Misery Business di Layla (/viewuser.php?uid=34356)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1)Vita di una cheerleader qualunque e del suo poco amato stalker. ***
Capitolo 2: *** 2)Piccole crepe nel castello di vetro. ***
Capitolo 3: *** 3)Se stai troppo vicina a fuoco alla fine ti bruci. ***
Capitolo 4: *** 4)Fuori dalla commedia: la discesa della scala ridà ossigeno. ***
Capitolo 5: *** 5)E siamo a due: la rivoluzione continua. ***
Capitolo 6: *** 6)Occasioni bruciate. ***
Capitolo 7: *** 7)Questo non sarà un nuovo inizio, sarà una fuga legalizzata. ***
Capitolo 8: *** 8)Nel tuo piccolo mondo tra piccole iene. ***
Capitolo 9: *** 9)Cambiamenti ***
Capitolo 10: *** 10) Il primo giorno di scuola non si scorda mai. ***
Capitolo 11: *** 11)Ipocrisia e falsitàè tutto ciò che incontro. ***
Capitolo 12: *** 12) La ballerina del carillon. ***
Capitolo 13: *** 13)Perché mi chiamo così. ***
Capitolo 14: *** 14)Il marchio di famiglia: domare gli indomabili. ***
Capitolo 15: *** 15)Amore ***
Capitolo 16: *** 16)Petalidi noi. ***
Capitolo 17: *** Epilogo: la fine, a volte, significa un nuovo inizio. ***
Capitolo 1 *** 1)Vita di una cheerleader qualunque e del suo poco amato stalker. ***
1)Vita di una cheerleader
qualunque e del suo poco amato stalker.
Non ho mai sopportato Tom DeLonge.
È solo uno stupido ragazzino che cerca di infilarsi nelle
mutande di qualsiasi ragazza, inclusa me.
Mi chiamo Jen Jenkins e sono una cheerleader. Ho un bel
fisico, grandi occhi blu, capelli tinti di biondo e la faccia un
po’ da cavallo
ed è il mio unico cruccio.
Madison dice che dovrei farmi operare e chiederlo come
regalo ai miei per i miei diciott’anni, ma io non me la
sento. Maddie è la capo
cheerleader o – come dicono sottovoce a scuola – il
capo delle stronze. Io la
trovo un po’ superficiale, ma in fondo non è male
e poi qualcosa bisogna
sopportare se si vuole stare in cima alla piramide sociale del liceo.
Come ogni mattina mi faccio una doccia, asciugo i capelli
e li piastro, poi mi metto una minigonna di jeans e una maglia azzurra
che mi
copre a malapena l’ombelico, mi trucco – un
po’ di mascara e del gloss sulle
labbra – e delle scarpe con il tacco alto.
Faccio colazione e saluto mia madre.
Arrivata a scuola, DeLonge staziona già
sull’entrata con
aria da scemo, io invece vengo raggiunta da Jess e Cheryl. Jess ha
lunghi
capelli neri e due grandi occhi verdi, indossa un paio di jeans molto
aderenti
e una camicia rosa, Cheryl invece ha i capelli color caramello e gli
occhi
castani, oggi indossa un vestito nero a pois bianchi molto elegante.
“Buongiorno, ragazze. Il mostriciattolo è
già là?”
Cheryl annuisce.
“Che palle.”
Sbuffo io.
“Cosa ne dici se gli facciamo sparire tutti i suoi libri
dall’armadio?”
Propone Jess.
“Non è male come idea…”
“Ok, allora tu distrailo e poi al resto pensiamo
noi.”
Ci avviamo verso la porta della scuola e Tom mi rivolge quello che
crede essere
un sorriso malizioso.
“Ciao, raggio di sole! Come stai?”
“Bene, prima di vederti.”
“Su non fare così, lo so che mi ami in
fondo.”
Io mi trattengo dallo scoppiare a ridere, quello che mi interessa
è il
quarterback della squadra di football, non questo strano essere troppo
lungo e
troppo magro con dei corti capelli di un biondo palesemente finto.
“Sì, nei tuoi sogni, Tom.
Ma non hai niente di meglio da fare che stare dietro a
me?”
“Posso stare anche davanti, se preferisci.”
“Ah Ah Ah, davvero divertente.”
“So di essere divertente, amore.”
“Non chiamarmi amore.”
“Un giorno mi amerai.”
“Sì, credici. Adesso scusa
devo andare.”
“Non salti scuola con me?”
“No.”
“Allora non la salterò nemmeno io.”
“Come ti pare.”
Lo lascio al suo destino e mi dirigo al mio armadietto, pensando che
è una
creatura davvero seccante. Prendo i libri e da lontano Jess e Cheryl mi
fanno
un cenno di vittoria, io sorrido lievemente tra me e me e vado nella
mia classe
di letteratura.
Anche il mostro la frequenta con me, ma non è ancora
arrivato e tempo di sapere perché, il compenso è
arrivata la prof: la signorina
Simmons.
È una persona molto gentile, ma non bisogna farla
arrabbiare o diventa molto cattiva. Tom entra mentre lei sta scrivendo
qualcosa
alla lavagna.
“Buongiorno, DeLonge. È bello vederla qui ogni
tanto,
dove sono i suoi libri?”
“Sono spariti.”
Il gessetto si rompe contro la lavagna.
“Sono stanca delle sue bugie, DeLonge. Una volta il cane
ha mangiato il suo tema, un’altra volta ha confuso i suoi
libri con quelli di
sua sorella e ora mi dice che sono spariti.
Davvero poco originale.
Si è guadagnato tutta la mattina in sala punizioni e ora
se ne vada.”
Lui tenta di replicare ma – davanti allo sguardo di fuoco
– lascia perdere e se
ne va sbattendo la porta.
Io nascondo abilmente un sorriso di soddisfazione e
riprendo a seguire la lezione. Finalmente quel verme è stato
giustamente
punito!
A pranzo sono di buon umore.
“Ottimo lavoro ragazze, obbiettivo riuscito.”
Comunico a Jess e Cheryl sorridendo, loro mi sorridono di rimando.
“Cosa è successo?”
Chiede Madison curiosa.
“Abbiamo fatto un piccolo scherzetto a DeLonge e lui
è
stato messo in punizione tutta la mattina dalla Simmons.”
“Wow, ottima pensata!”
Si congratula lei che è ovviamente favorevole a qualsiasi
atto di bullismo contro i perdenti. Un pochino mi sento in colpa, ma
quando
vedo la faccia da deficiente di DeLonge mi passa subito, non riesco a
sopportarlo e detesto che sia in fissa con me.
Non può essere in fissa con un’altra ragazza?
Forse se ne trovasse un’altra ci starebbe, in fondo non
è
poi così male, ma forse vuole me perché
rappresento una sfida. Secondo la
strana logica maschile se una ti rifiuta tu sei come obbligato a
provarci il
doppio e a continuare a ricevere due di picche.
“Jen?”
La voce di Maddie mi riporta alla realtà.
“Sì?”
“A cosa stavi pensando?”
“Alla logica maschile per cui se una ti dice di no devi
continuare a provarci.”
“Uhm, lascia perdere, DeLonge. Dopo i corsi pomeridiano
abbiamo l’allenamento e
mi servi in forma.”
Io sorrido.
“Non ti preoccupare, lo sarò.”
“Molto bene.”
Lancia un’occhiata al grande orologio della mensa.
“Ragazze, è ora di andare a lezione.”
Ci alziamo, buttiamo via gli avanzi di cibo e le cartacce e poi
lasciamo il
nostro vassoio nell’apposito posto. Tom sta parlando con una
bionda – Anne
Hoppus – ma non mi toglie gli occhi di dosso.
Che noia!
Oggi poi dovremo condividere parecchie lezioni, rischia
di diventare una giornata di merda. Con l’allegria di un
cadavere vado alla
lezione di matematica, neanche a dirlo Tom si siede subito vicino a me.
Io sospiro.
“Perché non ti siedi vicino a Hoppus?
Siete amici, no?”
“Perché sei tu che mi interessi.”
“La cosa non è reciproca.”
Rispondo piatta.
“Lo diventerà.”
“Credici…”
L’arrivo del professore mette fine alla conversazione o
meglio, lui vorrebbe
continuarla, io invece inizio ostentatamente a prendere appunti,
nonostante
capisca meno della metà di quello che il profe spiega.
Perché devo averlo sempre tra i piedi?
La giornata si rivela lunga e massacrante.
Maddie non ci risparmia oggi, continua a farci ripetere
una coreografia un numero imprecisato di volte, perché non
è mai soddisfatta.
Alla fine dell’allenamento siamo tutte distrutte, saluto
con un cenno Jess e Cheryl e mi dirigo alla mia macchina, sognando di
stendermi
sul mio letto. So bene che è impossibile, devo fare i
compiti e preparare la
cena a mio fratello e a mio padre visto che mamma questa settimana fa
il turno
di notte.
Arrivo a casa e mi tolgo con piacere le mie scarpe con il
tacco, poi indosso una vecchia tuta e mi immergo nei compiti di
letteratura
fino a che non arriva il momento di mettersi a cucinare.
Preparo una pasta al pomodoro e poi chiamo tutti a
tavola.
Non conversiamo
molto, mio fratello e mio padre parlano di baseball e basket
tagliandomi fuori
dalla conversazione. Odio questi momenti, non mi piace sentirmi
esclusa, ma è
quello che succede puntualmente.
Finita la cena lavo i piatti e finisco i compiti, poi
finalmente mi butto a letto, pregando di riuscire a dormire, ma non
succede.
Mi giro e mi rigiro mentre le ore
passano senza pietà, mi addormento troppo
tardi e mi sveglio stanchissima, oggi vorrei proprio saltare scuola.
C’è un
allenamento dopo le lezione e se è come quello di ieri mi
viene da piangere,
non ho l’energia sufficiente per affrontarlo.
Bevo una dose massiccia di caffè a colazione, metto
più o
meno i vestiti di ieri e una massiccia dose di correttore sulle mie
occhiaie.
Saluto i due uomini di famiglia e mi preparo ad affrontare un altro
giorno di
scuola.
Come al solito il demente mi aspetta vicino al cancello,
io alzo gli occhi al cielo.
Oggi no.
Non lo saluto nemmeno e non gli rispondo, vado dritta per
la mia strada e raggiungo Jess e Cheryl.
“Tesoro, oggi hai un aspetto spaventoso.”
“Jess, non sono riuscita a dormire bene stanotte e poi
sono stanca di cucinare per mio fratello e mio padre.”
Sospiro.
“Vuoi il mio correttore?”
“Ho fatto un lavoro così pessimo con il
mio?”
“Un po’.”
Mi dirigo in bagno con il correttore di Jess ed in effetti noto che non
sono
riuscita a nascondere bene le occhiaie.
Riprovo con in correttore della mia amica e riesco a fare
un lavoro leggermente migliore, con questo pallore potrei diventare una
goth se
solo decidessi di vestire solo di nero. Uscita dal bagno le mie amiche
mi
guardano con aria di approvazione e io restituisco il cosmetico a Jess.
“Grazie per avermi fatto tornare un essere umano.”
“Figurati e adesso andiamo
a fare
spagnolo.”
Ci dirigiamo nella nostra classe e ci piazziamo nei banchi in fondo in
attesa
che arrivi il professor Gonzales: è basso e con la testa
perennemente tra le
nuvole.
Tom, ringraziando il cielo, non fa spagnolo e io mi godo
– si fa per dire – la lezione in pace, prendendo
appunti. Alla fine della
lezione ci avvisa che settimana prossima ci sarà un compito.
Che bello!
Dopo spagnolo ci sono due ore di chimica e la vecchia
bastarda che abbiamo come professoressa ci fa fare un compito a
sorpresa. La
odio come odio la sua maledetta materia, prenderò un voto
bassissimo.
Poi finalmente arriva la ricreazione e la passo
chiacchierando con le mie amiche cheerleader,
soprattutto insultando la mia prof. Loro ne hanno
un’altra più umana,
gentile e carina; gli stronzi capitano tutti a me.
Tom cerca pateticamente di farsi notare facendo acrobazie
sul suo skate, lo spettacolo mi lascia indifferente, Madison invece
ride
sguaiatamente.
Finita la pausa io vado a fare le ultime due ore della
mattina, ossia storia. È una materia che mi piace abbastanza
e poi ci sono
anche Jess e Cheryl che la fanno.
Loro, in realtà, pensano più a scarabocchiare il
loro
blocco di appunti che a seguire
la
lezione, ma non importa basta che ci sia qualcuno a farmi compagnia.
La campanella che annuncia il pranzo arriva grata, io e
le mie amiche raggiungiamo Madison e le altre e ci sediamo al nostro
solito
tavolo vicino a quello dei giocatori di football.
Maddie corre immediatamente dal suo ragazzo dandogli un
bacio che di casto non ha niente, tanto che io a un certo punto
distolgo lo
sguardo e mi concentro sulla
mia fetta
di pizza.
Inizio a mangiarla in silenzio, le altre parlano di
vestiti e di come sarebbe figo fare una puntata a Milano, la
città della moda.
Usano un tono reverente quando pronunciano quel nome, come se fosse la
Mecca o
Gerusalemme.
Madison torna finalmente da noi.
“Oggi abbiamo un altro allenamento.”
Annuncia sorridendo.
“Spero non sia come quello di ieri o alla fine ti
troverai una serie di cadaveri.”
Dico ironica.
“Dobbiamo essere in forma, il prossimo match è
molto
importante per la squadra e noi dobbiamo sostenerli al
massimo!”
Mi risponde severa lei. Prende molto sul serio il suo ruolo di capo
cheerleader
e la squadra, non sono poche le ragazze che ha cacciato, scatenando
putiferi
vari.
“Cosa hai dopo?”
“Uhm, un’ora di economia domestica e due di
arte.”
“Non dovrebbe stancarti troppo come orario.”
“No no.”
Decido che non è saggio lamentarsi ulteriormente degli
allenamenti o rischio di
venire buttata fuori dalla squadra. Tutti sono utili, ma nessuno
è indispensabile.
La pausa pranzo finisce troppo presto per i miei gusti,
non mi piacciono molto le lezioni di economia domestica, le ho scelte
solo
perché c’erano le mie amiche.
In ogni caso entro nell’aula con un sospiro di
rassegnazione e mi siedo al mio banco, oggi ci insegneranno a preparare
delle
torte.
Spero di non avvelenare nessuno.
La prof arriva in classe e scrive sulla lavagna gli
ingredienti e la ricetta, poi ci invita ad andare a prenderli nella
riserva. Io
eseguo diligentemente: prepareremo una torta alle mele, che
probabilmente
finiremo la prossima volta cioè domani.
Prendo gli ingredienti, una padella, ciotole varie e una
bilancia.
Inizio a mischiare le varie cose fino a ottenere un
impasto che sembra quello omogeneo descritto nella ricetta. Lo verso in
una
terrina e poi lo metto nel forno.
“Bene, ragazze. Domani vedremo come sono venute le vostre
torte, ora andate.”
Con molto piacere raccolgo la mia roba e mi lavo le mani
appiccicose e poi me ne vado. Adesso ho
arte che è la mia materia preferita, peccato
che la debba dividere con
Tom.
Prendo immediatamente posto vicino al mio cavalletto
preferito e aspetto che l’insegnante distribuisca i lavori.
“Ciao, principessa.”
“Non sono una principessa, DeLonge.”
Rispondo piatta.
“Meglio, sarai la mia principessa.”
“Ma anche no.”
“Eddai, almeno un po’ ti sto simpatico.”
“Continua a illuderti se ti fa piacere.”
Ancora una volta l’arrivo del professore mi salva da una
conversazione senza senso.
“Bene, ragazzi. L’altra volta abbiamo finito con le
nature morte, quindi oggi inizieremo con i
ritratti. Giusto per vedere la mano di ognuno, prima di
dare una
spiegazione più dettagliata, vorrei che disegnaste il vostro
vicino o la vostra
vicina di cavalletto.
Buon divertimento!
Non preoccupatevi, io passerò tra i cavalletti in caso
abbiate bisogno di aiuto e comunque questa prova non verrà
valutata.”
Io alzo gli occhi al cielo scocciata, il mio vicino di cavalletto
è Tom e
decide che sarà lui a disegnare questa volta,
così a me non rimane altro che
rimanere seduta immobile su una stupida sedia.
E dire che io avrei voluto sfogare un po’ di malumore
disegnando.
Stare in posa poi è più difficile di quanto
pensassi, Tom
non fa altro che dirmi di stare ferma, che mi muovo troppo e che non
riesce a
disegnare nulla.
Quando il professor Tuker capita dalle nostre parti fa i
complimenti a Tom perché sta facendo un buon lavoro, che
fortuna!
“La prossima volta toccherà a me, vero?”
“Certo, Jenkins. Non ti piace stare in posa, vero?”
“No, professor Tucker.”
“Sopporta.”
Mi dice lui con un sorriso a cui io rispondo con una specie di ghigno.
Se ne va e io devo tornare a stare ferma come una statua
di sale o l’artista non riuscirà a disegnarmi.
Finalmente anche questa tortura arriva alla fine e mi
dirigo agli armadietti per prendere la mia borsa da cheerleader.
Mi cambio negli spogliatoi e mi faccio strapazzare per
una buona mezz’ora da Maddie. La cosa positiva è
che dopo gli allenamenti
Chris, il ragazzo che mi piace, si ferma a parlare con me.
“Ehi, Jenny! Come va?”
“Bene, Chris. E tu?”
“Benissimo, la squadra va alla grande.”
Mi risponde entusiasta.
“Sabato sera hai da fare?”
Il mio cuore salta un battito.
“No, perché?”
“Ed dà una festa e mi chiedevo se non ti andrebbe
di
venirci con me.”
“Sì, certo! Mi farebbe molto piacere.”
“Allora fatti trovare pronta alla nove e mezza che vengo
a prenderti.”
“Sai già il mio indirizzo?”
Lui scoppia a ridere.
“Sì, l’ho chiesto a Madison.”
“Perfetto, allora ci vediamo domani.”
Dico con il mio migliore sorriso.
Salgo in macchina in uno stato di grazia, non mi pesa
nemmeno la montagna di compiti o il fatto che devo cucinare anche
stasera.
Domani sarà una giornata fantastica!
Arrivo a casa e salgo in camera mia a fare i compiti: mio
padre non c’è e mio fratello sta giocando.
Butto la borsa in un angolo della camera e mi metto
comoda, abbandonando con gioia le mie scarpe
con i tacchi.
Inizio a fare i compiti, non prima di aver scritto un
messaggio a Jess, Cheryl e Madison, fino a quando devo scendere a
preparare la
cena.
Le mie amiche sono entusiaste e felici per me, mi dicono
che verranno qui domani per aiutarmi a scegliere un vestito adatto
all’occasione.
Scendo e preparo delle cotolette, poi chiamo mio padre e
mio fratello.
“Papà, domani sera sono stata invitata a una
festa, posso
andare?”
Lui alza lo sguardo dal piatto.
“Sì, sei stata molto brava questa settimana. A
patto che
tu sia a casa a mezzanotte, Jennifer.”
“Va bene.”
Mio padre è un po’ severo sugli orari, ma non mi
posso lamentare, in fondo mi
ha lasciato andare.
Finita la cena, sparecchio e lavo i piatti, poi finisco
di fare i compiti e studiare e mi guardo un film.
Uno di quelli mielosi e romantici dove i protagonisti si
amano e sparano certe frasi impossibili da sentire nella vita reale.
Sospirando me ne vado a letto, la mente già proiettata
all’appuntamento di domani.
Mi porterà dei fiori?
Mi troverà carina?
Sarà bella la festa?
Gli piacerà il vestito?
E la mia faccia da cavallo?
Forse Madison ha ragione, dovrei chiedere come regalo per
i miei diciotto anni una plastica facciale, così finalmente
anche questo
problema sarà risolto.
Sono davvero brutta, nonostante il trucco e i vestiti
alla moda.
Cerco di mettere in un angolo in cui non possano farmi
male i pensieri negativi, ma la cosa mi riesce solo parzialmente e ogni
tanto
passano come flash nella mia mente.
Alla fine, stremata da tanta attività mentale non
richiesta mi addormento in un sogno senza sogni né incubi.
Solo nero.
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Capitolo 2 *** 2)Piccole crepe nel castello di vetro. ***
2)Piccole
crepe nel castello di vetro.
La mattina dopo mi sveglio alle
undici e rinuncio a fare
colazione.
Non ci sono né mio padre né mio fratello, ho la
casa tutta
per me!
Bella storia! Non so cosa fare.
Mi metto davanti alla tv e cerco qualcosa di carino da
vedere, ma finisco per lasciar perdere presto e mi dedico al mio
piacere proibito: quelli
che Maddie chiama i terribili cereali al cioccolato.
Cerco una scatola nell’armadio e ne trovo una già
aperta
da cui traggo generose manciate, che servono ad alzare il mio umore.
In vista dell’appuntamento con Chris mi sono venute le
paranoie più terribili e ho una paura metta che non mi
voglia e che si penta di
avermi invitato fuori.
Per pranzo arrivano i due uomini di famiglia e io scaldo
le lasagne, alle due dovrebbe arrivare anche mia madre così
lascio una porzione
anche per lei.
Come al solito mangiamo in silenzio, ma questa volta non
mi pesa, non ho molto da dire o meglio cose che i ragazzi possano
capire.
Che ansia!
Verso le cinque arrivano Madison, Jess e Cheryl e
cominciano a guardare nel mio armadio, mentre io mi faccio una doccia e
mi rado
quello che è necessario.
“Avete trovato qualcosa?”
Chiedo, non appena esco.
“Sì. Questo abito rosso valentino.”
Mi mostrano un abito corto senza spalline con un nastro intrecciato in
vita.
“Non è troppo?”
“No, è perfetto.”
“Non è che farà freddo?”
“No, la festa
di Ed sarà bollente!”
Mi fa l’occhiolino Maddy, io la guardo a disagio. Non
sono mai stata una che cede al primo appuntamento, al massimo un bacio.
“Dai, Jen! Non hai ancora abbandonato le tue idee da
vecchia?”
“No.”
Rispondo con una punta di irritazione, non sono idee da vecchia, sono
le mie
idee e vorrei che fossero più rispettate. Non ho voglia di
beccarmi l’aids solo
perché per Madison devo darla al primo appuntamento.
“Su, su. Scommetto che stasera cambierai idea.”
“Io sono certa di no.”
Commento rigida.
“Grazie per l’aiuto.”
“Figurati, devi fare colpo
su Chris, sei l’unica che non ha ancora un
ragazzo.”
Maddie è la ragazza del capitano della squadra di football,
Cheryl del figlio
di un avvocato molto ricco e molto maleducato a mio parere e Jess con
un altro
giocatore di football.
Io sono da sola perché la mia faccia da cavalla non
è
molto attraente a detta di Maddie, lei non si fa problemi a criticarmi
tanto sa
che non la sfanculerò mai se voglio rimanere una popolare.
A volte è dura rimanere in cima alla piramide sociale del
liceo e a volte mi chiedo che senso abbia impegnarsi così
tanto per rimanerci,
la vita spesso ribalta quello che si costruisce al liceo: i perdenti
hanno
successo e le cheerleader finiscono a vent’anni a vivere in
una roulotte con un
bambino a carico.
“A cosa stai pensando?”
Mi chiede Maddie.
“A Chris.”
Mento io, non le farebbe piacere sentire il mio ragionamento e
rischierei il
mio posto in squadra.
Finalmente il fuhrer se ne va con le mie due amiche e io
rimango da sola a guardarmi allo specchio. Questo vestito è
bello, ma a volte
mi piacerebbe uscire semplicemente in jeans, converse e una maglia,
senza
preoccuparmi di tacchi e gonne.
Con un sospiro prendo la pochette nera che hanno scelto e
la riempio con il portafoglio, le sigarette
e un accendino, poi scendo dabbasso.
Mia madre è seduta sul divano a guardare la tv e quando
mi vede sorride.
“Stai bene, Jenny.”
“Grazie.”
“Vai a una festa con il tuo ragazzo?
Ricordo quando lo facevamo io e tuo padre, ma eravamo già
al college.
Gli anni passano alla svelta, figlia mia.”
“E a volte non ti accorgi che passano.”
Finisco io con un sussurro.
“Comunque esco con un amico che spero diventi il mio
ragazzo, ma non credo succederà. Maddie dice che questa
faccia da cavallo fa
scappare tutti.”
“Maddie a volte è molto scortese.
Tu, vai e divertiti, senza pensare a lei.”
Risponde dura mia madre.
“Jenny, sei sicura di vivere la vita che vuoi
davvero?”
“Non lo so, mamma. Molte volte me lo chiedo anche io e non
trovo risposte, a
volte mi manca semplicemente l’aria.”
“Il liceo è davvero un brutto periodo, so che sei
in cima
alla piramide, come dite voi, ma sei sicura che sia quello che vuoi
davvero?”
Io non rispondo, perché è una domanda che mi ha
spiazzata
e poi suona il campanello: deve essere Chris.
“Io devo andare, mamma.
Riposati, sembri davvero stanca.”
“Lo farò. Grazie per esserti presa cura della
famiglia
quando io non c’ero.”
“Non è quello che fanno tutte le figlie?”
“No, non tutte e ora vai.”
Mi dirigo alla porta ed esco. Chris mi aspetta appoggiato contro la sua
decappottabile rossa, i suoi capelli biondi e i suoi occhi azzurri gli
danno
l’aspetto di un angelo, ma lo è davvero?
“Ciao, Jen!
Stai benissimo con quel vestito!”
“Grazie, Chris. Anche tu sei bellissimo.”
Lui sorride compiaciuto e si alza il colletto della sua camicia azzurro
pallido.
Con gentilezza apre la portiera del passeggero e io mi accomodo,
pensando che è
davvero gentile e che la cosa mi puzza.
Non sono scema e nemmeno l’ingenua che crede Madison, so
che ama scopare le ragazze e mollarle e per fare questo sfodera tutte
le sue
armi, compresa quella di fingere di essere un bravo ragazzo.
“Hai passato bene il sabato?”
“Sì, e tu?”
“Non c’è male.”
“Com’è la festa di Ed?”
“Sarà uno sballo, si è procurato
dell’alcool e non manca mai l’erba o la coca
se vuoi divertirti sul serio.”
“Wow, fantastico.”
È questa la risposta corretta?
“Sì, una figata pazzesca. I genitori di Ed sono
degli
scemi, si fidano completamente di lui e gli fanno fare quello che
vogliono.”
Io non rispondo e mi godo il vento nei capelli, non mi piace come parla
dei
genitori del suo amico, stasera il mio disagio non se ne va. Forse per
quello
che mi ha detto Maddie, forse per la chiacchierata inizio a dubitare
che questo
sia davvero il mio posto. Forse è solo il posto dove dovrei
sentirmi sicura
perché amata e potente, ma inizio a intravvedere crepe nelle
pareti e sento che
il crollo non è tanto lontano.
Arriviamo a casa di Ed e già da qui si sente della musica
dance e si vedono persone alticce, qualcuno ha messe delle candele sul
vialetto
d’ingresso e la cosa non mi piace. Se sono così
fuori di testa adesso, chissà a
fine festa, probabilmente la casa prenderà fuoco.
Lui parcheggia, esce e mi apre la portiera, io lo
ringrazio con un sorriso e poi mano nella mano ci avviamo verso la casa.
Lui sembra perfettamente a suo agio, io invece mi guardo
attorno un po’ intimorita: ci sono un sacco di universitari e
le mie amiche
sono troppo impegnate con i loro ragazzi per poterle disturbare.
“Vado a prendere da bere, raggio di sole.”
“Sì, Chris.”
Mi metto in un angolo e aspetto tentando di battere con
il piede il ritmo della canzone dance che la radio sta suonando. Chris
arriva
poco con in mano un bicchiere pieno di liquido arancione.
“È punch corretto con… qualcosa. Non so
nemmeno io di
preciso cosa.”
“Grazie mille.”
Ne bevo un sorso, non è male.
“Buono.”
Lui mi sorride e beve il suo punch, una volta vuotati i bicchieri ci
mettiamo a
ballare e immediatamente le sue mani scendono sul mio culo. La cosa mi
dà un
po’ fastidio, ma so che la legge della piramide sociale mi
impone di lasciarlo
fare.
Dopo aver ballato beviamo un altro po’ e poi lui inizia a
baciarmi e non è come l’avevo immaginato: mi ficca
la lingua in bocca senza
dolcezza.
Io rispondo un po’ perché devo, un po’
perché l’alcool me
lo lascia fare. Finito di baciarmi ci ributtiamo in pista.
Questa è la routine della serata: ballare, bere, baciare.
È un po’ noiosa, ci mettesse un po’ di
sentimento!
Mi sento una bambolina che sta lavorandosi per avere il
premio finale, se non stasera la prossima volta che ci vedremo.
Non è una bella sensazione, ti fa sentire vuota dentro e
facilmente rimpiazzabile.
Do un’occhiata all’orologio: è un quarto
a mezzanotte.
“Chris!”
Lo chiamo, lui mi rivolge la sua attenzione visto che
stava parlando con un suo amico.
“Devo andare a casa.”
“Ma piccola, il bello inizia adesso!”
“Mio padre mi ha detto di essere a casa a
mezzanotte.”
“Non puoi fare un’eccezione per una
volta?”
“No, se voglio continuare a uscire.”
Lui sbuffa seccato e mi dà le chiavi della sua macchina.
“Va bene, ma guida tu. Io ho bevuto troppo.”
“Sta bene.”
Usciamo dalla casa – che fortunatamente non ha ancora perso
fuoco – e andiamo
verso la sua macchina, Chris canta canzoni sconce. Di minuto in minuto
il mio
interesse verso di lui scema, mi chiedo come ho fatto a sbavare per un
tale
scimmione e mi rispondo che è per la regola non scritta che
le cheerleader
devono stare con i giocatori di football.
Il mio letto non mi è
mai sembrato così accogliente come
stanotte. Mi faccio una doccia per levarmi di dosso l’odore
del fumo e dell’erba,
poi butto da lavare l’abitino rosso che ho indossato ed
infine mi metto a
letto.
Non ho bei ricordi di questa serata da ripercorrere,
Chris mentre guidavo mi ha toccato ancora e la cosa mi ha infastidito
parecchio, quindi spero di addormentarmi subito.
Complice l’alcool bevuto cado subito nelle braccia di
Morfeo, la mattina dopo ho mal di testa e c’è un
messaggio di Maddie sul
cellulare.
Imprecando lo riappoggio sul comodino, non ho voglia di
leggerlo.
Prendo un’aspirina e poi scendo ad aiutare mia madre con
il pranzo, di sicuro la mia cosiddetta amica vorrà sapere se
sono andata a
letto con Chris e non mi va di risponderle.
A volte – se devo essere onesta – nemmeno io
sopporto
Maddie, tende a impicciarsi un po’ troppo dei fatti degli
altri.
“Ti sei divertita alla festa?”
“Mh.”
“Devo prenderlo come un “no”,
Jen?”
“Come un “ni”. Ho ballato, ma Chris non
mi è piaciuto
come credevo sarebbe successo.”
“Ci sono tanti altri ragazzi…”
“Lo so, però le cheerleader devono stare con i
giocatori di football.”
“Solo se i giocatori di football piacciono a loro.”
Mi risponde serena lei.
“Lo sai che ci sono
delle tegole.”
“Jenny, queste regole valgono per il liceo non per tutta la
tua vita! Non
legarti a un ragazzo solo perché devi
o
peggio ancora andarci a letto. Potresti pentirtene e, una volta uscita
dal
liceo, essere prigioniera di una vita che non vuoi.
Lo so che il liceo sembra eterno, ma non lo è. Cerca di
vedere le cose in questa prospettiva e se alle tue amiche non piace o
non lo
accettano, forse non sono tue amiche.”
“Grazie dei consigli, a volte ho bisogno di qualcuno che
mi metta le cose nella giusta prospettiva.”
Lei mi sorride.
“Le mamme servono anche questo. C’è
qualcos’altro che
vorresti dirmi.”
“Niente di che. Sul cellulare ho un messaggio di Maddie, ma
non ho voglia di
risponderle.
Di sicuro vorrà sapere se sono andata a letto con Chris,
lei vuole che succeda, vuole che la gerarchia sia rispettata. Non
capisce le
mie idee e, a volte, penso sia fin troppo invadente.”
"Maddie non mi piace molto, ma – come ho detto –
non devi
averla per sempre nella tua vita.”
Io sorrido e la aiuto a servire il pranzo.
Dopotutto sono una brava ragazza, non sono una che se la
tira come Madison, lei odia aiutare sua madre o badare a suo fratello,
a me non
dà troppo fastidio. Lei dice che sono troppo remissiva, ma
non vedo cosa ci sia
di remissivo nel fatto che ti piace stare con la tua famiglia e non
pensi che
siano un branco di sfigati.
“Che hai fatto ieri sera, Dan?”
Chiedo a mio fratello, che si è infilato in bocca una
generosa
quantità di arrosto.
“Sono andato a un concerto dei blink, la band di Scott.
Li troveresti simpatici anche tu se solo non fossi così
presa dalla tua dannata musica dance.”
Io faccio una smorfia, pensando che Dan a quattordici
anni è nella
fase ribelle che io non ho
avuto.
“Nella band di Scott c’è anche DeLonge,
non lo sopporto.”
“Come mai?
È figo!”
“Perché è un dannato stalker! Me lo
ritrovo ovunque e non vorrei.”
“Oh, immagino che a Madison
è-una-tragedia-se-mi-spacco-un’-unghia non
piacerebbe e tu sei troppo presa a farle da lecchina per
contraddirla.”
“Non sono una lecchina.”
“E allora perché esci con Chris
McBridge?”
“Mi piace.”
“È solo un gorilla che si vanta di quante tizie
scopa,
vuoi davvero finire sulla sua lista?”
Io rimango in silenzio, meditando su quello che mi ha appena detto mio
fratello. Non voglio finire su quella lista, ma vorrei essere la sua
ragazza
ufficiale, ma ne vale la pena?
Voglio dire, la sua ex – Amanda – ha sempre avuto
un
sacco di corna e non era un mistero per nessuno. Forse Chris non
è il ragazzo
adatto a me, non più.
Devo comunque risponde a Maddie e sarà dura dirle che lui
non mi interessa più o che non ci ho fatto sesso.
L’adolescenza è un periodo
che fa davvero schifo, cristo!
Finisco di mangiare e – dopo aver aiutato mia madre a
lavare i piatti – scrivo un messaggio di risposta alla mia
cosiddetta amica.
La risposta arriva subito ed è piena di disappunto,
com’
è possibile che io non ci abbia fatto niente e che abbia
bevuto così poco?
Che noia!
Le rispondo che non ero dell’umore adatto e lei mi
risponde che sono una santarellina e devo iniziare a capire come gira
il mondo,
che esista una scala sociale da rispettare e blablabla.
Non le rispondo nemmeno e inizio a fare i compiti. Forse
esiste una scala sociale, ma la prof di letteratura se ne fotte e vuole
il suo
tema per domani, idem per il resto degli insegnanti.
Vogliono degli scritti o che tu sia preparata e mi va bene,
sono arrivata al punto di preferire concentrarmi sulla scuola che sulle
noiose
cazzate di Madison.
E se mi cacciasse dalla squadra?
Nah, per ora non ne ha motivo.
Esaurita la pila di roba che devo fare mi faccio una
doccia e poi guardo un po’ di tv con mio fratello, almeno non
mi fa sentire
giudicata.
“Jen, se vuoi un consiglio gratuito, molla quella gente.
Non sei come loro, ti sprechi a stare con loro, anzi ti insulti
proprio. Sei
molto più di una cheerleader a cui frega solo del proprio
fisico, hai qualcosa
in più: il cervello.
Mollale, finché ne hai ancora uno.”
“Ma sono mie amiche, Dan!”
“Un’amica ti capisce e ti supporta, non ti impone
le sue decisione e ti fa
sentire colpevole se non le rispetti. Madison non ha e non vuole
amiche, vuole
solo delle schiave.
Se poi ti piace vivere da schiava sono fatti tuoi, io ti
sto solo dando un consiglio, evento che non si ripeterà mai
più.”
“Grazie, Dan. Ci penserò, è tutto
così difficile.
Voglio dire, fino all’altro giorno mi andava bene la mia
vita, adesso mi sembra solo un casino senza senso, in cui non sono
quello che
voglio.”
“Stai crescendo o forse un solo appuntamento con il
gorilla ti ha aperto gli occhi.”
“Forse, è stato uno schifo.”
“Ma almeno ti ha aiutato, no?”
“Credi che sia così facile cambiare la propria
vita?”
“Se vuoi, sì.”
Io non dico nulla, sono sicura che domani a scuola tornerò a
essere la solita Jen
e dovrò sorbirmi le prediche di Madison.
Alla sera aiuto ancora mamma a cucinare e lavo i piatti,
poi guardo un po’ di tv in camera mia, il mio cellulare ha
due messaggi di
rimprovero di Maddie a cui non ho risposto e uno di Chris in cui tenta
di fare il
carino a cui ho risposto.
Finirà che gli darò una seconda
possibilità, sono una
cretina di prima categoria e un’insicura cosmica. Non ho le
palle di Daniel che
se ne frega del giudizio degli altri e si veste da skater e si ossigena
i
capelli, io ho paura di quello che la gente possa dire di me. Stare
insieme
alle cheerleader mi dà una certa sicurezza,
perché sono al posto più alto e
nessuno potrà mai darmi una sfigata.
Sono disposta ad accettare una vita che mi uccide
e una maschera che opprime piuttosto che
affrontare il baratro che mi aspetta se scendessi dalla cima.
Ho paura.
Ho una dannata paura.
Lo vedo cosa fanno i bulli ai perdenti, vedo quello che
fa Madison e preferisco essere dalla parte del carnefice piuttosto che
da
quella della vittima.
“Jennifer Jenkins, sei una codarda.”
Dico al mio riflesso nello specchio, che rimane muto.
Triste come non mai mi butto a letto e cado in un sonno
senza sogni né incubi, interrotto solo dalla sveglia che
suona come ogni
lunedì.
Mi faccio una doccia, stiro i capelli, mi metto una
maglia rossa corta e con una profonda scollatura, una mini di jeans
aderente e
un paio di ballerine rosse. Mi trucco e metto i libri nella borsa, poi
scendo a
fare colazione.
Dan mi guarda e scuote la testa, io abbasso gli occhi e
mi concentro sulla mia colazione: caffelatte e pancakes.
Finita quella salgo sulla mia macchina e mi dirigo verso
la Rancho Bernardo high school. Il sole brilla alto nel sole e
– nonostante sia
quasi ottobre – non fa ancora freddo.
Parcheggio la macchina al mio solito posto e vengo
raggiunta da Jess e Cheryl, Jess indossa un paio di jeans a vita bassa
e una
maglia a fiori che le lascia scoperto l’ombelico, i suoi
capelli scintillano di
riflessi blu, quindi deve essersi rifatta la tinta. Cheryl invece
indossa una
gonna scozzese e una camicia bianca a maniche corte e un paio di tacchi
altissimi. I suoi capelli caramello sono gli stessi di sempre.
“Come è andata la domenica, Jen?”
“Uhm, bene. Voi?”
“Nick mi ha portato alla sua villa a Orange County e sono
stata d i v i n a m
e n t e. Bagni in piscina e
tanto sole e poi beh, chiusi in camera.”
Mi fa l’occhiolino.
Ho capito tra una nuotata e l’altra Cheryl e Nick hanno scopato come ricci.
“Non sono riuscita a fare gli esercizi di matematica, me
li fai copiare, Jen?”
“Certo.”
“Sei un tesoro, Jen!”
Squittisce lei.
“E tu Jess?”
“Una noia mortale. Sono stata costretta ad andare a
trovare mia nonna all’ospizio.”
Cheryl si siede su una delle panchine e io gli passo il
quaderno di mate, guardandomi intorno.
Quando arriverà Maddie?
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Capitolo 3 *** 3)Se stai troppo vicina a fuoco alla fine ti bruci. ***
3)Se stai troppo vicina a
fuoco alla fine ti bruci.
I lunedì fanno sempre
schifo e sono persino peggiori se
sai che presto arriverà qualcuno a farti una predica. Mentre
Cheryl copia
fedelmente i miei compiti di mate, una ragazza dai lunghi capelli
biondi,
inguainata in un abito rosa fin troppo stretto avanza verso di noi con
la sua
falcata da modella: Madison.
“Ciao, ragazze. Passato un buon week-end?”
Cheryl annuisce, Jess invece grugnisce, io non rispondo.
“Tu cosa hai fatto Jen?”
“Mah, niente. I compiti, ho aiutato mia madre a cucinare, la
solita routine.”
“Ti sei persa una svendita in uno dei grandi magazzini del
centro, c’erano un
sacco di cose carinissime.”
“Non ho molti soldi in questo periodo, forse dovrei mettermi
a lavorare.”
“Lavorare?”
Lei sbarra gli occhi.
“No, tesoro. Le cheerleader non lavorano, fatti aumentare
la paghetta dai tuoi.”
Io sospiro.
“Ci proverò.”
Penso che non me la aumenteranno, perché non siamo
ricchissimi e io non ho
voglia di sprecare troppi soldi in vestiti che andranno di moda
quest’anno e
poi saranno out il prossimo. Devo fare come Coco Chanel, crearmi un mio
stile
intramontabile, ma con la macchina da cucire sono un disastro.
“A cosa stavi pensando?”
Mi chiede petulante Maddie.
“A nulla.”
“Nemmeno a Chris? È molto dispiaciuto di come sia
finito il vostro
appuntamento.”
“Lo sai che ho un orario di rientro.”
“Sei troppo remissiva e poi comunque potevate pomiciare un
pochino prima di
andarvene.”
“Lo conosco a malapena.”
“E allora? È figo!”
Decido di lasciar perdere ed entrare, DeLonge fa i suoi
soliti apprezzamenti da coglione, ma oggi non ho voglia né
di ascoltarlo né
tantomeno di rispondergli.
Sono già stanca e la prima ora non è nemmeno
iniziata,
quanto vorrei qualcuno che mi capisse!
Prendo i libri necessari ed entro nella classe di
spagnolo, pronta per il compito in classe, Cheryl si siede accanto a me.
“Ti sei divertita alla festa?”
“Ti ho chiesto Madison di chiedermelo?”
“No, volevo solo saperlo. Perché sei
così paranoica,
Jen?”
“Perché questa forma di controllo che esercita mi
dà
fastidio e soprattutto mi dà fastidio che non accetti le mie
decisioni e le mie
idee.”
Il nostro dialogo viene interrotto dall’arrivo del prof
che distribuisce i compiti, io inizio a scrivere in silenzio,
chiedendomi se
davvero posso parlare con Cheryl o è meglio che mi chiuda la
bocca perché lei
lo riferirebbe a Madison.
Finito il compito vado a fare due ore di arte, evitando
Cheryl, magari le parlerò dopo.
Oggi tocca a me disegnare Tom e lo vedo piuttosto gasato.
“Oggi per due ore sarai obbligata a guardarmi.”
“Che culo, oh!”
“Fortuna o no, oggi non puoi scappare Jen.”
“Stai zitto e non muoverti.”
Gli intimo fredda, poi inizio a disegnarlo con mio sommo dispiacere.
È un
pessimo modello, ogni tre secondi deve grattarsi quello o questo, tanto
che a
un certo punto – piuttosto spazientita – appoggio
la matita al cavalletto.
“Sentimi bene, DeLonge, se vuoi che ti disegni devi stare
fermo. FERMO.
Così non va bene, continui a muoverti e se continuerai a
farlo mi rifiuterò semplicemente di disegnare!”
Dopo la mia predica cerca di stare più fermo e in due ore
ho abbozzato un disegno almeno decente. Alla fine dell’ora il
prof passa da noi
per controllare.
“Buono anche il tuo risultato, Jenkins.”
“Non si può dire lo stesso delle
capacità di modello di Tom, si è mosso un
sacco.”
“Lo so che Tom è iperattivo, ma te la sei cavata
bene.”
Esco dall’aula e mi godo il breve intervallo, nascondendomi
nel mio luogo
segreto per fumare una sigaretta in pace. Se Madison sapesse che fumo
mi
farebbe un predica che finirebbe l’anno prossimo,
perché le cheerleader devono
avere uno stile di vita salutare ed essere un modello e bla bla bla.
Fa niente che poi si facciano tutti i ragazzi cosiddetti
fighi, esponendosi a malattie sessuali e gravidanze indesiderate, la
sigaretta
è un oggetto vietato e da biasimare.
“Ipocrisia. Non c’è
nient’altro che ipocrisia attorno a
me.”
Borbotto a bassa voce.
Rientro in classe per fare le ultime due ore di
letteratura e poi vado a mensa, Madison non fa altro che fare battutine sulle santarelline, tanto
che a un
certo punto cambio tavolo.
È un tavolo deserto, ma poco dopo Cheryl mi raggiunge.
“Sei qui per conto di Madison?”
“No, sono qui perché ti vedo strana.”
“La festa
di
sabato è stata uno schifo, lui si è ubriacato, mi
ha baciata senza un minimo di
romanticismo, mi ha palpeggiata e alla fine sono stata costretta a
guidare la
sua macchina fino a casa mia. Lui sembrava e deluso dal mio
comportamento,
forse si aspettava una scopata, ma io non scopo con gli sconosciuti
ubriachi,
anche se sono solo fighi.
Madison non è d’accordo su questo, ma io voglio un
po’ di
romanticismo, vorrei qualcuno che tenga un po’ a me come
persona e non solo
come cheerleader.
Non sono come voi e non sono come quelli che bullate, non
so cosa sono e mi sento imprigionata in una rete.”
“Madison ti sta organizzando un altro appuntamento con
Chris.”
Io sospiro finendo la mia insalata.
“Ci andrò. Così almeno
finirà questa pagliacciata.”
“Potresti perdere il posto in squadra.”
Io non dico nulla, penso a Dan e mi dico che vorrei
assomigliargli almeno un po’, il necessario per non essere
così perennemente
indecisa e spaventata.
Ormai non c’è più nulla sul mio
vassoio, quindi mi alzo
seguita da Cheryl e butto via gli avanzi, pensando che – come
i perdenti – la
mia vita faccia schifo.
Esco dalla mensa e trovo Chris che mi aspetta, un sorriso
dispiaciuto sui suoi lineamenti da bambino, un ciuffo di capelli biondi
che gli
ricade sugli occhi.
“Ehi, Jen. Come va?”
“Bene, tu?”
“Uhm, bene. Mi dispiace per sabato, ti ho fatto
trascorrere una serata non proprio carina, posso avere la
possibilità di
rimediare?”
-“È
solo un gorilla che si vanta di quante tizie scopa,
vuoi davvero finire sulla sua lista?”-
“Uhm, perché no?”
“Sono felice di sentirtelo dire. Cosa ne dici di
venerdì?”
“Va bene.”
“Vengo a prenderti alle sette, ti porto fuori a cena. A
venerdì.”
Lui si allontana e io rimango a guardarlo, domandomi se ho fatto la
cosa
giusta.
“Ti ha invitata fuori di nuovo?”
Mi chiede Cheryl, io annuisco lievemente.
“Tu cosa gli hai detto?”
“Sì, ovvio no?
Non potevo certo dirgli di no.”
“Non sembri felice.”
“No, non lo sono. Non so se ho fatto la cosa giusta, la me
stessa di qualche
giorno avrebbe fatti i salti di gioia, ma vedere come è il
vero Chris a quella
festa mi ha aperto gli occhi.”
“Il principe azzurro non esiste.”
“Non ho bisogno di un principe azzurro, solo di un ragazzo
che mi rispetti e
che mi ami.”
Lei mi regala un sorriso triste.
“Hai ragione, da un po’ di tempo non fai
più parte di
noi. Qualcosa si è svegliato in te, Maddie ti
butterà presto fuori dalla
squadra.”
“Se me l’avessero detto qualche tempo fa mi sarei
disperata, adesso non lo so, vedrò.”
Vado a seguire le lezioni del pomeriggio e quando
finiscono vado in palestra a cambiarmi in vista
dell’allenamento.
Prima che inizi vengo avvicinata da Madison.
“Ho saputo che Chris ti ha invitato fuori un’altra
volta,
vedi di dargli quello che ti chiede questa volta.”
Io non le rispondo e penso alle parole di mia madre, il
liceo non dura per sempre, nessuno mi obbliga a sottostare alla sua
dittatura.
Nessuno.
Devo solo trovare il coraggio di alzare la testa e
ribellarmi, ma sono ancora troppo spaventata e poi voglio vedere cosa
farà
Chris per il nostro appuntamento.
Chissà perché mi ha chiesto di uscire
un’altra volta?
Sabato mi sembrava scazzato da morire, perché non si
cerca una ragazza più carina e più disponibile?
Forse perché per lui rappresento una sfida, una ragazza
difficile da portarsi a letto e per cui bisogna impegnarsi. Non vedo
altra
spiegazione, quel gorilla è troppo impegnato a farsi
qualsiasi cosa che respiri
per pensare a una relazione seria.
Come ho fatto a pensare che potesse innamorarsi di me?
Dovevo avere due salami interi sugli occhi, come si dice?
Non c’è peggior schiavo di quello che non sa di
essere
schiavo.
Ah, la saggezza popolare ogni tanto ci azzecca.
L’allenamento a cui ci sottopone Hitler oggi è
massacrante, quando finalmente ci permette di andare a casa mi fanno
male tutte
le ossa e non vedo l’ora di farmi una doccia nel mio piccolo
bagno privato che
ho in camera.
Arrivo a casa, parcheggio, saluto la mia famiglia e mollo
la roba di scuola in camera, poi finalmente mi faccio una doccia.
Il calore e lo scorrere dell’acqua mi sciolgono un
po’i
muscoli e alleviano il dolore, uscita mi sento meglio o quantomeno
pronta per
affrontare i compiti, che – per fortuna – non sono
molti.
Sul cell c’è un messaggio di Maddie che ignoro,
immagino
mi darà dei consigli per “accontentare”
Chris, peccato che non sia quello che
voglia io.
Io ho altri
progetti.
Venerdì arriva con una
lentezza esasperante e io sono
stretta tra l’incudine e il martello, da una parte
c’è Madison che mi pressa
perché ci stia con Chris, dall’altra
c’è Tom che continua a provarci con me.
Basta!
Vorrei trascorrere una settimana da fantasma per
disintossicarmi da tutta questa attenzione non voluta. Mi sento come un
burattino con due burattinai che tirano uno da una parte, uno
dall’altra.
In ogni caso è finalmente arrivato l’ultimo
allenamento
della settimana e io posso tirare un sospiro di sollievo, scappo via
non appena
Maddie dà il segnale. Immagino che lei voglia parlarmi, ma
io non voglio
ascoltarla, ne ho le scatole piene. Adesso capisco alla perfezione
perché la
chiamino troia e – pur essendo una mia quasi amica
– devo ammettere che hanno
ragione.
Non fa altro che parlare di ragazzi e di quello che ci ha
fatto, io ogni volta mi trattengo dal dirle che – se non si
dà una calmata –
presto si ritroverà incinta o con l’aids.
Arrivata a casa mia, invece di entrare, decido di fare
una passeggiata nel parco che c’è lì
vicino. Ho bisogno di pace e silenzio.
Tanto silenzio.
Salgo su un’altalena lasciata libera dai bambini e inizio
a spingermi, cercando di non pensare a nulla, a concentrarmi su quello
che
vedo. L’azzurro limpido di un cielo autunnale, attraversato
solo a tratti da
nuvole dorate e da qualche uccellino, sui colori delle foglie, sul
verde acceso
del prato.
Lentamente sento la mia mente svuotarsi e riempirsi di
tutta la meraviglia che provoca la scoperta delle piccole cose.
Ora sì che mi sento meglio!
Con un salto agile e aggraziato scendo dall’altalena e
vado a casa mia, dentro c’è un buon odorino: mamma
sta cucinando e io non
mangerò nulla delle sue pietanze.
Salgo al piano di sopra e mi faccio subito una doccia,
radendomi più per la forza dell’abitudine che per
la voglia di fare qualcosa
dopo la cena con Chris.
Mi metto un tubino nero molto accollato, mi trucco
leggermente e metto qualche gioiello, poi scendo al piano di sotto e
guardo un
po’ di tv mentre la mia famiglia mangia.
Alle sette precise suona il campanello, io mi metto un
paio di scarpe a tacco alto e la mia giacca e li saluto ricevendo
borbottii
indistinti.
Chris mi sta aspettando appoggiato negligentemente alla
macchina, con il suo solito ciuffo e vestito elegantemente.
“Buonasera, Jennifer. Stai benissimo vestita
così.”
“Anche tu.”
Mi apre di nuovo la portiera e poi sale al posto del
guidatore e partiamo.
“Dove mi porti di bello?”
“In un posto che spero ti piaccia.”
Mi risponde lui con un sorriso disarmante.
“Oh, sono sicura che sarà un bel posto.”
Rispondo io con un sorriso falsissimo.
No, non c’è attesa, non c’è
elettricità o desiderio di
stare con lui; solo voglia di finirla alla svelta.
Si ferma in una pizzeria molto carina sul mare, dove ci
riservato un tavolo che dà sulla baia: maledettamante
romantico. Si vedono le luci
della città e delle navi.
“Ti piace?”
“Molto.”
Lui mi sorride
“Fanno un’ottima pizza.”
“Non vedo l’ora di assaggiarla.”
Una cameriera ci porta due menù e regala un sorrisone a
Chris, lui ricambia, ma
la cosa non mi turba. È come se non ci fossi io a questo
appuntamento, ma
qualcun altro.
Inizio a consultare il menù tanto per fare qualcosa, so
già che prenderò una margherita, la
più leggera, adatta a una cheerleader.
Una decina di minuti dopo la cameriera è di ritorno e fa
di nuovo gli occhi dolci a Chris, che li ricambia apertamente. E per
fortuna
eravamo partiti con il piede sbagliato alla festa di Ed!
Visto il silenzio che si è creato tra di noi inizia a
parlare degli allenamenti, della squadra e delle loro
possibilità di successo.
Io lo ascolto fingendomi interessata, almeno non devo parlare
perché altrimenti
finirei per chiedergli se una volta si è mai sentito preso
in giro da questa
gerarchia sociale del liceo.
Lui non capirebbe, lui sa di essere al vertice e ci sta
bene, senza farsi troppe domande. Fa quello che gli piace, ha le
ragazze che
vuole e quando andrà al college continuerà a
giocare più che a prestare
attenzione alle lezioni nella speranza di essere notato e diventare
famoso e
pagato.
Non ha tempo e forse nemmeno la struttura mentale per
pensare che tutto questo è solo una gabbia.
Arrivano le pizze e lui si getta sulla sua dopo avermi
augurato “buon appetito”, devo ammettere che ha
scelto una buona pizzeria: il
cibo è davvero buono.
Io mi gusto la mia con lentezza, ovviamente non ordino il
dolce e non rubo un po’ del suo. Una cheerleader non ordina
mai dolci.
“È stata una bella cena, non è
vero?”
“Sì, molto bella.”
No, una rottura di palle su di te, la tua squadra e il
tuo cazzo di futuro di cui io non farò parte, grazie a Dio.
“Che facciamo adesso?”
Gli chiedo.
“Mh, una passeggiata.”
Ci alziamo e lui paga per me, la cosa mi infastidisce un po’
perché so che
nella sua ottica, ora gli devo qualcosa.
Usciamo nel locale e ci incamminiamo lungo la marina, io
presto più attenzione al cielo in cui sono sorte le prime
stelle e la luna, al
mare che si infrange in onde calme lungo la spiaggia e alle bancarelle.
Lui non prova a prendermi per mano, ma ha un ghigno che
non mi piace: uno di quelli di uno che pensa di essersi meritato
qualcosa. La
mia verginità, in questo caso, ma io non cederò.
Io non voglio che la mia prima volta sia con lui, Dan ha
ragione: è solo un gorilla, niente di più e io
voglio qualcosa di diverso per
me. Adesso ne ho la certezza.
Mi infilo in parecchi negozi e compro qualcosa tanto per
tirare l’orario a cui deve portarmi a casa, per un
po’ me lo lascia fare e
penso di essere al sicuro. La mia sicurezza
inizia a vacillare quando mi trascina in un vicolo buio
tra la spiaggia
e il lungomare.
Faccio per protestare, ma lui mi ficca prepotentemente la
lingua in bocca, io mi dimeno un po’, lui prende i miei polsi
e li stringe
portandoli sopra la mia testa.
“Ti ho pagato il ristorante e le stronzate che hai
comprato, puttana. Una scopata me la devi.”
Io cerco di dimenarmi ancora di più e lui mi tira un
violento ceffone e mi
rificca la lingua in bocca per evitare che io urli, intanto con una
mano mi
strizza un seno.
Inizio lentamente a piangere.
“Sì, piangi. Amo le puttane che piangono mentre le
fotto!”
Con poca gentilezza mi strizza ancora le tette e prova a
baciarle, ma io urlo e lui è costretto a darmi
un’altra sberla. Vorrebbe
togliermi le mutande, ma non ci riesce così si toglie la
cintura, i pantaloni e
i boxer prima. Tenta di nuovo di baciarmi le tette, ma io urlo.
La prima cinghiata mi arriva dritta in pancia,
istintivamente mi volto e il resto dei colpi lo ricevo sulla schiena,
non si
ferma fino a che non sento un liquido caldo sulle pelle.
Sangue.
Con un’ultima manovra mi strappa le mutandine e sta per
violentarmi del tutto quando qualcuno me lo toglie di dosso.
Istintivamente mi
abbasso il vestito e cerco di coprirmi i seni.
Sento dei rumori di lotta e poi vedo il volto del mio
salvatore:Tom.
Senza dirmi niente mi dà la sua felpa e mi prende in
braccio, io gli sussurro le indicazione per dove ho lasciato la
macchina come
un trance.
Trovata, mi mette sul sedile passeggeri e si mette alla
guida. Mi porta a casa e non mi viene nemmeno in mente di chiedergli
come sappia il
mio indirizzo.
Arriviamo a casa mia e lui mi prende di nuovo in braccio
e suona il campanello, apre mia madre e urla non appena mi vede.
Mio padre e mio fratello accorrono.
“Chi è stato?”
Chiede duro il primo, in quanto a Dan corre fuori, prende una mazza da
baseball
dal garage e poi la mia macchina. I miei sono talmente scioccati che
non
tentano nemmeno di fermarlo, lo guardano e basta
“Chi è stato?”
Chiede di nuovo mio padre.
“Chris McBridge. Tom mi ha salvato, ha impedito
che…”
Mormoro io con un filo di voce.
“Il figlio dell’avvocato?”
“Sì, mi ha frustato sulla schiena. Fa
male.”
I miei e Tom si guardano sconvolti.
“Grazie, ragazzo. Adesso è meglio che tu vada a
casa, Jen
deve risposare.”
“Sì, signore. Posso chiamare domani per sapere
come sta?”
“Sì, certo.”
“Allora, arrivederci.”
Tom se ne va e mio padre chiude la porta.
“Domani parlerò a suo padre, ti prenditi cura di
Jen.”
Mia madre mi porta in bagno e poi va a prendere dei
vestiti e della biancheria puliti. Io mi tolgo lentamente il vestito,
lei urla
quando vede i segni delle frustate, facendo accorrere di nuovo mio
padre.
“Io lo denuncio.”
“Sì, tesoro. Ma adesso esci, Jenny si deve
cambiare.”
Mi cambio e poi mi butto a letto, a pancia in giù
sperando che tutto questo sia solo un incubo.
Un fottuto incubo di quelli che ti gelano la mattina alzata.
È la realtà.
La dura, fottuta e schifosa e realtà.
Il dolore pulsante alla schiena me lo ricorda ogni
minuto, ogni secondo.
Ho voluto giocare con il fuoco e mi sono bruciata.
Inizio a piangere silenziosamente. Non voglio più fare
parte dei popolari, non voglio più fare parte di nessuno
gruppo, voglio solo
sparire.
Sparire insieme al dolore che mi porto dentro.
Lacrima dopo lacrima cado finalmente tra le braccia di
Morfeo.
Angolo di Layla.
Mi piacerebbe ricevere qualche
recensione.
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Capitolo 4 *** 4)Fuori dalla commedia: la discesa della scala ridà ossigeno. ***
4)Fuori
dalla commedia: la discesa della scala ridà ossigeno.
Ci sono certe mattine dopo che
sono difficili da gestire,
questa è una di queste.
Mi fanno male tutte le ossa, sebbene mi sia appena alzata,
e mi sento come se la mia anima fosse stata strappata via dal corpo e
fluttuasse da qualche parte sopra quello schifoso vicolo.
Guardo il cellulare e noto che è pieno di messaggi di
Chris e Madison, lo spengo disgustata, non voglio più avere
a che fare con quei
due.
Non li voglio vedere mai più.
Con difficoltà scendo dal letto e mi faccio una lunga
doccia, sperando che mi tolga di dosso la sensazione di schifo che
provo,
fallisco miseramente.
Mi metto una felpa molto larga e i pantaloni di una tuta,
poi scendo dabbasso. Mia madre è in cucina, mio padre e Dan
sono seduti davanti
alla tv.
“Come stai?”
Mi chiede mio fratello.
“Di merda.”
Poi lo guardo meglio: ha un occhio nero e qualche taglio
sul volto.
Ricordo vagamente che ieri sera è partito con una mazza
da baseball, presumibilmente per spaccarla in testa allo stronzo.
“Cosa ti è successo?”
“Lo stronzo era con i suoi amici, non ci ha messo molto a
togliermi la mazza e
pestarmi.”
Io stringo i pugni, altra rabbia si aggiunge a quella che
già provo, come ha
osato picchiare mio fratello dopo quello che mi ha fatto?
“Ho parlato con suo padre.”
Interviene mio padre.
“Non mi crede.”
Lo vedo amareggiato, per la prima volta in vita sua sta
sperimentando il sapore amaro della sconfitta.
“Papà, posso cambiare numero?
Continua a mandarmi messaggi.”
“Va bene, domani ci prendiamo tutti una vacanza e andiamo a
cambiare il tuo
numero. Come si permette di chiamarti?”
“Non mi chiama, mi manda messaggi.”
“È lo stesso. Che verme!
Piccola, mi dispiace che tu debba sopportare tutto questo,
non te lo meriti, lui sembrava tanto un bravo ragazzo.”
Io non dico nulla.
“Domani sto a casa anche io?”
Chiede Dan.
“Sì, a meno che tu non voglia andare a scuola con
un
occhio nero.”
“Sto a casa, anche se prima o poi quel bastardo lo becco
e lo sistemo.”
Risponde feroce.
“Sì, così poi suo padre ti
denuncia…”
“Non vuoi fargliela pagare, Jen?”
“Sì, ma non voglio che tu ti metta nei guai per
uno del
genere.
Dan, è solo un dannato figlio di papà, fa le
peggio cose
perché sa che suo padre lo copre. Se lo picchiassi sarebbe
capace di andare a
piangere da lui e fare la vittima.”
Mio fratello dà un pugno a un cuscino, frustrato.
“È pronto.”
Annuncia mia madre, ha preparato le lasagne – il mio piatto
preferito – e io le
sorrido debolmente.
“Grazie.”
“E di cosa? È il minimo.
Potessi fare qualcos’altro! Suo padre non ci crede
minimamente, dice che sicuramente tu lo hai istigato.”
Io ricaccio indietro le lacrime pensando al vestito – ora
distrutto – che
indossavo e mi dico che non istigava a nulla, era solo un vestito
carino, né
troppo corto né troppo scollato.
“Pezzo di merda.”
Sussurro a bassa voce, probabilmente mi sentono tutti, ma decidono di
soprassedere sulla parolaccia.
“Non gli credere, tesoro. Il tuo vestito era
normale.”
“Domani mi faccio i capelli blu.”
“Cosa?”
“Odio questo biondo, odio i miei vecchi vestiti, la mia
vecchia vita. Tutto.
Voglio cambiare e voglio che la gente se ne accorga,
voglio che le mie cosiddette amiche mi girino al largo, soprattutto
Madison.
Non voglio più vederla.”
Mia madre mi guarda scossa.
“Va bene.”
Mangiamo in silenzio, poi salgo di nuovo in camera mia e mi butto a
letto. Mi
addormento subito, ma i miei sogni sono tormentati da quello che
è successo.
Verso le quattro del pomeriggio suona il telefono,
risponde mia madre e mi dice che è Tom.
“Ehi, Jen. Come stai?”
“Come vuoi che stia? Di merda.
Per di più lo stronzo ha pestato anche mio fratello, mio
padre è andato a parlare con il suo e non gli ha creduto.
Dice che sono io che
l’ho provocato.”
“Ah, mi dispiace. Se ti serve qualcosa fammi sapere, Dan ha
il mio numero.
Ci vediamo domani a scuola.”
“Non ci sarò.”
“Allora ci vedremo quando verrai.”
“Va bene, ciao.”
“Ciao, Jen. Cerca di riprenderti.”
Alla sera facciamo arrivare la pizza e poi io filo di
nuovo a letto, dopo aver bevuto un po’ di acqua e valeriana,
sperando che
attenui i miei incubi.
Non sono mai stata una fan dei rimedi naturali, ma
qualcosa fanno perché almeno la mattina dopo non mi ricordo
cosa ho sognato.
Alle dieci siamo tutti in cucina a fare colazione, anche
mia madre ha deciso di non andare al lavoro.
“Non c’era bisogno che anche tu stessi a
casa.”
Dico sorridendo a mia madre, lei mi abbraccia.
“Invece sì, non me la sentivo di lasciarti da
sola, mi
sento una pessima madre.”
“Non l’hai cresciuto tu il bastardo.”
Lei sorride.
Alle dieci e mezza usciamo tutti di casa, come prima
tappa andiamo in un centro per cellulari. Spiego a un commesso gentile
che ho
bisogno di cambiare numero senza cambiare operatore, lui mi porge una
nuova
carta sim spiegandomi che entro pochi giorni sarà attiva e
potrò telefonare e
ricevere chiamate.
Io lo ringrazio, una volta arrivata a casa mi segnerò i
numeri necessari da mettere nella nuova rubrica.
La seconda tappa è il centro commerciale, visitiamo
diversi negozi e io prendo diversi che rispecchiano la mia nuova
personalità:
un po’ da punk, un po’ da skater.
Ci sono magliette un po’ lunghe e larghe, jeans
più
larghi, cose di pelle, mini scozzesi con spille, jeans stretti e
pantaloni
stretti a fantasia scozzese.
Ovviamente non possono mancare le scarpe da tennis (all
stars e etnies) e gli anfibi.
Adesso mi sento davvero nuova, ho già discusso con mia
madre di cosa fare dei miei vecchi abiti: li venderemo al mercato
dell’usato
della prima domenica del mese.
L’ultima tappa è la parrucchiera. Fortunatamente
ne
troviamo una aperta.
“Buongiorno, bellezza. Cosa vuoi che faccia ai tuoi
splendidi capelli?”
“Me li dipinga di blu.”
“Cosa?”
“Me li dipinga di blu e già che
c’è rasi una parte vicino
all’orecchio.”
Lei mi guarda incredula, ma alla fine prepara la tintura e la stende
sui miei
capelli, io aspetto pazientemente che prenda pensando alla faccia che
farà
Madison.
Dio, non vedo l’ora di dirle che mollo la sua stupida
squadra di cheerleader!
Dopo aver fatto lo shampoo lo specchio mi restituisce
l’immagina di una ragazza con la faccia cavallina e i capelli
di un bel blu
elettrico.
Quasi a malincuore la donna rasa i miei capelli vicino
all’orecchio destro e accorcia tutto il resto della
capigliatura da quella
parte, lasciando che un folto ciuffo mi attraversi la fronte di sbieco.
Lei ferma il tutto con la lacca e mi guarda critica.
“Sembri una di quelle ragazzine punk.”
“È esattamente ciò che voglio
sembrare.”
Rispondo sicura, pagandola.
Mia madre sgrana gli occhi quando mi vede, ma poi
sorride.
“È strano, ma ti sta bene.”
“Grazie, mamma. Non vedo l’ora che mi buttino fuori
dalla squadra.”
Rispondo con uno strano sorriso.
“Tesoro, sei sicura di stare bene?”
“Non lo so, ma ho un bisogno terribile di creare una distanza
tra la vecchia me
e la nuova me, non voglio che un altro scimmione si approfitti di nuovo
di me.”
“Ma le tue amicizie?”
La testa mi gira per un attimo, pensando allo sguardo di
disapprovazione di
Madison e Jess, forse solo Cheryl capirebbe.
“Forse è tempo di cambiare amicizie.”
Rispondo sibillina.
“È grazie alla testardaggine di Madison nel
combinarmi un
appuntamento con Chris che sono qui adesso, con dei ricordi che pesano
come
macigni nella mia testa e il bisogno profondo di crearmi
un’armatura.”
Mia madre non dice nulla, non credo ci sia nulla da dire,
ho già detto tutto io.
Il giorno dopo è la
prova del fuoco.
Alla mattina mi limito a piastrare i miei capelli, poi
decido di indossare i pantaloni scozzesi stretti, una maglia nera e una
felpa dello
stesso colore.
Quando scendo mio fratello alza il pollice in segno di
approvazione, io gli sorrido. Faccio colazione, prendo la borsa, mi
metto i
miei nuovi anfibi e una giacca di pelle.
Entro in macchina e scaravento la borsa sul sedile
posteriore e infilo nella radio della mia macchina una cassetta dei
blink che
Dan mi ha consigliato di ascoltare.
Riesco a sentire giusto tre canzoni prima di arrivare
alla Rancho Bernardo High School, parcheggio ed esco dalla macchina a
testa
alta. Tutti mi guardano sorpresi.
Solo Cheryl mi saluta normalmente, Jess e Madison mi
guardano orripilante.
“Ma che hai fatto?
Sei impazzita?”
“No, sono rinsavita.
Per colpa tua e della tua testardaggine quella bestia mi
ha quasi violentata, non voglio più avere niente a che fare
con te e con questa
commedia dell’essere popolari.
Mollo.
Ho altro da fare nella mia vita, cercati un’altra
cheerleader, un’altra vittima, un’altra finta amica.
Addio.
Ah, un’ultima cosa… Di’ a Chris che sono
molto
dispiaciuta che mio fratello non gli abbia spaccato la faccia, ma forse
potrei
pensarci io in futuro.
Addio, Madison.”
“Se esci sul serio dalla squadra ti renderò la
vita un inferno.”
Io mi avvicino e la guardo in quegli occhi azzurri, falsi.
“Non ti conviene, potrei diffondere un bel po’ di
materiale,
come dire, porno su di te. Sai,
quelle
cassette che giri quando ti fai quella bestia di ragazzo che hai,
potrei
procurarmele e diffonderle.”
“Non lo faresti mai.”
“Ti sbagli. Tu e lui mi avete distrutta, ma io sono rinata
più forte. Ora sono
una fenice.”
Mi allontano e solo Cheryl mi segue.
“Non ti conviene stare con me, sono ufficialmente una
perdente.”
“Oh, chi se ne frega! Sei una mia amica!
E poi ti invidio per il coraggio che hai tirato fuori
davanti a Madison! Questi capelli sono una meraviglia, quasi quasi
cambio
colore anche io. Questo caramello da ragazza perbene mi ha stufato, che
ne dici
di un bel rosso?”
“Ti starebbe benissimo.”
Entriamo chiacchierando di cazzate ed evitando l’argomento
McBridge, sulla
porta c’è Tom come al solito, ma quando mi vede
sgrana gli occhi.
“Jen, stia benissimo!”
“Grazie, Tom.
Vi conoscete già, vero?”
Cheryl annuisce.
“Abbiamo mate insieme, entriamo?
Se vuoi a pranzo potrai conoscere il resto della
compagnia.”
“Credo di conoscerli già. David Kennedy, Josie
Campbell,
Peggy Sue Smith e Andrew Marciano.”
Lui ride.
“Ti sei dimenticata Luke Martin.”
“Frequenta ancora?
Pensavo si fosse ritirato, visto che è un po’ che
non lo
vedo.”
“Dovrebbe tornare oggi, gli piaceranno i tuoi nuovi
capelli.”
“Per forza, sono blu come i suoi.”
Commento sorridendo.
“David è davvero un ragazzo carino.”
“Uhm, sì.”
“Oggi, se vuoi, potrai conoscerlo.”
“Non sarebbe male, da adesso in poi sono single.”
“E il tuo ragazzo?”
“Si faceva un’altra e l’ho mollato,
Madison non è molto
felice nemmeno di questo.”
Io sbuffo.
“Inizia a stare stretta anche te la piramide
sociale?”
Chiedo alla mia amica.
“Sì. Sono stanca dell’ipocrisia e di
tutto il resto e
voglio vedere se tra i cosiddetti perdenti troverò persone
vere e non gente
falsa.”
“Siete le due cheerleader più strane che io abbia
mai conosciuto.”
Io e Cheryl scoppiamo a ridere all’esclamazione di Tom.
“Tom, la cima della piramide sociale non è bella
come ti
fanno credere.
È fatta di sorrisi di plastica, di regole, convenzioni.
È
soffocante.
Qualcuno se ne accorge e poi scappa a un certo punto,
altri amano essere in carenza di ossigeno.”
Detto questo entriamo nell’aula di mate, la professoressa
guarda con aria di
biasimo i miei capelli, io le rivolgo il più smagliante dei
miei sorrisi.
La campanella suona e la lezione inizia, per la prima
volta mi rendo conto di come sia piacevole prendere appunti per fatti
tuoi,
senza doverli poi passare a qualcun altro.
L’argomento non è tra i miei preferiti, ma non
importa, è
un inizio e va bene così.
Il resto delle lezioni trascorre tranquillamente, se si
escludono le occhiate velenose di Maddie e Jess e i pettegolezzi che
suscita il
fatto che io mi sia schierata contro le popolari. Non credo sia
successo a
memoria d’uomo che una sfidasse apertamente la cheerleader
bulla del liceo, per
la maggior parte della gente devo essere una specie di miracolo
ambulante.
Finalmente suona la campanella del pranzo.
“Tu cosa fai, Cheryl?
Vieni con me o vai da Jess e Maddie?”
Un’espressione di disgusto le si dipinge sul suo bel viso.
“No, vengo con voi, non ho voglia di vederle. Di sicuro
mi diranno che ai ragazzi come il mio ex i tradimenti si perdonano, etc.
Sì, come no.”
Risponde con una punta di rabbia.
Siamo a due, la rivoluzione è appena iniziata e non si
fermerà.
Leggermente in apprensione attraverso la mensa per
raggiungere il tavolo degli amici di Tom, sento gli occhi
dell’intera scuola su
di me, soprattutto quelli critici e malevoli delle mie due ex amiche e
della
bestia.
Con una disinvoltura che non ho mi siedo al tavolo, anche
i ragazzi presenti sono sorpresi.
“Piacere, io sono Jen Jenkins.”
“Sappiamo chi sei, l’intera scuola parla di
te.”
Mi risponde una ragazza con i capelli biondi.
“Io sono Cheryl Waters.”
“Io sono Anne Hoppus.”
Mi risponde la bionda.
“Lui è David Kennedy.”
Mi dice indicando il ragazzo alla sua destra, ha i capelli biondo scuri
leggermente lunghi.
“Lui invece è Luke Martin.”
È il ragazzo alla sua sinistra e ha degli scompigliati
capelli blu elettrico.
“Lei è Peggy Sue Smith.”
Una ragazza dai capelli viola alza una mano in segno di saluto.
“Lei è Josie Campbell.”
Una ragazza dai capelli castani mi sorride.
“Lui invece è Andrew Marciano.”
Un ragazzo con la testa rasata e il pizzetto alza svogliato una mano.
“Cosa ci fai con quelli come noi, principessa?”
Mi chiede.
“Mi sono stufata dei miei cosiddetti amici.”
“Ho sentito che Chris McBridge non è stato
particolarmente carino con te, è per
questo?”
“Anche.
Se per te è un problema che io stia qui me ne
vado.”
Rispondo piatta.“Nessun problema, sono
solo curioso. Tutta
la scuola lo è.”
“Lo immaginavo. Diciamo che Chris McBridge non è
stato affatto carino con me,
per usare un eufemismo e Maddie e Jess si sono schierate dalla sua
parte.
Sinceramente non credo che sia così che si debbano
comportare due amiche e lì ho capito tutto, quelle due non
erano mai state mie
amiche. Ero stanca di ingraziarmele solo per stare in cima alla stupida
piramide sociale del liceo, la vita là fuori è
diversa da quella di questo
stupido microcosmo e me ne sono andata. Tom mi ha dato una mano e mi ha
proposto di farmi conoscere i suoi amici.”
“E tu hai accettato.”
Finisce Anne.
“Sei conscia che non sarai mai più una cheerleader?
Prima Madison e Jess stavano scrivendo un bando per le
selezioni.”
Io alzo le spalle.
“Non sono stata cacciata, me ne sono andata io, di mia spontanea volontà. Non
mi importa
di quello che faranno, sapevo che mi avrebbero sostituita: tutti sono
inutili,
nessuno è indispensabile.”
Le ragazze mi guardano stupite, come se ancora non
credessero alle mie parole e al mio comportamento, solo Cheryl e Tom
sanno
tutta la verità.
In ogni caso senza una ragione precisa decidiamo di
iniziare a mangiare e di mettere da parte ogni conversazione. Su di me
non c’è
più molto da dire ormai, devo solo sperare che mi accettino
e dimentichino
tutte le cattiverie che sono stata obbligata a fare.
“E tu come mai sei qui?”
Chiede Peggy Sue a Cheryl.
“Ho mollato il mio ragazzo e a Madison non è
andata giù.
Odio chi si impiccia nella mia vita senza che qualcuno glielo abbia
chiesto.”
Soppesano la risposta e poi decidono che gli va bene.
Finiamo di mangiare e poi ci dividiamo per andare nelle
nostre classi, Madison e Jess ci lanciano sguardi di puro disprezzo,
come se
fossimo una specie di insetti rivoltanti.
“Jen, Cheryl.”
Ci chiama Anne.
“Io e le ragazze ci troviamo da Sombrero dopo la scuola
per una chiacchierata, volete venire anche voi?”
Io annuisco.
“Vengo volentieri, penso di avere un po’
più di tempo
libero adesso.”
“Sì, vengo anche io.”
Risponde decisa Cheryl, poi salutiamo Anne e ci dirigiamo nelle nostre
rispettive classi: chimica e fisica.
Come inizio di una nuova vita non è stato male, mi dico
sorridendo.
Sì, penso che vivrò meglio così.
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Capitolo 5 *** 5)E siamo a due: la rivoluzione continua. ***
5)E siamo a due:
la rivoluzione continua.
Fino a qualche giorno fa dopo la
campanella che segnava
la fine delle lezioni pomeridiane correvo in palestra pronta a farmi
massacrare
da un allenamento di quella che consideravo un’amica, oggi
non è così.
Oggi posso uscire con tutti gli altri e fregarmene di
stare a dieta, io e Cheryl
seguiamo la
macchina di Anne fino a un ristorante messicano, poi parcheggiamo e
scendiamo
dall’auto chiacchierando tra di noi, curiose su cosa ci
chiederanno.
Entriamo nel locale, il titolare saluta amichevolmente
Anne e le altre ragazze, sembra conoscerle molto bene, forse
perché ci vengono
spesso.
Ci sediamo a un tavolo e io mi immergo subito nella
lettura del menù per non dover rispondere subito alla
domanda che so che mi
faranno
Perché hai mollato le cheerleader per andare con i più sfigati del
liceo? Sei pazza?
No, hanno solo appena tentato di violentarmi.
Alla fine scelgo la cosa meno piccante – non amo i cibi
eccessivamente
speziati, mi fanno stare male – e lo dico a una cameriera
sorridente.
“Allora, Jenkins, cosa ci fai qui con noi?”
“Mangio cibo messicano, no?”
Rispondo io con il mio sorriso più candido, ben sapendo che
non inganno
nessuno, soprattutto Anne. Lei non ha fatto che studiarmi e questo mi
mette a
disagio: mi sento come un insetto sotto il microscopio di uno
scienziato.
Che poi, gli insetti provano emozioni?
Che domanda del cazzo mi è venuta in mente, tutto pur di
evitare di rispondere.
“Dai, non prenderci in giro! Fino a settimana scorsa eri
pappa e ciccia con Madison e Jess, poi ieri non sei venuta e oggi ti
presenti
vestita come una punk e truccata come una goth.”
Io la guardo truce, con rabbia mi strucco davanti a lei e tutti i
lividi
vengono alla luce, lei mi guarda spaventata.
“Cosa ti è successo?”
“Chris McBridge voleva scopare e non ha accettato un
“No”
come risposta, Tom è intervenuto e mi ha salvato.”
Dico laconica, le tre ragazze tacciono.
“Chris dice il contrario, dice che sei stata felice di
essere stata sbattuta da lui.”
Io rido senza la minima allegria.
“Cosa credevi che dicesse, Anne?
Persino mio fratello a quattordici anni ha capito che è
uno scimmione senza cervello e, tra parentesi, Daniel ha tentato di
pestarlo e
lui gli ha scatenato addosso i suoi amici.”
Rispondo rabbiosa, pensando che anche mio fratello si
porta addosso dei lividi per colpa sua. L’arrivo della
cameriera impedisce che
la conversazione continui, mentre mangiamo non vola una mosca. Anne
continua
studiarmi, se non la smette me ne vado a casa e aiuto Cheryl a cambiare
colore
ai capelli!
“La smetti?”
Le chiedo seccata.
“Di fare cosa?”
“Di fissarmi come se fossi una cosa da studiare, sono un
essere umano, non una
cavia!”
Sbotto, lei arrossisce.
“Scusa, non l’ho fatto a posta, è che
è tutto davvero
strano. Sul serio, non credo che in tutta la storia della Rancho
Bernardo high
school qualcuno abbia sfanculato e minacciato una cheerleader per
passare dalla
parte dei perdenti.”
“Beh, abituati ai miracoli, perché a me non piace
essere fissata così.”
La frase mi esce più brusca di quello che vorrei.
“Ok.”
Ritorniamo a mangiare in silenzio.
“Cosa avete intenzione di fare?”
Chiede Cheryl.
“Io devo fare una ricerca di biologia con un gruppo,
quindi me ne vado.
Ci vediamo domani a scuola.”
Peggy Sue si alza, prende la sua borsa e con grazia lascia il locale.
“Sembra una dannata ballerina.”
Mi lascio scappare.
“Cosa vuoi dire?”
“I suoi gesti, come si muove mi ricordano quelli di una
ballerina, si muove con una tale grazia.”
“Ha studiato danza per tanti anni, spinta da sua madre
– una che voleva
diventare ballerina e non ci è mai riuscita – era
arrivata abbastanza in alto,
poi ha mollato.”
“Come mai?”
“Non le piaceva quella vita, fatta di continui
spostamenti da una città all’altra, allenamenti
massacranti. Era stufa di
vedere sanguinare i suoi piedi, ha detto una volta.
La madre non l’ha presa bene, la tiene in casa solo
perché deve, ma quando finirà il liceo la
butterà in mezzo a una strada senza
farsi troppi pensieri: la odia.”
“Capisco, voi due
cosa fate?”
“Io devo vedere Mark, il mio ragazzo. Tu, Anne?”
“Nulla.”
“Voglio cambiare il colore dei miei capelli da caramello a
rosso, mi daresti
una mano?”
Le chiede gentile Cheryl, Anne annuisce e anche noi
quattro usciamo dal locale: la prossima volta è un negozio
che vende roba per
parrucchiere a prezzi stracciati.
L’ho scovato quando dovevo tingermi i capelli e non
potevo permettermi di andare al parrucchiere una volta al mese, sono
diventata
bravina con le tinte.
Parcheggiamo tutti e tre ed entriamo nel grande negozio,
la ragazza mi saluta.
“Bel cambio, Jen. Ti sta bene.”
“Grazie, Ally.”
“Cosa cerchi oggi?”
“Qualcosa di rosso per la mia amica.”
Indico Cheryl.
“Terzo scaffale a destra:”
“Grazie mille.”
Arrivati al terzo scaffale ci infiliamo dentro, ci sono un sacco di
tinte rosse
e di schiarenti. Cheryl si guarda intorno un po’ spaesata. Si
va dall’arancione
al rosso fiamma, fino a tonalità più cupe di
rosso, la mia amica è senza
parole.
“Dai, Cheryl! Puoi sbizzarrirti! Che rosso vuoi?”
Lei deglutisce e poi fa qualche passo verso gli scaffali con il rosso
fiamma,
sembra aver deciso la tonalità di rosso. Soppesa diversi
flaconi e mugugna
qualcosa tra sé e sé. Alla fine opta per un
bright red che dovrebbe starle
benissimo, vista la carnagione naturalmente pallida che ha.
Preso quello e uno schiarente leggero ci dirigiamo alla
cassa.
“Ottima scelta, Jen. È un colore davvero
bello.”
Osserva per un attimo con occhio professionale Cheryl.
“Sì, con la sua carnagione le starà da
Dio, è molto
chiara e risalterebbe ancora di più insieme
all’azzurro dei suoi occhi.”
“Grazie.”
Risponde educata Cheryl.
“Chiamami Ally, spero di vederti ancora nel mio
negozio.”
Lei sorride e usciamo tutte e tre. È un pomeriggio di tardo
autunno, fa ancora
caldo, ma le foglie sugli alberi sono un tripudio di rosso, giallo e
arancione.
Magnifico.
“Dove andiamo a fare la tinta?”
Chiede Anne.
“A casa mia.”
Rispondo pronta io.
“Ma sei sicura, Jen? Non è che tua madre si
arrabbia?”
“No, Anne. Mia madre non è mai stata felice che
fossi una
cheerleader, penso le piaceranno questi capelli perché
capirà il messaggio che
c’è sotto: non voglio più essere una di
loro.”
Anne sorride incerta.
Alle sei è tutto finito, Cheryl
sfoggia una chioma di un rosso brillante e le
sta da dio, proprio come aveva detto Ally.
Lei si guarda soddisfatta.
“Sto proprio bene! E adesso, addio vestiti da ragazza
bonton e via ai jeans e alle maglie dei gruppi.”
“E sono due.”
Borbotta Anne.
“Forse Dio mi ha messo al mondo per vedere qualche suo
miracolo realizzato.”
Sia io che Cheryl scoppiamo a ridere come delle matte.
“Ti suona davvero così strano quello che stiamo
facendo?”
“Sì, considerando che c’è
gente che ucciderebbe per
essere al vostro posto.”
“Beh, adesso ha due possibilità in più
per starci, no?”
Rispondo sorridendo ad Anne.
“Senti, non potevo davvero stare in un gruppo che mi
biasima per non essermi lasciata stuprare, è una cosa
assurda.
Io voglio un gruppo che mi accetti per quella che sono e
che non tenti di cambiarmi o di impormi cose che non voglio. Io non
volevo fare
sesso con lo stronzo e rivendico il mio diritto di avere questa
opinione senza
essere giudicata come una suora.”
La mia espressione è dura in questo momento e Anne se ne
accorge, perché non aggiunge altro e lascia cadere
completamente l’argomento.
“Beh, è quasi ora di cena, meglio che me ne vada.
Grazie del pomeriggio, ragazze.”
Ci dice prima di salire sulla sua macchina e andarsene.
“Tu che fai, Cheryl?”
Lei dà un’occhiata all’orologio.
“Me ne vado anche io, grazie per avermi aiutato
oggi.”
“È stato un piacere, ci vediamo domani a
scuola.”
La saluto sorridendo e poi me ne torno in casa e vado ad aiutare mia
madre con
un certo orgoglio.
Sarò anche troppo remissiva, ma mi piace aiutare la mia
famiglia se posso.
Dopo cena studio e faccio i compiti, messaggio un po’ con
Cheryl e le altre e rispondo anche a un paio di messaggi di Tom: vuole
sapere
come sto.
Io rispondo che oscillo, a volte sto bene, a volte i
ricordi mi paralizzano e sento l’aria mancarmi e la terra
muovers sotto i
miei piedi. Lui si dimostra comprensivo, dicendomi che lentamente le
cose
andranno meglio e magari di andare da uno psicologo.
Potrei prendere in considerazione l’idea, a scuola ce
n’è
uno. Tutti sanno che ci sei stato due minuti dopo che tu hai varcato la
fatidica soglia, ma forse vale la pena di provare, forse mi
può aiutare.
Dopo un ultimo controllo dei messaggi spengo il telefono
e mi addormento.
La mattina dopo la sveglia suona implacabile, io la
spengo con un grugnito, scendo dal letto rabbrividendo leggermente, mi
lavo, mi
vesto e poi scendo.
Tutta la mia famiglia è riunita in cucina per la
colazione.
“Tutto bene, tesoro?”
Mi chiede mia madre.
“Sì.”
Rispondo un po’ assonnata.
Mangio la mia tazza di cereali e poi esco con Dan, lo
accompagno a scuola, lui inserisce una cassetta dei blink non appena
salta in
macchina.
“Stai diventando davvero figa, sorellina.
I miei amici ti vogliono conoscere tutti.”
Io sorrido.
“Non starei mai con un quattordicenne.”
“Non ho solo ragazzi della mia età come amici, Tom
è un mio amico.”
Io arrossisco un po’.
“Non è che adesso ti piace?”
“Non sono affari tuoi, microbo!”
Rispondo piccata.
“Ah! Ti piace!”
“Dan, stai zitto o ti butto fuori dalla macchina!”
Lui ride come un matto, ma non dice più nulla e mi saluta
svogliato quando lo lascio davanti alla scuola, non ama venirci. Ho il
sospetto
che sia preso in giro e la cosa non mi piace per niente, anche se
abbiamo avuto
dei litigi in passato lui rimane sempre il mio fratellino.
Arrivo alla mia scuola e parcheggio, saluto Cheryl e
insieme ci avviamo verso l’interno venendo bersagliate dalle
occhiate velenose
di Jess e Madison.
Nell’atrio qualcosa attira la mia attenzione, per la
precisione un manifesto rosa shocking appeso in bacheca tra i mille
foglietti.
“Ehi, a quanto pare stanno organizzando le selezioni per
due nuove cheerleader!”
“Uhm, non perdono tempo.”
Andiamo agli armadietti e trovo Tom appoggiato al mio.
“Ciao.”
Lo saluto.
“Ciao. Come va?”
“Va, tu?”
“Non mi posso lamentare, volevo chiedervi una cosa.”
“Spara.”
Risponde Cheryl.
“Venerdì sera faremo un concerto in un locale, vi
va di
venire?”
Io e lei ci guardiamo.
“Sì, perché no?”
“Perfetto! Jen, andiamo ad arte?”
“Sì, certo. Ciao, Cheryl! Ci vediamo a letteratura
dopo!”
“Ciao, ragazzi!”
Ci saluta con la mano, io seguo Tom nell’aula di arte.
“Oggi facciamo ancora i ritratti, vero?”
“Sì, ti tocca disegnare di nuovo la mia
meravigliosa figura!”
“Non esagerare!”
Gli dico ridendo.
Entriamo in aula e prendiamo posto ai nostri cavalletti,
poco dopo arriva il professore.
“Bene, ragazzi! Questa settimana proseguiremo con la
figura umana, dopo le spiegazioni dell’ultima volta,
inizierete un lavoro che
verrà valutato.
Buon lavoro a
tutti!”
Conclude sorridendo.
Ora in classe si sente solo il rumore dei cavalletti
spostati e delle matite che scorrono sul foglio, come
l’ultima volta poso io
per prima. È abbastanza noioso non potersi muovere e sapere
che Tom mi sta
disegnando è imbarazzante, così cerco di pensare
ad altro.
“Un buon lavoro, DeLonge.”
La voce del professore mi strappa alle mie fantasticherie.
“Uh, davvero?”
Commento io.
“Sì, Jenkins. Davvero un buon lavoro.”
“Bene.”
Riprendo a posare fino alla fine delle due ore, che
fatica!
Finita arte ci separiamo, io farò letteratura con Cheryl,
lui non lo so.
Lei mi aspetta già al nostro solito banco.
“Come è andata la lezione di arte?”
“Bene. Un po’ noiosa perché ho dovuto
stare in posa, ma non è poi stata così
brutta.”
“Com’è la band di Tom?”
Io tiro fuori il quaderno e l’astuccio.
“Rumorosi. Stamattina ho accompagnato a scuola mio
fratello e mi ha fatto sentire una demo, la voce di Tom è
acuta, quella di Mark
un pochino più profonda e poi sono…
Sì, rumorosi.
Un casino di chitarra, basso e batteria, ma non sono
male.
Suppongo che sia questo il punk, è mio fratello
l’esperto
di famiglia, non io.”
“Se lo dici tu. Cavolo, è già arrivato
il prof.”
Seguiamo la lezione con più attenzione del solito, libere
dal pensiero di cosa indossare per sentirsi fighe e dagli allenamenti
di
Madison.
Alla fine andiamo in mensa, Josie ci fa segno di venire
al loro tavolo, noi annuiamo e ci mettiamo in fila.
“Come ci si sente a stare tra i perdenti?”
Sibila una voce acida a due centimetri dal mio orecchio.
“Benissimo, Maddie.”
Rispondo soave io.
“Ci si sente libere,
ammesso e non concesso che tu conosca il significato di questa
parola.”
“Libere di essere lo zimbello della scuola?”
Tenta di nuovo. Noiosa.
“Libera di essere te stessa e poi, non so te, ma io non
vedo persone che mi prendono in giro e lo stesso vale per Cheryl.
Rassegnati,
hai perso.”
“Posso sempre portarti via la cosa a cui tieni di
più, credi che non mi sia
accorta che hai cambiato atteggiamento verso DeLonge?
Attenta, basta che io sbatta un paio di volte le ciglia e
lui non ci metterà molto a cadere ai miei piedi dimenticando
il cavallo che
sei.”
Vorrei tirarle il mio vassoio vuoto in testa, ma sarebbe esattamente
quello che
vuole: sapere che ha colpito un punto debole.
“Ma chi vuoi prendere in giro?
Non corteggeresti DeLonge nemmeno per far arrabbiare me,
tieni troppo alla tua reputazione.”
Lei tace, per fortuna.
Prendo qualcosa alla mensa e poi raggiungo il tavolo di
Josie e degli altri, Cheryl si mette seduta vicino a David e iniziano
subito a
chiacchierare come se fossero vecchi amici.
Le piace proprio e sono felice per lei, si meritava
qualcosa di meglio del suo vecchio ragazzo, e io?
La domanda mi coglie impreparata, forse anche per le
allusione acide di Maddie ho capito che ho cambiato atteggiamento verso
Tom e
forse non solo in amicizia.
È troppo presto, mi dico, troppo presto per chiamarlo
amore, ci conosciamo appena. Meglio fissarsi su altre cose, tipo il
concerto di
sabato dove finalmente conoscerò quei Mark e Scott di cui
mio fratello mi ha
tanto parlato.
“Ehi, Jen! Tutto bene?”
La voce di Anne mi riporta alla realtà.
“Oh, sì. Sto bene, starei meglio se non dovessi
mangiare
questo…. Uhm…. Come si chiama?
Pasticcio di carne? Non so bene cosa ci sia dentro e la
cosa mi inquieta.”
Ridono tutti, per
fortuna ho sviato ogni
sospetto tranne, forse, quelli di Cheryl dall’occhiata che mi
lancia.
Quando usciamo dalla sala mensa mi tira in un angolo e mi guarda seria.
“Cosa c’è, Jen?”
“Niente.”
“Non è che Maddie ti ha detto qualcosa? Ho visto
che si è messa in coda dietro
di te.”
Io sospiro.
“In effetti sì. Mi ha detto che si
prenderà Tom, ma io
l’ho zittita.”
“Ti piace?”
“Chi? Tom?”
Lei annuisce, io invece rimango in silenzio.
“Avanti, puoi dirmelo.”
“Sì, insomma credo di sì. Non sono
sicura, perché non so se mi sento pronta per
una storia adesso.”
“Ti piace, ma vacci con i piedi di piombo.”
Io la guardo senza capire.
“Ti si legge negli occhi che ti piace, ti si illuminano,
ma ti conviene andarci piano. Lo chiamano Hot Pants perché
gli piace cambiare
spesso ragazza.”
Io mi rabbuio, non voglio un altro tizio come Chris nella mia vita e
dire che
sembrava a posto!
“Non è come Chris, ma
però…Ecco, stacci attenta.
Credo che tu gli piaccia sul serio, ma non si può mai
dire.”
“Hai ragione, intanto andiamo al concerto e cerchiamo di
divertirci.”
Lei mi sorride.
“Questa è un’ottima filosofia.”
Raggiungiamo insieme la prossima classe e io mi chiedo se
ci si debba davvero fidare di Tom, credo sarebbe un ottimo amico, ma
come
ragazzo?
Non ne ho idea e la cosa mi spaventa un po’.
Angolo di Layla
Commentate, per favore.
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Capitolo 6 *** 6)Occasioni bruciate. ***
6)Occasioni bruciate.
Venerdì arriva velocemente, senza allenamenti sembra che
il tempo corra di più.
Madison non mi parla né mi minaccia più, si limita a lanciarmi velenose:
è troppo impegnata con
le selezioni.
Stranamente non si è presentata tanta gente come al
solito, sembra che quello che abbiamo fatto io e Cheryl abbia aperto
gli occhi
a molte persone, c’è sempre un chiacchiericcio
quando camminiamo per i corridoi
della scuola e tanti indicano i miei capelli blu.
Non mi importa molto, basta che non mi parlino. Non mi va
di dare spiegazioni a nessuno, voglio cercare di fare andare avanti la
mia vita
in qualche modo.
Venerdì sera dopo cena sono davanti al mio armadio senza
sapere cosa mettermi, Dan entra in camera mia e si acciglia vedendomi
così.
“Cosa c’è?”
“Non so cosa mettermi e potresti anche bussare prima di
entrare.”
“Sono tuo fratello.”
Con piglio critico si mette davanti al mio armadio e poi
tira fuori un paio di pantaloni stretti e strappati e una maglia nera
con un
teschio.
“Mettiti questi e poi la giacca di pelle che ti sei
presa, non fa ancora abbastanza freddo per mettere anche una felpa.
Problema
risolto, adesso muoviti o arriveremo in ritardo.”
Conclude con una punta di impazienza.
Io metto quello che mi ha detto lui, mi trucco, mi
pettino e infine metto degli anfibi e acchiappo la mia borsa.
“Le chiavi della macchina!”
Dan le lancia verso di me.
“Mamma, papà, noi andiamo!”
Urla e poi mi spinge fuori dalla porta.
Io salgo in macchina, lui si siede sul sedile posteriore
e metto in moto. Per prima cosa andiamo a prendere Cheryl e poi ci
dirigiamo in
uno dei bar di Poway.
Fuori c’è una piccola massa di persone.
“Sono così famosi?”
“Un po’, ma tanti sono amici dei ragazzi.”
Parcheggiamo e scendiamo tutti e tre, mio fratello sparisce subito e io
e
Cheryl ci guardiamo intorno alla ricerca di una qualche faccia
conosciuta. Alla
fine intravvediamo Anne, Peggy Sue e Josie e ci facciamo strada verso
di loro.
“Ehi! Siete venute alla fine.”
“Avevamo detto che l’avremmo fatto, no?
Come mai siamo ancora tutti fuori?”
“I ragazzi non sono ancora pronti, ma ormai è
questione di momenti. Ci sono
ancora due persone dentro, una volta che se ne saranno andate il locale
sarà
nostro.”
“Come mai solo vostro?”
“La gente che viene qui normalmente non apprezzerebbe la
musica dei blink, credimi.”
Io annuisco, finalmente le ultime due persone – una coppia di
anziani – esce e
possiamo entrare noi. Insieme alle ragazze occupiamo un posto vicino al
palco,
l’eccitazione è palpabile nell’aria.
Cinque minuti dopo la tenda che nasconde il palco viene
alzata e mostra tre ragazzi, un piccoletto dietro alla batteria, Tom
con una
chitarra in mano e un ragazzo con i capelli verdi con il basso. Saluta
con un
occhiolino Josie, quindi immagino sia Mark, il suo ragazzo.
“Ehi, Jos! Quello è Mark?”
Le chiedo.
Lei annuisce vigorosamente.
“Sì, è Mark Hoppus in tutto il suo
splendore.”
“Ok.”
I ragazzi iniziano a raccontare qualche stronzata –
battutine sconce per lo più – per scaldare il
pubblico e tutti sembrano
divertirsi. Mio fratello è in prima fila e se la sta godendo
un mondo, ha un
sorriso che gli va da un orecchio all’altro, io invece sono
un po’ scettica.
Credo semplicemente che mi debba abituare a queste cose, sono tutte
nuove per
me.
Iniziano a suonare che un giro di basso iniziale, seguito
dalla chitarra e poi dalla batteria.
“È Carousel!”
Esclama eccitata Anne.
“È la prima che hanno scritto, mentre mio fratello
era a
casa da lavoro e corsi pre-college perché si era rotto le
anche.”
“Come ha fatto a rompersi le anche?”
“È salito su lampione per conquistare
l’amicizia di Tom.”
Io non dico nulla, è tutto molto strano per me, voglio dire
perché uno dovrebbe
fare una cosa del genere?
“Tutto bene, Jen?”
“No, direi di no.”
Anne alza un sopracciglio.
“Non è che Tom e tuo fratello sono gay?”
“No, e anche se lo fossero?”
Decido saggiamente di non rispondere e cerco di concentrarmi sulla
musica,
pensando che non devo andarci con i piedi di piombo con Tom, ma con
qualcosa di
più pesante del piombo perché ci sono troppe
variabili che sono contrarie.
Immersa in questi cupi pensieri riesco a malapena a seguire
la musica, è rumorosa per me e non sempre capisco cosa di
cantino Tom e Mark.
Avrei voglia di uscire a fumare una sigaretta, ma non voglio che
qualcuno si
offenda vedendo che sono uscita a metà del concerto.
Non sono ancora del tutto pronta a essere del tutto punk
o ribelle, mi ci devo ancora adattare per alcuni versi.
Finito il concerto la tenda nera viene calata di nuovo e
sento il rumore dei ragazzi che mettono via gli strumenti, posso uscire
a
fumare senza che qualcuno ci resti male.
Prendo la mia giacca di pelle e la borsa e poi mi avvio
verso l’uscita. Una volta fuori mi accendo con piacere una
Marlboro e aspiro la
prima boccata. Così mi sento decisamente meglio.
“Tutta sola, bambolina?”
Un ragazzino si avvicina a me con aria da gran seduttore,
io lo colpisco con la borsa alle parti basse più e
più volte fino a che non se
ne va. Ho gli occhi fuori dalla orbite e la sigaretta che mi penzola da
un lato
della bocca.
Sono stanca di questi maledetti!
“Tutto bene, Jen?”
Alla voce di Tom sobbalzo violentemente, non mi ero accorta che fosse
arrivato.
“N-no, solo un ragazzino che ci provava con me.”
Ansimo cercando di calmarmi.
“Mi dispiace. Ha esagerato?”
“No, l’ho cacciato via a borsettate.”
“Forse è meglio che torni dentro e bevi
qualcosa.”
“Sì, ma non di alcolico. L’alcool
è l’ultima cosa di cui ho bisogno.”
Finisco la mia sigaretta e poi lo seguo all’interno del
locale, maledicendo il
ragazzino che mi ha importunata. Non poteva lasciarmi da sola con la
mia
sigaretta, accidenti a lui?
Adesso sono con Tom e sono nervosa come non mai per
quello che ho sentito dire al tavolo e da Cheryl e per la mia cotta
verso di
lui.
Arriviamo al tavolo e Tom ferma il cameriere ordinando
della coca cola per me.
“Cosa è successo?”
Mi chiede Cheryl.
“Niente, un ragazzino ha fatto lo scemo e io ho esagerato
con le reazioni.”
Lei annuisce comprensiva.
“C’era ancora Tom ad aiutarti, vero?”
Io annuisco piano.
“Sai, mi sono informata su Hot Pants e pare che
ultimamente non stia con nessuna e che non cerchi nessuna, soprattutto.
Forse vuole te, sul serio!”
“Ragazze, salutate il magnifico Mark Hoppus!”
Io alzo lo sguardo sul ragazzo dai capelli verdi: ha gli
occhi di un blu intenso, un bel sorriso e il mento con una fossetta.
Io sorrido.
“Complimenti, siete stati davvero bravi!”
Iniziamo una conversazione sul concerto, i tre ragazzi si
godono l’attenzione che viene loro riservata e non fanno
nulla per nascondere
che gli fa molto piacere, visto che di solito sono chiamati perdenti e
sfigati.
Mark e Josie si baciano ogni tanto, io invece lo sguardo
di Tom bruciare su di me, anche se cerco di fare finta di nulla. Mi fa
piacere
e mi mette a disagio allo stesso tempo: è davvero una
sensazione curiosa.
Forse gli piaccio sul serio e non sono solo una scopata
da aggiungere al libro che sicuramente ha. Uno sguardo
al’orologio mi riporta
bruscamente alla realtà, è quasi ora di andare
che sennò chei la sente mamma.
“Io e Cheryl dobbiamo andare.”
Annuncio con un sorriso..
“Di già? Che peccato!”
Tom sembra davvero dispiaciuto.
“Sì, mia madre è diventata un
po’ più severa sulle uscite
dopo quello che è successo.”
Annuiscono tutti, io li abbraccio uno per uno e poi vado alla ricerca
di Dan,
lo trovo che parla con una biondina.
“Danny, è ora di andare a casa.”
La ragazza mi squadra con uno sguardo di puro odio, mi sa
che ha frainteso la situazione.
“Chi è questa?”
Chiede con voce dura a mio fratello.
v“Sono Jennifer, sua sorella maggiore, non sono la
sua
ragazza. Ora deve andare a casa o rischiamo di fare tardi
sull’orario che ci
hanno dato i nostri.”
Mi allontano di qualche passo e li lascio salutare come meglio credono,
alla
fine mio fratello ci raggiunge e usciamo dal locale.
“Ti è piaciuto il concerto?”
Mi chiede euforico Dan.
“Sì, non è stato male.”
Lui sorride soddisfatto e io penso che – dopotutto
– sia
stata una bella serata, sicuramente più autentica di molte
altre a cui ho
assistito.
Forse essere perdente non è poi così male, mi
dico, anche
perché mi piacerebbe ripetere l’esperimento, adoro
come si muove Tom sul palco
o forse – semplicemente adoro lui.
Sabato è un giorno
sonnolento, sia io che mio fratello ci
svegliamo tardi.
Mamma non protesta e si limita a servirci il pranzo
sorridendo, sembra felice per qualcosa.
“Sono contenta che tu e tuo fratello siate usciti insieme
ieri sera.”
“Come mai?”
Le chiedo dopo aver masticato un boccone di arrosto.
“Perché temevo che se avessi continuato a
frequentare
Maddie sareste diventati due fratelli che non si parlano.”
Io la guardo senza capire. Perché non avrei più
parlato
con Dan?
“Beh, se la cosa fosse continuata avresti, come dire,
cominciato a fargli qualche scherzo o roba del genere.”
Io mi gelo, a Maddie non piacerebbe mio fratello e di sicuro mi avrebbe
obbligato a fare la bulla con lui.
“Vedo che hai capito.”
Io abbasso gli occhi, vergognandomi di tutte le mie
azioni passate incluse quelle contro Tom.
“Sì, per fortuna mi sono fermata in
tempo.”
“Vi siete divertiti ieri sera?”
Interviene mio padre per far distendere la tensione.
“Oh, sì! Molto, vero Jen?
I blink non sono male.”
“Sì, mi sono divertita. Non so se i blink siano
male o no, non ci capisco molto
di quel genere di musica.”
Ammetto con semplicità.
"Oh, non ti preoccupare! Hai in casa un ottimo maestro.”
Io sorrido involontariamente.
“Potrebbe essere una buona idea per un programma tv. Da
reginetta della scuola a punk, la discesa della scala sociale di
Jennifer
Jenkins.”
Scoppiano tutti a ridere, la tensione è totalmente spezzata.
“Beh, scrivi un soggetto e mandalo a qualche canale
televisivo.”
“Basterebbe che gli scrivessi di fare un salto nella mia vita
e documentare i
cambiamenti.”
Finito di mangiare aiuto mia madre e vado a fare i compiti, sono una
montagna.
Non capisco perché ce ne diano sempre così tanti,
il week end dovrebbe essere
fatto per riposare, no?
Probabilmente devono riposare solo gli insegnanti.
Alle quattro il mio cellulare vibra per un messaggio, è
Tom e mi chiede se può uscire a prendere un gelato con me,
io gli rispondo di
sì ancora prima di averci pensato e aver chiesto ai miei.
Non penso che ci saranno, comunque scendo in salotto da
mia madre.
“Mamma, Tom mi ha invitato fuori per un gelato e io gli
ho detto di sì. Ci sono problemi per te?”
“No, a patto che Danny venga con te.”
Io mi acciglio, perché il mio fratellino dovrebbe venire a
farmi da
accompagnatore?
“Non mi sento sicura quando esci da sola, mi
passerà
prima o poi, ma per adesso cerca di capirmi.”
“Va bene, vado da Dan.”
Salgo di nuovo al piano superiore e busso alla porta di
Daniel.
"Sto facendo i compiti, ma’!”
“Sono io, scemo!”
Mi viene ad aprire con i capelli color platino
scompigliati e mi fa entrare.
“Non stavi facendo i compiti, vero?”
“Che sei pazza?
Li faccio domani, oggi mi riposo. Cosa vuoi, comunque?”
“Tom mi ha invitato a prendere un gelato e mamma vuole che
venga anche tu:”
“Che palle, dovrò vedervi fare i
piccioncini!”
“Non stiamo insieme, non farla così lunga. Non hai
scelta, lo sai, sì?”
“Sì, adesso fuori che mi devo cambiare!”
Io alzo un sopracciglio.
“Ok, stavo ecco leggendo, ehm, riviste poco consone a
questa casa, se mamma lo viene a sapere…”
“Che schifo! Io vado a cambiarmi sul
serio.”
Me ne torno in camera mia e mi tolgo i pantaloni della tuta per mettere
un paio
di jeans con due squarci all’altezza del ginocchio, una
maglia viola piuttosto
aderente e un maglione a righe nere e viola, sformato e dal cui collo
si
intravvede la maglia.
Mi pettino i capelli, mi trucco, metto gli anfibi, prendo
la giacca di pelle e la mia borsa e poi busso alla camera di Danny.
Lui esce subito, non si è cambiato, ma d’altronde
è pur
sempre un ragazzino, a lui non importa del look basta che la roba sia
abbastanza pulita da non stare in piedi da sola.
Salutiamo mamma e usciamo, fuori tira un venticello
frizzante estremamente piacevole, ci avviciniamo alla fine di ottobre.
“Ti scoccia se dopo averti accompagnata da Tom me ne vado
per fatti miei?
Ho promesso a Lucy che avrei fatto un salto da lei.”
“E chi è Lucy? La biondina con cui parlavi ieri
sera?”
“Sì, lei. Figa, vero?”
“Non male, ma non dovresti giudicare solo in base al criterio
estetico.”
Lui scoppia a ridere.
“Senti chi parla!”
“Sì, hai ragione.
Meglio che mi faccia i cazzi miei, buon fortuna,
fra’.”
Arriviamo alla gelateria dove ho appuntamento con Tom e
lo trovo che gironzola fuori dal locale.
“Ehi,
Jen! Ehi, Dan!”
“Ciao, Tom. Non ti preoccupare, me ne vado subito, non
fare strane cose con mia sorella.”
“DANIEL!”
Lui ride e si allontana.
“Fatti trovare qui alle sei, piuttosto!”
Gli urlo io, lo vedo annuire in lontananza.
“Come mai è venuto anche lui?”
“Mia madre non si fida a lasciarmi uscire da sola da
quando è successa quella cosa.”
Lui annuisce.
“E adesso Dan dove è andato?”
“Da una certa Lucy. Entriamo?”
“Va bene.”
Apre la porta e me la tiene aperta, io mi siedo al primo tavolo libero
sentendomi gli occhi di tutti addosso, forse per via dei miei capelli
blu, forse
per via di Tom.
Si siede anche lui e ci concentriamo tutti e due sul menù
che c’è sul tavolo.
Dieci minuti dopo arriva la cameriera che riserva un
sorrisone sotteso di promesse a Tom e una smorfia fredda e me.
“Cosa prendete?”
“Per me una coppa di gelato menta e fiordilatte con la panna
montata e una
bella ciliegia sopra.”
Dico sorridendo, ma il mio sorriso non arriva gli occhi che rimangono
freddi,
che le stronze che ci provano con i ragazzi con delle ragazze presenti
non mi
piacciono per niente.
“E tu, Tommy?”
Risponde con una voce da gatta morta, io la fulmino.
“Per me una coppa cioccolato e fiordilatte, per il resto
uguale a Jen.”
Risponde lui sorridendo, lei gli fa l’occhiolino.
Io mi alzo esasperata e mi dirigo verso la cassa.
“Senta, ho ordinato due gelati, ma ho cambiato idea.
Questi sono i soldi che le devo e se vuole un consiglio
gratuito non assuma cameriere gatte morte.”
Lascio cadere cinque dollari e mi faccio dare il resto, poi esco, Tom
arriva
poco dopo di me.
“Beh?”
“Beh, la cameriera ha flirtato con te tutto il tempo e tu le
hai dato corda! Se
volevi un complice per i tuoi giochetti avresti dovuto chiedere a mio
fratello,
non a me!”
Rispondo piccata.
“E adesso?”
“Adesso vado per cazzi miei, la prossima volta pensa meglio a
cosa fare quando
vuoi invitare fuori qualcuna!”
Lo lascio lì, immobile come una statua di sale, e mi dirigo
verso il parco. Se
la memoria non mi inganna c’è un chiosco che ha
ottime crepes. Sento dei passi
dietro di me e la mano di Tom si chiude sul mio polso.
“Io non l’ho capita questa tua reazione!”
“Beh, pensaci un po’ sopra e capirai e adesso
mollami!”
Con uno strattone mi libero della sua presa e riprendo a marciare verso
il
parco, lasciandolo sempre più perplesso.
Arrivata nell’area verde cerco subito con lo sguardo il
chiosco e lo trovo immediatamente, circondato da un tappeto di foglie
rosse,
arancio e oro.
“Una crepes alla nutella.”
Ordino al ragazzo.
“Va bene, sopra cosa preferisci? Lo zucchero a velo o il
cocco?”
“Il cocco.”
Venti minuti sono seduta su una panchina che dà sul laghetto
del parco e sto
mangiando beatamente la mia crepes. Come si è permesso Tom?
Pensavo fosse diverso da Chris, ma forse non lo è poi
così tanto. Forse tutti i ragazzi sono fatti allo stesso
modo, interessati a
una sola cosa, quelle dei film romantici siamo noi ragazze.
Lascio l’ultimo pezzo per le anatre del laghetto, mi
guardo intorno guardinga e – ignorando il divieto –
lo divido in tanti
pezzettini e li butto in acqua.
In un attimo c’è un affollamento di anatre che
combattono
per i miei pezzi di crepes, smette tutto quando uno dei due cigni si fa
largo
fra la massa con eleganza e mangia quello che vuole.
È sempre così, nella vita va avanti il
più forte e non
c’è pietà per chi viene lasciato
indietro.
Finito lo spettacolo decido di farmi una passeggiata al
parco, cercando di occupare in qualche modo queste due ore.
Sarà un’impresa perché il tempo
è molto e lo spazio poco,
a meno che non provi a raggiungere il mare, conto i soldi e sono
abbastanza per
prendere un autobus per la spiaggia. Compro il biglietto e aspetto alla
fermata.
Mi è sempre piaciuto il mare, mi ha sempre calmato e
spero che possa farlo anche adesso visto che mi sento in tu,multo.
Sono in debito con Tom per avermi salvata, ma allo stesso
tempo sono furiosa perché mi ha invitata fuori solo per
fargli da palo.
Un brutto comportamento.
Davvero un gran brutto comportamento.
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Capitolo 7 *** 7)Questo non sarà un nuovo inizio, sarà una fuga legalizzata. ***
7)Questo non
sarà un nuovo inizio, sarà una fuga legalizzata.
Oggi doveva essere un bel
pomeriggio, invece è stato un
pomeriggio di merda.
Rifletto mentre sono seduta sullo scomodo sedile di un
pullman che mi porterà alla spiaggia di san Diego, giusto
per ingannare il
tempo.
Tom mi aveva invitata fuori per un gelato e tutto quello
che ha fatto è stato flirtare con la cameriera e la cosa mi
ha fatto incazzare
parecchio.
Devo stare calma o mi perdo la fermata e non conosco
abbastanza San Diego da essere in grado di arrivare alla spiaggia da
sola.
All’improvviso mi alzo in piedi e prenoto la fermata in
fretta e furia, la stavo davvero perdendo e la colpa è tutta
di Tom.
Scendo e salgo una scalinata che porta al lungo mare, non
c’è in giro molta gente, ma a me il mare piace
anche d’autunno o d’inverno.
Percorro il primo sentierino che porta alla spiaggia e
poi mi tolgo calzini e anfibi e arrotolo i jeans.
È piacevole camminare sulla sabbia, è tiepida e
morbida.
Passo tra gli ombrelloni chiusi sorridendo e poi raggiungo la battigia.
L’oceano si infrange calmo sulla spiaggia e poi si ritira, io
lo guardo un
attimo e cerco di focalizzarmi sul movimento per non pensare ad altro.
Funziona, dopo qualche attimo la mia mente si svuota
almeno un po’.
Sento solo le grida dei gabbiani e il rumore delle onde.
Sorridendo inizio a camminare, fermandomi di
tanto in tanto a raccogliere qualche conchiglia
buttata a riva.
Cavolo, io e Dan ci siamo separati e lui non sa come è
andato il mio “appuntamento”, dobbiamo costruire
insieme una storia credibile.
In altri tempi a mia madre non sarebbe importato che ci fossimo divisi,
ma
adesso ha paura e la capisco.
Un’occhiata all’orologio mi fa capire che
è già ora di
tornare indietro, che il mio attimo di pace se ne è
già andato.
Sospirano esco dalla spiaggia, mi rimetto calzini e
anfibi e poi aspetto il pullman che mi riporta a Poway. Riesco ad
arrivare alla
gelateria appena in tempo.
“Si può sapere dove sei stata?
Iniziavo a preoccuparmi!”
Mi apostrofa mio fratello.
“Alla spiaggia.”
“E l’appuntamento con Tom?”
“È andato una merda, lui non fatto altro che fare
il cretino con la cameriera.”
Rispondo risentita.
“Capisco. Beh, gli dirò due parole.”
“Lascia a casa la mazza da baseball.”
“Va bene, intanto dobbiamo inventarci qualcosa.”
“Sì o mamma si incazzerà e chi
può biasimarla?
Uhn, può reggermi il gioco dicendo che siamo andati tutti
e tre alla spiaggia dopo che siamo stati in gelateria?”
“Si può fare.”
“Perfetto, come è andato il tuo
appuntamento?”
“Oh, bene. I suoi non erano in casa.”
Io alzo gli occhi al cielo.
“Possibile che sappiate pensare solo a quello?”
“Siamo ragazzi.”
“Questo spiega un sacco di cose.”
“Voi ragazze non ci capirete mai fino in fondo, rassegnati a
questo, è una
delle verità della vita.”
Io sospiro, ha ragione. Ha fottutamente ragione.
Chiacchierando siamo arrivati al portico di casa nostra,
entriamo con l’aria più innocente possibile, mia
madre spunta subito dal
salotto con un grembiule addosso.
“Come è andata?”
“Oh, bene.”
Rispondo io.
“Siamo andati in spiaggia a fare un giro, ho raccolto un
po’ di conchiglie, forse se le buco ci posso fare una
collana.”
Gliele mostro e lei le esamina con piglio professionale.
“Beh, perché no?
Ah, Jen! Non cambi mai!
Ti è sempre piaciuto raccogliere conchiglie, quando
andavamo a Malibu da tua zia Joss, tornavi con secchielli pieni di
conchiglie.”
Io sorriso a quel ricordo di me stessa con un secchiello giallo in mano
che
grido che ho trovate tante conchiglie.
“Hai ragione, adesso vado in camera mia.”
Tolgo la giacca e gli anfibi e poi salgo, il mio cellulare vibra e
trovo un
messaggio di Maddie, mi irrigidisco subito.
Cosa vuole quella zoccola da me?
“Tom scopa bene.”
Il messaggio è breve, ma mi fa arrabbiare lo stesso.
Che significa?
Gli altri sono tutti messaggi di scuse di Tom, con piglio
deciso entro nella camera di Daniel e gli mostro il messaggio di Maddie.
“Cosa cazzo significa?”
Gli sibilo a muso duro, lui trasalisce sorpreso.
“Non ne ho idea, adesso chiamo Tom.”
“Gli conviene che sia uno scherzo o con me ha
chiuso.”
Dico con voce tremante e le lacrime che minacciano di uscire da un
momento
all’altro, quella vacca non può e non deve avere
il ragazzo che mi piace. Non
esiste proprio.
Daniel intanto parla con Tom al cellulare, mio fratello
alza la voce a un certo punto poi chiude la chiamata.
“Allora?”
“Beh, dice che Maddie ci ha provato con lui, ma lui
l’ha
respinta.”
“Spero per lui che sia vero.”
Borbotto prendendo in mano il cellulare che avevo appoggiato alla
scrivania di
mio fratello.
“Vedo che
l’abitudine di mentire quando qualcuno non ci sta non ti
è passata, tesoro.”
Questa è la risposte che le digito.
“È solo questione
di tempo e lui sarà mio e tu in pezzi, perdente.”
“Perché l’omicidio è illegale?
Io questa l’ammazzo prima o poi, la faccio secca, la
sacrifico a Satana.”
“Sacrificarla a Satana? Lei è una delle
reincarnazioni di Satana!
Sacrificala a Dio.”
“Pare che Dio non gradisca i sacrifici umani.”
Mio fratello non sa cosa dire.
“Ma cosa vuole?”
“Farsi Tom per far sì che io soffra.”
“Che gran troia!”
Io non avrei saputo esprimere il concetto in maniera
migliore.
Il ritorno a scuola, lunedì, fa schifo.
Maddie mi indica con un dito dall’unghia laccata di rosa
e ride, Cheryl non c’è e Tom si tiene a distanza
da me. Sospirando vado agli
armadietti e prendo l’occorrente per la prima ora.
Arrivare a pranzo è dura, ma poi finalmente si mangia e
al pomeriggio c’è solo spagnolo. Verso la fine
dell’ora il mio cellulare vibra.
“Vieni nello
stanzino delle scope al terzo piano.”
Il messaggio è della vacca e, sì, potrei
ignorarlo, ma non ci riesco. Con una
scusa esco dall’aula e salgo al terzo piano, apro lo
sgabuzzino e rischio di
vomitare sul posto.
Tom e Maddie sono avvinghiati e mezzi nudi, alla fine ce l’ha
fatta a umiliarmi
e vendicarsi.
“VI ODIO!”
Urlo ad alta voce prima di scappare via e correre di nuovo verso
l’aula di
spagnolo solo per recuperare le mie cose e uscire da questa scuola
maledetta.
Una volta nel parcheggio compongo il numero di Cheryl,
lei mi risponde dopo qualche squillo.
“Ti disturbo?”
“No, sono nella villa di Orange County. I miei non ci sono e
io non avevo
voglia di andare a scuola.”
“Sei sola?”
“Sì, perché?”
“Posso raggiungerti?”
La mia voce incrinata la fa insospettire.
“È successo qualcosa?”
“Te lo dico dopo, ok?”
“Ok.”
Salto in macchina giusto per vedere Tom che tenta di raggiungermi, ma
è troppo
tardi. Ingrano la prima e parto sgommando, con Maddie ha passato il
segno.
Sì, mi ha salvato la vita, ma dopo questo non potremo
più
essere amici.
No.
È troppo.
Mi ha umiliata e trattata come una pezza da piedi
esattamente come Chris, solo che invece di giocare con il mio corpo ha
giocato
con il mio cuore ed è peggio.
Orange County è più a nord di San Diego, la
raggiungo
tramite una strada che costeggia il mare, in altre occasioni mi avrebbe
fatto
piacere oggi non lo noto nemmeno. Mi sento veramente uno straccio,
Maddie ha
colpito esattamente nel mio punto debole.
Finalmente arrivo all’inizio del paese, che non è
altro
che un ammasso di ville abitate da famiglie ricche. Quella di Cheryl
è
esattamente alla fine, parcheggio la macchina e suono il campanello.
Mi viene ad aprire e già dalla mia faccia nota che
c’è
qualcosa che non va, la sua espressione da sorridente diventa subito
preoccupata.
“Cosa è successo?”
“Maddie si è presa la sua vendetta alla
fine.”
Dico piatta.
“Forza entriamo, davanti a un bel the mi racconterai
tutto.”
Io la seguo dentro la casa, è ben arredata, piena di
mobili etnici costosi, ma non è vissuta. Mancano le piccole
imperfezioni che
caratterizzano una casa in cui le persone vivono, so che i genitori di
Cheryl
sono raramente a casa e che lei ne soffre.
Mi fa cenno di sedermi su uno degli alti sgabelli della
cucina, lei traffica con il gas e poco dopo mi porge una tazza di the
nero del
commercio equo e solidale.
“Beh, ecco, sai che ieri io e Tom avevamo un
appuntamento?”
Lei annuisce.
“Perché non mi hai scritto più
niente?”
“Volevo parlartene oggi a scuola, ma non c’eri. In
ogni
caso è andata male, siamo andati a quella gelateria in
centro e lui non ha
fatto altro che fare lo scemo con la cameriera.
L’ho piantato lì e lui mi ha seguita per avere
delle
spiegazioni, ovviamente non ha capito nulla.
Ieri Maddie mi ha mandato un messaggio in cui diceva che
Tom scopava bene, l’ho detto a Danny che ha parlato con Tom e
lui – Tom – ha
detto che lei ci aveva provato, ma lui
l’aveva rifiutata.
Dio solo sa se sia vero o no.
Oggi a scuola non ci siamo parlati.”
Faccio una pausa, mentre le prime lacrime nere di mascara e matita
cadono nel
the.
“Poi a spagnolo Maddie mi scrive di andare allo
sgabuzzino del terzo piano e io che faccio?
Ci vado come una scema e cosa trovo?
Maddie e To mezzi nudi.
Gli ho gridato che li odiavo e poi me ne sono andata da
quella merda di scuola ed eccomi qui. Non so se ce la faccio, Cheryl.
Non me ne frega niente delle battutine sull’essere
perdente o sui capelli, ma questo… cazzo, è
riuscita a distruggermi, non voglio
più mettere piede a scuola.
Sono dell’idea di chiedere ai miei di cambiarmi
scuo..”
All’improvviso scoppio a piangere.
“Come ha potuto farlo?
Mi ha fatto credere che gli interessavo e non come una
scopata e poi va a farsi Maddie, la ragazza che più mi odia
e lui lo sa! Lo sa,
cazzo!
Lo ha trattato di merda, ma veramente di merda, per anni
e poi basta uno sbattere di ciglia e lui se la fa.”
“Lui come ha reagito?”
“Sorpreso, poi ha provato a inseguirmi, ma io ho dato gas
alla macchina e sono
partita.
Non me ne faccio niente delle sue spiegazioni.”
Cheryl mi lascia piangere e cerca di consolarmi con
pacche sulle spalle e abbracci fino a che il mio telefonino si mette a
suonare:
è Danny.
“Si può sapere dove sei?
Mamma e papà stanno dando i numeri!”
“Sono da Cheryl a Orange County.”
Rispondo con una voice lacrimosa.
“Cosa è successo, Jenny?”
“Tom e Maddie hanno scopato.”
“Io lo uccido! Prima però devi tornare a casa,
mamma e papà devono parlarci di
una cosa importante.”
“Ok, saluto Cheryl e arrivo.”
Chiudo la chiamata e rivolgo uno sguardo di scuse alla mia amica.
“Scusa, devo andare. Pare che a casa ci sia bisogno di
me.”
“Beata te, i miei non hanno mai bisogno di me.”
“Cosa hanno detto dei capelli e dell’uscita dalle
cheerleader?”
“Che ho dimostrato finalmente il coraggio che si aspettavano
da me.”
“Capisco.”
Ci salutiamo con un ultimo abbraccio e poi io salto di
nuovo in macchina. Durante il tragitto verso San Diego il mio cellulare
rischia
di esplodere per i messaggi che Tom mi manda e che io non
leggerò.
Arrivo a casa e parcheggio la macchina, i miei sono in
sala e hanno un’espressione insolitamente seria.
“Finalmente sei arrivata a casa, tesoro, io e papà
dobbiamo comunicarvi una cosa importante.”
Inizia mia madre.
“Non sarai incinta?”
Le chiedo sorridendo, lei arrossisce.
“Oh, no, tesoro!”
Io mi siedo sul divano e poi aspetto che uno dei due
parli.
“Vostro padre ha ricevuto una promozione nello studio di
architettura dove lavora.”
“È fantastico!”
Lui mi sorride.
“Sì, tesoro. Il problema è che dovremo
trasferirci tutti a
Chicago, hanno aperto una nuova filiale lì e io sarei il
capo. So che per voi
sarà un problema, ma…”
“Per me non c’è nessun problema, non
voglio più vedere San Diego.”
Rispondo feroce.
“E poi ci sarà la neve, tu cosa dici,
Danny?”
Mio fratello abbassa gli occhi.
“Beh, mi dispiacerà lasciare i miei amici e Lucy,
ma
forse un cambio d’aria farà bene a tutti.
Adesso scusate, ma devo andare a parlare con una
persona.”
Si alza dal divano, prende la giacca ed esce sbattendo la porta.
“Cosa è successo?”
Il tono di mio padre è preoccupato, chiaramente si aspettava
le proteste
violente di due adolescenti arrabbiati non questa
remissività.
“Tom mi ha ferito, meglio che tu non sappia i
particolari.”
“Ti ha picchiata?”
“Non male fisico, male … spirituale.
Scusate, io vado in camera mia a fare i compiti.”
Salgo in camera e mi metto i miei soliti vestiti da casa, cinque minuti
dopo
mia madre bussa alla porta.
“Cosa è successo?”
“Tom e Maddie hanno scopato, scusa la parolaccia, ma
è l’unica adatta a
descrivere l’attività.”
“Pensavo che tu e Tom uscite insieme.”
“Lo pensavo anche io, evidentemente mi
sbagliavo. Maddie
ha avuto la sua vendetta, adesso può essere
felice.”
“Tesoro, mi dispiace. Sono sicura che a Chicago troverai un
ragazzo migliore di
lui.”
“Lo spero, sono stanca di fregature.”
Lei non dice nulla.
“Forse lui si scuserà.”
“E cosa me ne faccio delle sue scuse?
Lo sa chi è Maddie e cosa vuole da me, non doveva farlo e
basta.”
“Hai perfettamente ragione, solo che sembrava così
tanto un bravo ragazzo.”
“Lo so, sono stata fregata da quello.
Chi se lo sarebbe mai immaginato?
Mamma, è ok andare a Chicago. Forse per far ripartire
davvero la mia vita devo andare lontano da dove è uscita
fuori strada.”
“Potrebbe essere. Sì, prendiamo questo
trasferimento come un nuovo inizio!”
Ci sorridiamo, lei non si accorge che il mio sorriso è
falso.
Questo non è un nuovo inizio, è una fuga
legalizzata.
Non appena mia madre esce dalla mia stanza il mio
telefonino, è Cheryl.
“Cosa è successo, Jen?”
Io esito un attimo a rispondere.
“Papà ha trovato lavoro a Chicago, penso che ci
trasferiremo lì.”
Adesso anche dall’altra parte sento silenzio.
“Mi dispiace, mi mancherai.”
“Mi mancherai anche tu, ma io qui non posso più
rimanere, lo capisci?”
“Sì, lo capisco. Tom è stata la goccia
che ha fatto traboccare il vaso?”
“Esattamente. Non sarai sola, ci saranno Anne, Josie e Peggy
con te.”
“Lo so, ma non è lo stesso. Io e te ci conosciamo
da secoli.”
Io sospiro.
“Non credere che non mi dispiaccia lasciare San Diego, ma
non ce la faccio a stare qui.”
Inizio di nuovo a piangere.
“No, Jen. È okay. Ti capisco, non
piangere.”
“Ok, scusa Cheryl.”
“Ci vediamo domani a scuola.”
“Va bene, a domani.”
Chiudo la chiamata e mi stendo sul letto, svuotata. Che da una parte di
me a cui non va di andrsene: qui sono cresciuta, qui ci sono i miei
luoghi e i miei
ricordi, le mie amiche. Dall’altra parte ci sono le persone
che più mi hanno
fatto soffrire e non vorrei più vederle.
Sì, sto scappando e lo so benissimo, ma non ho mai
brillato per coraggio.
L’unica ribellione ha portato alla distruzione, non puoi
distruggere una come Maddie, lei troverà sempre il modo di
ucciderti e
ristabilire l’ordine.
Fanculo.
Con un gesto di rabbia lancio la foto di me, Cheryl, Jess
e Madison dall’altra parte della stanza, il vetro va in mille
pezzi, più o meno
come la mia vita.
“Non sei un’eroina, Jennifer Jenkins. Non lo sei
mai
stata e non ci si improvvisa eroine da un momento all’altro,
ci vogliono le
palle per resistere ai colpi bassi e tu non ce le hai.”
Mi dico sconsolata.
Non scendo per la cena e continuo a guardare il muro alla
ricerca di una risposta, di qualcosa che abbia un senso. Non trovo
niente, solo
ombre che si rincorrono sulla parete.
Come farò domani a scuola?
Non ne ho idea, improvviserò. Tanto ormai posso fare la
pazza, tra poco me ne andrò e ricomincerò in
un’ altra scuola.
Finalmente mi addormento e mi sveglio con un tremendo mal
di testa. Mi trascino in bagno e dopo la doccia mi prendo un moment.
In cucina c’è una colazione preparata con cura, io
non
mangio molto. Il mio appetito se ne è andato da quando ho
visto quella scena
disgustosa.
Una volta che Danny ha mangiato tutto quello su cui riesce
a mettere le mani usciamo di casa.
“Cosa hai detto a Tom?”
“ L’ho preso a pugni, ma non credo di avergli fatto
molto male.”
“Grazie del pensiero.”
Lo lascio fuori dalla sua scuola e parcheggio la
macchina.
A noi, Rancho Bernardo.
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Capitolo 8 *** 8)Nel tuo piccolo mondo tra piccole iene. ***
8)Nel tuo piccolo mondo tra
piccole iene.
Come ci si sente ad attraversare
l’atrio della scuola
dopo il giorno peggiore della tua vita?
Beh, una merda.
E come se non bastasse Maddie si avvicina con quell’orribile
sorriso di trionfo.
“Piaciuto lo spettacolo di ieri?”
Mi chiede con tono innocente e io smetto di rispondere delle mie
azioni, le do
un pugno in faccia e poi un altro e un altro ancora presa dalla rabbia.
Smetto
solo quando due robusti ragazzi mi staccano da lei e arriva il preside.
“Signorina Jenkins, mi stupisco di lei!
Come ha potuto fare una cosa del genere a questa povera
ragazza?”
“Povera ragazza? La considera innocente solo ha
perché ha due begli occhioni
azzurri ed è una bionda con l’aria angelica?
Ha una vaga idea di quante persone
abbiano subito bullismo da lei?
No, vero?
Perché chi crederebbe che una creatura così
angelica
possa fare male a qualcuno? Nessuno.
È lei che va protetta, non il contrario.
È questo il sistema e questa sistema si basa
sull’ipocrisia.
Mi ha capito bene.
I P O C R I S I A.”
Lui mi guarda come se fossi pazza. Nessuno è mai profeta in
patria, vero?
“Signorina, vada a casa. È sospesa per una
settimana.”
“Non si preoccupi, tanto io questa scuola di merda la mollo!
Addio!”
Marcio verso la porta e scanso con particolare violenza Tom, dandogli
uno
spintone che lo butta a terra.
“Ma levati dal cazzo!”
Bercio.
Vado in macchina e torno a casa, non rispondo a nessuna
delle domande di mia madre, tanto la scuola la informerà di
sicuro di quello
che ho fatto.
Mi sdraio sul letto non prima di aver devastato la mia
scrivania, poco dopo mamma arriva con aria perplessa.
“Cosa è successo, Jen?
Mi ha chiamato la scuola dicendo che sei stata sospesa
per una settimana e che tu li hai mandati al diavolo.”
“Ho solo detto la verità su Maddie.”
Le faccio un piccolo riassunto del discorso.
“Ma nessuno mi ha creduto.”
“Perché l’hai presa a pugni?”
“Perché non appena mi ha vista mi ha chiesto se mi
era
piaciuto lo spettacolo di ieri.”
Dico piatta, mia madre stringe i pugni.
“Mi dispiace, tesoro.
In ogni caso entro la fine della settimana vado a scuola
e ritiro l’iscrizione, settimana prossima dobbiamo essere a
Chicago. Tuo padre
è già là per cercare casa.”
Io annuisco.
“Come fa con il lavoro?”
“Ferie.”
“Giusto. Sono stanca, mamma.”
“È perché non mangi, tesoro. Oltre a
tutto quello che ti è successo, fai un
piccolo sforzo.”
“Sono grassa.”
Dico piuttosto spenta.
“Assolutamente no. Jenny, ascoltami! Qualsiasi cosa ti
abbia messo in testa Maddie è falsa e non mangiare non
risolverà il tuo
problema.”
“Il fatto è che davvero non ho fame, mi si chiude
lo
stomaco se provo a mangiare.”
Lei sospira.
“Ti faccio un po’ di the con i biscotti.”
“Va bene.”
Scendo dabbasso con lei che dopo un po’ mi porge una tazza
fumante e dei
biscotti al cocco, i miei preferiti.
“Grazie per non esserti arrabbiata.”
“Stai passando un brutto periodo, cerco di essere
comprensiva, sono sicura che
a Chicago
andrà meglio.”
“Sì, lo spero anche io.”
Poi bevo il mio the con i biscotti in silenzio,
all’improvviso il mio cellulare
vibra.
“Brava, oggi
il tuo discorso è stato molto bello, se solo
qualcuno ci avesse creduto.
Viviamo davvero in un
sistema che privilegia l’ipocrisia.
Oggi vieni al Sombrero
con le ragazze?”
È Cheryl e io digito rapida un sì.
Solo dopo averlo fatto mi rendo conto che mia madre
potrebbe non essere d’accordo, in fondo mi sono appena fatta
sospendere da
scuola.
“Mamma!”
Lei arriva quasi subito.
“Cosa c’è?”
“Mi ha scritto Cheryl, mi ha chiesto se ci potevamo vedere al
Sombrero con le
ragazze, le ho detto di sì. Va bene, vero?”
“No, tesoro.
In fondo ti sei fatta sospendere da scuola, di’ loro di
venire qui a casa.”
Io annuisco e scrivo un altro messaggio alla mia amica, per lei non ci
sono
problemi.
Almeno oggi pomeriggio avrò qualcuno con cui parlare e
spero che Anne, Josie e Peggy non difendano Tom. Non penso potrei
sopportarlo.
A pranzo cucino io al posto di mia madre e mangiamo le
nostre cotolette in silenzio. Forse è arrabbiata con me,
forse l’ho delusa.
“Jen.”
Dice alla fine del pranzo.
“Sì, mamma?”
“Anche se ti hanno espulsa, volevo farti i complimenti per il
discorso che hai
tenuto al preside. Hai dimostrato di essere una ragazza intelligente e
– anche
sei dovrei essere arrabbiata con te – una piccola parte di me
non può che
essere orgogliosa di quello che hai detto e fatto.
Beh, non sono d’accordo sull’avere preso a pugni
Maddie,
ma in fondo se lo meritava.”
Ci sorridiamo a vicenda.
“Grazie, mamma.”
“Di niente, tesoro.”
È una mezza vittoria, ma è meglio di niente.
Nessuna madre può essere davvero felice se la figlia
viene sospesa da scuola.
Al pomeriggio faccio i compiti per
materie che non
frequenterò, giusto per far passare il tempo in attesa che
arrivino le ragazze.
“Ma perché fai i compiti?”
La voce divertita di Anne mi fa sobbalzare.
“Perché non sapevo cosa fare.”
Ammetto con candore.
“Bel discorso quello di oggi, peccato che sia stato
inutile. Non c’è peggior cieco di quello che non
vuole vedere.”
Dice Peggy prima di sedersi sul mio letto.
“Bella stanza, pensavo che sarebbe stata un incubo
rosa.”
“Sono stata una cheerleader, ma il rosa non mi è
mai piaciuto granché.”
“Maddie se lo meritava quel pugno, sappiamo cosa ha fatto con
Tom.”
Esordisce Josie a disafio.
“Ci dispiace molto, lui è stato un vero idiota.
È sempre un idiota, ma non pensavamo potesse superare
persino sé stesso.”
“Immagino non gli sia dispiaciuto, almeno la cosa non ha
la faccia da cavallo.”
Loro tre si guardano a disagio.
“No, per essere onesti non è per niente felice per
quello
che ha fatto.”
“Brutta scopata?”
Di nuovo quello strano sguardo.
“Gli dispiace di averti ferita, ma non lo
ammetterà mai.”
Io guardo loro tre con un’occhiata omicida.
“Se siete venute per propinarmi stronzate come questa
andatevene. Nessuno l’ha obbligato a farsi Maddie, nessuno
gli ha puntato un
fucile alla testa. Se davvero lui avesse tenuto a me non
l’avrebbe fatto e
basta.”
Sto urlando e non me ne rendo nemmeno conto perché mia madre
viene a vedere
cosa sta succedendo, ultimamente non ho più il controllo sui
miei nervi.
Esplodo per un nonnulla.
“Jen, lui è un ragazzo.”
“Lui è nel pieno degli ormoni.”
“Lui ama farsi tutte le ragazze, non gli è mai
capitato di fissarsi su una. Non
sa cosa fare, come comportarsi.”
Io stringo i pugni e chiudo gli occhi, prima di esplodere di nuovo.
“Per favore, andatevene:”
Dico a voce bassa, ma udibile.
Josie, Peggy e Anne non se lo fanno ripetere due volte e
rimane solo Cheryl con me.
“Tu cosa ne pensi di questa situazione.”
Lei rimane in silenzio.
“Penso che abbiate ragione entrambi, ma che adesso sia
troppo presto per cercare scusanti a Tom.”
“Odio Maddie.”
“Anche io.”
Altra pausa di silenzio.
“Odio Tom.”
“Non è vero. Sei solo delusa da lui.”
“Cambia qualcosa?”
“Adesso niente, ma in futuro non lo puoi sapere.”
“In futuro non sarò più qui e
sarà troppo tardi. A Chicago ne troverò uno
migliore di lui.
Gli sarò grata e basta. Niente sentimenti più
profondi,
non se li merita.”
Di nuovo la mia voce trabocca di rabbia, Tom è un argomento
tabù ultimamente.
Ogni volta che qualcuno lo nomina ho reazione
incontrollate, è decisamente meglio che io me ne vada a
Chicago, non ce la
farei a vivere qui.
L’omicidio mi dicono sia punito come minimo con
l’ergastolo.
Nei giorni seguenti mio padre ci
fa sapere che ha trovato
una nuova casa e delle nuove scuole per me e Danny: notizie fantastiche.
Intanto io e mia madre impacchettiamo la roba,
approfittando del fatto che sono a casa da scuola facciamo prima di
quanto
previsto, in quanto all’argomento Tom è ancora
tabù. Lui continua a tempestarmi
di messaggi a cui non rispondo e – per fortuna –
non lo vedo a scuola. Cheryl
mi ha detto che chiede sempre di me.
Continua a chiedere, Tom, la tua possibilità te la sei
giocata e io sto per prendere il volo.
“Come mai il tuo cellulare continua a squillare?
Tra poco prenderà fuoco.”
Mi chiede mia madre.
“Tom.”
“Oh! Cosa vuole?”
“Non è ovvio? Prolungare il gioco, solo che il
giocattolino non vuole più stare alle sue regole, non doveva
toccare Madison!”
Dalla rabbia mollo un pugno al tavolo solo per poi massaggiarmi la mano
con
espressione dolorante.
“Ho capito.
Sei così cambiata, Jen. A volte non ti riconosco
nemmeno.”
“Si chiama adolescenza.”
Borbotto cupa.
“E l’avere il cuore spezzato. Quello cambia un
sacco le
persone, le rende quasi irriconoscibili.”
Finisco il mio discorso senza che lei aggiunga nulla,
forse non sa cosa dire o forse pensa che qualsiasi possa dirmi sia
troppo
presto per farlo e non accetterei nessun consiglio.
Beh, ha ragione.
Ho una rabbia addosso che mi impedisce di ascoltare
chiunque tranne Cheryl; Anne, Josie e Peggy Sue hanno provato a
mettersi in
contatto con me, inutile dire che il tentativo è andato a
vuoto.
Mi aspettavo davvero che difendessero me? La nuova
arrivata? L’ex cheerleader?
Povera scema, era ovvio che avrebbero difeso Tom.
Lui è loro amico da più tempo, magari hanno
trovato anche
divertente vedermi umiliata visto che di solito sono quelle come me che
umiliano loro.
Cheryl continua a
frequentarle, non mi importa, basta che si tengano lontane dalla porta
di casa
mia, hanno già reso chiaro da che parte stanno.
Mentre macino pensieri di rabbia e
di umiliazione ficco roba negli scatoloni e
ne approfitto per far scomparire tutto quello che mi ricordi la vacca e
il
periodo di tempo passato a essere la sua schiava.
Parecchia roba finisce nella spazzatura: divise, abiti
rosa, gioielli, scarpe con il tacco impossibile, gonne giropassasera,
montagne
di foto e il giuramento delle cheerleader aka bulle.
Non voglio queste cose nelle mia nuova vita più di quanto
voglia Tom. Quanti relitti mi lascerò indietro, la nuova Jen
deve essere
totalmente diversa dalla vecchia e devono capirlo tutti.
Mia madre non commenta nemmeno sulla roba che finisce in
pattumiera, credo stia cercando di capire quando le possa piacere la
nuova Jen
e quanto rimpianga di quella vecchia.
Credo che per lei non sia facile accettare tutti questi
cambiamenti tutti insieme, forse si sente confusa e bombardata da
troppe cose.
Vorrei davvero che le cose fossero diverse, ma non possono e non lo
saranno.
Mi dispiace.
Sabato siamo tutti seduti a pranzo, martedì ce ne andremo
quindi è l’ultimo sabato qui.
"Volete salutare i vostri amici?”
Ci chiede mamma.
“Sì.”
Risponde Danny.
“Penso che stasera faranno una festa per me, non credo
che Tom sarà presente.”
“E tu, Jen?”
“Chiederò a Cheryl di venire qui e poi
vedremo.”
“E le altre due ragazze?”
“Hanno preferito rimanere amiche di Tom che mie.”
Rispondo piatta tagliando l’ultimo pezzo di cotoletta.
“Jen, non puoi isolarti così.”
“Posso e voglio. A Chicago starò attenta a chi si
avvicinerà a me, non permetterò
mai a nessuno di farmi male ancora.”
Finisco feroce.
Sono stanca delle persone in un certo senso, sono una
delusione la maggior parte delle volte, meglio evitarle se possibile.
Quelle
come Cheryl sono perle rare.
Finito il pranzo sparecchio la tavola e lavo i piatti, pi
salgo in camera mia: è un casino di scatole e roba che sta
per finire in altre
scatole.
Cerco il cordless e compongo il numero di Cheryl.
“Ehi!”
Mi risponde di buon umore.
“Ehi! Visto che martedì leviamo le tende ti va di
venire
da me stasera?”
“Sì, mi va. Però usciamo,
dai!”
“Per incontrare Maddie o le altre amichette di Tom.”
“Conosco un posto che non è frequentato da nessuno
dei due gruppi.”
“Va bene, ci sto. Devo mettermi elegante?”
“No, vai tranquilla.”
Ci accordiamo per l’orario, poi mi butto sotto la doccia, i
miei capelli stanno
iniziando a sbiadire, a Chicago devo trovare una parrucchiera che me li
rifaccia. Non ho intenzione di rimanere bionda, odio il biondo adesso.
Scendo a cena e mangio piuttosto di fretta, poi salgo di
nuovo in camera mia e mi metto un paio di jeans stretti e tagliati sul
ginocchio, una maglia corta rossa e una felpa nera con un teschio,
ovviamente
non possono mancare il trucco nero, la giacca di pelle e gli anfibi.
Alle nove e mezza il campanello suona e Cheryl si fa viva:
indossa un vestito rosso cortissimo e un paio di anfibi.
“Avevi detto niente vestito, sembro una barbona accanto a
te.”
“Ma sei perfetta.”
“Mi prenderanno per lesbica!”
Esclamo costernata, prima che lei possa fermarmi salgo di nuovo in
camera mia e
al posto dei jeans metto un paio di collant bucati e una gonna scozzese
con
tante spille.
Quando scendo la mia amica sta parlando con la mia amica.
“Così va molto meglio.”
Le dico, lei annuisce, poi finalmente usciamo di casa.
Saliamo in macchina e lei è piuttosto silenziosa.
“Non c’era niente di male ad
assomigliare…”
“Non dire quella parola.”
“Ti da fastidio?”
“Sì, molto.”
La risposta mi esce in un sussurro feroce, mentre stringo forte le mani
a pugno
e lei ferma la macchina.
“E se ti dicessi che lo fossi?
Che ti ho seguito nell’uscire dal gruppo di Maddie solo
per avere una possibilità con te?”
Rimango in silenzio, paralizzata.
“Lo sei?”
“Sì.”
E si sporge verso di me come se volesse baciarmi, io mi
scosto e vado a sbattere contro la portiera.
“Smettila!”
“Perché? Noi siamo migliori degli uomini,
trattiamo
meglio le nostre ragazze. Noi siamo esseri superiori.
Cosa ti costa provare il vero amore per una volta?”
In preda al panico apro la portiera e scendo
“Jen..”
Urla lei
“VATTENE VIA E NON FARTI PIU’ VEDERE!”
Urlo fuori di me, non appena sono fuori dalla sua
macchina, cammino a passo veloce verso casa mia. Quando sento i suoi
passi
dietro di me corro, per evitare che mi raggiunga, scioccata.
Ecco perché cambiava ragazzo ogni settimana! Era per
nascondere quello che era e puntava me, ecco perché mi stava
sempre addosso!
Corro fino a farmi venire male ai polmoni e finalmente
vedo casa mia, entro dalla porta quasi abbattendola e poi filo in
camera mia,
sorda ai richiami di mia madre.
Sono stanca della mia vita, sono stanca che vada sempre
male!
Giuro, da oggi in poi rimarrò sempre da sola, sempre!
Non lascerò che nessuno si avvicini più a me, mi
dico,
mentre il respiro mi esce in corti singulti e le lacrime macchiano le
mie
guance di nero.
Nessuno capirà mai la mia reazione, ma me ne sbatto.
Crollo in ginocchio in mezzo alla camera, nessuno è
interessato a Jennifer solo come Jennifer, solo mio fratello, ma non ho
intenzione di diventare incestuosa.
Piango, lasciando che il grumo di rabbia, dolore e voglia
di prendere a calci il mondo che ultimamente mi stava soffocando. Sono
lacrime
sentite, di quelle che ti attraversano le guance a fiumi e non si
possono
fermare una volta iniziate.
La mia vita qui sta
andando a puttane, devo andarmene lontano,
dove niente di quello che è successo qui può
farmi male. Devo iniziare tutto da
capo senza guardare indietro, non c’è nulla per
cui valga la pena farlo.
All’improvviso al piano di sotto sento del casino,
all’inizio non me
ne frega molto – può
esserci fracasso fino alla fine del mondo per come sto adesso
– poi
però decido di scendere a vedere.
Chi diavolo è il seccatore che alle dieci di sera decide
di disturbare la quiete di una famiglia?
Alla porta d’ingresso vedo mia madre che tenta di cacciare
via Tom, il quando fa del suo meglio per superarla ed entrare in casa
mia. Il
sangue inizia di nuovo a bollirmi e il crimine a salirmi.
Cosa cazzo vuole?
“Cosa diavolo vuoi?”
Lo apostrofo duramente, la faccia distorta in una maschera di rabbia.
“Devo parlarti, devi sapere la verità.”
“NON C’E’ NESSUNA VERITA’ DA
SAPERE! CI VEDO BENISSIMO, COGLIONE!
VATTENE!”
“Non finché non mi ascolterai e sappi che ho tutta
la
notte!”
Io lo guardo furiosa, le mani strette a pugno, senza
sapere bene cosa dire. So che lo farà, è pazzo
abbastanza da farlo.
Come si chiama questa situazione?
Stallo.
Che rabbia!
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Capitolo 9 *** 9)Cambiamenti ***
9)Cambiamenti
È difficile dormire
sapendo che quella che consideravi
un’amica ti considerava solo una preda e che fuori dalla
porta di casa mia c’è
un esaurito che vuole parlare con me.
A un certo punto inizio a prendere a pugni il cuscino
gridando “Basta, basta! Non ne posso più,
lasciatemi da sola!”. Mia madre si
spaventa e viene a vedere cosa diavolo stia succedendo e mi trova
inginocchiata
sul letto con le lacrime agli occhi.
“Cosa è successo?”
A spizzichi e bocconi le racconto di Cheryl, lei mi abbraccia e
sussurra che le
dispiace, che non se lo aspettava, che Cheryl sembrava una ragazza a
posto.
Le stesse cose che pensavo io, ma ormai ho imparato che
le mie impressioni sono spesso sbagliate e che non ne azzecco una.
“Forse dovrei scendere a parlare con Tom.”
Dico con voce roca.
“Solo se vuoi, sennò dico a tuo padre di cacciarlo
via a
calci.”
“No, voglio mantenere questo privilegio per me.”
Mi metto una felpa sopra la maglietta che uso come pigiama e un paio di
jeans e
anfibi, nel caso dovessi prenderlo a calci voglio fargli il
più male possibile.
Scendo al piano di sotto e apro la porta di casa mia, lui
è seduto sulla sedia a dondolo del portico.
“Che cazzo vuoi?”
Esordisco incazzata come una bestia.
“Vorrei parlarti.”
“Beh, io no. Quindi, vattene. È stata una giornata
di merda, non mettertici
anche tu.”
“Cosa è successo?”
“Non sono affari tuoi.”
“Jen…”
Io lo fulmino.
“Cosa ci fai qui? Perché mi parli come se fossimo
amici
quando non è così?”
“Cosa vuoi dire?”
Mi guarda confuso.
“Non puoi essere mio amico se ti porti a letto la ragazza
che mi bulla.”
“Oh, quello. Hai frainteso.”
Io scoppio in una risata priva di allegria.
“Chi era quello mezzo nudo con lei nello sgabuzzino delle
scope?
Il tuo clone?”
“No, ma io non volevo.”
“Ah, no? Di chi erano le mano sul culo di Maddison?
Piantala di raccontarmi cazzate, Tom. Non sono in vena,
non le sopporto.
La verità dura e cruda è che te la sei fatta.
Punto.
Facevi solo finta di interessarmi a me, è stato
divertente, ma finiamola qui.
Stiamo scadendo nel patetico e io sono stanca.
Ho la testa che mi scoppia, voglio solo dormire non
sentirti blaterare qualcosa sul fatto che non eri colpevole. Non ti
credo più.
Hai bruciato la tua possibilità con me e adesso vattene a
casa, io vado a letto.
Non ho voglia di stronzate, te l’ho già detto.
Ciao.”
Faccio per avviarmi verso la porta, ma lui mi afferra per il polso e mi
fa
voltare verso di lui, prima che io possa protestare mi bacia con foga e
la cosa
peggiore è che io ricambio.
Fatto questo se ne va, lasciandomi ancora più confusa e
arrabbiata.
Lo odio!
Rimango a guardare il giardino per un po’ mentre una
confusione di pensieri mi vortica in testa, come un uragano impazzito.
Smetto
quando mia madre fa capolino dalla porta per vedere cosa diavolo sia
successo,
se sono ancora viva o se Tom mi ha rapita o uccisa e seppellita in
giardino.
“Tesoro, tutto bene?”
Mi chiede ansiosa.
“Non c’è nulla che vada bene, spero solo
di lasciare al
più presto questo posto.”
Soffio irritata.
“Faresti meglio a rientrare, inizia a fare freddo. Vuoi
una tazza di the?”
Io ci penso un attimo e poi annuisco.
“Sì, mamma. Mi farebbe piacere.”
Entriamo insieme in casa e ci dirigiamo in cucina, lei mi
prepara un the caldo e forte, bello zuccherato.
“Cosa voleva quel ragazzo?”
Io scrollo le spalle.
“Dirmi la sua versione della storia. Le solite cose:
“è
lei che ci ha provato” e blablabla.”
“È successo qualcos’altro?”
Alla sua domanda divento di fiamma.
“Mi ha baciato.”
Sussurro dopo un minuto buono, senza guardarla negli occhi e con una
voce
sottile che non sembra nemmeno la mia.
“Oh, lo hai respinto, vero?”
“No.”
Sussurro con una voce ancora più sottile.
“Lui ti piace?”
La sua fronte è aggrottata come se nella sua testa si stesse
formando un quadro
che non le piace e temo di sapere quale sia,
“Mi dispiace, mamma.”
Lei mi guarda stupita.
“Non devi sentirti in colpa se ti piace.”
“Ma a te non va bene.”
Lei fauno strano sorriso.
“All’inizio io non sopportavo tuo padre e ora
eccoci qui:
abbiamo due fantastici figli.
No, il cuore prende vie misteriose.”
E su questa frase enigmatica lei mi dà la buonanotte e io
salgo in camera mia confusa, spaventata e con una voglia di prendere a
pugni
Tom e magari anche Cheryl.
Mi rimetto in pigiama e mi butto sotto le coperte,
c’è un
calore piacevole, sicuramente migliore del freddo della veranda.
Che io sia dannata se capisco cosa ha in mente quel
pazzoide!
Lunedì e
martedì aiuto mamma con le ultime cose.
Mercoledì vengo svegliata prestissimo da lei,
perché il
nostro volo è alle otto. In cucina c’è
già uno scontroso Daniel che sta
affondando il cucchiaio nei suoi cereali, chiaramente scontento di
essere
sveglio a quell’ora e forse di lasciare San Diego.
Chissà come l’ha presa quella Lucy?
Magari sull’aereo glielo chiedo, sarebbe imbarazzante
farlo davanti a mamma e poi lei vorrebbe sapere tutti i particolari,
conoscerla
e bla bla bla.
Daniel non lo vorrebbe e io non voglio che si arrabbi con
me, gli voglio bene, è l’unico che è
dalla mia parte e senza secondi fini ultimamente.
Mi siedo al tavolo e affondo anche io il mio cucchiaio
nei cereali, mi accorgo di non essere troppo felice nemmeno io.
Sarà perché è mattina presto e a me le
mattine non vanno
giù.
Sarà perché ho scoperto che la mia migliore amica
non era
tale.
Sarà perché Tom mi ha baciato.
Tanti sarà che mi irritano, tanto che mi impongo di non
pensare a nulla, di concentrarmi solo su come i cereali roteano nella
tazza:
una massa appiccicosa, ma buona.
Cucchiaiata dopo cucchiaiata li finisco e mamma lava le
ultime cose per poi asciugarle e infilarle in uno scatolone, domani
un’impresa
di traslochi verrà a prenderle e le porterà a
Chicago.
Usciamo di casa e aiutiamo mamma a caricare le nostre
valigie su un taxi, mamma deve averlo chiamato mentre io e mio fratello
eravamo
in coma mattiniero. Danny è davvero preso male, durante il
tragitto verso
l’aeroporto finisce per addormentarsi sulla mia spalla.
Quando la macchina si ferma lo scuoto gentilmente.
“Ehi, pulce, sveglia! Siamo arrivati!”
“Non chiamarmi pulce!”
Biascica con la voce impastata dal sonno.
“A me piace.”
“ A me no.”
Borbotta scendendo, siamo davanti alle partenze nazionali e scarichiamo
i
bagagli per poi trasferirli su un carrello, le cose che ci serviranno
durante
il volo sono nei nostri zaini.
Mamma va al banco dell’accettazione e poi pesano le
valigie e le imbarcano, noi siamo liberi di girare per la zona
duty-free
dell’aeroporto, fino a che chiamano il nostro volo.
Dalla quella zona ci incamminiamo verso quella delle
partenze, passiamo sotto il metal detector e diamo il nostro biglietto
a un
hostess sorridente, nonostante l’ora antelucana.
Ci indica un punto oltre una vetrata.
“Uscite, un pullman vi scorterà al vostro volo.
Vi auguro di fare buon viaggio.”
Seguiamo le sue indicazioni e usciamo da una porta, fuori
c’è altra gente e presto un pullman blu ci porta
al nostro aereo, saliamo la
scaletta e andiamo ai nostri posti. Io e Dan siamo vicini, la mamma
è due
sedili davanti a noi.
Allacciamo la cintura, l’hostess ci spiega la procedura
di emergenza e poi decolliamo, non mi piace la sensazione di
compressione allo
stomaco, ma la vista di San Diego ripaga tutto.
È meraviglioso vedere l’oceano brillare come uno
zaffiro, i grattacieli che scintillano pigramente quando la luce del
sole
nascente colpisce le finestre, la distesa immensa di case, il porto e
lo zoo.
Parlando di alba, ora siamo immersi in nuvole rosa,
arancioni e dorate e sembra di stare nel paese delle favole.
Una volta sorto il sole mi volto verso mio fratello, i
suoi occhi scintillano.
“Bello, vero?”
“Sì, fighissimo!”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Come è andata con Lucy?”
Gli chiedo poi piano, indecisa se sia o meno un buon argomento di
conversazione. Non lo è, perché si rabbuia subito.
“Beh, si è arrabbiata. Parecchio.
Ha detto che l’ho solo usata per scoparla e che sapevo
fin dall’inizio che sarei dovuto partire.
Come fai a convincere del contrario una ragazza quando è
arrabbiata come un cobra pronto a morderti? Mi ha insultato davanti a
tutti i
miei amici, dandomi del puttaniere e del bastardo.
Loro ridevano, ma io volevo sparire, perché Lucy mi piace
davvero.
La sua reazione però esclude totalmente la
possibilità di
una relazione a distanza.”
Sembra così abbattuto che gli scompiglio i capelli tinti di
biondo platino come
segno di affetto.
“Mi dispiace, Daniel, ma le ragazze a volte reagiscono
senza pensare.
Fanno due più due inesistenti e non c’è
nulla da fare, se
non adattarsi alla loro volontà. Scommetto che ora
sarà molto dispiaciuta di
quello che ti ha detto, non è escluso che ti
scriva.”
“Lo dici solo per consolarmi il morale o perché
è vero?”
“Un po’ per tutte e due le cose.
Io…”
All’improvviso divento rossa.
“Ti voglio bene, Danny.
Sei un fratello fantastico, grazie per tutto quello che
hai fatto per me ultimamente.”
Lui mi abbraccia, mi stupisce il fatto di quanto sia alto o di come sia
forte
la presa delle sue braccia, me lo ricordavo come il bambino un
po’ paffuto che
si attaccava a me con le sue domande e i suoi discorsi e non mi mollava
più.
Quel bambino è cresciuto e sono sicura che
diventerà un uomo meraviglioso.
“Ovviamente quando saremo scesi dall’aereo questi
momenti
mielosi non saranno mai accaduti.”
Dice poi, imbarazzato.
“Assolutamente no. Abbiamo solo parlato.”
Rispondo seria.
“Jen… Ti voglio bene anche io.
Grazie per non essere diventata un’oca senza cervello, mi
sarebbe mancata la mia sorellona a cui fare domande.”
Io sorrido e penso che ho più di quello che creda.
Il resto del volo è una noia, io gli racconto di Tom, ma
glisso su Cheryl. Lo sa solo mia madre e io non me la sento di parlarne
con
altri, mi sento un po’ sporca, contaminata.
In questi mesi ho provato un po’ troppo spesso questa
situazione, vorrei prenderli e cancellarli tutti. Sono stanca di
sentire il
tocco aggressivo di Chris su di me ogni tanto o di vedere una
volontà
implacabile di lussuria negli occhi di qualcuno come è
successo con gli occhi
di quella.
Vorrei mettermi a urlare fino a perdere la voce,
piangere, invece non faccio niente. Non mi piace che la mia famiglia si
preoccupi per me.
Soffrirò in silenzio come sempre.
Coltiverò in solitaria la mia paura del mondo e delle
persone e non lascerò che nessuno si avvicini più
a me, c’è solo da perderci.
Alla fine Danny si addormenta di nuovo e io mi alzo per
andare in bagno, dalla borsetta che mi sono portata tiro fuori una
lametta e la
guardo luccicare nelle luci fredde del cubicolo.
Senza esitare l’affondo nella mia carne e guardo uscire
il sangue, come se non fosse il mio, faccio un altro paio di tagli, poi
lavo la
lametta e la rimetto via,.
Da oggi sarà lei la mia amica e confidente.
Mi lavo anche i tagli e li nascondo alla bell’ e meglio,
tanto sono sicura che nessuno guarderà troppo attentamente i
miei polsi coperti
di braccialetti, perché ho sempre amato portarli.
Faccio pipi ed esco.
La vita è ironica.
Fino a qualche mese fa disprezzavo chi si tagliava e oggi
sono una di loro, ho proprio perso l’aureola della
cheerleader nella merda
della vita vera.
La mia innocenza se ne è andata e queste nuove
consapevolezze mi rendono strana e stanca.
Stanca soprattutto, ma non voglio che se ne accorgano.
Torno a sedermi e dopo aver appoggiato la testa al
finestrino mi addormento anche io.
Il resto del viaggio prosegue tranquillamente, io e Dan
dormiamo, fino a quando una hostess gentile ci sveglia.
“Ragazzi, dovete allacciarvi le cinture, stiamo per
atterrare.”
“Sì, grazie.”
Borbottiamo insieme.
Io sono quella più vicina al finestrino e do
un’occhiata
al panorama: si vedono solo delle grandi nuvole grigie, cariche di
pioggia che
batte sul vetro.
L’aereo si abbassa e veniamo compressi per un attimo
contro il sedile quando le ruote toccano la pista, una sensazione poco
piacevole a cui somma il dolore dei tagli.
I tagli bruciano da morire e ancora non posso credere di
essermeli fatti io, sono sempre stata più o meno una ragazza
solare, ma
ultimamente ho perso il sole e mi sento circondata da tenebre.
Oscure sensazioni oppressive, il sentirmi un’idiota, una
stupida e una perdente ad esempio. Ogni tanto sono troppo forti e mi
manca
l’aria e oggi ho scoperto un modo per riavere un
po’ di ossigeno mentale. Lo so
che è sbagliato, che ho scelto il metodo peggiore, che se lo
sapessero i miei
si spaventerebbero da morire e che un giorno rischio di tagliare troppo
e
finire all’altro mondo.
Mi immagino il mio funerale, la mia famiglia in lacrime e
sconosciuto che mormorano: “Era così giovane,
poverina.”, forse Tom e di sicuro
nessuna delle mie false amiche.
Chissà se mancherei a qualcuno diverso dalla mia
famiglia?
“Jen?”
“Sì?”
“Siamo atterrati, tira giù la tua roba.”
Mi dice spiccio Dan, qualche sedile più in là
mamma ci fa cenno di muoverci con
una certa impazienza. In effetti l’aereo è mezzo
vuoto e noi siamo gli ultimi.
“Si può sapere cosa ti è preso?
A un certo punto ti sei incantata e non sono più riuscito
a smuoverti, non mi sentivi nemmeno.”
”Pensieri miei.”
Taglio corto io, tirando giù il mio zaino dalla rastrelliera.
Raggiungiamo la mamma e scendiamo dall’aereo, fuori fa
freddo e piove, sia io che mio fratello rabbrividiamo e ci stringiamo
di più
nelle nostre felpe.
Il sole della California mi mancherà.
Corriamo per raggiungere il pullman in partenza ed essendo
senza ombrello siamo tutti bagnati e di pessimo umore, persino mia
madre.
Scesi dal pullman recuperiamo i bagagli e un carrello,
dopo averci caricato sopra le valigie ci dirigiamo verso gli arrivi.
“State attenti e ditemi se vedete vostro padre. Io non
vedo nulla da dietro questo muro di bagagli.”
Io e mio fratello ci guardiamo intorno tra la folla che
ci sorpassa indifferente fino a che vediamo una figura alta e
dinoccolata che
si sbraccia. Capelli castani disordinati, faccia leggermente da
cavallo: è
sicuramente nostro padre.
Lo indichiamo a nostra madre e lei fende la folla con il
carrello, quando sono abbastanza vicini si abbracciano.
“Come è andato il viaggio?”
”Bene, tranne per il fatto che non avevamo gli ombrelli e non
ci aspettavamo
questo freddo.”
“Oh, avrei dovuto dirvelo. Mi dispiace.”
Si mette dietro il carrello e poi
lo
spinge, noi ci affrettiamo a seguirlo.
“Sono venuto qui con la mia nuova macchina, vedete vi
piacerà. È abbastanza spaziosa per contenere noi
e i bagagli e non stare scomodi.
Anche la casa è molto bella, vittoriana.”
Io faccio per aprire la bocca, ma lui mi precede.
“Jen, non dovrai dormire in camera con Danny. Avrai la
tua camera, un tuo bagno e una piccola stanza guardaroba.”
“Wow!”
Esclamo colpita, immaginandomi il tutto.
Il bagno solo per me mi piace soprattutto perché
sarà più
facile nascondere il mio nuovo hobby, meno domande credo.
Entriamo in macchina ed in effetti è spaziosa come ha detto lui.
“Per le vostre macchine dovrete aspettare che siamo state
vendute quelle californiane, poi avremo i soldi per
prenderle.”
Io e mamma annuiamo, per i primi giorni andrò a scuola in
pullman.
“Ti abbiamo iscritto a una scuola cattolica, dovrai
portare l’uniforme, ma almeno ci sarà della gente
migliore di quella di San
Diego.
No, Dan. Tu non sei iscritto a una scuola cattolica,
sarebbe perfettamente inutile visto che ti faresti espellere dopo
nemmeno due
giorni.”
”Va bene.”
Papà continua a parlare, ma noto che mio fratello non lo
ascolta e traffica con
il suo cellulare.
“Lucy mi ha scritto.”
Mi dice muovendo appena le labbra, io gli sorrido incoraggiante.
“Papà, sai dove c’è una
parrucchiera?”
Lui rimane un attimo in silenzio.
“No, non lo so.
Perché?”
”Non posso andare a una scuola cattolica con questi capelli
e, tra parentesi,
mi hanno stufato.”
“Non hai tutti i torti…. Beh, dopo che avrete
sistemato
la vostra roba tu e Danny potete uscire a fare un giro e trovarne una,
tanto
inizierete la scuola settimana prossima.”
“Va bene.”
Alla fine parcheggiamo davanti a una grande casa, un po’
scura. C’è un viottolo
che sale dal cancello, la casa è più in alto
rispetto alla strada, e poi una
veranda tetra in questo giorno
piovoso.
Tiriamo fuori i bagagli e li portiamo dentro, papà sembra
essersi sistemato bene e noto che le cose che avevamo spedito prima di
partire
sono già arrivate quindi vedo qualche oggetto familiare.
Papà mi conduce al piano di sopra e mi mostra la mia
camera: è molto grande, ha una scrivania, un letto alto, una
porta che conduce
al guardaroba e una al bagno, c’è anche un piccolo
terrazzino che è in una
sorta di rientranza della casa. Da fuori non l’avevo notato,
davanti c’è un
albero.
“Bene, ti lascio mettere via le tue cose.”
Se ne va, lasciandomi sola, io mi siedo sul letto,
il copriletto è soffice, di seta rossa con
disegni
dorati. Ma dopo averlo girato un po’ noto che sotto la seta
c’è della robusta
lana, almeno non avrò freddo.
Le pareti hanno della carta da parati con lo stesso
motivo del letto e sia la scrivania che l’armadio sono fatti
di un legno scuro
e hanno una fattura orientale, c’è persino un
paravanto in un angolo.
A differenza del resto della camera il tessuto è bianco
con una fantasia di uccelli neri che si alzano in volo tra fiori rosa e
rossi.
Mi piace questo posto.
Con metodo metto via la roba che ho in valigia e dopo un
paio d’ore ho finito. Incerta sul da farsi vado a bussare in
camera di Dan, che
è leggermente più chiara rispetto alla mia.
“Hai finito?”
Lui annuisce.
“Ti va di fare un giro?”
“Sì, lasciami tirare fuori la giacca. Qui fa
freddo, cazzo!”
“Avremmo dovuto pensarci, adesso vado a prendere anche la
mia.”
La tiro fuori dall’armadio e poi io e lui scendiamo.
“Mamma, abbiamo finito. Possiamo andare?”
“Sì, domani io e te dobbiamo andare a scuola per
andare a
prendere la tua divisa.”
“Va bene.”
Dico un po’ rassegnata, non faccio certo i salti di gioia
all’idea di andare in
una scuola cattolica con la divisa.
Non mi sono mai piaciute le divise, ma me le farò
piacere, in fondo non volevo un cambiamento?
Eccolo qui.
Non ti lamentare, Jen, se a volte quello che chiedi si
avvera.
Angolo di Layla
Sospendo questa storia
visto che non piace a nessuno e a me non vengono più idee.
Arrivederci.
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Capitolo 10 *** 10) Il primo giorno di scuola non si scorda mai. ***
10) Il primo giorno di
scuola non si scorda mai.
Una settimana passa in fretta
quando hai tante cose da
fare.
Tra il trasloco, reperire la mia divisa (una camicia
bianca con lo stemma della scuola, una gonna grigia a pieghe, una
cravatta a righe
blu e rosse, dei calzini neri che possono essere portati sopra i
collant, un
gilet nero e una giacca con lo stemma ricamato su una tasca dello
stesso
colore) e la parrucchiera.
Quando la donna ha visto i miei capelli rasati da una
parte si è messa le mani tra i capelli e mi ha chiesto se
fossi impazzita
mentre compivo quello scempio punk.
Le ho detto che non ero nelle mie condizioni migliori e
si è addolcita, spostando abilmente la riga e tagliando
qualche ciocca qua e là
ha fatto in modo che la mia rasata non si vedesse.
Mi ha chiesto se volessi qualche colore particolare, per
un attimo stavo per dirle il rosso, poi mi sono ricordata di Cheryl e
la
risposta mi è morta sulle labbra.
Rimosso il cadavere le ho detto che li volevo neri con la
punta e qualche ciocca arancione, giusto per non sprecare la mia
decolorazione.
Vorrei che la gente a scuola non mi notasse, ma sono
consapevole che lo faranno – anche solo perché
sono quella nuova – quindi tanto
vale.
Lunedì mattina io e mio fratello siamo di nuovo
rincoglioniti,
ma in una cucina diversa che poco somiglia a quella che avevamo in
California,
questa è di un legno scuro e decorata da padelle e piatti di
rame.
A mia madre non piacciono, ma non ha ancora trovato il
tempo per arredarla come vorrebbe.
I cereali sono la solita massa dolce, mio fratello ha i
suoi capelli platinati e irti e indossa una felpa lunga su jeans con il
cavallo
basso non troppo larghi, solo io mi sento un po’ a disagio.
Indosso la mia divisa nuova e ho messo un paio di calzini
neri e degli anfibi dello stesso colore, almeno un pochino voglio
personalizzarla.
Con un po’ di disagio mi stringo nella mia giacca nera,
chiedendomi quanto stonerà con la mia giacca di pelle
foderata di caldo pelo.
“Sei nervosa, Jen?”
”Sì.”
“Non ti preoccupare, andrà tutto bene. Sono sicura
che ti
troverai a meraviglia, ho parlato con il preside e mi è
sembrato che offra una
buona offerta formativa e un buon ambiente.”
”Va bene, grazie mamma.”
Finita la colazione, metto la giacca e prendo una vecchia borsa
militare che
contiene quaderni, astuccio e qualche libro. Mano a mano li
porterò a scuola e
li avrò tutti lì quando servono.
Usciamo e oggi Chicago ci riserva una giornata di pallido
sole, pare che sia una rarità da queste parte in autunno e
in inverno.
Il pullman di mio fratello passa per primo, mi saluta con
un cenno e mi lascia da sola sul marciapiede come una deficiente.
Cinque minuti
dopo un elegante pullman grigio si ferma vicino a casa mia e ci salgo,
il
cicaleccio all’interno si ferma quando salgo, io faccio finta
di niente e mi
siedo nel posto dietro l’autista. Lentamente riprendono tutti
a parlare, il
mezzo ci porta verso il centro di Chicago e poi si ferma davanti a una
scuola
vecchia e un po’ tetra, scendiamo tutti.
I nativi sciamano verso i loro amici, io entro
percorrendo uno scalone e poi cerco la segreteria, compilo le
scartoffie e poi
mi viene consegnato l’orario. Prima ora: letteratura in aula
7.
Dopo aver consultato la mappa arrivo e busso, una volta
che mi viene risposto “avanti” faccio il mio
ingresso. Per prima cosa noto che
ragazzi e ragazze sono mescolati e che dalla finestra si gode una
magnifica
vista del lago Michigan.
“Sono la professoressa Martin, insegno letteratura.
Potresti dirmi chi sei, per favore?”
“Sono la ragazza nuova. Mi…”
“Oh, sì. Ho capito. Trovato subito
l’aula?”
Annuisco.
“Ora presentati ai tuoi compagni, se non ti
dispiace.”
“Ehm, certo. Mi chiamo Jennifer Jenkins, vengo da San
Diego, California e mi interessano l’arredamento e la musica.
Spero di trovarmi bene qui.”
“Perfetto! Siediti vicino al signor Parker.”
Il signor Parker non è altro che un ragazzo dai capelli neri
e spettinati.
“Chiamami Kevin.”
”Chiamami Jen, odio il mio nome per intero.”
“Bei capelli!”
“Anche i tuoi non sono male.”
Gli dico prima di tirare fuori il mio blocco degli appunti e
concentrarmi sulla
lezione che parla di Louisa May Alcott. Prima pensavo che
“Piccole donne” fosse
una pizza, solo ora lo sto rivalutando e questa lezione capita a
fagiolo.
Due ore dopo una campana segna la fine delle lezioni, io
faccio firmare un foglio alla professoressa e io consulto la mappa.
Fantastico,
adesso ho matematica!
“Cosa hai dopo?”
“Mate. Aula 5.”
Sospiro rassegnata.
“Anche io. Dai, andiamoci insieme.”
Rimango un attimo incerta.
“Cosa c’è, Jen?”
“No, è che non volevo essere notata in questa
scuola.”
Lui ride.
“Se rimarrai con me sarai invisibile, la piccola
comunità
di questa scuola mi ha rifiutato.”
“Come mai?”
“Per i capelli, per il tatuaggio e perché dicono
che sono
un drogato.”
“Ti droghi davvero?”
”Se per droga intendi le sigarette, sì. Se per
droga intendi, canne, ero, coca
o altro no.”
“Va bene, fumo anche io.
Posso vedere il tatuaggio?”
Lui si sbottona la manica della camicia e sul polso
c’è
tatuato un piccolo drago rosso disegnato in stile orientale.
“Molto bello. Forza, andiamo o arriveremo in ritardo e io
mi devo presentare.”
Percorriamo i corridoi e nessuno ci guarda, è davvero
come essere invisibile, figo!
Arrivati in aula cinque, lui va a sedersi, io mi presento
alla classe e faccio firmare subito il foglio all’insegnante.
Neanche a dirlo
l’unico posto libero è vicino a Kevin.
Due ore di matematica sono pesanti per me qui come a San
Diego, alla fine ho mal di testa e un disperato bisogno di una
sigaretta.
Una campana più lunga annuncia il pranzo e un intervallo
prima delle lezioni pomeridiane, Kevin mi accompagna a mensa.
È una grande
stanza spaziosa, con molti tavoli e una vista sul lago come quasi tutte
le
aule.
“Come mai quasi tutte le stanze danno sul lago?”
Chiedo distrattamente mentre addento un pezzo di cotolette di pollo.
“Perché dicono che aiuti a concentrarsi
meglio.”
“Non hanno tutti i torti.”
”Sì, il lago Michigan è bello, ma vuoi
mettere con le spiagge della
California?”
Io rido.
“Sì, sono belle e c’è
più sole, ma anche persone non
molto belle, ecco perché sono qui.”
Lui alza un sopracciglio.
“Mio padre è un architetto, ha accettato di
trasferirsi
qui e sono quasi certa che l’abbia fatto per aiutare me,
vengo da una serie di
brutte esperienze.
Diciamo che la liberale California non fa per me.”
Lui rimane un attimo in silenzio.
“Brutto incidente con una lesbica?”
Io sgrano gli occhi, come ha fatto a capirlo?
“Come hai fatto a capirlo?”
”Hai usato la parola liberale in tono di sprezzo,
è quello che fanno di solito
i conservatori per indicare una realtà che non piace loro e
sono
particolarmente avversi a… quella gente.”
“E tu?”
“Non piacciono particolarmente nemmeno a me. Mio padre
è
un ricco avvocato che a un certo punto ha mollato mia madre e mi ha
portato a
vivere con il suo compagno.
È stata un’esperienza disgustosa, qualcuno dei
loro amici
mi toccava, altri tentavano di farmi vedere porno del loro tipo. A
dodici anni
ho raccontato tutto al giudice e mia madre si era trovata un avvocato
con le
palle. Hanno revocato la custodia a mio padre e mi hanno affidato a mia
madre
che si è risposata con un brav’uomo, un
industriale conservatore. Potrei vedere
mio padre due volte alla settimana, ma ho tagliato ogni rapporto con
lui.”
“E un industriale conservatore non dice nulla sui tuoi
capelli?”
”Dice che sono segno di carattere, gli sto simpatico.
D’estate faccio degli
stage da lui, mi piace.
Dopo un’infanzia come la mia voglio solo una vita
normale.”
“Capisco perfettamente.”
Finito il pranzo – che comprendeva anche una mela e una torta
alla panna – usciamo
a fumare in giardino. Io gli racconto sommariamente la mia vita.
Nel giro di una giornata siamo diventati migliori amici e
ho con lui un rapporto molto più sincero di tutti quelli che
ho avuto a San
Diego.
Le lezioni pomeridiane – francese e ginnastica – le
trascorro da sole e non mancano le pie anime che mi mettono in guardia
da quel
gran teppista di Kevin Parker, in particolare una bionda vestita in
modo
fastidiosamente provocante.
All’uscita trovo il mio nuovo amico ad aspettarmi.
“Come è andata?”
“Una noia, non hanno fatto altro che mettermi in guardia
su di te, in particolare una bionda vestita come una zoccola.”
Lui sbuffa.
“Vuoi che ti dia un passaggio?”
“Volentieri.”
Saliti in macchina gli dico il mio indirizzo.
“Wow, la casa dell’omicidio Murdoch!
Per la zoccola, non ascoltarla. In realtà è una
di quelli
e ti avrà puntata. Ignorala e si stuferà,
troverà qualche altra pivellina da
circuire: è quello che le piace fare.
Sporcare le persone è il suo hobby.”
Io inorridisco.
“Come fanno a tollerare una cosa del genere?”
Ӄ solo lei e viene periodicamente sospesa ossia
quando esagera. Suo padre poi
è molto ricco, le paga lo psicologo e tutto, ma lei se lo
rigira.”
“Che schifo. Cosa dicevi degli omicidi?”
“Una vecchia leggenda.”
Io mi animo.
“Dai, raccontamela.”
“Dicono che all’inizio del Novecento ci vivesse una
famiglia ebrea di nome Murdoch. Una notte la figlia più
piccola, Ester,
promessa in sposa a un vecchio e ricco proprietario di una fabbrica di
vestiti
li uccise tutti nel sonno.
Quando arrivò la cameriera trovò una carneficina
e una
ragazzina di quindici anni coperta di sangue, con in mano un coltello e
–
particolare ancora
più inquietante – che
rideva.
L’hanno mandata al manicomio e dicono che sia ancora
lì.”
“Capisco, questo spiegherebbe perché abbiamo
pagato molto
poco una casa a dir poco splendida.”
Dico osservando la mia nuova casa, incoronata dalla luce
del tramonto.
“Grazie del passaggio, Kevin.”
”Figurati, vuoi che passi a prenderti anche domani
mattina?”
”Sarebbe bello. Sì, grazie.”
Scendo dalla macchina, salgo i gradini e sul portico
muovo la mano in un ultimo saluto.
Mamma mi guarda curiosa non appena entro in casa.
“Chi era quel ragazzo che hai salutato?
Ha una macchina abbastanza costosa.”
“E da quando badi a cose del genere?”
Dico ridendo.
“Si chiama Kevin, comunque. È il mio nuovo
nonché unico
amico che ho a scuola.”
”A proposito di scuola, come ti sembra?”
“Non male, nessuno mi ha parlato a parte lui.”
Lei corruga le sopracciglia.
“Speravo facessi più amicizie.”
”Io no.”
Salgo in camera e mi metto a fare i compiti, da brava ragazza,
pregustandomi
già il fatto che più tardi parlerò
alla mia nuova tagliente migliore amica.
Sento Dan tornare, mia madre salutarlo e quando arriva al
piano superiore apre la porta della mia camera e mi saluta sorridendo.
Io ricambio e gli chiedo come è andata, lui risponde con
un vago “Bene” e se ne va.
Bene, è arrivato il momento di sfogare la mia rabbia,
tensione e tutto il resto. Con calma prendo un astuccio e vado in
bagno,
estraggo una lametta e la affondo nella carne tenera dei polsi, non
troppo a
fondo ma abbastanza per far sì che esca del sangue.
Mi faccio cinque tagli e poi pulisco la lametta e lavo
via il sangue dalle ferite e le bendo a qualche modo.
Bruciano, ovviamente.
Fanno male, certo.
Sono un errore, di sicuro.
Eppure non riesco a farne a meno, sono come una droga che
mi lascia leggera e leggermente sballata. Concentrandomi sul dolore
fisico
evito di ripensare a Chris, Tom e Cheryl e all’assolata
California.
Basta sole, viva le nuvole e il tempo grigio!
Il giorno dopo trovo Kevin che
mangia nella mia cucina
quando scendo per colazione. Sta chiacchierando amabilmente con mio
fratello e
mia madre e io rimango un attimo interdetta.
“Cosa ci fai qui?”
“Ti ho detto che sarei venuto a prenderti, ma sono venuto
leggermente in anticipo e tua madre si è offerta di
prepararmi la colazione.”
“Ho capito.”
Mia madre mi allunga una ciotola di cereali e dei
pancakes, io inizio a mangiare pensando che è proprio una
strana situazione.
“Sono felice che tu ti sia fatta un nuovo amico a
scuola.”
“È l’unico che ho.”
“Sono sicura che te ne farai degli altri.”
Io non dico nulla, socializzare non è esattamente la mia
priorità adesso.
Finito di mangiare usciamo tutti e tre – io, Kev e Dan
–
lui è così gentile da accompagnare anche mio
fratello a scuola e credo che
questo contribuisca all’aperta approvazione che Danny gli
manifesta. Quando
ci dirigiamo verso la nostra scuola
sbuffo un po’ scontenta, mi è sempre piaciuto
andare a scuola, ma ultimamente
non ne ho molta voglia.
“Vuoi saltare?”
“Il secondo giorno? No.
Vorrei solo avere più voglia di andarci, mi sento
maledettamente priva di energia.”
“Devi solo abituarti al posto.”
“Forse.”
Lui parcheggia, poi scendiamo tutti e due. All’improvviso
tre persone si dirigono verso di noi: due ragazze bionde, una con le
punte rosse
e l’altra con le punte blu e un ragazzo dai capelli castani
raccolti in una
coda.
Io guardo Kevin senza capire.
“Chi sono?”
“I miei unici amici, ieri non c’erano.”
“Loro sono Amber e Jamelia.”
Amber è quella con le punte rosse e Jamelia quella con le
punte blu, inutile dire che sono gemelle, se non fosse per il colore
diverso
delle punte dei capelli sarebbero indistinguibili.
“Lui invece è Gordon, il ragazzo di
Jamelia.”
“Piacere, io sono Jennifer, ma preferirei essere chiamata
Jen, se non vi dispiace.”
“Nessun problema.”
Trilla Amber, nascondendo a malapena un’occhiata carica
di gelosia, credo che le piaccia parecchio Kevin e stia per marcare il
territorio. Lei è qui da più tempo di me e io non
dovrei mettere gli occhi su
di lui. Odio queste cose, la ignorerò.
“Forza, entriamo o faremo tardi.”
Jamelia ci spinge dentro senza tanti complimenti e io mi
dirigo agli armadietti, la prima ora ho biologia e ce l’ho
con Amber.
Ci avviamo entrambe verso l’aula, lei non mi dice una
parola, ma è costretta a parlarmi quando il professore ci
mette in coppia per
un esperimento.
“Senti.”
Sibila a bassa voce.
“Kevin sembra non avere occhi che per te, ma non te lo
cederò facilmente, Jennifer.
Io sono qui da più tempo di te e non mi lascerò
fregare
il ragazzo che mi piace dalla prima vacca californiana che
passa.”
“Chiamami ancora vacca e il coltello che sto usando per
sezionare questa rana te lo ritrovi piantato in una gamba!
Tu non mi conosci affatto e non hai alcun diritto di
chiamarmi così,
chiaro?”
Sta per replicare, ma qualcosa nel mio sguardo le fa
capire che non sto affatto scherzando sulla faccenda del coltello
– che poi è
un bisturi, ma ok – e si limita a comunicarmi freddamente i
dati sull’animale
che abbiamo aperto in due.
Alla fine della lezione ci dividiamo e io ne approfitto
per salire sul tetto a fumare, la discussione con Amber mi ha
innervosito
parecchio.
Accendo la sigaretta e con la coda dell’occhio vedo la
porta aprirsi e una chiome bionda fin troppo nota are capolino. Sto per
mettermi a urlare qualche insulto quando mi accorgo che non
è Amber, ma
Jamelia. Le punte dei capelli sono blu e non rosse.
“Ciao, Jen.
Tutto bene?”
“Sì.”
Mento senza esitazione, non mi sembra il caso di dirle
che trovo sua sorella una stronza apocalittica.
“Non ti piace Amber, vero?”
“Cosa?”
“Non ti piace mia sorella. Quando hai visto la porta
aprirsi mi hai lanciato un’occhiata così carica di
disprezzo che ho capito che
hai passato le due ore a discutere con lei.”
“Diciamo che mi ha fatto capire che è interessata
a Kevin
e non ammette rivali.”
Rispondo secca.
“Sì, ama Kev da non so quanto tempo e ha sempre
cacciato
tutte le ragazze che si univano temporaneamente al nostro gruppo, ma
con te non
ce la farà.”
“No, non ho intenzione di sottostare di nuovo agli ordini
di altre persone.”
Butto fuori un’altra boccata.
“Scusala.”
“Mi viene un filo difficile.”
“È che teme che Kev ti chieda di uscire. Se lo
facesse
cosa faresti?”
“Non ne ho la più pallida idea.”
Decido di essere onesta, non mi va di inventarmi qualche
bugia. Non ho mai pensato al fatto che lui possa invitarmi a un
appuntamento,
sono qui da troppo poco tempo per pensare a cose de genere.
“Per favore non litigare con lei, ha così poche
amiche!”
Guardo negli occhi Jamelia.
“Questa è una cosa che non posso
prometterti.”
Lei sospira.
“Io ci ho provato almeno. Grazie
dell’onestà.”
Finiamo la sigaretta poi io corro a filosofia e lei alla
sua lezione, Kev mi guarda curioso e sta per chiedermi il
perché del mio
ritardo, ma io gli faccio cenno di tacere: la prof mi sta
già guardando male.
Mi siedo e tiro fuori il quaderno, pensando che ho un
talento particolare per attrare gli scombinati o per finire in
situazioni
contorte.
È il mio dono, mi dico sarcastica, mentre la prof ci
spiega Spinoza.
Prendo appunti piuttosto svogliatamente, la testa
concentrata su altro.
Potrei provare a uscire con Kev, ma non ho voglia di
pensarci adesso, la mia testa è già stretta in un
anello di metallo che
minaccia di non andarsene tanto presto.
Nuova vita, vecchi problemi.
È proprio vero che non puoi scappare da quello che
è
dentro di te, puoi metterci chilometri o oceani, ma se non
l’affronti non se ne
va.
E la mia coscienza sa cosa non ho affrontato: Tom.
Angolo di Layla
Grazie a LostinStereo3
per la recensione.
|
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Capitolo 11 *** 11)Ipocrisia e falsitàè tutto ciò che incontro. ***
11)Ipocrisia e
falsitàè tutto ciò che incontro.
Amber, dopotutto, aveva ragione.
Dopo due settimane Kev mi ha chiesto di uscire e io ho
accettato, Dan è d’accordo con me e lo approva. La
mia amica lametta non ha
ancora emesso un giudizio, sebbene io e lei ci siamo confrontate ogni
sera.
Sì, non ho smesso con questo vizio, anzi lo trovo
rilassante, un modo come un altro per far uscire le frustrazioni della
giornata
e il dolore dei ricordi.
L’idea che un giorno potrei esagerare e andare un
po’
troppo a fondo non mi sfiora nemmeno, così come non penso
che sto deturpando il
mio corpo e un giorno potrei pentirmene.
No, non ci penso o se ci penso ignoro volutamente gli
avvertimenti.
La vita è una troia.
Qualcuno si aiuta spaccandosi di coca o fumando erba,
altri bevono fino a dimenticarsi chi sono, dopo tutto il mio modo di
far contro alla
via non è peggio di tanti altri.
Certo, se i miei lo scoprissero mi manderebbero dritta da
uno psichiatra, cagati in mano come poche volte.
Torniamo a Kev, siamo usciti insieme qualche volta, ma
pur piacendomi molto non sento le farfalle di merda come succedeva con
Tom.
Mi guardo allo specchio e sospiro.
Sono vestita e truccata alla perfezione perché tra un
quarto d’ora dobbiamo uscire, ma non sarà un
bell’appuntamento, credo che ci
lasceremo. Abbiamo provato in ogni modo a farla funzionare, ma
è tangibile come
tra noi ci sia un fantasma e non parlo di quelli che dovrebbero vivere
in
questa casa, ma di Tom.
Dovrei non pensare a lui e godermi le attenzioni di Kevin
perché è il primo ragazzo che mi tratta bene, ma
non riesco a togliermi dalla
testa il suo ghigno strafottente.
Che cazzo ho che non va?
Non ne ho idea, ma forse mollandolo farò felice Amber,
magari consolandolo lui si accorgerà che è lei la
ragazza che vuole e forse mi
ringrazieranno.
“Non starai pensando ancora a lui?”
La voce di mio fratello mi fa sobbalzare.
“Che ci fai qui?”
“Il bagno è occupato così volevo
chiederti se potevo
usare il tuo. Ma comunque, stai pensando ancora a lui?”
“Lui chi?”
“Tom! Te lo leggo in faccia che stai pensando a lui e che
vuoi rompere con Kevin.
Io non vi capisco a voi ragazze. Vi lamentate in
continuazione che i ragazzi sono stronzi e poi quando trovate il bravo
ragazzo
lo scaricate per rimettervi con il bastardo che vi ha spezzato il cuore.
Chi vi capisce è bravo, nemmeno Freud ce l’ha
fatta a
capirvi!”
“Dannie, cosa è successo?
Sembri una tredicenne mestruata.”
“Lucy mi ha mollato! Ecco cosa è successo!
Ha detto che non le prestavo abbastanza attenzioni e che
si è messa con una pertica con il quoziente intellettivo di
una gallina ritardata
che gioca nella squadra di basket.
Ecco cosa è successo!”
Urla di nuovo prima di uscire dalla mia stanza,
dimenticandosi probabilmente di avere bisogno del bagno.
“Cosa è successo?”
La testa di mia madre fa capolino.
“Niente, la ragazza di Daniel l’ha
mollato.”
“Lui aveva una ragazza e non mi ha detto nulla?”
“Beh, sai a volte ci piace avere un po’ di privacy
su
queste cose, mamma. Non prendertela.”
Lei scuote la testa, sospira e poi se ne va.
Immagino stia formulando un pensiero da genitore del tipo
“non capisco i miei figli.” o “alla loro
età anche io tenevo nascoste un po’ di
cose a mia madre”.
Poverina, le son capitati proprio due figli un po’
incasinati.
Suonano alla porta, io rispondo e poi mi volto verso di
lei.
“Mamma, adesso io vado. Kevin è
arrivato.”
“Va bene, non fate troppo tardi.”
Risponde lei distratta, io esco rabbrividendo nel freddo
autunno di Chicago. La California è tutt’altra
cosa, ma non mi manca per ora.
Entro in macchina e mi siedo sul sedile passeggeri.
“Ciao!”
Lo saluto.
“Ciao, andiamo al solito posto?”
Io annuisco, il solito posto è un Mac Donald del centro,
dove andiamo sempre quando ci vediamo. È un posto che ha la
vista sul lago
Michigan e che mi ricorda un po’ la scuola.
In macchina non ci diciamo molto, lui è stranamente
silenzioso, di solito ama chiacchierare su qualsiasi cosa e noto che
ogni tanto
mi guarda.
Arrivati, parcheggiamo la macchina ed entriamo.
“Tutto bene?”
Mi chiede.
“No, in realtà non proprio.”
Rimango un attimo in silenzio per cercare le famose
parole giuste.
“Credo che la nostra relazione non stia funzionando, io
ti voglio molto bene, ma non me la sento di continuare. Preferirei
che…”
“Rimanessimo solo amici?”
Finisce lui.
Io annuisco senza alzare gli occhi dal mio hamburger.
“Non posso dire che non me lo aspettassi, ogni tanto hai
uno sguardo perso e so esattamente a chi stai pensando e mi chiedo cosa
abbia
di speciale.
Poi oggi Amber si è dichiarata a me.”
La cosa mi sorprende.
“Wow, sapevo che aveva una cotta per te, ma non credevo
si dichiarasse quando tu eri ancora – tecnicamente
– legato a un’altra.”
Lui mi rivolge un strano sorrido.
“Quindi vado ad accomodarmi nella friendzone.”
“Mi dispiace, non volevo. Tu non te lo meriti, ma la mia
testa lavora male e tu non ti meriti una ragazza solo a
metà.”
Prendere questa decisione mi è costato sette tagli su un
polso ieri sera, solo dopo aver fatto uscire un bel po’ di
sangue e cattivi
pensieri ho capito che era la cosa giusta da fare.
“Non prenderla male, me l’aspettavo.
Al massimo do una possibilità ad Amber, sono secoli che
è
cotta di me."
"Tu lo sapevi?”
“Sì, ma non ero sicuro di ricambiare e avevo paura
di
rovinare la nostra amicizia.”
“Beh, provaci. Magari va bene.”
Lui mi sorride amaro, finiamo di mangiare i nostri panini
poi lui mi riaccompagna a casa, oggi nessuno di noi due ha voglia di
andare da
qualche parte.
Mamma si stupisce quando mi vede arrivare così presto.
“Che ci fai qui?
Ok, avevo detto presto, ma non così presto.”
“Io e Kevin ci siamo lasciati.”
“Come mai?”
“Tom.”
Lei sbuffa contrariata, da una parte è molto riconoscente
a Tom, dall’altra è arrabbiata con lui per come mi
ha fatto soffrire.
“Sempre lui.”
“Mi dispiace, mamma. Ci ho provato e non è andata
e non
mi andava di illudere Kev, lui è un bravo ragazzo e non si
merita di essere
preso in giro da me.”
“Hai ragione, ma non potevi pensarci meglio?
Magari continuare ancora un po’?”
Il suo tono ha una sfumatura di supplica.
“No, mamma. Lo sai anche tu che non si devono illudere le
persone.”
Lei abbassa gli occhi sconfitta.
“Hai ragione.”
Mi lascia andare e io vado in camera mia, anche se è stata
una decisione presa
da me inizio a piangere. Non basta aver messo così tanti
chilometri tra me e
Tom per togliermelo dalla testa, la mia vita è uno schifo e
io sono una stupida
colossale che sa solo sprecare quello che ha in nome di quello che non
potrà
mai avere.
Il giorno dopo Dan è
più scontroso che mai a colazione.
Odia le mattine e credo che le odi anche di più adesso
che Lucy lo ha mollato. Mamma – dopo due tentativi di avviare
una conversazione
andati male – rinuncia a parlarci.
Apre bocca solo quando siamo saliti in macchina.
Sì, con la vendita della mia macchina californiana
abbiamo comprato questa.
“L’hai mollato?”
“Sì, lo sapevi che l’avrei
fatto.”
“Sbagli secondo me.”
“No. E poi Amber si è già fatta avanti
e credo che abbia
delle buone possibilità.”
“E a te 'sta cosa non ti scazza?
Stava con te fino a ieri e adesso sta con questa.”
Io non dico, non ho idea di cosa replicare. Kev è sempre
quello che ha dato di più nella nostra relazione e si merita
qualcuno che lo
ami.
In ogni caso lascio Dan davanti alla sua scuola e vado
alla mia. Parcheggio e cerco i ragazzi e li trovo accoppiati, tanto che
quasi
mi sento a disagio ad avvicinarmi.
“Ciao.”
Dico piuttosto insicura, Amber mi fulmina con
un’occhiataccia.
“Cosa ci fai qui?”
“Beh, volevo andare dai miei amici…”
“Non c’è più spazio per te,
ti accettavamo solo perché
eri la ragazza di Kev e adesso lui è mio.
Smamma e non farti più rivedere.”
Gelata dalle sue parole mi allontano e prendo le cose che
mi servono dall’armadietto. Alla prima ora abbiamo
letteratura, io saluto con
un timido cenno Kevin, lui mi risponde con un scazzato cenno della
mano. Credo
che non abbia molta voglia di parlare con me, temo di aver perso gli
unici
amici che avevo e la cosa mi dispiace.
Natale si sta avvicinando e avevo preso regali per tutti,
ma forse è il mio destino che la lametta rimanga la mia
unica amica. Non fa
domande, non ti offre risposte che non funzionano, non ti mente mai.
Sì, fa solo un po’ male, ma la vita è
in grado di fartene
molto di più.
Seguo e lezioni del giorno in modo molto svogliato, come
pronosticato da Amber nessuno dei miei presunti amici mi parla e quindi
mi
viene naturale scegliere un tavolo isolato in cui consumare in pace il
mio
pranzo.
Quanta falsità!
Capisco l’atteggiamento di Kev, ad Amber non sono mai
stata simpatica, ma Jamelia e Gordon?
Perché mi hanno escluso anche loro?
La risposta è piuttosto semplice, loro sono molto
più
amici di Amber e Kevin che miei, io ero quella nuova e quelle nuove non
rimangono per sempre. A volte si può decidere di escluderle,
a volte si può
decidere di essere stronzi.
Sopporto anche le lezioni del pomeriggio, poi decido di
fare un giro per Chicago, la mia meta è il centro.
Parcheggio la macchina e poi
inizio a camminare nonostante il vento impietoso che spira dal lago
Michigan,
tutti i negozi sono decorati per Natale: un’esplosione di
rosso e oro.
Le luci di Natale oscillano e non sono ancora accese,
sono tante palline e stelle che di sera si accendono d’oro e
d’argento.
Il cielo è grigio e se ho imparato a conoscere un
po’
questa città significa che stasera nevicherà,
guardo le vetrine piene di vestiti
costosi. Sono molto belli e le vetrine sapientemente allestite con
festoni e
palline esalano i colori e il brillio di qualche pailettes.
Poi ci sono le vetrine delle gioiellerie, le luci fredde
fanno risaltare ogni singolo lato delle pietre e ogni scintillio che
può
emettere.
Sono davvero belle, ma ormai il freddo inizia a farsi
sentire. Rabbrividisco nel mio cappotto verde militare e decido di
concedermi
una cioccolata in uno dei tanti bar del centro.
Entro nel primo che incontro sulla mia strada, è decorato
per Natale ed è molto carino, io mi piazzo vicino al
calorifero per scaldarmi.
Poco dopo arriva un cameriere vestito di una divisa
elegante.
“Buongiorno, vuole la lista?”
“No, grazie. Vorrei una cioccolata con panna.”
“Come desidera.”
Poi sparisce e io rimango da sola, per fare qualcosa tiro
fuori il mio cellulare. Non ci sono né messaggi,
né chiamate così inizio una
partita a snake che finisce solo per l’arrivo della mia
cioccolata.
Istintivamente sorrido, mi piace molto berla d’inverno.
Affondo il cucchiaino nella panna e poi me lo porto alla
bocca.
Buona!
Con lentezza la mangio e poi passo alla cioccolata: è densa
e dolce il giusto.
Centellino ogni cucchiaiata sperando che duri per sempre,
ma come tutte le cose finisce e non rimane che il fondo della tazza.
Lo guardo per un po’, poi guardo la strada dalle vetrine
e poi mi decido ad alzarmi. Paco il conto – un po’
caro – poi con il calore
immagazzinato dalla cioccolata e dal calorifero mi avventuro per la
strada che
dà sul lago.
Mi fermo spesso ad ammirare la superficie dell’acqua
increspata dal vento, pensando che mi ricorda l’oceano di San
Diego, ci sono
persino i gabbiani.
Cammino, finché non sono stanca e praticamente congelata.
Questo mi fa decidere di tornare alla macchina, la
cioccolata era buona, ma non è bastata per togliermi
l’amaro in bocca per
questa storia.
Arrivata a casa trovo mia madre
intenta a sistemare le
decorazioni natalizie.
“Non è un po’ presto?”
Chiedo curiosa.
“No, è il 15 dicembre oggi. Hai perso un
po’ il conto dei
giorni?”
Due giorni fa è stato il compleanno di Tom, quindi.
Chissà con chi l’avrà festeggiato?
Con i suoi amici e la sua nuova ragazza?
All’ultimo frase sento un crampo al cuore e decido che
è
meglio smettere di pensare a lui e di salire in camera.
Dan è seduto sul mio letto.
“Com’è andata oggi a scuola?”
“Male, ho perso tutti i miei cosiddetti amici. Mi
accettavano solo perché ero la ragazza di Kevin.”
“Mi dispiace.”
Io alzo le spalle.
“Meglio soli che male accompagnati.”
“Ma sei sicura che vada tutto bene?”
“Sì, come mai sei qui in camera mia?”
“Mi serviva una penna.”
Risponde vago prima di andarsene.
Io chiudo la porta e poi controllo il mio astuccio delle
lamette, mio fratello ci era seduto pericolosamente vicino. Lui non
deve
scoprire i mio segreto!
Nessuno deve scoprirlo!
Con una certa urgenza apro l’astuccio rosso e tiro fuori
una lametta per poi chiudermi in bagno.
Uno, due, tre, quattro tagli.
Per essere stata esclusa di nuovo.
Cinque, sei, sette tagli per il passato che non se ne va.
Finito, pulisco tutto e metto via la lametta. L’unica
precauzione che uso è mettere un straccio sui tagli e poi
esco. In apparenza
sono una normale adolescente e i miei devono credere alla mia messa in
scena.
Mi metto a fare i compiti e sono intenta a scrivere un
tema su Jane Austen quando mio fratello entra di nuovo in camera mia.
“Stai bene, Jen?”
“Sì, perché?”
“Non so…”
Si stropiccia le mani.
“Sembri una che non sta tanto bene.”
“È solo un’impressione.”
Rispondo sbadigliando e ignorando le fitte di dolore che
vengono dai miei polsi macellati.
“Sei davvero sicura di stare bene?”
“Sì.”
Rispondo esasperata, roteando gli occhi, lui annuisce e
se ne va.
Si appoggia per un attimo e mi lancia uno sguardo
penetrante che mi fa sentire stranamente nuda ai suoi occhi, come se in
quel
momento stesse leggendo tutti i miei segreti.
Finalmente se ne va e io mi sento inquieta, come se in un
modo o nell’altro lui avesse scoperto che mi taglio.
E se l’avesse scoperto cosa farebbe?
Non deve dirlo ai miei, non voglio andare in manicomio né
finire nelle mani di uno psicologo, non mi fido di loro.
Sempre più inquieta scendo a mangiare, ma non gusto
nemmeno un po’ le lasagne di mia madre, il mio piatto
preferito. Continuo a
fissare mio fratello e a spiarlo senza che lui se ne accorga per
cercare di
capire se sa e quanto sa.
La cosa mi rende paranoica, sono più preoccupata per
questo che per il fatto che i miei amici mi abbiano scaricata.
Dopo cena il cellulare vibra, è un messaggio di Amber.
“Ho vinto io, stronza californiana.”
Io rispondo con un laconico fanculo, pensando che mi
piacerebbe avere lo scalpo biondo di quella vacca falsa alternativa.
Non è che tingendosi le punte dei capelli si diventa
alternativi tutto di un colpo, si cambia esteriormente, ma dentro si
rimane la
stessa merda.
Sono incazzata con lei e con Kev che ha deciso che con me
non vale nemmeno la pena di mantenere un rapporto di amicizia.
Gli ho fatto un favore – ormai dopo Amber sono sicura di
averglielo fatto – e lui mi ringrazia con un calcio in culo.
Va bene.
Starò da sola, in fondo non lo sono del tutto fino a che
ho la mia lametta e riesco a tenere segreta la sua esistenza.
Meglio studiare, almeno mi concentro su altro.
Non c’è niente di meglio che un incomprensibile
libro di
fisica per non pensare a nulla, tutti i miei neuroni sono impegnati a
capire
l’argomento che il professore ha spiegato solo due giorni fa
e che il mio
stupido cervello ha già dimenticato.
Perché non dimentica Tom, Chris, Maddie e Cheryl invece
delle cose che mi sono utili per la scuola?
Non lo so, non capirò mai come funzionerà,
è come se ci
godesse a evocare i miei ricordi peggiori e a farmeli rivivere.
Scuoto la testa furiosa e torno a immergermi nel mio
libro fino a che sento le palpebre farsi molto pesanti. Tenerle alzate
diventa
un’impresa.
Con una mano allontano il libro e poi lascio cadere la
testa sul letto su cui sono sdraiata.
Cinque minuti di pausa, mi dico.
Cinque minuti di pausa non hanno mai ucciso nessuno.
Ucciso no, ma fatto addormentare sì e – senza
accorgermene
– cado in un sonno popolato da incubi dove Chris mi insegue e
poi si trasforma
in Maddie, poi in Tom, poi in Cheryl e infine in Kevin.
Trasferirmi a Chicago non è stata per niente una bella
idea.
|
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Capitolo 12 *** 12) La ballerina del carillon. ***
12) La ballerina del
carillon.
Una settimana dopo le cose non
sono cambiate.
I miei vecchi amici continuano a ignorarmi e Dan a
tenermi d’occhio, sono stressata da far paura.
Un giorno Jamelia mi si è avvicinata per spiegarmi
qualcosa.
“Mi dispiace, Jen.”
Ha esordito con fare contrito.
“È Amber che non vuole che tu faccia parte della
compagnia, è gelosa da morire. Insomma, teme che tu le rubi
ancora Kev.”
“Sono io che l’ho lasciato, dovrebbe ringraziarmi
in un
certo senso.”
“Lo so, ma ti odia. Sei arrivata e ti sei presa il
ragazzo che le piaceva da un sacco di tempo con una velocità
impressionante.”
“Pensate di cambiare atteggiamento verso di me?”
"No."
“Beh, allora questa chiacchierata è
inutile.”
Rispondo io piatta, hanno fatto la loro scelta e non
posso biasimarli: io non sono nessuno per loro in fondo.
È stata una settimana dura, ma TGIF! È
venerdì e domani potrò
almeno dormire fino a tardi e non essere svegliata da una sveglia
odiosa solo
per finire in un posto dove sono una specie di lebbrosa.
Finita l’ultima lezione esco da scuola e mi dirigo al
parcheggio, lì mi prende un colpo.
Appoggiato con nonchalance alla mia macchina c’è
Tom.
“C-cosa ci fai qui?”
Balbetto io impallidendo.
“Sono venuto qui a
parlarti, credo di avere combinato più di un casino quel
giorno.”
Mi fissa i polsi e io mi sento andare a fuoco.
“Non so di cosa tu stia parlando.”
Rispondo stringendomi convulsamente il polso sinistro.
“Perché ti stringi quel polso?”
“Non sono cazzi tuoi. Chi ti ha detto che ero qui?”
“Qualcuno che ha cuore la tua salute.”
Fa per avvicinarsi, ma io indietreggio fino ad andare a
sbattere contro qualcuno. È Amber che mi sbatte a terra
senza tante cerimonie e
se ne va.
“Ehy tu! Aiutala, invece di andartene!”
Lei lo fulmina con un’occhiataccia, come sempre il suo
bel viso è deformato dalla rabbia. Io mi alzo da sola.
“Vattene, Tom. Io e te non abbiamo più nulla da
dirci,
quello che ho visto in quello sgabuzzino nelle scope ha chiarito
tutto.”
“E il bacio che ci siamo dati prima che tu te ne
andassi?”
Il mio povero cuore salta un battito.
“Un errore, mi hai presa alla sprovvista.”
“Perché continui a mentire? Perché
continui a farti male
da sola?
Perché non vuoi nemmeno provare ad ascoltare quello che
ho da dirti?”
“Non cambierebbe le cose tra di noi.”
"Come fai a saperlo?”
“Lo so e basta, adesso me ne vado.”
Mi avvicino alla macchina ed entro, con una mossa
fulminea apre la portiera del passeggero ed entra. Io mi metto a urlare.
“ESCI, CAZZO! ESCI!
NON HAI NESSUN DIRITTO DI ENTRARE NELLA MIA MACCHINA E
AGIRE COME SE FOSSI MIO AMICO, QUANDO NON LO SEI!”
Le mie urla finiscono per attirare qualcuno e Kev apre la
portiera del passeggero e tira fuori Tom con un solo colpo.
“Tutto bene, Jen?
Ti stava importunando?”
“Sì. È una vecchia conoscenza di San
Diego che non
accetta di non essere più mio amico.”
“Tu mi devi almeno un tentativo di spiegare! Non è
del
tutto come pensi!
Cazzo, Jen! Non avrei mai voluto ferirti, ma con te non
riesco mai a capire come muovermi e finisco sempre per fare casini.
Ti prego.
Non mi sono fatto questo lungo viaggio per andarmene
senza averti parlato.”
Lo guardo ancora piuttosto incazzata con Kev che mi tiene
d’occhio.
“Stasera fatti trovare al Mac Donald davanti alla
stazione dei treni, ci mangiamo qualcosa insieme e mi racconterai
tutto, poi
potrò finalmente mandarti a fanculo con la coscienza a
posto.”
Lui annuisce, saluto con un breve cenno del capo Kev e
finalmente esco dal parcheggio infernale di questa scuola. Daniel mi
deve una
spiegazione e io gli devo una lavata di capo fenomenale. Come si
è permesso di
chiamarlo?
Come?
Pensa che sarà lui a guarirmi dall’autolesionismo?
Che come nelle fiabe il principe salverà la principessa
triste e tutti saranno felici e contenti di nuovo, come se nulla fosse
successo?
Beh, nella vita reale non funziona così!
Per niente.
Nella vita reale i principi non esistono e le principesse
si lasciano consumare dalla tristezza fino a volare via al soffio del
gentile
vento di primavera.
Arrivo a casa mi con la il crimine, la mafia e la camorra
che stanno ballando la conga sulla mia spala.
“Daniel!”
Urlo non appena arrivo a casa, lui tenta di svignarsela
non appena vede la mia faccia – probabilmente i miei occhi
mandano fulmini – ma
io lo placco con un’inaspettata mossa di football. Mia madre
ci trova così: lui
steso a terra con sopra mezza me.
“Tu non te ne vai da nessuna parte e mi spieghi cosa ti
è
passato in quel cervello di merda!”
Mia madre mi guarda senza capire.
“Ha chiamato Tom e me lo sono ritrovata fuori da
scuola.”
“Ah, forse è meglio se vi lascio da
soli.”
Esce di casa con la scusa di andare da una vicina.
“Allora?”
Chiedo feroce a mio fratello.
“So che ti tagli! Non negare, ho visto i segni e so
perché lo fai.
Lo fai per Tom, forse se ci parli evitiamo di prenderti
per le penne quando ti inciderai un po’ troppo a
fondo.”
“Non sono affari tuoi!
Non sono affari di nessuno!
Tu non avevi alcun diritto di chiamarlo, hai capito?
E se un giorno mi inciderò troppo a fondo sarà
perché è
giusto così, forse non sono destinata a vivere a
lungo!”
Lui mi dà una sberla.
“Smettila di dire stronzate! Nessuno è destinato a
fare
una cosa del genere, la sceglie.”
“E se ti dicessi che sono stanca di vivere e che non
voglio più nessuno tra i piedi?”
“Direi che sei una grande egoista!”
Questa volta sono io a dargli una sberla e poi corro in
camera mia inseguita da lui, chiudo la porta a chiave e dalla rabbia
riesco a
spostare il comodino davanti alla porta.
Sorda ai suoi richiami mi chiudo in bagno e
mi incido ancora e ancora, con la vista
annebbiata dalle lacrime e forse dalla debolezza causata dal sangue che
perdo.
Alla fine esco dal bagno e mi butto a letto, dopo aver
scalciato via gli anfibi, e scoppio di nuovo a piangere. Daniel sta
ancora
blaterando qualcosa da dietro la porta, ma io non lo ascolto.
Non voglio vedere nessuno.
Non voglio parlare con nessuno.
Voglio solo stare da sola.
Mi addormento sfinita dalle troppe lacrime, mi sveglio
solo quando sento un baccano infernale: mio padre e Danny hanno buttato
giù la
porta della mia camera.
“Grazie tante.”
Esclamo sarcastica guardando la devastazione che
c’è
adesso nella mia bella tana.
“Non rispondevi più, eravamo preoccupati.
Danny era preoccupato.”
Mi risponde mio padre, mentre si terge il sudore dalla
fronte con una mano.
“Mi ero solo addormentata.”
Rispondo fredda, poi do un’occhiata all’orologio.
“Vorrei rimanere con voi, ma grazie a Danny ho un impegno
non voluto: devo parlare con Tom.”
Mi rifaccio il mio trucco scuro e poi esco con addosso la
divisa e il mio giubbotto militare, rabbrividendo nel freddo della
sera.
All’improvviso il vento mi sbatte in faccia della neve,
meraviglioso! Ci
mancava solo questa, mi dico imprecando tra me e me.
Molto intelligentemente non ho preso la macchina, ma ho
ancora un biglietto del pullman e lo uso per andare in centro.
Tom mi aspetta furi dalla stazione dei treni come
stabilito, anche lui rabbrividisce.
Quel coglione si è messo un giubbotto troppo leggero!
Deve fare schifo in geografia per non sapere che qui fa
molto più freddo rispetto a San Diego, ma Tom DeLonge non
è mai stato
conosciuto per i suoi voti alti o per la sua media eccellente.
Forza, Jen!
Stasera ti libererai definitivamente di lui!
O forse no, una piccola parte di me vuole sentire cosa
abbia da dirmi e magari perdonarlo.
Che casino che sono, mi odio!
È da cinque minuti che
sono ferma di fronte alla
stazione.
Vedo Tom marciare avanti e indietro, urtando passanti su
passanti, ma non riesco a farmi avanti. Il mio coraggio se
n’è andato quando ho
realizzato che avrei diviso la cena con lui come se fossimo amici, cosa
ce non
siamo più.
All’improvviso lui mi vede e si affretta ad attraversare
la strada, l’espressione un po’alterata.
“Come mai non ti sei fatta vedere?
Volevi vedermi andare avanti e indietro come un idiota?”
Io non rispondo né tantomeno lo guardo, non ne ho voglia.
“Jen.”
“Mi era passata la voglia di parlare con te, ok?
In fondo non siamo amici, non siamo niente. Ti devo solo
un grandissimo “Grazie” per avermi salvata da
Chris, ma niente di più.
Tu hai ampiamente dimostrato che non sei interessato a me
come persona, finiamola con questa finta. È patetica e non
fa bene a nessuno
dei due.”
“Se permetti, io non sono d’accordo.”
Esclama quasi arrabbiato.
“Ok, va bene. Andiamo al Mac.”
Rispondo io piatta.
Entriamo nel locale, lui si prende un menù ricco da far
schifo, io un happy meal perché il mio dannato stomaco si
è chiuso. Stare
vicino a lui mi fa ancora un certo effetto e la cosa mi irrita da
morire.
“Allora?”
“Come mai solo un misero menù per bambini?
Pensavo che la fase “voglio rimanere magra perché
sono
cheerleader” fosse passata.”
“Non ho molta fame e comunque non sono affari tuoi.”
Do un morso forzato al mio panino.
“Lo sono, esattamente come sono affari miei il fatto che
tu abbia deciso di diventare un’autolesionista.”
Io quasi mi strozzo con il boccone.
“Allora è per questo che sei qui! Per pulirti la
coscienza!”
Urlo, alzandomi e lasciando cadere il panino per terra.
Sto per andarmene, ma lui mi afferra per un polso e mi
costringe a voltarmi.
“No, questa volta non te ne vai e mi ascolti.”
“E se non volessi cosa farai? Mi legherai alla
sedia?”
“Se necessario sono disposto a farlo.
Adesso tu mi aspetti qui che ti porto un altro panino.”
Io rimango seduta sulla sedia schiumante di rabbia,
pensando perché il mio corpo rispetta il suo cazzo di ordine
e non quello del
mio cervello che mi dice di andarmene.
Venti minuti dopo torna con un nuovo panino, apre
l’incarto e me lo porge.
“Mangia.”
“E se non volessi?”
“Jen, per favore sotterra cinque minuti l’ascia di
guerra.”
“E perché dovrei?
Tu sei qui per lavarti la coscienza aiutato da quel
traditore di Daniel.”
“Tuo fratello è molto preoccupato per
te.”
“Ha uno strano modo di dimostrarlo.”
“Jen…”
“Va bene, mangio.”
Do un morso rabbioso al mio panino.
“Adesso dimmi quello che devi dire e poi sparisci.”
“Senti, lo so che non ho scusanti, ma non è stata
de
tutto colpa mia. Stavo passando per quel corridoio perché
ero appena uscito
dall’aula di punizione e all’improvviso spunta
Madison che mi tira in quello
sgabuzzino. Non sono riuscita a togliermela di dosso, mi si
è attaccata come
una piovra e mi ha tolto tutti i vestiti su cui è riuscita a
mettere le mani.
Poi si è arrivata tu, ci hai urlato che ci odiavi, lei
è scoppiata a ridere
mentre mi rivestivo e poi ti inseguivo.
Lo so che avrei dovuto impegnarmi di più per
respingerla, ma
– cazzo – a meno di
menarla di brutto non sapevo come fare.”
Io alzo un sopracciglio.
“Oh, non ti attizzava? E come lo spieghi che il tuo
amichetto là sotto fosse decisamente felice della
situazione?”
“Siamo ragazzi, ci eccitiamo indipendentemente dalla
nostra volontà.”
“Va bene. L’hai detto, puoi andare.”
“Jen, ti prego credermi e smetti di farti del male.”
“La mia vita non ti riguarda.”
“Sì, invece! Ci tengo a te.
Se Madison non mi avesse praticamente violentato ti avrei
dato questo per scusarmi. Avevo capito perché mi avevi
mollato al nostro
appuntamento, non ti era piaciuto che avessi flirtato con la
cameriera.”
“Acuto.”
Commento secca.
“Jen, non puoi…”
“No, non posso. Te l’ho già detto, non
siamo più amici.”
Lui sospira.
“Perché non mi credi?”
“Questi occhi hanno visto le tue mani sul suo culo e
trovano un po’ difficile crederti. Hai avuto mesi
per confezionare questa storia.”
“Non vuoi nemmeno vedere cosa ti avevo comprato?”
“Immagino che se ti dirò di no tu comincerai a
pedinarmi
o cose del genere fino a che non sarò obbligata a
vederla.”
“Sì, potrei farlo. Sono venuto qui a Chicago per
chiarire
le cose, farti capire i miei veri sentimenti e farti smettere con
quello che ti
stai facendo.”
“Un vero buon samaritano.”
“Allora?”
Io annuisco brevemente e lui tira fuori una scatolina per
poi porgermela. Io la accetto con un po’ di riserve e la
apro: contiene una
collanina con il ciondolo di una tartaruga.
“Molto carina.”
Dico fredda e mentendo, è più che carina:
è bella. Fatta d’argento e con il
guscio decorato da quelli che sembrano diamantini o zirconi.
“Ti piace?”
“Sì.”
“Sono felice.”
“Ok, ho finito il panino e ti ho ascoltato. Ora posso
andare.”
“Jen!”
La sua voce è accorata.
“Ti prego, credimi!
Non volevo farti del male, io ti amo!”
“Invece me ne hai fatto.”
“Giurami che almeno la smetterai con questo hobby del
cazzo.”
“Non ti prometto nulla, perché non ti devo
nulla.”
“Farò in modo che tu mi creda.”
Io sbuffo e lo lascio seduto al tavolo a finire quello
che ha ordinato, sono abbastanza scossa da questo incontro.
Davvero lui è innocente come dice?
Davvero è stata tutta una cosa architettata da Madison?
È stronza abbastanza da poterlo fare, ma non so
perché,
non riesco a credere che lui sia totalmente innocente. La scena dello
sgabuzzino delle scope mi perseguita così tanto nei miei
incubi che ormai ho
imparato a memoria ogni particolare.
Salgo sul pullam e alzo il mio mangiacassette a tutto volume per non
sentire i miei pensieri ed evitare che le lacrime che mi pizzicano gli
occhi
inizino a cadere.
Il pullmas mi porta verso casa, ma io guardo fuori senza vedere nulla,
senza nemmeno
prestare attenzione alle decorazioni di Natale.
Arrivo a casa e non do retta né a mio fratello né
a mia
madre che vogliono sapere come sia andata la serata. Mi ficco subito
sotto la
doccia e poi a letto.
Tra le mani ho la collanina di Tom e la guardo per un
po’, pensando che è davvero un
bell’oggetto e che deve essergli costata un po’
di soldi, forse è davvero interessato a me.
Un gemito mi esce involontariamente e mi nascondo sotto
le coperte.
Non può davvero tenerci a me e aver fatto quello che ha
fatto, non ha un cazzo di senso!
Appoggio la collana sul comodino per poi scoppiare a
piangere silenziosamente sotto le coperte, completamente in crisi e
incerta su
tutto.
Perché è tornato?
Perché sconvolgermi ancora?
Daniel non poteva tenere la sua dannata boccaccia chiusa?
Una parte di me vorrebbe alzarsi e tagliarsi – dando almeno
temporaneo sollievo al dolore che mi attanaglia –
un’altra si sente già
vincolata alla non-promessa di Tom.
Non tagliarti, Jen, mi ha detto e io già gli do retta
come una scema o forse come una a cui hanno riattivato bruscamente
l’istinto di
sopravvivenza.
Sono bastate poche parole e mi ha ributtato nella
confusione da cui ho provato così disperatamente a scappare.
Perché – sì, posso
fare la dura e tutto il resto – io lo amo ancora e tengo
ancora a lui in un
modo che mi spaventa. Mi sento una bambola di cristallo nelle sue mani,
gli
basta poco per mandarmi in pezzi e lui nemmeno lo sa.
Lui forse pensa che io sia forte, ma sono debole quando
si tratta di Tom DeLonge e lo provano i tagli sulle mie braccia. Che
illusa che
sono!
Pensavo fossero fatti per buttare fuori il dolore e mantenermi forte,
ma in
realtà erano solo una richiesta di aiuto diretta verso di
lui. Non che pensassi
che lui l’avrebbe mai scoperto, non ero preparata al fatto
che queste urla mute
trovassero una risposta.
Le lacrime solcano il mio viso e inzuppano il cuscino.
Lo amo, cosa devo fare?
Dargli una possibilità ed espormi al rischio di essere
ferita ancora da lui o cacciarlo via?
Il rischio che mi faccia soffrire ancora è concreto, so
come lo chiamano, so che è Hot Pants, che via una ce
n’è sempre un’altra.
Lo so, eppure una piccola stupida parte di me non fa
altro che dire che questa volta è diverso, che per una persa
non si compra una
collana né la si insegue una volta scoperto
dov’è.
Quel ragazzo è un mistero che mi spaventa.
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Capitolo 13 *** 13)Perché mi chiamo così. ***
13)Perché mi
chiamo così.
La mattina dopo mi alzo che sembro un panda.
La matita, l’ombretto e il mascara sono colati durante il
pianto notturno, con un sospiro mi pulisco la faccia con lo struccante
e mi
rifaccio il mio solito pensate trucco nero.
Scendo a fare colazione con un’aria particolarmente
abbattuta che non passa inosservata.
“Tutto bene, Jen?”
“No, mi sento come se mi avesse tirato sotto un carro armato
e non credo di
poter affrontare un nuovo giorno di scuola.”
Mia madre mi porge un’abbondante colazione.
“Sono sicura che ce la farai dopo questa, sei una ragazza
forte, Jen.”
Io non dico nulla, ma vorrei mostrarle i miei polsi e
dirle che non sono così forte come sembro, che sto
miseramente crollando a
pezzi ogni giorno di più.
Inizio a mangiare i cereali, i pancakes, i waffles e le
uova con il bacon in ordine sparso, senza sentire veramente il sapore
di
niente, solo per mangiare. Che se il mio spirito è
moribondo, il mio corpo non
lo è. Il sangue scorre nelle vene, il cuore batte, i polmoni
mi fanno
respirare.
Mio fratello mi spia buttando ogni tanto qualche occhiata
che io non ricambio, sono ancora arrabbiata con lui per non essersi
fatto i
fatti suoi.
Se lui si fosse fatto i fatti suoi a quest’ora non ci
sarebbe una collana che mi riempie di dubbi e non mi sentirei legata a
un
promessa fatta a una persona che mi ha ferito.
“Avevi fame, tesoro?”
Mi chiede mia madre, vedendo quello che c’è sul
mio
piatto arrossisco leggermente.
“Oh, un po’. Ieri se non ho mangiato molto.
Io adesso andrei, eh.”
Dan si alza con me e mi segue fuori dalla cucina, ma non ha il coraggio
di dire
nulla se non quando siamo in macchina.
“Allora?”
“Allora è venuto perché qualcuno gli ha
detto che mi
taglio.”
Le sue guance si tingono di un rosa delicato e inizia a
giochinare con le maniche della felpa.
“Sono preoccupato per te e lui mi è sembrato
l’unico in
grado di fare qualcosa.”
“Vabeh, poi mi ha rifilato a storia che è stata
solo
colpa di Madison.”
“E non pensi che possa avere ragione?”
Io non rispondo nemmeno.
“Poi mi ha dato una collana con il ciondolo di una
tartaruga, dicendomi che voleva darmela prima di partire.”
“Lui non le fa queste cose di solito, non pensi che forse non
voleva solo
prenderti per il culo?”
“Per quel che ne so può essere andato a prenderla
dopo
che tu l’hai chiamato, un modo come un altro per lavarsi la
coscienza.”
“Perché pensi questo?”
Mi chiede con la voce velata di rabbia.
“Oh, andiamo! È famoso per portarsi a letto le
ragazze e
mollarle, poi ha saputo che una non ha reagito molto bene e si
è sentito in
colpa e è venuto qui.”
“Sbagli a giudicarlo così! È vero si
è comportato così
con un sacco di ragazze, ma non con te!
Tu non stai vivendo, stai morendo ogni giorno di più e
non ho più intenzione di lasciartelo fare. Hai iniziato a
morire da dopo la
storia di Chris, capisco che sia stato brutto e mi dispiace di non
avergli
rifatto quella faccia da cazzo, ma non tutti i ragazzi sono come lui e
non
tutte le ragazze sono lesbiche affamate.”
“Come cazzo fai a saperlo?”
“Una notte ti lamentavi nel sonno, le dicevi di lasciarti
stare. Quella sera sei tornata prestissimo e ho fatto due
più due.”
All’improvviso mi sento come nuda davanti ai suoi occhi e
non è una bella sensazione: ci si sente davvero vulnerabili.
“L’hai detto a Tom.”
“No, questi sono davvero affari tuoi. Sta a te decidere
se dirglielo o no.”
Io sospiro di sollievo e scarico mio fratello alla sua scuola, poi mi
dirigo
alla mia, arrivo e parcheggio. Kevin mi aspetta all’entrata,
a pochi passi da
lui c’è Amber che mi guarda in cagnesco.
“Ciao, Jennifer.”
“Ciao, Kevin. Meglio che tu vada, alla tua ragazza non fa
piacere che tu parli con me.”
“Per una volta può aspettare, voglio solo essere
certo
che vada tutto bene. Quel ragazzo ti ha importunata ancora?”
“Ci siamo visti a cena e basta.”
“È lui?”
“Lui chi?”
“Quello che ami ancora, quello che non ti permette di
iniziare una nuova relazione, il fantasma che viene dritto dal tuo
passato.”
Io abbasso gli occhi, sentendomi un’altra volta vulnerabile.
“Sì, è lui. Abbiamo avuto una mezza
storia prima che io
mi trasferissi, ma è stato abbastanza per rovinarmi il
cuore.”
“Capisco, mi dispiace.
Possiamo rimanere amici?”
Io sospiro.
“Mi piacerebbe, ma siamo realisti. Amber mi odia e non ti
permetterebbe mai di frequentarmi, guarda solo come ci guarda adesso.
Se
potesse mi ucciderebbe.”
Lui guarda la sua ragazza e sospira.
“Immagino che tu abbia ragione, ma sei hai bisogno di me
ci sono.”
“Grazie, adesso è meglio che tu vada.”
“Hai ragione. Ciao, Jen. Grazie di esserti iscritta a
questa scuola.”
Se ne va e raggiunge Amber che lo prende subito per mano
e mi lancia la solita occhiata velenosa.
Quanto vorrei essere altrove, in un luogo sperduto dove
ci sono pochissime persone e la natura la fa da padrone.
Gli esseri umani sono una fregatura.
Inutile dire che questa giornata
scolastica è stata uno
schifo.
Sono sola come al solito, bersagliata dalle occhiate di
odio di Amber e da quelle di scusa di sua sorella. Mi sento come una
specie di
pacco capitato per caso e non particolarmente amato, uno di quelli che
ti
ritrovi tra i piedi e non sai che farci.
A mensa mangio in un tavolo da sola, sebbene la vacca
della scuola mi abbia chiesto di unirsi al suo tavolo, sapendo quello
che è e
fa preferirei morire di fame che sedermi al suo stesso tavolo.
Giusto per finire male la giornata come ultima materia ho
educazione fisica e giochiamo a pallavolo, nemmeno a dirlo Amber
finisce nella
squadra avversaria. Lancia un servizio dritto contro la mia faccia, per
poco
non mi spacca il naso.
Non scherzo, l’infermiera della scuola mi ha detto che ho
preso una bella ammaccatura, la stronza mi ha punita per aver solo parlato con il suo ragazzo. Amber ha
seri problemi, dovrebbe farsi vedere e i suoi amici dovrebbero smettere
di fare
da zerbini alle sue crisi da primadonna.
Sì, sogna Jen.
Con il naso dolorante e la voglia di vivere di un
cadavere esco da scuola e mi ritrovo di
nuovo Tom appoggiato alla mia macchina.
“Non te n’eri tornato a San Diego?
Mi hai parlato, dato la collana, il tuo compito è finito
qui.”
“Cosa ti è successo al naso?”
“Una pallonata a ginnastica.”
“È stata quella bionda che ti ha buttato a terra
ieri?”
“Anche se fosse? Che ti importa?”
“Mi importa. Voglio che
tu mi perdoni e
magari qualcosa di più.”
“No, non dirmi che vuoi essere il mio ragazzo.”
Scoppio in una risata amara.
“Dopo tutto quello che è successo hai davvero una
faccia
tosta senza pari, DeLonge.”
“Lo so e di solito ottengo quello che voglio.
Perché non
mi porti a fare un giro per la città?”
Sto per mandarlo a fanculo quando Kev fa la sua apparizione.
“Amico, pianta di darle fastidio! Trovati un’altra
ragazza.”
“Io non voglio un’altra ragazza, voglio
lei.”
“E se lei non ti volesse?”
“Basta, ragazzi!”
Con la testa faccio cenno a Kev che la sua pazza si sta
avvicinando e lui capisce al volo il messaggio sotteso togliersi di
torno se
non vogliamo che scoppi la terza guerra mondiale.
“Bene, adesso me lo concedi un giro?”
“Se un fottuto stronzo.”
Sibilo tra i denti, il che equivale a dire sì.
Lui entra in macchina e si mette comodo, io mi metto al
sedile di guida e inserisco una cassetta dei Sex Pistols nella radio,
voglio
che ci sia abbastanza rumore da impedire ogni conversazione. Lui sembra
capire
il messaggio perché non apre bocca e si limita a guardarsi
intorno interessato.
Guido fino a un parco che dà sul lago Michigan,
parcheggio, spengo a radio e gli faccio cenno di scendere.
“Da quando senti i Sex Pistols?”
“Da quando ho bisogno di qualcosa che faccia più
rumore
dei miei pensieri.”
“Dove mi hai portato?”
“Al mio parco preferito, dà sul lago.”
“Figo, è pieno di neve!”
Lo dice come se fosse una novità, per me non lo è
e alzo gli occhi al cielo.
Cinque secondi dopo mi ricordo che lui è californiano come
me e che da noi non
si vede spesso ed è un evento da celebrare.
“Andiamo.”
Dico sbrigativa, entrando e cominciando a camminare su un
sentierino di ghiaia semighiacciato.
“Sta attento, con quelle scarpe rischi di finire culo a
terra.”
Non faccio a tempo a dirlo che un tonfo mi avvisa che il signor DeLonge
è
finito culo a terra sul serio. Lo
aiuto ad alzarsi e poi ci sediamo su una panchina.
“È per quello che ti metti gli anfibi con
quell’uniforme
da fighetta.”
“Anche.”
Lui si guarda intorno e nota la superficie grigia e
piatta del lago che riflette quella del cielo.
“Bello, è sempre così grigio?”
“Solo quando sta per nevicare. Cosa hanno detto i tuoi di
questa trasferta?”
“I miei sono divorziati. Mio padre se ne è
sbattuto il
cazzo e mia madre ha urlato un po’, dicendo che sono matto da
legare, ma poi mi
ha lasciato andare.”
“Tua madre ha perfettamente ragione.”
“Grazie. Sono commosso per come mi sei riconoscente per
preoccuparmi per te.”
“Nessuno te lo ha chiesto.”
“Ancora quella questione? Credi che sia ancora qui per
lavarmi la coscienza?”
Io rimango in silenzio.
“Sei più testarda di un mulo, Jennifer
Jenkins.”
“Potrei dire lo stesso di te.”
Lui sbuffa e si stravacca sulla panchina.
“Chi è quel ragazzo che ci ha interrotto per ben
due
volte?”
“Si chiama Kevin.”
“È il tuo ragazzo.”
“Il mio ex, adesso sta con Amber: la bionda che mi ha buttata
a terra la prima
volta che sei venuto a scuola.”
“Hai avuto un ragazzo?”
Mi chiede in tono deluso.
“Cosa c’è di male? Noi non siamo mai
stati insieme, non
c’è bisogno di agire come se ti avessi
tradito!”
“Hai ragione. Come mai vi siete mollati?”
“Cazzi tuoi, no?”
“No.”
Io sbuffo seccata.
“Non ha funzionato e basta. Adesso sta con Amber che
è
gelosa e gli impedisce di vedermi, è patetico. Amber se
potesse mi ucciderebbe,
Jamelia – la sua gemella – continua a scusarsi con
me e Kev vorrebbe essere
ancora mio amico.”
“Se questa Amber non fosse gelosa marcia lo rivorresti come
amico?”
“Sì.”
Rispondo decisa guardandolo in quegli occhi scuri che mi
hanno rovinato la vita.
“È un buon amico, lui.”
Lui incassa.
“Mi perdonerai mai?”
“Perché dovrei farlo?
Sei Hotpants, no?
Adesso ti scusi, io ti perdono e tra qualche mese avrò un
discreto palco di corna.
No, grazie.”
“Non sarà così!”
Urla lui facendo alzare in volo gli uccelli che
riposavano pacifici sull’albero accanto alla panchina.
“No, eh?!
Quanto è durata la tua relazione più
lunga?”
Lui rimane in silenzio.
“Ecco, questa è la risposta!”
“E se con te fosse diverso?”
Punta i suoi occhi nei miei con uno sguardo serio che gli
ho visto solo quando mi ha salvato da Chris.
“Perché dovrei crederti?”
Sussurro piano.
“Perché di qualcuno devi fidarti, non puoi
continuare a
cacciare a calci le persone dalla tua vita, non è
così che funziona, Jen.
Continuare a posticipare il dolore lo renderà più
duro da
affrontare il giorno in cui dovrai farlo. Tuo fratello è
preoccupato per te e
lo sono anche io. Dammi una seconda possibilità, ti prego.
Questa volta farò
del mio meglio, ti rispetterò.”
Io rimango senza parole, il mio cuore ha saltato qualche
battito e non so cosa dirgli, nelle mie testa ci sono l’eco
delle sue parole e
il rumore sordo del mio cuore che batte.
Mi alzo in piedi nervosa e mi accorgo che ha iniziato a
nevicare: neve sottile simile a cenere.
“Devo pensarci.
Dove stai? Ti riporto lì.”
“E il nostro giro per Chicago?”
“Saltato.”
“Jen…”
Si alza anche lui.
“No, non puoi presentarti qui così e fare il bravo
ragazzo e aspettare che ti creda. Ho bisogno di tempo.”
“Ok, ma il giro me lo avevi promesso.”
“Ritieniti fortunato che non ti pianti qui e ti costringa a
fartelo da solo
questo giro per trovare il posto dove vivi.”
Lui sospira.
“Va bene. Oh, nevica!”
“Già, nevica.”
Usciamo dal parco in silenzio e saliamo in macchina.
“Sto da mia zia Kate.”
Mi detta l’indirizzo e io percorro piano le strade della
città.
“Vorrei non avere mandato a puttane tutto.”
“La prossima volta ti tieni l’uccello nei
pantaloni.”
“Sei diventata brusca, dura.”
“Sono cambiata, ho dovuto affrontare un po’ di cose
non
piacevoli e sai cosa cambia le persone?
Il dolore, Tom.
Il dolore può trasformare la più buona delle
persone in
una iena acida e misantropa.”
“L’amore può guarire.”
“Questa non è una favola, siamo arrivati.
Scendi.”
“Ti farai viva?”
“Può darsi. Ciao.”
Riparto diretta verso casa mia con il cuore in tumulto: è
vero quello che ha detto?
È vero che per me prova qualcosa di diverso o è
semplicemente un modo per lavarsi la coscienza e fregarmi ancora?
Una volta gliel’ho data la fiducia ed eccomi qui, fatta
fessa alla prima occasione nel modo peggiore!
Le mie mani stringono il volante fino a farmi venire le
nocche bianche, non so cosa fare. Il mio cervello mi dice di lasciarlo
marcire
a casa di zia Kate, il mio cuore di dargli una possibilità,
ma il mio cuore non
è molto affidabile.
Parcheggio davanti ed entro infreddolita, mia madre mi
sta aspettando nell’ingresso.
“Oggi hai fatto un po’ tardi.”
“Sì, scusa. Tom ha insistito per fare un giro in
città.”
Lei scruta la mia faccia con apprensione mista a
curiosità.
“Tu non stai bene, vuoi parlarne?”
“Cosa?”
“Jen, hai l’aria strana. Ne vuoi parlare?”
Io rimango incerta per un attimo, non so se ho voglia di
parlarne.
“Davanti a una cioccolata.”
“Con la cioccolata hai vinto.”
Mia madre mi sorride e io la seguo in cucina dopo essermi tolta gli
anfibi.
Pochi minuti dopo siamo davanti a una cioccolata calda decorata con
panna.
“Cosa ci fa Tom qui?”
“L’ha chiamato Daniel.”
“Perché?”
“Perché è preoccupato per me.”
Dico affondando il cucchiaio nella panna.
“Un po’ lo sono anche io, da quando hai rotto con
Kevin
non hai più amici.”
“Amber, la sua ragazza, non mi sopporta e non vuole che io
sia amica di Kev e
dei suoi amici e siccome è una mezza psicopatica le danno
tutti retta.”
Lei arriccia il naso.
“Cosa ti ha detto Tom?”
“Che non posso chiudermi completamente in me stessa
perché il giorno in cui sarò obbligata ad
affrontare il dolore farà male il
doppio, di dargli una seconda possibilità.
Dice che con me è diverso rispetto alle altre ragazze, ma
non so se credergli, magari lo dice solo per convincermi
così si può lavare la
coscienza.”
“Jen, ho trovato un pacchetto di lamette in camera
tua.”
Mi gelo a queste parole.
“Cosa te ne fai?”
“Niente.”
“Fammi vedere il tuo braccio.”
“No!”
Dico con forza, ma lei me lo afferra e alza le maniche: è
pieno di tagli.
Lei lo lascia andare e mi guarda sconvolta.
“Oh, mio dio!”
Io mi alzo e lascio la mia cioccolata a metà.
“È per questo che Tom è tornato, sente
di dovere porvi
rimedio.”
“Perché, Jenny?
Perché lo fai?”
“Perché mi fa stare bene, perché mi fa
sfogare senza
dovervi fare preoccupare in caso di reazioni eccessive.”
“Come puoi dire così?
E se un giorno sbagliassi la vena?
Ci pensi a cosa potrebbe succedere? A cosa potremmo
provare noi?
Io non voglio perdere una figlia per questo, ho già perso
una sorella!
Tu ti chiami così in suo onore, non ho intenzione di
seppellire anche te, queste sono sequestrate e voglio che tu mi
prometta una
cosa: che smetterai.
Che quando ti senti giù o ti senti scoppiare verrai da me
e ne parleremo insieme.”
Io sono senza parole, non sapevo di chiamarmi Jennifer per questa
ragione, non
sapevo che mamma avesse una sorella, nessuno me ne ha mai parlato.
“Jenny!”
Io la guardo con gli occhi pieni di lacrime, non posso
deluderla e in questo momento capisco che ho scelto il modo sbagliato
di
affrontare il dolore.
“Te lo prometto, mamma. Non lo farò mai
più.”
Dico con voce spezzata, lei mi abbraccia e lascio che le
lacrime scorrano liberamente sul mio volto.
È arrivato il momento di affrontare il dolore, Jennifer.
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Capitolo 14 *** 14)Il marchio di famiglia: domare gli indomabili. ***
14)Il marchio di
famiglia: domare gli indomabili.
Sono seduta in camera mia, in mano
ho la collanina di Tom
e me la rigiro.
Parole ripetute da persone a me care continuano a
ripetersi nella mia mente.
{“Sbagli a
giudicarlo così! È vero si è
comportato così con un sacco di ragazze, ma non
con te!
Tu non stai
vivendo, stai morendo ogni giorno di più e non ho
più intenzione di lasciartelo
fare. Hai iniziato a morire da dopo la storia di Chris, capisco che sia
stato
brutto e mi dispiace di non avergli rifatto quella faccia da cazzo, ma
non
tutti i ragazzi sono come lui e non tutte le ragazze sono lesbiche
affamate.”}
Danny, il mio fratellino.
Il primo che ha scoperto il mio segreto e che – lo stesso
– mi ha parato il culo con i miei.
Quello che era amico di Tom, ma non ha esitato a
schierarsi dalla mia parte quando ha saputo cosa ha fatto.
Forse una delle persone che più mi ama nella mia vita.
Lui ha ritenuto giusto chiamare Tom e mi chiedo se forse
non avesse ragione, forse perdonandolo le cose andranno meglio.
Forse riannodando i fili del nostro rapporto spezzato
troppo presto troverò la pace, è inutile negare
ancora: lo amo.
Lo amo come lo amavo quando mi ha ferito con Madison, lo
amo come quando me ne sono andata da San Diego, lo amavo quando me lo
sono
ritrovato fuori dalla scuola.
Mi perdo ad ammirare i diamantini della tartaruga.
{“Perché di
qualcuno devi fidarti, non puoi continuare a cacciare a calci le
persone dalla
tua vita, non è così che funziona, Jen.
Continuare a
posticipare il dolore lo renderà più duro da
affrontare il giorno in cui dovrai
farlo. Tuo fratello è preoccupato per te e lo sono anche io.
Dammi una seconda
possibilità, ti prego. Questa volta farò del mio
meglio, ti rispetterò.”}
Mi rispetterà davvero?
Aveva ragione sulla cosa del posticipare il dolore,
adesso che non posso più scappare mi sta artigliando il
cuore come una bestia
feroce.
Fa male, tanto male.
Mi sento sporca e contaminata per via di tutte quelle
cose che mi sono successe, compresa essere stata fregata da lui. Ma poi
lui è
venuto subito a cercarmi non appena ha saputo dove fossi.
Qualcosa dovrà pure significare e forse non quello che
penso io.
Forse non lo fa per lavarsi la coscienza, ma perché tiene
a me e ricambia i miei sentimenti
No, meglio non correre troppo sull’ultima parte della
frase, non è detto che mi ami, forse sono solo
un’amica.
Ma le amiche non si baciano e il ricordo del bacio che mi
ha dato prima che io partissi per Chicago mi brucia ancora sulle
labbra. Me le
tocco e penso che dopotutto non è stata
un’esperienza spiacevole.
{“Perché mi fa
stare bene, perché mi fa sfogare senza dovervi fare
preoccupare in caso di
reazioni eccessive.”
“Come puoi dire
così?
E se un giorno
sbagliassi la vena?
Ci pensi a cosa
potrebbe succedere? A cosa potremmo provare noi?
Io non voglio
perdere una figlia per questo, ho già perso una sorella!
Tu ti chiami così
in suo onore, non ho intenzione di seppellire anche te, queste sono
sequestrate
e voglio che tu mi prometta una cosa: che smetterai.
Che quando ti senti
giù o ti senti scoppiare verrai da me e ne parleremo
insieme.”}
E poi c’è il dolore di mia madre, un dolore di cui
io non
sapevo nulla, che è rimasto nascosto nel suo cuore per anni.
Non riesco nemmeno
a immaginare quanto abbia sofferto e quanto stia soffrendo adesso,
probabilmente
si sente catapultata dentro quell’incubo che credeva di avere
superato.
Deve essere per questo che è sempre stata una mamma
presente, per capire se c’erano segni della tempesta
all’orizzonte e, cazzo, li
ha visti.
L’ho delusa, l’ho ferita solo perché
sono stata troppo
codarda per affrontare il dolore. Ho preferito ricorrere alle lamette
invece
che al dialogo.
Mi sono isolata e ho chiuso fuori gente che poteva
aiutarmi, tra cui Kevin.
Ok, lo so che sta con Amber, ma non voglio perderlo come amico.
Fanculo, troveremo un equilibrio!
Non posso permettere che quella psicopatica influisca sulla mia vita,
non posso
permetterle di portarmi via una delle persone che ancora si considera
mia
amica.
{“Sì, è lui.
Abbiamo avuto una mezza storia prima che io mi trasferissi, ma
è stato
abbastanza per rovinarmi il cuore.”
“Capisco, mi
dispiace.
Possiamo rimanere
amici?”
Io sospiro.
“Mi piacerebbe, ma
siamo realisti. Amber mi odia e non ti permetterebbe mai di
frequentarmi,
guarda solo come ci guarda adesso. Se potesse mi ucciderebbe.”
Lui guarda la sua
ragazza e sospira.
“Immagino che tu
abbia ragione, ma sei hai bisogno di me ci sono.”
“Grazie, adesso è
meglio che tu vada.”}
Con l’eco di queste parole in testa compongo il suo
numero e aspetto che risponda.
“Jen?”
“Sono io. Ti disturbo?”
“No, mi ha piacere la tua chiamata.
Come mai mi hai chiamato?”
“Ho pensato alle tue parole, ti va di rimanere
amici?”
“Certo che mi va!”
“Ci vediamo al nostro solito posto?”
“Certo, vengo subito.”
Io sorrido, un pochino la tempesta dentro di me si è calmata.
Mi metto un paio di anfibi ed esco dalla mia stanza senza
nemmeno toccare i compiti, oggi non ho voglia di farli e anche se ci
provassi
non avrei la concentrazione adatta.
Saluto mia madre che sta stirando, lei mi rivolge un
sorriso tirato che mi fa sentire in colpa, mi metto la giacca e prendo
la
borsa.
Salto in macchina e metto nello stereo una cassetta dei
Cranberries, ignorando la mia paura di finire uccisa da Amber domani.
Io sono
un po’ schizzata, lei è una cazzo di psicopatica
che non perde occasione per
farmi male, sempre facendolo sembrare un incidente.
Raggiungo il solito posto, che non è altro che un Mac del
centro, e trovo Kevin fuori dal locale che saltella per il freddo, a
giudicare
dai jeans che porta almeno lui si è tolto la divisa.
“Jen!”
“Ehi, Kev. Come va?”
“Una merda. Te lo dico dentro, ce l’hai lo spazio
per un
hamburger e la cena?”
“Credo di sì, basta che sia piccolo.”
Prendiamo entrambi un happy meal e poi ci sediamo al
primo tavolo libero.
“Che succede, Kev?
Problemi a casa?”
“Che?
No, assolutamente no. A parte il fatto che mio padre
continua a telefonarmi nella vana speranza che io voglia riallacciare
un
rapporto con lui. Il vero problema è Amber, non la sopporto
più.”
Io lo guardo a occhi sgranati.
“È una palla al piede, non mi lascia parlare con
nessuna
ragazza e ti dico che è anche pazza. Mi minaccia di farmi
male o di ammazzarsi
se la dovessi lasciare, ma io ne ho le palle piene.
La mollo, prima di Natale la mollo e poi chiederò al
secondo marito di mia madre una guardia del corpo come regalo di
compleanno.”
“Mi dispiace.”
“Anche a me. Avrei dovuto capire subito che tipo era da
come ti ha trattata.
Tu come te la cavi?”
“Una merda. Avrei bisogno di un consiglio, come avrai
capito Tom è tornato.
Mi ha spiegato che mi ha, diciamo, tradito con Madison
perché lei lo ha obbligato trascinandolo nello sgabuzzino
delle scope. Poi mi
ha dato una collana, ha detto che avrebbe voluto darmela prima
perché l’aveva
comprata per farsi perdonare un suo comportamento scorretto a un
appuntamento
che al momento non aveva capito.
Lui è una frana, non ha mai auto una ragazza fissa e io
gli ho detto che non voglio essere l’ennesima della lista.
Lui dice che con me
è diverso e non so se credergli.
È venuto da me non appena ha saputo dove fossi e mi ha
aiutato con un certo problema, però io non so se fidarmi.
Come faccio a essere
sicura che non sia una finta o che comunque una volta messo con me non
si
stanchi e mi molli?
E poi io ormai vivo qui, ci vivrò fino alla fine
dell’anno
scolastico, e dovremo affrontare una relazione a distanza e non se
funzionerebbe.
Cosa devo fare?”
Prima che lui possa darmi una risposta una furia bionda piomba al
nostro tavolo.
Amber.
Ma che palle! Ma perché è sempre tra i piedi?
“Lo sapevo! Tu mi tradisci con questa qui, sei solo uno
stronzo!
In quanto a te, adesso ti sistemo io!”
Kev si alza in piedi.
“Io non ti sto tradendo, sto solo parlando con
un’amica.
Ma sai una cosa, Amber?
Mi hai rotto con la tua gelosia del cazzo, sei
ossessionante, non ne posso più.
Io ho chiuso con te!”
Lei sbianca e poi si lancia verso di me per darmi una
sberla, ma io le afferro i polso e lo stringo con forza.
“Adesso basta! Non mi importa che concetto tu abbia
dell’amicizia o che te la prenda con me anche se non ho fatto
niente, ma se
tocchi i miei amici abbiamo un problema.
Stai lontano da Kev, stai lontano da me.
Trovati un altro ragazzo e magari anche un cazzo di
psichiatra perché hai dei problemi a gestire a tua
rabbia!”
“Ma stai zitta, puttana! Lo so cosa facevi in California,
succhiavi i cazzi, cheerleader.
E scommetto che non sei affatto cambiata, ma quello di
Kev è mio e devi starci lontana!”
“Come sai che sono stata una cheerleader?”
“Ho letto il tuo fascicolo, sei uscita. Perché?
Ti avevano annoiato i cazzi dei giocatori di football?”
Io divento pallida per la rabbia, raddoppio la presa sul
polso di Amber – come se volessi spezzarglielo – e
le do un violento
manrovescio con l’altra mano.
“Tu sei pazza, cazzo. La ragione per cui sono uscita
dalle cheerleader non ti deve riguardare!”
Ringhio a bassa voce.
“Adesso vattene e non farti mai più vedere o
vedrai cosa
sono capace di fare quando mi incazzo, pensi di essere forte
perché sei fuori
come un balcone e nessuno ti mette un freno, ma io sono cento volte
più pazza e
pericolosa.
Sai perché?
Perché non ho niente da perdere!”
“Ah, no?”
Mi dice beffarda.
“No. Ti ricordi di quel bisturi la prima volta che
abbiamo avuto una lezione insieme’
La prossima volta non ti avviso nemmeno, te lo pianto
direttamente nella gamba, lì c’è
un’arteria… Potrebbe esserti fatale.”
Lei rabbrividisce perché la mia voce non vacilla e il mio
sguardo è fermo.
La lascio andare e se ne va via, Kev mi guarda ammirato.
“Complimenti!”
“Figurati, per te questo e altro. Mi hai aiutato a
sentirmi meno sola in quella scuola.
Cosa ne pensi della storia di Tom?”
Lui rimane in silenzio per lunghi girando la cannuccia nel bicchiere
della
coca.
“Sono ancora un po’ innamorato di te, quindi parlo
contro
il mio interesse, ma secondo me quel ragazzo è sincero.
Se vogliamo una ragazza solo per una scopata, non ci
sbattiamo tanto se lei se ne va, noi ragazzi. Ne cerchiamo
un’altra e stop, non
voliamo di corsa appena sappiamo dove è finita quella che
non c’è stata, non
cerchiamo in ogni modo di farci perdonare.
Credo che lui sia sincero, ma lo stesso la situazione non
è facile. Finite le vacanze di Natale lui dovrà
tornare a San Diego. Però…
Provaci, Jen. È lui che ami, che hai sempre amato. So che
ci sono esperienze che non mi hai mai raccontato che ti hanno reso
spaventata e
per questo ti nascondi dietro la corazza della ragazza dura, ma non
può durare
per sempre.
Non si può vivere per sempre nel passato.”
Io rimugino un attimo sulle sue parole.
Indubbiamente c’è del vero in esse, ma ho ancora
paura.
Temo che sia l’ennesima vota in cui affido la mia fiducia a
qualcuno che finirà
per tradirla.
Il soprannome HotPants pesa come un macigno nel mio
cervello.
“Ma lui non ha mai avuto una relazione seria, cosa ho io
di diverso dalle altre ragazze?
Sono anche bruttina per la media.”
Lui ride.
“Tu non sei affatto brutta! E poi si vede che hai una
personalità, che non temi di essere diversa dagli altri per
il look o le
abitudini. Credo che Tom ti apprezzi per questo.”
“Non lo so. Forse hai ragione.
All’inizio pensavo fosse uno sfigato che voleva
dimostrare di poter farsi una cheerleader, ma poi le cose sono
cambiate. Lui mi
ha salvato la vita e mi è rimasto accanto anche quando sono
uscita dalle
popolari.”
Il suo volto si indurisce.
“Cosa significa che ti ha salvato la vita?”
“Il ragazzo con cui uscivo allora ha tentato di violentarmi e
lui mi ha
salvato.”
“Gliene sono grato. Tu pensaci, è arrivato il
momento di
andare a casa.”
“Hai ragione.
Ciao, Kev.”
Ci salutiamo fuori dal Mac e me ne vado sentendomi un
pochino meglio.
Arrivata a casa trovo mia madre in salotto mi lancia una
unga occhiata.
“Tutto bene, Jen?”
“Più o meno.
Ho parlato con Kevin.”
“Pensavo non vi parlaste più.”
“Era la sua ragazza a non volere che noi parlassimo, adesso
si sono lasciati,
comunque.”
“Mi dispiace.”
“A me non molto, perché era una stronza
apocalittica.”
“Vuoi dire che forse ti piacerebbe tornare con lui?”
I suoi occhi scintillano un po' e quasi mi dispiace
spegnere questa luce.
“No, mi dispiace. Abbiamo parlato di Tom.”
“E cosa avete detto?”
Mi risponde un po’delusa.
“Secondo lui dovrei dare una seconda possibilità a
Tom,
che nessun ragazzo si sbatte così tanto per una ragazza con
cui vuoi solo una
notte di ….”
Lei rimane un attimo in silenzio.
“Non ha tutti i torti, ma tu sei sicura di rivolerlo
nella tua vita?
Ti ha fatto tanto soffrire e poi tu ormai abiterai qui
fino a giugno e lui sarà a San Diego.”
“Lo so, aspetta qui un attimo.”
Salgo in camera mia e tolgo la collana che mi ha regalato
Tom dal portagioie e poi scendo di nuovo. La porgo a mia mia madre.
“Che bella! Chi te l’ha regalata?”
“Tom.”
Lei se la rigira tra le mani.
“È molto bella, ma devo dirti una cosa: quando gli
uomini
fanno qualcosa di sbagliato cercano di ripagare con i
gioielli.”
“Lo so, ma so anche che lui è alle prime armi con
una storia
seria e forse qualche errore devo perdonarglielo. Lui finora non ha mai
avuto
un storia serie, non so se hai capito il tipo.”
Lei alza gli occhi al cielo e sorride, non mi aspettavo
questa reazione da lei.
“Quello che va domato, esattamente come tuo padre.”
“Lui era come Tom?”
Le ride e per un attimo rivedo la ragazzina che doveva
essere stata dietro l’adulta con i capelli di un caldo
castano tagliati a
caschetto.
“Aspettami un attimo qui, Jenny.”
“Ok.”
Le dico incerta, inizio a spostare il tappeto con la
punta delle ciabatte e mi chiedo cosa voglia farmi vedere. Poco dopo
torna con
una fotografia e una scatolina di velluto viola. La foto ritrae un
ragazzo dai
capelli irti, colorati di un arancione squillante – simile a
Johnny Rotten
nell’era dei Pistols – che indossa un chiodo di
pelle, un paio di jeans
stracciati e degli anfibi.
È abbracciato a una ragazza dai lunghi capelli castani,
che indossa un vestito nero e degli anfibi dello stesso colore,
l’unica nota di
colore e una sciarpa a fiori di un arancione vivace.
“Come avrai capito, questi siamo io e tuo padre.”
“Lui era un punk?”
“Lo è ancora, custodisce gelosamente da qualche
parte i
dischi dei Sex Pistols e dei Ramones.”
“E questa sei tu. Siete così…”
“Diversi? Sì, lo eravamo, ma siamo riusciti a
farla
funzionare. Lui era circondato da tutte quelle ragazzine punk che non
so come
abbia fatto a notare me, che somigliavo molto a Mercoledì
Addams, ma è
successo.”
“Cosa c’è nella scatolina?”
“Una volta mi fece arrabbiare da morire flirtando
spudoratamente con una tizia
bionda artificiale, vestita come una prostituta e piena di tatuaggi.
Litigammo
furiosamente, lui non capiva perché mi fossi arrabbiata
così tanto, ma qualche
giorno dopo è arrivato con questa.”
Io apro la scatola e rischio di farla cadere a terra:
contiene una collanina con il ciondolo di una tartaruga, praticamente
il papà
del mio.
“Oh, Cristo!”
Lei mi fulmina.
“Cioè, cazzo! È uguale!”
“Jen!”
“Oh, sì, scusa, Madonna mia.”
Lei scuote la testa.
“Fai quello che ti senti. Que sera sera, the future is not our to
see.”
Io le restituisco tutto e salgo in camera mia, finalmente
per cambiarmi. La divisa stava iniziando a diventare fastidiosa.
Guardo la mia collanina e poi prendo in mano il mio
telefonino, forse sto sbagliando tutto, forse i sto condannando a un
futuro di
sofferenze e a un palco di corna più grande del Brasile; ma
non ce la faccio a
non farlo.
Ormai ho capito, non riesco a fare a meno di li.
Potrei trasferirmi in Cina e non cambierebbe nulla,
continuerai ad amarlo anche lì.
“Jen?”
“Sì, sono io. Vediamoci al parco, devo dirti una
cosa. Sai come arrivarci,
vero?”
“Mi farò portare da zia Kate, a tra
poco.”
Io indosso un paio di jeans e un maglione rosso e
sformato, ma che tiene caldo e poi me ne vado di nuovo. Salgo in
macchina e raggiungo
in fretta il parco, giusto per vedere una station wagon verde bottiglia
allontanarsi.
“Ciao, come mai hai voluto vedermi?”
“Dio solo sa perché, ma ho deciso di darti una
seconda
possibilità.”
Lui si avvicina, come per baciarmi, ma io metto le mani davanti a me.
“Con qualche condizione.”
“Del tipo che non mi metterai le corna o farai lo scemo
con altre ragazze e stai lontano da Madison o prendo un aereo e vengo a
San
Diego solo per castrarti.”
“Ma chi la vuole!”
“Bene.”
“Adesso posso baciarti o devo attendere una bolla
papale?”
“Aspetteresti?”
Gli chiedo ironica.
“Jennifer!”
Il suo è un tono di supplica.
“Va bene, puoi baciarmi.”
E così le nostre labbra si incontrano di nuovo ed
è come
se si fossero lasciate l’altro ieri e non mesi fa. Troviamo
subito il ritmo
giusto e sento le mani di Tom che mi accarezzano le guance.
Dopo aver continuato a scappare come una dannata per mesi
capisco che è questo il mio posto: tra le braccia di Tom.
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Capitolo 15 *** 15)Amore ***
15)Amore
Dopo il bacio al parco decido che è meglio che meglio
tornare a casa.
“Tom, credo sia meglio che io vada a casa, oggi non ho
fatto altro che fare avanti e indietro.”
“Ma io volevo trascorrere del tempo con te!”
Lui fa una smorfia da cane bastonato e io rimango un
attimo paralizzata, poi prendo un profondo respiro.
“Potresti venire a mangiare da me, così
conosceresti i
miei e Danny.”
“Li conosco… Oh, questa è una di quelle
domande trabocchetto in cui se sbaglio
risposta mi ucciderai, vero?
È una di quelle cose serie, vero?”
“Ah ah.”
“Ok, vengo.
Anche perché ho una fame della madonna.”
“Anche io, per colpa tua ho dovuto fare avanti e indietro
come una dannata.
Lo sai che Kev e Fraulein Hitler si sono lasciati?”
“Intendi la bionda con seri problemi di controllo della
rabbia?”
“Lei.”
“Beh, buon per lui.
Non lo conosco, ma non augurerei a nessuno una pressa del
genere come ragazza.”
“Hai ragione, ma adesso devo stare attenta. Potrebbe
uccidermi e tentare di
farlo passare per un incidente o un suicidio.”
“Brutta gatta da pelare.”
Il suo stomaco emette un sordo brontolio, quindi ha
davvero fame.
“Quanto dista la tua macchina?”
“Ci sei davanti, Tom.”
Entriamo tutti e due e lui mette una demo dei blink nello
stereo.
“Avete prodotto materiale nuovo?”
“Di più. Abbiamo trovato un batterista, si chiama
Scott
Raynor. È un pischello delle medie, ma con la batteria ci sa
fare o almeno fa
quello che serve a un batterista punk, che non è
molto.”
“Sono felice per voi, come stanno gli altri?”
“Bene. Non ci crederai mai, ma Cheryl è
incinta?”
Io cerco di mantenere più autocontrollo che posso.
“Ma davvero?”
Incredibile come la mia voce suoni leggera e quasi
menefreghista.
“Sì, indovina chi è il padre?”
“Boh, uno dei ricconi sfondati di Ocean County.”
“Chris Macbridge.”
“Partoriranno l’anticristo.”
Borbotto a bassa voce.
“Pensavo foste amiche.”
“Lo pensavo anche io, ma mi sbagliavo.
Succede nella vita.”
Dico atona, lui non indaga ed è meglio così: non
sono
pronta a dirgli tutto.
Arriviamo a casa mia, lui esita un attimo prima di
scendere a sua volta.
“Ho paura che i tuoi mi lincino.”
“Stai tranquillo.”
Entriamo in casa insieme e mia madre – a parte spalancare
la bocca – non reagisce male, Danny lo guarda curioso e mio
padre attento.
“Buonasera, ragazzo.
Credevo che non ti avrei mai più rivisto, ma ciò
non
significa che sia una cosa negativa.
Hai portato troppo scompiglio nella vita di mia figlia.”
Dice burbero.
“Cercherò di rimediare, intanto mi ha invitato a
cena.”
“Bene, preparate la tavola.”
Tom mi segue e io gli porgo la tovaglia che lui dispone sul grande
tavolo della
sala da pranzo, poco dopo arrivo io con i tovaglioli e le posate.
“Bella casa, complimenti.”
“Sì, mi piace molto. È bella
soprattutto quando fuori
nevica, vero?”
Gli faccio l’occhiolino e lui guarda fuori dalla grande
vetrata.
“Ma qui nevica sempre?”
“No, ma molto più spesso rispetto a San
Diego.”
“Jen, a San Diego non sanno nemmeno cosa sia la neve,
tranne i fortunati che si possono permettere una casa in
montagna.”
“Immagino di sì.”
Finiamo di preparare la tavola e ci sediamo tutti giusto in tempo prima
che
mamma arrivi con il pollo e lo divida in cinque porzioni.
“Peccato, avevo pensato che con gli avanzi tu e tuo
fratello poteste farci una cena domani sera.”
“Come mai?”
“Io e tu padre non ci siamo, domani c’è
la festa di Natale del suo studio.”
“Oh, vero. Ma non è un po’
presto?”
“Jenny, hai perso la cognizione del tempo?
È il venti di dicembre.”
Io mi appoggio la mano sulla fronte.
“È vero!”
Rimaniamo un attimo in silenzio, poi mia madre pone la
domanda fondamentale.
“Tom, cosa ci fai qui?”
Lui mi guarda e capisco che tocca a me rispondere, dato
che sono io che l’ho trascinato in questa situazione.
“Mamma, papà, Daniel, io e Tom stiamo insieme. Lui
è il
mio ragazzo, io sono la sua ragazza.”
I miei rimangono sbigottiti.
“Ma, tesoro, sei sicura?
Ti ha fatto stare tanto male, ti ha tradita ancora prima
che la vostra storia iniziasse.”
Questo è mio padre, sarà anche stato un punk, ma
adesso
sembra un comune padre preoccupato per la sua cucciola di casa.
“Lo so e abbiamo discusso a lungo di questo.
Ho deciso di dargli una seconda possibilità,
perché non
era completamente responsabile.”
Lui mi guarda senza capire, ma non lesina un’occhiataccia
omicida a Tom.
“Beh, mi ha tradita con Madison. Bionda, cheerleader e
stronza da far paura e per di più in cerca di vendetta
perché io ho avuto il
coraggio di ribellarmi al suo regno di terrore.
Diciamo che lo ha attirato in uno sgabuzzino delle scope,
il resto te lo immagini, poi lei ha chiamato me.”
Rispondo rossa come un peperone.
“Voi donne sapete essere terribili a volte.”
“Ehm, sì. A volte sappiamo esserlo, ma nemmeno voi
uomini
siete santi.”
“Ho una figlia terribile, ma se tu non te ne prenderai
cura nel giusto modo sarò costretto a darti una
lezione.”
“Non succederà.”
Risponde Tom con una piccola vena di paura nella voce.
“Mangiamo!”
Trilla mia madre.
Grazie mamma.
Finita la cena, che è stata un vero interrogatorio, io e
Tom otteniamo il permesso di salire in camera mia, a condizione che la
porta
sia aperta.
“Senti.”
Esordisco.
“Non so cosa ti aspettassi, ma sono in mega ritardo con i
compiti e farò quelli.”
“Anche con una bestia sexy come me nella stessa
stanza?”
“Senti, bestia sexy, i miei ci sorvegliano stasera, ma
forse domani no.
A buon intenditore poche parole.”
Lui ridacchia e si sdraia sul mio letto, mentre io tiro fuori libro e
quaderno
di matematica.
“Comodo.”
“Uhm, sì. Abbastanza.
Accidenti, non ci capisco nulla di questa roba.”
“Cosa è?”
“Trigonometria.”
“Io sono negato in matematica, me la cavo molto
meglio con le materie letterarie.”
“Questo anche io.”
Constato depressa e di malavoglia inizio a fare gli esercizi.
Mezz’ora dopo ho
un gran mal di testa e ho fatto pochi progressi.
“Odio questa merda.
Che utilità ha nella vita?”
“Immagino nessuna, secondo me la matematica ha perso di
utilità finite le elementari.”
“Concordo, ma non posso dirlo a quell’arpia di prof
che ho, è capace di
mandarmi in punizione se non dal preside. È sempre isterica
e
ipersuscettibile.”
“Come quella di san Diego?”
“No, quella è un modello di sanità
mentale rispetto a
questa, il che dice tanto.”
Lui si avvicina a me e mi bacia dolcemente.
“Incoraggiamento, ce la puoi fare.”
“Sì, a dare di matto.”
Un’ora dopo ho finito trigo e faccio il tema assegnato da
quella di letteratura
in venti minuti circa, devo solo studiare geografia, ma posso farlo
domani. La
lezione ce l’ho l’ultimo giorno di scuola e anche
questa prof è talmente
simpatica che interrogherebbe anche quel giorno.
Alle undici, mia madre si affaccia alla porta e guarda
con disapprovazione Tom svaccato sul mio letto.
“Tom, credo che sia ora di andare. Jen domani deve
alzarsi presto.”
“Ok.”
Si alza dal letto e mi alzo anche io.
“Devo accompagnarlo a casa.”
“Ah, giusto.”
Mia madre è tesissima, cosa credeva?
Che le sfornassimo un nipote con lei e papà al piano di
sotto e Danny nella stanza accanto?
Scendiamo salutando tutti, quando siamo fuori tiro un
sospiro di sollievo e non solo perché ha smesso di nevicare.
“I tuoi sono stati un po’ protettivi.”
“Sì, lo so. Ma non è colpa loro, in
questi ultimi mesi li ho fatti preoccupare
parecchio, mamma in particolare. Lei ha scoperto dei tagli.”
“Capisco. Ti tagli ancora, Jen?”
“No.”
“Sincera?”
“Assolutamente sì e adesso entriamo in macchina,
sto gelando.”
Lui annuisce e quando entriamo lui mette i blink al massimo e io il
riscaldamento. L’ultimo argomento è stato un
po’ difficile, diciamo che ha
spento l’atmosfera di allegria che c’era prima come
una secchiata di acqua
gelida.
“Tom, non lo faccio più davvero,
credimi.”
“Io ti credo. È su questo che si basano le
relazioni, no?
O almeno così dite voi ragazze.”
“Sì, le relazioni si basano sulla
fiducia.”
Rispondo io, non volendo affrontare di nuovo questo
argomento.
La sera dopo arriva alla svelta.
I miei se ne vanno alle sette e Tom arriva alle sette e
mezza con tre pizze, facendo sorridere Daniel.
“Così mi piace!
Qual è la mia?”
“Quella con il salame piccante!”
Preparo la tavola e Tom appoggia finalmente i tre cartoni
fumanti e ognuno prende il suo.
“State davvero insieme?”
“Certo che stiamo insieme! Cosa c’è di
strano?”
“Nulla, sono solo felice per voi. Ma se ti azzardi a far
soffrire di nuovo mia
sorella, come hai fatto in questi mesi, giuro che vengo a San Diego a
picchiarti!”
Tom alza le mani davanti a sé.
“Non ho intenzione di farlo, sotterra l’ascia di
guerra!”
“Molto bene!”
Mangiamo chiacchierando di cose stupide, poi mio fratello si alza in
piedi.
“Sentite, io devo uscire, ma non ditelo a mamma e
papà.”
“Dove devi andare?”
Lui mi rivolge un sorriso sbilenco.
“A un appuntamento con una ragazza, si chiama Eileen e fa
la mia scuola. Almeno se mi mollerà non sarà
perché siamo troppo lontani.”
Sale in camera sua a prepararsi e poco dopo scende vestito abbastanza
bene.
“Ti devo accompagnare?”
“No, Eileen ha la patente.
Adesso io vado, voi non fate cose sconce!”
Io gli tiro dietro un tovagliolo che, comunque, lo manca.
Lui ride ed esce di casa.
“Noi due cosa facciamo?”
Chiedo a Tom.
Ho fatto tutti i compiti e studiato prima che arrivasse
lui in modo da non avere impicci, ma ora non so cosa fare e il commento
di
Danny mi ha messo a disagio.
“Guardiamo un horror?
Ho portato Pet Sematary.”
Ho letto il libro ed è veramente inquietante.
“Sì, perché no?”
Lui mette la cassetta nel videoregistratore, io mi stendo
sul divano avvolta in una coperta, lui mi raggiunge quasi subito.
“Fammi spazio.”
Io lo faccio e poi rimango in silenzio.
“Sei a disagio.”
“Sì, un po’.”
“Perché?”
“È la prima volta che sto da sola con un ragazzo
da
quando è successa la cosa con Chris.”
“Io non ti farò nulla.”
“Lo so.”
Dico, sempre con una punta di disagio.
“Se potessi avere tra le mani quel disgraziato!”
“Probabilmente ti pesterebbe.
Dai, abbracciami! Ho freddo!”
Lui non se lo fa ripetere due volte e mi stringe forte a
sé, poi entrambi cerchiamo di portare la nostra attenzione
sulla tv, ma è dura.
Sono acutamente consapevole della sua vicinanza, dei suoi
muscoli tesi appoggiati alla mia schiena, delle sue braccia grandi che
mi
avvolgono e delle sue mani strette alle mie. Il suo pollice accarezza
dolcemente la mia piccola mano, come a infondermi coraggio.
Piano piano la mia attenzione si stacca dal piccolo schermo
per studiare tutti i dettagli del suo volto, dai capelli scuri agli
occhi scuri
e un po’ troppo vicini, alla sua bocca perfettamente
disegnata e alle
sopracciglia un po’ rade.
Non è bello in senso classico o tradizionale, ma lo stesso è
quel tipo di ragazzo a cui non si
riesce a staccare gli occhi di dosso.
“Ti piace quello che vedi?”
Mi chiede divertito, io arrossisco.
“Sì, vedo proprio un bel ragazzo e sono felice che
sia
mio.”
“E pensare che fino a qualche mese fa mi consideravi uno
sgorbio insignificante.”
“Qualche mese fa era piccola e stupida.”
All’improvviso mi bacia, io rispondo con passione e penso che
mi erano mancate
e sue labbra sulle mie. Ormai sono diventate come una droga, solo che
non fa
male e non ti porta lentamente – mano nella mano –
alla morte.
Le sue mani accarezzano dolcemente il mio corpo e io lo
faccio lo stesso con lui, anche se piuttosto impacciata.
“Non voglio farlo.”
Ansimo, non mi sento ancora pronta per un gesto del genere.
“Lo so e io non ti farò pressioni, ma mi piace
baciarti.”
“Anche a me.”
“Allora su una cosa andiamo d’accordo.”
Sorride lui.
“Esattamente.”
Sorrido io a mia volta.
Riprendiamo a baciarci con sempre più passione e perdo la
concezione del tempo, tanto che quando qualcuno bussa alla porta faccio
un
salto di un metro e quasi mi attacco al soffitto.
Per fortuna è solo Daniel
“Qualcuno qui si è dato da fare!”
“Non sono affari tuoi!”
Lo rimbecco aspra, ma rossa come papavero.
“Mi stavate per dare un nipote!”
Io gli do un poco caritatevole pugno in testa.
“Meglio che me ne vada.
Ciao, Daniel.
Ciao Jennifer!”
Mi dà un ultimo lungo bacio e poi sparisce, inghiottito
dalla notte scura.
“Lo ami, eh?”
“Eh, sì. Non c’è niente da
fare, lo amo.”
“Penso che ti farà soffrire?”
“Spero di no.”
“Ma non sei del tutto sicura.”
“Non si può mai essere sicuri di niente a questo
mondo, tranne che della
morte.”
“Come sei negativa.”
“Sono realista, non negativa.”
Lui sbuffa, sembra non cogliere la differenza, ma non mi
importa, l’importante è che la colga io.
“Io penso che ti sarà fedele e lo dico da ragazzo
e, si
sa, i nostri punti di vista raramente coincidono.”
“Sì, lo so. Perché
voi…”
Gli appoggio un dito sulla fronte.
“Avete solo una cosa nella testa?”
“Non è il cervello, giusto?”
“Non lo è.”
Lui ride, a metà tra l’imbarazzato e il divertito.
“Adesso, penso che andrò a letto. Buonanotte,
sorellina!”
“Stronzo! Potevi aiutarmi a mettere a posto il
salotto”
“Nah, troppo facile.”
Io sistemo rapidamente la stanza, dopotutto non abbiamo
fatto chissà che cosa, solo pomiciato un po’.
Solo perché è arrivato Daniel, mi dice la mia
coscienza.
In effetti se mio fratello non fosse arrivato proprio in quel momento
non so
cosa sarebbe successo.
Forse – come si dice – avremmo perso il controllo e
avremmo finito per fare l’amore sul divano dei miei, che non
sarebbero stati
affatto contenti.
Danny però è arrivato e l’irreparabile
non è successo,
sono ancora vergine. Almeno per ora.
Mi è piaciuto sentire le mani di Tom sul mio corpo e
accarezzare il corpo: c’attrazione tra di noi, quella che
mancava con Kevin.
Adesso conosco la differenza tra amore vero e un
tappabuchi, sono due cose completamente diverse e mi dispiace di aver
usato
inconsciamente il mio amico.
Finito in sala mi faccio una doccia e poi mi butto a
letto con la grazia di un sacco di patate. Il mio cellulare vibra quasi
subito.
“Buonanotte,
principessa.
Questa è
stata una delle serate più belle della mia vita e non
abbiamo nemmeno
fatto l’amore ;)
Mi hai rubato cuore e
cervello, conservali bene.”
“Buonanotte a
te, danno vivente.
Li conserverò
come il più prezioso dei tesori <3!”
So che sembra una frase smielata, ma è la verità.
È quello che voglio fare.
Prendermi cura del suo cuore e del suo cervello per
sempre o giù di lì.
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Capitolo 16 *** 16)Petalidi noi. ***
16)Petalidi noi.
Il venticinque dicembre sembra
arrivare solo un secondo
dopo la cena tra me Tom, invece sono passati cinque giorni.
Cinque giorni di messaggini continui e di chiamate chiuse
frettolosamente dal tipico gesto di mia madre di tagliare.
Il giorno di Natale si è presentato a casa mia per il
caffè, ha dato un mazzo di fiori a mia madre, un album
piuttosto raro dei
Ramones a mio padre e una nuova cinghia per la chitarra a mio fratello.
In quanto al mio regalo… beh, mi ha regalato un anellino
con una tartaruga che somiglia a quella della collana. Mi chiedo se
sappia cosa
vuol dire regalare un anello a una ragazza.
Mentre i miei sono in cucina mi siedo accanto a ui.
“Sai cosa significa regalare un anello a una
ragazza?”
“Ehm, ha un significato?”
Io ridacchio.
“Significa impegnarsi in una relazione seria, se lo danno
i fidanzati e, beh, le persone che si sposano.”
“Oh, sarebbe stato meglio se mi fossi fatto aiutare da zia
Kate e
ti avessi regalato un vestito. Non è che non ti ami o non mi
voglia impegnare
in una relazione, ma così è troppo impegnativo.
Adesso capisco perché la
commessa mi ha riempito di complimenti quando le ho detto che era per
la mia
ragazza.”
Io ridacchio.
“Almeno nessuno ci proverà con me
vedendolo.”
Lui sorride, la questione è andata a posto.
Mi bacia e con questo sigla la sua richiesta di perdono –
che gli avrei accordato comunque, perché negargli qualcosa
quando fa una faccia
da cucciolo è impossibile – fino a che mamma si
schiarisce la voce.
Ci stacchiamo e lui rimane a giocare a tombola e a
monopoli con noi fino alle undici, a quell’ora se ne va.
Ci baciamo a lungo sotto il portico, poi lui mi indica la
station wagon verde bottiglia – quella di sua zia Kate
– e a malincuore lo
lascio andare.
Una volta che la macchina è sparita dall’orizzonte
io
stringo a me l’anellino, guardo i diamantini brillare alla
scarsa luce e
sorrido.
Con un gesto solenne me lo metto al dito e poi alzo la
mano per ammirare come mi sta alla luce della lampada del portico.
Sta benissimo sulla mia mano, è assolutamente perfetto!
Rientro in casa con un sorrisone e nessuno ha bisogno di domandarmi
perché
sorrido, me lo si legge in faccia.
Tom mi rende felice.
Il suo anello mi rende felice.
E mi rende felice persino il suo modo un po’imbranato
di fare le cose.
È assolutamente adorabile!
“Sei felice, Jen?”
Mi chiede mia madre.
“Sì, mi ha regalato un anello.”
"Probabilmente non sapeva cosa significasse."
“Non fa niente. Lo sapevo che era per errore.”
Lei ride.
“Vado a letto. Buonanotte e grazie, microbo!”
Urlo a mio fratello che mi sorride e mi fa un gestaccio
che scandalizza profondamente nostra madre, ma non me.
Salgo in camera mia, mi tolgo i vestiti, mi butto sotto
la doccia e poi a letto.
Mi addormento subito.
Questo è stato uno dei Natali migliori della mia vita!
A capodanno è Tom a
organizzare le cose, mi chiede solo
di mettere un vestito un po’ punk. Io compro una camicia
fatta a chimono nera
con dei fiori rossi e bianchi, un obi rosso stretto da una striscia e
da
cordicella nera e una gonna nera il cui orlo termina con lo stesso
motivo
floreale della camicia (che ha delle maniche lunghissime!).
Indosso un paio di spesse calze nere appositamente fatte
con il pollice separato dalle altre dita e un paio di infradito
tipicamente
giapponesi con la zeppa. Rosse.
Mi trucco in modo vagamente giapponese e sono pronta,
sono certa di sorprendere Tom, visto che ho sorpreso tutta la mia
famiglia.
“È davvero strano, ma ti sta davvero
bene.”
Commenta mia madre, dandomi un’occhiata di quelle che
scannerizzano.
“Sì, davvero.”
Dice mio padre in tono ammirato.
“La mia bambina è cresciuta ed è
diventata una bellissima
ragazza, anche se un po’ troppo giapponese.”
Ridacchio un po’ imbarazzata.
“Sorella, sei fighissima! Tom lo stendi!”
In quel momento suona il campanello e – a giudicare dai
salamelecchi di mia madre – deve essere Tom. Io arrossisco
all’istante, chissà
cosa dirà?
Gli piacerà?
Non gli piacerà?
“Jen, ehi Jenny!”
Lo guardo un po’ spaesata.
“Eri in para?”
“Sì, da cosa l’hai capito?”
“Ti ho detto che stavi benissimo e non hai fatto una
piega.”
“Oh! Ti piace, allora?”
“Moltissimo! Signori Jenkins, rapisco Jen per questa
serata!”
Sorridendo esce di casa con me, mano nella mano.
“Ti piace davvero?”
“Sì, perché?”
“Ci ho messo un sacco a trovare le cose, tutto qui.
E poi alle ragazze piacciono i complimenti.”
Dico precipitosa.
“Lo so.”
Entra nella mia macchina e si mette alla guida, io lo guardo curiosa.
“Ho trovato un posticino okay, ti piacerà.
Forza,entra!”
Io annuisco e salto in macchina, chiedendomi dove mi
porterà. Lui si dirige verso il centro e poi verso il lago
dove parcheggia, poi
mi trascina in un minuscolo locale dove suonano punk, non
l’avevo ma notato!
“Figo, non l’ave…”
La voce mi muore in gola quando vedo un’arrabbiatissima
Amber marciare verso di noi, un toro davanti al drappo rosso
praticamente.
“Tu, puttana di una troia!
Come osi farti Kevin e un altro ragazzo contemporaneamente?
Sei proprio una cheerleader!”
Metà della gente in fila si gira verso i noi:
imbarazzante.
“Io sono il suo unico ragazzo, Kev è un amico e io
so che
differenza c’è tra un amico e un fidanzato, a
differenza sua. Sei una psicopatica,
levati dalle palle!”
“Cornuto!”
E a questo la bestia dentro di me si risveglia e le mollo
un pugno. Iniziamo una rissa a cui viene posto fine solo dal personale
del
locale, due robusti buttafuori.
Inutile dire che grazie alla mia mattata non possiamo
entrare nel locale e alla fine ci ritroviamo seduti su una panchina che
dà sul
lago con una birra in mano.
Tom sta ridendo da solo da dieci minuti e io non capisco
perché, sorseggio la mia birra e continuo a guardarlo in
attesa che mi dia un
segno che mi faccia capire il motivo della sua ilarità.
“Si po’ sapere cosa hai da ridere?”
Chiedo infine.
“Penso a te e alla pazza che vi picchiate, hai un bel
destro.”
“Il destro della iena furiosa.”
“Dai i nomi ai colpi come nei manga giapponesi?”
“No, cerco di uscire in maniera dignitosa da una figuraccia
orribile. Ho rotto
anche il mio vestito, io quella l’ammazzo.”
“Ma no! È stato divertente!”
“Sì, ci ha mandato a puttane la serata.”
“Io penso che sia bello anche stare qui a guardare il lago,
mi piacerebbe facesse
un filo più caldo, ma non mi posso lamentare, ehi!, ci sono
persino le stelle!”
Io alzo gli occhi e noto che oltre alle luci della città
e a quelle di Natale, ci sono effettivamente anche le stelle.
“Bello, amo il cielo stellato.”
“Anche io, spero sempre di incontrare un alieno.”
“A random?
Cioè, immagini che potrebbe passare anche qui davanti a
noi, adesso?”
“Perché no?
Che ne sai di come ragiona un alieno?”
“Niente, non so nemmeno se esistano.”
“Se starai con me imparerai tutto su di loro.”
“Vedo una minaccia all’orizzonte.”
Lui ride come un matto, sbrodolandosi di birra.
“Stando con te non ci si annoia mai, Jen!”
“Ma dai! Detto da uno che si è sbrodolato di
birra!”
Lui si pulisce alla bell’e meglio e inizia un lungo
discorso sugli alieni, sulle varie razze, su come ci stiano dominando,
parla di
rettiliani, grigi, venusiani e della teoria secondo cui siamo stat
creati
artificialmente all’inizio del tempo da degli alieni.
Sembra quasi vero da quanto è convinto di quello che
dice.
Si zittisce solo quando parte un fuoco di artificio che
illumina l’acqua e la colora di arancione, io guardo
l’orologio: manca un
minuto e mezzanotte!
“Manca un minuto!”
Sessanta secondi dopo le sue labbra sono incollate alle
mie ci stiamo
baciando come se non ci
fosse domani.
Quando ci stacchiamo brindiamo con le nostre birre.
Non c’è modo migliore di iniziare l’anno
nuovo!
Pasqua cade in aprile
quest’anno.
Quattro mesi senza vedere Tom sono tanti, ma ce la faccio
grazie a Kev. Non che siamo tornati insieme, ma siamo amici e vado a
genio alla
sua nuova ragazza, Audrey.
Audrey va alla scuola pubblica vicina alla nostra, è una
ragazza minuta dai coarti capelli lilla e un piercing al labbro: uno di
quelli
con una pallina sotto e l’altra che spunta sopra il labbro.
Ogni tanto esco con lei e Jamelia per delle serate tra
ragazze e con anche gli altri per andare ai concerti vari che si
tengono qui.
Amber ha iniziato ad andare da uno psicologo e sembra già
meno pazza di prima, almeno ogni vota che mi vede non tenta di farmi
del male, ma
forse quello è dovuto anche alla mia minaccia.
Ho il sospetto che non si sia dimenticata della mia
promessa di infilzarla con un bisturi se avesse rotto ancora le palle a
me o a
Kev.
Audrey è fortunata a non andare alla nostra scuola,
comunque. Se andasse alla nostra passerebbe probabilmente
metà del suo tempo in
infermeria a causa degli attentati di Amber.
In ogni caso adesso Audrey e Kevin mi stanno portando
all’aeroporto di Chicago, i miei hanno acconsentito a farmi
andare a San Diego,
ospite di mia zia Sheila. Veramente volevano mandarmi dalla nonna, ma
io mi
sono opposta. Nonna crede che non si possa uscire dopo le nove di sera
e che si
debba andare a letto a quell’ora.
Non è esattamente il mio ideale di via o di vacanza.
“Sheena
is a punk rocker nooow!”
Urlo insieme ad Audrey sulle note dei Ramones, l’aeroporto
in vista.
“Eccitata, eh Jen?”
“Ma certo! Lo rivedo dopo quattro mesi!
Viene lui a prendermi.”
Gli rispondo con un sorrisone a trentadue denti.
“Non fate sesso sulla via per la casa di tua zia.”
“Kev!”
“Eddai, Jen! Prima o poi…”
Audrey gli rifila una gomitata e lui non prosegue. Ah, i
ragazzi!
Pensano sempre a quello, anche se l’idea di fare sesso
con Tom ha sfiorato più volte anche me, ma credo sia troppo
presto.
Magari quando torno a San Diego quest’estate, non ho
intenzione di fare l’università qui, voglio andare
là e spero di incontrare
gente decente.
Kev parcheggia e mi dà una mano a scaricare le due
valigie, le porta persino dentro l’edificio e poi le scarica
vicino
all’entrata. Mi abbraccia senza dire nulla, è il
suo modo di dire “Stai attenta
e non fare cazzate!”, è sempre protettivo verso di
me.
“Audrey, mi dispiace.”
“Di cosa? Siete amici e sei mia amica, non ho paura che
mi possiate ferire.”
Dice serena.
“Passa una buona vacanza e divertiti più che puoi
con
Tom, fai delle foto anche!”
“Grazie, Audrey! Tom non ama fare le foto, ma lo
obbligherò.
Non vedo l’ora di essere là, mi ha detto che la
sua band
adesso ogni tanto suona a un locale di San Diego che si chiama Soma.
Secondo
Danny è un grande traguardo, ci suonano le band da tutta la
California. Lui
suona nel primo piano, si chiama…”
“Dungeon.”
“Come fai a saperlo?”
“Beh, è famoso tra i punk e la gente che ascolta
pop-punk. Porca puttana, è, boh, il Metropolitan dei punk.
Se arrivi a suonare
lì vuol dire che la tua band spacca di brutto e
spaccherà in futuro!”
Kev ha gli occhi che brillano, io arrossisco.
Non sapevo che fosse così importante, gli ho fatto i
complimenti, ma se avessi saputo che era così
importante gliene avrei fatti di più!
Glieli farò ora.
“Jenny, vai! È ora del check-in!”
“Sì. Ciao, ragazzi!”
Li saluto tutti e due e presento i miei biglietti
all’accettazione e poi vengo mandata a far pesare e imbarcare
il bagaglio. Sono
nel limite per un pelo, ho preso troppa roba come al solito.
Passeggio per un po’ nella zona duty free e poi salgo
sull’aereo.
È un volo breve e vengo accolta da un tempo meraviglioso:
un sole che spacca le rocce.
E non ho menzionato Tom, quando mi vede si mette a
correre, mi abbraccia e solleva da terra. È passato troppo
tempo, non resisto e
lo bacio subito con passione, tanto che sento qualcosa premere contro
la mia
coscia.
Troppa passione, Jen!
Ridiamo tutti e due e mi scorta verso l’uscita spingendo
il carrello dei bagagli, intanto parliamo di cazzate tipo la vita
scolastica e
i nostri amici.
È felice di sapere che Kev abbia una ragazza simpatica e
che Amber sia in cura.
“Cazzo, Jenny! Quella era pazza da legare, pensavo che un
giorno ti avrebbe ammazzato, per fortuna che si sono accorti che era
fuori.”
“Grazie a me!”
Mi batto una mano sul petto.
“Dopo la rissa al locale, la sicurezza ha chiamato a casa
sua e – visto che non sembrava fosse la prima volta
– i suoi hanno deciso di
prendere provvedimenti. Sembra più calma adesso, ma sono
felice che Audrey vada in un’altra scuola, se fosse andata
alla nostra l’avrebbe fatta a pezzi.
Quella donna non sta bene.”
Tom ride e io mi godo la sua compagnia e il sole caldo della
California, che è
tutt’altra cosa rispetto al pallido sole di Chicago.
“Dio, sto proprio bene. Non vedo l’ora che sia
giugno,
così posso tornare qui.”
“Io non so se farò
l’università, i blink stanno andando
proprio bene, sai?
Si parla di registrare un album.”
“Oddio, ma è meraviglioso!
Sono così felice per voi!”
“Allora, stasera sei dei nostri?”
“Suonate al Soma?”
Lui annuisce.
“Kev e Audrey mi hanno detto che è un locale
importante,
quindi ci sarò. Devo far capire alle altre ragazze che sei
mio.”
Lui ride di nuovo e poi si ferma, siamo a Poway, davanti
alla casa di mia zia Sheila.
“Siamo arrivati, principessa.”
Lui mi aiuta a scaricare le cose, ma prima di poter suonare il
campanello vengo
travolta dall’abbraccio di una furia dai capelli rossi: mia
zia.
“Tesoro, sono così felice di vederti! Stai
benissimo!
E lui? È il tuo ragazzo?”
Guarda Tom con aria curiosa.
“Tua madre mi ha detto che ne avevi uno.”
“Sì, è il mio ragazzo. Si chiama
Tom.”
“Bei capelli ossigenati!”
“Oh, grazie. Stasera la mia band suona al Soma, Jen
potrebbe venire?”
“Al Soma? Ma certo!”
Entra in casa con le valigie, lasciandomi sola con Tom
che mi dà un bacio dolce e gentile.
“Stasera sei dei nostri quindi. Passo alle nove, ti
amo.”
“Anche io.”
Lo bacio a mia volta e poi entro in casa sorridendo, mia zia mi sta
aspettando
al primo piano.
“Sembra un tipo a posto, temevo di dover fare gli onori
di casa a un fighetto.”
“Sono fuori da un po’ dalle cheerleader, non corri
questo rischio.”
Lei ride e mi fa vedere la mia camera, io inizio a mettere via le mie
cose e
poi mi faccio una doccia per poi scendere a pranzo. Zia mi fa un vero e
proprio
interrogatorio che dura fino a sera, quando – dopo cena
– inizio a vestirmi.
Indosso una mini di jeans, calze rosse e nere e una maglietta dei
Ramones che
mi ha regalato Audrey, gli anfibi non possono mancare, così
come il trucco
pesante nero.
Mia zia alza entrambi i pollici in segno di approvazione,
io le sorrido di rimando, sono curiosa di sapere cosa ne
penserà Tom. Alle nove
suona il campanello e zia lo fa entrare, quando mi vede gli si
illuminano gli
occhi e in due falcate è accanto a me.
“Sono io che devo fare capire agli altri che sei mia,
Jen.
Sei uno schianto.”
“Grazie mille.”
Dico rossa.
“Jenny, devi essere a casa per mezzanotte e mezza, non un
minuto più tardi.”
Io annuisco.
“Sì, grazie zia.”
Usciamo e saliamo nella sua macchina, cantiamo e chiacchieriamo per
tutto il
percorso, poi lui parcheggia e mi dà un bacio veloce.
“Sono in ritardo, gli altri mi aspettano. Là ci
sono
Josie, Anne e Peggy Sue.”
“Ciao e buon fortuna.”
Muovo la mia mano in un cenno di saluto, lui corre via. Mi accendo una
sigaretta e raggiungo il gruppetto guidata dalla chioma viola di Peggy
Sue e da
quella blu di Luke, ci sono anche David e Andrew.
Le ragazze si mettono a urlare quando mi vedono, mi
abbracciano e mi chiedono di Chicago e poi iniziano a parlare a ruota
di quello
che è successo in questi mesi per far passare il tempo, come
se non fosse
successo nulla prima che io me ne andassi.
Chiacchierando arriva il momento di entrare e corriamo
per accaparrarci i post vicino al palco.
“Cazzo, non vedo l’ora di sentirli.”
Esclamo eccitata e poco dopo partono le note di Carousel, per la prima
volta
vedo il batterista – Scott, un tizio biondo con
un’aria da ragazzino, mi pare
abbia tre anni meno di me – e vedo anche Mark che adesso ha i
capelli azzurri.
La musica è trascinante, ti fa venire voglia di saltare
–
ed è quello che faccio – pogare e cantare a
squarciagola, senza contare che le
battute che dicono tra una puntata e l’altra sono studiate
apposta per far
ridere la folla.
Non sapevo che fossero così bravi, quello stronzo non me
l’ha detto per niente al telefono!
Quando finalmente finiscono salto in braccio a Tom e
quasi lo stritolo.
“Perché non mi hai mai detto che eravate
così bravi?”
Gli urlo a due centimetri dalle orecchie.
“Eh, mi è passato di mente.”
“Non ti dovrebbe mai passare di mente una cosa del
genere.”
Dice una voce sconosciuta accanto a noi.
“Lei chi è?”
Chiede curioso Mark.
“Sono Rick Devoe, un manager che ritiene di aver appena
scoperto una band ce potrebbe funzionare.”
L’annunci ci lascia senza parole, i blink sfonderanno.
Sono qui con Tom a festeggiare il suo trionfo, potrei
chiedere di più.
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Capitolo 17 *** Epilogo: la fine, a volte, significa un nuovo inizio. ***
Epilogo: la fine, a volte,
significa un nuovo inizio.
Tre
mesi dopo, a luglio, l’estate è arrivato anche a
Chicago.
Il tempo ideale per la mia cerimonia del diploma, Tom è
arrivato stamattina, visto che vuole essere presente almeno a una
cerimonia del
diploma. Lui ha mollato la scuola, nonostante tutte le proteste di sua
madre,
per inseguire il suo sogno con i blink.
Lui mi ha chiesto cosa ne pensassi e io gli ho detto che
l’importante nella vita è rincorrere i propri
sogni fino a farli diventare
veri, lui mi ha ringraziato.
E così adesso gira la California con i ragazzi e si
diverte, so che non mi tradisce, Anne – che li segue per
vendere le loro
cassette e magliette – me l’avrebbe detto.
“Jen!”
Urla mia madre, io scendo di corsa.
È un miracolo che non inciampi dato che indosso un lungo
abito bianco.
“È arrivato Tom.”
Io vedo il suo sorriso e mi sento subito meglio, lo abbraccio e gli do
un bacio
sulla guancia.
“Ben arrivato.”
“Ragazzi, non c’è tempo da perdere.
Mettetevi in posa per una foto e poi
andiamo.”
Io mi metto vicino a lui con il mio bouquet di rose rosse e lui mi
passa un
braccio attorno alle spalle, mia madre scatta la foto. È
persino più eccitata
di me.
“Questa la incorniciamo, siete usciti benissimo!”
Squittisce, poi prende le chiavi della macchina e chiama
a raccolta il resto della famiglia. Ben presto siamo allegramente
stipati nella
station wagon di mio padre, diretti verso la scuola.
L’edificio sembra più bello alla luce del sole
piuttosto che con
una coltre di nuvole sopra, scendiamo dalla macchina e ci dirigiamo
verso il
cortile dove si terrà la cerimonia della consegna dei
diplomi.
Mio fratello mi ha fatto un cappello personalizzato con
scritto “Well, this is growing up.”che io adoro e
che ha suscitato l’invidia di
Kevin.
Kevin.
Mi guardo attorno per cercarlo e lo vedo in compagnia di
Audrey, di una donna dalla chioma ramata e di un uomo dai capelli
brizzolati
che gli dà pacche amichevoli sulle spalle e gli scompiglia
ulteriormente i
capelli.
“Dai, andiamo da Kev.”
Insieme a noi arrivano Jamelia, Gordon, Amber e Steve, il suo ragazzo.
Quando
mi vede la sua bocca si tira in una linea dura, ma non dice nulla, si
limita a
stringere più forte la mano del suo ragazzo. Immagino che
pochi mesi di
psicoterapia non riescano a guarire subito diciotto anni di problemi di
controllo della rabbia.
“Kevin!”
Lo chiamo, lui si illumina vedendo me e Tom.
“Ciao, ragazzi.
Ehi, rockstar! È bello vederti ogni tanto!
Venite vi presento i miei.”
Noi lo seguiamo.
“Lei e Marianne, mia madre e lui è Charles, mio
padre.
Mamma, papà, loro sono Jennifer Jenkins e Thomas DeLonge,
dei miei amici.”
Entrambi ci stringono le mani.
“Siamo felici che Kevin abbia fatto dei nuovi
amici.”
Squittisce lei.
“Oh, conosco tuo padre! Il suo studio di architettura ha
fatto un eccellente con la sede della mia azienda.”
“Cosa volete fare dopo il diploma?
Tu non studi qui, vero Thomas?”
Dice notando che Tom non indossa la toga.
“No, non studio qui.
Ho mollato la scuola qualche mese fa, perché la mia band
è stata notata da un discografico e forse incideremo un vero
album. Per adesso
abbiamo inciso una demo nella camera di Scott, il nostro
batterista.”
“Avete fatto mangiare alla famiglia di Scott uova per
mesi per isolare quella camera.”
Rido io.
“Io penso di studiare Architettura e Design per interni,
mi piace arredare e decorare le case e mio padre dice che ho
talento.”
“Ottima scelta.”
Non dice nulla su Tom e le sono grata, la gente di solito ha la
fastidiosa
abitudine di consigliargli
in modo
amichevole di riprendere gli studi.
“Mamma, papà. Vi rubo Jen, dobbiamo andare dietro
al
palco.”
Ce ne andiamo seguiti dagli altri, Audrey e Tom ci fanno segni di
saluto e
incoraggiamento, lei si è diplomata qualche giorno fa quindi
sa cosa si prova.
Chiacchierando del più e del meno arriviamo dietro al
palco e aspettiamo che chiamino i nostri nomi, poi il preside ci
consegnerà il
nostro dannato diploma e noi dovremo dire due parole.
Io sono la prima che viene chiamata ed è con un
po’ di
paura che attraverso il palco di legno per ricevere
l’agognata pergamena dal
preside.
Ho un attimo di panico quando sono davanti al microfono,
adesso tocca a me dire qualche blablabla e sperare che non siano troppo
acidi.
“Salve a tutti, sono Jennifer Jenkinks.
Mi sono trasferita qui da San Diego e non ho molto da
dire, se non un enorme grazie alle poche persone che mi hanno accettata
e hanno
mostrato amicizia nei miei confronti, ossia pochissime persone.
Accogliere le persone con qualcosa di diverso da un
gelido silenzio di disapprovazione aiuterebbe a farle sentire meno a
disagio.
Ringrazio i miei genitori per avermi concesso
l’opportunità di conseguire il mio diploma con i
loro sacrifici e il loro
supporto. Mio fratello Daniel, per avermi fatto ridere e riflettere
quando ne
avevo bisogno e ringrazio Tom, il mio ragazzo.
Sebbene fosse lontano non mi ha mai fatto mancare il suo supporto e mi
ha
incoraggiata ad andare avanti e a seguire i miei sogni.
Beh, è quello che farò.
Ho finito.”
Scendo dal palco e vengo accolta dall’abbraccio della mia
famiglia e di Tom.
“Una stoccata acida non poteva mancare, vero,
Jenny?”
Mi chiede ridendo Tom.
“Assolutamente no o non sarei io.”
Ascoltiamo anche i discorsi degli altri e poi lanciamo tutti insieme il
cappello.
Il futuro è qui e io sono in cammino.
Pochi giorni dopo sto mettendo
l’essenziale in un paio di
valigie.
Mamma non lo sa, ma io quest’anno non inizierò il
college, voglio prendermi un anno sabbatico e seguire i blink. Anne
dice che è
molto probabile che a settembre vadano nel sud dell’Australia
per fare una
serie di concerti. Non vedo l’ora di vedere
l’Australia.
Papà e Danny lo sanno, non l’ho detto a mamma
perché
avrebbe fatto storie.
“Prenditi anche un pacchetto di preservativi e la
pillola.”
La voce di mia madre mi fa sobbalzare.
“Cosa?”
“Pillola e preservativi, Jenny.
Non voglio diventare nonna prima del tempo.”
“Ma cosa dici?
Vivrò in un dormitorio dell’università
di San Diego e
sarò in camera con una ragazza, non capisco
perché io debba prenderli.”
Lei alza un sopracciglio.
“Credi che non lo sappia?
Non siete abili a dire bugie, voi. Tu seguirai Tom e la
sua band fino al prossimo anno accademico.”
“Come fai a saperlo?”
“Ho sentito tu e Danny parlarne e ho chiesto conferma a tuo
padre che – dopo
vari tentennamenti – ha sputato il rospo.
Perché non me l’hai detto?”
“Sapevo che non avresti approvato, tu vorresti che io
iniziassi l’università o
il college subito.”
“Ovvio che lo voglio, il tuo talento non deve andare
sprecato, ma avrei capito
un anno sabbatico.
Per te quest’anno è stato molto stressante e avrei
capito
il non voler affrontare subito un altro grande stress come cambiare
città e
scuola.
Ripeto, mettiti in valigia preservativi e la pillola.”
Io rimango un attimo in silenzio.
“Mamma, sei davvero convinta di lasciarmi andare?”
“Non ho altra scelta e poi è giusto che tu viva
più esperienze possibili e
viaggiare il più possibile. Mi dicono che l’estate
australiana sia molto bella.”
“Non ti si può nascondere niente! Grazie, mamma.
Grazie per avermi lasciato andare.”
“Ti lascio andare, ma non voglio nipoti. Non
subito.”
Io rido e metto in valigia quello che mi ha detto.
“Quando arriva Tom?”
“Prima di cena, abbiamo il volo alle sette.”
Lei sospira.
“Mi mancherai, Jenny.
La mia bambina è davvero cresciuta, sembrava ieri che
gattonavi curiosa nella nostra vecchia casa e adesso sei pronta per
spiccare il
volo.”
I miei occhi si riempiono di lacrime.
“Anche tu mi mancherai, mamma, e ho una paura
terribile.”
Ci abbracciamo e con il suo aiuto riempio le valigie con le ultime
cose, poi
filo a farmi una doccia.
Ho appena finito di vestirmi che suona il campanello,
scendo e trovo Tom che sta chiacchierando con mio padre e Danny.
“Pronta, Jenny?”
Io annuisco, lui sale in camera per andare a prendere le valigie.
Io guardo la mia famiglia, non siamo perfetti, ma
funzioniamo. Abbraccio papà, Danny e mamma, accetto i loro
auguri e i loro
consigli, ignorando gli occhi lucidi. Non mi va di piangere, non sto
partendo
per la guerra!
Tom fa la sua comparsa in salotto e saluta tutti, poi mi
prende per mano e usciamo insieme alle valigie. Solo quando sono in
macchina e
ho davvero detto arrivederci a tutti scoppio a piangere.
Tom mi passa un braccio attorno alle spalle.
“Non sei felice, Jenny?”
“Non è questo, è che mi mancano. Mi
passerà.”
“Sì, perché ho una bella sorpresa per
te.”
Mette in moto la macchina, ma con mia sorpresa non si
dirige verso l’aeroporto.
“Dove stiamo andando?”
“Sorpresa, sorpresa.”
Canticchia lui, si ferma finalmente davanti a una casa.
“Dove siamo?”
“Davanti a casa di mia zia Kate.”
“Mi vuoi presentare a lei?”
“Che? No!
Devo solo ridarle la macchina.”
“E come pensi di andare all’aeroporto?”
“Non ce ne sarà bisogno.”
Dice in tono misterioso, scendendo dalla macchina.
Io lo imito e con mia grande sorpresa mi trovo davanti
Mark, Scott e Anne.
“Cosa ci fate qui?”
“Suoniamo vicino a Chicago e siamo venuti a
prenderti.”
Mi risponde sorridente il bassista, io li abbraccio tutti e tre.
“Come mai sei qui anche tu, Anne?”
“Qualcuno doveva prendersi cura di questi tre
idioti.”
Io rido, Mark assume un cipiglio offeso.
“Beh, grazie, sorellina!
“È la verità, se non ti ci avessi
portato io non saresti
mai riuscito a entrare nel furgone. Ritieniti fortunata, Jen, questo
furgono è
molto più grande di quello che avevamo prima. Se avessimo
avuto quello non so
se tu e le tue valigie ci sarebbero state.”
“Wow!”
Esclamo contemplando un vecchio furgoncino da lavoro
bianco e pieno di adesivi e disegni, i peni sono opera di Tom.
“Non potevi disegnare fiori invece che cazzi?”
Gli chiedo divertita.
“Non simo hippie, figli dei fori, noi siamo
punk-rock!”
Mi dice gonfiando il petto.
“Sì, certo. Hai ragione, amore.”
“Basta litigi! Caricate le cose di Jen nel furgone che
così possiamo andare a
mangiare e lasciare Chicago.”
Il tono di Anne è pratico, ma contiene una certa dose di
minaccia, quindi i
maschietti caricano la roba senza fiatare.
“Tua zia non ci invita a pranzo.”
“No, dice che non vuole vedermi per un po’. Sono un
po’
pesante quando si parla di alieni.”
“Hai fatto impazzire quella povera donna, DeLonge. Dovresti
calmarti quando si
tratta di ufo, macini le palle alla gente.”
“Ma Anne, sono interessanti e sono veri. Vedrai che un
giorno si faranno vivi.”
“Sì, e ti chiameranno quale loro ambasciatore.
Dai, entra.”
Entriamo tutti ne furgone e Mark mette in moto, dopo un paio di
tentativi
andati a vuoto parte e ci porta al primo Mac che incontriamo. Prendiamo
tutti
dei ricchi menù e mangiamo cibo spazzatura fino a scoppiare:
hamburger,
crocchette di pollo, patatine, gelato.
Pensavo di mangiare tanto prima di pranzare con loro, ma
adesso penso che mangio come un uccellino, quei tre mangiano come
maiali.
“È sempre così, Anne?”
“Se ti riferisci al fatto che mangiano come dannati,
sì.”
“Wow.”
Finito di mangiare vado in bagno e poi si parte, saliamo tutti il
furgone e
imbocchiamo l’autostrada, non ho nemmeno chiesto quale
sarà la destinazione.
Non mi importa per ora.
Ora vedo solo la città che ho abitato per sei mesi circa
scivolare via dal finestrino come sabbia dalle mani.
Sei mesi di ricordi, di amicizie, di nuove persone
conosciute, concerti, serate passate a parlare di niente.
Mi ricordo le serate trascorse passate con Jamelia e
Audrey a parlare dei nostri ragazzi, a confrontare le nostre esperienze
o
semplicemente a farci una manicure o a guardare un film.
Le serate passate con tutti gli altri a bere, andare ai concerti,
pogare in attesa di una telefonata o di un messaggio di Tom.
Chi si scorda le paternali di Kev e Dan?
O le risate che mi sono fatta con Gordon?
O i capelli che Audrey mi ha tinto di un fucsia
squillante?
Porterò questi ricordi con me nel cuore e quando i miei
figli mi chiederanno come ero io alla loro età
risponderò con quello che mi è
successo in questi mesi.
Questo è il passato e io gli ho detto addio, o meglio
arrivederci.
Stringo la mano di Tom e lui risponde alla mia stretta
mentre parla con Mark e Anne.
Questo è il mio futuro e, mentre l’aria mi
schiaffeggia
la faccia – abbiamo i finestrini abbassati perché
qui fa un caldo d’inferno –
decido che me lo godrò fino in fondo.
Senza rimpianti.
Senza pensare alle brutte cose.
Senza guardare le cicatrici sul mio polso.
Sarò semplicemente libera e al fianco di Tom.
Felice.
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