 

Sarah lo contemplò. Era evidente che l'affetto di Stephen fosse più che ricambiato.
George credeva davvero in quello che stava dicendo.

«La madre di Will è così terribile?», le domandò a un certo punto George mal interpretando il suo prolungato silenzio. 

«Come?»

«Sembri molto nervosa oggi. Esattamente per quale motivo sei convinta di non piacerle?»

Si era posta quella domanda innumerevoli volte all'inizio. Will era stato un po' restio nel presentarle la sua famiglia e dopo aver conosciuto sua madre ne aveva compreso la ragione. 

«Non abbiamo molte cose in comune».

«A eccezione del sottoscritto», le ricordò lui. 

«La prima volta in cui ho incontrato sua madre per un attimo ho temuto che volesse spazzarmi via», gli confidò.

«Non è possibile!»

«Mi guardava come una mosca da schiacciare, se non peggio», rincarò la dose la ragazza.

Non si era mai azzardata a esprimersi in quel modo con Will, poiché sapeva quanto volesse bene alla donna che l'aveva cresciuto, però non aveva potuto fare a meno di sentirsi un'intrusa tollerata solo per ordine del bon ton.

«In ogni caso, sono stata più fortunata di Will», gli rammentò.

«È una fortuna che sia un bravo ragazzo».

«Non lo frequenterei se non lo fosse».

«Non percepisci il fascino del bello e maledetto? Dicono che le donne non possano farne a meno», la prese in giro lui.

«Lieta di non rientrare nella maggioranza!»

George sorrise. 

«George...».

«Se sarà così terribile dovrai offrirmi una cena e un film francese a mia scelta».

«Affare fatto», acconsentì lei, aprendo lo sportello dell'auto e scendendo.



Ciao a tutte!
Spero che le vostre vacanze natalizie stiano procedendo bene. :)
Nello scorso capitolo avevamo lasciato George alle prese con incubi più o meno misteriosi e con l'angoscia dovuta alla mancanza di Lindsay.
In questo capitolo ovviamente il suo dolore non è sparito, ma anche se per ora non sembra pronto per parlare di come si sente, se non altro ha deciso di non chiudersi ancora di più in se stesso, accettando l'invito di Sarah. 
Sarah si sente molto protettiva nei confronti dell'amico e le dispiace vederlo soffrire...
Cosa ne pensate della scena in cui George finalmente, vicino a lei, riesce a dormire? 

Nel prossimo capitolo avverrà l'incontro con la madre di Will, di cui l'avvocato spera di non venire mai a sapere proprio nulla, poverino! Speriamo non ci siano scene troppo imbarazzanti, eh! ;)
Vi ringrazio per avermi seguita fino a qui e...
Ci rileggiamo il 4 Gennaio 2016!
Un bacione
Vale

 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


La giornata era trascorsa più piacevolmente del previsto e George era a tratti divertito dall’inaffidabilità del proprio karma.

Tutto andava bene proprio quando nulla pareva essere giusto.

Anche quel giorno non c’erano stati fuori programma e, mentre si concedeva per un’ultima volta ai fotografi, non poté fare a meno di pensare che l’indomani sarebbe tornato a casa, sempre se potesse definire ancora tale la dimora in cui abitava.

Aveva acquistato quella villa dopo un anno trascorso fra alberghi e stanze degli ospiti di coloro che all’epoca aveva chiamato amici. A un certo punto si era reso conto di sentire l’esigenza di un luogo in cui tornare, di un qualcosa che gli appartenesse, che fosse solo suo.

Tuttavia, solo quando Lindsay si era trasferita da lui era riuscito a sentirsi veramente a casa.

Non pensare di continuo a lei era impossibile, ma negli ultimi giorni aveva avuto un programma talmente fitto da rendergli arduo crogiolarsi nel proprio dolore, almeno durante le ore diurne.

Non era felice di dover far ritorno a Los Angeles, però non aveva altra scelta. Doveva soltanto abituarsi a una vita diversa da quella in cui aveva sperato, di nuovo.

«Direi che adesso dobbiamo proprio entrare», sentenziò Sarah.

Lui annuì e, dopo un ultimo sorriso per i fotografi, lasciò che Oliver e un paio di uomini della sicurezza lo scortassero dentro il teatro.

Ormai doveva essere la terza, o addirittura la quarta volta in cui si rivedeva in quella pellicola e iniziava a essere stufo del suo stesso volto. Non aveva mai capito come le sue fan potessero guardare un suo film anche una decina di volte nell’arco di un mese.

Senza contare che durante ogni visione notava dettagli che avrebbe gradito cambiare e per cui, al contrario, ormai non poteva più fare niente.

Era una situazione frustrante.

«È una fortuna che non tutti siano perfezionisti come te», affermò Sarah, quando lui condivise le sue riflessioni in proposito.

«È inverosimile credere che esistano persone che hanno visto tutti i miei film senza costrizione! Un paio dei primi sono veramente orrendi», proseguì imperterrito.

Come quasi tutti i suoi colleghi aveva sempre dichiarato di non aver mai accettato un ruolo per soldi, tuttavia era una mera bugia. Anche se forse una delle motivazioni che all’inizio l’avevano spinto a passare da un film a un altro, da un ruolo all’altro era semplicemente che cercava di fuggire. Dalla pressione, dalla sua famiglia, da se stesso.

Essere qualcun altro, anche se solo per poche ore al giorno, era stato un sollievo e ogni tanto continuava a esserlo ancora.

Tuttavia, non era necessario che tutti ne fossero a conoscenza.

«Hai mai pensato di fare qualcos’altro?», gli chiese lei, curiosa.

«In effetti no», ammise lui, arrossendo appena.

Aveva visto i sogni di suo fratello sgretolarsi, quando – in seguito a una brutta frattura al ginocchio – aveva dovuto mettere da parte i suoi progetti di dedicarsi anima e corpo all’agonismo, ma lui non aveva mai patito un dolore simile. Sebbene in molte occasioni avesse soppesato l’idea di fare altro, in realtà non avrebbe saputo immaginare una vita diversa.

Inoltre, non le aveva mentito: dubitava di essere in grado di fare altro, o di avere chissà quale talento nascosto. Fingere, recitare una parte, era l’unica cosa che gli appartenesse e in cui fosse davvero bravo. Forse persino troppo bravo a volte.

Stava per rivolgerle la medesima domanda, ma la sua attenzione fu assorbita dal cambiamento nell’espressione della sua interlocutrice.

Fino a qualche istante prima pareva rilassata, ma in quel momento qualcosa doveva essere mutato e l’attore non riuscì a darsi una spiegazione finché non notò due figure avanzare lentamente verso di loro.

Gli sembrava quasi di sentirla trattenere il respiro.

«Non sembra così pericolosa», le bisbigliò l'attore. 

Sarah lo fulminò con lo sguardo. 

«Non l'hai mai vista con una forchetta da insalata in mano», replicò.

George sorrise e guardò con più attenzione i coniugi Turner.

La donna indossava un discreto abito nero lungo poco sotto il ginocchio e pareva il ritratto dell’eleganza. Mentre l’uomo portava un completo Armani grigio scuro e una cravatta nera.

«Dennis, Margaret, sono felice che siate riusciti a venire», dichiarò Sarah in tono gentile, quando furono davanti a loro. «Com'è andato il viaggio?»

«Piuttosto tranquillo», rispose l’uomo. «Sei incantevole», aggiunse.

«Ti ringrazio». 

George rimase in silenzio finché Sarah non fece le dovute (quanto poco necessarie) presentazioni.

Nel momento in cui l'attore, con un gesto da vero gentleman, le baciò la mano, Sarah per poco non temette che la donna svenisse. Di certo a giudicare dal modo semi-indecoroso in cui lo stava mangiando con gli occhi sarebbe caduta ai suoi piedi nel giro di pochi minuti, se non addirittura secondi. 

Tuttavia, George non sembrava infastidito. Probabilmente era abituato a quell'atmosfera da film di serie B. Anzi, chiacchierò amabilmente con lei e si offrì addirittura di farle strada in direzione del bar.

«Ah, temo che dovrò sopportare il racconto di questa serata fino al mio ultimo respiro», asserì magnanimo Dennis, accomodandosi su una delle poltrone predisposte apposta per l'occasione. 

«Mi spiace», mormorò Sarah con un sorriso. 

«Me ne farò una ragione», borbottò l'uomo, poggiandole una mano sul braccio. 

Non doveva essere piacevole per lui guardare sua moglie così presa da un altro uomo, anche se si trattava di qualcuno che non dovrebbe mai potuto avere e che di certo era tutto meno che interessato a lei. 

«Sembri stanca», le disse, aggrottando la fronte. «Devo sgridare Wellington?»

«Posso cavarmela da sola, ma ti ringrazio per l'offerta». 

«Tu e mio figlio siete degli stacanovisti. È una fortuna che vi siate trovati». 

Sarah sorrise.

Non poteva che dargli ragione. 

«Quindi partirete domani?», s’informò dopo un minuto.

La ragazza annuì. 

«Mi spiace per come ce ne siamo andati quel week end», disse, approfittando dell'assenza sia di sua moglie che di George. 

«Non hai nulla di cui scusarti, tesoro. Immagino siano state giornate impegnative».

«Non immagini quanto».

Le pareva quasi impossibile che quel tormentato viaggio fosse finalmente giunto al traguardo e, soprattutto, non vedeva l’ora di riabbracciare il suo ragazzo.

«Pare stare bene, considerate le circostanze», osservò l’uomo in tono pacato.

«Già, ma è difficile capire cosa passa per la testa di George».

«Hai provato a parlarne con lui?»

«Un'infinità di volte», sospirò lei. 

Non le sembrava giusto insistere, ma le pareva altrettanto sbagliato stare con le mani in mano. Ogni qual volta in cui sembrava sul punto di aprirsi, si nascondeva di nuovo e Sarah temeva che a forza di comportarsi così gli sarebbe divenuto quasi impossibile affrontare quanto era accaduto.

L'uomo rifletté un attimo. 

«Forse si sente solo a disagio a mostrarsi vulnerabile. A costo di apparirti stereotipato, a volte per noi uomini è più difficile parlare dei nostri sentimenti», suggerì saggiamente.

«Vorrei soltanto che non dovesse affrontare tutto questo da solo», ripeté lei.

L'uomo la guardò con espressione paterna. 

«Sono sicuro che sappia di avere intorno persone che tengono a lui. Anche se non è molto bravo nel dimostrarlo».

«Probabilmente hai ragione. Sono troppo apprensiva».

«Sei preoccupata», la corresse lui con gentilezza. «È normale dopo quello che ha passato». 

«Grazie, Dennis». 

«Sei una bella persona, Sarah. Mio figlio è fortunato ad averti». 

«Sono io quella fortunata».

Gli ultimi giorni prima della partenza aveva messo da parte Will, ma non poteva continuare a farlo. A prescindere da quello che era successo e dal modo in cui George avrebbe deciso di conviverci, non poteva essere il suo benessere la sua priorità. Non era giusto.

Il fatto che lui avesse sempre occupato un posto di rilievo nei suoi pensieri non poteva essere una giustificazione…

Sam aveva ragione? Le era davvero impossibile essere coerente e razionale quando si trattava di lui?

Quello che era accaduto era terribile, ma non poteva permettere a nessuno di ostacolare il suo rapporto con Will, neanche a lui.


Ciao a tutte e buon anno!
Il tanto temuto incontro con la madre di Will è avvenuto, ma nonostante la donna fosse ovviamente emozionata speriamo non abbia combinato disastri, eh! ;)
So che questa scena era parecchio attesa e che forse vi aspettavate un po' di isteria, ma ho preferito soffermarmi di più sulla presentazione del padre di Will, che al contrario della moglie pare ben disposto nei confronti di Sarah.
George è stato molto gentile a non tirarsi indietro di fronte alla prospettiva di questo incontro e in compagnia di Sarah sembra essere più sereno anche se l'idea di dover tornare in una casa vuota lo atterrisce... 
Tuttavia, vedrete che le sorprese non mancheranno e a breve anche suo fratello farà finalmente la sua comparsa! La domanda è: lui gradirà o no?
E Will come prenderà il racconto dell'incontro fra George e sua madre? Lo scoprirete nel prossimo capitolo!
Baci
Vale

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Nonostante il grande afflusso di avventori e di conoscenti che quella sera parevano aver deciso in branco di fare un salto al Blue High, Will non aveva occhi per nessuno tranne che per Sarah. 

Quelle giornate senza di lei erano state una vera e propria tortura ed era felice come non mai di averla di nuovo al suo fianco, ma naturalmente non aveva fatto i conti con la loro comune amica.

«E quindi ho pensato che quella fosse la soluzione migliore per accontentare entrambi!», concluse Sam.

Sarah scosse leggermente la testa, mentre l'avvocato preferì rimanere in silenzio. Ormai conosceva la sua amica e collega da sufficiente tempo da aver compreso che era meglio non immischiarsi nella sua turbolenta vita sentimentale.

Era ridicolo rammentare che c'era stato un momento in cui sua madre aveva quasi sperato che fossero una coppia. Will, infatti, non riusciva a immaginare niente di più improbabile (e se l’avesse conosciuta meglio anche sua madre avrebbe mutato opinione!). Lui e Sam erano sempre stati soltanto amici e, sebbene in un'occasione avessero oltrepassato quel confine, fra loro non c'era mai stato un legame d'altro tipo. 

Tuttavia, l'avvocato stava iniziando a chiedersi se fosse esistito qualcuno a cui lei avesse tenuto sul serio, o perlomeno abbastanza da non prendere in considerazione la toilette di un qualsiasi ristorante di lusso.

«Beh, ragazzi, potreste anche provare a fare un po' di conversazione! È o non è la mia festa di compleanno posticipata? Non credevo che avrei dovuto mantenere viva la serata da sola».

In effetti, quando Sam aveva detto loro che preferiva aspettare il ritorno di Sarah per festeggiare nessuno aveva creduto che tale lieto evento sarebbe stato organizzato proprio la sera del suo ritorno a casa.

«Sam, per favore, dacci tregua», le disse Will.

«Invece di fare il guastafeste potresti andare a vedere che fine hanno fatto i nostri drink», lo rimbeccò lei. 

Al che il diretto interessato non poté fare a meno di ubbidire, felice di togliersi da lì per due minuti.

Sarah soffocò uno sbadiglio per il quale si giustificò alla velocità della luce.

«Il viaggio di ritorno da New York è stato così massacrante?», le domandò Sam. «Non dirmi che Mr Hollywood ti ha lasciata in economica!»

«Nient'affatto. È stata solo la settimana a essere stressante e, se tu avessi accettato la mia controfferta, domani sarei stata in forma smagliante!»

«Non mi andava di rimandare ancora; inoltre, domani sera avevo già un altro impegno
».

Sarah sorrise. 

«Piuttosto com'è andata la serata coi Turner? Margaret ti ha fatta impazzire?», s'informò Sam, approfittando dell'assenza del suo collega.

Conosceva la madre di Will da anni, ma per fortuna i loro rapporti erano sempre stati idilliaci, forse perché non era colei del quale suo figlio era innamorato.

«Inaspettatamente no. Credo mi abbia rivolto sì e no due parole nel corso della serata». 

«Immagino che gran parte del merito vada a Mr Hollywood. Sai, non riesco proprio a visualizzare Margaret in versione fangirl. È inverosimile!»

In realtà Sarah era stata piuttosto in ansia per quell'incontro, però George le aveva assicurato che la donna era stata un'ottima interlocutrice e quando gliel'aveva detto le era parso sincero.

A quanto pareva era solo lei a starle sullo stomaco. Non era una bella notizia con cui fare i conti, ma finché i loro rapporti si sarebbero mantenuti sul civile... 

«Mi piacerebbe ascoltare il suo resoconto di prima mano!», aggiunse Sam con un sorriso. 

«Non pensarci neanche! Will potrebbe ucciderti se solo provassi a tirare in ballo l'argomento», l'avvertì. 

«Ucciderti per cosa?», s'intromise l’uomo, tornando al loro tavolo. «Dicono che i nostri drink arriveranno entro cinque minuti».

«Ottimo!», esclamò Sam.

«Allora?», insistette. 

«Tua madre che fa gli occhi dolci a Wellington», asserì la ragazza, ignorando l'occhiataccia dell'amica.

«Oh, non parliamo di questa storia, per favore!»

In verità, Sarah non gli aveva raccontato quasi nulla, ma il solo pensiero di sua madre che trovava minimamente attraente George gli dava il voltastomaco.

In fondo era pur sempre sua madre!

«Dimmi che almeno gli ha chiesto un autografo!»

Sarah scosse la testa.

«Non che io sappia».

«Ci mancherebbe solo quello», bofonchiò Will, scontento.

Per fortuna una volta arrivati i drink l'argomento cambiò e l'uomo poté tirare un sospiro di sollievo. 
 
                                                                      ***

Non fecero in tempo a varcare la soglia di casa che i loro indumenti toccarono il suolo.

Le loro bocche si bramavano fameliche. Sentiva le mani di Will accarezzare ogni centimetro del suo corpo.

Quanto le era mancato il suo tocco!

Inarcò la schiena e gemette di piacere quando lui iniziò a muoversi dentro di lei. Si aggrappò con più forza alle sue spalle, tanto da lasciargli i segni delle sue unghie perfettamente curate sulla pelle.

«Credevo fossi stanca», affermò lui, accarezzandole i capelli e giocherellando con le sue dita.

«A quanto pare non lo ero così tanto», ribatté con il fiato corto.

Non era quello a cui aveva pensato inizialmente, ma dopo aver assaporato ancora una volta le labbra di Will, e aver sentito in maniera inequivocabile quanto la desiderasse, persino la stanchezza era venuta meno.
Il suo corpo non bramava altro che congiungersi a quello dell’uomo che amava.

«L’ho notato», disse l’avvocato con un sorriso appagato.

Aveva i battiti del cuore ancora accelerati.

«Sai, sono felice che tu sia tornata».

«Anch’io», gli sussurrò, sporgendosi verso di lui e baciandolo con trasporto. «Sei riuscito a sopravvivere in ufficio in questi giorni?», gli chiese.

«Sarebbe di certo andata meglio se l’immagine di mia madre che fangirla per George non avesse continuato a piombarmi in testa!»

Sarah lo guardò divertita e poi gli domandò, seria:

«Mr Turner, hai appena detto fangirla

Lui fece una smorfia.

«Non ho ragioni per imbarazzarmi se lo vedrò... Vero?»

«Credo che tu possa stare sereno, tesoro. A dire di George tua madre è stata davvero molto gentile», ripeté lei.

«Lo spero», sospirò. «Non riesco a credere che mia madre possa sul serio essere una di quelle donne che si strappano i capelli pensando a lui!»

«Beh, se può confortarti, la sua messa in piega era perfetta come al solito», lo rassicurò la ragazza, strusciandosi a lui.

«Buono a sapersi», mormorò in un sussurro appena udibile.

«Mi dispiace di non esserci stata in questi giorni. Forse ho dato troppo spazio al mio lavoro», disse la ragazza, non riferendosi solo alla sua assenza fisica.

Lui le prese il viso fra le mani e la guardò negli occhi.

«So che sei preoccupata per George. Lo capisco, però a costo di sembrarti uno stronzo insensibile, mi sarebbe piaciuto se fossi stata anche tu a chiamarmi qualche volta», ammise Will in tono pacato.

Non c’era risentimento nella sua voce. Era solo… sincero.

«Sei tutto fuorché uno stronzo insensibile, Will», lo contraddisse lei, baciandolo di nuovo.

                                                                      ***
 
Ricordava ancora il loro primo incontro: non si era trattato di un appuntamento tutto rose e fiori come si legge nei romanzi rosa, eppure non avrebbe cambiato una virgola. A suo modo tutto era stato perfetto nella sua imperfezione.

Non era mai stata a una festa di gala prima del college, ma quella era stata organizzata dalla Abbot & Christie e la sua amica Caroline l’aveva praticamente costretta ad accompagnarla.

Quest’ultima, infatti, aveva ottenuto un contratto per un posto da assistente dell’assistente di qualcuno nella rinomata casa d’asta e, non potendo sottrarsi a quell’impegno, l’aveva supplicata di farle da sostegno morale.

In fondo non sarebbe stata una serata poi così disastrosa se fosse almeno riuscita a scambiare due parole con Caroline, o a vederla per più di trenta secondi!

Per sua fortuna, una volta arrivata lì e resasi conto della situazione aveva scorto il profilo di Hilary, la sua ex-compagna di stanza del college e aveva trascorso la maggior parte del tempo insieme a lei.

A onor del vero i loro rapporti non erano mai stati idilliaci, ma… a mali estremi, estremi rimedi. Persino Hilary era un’opzione preferibile a quella di conversare con un estraneo, per di più considerando che quella serata era stata organizzata per uno degli studi legali più importanti del Paese.

In effetti, era rimasta piuttosto sorpresa di trovarla lì.

«Questa è ufficialmente la festa più noiosa a cui abbia mai partecipato», commentò Hilary.
«Siamo da Christie! Dove sono i vip?»

Nonostante comprendesse la sua frustrazione, Sarah sentì almeno in piccola parte il dovere morale di sostenere psicologicamente la sua amica, che si era impegnata davvero per organizzare il ricevimento.

«Non è poi così terribile», mentì, ricevendo un’occhiataccia dalla sua interlocutrice.

«Vorrai scherzare, spero. Non esiste categoria di persone più uggiosa degli avvocati. Sono tutti regole e zero divertimento , dichiarò con il tono di chi la sapeva lunga. «Sono uscita con uno che studiava legge al primo anno: la sua idea di sabato sera era stare sul divano a vedere la tribuna politica».

Sarah rise e fu in quel momento che, a dire del suo ragazzo, lui la notò.

Non sapeva se fosse stato a causa del suo sorriso spontaneo, del modo in cui prestava attenzione alle parole della sua amica, o di come si guardava in giro con discrezione come se cercasse qualcuno in quella sala, ma quando la vide comprese che voleva conoscerla.

Così si avvicinò alle due ragazze con nonchalance, continuando ad ascoltarle.

«… Insomma non voglio certo iniziare adesso a fare la pensionata! Avrò tutto il tempo per stare sul divano con un plaid», stava dicendo la sua interlocutrice. «Comunque nessuno ha fatto un’offerta sopra i 30.000 dollari: questa serata è proprio un disastro!»

«30.000 dollari per una penna e un foglio di carta mi sembrano lo stesso un’esagerazione», commentò lei.

«A quanto pare condividi lo stesso senso artistico di questi avvocati barbosi».

La ragazza scrollò le spalle con incuranza, facendolo ridere. Anche lui aveva sempre trovato quegli eventi monotoni e certe opere d’arte… Beh, de gustibus.

«Se non altro vi siete perse l’asta della scorsa settimana», s’intromise lui, approfittando di un attimo di silenzio. «I pezzi di stasera al confronto sembrano davvero delle opere di Leonardo Da Vinci!»

Le due ragazze si voltarono verso di lui e lo guardarono un po’ sorprese da quel commento non richiesto.

«Will Turner, uno degli avvocati barbosi», si presentò, facendola sorridere e arrossire al tempo stesso.

Aveva proprio un sorriso magnifico.

«Ci stavi ascoltando?!», sbottò la ragazza dai capelli neri.

«Colpevole, signori della corte», disse. «Siete le sole persone a non discutere di finanza qui dentro. È una piacevole novità».

Lei gli rivolse uno sguardo magnanimo.

«Sarah Kant», disse, stringendogli la mano.

«Hilary Hawkins».

«Quindi cosa ne pensi dell’opera Foglio più Penna?», gli domandò Sarah.

«Direi che il mio ufficio è più simile a un museo di quanto non credessi!», rispose lui, lieto che fosse stata proprio lei a domandarglielo.

«Lo stesso vale per la mia scrivania».

«Io ero costretto a essere presente, ma qual è la vostra scusa? Avete perso una scommessa?»

Non era stata una delle sue battute migliori, ma quella ragazza…!

«Mio padre è nel comitato», rispose l’altra (aveva già scordato il suo nome) in tono stizzito. «Anzi, sarà bene che vada a cercarlo. Scusate».

«A quanto pare ho fatto scappare la tua amica!», disse l’avvocato.

«In effetti… Dovrei ringraziarti per questo. È stata la mia compagna di stanza al college, ma non rientra proprio nella categoria delle mie persone preferite».

«E chi c’è in quella categoria?»

«Non saprei. Probabilmente nessuno dei partecipanti a quest’asta», affermò con un sorriso.

Sarebbe potuto restare ore a guardarla.

«E se non ci trovassimo più qui?»

Lei lo fissò confusa.

«Ti sembrerebbe molto sfacciato da parte mia invitarti a uscire per un caffè?»

«In realtà, mi parrebbe alquanto arrogante», lo corresse lei. «Non so niente di te, a parte che detestiamo entrambi fogli e penne».

«Gli appuntamenti servono proprio a questo».

Dal momento che la ragazza sembrava vagamente sorpresa, proseguì.

«Senti, lavoro un numero di ore inimmaginabile, quindi non ho il tempo per prepararmi qualche battuta da film per convincere una ragazza a uscire insieme a me, ma ti prometto una cosa. Nessun foglio e nessuna penna. Solo due persone e due tazze di caffè».

«Sei molto bravo a negoziare, vero?»

«Solitamente sì», ammise lui. «È un sì?»

Sarah parve riflettere un attimo prima di rispondere, come se qualcosa la stesse trattenendo. Chissà, forse aveva un ragazzo, oppure non era interessata alla sua proposta.

Tuttavia, inspiegabilmente, alla fine gli sorrise di nuovo e disse:

«Non mettere la cravatta domani, avvocato».

Ancora oggi ogni volta che ripensava a quell’insolito e alquanto stupido scambio di battute con Will non poteva fare a meno di ridere.

In fondo non c’era stato nessun eclatante gesto romantico fra loro durante le prime uscite ed era stato questo a farle capire che lui poteva essere davvero la persona giusta.

Non aveva mai provato a fare colpo su di lei, o a stordirla di chiacchiere e frasi fatte. Will Turner era sempre stato se stesso, fin dal primo momento in cui le aveva rivolto la parola e, per Sarah, era proprio questo a essere irresistibile.

Era assurdo pensare che all’inizio aveva soppesato l’idea di declinare le sue avances. Se lo avesse fatto tutta la sua vita avrebbe preso una piega diversa e probabilmente non sarebbe mai giunta in California. Sarebbe stata una persona differente senza di lui e non aveva alcuna curiosità in proposito. La vita che voleva era insieme a Will e, nell’istante esatto in cui se ne rese conto, comprese anche che era pronta per il passo che lui tanto bramava.


Ciao a tutte! 
La campagna promozionale è giunta alla fine e Sarah è finalmente tornata a casa.
Will aveva sentito veramente tanto la sua mancanza e sembrerebbe proprio che lei sia giunta alla conclusione di non voler vivere senza di lui.
Accetterà la sua proposta o succederà qualcosa nel frattempo che le farà mutare opinione?
Intanto in questo capitolo scopriamo una cosa che qualcuna di voi forse sospettava, ovvero che è successo qualcosa in passato fra Will e Sam, di cui Sarah non ha mai saputo nulla. Sarà importante, o sarà un fatto privo di rilevanza come lui pare considerlo?
In ogni caso, sembra che Will sia davvero poco contento di pensare a sua madre che incontra George... Come dargli torto! 
E come staranno andando le cose per George adesso che è tornato a casa? Di certo a breve lo aspetterà una sorpresa che potrebbe non gradire... 
In attesa di scoprire di che cosa si tratta vi ringrazio per avermi seguito fino a qui e spero di leggere qualche parere. ;)
Alla prossima settimana!
Vale



 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Quando il campanello suonò per la seconda volta George non poté più ignorarlo, così si rassegnò e andò ad aprire la porta.

Non fu troppo stupefatto nel trovarsi di fronte il suo agente.

Era rientrato a Los Angeles da poco più di sedici ore e a quanto pareva per Stephen erano un arco di tempo più che sufficiente per una visita di cortesia.

Non aveva molta voglia di intrattenere ospiti, ma non era mai stato così felice di vederlo. Sebbene non volesse ammetterlo, infatti, varcare la soglia della sua dimora la sera precedente era stato più duro di quanto potesse sopportare.

Tutto gli era sembrato così irreale. Era come se i suoi peggiori incubi si fossero concretizzati un’altra volta. Sapeva, razionalmente, che la donna che amava non sarebbe più tornata, che doveva accettarlo, rassegnarsi e andare avanti, eppure non appena aveva messo piede in casa si era sentito congelare il sangue nelle vene.

«Ciao, credevo che ci saremmo visti domani», disse l’attore.

«Beh, Clara mi ha chiesto di uscire per prenderle un frullato di frutta con il tassativo ordine di invitarti a pranzo», lo informò l’uomo. «E non accetterà un no come risposta», aggiunse a mo’ di scusa.

George accennò un tenue sorriso e si spostò di lato per permettere all’amico di passare.

«È così pesante l’atmosfera a casa?», gli chiese curioso.

«Clara ha voglie sempre più strane… La notte il bambino scalcia e dormire le diviene impossibile», sospirò Stephen, sedendosi sul divano del soggiorno.

«E quindi lo diviene anche per te», concluse George.

«Già. Ma a quanto sembra non sono l’unico a non aver riposato stanotte», asserì, notando solo in quell’istante le occhiaie del suo interlocutore, tanto simili alle sue.

«Sto bene. Non preoccuparti. Il jet leg non mi è mai stato amico».

«Lo so», disse. Poi aggiunse: «Sarà meglio che tu vada a cambiarti: se dovessimo ritardare anche solo di un minuto, Clara me ne attribuirebbe tutta la responsabilità!»

George sorrise, stavolta più apertamente.

«Ricevuto! È davvero così nervosa? Devo chiamare Oliver e chiedergli di pensare a te?»

«Non sarebbe una cattiva idea», bofonchiò Stephen, mentre l’altro raggiungeva le scale.

                                                                     ***
  
Non aveva programmato di uscire, ma la proposta del suo agente era la migliore che riuscisse a immaginare. Fra l’altro, a giudicare dal nervosismo dell’uomo, sua moglie non avrebbe avuto occhi solo per lui. 

Era sempre andato molto d’accordo con Clara. L'aveva conosciuta in uno dei periodi peggiori della sua vita, tuttavia – nonostante ne avesse avuto tutte le ragioni – non gli aveva mai rinfacciato nulla.

Anzi, si era dimostrata molto dolce nei suoi confronti. Era abituato a vedere quel lato di lei, per cui fu strano, e a tratti divertente, osservarla mentre rimproverava suo marito per ogni minuzia. 

Avevano finito di pranzare da una decina di minuti quando annunciò di avere voglia di fragole. 

George fu piuttosto certo di aver visto Stephen alzare gli occhi al cielo udendo quella richiesta.

«Vuoi che vada a prendertele?», le chiese in tono sommesso.

«Non lo so. Preferisci che tuo figlio nasca con una voglia di fragole a deturpargli il viso?», replicò lei, lanciando uno sguardo d'intesa all'attore.

«Non credo sarebbe molto carina», convenne quest’ultimo, meritandosi un'occhiataccia dal suo agente.

«No, certo. C'è qualcos'altro che posso fare per te, tesoro?»

Lei scosse la testa. 

«Va bene. Tornerò appena posso».

«Fa' in fretta, per favore».

«Sì, certo. Adesso dovrei possedere anche il dono di controllare il traffico», borbottò lui, avviandosi verso la porta. 

«Non sei stata molto gentile», osservò George in tono pacato, quando l'uomo se ne fu andato.

«È una fortuna che voi uomini non conosciate gli sbalzi ormonali». 

L'attore ridacchiò.

«In ogni caso, sei raggiante», le disse sincero. «Sono felice per voi. Mi dispiace non avertelo detto prima». 

«Non fa niente, tesoro. Hai avuto altro a cui pensare», gli sussurrò dolcemente.

Lui annuì appena, temendo ciò che sarebbe venuto dopo.

Ma la sua interlocutrice non disse ciò che si sarebbe aspettato.

«Sai, negli scorsi giorni ho temuto che mio marito impazzisse. Non gli piace delegare i compiti agli altri e credo che in fondo gli piaccia molto seguire le campagne promozionali». 

«Perché si preoccupa per il sottoscritto», precisò il diretto interessato.

«Puoi biasimarlo?»

«Non dovrebbe pensare a me. Sto bene. Tu e il nascituro, voi siete importanti».

«Sarai un fantastico padre un giorno».

Lui fece una smorfia.

«Scherzi?! Sarei la persona meno adatta al mondo a crescere un bambino e non penso che succederà mai in ogni caso».

«Scusami. Sono una sciocca!», dichiarò lei.

«Non fa niente», aggiunse subito dopo, pentendosi del modo in cui era sbottato. «Ho capito cosa volevi dire e ti ringrazio, ma mi accontenterò di viziare terribilmente vostro figlio, o figlia».

«È una bambina», gli confidò lei. 

«Wow! Beh, congratulazioni! Stephen non me l'aveva detto!»

«Perché lui ancora non lo sa», ammise lei con sguardo complice. «Questa bambina è un miracolo e temo che mio marito non voglia fare troppi preparativi prima che sia nata». 

«Sono sicuro che andrà tutto benissimo stavolta, Clara», disse lui, accarezzandole la mano. 

«Lo spero», mormorò lei, trattenendo a stento le lacrime. «Oh, scusami. Gli ormoni sono terribili. Ormai piango per qualsiasi sciocchezza».
 
                                                                      ***
 
Non conosceva da molto tempo Stephen quando Clara era rimasta incinta la prima volta, ma ricordava bene la gioia pura dipinta sul volto dell'agente.

Così come rammentava il dolore che aveva provato nel vedersi strappare via il sogno di divenire padre non una, ma svariate volte. Purtroppo tutte le gravidanze di Clara non erano andate a buon fine e l'attore sapeva quanto ciò fosse frustrante per la coppia.

Nientemeno l'uomo non aveva smesso di essere ottimista e, ora che si trovavano a pochi mesi da quel giorno tanto sperato, George non faticava a immaginare quanto la sola ipotesi di perdere tutto un'altra volta potesse essere insopportabile per lui. 

La cosa peggiore era che – nonostante le sue parole – non riusciva neanche a essere completamente felice per lui, per loro.

Sapeva di essere un egoista, ma notando il modo in cui Stephen e sua moglie si guardavano si era sentito geloso. Augurava loro ogni bene, però non poteva fare a meno di pensare che non sarebbe più riuscito a provare lo stesso.

Non era mai stato semplice per lui essere felice, ma pian piano aveva imparato a guardare il quadro generale e a soffermarsi solo sulle cose che erano alla sua portata.

Era l'unico modo per non impazzire... Con il tempo aveva cominciato a trarre benefici da quella filosofia di vita, tuttavia era accaduto prima che ogni cosa mutasse.

Perdere Lindsay gli aveva causato un dolore inesprimibile a parole.

Come poteva dichiarare quello che provava?!

Non c'era più niente che valesse la pena di esternare. 

Quegli ultimi giorni erano stati un inferno e non aveva ragione di credere che qualcosa potesse migliorare. Ormai non c'era più niente che importasse. 

Tuttavia, se pensava che la situazione non potesse peggiorare, quel pomeriggio fu costretto a ricredersi alla svelta, poiché di fronte al cancello della sua dimora c'era l'ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere e probabilmente l’ultima con cui aveva voglia di parlare.

Suo fratello. 


Ciao a tutte!
Potrei prendere spunti da molti dettagli lasciati qua e là, ma preferisco cominciare dalla fine. Finalmente il fratello di George, Liam, ha fatto la sua comparsa e nei prossimi capitoli avrete modo di conoscerlo meglio e di scoprire anche qualcosa in più sui loro trascorsi. :)
Per ora George pare tutto tranne che contento di trovarlo di fronte a casa; chissà se Liam gli farà mutare idea, o se il loro incontro sfocerà in un'altra lite...!
Intanto com'era prevedibile Stephen non ha lasciato passare troppo tempo per andare a trovare George e "portarlo" a casa.
E stavolta ho voluto concedere un po' più di spazio a sua moglie Clara per mostrare quanto anche lei gli sia affezionata.
Come al solito vi ringrazio per avermi seguita fino a qui, ci rileggiamo lunedì prossimo!
Baci
Vale
PS Quanto vi pare dolce George da 1 a 1000? 



 

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


Impiegò almeno un minuto prima di riprendersi dallo shock. Aveva le mani fredde e sudate e i battiti del cuore accelerati. Purtroppo quelle spiacevoli sensazioni non gli erano estranee, ma trovare Liam ad aspettarlo davanti al cancello era troppo da sopportare in quel momento. 

Tuttavia, non poteva fare inversione a U fingendo di non averlo visto, per cui fece un paio di profondi respiri per ricomporsi, dopodiché fermò l'auto e scese per salutarlo. 

Suo fratello indossava un giubbotto nero con sopra una t-shirt bianca e un paio di jeans scuri. In testa portava un cappellino da baseball blu con sopra le iniziali della sua squadra preferita, NY.

A quanto pareva vivere in un altro continente non aveva fatto venire meno la sua passione per quello sport. 

«Cerca di contenere la gioia, fratellino! Potrei quasi pensare che sei contento di vedermi!»

«Ciao, Liam», lo salutò con un sorriso. «Non sapevo che ti trovassi a Los Angeles. Cosa ci fai qui?»

Forse era stato troppo brusco, ma era così stanco di fingere... 

«Vogliamo sul serio parlarne in mezzo alla strada sotto gli occhi di tutti?», gli chiese il fratello maggiore in tono ironico. 

«No, certo», convenne lui.

Quando furono in casa, l’ospite si guardò intorno per un po', poi scrollò le spalle e disse con noncuranza:

«Non è cambiato praticamente niente nell'arredamento dall'ultima volta in cui sono stato qui».

George accennò un sorriso più sincero stavolta.

«Non amo molto i cambiamenti, lo sai».

«Me lo ricordo», commentò il suo interlocutore. 

I due si accomodarono sul divano, dopodiché George gli domandò di nuovo il motivo della sua visita.

Non voleva essere insistente, ma gli era impossibile capacitarsi del fatto che suo fratello fosse veramente lì accanto a lui. E soprattutto che avesse deciso di fargli visita senza neanche avvertirlo.

A onor del vero però dovette ammettere almeno con se stesso che se Liam si fosse azzardato ad autoinvitarsi a casa sua difficilmente gli avrebbe risposto di sì.

«In realtà sono diretto a New York da papà, ma ho pensato di vedere il mio fratellino prima», affermò Liam, interrompendo le sue riflessioni.

Non gli andava di parlare un'altra volta di loro padre, specie in quel momento, e per fortuna suo fratello lo comprese e non disse altro in proposito. 

«Per quanto tempo ti fermi?», s'informò l’attore.

«Soltanto fino a domani», rispose Liam. «Il mio volo parte intorno alle 2PM». 

Meno di ventiquattr'ore erano un arco di tempo tollerabile, anche se dubitava di riuscire a evitare per tutta la giornata argomenti spiacevoli. Però forse con un po’ di collaborazione da parte sua quelle ore non sarebbero state l’inferno che in un primo momento aveva temuto.

«Senti, dovrei tornare in hotel adesso, però mi piacerebbe uscire con mio fratello stasera», proseguì Liam, speranzoso.

La prospettiva non lo entusiasmava, ma cos'altro poteva dire?

Inoltre, si sentiva un po' in colpa per non avergli nemmeno fatto una telefonata per informarlo della scomparsa di Lindsay. Doveva farsi perdonare. 

Così si ritrovò ad annuire.

Fissarono di andare al Ben Nevis, un locale poco distante da Rodeo Drive e dall'hotel dove alloggiava Liam. 

                                                                       ***
 
Una volta rimasto da solo, George si trovò immerso nella solita routine. Tolse gli indumenti dal proprio bagaglio e li mise alla rinfusa nella lavatrice senza fare troppo caso ai vari colori o al diverso tipo di temperatura richiesta per i singoli capi.

Abitava da solo da quasi dieci anni, perciò era abituato a dover pensare a se stesso. Sebbene non avesse ereditato le doti culinarie di sua madre, aveva imparato a cavarsela in ogni ambito che non implicasse la cucina. 

Lindsay l'aveva preso in giro un'infinità di volte, dicendogli che non era credibile che non fosse neanche in grado di bollire un uovo. 

Quei momenti erano alcune delle cose che gli mancavano di più. Da quando l'aveva persa aveva fatto il possibile per non pensarci troppo, ma i suoi sforzi non erano valsi a nulla.

Lei continuava a essere il suo primo pensiero la mattina e l'ultimo quando chiudeva gli occhi.

Era sempre presente, addirittura più di quando l'aveva avuta accanto e la cosa paradossale era che da quando era deceduta non riusciva a considerare importanti, o rilevanti neanche una delle ragioni per cui tante volte se l'era presa con lei. 

Al funerale di sua madre aveva detestato gli inutili commenti su quanto lei fosse meravigliosa, o perfetta, ma... Con Lindsay era diverso.

Sebbene fosse tutto tranne che priva di difetti, George non poteva fare a meno di pensare di aver sbagliato ogni cosa con lei. In fondo a suo modo anche lui l'aveva ferita, forse più di quanto in principio avesse compreso. 

Aveva cercato di cambiarla, di renderla il più simile possibile all’idea che aveva in testa e forse era stato anche questo ad allontanarli in più di un’occasione… L’aveva forzata a essere qualcuno che non era.

Aveva agito esattamente come si era sempre riproposto di non fare. Era tutto tranne che perfetto e anche in quel momento continuava a domandarsi che cosa lei avesse visto in lui.

Che cosa era stato capace di darle? Avrebbe meritato di più, di meglio. Un uomo che non avesse mai neanche pensato che in lei ci fosse qualcosa da mutare.

Se solo avesse potuto tornare indietro…! Quanto l’avrebbe desiderato!

Avrebbe dato tutto per vivere anche solo un altro istante insieme a lei, per ripeterle ancora una volta che l’amava, che l’aveva amata fin dal primo attimo e che si era comportato come uno sciocco, poiché non aveva mai apprezzato davvero quello che avevano.

Qualunque cosa in quella casa sembrava impregnata di lei, lui stesso lo era. Lindsay era stata l'amore della sua vita e nessun'altra avrebbe potuto prendere il suo posto nel suo cuore.

Erano molte le cose che ignorava, ma su quella non aveva dubbi: lei sarebbe stata per sempre l'unica. 
 
                                                                         ***

Mentre guidava verso il Ben Nevis con suo fratello seduto sul sedile del passeggero, George ebbe una strana sensazione di déjà vu. 

In fin dei conti era stato proprio Liam a insegnargli a guidare e a lagnarsi di quanto andava lento lungo la strada verso casa la sera del compleanno di loro padre più di dieci anni prima. Liam era partito per l'ennesima volta qualche settimana dopo, per cui quella probabilmente era stata l'ultima volta in cui erano stati così vicini. 

Era strano ricordare che solo pochi mesi prima stessero pianificando un viaggio da costa a costa insieme. Era stata un'idea folle e forse suo fratello l'aveva sempre saputo, ma questo non gli aveva impedito di trascorrere del tempo con lui a fare ricerche su quanto sarebbe stato il costo della benzina, o a pianificare nel dettaglio la loro avventura. 

La prematura morte della madre aveva portato via a entrambi più di quanto non fossero disposti ad ammettere a parole. E, mentre guardava suo fratello di sottecchi, Liam non poté che preoccuparsi per lui. 

Nonostante il loro rapporto fosse ormai una distesa di ghiaccio da anni, non aveva mai smesso di sperare che finalmente l'altro riuscisse a mettere da parte i vecchi rancori, o che perlomeno gliene spiegasse la ragione.

Anche approcciare l'argomento con loro padre si era rivelato un buco nell'acqua...

Possibile che preferissero quel silenzio, a un sano e più maturo confronto?!

Non si era mai illuso di essere la persona più riflessiva, o intellettualmente dotata in famiglia, però quell'impasse gli sembrava assurda. 

All'inizio non aveva quasi notato un cambiamento nel comportamento del fratello, poi pian piano la sua indifferenza nei suoi confronti era diventata più palese e, ancora oggi, non riusciva a capacitarsene.

Paradossalmente l'unico momento nel quale gli era sembrato di vedere uno spiraglio per capirlo era stato quando aveva conosciuto Lindsay.

C'era qualcosa nella maniera in cui George la guardava che l'aveva portato a sperare che fosse ancora possibile riavere suo fratello e non soltanto l'estraneo con cui parlava delle ultime partite viste in televisione. 

Apprendere la sua morte l'aveva sconvolto e... spaventato, perché temeva che George reagisse come aveva fatto dopo la scomparsa di loro madre. E, al punto in cui era il loro rapporto, sarebbe stato impossibile per lui aiutarlo, o aggiustare le cose. 

Ciò che gli aveva detto quel pomeriggio era una vera e propria bugia: non c'era alcun viaggio a New York nei suoi programmi. Il suo fitto calendario di allenamenti non gliene offriva il tempo, ma non se l'era sentito di restare a Sydney facendo finta di nulla. 

L’aveva ferito apprendere la notizia dai giornali, avrebbe desiderato urlare contro di lui al telefono quel giorno, però forse parte della responsabilità per quanto era accaduto era anche sua.

Era sempre stato meno introverso di George e dopo la morte della madre aveva deciso senza soffermarsi troppo a pensarci di ripartire. Era tornato al college, alla vita alla quale si era dovuto adattare...

Non aveva mai pensato con serietà di proseguire gli studi, l'unica cosa che aveva sempre desiderato era stato gareggiare. Era arrivato a un passo da tutto ciò che aveva sognato. Aveva assaporato il brivido dell'essere vicino a tutto quello che aveva sempre desiderato diventare e poi tutto era svanito.

Anni di duri allenamenti si erano rivelati soltanto un'ottima palestra per il suo carattere. Gli era costato molto rinunciare, ma la sua lesione al ginocchio destro gli aveva reso impossibile ed estremamente pericoloso continuare a perseguire quello scopo. 

All'inizio era stato difficile, ma era abituato a non crogiolarsi troppo nelle situazioni.

Se non poteva fare nulla per cambiare le cose, che senso aveva farsi del male pensando a qualcosa di irrealizzabile?

In qualche modo era stata quella medesima mentalità a fargli superare e accettare la dipartita della sua genitrice in maniera meno traumatica.

Non era in suo potere mutare le cose; poteva solo andare avanti con quello che possedeva.

La certezza di essere stato amato da lei.

Aveva creduto che anche per il fratello potesse essere lo stesso, ma si era reso conto troppo tardi che non era così. George non era riuscito a metterci una pietra sopra allora e, chissà, forse era stato proprio il diverso modo in cui avevano vissuto il lutto ad aprire quella voragine fra loro, che piano pian era divenuta così simile a un abisso. 

Mentre George rallentava per accostare l'auto, Liam non poté che sperare che il suo intervento potesse in qualche modo aiutarlo a fargli capire che gli voleva bene. 


Ciao a tutte!
Dal momento che domani sarò un po' indaffarata ho deciso di non farvi aspettare martedì e di aggiornare oggi. 
Come forse era prevedibile George non è entusiasta di aver trovato suo fratello ad aspettarlo sulla soglia di casa, ma messo alle strette ha dovuto cedere quantomeno ad una serata con lui. 
Come andrà? Liam riuscirà a parlare con lui o George gli renderà le cose più difficili del dovuto?
Intanto il mistero su che cosa è accaduto davvero fra George e suo padre continua a scaldare gli animi... Liam sarà in grado di scoprire la verità stavolta?
In ogni caso, per ora George sembra aver chiuso il proprio cuore a riccio e il ricordo di Lindsay continua a tormentarlo... Ma siamo sicuri che non ci sia anche qualcos'altro a confonderlo?
Vi lascio con parecchie domande, ma vedrete che i prossimi capitoli vi forniranno un po' di risposte!
Intanto vi ringrazio di avermi seguita fino a qui! :)
A presto,
Vale

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


Mentre ordinavano il secondo giro, George si sentiva nervoso. Era trascorso almeno un anno dall'ultima volta in cui aveva passato una serata insieme a Liam e non sapeva proprio cosa fare, se non lasciarlo parlare di questo e di quello.

Era una fortuna che suo fratello non fosse mai stato restio a mantenere viva la conversazione. 
Gli aveva raccontato di una nuova atleta che stava allenando e di quanto credesse nel suo talento.

Sembrava aver fatto davvero un buon lavoro con la sua scuola di surf e gli pareva appagato dalla sua vita. Nonostante tutto non poté che essere contento per lui. 

Una ragazza passando lanciò ai due uomini uno sguardo di apprezzamento carico di sottintesi ben poco celati, ma l'attore quasi non ci fece caso.

Liam al contrario le sorrise con nonchalance e, accorgendosi di quel gesto abituale, il fratello osservò, divertito: 

«Non cambi mai». 

«Cosa vuoi che ti dica? Era carina».

George annuì appena. 

«Ti ricordi l'escursione in Arizona?», gli chiese Liam. 

«Come potrei dimenticarmene. Tenevi un'agenda con i nomi di ogni ragazza carina che ti aveva rivolto la parola».

«No, fratellino. Non è esatto!», lo contraddisse il suo interlocutore.

George scosse la testa e rise involontariamente, finendo la sua birra. 

Era strano stare con Liam così, rammentando l'adolescenza.

Quando la cameriera tornò e porse loro l'ennesime bottiglie ghiacciate, George stava quasi iniziando a rilassarsi, peccato che suo fratello avesse stabilito che era arrivato il momento di parlare di qualcosa di più serio. 

«Quindi... Siamo abbastanza ubriachi per affrontare il discorso?»

Non ebbe neanche bisogno di domandargli a cosa si stesse riferendo. 

«Sto bene, Liam», gli disse, poggiando la bottiglia sul tavolo.

«Hai per caso un provino per un film horror nel quale devi interpretare uno zombie a breve? Sei uno straccio, fratellino. Non lo sai che i vampiri dopo Twilight sono passati di moda?»

Suo malgrado l'attore ridacchiò per quel paragone assurdo, specie perché in un primo momento gli avevano davvero offerto la parte del celebre vampiro.

«In ogni caso – proseguì Liam – mi spiace non essere stato presente alla commemorazione». 

George lo guardò. Sembrava sincero.

«Abiti in un altro continente, non mi aspettavo che venissi». 

«E, invece, forse avresti dovuto chiedermelo», ribatté Liam un po’ alterato.

«Non sarebbe cambiato molto», sussurrò George. «Non preoccuparti. Stephen e Sarah sono stati efficienti babysitter», aggiunse per allentare la tensione.

L'altro non si sorprese di udire il nome dell'uomo, poiché era a conoscenza di quanto suo fratello fosse legato al suo agente, ma rimase assai sbalordito dalla famigliarità con cui aveva buttato lì quello della ragazza. 

«La tua addetta stampa non mi pare esattamente una presenza rassicurante», commentò Liam.

«È anche un'amica», disse con semplicità l’altro.

Il suo interlocutore non replicò, anche se non poté fare a meno di essere incuriosito. Non era un termine che gli aveva sentito pronunciare spesso di recente.

«Capisco che tu non volessi avere papà fra i piedi, però avrei potuto esserci io».

«Non ha senso continuare a parlarne, Liam», sbottò George non appena l’altro nominò il loro comune genitore. «Scusa, è solo che... Sono stufo di dover ripetere a tutti che sto bene. Vorrei solo che la smetteste di preoccuparvi per me. Tutto qui», minimizzò.

Comprendendo che la situazione rischiava di divenire assai spiacevole, il maggiore dei fratelli Wellington si limitò a un’alzata di spalle.

«Affare fatto. Da questo momento in poi ogni discorso serio sarà abolito con effetto immediato e, per farmi perdonare, il prossimo giro lo offro io. Ci stai?»

«Non chiedo di meglio». 

                                                                      ***
 
Non aveva la più pallida idea di come e quando fossero andati via dal Ben Nevis, ma guardando fuori dal finestrino del taxi riconobbe i famigliari lampioni che illuminavano il quartiere in cui viveva. 

Che diamine di fine aveva fatto la sua macchina?!

I suoi ricordi arrivavano più o meno al momento in cui suo fratello aveva tirato fuori l'argomento Lindsay. Il resto era all'incirca un buco nero. 

«Sai, è proprio una fortuna uscire con te: non rammento l'ultima volta in cui una donna mi abbia offerto da bere!», stava dicendo Liam. 

«Già. Sono la compagnia ideale», borbottò lui, tirandosi su.

«Sempre che tu non mi chieda di portarti dentro in braccio!», proseguì Liam.

George ridacchiò. Liam non doveva essere molto più sobrio di lui.

In fondo quella serata si era rivelata più piacevole del previsto. Accantonato l'argomento Lindsay, suo fratello era stato di parola e avevano finito con il chiacchierare del più e del meno.

Accompagnati dall'alcool dovevano aver detto molte sciocchezze, però l'attore aveva ricordato quanto potesse essere facile stare insieme a Liam. Non era necessario dire qualcosa con lui, bastava limitarsi ad ascoltare i suoi commenti su qualsiasi ragazza si arrischiasse a intercettare il suo sguardo. 

In realtà era piuttosto sicuro che fosse più che fedele alla sua fidanzata, ma probabilmente gli piaceva rammentare di avere anche altre opzioni e, dopo ciò che era accaduto, George non se la sentiva di condannarlo. 

«Forza, siamo arrivati», gli disse il fratello, dandogli una pacca sulla spalla per spronarlo a uscire dalla macchina.

Lui si affrettò a seguirlo, ma prima che potesse tirare fuori il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans, lo vide porgere una banconota da 50 dollari al taxista. 

«Mancia poco generosa», commentò con un sorrisino, dopo che l’auto fu sparita dalla loro visuale.

«Ehi, non è solo colpa mia se abbiamo quasi prosciugato il mio conto in banca stanotte!»

George rise più forte. 

«Andiamo, fratellino. Entriamo in casa prima di svegliare tutti i tuoi vicini». 

Considerata la distanza fra le ville si sarebbe rivelata un’impresa piuttosto ardua, ma non aveva voglia di puntualizzarlo. In verità non aveva voglia di dire proprio nulla.

Una volta dentro le mura domestiche, George si lasciò andare rumorosamente sul divano. 

«Ti prendo un po' d'acqua?», gli chiese Liam.

Lui fece cenno di no con la testa.

«Lo sai... Da quanto tempo non passavamo una serata così?», gli domandò, passandosi una mano fra i capelli.

«Anni, probabilmente», rispose Liam, poggiandosi al tavolino vicino al divano.

«Già. Hai ragione».

«L'ultima volta dev'essere stato per la festa di compleanno di zio Ian», ipotizzò, sforzandosi di ricordare. E, approfittando della congiunzione favorevole, aggiunse: «Sai, potrebbe accadere più spesso se tu rispondessi alle mie chiamate».

 «Già, sono un mostro. Lo so», mormorò.

«Mi dirai mai cos'è successo, George?», gli chiese esasperato dopo un attimo di silenzio.

«Credimi, non vorresti saperlo», biascicò lui, socchiudendo le palpebre. 

Suo fratello sospirò. Era davvero fiato sprecato.

«Mi sei mancato». 

«Già, anche tu», ammise lui.

In fondo era la verità, anche se non amava raccontarsela spesso. Avrebbe desiderato che le cose fossero andate diversamente, ma il suo rapporto con Liam era un’altra di quelle cose per cui ormai sentiva di non poter più fare nulla.

Quella serata era il massimo che potevano avere.

«Senti, ormai il taxi è andato e non me la sento di guidare...».

«Stai pure qui. Le stanze non mancano», gli disse, poco prima di perdere i sensi.

«D'accordo. Ci vediamo domattina allora». 

«Okay». 

«Buonanotte». 


Ciao a tutte!
Alla fine la serata fra i due fratelli non è stata poi così tremenda per nessuno dei due, anche se probabilmente Liam ha capito che rischiava di prendere una sedia in faccia se avesse insistito nel voler parlare di Lindsay.
Così come George è stato costretto ad ammettere quanto la situazione famigliare gli pesi... Ma da cosa deriverà questa sua sensazione di non poter far nulla per sistemare le cose?
Purtroppo i tentativi di Liam di capirci qualcosa sono falliti, ma se non altro i due si sono almeno visti. Cosa ne pensate del nuovo arrivato?
In questi capitoli ho messo un po' da parte Sarah e Will, ma vedrete che molto presto tornerò a parlare anche di loro e ci saranno un po' di sorprese! In fondo qualcuno aspetta da parecchio di porre una certa domanda. ;)
Al prossimo capitolo!
Baci
Vale

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


Quando Sarah parcheggiò l'auto nel vialetto della villa di George quella mattina si accorse quasi immediatamente che la sua Porsche non si trovava lì. Però le sembrava strano che lui non fosse in casa, così proseguì a piedi fino al portone e nel momento in cui questo si spalancò la giovane ebbe un'altra sorpresa, poiché la persona di fronte a lei non era lui. 

Tuttavia, quell'uomo in parte gli somigliava. Avevano gli stessi lineamenti del viso e persino lo stesso colore di capelli. Soltanto gli occhi erano diversi: quelli dell'attore infatti erano chiari, del medesimo colore dell'oceano in una giornata di quiete, mentre quelli che la stavano scrutando curiosi erano di un caldo marrone. 

Anche fisicamente non erano molto differenti. Probabilmente pure se non avesse riconosciuto l'uomo davanti a sé, non avrebbe faticato a indovinare che condividevano lo stesso sangue.

In ogni caso, trovare Liam Wellington lì la stupì e al tempo stesso la mise in allarme. 

Stephen le aveva detto che i due fratelli non avevano un gran rapporto e dubitava che George avesse improvvisamente deciso di contattare il fratello... Ma non erano affari suoi.

«Tu devi essere... Sarah. Giusto?», azzardò l'uomo con un sorriso cordiale quanto speranzoso, squadrandola da capo a piedi in cerca di chissà quale indizio.

La ragazza rimase ancora più sorpresa dal fatto che conoscesse il suo nome.

«Esatto». 

«Nel caso te lo stessi domandando, sono il fratello di George, Liam», si presentò il suo interlocutore.

E mio fratello dev'essersi scordato di dirmi quanto sei bella, aggiunse mentalmente. 

«È in casa?», gli chiese educatamente.

«Sì, certo. Prego, accomodati. È sotto la doccia, ma non dovrebbe impiegarci molto», le disse. «Scusa, non sono molto bravo nel fare gli onori di casa», aggiunse con un sorriso.

La ragazza per qualche strana ragione si sentiva a disagio in sua presenza, ma forse dipendeva soltanto dal fatto che si sentiva addosso il suo sguardo. 

«George non mi aveva avvisata che saresti passato, se no sarei venuta in un altro momento».

«Perché sono stato un fulmine a ciel sereno», ammise lui. «Dovevo comunque venire da queste parti, così ho pensato di fargli un saluto prima di andare a New York». 

Sarah sorrise educatamente.

«Quindi da quanto tempo lavori per mio fratello?», le chiese Liam curioso dopo un attimo.

Tuttavia, prima che la ragazza fosse in grado di rispondere, il diretto interessato si palesò in soggiorno.

«Alt! Mantieni le distanze di sicurezza, Liam! È impegnata», disse George.

«Ehi, non stavo facendo nulla! Vero, Sarah?»

La ragazza annuì tranquilla. 

«Ti conosco troppo bene», dichiarò l’attore, facendole l'occhiolino.

Sarah rimase sorpresa nel vederlo così allegro; a quanto pareva nonostante ciò che aveva sempre professato era felice di rivedere suo fratello. 

«Di che cosa volevi parlarmi?», le chiese, sedendosi sulla poltrona di fronte a loro. 

«Niente di urgente. Possiamo riparlarne anche in un altro momento». 

L'ultima cosa che desiderava era rovinare quella quiete famigliare. Inoltre, discutere delle prossime dichiarazioni alla stampa non era un impegno pressante. Aveva sempre trovato singolare che volesse essere informato su ogni dettaglio che chiunque altro avrebbe volentieri trascurato. 

Agli occhi di un'altra persona poteva sembrare soltanto una cosa meticolosa, ma ormai la ragazza lo conosceva abbastanza bene da ipotizzare che volesse semplicemente evitare spiacevoli sorprese.

Non aveva dimenticato quello che le aveva confidato poco dopo il suo scontro con Misha negli uffici di Inside: per lui fidarsi doveva essere ancora tutt'altro che facile. 

«In realtà io dovrei comunque andare adesso. Devo passare in hotel e fare un paio di telefonate prima di arrivare in aeroporto», disse Liam, alzandosi, imitato dal fratello. 

«D'accordo. Io... Mi ha fatto piacere vederti», mormorò George. 

Liam gli diede una pacca sulla spalla. 

«Chiamami ogni tanto, okay?»

«Lo farò», promise. 

«E... Ricordati la macchina», aggiunse a voce bassa Liam per non farsi udire dalla ragazza.

George annuì con un sorriso complice. 

«Grazie. Per essere venuto». 

Liam fu sorpreso di sentire quelle parole, ma rimase impassibile. In fondo era proprio ciò che aveva sperato di riuscire a fargli: una bella sorpresa. 

«Beh, è stato un piacere conoscerti, Sarah», le disse, allontanandosi dal fratello. 

«Ti serve un passaggio per andare in hotel?», gli chiese gentilmente lei. 

L'uomo scosse la testa.

«Ho già chiamato un taxi. Anzi, credo sia già arrivato».

«Okay». 

«Ora sarà meglio che vada. Non vorrei perdere l'aereo!»

Il fratello annuì.

«Buon viaggio e salutami Meredith», gli disse. 

«Non mancherò».

Fece un ultimo cenno in direzione della ragazza, dopodiché se ne andò senza guardarsi indietro. 

                                                                  ***
 
Mentre George dava un'occhiata ai vari documenti, Sarah era persa nei suoi pensieri. In un certo senso sarebbe stato corretto dire che dopo l'iniziale titubanza, era rimasta positivamente impressionata da quell'incontro breve e inatteso. 

George non aveva ancora detto una sola parola in proposito, però aveva notato la sua espressione serena. Non era tanto ingenua da credere che nel giro di così poco tempo lui potesse aver superato il dolore per la perdita di Lindsay, ma non vederlo costantemente corrucciato e depresso era già un piccolo passo avanti degno di nota. 

«Mi pare tutto a posto», dichiarò lui, restituendole i fogli. 

«Ottimo». 

«Senti... A proposito di prima… Liam non ti ha fatta sentire a disagio, vero?», s'informò. 

La ragazza si affrettò a scuotere la testa. 

«È abituato ad avere praticamente ogni donna ai suoi piedi da quando era alle medie, per cui... Se fa il playboy è solo per abitudine», le spiegò.

Sarah sorrise.

«Il campione sportivo, giusto?», ipotizzò lei, rammentando le sue parole. 

«Già. In tutto il suo splendore», affermò l’attore, ironico.

Lo era stato davvero. All’epoca George l’aveva addirittura invidiato per il suo successo con il gentil sesso, ma era stato prima che la sua vita sentimentale diventasse simile a una soap opera di serie B e che ogni donna iniziasse a dargli il tormento. In effetti con il senno di poi era stato fortunato a non aver assaporato tutto questo al liceo.

«È stato carino a passare», si azzardò a dire Sarah.

Lui annuì. 

La sua famiglia non era un argomento che gli era facile affrontare e non se la sentiva di provarci proprio quel giorno e la ragazza parve intuirlo, perché non aggiunse altro. A volte gli sembrava di essere quasi trasparente per lei… Gli pareva impossibile che si conoscessero soltanto da sei mesi.

«Sarah, ti andrebbe di fare qualcosa insieme per pranzo?», le propose.

Non era un’idea che aveva preventivato, ma si sentiva meglio e non aveva voglia di rinchiudersi ancora una volta nei suoi pensieri. Non quando poteva fare qualcosa di più salutare e che non gli imponesse di affrontare i propri demoni.

«Certo. Volentieri», acconsentì lei, forse lieta di sentirgli finalmente suggerire qualcosa dopo settimane di apatia.

Sapeva di non poter avere ciò che tanto a lungo aveva bramato, però la visita di Liam gli aveva fatto comprendere che c'erano ancora persone su cui poteva contare. Non era semplice tenerlo a mente, ma dopo tutto quello che era successo aveva un disperato bisogno di qualcosa in cui credere. 


Ciao a tutte!
La breve visita di Liam è terminata, ma ha riservato qualche piccola sorpresa. Intanto il fratello non l'ha decapitato (e so che era una preoccupazione di qualcuna di voi!) e, anzi, alla fine George è sembrato felice di averlo rivisto. Servirà ancora parecchio tempo perché fra loro si crei un legame vero, ma sicuramente questo incontro è stato un primo passo.
E Liam ha avuto anche modo di conoscere Sarah e non si può dire che non sia rimasto favorevolmente colpito da lei. Chissà cosa gli avrà raccontato George... di certo se Liam avesse osato provare a guardala troppo gli sarebbe partita una mano. ;)
Il prossimo capitolo conterrà più di un colpo di scena per Sarah! E vedrete come la ragazza reagirà...
Per ora vi ringrazio per avermi seguita fino a qui e se voleste dirmi cosa pensate della storia finora lo apprezzerei davvero!
A presto

Vale

 

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


Due mesi dopo. 

 
Gli era impossibile capacitarsi che tutto fosse filato liscio quel giorno, eppure era proprio così. Jerry era stato meno odioso del solito, le deposizioni erano procedute senza disguidi e lui e Sam erano addirittura riusciti a uscire dall'ufficio con 40 minuti d'anticipo.

Non era mai stato molto religioso, sebbene ogni tanto fosse andato in chiesa insieme ai suoi genitori, ma quell'evento da solo poteva bastare per far urlare al miracolo. Era la prima volta da quando lavorava allo studio in cui Will riusciva a ritagliarsi del tempo per sé ed era un bene visto ciò che aveva programmato di fare. 

«Quindi stasera è la gran sera?», gli domandò Sam con un sorriso complice. 

Lui annuì. 

«A quanto pare è così!»

«Non riesco ancora a credere che tu abbia aspettato così tanto», commentò la ragazza. 

«Conosci Sarah», dichiarò l’avvocato con un sorriso magnanimo.

Aveva pensato un'infinità di volte al modo migliore per chiederle di sposarlo, però dopo estenuanti riflessioni aveva compreso che con lei la congiunzione astrale perfetta non sarebbe mai arrivata.  

Amava Sarah e non aveva senso rimandare, specie perché nelle ultime settimane sembrava che qualcosa fosse cambiato e l'uomo si era convinto che fosse il momento giusto per farsi avanti. 

«Allora come glielo chiederai?», gli domandò Sam. «Ti scongiuro non dirmi che lo farai in un ristorante! O in un locale affittato apposta per l'occasione». 

Will scoppiò a ridere.

«Tu e la mia ragazza avete visto un po' troppi film!»

Non era mai stato il tipo da gesti di quel genere; inoltre, era estremamente sicuro che se anche avesse solo pensato di farlo in un luogo pubblico lei sarebbe corsa dall'altra parte. Non le piacevano le cose in pompa magna, per cui aveva organizzato qualcosa di diverso.

«Non sarà niente di speciale, solo noi due che ceniamo a un orario decente accompagnati dalle mie doti culinarie», le disse.

Sentendo quell'informazione la sua interlocutrice storse il naso.

«In tal proposito, forse sarebbe carino da parte tua condividerle con il mondo ogni tanto».

«Lo sai che detesto cucinare», le ricordò, al che la ragazza sbuffò. 

«Dovrei citarti in tribunale». 

Will rise, poi aggiunse:

«Secondo te avrei dovuto pensare a qualcosa di più?»

Era convinto della sua idea, ma un parere di Sam poteva sempre tornargli utile. 

«Per Sarah? Puoi stare tranquillo, Will. Le piacerà. Inoltre, non credo che la sua risposta dipenderà dalla tua cucina, o dalla maniera in cui glielo chiederai. Voi due siete già al di sopra di queste cose, lo sai. Lei è innamorata di te, non devi cercare di convincerla». 

«Lo so. E tu lo sai di chi stiamo parlando». 

«Già».

Si era sempre mostrata titubante ogni qual volta l'argomento nozze era saltato fuori e, sebbene sapesse che non era giusto forzarla in tal senso, voleva davvero porre un punto fermo alla loro relazione. 

Il suo errore più ingenuo era stato affrontare quel discorso con la sua famiglia prima ancora di parlarne con lei. Sua madre, infatti, aveva iniziato a dare di matto e quando erano andati a trovarli l'ultima volta non aveva fatto altro che lanciare alla ragazza frecciatine più o meno velate in proposito. 

In effetti – anche se era un pensiero di cui faceva volentieri a meno – era stata una fortuna che ci fosse stato George a distrarla a New York. 

Si era stancato di sentire parlare sempre e solo di lui, o di chiedersi se nei momenti in cui la sua ragazza era distratta c'era lui a riempire i suoi pensieri. Forse era sciocco preoccuparsi così tanto, ma era impossibile negare che fra loro ci fosse qualcosa. Non aveva dubbi sul fatto che Sarah l'amasse – in caso contrario non avrebbe mai pensato di chiederle di trascorrere tutta la vita insieme a lui – però ciò che temeva era che George fraintendesse le sue intenzioni. In fondo era pur sempre un uomo. 

«Tua madre si è ripresa dallo shock?», gli chiese Sam, divertita. 

Will fece una smorfia. 

«Non ne abbiamo più parlato», rispose sincero.

Non aveva ancora capito che cosa sua madre si aspettasse da Sarah, però era certamente meno di quanto Aaron chiedesse a lui.

Ricordava ancora con orrore il loro primo incontro. Fin dal principio l'uomo si era mostrato rude nei suoi confronti e, nonostante immaginasse almeno in parte le sue motivazioni, era certo di non avere fatto niente per contrariarlo.

Onde evitare ulteriori malintesi, aveva sorvolato anche sulle ricerche che aveva fatto su di lui, ma quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Non poteva obbligarlo a trovarlo simpatico, ma voleva almeno il suo rispetto. 

Era inverosimile che le loro famiglie si fossero incontrate soltanto una volta di sfuggita, però considerando la poca simpatia che c'era fra loro forse era un bene. 

Magari Aaron voleva solo proteggere sua figlia, ma come poteva non aver ancora capito che lui non le avrebbe mai fatto del male?

«Al tuo posto mi preoccuperei più di Aaron!», commentò Sam, quasi leggendogli nel pensiero.

«Dovrà farsene una ragione, come mia madre», asserì lui con un'alzata di spalle.

«Sai, non credo che a tua madre lei non piaccia. Penso che sia solo gelosa», affermò a un certo punto l’amica.

«Non ho più otto anni».

Sam, invece, lo guardò proprio come se gli avesse.

«Non mi stavo riferendo a te», precisò. 

«Stai suggerendo che mia madre è invidiosa della mia ragazza?», le chiese stupefatto.

«Sto solo dicendo che non è un'ipotesi tanto remota. Pensaci». 

L'uomo ci provò, ma quell'idea gli pareva assurda. 

«Guarda cosa state costruendo voi e che cosa possiede lei. È intelligente, ma il suo massimo impegno è organizzare cocktail party con le amiche e serate di beneficenza. Tu sei il suo più grande risultato, Will. E Sarah non solo sta per portarglielo via, ma è anche abbastanza sveglia da saper apprezzare ciò che ha e da non mettere la sua vita nelle mani di un uomo», dichiarò. «E in fondo penso che sia anche un po' gelosa per Mr Hollywood», aggiunse per prenderlo in giro.

Will la fissò divertito. 

«Quindi adesso mi dirai che Aaron è geloso di me?», la prese in giro.

«No, in quel caso si tratta proprio di simpatia latente. Mi spiace!» 

L'avvocato si lasciò andare a una sana risata. 

Forse doveva provare a mettere le cose nella giusta prospettiva... In fondo da ciò che Sarah gli aveva confidato suo padre non aveva mai guardato di buon grado nessuno dei ragazzi con cui era uscita, quindi c'erano ottime probabilità che la sua diffidenza non dipendesse da lui.
 
Anche senza considerare il suo lavoro, per Aaron non doveva essere stato facile crescere una bambina da solo. Se soltanto l'uomo avesse compreso quanto il loro obiettivo fosse simile forse avrebbe smesso di trattarlo con circospezione. 

Dopo aver conversato un altro po' con Sam, decise di far ritorno a casa in modo da sistemare tutto per il suo piano d'azione, speranzoso che quella sera finalmente avrebbe avuto la risposta che stava cercando. 

                                                                           ***
 
Intanto dall'altra parte della città degli angeli, Sarah non poteva fare a meno di pensare all'uomo che aveva incontrato quel pomeriggio.

Si era sorpresa quando Mr Portman l'aveva contattata chiedendole se fosse possibile vederla; tuttavia, lo stupore nel sentire la voce del suo ex-datore di lavoro dall'altra parte del telefono si era quasi annullato nel momento in cui aveva appreso la ragione della sua visita. 

Ancora non era riuscita a metabolizzare quello che era successo soltanto un paio di ore prima e, sebbene la tentazione di chiamare subito Will era stata forte, la ragazza sentiva il bisogno di elaborare i propri pensieri da sola. 

Era come se ogni frase pronunciata da Mr Portman si fosse fossilizzata nella sua memoria. 

«Sarah, è un piacere vederti di nuovo. Perdonami per lo scarso preavviso, ma ho molti impegni e ho avuto poco tempo per organizzarmi», le aveva detto l'uomo, accomodandosi di fronte a lei in uno dei tanti tavolini del Ritz

«Devo ammettere che sono rimasta alquanto incuriosita dalla sua chiamata», aveva detto lei in tono tranquillo.

«Ho saputo che le cose non ti sono andate troppo bene a Inside».

Era per questo motivo che l'aveva cercata? Per rammentargli che la sua carriera avrebbe avuto una svolta migliore restando a lavorare per lui a Chicago?

«Cose che capitano», gli aveva risposto, cercando di mantenere una certa indifferenza.

Lui allora l'aveva guardata con un sorriso scettico.

«Non alla ragazza che ho conosciuto a Chicago», aveva ribattuto lui. 

«Mr Portman, mi scusi. Ancora non capisco la ragione di quest’incontro».

Lui l’aveva guardata con i suoi penetranti occhi chiari. Niente in quell’uomo sembrava tradire la sua vera età e forse anche a questo era dovuto il suo matrimonio con una donna che aveva la metà dei suoi anni.

In ogni caso, David Portman non era un uomo subdolo e la ragazza era piuttosto convinta che amasse (e soprattutto fosse ricambiato) dalla sua consorte.

«Quello che ti è successo è stato una vergogna», le disse senza tanti giri di parole. «Il vecchio Bones non è più quello di una volta e, visto che non vorrei usare un linguaggio poco appropriato di fronte a una signora, diciamo solo che non era più lui a prendere le decisione lì dentro». 

L'uomo fece una pausa, poi proseguì.

«Ti rivoglio con me. Sei stata la migliore collaboratrice che abbia avuto negli ultimi anni e non accetterò un no come risposta».

La ragazza l'aveva osservato sbalordita. Era l'ultima cosa che si sarebbe aspettata di sentirgli dire.

«Mr Portman, sono onorata che abbia pensato a me, ma la mia vita adesso è qui. Non potrei mai...», aveva iniziato lei.

«Forse non mi sono spiegato bene», si era affrettato ad aggiungere, interrompendola. «Non ho bisogno di te a Chicago. Ho bisogno di te qui».

«Non capisco».

«Inside ormai è con l'acqua alla gola e il figlio di Bones è tutto tranne che la persona giusta per mandare avanti un giornale. È un idiota».

«Vorrebbe rilevare Inside?», gli aveva chiesto, ancora incredula. 

«Esatto. E voglio che tu ne faccia parte».

«Mr Portman, la ringrazio davvero, ma ho già un lavoro», aveva affermato Sarah, dopo un attimo di incertezza.

«Quale? Gestire le pubbliche relazioni di un attore di Hollywood?», aveva scherzato, ironico. «Sappiamo entrambi che potresti fare molto di più di questo. Sarah, non ti sto offrendo il tuo vecchio posto, ti sto dicendo che l'ufficio di Bones può essere tuo, se lo vuoi». 

«Vorrebbe che dirigessi il giornale?»

«Ti sto dicendo che questo potrebbe essere il momento giusto per pensare al tuo futuro», le aveva detto.

La proposta di Mr Portman era arrivata come un fulmine a ciel sereno e, da quando era tornata a casa, non era riuscita a pensare ad altro.

Ciò che gli aveva detto era vero: aveva un lavoro e si sentiva piuttosto appagata nel svolgerlo al meglio... Però era davvero questo il massimo a cui poteva ambire? 

Quello che l'uomo le stava offrendo andava ben oltre i suoi sogni: dirigere un giornale...! Sembrava persino troppo bello per poter essere vero. 

Ovviamente quando aveva accettato il lavoro che Stephen le aveva proposto non aveva mai pensato che sarebbe stato per sempre; però ben presto si era trasformato in qualcosa di più e il pensiero di lasciarlo le faceva male.

Inoltre...

Come poteva abbandonare George proprio in quel momento?

Sapeva di non poter restare soltanto per lui, ma forse poteva rimandare la sua decisione... In fondo non era neanche sicura che Mr Portman riuscisse sul serio a portare a termine la sua impresa. 

Tuttavia, era veramente questo ciò che voleva? Doveva augurare all'uomo di fallire?

Fino a poco tempo prima non avrebbe avuto dubbi: accettare la proposta ricevuta sarebbe stato semplice. Aveva lavorato tutta la vita per riuscire a occuparsi di giornalismo e non avrebbe impedito a nessuno di interporsi fra lei e il suo obiettivo. Le cose però erano mutate.

Quando aveva perso il suo impiego a Inside si era sentita morire, poiché ogni sogno le era stato strappato via. Ma, contrariamente alle sue aspettative, quella disgrazia si era rivelata in parte una fortuna, in quanto le aveva dato l'occasione per cui tanto a lungo aveva fantasticato. 

Conoscere George era sempre stato soltanto questo per lei: un desiderio irrealizzabile.

All'epoca era conscia che la migliore ipotesi che le potesse succedere in tal senso sarebbe stata incontrarlo fuori da un locale, o magari per strada. Se fosse stata fortunata avrebbe scambiato due parole con lui, forse avrebbe avuto addirittura una foto ricordo, ma tutto sarebbe terminato con essa.

Per quanto quell'ipotetico momento sarebbe stato importante per lei, non avrebbe significato nulla per lui. Se ne sarebbe semplicemente scordato un paio di ore dopo, quando un'altra ragazza gli avrebbe chiesto le medesime attenzioni. Non era mai stata una stupida, quindi sapeva che le cose non sarebbero mai andate come in una di quelle sciocche fan fiction nella quale il bello di turno cade ai piedi della ragazza qualunque, sebbene finga di non averla neppure notata pur di darsi un tono. Ne aveva letta qualcuna e l'aveva trovata piuttosto banale.

Inoltre, non era mai stata innamorata di George. Come avrebbe potuto senza neanche conoscerlo? 

Le cose però erano cambiate, perché l'attore non era più un estraneo per lei... Era un amico ed era questo a farle mettere tutto in discussione. 

Era talmente assorta nei suoi pensieri da non accorgersi che il suo ragazzo era tornato a casa.

«Ehi, non pensavo di trovarti già qui», le disse, lasciandola stupefatta.

«In realtà sei tu a essere in discreto anticipo», osservò lei. 

«Abbiamo finito prima oggi e avrei una sorpresa per te, se sei così gentile da allontanarti dalla cucina!»

Fu solo in quell'istante che Sarah notò le buste di cartone che Will teneva saldamente in mano. 

«Sei andato a fare la spesa?», gli domandò con occhi sbarrati. 

«Proprio così», affermò lui. «E sarei più che felice di preparare la cena, però dovresti lasciarmi da solo», aggiunse in tono risoluto.

«Hai paura che rubi qualcuno dei tuoi segreti?», lo stuzzicò lei.

Hai già rubato il mio cuore, pensò Will.

«Non credo di essere in grado di concentrarmi sulla cucina con te nei paraggi».

«Ricevuto, signore», disse lei, alzandosi e baciandolo delicatamente a fior di labbra.


Buon lunedì a tutte!
Will ha finalmente stabilito che sia arrivato il momento per porre la fatidica proposta a Sarah. Come la prenderà lei e soprattutto cosa gli risponderà?
Intanto c'è stato un altro colpo di scena: ovvero la proposta a sorpresa del vecchio capo di Sarah, Mr Portman. Sicuramente si tratta di un'occasione che capita solo una volta nella vita... Cosa dovrebbe fare lei: accettare o declinare l'offerta? Riuscirà a prendere la decisione migliore per se stessa o si lascerà influenzare da altro?
Trovete la risposta di Sarah alla proposta di nozze di Will nel prossimo capitolo! ;)
Come sempre ringrazio tutte coloro che mi stanno seguendo in questa nuova avventura.
A lunedì prossimo!
Baci
Vale

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***


Nonostante la sua curiosità fosse alle stelle, Sarah decise di non stare fra i piedi al suo ragazzo.

Con il senno di poi la sua scelta si rivelò vincente, in quanto le pietanze che il novello cuoco aveva preparato erano deliziose. 

«Sai, dovremmo stabilire che durante il fine settimana gli onori di casa spettano a te!», gli disse con un sorriso. 

Lui assunse una finta espressione terrorizzata. 

«Non mi ci vedo molto con il grembiule a sfornare pancakes», dichiarò in tono semi-serio, facendola ridere di gusto. 

L'immagine che aveva evocato in effetti le ricordava un po' troppo quella di una casalinga anni '50, sebbene la musica che il suo ragazzo aveva scelto per quella cenetta a lume di candela fosse molto classica.

C'era un'atmosfera diversa, ma Sarah non se ne rese conto finché non notò che Will la stava fissando più del solito. 

Istintivamente la ragazza si portò il tovagliolo alla bocca e se la strofinò con delicatezza.

«Cosa c'è?», gli chiese, vedendo sorridere. «Mi è rimasta della cioccolata addosso?»

Lui scosse la testa, divertito. 

Era strano pensare che nonostante l'avesse vista con l'influenza, o in disordine svariate volte da quando si conoscevano lei continuasse a fare attenzione a quelle piccole cose.

«Ti amo», le disse, guardandola negli occhi.

«Quindi la cena è per questo?», lo stuzzicò lei, maliziosa.

«No», ammise. Poi fece una pausa. «So che sono successe molte cose in queste ultime settimane e che non ci siamo visti molto...».

Accidenti! Si era preparato un discorso sensazionale, ma nel momento in cui ne aveva bisogno non riusciva a ricordarne neanche mezza parola. 

«Tesoro, tutto bene? Sembri terribilmente nervoso».

Lui annuì e rammentò che non gli serviva la frase perfetta per dirle quello che provava.

«Ti amo, Sarah». 

«Sì», gli disse, ma lui era così lanciato nel suo discorso che all'inizio non se ne accorse nemmeno, continuando a parlare.

«Ti amo dalla prima volta che ti ho visto e non c’è stato un singolo giorno in cui avrei desiderato stare con qualcun’altra. E non ci sarà giorno in cui lo vorrò. Se c'è una cosa che ho capito nelle ultime settimane è che non voglio svegliarmi una mattina e rendermi conto che avevo a portata di mano tutto ciò che avevo sempre desiderato, ma non avevo avuto il coraggio di...».

Si fermò soltanto quando scorse lo sguardo divertito e al tempo stesso commosso della sua ragazza.

«Hai detto “sì” senza neanche sapere cosa…?», le domandò in un crescendo di emozione.

«Lo so», mormorò. «E la mia risposta è sì».

Aveva trascorso gli ultimi giorni pensando a quanto amasse Will, a quanto desiderasse stare con lui. Per lei non era importante un pezzo di carta per mostrarlo al mondo, ma se per lui contava così tanto che senso aveva continuare a rimandare? In fondo desideravano la stessa cosa. Esserci l'uno per l'altra. Amarsi.

Will si sporse sopra il tavolo e la baciò con impeto e Sarah dimenticò ogni dubbio, ogni incertezza che l'aveva spinta a rimandare quel momento tanto a lungo.

Lui era tutto ciò di cui aveva bisogno, l'unico uomo che desiderava. L'unico con cui si sentiva pronta a trascorrere il resto della sua vita.

In passato aveva trascorso fin troppo tempo a pensare a cosa potesse allontanarla da Will. Aveva dei difetti come chiunque altro al mondo, ma ben presto la ragazza si era resa conto di amare anche quelli. Will era l’uomo più straordinario che avesse mai incontrato e non aveva mai smesso di farla sentire speciale.

Fin dalla prima volta in cui erano usciti insieme l’aveva sempre guardata come se fosse l’unica persona importante in una stanza; non contava chi avesse intorno o con chi fosse, lui non l’aveva mai messa da parte, né fatta sentire a disagio.

Lui era più di quanto avesse mai sognato. All’inizio non era certa che da quello strano incontro sarebbe nato qualcosa di speciale, ma era successo e – per quanto avesse provato a opporsi – alla fine aveva ceduto, perché aveva capito che per poter amare davvero a volte era necessario mostrarsi vulnerabili. Non c’era niente di male in questo, nel non essere sempre perfetti.

Le era stato difficile comprenderlo in principio, ma Will si era aperto un varco nel suo cuore in una maniera fino a poco prima aveva ritenuto impossibile, irreale.

Non era stato l’abbandono di sua madre a ferirla di più da bambina, quanto vedere suo padre soffrire per quella dipartita in silenzio, pur di non farglielo pesare più del dovuto. Sarah aveva imparato, anzi, si era convinta che amare volesse dire anche soffrire e aveva cercato in tutti i modi di opporsi.

Ogni ragazzo che aveva frequentato prima di Will non era mai stato davvero importante per lei, non le era mai entrato dentro. Non nel suo cuore. Lui, al contrario, c’era riuscito senza provarci neanche, senza bisogno di tentare. Non l’aveva mai forzata, aveva rispettato i suoi tempi e lei stessa si era sorpresa la prima volta in cui aveva pronunciato quelle tre semplici parole: “io ti amo”.

Non le aveva mai dette prima. Non aveva mai creduto in tutta onestà di poter trovare qualcuno che meritasse di sentirle, non aveva mai pensato che qualcuno gliel’avrebbe dette sentendole davvero.

Ma la sera in cui era successo Sarah si era sentita la ragazza più fortunata del mondo, perché non soltanto aveva incontrato una persona che l’amava, ma che la faceva sentire amata e non era passato giorno senza che si sentisse così insieme a lui.

All’improvviso ogni suo dubbio era venuto meno. Non avrebbe saputo spiegarne il motivo, però era accaduto. Così come si era innamorata totalmente di lui. Così come si innamorava di nuovo di lui ogni volta in cui la guardava, in cui le sorrideva, in cui la toccava.

Will era e sarebbe sempre rimasto l’unico. La faceva sorridere pensare che probabilmente adesso potevano considerarsi veramente fidanzati: quello che le importava era soltanto stare insieme a lui.

                                                                      ***
 
Quella mattina niente le sembrava diverso, eppure un piccolo dettaglio le voleva ricordare quanto era accaduto poco meno di nove ore prima.

Sarah guardò l'anello all'anulare della sua mano sinistra e si lasciò sfuggire un involontario sorriso.

Non era ciò che aveva sempre immaginato per sé, ma in quel momento realizzò che non avrebbe potuto essere più felice.

«Non scomparirà se smetterai di fissarlo», osservò Will con voce assonnata, baciandole i capelli.

La ragazza sorrise nell'udire quel commento e si lasciò cullare volentieri fra le sue braccia del suo fidanzato. 

«L'hai già detto a qualcuno?», gli domandò, tranquilla.

«Potrei aver accennato qualcosa a Sam...».

Sarah non replicò, però non poté fare a meno di pensare alla sorpresa della sua amica quando le avrebbe dato la grande notizia.

«Ti spiacerebbe se fossi io a dirglielo?»

Lui scosse la testa.

«No, ovviamente», acconsentì Will. Poi aggiunse: «Penso che non dovrai aspettare molto!»

L'uomo difatti si era accorto che il suo telefono stava squillando e sorrise divertito. 

«La pazienza non è la sua migliore virtù», commentò Sarah, prendendo l'iPhone del suo fidanzato per rispondere.

«Allora?», chiese una voce affannata dall'altra parte.

«Buongiorno anche a te, Sam!», la salutò lei. 

La sua interlocutrice parve impiegare un attimo per ridestarsi dalla sorpresa.

«Hai sequestrato il telefono di Will per caso?»

«Non ancora, ma sto seriamente soppesando l'ipotesi di non lasciarlo venire in ufficio stamani». 

«Non chiederei di meglio», mormorò lui, baciandola sul collo.

«Smettila», gli sussurrò lei.

«Quindi voi due piccioncini non avete nulla da dirmi?», le domandò Sam.

«Credo che dovrai cercare un nuovo vestito, perché come promesso sarai la mia unica damigella!», annunciò Sarah in tono solenne.

«Oh mio dio! Davvero?!»

Sarah fece una smorfia. Era così impossibile credere che avesse cambiato idea?

Probabilmente sì. 

Rimase al telefono con Sam per un paio di minuti, raccontandole alcuni dettagli relativi alla sera precedente, mentre il suo ragazzo si concedeva una meritata doccia.

Fu piacevole per lei chiacchierarne con leggerezza con Sam, poiché era conscia che ben presto avrebbe dovuto parlarne anche con suo padre e non era sicura di quanto si sarebbe mostrato entusiasta per quella novità. 

Tuttavia, non voleva pensarci, perché in quel momento era felice come mai prima di allora e niente e nessuno avrebbe potuto rovinarle quella giornata. 

«Fra quanto devi essere in ufficio?», chiese a Will, quando tornò in camera.

Lui lanciò un'occhiata all'orologio prima di rispondere.

«Più o meno ho ancora quaranta minuti», le disse. «Perché? Avevi in mente qualcosa?»

«In realtà ci sarebbe una faccenda di cui vorrei parlarti».

Aveva capito che era inutile tenere quell’argomento per sé; inoltre, Will era abbastanza razionale da essere in grado di offrirle un punto di vista diverso dal suo. 

Quando ebbe terminato il racconto dell'incontro con Mr Portman, l'avvocato rimase un minuto in silenzio per fare il punto della situazione.

«Dunque David vorrebbe offrirti l'incarico di Bones. Beh, è a dir poco incredibile», disse infine.

«Lo so».

«Non fraintendermi, non voglio dire che non lo meriteresti: saresti incredibile, tesoro», precisò.

Lei annuì. Aveva compreso a pieno cosa volesse dire ed era d'accordo con lui. Tutto stava accadendo alla velocità della luce e Sarah iniziava a sentirsi un po' su di giri, ma al tempo stesso sballottata di qua e di là.

«La tempistica non è delle migliori», mormorò la ragazza. 

«Forse invece sì», la contraddisse lui, poggiando una mano sulla sua guancia. «Pensaci. So quanto ti abbia ferita perdere il tuo posto a Inside senza ragioni. Ma forse tutto quello che è successo doveva portarti a questo».

«Da quando sei fatalista?», gli chiese con un sorriso.

«Non lo sono, però a volte non sempre da un gran casino escono solo guai. Tu stessa mi hai detto svariate volte che adoravi lavorare con David a Chicago». 

La ragazza sospirò.

Ciò che Will stava dicendo era senz'altro vero, ma c'era una grossa parte dell'equazione che il suo ragazzo sembrava essersi dimenticato di considerare. 

«Lo sai che ho firmato un contratto», gli ricordò, cauta. «Non posso semplicemente mollare tutto dall'oggi al domani. Inoltre la proposta di David è ancora campata in aria». 

In realtà non credeva alle sue stesse parole, poiché il suo ex-datore di lavoro era tutto tranne che uno sprovveduto, per cui se le aveva parlato significava che le trattative erano già in atto e a buon punto.

«Pensi che George ti farebbe storie in proposito?», le chiese Will, capendo quale fosse il vero nocciolo del problema. «Puoi sempre appoggiarti alla vostra amicizia, se credi di avere problemi con il tuo capo». 

Lei sospirò di nuovo.

Era esattamente quello che sperava di non dover mai arrivare a fare: usare la loro amicizia per ottenere qualcosa.

«Non penso sia una buona idea, Will». 

«Secondo me ti stai preoccupando per niente», dichiarò. «Mi dispiace, non volevo sottintendere quello che credo di averti lasciato intendere», aggiunse in tono più conciliante.
 
«Lo so, tesoro. Non penso che George si opporrebbe, ma non mi sembra neanche corretto prendere in considerazione la proposta di David in questo momento». 

Lui lasciò cadere con delicatezza il discorso e Sarah gliene fu grata. 

«Quindi immagino che dovrò prepararmi ad affrontare tuo padre molto presto!», esclamò l'avvocato.

Le labbra della ragazza si schiusero in un sorriso.

«Già», convenne, aggrappandosi ai suoi capelli e baciandolo con trasporto.

 
Forse avevano ancora tempo prima di doversi salutare quella mattina.


Ciao a tutte!
E la risposta alla fatidica domanda fu... Sì.
Dopo averci riflettuto a lungo Sarah infatti sembra aver deciso di essere pronta per mettere un punto fermo alla sua relazione con Will, che chiaramente è al settimo cielo. 
Ma siamo sicure che filerà tutto liscio? Di certo per Will potrebbe non essere una passeggiata dover affrontare il padre della sua amata, che non ha mai fatto mistero di non nutrire molta simpatia nei suoi confronti.
In ogni caso Will sembrerebbe abbastanza contento di fronte all'ipotesi che Sarah torni a lavorare per Mr Portman... Che ci sia un po' di gelosia nei confronti di George, o pensa solo a cosa sarebbe meglio per lei?
Sarei curiosa di sapere cosa ne pensate di questa svolta! ;)
Baci
Vale



 

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Capitolo 39
*** Capitolo 39 ***


 Nei giorni seguenti Sarah ripensò spesso alla risposta che aveva dato a Will; tuttavia soltanto dopo aver annunciato la novità a suo padre iniziò a rendersi conto che sarebbe successo davvero.

Lei, Sarah Kant, sarebbe diventata la nuova signora Turner, sebbene per nessuna ragione al mondo avrebbe mai cercato di togliere alla futura suocera quel titolo: le cose fra loro erano già abbastanza complicate. 

Suo padre non era rimasto troppo sorpreso dalla notizia del suo fidanzamento e, anzi, aveva usato un'espressione fin troppo neutra, dicendole che la novità era nell'aria già da tempo. La ragazza non era ancora del tutto sicura che l'uomo fosse entusiasta di Will, però almeno stavolta non aveva storto il naso e si era mostrato veramente contento per lei.

In effetti, era quasi convinta di aver visto i suoi occhi umidi, ma quell'impressione era durata solo un attimo, per cui non poteva essere sicura di ciò che aveva scorto.

Suo padre le aveva insegnato a osservare le persone intorno, insegnamento che in molte situazioni le si era rivelato prezioso, però le era sempre stato difficile leggere lui. Il loro rapporto era speciale, ma a volte aveva la strana sensazione che ci fossero cose che non voleva dirle.

Un tempo aveva pensato che queste ipotetiche omissioni potessero avere a che fare con sua madre, però ben presto aveva iniziato a convincersi che fossero solo delle sue insensate supposizioni: era certa che lui non le avrebbe mai raccontato una bugia.

Tornare a Chicago aveva fatto riaffiorare molti ricordi: era stata davvero felice lì e, nonostante fosse piacevole abitare a Los Angeles insieme a Will, le mancava ancora la sua città natale, così come suo padre.

Non aveva ancora raccontato a nessuno – a parte a lui e a Sam – del suo fidanzamento.

Non ne aveva parlato a Stephen, perché non le sembrava che i suoi nervi non potessero reggere altro al momento. Nell'ultimo periodo, complice anche l'avvicinarsi dello scadere del tempo di sua moglie, l'uomo era divenuto via via più apprensivo e anche George ormai non sapeva più cosa inventarsi per tranquillizzarlo. Inoltre, aveva visto sua moglie soltanto in occasione del funerale di Lindsay, sebbene avesse sentito parlare di lei così spesso da avere quasi la sensazione di conoscerla.

Per quanto riguardava George, invece, la faccenda era ancora più complicata. All’inizio non aveva pensato di escluderlo, specie considerando quanto la loro amicizia si fosse rafforzata nell’ultimo periodo, ma forse era stato proprio questo a bloccarla.

La scomparsa di Lindsay le pareva ancora troppo recente e, dal momento che le cose fra loro le erano sembrate piuttosto serie, la ragazza temeva che la sua unione con Will non avrebbe fatto altro che riaccendere il suo dolore non del tutto sopito.

Sapeva che come motivazione poteva apparire stupida, ma non voleva fare nulla per farlo sentire peggio proprio quando pareva star cominciando a sentirsi meglio. In un certo senso dare una mano a Stephen pareva aiutarlo a non soffermarsi troppo su di sé.

Dalla maniera in cui a volte le aveva parlato di Clara, la ragazza aveva intuito che era legato a entrambi. Non ne avevano mai conversato sul serio, ma più volte si era domandata se il suo affetto per Stephen non fosse in parte anche una conseguenza della scarsa presenza del padre nella sua vita.

La ragazza non era mai riuscita a dimenticare la sua assenza al funerale di Lindsay e tutt'ora si chiedeva che cosa dovesse essere accaduto fra loro per scatenare quella tempesta di ghiaccio.

Tuttavia, provare ad affrontare l’argomento con il diretto interessato era assolutamente fuori questione.

In ogni caso, era conscia di non poter rimandare a lungo l’annuncio delle sue nozze.

Lei e Will non avevano ancora discusso approfonditamente della data – in quanto il suo ragazzo era alle prese con un caso molto impegnativo – ma era solo questione di tempo prima che la notizia iniziasse a circolare. Non avevano intenzione di organizzare una cerimonia in grande stile, però Sarah era convinta che volesse invitare almeno qualcuno dei suoi colleghi dello studio legale.

Decisamente doveva iniziare a persuadersi a dirlo a George nella maniera più delicata possibile. 

Aveva quasi stabilito di pensarci quella sera stessa, quando un ospite più che inaspettato bussò alla sua porta. 

«Papà!», esclamò, fissando il suo genitore con espressione incredula. «Non mi avevi detto che saresti venuto!», proseguì, gettandogli le braccia al collo. 

Nonostante si fossero visti poco meno di una settimana prima era lieta di riabbracciarlo. 

«Vieni, accomodati».

L'uomo diede un'occhiata intorno e, non vedendolo in giro, chiese notizie di Will.

«Dovrebbe rientrare per cena», gli disse. «Comunque se mi avessi detto che venivi sarei passata a prenderti in aeroporto».

Suo padre scollò le spalle.

«Il tuo vecchio è ancora in grado di fermare un taxi da solo, bambina».

Sarah sorrise. Era sempre il solito.

«Stasera io e Will avevamo in programma di prendere una pizza», lo informò a mo' di scusa, dopo che ebbe poggiato la sua valigia nella stanza degli ospiti.

«Non cambiate i vostri piani per me! La pizza va benissimo», le assicurò.

La ragazza annuì e, mentre suo padre sistemava le sue poche cose, si precipitò a chiamare il suo fidanzato. 

L'uomo rispose al secondo squillo.

«Ehi, tesoro! Non mi aspettavo di sentirti. Stacco fra una quarantina di minuti, massimo un'ora», le disse in tono stanco.

«Cerca di essere puntuale, per favore», mormorò lei per non farsi udire da suo padre.

«Promesso, anche perché ci sono svariate cose che vorrei farti», le sussurrò con voce roca. «Ma perché stai bisbigliando?»

La ragazza avvampò e fu costretta a ricordare a se stessa che quella non era la serata giusta. Per fortuna aveva un ricordo piuttosto nitido di quella mattina. 

«Temo che dovrà fare una doccia fredda, Mr Turner», gli disse con voce suadente. «Mio padre è qui», aggiunse dopo una pausa volutamente melodrammatica.

Silenzio dall'altra parte del telefono. Riusciva quasi a immaginare l'espressione di Will in quel momento.

«Amore, se è un tentativo per smontarmi, sappi che funziona».

Lei ridacchiò. 

«Nient'affatto. A quanto pare ha deciso di farci una sorpresa».

E che sorpresa, pensò l'avvocato. 

«D'accordo. Spaccherò il secondo», le assicurò. 

Ormai conosceva bene la fissa di Aaron per la puntualità e l'ultima cosa che desiderava era inasprirlo a un’ora dal loro incontro. 

«Grazie, tesoro», disse Sarah.

Certo... Se solo avesse avvisato prima!, pensò Will, chiudendo la telefonata. 

                                                                  ***
 
Mentre lui e Sarah si dividevano l'ultimo pezzo di pizza, l'avvocato non poteva fare a meno di sentirsi a disagio. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di vederlo cedere di un millimetro, però il suo venire costantemente osservato, e soprattutto valutato, iniziava a dargli sui nervi.

Se la presenza di Aaron non fosse già stata sufficiente di per sé, a pochi minuti dalla fine del suo orario d'ufficio anche Jerry si era impegnato per rendere la sua serata un inferno, appioppandogli un cliente particolare uggioso.

Nella sua mente aveva già stabilito di trascorrere quella serata sotto le coperte con Sarah; tuttavia, i suoi progetti erano mutati e il massimo delle sue aspettative era diventato sopravvivere agli sguardi indagatori del suo poco gradito ospite.

A onor del vero non provava astio nei confronti di Aaron, però l'essere ancora trattato con sospetto gli sembrava inaccettabile. Ormai avrebbe dovuto aver capito che faceva sul serio con sua figlia!

Aveva addirittura pensato di parlargli a quattr'occhi, ma non era del tutto sicuro che la situazione potesse trarne beneficio; quello che era certo era che ne aveva abbastanza di quel trattamento.

Amava Sarah, lei sarebbe diventata sua moglie e lui doveva cominciare ad accettarlo. 

La ragazza gli aveva raccontato che Aaron non era stato di molte parole quando gli aveva annunciato la novità, però le era parso sinceramente felice per lei. Per loro. 

Sapeva bene che era irrazionale e che lei non era tipo da lasciarsi influenzare, eppure per qualche ragione non si sarebbe sentito del tutto tranquillo finché l’uomo non avesse dato prova di fidarsi di lui.

Era conscio che non sarebbero mai diventati amici, ma era stufo marcio di venire trattato in quel modo.

Il lato più ridicolo di quella faccenda era che nutriva una vera e propria stima nei confronti del suo futuro suocero.

L’avvocato aveva sempre avuto rispetto per suo padre Dennis e gli voleva bene ma, anche se erano molto vicini, era consapevole che era stata sua madre a fare il lavoro più duro. Dubitava che suo padre – se la situazione fosse stata invertita – sarebbe riuscito a portare avanti la sua clinica medica e a crescerlo. No, probabilmente non ce l'avrebbe mai fatta.

Aaron, invece, non solo aveva messo da parte la sua carriera nei Marines, ma non l'aveva neanche fatto pesare a sua figlia. Era un uomo di valore e, mentre guardava Sarah, non poté che essergli grato.

Non avevano mai parlato davvero del loro futuro insieme da quel punto di vista, però se un giorno avessero avuto dei figli sperava di riuscire a essere anche solo la metà del padre che era stato lui per la donna che amava. 

«Sarah mi ha detto che sei riuscito a risolvere una causa piuttosto complessa», esordì Aaron in tono pratico.

«È così», confermò lui. «In realtà, non posso attribuirmene tutto il merito. Il nostro è uno studio associativo: cerchiamo di collaborare il più possibile».

«Non dargli ascolto, papà. Will sta solo cercando di fare il modesto», s'intromise la ragazza, facendolo arrossire appena.

«Non ce l'avremmo mai fatta senza Allison e Sam», ripeté lui in tono più convincente.

Ci mancava solo che sembrasse irriconoscente verso i suoi colleghi!

Aaron mantenne un'espressione impassibile e il resto della conversazione proseguì senza troppi intoppi.

«Se non vi spiace, andrei a coricarmi», disse a un certo punto. «A quanto pare non ho più l'età per trotterellare in giro!», aggiunse, facendo l’occhiolino a sua figlia.

Sarah rise.

«Come no!»

«Dovresti trattare con più rispetto il tuo vecchio», finse di rimproverarla lui.

«Lo farò quando lo sarai», affermò lei con un sorriso.

«Buonanotte, tesoro», le sussurrò, dandole un bacio sulla guancia. «Will».

«Buonanotte, papà».

Una volta che Aaron si fu allontanato, l'avvocato tirò un sospiro di sollievo.

«Vuoi che ti dia una mano con i piatti?», le chiese.

Lei scosse la testa.

«Ho quasi finito e poi non ce n'erano molti. Will, puoi tornare a respirare».

Lui sorrise imbarazzato.

«Era così evidente?»

«Forse non per mio padre, ma io ti conosco bene. Non devi cercare di compiacerlo», gli disse dolcemente.

«Lo so, ma è più forte di me», ammise lui. «Se mi chiedesse di buttarmi di sotto per dimostrargli qualcosa...».

«Ti impedirei di farlo», lo rimproverò per quel paragone assurdo. 

«È tuo padre, Sarah». 

«Ehi, neanch'io vado a genio a tua madre», gli ricordò lei in tono leggero.

«Non è la stessa cosa», dichiarò lui.

«Perché no?», gli domandò, riponendo nella lavastoviglie l’ultimo piatto.

«Non lo so... Forse non sono abituato a non piacere alla gente», confessò. Poi proseguì: «So quanto tieni in considerazione la sua opinione e non lo so… Mi fa uscire di testa pensare che…».

Lei lo baciò per farlo tacere.

«Amore. Non hai bisogno di convincere mio padre. Hai me e, se anche tu avessi ragione, nemmeno lui è perfetto. Io so di non sbagliarmi su di te e vedrai che anche lui prima o poi lo capirà».

«Siamo un po’ come i Montecchi e i Capuleti, eh?»

«Spero proprio di no!»

Non aveva mai amato quel dramma scritto da William Shakespeare. Decisamente non era uno dei suoi prodotti migliori.

«Sei ancora dell’idea di aiutarmi?», gli chiese Sarah.

«Certo. Ma mi pare sia tutto in ordine…», borbottò Will, guardando la cucina immacolata.

Lei sorrise maliziosa.

«Non intendevo qui».

«Sei davvero imprevedibile, dolcezza», mormorò lui, baciandola. «Tuo padre non ha il sonno leggero, vero?», s’informò un po’ preoccupato.

«Assolutamente no».

«Bene», disse, prendendola in braccio e portandola nella loro camera.


Ciao a tutte e buon inizio di settimana!
Dopo un bel po' di tempo è ricomparso il padre di Sarah, ma mi sembrava giusto dal momento che i due sono molto legati. Bisognerà vedere come si comporterà con Will e se è veramente felice per loro, o se cercherà di far cambiare idea alla figlia. 
Sarah si sposerà o no con Will alla fine? 
Di sicuro Will dovrà ricorrere a tutta la sua pazienza per sopportare la presenza del futuro suocero, e forse non solo la sua. ;)
E' da un paio di capitoli che ho lasciato George un po' in ombra, ma prometto che nel prossimo ci sarà anche lui!
Intanto sappiamo che Sarah non ha ancora "sparso" la notizia del suo fidanzamento e che manca poco alla nascita della figlia di Stephen. Andrà tutto bene?
Non vi resta che incrociare le dita e sperare di sì. ;)
Vi ringrazio per avermi seguita fino a qui, se voleste farmi sapere cosa ne pensate della storia ne sarei felice!
A presto
Vale
PS Finalmente Leonardo diCaprio ha ricevuto il tanto atteso Oscar! 


 

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Capitolo 40
*** Capitolo 40 ***


Il giorno seguente mentre Will si recava in ufficio, Sarah e Aaron stavano chiacchierando amabilmente di fronte a dei pancakes.

«Dovresti iniziare a spedirmeli tramite corriere!», commentò la ragazza.

«Spaccio illegale di pancakes?», le domandò lui, ridendo.

«Sicuro!»

«Will prepara mai la colazione?», le chiese dopo un po'.

«Papà, non cominciare», lo supplicò lei, lanciandogli un’occhiataccia.

«Ero solo curioso», si difese lui, alzando le mani in segno di resa.

«Ti sarei davvero grata se smettessi di torchiarlo».

«Le vecchie abitudini sono dure a morire».

«Lo so, ma non sono più una bambina e Will è l'uomo che amo. E per lui è importante».

«Come il matrimonio?»

Sarah sospirò. Era proprio quello il genere di discorso che sperava di essere riuscita a scampare.

«Io lo amo», ribadì.

«Lo so, tesoro. E se non fossi più che sicuro che lui ti ama nello stesso modo non ne sarebbe rimasto nulla. Il mio solo timore è che cerchi di farti diventare qualcuna che non sei», disse Aaron in tono gentile.

«E io ti voglio bene per questo. Ma non devi preoccuparti per me. Voglio trascorrere ogni giorno della mia vita insieme a lui. È vero... Non mi interesserebbe sposarmi, ma non cambierà niente.  Cosa c'è di sbagliato in questo?»

L'uomo le accarezzò una mano.

«Niente», disse con gentilezza. «Sei solo la parte migliore della mia vita. Spero che lui ne sia degno». 

Lei lo abbracciò, commossa.

Aveva sempre parlato di qualunque cosa con lui, ma non erano state molte le volte da quando era cresciuta in cui si erano andati a confessioni a cuore aperto. Ricordava ancora quando dopo che sua madre se n’era andata suo padre ogni sera mentre le rimboccava le coperte le ripeteva che le voleva bene.

Era stato un sollievo sentirselo ripetere ogni singolo giorno quando pensava che forse ci fosse qualcosa di sbagliato in lei, un dettaglio che poteva aver spinto sua madre ad abbandonarli.

L’unica ragione per cui maturando non aveva mai più pensato tutto ciò era stato suo padre. Forse era in parte sua la responsabilità per l’agitazione di Will e la sua disperata ricerca di compiacerlo.

Tuttavia, aveva già affrontato il discorso fin troppe volte con il suo genitore, per cui era convinta che la cosa migliore fosse lasciargli il tempo per rendersi conto che aveva commesso un errore nel valutarlo.

Inoltre, c’era un’altra questione sulla quale voleva chiedere un suo consiglio e su cui era inutile continuare a mantenere il silenzio.

Quando ebbe terminato di fargli il resoconto del suo incontro con David, Aaron pareva piuttosto quieto.

«Cosa ne pensi?», gli chiese alla fine, incapace di aspettare ancora.

«Tu cosa ne pensi?», replicò lui, rilanciandole la domanda.

Aveva riflettuto a lungo sulla proposta di David, ma non era ancora riuscita a capire cosa fosse più corretto rispondergli se e quando lui si fosse fatto di nuovo vivo.

«Non sono neanche sicura che la cosa possa concretizzarsi sul serio», precisò lei, ripetendo quanto aveva già detto a Will.

«Allora non pensarci per ora», le consigliò in tono pratico.

«Ma d'altra parte non credo che David si sarebbe fatto avanti senza avere niente in mano. Non è nel suo stile», proseguì.

Avrebbe davvero desiderato che qualcuno prendesse quella decisione al suo posto e lui lo capì. 

«Sai, forse non te lo ricordi, ma quando eri piccola per un'intera settimana hai costretto me e tua madre a mandarti in giro vestita da farfalla. Io pensavo che fosse un'idea piuttosto stupida, ma poi tu mi hai guardato con intensità e mi hai detto: “Non puoi costringere qualcuno a fare ciò che è più giusto per te”».

«Papà, avrò avuto sei anni».

«Cinque in realtà», la corresse lui. «Non ti posso dire cosa fare, tesoro. Non l’ho fatto allora e non lo farò adesso. Tu sai sempre capire cosa è meglio per te; lo comprenderai anche stavolta».

«Grazie, papà».

«Quindi come va il tuo lavoro?», le chiese, mentre finivano di riordinare la cucina. 

«Direi piuttosto bene». 

In verità andava più che bene. Quando aveva accettato la proposta di Stephen all'inizio aveva temuto di aver fatto il cosiddetto passo più lungo della gamba, invece, presto aveva dovuto ricredersi. Era piacevole non dover andare a caccia delle notizie, o attendere i comunicati stampa, senza contare che solitamente, se non c'erano grossi inconvenienti, poteva scegliere da sola i modi e i tempi per svolgere il suo compito.

George si era rivelato incredibilmente scrupoloso e serio nonostante il loro inizio non proprio idilliaco e anche questo aveva semplificato il suo lavoro.

In un primo momento aveva davvero temuto che potesse rivelarsi veramente uno delle tante celebrità impossibili da gestire, per fortuna però si era sbagliata.

In un certo senso i suoi dubbi erano venuti meno fin dopo averlo rivisto; in caso contrario difficilmente avrebbe accettato quel posto, però una parte di lei anche allora aveva continuato a domandarsi che cosa avrebbe fatto se lui fosse stato davvero l'uomo arrogante e irresponsabile che le aveva mostrato la prima volta in cui si erano incontrati.

Per ora le uniche occasioni in cui aveva dovuto tirare fuori gli artigli erano state due.

Una decina di giorni dopo essere stata assunta difatti aveva dovuto occuparsi di calmare le acqua in seguito all'annuncio della rinuncia dell'attore al film di McHumprey. In quel momento la faccenda le era sembrata spinosa; ma era stata niente rispetto a ciò che si era scatenato non appena avevano comunicato la dipartita di Lindsay.

Nonostante la modella non rientrasse fra le sue persone preferite, era stato orribile mettere insieme quelle parole. Aveva cercato ispirazione ovunque, cercando di essere il più delicata possibile, ma alla fine aveva deciso che l'opzione migliore fosse evitare troppi fronzoli. Tuttavia, non voleva neanche essere fredda.

Razionalmente era più che in grado di mettere insieme un documento del genere, però stupidamente si era convinta che magari utilizzando una parola al posto di un'altra per George sarebbe stato più facile sopportare la situazione.

Era stato tremendo vederlo così devastato durante la commemorazione. Era come se qualunque cosa lo tenesse in piedi gli fosse stata strappata via e in fondo era proprio ciò che era avvenuto. La notte che aveva trascorso a casa sua era stata una delle più dure di cui avesse memoria. Non aveva fatto nulla a parte accarezzargli con gentilezza i capelli e lasciarlo sfogare, però vederlo così sofferente le aveva straziato il cuore.

Sapeva di non poter fare niente di più per farlo sentire meglio, ma si era sentita sollevata nelle ultime settimane nel vederlo più sereno. Forse Stephen aveva ragione: gli serviva solo un po' di tempo. 

«Saprai prendere la decisione giusta», le ripeté suo padre. «E adesso finisci i pancakes prima che si freddino», aggiunse con un sorriso.

Lei non replicò, limitandosi a fare quello che lui le aveva appena detto e sperando sul serio di riuscire a risolvere quell’impasse.

                                                                        ***
 
Dall'altra parte della città anche George stava trascorrendo una mattinata tutt'altro che spensierata.

Quando Stephen l'aveva chiamato un paio d’ore prima niente gli aveva fatto sospettare quale sarebbe stato il suo destino quel giorno.

Tuttavia, nell'istante stesso in cui aveva parcheggiato la sua Porsche nel vialetto degli Olsen, era rimasto alquanto sorpreso nello scorgere un’altra auto a parte il SUV dell'agente.

Una volta arrivato davanti alla porta aveva suonato il campanello e, quando l'uomo gli aveva aperto, gli era stato sufficiente un secondo per capire che qualcosa non quadrava. 

«Presto! Entra!»

L'attore sgranò gli occhi e obbedì. 

«Stephen, che cosa sta succedendo?, gli chiese allarmato, vedendolo così alterato. «Clara e il bamb…».

L’uomo non gli concesse neanche di terminare la sua domanda.

«Per fortuna sei arrivato! Stavo impazzendo o iniziando a pensare di commettere un omicidio», gli sussurrò.

«Perché stai bisbigliando?», gli domandò George, imitando il suo tono di voce. 

«La sorella di Clara ha deciso di farci una visita a sorpresa», gli annunciò. 

«Ah».

Stephen annuì con fare grave.

«Io le distraggo e tu scappi?», suggerì, trattenendo a stento una risatina. 

«Non è divertente, George!»

«Scusami, ma un po' lo è», lo contraddisse. «Cosa vuoi che faccia?»

«Non lo so, potresti cercare di distrarle e poi dire che hai bisogno di me per qualcosa. Insomma, trova un modo per portarmi fuori da qui». 

«D'accordo. Forza, andiamo», disse, lasciando che l'altro gli facesse strada verso il soggiorno. 

Non appena lo vide, la donna si illuminò. L'aveva incontrata soltanto un paio di volte negli ultimi sette anni, ma tali occasioni gli erano bastate per capire che era molto diversa dalla sorella.

Era abituato a ignorare certe avance femminili e ormai non si sentiva neanche in imbarazzo nell'essere al centro della scena, però Janine l'aveva messo a dura prova.

La prima volta era accaduto durante una cena per il compleanno di Clara a cui i due coniugi l'avevano invitato qualche anno prima. All'inizio Janine si era limitata a guardarlo con aria sognante, poi quando gli altri erano impegnati a sistemare i regali la donna – mentre parlavano – aveva fatto cadere con nonchalance la sua mano sul suo ginocchio e aveva cominciato ad accarezzargli la coscia.

Era stato decisamente un inconveniente a cui non era estraneo, però il fatto che tali attenzioni provenissero dalla sorella della moglie di un amico aveva reso tutto molto più imbarazzante. In ogni caso, aveva prontamente trovato una scusa per alzarsi e la faccenda pareva finita lì.

Purtroppo però Janine era fra i parenti invitati alle loro solita cena del Ringraziamento. Quella disgraziata sera Lindsay non era in città, così aveva accettato l'invito del suo agente; sventuratamente non aveva il benché minimo sospetto di quanto sarebbe accaduto.

Tutto si era svolto molto in fretta, ma ricordava ancora come la mano della donna stavolta fosse scesa dalla sua coscia al cavallo dei suoi pantaloni. Avrebbe voluto pensare che si fosse trattato di un malaugurato incidente, ma era sicuro di no. Janine era attratta da lui e non pareva intenzionata a non farglielo sapere.

Ovviamente non aveva mai raccontato nulla a Stephen o a Clara, ma ogni volta in cui la donna era in città aveva fatto in modo di starle alla larga, onde evitare inutili e imbarazzanti incomprensioni.

Era da parecchio tempo che non ci pensava, ma in quel momento comprese che quel ricordo lo faceva ridere.

«Tesoro, aspettavamo altre visite?», chiese Clara al marito, mentre questo varcava la soglia del soggiorno con la stessa espressione che avrebbe avuto un condannato a morte.

Poi si occorse del nuovo arrivato.

«Ciao, Clara», la salutò l'attore.

«George, tesoro. Non mi aspettavo di vederti oggi».

Neppure io, pensò lui. 

«Stephen, che maniere! Non lo fai neanche accomodare», lo rimproverò sua moglie.

A George parve quasi di vederlo contare fino a mille.

«Ti ricordi mia sorella Janine? Lei e il suo compagno hanno deciso di venirci a trovare. Si fermeranno qualche giorno».

Non appena lo vide, la donna si illuminò.

«Sì, certo. Janine, è un piacere vederti», disse automaticamente, rendendosi conto di star gettando benzina sul fuoco. 

La donna mantenne un'espressione neutra, ma i suoi occhi brillarono ancora di più nell'istante in cui le rivolse la parola. Sapeva bene di stare con qualcuno, però quell'uomo era... Non c'erano parole per esprimere che cosa provava quando si trovava nella stessa stanza con lui.

Si sentiva ribollire il sangue nelle vene e se ne avesse avuta la possibilità non avrebbe perso tempo in inutili sentimentalismi. George Wellington era l'uomo più interessante e seducente che avesse mai conosciuto. 

«George mi stava dicendo di aver bisogno del mio aiuto oggi», esordì Stephen. «Non è così?», insistette, lanciando all'altro uno sguardo d'intesa.

«Sì, infatti». 

«Beh, di qualunque questione si tratti, credo che potrà aspettare un'altra ora, no? Perché non ti fermi a pranzo qui, caro?», gli propose. «A quanto pare mio marito sente il bisogno di soccorso quando ci sono due donne in casa», aggiunse, facendogli l’occhiolino.

«Ma no, cosa stai dicendo, Amore...».

George soffocò una risata.

Non ne aveva particolare voglia, però se se ne fosse andato Stephen probabilmente non gli avrebbe rivolto parola fin dopo la nascita della bambina, senza contare che gli doveva molto più di un pranzo. 

«Certo, perché no».


Ciao a tutte!
Ovviamente una volta rimasto solo con la figlia Aaron non ha potuto fare a meno di farle presente le sue perplessità riguardo al matrimonio e le parole di Sarah probabilmente hanno confermato i dubbi che qualcuna già nutriva. E' felice con Will, ma non le importerebbe di sposarsi, almeno per ora.
Come finirà questa storia? 
Intanto dopo parecchi capitoli molto angoscianti per George ho deciso di inserire qualcosa di più divertente. Possiamo solo sperare che Janine non approfitti di un qualche momento buono per saltargli addosso! 
Vi anticipo che nel prossimo capitolo Aaron e George si conosceranno: cosa succederà?
Lo scoprirete lunedì prossimo. ;)
Baci
Vale

 

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Capitolo 41
*** Capitolo 41 ***


Contrariamente alle sue aspettative quelle ore si erano rivelate più piacevoli del previsto, ma forse molto era anche merito del nuovo compagno di Janine, Klaus.

Era emerso che si erano conosciuti durante una vacanza nella Repubblica Domenicana, dove l’uomo era in avanscoperta a nome della catena di hotel di lusso per il quale era consulente. Fra loro a quanto pareva c'erano state subito scintille e in breve tempo la donna aveva deciso di trasferirsi in Florida per vivere insieme a lui.

Era stata una decisione repentina, ma Janine aveva dichiarato di non avere più l'età giusta per perdere tempo procedendo a piccoli passi: dopo un matrimonio fallito alle spalle e una figlia adolescente aveva capito di dover fare qualcosa per sé.

Facendo ricorso a tutto il suo fascino George era riuscito a portare fuori Stephen per un paio d'ore, ma non aveva avuto margine di vittoria per quanto atteneva alla cena.

Aveva appena varcato la soglia di casa quando si era reso conto che non gli andava di rinchiudersi lì anche quella sera.

In passato gli sarebbe stato sufficiente scorrere la rubrica del telefono e chiamare un numero casuale per uscire a svagarsi: la sua vita per tanto tempo non era stata altro che un'infinita festa con le luci sempre accese e in un certo qual modo gli sembrava imbarazzante trovarsi il venerdì sera senza nessuno da contattare.

A onor del vero Brooke, la cugina di Lindsay, l'aveva invitato svariate volte ad andare con loro, o quantomeno a vedersi, ma lui non aveva mai accettato. Probabilmente la donna era mossa da buone intenzioni, però era conscio di quali ambienti fosse solita frequentare e non aveva voglia di rivedere volti che aveva fatto tanta fatica a dimenticare.

Come se ciò non bastasse non se la sentiva di discutere ancora di quanto era successo. Voleva solamente lasciarselo alle spalle.

Le uniche persone con le quali riusciva a stare tranquillo almeno per la maggior parte del tempo erano il suo agente e Sarah.

Nelle ultime settimane la loro amicizia si era rinsaldata ed era cresciuta molto. George iniziava finalmente dopo tanto tempo a credere di poter avere fiducia in qualcuno che non fosse Stephen; inoltre, si sentiva se stesso mentre era con lei. In un certo senso però questo lo spaventava, poiché temeva che più avrebbe lasciato cadere le sue barriere più sarebbe stato difficile mentirle se gli avesse chiesto la verità.

In vari momenti, guardandola, aveva avuto la tentazione di confidarsi, però alla fine aveva sempre desistito.

Anche prima della scomparsa di Lindsay gli era stato difficile essere veramente se stesso, perché la paura di non essere abbastanza l'aveva persuaso a cercare di mostrarle soltanto il suo lato migliore. Aveva sempre avuto timore di perderla e da quando era accaduto sul serio viveva ogni giorno con la consapevolezza che niente potesse andare peggio, che non avesse nulla da perdere.

Per la maggior parte delle persone tale certezza forse sarebbe stata di gran lunga peggiore, ma non per lui, in quanto ormai sapeva che la vita che aveva desiderato non si sarebbe mai concretizzata e, nonostante questo, era conscio di dover andare avanti, per quanto facesse male. 

La notte era decisamente il momento peggiore. Di giorno riusciva a tenersi impegnato e a volte trascorreva intere ore senza soffermarsi a pensare a lei, ma una volta rimasto da solo al buio ogni suo peggiore incubo riaffiorava.

Continuava a ripetersi che gli occorreva solo del tempo, ma in cuor suo era conscio che non sarebbe mai stato in grado di dimenticarla. Non voleva farlo. Lei era stata una parte troppo importante della sua vita e il fatto che non ci fosse più non toglieva alcun valore a ciò che aveva provato, che provava.

Avrebbe amato per sempre Lindsay, ma non avrebbe più potuto rivedere il suo volto o guardare i suoi occhi marroni. L’aveva persa e non c’era niente di giusto in questo.

Non parlarne era la cosa che l’aiutava di più. Gli piaceva scherzare con Sarah, o semplicemente restare in silenzio l’uno accanto all’altra a guardare una vecchia pellicola, o quelli che lei chiamava “i suoi noiosissimi film francesi”.

La presenza di Sarah nella sua vita lo confortava.

Forse fu per questo che si ritrovò di fronte alla porta della sua dimora quasi senza rendersi conto di come ci fosse arrivato. 

Suonò il campanello e attese.

Magari era stata una brutta idea presentarsi senza avvisare, ma sapeva che l'avvocato faceva tardi il venerdì e aveva proprio voglia di raccontarle quello che era accaduto quella mattina. 

Tuttavia, quando la porta si aprì, l'attore ebbe un’altra sorpresa.

Di fronte a lui, infatti, non c'era Sarah, bensì un uomo di circa sessant'anni dai capelli scuri e gli occhi marroni. Indossava un grembiule da cucina che ben poco si adattava al suo aspetto un po' rude.

Per un attimo valutò l'ipotesi di essersi confuso e di aver sbagliato piano, ma l'uomo dopo averlo studiato per un secondo accennò un sorriso educato.

«George Wellington, giusto?», ipotizzò. 

Era strano come riuscisse ancora a restare sorpreso nel constatare quanto fosse superfluo presentarsi. Tuttavia, ancora non sapeva chi fosse lui.

L'uomo ridacchiò di fronte alla sua espressione confusa.

«Sono il padre di Sarah, Aaron», aggiunse in tono calmo. 

Il padre di Sarah! Certo.

Come aveva potuto essere tanto sciocco da non arrivarci da solo?!

«Cercavi mia figlia?»

George finalmente si riscosse dal torpore e annuì.

«Sì, passavo da queste parti e mi domandavo se volesse cenare insieme, ma non importa», disse infine in tono sbrigativo. 

L'uomo non replicò, poiché in quel momento sopraggiunse anche la diretta interessata. 

«Papà, chi c'è?», chiese.

Poi, vedendo il suo interlocutore, ammutolì.

«Ciao», la salutò George.

«Ciao, non mi aspettavo di vederti». 

«Già. Lo stavo giusto dicendo a tuo padre: passavo qui intorno e ho pensato di venire a trovarti, ma vedo che hai già compagnia». 

«Perché non ti fermi per cena?», gli propose Aaron. 

L'attore scosse la testa. Non desiderava imporre la sua presenza, né tantomeno rubare loro del tempo insieme. Aveva capito quanto affetto e complicità ci fosse fra loro e quante poche occasioni avessero per stare insieme: non voleva e non poteva essere d'intralcio.

«Dovresti restare, George», intervenne lei. «Mio padre sta preparando il pollo alla diavola. Credimi, è delizioso». 

«No, davvero. Non...».

«Ti conosco: la tua idea di cena si ridurrà a qualcosa cotto nel microonde».

«Preparano degli ottimi cibi pronti adesso!», replicò lui.

«Beh, se le cose stanno così non ti rimane altro che accettare il mio invito», affermò Aaron in tono gentile, ma risoluto. 

                                                                 ***
 
Dopo aver assaggiato le prelibatezze cucinate da Aaron, George non poté che esprimere il suo più sincero apprezzamento. 

«Quindi ne deduco che tu non sia molto abile ai fornelli», osservò l'uomo, ripensando alle interessanti parole pronunciate da sua figlia.

«In realtà non è neanche in grado di distinguere una padella da una pentola», commentò Sarah con un sorriso.

George alzò la forchetta in aria in segno di resa.

«Beh, ha ragione lei».

Nonostante la prima impressione l'attore dovette ammettere che in effetti c'era una certa somiglianza fra Sarah e suo padre. Non riguardava tanto il mero aspetto fisico, quanto piuttosto l'atteggiamento e il modo di parlare. 

«Hai parlato con Stephen oggi?», gli chiese a un certo punto la ragazza. 

«In effetti mi ha praticamente supplicato di salvarlo stamattina».

«Come mai?»

«La sorella di sua moglie».

Aaron lo guardò incuriosito e l'attore si trovò a raccontare quanto era avvenuto qualche anno prima.

Non era un episodio adatto a essere narrato di fronte a degli estranei, ma in certo senso si sentiva a proprio agio in compagnia dell'uomo. Gli era quasi impossibile capacitarsi che colui che aveva davanti fosse la stessa persona che era riuscita a terrorizzare Will.

Tuttavia, forse il fatto di non essere un pretendente alla mano di sua figlia giocava a suo favore.

«Ha veramente tentato un approccio del genere?», insistette la ragazza, sbigottita.

Lui annuì, le guance arrossate sotto un leggero strato di barba. 

«E non l'hai mai detto a Stephen?»

«E come avrebbe potuto, tesoro!», intervenne suo padre, prendendo le parti di George. «Avrebbe generato ancora più disagio».

L'attore annuì con convinzione, mentre lei continuava a fissarli perplessi.

«Lascia stare i piatti, tesoro», la bloccò suo padre.

«Non se ne parla. Tu hai cucinato e poi lo sai che sono gelosa della mia cucina», dichiarò, ironica.

«Ti do una mano», le sussurrò George, alzandosi e seguendola nella stanza adiacente, dopo aver scambiato un'occhiata d'intesa con Aaron.

L'uomo rimase a osservarla mentre lavava con cura i piatti prima di riporli nella lavastoviglie.

«Credevo ti fossi offerto di aiutarmi», osservò con un sorriso, senza voltarsi.

«Scusa», mormorò in imbarazzo. «Stavo guardando il modo nel quale disponi i piatti».

«Dispongo?», ripeté, confusa.

«Dovresti mettere quelli più grandi lì sulla destra».

A quel punto lei si girò e lo guardò con espressione scioccata.

Lui sogghignò.

«Cosa c'è? Non saprò bollire un uovo, ma sono un vero maestro quando si parla di disposizione. Anzi, sono il mago della lavastoviglie!»

Lei lo fissò per un attimo e poi entrambi scoppiarono a ridere.

«Va bene, mago. Allora puoi pensarci tu, mentre io finisco di sciacquare questi bicchieri».

Lui annuì. 

Lavorarono in silenzio per qualche minuto, prima che lui parlasse di nuovo.

«Sarah, grazie. Per l'invito a cena intendo».

«Quello è stato un'idea di mio padre», gli ricordò.

«Già, allora dovrò ringraziare lui».

«È andata veramente in quella maniera con la sorella di Clara?»

Le pareva impossibile che qualcuna potesse sul serio comportarsi come in un libro di quart'ordine. Forse la signora avrebbe fatto bene a modificare le proprie letture.

«Credimi, non è stato il mio momento più imbarazzante».

«Cosa può esserci di peggio?», gli domandò lei, curiosa.

«Beh... No. Non posso dirtelo».

«Ehi, io ti ho raccontato dell'imbarazzante scambio d'auto durante il mio primo appuntamento con Will. E all'epoca non ci conoscevamo così bene». 

«D'accordo», acconsentì infine. «Stavo camminando per strada a New York da solo sette o sei anni fa – errore che non ripeterò mai più. Stavo uscendo da una caffetteria e sulla soglia c'era questa ragazza. Avrà avuto più o meno la mia età allora. Era molto carina e abbiamo iniziato a chiacchierare. Non ho idea di come, so solo che a un certo punto lei mi ha chiesto che cosa dovesse fare una donna per sorprendermi».
 
L'attore fece una pausa melodrammatica.

«Così io le ho detto – capisci, avevo vent'anni ed ero un idiota! – “Spogliati”». 

«Non dirmi che l'ha fatto!»

«Già». 

«Sai, non è molto divertente», lo contraddisse la ragazza dopo un attimo.

«Forse non adesso, ma credimi, tutti i presenti scoppiarono a ridere, mentre io in quel momento volevo soltanto tentare di coprirla. Anche quella non è stata una delle mie trovate più brillanti».

Lei scosse gentilmente la testa.

«Chiederò a Stephen la conferma di questa storia».

«Fai pure», approvò lui. «Si divertirà a rivangare il passato».

Ci fu qualcosa nel suo tono che la obbligò a domandarsi se veramente ci fosse altro che l'uomo desiderava nascondere, però non provò neppure a formulare la questione, poiché il suo iPhone squillò.

Era Sam.

«È Sam. Scusa. Devo rispondere».

«Certo. Finisco io qui», si offrì.

Lei lo ringraziò sottovoce e si allontanò. 



Ciao a tutte!
Ho interrotto la scena proprio sul più bello, ma nel prossimo capitolo vedrete di che cosa parleranno George a Aaron una volta rimasti soli.
Per ora cosa ne pensate del loro incontro? Aaron è stato gentile a chiedergli di restare, ma senz'altro è stata anche una mossa dettata dalla curiosità di saperne di più sul conto dell'attore, che ha parecchia importanza nella vita di sua figlia. 
George piacerà ad Aaron?
Sappiamo che stranamente il primo si è sentito quasi fin dall'inizio a suo agio e ormai è noto quanto sia difficile per George fidarsi...
Il misterioso segreto che George ha sempre cercato di nascondere a tutti, compreso Stephen, verrà finalmente a galla? L'idea di confidarsi con Sarah c'è stata... Cosa avrà la meglio? L'istinto o la logica? 
Vi lascio con un bel po' di domande, ma prometto che tutte troveranno risposta!
Vi ringrazio per avermi seguita fino a qui, spero che la storia vi abbia incuriosito.
Bacioni
Vale


 

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Capitolo 42
*** Capitolo 42 ***


George caricò gli ultimi bicchieri dentro la lavastoviglie, avviò il programma e chiuse lo sportello.

Attese un paio di minuti, ma dal momento che Sarah non era ancora tornata, decise di raggiungere Aaron.

Lo trovò seduto sul divano in soggiorno. Stava guardando un programma sportivo.

L'uomo accorgendosi di lui e non vedendo sua figlia gli lanciò uno sguardo interrogativo.

«Sarah è al telefono», lo informò.

«Will?»

Lui scosse la testa.

«Sam a quanto pare», disse.

Poi si guardò intorno incerto su cosa fare: in realtà non aveva fretta di tornare a casa, ma non gli andava neppure di fermarsi troppo. 

«I Mets hanno avuto una stagione disastrosa quest'anno», dichiarò Aaron, tornando a contemplare lo schermo. 

«Già. Non avrebbero mai dovuto spendere tutti quei soldi per Parker; non ne valeva proprio la pena».

«E cosa ne dici di Welles?»

«Un idiota», rispose senza pensarci. 

Aaron rise. 

«Concordo. Ha avuto solo fortuna contro i Baltimore Orioles».

Rimasero un attimo in silenzio, poi George disse:

«Mi scusi per poco fa. Solitamente commento le partite con mio fratello e tendiamo a lasciarci un po' trascinare».

Il suo interlocutore lo guardò magnanimo.

«Vive lontano?», gli domandò.

«Sydney».

«È una fortuna che qualcuno abbia ideato le videochiamate su Skype», osservò l'uomo. «Avrei desiderato gli stessi mezzi tecnologici una trentina d'anni fa».

«Sarah mi ha detto che è stato nell'esercito», disse educatamente.

«Solo per un breve periodo. Mi sono congedato dopo un paio d'anni. Ho lavorato perlopiù in Illinois. Consulenze per la polizia, indagini private». 

Si interruppe un attimo, poi proseguì.

«Quando mia moglie se n'è andata non è stata più la carriera la mia priorità». 

«Quello che è riuscito a fare è straordinario», mormorò George.

«Sono stato soltanto fortunato: Sarah è sempre stata una bambina tranquilla», disse. «Guardare negli occhi tua figlia e ripeterle che sua madre non tornerà, non per un incidente o una malattia… Dirle che potrebbe, ma non vuole farlo... Quella è la parte più difficile. Vedere il suo mondo sgretolarsi e cercare di rimetterlo in piedi. Un proiettile nel petto fa meno male», concluse Aaron.

George rimase in silenzio ad assorbire quelle parole. 

«Io... Non so cosa dire, Mr Kant. C-come ha fatto ad andare avanti?», gli chiese con un filo di voce.

«Mia figlia», rispose senza esitazione. «Non ho avuto il tempo per piangermi addosso». 

Avrebbe desiderato possedere anche lui qualcosa che lo tenesse in piedi, ma la verità era che non lo aveva. E non sapeva per quanto ancora sarebbe riuscito a tenere insieme ciò che restava di sé.

In un certo senso anche iniziare a sentirsi meglio lo spaventava, poiché temeva che in qualsiasi momento tutto potesse di nuovo peggiorare e se fosse precipitato nella voragine un'altra volta era conscio che non sarebbe mai stato capace di riemergere. 

«Andrà meglio», gli disse gentilmente Aaron. «A volte lasciar andare qualcuno è il solo modo che abbiamo di affrontare il dolore e la rabbia». 

Comprese che Aaron non stava più parlando di sé, o di sua moglie. Deglutì a fatica, cercando qualcosa di sensato da dire, ma non l'aveva così per la prima volta da quando aveva perso Lindsay disse la verità.

«Non riesco a dormire. Ogni volta che penso... Mi sento... È come se qualcuno si divertisse a strapparmi l'aria dai polmoni», confessò con voce roca. «E ogni giorno in cui mi sento bene, mi sento colpevole, perché non dovrei stare bene! Non posso». 

Stava parlando tenendo lo sguardo fisso sul televisore, le mani fredde e sudate. La gola riarsa. Si passò una mano fra i capelli quasi senza accorgersene. 

«A volte, solo per pochi istanti, mi dimentico che lei non c'è più e sto per pronunciare il suo nome. Vedo un programma in televisione che potrebbe piacerle e vorrei dirglielo». 

La voce gli venne meno. Se avesse pronunciato solo un'altra parola sarebbe crollato, o forse era già successo. Si portò una mano sulla fronte e chiuse gli occhi nel tentativo di calmarsi.

Aaron gli mise una mano sulla spalla. 

In quelle ultime settimane si era convinto davvero che il peggio ormai fosse passato, ma forse non era così. 

Fece un respiro profondo.

«Mi perdoni», mormorò, quando si sentì sufficientemente tranquillo da riuscire a parlare. 

L'uomo lo guardò con espressione paterna. 

«Andrà meglio, figliolo», ripeté. «So che pare in tutto e per tutto una frase fatta, ma è così. Neanche il dolore dura per sempre». 

«Potrebbe...?»

«Ci siamo soltanto surriscaldati un po' troppo guardando una partita», affermò Aaron.

George annuì e lo ringraziò.

«Sai, credo che Jimmy Andrews sia il miglior giocatore quest'anno. Quell'uomo è un portento!», disse un minuto dopo Aaron in tono leggero.

«Mio padre non ti sta torturando con i suoi pronostici sul campionato, vero?», chiese la ragazza, entrando in soggiorno. 

L'attore fece del suo meglio per ricomporsi e la benedisse mentalmente per il suo tempismo.

«No, anch'io seguo le partite quando ne ho la possibilità», disse, rendendosi conto di avere ancora la voce roca. 

Sarah spostò il suo sguardo da lui a suo padre, ma non aggiunse altro e dopo aver lanciato un'occhiata rassegnata al televisore prese posto sulla poltrona vicino a suo padre.

La sua tortura per fortuna durò soltanto un paio di minuti, perché poco dopo sopraggiunse uno dei pochi uomini che non amava impiegare il proprio tempo nell'agitarsi per un paio di tizi che cercavano di battere una palla. 

«Ciao!», lo salutò con entusiasmo.

Will replicò al suo saluto, salvo poi accorgersi dello strano terzetto disposto vicino alla sua televisione.

Non era sorpreso dal vedere Aaron a guardare un notiziario sportivo, o Sarah vicino a lui; ciò che l'aveva fatto restare lì in piedi con la ventiquattr'ore in mano e un'espressione illeggibile era la terza persona insieme a loro.

Cosa diamine ci faceva George lì? 

Non era diventato insolito averlo a casa loro negli ultimi tempi, ma per quale motivo era lì proprio quella sera? Erano tutte domande che gli avevano invaso la mente in un istante, insieme a quella che non aveva neanche avuto il coraggio di pensare, figuriamoci di esporre.

Inoltre, George sembrava a disagio e più in imbarazzo di quanto la situazione richiedesse. Tutto ciò non contribuiva a farlo sentire meglio. Tuttavia, mostrarsi geloso, o irato di fronte ad Aaron non era un'opzione, così decise di fare buon viso a cattivo gioco.

«Ehi, che sorpresa», disse subito dopo, rivolgendosi solo a lui. «A quanto pare devo essermi perso la riunione di stasera», aggiunse nonostante i buoni propositi.

«In effetti, dovrei proprio andare adesso», disse l’attore.

Will lanciò un’altra occhiata al programma sportivo che stavano quasi sicuramente guardando fino a un attimo prima. Non era affatto sconfortato al pensiero di averlo perso.

«È tardi e ho già promesso a Stephen che sarei passato da lui domattina», proseguì George.

Udendo quelle parole, il padre di Sarah ridacchiò.

«Spero che saprai tenere a bada quella Janine», disse.

L’altro sorrise.

«Me lo auguro anch’io!», esclamò. «Grazie per la cena, Mr Kant e… Era deliziosa».

L’uomo gli diede una pacca sulla spalla.

«Nessun problema. È stato un piacere».

George si alzò e salutò la ragazza con un lieve bacio sulla guancia. Tuttavia, non fu questo a infastidire il nuovo arrivato, quanto il modo nel quale Aaron stava fissando l’attore.

«Ti accompagno alla porta», disse Sarah.

«Non ce n’è bisogno. Ormai dovrei saper trovare da solo l’uscita».

Quando gli passò accanto, Will si costrinse a sorridergli, ma dentro di sé non riusciva a scacciare una martellante inquietudine.


Buon week end!
Ho anticipato di un paio di giorni la pubblicazione di questo capitolo visto che si trattava del continuo della medesima scena. :)
Aaron è stato molto gentile con George e il modo sereno in cui il primo gli ha parlato dell'abbandono di sua moglie avvenuto tanti anni prima ha spinto anche l'attore a confidarsi con lui. E' indubbio che ancora senta molto la mancanza di Lindsay, ma già il suo ammetterlo sembra essere un passo avanti verso la "guarigione" nonostante lui stesso non ne sia convinto.
Che cosa accadrà adesso?
Will non sembra troppo contento di aver colto la strana complicità fra Aaron e George... Perderà la sua proverbiale calma stavolta? E quale sarà l'impressione di Aaron sull'attore?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo! ;)
Baci
Vale



 

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Capitolo 43
*** Capitolo 43 ***


Quella mattina quando aveva trovato Aaron intento a preparare un'altra volta la colazione, Will si era mostrato cordiale e sorridente come al solito. Aveva assaggiato i pancakes cucinati dal futuro suocero, aveva baciato con tenerezza Sarah sulla guancia, dopodiché era uscito per recarsi in ufficio. O almeno questo era ciò che aveva ideato per togliersi da casa prima del previsto. 

Aveva trascorso l'intera notte sveglio, fissando la sua fidanzata dormire, incapace di distogliere lo sguardo da lei e al contempo furioso per quanto era accaduto quella sera. 

Sapeva di essere uno sciocco, di aver fatto tardi a lavoro per l'ennesima volta, eppure vedere George a casa sua sul suo divano al posto che lui avrebbe dovuto occupare l'aveva fatto ribollire di rabbia. 

Non si trattava soltanto della sua presenza – era conscio dell'amicizia fra l'attore e la sua ragazza e non aveva nulla contro di lui – quanto della maniera in cui Aaron si era posto nei suoi confronti.

Aveva conosciuto il padre di Sarah un paio di mesi dopo che avevano cominciato a frequentarsi sul serio e non c'era stato un singolo giorno da allora nel quale l'uomo l'avesse fatto sentire a suo agio.

Aaron lo detestava candidamente e non ne aveva neanche fatto un mistero. L’avvocato si era sforzato di essere tollerante, ma iniziava a non poterne davvero più di lui e del suo sguardo sempre pronto a valutare ogni sua azione. Era felice che vivesse in Illinois, perlomeno quotidianamente sarebbe riuscito a vivere la vita coniugale senza preoccuparsi fino allo sfinimento di ciò che l'uomo pensava. 

Per poco non si strozzò con il caffè bollente. Si era fermato lungo uno Starbucks poco lontano dalla sede dello studio legale e aveva deciso che, in barba al suo salutare regime alimentare quella mattina aveva tutte le ragioni per fare uno strappo alla regola, senza contare che l'unica cosa che lo stava tenendo sveglio era la caffeina mista al suo nervosismo.

Non si trattava soltanto di George o di Aaron, ma di loro due insieme. Come aveva fatto George a ingraziarselo in un paio d'ore quando lui lottava per riuscire ad avere una normale conversazione con lui da anni?! 

Dalla sua prospettiva quella non era altro che l'ennesima conferma che gli avrebbe preferito chiunque, persino un uomo che non conosceva e che molto probabilmente aveva ben più scheletri nell’armadio di lui.

Si era proprio stufato di preoccuparsi dell'opinione di Aaron o di sua madre.

Non apprezzava Sarah? Era un suo problema! Lui non ci avrebbe più perso un minuto di sonno.

Se le loro famiglie non erano contente per la loro unione la questione non li riguardava affatto; sarebbero andati avanti anche senza di loro, perché si amavano e niente e nessuno sarebbe stato capace di far sparire quel sentimento.

Non importava quanto Aaron non lo sopportasse: non gli avrebbe mai più permesso di mettergli i bastoni fra le ruote. 

Bevve l'ultimo sorso di caffè e gettò il bicchiere vuoto nel cassonetto, poi sbuffò e salì in macchina, pronto ad affrontare quella fastidiosa giornata. 

                                                                    ***
 
Intanto dall’altra parte della città degli angeli, Aaron stava caricando il suo bagaglio a mano nel bagagliaio dell’Audi della figlia.

Era lieto di aver organizzato quel breve viaggio, poiché si era reso conto che le sue preoccupazioni erano mal riposte: Sarah aveva le idee ben chiare riguardo al suo rapporto con Will e l’uomo era convinto che non si sarebbe pentita di quella scelta.

Tuttavia, c’era un altro pensiero a dargli da riflettere.

«Serata interessante ieri», disse a un certo punto, mentre la ragazza metteva in moto l’auto e si incanalava nel traffico.

Lei lo guardò incuriosita, ma prudente.

«Ti stai riferendo a George?»

L’uomo annuì.

La ragazza sorrise appena. Aspettava quella conversazione da quando si era alzata quella mattina e, anzi, era stupita che suo padre avesse aspettato tanto per esprimere le sue considerazioni in proposito.

Sapeva che non lo faceva per cattiveria, ormai per lui era diventata una specie di deformazione professionale cercare d’inquadrare chiunque incontrasse.

«Verdetto?», gli chiese, mantenendo un tono frivolo.

«Non ha niente a che fare con l’uomo che credevo potesse essere», ammise infine.

La ragazza fu lieta di sentirglielo dire, però intuì che ci fosse anche altro.

«Ma…?»

Aaron fissò un attimo la strada, poi il suo sguardo si posò sulla figlia.

«Credo che lui sia più interessato a te di quanto dovrebbe esserlo un amico».

«Papà, è ridicolo».

«Forse dimentichi che faccio il detective da quasi vent’anni».

«E, se non ricordo male, presto andrai in pensione», gli ricordò Sarah. «George non è interessato a me e, se anche tu avessi ragione, io amo Will. La nostra storia non è un gioco».

Era assurdo che suo padre stesse mettendo in dubbio i suoi sentimenti sapendo quanto era stato difficile per lei fare un passo avanti con Will. Inoltre, era paradossale che credesse sul serio che George potesse nutrire un qualche trasporto sentimentale nei suoi confronti!

«Will è un bravo ragazzo. So di non essere sembrato sempre di questo avviso, ma lui vuole il meglio per te. È una cosa che abbiamo in comune», proseguì Aaron.

«Cosa stai cercando di dirmi, papà? Adesso sei un sostenitore di Will?», gli chiese, ironica.

«Se l’alternativa è George Wellington, sì», affermò in tono pacato. «Vedo il modo in cui ti guarda, tesoro. Non è lo sguardo di un amico».

Sarah cercò di farlo tornare sulla via della ragione.

«Sai che ha passato un brutto periodo. Ha perso la sua ragazza soltanto tre mesi fa. Si sente solo».

«È proprio questo a darmi di che pensare, Sarah», disse l’uomo. «Temo che si aggrappi con troppa forza a te e che questo crei tensione a lungo andare».

«Perché dovrebbe?»

«Provi qualcosa per lui?», le domandò Aaron a bruciapelo.

«Hai bisogno di chiedermelo?», replicò lei, sconcertata.

Era chiaro che non amasse George; come avrebbe potuto se il suo cuore era già impegnato con un altro uomo?

«Possiamo fare finta di nulla, ma non ho dimenticato che avevi le pareti della tua camera tappezzate di suo foto».

Lei arrossì.

«Papà, avevo diciassette anni», mormorò a disagio.

«Ma è la ragione per cui hai accettato questo lavoro», disse Aaron in tono pacato.

La ragazza non poté replicare, perché era consapevole che in parte era vero. Tuttavia, suo padre non poteva ridurre il suo rapporto con lui a questo. Non era più un’adolescente e lui non era più un estraneo.

Era davvero tanto importante che fosse stata una sua fan da ragazzina?

Questo non toglieva nulla all’affetto che si era creato fra loro.

«Non gli hai parlato delle nozze».

Non era una domanda. Suo padre aveva capito che non l’aveva fatto.

«Ho pensato che non fosse il momento giusto per dirglielo», ammise controvoglia.

«È proprio di questo che sto parlando. So che non sei innamorata di George, tesoro. Ma tieni troppo in considerazione i suoi sentimenti e temo che, quando il periodo oscuro sarà finito, lui sarà portato a mal interpretare le tue attenzioni», concluse.

La ragazza rimase per un attimo in silenzio. Era possibile che suo padre avesse ragione? Stava esagerando?

Non le sembrava sbagliato cercare di stargli accanto. Questo avrebbe potuto generare malintesi?

Non le pareva che lui avesse mai mostrato interesse nei suoi confronti… Forse non se n’era resa conto?

L’ipotesi avanzata da suo padre le sembrava assurda sotto ogni punto di vista.

«Forse la mia è soltanto deformazione professionale, ma dovresti comunque dirgli del matrimonio. Se siete amici sarà contento per te, indipendentemente dal resto», affermò Aaron, mentre l’Audi accostava.

Sarah annuì.

«Grazie, papà», mormorò, comprendendo solo in quel momento per quale motivo si era tuffato in quella conversazione così spinosa.

«Spero di sbagliarmi», disse in tono burbero, abbracciandola.

«Quindi posso dire a Will che sei dalla sua parte?», gli domandò con un sorriso.

L’uomo la lasciò andare e la guardò attraverso le lenti scure.

«Non provarci neanche! Mi piace che mi tema», ribatté, imitando il sorriso della figlia.

I due si salutarono un’altra volta, dopodiché Sarah osservò suo padre mischiarsi alla fiumana di persone che affollavano il parcheggio di LAX, inquieta.


Ciao a tutte!
Spero che le vacanze di Pasqua siano andate bene.
Dopo varie situazioni in cui avevamo visto Will mantenere la sua proverbiale calma sembra proprio che anche lui sia giunto al punto di rottura: vedere Aaron e George insieme pare essere la goccia che farà traboccare il vaso...
Ma non sempre le apparenze sono corrette: parlando con Sarah, infatti, Aaron in un certo senso dà la sua "benedizione" alle nozze lasciando intendere che l'avvocato è davvero l'uomo giusto per lei.
Tuttavia, forse è ancora più interessante ciò che le ha detto riguardo a George.
Che Aaron abbia colto qualche sfumatura che a lei stessa è sfuggita? George inconsciamente - e nonostante la ferita ancora aperta per la scomparsa di Lindsay - prova qualcosa di più per Sarah? 
Lo scoprirete molto presto!
Baci

Vale

 

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Capitolo 44
*** Capitolo 44 ***


Non appena ebbe messo piedi in ufficio, Will realizzò che la sua giornata difficilmente sarebbe migliorata. Non solo, infatti, Jerry era stato la prima persona che aveva incrociato in ascensore, ma aveva anche dovuto subire il suo sorriso sprezzante per la scocciatura data dal caso Matthews. Il suo simpatico collega era riuscito a farsi da parte con una scusa e la faccenda più complicata era capitata proprio a lui.

Il caso in effetti in un altro momento non gli avrebbe dato da pensare, però in quei giorni era fin troppo stressato e pure il proprio lavoro – che di regola adorava – gli dava fastidio. Forse avrebbe soltanto dovuto imparare a lasciar correre i suoi problemi personali così come aveva sempre fatto in passato, ma stavolta gli era davvero molto difficile.

Le sue passate relazioni sentimentali non erano state ciò che qualcuno avrebbe definito spettacolari, però all’epoca non gliene importava molto. Il suo lavoro era sempre stato il suo scopo principale e tutto ciò che vi si trovava in mezzo non era altro che un surplus, non una necessità.

Non era il genere d’uomo che sentiva costantemente il bisogno di avere una relazione, o qualcuno che lo aspettasse a casa la sera. Durante gli anni del college e del praticantato a New York aveva avuto un paio di storie stabili, ma si era innamorato sul serio soltanto di una delle due donne con cui era stato.

In un certo senso la sua dedizione alla legge era stata una della motivazioni che l’avevano spinto a chiudere quei rapporti, tuttavia, forse la vera causa era da ricercarsi nel fatto che non riuscisse a vedere un futuro con nessuna di loro.

La prima con cui aveva percepito quella speranza era stata lei.

Non avevano fatto le cose di corsa, anche se in una certa percentuale lo avrebbe desiderato, poiché aveva compreso fin dal principio che se l’avesse forzata avrebbe estirpato sul nascere qualunque futuro con lei.

Will era più che entusiasta riguardo al matrimonio e non avrebbe disdegnato di decidere una data da comunicare alla sua famiglia e agli amici più cari. Tutto pareva vicino alla perfezione; c’era solo un problema che continuava a ossessionarlo. Aaron.

Forse avrebbe semplicemente dovuto rassegnarsi, ma – sebbene non si considerasse un uomo all’antica – la sua opinione aveva fin troppa importanza per lui e gli era stato inammissibile osservarlo interagire così spontaneamente con George.

Non aveva niente contro l’attore, però stava iniziando a stufarsi di averlo intorno. Ormai era diventato una presenza fin troppo consueta fra le sue mura domestiche e, anche se la sua ragazza non aveva bisogno di rassicurarlo, cominciava ad averne abbastanza. 

Non avrebbe mai desiderato trovarsi nella sua situazione, ma non poteva neanche divenire una loro costante preoccupazione.

Non aveva nessun altro con cui passare il tempo? Gli pareva un po’ difficile crederlo. Probabilmente gli sarebbe stato sufficiente andare da qualche parte per trovare compagnia.

Si diede dell’idiota da solo per quel pensiero ben poco amichevole, però era stanco di dovergli fare da balia.

Dopo il loro spiacevole primo incontro fuori dal Blue High diversi mesi prima, aveva avuto l’opportunità di conoscerlo meglio e aveva realizzato che era molto diverso da quello che appariva. Non era come la maggior parte delle celebrità arroganti che di tanto in tanto varcavano le porte dello studio legale, però questo non implicava che la prospettiva di vederlo una sera sì e l’altra pure lo riempisse di gioia.

Un paio di volte aveva soppesato l’idea di discuterne con Sarah, ma non voleva sembrare il classico uomo geloso, soprattutto perché in vita sua non lo era mai stato. George però era… George.

Aveva ascoltato senza commentare quando la sua ragazza gli aveva esposto i suoi timori nell’accettare quel lavoro e aveva fatto buon viso a cattivo gioco nel momento in cui gli aveva comunicato la sua decisione.

Non aveva detto niente neanche di fronte alla strana prospettiva dell'amicizia fra la sua ragazza e l'attore, perché non aveva dubbi riguardo ai sentimenti di Sarah nei suoi confronti ed era piuttosto sicuro che George in buona percentuale provasse lo stesso per un’altra donna, però adesso le cose erano diverse.

Nonostante la scomparsa di Lindsay fosse stata un fulmine a ciel sereno per tutti e anche se aveva visto coi suoi occhi quanto l’uomo ne fosse stato devastato, non poteva non provare timore.

Un’irrazionale insicurezza si era impossessata di lui e da settimane non gli dava tregua.

Era conscio di quanto Sarah tenesse a George e temeva che l’affetto dell’attore per lei potesse evolvere in qualcosa di più. Era una paura tutt’altro che infondata, perché – anche se aveva fatto finta di non ricordarlo – rammentava bene quanto fosse legata a lui anche prima di conoscerlo. Era un sentimento che non era mai stato in grado di comprendere e a cui non aveva neanche dato rilevanza, ma ultimamente aveva cominciato a preoccuparsi.

Forse doveva solo lasciar correre, oppure farsi forza – sembrare un idiota – e dirle quello che provava. Non erano mai stati restii nell’esprimersi e, se davvero volevano costruire una vita assieme, forse era arrivato il momento di affrontare anche lo “scoglio Wellington”.

                                                                   ***  

Nel frattempo anche George stava avendo dei grattacapi. La sfortuna, infatti, aveva stabilito che il suo posto a tavola fosse proprio accanto alla sorella di Clara. Il suo simpatico agente si era ben tenuto a distanza dalla donna e l’attore non aveva potuto fare altro che sperare che l’avere una relazione avesse messo un freno ai suoi bollori.

Ahilui quella mattina era fin troppo ottimista, poiché non appena se ne presentò l’occasione, Janine non fu restia nel dimostrargli che lo trovava ancora attraente. A dispetto di quanto avrebbe potuto pensarne il suo compagno, l’attore pareva l’unico centro delle sue attenzioni.

Purtroppo finché Janine manteneva una certa “distanza di sicurezza” non c’era molto che potesse fare per tenersene lontano senza attirare sospetti. Era ridicolo che dovesse fare finta di nulla, ma ormai c’era abituato.

Nonostante tutto, quel giorno le era quasi grato: si sentiva ancora strano dopo la sua conversazione con il padre di Sarah ed era lieto di non doverci pensare per un paio d’ore.

Non riusciva ancora a credere di avergli confessato quella debolezza. C’era qualcosa nella famiglia Kant a spingerlo a fidarsi. Conosceva Aaron da poco più di un’ora, però quel breve arco di tempo gli era stato sufficiente per capire che tipo d’uomo era e da chi avesse preso sua figlia.

Negli occhi del suo interlocutore non aveva scorto neppure per un secondo il peso di un giudizio o di una condanna; era stato fin troppo semplice parlare con lui e, mentre guardavano insieme la partita, per un momento aveva desiderato davvero che suo padre fosse come lui.

Ma non lo era.

Ogni parola fra loro era stata quasi impronunciabile persino quando sua madre era viva. Era sempre stata lei a mediare. Secondo Elisabeth dipendeva dal fatto che fossero troppo simili, e forse aveva ragione, però George non era mai riuscito a notare tale improbabile somiglianza, e quasi sicuramente adesso non avrebbe più avuto quella possibilità.

Aveva mentito a se stesso per così tanto tempo… da imparare a credere alle sue stesse bugie.

«Quindi quando potremmo vedere The Secret of Nolan Hamilton nei cinema?», gli domandò a un certo punto Janine, scuotendolo dalle sue riflessioni. «Abbiamo adorato la tua interpretazione in The Beauty in Her Lies».

Quel plurale lo faceva ridere, perché aveva notato l’espressione non proprio convinta dell’uomo seduto di fianco a lei.

«Non c’è ancora niente di definito al momento», intervenne Stephen in tono professionale.

«Beh, potresti sempre passarmene una copia sottobanco, Stephen!», esclamò Janine, colta da un’improvvisa folgorazione.

George per poco non si strozzò con il succo d’arancia che stava bevendo.

«Tutto bene, tesoro?», gli chiese a bassa voce Clara.

Lui annuì.

«Mio marito a quanto pare è entrato in modalità campagna promozionale», dichiarò senza farsi udire dagli altri commensali.

L’agente, infatti, stava esponendo loro informazioni che probabilmente avrebbero reso felici qualunque persona un po’ interessata al mondo dei media e del cinema, ma che non potevano riscontrare il parere favorevole di un uomo abituato solo ad avere a che fare coi problemi di ogni giorno e che ben poco ne sapeva di star system e immagine pubblica.

George ebbe quasi pena per lui: sperava davvero che Janine non lo tormentasse durante il viaggio di ritorno in Florida.

«Ha anche un’altra modalità?», replicò divertito.

Lei gli lanciò uno sguardo complice.

L’uomo alzò una mano in segno di resa.

«Lascia perdere! Non voglio saperlo!»

«Ti spiace darmi una mano a portare di là questi piatti?», gli chiese la donna.

Lui si pulì la bocca con il tovagliolo e si affrettò ad alzarsi.

«Certo!», esclamò, forse con un po’ troppo entusiasmo.

Tuttavia, mantenne un’espressione neutra, raccolse i piatti che la padrona di casa gli aveva indicato e la seguì in cucina.

«Mi dispiace per mia sorella», gli disse la donna.

George la fissò sorpreso. 

«A quanto pare l'Accademy ha ragione! Sono proprio un pessimo attore», dichiarò con un sorriso. 

Clara gli accarezzò una guancia con fare materno.

«Sei un attore straordinario, ma non sei un bravo bugiardo», lo corresse.

Poi fece una smorfia di dolore e si portò entrambe le mani sul pancione.

George la guardò allarmato, però prima che potesse fare alcunché lei tirò un sospiro di sollievo.

«Va tutto bene? Devo chiamare Stephen?»

Lei scosse la testa e rise divertita di fronte al suo sgomento.

«Sono solo contrazioni, è normale», gli spiegò tranquilla, massaggiandosi la pancia, ma accettò di buon grado il braccio che l'uomo le stava offrendo.

George l'aiutò a sedersi.

«Sei sicura che non vuoi che chiami Stephen? Ti prendo un po' d'acqua?»

«Respira, o l'acqua servirà a te», lo rimbeccò lei.

Non si era neanche reso conto di stare letteralmente trattenendo il respiro. 

«Mancano ancora quattro settimane, ma se continuo così non penso che ci arriverò», proseguì più serena. «È una fortuna che non siate voi uomini ad avere tale incombenza! Anche Stephen si è spaventato a morte la prima volta. Non so come farà a resistere in sala parto».

George sorrise.

«Sei davvero convinta di non rivelargli il sesso?»

Lei annuì. 

«Non puoi immaginare la mia difficoltà nel tenergli nascoste le cose della bambina. Non ho mai amato particolarmente il rosa, però non potevo prendere ogni tutina gialla». 

«Ovviamente», borbottò lui, conscio di saperne ben poco di tutine di neonati.

Si ricordò solo in quel momento di non averle ancora preso neanche un regalo. Ma cosa gli aveva detto la testa?!

Forse poteva chiedere un consiglio a Sarah…

«E, in tal proposito, vorremmo chiederti una cortesia...».

Lui la fissò, in attesa.

«Ovviamente dovrai fingerti sorpreso quando mio marito te ne parlerà, ma vorremmo davvero che tu fossi il padrino di Bethany», gli disse.

L’uomo spalancò gli occhi.

Non era per niente convinto di essere la persona giusta, anche se molto probabilmente si sarebbe dovuto limitare a farle qualche bel dono in occasione delle feste e ad aiutare il suo agente, nonché amico, a tenere a bada i suoi futuri pretendenti. Quella parte in effetti lo divertiva.

Tuttavia, non era certo di essere in grado di cavarsela con i compiti più seri. A volte non si sentiva sufficientemente maturo neanche per dominare se stesso.

George annuì. Sapeva perché gliel’aveva chiesto e non poté che ringraziarla.

«Sei parte della famiglia e non voglio che ti vengano dubbi in proposito», affermò Clara con convinzione.

Lui la guardò con dolcezza e gratitudine.

«Lo so e non ce l’avrei mai fatta a sopravvivere a queste ultime settimane senza di voi», ammise.

«E io spero che punterai a qualcosa di più per il futuro. Sei così giovane, George. Quello che è successo a Lindsay è… Non ci sono parole per esprimere quanto sia stato terribile, ma tu sei vivo».

Non hai idea di quante volte non mi senta così, pensò.

«Ci conosciamo da anni e né io né Stephen abbiamo mai dubitato di te, ma la tua vita non può limitarsi a passare da set a un altro. Meriti qualcosa di più. Le cose brutte succedono, tesoro, e probabilmente ne hai viste più di molte altre persone della tua età, ma non puoi permettere che determinino quello che sei».

«Sei molto dolce, Clara», disse, sporgendosi verso di lei e dandole un tenero bacio sulla fronte.

Non era mai stato bravo nell’accettare i complimenti, probabilmente perché era conscio che la maggior parte erano falsi o arbitrari, però nelle parole di Clara c’era soltanto affetto, lo stesso che anche lui ricambiava.

«Ti spiacerebbe se portassi Stephen fuori da qui per un po’ oggi?», le chiese.

«Fingerò di non conoscerne il motivo», replicò lei con un sorriso divertito. «Fa’ pure».

Naturalmente l’agente fu più che lieto di quel gradito salvataggio e impiegò giusto un paio di minuti per infilarsi il cappotto, salutare sua moglie, i suoi poco graditi ospiti e seguire l’attore fuori.

Finalmente il suo orribile week end era terminato!


Ciao a tutte e buon inizio di settimana!
Dopo aver conosciuto il parere del padre di Sarah su George era necessario scoprire anche che cosa quest'ultimo pensasse di lui e le sue impressioni sono sicuramente positive. George, infatti, si è sentito quasi subito a suo agio con l'uomo, arrivando addirittura a notare le differenze rispetto al padre con cui è cresciuto e che hanno lasciato più di uno strascico su di lui...
In ogni caso Stephen e Clara fanno sempre il possibile per farlo sentire "a casa" e forse ormai sono capaci d'intuire più di quanto lui stesso non sia capace di dire. 
Nel frattempo troviamo Will sempre più infastido dalla costante presenza di George nella loro vita e che in maniera diversa nutre gli stessi timori di Aaron: avranno ragione a preoccuparsi così tanto per il legame fra Sarah e George?
Lo scoprirete molto presto... e finalmente la ragazza prenderà una decisione riguardo alla nuova proposta di lavoro!
Smetterà o no di lavorare per George? Lo saprete nel prossimo capitolo!
Intanto vi ringrazio per avermi seguita fino a qui.
A presto
Vale


 

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Capitolo 45
*** Capitolo 45 ***


«Sai, non riesco a credere che stiamo veramente sfogliando tutte queste riviste di abiti da sposa invece di fare un giro per Rodeo Drive!», osservò Sam, lanciando un'occhiata sconcertata all’amica.

«È molto più pratico. Preferisco farmi un'idea prima di vagare da un lato all'altro di Los Angeles», disse Sarah.

Sam la guardò come se fosse matta.

«È proprio quella la cosa migliore!»

Sarah ridacchiò.

«Da quando sei così propensa al matrimonio?», le domandò curiosa.

«Non lo sono! Però mi piace l'idea di far impazzire qualche commessa con richieste improbabili», affermò. «Tu e Will avete già pensato a una data?»

«Ancora no». 

In realtà aveva già ponderato di parlargliene quella sera a cena. Nell'ultima settimana le era sembrato tutt'altro che sereno e iniziava a ipotizzare che forse non fosse soltanto il lavoro a preoccuparlo.

Tuttavia, anche lei dopo la partenza di suo padre si era ritrova più volte a domandarsi se ci fosse qualche fondamento nelle sue parole e si era resa conto di non poter rimandare la sua decisione riguardo alla proposta di Mr Portman. L’uomo non l'aveva più contattata, ma le erano giunte voci insistenti sulla dipartita di Bones ed era conscia che da un minuto all'altro il suo telefono avrebbe potuto suonare.

L'idea di avventurarsi in quella nuova sfida l'emozionava, era inutile negarlo, e sapeva che l'unica cosa che doveva fare affinché il suo sogno si realizzasse era prendere in mano l'iPhone e fare una chiamata. Era consapevole che non avrebbe mai ricevuto un’altra offerta del genere, specie da una persona che stimava e, nonostante quello che suo padre pensava, la sua più grande paura era non esserne all’altezza.

Essere licenziata da Inside era stato un brutto colpo alla propria autostima. Suo padre credeva che non volesse salutare George, perché provava qualcosa di troppo forte per lui, ma la verità era che era preoccupata di lasciare il noto per l'ignoto.

La sua vita negli ultimi mesi si era stabilizzata: era felice. Come non lo era mai stata prima.

Se avesse voluto osare troppo? Se avesse accettato e poi se ne fosse pentita? Se non fosse stata in grado di svolgere davvero quel lavoro? Sarebbe riuscita a convivere con un fallimento simile?

Non ne era del tutto sicura, ma era consapevole che se avesse chiuso la porta in faccia a quell’opportunità se ne sarebbe pentita. In cuor suo sapeva di aver deciso, doveva soltanto comunicare la sua decisione alla persona su cui più di tutte avrebbe influito e sperare che tutto andasse per il verso giusto.

«E mi confermi che sarò la tua unica damigella?», le domandò Sam, riscuotendola dai suoi pensieri.

«Ovviamente», le assicurò. «Sam... Will ti è sembrato diverso in questi giorni in ufficio?», le chiese dopo un attimo.

La ragazza alzò le spalle.

«Non particolarmente. Perché me lo domandi?»

«Non lo so... Credo non abbia gradito molto la visita di mio padre», ammise.

«Puoi dargli torto?», le chiese la ragazza in tono ironico.

«Mio padre non ha nulla contro di lui», replicò Sarah, sebbene sapesse di non avere molte prove a sostegno della sua tesi.

«Questo non dovresti dirlo a me, ma al diretto interessato», le consigliò Sam. 

Stavolta fu il turno di Sarah di assumere un’espressione perplessa. Aveva già tentato quella strada, ma Will si era mostrato fermo nelle sue convinzioni, tanto che la ragazza aveva cominciato a pensare che avrebbe creduto a quelle parole solo se le avesse pronunciate la persona che aveva dato inizio a quel circolo vizioso. 

Le due amiche trascorsero un'altra mezz'ora a discutere di abiti dal dubbio gusto, finché verso le 3:15PM Sam non se ne andò. 

Rimasta sola, Sarah decise di prendere il coraggio a due mani e chiamò Stephen.

Sapeva di dover affrontare l'argomento con George, ma si sentiva più tranquilla all'idea di parlarne prima con lui. Anche se probabilmente non ci sarebbero stati problemi, voleva accertarsi di rendergli le cose più semplici possibili. 

L’ultima cosa che voleva era che l’attore pensasse che volesse in qualche modo prendere le distanze dalla loro amicizia.

                                                                  ***
 
Per tutto il tragitto in macchina la ragazza si sentì nervosa e la sua agitazione crebbe nel momento in cui estrasse la chiave dal cruscotto dell’auto.

Osservò per un attimo il suo riflesso nello specchietto retrovisore, dopodiché scese.

Non era la prima volta che vedeva la dimora dove viveva l'agente, ma solo quando bussò alla porta d'ingresso si rese conto che non vi era mai entrata.

In effetti, forse si sarebbe sentita più a proprio agio a incontrarlo in un luogo neutrale, però ormai era troppo tardi per fare marcia indietro. 

«Ciao», la salutò Stephen, aprendo la porta e facendosi da parte per lasciarla entrare.

«Ciao», ripeté lei, estendendo il saluto anche a sua moglie.

«Prego, accomodati. Gradisci un caffè, un tè?», le chiese Clara. 

«Un tè sarebbe perfetto, grazie».

«Stephen ce lo preparerà subito», disse lei. «Non è vero, caro?»

Sarah soffocò una risatina. Era inconsueto vedere un uomo come Stephen così mansueto con sua moglie. 

Le donne si accomodarono in soggiorno, in attesa che l'uomo tornasse con le loro bevande e Clara ne approfittò per osservare meglio la ragazza. Era molto più bella di quanto non ricordasse, ma i suoi occhi chiari tradivano una certa preoccupazione. 

«Mi spiace per le circostanze poco gradevoli nelle quali ci siamo conosciute», le disse Clara. 

Sarah non ebbe bisogno di chiederle a cosa si stesse riferendo. 

«Anche a me».

La donna fece una smorfia.

«Contrazione?», chiese la ragazza con un'espressione comprensiva, vedendo che la donna si era portata subito una mano sul pancione.

«Già. Ormai le settimane iniziano a farsi sentire», confermò. «Immagino che tu e mio marito dobbiate parlare di lavoro». 

Sarah annuì educatamente. 

«Allora vi lascio alle vostre faccende», disse la padrona di casa con un sorriso, ma la ragazza la fermò.

«Potresti restare un secondo?»

«Sì, certo», acconsentì, curiosa.

«Tu conosci George da molto tempo, vero?», le domandò Sarah.

Clara annuì.

«Più di otto anni ormai. Ho conosciuto lui e Stephen quasi nello stesso periodo. Era un ragazzo molto diverso, sai? È maturato molto in questi anni anche se vorrei che non avesse dovuto pagare un prezzo così alto». 

«Sembra stare meglio», mormorò Sarah.

«Tu dici? Non lo so... È difficile per lui mostrare ciò che realmente prova. Vuole essere forte a ogni costo, ma credo stia soffrendo ancora molto».

«L'amava molto».

«Oh, lo so bene... Però devo confessarti che non sono certa che lei lo ricambiasse nel medesimo modo. In ogni caso, spero che lui si renda conto che può ancora essere felice, essere amato».

Fu strano per la ragazza ascoltare quelle parole. Evidentemente Clara era molto più diretta di suo marito. Non aveva impiegato troppo tempo nel capire che fra la modella e Stephen non correva buon sangue, eppure non ricordava una sola volta in cui l’uomo l’avesse fatto presente a George.

Forse non voleva intromettersi nella sua vita privata.

«Non è mai stato bravo nel fidarsi delle persone, anche per questo sono felice che abbia trovato un'amica in te», aggiunse Clara, mettendola in imbarazzo.

Sarah non replicò, limitandosi ad aspettare con impazienza il ritorno di Stephen.

Era come se la sua interlocutrice avesse pronunciato quelle parole proprio per renderle ogni cosa più difficile.  

Tuttavia, quando suo marito giunse in soggiorno con tre tazze di tè, Clara prese la sua e si dileguò, lasciandoli soli. 

«Immagino tu non sia qui per il tè», osservò Stephen.

Non si era preparata un discorso, così fece un profondo respiro e gli raccontò quello che Mr Portman le aveva detto.

Nonostante il suo nervosismo, Stephen non avrebbe potuto trovare tracce d'incertezza nella sua voce, poiché nel momento in cui gli espose le sue motivazioni comprese di non avere altra scelta.

Non poteva perdere quell'occasione e al tempo stesso non voleva che George soffrisse, o che qualcosa fra loro si incrinasse.

Il suo interlocutore l'ascoltò con attenzione e non disse nulla finché la ragazza non ebbe concluso. 

«Direi che hai già deciso e che si tratta di una situazione troppo favorevole per non sfruttarla», le disse l’agente.

«Mi spiace davvero, Stephen».

Era conscia che la tempistica non fosse fra le migliori.

«Ne parlerò io con George se credi sia meglio», si offrì.

Lei scosse la testa con vigore. 

«Credo sia più giusto che lo faccia io», replicò. «Ovviamente terrò fede a ogni termine del nostro contratto», precisò in tono pratico.

«Sai, non ho mai pensato che ti saresti occupata delle sue pubbliche relazioni per sempre», disse Stephen. «Sei troppo in gamba per farlo».

«Grazie, Stephen», mormorò. «È solo che non vorrei essere l’ennesima persona a deluderlo. Non adesso».

L’uomo annuì con espressione grave.

«Credimi, Sarah. Sei l’unica persona a non averlo fatto».


Ciao a tutte!
Dopo averci pensato e ripensato infatti Sarah ha compreso che l'occasione che Mr Portman le stava offrendo era troppo importante per lei per rinunciare. 
Ma non sentendosi ancora pronta per comunicarlo a George ha deciso di parlarne prima con Stephen, che non è sembrato neanche troppo sorpreso...
Tuttavia, come la prenderà l'attore? I timori di Sarah sono fondati? Fra loro si incrinerà qualcosa adesso o la vicenda prenderà una svolta inaspettata?
Lo scoprirete molto presto! Nel frattempo vi consiglio di riflettere anche sulle parole di Clara. ;)
Al prossimo capitolo!
Vale




 

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Capitolo 46
*** Capitolo 46 ***


Dopo aver parlato con Stephen, Sarah tornò a casa sentendosi molto più leggera e… frastornata.

Una nuova realtà stava prendendo il posto di quella vecchia e la ragazza stava iniziando a rendersi davvero conto dei cambiamenti che presto avrebbero scosso completamente la sua vita.

Aveva deciso di affrontare il discorso con Will quella sera a cena e di chiedergli anche spiegazioni sul suo comportamento. Non voleva che fra loro ci fossero incomprensioni, non quando stavano per fondere le loro vite.

Aveva anche deciso di recarsi da George il giorno seguente per parlare anche con lui.

Di certo la ragazza non avrebbe mai immaginato che non sarebbe stato l’attore a rivelarsi l’osso più duro da affrontare.

Will, infatti, non aveva quasi aperto bocca per tutta la durata della cena e quando finalmente arrivarono al dolce la ragazza non riuscì più a fare finta di niente e gli chiese spiegazioni.

«Solo qualche bega in ufficio. Niente di diverso dal solito», minimizzò lui, alzando una mano al cielo.

«Amore, non hai detto una parola da quando sei rientrato», replicò lei con gentilezza. «Forse dovremmo parlarne».

«Non vedo cosa ci sia da dire», sbottò lui.

«A quanto pare qualcosa c’è», lo contraddisse  lei in tono pacato.

Non era da Will perdere il controllo in quel modo senza motivo.

«Cosa vuoi che ti dica, Sarah? Va tutto bene. Benissimo!»

«Non sembrerebbe. Sei distante da quando mio padre è venuto qui», sentenziò lei. «Parla con me», lo pregò.

Lui sospirò e stava quasi per confidarsi quando il telefono della ragazza squillò, attirando l’attenzione di entrambi.

«Ah, certo», mormorò. «Rispondi pure».

La ragazza deviò la chiamata senza neanche rifletterci. Non le piaceva evitare George, ma a quanto pareva aveva questioni ben più complesse di cui occuparsi in quel momento.

«Sono qui con te adesso. Non c’è nessun altro con cui voglia parlare», gli disse sincera.

Will scosse la testa, divertito.

«Ah, davvero? Perché non sembrava che tu fossi la mia fidanzata un paio di settimane fa o il mese scorso!»

Stavolta fu il turno di Sarah di sospirare. Allora tutto si limitava davvero a questo? Will era geloso di George?

Eppure era certa di avergli dimostrato che fra loro non c’era proprio niente a parte una sincera amicizia.

«Non c’è nulla, nulla, fra me e George», disse.

«Non ci credo».

«Pensi che avrei accettato di sposarti, di passare il resto della mia vita insieme a te, se avessi avuto anche solo il minimo dubbio sui miei sentimenti?», gli chiese sconvolta.

«Non lo so, Sarah», ammise lui. «So soltanto che non sei mai qui. Tu non ci sei… E non so se sia perché…».

«Will. Io ti amo. Hai ragione: non ci sono stata. Ho lasciato che il mio lavoro prendesse il sopravvento, che risucchiasse tutto il mio tempo e le mie energie e mi dispiace per questo, ma non significa che sia innamorata di George».

Lui non disse niente.

«Ne avevamo già parlato. Non credevo che tu avessi dei problemi con lui».

«Non è lui la ragione per cui non vuoi accettare il lavoro di Portman?», le domandò Will.

«Ho accettato quel lavoro oggi», lo informò in tono glaciale. «Era quello che ho cercato di dirti per tutta la cena», precisò.

«Mi dispiace», mormorò lui pentito.

«Non capisco, Will. Cos’è cambiato? Credevo ti piacesse George e che sapessi che non hai alcun motivo per sentirti minacciato da lui. Io amo te, voglio stare con te. Non c’è nessun altro nel mio cuore. Non c’è mai stato. Ci sei solo tu. Non farmi questo».

Lui le diede un leggero bacio sulla fronte.

«Mi dispiace», ripeté. «So che non sei innamorata di George, ma so anche che lui è importante per te e non avevo mai capito quanto lo fosse fino a quella sera», disse Will, riferendosi alla prima volta in cui l’avevano incontrato.

Sarah comprese che in fin dei conti forse aveva fatto bene a non raccontargli la verità sulla notte che aveva trascorso a casa dell’attore. Non era successo nulla, però lui probabilmente non avrebbe retto a una notizia del genere, non in quel momento almeno.

«Io mi fido di te, Sarah, ma…», riprese Will. «Vederlo con tuo padre mi ha mandato fuori di testa! Per tre anni ho cercato di intavolare una normale conversazione con lui e una sera torno qui e lo trovo a guardare George come se fosse suo figlio!»

Dunque era di questo che si trattava?

Il problema di Will era legato a suo padre.

«E allora forse dovresti sapere che è veramente stupido da parte tua essere geloso di mio padre, Mr Turner», gli disse Sarah con voce suadente.

Lui finalmente accennò un sorriso.

«Patetico, eh?»

«Abbastanza», convenne lei. «Amore, l’unica ragione per cui mio padre è stato carino con George è che ha visto quanto sta soffrendo e l’unica ragione per cui non si comporta nello stesso modo con te è perché sa che hai il mio cuore. Ma non ne posso più del vostro impasse, quindi ti chiedo un favore…».

Lui le rivolse uno sguardo interrogativo.

«Parlatevi. Dì a mio padre quello che pensi e non quello che credi lui vorrebbe sentirsi dire da te», le consigliò lei. «Perché non voglio litigare con te a causa sua e non voglio neanche che la mia amicizia con George si metta fra di noi. Ma siamo amici e che ti piaccia o no dovrai accettarlo. In fondo io sopporto tutti i tuoi colleghi di lavoro», aggiunse per stemperare l’atmosfera.

«Touchée», mormorò Will, poggiandole una mano sulla guancia e baciandola.

«Ti amo», gli sussurrò lei.

«Ti amo anch’io. Non puoi immaginare quanto», disse lui.

«Abbastanza da fare la figura dell’idiota», lo prese in giro lei. «Devi fidarti di me», gli sussurrò.

                                                                     ***
 
Quella notte Sarah dormì poco e male. Nonostante si fosse chiarita con Will e avesse finalmente preso coscienza di cosa lo preoccupava non riusciva a sentirsi tranquilla.

Forse Will si era comportato da sciocco, ma questo era bastato a farle capire che suo padre aveva ragione: doveva parlare a George anche del matrimonio e dargli la possibilità di dimostrare al suo fidanzato che non aveva alcun interesse sentimentale nei suoi confronti.

Paradossalmente aveva quasi più timore nel confidargli quella notizia piuttosto che quella riguardante il suo nuovo impiego per Mr Portman. In qualche modo, e benché tutto le facesse credere il contrario, si era convinta che metterlo di fronte a ciò che gli era stato da poco portato via fosse troppo per lui.

Era così sbagliato volerlo proteggere?

Avrebbe fatto la stessa cosa per Sam se la situazione fosse stata la medesima, quindi perché tutti cercavano di persuaderla che dovesse esserci qualcosa di più solo per il semplice fatto che si premurava dei sentimenti di George, quando avrebbe fatto lo stesso per chiunque a cui tenesse?


Ciao a tutte!
Forse qualcuna di voi si sarebbe immaginata più spargimento di sangue, ma almeno per ora le acque sembrano essersi calmate... La tregua durerà? 
Le parole di Sarah saranno bastate a Will? Una cosa è certa: la sua gelosia non potrà sparire da un minuto all'altro... La citazione dell'uomo sulla sera in cui "tutto è cominciato" sarà portatrice di sventure? L'omissione di Sarah verrà finalmente scoperta?
Intanto Sarah è preoccupata per la discussione, ma le mette ansia anche la prospettiva di parlare con George sia delle sue nuove prospettive lavorative che delle sue nozze... La ragazza si starà facendo un po' troppi scrupoli secondo voi?
E per quale motivo lui l'avrà cercata proprio quella sera?
Sarei curiosa di conoscere le vostre teorie. :)
Baci
Vale

 

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Capitolo 47
*** Capitolo 47 ***


Non appena aprì gli occhi quella mattina, Will non poté fare a meno di sentirsi ancora più idiota per quanto era successo la sera prima.

Non solo aveva urlato contro la donna che amava, ma – lasciando che i suoi dubbi prendessero il sopravvento – le aveva rinfacciato la sua indecisione riguardo alle nozze e non solo.

Non era mai stato geloso di Sarah prima di allora; non ne aveva mai avuto motivo ed era conscio che il matrimonio dei suoi genitori aveva avuto una parte importante nel renderla poco propensa nei confronti delle relazioni. Non era stato facile per lei aprirsi con lui, né dirgli che l'amava.

Aveva commesso una terribile bassezza nei suoi confronti ed era solo per sfacciata e incondizionata fortuna che non aveva distrutto il loro rapporto.

Tuttavia, ciò che le aveva detto era la verità e forse avrebbe fatto bene ad ammetterlo prima: gli era difficile – se non quasi impossibile – comprendere il sentimento che la legava a George, così come lo faceva stare male sapere che il padre della donna che amava non lo reputava abbastanza per starle vicino.

Aveva cercato così disperatamente di compiacere Aaron, da perdere di vista ciò che davvero importava: Sarah lo amava e aveva scelto di trascorrere il resto della sua vita insieme a lui.

E quella notte mentre la teneva stretta a sé comprese che nient'altro aveva la medesima importanza, perché niente l'aveva mai fatto sentire completo quanto stare insieme a lei. Non avrebbe più permesso ai suoi dubbi di mettersi fra di loro. 

Sarah spostò leggermente la testa, Will le accarezzò i capelli.

«Ciao», le sussurrò, quando aprì gli occhi.

«Buongiorno», mormorò lei, strofinandosi a lui e inspirando il suo profumo. «Sei riuscito a dormire?»

Lui accennò un sorriso.

«Dopo la mia orribile performance di ieri sera?», replicò ironico. 

«Will...».

«Avevi ragione. Sono geloso di George, ma avrei dovuto fidarmi di te. E dovrei affrontare le incomprensioni con tuo padre direttamente con lui». 

Sarah rimase in silenzio, incerta su cosa dire.

«Non volevo ferirti, Amore», le sussurrò.

«Lo so e mi dispiace di non aver capito che io avevo ferito te», gli disse infine, guardandolo negli occhi.

«È solo che non riesco a capire per quale ragione tu tenga tanto a lui», ammise a un certo punto Will. «Voglio dire, capisco che possiate essere diventati amici, e so che ha passato un brutto periodo, Sarah, ma... Ti conosco e so che non ti saresti presa tutto questo tanto a cuore se si fosse trattato di qualche altro tuo collega che conoscevi da qualche mese. Non fraintendetemi, non voglio dire che non ti importi di loro, ma... Non è la stessa cosa». 

«Non so come spiegartelo, Will e ti giuro che vorrei tanto avere una spiegazione soddisfacente, ma non ce l'ho. Non ce l'ho oggi così come non ce l'avevo mesi o anni fa. A volte ci sentiamo vicini a qualcuno senza sapere perché succede».

«Ti senti vicina a George, perché ha perso sua madre?»

Glielo domandò senza alcun secondo fine. Non c'era accusa nel tono di Will, pareva davvero che l'unica cosa che desiderava fosse capire. 

«Non lo so», mormorò lei. «Non penso spesso a lei e non so dirti se sia questo il motivo, so soltanto che ho sempre tenuto a lui e non nel modo in cui credi tu. Non ho mai desiderato neanche per un istante stare con George e da quando ho conosciuto te ho saputo per certo che nessun altro sarebbe stato capace di rendermi altrettanto felice». 

«Quindi sono doppiamente idiota».

«Beh, non ho mai detto di stare con te per il tuo cervello», affermò lei con un sorriso.

«Cosa ne diresti se preparassi la colazione e la mangiassimo qui insieme?»

Sarah gli passò una mano fra i capelli e lo baciò con trasporto.

«Direi che rischieresti di fare tardi a lavoro», sussurrò con voce roca. 

«Credo che correrò questo rischio, Miss Kant».

«Come vuole, Mr Turner». 

                                                                ***
 
Will era intento a mettere tutto su un vassoio, quando il campanello suonò con insistenza. Abbassò istintivamente lo sguardo sull'orologio, che portava al polso destro, e si avvicinò sorpreso al citofono.

Avrebbe voluto dire di essere sorpreso nell'udire la voce dell'inatteso ospite, ma non era così, anche se non si era mai presentato all'alba. 

Senza neanche soppesare l'idea di indossare qualcosa di più di un paio di boxer neri, aprì il portone e poco dopo si trovò davanti il nuovo arrivato.

«George», lo salutò.

«Mi spiace di essere passato così presto. Ho provato a chiamare Sarah svariate volte, ma non risponde al telefono e non sapevo come altro fare per rintracciarla», disse visibilmente agitato.

L'uomo lo fissò alquanto preoccupato.

«È tutto a posto?», gli chiese.

George annuì.

«Sì, sì. Scusa. Stephen, cioè Clara ha avuto il bambino. Voglio dire la bambina. Io sto andando in ospedale e volevo sapere se Sarah voleva venire con me».

«Ah, certo. Prego, accomodati. La chiamo subito», disse in tono più cordiale, allontanandosi.

Quando Will tornò in camera da letto, trovò la sua ragazza ad aspettarlo.

Nuda. 

«Mi sta facendo attendere parecchio per la colazione, Mr Turner», affermò.

«Non hai idea di quanto mi costi dirtelo, ma temo che dovremmo rimandare», disse.

«Non dirmi che ti hanno chiamato dall'ufficio!»

Magari, pensò Will.

«Hai una visita», le annunciò in tono neutro. «Rammenti la persona di cui abbiamo parlato ieri sera e stamattina?»

Dopo aver escluso per ovvie ragioni suo padre, Sarah non ebbe difficoltà nell'intuire di chi stesse parlando.

«George?»

L'uomo assentì, mentre afferrava una camicia bianca.

«Ti aspetta di là», rispose tranquillo.

«Va bene, dammi un momento».

                                                                  ***
 
Mentre indossava un vestito leggero, Sarah si domandò la ragione dietro alla visita di George. Aveva già deciso di parlargli a proposito di Mr Portman, però non le sembrava una buona idea farlo alle sette del mattino in presenza del suo fidanzato.

La situazione fra loro era già abbastanza complicata. 

Probabilmente aveva anche lei una parte di responsabilità, ma non le era piaciuto che Will la mettesse quasi di fronte a una scelta: non avrebbe esitato a mettere in secondo piano la sua amicizia con l'attore, se questo avesse potuto compromettere la sua storia d'amore; tuttavia, non le pareva corretto da parte di Will giocare quella carta.

Sperava davvero che la situazione fra loro si chiarisse, perché era davvero sciocco che fra i due ci fosse attrito a causa di qualcosa che non esisteva neanche.

Stabilito che era più prudente lasciare i due uomini da soli il meno possibile, la ragazza non perse neanche un secondo davanti allo specchio e, dopo aver raccolto i capelli in una coda di cavallo, uscì dalla camera da letto.

Una volta in cucina trovò il suo fidanzato intento a riporre una tazza nel lavello. L'altro stava fissando lo schermo dell'iPhone.

Il silenzio e la tensione era palpabili. 

Lungi da quanto si erano confidati quella mattina, la ragazza comprese che sarebbe servito più tempo a Will per digerire la sua amicizia con George e soprattutto per imparare a fidarsi di lui. Sperava davvero che fra loro potesse nascere un buon rapporto, ma – nonostante i loro sporadici incontri per una pizza o un film – forse sarebbe occorso ben altro prima che potessero definirsi amici, o chissà forse non lo sarebbero mai diventati. 

Era strano pensarlo, eppure c'era stato un momento durante la loro prima uscita di gruppo in cui aveva creduto sul serio che ci fosse una qualche affinità fra loro; magari si era sbagliata. 

George era stato lì molto spesso nelle ultime settimane e, sebbene all'inizio non se ne fosse resa conto, Will gli aveva lanciato varie occhiate; forse se avesse prestato più attenzione non sarebbero giunti a quel punto. Era stata così in pena per George e talmente abituata ad avere accanto il forte e deciso Will, da non essersi fermata a pensare neanche per un istante che quella situazione gli comportasse disagio.

Ormai però era un po' tardi per tornare indietro e agire diversamente. 

«Buongiorno», disse Sarah, rivolgendosi al nuovo arrivato.

«Ciao», le disse lui. 

«Beh, io devo proprio correre in ufficio», s'intromise Will.

«D'accordo», mormorò lei. «Ci sentiamo più tardi».

«Va bene. Buona giornata».

Dopo aver baciato la sua fidanzata a fior di labbra, salutò George con un cenno della mano, dopodiché uscì.

Una volta rimasti soli, Sarah chiese all'attore la ragione della sua visita e rimase piacevolmente colpita dalle notizie che portava. 

«Stephen ha detto che madre e figlia stanno bene. Non hai idea di quanto fosse emozionato al telefono», concluse George.

Sarah sorrise.

«Non faccio fatica a immaginarlo».

«Sai, è stato difficile per loro quando Clara ha avuto l'ennesimo aborto spontaneo, ma non si sono mai dati per vinti. Sono felice che siano riusciti ad avere il loro lieto fine», disse George. «Scusami, parlo troppo oggi. Sei pronta?»

«Certo. Andiamo». 


Ciao a tutte!
Ed ecco svelato il motivo dietro alla telefonata (alle telefonate!) di George! La nascita della figlia di Stephen. :)
Forse temevate l'ennesima disgrazia, ma stavolta mi è sembrato giusto concedere un po' di felicità alla coppia: entrambi hanno dovuto sopportare abbastanza dolore e si meritavano sicuramente un lieto fine. 
Ma, anche se porta buone notizie, il tempismo di George di certo non è un punto di forza per farsi benvolere da Will visto che il suo arrivo ha totalmente rovinato i programmi che aveva già fatto con Sarah!
Nel prossimo capitolo conoscerete il nuovo membro della famiglia Olsen e soprattutto le reazioni di George di fronte alla novità!
Vi ringrazio per avermi seguita in questa nuova avventura e spero che la storia vi stia piacendo. Se aveste suggerimenti o pareri non esitate! 
A presto
Vale

 

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Capitolo 48
*** Capitolo 48 ***


Mentre osservava George tenere in braccio la neonata, Sarah provò una strana sensazione e per un attimo immaginò come avrebbe potuto essere la sua vita con Will se avessero mai pensato di avere un figlio.

Paradossalmente la sola persona con cui aveva avuto una conversazione semi-seria sull’argomento era stata la sua futura suocera. Lei e il suo fidanzato, infatti, non avevano ancora affrontato il discorso e, in tutta sincerità, la ragazza non poteva dirsene dispiaciuta.

Non aveva mai creduto che fosse necessario mettere su famiglia nel senso tradizionale del termine per sentirsi appagati e felici, però aveva il vago sospetto che a lui non sarebbe dispiaciuto fare un passo del genere.

Se e quando l’argomento fosse saltato fuori non avrebbe davvero saputo cosa rispondergli, perché di una cosa era sicura: se i suoi genitori le avevano dato un esempio riguardo al matrimonio, di certo suo padre le aveva insegnato giorno per giorno quanto fosse importante prendersi cura di un’altra persona.

Aaron non era mai mancato a un incontro con gli insegnanti o a una recita scolastica e l’aveva scorrazzata in giro prima che prendesse la patente. Aveva asciugato le sue lacrime ogni notte per mesi dopo l’abbandono di sua madre e non le aveva mai fatto pesare nessuna delle sue decisioni; eppure, con il passare degli anni, Sarah si era resa conto di come a volte fosse faticoso per lui riuscire a badare a ogni cosa, a conciliare il suo lavoro con i bisogni di sua figlia.

Era stato il padre migliore che una bambina avrebbe mai potuto desiderare ed era stato in grado di starle accanto ogni giorno, di farla sentire amata e speciale. Sarah sapeva di dovergli tutto e forse era proprio per questo che le dispiaceva degli attriti fra lui e il suo ragazzo.

Tuttavia, era anche convinta che i due uomini sarebbero riusciti ad appianare i loro dissapori, per lei, ed era proprio questa certezza a farle credere che suo padre si sarebbe mostrato più tollerante nei confronti dell'uomo che lei amava.

In effetti, era rimasta molto sorpresa per quanto le aveva detto su George e a mente fredda iniziò a comprendere meglio il motivo per cui avesse fatto tanto male a Will vederli così partecipi.

In un certo senso, c’era una somiglianza fra George e suo padre, per quanto a prima vista potesse sfuggire: entrambi avevano perso la donna che avevano amato e, con lei, la vita che avevano pianificato e desiderato.

Tuttavia, guardando George quel giorno sarebbe stato arduo indovinare cosa ci fosse nei suoi pensieri: tutte le sue attenzioni parevano prese dalla piccola fra le sue braccia.

Erano entrati insieme nella camera di Clara, ma dopo qualche parola di rito e un breve saluto, la ragazza aveva preferito farsi da parte e aspettare il ritorno di Stephen fuori.

L’uomo, infatti, a dire di sua moglie era sceso un attimo al primo piano per prendere qualcosa da mangiare.

«È meravigliosa, non trovi?», le domandò una voce nota, facendola sussultare. 

Non si era accorta che fosse tornato.

«È bellissima. Congratulazioni, Stephen!»

«Grazie», disse l’uomo con la voce colma di emozione. «Sei già entrata?»

Lei annuì.

«Sì, ma l’infermiera non voleva troppa gente».

«Una donna bassa e coi capelli lunghi?»

Al cenno di assenso della sua interlocutrice aggiunse:

«È terrificante. Se potesse sbatterebbe fuori anche me». 

Sarah sorrise. 

«È una fortuna che non sia ancora saltata al collo di George», riprese Stephen. 

«Probabilmente percepisce il suo fascino», scherzò Sarah, facendolo ridere.

«Non lo escluderei, sebbene non sembri proprio una patita delle riviste patinate e credo che l’ultima volta che sia stata al cinema ci fossero ancora i film in bianco e nero».

Dal momento che l’uomo si era chetato di colpo, la ragazza seguì il suo sguardo.

George era in piedi, vicino al letto di Clara e stava tenendo ancora la piccola Bethany fra le braccia. 

L’uomo guardò entrambi con affetto. 

«In questi mesi ho creduto davvero che la scomparsa di Lindsay l’avrebbe annientato», le disse.

«Lo so», mormorò con gentilezza, accarezzandogli il braccio. «E so che non smetterai di preoccuparti per lui dall’oggi al domani, ma in questo momento George sta bene. Dovresti tornare dentro e goderti tua figlia». 

«Hai ragione», convenne Stephen. «Torni dentro con me e sfidiamo insieme l’infermiera?»

«Perché no! Stephen... Mi mancherete quando tornerò a lavorare per Inside».

«Non ne hai ancora parlato con George, vero?»

Lei scosse la testa. Non ricordava da quanto tempo non vedeva George così sereno e, sebbene non si ritenesse così importante da rovinare il suo buon umore, non voleva rischiare.

Quella notizia poteva aspettare un altro giorno. Così seguì l’uomo all’interno della camera. 

Stephen si avvicinò al letto e stampò un leggero bacio sulla fronte di sua moglie, dopodiché guardò con dolcezza la neonata fra le braccia dell’attore. In effetti, un occhio più attento avrebbe notato una leggera incertezza nel modo nel quale George la stava cullando. Ogni suo movimento sembrava attento e capace, ma pareva star cercando – forse inconsapevolmente – di mantenere una distanza emotiva da quella scena come se rendere palese tutta la sua gioia avrebbe portato alla luce anche sentimenti meno nobili. 

«Vuoi prenderla in braccio, Sarah?», le chiese Clara. 

Il suo tono di voce tradiva stanchezza, ma nei suoi occhi brillava una luce nuova.

La ragazza rimase un attimo in silenzio. L’idea la intimoriva, perché l’unica neonata che aveva preso fra le braccia era la figlia di una lontana cugina e questo era accaduto almeno sei anni prima... 

George ridacchiò e questo la convinse che fosse meglio non dare troppo peso alla cosa, così annuì e ascoltando le indicazioni della neomamma prese la piccola dalle braccia dell’attore. Era veramente piccola, ma i medici avevano assicurato ai neo genitori che la bambina scoppiava di salute. 

«Le piaci decisamente più di me», osservò George, facendo ridere Stephen di gusto. 

Erano tutti nella camera da qualche minuto, quando Clara si lasciò sfuggire uno sbadiglio.

«Devi essere molto stanca», le disse gentilmente Sarah, porgendo Bethany al padre. 

«Forse dovremmo andare e lasciarti riposare un po’, Clara», intervenne George.

Stephen annuì.

«Mi pare una buona idea, Amore», convenne. 

«Mi ha fatto piacere rivederti, Sarah», sussurrò la donna con voce talmente bassa che né il marito né George la sentirono. 

La ragazza annuì con aria complice.

«Chiamami se vi serve qualcosa, qualunque cosa», si raccomandò George, dopo aver accarezzato con l’indice la manina della piccola. 

Sembrava davvero indifesa.

«Ce la caveremo alla grande, vero Beth?»  

Sarah sorrise e, dopo aver fatto un cenno della mano, uscì dalla camera seguita da George. 

                                                                     *** 
 
Mentre George la riaccompagnava a casa, Sarah non poté fare a meno di accorgersi che qualcosa era cambiato. Non era una sensazione motivata, ma sentiva che lui era diverso, o forse stava soltanto raccontando a se stessa delle scuse per rimandare la loro inevitabile chiacchierata.

Le auto procedevano lente a causa del traffico e questo stava concedendo all’uomo il tempo di riflettere. 

Quando aveva ricevuto la chiamata concitata da parte del suo agente era quasi saltato dal letto. La sua prima reazione di fronte alla notizia che Clara era entrata in travaglio era stata quella di precipitarsi alla clinica, ma dopo aver aspettato un minuto si era reso conto che, per quanto Stephen fosse come un padre per lui, quel momento doveva appartenere soltanto a lui e a sua moglie.

Si trattava della nascita della loro bambina, la figlia che tanto avevano desiderato. Lui poteva aspettare qualche altra ora per conoscerla.

Aveva comunicato all’uomo di tenerlo aggiornato, dopodiché era rimasto sdraiato sul letto con gli occhi sbarrati a pensare, finché la seconda telefonata non gli aveva annunciato la nascita di Bethany. 

Erano state molte le cose su cui aveva riflettuto…

La prima, e la più dolorosa da ammettere, riguardava Lindsay e la vita che avrebbe desiderato costruire insieme a lei.

Per un istante, dopo che l’uomo l’aveva chiamato, si era permesso di immaginare cosa avrebbe provato se si fosse trovato lui al posto di Stephen, se la bambina che stava per nascere fosse stata sua figlia, se la donna che aveva amato fosse stata ancora viva.

Sapeva che era un pensiero sciocco, però non era riuscito e, cosa più importante, non aveva neanche provato a scacciarlo. Aveva speso fin troppo tempo a fingere che tutto andasse bene, a convincere se stesso e gli altri che avesse tutto ciò che aveva sempre desiderato, mentre in realtà era lontano anni luce dal suo più grande desiderio. Una famiglia. 

Nonostante fosse conscio che Stephen e Clara erano sinceri nel dirgli che lo consideravano parte della loro, non poteva più aspettare che fosse il suo agente a risolvere i suoi problemi: doveva pensarci da solo.

Inoltre, non voleva gravarlo di quel peso... 

«La bambina è davvero bellissima», affermò a un certo punto Sarah. 

«Già. Scommetto che farà strage di cuori e che Stephen mi chiederà di assoldare un sicario per tenere a bada i suoi pretendenti».

«Se vuoi posso passargli il numero di mio padre, ha un’ottima reputazione nel tenere sotto scacco i fidanzati». 

A George non sfuggirono quelle parole né il tono di voce che lei aveva utilizzato.

«Tu e Will...?»

Lei annuì, imbarazzata. Non avrebbe voluto dirglielo così, ma quella battuta le era venuta spontanea. 

«Beh, congratulazioni! O si dice auguri a una signora? Non ci ho mai capito nulla, perdonami». 

«Non hai niente per cui scusarti, George», gli disse lei, rendendosi conto di avergli sentito pronunciare quelle parole fin troppe volte.

Lui non replicò, tornando a concentrarsi sulla strada.

Forse era quello il momento giusto per parlargli anche dell’offerta di Mr Portman...

Stava quasi per farlo, quando all’improvviso lui le fece la più inaspettata delle proposte, rendendo insignificante ogni altro discorso. 

«Hai impegni il prossimo fine settimana?», le chiese.

Lei rifletté un attimo prima di rispondere. In teoria avrebbe dovuto approfittare dell’assenza di Will per fare un giro per negozi in compagnia di Sam, tuttavia non ne aveva molta voglia.

«Non proprio», rispose infine.

Osservando George si accorse che sembrava molto nervoso e questo la incuriosì.

«Dovrei andare a New York e mi farebbe piacere avere compagnia. L’avrei chiesto a Stephen, ma non è il momento giusto», disse. «Ovviamente se sei impegnata con i preparativi delle nozze non c’è problema...», si affrettò a precisare. 

«No, va bene». 

In realtà era piuttosto felice di rimandare l’imminente giro per negozi d’abiti nuziali, ma non le pareva necessario esternare quel pensiero.

«Sarah, potresti non farne parola con Stephen per ora?»

Lei annuì.

«D’accordo».

«Grazie».

Trascorsero i restanti minuti del viaggio parlando della piccola, ma la mente di entrambi vagava in un’altra direzione. 

Per quale ragione George le aveva chiesto di accompagnarlo a New York? E soprattutto come avrebbe fatto a dire a Will che aveva accettato senza neanche conoscerne il motivo?

Per l’ennesima volta quella settimana provò la sensazione di essere fra due fuochi; la sua sola speranza era di non restarne scottata. 


Ciao a tutte!
Ancora una volta le parole di Stephen dimostrano quanto voglia bene a George e quanto questo affetto sia ricambiato. Vi piace l'immagine di George che culla una neonata? ;)
Alla fine nonostante tutti i timori di Sarah la notizia del suo fidanzamento è avvenuta quasi per caso e l'uomo non sembra esserne rimasto scosso, ma cosa ne pensate della sua richiesta? Per quale motivo vuole andare a New York e perché ha chiesto proprio a lei di accompagnarlo? 
Ormai manca poco per scoprire qual è il "peso" che l'angoscia fin dal principio.
Ma siamo sicuri che nessuno avrà niente da ridire su questo breve viaggio? 
A presto,
Vale 




 

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Capitolo 49
*** Capitolo 49 ***


Mentre terminava di riporre nel suo bagaglio a mano un paio di cambi, Sarah ripercorse mentalmente l’ultima conversazione che aveva avuto con la sua amica Sam.

«Non posso credere che stai veramente partendo per un fine settimana con Mr Hollywood», aveva commentato, sbigottita. «Sei sicura che non voglia portarti a letto?»

Sarah le aveva rivolto uno sguardo inceneritore.

«Devi ammettere che il tempismo è particolare. Mr Hollywood non aveva proprio nessun altro a cui chiedere questo favore? E poi cosa c’è a New York che esige la sua presenza immediata?»

«Sam, smettila di farmi l’interrogatorio».

«Quindi non vuoi davvero raccontarmi nulla? Neanche come ha preso la notizia il tuo fidanzato?»

Sarah sospirò. 

«Non si tratta di un viaggio di piacere».

«Beh, dal momento che ancora il diretto interessato non è a conoscenza del fatto che presto non lavorerai più per lui...».

«Ho ancora un mese prima di assumere il mio incarico a Inside».

«Oppure quello Stephen gli ha già raccontato tutto e, pur di non perderti, ha ideato questo viaggio romantico!», concluse Sam, ignorandola.

«Ti rendi conto di star leggendo troppi romanzi rosa, vero?»

«Sai che li detesto», la rimbeccò Sam. «Non so se essere più sorpresa che Will non l’abbia ancora sfidato a duello, o che tu abbia acconsentito senza neanche saperne il motivo». 

«Lo scoprirò una volta giunti a destinazione».

«Se lo dici tu... Non sono io che mi sto giocando il rapporto con il mio fidanzato. Will non è mai stato un tipo geloso, ma tu lo stai mettendo a dura prova. Spero che l’incontro segreto di Mr Hollywood ne valga la pena». 

Sarah sapeva che la sua amica aveva ottime frecce al suo arco: gli ultimi giorni con Will erano stati strani e, nonostante avessero chiarito, sembrava che fra loro ci fosse ancora qualcosa di non detto. 

«Non lascerò Will da solo questo week end», le ricordò.

«Lo so, mi ha già detto che è andato a Chicago da tuo padre. Ti pareva proprio necessario?»

Sarah sospirò.

«Devono risolvere la situazione da soli, Sam. Mio padre mi ha confessato di non avere nulla contro di lui, ma inizio a pensare che Will ne sia così convinto...».

«Che qualunque cosa tu gli dirai non cambierà nulla», concluse Sam al suo posto.

«Esatto. Non possiamo andare avanti così». 

«Beh, spero solo che tuo padre non gli rompa il naso!», aveva commentato la sua interlocutrice con una risatina, chiudendo il discorso.

Dopo aver messo anche la sua trousse dentro il bagaglio, chiuse la cerniera con maggiore agilità di quanto lei stessa non si sarebbe aspettata.

Non aveva mai viaggiato così tanto come nell’ultimo anno e sebbene non avesse avuto troppo tempo per fare la turista (definizione che fra l’altro non aveva mai amato) le sarebbe mancata quell’avventura. 

All’inizio era rimasta sorpresa dall’invito di George e per un istante aveva pensato di declinare; tuttavia c’era stato qualcosa ad aver colto la sua attenzione e ad aver attirato la sua curiosità, c’era stato qualcosa nel tono di George a farle capire che probabilmente se gli avesse detto di no qualcosa fra loro sarebbe cambiato davvero.

Non voleva compromettere il suo legame con Will, ma una piccola parte di lei era convinta che se era sufficiente così poco per incrinarlo allora avrebbero avuto vita tutt’altro che facile in futuro. Stavano per promettersi di prendersi cura l’uno dell’altra per il resto dei loro giorni e Sarah era conscia della portata di quell’impegno e si augurava che le ragioni che avevano spinto il suo ragazzo a farle la proposta non avessero niente a che fare con la sua improvvisa insicurezza.

Amava Will, ma non avrebbe mai sopportato di doversi giustificare con lui per le sue decisioni, non quando non lo riguardavano.

Era stato per questo che, nonostante quanto aveva detto a Sam, non aveva precisato all’uomo che amava che quel viaggio aveva ben poco a che fare con il lavoro. Non conosceva il motivo che spingeva George a recarsi nella Grande Mela, però ne aveva un vago sospetto e non poter esporre le sue ipotesi neanche a Stephen le procurava una certa preoccupazione.

Sperava soltanto che niente andasse storto. 

                                                                      ***                                  
 
Mentre la sua fidanzata era persa nei suoi pensieri, l’avvocato stava osservando con un certo nervosismo il paesaggio che si estendeva di fronte ai propri occhi.

Aveva avuto varie occasioni di andare a Chicago, anche prima della sua storia con Sarah, tuttavia non era mai stato in quel posto e non aveva neanche mai dovuto trascorrere tanto tempo insieme ad Aaron.

All'inizio l’ipotesi di cercare un chiarimento con il futuro suocero gli era sembrata un'idea sensata e matura, ma aveva cominciato a mutare opinione nel momento in cui l'uomo gli aveva proposto una gita sul lago. Non era un abile pescatore, però non si era tirato indietro, tuttavia dopo quaranta minuti trascorsi a fissare in silenzio una lenza non poteva che dirsi scocciato.

Aveva il braccio destro indolenzito e ormai gli sembrava palese che nessun pesce sarebbe mai abboccato: Aaron voleva soltanto burlarsi di lui. Tuttavia, non voleva dargli la soddisfazione di chiedere spiegazioni, quindi rimase in silenzio finché non fu l'uomo a spezzarlo. 

«È una bella giornata», dichiarò. «E sono contento di avere un po’ di compagnia, ma dubito che tu abbia fatto tanta strada solo per una battuta di pesca insieme a me».

Will rifletté un minuto prima di rispondere. Aveva pensato varie cose da dire, avrebbe voluto sapere a che gioco stava giocando Aaron, ma alla fine decise di ascoltare il consiglio ricevuto dalla sua ragazza: essere se stesso e dirgli che cosa lo infastidiva.

In fondo era pur certo che la situazione non potesse peggiorare. O almeno così sperava. 

«Diciamo che tua figlia non mi ha lasciato molta scelta», gli disse sincero. 

Aaron non replicò.

«Senti, non so cosa ho fatto per restarti così indigesto e francamente all'inizio non mi importava, ma adesso io e Sarah diventeremo una famiglia e per lei è importante il tuo parere», disse. «E lo è anche per me», ammise controvoglia. 

L’uomo lo fissò con intensità.

«Perché?», gli domandò.

«Tu sei suo padre, Aaron. Il suo eroe», affermò Will con una nota di esasperazione nella voce.

L'uomo lo guardò con espressione scettica. Poi posò gli occhi sulla lenza, ma nessun pesce pareva avere fretta di abboccare al suo amo.

Will rimase in attesa, con il cuore in gola. Aveva le mani sudate, lui che di solito non aveva mai problemi a mantenere la calma nelle situazioni peggiori, in quel momento aveva persino difficoltà a ricordarsi di respirare. Si era sempre sentito in tilt di fronte ad Aaron, ma niente se paragonato a quella mattina. 

Alla fine fu il suo interlocutore a parlare. 

«Portavo qui Sarah quando tornavo dalle mie missioni all'estero. Si divertiva a guardarmi pescare; credo la rilassasse», ricordò. Poi aggiunse: «Dopo l'abbandono di sua madre non ha più voluto metterci piede».

«Non le piace parlarne».

«È un periodo che entrambi ci siamo lasciati alle spalle. Mia figlia non ama rivangare il passato quando non ce n'è utilità. Non hai bisogno del mio benestare, Will. Abbiamo già appurato che hai il suo».

«Lo so e non potrei esserne più felice, ma vorrei che anche lei lo fosse. Non voglio spingerla a compiere un passo per cui non si sente ancora pronta, però non voglio vivere senza di lei».

Era necessario che Aaron capisse quanto amava Sarah.

«Non perderai mia figlia, a meno che non sia tu ad allontanarti», gli disse l’ex-marine.

«Non lo farei mai», replicò Will senza incertezza.

«Siamo persone diverse, Will, ma questo non significa che non sappia quanto tieni a lei. E so che farai quanto è in tuo potere per renderla felice».

Will rimase in silenzio, troppo sorpreso da quelle parole per parlare. 

Era esattamente ciò che sperava di sentire, ma non aveva mai creduto che l’uomo le avrebbe pronunciate sul serio. Non nella realtà.

Aaron proseguì, tranquillo.

«Ero molto immaturo quando ho avuto Sarah e non mi sono preso cura di lei come avrei dovuto nei primi anni. Quando sua madre se ne è andata, ho realizzato quanto mi ero perso della sua infanzia e ho giurato a me stesso di porvi rimedio. A qualunque costo».

«Non è quello che ricorda lei», dichiarò confuso.

«Era troppo piccola per tenerlo a mente, ma non c'ero. Le missioni mi impegnavano quasi completamente e sua madre ne era stufa. Mi è servito il suo abbandono per comprendere quanto amassi mia figlia e quanto fosse importante proteggerla. È quello che ho fatto da allora». 

«E credi di doverla proteggere da me?»

«Non più», rispose, deciso. «So che la ami e il mio unico desiderio è che lei sia felice. Se lo merita».  

«Ti garantisco che non desidero altro neanch'io, Aaron».

«Ma hai insistito per il matrimonio».

«È stata lei a dire di sì. Non la obbligherei mai a fare qualcosa che non vuole. Non ti sto chiedendo di diventare amici, Aaron, ma sarebbe piacevole non dovermi guardare le spalle ogni volta che ci incontriamo e lo sarebbe anche per Sarah».

L'uomo sembrò rifletterci un attimo, poi disse: 

«Ti propongo un patto: finché mia figlia sarà felice io smetterò di tartassarti. Cosa ne dici?»

«Mi pare giusto», rispose, stringendogli la mano.

Dubitava che i loro rapporti sarebbero mutati dall'oggi al domani, però forse c'era speranza per loro. 

                                                                     ***                     
 
Intanto dall'altro lato degli Stati Uniti, c'era un altro padre che stava cercando di trattare con sua figlia sotto gli occhi divertiti di un inatteso spettatore. 

«Forse dovresti provare con la rana di peluche», suggerì a un certo punto George. 

L'uomo scosse la testa.

«La detesta», affermò Stephen. «Vero, Beth?»

George sorrise e alzò le mani in segno di resa. Ormai erano almeno venti minuti che la neonata piangeva disperata e tutti i loro sforzi per placarla finora si erano risolti in un colossale fiasco. 

«Magari ha fame?», propose l'attore.

«No, Clara l'ha allattata poco prima del tuo arrivo».

«Okay, ho esaurito le idee, Stephen».

«Credo debba soltanto abituarsi a noi. O magari è solo di pessimo umore oggi. In effetti, credo non abbia gradito il suono del campanello».

George si passò una mano fra i capelli con espressione spiacente. 

Era talmente abituato a suonare che non aveva proprio pensato che potesse disturbare il nuovo membro della famiglia.

In ogni caso, non gli sembrava strano vedere il suo agente con in braccio una neonata. Nonostante non l'avesse mai detto a chiare lettere a Stephen gli voleva bene e credeva davvero a quello che aveva confidato a Sarah: non riusciva a immaginare un padre migliore. 

Tuttavia, era proprio questa certezza a rendergli impossibile raccontargli ciò che gli passava per la testa da giorni, se non settimane.

Desiderava parlare con suo padre, non per chiarirsi (visto che c'erano ben poche possibilità che ciò succedesse), ma quanto meno per porre la parola fine a una situazione che era divenuta insostenibile.

Liam aveva avuto ragione nell'insistere: non era più un ragazzino e non poteva più scappare dalla realtà senza che questa lo travolgesse.

C'erano stati tanti momenti in cui avrebbe potuto raccontare tutta la verità a Stephen, ma qualcosa l'aveva sempre bloccato. La paura.

Nonostante l'uomo l'avesse visto nei suoi momenti peggiori, non l'aveva mai ritenuto una brutta persona e la stima e l'affetto del suo agente erano divenuti linfa vitale per lui.

Poteva sopportare di chiudere definitivamente ogni rapporto con suo padre, e forse anche con suo fratello, però sapeva che se avesse perso anche lui non sarebbe riuscito a farcela. E forse era proprio per tale ragione che non aveva chiesto a lui di accompagnarlo.

Non poteva rischiare la sua amicizia con Stephen; inoltre, non era nelle condizioni di allontanarsi da Los Angeles. 

«Per fortuna Beth sa che lo zio George non è troppo sveglio a volte», disse Stephen, rivolgendosi alla figlia.

L'attore sorrise.

«Veramente Beth finge di appoggiarti, ma è già dalla mia parte».

«Non credo proprio», replicò il neopapà in tono gioioso. «Vuoi restare a pranzo da noi?», gli domandò Stephen, quando finalmente la bimba si fu tranquillizzata.

«Mi piacerebbe, ma devo sbrigare alcune faccende».

Non poteva dirgli che doveva preparare il suo bagaglio e chiamare Sarah per sapere se tutto era a posto per il volo e la prenotazione dell’hotel.

Lui e Stephen non avevano mai avuto segreti, ma c’era qualcosa che non sentiva di avere il coraggio di rivelargli. Non ancora almeno, non prima di aver visto come sarebbero andate le cose con suo padre.

«Va tutto bene?», gli chiese l’uomo.

Ormai era fin troppo abile nel leggergli dentro. Doveva dirgli almeno una parte delle decisioni che aveva preso.

«Sento di aver bisogno di una pausa da tutto questo, Stephen. Quindi ipotizzo che tu e Sarah aveste ragione», affermò. «Devo fare chiarezza e non voglio assumere nuovi impegni per un po’ di tempo».

L’uomo lo guardò leggermente sorpreso.

«Forza piccolina, andiamo nella culla, ti va? Io e lo zio George dobbiamo parlare», sussurrò, riponendo la neonata nel suo lettino.

«Cosa succede, George?», gli domandò, senza neanche celare la sua preoccupazione, e cercando immediatamente i suoi occhi chiari.

«Sto bene, Stephen, ma… A volte penso di aver sbagliato tutto», dichiarò George, sedendosi sul divano.

«Non sono d’accordo con te», replicò Stephen.

Poi si sedette accanto a lui.

«Io… Ogni singola persona fino a qualche mese fa avrebbe fatto carte false per essere me, per avere la mia vita e io farei lo stesso per avere la loro. Vorrei svegliarmi una mattina e non essere me. Soltanto per un giorno! Sto bene, davvero, ma… Niente è come avrebbe dovuto essere».

Stephen sospirò e poggiò una mano sulla sua spalla.

«Sono stati mesi duri, ma ce l’hai fatta e non hai scelto la strada più facile. Mi hai reso davvero orgoglioso di te», gli disse Stephen. «Se hai bisogno di un po’ di tempo, prenditi del tempo».

Non avrebbe mai saputo trovare le parole giuste per ringraziare Stephen per cui si limitò a un solo e sentito “Grazie”.

«Inoltre, così saprò chi chiamare quando avrò bisogno di qualcuno che faccia da babysitter a Beth», aggiunse l’uomo, facendolo sorridere.

«Non c’è neanche bisogno di chiederlo, Stephen», replicò George.

Sì, avrebbe trovato un modo per sistemare le cose: lo doveva alle persone che lo amavano e… a se stesso.


Ciao!
Alla fine Sarah ha preso una decisione potenzialmente rischiosa per se stessa: non dire a Will che il viaggio a New York non ha niente di professionale, ma che si tratta soltanto di un favore a un amico. 
Com'era già accaduto anche stavolta è Sam ad avere il compito di metterla in guardia e a elaborare teorie più o meno fantasiose. Bisogna sperare che la ragazza continui a essere una buona amica per lei visto che conosce tutte le sue omissioni...
Intanto scopriamo la ragione di questo viaggio: dopo 4 anni di silenzio George sente il bisogno di affrontare suo padre.
Come andranno le cose fra loro? Ci sarà un'ulteriore lite o riusciranno finalmente a chiarirsi? E Sarah avrà un ruolo in tutto questo?
Nel frattempo Will e Aaron si sono confrontati con sincerità e sembrano essere arrivati a un vero compromesso stavolta.
Ci leggiamo il prossimo capitolo con l'arrivo di Sarah e George a New York!
Baci
Vale

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Capitolo 50
*** Capitolo 50 ***


Quando l’aereo toccò la pista d’atterraggio, George e Sarah furono fra i primi passeggeri a lasciare il veicolo e, per fortuna, nessuno agli Arrivi parve accorgersi della presenza dell’attore. Tuttavia, l’uomo tirò un sospiro di sollievo soltanto nel momento in cui salirono a bordo del taxi. 

Erano circa le 3:45PM. Aveva noleggiato un’auto all’insaputa della ragazza per il giorno seguente, ma stava già iniziando a pentirsi della sua decisione. Forse aveva commesso uno sbaglio a coinvolgerla e forse questo avrebbe distrutto per sempre la loro amicizia.

Aveva avuto molti dubbi sul principio e si era stupito della propria intraprendenza quando le aveva proposto in maniera del tutto non preventivata di portare il loro rapporto lavorativo su un piano più personale svariati mesi prima.

In un primo momento aveva giustificato quel colpo di testa come un tentativo di saperne di più su una persona che aveva assunto, ma ben presto si era reso conto che quell’amicizia gli piaceva e che, anzi, ne aveva bisogno. Sarah gli aveva fatto riscoprire un lato di sé che credeva fosse scomparso per sempre. Il loro legame era nato nel peggiore dei modi, ma a poco a poco era mutato e George aveva capito quanto fosse divenuta importante per lui.

Non solo gli era stata vicino nei giorni successivi alla scomparsa di Lindsay, ma stare con lei aveva iniziato a fargli credere che forse potesse ancora esserci una speranza per il suo futuro.

In ogni caso, per rendere ciò realizzabile doveva prima chiudere ogni conto in sospeso con il passato, a cominciare da suo padre. 

Non aveva ancora pensato a cosa dirgli, poiché era conscio che niente avrebbe potuto rimettere indietro le lancette dell’orologio o cancellare quello che era accaduto, ma doveva almeno tentare. 

«Abbiamo programmi per questo pomeriggio?», gli chiese Sarah una volta giunti in hotel. 

Lui si voltò verso di lei.

«Non esattamente, stasera possiamo cenare da Claridge, se ti va», le propose, quando le porte dell’ascensore si aprirono. 

«Va bene», assentì lei.

«Sei sicura che a Will non dia fastidio il fatto che tu mi abbia accompagnato?»

La ragazza scosse la testa.

«Non c’è problema».

Anche perché non sa che non siamo qui per lavoro, aggiunse mentalmente.

«Non ci saremmo visti comunque questo week end», gli spiegò.

Lui le lanciò un’occhiata interrogativa.

«È andato a Chicago da mio padre».

«Ah, beh se mi avessi detto che...», iniziò lui.

Gli faceva piacere la compagnia di Sarah, ma non credeva che chiederle di andare insieme a lui a New York l’avrebbe messa di fronte a un’alternativa.

Tuttavia, lei spense sul nascere le sue proteste.

«Week end fra solo uomini. Sarei soltanto stata d’intralcio», gli disse con un sorriso.

Spero di riavere ancora il mio ragazzo tutto interno alla fine di questo week end, pensò Sarah.

«Sei sicuro di volerti chiudere in hotel? È una bella giornata. Stavo pensando di fare una passeggiata per Central Park».

Lui rifiutò con garbo l’invito.

«Preferisco fare una doccia e leggere un libro».

«E restare alla larga dalle ragazze pronte a spogliarsi per te vicino all’entrata di un ristorante», lo prese in giro lei, ricordando quell’assurdo racconto.

«Colpito».

«D’accordo, ma non provare a farmi cenare da sola, okay?»

«Ci sarò. Promesso». 

                                                                     ***
 
Stava camminando per Central Park da quasi un’ora, quando un’immagine si fece largo nella sua mente.

Durante i suoi precedenti viaggi a New York aveva avuto ben poche occasioni per trascorrere del tempo da sola immersa nei suoi pensieri e quel pomeriggio non poté che ripensare alla sua infanzia.

Per quanto le costasse ammetterlo rivedeva se stessa in ogni bambina che si divertiva ad arrampicarsi sulla statua raffigurante Alice nel paese delle meraviglie.

La prima volta che i suoi genitori l’avevano portata lì aveva trascorso ore ad ammirare quell'opera; era come un sogno divenuto realtà ai suoi occhi e non avrebbe voluto allontanarsene.

Chissà...

Forse in cuor suo era conscia che la sua famiglia perfetta non sarebbe durata molto più della neve che si era posata sul volto di Alice. 

Non aveva ancora avuto la faccia tosta di domandare a George il motivo che li aveva portati a New York, ma non aveva scordato che era nato lì e che molto probabilmente quella città anche per lui fosse piena di ricordi.

Era stato questo a spingerla a credere che la persona che George voleva incontrare fosse suo padre, però, anche se la sua ipotesi si fosse rivelata veritiera, non riusciva a comprendere per quale ragione lui avesse domandato proprio a lei di accompagnarlo.

Certo, erano amici, però questo non faceva altro che rendere ancora più difficile la sua posizione.

Era paradossale come George fosse in grado di rendere cose impossibili estremamente semplici e viceversa. Non si era mai considerata perfetta, ma si era sempre sentita orgogliosa della propria sincerità; da quando lui era entrato nella sua vita però aveva omesso la verità al suo fidanzato almeno due volte e non ne andava certo fiera. Era come se aiutare George fosse divenuta una delle cose più importanti e questo non era corretto nei confronti di Will e di se stessa.

Stava soppesando l’idea di tornare in albergo a prepararsi quando il suo telefono squillò.

Era Will. 

«Ehi, non mi aspettavo di sentirti prima di domani», gli disse in tono allegro. «Sei ancora vivo?», gli chiese in tono ironico.

Il suo interlocutore ridacchiò.

«Più o meno».

«Com’è andata?»

«Beh, ho appurato di essere un pessimo pescatore, quindi se per un malaugurato incidente dovessimo finire su un’isola deserta sarebbe meglio se ci fosse anche tuo padre insieme a noi».

«Will Turner, devo preoccuparmi? Ti sei appena augurato di finire su un’isola deserta in compagnia del tuo più acerrimo nemico?»

«Solo per il tuo benessere», precisò lui. «Non credo che io e tuo padre potremmo mai divenire amici, ma se non altro abbiamo finalmente trovato un punto in comune». 

«Posso sapere di cosa si tratta?»

«Neanche per sogno!»

La ragazza sorrise. 

A giudicare dell’umore del suo fidanzato il suo viaggio era stato proficuo.

«Com’è New York?», le domandò dopo un attimo.

«Affollata come al solito», rispose lei. 

«Il meeting è domani, giusto? Non vedo l’ora di riabbracciarti e farmi perdonare».

«Mi manchi anche tu», mormorò lei. «Sì, dovremmo riuscire a prendere l’ultimo volo».

Odiava mentire a Will, ma si era spinta troppo oltre per potergli raccontare ogni cosa. Inoltre, non sapeva ancora con sicurezza che cosa avrebbe potuto esserci da raccontare. 

Parlarono per un altro paio di minuti, dopodiché chiese al suo fidanzato di porgere i suoi saluti a suo padre e riattaccò.

Le avrebbe fatto piacere chiacchierare un po’ con il suo vecchio e conoscere i dettagli della sua conversazione con Will; tuttavia, la sua curiosità poteva pazientare un altro giorno. 

Abbandonata l’idea di avventurarsi per la 5th Avenue, Sarah decise di cercare ristoro in uno dei tanti Starbucks che riempivano le strade della Grande Mela e poi rientrò in hotel.

Si concesse una rapida doccia per togliersi di dosso la stanchezza del viaggio. Aveva bisogno di un attimo per riflettere a mente lucida sugli ultimi avvenimenti che avevano scosso la sua vita.

Nonostante la sua apparente calma iniziava a sentirsi elettrizzata per il suo nuovo lavoro; la prospettiva di riprendere la sua professione a Inside le procurava una certa soddisfazione e, dopo l’iniziale titubanza, era ansiosa di vedere come si sarebbe comportata Misha nel vederla al posto che era stato occupato tanto a lungo da Bones.

Era curioso pensare che presto avrebbe avuto il suo ufficio. Quando era stata licenziata si era convinta che il mondo non avrebbe smesso di franarle sotto ai piedi, al contrario, quella che le era parsa la fine aveva segnato un nuovo inizio e aveva cominciato a pensare che forse tutto quello che le era capitato era servito a farle raggiungere ciò che più desiderava. 

Indossò un tubino blu scuro con sopra un cappotto bianco e uscì, chiudendo con garbo la porta della sua stanza. 
 
                                                                      ***

Quando raggiunse la suite dove alloggiava l’attore, bussò con decisione e attese che l’uomo le aprisse.

Tuttavia, quando finalmente apparve sulla soglia di fronte a lei, Sarah non poté non accorgersi che quel pomeriggio di solitudine non pareva avergli giovato.

Era molto più nervoso di quando si erano salutati qualche ora prima.

«Ehi, è tutto a posto?»

Lui annuì appena.

«Sì, certo», rispose forse troppo velocemente.

«Sei pallidissimo. Forse sarebbe meglio disdire la prenotazione e mangiare qualcosa in hotel», gli propose.

«Non voglio rovinarti la serata».

«Me la rovineresti se mi lasciassi cenare da sola», gli disse. «Posso entrare?», gli chiese con più dolcezza.

George fece un passo indietro, per farla passare.

Sarah appoggiò la pochette su una poltrona e si tolse il cappotto. Era il suo preferito, perché era stato un regalo di Will. Poi si sedette ai piedi del letto e contattò il ristorante. 

«Ti va di scendere o preferisci che chiami il servizio in camera?», gli domandò dopo che ebbe disdetto la loro prenotazione.

George la guardò molto a disagio.

«Vorrei restare qui, ma davvero... Sarah, non c’era alcuna ragione per cui tu debba sorbirti la mia presenza anche stasera. Non è giusto che ti costringa a restare qui al chiuso».

«Hai ragione: lo spazio vitale delle suite del Bowery è risaputamente miniscolo!»

George si avvicinò al letto e, infine, si sedette vicino a lei.

«Sei preoccupato per domani?», gli chiese qualche istante dopo.

Lui accennò un sorriso.

«Forse ho sbagliato tutto venendo qui. Mi spiace di averti coinvolta nei miei casini. Anche questo viaggio è solo tempo perso probabilmente!»

Aveva pronunciato quelle parole senza neanche guardarla in faccia, voleva sfogarsi, ne aveva bisogno, ma non voleva gettare quel peso proprio su di lei…

Sarah gli sfiorò la mano.

«Non è tempo perso, George. Se non fosse importante non saremmo qui», gli disse gentilmente.

«Sei troppo buona con me», sussurrò.

«Beh, mi paghi profumatamente per esserlo», lo prese in giro lei per allentare la tensione, facendolo sorridere. «Allora cosa vorrebbe mangiare, Vostra Altezza?»

«Scegli tu».


Ciao a tutte!
Sarah e George sono giunti a New York e la ragazza si è messa nella scomoda situazione di mentire al suo fidanzato... Will al telefono è parso premuroso come al solito e più sereno adesso che ha finalmente parlato con Aaron.
Nel frattempo invece George ha avuto modo di pensare a quello che dovrà affrontare e non sembra più tanto sicuro della decisione presa. Riuscirà a parlare con suo padre? 
Sarah vorrebbe fare qualcosa per lui, ma non sapendo cosa sia successo si sente con "le mani legate"... Con queste premesse come andrà la loro serata insieme? 
Lo scoprirete nel prossimo capitolo!
Baci
Vale

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Capitolo 51
*** Capitolo 51 ***


Rimasero più o meno in silenzio finché la donna del servizio in camera non bussò alla porta. 

Soltanto fino a poco tempo prima George avrebbe ritenuto impossibile trovarsi in una stanza d’albergo a guardare un film insieme a qualcuno che non fosse Lindsay (anche se a onor del vero la modella non aveva mai amato particolarmente il cinema d’autore e avevano sempre impiegato il loro tempo assieme in maniera un po’ diversa), ma d’altra parte non avrebbe mai immaginato che non avrebbe avuto nessuno con cui condividere la sua vita.

Voleva bene a Stephen, ma sebbene lo vedesse quasi come un padre non riusciva a ritenersi al 100% parte della sua famiglia, specie adesso che era nata la figlia che tanto a lungo lui e sua moglie avevano desiderato.

«Viaggi sempre con una marea di DVD in valigia?», gli domandò Sarah a un certo punto. 

Lui sorrise.

«Deformazione professionale», ammise, scrollando le spalle. 

Continuarono a fissare lo schermo per un paio di minuti, poi Sarah parlò di nuovo, stavolta in tono serio.

«George, posso chiederti una cosa? Perché siamo qui?»

Non avrebbe voluto domandarglielo così bruscamente, ma si era arrovellata il cervello per tutto il volo e non poteva restare con quel dubbio fino al giorno seguente. Inoltre, a giudicare dal suo umore quella sera, parlarne forse gli avrebbe fatto bene.

«La lista dei propositi», rispose lui dopo averci riflettuto un minuto.

«Scusa?»

Lui accennò un sorriso imbarazzato, sotto il lieve strato di barba le sue guance acquisirono colore. 

Sapeva che era una risposta sciocca, ma era la migliore che avesse trovato.

«Ricordi cosa mi hai detto quando sono venuto a cena a casa tua la Vigilia di Natale?»

«La lista dei propositi», ripeté lei sottovoce.

«Lo so che sembra da pazzi venire fino a qui per questo ma... È per mio padre», le confessò infine. «So di averti trascinata dall’altra parte degli Stati Uniti senza neanche dirti il motivo e so che ti devo una spiegazione, ma...».

No, non era il momento giusto per raccontarle tutto e forse quel momento non sarebbe mai arrivato.

Sarah parve capirlo, perché non insistette oltre, tornando a guardare lo schermo, sebbene nel cervello le si arrovellassero un’infinità di questioni.

Aveva avuto ragione nel credere che quel viaggio riguardasse la sua famiglia, ma che cosa poteva essere successo di talmente grave da giustificare il timore che aveva percepito nella sua voce? Possibile che i rapporti fra George e suo padre fossero così tesi da rendergli quasi impensabile parlarne?

All’improvviso comprese maggiormente il motivo che doveva aver spinto Stephen a dirle che era meglio per George non avere vicino la sua famiglia, anche se le sue stesse azioni parevano dimostrare proprio l’assioma opposto.

In ogni caso, di qualunque cosa si trattasse, sembrava che quella ferita fosse tutto tranne che rimarginata per lui. Stava soffrendo, ma senza sapere che cosa era accaduto non c’era molto che potesse dire o fare per aiutarlo.

«Tu e Will avete già stabilito la data delle nozze?», le domandò a un certo punto, cogliendola di sorpresa.

«Non ancora», rispose Sarah. «Ma se fossi stata a casa questo week end sono certa che Sam mi avrebbe trascinata da un atelier all’altro alla ricerca dell’abito perfetto».

Pronunciò quelle due ultime parole con un eccessivo velo d’ironia, che all’attore non sfuggì.

«Non sembri entusiasta all’idea», osservò, lieto che l’amica avesse accettato il suo tentativo di cambiare discorso.

«Voglio sposare Will, ma non sono il genere di ragazza che va in estasi all’idea di scegliere le bomboniere, o gli abiti delle damigelle, o sentendo la marcia nuziale. È quello che viene dopo a interessarmi, il mio rapporto con Will non cambierà quando saremo sposati».

«Scusami se te lo chiedo, ma se la pensi così perché hai accettato?»

Sarah rimase un momento in silenzio. Era la stessa domanda che le avevano posto tutti, a cominciare da suo padre. Aveva già risposto mille volte, ma era strano e… diverso confessarlo a lui.

«Io e Will veniamo da famiglie molto diverse».

«Quindi per lui è importante e tu hai deciso di accontentarlo».

«Non si tratta di questo. I miei genitori non sono stati un grande esempio di cosa riesca a far andare avanti un matrimonio, ma conosco Will e mi fido di lui, non c’è nessun altro con cui potrei mai immaginare di passare il resto della mia vita. Il fatto che per me la cerimonia non sia importante, non toglie valore al resto», disse Sarah.

George le rivolse uno sguardo mortificato.

Si era decisamente spinto troppo oltre con quel commento indesiderato.

«Mi dispiace, Sarah. Ho esagerato. Non intendevo dire…».

«Non fa niente. Mi avevi avvertita che non era la serata giusta per una chiacchierata», gli disse.

Lui accennò un sorriso, il primo di quella sera.

«Ritirerai il mio invito alla sfarzosa cerimonia?», le chiese.

«Potrei, ma credo che non lo farò. Inoltre, Margaret sarà più che lieta di incontrarti di nuovo», scherzò lei.

«Beh, con queste premesse credo che non potrò non presenziare».

Sarah rise.

«Forse è meglio che vada a dormire adesso», gli disse poco dopo.

Lui annuì appena.

«Ci vediamo domattina», le disse, accompagnandola alla porta e porgendole la pochette e il cappotto.

«Buonanotte, George», gli sussurrò, baciandolo con dolcezza sulla guancia.

Stava quasi per andarsene quando la mano di lui la bloccò.

«Dì a Will che vuoi una cerimonia più semplice, non ti dirà di no», le consigliò prima di lasciarla andare.
 
                                                                     ***

Intanto dall’altra parte degli Stati Uniti Stephen stava cercando di capire che cosa fosse opportuno fare per far sì che sua figlia smettesse di piangere. Lui e sua moglie avevano trascorso l’ennesima notte insonne e l’uomo stava iniziando a perdere la speranza che la seguente sarebbe stata diversa.

«Ha proprio dei bei polmoni e delle ottime corde vocali, non trovi tesoro?», chiese a Clara, che stava cercando invano di placare la neonata.

La donna rise di gusto. Si sentiva a pezzi e, al tempo stesso, non ricordava di essere mai stata altrettanto felice. 

«Potrebbe diventare una cantante lirica un giorno, non credi?», proseguì Stephen.

Era talmente stanco da sapere a malapena quello che stava farneticando, tuttavia non avrebbe scambiato la sua gioia con niente al mondo. Avevano atteso così a lungo quel momento che neanche i pianti continui sarebbero riusciti a renderlo meno speciale, anche se...

Beh, riuscire a dormire per più di dodici minuti non gli sarebbe affatto dispiaciuto!

«Forse è un bene che George non sia qui, non credo avrebbe gradito questa incessante melodia», affermò a un certo punto Clara.

Suo marito ridacchiò.

«A quanto pare la nostra piccolina è immune al suo fascino», disse. «Ieri ha pianto per quasi tutto il tempo in cui George è stato qui». 

«Credi che stia bene?»

A suo marito non occorse nemmeno un minuto per capire che non si stava riferendo alla figlia.

«Credo che non sappia neanche lui cosa prova, o cosa vuole in questo momento».

Era questa la sensazione che aveva avuto durante la loro ultima conversazione, però per qualche strano motivo non era preoccupato, forse perché aveva visto che aveva già affrontato e superato il peggio.

Tuttavia, sua moglie non pareva essere dello stesso avviso, anche se l’uomo non avrebbe mai potuto indovinare dove stessero andando a parare i pensieri della sua consorte.

«Cosa c’è?»

«Sei sicuro non ci sia nulla fra lui e Sarah?»

Stephen spalancò gli occhi e fissò la moglie con espressione incredula, prima di scoppiare a ridere.

«E quest’idea da dove salta fuori?», le chiese divertito.

«Beh, è una bella ragazza e mi è sembrata piuttosto materna nei suoi confronti». 

«È una brava persona», convenne Stephen. «Ha cercato di fare del suo meglio per aiutarlo in questi mesi, ma questo non significa che fra loro ci debba essere qualcosa. George è ancora innamorato di Lindsay. Avrebbe desiderato sposarla, lo sai».

La donna lo guardò dubbiosa.

«Non è certo pronto per una nuova relazione, senza considerare che lei è impegnata!»

«Tesoro, potrei fornirti un elenco infinito di casi in cui questo non ha significato granché», replicò lei.

«Sarah non è quel tipo di donna», la rassicurò lui, capendo che sua moglie era fin troppo seria.

«Non sono preoccupata per lei, ma per George», precisò. «Se non sa ciò che prova, come puoi affermare che non nutre qualcosa di più nei suoi riguardi?»

L’uomo scosse la testa con decisione. L’ipotesi appena udita gli sembrava quanto mai assurda! George e Sarah?! Sua moglie doveva proprio aver visto troppe soap opera per arrivare ad avanzare una teoria simile.

«So che George era innamorato di Lindsay e che una parte di lui sarà sempre legata a lei, ma è anche un uomo e Sarah è una bella ragazza», affermò Clara, rigirando le parole di suo marito a proprio vantaggio.

L’uomo sospirò. Non aveva mai fatto mistero – neanche con il diretto interessato – della scarsa stima che nutriva nei confronti della modella e di certo non li aveva mai trovati una coppia affiatata o giusta e sì, aveva sempre sperato che George potesse trovare una persona che lo capisse, che lo completasse, ma era piuttosto convinto che non potesse essere Sarah.

«Onestamente spero che tu abbia torto stavolta, Amore», le disse infine.

Se la situazione fosse stata differente forse sarebbe stato il primo a spingerli l’uno fra le braccia dell’altra, ma per quanto nutrisse un certo affetto per Sarah l’ultima cosa che serviva a George era un’altra storia autodistruttiva e che non poteva portarlo da nessuna parte.

Sua moglie sembrava voler replicare, tuttavia, prima che potesse farlo, la neonata scoppiò di nuovo a piangere, sancendo la fine della loro discussione e con ogni probabilità un’altra notte insonne.


Ciao!
Tutti i nodi vengono al pettine e finalmente Sarah ha avuto la conferma del motivo che si cela dietro il loro viaggio. Tuttavia, George non sembra ancora pronto a confidarsi e così involontariamente solleva un altro argomento su cui per vari capitoli si è dibattuto: le nozze fra Sarah e Will.
Cosa ne pensate della risposta della ragazza?
Intanto anche Clara si aggiunge alla lista (ormai molto affollata!) di coloro che nutrono qualche dubbio sul candore di questa amicizia... La donna avrà ragione? George prova qualcosa di più per Sarah anche se ancora non ne è conscio?
Vi lascio con un bel po' di domande. :)
A presto,
Vale

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Capitolo 52
*** Capitolo 52 ***


La statale che portava a Melbourne Road era quasi deserta. Gli parevano essere trascorsi secoli dall'ultima volta in cui era stato negli Hampton e forse era proprio così. 

Quella mattina quando si era svegliato – o sarebbe stato più corretto dire quando aveva deciso che era inutile fingere di star riposando – aveva fatto tutto in maniera meccanica, come se fosse un robot. Si era alzato, aveva fatto una rapida doccia, aveva controllato per l'ennesima volta il tragitto che doveva percorrere in auto (sebbene lo conoscesse a memoria e avesse il navigatore), dopodiché aveva atteso più o meno pazientemente l'arrivo di Sarah. 

Avrebbe pagato oro per poter rimandare ancora, ma non poteva farlo. Ormai era lì, a pochi minuti di distanza dalla sua meta e non poteva fare marcia indietro. 

Non avevano detto una parola da quando erano saliti in macchina. Sarah si era limitata a osservare con sguardo curioso e pensieroso il panorama che si estendeva fuori dal finestrino, mentre sorseggiava un caffè; mentre lui...

Beh, non era ancora riuscito a trovare un aggettivo adatto a definire il proprio stato d'animo, ma se fosse stato costretto a farlo probabilmente avrebbe optato per confuso e... Terrorizzato. 

Aveva acceso la radio dell'auto a noleggio soltanto per cercare di chetare i propri pensieri, però il risultato non era dei migliori. 

Per tutta la notte era stato sveglio a veder scorrere di fronte a sé ogni momento che aveva vissuto con suo padre nel quale non aveva dato il meglio di sé; ogni accusa che aveva mosso contro di lui gli era tornata addosso con forza maggiore di quella con la quale l'aveva scagliata e l'unica cosa che avrebbe desiderato fare era... Scappare. 

Dal suo passato, da suo padre, da se stesso. Avrebbe potuto farlo, sarebbe stato semplice e liberatorio, ma non l'aveva fatto e non sapeva neppure lui che cosa lo stesse tenendo insieme, impedendogli di cadere in pezzi un'altra volta. 

Sospirò, ma non disse nulla. Gli occhi fissi sulla strada che si pareva davanti a sé quasi senza vederla davvero. 

Ogni tanto Sarah gli lanciava un'occhiata dubbiosa, tuttavia preferiva che fosse lui a gestire i propri sentimenti senza opprimerlo, o mettergli pressione, anche se la musica non era di grande aiuto nello stemperare l’atmosfera.

George non ebbe difficoltà a riconoscere il quartiere dove aveva trascorso la maggior parte della sua adolescenza. Nulla sembrava cambiato in quel posto. Le case continuavano a essere perfettamente curate, la spiaggia era sempre la stessa.

Era come se il tempo si fosse fermato negli Hampton dall’ultima volta in cui era stato lì insieme a Lindsay. Eppure tutto era diverso, perché la donna seduta vicino a lui non era lei.

Fermò l’auto a meno di una decina di metri dall’abitazione. Aveva la gola serrata e riusciva a malapena a deglutire.

Quante possibilità c’erano che suo padre lo potesse perdonare, quando lui stesso era il primo a non esserne capace?

Fece un profondo respiro. Si sentiva molto più che nervoso, o angosciato. Le sue mani erano strette con forza al volante. Era sudato e il suo cuore batteva forte, come se volesse uscirgli dal petto.

Perché era andato lì?! Era una follia. La sua era stata un'idea folle

Il suo sguardo era fisso davanti a sé, su quella dimora che un tempo, molti anni prima, gli aveva regalato i suoi ricordi migliori e... i peggiori. 

«George, stai bene?»

La voce di Sarah sembrava provenire da un luogo remoto. Non si trovava più in quell'auto presa a noleggio, ma molto molto più lontano. 

Gli pareva di sentire ancora i propri passi maldestri mentre saliva le scale. Tutte le luci erano spente, ma la cosa non lo aveva sorpreso: era tardi e difficilmente sua madre si coricava dopo le 11PM. Probabilmente stava già dormendo. Rise di sollievo nel realizzare che stavolta era riuscito a rientrare fuori coprifuoco impunito.

Stava quasi per entrare nella sua camera, quando notò una luce provenire da sotto la porta del bagno. Dannazione! Forse sua madre era sveglia. Non aveva timore di trovare suo padre visto che si trovava a New York per affari, come al solito. 

Avrebbe potuto andare indisturbato nella sua camera e, con ogni probabilità, sua madre non avrebbe mai scoperto quello che aveva fatto. Ogni altra notte avrebbe agito proprio in quel modo, però quella volta non lo fece. Non sapeva per quale ragione, ma fu attirato da quella luce come se fosse una lucciola.

Fu soltanto quando vide dell'acqua provenire dal bagno che, senza neanche soffermarsi a riflettere, aprì la porta.

                                                                    ***
 
«George?»

Sarah pronunciò il suo nome più forte, così egli fu costretto a riscuotersi dai propri pensieri e a voltarsi verso di lei, distogliendo lo sguardo dalla casa.

«N-Non sarei mai dovuto venire qui. Non avrei mai dovuto chiederti di accompagnarmi, Sarah. Mi dispiace tanto», mormorò.

La ragazza continuò a fissarlo preoccupata. Aveva capito fin dalla sera prima che qualcosa non andava, ma era proprio per questo che non poteva lasciar perdere.

«Venire qui è stato un errore», ripeté più a se stesso che a lei.

Credeva sul serio che fosse sufficiente tornare negli Hampton per aggiustare tutto? Non c'era più niente a cui potesse porre rimedio. Niente. 

Riportò la mano alle chiavi nel cruscotto dell’auto, ma Sarah gli impedì di mettere in moto.

«Per favore, Sarah», la pregò. «Lasciami andare».

«Non posso, perché credo che tu mi abbia chiesto di accompagnarti proprio per non trovare una scusa per non fare ciò che, invece, vorresti», gli disse lei.

Lui abbassò lo sguardo, ma non replicò.

Non sapeva neanche lui per quale motivo l’avesse trascinata in tutto questo, ma era conscio che probabilmente c’era del vero nelle sue parole. Aveva bisogno di parlare con suo padre, però non era più sicuro di esserne in grado.

Anzi, era piuttosto convinto che la risposta a quella domanda fosse no.

«Che cos’è successo, George? Di qualunque cosa si tratta puoi dirmelo».

Non voleva essere insistente, ma in fondo era stato lui a portarla a lì.

Doveva pur significare qualcosa.

«Non posso», mormorò in tono angosciato.

«Perché no?»

Perché... Non potrei sopportare che anche tu mi veda come mi vedo io, pensò lui.

Sarah comprese che quella non era la strategia giusta e tentò un’altra strada.

«Puoi scegliere di non dirmi nulla. Possiamo fare inversione e tornare dritti in città, ma so che ti è costato tanto arrivare fino a qui. Non lasciar perdere proprio ora».

Sarah sembrava credere davvero nelle sue parole e forse fu questo a spingerlo a confidarsi finalmente con lei.

«Non vedo mio padre da oltre quattro anni», esordì infine.

Poi fece una pausa. Gli era difficile trovare le parole giuste per parlare di qualcosa che avrebbe soltanto voluto cancellare.

La ragazza lo ascoltava con attenzione, ben attenta a non mettergli fretta e a non interromperlo.

«Non abbiamo mai avuto un grande rapporto, ma circa quattro anni fa tutto è precipitato», proseguì. «Io e... Io e Lindsay eravamo venuti qui per una cena del Ringraziamento e... Mi sentivo così male. Ero arrabbiato e ogni grammo della mia frustrazione l'ho riversata su di loro. Ho detto a mio padre cose che non posso essere dimenticate o ritirate». 

«Ma parli ancora con tuo fratello», osservò lei, credendo fosse meglio concentrarsi sulla parte più semplice.

«Solo di sport e scemenze simili», precisò George con un sorriso senza allegria.

«Beh, è già un inizio. Sei ancora in tempo per cambiare le cose», gli disse saggiamente. «Anche con tuo padre».

«Non hai idea di come mi sono comportato. E non mi riferisco soltanto a quella maledetta sera. Io...».

La ragazza stava cercando di rassicurarlo, ma non sapeva come stavano le cose, non sapeva cos'era accaduto quella notte. Non sapeva la verità su di lui.

«Qualunque cosa tu possa avere detto o fatto, resta comunque tuo padre. Forse ha aspettato per tutti questi anni che tu fossi pronto a un chiarimento».

Lui sorrise appena.

«Ne dubito fortemente», mormorò. «Quello... Ho attribuito la colpa della morte di mia madre a lui, mi sono ripetuto che era l'unico responsabile per ciò che era successo, ma mentivo. È stata colpa mia».

Era stato strano sentirgli pronunciare quelle parole, perché per un certo periodo aveva pensato lo stesso riguardo alla sua situazione ed era proprio per questo motivo che sapeva che non potevano corrispondere al vero.

«George, tua madre è morta. È orribile, ma non è stata colpa tua», gli disse con voce suadente.

Lui si voltò verso di lei con un'espressione che Sarah non gli aveva mai visto. Sembrava che parlare gli costasse tutto ciò che possedeva, tutto ciò che era.

«Sarah, mia madre...», deglutì. «Lei... Si è suicidata». 

                                                                       ***                 
 
Non appena la porta si spalancò George si guardò intorno, disorientato.

Il pavimento era allagato, ma non fu questo a sconvolgerlo, quanto ciò che vide. L'acqua sgorgava dal rubinetto della vasca emettendo un rumore continuo. Pronunciò il nome di sua madre quasi senza rendersene conto.

Era lì, a pochi passi da lui. Il suo corpo era pallido come mai prima di allora. Rimase in piedi a fissare lo spettacolo dinanzi a sé per un minuto, poi si precipitò su di lei.

Il suo corpo era ancora tiepido. George la tirò fuori dalla vasca e la scosse, gridando il suo nome come ancora una volta, sperando che ciò bastasse a svegliarla, ma non accadde.

Tuttavia il ragazzo non si arrese, cercando alla peggio di rianimarla, salvo poi rendersi conto che la donna che gli aveva donato la vita e che l'aveva cresciuto non c'era più. 

Non seppe quantificare il tempo che aveva passato riverso sul corpo di sua madre, ma quando arrivarono i soccorsi insieme a suo padre era ancora lì, accanto a lei. 

Fece un respiro profondo.

Aveva pronunciato quelle parole senza rendersene conto e ormai sapeva di non potersele rimangiare.

Sarah non disse niente, forse troppo sorpresa per commentare quella sconcertante dichiarazione.

Aveva commesso un errore a raccontarglielo. Si era ripromesso di non farne mai parola con nessuno, ma quel giorno, in quel momento, non era riuscito a mentirle.

Perché gliel'aveva detto?! Adesso tutto sarebbe cambiato e lei avrebbe iniziato a guardarlo come il mostro che era. Non era riuscito a dire la verità neppure a Stephen. Non avrebbe mai dovuto farne parola con lei.

Probabilmente era fin troppo disgustata per parlare. Distolse lo sguardo. Non sarebbe mai stato in grado di sostenere il suo giudizio.

«Mi dispiace davvero, George», disse Sarah, rompendo il silenzio che era piombato su di loro. «Ma non è una decisione che hai preso tu: l’ha fatto lei».

Non voleva essere brusca, ma era ciò che pensava e, cosa più importante, desiderava che anche lui lo comprendesse.

«Tu non capisci! I-io la conoscevo, meglio di chiunque altro e avevo visto come ci guardava quel giorno... Non sarei mai dovuto uscire quella sera. Se solo fossi rientrato prima... Avrei potuto...».

«George, basta».

Pronunciò quelle due parole con dolcezza, ma al tempo stesso con decisione.

«Quello che è successo non è dipeso da te. Eri poco più che un ragazzino, non farti questo. Non spettava a te salvarla da se stessa», gli disse.

«Ma era mia madre!», sbottò lui, con voce carica di disperazione.

Sarah posò una mano sulla sua. George stava ancora fissando le proprie ginocchia.

«Lo so», sussurrò lei in tono grave. «E sono sicura che ti amasse moltissimo», aggiunse, arrischiandosi a sfiorargli l’avambraccio.

C’era altro che doveva dirgli, ma voleva che lui la guardasse.

«Quando mia madre se n'è andata mi sono convinta che fosse colpa mia, che se solo avessi fatto qualcosa di diverso lei sarebbe rimasta. E so che le due situazioni non sono neanche lontanamente paragonabili, ma… quello che sto cercando di dirti è che non siamo responsabili per quello che fanno le persone che amiamo. E quello che tua madre ha fatto non toglie valore al suo affetto per te», disse. «George, per favore. Guardami».

Alla fine lui l’accontentò, sebbene avesse timore di ciò che avrebbe potuto scorgere nei suoi occhi.

Tuttavia, ancora una volta lei lo sorprese, perché nel suo sguardo c’era soltanto comprensione.

«Non è stata è colpa tua», gli ripeté, quando i loro sguardi si incrociarono.

Non sapeva bene che cosa fosse più corretto fare in una situazione del genere, per cui aveva deciso di dirgli esattamente quello che avrebbe desiderato sentire lei se fosse stata al suo posto.

Avrebbe voluto stringerlo a sé, rassicurarlo, ma prima che potesse farlo lui parve ricomporsi.

«Non riesco a credere che qualcuno possa desiderare allontanarsi da te», le disse, riponendole un ciuffo di capelli dietro l’orecchio con gentilezza.

Sarah accennò un sorriso.

 «Non so se posso farcela, Sarah», ammise lui.

«Ci sono tante cose su cui non abbiamo potere, ma questa... Questa puoi sistemarla, tesoro. Parla con tuo padre come hai fatto con me», gli consigliò.

Lui socchiuse gli occhi per un momento.

Poteva mentire a se stesso, raccontarsi che non gli importava di non avere più alcun tipo di rapporto con suo padre, che era arrabbiato con lui e con se stesso, ma la verità era che la persona con cui ce l’aveva maggiormente era quella che aveva dato inizio a tutto.

Sua madre.

I giorni dopo la sua scomparsa si era sentito bruciare dentro, era furioso per non essere stato in grado di salvarla, ma era ancora più infuriato per ciò che lei aveva fatto.

Aveva scelto la soluzione più semplice per se stessa disinteressandosi completamente di coloro che avrebbe lasciato dietro di sé. Il fatto che Liam fosse all'oscuro di ogni cosa gli aveva reso il gestire la sua rabbia ancora più difficile. Alla fine onde evitare di impazzire aveva imparato a sopprimere i suoi demoni, ma non era mai stata una soluzione definitiva e i suoi problemi erano tornati a galla più volte.

Stephen l'aveva aiutato a calmarsi, però la morte di Lindsay e la visita di suo fratello avevano fatto riaffiorare le sue peggiori paure e i suoi peggiori istinti. La vera ragione per cui si era spinto fino a New York era che aveva iniziato a temere che se non lo avesse fatto sarebbe precipitato di nuovo in una voragine da cui stavolta non sarebbe mai stato capace di risollevarsi.

Sapeva che cosa doveva fare e quando riaprì gli occhi, lei era ancora lì. 

«Sei pronto?», gli chiese.

«No», rispose lui con un sorriso teso.

Poi fece un respiro profondo e aprì la portiera dell’auto, finalmente pronto a guardare in faccia anche i suoi demoni.


Ciao a tutte!
Finalmente è stato svelato il mistero che ruota intorno alla famiglia Wellington: il suicidio della madre di George per cui lui si sente in colpa da allora e di cui anche suo fratello è totalmente all'oscuro. 
Non so se qualcuna di voi aveva pensato a un'ipotesi del genere o se vi immaginate un'altra sorta di tradimento magari causata direttamente da suo padre visto quanto George ce l'ha sempre avuta con lui.
Come gli ha detto Sarah la responsabilità non è certo sua, ma è pur vero che se la ragazza ha sempre avuto la certezza di essere amata da suo padre, George dopo la morte di sua madre ha sentito di non avere più nessuno che gli volesse bene finché non ha conosciuto Stephen e questo l'ha portato a fare una serie di scelte sbagliate, ma di questo parlerà lui. 
Come andranno le cose con suo padre? Patrick ce l'avrà con lui dopo la loro ultima litigata o invece sarà felice di vederlo? 
Lo scoprirete nel prossimo capitolo!
Vi ringrazio per avermi seguita fino a qui e sarei curiosa di conoscere le vostre opinioni. 
Baci
Vale

 

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Capitolo 53
*** Capitolo 53 ***


Ogni passo che lo divideva dall’alto cancello di ferro della villa in stile vittoriano, dove aveva trascorso tante volte le vacanze estive, gli sembrava lo riportasse indietro, a un tempo che aveva cercato per anni di dimenticare.

Non ricordava di essersi mai sentito più vulnerabile e probabilmente, se non avesse sentito la vicinanza di Sarah a pochi centimetri da lui, niente gli avrebbe impedito di correre nella direzione opposta a quella che stava percorrendo.

La sua più grande paura in quel momento era che rivedere suo padre facesse riaffiorare ogni trauma che aveva vissuto, che l’uomo gli rinfacciasse ogni grammo di veleno che gli aveva sputato addosso.

Sfiorò il campanello con l’indice. Sembrava essersi persino scordato come si faceva a respirare. Ogni istante pareva un lasso di tempo infinito, si sentiva un condannato a morte che aspetta rassegnato il momento dell’inevitabile esecuzione della condanna.

Quando finalmente scorse suo padre sull’uscio della porta, si sentì gelare il sangue nelle vene.

L’uomo indossava un paio di pantaloni scuri e una camicia beige. Era strano vedere suo padre con qualcosa di diverso da uno dei suoi soliti completi scuri.

Impiegò un paio di secondi nel realizzare chi avesse suonato alla sua porta e, quando vide suo figlio, spalancò gli occhi come se non riuscisse a credere a ciò che vedeva.

George rimase in piedi vicino al cancello, senza accorgersi che nel frattempo suo padre l’aveva aperto.

George aprì appena la bocca, ma non ne uscì nessun suono. Come poteva chiedere semplicemente scusa a suo padre dopo tutto quello che aveva fatto? Come poteva trovare le parole giuste per spiegarne i motivi (se così poteva chiamarli)? Come poteva chiedergli di perdonarlo?

Tuttavia, nessuno di loro poteva immaginare cosa sarebbe successo poco dopo. Patrick, infatti, percorse i pochi gradini che lo separavano dal minore dei suoi figli e, senza dire una parola, lo avvolse fra le sue braccia.

George rimase tramortito da quel gesto. Suo padre era sempre stato freddo nei suoi confronti e di certo non si era mai lasciato andare a dimostrazioni d’affetto di quel genere.

Forse fu questo a farlo andare in pezzi. Rendersi conto per la prima volta del dolore che gli aveva causato. Nello stesso momento in cui aveva perso sua moglie era accaduto lo stesso con suo figlio.

«Mi dispiace, papà. Mi dispiace tanto», mormorò con voce spezzata.

Non aveva mai pianto di fronte a lui, neanche al funerale di sua madre, perché sapeva che lui l’avrebbe letto come un simbolo di debolezza, o forse non voleva dargli la soddisfazione di vederlo soffrire, però stavolta non cercò neanche di frenare le lacrime.

In quel momento, fra le braccia di suo padre, si sentì lo stesso ragazzino che aveva trovato il corpo senza vita di sua madre e il suo unico desiderio era che suo padre riuscisse a perdonarlo per il male che gli aveva fatto.

Sarah si mantenne in disparte, consapevole che quel momento non spettava a lei, ma il suo cuore si riempì di gioia nel constatare che, a quanto pareva, i timori di George erano mal riposti.

Quando i due si allontanarono, George si stropicciò gli occhi con il palmo della mano prima di voltarsi di nuovo verso di lei.

«Ehm… Papà, lei è Sarah. Una vera amica», disse, guardandola.

                                                                      ***
 
Erano seduti l’uno davanti all’altro in soggiorno da qualche minuto. George non riusciva ancora a credere di essere davvero lì, di fronte a suo padre con le migliori intenzioni per fare ammenda.

«Mi dispiace, papà. Non so da che parte cominciare».

Aveva pensato per tutta la notte a che cosa dirgli, a qualcosa che potesse attenuare le sue colpe, ma non aveva trovato nulla che fosse minimamente convincente.

«Stai bene?», gli domandò suo padre, prendendolo alla sprovvista.

George annuì. Era strano sentirselo chiedere da lui.

«Dovrei essere io a cominciare, ma non siamo mai stati dei grandi oratori, vero?»

Nonostante tutto l’attore accennò un sorriso.

«Devo scusarmi con te, figliolo», gli disse Patrick. «Quando ho saputo della scomparsa di Lindsay… sarei dovuto venire a Los Angeles, invece, non ho nemmeno alzato la cornetta del telefono. Avrei dovuto starti vicino e so che niente potrà farmi perdonare per non esserci stato».

George scosse leggermente la testa.

«Non te l’avrei mai permesso», dichiarò.

«Lo so, ma sono tuo padre e sarei dovuto riuscire a vedere attraverso il muro che ti stavi costruendo intorno. Stephen non avrebbe dovuto essere la sola persona su cui potessi contare in questi anni, però sono felice che tu abbia avuto almeno lui», gli disse tranquillo.

«Come fai a sapere…?», gli chiese confuso.

«Parlo con Stephen ogni tanto da un po’ di tempo», gli spiegò suo padre. «Ero… preoccupato quando ci siamo visti pochi mesi dopo che ti eri trasferito stabilmente in California e una sera quando ti ho chiamato ha risposto lui».

George rimase in silenzio ad assorbire la portata di quella informazione. Non aveva neanche bisogno di chiedergli a quale periodo si stesse riferendo, anche se rammentava ben poco dei suoi trascorsi insieme ad Austin.

«Ci siamo incontrati in un paio di occasioni e mi è sembrato una brava persona, il genere di persona di cui avevi bisogno», concluse Patrick.

Riusciva a percepire la sofferenza di suo padre intrinseca in quelle parole. Non aveva mai capito niente.

«Papà…».

Non sapeva cosa dirgli, ma prima ancora che provasse ad articolare una qualche forma di discorso, suo padre lo bloccò.

«Sono felice che tu adesso stia bene», disse Patrick. Poi aggiunse: «Sono davvero orgoglioso di te, anche se so di averti reso difficile credermi».

Aveva udito quelle stesse parole dette da Stephen, ma sentirle pronunciare da suo padre era molto diverso.

«Non hai ragione di esserlo e non è necessario che tu lo dica», mormorò.

Non riusciva a decidere quale fosse la cosa peggiore: se essere costretto a rivangare il suo passato, scoprire che Stephen gli aveva mentito per anni riguardo al suo non conoscere suo padre, o che quest’ultimo avesse sempre conosciuto il suo segreto.

Ogni sua debolezza era lì, sul tavolo, di fronte a loro e suo padre non sembrava volergliene rinfacciare nessuna.

«Mi dispiace di averti reso ogni cosa più difficile».

«I miei errori non sono una tua responsabilità, papà», affermò George.

Per troppo tempo aveva attribuito a suo padre la colpa dei suoi sbagli e non poteva continuare ad agire in quel modo. Allontanarsi dalla sua famiglia era stata una sua decisione, così come lo era stata la serie di passi falsi che aveva commesso.

Non era stato suo padre a spingerlo nella direzione sbagliata: ci si era messo da solo.

«E la morte di tua madre non è colpa tua. Non hai la morte di Elisabeth sulla coscienza, figliolo», gli disse a un certo punto suo padre.

«Ricordi quel giorno?», gli domandò George, interrompendolo.

L’uomo annuì.

«Certo. Aveva insistito per fare colazione tutti insieme quella mattina, ma io avevo troppa fretta di tornare in città per assecondarla», rammentò Patrick.

«Voleva che tutto fosse perfetto, perché aveva già deciso», disse George. «La conoscevo bene, papà, forse anche meglio di te. Dovevo capire che qualcosa non andava, che era peggio del solito…».

«George, tua madre era infelice da molto prima di quel giorno e niente di quello che avresti potuto dire o fare avrebbe cambiato la situazione. Avrebbe trovato un altro modo».

Era strano che suo padre avesse usato quasi le medesime parole di Sarah, ma anche se era la seconda volta che le sentiva non era semplice accettarle, sapere di non essere una ragione sufficiente affinché sua madre volesse continuare a vivere.

«Non ne abbiamo mai davvero parlato e mi dispiace che tu abbia dovuto portarti dentro questo peso tanto a lungo», proseguì suo padre. «Ho creduto fosse giusto proteggere tuo fratello dalla verità e non ho voluto vedere quanto le mie azioni facessero soffrire te. Non avrei mai voluto che fossimo noi la causa dei vostri problemi», aggiunse spiacente.

«Non credo che tu debba preoccuparti per Liam e… non devi farlo neanche per me», disse George, guardandolo negli occhi.

«Siete i miei figli, mi preoccuperò sempre per voi».

Non ricordava di aver mai avuto una conversazione altrettanto onesta con lui e, per quanto difficile, per la prima volta cominciò a capire l’uomo che gli aveva donato la vita.

Erano diversi in molti modi, ma entrambi avevano sofferto per la perdita di una persona che amavano davvero e sulle cui decisioni non avevano avuto alcun potere.

Rimasero in silenzio per un po’, come se tutte le cose importanti fossero state già dette, poi suo padre parve decidere che era terminano il momento delle “confessioni”.

«Quella ragazza, Sarah, è davvero soltanto un’amica?», gli domandò.

George sorrise appena. Non aveva mai affrontato argomenti del genere con suo padre e gli sembrava oltremodo strano udire quel quesito.

«Lavora con me e… sì, è un’amica adesso. È una lunga storia», rispose più sereno.

«Ho tempo», disse Patrick, preparandosi per la prima volta senza fretta ad ascoltarlo.


Ciao!
E invece suo padre non sembrava proprio aspettare altro che rivederlo. Per quanto i due siano diversi sotto molti aspetti, entrambi hanno un carattere molto chiuso e questo ha portato la situazione a diventare sempre più difficile, forse se avessero provato a capirsi prima non sarebbero arrivati a tutto questo.
George finalmente capisce che nonostante tutto suo padre non ha mai smesso di volergli bene e che si è sempre premurato di sapere come stava e che cosa stava facendo. Secondo voi Stephen avrebbe dovuto dirgli di essere in contatto con suo padre o questo avrebbe solo portato George a chiudersi anche con lui?
Di certo la strada che questi due dovranno fare è molto lunga e non tutto può sistemarsi con una chiacchierata, ma sembrano sulla buona strada.
Vi ringrazio per avermi seguita fino a qui e spero che la storia vi stia piacendo!
Baci
Vale
PS. Siamo sicuri che tutti i segreti siano venuti a galla?


 

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Capitolo 54
*** Capitolo 54 ***


Da ragazzina aveva sempre desiderato andare negli Hampton. Forse aveva visto fin troppi telefilm ambientati nel rifugio lontano dalla pazza folla dei newyorkesi, ma li aveva sempre immaginati come un luogo magico, dove la vita scorreva in modo diverso fra feste a bordo piscina e passeggiate sul lungomare.

Le famiglie che abitavano lì ai suoi occhi inesperti apparivano quanto di più simile alla perfezione e solo vari anni dopo Sarah si era resa conto che il mondo perfetto su cui aveva fantasticato tanto a lungo era ben lontano dalla realtà.

Le famiglie senza difetti che era solita vedere in quelle storie, nelle quali ogni membro andava d’accordo con l’altro e dove ogni minima difficoltà poteva essere superata con un semplice sorriso, o una frase detta al momento giusto, erano false come una banconota del Monopoli e quel giorno ne aveva avuta l’ennesima prova.

Aveva capito che i rapporti fra George e suo padre erano tesi quando Stephen le aveva assicurato che la presenza dell’uomo sarebbe stata più che nociva per lui al funerale, ma non avrebbe mai immaginato che la faccenda fosse così seria. Non era pronta ad ascoltare il suo sfogo, perché l’aveva fatta pensare anche a sua madre e quando gli aveva ripetuto come si era sentita aveva capito che una minuscola parte di lei non era davvero riuscita a perdonarla.

Aveva detto a George quello che avrebbe voluto sentirsi dire se i ruoli fossero stati invertiti, però non era stata del tutto sincera con se stessa.

Dopo l’abbandono di sua madre si era sentita indesiderata e indesiderabile e nonostante tutto in un certo senso non aveva mai smesso di domandarsi come si potesse arrivare al punto di lasciare la propria famiglia.

Non si sentiva responsabile per quella decisione, perché sapeva che non era dipesa da lei, o da qualcosa che aveva fatto suo padre, però non poteva cancellare che quello che era successo avesse avuto un forte impatto nel suo modo di relazionarsi agli altri, anche con Will.

Gli aveva mentito e non poteva continuare a farlo, perché non avrebbe mai sopportato di perderlo per dimostrare a se stessa di non essere come la donna che l’aveva messa al mondo.

Rispose al primo squillo, come se non stesse facendo altro che aspettare quella chiamata. La sua chiamata.

«Ehi, non mi aspettavo di sentirti prima di stasera!», esclamò Will non appena sentì la sua voce.

Sarah sorrise.

«Avevo un po’ di tempo», disse lei. «E… c’era qualcosa che volevo dirti prima di tornare a casa».

«Ti ascolto».

Lei sospirò. Non era facile confessargli la verità.

«Io… ti ho mentito quando abbiamo parlato del matrimonio», ammise.

Il suo fidanzato non replicò, aspettando che fosse lei a continuare.

«Avevi ragione: non ti ho detto subito di sì, non perché non ti amassi, o non fossi sicura di noi, o… per George», aggiunse con una vena di ironia. «Era per mia madre».

«Lo so».

«Lei ha ferito mio padre più di quanto probabilmente io possa immaginare e mi sono resa conto che forse non sono poi molto diversa da lei e non potrei mai sopportare di farti così male».

«Non sei come tua madre, piccola», la rassicurò lui.

«Neanche lei lo era prima di diventarlo, dopo le nozze», ribatté Sarah. «Non c’era nessun meeting a New York, il solo motivo per cui sono venuta qui era perché George mi ha chiesto di accompagnarlo a vedere suo padre e non sono riuscita a dirgli di no. Non potevo».

Non sapeva cosa aggiungere per spiegargli la ragione dietro alle sue azioni, ma lui la comprese da solo.

«E questa è la dimostrazione che non sei come lei, Sarah. Non ho dimenticato cosa ti ho detto su di lui e mi sbagliavo: è un tuo amico e devo accettarlo, perché non saresti la donna che amo se ti disinteressassi delle persone a cui vuoi bene e George rientra fra queste», disse Will, sorprendendola non poco. «Avrei dovuto capire che il matrimonio avrebbe riaperto una ferita, mi dispiace. Se vuoi aspettare, allora aspetteremo. E se preferisci cancellare la cosa, beh, per me va bene. Non voglio costringerti a fare qualcosa che non vuoi. Voglio solo che tu sia felice».

«Ma lo sono, con te», dichiarò lei. «Sei l’unico uomo che mi abbia fatta sentire così e quindi, Will Turner, se speravi di liberarti della tua futura moglie con un discorso sdolcinato ad hoc, hai fatto male i conti. Non c’è niente al mondo che desideri più di sposarti», aggiunse sincera.

«Ti amo».

«Ti amo», ripeté lei.

«Passo a prenderti a LAX?», le domandò poco dopo.

«Non vedo l’ora», rispose lei.

                                                                        ***
 
Quando Sarah tornò a casa Wellington fu il proprietario ad aprirle la porta.

«Sarah, giusto?», le domandò l’uomo.

Non aveva avuto modo di osservarla quando l’aveva vista vicina a suo figlio, ma in quel momento si prese quel tempo.

Era molto carina, forse avrebbe potuto definirla addirittura bella. Tuttavia, non era stato certo questo a incuriosirlo, quanto il modo nel quale George avesse parlato di lei: gli aveva raccontato di come si erano conosciuti ed era stato sufficiente quello a dimostrargli la sua buona fede.

Sapere che era stata accanto a suo figlio quando lui non aveva avuto neanche il coraggio di tentare di comprenderlo l’aveva fatto sentire incredibilmente inutile e… inadeguato.

Aveva lasciato che la rabbia, il dolore e l’orgoglio prendessero il sopravvento sul suo affetto per lui e questo era semplicemente inaccettabile, eppure era ciò che era successo fra di loro.

Il silenzio era diventato la loro tomba: aveva trascorso così tanto tempo a reprimere i propri sentimenti – anche prima della morte di sua moglie – da aver inconsciamente fatto credere ai propri figli che quella fosse l’unica strada di percorrere, non capendo (o forse non volendo accettare) che era soltanto il modo migliore per arrivare all’autodistruzione e non era stato certo per merito suo che suo figlio si era salvato in tempo.

Lui non aveva alcun merito per la persona che era diventato e non voleva fingere il contrario.

Era doloroso sapere che molto probabilmente quella ragazza conosceva suo figlio meglio di lui.

«Posso parlarti un attimo?», le chiese poco dopo.

«Sì, certo», mormorò lei, confusa.

Patrick chiuse la porta dietro alle sue spalle e la invitò a seguirlo sul giardino sul retro. Non voleva che suo figlio potesse carpire la loro conversazione.

«Credo di doverti ringraziare», disse, cogliendola ancora una volta alla sprovvista.

Le sue parole erano talmente sincere da procurargli quasi dolore fisico.

«Mr Wellington, non so cosa le abbia detto George, ma io l’ho soltanto accompagnato», affermò la ragazza in tono tranquillo.

Sarah capiva che il suo interlocutore stesse cercando di ringraziarla, ma non voleva attribuirsi meriti che non le spettavano. Forse aveva sostenuto George, ma quell’idea non era stata sua. Era stato lui a scegliere di andare lì.

«Lo so, ma sei stata gentile a stargli accanto in questi mesi», ripeté lui. Fece una breve pausa e poi sospirò. «Ho ferito a tal punto mio figlio da avergli reso impensabile chiamarmi persino quando la donna che amava è venuta a mancare».

Non aveva mai visto di buon occhio quella donna, Lindsay, tuttavia avrebbe dovuto almeno cercare di mettere da parte le proprie remore, invece, di attaccarlo continuamente.

Non aveva mai capito George.

«Sono sicura che lui sappia che ha fatto del suo meglio», gli disse Sarah in tono gentile.

Era strano, ma l’uomo con cui stava parlando in quel momento non aveva nulla a che fare con la persona che aveva immaginato ascoltando le parole di George. Forse quella lontananza forzata aveva cambiato anche lui, o forse era stato lo scorrere del tempo a intenerirlo.

In ogni caso, era felice che George avesse tentato un rappacificamento con lui. In fondo, per quanto gli volesse bene e avesse cercato di nasconderlo, le sembrava lampante che soffrisse per quella situazione e dopo tutto quello che aveva passato quell’anno meritava un po’ di pace.

«Già, spero solo di avere il tempo per rimediare», affermò l’uomo.

«Credo che anche George non chieda altro», gli disse, accennando un sorriso.

«Io e mia moglie… La più grande paura di un genitore è rovinare la vita dei propri figli e di certo io non l’ho resa più semplice», sospirò.

Quel commento fece sentire Sarah molto più a disagio di quanto non si fosse sentita negli ultimi minuti. Non voleva apparirgli irrispettosa, ma le parole le sfuggirono dalla bocca prima di riuscire a fermarle.

«Suo figlio si è dato la colpa per la morte di sua madre per anni, non faccia lo stesso anche lei».

L’uomo rimase tramortito da ciò che udì, poiché suo figlio non gli aveva fatto parola di quel piccolo particolare.

«George ti ha raccontato…?»

Sarah rimpianse di essersi buttata in quel vortice poco sicuro, però non poteva più fare marcia indietro e la reazione del suo interlocutore le fece capire che forse George non aveva detto proprio tutto a suo padre…

«Siamo amici», mormorò a mo’ di risposta e per fortuna l’uomo non replicò.

Ormai avrebbe dovuto essere abituata ai silenzi imbarazzanti, invece, non fu facile sostenere lo sguardo dell’uomo di fronte a sé, anche se forse se fosse stata meno nervosa avrebbe compreso che non era lei a sentirsi più agitata.

Era stato difficile e doloroso ascoltare le parole di George quel pomeriggio e lo era stato ancora di più rendersi conto di aver fallito tutto come padre, tuttavia sapere che suo figlio aveva narrato quello che era davvero accaduto a qualcuno lo fece sentire inspiegabilmente meglio. Forse in fin dei conti non aveva trasmesso tutti i suoi difetti a suo figlio.

Inoltre, era grato che avesse finalmente trovato qualcuno di cui si fidasse a sufficienza da potergli parlare di qualunque cosa.

Nei rari incontri che aveva avuto con Stephen, aveva realizzato che quest’ultimo non aveva la più pallida idea del suicidio di sua moglie: non biasimava suo figlio per non averne fatto parola, dal momento che anche lui aveva fatto lo stesso, tuttavia aveva sempre immaginato che, se un giorno avesse deciso di confidarlo a qualcuno, la scelta sarebbe ricaduta su di lui.

Evidentemente il legame che si era instaurato fra George e quella ragazza doveva essere più profondo di quanto lui gli avesse detto.

«Mr Wellington, non si arrenda con lui. Neanche se la prega di farlo».

Lui non replicò, limitandosi ad annuire.

«Sarà meglio rientrare adesso, o George si domanderà che fine abbiamo fatto», le disse poco dop
o.

Ciao a tutte!
Dopo aver lasciato a George e a suo padre il tempo per chiarirsi, Sarah ha deciso che era giusto confessare al suo fidanzato la sua bugia e anche ammettere con se stessa di essere ancora arrabbiata con sua madre per averla abbandonata. 
La sua più grande paura è che sposarsi possa rovinare tutto e portarla a diventare proprio come Rachel, ma sceglie di fidarsi di se stessa e di Will e di non fare un passo indietro.
La sua chiacchierata con il padre di George ci permette di comprendere quanto lui si senta in colpa per aver lasciato suo figlio solo con se stesso per così tanto tempo e una chiara sorpresa si dipinge sul suo volto nell'apprendere che la ragazza sa ogni cosa.
Ma George si sarà pentito di essersi aperto così tanto con lei?
Lo saprete nel prossimo capitolo, ormai ci stiamo avvicinando alla fine!
A presto,
Vale

 

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Capitolo 55
*** Capitolo 55 ***


Una volta all’interno Sarah diede un’occhiata curiosa all’ambiente circostante.

Per quanto tempo aveva fantasticato, chiedendosi dove fosse cresciuto George? Adesso aveva più risposte di quante non avesse mai cercato e non sapeva come si sarebbero evolute le cose…

Sperava soltanto che lui non si fosse già pentito di quella confessione.

 
«Io devo andare a sistemare alcune cose in giardino», le disse Patrick. «George dovrebbe essere in cucina».

Dopo aver fatto vagare lo sguardo per qualche altro secondo sul raffinato tavolino in legno che ornava l’ingresso della villa, Sarah seguì le indicazioni del padrone di casa e raggiunse senza difficoltà la stanza.

Non aveva pensato a cosa gli avrebbe detto non appena si fossero rivisti, o forse sarebbe stato più corretto affermare che aveva soppesato talmente tante ipotesi da non ricordare neanche quale potesse essere la più adatta.

Tuttavia, quando lui alzò gli occhi dalla rivista che stava sfogliando e la vide accanto alla porta, le sue labbra si incurvarono in un tenue e timido sorriso.

Sembrava che niente fra loro fosse mutato e Sarah si sentì immediatamente sollevata nel vederlo più sereno.


«Ciao», la salutò, chiudendo la rivista.

«Ciao».

«Sei stata a fare una passeggiata?», le chiese.

Lei annuì.

«Una rivista d’arredamento? Veramente?»

George sorrise di nuovo, leggermente in imbarazzo.

«Pensi che le case si arredino da sole?», replicò in tono ironico.

«Non lo so. Forse?»

«È rilassante sfogliarle. È una cosa che facevo insieme a mia madre e… non ho mai smesso di farlo», ammise. «È così strano essere di nuovo qui», aggiunse poco dopo.

Sarah si avvicinò a lui e gli sfiorò con delicatezza l’avambraccio.

«Mi sembra che con tuo padre le cose siano andate bene», mormorò.

Lui annuì.

Era ancora incredulo della direzione che aveva preso la loro conversazione, ma per la prima volta da quando ne conservasse memoria nessuno di loro aveva gridato, o aveva offeso l’altro.

Stavolta suo padre sembrava veramente disposto ad ascoltarlo.

 
«È stato strano, nella migliore delle ipotesi, ma… Per la prima volta è stato come se parlassimo la stessa lingua».

«Mi fa davvero piacere, George», gli disse sincera.

«Non so se ce l’avrei fatta senza di te», dichiarò lui. «E… Non mi riferisco soltanto a mio padre. Non ce l’avrei mai fatta a sopportare questi ultimi mesi se non avessi avuto te e Stephen».

Sarah rimase colpita da quelle parole, non perché fossero di difficile comprensione, ma perché adesso sarebbe stato ancora più complicato dirgli che presto, molto presto, non avrebbe più lavorato per lui.

Tuttavia, non poteva nemmeno lontanamente immaginare ciò che avrebbe udito poco dopo.

«Mi mancherai quando sarai tornata a Inside», mormorò George.

La ragazza lo fissò allibita.

Aprì la bocca per cominciare a parlare, ma lui fu più veloce.

«Stephen non è abile nel mantenere segreti con me e credo volesse saggiare la mia reazione per primo. In fondo conosce piuttosto bene il mio caratteraccio», disse in tono leggero.

«Sono… morticata, George. Io… Volevo esserne sicura prima di parlarti di quell’eventualità e quando stavo per farlo, tu mi hai annunciato che la bimba di Stephen era nata e poi…».

Sapeva di starsi arrampicando sugli specchi, che non aveva nessuna scusa che potesse giustificare una simile omissione, eppure lui non pareva arrabbiato, né irritato.

«E poi ti ho chiesto di accompagnarmi a New York», concluse lui.

«Mi dispiace davvero».

«Non voglio neanche sentirle le tue scuse, Sarah! Ho accumulato una serie talmente infinita di pessimi comportamenti con te che questo è veramente una sciocchezza», affermò. «Solo… Mi mancherai».

Quando Stephen gli aveva accennato a quell’eventualità non aveva capito quanto lei fosse diventata importante, ma in quel momento lo comprese. Non voleva dirle addio, non voleva che diventasse l’ennesima persona ad allontanarsi da lui, non poteva perderla.

«Quando devi cominciare?», le domandò, cercando di scansare quel pensiero.

«Il prossimo mese», rispose lei, impacciata.

«Okay. Beh, farai un lavoro magnifico. Non ho dubbi in proposito».

Vorrei esserne sicura anch’io, pensò lei.

«Quindi riceverò un trattamento di favore quando verrò a Inside?», le chiese per allentare la tensione che sentiva crescere a dismisura intorno a sé.

«Non contarci», rispose, facendogli l’occhiolino.

Lui sorrise.

Sì, gli sarebbe mancata davvero. Forse più di quanto gli era mai mancato qualcuno.

«Questo non cambierà niente, George. Fra noi. Siamo amici e ti costringerò a vederci molto spesso. Non riuscirai a liberarti di me, è chiaro?»

«Certo. Non cambierà niente», ripeté lui. «Ti spiacerebbe tornare da sola a Los Angeles? Credo di dover restare qui qualche altro giorno».

«Mi pare un’ottima idea», acconsentì lei, guardandolo con dolcezza. «Forse dovrei tornare in città adesso, o rischio di perdere il volo».

Lui annuì di nuovo.

Era talmente concentrato su di lei da non essersi accorto che suo padre era tornato nella stanza.


Sarah lo salutò con garbo, dopodiché l’attore l’accompagnò alla porta.

Nelle ultime ore erano cambiate molte cose. Quando le aveva chiesto di andare insieme a lui a New York non si aspettava nulla da quel viaggio ai limiti dell’autolesionismo: era più che certo che suo padre gli avrebbe sbattuto la porta in faccia.

Non aveva preventivato di raccontare ogni cosa a Sarah; non aveva mai creduto che un giorno sarebbe riuscito a fidarsi di qualcuno a tal punto da rivelargli le proprie debolezze.

Non avrebbe mai creduto di poter trovare qualcuno che fosse in grado di volergli bene conoscendole e non avrebbe mai immaginato di innamorarsi di una donna che rappresentava tutto questo.


Non capì di essere innamorato di lei finché non la guardò quel pomeriggio.

Era in piedi di fronte a lui. Era una scena che aveva visto tantissime volte, ma in quel momento comprese che il solo motivo che l’aveva spinto a domandare proprio a lei di accompagnarlo era che inconsciamente provava qualcosa di più e, in cuor suo, desiderava disperatamente che lei potesse amarlo anche e soprattutto conoscendo la verità.

Non l’aveva mai raccontata a Stephen, perché non voleva deluderlo, non l’aveva mai neanche menzionata con Lindsay, perché non aveva mai voluto che lei lo vedesse com’era. Gli andava bene quello che poteva dargli, si era accontento del suo quasi amore, poiché non riteneva di essere degno di bramare qualcosa di più.


Tuttavia, con Sarah…

In qualche modo era riuscita a farsi spazio nel suo cuore. Quando era insieme a lei non voleva essere qualcun altro. Per la prima volta 
con lei desiderava soltanto essere se stesso.

«Vuoi che ti sposti io il volo?», gli domandò lei, riportandolo bruscamente alla realtà. «George?»

Non si era neanche accorto che gli stesse parlando.

«Come? Sì, sì. Scusa. Mi ero distratto un attimo», balbettò.

Lei lo guardò comprensiva.

«Beh, hai avuto una giornata impegnativa», gli ricordò.

«Già, hai ragione».

Fu l’unica cosa che riuscì a dirle, perché qualunque altra sarebbe troppo.

«Beh, io dovrei proprio andare adesso», gli disse Sarah.

Poi si sporse verso di lui e senza alcun preavviso lo abbracciò. George non si aspettava quel gesto e sulle prime si sentì molto impacciato, ma alla fine le restituì l’abbraccio, concedendosi di sfiorarle con tocco leggero almeno i capelli. Tenne gli occhi chiusi per tutto il tempo. Durò soltanto pochi istanti, ma per lui… parvero infiniti e non gli piacque lasciarla andare, anche se non era e non sarebbe mai potuta essere sua.

Come aveva fatto a essere tanto cieco?! Come aveva potuto non accorgersi che i sentimenti nei suoi confronti stavano mutando giorno dopo giorno, sorriso dopo sorriso? Come aveva fatto a non rendersi conto che la donna che fino a pochi istanti prima era fra le sue braccia era la sola che avrebbe desiderato stringere a sé.

Sebbene dentro si sentisse fremere, mantenne un’apparenza composta persino quando lei si alzò in punta di piedi e lo baciò sulla guancia, per salutarlo.

Non era un gesto nuovo fra loro, ma fu nuovo il sentimento che suscitò in lui.


«Chiamami se hai bisogno di qualcosa, okay?»

Lui annuì, frastornato.

«Sì, certo», disse. «Ci vediamo fra qualche giorno e… Salutami Will», aggiunse, cogliendo da solo l’ironia intrinseca in quelle parole.

Lei gli sorrise di nuovo.

«D’accordo. A presto, George».

Così dicendo chiuse la porta dietro di sé, lasciandolo a fissare lo spazio che fino a pochi istanti prima aveva occupato lei.

Fu la voce di suo padre a riscuoterlo dal torpore. George si girò verso di lui e trovò il suo vecchio impegnato a fissarlo con un’espressione incredula e indecifrabile, che non ricordava di avergli mai visto prima.

I suoi occhi grigi sembrano brillare di una luce nuova, più vitale.


«Soltanto un’amica?», gli domandò Patrick.

Lui non replicò. Non ce n’era bisogno: la risposta sembrava dipinta sul suo viso e non era qualcosa che avrebbe mai potuto cancellare.


Ciao!
Dopo aver affrontato suo padre, George è costretto a prendere coscienza anche di qualcos'altro e ad ammettere con se stesso che l'affetto che prova per Sarah ormai è più di questo. E' innamorato di lei ed è la sola persona con cui riesce e soprattutto vuole essere se stesso. 
Quasi fin dal principio si era sentito a suo agio insieme a lei e aveva trovato la ragazza interessante, ma l'amore per Lindsay era troppo forte per permettere la nascita di qualcosa di più; tuttavia adesso le cose sembrano essere mutate. 
L'unico problema è che lei pare più che convinta di sposarsi... George cercherà di mettersi in mezzo o rispetterà il legame di Sarah con Will? Vincerà l'amicizia o l'amore?
Lo saprete molto presto, in ogni caso a George non può fare che bene cercare di ristabilire un rapporto con la sua famiglia. :)
Baci
Vale


 
 
 

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Capitolo 56
*** Capitolo 56 ***


Un mese dopo
 
«Cosa ne pensate di questo?», chiese Sarah, fissando scettica la propria immagine riflessa nello specchio.

Era rinchiusa in quell’atelier poco distante da Rodeo Drive da quelle che le sembravano settimane invece che ore e iniziava davvero a essere stanca.

Possibile che dovesse essere così difficile scegliere un abito da sposa?! Ne aveva provati un’infinità e ormai non era neanche più capace di ricordare quale le fosse piaciuto.

«Non è male, ma non sono convinta...», sentenziò Sam dopo un attimo. «Lei cosa ne pensa, Margaret?»

«Non credo sia quello giusto. La gonna è troppo gonfia e le rose di pizzo sulla cintura in vita non ti stanno affatto bene», rispose la futura suocera.

La ragazza si lasciò sfuggire un sospiro. Non le importava molto dell'abito e dubitava di riuscire a sopportare un'altra giornata come quella, ma non voleva neanche andare all'altare con l'aspetto di una bomboniera gigante, che era esattamente quello che le veniva in mente guardandosi con indosso quel vestito.

Se non altro per una volta dovette riconoscere che quella mattina ogni commento critico o sarcastico di Margaret pareva riservato agli abiti e non a lei, particolare per il quale le fu più che grata. Le sarebbe stato difficile replicare mantenendo la propria dignità con quell’affare addosso.

In effetti, Sarah era convinta che il suo buon umore fosse soprattutto merito dell'unica persona che conosceva capace di fare quell'effetto a una donna.

Non aveva incontrato George molte volte da quando erano tornati separatamente a Los Angeles, però quando gli aveva comunicato con voce rassegnata che Margaret avrebbe trascorso un intero week end a casa sua, senza la presenza rassicurante del suo futuro marito, l'attore si era offerto di passare per un rapido saluto, che alla fine era evoluto in una cena.

Inutile dire che la signora non aveva neanche provato a far finta di non preferirlo alla sua compagnia.

Ogni volta che George aveva proferito parola la donna era sembrata pendere letteralmente dalle sue labbra e Sarah si era domandata come ci si sentisse a essere oggetto di attenzioni di quel tipo tanto di frequente. Forse era talmente abituato da non farci neanche più caso.

Non avevano più parlato di ciò che era accaduto a New York. George si era limitato a porgerle i saluti di suo padre e a dirle che le loro giornate insieme erano state più piacevoli del previsto, anche se dubitava fossero riusciti a cancellare il passato dall’oggi al domani.

Le sembrava di scorgere un leggero ma deciso cambiamento in lui e non poté che attribuirne il merito al riavvicinamento a suo padre. Non aveva mai saputo cosa si erano detti di preciso, ma in fondo non erano affari suoi: la cosa importante era che lui stesse bene. 

Anche con Will le cose erano tornate alla normalità. Una volta fatto rientro a Los Angeles l'aveva trovato ad accoglierla a LAX come le aveva promesso e riabbracciarlo l'aveva fatta sentire di nuovo a casa e al sicuro.

Non si era comportata bene con lui e se le parti fossero state invertite non era certa di come avrebbe reagito… Per sua fortuna l'uomo che amava pareva essere una persona migliore di lei.

Era stato divertente sentirlo raccontare dei due giorni trascorsi a Chicago insieme al suo vecchio e ancora non riusciva a credere che non si fossero saltati alla gola. Sarebbero andati a trovarlo di nuovo insieme il mese successivo per parlare della cerimonia, ma la prospettiva non sembrava più turbare il suo fidanzato. Ogni loro dissapore doveva essersi appianato e, se erano riusciti a superare le rispettive ritrosie, sapeva che l’avevano fatto per lei.

Avrebbe desiderato che fosse altrettanto semplice riuscire a parlare a cuore aperto anche con la sua futura suocera.

«Se questi modelli non la convincono forse dovrebbe provare una linea differente», le suggerì la commessa in tono annoiato. 

Sarah annuì appena.

Aveva guardato alcuni programmi in televisione che trattavano dell’argomento e aveva trovato divertente osservare la medesima espressione estasiata dipinta sul volto di ognuna di quelle donne.

Forse doveva semplicemente accettare di non essere la tipica ragazza da matrimonio e accontentarsi di un abito che non la facesse sentire a disagio, o non le facesse desiderare di bruciarlo in un falò sulla spiaggia.

Sarebbe stato molto più facile se la commessa non avesse continuato a farle provare un abito più pomposo dell’altro, che fra l’altro non si sarebbe neanche ben adattato alla cerimonia semplice che stavano organizzando.

Alla fine, infatti, aveva seguito il consiglio di George e aveva confessato a Will di preferire qualcosa di più modesto e intimo. Voleva solamente stare insieme a lui, alle loro famiglie e agli amici più stretti.

La loro vita riguardava solo loro e non persone con cui non aveva più rapporti da secoli.

«Secondo me un abito con la linea a sirena ti starebbe benissimo!», dichiarò Sam, rammentando improvvisamente alcune foto che aveva visto su una rivista.

La futura sposa lanciò un’occhiata di soppiatto a Margaret, ma non sembrava aver nulla da ridire, così seguì la commessa nel camerino.

Attese per qualche minuto, poi finalmente la donna tornò con degli abiti che non sembravano usciti da un film della Disney. Ne selezionò tre e, lasciando che la donna la aiutasse, indossò il primo.

Non appena si guardò stavolta si sentì molto meglio. L’abito non era ingombrante e il tessuto ricamato le piaceva. Il corpetto era un po’ stretto, ma niente rispetto ai modelli precedenti.

Inoltre, dovette constatare che Sam aveva ragione: la linea a sirena le stava benissimo e la slanciava in maniera incredibile. Anche se forse l’orlo in pizzo smerlato era leggermente eccessivo…

Se non avesse trovato di meglio però sarebbe stato un buon compromesso con lo stile tradizionale, che tanto piaceva alla futura suocera, e qualcosa di più pratico. Almeno questo non urlava “Sono una principessa”.

La commessa annuì con un minimo di convinzione in più e la invitò a uscire per farsi vedere dalle sue due accompagnatrici.

Non appena la videro Margaret storse un po’ il naso, ma non disse nulla. Sam, invece, pareva entusiasta che il suo consiglio avesse fruttato l’esito sperato.

«Ti sta divinamente, Sarah!», esclamò.

La ragazza si voltò verso Margaret e attese di sentire il suo parere. Era strano chiedere un’opinione per quella scelta proprio a lei. Ma in fondo, per quanto non si andassero particolarmente a genio, stavano diventando una famiglia e Will voleva bene a sua madre.

«Non sono sicura…», mormorò, pensierosa. «Ti sta bene, meglio dei precedenti, ma…».

«L’orlo in fondo è sfarzoso», concluse lei.

La donna paradossalmente annuì.

«Ti vedrei meglio con qualcosa di diverso».

«Dovresti tenere le spalle scoperte. In fondo a Luglio morirai di caldo!», intervenne Sam, saggiamente.

Sarah non era sicura che Margaret fosse del tutto d’accordo con la loro cerimonia all’aperto, ma non aveva mai detto niente al riguardo. Evidentemente Will aveva saputo essere convincente e categorico.

Così tornò nello spogliatoio e il verdetto per il secondo abito fu più o meno identico: entrambe apprezzarono il corpetto con lo scollo a cuore, ma non la parte sotto.

Quando venne il momento di togliere l’abito per provare l’ultimo la ragazza si augurò con tutte le sue forze che questo mettesse d’accordo tutte in quanto desiderava soltanto respirare di nuovo un po’ d’aria fresca fuori da quel negozio!

Lo indossò il più velocemente possibile e non si guardò neanche finché non fu nell’altra stanza.

«Sarah…», iniziò Sam.

«Sei magnifica», affermò Margaret in tono quasi commosso.

Erano lacrime quelle che le pareva di aver scorto per un istante nei suoi occhi?

Incuriosita più da quel complimento che dall’abito in sé, cercò lo specchio con lo sguardo e rimase senza fiato.

Era decisamente il migliore abito che avesse provato quel giorno ed era anche il più comodo.

Era leggero e il ricamo sul tessuto ricordava la fantasia di perline nella parte superiore. La scollatura non era eccessivamente pronunciata e le lasciava le spalle scoperte senza lasciar vedere troppo. Sul retro era chiuso da un’abbottonatura che riprendeva lo stesso motivo di perle. La gonna scendeva sinuosa ed elegante. Era seducente senza essere volgare, raffinato senza essere pomposo.

Era semplicemente l’abito giusto. Inoltre, era certa che Will l’avrebbe adorato.

«Dovresti raccogliere i capelli», le suggerì Sam.

«Sì, mi piace l’idea».

«Sei bellissima, Sarah. Credo che non dovresti provarne altri. È perfetto!»

Sarah sorrise.

«Samantha ha ragione. Non troveremo un abito migliore di questo. Sembra essere stato fatto a posta per te», dichiarò la futura suocera.

«Forse dovremmo provare anche il velo», intervenne la commessa, scomparendo prima che qualcuno le rispondesse.

Qualche istante dopo il telefono di Sam squillò, facendole sfuggire una risatina.

«È l’ufficio. Scusate, devo rispondere. Faccio in un attimo», mormorò, allontanandosi.

Sarah contemplò un altro secondo la propria immagine e per un istante immaginò quale sarebbe stata la reazione di suo padre vedendola quel giorno. Non ne avevano parlato sul serio, ma sapeva che la cosa lo rendeva orgoglioso e… spaventato.

Per lui sarebbe stata per sempre la sua bambina, fede al dito o meno.

Non aveva mai pensato, da quando aveva accettato la proposta, a come si sarebbe sentita nel giorno delle nozze, però in quel momento realizzò che forse sarebbe stato davvero uno dei più bei giorni della sua vita. Con Will.

Margaret si schiarì la voce e si avvicinò a lei.

Sembrava particolarmente a disagio.

«So di non essere sempre stata… accomodante con te, ma ho visto quanto rendi felice mio figlio e… Lui è felice», disse la donna. «Sarai una sposa magnifica».

«Grazie, Margaret. Significa molto per me», mormorò grata.

«Vuoi mettere il velo?», le chiese, riacquistando la sua solita calma.

«Non ne sono sicura…», ammise lei. «Di certo non porterò il diadema», aggiunse per chiarire subito la sua posizione.

Margaret parve riflettere un attimo.

«Beh, il mio velo si è conservato piuttosto bene, se pensi che ho sposato il padre di Will quasi 32 anni fa. Mi farebbe piacere se tu lo indossassi. Ne ho accennato a Will e mi ha risposto che avrei dovuto chiederlo a te».

«Ehm…».

Indossare il velo di Margaret?

«Ho pensato che non volessi quello di tua madre», proseguì la signora.

«No, direi di no. Non le ha portato molta fortuna», osservò Sarah con leggera ironia. Poi aggiunse: «Sarei onorata di mettere il tuo».

In fondo la sua presenza si era mostrata meno fastidiosa del solito e ciò che le aveva appena detto veniva dal cuore. Era la prima volta da quando ne conservasse memoria che la donna non aveva aggiunto un “ma” a un complimento rivoltole e non voleva fare nulla per rovinare quella situazione semi-idilliaca.

«Hai cresciuto un uomo straordinario e io sono stata davvero estremamente fortunata a incontrarlo. Se il nostro matrimonio sarà anche soltanto la metà di quello che è il vostro, sono sicura che saremo molto felici».

La donna le sorrise apertamente.

«Direi che possiamo congedare la commessa, che fra l’altro era una vera incompetente», affermò, tornando al suo solito tono pratico e autoritario.

«Direi di sì», convenne lei.

E fu così che Sam le trovò quando rientrò nell’atelier: l’una di fronte all’altra, sorridenti. Una famiglia.
 
                                                                        ***

Will la baciò sulla spalla, poi fece scendere la mano fino a raggiungere i suoi fianchi, procurandole un brivido di piacere. Era ancora bramoso del suo corpo. Di lei.

Avevano appena terminato di fare l’amore e Sarah si voltò soddisfatta verso il suo uomo.

Lui le accarezzò una guancia e le ripose una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Aveva dei capelli incredibilmente setosi.

«Quando saremo sposati riceverò ancora tutte queste attenzioni?», le domandò Will.

Lei sorrise.

«Non lo so… Dipende da te», rispose.

Will l’attirò a sé e riprese a baciarla. Le sue mani si muoveva bramose sulla sua pelle, facendole desiderare di riprendere esattamente da dove erano rimasti, ancora e ancora…

«Se continuerai così mi scorderò completamente di raccontarti quello che è successo oggi», mormorò lei con voce roca.

A malincuore l’uomo si fermò, capendo che c’era qualcosa di cui lei voleva parlargli. Quelle ultime settimane erano state piacevolmente strane e finalmente avevano stabilito la data.

«È una fortuna che io abbia riaccompagnato tua madre in aeroporto oggi pomeriggio», affermò lei.

«Beh, credo che tutto questo sarebbe stato molto difficoltoso se lei fosse stata in questa casa», convenne lui. «È sorprendente che mia madre abbia preso un aereo da sola per venire qui».

Da quello che ricordava era stata la prima volta in assoluto in cui la sua genitrice si era mossa senza la compagnia di suo padre o di sua zia.

«Credo che fosse importante per lei partecipare alla scelta dell’abito. Sei stata carina a renderla partecipe», aggiunse, guardandola con espressione grata.

Non era stato semplice convincere sua madre a piegarsi di fronte alle richieste di Sarah e alle proprie. Era una donna orgogliosa, abituata ad avere sempre ciò che voleva, e Will era conscio che l’unico motivo per cui non si era impuntata sulla faccenda del matrimonio fosse che per quanto amasse avere l’ultima parola in una discussione, aveva molto più a cuore la felicità di suo figlio.

La prospettiva della loro cerimonia intima non doveva essere stata una passeggiata per lei, ma non aveva replicato e a giudicare dall’umore della sua fidanzata sembrava non averle rinfacciato nulla.

«È tua madre», disse Sarah gentilmente. «Mi ha chiesto se voglio mettere il suo velo».

Will sgranò gli occhi.

«Sul serio?»

La ragazza annuì.

«Le ho detto di sì».

«Credevo odiassi l’idea del velo», osservò lui ancora incredulo.

«È stata davvero gentile con me oggi e penso non avrebbe preso bene un rifiuto. Inoltre, è… qualcosa di vecchio e prestato, no?»

Per tutta risposta lui le prese il viso fra le mani e la baciò.

«Non metterò niente di blu, sia chiaro», mormorò lei con il fiato corto.

Quanto lo desiderava!

«Ricevuto. Ma se inizi a fare comunella con mia madre sarò in netta minoranza numerica…», disse lui.

«Beh, ti ricordo che potresti avere mio padre dalla tua parte».

Will scoppiò a ridere.

«Ne dubito, Amore. Ma non si sa mai…», scherzò lui. Poi disse, più serio: «È stato strano oggi?»

Lei lo guardò confusa.

«Con tua madre?», gli chiese lei.

«No, no. Per la tua».

Sapeva che non amava parlarne, però aveva ripensato più volte alla loro ultima conversazione in proposito e anche a ciò che gli aveva detto Aaron e non riusciva a capacitarsi del fatto che per lei potesse essere semplicemente un capitolo concluso.

Come poteva credere che non pensasse alla donna che l’aveva messa al mondo?

«Avrebbe dovuto esserlo?», replicò lei sulla difensiva.

«Scegliere l’abito è una cosa madre e figlia e così ho pensato…», cominciò, ma lei lo fermò, poggiandogli un dito sulle labbra.

«Will. Ho smesso a dieci anni di illudermi che mia madre sarebbe stata lì se mai mi fossi sposata. Non ho sentito la sua mancanza oggi e non la sentirò quando ci sposeremo. Lei mi ha abbandonata. Non è più parte della mia vita, è stata una sua scelta. Va bene così».

«Certo, scusami non avrei neanche dovuto tirare in ballo l’argomento, è solo che voglio che anche per te sia un giorno stupendo», disse lui.

«E lo sarà. Con te. Abbiamo una vita meravigliosa insieme. Non potrei chiedere di più», asserì lei, baciandolo. «Grazie».

«Per cosa?»

«Perché mi ami talmente tanto da preoccuparti così per me».

«Ehi, è mio compito», disse lui con un sorriso.

«Te la cavi egregiamente», gli sussurrò, baciandolo di nuovo.

Non potevano sapere cosa gli avrebbe riservato il futuro, ma erano sicuri che di qualunque cosa si sarebbe trattata l’avrebbero superata insieme. 


Ciao a tutte!
Sarah dopo vari tentativi è riuscita a scegliere l'abito da sposa e immagino che la domanda che molte di voi si stanno ponendo sia se effettivamente si sposerà o no con Will. 
E se quest'ultimo ha fatto il possibile per appianare le sue divergente con Aaron, anche Margaret ha deciso di mettere da parte le proprie per amore di suo figlio. 
Sarah e George si sono visti poco nell'ultimo mese e mai da soli... Che cosa succederà al loro prossimo incontro?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo!
A presto
Vale

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Capitolo 57
*** Capitolo 57 ***


I raggi del sole si riflettevano sulle lenti dei suoi occhiali scuri. Ogni tanto lanciava un’occhiata distratta in direzione dell’entrata del ristorante.

Era seduto a quel tavolo soltanto da un paio di minuti, ma gli pareva di essere lì da un’eternità. Ticchettò nervosamente l’indice sul menù. 

L’ultima volta che aveva visto Sarah la presenza di Margaret era stata inaspettatamente d’aiuto per porre un freno ai propri pensieri. Non si erano mai visti da soli da quando l’aveva accompagnato a New York e l’idea che a breve si sarebbe trovato da solo con lei, seppur in un ristorante molto affollato, lo faceva sentire agitato.

Era una sensazione insolita per lui. Si era sentito nervoso per molte cose, ma mai di fronte alla prospettiva di un pranzo con un’amica.

Forse il problema era esattamente quello: non riusciva più a guardarla in quella maniera.

Aveva cercato in ogni modo di razionalizzare quello che provava per lei, di comprendere come potesse sentire quello che sentiva.

Sarah gli era stata vicina in un brutto momento e nonostante i suoi tentativi per allontanarla, lei non gliel’aveva mai permesso. L’aveva sostenuto anche quando lui non voleva essere aiutato.

Sarebbe stato fin troppo facile ridurre tutto a questo: avrebbe davvero desiderato che la ragione intrinseca ai suoi sentimenti fosse semplice riconoscenza o infatuazione.

Magari si trattava veramente di questo. Forse poteva ancora fare marcia indietro, forse non era innamorato di lei, forse poteva non amarla. Aveva commesso molti errori nella sua vita, ma mai aveva posato i suoi occhi su una donna che apparteneva a un altro.

Tuttavia, quando la vide entrare da quella porta, posta proprio di fronte a sé, realizzò che era inutile continuare a raccontarsi storie o ideare scuse: ne era follemente innamorato. Sarah aveva conquistato il suo cuore e il fatto che non ne fosse consapevole, o che non provasse lo stesso nei suoi confronti, non lo rendeva meno reale. La amava.

Voleva che lei fosse felice e per questo non poteva dirglielo. Non avrebbe mai potuto dirglielo.

Forse la lontananza l’avrebbe aiutato a dimenticarla.

«Ciao!», lo salutò lei. «Scusami per il ritardo, ma Sam mi ha trattenuta al telefono», aggiunse a mo’ di spiegazione.

«Ciao. Figurati, non c'è problema. Sono arrivato pochi minuti fa anch'io», le assicurò lui, alzandosi e scostandole la sedia.

Era strano come nel solo averla vicina la sua agitazione fosse completamente sparita. 

Sarah prese posto di fronte a lui e lo osservò incuriosita. 

«È tutto a posto?», gli domandò. 

Lui si affrettò ad annuire.

«Sì, certo. Perché?»

«Non lo so, ma mi sembri diverso».

George trattenne una risatina. Era una fortuna che avessero riservato un tavolo sulla terrazza del ristorante, alla larga da sguardi indiscreti, e soprattutto che la luce del sole fosse una scusa più che ottimale per poter continuare a indossare gli occhiali da sole.

Era certo che tutto quello che aveva pensato si stesse riflettendo nei suoi occhi.

«Ho una novità in effetti, ma non è ancora sicura...», esordì.

Non era ciò che avrebbe desiderato dirle, tuttavia era l'unico argomento che in quel momento sentiva di poter gestire. Così finì per raccontarle della sua ultima conversazione con Stephen e di come il suo agente fosse stato contattato dall'assistente di Nicholas Ellis. 

Sarah lo ascoltava con grande attenzione e non lo interruppe finché non ebbe terminato.

«Quindi Ellis vorrebbe incontrarti?», gli chiese infine.

Lui annuì.

«A quanto pare sì».

«Wow! Sono contentissima per te! Te lo meriti, George», gli disse sincera. «Ellis è un regista a dir poco straordinario».

«Lo so, ma non è ancora una cosa sicura, per cui... Probabilmente non se ne farà niente».

Non voleva apparire modesto, semplicemente aveva imparato a proprie spese che finché non c’era un contratto firmato c’era ben poco da star tranquilli.

«Ellis non è il genere di persona che si prende la briga di intrattenere rapporti di cortesia se non è interessato a una collaborazione», proseguì Sarah, saggiamente. 

Giravano molte voci nell'ambiente e tutti sapevano che il regista, sebbene fosse un genio, non era un uomo convenzionale e non amava piegarsi ai voleri dello star system.

«Dovresti darti più credito, sai?»

«Naturalmente. Stavo già pensando di far costruire una mensola per il mio inevitabile Oscar!», esclamò lui.

La ragazza sorrise.

«Non escluderei l'ipotesi in effetti».

Lui scosse leggermente la testa.

In quel momento era l'ultima cosa che gli importava, invece, avrebbe dovuto essere il suo primo pensiero. Aveva già messo da parte una volta la propria carriera per una donna e non poteva ripetere di nuovo il medesimo errore, anche perché stavolta l’oggetto dei suoi desideri era più che inarrivabile.

«In ogni caso, fammi sapere come andrà il vostro incontro», si raccomandò lei. 

«Certo. Vuoi un articolo per la prima pagina?»

«Può darsi», rispose lei, scherzando.

Rimasero un paio di minuti in silenzio, consultando i loro menù, dopodiché ordinarono il pranzo e, mentre la guardava sottecchi, George non poté fare a meno di domandarsi quanto sarebbe passato prima di poter trascorrere ancora un po' di tempo insieme a lei. 

Si era imposto di non vederla subito, aveva bisogno di chiarirsi le idee prima; tuttavia, quando lei gli aveva annunciato l'imminente arrivo in città della futura suocera, si era trovato a proporle di andare a farle visita e una volta lì non era riuscito ad andarsene.

Era rimasto per ore, spesso limitandosi ad ascoltare ciò che Sarah o Margaret avevano da dire e l'aveva trovato incredibilmente rilassante.

Amava stare con lei e il fatto che lei stesse per sposarsi rendeva tutto ancora più difficile.

Poteva ripetere a se stesso che lei non era la donna giusta, ma la verità era che probabilmente in circostanze diverse – e se Will non ci fosse stato – avrebbe davvero potuto esserlo. 

«Come procedono i preparativi per le nozze?», le domandò.

Non era l’argomento di cui avrebbe voluto parlare, ma se avesse fatto finta di nulla sarebbe parso ancora più strano. In fondo erano amici. Poteva ancora esserle amico, poteva lasciare che i suoi sentimenti fossero soltanto un proprio problema.

Lei si lasciò sfuggire un sospiro.

«Sono finalmente riuscita a trovare il vestito e Margaret è stata sorprendentemente molto carina con me. In realtà sono più preoccupata per domani».

«Per il tuo ritorno a Inside

Sarah si mordicchiò il labbro inferiore. Aveva cercato di non pensarci, sapeva di essere preparata e in grado di fare quel lavoro, ma non era facile dimenticare il modo tutt’altro che piacevole nel quale era stata trattata.

Aveva parlato con Mr Portman al telefono uno svariato numero di volte nelle ultime due settimane e non tutti parevano entusiasti del cambiamento di rotta che la direzione avrebbe preso. Tutti erano affezionati al vecchio Bones.

«Non dovresti esserlo, Sarah», disse George. «E te lo dice uno che era terribilmente nervoso ogni volta che si imbarcava in un nuovo progetto fino a qualche anno fa. Sarai fantastica».

Lei sorrise.

«Grazie».

Pochi istanti dopo il cameriere tornò con le loro ordinazioni. Sarah abbassò lo sguardo sul proprio piatto, la leggera brezza californiana le scompigliò i capelli e George si ritrovò a fissarla incantato.

Era bellissima.

Rimasero seduti a chiacchierare del più e del meno per un po’. Avrebbe potuto trascorrere ore, giorni interi, soltanto a guardarla. Per un attimo si concesse di immaginare come sarebbe stato far scorrere le dita fra i suoi capelli, accarezzarle il collo, fino a raggiungere il suo seno. Baciarla sulle labbra, ovunque.

Socchiuse un istante gli occhi e quando li riaprì fu costretto a guardare in faccia la realtà. Non sarebbe mai accaduto, non poteva far sì che succedesse, perché se avesse tentato e avesse fallito non sarebbe mai sopravvissuto a una vita senza di lei. Averla come amica era una prospettiva migliore di non averla affatto. Poteva sopravvivere a qualunque cosa, l’aveva già fatto, ma non all’alternativa di perderla per sempre.

Quando arrivò il momento di salutarsi, George le augurò buona fortuna per il giorno seguente e le assicurò che l’avrebbe tenuta informata per i possibili futuri sviluppi con Ellis.

Doveva solo stringere i denti e prima o poi tutto sarebbe tornato alla normalità. O almeno questo era quello che voleva credere. Poteva farcela.

                                                                      ***
 
Dopo aver salutato George, Sarah fece un paio di telefonate. Nonostante le parole dell'attore non vedeva l'ora che la giornata seguente si concludesse in modo da poter vivere la sua nuova realtà. 

Tuttavia, mentre guidava verso Venice  Beach, non poté fare a meno di ricordare che una delle ultime volte in cui si era recata lì era stata quando aveva ricevuto il benservito da Bones.

Era strano pensare che in meno di ventiquattro ore sarebbe stata proprio lei a occupare il suo ufficio. 

Sette mesi prima, per un istante, aveva davvero creduto che non sarebbe mai riuscita ad avere la vita che aveva sempre desiderato, invece, il fato le aveva regalato più felicità di quanto avrebbe mai osato immaginare. 

Non solo aveva un uomo che l'amava incondizionatamente al suo fianco – e che probabilmente si sarebbe gettato nelle fiamme se lei gliel'avesse chiesto – ma era anche riuscita a realizzare uno dei piccoli grandi sogni che aveva conservato a lungo nel cassetto.

Lavorare per George era stato un regalo e dovervi rinunciare per tornare a Inside, al lavoro che tanto amava, segnava quasi la fine di un ciclo. Era come se la ruota fosse tornata a girare e forse in fondo Will aveva ragione: si trovava esattamente dove avrebbe dovuto essere.

                                                                       ***   
 
Il giorno seguente quando varcò la soglia del grattacielo dove avevano sempre avuto sede gli uffici del magazine insieme a Mr Portman, Sarah non si sentiva più nervosa.

Era come se una nuova consapevolezza si fosse fatta strada in lei: meritava di essere lì e non ci sarebbe stato scoglio che non sarebbe stata capace di superare.

Fu il suo boss a fare gli onori di casa e a parlare con azionisti e impiegati dei cambiamenti che sarebbero stati apportati fin dal principio.

Tutti lo ascoltarono in religioso silenzio: l’uomo, infatti, aveva la straordinaria capacità di far concentrare l’intera attenzione su di sé e ciò che disse ricordò alla ragazza quanto gli piacesse lavorare con lui. Molti non davano importanza all’aspetto umano di quello che facevano, ma a Mr Portman era sempre piaciuto rammentare che erano esseri umani prima di tutto il resto.

Aveva imparato a stimarlo e a guardare a lui come a un modello ed era per questo che sapeva cosa doveva fare per dimostrarsi degna di quella opportunità.

Una volta che la riunione fu conclusa, tutti furono congedati e Sarah si recò nel suo nuovo ufficio. Nonostante avessero apportato delle migliorie al mobilio non riusciva ancora a sentire quel luogo come suo, ma forse le serviva solo un po’ di tempo.

Si era da poco accomodata di fronte alla sua scrivania quando qualcuno bussò alla porta.

Sarah fece un bel respiro e invitò la sua ospite ad accomodarsi.

«Rose mi ha detto che volevi parlarmi», esordì Misha Collins senza troppi preamboli.

«Infatti».

La sua interlocutrice accennò una risatina amareggiata.

«Vuoi vantarti con me del tuo nuovo posto? Va bene. Hai vinto!», esclamò.

«Non si tratta di questo», la smentì Sarah in tono impassibile, indicandole la sedia, che l’altra ignorò.

«Cosa vuoi che ti dica, Sarah? Che sei la migliore fra noi? Che sei riuscita in tutto quello in cui io ho fallito».

«Non siamo mai state in competizione, Misha», replicò sincera.

La donna rise.

«Credi davvero in quello che dici? Pensi che non mi sia mai accorta di come Chad ti mangiasse con gli occhi, di come suo padre ti portasse in palmo di mano? Ho lavorato qui per quasi quattro anni e poi arrivi tu e ti prendi tutto quello che doveva essere mio. Non meriti niente di quello che hai».

«Hai finito?», le chiese Sarah tranquilla.

«Perché? Così puoi finalmente prenderti la tua rivincita, licenziandomi?»

«No».

Misha la fissò incredula.

«Non sono come te. Non traggo alcun piacere dalle sventure altrui e sì, mi piacerebbe licenziarti, ma non lo farò. Perché, se lo facessi, non sarebbe perché non sei competente, sarebbe una questione personale. Quindi questo è quello che succederà da oggi in poi: tu verrai qui ogni santo giorno e svolgerai il tuo lavoro con la massima professionalità che ti compete. Noi non parleremo, se non per questioni strettamente professionali, e io mi scorderò quello che è successo in passato», disse Sarah. «Ma prova ancora una volta a mancarmi di rispetto, o a insinuare qualcosa sui miei amici e sulla mia famiglia e non sarà Mr Portman a licenziarti, lo farò io. È chiaro?»

Misha rimase per un istante in silenzio. Non era abituata a sentirla parlare con quel tono e forse fu questo a sopraffarla, ma in breve tempo riacquistò la sua solita sfacciataggine.

«Tu non sei migliore di me come vorresti dimostrarmi con questo discorsetto. Lo sai tu e lo so io. Ma mi piace il mio lavoro, quindi… sì. D’accordo. Hai vinto. Quelle come te vincono sempre», disse infine. «È tutto, o vuoi deliziarmi con qualche altra lezione di vita?»

«Abbiamo finito».

La sua collega le diede le spalle e se ne andò senza replicare e soltanto quando rimase sola Sarah tirò un sospiro di sollievo.

Non era stato facile mantenere la calma e non cedere alle sue illazioni, ma sapeva che non le avrebbe portato alcuna gioia affondare Misha: lei non era così e questo per quella mattina era una certezza sufficiente.

Se avesse raccontato l’accaduto a Mr Portman probabilmente la sua collega non avrebbe più rimesso piede in quell’edificio, ma non voleva la carriera di Misha sulla sua coscienza; inoltre, nonostante l’avesse ferita sentire ciò che aveva da dirle, aveva compreso che per attaccarla così tanto doveva essere veramente una persona infelice e questo era sufficiente a non farle desiderare di ferirla a sua volta.

Probabilmente il suo stesso odio le aveva già fatto più male di quanto avrebbe mai potuto fargliene qualcun altro.


Ciao!
Sarah è tornata a Inside e la prima cosa che ha deciso di fare è stato affrontare la sua ex amica e collega, Misha, che se ricordate l'aveva offesa in malomodo quando aveva accompagnato lì George per un'intervista svariati mesi prima.
Dal punto di vista professionale la ragazza non potrebbe chiedere di meglio, ma come stanno adesso le cose con George? Lui è decisamente innamorato di lei e pare intenzionato a non fare nulla per rovinare il suo imminente matrimonio. Ce la farà a tacere?
Lo scoprirete molto presto, perché mancano solo due capitoli alla fine!
Se voleste farmi sapere che cosa ne pensate ne sarei felice. :)
Alla prossima!
Vale



 

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Capitolo 58
*** Capitolo 58 ***


Non aveva fantasticato a lungo su quel giorno e quando si svegliò quella mattina vicino alla sua amica Sam, Sarah impiegò un attimo a realizzare la ragione per cui Will non era accanto a lei.

Era il momento. 

Gli ultimi mesi erano stati più intensi di quanto non avrebbe mai potuto immaginare, ma sorprendentemente Margaret si era rivelata un supporto prezioso.

La signora, infatti, era abituata a organizzare banchetti e cerimonie di ogni tipo, per cui si era dimostrata grandiosa nell’aiutarla con i preparativi per le nozze. Cosa ancora più significativa, non avevano litigato neanche per la scelta delle bomboniere e la ragazza aveva dovuto ammettere che la futura suocera era davvero dotata di un gusto eccellente. 

Non aveva voluto un vero e proprio addio al nubilato, per cui alla fine si era limitata a cenare fuori con Sam e qualche altra amica. La serata era trascorsa piacevolmente e verso l’una tutte si erano congedate, lasciando lei e Sam da sole.

«Che programmi aveva Will stasera?», le aveva chiesto a un certo punto Sam.

«Un paio di suoi cugini volevano portarlo fuori», aveva risposto lei. «Credo ci fossero anche alcuni colleghi dell’ufficio».

Sam l’aveva fissata pensierosa.

«Fra i cugini ci sarà anche Peter?»

«Già, verrà con sua moglie», aveva dichiarato Sarah, sottolineando l’ultima parola.

«Peter si è sposato?!»

«Qualche mese fa». 

«Accidenti. Avresti anche potuto dirmelo, o avrebbe potuto farlo il tuo futuro maritino».

Sarah era scoppiata a ridere.

«Beh, è il tuo matrimonio, però questo non significa che io non possa svagarmi un po’», le aveva detto. «Mr Hollywood ci sarà?», le aveva domandato poco dopo.

«Non ne sono sicura», era stata costretta ad ammettere.

«Come mai? L’idea di vederti in abito bianco lo distrugge psicologicamente?»

Sarah rise di nuovo.

«No, sta girando a Toronto. Non sono sicura faccia in tempo, hanno un ordine del giorno molto fitto», le aveva spiegato.

Non era rimasta molto bene nell’apprendere quella notizia, però era contenta che le cose gli stessero andando bene. Se George non fosse stato presente al suo matrimonio le sarebbe dispiaciuto, ma avrebbero avuto modo di vedersi e raccontarsi le ultime novità subito dopo il suo viaggio di nozze.

Nonostante ciò non riusciva proprio a scacciare il sospetto che la ragione per la quale non ci sarebbe stato non aveva tanto a che fare con il suo lavoro, quanto con l’idea di trovarsi lì: in fondo erano trascorsi soltanto sette mesi dalla morte di Lindsay e Sarah era convinta che non volesse mettersi in una situazione che implicava abiti bianchi e damigelle.

Se anche non ci fosse stato non gliene avrebbe fatto una colpa. Aveva già dovuto affrontare troppo in quei pochi mesi, per non parlare del resto.

Da quello che le aveva detto era tornato a trovare suo padre a New York un paio di volte e i rapporti fra loro erano molto meno tesi che in passato.

Le piaceva pensare che fosse riuscito almeno a riavvicinarsi alla sua famiglia: meritava qualcuno che lo amasse anche se non era sicura che lui ne fosse conscio. Doveva davvero imparare a essere meno duro nel giudicarsi.

«Beh, così non correrai il rischio che apra improvvisamente la porta della chiesa e ti dichiari il suo amore, rovinando il tuo matrimonio!»

«Ti ricordo che saremo in un giardino», le aveva detto Sarah.

«Il senso non cambia», aveva affermato Sam con un’alzata di spalle.

«Perché siete tutti convinti che un uomo e una donna non possano semplicemente essere amici? Tu e Will lo siete».

«È vero, ma è diverso. Ci conosciamo da una vita! Siamo come fratello e sorella, tu e George… Non penso lui si consideri tuo fratello».

In realtà, fra lei e Will era accaduto qualcosa di più, ma era un avvenimento a cui entrambi non avevano dato importanza e non era necessario che Sarah ne fosse informata: in fondo era il primo anno di college e Will non la conosceva nemmeno.

Sarah aveva scosso leggermente la testa e aveva fatto cadere l’argomento.

Era inutile tentare di avere l’ultima parola con Sam ed era impossibile convincerla che fra lei e George non ci fosse nulla di più che una sincera amicizia. Forse era stata attratta da lui in passato, ma non era più quella persona e da quando l’aveva conosciuto meglio non aveva più pensato a lui in quella maniera.

Era convinta che George fosse un uomo meraviglioso, ma questo non voleva dire che sentisse qualcosa di più, o che lui provasse altro per lei.

Il suo telefono squillò. Era Will.

«Buongiorno», gli disse Sarah, tenendo la voce bassa per non svegliare Sam.

Poi si alzò e andò in cucina, chiudendosi dietro al porta.

«Credevo portasse sfortuna parlare con la sposa poco prima della cerimonia», osservò lei in tono ironico.

«Non ci ho mai creduto granché», le rispose tranquillo.

«Nemmeno io».

«Ti sei divertita ieri sera?»

«Oh, non immagini quanto!», esclamò lei.

«Ti prendi gioco di me, Miss Kant?»

«Assolutamente sì, Mr Turner», disse lei ed entrambi scoppiarono a ridere. «Temo che la mia damigella si sia svegliata. Inizia la tortura per essere presentabile», aggiunse poco dopo, sentendo dei rumori dalla stanza adiacente.

«Ricevuto», sussurrò lui. «Lo sai che ti preferisco senza niente addosso?»

«Ne avevo un vago sospetto».

«Beh, ora lo sai con certezza».

«Ti amo», gli disse prima di riattaccare.

«Ti amo anch’io. Ci vediamo fra poco».

«Non vedo l’ora», disse Sarah e Will seppe che era sincera.

Era il momento.

                                                                      ***

 
Aveva trascorso l’intero giorno precedente a domandarsi per quale razza di ragione avrebbe dovuto farsi questo.

A che pro assistere al matrimonio della donna che amava con un altro?

Doveva essere totalmente impazzito!

Era questo quello che si era ripetuto nelle ore di volo che lo separavano da Hartford. Non gli era mai piaciuto volare, preferiva di gran lunga tenere i piedi ben ancorati a terra, eppure quella notte non avrebbe desiderato altro che quel viaggio durasse il più a lungo possibile.

Quando aveva parlato con lei un paio di giorni prima aveva finto di essere più indaffarato di quanto non fosse.

È vero… Le aveva mentito, ma non poteva permettersi di confessarle quello che provava.

Stephen, che dormiva beato di fianco a lui, non aveva dato cenno di essersi accorto di nulla e l’attore ne era felice: mentire anche a lui sarebbe stato troppo difficile.

Probabilmente se non fosse stato presente, Sarah si sarebbe creata una propria motivazione riguardo alla sua assenza e di certo non sarebbe arrivata a capirne la vera ragione. Avrebbe veramente potuto essere oberato di lavoro, oppure fingere di non voler essere lì per quello che era successo a Lindsay.

Nessuno gliene avrebbe fatto una colpa, tuttavia… Lui avrebbe sempre conosciuto la verità.

Inoltre, Sarah c’era stata per lui e il minimo che potesse fare per ringraziarla era ingoiare il rospo ed essere felice per lei.

E lo era… davvero. Soltanto avrebbe desiderato che questo non implicasse mettere da parte i propri sentimenti.

In ogni caso, ormai aveva preso la sua decisione: sarebbe stato lì per lei e, dopo averla vista all’altare insieme a Will, avrebbe smesso di pensarla.

Sì, tutto andrà bene, pensò prima di chiudere gli occhi. 


Ciao!
Per prima cosa mi scuso per il ritardo nell'aggiornamento, ma non sono proprio riuscita ad accendere il pc questa settimana. 
Parlando del capitolo invece il tanto "temuto" momento è arrivato e ancora una volta Sam, seppur in tono scherzoso, esprime all'amica le sue perplessità riguardo al rapporto che la lega a George. Che tutti si siano accorti di qualcosa a parte lei? 
Sarah non sembra avere rimpensamenti, mentre George ha parecchie difficoltà a tenere per sé i suoi sentimenti anche se alla fine decide di presenziare alla cerimonia...
Come andranno le cose? George riuscirà a mantenere i suoi propositi? Sarah scoprirà mai ciò che c'è stato fra il suo fidanzato e la sua amica?
Lo scoprirete nel prossimo e ultimo capitolo, che come ho accennato non metterà del tutto la parola "fine" alle vicende dei nostri protagonisti, perché sto già lavorando al seguito. :)
Ringrazio tutti coloro che mi stanno leggendo e che si sono appassionati alla storia di questi personaggi a cui sono anch'io molto affezionata ormai. 
Sperando di non avere ulteriori imprevisti dovrei riuscire a postare l'epilogo giovedì prossimo, o al più tardi domenica prossima.
Baci
Vale

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Capitolo 59
*** Capitolo 59 ***


Mentre gli invitati prendevano posto sulle sedie disposte nel giardino della villa a posta per la cerimonia, la sposa aveva appena indossato l’abito sotto lo sguardo vigile della futura suocera.

«Non credo di aver mai visto una sposa più bella», commentò Margaret, aggiustandole il velo.

«Ti ringrazio. Non sarebbe stato lo stesso senza di te», le disse sincera.

«Ti consiglio di non dire un’altra parola o finiremo tutti a piangere, Sarah», intervenne Sam.

La ragazza sorrise.

Aveva già mostrato l’abito a suo padre quando era andato a trovarli a Los Angeles e anche lui si era commosso. Doveva essere ancora più strano per lui vederla in quelle vesti; in fondo sarebbe sempre rimasta la sua bambina.

«Credo che dovremmo proprio andare adesso, non vogliamo far aspettare troppo lo sposo», intervenne Margaret.

«Non credo ci siano pericoli che si annoi e scappi, Margaret», affermò la damigella, facendole l’occhiolino. «Vado a controllare che tutto sia pronto, d’accordo?»

Le due donne annuirono e Sarah fece un respiro profondo.

Era davvero giunto il momento.

                                                                           ***                     
 
Non avrebbe saputo dare un nome a quello che aveva provato quel giorno, ma guardando gli occhi di Will seppe senza ombra di dubbio di aver preso la decisione giusta.

Non l’aveva mai amato così tanto.

La cerimonia non era stata troppo lunga o smielata. Tutto era stato discreto, raffinato e intimo, proprio come aveva immaginato. Non si erano scambiati alcun tipo di promessa particolare di fronte agli sguardi dei loro invitati, perché entrambi sapevano che non ce n’era bisogno.

Si erano già detti tutto quello che era necessario sentire e il resto l’avrebbero dimostrato l’una all’altro giorno dopo giorno.

Come da tradizione aprirono le danze (era stato l’unico punto su cui l’organizzatrice aveva insistito), dopodiché il neosposo lasciò alla donna che amava un momento con suo padre.

Era strano pensare come solo pochi mesi prima quell’ipotesi gli sarebbe sembrata più che ottimistica, invece, era accaduto sul serio: lui e Sarah erano veramente sposati.

«Sei felice?», le chiese suo padre.

«Sì. Non immagini quanto», rispose lei con un sorriso. «Grazie».

«Per cosa?»

«Per essere sempre qui per me. Mi dispiace se a volte l’ho dato per scontato e grazie anche per avere concesso a Will una possibilità».

«È veramente innamorato di te», disse. Poi aggiunse: «So che io e tua madre non siamo stati un buon esempio, ma…».

«Sei stato il miglior esempio che potessi avere, papà», gli sussurrò lei, abbracciandolo più forte.

Aveva avuto così tanto a lungo paura di essere come sua madre da non aver capito che forse non era a lei che assomigliava. Forse semplicemente poteva aver preso il meglio da entrambi i genitori e, anche se non era così, quel giorno decise che voleva pensarlo. In fondo aveva sempre un domani per cambiare idea.

Fu in quel momento che scorse un volto famigliare, poco distante da loro.

Quando si accorse di essere stato visto, George si avvicinò con calma e sorrise a entrambi.

«Congratulazioni! Mi spiace di essere in ritardo, temo di aver perso l’inizio della cerimonia, ma Margaret ha avuto l’accortezza di non lasciarmi sulla porta», disse.

Sarah rise.

«Figurati, non importa», gli assicurò.

Era lieta che fosse lì.

«Beh, cosa ne dici di darmi il cambio? Non ho più l’età per certe cose e mi pare che lo sposo sia stato requisito da un branco di signore piuttosto fastidiose», affermò Aaron, cedendogli la mano di sua figlia.

George rimase per un attimo a fissarla.

«Allora? Vuoi lasciare la sposa da sola in mezzo alla pista da ballo?», gli domandò lei con un sorriso.

Lui parve riaversi.

«No, certo», mormorò, afferrando la sua mano e prendendo il posto di Aaron.

Rimasero in silenzio per un paio di minuti e nel frattempo la musica cambiò.

«Sono contenta che tu sia riuscito a venire», gli sussurrò lei. «Stephen non è con te?»

«È dovuto passare da casa, ma mi ha fatto promettere di porgerti i suoi migliori auguri. Ti chiamerà domani probabilmente».

«Okay».

Era inverosimile per lui sentirsi così, ma quella vicinanza con Sarah pareva avergli mandato in tilt il sistema nervoso.

Pareva non essere neanche più in grado di articolare un pensiero di senso compiuto. Le sue braccia le cingevano la vita. I loro corpi erano vicinissimi, separati solo da un paio di centimetri.

Erano così vicini e, al tempo stesso, così distanti.

L’amava, ma non poteva essere sua. Non poteva accarezzarla come avrebbe tanto desiderato. Non poteva tenerla stretta a sé, non poteva prendersi cura di lei. Non poteva restare un minuto di più vicino a lei senza rischiare di rovinare tutto quello che c’era fra di loro.

Erano troppe le cose che avrebbe desiderato dirle, troppe le cose che se avesse detto non avrebbe più potuto nascondere.

«Credo che dovrei ringraziare di nuovo Margaret», le disse, cercando di non lasciar trasparire la sua agitazione.

«Va bene», mormorò lei.

Forse in un’altra situazione si sarebbe posta qualche domanda riguardo al comportamento di George, ma non quel giorno.

«Beh, direi che hai un tempismo perfetto», aggiunse, vedendo comparire suo marito proprio di fronte a loro.

«George, sei riuscito a venire», gli disse Will.

L’attore lasciò immediatamente andare Sarah e si costrinse a sorridere e a porgergli i suoi più sinceri auguri, nonostante ogni parola suonasse ipocrita persino alle sue orecchie.

«Sta’ attento alle mie cugine. Potrebbero letteralmente saltarti addosso», lo mise in guardia in tono amichevole.

George lo ringraziò.

«Terrò gli occhi aperti», disse, allontanandosi.

«Allora dove eravamo rimasti, Mrs Turner?», le chiese.

«Direi decisamente qui», mormorò lei, poggiandogli una mano sulla guancia e baciandolo con trasporto.

Le persone intorno a loro esplosero in un applauso di apprezzamento, soltanto una non ci fece quasi caso, troppo concentrata a cercare di calmare il proprio il cuore.

                                                                         ***
 
La maggior parte degli invitati se ne era già andata, ma lui era ancora lì, incapace di muoversi.

Aveva scambiato un paio di convenevoli con la madre di Will e aveva pure sorriso alle sue temibili cugine, che chiaramente avevano un debole per lui.

Aveva fatto tutto alla perfezione e non c’era più nulla che lo obbligasse a restare, eppure non era ancora stato in grado di fare un passo in direzione dell’uscita.

Come aveva potuto credere che vederla andare all’altare lo avrebbe aiutato a togliersela dalla testa?! 

Durante tutta la cerimonia si era sentito come estraniato da quello che stava succedendo: era come se la vicenda si stesse svolgendo di fronte ai suoi occhi, ma lui non riuscisse a capirla.

Aveva sentito Sarah pronunciare le promesse e poi Will fare lo stesso e per tutto il tempo non aveva desiderato altro che urlarle di non farlo, di non sposare Will. 

Era stato costretto a mordersi la lingua e aveva tenuto i pugni così stretti da essersi ritrovato le impronte delle proprie unghie nella carne. 

Sapeva bene come sarebbero andate le cose se si fosse trattato di un film in cui era il protagonista: una volta accortosi dei suoi sentimenti, si sarebbe recato in chiesa con un mezzo di fortuna, avrebbe spalancato le porte e avrebbe percorso di corsa la navata centrale.

Lei lo avrebbe guardato negli occhi per un secondo e avrebbe capito.

Lui le avrebbe detto che l’amava in uno di quei modi da film che in quel momento non gli parevano neanche troppo sdolcinati e poi… Oh, poi le avrebbe preso il viso fra le mani e l’avrebbe baciata!

Sì, sarebbe andata proprio così.

Peccato che la sua vita non fosse un film e che in quel caso il ruolo del protagonista non spettasse a lui. Era poco più che una mera comparsa là dentro, o almeno era così che si era sentito.

Avrebbe desiderato andarsene, sarebbe stato più sensato, invece, sentiva che finché restava lì poteva ancora tergiversare.

Quando aveva stretto Sarah a sé era stato ancora peggio, perché non avrebbe voluto lasciarla andare. Era stato quasi impossibile salutare cordialmente Will e impedire al proprio istinto di avere la meglio sulla razionalità. 

Doveva farcela, perché se l’avesse ferita non sarebbe mai stato in grado di perdonarselo ed erano già troppi gli errori che aveva commesso.

Non poteva aggiungere anche lei alla lista.

«Vedo che sei riuscito a scappare dalle cugine di Will», osservò una voce maschile, costringendolo a voltarsi.

Aaron gli sorrideva con espressione raggiante.

«Non è stato semplice», replicò George.

In realtà nessuno l’aveva davvero infastidito, ma era più facile parlare di questo.

«Sei stato carino a venire», gli disse Aaron. «È stata una bella cerimonia. Resti fra noi, non credevo che l’avrei mai detto», aggiunse in tono ironico.

Nonostante tutto George si ritrovò a sorridere. Gli piaceva il padre di Sarah.

«Non potevo mancare. Tua figlia è stata… È straordinaria».

«Come vanno le cose?», gli chiese dopo un attimo.

Era tragicomico pensare di rispondere a quella domanda proprio quel giorno.

Andrebbero benissimo se non mi fossi innamorato di tua figlia.

No, probabilmente non era la risposta che Aaron voleva sentire.

«È una donna sposata. Innamorata di suo marito», dichiarò l’uomo, interpretando fin troppo bene la sua pausa.

«Perché mi stai dicendo tutto questo, Aaron?», gli domandò George.

«Credo che tu lo sappia», sospirò l’uomo.

George deglutì. Era diventato davvero così facile decifrare i suoi sentimenti? Il suo scudo ermetico doveva essere sparito nel momento peggiore.

«È una donna sposata. Innamorata di suo marito», ripeté lui. «È tutto come dovrebbe essere, no?», aggiunse quasi a se stesso.

Il suo interlocutore non ribatté, limitandosi a poggiargli una mano sulla spalla.

Era innamorato di una donna che non poteva avere. Di nuovo.

La vita sapeva davvero essere beffarda a volte.


Ciao a tutte!
Lo so, la speranza generale era che questo matrimonio non avvenisse mai, che George si facesse avanti, che lei "aprisse gli occhi" o che Aaron si mettesse in mezzo, ma non amo rendere le cose facili ai miei personaggi. 
Sarah avrà commesso un errore sposando Will? Al momento non sembra pensarlo così come anche suo padre ha messo da parte le proprie riserbe per il bene della figlia e ha anche dovuto ammettere che la cerimonia non è stata poi così orribile. 
George come alcune di voi avevano immaginato in una situazione del genere proprio non ce l'ha fatta a decidere di dire a Sarah cosa prova per lei; al contrario ha avuto forza d'animo e ha messo da parte tutto ciò per essere lì per lei e se non è questo l'amore... :)
Comunque anche Aaron e il suo fiuto da detective non avevano sbagliato nel dire alla figlia che George nutriva un differente interesse per lei e alle nozze osservandolo ne ha avuto la conferma. 
Tuttavia, la domanda adesso è: i sentimenti di George svaniranno davvero con il tempo oppure Sarah non si troverà poi così bene nella sua nuova vita?
Ai posteri l'ardua sentenza! Come ho accennato questo è l'epilogo di questa prima parte della storia, ma non ho intenzione di abbandonare questi personaggi e sto già lavorando al seguito. Per ora non so dirvi quando inizierò a postarla, ma non ne ho mai lasciata una non completa quindi non temete. ;)
Ringrazio tutte quelle che mi hanno seguita fino a qui e in particolare chi mi ha fatto sapere cosa ne pensava: è sempre utilissimo ricevere dei pareri. Anzi, se vi andasse di farmi un commento generale ne sarei felicissima!
A presto!
Vale


 

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