Looking for you

di KamiKumi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. PROLOGO - EMILY ***
Capitolo 2: *** 2. EMILY ***
Capitolo 3: *** 3. DUKE ***
Capitolo 4: *** 4. EMILY ***
Capitolo 5: *** 5. EMILY ***
Capitolo 6: *** 6. DUKE ***
Capitolo 7: *** 7. EMILY ***
Capitolo 8: *** 8. EMILY ***
Capitolo 9: *** 9. DUKE ***
Capitolo 10: *** 10. DUKE ***
Capitolo 11: *** 11. EMILY ***
Capitolo 12: *** 12. EMILY ***
Capitolo 13: *** 13. DUKE ***
Capitolo 14: *** 14. EMILY ***
Capitolo 15: *** 15. EMILY ***
Capitolo 16: *** 16. DUKE ***
Capitolo 17: *** 17. DUKE ***
Capitolo 18: *** 18. EMILY ***
Capitolo 19: *** 19. DUKE ***
Capitolo 20: *** 20. DUKE ***
Capitolo 21: *** 21. EMILY ***
Capitolo 22: *** 22. DUKE ***
Capitolo 23: *** 23. EMILY ***
Capitolo 24: *** 24. EMILY ***
Capitolo 25: *** 25. EMILY ***
Capitolo 26: *** 26. DUKE ***
Capitolo 27: *** 27. DUKE ***
Capitolo 28: *** 28. EMILY ***
Capitolo 29: *** 29. DUKE ***
Capitolo 30: *** 30. DUKE ***
Capitolo 31: *** 31. EMILY ***
Capitolo 32: *** 32. EMILY ***
Capitolo 33: *** 33. DUKE ***
Capitolo 34: *** 34. EMILY ***
Capitolo 35: *** 35. NATE ***
Capitolo 36: *** 36. EMILY ***
Capitolo 37: *** 37. DUKE ***
Capitolo 38: *** 38. EMILY ***
Capitolo 39: *** 39. EPILOGO - DUKE ***



Capitolo 1
*** 1. PROLOGO - EMILY ***






 
Buongiorno, mi presento: io sono Emily Mayton.
Ecco, si.
Mi vedete? Sono li, buttata su una poltrona, in un appartamento troppo grande per una persona sola. Li, pensierosa, frustrata e coi sensi di colpa, a fissare la tv accesa su uno stupido programma nella quale un'oca bionda siliconata blatera sorridendo al pubblico. Rispondo con una smorfia di disgusto alla sua dentatura brillante e perfetta. Prendo un lungo sorso di birra svuotando la terza lattina della serata, gioco con la linguetta ed inizio a contare le lettere! A-B-C-D... e si stacca.
«Oh.» Sbuffo e la lancio a terra sorridendo amareggiata per l’ironia del destino, che tra tutte le ventuno lettere (o ventisei, a vostra discrezione) dell’alfabeto, proprio la D doveva rimanermi tra le dita.
Voglio che sappiate che solitamente non sono così. La mia lunghissima chioma castana è professionalmente ordinata in una coda alta o in uno chignon, sono composta e sempre fresca, ma non oggi, non ieri e nemmeno il giorno prima. Al momento pare che nella voce "passatempi preferiti" possa inserire "affondare i dispiaceri nell'alcool". Sembro patetica.
Una lattina di birra appoggiata sul tavolino di legno di mogano mi fissa tentandomi, vorrei allungarmi per prenderla, ma ogni movimento è uno sforzo inimmaginabile e sento male dappertutto, per cui decido di rimanere immobile appallottolata su quella poltrona. Nella stanza domina il pestilenziale odore di chiuso e morte, probabilmente c'è un cadavere da qualche parte e con buone probabilità quel cadavere potrei essere io. Se fossi ebrea i miei parenti praticherebbero per me la Shivah. Mi dispiacerebbe non potervi partecipare e non potermi gustare tutto quel cibo, eppure sembra che io stia seguendo le usanze correttamente non indossando vestiti puliti da una settimana e non andando al lavoro. Tuttavia non sono ebrea ed il mio capo mi farà il culo quando, e se, rientrerò in ufficio. Ma adesso non è questo di cui ci dobbiamo preoccupare, giusto?
Come mi sono ridotta così? Oh, ho "solo" chiuso una storia durata cinque anni.
Come siete avidi di informazioni! Prendete posto, accomodatevi, ecco si, bravi. Pronti, volete sapere perché ho chiuso? Ho chiuso perché faceva schifo a letto.
Cioè, diciamo che alla fine il tutto si è ridotto a questo, ma diavolo! Avete idea di quanto sia frustrante nascondere la frustrazione per cinque, e dico CINQUE, lunghi anni?
E dai, io credevo che il sesso fosse una cosa meravigliosa: c'è stato un periodo della mia vita, compreso nella nostra relazione, in cui ho paragonato il sesso ad un enorme prato. Un bellissimo prato verde pieno di fiori colorati. Bello, eh? Beh, è quello che ci si aspetta d'altronde, so che lo pensate (o pensavate) anche voi.
Non mi seguite? Pazientate un attimo. Dicevo: Il sesso è il prato, e l'orgasmo è un quadrifoglio. Avete presente, no? Quei ciuffetti d'erba verde con quattro petali a forma di cuore, quelli che portano fortuna se trovati, e che puntualmente non si trovano mai. Probabilmente sono solo una leggenda. Ecco, nell'arco di questa relazione sapete quanti "quadrifogli ho raccolto"?
UNO.
Adesso avete capito, eh?
Aah, Nate Brown: mille doti e un uomo fantastico. Era educato, rispettoso, romantico, simpatico, dolce, di buon aspetto, volenteroso, un uomo magnifico! L'uomo dei sogni, ma il sesso non era una qualità di questo elenco. Se sei il principe azzurro, ma a letto fai schifo, beh mi spiace: non servi ad un cazzo. Se ci sono uomini in ascolto, questo è per voi, prendete atto: una donna va soddisfatta emotivamente e fisicamente. Non riuscite a trovare il clitoride, come pensate di arrivare al punto G? Temo che dentro alla nostra amica vagina non ci sia campo per il navigatore satellitare. Quindi fate qualcosa di utile: il Signor Siffredi, si si proprio lui, tiene dei corsi per principianti, vi lascio dei coupon all'uscita!
La situazione sta degenerando, il punto è che è questo che il cattivo sesso causa: insoddisfazione. Avete presente il sesso insoddisfatto? Io si. Sono la reginetta del sesso insoddisfatto, da qualche parte nel mio armadio dovrei avere anche la mia coroncina. Questa poltrona è il mio trono.
Però si, insomma agli inizi si pensa che bisogna far pratica, che ci si debba conoscere bene, conoscere le zone erogene del corpo del proprio compagno. Però sti cazzi. 
E pensare che il mio quadrifoglio non l'ho nemmeno raccolto grazie a Nate.
Ed ora cosa sono questi sguardi di disapprovazione? Non giudicatemi. È capitato una sola volta, una storia di una notte. Avevo bevuto un po' troppo, sciolto i freni inibitori che tenevano ben salde le redini della miatentazione… Però, si alla fine mi sono lasciata andare e, sapete? Non sono pentita. Ho chiuso la mia relazione per insoddisfazione sessuale, ma so anche che era ciò che andava fatto.
Fermi, non datemi del mostro! Ogni donna ha diritto ad appagamento ed ha bisogno di un uomo capace di procurarglielo. Perché, per quanto ci piacerebbe, non sono mica tutti dei Christian Grey o dei Jesse Ward! Mica gli uomini con un solo sussurro riescono a "farti scuotere in un orgasmo tanto forte da farti tremare le viscere", cioè oh, beata chi ce l'ha un uomo così! Ma ci sono donne che si devono accontentare del FAIDATE.
Ed in effetti vi chiederete quale sia il problema dato che comunque sono provvista di due arti, alle cui estremità sono presenti due belle mani curate dalle dita  lunghe e affusolate e con addirittura il pollice opponibile! Beh, di per se di problemi non ce ne sono, ma la passione? Ma vi immaginate la scena?
"Emily non poteva più trattenersi. Ansimando cercava le chiavi nella borsetta, le tirò fuori e si affrettò ad aprire la porta di casa, non poteva più resistere. Chiuse la porta dietro di se sbattendola, lasciò cadere la giacca a terra e scalciò via le scarpe in due colpi decisi. Si stava dirigendo verso la camera da letto. Imboccò il corridoio, si sciolse lo chignon ed abbassò la cerniera della gonna, lasciando che si afflosciasse a terra, ai suoi piedi. Le calze autoreggenti le fasciavano le gambe lunghe alla perfezione, rendendola sexy e dannatamente desiderabile. Una volta raggiunta la camera da letto si lasciò cadere sul materasso strappandosi di dosso la camicia bianca, impaziente ed eccitata. Poi finalmente poté darsi sollievo, allungò la mano verso la sua apertura bagnata, fremeva di impazienza. Fece passare le dita sotto il tessuto setoso delle mutandine ed iniziò a sfregare sul clitoride, mentre con l'altra si affrettava ad infilarvi dentro un dito. Cominciò a muoversi all'interno.." bla bla bla e poi venne urlando.
Cioè non fraintendetemi, cioè Dio benedica la masturbazione! Ho passato diciassette anni della mia vita a masturbarmi senza sapere cosa il sesso fosse, il punto è che dopo aver preso il cazzo non puoi più farne a meno. È una droga che da assuefazione, anche quand’è di scarsa qualità. Voi uomini ci denominate troie, ma non ne avete il diritto: se siamo così la colpa è vostra. Se siamo dipendenti, se siamo sempre alla ricerca dell'ultima dose, dell'ultimo pene nonostante la consapevolezza dello squallore che potrebbe causare, noi ne abbiamo bisogno.
Il cazzo ti rovina. Dovrebbero fare delle campagne sulla dipendenza da cazzo, altro che gioco d'azzardo e droga.
Per cui, ricapitolando, eccomi qui: buttata su una poltrona, a bere birra come fosse succo di frutta, single dopo cinque anni e senza un cazzo tra le mani (si, nel vero senso della parola), ma forse è il caso di iniziare dal principio.







 
 

PIACERE DI CONOSCERVI

Io sono KamiKumi e questo è il primo capitolo di Looking for You, spero vi sia piaciuto e vi abbia fatti divertire.
Fatemelo sapere in un commento o in un messaggio, se vi va!
A presto, 
KamiKumi

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Capitolo 2
*** 2. EMILY ***


È un sabato sera come tanti altri: pub, alcool e migliore amica. Cosa si può volere di più?
Siamo al Plan-B, il pub coi camerieri più fighi della storia. Si, sono fidanzata, ma come dice il proverbio “Guardare ma non toccare”, quindi non c’è problema se qualche volta mi lascio sfuggire un’occhiata di troppo, no?
Il posto è intimo e sensuale, la luce bassa e fioca scalda l'atmosfera ed in sottofondo canta una voce calda adatta al contesto. La sala pullula di gente di ogni età e di ogni genere. Avete presente i gatti quando sono in calore? Miagolano ed alzano il culo all'aria e lo scuotono nella speranza che un bel micione passi, le ammicchi e poi bam! Ecco che si ritrovano alla terza cucciolata di sette gattini. Ecco: ci sono gatte morte che si strusciano e fanno le fusa contro ogni individuo munito di pene presente nel raggio di cento metri, purché sia un gran bel pezzo d'uomo, ovviamente.
In questo contesto io sono seduta a quel tavolo in mezzo alla sala, sulle comode poltroncine bordeaux del locale, quella coi jeans che le fanno, modestamente, un culo da favola e mi sto scolando il terzo brumble, una bomba di vodka e rum. Si può dire che la testa inizi a girarmi, e la vescica a riempirsi.
A questo punto premiamo un istante il tasto pausa e chiariamo l’obiettivo prefissato per la serata: bere senza ritegno, fare ritorno a piedi/in taxi e, soprattutto, non avere obiettivi per la serata. Me la sto semplicemente godendo per quella che è, ossia una bevuta con la mia migliore amica. Ecco cosa sto facendo.
«Dio! Brenda, questo coso è forte!» Le urlo nell'orecchio per sovrastare la musica, il grande vociare di sottofondo e ok, si, anche perché sono già mezza ubriaca. Però forse è il caso che prima vi spieghi chi è Brenda.
Beh, è la mia migliore amica. Non pensare che il nostro sia uno di quei rapporti da "Oddio tesoro ti adoro tantissimo, sei troppo bellissima, la più bella di tutte, bf4E&E" e tutto il resto. Lei è più una tipa che ti insulta di continuo appioppandoti nomignoli tutt'altro che raffinati, ma ci conosciamo sin dall'asilo e sappiamo tutto l'una dell'altra. So quando ha dato il suo primo bacio, quand'è stata la prima scopata, la prima delusione d'amore e tutto il resto. E poi ci siamo sempre l'una per l'altra; c'ero quando mi ha descrittoo quanto baciasse male il suo primo ragazzo, sono io quella che l'ha accompagnata a prendere la prima scatola di preservativi e quella che le ha procurato gelato gusto cioccolato e stracciatella in quantità quando le è stato spezzato il cuore. Ognuna cuce le ferite dell'altra. Siamo praticamente sorelle, solo che noi non ci odiamo.
Beh, ovviamente a guardarci siamo totalmente diverse. Sulla sua pelle color caffelatte risalta un sorriso bianchissimo da ammaliatrice, i suoi occhi da cerbiatta sono scuri e vispi, degni di lei: sa cosa vuole e sa che la otterrà ed i suoi capelli scuri e mossi raggiungono le spalle in un caschetto.
«Tutto okai, signorine?»
Dicevo, un sabato sera come tanti altri: alcol e Brenda. Una combo!
Il cameriere, un sexy afroamericano alto e posato, ci sta servendo il quarto giro di drink col suo bianco sorriso tentatore.
«Alla grande!» Brenda risponde vivacemente con un occhiolino e capisco che sarà lui la preda della serata. Quand’è così solitamente mi liquido lasciandole spazio, per cui decido di dirigermi alla toilette per liberare la mia vescica dalla pressione ormai intollerabile e lasciarla rimorchiare in pace, sicuramente se sarà un fiasco mi aggiornerà più tardi, quando in vece l’affare va in porto mi lascia un sms o non proferisce parola al riguardo. Mi alzo barcollante ed il mondo inizia a girare intorno a me, cerco stabilità appoggiandomi al tavolo ed ecco che inizio a sentire il forte pulsare della musica nelle orecchie scombinarmi l’equilibrio. Lentamente inizio la camminata verso il bagno, mi guardo intorno e vedo la dignità della persone abbandonare il loro corpo. Qualche uomo lancia sguardi languidi nella mia direzione e me li sento addosso provando disagio. Abbasso gli occhi per guardare i miei stivaletti neri col tacco alto (ultimo acquisto della giornata di shopping sfrenato con Brenda) ed accelero il passo per liberarmi di quelle occhiate indesiderate.
Sto finalmente per raggiungere l'entrata del bagno delle donne, dopo mille sgomitate per arrivare fin qui, mi sento come se stessi ascendendo al Paradiso, impaziente di abbandonare ogni peso, darmi sollievo liberando la vescica e poi ricominciare a bere, e invece: SBAM. La porta del bagno maschile si spalanca sulla mia faccia, ed è come quando sei nel deserto ed in lontananza vedi un'invitante oasi che accende in te le brame più profonde e recondite, solo che il tuo cammello decide di impazzire facendoti cadere delle nuvole e tornare da quel mondo in cui sognavi già la soddisfazione, per riprendere coscienza a proposito di te e ciò che ti sta intorno. Ecco: è la descrizione accurata di come mi sono sentita.
Ora invece sono in preda alla sofferenza più totale, mi porto istintivamente le mani sul naso e mi rannicchio a terra, come se rimpicciolendomi potessi diminuire il dolore lancinante che provo. Stringo forte gli occhi sentendo salire le lacrime, a causa della forte botta e dentro di me sto imprecando in tutte le lingue conosciute e sconosciute. Solo che all'improvviso, inaspettatamente, sotto l'alto volume della musica sento una voce cercare di sovrastare l’assordante rumore che ci circonda; le mie orecchie fischiano e non capisco cosa dicano le sue parole. Delle mani calde mi si appoggiano sulle spalle, sono grandi e ruvide, ma il tocco mi scalda provocandomi un piacevole brivido leggero. Apro gli occhi e mi cade la mascella. Mi si smonta proprio, come fossi un serpente.
Questa botta deve avermi fatto molto male perché trovo, inginocchiato difronte a me, il Dio Greco più bello di tutto l'Olimpo!
Sono morta forse? Beh, alla fine il Paradiso l'ho raggiunto davvero e se questo è ciò che mi spetta sono pronta ad abbandonare ogni rimpianto e legame terreno. Sono letteralmente incantata dagli occhi di quest'uomo, continuo ad osservarli e mi ci perdo dentro: un incredibile azzurro ghiaccio, nonostante la luce bassa del locale. Questi occhi incredibili brillano e mi catturano. Distolgo lo sguardo solo per dirigerlo verso le sue labbra, e Dio! Sono carnose, così invitanti da invogliarti a morderle, soprattutto ora che si stanno muovendo, probabilmente dicendomi qualcosa: sono sinuose e sensuali, non riesco a captare altro che questo. La mia attenzione va via via scemando mentre osservo questo sconosciuto viso perfetto incorniciato da capelli scompigliati e scuri come la notte. Sento la sua grande mano calda scorrere dalla mia spalla lungo il braccio ed ho un fremito, volto il viso verso il punto in cui percepisco il suo tocco per seguirne i movimenti e sento i brividi assalirmi nuovamente.
Gli sguardi della gente che ci passa accanto puntano dritti su di noi, non so se per me e lo stato in cui sono ridotta o per quell'adone perfetto che mi ritrovo davanti. Ho ancora le mani sul viso a coprirmi il naso, vittima di un miracoloso incidente quando vedo le sue labbra muoversi di nuovo, continuo a non sentirlo. In una piccola parte del mio cervello mi rendo conto di non aver ancora spiaccicato una parola, ma sono totalmente fuorigioco. Adios amici, baci e abbracci, la mia storia finisce qui, perché potrei passare il resto della mia vita davanti a questo esemplare di maschio caliente.
Una delle sue mani lascia la mia spalla e sento freddo, voglio che la metta di nuovo li, o su qualunque altro punto del mio corpo, sarei felice in ogni caso e non me ne lamenterei. Ma poi posa la sua sulle mie, di mani, per spostarle dal mio viso; vedo i suoi occhi sgranarsi, e mi domando il perché.
Le sue sopracciglia si aggrottano formando una ruga corrucciata sulla fronte che mi fa venire voglia di tracciarla col dito indice, ma invece il mio cervello intorpidito dall'alcool ed ubriaco di feromoni decide di reagire. Sbatto le palpebre un paio di volte e riprendo possesso del mio corpo e facoltà della mia mente.
«Cazzo, perdi sangue dal naso!» Ora sono io a sgranare gli occhi, balzo in piedi presa da un'improvvisa scarica di adrenalina e subito me ne pento: lo svarione mi coglie di sorpresa annebbiandomi la vista e facendomi barcollare. Le mani di lui mi cingono la vita e mi sostengono e, quando torno a vedere a colori, il suo viso è a due nasi dal mio. Tutto è tornato ad essere silenzioso; percepisco solo lui ed il suo respiro, lo sguardo perso in quegli occhi meravigliosi e la sua bella voce che mi parla.
«Tutto bene?» mi dice sorridendo, ma con lo sguardo preoccupato, con una mano mi scosta dietro l'orecchio un ciuffo di capelli sfuggito alla coda ed io annuisco quasi impercettibilmente «Vieni » Oh si! Ti prego, non c'è cosa che vorrei più al mondo!
Cingendomi la vita mi accompagna fino alla porta dopo (finalmente il bagno femminile). Volto lo sguardo ad osservare la scena in cui si è appena svolto il crimine e scoppio a ridere, scoppio a ridere forte. Cristo, penserà che sia pazza! All'inizio lo vedo guardarmi come se fossi un'aliena, poi si unisce a me e finiamo per ridere come matti l'uno contagiato dalla risata dell'altro e, Dio, che risata. La sua espressione è fantastica, la bocca aperta a lasciar intravedere i suoi bei denti bianchi. Mordimi, mi sorprendo a pensare mentre la mia risata si placa fino a tornare ad essere un sorriso stordito e beato.
Finalmente entriamo nel bagno e, sempre con le sue mani sulla mia vita, ci avviciniamo ai lavandini. Alla sua vista le donne vanno in visibilio: schiena dritta, petto in fuori, sguardi ammiccanti e sorrisi finti; si sentono i brusii delle loro voci, mi sento osservata ma sono troppo brilla per darci peso, anche perché so che al centro dell'attenzione c'è lui: il Dio Greco.
Alzo lo sguardo verso lo specchio e vedo che ho un aspetto terribile: il trucco è sbavato per le lacrime ed il sangue sceso dal naso mi si è seccato sulla pelle e come se non bastasse, per la vergogna, divento rossa come una stupida! Vorrei morire. Mi volto per andarmene, ma finisco contro il petto sodo e muscoloso del Dio, appoggio le mani sul suo torace e sento i muscoli contratti e sodi. Ed ora ne ho la certezza: dev’essere per forza un Dio, perché un fisico simile non può assere umano. Alzo lo sguardo incrociando di nuovo i suoi occhi, le sue pupille sono dilatate e i suoi occhi di ghiaccio trasmettono un'elettricità palpabile, la sua voce calda e roca raggiunge i miei sensi. «Vai spesso a sbattere contro le cose, piccola?»  Il suo tono è divertito e sulle sue labbra è disegnato un sorriso beffardo. Guardandole inumidisco le mie, facendoci scorrere la lingua; sono secche ed hanno il sapore del mio sangue.
Le sue mani forti mi afferrano per la vita e mi appoggiano sul ripiano dei lavandini, coi fianchi mi induce ad aprire le ginocchia e ci si posiziona in mezzo. Grazie al cielo non indosso una gonna, perché sono così eccitata che potrei svenire! Il mio cuore batte così forte che temo che lui possa sentirlo, il sangue mi pulsa nelle orecchie, i drink stanno facendo effetto e l’alcol è salito insieme a tutti i suoi quaranta gradi: sono ufficialmente stordita.
Stiamo dando spettacolo, tutte ci fissano, ma le ignoro perché i suoi occhi sono fissi nei miei e non voglio guardare nient'altro, quest'attrazione mi stordisce. Una sua mano lascia il mio fianco e, senza distogliere lo sguardo, la infila in tasca tirandone fuori un fazzoletto bianco di stoffa. Lo inumidisce sotto l'acqua, poi inizia a pulirmi il naso tamponando delicatamente. Divento paonazza, più di prima se possibile. Ok, non è troppo? Potrebbe avermi fratturato il naso, d’accordo, e sono ubriaca ma ancora in grado di pulirmi da sola. Appoggio la mia mano sulla sua per scostarla, ma è evidente ce ha altri piani: ci poggia sopra le labbra, e da un piccolo morso alla mia pelle, per infine baciarla. Mi trattengo dall’andare in brodo di giuggiole, o gemere, ma quel contatto mi causa un forte brivido che mi fa chiudere gli occhi. «Lascia che mi faccia perdonare.» E la sua voce mi da il colpo di grazia: lo stesso brivido di prima percorre tutto il mio corpo arrivando, fino al centro del mio ventre. Espiro, rendendomi conto di aver trattenuto il fiato fino a quel momento. Lo lascio fare senza mai distogliere l’attenzione dalla sua espressione concentrata e dalla ruga che si ricrea sulla sua fronte.
Quando finisce getta il fazzoletto nella spazzatura e mi porge la mano per aiutarmi a scendere dal avandino, l'afferro «Grazie.»
Tira la mia mano e torno coi piedi per terra, ma prima che possa sciogliere la stretta, mi attira contro il suo corpo «Finalmente ti sento parlare!»
Fa scorrere l'altra mano lungo la mia schiena fino a raggiungere il fianco e l'altra me l'appoggia sul viso sorridendomi. Ricambio. Santo cielo, ma cosa sto facendo? Sembro una di quelle stupide gatte morte; sembro una di loro.
Usciamo dal bagno con gli sguardi delle altre donne puntati addosso, abbiamo dato spettacolo: e che spettacolo! Ok, il Plan B non vedrà mai più la mia faccia, adios, bye bye.
Ci dirigiamo verso il bancone «Sei sola?» Indaga sorridendo e gli occhi che brillano di speranza, o malizia. In quel momento il mio cervello si ricorda di Brenda, che cerco con lo sguardo e che trovo seduta allo stesso tavolo mentre sbraccia per attirare la mia attenzione. Le faccio un cenno così che capisca che l'ho vista, poi torno a rivolgere l'attenzione all'adone che sta in piedi di fianco a me.
«Sono con un'amica.» La voce alta per sovrastare la musica, la fronte aggrottata e gli occhi velati di delusione.
Annuisce «Ti accompagno.» Ci dirigiamo verso il mio tavolo e noto che Brenda ha finito di bere anche il mio drink, ha stampato in faccia un sorriso da ebete e l'aria compiaciuta, è chiaro che la conquista sia andata a buon fine.
«Hey Emily! Quanto c'hai messo a pisciare!» Mi lancia uno sguardo che promette un quinto grado degno proprio di lei, mentre il sgrano gli occhi imbarazzata.
«OK, Brenda! Penso sia ora di andare, si è fatto proprio tardi!» Ed in effetti lo è sono le tre del mattino e la mia amica mi sta sfottendo d’innanzi al Dio Greco più mozzafiato di sempre. Lei coglie al volo il significato delle mie parole e si alza recuperando la borsetta.
Mi volto verso il Dio aspettandomi di vederlo sbavare dietro al sinuoso corpo di Brenda, fasciato in un tubino nero che le da l'aria elegante e sensuale tanto quanto basta per far cascare gli uomini ai suoi piedi. Lui invece sta fissando me, i suoi occhi azzurri sembrano ghiaccio fuso, la temperatura pare alzarsi mentre stringe la mano sul mio fianco e i brividi mi percorrono, si avvicina a me e mi bacia vicino alle labbra, sento il suo fiato caldo e sono tutta un fremito.
Mi lascio sfuggire un gemito sommesso mentre la sua voce si rivolge nuovamente a me «È stato un piacere, Emily.» Sussurra in modo che possa sentire solo io, accompagnando un occhiolino a quella sua voce bassa e sexy. Ricordate il gemito che cerco di trattenere? Me lo lascio sfuggre senza pensarci due volte: quelle parole sono arrivate dritte alla mia vagina, che mi sta urlando di saltargli addosso senza alcuna dignità. Stai zitta vagina! Non sei in grado di intendere e di volere.  Lui mi sorride, saluta Brenda con un’occhiata e si allontana.
La mia amica mi guarda ammiccando uno sguardo di curiosa malizia, mi prende sotto braccio e mi trascina fuori dal locale. In strada ridiamo come due ragazzine mentre ci dirigiamo barcollando verso casa.

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Capitolo 3
*** 3. DUKE ***


Strattono i polsi che scopro essere legati alla testiera del letto con un paio di manette, sento il metallo freddo entrarmi nella carne dei polsi e farmi rabbrividire. «Ma che cazzo!?» Impreco a denti stretti. Mi guardo intorno spostando lo sguardo il ogni direzione, ma la flebile luce soffusa non mi permette di vedere nulla al di là dei miei piedi. Noto solo dopo qualche istante che anch'essi sono legati. Strattono nuovamente, impreco e mi chiedo se ci sia qualcuno che possa sentirmi, ma non percepisco nessun rumore, tanto meno vedo qualcuno. Faccio comunque un tentativo: «C'è qualcuno?» Non ricevo alcuna risposta.

Chiudo gli occhi e sospiro, restando in attesa, finchè dei passi e... un profumo? Ah! Un lieve aroma di caffè giungono fino ai miei sensi messi in allerta.
Pochi istanti dopo ecco che si aggiunge una voce, mi sta chiamando: «Duke.» Ma che? Confuso e spaesato mi guardo intorno, senza vedere nessuno. È tutto buio intorno a me, eppure «Duke!» Continua la voce, che si fa più insistente.
«Duke!» 
Spalanco gli occhi d'un tratto, realizzando di aver sognato fino a quel momento Ma che cazzo? La luce del sole si fa spazio tra le veneziane ed illumina la stanza in cui mi trovo, illuminando la donna a cui appartiene la voce. Davanti a me c'è una rossa mozzafiato con indosso la mia camicia. La squadro dal basso all'alto con sopracciglia aggrottate e lo sguardo confuso. Mi chiedo chi diavolo sia, ma malgrado lo sforzo le sue cosce nude mi distraggono. Beh, qualche problema ragazzi? Ieri sera devo aver alzato troppo il gomito ed il mio amico e Carlos, nonché fedele spalla e collega, deve aver fatto la stessa cosa. Vi spiego, solitamente il programma della nostra serata tipo procede così: io e Carlos ci ritroviamo all’ingresso di un pub scelto a random, beviamo e beviamo fino a che non avvistiamo una preda (o una preda accettabile avvista noi). Qui le nostre strade solitamente si dividono, più che altro perché non siamo interessati a condividere, o a vedere l’uno la salsiccia dell’altro, non so se mi capite. Infine, verso tarda notte, ci si ritrova per fare l’ultimo brindisi della serata prima di fare ritorno a casa. Semplice, no? Beh lo è quando funziona, oggi per esempio no.
«Buongiorno Duke!» La ragazza alza una gamba e si mette a cavalcioni su di me, si china sul mio viso offrendomi, attraverso la mia camicia slacciata, una meravigliosa visuale del suo prosperoso décolleté. Ho un fremito e apprezzo, apprezzo veramente. Wow, buongiorno piccole. E per piccole, non intendo affatto piccole. Perché queste tette sono tutt'altro che piccole.
Il suo corpo, o almeno il suo petto (perché non ho ancora distolto lo sguardo da li), è spruzzato da qualche lentiggine qua e la. Solo quando riesco ad alzare lo sguardo sul suo viso incontro due grandi occhi color nocciola che mi fissano; le sue labbra carnose prima sorridono e poi mi parlano. «Vuoi un po' di caffè?» chiede porgendomene una tazza.
Ed è questo l'istante in cui realizzo: mi metto in pausa andando in crisi, perché no, questa non è una cosa da me. No. Cosa ci faccio ancora qui? Regola n.1. Darsela a gambe levate prima che la ragazza riapra gli occhi, nessun contatto, nessuna chiacchiera.
Maledizione devo aver davvero bevuto troppo e non va per niente bene. Me lo urlo nella testa perché il mio motto è “Una botta e via”. Come dite, sono banale e prevedibile? Oh, chiudete quella cazzo di bocca! A meno che non abbiate una grande idea su come tirarmi fuori da questa situazione di merda. Io non sono un tipo da cuori e fiori. Non che li disdegni, semplicemente non è ciò che cerco e voglio.
Siete delusi? Non potrebbe fregarmi meno di così a proposito dei vostri sentimenti feriti. Se volete saperlo, ora devo infrangere quelli della prosperosissima ragazza a cavalcioni sul mio cazzo. Beh, in effetti questo non è un comportamento degno di un professionista. Si sguscia via nel cuore della notte proprio per evitare questo tipo di conversazione, ma hey cosa ci posso fare? Avevo bevuto troppo!
Dai amici, capitemi. So che anche voi vi siete trovati in simili situazioni e non c'è modo di squagliarsela senza spezzare qualche cuore, o distruggere qualche dignità, per cui tanto vale tirare fuori il peggio di se e fuggire. Si, fuggire prima che non ci sia più niente da fare, a meno che non siate professionisti. Il caso vuole che io lo sia, quindi guardate ed imparate.
Mi do lo slancio coi gomini per mettermi seduto sul letto e facendola sobbalzare la ragazza di cui proprio non riesco a ricordare il nome. Ehm, che fosse Alice, Rachel oppure Claire? Evito di correre rischi inutili e decido di chiamarla Baby, così vado sul sicuro (Altra regola che i professionisti non dimenticano mai di applicare).
«No baby, non bevo caffè.» Leggo la delusione sul suo volto e non potrebbe toccarmi meno di così nemmeno se fosse una piccola gatta indifesa, eppure le sorrido perché non sono urla quello che noi uomini vogliamo. Noi vogliamo andarcene, certo, ma mantenendo la calma. Niente grida appena svegli, ok?
La rossa ricambia il mio sorriso e mi ritrovo a pensare che non è niente male. Se foste in me ve la fareste, giusto? Sbagliato. Gesù, ma che avete nella testa? Seconda regola: mai fare due giri sulla stessa giostra; prendete appunti se non volete problemi. Se ci sono donne all'ascolto, beh fatevene una ragione, perché come dice il buon vecchio Perry Cox: Il mondo è fatto di bastardi. Bastarda è la glassa, bastardo è il ripieno.
I suoi occhioni verdi ora sono fissi nei miei, inchiodati ed ipnotizzati. Si, so di fare quest’effetto. La guardo e mi avvicino al suo viso tracciando con la punta del naso il contorno della sua mascella, lei si lascia sfuggire un sospiro e con una mano traccio lentamente una linea immaginaria sulla sua pelle chiara e lentigginosa. La accarezzo fino ad arrivare alla sua schiena, mentre afferro la tazza che tiene tra le mani e l'appoggio sul comodino. Inspiro sul suo collo ed il suo profumo troppo dolce mi inonda quando risalgo verso il suo orecchio. Le mordo il lobo mentre geme sommessamente. Approfitto del suo stato di trance per sussurrare «Devo andare.» Quindi l’afferro da sotto le ascelle e la sposto, in modo che non sia più a cavalcioni su di me. Lei sbuffa e riesco a percepire la sua disapprovazione Fanculo baby.
Mi scosto le coperte dalle gambe, ma compare inaspettatamente il mio cazzo nudo. Ok, davvero inaspettato. Cioè no, non inaspettato, solo non ne avevo tenuto conto. Alzo lo sguardo verso quella della rossa che si sta leccando le labbra carnose. Le faccio un occhiolino. Si, si sono consapevole dell’effetto che faccio. Il mio amico freme per un nuovo movimentato round, ma ricordo: le regole prima di tutto. Mai due volte, a meno che non sbuchi una gemella nascosta sotto al suo letto; se ha una gemella te le devi fare entrambe, lo dice la legge. Giuro.
Mi alzo di scatto ed inizio a cercare i miei vestiti: individuo i miei boxer ed è già un buon inizio. Farfuglio qualcosa a proposito di un incontro che ho alle… Sbuffo, come se sapessi che ore sono adesso! Disperato controllo l'orologio: undici e quarantacinque, cazzo come può essere così tardi!? Esco dalla stanza a petto nudo, realizzando che è lei ad indossare la mia camicia, me ne frego.
Raccolgo i pantaloni, li indosso e mentre recupero le scarpe ritrovo anche la mia giacca. La rossa intanto mi ha seguito per tutto il percorso ridacchiando in silenzio, ma cosa vuole? Mi sta guardando male mentre faccio per mettermi la giacca, poi sorride maliziosa e scuote la testa.
«Hai fretta?» Mi chiede con la voce maliziosa. Slaccia un bottone alla volta fino a scoprire il suo corpo mozzafiato e lascia cadere a terra la camicia sollevando un sopracciglio. «Non ti va di giocare un po'?»
Il mio cazzo è così duro da far male, potrebbe essere scambiato per roccia Non sai quanto mi piacerebbe giocare un po'. Mi avvicino a lei, le metto le mani intorno alla vita e mi avvicino al suo orecchio con le labbra, respirando piano.
Percepisco l’irregolarità dei suoi sospiri, il suo fiato caldo su di me. Le mordo il collo ed inizio a tracciare una scia di baci da quel punto fino, abbassandomi, ad arrivare all'ombelico. Presto particolare attenzione al suo grosso e maledettamente perfetto seno, che non rivedrò mai più. Scorro con le mani lungo le sue cosce, fino alle caviglie. Le bacio il pube mentre afferro la mia camicia e con uno scatto recupero la giacca correndo verso la porta d'ingresso.
Visto? Un vero professionista! La rossa impiega qualche secondo a realizzare ciò che è appena accaduto e, nel momento in cui riapre gli occhi io sto già fuggendo dalla porta; esco correndo sbattendola, il rumore è seguito da un sonoro e meritato «Stronzo!»
Ed ecco chi sono io. Duke Stronzo Worten, piacere mio.
Spesso, per la verità, mi donano epiteti più strutturati, come: pezzo di merda o sfruttatore bastardo, insomma avete capito. Questo sono io e questa è una mia domenica mattina tipo.
Sto correndo giù per le scale mentre sistemo addosso la camicia e la giacca, raggiungo il portone condominiale e lo apro venendo accolto dalla tiepida aria di una domenica di marzo, prendo fiato in un sospiro profondo e faccio un passo svoltando verso destra, quando un vaso precipita ad un palmo dal mio naso, seguito da un altro sonoro «Fottiti, stronzo.» Urlato a pieni polmoni. Alzo gli occhi giusto in tempo per vedere il suo dito medio rientrare dalla finestra.
Un giorno finirò ammazzato, ma forse oggi me lo sono meritato.

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Capitolo 4
*** 4. EMILY ***


Apro gli occhi di scatto e mi metto a sedere. Sono madida di sudore ed un forte mal di testa mi accoglie pulsando. Beh, buongiorno! Gemo massaggiandomi le tempie, maledicendomi per aver alzato tanto il gomito ieri sera, quindi faccio quella cosa che fanno tutti in questo tipo di situazioni: avete presente le promesse di non bere mai più che si fanno a se stessi dopo una sbronza devastante? Ecco: mi riprometto solennemente di smettere di bere almeno fino al mese prossimo. La ritengo una scelta saggia, se non considero che oggi è il 28 Marzo.
Mi lascio cadere di nuovo sul materasso, emanando e profondo sospiro. Apro le braccia e le muovo facendo l'angelo sul letto, poi le allungo stirando i muscoli intorpiditi concludendo il mio rito mattutino.
Mi stropiccio gli occhi e mi passo le mani sul viso per riprendermi e, come se mi avessero tirato un schiaffo in faccia, mi sveglio del tutto venendo colta da una fitta di dolore lancinante al naso. La fantasia con la quale coloro le mie imprecazioni mi stupisce, qualche santo mi maledirà. Cazzo!
Massaggiandomi le tempie mi alzo barcollando dal letto a due piazze, così realizzo di avere ancora addosso i vestiti della sera precedente; li tolgo. Inizio la mia camminata del post sbornia e mi dirigo verso il bagno ad occhi chiusi. Una volta raggiunto mi avvicino alla finestra, la apro e ne spalanco le persiane venendo travolta dai raggi del sole che battono accecanti e prepotenti sul mio viso. Faccio pipì ed infine mi piazzo davanti allo specchio. Finalmente vedo lo stato del mio naso ed il viola che lo definisce ha così tante tonalità che potrebbe anche essere considerato un’opera impressionista; la intitolerei Cinquanta sfumature di ematoma. Penso a come mi toccherà uscire di casa per i prossimi giorni e sento montare in me l’imbarazzo; questo finchè mi torna in mente l'uomo bello e dannato che mi ha ridotta in questo stato. Col senno di poi realizzo che, per quanto dannatamente e schifosamente sexy fosse, avrei dovuto ricambiare il piacere con un pugno sul muso.
«Più tardi ci metterò del ghiaccio.» Rifletto e po rido di me stessa per aver parlato ad alta voce, sentendomi stupida. Avete mai riflettuto su quanto sia stupido il ritrovarsi a parlare da soli? Insomma, non si ha alcun interlocutore, le parole si perdono nell’aria; è inutile e sciocco, eppure lo facciamo tutti di continuo. È esilarante.
Mi lavo dagli occhi il restante trucco sbavato e mi tolgo l'intimo. Lo specchio che occupa gran parte della parete del bagno riflette la mia silhouette ed io la osservo: mi piace quel che vedo, ammicco un occhiolino alla mia immagine ed entro in doccia. Sono egocentrica? Quanto basta, ho lavorato sodo per avere questo fisico e mantenerlo in forma, al diavolo! Me la tiro quanto cazzo voglio. Ruoto la manopola della doccia ed un fresco getto d'acqua incontra la mia pelle sudata ed è la gioia per i miei sensi, chiudo gli occhi e mi rilasso; quello che succede dopo è inevitabile.
Faccio un profondo respiro ed inizio a cantare Come As You Are dei Nirvana.
Non avrete mica pensato che avrei iniziato a toccarmi, no?
No? Che delusione. È ovvio che inizio a toccarmi.
Faccio scorrere le mani lungo il corpo bagnato dall'acqua fresca, raggiungo il seno e trattengo il fiato. Con le dita di una mano percorro la circonferenza di un capezzolo ed infine lo pizzico lasciando che un rantolo di piacere esca dalle mie labbra, poi le mordo. L'altra scorre lungo i fianchi e la vita raggiungendo il pube. Ansimo quando agguanto il clitoride e inizio ad applicare la giusta pressione col dito medio. È perfetto. Sento l'orgasmo montare in una spirale di ansimi e piacere, gemo mentre sfrego più forte. I miei gemiti si fanno sempre più forti, il fiato corto mentre contraggo il ventre: sto per venire, cazzo. È fantastica la sensazione che monta e si concentra in quell'unico bottoncino delicato che continuo a sfregare, ma quando all'improvviso sento la porta del bagno spalancarsi m’interrompo di scatto. Nate irrompe nel bagno. Cazzo!
Ah, già! Mi potrei aver dimenticato di dirvi che viviamo insieme. Si, da quattro anni circa. È stata una situazione venutasi a creare gradualmente. All'inizio dormivo da lui nel weekend e magari lasciavo un cambio, il pigiama, lo spazzolino. Poi rimanevo a dormire anche nei giorni lavorativi, in settimana, fino a quando non ci siamo accordati ed abbiamo deciso che mi sarei trasferita in maniera definitiva. Mi chiedete come stiamo insieme? Beh, bene a confronto di come andiamo tra le lenzuola. È una persona calma ed ordinata, ci alterniamo le faccende domestiche, la spesa ed il lavaggio dei piatti… ve l’avevo detto che è un uomo d'oro, no?
Va anche d'accordo coi bambini, dovreste vederlo: lo sguardo aggrottato, i capelli arruffati, gli occhi brillanti ed allo stesso tempo profondi, un metro e ottanta di uomo, posato, non troppo muscoloso, ma con le spalle larghe gli conferiscono quell'aria di sicurezza che tanto mi piace; un tipo così si trova a suo agio coi bambini. Ogni volta che si ritrova nelle vicinanze di un individuo paffuto di età inferiore ai sei anni regredisce, si trasforma. Avreste dovuto vederlo quella volta in cui si è offerto di fare da babysitter alla bimba dei nostri vicini di casa, ha indossato una cuffia rosa dal tema floreale e ricamata in pizzo, e si è seduto al piccolo tavolo da tè apparecchiato con delle graziose tazzine in plastica rosa ed ha sorseggiato la bevanda con grande espressione di apprezzamento, sostenendo che l’immaginazione dei bambini vada incoraggiata. Nulla da dire in contrario, ma torniamo a noi, dicevamo? Ah si, Nate entra in bagno mentre mi masturbo.
Mi alzo di scatto e con, nonchalance, fingo di sfregarmi il sapone sul corpo. Lo sento mentre alza la tavoletta.
«Hey tu, c'è spazio anche per me?» Dal vetro patinato della doccia lo vedo mentre si sfila la t-shirt, la getta a terra e si slacci ai pantaloni per poi lasciarli scivolare lungo le gambe, insieme ai suoi boxer. Mi giro di schiena mentre fa scorrere l'anta e mi raggiunge nella doccia troppo bassa per la sua stazza, mi metto a ridacchiare come sempre quando entra insieme a me. «Buongiorno.» Mi tira uno schiaffo sul sedere per poi baciarmi sul collo, sorrido perché sapevo che l'avrebbe fatto.
«'Giorno.» Rispondo mentre lui allunga il braccio per prendere il bagnoschiuma sul ripiano sopra le nostre teste.
«Hai iniziato senza di me?» Apre la confezione e si versa su una mano una grande quantità di sapone alla menta, per un attimo penso si riferisca al fatto che mi stessi masturbando, ma poi capisco che si rifersce alla doccia.
«Sono appena entrata.» Si strofina le mani in modo a formare la schiuma.
«Bene.» Percepisco la sua soddisfazione. Posa i palmi sulle mie spalle ed inizia ad insaponare massaggiandomi lentamente. Mi rilasso. A d o r o i massaggi in quel punto ed in questo lui è maledettamente bravo. È piacevole, fantastico tanto da lasciarmi sfuggire un mugolio, sono come una gatta che fa le fusa.
Lentamente scende verso il basso percorrendo in lunghezza la mia colonna vertebrale, roteo il collo e lascio che la mia testa si appoggi alla sua spalla. I suoi massaggi riaccendono i miei desideri, fremo e mi eccito sentendo le sue dita mentre accarezzano le fossette di venere.
Premo la mia schiena contro il suo petto sodo, alzo il viso ed accarezzo il suo posando la mia guancia contro la sua. La barba ispida di qualche giorno mi punge la pelle, ma è un contatto che mi piace da sempre. Gli bacio il collo ed inizio a percepire il suo cazzo erigersi contro il mio sedere; fremo e so che lo voglio.
Alzo lo sguardo verso di lui «Ciao.» Fisso i suoi occhi castani assottigliarsi aggrottando le sopracciglia e sussulto quando il suo dito ruvido tocca il mio naso «Ahi!»
«Cosa diamine ti sei fatta!?» Il tono allarmato mi fa sorridere e probabilmente questa mia reazione lo tranquillizza, perché vedo il suo sguardo addolcirsi «Allora?» Esige di sapere con impazienza.
«Mi hanno aperto una porta in faccia.» Ammetto facendo spallucce.
Alla rivelazione seguono alcuni attimi di silenzio, in cui si odono solo lo scrosciare dell’acqua che scende incessante dal soffione della doccia ed il traffico di Manhattan fare irruzione nel nostro bagno, insieme ai suoi clacson e alle risa dei passanti. Beh, questo finchè scoppia a ridere così forte che la sua voce rimbomba per tutto il bagno ed io mi ritrovo a seguirlo, perché è una risata tanto cristallina da risultare contagiosa.
«Sei un disastro.» Mi schicchera il naso indispettendomi, così in tutta risposta gli stringo i fianchi con le dita facendolo sussultare. Ridicolo, eh? Un uomo così grande e grosso soffre il solletico.
Mi guarda storto e mi immobilizza subito con i polsi contro la parete, la pelle abituata al calore dell'acqua rabbrividisce al contatto con quella superficie fredda; lo guardo negli occhi: verde contro castano. Sorride e mi bacia assalendomi con la sua lingua, schiudo le labbra per lui e lascio che abbia libero arbitrio. Le sue mani mi lasciano libera e corrono ad afferrarmi i fianchi per attirarmi contro il suo pube: è di marmo. Sento nascere dal ventre uno sfarfallio, un brivido mi scuote tutto il corpo concentrandosi nel punto in cui ho più bisogno di essere toccata. Mi avvicino di più, come se volessi diventare parte di lui; premo la  mia pelle bagnata contro la sua rabbrividendo al contatto. Allungo una mano sulla sua nuca, facendo scorrere le dita nei suoi capelli, mentre con l'altra mano traccio un percorso immaginario in cui il traguardo sono i suoi glutei sodi. Gli mordo un labbro nello stesso momento in cui agguanto il suo culo con le unghie facendolo gemere.
Si stacca da me, scrutandomi con quelle sue pupille dilatate, quasi animalesche «Cattiva ragazza.» Gli occhi velati di desiderio sono indescrivibilmente sensuali, mi guarda come se fossi unica al mondo e sento il cuore perdere un battito per l’intensità del sentimento nascosta dietro al suoi occhi. Sorrido e lui fa lo stesso.
Posa una mano sulla mia guancia e col pollice accarezza lo zigomo; inspiro chiudendo gli occhi ed abbandonandomi alle sue carezze, schiudo le labbra percependo l'altra mano scorrere lungo il mio fianco fino ad arrivare alla mia coscia. La solleva con brutale impazienza facendosi spazio tra le mie gambe. L'acqua continua a scorrerci addosso mentre preme la sua erezione contro il mio clitoride, applicando la giusta pressione. Mi godo il contatto gemendo a quella piacevole sensazione; mi bacia sotto al lobo ed il suo fiato in quel punto mi provoca brividi che si scuotono in ogni piccola parte del mio corpo «Sei pronta?» Mi domanda in un sussurro con voce arrochita, ma  prima che io possa rispondere si fa spazio dentro di me con una sola spinta.
«Cristo!» Sbarro gli occhi ed inspiro bruscamente per il fottuto dolore inaspettato. Perché non capisce che l'acqua fa attrito!? Una smorfia di dolore si dipinge sulla mia faccia, la sua è nascosta nell’incavo del mio collo, mentre succhia la pelle sensibile. Prende a muoversi lentamente, affievolendo il dolore iniziale e lasciando che mi lubrifichi a dovere. Il suo cazzo è lungo e stretto, non mi riempie a pieno ma basta a saziare il bisogno che sento crescere sempre di più, gemo più forte quando inizia a muoversi più velocemente, in proporzione alla velocità aumenta la forza con la quale mi succhia e morde il collo. Lancio un gridolino e vacillo, perché sa che quello è il mio punto debole. La pressione sul clitoride aumenta e minaccia di esplodere: sono un fascio di nervi bisognoso di soddisfazione.
Mi sincronizzo a lui e mi muovo a tempo cercando più contatto, emette un grugnito debole poi mi morde il lobo, me lo morde forte tanto da farmi urlare. Contraggo i muscoli, affondo le unghie nella sua schiena, so che sta per venire perché aumenta di più la velocità ed io aumento l'intensità dei miei mugolii, quando si immobilizza so che si sta svuotando dentro di me, trattiene il fiato e trema mentre io lancio un gemito più forte, quasi a sembrare un urlo trattenuto.
Quando finisce mi guarda negli occhi, mi sorride ed io sorrido a lui. Ci baciamo e si sfila da me facendomi sobbalzare. L'insoddisfazione minaccia di farmi impazzire mentre il clitoride pulsa impaziente di avere un happy ending, ma io so che non lo riceverà tanto presto. Sospiro di rassegnazione e mentre ci laviamo il corpo cerco di toccarmi il più possibile per alleviare la sensazione d’insoddisfazione.

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Capitolo 5
*** 5. EMILY ***


È lunedì mattina e, dopo aver affrontato in taxy i quaranta minuti di traffico a Manhattan, finalmente riesco a mettere piede in ufficio. Sono già esasperata e la giornata non è ancora iniziata, per giunta oggi mi aspetta l’incontro con un nuovo cliente, un cliente molto esigente. Noi della Simmonds dobbiamo presentare le bozze del progetto, sperando che soddisfino le sue esigenze in modo da non lasciarcelo scappare. Per questo motivo devo essere al massimo delle mie forze. Non direste mai che lavorare in uno studio grafico possa essere tanto stancante o possa mettere tanta pressione addosso, non è così? Pensate a come mi sento io, che lavoro in uno degli uffici più prestigiosi della città. Per la precisione sono impiegata come art director nello studio grafico Simmonds&Co. Non avete idea di cosa significhi essere un art director? Beh, fate una ricerca su Google, è a questo che servono i browser: sfruttateli.
Alzo lo sguardo verso il palazzo alto ed imponente come tanti altri, in cui è però situato il mio studio grafico. A Manhattan smetti di sorprenderti d'innanzi all'immensità di certe costruzioni, nonostante sembrino travolgerti facendoti sentire vulnerabile come una piccola formichina.
Supero le porte d’ingresso in vetro del palazzo e mi ritrovo nell'elegante atrio: il parquet scuro amplifica il ticchettio dei miei tacchi quando ci cammino sopra e crea un forte distacco dalle pareti così bianche e limpide. Volto la testa verso la receptionist, una donna ormai entrata nei quaranta dall’aspetto curato che dimostra essere di almeno vent’anni più giovane, si chiama Trisha e un po' mi spiace di non essere ancora riuscita a stringere amicizia con lei, ci siamo limitate solo a qualche caffè. Mi rivolge un sorriso smagliante, un sorriso a trentadue denti incorniciato da due sottili labbra color bordeaux, mi augura un buongiorno a cui ricambio con piacere, tuttavia ritrovandomi a pensare dove riesca a trovare le forze di sorridere in quel modo alle otto e quarantacinque del mattino.
Mi lascio alle spalle il brusio dell'ingresso per entrare in ascensore prima che si chiuda, poi premo il tasto per l’ottavo piano. In alto, eh? Già, l'edificio è diviso in tre aree, ognuna delle quali è occupata da aziende grafiche differenti: la Blake è quella che occupa più piani, dal quindicesimo all'ottavo, è quella più rinomata, mio malgrado mi tocca ammetterlo; la Simmonds ne occupa sei, mentre la minore, la Xaviel (gestita da cinesi), ne occupa due. Non so con quale logica avessero deciso di mettere tre aziende grafiche nello stesso edificio, è stupido, no? Si. E le guerre giornaliere che si scatenano in questi uffici non sono paragonabili alle guerre d'indipendenza.
Si si, ridete stronzi, ridete, voi stolti abituati alla pacchia, alla pace, non saprete mai cosa si prova a dover proteggere il tuo territorio con le unghie e con i denti, non basterebbe nemmeno una gara a chi fa pipì più lontano. Il mio capo: il caro e buon vecchio Signor Simmonds, uomo ultrasessantenne, grasso, fumatore incallito tanto che Dio solo sa come faccia ad essere ancora tra noi, probabilmente è troppo buono affinché esso ci lasci, ha dovuto risistemare i turni in modo che ogni dipendente faccia una ronda per controllare che non ci siano intrusi, le porte vengono chiuse a doppia mandata e c'è un sistema di sicurezza estremamente all'avanguardia "Passeranno cent'anni prima che quei figli di puttana invadano il mio territorio!" pronuncia sempre il suo volto paffuto dall'aria goffa ma allo stesso tempo corrucciata e, a volte, penso che si stia riferendo alla seconda Guerra Mondiale.
Mi riscuoto dai miei pensieri quando le porte si aprono e mi trovo davanti il mio vicino di ufficio: Kyle Lusher. E' un ragazzo alto e posato con lo sguardo severo, tuttavia gentile e sempre ben vestito, ed è per questo che mi sorprendo quando vedo la cravatta storta ed allentata, la giacca stropicciata ed i capelli, solitamente ingellati, sono tutti scompigliati dopo essersi passato una mano tra i capelli con esasperazione.
«A quest'ora?» lo guardo sbigottita
«A tutte le ore, quei bastardi.» sospira, ma poi sorride
«Blake?»
«Chi altri se no?» E mi chiedo come abbia potuto rivolgergli quella domanda, sono i più bastardi, hanno le pareti tappezzati di banconote, il signor Washington è il loro migliore amico. Li immagino sguazzare nei soldi mentre ridono beffardi di noi dopo essersi avventati sui nostri clienti come avvoltoi. Sento il nervoso pervadermi, mi passo anche io una mano tra i capelli scompigliandone la pettinatura, l'esasperazione traspare dai nostri pori.
Kyle mi sorride e mi da una pacca sulla spalla «Stavo andando a prendere un caffè, ne vuoi uno anche tu?» Sto per rifiutare quando ripenso al fatto che abbiamo subìto un attacco ancor prima dell'inizio dell'orario lavorativo ed alla giornata che devo affrontare, quindi accetto. Lui entra in ascensore mentre io mi dirigo verso l'ufficio, non è molto grande ha giusto una scrivania di legno abbastanza ampia ed una sedia da ufficio, sul lato opposto due sedie comode dall'imbottitura bordeaux per gli eventuali clienti. Dietro ad esse c'è un divano a due piazze dello stesso colore ed al suo fianco, in un angolo, c'è una pianta finta, perché non ho il pollice verde, per niente.
Prendo posto e accendo il computer, sono le 9 precise: per me è tempo di iniziare a lavorare. Tiro fuori dei fogli da una cartelletta ed inizio a leggere i brief di alcuni progetti analizzandoli, ma solo dopo aver sistemato le bozze per il cliente di questo pomeriggio.
Quando alzo gli occhi verso l'orologio mi accorgo che sono le 11.30 e che la mattinata è volata. Quando Kyle ha bussato ho percepito lo sconcerto sul suo viso mentre fissava il mio naso, gli ho sorriso ringraziandolo mentalmente per non avermi fatto domande al riguardo, pare proprio che il fondotinta non sia riuscito a coprire il livido, per cui deciso di darci un'altra passata, non voglio che le mie figure di merda si diffondano per altri edifici di questa città. Il caffè che mi ha portato Kyle mi ha fornito le energie necessarie a mantenere il ritmo lavorativo e, per nostra fortuna, non siamo incappati in altri attacchi dal fronte Nord. Sono soddisfatta del mio operato, per cui decido di andare a pranzo. Chiudo a chiave la porta del mio ufficio e mi dirigo verso quello del mio collega, busso chiamandolo intenzionata ad offrirgli il pranzo per restituirgli la cortesia, ma non ricevo risposta, faccio spallucce. La prossima volta  e mi fiondo in strada diretta verso Subway, il mio stomaco brontola e sono impaziente di divorarmi un panino.

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Capitolo 6
*** 6. DUKE ***


Sto percorrendo di fretta le strade di Manhattan, i marciapiedi brulicano di persone di ogni tipo. Dal rastaman che, dopo aver steso la sua tela in un angolo sul marciapiedi, inizia a suonare il suo bongo cantando una canzone reggae, alla testimone di Geova che si sbraccia per distribuire i volantini e predica la sua religione, fino ad arrivare a me: uomo d'affari in giacca e cravatta che cammina a passo svelto perché ha dimenticato di portarsi il pranzo da casa propria.
Mi trovo a mio agio nelle grandi città, mi piace la loro atmosfera ed il fatto che si riesca a trovare la calma anche in mezzo al caos. Schivo una donna che non sta guardando dove cammina e poi un uomo che fa la stessa cosa. Guardo l'orologio sul mio polso sinistro scoprendo che è già l’una e un quarto, la mia pausa dura ancora quarantacinque minuti. Cazzo, è tardi.
Si, belle le grandi città, ma ci sono troppe persone che non prestano attenzione a ciò che succede loro intorno, troppe persone convinte di essere al centro dal mondo, che il sistema solare giri intorno a loro; invece indovinate un po? Non è così. Sulla Terra sono presenti sei miliardi di individui: adattatevi al contesto in cui vi trovate. Mi piace il caos, ma dover attraversare l’intera Manhattan nell’ora di punta con delle teste di cazzo del genere intorno è un fottuto casino. Accelero il passo schivando chi continua a non guardare quel che fa.
Sono nervoso ed affamato e cercare impazientemente un locale non troppo pieno in cui mangiare in mezzo a tutto questo marasma. Poi scorgo Subway e mi ci fiondo senza indugio.
Raggiungo l'entrata pentendomi della scelta che ho fatto: c'è una coda infinita che dall’esterno non si notava, spero solo che la maggior parte di questi stronzi prendano d'asporto e si levino dal cazzo velocemente. Mi metto infondo alla fila più breve, guardo l'orologio e mi passo una mano tra i capelli con impazienza.
Mentre aspetto il mio turno mi guardo intorno, senza un motivo particolare. Osservo le persone che mi circondano: vedo una ragazza bassina dai capelli ricci sbuffare impaziente incrociando le braccia al petto, dietro di lei due ragazzi ridono animatamente e la loro voce si confonde tra quelle delle altre persone. Sbuffo avanzando di un paio di passi, quando all'improvviso si crea un gran trambusto, scrogo la massa di capelli castani di una ragazza avvolta in un completo beige inveire contro un uomo calvo dallo sguardo viscido.
«È il mio turno! Si sposti e faccia la coda come gli altri!» Urla lei.
L'uomo alza gli occhi al cielo «Senta, signorina, si calmi! Ero prima di lei.». L'attenzione si focalizza sui due, è calato il silenzio fatta eccezione al brusio di sottofondo.
L'uomo si gira con fare esasperato e le da le spalle, ma lei non si da per vinta e gli si piazza davanti. Ora riesco a vederla in volto: ha una buffa espressione corrucciata e le sue guance sono arrossate per la rabbia; il suo è un viso familiare, eppure non riesco a ricordare dove io l'abbia già vista. Ma magari è solo una mia impressione.
«Sono qui ad aspettare il mio turno da più di venti minuti e non mi farò superare da un cafone come lei!» Il tono della voce della ragazza è duro, è un tipetto tenace e la sua perseveranza mi fa sorridere, ma quando l'uomo alza la mano e l'allunga verso di lei per spingerla non rispondo di me. Con una velocità inaspettata mi fiondo verso di lui e ne afferro il braccio prima possa anche solo sfiorare la ragazza. Gli stringo il polso, sono infuriato. Si, perché per quanto io possa essere uno stronzo manipolatore, bastardo o Dio sa cos'altro, non mi permetterei mai di mettere le mani addosso ad una ragazza. Mi considererete ipocrita, ma nutro un profondo rispetto per le donne e sotto questo punto di vista sono irremovibile e molto suscettibile.
Alle elementari nella mia classe c'era una bambina: Becky Johnson. Era odiosa, davvero insopportabile. Lei, le sue lentiggini ed i suoi occhiali tondi ti facevano girare le palle ancora prima che potesse aver modo di aprire la bocca per parlare con la sua vocetta stridula. Un giorno venne verso al mio gruppetto saltellando, eravamo cinque bambini e stavamo giocando a palla. Lei si era sistemata gli occhiali sul naso ed aveva iniziato a blaterare qualcosa di cui a noi non poteva sinceramente fregare di meno. Sta di fatto che ad August deve aver dato molto più fastidio che a noi altri, perché le tirò un calcio facendola cadere. Becky iniziò a piangere, ma prima ancora che una lacrima potesse scivolare dai suoi grandi occhioni tristi io mi ero già fiondato su quello stronzo e lo stavo riempiendo di pugni. Perché è questa la prima cosa che ti insegnano in casa Worten: non importa quanto le donne ti umilieranno, prenderanno i tuoi testicoli e ci faranno una frittata, non bisogna mai far loro del male. Mai. Nemmeno se sono insopportabili come la piccola Becky.
Quindi si, stritolo il polso del’uomo unto e grassoccio che mi sta di fronte e vedo i suoi occhi sgranarsi per quella che credo sia sorpresa. È grosso e di sicuro una stretta del genere non gli farà male, ma servirà a farlo stare al suo posto. «Noi faremo andare avanti la signorina da gentil uomini quali che siamo, vero?» Gli sorrido fingendo una calma che non mi appartiene, lui annuisce con stizza, si libera il polso con uno strattone e se ne va. Faccio spallucce a quella reazione, non volevo mica proibirgli di pranzare.
Mi volto per guardare la ragazza alle mie spalle nello stesso istante in cui lei fa un passo avanti per venirmi incontro finendo per sbattere la faccia contro il mio petto. Alla fine proteggerla da quel bruto è stato inutile, perché dal modo in cui porta immediatamente le mani sul viso a coprersi il naso e dalle le lacrime che le vengono agli occhi giurerei che si sia fatta male. Sto per chiederle scusa, ma in quell'istante la riconosco: è la ragazza di sabato sera! I fiumi dell’alcool che avevo in corpo mi hanno annebbiato i ricordi più di quanto immaginassi, tant’è che non ne ricordo il nome… Che fosse Eva? Cristo, avevo davvero bevuto troppo, non me lo ricordo. Non è che me lo sarei ricordato se fossi stato sobrio, comunque.
«Ho una calamita nel petto o ti piace venire a sbattere contro di me?» La canzono perché è più forte di me, e se non avesse aperto gli occhi e quel verde smeraldo mi avesse colpito facendomi trattenere il fiato avrei continuato la frase esponendo il doppio senso che avevo in mente. Le lacrime che trattiene a stento li rendono ancora più chiari e per un attimo ne rimango incantato.
Ad un certo punto spalanca le palpeble e per istinto mi domando se sia perché mi ha riconosciuto solo in questo istante. Sono fiero del fatto che non si sia dimenticata di me Si, faccio questo effetto e si, questa consapevolezza mi rende uno stronzo arrogante.
Frugo nella tasca dei pantaloni cercando un fazzoletto e glielo porgo, ma lei fa cenno di no con la testa, si asciuga le lacrime con la punta delle dita, attenta a non sbavare il trucco leggero e tira su col naso: è violaceo e gonfio, mi viene da ridere se penso che le ho sbattuto in faccia una porta, ma cerco di nascondere il mio divertimento Sono un gentil uomo in fin dei conti.
Resto alle sue spalle mentre ordina il suo pranzo, poi la seguo fino al suo tavolo quando anche io vengo servito.  Mi affretto, perché non ho molto tempo a mia disposizione, ma penso che mi divertirò.
Arrivo al tavolo mentre da il primo morso al suo panino. Non appena mi siedo di fronte a lei mi fissa con aria interrogativa smettendo di masticare. Sembra una cerbiatta e quegli occhioni mi fanno pensare come sarebbero se me li puntasse addosso mentre è inginocchiata davanti con il mio-
«Prego, è libero, si sieda pure.» Sentenzia con fare ironico alzando le sopracciglia ed interrompendo la piega che i miei pensieri stavano prendendo.
Trattengo un risolino «Per fortuna mi sono seduto prima che arrivasse qualcun altro.» Rispondo a tono. Le sue sopracciglia si aggrottano e credo stia cercando le parole per ribattere, alla fine sospira limitandosi a scuotere la testa.
«Posso fare qualcosa per te?» Sembra annoiata, ma so che non è così: ricordo l'affanno dell'altra sera, il modo in cui tratteneva il fiato. Prende svogliatamente la bottiglietta d'acqua, la svita e se la porta alla bocca. Beve senza interrompere il contatto visivo col mio e quando finisce passa la lingua sulle sue labbra carnose. Porca puttana! I suoi grandi occhi scrutano intensamente i miei, sembra voglia uccidermi con lo sguardo, ma ricordo come si erano incantati nei miei pendendo dalle mie labbra.
E parlando di labbra, ma l'avete vista? È stata una delle cose più erotiche a cui abbia mai assistito, avevo già pensato a cosa quelle labbra avrebbero potuto fare al mio cazzo. Immaginavo la loro morbidezza intorno alla mia asta e a come sarebbero state dopo averle imbrattate col mio liquido caldo.
Sorrido, allento la cravatta e mi slaccio il primo bottone della camicia. Divertiamoci.
Addento il mio panino prima di rispondere, mastico lentamente prendendomi il tempo necessario mentre inchiodo i suoi occhi ai miei senza lasciarle scampo.
La vedo avvampare, va a fuoco, le sue guance arrossiscono e le sue pupille si dilatano tanto da rendere le iridi due sottili anellini verdi. Tossisce e si muove a disagio sul divanetto, scosta i capelli prima da una parte del collo poi dall'altra, si muove di nuovo ed io trattengo un sorriso. È così nervosa da non riuscire a stare ferma?
«Niente, volevo solo un po' di compagnia per il pranzo.» Riprendo a masticare come se nulla fosse «Come va il naso?»
Raddrizza le spalle «Benissimo, grazie.» Addenta di nuovo il suo panino ed io non riesco a smettere di fissare le sue labbra.
Per l'ennesima volta negli ultimi venti minuti mi ritrovo a trattenere una risatina «Non sembrerebbe.»
«Probabilmente non avrebbe nulla di male se non mi fosse arrivata una porta dritta in faccia.» Il suo tono stizzito mi diverte.
«Probabilmente non ti sarebbe arrivata una porta in faccia se avessi guardato dove mettevi i piedi.»
Mi guarda storto «Stai dicendo che è colpa mia se ho il naso in queste condizioni?»
«Assolutamente si.» Le sorrido sfacciatamente, questa volta non mi trattengo. Questo scambio di battute mi diverte, sta trasformando questo pranzo nel più erotico evento mai vissuto e voglio proprio sapere come proseguirà.
Di tutta risposta si sporge sul tavolo e col dito indice mi fa cenno di avvicinarmi, lo faccio ed abbasso lo sguardo sulla sua scollatura, da quest'angolazione riesco a scorgere il suo decolleté: non è troppo prosperoso, ma non mi lamento. È sempre un bel vedere.
«Avrei dovuto prenderti a calci sugli stinchi.» Alzo lo sguardo nel suo, ha gli occhi divertiti e trattiene a stento un sorrisetto Questa tipa è forte. Scoppio a ridere e lei mi segue a ruota scuotendo la testa, poi si alza «Beh, grazie della compagnia.» Sorride, prende il suo vassoio e, dopo averlo svuotato nella spazzatura lo ripone su un bancone.
È un piacere quando arrivano, ma un piacere ancora più grande quando se ne vanno. E cazzo, che piacere! Seguo con gli occhi il suo culo che sculetta verso l'uscita, è sodo e preme contro la gonna aderente. Lo fisso rapito. So che indossa un perizoma perché non si vede il segno degli slip attraverso il tessuto sottile. "Il tuo didietro è l'abbraccio di due Pringles" E mai nessuna citazione fu più adatta a questo contesto, ora capisco JD mentre fissava il culo di Elliot durante la loro prima conversazione.
Inspiro forte Oh no piccola, dopo questo non mi scappi! Mi alzo e la raggiungo rimanendo dietro di lei per godermi il panorama. E concentrato come sono non mi accorgo della strada che sta percorrendo…

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Capitolo 7
*** 7. EMILY ***


Mentre cammino a passo svelto per tornare in ufficio ripenso a quanto è appena successo: il Dio greco sceso in terra mangia nei fast food. Ok, manteniamo la calma Soprattutto voi, amici ormoni.
Mi mordo il labbro inferiore mentre nella testa ripercorro le sue azioni: le sue labbra che si appoggiano alla bottiglietta, il suo sguardo di ghiaccio che bruciava nei miei occhi senza lasciarmi via d'uscita, le sue lunghe dita affusolate che lentamente allentavano la cravatta… La definizione di sexy è stata scritta subito dopo la sua pubertà, ne sono certa. Tutto quel testosterone dovrebbe essere illegale, potrebbe mandare in overdose.
Quando gli ho fatto cenno di avvicinarsi avrei voluto allungare la mano e tirarlo per la cravatta, strappargli la camicia mentre le sue dita ruvide si facevano strada sulle mie cosce, stenderlo sul tavolo rovesciando a terra il pranzo e poi… Mugolo per l’eccitazione che monta dentro di me, ma poi scuoto la testa per risvegliarmi da quei pensieri. Dio, che caldo! Vorrei dare la colpa alla temperatura, più alta del previsto se si tiene conto che siamo solo a Marzo, ma sono consapevole del fatto che sono i miei ormoni impazziti a procurarmi questo calor.
Dal polso mi sfilo un elastico, raccolgo i capelli e li lego in una coda alta. Sento l’aria accarezzarmi la nuca e mi sento decisamente meglio.
Sono quasi arrivata alla Simmonds quando sento il trillo del mio telefono, lo prendo dalla borsa e lo sblocco: ho un messaggio di Nate.
Da Nate: Sta sera torno tardi, non aspettarmi.
Alzo gli occhi al cielo, poi sospiro e gli rispondo con un semplice Ok. Nate lavora in un ristorante ed i suoi turni sono infiniti ed assurdi, ci sono volte in cui torna a casa anche alle quattro del mattino per poi ricominciare alle dieci. Decido di inviargli un altro messaggio:
Da Emily: Tieni duro!
Sono di nuovo nell'atrio e saluto Trisha che ricambia il saluto con lo stesso sgargiante sorriso di questa mattina. È quasi accecante.
Mentre mi dirigo verso gli ascensori, e dopo averne prenotato uno, decido di scrivere a Brenda per informarla dello scoop di oggi, quindi apro la sua chat.
Da Emily: Non puoi immaginare chi sia disceso dall'Olimpo per mangiare da Subway oggi a pranzo!
Sorrido divertita immaginando la sua faccia dopo aver letto il messaggio. Si, sabato sera, dopo aver chiamato un taxi per tornare a casa, le ho raccontato dell'incidente e dell'incontro che ne è derivato, inutile che vi spieghi la sua reazione: e palesemente scoppiata a ridere come una dodicenne quando ha guardato bene il mio naso.
Il telefono mi informa che Brenda sta rispondendo, nel frattempo le porte dell'ascensore si aprono ed io entro leggendo il messaggio appena ricevuto.
Da Brenda: Sputa il rospo! ORA.
Sorrido ed alzo lo sguardo per trovare il tasto del mio piano, ma prima che possa farlo mi paralizzo: lui è qui.
Spalanco la bocca e lui stampa in faccia un ghigno compiaciuto. Che ci fa lui qui? Perchè? Gli ingranaggi del mio cervello si mettono in moto sfornando una domanda dietro l'altra, va in tilt senza che riesca a darmi una spiegazione. M'insospettisco, assottiglio lo sguardo e lo scruto minacciosa.
«Mi stai seguendo?»
Fa un passo verso di me, ha sempre quel sorrisetto impertinente.
«Allora?» Incrocio le braccia al petto e, spazientita, batto il piede a terra: voglio una risposta e la voglio subito, perché il mio cervello si è azionato per cercarne una da se. Quel che ne ricavo è il panico totale: Devo denunciarlo per stalking? Sono in pericolo? E se volesse rapirmi?
Il suo sguardo di fuoco brucia nel mio e non riesco ad essere realmente preoccupata per la mia incolumità, è così bello che ti viene da pensare che non possa fare male ad una mosca. Mi prendo a schiaffi mentalmente, Emily non farti incantare, è solo un bel faccino!
Con la mente torno al giorno in cui a Brenda è stato spezzato il cuore, è stato doloroso per entrambe, per lei soprattutto. Avevamo sedici anni e lei aveva appena iniziato ad uscire con questo ragazzo, Kaleb: affascinante peruviano dagli occhi nocciola e sorriso brillante. Si frequentarono per alcuni mesi, tanto che la cosa si stava facendo seria. O almeno così pensavamo noi innocenti ragazze dal cuore smielato, infatti pare che quello stronzo avesse in atto una scommessa secondo cui se fosse riuscito a prendersi la sua verginità gli avrebbero pagato birra per un mese. La birra valeva più della sua innocenza.
Beh, per fortuna l'abbiamo scoperto prima che il danno fosse fatto, ma da quel giorno non si è più fidata di nessun ragazzo, infatti esce con tutti e sta con nessuno. Per questo non bisogna mai abbassare la guardia, nemmeno coi bei faccini degli dèi olimpici!
Un altro suo passo verso di me fa si che io torni nel presente, agguanto subito la borsa.
«Non fare un solo passo o giuro che ti acceco, ho uno spray al peperoncino!» Mi trema la voce per la paura, non è spray al peperoncino, ma un normalissimo deodorante e spero che lui non si accorga del mio bluff. Non sembra per nulla intimorito, tant’è che fa un passo verso di me mentre io indietreggio.
Mette il broncio, ma dai suoi occhi vedo che è divertito «Scappi?»
«Sono seria!» Assumo un tono autoritario «Questo ascensore è solo per gli addetti, dovresti andare alla reception e farti indirizzare da li.» Tento di ragionare e trovare una soluzione, magari ha solo sbagliato strada.
«Sono certo di aver preso la strada giusta.» Come non detto. Cerca di trattenere un sorrisetto sulle sue labbra perfette, resto allibita davanti alla sua bellezza e quasi mi dimentico che sta ridendo di me.
Fa un altro passo, io indietreggio.
«Sicuro?» Mi fissa con quegli occhi bellissimi ed io non riesco distogliere i miei.
«Assolutamente.» Fa l'ennesimo passo avanti ed io finisco contro la parete, è difronte a me, molto vicino. Sento il calore che trasmette ed io ne sono attratta come una falena lo è dalla luce. In questo ascensore fa troppo caldo, la sua presenza sta invadendo il mio spazio.
Alza una mano e la appoggia sul mio viso, quel contatto fa esplodere un vortice di brividi che si espande in tutto il mio corpo. Le sue dita sono calde e la mia pelle gioisce a quel contatto, mi lecco le labbra lasciandomi scappare un sospiro e quel suono è come una sveglia, un campanello d'allarme. Mi riprendo da quel dolce incantesimo in cui questo folle mega fusto mi ha fatta crollare, sbarro gli occhi e mi scosto la lui, come se d'un tratto la sua presenza mi soffocasse.
«Cosa stai facendo!?» Sono arrabbiata con quest'uomo che si è avvicinato troppo e con me stessa per essermi lasciata incantare dal suo bel visetto. Mi torna in mente Nate e stringo forte gli occhi come se mi avessero tirato uno schiaffo, perché è così: mi stavo facendo abbindolare da un belloccio qualunque e quasi avevo dimenticato di avere un ragazzo, un ragazzo che mi ama, che ripone la sua fiducia in me e che di sicuro non si fa accarezzare in un ascensore da ragazze che il precedente sabato sera gli hanno sbattuto in faccia una porta.
Quando riapro gli occhi guardo il display che indica il piano in cui ci troviamo, siamo al sesto. Subito dopo torno a guardare lui e lo fulmino, cerco di ignorare le sue labbra che trattengono a malapena un sorrisetto. Ma che ha da ridere? Ed ora sono veramente infuriata. Gli punto un dito contro «Non osare mai più mettermi le mani addosso, oppure io-» La sua risata mi interrompe e resto allibita. Ride come un bambino ed è bellissimo, dannatamente stupendo, ma in questo modo non fa altro che farmi innervosire, aggrotto le sopracciglia e lo guardo male.
«Oppure tu cosa?» Mi canzona tra le risate mentre cerca di riprendere fiato. Mi fa piacere sapere che mi trova divertente, ma non sa davvero come io possa diventare dopo aver passato il limite. Mi avvicino a lui con uno sguardo assassino. Fottiti mega fusto!
Alzo il braccio per tirargli uno schiaffo, ma prima che possa arrivare al suo viso mi afferra per il polso e mi attira a se. La mia mano è sul suo petto e sento i muscoli sodi tendersi al mio tocco, sento battere il suo cuore. sembra un contatto naturale, ma non lo è: la mia mano è li per impedire un ulteriore contatto. Il suo viso è ad un naso dal mio.
«Non ci provare nemmeno, piccola.» Avvicina il suo viso al mio mento e ci fa scorrere la punta del naso fino a raggiungere il mio lobo, lo pizzica coi denti, come sabato sera aveva fatto con la mia mano, provocandomi lo stesso capogiro che mi fa trattenere il respiro mentre sento il suo fiato sul collo.
«So che sei attratta da me.» Sbarro gli occhi incredula. Stavo sospirando di piacere? Beh, ora mi viene solo da ridere, Bastardo presuntuoso che non sei altro! Mi dimeno per sganciarmi da lui e nello stesso istante in cui lo spingo via le porte si aprono alle mie spalle. Lo vedo sbattere contro la parete dietro di lui.
«Non osare mai più avvicinarti a me!» Lo minaccio, poi giro i tacchi per correre nel mio ufficio e lasciarmi alle spalle quello stronzo. Presuntuoso è l'ultima parola che sibilo  prima di chiudermi nel mio ufficio e concentrarmi sulle cose realmente importanti.

 

T A D A A A A A N !
In questo periodo sono veramente ispirata e non potrei essere più soddisfatta!
Inoooltre vorrei ringraziare tantissimo MeandIz per i suoi commenti, mi hanno resa molto felice e mi ha fatto molto piacere leggerli
KamiKumi

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Capitolo 8
*** 8. EMILY ***


Una volta raggiunto l'ufficio chiudo la porta sbattendola furiosamente alle mie spalle. Il tête-à-tête con quel presuntuoso mi ha fatta imbestialire Ma chi si crede di essere!? Sbuffo nervosa mentre mi siedo alla scrivania, mi accascio sulla sedia e chiudo gli occhi cercando di placare quella fastidiosa oppressione che sento nel petto: un misto tra rabbia e frustrazione. L'avrei lasciato fare se non fossi tornata in me?  È la domanda da un milione di dollari che mi rimbomba nella testa. In quel momento non pensavo a Nate, non ricordavo nemmeno chi fosse. Il mio cervello, il mio corpo ed ogni mia cellula era concentrata e puntava dritta verso il mega fusto, come se addosso avesse avuto un magnete ed io fossi la calamita che inevitabilmente sarebbe finita tra le sue braccia.
NO. Scuoto la testa e mi riprendo da quei pensieri che mi stanno sconvolgendo. Non l'avrei lasciato fare, io amo Nate. Lo amo e non gli farei mai una cosa simile, non mi lascerei avvicinare dal primo bel faccino incontrato in un locale. Inspiro forte, decisa a lasciarmi alle spalle questo spiacevole episodio. Addio Mega fusto, sei fuori dai miei pensieri a partire da ora.
Mi siedo composta sulla sedia e mi volto verso il computer accendendolo. È ora di concentrarsi, tra un'ora ho un appuntamente con Mr. Evans, il mio cliente importante del pomeriggio. È un inglese sulla sessantina con un pizzetto dalle sfumature bianche perfettamente tagliato e capelli altrettanto perfettamente ingellati. Il suo aspetto ed il suo accento marcato lo rendono un inglese DOC, e da buon inglese qual è gestisce una delle più grandi aziende mondiali di tè. Stupidamente scontato, non è vero? Dite di no? Cosa pensereste se vi dicessi che durante il nostro primo incontro ha preteso che alle cinque in punto gli fosse servita una tazza di tè caldo? Oh, si avete letto bene. Non so come io abbia fatto a non ridere davanti a tutto quell'orgoglio english, insomma sembrava un clichè fatto a persona!
Ad ogni modo, il mio caro capo mi ha affidato questo cliente in quanto mi considera una tra le sue migliori Art Director, ed è una cosa che mi ha resa molto fiera, anche perché questo non è un cliente qualunque: Mr. Evans può rovinare la tua reputazione con una sola parola,. Venderà pure banali tè, ma è un uomo molto influente e rispettato che sa il fatto suo.
Si, tanto influente e rispettato quanto confuso riguardo ciò che vuole da me. Ora vi spiego: durante un primo incontro col cliente il grafico deve prendere appunti riguardo ciò che lui desidera ed è una fase importante, perché in base a questo si stabiliranno le tempistiche per la realizzazione dell’elaborato. Beh, si è presentato chiedendo, e cito testuali parole: «Vorrei un foglio illustrativo che sia elegante, ma d'impatto.»
Mi ben era chiaro il fatto che non si trovasse nel suo campo, anche senza che mi spiegasse solitamente era la sua segretaria Cassy ad occuparsi di discutere con le agenzie, ma che purtroppo si ritrovava costretta a letto a causa di un brutto virus e che non se la sentiva di delegare un così importante compito ad una persona che non gli fosse fidata. Quindi, dopo essermi subita una lunga ed interminabile mezz'ora di chiacchiere a proposito di quanto fosse eccellente la sua fedele sottoposta, sono seguite due ore di pianificazione del prodotto durante il quale ho dovuto spiegare per filo e per segno tutto ciò che la nostra agenzia poteva offrire e chiarendo ciò di cui lui avesse bisogno, ossia: una campagna pubblicitaria per un evento di beneficienza sostenuto dalla sua benevola azienda. Insomma, un lavoro piuttosto semplice da definire, se solo avesse avuto le idee chiare.
Da quel giorno ci siamo incontrati parecchie volte e sono seguite diverse chiamate che portavano alla modifica, o all’aggiunta, di particolari e dettagli. È stato estenuante, ma ho tenuto duro per dimostrare a quel vecchio attempato che è il mio capo che la sua è stata una scelta eccezionalmete ponderata e che sono la persona giusta per la gestione di questo progetto. Tenere duro è valsa la pena: il giorno del giudizio finale è finalmente arrivato, pochè oggi presenterò il mio lavoro in maniera eccellente e quel vecchio inglese bastardo resterà così dannatamente soddisfatto che l’aggiunta di un nuovo grande successo sul mio curriculum avverrà a tempo record. Sono entusiasta ed impaziente. Ho i brividi per l’eccitazione.
Quando sposto lo sguardo sull'orologio sulla barra degli strumenti del computer noto che mancano solo dieci minuti alle tre e quindi è ora di prepararmi. Raccolgo tutto il necessario: le bozze, le prove colore, i definitivi e tutto il resto, faccio un profondo sospiro e mi avvio verso l'ascensore che mi porterà alla sala conferenze., tuttavia non appena vi metto dentro piede non penso agli eventi dell'ora prima, al contrario di quanto vi foste aspettati, perchè ho un obiettivo ben preciso e la mia concentrazione è focalizzata alla sua realizzazione. Sorrido a me stessa con fierezza. Vai a stenderlo, Emy!
 
La sala conferenze è un territorio comune per le due agenzie maggiori; la Xaviel, essendo la più piccola ne ha una propria. Quella in cui mi sto dirigendo è al nono piano, per cui il tragitto è breve.
Quando le porte si aprono faccio un passo ed il sorriso mi muore sulle labbra. La mia figura è perpendicolare all'asse sulla quale sono posizionati Mr. Evans e Mr. satana Blake che si stringono la mano. Una salda stretta di mano. Conosco quella stretta: significa che hanno appena concluso un accordo.
Ma stiamo scherzando!? Sono fuori di me. Quando cazzo è successo? Ho sempre tenuto tutto sottochiave e, a parte me ed il capo, solo Kyle sapeva di questo cliente.
E poi ho un Flash.
Questa mattina il fronte nord ci ha attaccati. Ci hanno fottuto il cliente da sotto il naso ed io non ho fatto niente per impedirlo. Il signor Simmonds mi farà il culo a strisce, non importa che io sia la sua prediletta: se il miglior cliente in piazza gli viene fottuto sotto il naso dal nemico, lui sgancerà la bomba più grande e non ne verrà fuori nulla di buono. Questo pensiero fa si che io recuperi le mie metaforiche palle interiori e prenda la carica.
A passo deciso percorro il corridoio che mi porta verso i due uomini in completo. Adesso mi sente!, ma mentre preparo mentalmente la mia ramanzina una mano mi afferra per il polso, arrestando così la mia marcia e dissolvendo tutto il coraggio che ogni passo mi aveva infuso.
Mi volto infuriata, pronta anche a prendere a pugni chiunque abbia avuto l’audacia di placcarmi in questo modo, finchè mi trovo davanti agli occhioni dispiaciuti del mio collega Kyle e non posso fare a meno di addolcirmi.
«Mi spiace Emy...» Dice subito lui in un sospiro rassegnato scuotendo la testa. Sto per aprire bocca e rassicurarlo dicendogli che non è importante anche se non è vero e mi sono fatta il culo per questo cliente. I Blake sono avvoltoi e non è colpa di nessuno. «Volevo parlartene a pranzo, in modo tale che fossi preparata, ho passato la mattinata cercando di rimediare a questo guaio, ma quando ho bussato al tuo ufficio eri già uscita.» Sospira ed io resto in silenzio «Mr. Simmonds ci ucciderà.»
Vorrei rassicurarlo, tuttavia sappiamo entrambi che ha ragione: il signor Evans era un mio cliente e sta mattina era il suo turno per la ronda, per cui siamo inevitabilmente nei guai. Poso una mano sulla sua spalla e sorrido per incoraggiarlo, fingendo una calma che non mi appartiene, perché in realtà sono un turbinio di rabbia trattenuta a stento e che sfogherei volentieri sull'invasore che mi ha portato via un mese di sudato lavoro.
«Quindi ce l'hanno soffiato, eh?» Ho un tono rassegnato, ma l'irritazione è palpabile. Inspiro rumorosamente passandomi una mano tra i capelli.
«No, non ce l'hanno soffiato.» Il suo sguardo cupo non è coerente alle parole che ha pronunciato, perché dalle mie parti questa frase è portatrice di una notizia grandiosa. Una notizia fantastica! Solo… perché non è entusiasta? Cosa non ho capito?
Glielo domando, ma proprio quando sta per darmi una risposta, odo alle mie spalle una voce pronunciare il mio nome. «Eccola qui! La mia cara Miss. Mayton!» È Mr. 'Traditore' Evans.
Ah, avete notato la mia tendenza a dedicare soprannomi alle persone? Aiutano a rendere tollerante l'odio nei loro confronti ed allo stesso momento a sfogarlo. Abituatevici, non è un vizio che perderò tanto presto.
«Siamo pronti a cominciare?» Il suo sorriso affabile incorniciato dai ciuffi di barba perfetti mi infondono fiducia e ricambierei con sincerità, se solo alle sue spalle non ci fosse Mr. Satana. Mi limito semplicemente ad annuire, domandandomi il perché della sua insistente presenza, ignata del fatto che i miei interrogativi riceveranno presto una risposta.
Mr. Evans si fa avanti per fornirmi una spiegazione mentre lo guido verso la sala conferenze, lasciandoci Kyle alle spalle «Questa mattina ho ricevuto una fantastica proposta dal gentilissimo Mr. Blake...» Quel nome ribolle sotto la mia pelle irritandomi. Gentilissimo un corno! «Ed ho quindi deciso di dar loro una possibilità.» Mi sorride come se mi stesse parlando di qualcosa di ovvio, ma proprio non ci arrivo Dove stai andando a parare, vecchio? Vorrei mandargli un'occhiataccia minacciosa per fargli sputare il rospo, ma devo fare buon viso a cattivo gioco. Quando spalanco le porte in legno scuro della sala finalmentecapisco: «È per questo che ho deciso di far presentare ad entrambi le proprie proposte. Quella più d'impatto sarà la decisiva.»
Davanti a me, di spalle, c'è la figura familiare di un uomo alto e posato che quando si volta mi rivolge un sorriso bastardo «Che vinca il migliore!» Esclama col suo accento inglese, diventato più fastidioso ad ogni frase da lui pronunciata. Ma si Mr. Evans, puoi scommetterci il culo che vincerà il migliore.





 
S A L V E  D I  N U O V O !
Cavolo, in questo periodo sono felicemente ispirata ed è fantastico se penso che per mesi ho avuto un blocco cosmico che mi ha impedito di portare avanti la storia.
Ad ogni modo se state leggendo il mio commento vi ringrazio, perchè significa che avete letto anche questo capitolo e state contribuendo a rendermi felice.
Se vi va sono sempre ben accetti i commenti!
Un abbraccio,
KamiKumi!

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Capitolo 9
*** 9. DUKE ***


Quando sento la porta della sala conferenze aprirsi alle mie spalle mi volto sfregando le mani, pronto a conquistare il vecchio Mr. Evans con tutte le mie incredibili capacità, eppure mi ritrovo a fissare sorpreso la piccola figura di Emily posta esattamente di fronte.
Guardatela, la vedete anche voi? È li in piedi sulla soglia della porta con i capelli arruffati e qualche ciuffo ribelle che sfugge alla stretta dell'elastico. I suoi occhi smeraldo sono sgranati per la sorpresa, ma le sopracciglia sono aggrottate per il disappunto; le guance arrossate per l'esasperazione e le labbra, le sue perfette labbra carnose, strette in una linea dura per la rabbia sono gli ingredienti finali per quel look da pazza tipico di una a cui manca poco per commettere un omicidio. L'ho vista tre volte ed è già un libro aperto: le sue emozioni traspaiono dal viso e non può fare nulla per nascondermele.
Per Dio, guardatela! Me la scoperei su questo tavolo, lei e la sua rabbia. E non m'importerebbe un cazzo se gli altri ci dovessero guardare.
Osservo il suo volto corrucciato: l'espressione sconvolta mi da una grande soddisfazione, sono divertito e questo mi fa venire voglia di torturarla incessantemente. Torturarla in modi diversi... immagini di come potrei farla sdraiare sul questo tavolo, aprirle la lampo per far scivolare il suo vestito lungo la vita e poi lungo le cosce mi appaiono nella mente. Fantastico su come le lascerei una lunga scia di baci umidi lungo il collo fino al seno, le prenderei il capezzolo il bocca e lo succhierei piano, facendo scivolare l'altra mano sul suo fianco fino a raggiungere la sua fessura. La sentirei mugolare piano, nel vano tentativo di reprimere il piacere per il solo scopo di farmi disperto e poi arrendersi alla supplica, implorando di ricevere più di leggere carezze. Smonterei la sua maschera di rabbia per mettere in mostra un'espressione di estasi e piacere e la torturerei, la torturerei in questo modo all'infinito.
Mi inumidisco le labbra, mentre il mio cazzo si è sveglia per la terza volta nella giornata e poi impreco perché fremo dalla voglia di scoparmi questa donna maledettamente sexy. Sarà una dura impresa, non l’avrei mai detto sabato sera, quando l’ho incontrata al pub, ma al contrario di quanto credessi è un tipetto dal carattere tenace. So che è attratta da me, lo vedo, lo sono tutte, ma c’è qualcosa che la frena dal buttarsi nel mio letto. Ma cos’è questa cosa? Lo scoprirò e ti scoperò. Prometto, non so se a lei o a me stesso. La certezza che ho però è la presenza di un ghigno bastardo sulle mie labbra. E sono così sicuro perché il mio sguardo è posato sul suo, che mi sta fulminando mentre la fisso avidamente, senza alcun riguardo, senza alcun riguardo.
Dopo aver scambiato qualche parola col nostro cliente si dirige verso di me insieme a lui. Tendo la mano a Mr. Evans e lo saluto.
«Credo sia il caso di passare alle presentazioni.» Guarda la ragazza e sta per presentarla, ma il suo orgoglio lo precede.
«Emily Mayton, dalla Simmonds&Co.» Mi offre la mano educatamente ed io la afferro, la stringe forte, ha una presa salda, ma a me viene da ridere, perchè so già chi è, e mi riferisco all’ambito lavorativo: questa mattina al mio collega Carlos Gomez è giunta voce che la Simmonds si era accalappiata un gran bel cliente e nel pomeriggio si sarebbe presentato per dare l’approvazione per delle bozze. Senza perdere tempo a mettermi al corrente della decisione si è adoperato per scoprire chi si stesse occupando di lui e, dopo aver fatto irruzione nel suo ufficio, gli ha rubato il briede gliel’ha soffiato. È stato come rubare le caramelle ad un bambino. Ad ogni modo, il mio collega mi aveva riferito il nome della ragazza a cui era affidato il progetto 'Evans', ma non avevo idea che la famigerata Emily fosse lei, fino al momento in cui l'ho vista.
«Sono Duke Worten, dalla Blake.»
«Bene.» Sentenzia lei acida mollando la presa, passando a fissarmi truce.
«Bene.» Ripeto io ricambiando lo sguardo, trattenendo a stento un sorriso.
«Bene!» Interviene Evans, interrompendo il nostro scontro visivo «Direi di far cominciare la signorina, no? Siamo gentiluomini.» Sorrido alle sue parole, ripensando a ciò che è successo solo poche ore fa da Subway, e annuisco concordando con lui.
 
Mente Emily prepara il necessario per presentare il suo progetto la osservo: è agitata e si nota dal tremolio leggero delle sue mani e dai suoi incessanti sospiri. Dalla tensione che emana non sembra essere affatto all’altezza delle voci che mi sono giunte sul conto della famosa Emily Mayton. È impacciata e mi viene quasi voglia di raggiungerla per darle una mano, invece resto seduto sulla mia sedia nel mio lato del tavolo e la osservo, senza fare altro.
«Sono pronta.» Prende un ultimo profondo respiro, per poi cominciare con l’esposizione del suo lavoro. Se inizialmente ero scettico ora mi ritrovo a dovermi ricredere, poiché resto veramente colpito dalla semplicità, dall’eleganza e dall'impatto che il suo progetto offre: è intuitivo coinvolgente, serio, e per nulla noioso.
Mentre parla sento trasparire dal suo tono l'orgoglio e la gioia per quello il suo lavoro. Non sono molte le persone che vivono con passione la propria professione, ma a lei piace e si vede. E piace anche a Evans, che ha un'espressione soddisfatta stampata sul suo vecchio e rugoso viso decrepito, ma il mio lavoro non sarà da meno; ho avuto solo mezza giornata per preparare il necessario, Carlos mi ha aiutato e con una buona organizzazione siamo riusciti a realizzare un prodotto eccellente che darà del filo da torcere alla mia concorrente.
Conclude la sua presentazione e mentre lei raccoglie le sue cose un foglio le scivola di mano, si piega a raccoglierlo ed il mio sguardo si fionda sull'arco della sua schiena per scorrere fino alla curva del suo culo e Cristo, è una visione paradisiaca. Ok, a questo punto è palese la mia passione nei confronti del lato b, ma diavolo, sono fantastici.
Ragazze capitelo: culo batte tette. È un dato di fatto, quindi smettetela di farvi paranoie a proposito di quanto sia piccolo il vostro décolleté, un culo bello sodo sconfigge qualsiasi davanzale. Sul culo si può lavorare sulle tette no, accettatelo ed il mondo diverrà un posto magnifico. Ma il suo culo è il culo, è definitivo e ne ho visti di culi io, ve lo assicuro! Sembra modellato a mano direttamente dal dio dei culi. Bisognerebbe sacrificare capretti su un altare di pietra in onore di questo culo e venerarlo, Cristo. 
Scatto sull'attenti insieme al mio cazzo e la raggiungo infondo al tavolo. Deve aver percepito la mia presenza perché si volta immediatamente e si irrigidisce mostrandomi ancora una volta il suo sguardo glaciale, che io ignoro. Le faccio i miei complimenti.
«Non riuscirai a fare di meglio.» Ribatte sicura di se.
Mi porto una mano al petto e fingo un'espressione sofferente «Piccola, così mi ferisci.»
Alza gli occhi al cielo «Vediamo di cosa sei capace, Worten.» Il mio cognome sulle sue labbra suona sexy, anche quando se pronunciato con disprezzo. Mi sorpassa dandomi una spallata Oh, davvero matura, piccola. Scuoto la testa divertito osservandola mentre si mette comoda, incrocia le gambe e poi le braccia al petto, solleva un sopracciglio e rimane in attesa, con aria di sfida. Se mi avesse lanciato un guanto io l’avrei afferrato al volo.
«Cominci pure.» Mi intima Evans, il mio capo di fianco a lui mi fa un occhiolino, che trovo profondamente inquietante.
Ad ogni modo, mi preparo ad esporre il progetto. Non ho bozze o prove colore, non ho avuto tempo di elaborare tutto quel materiale, al contrario di Emily, tuttavia mi basterà essere tanto sicuro di me ed essere tanto persuasivo da convincere quel vecchio bacucco che ciò di cui ha bisogno sono i miei lavori. Esattamente, perché il questo ambito non basta essere creativi ed intuitivi, bisogna agire di presunzione. Essere superbi, arroganti per far capire al vostro cliente che sapete cosa state facendo e che lo state facendo bene, che con voi avrà una sicurezza che altri non possono assicurargli. Bisogna incantarli, abbindolarli come bambini ad uno spettacolo di magia ed è li che li avrete in pugno, saranno vostri.
Inizio con una rapida spiegazione del motivo per cui ho voluto impostare in quel modo i vari elementi e rispondo alle varie domande di Mr. Evans mentre sento su di me lo sguardo di Emily, mi scruta da sotto le sue folte ciglia e mi chiedo cosa ne pensi, ripetendomi mentalmente che l’unico motivo per cui mi sto ponendo il quesito è legato al fine ultimo di demolire la sua autostima ed ottenere questo cliente per segnare una nuova spunta sul mio curriculum.
Quando concludo Evans batte le mani, predi e porta a casa Mayton «Eccellente lavoro, Mr. Worten.» Si alza dalla sedia e mi fa cenno col dito indiece di avvicinarmi, fa il giro del tavolo e si posiziona accanto a Emily appoggiandole una mano sulla spalla. La vedo irrigidirsi a disagio ed io fisso quella mano, che se potessi spezzerei con la sola forza dello sguardo. Quando li raggiungo e mi ritrovo al fianco del vecchio posa l'altra sulla mia spalla. La guardo, guardo lui e poi Emily. Cosa succede?
Segue un momento di silenzio imbarazzato in cui la tensione è palpabile; tutti aspettiamo il resoconto di questo vecchio e la presenza del mio capo, per quanto silenziosa, non fa che rendere tutto più inquieto.
Esordisce con un «Ragazzi, siete stati entrambi molto bravi.» Dopodiché si diletta in un soliloquio a proposito di quanto la collaborazione sia importante e, mano a mano che questo discorso avanza, lo sguardo di Emily si fa sempre più terrorizzato. Probabilmente abbiamo entrambi capito dove questo vecchio voglia andare a parare. «Si, siete stati entrambe veramente bravi. Proposte eccellenti.» Soddisfatto si accarezza i baffi con le dita «Credo possiate rielaborare il progetto sfruttando l'uno le capacità dell'altro.» Non appena conclude la frase un trio di voci si unisce a creare un coro unico dal tono che spazia dallo stupito all'indignato.
Ci spiega che i nostri progetti sono complementari e che gli farebbe molto piacere se riuscissimo ad integrarli. Emily è la prima ad intervenire: «Mr. Evans, apprezzo le sue parole, ma temo che una collaborazione sia impossibile.» La sua voce trema, so che è infuriata e che si trattiene a stento e questo mi diverte da morire.
«Mi trovo d'accordo con la signorina.» Il mio capo si unisce alla conversazione, appoggia una Simmonds? «Questa collaborazione non s'ha da fare.» Questo vecchio coglione, che di solito non riesce neppure a pensare di fare qualcosa di diverso dal leccare il culo al cliente, oggi si sente spavaldo decidendo di opporsi. Fuck anarchy, per il nostro ribelle Mr. Blake! Il suo odio nei confronti della Simmods devono essere tanto profondi e radicali da spingerlo a rinnegare i propri princìpi… Mentre mi perdo nei miei pensieri, però, Emily annuisce d'accordo con lui, riportandomi alla realtà. Mi odi così tanto, piccola?
«Io mi trovo d'accordo con Mr. Evans.» Quattro occhi mi fissano truci, ma non mi faccio intimidire ed espongo la mia tesi: «Questa collaborazione potrebbe portare vantaggi, sia per noi come agenzie sia per il nostro caro cliente.» E per enfatizzare do una pacca sulla spalla del vecchio uomo inglese sorridendo smagliante ad Emily, che invece continua a fulminarmi. Si, ho deciso che la torturerò.
«Bravo ragazzo!» Esclama Evans entusiasta «Allora è deciso, grazie ad entrambi. Ci sentiremo presto per gli aggiornamenti.» Anche lui mi tira una pacca sulla spalla, dopodiché fa avvicinare Blake ed insieme escono dalla stanza discutendo.
Ora siamo soli, io e lei.
La guardo, ma lei mi evita. Sta rimettendo frettolosamente e disordinatamente i fogli nella valigetta.
«Rischiano di rovinarsi.» Allungo una mano verso di lei, che si allontana di scatto puntando un dito contro contro il mio petto. Alzo gli occhi al cielo. Di nuovo? È odioso
«Non toccarmi e non avvicinarti.» Mi mincaccia. Il tono della sua voce è alto, fatica a stare calma, fuma di rabbia e sembra… frustrata. Piccola, hai bisogno di rilassarti, e vorrei davvero dirle queste parole per poi sentirla mentre si ammorbidisce tra le mie braccia.
Penso ai mille modi in cui potrei far sciogliere il fascio di nervi che è questa ragazza e mi ritrovo a mordermi il labbro per tornare alla realtà e distogliere i pensieri dalla via che avevano preso, per l'ennesima volta. Faccio un passo verso di lei. che a sua volta ne fa uno all'indietro, finché si trova contro il tavolo. In trappola.
Non ha scampo e so che ne è consapevole, qualsiasi mossa lei faccia potrei fermarla, quindi sta ferma e mi fissa a testa alta, con aria di sufficienza. Muovo un altro passo ed Emily si tira indietro col busto.
«Vuoi diventare parte integrante del tavolo?» Rido delle sue reazioni alla mia presenza, lei sbuffa e quando la prendo per i fianchi, per inchiodarla al tavolo, sobbalza. Sento tra le dita la morbidezza della sua vita sottile ed inspiro per la soddisfazione, perché finalmente ho un contatto col suo corpo, seppur minimo. Lei posa le mani sulle mie braccia e le fa scorrere lentamente fino alle mie spalle, si morde il labbro ed avvicina il viso al mio. Centro, Duke! Non manchi un bersaglio! Faccio interiormente il tifo per me stesso mentre mi sporgo verso di lei. Quando siamo ad un palmo l'uno dall'altro le sue labbra si schiudono ed è in un flebile sussurro che pronuncia:
«Fottiti, Worten.» Mi spinge lontana da se, come ha fatto poche ore fa nell'ascensore. È una spinta decisa ed io non me lo aspettavo, credevo di averla in pugno, di averla sedotta.
Barcollo all'indietro rischiando di cadere, questo da a lei un ampio margine d'azione e ne approfitta quindi per correre verso la porta. Prima di uscire urla un plateale «Vaffanculo, porco bastardo, non lavorerò mai con te!» per poi andarsene sbattendo la porta. Un po' come fanno tutte, ma con un contesto diverso.
Resto in quella stanza come un fesso a guardare la porta dietro cui Emily è sparita, sorrido di me stesso Un altro epiteto da aggiungere alla lista.

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Capitolo 10
*** 10. DUKE ***


Quando raggiungo il mio ufficio al decimo piano Carlos mi aspetta appoggiato allo stipite della porta, le mani intrecciate dietro la testa e il sorriso beffardo stampato in faccia. Lui è il mio collega più fidato e nonostante lavori qui alla Blake da soli due mesi si è fatto strada tra i migliori scavalcando chiunque si mettesse sulla sua strada. Insomma, si può dire che sia un tipo che sa il fatto suo.
Come l'ho conosciuto? Beh, questo è divertente: una mattina, imboccando il corridoio che mi avrebbe portato al mio ufficio, col mio solito caffè bollente in mano (la giusta dose necessaria ad affrontare la giornata) ed una notte insonne alle spalle, rischio di ustionarmi nel tentativo di evitare una graffettatrice diretta contro di me. Sollevai lo sguardo con fare infuriato, pronto a sbraitare contro chiunque avesse lanciato quell’oggetto contundente, quando mi ritrovai davanti alla scena di Carlos alle prese di schivare tutti gli oggetti da scrivania di Catherine. Chi è Catherine? È una delle poche donne presenti nella nostra azienda, un tipetto tutto pepe che non si fa mettere i piedi in testa, una con le palle e che non si fa incantare da nessun ometto arrapato qua dentro. È forse per questo motivo che, fino a quel momento, aveva resistito tanto a lungo. Ad ogni modo non è una tipa solita a perdere le staffe, ma quella volta fu memorabile: i suoi capelli scarmigliati lasciavano intendere che avesse passato più volte le mani tra i capelli a causa dell'esasperazione nel tentativo di non superare il limite. Il volto era infuocato per la rabbia, fumava per via delle urla trattenute a stento. Fino al momento in cui una parola di troppo da parte di Carlos scatenò l’inferno. Fu una scena piuttosto divertente, ma cosa la causò? Carlos è chiaramente un ragazzo giovane, talentuoso ed affascinante, ha senza dubbio successo tra le donne e questo successo è senza dubbio dovuto al suo carattere vivace e coinvolgente, tuttavia ha anche dei difetti: non ha peli sulla lingua. Si è presentato nell' ufficio di lei, con fare spavaldo, iniziando ad elencare i motivi per cui il suo ultimo progetto fosse stato rifiutato dal cliente e quali falle avesse.
Ecco si, forse la reazione di Catherine non sarebbe stata così violenta ed impulsiva se lui avesse usato le mie parole. Lui ha preferito abusare di un linguaggio tutt'altro che aulico dandole tra l’altro dell'incapace.
Ciò che ne è seguito è stato il trasferimento di Catherine su un altro piano, lontano da Carlos; per quanto riguarda lui, beh, l'ho preso in simpatia ed ho deciso di accoglierlo sotto la mia ala, di addestrarlo per diventare il numero uno. Da quel giorno sono stato il suo mentore e nel giro di due mesi non avrei potuto fare lavoro migliore: è geniale ed intuitivo, più giovane di me di due anni, ma sa come farsi rispettare.
Mi rivolge un'occhiata complice «Allora, è tuo?» Si sposta per farmi aprire la porta e mi segue nell'asettico ufficio, in cui l'unico tocco di colore è dato dai mobili in legno scuro. È elegante ed essenziale, come piace a me.
«No, ancora meglio.» Mentre gli rispondo si accascia sulla sedia dietro la scrivania, posando gli avambracci sugli appoggi. Io mi lascio cadere a peso morto sulla poltrona all'angolo della stanza «Da oggi collaboro con la Simmonds.» Sono consapevole di avere stampato in faccia un sorriso a trentadue denti, forse è per questo che lui inarca il sopracciglio. Dev'essere confuso dal mio entusiasmo, per cui decido di dargli una spiegazione. «Hai presente la tipa a cui abbiamo rubato le informazioni sul cliente?»
Annuisce «È una gran figa.» A quel punto percepisco la chiarezza sul suo volto. È come se tutto prendesse senso con una donna di mezzo. Il mio amico mi capisce, solo che Emily è più di questo. Lei è una fottuta dea. È geniale, buffa e testarda. Mi rivolge un sorriso complice «Te la scoperai?» Inizia a giocare con la sedia facendola girare da destra a sinistra e viceversa.
«Lo spero.» Alzo le gambe per posarle sul tavolino da caffè ai miei piedi. Lo spero? Cristo, ho voglia di scoparmi quella ragazza come un dodicenne arrapato si scoperebbe Sasha Grey. Il mio cazzo è anora in dormiveglia per la visione del suo culo e so che una volta a casa mi toccherà fare una doccia fredda. Gelida.
Sono sovrappensiero, la sto immaginando mentre ancheggia su e giù per il mio urlando per il piacere che solo io le posso far provare; sono così preso che quasi non mi accorgo di Carlos che se ne sta andando, fino al momento in cui mi saluta.
«Ciao segaiolo!» Mi urla da dietro la porta, scoppio a ridere.
«Fottiti Gomez!»
 
Guardo l'orologio da polso e sospiro notando che la mia giornata lavorativa è quasi giunta al termine, decido di impiegare l'ultima mezz'ora annotando su un foglio ciò che Mr. Evans ha richiesto per il progetto definitivo. Sono entusiasta all'idea di lavorare con Emily, sorrido pensando ai modi in cui la tormenterò fino allo sfinimento.
A fine giornata spengo il computer con un sospiro e mi sgranchisco i muscoli, poi esco chiudendo l'ufficio per entrare in ascensore ripensando alla sorpresa di poche ore prima, quando l'ho vista entrare nello stesso palazzo in cui ero diretto io, e prendere addirittura uno degli ascensori di servizio Chi l’avrebbe mai detto?
Una volta arrivato in atrio passo davanti a Trisha. Strana donna: sorride a tutti meno che a me e non ne capisco il motivo, tutte le donne mi adorano. Che le abbia fatto qualcosa e quindi ce l'abbia con me? Prendo l'elenco mentale delle donne che mi sono fatto, ma il suo volto, o qualsiasi altra parte del suo corpo, non compare.
Faccio spallucce. Sarà che semplicemente le sto sul cazzo, ma non sa cosa si perde lei a non stare sul mio. Beh, cos'è quella faccia? Avete sempre saputo quanto io fossi presuntuoso e fiero delle mie capacità, non stupitevi ogni volta.
Imbocco le scale che portano al parcheggio sotterraneo del palazzo e, dopo aver raggiunto la mia auto, mi ritrovo in pochi minuti imbottigliato nel traffico di Manhattan.
 
Dopo quaranta strazianti minuti di esasperazione ed insulti sono finalmente a casa. Non appena parcheggio l'auto non perdo tempo e mi fiondo verso la porta del mio appartamento, abito in un palazzetto di tre piani, una casetta tranquilla; mi piace qui, i vicini sono persone simpatiche e si possono tenere animali. Infatti non appena infilo la chiave nella toppa sento i miagolii della mia gatta, Josie.
Non faccio in tempo a fare un passo dall’anticamera verso corridoio che me la ritrovo a strusciarsi sulle mie gambe, le sorrido subito: è l'unica femmina a cui concedo un simile contatto senza esserci andato a letto.
Mi chino verso di lei per farle i grattini sotto l'orecchio, inizio subito a sentire le sue fusa sotto il morbido manto bianco, ma quando mi stacco mi rivolge contro i suoi occhioni verdi e non resisto, questa gatta viziata è l'unica ad avermi in pugno, la prendo in braccio per portarla in cucina, riempio la sua ciotola di cibo, lei ci si avvicina, la annusa e se ne va. Alzo gli occhi al cielo. Gatti, siate dannati.
Rinuncio a capire cosa voglia quella peste bipolare e mi prendo dal frigo una bottiglia di birra, mi appoggio al bancone della cucina, la stappo e ad occhi chiusi butto giù un lungo sorso, assaporandola. Sento la tensione sciogliersi e mi abbandono a questo momento di relax, almeno fino al momento in cui sento il telefono trillare. Lo controllo e faccio una smorfia di fastidio vedendo l'immagine della persona che mi ha scritto: è una bionda tettona che mi sono fatto qualche settimana fa e che, per quanto io continui ad ignorarla, non demorde. Per fortuna non l'ho portata a casa, altrimenti sono certo che me la sarei ritrovata sulla porta come una pazza. Diavolo, non so nemmeno come abbia il mio numero.
«Hey Dukino!»
Ignoro il messaggio.
Donne. Se un uomo prima di scoparvi specifica che quello che sta per accadere non si ripeterà non insistete affinché si ripeti. Talvolta siete delle fottute sanguisughe: cercate di attaccarvi ad un uomo per avere una relazione, quando l'unica cosa a cui dovreste attaccarvi è il suo cazzo. E solo allora, se sarete abbastanza degne di nota, potrebbe decidere di concedervi un'altra notte. E basta. Non insistete, diventereste patetiche.
E poi Dukino, ma che nomignolo è? Mi arriva subito un altro suo messaggio, e mi chiedo perché debba assillarmi in questo modo.
«Piccolo, ci vediamo questo weekend?»
Piccolo? Oh, baby, di piccolo io non ho proprio niente. Esasperato apro la chat per risponderle che no, non ci vedremo nè questo weekend nè i seguenti, ma mentre digito il testo lei invia una sua foto di schiena allo specchio. Nuda.
Il mio cazzo si stiracchia ed apprezza. Sul suo fondoschiena, tra le fossette di venere, ha scritto la frase Fuck me  ed il mio nome sulla chiappa destra. Che dire? Ovviamente ci ripenso, quel culetto sodo è tutto da mordere ed io non me lo faccio scappare.
DUKECerto piccola, mandami la posizione. Vengo venerdì sera da te.
Vi giuro che, mentre scrivo, non mi rendo conto del doppio senso. Mi risponde con un'altra foto: lei, sul suo letto, il viso premuto contro il materasso, le labbra rosee sono trattenute tra i denti, gli occhi chiari e seducenti, il seno prosperoso visibilissimo nonostante sia schiacciato sotto al suo corpo e, dulcis in fundo, la schiena inarcata forma una curva perfetta che seguo con lo sguardo fino ad arrivare a quella del suo culo. Posizione apprezzabile. Mi immagino dietro di lei, le mani strette sui suoi esili fianchi, mentre affondo il mio cazzo dentro di lei spingendo forte e schiaffeggiare la sue chiappe mano a mano che aumento il ritmo, fino a perdere il controllo.
Mi accarezzo il fallo da sopra i pantaloni e chiudo gli occhi fremendo, devo farmi una sega. Subito. Sento la pressione dei continui alzabandiera della giornata, ce l'ho duro come il marmo a causa di Emily.
Con queste parole nella mente torno al mio piccolo angolo di paradiso: i pensieri deviano presso il corpo divino di Emily e mi rendo conto di pensare più che altro con l'uccello, ma hey, come dargli torto? Abbiamo già parlato del suo culo e sappiamo a quali conclusioni siamo giunti quindi non giudichiamolo, ok? E parlando del mio pene, beh, ha deciso che lei sarà il prossimo obiettivo. Probabilmente nella mia zona pelvica è stato installato un radar ad ultrasuoni che lo sveglia ogni volta che quella ragazza si fa largo nei miei pensieri, altrimenti non mi so spiegare queste reazioni da adolescente arrapato.
Rispondo alla tipa con sporche parole di apprezzamento e lei continua a mandare altre sue foto, che certamente non rifiuto. La incito, eccitandomi sempre di più.
Apprezzo il sesso in chat, ha i benefici di una scopata senza le conseguenti coccole e tutte quelle cazzate che le donne vogliono dopo. Vi chiedete perché non ricambio con delle mie foto? No, non sono timido, pensavo si fosse capito ormai. Semplicemente non sono una troia che lo mostra in giro a chiunque. Ce n'è per tutte, si, ma se siamo lontani da apparecchi dotati di fotocamera. Non ci tengo a vedere il mio uccello spiattellato in qualche social o sito porno.
Quando ero alle superiori è capitato ad un mio compagno di corso. Si scopava un sacco di ragazze, come me d'altronde, ma la prudenza non era nella sua indole e mandava sue foto a tutte quelle che si faceva. Beh, può essere che un paio di queste presunte ragazze fossero fidanzate ed avessero fatto le corna al proprio fidanzato andando con lui. Può essere anche che quest'ultimo, geloso e possessivo, si sia trovato un cazzo estraneo sul telefono di lei mentre lo controllava di nascosto e che per vendetta l'abbia fatto finire ovunque... Ecco questo non è ciò che voglio per il mio pene.
La tipa continua a mandarmi foto e, mentre Josie mi fissa con menefreghismo, io mi slaccio i pantaloni dirigendomi verso il bagno. Sembra mi stia giudicando e lo farei anche io, ma magari più tardi, perché ora sto facendo scorrere la mano lungo la mia asta sotto il getto della doccia, attento a non bagnare il telefono.
L'ultima immagine che mi manda la rappresenta sdraiata a pancia in su, vista dall'alto, una mano che si stringe il seno, le gambe aperte lasciano spazio alla sua fessura liscia e bagnata, pronta ad essere scopata. Aumento la presa sul mio cazzo, lo sfrego più velocemente e, nonostante il corpo che ho guardato nell'ultima mezz'ora fosse di una bionda tettona abbronzata, la ragazza a cui penso prima che la vista mi si annebbi per l'intensità dell'orgasmo è: «Emily...»

 




D I E C I.
Incredibile, ma vero.
Sono felice di come stia proseguendo la storia e soprattutto di sapere che il riscontro è positivo, ho ricevuto molti commenti a cui sono stata più che felice di rispondere!
Ringrazio nello specifico Iloveryuga e Kaname97, siete adorabili!
Spero vi piaccia anche questo capitolo e vi saluto
A presto!
KamiKumi
 

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Capitolo 11
*** 11. EMILY ***


Alla fine ieri notte non ho chiuso occhio, mi sono rigirata nelle coperte per ore continuando a pensare a Duke, cioè al fatto che dovrò lavorare con lui, intendo.. Continuando a pensare a come mi sia lasciata soffiare un progetto così succoso come se nulla fosse e senza poter fare niente per riconquistarlo. Quando Nate è rientrato e si è buttato nel letto ho finto di dormire, non avevo voglia di parlare e tenerlo sveglio più del dovuto, di fatto è crollato non appena ha toccato il materasso.

Al mio risveglio ho sorriso trovando sul tavolo, in cucina, una fetta di torta alle mele rubata al suo ristorante, è la mia preferita. L'ho mangiata con gusto e me la sono goduta, mi ha fatto iniziare bene la giornata.

Prima che io uscissi stava ancora dormendo profondamente, per fortuna il martedì è il suo giorno libero e può riposarsi "Se dovesse svegliarsi presto potremmo mangiare insieme" e questo è l'ultimo pensiero che riesco ad elaborare, sto lavorando e sono concentratissima, fino a che una chiamata mi interrompe. E' Trisha dalla reception.

« Miss Mayton, è desiderata nell'ufficio di Mr. Simmonds » Che dire? L'ansia fa breccia nel mio corpo e mi faccio prendere dal panico. Mi sento come quando, a scuola, venivi chiamato per andare in presidenza, stessa sensazione: ansia crescente, gambe che tremano, subbuglio nello stomaco e la consapevolezza di aver fatto qualcosa di sbagliato. Ed io so cosa ho combinato..

Lavoro qui da un anno e non sono mai stata richiamata "in presidenza", la causa del fatto che io ora sia qui, davanti alla porta del capo, non può che essere attribuita a Mr. Stronzo Worten ed alla sua cleptomania.

Faccio un respiro profondo ed alzo la mano per aprire la porta, ma, prima che le mie dita di posino sulla maniglia, si spalanca facendomi ritrovare faccia a faccia col muso lungo di Kyle. Se mai prima avessi avuto qualche dubbio riguardo il mio richiamo qui, beh ora è svanito. So di per certo di essere qui a causa di quello li.

Sospira affranto mentre incrocia il mio sguardo « E' incazzato »

Mi porto le mani alle tempie e le massaggio « Grandioso! »

Kyle porta una mano sulla mia guancia e mi accarezza col pollice, io rabbrividisco di fastidio a quel contatto estraneo, invadente. E' come quando, alle medie, il mio amico più fidato iniziò a toccarmi. Cioè no, non in quel senso! Iniziava ad abbracciarmi, prendermi per mano, accarezzarmi.. e ad ogni volta che i nostri corpi si toccavano mi sentivo sporca, invasa. Ero consapevole di quanto sbagliato fosse quel contatto. Kyle non ha mai tentato un approccio di quel tipo, fino ad ora, e dentro di me spero che la sua sia solo premura.

Mi scosto sorridendogli non volendo che ci resti male.

« Andrà alla grande » Lo rassicuro avanzando verso la porta e, mentre la chiudo dietro di me, sento il suo incoraggiamento.

« Puoi farcela, Emy »

Le ultime parole famose.

Ora sono seduta sulla poltrona difronte a quella del capo, a separarci c'è un'ampia scrivania il legno scuro, l'aria è stantia ed intrisa di un soffocante odore di sigarette, una nebbiolina di fumo è sparsa nell'aria.

Mr. Simmonds ha le mani incrociate davanti alla bocca, il volto è sudaticcio e lucido come la sua testa calva. Mi scruta attraverso le spesse lenti dei suoi occhiali dietro i quali gli occhi sembrano due scure e piccole fessure.

Sono tesa come una corda di violino.

Si è sempre complimentato con me di persona durante gli incontri coi clienti che io accalappiavo, quindi so che mi ritiene tra le migliori del suo personale e non lo dico per vantarmi. Ma ora è li in silenzio, a scrutarmi, ad osservarmi dalla sua poltrona che sembra implorare pietà per l'enorme quantità di peso che deve sostenere, vorrei pregarlo di spostarsi per alleviarne le sofferenze, ma finalmente apre bocca.

« Signorina Emily » Inizia con un forte tono di rimprovero, mentre allunga le mani sulla scrivania, ma tenendole sempre incrociate « Lei sa che ho sempre elogiato i suoi lavori ed il suo entusiasmo » E' un affermazione, ma mi fissa come se attendesse una risposta. Resto in silenzio mentre si alza tirando fuori dal taschino il pacchetto di sigarette, me ne offre una ma rifiuto con un cenno della testa, ne sfila una e se le porta alla bocca accendendola.

Ricomincia a parlare solo dopo un paio di boccate « Quindi, come pensa che mi sia sentito quando sono venuto a sapere che il cliente che, con tanta fiducia, ho affidato alla mia migliore collaboratrice è stato rubato da quei maledetti della Blake!? » La sua voce è un roco crescendo di indignazione. Prende un'altra boccata e me la sbuffa in faccia prima di iniziare a camminare in cerchio intorno alla scrivania, come se fosse un predatore. Di tutta risposta inizio a tossire disgustata "Fottuto vecchio fumatore bastardo" guardo il posacenere e noto i numerosi mozziconi e mi chiedo come faccia a non rimanerci secco, come possono sopravvivere i suoi polmoni a quell'enorme quantità di fumo e catrame? Li immagino stretti nella sua cassa toracica come due masse grigio-nere che implorano pietà e, magari, una boccata d'aria fresca.

Con la mano scaccio il fumo passivo che continua ad arrivarmi addosso mentre lui mi fissa in attesa.

« Con tutto il rispetto, signore, il cliente è ancora nostro »

« Signorina Mayton! E' evidente che non le è chiaro il motivo per cui so trova qui! » Il tono della sua voce si alza notevolmente, evidentemente troppo per i suoi polmoni, di conseguenza inizia a tossire una disgustosa tosse catarrosa.

Tento di mascherare la mia smorfia di disgusto " Cristo santo, ma fai schifo!" una volta ripresosi ricomincia il suo rimprovero

« Lei, insieme a Mr. Lusher, non avrebbe mai dovuto permettere che loro ci invadessero! » vorrei alzare gli occhi al cielo perché so che sta per ricominciare coi suoi discorsi sulla guerra e bla bla bla, infatti prima che io possa terminare il mio pensiero, lui ha già ricominciato a parlare « Ai miei tempi, se una spia di fosse intrufolata nel nostro territorio .. » smetto di ascoltare per nulla interessata alle storie di un vecchio, mi limito ad annuire fingendo attenzione. Vedete? Proprio come a scuola: si annuisce dando il contentino all'insegnante e poi si continua a fare il cazzo che si vuole, con la differenza che sul posto di lavoro devo essere in stato di allerta.

Alla fine del suo soliloquio mi liquida con un gesto della mano e la promessa di farmi valere in modo da riconquistare in nostro cliente.

Impreco mentalmente "Maledizione" sembra essere diventata la parola del momento.

Se solo non fosse stato per Worten il cliente sarebbe stato mio ed ora non avrei problemi col capo! Ripenso al suo bel viso, ma l'unica reazione che ne scaturisce è la mia rabbia nei suoi confronti che ribolle frenetica.

" Dio sceso in terra un corno! " Quell'uomo è il braccio destro di Satana: bastardo e tentatore "Ma ora non mi fotti più" ed è questo l'istante in cui ho l'illuminazione. Mi blocco in mezzo al corridoio e sorrido interiormente per il compiacimento verso me stessa " M'intrufolerò nel suo ufficio e sarò io a fottere il suo materiale su Evans!"

E' geniale, non sarei costretta a lavorare con lui ed inoltre riuscirei a completare il lavoro secondo le richieste del cliente! Beh, quasi.. avrebbe l'effetto complementare richiesto anche se sarebbe un lavoro individuale.

Di fronte a me vedo la porta del mio ufficio, la fisso con indecisione. Se entrassi rinuncerei al mio piano e perderei i meriti sul progetto " Cosa devo fare!? "

Stringo i pugni e sospiro decisa, rizzo la schiena, mi volto e prendo di nuovo l'ascensore, questa volta diretta in territorio nemico.

" Subirai la mia vendetta, Worten "

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Capitolo 12
*** 12. EMILY ***


Quando le porte dell'ascensore si aprono inizio a sentirmi in ansia per quello che sto per fare, mi sento come un'adolescente che fuma di nascosto in bagno e teme di essere beccata dai genitori.

Ricordo che una volta volevo comprarmi un paio di All Star ed avevo assolutamente bisogno di soldi, mia madre dal canto suo non voleva sentire ragioni, se fosse stato per lei non avrei mai avuto quelle scarpe. Così una notte, presa dalla rabbia e convinta dalla tipica voglia di ribellione giovanile, sono rimasta sveglia fino a tardi, per essere certa che tutti dormissero, sono andata in corridoio, dove mia madre lasciava sempre la borsa, per sfilarle dal portafogli i settanta dollari di cui avevo bisogno.

I rimorsi di coscienza mi divorarono per giorni dopo che comprai le scarpe, non seppe mai che le avevo rubato dei soldi e appena mi fu possibile glieli restituii, ma giurai a me stessa che non avrei mai più fatto una cosa simile. Non solo a mia madre, che era la donna più dolce del mondo, ma a nessun altro.

Tuttavia lui meritava la mia misericordia? No.

Occhio per occhio, Worten.

Senza indugiare un minuto in più imbocco uno dei corridoi adiacenti, ma la verità è che non ho assolutamente idea di dove io debba andare. Mi guardo intorno in cerca di qualcuno a cui chiedere informazioni e lo trovo subito: è un ragazzo davanti alla macchinetta del caffè, si direbbe che sia giovane. Mi sciolgo i capelli e li arruffo un po', erano legati in una treccia quindi spero abbiano un effetto ondulato decente, poi gli vado incontro.

« Mi scusi? » la voce mi esce più mielosa di quanto volessi e due vivaci occhi color nocciola incontrano i miei quando si volta. Subito dopo mi rivolge un brillante sorriso e ne rimango colpita, è veramente carino.

« Cosa posso fare per lei, signorina » Ed io vado nel panico "Grandioso, Emily! Davvero un ottimo lavoro! Ed ora che gli dici!?"

Indugio per qualche istante « Ehm.. » ma poi mi viene in mente un'ottima risposta « Avrei un appuntamento con Mr. Worten. Sono stata indirizzata qui, ma non ricordo più da che parte debba andare » Faccio un sorrisetto di scuse mentre mi porto una ciocca di capelli dietro l'orecchio, spero non capisca che sto mentendo e che non percepisca il mio disagio. Mi sento sporca a recitare questa parte, sto facendo la civettuola e non mi piace, è come se stessi facendo un torto a Nate "No. E' per lavoro, è semplice e pura vendetta" Me lo ripeto mentalmente come un mantra, ma non sono convinta al cento per cento.

Il ragazzo mi scruta attentamente, dal basso all'alto, sento il suo sguardo indugiare sul mio petto e poi sulle mie labbra.

« Segua il corridoio, poi giri a destra. Terza porta »

Gli rivolgo un sorriso di gratitudine sperando non risulti solo sghembo e ridicolo, poi mi volto per andarmene ma lui mi afferra per l'avambraccio. Mi irrigidisco pensando di essere stata scoperta "Merda!" ma mi porge semplicemente il suo biglietto da visita.

« Mi chiami se dovesse avere bisogno, sono uno tra i migliori in quest'azienda » Io lo prendo e lo metto in tasca "Sei stupido abbastanza da potermi tornare utile"

Gli rivolgo un ultimo sorriso « Certo »

Seguo le indicazioni di Lucas, così c'è scritto sul biglietto, e raggiungo la porta su cui è attaccata la targhetta D. Worten. Inspiro. "Fallo Emy!"

Busso per assicurarmi che non ci sia, l'ho dato per scontato, ma se me lo dovessi ritrovare davanti cosa farei? Di colpo non sono più tanto sicura del mio piano.. ma mi sento sollevata quanto, svariati secondi dopo, non ho ancora ricevuto risposta.

Afferro la maniglia e l'abbasso, con mia grande sorpresa la porta si apre "Incauto da parte tua" infilo prima la testa per controllare che sia veramente vuoto

« Permesso? » Sono paranoica, sospiro per l'ennesima volta e mi decido ad entrare richiudendo la porta alle mie spalle, mi ci appoggio con la schiena.

Mi ritrovo in un ufficio spoglio ed impersonale, è arredato con il minimo indispensabile, non ci sono foto, colori, poster. Noto solo una cornicetta sulla scrivania e nient'altro.

La stanza profuma di un forte odore di uomo e menta. Inspiro involontariamente attratta e le mie narici si beano, è un buon profumo, uno di quelli che ti rimangono impressi e riconosci immediatamente.

Mi guardo intorno ispezionando la stanza, cerco i documenti con lo sguardo, vedo delle cartelle e dei raccoglitori impilati sullo scaffale dell'unico mobile a muro e mi ci fiondo sopra "Devo essere svelta" Mi tremano le mani per la paura di essere colta in flagrante, non sono cose da me, queste. "Io sono onesta! Worten, tiri fuori il peggio di me!"

Afferro ed apro i raccoglitori che sono più in alto alla pila "E' un lavoro recente, d'altronde, lo terrà in un posto comodo" Penso questo, ma controllo lo stesso ogni singolo pezzo di carta. Li sfoglio in fretta cercando di non mettere in disordine, giro pagine su pagine, ma il nome di Evans non si legge da nessuna parte.

Impreco tra me e me, nervosa richiudo tutto sbattendo le cartelle sullo scaffale.

« Avanti, Worten! Dove tieni tutto? » Mi metto le mani sui fianchi e giro su e stessa per offrirmi una panoramica della stanza, sulla scrivania noto una pila di fogli molto invitante "Bingo" mi ci fiondo sopra, leggo scrupolosamente ma, ancora una volta, di Evans non c'è segno.

Controllo furiosamente un'altra pila, ma niente da fare, quest' ufficio è talmente pieno di scartoffie che mi sembra di cercare un ago in un pagliaio. Appoggio i gomiti sulla scrivania e mi prendo la testa tra le mani facendo passare le dita tra i capelli "Pensa, Emily! Dove terresti dei documenti così importanti se fossi in Duke Bastardo Worten?" Risollevandomi urto il mouse con l'avambraccio facendo illuminare lo schermo del computer, lo fisso e mi sento stupida a non aver pensato prima a controllare li. Seleziono l'utente, la cui icona è rappresentata da un paio di tette, alzo gli occhi al cielo per quanto sia da ragazzini questa cosa, ma scopro che è protetto da una password, per cui niente da fare.. mi lascio andare sull'ampio schienale della sedia e sbuffo.

Ho fatto tutto questo per un cazzo, quell'uomo non è abbastanza stupido da tenere informazioni sui clienti importanti nel suo ufficio.

Decido di rinunciare ed elaborare un nuovo piano ed è meglio che mi sbrighi, non deve sapere che ho messo piede qua dentro, potrebbe scoppiare un putiferio.

"Io non ho mai messo piede in questo ufficio, addio!" Non voglio rischiare avere di nuovo a che fare con il suo sexy e tentatore testosterone .

Rimetto tutto a posto e mi fiondo verso la porta, ma sento delle voci venire da fuori, poco lontane dalla porta.

« Hey Worten! Prima una tipa ti cercava ! » Riconosco la voce di Lucas mentre vado nel panico

« Chi? » Lui gli risponde ed io trattengo il fiato "Cosa cazzo faccio ora!?"

Mi guardo intorno senza sapere cosa fare.

"Sono fottuta"




 

E sbam! Eccomi col dodicesimo capitolo! Mi spiace siano piuttosto cortini, sono più capitoletti.. Cercherò di allurgarli come posso!
Comunque volevo ringraziare tutti coloro che continuano a commentare questa storia e che l'hanno aggiunta alle preferite, grazie di cuore! 
A presto, KamiKumi!

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Capitolo 13
*** 13. DUKE ***


In ufficio cerco sempre di evitare quel coglione di Lucas, ma oggi qualcuno deve avercela con me, perché me lo ritrovo davanti mentre torno nel mio ufficio dopo una lunga pisciata. Mi saluta con un'alzata di mano da lontano e mi irrito.
Persone di tutto il mondo mi rivolgo a voi: se davanti avete una persona che siete intenzionati a salutare e le vostre strade si incroceranno inevitabilmente non fate il fottuto saluto nazista, non sbracciatevi, semplicemente aspettate che quella cazzo di persona sia di fianco a voi. E' semplice, poco fastidioso, dio santo non ci vuole niente. Capitelo.
Mi rivolge un sorriso accecante ed avrei voglia di spegnerglielo in faccia con un pugno dritto dritto sugli incisivi, poi però dice qualcosa che non mi aspettavo affatto.
« Prima una tipa ti cercava » strabuzzo gli occhi "Una tipa?"
« Chi? » il mio tono trasuda curiosità, di tutta risposta lui fa un'alzata di spalle
« E io che ne so » "Ma sei scemo?" « Ha detto di avere un appuntamento con te, ma non ricordava dove fosse il tuo ufficio, così l'ho indirizzata » "Si, sei proprio scemo"
Senza perdere tempo mi dirigo verso il mio ufficio, nemmeno mi degno a salutare un individuo così imbecille da non farsi dare il nome di una persona sconosciuta che mette piede qua dentro, pur sapendo delle faide in cui siamo coinvolti.
Abbasso la maniglia ed entro vedo di schiena una chioma bruna seduta sulla mia sedia da ufficio, una chioma che riconosco bene, quando la porta si chiude lei si ruota lentamente nella mia direzione. In mano tiene la cornicetta con la foto di Josie, la accarezza tenendola sulle cosce, tutto questo mi ricorda la scena de "Il Padrino" in cui Don Vito Corleone accarezza il gatto, solo che davanti a me c'è una ragazza mozzafiato dal capelli mossi, gli occhi verdi imprigionati in uno sguardo altezzoso, il mento alzato per mostrarsi superiore
« Ti stavo aspettando » La fisso con gli occhi spalancati senza sapere come reagire. Dovrei arrabbiarmi perché il mio collega l'ha lasciata passare senza chiedere chi fosse, perché è una mia rivale e si è intrufolata nel mio ufficio, ma una risata incontrollata si fa spazio su per le mie corde vocali e vi giuro che rido di gusto, quasi fino alle lacrime.
Questa ragazza, oltre ad essere geniale, intuitiva, bella da mozzare il fiato è anche dotata di un ottimo umorismo. Sento la sua risata seguire la mia ed è stupenda come lo scorso weekend, quando ha realizzato quello che le era successo in quel pub, è stupenda quanto il suono dolce e divertito che le sfugge mentre si morde il labbro per cercare di calmarsi. Guardandoci cerchiamo di trattenere gli ultimi risolini, poi appoggia la cornice al suo posto sulla scrivania e, con la punta delle dita, si asciuga gli angoli degli occhi. Io ossevo ogni suo movimento, studio il suo viso nel minimo dettaglio: è rilassata, la tensione e l'astio del giorno prima hanno lasciato spazio ad una versione di lei che mi piace ancora di più.
Mi riscuoto dai miei pensieri nel momento in cui lei distoglie lo sguardo.
Mi rendo contro che intorno a noi è calato il silenzio totale.
Ci siamo solo io e lei qui, in questa stanza, nel mio territorio.
"Bene" Aggiro la scrivania tenendo lo sguardo fisso nel suo, faccio passi lenti, da predatore, quando la raggiungo mi appoggio al mobile con le gambe ed incrocio le braccia al petto.
« Allora, piccola, cosa posso fare per te? » assumo un tono cordiale stampandomi in faccia un sorrisetto e lei, di tutta risposta, torna ad adagiarsi sulla sedia, le sue labbra si curvano all'insù in modo impertinente, stende un braccio davanti a se e si ammira le unghie, senza curarsi della domanda che le ho rivolto, sembra stia tramando qualcosa, poi torna a guardare me e le sue iridi sono due smeraldi pieni di quello che sembra divertimento. Ha senza dubbio qualcosa in mente, la vuole e, se continua a guardarmi così, potrebbe addirittura ottenerla, perché quello sguardo da cerbiatta manda il subbuglio il mio organo sessuale che proprio non vuole saperne di stare al suo posto. Scatta sull'attenti come un soldato davanti al suo generale.
« Voglio che tu rinunci a Evans » se ne esce così, con questa affermazione "Voglio che tu rinunci a Evans " non so se pensare che sia stupida o cosa. In nessun universo Duke Worten rinuncerebbe mai ad un lavoro, soprattutto se il cliente ha un'azienda internazionale e ha una barca di soldi.
« Mai » la mia voce è ferma, glaciale. Se c'è una cosa che nessuno può fare è abbindolarmi in ufficio, nemmeno una donna sexy come lei.
Il suo sguardo si assottiglia e mi fulmina "Guardami male quanto cazzo ti pare, non cambierà le co-" Non faccio in tempo a finire il pensiero, perché lei si è alzata in piedi ed è difronte a me, la mano appoggiata al fianco ed il dito puntato contro il mio petto, solo che non potrebbe fregarmene di meno di quello che sta per uscire dalla sua bella bocca, io sto fissando il suo corpo mozzafiato stretto i quegli abiti succinti. Il suo petto è infilato in una camicetta rossa di seta che aderisce sul seno in modo perfetto, quel colore incalza assolutamente il suo carattere: esuberante ed indomabile. I miei occhi scorrono poi sulle lunghe, perfette gambe che sono fasciate da una gonna nera a tubino che arriva fino al ginocchio, sono certa che metta in risalto il suo lato B in ogni singola curva, ai piedi poi porta delle vertiginose décolleté nere lucide che la slanciano e la fanno arrivare quasi alla mia altezza.
" Quanto. Cazzo. E'. Sexy. " Ma la sua voce mi riscuote dalla lode al suo corpo
« Mi ha sentita bene, Worten. Rinuncia » La sua voce è monocorde, ma so che dentro arde come il fuoco all'inferno e, non appena aprirò bocca, esploderà.
« Senti Rudolf » la canzono facendo riferimento al suo naso che, in realtà, non è più tanto gonfio. Lei, però, sgrana gli occhi e dilata le narici inspirando forte « Non so a cosa tu sia abituata nella tua insulsa azienda, ma i Blake non rinunciano ad un cazzo. Avrai pure un bel faccino, ma non m'incanti, magari funzionerà coi clienti, ma non con me » Mi rendo conto solo dopo qualche istante di quello che ho detto e prima che possa riaprire bocca l'inferno si è già scatenato.
« TU. » Fa un passo verso di me sempre con quel ditaccio puntato « Tu, brutto bastardo! Cosa cazzo stai insinuando!? » La sua voce si è alzata di diversi toni ed ora si che la vedo fumare di rabbia « Si da il caso che io sia brava nel mio lavoro, sono un'eccellente impiegata, sono brillante e tu non hai il diritto di dirmi un cazzo » Fa un altro passo « Inoltre credo che l'azienda insulsa sia la vostra, visto e considerato che si vede costretta a rubare clienti a noi! Clienti importanti che si sono rivolti a NOI! » Ora il suo dito preme direttamente contro il mio petto « Noi Simmonds siamo abituati ad essere onesti lavoratori al confronto di voi, quindi TU ora rinunci al MIO cliente così che non sarò più costretta a vedere la tua stupida faccia da stronzo! » Quando finisce di strillare il suo volto è arrossato e sta espirando, non mi aspettavo una simile sfuriata, ma questo non mi farà tirare indietro.
Scoppio a ridere « Onesti lavoratori? Ma non farmi ridere » la fisso negli occhi, se i nostri sguardi potessero uccidere avremmo entrambi dei coltelli infilati nel petto « Non vorrai farmi credere che non sei venuta qui cercando di rubare i miei documenti su Evans!? » Il suo dito lascia il mio petto, la vedo trattenere il fiato facendo un passo indietro "Bingo, baby" L'afferro per il polso per non farmela sfuggire e sento il furioso battituo del suo cuore scalpitare furiosamente « Non mi scappi, Emily. Vieni nel mio ufficio a parlare di onestà quando invece il tuo piano era proprio quello di rubare » Aggrotto le sopracciglia per il disappunto « Sii coerente con te stessa. In questo ambito lavorativo è guerra, siamo soldati in trincea e dobbiamo lottare per schiacciare i nostri avversari ed io, baby, ti schiaccerò » Le libero il polso e lei indietreggia velocemente di qualche passo, alza il mento e mi guarda truce
« Lo vedremo, Worten » subito dopo se ne va sbattendo forte la mia porta, sento il ticchettio dei suoi tacchi allontanarsi nel corridoio ed io sono fuori di me.
Quella ragazza è riuscita a farmi imbestialire.
Mi passo più volte le mani nei capelli, esasperato, andando avanti e indietro nella stanza.
Poi mi assale il dubbio "E se i documenti li avesse trovati davvero?" Mi fiondo immediatamente sulla scrivania ed apro un quadernetto per gli appunti, lo sfoglio e vedo le pagine giallognole di carta riciclata ancora li. Sospiro di sollievo e mi lascio andare sulla sedia, chiudo gli occhi.
"Maledetta donna esasperante"
Due minuti dopo sento il mio telefono vibrare e sul display compare il nome del cliente che mi sta causando un mare di problemi: Evans.
Nonostante non abbia alcuna voglia di stare a parlare con quel vecchio mi tocca schiarirmi la voce e rispondere
Esordisco con « Buongiorno Mr. Evans, che piacere risentirla! » fingendo un tono allegro, quando la mia faccia ha stampata l'espressione tipo di Toretto in Fast and Furious.
La sua risposta gracchia nel microfono, la voce troppo alta « Mr. Worten, il piacere è mio! » Assolutamente tutto suo il problema, io odio qualunque individuo oltre i quarant'anni. Non importa chi tu sia, quando il tuo orologio segna i quaranta finisci nella mia Black List tra le persone che, se le incontrassi per strada, cambierei volentieri direzione. Grazie, ma no grazie. Avere a che fare con questi soggetti è una tortura, finisci nelle loro grinfie e non ne esci più, ed è proprio quello che sta succedendo ora! Mr. Evans, infatti, si è perso in convenevoli e poi ha iniziato a blaterare chissà cosa per dieci minuti, quando lo sento scoppiare in una risata lo seguo, nonostante non sappia nemmeno a cosa sia dovuto questo scoppio di ilarità "Vecchio, di sto passo crepi prima di dirmi il motivo per cui mi hai chiamato" Per cui taglio corto e chiedo il motivo per cui mi ha cercato.
« Ah, quasi dimenticavo! Figliolo, volevo avvisarti che la scadenza per il lavoro è fissata per il venti aprile » clicco velocemente l'orologio sulla barra dello start del mio computer e controllo la data, oggi è il trenta marzo ed ho circa tre settimane, poi aggiunge « Tuttavia dovremmo mandare in stampa almeno una settimana prima »
Annuisco anche se non può vedermi « Certo, sarà fatto »
« Eccellente, buon lavoro allora figliolo. Pensa lei ad informare Miss. Mayton? »
"Come, come? Cosa mi sta servendo su un piatto d'argento questo vecchio? Mi sta affidando il compito di informare io stesso la signorina?"
Che dire, un gentiluomo non si tira mica indietro « Assolutamente, conti su di me » sul viso mi si stampa un ghigno malefico, mentre ci salutiamo.
Appoggio il telefono in malo modo sulla scrivania mentre rido da solo "Dente per dente, Emily"

Questa telefonata è stata rigenerante, mi fornirà un vantaggio schiacciante nei confronti di quell'acida. Mi sfrego le mani in modo malefico, poi decido di invitare Carlos fuori a pranzo per un po' di compagnia ed aggiornarlo sugli avvenimenti della mattina.

 

 

 

 

E questa è la faccia di Duke durante la chiamata!



 

Grazie a tutti per essere arrivati fino a qui! 

Grazie a tutti coloro che continuano a commentare e che si sono uniti alla lettura di questa storia! Siete tante piccole gioie, vi mangerei a colazione! 

Grazie ancora e a presto, un bacione KamiKumi

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Capitolo 14
*** 14. EMILY ***


Una volta nel mio ufficio sbatto forte la porta e mi ci chiudo dentro "Maledetto stronzo del cazzo!" Dio, lo odio a morte!

Sto facendo avanti e indietro per la stanza ininterrottamente, se continuo così probabilmente riuscirò a scavare un solco nel pavimento, ma prima che accada mi fermo nel centro dell'ufficio prendendomi la testa tra le mani

« AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHH! MALEDIZIONE! » Sono così infuriata da ritrovarmi ad urlare per smaltire il nervoso.

Cazzo, cosa ha osato insinuare con quell'affermazione!?

Avrai pure un bel faccino, ma non m'incanti, magari funzionerà coi clienti, ma non con me.

Ma lui chi si crede di essere!? Sputar sentenze in questo modo, stupidi uomini! Vi sentite minacciati dalla bravura di una donna e dovete subito sminuirla accusandola di usare il suo corpo per avere successo? Quand'è così, beh, sappiate che non siete uomini. Non per me, almeno.

Siete solo dei cacasotto.

Si esatto, dei cacasotto! Siete come quei ragazzini che ti insultano la mamma quando li prendi in giro.

« Coglione » - « Tua mamma »

Ma tua mamma cosa!? Imbecilli ma andate a sbattere la testa contro un muro che se vi sentissero quelle povere donne, vedreste cosa vi farebbero! Non siete d'accordo?

Tiro un calcio al divano, vittima della mia violenza e testimoni gli altri mobili, poi mi ci sdraio lasciandomici cadere sopra a peso morto, appoggio un braccio sugli occhi e sospiro.

Sono delusa ed arrabbiata, si era già dimostrato essere un bastardo ieri, ma con la discussione di oggi è decisamente salito di livello, me lo immagino in un videogioco: farmare esperienza facendo il bastardo per poi livellare a Bastardo +1.

Sospiro ancora, poi sento bussare alla porta. Mi prendo qualche istante prima di rispondere, ma poi

« Chi è? » mi tendo "Se è Worten, giuro che.."

tuttavia una voce familiare mi saluta da dietro la porta « Sono io, Kyle » mi sento sollevata e gli dico di entrare mentre mi metto a sedere

« Hey » sussurro appena

« Hey » ricambia lui, sedendosi di fianco a me « Che succede Emy? » Mi guarda coi suoi occhi nocciola, percepisco la sua preoccupazione e ci credo, tutto il piano mi avrà sentita strillare come una pazza. Sospiro per l'ennesima volta, poi inizio a spiegargli gli avvenimenti della mattinata.

« Che bastardo » esordisce lui con un espressione indignata facendomi scoppiare a ridere

« Credo sia diventato il suo nuovo soprannome! » continuo a sghignazzare

Mi guarda con aria interrogativa « Nuovo? Qual era quello vecchio? » Dimenticavo che Kyle non è a conoscenza delle circostanze in cui ho conosciuto il nostro caro amico, per cui mi limito a scuotere la testa in senso di negazione

« Ho solo sbagliato a parlare » e lui mi crede, subito dopo mi invita a pranzare fuori.

Sto per accettare, quando mi ricordo che oggi Nate è a casa, per cui vado a prendere il telefono dalla borsa, lo sfilo dalla tasca e sblocco la tastiera, mi trovo alcuni suoi messaggi, infatti.

Nate: Buongiorno!

Nate: Sei libera a pranzo?

Nate: Fammi sapere

Digito subito la risposta mentre declino l'invito di Kyle, chiedendogli piuttosto di vederci nella pausa pomeridiana così da potergli offrire il caffè che gli devo

Emily: Certo! Dove si va?

Kyle accetta la mia offerta e mi augura buon appetito uscendo, io intanto mi siedo alla scrivania aspettando la risposta di Nate, che non tarda ad arrivare

Nate: Cinese?

Sorrido, avrei dovuto immaginare cosa avrebbe proposto, quello scemo adora il cinese. Giuro, credo che vivrebbe di spaghetti di soia, riso alla cantonese e tutto il resto, probabilmente se trovasse posto di lavoro in un ristorante cinese non ne uscirebbe più.

Emily : Va benissimo. Alla Pagoda tra 15 min!

Mi sto preparando per uscire, quando l'ennesimo trillo del telefono mi fa sbloccare lo schermo

Nate: No, a casa ;)

Aggrotto le sopracciglia "Cos'ha in mente?" Digito una risposta veloce mentre scendo in strada e chiamo un taxi per tornare al nostro appartamento.

Per tutto il tragitto ci siamo scambiati messaggini hot che promettevano una passionale pausa pranzo.

"Qui c'è un gran bel gamberone che ti sta aspettando"

SEXY.

Ora siamo sul bancone della cucina, mi sto reggendo coi gomiti al ripiano di marmo, la testa buttata all'indietro e la schiena a formare un arco perfetto, le gambe spalancate, alla totale mercé di Nate, sono appoggiate sulle sue spalle mentre lui è in ginocchio davanti alla mia fessura vogliosa.

Il cibo giace ignorato accanto ai fornelli mentre la lingua di Nate scorre creando percorsi casuali sulla mia figa bagnata della sua saliva, la lecca come se fosse un fottuto mulinello : dalla fessura raggiunge la vetta fino ad arrivare al clitoride che avvolge tra le labbra per qualche secondo succhiandolo forte, faccio una smorfia di dolore "Ahia, cazzo!" Lentamente si sposta verso le grandi labbra tirando stoccate da destra a sinistra. Ansimo forte simulando piacere, si: SIMULANDO.

Ragazze è uno strazio, voi non capite.

Qualcuno insegni loro che siamo delicate, e che non devono muoversi premendo e sfregando come se fosse stucco da levigare con carta vetrata.

La mia vagina urla pietà, desiderosa di appagamento e soddisfazione, sono bagnata fradicia, eccitata, il mio clitoride è turgido, pulsa famelico di attenzioni, ma tutto quello che voglio ora è che la smetta, che la smetta immediatamente perché ogni volta che la sua lingua tocca il bottoncino della felicità sobbalzo reso ormai totalmente sensibile, mi contorco per il fastidio gemendo forte, allungo un braccio per raggiungere la sua testa ed afferrare i suoi capelli, li stringo forte, li tiro cercando di allontanarlo, sperando che capisca che è ora di smettere, ma no. No, non capisce.

Alza lo sguardo incrociando il mio, castano nel verde.

I suoi occhi dolci mi sorridono, brillano di compiacimento mentre interrompe il contatto con la mia vagina

« Ci sei quasi, eh, piccola? » Mi mordo il labbro e vorrei mettermi a piangere. Ci sono quasi? Si, quasi sull'orlo dell'esaurimento nervoso!

Sono certa di avere in faccia l'espressione più disperata del mondo, tuttavia lui non la nota, anzi, si solleva e su allunga per baciarmi sulle labbra mentre inserisce due dita dentro di me. Inspiro forte e chiudo gli occhi mentre le sue mani affusolate si muovono avanti e indietro.

E' un contatto decisamente più piacevole, sono movimenti lenti in contrasto con la voracità del suo bacio. La sua lingua si fa spazio tra le mie labbra con violenza ed io la accetto senza opporre resistenza, cattura i miei gemiti, respiriamo rumorosamente tra un rantolo di piacere e l'altro, i suoi polsi iniziano a muoversi più velocemente, sempre di più, fino a che mi ritrovo ad urlare di piacere.

Questo è piacevole, cazzo questo si!

Ve l'ho detto che con le mani è bravo, no? Cazzo si che è bravo, mi piace da pazzi. I muscoli addominali si contraggono mentre mi irrigidisco, continuo a gemere forte mordendo il labbro inferiore di Nate.

« Dio! Oddio, Nate! » Lui sorride sulla mia bocca prima di darmi un ultimo bacio sulle labbra ed uscire da me "COSA!?"

« No, cazzo! » spalanco gli occhi minacciosa, mentre smanio per cercare di nuovo un contatto, cerco di attirarlo a me, inarco la schiena per raggiungere il suo pube, ma lui si allontana slacciandosi i pantaloni e facendoli calare liberando la sua erezione.

E' dritto e duro e punta drittissimo verso di me. Mi lecco le labbra secche.

« Mi vuoi, Emily? » Sta strofinando la mano sul suo cazzo facendo scorrere la punta verticalmente sulla mia apertura, abbiamo entrambi il fiato corto, siamo eccitati, vogliosi e stravolti.

Faccio cenno di si con la testa e lui si fa spazio tra le mie labbra, lentamente, inspiro forte mordendomi il labbro, trattengo il fiato mentre il suo cazzo arriva fino infondo.

Chiudo gli occhi beandomi di quella sensazione.

E' bello il sesso, vero ragazze? Vero. Cazzo se è vero!

Si lascia scorrere indietro, uscendo da me per rientrare poi con un solo colpo, urlo inarcando la schiena per il piacere e mi reggo al bancone per non scivolare mentre lui mi regge per i fianchi.

I suoi occhi sono nei miei mentre mi fotte sul mobile di marmo, mentre le mie tette oscillano sotto i colpi della sua verga tra le mie gambe, mentre le sue palle sbattono contro il mio culo ed io urlo di gioia e piacere, sento il sorriso sulle mie labbra.

"Ti prego Nate, puoi farcela!" questo è quello a cui sto pensando mentre mi sta scopando, ok? Ragazze sto facendo il tifo per lui, lo sto incitando a farmi venire, mi sta sbattendo dentro ripetutamente il suo cazzo e quello a cui penso è sperare di raggiungere il lieto fine.

Avvolgo la sua vita con le mie gambe e lo stringo a me, si china a succhiarmi un capezzolo, la sua lingua è un vortice antiorario, mi prende tra le sue labbra senza lasciarmi via di scampo.

« Ti prego, Nate! » urlo e lo sto pregando di farcela, di farmi avere questo fottuto orgasmo

« Oh, cazzo Emy » grugnisce in mezzo ai miei seni fra un colpo e l'altro.

Aumenta la velocità « Cazzo, cazzo » emette un gemito strozzato « C-caaaaaaaaaaaaazzoo »

"Come non detto.."

Urlo forte fingendo di essere venuta con lui mentre si immobilizza dentro di me e si svuota in lunghi fiotti.

Quando finisce si lascia andare sul mio corpo, siamo entrambi sudati, in nostro respiro impazzito in sincronia, alzo un braccio per accarezzargli i capelli mentre emetto un profondo sospiro di rassegnazione e fisso il soffitto, lui sorride sulla mia pelle

« Soddisfatta, eh? »

Chiudo gli occhi frustrata « Già »

Quando torno in ufficio sono terribilmente in ritardo ed ancora più frustrata di quando ne sono uscita, oggi è una giornata del cazzo! Prima vengo richiamata dal capo e mi devo subire la sua ramanzina e le sue storie da nonnetto, poi Worten mi coglie in fallo nel suo ufficio e praticamente mi insulta e, dulcis in fundo, la sveltina per pranzo con Nate non mi ha lasciato tempo di mangiare perché ce la siamo presa troppo con comodo!

Quindi ora mi ritrovo qui, affamata, frustrata e con la voglia di organizzare un olocausto contro quelli della Blake!

Prendo posto alla scrivania, mi ci appoggio al bordo con la fronte ed inizio a sbatterla ripetutamente sul ripiano

« Che » Una botta

« Giornata » Due botte

« Di » Tre botte

« Merda » Quattro botte

Sospiro per l'ennesima volta in tutto il giorno e sono solo le 14.30, poi raccolgo le mie forze e decido di non lasciarmi sopraffare, non sarò una vittima degli eventi "Forza Emy!"

Così accendo il computer ed inizio a rispondere a delle e-mail di alcuni nuovi e vecchi clienti, stampo qualche documento dopo aver segnato alcuni appuntamenti per la settimana, scorre tutto liscio come l'olio, il tempo trascorre tranquillamente tanto che quasi non me ne accorgo.

Quando guardo il telefono noto che è quasi ora di pausa, quindi decido di iniziare ad andare a chiamare Kyle, ma prima apro i messaggi ricevuti. Ne ho un paio da Brenda

Brenda: Questo venerdì sera: tu, io e mio cugino al Plan B

Brenda: Non puoi dirci di no! Si è trasferito in città da poco e non lo vedo da trooooppo!

Brenda: Di a Nate di smammare

Alzo gli occhi al cielo.

No, non se ne parla! Io al Plan B ho deciso che non avrei messo mai più piede e così farò, non rischierò di incontrare Worten anche li!

La scorsa settimana quel locale è stato la causa della mia rovina, ripenso allo scontro che ho avuto ed alla prima impressione che ho avuto dello Stronzo e direi che la situazione è cambiata in men che non si dica.

Inoltre Nate lavora un fine settimana si ed uno no, questo weekend lo dovremmo passare insieme, non gli dirò di smammare.

Senza contare che il cugino di Brenda, che ho visto solo una volta e di cui nemmeno ricordo il nome, potrebbe sentirsi solo o annoiarsi in compagnia di due donzelle

Emily: Accetto l'invito solo se cambiamo locale

Emily: Nate viene con noi

La risposa di Brenda è immediata

Brenda: Vedrò cosa posso fare

Brenda: Che palle! Quando potrò vederti in pace? C'è spazio per me nella tua agenda!?

L'ultimo messaggio è accompagnato da una faccina triste ed io scoppio a ridere

Emily: Mi hai avuta la scorsa settimana! E devo ricordarti quale disgrazia mi è capitata?

Brenda: Beh, hai incontrato un uomo con un esagerato numero di feromoni che, per altro, hai il piacere di vedere sul posto di lavoro! Stronza fortunata!

Dice così solo perché non l'ho ancora giornata a proposito di ciò che è successo oggi, decido di chiudere la conversazione così prima che la mia pausa voli via tra un messaggio e l'altro.

Ripongo il telefono in borsa e prendo qualche spicciolo, poi busso alla porta di fianco alla mia.

Kyle mi apre la porta con un sorriso brillante sulle labbra e ci dirigiamo subito alla macchinetta.

Dieci minuti dopo sono di nuovo davanti alla scrivania pronta a portare a termine la giornata, ma il mio telefono fisso squilla.

Mi interrompo e lo fisso.

Sudo freddo. L'ultima volta che ha suonato, questa mattina, ha dato inizio ad una serie eventi uno peggio dell'altro.

Inghiotto la saliva rumorosamente, poi alzo la cornetta.

« Ufficio di Emily Mayton della Simmonds&Co, chi parla? » La mia voce ferma non tradisce il terrore che sento, ma mi tranquillizzo immediatamente sentendo la risposta dell'interlocutore dall'altra parte della cornetta: si tratta di Cassy, la segretaria di Mr. Evans, che a quanto pare si è ripresa dall'influenza

« Signorina Mayton la chiamo per comunicarle la data di consegna dei file »

« Certo! Attenda un istante, prendo appunti » e non appena riapre bocca segno il giorno della scadenza su un post-it

« Volevo inoltre chiederle se penserà lei a riferire il tutto a Mr. Worten » Quando sento le sue parole indugio sulla risposta, per cui lei aggiunge « Siete colleghi, giusto? »

« Oh, ma si! Si, certo che lo siamo! » Come no! Detto questo concludiamo la chiamata, ripongo la chiamata e scoppio in una risata malefica.

Ops, può essere che io dimentichi casualmente di comunicargli questa piccola ed insignificante comunicazione!

Mi sfrego le mani e drizzo la schiena elettrizzata

"Sei grande Emily! Worten, prenditi questa!"



 

Heilà rieccomi qua! Sono soddisfatta di questo capitolo, nonostante sia solo una parte di transtito che porta alla fine una parte della storia [giochi di parole..] Ad ogni modo! Sono sovraeccitata, ho tutto nella mia mente in un disordine totale e non vedo l'ora di mettere tutto per iscritto, sono un turbine di creatività ed ispirazione e sono troppo felice! Questa felicità, per altro, è data grazie a voi! A tutti voi che arrivate alla fine dei capitoli e continuate a seguirmi e a commentarmi. 

Vi prego di continuare a farlo per mantenere alto il mio livello di felicità :3 Più io sono felice, più posso rendere voi felici: è una semplice equazione!

Ma arriviamo alla parte che vi potrebbe interessare: dal prossimo capitolo ci saranno grandi rivoluzioni, o ci provo.. Farò si che siano più presenti Kyle e Brenda che, anche se non sembra, costituiscono un grande sostegno per Emily, farò si che anche Nate faccia qualcosa in più oltre che scopare in malomodo la nostra cara amica.

Insomma, i prossimi capitoli saranno decisivi e spero siate interessati a continuare a seguirli e commentarli! Io ci spero! 

Detto questo: ci sentiamo fra tre giorni

Un bacione, KamiKumi

 

 

 

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Capitolo 15
*** 15. EMILY ***


Tra una cosa e l'altra, la settimana è giunta la termine, ho continuato autonomamente i miei lavori tra Evans ed altri nuovi clienti minori.

Io e Duke ci siamo evitati come la peste per i giorni seguenti al nostro ultimo incontro, ci è capitato di incontrarci per strada durante la pausa pranzo e finiva sempre che uno dei due cambiasse direzione come se stesse rischiando di andare contro la morte.

In ufficio giravano voci riguardo il nostro litigio ed ero ad un passo dall'uccidere tutti, da un lato, ma dall'altro ero di nuovo in pace con me stessa, perché Duke Worten era fuori dalla mia vita.

E mi sta bene, cazzo se mi sta bene.

Duke Mega fusto Stronzo Worten ed io non ci predavamo in considerazione nemmeno a pensarci e, per quanto la visione di un bell'uomo come lui, tanto mascolino e sexy quanto egocentrico e fastidioso, potesse mancarmi: io ero soddisfatta.

Continuare ad evitarci ha fatto si che non ci fosse conversazione, che quindi lui non avesse avuto modo di farmi domande a proposito del cliente e sulla data di consegna del prodotto ed in questo modo io sono stata meno tentata dal confessargli da verità presa dai rimorsi di coscienza.

Sono fiera di me stessa, nonostante tutto.

E' finalmente venerdì sera ed io e Nate stiamo aspettando che Brenda e suo cugino scendano per caricarli in macchina ed andare al Power, un pub alternativo al Plan B, sono riuscita a convincerla a cambiare posto con la scusa dell'allargare i propri orizzonti, non essere abitudinari e stronzate simili.

Sono in auto di fianco a Nate, lui al posto guida ed io sul sedile passeggero.

Osservo il suo profilo mentre picchietta le dita sul volante, e non mi capacito di quanto sia bello: i capelli chiari e corti sono ingellati coi ciuffi tirati verso l'alto, le folte sopracciglia gli donano un'espressione concentrata mentre gli incorniciano gli occhi che sono rivolti verso il basso a guardare qualcosa sul telefono.

Probabilmente si sente osservato, perché si gira verso di me

« Che c'è? » mi guarda con un sorrisetto

« Sembri un porcospino » trattengo una risatina, perché è una cosa che gli ripeto sempre, da cinque anni, ogni volta che si ingella i capelli.

Mi risponde con una smorfia, io rido e mi sporgo per baciarlo.

Prendo tra le mie labbra il suo inferiore e lo mordicchio prima di schioccargli un bacio.

In quell'istante sentiamo la portiera del sedile anteriore aprirsi

« Prendetevi una stanza, cazzo! »

Beh, Brenda e la sua finezza hanno interrotto il silenzio e la pace. Da questo momento la serata è iniziata e lei ne è la regina.

« Ciao anche a te, Brenda » la saluta Nate usando un tono monocorde che mi fa ridere.

Questi due, ogni volta che usciamo, hanno un battibecco. Ne hanno uno per ogni cosa: l'ultima volta riguardava la scelta del ristorante in cui saremmo dovuti andare per cena.

Nate votava, ovviamente, per il cinese, mentre Brenda era di tutt'altra leva: Messicano, sempre e solo messicano. Lo ama, lo divorerebbe in ogni istante della sua vita: tortilla, fajitas, tacos, burritos e chi più ne ha più ne metta!

Alla fine, quella sera, dopo infinite discussioni, insulti e minacce di morte ho vinto io.

Abbiamo mangiato pizza.

Si, beh a me piace la pizza, sono una ragazza semplice.

Dopodiché abbiamo decretato di comune accordo che non saremmo più usciti per una cena a tre.

Subito dopo Brenda, che scorre sul sedile anteriore per mettersi dietro di me, sale un ragazzo.

La prima cosa che noto è che è giovane più di quanto ricordassi, ma non mi stupisco avendolo visto solo una volta, avrà un paio d'anni in meno di me e sua cugina.

I suoi occhi scuri sono vivaci e mi sorridono insieme alle sue labbra che lasciano spazio ad una luminosa dentatura che risalta sulla pelle olivastra.

« Ciao ragazzi, io sono Carlos » fa un cenno con la mano, ha il tono allegro « Piacere » Io e Nate ricambiamo il saluto e le presentazioni, ma al contrario di me, Carlos ricordava il mio nome.

Durante il viaggio chiacchieriamo del più e del meno, Brenda è contenta, e si vede.

Mi ha spiegato che non vedeva il cugino da anni e si capisce, altrimenti sarebbe praticamente anche un mio parente. Si è trasferito da un paio di mesi qui a Manhattan e solo ora sono riusciti ad organizzare un'uscita insieme.

Quando arriviamo al pub sono le 22.15, la notte è giovane e noi siamo carichi, pronti a far nottata.

Ci facciamo spazio trai tavoli e la gente in piedi, il posto è gremito di persone tanto che si sta stretti.

L'atmosfera è meno familiare rispetto al Plan B, ma almeno non corro rischi di incontrare Duke ed i suoi occhi azzurri.. scuoto la testa prima che i miei pensieri prendano la direzione sbagliata e decido di guardarmi intorno, ma quel che si vede è poco o niente: la luce è molto bassa e rossa, è calda e cupa, anche un po' sensuale.

« Ciao ragazzi! Quanti siete? » una cameriera che, evidentemente, ci ha visti brancolare nell'ombra come pecore smarrite, urla per sovrastare la musica

« Quattro » le rispondo mantenendo lo stesso sono, ci fa cenno di seguirla e, mentre lo facciamo, noto il suo abbigliamento. Beh, quel poco che indossa, almeno: al petto ha un gilet a mezzobusto stretto, in pelle e dalla vertiginosa scollatura. I fianchi sono invece fasciati da una minigonna dello stesso tessuto divisa verticalmente a metà e colorata rossa da un lato nera e rossa dall'altro. Decido che somiglia ad Harley Quinn e per il resto della serata la chiamerò così.

Harley ci trova un tavolo, ci fa accomodare e, dopo averci lasciato le liste, se ne va ancheggiando sui suoi vertiginosi tacchi.

« Allora, Carlos, cosa ti porta qui da noi? » cerco di intavolare una conversazione mentre prendo il menù e lo apro cercando la pagina degli alcolici, rivolgo lo sguardo verso il mio interlocutore.

Quello che noto è il suo sorriso che per un attimo sembra affievolirsi, capisco di aver sbagliato domanda, di essere andata troppo sul personale, forse?

Lui però risponde « Credo fosse ora di cambiare aria » e lo ringrazio mentalmente per aver mantenuto un tono leggero, nonostante la domanda debba averlo turbato. Mi chiedo quale sia il motivo, da quanto ne so viveva in Oregon in una cittadina tranquilla, a Redmond, con la sua famiglia.

Per rimediare cerco di alleggerire il tema « E come ti sei trovato a Manhattan fino ad ora? » Gli sorrido per cercare di metterlo a suo agio, lui appoggia i gomiti al tavolo tenendo la lista tra le mani.

« Mah » inizia con non curanza « tutto sommato direi bene » sposta lo sguardo per guardarmi in faccia, faccio lo stesso ascoltandolo « Mi piace. E' caotica, ma mi piace, mi ci trovo bene. E se tutte le persone sono come la mia padrona di casa penso che mi trasferirò definitivamente »

Brenda inizia a ridere di gusto sovrastando la musica alta

« E' una gattara di centocinquant'anni che ogni giorno gli cucina torte e biscotti » e mentre parla pungola il cugino con il gomito.

« Sono buoni! » Si difende lui ridacchiando

« Credo tu abbia fatto colpo » Nate si unisce al discorso « le nonne sanno come farsi avanti, non si fanno scoraggiare dall'età » ridiamo tutti di nuovo.

La conversazione procede tranquillamente, nonostante ci tocchi urlare per sentirci l'un l'altro.

Brenda e Carlos sono decisamente l'anima della serata, si vede che sono parenti, sono vivaci e si cambiano battute di continuo.

Ci hanno raccontato di alcuni aneddoti vissuti negli anni passati e siamo arrivati a piangere dal ridere.

Questa è decisamente la loro serata, Brenda sembra felicissima di aver ritrovato suo cugino ed io sono felice che lo sia.

« Ma sta cazzo di cameriera ha intenzione di tornare a prendere le nostre ordinazioni!? » Brenda batte una mano sul tavolo spazientita « Ma che cazzo! »

« Come siamo pazienti! » Nate la sfotte ironico sotto voce

« Come dici, Brown? Ripeti se hai le palle » Si sporge nella sua direzione con in viso un'espressione di sfida "E ci risiamo" Alzo gli occhi al cielo preparandomi al botta e risposta di accidia che scaturirà ben presto.

Nate sta per rispondere a tono quando Harley Quinn sbuca dal nulla

« Ciao ragazzi! Allora, volete ordinare? » Si piega sul tavolo per prendere nota, il sorriso a trentadue denti e le tette che minacciano di sfuggirle dal gilet

« Beh, avremmo voluto ordinare mezz'ora fa » Sibila Brenda

Harley la ignora, o forse semplicemente non l'ha sentita, ed inizia a scrivere sul suo block notes.

Gli uomini, da maschi alfa quali sono, ordinano due birre, mentre io e Brenda ci fiondiamo sul Jack e cola, uno dei drink che preferiamo.

Harley volta, di nuovo, sui tacchi e sparisce, di nuovo, tra la folla.

« Se impiega un'altra mezz'ora giuro che me ne vado! » Sbotta irritata Brenda e noi altri ridiamo di lei e della sua impazienza.

Il bere ci mette meno del previsto ad arrivare, alla fine e dopo mezz'ora siamo già al secondo giro.

Nate si avvicina al mio orecchio « Vado un attimo in bagno, torno subito » e mi stampa un bacio sulla guancia, annuisco e lo guardo sparire tra la folla, dopodiché rivolgo nuovamente la mia attenzione ai due difronte a me che stanno chiacchierando di lavoro.

Brenda è una maestra di inglese nella scuola media St. Brigit, non ve lo aspettavate eh? Beh si, non è una che ti immagineresti a contatto coi ragazzini, ma dato il suo carattere esuberante ed estroverso si relaziona molto bene ed è un'ottima insegnante, non dolce e premurosa, ma è brava e rispettata. Sono fiera di lei.

Gli sta raccontando della gaffe che ha fatto un suo alunno in classe il giorno precedente e quando finisce, il cugino, inizia a parlarle della settimana infernale che ha passato in ufficio. Attirano la mia attenzione alcune parole scomposte nel discorso che sta facendo: Rubato documenti, cliente importante, vecchio inglesotto, pazza isterica.

Tendo le orecchie e mi metto in allerta

" Suona familiare.."

« Ora che ci penso » lo interrompe Brenda « tu mi avevi detto di essere nel campo della grafica, ma dove lavori di preciso? »

Sento che non mi piacerà quel che risponderà, non vorrei ascoltare, cerco di estraniarmi, di distrarmi.

Prendo un sorso del mio drink mentre apre bocca per rispondere alla domanda di Brenda, dopo aver digitato qualcosa sul telefono ed averlo riposto sul tavolo.

« Beh, al momento sono stato assunto alla Blake. E' una grande azienda, la conosci? »

Le sue parole risuonano forti e chiare, come se fossimo stati in una stanza silenziosa in cui regnava una pace quasi religiosa.

Ogni parola, ogni sillaba, ogni lettera si ripete nella mia mente

"MA PERCHE'!?"

Inizio a tossire il mio povero Jack Daniel's, volevo provare a mascherare la mia reazione ma è stato tutto inutile, credo di essere sbiancata.

Mi giro verso Brenda per vedere la sua espressione, ma quando incrocio il suo sguardo la vedo sconvolta quanto me.

"Sto uscendo con il nemico!"

« Hei, ragazza! Non ti strozzare! » Ride, ma la mia faccia è seria. Mi porto una mano alla testa e mi passo le dita tra i capelli, scompigliando la treccia che avevo fatto con tanta cura.

Per un attimo vorrei non aver sentito, o aver capito male, ma le parole di Brenda fanno sparire ogni dubbio

« Cazzo! Emy, non lo sapevo! »

Grandioso, il cugino della mia migliore amica lavora nell'azienda avversaria ed io sono stata per qualcosa come un'ora a sorseggiare drink al tavolo di un pub insieme a lui.

Chiudo gli occhi ed espiro, non mi ero nemmeno accorta di aver trattenuto il fiato. Quando li riapro sono una belva.

Mi sporgo verso Carlos ignorando Brenda « Sei qui per un'imboscata? Avevi intenzione di aspettare che mi ubriacassi per rubarmi informazioni su altri clienti!? »

Percepisco lo smarrimento negli occhi bruni del ragazzo, ma allo stesso mondo capisco quando realizza chi sono

« Ma non mi dire » il suo tono si fa beffardo « Non dirmi che tu sei quella Emily! »

Io semplicemente continuo a fissarlo negli occhi, lo scruto cercando di intimorirlo

« E' così, quindi! E chi l'avrebbe mai detto! » scoppia a ridere

Brenda ci guarda in silenzio, è strano che non dica nulla, ma la ringrazio mentalmente, perché sa quanto questa faccenda mi abbia stressata durante la settimana e so che se l'avesse saputo non mi avrebbe portata con se sta sera.

Nel momento sbagliato Nate torna al tavolo

« Wow, ragazzi, credevo di essermi perso! C'è una marea di gente » si siede di fianco a me, ma quando percepisce la tensione interviene

Aggrotta le sopracciglia guardando i nostri musi lunghi « Cosa mi sono perso? »

« Niente! » rispondo io stizzita, forse anche troppo velocemente « Io e Brenda stavamo per andare a ballare! » volto lo sguardo verso lei « Vero, Brenda? »

Lei annuisce subito, ci alziamo, la prendo in mano e la trascino tra la folla lasciando i due soli al tavolo.

Quando volto lo sguardo per guardare indietro, oltre le mie spalle, l'ultima cosa che vedo è il ghigno divertito di Carlos.

Cazzo.





 

"la notte è giovane e noi siamo carichi, pronti a far nottata." Questa frase me la sono immaginata tantissimo con in sottofondo Tamarri si nasce di Dj Matrix. Come? Non la conoscete? Rimediate immediatamente a tale ignoranza, non potete certo perdervi una tale perla culturale!

BTW! Voglio ringraziare di nuovo tutti voi che continuate a seguirmi, vi adoro! E vi adorerei ancor di più se continuaste a lasciare recensioni! Insomma, fatemi sapere cosa ne pensate di quello che sta succedendo!

Detto questo, spero di poter tornare presto! Questo capitolo è uscito in ritardo e spero non capiti più! Vi saluto, un bacione

KamiKumi

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Capitolo 16
*** 16. DUKE ***


Sono sotto casa della bionda il cui nome ho scoperto essere Valery.

Sono qui, seduto in auto, con la testa appoggiata al volante, nel parcheggio sotto al suo condominio.

Il telefono sul sedile di fianco al mio continua a vibrare ininterrottamente e sul display compare, insistentemente, il suo nome.

« Merda! » Sbraito per il nervoso, sollevo la testa di poco dal volante iniziando a dargli colpi leggeri con la fronte, poi mi sollevo appoggiandomi al sedile e mi passo le mani tra i capelli con esasperazione.

« Merda, merda, merda! »

Mettiamoci in pausa per un istante, vi vedo confusi. Vi chiedete il motivo per cui mi sono ritrovato ad imprecare nella mia auto, in un parcheggio come se fossi un pazzo maniaco? Beh, è semplice: lunedì ho, incoscientemente, lasciato che il mio cazzo ragionasse per me. Ho lasciato che la mia fottuta erezione decidesse di fissare un secondo appuntamento con questa Valery del cavolo.

Quasi sospiro di gioia quando il telefono cessa di tremare ponendo fine a quel ronzio fastidioso che si veniva a creare al contatto col tessuto del sedile, ma la sensazione dura poco ed un cipiglio torna a formarsi sul mio volto quando la vibrazione ricomincia.

Innervosito inizio a mordermi il labbro inferiore.

Sono le 21:53 e sono in ritardo di cinquantatré minuti.

Si vede proprio che sono pentito, eh?

All'inizio mi sono ritrovato a temporeggiare in casa con Josie beandomi io delle sue fusa e lei delle mie carezze. Quando ho trovato la volontà di salire in auto e venire qui non mi sono più deciso ad aprire la portiera. Sono chiuso qua dentro da venti fottuti minuti.

Sospiro voltando lo sguardo verso il telefono che non ha ancora smesso di darmi il tormento.

Sono in conflitto con il mio io interiore: coscienza vs cazzo, l'epico scontro che vedrà la sconfitta, o la salvezza, della mia persona.

La parte razionale, la coscienza, inizia a parlarmi. Immagino il mio cervello appoggiato sulla mia spalla mentre dispensa consigli e si massaggia la barba « Devo ricordarti che non si fanno mai due giri sulla stessa giostra, amico? I bis portano guai »

Annuisco dandogli ragione, ma sull'altra spalla compare il mio cazzo.

Ok, si, non immaginatevi la scena come la descrivo letteralmente, è una metafora, non sono pazzo, non immaginatevi cazzi veri sulle mie spalle.

Dicevamo? Ah si, il mio cazzo prende parola: « Duke, Duke, Duke.. Quanto è stato duro affrontare questo periodo lavorativo? » lo immagino seduto sullo sgabello di un bar, alle tre del mattino, con un bicchiere di whisky tra.. le mani? « Hai bisogno di scopare, amico. » butta giù d'un fiato il liquore ambrato « Hai bisogno di scaricare la tensione affondando in una bella e calda vagina bagnata »

Scuoto la testa, sentendomi uno squilibrato nell'immaginare due organi che fanno discussione sulle mie spalle, inspiro tirando indietro al testa ed appoggiandola allo schienale, chiudo gli occhi.

Che fare?

Da una parte so che dovrei inserire la retro e darmela a gambe più in fretta che posso, ma dall'altra, Dio, ho bisogno di svuotarmi le palle.

Solo, non dovrei farmi di nuovo questa.

Dovrei farmene un'altra.

Dovrei farmi Emily.

Ciò che ne segue è inevitabile, i miei pensieri si dirottano verso le sue sinuose curve, sulla mia preferita soprattutto.

La immagino alla mia mercé, pronta per me mentre mi supplica ansimante di farla sua, di scoparla..

L'ennesimo ronzio mi fa aprire gli occhi, interrompendo il flusso di immagini venutesi a creare nella mia mente, con il disappunto della prominente e marmorea erezione che ora mi stringe sotto ai pantaloni.

« Porca puttana! »

Afferro il telefono fissandolo infastidito. Emetto un sospiro facendo uscire l'aria dal naso.

'Fanculo Duke: sei in ballo, balla!

Il telefono riprende a fare ciò che ha fatto nell'ultima ora: vibrare ed io, questa volta, mi decido a rispondere alla ventitreesima chiamata.

Non appena faccio scorrere il dito sullo schermo, ed avvicino l'aggeggio infernale all'orecchio, la voce acuta di Valery mi assale strillandomi nelle orecchie, graffiandomi i timpani e procurandomi parecchio fastidio, ma onestamente, detto tra noi, chi cazzo la sta ad ascoltare?

Taglio corto informandola del fatto che sono arrivato, mentre le parlo scendo dall'auto sbattendo la portiera, lei cinguetta qualcosa con voce stridula, ma io sto già premendo col dito sulla cornetta rossa per chiudere la chiamata.

Dopo aver salito le varie rampe di scale mi trovo finalmente davanti all'appartamento di Valery, la cui porta è già aperta, spalancata, come lo saranno tra poco le sue gambe.

Avanzo all'interno dell'abitacolo con passo felpato, sono come una cacciatore che avanza fremendo nella tana della preda.

Chiudo la porta alle mie spalle e seguo il breve corridoio che mi conduce al salotto, quando lo raggiungo mi posiziono al centro della stanza facendo un giro su me stesso per guardarmi intorno. Resto scioccato.

Sparse ovunque ci sono candele a forma di rose dal colore rosso, sono accese e sprigionano un forte odore dolciastro che mi fanno arricciare il naso per il fastidio.

La luce soffusa non lascia intravedere molto, ma non mi lascio sfuggire la figura di una ragazza tutta curve che avanza verso di me.

« Finalmente sei arrivato » la sua voce bassa è quasi un caldo sussurro, si posiziona difronte a me allungando le braccia sulle mie spalle mentre le mie raggiungono i suoi fianchi sottili afferrandoli saldamente, solo in quel momento mi rendo conto che indossa solo un sottile completino intimo che la copre a stento.

Il mio cazzo annuisce con assenso, decisamente apprezza.

Le sue labbra sottili sono ricoperte da un forte rossetto rosso, i suoi occhi chiari sono accerchiati da uno spesso strato di eyeliner mentre li inchioda ai miei, mi viene da pensare quanto in foto apparisse decisamente più figa.

Emette un ghigno furbo mentre fa scorrere una mano sul colletto della mia camicia, sbatte le folte ciglia un paio di volte mentre si avvicina al mio viso per raggiungere la mia bocca.

« Che gentiluomo, Duke » mi sospira sulle labbra « Non sai che non si fa aspettare così una ragazza? » mi dice con tono di finto rimprovero.

Io le mando un sorrisetto malizioso « Ma io non sono un gentiluomo » la mia voce è più bassa e roca di quanto mi aspettassi, le sto lasciando libero arbitrio, controllandomi a stento, per vedere quali sono le sue intenzioni, ma non ho alcuna fottuta voglia di perder tempo in preliminari.

Il mio cazzo è duro come il marmo, non vedo l'ora di sbatterlo dentro a questa ragazzetta vogliosa e di farla urlare come è impaziente di fare, senza giochetti o giri di parole.

Dopo avermi lasciato due lievi baci a stampo sento un piccolo rumore, un click, e nella stanza si diffondono le note di una canzone familiare, la riconosco quasi subito: è Earned it di The Weeknd.

Si allontana da me facendo qualche passo indietro accompagnata dalla musica sensuale in sottofondo, afferra i lembi della mia camicia e li tira trascinandomi con se, mentre solleva l'altro braccio e con il dito indice mi invita a seguirla.

A questo punto è evidente che lei voglia giocare, vuole essere la predatrice, ma se è questo ciò che pensa si sbaglia di grosso. Non sono fatto per essere comandato, non nella vita quotidiana e tantomeno a letto.

Alzo un sopracciglio guardandola di sottecchi con fare divertito.

« Cosa credi di fare, baby? »

In meno di due secondi le sono addosso, spingo le mie labbra sulle sue mordendole e succhiandole prima di chiederne l'accesso con la lingua.

Premo le mie mani sul suo culo stringendolo e mentre io mugolo approvazione lei sussulta per il piacere.

Mi stacco da lei prendendo il suo labbro inferiore tra i denti e tirandolo

« Non siamo qui per giocare » e prima che lei abbia modo di rispondere me la carico in spalle facendole emettere uno strillo di sorpresa, ridacchio mentre le assesto una pacca sul culo, poi mi dirigo verso la camera da letto

« Ed ora divertiamoci »

Un'ora e mezza dopo sto uscendo, o forse è più appropriato dire che sto scappando, dall'appartamento con le scarpe ancora tra le mani e la camicia slacciata.

L'ennesima uscita di scena priva di classe per Mr. Worten, ma è così che tocca fare a noi playboy quando una tipa, after sex, ti si accolla ed inizia a parlare delle vacanze al mare che farete insieme ai vostri quattro figli.

GRAZIE, MA NO GRAZIE.

Mentre corro giù dalle scale sento la voce di Valery rincorrermi alle spalle, ma non mi volto per controllare

« Amore aspetta, non andartene! »

Ma Amore cosa!? Questa è pazza! Il mio cervello ricompare sulle mie spalle e con aria di superiorità mi dice « Te l'avevo detto »

« Al diavolo, Cristo! »

Raggiungo l'entrata condominiale e cerco l'interruttore che aprirà il portone che mi porterà alla salvezza, ma non lo vedo.

Sento il passo di Valery scendere l'ultima rampa di scale.

Sto sudando freddo "Se mi prende ora è la fine"

Guardo a destra, poi a sinistra e lo vedo, come una luce infondo al tunnel, semi nascosto da una pianta di ficus finta.

"Fottute piante del cazzo!"

Mi ci fiondo senza indugiare oltre e poco prima che lei mi salti addosso, avvolta solo da un lenzuolo, io sono fuori da quell'inferno. Le chiudo la porta in faccia e corro verso la mia auto cercando le chiavi nei pantaloni.

In lontananza mi raggiunge la voce ovattata, attutita dal vetro, della ragazza che mi strilla quanto io sia un bastardo sfruttatore.

Tutte cose che sappiamo già, insomma.

Solo una volta che sono sul mio sedile riesco a rilassarmi e tirare un sospiro di sollievo, ma non perdo tempo ad infilarmi le scarpe, inserisco la marcia e fuggo da li.

« Decisamente mai più due volte sulla stessa giostra » mi ammonisco ad alta voce, sperando che la lezione mi resti impressa nella mente.

Appena sono abbastanza lontano, accosto per infilarmi le scarpe e scendo dall'auto per prendere una boccata d'aria e passarmi una mano tra i capelli.

Controllando l'orario noto che sono le undici e quarantacinque ed io ho veramente bisogno di bermi qualcosa per superare questo schifo di serata.

Decido di mandare un messaggio a Carlos, so che doveva vedersi con sua cugina ed amici, ma so che non mi volterà le spalle nel momento del bisogno, infatti poco istanti dopo ricevo la sua risposta.

Da Carlos: Siamo al Power. Scrivimi quando ci sei e ti recupero

Digito una risposta veloce e riparto in quinta verso il nuovo pub impaziente di risollevare il morale della serata.





 

Heilà! Scusate l'attesa, ma la scuola mi ha rubato l'anima, per cui ho preferito aspettare che finisse per poter finalmente aggiornare! Per cui spero che ora fili tutto liscio :)

Dunque! Oggi, inoltre, ho notato che è il giorno in cui, un anno fa, mi iscrissi su EFP! Quindi è il mio anniversario, circa! E un po' sono felice di essere arrivata fin qui, nonostante i mesi di carestia e crisi che ho affrontato sono riuscita a portare avanti questa storia che continua a divertirmi e spero diverta allo stesso modo anche voi :)

Festeggiate insieme a me lasciandomi una piccola recensione con le impressioni che avete riguardo il capitolo, mi fareste un grande regalo! :3

Intanto vi saluto e vi ringrazio enormemente! Un bacione enorme, a presto

KamiKumi 

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Capitolo 17
*** 17. DUKE ***


Finalmente arrivo al Power e voi non avete la fottuta idea di quanto sia fottutamente faticoso trovare un fottuto parcheggio nella fottuta Manhattan il fottuto venerdì sera.

Come dite? Nervosetto? PEGGIO!

Ho passato in rassegna più volte l'isolato in cerca di un buco in cui piazzare la mia auto, se fossi stato uno sconsiderato l'avrei lasciata in un punto a caso in seconda fila.

Tuttavia Giulia, la mia Alfa Romeo, è l'unica donna oltre a Julie di cui mi freghi qualcosa e non la lascerei mai abbandonata in un parcheggio poco sicuro, quindi si, mi sono preso la briga di trovare un bel posto in cui sarei stato certo di ritrovare la mia bimba intatta.

Quando finalmente lo trovo quasi non ci credo. Certo, mi tocca camminare venti minuti per arrivare al locale, ma per Giulia questo ed altro!

Apro la portiera, scendo, la richiudo e prima di lasciarmela alle spalle ne accarezzo il cofano. "Ah, è il mio orgoglio"

Okai e dicevamo? Mh, si, quando finalmente sono al Power la mezzanotte è passata da un pezzo e noto che sta sera ha fatto il pienone. La gente straripa tanto che se ne trova un grande gruppo ad occupare il marciapiede circostante l'entrata. Non mi spiego il motivo per cui siano tutti ammassati qui, insomma se è pieno levatevi dalle palle, no? Evidentemente no, coglioni.

Inizio a spintonare tra le persone tirando spallate a chiunque non mi faccia passare dopo la prima cortese richiesta di spostarsi dal cazzo e intanto, come da accordo, mando un messaggio a Carlos in cui lo informo del mio arrivo.

Una volta superato l'ammasso concentrato all'esterno e all'entrata mi rendo conto che l'interno non è messo meglio, anzi mi chiedo come si faccia a respirare e se il posto sia in regola con le norme di sicurezza, cioè dai, se dovesse scoppiare un incendio non ne uscirebbe vivo nessuno, probabilmente.

Comunque decido di dirigermi direttamente verso il bancone ed iniziare ad ordinare da bere da li, per cui invio un altro messaggio a Carlos spiegandogli le mie intenzioni.

Mi ritrovo a spingermi contro l'ammasso di persone presenti in questo locale, e dire che è anche molto grande, ma che cazzo. La musica è alta a livelli improponibili, tanto che sento la mia cassa toracica rimbombare ed i miei organi tremare, presto mi accorgo che è perché sono finito in mezzo alla pista. La gente balla e si struscia ovunque, su chiunque, su qualsiasi essere vivente, o non, che gli capiti sotto tiro e a volte, quello che gli capita sotto tiro, sono io, infatti mi guadagno diversi sguardi di apprezzamento da parte di un paio di biondine, che decido di ignorare deliberatamente "Ne ho abbastanza di bionde per sta sera" e persino di qualche giovanotto, il che mi fa stringere le chiappe ed iniziare a spingere più forte contro la folla ammassata.

Una volta raggiunto il mio obiettivo mi appoggio con un gomito al bancone aspettando di essere servito, mi volto in modo da osservare la pista ed i corpi che si muovono disordinati al ritmo di questa musica terribile "Ma che cazzo è? Skrillex!?"

Scuoto la testa inorridito, quando sento la voce di una donna richiamarmi

« Cosa posso fare per te, bell'imbusto? » volto la testa di centottanta gradi fino ad incrociare lo guardo di quella che sembra essere la sosia di Harley Quinn. I suoi occhi brillano vivaci nonostante la luce bassa del locale mentre si rigira tra le dita un codino, si sta mettendo in mostra e non fa nulla per nasconderlo, ma non ho intenzione di assecondarla.

« Una tequila » la voce atona, piatta ma il suo sorriso non si spegne

« Fanne due » Riconosco la voce di Carlos alle mie spalle sopra al frastuono, il rumore e le urla

« Agli ordini, capo! » La barista si volta per prepararci l'ordinazione, nel frattempo io e Carlos ci salutiamo schiaffandoci un cinque e stringendoci la mano come due ragazzini al parco.

Harley Quinn ci serve i due bicchierini, un piattino con delle fette di lime ed una saliera. Il mio amico prende il suo bicchierino e se lo avvicina mentre mi chiede « Allora, com'è andata con la bionda? » io intanto mi metto del sale tra il pollice ed il dito indice

Di tutta risposta alzo gli occhi al cielo ed ingollo il liquido trasparente d'un fiato. Mi godo il bruciore lasciando che mi scaldi poi sbatto il bicchierino sul bancone, mi succhio il sale dalla mano ed infine mi porto il lime alle labbra succhiando l'aspro spicchio di agrume.

Quando porto a termine il rituale Carlos mi guarda con aria divertita e con un po' di pena, forse anche un pizzico di solidarietà

« E' andata così male? » scuote la testa per poi ripetere le azioni fatte da me poco prima

« Amico, è andata bene fino a che le uniche parole ad uscire dalla sua bocca erano "Oh si Duke, così" » Lui scoppia a ridere mentre io ordino il secondo giro, solo per me dato che Carlos ha fatto cenno di negazione con la mano

« A te come va la serata invece, amico? » La cameriera mi serve facendomi l'occhiolino, la ignoro e butto giù il drink come prima mentre lui parla.

« Bene, direi quasi che è una serata sorprendente » sulle sue labbra si disegna l'ombra di un sorrisetto, ma dura un istante e non ne sono troppo sicuro. Alzo il sopracciglio con fare interrogativo chiedendomi che cosa cazzo voglia dire con quell'affermazione, di tutta risposta lui mi fa cenno con la testa di seguirlo e lo faccio, non prima di aver lasciato una banconota alla ragazza dietro al bancone, che si tenga pure il resto.

Lo seguo mentre raggiriamo ed evitiamo le persone ammassate per raggiungere, suppongo, il suo tavolo. Ogni tanto si gira verso di me con un sorrisetto sulle labbra, come se stesse tramando qualcosa, a cui io rispondo sempre con un'occhiata confusa.

« Eccoci! » Lo sento urlare da davanti, ma non so se sia rivolto a me o ai suoi amici. Siamo più o meno alla stessa altezza quindi non vedo gli altri fino al momento in cui non prendiamo posto.

Lui si siede di fianco ad una bruna dall'aria familiare a cui faccio un cenno di saluto con la testa mentre anche io mi siedo mettendomi a capotavola, quando volto lo sguardo alla mia sinistra, però, resto così sorpreso da non riuscire più a spostare gli occhi dal punto in cui li ho fissati.

Due vispi occhi verdi, che ormai mi sono tanto familiari, sono sbarrati quanto lo sono i miei, mi squadra, si comporta come se non fosse troppo stupita di vedermi. Capisco che non apprezza la mia presenza nel momento in cui aggrotta le sopracciglia e serra le sue bellissime labbra carnose, mi viene da sorridere davanti a quell'espressione che ormai è perennemente presente sul suo viso ogni volta che compaio io.

Sono tanto concentrato su di lei che quasi non noto il tipo che è seduto di fianco a lei fino al momento in cui le posa possessivamente un braccio sulle spalle, gli rivolgo subito un'occhiata ed è come se fosse un cane che sta pisciando sul suo territorio, è ridicolo e molliccio.

Si, molliccio.

Avete presente quei tipi tutti magrolini e fragilini insicuri di se tanto da far girare il cazzo? Ecco, questa è la prima impressione che ho avuto a proposito di questo qui.

E, dal momento in cui lei non fa nessuna mossa per scrollarsi di dosso il braccio di molliccio, deduco che sia il suo ragazzo, il che spiega molte cose.

In primis il motivo per cui è tanto restia dal lasciarsi andare ai suoi istinti ad abbandonarsi a me ed ok, lo capisco. Cioè, posso accettare il fatto che sia occupata, ma, Cristo, non posso accettare il fatto che stia con un molliccio del cazzo come il qui presente coglione alla mia sinistra.

Torno a rivolgere uno sguardo a Emily, la cui espressione non è cambiata di una virgola, anzi sorseggia il sui drink come se nulla fosse, ma, anche se lei non è stupita di vedermi qui, io lo sono e non posso non chiedermi il motivo per cui Carlos sia con loro, con lei.

Sto per aprire la bocca per porre il mio quesito, ma come se lui mi avesse letto nel pensiero risponde alla mia domanda prima ancora che io mi possa esprimere.

« Ragazzi spero non vi dispiaccia per l'intrusione dell'ultimo minuto » Si rivolge ai tre con un sorriso « Lui è Duke, fedele amico e collega » Mi lascia una pacca sulla spalla ed io faccio un sorriso di cortesia rivolto a tutti prima che Carlos inizi a presentarmi gli altri.

La prima che mi presenta è sua cugina Brenda ed è in quel momento che mi viene in mente il motivo per cui fosse un viso familiare, era l'amica insieme ad Emily al Plan B, e dall'occhiataccia che mi manda capisco che, la mia collega cara, le ha raccontato dei nostri ultimi scontri, la sua reazione però non mi fa né caldo né freddo. I tipi come lei li conosco e sono delle rotture di cazzo pesantissime, acide e fastidiose.

Entrambi stiamo aprendo la bocca per dire qualcosa, ma prima che un qualsiasi suono possa uscire dalle nostre labbra veniamo interrotti da una mano che si tende nella mia direzione

« Piacere, io sono Emily » La sua voce cerca di essere ferma e sicura, ma lascia trasparire uno spiraglio di nervosismo, riesco a percepirlo e mi chiedo quale sia la causa. Ha reagito come se non volesse che io e Brenda ci dicessimo qualcosa "Che non voglia far sapere al ragazzo che ci conosciamo già?"

Mi viene da chiedermi se non sia uno di quelli che non lasciano fare un cazzo alla propria ragazza, che ha più personalità di loro, per paura di perderla e con questo pensiero molliccio sale definitivamente in cima alla lista di persone che mi stanno sul cazzo.

Mi rivolgo a quei suoi brillanti occhi verdi che, se guardati meglio, sembrano offuscati dall'alcool, abbasso lo sguardo sul tavolo e noto diversi bicchieri vuoti difronte a lei, le rivolgo un sorrisetto impertinente alla quale lei risponde sbarrando gli occhi mentre io afferro la sua mano e la stringo nella mia notando che, nonostante tutto, la sua presa è sempre salda e sicura " Che sia deformazione professionale? "

« Il piacere è tutto mio, Emily » Ed, ovviamente, non faccio quasi in tempo a finire di pronunciare la frase che il suo ragazzo si sta già preparando a pisciarle di nuovo addosso

« Io invece sono Nate » La sua voce mi tuona nelle orecchie ed è una scena così patetica tanto da risultare quasi comica, non afferro la mano che mi tende, gli rivolgo solo un cenno con la testa, giusto per amore della comunicazione efficace, facendogli ricevere un feedback.

Una volta terminate le presentazioni Nate cerca di fare conversazione, o forse di sondare il terreno, rivolgendomi qualche domanda. La prima è « Allora, Duke, di cosa ti occupi? » poi continua con quesiti di circostanza, argomenti frivoli.

Rispondo ad ogni domanda senza un minimo di interesse per la conversazione che stiamo intrattenendo e mantengo il mio sguardo su Emily, che lei mi ignora deliberatamente ridendo a qualche battutina di Carlos "Che ce l'abbia con me ancora per l'ultima discussione?"

Dubito sia così bambina da serbare rancore in tal modo, anche se..

Un movimento brusco riscuote tutti dalle conversazioni in cui, chi più chi meno, eravamo immersi. Emily si è alzata dalla sua sedia, dopo essersi scolata il terzo drink che ha ordinato da quando sono arrivato, e biascicando annuncia che andrà in bagno. Brenda si offre di accompagnarla, ma lei rifiuta negando con la testa, forse con un po' troppa enfasi, quindi si volta sui tacchi andandosene, ma non prima di avermi lanciato un'occhiata.

Stavo per chiedermi cosa volesse dirmi con quel gesto, ma dal momento in cui mi ha dato le spalle ho perso la capacità di mettere insieme un pensiero di senso compiuto, la mia mandibola dev'essere crollata a terra da qualche parte, mentre mi viene voglia di correrle dietro caricarla in spalle e portarla via da questo schifo di pub per scoparla sulla mia Giulia.

Credo di non ho mai visto una persona più sexy di lei in questo momento. Indossa un abitino nero che le arriva a metà coscia ed ha un ampio scollo a V che le lascia scoperta la schiena, mi fa venire voglia di leccarle la colonna vertebrale dal basso fino ad arrivare al suo collo, per poi morderle il lobo, dopo averle scostato i capelli su una spalla, per sussurrarle parole sporche all'orecchio..

Avevo detto questa sera basta ragazze ?

Rettifico. Questa sera basta ragazze che non siano Emily Mayton.

Vedo Brenda guardare la sua amica lasciare il tavolo con aria preoccupata, credo voglia seguirla, ma la vedo rassegnarsi nel momento in cui ammorbidisce le spalle ricominciando a parlare, questa volta con Nate.

Io intanto penso a come raggiungere Emily senza che il suo ragazzo desti sospetti, così lascio passare qualche minuto ascoltando ed annuendo ogni tanto a ciò che dicono, dopodiché annuncio

« Ragazzi esco a fumarmi una sigaretta »

Lo sguardo di Carlos incontra il mio con fare confuso, sa che ho smesso di fumare tempo fa, gli ho raccontato di come ho valorosamente smesso con quel vizio del cazzo.

Seriamente, ragazzi, non fumate. Il fumo fa schifo e a nessuna ragazza piace una bocca che sa di tabacco.

Ma tornando a noi: assesto a Carlos una pacca sulla spalla « A tra poco » poi me ne vado dopo esser stato squadrato da Nate.

"Che cazzo vuoi, molliccio?"

Attraverso la mischia dirigendomi verso l'uscita, per non far destare sospetti agli altri, dopodiché devio verso le toilette e non posso non pensare a che razza di serata disastrata ho passato e a cosa cazzo io stia facendo, perchè non so quale idiota seguirebbe di nascosto fino al bagno di un locale una sexy ragazza fidanzata quando il suo ragazzo è seduto al tavolo insieme alla sua migliore amica e dopo essere scappato da una pazza ragazza ossessionata da te. Eppure lo sto facendo, lo sto facendo perché Emily mi attira come nessun'altra ragazza riesce a fare ed il mio cazzo le scodinzola dietro come fosse un cagnolino abbandonato in cerca di attenzioni.

Sono consapevole di dovermela levare di torno perché la ragazze fidanzate sono proibite secondo le regole del playboy, ma forse dovrei fare un'eccezione per questa brunetta..

Raggiungo finalmente la zona dei bagni dopo un'incredibile lotta corpo a corpo contro mille persone ubriache perse e mi guardo in giro cercando il suo corpo perfetto guardando oltre le persone intorno a me, poi la vedo aprire la porta della Toilette delle donne ed uscirne. I suoi capelli mossi ora sono legati in una coda alta disordinata, il suo viso è arrossato per via dell'alcool ed i suoi occhi sono rivolti verso il basso. Mi viene da sorridere quando mi viene in mentre cosa fare per sorprenderla. Le vado incontro stando attento a rimanere sulla traiettoria e poi mi fermo per aspettarla. Continuo a guardarla mentre procede con la sua camminata spedita su quei tacchi che mi fanno pensare a quanto la rendano incredibilmente sexy.

Mi riscuoto dai miei pensieri solo quando, come pensavo, viene a sbattere contro di me. La sua testa collide contro il mio petto ed in tutto questo ci trovo una strana ironia. Mi sembra quasi un déjà-vu.

Lei alza lo sguardo ed i suoi occhi sono lucidi, annebbiati dai numerosi drink che ha bevuto e forse questo dovrebbe essere un motivo valido per farmi andare via da qui, nella mia testa dovrebbe suonare il campanello del buonsenso: lei non è lucida, è indifesa ed io sono un bastardo predatore, finirebbe per essere vittima del mio egoismo. Eppure non riesco a lasciarla perdere, nonostante il suo carattere testardo ed ingestibile, non riesco a levare le mie mani dai suoi fianchi ed i miei occhi dalle sue iridi verdi, dalle sue pupille dilatate.

Le sue sopracciglia sono di nuovo aggrottate, mi viene da pensare che questa sia la sua espressione di sempre. Non dice niente, mi guarda semplicemente, per cui decido di essere io a spezzare il silenzio

« E' diventato un Cliché? » Un sorrisetto mi si stampa in faccia mentre ora mi guarda con fare interrogativo, così mi spiego « Tu che vieni a sbattermi addosso » e, per la prima volta da quando ci siamo rincontrati in ascensore, mi rivolge un sorrisetto divertito.

E' dolce e spontaneo, ma in pochi istanti svanisce e lei mi si scaglia addosso, mi spinge coi palmi delle mani e mi fa sbattere le spalle contro la parete dietro di me.

Sbarro gli occhi per la sorpresa perché di sicuro non mi aspettavo una simile reazione.

« Cosa diamine ci fai qui!? » Sbotta seria all'improvviso « Mi perseguiti!? » Mi punta un dito contro il petto, come fa ogni volta che ci ritroviamo a parlare soli « Tu ed il tuo amichetto avete attuato un altro piano per sabotarmi!? » Il suo corpo continua ad essere avvolto dalle mie mani ed io resto in silenzio ascoltandola mentre da di matto tirando fuori per l'ennesima volta questa stupida storia del sabotaggio. Cioè, ok, diciamo che le ho dato dei motivi per dubitare di me e che l'ultima discussione si basava proprio su questo argomento, ma pensavo fosse storia chiusa.

Maledette donne e la vostra capacità di serbare rancore.

« Sappiate che non mi freghere- » ma prima che possa finire l'ennesima frase accusatoria ribalto la situazione. La trascino contro di me e mi rotolo sulla parete cosicché adesso sia lei quella con le spalle al muro.

La mia statura la sovrasta e lei ora è ammutolita, si morde il labbro mentre mi osserva dal basso coi suoi occhioni da cerbiatta, mentre le sue mani minute sono sul mio petto in un vano tentativo di tenermi a distanza, mentre il suo respiro accelera ed io la guardo. La guardo ed il mio petto di gonfia di una sensazione che non riesco a decifrare, una sensazione che mi confonde, ma che ignoro.

Le mie mani abbandonano i suoi fianchi per afferrare i suoi polsi, li trascino ai lati del suo corpo ed io mi avvicino di più a lei, guardandola farsi più piccola, guardandola trattenere il fiato mentre invado il suo spazio.

« Piccola, falla finita con questa storia » la mia voce è bassa, calda, roca. Sono eccitato, entusiasta di essere qui difronte a lei e tenerla in trappola « Sono qui per caso e Carlos nemmeno sapeva quale fosse la tua faccia » Avvicino il mio viso al suo « Per cui falla finita » Il suo viso si imbroncia in un'espressione adorabile ed il fatto che io l'abbia descritta in questo modo mi confonde, ma non riesco a smettere di sorriderle.

Mi avvicino ancora di più a lei tanto che posso percepire il suo respiro accelerato e sentire il suo alito che odora di alcool dolce. Il mio petto è spinto contro il suo, sento il suo seno schiacciato contro di me e vengo colto da un brivido che mi scuote come fossi stato colpito da una scossa elettrica.

Lei si morde il labbro ed io non resisto, lascio andare il suo polso destro per accarezzarle la guancia, il mio pollice è sulla sua bocca e tira per liberare il labbro inferiore dalla sua stessa morsa. Ne percorro la lunghezza senza mai distogliere lo sguardo dal suo, lei non si ribella, anzi, solleva il braccio libero sul mio fianco e lo fa scorrere sulla schiena fino ad afferrarmi la spalla.

Socchiude le labbra ed io mi avvicino ancora di più, posso giurare che lo spazio circostante a noi sia sparito, non sento più niente se non il suo corpo contro il mio ed il suo calore bruciante.

Chiude gli occhi e capisco che mi sta dando il via libera.

La mia mano si posiziona sulla sua nuca e l'altra sulla sua schiena, per avvicinarla di più a me se possibile.

Le nostre labbra stanno per sfiorarsi, chiudo gli occhi anche io, in attesa di quel contatto inaspettato.

E poco prima che questo avvenga sento una vibrazione sulla mia gamba, ed essendo in stretto contatto, questa fa scattare Emily come se d'un tratto fosse tornata alla realtà dopo essersi risvegliata un sogno, o un incubo, data l'espressione di terrore sul suo volto.

Mi spinge via da se ed una sensazione di disagio mi inonda, si porta una mano sulle labbra, chiude gli occhi stringendoli, poi semplicemente mi da le spalle e se ne va.

Non dice niente, non mi guarda nemmeno, semplicemente se ne va. Se ne va lasciandomi li, come un coglione con il telefono che vibra senza sosta nella mia tasca.

Prendo quell'aggeggio infernale che, oggi più che mai, mi ha causato un fastidio dopo l'altro e rispondo alla chiamata di Carlos mentre mi passo una mano tra i capelli

« Amico, noi aspettiamo Emily e poi ce ne andiamo » urla lui dall'altra parte della cornetta per sovrastare la musica

« Ok, ci sentiamo » Attacco la chiamata e, prima che possa aggiungere qualcos'altro, spengo il telefono per poi rinfilarlo in tasca.

Mi appoggio al muro chiudendo gli occhi.

"Sono stato così stupido ad averla lasciata andare"


 

Dios mios! Questo capitolo è stato intenso da scrivere. E' stato intenso e complicato: non riuscivo a scriverlo, per questo motivo ho impiegato quasi due settimane. Si, certo le serie tv hanno infierito, ma alla fine ce l'ho fatta! E spero vi piaccia perchè mi ha prosciugato l'anima :')

Beh, tutto qui, per ora! Fatemi sapere cosa ve ne pare! A presto (spero) 

Un bacione dalla vostra KamiKumi

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Capitolo 18
*** 18. EMILY ***


Il lunedì mattina e sono totalmente immersa nel lavoro, quando Kyle bussa alla porta del mio ufficio prima di entrare, come sempre, senza attendere una risposta. Alzo lo sguardo verso di lui mentre se la richiude alle spalle, incrocia le braccia e ci si appoggia contro.
« Posso fare qualcosa per te Kyle? » gli domando dopo attimi di silenzio in cui rimaniamo a fissarci, lui dall’alto della sua statura ed io da seduta, non capisco cosa sia venuto a fare. Si avvicina alla mia scrivania senza sciogliere le braccia dall’intreccio al petto.
« Cosa succede con quelli della Blake? » mi chiede con sospetto, socchiudendo e palpebre in uno sguardo tagliente. Aggrotto le sopracciglia cercando di capire dove voglia arrivare, sono solo le nove e mezza del mattino e per una volta, da una settimana a questa parte, speravo di poter lavorare tranquillamente.
« Cosa intendi? » rispondo con un’altra domanda.
« Lo sai » afferma deciso
Sospiro scocciata, chiudo gli occhi portandomi una mano alla tempia « No, Kyle, non lo so »
« E allora piegami cosa ci fa qui quello che ci ha soffiato il cliente, Worten » sgrano gli occhi a quell’affermazione “Cosa!?”
Gli eventi del venerdì sera mi tornano in mente schiaffeggiandomi in faccia, come una secchiata di acqua gelida. Ho passato il weekend a pensarci e ripensarci, parlandone con Brenda sabato durante il nostro giorno di Shopping sfrenato. Una cosa che non vi ho detto? Brenda non sopporta Nate e, anche se non lo ammette perché è la mia migliore amica, la cosa è reciproca. Cosa centra questo vi state chiedendo? Beh, se la vostra più cara amica odia il vostro ragazzo e le parlate di un figo strabordante di feromoni che ha provato a baciarti noncurante di chi gli stesse intorno, aspettatevi che vi dica di fiondarvi tra le braccia di quest’ultimo in una notte di focosa passione, nonostante i tuoi sguardi di disapprovazione. Insomma non è lei quella che dovrebbe tenermi coi piedi per terra mentre io sogno di essere scopata. Forte. Perché no, non è così che è andata sabato « Magari finalmente ti fai una scopata come si deve » cito sue testuali parole, ma anche se lei dice così, sa benissimo che non è una cosa che farei mai, nonostante l’insoddisfazione repressa e l’impellente bisogno di una cazzoscopia come si deve. Mi immagino ricoverata d’urgenza in ospedale, circondata da dottori.
« Presto infermiera! Serve il kit per una cazzoscopia d’urgenza! »
Scuoto la testa per tornare nel mondo reale quando la mia testa di immagina un focoso Duke Worten a petto nudo mettersi a cavalcioni su di me sulla barella allargandomi le gambe. “Promemoria per me: Emily, non sei in Grey’s Anatomy”
Torno a rivolgere la mia attenzione a Kyle che è in attesa di una risposta « Non so cosa ci faccia qui » affermo decisa « E non so nemmeno cosa voglia » mi alzo in piedi sospirando e lisciandomi le pieghe della gonna « Dov’è ora? » gli domando intenzionata a cacciarlo dal nostro piano. Non ho alcuna intenzione di parlargli, ma qualcuno dovrà pur farlo.
« E’ qua fuori » indica con un pollice oltre le sue spalle, verso la porta.
« Cosa!? » esclamo sorpresa ed ora un po’ nel panico « Non pensavo fosse qui qui! » Lui fa spallucce
« Ho provato a cacciarlo, ma è stato inutile » sospira amareggiato « Per questo ho preferito venire a parlarti » i suoi occhi preoccupati passano in rassegna il mio viso « Lo lascio entrare? » Sorrido grata per la sua apprensione, poi annuisco dicendogli di non preoccuparsi.
« Sono perfettamente in grado di stenderlo con una ginocchiata » e lui, alle mie parole, esplode in una sonora risata. Mi si avvicina per stamparmi un bacio in fronte che mi turba rendendomi rigida, dovrò parlargli e dirgli che questo improvviso cambio di atteggiamento nei miei confronti mi crea disagio, intanto gli sorrido mascherando le emozioni, dopodiché apre la porta ed esce lasciando entrare la mia nemesi.
Porto le braccia al petto e le incrocio sotto al seno « A cosa devo l’onore? » domando con sospetto distogliendo lo sguardo dal suo cercando di non lasciarmi catturare come solo le sue iridi chiare riescono a fare. Non risponde, resta in silenzio guardandosi intorno, studiando il mio ufficio ed infine scrutando me, facendomi sentire piccola sotto il suo sguardo dominante.
Si muove verso le mie poltroncine ed in due falcate le raggiunge accomodandocisi sopra scaturendo in me una reazione di fastidio “Certo, fa pure come fossi a casa tua!”
Inarco un sopracciglio « Allora? Non ho tempo da perdere io » lo intimo a parlare mentre mi appoggio col sedere alla scrivania. L’aria nella stanza si è fatta densa, carica di tensione elettrica e, nonostante tutto, sembra perfettamente a suo agio in ogni movimento che compie, nonostante i miei sguardi da omicida. Accavalla le gambe appoggiando la caviglia destra sul ginocchio sinistro, incrocia le dita delle mani sullo stomaco senza distogliere il suo sguardo dal mio corpo, ed è uno sguardo che brucia. Vorrei strapparmi, e strappargli, i vestiti di dosso gustandomi la vista e liberandomi di ogni intralcio. Sbarro gli occhi quando mi rendo conto di cosa sto pensando “Emily, ma che cazzo?!”
« Vorrei proporti un accordo » dice infine con la sua voce calda e profonda tanto che ne resto quasi imbambolata, se non fosse che le sue parole mi suonano allettanti rimbombando nella testa come un eco.
« Quale accordo? » domando interessata e mi sento come se il diavolo mi si fosse presentato davanti per stipulare un patto con me ed indurmi in tentazione, quando qui l’unica tentazione è lui.
Appoggia entrambi i piedi a terra, solleva la schiena per posare i gomiti sulle ginocchia « Una tregua » il mento appoggiato sulle mani incrociate ed un sorriso malizioso stampato sul viso perfetto.
Alzo il mento incoraggiandolo a continuare « Ti ascolto » mi sento come in quei film polizieschi in cui l’agente propone un accordo al criminale per ridurre la pena, solo che qui il criminale in questione altri non è che lui, colui che mi ha fottuto il lavoro.
Si mette in piedi parallelamente a me « Ti lascerò in pace .. » fa un passo nella mia direzione mentre io mi raddrizzo con la schiena.
« C’è un se » la mia è una constatazione, non una domanda.
Sorride « Perspicace come sempre » fa un altro passo « .. se rinunci al nostro caro vecchio Evans » continua poi.
Alzo gli occhi al cielo voltandogli le spalle ed andando a posizionarmi dietro la mia scrivania, appoggio i palmi sul ripiano mentre mi sporgo oltre, mi sporgo verso di lui « Senti questo invece » e a questo punto sorrido « Tu mi lascerai in pace e rinuncerai al nostro caro Evans » inclino la testa sorridendo soddisfatta « Ed io non ti prenderò a pugni »
Scoppia a ridere mentre mi raggiunge in due falcate, si mette nella mia stessa posizione dall’altro lato della scrivania, abbassandosi in modo che i nostri occhi siano alla stessa altezza e possano incontrarsi. « L’accordo non è negoziabile, tesoro » Si sporge verso di me e le sue iridi di ghiaccio sono due potenti magneti che rapiscono ogni briciolo di buon senso rimastomi addosso. Mi ritrovo a deglutire a vuoto e a mordermi il labbro totalmente perduta ed ubriaca del dio greco dinnanzi a me.
« Direi che allora non abbiamo nulla di cui parlare » mi risollevo bruscamente, per prendere posto sulla mia sedia incrociando le braccia al petto, ma più che altro per guadagnarmi di nuovo il mio spazio e, non so come, me lo ritrovo a due millimetri dal viso. E’ stato così veloce da non avermi lasciato il tempo di reagire, le sue mani sono sui braccioli e mi tengono imprigionata allo schienale.
« Potremmo riprendere da dove avevamo interrotto l’altra sera » si lecca le labbra « Che ne dici? » il palmo della sua mano scorre dalla mia spalla alla mia nuca lentamente, lasciando che i brividi prendano possesso del mio corpo facendomi chiudere gli occhi e socchiudere le labbra. “Non devo, non posso” continuo a ripetermi mentalmente cercando a stento di non farmi tentare, ma il collegamento tra il mio cervello e il mio corpo sembra essere stato interrotto in maniera irrecuperabile. Mi lascio sfuggire un sospiro quando mi accarezza il viso col pollice prendendo in ostaggio le mia labbra sotto al suo tocco erotico e dolce.
Se cedessi ora non lo saprebbe nessuno, potrei baciarlo liberandomi finalmente di questo desiderio schiacciante che mi spinge nelle sue grinfie e nessuno, oltre a noi, ne sarebbe a conoscenza.
Lascio scorrere le mie mani sulle sue braccia, raggiungendo la sua nuca, lo attiro verso di me mentre lo sento inspirare, spingendomi verso di lui per andargli incontro. Mi lecco le labbra, chiudo gli occhi, il suo respiro mi avvolge facendomi tremare. Non riesco più a pensare a niente, se non al bisogno schiacciante che ho di sentire le labbra di quest’uomo sulle mie, avvolgendole in un bacio violento come la voglia che ho di possederlo e farmi possedere.
La realtà di piomba addosso come macerie nel momento in cui il telefono del mio ufficio squilla riscuotendomi bruscamente. Sbarro gli occhi terrorizzata da me stessa, dalla mia mancanza totale di controllo, dalle azioni che stavo per compiere raggiungendo il punto di non ritorno. Lo spingo indietro facendolo barcollare, mi metto una mano sulle labbra per proteggerle da lui e dal desiderio schiacciante che provo nonostante tutto e dall’ illusione che tutto questo fosse possibile strappatami via così all’improvviso. Lo fisso in silenzio mentre il telefono continua con il suo suonare incessante, lui fissa me, le sopracciglia curve sotto il peso della delusione. Muove un passo nella mia direzione ed io, d’istinto, spingo la sedia indietro per allontanarmi come per paura di essere scottata.
« Non avvicinarti! » lo minaccio con un tono di voce fin troppo alto « Vattene via subito! Non voglio vederti mai più! »
Il suo viso assume un’espressione indecifrabile, le sue labbra si chiudono in una linea dura mentre mi da le spalle e se ne va, così com’è venuto, sbattendo la porta alle sue spalle.
Mi piego sulla scrivania prendendomi le mani tra i capelli, tirandoli in preda al nervoso “Cosa stavo per fare?” stringo gli occhi cercando di dare la colpa a lui, a Duke, al fatto che lui mi abbia tentata senza alcun freno, pudore o inibizione,
Sollevo lo sguardo verso il computer controllando l’orario, sono solo le dieci e quindici del mattino e la mia giornata è già andata a rotoli.
“Perché non può lasciarmi in pace!?”
Il telefono ricomincia a squillare ed io sospiro, sollevo la cornetta e questa volta rispondo.
« Ufficio di Emily Mayton, della Simmonds&Co, Buongiorno » cerco di far suonare raggiante la mia voce mentre il cliente mi si presenta ed inizio a prendere nota di ciò di cui ha bisogno, ributtandomi a capofitto nel lavoro e lasciandomi, almeno per il momento, alle spalle i miei problemi.
Quando alzo lo sguardo dai bozzetti che sto preparando mi rendo conto che sono già le due del pomeriggio e non mi sono fermata nemmeno per un istante assorta com’ero dal lavoro, decido quindi di fare pausa e prendermi un caffè. Sfilo il portafogli dalla borsa insieme al telefono e controllo i messaggi mentre mi avvio verso il distributore di bevande calde, seleziono il mio prodotto mentre scorro le chat, la prima è di Brenda e sono una serie di sms minatori.
Brenda: Buongiorno dolcezza, pranziamo insieme?
Brenda: Non ignorarmi, donna
Brenda: Stronza iper lavoratrice sclerata!
Brenda: Fammi sapere se mi degni della tua presenza per cena, almeno! Se non disturbo troppo
Mi ritrovo a ridacchiare come una scema davanti a quei messaggi, prendo in mio caffè e mi siedo su un tavolino iniziando a digitare una risposta in cui le dico che accetto il suo invito a cena fuori, solo se non andremo a mangiare messicano e mi scuso se il mio lavoro mi piace.
Brenda: Una gioia almeno me la lasci? Vada per la pizza, allora!
Finiamo di metterci d’accordo e mentre torno in ufficio scrivo a Nate. Aprendo la sua conversazione sento un principio di senso di colpa nei suoi confronti che mi affretto a scacciare scuotendo la testa “Non è successo nulla, Emy!” Infine gli scrivo che questa sera ho in programma di uscire con Brenda, non so se vedrà il messaggio, quando fa pausa è solito fumarsi velocemente un sigaretta, ma siamo comunque soliti informarci dei programmi che abbiamo.
Mi ributto a capofitto nel lavoro fino al momento in cui è ora di chiudere l’ufficio e tornare a casa.
 
Sono le diciannove in punto e sto aspettando Brenda sotto casa mia per andare insieme a mangiarci questa benedetta pizza, sto morendo di fame e, comunque, non vedo l’ora di vederla per aggiornarla. Quando la vedo scendere dal taxi, pochi minuti più tardi, le sorrido ammirandola nel suo outfit da fashion blogger e le vado incontro abbracciandola.
« Sei in ritardo, stronza » mi fingo arrabbiata
« Oh, ma stai zitta! » mi tira un colpo d’anca facendomi barcollare a qualche passo da lei « Tu mi hai dato buca a pranzo, quindi non lamentarti! » Alzo gli occhi al cielo mentre camminiamo sul marciapiede dirette alla pizzeria italiana in cui andiamo sempre.
Quando arriviamo “da Franco” veniamo accompagnate al nostro tavolo, che è in un angolo vicino alla vetrata che da sulla strada. Pochi minuti dopo aver sfogliato e chiuso i nostri menù, una cameriera molto vivace e socievole viene a prendere le nostre ordinazioni.
« Okai, spara » decido di fare cominciare lei che, al contrario di me, freme dalla voglia di aggiornarmi.
Espira con aria soddisfatta « Allooora! » si raddrizza appoggiando i gomiti sul tavolo scartando una confezioni si grissini sottilissimi, la imito in attesa « Sabato sera, quando mi hai abbandonata per restare a casa » mi guarda assottigliando lo sguardo ed io alzo il sopracciglio.
« Per restare a casa col mio ragazzo che aveva stranamente una sera libera, scusami » la correggo con aria ironica alzando gli occhi al cielo mordicchiando il mio grissino.
« Si, si, potevate venire con me! » sbuffa « Comunque sia, sono uscita con Margo, la mia collega, ricordi? » annuisco attenta alle parole. Ogni tanto dice così tante cose contemporaneamente che si ritrova a perdersi nei suoi discorsi e, se non ci sto attenta io, non se ne arriva ad una « Siamo andate a ballare, avevamo entrambe bisogno di rimorchiare e, indovina un po’!? » mi guarda aspettandosi che io provi ad indovinare.
« Hai rimorchiato? » le rispondo senza nemmeno impegnarmi a cercare una risposta meno scontata non sapendo cosa andare a pensare. Lei aggrotta le sopracciglia.
« Certo che ho rimorchiato! Che domande » prende un altro grissino e lo spezza a metà, lo infila tra l’indice ed il medio come se fosse una sigaretta prima di cominciare ad addentarlo « Ho visto Worten! »
Per la sorpresa spalanco la bocca facendomi andare di traverso il grissino masticato ed inizio a tossire tanto forte da farmi venire le lacrime agli occhi. Solo quando mi calmo riesco a risponderle « E tu mi porti fuori a cena per parlarmi di quello scemo!? »
Brenda fa un sorrisetto furbo abbassando lo sguardo prendendo un altro morso dal suo grissino-sigaretta « Beh, visti i vostri ultimi approcci pensavo ti potesse interessare conoscere i suoi spostamenti » alza le sopracciglia ammiccandomi « O no? »
Scuoto la testa mentre mi viene in mente quello che è successo oggi nel mio ufficio che, altro non è, che il replay della serata di venerdì, fuori dai bagni « Decisamente no, Brenda »
« Ah, quindi non ti interessa sapere con chi fosse? » mi guarda con i suoi vispi occhi furbi reggendosi il viso tra i palmi delle mani in attesa di una mia reazione.
Voglio saperlo? No, non mi interessa realmente, ma.. Dio, non posso credere di essere uscita con la mia migliore amica per spettegolare di un bellissimo e sexyssimo dio greco che mi molesta, mi perseguita e a cui, è evidente, non posso resistere nonostante io sia occupata in una stabile relazione duratura. Era con un amico? E’ più probabile che fosse in compagnia di una donna. “Oddio” Ed un irragionevole moto di gelosia mi si insinua nel petto. Gelosia? No, no impossibile. Invidia, ecco si invidia ha più senso. Avrei voluto essere li io per godere della sua compagnia e poi magari lasciarmi trascinare a casa sua e proseguire li la serata.. Interrompo i miei pensieri quando mi accorgo di aver corso decisamente troppo con la fantasia e che, magari, era in giro col suo prozio per fargli provare l’ebrezza di essere nuovamente giovano. Improbabile, ma non impossibile.
Mi ritrovo a sospirare chiedendole con chi fosse, perché, mio malgrado, voglio saperlo, perché non riesco a smettere di pensare a quanto questa curiosità mi logori, a quanto lui mi renda irrequieta.
Brenda emette un gridolino « Aaah! Lo sapevo, lo sapevo che avresti ceduto! »
La minaccio puntandole contro un grissino mangiucchiato « Parla e non rompere, donna » lei me lo ruba di mano e se lo infila in bocca spezzandolo, mi sorride.
« Come siamo avide di informazione, signorina Mayton » beve un sorso d’acqua irritandomi, poi finalmente parla ed io pendo dalle sue labbra « Ti ricordi di Alana, la mia collega leopardata? »
« E come dimenticarla?! » commento io, mentre riemergono i ricordi di una serata di qualche mese prima. Brenda mi aveva chiesto di accompagnarla alla cena tra colleghe che la sua scuola aveva organizzato. Lei lavora come maestra di inglese in una scuola media, mentre la Alana in questione insegna musica, loro due sono le due insegnanti più giovani e ben messe dell’intero istituto. Comunque sia, questa qui, si è presentata alla cena completamente vestita in leopardato, totalmente a suo agio anche se totalmente fuori luogo per il contesto in cui si ritrovava. Ovviamente tra le due c’è dell’astio, non per una ragione precisa, ma c’è ed ora anche io provo rancore nei confronti della collega.
« Infatti. Beh, era con lui sabato sera e dovevi vedere come gli girava intorno, sembrava disperata » ridacchia lei « Imbarazzante » ed io ridacchio con lei dandole ragione « Sta di fatto che poi se ne sono andati insieme » conclude alla fine.
« Beh, ha davvero buon gusto in fatto di donne » commento ironica ricordando di nuovo l’outfit della donna leopardata, tuttavia sto rosicando, per cui decido di cambiare discorso chiedendole della sua conquista.
Nel frattempo ci vengono portate le nostre pizze: una capricciosa per lei ed una col tonno per me.
Tra un morso e l’altro inizia a raccontarmi del ragazzo che ha conquistato e di come sia scappata gambe levate una volta a casa sua, dopo avergli levato pantaloni e mutande ed essersi ritrovata davanti ad un fagiolino minuscolo, se non invisibile. Scoppio a ridere davanti alla sua descrizione dettagliata e alla sua faccia sconvolta, immaginandomi la scena senza riuscire e mantenere il controllo.
Il resto della serata trascorre tranquillamente tra le risate e, quando giunge alla fine, il mio telefono trilla l’arrivo di un messaggio, lo sfilo dalla borsa e leggo il mittente, è Nate. Leggo il contenuto e mi informa che ha finito e che nel giro di venti minuti sarà a casa. Controllo l’orario e sono sorpresa di notare che mancano già venti minuti a mezzanotte.
« Andiamo? » propongo e lei annuisce.
« Domani mi tocca la prima ora con le mie pesti » sospira, ma so che in realtà non le dispiace rimettere in riga quei ragazzini scalmanati.
Una volta fuori dal ristorante ferma un taxi e ci salutiamo senza la promessa di rivederci prima della fine della settimana.
Torno a casa a piedi, ripercorrendo il tragitto che all’andata avevo fatto con Brenda, ripensando alla conversazione avuta durante la cena, a Duke insieme ad un’altra donna e la rabbia mi pervade. So che non ha senso che io mi senta così, eppure detesto il fatto che la sera prima tenti di baciarmi, quella dopo sia a fare il cascamorto con un altro ed infine piomba nel mio ufficio cercando di portare a termine ciò che aveva lasciato in sospeso. “Perché mi importa tanto?” Abbasso gli occhi sul marciapiede osservando i miei passi sull’asfalto. Io ho Nate, lui mi ama così tanto e, nonostante sia preso dal lavoro e ci vediamo poco, io amo lui. Non è così?
Quando arrivo ai piedi del mio condominio frugo in borsa in cerca delle chiavi, le estraggo tra un’imprecazione e l’altra, dopodiché sento il rumore di una portiera sbattere alle mie spalle e la voce di Nate che chiacchiera con qualcuno attraverso il finestrino. Prima di aprire il portone, incuriosita, decido di avvicinarmi a lui per aspettarlo e ciò che mi guadagno è una paralisi immediata.
Le luci interne dell’auto mi permettono di vedere i passeggeri: Carlos, il cugino di Brenda, è sul sedile del passeggero e Duke su quello del guidatore. Inevitabilmente il mio sguardo si incastra nel suo imprigionandomi senza via di scampo in una morsa di stupore. “Cosa ci faceva Nate in auto con loro?”
Mi posiziono alle sue spalle posandogli una mano sulla schiena.
« Hei, piccola » mi avvolge la vita con un braccio dopo avermi stampato un bacio sulla guancia e, non so se me lo immagino o meno, ma giuro di aver visto Duke stringere le dita sul volante così forte da farle sbiancare     « Guarda chi mi ha dato uno strappo sta sera! » esclama entusiasta e giuro che non so per quale motivo sia così contento di aver scroccato un passaggio a persone che ha visto una volta soltanto.
« Lo vedo » gli sorrido tesa, salutando poi cortesemente i ragazzi nell’auto facendo loro cenno con la mano.
« Avevo chiesto loro di salire per un caffè, ma purtroppo hanno rifiutato » esordisce con aria dispiaciuta mentre io mi tendo e mi rilasso.
« Beh, Nate, noi domani lavoriamo, mica come te » cerco di fare una battuta per sciogliere la tensione che mi si è aggrovigliata inspiegabilmente nella bocca dello stomaco.
Mi tendo di nuovo nel giro di pochi istanti quando riapre bocca « Hai ragione » ridacchia « Ma ci conto per un’altra volta » afferma poi prima di salutarli con un cenno della mano.
Sento lo sguardo di Duke indugiare su di me per qualche istante prima di sentirlo mettere in moto l’auto dileguandosi difronte a noi. Una volta spariti dalla nostra vista saliamo in casa e li Nate mi spiega come li ha incontrati.
« Oggi mi è toccato il turno in sala » esordisce sfilandosi le scarpe sistemandole poi nella scarpiera mentre io lo seguo « Li ho visti entrare nel ristorante così li ho accolti e serviti » si butta sulla poltrona accendendo la tv su un qualche canale spazzatura « Sono stati molto simpatici, soprattutto Carlos » urla dal salotto iniziando a fare zapping mentre io sono in cucina a prendermi un bicchiere d’acqua « Duke non è un tipo di tante parole » L’acqua mi va di traverso e tossisco rischiando di strozzarmi per la seconda volta in una serata.
« Tutto bene, Emy? » mi chiede ad alta voce senza però schiodarsi dal suo posto “Duke non è un tipo di tante parole!? Ma in quale mondo?” Ho perso il conto delle volte in cui la sua impertinenza è saltata fuori per infastidirmi.
« Beh, mi fa piacere che vi siate trovati bene » mento, perché in realtà vorrei che Nate non avesse mai incontrato l’uomo che sta mandando in palla i miei ormoni insoddisfatti. Lo raggiungo e mi metto seduta sul divanetto in pelle di fianco a dove si è messo lui.
« Già, Carlos ha persino proposto di aspettare che staccassi per darmi uno strappo a casa » mi ruba il bicchiere di mano e ne prende un sorso per poi sorridermi. Lo appoggia sul tavolino, dopodiché si batte i palmi sulle ginocchia invitandomi ad accomodarmi su di lui. Lo faccio e dopo pochi istanti di carezze poggia le labbra sulle mie unendole in un piccolo e leggero bacio.
« Mi sei mancata, piccola » sussurra a due millimetri dal mio viso, sorrido accarezzandogli i capelli, scostandogli dagli occhi il ciuffo che tiene spesso alzato col gel.
« Anche tu » mormoro a bassa voce, come se fosse importante che solo lui potesse sentirlo. Unisce la distanza tra di noi in un bacio profondo che mi lascia senza fiato, mi solleva e, tenendomi avvinghiata a lui, mi porta in camera da letto.
Quello che viene dopo lo sapete fin troppo bene.

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Capitolo 19
*** 19. DUKE ***


Dopo aver accompagnato Carlos nel suo minuscolo appartamento ed avergli scroccato una birra, sono tornato a casa, troppo sommerso di pensieri per potermi permettere di prolungare oltre la serata.
Mi levo le scarpe e le infilo nella cabina subito dopo l’ingresso, che funge da guardaroba ed appendiabiti. I miagolii di Josie mi accolgono subito ed io mi illudo nella speranza che siano per me, piuttosto che per la sua ciotola di cibo vuota. Mi passo una mano tra i capelli esausto dalla giornata di oggi mentre trascino teatralmente i piedi in cucina per riempire lo stomaco della mia gatta ingorda ed egoista.
Alzo il braccio per aprire l’anta in cui tengo le sue crocchette e non faccio in tempo a versarne nemmeno una manciata che ha già il muso nella ciotola in attesa di cibo. Quando ha finalmente ciò che vuole inizia a sgranocchiare quelle crocchette dall’odore nauseante ed estremamente forte, insomma chiunque abbia avuto almeno un gatto mi potrà capire.
Mi siedo a terra accanto a lei e mi appoggio al muro accarezzandola, godendomi quel morbido contatto finché è ancora concentrata a mangiare, perché non appena avrà finito sfreccerà via, così come è venuta. Osservo il suo musetto pieno di briciole e le sorrido.
« Oh, Josie meno male che ci sei tu » sospiro sconsolato alzando il viso verso il soffitto e chiudendo gli occhi, lasciando che i miei pensieri prendano la piega che più preferiscono. Inevitabilmente l’immagine del viso di Emily prende forma nella mia mente ed è sempre lì, come un chiodo fisso e continuo a chiedermi perché io non riesca semplicemente a lasciarla perdere. Ripenso al venerdì sera appena passato, a quanto fosse maledettamente bella in quell’abitino nero, ai suoi occhi magnetici e lucidi sotto l’effetto dell’alcool, ai suoi capelli morbidi che ondeggiavano ad ogni minimo movimento, alla pelle liscia del suo viso, alla curva sue labbra.. mi prendo la testa tra le mani prima che i miei pensieri mi portino alla follia. È così da quella sera e non riesco più ad uscirne, penso a lei di continuo, nonostante l’evidente realtà: lei sta con un altro.
E, a tal proposito, perché cazzo sta con quello lì? Cristo, ma l’avete visto anche voi, o no? Non è alla sua altezza! Lui è così molliccio e moscio con quella sua faccia da coglione ancora attaccato alla mamma, mentre lei splende di luce propria al suo fianco. È come se Angelina Jolie, invece che con Brad Pitt, si mettesse con Steve Buscemi. Insomma dai non regge il confronto e sono certo che nemmeno la apprezzi come si deve, non le dà le attenzioni che merita, perché ho visto come non la calcolava al Power, come era concentrato a conversare con Carlos piuttosto che con lei. Tuttavia, il cane, percepisce ancora quando qualcuno sta puntando alla sua donna e, forse, è l’unico pregio che si possa attribuire a quel coglione.
Mi sono stupito quando, al ristorante, ce lo siamo ritrovati davanti per prendere le nostre ordinazioni. Per Dio! Fa il cameriere! Sono certo che campi con lo stipendio di Emily, perché con le sue mancette del cazzo non arriverebbe nemmeno a fine settimana.
Ci ha sorriso cordiale dicendo di essere felice di vederci li, mentre io avrei voluto tirare un pugno sui suoi denti del cazzo e far sparire dalla sua faccia quel sorriso di circostanza. Ma fammi il piacere! Tuttavia, grazie al mio caro collega, si è fatto convincere a farsi dare uno strappo a casa. Si, avete capito bene. Farsi dare uno strappo a casa, perché non ha la patente, al contrario di Emily. Ma voglio dire, a ventisette anni chi non ha la patente!? CHI? Ecco si, appunto, sto scemo. Ad ogni modo, durante il viaggio verso casa loro Carlos ha cercato di estorcergli quante più informazioni potesse con totale disinvoltura. Ho scoperto, per esempio, che stanno insieme da cinque anni, cinque fottuti anni con questo qui.
« Cazzo! »
Mi passo il palmo di una mano sul viso stropicciandomi gli occhi per risvegliarmi da quel turbinio incessante che sono i miei pensieri in questo periodo.
Mi metto in piedi, la gatta mi ha abbandonato già da un po’ ed è inutile che io continui a restare a terra in quell’angolo in maniera tanto patetica, per cui vado verso la mia camera da letto e mi cambio indossando solo i pantaloni del mio pigiama.
Mi lascio cadere a peso morto sul letto sopra alle coperte piego le braccia incrociandole dietro la testa intento a fissare il soffitto cercando di pensare alle pratiche che dovrò compilare, cercando di farmi venire in mente idee per nuovi progetti, cercando di pensare a tutto tranne che a lei, ma non appena chiudo gli occhi il sonno viene a mancare, allontanato dalla sua immagine.
Sabato sera, con quella ragazza bruna di cui ho già dimenticato il nome, mi ero deciso a lasciarmi Emily alle spalle dopo essere stato ripetutamente allontanato, dopo aver scoperto che ha un fidanzato direi che uno certe cose dovrebbe anche capirle. Eppure il mio cervello non vuole sentire ragioni, non collabora ed il mio uccello nemmeno, tanto che quando io e quella siamo passati al sodo continuavo ad immaginare che la donna nuda sotto ai miei occhi fosse ancora Emily, sempre lei.
La desidero così tanto.. Mi basterebbe averla una volta soltanto e, finalmente, sarei soddisfatto, appagato tanto da poter smettere di pensare a lei. “Sarebbe così, vero?”
Chiudo gli occhi e mi addormento in preda ad un sonno tormentato.




Questa mattina mi sono svegliato più stanco di quanto già non fossi quando mi sono addormentato. Josie è bellamente addormentata sul mio stomaco, il suo pelo folto mi sta facendo sudare e se restassi ancora per un minuto in questa punizione giuro che potrei spezzarmi la schiena, eppure non so dove trovare il coraggio di spostarla da li. Dovrei chiamare l’ufficio ed avvertire che oggi sarò assente perché la mia gatta mi sta dormendo addosso, insomma, capirebbero, no?
E, proprio mentre sto considerando di mettere in atto questo piano, la mia gatta si stiracchia su di me per poi squagliarsela ed abbandonarmi. Sospiro prima di mettermi in piedi e prepararmi ad una nuova giornata.
Le porte dell’ascensore si aprono sul mio piano e, con mia grande sorpresa, noto quanto tutto sia più silenzioso del solito, stranamente più silenzioso. Decido però di non dare importanza a questo dettaglio dicendomi che dev’essere che sono tutti concentratissimi sul lavoro, e sarebbe perfettamente plausibile.
Percorro il corridoio che mi porta al mio ufficio, inserisco la chiave nella serratura, ma con mio enorme stupore la porta è già aperta. Aggrotto le sopracciglia chiedendomi come possa essere possibile, chi abbia potuto aprirla.. e subito penso ad Emily e ad un nuovo tentativo di entrare nei panni di Eva, la compagna di Diabolik. E se me la trovassi davanti in un tutino nero aderente ad ogni sua minima curva, beh, lascerei pure che rubasse tutto ciò che desidera.
Purtroppo però, seduto alla mia scrivania, c’è solo Carlos. Sbuffo di delusione alzando gli occhi al cielo, avevo sperato davvero che fosse lei immaginandola davanti a me in tutta la sua bellezza.
« Ah si, cazzone, buongiorno anche a te » mi saluta sarcastico il mio collega mentre mi lascio cadere su una delle due sedie morbide davanti alla scrivania. Distrattamente mi ritrovo a pensare a quanto questo ufficio sia poco accogliente e spoglio “ Forse dovrei aggiungere un divanetto ” Mi desto dai miei pensieri solo quando Carlos tossisce per attirare la mia attenzione.
« Cosa vuoi? » sbotto innervosito da niente in particolare.
« Oggi siamo particolarmente simpatici » continua lui con l’ironia « Ci siamo svegliati col piete sbagliato? » lo osservo di sottecchi mentre gioca con la mia sedia girando da destra a sinistra, completamente disteso e rilassato contro lo schienale. Mi guarda con un sorrisetto bastardo in faccia ed io lo fulmino con lo sguardo. Decido di ignorare la sua frecciatina « Quindi? Cosa posso fare per te? »
Lui si solleva appoggiando gli avanbracci sulla mia scrivania, sporgendosi nella mia direzione « Devo appiopparti un lavoro »
« Te pareva » Alzo gli occhi al cielo « Avanti, spara » Carlos appoggia la mano su una pila di fogli che non avevo notato e la picchietta un paio di volte.
« Mi servirebbe che mi scannerizzi questi testi e me li impagini »
« Manco morto » Taglio corto, perché non è un mio compito e, soprattutto, perché è un compito di merda « Trovati qualcun altro, Gomez »
Lui scoppia a ridere « Sapevo avresti detto così, quindi ho un incentivo che penso potrebbe farti accettare » si alza dalla mia sedia per arrivare, a passo lento, a poggiarsi sulla mia scrivania. Incrocia le braccia sul petto ed io all’improvviso sono interessato. “Maledetto bastardo approfittatore e doppiogiochista” E, hey, il caso vuole che sia anche uno dei soprannomi affibbiatomi da qualche vecchia fiamma.
« Ti ascolto »




Qualche ora più tardi sto scannerizzando i fottuti testi di Carlos. Quello stronzo, alla fine, è riuscito a fregarmi. Detesto questo tipo di mansione, devo stare fermo davanti allo scanner a cambiare fogli, controllare la scannerizzazione e ricominciare. E’ un lavoro lento, infinito oserei dire, che non lascia spazio alla creatività cedendone troppo ai pensieri.
Sto cambiando l’ennesimo foglio mentre decido di smettere di lottare contro il mio desiderio impellente di avere Emily. Questa cazzo di fissa mi passerà ed io, finalmente, potrò tornare a scopare tranquillamente a destra e a manca senza immaginare che ci sia lei li, sotto di me.
Sto controllando la scannerizzazione mentre decido che questa cazzo di fissa deve passarmi in quell’istante, perché pensare a lei mi sta facendo ammattire, sto perdendo il senno della ragione e quando un improvviso trambusto alla porta mi fa tornare alla realtà credo di essere diventato pazzo, per davvero questa volta.
Emily spalanca la porta all’improvviso, ha il respiro affannato, le sue perfette labbra socchiuse sono appoggiate sul suo viso arrossato, incorniciato da una massa di capelli arruffati. La fisso con gli occhi sbarrati e totalmente ammutolito, colpito da quest’improvvisa visita, stupito di trovarmela improvvisamente davanti nonostante, solo ieri, abbia espresso il chiaro desiderio di non volermi rivedere mai più.
Sento delle urla provenire da dietro di lei e all’improvviso un omone grasso le compare alle spalle, è un mio collega di cui non ricordo nemmeno il nome, tanto che non lo tengo nemmeno in considerazione.
« Ti ho detto che non puoi passare, cazzo! » Tuona il grassone.
La vedo aggrottare le sopracciglia, segno di esasperazione e di fastidio. Ormai so come leggere le sue espressioni, le percepisco e me le ripeto ogni giorno nella mente « Ti ho detto che è importante, stupido grassone! » trilla lei ad alta voce.
« Adesso basta, mi hai stufato! » a quel punto lui allunga la mano sul suo braccio e stringe la presa sul suo polso, io non ci vedo più dal fastidio. Ero rimasto seduto fino a quell’istante, ma poi mi alzo e, di scatto, mi fiondo verso lo spettacolino che i due stanno dando sulla porta del mio ufficio. In due falcate li raggiungo e le mie mani sono già addosso al grassone, lo spingo più forte di quanto dovrei, ma non me ne frega un cazzo.
« Non metterle le mani addosso, stronzo » Nella mia voce è presente una calma che non mi appartiene, perché quello che vorrei fare con questo grassone è prenderlo a calci e farlo ribalzare fuori dai coglioni, in un’altra orbita se possibile. Mi limito a sibilare tra i denti quella frase minacciosa, in modo che il messaggio gli possa arrivare chiaro e tondo. Si avvicina a me, siamo faccia a faccia.
« Datti una calmata, Worten » fa un passo indietro « Spassatevela, io me ne lavo le mani » volta le spalle e se ne va insieme alla sua enorme massa rotolando via per il corridoio. Resto sullo stipite della porta e fissarlo in cagnesco fino al momento in cui scompare dalla mia vista “Coglione”
Rientro nel mio ufficio e mi chiudo la porta alle spalle, finendo inevitabilmente per incontrare i due smeraldi verdi che sono gli occhi di Emily, mi scrutano ed io sono così sorpreso da sentirmi nudo davanti a quelle sue iridi che sembrano trapassarmi. Ha le braccia incrociate sul petto e mi osserva sotto le sue lunghe ciglia scure, il suo labbro inferiore è in ostaggio tra i suoi denti, vittima del nervosismo.
Sono davanti a lei immobile e non riesco a non pensare a come mi piacerebbe se fossi io a poter mordere il suo labbro, ma sono consapevole del fatto che non posso rimanere qui immobile a fissarla, altrimenti rischierei di avvicinarmi a lei, catturarla tra le mie braccia e commettere l’errore che lei non vuole compiere. Questi pensieri mi ricordano che è fidanzata, che non sarà mai mia, che è destinare a stare, invece che nelle mie, nelle braccia si quel coglione di Nate. Chiudo gli occhi inspirando, non so per cosa, se per allontanare quei pensieri dalla mia mente o se per distogliere il mio sguardo dal suo e non rimanerne vittima.
Torno a sedermi sulla mia sedia da ufficio e la invito ad accomodarsi, lei segue i miei movimenti con lo sguardo, studiandomi con attenzione « Emily, che piacere » pronuncio il suo nome lentamente, godendomi la sensazione di sentirlo sulle mie labbra, scivolare sulla mia lingua « Cosa c’è di così urgente? » le domando, infine.
Inizia a fare qualche passo avanti e indietro intorno alla mia scrivania, si porta le unghie tra i denti ed inizia a mordicchiarle, dopodiché si ferma, mi fissa, si siede. Compie tutti quei movimenti come se fosse un automa ed io mi ritrovo ad aggrottare le sopracciglia per la confusione, sto per chiederle se sia tutto ok quando lei sbotta all’improvviso.
« Mr. Evans è qui e vuole vedere il nostro progetto »
Sbarro gli occhi. “Cosa!?” E’ impossibile che sia qui, oggi poi! Sposto lo sguardo sul calendario, oggi è il sei aprile e la consegna per la prestampa era prevista almeno per il tredici di questo mese, nonché tra una settimana.
Torno a rivolgere le mie attenzioni su Emily ed ora comprendo il motivo della sua ansia, del suo nervoso. Durante la settimana appena passata non abbiamo fatto altro che ignorarci o mandarci occhiatacce senza preoccuparci minimamente del cliente tanto importante che, fondamentalmente, ci ha portati in questa situazione, a sbranarci come due avvoltoi in attesa che uno dei due cedesse per accalappiarsi il cliente. Ho fatto così tante pressioni per poter avere tra le mani il progetto di quest’uomo e poi, come un emerito coglione, non ci ho più lavorato, troppo preso dal mio orgoglio e da tutt’altro, che altro non era, poi, che Emily. Inoltre, mi ricordo, della chiamata di Mr. Evans e della richiesta di avvisare Emily al posto suo. Non le ho mai comunicato la data di scadenza ed ora, a causa mia, lei è fottuta tanto quanto lo sono io.
« Cazzo » mi lascio sfuggire, portandomi una mano sul mento avvolgendomi la mandibola per pensare meglio sul da farsi. Si sta ancora tormentando il labbro mentre valuto se rivelarle o meno il mio piccolo segreto, nel momento in cui lo libera è tutto arrossato ed io mi ritrovo a bramarlo come fosse l’ultima goccia d’acqua in un enorme deserto arido, desiderando di poterne sentire il sapore.
« Già » mormora prendendo a torturarsi le mani questa volta. E’ un fascio di nervi teso come una corda di violino e la cosa che mi da fastidio è che non ho idea di come aiutarla a sciogliersi perché non so proprio come cavarcela con Evans.
« Mi sono comportata come una ragazzina » sbotta all’improvviso lei alzando lo sguardo nel mio e spezzando il silenzio pesante venutosi a creare nell’abitacolo « La scorsa settimana ho ricevuto una chiamata dall’assistente di Mr. Evans » ammette, nel suo tono percepisco la colpa « Mi ha comunicato le date di scadenza e mi ha chiesto di avvisare anche te, in quanto mio collega per questo progetto » distoglie lo sguardo come se si vergognasse ed io mi sento una merda del cazzo. Ho fatto la stessa identica cosa ed ho dovuto rimuginare prima di decidere a confessare, lasciando che fosse prima lei a farlo. « Ma presa com’ero dal rancore nei tuoi confronti ho deciso di non dire nulla, per lavorare da sola e prendermi il merito » Sospira prima di continuare col suo monologo « Mi dispiace, col mio egoismo ti ho fatto finire nei casini, dato che non mi sono nemmeno curata di procedere col lavoro prendendomela fin troppo con comodo » Chiude gli occhi e stende i palmi sulle ginocchia tenendo lo sguardo basso, in quel momento capisco che ora è il mio turno di confessarmi. Prendo fiato ed inizio a parlare.
« La colpa è di entrambi » ammetto tutto d’un fiato e, con questa confessione, attiro la sua attenzione. Torna a guardarmi coi suoi enormi occhioni verdi velati di preoccupazione « Io ho ricevuto la chiamata da Mr. Evans e ho fatto la tua stessa cosa » mi avvicino alla scrivania posando i gomiti sul ripiano e incrociando le mani davanti a me. Mantengo lo sguardo fisso nel suo, in attesa di una risposta, di una reazione e, quando arriva, resto sorpreso.
Emily scoppia a ridere, scoppia a ridere di gusto. Si libera della tensione accumulata cogliendo l’ironia della sorte, ride così forte che le salgono le lacrime agli occhi e si porta le dita agli occhi per asciugare le gocce. Prima di rendermene conto mi ritrovo a seguirla a ruota in quella risata eterea, cristallina.
Ci vuole qualche minuto prima che riusciamo a calmarci e regolarizzare il respiro, ci fissiamo per qualche istante mantenendo sul viso un sorrisetto stupido che, su di lei, è estremamente dolce. Finalmente posso scorgere il lato spensierato di Emily, per una volta sono riuscito a non farla infuriare, a non vedere il cipiglio tra le sue sopracciglia.
« Ci siamo comportati veramente come due bambini » E’ lei la prima a parlare ed io non faccio che annuire, trovandomi assolutamente d’accordo con lei.
Lo squillo di un telefono che non riconosco la paralizza, capisco quindi che è il suo. Lo sfila dalla tasca della sua giacchetta e guarda il display tutta sconsolata, dopodiché lo volta nella mia direzione per lasciarmi leggere il nome del mittente della chiamata. Mr. Evans.
« Cosa facciamo? » Continua a lasciarlo squillare mentre mi pone quella domanda.
Io torno a farmi serio, mi alzo in piedi mettendo le mani in tasca le faccio un cenno con la testa verso il telefono « Rispondi, digli che stiamo arrivando » Lei annuisce, fidandosi di me, lasciandosi guidare in questa situazione sciocca in cui, per orgoglio, ci siamo stupidamente cacciati.
Quando chiude la chiamata si mette in piedi anche lei e sospira « Qual è il piano? » mi chiede ed io le sorrido beffardo, pronto a tirar fuori il mio lato da problem solving.
« Ora vedrai »
 

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Capitolo 20
*** 20. DUKE ***


Dopo l’irruzione d’emergenza di Emily nel mio ufficio le ho spavaldamente chiesto di seguirmi e lei l’ha fatto, mi ha dato la sua fiducia, affidandosi a me nonostante tutto ciò che c’è in ballo.
Ora siamo in ascensore, stiamo scendendo verso il piano in cui si trova l’ufficio di Emily ed anche il nostro Evans, siamo chiusi dentro queste quattro porte metalliche da pochi istanti, ma solo quando il numero che indica il piano in cui ci troviamo diminuisce inizio a sentirmi un emerito coglione del cazzo. Si, esattamente, avete sentito bene. Se non fosse che non posso far crollare la maschera di sicurezza che ho montato sul mio volto rigido mi prenderei la testa tra le mani inginocchiandomi a terra continuando a darmi del coglione. Si, perché solo un coglione farebbe credere alla propria collega di avere tutto sotto controllo quando di sotto controllo non hai un emerito cazzo, solo un coglione non elaborerebbe una strategia d’attacco insieme a quella stessa collega per evitare di essere trascinati nel baratro che è la tua ignoranza. E, cazzo, questa volta sono stato proprio un coglione.
Mi prendo il labbro inferiore tra i denti mentre spremo le meningi facendo muovere gli ingranaggi del mio cervello. Sento il peso della situazione sulle spalle tese per il nervoso: se una volta varcata la soglia del suo ufficio non avrò trovato un piano convincente non ne andrà solo della mia carriera, che subirà un flop assolutamente sgradevole ed imbarazzante, ma anche di quella di Emily. E sapete cosa? Non mi va di bruciarmi tutte le carte in questo modo.
Continuo a mordermi il labbro quando, senza voltarmi, poso il mio sguardo sul viso preoccupato di Emily, questa volta lo faccio però per trattenermi, per evitare di fiondarmi sulla sua bocca rosea e piena, così involontariamente provocante. Mi trattengo perché ho deciso di lasciarla stare, nonostante l’impellente desiderio di cui il mio corpo è vittima ogni volta che lei si trova nei paraggi. Ho deciso di non avvicinarmi più a lei, eppure ritrovarci in questo spazio ristretto, che sembra voler incitare il nostro contatto, non mi aiuta. Se potessi, se volessi, mi basterebbe allungare una mano e lei sarebbe di nuovo nelle mie grinfie, una preda sotto l’effetto dell’eccitazione. Eppure devo trattenermi, perché non è così che si agisce con una donna come lei. Devo darmi un tono, se voglio entrare nelle sue grazie e no, maliziosi che non siete altro, non intendevo quelle grazie.
La musichetta d’attesa che risuona nell’abitacolo è snervante, sembra volersi prendere gioco di noi con quei suoi jingle allegri, e da come Emily sbatte ripetutamente il piede sul pavimento capisco che la pensiamo allo stesso modo. 
Percepisco i suoi sospiri nervosi ed io torno a maledirmi, la sua ansia non fa che appesantire la mia intensificandola, continuo a pensare e pensare, ma non riesco ad elaborare alcun piano che possa pararci il culo. Sono bravo nel mio lavoro e ne sono consapevole io come lo siete voi, insomma ho ammaliato quel vecchiaccio inglese fissato col tè in mezza giornata, vorrà pur dire qualche cosa! Tuttavia nel problem solving sono meno afferrato di quanto mi aspettassi.. “Ora vedrai” un corno! Sono un idiota senza alcun fottuto piano d’attacco.
Alzo lo sguardo verso lo schermo sopra le porte dell’ascensore e, quando arriviamo all’ottavo piano, spalanca le porte davanti a noi lentamente, sembra ci osservi con scherno burlandosi di noi.
Ingoio il groppo che ho in gola e muovo un passo verso il territorio della Simmonds&Co andando verso il patibolo. Emily mi segue a ruota, accompagna la mia camminata rigida con la sua posizionandosi al mio fianco. Siamo due soldati sul fronte di guerra, pronti a sacrificarci consapevoli di ciò che ci aspetta.
Ci fermiamo solo una volta arrivati a qualche passo dalla porta del suo ufficio, a quel punto ci voltiamo l’uno verso l’altro mettendoci faccia a faccia. I nostri occhi si scontrano, siamo insicuri, io probabilmente più di lei, ma durante quel contatto non posso fare a meno di rimanere incantato da quei suoi occhi. Non so se sia quel verde penetrante o l’ulteriore tensione dovuta al fatto che siamo letteralmente ad un passo da prenderci un calcio nel culo, forse sono entrambe le cose, ma il mio battito cardiaco accelera a dismisura e mi ritrovo a desiderare di allungare una mano sul suo viso per accarezzarle la guancia rosea per rassicurarla, per dirle che ce la caveremo.
Per porre fine a quella lotta interiore tra piacere e dovere sto per muovere un passo verso la porta, l’unica cosa che mi ferma è la sua mano sul mio braccio. Vengo percosso da una scossa elettrica che mi fa tendere dalla testa ai piedi provocandomi brividi incontrollati, mi sento come una ragazzina del cazzo alla sua prima cotta, ma è così che voglio sentirmi, perchè è la prima volta che Emily mi tocca nel pieno delle sue facoltà mentali, è la prima volta che mi tocca volontariamente ed il suo tocco è accompagnato dalla sua dolce voce sensuale, sicura nonostante l'incertezza della situazione.
« Prima di entrare » fa una pausa indugiando « Volevo ringraziarti per aver preso in mano la situazione» parla piano per non rivelare la nostra presenza a chi è oltre la porta che si trova di fianco a noi « Forse però sarebbe meglio se mi dicessi qual è il piano, per poterti stare a dietro, sai..» Molla la presa sul mio braccio ed io vorrei riprendere la sua mano per stringerla tra le mie, se non fosse che ora me la sto facendo addosso più di prima. Il timore verso Evans ho l’impressione che non sia nulla in confronto al timore che potrei provare verso Emily « Sono piuttosto brava ad improvvisare, ma sai essere preparati è sempre meglio.» Conclude il suo breve monologo con un sorrisetto, rimane in attesa con quei suoi due occhioni sgranati, con quel suo bel viso sereno pieno di fiducia nei miei confronti e sapete io cosa faccio? Mi maledico, per l’ennesima volta. Cazzo, che giornata di merda.
Mi passo una mano sul viso, perché mi rendo conto che non ho nessuna fottuta balla plausibile da raccontarle. La poso sulla mia mascella coprendo le labbra che sto torturando sotto la morsa dei denti, le mie sopracciglia sono curve sotto il peso della colpa ed ora sul suo viso è comparso un cipiglio, perché so che ha capito che qualcosa non va.
La sua voce si fa dura quando pronuncia il mio nome « Cosa succede, Duke? »
Sapete come mi sento in questo momento io? Mi sento come quella volta in cui, da bambino, avevo una voglia maledetta di gelato, gelato al cioccolato. Solo che quella santa donna di mia madre non voleva che andassi a prendermi un cono con gli amichetti in quanto, a parer suo, avevo mangiato già troppi dolci. Ovviamente da bravo bambino qual ero ho rinunciato alla mia golosità obbedendo a mia madre.. Oppure no. Mentre lei era occupata a stendere il bucato sono sgattaiolato in camera sua, dove sapevo che tenesse la sua borsa ed il suo portafogli. Ero un ninja perfetto, strisciavo a terra passando alle sue spalle nascondendomi dietro ai grandi mobili in legno mano a mano che avanzavo nel percorso, sarebbe stato tutto perfetto se non fosse che il telefono fisso iniziò a squillare nell’esatto momento in cui avevo iniziato a contare le monetine necessarie per l’acquisto del mio prezioso gelato. Che dire, mi colse con le mani nel sacco e furono cazzi amari.
È così che mi sento ora davanti a Emily, mi sento come quella volta con mia madre e non c’è niente di peggio della consapevolezza di aver combinato una cazzata.
Le sue labbra sono chiuse in una linea dura mentre resta in attesa di una mia risposta a braccia incrociate sotto al seno, se non fosse che il suo sguardo minaccia morte mi lascerei distrarre con molto piacere dalla vista del suo decolleté, tuttavia decido di seguire il mio buonsenso. Inspiro e poi ammetto tutto.
« Non ho un piano, Emily » e dopo quella frase è tutto un susseguirsi di imprecazioni trattenute a stento, minacce di morte e dita puntante sul mio petto.
« Cosa cazzo vuol dire che non hai un piano, Worten!?» I suoi occhi sgranati sono increduli e pieni di rabbia, sbotta all’improvviso, ma il fatto che debba mantenere un tono di voce basso la irrita ancora di più e la capisco, davvero, tuttavia sono grato al fatto che ci troviamo così vicini alla sua porta in modo da non dover temere la sua ira. Ho appena ammesso di avere paura di Emily? Si, ma teniamocelo per noi.
« Pensavo di farmi venire in mente qualcosa in ascensore, ma- » non faccio in tempo a finire la frase che le sue piccole mani si posano con violenza sul mio petto spingendomi indietro. Ringrazio anche il fatto che tutte le porte degli uffici siano chiuse e che nessuno stia assistendo alla patetica figura che sto facendo. Non so perchè io la stia lasciando fare, so che ha ragione e un po' me lo merito, ma perchè non reagisco? Mi ci vorrebbe un istante per avvolgere il suo minuto e formoso corpo tra le mie braccia ed imprigionarla contro la parete fregandomene se qualcuno ci dovesse sentire.
« “Ma” un cazzo, Worten! » sibila a denti stretti, è veramente infuriata ed ora mi sta puntando contro il suo solito dito indice “Cazzo, quel dito..” « Tu pensavi, pensavi dici, eh? » simula una risata continuando a sbracciarsi e a menare il suo ditino contro di me « Strano! Credevo tu non fossi in grado di farlo, perché fino ad ora hai dato l’impressione di essere un perfetto imbecille incapace di fare una qualsiasi cosa, anche la più semplice! » Inarco un sopracciglio lasciando che i suoi insulti mi scivolino addosso, più o meno. Lascio correre perché sono catturato dal suo viso che assume tonalità sempre più rosse, mentre l’ira prende possesso del suo corpo ed il mio inguine si sveglia rendendo omaggio alla ragazza difronte a me. La trovavo sexy prima di questo? Vederla incazzata nera come lo è in questo instante è ancora meglio, cazzo se lo è. Me la immagino dimenare violentemente i fianchi sui miei mentre sfoga ferocemente la sua rabbia tra un gemito e l’altro, immagino i suoi seni tondi e sodi rimbalzare mentre mi cavalca ansante, la sua bocca spalancata che si lascia sfuggire insulti rabbiosi nei miei confronti mentre mi scopa fino allo sfinimento e sapete cosa? Non ho più ascoltato una singola parola di quello che è uscito da quella sua bellissima bocca.
Ricordate quell’episodio di Scrubs in cui il Dr. Cox si isola nel suo posto felice entrando in uno stato di trance in cui gli unici suoni a lui percepibili sono lo scrosciare delle onde marine e i rilassanti versi dei gabbiani, mentre tutto ciò che gli sta intorno scompare lasciando spazio solo a persone che muovono le labbra senza che lui possa intercettarne le parole? E’ così che sono io in questo istante, con la differenza che il mio posto felice è un enorme letto matrimoniale con Emily nuda ed i suoi gemiti sopra di me, per cui è difficile risponderle quando continua a premere il suo indice sul mio torace e termina la sua frase con un determinato « Mi hai capita bene?! »
O la va o la spacca, ragazzi. Annuisco totalmente ignaro delle sue parole, ma questa risposta sembra farla contenta perché si ricompone tornando in sé.
Lo spalancarsi improvviso della porta ci fa sobbalzare per la sorpresa, entrambi ci ritroviamo girati verso il soggetto in questione. Ad aprire la porta è stato il collega biondino di Emily di cui non ricordo il nome, beh insomma se mi fosse fregato qualcosa avrei fatto lo sforzo di tenerlo a mente.
Noto il suo sguardo carico di giudizio e disprezzo mentre mi fissa senza preoccuparsi di farsi notare, fa una smorfia per poi spostare i suoi occhi su quelli della ragazza al mio fianco dopo aver cambiato espressione addolcendosi.
« Eccoti finalmente! » Si avvicina a lei prendendole la mano e noto che quel contatto la irrigidisce, la mette a disagio e, se non fosse che sono l’ultima persona del mondo con cui potrebbe desiderare di entrare in contatto, mi posizionerei tra loro due afferrando il polso del signorino qui presente stortandoglielo. Mi limito a stringere i pugni fino a sbiancare le nocche ricordando a me stesso che devo trattenermi. « Non sapevo più cosa dirgli per tenerlo buono, meno male che sei arrivata » La tira per un braccio all’interno della stanza e mentre viene trascinata si volta per lanciarmi un’occhiata d’intesa prima di sibilare a denti stretti.
« Stai zitto e lascia fare a me. »
E chi sono io per contestare? Stupiscimi, Mayton.






 

EEEE SBAM! ECCOMI COL 20ESIMO CAPITOLO.
Forse dovrei tenere per me tutto questo entusiasmo, ma wow venti capitoli sono un traguardo enorme per me! Non credevo che sarei riuscita a portare avanti questa storia, sono una che ama procastinare e conoscendomi non mi sarei mai aspettata questo da me, quindi sono piuttosto soddisfatta oltre che elettrizzata!
Questa parte di storia è importante per i nostri protagonisti, poichè è un punto di svolta (anche se potrebbe non sembrare) e spero di riuscire a scriverla bene tanto quanto me la immagino nella mente!
Spero che questo capitolo vi piaccia e vi faccia sorridere, come sempre sono più che ben disposta a leggere le vostre recensioni ed i vostri pareri.
Per il momento è tutto e mi infilo a letto (sono le 5:23, mi sento Batman) e spero di tornare presto con un nuovo capitolo!
Un bacione, KamiKumi

 

GRAZIE A TUTTI DI CUORE

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Capitolo 21
*** 21. EMILY ***


Non potevo credere alle mie orecchie quando, con quelle parole, ha risposto alla mia richiesta di conoscere il piano d’attacco.
“Non ho un piano, Emily”
Il suo viso mentre pronunciava queste parole incarnava la totale preoccupazione, e faceva bene a sentirsi così. Dio, quando mi sono sentita presa per il culo!
Mi ero fidata di un emerito cazzone lasciando che la sua apparente sicurezza ed il suo bel faccino mi incantassero, un’altra volta.
“ È decisamente una storia che deve finire, questa del lasciarsi abbindolare ”
Ero così dannatamente infuriata da non essere riuscita a trattenermi, mi sono ritrovata a vomitargli addosso tutti i peggiori insulti che mi passavano per la mente, anche se me lo mangiavo con gli occhi e gli sarei saltata addosso volentieri per del sexy e violento sesso arrabbiato.
“ E dovrebbe finire anche questa cosa dell’incontrollabile attrazione, diamine! “
Mi sarei voluta mordere le unghie delle dita per il nervoso, avrei voluto passare le mani tra i capelli e tirarli per la rabbia, la frustrazione mista ad ansia, ma tutto ciò che ho fatto è stato puntargli un dito sul petto, guadagnandomi un’occhiata di disapprovazione a cui avrei risposto con un’altrettanta occhiataccia, se non avessi deciso di ignorarlo deliberatamente. Dopodiché gli ho ordinato di lasciar fare a me e di stare al mio gioco.
Mi chiedo perché cazzo sia andata nel panico ed abbia deciso di chiedere aiuto a lui, se in ogni caso tocca a me a salvarci da questa situazione. È stata un’inutile perdita di tempo il voler assecondare il mio desiderio di vedere quei suoi due brillanti occhi azzurro ghiaccio brucianti di feromoni.
Quando Kyle mi ha trascinata all’interno del mio ufficio Duke mi ha seguita restando indietro di qualche passo ed ora sono, siamo, qui.
Siamo davanti a Mr. Evans per il verdetto finale. Riusciremo a salvarci la carriera senza dover inserire un tragico, e sciocco, fallimento nei nostri curriculum?
L’anziano cliente è accomodato sulla poltrona in cui, durante la sua ultima turbolenta visita, aveva preso posto Duke.
Il viso rugoso di Evans, solitamente dolce e paziente, sembra irritato ed io provo vergogna per la figura che ci sto facendo. E’ come se avessi fatto arrabbiare mio nonno..
Mi accomodo sul divanetto di fianco a lui, mentre il mio bel collega prende posto accanto a me. Vengo scossa da una delicata raffica di brividi che lasciano una scia di pelle d’oca fino alla nuca, fremo quando il suo ginocchio entra in contatto con la mia coscia facendomi percepire il calore del suo corpo, nonostante lo strato di vestiti a coprirlo.
Inspiro ed espiro ricordandomi che sono infuriata con lui e sperando che non abbia notato le reazioni che ha scaturito in me, dopodiché liquido Kyle con un cenno del capo, più tardi lo ringrazierò per aver tenuto a bada il mio cliente impedendogli di gironzolare per gli uffici.
Quando rimaniamo noi tre soli apro la bocca per parlare, sperando di sciogliere la tensione creatasi nella stanza.
« Mi scusi per l’attesa, Mr. Evans. Il mio collega era impegnato in un brainstorming importante per il quale è stato necessario attendere il termine.» E me lo invento, così su due piedi.
Percepisco lo sguardo di Duke sul mio viso di profilo e mi sento bruciare, sono accaldata ed eccitata, nervosa e ansiosa. Sono troppe cose mette insieme ed ho caldo, sono costretta a postare i capelli su una spalla dopo aver fatto scivolare giù, lungo le braccia, la giacchetta del completo, rimanendo con una camicetta leggera rosa pallido dalle maniche a tre quarti infilata in una gonna a tubino nera. “ Così si sta meglio! ”
L’uomo sexy al mio fianco si schiarisce la voce dopo averlo sentito inspirare forte, ma quando parla la sua voce esce roca e calda, sensuale tanto da farti venire voglia di immaginarlo mentre ti sussurra cose sporche all’orecchio.
« Esattamente » mi sostiene col teatrino di cui ho solo montato le basi « Mi spiace sia durato così a lungo e di non essere riuscito a liberarmi prima, purtroppo non eravamo in attesa di una sua visita.»
Il vecchio inglese seduto curvo sulla poltrona al nostro fianco annuisce « Non preoccupatevi, ero da queste parti e mi sono detto che sarei potuto passare a vedere come procedesse il lavoro » si sporge verso di noi con uno sguardo che un nonno rivolgerebbe ai suoi nipotini, ma è come se nella sua voce ci fosse un che di rimprovero. « D’altronde siamo a metà del tempo stabilito e volevo essere certo che tutto andasse per il meglio. » conclude con un sorriso ed io mi sbrigo a rassicurarlo.
« Procede tutto in maniera impeccabile! »
« Esattamente! » mi segue Duke incoraggiando la mia affermazione.
« Perfetto!» esclama il vecchio con la sua voce roca, batte le mani in un solo applauso sfregando i palmi l’uno contro l’altro per poi sorriderci dolcemente « Quindi lo posso vedere. »
Beh, merda. E’ andato dritto al punto senza giri di parole, com’era ovvio che avrebbe fatto. “Non è nemmeno una domanda, la sua!” Speravo di riuscire a guadagnare tempo perdendoci in convenevoli ed andando per le lunghe, cambiare discorso pregando che la vecchiaia mi aiutasse a fargli dimenticare il motivo per cui è qui.
Purtroppo però il nostro vecchio non è affetto nè dal morbo di halzeimer, né da demenza senile. E’ sveglio e sa cosa vuole.
Mi accorgo di muovere nervosamente le ginocchia su e giù facendo saltellare i piedi, preda di un inconsapevole ed incontrollabile tic solo quando una grande e calda mano si posa sulla mia coscia, scaturendo in me un’ondata di calore. Lo stesso calore che mi ha avvolta quel sabato sera, quanto ci siamo incontrati in quella maniera tanto bizzarra e fuori dal comune. Muove in pollice facendo cerchi sulla mia pelle attraverso il tessuto leggero della gonna e mi scopro tranquillizzata sotto al tuo tocco rilassante. Mi volto verso di lui per poter incontrare il suo sguardo e non potrei essere più felice di averlo fatto, perché vengo ricompensata da un dolce sorriso di incoraggiamento. E’ come se mi stesse dicendo “E’ tutto ok, Emily” ed io voglio credergli, così sto per aprire bocca per riprendere il discorso lasciato in sospeso con Evans, ma Duke mi precede.
« Purtroppo, Mr. Evans, mi rincresce ammettere che non ho con me il bozzetti del nuovo progetto »
Vorrei chiudere gli occhi dinanzi l’espressione di disappunto presente sul volto del mio cliente, “Non ho mai fatto una figuraccia tanto grande in tutta la mia carriera.”, purtroppo però mi tocca assistere alla sua reazione, che consiste in una vigorosa e stupefatta alzata di sopracciglia.
Sono piuttosto certa di averlo convinto di avere a che fare con degli incompetenti totali.
Trattengo il fiato mentre aspetto. Non so bene cosa, un ulteriore movimento, uno sguardo, un respiro, ma non succede nulla. Il mio ufficio, solitamente confortevole e rassicurante, ora è carico di nervosismo e tensione.
A spezzarla è proprio Mr. Evans alzandosi dalla sua poltrona. Io e Duke con uno scatto, in sincronia, imitiamo il movimento del vecchio “Se ne andrà licenziandoci, liquidando il nostro servizio?” Cerco di non mostrarmi più nervosa di quanto sia in realtà, ma non so con quali risultati.
« Possiamo fare qualcos’altro per lei? » Tengo sotto controllo la voce, parlo lentamente per non lasciarla tremare.
« Beh, potreste mostrarmi ciò che avete realizzato in digitale » Ed è più un ordine che una richiesta. Mi pento di aver aperto bocca.
Avete presente quell’episodio di Smallville in cui Clark Kent, o Superman come volete, inizia a volare intorno all’orbita terrestre in senso antiorario per riavvolgere il tempo e salvare la vita a Lana? Beh, è l’unica scena che io abbia mai visto di quel telefilm, ma vorrei poter fare la stessa cosa. Vorrei tornare indietro nel tempo ed impedirmi di aprire bocca. Scusa, Superman, dove sei quando c’è bisogno di te?
Davvero ragazzi, vorrei essere rimasta zitta, vorrei poter diventare trasparente e fuggire.
« Signore, sono desolato, ma non abbiamo con noi il materiale questa mattina. » E’ Duke ad intervenire, di nuovo, con un tono serio, desolato, ma serio.
Sapete cosa sembiamo? Due bambini che non hanno fatto i compiti e mentono alla maestra dicendole di averli dimenticati a casa.
« Se non sbaglio, questo era riferito ai progetti cartacei. » Il tono diffidente, sospettoso.
« Si, anche » Intervengo immediatamente, forse troppo velocemente, cercando di sostenere la tesi del mio collega. Ci scambiamo uno sguardo d’intesa, che però mi rassicura ben poco.
« Già » Continua Duke,
« Già » Concludo io.
Evans continua a guardarci con aria diffidente, i suoi piccoli occhi castani circondati da rughe sono assottigliati, riflessivi ed io sto sperando che non se ne vada, ma poi si passa una mano sul viso ed infine scuote la testa.
Aggira il tavolino e ci sorpassa avviandosi verso a porta, seguo i suoi movimenti con lo sguardo nella speranza di incrociare il suo ed inchiodarlo li dov’è senza lasciarlo scappare, ormai sono certa di essermi persa uno dei clienti più importanti che mi potessero capitare. L’ultima speranza mi si posa davanti agli occhi quando, prima di aprire la porta ed andarsene per sempre, si volta verso di noi.
« Pensavo di aver scelto due abili giovani pieni di ambizione per questo progetto, tuttavia devo ricredermi. Temo di avervi spravvalutati e di aver perso tempo con voi e la vostra scarsa professionalità. » Queste parole mi colpiscono nell’orgoglio. Non è giusto, abbiamo commesso un minimo errore e per questo dobbiamo pagarla così? Il discorso di Mr. Evans è carico di freddezza, una freddezza che non credevo potesse appartenergli. “Dov’è finito il dolce vecchio di poco tempo fa?”
Abbasso definitivamente lo sguardo verso il basso, rassegnata e mortificata all’evidenza dei fatti, mentre il mio ex cliente si accinge a posare la mano sulla maniglia. “Dove finirà la fiducia che il capo ha riposto in me? Mi metterà a fare volantinaggio come se non avessi alcun talento..”
A risvegliarmi da questi pensieri è il tono profondo della voce di Duke « Mr. Evans » Lo richiama ottenendo la sua attenzione e facendolo voltare: il mento alzato, attento e circospetto. « Vorrei farle presente che la causa della nostra “scarsa professionalità”, come l’ha definita lei, è dovuta alla mancanza di preavviso da parte sua. » Prende fiato inchiodando il suo sguardo a quello del vecchio mentre io lo fisso incredula. Occhi sgranati e bocca spalancata. “Cioè.. Sta davvero sgridando il cliente più importante delle nostre aziente e che stiamo rischiando di perdere?”
« Siamo persone impegnate in diversi progetti singoli e ci occupiamo del suo al di fuori dei nostri uffici per via delle divergenze tra le nostre aziende. Il fatto che lei sia un uomo con molto tempo libero non fa di noi persone altrettanto libere. Per cui, quando vorrà avere prova della nostra professionalità, ce lo faccia sapere. » Appoggia una mano sulla mia spalla stringendola con fare rassicurante e, quando alzo lo sguardo, mi sorride. E’ uno di quelli a cui sorridi di rimando prima ancora che il tuo cervello mandi un input ai tuoi muscoli facciali. Dopodichè si rivolge di nuovo all’uomo sulla porta « Perché noi prendiamo seriamente il nostro lavoro. » Conclude così il suo breve monologo, con fermezza e convinzione. Nella sua voce c’è una tale convinzione e profondità da farmi tremare le gambe e lascerei anche che cedessero, se non fosse per le occhiate severe che i duei uomini nella stanza di lanciano senza neanche abbracciare il pensiero di cedere. Il pesante silenzio creatosi nel piccolo abitacolo viene spezzato dalla voce di Mr. Evans.
« Benissimo. Sarò lieto di ammirare la vostra professionalità la prossima settimana, allo scadere del tempo prestabilito. » Abbassa la maniglia ed apre la porta, muove un passo verso il corridoio, ma prima di essere fuori si volta un’ultima volta verso di noi, verso Duke. « Ragazzo, hai del fegato e lo ammiro, ma bada a non rivolgerti nuovamente a me in questi toni, altrimenti saranno presi provvedimenti. » Le parole dal tono agghiacciante ricevono una risposta atrettanto fredda da parte di Duke, anche se ha notevolmente abbassato la cresta.
« Si, signore. » Dopodichè la porta si chiude alle sue spalle e siamo soli nel mio ufficio.
Evans se n’è andato senza aggiungere altro, ma la cosa più importante è che se n’è andato ancora come nostro cliente, ed impiego qualche istante ad elaborare questo pensiero.
Duke, in piedi di fianco a me, ha rilassato le spalle tese ed ora sembra più tranquillo, nonostante si stia allentando la cravata e tirando con le dita il colletto della camicia bianca e linda.
« Wow » Dice solamente lui.
“Wow?” E’ stato semplicemente fantastico! E l’unica cosa che vorrei fare ora è abbracciarlo per la gioia e l’euforia, insomma grazie al suo monologo e la sua presunzione siamo riusciti a tenerci il cliente! E sapete cosa faccio? Assecondo il mio bisogno.
Gli salto addosso avvolgendo le mie braccia al suo collo, facendo aderire il mio petto al suo, lasciandomi inebriare dal suo profumo mascolino e sexy, prendendolo però del tutto alla sprovvista. E’ la cosa più impulsiva che potessi fare, ma sono pervasa dal sollievo dopo aver passato una mattinata carica d’ansia e dopo un simile scambio di battute. Le braccia di Duke si stringono intorno alla mia vita solo dopo qualche istante, sento i palmi delle sue mani posarsi sulla mia schiena e mi sfugge un sospiro di completezza, come se le sue mani su di me ed il suo viso affondato tra i miei capelli nell’incavo del mio collo fossero il contatto più naturale di sempre.
Sospiro di nuovo, poi inspiro il suo profumo, mi batte il cuore e mi fa tremare la voce mentre gli parlo.
« Sei stato grandioso. » sussurro ancora stretta a lui « Grazie. »
Quando ci allontaniamo, però Dio, quando ci separiamo sento freddo. Il suo ampio e sodo torace scaldava il mio, piccolo e minuto. Le mie mani scivolano sul suo petto mentre aggiungo centimetri alla distanza tra noi, le sue invece sono sui miei fianchi, le sento forte e chiaro. Un contatto così ardente che potrei scottarmi.
Sollevo il viso ed è quando poi incrocio il suo sguardo che rimango fregata. E’ come se il contatto fisico avuto fino a qualche istante prima fosse nullo, comparato a quello visivo. Vengo totalmente rapita da quei due fari azzurri come il cielo, trasparenti come l’acqua, sono incollati ai miei e riesco a coglierne ogni sfumatura, dalla più chiara alla più scura, ma so che, per quanto mi costi, devo allontanarmi.
I suoi occhi si spengono quando arretro di un passo liberandoci da ogni possibile contatto, cerco di posare i miei ovunque, cerco una cosa qualsiasi da osservare, qualunque cosa fuorchè lui.
“Brava stupida che sei!” Mi rimprovero mentalmente mentre mi caccio una ciocca di capelli dietro l’orecchio, pentendomi di aver assecondato l’istinto, consapevole del fatto che ora mi sarà ancora più difficile mantenermi a distanza.
Interrompe il flusso dei miei pensieri quando posa le sue apie e calde mani sulle mie spalle sorridendomi.
« E’ tutto ok, Emily » Mi assicura, ma non so di cosa. Per averlo abbracciato dopo averlo minacciato di starmi lontano più volte? Per il fatto che abbiamo una sola settimana per concludere il lavoro? « Dobbiamo comportarci bene d’ora in avanti. Abbiamo sette giorni di tempo per portare a termine il progetto assecondando i desideri di quel vecchio, quindi dobbiamo impegnarci e collaborare. Smetteremo di sbranarci e aggredirci e saremo degli ottimi colleghi, ok? » Il suo sguardo e la sua voce sono ipnotici ed io non posso che rispondere
« ok » E ci credo davvero. Possiamo farcela.




 

ECCOMI! SONO TORNATA E SONO ANCORA VIVA!
Scusate il mese di ritardo.. ma sono stata in vacanza per due settimane senza pc e quando sono tornata ha iniziato a fare i capricci non facendomi aprire Word! Sono andata in crisi, finchè un giorno senza alcun motivo ha ripreso a funzionare.
Spero possiate scusarmi e vi piaccia questo capitolo! Fatemi sapere cosa ne pensate! 
Un bacione dalla vostra KamiKumi!

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Capitolo 22
*** 22. DUKE ***


Ok? Ok un cazzo. Diciamo che collaborare è più facile a dirsi che a farsi.
Dopo aver deciso e concordato che ci saremmo impegnati per andare d’accordo ci siamo separati per il pranzo ognuno con il proprio fidato collega: lei con quel suo amico troppo espansivo ed irritante, io con Carlos.
Siamo andati in un ritorante giapponese a prenderci qualcosa di fresco e leggero, dato il caldo sempre più opprimente delle giornate pre-estive. Abbiamo chiacchierato del più e del meno, mi ha raccontato della brunetta che si è scopato il sabato sera ed infine ho colto l’occasione di dirgli di infilarsi su per il culo quel suo lavoro noioso che mi ha sbolognato.
« Devo ricordarti che ti ho dato un gran bell’incentivo? » Mi punta le bacchette addosso mentre mastica il suo nigiri con salmone affumicato. Storco il naso aggrottanto le sopracciggia mentre prendo, con non poca fatica, un sashimi dal mio piatto. Qual era questo famoso incentivo? Se avessi ultimato il suo noioso lavoro di merda mi avrebbe pagato da bere per tre weekend di fila e avrebbe guidato lui, il che implicava il fatto che avrei potuto ubriacarmi, quindi bere molto. Ora devo concentrarmi solo su Emily. E su Evans, ovvio.
« Puoi anche berti tutto l’alchool che vuoi al posto mio. » Faccio spallucce « Ho del lavoro importante da sbrigare. » Di tutta riposta lui sghignazza.
« Amico, l’unica cosa devi sbrigarti a fare è Emily. » Lo fulmino con gli occhi.
« Bada a come parli, è fidanzata. » Sbraito e lui solleva i palmi delle mani in alto, come per dirmi di stare calmo. Sono calmissimo io.
« E da quando è una cosa di cui ti importa? » “Da quando si tratta di Emily”
« Non mi importa. » Prendo dal piatto un altro sashimi e mi sbrigo a metterlo in bocca a masticarlo, mentre il mio socio si versa un bicchiere d’acqua e lo sorseggia ghignando sotto ai baffi.
 
 
Una volta tornati entrambi dal pranzo ci siamo chiusi nel suo ufficio ed abbiamo iniziato a decidere come organizzare il nostro lavoro, cose come tempistiche e fasi di procedura. Una tabella di marcia, per intenderci. Entro oggi avremmo dovuto portare a termine almeno la bozza del volantino, il problema?
Sono le dieci di sera passate, siamo chiusi in questa stanza da otto ore, e non abbiamo fatto altro che sbraitarci addosso. Come dicevo? Più facile a dirsi che a farsi. Se in questo momento vi guardaste in giro potreste vedere il caos e comprendere il motivo per cui ci troviamo ancora qui a lavorare nonostante i nostri turni siano terminati da diverse ore.
Sulla scrivania e sul pavimento ci sono fogli stropicciati ed accartocciati ovunque, matite, pastelli, pezzi di gomma sbriciolata, sono sparsi dappertutto. Il computer, in surriscaldamento, brontola e si ribella bloccandosi e rallentando o andando a scatti, impedendoci di lavorare.
E poi ci siamo noi. Io sono seduto sulla poltrona ad esaminare i miei elaborati posti sul tavolino alle mie ginocchia. Mi sono ormai liberato della giacca e della craatta, ho slacciato la camicia di due o tre bottoni e tirato su le maniche fino ai gomiti. Le mani incrociate sul mento, gli occhi stanchi ed arrossati fissi su quei maledetti fogli ad imprecare interiormente.
Dall’altra parte della stanza, parallelamente e ame, Emily si tiene la testa tra le mani. I gomiti puntati sul legno della scrivania, più di un’ora fa si è tolta le sue scomote scarpe col tacco, rimanendo a piedi nudi. La chioma di capelli arruffati intorno al suo viso imbronciato per la stanchezza ed il disappunto la fanno sembrare adorabile. Si, sembrare. Perché gli insulti che hanno accompagnato le sue urla fino a poco fa sono stati tutt’altro che adorabili. Volete degli esempi? “Dove cazzo ce l’hai il senso estetico? Ti sembra una buona impostazione? Dove diamine ti sei diplomato? Sei un idiota!”
Dolce, vero? Beh, però ammetto di aver fatto la mia parte criticando ogni sua idea. Il fatto è questo: abbiamo stili differenti e farli combaciare non è semplice.
Comunque sia, ad ammutolirci è stato proprio questo nostro ultimo scambio di battute, diciamo che ci siamo andati giù pesanti.
Emetto un sospiro realizzando che non riusciremo mai a conciliare le nostre idee ed i nostri gusti. Chiudo gli occhi rassegnato. Stanco e rassegnato.
« Duke. » La voce di Emily arriva alle mie orecchie in un flebile sospiro. E’ esausta. Apro gli occhi per incrociare i suoi e, sotto l’abbagliante luce al neon, posso vedere il rossore che li accerchia. « Per oggi finiamola qui. » E non avrei mai pensato che sentir pronunciare da lei parole simili mi avrebbe reso così felice « Siamo stanchi e continuando in questo modo non concluderemo mai niente. »
Passandomi una mano tra i capelli ed appoggiandomi allo schienale annuisco e sospiro « Sono d’accordo, riprenderemo domani. »
 
Nel giro di mezz’ora riordiniamo l’ufficio, scelto le bozze migliori tra quelle di entrambi e sceso stancamente le scale fino al piano terra. Otto piani di scale a piedi grazie alla chiusura degli uffici e degli ascensori. Grazie agenti della sicurezza, grazie.
Quando raggiungiamo finalmente l’atrio vediamo la scrivania della receptionist vuota, in giro si vedono solamente le guardie del palazzo. La sera tardi questo posto assume quasi un’aria religiosa, con tutto questo bianco intorno.
« Beh, allora a domani. » Mi saluta con un cenno della mano mentre si avvia verso la grande porta di vetro. Sto per ricambiare il saluto, quando mi ricordo che lei non ha un auto. Aggrotto le sopracciglia a quel pensiero e la richiamo prima ch possa uscire in strada. Si volta e si ferma così che io la possa raggiungere in poche falcate. E’ così bella, minuta e stanca. Mi si forma un sorriso sulle labbra quando la vedo trattenere uno sbadiglio.
A quel punto le chiedo « Come torni a casa? » Lei assume un’espressione interrogativa.
« In taxi. » Come immaginavo. “Non esiste”
« Lascia che ti accompagni. » Le propongo. Non la lascerò mai tornare a casa da sola in taxi a quest’ora.
« A prendere il taxi? » Trattiene una risatina divertita portandosi le dita sulle labbra ed io in tutta risposta alzo gli occhi al cielo.
« A casa intendo. »
« Oh » Sembra sorpresa. Ma cosa pensa che io sia, un mostro? « Grazie, ma non è necessario che ti scomodi. » continua « Abito a pochi minuti in auto. »
Scuoto la testa « Mi sto offrendo io e poi, a maggior ragione, non ci sono problemi dato che abiti a pochi minuti da qui. » Sollevo le spalle per dare conferma a ciò che dico. Voglio davvero che accetti. Un po’ per stare ancora con lei, è vero, ma anche perché non voglio che torni a casa con uno sconosciuto in tarda serata. E’ pericoloso ed io non sono uno scellerato.
Seguono degli attimi di silenzio in cui Emily sembra veramente sopperarele mie parole. Indugia qualche istante di troppo così aggiungo con un sorriso sulle labbra:
« Ti assicuro che non ho intenzione di rapirti. » La sua risata premia il silenzio precedente rimbombando per l’atrio, avvolgendoci con la sua allegria. Non riesco a trattenermi dal sorridere guardando il suo viso così solare e spensierato.
« In questo caso non vedo perché dovrei rifiutare. »
 
Quando siamo nel parcheggio ed apro la mia Giulia lei si complimenta per la mia auto, riempiendo il mio ego di soddisfazione. Mentre si posiziona sul lato del passeggero io accarezzo fiero il tetto lucideo della mia macchina, totalmente pieno di orgoglio, dopodichè prendo posto al volante ed avvio il motore.
« Te ne intendi di auto? » Le chiedo, curioso di sapere di più su di lei, inserendo la retro e voltandomi per uscire dal parcheggio.
« Per nulla » fa spallucce « Ma è comunque una bella auto. » Ridacchia in risposta e credo che quel suono sia il mio preferito di tutta la giornata, tanto che mi unisco a lei.
Mi volto verso di lei mantenendomi stampato in faccia questo maledetto sorriso da ebete « Te ne innamorerai. » E suona come una promessa.
Dopodichè ci immettiamo nelle strade buie e notturne di Manhattan.
 
Nemmeno dieci minuti dopo siamo sotto al suo condominio, accosto a lato del marciapiede ed abbasso il volume della radio che, durante il breve viaggio, Emily ha monopolizzato. C’è da dire che per lo meno ha buon gusto.
« Eccoci qui. » Annuncio voltandomi a guardarla. Il suo profilo in controluce mette in risalto il nasino all’insù e le sue labbra piene che, tra parentesi, non vorrei fare altro che moridere. Tiene lo sguardo basso, fisso sulle sue mani chiuse strette a pugno sulle cosce. Sembra quasi che stia combattendo contro se stessa per un qualche motivo a me sconosciuto. “Cosa succede nella tua testolina?” Sto valutando se sia il caso di domandarle se sia tutto ok, ma il suo improvviso invito mi precede e mi sorprende.
« Vuoi cenare con me? » Ho già detto di essere sorpreso? Tanto da rimanere senza parole, davvero. E’ stato molto improvviso, posso dire a mia discolpa, non me lo sarei mai aspettato. Lo sguardo sbarrato e preso alla sprovvista è fisso su di lei alla ricerca di una risposta, di una reazione a questa proposta.
I suoi occhi mi scrutano nella penombra, il suo viso, illuminato solo dalle luci dei lampioni sulla strada, mi mostra il suo labbro inferiore catturato tra i denti. Sembra nervosa. “L’attesa di una mia risposta ti innervosisce, Emily?”
Evidentemente si ed impiego troppo tempo a rispondere, perché lei si sente in dovere di continuare, come se mi dovesse delle spiegazioni « So che è molto tardi, probabilmente non avrai neanche fame, ma se ti va- » Interrompo la sua parlantina nervosa prima che possa aggiungere altro o non so cosa.
Rifletti, Worten.
Ti sta invitando a salire da lei?
In casa sua?
Nella casa che divide con il suo fidanzato storico?
Tu che brami di toglierle le mutandine dal momento in cui l’hai incontrata?
La risposta non può essere altro che no. E’ ovvio che debba essere così.
« Si »
Maledizione, mai una volta in cui mi do ascolto.






 


Eccomi qui, di nuovo! Mi spiace così tanto per l'attesa, e dire che questo capitolo è bello che pronto da più di un mese.. Non so perchè non l'abbia pubblicato prima, spero comunque che mi possiate perdonare e far sapere nei commenti cosa ne pensate!
Un bacione dalla vostra KamiKumi

Vi ringrazio per il vostro sostegno, veramente. GRAZIE,

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Capitolo 23
*** 23. EMILY ***


Cosa. Ho. Appena. Fatto!? Se fosse possibile mi piacerebbe essere in grado di sdoppiarmi per afferrarmi per le spalle e scuotermi, prendermi a schiaffi ed urlarmi addosso. Non necessariamente in quest’ordine. Ma allora sono proprio io che me le vado a cercare queste situazioni!
Come ho potuto pensare che farlo salire in casa mia e di Nate potesse essere una buona idea!? Eppure oggi ha fatto così tanto per me, si mi ha anche fatta impazzire, ma ci tenevo a ringraziarlo in qualche modo. O forse non è altro che una stupida scusa. Per mostrargli gratitudine sarebbe bastato offrirgli un caffè, come una persona normale avrebbe fatto, invece di invitare il lupo nella tana del coniglio. Tana che, devo scrivere un post-it ed attacarmelo in fronte, divido col mio fidanzato. Fidanzato che potrebbe tornare a casa in qualsiasi momento della serata.
E così ora sono qui, davanti alla porta d’ingresso di casa mia, con le chiavi infilate nella serratura, pronta a farla scattare. Inspiro agitata per calmare i milioni di pensieri, poi giro la chiave verso sinistra ed apro la porta. Entro per prima, Duke è sempre rimasto alle mie spalle, in questo modo sono riuscita ad evitare di mostrargli l’espressione di terrore sul mio viso, almeno per un po’. Accendo la luce del corridoio, poi tendo un braccio per invitarlo a seguirmi.
«Benvenuto nella mia umile dimora!» Sorrido cercando di mostrarmi rilassata, ma decisamente questo non è l’aggettivo più appropriato a descrivere il mio attuale stato d’animo. Sorride a sua volta facendo due passi passando davanti a me, mentre io richiudo la porta alle nostre spalle, dopodichè lo supero invitandolo a fare come se fosse a casa sua. Che modo stupido di dire, comunque. Oh, andiamo, quale persona sana di mente dopo essersi sentito dire “fa pure come fossi a casa tua” si metterebbe veramente in mutande svaccato sul divano (di casa tua) a fare zapping (sulla tua televisione)? Esatto, nessuno e come dicevo: che modo di dire stupido.
Sorride di nuovo avanzando verso il salotto ed osservando lo spazio circostante in silenzio. Un silenzio che mi innervosisce ancora di più. Si guarda in giro, osserva le mensole coi libri e dvd, la credenza con una collezione di piatti comprata per le occasioni speciali, e mai usati, ed infine le foto incorniciate sulla parete chiara che ritraggono me e Nate in diversi momenti. Al mare in montagna, a Central Park durante un picnic.. Foto che vorrei potesse non vedere, foto che al momento vorrei correre a coprire o togliere dalla sua visuale.
«Bella casa. » Dice solamente infine con un tono di voce indecifrabile, piatto.
«Grazie.» Mi schiarisco la voce e gli indico la cucina «Se vuoi iniziare ad accomodarti fai pure. Io vado un attimo a mettermi qualcosa di più comodo.»
«Certo.» Annuisce avviandosi, mentre io corro in camera. Mi chiudo la porta alle palle per lasciarmici scivolare contro con la schiena. Mi prendo la testa tra le mani tirando i capelli in un moto improvviso di disperazione. “Signore e signori, ecco a voi: L’imperatrice delle pessime idee!” Cosa cazzo mi è saltato in mente?
«Non avrei dovuto invitare un altro uomo in casa mia.»
«Beh, ma è solo una cena.»
«Si, ma ci ha provato con me più volte.»
«Beh, ma oggi ha detto che si sarebbe comportato bene.»
«Si, ma magari si riferiva all’ambito lavorativo.»
Ecco, vedete? Questa è la lotta interiore che si sta scatenando dentro di me e ne sto parlando ad alta voce, da sola. Sto ufficialmente diventando pazza. Scuoto la testa sbuffando e torno in me.
«Andrà tutto bene.» Mi risollevo facendomi coraggio, mi cambio infilandomi un paio di leggins grigi che amo tenere in casa, sono così aderenti che non li senti addosso, ed una maglia larga verde. Passo davanti allo specchio ed osservo la mia figura. Oggi non vedo una ragazza sicura di se che si piace ed è soddisfatta di se stessa, ma una ragazza mentalmente stressata, agitata per la presenza del ragazzo più sexy di Manhattan nella sua cucina, una ragazza coi capelli in disordine per le dita che ci ha fatto scorrere tutto il giorno e col trucco stropicciato intorno agli occhi. Sospiro decidendo sia il caso di darmi una sistemata. Mi tolgo l’eyeliner dalla palpebra stando attenta a non sbavare il mascara sulle ciglia, poi mi do una leggera spazzolata. Quel che basta per rendermi presentabile e stare comoda allo stesso tempo.
Apro la porta e con passo deciso lo raggiungo in cucina. Lui è li, è meravigliosamente li, appoggiato al mio bancone con un bicchiere vuoto in mano. E non so come faccia a far sembrare così perfetta questa sua posa casuale. Insomma, non sta facendo nulla! E’ semplicemente li, eppure è quel suo modo di essere li che lo eleva fino alla perfezione. Sento un sorriso nascermi sulle labbra quando i nostri occhi si incontrano, l’azzurro dei suoi avvolge il verde dei miei ed un caldo torpore cresce dentro di me.
«Ho trovato i bicchieri, ma non la tua dispensa di alcolici.» Mi spiega poi alzando la mano che regge il bicchiere. Resto incantata per qualche istante ad osservarlo, i suoi capelli spettinati dopo la giornata lavorativa, a camicia stropicciata sfilata dal pantaloni e quei suoi occhi così belli mi fanno sospirare tanto che non accorgo subito di quel che mi dice.
Ridacchio in risposta e lo sorpasso andando verso il lavabo e chinandomi aprendo l’anta sotto a quest’ultimo, mi ci immergo con la testa.
«Vino o birra?» Chiedo da la dentro.
«Birra.» “Ottima scelta”
Afferro due bottiglie dal collo facendole tintinnare tra loro, mi sollevo e gliene porgo una chiudendo il mobile con una spinta di anche. Gli faccio cenno di accomodarsi e prende posto alla penisola mentre io stappo la mia birra prima di passargli l’apri bottiglia.
«Allora» punto la mia bottiglia verso di lui «Al fiasco del primo giorno!» Lui fa tintinnare la sua con la mia ridendo.
«Sperando che domani possa andare meglio.»
Gli sorrido in risposta “Domani ci rivedremo. Saremo ancora insieme.” Entrambi prendiamo un sorso, un lungo sorso.
«Quindi. Cosa posso risaldarti per cena?» Mi avvio verso il frigorifero
«Riscaldarmi?» Ride di me «Pensavo avresti cucinato per me.» Mi volto a guardarlo mentre nasconde un sorriso dietro la sua bottiglia di birra e scuoto la testa.
«Riscaldare è sinonimo di cucinare!» Rispondo convinta stampandomi un sorriso in faccia.
Scoppia a ridere così all’improvviso che quasi sputa la birra che stava bevendo «Ma in quale mondo?» Mi ritrovo a ridere insieme a lui alzando le mani.
«Ok ok, lo ammetto. Io odio cucinare!» Dopo essermi calmata gli punto addosso il mio dito indice «Dovresti essere onorato del fatto che io ti stia per riscaldare del cibo.»
Scuote la testa «Oh, sono onorato eccome.» La sua voce si è fatta più bassa e calda ed io, non sapendo come rispondere, ingollo velocemente un altro lungo sorso di birra. “Se continuo così sarò ubriaca prima ancora di mangiare qualcosa.”
«Quindi, cosa mi riscalderai?» Si alza dal suo posto e mi raggiunge accanto al frigo, si posiziona alle mie spalle chinandosi su di me e appoggiando un avambraccio all’anta aperta. “Oh mio Dio!” In questo momento non so cosa stia succedendo al mio corpo. Mi irrigidisco, ma allo stesso tempo mi sciolgo per la vicinanza del suo corpo al mio, il contatto lieve del suo torace sulla mia schiena, il calore che emana per poco non mi brucia e probabilmente non mi sto sciogliendo solamente per il fresco che il frigorifero emana. Il suo viso è di fianco al mio, è così vicino, aiuto. Prendo il mio labbro inferiore tra i denti ed inizio a martoriarlo stringendolo forte.
«Cos’abbiamo qui?» La sua voce calda e melliflua arriva direttamente ai miei sensi ed io chiudo gli occhi lasciandomici cullare, prima di farmi coraggio e rispondergli come se mi fosse del tutto indifferente. “Stay strong, Emily.”
«Bhe, ho della gustosissima pasta allo scoglio, riso al salmone, spaghetti alle vongole e.. pizza surgelata.» Elenco tutto prima di allontanarmi da lui ed appoggiarmi allo stipite del frigo e guardare l’espressione divertita sul suo viso.
«Pizza surgelata in frigorifero?» Chiede e poi prende un altro sorso di birra.
Gli rispondo tenendo gli occhi fissi sulle sue labbra che si poggiano sulla bocca della bottiglia «Così è meno congelata quando devo scaldarla.» Faccio spallucce, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Quindi? Dovremmo decidere prima di domani.» Alzo gli occhi al cielo fingendomi annoiata dietro ad un sorrisetto.
«Quindi vada per la pizza.»
«Seconda ottima scelta!» Esclamo soddisfatta prendendone due e tirandole fuori.
«Seconda?» Mi guarda con un sopracciglio, evidentemente confuso.
In tutta risposta sollevo davanti al suo viso la mia mano che regge la birra e la scuoto, lui sorride ed io mi chiedo come abbia fatto a non sciogliermi ancora. Quella bocca mi fa ribollire il sangue nelle vene.
Accendo il forno ed imposto i gradi, dopodiché aspetto che si scaldi.
«Quindi..» Comincia lui mentre io chiudo lo sportello e mi volto per poterlo guardare in viso «.. cinquanta sfumature di grigio, eh?»
“Cosa?!” «Cosa?» Chiedo visibilmente stupida dalla sua affermazione.. o domanda.
«Di la ho visto che ce l’hai.» Fa un cenno con la testa verso il salotto «Non pensavo che fosse il tipo che legge certi tipi di libri.»
«I tipi di libri eccitanti, intendi?» Domando ironica alzando un sopracciglio.
«Eccitante?»
«Direi di si.» Confermo convinta.
«Trovi eccitante un uomo che si scopa, perdona la volgarità, e picchia le donne che seleziona lui stesso perché somigliano a sua madre?»
Sgrano gli occhi, questo si che è interessante. «L’hai letto?»
«Si, l’ho letto. Rispondi alla mia domanda.»
Prendo un sorso di birra scrutandolo, lasciando il silenzio aleggiare tra di noi «Trovo eccitante il modo in cui Christian seduce Anastasia.»
«Oh, ma per favore.» Alza gli occhi al cielo «Fa fare indagini sul suo conto dai suoi scagnozzi, la bracca ed è accecato dalla gelosia, non è proprio la definizione di seduzione questa, non credi?» Inarca un sopracciglio.
Il forno trilla avvisandomi di aver raggiunto la temperatura ideale, così scarto le pizze dall'involucro di plastica e le metto a scaldare. Quando finisco l’operazione sono pronta a riprendere il discorso. «Sei proprio cinico. Certo Christian fa tutto questo, ma lo fa per la sicurezza ed incolumità sia propria che di Anastasia. Inoltre è seducente la devozione nei suoi confronti.»
«Ma quale devozione e devozione. E’ un sociopatico rimasto incantato dalla purezza di una donna, purezza che poi le ruba per poi trattarla come le altre donne che si scopa. La controlla di continuo e se non obbedisce le urla addosso, non è devozione: è follia.» Fa una breve pausa d’effetto che sfrutta per posare le iridi nelle mie, mi affretto a prendere un lungo sorso di birra per distogliere lo sguardo da quell’azzurro intenso. «Parli come una donna di mezza età che fa del sesso scadente col marito dopo vent’anni di matrimonio.»
E quell’affermazione è così corretta ed improvvisa che il liquido mi va di traverso ed inizio a tossire rischiando di sputarlo ovunque. “Colpita e affondata!” Lo vedo dapprima sgranare gli occhi, poi nascondere un sorrisetto sotto i baffi infine avvicinarsi a me per darmi qualche pacca sulla schiena.
«Spero di non essere stato troppo invadente.» Afferma poi visibilmente divertito. “Ed io tempo di essere stata troppo trasparente.”
Quando mi riprendo non perdo tempo e mi allontano sbirciano le pizze nel forno, decisa a non riprendere il discorso «Sono pronte!»




Mentre mangiamo la pizza sorseggiamo la seconda birra e chiacchieriamo del più e del meno, riusciamo a sembrare delle persone normali, che non si sono insultati a morte solo poche ore prima e senza alcun tipo di frecciatina a sfondo sessuale, per mia fortuna.
Addento il mio ultimo pezzo di crosta e lui si porta la bottiglia alle labbra per svuotarla, sto per fare lo stesso, quando noto che la mia è finita, così mi alzo dal mio posto per prendere la terza «Ne vuoi un’altra anche tu?» Gli propongo.
«Stai forse cercando di fari ubriacare, Emily?» Inarca un sopracciglio alla mia domanda ed incurva le labbra in un sorrisetto divertito.
«Mi hai scoperta.» Rido di gusto portando in tavola le due bottiglie e stappandole.
«Bevi molto.» Se ne esce quando mi vede prendere un lungo e dissetante sorso.
«Come fai a dirlo?» Poso i gomiti sul tavolo poggiando il viso su una mano osservando il suo bel viso rasato e perfetto, sono certa di avere stampato in faccia un sorriso ebete e sono anche certa che abbia ragione, ma al momento non mi importa.
«Eri brilla ogni volta che siamo usciti e scommetto che lo sarai di nuovo alla fine di questa.» Afferma convinto sollevando la mano e ticchettando l’unghia sul vetro della mia bottiglia.
A quel punto aggrotto le sopracciglia e gli punto addosso il dito indice muovendoglielo davanti al naso in segno di disappunto. «Temo di doverti ricordare che una di queste volte mi hai quasi rotto il naso e che..» Mi interrompo per bere, lasciando la frase in sospeso mantengo i miei occhi nei suoi, ed una volta ingoiato il liquido amaro mi lecco le labbra assaporandole e percepisco il suo sguardo spostarsi sulla mia bocca «.. noi non siamo mai usciti insieme, ci siamo solo trovati nello stesso posto nello stesso momento.» faccio spallucce e bevo di nuovo mentre lui, invece, scoppia a ridere probabilmente ricordando gli eventi di quella famigerata serata. Sembra passato così tanto tempo, invece sono solo due settimane scarse. Mi viene da ridere pensando a come io e Brenda quella sera siamo tornate a casa incespicando, barcollando per le strade, ridendo come due pazze sia per il mio naso gonfio e dolorante sia perché, beh, eravamo ubriache, mentre sbavavamo dietro all’uomo magnifico che ora si trova a ridere difronte a me. Chissà cosa dirà quando le farò sapere che il Dio greco sta mangiando pizza nella mia cucina.
Scuoto la testa per tornare alla realtà e per cercare di non seguire la sua travolgente e calda risata, perché sarà anche divertente ora, ma ha fatto un male fottuto. Un male fottuto per giorni.
«Vorrà dire che dovremo rimediare ed uscire insieme, ma devo chiederti di non cercare di vendicarti.» Ridacchia ancora ed io vorrei mettere tutto in pausa. Cioè , cosa?! Mi ha appena chiesto di uscire? Cioè, intende noi? Io e lui? Cosa dovrei rispondere? Uscire con un altro uomo è considerato tradimento? Ma no, Emily, cosa stai dicendo! Finchè non avvengono scambi di mucose e liquidi corporei non vi è alcun tradimento. E se Nate dovesse venire a saperlo, come reagirebbe, si arrabbierebbe? Ma dai, Emily! Non essere sciocca, sarebbe una semplice uscita con un tuo collega! Ma certo, ma certo che sarebbe così. Sarebbe così per davvero, o sto solo cercando di giustificare il fatto che io non veda l’ora di accettare? La lotta interiore che si scatena nella mia testa non accenna a volersi placare, quindi sapete cosa faccio? Spengo il cervello e lascio che quel che deve avvenire semplicemente avvenga.
«Beh certo si potrebbe fare, ma non posso assicurarti nulla.» Gli faccio un occhiolino portandomi la bottiglia alle labbra e bevendo di nuovo.
Scuote la testa ridacchiando «Ubriacona.»
«Ubriacona a chi?.» Assottiglio lo sguardo reprimendo un sorrisetto.
«Proprio a te.» Sorride lui tutto fiero mostrandomi la sua dentatura perfetta.
«Come ti permetti!» Prendo un pezzo della crosta che lui ha avanzato e glielo lancio in faccia mirando al naso, ma beccandolo in fronte.
All’improvviso si fa serio ed ammutolisce ed io tempo di aver esagerato “Perfetto, ora mi urlerà addosso ed avrò rovinato una piacevole serata. Bravissima Emily!”
Boccheggio chiedendogli scusa mortificata quando lui assottiglia lo sguardo. Due lame di ghiaccio mi trafiggono, mentre un sorrisetto gli si dipinge sulle labbra «Corri.»
Sgrano gli occhi «Cosa?» Ma l’unica risposta che ottengo è il suo scatto improvviso che fa strisciare indietro la sedia. Lancio un urlo di sorpresa sobbalzando e scappando correndo via dalla cucina, faccio il giro della penisola per poi fiondarmi nel piccolo corridoio che collega alla stanza adiacente.
«Sei proprio una volpe, Emily.» Mi urla da dietro ironicamente mentre io mi ritrovo in salotto bloccata tra il divano ed il tavolino di legno. Duke si trova esattamente difronte a me e non riesce proprio a trattenere l’espressione di trionfo sul suo viso per essermi messa in trappola da sola. Faccio un passo verso destra e lui fa lo stesso per venirmi incontro, allora torno indietro, ma l’azione si ripete. E’ inutile, non ho margine d’azione e sono bloccata. Inizio a muovere gli occhi in ogni direzione, sperando di notare qualcosa di utile, e infatti.. mi fiondo sul divano dietro di me prendendo un cuscino dopo l’altro, una raffica di stoffa colorata ed imbottita prende il volo finendo inevitabilmente addosso al destinatario del mio attacco. Il problema giunge quando, dopo gli ultimi due cuscini che fungono da schienale, rimango senza munizioni. Di fronte a me, ora, si erige Duke in mezzo ad una montagna di soffice stoffa, si china e prende due cuscini: i più grandi e pesanti. Mi ritrovo a deglutire quando una scintilla brilla nei suoi occhi furbi.
«Pessima idea.» Sussurra iniziando a correre nella mia direzione. Scatto verso l’uscita del salotto balzando sul divano per superarlo rischiando di scivolare sul pavimento liscio, corro ridendo come una pazza, urlando che non riuscirà a prendermi.
«Eccome se ti prendo!» E due secondi dopo mi ritrovo a terra, sdraiata sul pavimento del corridoio a pancia in giù con le risate di Duke avvolgermi. Mi ha attaccata alle spalle lanciandomi uno di quei due cuscini pesantissimi che si portava a dietro che, una volta colpita, mi hanno sbilanciata facendomi rovinosamente cadere. “Gran bella figura di merda!” Mentre lui è piegato dalle risate mi metto in ginocchio recuperando l’arma incriminata. La sollevo con un grande sforzo dopodichè lo carico sulla spalla e glielo lancio facendolo indietreggiare notevolmente.
«Ride bene chi ride ultimo!» Affermo soddisfatta incrociando le braccia al petto mentre il sorriso sparisce dalla sua faccia. “Ben ti sta!” Ma la mia sensazione di trionfo dura poco poichè inarca un sopracciglio, recupera il morbido cuscino in modo da averne ora uno per mano. Si piega in avanti e con il piede si carica, come se fosse un bufalo pronto a scagliarsi sulla sua piccola ed indifesa preda che, al momento, sarei io. Lancio l’ennesimo gridolino quando si fionda verso di me, volto i tacchi alla velocità della luce dirigendomi verso la porta della stanza degli ospiti infondo al corridoio, la spalanco in fretta cercando di richiudermela alle spalle ancora più velocemente per lasciarlo chiuso fuori, ma è tutto inutile. Con una sola spinta spalanca il legno che ci separa ed io indietreggio ansante. Entrambi ci fissiamo, ci scrutiamo in attesa che uno dei due faccia una mossa, un qualsiasi movimento. Ma siamo semplicemente li, a fissarci, sbranarci con gli occhi in preda all’adrenalina e all’euforia. Mi prendo il labbro inferiore tra i denti mentre ammiro il suo petto, stretto sotto la camicia, alzarsi ed abbassarsi a ritmo col suo respiro affannato. I nostri sguardi si catturano a vicenda mentre tendiamo i muscoli in allerta, pronti a scattare. Assottiglio gli occhi, lui fa lo stesso poi all’improvviso mi lancia un cuscino in faccia e prontamente alzo le braccia per prenderlo al volo, ma quando lo sposto dalla mia visuale abbassandolo mi ritrovo Duke correre nella mia direzione, il cuscino tenuto sul petto come un’armatura ed io non faccio in tempo a spostarmi dalla sua traiettoria, perché mi ritrovo travolta sul letto alle mie spalle, sdraiata supina con Duke a cavalcioni su di me a bloccarmi le gambe mentre mi prende a cuscinate ridendo a crepapelle.
«Chi è a ridere adesso, eh Emily?»
«Aiuto! Aiuto ti prego basta!» Mi ritrovo ad urlare tra una risata e l’altra cercando inutilmente di liberarmi «Fermati!»
«Dovrai supplicarmi!» Continua il suo assalto senza alcuna pietà nei miei confronti mentre mi dimeno provando perlomeno a bloccarlo.
«Ti supplico, ti scongiuro basta!» Annaspo ormai piangendo dal ridere «Non ce la faccio più!» E solo a quel punto lui si ferma abbandonando il cuscino a lato della mia testa.
Stiamo ancora ridacchiando mentre cerchiamo di calmare e regolarizzare i nostri respiri, i capelli arruffati sul mio viso mi impediscono di vedere, così inizio a sbuffare abbastanza forte da sperare di riuscire a spostarli, finchè le sue dita lunghe ed affusolate passano sulle ciocche di capelli prendendole e sistemandole ai lati del mio viso in modo da farmi tornare tornare a vedere chiaramente. E mai nulla di più sexy mi venne posto davanti agli occhi. Il suo corpo torreggia su di me, posso percepire il calore della sua pelle che avvolge la mia vita, posso ammirare l’ampiezza del suo torace teso mentre si sporge verso di me, posso osservare il suo viso perfetto, le labbra schiuse in un sospiro ed annegare nei suoi occhi penetranti e magnetici. Mi sento improvvisamente così ubriaca da sentir girare la testa, l’unica cosa che mi ritrovo a desiderare è che si sporga un po’ di più verso di me, basterebbe così poco..
Il suo tocco è caldo tanto da bruciarmi la pelle, leggero, ma al tempo stesso così potente da penetrarmi nelle ossa. Scorre lungo la mia mandibola, raggiunge il lobo sensibile lasciando una scia di brividi travolgenti, poi lo sorpassa per arrivare alla nuca ed afferrarla. I miei occhi sono fissi nei suoi mentre mi lecco il labbro inferiore, pronta a qualsiasi cosa. Mi strattona per la nuca e con un sussulto, prima che io possa rendermene conto, sono seduta sul materasso e lui è in piedi difronte a me. “Cosa è appena successo?”
L’intensità di quel contatto mi ha fatto perdere il senso della realtà trascinandomi in un mondo privo di inibizioni in cui non desideravo altro che sentire il sapore delle sue labbra, desideravo morderle e tirarle coi miei denti per sentirlo gemere.
«Si è fatto tardi, dovrei tornare a casa.» Il suo tono ora è freddo ed impassibile, lo sguardo tagliente mentre gira sui tacchi e si dirige verso la porta. Io mi risveglio dal mio stato di trance e mi metto in piedi con mille pensieri a vorticarmi per la mente.
«Ti accompagno.» Lo seguo a ruota senza ricevere alcuna risposta e una volta in cucina butto un’occhio sull’orologio del forno: è l’una e trenta di notte. Come fa ad essere già così tardi?
Duke intanto si è reinfilato la giacca ed ha recuperato le chiavi della sua auto, sembra impaziente di andarsene e questo non può che causarmi un moto di delusione.
«Beh, Emily, grazie per la cena.»
«Di niente, è stato un piacere.» Mormoro piano, mi sento mortificata, quando in realtà non dovrei proprio. Lui annuisce apre la porta e se la chiude velocemente alle spalle lasciandomi avvolta nel silenzio della casa. Chiudo gli occhi appoggiandomi al legno con la fonte «Cazzo..» Sibilo a denti stretti «Cazzo, cazzo, cazzo!» Impreco ora a voce più alta lasciandomi scivolare con la schiena lungo la superficie liscia fino a toccare il pavimento.
Appoggio i gomiti alle ginocchia prendendomi la testa tra le mani, le sopracciglia aggrottate, il labbro inferiore vittima del mio nervoso. “Non dovrei proprio sentirmi così, non avrei dovuto invitarlo in casa, non avremmo dovuto ritrovarci su quel letto, non avrei dovuto desiderare le sue labbra sulle mie così ardentemente. Cosa ti sta succedendo, Emily? Tu hai Nate.”

E questa consapevolezza mi risveglia come farebbe uno schiaffo in pieno viso. “Se Nate fosse rientrato e lo avesse visto in casa nostra? O peggio, se ci avesse visti su quel letto, come avrebbe reagito?” Scuoto la testa agitata mentre lascio scorrere sul mio viso il palmo della mano “Eppure avevo così tanto bisogno di lui..”





 

RIECCOMI! Ho cercato di aggiornare il prima possibile, ma purtroppo non posso assicurare nulla per il futuro. Mi ritrovo a dover afforntare il quinto ed ultimo anno e, conoscendomi, so che se non mi ci metto d'impegno sin dall'inizio non ne uscirò mai. Per questo gli aggiornamenti potrebbero essere lunghi, ma non temete arriveranno sempre! Sicuramente non impiegherò più di un mese tra un capitolo e l'altro, comunque.
Comunque eccoci qui, col ventitreesimo capitolo! Spero vi piaccia, grazie a chi continua a seguirmi e a lasciarmi recensioni. Mi riempite di gioia, vi adoro.
Un bacione enorme,
KamiKumi.

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Capitolo 24
*** 24. EMILY ***


Sta mattina mi sono svegliata troppo presto, non riuscivo a prendere sonno e, per quanto ci provassi, alle quattro e venticinque del mattino i miei occhi erano già spalancati, fissi sul soffitto ad ammirare il fascino di una parete bianca a cui, in altre circostanze, non avrei nemmeno prestato attenzione. Prima di mettermi a letto ho riordinato la casa, riponendo sul divano i cuscini sparsi durante la lotta con Duke e risistemato il letto disfatto della stanza degli ospiti chiudendo alle mie spalle la porta di quella camera, testimone dei miei crimini.

Ho chiuso gli occhi giusto un paio d'ore prima di accogliere Nate nel nostro letto con un sorriso nervoso. Ci siamo scambiati qualche parola finchè non è crollato al mio fianco; l'ho guardato dormire accarezzandolo, ridacchiando alle sue smorfie quando lo infastidivo con le mie carezze, ho passato le dita tra i suoi capelli corti ammirando il suo viso rilassato perso nel mondo dei sogni, gli ho stampato un bacio a fior di labbra per poi allontanarmene cercando di scacciare dalla mia mente il pensiero delle labbra di Duke che, a confronto, erano così deliziosamente invitanti da farti desiderare di morderle e non lasciarle più.

Alle cinque e quarantasette non riuscivo più a starmene li a rigirarmi su me stessa come un fottuto pollo allo spiedo. Ho temporeggiato nella speranza di riuscire a prendere sonno, invano, per cui mi sono alzata da quel materasso vittima dei miei movimenti nervosi dovuti all'insonnia per poi arrivare a dove sono ora: sotto la doccia, con una mano in mezzo alle gambe ed una sul seno a stringermi un capezzolo trattenendo i mugolii di piacere. Beh, che c'è? Dopo una nottata infernale come quella appena passata, per affrontare almeno la mattinata, mi ci vuole come minimo un orgasmo!

Mi catturo il labbro inferiore tra i denti mentre con movimenti circolari e costanti delle dita mi muovo sul quel sensibile bottoncino, centro indiscusso del mio piacere, ed io non so come, ma il mio cervello mi piazza nella mente immagini indecenti di un ragazzo ormai fin troppo conosciuto, dai capelli neri come la pece e gli occhi ghiacciati roventi di eccitazione mentre si sfila con una lentezza studiata la cravatta, creando un'attesa straziante che mi uccide, fino a che, pochi istanti dopo, lui è ovunque su di me. Le sue labbra, le sue mani, i suoi occhi corrono sul mio corpo scoprendo ogni mio punto più sensibile. E sono immagini che apprezzo, potessi farlo tenderei una mano al mio subconscio per congratularmi, ma al momento sono occupate a procurarmi l'orgasmo più travolgente dell'ultimo decennio facendomi tremare le viscere e cedere le gambe. Mi rannicchio sul pavimento della doccia nell'attesa di recuperare le forze mentre, nella mia mente, Duke si riveste dei suoi abiti indossando anche il suo solito sorrisetto impertinente e sfrontato che mi fa impazzire.

Dopo quella lunga doccia, e quell'intenso orgasmo, rigenerante ho avuto il tempo di preparare una sostanziosa colazione per me e Nate a base di pane tostato e bacon in padella. Cosa credevate? Devo ricordarvi che detesto cucinare?

Alle nove in punto sono davanti alla porta del mio ufficio più esausta che mai: il risveglio sarà anche stato rilassante, ma le due misere ore di sonno si sentono eccome. Infilo la chiave nella serratura per farla scattare, ma con mia grande sorpresa, la trovo già aperta. La mia mente non impiega molto a imamginare chi io possa ritrovarmi la dentro e no, purtroppo non è un Duke seminudo, sexy ed eccitante, bensì, come ho modo di constatare quando spalanco la porta del mio ufficio, è una versione di lui nervosa, rigida e troppo, troppo vestita.

È in piedi e mi da le spalle, si volta solo quando mi schiarisco la voce per attirare la sua attenzione. Trale mani ha le bozze di ieri sera che sono anche sparse sulla mia scrivania, inarca un sopracciglio come a chiedersi cosa diamine io possa volere da lui, allora incrocio le braccia al petto. "Eh no, Worten, quell'espressione sta mattina è tutta mia"

«Scusa, non volevo disturbare.» Sbotto sarcastica «Ero convinta di essere entrata nel mio ufficio. OH, aspetta!» Faccio un passo indietro e volto il viso verso destra per leggere la targetta in vetro patinato su cui sono scritti il mio nome e cognome «Questo è il mio ufficio. » Concludo poi sbattendo il piede a terra, ho troppe ore di sonno arretrate per poter tollerare questo genere di invadenza.

«Cazzo Emily, cos'hai mangiato a colazione: pane e simpatia?» Se ne esce lui in tutta risposta sbattendo tutti i fogli sul ripiano da lavoro «Tieni per te la tua accidia per oggi.» E mi viene quasi da ridere. "Qualcun altro qui ha la luna storta a quanto pare."

Ci fissiamo in cagnesco pe qualche istante, nessuno dei due sembrerebbe disposto a deporre le armi. Qualcuno potrebbe gentilmente spiegarmi come funzioniamo io e lui? Come abbiamo fatto a ridere, scherzare la sera prima e desiderare di ucciderci a vicenda il giorno dopo?

Lo vedo scattare verso di me all'improvviso, probabilmente pronto a dileguarsi e sparire dalla mia visuale ma lo fermo sollevando le mani in aria in segno di resa «Ok, mi arrendo. Sentiti libero di fare irruzione nel mio ufficio quando preferisci.» Se è "resa" che vogliamo chiamarla avrei probabilmente dovuto usare un tono meno ironico.

Si passa una mano tra i capelli esasperato «Senti Emily» Comincia a parlare con la sua voce profonda aggrottando le sopracciglia, facendo così comparire il solito solco sulla sua fronte, quello che vorrei scacciare con un tocco, o con un bacio. «Io non posso permettermi di mandare a puttane la mia carriera per questo. » Ed indica lo spazio tra me e lui con un gesto del dito

"Questo? Cos'è questo per te, Duke?" ma non lo dico, non lascio uscire questa domanda dalle mie labbra, non lascio trapelare nessuna emozione. Serro le labbra e lo ascolto.

«Quindi dobbiamo smetterla di fare così, dobbiamo davvero smetterla. » Il suo sguardo è serio, tagliente come le sue parole. So che ha ragione, quindi annuisco d'accordo con lui.

Mi passo una mano sul viso esasperata dai nostri caratteri e le nostre personalità così in disaccordo, poi gli giro intorno per andare a sedermi alla mia postazione, accendere il computer e riprendere in mano le bozze di ieri.

«Forza allora, mettiamoci al lavoro.» Lui annuisce indirizzandosi alla poltrona che ormai è diventata sua e diamo inizio alla nostra giornata lavorativa.

 

 

Ci interrompiamo solo poco prima dell'ora di pranzo, quando finalmente sollevo le braccia e stendo le gambe per stirare i muscoli. Emetto un sospiro soddisfatto misto ad un mugolio di piacere, abbiamo lavorato ininterrottamente per quattro ore di fila, nel più totale e religioso silenzio da quando ci è stato affidato questo progetto. Sono riuscita a portare finalmente a termine tre diverse proposte di volantini e sono fiera del risultato. Volto il computer portatile nella direzione di Duke che, invece, è ancora a capo chino sul tavolino intento a mordicchiare il fondo di una matita gialla.

Appoggio i gomiti sulla scrivania prendendomi il viso tra le mani e, prima di chiamarlo, mi prendo un momento per osservarlo finchè è assorto nel suo lavoro: i suoi begli occhi si muovono schematicamente sul foglio seguendo le linee che ora sta tracciando con la matita che tiene tra le lunghe dita affusolate e che, poco prima, stringeva tra i denti e avvolgeva tra le sue labbra carnose. Labbra su cui mi perdo a fantasticare per qualche brevissimo istante, perché poi le vedo muoversi ed il suo viso è rivolto verso di me. Sbatto le ciglia per tornare alla realtà, svegliandomi dall'incanto in cui ero caduta.

«Hai detto qualcosa? » Chiedo.

«Ho chiesto se hai finito.» Ripete lui con tono scocciato.

«Ah, si! Che te ne pare?» La mia voce suona più insicura di quanto dovrebbe, temo un po' il suo giudizio con tutto l'impegno che ho impiegato non vorrei sentirmi dire che non gli piace, inoltre non mi andrebbe di discutere anche oggi, tuttavia è necessario sapere le sue impressioni.

Fa passare lo sguardo su monitor difronte a lui quasi controvoglia, quasi come fosse annoiato e fare lo sforzo di gurdare il mio lavoro gli pesasse. Resta in silezio per qualche altro istante prima di parlare.
«Non male.»

"Cosa!?" Quattro ore di lavoro no-stop sono non male? Duke stra-maledetto-fottuto Worten stai per subire la mia ira, e così sarebbe davvero successo se il suo totale disinteresse nei miei confronti non avesse placato qualsiasi sentimento crescente dentro di me. E un po' ci rimango male, lo ammetto. "Cosa diavolo succede, Worten?"

Sto per chiederglielo, ma questa volta vengo interrotta da tre battute dal ritmo regolare contro la porta del mio ufficio. Do il permesso di entrare senza nemmeno dover chiedere chi sia, perché quel modo di bussare è riconoscibile tra milioni. Kyle fa capolino da dietro il legno scuro ed elegante. Gli sorrido realmente felice di vederlo, il suo viso vivace è un toccasana per l'aria pesante che si respira in questa stanza, anche se in pochi instanti sembra esserne sopraffatto anche lui. I suoi spensierati occhi nocciola si posano sulla figura accigliata appollaiata sulla mia poltrona, il mento nascosto dietro le mani incrociate, le sopracciglia aggrottate, l'aria rabbiosa e nervosa non potrebbero che scaturire una simile reazione in chiunque lo guardi. Sembra un bambino viziato arrabbiato a cui è stato rubato un giocattolo.

Gli occhi di Kyle saettano tra lui e me, mentre quelli di Duke lo squadrano da capo a piedi, decido quindi di intervenire spezzando questa tensione che rischia di farmi esplodere il cervello.

«Ciao Kyle» Gli sorrido voltando la sedia nella sua direzione «Cosa c'è?»

«Avrei bisogno di parlarti.» Annuncia senza troppi giri di parole.

«Dimmi tutto!» ma lui in risposta posa lo sguardo sulla figura cupa e tesa dell'uomo sulla mia poltrona che assiste alla scena in religioso silenzio.

«Sarebbe meglio in privato. A pranzo, magari?» Accetto l'invito senza doverci pensare due volte, ho davvero bisogno di parlare con lui. In questo periodo, tra una cosa e l'altra, ci siamo trascurati.. inoltre dovremmo chiarire riguardo il suo recente comportamento espansivo.

Con la coda dell'occhio Duke attira la mia attenzione mettendosi in piedi di scatto, mi scruta dall'alto della sua statura con quei suoi occhi che ora sono così freddi e al contempo così bollenti, bruciano nei miei incantandomi e si assottigliano facendosi taglienti così come il tono con cui pronuncia le parole seguenti.

«Bene, buon pranzo. Divertitevi.» Un tono piatto, pacato. Ci liquida in questo modo, lasciandoci soli nella stanza.

"Ma che cazzo è appena successo?" Mi ritrovo a sospirare confusa da quel suo atteggiamento, vengo assorta dai miei pensieri tanto che quasi mi dimentico della presenza di Kyle difronte a me. Sollevo lo sguardo verso la sua figura alta; oggi indossa un completo blu navy che gli calza a pennello e sta benissimo, come sempre in realtà.

«Beh.. vogliamo andare allora?» Mi chiede nervoso infilando le mani in tasca e dondolandosi sui talloni.

«Andiamo allora!» Affermo sorridente mettendomi in piedi, raccogliendo le mie cose e preparandomi alla misteriosa conversazione che sta rendendo nervosa anche me.

 

 

Dieci minuti dopo siamo in una piadineria poco distante dai nostri uffici, seduti ad un tavolino di fianco alla vetrata che da sulle strade trafficate di Manhattan, strade che brulicano di persone perennemente in corsa.

«Allora» comincia lui «come procede il progetto Evans?» addenta la sua piadina masticando in attesa della mia risposta, che non tarda ad arrivare.

«Mah, ci hai visti, no? Procede tra alti e bassi, in qualche modo funzioniamo.» Mi stringo nelle spalle pensando ai pochi momenti di pace passati insieme "Piuttosto rari, direi."

«Mi spiace che ti tocchi lavorare con uno come lui.» Afferma in modo sprezzante prima di dare un altro morso al suo pranzo, a quel punto io abbandono il mio sul piatto.

«Come sarebbe a dire "uno come lui"?» Domando come punta sul vivo. Il tono con il quale mi è uscita quest'affermazione è più sulla difensiva di quanto dovrebbe essere, è che sento il bisogno di difenderlo. «E' bravo nel suo lavoro, inoltre molto simpatico e di buona compagnia e-» Mi blocco, perché forse non è il caso di ammettere che mi piace, che sono interessata a lui molto più di quanto richiesto dalla nostra situazione lavorativa e anche perché in questo istante Kyle mi sta guardando con i suoi occhioni sgranati pieni di sorpresa. "Datti una calmata, Emily." Scuoto la testa per distogliere la mia mente da quei pensieri e cambiare argomento.

«Lasciamo stare. Tu piuttosto, cosa volevi dirmi?» Torno a prestare attenzione alla piadina nel io piatto che ora non mi attira più come solo una manciata di minuti fa, diciamo che la mia ammissione mi ha fatto passare la fame.

«Riguarda Brenda.» Inizia così il suo discorso e quest'affermazione non fa altro che farmi sgranare gli occhi rivogendoli ai suoi, sono tutta orecchi.

«Ti ascolto.» Incrocio le mani sul tavolo rimanendo in attesa, quella maledettà piadina aspetterà.

Lui espira rumorosmente, qualcosa bolle in pentola ed è ormai evidente. "Cosa non so?"

Si appoggia allo schienale della panca passandosi una mano tra i capelli mossi, scompigliandoli ancora di più.

«Ecco.. noi ci frequentiamo da qualche settimana.» Comincia per venire subito bloccato dalla mia sorpresa.

«Cosa!?» Sbotto d'istinto, totalmente impreparata. Insomma, si presuppone che quando la tua migliore amica esca col tuo collega più fidato tu lo sappia, giusto? Evidentemente no, per cui sono certa comprenderete il mio sconcerto.

«Brenda mi aveva chiesto di non dirti nulla, di far si che fosse una cosa tra me e lei.» Mi spiega mettendo a tacere gli interrogativi nella mia mente, ma solo per un momento, perché di nuovi cominciano subito ad riaffollarla "Perché mai avrebbe voluto tenermelo nascosto?"

«Il punto è che lei mi piace davvero.» Continua poi la sua spiegazione «E vorrei che potesse diventare qualcosa di serio, ma so il modo in cui la pensa a tal proposito. Ho provato più volte a parlartene tirandomi poi indietro all'ultimo secodo sia perché non dovevo, sia perché, beh informartene prima di incontrare il capo non sarebbe stato il caso, direi. Quindi perfavore-» Lo interrompo alzando una mano davanti al suo viso facendolo zittire all'istante, mettendolo in pausa "Cosa ha appena detto?"

«Prima di incontrare il capo? Intendi quando mi hai abbracciata settimana scorsa?» Lui mi guarda confuso alzando un sopracciglio.

«Si, perchè?» Ignoro la sua domanda.

«E ti interessa Brenda, giusto?» Seguite il mio ragionamento, vero? Il sollievo sta cominciando a farsi spazio dentro di me creandomi sul viso un'espressione beata.

«Si, ed è per questo che-» Non lo faccio finire di parlare.

«E volevi solo parlarmi di questo?»

A questo punto alza gli occhi al cielo rispondendo in un'esasperata esclamazione «Si!»

Lasciandomi andare sullo schienale della panca in un moto liberatorio inizio a ridere di me stessa e della stupida convinzione che mi ero autoconvinta fosse la realtà "Che peso mi sono tolta!"

Ah e si, ecco, la vedete la confusione evidentissima sul volto di Kyle? E' la prova di quanto io stia riuscendo a sembrare una fottuta pazza sclerata. Forse è il caso di dargli una spiegazione.

«Ero convinta che ti volessi dichiarare a me!»

«Cosa!?» Ride di me «Ma come ti è venuto in mente?» Ed ora sbianca «Cioè, sei una ragazza fantastica in ogni senso, ma siamo colleghi e poi tu sei fidanzata!»

«Beh sai com'è! Se fossi stata messa al corrente dei fatti tra la mia migliore amica ed il mio più fidato compagno di lavoro, magari!» Incrocio le braccia al petto ed imbroncio il viso fingendomi offesa.

«Avrei voluto così tante volte! Ma allo stesso tempo non volevo rischiare di perdere Brenda.. Sono certo tu sappia cosa pensa delle relazioni, non volevo correre rischi. Per questo entri in gioco tu, anche se dovrai fingere di non sapere nulla.»

«Si, lo capisco, ma in che modo entrerei in gioco, scusa?» Domando poi incuriosita dal suo piano e rivalutando l'idea di finire il mio pranzo, mentre Kyle ingoia l'ultimo boccone.

«Beh, la sua migliore amica è fidanzata da cinque anni. Quale esempio migliore di relazione potrebbe avere se non la tua?» Sorride sereno, compiaciuto dalla sua stessa idea inconsapevole di ciò che ci sia dietro la mia relazione. Insomma, grido "sesso insoddisfatto e frustrazione repressa" da ogni poro del mio corpo!

«Devi aiutarmi Emily, perfavore.» Ci rifletto per qualche istante mantenendo i miei occhi in quelli speranzosi e tanto dolci del mio collega. Non mi è chiaro per nulla il motivo per cui Brenda abbia voluto mantenere il segreto. Che avesse paura di ciò che avrei potuto pensare? Ma io poi cosa ne penso di questa situazione? Kyle è un bravo ragazzo, se non ottimo. È educato, dolce, gentile e non farebbe male ad una mosca. Io lo approvo. Non che conti granchè il mio giudizio in ogni caso, ma lei è fatta così e non riesce più a fidarsi, non dopo l'ultima delusione e probabilmente continuerebbe così, continuerebbe a non vedere il meglio delle persone. A meno che non le si dia una spinta.

È questo il motivo che mi spinge a dire di si al ragazzo che si ritrova seduto difronte a me. È giusto che entrambi si diano una possibilità.





 

E FINALMENTE SONO TORNATA! Pensavate fossi scomparsa, eh? E invece no! Tornerò sempre, fino a che questa storia non sarà conclusa!
Mi spiace per l'attesa, ma spero mi possiate comprendere: il quinto anno è tosto e ci vuole impegno, non ho avuto tempo. :(
Spero però che questo capitolo vi piaccia e di ricevere le vostre opinioni! Sono già all'opera per il venticinquesimo!
UN BACIONE!

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Capitolo 25
*** 25. EMILY ***


Dopo il pranzo rivelatore, Kyle mi precede nel rientro in ufficio per via delle scartoffie che vorrebbe riuscire a finire di compilare entro oggi, così decido di fare un salto da Starbucks per prendermi un doppio caffè gigante. Ne avrò bisogno una volta di nuovo faccia a faccia con Duke, che oggi è addirittura più scorbutico del solito.

Mi metto in coda e, mentre aspetto il mio turno, decido di controllare i messaggi sul telefono. Ce ne sono un paio da Brenda ed uno da Nate. Leggo subito quello di Nate.

NATE: Indovina chi ha il resto della settimana libero? IO!

Sgrano gli occhi per la sorpresa. Dovrei essere più felice ed entusiasta? Probabilmente si, ma è decisamente la settimana sbagliata per rimanere a casa. Insomma, io ho una consegna da rispettare e sarò indaffaratissima, mi sarà impossibile passare del tempo con lui. Gli digito una risposta veloce mentre la fila avanza.

EMILY: Ma è fantastico! Finalmente!

Sospiro pensando a come dover organizzare i prossimi giorni, dopodichè ripongo il telefono in borsa ed ordino il mio caffè. Sono una fidanzata orribile.

Esco dalla caffetteria sbuffando, in ritardo sulla tabella di marcia per colpa del ragazzo che ha impiegato troppo tempo a servire il mio ordine, voglio dire: ti ho chiesto un caffè, non un'anatra all'arancia! Non è fast da preparare? 'Fanculo.

Controllo l'orologio da polso per verificare l'effettivo ritardo, mancano sette minuti ed io sono a venti di distanza dagli uffici. Grandioso! Così darò un'altra ragione a Duke per essere di malumore e prendersela con me.

Alzo gli occhi al cielo camminando il più velocemente possibile, schivando le persone ammassate sui marciapiedi, ma vengo bloccata da due anziane signore intente a chiacchierare dolcemente. Impreco interiormente "Ma prendetevi un te' o fatevi un maglioncino all'uncinetto, come tutte le vecchie signore di questo dannato mondo!"

Le raggiro spazientita mentre prendo un sorso del mio enorme caffè, che ora come ora serve solamente a rendermi più nervosa di quanto già non sia! Almeno sono riuscita a raggiungere le vicinanze della Simmonds, ancora due minuti e sarò di nuovo all'opera con un ritardo minimo.

Attraverso le ultime strisce pedonali e cammino a passo svelto verso le grandi vetrate del palazzo controllando di nuovo l'orologio nella speranza che il tempo possa rallentare, o fermarsi solo per me e per farmi arrivare puntuale. Solo che il karma, a quanto pare, ha deciso di prendersi gioco di me oggi. Prima l'omino del caffè troppo lento, poi le vecchiette che mi bloccano la strada ed ora qualcuno che mi viene addosso correndo. Una spallata mi travolge facendomi urlare per lo spavento, per l'impatto, per il caffè bollente che mi si è rovesciato addosso, per la caduta che sto per fare dopo aver completamente perso l'equilibrio. Avviene tutto così in fretta da non riuscire a reagire, da non riuscire a voltarmi ed urlare addosso a quel coglione quanto effettivamente sia coglione. Avviene tutto così in fretta da non essermi accorta di non essere col culo a terra, ma tra le braccia di qualcuno che mi ha prontamente afferrata.

«Mio Dio, Emily! Tutto ok?» La sua voce mi risveglia dallo stato di trance momentaneo in cui ero crollata. Mi libero dalla sua presa riportando il mio peso sulle mie gambe, mi passo una mano tra i capelli voltandomi verso di lui fino ad incrociare i bellissimi e brillanti occhi azzurri di Duke offuscati dalla preoccupazione.

Istintivamente porto la mano libera sulla spalla colpita, non perché mi faccia male, mi viene solo spontaneo, poi abbasso lo sguardo e vedo l'orrendo spettacolo che sono ora i miei vestiti: sono una macchia di caffè vivente.

Risollevo lo sguardo sorridendogli «Meglio di come sono messi i miei vestiti di sicuro.»

Mi sorride anche lui posandomi una mano sulla guancia in un contatto delicato, confortante, un contatto voluto di cui avevo bisogno. «Sicura sia tutto a posto? Quel maledetto coglione, se lo rivedo-»

Lo interrompo «Sto bene, grazie della preoccupazione. Avrei dovuto guardare dove mettevo i piedi, è stata anche colpa mia.» Affermo guardandomi in giro e cercando con lo sguardo un cestino in cui buttare il mio bicchiere di caffè ormai svuotato. Una volta individuato mi ci avvicino e me ne sbarazzo. «Andiamo? Devo anche darmi una sistemata.»

 

Volete sapere quanta attenzione ha attirato il mio outfit al caffè nel tragitto che va dal marciapiede al mio ufficio? Troppa.

Una volta usciti dall'ascensore abbandono le chiavi nelle mani di Duke ed io mi fiondo in bagno a darmi una ripulita alla bell'è meglio, tuttavia la macchia è troppo ampia: parte dal seno e scende fino al bordo della mia camicetta a maniche corte. Ah, e indovinate un po' di che colore è la mia camicetta? Dai, vi lascio qualche minuto per pensarci.

Fatto? Esattamente: E' bianca.

Appoggio le mani al lavandino, lo stringo forte chiudendo gli occhi per poi inspirare rumorosamente dalle narici. "Deve succedere qualcos'altro oggi?!"

Quando li riapro i miei occhi sono fissi sullo specchio a parete difronte a me. "Maledizione!"

Prendo della carta e, dopo averla bagnata, inizio a strofinarla forte sul tessuto bianco per cercare di smacchiarlo il più possibile. Niente, non viene via, e se possibile quel che ne esce è un risultato peggiore di come fosse all'inizio. Osservo disperata il casino che ho combinato e alla fine rinuncio: decido di toglierla.

La canottiera che indosso è fortunatamente rimasta indenne, ma è decisamente troppo corta.. e troppo aderente per essere indossata su un paio di pantaloni in pelle nera. "Grandioso, ora sembrerò una zoccola!" Sbuffo esasperata, sono sul bordo di un precipizio che porta direttamente all'esaurimento nervoso. Ho bisogno di due cose:

1) Sesso. Sesso intenso, potente ed animalesco.

2) Caffè.

Eppure non avrò nessuno dei due. Come? Mi chiedete il perché? Beh, ricordate la mia capacità nel non trovare quadrifogli? Se scopassi ora diventerei il nervoso in persona, per non parlare di come sarei se assumessi addirittura della caffeina.

Esco dal bagno e percorro il corridoio per tornare in ufficio a testa bassa, un po' per la vergogna, un po' per cercare di passare inosservata. Sapete come funziona quella regola magica secondo cui se non vi vedo allora voi non esistete? Come no? E' tutto vero, giuro!

L'espressione di Duke quando entro dalla porta chiudendomela alle spalle, quando lancio la camicetta sul divanetto e mi siedo alla scrivania descrive alla perfezione ciò che ho pensato in bagno solo pochi istanti fa. "Bene, è ufficiale: sembro una zoccola."

«Potrei anche abituarmici.» Afferma lui con naturalezza, come se avesse appena detto la cosa più normale del mondo. I suoi occhi sono famelici mentre mi scorrono addosso e sulle sue labbra è disegnato un ghigno furbo; essere guardata così non mi ha mai fatta sentire tanto sexy, tanto desiderata.. e tanto in imbarazzo.

«Ho capito» dico alzandomi per raggiungere il divano «me la rimetto.» ma lui la afferra prontamente con uno scatto prendendola in ostaggio.

«E' fradicia e sporca, non essere stupida.»

«Non posso stare in ufficio così!» Esclamo indicando, con i palmi delle mani, il mio attuale outfit.

«Non puoi nemmeno stare con questa qui addosso.» Argomenta in risposta tenendo tra le dita la mia povera camicetta macchiata. Allora io sbuffo sciogliendomi i capelli dallo chignon in cui erano stati legati fino a questo momento lasciando scivolare la mia folta ed arruffata massa ai lati del viso in modo disordinato.

«Così sembro meno nuda?» Chiedo mentre mi sposto due ciocche sulle spalle, distribuendole sul petto cercando di pettinarli con le dita, in modo da coprirmi.

Lui inspira forte, poi chiude gli occhi per qualche istante «Cazzo.» impreca mettendosi in piedi e sbottonando i due bottoni della giacca del suo completo. "Cosa sta facendo?!"

I miei occhi si spalancano pronti a catturare, osservare e divorare ogni singolo dettaglio della scena che mi si sta ponendo davanti: Duke si è tolto la giacca lasciandola cadere sulla poltrona alle sue spalle ed ora è passato a sbottonarsi la camicia, un bottone alla volta, con studiata e snervante lentezza. I suoi occhi sono fissi nei miei e questo momento è così intenso da sembrare non voler mai finire. Il tempo rallenta dilatandosi ed avvolgendoci entrambi in una bolla di tensione incandescente.

Hey, ma voi la sentite la temperatura salire in questa stanza o sono solo io? Cristo santo, sto andando in ebollizione. Si sta sfiorando la soglia dell'illegalità e quando si sfila le maniche, rimanendo con addosso solo una canottiera bianca che mette in risalto il suo fisico perfettamente scolpito su cui credo abbia messo mano Michelangelo per via della perfezione dei suoi addominali, dei suoi pettorali, delle sue braccia sode toniche..e sexy, che è l'aggettivo che lo descrive più accuratamente, ho paura che da un momento all'altro una squadra di poliziotti faccia irruzione nel mio ufficio:

«Duke Worten, lei è in arresto per eccesso di sensualità! Ha il diritto di restare in silenzio, tutto ciò che dirà potrà essere usato contro di lei. »

Quando si muove verso di me sono ancora imbambolata. Non capisco cosa stia facendo fino al momento in cui appoggia il tessuto liscio della sua camicia sulle mie spalle.

«Tieni, ci penserà questa a tenerti coperta.» Solo ora mi risveglio dal mio stato di trance.

Guardando ciò che mi ha offerto mi viene da ridacchiare «Ma è enorme.»

Ora è lui a sbuffare «Infilatela.» mi ordina ed io obbedisco. Mi afferra i polsi arrotolando le maniche intorno ad essi con una tale concentrazione da far spuntare la sua solita ruga d'espressione, che esce quando è solito aggrottare le sopracciglia.

Le sue dita scorrono sulle mie braccia bruciando sulla mia pelle già ardente. È un contatto così lieve, eppure capace di farmi sconvolgere attraverso mille brividi.

«Ecco fatto.» Dice in un sussurro a pochi centimetri dal suo viso. I nostri occhi sono due magneti che si attraggono, impossibili da separare.

«Grazie.» La voce così bassa da farmi pensare che probabilmente non mi ha sentita. Gli occhi, attratti dalla visione della sua bocca invitante, abbassano ad osservarla.

Poi lui si allontana da me di un passo con il viso stampato da un sorrisetto divertito.

«Ti sta bene, direi.»

Alzo gli occhi al cielo «Stai ridendo di me?»

«Non oserei mai!» Esclama lui ridendo alzando le braccia in difesa, per poi tornare alla sua postazione per rinfilarsi la giacca e causarmi un infinito dispiacere coprendo il suo fisico sexy.

Scuoto la testa divertita «Beh, almeno ora il tuo muso lungo è sparito.»

Mi siedo al mio posto e, come se l'avesi chiamato, il suo malumore torna a tempestare il suo bel viso. "Brava di nuovo, Emily!"

Lo osservo mentre si ammutolisce mettendo il muso e, se prima ero disposta a stare in silenzio a fare finta di nulla, ora non sarà più così!

«Si può sapere cosa ti prende oggi?» Sbotto aggrottando le sopracciglia, cercando di capire.

«Com'è andato il pranzetto col tuo amico Kyle?»

«Cosa?» Esclamo incredula "E' di questo che si tratta?!" «E' andato molto bene.» Affermo impettita prima di serrare le labbra in una linea dura.

«Bene.» Ripete lui.

«Bene.» Confermo io.

Ci guardiamo in cagnesco per qualche istante, totalmente avvolti nel silenzio. Lo ignoro e sbuffando inizio a lavorare. "Come si può essere così volubili?!"

All'improvviso mi sento stanca ed esausta, ho di nuovo bisogno di quel caffè.

Tra un click di mouse ed un altro la sua voce spezza il silenzio «E comunque sta sera non posso tardare di nuovo, ho un appuntamento.»

Alzo gli occhi posandoli nei suoi, sbruffoni e strafottenti.

«Nessun problema.» Sentenzio senza alcun tono nella voce tornandomene al lavoro. "E a me cosa dovrebbe interessare del fatto che hai un appuntamento? Puoi fare quello che ti pare! Con chi ti pare" Urla la mia mente ma, anche se continuo a ripetermi queste parole come un mantra, non posso nascondere quella fitta di fastidio che provo in questo momento.

 

 

Sono le diciotto e trenta quando Duke si alza radunando le sue cose e se ne va con un misero «Ciao.»

Quando la porta si chiude alle sue spalle sospiro prendendomi una pausa da tutto ciò che mi circonda. Il silenzio mi avvolge, così come anche il suo profumo dannatamente buono, che in realtà non dovrebbe piacermi così tanto. Mi crogiolo in questa fragranza mascolina affondando nella sua camicia, pensando a lui e al suo comportamento irrazionale.

Chiudo gli occhi abbandonandomi sulla sedia, tentando di rilassarmi. L'unica nota positiva della giornata è che è stata quanto meno produttiva, inoltre ho scoperto questa cosa tra Kyle e Brenda, questa cosa a cui nemmeno loro sanno dare un nome..

Non posso proprio capire il motivo per cui me l'abbia voluto tenere nascosto, tra l'altro non so neanche come poter aiutare il povero Kyle. Ho affrontato spesso l'argomento "relazioni" con Brenda, ma è sempre stato liquidato da parte sua insieme ad uno sguardo minaccioso. Non ne vuole sapere, ma forse se Kyle si dimostrasse capace di guadagnare la sua fiducia al cento per cento, se le facesse capire quanto tiene a lei, potrebbe cambiare idea.

Sospiro rassegnata "Come se non avessi abbastanza grattacapi con la mia di relazione!" Mi rimetto all'opera scuotendo la testa e per altre due ore resto nel mio ufficio, dopodichè spengo il computer e me ne torno a casa.

 

 

Dopo una cena a base di avanzi di cibo del ristorante di Nate, ho deciso che avevo voglia di biscotti, così ho tirato fuori tutti gli ingredienti ed ho iniziato ad impastare. Ora sto stendendo la pasta canticchiando la canzone Cocoon di Milky Chance.

Prendo un bicchiere e stampo una circonferenza, che sarà la base del primo di una serie di biscotti, mentre le mele cuociono in un pentolino.

Eh si, so cosa vi sta frullando in quel vostro cervellino: "Ma Emily, tu odi cucinare!"

E la risposta è: si, odio cucinare. Eppure preparare biscotti mi rilassa, mi diverte e mi soddisfa (soprattutto mentre li mangio.)

I biscotti alla mela sono i miei preferiti, e anche gli unici che io abbia mai fatto di mano mia. È una ricetta insegnatami da mia madre e prima di lei da mia nonna, prima ancora la bisnonna.. Credo si una di quelle cose di famiglia che si tramandano di generazione in generazione, ma che in realtà fanno tutti.

Infilo la teglia piena nel forno e aspetto trentacinque minuti di cottura, dopodichè vado in salotto e accendo la televisione, lasciando che una squallida commedia mi faccia compagnia mentre torno a lavorare sul mio computer portatile.

 

Mezz'ora dopo il forno trilla indicando il termine della cottura dei biscotti e, mentre mi alzo per sfornarli, sento bussare alla porta. Guardo l'orologio digitale del microonde che segna le undici e un quarto. Rifletto a proposito di chi possa essere mentre cammino verso la porta "Di sicuro non i vicini, non stavo facendo rumore.."

Avvicino l'occhio allo spioncino e spalanco la bocca per lo stupore quando vedo chi c'è.

«Cosa vuoi, Duke?» Sbotto con una nota di irritazione nella voce. Perché prima mi tiene il muso e mi tratta di merda, e poi si presenta fuori dalla porta di casa mia?!

«Non mi apri neanche?»

E allora lo faccio. Afferro la maniglia aprendo di scatto la porta che ci divide e lo vedo: i capelli arruffati, le sopracciglia, solitamente aggrottate, ora distese insieme alle sue labbra, su cui è disegnato un ghigno soddisfatto. Indossa una semplice t shirt nera sotto ad una giacca in pelle dello stesso colore, poi dei jeans scuri; nel complesso ha un'aria cosí giovane e da bad boy che ti viene voglia di cadergli ai piedi, tuttavia lo osservo sollevando il mento. Mi porto la mano destra sul fianco ed appoggio il peso su una gamba e, mentre mi muovo, mi sento improvvisamente a disagio nei miei vestiti comodi da casa che a me non fanno che regalare un'aria sciatta. Il mio outfit comprende: un paio di pantaloncini corti rossi, nel quale le mie gambe navigano crogiolandosi nell'appagante gioia di non essere strette in un paio di leggins in pelle, e un'anonima maglia grigia su cui spicca rigorosamente in nero la scritta "bad girls go to Mr.Grey"

Non avete il diritto di esprimere alcun giudizio, nel caso in cui stiate pensando di farlo.

« Bad girl.» pronuncia lui trattenendo un sorrisetto a stento leggendo la frase stampata sul mio petto prima di riportare in suoi occhi nei miei «Carina.»

Sollevo gli occhi al cielo "Ecco, appunto"

«Cosa vuoi, Duke?»

«Vorrei entrare.»

Sollevo un sopracciglio mentre, con scetticismo, penso ed esamino le due opzioni a cui potrei ricorrere:

1) sbattergli la porta in faccia, sul naso magari.. giusto per vendicarmi, oppure 

2) lasciarlo entrare e vedere come si evolverà la situazione.

Ovviamente scelgo la seconda.

Mi sposto dall'ingresso per farlo passare e poi richiudo la porta alle nostre spalle.

Vedere Duke camminare tranquillamente nel mio appartamento mi fa un certo effetto. Ora che osservo la sua ampia schiena, la sua camminata sicura mi accorgo di quanto sia piacevole averlo qui, nonostante il suo carattere bipolare. La prima cosa che fa lui è allargare le narici socchiudendo le palpebre, per poi inspirare profondamente

«Hai fatto i biscotti?» Domanda entusiasta guardandomi con gli occhi di un bambino che scarta i regali la mattina di Natale.

«Si, li ho appena sfornati.»

«Sono arrivato giusto in tempo, allora!»

Alla fine ci troviamo entrambi seduti sul divano a mangiare quei biscotti che sarebbero dovuti essere solo miei fissando i nostri sguardi sulla tv: andava in onda un film con Adam Sandler, una di quelle commedie che alla fine ti impartiscono una qualche lezioni di vita lasciandoti anche un po' di amarezza in bocca.

«Sono passato davanti all'ufficio intorno alle otto..» comincia lui. Mi volto nella sua direzione, ma ciò che posso vedere è solo il suo profilo, che continua a fissare la televisione. Si allunga a prendere un biscotto sul vassoio e solo allora mi guarda in faccia per riprendere a parlare.

«Le luci erano ancora accese.» Spiega ed io non riesco a capire cosa voglia sapere "Cosa mi stai chiedendo, Duke?"

Mi limito a confermare la mia presenza «Mi sono fermata a lavorare ancora un paio d'ore dopo che te ne sei andato.»

Annuisce «Come procede?» Domanda facendo un cenno con la testa al mio portatile posto accanto al vassoio.

«Bene direi.»

«Bene.» ripete lui

«Bene.» Confermo io. Questa conversazione mi fa avere una sorta di deja-vu, che mi fa a sua volta tornare in mente ció che ci ha portati a questo scambio di battute la prima volta.

Cosí domando, con finta disinvoltura e disinteresse: «Com'è andato poi il tuo appuntamento?» "Se risponde dicendo Bene giuro che lo uccido, potrei iniziare ad odiare quella parola!"

Lui invece, inaspettatamente, si lascia sfuggire un sospiro sconsolato e poi ammette «Uno schifo. Quella ragazza era un pazza.»

Ed io, affatto preparata a quella risposta, scoppio a ridere sotto lo sguardo di disapprovazione di Duke, che però finisce per seguirmi a ruota esplodendo in una risata calda e cristallina. Rigenerante.

«Perchè ci sei uscito allora?» Domando curiosa.

«Beh, in altre circostanze mi era parsa..» fa una pausa come se stesse cercando le parole e riprende solo quando sembra aver trovato quelle giuste «..adatta a ció che stavo cercando.»

Quando pronuncia quelle parole il mio cuore perde un battito, perchè ho ben capito cosa intendeva con stava cercando. Prima che il mio cervello possa accorgersene io ho giá aperto bocca «Cosa è andato storto allora?» Mi prendo il labbro inferiore tra i denti in attesa di una sua risposta, perché io in realtà non vorrei sapere. È come quando fai una verifica per cui non hai studiato bene e il professore deve comunicarti il voto e tu vuoi sentirtelo dire, perché sei curiosa, ma allo stesso tempo non vorresti saperlo, perché hai paura che sia andato male. Ecco.

Si appoggia con la schiena sui cuscini del divano, gli stessi con cui ci siamo picchiati ieri, e si mette comodo. «Immagina di essere uno scapolo che ama divertirsi, andare per locali, conoscere donne, sedurle..» Inizia a spiegare, ma non mi guarda in faccia mentre mi fa questa rivelazione. Fissa le mensole difronte a noi, quelle con le foto mie e di Nate. Vorrei toglierle da li per non ricordargli che sono fidanzata, anche se non vedo il motivo per cui lui dovrebbe interessarsi di una cosa simile. «Poi immaginati com'è quando, dopo, iniziano a parlarti della prossima volta, di dove si potrebbe andare a cena, o che film si potrebbe guardare al cinema. È sfiancante.»

Seguono attimi di silenzio dopo questa rivelazione, che ora grava sulle mie spalle come macerie dopo una frana.

Voglio dire, non è che dovrei stupirmi! È un ragazzo bellissimo e sexy, divertente, esuberante, dagli occhi brillanti ed il sorriso malizioso, è ovvio che non si tenga addosso una cintura di castità o che non sia un santo! Eppure avere ora la certezza del fatto che va effettivamente a letto con altre donne mi provoca questa fastidiosa fitta di gelosia totalmente ingiustificata, se si tiene conto del fatto che io sono fidanzata e questo fatto non dovrebbe per nulla toccarmi.

Dopo una breve riflessione parlo in base all'ultima frase elaborata:"Io sto con Nate, Duke puó fare ció che vuole."

«Potresti semplicemente smettere.» come non detto. La mia bocca decide di nuovo di fare ciò che vuole indipendentemente dalla mia testa. «Cioè, potresti scegliere con piú accuratezza. Inoltre rischi di prendere qualche malattia se vai avanti in questo modo» mi allungo a prendere un biscotto, anche se in realtà il mio stomaco si è chiuso e mangiare è l'ultimo ed il più lontano dei miei pensieri. Lo mordo e inizio a masticare.

Duke ha gli occhi sgranati per quella che sul suo viso sembra essere sorpresa "Beh, che c'è?" Mi chiedo e come se lui avesse percepito la mia domanda scuote la testa, senza alcuna traccia di espressione sul suo viso.

«Non ho mai fatto sesso senza protezione.»

Mordo di nuovo il mio biscotto «Bene» affermo allora io.

«Bene.» ripete lui.

Odio questo scambio di battute, è ufficiale.

Dopo la sua rivelazione la conversazione si spegne e rimaniamo in silenzio a guardare il film che scorre davanti ai nostri occhi. I biscotti giacciono abbandonati nel vassoio sul tavolo.    






RIECCOMI QUI! Stranamente non è passato molto tempo dall'ultimo aggiornamento e ne sono felicissima, spero sia così anche per il prossimo che, finalmente, sarà dal punto di vista del nostro Duke! Dopo tre capitoli di Emily direi che ne abbiamo abbastanza, no? hahaha
Ad ogni modo spero che vi sia piaciuto e che mi lasciate qualche vostro piccolo parere o opinione!
Inoltre volevo farvi sapere che ho aggiunto un cast! Vi spiego come sono andate le cose:
Un giorno stavo guardando The Vampire Diaries tranquillamente e, dopo aver finito una maratona di episodi, inizio a scrivere questo capitolo. Scrivendo noto le somiglianze fisiche, e un po' anche comportamentali, tra Damon e Duke! E da quel giorno non sono più riuscita a togliermi dalla mente questo pensiero! Per cui ho deciso di cercare delle icone famose in cui i miei personaggi potessero identificarsi fisicamente! 
Qui sotto troverete i nomi con le foto allegate! Fatemi sapere cosa ne pensate o come ve li immaginavate!
Un bacione, la vostra KamiKumi!


 

Ian Somerhalder come Duke Worten





Emilia Clarke come Emily Mayton





Zendaya Coleman come Brenda Gomez





Shawn Mendes come Kyle Lusher





Corbin Bleu come Carlos Gomez





Zach Roerig come Nate Brown


 

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Capitolo 26
*** 26. DUKE ***


Dopo essermela squagliata da casa di Emily, dalla sua incredibile, fottuta bellezza e dalla maledetta voglia che avevo, e ho tutt'ora, di baciarla mi sono fiondato nel primo bar che ho trovato per strada, ci sono entrato ed ho ordinato da bere. E sapete come vanno le cose, no? Quanto tempo volete che passi dal momento in cui un giovanotto entra da solo in un bar, si siede da solo ad uno sgabello ed inizia a bere da solo, prima che una donzella gli si avvicini e gli lasci il suo numero su un tovagliolo?

Lasciate che ve lo dica io: poco.

Faccio a malapena in tempo a bere un sorso del mio Jack Daniel's quando una brunetta tutta curve mi si avvicina e, senza mezzi termini, mi chiede cosa ci faccio solo, mentre con una mano accarezza la mia coscia risalendo verso il cavallo dei miei pantaloni.

Faccio roteare lo sgabello verso di lei che si infila tra le mie gambe aperte. Le sue dita si insinuano tra i miei capelli e li tira con uno strattone facendomi sollevare il viso per guardarla negli occhi. "Selvaggia"

Tutto ciò che ottiene da me, però, altro non è che un sorrisetto beffardo ed indifferente. Senza considerarla troppo mi riporto il bicchiere alle labbra per prendere un altro lungo sorso del mio liquore.

Sorride anche lei prima di avvicinarsi al mio orecchio.

«Chiamami.» Suona come un ordine, un ordine sussurrato con una voce calda e sensuale. Mi morde il lobo, prima di girar sui tacchi e darmi una visuale, che lascia ben poco all'immaginazione, del suo culo tondo e sodo.

Abbasso lo sguardo sui miei pantaloni e trovo un tovagliolino rosso su cui sono scritte delle cifre, lo prendo con disinteresse tra le dita, prima di infilarmelo in tasca e scolarmi d'un fiato ciò che è rimasto nel mio bicchiere, dopodichè mi alzo per tornare alla mia auto.

Quando esco da quella topaia sono seriamente intenzionato a non rivedere quella bruna mai più. Non riesco a togliermi dalla mente l'immagine di Emily stesa sotto di me, ansante, bellissima, con quella chioma splendente di capelli ad incorniciarle il viso.. e dev'essere per questo che, una volta arrivato a casa, chiamo quella ragazza del bar e prendo appuntamento per vederla domani sera.

 

 

Mi alzo dal letto scostando il lenzuolo violentemente facendo spaventare la piccola Josie, per spegnere il suono fastidioso della sveglia con un unico colpo secco. Che dire? Il buongiorno si vede dal mattino e, ad ogni modo, non è che la sveglia mi sia servita: non ho chiuso occhio per un solo e fottuto secondo da quando sono tornato a casa questa notte. Nonostante tutto, sono rimasto sveglio a rigirarmi incazzato nel letto, perché non ho potuto avere ciò che volevo, chi volevo.

Mentre mi preparo per affrontare la nuova giornata di lavoro cerco di domare il mio malumore. Non riesco a concepire quanto io la desideri, quanto abbia bisogno di toccarla, possederla, baciarla.. non posso levarmela dalla testa e, quando la vedo entrare in ufficio, un'ora dopo, quasi svengo; tutto il sangue in circolo nel mio corpo affluisce al mio cazzo provocandomi una di quelle erezioni degne di un dodicenne in piena crisi ormonale. Per un attimo penso abbia fatto apposta, per farmi fottutamente arrapare, a presentarsi con i capelli legati in uno chignon stretto sulla nuca che le lascia scoperta la curva elegante ed invitante del collo. Il suo corpo è stretto da una camicetta larga a maniche corte che le dona grazie, mentre le gambe, mio Dio, le gambe sono fasciate in un paio di pantaloni in pelle nera aderentissimi che mi costringono a cambiare posizione sulla sedia e sistemarmi il cavallo dei pantaloni. Reprimo un principio di infarto, e un po' anche la voglia di saltarle addosso, stampandomi in faccia un'espressione arrabbiata per tenerla a distanza.

La parte difficile è mantenerla per tutta la mattinata, o questo credevo finchè non entra in ufficio quella faccia di culo, che altri non potrebbe essere se non Kyle. A questo punto posso smettere di fingere, no? E quindi focalizzare tutto il mio odio, fastidio e frustrazione su di lui. Sono così buono che, nel momento in cui chiede di parlare in privato e la invita a pranzo, evito di prenderlo a pugni limitandomi invece ad uscire a passo svelto dall'ufficio, lasciandoli alle loro faccende.

Si, beh "lasciandoli alle loro faccende" non è proprio la frase esatta che descrive la realtà dei fatti, ossia: li ho seguiti.

Sono qui, nel bar di fronte alla piadineria in cui si sono accomodati per pranzare. Mi sento un irragionevole pazzo? Si. Ho intenzione di fare qualcosa al riguardo? No.

Starò qui ad osservare i loro movimenti, quel ragazzo non mi convince, è il mio sesto senso. E questo dice che non devo fidarmi di lui, nonostante siano li seduti da trenta minuti e non sia successo nulla, se non qualche espressione scioccata ogni tanto.

Quando alla fine escono dal locale e prendono due strade differenti non penso due volte al da farsi ed inizio a seguire Emily, che è diretta da Starbucks. Il mio malumore quasi si dissolve quando percepisco il suo nel momento in cui capisce di essere in ritardo. Dico quasi, perché quando attraversa le ultime strisce pedonali che ci separano dai nostri uffici viene colpita da un coglione del cazzo che corre noncurante di chi gli stia intorno. Impiego zero virgola due secondi a raggiungerla prima che possa ruzzolare a terra e farsi male e, come un principe azzurro ( non come un pazzo stalker) appaio al momento giusto e la salvo, prendendola tra le mie braccia. Per il caffè, però, purtroppo non c'è nulla da fare. Se non fosse per le circostanze probabilmente ora starei prendendo in giro quella che ora è una macchia vivente, invece le accarezzo il viso, totalmente sopraffatto dalla preoccupazione.

Quando arriviamo al piano in cui è il suo ufficio lei mi lascia in mano le chiavi per correre in bagno a pulirsi. Resto a guardarla immobile finchè non sparisce, sentendomi un emerito imbecille e pensando a quanto la nostra relazione sia migliorata. Insomma, io sono pur sempre quello che, con Carlos, ha tentato di soffiarle il cliente.

Mi dirigo verso la porta a cui è affiancata la targhetta col suo nome "Mayton E.". Sorrido prima di aprirla, poi entro.

La stanza profuma di lei, ha quest'odore dolce e vellutato che ti impregna le narici, impossibile da dimenticare. Inspiro a pieni polmoni, poi semplicemente mi siedo e la aspetto a mani giunte, seduto su quella che ormai è la mia poltrona.

Quando fa ritorno, qualche minuto dopo, la mia mandibola tocca il pavimento, perché non avrei mai creduto che potesse essere ancora più sexy di come l'ho vista questa mattina: la camicetta, vittima del suo caffè super-extra, è stata sostituita da una canottierina così stretta, corta e striminzita che le lascia scoperto il culo. E che culo. Devo ammonire mentalmente il mio cazzo di stare a cuccia e poi mi ritrovo a ringraziare quel coglione che le è andato addosso, perché senza di lui questa visione sarebbe stata semplice e proibita fantasia. L'erotismo si è impersonificato davanti ai miei occhi.

Lancia la sua camicetta sul divano e, una volta sedutasi, mi decido ad aprire bocca.

«Potrei anche abituarmici.»

Solleva uno sguardo con un sospiro, quasi aspettandosi o temendo un commento simile.

«Ho capito» dice rassegnata alzandosi dal suo posto per andare a riprendere quello straccio per i panni che è diventata ora la sua camicia «me la rimetto.» Solo, diciamo che "per il suo bene" l'afferro prontamente impedendole di rimettersela. Voglio morire guardandola.

«E' fradicia e sporca, non essere stupida.» Esclamo, voglio dare un senso alle mie azioni e non perché dentro di me mi sento un pazzo stalker e che ora impedisce alle donne di vestirsi.

«Non posso stare in ufficio così!» Esclama indicando la sua attuale mise.

«Non puoi nemmeno stare con questa qui addosso.» Argomento in risposta tenendo tra le dita la sua camicetta macchiata stampandomi sul viso un sorrisetto vittorioso. E proprio quando penso di avere la vittoria in pugno, lei sbuffa sciogliendosi i capelli dallo chignon in cui erano stati legati fino a questo momento.

«Così sembro meno nuda?» Chiede mentre si sposta due ciocche sulle spalle, distribuendole sul petto in modo da coprirsi. Ed io divento pazzo. Vorrei strapparmi i capelli, urlare, saltarle addosso e baciarla con un tale impeto da travolgerla per sempre. La folta chioma le incornicia il viso donandole un'aria sexy e selvaggia, inspiro forte per cercare di darmi un contegno, poi chiudo gli occhi per qualche istante in modo da togliermi da davanti quell'immagine così fottutamente eccitante.

«Cazzo.» "Mi fa dannatamente impazzire" Impreco mettendomi in piedi ed iniziando a sbottonare i due bottoni della giacca del mio completo. "Non c'è altro da fare." Decido tra me e me.

Me la sfilo lasciandola cadere sulla poltrona alle mie spalle per poi passare alla camicia. Le vado incontro mentre mi spoglio, e mentirei se dicessi che lo sbigottimento sul suo viso, il suo rossore, le sue labbra socchiuse, i suoi sospiri sommessi, non mi stanno dando piacere.

È perfetta con i miei vestiti addosso. Le sta enorme, l'orlo della stoffa e arriva a metà coscia, ma è comunque perfetta. Con quei capelli che sono un nido mosso, ribelli dalla piega dello chignon appena sciolto, avvolta in quell'enorme tessuto bianco che la rende candida e bellissima, sembra reduce di una notte di sesso selvaggio. I suoi occhi sorridono insieme alle sue labbra, è divertita ed io la amo.

Le piego le maniche intorno ai polsi e- COSA?
Io la amo?! L'ho pensato davvero? Io non ci credo, per qualche istante i miei pensieri si annullano. Non mi capitava di pensarlo riferito ad una donna dai tempi delle superiori, quando mi presi una cotta per la bellissima Piper Hoover.
Insomma, io amo i super alcolici, io amo la pizza, io amo il mio lavoro.. ed ora: io amo Emily.

Questo pensiero mi colpisce come farebbe un schiaffo in pieno viso, con lo shock di un secchio pieno d'acqua congelata. È una morsa intorno al cuore, una presa di coscienza sconvolgente.

Questo pensiero mi colpisce come farebbe un secchio pieno d'acqua congelata. E' uno schiaffo in pieno viso, una morsa intorno al cuore.

Se dovessi fare un rapido epilogo della mia vita evincerei che non penso alla frase "Ti amo" più o meno da dieci anni.

Continuo a guardare la ragazza solare che mi sta di fronte e queste due paroline mi fanno sentire terrorizzato nella maniera più inquietante che esista. Il fatto che in così poco tempo sia stata in grado di rievocare in me un tipo di sentimento che non provavo da troppi anni mi agita, crea scombussolamento in tutto ciò che sono stato fino ad ora.

Ci scambiamo due battute e il tempo di fare due passi per tornare alla mia postazione che il malumore è tornato a farsi spazio tra le mie emozioni. Questa volta, però, è perché ho preso atto di ciò che mi sta succedendo: non sono solo un dodicenne in piena crisi ormonale, ma anche innamorato. E sapete, vero, qual è la parte peggiore, no?

Emily è fidanzata.

Emily sta con un altro, ed io non posso farci nulla. Tuttavia non posso tollerarlo, non posso fisicamente, biologicamente, dividerla con quel pezzente. Non ora che so cosa provo per lei.

Io la amo, ma non posso averla ed il primo pensiero che i mio cervello elabora è quello di difendermi. Forse è questo il motivo che mi spinge ad annunciarle che questa sera me ne andrò prima, per un appuntamento. Cosa voglio ottenere? Voglio che sia gelosa, non importa quanto io possa sembrarvi infantile. Insomma, voglio dire, ormai mi conoscete no?

«Nessun problema.» Queste parole tuttavia mi ammutoliscono, generano in me un moto di delusione causato dalla sua indifferenza. Mi do dello stupido "Cosa mi aspettavo?"

Alle diciotto e trenta mi alzo, raduno le mie cose e me ne vado il più velocemente possibile; non perché io sia impaziente di levare le tende, anzi affatto, non ho assolutamente voglia di rivedere la brunetta. Tuttavia mi sono imposto di farlo: in queste ore ho riflettuto molto ed ho capito che Emily non può entrare e sconvolgere il mio mondo in maniera così intensa e radicale, non posso permetterglielo.

Così nel giro di un paio d'ore mi ritrovo a casa della sconosciuta.
Sono nel parcheggio, in auto, con le mani sul volante ed il telefono che squilla.

Deja-vu?

Non ditelo a me, ragazzi. Ho la testa completamente fottuta.

Inspiro ed espiro, poi decido cosa fare: scendo dall'auto e salgo le scale per raggiungere la mora. Continuerò a girare intorno al fatto che non ho idea di quale sia il suo nome affibbiandole degli aggettivi, se ve lo state chiedendo, non ho proprio voglia di ricordarmelo.

Una volta arrivato difronte il suo pianerottolo mi accoglie in sexy lingerie, un reggiseno bianco in pizzo risalta sulla sua pelle color caffè, abbinato ad uno slip minuscolo che sembra volerti invitare a levarglielo di dosso.

Gran bella visione, non c'è che dire, ma sapete cosa mi fa capire che non voglio avere nessun altra donna al di fuori di Emily?

Il quel completino non vedo che lei, con la sua leggera abbronzatura, il suo sorrisetto malizioso di quando mi stuzzica o prende in giro ed il suoi grandi occhioni color verde smeraldo.

«Entra, bel maschione.» Mi ordina lei con tono da predatrice, risvegliandomi dai miei pensieri.

«No.» Affermo prima di rendermi conto di non aver collegato il cervello con la bocca.

«Come?» Il tono incredulo che non mi stupisce affatto.

«Non dovrei essere qui.» Concretizzo, prima di girarmi e imboccare le scale lasciando li la sconosciuta. Mentre me la do a gambe levate una statuetta della Torre di Pisa mi sfiora la testa.

«Stronzo!» Urla lei dall'ingresso.

«Fottuta pazza!» Ricambio io iniziando a correre. Questa volta non me lo meritavo.




 

F I N A L M E N T E! Duke è tornato ed io sono riuscita a pubblicare!
Questo capitolo sarebbe diviso a metà, dato che era decisamente troppo lungo da pubblicare tutto insieme! Per cui non temete: un altro aggiornamenteo tornerà presto, dato che è già tutto pronto!
Detto questo, cosa ne pensate di quello che sta succedendo? FATEMELO SAPERE!
Spero vivamente che anche questa parte vi sia piaciuta e ciaoooo!
Un bacione, KamiKumi!

 
 

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Capitolo 27
*** 27. DUKE ***


Alla fine, nelle ore seguenti, mi ritrovo con Carlos a parlare della merda che è diventata di recente la mia vita.

«Amico, ma in che cazzo di casino ti sei andato a infilare?» Mi rimprovera il mio amico e collega passandomi una birra gelata da dietro il bancone della sua minuscola cucina.

«'fanculo, non ho bisogno di una predica.» Sbotto nervoso prendendo subito una lunga sorsata della bevanda.

«Non era una predica, volevo farti constatare lo schifo che fa la situazione in cui ti trovi.» Afferma lasciandosi cadere a peso morto sul divano, di fianco a me. L'impatto mi fa rimbalzare e per poco non mi rovescio il sacro liquido sui vestiti.

«Grazie Gomez, tu si che sei d'aiuto.» Rispondo ironico chiudendo gli occhi ed appoggiando il collo sul cuscino dietro al mio capo.

«Cosa hai intenzione di fare?» Mi domanda «Glielo dirai?»

A quel punto apro gli occhi per fissare il soffitto «Bella domanda.» Dovrei? A quale pro? È evidentemente attratta da me, ma corrisponderebbe i miei sentimenti?
Oh Cristo, mi sento così fottutamente una femminuccia a pensare cose simili. Un totale sfigato ed imbecille.

Sbuffo «Non farò proprio un cazzo. Dopo questo lavoro non avremo più motivo di vederci.»

Carlos si volta verso di me inarcando le sopracciglia, sgranando i suoi occhi scuri «E' quello che credi?»

«Si.» Affermo sicuro. "Perché dovrebbe continuare a volermi vedere, se alla fine mi detesta?" Ed è vero, in fin dei conti si ritrova sempre ad avercela con me. Ridacchio amareggiato, poi bevo di nuovo.

«Non so, amico.. Bisogna anche prenderla come viene. Carpe diem, no?» prende un sorso di birra «Voglio dire. Tu le interessi, gioca con questo asso nella tua manica ed approfittane.»

«Cazzo. Carlos tu non capisci.» Mi volto nella sua direzione passandomi una mano tra i capelli, disperato «Io non voglio approfittarne!»

«Sicuro?» Mi domanda ed io aggrotto le sopracciglia, totalmente incredulo.

«Cosa vuoi dire?»

Lui se la prende con comodo. Beve un sorso, si asciuga la bocca col dorso della mano, che si pulisce sulla maglia, poi parla facendo spallucce «Non è che credi di essere innamorato di lei, quando in realtà ne sei solo ossessionato perché non puoi fartela?»

Ammutolisco.

"Che sia così?"
No, non può essere.. E' una sensazione diversa da quella che sento di solito, quando ho solo voglia di scopare.

A comandare, questa volta, non è più solo il mio uccello. Il mio cuore arrugginito si sta risvegliando e batte forte più che mai.

Quando sono con lei un'ondata di emozioni mi travolge ed è così che divento assolutamente certo di ciò che provo, di conseguenza mando a fanculo Carlos e me ne vado. E mi porto via anche la sua birra.

Mi ritrovo in auto, a guidare totalmente incazzato, senza avere una meta precisa.. finchè passo, di nuovo, davanti all'edificio in cui io ed Emily lavoriamo. Poche ore fa le luci del suo ufficio erano accese, ora non più. È chiaro, per cui, dove io sia diretto.

Il resto della storia lo conoscete: mi fiondo a casa sua presentandomi senza permesso, sapendo che il suo ragazzo avrebbe lavorato fino a tardi e che, di conseguenza, sarebbe stata sola. Mi apre la porta con fare accigliato e, quando cede all'impulso, mi lascia entrare.

Cerco di concentrarmi sul profumo di biscotti che aleggia nell'aria, piuttosto che sulle sue gambe scoperte ed il suo outfit comodo che, nonostante tutto, continuano a render giustizia alla sua bellezza.

Mangiamo biscotti sul divano, ci scambiamo frecciatine, poi mi chiede «Com'è andato l'appuntamento?» e questa domanda mi sorprende.

Avevo dimenticato di aver fatto il cazzone per farla ingelosire, ricavandone solo disinteresse, o è quello che sembrava voler dare a vedere.. altrimenti qual è il motivo di questa domanda? "Emily, sei tutta da scoprire."

Come rispondo lo sapete bene anche voi: ammetto la realtà dei fatti, omettendo che il mio appuntamento è effettivamente durato meno di trenta secondi.

«Uno schifo. Quella ragazza era una pazza.»

Reagisce scoppiando a ridere forte, totalmente coinvolta e in maniera cristallina. Tanto che, sorprendentemente, mi ritrovo a seguirla a ruota in quest'esplosione di ilarità.

«Perché ci sei uscito allora?» Domanda curiosa poi, riprendendo il discorso una volta calmatici.

Rispondere a questa domanda, invece, risulta più difficile. Cosa le dovrei dire? "Ho scoperto di essere innamorato di te, ma non voglio che tu prenda le redini della mia esistenza, per cui ho deciso di uscire con la prima ragazza che ci ha provato con me."

Oh, andiamo ragazzi, non potrei mai. Per cui cerco di essere quantomeno verosimile alla realtà dei fatti.

«Beh, in altre circostanze mi era parsa adatta a ciò che stavo cercando.» A quel punto la sua espressione muta, quasi impercettibilmente, ma lo fa. Un movimento minimo sul suo viso impassibile, eppure decide di continuare ad interrogarmi. "Perché Emily?"

«Cosa è andato storto allora?»

"Ti amo e non voglio altre che te" è ciò che penso, ma quel che dico è «Immagina di essere uno scapolo che ama divertirsi, andare per locali, conoscere donne, sedurle..» mento spudoratamente, perché è giusto così. Le parlo guardando le foto con Nate il pappamolle, foto in cui è apparentemente felice e capisco che è meglio se di me pensa che non sono altro se non un bastardo sciupa femmine, che dalle donne non cerca più di una scopata. Il che è vero, ma non lo sono più, non sento più di essere così «..poi immaginati com'è quando, dopo, iniziano a parlarti della prossima volta, di dove si potrebbe andare a cena, o che film si potrebbe guardare al cinema. E' sfiancante.» Concludo, e un po' spero di aver messo una volta per tutte una pietra sul discorso. Invece, con mia grande sorpresa, mi ritrovo con lei che elargisce consigli.

«Potresti semplicemente smettere. Cioè, potresti scegliere con più accuratezza. Inoltre rischi di prendere qualche malattia, se vai avanti in questo modo..» si allunga a prendere un biscotto, come se non mi avesse appena accusato di poter diventare vittima di una di quelle malattie sessualmente trasmissibili, come se non mi avesse tirato un pugno al petto, dritto dritto sul cuore. Perché io ho scelto, solo che non posso dirglielo.

Resto impassibile alla sua affermazione, non voglio che il mio viso tradisca alcuna emozione.

Mi concentro sulla seconda parte della sua risposta «Non ho mai fatto sesso senza protezione.»

«Bene.» addenta il suo biscotto senza guardarmi in faccia, focalizzando la sua attenzione sul film.

«Bene.» Ripeto.

"Da oggi odio questa parola."

Non avrei dovuto parlarle della mia vita sessuale con ragazze occasionali conosciute nei bar. Forse l'ho fatto per vedere come avrebbe reagito, per farla ingelosire, rimanendo poi deluso quando, in lei, non è scaturita la reazione che desideravo. Non mi sarei dovuto sorprendere, perché dovrebbe importarle di dove cazzo infilo il mio fottuto uccello?

A ricordarmi che io per lei non sono nessuno è la faccia di quel pappamolle del suo ragazzo che mi canzona con il suo sorriso da stronzo immortalato nelle varie fotografie in cui anche Emily sorride. E' così radiosa, con quelle labbra perfette aperte e spensierate.

Rimaniamo in silenzio a guardare "Cambia la tua vita con un click" fino a che lo schermo non diventa nero e cede il posto alle pubblicità. Mi permetto di prendere il telecomando per abbassare volume, quando l'inconfondibile suono di qualcuno che tira su col naso mi fa drizzare le orecchie, attirando la mia attenzione. Il suono dei singhiozzi sommessi, invece, mi fa voltare definitivamente.

Mi ritrovo Emily intenta ad asciugarsi le lacrime mentre le pongo la domanda più ovvia, e stupida, che mai avrei potuto pensare di farle: «Stai piangendo?»

Lei tira di nuovo su col naso «No, dev'essere qualcosa a cui sono allergica.»

Sollevo un sopracciglio e storco il naso in un'espressione tra lo scettico ed il divertito «Ah si, e a cosa?»

Domando stuzzicandola «Ai biscotti che ti sei preparata da sola? O magari ai film tristi?»

Mi lancia un'occhiata con quei suoi stupendi occhi verdi, ora sommersi e resi lucidi dalle sue mille lacrime di commozione, poi con le dita si passa una mano sulle guance asciugandosele del tutto.

«Oh! Insomma, è un finale commovente! » Esclama lei convinta ed io, in pochi secondi, mi ritrovo a far cadere le sue argomentazioni con stampato in viso un sorriso saccente.

«Non è stato affatto commovente. È solo un film che fa riflettere.» Spiego facendo spallucce.

Lei a questo punto si volta completamente verso di me, incrocia le braccia al petto (regalandomi una visione aderente del suo seno stretto in quella presa), poi piega un ginocchio sul divano, lasciando la gamba destra a penzoloni. Il suo viso si deforma in un'espressione corrucciata facendola sembrare una bambina a cui è stato fatto un torto: impossibile da prendere sul serio.

Tira ancora una volta su con il naso prima di esplodere ed illustrarmi le sue motivazioni.

«E' commovente il modo in cui ha cercato di fare qualsiasi cosa pur di recuperare il rapporto perduto con la sua famiglia: i suoi figli e sua moglie, l'amore della sua vita. E che alla fine gli sua stata data una seconda possibilità, che tra l'altro non si aspettava e non credeva di meritarsi.»

A quel punto intervengo sollevando le sopracciglia «Ti ricordo che è stata solo colpa sua se si è ritrovato in quella situazione. Ha preteso di barare per evitare di vivere quelle situazioni scomode e sgradevoli che la vita gli ha posto davanti, e l'ha fatto così spesso da essersela persa questa vita, lasciando che fosse una versione apatica di se a viverla. Un burattino in balia di un destino che non può più controllare. Non ti dovrebbe stupire il fatto che poi abbia perso tutto.» Concludo voltandomi anche io verso di lei, in modo da essere completamente faccia a faccia. Mi piace discutere con lei, scambiare le nostre opinioni, far lavorare il suo brillante cervello e sentire cosa ha da dire, cosa pensa. Non so quando questo sia diventato importante, ma è come se sentissi il bisogno di sapere di più, di avere di più. Sono avido di informazioni, avido di lei.

«Ma è stato uno sbaglio! C'era una fregatura e certamente non poteva immaginarselo. Lui si pente una volta accortosi di cosa stava perdendo.. se avesse potuto, se quel telecomando avesse potuto tornare indietro, fare rewind, avrebbe ricominciato da capo per riavere indietro la sua famiglia e la sua vita.» Il suo tono concitato ed animato, il suo gesticolare furioso si placa, una volta arrivata alla fine della frase. Le mani, incrociate una all'altra, cadono inermi sulle sue cosce.

Il modo in cui il suo viso assume un'espressione abbattuta ed il suo sguardo si distoglie dal mio abbassandosi, mi spinge a pensare che questo sia un argomento che le sta a cuore, che non stiamo più parlando del film.

«Come sta la tua famiglia, Emily?» Non so cosa mi abbia spinto a chiedere una cosa simile, una così intima domanda. Forse è lo stesso bisogno impellente di prima, il bisogno di sapere quale problema la affligga, il voler conoscere la sua storia.

Sussulta, evidentemente presa alla sprovvista. "Perché sei sorpresa, Emily? Pensi sia un totale menefreghista?" Rimango in attesa di una sua risposta.

«Penso di non avere notizie dei miei famigliari da quattro anni. Mi è rimasta solo Brenda.» Confessa dopo una manciata di secondi, solleva le spalle come per dire che non è importante, come a volersi convincere che in realtà non le importa. Le sue parole volteggiano nell'aria, ora carica di tensione. Ci impiego qualche istante prima di trovare una risposta adatta, perché mi perdo nella ricerca del significato delle sue parole. Cerco di capire cosa possa essere successo, ma non posso pretendere risposte se lei non è disposta a raccontarmi nulla di più.

Allungo la mia mano destra verso la sua e gliela stringo come a rassicurarla, per consolarla.. o forse perché è vulnerabile ed io ne sto approfittando per avere con lei un maggiore contatto. Resta il fatto che lei risponde alla mia stretta per poi piantare i suoi occhi tristi nei miei.

Decido di non dire nulla. Semplicemente l'attiro tra mie braccia stringendola forte, le offro un rifugio e lei si lascia cullare dal mio tocco.
Restiamo così: lei tra le mie braccia, in silenzio, i biscotti giacciono abbandonati nel vassoio sul tavolino.

 

Sono quasi le due di notte quando rientro nel mio appartamento. Le fuse di Josie mi accolgono con calore mentre struscia il suo lungo e morbido pelo caldo sulle mie caviglie. "Ruffiana" Sorrido guardandola prima di sollevarla da terra con una mano e portarla in camera con me.

La lascio sul letto, inizia a leccarsi le zampette, mentre io mi spoglio per infilarmi nel letto ed addormentarmi con una mano sul cuore, pensando a lei.



 

ED ECCO LA SECONDA PARTE!
Spero vi sia piaciuta! E detto questo, ci sentiamo al prossimo capitolo!
Un bacione dalla vostra KamiKumi

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Capitolo 28
*** 28. EMILY ***


Nei giorni seguenti, dopo quella sera, non abbiamo fatto altro che lavorare. Ci siamo chiusi nel mio ufficio, qualche volta nel suo, ed abbiamo lavorato fino allo stremo. Non uscivamo per pranzo, ordinavamo d'asporto, e tornavamo tardi la sera.

Ah, vi chiedete cosa ne pensasse Nate della situazione? Beh, era evidente il fatto che non fosse assolutamente d'accordo. Siamo finiti spesso a litigare, via telefono e non. Tant'è che, altrettanto spesso, Duke è stato costretto ad assistere a liti telefoniche tra me e Nate. Ma torniamo a noi, vi racconto dall'ultima discussione avvenuta.

Il telefono squilla nell'istante in cui Duke si siede accanto a me, appoggiando il suo portatile sulla scrivania per mostrarmi le modifiche apportate ad una bozza realizzata qualche ora prima.

È stata una mattinata tranquilla, siamo andati d'accordo ed abbiamo collaborato come un team ben assestato. In questi giorni ci siamo molto uniti ed avvicinati.

Faccio cenno col dito indice come a chiedergli di aspettare un minuto mentre mi chino per pescare il telefono dalla mia borsetta. Sullo schermo, come d'altronde potevo immaginare, compare il nome di Nate. Sospiro alzandomi in piedi mentre faccio un sorrisetto di scuse verso il mio collega, che mi sta guardando col suo solito cipiglio.

«Pronto?» Rispondo con voce decisa.

«Hey, Emy.» La sua voce dall'altra parte suona incerta mentre mi saluta. Ieri sera abbiamo avuto una discussione abbastanza animata, di cui ero il soggetto, e questa mattina sono uscita di casa prima che avesse modo di svegliarsi. «Possiamo vederci per pranzo?»

Mi ritrovo a sospirare mentre osservo lo skyline di Manhattan dalla finestra del mio ufficio; è una mattinata nuvolosa, il cielo plumbeo riempie l'aria di umidità. È una di quelle giornate in cui non vorresti mai muoverti dal tuo letto, una di quelle giornate che non fanno che trasmetterti un pessimo umore.

«No, non posso per pranzo.» Il tono più duro di quanto volessi, sopraffatta dall'esasperazione. Dopo ieri sera non ho ancora voglia di vederlo, ho bisogno dei miei spazi.

Seguono attimi di silenzio in cui è percepibile solo il suono leggero del suo respiro, poi apre bocca «Credo che dovremmo parlare, Emily.» E non si capisce se sia un ordine, una richiesta, o una supplica.

«Nate.. Io semplicemente non posso. Devo lavorare, è importante!» Esclamo con decisione, cercando di dissuaderlo.

«Ti chiedo solo mezz'ora! Sei la mia ragazza, cazzo e non riesco mai a vederti!» Mi passo una mano tra i capelli, che oggi ho deciso saggiamente di tenere sciolti, cercando di decidere cosa fare.

Alla fine mi arrendo «Va bene, ok come vuoi tu! Ma ho solo mezz'ora, ti avviso.» Rispondo severamente per poi attaccare senza aspettar risposta.

Sospiro irritata pensando a cosa dirgli non appena lo vedrò, pensando a cosa lui voglia dirmi. Poi mi volto trovandomi gli occhi azzurri di Duke puntati addosso.

«Devo andare.» Lo informo e annuisce.

«Esci per pranzo?»

«Si, torno presto.» Aggiungo annuendo, mentre recupero la borsetta.

«Potresti prendere qualcosa da mangiare per me? Nel frattempo resto qui a lavorare.» Mi chiede stendendo le gambe sotto la scrivania; sono così lunghe da sbucare da un lato all'altro del tavolo, mentre le mie messe a confronto restano ben nascoste.

«Certo.» Rispondo avviandomi verso la porta «Hai preferenze?»

«Mi va bene qualsiasi cosa.»

«D'accordo, a dopo allora!» Esclamo in risposta e, mentre mi sto chiudendo la porta alle spalle, lo sento aggiungere urlando:

«Salutami Nate!» Scuoto la testa percependo l'ironia della richiesta, ed esco definitivamente dall'ufficio fingendo di non aver sentito.

Quando mi ritrovo davanti alla porta della stessa piadineria in cui ho pranzato con Kyle appena un paio di giorni fa mi ritrovo a sospirare, inspirare ed espirare. Esercizi di respirazione, cose che nemmeno stessi facendo yoga! Cerco di calmare l'inspiegabile nervoso che mi attanaglia la bocca dello stomaco, facendomi sentire irrequieta. Mi decido ad abbassare la maniglia della grande porta in vetro satinato solo dopo qualche minuto di riflessione necessario.

Ok, quel che è successo è che in questi giorni Nate è riuscito ad ottenere un breve periodo di ferie in cui io, però, sono sommersa di lavoro per via del ritardo dovuto ai litigi e discussioni con Duke; ora ci stiamo impegnando e recuperando ed insieme al lavoro miglioriamo anche il nostro rapporto, cosa che a Nate non va giù.

Scuoto la testa esasperata dissipando la confusione e i nervi, che ultimamente sono a fior di pelle e mi portano sempre sull'orlo della disperazione.

Quando entro non ci metto molto ad individuare il tavolo su cui ha preso posto Nate: è in fondo alla sala, in un angolo appartato di fianco ad una pianta finta di limoni. Ha i gomiti appoggiati al legno liscio, il mento nascosto dietro alle mani incrociate, mentre sul suo viso è disegnata un'espressione corrucciata. Guarda fisso davanti a se, nel vuoto, e non mi vede finché non mi siedo di fronte a lui.

«Ciao.»

Si riscuote da suo stato di riflessione e mi risponde «Ciao.»

Segue un attimo di silenzio, attimo in cui ci fissiamo negli occhi in attesa che sia l'altro a cedere per primo e ad iniziare la fatidica conversazione che porterà la pace, o la guerra.

Alla fine è lui a parlare «Ho ordinato una piadina anche per te. Al tonno, va bene?»

Appendo la borsetta alla sedia mentre mi metto comoda prima di rispondergli di si, perché lo sa che va bene: ordino sempre la stessa piadina, quando veniamo qui.

«Come sta andando al lavoro?» Mi domanda mettendosi dritto sulla schiena, torreggiando su di me, lasciandomi intendere che ha intenzione di fare sul serio. Faccio lo stesso; inizia la battaglia e non ho intenzione di lasciarmi sopraffare.

«Sta andando, direi. Si procede piuttosto lentamente, dev'essere tutto perfetto. Non possiamo sbagliare.» Parlo piano, con calma. Prendendomi il tempo necessario, scandendo il concetto in modo tale che Nate capisca e non ne faccia una tragedia, come invece temo che succederà.

Annuisce prima di aggiungere «Sta sera, stavo pensando, che si potrebbe andare al cinema..» Alza lo sguardo mentre lascia in sospeso la frase per posare i suoi occhi scuri e penetranti nei miei. Ha l'aria riposata, finalmente, ma l'espressione corrucciata non lo abbandona mai, conferendogli un'aria concentrata. È come se si fosse prefissato un obiettivo prima di venire qui e stesse cercando di raggiungerlo attraverso una scaletta di punti da seguire precisa e ben studiata.

Sollevo un sopracciglio in risposta, perché so dove vuole arrivare a parare, solo mi chiedo se sia scemo o mangi sassi. Mi piacerebbe tanto che Brenda fosse accanto a me ora, cosí da potermi voltare per guardarci in faccia e scambiarci un'occhiata di disappunto, sospirando e scuotendo a testa.

Mi limito a chiedere, fingendo di non capire «Con chi andrai?»

Ride in risposta, ma è una risata amara, tutt'altro che divertita.

«Con te, Emily, è ovvio.» Porta le braccia al petto e le incrocia rimanendo in attesa.

Sto per mandarlo a fanculo, quando una cameriera minuta dai corti capelli a caschetto ci serve le nostre due piadine, scusandosi per il ritardo. Le facciamo un sorrisetto gentile in risposta, ma ci limitiamo a quello in modo tale da liquidarla velocemente.

L'interruzione della ragazza ha frenato i miei impulsi, di conseguenza inspiro ed espiro ad occhi chiusi, placando il nervoso che monta ogni minuto che passo inchiodata a questo tavolo. Quando li riapro sono pronta a tornare all'attacco.

«Sta sera lavoro, Nate.» Sono breve, ma chiara e coincisa. Cerco di non sembrare arrabbiata, ma il mio tono potrebbe esser parso piú duro di quanto in realtá avrei voluto.

Sospira, come se si fosse aspettato una simile risposta, ma nonostante tutto sperasse di riceverne una diversa. «È venerdí, Emily, per Dio!» Esclama dilatando le narici per il nervoso che monta.

L'aria tra noi non è mai stata tanto tesa quanto in questi giorni, ma non posso demordere. È una cosa che devo fare, non lo faccio per piacere. Anche se una piccola parte del mio subconscio non sembra essere d'accordo con me. Lo vedo incrociare le braccia e guardarmi inarcando un sopracciglio "Davvero, Emily? Niente piacere?"

Scaccio quell'immagine dalla mia mente. Non ora, coscienza! Sto cercando di vincere questa discussione per sentirmi meno in colpa.

«Lo so, Nate. Ho un calendario in ufficio.» Alzo gli occhi al cielo puntando all'ironia, cercando di non appesantire più del dovuto la discussione. Quando riporto lo sguardo su quello di Nate, però, capisco che non è della mia stessa idea. Le sue iridi nocciola sono chiuse in due fessure sottili che non lasciano trapelare nemmeno per scherzo uno spiraglio di divertimento.

«Sono serio, Emily.» Sospira amareggiato ed io inizio a sentirmi un po' in colpa, finchè non aggiunge «Ho finalmente del tempo libero e tu non ci sei mai. Rientri sempre tardi.»

Fino a quel momento mi sono sentita come un'animale tenuto fermo per il collare dal padrone, in modo tale che non potesse scappare ed assalire qualcuno. In questo paragone la mia coscienza sarebbe padrona delle mie azioni, ma al pronunciare di quelle parole è come se anche per lei fosse stato troppo. "Vai Emily, hai campo libero!" E col suo permesso mi affretto ad aprir bocca.

«Anche tu, col tuo lavoro, rientri sempre tardi mi sembra. Ma io non mi lamento, o mi sbaglio, Nate?» I miei occhi si restringono in due linee sottili, tanto che la mia visuale ora è in sedici noni. Mi sporgo sul tavolo puntandogli contro il dito, mentre il mio tono si fa più concitato via via che mi faccio coinvolgere dalle emozioni. «Non hai assolutamente il diritto di dirmi una cosa simile dal momento in cui tu stesso torni a casa tutte le notti così tardi da non so più quanto tempo!» Sbraito alzando le braccia, in preda alla mia ramanzina «Sono tre anni ormai, probabilmente!»

Lui in risposta sgrana gli occhi, si sporge sul tavolo cercando di mantenere la voce bassa, nonostante i nostri toni siano animati cerchiamo comunque di mantenere quantomeno intatta la nostra privacy «Cosa cazzo stai dicendo, Emily?! Ti senti quando parli? Il mio lavoro si da il caso preveda orari simili! Non posso farci proprio un cazzo!» Esclama agitando ora anche lui le braccia.

Siamo due pazzi che litigano in una piadineria e stiamo attirando tutte le attenzioni del locale, nonostante il nostro impegno nel cercare di mantenere l'anonimato.

«Oh, ma non dire stronzate! So benissimo che la maggior parte delle volte resti coi colleghi ben oltre l'orario di chiusura per bere come un adolescente! Lo sento il tuo alito quando vieni a letto, cosa credi!?» Esclamo rivelando il segreto che gli lasciavo mantenere da troppo tempo. Vuole discutere qui e ora? Facciamolo essendo sinceri allora. Non ho intenzione di mantenere attivo il filtro bocca-cervello questa volta.

Sembra sorpreso da questa rivelazione, lo noto da come si tira indietro raddrizzando la schiena, come fosse stato colto sul fatto. Alza il mento e mi guarda di sottecchi.

«Beh, come al solito devi aspettare che ci siano problemi per dirmi le cose come stanno!»

Questa volta sono io a sgranare gli occhi, stupida dalla sciocchezza con cui se n'è uscito pur di aver ragione; questa volta mi sente!

«Per me di problemi non ce ne sono affatto, maledetto stronzo!» Mi lascio andare ai più coloriti epiteti, ormai preda della rabbia più cieca «Non mi sono mai lamentata, perché è il tuo lavoro e ritenevo fosse giusto che alla fine del turno ti svagassi un po', prima di fare ritorno a casa! Ma tu sei uno stupido egoista che pensa solo a se stesso, non è così?» Non mi fermo, ho messo il turbo e finché non arriverò alla fine nessuno potrà interrompere il mio monologo. «Perché se non fossi uno stupido egoista cercheresti di vedere il mio punto di vista e capiresti che questo lavoro è davvero importante per me, che ci sto mettendo l'anima e che sono costretta a rimanere fino a tardi in ufficio!» Sbatto forte una mano sul tavolo, mentre mi alzo di scatto facendo stridere la sedia sul pavimento. Nel locale cala il silenzio mentre i miei occhi restano puntati in quelli di Nate. Non mi interessa più di rimanere nell'ombra, ho troppo per cui sfogarmi ora come ora e non ho intenzione di tornare in ufficio e pentirmi delle cose che non ho potuto dire. Lo farò. Ora. «Mi spiace che sia capitato proprio questo fine settimana e che io debba lavorare così tanto! Sto facendo il possibile per portarmi avanti, ma tu sei uno stronzo e questa sera non aspettarmi sveglio!» Concludo il mio monologo prendendo la mia borsetta. Nate mi osserva dal basso, seduto sulla sua sedia, ammutolito e mortificato. Mi avvio verso l'uscita del locale con tutti gli sguardi addosso, quando mi ricordo della richiesta di Duke di portargli il pranzo. Faccio retro front e recupero la piadina che non ho toccato, ormai fredda. La porto via con tutto il piatto e me ne esco dal locale, coi tacchi che picchiettano sul pavimento piastrellato.

Una volta uscita in strada l'aria fresca della giornata mi avvolge. Mi pento di non ever preso la mia giacchetta e di averla lasciata in ufficio. Il cielo coperto di nuvole bianche presagisce pioggia, forse è in arrivo anche un temporale, se presta ascolto al brontolio che si ode in lontananza lo può affermare chiunque.

A passo svelto mi sbrigo a tornare in ufficio, facendomi largo tra le persone che affollano i marciapiedi come ogni giorno. Oggi però queste persone mi soffocano, così come questo vestito rosso che ho deciso di indossare questa mattina; il colore sgargiante risalta sul grigiore della città che mi circonda, facendomi sentire scoordinata, discorde al mio umore. Le mie sopracciglia aggrottate dolgono mentre lancio occhiate alle persone che non si scansano dal mio cammino, o che mi prendono a spallate.

Sono un turbinio di emozioni che oscillano tra rabbia, tristezza, nervoso e voglia di compiere un omicidio e , come se non bastasse, il mio sesto senso come meteorologa ci azzecca. A pochi minuti dal mio arrivo a destinazione la pioggia inizia battere a ritmo regolare, incessante e prepotente, inondandomi senza ritegno, riversandosi per le strade di Manhattan.

Quando entro nell'atrio immacolato della Simmonds sono bagnata fradicia, dalla testa ai piedi. La mia furia è palpabile, ma va via via scemando mano a mano che, con l'ascensore, salgo verso il piano in cui mi sta aspettando Duke, sostituendosi all'esasperazione.

Non posso credere di aver fatto una simile scenata in pubblico, io non esplodo mai in quel modo, io non esplodo mai. Non avrei mai pensato di essere in grado di sfogarmi con tanto furore. Mi ritrovo a far scorrere nella mente la discussione con Nate dell'ultima mezz'ora , iniziando a percepire i primi rimorsi di coscienza.

"Sono stata troppo dura?" Scuoto la testa (schizzando acqua ovunque intorno a me, a causa dei miei capelli bagnati), mentre poso lo sguardo sullo schermo che indica i piani tra cui si sta spostando l'ascensore. No, che non sono stata troppo dura. Nate è stato irragionevole, nonostante io gli abbia spiegato più volte le mie ragioni. Non si è sforzato nemmeno di capire o di venirmi incontro, subito pronto a perder la pazienza e rigirare la situazione a suo vantaggio, come suo solito. Lavorando in un ristorante ha proprio imparato bene come rigirar la frittata.

Ok, avrei anche potuto risparmiarmela questa, ma sono incazzata nera ed ho il diritto di dire quel che voglio.

Resto ferma ed immobile, a gocciolare nel bel mezzo dell'ascensore, senza che altri pensieri mi tormentino la mente. Sono stanca e non ce la faccio più.

Quando arrivo finalmente all'ottavo piano il campanellino trilla prima che le porte si aprano. Avanzo nel corridoio a passo svelto, aggrotto le sopracciglia mantenendo lo sguardo basso sperando sempre che la mia tecnica funzioni "Se non vi vedo, non ci siete".

Punto dritta al mio ufficio sentendo i mormorii dei colleghi alle mie spalle. Stringo gli occhi e quando arrivo alla mia porta la apro e la richiudo alle mie spalle con tanta foga da far sobbalzare Duke sulla sedia. È ancora alla mia scrivania mentre io mi lascio scivolare a terra rimanendo appoggiata alla superficie alle mie spalle. Appoggio a terra il piatto con la piadina, mentre mi sfilo i tacchi e mi prendo le ginocchia tra le braccia. Ho decisamente destato l'attenzione del mio collega che, ancor prima che io possa esser scossa dal fremito del primo forte singhiozzo, è inginocchiato al mio fianco e mi abbraccia forte accarezzandomi i capelli e la schiena.

Inizio a piangere come una bambina, sopraffatta dagli eventi delle ultime settimane, stravolta dal nervoso, dalla stanchezza, da questa tensione così pesante da sopportare. Qualcosa dentro di me si è rotto dopo la discussione con Nate e i pezzi che venivano tenuti insieme a forza si stanno ora disperdendo attraverso le lacrime che sgorgano dai miei occhi come un fiume in piena, allagando la camicia bianca di Duke.

Le sue forti braccia sono calde, mi stringono a se, contro il suo petto sodo, ed è piacevole, mi crogiolo in questo contatto illecito, beandomi del suo calore e del suo affetto mentre le sue dita continuano a scorrere sui miei capelli.

Sono scossa da brividi profondi che non so più se siano dovuti al freddo o al pianto. Mi aggrappo alle sue maniche, stringendomi come se fosse l'unico appiglio per sopravvivere a tutte gli eventi che mi stanno travolgendo, anche se dell'uragano che sta avvolgendo la mia vita ultimamente fa parte anche lui.

Appoggia il mento sulla mia testa cercando di tranquillizzarmi «Shhh» Sussurrano le sue labbra, prima di lasciarmi un bacio sulla fronte. Si allontana appena da me, in modo tale da potermi guardare in faccia. Abbasso lo sguardo, improvvisamente timida "Non posso credere di essere scoppiata a piangere in questo modo davanti a lui.." ma lui non demorde: porta due dita sul mio mento e mi spinge a sollevare il viso con inaudita delicatezza, tanto da convincermi di essere io ad aver bisogno di alzarlo per incrociare il suo sguardo.

Ciò che scorgo da dietro gli occhi ancora annebbiati dalle lacrime è la sua espressione preoccupata, quel cipiglio tra le sue sopracciglia, che ho sempre voglia di cancellare toccandolo con l'indice mi dona un senso di deja-vu. Se penso a noi in questo momento: io piegata su me stessa sul pavimento e lui inginocchiato difronte a me mi viene in mente il nostro primo incontro. Solo che ora, a confronto di solo un mese fa, c'è molto tra noi.

Ora conosco l'uomo, il Dio greco, che ho davanti e non è più solamente un affascinante sconosciuto. Lui è Duke Worten: l'uomo dispotico, spensierato, divertente e sexy per cui ho una cotta spaventosa e che ora mi sta fissando tanto intensamente da farmi vacillare.

Le sue mani avvolgono il mio viso e mi ritrovo a chiudere gli occhi, cullata dal suo tocco, mentre coi pollici cancella i residui delle lacrime dalle mie guance.

«Non piangere più, Emily..» Sussurra a fior di labbra, prima di stamparmi un altro bacio in fronte.

Tiro su col naso rabbrividendo, mentre lui mi prende per la vita e mi rimette in piedi. Senza i tacchi sono molo più bassa di lui, gli arrivo a malapena al mento.

Continua ad accarezzarmi il viso, ed io sono succube di quel tocco, tocco di cui non posso più fare a meno.

«Ti senti meglio?» Mi chiede preoccupato ed io distolgo lo sguardo sussurrando un lieve «Si.» Lui annuisce, prima di far scorrere le mani lungo le mie braccia fredde, mi scaldo al suo tocco.

«Sarà meglio che ti dia un'asciugata.» Continua lui.

«Non importa, mi asciugherò.» Rispondo guardandolo in faccia. Appoggiandomi a lui ho finito per bagnargli i vestiti, ora la sua camicia è attaccata per bene ai suoi addominali.

«Non essere sciocca. Sei fradicia, Emily.» Mi ammonisce «Lascia che ti dia almeno la mia giacca, o la camicia.»

Sto per rifiutare, quando un brivido mi scuote a partire dalla schiena, fino a penetrarmi nelle ossa. Accetto la sua offerta, ma prima esce dal mio ufficio di fretta, lasciandomi li da sola all'improvviso, bagnata e confusa.





 

RIECCOMI! Sono tornata e BUON NATALE IN RITARDO!
Sono felice di questo capitolo! Mi da un senso di soddisfazione! E spero siate pronti, ci siamo avvicinando sempre più al giorno della consegna.. sono così impaziente di scrivere!Spero trovare abbastantza tempo per aggiornare un altro paio di volte prima della fine delle vacanze. Per il momento un altro capitoletto è pronto, state tutti tranquilli ;)
Spero intanto che questo vi sia piaciuto e se vi va lasciatemi un commentino facendomi sapere cosa ne pensate!

Presto farò anche una revisione delle pubblicazioni precedenti per correggere eventuali errori di battitura che mi sono sfuggiti, con calma faccio tutto!hahaha
Detto questo, vi saluto e facciamo che, per sicurezza, vi auguro BUON ANNO NUOVO IN ANTICIPO!
CIAO A TUTTI, DIVERTITEVI, MA NON TROPPO!
Un bacione enorme dalla vostra KamiKumi!

 
 

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Capitolo 29
*** 29. DUKE ***


Non potete capire il fottuto colpo al cuore che ho avuto nel momento in cui Emily è entrata nel suo ufficio sbattendo la porta alle sue spalle. Mi sono voltato verso di lei pronto a chiederle cosa cazzo le fosse saltato in mente, ma quando le ho posato gli occhi addosso si stava lasciando scivolare lungo la superficie liscia della porta, fino a rannicchiarsi sul pavimento ed abbracciarsi le ginocchia. Il bisogno che ho sentito di stringerla al petto mi ha fatto paura quando sul viso le si è disegnata un’espressione triste che parlava da sé. L’ho presa tra le braccia, accogliendola, stringendola forte nella speranza di impedire che il mio presentimento diventasse realtà, che non scoppiasse in lacrime. Che dire? Ho fallito.
Nel momento in cui viene scossa dal primo forte singhiozzo ed inizia a versare delle calde e tristi lacrime, qualcosa dentro di me prende fuoco. Continuo a stringerla, a farle scorrere le dita tra i capelli, ad accarezzarla e confortarla, ma non so se lo stia facendo per lei, o per me: per evitare di uscire da quell'ufficio ed urlare contro quel coglione del suo fidanzato che l’ha ridotta così. Sono certo che sia stata colpa sua. Di chi altri, sennò?
Era così spensierata prima che ricevesse la sua chiamata. Cosa crede, che non abbia notato il modo in cui le sue labbra e le sue sopracciglia si siano incurvate alla comparsa del nome di Nate sul piccolo schermo? Certo che l’ho notato. Noto tutto di lei. Noto ogni singolo dettaglio, ogni impercettibile movimento sul suo viso. Sono suo succube, non posso smettere di guardarla.
Ho ovviamente notato che è bagnata fradicia tra le mie braccia e, tra gli altri pensieri, non posso che chiedermi se non abbia freddo, se non dovrei cercare una coperta, darle di nuovo la mia camicia.. “Avrei dovuto ricordarle almeno di portarsi la giacca” mi rimprovero, sapendo che in realtà sarebbe servita a ben poco.
«Shhh» Le sussurro tra i capelli, prima di chiudere gli occhi ed inspirare il suo profumo. È così dolce, sa di pesca. Le stampo un bacio sulla fronte, mentre aspetto pazientemente che si calmi. Non l’ho mai vista così distrutta e ammetto che mi sento destabilizzato, colto alla sprovvista e anche qualcos'altro… Mi sento impotente. Vorrei poter fare di più che stare semplicemente qui ad abbracciarla. Vorrei poterle dire che va tutto bene, che passerà tutto, che è solo un brutto momento, e poi vorrei poterle sollevare il viso per asciugarle le lacrime, baciandole gli occhi, le guance, fino ad arrivare alle sue labbra. Vorrei posarle una mano sulla nuca ed avvicinarla a me, mentre la mia bocca si posa dolcemente sulla sua, sussurrarle parole dolci.. Ed io sono qui, inutilmente inginocchiato di fianco a lei ad aspettare.
Le poso due dita sotto al mento per poterla guardare in viso. Le scie bagnate sulle sue guance arrossate mi spezzano il cuore. «Non piangere più, Emily…» La supplico baciandole la fronte, come se quelle lacrime facessero più male a me che a lei.
Stringo gli occhi e la mia presa sul suo corpo si fa più salda, vorrei poter fare di più.
Le accarezzo il viso coi pollici, eliminando i residui della sua tristezza e quando, qualche minuto dopo, pare essersi ripresa la afferro per la vita, rimettendola in piedi. È così bassa e minuta che mi fa sorridere.
«Ti senti meglio?» E appena le porgo quella domanda mi sento un totale ed inutile coglione. Ma cosa cazzo sto dicendo, ha appena pianto per dieci minuti buoni tra le mie braccia! Mi prenderei volentieri a schiaffi da solo.
Lei annuisce piano e sussurrando un impercettibile «Si.» Annuisco, anche se ha distolto lo sguardo dal mio e non può vedermi, questo mi fa male.. è come se si stesse nascondendo da me, dopo essersi esposta così tanto. Faccio scorrere i palmi delle mie mani sulla pelle bagnata delle sue braccia e ne percepisco i brividi di freddo.
«Sarà meglio che ti dia un’asciugata.» Constato con lo stesso tono che avrebbe un padre che parla con la figlia adolescente. “Vai di bene in meglio Duke, complimenti.” Mi auto-critico ironicamente “Continua così, mi raccomando.”
Lei scuote la testa tirando su col naso «Non importa, mi asciugherò.»
«Non essere sciocca. Sei fradicia, Emily.» le faccio notare. Ed in effetti lo è più di quanto mi fossi aspettato: appoggiandosi a me, e stringendola tra le mie braccia, mi sono inzuppato i vestiti anche io. «Lascia almeno che ti dia la giacca, o la camicia.»
So che sta per rifiutare, ma un forte brivido di freddo la spinge ad accettare la mia offerta. Sto per sfilarmi la giacca, quando mi ricordo di avere un cambio di abiti ed una coperta in ufficio. Il cambio è li da mesi, sono una t-shirt e dei pantaloncini da corsa. Li avevo portati con me un giorno, fiducioso del fatto che avrei trovato il tempo di andare a fare una corsetta dopo pranzo, o magari a fine giornata. Beh si, direi che possiate dedurre da voi come sia andata a finire.
Credo di essere uscito dalla porta senza dire una parola, preso com’ero dalla mia illuminazione.
Dato che il mio ufficio è separato da quello di Emily da solo un piano non spreco il mio tempo chiamando l’ascensore, che ci metterebbe minuti interi ad arrivare, per cui punto direttamente alla rampa di scale.
In pochissimo sono nel corridoio che conduce alla porta con la mia targhetta. Apro la porta ed un religioso silenzio mi invade circondandomi. Non entro qui dentro da un bel po’, mi fa quasi strano pensare che prima ci lavoravo tutta la giornata da solo, senza i continui sbuffi esasperati di Emily tipici di quando qualcosa non le riesce come desidera, o i suoi urletti di gioia quando, al contrario, ottiene il risultato desiderato.
Un tempo questo era un tempio di virilità, un santuario, un rifugio in cui svolgere al meglio il mio lavoro. Ora mi viene male a pensare che prima o poi dovrò tornarci. “Ma cosa mi hai fatto, Emily?”
Mi guardo intorno per qualche istante, prima di dirigermi alla scrivania ed aprire l’ultimo cassetto più in basso per tirarne fuori i vestiti per Emily. Sono sollevato nel constatare che effettivamente ci sono ancora e non farò un buco nell'acqua. Mi alzo per prendere la coperta che, invece, tengo dietro le ante dell’unico mobile della stanza. Questa non so perché io ce l’abbia, credo sia semplicemente stata qui sin dall'inizio, come un soprammobile che sta su una mensola da anni e nessuno ricorda da dove arrivi. Chiudo gli sportelli coi piedi dopo essermi rialzato e, quando mi volto, appoggiato allo stipite della porta vedo Carlos con le braccia incrociate al petto.
«Guarda un po’ chi si fa rivedere!» Mi stuzzica con un sorrisetto bastardo sulle labbra.
Aggrotto le sopracciglia mentre riporto alla mente le frasi della nostra ultima spiacevole conversazione, di conseguenza rispondo in maniera poco garbata «Non rompere.»
Gli vado incontro per uscire da li, ma non sembra intenzionato a spostarsi. Solleva un sopracciglio restando immobile ed impassibile.
«Sono un po’ preoccupato, amico. Che fine hai fatto?» Si da una spinta con la spalla per tornare in equilibrio sui sui piedi «Non ti si vede più ai piani alti.» Afferma con un tono che non so ben definire. Sarebbe un’accusa? Non lo so, non me ne frega un cazzo.
«Potrei stupirti, ma sai: io lavoro.» Rispondo con un tono più duro di quanto avrei voluto. Ora Carlos si mette sulla difensiva.
«Lavori con una coperta e un cambio di vestiti da corsa?» Domanda facendo cenno con il mento a ciò che ho tra le mani. Aggrotto le sopracciglia, perché onestamente non sono proprio cazzi suoi e, prima che possa accorgermene, mi ritrovo a concretizzare il mio pensiero, sputandogli quelle parole in faccia.
Cala qualche secondo di silenzio. Cosa sta succedendo? Non molto tempo fa eravamo l’uno la spalla dell’altro ed ora sembriamo due ragazzine delle medie che litigano.
Continuo a guardarlo mentre scuote la testa con un sorrisetto derisorio stampato sul viso «Amico, quella ragazza ti ha messo il collare e ti porta a spasso tenendoti ben stretto per le palle.» Se ne esce poi mentre indietreggia lasciandomi spazio per passare.
Lo sorpasso senza dire una sola parola, sono furente e non ho intenzione di perdere altro tempo per ascoltare le sue stronzate.
«Non sceglierà te, non lo fanno mai. Finirai per infilarti in un bel casino!» Esclama mentre io me ne sto andando, lasciandomi alle spalle la sua figura.
«Fatti i cazzi tuoi.» Rispondo semplicemente. Sento una risatina in replica, ma poi nient’altro. Me ne torno a passo svelto da Emily.



 

La discesa per le scale mi sembra più lenta della salita. Le parole di Carlos, mi tocca ammetterlo, hanno lasciato il segno.

"Quella ragazza ti ha messo il collare e ti porta a spasso tenendoti ben stretto per le palle." Cosa crede, che non me ne sia accorto? Sono fottutamente pazzo per lei, è un dato di fatto di cui eravamo già entrati a conoscenza, no? Ciò che probabilmente più mi ha spiazzato è stata la nuda e cruda verità: "Non sceglierà te, non lo fanno mai."

Emily è fidanzata, da ben cinque anni per giunta. Non che avessi intenzione di confessarle ciò che provo, ma cosa mi aspetto che succeda tra noi? Ho forse intenzione di continuare a scodinzolarle intorno facendo il bravo ragazzo e ricevendo un contentino ogni tanto? Mi basterebbe?

La verità è che non ne ho proprio idea.

A stento riesco a trattenermi quando osservo la sua bocca, i suoi denti che catturano il labbro inferiore, pieno e roseo, quando è concentrata. Sopporterei di continuare a guardarla nell'ombra, mentre il suo ragazzo la fa piangere? Supponendo che sia stato lui, comunque.

No, il solo pensiero mi fa irrigidire la mascella e serrare i pugni. Gliene tirerei volentieri un paio proprio su quel suo nasino da stronzo.

Sto diventando irragionevole, ma cazzo se mi ha sconvolto vederla in quelle condizioni...

Scuoto la testa per scacciare questi pensieri quando sono di nuovo davanti alla porta dell'ufficio di Emily, ora chiusa.

La apro e la trovo alla scrivania, seduta sulla sua sedia. Mi da le spalle e si sta strizzando i capelli nel cestino della spazzatura, che è solita tenere sotto al tavolo da lavoro.

Avete presente la scena nel film animato Hercules in cui, il megafusto in questione, vede per la prima volta Megara dopo averla salvata dal centauro? Quando si sta sistemando i capelli sollevandoli e spostandoseli dietro le spalle e lui rimane totalmente imbambolato a fissarla?

Ecco, piacere: io sono Hercules.

Lo skyline di Manhattan è pallido, bianco per via del cielo ricoperto di nuvole dovute al maltempo e la pioggia che picchia insistente riversandosi per le strade. È uno sfondo perfetto che fa brillare le curve dolci della sua silhouette controluce. Arrotola i capelli e li stringe tra le dita, facendoli gocciolare, poi si alza per fare lo stesso col la gonna del suo vestito rosso. Vedo quella scena al rallentatore: afferra l'orlo della stoffa e lo arrotola su se stesso, inevitabilmente si solleva lasciando scoperta qualche porzione in più di cosce. Mi si forma un groppo in gola che mando giù a fatica, all'improvviso ho la bocca asciutta e sono imbambolato come un dodicenne che non ha mai visto una donna nuda.

Torno in me quando Emily si volta nella mia direzione. Mi fa un sorriso timido mentre si pettina le lunghe ciocche castane con le dita. Mi ritrovo a sorridere come uno scemo.

«Che fine avevi fatto?» Mi domanda con voce lievemente arrochita dal pianto.

A quel punto avanzo verso di lei porgendole ciò che sono andato a prendere di corsa.

«Così puoi scaldarti un po' e far asciugare il vestito.» Le spiego, in risposta alla sua espressione sorpresa.

Sorride di nuovo ed io sono perduto, il calore che mi si irradia nel petto mi rende inspiegabilmente di buon umore. Mi sento un imbecille, ma non sono mai stato felice come ora.

Prima che possa uscire per darle modo di cambiarsi mi chiama.

«Duke!» mi volto verso di lei e me la ritrovo mentre mi porge un piatto con una piadina «L'ho riparata dalla pioggia come meglio potevo, ma dubito sia ancora commestibile. Mi spiace.» I suoi occhioni verdi si incatenano ai miei e resto ammaliato dalla loro intensità, tant'è che per un istante dimentico di cosa stessimo parlando fino a pochi secondi prima.

Le sorrido e mi permetto di lasciarle un altro bacio sulla fronte «Grazie.» prendo il piatto e me lo porto via. Le dico di cambiarsi, mentre io invece mi dirigo nella sala break: obiettivo microonde, vediamo di salvare il mio pranzo.

 

Quando rientro diversi minuti dopo non posso proprio trattenermi dal ridere: la mia t-shirt le arriva sotto la metà coscia ed i pantaloncini superano il ginocchio. Lei distoglie lo sguardo giocando con il tessuto verde chiaro della maglia che, va detto, s'intona molto bene ai suoi occhi.

«Quest'abbigliamento è ancora meno adeguato a quello dell'altro giorno..» Afferma ridacchiando ed è un suono meraviglioso, però ha ragione. Anche se entrambi gli outfit sono assolutamente perfetti per lei. Forse questo un po' meno, preferisco senza dubbio i pantaloni in pelle.

Mi chiudo la porta alle spalle porgendole un the caldo. Mi ringrazia con un sorriso a cui ricambio con piacere.

«Riprendiamo a lavorare?» Propongo, notando che è solo l'una e mezza e che ci aspettano ancora diverse ore prima di poter tornare a casa. Emily sospira prima di annuire e prendere posto alla sua sedia con la mia coperta sulle sue gambe. Decido seduta stante che non la laverò. Sono patetico? Si. M'importa? Decisamente no.

Cominciamo a lavorare intensamente, senza distrazioni. Nessun telefono a squillare, nessun rumore a parte lo scrosciare della pioggia ed il brontolio dei tuoni in lontananza; tutto è come dev'essere.

 

Quando verso le diciotto e trenta alzo lo sguardo verso Emily la vedo esausta. I suoi occhi sono gonfi ed arrossati, il pianto di prima accompagnato a tutte queste ore davanti al computer di sicuro non le sono state d'aiuto.

«Come procede?» Spezzo il silenzio che ci avvolge da ore, mentre stendo le braccia in aria stirare i muscoli.

«Bene.» farfuglia lei senza distogliere l'attenzione dal monitor, evidentemente troppo concentrata per considerarmi.

Resto in silenzio a guardarla ancora per qualche istante e quasi mi viene da ridacchiare osservandola: i capelli si sono ormai asciugati ed hanno preso una piega mossa naturale che addolciscono i suoi lineamenti corrucciati, ma allo stesso tempo le conferiscono un'aria selvaggia. I miei vestiti la rimpiccioliscono facendola sembrare una persona in miniatura avvolta in abiti da gigante, ma non le importa e lo si capisce dallo concentrazione sul suo viso, da come si morde il labbro, corruga le sopracciglia e fa scorrere gli occhi da una parte all'altra del computer ininterrottamente.

Decido di mettermi in piedi ed andarle incontro «Che ne dici di tornare a casa per oggi?» propongo.

Dapprima penso che non risponderà, poi dopo un lungo sospiro sentenzia: «Non ho intenzione di tornare a casa.»

Sollevo un sopracciglio e mi chiedo quanto grave sia stata la discussione che questa volta hanno avuto "tanto grave da doversi lasciare?" Sono una brutta persona se ci spero? Probabilmente si.

I suoi occhi stanchi non mi fanno desistere, ha bisogno di riposarsi almeno per oggi.

«Brenda? Potresti andare da lei, no?»

A quel punto sospira sconsolata prima di passarsi una mano sul viso esausto.

«Questa sera non c'è.» Mi informa. «Pensavo di rimanere qui, in ufficio.»

Ci metto un attimo a comprendere a pieno il significato delle sue parole, o per lo meno a realizzare ciò che ha in mente di fare.

«Vorresti rimanere in ufficio tutta la notte?» Domando contrariato sollevando le sopracciglia.

«Esattamente.» Sembra convinta di quel che dice.

Mi metto a ridere ironicamente, senza esser realmente coinvolto. In risposta lei sorride indispettita lanciandomi una gomma in faccia.

«Beh, che vuoi? Ho apposta un comodo divano!»

Sorrido anche io rispondendole, mentre nella mia mente inizia a farsi spazio un'idea...

«Quel divano» lo indico col pollice oltre la mia spalla «È cemento imbottito.»

Ride. Ride e per me quel suono è un toccasana, non potrei sopportare di vederla di nuovo ridotta a come l'ho vista questa mattina. Non dovrebbe mai sentirsi cosí, è una ragazza troppo bella e solare quando sorride.

«Si beh, per una notte sopravvivrò.» Fa spallucce, come se fosse indifferente.

Ma io ormai non riesco a smettere di pensare alla mia idea. "Se non glielo chiedo mi sentirò male", allora lo faccio.

Di botto le domando : «Vuoi venire da me?»

Solleva lo sguardo nel mio ammutolendosi, cosí mi affretto a spiegare.

«Ho una stanza in piú, saresti molto piú comoda rispetto che qui.»

Si morde sul labbro, indugia sulla risposta analizzando la mia proposta. Posso sentire gli ingranaggi del suo cervello azionarsi e riflettere con così tanta insistenza che potrebbe andare in tilt da un momento all'altro.

«Ho anche una graziosa gatta che adoreresti.» Aggiungo di botto. Mi sento come quegli stupratori che cercano di abbordare bambini con le caramelle. Sono patetico, ma un barlume di speranza mi si accende nel petto quando un sorrisetto le sorge sul viso.

«Come si chiama?» Mi chiede incuriosita.

«Josie.» Rispondo, consapevole di averla in pugno.

Ci riflette ancora un attimo portandosi le dita sul mento e fingendo di grattarsi la barba, come farebbe un vecchio saggio che valuta le sue opzioni prima di una scelta importante. Mi fa ridere.

«E va bene.» mi dice poi con un sorriso timido «Fammi conoscere la piccola Josie.»







Mi sta piacendo molto scrivere nei panni del nostro caro Duke, si vede?
Spero piaccia anche a voi! Per oggi è tutto, ma tornerò presto! Fatemi sapere cosa ne pensate di quello che sta succedendo!
E ci tengo a ringraziare tutti coloro che continuano a leggere Looking for you! Siamo nel 2017 e la storia si sta avviando verso la conclusione, sono emozionata ed incredibilmente grata, perchè è il numero di letture che sale ogni giorni di più a motivarmi e darmi il coraggio di scrivere senza fermarmi. 
Un ringraziamento speciale lo voglio fare a  Crilu_98 e MusicHeart , che sono sempre qui a farmi ridere con le loro recensioni! Vi mando un bacio enorme!

A presto, mi riempite il cuore di gioia
KamiKumi

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Capitolo 30
*** 30. DUKE ***


Nel giro di mezz'ora siamo a casa mia. Prima di affrontare il breve viaggio ha re-indossato il suo vestito rosso rendendomi gli abiti che le avevo prestato. In un attimo, in un momento in cui era distratta, me li sono portati sotto al naso ed ho inspirato il suo profumo.
No, non giudicatemi, non ditemi che sembro patetico. Lo so già, eppure non ho potuto farne a meno e mi sono lasciato inebriare da quella dolce fragranza.
Ora siamo davanti alla porta di casa mia.
«Beh, benvenuta nella mia umile dimora.» Cito la stessa frase che ha pronunciato lei la prima volta che sono stato nel suo appartamento, mentre apro la porta per lasciarle l’onore di entrare per prima (e dare una sbirciata al suo posteriore, ma questo che resti tra noi).
Appena la richiudo alle nostre spalle sento un miagolio sommesso ed il rumore di un campanellino che trilla. Josie sta già strusciando il pelo lungo sulle caviglie di Emily, che va in brodo di giuggiole alla sua vista.
«Ma è adorabile!» Esclama chinandosi su di lei ad accarezzarle il manto bianco. Resto sorpreso dal fatto che si sia lasciata toccare, di solito è restia e non si lascia avvicinare facilmente dagli estranei.
Le giro intorno per posare la giacca sull'appendiabiti, chiederei lo stesso a Emily se non fosse impegnata a parlare alla mia gatta con quella vocetta che fanno tutti quando vedono un animale.
«Sei davvero adorabile, lo sai?» Le chiede grattandole il mento. Rido scuotendo la testa “Come se potesse risponderle veramente” e, come se volesse andare contro il mio pensiero, Josie miagola due volte in segno di apprezzamento.
Apro il frigo chiedendomi se dovrei offrirle da bere. Dopo la giornata che ha passato potrebbe averne bisogno, per alleggerire la tensione, quindi decido di si e glielo domando.
«Volentieri, grazie.» Risponde rimettendosi in piedi e raggiungendomi. La palla di pelo miagola con disappunto, desiderosa di altre attenzioni. “Vattene, gatta maledetta.”
Mostro a Emily le due marche i birra che ho nel frigo e opta per una Paulaner. Decido di bere la stessa, poi inizio a preparare la cena: una semplice bistecca con insalata mista di contorno. Non è una cena per signori, ma è il massimo che posso offrire per un’improvvisata.
Mentre io giro le bistecche nella padella sento il suo sguardo addosso. È seduta sul bancone, accanto al frigorifero. Prende un lungo sorso prima di parlare.
«Ecco, io non sopporto nemmeno questo.»
«Cosa?» Le chiedo.
Solleva un dito della mano con cui tiene la bottiglia e indica la padella «Preparare delle bistecche.»
Mi volto verso di lei «Come sopravvivi se non sopporti cucinare?» Trovo sinceramente divertente il suo astio nei confronti della cucina, non che io la ami, però non mi dispiace.
«Beh, sono inevitabilmente costretta a farlo.» Solleva gli occhi al cielo «Ma almeno due volte alla settimana ordino d’asporto, inoltre il fatto che a pranzo non torno quasi mai a casa è un vantaggio. Non ridere di me!» Conclude la frase con una risata, nonostante cercasse di assumere un tono minaccioso. Ci ho provato, ma non riesco a non ridere dell’odio di questa ragazza nei confronti di ciò che riguarda i fornelli.
«Però l’altra sera hai preparato dei biscotti buonissimi.» Ricordo chiaramente il loro eccellente sapore. Mi spiega che fare biscotti la rilassa, ma che sa preparare solo quelli e non ha mai provato una ricetta differente. Quando mi rivela che è una specie di tradizione di famiglia non posso che ricordare il momento in cui ha detto di non avere contatti coi suoi parenti da quattro anni e mi chiedo quale sia il motivo.
Nel frattempo le bistecche sono pronte. Emily si è offerta di preparare l’insalata.
«Ho l’onore di assaggiare di nuovo una tua prelibatezza culinaria!» Esclamo prendendola in giro. Lei di tutta risposta mi fa la linguaccia.
«Stai attento a quel che dici, potrebbe scivolarmi un’eccessiva quantità di pepe nell'insalatiera.» Mi avverte, chiaramente divertita ed io alzo le mani in segno di resa.
«Non sia mai!» dopodiché ridiamo e le indico dove trovare olio, sale e aceto. Scopro che vederla gironzolare per la mia cucina e sentirla aprire le ante dei mobili è piacevole, la sua presenza non mi infastidisce e questo mi sorprende meno di quanto dovrebbe. In questa casa non è entrata nemmeno mia madre.. il fatto che viva in Italia non conta (altrimenti sarebbe residente stabile nel mio appartamento).
Serviamo i piatti in tavola e stappiamo altre due birre a testa durante il corso della cena. Continuiamo a parlare di tutto e niente e mi ritrovo a compiacermi di me stesso: sul viso di Emily splende di nuovo il sorriso e mi piace pensare che sia tornata di buonumore grazie a me. Forse in parte il merito è anche della birra, ma decido di mettere questo pensiero in secondo piano. Poi penso a quanto il nostro rapporto sia cambiato in così poco tempo: solo settimana scorsa Emily non faceva che sbranarmi e sputarmi addosso insulti, ora sta cenando con me a casa mia, per giunta! Non che mi lamenti, eh. La accetto in qualsiasi stato d’animo, anzi apprezzavo quando diventava paonazza per la rabbia e per il fastidio, ammetto che provavo piacere ed anche una punta di divertimento. Solo che non c’è paragone con la Emily spensierata che gesticola animatamente di fronte a me, che mi racconta aneddoti sulla sua adolescenza come complice della sua amica Brenda, che ride coprendosi la bocca con la mano cercando di darsi un contegno, ma fallendo. Pensando a questo non posso che notare quanto anche io stesso sia cambiato. Sto provando un senso di soddisfazione che solo poco tempo fa avrei provato solo affondando tra le gambe di una ragazza conosciuta in un bar ed esser sgusciato via dal suo letto. Ora mi basta vedere lei con il sorriso stampato sul viso e, cazzo, nemmeno ho avuto il piacere di baciarla. Abbasso lo sguardo sulle sue labbra rosee ed invitanti mentre avvicina la bocca della bottiglia alla sua e beve, poi la accarezza con la lingua ed io ho un fremito in mezzo alle gambe: me la immagino a fare la stessa cosa dopo averle riempito la bocca col mio sperma, inginocchiata ai miei piedi, coi suoi grandi occhioni che mi scrutano dal basso.. “Cazzo” Inspiro cercando di mascherare la mia eccitazione, provando a riprendere il filo del discorso di Emily, ma i pensieri continuano ad affollarmi la mente. Sono diventato un rammollito, succube di una ragazza che non potrò mai avere.
Questo pensiero mi fa tornare coi piedi per terra, riporto alla mente anche le parole di Carlos riguardo il fatto che non mi sceglierà mai e mi chiedo cosa cazzo io stia facendo. Lei è fidanzatissima e, anche se litigano di continuo e lui è uno sfigato, non dovrei intromettermi girandole intorno, o ospitandola a casa mia per la notte. Serro la mascella e mi irrigidisco, questa consapevolezza mi fa crescere nel petto un peso insopportabile. “Devo smetterla, sembro un fottuto coglione.”
Mi metto in piedi di scatto, senza alcuna motivazione apparente, facendo ammutolire Emily, che mi guarda confusa dietro al suo sguardo brillo.
«Tutto ok?» Mi domanda mettendosi dritta con la schiena. Scosto gli occhi dalla sua scollatura e decido di raccogliere i piatti e sparecchiare. Borbotto un «Si» in risposta.
«Aspetta, ti do una mano.» Si offre lei affiancandomi con un sorriso.
«Non importa, tranquilla.» Rispondo in tono piatto.
«Insisto.» Ribadisce allungandosi per afferrare le bottiglie di vetro.
«Ho detto che non importa!» Non alzo troppo la voce, ma la mia alterazione è percepibile e mi sento una merda quando lei indietreggia abbassando lo sguardo, mormorando delle scuse.
Sospiro passandomi una mano sul viso dopo aver appoggiato i piatti nel lavandino. Quando mi volto lei ha gli occhi puntati su di me e le sue sopracciglia disegnano un’espressione di disappunto sul suo bel viso. “Grandioso”
«Senti, se ti do fastidio posso-» Sbotta dando sfogo alle sue emozioni, ma la interrompo. Non voglio la Emily incazzata ed aggressiva ora.
La raggiungo in due falcate, l’afferro per la vita e la faccio scontrare contro il mobile alle sue spalle. Ammutolisce ed io le faccio scorrere il pollice sulla guancia, accarezzando la sua pelle liscia. I miei sbalzi d’umore sono degni di una donna in sindrome premestruale, ma è questo che mi sta succedendo. No, non la sindrome, mi riferisco a questa bipolarità: prima mi innervosisco pensando che non potrò mai averla ed alzo la voce contro di lei, poi mi eccito e l’accarezzo fissando le sue labbra perfette, così carnose..
«Non mi dai fastidio.» La mia voce è bassa, quasi un sussurro. Faccio scorrere il dito indice lungo il suo collo, fino ad arrivare alle clavicole, mi aspetto che mi spintoni via ma quel che fa è schiudere le labbra e guardarmi. Il verde dei suoi occhi socchiusi è intenso, mi cattura, mi fa fremere. Sono perso, sono fottuto.
Mi ritraggo inspirando, prima di oltrepassare il limite. Non voglio essere respinto, anche se in effetti non lo stava facendo… Cazzo, che casino, penserà che sono pazzo. Mi schiarisco la voce.
«Vuoi farti una doccia? Io riempio la lavastoviglie nel frattempo.» Le domando. Lei pare confusa e non me ne stupisco, se fossi in lei probabilmente lo sarei anche io. Si allontana dal mobile e si inumidisce le labbra, poi annuisce.
«Si, grazie.»
Annuisco anche io, poi le faccio strada verso il bagno. Le offro un’altra maglietta e un altro paio di pantaloncini da corsa, che accetta di buon grado.
Dopodiché si chiude a chiave dietro la porta, poco dopo sento scorrere l’acqua della doccia. Sospiro appoggiando la testa allo stipite dandomi dell’idiota, poi vado a temporeggiare in cucina.




 

Rieccomi qui!
Mi dispiace che questo capitolo sia così breve... Ho commesso l'errore di dividere in due quello precedente temendo fosse eccessivamente lungo, in questo modo è venito troppo corto questo! :(
In ogni caso cercherò di rimediare col prossimo ;)
Spero che questa piccola parte vi sia piaciuta, alla prossima!
Un bacione!

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Capitolo 31
*** 31. EMILY ***


IL CAPITOLO POTREBBE CONTENERE PICCOLI SPOILER RIGUARDO I FILM INCEPTION E SHUTTER ISLAND.


Chiudo l'acqua della doccia e ne apro le ante. Uscire dal getto sotto cui sono rimasta negli ultimi venti minuti mi fa rabbrividire una volta entrata a contatto con l'aria fresca che aleggia nel bagno in contrasto col calore della mia pelle. 

Mi affretto ad asciugarmi mentre continuo a pensare; per quanto ci abbia provato, stare sotto l'acqua non mi ha portata alla conclusione di alcun ragionamento sensato, tanto meno ad un’illuminazione. Non capisco cosa sia successo prima in cucina e analizzando gli avvenimenti non mi viene in mente di aver fatto qualcosa di strano o che possa averlo infastidito. Parlavamo semplicemente, bevendo tra le risate.

Ora che ci penso lui è sempre passato da una donna all'altra senza, sicuramente, scambi di inutili convenevoli. Che la mia parlantina lo abbia stufato? Che mi abbia invitata qui per portarmi a letto? Il pensiero che io sia stata invitata per questo mi eccita e mi ferisce allo stesso tempo. Sogno di saltargli addosso sin dal primo istante, si dal primo incontro, totalmente affascinata da quel suo gelido sguardo sexy ed ammaliatore e così è sempre stato, beh divergenze occasionali a parte (come il fatto che spesso lo avrei volentieri ucciso). Allo stesso tempo mi sento ferita al pensiero che lui possa volermi solo scopare.. per poi cacciarmi fuori casa, e dalla sua vita. Mi siedo sulla tazza col coperchio abbassato, appoggio i gomiti sulle ginocchia per prendermi la testa tra le mani. Sbuffo. Non ho mai avuto tanta confusione in testa. 
"Che diavolo di piega ha preso la mia vita?"
Filava tutto liscio, fino a qualche settimana fa. Beh, filava liscio sotto l'ambito lavorativo, ora sono addirittura indietro con l'elaborazione dei progetti! Per quanto riguarda la sfera sentimentale, invece… almeno prima io e Nate non litigavamo. Ora non facciamo altro, e l’argomento principale è proprio il mio lavoro, tra l'altro. Eppure non cambierei nulla di ciò che mi sta succedendo. 
Penso a Nate… oggi ho dato di matto e gli ho sputato addosso i miei pensieri nella maniera più velenosa di cui fossi capace. Gli ho urlato di non aspettarmi, ma dovrei dirgli che non ho davvero intenzione di tornare a casa? E se mi chiedesse dove resto a dormire? Se gli dicessi che resto in ufficio e venisse a cercarmi? Che fottuto casino, non si meritava un simile trattamento. O forse si…?
Sospiro e torno a pensare alla piega tesa e nervosa che ha preso la serata, mi faccio scorrere nella mente l’immagine di Duke dapprima nervoso e suscettibile, che alza la voce e che poi mi agguanta facendomi sciogliere tra le sue dita. E mi rendo conto di non aver reagito in alcun modo, imbambolata com'ero. Cosa penserà? L’ho sempre respinto, e ora sto cadendo ai suoi piedi come una sciocca. Scuoto la testa per allontanarmi da quel groviglio di pensieri che è ora la mia mente e mi rivesto indossando i vestiti di Duke.
Mi asciugo i capelli e poi li lego in una treccia alta, in modo che domani abbiano una bella piega mossa.
Esco dal bagno e, con più ansia di quanta dovrei averne, mi dirigo in salotto.
Lo vedo sul divano: è sdraiato con l'avambraccio a coprire gli occhi, per questo motivo non mi vede e quando lo raggiungo devo tossire per avere la sua attenzione.
Si riscuote spostando il braccio e aprendo gli occhi. L'azzurro delle sue iridi è caldo, tanto da ardere. Mi sento catturata, come sempre quando mi guarda. Si mette a sedere facendomi spazio ed inizio ad analizzare il suo salotto: di fronte a noi si estende una grande parete color grigio chiaro con mensole piene di libri sulla grafica e sulla tipografia. Al centro è posto un quadro verticale de "Il bacio" di Gustav Klimt, nonché il mio preferito. Mi perdo ad osservare e ad ammirare affascinata le linee che tracciano l'immagine dei due amanti aggrappati l'uno all'altro e, per un attimo, immagino me e Duke al loro posto: le mie dita tra i capelli sulla sua nuca, io che lo attiro a me per posare le labbra sulle sue, baciarlo e farmi baciare, con un sorriso beato stampato sul viso… L'intensità delle emozioni che scaturisce in me a quel pensiero mi spaventa: è un calore profondo, che mi fa battere il cuore e stringere le gambe per l'eccitazione.
Mi mordo il labbro inferiore, nervosa, e per distrarmi poso lo sguardo sulla tv appesa alla parete sopra ad un caminetto ad angolo di mattoni bordeaux. È sintonizzata su un canale musicale e trasmette una canzone che non conosco. Fisso in silenzio il video musicale sullo schermo. Non ho idea di cosa dire o fare, il fatto di non sapere quale sia il suo umore mi rende nervosa. Mi infastidisce essere preoccupata per questo: è la dimostrazione di quanto sia palese il mio interesse nei suoi confronti.
«Ti piace?» Mi chiede spezzando il silenzio. Mi giro verso di lui ed incontro il suo sguardo spento e cupo. "Cosa succede?" Il mio cervello si aziona, mettendo in moto gli ingranaggi: non smetto di chiedermi cosa sia successo prima tra noi.
«Cosa?» Rispondo, ma avete presente il momento in cui porgete una domanda perché non avete capito a cosa l’interlocutore si stia riferendo e, non appena chiudete la bocca, capite e vi sentite dei totali idioti? Ecco, sono io in questo momento. Lascio comunque che mi risponda e fa un cenno col mento alla tv. 
«La canzone.» Pronuncia monocorde restando di profilo a guardarla, io mi perdo ad ammirare la sua mascella scolpita. "Vorrei mordicchiarla" penso e subito dopo me ne rimprovero dandomi dell’idiota.
«Non la conoscevo, ma è molto bella.» Rivolgo lo sguardo nello stesso punto in cui è il suo. L’atmosfera è pesante intorno a noi, mi sento a disagio ma allo stesso tempo non vorrei essere da nessun’altra parte se non qui.
Risponde come se fosse sovrappensiero «Si chiama Elastic Heart
Annuisco continuando a guardare lo schermo: osservo con occhi incantati i due protagonisti muoversi a ritmo, ballando sulle note di quella canzone dal testo straziante e commovente, accompagnati da una forte voce di donna. Lascio che le emozioni mi gonfino il petto mentre mi prendo le ginocchia tra le braccia e mi metto più comoda. Chiudo gli occhi abbandonandomi alle sensazioni, mi lascio trasportare ritrovandomi a canticchiare a ritmo con la canzone.
Le ultime note si spengono, lasciando spazio alla pubblicità. 
«Ti è proprio piaciuta.» È una constatazione la sua e, dal sorriso sulle labbra, capisco che lo apprezza.
Rispondo con un sorriso «Decisamente si. Il video era così triste… ma la voce della cantante si può descrivere dicendo semplicemente wow!» Farnetico agitando le mani con enfasi, totalmente affascinata e mi metto dritta con la schiena in preda all'emozione. Quando lo vedo sorridermi divertito mi sento improvvisamente in imbarazzo, ammutolisco sotto il suo sguardo attento, mentre intorno a noi la stanza si avvolge di nuovo nel silenzio, spezzato solo dalle voci di due uomini che parlano in un programma radiofonico in tv. Nessuno dei due apre bocca, finché non si sente il trillo di un campanellino raggiungerci in salotto.
Josie salta sul tavolino ai nostri piedi e ci guarda assorta, come se tramasse qualcosa. Il che probabilmente è vero: i gatti tramano sempre qualcosa, dalla tua morte alla conquista del mondo. Ridacchio a quel pensiero allungando un braccio verso di lei, in modo da posare il dito indice sul suo muso ed accarezzarle in nasino.
«Che ruffiana.» Sussurra Duke osservando la scena. Il suo tono di voce vorrebbe esprimere disprezzo, ma sul suo volto è disegnato un sorriso amorevole.
«E’ adorabile.» Muovo le dita sul suo pelo e la accarezzo dietro le orecchie, lei si spinge di più contro il mio palmo facendomi ridacchiare di nuovo.
«Lo so.» Poi la gatta mi azzanna la mano. Con le unghie mi graffia il pollice, lasciandomi un lungo segno rosso e, non contenta, coi suoi piccoli ed appuntiti canini mi rosicchia i polpastrelli. Ritraggo il braccio di scatto, ma riesco solo a guadagnarmi altri graffietti che bruciano da morire. E, mentre sono impegnata a lamentarmi e leccarmi le ferite, Duke scoppia a ridere nel modo più genuino che io conosca.
In men che non si dica mi ritrovo a ridere con lui.
«Le stai davvero simpatica!» Tenta di dirmi tra una risata e l’altra.
«Si vede!» Mi passo le dita sui taglietti, che bruciano appena. 
«Fa' vedere.» Mi chiede con una certa autorità nella voce, come se fosse un ordine. Gli porgo la mano e la prende tra le sue. «Resterà la cicatrice.» sentenzia serio incatenando gli occhi ai miei. 
"Cosa?!"
«Ma come...» non faccio in tempo a finire la frase che lui esplode in una sonora risata.
«Avresti dovuto vedere la tua faccia! Eri terrorizzata!»
«Beh sono felice che tu ti diverta a terrorizzarmi e poi prendermi in giro.» esclamo fingendomi risentita.
«Scusami, è che sei divertente. Sono graffi da nulla, ma vanno disinfettati per sicurezza. Vieni.» 
E in men che non si dica la mia vagina supplica "Si, per favore”, e in risposta "non accadrà mai" le ricorda la mia insoddisfazione sessuale. Il mio io interiore soffre il conflitto ed io sospiro frustrata.
Lo seguo in bagno dove recupera i cerotti e il disinfettante che mi porge.
«Non fa lei, Dr.Worten?» Ammicco ad un sorrisetto. 
Solleva un sopracciglio insieme alle sue labbra; i suoi occhi brillano donando al viso un'espressione estremamente divertita. «Signorina Emily, ti piacciono i giochi di ruolo?» Si avvicina a me con passi lenti e misurati. Tutto intorno a noi diventa incandescente.
Mi rendo conto solo ora del doppio senso nascosto dietro alle parole che ho pronunciato. Ecco che la mia frustrazione sessuale prende il sopravvento rompendo il filtro bocca-cervello. Il primo istinto è quello di negare e chiarire il malinteso, ma poi... al diavolo!
Faccio spallucce, come se questa conversazione mi fosse totalmente indifferente «Chi lo sa, sono aperta ad ogni tipo di esperienza.» Rispondo indietreggiando, senza scostare gli occhi dai suoi. Con le gambe tocco la tazza, ma lui non ferma la sua marcia; si blocca solo quando il suo viso è ad un naso dal mio. Le nostre labbra si schiudono ed i sospiri ci sfiorano, poi inspira forte.
«Siediti.» La sua voce è un roco sussurro. Eseguo il suo ordine e lo osservo dal basso mentre si inginocchia davanti a me.
Quando prende di nuovo la mia mano, una scossa di brividi mi percorre facendomi venire la pelle d’oca. Siamo di nuovo a questo punto: la tensione è palpabile, la mia eccitazione alle stelle.
Devo mordermi il labbro per trattenermi e non saltargli addosso. 
Lo voglio. 
Lo voglio tanto da far male.
Ho bisogno di toccarlo, di baciarlo, di sentire il suo sapore mischiato al mio, il calore della sua pelle… Una morsa all’inguine mi costringe ad irrigidire le cosce per cercare sollievo, ma non basta. Sono eccitata, impossibile negarlo. Sono eccitata e voglio di più. Voglio lui.
Quando torno nel mondo reale le mie dita, su cui ora ci sono due piccoli cerotti, sono incrociate a quelle di Duke. L’altra mano è aperta sulla mia coscia e trasmette un calore che arriva dritto al mio ventre.
“Cazzo, cazzo, cazzo!” Non posso più trattenermi. 
Libero le mie labbra dalla presa dei denti per fiondarmi sulle sue, che sogno sin dalla prima sera in cui ci siamo incontrati. Le divoro con lo sguardo e fremo per la voglia che ho di conoscerne il sapore, di sentirne la morbidezza. 
Ci impiego qualche istante a capire che lui si è rimesso in piedi e voltatosi a darmi le spalle. Tutto intorno a me sembra rallentare.
È in quell’istante che realizzo ciò che stavo per fare, quello che volevo fare: stavo per compiere un errore. Un enorme, gigantesco errore. Perché questo sarebbe stato, vero? 
Cazzo. Mi sento una tale stupida. E se l’avessi fatto? Cosa mi fa pensare che lui avrebbe ricambiato? La paranoia prende il sopravvento tra i miei pensieri.
«Emily?» mi chiama la sua voce dallo stipite della porta del bagno. Sollevo lo sguardo verso di lui.
«Si?»
«Un’altra birra?» Mi propone, ed io annuisco.


In realtà non so se bere sia una buona idea, me lo chiedo dopo la terza bottiglia, di cui ho appena buttato giù l’ultimo sorso. Sul divano. Di fianco a Duke. Al buio. Guardando un film. 
Ci sono tante cose sbagliate in questa situazione, ma non me ne importa niente. O perlomeno non me ne importa niente ora.
Sullo schermo Leonardo Di Caprio recita in maniera eccelsa il suo personaggio nel film Inception, ma l’alchool che ho in circolo me ne rende difficile la comprensione. Insomma, è un film difficile da seguire quando si è ubriachi di birra e sommersi dal testosterone di Duke.
Alla prima bottiglia, quando ci siamo seduti, mi sono piazzata sull’angolo del divano più lontano da lui. Il punto è che per me lui è come un magnete: mi attrae come fossi una calamita, incapace di sfuggirgli.

Gli metto in mano la mia bottiglia di birra ormai vuota e ridacchio quando sbuffa per chinarsi ed appoggiarla sul tavolino. Quando torna ad appoggiarsi al divano poso la testa sulle sue spalle, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Non so come siamo arrivati a questo livello di complicità, tenendo conto che fino a poco tempo fa non facevamo che sbranarci l’un l’altro, eppure non ne posso fare a meno. Dovrei stargli lontano e, soprattutto, smettere di bere. 
La mia volontà si azzera quando sono al suo fianco, e questo è pericoloso.

Quando il film finisce e sullo schermo continua a girare la trottola di Di Caprio sono confusa, ho la vista annebbiata dall'alchool e tengo una mano incrociata a quella di Duke.
Non so cosa stia facendo, o come sia successo, so solo che non voglio lasciarla. Mi passa l'ultima birra rimasta, che abbiamo diligentemente deciso di dividere.
«Allora, come ti è parso il film?» Chiede interessato.
«Davvero molto bello! Non so perché abbia aspettato così tanto a guardarlo.» Biascico qualche parola per via della bocca impastata dall'alchool. Mi volto verso di lui incrociando le gambe sul divano, in modo da avere davanti agli occhi la visuale del suo bel profilo. «Quante volte l'hai già visto?» Domando curiosa. 
«Questa era la sesta.» Mormoro qualcosa di indecifrabile in segno di sorpresa e lui continua «È uno dei film che preferisco, mi piace dare diverse interpretazioni alla scena finale. Secondo te cosa significa?»
Aggrotto le sopracciglia cercando di fare chiarezza tra i miei pensieri mentre visualizzo i fotogrammi nella mia mente. È più complesso di quanto possa sembrare.
«Credo sia in un sogno.» Poi mi accorgo di aver formulato una frase priva di senso logico e mi spiego meglio «Il fatto che la scena si chiuda sulla trottola che gira mi lascia pensare che si trovi in un sogno.»
«Può essere che si fermi però, no?»
Rifletto per rispondere alla sua domanda «Penso che avrebbero fatto oscillare la trottola come se si stesse fermando. Vedi Shutter Island: il protagonista alla fine fa un cenno col viso che lascia intendere di essere a conoscenza tutto.»
«Intendi dire che tutto il film tratta di un sogno?»
Scuoto la testa «No, non direi... Credo ci siano entrati in India, quando dovevano incontrare l’uomo li avrebbe fatti addormentare e, quando provano la pozione,» e mimo con le dita due virgolette sulla parola «entrano nel sogno e non se ne sono più usciti.»
«Ti vedo convinta.» Constata bevendo un altro sorso di birra.
«Lo sono. Inoltre nella scena finale il protagonista si ritrova a casa sua coi suoi figli che giocano... Quella scena l'ha vissuta in passato, prima che fosse costretto ad andarsene. La rivive perché ne è tormentato. E poi-»
«Ok, ok ho capito! Non ti spegni più?» Dice Duke interrompendo il mio ragionamento. Presa com’ero, ed affascinata del film appena visto, non mi ero accorta di stare farneticando ininterrottamente.
Gli rispondo imbarazzata «È che non sopporto i finali di questo tipo... Mi affascinano, ma non sopporto di rimanere in sospeso e chiedermi cosa accadrà, o cosa sarebbe potuto succedere. Odio le incertezze.»
Lui annuisce soppesando le mie parole più del dovuto.
Chiacchieriamo ancora un po', soprattutto delle sue teorie, e quando si fanno le tre del mattino, dopo il mio ennesimo sbadiglio, propone di andare a letto.
Nel letto matrimoniale della sua stanza degli ospiti faccio sogni nei sogni con mani intrecciate e trottole che non smettono di girare.


Mi sveglio di soprassalto con la gola secca e mi siedo di scatto, confusa e spaesata. Ci metto qualche istante a ricordarmi di essere a casa di Duke.
Mi passo le mani sul viso per riprendermi e finisce che resto qualche minuto a fissare il vuoto totalmente rincoglionita e sconvolta, ne approfitto per fare mente locale: ho litigato con Nate e, sconvolta, ho ben pensato fosse un'ottima idea accettare l'invito di Duke a passare la notte a casa sua. Ho cenato da lui, ci ho flirtato, abbiamo bevuto guardando un film sul divano ed ora sono qui... E, a parte i sensi di colpa, mi sento piuttosto a mio agio. Mi sento una traditrice, anche se non ho fatto nulla di sbagliato. Ci sono andata vicina, ma non è successo nulla. È tutto ok, vero?
Non posso che chiedermi cosa sarebbe successo se in quell'istante Duke non si fosse alzato dandomi le spalle… Se lo avessi baciato, se avessi allungato le braccia e passato le dita tra i suoi capelli, cosa sarebbe successo?
I miei interrogativi si interrompono quando sento il tipico suono delle stoviglie che sbattono l'una contro l'altra, così mi decido ad uscire da quella stanzetta.
In cucina c'è Duke in mutande.
È di spalle e probabilmente non si è ancora accorto di me, ma sicuramente non sprecherò l'occasione donatami dagli Dei di ammirare un tale adone. Così resto in silenzio e mi appoggio al bancone per guardare i muscoli sodi delle spalle flettersi ogni volta che alza le braccia per mettere via un piatto pescato dalla lavastoviglie.
Non si volta prima di qualche minuto e quando lo fa sembra divertito.
«Buongiorno, piaciuto lo spettacolo?» Chiede con un sorriso smagliante in viso.
"Ah" beh, se n'era accorto. Direi che le mie skills da ninja non sono evolute come pensavo.
E per quanto mi piacerebbe flirtare ancora con questi occhioni azzurri e quel sorriso furbo, mi costringo a tenere a mente che ho un ragazzo a casa e che sta notte non sono tornata da lui.
«Abbassa la cresta, maschione.» Mi sollevo incrociando le braccia al petto «Stavo solo aspettando.»
«Ah si? E cosa?» Prende uno straccio e ci si asciuga le mani.
«Che finissi.»
«Potevi parlare, non ti avrei mangiato.»
«Non so che tipo di persona sei al mattino.»
«Come?» Questo botta e risposta mi sta mettendo in difficoltà.
Distolgo lo sguardo imbarazzata, anche se non ho motivo di esserlo «Non so quanto ti dia fastidio parlare appena al mattino.»
Lui in tutta risposta scoppia a ridere con così tanto gusto che mi sento stupida per aver dato una simile risposta.
«Beh, non mi da fastidio.»
«Beh, allora buongiorno.» Rispondo facendo spallucce.
«Buongiorno a te, dormito bene?» Ecco che torna il suo bel sorriso.
«Si, grazie. Tu?»
«Anche io. Fame?»
«Un po'.» Anche se onestamente non ho idea di che ore siano.
Come a leggermi nel pensiero Duke risponde «Beh, sono già le dieci.. potremmo mangiare qualcosa di leggero. Yugurt e corn flakes?»
«Niente di meglio!»


Dopo un tranquillo pranzo in un ristorante giapponese, in cui siamo stati più volte scambiati per una coppietta, Duke mi riaccompagna a casa.
Quando mi saluta senza guardarmi in faccia, stringendo forte le mani sul volante, per poi allontanarsi dal marciapiede per reimmettersi nel traffico, capisco che in realtà avrei voluto rimanere con lui per il desto della giornata.
Sospiro di sconforto quando scompare dietro l’angolo a sinistra e dalla mia visuale, poi ecco che i sensi di colpa mi assalgono mentre salgo le scale del piccolo condominio.
Apro la porta abbassando piano la maniglia, come se non volessi farmi sentire. Mi sembra di essere tornata sedicenne, quando facevo ritorno a casa ben oltre l'orario di coprifuoco e non volevo farmi beccare dai miei genitori, cercando di essere il più silenziosa possibile. Peccato che puntualmente loro fossero in piedi, arzilli e pimpanti ad aspettarmi a braccia incrociate. 
Ora rimpiango quei momenti, vorrei essere in quei panni, piuttosto che in questi: quelli di una ragazza che ha passato la notte a casa di un altro uomo, nonostante conviva col proprio fidanzato.
Entro nell'appartamento con gli occhi chiusi stretti, li allento solo quando la porta è chiusa alle mie spalle.
In casa non si odono rumori, se non il ronzio del frigorifero. Quindi apro prima un occhio e poi l'altro: le stanze sono avvolte dall'oscurità, le tapparelle non sono state alzate se non per qualche centimetro. Aggrotto le sopracciglia, perché Nate odia che sia buio in casa durante il giorno; infatti nelle giornate di temporali, in cui la luce te la sogni, diventa matto per il fastidio che gli provoca. Non avevo fatto caso a quanto in realtà desse fastidio anche a me, era sempre lui a pensare a questo... .
Aggrotto le sopracciglia e, mentre mi avvio verso tutte le finestre per aprirle ed illuminare la casa, chiamo più volte il suo nome a voce alta. Quando anche la nostra camera da letto e quella degli ospiti sono state spalancate e di lui non c'è traccia mi assale il batticuore dovuto alla preoccupazione. "Oggi non lavora, dove sarà andato? Se fosse venuto a cercarmi in ufficio e non mi avesse trovata e ora fosse incazzato nero? Potrei dire che non mi ha incrociata perché stavo tornando qui... E se gli orari non coincidessero? Le bugie hanno le gambe corte… Ma cosa sto dicendo?!" In quel momento mi rendo conto di quanto egoistici siano i miei pensieri e di quanto mi senta una traditrice. "E se gli fosse successo qualcosa?"
Mi fiondo verso la cucina, in cui ho lasciato la mia borsetta. L'afferro dal bancone e ne tiro fuori velocemente il telefono con un groppo d’ansia in gola. 
Lo accendo e subito inizia a vibrare per gli avvisi di notifica delle ore in cui l'ho stupidamente tenuto spento.
Tra le varie applicazioni ci sono messaggi da parte di Kyle e Brenda, messaggi di chiamate e, scorrendo la lista, ne trovo uno di Nate. Guardo l'orario in cui l'ho ricevuto e lo confronto con l'ora attuale: è stato inviato a mezzanotte, ed ora è quasi mezzogiorno.
Senza pensarci due volte lo chiamo. Passeggio irrequieta per la stanza mordendomi le unghie. La chiamata si avvia e nell'appartamento si diffonde la suoneria predefinita dei telefoni Samsung. Seguo il suono, che mi riporta in camera da letto, sul materasso, sotto al mio cuscino.
Mi siedo e prendo in mano il telefono di Nate. Sul piccolo schermo il mio nome seguito da un cuore sembra giudicarmi e additarmi, facendomi sentire in colpa.
Chiudo la chiamata e mi stendo sul letto. Non mi resta che aspettare.

Apro gli occhi e sobbalzo quando la porta dell'appartamento sbatte chiudendosi, eppure non ci metto molto a ricordare la situazione in cui mi ritrovo; il nome di Nate mi risuona nella testa.
Mi metto in piedi di scatto e corro verso l'ingresso, dove incontro la figura stanca del mio fidanzato. Ha la schiena curva, gli occhi stanchi, cerchiati da due profonde occhiaie scure, come se non avesse dormito per nulla e i capelli scompigliati.
Mi si stringe il cuore, mi sento dannatamente in colpa ora come ora. 
Rimane immobile davanti a me per qualche secondo quando mi nota dopo essersi sfilato le scarpe. I suoi occhi paiono rianimarsi mentre pronuncia il mio nome in un sussurro.
«Nate..io..» Comincio, ma non ho tempo di dire altro, perché si fionda su di me, baciandomi con intensità e trasporto. Il sapore familiare della sua bocca entra in contatto col mio, mi lascio cullare dalle sue labbra insistenti mentre le sue braccia mi avvolgono e le sue mani mi stringono.
È un bacio lungo, attraverso cui percepisco il suo bisogno di contatto, di me. Lo lascio fare, non lo fermo e lo incoraggio allungando le mani sulla sua schiena, accarezzandolo, sentendo la tensione abbandonare il suo corpo.
Appoggia la sua fronte sulla mia prima di parlare «Mi dispiace così tanto, Emily.» I suoi occhi si stringono sotto le sopracciglia aggrottate «Non voglio più litigare con te in quel modo, mi dispiace tanto. Ti prego non andartene più.» La sua voce si strozza quando conclude la frase e quando alza lo sguardo posso vedere i suoi occhi lucidi. Provo una morsa al cuore, una morsa orribile che mi ricorda quanto io sia stata una stronza, quindi lo bacio. Lo bacio, perché non so cosa rispondere. Lo bacio per cancellare le sue paure e mi riprometto di non passare più la notte fuori casa e, soprattutto, di non passarla da Duke, nonostante io sia stata benissimo insieme a lui. 
Ho corso troppi rischi, tra il farmi scoprire da Nate e il cedere a impulsi che non vanno assolutamente appagati.
Chiudo Duke in un angolo della mia mente e cerco di focalizzarmi sul mio fidanzato, la persona con cui sto e devo continuare a stare, la persona che mi ama.
Nate mi bacia con intensità dalle labbra al collo, lasciando una scia umida sulla mia mandibola. Gemo quando inspira il mio profumo e succhia la mia pelle, e mi allarmo per un istante, impaurita dal fatto che lui possa percepire l'odore di un bagnoschiuma da uomo che decisamente non mi appartiene. Mi rilasso quando non dice nulla al riguardo, e lascio che le sue mani scorrano sul mio corpo, dai miei fianchi, lungo la vita, fino alla schiena fino a raggiungere la lampo del mio abito rosso.
«Andiamo di la.» Sussurra sulle mie labbra avviandosi verso la camera. Cammino all'indietro senza allontanarmi da lui, gli avvolgo le braccia al collo continuando a baciarlo e, quando raggiungiamo la meta, mi sfila il vestito prima di spingermi sul letto.
Si sdraia su di me baciandomi dolcemente «Ti amo, Emily.» 
Mi sussurra parole dolci scorrendo con le labbra lungo il mio corpo, si posa sulla mia vita, sospira sulla me pelle provocandomi dei brividi incontrollati.
Sfila le mie mutandine lasciandole cadere a terra e quando inizia a toccarmi con le sue mani fredde e ruvide gemo di piacere. Sono movimenti scoordinati, ma mi impegno per concentrarmi sul piacere che mi provoca quella sensazione di pienezza.
Passa la lingua sul clitoride, muovo le anche per mettermi nella giusta posizione mentre lo succhia e lo lecca. La stanza si riempie dei miei sospiri, mi prendo il labbro inferiore tra i denti mentre impreco mentalmente. È una straziante tortura che non riuscirò a sopportare per molto, succhia forte e mi fa male, gemo forte per il dolore provocato dal suoi denti sul mio punto più sensibile.
Infilo le mani tra i suoi capelli per richiamare la sua attenzione. Alza lo sguardo nel mio e posso vedere i suoi occhi, due pozze scure traboccanti di amore, di sollievo, di eccitazione. Mi sento peggio se penso che non sto realmente provando piacere, a non godere mentre lui è così dedito a me; mi sento peggio quando mi accorgo che non è lui che ora vorrei in mezzo alle mie gambe, ma un uomo dai capelli neri e gli occhi azzurri e tenebrosi, quell'uomo è Duke, e quella consapevolezza mi distrugge.
Apro le gambe per Nate che si infila dentro di me. Muove lentamente i fianchi facendomi sentire ogni centimetro della sua lunghezza, continua a baciarmi con dolcezza, sussurrandomi parole di scuse.
Inchioda il suo sguardo al mio, verde contro marrone, e sono costretta a chiudere gli occhi, perché sopra di me riesco a vedere solo Duke, il senso di colpa è troppo forte. 
Duke,
Duke,
Duke… è il suo nome che urlo nella mente, mentre Nate digrigna i denti venendo dentro di me.

 





 

NON SONO SCOMPARSA, GENTE! SONO DI NUOVO QUI!

Chiedo scusa, ma questo è stato un capitolo inspiegabilmente difficile da scrivere. Sono contenta di avercela fatta, però! Ho impiegato un bel mesetto, ma ora posso ritenermi soddisfatta e spero lo siate anche voi! E' più lungo del solito, sia per farmi perdonare, sia perchè questo è il capitolo definitivo che avvia la storia alla conclusione.
Siete pronti? 
Io sono un po' emozionata, ad essere onesta!
Ad ogni modo, fatemi sapere come vi sembra questo lunghissimo capitolo, mi farebbe piacere leggere le vostre impressioni :)
Al prossimo aggiornamenteo, sperando arrivi presto.
Un bacione,
KamiKumi

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Capitolo 32
*** 32. EMILY ***


 

Sapete che giorno è oggi?

No, non è il mio compleanno e no, nemmeno il giorno in cui ho finalmente incontrato Harry Styles, purtroppo.

Oggi è il giorno in cui finalmente consegneremo il famigerato progetto Evans.

Se fossimo in un film in questo momento saremmo tutti avvolti dall'oscurità e dei forti tuoni risuonerebbero nel cielo plumbeo e scuro, i cui lampi ci avrebbero illuminati mettendo alla luce la tensione sul nostro viso. Però siamo solamente nella sede della Simmonds&Co, nel mio ufficio tanto per cambiare, ed io e Duke stiamo preparando le ultime cose necessarie all'incontro di questo pomeriggio; è finalmente martedì e non vedo l'ora di spuntare dall'elenco dei lavori in corso il nome di Mr.Evans.

Il weekend appena passato è stato infernale e non mi ha aiutata affatto ad arrivare a questo giorno con la pace e la tranquillità che avrei tanto voluto, ma riprendiamo da a parlare da domenica, ok?

Il suono del phon che proviene dal bagno mi desta dal mio bel sonno ristoratore facendomi ritrovare in uno stato di sonnambulismo catatonico grazie al quale non riesco a capire se sono viva o morta. La notte passata a fare follie tra le lenzuola con Nate mi ha demolita: ha voluto farlo più volte in nome del sesso della pace, così l'ha chiamato, ed ora la mia vagina è dolorante e in fiamme. Nella mia mente intono le note della canzone di Alicia Keys modificandone il testo:

This pussy is on fire

This pussy is on fire

She's walking on fire

This pussy is on fire

E nonostante la notte di passione mi ritrovo ancora insoddisfatta. Sospiro amareggiata e stendo le braccia per stirare i muscoli, poi decido di alzarmi dal letto per preparare la colazione, o il pranzo. Ignoro che ore siano.

Quando arrivo in cucina però trovo il tavolo apparecchiato egregiamente, con le migliori stoviglie e posate.

Trovo il forno acceso e dal profumino che si estende nell'aria capisco che al suo interno si stanno cuocendo le lasagne. Sono positivamente sbalordita, ma soprattutto confusa: ho dimenticato la data di qualche evento importante? Che giorno è oggi?

«Hey» sussurra Nate alle mie spalle cogliendomi di sorpresa. Sussulto mentre posa le mani sui miei fianchi e le labbra sul mio collo «Volevo essere io a svegliarti, mi hai preceduto.»

Mi fa voltare verso di lui e questa volta sono meravigliata: Nate è vestito di tutto punto, indossa una camicia bianca perfettamente stirata abbinata ad un paio di pantaloni scuri, sul suo viso è dipinto un sorriso timido. È raro vederlo così in tiro ed è un peccato, perché sta benissimo. Io invece sono nuda come un verme e questo mi fa sentire più timida di quanto dovrebbe.

La mia priorità appena sveglia è stata il caffè, ok?

«Volevo preparare qualcosa di carino per te, così ho pensato ad un pranzetto. Spero tu abbia molta fame, perché la teglia che ho preparato è enorme.» Posa le dita sul mio viso per scostarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e gli sorrido. Non ero assolutamente preparata ad un simile gesto... È la prima volta in cinque anni che litighiamo in questo modo e il fatto che si impegni così tanto per farsi perdonare mi fa capire quanto abbia paura di perdermi, e quanto mi ami. Mi sollevo in punta di piedi per posargli un piccolo bacio sulle labbra.

«Ho molta fame.» ammicco con un occhiolino facendolo sorridere.

«Ottimo, ma è meglio se ti metti qualcosa addosso. Non vorrei rovinarmi il pranzo passando subito al dessert.» Mi sorpassa assestandomi una sculacciata sul sedere, e corro in camera ad indossare qualcosa di carino.

Opto per un abitino nero senza maniche, che si apre in una gonna larga lunga fin sopra il ginocchio.

Quel vestito dura giusto il tempo di un piatto di lasagne e passa il resto della giornata sul pavimento, mentre noi facciamo il tour dell'appartamento da nudi.

 

Il lunedì mattina la suoneria del telefono di Nate ci butta giù dal letto prima ancora che la mia sveglia abbia il tempo di suonare: è il suo capo. Al ristorante sono esplose le tubature dell'acqua in cucina e non appena hanno aperto il locale l'hanno trovato allagato, così c'è bisogno di tutto il personale per ripulire quel casino, così che si possa tornare operativi il prima possibile. Ringrazio il cielo di avere un lavoro che mi tiene lontanissima da situazioni simili, non lo invidio per niente.

Mi è dispiaciuto scoppiare in maniera così brusca la nostra bolla di felicità, ma se non fosse stato questo evento a riportarci alla realtà ci avrei pensato io. Sono troppo elettrizzata: è il giorno che precede la consegna. Sono così piena di energie da non aver neppure bisogno della mia abituale dose mattutina di caffè. In ufficio arrivo addirittura canticchiando.

Tuttavia mi ricordo che è pur sempre lunedì, e il lunedì è pur sempre il peggior giorno della settimana. A maggior ragione se ventiquattro ore dopo dovrai consegnare il lavoro per un cliente importate soffiatoti da un ragazzo conosciuto in un pub, che ti ha quasi sotto il naso, con cui sei poi stata costretta a lavorare, per cui ti sei presa una cotta e con cui stavi quasi finendo per tradire il tuo storico fidanzato, nonché tuo coinquilino. Ecco si, diciamo che la tensione del lunedì si avverte.

Quando spalanco la porta del mio ufficio Duke è comodamente seduto alla mia postazione, sulla mia sedia, e sta disponendo alcuni documenti in piccole pile ordinate. Poi alza lo sguardo nel mio e sorride dandomi il buongiorno; vado in brodo di giuggiole e mi sciolgo alla vista della curva delle sue labbra che addolcisce i suoi lineamenti duri.

«Com'è andato il weekend?» mi chiede e valuto la mia risposta: "Il mio ragazzo mi ha scopata più volte mentre al suo posto immaginavo te" VS "Tutto ok, a te?".

Ok, vince la seconda opzione.

«È andato bene. E a te?» Solo quando mi siedo di fronte a lui noto l'aria cupa nascosta dietro al suo sorriso. Gli occhi cerchiati da occhiaie scure. «Fine settimana di follie?» Aggiungo scherzando, per alleggerire l'atmosfera, sperando egoisticamente che gli ultimi due giorni li abbia passati con la sua gatta Josie, piuttosto che in qualsiasi altro modo. Lui però ridacchia, senza darmi una risposta chiara.

Questa reazione mi confonde "Cosa significa?" Decido di lasciar correre, o almeno ci provo... La verità è che passo il resto della mattinata a cercare di capire cosa vuol risolino volesse dire.

Poco prima dell'ora di pranzo ci interrompiamo e Duke mi bidona per pranzo. Beh, non è che ci fossimo messi d'accordo, ma nell'arco dell'ultima settimana siamo sempre stati insieme, quindi davo per scontato che sarebbe rimasto qui. Mangerà nel suo ufficio, ed io ci rimango male, mentirei se affermassi il contrario.

Gli dico che non c'è problema ed esce silenziosamente dall'ufficio. Sono confusa, di nuovo. Durante il corso della mattina non è stato troppo eloquente, anzi tutt'altro. Direi piuttosto che fosse affranto, o di cattivo umore. Possibile il lunedì segni così tanto il suo umore?

Vorrei sapere cosa succede, come sta... Sospiro e mi lascio sfuggire un risolino di amarezza quando realizzo questo pensiero: "Sospiro un sacco ultimamente".

Ad ogni modo non mi va di pranzare da sola, quindi pesco il telefono per scrivere a Brenda. Questa settimana, tra una cosa e l'altra, ci siamo sentite pochissimo.

Quando sblocco il telefono e leggo il suo nome sul piccolo schermo mi ritrovo a sorridere. "Telepatiche come sempre".

Venti minuti dopo entro in una nuova pizzeria appena aperta. Dal fondo della sala da pranzo vedo la mia amica sbracciarsi per attirare la mia attenzione.

«Hey, pupa! Finalmente ti rivedo!» Esclama dopo essersi lasciata stampare un bacio sulla guancia.

«Sono stata impegnata. Praticamente ho vissuto in ufficio per una settimana!» Sospiro scuotendo la testa mentre apro e sfoglio il menù. Non so perché io lo faccia, considerando che prendo ogni volta la stessa pizza: Margherita, per poter godere a pieno del sapore della salsa e della mozzarella.

«Bloccata in ufficio col tuo focoso collega?» Ammicca in tono curioso da dietro il menù «Penso che prenderò una capricciosa, tu?» Continua poi per sviare il discorso.

Chiudo il mio e lo poso sul tavolo aggrottando le sopracciglia «Si, col mio collega.»

Mi imita per poi incrociare le mani sul tavolo, per poi imprimersi un sorrisetto in faccia, sulle sue labbra laccate di rosa. «Come va col mega-fusto?» Posa il viso sul palmi e si sporge verso di me, dedicandomi tutta la sua attenzione.

«Va come con qualsiasi altro collega.» Mento. Non mi sento pronta a rivelarle che la mia attrazione nei confronti di Duke va ben oltre l'eccitazione sessuale.

«Kyle dice che negli ultimi tempi siete molto affiatati...» Lascia la frase in sospeso per alzare la mano ed attirare l'attenzione di un giovane cameriere, che accorre subito. Probabilmente non aspettava che essere chiamato a servirla.

Ordiniamo il nostro pranzo, dopodiché continuiamo il discorso.

Sono stupita dal fatto che abbia nominato Kyle, dato che si ostina a volermi nascondere la loro relazione. È la volta buona per tirar fuori l'argomento e farle qualche domanda, dato che me l'ha servito su un piatto d'argento.

Eppure non posso essere diretta, data la promessa fatta al mio collega. Quindi...

«Te l'ha detto Kyle?» domando fingendo stupore, fingendo di non sapere «Quando l'hai visto?»

«L'ho incontrato in giro un paio di volte.» Fa spallucce, come se volesse farmi intendere che per lei non è niente di importante. Inizio a sentirmi offesa. Capisco i suoi timori, ma sono la sua migliore amica ed è ovvio che la sosterrei e la ascolterei se ne avesse bisogno.

Io so, e non ho intenzione di lasciar cadere il discorso.

«Ah si? Okai... E come va con la nuova fiamma?»

«Come sai che mi vedo con qualcuno?» Ridacchia, poi scosta i gomiti dal tavolo per lasciare che il cameriere possa posare i bicchieri e le nostre diet coke. Riprendiamo il discorso:

«Beh, l'altra sera mi hai dato buca per uno, no?» Annuisce. «E dato che non mi hai ancora raccontato nessun aneddoto su questo misterioso ragazzo significa che ti piace!» esclamo sorridendo.

In tutta risposta lei scoppia a ridere sonoramente «Non mi piace!»

«Io dico di si.»

«Non sai nemmeno chi sia.»

«Non mi serve altro per capirlo. Ti piace, ammettilo!»

«Ti dico di no, Emily.» ora è seria. «Conosci la mia filosofia.»

«Ma quale filosofia! Hai solo paura...» Ammutolisco all'improvviso, ho parlato senza riflettere. So quanto sia tabù quest'argomento per lei, ma ha ventisei anni ormai e non può continuare a nascondersi dietro a frivole storielle di una notte. È ora di uscire dal guscio, Brenda.

«Come scusa?» Incrocia le braccia al petto alzando un sopracciglio. Perfetto, si è messa sulla difensiva...ma già che siamo in ballo, balliamo.

«È così, hai solo paura. Ti nascondi dietro alla maschera di ragazza che se ne frega, a cui non importa di nulla, ma la verità è che ti importa tanto da essere terrorizzata. Solo che sei troppo codarda per lasciare che qualcuno si prenda cura di te e dare la tua fiducia. Non ci sono solo bastardi al mondo, Kyle è un ragazzo d'oro ed è evidente che gli piaci.» Concludo il mio soliloquio bevendo un bicchiere di cola, per idratare la gola secca, ma quando sgrana gli occhi mi rendo davvero conto di ciò che ho involontariamente rivelato. "Merda, cosa ho fatto?!"

«Kyle? Come sai che si tratta di lui?» Alza la voce sporgendosi verso di me sul tavolo, ma resto in silenzio incapace di darle una risposta degna d'esser chiamata tale.

Non volevo mettere nei guai il povero Kyle. Tutta colpa della mia stupida boccaccia: mi è sfuggito ed ho combinato un casino.

«Te l'ha detto lui, non è così?» sputa con accidia.

«Ha solo chiesto il mio aiuto. Ci tiene a te, non prendertela con lui.»

«Certo!» sbotta Brenda, che ora mi guarda in cagnesco. «Come posso fidarmi se non può fare una cosa semplice come tenere la bocca chiusa!?» è furiosa. «Tempo, gli avevo chiesto tempo!» Sbraita, quando tace inspira ed espira pesantemente. Io resto in silenzio, incapace di proferire parola. «Pensi di poter venire qui e dispensare consigli sulla mia vita sentimentale quando la tua stessa sta andando in pezzi!» Ormai è fuori controllo e parla a voce alta, in tono concitato. Inarrestabile. «Vogliamo parlare di come sbavi per il tuo collega e della tua paura di lasciare Nate?! Hai paura di compiere la scelta sbagliata e ti accontenti di un uomo che non ami più, o che non hai mai amato davvero.»

«Non è così!» Sbotto anche io alla fine e sbatto il palmo della mano sul tavolo. Anche oggi ho spettacolo in pubblico e l'attenzione delle persone è tutta dedicata a noi. Dovrei far pagare dei biglietti, almeno ci guadagno qualcosa.

«Lo vedi!? Non lo ammetti nemmeno a te stessa! Se un'ipocrita!» Urla. Sto per ribattere, ma il povero cameriere è costretto ad intromettersi, interrompendoci, per servire le nostre pizze, ma prima che possa appoggiare il piatto di Brenda lei lo blocca.

«Lo porto via, non ho intenzione di rimanere un solo minuto in più.» Si alza facendo stridere la sedia sul pavimento, recupera la sua borsa appesa sullo schienale e, con la delusione dipinta nello sguardo, mi squadra «Grazie della compagnia.»

Se ne va, lasciandomi li: solo sotto lo sguardo curioso delle persone nella sala. Mi prendo la testa tra le mani imprecando a denti stretti. Prima il mio ragazzo, poi la mia migliore amica, ma cosa mi sta succedendo? Che diavolo di piega ha preso la mia maledetta vita?

Non ho mai litigato con qualcuno in una maniera simile, solo coi miei genitori...

Ho rovinato tutto. Sapevo quanto fosse delicato questo argomento per lei, ma ho voluto fare di testa mia andando a finire dritta con il culo per terra.

Trattengo a stento le lacrime. Cosa succederà ora? Se la prenderà con Kyle perché non ho saputo tenere chiuso il becco? Dovrei dirglielo?

Sono così stupida...

Mi alzo lasciando sul tavolo più soldi di quanti dovrei per pagare la mia pizza, poi giro sui tacchi e me ne vado sotto lo sguardo di tutti.

In ufficio incontro Kyle, tutto sorridente, venirmi incontro. È così felice, e io ho rovinato tutto.

«Tutto bene?» Mi domanda premuroso, con quei suoi grandi occhi castani dolci e spensierati.

Mi si spezza il cuore quando gli dico: «Mi dispiace Kylie, io...» Non so nemmeno come dirglielo, come continuare la frase. Abbasso lo sguardo sui miei piedi, mentre lui aggrotta le sopracciglia.

«Perché, cos'è successo? Eri con Brenda, ha detto qualcosa?» L'ansia che trapela dalla sua voce non fa che aumentare i miei sensi di colpa, ci tiene così tanto a lei. «Non dirmi che gliel'hai detto, Emy. Ti prego... Volevo che si fidasse.»

Riesco a percepire la delusione, sul suo volto è disegnato il ritratto della tristezza.

«Mi è sfuggito. Non volevo...» Kyle non mi risponde. Si passa una mano sul volto rimanendo in silenzio. «Scusami.» Abbasso di nuovo lo sguardo, vedo i suoi pugni stretti. Lo sorpasso evitando il suo sguardo e mi chiudo nel mio ufficio.

Resto sola per il resto della giornata, Duke non si fa rivedere.

 

 

Ora che è martedì, guardandomi indietro, posso affermare che l'inizio di questa settimana ha fatto tragicamente schifo. Tuttavia al momento la giornata non sembra procedere diversamente da ieri: il nervosismo culla le nostre menti. Duke sembra essere teso tanto quanto me.

Quando chiamiamo l'ascensore per raggiungere il piano superiore mancano dieci minuti all'arrivo di Mr.Evans. Batte nervosamente il piede a terra, mentre io non faccio che sospiri profondi.

«Andremo benissimo.» Sentenzio come incoraggiamento. Lui annuisce, ma non aggiunge nulla.

Entriamo a passo deciso nella sala delle conferenze. Accendiamo il portatile, colleghiamo il proiettore, prepariamo il power point, disponiamo bozze e definitivi ordinatamente sul tavolo e, quando Mr.Evans compare accompagnato dai nostri capi: Mr.Blake e Mr.Simmonds, è tutto pronto.

Iniziamo.

La mezz'ora che segue sembra quasi surreale. Parliamo ininterrottamente e non veniamo fermati nemmeno una volta. I tre uomini seduti comodamente di fronte a noi ci ascoltano attentamente e scrutano ogni nostro movimento.

Quando finiamo di esporre il progetto l'ansia è scemata completamente, mi sento sicura di me e lo sguardo che Duke mi lancia conferma i miei pensieri: siamo a cavallo, ragazzi!

Sono soddisfatta del risultato, sia per quanto riguarda il lavoro, sia per quanto riguarda la fiducia e la complicità creatasi tra noi in sole due settimane.

I tre uomini si scambiano un'occhiata prima di invitarci a prendere posto l'uno accanto all'altra davanti a loro.

Mr.Evans è il primo a prendere parola «Beh, giovani. Non posso che dirvi questo: avete fatto un ottimo lavoro. Avete fuso egregiamente le vostre idee che collidono in maniera eccezionale, è proprio ciò che stavo cercando.» Deglutisco sonoramente quando si solleva dallo schienale per sporgersi verso di noi, giungendo le mani l'una all'altra sul grande tavolo. «Il lavoro è vostro. Voglio che mi consegnate tutto il prima possibile, così da mandare il necessario in stampa e cominciare la distribuzione dei volantini e dei manifesti.»

Provo un'esplosione di felicità e reprimo a stento un gridolino di gioia, mi brillano gli occhi mentre quel vecchio balordo pronuncia quelle fatidiche parole. Vorrei poter saltare in piedi sul tavolo e mettermi a ballare, ma tutto quel che posso fare al momento è annuire e ringraziare, e così faccio.

Duke allunga una mano sotto il tavolo di legno per afferrare la mia. La stringe forte ed io ricambio. Non ci voltiamo l'uno verso l'altra, non sorridiamo, ci limitiamo a tenere strette le dita.

Discutiamo per un lungo quarto d'ora, in cui definiamo gli ultimi accordi. Dopodiché stringiamo professionalmente la mano a Mr.Evans ringraziandolo per l'opportunità donataci. Si complimenta con noi un'ultima volta prima di avviarsi, accompagnato dai nostri capi, verso l'uscita. Appena apre la porta però arresta la sua marcia per voltarsi verso di noi.

«Ah, e ovviamente vi aspetto all'evento di beneficenza, giovani. I vostri nomi saranno messi in lista.» Annuiamo entrambi e lo ringraziamo, infine esce dalla porta e dalle nostre vite.

Aspetto qualche istante prima di voltarmi verso Duke ed urlare lasciando scatenare la tensione accumulata in queste ultime settimane. Lui scoppia a ridere mentre io inizio a saltare sul posto passandomi le dita tra i capelli. Sembro una pazza, ma sono veramente euforica!

«Non ci credo! Ce l'abbiamo fatta!»

«Cazzo si!» Esclama lui, felice tanto quanto me. Il suo enorme sorriso potrebbe abbagliare una città, e produrre energia elettrica per un intero continente. Probabilmente esagero, ma è troppo perfetto e non riesco ad essere razionale quando è così. Apre la braccia «Vieni qui! Ti faccio volare, ragazza!» Scoppio a ridere, ma prendo la rincorsa e gli salto addosso.

Lego le mani dietro al suo collo e allaccio le gambe intorno alla sua vita, mi afferra per le cosce per tenermi ben salda mentre inizia a girare su se stesso in senso antiorario. Ridiamo ininterrottamente come due idioti, due ragazzini troppo felici affinché possa fregare loro qualcosa di ciò che qualcuno potrebbe pensare guardandoli. È come se un peso fosse evaporato lasciando sulle mie spalle un piacevole senso di leggerezza, tanto da farmi credere di poter spiccare il volo.

Alla fine Duke si ferma. La gonna mi è risalita lungo le cosce, ma non mi importa come dovrebbe; le sue mani bruciano sulla mia pelle risvegliando i miei ormoni, che mi mandano a fuoco. Ha il fiatone, ma continua a sorridere guardandomi negli occhi. Ha le pupille dilatate fisse sulle mie labbra, mi fanno desiderare di baciarlo. Qui e ora.

Faccio scorrere le dita tra i capelli sulla sua nuca, mentre lui mi posa lentamente a terra facendomi strusciare lungo il suo corpo sodo e tonico.

Resto in punta di piedi, nonostante i tacchi, per poterlo guardare negli occhi, in quelle iridi così azzurre, magnetiche ed intense. Mi ci perdo dentro mentre i nostri visi si avvicinano sempre di più. Le sue mani stringono la mia vita, nel petto il mio cuore batte tanto forte da farmi pensare che potrebbe schizzare fuori. I nostri nasi si sfiorano, gli occhi si socchiudono. È ormai chiaro che siamo attratti l'uno dall'altra. Lo voglio così tanto, ho bisogno di baciarlo... ma la porta della stanza si spalanca e fa capolino lo stesso uomo che ho avuto il piacere di incontrare tempo fa, tra i corridoi della Blake. Io e Duke ci allontaniamo all'istante.

«Hei, amico! Ti dai da fare, eh?» ride con la sua voce grassa e cavernosa che mi fa ribrezzo beccandosi un'occhiataccia da Duke.

«Cosa vuoi, Steve?» Domanda in tono scontroso.

Steve ridacchia «Vorrei che sgomberaste la stanza quando avete finito. Beh, buon divertimento ragazzi.» Poi si dilegua, così come è comparso.

Quando Schreck-Steve se ne va mi dirigo silenziosamente verso la scrivania per raccogliere il materiale. Duke fa lo stesso e prima che io abbia il tempo di iniziare a pensare a ciò che stava per succedere tra noi, mi chiede:

«Esci con me sta sera.» Sollevo lo sguardo per incontrare il suo. Sono confusa, e sorpresa. «Voglio festeggiare.» Puntualizza poi.

Fingo di pensarci, perché in realtà non ce n'è bisogno: la risposta è chiaramente un si. Accetto il suo invito, scacciando l'immagine di Nate dalla mia mente. "È solo per festeggiare." Mi ripeto nella mente per giustificarmi.

Duke annuisce avviandosi verso la porta «Passo a prenderti in ufficio a fine giornata.»

Gli sorrido e lui se ne va, lasciandomi li: sola ed elettrizzata.

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Capitolo 33
*** 33. DUKE ***


Sapete che giorno è oggi?

No, non è il mio compleanno e no, nemmeno il giorno in cui finalmente incontrerò quella gran figa di Kylie Jenner.

Oggi è martedì, il giorno della consegna del maledetto progetto Evans. Sapete cosa significa vero?

Già: significa che oggi è l'ultimo giorno in cui collaborerò con Emily, dopodiché tutto tornerà alla normalità, tutto tornerà ad essere come è sempre stato.

Come mi sento? Uno straccio.

Mi sento anche un coglione.

Ieri mattina Emily ha fatto capolino in ufficio con un sorriso a trentadue denti, bellissima come ogni giorno, ricordandomi che quei riti quotidiani si sarebbero ben presto interrotti.

Cazzo, ormai quando arrivo davanti a quest'edificio punto direttamente all'ottavo piano e poi al suo ufficio.

Sono stato così stupido ad averla bidonata per pranzo. Beh, "bidonare" non sarebbe il verbo corretto, dato che non ci siamo dati appuntamento, solo che eravamo soliti mangiare insieme ed io sono stato tanto stupido da credere che un pranzo in meno insieme a lei non avrebbe fatto la differenza, finendo per sprecare l'ultima occasione, passando il tempo a ripetermi che non me ne importava nulla. Che coglione. Così coglione che non mi sono fatto vedere nemmeno per il resto della giornata, senza dirle nulla. Sono rimasto chiuso nel mio ufficio insieme al mio orgoglio da maschio alfa, sperando che sarebbe stata lei a cercare me, sperando come un ragazzino alla sua prima cotta che è troppo timido per fare la prima mossa.

Oggi invece i suoi sorrisi erano tesi, così come la sua voce e la sua postura. Era agitata, e lo ero anche io. Non lo sono mai stato tanto per qualsiasi altra cosa nella mia vita. Volevo che andasse bene più di tutto.

Durante l'esposizione del progetto dinnanzi ai nostri capi, e Mr. Evans, è stata brillante. Inizialmente rigida, ma mano a mano si è sciolta e con lei anche la tensione che è lentamente scivolata via dalle sue spalle.

L'ho sostenuta, accompagnandola nel discorso ed esponendo la mia parte. L'ho osservata scostarsi i capelli dietro le orecchie quando le ricadevano davanti agli occhi dandole fastidio, torturarsi le unghie mentre le veniva posta una domanda ed iniziare a gesticolare quando giungeva il suo momento di parlare.

Ho osservato come il solco tra le sue sopracciglia scompariva mano a mano che la tensione scemava, fino a quando un sorriso entusiasta le si è formato sul viso.

E poi è arrivata la fine: il momento in cui Mr. Blake, Mr. Evans e Mr. Simmonds sono usciti dalla sala conferenze, il momento in cui siamo rimasti soli.

Fissiamo la porta chiusa per qualche istante, per assicurarci di essere rimasti veramente soli, poi succede: Emily si volta di scatto verso di me e inizia ad urlare saltellando, passandosi le mani tra i capelli. Scoppio a ridere con lei mentre mi chiede se è successo davvero.

«Si, si è successo davvero!» Rispondo altrettanto entusiasta aprendo le braccia «Vieni qui! Ti faccio volare, ragazza!» Per un attimo temo sia troppo, ma sono sollevato quando corre verso di me e salta allacciando le gambe alla mia vita, le braccia dietro il collo. Inizio a girare su me stesso ed Emily strilla di nuovo. Questa sua felicità è contagiosa, rido anche io e mi sento rinato. Il cuore batte furiosamente nel petto, per via dell'emozione, dello sforzo fisico, o per via di ciò che provo per lei.

Quando ci fermiamo la faccio scivolare lungo il mio corpo, libero le sue cosce dalla mia presa facendo scorrere le mani sui suoi fianchi cogliendo l'occasione di percepire le sue forme morbide su di me.

È la sensazione più erotica che abbia mai percepito, e non siamo nemmeno nudi.

Abbiamo entrambi il fiatone, ci guardiamo negli occhi e siamo così vicini da riuscire a cogliere ogni sfumatura delle due iridi verdi. Appoggio la fronte contro la sua mentre regolarizziamo i nostri respiri.

È un momento così perfetto, desidererei non finisse mai: ci siamo solo io, lei e la nostra felicità comune. Sono ad un passo dal dirle quanto mi sia innamorato di lei, quanto la sua presenza sia diventata indispensabile nelle mie giornate, quanto io la ami... ma vengo interrotto per fortuna, o sfortuna non saprei dire. Resta il fatto che quel coglione di Steve fa irruzione nella sala conferenze interrompendo proprio quel magico momento che avrei voluto non finisse mai.

Se fossi una persona irrazionale e con scatti d'ira incontrollati ora lo starei minacciando di morte, ma dato che non lo sono decido di limitarmi ad un'occhiataccia minacciosa.

In realtà quando poi apre bocca mette a dura prova il mio autocontrollo, perché la sua faccia da culo sembra urlare "prendimi a pugni" e la sua bocca supplicare "prendimi a calci".

Quando se ne va, Steve lascia dietro di se nella stanza un alone di imbarazzo consapevole. Emily inizia a raccogliere le nostre cose ordinatamente impilandole lentamente.

Faccio la stessa cosa tormentandomi nella mente e maledicendo quel grassone insulso.

«Esci con me stasera.» Sembra un ordine, ma voleva essere un invito, così specifico «Per festeggiare.»

Osservo la sua espressione dapprima sbigottita valutare la mia proposta prima di sciogliersi in un sorriso

«Ci sto.»

«Bene, passo a prenderti in ufficio a fine giornata.» La informo uscendo dalla sala e lasciandola sola.

Percorro la lunghezza del corridoio a passo svelto, raggiungo le porte dell'ascensore e le blocco prima che si chiudano, per poi buttarmici dentro. Premo il tasto del nono piano con urgenza. Per fortuna è vuoto.

«SI CAZZO!» esulto lasciando che l'euforia del si di Emily si manifesti. Inspiro ed espiro dal naso chiudendo gli occhi e buttando indietro la testa. Sorrido.

Sono più felice di quanto lo sarei normalmente dopo aver invitato fuori qualcuna, ma hei cosa posso farci? La ragazza di cui sono innamorato ha acconsentito ad uscire con me! E mi rendo conto di essere veramente tornato ad essere un dodicenne del cazzo.

Quando raggiungo il mio piano, e poi il mio ufficio mi ci chiudo dentro rimanendoci per il resto della giornata pianificando il programma della serata.

 

 

Come stabilito, alle diciotto e trenta sono davanti al suo ufficio e sto bussando alla sua porta. La apro prima che possa rispondermi e la sorprendo mentre con l'anulare si toglie del rossetto in eccesso sulle labbra. È di un colore rosso bordeaux che si abbina alla sua camicetta ed è stupenda, quando poi osservo come i suoi fianchi stiano bene fasciati dalla gonna nera larga e come le calzi a pennello quella giacca in pelle mi tocca rettificare: è perfetta. È un outfit che la ringiovanisce e le sta benissimo. Starebbe benissimo con qualsiasi cosa, anche senza probabilmente.

Quando si reputa pronta balza in piedi prendendo la sua borsetta.

«Ci siamo?» Le domando e in risposta muove rigorosamente la testa annuendo «Perfetto.» Mi sposto per lasciarla passare, poi chiudo la porta alle nostre spalle sapendo che è l'ultima volta che mi sarà dato farlo.

 

Il viaggio in macchina rappresenta il perfetto inizio della serata: non smettiamo di parlare nemmeno per un secondo. Discutiamo a proposito della musica che va in onda, illustriamo i motivi per cui la pizza con ananas e bacon sia sublime (secondo lei) o disgustosa (secondo me). Le rivelo di avere origini italiane e che, quando da piccolo mi è capitato di andare a trovare alcuni parenti di li, ho provato la vera pizza italiana. Diciamocelo: la pizza non è pizza se ci aggiungi pesce o frutta. Poi mi spiega che in realtà l'ha mangiata una sola volta, da ubriaca, insieme a Brenda e che probabilmente il fatto che l'avesse trovata tanto buona dipende proprio da questo.

«Ah Brenda, ragazza dinamica! Salutamela.» Glielo chiedo perché, si sa: quando vuoi arrivare al cuore di una ragazza devi iniziare conquistando quello delle loro amiche. Tuttavia il tono con cui mi assicura che lo farà non mi sfugge, solo che decido di non indagare oltre.

 

Qualche altro minuto di viaggio in auto e arriviamo. Spengo l'auto in un parcheggio sotterraneo, ovviamente, e raggiungiamo il pub a piedi.

Quando ci ritroviamo all'ingresso del Plan-B Emily ha proprio la reazione che speravo: una forte risata estremamente divertita. Rido con lei mentre apro la porta per permetterle di entrare per prima, proprio come farebbe un gentiluomo. Se potessi dare un titolo a questa serata la chiamerei "Ritorno ai luoghi del primo incontro". Rido tra me e me dandomi del rammollito.

Lei avanza, mi sorpassa e mentre mi lancia un'occhiata di sbieco. Si porta le mani a coppa sul naso. Sollevo un sopracciglio guardandola confuso.

«Non si sa mai, magari decidi di chiudere la porta mentre passo.» Scoppio di nuovo a ridere ricordando la sua espressione di dolore la sera in cui successe. Ero mortificato, ma non si può certo negare che sia stato un episodio assolutamente esilarante. Eppure se non le avessi quasi rotto il naso, probabilmente ora non saremmo qui.

Una volta dentro noto con piacere che il posto non è affollato come la prima volta in cui siamo stati qui, probabilmente perché ci siamo presentati di prima serata e in un giorno settimanale.

Prendiamo posto ad un tavolino appartato, ma non troppo e quando il cameriere viene a prendere gli ordini chiediamo una pizza con ananas e bacon a testa, e due birre.

Le bottiglie sono le prime ad arrivare, così optiamo per un brindisi.

Sollevo la mia, già stappata «A questo maledetto progetto.»

«E alla nostra vittoria!» sorridiamo, facciamo tintinnare il collo di una bottiglia contro quello dell'altra e prendiamo un lungo sorso.

La osservo tracannare quella birra come un bambino farebbe con un biberon, e lo trovo divertente. Mi piace che non si faccia scrupoli e non si contenga, comportandosi come si comporterebbe con la sua migliore amica. Di fatto sbatte la bottiglia sul tavolo con tanto di sospiro soddisfatto. Non la giudico: sono state settimane pesanti, piuttosto le trasmetto il mio sostegno ripetendo le sue stesse azioni, poi scoppia a ridere di me.

Le serata prosegue alla grande, una bottiglia dietro l'altra, e quando la cena arriva ordiniamo la terza birra.

«Beh, proviamo questa pizza allora!» Esclama Emily prendendone una fetta.

Con fare diffidente diamo il primo morso, ma ci ricrediamo subito: è buonissima. Saporita, e il contrasto è stupefacente.

Finisco la fetta in tre bocconi «Dovrei davvero smetterla coi pregiudizi!»

«Beh e io inizierò a fidarmi dei miei istinti da ubriaca!» Ridiamo entrambi continuando a mangiare e parlare. Mi sento felice e spensierato, e mi sento anche un coglione a pensare a queste parole ma hei, è tutto vero.

Se un mese fa mi aveste detto che mi sarei innamorato e avrei fatto di tutto per vederla anche solo per poche ore avrei riso come un pazzo. Voglio dire, guardatemi ora: sono in compagnia di una bellissima ragazza fidanzata e sono felice che mi sia semplicemente permesso. È la giusta definizione di patetico.

Sono passate ore e non so più quante birre a testa ci siamo bevuti. I piatti ci sono stati portati via una volta spazzata la pizza e abbandonate le croste, il locale si è riempito di persone intorno a noi e la musica pompa a volume più alto così che, per sentirsi l'un l'altro, bisogna urlare o avvicinarsi. Nel dubbio Emily mi si è avvicinata e sta urlando.

Abbiamo ordinato una bottiglia di Vodka liscia per giocare al gioco delle domande. Secondo le regole bisogna farsi una domanda a vicenda e se qualcuno si rifiuta di rispondere, questo deve bere uno shot. Non è una penitenza tanto crudele, ma se andiamo avanti di questo passo uno di noi due sverrà e di certo non voglio essere io.

«Quante volte hai letto quella porcheria di cinquanta sfumature di grigio?» Le domando, sapendo di farla arrabbiare. Infatti s'imbroncia sbattendo le mani sul tavolo.

«Non è affatto una porcheria!» Esclama a voce alta, tanto posso sentirla solo io.

«Lo è, rispondi alla domanda.» Continuo a provocarla ridacchiando.

«Tre volte. Dici così perché non ne sai abbastanza.»

La sua risposta mi sorprende. No, non la prima parte, ma la seconda. Non ne so abbastanza? Io? Devo dedurre che lei invece si e che abbia quel tipo di interessi sessuali?

Me la immagino al posto di Anastasia Steele, legata al centro del letto della stanza rossa di Mr.Grey, con delle pinze per capezzoli sui seni, mentre mi supplica di farsi sculacciare.

Mmmm, cazzo! Inspiro, poi cambio posizione perché quel pensiero ha risvegliato in me il desiderio di sollevarla di peso e prenderla su questo tavolo. Beh, non che quel desiderio si sia mai assopito, comunque

«Cosa intendi dire?» Le domando. Devo sapere, ne ho bisogno.

Emily però si limita ad un sorrisetto in risposta «Tocca a me fare le domande.» Si avvicina di più per farsi sentire, poi domanda con voce rotta e maliziosa «Quando è stata l'ultima volta che hai fatto sesso?».

La guardo sorpreso e devo dire che mi piace la sua versione priva di inibizioni. Mi piace sempre. Ma cosa dovrei risponderle, rivelarle la realtà dei fatti? Dovrei poi porle la stessa domanda? Voglio davvero sapere quanto spesso scopano lei e quel coglione del suo ragazzo? Forse dovrei bere uno shot.

«Più di due settimane fa.» Opto per la sincerità e lei sembra stupita, tant'è che la ritrovo a fissarmi a bocca spalancata. Ridacchio allungando le dita sul suo mento, per richiuderla «Pessima espressione da assumere davanti a qualcuno in astinenza.» le faccio l'occhiolino.

Ridacchia «Due settimane non è un periodo abbastanza lungo per rientrare nella categoria dell'astinenza!» Perché parliamo di questo? Non dovrei stupirla vantandomi dei miei amplessi sessuali? Tipo: "Hei pupa, lo sai che posso farti vedere le stelle per due ore intere?"

«Per me lo è! Ho bisogno di una percentuale predefinita di orgasmi alla settimana.»

Fa un risolino amareggiato «E io cosa dovrei dire, allora?...» La sua voce è sovrastata dalla musica, sembra quasi che stesse parlando a se stessa, ma non mi sfuggire quella frase. "Come, come?"

«Cosa intendi?» Devo assolutamente sapere ed accertarmi di ciò che ho sentito e devo approfittarne ora che è così eloquente.

Lei alza lo sguardo nel mio e vedo i suoi occhi arrossati e lucidi brillare nella penombra del locale. Mi sorride, poi prende uno shot e lo butta giù d'un fiato.

"Ah, è così quindi?" Sorrido anche io.

«Tocca a me ora!» Placo il suo entusiasmo negando con la testa.

«La mia non era una domanda, stavamo facendo conversazione.» le spiego e lei assottiglia lo sguardo cercando di essere minacciosa. Glielo dico che sta fallendo su tutta la linea e sembra solo buffa? Decido di no e continuo il mio discorso per cercare di ribaltare la frittata «Quindi tocca a me: cosa intendi con quello che hai detto?» Sorrido a trentadue denti, ma mentre solleva la bottiglia per riempire il suo bicchierino intervengo per dissuaderla. Eh no, devi rispondermi, piccola. «Sai bene che continuerò a chiedertelo e a meno che tu non voglia andare in coma etilico ti conviene rispondere.»

Allungo una mano sul suo fianco e, cogliendola di sorpresa, lo strizzo. Sobbalza e lancia uno strillo e ride di gusto mentre continuo col mio assalto. Quando si arrende chiedendo pietà è avvolta dalla morsa delle mie braccia, ma non fa nulla per spostarsi da li.

«Intendevo proprio quello che hai capito!»

«Ma io non ho capito.» Faccio il finto tonto, tentando di reprimere un sorriso estremamente divertito.

Lei sbuffa «Io non sono mai venuta.»

Scoppio in una sonora risata e in tutta risposta lei inizia mi tira una gomitata. Grazie a dio è ubriaca, oppure non mi avrebbe mai rivelato una simile e tanto preziosa informazione: quello sfigato del suo ragazzo lo sa? Che sia all'oscuro di tutte e lei non le dica nulla per non ferire i suoi sentimenti? L'idea mi fa ancora più ridere.

Incrocia le braccia al petto sollevando il suo décolleté fingendosi offesa e mettendo a dura prova la mia erezione.

Beh, che volete? È sexy da morire ed io non scopo da troppo tempo, non rompetemi i coglioni.

Ad ogni modo, quando mi calmo riprendo il discorso «Mi stai dicendo che nessuno ti ha mai fatto venire?» La prendo per la vita attirandola a me. Il pensiero che nessuno le abbia mai fatto avere un orgasmo mi riempie il cuore di gioia e mi eccita a dismisura, voglio essere io a far gridare il mio nome a questa stupenda ragazza, a farla contorcere per il piacere. La voglio più di quanto la volessi prima, se possibile.

Prima di rispondere lancia un'occhiata allo shot, probabilmente valutando l'idea di non rispondere, ma stiamo ancora giocando? Io no di certo e spero nemmeno lei.

Si morde il labbro alzando gli occhi nei miei. Il cuore inizia a battere più forte, tutto vortica intorno a me, l'alchool pulsa nelle vene e l'erezione preme e freme più che mai per esser soddisfatta, ma la mia attenzione rimane focalizzata su di lei e sui suoi occhi scuri, penetranti.

Nel suo sguardo colgo qualcosa, una scintilla di eccitazione. Sono completamente rapito da quei suoi occhi. Il martellio nel petto non mi da tregua mentre aspetto una sua risposta.

Libera il labbro inferiore dalla morsa dei suoi denti e risponde «Nessuno.» E per me è troppo.

Prima ancora che mi accorga di cosa io sia facendo attiro il suo corpo più vicino al mio, le mie mani affondano tra la folta chioma dei suoi capelli e le sue nella mia. I nostri corpi collidono scaturendo in me un'ondata di brividi che colpiscono le terminazioni nervose, come una scossa di adrenalina e quando finalmente la bacio mi sento come se finalmente avessi cominciato a respirare a pieni polmoni.

Le sue labbra sono proprio come le immaginavo: morbide, voraci, passionali, dolci. Mi divorano con impazienza e bisogno, come se anche lei non avesse aspettato altro che questo. Cazzo.

Afferro la sua coscia per avvicinarla a me più di quanto non sia. Ho bisogno di sentirla più vicina, di toccarla ovunque. Faccio scorrere le mie mani sui suoi fianchi fino alla schiena, sussurra il mio nome mentre le succhio il labbro inferiore. Inspiro forte, sono suo succube: ho bisogno di lei. Voglio tutto, voglio di più.

Mi strattona i capelli e mi sfugge un rantolo di apprezzamento mentre si avventa di nuovo sulla mia bocca. Monta a cavalcioni su di me ed io le poso le mani sui fianchi, premendola su di me. Ribalto gli occhi, travolto dalle sensazioni. Se fossi un fottuto dodicenne mi sarei già sborrato nelle mutande.

Mi prende un labbro tra i denti e lo tira, prima di iniziare a mordermi la mandibola. Mormora il mio nome provocandomi mille brividi.

Pazzo, pazzo, sto diventando pazzo. I miei pensieri vanno a ritmo con la canzone degli Aerosmith che risuona nel locale.

Sbarro gli occhi riprendendo improvvisamente coscienza di ciò che ci circonda, di dove ci troviamo.

Cazzo, stiamo praticamente scopando seduti sulla panca di un tavolo in un pub.

Emily mi morde il lobo tirandolo piano, sussurra il mio nome e divento pazzo.

I go crazy, crazy, baby, I go crazy

You turn it on

Then you're gone

Yeah you drive me

Crazy, crazy, crazy, for you baby

Mi avvicino al suo collo, faccio scorrere il naso lungo la sua mascella fino a raggiungere il suo orecchio. «Andiamocene da qui, Emily.» Sussurro, ma so che nonostante il rumore che ci circonda riuscirà a sentirmi. È così per me: sento solo lei.

Rabbrividisce, percepisco la pelle d'oca sulle sue braccia mentre l'accarezzo. Si tira indietro e per un attimo ho paura che voglia darsela a gambe, che si penta di avermi baciato.

Merda, è fidanzata.

Merda, se ne andrà. Merda. Merda. Merda.

La paranoia prende il sopravvento nella mia mente. Il primo istinto è quello di stringerla così forte tra le mie braccia per impedirle di andarsene, ma proprio mentre il mio mondo comincia ad andare in pezzi lei lo rimette insieme posando la sua bocca sulla mia, succhiandomi il labbro inferiore.

«Portami via da qui.» La sua voce è un gemito roco, mi eccita tanto che potrei toccare il cielo con la mia erezione. Non scherzo ragazzi, dovreste vedere che mazza ho tra le gambe.

Smonta da me, raccoglie la sua roba e mi tende la mano mordendosi il labbro. «Non farmi aspettare.» brontola con quel suo sorrisino divertito.

E chi cazzo se lo fa ripetere due volte? Tiro il portafogli fuori dalla tasca, cercando di ignorare il calore umido che Emily ha lasciato sul cavallo dei miei pantaloni. Sbatto la prima banconota che trovo sul tavolo, afferro la mano di quella stupenda ragazza che è davanti a me e la trascino via da li.

 

Per fortuna il locale è a meno di un isolato da casa mia, così per raggiungerla non ho bisogno né di un taxi, né della mia Giulia, che non sarei mai stato in grado di guidare, dato lo stato in cui sono ridotto. E non mi riferisco allo stato di ebbrezza, ma a quello di arrapamento: non sarei in grado di togliere le mani dal corpo di Emily.

Tuttavia il tragitto è stato tutt'altro che privo di intemperie: ad ogni metro mi sbatteva contro il muro di un vicolo, o contro la saracinesca di qualche outlet. Premeva le sue labbra sulle mie, passava le sue mani ovunque sul mio corpo, mi faceva impazzire, portandomi più volte sull'orlo della pazzia. Ancora una volta mi sono ritrovato a ringraziare Dio di non essere più un dodicenne.

Eppure ammetto di averci messo del mio. Non riuscivo a toglierle le mani di dosso. Mi godevo la sensazione di calore che le piccole porzioni di pelle scoperta mi davano. L'afferravo per le cosce premendola contro le mattonelle di edifici qualsiasi, ricorrendo al mio autocontrollo per non scoparla li, su quei muri.

 

Quando arriviamo al mio appartamento apro la porta e la sbatto alle nostre spalle premendoci contro Emily.

Prendo possesso della sua bocca lasciando che la sua lingua mi accarezzi selvaggiamente esplorandomi. Cazzo quanto è perfetto. Mi gira la testa quando succhia il mio labbro afferrando il cavallo dei miei pantaloni.

Sibilo il suo nome tra i denti inspirando il suo dolce profumo a pieni polmoni. La nostra eccitazione impregna le pareti che ci circondando e mi rende schiavo.

Le bacio il mento scendendo lungo il collo. Geme rumorosamente il mio nome, mi supplica di smettere e di continuare, totalmente avvolta e sconvolta dalla passione.

Prendo il seno in una mano ed il culo nell'altra. Voglio toccarla ovunque contemporaneamente ed il bisogno di sentire la sua pelle mi uccide.

Si sfila la giacca in pelle scaraventandola a terra ed inizio a sbottonarle la camicia.

«Strappala.» sospira impaziente sul mio collo.

Cazzo. Ho già detto che sono sull'orlo della pazzia? Faccio come mi è stato ordinato e con un solo strattone i bottoncini della camicetta saltano, rivelando i suoi meravigliosi seni sotto ai miei occhi. Mi inginocchio ai suoi piedi abbassando le coppe del suo reggiseno. Prendo il bocca il suo capezzolo, lo succhio avidamente mentre stimolo l'altro con le dita.

«Oh dio, oddio!» La voce rotta dai gemiti, le mani tra i miei capelli mi strattonano. La lecco ovunque scendendo lungo la pancia, fino al suo ombelico. La sento tremare sotto il mio tocco e sobbalzare quando infilo le mani sotto la gonna, arpionando il suo culo sodo per sollevarla. Aggancia le gambe intorno alla mia vita e ho un dejà vu, l'unica differenza è che ora è bagnata fradicia per me, e posso sentirlo attraverso la stoffa dei miei pantaloni.

«Ti porto di la, piccola.» passo la lingua sulle sue clavicole facendola inspirare. Annuisce e, mentre percorro il piccolo corridoio, il trillo del campanellino di Josie ci sorprende. Ci voltiamo a guardare verso il basso e i suoi occhioni ci scrutano.

«Mi spiace Josie, ma ho un'altra donna di cui occuparmi. Dovrai aspettare.» scherzo, facendo ridere Emily. Entriamo in camera sento i miagolii di protesta della mia gatta.

Faccio scivolare sul letto il corpo perfetto di Emily ed indietreggio per ammirarla. Sorride con il labbro inferiore tra i denti e posso sentire il mio pene congratularsi con me. Già, vorrei potermi stringere la mano e complimentarmi con me stesso, ma Emily ha altri programmi.

Si solleva sulle ginocchia e si slaccia il reggiseno, sfilandoselo lentamente. Lo lancia per terra facendo rimbalzare le sue tette perfette e dandomi una meravigliosa anteprima di come saranno quando sarò io a farle muovere così mentre la scoperò. Mi slaccio la camicia ed una volta tolta mi fa segno di avvicinarmi col dito indice.

Mi bacia sulle labbra, poi sul mento, scende lungo il petto, lasciando scie umide fino a raggiungere la mia cintura. Seguo i suoi movimenti lasciandola fare, amo il fatto che voglia prendere in mano la situazione.

Mi guarda dal basso con quei suoi grandi occhioni verdi.

«Carini questi, ma che ne dici di toglierli?» Domanda, ma senza aspettare risposta inizia a slacciare il bottone dei miei jeans per poi tirarli giù insieme ai boxer.

La sua espressione alla vista del mio cazzo ingigantisce il mio ego. Non per essere modesto, ma sono consapevole di avere un gran bel cazzo e vedere la faccia delle donne quando lo vedono è appagante. A maggior ragione se a fare questa faccia è Emily. Mi chiedo quanto sia piccolo quello di Nate.

La vedo sorridere prima di passarsi la lingua sulle labbra.

Sorrido anche io e «Ohcccaaaaazzo.» gemo, inspiro, espiro e boccheggio in cerca di fiato. Impazzisco quando mi prende alla sprovvista leccandomi in tutta la mia lunghezza. Fin da subito mi prende in bocca più in fondo che può, tocco il fondo della sua gola con la punta e sono costretto a tirarla per i capelli per non venire subito.

«Cattiva ragazza.» Le dico in un ringhio spingendola sul letto. Lei ridacchia rimbalzando sul materasso, ma rimanendo sdraiata mentre mi libero dei miei pantaloni e le sfilo la gonna facendola scorrere sulle sue gambe lisce. Non vedo l'ora di aprile ed assaporare il gusto che nascondono tra loro.

Per un attimo sono tentato di lasciarle le scarpe col tacco, ma decido di rimandare le fantasie erotiche ad un'altra occasione, quindi le tolgo anche quelle.

Quando alzo lo sguardo sul suo corpo ha una mano tra le sue gambe e si sta masturbando, mentre con l'altra si stringe il seno.

«Cazzo, Emily» Sento una morsa al cazzo, la vista di quell'immagine mi fatto vacillare. Passo le mani tra i capelli mentre il mio cazzo minaccia di esplodere. «Cazzo, devo scoparti subito.»

Emette un mugolio di apprezzamento «Scopami allora, Duke.» Mi implora con quella sua voce arrochita dall'eccitazione e come già avevamo stabilito: sono un ragazzo che non si fa ripetere le cose due volte. Le sfilo quello che scopro essere un meraviglioso perizoma in pizzo nero e me lo porto alle narici, inspirando il profumo della sua eccitazione. Tremo di anticipazione. È inebriante.

La sento chiamare il mio nome e prima che possa finire di pronunciarlo infilo due dita dentro di lei. Boccheggia , inspira a fondo, geme forte. Godo della sua reazione osservando le sue palpebre chiudersi assorbendo la sensazione. Mi muovo dentro di lei: è calda e bagnata, pronta per me. Sfilo l'indice e il medio per portarli alle labbra, li succhio forte inchiodando il mio sguardo a quello di Emily. Si sta sciogliendo come burro e provo un'estasi incontenibile nel guardarla stesa nuda sul mio letto, bagnata e pronta a farsi scopare da me.

Apre le cosce per me e le afferro per avvicinarla al mio sesso.

Nel suo sguardo c'è supplica. Mi desidera, mi vuole.

Afferro lasta del mio cazzo e l'avvicino alla sua fessura. È così bagnata da permettermi di accarezzarla con la punta, scivolo dal basso all'alto stimolandola, ma quel contatto mi fa vacillare. La sento così: è così calda

«Non vedo l'ora di assaggiarti, e dopo lo farò. Ma prima ti scopo.» Non è una domanda, ma annuisce vigorosamente «Ti prego» mi supplica.

Allungo la mano verso il cassetto del comodino per estrarre la scatola di preservativi, ma lei mi blocca.

«Prendo la pillola.» Potevo chiedere di meglio?

Getto la scatola sul pavimento e ghigno «Perfetto.»

Prima che abbia tempo di ribattere assalgo la sua bocca e spalanco le sue gambe. Affondo dentro di lei con un unico colpo di reni che la fa urlare di piacere. Il calore bruciante mi avvolge costringendomi a chiudere gli occhi per l'intensità della sensazione. Resto in quella posizione per qualche secondo per godere di quel piacere soddisfacente.

«Cristo, sei fantastica Emily.» mi ritraggo, per poi affondare di nuovo in lei, e poi ancora e ancora.

I suoi forti gemiti riempiono la stanza e i miei le fanno eco. Il contatto con la sua pelle mi fa bruciare e tremare, avvolgendomi di milioni di sensazioni così intense e travolgenti da non poterle cogliere una alla volta. Sono suo succube mentre mi muovo dentro di lei, mentre sussurra il mio nome ed io il suo, mentre mi strattona i capelli, mi graffia la schiena con le unghie e mi morde le spalle ringhiando il mio nome.

Sono avvolto dalla passione.

Inchioda il suo sguardo al mio mentre la scopo, le sopracciglia inarcate, le labbra schiuse si lasciano sfuggire mugolii profondi.

La osservo dall'alto della mia posizione: i capelli scompigliati sul materasso incorniciano il suo viso arrossato, la labbra piene vittime della morsa dei suoi denti, i suoi occhi semichiusi sono piacere fuso. Le sue tette rimbalzano a ritmo coi colpi delle mie anche, i suoi gemiti sono musica per le mie orecchie.

«Ti piace se ti scopo così, Emily?» Ruggisco muovendomi più velocemente. Annuisce dimenando i fianchi in sincronia ai miei «Rispondi!» ordino spingendomi più a fondo. Ho bisogno di sentire la sua voce, ho bisogno di lei.

«Si!»

Mi abbasso su di lei accostando le labbra al suo orecchio «Voglio sentirti urlare il mio nome quando verrai. Voglio che vieni per me!» Sono sicuro che verrà. Lo capisco dal suo corpo, dal suo respiro, dallo sguardo intenso dei suoi occhi.

Si afferra il labbro tra i denti mentre avvolge le gambe intorno a me saldamente.

«Più forte, Duke!» Urla tenendo ogni muscolo del suo corpo.

La sento contrarsi intorno al mio cazzo, irrigidendosi. È vicina, le manca poco. Afferro la sua gamba destra e me la poso sulla spalla per aver migliore accesso. Mi spingo più in profondità e lei sgrana gli occhi urlando.

«Oh cazzo!» Geme il mio nome scuotendo la testa. Con le unghie mi graffia le braccia.

Non mi fermo. Continuo il mio assalto martellando incessante, mentre con le dita inizio a sfregare sul suo clitoride. Inarca di scatto la schiena, il movimento è intenso, mi fa vacillare, ma no mi fermo.

Chiamo il suo nome, passo le labbra sulla sua pelle accaldata e umida, la mordo e in pochi istanti la sento tremare e contorcersi intorno al mio cazzo.

Grida il mio nome e mentre riverso il mio orgasmo dentro di lei, le mordo il collo ringhiando il suo nome. Pulsa intorno a me, mentre i suoi muscoli si sciolgono sotto il mio tocco esperto. Continuo a muovermi lentamente fino a quando il suo orgasmo non si esaurisce.

Mi abbandono accanto a lei mentre il suo respiro pian piano si regolarizza, la tengo tra le mie braccia facendole appoggiare il viso sul mio petto.

«Il mio primo quadrifoglio.» mormora, la sento sorridere e questo fa sorridere anche me.

«Che fai, vaneggi?» Le domando divertito.

Lei si volta verso di me con un sorriso soddisfatto sul viso, quando apre gli occhi vengo colpito dall'intensità di quel suo verde giada. Non mi abituerò mai. La sua voce è un lieve sussurro, e non sento quel che dice, perché il battito assordante del mio cuore invade la mia mente: Ti amo, urla ed io so di per certo di essere fottutamente perso per questa donna.

 

 

Durante il corso della nottata assaggio la sua pelle e sento il suo calore mille altre volte. Ci avvinghiamo l'uno all'altra aggrappandoci al disperato bisogno di soddisfare le nostre emozioni.

Ci addormentiamo stretti, pelle contro pelle, respiro contro respiro.

È tutto come dev'essere, è tutto così giusto.




 

ECCO IL TRENTATREESIMO CAPITOLO!
FINALMENTE L'HAPPY ENDING PER I NOSTRI CARI AMICI, ma non è finita qui!
Non vedevo l'ora di scrivere questa parte e spero che renda e soprattutto vi piaccia! 
Fatemelo sapere, voglio sentire i vostri commenti!
Un bacione, alla prossima
KamiKumi

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Capitolo 34
*** 34. EMILY ***


È tutto sbagliato. Estremamente sbagliato.

È il primo pensiero che il mio cervello elabora non appena si riattiva. Non ho il coraggio di aprire gli occhi, li tengo chiusi, mentre sento il tocco di Duke accarezzarmi le spalle. Continuo a fingere di dormire tra le sue braccia; il suo respiro mi accarezza la pelle e la consapevolezza di ciò che è successo questa notte mi colpisce come uno schiaffo in faccia.

Sono andata a letto con Duke. Sono andata a letto con Duke ed è stato tanto fantastico quanto intenso. Eppure non doveva succedere.

Dovrei fidarmi di più del mio istinto quando sono ubriaca, eh? Al diavolo la me alcolizzata, se potessi tornare indietro la prenderei a schiaffi.

Oh, ma chi vogliamo prendere in giro. È chiaro a tutti quanto lo volessi, lo desideravo con tutta me stessa, ma non cambia il fatto che sia stato un errore: ho tradito Nate.

Cazzo, l'ho tradito. Come potrò guardarlo in faccia dopo questa notte, dopo l'intensità di ciò che ho provato? Dovrei dirglielo..?

Mi sento in colpa, mi sento sporca ad aver esaudito un desiderio impossibile da reprimere.

Ma era davvero impossibile? Mi sarebbe bastato evitare di rimanere sola con Duke Cazzo, ho combinato un casino. Devo andare via, ho bisogno di rimanere sola e pensare alla situazione in cui mi sono infilata. Devo andarmene da qui, eppure il tocco leggero delle dita dell'uomo perfetto che mi sta accanto mi fa stare così bene. Annulla i pensieri colpevoli che mi affollano la mente, mi purificano facendomi sentire in pace. Il suo profumo inebria le mie narici quando si avvicina a me; le sue labbra mi scaldano quando lasciano un bacio sulla mia guancia. Un bacio leggero, sfuggevole eppure dolce e carico di bisogno.

Da dietro le mie palpebre immagino la sua figura stesa al mio fianco sul materasso. Lo immagino nudo, coperto solo da un lenzuolo proprio come lo sono io. Immagino i suoi occhi blu brillare alla luce del sole che penetra dalle finestre ed immagino il suo sorriso, rivolto a me, illuminarmi col suo splendore.

È una visione così romantica, che illusa e che stupida! Per lui non sarò stata altro che una delle conquiste di una notte.

Merda, ho tradito Nate andando a letto con l'uomo con la più lunga lista di donne passate per questo letto. Complimenti Emily, davvero un ottimo lavoro.

Un fruscìo di lenzuola cattura la mia attenzione interrompendo il rimprovero interiore tenuto dalla mia coscienza sporca. Sento Duke inspirare e tirarsi i muscoli. È vicinissimo a me e vorrei allungare le braccia per toccare la sua pelle calda un'altra volta. Le immagini di questa notte scorrono nella mia mente come la pellicola di un film al cinema, e accendono me qualcosa. No, non è solo l'eccitazione, è qualcos'altro. Qualcosa che va aldilà del desiderio che provo per lui. È più intenso, come se mi fossi unita a lui in maniera più profonda oltre a quella fisica. È come se mettendomi a nudo, togliendo i miei vestiti, io mi sia spogliata anche dei veli che mascheravano ciò che non volevo ammettere di provare per lui. Una cotta? Chi vogliamo prendere in giro: io mi sono innamorata di Duke nella maniera in cui Tessa si è innamorata di Hardin ed Anastasia di Christian.

Sento le lacrime salirmi agli occhi ed ho paura che lui possa accorgersi che in realtà sono sveglia e che stia fingendo per pura e semplice codardia.

Dev'essere la mia giornata fortunata, perché Duke si alza dal letto con un sospiro. La sua figura fa ombra sulla mia e so che è in piedi davanti a me, mi sta guardando dormire.

Il mio cuore batte all'impazzata e scalpita come un toro imbizzarrito. Devo andarmene da qui, devo andarmene.

«Bellissima.» dice in un sospiro e la mia volontà vacilla. Vorrei aprire gli occhi ed incontrare i suoi, perdermi nella loro profondità e baciarlo come ho fatto mille volte questa notte, eppure mi sembra che non mi siano bastate.

Resisto alla tentazione e continuo a fingere di dormire finché non sento la porta del bagno chiudersi e l'acqua della doccia scorrere.

A quel punto mi metto seduta di scatto guardandomi subito intorno. Ricaccio indietro le lacrime, perché non ho proprio tempo per piangere: devo essere rapida e cercare i miei vestiti.

Scendo dal letto mi sentendomi improvvisamente a disagio nella mia nudità. Individuo la mia gonna e il mio reggiseno, che non perdo tempo ad indossare, ma delle mie mutandine non cè traccia.

Il mio cuore batte impazzito sotto la pressione dell'ansia, devo essere veloce e se proprio non riesco a trovarle vorrà dire che ne farò a meno.

Afferro le scarpe reggendole per i tacchi e rimettendomi in piedi mi cade l'occhio sulla sveglia: segna le dieci in punto. Cazzo! È più tardi di quanto avrei immaginato.

Fortunatamente il capo ha avuto la grazia di lasciarmi la giornata libera, quindi non sono in ritardo per il lavoro, ma cosa dico a Nate? Certo, gli avevo scritto un sms in cui lo avvisavo, con una bugia, che sarei andata a festeggiare con Mr. Simmonds ed alcuni colleghi, aggiungendo che probabilmente avrei fatto tardi, ma non che non sarei affatto tornata a casa! Cazzo!

Mi passo le mani tra i capelli e faccio un respiro profondo. Ok, devo darmi una mossa. Lego in una crocchia il groviglio di nodi che dovrei chiamare capelli. Mi passo le mani sul viso per riprendermi, sperando di non aver sbavato il mascara peggiorando le condizioni della mia immagine, poi apro la porta con cautela, stando attenta a non fare rumore. Sospiro di sollievo quando continuo a sentire l'acqua scorrere dal bagno.

Mi avvio nel corridoio camminando in punta di piedi ritrovandomi in salotto in pochi passi. Mi guardo intorno cercando la mia camicetta, quando sento in lontananza le ante della doccia scorrere aprendosi. Trattengo il fiato voltandomi di scatto verso la direzione da cui ho sentito arrivare il rumore. Avete presente quegli animali che, quando sono terrorizzati, si immobilizzano accasciandosi a terra fingendosi morti? Si chiama istinto di sopravvivenza, serve a scampare il pericolo e non farsi catturare dai predatori. Se servisse a qualcosa vorrei poterlo fare anche io. O forse sarebbe meglio farsi catturare e poi divorare, così non dovrei affrontare nessuna delle conseguenze a cui porteranno le mie azioni.

Ma non sono così fortunata da essere un opossum, quindi riprendo la mia ricerca in fretta e furia, tra un'imprecazione e l'altra. Mi inginocchio, mettendomi a carponi sul pavimento e passo in rassegna ogni mobile del salotto. Le scarpe tra le mani mi sono d'intralcio, quindi decido di reindossarle dopo essermi accertata che sotto il tavolino non ci fosse proprio nulla.

Quando mi rimetto in piedi però vengo colta di sorpresa dalla presenza di una figura appoggiata allo stipite della porta: Duke è sulla soglia completamente nudo, a parte un asciugamano avvolto in vita. Ha i capelli bagnati e delle gocce piovono sul suo petto facendolo brillare, rendendolo invitante. Poso lo sguardo sul suo viso: le sue labbra sono serrate, severe. Rimpiango il momento in cui sussurravano il mio nome con passione e desiderio. La sua mascella è contratta in un sorriso che non coinvolge gli occhi, ma una volta posato lo sguardo si questi ultimi vengo catturata, tuttavia non mi guardano come questa notte, quando faceva scorrere la sua bocca ovunque sul mio corpo, bensì sono freddi, distaccati e scostanti.

Ci fissiamo per un periodo di tempo indefinito: potrebbero essere minuti, potrebbero essere ore.

«Cerchi qualcosa?» il suo tono è freddo. Per un attimo mi manca il coraggio di rispondere. Scosto lo sguardo dal suo, mentre cerco di coprirmi il petto il più possibile. So che non ha senso: questa notte ha visto bene cosa c'è sotto questo reggiseno.

«Cercavo la mia camicetta.» Rispondo con più insicurezza di quanta ne avrei voluta lasciar trasparire.

Lo sento inspirare «Tieni.» Alzo gli occhi dal pavimento giusto in tempo e prendo al volo il pezzo di stoffa che mi ha lanciato. Lo indosso velocemente e, quando cerco di allacciare i bottoni, ricordo del momento in cui gli ho chiesto di strapparli. Bene. La tengo chiusa con le mani, poi raccolgo il mio coraggio:

«Ora dovrei proprio andare, si è fatto tardi.» Inizio «È stata una bella serata-» Mi interrompe prima che possa finire la frase.

«Ci siamo divertiti.» Continua al posto mio «Non devi dire nulla. È stata una bella scopata. Puoi andare, ci si vede.» Mi liquida in tre frasi e il tono con cui le pronuncia mi provoca una fitta nel petto. Cosa mi aspettavo? Lo sapevo com'è fatto. Eppure non posso evitare che mi si mozzi il fiato. Sono stata davvero una delle tante

Non importa, non mi importa. Me lo ripeto nella mente, perché l'unica cosa che devo fare ora è andare via da qui. Tornare a casa, dove è giusto che io stia.

Raddrizzo la schiena e mi sforzo di sorridere È stata una bella scopata, nulla di più. «Allora io vado, ci si vede.» E lui non risponde più.

Cammino velocemente fino all'ingresso, poi mi chino a raccogliere la giacca e la borsa che, nella foga, sono rimaste a terra da ieri sera.

Esco di casa a passo svelto, quasi correndo giù per le scale, fino a che non mi ritrovo in strada. Mi immobilizzo sul marciapiedi ritrovandomi travolta ancora una volta dal traffico mattutino di Manhattan, che continua a scorrere incessante intorno a me. Eppure non riesco a sentirmi parte di questa routine; gli eventi di questa mattina hanno stravolto la mia esistenza ed ora mi ritrovo ad essere come un pesce fuori d'acqua: totalmente spaesata. Qualcuno mi viene addosso, qualcun altro impreca intimandomi a levarmi di mezzo. Sono un'intrusa in mezzo a tutta questa gente frenetica.

All'ennesima spallata mi riscuoto dal mio stato di trance, mi avvicino al bordo del marciapiede per cercare di attirare l'attenzione di un qualsiasi taxista, ma dev'essere il mio giorno sfortunato, dal momento che nessuno si degna di considerarmi accostando per farmi salire. Comincio così a camminare verso casa: gambe in spalla e il cuore in pezzi.

In quarantacinque minuti sono sotto il mio condominio. Non ci ho impiegato nemmeno troppo tempo, se si tiene conto del fatto che ero senza mezzi di trasporto, con dei tacchi categoricamente inadatti a lunghe camminate e senza mutandine sotto la gonna

Sono anche in lacrime da quarantacinque minuti. Più volte lungo il percorso sono esplosa in un pianto incessante, travolgente, che attirava l'attenzione dei curiosi. Eppure non riuscivo a fermarmi, impossibile impedire ai sensi di colpa, misti ai ricordi, di tormentare i miei pensieri attraverso chiare immagini dell'adulterio commesso questa notte.

Apro il portone condominiale e, salendo le scale con le lacrime agli occhi che continuano a scorrere incessanti, non riesco a smettere di domandarmi come la situazione sia potuta degenerare in questo modo.

Darmi un contegno sembra essere impossibile. Tiro su col naso quando arrivo davanti al mio appartamento, poi mi blocco.

E se Nate fosse in casa e mi stesse aspettando? Cosa dovrei dirgli?

Poso l'orecchio sulla porta per sentire se dall'interno provengono suoni o rumori. Mi vergogno come una ladra quando mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo non appena mi rendo conto che all'interno domina solo il silenzio.

Sblocco la serratura il più silenziosamente possibile, trattenendo il fiato, e una volta dentro chiamo a voce alta e tremante il nome di Nate, per assicurarmi che non ci sia. Sono una codarda.

Crollo di nuovo, mi inginocchio a terra lasciando che la disperazione prenda il sopravvento. Mi passo le mani tra i capelli, le dita sul visto sbavando il mascara.

Nell'appartamento silenzioso risuona solo il rumore dei miei singhiozzi strozzati.

Mi rimetto in piedi costringendomi a raggiungere il letto Ho bisogno di dormire e lasciare che questa mattinata passi in fretta. Mi dirigo subito verso la stanza degli ospiti, perché pensare di sdraiarmi sullo stesso materasso che divido con Nate mi ricorda ciò che ho fatto e il mostro che sono.

Apro la porta con la vista annebbiata e mi lascio cadere sul letto. Chiudo gli occhi raggomitolandomi su me stessa, cercando di non pensare a quella volta in cui ho fatto la lotta con Duke in questa stanza.

Cerco di non pensare a Duke.

Cerco di non pensare.

Quando mi addormento sogno baci passionali e severi occhi azzurro ghiaccio.

 

 

Apro gli occhi stancamente, sentendo le palpebre stanche, con le ciglia appiccicate. Un forte mal di testa mi attanaglia le tempie, facendomi gemere per il fastidio. Richiudo gli occhi ed inspiro prima di riaprirli.

Noto solo ora che sono nel mio letto, e non in quello in cui mi sono addormentata.

Giro su me stessa voltandomi verso il centro. Il mio cuore percepisce Nate prima che i miei occhi lo vedano e sento una fitta nel petto. Di nuovo la consapevolezza si fa strada nella mia coscienza.

Mi sento sporca mentre lo osservo dormire accanto a me. Una smorfia di disperazione si fa largo sul mio viso e mi alzo dal letto prima di scoppiare a piangere un'altra volta.

Uscendo da quella stanza mi accorgo che sono le quattro del mattino e che probabilmente Nate è appena rientrato. Il che significa che ho dormito un giorno intero.

Mi dirigo verso il bagno e, una volta davanti allo specchio, non mi stupisco della figura che vedo riflessa: i capelli sono un disastroso nido incolto e, intorno agli occhi arrossati, due aloni di mascara sbavato sono la prova schiacciante del pianto lacerante che mi ha accompagnata per ore.

Entro nella doccia ed inizio a lavarmi. Lascio scorrere l'acqua sul mio viso, lasciando che porti via con se tutte le mie lacrime.

 

Qualche ora più tardi entro nell'atrio dell'edificio della Simmonds&Co a passo spedito. Il bianco dell'ambiente che mi circonda quasi mi acceca, come ogni mattina.

Da dietro i miei grandi occhiali da sole scuri faccio un cenno alla receptionist per salutarla, come ogni mattina. Con la differenza che oggi, al posto del solito sorriso cordiale, in risposta ottengo uno sguardo carico di confusione totale, probabilmente dovuto al fatto che fuori il cielo è ricoperto di nuvole ed ora sono all'interno di un edificio. Faccio finta di nulla. Non posso proprio togliermi questi occhiali: ho bisogno che coprano le profonde occhiaie ed il gonfiore dei miei occhi stanchi che non sono riuscita a mascherare bene col trucco.

Certo, attiro l'attenzione dei curiosi, ma almeno mi guarderanno divertiti, piuttosto che compassionevoli.

Questa mattinata, così come quella di ieri, è iniziata nel peggiore dei modi: una volta che sono uscita dalla doccia e sono tornata nel letto, Nate si è svegliato. Mi aspettava tutto eccitato.

Non ha fatto domande a proposito di dove abbia passato la notte, anzi mi ha scherzosamente presa in giro chiamandomi ubriacona. Pare pensi che mi sia addormentata, vittima dell'alchool, a casa del mio capo.

Non so come abbia potuto pensare una cosa simile, ma non ho alcuna intenzione di contraddirlo. Non aver dovuto inventare alcuna scusa mi è stato d'aiuto.

Il vero problema è giunto quando Nate si è avvicinato per baciarmi e accarezzarmi. È stato come se mi avessero tirato un cazzotto in mezzo allo stomaco. Mi sono irrigidita, tesa come una corda di violino.

Respingerlo senza scoppiare a piangere per l'ennesima volta non è stato per nulla semplice.

Ho finto di avere il classico mal di testa post-sbronza, riuscendo a scamparla

Una volta uscita di casa, travolta dai sensi di colpa, ho preso una decisione: sono fidanzata con Nate da cinque anni, ci conosciamo meglio di chiunque altro e ciò che sta mi sta succedendo è solo un periodo, passerà se gli lascio il tempo di passare. Per questo taglierò i ponti con Duke per dedicarmi completamente al mio fidanzato.

Quello di questa notte è stato un errore, un grave errore, e una cosa del genere non capiterà mai più.

È una decisione giusta. È così che deve essere. No?

Ma certo che lo è, è la cosa più logica da fare.

È per questo motivo che ora andrò a parlare con Duke. Gli stringerò la mano, gli dirò che è stato un piacere lavorare con lui, gli chiederò indietro la copia della chiave del mio ufficio, così si potrà porre la parola fine su questo breve capitolo della mia vita.

Ignoro la fitta dolorosa che provo nel petto che no, non è un principio di infarto. Bensì è il mio cuore che si rifiuta di prestare ascolto alla ragione.

Devo fare ciò che è giusto È con questo pensiero ben impresso nella mente che mi ritrovo a bussare piano con le nocche alla porta dell'ufficio di Duke. Fisso la targhetta accanto all'entrata su cui è impresso il suo cognome e non posso evitare di pensare alla volta in cui mi sono intrufolata qui dentro di nascosto, ma prima che la mente possa far riaffiorare il ricordo, la voce di Duke mi invita ad entrare. Mando giù il groppo che ho in gola e, con un profondo sospiro, mi faccio forza. Abbasso la maniglia e, con lo sguardo basso entro nella tana del lupo.

Lo sento inspirare prima ancora di sentirlo pronunciare il mio nome. La sua voce rievoca sulla mia pelle sensazioni che non dovrei lasciar riemergere, eppure sembra inevitabile e naturale che una scossa elettrica mi attraversi accendendo ogni terminazione nervosa del mio corpo. È l'effetto Duke Worten, non ci posso fare nulla.

Il cuore prende a battere furiosamente nel mio petto prima ancora che io abbia alzato lo sguardo per incontrare il suo. Però in quelle pozze azzurre non intravedo la solita scintilla brillante che li caratterizza. Sono spenti e l'azzurro chiaro che tanto amo non riflette la solita luce vivace e maliziosa. Guardandoli ora, accerchiati da aloni scuri e dalle sopracciglia aggrottate, sembrano il riflesso dei miei: specchi vuoto, esanimi.

Quando apro bocca per parlare, lui mi precede: «Si?».

So che è davvero poco, che è una risposta monosillabica e quindi troppo corta affinché si possa afferrare il significato nascosto dietro ad essa. Eppure in queste ultime settimane ho imparato a conoscere anche le più piccole sfaccettature del suo carattere e del suo atteggiamento. Per questo motivo posso affermare con certezza che questo tono apparentemente indifferente, nasconde in realtà dietro di se una collera trattenuta a stento.

Indugio un istante prima di rispondere, faccio vagare lo sguardo sulla sua figura: è seduto con la schiena appoggiata allo schienale. Sembra rilassato, ma la mascella contratta indica tensione. Su qualsiasi parte del suo corpo posi gli occhi il pensiero che emerge nella mia mente fa riferimento alla sua perfezione e bellezza.

Quando trovo il coraggio, finalmente parlo «Sono venuta a chiederti indietro la chiave del mio ufficio. Per favore.» Deglutisco a vuoto mentre gioco nervosamente con le mie mani. Volevo assumere una postura quanto più rilassata possibile, ma in qualsiasi modo mi metta mi sembra di essere nella posa più innaturale che esista. Alla fine è la sua risatina amara a ridestarmi dalle mie paranoie.

«Wow.» Dice solamente con tono sprezzante. Si alza dalla sedia, lasciando la postazione dietro la sua scrivania e si infila una mano nella tasca della giacca venendomi incontro. Una volta raggiuntami mi porge la sua mano in cui tiene, tra l'indice ed il pollice, la mia chiave.

Alzo il braccio per afferrarla «Grazie. Ora devo andare ma volevo dirti che lavorare con te è stato bello e-» E niente. Non faccio in tempo ad aggiungere altro, perché vengo bruscamente interrotta. Succede tutto così in fretta che quasi fatico a rendermi conto della presa salda di Duke intorno ai miei polsi che mi attira più vicino a se.

«È stato bello?» Sibila a denti stretti. Quando trovo finalmente il coraggio di alzare lo sguardo incontro i suoi gelidi occhi azzurri. «Per quanto ancora hai intenzione di giocare con me?!» Eh? Il tono duro delle sue parole mi sorprende meno delle parole stesse. Il suo corpo preme contro il mio, mi tiene ferma lasciando che il mio cuore batta contro il suo: petto contro petto.

Aggrotta le sopracciglia chiudendo gli occhi assumendo un'espressione di dolore e prima che possa nuovamente aprir bocca si allontana da me, voltandosi di schiena. Si passa le mani sul viso, poi sui capelli tirandoli forte. Lo sento gemere ed inspirare prima di incontrare il suo sguardo pieno di disprezzo, una volta giratosi.

Oso avanzare un passo verso di lui mormorando il suo nome.

«Cosa Emily, cosa?!» Sbotta facendomi sobbalzare «Cosa puoi volere ancora da me? Hai preso ciò per cui sei venuta, no? O speravi di farti un'altra scopata?» Sul suo viso nasce un ghigno crudele «Il tuo ragazzo incapace di soddisfarti lo sa che sei qui? Una volta assaggiato il piacere è difficile resistere, non è così?!»

Le sue parole mi trafiggono il petto, cerca di ferirmi di proposito. Sento le lacrime pizzicarmi gli occhi e devo sbattere le palpebre più volte per non piangere davanti a lui, non dargli la soddisfazione di vedermi crollare. «Cosa c'è Emily, vuoi una ripassatina? Dai, dimmi cosa vuoi! L'altra notte non ti sei fatta tanti scrupoli!»

«Adesso basta!» Lo spingo forte, urlando per sovrastare la sua voce «Sei uno stronzo!»

«No, cazzo Emily! Sono innamorato di te!» Sbraita, i suoi occhi sono rabbiosi, iniettati di sangue mentre mi scruta dall'alto della sua figura. Ha le sopracciglia aggrottate ed il respiro pesante per le urla lanciate fino ad ora, mentre io ammutolisco incapace di aggiungere altro. Lo fisso con gli occhi sgranati, confusa ed incredula.

«Cosa?» La mia voce è un mormorio così basso che a stento riesco ad udirla io stessa mentre cerco di elaborare il significato delle sue parole.

«Vattene Emily.» Il modo sconfitto con cui pronuncia quell'ordine lo fa somigliare più ad una richiesta, a una supplica.

«Ma-»

«Vattene e basta!» Sbotta di nuovo interrompendomi. Mi mordo il labbro per trattenere le emozioni e, dopo averlo guardato per un'ultima volta negli occhi, raccolgo il coraggio insieme ai cocci del mio cuore ed esco per sempre da quella stanza.



 

SPERO CON TUTTO IL CUORE CHE ORA NON MI ODIERETE TUTTI!
Ho cercato di aggiornare quanto prima possibile e se dovessero esserci degli errori vi chiedo perdono, li correggerò al più presto! Purtroppo lo studio sta monopolizzando tutto il mio tempo libero, rallentando così la scrittura.
Ormai però siamo agli sgoccioli! 
Che ne dite: mi fate sapere cosa ne pensate di questo capitoletto?
A presto, un bacione
KamiKumi

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Capitolo 35
*** 35. NATE ***


Finalmente è domenica. È stata una settimana dura, ma finalmente è conclusa. Lo percepite il mio sollievo? Già, non vedevo l’ora di stare un po’ con la mia ragazza; è stato un periodo duro al lavoro per lei e diciamo che non sono stato proprio un fidanzato modello, visti il litigi in cui siamo esplosi ultimamente, specialmente quella volta a pranzo in piadineria. 
Come se non bastasse pare abbia discusso animatamente con Brenda. Probabilmente è per questo motivo che è così giù, così fredda; quindi voglio starle vicino, comportarmi come un buon ragazzo e farle sentire che le sono vicino e la sostengo.
Si, insomma non è la prima volta che litigano quelle due, ma solitamente sono cosette di una giornata, nulla che una seduta di shopping intenso tra donne non possa risolvere.

Il programma di oggi prevede di passare l’intera giornata a letto, nudi possibilmente. Se Emily lo consente; non ha mai detto di no al sesso in cinque anni di rapporti e poi, d’un tratto, è diventata la sillaba più gettonata degli ultimi cinque giorni. Non la esprimeva a chiare lettere, ma con quelle tipiche frasette che lasciano intendere proprio quel significato, come: sono stanca, ho il mal di testa, non sono d’umore… Sapete a cosa mi riferisco, no? Almeno una di voi ne avrà fatto uso. Non mentite, so che è così. È scienza.

Mi volto sul letto per guardarla dormire: i capelli castani le avvolgono il capo in una folta criniera disordinata; allungo una mano per scostarle una ciocca dal viso. Le accarezzo la guancia con le dita, osservando le sue labbra piene e carnose schiudersi, quelle stesse labbra che ho baciato milioni di volte, e di cui non sarei mai capace di stancarmi.
Mi avvicino alla sua bocca per baciarla piano, dolcemente. Voglio svegliarla così, con lentezza e tenerezza e poi fare l’amore con lei. Tutto il giorno.
La bacio di nuovo: sulle labbra, sul naso, sulle guance, sul mento finché non geme nel sonno, infastidita, iniziando a svegliarsi. L’abbraccio ridacchiando sul suo collo quando arriccia la punta del naso prima di aprire finalmente gli occhi.
Stende le braccia allungandole sopra le nostre teste per stirarsi i muscoli come una gatta. Inspira forte ed io la osservo durante tutto il suo ciclo del risveglio.
«Buongiorno.» Rido mordicchiandole il collo.
«’Giorno.» Risponde lei in uno sbadiglio. Le sorrido, guardandola con adorazione: è davvero stupenda. Sono un uomo maledettamente fortunato.
Mi sporgo verso di lei, per appagare l’improvviso bisogno di baciarla e farmi baciare, ma si allontana prima che possa solo avvicinarmi. L’afferro per i fianchi per trattenerla “Non mi scappi. Non oggi.”
Inchiodo il mio sguardo supplicante e bisognoso nel suo, ma protesta «Devo fare la pipì.» e sono costretto a lasciarla andare. Mi rassegno e la libero dalla mia presa sbuffando contrariato; sguscia velocemente fuori dalle lenzuola e poi via dal letto. 
Mi riappoggio con la schiena sul materasso, posando le braccia incrociate dietro la nuca fisso il soffitto bianco. Sbuffo di nuovo aspettandola pazientemente e, se non fosse che questa è casa nostra, penserei che sia scappata dalla finestra, perché dopo una buona manciata di minuti di lei ancora non c’è traccia. 
Quando sento il familiare suono delle stoviglie che tintinnano l’una contro l’altra capisco che è in cucina, quindi decido di seguirla. Mi alzo con fatica dal letto, non avendone alcuna reale voglia e vado da lei. 
È li, è in piedi con addosso la maglietta dell’università di New York e quei pantaloncini rossi, larghi e orrendi, ma che adoro per la facilità con cui li si riesce a sfilare. 
Mi avvicino in punta di piedi ad Emily, che è davanti alla macchinetta del caffè, in attesa che la sua tazza si riempia.
La colgo di sorpresa avvolgendole le braccia intorno ai fianchi e posando le labbra sul suo orecchio; sobbalza per lo spavento.
«Ti aspettavo di la.» Sussurro mordicchiandole il lobo. Si scosta da me, cercando di dissimulare l’azione prendendo lo zucchero dallo scaffale poco distante da noi per posarlo sul bancone, impedendomi così di continuare il mio lento assalto.
«Avevo bisogno di un caffè. Ne vuoi una tazza anche tu?» Sguscia via dalle mie mani, afferra una tazza e me la porge. Inspiro forte: mi arrendo. 
A questo punto è chiaro che qualcosa non va e che la causa di quel qualcosa sono io, altrimenti non mi spiego tutte queste evasioni di cui crede non mi accorga.
«No, non voglio il caffè, Emily.» Rispondo con voce pacata, piena di disappunto e incrocio le braccia al petto osservandola versare una quantità di caffeina improponibile senza aggiungere zucchero. «Si può sapere cosa ti prende?» sbotto alla fine, incapace di sopportare questo silenzio e di trattenere la fatidica domanda che mi frulla nella mente da giorni.
Si volta verso di me, guardandomi da dietro il suo tazzone azzurro di espresso, con quei suoi occhi verdi sgranati e le sopracciglia sollevate. Ha sistemato i capelli in una coda disordinata, ma non li ha spazzolati. Non che importi, comunque: starebbe benissimo con qualsiasi capigliatura.
«Non ho niente.» Il suo sguardo fugge dal mio. Risponde in maniera evasiva, ed ecco che ci risiamo con i “Non ho niente”.
Cinque anni di fidanzamento, quattro di convivenza e, nonostante sia palese che qualcosa non stia andando come dovrebbe, ecco che spara quella tipica frase da donna ostinata a voler fare finta di nulla. Quindi inizio ad innervosirmi; sa che non sopporto questa cosa. Stiamo insieme, cazzo e non c’è niente che non si possa risolvere parlando.
«Oh, davvero Emy?» Sbotto ironico, incredulo per il suo atteggiamento. «Perché a me sembra che ci sia qualcosa invece!» Incrocio le braccia al petto prima di riprendere a parlare. «In questi ultimi giorni mi hai evitato in ogni modo ed ora ti chiudi a riccio in te stessa! Si può sapere cosa ti prende?» Domando con un tono di voce che, probabilmente, è più alto di come avrei voluto che fosse.
«Non è così, ti sbagli.» 
Cazzo, mi fa imbestialire: la sua voce stessa non è convinta quando mi risponde. Mi passo una mano sul viso, cercando di darmi una calmata. 
«Siamo tornati agli inizi, a quando dovevo torcerti le parole di bocca?» Poso lo guardo su di lei, che continua ad evitarmi. «Emy, ma che cazzo, dovresti riuscire a parlare con me.» Addolcisco il tono delle mie parole, accompagnandole ad una carezza sulla sua guancia. La sua pelle liscia scorre sotto le mie dita «Sono io Emy, parlami.» La scongiuro con gli occhi, sperando che si apra con me. Le faccio un sorriso di incoraggiamento, sperando che lo colga. Non ne conosco il motivo, ma non riesco a lasciar cadere il discordo, ho bisogno che parli, voglio che lo faccia e, quando avremo risolto, voglio baciarla, stenderla sul letto sotto di me, senza necessariamente andare oltre. Voglio solo questo: che mi stia vicina, che non mi respinga, che mi lasci passare oltre questa barriera innalzatasi tra di noi. La sento così lontana…
Poi d’un tratto incrocia i suoi grandi occhioni verdi, ora ricolmi di lacrime, nei miei. E mi ritrovo ad essere confuso: mi aspettavo rabbia ed urla per qualche cosa che non sapevo di aver fatto, oppure che inveisse sfogandosi per qualcosa successa al lavoro. Ma non mi aspettavo le lacrime. Non ricordo quand’è stata l’ultima volta che l’ho vista piangere, ma non volevo che lo facesse. 
Sono così tante lacrime. È come se, dopo giorni, avesse finalmente aperto il rubinetto che si ostinava a voler tenere chiuso, che finalmente abbia deciso di lasciarsi andare. Piange a dirotto, portandosi la mano destra alla bocca per trattenere i singhiozzi. 
Mi avvicino a lei afferrando la sua tazza per posarla sul bancone, poi la prendo tra le braccia in tutta la sua piccola figura. Trema, scossa dal pianto, mentre le accarezzo i capelli e la schiena; le sussurro di calmarsi, che ci sono io con lei e andrà tutto bene.
Lascia che le cedano le gambe inginocchiandosi a terra ed io la seguo, non la lascio mai.
Siamo accovacciati l’uno sull’altra sul pavimento della nostra cucina quando le sussurro dolcemente «Cosa succede, Emy?»
La sua risposta giunge strozzata alle mie orecchie «Non posso…» indugia tra un singhiozzo e l’altro «Mi dispiace. Mi dispiace, Nate.» Inizia a scusarsi ripetutamente, confondendomi ancora di più. 
Aggrotto le sopracciglia, mentre le domando il motivo per cui si stia dispiacendo «Potremmo risolvere il problema, se mi parlassi.» La incoraggio allontanandola appena dal mio petto in modo da poterla guardare in viso: i suoi occhi verdi sono ancora più chiari, ma anche arrossati e gonfi, accerchiati dalle lunghe ciglia bagnate sotto una cascata di lacrime. Leggo la disperazione nelle sue iridi, riesco a vedere la battaglia che avviene dentro di lei.
«Io…» Tira su col naso ricominciando il ciclo “lacrime – singhiozzi – naso”, ma aspetto paziente  «Scusa, scusa, scusami.» Lo ripete senza fermarsi, come fosse un mantra, e sembra disperata mentre scuote la testa portandosi le mani sul viso, come a volersi nascondersi da me.
È quello il momento in cui qualcosa in me si risveglia, scatta un allarme «Cosa devi dirmi, Emily?» Mi allontano da lei quel che basta per poterle posare le mani sulle spalle. L’ansia ora mi pervade mentre la scuoto piano per attirare la sua attenzione e farla continuare.
«Non- non posso più stare con te.»
Parla a voce così bassa che per un momento credo di essermela immaginata, ma l’appartamento silenzioso è la sede dello spettacolo che è la distruzione del mio cuore e le parole di Emily echeggiano intorno a noi, agghiacciandomi. Tutto in quell’istante diventa silenzioso, si immobilizza come se il tempo e lo spazio non esistessero. D’un tratto è come se mi ritrovassi in una bolla d’acqua: mi sento intontito e mi manca il fiato. Sento il sangue pulsare nelle orecchie, le emozioni sembrano ovattarsi, mentre quella frase mi rimbomba nel petto trafiggendomi il cuore, spezzandone una parte ad ogni battito.
«Cosa vuoi dire?» Non riconosco quella voce come mia quando le rispondo. Mi sembra di non appartenere al mio corpo: sono qui, ma è come se non ci fossi, come se fossi altrove.
«Non volevo, Nate. Scusami.» Singhiozza rumorosamente, le sue labbra tremano mentre mi guarda «Non volevo ferirti.»
Sbarro gli occhi e, colto da un’improvvisa scarica di adrenalina, mi rimetto in piedi. Lei mi segue a ruota e mi allontano bruscamente quando tende le sue mani verso il mio braccio.
«Non volevi ferirmi!?» Sbraito. Mi manca il fiato nonostante stia respirando profondamente da naso, mi sento oppresso. Mi passo le mani tra i capelli tirandoli «Mi vuoi lasciare, Emily! Come puoi non ferirmi!?» Non mi risponde, troppo occupata a piangere su se stessa. «Smettila di piangere come una bambina! Perché lo stai facendo, Emily!?» di tutta risposta le sue lacrime aumentano, il suo viso è chiazzato mentre si stropiccia gli occhi con le mani, irritandomi.
«Io…»
«Tu cosa?! Mi devi delle rispose! Voglio sapere perché!» 
E dopo quelli che a me paiono infiniti minuti di silenzio, si decide a rivelare ciò che io non avevo il coraggio di pensare, o ammettere: «Mi sono innamorata di qualcun altro.» 
Mi pietrifico all’istante dopo esser stato trafitto di nuovo dalle sue parole; mi pietrifico e vado in mille pezzi. Sono così ferito da non sapere come reagire. La testa mi scoppia, il cuore fa male, il fiato mi manca mentre incasso il colpo.
“Qualcun altro” 
La mia mente autolesionista ripete questa frase e, prima ancora che il mio cervello comprenda il collegamento, pronuncio il suo nome: «Duke.» 
Sgrana gli occhi e sussulta, come se l’avessi colta in fallo. Probabilmente l’ho fatto. Non ci vuole molto a fare due più due, capisco immediatamente che si tratta di lui. «Lui!? Mi stai lasciando per uno stronzo che conosci da quanto, un mese!?» Sbraito. La rabbia mi acceca mascherando il dolore lacerante che provo. Non riesco a sentire altro.
I suoi singhiozzi mi irritano. Come siamo arrivati a questo? Sono sveglio da poco più di un’ora, poco fa andava tutto bene, volevo solo passare una giornata a letto con la mia ragazza. 
Ma andava veramente tutto bene? Avrei dovuto dare più peso all’aria tesa di questi ultimi giorni: è così dalla festa per la conclusione del suo ultimo lavoro… Inspiro forte. Se prima è stato un campanello a farmi aprire gli occhi, ora mi risuonano nella mente delle campane che rimbombano forte facendo si che la realtà mi possa prendere a schiaffi in pieno viso: il lavoro l’ha svolto collaborando con lui, deve aver festeggiato con lui e dev’essere tornata tardi il mattino seguente, senza avvertirmi del fatto che avrebbe passato fuori la notte perché era con lui.
Ancora una volta il collegamento è spontaneo, la consapevolezza mi assale ancora prima di pensare alle parole che pronuncio: «Ci sei andata a letto?» Mentre glielo domando mi sento assalire dalla nausea, eppure ho bisogno di sapere, perché nutro la speranza, una piccola speranza, che mi risponda di no.
Eppure quando non dice nulla, limitandosi ancora una volta a piangere, il mio mondo crolla sbriciolandosi intorno a me. Il silenzio vale più di mille parole? O si diceva così di uno sguardo? Ma chi se ne fotte. Quel silenzio mi da la certezza che non volevo avere. Mi sgretolo davanti ai suoi occhi, impallidisco mentre le pareti della stanza sembrano stringersi ed opprimermi.
«Non volevo ferirti, Nate.» La voce le trema mentre tira su col naso «Mi dispiace tanto.»
Mi riscuoto all’istante dal mio stato di trance; mi viene quasi da ridere. Quasi.
«Ti dispiace tanto!?» Ripeto incredulo «Non volevi ferirmi!?» Urlo indignato «Sei andata a letto con lui, cazzo! Mi hai tradito, Emily!» Sbraito sbattendo una mano sul bancone facendo sobbalzare la ragazza che credevo di conoscere meglio di chiunque altro e che ora riesco a stento a guardare in faccia senza provare disgusto. Il palmo mi brucia e formicola per via dell’impatto. Il dolore fisico è ben accetto, distoglie l’attenzione dalla morsa che ho nel petto almeno per qualche istante. Sbatto di nuovo la mano sul ripiano, questa volta chiudendola in un pugno: mi inebrio di quella sensazione.
«Mi dispiace.» Ripete di nuovo piangendo, con voce lamentosa. 
Chiudo gli occhi portandomi una mano sul petto.
Chiudo gli occhi elaborando i fatti appena avvenuti.
Quando li riapro trafiggo la mia ex ragazza con lo sguardo.
«Ti sbagli, Emily: non sei tu a non poter più stare con me, ma io con te.» sibilo impassibile, totalmente svuotato «Sono io che ti lascio. Tra noi è finita.» 
Pronuncio queste parole con una sicurezza che non mi appartiene. Sono ferito e forse è per questo che decido di infierire maggiormente, perché merita di sentirsi da schifo: «Mi chiedo come tu abbia fatto a guardarti allo specchio dormendo nel mio stesso letto giorno dopo giorno, dopo avermi tradito.» Sputo sprezzante cercando di trattenere le lacrime. 
Fingo una calma che non provo. Tutto è rotto dentro di me e temo che se aprisse di nuovo la bocca andrei irrimediabilmente in mille pezzi. 
Serro la mascella voltandomi, allontanandomi e andando via. Andando via da lei, senza mai voltarmi indietro.




 

ECCOMI, SONO TORNATA!
Cosa ne pensate di questo capitolo? Ovviamente voglio conoscere la vostra opinione!
Ogni aggiornamento mi avvicina sempre di più alla fine e questo mi rattrista molto, eppure sono troppo elettrizzata all'idea di portare avanti questa storia e concluderla.
Ci rivediamo il prima possibile col 36esimo capitolo.
See you soon,
KamiKumi

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Capitolo 36
*** 36. EMILY ***


Ed ecco a voi la storia di come mi sono ritrovata qui, su questa poltrona, in questo salotto pieno di lattine di birra vuote, con puzza di stantio e cadavere nell'aria; lo stesso odore di cadavere che potrebbe provenire da me che mi sono atrofizzata in posizione fetale avvolta in questa coperta di flanella da giorni interi, nonostante, sono piuttosto certa, fuori ci siano piú di venti gradi. Non saprei, onestamente non esco da qui da un po’. Resto seduta a guardare questa presentatrice, ed il suo seno rifatto, sorridere smagliante alle telecamere, a staccare le linguette dalle lattine di birra contandone le lettere ed infine piangermi addosso quando tra le dita mi rimane la lettera D.

È questa la mia storia, è cosí che sono arrivata a perdere ogni cosa: l'amicizia con Brenda, con cui non ho piú parlato dopo la nostra litigata; la parola di Kyle, che mi salutava a stento l'ultima volta che sono stata in ufficio; perderó il lavoro probabilmente se continuo a non presentarmi; ho perso il mio ragazzo, per averlo tradito ed avergli spezzato il cuore dopo aver appreso che il sesso è una componente fondamentale per un rapporto sano dopo aver incontrato Duke. E poi Duke. Ho perso anche lui.

 

Dopo quella notte, quella meravigliosa notte, me ne sono andata in preda ai rimorsi di coscienza e ferita, con la convinzione di essere stata solo una ragazza di passaggio. Me ne sono andata di nuovo quando il giorno dopo, nel suo ufficio, ha confessato di essere innamorato di me e l'ultima cosa che ho visto di lui sono stati gli occhi cupi sotto le sopracciglia curve in un'espressione ferita. Ho letto il dolore nelle sue iridi azzurre e comunque me ne sono andata.

 

Perchè l'ho fatto? Per cercare di salvare un rapporto affondato ormai da anni. Per spezzare il cuore a colui che mi conosceva meglio di chiunque altro e che, per il rimorso, non riuscivo nemmeno a guardare in faccia.

Mi sono comportata da stupida egoista, ne sono consapevole. È per questo motivo che sono qui, e mentre mi crogiolo nella mia stessa autocommiserazione mi addormento, ubriaca di birra scadente nello squallore e nel caos che è diventata la mia vita.


 

Mi risveglio quando la mia colonna vertebrale non riesce piú a tollerare di rimanere in quella posizione. Mi fanno male le ossa, ho la bocca impastata e mi bruciano gli occhi. Avrei davvero bisogno di una doccia calda, ma il solo pensiero di spostarmi di qui per un motivo diverso dall'andare a prendere altro alcol dal frigo mi causa uno sforzo immenso. 

Oltretutto sarebbe uno sforzo che non dovrei nemmeno compiere, perchè ho prosciugato ogni risorsa alcolica presente in questo appartamento e l'ho fatto proprio da qui, portando la cassa di birra ai piedi della poltrona all’inizio della settimana, prima di stabilirmici e metterci radici.

Prendo l'ultima rimasta e la apro accendendo la tv col telecomando, per dedicarmi all'unica attivitá che sono disposta a svolgere: l'attenta visione dei programmi spazzatura.

Con mia sorpresa, però sullo schermo vedo comparire J.D. ed Elliot Reid discutere davanti ad un tavolino. Ricordo l’episodio, l’ho visto infinite volte: parlano della propria relazione, di come per codardia continuino a rifiutare il fatto che si amano e dovrebbero stare insieme. Tra i bla bla bla delle parole pronunciate e ripetute cosí tante volte, entrambi hanno paura di rimanere feriti preferendo rinunciare in partenza, piuttosto che fallire l'ennesimo tentativo. 

 

Ripenso alla mia, di codardia. A come, per paura di far soffrire Nate abbia rimandato l'inevitabile facendolo poi stare peggio di quanto meritasse. 

Penso a Duke che invece ha avuto il coraggio di sbattermi in faccia ciò che prova, che mi ama. 

E poi penso a me, che me ne sono stupidamente andata per paura e quando poi ho fatto la cosa giusta ho inevitabilmente fatto un enorme casino degno di me.

 

Ora sono qui a piangere su me stessa, leccando le mie ferite, con la paura di rialzarmi ed andare da Duke e dirgli che, maledizione anche io lo amo! Lo amo piú di quanto avrei pensato di essere capace di amare. Eppure resto qui, a temere il suo rifiuto dopo avergli voltato le spalle con Gotta go on my way in sottofondo. Si, esatto, altro che Let her go, No promises o qualsiasi altra cazzata depressa. Non c'è canzone piú triste del duetto di Troy e Gabriella in High school musical 2, quando lei lo lascia perché non è più il Troy di cui si è innamorata. È stato straziante allo stesso modo andarsene via.

Osservo inerme le immagini scorrere sullo schermo, ed è cosí fino a quando la voce tuonante del Dr. Kelso si fa spazio nella mia mente richiamando la mia attenzione, insieme a quella dei due protagonisti della scena.

Dice: Guardate nei vostri cuori e fate ciò che vi rende felici.

 

E lascio che le parole del buon vecchio Ken Jenkins mi facciano riflettere. Dovrei guardare nel mio cuore quindi? 

No, non ne ho bisogno, so giá cosa troverei, o chi troverei: Duke sarebbe li ad analizzarmi col suo profondo sguardo attento, col suo sorrisetto sulle labbra. Sarebbe a braccia conserte, in piedi a gambe divaricate e schiena dritta. Sarebbe li e mi saluterebbe con un'occhiolino, proprio come ha fatto ogni giorno in queste ultime settimane. 

Mi rifiuto di farlo e limito il mio sguardo alla panoramica del mio salotto (che ora come ora darebbe l'impressione che un barbone alcolizzato un po' semi-morto ci abbia messo radici), perchè se guardassi dentro di me i suoi occhi sarebbero li ad aspettarmi, tristi e rabbiosi ed io non riuscirei a sopportarne l'intensità. 

Eppure di cosa ho paura? Di sentirmi rifiutata perchè ho impiegato troppo tempo a capire che è lui l'uomo con cui sarei dovuta stare? Alzarmi ed agire sarebbe davvero peggio che rimanere qui ad ammuffire su me stessa? 

Probabilmente dovrei raccogliere il mio coraggio e seguire il consiglio del Dr. Kelso.

E allora sapete cosa faccio?

 

Abbasso lo sguardo sulla lattina di birra che tengo tra le mani, me la rigiro un po' tra le dita ed infine, dopo un'attenta analisi, come se mi fossi risvegliata, tutto d'un tratto la scaglio con forza sul pavimento. Vedo l'alluminio schiantarsi contro il parquet, accartocciandosi in un tonfo sordo e probabilmente lasciando un gran bel segno sul legno. Il liquido esplode in grandi schizzi macchiando i mobili, infine si espande velocemente per il mio salotto.

Con buone probabilitá la mia è stata una mossa stupida, che dite? Avrei potuto semplicemente appoggiarla sul tavolino, magari con un po' di forza per ribadire e segnare la decisione appena presa: reagiró, mi alzeró, uscirò da qui e lo cercherò.

Ma prima è il caso che ripulisca il casino che ho combinato in questa settimana di ozio, disagio e alcolismo.

Metto in pausa l'episodio di Scrubs trasmesso in televisione e proprio in quell'istante dalla porta giungono dei forti e sordi colpi, seguiti dalle urla di una voce a me familiare.
 

«Emily! Emily apri questa cazzo di porta, subito!» Le urla di Brenda sono una ventata d'aria fresca. 

Vado all'ingresso e prendo le chiavi per aprire la porta, scoprendo poi che in realtá è sempre stata aperta. Per una settimana. Ok, beh, per fortuna sono incolume e nessun ladro mi ha derubata e nessun serial killer uccisa.

Quando me la ritrovo davanti i suoi grandi occhi castani sono lucidi e preoccupati. Mi salta addosso e mi stringe forte, tanto da togliermi il fiato. Ricambio all’abbraccio immergendo la faccia tra i suoi capelli. Mi è mancata così tanto, arriva proprio al momento giusto: è un’altra delle persone a cui devo chiedere perdono per il casino che ho combinato e che sono diventata.

«Emily, ero così fottutamente preoccupata per te!» Mi urla praticamente in faccia una volta sciolta la sua presa, però continua a tenere le mani ben salde sulle mie spalle esaminandomi attentamente. Non ho ancora avuto occasione di guardarmi allo specchio, ma posso immaginare in che condizioni mi ritrovo a giudicare dall’apprensione che traspare dal suo sguardo. Seriamente ragazzi, ma cosa stavo facendo della mia vita? 

«Perché il tuo telefono era spento? Ti ho chiamata un milione di volte oggi!» Sembra sull’orlo di una crisi isterica mentre mi trascina dentro casa, e solo ora ho l’occasione di notare la presenza di un’altra persona venuta qui insieme alla mia migliore amica. «All’inizio non volevo stare ad ascoltarlo, ma quando alla fine Kyle mi ha urlato in faccia che non ti facevi vedere al lavoro da una settimana mi sono preoccupata! In più la stupida voce della tua segreteria telefonica mi stava mandando fuori di testa!» Parla così velocemente che quasi non riesco a seguire il discorso ed assimilare il significato delle sue parole, riesco però a voltarmi verso Kyle e sorridergli, ringraziandolo commossa. Ho rischiato di mandare all’aria il suo rapporto con Brenda, ben sapendo quanto lei sia restia dal fidarsi di qualcuno. Eppure si è preoccupato per me, le ha parlato di me e l’ha portata da me. Ora a mia migliore amica è qui, mi sta di fronte nonostante le crudeltà dettele, nonostante il mio non saper tenere la bocca chiusa. È qui per me e mi è mancata dannatamente tanto. Ha fatto irruzione in casa mia dopo il mio periodo di isolamento con la stessa preoccupazione di una sorella maggiore. 

Interrompo la sua parlantina incessante, perché devo dirglielo: «Scusa, Brenda.» Comincio seria «Mi dispiace per ciò che ti ho detto. Non avrei dovuto, avrei dovuto aspettare che mi parlassi tu, rispettando i tuoi tempi.» Mi volto verso il mio collega, e amico, Kyle «E scusami anche tu. Non mi sarei dovuta lasciare sfuggire la tua rivelazione.» Ora mi rivolgo a entrambi mentre intreccio le dita delle mani l’una all’altra in maniera nervosa «Ho combinato un casino. Brenda, avevi ragione su di me. Ero così accecata dalla paura di andare avanti da non riuscire a capire che tutto intorno a me stesse cambiando, io stessa compresa, solo che non ero in grado di ammetterlo.»

Prima che possa riattaccare a parlare è Brenda a farlo «Emy, abbiamo sbagliato entrambe. Abbiamo fatto una scenata degne di due bambine, ma ciò che ci siamo dette era assolutamente vero. Tant’è che…» fa qualche passo verso Kyle per raggiungerlo ed afferrarne la sua mano per stringerla tra le proprie. Lui le sorride felice, lei ricambia timida, prima di tornare a rivolgersi a me. «Mi hai aperto gli occhi. Tutto ciò che mi hai detto era giustissimo e, anche se ci ho messo un paio di giorni, ho capito che dovevo dare a Kyle una possibilità.» Mi sorride ed io sono felice sapendo che finalmente si sia decisa a provare a fidarsi di nuovo di qualcuno. 

Tuttavia se non fossi stato tanto cocciuta e codarda ora anche io lo sarei.

Non avrei fatto soffrire tanto Nate, avrei confessato i miei sentimenti a Duke e non mi sarei ritirata nel mio antro di solitudine ed alcolismo, in cui sto per ricadere. Mi prendo il labbro tra i denti per non ricominciare a piangere e tornare nel circolo vizioso degli ultimi giorni, ma sto vacillando e Brenda se ne accorge.

«Ma cosa ti è successo, Emy?» Mi domanda avvicinandosi a me ed inoltrandosi nel salotto per andare alla finestra, aprire le tende, sollevare le tapparelle ed aprirla in modo da far circolare l’aria e l’odore di cadavere. Mi sembrava strano che non l’avesse notato nessuno… mi stupisco che non siate scappati voi stessi! «Questo posto è un disastro, te compresa! E dov’è Nate?»

 

A sentire pronunciare quel nome sussulto ed inspiro forte, perché so di doverle delle spiegazioni. «Se n’è andato.» Rispondo, causando così il più totale sgomento sui volti dei miei due amici.

«In che senso?» Chiede incerta Brenda, anche se probabilmente ha capito ciò che intendo.

«Ci siamo lasciati.» Nella stanza cade il silenzio, interrotto ora solamente dai rumori del traffico provenienti dall’esterno.

«Mi dispiace, Emy-»

 

«No, non dirlo. Era giusto così, avrei dovuto farlo tempo fa.» Rispondo decisa, perché so che è vero. «Ora però devo andare da Duke, ho bisogno di parlare con lui. Subito. Ti spiegherò tutto andando da lui. Ho bisogno che mi diate uno strappo.» 

Si, devo andarci subito. Vedere i miei due più cari amici finalmente insieme mi ha fatto capire che devo smettere di sprecare tempo. Devo prendere in mano le redini della mia vita e dominarla; per questo devo dirgli che lo amo. Ma mentre sto cercando la mia borsa e mi sto infilando frettolosamente le scarpe, così da poter partire immediatamente Brenda mi blocca.

 

Annuisce «Ok, ma prima è il caso che ti rimetta in sesto. Odori di alcol e morte, sorella.» Mi sfotte senza nemmeno provare a contenersi, ma effettivamente ha ragione.

«Perché non vai a farti una doccia mentre noi ripuliamo un po’ questo caos?» Suggerisce Kyle. Un uomo coi fiocchi, l’ho sempre saputo.

Accetto subito l’offerta, al contrario di Brenda che protesta prima di lasciarsi convincere dal suo ragazzo con dei languidi baci. Distolgo lo sguardo con una fitta di invidia nel petto ed entro in doccia.

Ho una missione da compiere e devo darmi una mossa.


 

Mezz’ora dopo mi sento una persona nuova. È come se semplicemente lavandomi e riordinando l’appartamento avessi sistemato già una buona parte di ciò che è ora la mia vita: i pezzi del puzzle si stanno ricomponendo e ne manca solo uno affichè tutto combaci e sia perfetto ed ho intenzione di andare a prendermelo, senza tornare finchè l’avrò ottenuto. Aspettandomi, la nuova coppia ha approfittato della mia televisione facendo ricominciare l’episodio che stavo guardando prima del loro arrivo. Si conclude nel momento in cui usciamo di casa mostrando la scena in cui i due protagonisti si prendono per mano, guadagnandosi il lieto fine che meritano.




 

Durante il tragitto in auto aggiorno Brenda sugli avvenimenti tra una stillata e l’altra d’incitamento a Kyle per fargli premere con più forza sull’acceleratore e andare più veloce. Sono troppo impaziente, non posso aspettare un secondo di più. Devo vederlo subito.

La mia amica intanto ascolta la storia fino alla fine e, mentre Kyle resta in silenzio e si astiene dall’esprimere il proprio giudizio, Brenda non si trattiene affatto e non manca di rimproverarmi per il modo in cui ho gestito la situazione e per non averle dato ascolto, di sostenermi ripetendomi che Duke non mi rifiuterà e infine strillare quanto sia felice per me, per essere andata avanti e cambiato la mia vita senza lasciarmi trasportare dagli avvenimenti.

Avrei dovuto chiamarla prima, sono stata stupidamente orgogliosa. Diciamo che avrei anche dovuto accendere il telefono e magari avvisare l’ufficio che sarei stata a casa per un po’ di tempo, piuttosto che svanire semplicemente nel nulla. Vi chiedete il perché? Beh, perché quando l’ho finalmente riacceso avevo così tanti messaggi in segreteria, così tanti messaggi ed e-mail che il poveretto si è dovuto riavviare da solo per l’eccessivo carico di attività in contemporanea.

 

Quando finalmente arriviamo sotto al suo condominio non aspetto nemmeno che Kyle spenga il motore ed inserisca il freno a mano: apro la portiera e balzo giù dal mio sedile correndo verso le scale condominiali che hanno il portone stranamente spalancato.

Salgo i gradini di corsa, grazie al fatto che ho deciso di indossare un paio di scarpe senza il tacco. I jeans che indosso non mi calzano più in maniera perfetta, bevendo solamente e nutrendomi praticamente di aria ho perso tre chili, per cui volendo potrei persino fare una ruota e un triplo salto mortale grazie alla scattante agilità che mi permettono di avere. 

Sono finalmente davanti alla sua porta mentre sento i miei due amici inveire contro di me e pregarmi di aspettarli correndo per raggiungermi. Ma non sento le loro voci, perché il battito del mio cuore è l’unico suono che le mie orecchie riescano a percepire. Sono troppo emozionata: lui è dietro a questa porta. Devo vederlo. 

Inspiro profondamente, poi espiro. Mi passo le dita tra i capelli per sistemarli, stiro coi palmi delle mani delle pieghe immaginarie sulla maglietta perfettamente stirata e nel frattempo Kyle e Brenda mi hanno raggiunta.

«Allora?» Mi incita lei «Si può sapere cosa stai aspettando!?»

«Taci!» La rimprovero, dopodichè prendo un ultimo profondo respiro.

Ci siamo.

Alzo il braccio e con le nocche busso tre volte sulla porta dell’appartamento silenzioso di Duke.

Tutti e tre tratteniamo il respiro rimanendo in attesa.
 

Conto i secondi che passano: uno, due, tre, quattro… Dodici, tredici, quattordici… Ventidue, ventitrè, ventiquattro. Ok, che succede? 

Busso di nuovo, con più forza questa volta, ed oso chiamare il suo nome.

«Duke! Duke, sono io: Emily! Devo parlarti!»

Nessuna risposta. Continuo a bussare, ogni volta con più insistenza mentre i miei accompagnatori si scambiano un’occhiata preoccupata.

«Magari è sotto la doccia.» Ipotizza Kyle, ma il suo tono di voce lascia intendere che nemmeno lui ci crede.

«Duke! Apri questa  dannata porta!» Urlo ormai fuori di testa, trattenendo a stento le  lacrime.

«Magari è uscito. Non si potrebbe provare a chiedere ai vicini di casa?» Questa volta è Brenda a parlare e, quando mi giro a guardarla, la trovo ad indicare col pollice la porta degli anziani signori che abitano proprio accanto a lui e con cui Duke è in buoni rapporti, stando a quanto mi ha raccontato.

 

Non ci penso di volte e passo a tormentare la loro porta. Resto in attesa con impazienza e poi, finalmente, una minuta anziana signora compare di fronte a me.

«Salve signorina, cosa posso fare per lei?» Mi domanda con voce circospetta, probabilmente perché è la prima volta che mi vede e pochi istanti fa strillavo sul pianerottolo del suo vicino di casa. Non mi lascio scoraggiare e mi sbrigo a rispondere tendendole la mia mano.

«Sono Emily Mayton.» L’afferra e la stringe.

«Io sono la Signora Patterson.» 

«Molto piacere, Signora Patterson.» Deglutisco tesa prima di continuare a parlare e porle la domanda che mi ha portata a bussare alla sua porta. «Sto cercando Duke, il suo vicino di casa. Sa per caso dove potrei trovarlo? Ho bisogno di parlargli con urgenza.»

Immediatamente lo sguardo della signora si addolcisce e allo stesso tempo si rattrista allarmandomi. «Oh, il caro Duke…» La sua voce si abbassa e insieme anche la sua guardia, ora sembra più disposta ad aiutarmi. In realtà la sua reazione non mi rassicura per niente; mi ritrovo ad essere più tesa di una corda di violino. «Il povero ragazzo è dovuto partire per l’Italia. Purtroppo c’è stato un lutto nella sua famiglia ed è proprio dovuto andare. Mi ha lasciato la sua gatta da accudire fino al suo ritorno. Povero ragazzo…»

Quando finisce di parlare io non posso rispondere, perché sono paralizzata dalla notizia. In Italia? Un lutto? Di chi si tratta? Tra quanto tornerà? Era legato a questa persona? Un milione di domande mi passano per la mente, la paranoia si fa strada nelle mie vene circolando per tutto il corpo, facendomi rabbrividire, impedendomi di esprimere una frase di senso compiuto.

Alla fine è Brenda a farsi avanti al posto mio «Sa per caso quando tornerà?»

«Oh, è partito cinque giorni fa, ma non ho alcuna idea di quando farà ritorno. Il povero ragazzo era a pezzi già di per se, non è stata affatto una buona notizia per lui.»

Quelle parole mi danno il colpo di grazia facendomi salire un groppo in gola “È colpa mia.”

Segue un attimo di silenzio imbarazzato, in cui nessuno ha bene idea di cosa dire, fino al momento in cui il suono di un campanellino trilla nell’aria. Pochi istanti dopo ecco che Josie fa capolino da dietro le gambette della Signora Patterson. Vedere il suo musetto fa sorgere sul mio viso un sorriso spontaneo. 

La signora cerca di farla rientrare in casa, per paura che possa scappare, ma la fermo «La prego, posso solo accarezzarla?»

«Non è una gatta che si lascia facilmente avvicinare.» Mi avvisa «Non vorrei la graffiasse, stia attenta.» Mi spiega premurosa l’anziana, ma io mi sto già inginocchiando per posare le dita sul suo candido e morbido pelo bianco.

«Ciao, Josie.» La saluto «Dov’è sparito il tuo padrone?» Sospiro sconsolata continuando ad accarezzarla col cuore infranto e le speranze al vento.

La gatta miagola in risposta, come se volesse dirmi qualcosa, mentre si struscia di più contro la mia mano, avida di contatto.

Sorrido amareggiata prima di rimettermi in piedi, salutare la signora tanto gentile e disponibile ed andarmene da li in lacrime.  






 

Oh cazzo, siamo al 36esimo capitolo.
Oh cazzo, il prossimo sarà il penultimo.
Ho l'ansia: sono emozionatissima e non vedo l'ora di scriverlo, così come non vedo l'ora di leggere le vostre imprecazioni a seguito di questo capitolo! Spero vi sia piaciuto.
Fatemelo sapere!
Noi ci rivediamo presto!
Un bacione, KamiKumi

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Capitolo 37
*** 37. DUKE ***


Quando rientro nel mio appartamento lo faccio sbattendo forte la porta, in preda ad un attacco di rabbia troppo forte per essere fermato. È inutile che mi guardate con quegli occhi compassionevoli, non ho bisogno della pietá di nessuno, non sará certo un pugno in faccia a farmi a pezzi e tanto meno lasceró che sia Emily a farlo; lei ed il suo abbandono. Abbandono poi, che stronzata del cazzo. Io sono Duke Worten: sono io colui che usa le donne per il proprio piacere fisico e che poi ne infrange il cuore e le speranze piantandole in asso. La situazione non si è ribaltata. Io che mi innamoro? È una cosa assolutamente impossibile. È solo una convinzione malsana che mi si era piantata nella mente; io non mi innamoro. Esser single è meglio, da questo status si possono trarre i migliori vantaggi della vita, come il sesso con chi si preferisce, senza l'intralcio di una relazione opprimente ed assillante.
Ha ha ha viene da ridere anche a voi, non è cosí? 
Raccontarmi queste balle non serve a niente. L'amore che provo per Emily non è una convinzione auto imposta, bensí una certezza. Ma questo sentimento, che non provavo sulla mia pelle da cosí tanti anni, mi si è ritorto contro spezzandomi il cuore prima ancora che potessi godermi a pieno l'ebrezza che avrebbe potuto donarmi.
Cazzo, ma mi sentite? Sono ridicolo. Eppure è questo che Emily mi ha fatto: mi ha trasformato in qualcuno che non volevo essere e che mai avrei pensato sarei potuto diventare. Ora sono un uomo con le difese infrante, un debole troppo esposto, col cuore a pezzi ed il petto dilaniato.
Lancio un urlo di strazio colpendo il muro con un pugno, preferisco rompermi le dita di una mano piuttosto che lasciar cedere i frammenti di me che stanno uniti a stento, piuttosto che cedere alla tristezza. 
Ne scaglio un altro scaricando l'adrenalina e la rabbia faticosamente trattenuta dall'incontro con Nate. Rivivo la scena nella mia mente: il momento in cui i suoi occhi iniettati di sangue incontrano i miei, l'odio che mi ribolle nel petto, il suo assalto su di me ed infine l'impatto del suo pugno sulla mia mascella; un contatto imprevedibilmente desiderato, un risveglio dallo stato catatonico in cui ero tragicamente crollato dal giorno in cui lei mi ha piantato in asso nel mio ufficio dopo averle rivelato i miei sentimenti. Dopo che Emily ha scelto Nate.
Ho provato gioia nel momento in cui l'adrenalina ha iniziato a montarmi dentro, quando ha iniziato a sbraitarmi contro dando spettacolo nel centro trafficato di Manhattan. Ho goduto nello sbattergli in faccia la nuda e cruda realtà dei fatti e vederlo cadere a pezzi proprio come lo ero, e sono io tutt'ora. Eppure quando ho avuto l'occasione di ricambiare al pugno ricevuto, il suo sguardo ha incrociato il mio ed al suo interno ho visto qualcosa di irrimediabilmente spezzato, andato per sempre in frantumi. Mi sono tirato indietro, limitandomi a spintonarlo ed allontanarlo da me. 
Un'orribile sensazione di colpevolezza mi ha inondato, facendomi provare pietá: ho distrutto una relazione di tanti anni in una sola notte, mi sono intromesso dove non avrei dovuto, poco mi sarebbe dovuto importare dei miei sentimenti. È per questo che non l'ho colpito: la mia presenza ha procurato abbastanza danni inutili, poichè il vincitore in ogni caso è stato lui. Emily ha scelto lui. 
Ricordo l'intensitá del suo sguardo cosí chiaramente che mi sembra di averla di fronte a me: i suoi occhi cosí verdi lievemente gonfi, accerchiati da occhiaie e la loro dolcezza distorta sotto il peso della colpa. L'ho vista inondarsi di tristezza sussultando alla mia rivelazione, per poi andarsene da me una volta per tutte. È proprio come aveva sempre voluto: mi cacciava, mi allontanava da se respingendo le mie avances e, quando nell'ultimo periodo ci siamo avvicinati, mi sono illuso che lei provasse per me ció che io provavo per lei. Invece voleva solo scopare, avere ció che non ha mai avuto e poi piantarmi in asso, proprio come io ho sempre fatto con le altre donne.
Il karma deve aver fatto il suo dovere, come si suol dire: tutto torna, ed ora che so cosa si prova dovrei cercare quelle ragazze che ho sedotto ed abbandonato, strisciare da loro ed infine domandare perdono. Ora so come ci si sente ad avere il cuore infranto, so come ci si sente ad avere un abisso nel petto che trema ogni qual volta la sua voce, i suoi occhi o il suo sorriso mi appaiono nella mente, causandomi quell'orribile sensazione di vuoto di cui tutte le canzoni d'amore parlano.
Josie mi raggiunge miagolando ed io sono stato cosí assorto nel mio dolore e nella mia autocommiserazione da non averla considerata. Si mette su due zampe, conficcando le sue unghiette nel tessuto dei miei pantaloni per attirare la mia attenzione.
Mi passo una mano sul viso per cercare di riprendermi; le dita arrossate con la pelle lacerata mi fanno cosí male che quasi non riesco a muoverle, dovrei preoccuparmi di metterle sotto a del ghiaccio ma quando raggiungo il frigorifero l'unica cosa che afferro è una bottiglia di vino bianco.
È solo l'una di pomeriggio ed io dovrei fare ritorno in ufficio, eppure tutto quello che mi preme al momento è svitare il sughero dal collo di questa bottiglia e scolarne tutto il contenuto.
Prendo il telefono e mando un messaggio a Carlos che, nonostante sia un dannato figlio di puttana, la sapeva lunga e mi aveva avvertito. Gli scrivo che sto male e non cercarmi, dopodichè spengo quell'aggeggio infernale e lo lancio noncurante da qualche parte sulla penisola della mia cucina. Smetto di ignorare il miagolio insistente della mia gatta dandole finalmente da mangiare: doppia razione, cosí se ne stará buona per un po'. Infine prendo il cavatappi per dedicare l’attenzione al mio cuore infranto.




Sono passati due giorni ed io ho messo residenza fissa sul divano del mio salotto ma, al contrario di quanto possiate pensare, no: non sono ubriaco fradicio e no, non sto affondando i dispiaceri nell'alcol. Questo perchè dopo essermi bevuto quasi metà bottiglia ho iniziato a vaneggiare cercando in ogni modo di chiamare Emily. Avevo bisogno di sentire il suono della sua voce. Nel momento in cui, peró, mi accorgevo che non abbiamo mai avuto l'occasione di scambiarci i numeri, la sensazione che provavo era molto simile ad un pugno nello stomaco, ma peggio. Esilarante: abbiamo scopato per intere ore quella notte, eppure non abbiamo modo di metterci in contatto l'uno con l'altro.
L'alcol non faceva che intensificare le sensazioni. Ogni cosa, ogni piú piccolo dettaglio mi portava a pensare a lei ed era uno strazio a cui non ero disposto a cedere. Quindi ho semplicemente aspettato che la sbronza passasse e per questo motivo ora vedete la bottiglia mezza piena abbandonata sul tavolino, di fianco ai piedi che vi ho appoggiato sopra. Sempre per questo mi vedete fissare la televisione senza realmente prestare attenzione a ciò che viene trasmesso. 
Sto seduto sul divano a braccia conserte e mio malgrado, non riesco a levarmi dalla mente che questo è lo stesso divano su cui Emily è stata seduta insieme a me, accanto a me, lasciandosi toccare e accarezzare illudendomi come un beato coglione. 
Ora capite per quale motivo nessuna donna avrebbe mai dovuto mettere piede dentro a questa casa? Il tempio del testosterone, non a caso era questo il suo soprannome.
Non avrei dovuto lasciarla entrare nel mio appartamento, tanto meno lasciarla penetrare tanto a fondo nella mia quotidianitá e nella mia vita.
Stringo gli occhi, incassando ancora una volta il colpo auto inflittomi pensando alla sua assenza, quando la porta d'ingresso inizia a tremare sotto i colpi incessanti e le urla fastidiose di una voce familiare: è Carlos.
Sono passati due giorni da quando gli ho mandato quel messaggio e comprendo il fatto che si sia presentato qui con così tanta irruenza da ricordare il lupo della favola dei tre piccoli porcellini, ma non mi sono mosso da questa posizione per alcun motivo al mondo e di sicuro non sarà lui ad indurmi ad abbandonare il microclima a cui ho dato vita. Quindi lo ignoro, poichè non sono assolutamente interessato ad interagire con altri esseri umani ancora per un po'.
«Apri la porta, coglione! Sono ore che ti chiamo!» Continua a sbattere i pugni, procurando un fastidioso rumore sordo che non fa altro che urtarmi i nervi. A questo punto mi è chiaro che continuare ad ignorarlo è impossibile.
«Vattene Gomez, tornerò al lavoro tra qualche giorno!» Urlo per farmi sentire sin dall'ingresso, ma sono certo che l'apatia nella mia voce non sia sfuggita a nessuno.
«Apri subito Worten, ti hanno cercato in ufficio.» La mia mente parte subito per la tangente immaginando Emily telefonarmi disperata, implorando perdono, supplicandomi di lasciarle spiegare quanto successo. 
Il cuore che in pochi istanti mi si era riempito di speranza crolla quasi immediatamente, ripiombando in quello stato crudele che noi chiamiamo realtà. Il mondo sembra paralizzarsi quando sento come la frase si conclude: «Ha chiamato tua madre dall'Italia, è urgente!» Mi volto di scatto verso l'ingresso, che all'improvviso sembra lontanissimo ed irraggiungibile. Mi rimetto in piedi, perchè questa è l'unica notizia in grado da risvegliarmi dal torpore degli ultimi due giorni, quindi mi tocca ricredermi: questo stronzo è riuscito davvero a schiodarmi dal mio stato di coma. Improvvisamente mi sento carico di adrenalina e a passo svelto mi appresto ad aprire la porta. Dietro ad essa ci trovo il mio collega col respiro affannato ed il viso tirato. Si passa una mano tra i capelli ricci «Era ora, cazzo! Che fine ha fatto il tuo telefono?» Mi supera ancora prima che possa avere modo di spostarmi e lasciarlo entrare. Il tono di urgenza nella sua voce non fa che agitarmi piú di quanto giá sia. Cos'è successo?
Non sento spesso mia madre, perlopiú mi manda email con allegate foto delle ricette italiane che ha imparato in questi anni da quando si è trasferita, dopo la morte di mio padre. Capirete tutti che l'ondata di panico che mi sta stravolgendo è del tutto assolutamente giustificata.
«Perchè ha chiamato in ufficio?» Domando con impazienza apprestandomi a cercare il telefono «Le hai parlato?»
«Ha detto che era molto urgente e non riusciva a contattarti.» Il suo tono di voce basso non fa che buttare benzina sul fuoco. Mentre parla riesco a trovare il cellulare, che mi sbrigo ad accendere. «Era molto agitata e singhiozzava.» Quest'informazione e i mille messaggi di chiamate perse sono il giusto mix di ingredienti necessari a mandarmi categoricamente nel panico. Compongo immediatamente il numero di mia madre, poco importa se spendo un patrimonio per via della chiamata intercontinentale.
Percorro il perimetro della mia cucina in senso antiorario con fare agitato, mi slaccio due bottoni della camicia per prendere piú fiato (se ve lo steste chiedendo: esatto, indosso i miei vestiti da lavoro da due giorni.).
Il telefono squilla nel mio orecchio e l'attesa mi uccide.
Carlos mi guarda, è seduto sul divano con le mani incrociate, curvo sulle sue ginocchia. Sembra teso quanto me, ma non saprei dirlo, perchè in quel momento la voce di mia madre spezza la ripetizione di quel suono irritante che si ripeteva in loop nel mio timpano.
«Mamma, cosa succede?» Domando subito in tono allarmato, senza sprecare tempo in convenevoli.
«Oh Duke, sei tu! Che fine avevi fatto?» La sua voce trema, come se stesse cercando di trattenere i singhiozzi e questo mi fa preoccupare ancora di più perché, so di non aver parlato per niente della mia famiglia dato che è stabilita nell’emisfero terrestre opposto a quello in cui vivo io e non ce n’è stata occasione, ma mia madre è una donna molto forte, che non piange mai… a meno che non sia successo qualcosa di estremamente grave. «Si tratta di Giacomo, tuo cugino.» In seguito non riesco ad apprendere a pieno il significato delle parole che la donna dall’altro lato della cornetta sta ripetendo. Il suo tono è spento, eppure carico e strabordante di dolore. 
In questo momento mia madre non è la stessa che ogni due settimane mi chiama domandandomi come sto, se ho trovato una fidanzata o se mangio come devo. Stupefacentemente vorrei che fossero questi i motivi legati alla chiamata, perché contro ogni mio buonsenso preferirei raccontarle del mio cuore infranto e dell’amore che avevo finalmente trovato, piuttosto che sentire la sua voce spezzata, perché la notizia che arriva a me ancor prima che le mie sinapsi abbiano avuto l’occasione di registrarla mi fa gelare le viscere: «Questa mattina è morto.»
Avete presente quella sensazione di vuoto che si prova quando si è sulle montagne russe e cadete nel vuoto, vi manca l'aria ed annaspate cercando invano di respirare? Ecco, è proprio cosí che mi sento nel momento in cui mi da la notizia che, ammettiamolo, non è la migliore dell'ultima settimana. Mi viene da pensare che la vita mi stia facendo pagare i torti compiuti durante l'arco dei miei ventisette anni. Un rammollito si porta via la ragazza di cui sono innamorato spezzandomi il cuore e poi la morte trascina con se il ragazzo con cui trascorrevo le vacanze fino a tre anni fa. Mi verrebbe voglia di alzare lo sguardo verso il cielo ed urlare inveendo contro quello che tutti chiamano Dio.
Impallidisco mentre la mia mente si svuota, sgrano gli occhi paralizzandomi. Riesco a malapena a sentire la voce di mia madre chiamarmi con voce stanca e tremante dall'altra parte della cornetta.
Ingoio a denti stretti il groppo che mi si è formato in gola, prima di chiederle come sia successo.
Seguono attimi di silenzi in cui percepisco solo il suo respiro. Infine prende coraggio, lo capisco dal modo in cui inspira, e me lo dice: «Si è suicidato.» Ed è un altro salto nel vuoto. Stringo forte gli occhi per attutire il dolore, ma chi voglio prendere in giro? Resto senza fiato, non dico niente perchè non so come reagire. È tutto cosí sbagliato.
Credo che Carlos mi stia chiamando, ma come puó pensare che lo senta se riesco a percepire a malapena me stesso? 
«Ti richiamo piú tardi.» Rispondo. O almeno è quel che credo di aver fatto, non ne sono sicuro, la mia mente è annebbiata: provo tutto e non provo niente, un turbinio di sensazioni travolgenti che si trasformano in rabbia. Scaravento con forza il telefono contro la prima superficie solida che capita sotto il mio sguardo, poco m’importa che si rompa, ma non basta: ho bisogno di scaricare tutta la rabbia e la tensione che ho in corpo. 
Raggiungo l'isola della cucina e con un braccio travolgo tutto ció che vi è riposto sopra, a partire dall'inutile tostapane mai utilizzato.
Le mani di Carlos mi strattonano impedendomi di continuare l'operazione di demolizione che ho iniziato e ho tutta l'intenzione di portare a termine. «Fermati Worten!»
«Non mettermi le mani addosso!» Sbraito spingendolo lontano da me.
Mi fulmina col suo sguardo espirando forte dal naso «Datti una calmata, amico.» Minaccia.
«Altrimenti?» Sibilo avvicinandomi pericolosamente a lui. Lo sovrasto, sono piú alto di lui, ma non so se avrei la meglio in un corpo a corpo dal momento in cui mi ha raccontato di aver fatto boxe per anni ai tempi delle scuole superiori.
In realtá non vorrei mettergli le mani addosso, eppure i palmi prudono dalla voglia di assestare un bel cazzotto su qualcosa di vivo e magari beccarmene un paio anche io. Ho bisogno di sfogarmi, togliermi di dosso lo schifo di sensazioni che mi stanno travolgendo. Vorrei poter tornare indietro nel tempo a quando tutto procedeva senza intoppi, il mio cuore non era in frantumi per una ragazza ed i miei famigliari non si suicidavano.
La reazione del mio amico determinerá la piega della situazione: potremmo andare a botte come due ragazzini, oppure... non lo so.
Fa un passo indietro passandosi una mano sul volto tirato «È chiaro che non ti è stato detto niente di buono.» Sentenzia guardandomi in faccia serio in volto. «Perchè non vai darti una lavata e ti schiarisci le idee?» Questo mi sorprende. Lo guardo in cagnesco fino al momento in cui capisco che lui è, ed è sempre stato dalla mia parte. Sia quando mi metteva in guardia a proposito di Emily, ed anche ora mentre mi impedisce di distruggere il mio stesso appartamento.
Espiro, accorgendomi solo in questo istante di aver trattenuto il fiato, ed accetto il consiglio. «Forse è meglio.»
«Giá.» Conferma lui.


Cosí mezz'ora dopo riemergo dal getto d'acqua bollente che mi sono lasciato scorrere addosso, cercando di rimuovermi dalla pelle queste sensazioni opprimenti, consapevole che una passata di sapone su una spugna bagnata non avrebbe mai potuto cancellare il dolore di un cuore spezzato e di un lutto famigliare...
Indosso i primi jeans che mi capitano sotto mano insieme ad una t-shirt scelta a caso, diciamo che curare il mio aspetto non rientra nella top ten delle prioritá del momento. Quando torno in salotto Carlos mi fa sventolare sotto il naso un foglio di carta fresco fresco di stampa.
Infastidito me lo levo dalla faccia per strapparglielo di mano «Che roba è?» Domando iniziando a scrutarlo con attenzione, ma proprio nel momento in cui capisco lui risponde:
«La ricevuta di due biglietti solo andata per l'Italia.»





Undici ore di volo dopo atterriamo sul suolo italiano. Perchè parlo al plurale? Beh, era ben chiaro per chi fosse il secondo biglietto acquistato da Carlos. Ha insistito per partire insieme a me, anche a costo di accompagnarmi e poi passare il tempo da solo per godersi i panorami italiani, così ha detto. Non ho avuto la forza di farlo desistere, anche se ciò avrebbe significato spiegargli il motivo che ci stava spingendo a volare fino all'emisfero terrestre opposto al nostro... ma ancora non l’ho fatto.
Si, so che dovrei davvero fargli sapere che una volta arrivati troverà una famiglia in lutto, ma cazzo avete idea di quanto sia difficile, anche solo vagamente, dover riferire a qualcuno che un tuo famigliare si è tolto la vita? Già beh, lo è molto. 
Oltretutto per tutta la durata del viaggio mi sono ammutolito, rinchiuso in un bozzolo isolato in grado solo di autocommiserarsi. Si, esattamente è ció che ho fatto per ore ed ore. Ho voltato lo sguardo verso il finestrino, come Miley Cyrus nel film The last song, ed ho osservato come uno spettatore passivo il panorama che si estendeva sotto di noi, ho infilato un paio di auricolari e ho messo in play l'intera discografia di Passenger. Esatto, come una ragazzina depressa alle prese con le sue crisi ormonali.
Se solo fosse davvero cosí.
Ho pensato e ripensato ricordando i momenti passati con mio cugino, piú un amico che un famigliare. Mi è tornata alla mente quell'estate in cui fu lui a venire in America, per dare uno strappo alle solite abitudini, e a quanto se ne fosse innamorato. Eravamo ubriachi una sera si e l'altra pure, tanto che la maggior parte delle volte non eravamo in grado di fare ritorno a casa, ritrovandoci quindi a dormire nei parchi sparsi qua e la per Manhattan. Oppure quella volta in cui ci siamo ritrovati a fare a botte con tre ragazzi in un bar, perchè a causa della sua pessima mira avevamo colpito uno di loro sulla schiena con una freccetta. Se vi steste chiedendo come ne siamo usciti sappiate che il giorno dopo ci siamo ritrovati parecchi lividi.
Eppure non ci sono state solo questo tipo di avventure con lui; non sono mancati i momenti di serietà in cui ci sbattavamo su un divano e tre piazze con una birretta in mano per parlarci l’un l’altro a cuore aperto, senza preoccuparci di ricevere alcun giudizio.
Un rapporto simile non l’ho ritrovato in nessun altro, nemmeno in Carlos che è la persona che si avvicina di più alla definizione di amico. Ma quand’è successo che abbiamo smesso di tenerci in contatto? Dev’essere successo quando ho iniziato a lavorare per la Blake, non ho più avuto tempo libero e... Si, come no, sono tutte scuse, solo scuse. E dire che non riesco nemmeno a ricordare la nostra ultima conversazione...


Vuoto il sacco con Carlos solo una volta scesi dal taxy ed arrivati davanti a casa di mia madre.
«Merda, mi dispiace amico. Se me l'avessi detto prima-»
«Non sarebbe cambiato niente.» Lo interrompo con voce atona imboccando il vialetto che porta al campanello della casetta bianca che sto osservando. Non sono mai stato qui. 
Dopo aver vissuto per piú di vent'anni in America, dopo la morte di mio padre, mia madre ha deciso di far ritorno a Torino, quella che è stata la sua cittá natale. Quando cinque anni fa mi ha spiegato di volersi trasferire sono stato ben felice di appoggiarla, sapevo che mi sarebbe mancata, come sapevo che era giusto che si ricongiungesse con le sue origini. È stato più difficile però convincerla del fatto che io non me ne sarei andato da Manhattan e che sarei stato bene, che a ventidue anni ormai ero un adulto e che non avrebbe dovuto rinunciare al suo benessere per causa mia.
Una donna dai capelli castani legati in una crocchia disordinata con addosso un maglioncino rosa antico apre la porta d’ingresso. Ha gli occhi azzurri gonfi e spenti, tant’è che il loro colore solitamente così brillante ora si sfuma in sfaccettature di grigio. Eppure si riaccendono di vita quando si rende effettivamente conto di chi c’è davanti a lei in questo istante.
«Duke!» Esclama mia madre con la sorpresa nella voce avvolgendomi immediatamente in un vigoroso abbraccio degno di una mamma che non vede il figlio da troppo tempo. «Oh, mio piccolo Duke!»
Sorrido ricambiando ed accarezzandole la schiena «Mamma, non sono più tanto piccolo.» Le stampo un bacio sulla fronte, prima di lasciarla indietreggiare per farmi poi scannerizzare dalla testa ai piedi, come ai vecchi tempi.
Si asciuga una lacrima prima che le possa scorrere lungo il viso «Lo vedo, lo vedo! Sei cresciuto così tanto.» Mi stringe di nuovo tra le sue braccia, questa volta quasi a voler constatare che io sia davvero li e non sia frutto della sua immaginazione, poi inizia l’interrogatorio: «Ma quando sei partito? Perché non mi ha chiamata? È così tardi, sei stato fortunato ad avermi trovata ancora sveglia!» Mi da una leggera manata di rimprovero su una spalla, ma prima ancora che abbia modo di risponderle il suo sguardo cade sul ragazzo in disparte alle mie spalle, catturando la sua attenzione «E lui chi è, il tuo ragazzo?» Sgrano gli occhi voltandomi verso Carlos che, non avendo capito una parola di italiano, è ignaro di tutto.
«No! Mamma ma che-» Mi passo una mano tra i capelli chiudendo gli occhi, scuotendo la testa «No, mamma: è un mio collega. Lo stesso che ha risposto al telefono quando mi hai cercato in ufficio.» Le spiego «Ha insistito per volermi accompagnare, quindi eccolo qui.»
«Oh.» Risponde mia madre con aria imbarazzata per la gaffe appena fatta, ma quando posa lo sguardo su Carlos i suoi occhi si velano di dolcezza e gratitudine. Gli si avvicina porgendo la mano e, con un inglese eccellente, si presenta.
Lui ricambia in modo serio e composto «Piacere di conoscerla, signora. Io sono Carlos.» In tutta risposta mia madre lo trapassa con un’occhiata di rimprovero.
«Chiamami solo Patrizia, o Patti. Ci pensa già Duke a farmi sentire vecchia.» Il mio amico ridacchia ed annuisce. 
Mia madre ci invita ad entrare offrendosi di prepararci una tazza di caffè, ma quando ci accomodiamo sugli sgabelli in legno del tavolo della cucina cade un silenzio imbarazzato, finchè non apro bocca per porre quella domanda a cui tutti stanno pensando, ma che nessuno vuole domandare.
«Come sta la zia?» Mia madre inspira chiudendo gli occhi ed ecco che l’aria intorno a noi si fa tesa. Quando li riapre leggo il dolore nelle striature delle sue iridi azzurre. Curva le sopracciglia sotto il peso della tristezza, la voce trema mentre tira su col naso.
«È a pezzi, è stata lei a trovarlo.» E in seguito non c’è molto da aggiungere: ci spiega della lettera lasciata da Giacomo sulla sua scrivania in cui spiegava i motivi per cui ha fatto ciò che ha fatto. In pochi minuti mia madre scoppia in lacrime, piange ininterrottamente per l’assenza ed il vuoto lasciato da mio cugino. So quanto male le faccia, perché se per me lui era come un fratello, per lei era come un secondo figlio. La stringo forte tra le mie braccia mentre Carlos si dispiace.
Restiamo in silenzio l’uno stretto all’altra, finchè non si calma. Infine esausta ci propone di andare a letto, sono le due di notte, ormai e data la notizia ricevuta questa mattina ha davvero bisogno di dormire… Ci mostra le nostre stanze, dopodichè ci augura una buona notte.
Saluto anche il mio amico e chiudendo la porta alle mie spalle vado a sedermi sul letto. Li, nel buio e nella solitudine della notte, le mie barriere cedono: lascio che le lacrime spezzino la mia immagine da maschio alfa, non ho bisogno del mio orgoglio. Piango, sopraffatto dagli eventi dell’ultimo periodo; piango per Emily che, come un’ombra, aleggia intorno al mio cuore lo opprime facendomi sentire vulnerabile, esposto. 
Piango per mio cugino, un ragazzo così pieno di forze ed energie, eppure infelice ed insoddisfatto e che ora non rivedrò mai più. Questa consapevolezza mi attanaglia lo stomaco causandomi una fitta di dolore, mi arpiona i polmoni togliendomi il respiro e mi si’impianta nella mente, facendomi rivivere ogni istante vissuto insieme a lui ed ogni momento perduto a causa della nostra distanza, facendomi cadere nel girone del rimpianto. 
Piango avvolto nell’oscurità fino a che la stanchezza degli eventi non mi strema e mi addormento.


 

Sono passati due giorni da quando sono arrivato in Italia ed oggi è il giorno del funerale.
In questo periodo il tempo pare non voler scorrere mai, procede con estrema lentezza espandendo ad ore ogni secondo, prendendosi gioco di me.
Indosso la mia giacca nera, la mia camicia ed i miei pantaloni dello stesso colore e, mentre il prete recita la sua messa e consiglia a mia zia di  cercare conforto parlando con la Madonna, tengo lo sguardo fisso sulla bara al centro della navata, con un grande mazzo di calle bianche posato sulla superficie liscia e lucida in legno bianco.
Se non siete mai stati ad un funerale mi auguro continuiate così e che non dobbiate mai vivere un’esperienza simile. Io sono stato sfortunato e mi è toccata: prima con mio padre ed ora con mio cugino. È una situazione a cui non ci si abitua mai e a cui non ci può abituare. Non immaginereste mai quanto dolore possa suscitare l’assenza di una persona una volta persa per sempre; tutti i famigliari ed i conoscenti, tutti coloro che l’amavano uniti in un solo luogo, in una piccola chiesetta di paese a piangere fiumi di lacrime, avvolti nel dolore.
Ti distrugge vedere tanta sofferenza in un unico punto in funzione ad una sola persona, una persona sentitasi inadatta al contesto in cui viveva, che soffriva tanto da non riuscire a trovare conforto in nessun modo, se non nella morte.
Perché tutti coloro che lo stanno pregando ora non hanno capito ciò che avesse in mente? Perché nessuno si è accorto che l’abbandono della sua fidanzata fosse stato più distruttivo di quanto volesse realmente far apparire? Sono queste le domande che mi affollano la mente mentre io ed altre tre persone ci carichiamo sulle spalle il peso della bara; scuri in volto accompagniamo il corpo di mio cugino nel carro funebre che lo attende e dietro di noi le persone camminano con passo traballante, singhiozzando, trattenendo gemiti strozzati.
Una volta posata accarezzo la bara in legno chiaro e mi domando ancora una volta se qualcuno sarebbe mai stato in grado di salvarlo. Non riesco a credere che sia vero, non posso credere che ci sia lui qui dentro.
Stringo forte gli occhi prima di dire definitivamente addio a Giacomo.
Mentre la folla di persone che lo conoscevano ed amavano consolano, abbracciano e danno le condoglianze a mia zia, lei sorride; sorride facendosi forza e non cedere al dolore. Ammiro quella donna, capace di non farsi schiacciare dal peso della morte del figlio, mostrando gli artigli e restando in piedi.
Il carro funebre nel frattempo si allontana, diretto verso l’ospedale in cui il suo corpo verrà cremato.­



È ormai sera e mi ritrovo seduto sulla panca in legno al centro del balcone fuori dalla quella stanza a casa di mia madre che al momento chiamo come mia. Scruto l’orizzonte: abita in una zona perlopiú agricola, quindi non mi stupisco se davanti a me, ed oltre ancora, si estendono chilometri interi di campi coltivati. Non ci sono lampioni. Nessuna luce oltre quella della luna, che è fioca e semi nascosta dalle nuvole. 

Osservo comunque il cielo, perchè a Manhattan non ne ho mai la possibilitá; tutti quei grattacieli, quelle strutture dall'architettura raffinata e ben studiata in modo da risultare appositamente fredde ed eleganti impediscono alle persone di alzare gli occhi al cielo e lasciarsi trasportare dalla sua immensitá, o di lasciarsi consolare dalla sua oscuritá.
Mi perdo in me stesso, nei miei pensieri, e non mi riconosco più. Vogliamo fare di nuovo insieme l’epilogo della situazione? La mia vita si è stravolta nel giro di un mese e mezzo; da quando Emily ha fatto capolino nella mia vita finendo col muso contro la porta da cui stavo uscendo. Ironia della sorte: poco prima di uscire da quel bagno angusto e lurido, quella sera, avevo spezzato il cuore di una delle tante ragazze ossessionate da me. Ricordo di aver esplicitamente detto, scandendo ogni parola, che non avrei mai e poi mai voluto avere una relazione, men che meno con lei e poi? Poi incontro una ragazza bassina dai lunghi capelli bruni, il sorriso più dolce e gli occhi più verdi che io abbia mai visto. Quella sera la sua bellezza mi aveva colpito, ma solo l’indomani, durante la pausa la pranzo del lunedì seguente, mi sarebbe rimasta impressa nella mente. Con quel suo carattere frizzante e la sua escandescenza ha fatto poco a poco breccia in me.
Insomma ragazzi, sono rimasto fottuto. Tant’è che ora, contro ogni mia aspettativa, mi ritrovo qui, a desiderare che lei sia con me per consolarmi con le sue carezze, che invece sono solo il ricordo di una notte annegata nell’alcol.

«Amico, se quella non la bevi è birra sprecata.» La voce di Carlos mi sorprende alle spalle. Si riferisce alla birra che tengo in mano.

«Fa davvero schifo, non sarebbe grave.» Gli porgo la bottiglia e lui l’accetta. Ne prende un lungo sorso e quando la manda giù fa una faccia schifata.
«Cazzo, è disgustosa!»
«Te l’avevo detto.»
«Perché diavolo l’hai aperta?»
«La bevevo con mio cugino, quando volevamo ubriacarci.» Sorrido al ricordo «Le birre di marca costavano per le nostre tasche, così compravamo quelle sottomarca.» Agitopiano la bottiglia sotto il naso del mio amico facendolo indietreggiare con orrore «Trentanove centesimi di birra infernale.»
«Beh, un affarone!» Esclama Carlos ironico scuotendo la testa con fare di dissenso.
«Puoi dirlo forte.» Rispondo io, dopodichè rivolgiamo entrambi l’attenzione al buio d’innanzi a noi.
Passa qualche minuto prima che lui torni a parlare «Quando hai intenzione di tornare?» Mi domanda. Già, quando? Me lo sono chiesto anche io, ma domanda ancora più importante: voglio tornare? Sono giorni che ci penso, in fin dei conti li non c’è nulla che non possa avere anche qui. Emily ha scelto di stare con il suo ragazzo ed io devo smettere di pensare a lei, cosa c’è di meglio che cambiare nazione?
Soppeso attentamente l’alternativa prima di concretizzarla rivelando le mie intenzioni a Carlos, poi sgancio la bomba «Penso che rimarrò qui.» Come mi aspettavo lui volta la testa di scatto guardandomi con gli occhi sgranati e l’espressione tra il sorpreso e l’inorridito.
«Come sarebbe a dire?! E il tuo lavoro?» Scuoto la testa, non penso riuscirà a farmi desistere.
«Non è nulla che non possa trovare anche in Italia.» Il silenzio ci avvolge di nuovo.
«Ed Emily?» Il mio cuore, all’udire quel nome, manca un battito. Non ero preparato a focalizzare la sua immagine nella mente, compare all’improvviso come uno schiaffo sul viso.
Alzo gli occhi verso il cielo «È come hai detto tu: scelgono sempre il fidanzato.» Mi porto la bottiglia di birra alla bocca e ne ingoio un lungo sorso. Fa schifo, ma almeno ha un grado alcolemico alto, me ne frego del sapore schifoso.
Carlos sospira prima di piegarsi in avanti e posare gli avambracci sulle ginocchia «È una balla, amico.» Mi volto a guardarlo sorpreso e confuso, poi continua a parlare rispondendo a quella domanda che non ho dovuto nemmeno porgergli: Di che diavolo stai parlando? «Quattro mesi fa, quando arrivai alla Blake mi ero appena trasferito da Nashville, in cui vivevo con la mia ragazza.» Mi basta quest’informazione per riuscire a collegare i pezzi del puzzle e farmi un’idea approssimativa di ciò che sta per dire, ma lascio che continui a raccontare. «Ci saremmo dovuti sposare il mese scorso, ma scoprii che mi tradiva da tempo con un altro. La perdonai, perché l’amavo e non sopportavo l’idea di vivere senza di lei.» Si risolleva scuotendo la testa, il tono triste, amareggiato, pieno di rancore «Finchè una mattina non mi sveglio e lei mi dice di essere incinta dell’altro ragazzo, con cui non ha mai smesso di vedersi. Aveva scelto lui e non il suo fidanzato, capisci?» Sospira voltandosi verso di me «Se ti ho detto quel che ho detto è stato solo per farti desistere dal distruggere una relazione stabile e duratura, perché so come ci si sente quando qualcun altro si porta via ciò che è sempre stato tuo.» Le sue parole sono un pugno nello stomaco. Non che non fossi già cosciente delle mie azioni, è che farselo rinfacciare non è tanto piacevole quanto mangiarsi una fetta di torta.
«Questa volta la mia intrusione non ha distrutto nulla: lei è tornata da lui, dopo averle detto che l’amo.»
«Mi dispiace, amico.» Non rispondo, limitandomi ad ingollare un nuovo lungo sorso di birra. «Io sono fuggito, incapace di affrontare la situazione, ma non essere impulsivo come lo sono stato io.»
«Perché non dovrei?»
«Perché la tua vita è a Manhattan.»
«La mia famiglia è qui.»
Carlos sospira, ma non si arrende «Prenditi tempo e riflettici, Worten. Tra due giorni c’è la serata di beneficenza dell’uomo per cui hai lavorato con Emily, no?» Annuisco. «Bene, andiamoci. Porta a termine ciò che hai concluso e solo allora prendi la tua decisione.» E come un tarlo che sguscia nel legno, la proposta del mio persuasivo amico si insinua nella mia mente. Prendo in considerazione l’idea.
«Ci sarà anche lei.»
«Ci sarà anche lei.» Conferma lui. Mi prende la bottiglia tra le mani, beve, ma prima di ingoiarla si affaccia al balcone sputando la birra che aveva in bocca «Cazzo, Duke! Questa roba fa troppo schifo!»

 

È di nuovo mattina, è un nuovo giorno ed io e Carlos siamo in aeroporto insieme a mia madre, che si è offerta di accompagnarci con la sua auto. Hanno appena chiamato il nostro volo, quindi lui la saluta per primo, così da lasciarci soli.
«Ciao mamma.» Apro le braccia per avvolgerla in un abbraccio. Non stavamo così a stretto contatto da quando ero bambino.
«Ciao piccolo mio.» Sorrido alzando gli occhi al cielo prima di allontanarmi da lei «Torna presto a trovarmi.» E vorrei risponderle che se fosse per me nemmeno me ne andrei, ma desisto limitandomi a prometterle che lo farò. Raccolgo il mio borsone da terra e le stampo un bacio sulla guancia, poi mi sorprende sussurrandomi: «La conquisterai.»
Inarco un sopracciglio, confuso «E tu come-»
Mi interrompe sorridendo «Sono tua madre, ti conosco. Inoltre so riconoscere i sospiri di un ragazzo innamorato.» Sorrido anche io Se fosse solo questo..
Carlos chiama il mio nome in lontananza «Forza mammone, o finiremo per perdere il volo!» Mi volto verso di lui facendogli il dito medio, beccandomi così facendo un rimprovero.
«Ciao mamma.»
«Ciao tesoro, chiamami.»



 

R I E C C O M I

Scusate se ho impiegato la bellezza di un mese per questo capitolo, ma diciamo che è stato un periodo piuttosto nero.
Vi chiedo infinitamente mille volte scusa, ma ho lavorato sodo per stendere questo capitolo nel miglior modo possibile! E' stata dura, ma ce l'ho fatta.
Spero di farmi perdonare compensando con la lunghezza infinita dell'aggiornamento (ben nove pagine di word!).

Detto questo: eccoci qui, al penultimo capitolo. Come vi sentite? Come pensate che finirà per i nostri due cari amici?
Voglio sapere tutto in un commento, o in un messaggio! Fatevi sentire!

Mi auguro di riuscire ad aggiornare prima di un mese, senza farvi aspettare nuovamente così a lungo!
Nel frattempo vi auguro buona pasqua, spero di tornare presto!
Un bacione,
KamiKumi

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Capitolo 38
*** 38. EMILY ***


Busso per l'ennesima volta alla porta dell'appartamento di casa di Duke e sospiro sconfitta: sono venuta qui ogni giorno, anche piú volte, ma senza alcun risultato. Non ottengo risposta oltre all'eco dei miei pugni contro il legno ed il tremolio della mia voce quando chiamo il suo nome. Tutte le volte mi rassegno al fatto che Duke è partito e potrebbe non tornare mai piú.

Poso la fronte contro il legno freddo, stringendo gli occhi quando questa consapevolezza mi trafigge il petto. Se solo non fossi stata tanto codarda... Se solo non mi fossi crogiolata nell'autocommiserazione... Sollevo la testa ricacciando indietro le lacrime che mi pizzicavano gli occhi quando sento la porta dei vicini di casa di Duke aprirsi. La signora Patterson mi osserva con sguardo compassionevole salutandomi ed io ricambio con un sorriso moscio, dopodichè giro sui tacchi per tornare a casa a mani vuote, come sempre. 

Percorro a piedi la strada di ritorno verso casa; ormai è sera ed il clima è mite, quindi non si rischiano svenimenti o capogiri. Nell'aria c'è profumo di primavera, nonostante lo smog e gli odori della cittá. Mi scosto una ciocca di capelli dietro le orecchie, alzando gli occhi al cielo cercando inutilmente le stelle: l'inquinamento luminoso e i palazzi infiniti non permettono di godere dello spettacolo che la natura ci riserva. Rinuncio sconfitta, spostando l'attenzione sulle mie scarpe che ticchettano sull'asfalto, perdendomi nei miei pensieri.Da quando sono tornata a lavorare molte cose sono cambiate: in ufficio non si fa altro che parlare della riappacificazione tra Mr.Simmonds e Mr.Blake riguardo le loro antiche faide, pare circolino addirittura voci riguardo una possibile fusione delle due agenzie.

Mi viene da pensare che il merito di quanto avvenuto sia mio e di Duke e della buona riuscita del nostro lavoro. La campagna pubblicitaria che abbiamo ideato è giá diffusa per le strade di Manhattan; vedo le persone soffermarsi a leggere i vari manifesti e i volantini distribuiti e mi viene da sorridere, piena di orgoglio, soprattutto se ripenso a tutte le discussioni e i battibecchi avuti con Duke per accordare e far combaciare le nostre idee. Scuoto la testa, come se il ricordo fosse lontano e non di sole due settimane fa; settimane che sembrano infinite.

La situazione al lavoro non è l'unica cosa ad essere cambiata, però. In casa ho apportato delle modifiche all'arredamento, ho cambiato la disposizione dei mobili e riposto tutti gli oggetti e vestiti di Nate in alcuni scatoloni. Facendolo non ho potuto evitare un malinconico groppo in gola, perchè insomma, mandare a puttane una relazione stabile da anni non è affare da tutti. Che dite, potrei aggiungere questa dote al mio curriculum? 

Oltretutto non so cosa farne di tutti quegli scatoloni: Nate non risponde al telefono. E no, non è che si limiti a rifiutare le mie chiamate, è che ha proprio eliminato il suo numero dalla faccia della Terra. Probabilmente dovrei buttarli, o darli in beneficenza. Chissá, magari se faccio una buona azione il cattivo karma smetterá di perseguitarmi, direi che questa straziante sofferenza sia una penitenza sufficiente.Comunque sia, avevo bisogno di rimettere in sesto la mia vita, riallineare i binari e ricominciare il mio viaggio, qualsiasi cosa avessi bisogno di fare l'ho fatta: quindi ho una nuova coinquilina, si chiama Mich, ha quattro zampe ed il pelo folto e grigio, fatta eccezione per i piedini ricoperti di pagliuzze bianche ed i suoi occhi sono grandi e verdi. Esatto, mi sono presa una gatta. Da troppo tempo progettavo di prenderne una, ma Nate ne era allergico, quindi eccomi qui: finalmente sola e gattara.

Vengo destata per un momento dai miei pensieri da una ragazza alta e bionda, col viso coperto di lentiggini che mi tende un volantino.

«Vieni anche tu alla serata di beneficenza organizzata dal piú grande produttore di tè al Mondo! Si svolgeranno numerose attivitá in favore dei piú bisognosi-» La interrompo prendendole il volantino di mano e ringraziandola, prima che abbia modo di continuare col suo sermone. Si puó dire che io sia sufficientemente informata riguardo le attivitá della serata, devo solo decidere se andarci o meno. Ho fatto progressi e sono uscita dal mio stato di esilio dalla società, ma non mi sento in vena di rimanere tanto a lungo in un luogo estremamente affollato.

Riprendo il filo dei miei pensieri ricominciando a camminare. Ricordate di quando raccontai di non avere piú contatti con la mia famiglia da anni? Non ne ho mai spiegato il motivo, direi che sia ora di farlo: quando mi sono trasferita nell'appartamento di Nate avevo solo vent'anni e i miei genitori non erano d'accordo, poichè sostenevano fossi troppo giovane. Tuttavia mi ritenevo giá adulta, nonostante mancasse ancora un anno per potermi ritenere davvero maggiorenne. Inoltre non potevo piú aspettare, volevo assolutamente vivere col mio fidanzato. Insomma, mi hanno dato un ultimatum: se mi fossi trasferita definitivamente da Nate non avrei dovuto mai piú farmi vedere in casa loro. E cosí fu, come ben avrete immaginato. 

Seguí un lungo periodo di rabbia ed odio nei loro confronti, dopodiché subentrò la tristezza per il loro rifiuto e la loro mancanza. Cinque anni di distanza dalla propria famiglia sono troppi, per questo due giorni fa mi sono rifatta viva. E come dire? Mi hanno mandata al diavolo. Beh, non che mi aspettassi baci e abbracci, ovviamente, ma magari il tempo di un saluto e delle scuse. Questo non vuol dire che non ci riproveró, devo dar loro il tempo necessario a ricordarsi di avere una figlia.

Quando raggiungo il mio condominio sono le sette passate, ma mi rendo conto di non aver per niente fame. Il bello di esser single è che non sono costretta a cucinare per forza, quindi tutto ció che faccio non appena rientro è sfilarmi le scarpe in due calci e far scivolare la gonna a terra, per poi lanciarmi sul divano in tutta libertá. In men che non si dica Mich zampetta e miagola fino a raggiungermi per mordermi le dita dei piedi facendomi il solletico. Inizio a muovere le dita per farla giocare e lei mi azzanna la pelle con le unghiette ed i dentini, ma mentre lei si diverte in questo modo io ricomincio a rimuginare. Pare che sia il mio nuovo hobby: la mia vita è un malinconico agglomerato di pensieri su pensieri rivolti a Duke, in questo momento. Chissà cos'è successo? O meglio: chissà a chi è successo? 

Se si trattiene tanto a lungo dev'essere stato qualcosa che lo ha colpito nel profondo e, se a due giorni dall'evento, non è ancora tornato non si vedrà affatto. Non dovrei presentarmi nemmeno io, non avrebbe senso andarci senza di lui.

Bene, è deciso: non andrò.

Lo squillo del telefono rompe il silenzio nell'appartamento, stendo il braccio per afferrarlo e sul display compare il nome di Brenda. Rispondo con quanta più allegria mi è possibile, perché non ho proprio voglia di sentirla sproloquiare a proposito di come dovrei tirarmi su di morale ed evitare di pensare a lui. Se potessi evitare di farlo non starei così, me ne parla come se fosse semplice. Ma come si fa quando si percepisce una persona ovunque intorno a se?

«Emy! Hai già deciso cosa indossare per la serata di beneficenza?» Va dritta al punto, ponendomi la domanda che speravo con tutto il cuore non mi avrebbe rivolto mai.Sospiro. Ok, è il momento. Le dirò che non ho intenzione di andarci e sarò irremovibile «Non verrò.»

«Come sarebbe a dire che non verrai? È merito del tuo lavoro se ci sarà l'evento!» Percepisco il tono risentito ed irritato nella sua voce.

Faccio spallucce, anche se non può vedermi «Non è solo merito mio. E comunque non mi va di venirci, tutto qui.» Trattengo il fiato, in attesa che vada in escandescenza. Da quando le ho raccontato della festa non parla d'altro, è così entusiasta da dare l'idea di essere stata lei a realizzare la campagna dell'evento.

«Ah, ok beh si, lo capisco.»

Questa risposta però mi sorprende e mi spiazza «Ok, graz-» Poi il verso, che dovrebbe ricordare una risatina ironica ma che rappresenta più che altro un ghigno malefico, mi interrompe.

«Ti piacerebbe, vero?» Chiede retoricamente «Tu ci verrai, perché ci sarò anche io. Kyle mi ha invitata a presentarmi con lui ed ho bisogno del tuo sostegno morale.» Con questa spiegazione riesco a capire il motivo dell'entusiasmo degli ultimi giorni. Tento di aprir bocca per ribattere, ma mi interrompe prima che possa pronunciare una sola sillaba «Quindi non mi abbandonerai in balia degli eventi di una serata tanto importante. Non ti va di venire per te stessa? Fallo per me. Ti prego.» Conclude espirando, ed insieme al fiato sembra aver espulso tutta l'ansia e l'insicurezza trattenuta fino a quell'istante.

Vacillo e seguono attimi di silenzio in cui impreco mentalmente contro la mia amica. Sarò irremovibile, eh? Alzo gli occhi al cielo e poi mi rassegno al mio destino «E va bene! Ci sarò anche io.»

Brenda lancia un urlo di gioia «Sapevo che avrei fatto breccia nella parte tenera del tuo cuore!»

Rido di lei e del suo subdolo piano «Oh, ma vaffanculo Bren!» La insulto, col solo risultato di divertirla ancora di più e finalmente mi sento spensierata. 

Restiamo al telefono per quasi un'ora, così che lei possa raccontarmi della sua giornata ed io della mia, omettendo la visita a casa di Duke. 

Oggi è stata l'ultima volta.

Non andrò più da lui, perché lui non tornerà più... 

 

 Dato che la scorsa settimana l'ho passata oziando sul divano di casa mia, ammuffendo e raggrinzendomi insieme alla stoffa dei cuscini su cui ho vissuto, la ricerca del mio vestito per la serata di domani dovrà svolgersi in due ore e mezza, ossia entro la chiusura di tutti i negozi migliori della città. 

Dunque, ricordate la fatidica giornata di shopping intenso con Brenda? Se la risposta è no, beh sappiate che siete una delusione, e che potrete rinfrescarvi la memoria pensando alla serata in cui, prima di beccarmi una porta in faccia, ammiravo i fantastici stivaletti a tacco alto comprati nella sessione di spese pazze del mese scorso.

In ogni caso, come dicevo, il fatidico evento mensile è stato anticipato proprio ad oggi, in queste poche ore, perché non posso permettermi di marinare altri giorni di lavoro come una ragazzina irresponsabile. Già, grazie al mio assenteismo mi sono giocata una settimana di ferie. Ditelo insieme a me: grande mossa, Emy!

Ad ogni modo è il quinto negozio da cui usciamo a mani vuote, perché Brenda sosteneva che in mezzo a tutti gli abiti provati non ci fosse quello perfetto. 

Seguo la mia amica camminare a passo spedito, mentre le porte automatiche dell'ennesima boutique si chiudono alle nostre spalle.

«Dài Bren, posso sempre vestirmi da bustina del tè. Sarebbe un'ottima mossa di marketing, lo sai?» Le urlo da dietro cercando di sdrammatizzare e di raggiungerla. Sono esausta: la giornata di lavoro è stata pesante, non capisco come lei possa essere ancora tanto in forze dopo essere stata tutto il giorno a gestire un numero infinito di classi con ragazzini ingestibili.

Lei sbuffa, scostandosi dal viso i capelli trasportati dal vento, che oggi ha deciso di graziarci con la sua presenza. «Prendi sul serio questa cosa. Devi essere stupenda domani, voglio vederti splendere!» Sbotta senza nemmeno fermarsi a guardarmi in faccia.

Cosa crede, di poter sganciare una bomba simile pensando che io possa lasciar perdere questa sua insistenza? La fermo piazzandomi di fronte a lei «E con questo cosa vorresti dire?» Incrocia le braccia al petto, guardandomi come se non volesse aprir bocca, quindi inarco il sopracciglio assumendo un'espressione risentita, così da incoraggiarla a parlare. Inaspettatamente funziona.

Sbuffa sciogliendo le braccia e posandole sulle mie spalle. Mi fissa intensamente, aggrottando le sopracciglia. Assumo la stessa espressione, dettata però dalla confusione, poi poso lo sguardo sui passanti che ci squadrano, girandoci intorno imprecando perché ingombriamo il traffico «Brenda, siamo i mezzo alle palle.»

«Me ne frego! Guarda me.» Ordina lei esasperata ed io eseguo gli ordini «Senti, io voglio che tu torni ad essere quell'Emy sexy e scatenata che era la mia migliore amica di due settimane fa.» Ammette infine. La guardo negli occhi prendendola ora seriamente e leggendo al loro interno pura e semplice sinceritá. «So che adesso ti stai sforzando di essere vivace, ma lo vedo che non lo sei davvero. E io voglio solo che domani, anche se solo per una sera, tu sia felice e radiosa.»

Le sue parole mi emozionano. Non credevo di risultare cosí penosamente disperata, credevo di essere un'attrice migliore, eppure sapere che c'è qualcuno che ti conosce tanto bene da riuscire a sgretolare anche la tua maschera piú solida è rassicurante, scalda il cuore. La abbraccio d'istinto «Sei la migliore, Bren.»

«Lo so, lo so.» Mi stringe anche lei e rimaniamo avvolte l'una nelle braccia dell'altra come facevamo quand'eravamo ragazzine, dondolandoci da destra a sinistra con un sorriso da ebeti stampato in viso, fino a che i passanti non ci caricano di insulti per l'ingombro che stiamo creando nel traffico pedonale; a quel punto mi riscuoto.

«Direi di ricominciare il nostro giro di negozi. Devo trovare anche un paio di scarpe da abbinare, o sbaglio?» Le sorrido.

«Beh o potremmo trovare il vestito da abbinare alle scarpe...» Così, sentendomi proprio come le protagoniste di quei tipici film americani da teen ager, mi avvio con la migliore amica alla ricerca dell'abito più strepitoso che esista. 

 

Alla fine della giornata sono esausta, la sessione di shopping è stata proprio degna dell'aggettivo con cui l'abbiamo definita: "intensa" e ciò che ne abbiamo ricavato è il vestito da sera più basic mai visto sulla faccia della terra. E sapete perché? Beh, perché non siamo per nulla in uno di quei filmetti per ragazze in un cui la protagonista sfigata trova, ventiquattro ore prima del ballo, l'outfit perfetto per diventare reginetta, e tanto meno le viene recapitato per posta dal suo ricco migliore amico gay. Ah, e non sono così fortunata da avere una Fata Turchina a mia disposizione, non sono Cenerentola. Voglio dire, non ho nemmeno "il principe".

Per questo ci siamo rassegnate ad accontentarci del meno peggio, così da potercela filare a casa di Brenda insieme a Kyle e divorarci una pizza formato famiglia guardando qualcosa di televisione, o più che altro bevendo birra e sbronzandoci, per festeggiare a modo nostro.

Tuttavia alla fine il momento è arrivato: oggi, uno maggio, è il giorno della serata di beneficenza. Indosso il mio abitino nero lungo fino al ginocchio, con le maniche a tre quarti cucite in pizzo. 

È semplice ma mi fa sentire sexy, aderisce perfettamente al mio corpo facendomi apparire elegante e per nulla volgare. Ai piedi indosso un semplice paio di décolleté nere, quindi per compensare l'outfit semplice, mi sbizzarrisco col trucco e l'acconciatura più sfarzosi che conosca, che consistono in: rossetto rosso sulle labbra ed una spessa linea di eyeliner con una gran quantità di correttore e mascara ed una treccia elaborata, dopo aver rinunciato ad arricciarmi le punte dei capelli. Non sono in grado di usare la piastra per i boccoli, ok? Lasciatemi stare. Tuttavia guardo la figura riflessa nello specchio della camera degli ospiti, che ora è camera mia perché non volevo continuare a dormire nello stesso letto che ho diviso con Nate tanto a lungo, e nel complesso non sembro essere affatto male. 

All'improvviso mi sento elettrizzata al pensiero che effettivamente questa serata l'ho pubblicizzata io, col mio lavoro e anche se Duke non ci sarà andrà bene. Tutto andrà bene, perché non dovrebbe?

Sospiro facendomi coraggio, non vedo l'ora di arrivare li ed iniziare a bere. Esattamente, è lo scopo della mia serata. Beh, cosa dovrei fare altrimenti? Hanno tutti un accompagnatore, dovrei forse rimanere in disparte a piangere su me stessa perché sono una gattara solitaria? Esatto: forse dovrei. 

Ma potrei anche buttarmi sui free drink offerti su grandi vassoi d'argento e distribuiti dal catering senza che nemmeno debba fare la fatica di andare a procacciarmi l'alcol.

Alle sei e mezza in punto Brenda mi aspetta insieme a Kyle nella sua auto, abbiamo deciso di cenare fuori insieme, prima di dover scambiare convenevoli con totali sconosciuti o annoiarci a morte. Li raggiungo dopo essermi data un'ultima occhiata allo specchio ed aver salutato la piccola Mich. 

 Nel giro di mezz'ora parcheggiamo fuori dalle porte di uno dei ristoranti thai migliori di Manhattan e, con la fame che domina le nostre esistenze, ci fiondiamo all'interno, poco importa del nostro abbigliamento fin troppo elegante e del tutto fuori luogo. Insomma, chi cazzo ha stabilito che per mangiare tailandese non possa essere vestita come una bomba sexy?

Il problema sorge nel momento in cui il cameriere dai penetranti occhi a mandorla ci indirizza ad un tavolo non solo apparecchiato per quattro persone, ma anche già occupato. Da un uomo. Mi guardo attorno, per verificare che ci siano atri posti liberi, ma questi sono gli unici.

«Pssst.» Attiro l'attenzione di Brenda con un sussurro e lei si sporge verso di me senza guardarmi in faccia.

«Si?» 

«Ti sei accorta che al nostro tavolo c'è già qualcuno?» Lei non risponde, continua a camminare. Ancora qualche passo e saremo arrivati. Silenzio.

Un passo.

Silenzio.

Un passo.

Si volta verso di me con un sorriso sghembo sulle labbra «Non arrabbiarti.» E solo quando ormai siamo arrivati sgrano gli occhi e capisco il subdolo piano di quella manipolatrice della mia migliore amica. Altro che avere bisogno del mio sostegno per una serata importante o volermi vedere radiosa dopo giorni e giorni di mummificazione: mi ha teso un'imboscata organizzandomi un appuntamento al buio!

L'espressione che assumo in viso probabilmente non riuscirà mai ad esprimere il vero stupore e la vera indignazione che provo in questo istante, ma faccio a malapena in tempo a pensare di prenderla ad insulti che gli eventi iniziano a travolgermi ed io quasi non capisco più nulla di ciò che mi circonda.

Perché non dovrebbe andare bene, mi chiedevo eh? Sciocca me del passato, avresti dovuto rimangiarti la parola finchè ne avevi l'occasione e rimanere ferma nella tua posizione! Sono questi i momenti che mi fanno desiderare l'esistenza della DeLorean capace di viaggiare nel tempo.

Il ragazzo alza lo sguardo dalla tovaglia e quando ci vede si mette in piedi, pronto a salutarci. Stringe prima la mano di Kyle, poi bacia sulla guancia Brenda ed infine si piazza di fronte a me. Mi tende la sua mano, che afferro saldamente, e mentre osservo i suoi occhi castani accerchiati dalle sopracciglia folte e i suoi capelli scuri scompigliati mi rendo conto che il suo viso è familiare.

«Piacere di rivederti, Emily.» Mi sorride smagliante, come se fosse davvero, ma davvero felice di vedermi. Stringo la sua mano e ricambio al saluto sperando in un deja-vu. Niente. Ed ora cosa cazzo faccio?

Lo sconosciuto però ha dei modi di fare molto cortesi, mi scosta la sedia e mi fa accomodare al suo fianco, di fronte a Brenda. Sorrido cortese ringraziandolo, dopodichè pianto il mio sguardo minaccioso sulla mia migliore amica, che mi evita accuratamente. Non potrai sfuggirmi in eterno, ragazza.

Kyle, percependo il disagio e, probabilmente, sentendosi anche lui un traditore, decide di intavolare una conversazione. I due uomini iniziano così a parlare di... Beh, non li ascolto e nemmeno mi interessa farlo, perché sto cercando di comunicare telepaticamente con la mia amica. 

Purtroppo però non siamo "Lily e Marshall" e questo super potere non ci è stato donato alla nostra creazione, quindi le tiro un calcio sotto al tavolo. Lei sobbalza lamentandosi del colpo, attirando l'attenzione degli altri due.

Kyle ci osserva con espressione stranita. «Tutto ok?»

«Certo che si.» Rispondiamo in coro ed il traditore numero due sembra convincersi. Infine lei mi dedica tutta la sua attenzione. «Ma che fai?» Sussurra cercando di non farsi sentire.

«Ma che fai tu, semmai!?» Rispondo in tono concitato, rendendomi conto che trattenermi in questo momento mi è impossibile. Mi alzo in piedi «Noi andiamo un attimo in bagno, voi ordinate da bere.» Brenda sospira e, con rassegnazione, mi segue.

In questo momento sono fuori di me. Come ha potuto fare una cosa del genere? Cammino a passo spedito verso le toilette facendomi strada tra i tavoli ed evitando camerieri con vassoi strabordanti di appetitose portate.

«Emy aspetta dai, calmati!»

«Calmarmi?» Mi volto di scatto verso di lei dopo aver lasciato che la porta dei bagni femminili si chiudesse alle sue spalle «Brenda, come posso calmarmi? Non mi hai forse organizzato un appuntamento al buio contro il mio volere?»

«Non è stato contro il tuo volere!» Si difende lei, incrocia le braccia al petto mentre io sgrano agli occhi alle sue parole.

«Oh, si che lo è! Non volevo alcun appuntamento!»

«Non lo sapevo!» Sbotta a lei.

«Avresti dovuto chiedermelo!» Urlo di rimando.

«Non avresti voluto!» Alza di più la voce.

«Appunto, Brenda!» Ma che senso ha avuto questa conversazione? «Dio, ti rendi conto che il tuo ragionamento non ha né capo né coda?» Sospiro scuotendo la testa e lei fa lo stesso. «Bren, io non sono pronta a vedere qualcun altro. Mi sono appena lasciata con Nate ed è stato orribile, mentre con Duke è finita prima ancora che potesse iniziare...»

«Beh, non è che dobbiate per forza rivedervi tu e lei. È che io e Kyle non volevamo che ti sentissi come la terza incomoda.»

«Lo sono?»

«Certo che no!»

«Allora non ci sarebbero stati problemi. E comunque avresti dovuto dirmelo.»

«Si, avrei dovuto. Volevo solo che gli dessi un'altra occasione.»

«Un'altra occasione? Senti Brenda io di quel ragazzo non so nulla, chi diavolo è?» Do sfogo ai miei interrogativi, ora che finalmente ne ho la possibilità.

«Come sarebbe a dire, non sai chi sia?» Domanda confusa.

«Non so, ha un'aria vagamente familiare...» Rispondo non troppo convinta voltandomi verso lo specchio per controllare che il trucco sia ancora intatto nonostante il caldo.

«È Lucas, lavora alla Blake. Durante la settimana in cui sei scomparsa dalla faccia della terra ha continuato a bazzicare intorno al tuo ufficio, così Kyle gli ha chiesto chi fosse. Dice che vi siete conosciuti circa il mese scorso nei loro uffici.» Lucas? Il nome non è nuovo alle mie orecchie e, se associato al visto appena visto, mi viene in mente un flashback in cui lo incontro proprio dove ha detto lui, davanti alle macchinette del caffè, quando avevo intenzione di infiltrarmi nell'ufficio di Duke. È il ragazzo che mi ha indicato la direzione da seguire, ma certo!

«E cosa vuole da me?» Domando asciugandomi le mani su dei fazzolettini di carta.

«Ma sei stupida o cosa? Vuole conoscerti, è ovvio!»

«Beh, è un modo strano per farlo, no?»

Fa spallucce, la questione non sembra turbarla «Ha solamente chiesto a Kyle di presentarvi ed io gli ho dato l'ok. Non ti ha mica seguito di nascosto fino a casa come uno stalker, per poi farvi irruzione di nascosto mentre eri in doccia e tappezzare le pareti di post-it con inquietanti e dubbiose dichiarazioni d'amore.»

Inarco un sopracciglio «Questo sarebbe stato inquietante.»

«Suppongo di si.» Ridacchia lei in risposta.

«Faresti meglio a guardarti meno thriller.» Le consiglio scuotendo la testa, divertita.

«Mai.» Sorride radiosa «Pronta a tornare di la, ragazza?»

«Andiamo, bellezza!» Usciamo dal bagno per fare ritorno al tavolo quando realizzo che Lucas con buone probabilità resterà con noi per tutta la serata, poiché sarà stato invitato anche lui all'evento, così come tutti gli impiegati della Blake e della Simmonds. 

 

Alla fine della cena mi ritrovo ad accettare la presenza di Lucas come se fosse sempre stata desiderata. Si rivela essere un ragazzo simpatico, brillante e pieno di grinta.

Al momento del dolce, dopo essersi dichiarato stra pieno, si è offerto di mangiare la metà della mia cheesecake che non riuscivo più a finire. Ragazzi, non scherzo se vi dico che era la fetta di torta più alta che avessi mai visto. 

 

Il luogo della festa non è troppo distante da dove ci troviamo ora, quindi ci dirigiamo verso il parcheggio. Solo che, mentre mi avvio verso l'auto di Kyle, Brenda mi impedisce il passaggio.

«Che stai facendo?» Sussurro guardandola minacciosa.

«Devi andare con Lucas!» Ordina lei.

«Cosa? No! Lo conosco da meno di due ore, potrebbe rapirmi ed uccidermi.»

Inarca un sopracciglio «Non essere stupida e vai con lui!» La fulmino con lo sguardo per l'ennesima volta, ma alla fine faccio come mi viene chiesto. Indietreggio facendole il dito medio, poi mi volto per raggiungere Lucas. Sono proprio una Bad Girl.

Lui sorride e mi si affianca, apre la portiera della sua lucidissima Cinquecento Abarth rossa e una volta messosi in posizione di guida mi guarda fiero «Pronta?» È orgoglioso come se ci trovassimo su una ferrari, eppure mi viene da ridere se ripenso ad una conversazione avuta con Duke riguardo quest'auto, diceva: «Se vuoi comprare un'auto da abbinare allo smalto puoi prenderti una Cinquecento Abarth, è proprio da femminucce.» Non riesco a trattenermi e mi sfugge un risolino, così facendo attiro la curiosità del ragazzo che mi sta a fianco. «Che c'è?» Domanda sorridente.

Scuoto la testa «Nulla, mi piace la tua auto.» Allaccio la cintura «Sono pronta.» 

 

Quando arriviamo all'evento io e Lucas aspettiamo gli altri ai piedi della scalinata che porta all'ingresso della gigantesca villa in cui si terrà la serata di beneficenza.

«Tutto ok?» Mi domanda con premura avvicinandosi «Hai freddo?» Solo in quel momento mi rendo conto di stare stringendomi le braccia al petto.

«Fa più fresco di quanto mi aspettassi, ma sto bene.» Gli sorrido per cortesia prima di tornare a guardare sovrappensiero la scalinata di fronte a me. Non avrei dovuto indossare dei tacchi tanto alti sapendo che mi aspettavano così tanti scalini, e mentre il mio cervello si perde in inutili considerazioni, Lucas si fa avanti avvicinandosi a me. Si sfila la giacca per posarla sulle mie spalle ed avvolgermi in un semi abbraccio. M'irrigidisco al contatto troppo ravvicinato ed indesiderato.

«Meglio?» Sorride accomodante ed io non è che possa rispondere "Amico, avevo detto di star bene così com'ero. Devo prenderti a pugni per farti entrare in testa un concetto?", quindi mi limito a sorridere e ringraziare. Mi guarda intensamente, o insistentemente, negli occhi; distolgo lo sguardo sentendomi a disagio.Sospiro di sollievo quando, dal fondo della strada vedo arrivare Brenda e Kyle. Non appena rientro nel campo visivo di Brenda mi manda un'occhiata, come se approvasse l'audacia del ragazzo nel cercare un contatto così ravvicinato. La fulmino, perché c'è ben poco da approvare.

Poi finalmente decidiamo di avviarci all'ingresso. Una volta superato l'ostacolo della scalinata sembra quasi di aver raggiunto il paradiso terreno: veniamo inondati da miriadi di suoni e profumi, a partire dal brusio delle voci delle centinaia di invitati alla musica che le accompagna, dal profumo delle candele esterne a quello degli antipasti caldi e freddi serviti dal catering. 

Nella hall veniamo accolti dagli addetti con molta disponibilità e gentilezza, tanto da farmi sentire troppo viziata. Affidiamo loro le nostre giacche e soprabiti, cosa che sono stata più che felice di fare: ho lasciato alle loro mani la custodia della giacca di Lucas con l'intenzione di non indossarla mai più.Non appena muoviamo un passo nella sala principale veniamo trasportati nel film Il grande Gatsby, beh forse l'atmosfera è meno esuberante ed eccentrica, ma lo ricorda molto! L'unica differenza è che qui non ci sono ballerini o acrobati o persone ubriache perse che urlano e schiamazzano dappertutto. Ok, gli ubriachi forse ci sono, ma in quantità ridotta quantomeno.

Prima che abbiamo modo di accorgercene veniamo trascinati dallo spirito vivace della festa e rimpinzati di alcolici dal camerieri, o fermati da conoscenti e sconosciuti per scambiare quattro chiacchiere, cosicchè in men che non si dica passano le ore e ci si ritrova a discutere con un'anziana, ma elegante signora a proposito di quanto irrispettosi siano i giovani d'oggi. È tutto vero, lo giuro.

«Non si può più andare in giro tranquilli e spensierati con quegli scalmanati per le strade!» Esclama lei con un po' troppo vigore per la sua voce gracchiante, ma le do corda incitandola e tintinnando il mio calice col suo.Non so bene cosa io stia facendo: ho perso di vista Kyle e Brenda da non so più quanto tempo, ormai e ogni volta che tento di iniziare la loro ricerca vengo bloccata da qualcuno. Credo sia la cinquantesima persona che mi mette in trappola ed io non ho nessun appiglio su cui fare leva per svignarmela. Fino a che...

«Lucas!» Esclamo con voce più alta che posso riuscendo ad attirare l'attenzione dell'unica persona semi-conoscente presente nel mio campo visivo. Mi volto verso l'anziana signora «Mi scusi, devo proprio andare. È stato un piacere parlare con lei.» La liquido in fretta, prima che possa anche solo pensare di aprir bocca e dire qualcos'altro. Raggiungo Lucas.

«Come sta andando?» Domanda avvicinandosi a me, sorpassando decisamente il confine della mia area privata. I suoi occhi sono arrossati, semi chiusi ed il suo alito odora d'alcol più di una distilleria. Com'è che solo io, tra tutta questa gente, sono ancora sobria quando avrei voluto solo ubriacarmi? Sospiro e mi allontano il necessario in modo che tra noi ci sia una ragionevole distanza.

«Sta andando alla grande. Hai visto Kyle e Brenda?» Aspetto con impazienza la risposta, ma tarda ad arrivare, perchè questa volta veniamo abbordati da Mr.Simmonds: il mio capo piuttosto brillo.

«Ecco la mia ragazza prodigio!» Mi saluta così, avvolgendomi le spalle con il suo braccio e stringendomi a se. Troppo contatto umano questa sera. Mi sento di nuovo una bambina tra le braccia del nonno, un nonno dolce, scorbutico ed ubriaco. «Allora, allora, ti stai divertendo? La tua campagna è stata grandiosa!» Urla e ride mentre esclama con voce rauca e grassa una serie di parole dietro l'altra, la sua parlantina non si ferma e stargli dietro è impossibile. Sono stata incastrata un'altra volta. E dire che sarebbe dovuta essere una serata divertente! Invece mi ritrovo a parlare di lavoro con del vino tra le mani ed in abiti eleganti.

«Mi sto divertendo molto, Signor Simmonds e la ringrazio, sono davvero felice che la campagna abbia avuto tanto successo!» E questa è la prima frase sincera che pronuncio da quando sono arrivata in questo posto. Mi sento fuori luogo, all'improvviso mi rendo conto che non vorrei davvero ritrovarmi qui, a farmi trascinare dagli avvenimenti, senza davvero sapere cosa fare. Me ne vado. Sarebbe questa la mia intenzione, se solo riuscissi a raggiungere le porte senza essere placcata da qualcuno.

«E dimmi, cara: il tuo collega dov'è?» Chiede ingollando l'ultimo sorso di vino nel suo calice, per poi posarlo sul vassoio di uno dei camerieri che passano al suo fianco e sostituirlo con uno pieno per se, ed un altro per me. Ecco dunque che mi viene posta la fatidica serata della domanda, decido di fare la finta tonta.

«Signore, Kyle Lusher è qui da qualche parte, purtroppo l'ho perso di vista da qualche ora e-» Ma il mio capo mi interrompe.

«Ma no, no! Mi riferisco al ragazzo della Blake con cui hai lavorato.» Parla agitando il bicchiere, facendo finire sul pavimento buona parte del contenuto «Worten, no?»

«Oh, ma certo! Lui-» E, come se questa sera non volessero lasciarmi finire di parlare, vengo interrotta da Lucas. Odio essere interrotta. Sto parlando, lasciatemi parlare!

«Lui non c'è. È in Italia.» Spiega in un sorriso inquietantemente subdolo. «Adesso ci scusi, ma dobbiamo proprio andare. Buona serata, signore.» Lo liquida in men che non si dica ed afferrandomi per il polso mi trascina via dirigendosi verso la zona bar. Ok, ma cos'è appena successo?

Siede su uno sgabello, io invece resto in piedi «Stavo pensando di tornare a casa.» Spiego «Quindi ti salut-» Mi interrompe di nuovo ed io inspiro, per evitare di sbottare.

«Non lasciarmi qui da solo dai, Emily.» Posa una mano sul mio fianco attirandomi a se in un movimento così inaspettato da non aver avuto il tempo di impedirlo. «Ci penso io a farti compagnia. Prendi qualcosa da bere.» Fa un sorriso sbilenco accompagnato da un occhiolino. Sento di nuovo l'odore del suo alito ed un senso di nausea mi invade.

«Sto bene così. Vorrei davvero tornare a casa.» Se prima avevo pensato che fosse un tipo ok, ora mi rimangio tutto, insomma non ci si ubriaca alla prima uscita con una ragazza, o sbaglio? Cerco di allontanarmi da lui, ma la sua presa è salda sulla mia vita.

«Oh, mi stai invitando a casa tua! Audace, mi piace.» Le sue mani scorrono sui miei fianchi «Andiamo allora, dai.»

Sto per caricare un pugno, perché a quanto pare è veramente l'unico modo che ho per fargli entrare in testa un concetto, ma per sua fortuna, e mia sfortuna, qualcuno si frappone tra noi. Mi ritrovo così al sicuro dietro due ampie spalle; spalle di qualcuno che riconosco subito: «Vedi di starle davvero molto alla larga, Lucas.» Tuona Carlos «A meno che tu non voglia un'altra ordinanza restrittiva, questa volta insieme ad un braccio rotto.»

Lucas si alza in piedi, rendendo evidente la differenza di statura tra loro: il mio amico è notevolmente più basso «Levati di mezzo, Gomez. Nessuno ti ha chiesto niente.»

Sono ad un palmo di distanza l'uno dall'altro «Ah, no?» Con la testa fa cenno verso sinistra «Il mio amico laggiù non la pensa allo stesso modo.» Io e Lucas a quel punto voltiamo la testa in quella direzione, ma mentre io non vedo nessuno, per lui evidentemente non è lo stesso: sgrana gli occhi ed indietreggia immediatamente.

«Ok, me ne vado. Calmatevi, ok amici?» Carlos ride, mentre io sono confusa.

«Vattene, coniglio.» Il bruno esegue gli ordini ed il mio amico si volta nella mia direzione «Tutto ok?» 

Faccio spallucce «Nulla che non avrei potuto sistemare con un pugno, ma si grazie.»«Bene, vai a casa ragazza.» Mi consiglia, prima di incamminarsi nella direzione opposta a quella da cui era venuto, ma prima che possa sparire dalla mia vista lo raggiungo bloccandolo per un braccio.

«Hey, ma Brenda sa che sei qui?» Domando, perché lei non mi ha detto nulla riguardo la sua presenza. Si volta verso di me irrigidendosi, la sua reazione mi fa alzare un sopracciglio. «Beh, che ti prende ora?» Rido della sua postura insolitamente tesa.

«Niente. Certo che sa che sono qui. Ovviamente lo sa.» Risponde come un'automa, stranendomi ancora di più. Ma cos'hanno le persone sta sera? Sto per chiederle se per caso abbia visto da qualche parte sua cugina, ma proprio come se si fosse sentita chiamata da noi, Brenda appare urlando il suo nome. Sento la sua voce, prima di vedere il suo aspetto: il vestito, prima liscio e privo di pieghe, ora è stropicciato lungo i fianchi, i capelli sono scompigliati, non più arricciati alla perfezione e vogliamo parlare del trucco appena sbavato e delle macchie rosse sul collo? Oh, si amici miei, avete capito bene: la mia amica qui è reduce di una bella scappatella. La guardo e ridacchio scuotendo la testa.

«Carloos! Non sapevo ci fossi anche tu!» È euforica, tanto che si capisce subito quanto sia ubriaca e su di giri. Non è esilarante vederla in questo stato? «Dov'eri sparito? Sono giorni che ti cerco dappertutto!» Quest'informazione mi confonde e, guardandolo in viso, riesco a scorgere il suo nervosismo. 

«Ero fuori città.» Risponde guardando me e Brenda, poi più volte oltre le nostre spalle, in un punto non definito.

È un pessimo bugiardo. Capisco che sta controllando la presenza di qualcuno e non impiego molto tempo a fare due più due: Duke è qui.

Mi volto di scatto verso la direzione in cui sta guardando, ma non vedo alcun volto familiare, quindi torno a guardare Carlos. Sa che ho capito e sgrana gli occhi, consapevole di aver rivelato qualcosa che, probabilmente non avrebbe dovuto.

«Dov'è lui?» Domando con urgenza. Il mio cuore inizia a battere all'impazzata a questa consapevolezza Duke è qui. È qui! Dopo piú di due settimane so dove si trova, so che è qui. La mia voce trema quando ripeto la domanda.

«Lui chi?» S'intromette Brenda, confusa dalla mia reazione.

«Duke.» Sbotto io continuando a fissare truce Carlos. Ah si, non vuole parlare? Gli salto alla gola afferrandolo per il bavero della giacca del suo completo costoso «Dimmi dov'è Duke!» Sono fuori di me per il bisogno che ho di vederlo. Ho bisogno di parlargli, di toccarlo, rimediare ai miei errori.

Il fottuto messicano si rifiuta di aprire bocca, ma ancora una volta si tradisce spostando lo sguardo in un punto preciso oltre le mie spalle. Scatto immediatamente per seguire la direzione dei suoi occhi e proprio in quell'istante, di spalle, scorgo la figura della persona che tanto agognatamente cerco da settimane.

Mollo immediatamente la presa «Fanculo a te, Gomez!» Una scarica di adrenalina mi percorre e, prima ancora che possa dare alle mie gambe alcun comando, inizio a correre per raggiungerlo.

Le persone che mi stanno intorno sembrano improvvisamente aumentare di numero, impedendomi di avanzare. Sgomito per farmi spazio tra loro, ma anche cosí sono rallentata, questa volta per via delle mie scarpe troppo alte. Merda!

«Duke!» Lo chiamo a voce alta, quasi urlando, ma la musica e le risate delle persone mi sovrastano. Lo sto perdendo di vista. No, non posso perderlo di nuovo. Non prima di avergli parlato! 

Mi guardo i piedi, poi guardo verso la direzione in cui era diretto Duke e senza pensarci due volte mi sfilo quei fottuti tacchi. «Erano scomodi in ogni caso.»

Inizio a correre ignorando le occhiate torve e i risolini divertiti. Corro a perdifiato, senza abbandonare la speranza di ritrovarlo, troppo bisognosa di vederlo ancora una volta.

Quando finalmente lo vedo il tempo sembra congelarsi. È in un angolo della grande sala, accanto ad una grande finestra ad ingollare tutto il contenuto del suo flúte, senza mai scollare i suoi occhi dai miei.

D'un tratto le gambe si fanno molli e tremanti, come fossero fatte di gelatina. Ho il fiato corto per la corsa e il cuore batte così ferocemente da sconvolgermi.

Avanzo lentamente verso di lui e non si muove, è come se per tutto il tempo non avesse fatto altro che osservarmi ed aspettarmi, cercando me.

Lo guardo negli occhi e nel loro freddo azzurro leggo il dolore combattere contro l'amore; una battaglia interminabile che coinvolge anche me, che termina nel momento in cui sopraffatto chiude le palpebre allontanandomi da se.

Continuo a camminare verso di lui, incurante di ció che mi circonda, perchè tutto ció che vedo, tutto ció che sento e tutto ció che voglio è proprio davanti a me e deve saperlo.

«Duke.» Il suo nome è un sussurro, che sulle mie labbra suona meglio di qualsiasi altra parola. Amo la sensazione che provo nel pronunciarlo, quindi lo ripeto «Duke.»

«Cosa vuoi, Mayton?» Torna a guardarmi e la sua voce è crudele mentre si riferisce a me, chiamandomi col mio cognome. È freddo, asettico. «Nate non ti sta aspettando?» Inarco le sopracciglia, sorpresa. Provo a ribattere, ma mi precede «Oppure questa volta lo tradirai con Lucas? Solo, ti consiglio di sparire prima che se ne possa accorgere domani mattina, può diventare molto appiccicoso.» Sputa in tono velenoso. Le sue parole mi colpiscono come frecce appuntite. Incasso il colpo, ma non lasceró che continui ad insultarmi; mi avvicino furiosa caricando uno schiaffo da lasciargli in pieno viso, ma prima ancora che sia abbastanza vicina da poterlo colpire mi blocca afferrandomi per il polso, per poi riporlo lungo il mio fianco. E lo fa senza mai separare i suoi occhi dai miei. 

E sapete da cosa capisco che non pensa davvero ció che ha detto? Dal sentimento di straziante bisogno che vi leggo dentro. Lo stesso che provo dal giorno in cui l'ho incontrato; quel carnale, fottuto, maledetto, dolcissimo bisogni che ho di lui. Muovo un altro passo verso di lui caricando uno schiaffo con l'altra mano, mentre senza previsione i miei occhi iniziano a pizzicare, riempiendosi di lacrime. Mi blocca di nuovo, e un'altra volta ancora quando ci riprovo; alla fine impedisce i miei movimenti tenendomi per gli avambracci e se anche il suo è un contatto rude e rabbioso, sentirlo appaga i miei sensi.

Il suo viso è ad un palmo dal mio, mi guarda le labbra mentre io guardo le sue, bramandole; percepisco il suo respiro affannato, il calore della sua pelle.

Sussurro il suo nome, ho bisogno di lui, ma ció che ottengo è la sua recessione.

Stringe gli occhi e mi lascia andare inspirando, come a farsi coraggio, poi indietreggia. 

«Perché hai mandato Carlos ad aiutarmi?» Sbotto. «Tu mi hai vista fin da subito, non è così? Perché non sei intervenuto tu?»

Lui scuote la testa «Vattene, torna dal tuo ragazzo, Emily.» Ma non lo lascio andare, ne me ne andró io. Non questa volta.

«Duke, io non sto con Nate.» Lo chiamo a voce piú alta questa volta, attirando piú attenzione di quanto avrei voluto, ma non mi importa «Ascoltami, ti prego.» Si volta verso di me, mi guarda con una luce negli occhi che da speranza, la sua mascella resta contratta, le sue labbra sono una sottile linea dura.

Deglutisco a vuoto, la mia voce trema e non riesco a risultare sicura come vorrei, mi sento debole, esposta e vulnerabile. E se dovesse andarsene, decidendo di non voler avere niente a che fare con me? Riuscirei a sopportarlo?

Probabilmente no, ma lui ora è qui, io lo amo e lui deve saperlo.

Abbiamo un discreto pubblico che ci osserva curioso, ma sembra che a Duke non importi e in realtà nemmeno a me. Prendo coraggio ed avvicinandomi a lui inizio a parlare, lascio semplicemente che i miei sentimenti si tramutino in parole, una catena di emozioni trattenute che si legano a loro mettendomi a nudo, per lui. «Dopo essermene andata, quella mattina, ho passato intere giornate a pentirmi di ciò che avevo fatto. Non di essere stata con te, non me ne pentiró mai, ma di averti lasciato. Ho passato intere giornate a sognare, cosí da evitare la realtá dei fatti: ho creato un falso universo che, al risveglio, mi ha portata a pensare e a desiderare che le cose fossero andate proprio come stavo sognando.» Ora sono abbastanza vicina a lui da poter afferrare la sua mano, cosí la prendo per portarla sul mio viso. Ispiro forte quando mi accarezza dolcemente e quasi vacillo. Non cedo, ma mi faccio forza e mi schiarisco la voce «Quando l'ho capito sono corsa da te, volevo vederti, dirti ciò che provavo, ma tu non c'eri. Ogni giorno sono venuta a casa sua ed ogni volta con tanta più speranza mi presentavo quanto più era pesante la delusione nel momento in cui non vi trovavo nessuno. Avevo gettato la spugna.» Le lacrime minacciano di distruggere il coraggio che ho raccolto per aprire il mio cuore. Inspiro forte piegando indietro la testa per impedirmi di piangere, poi espiro. «Ed ora tu sei qui e sento che non posso lasciarti andare, che non posso tacere, perchè non voglio che il mio amore per te resti un'ipotesi mai vissuta, una possibilitá persa, un tentativo non realizzato. Non voglio vivere in un sogno, io voglio viverlo e farlo diventare realtá, insieme a te.» La mia voce trema, sono travolta dalla dolcezza del suo tocco, dall'intensitá del bisogno che leggo nel suo sguardo. Con incertezza alzo una mano sul suo viso e lui sorride. Sorrido anche io. È questo il momento in cui smetto di avere paura. «Io ti amo, Duke. E-» E poi mi interrompe, ma questa volta non mi lamento, perchè succede tutto ciò che desideravo, tutto ció in cui speravo: posa le sue labbra sulle mie in un bacio profondo, carico di bisogno, possesso, desiderio e, piú di ogni altra cosa, di amore.

Assaporo la sua bocca, che tanto mi era mancata, non mi lascio sfuggire nemmeno un briciolo di lui: le mie mani scorrono dal suo petto alla sua nuca e ai suoi capelli, mi aggrappo a lui che è tutto ciò che voglio, donando tutta me stessa in questo bacio travolgente.

Sento le sue braccia stringermi forte, le sue mani toccarmi ovunque, come se stesse ancora accertandosi della mia presenza davanti a se. Ma io sono qui, sono qui e non me ne vado, perchè non c'è altro posto in cui vorrei stare.

Mi metto in punta di piedi avvolgendo il suo collo con le mie braccia e lui mi solleva da terra, stringendomi a se quasi a voler esser tanto vicini da diventare una persona sola.

Ci separiamo solo quando rimaniamo senza fiato. Poso la mia fronte sulla sua e quando sollevo le palpebre incontro le sue iridi chiare. Mi osservano brillando e perdo un battito quando il suo stupendo sorriso mi abbaglia. La sua felicitá è contagiosa. Sorrido anche io, totalmente stordita da lui.

«Ti amo, Emily.» Torno alla realtá solo quando intorno a noi esplode un'applauso collettivo.

Guardiamo i nostri spettatori urlare congratulazioni e fischiare per noi. Scoppiamo a ridere imbarazzati e non c'è cosa che avrei potuto desiderare di piú di sentire ancora una volta il suono della sua risata.

«Abbiamo dato spettacolo a quanto pare.» Osserva lui ancora troppo felice, con quel suo bel sorriso stampato in viso, per poter risultare imbarazzato.

«Decisamente.» Sorrido anche io. Sembriamo due idioti con una paresi facciale, ma non mi importa.

«Ce ne andiamo?» Propone lui ed io annuisco.

Uscendo dalla grande villa incrocio Brenda e Kyle che mi salutano con i pollici alzati, dopo essersi ripresi da un iniziale stato confusionale. Duke mi sorride di nuovo ed io sorrido a lui. 

Ci prendiamo per mano e ce ne andiamo, insieme.

Alla fine, ragazzi è proprio questo che dovete fare: trovare il coraggio di guardare nei vostri cuori e fare ció che vi rende felici.


 

 

SONO TORNATA

Ebbene rieccomi!
Ho tante cose da dire, tra le altre ovviamente ci sono le mie scuse, come sempre. È stato un altro mese difficile e nonostante tutto l'impegno messo per pubblicare il prima possibile ho impiegato comunque troppo tempo, mi dispiace davvero.
Spero con tutto il cuore che almeno questo ultimo capitolo sia degno del suo nome.
Ultimo. Wow, ragazzi.
Mi emoziona molto pubblicarlo; finalmente (o purtroppo) pongo la parola fine a questa lunga, lunghissima, storia.
Per chi ha avuto la sfortuna di seguirmi fin dall'inizio sa bene che il primo capitolo è stato pubblicato nel 2014. Insomma, la velocità e la produttività sono proprio due caratteristiche che mi appartengono al cento per cento!
Ricordo che dalla pubblicazione del prologo a quella del primo capitolo di Emily erano passati diversi mesi. Insomma, mesi e mesi senza scrivere assolutamente nulla! Ora come ora non so come sarebbe la mia vita se non impiegassi almeno la metà dei miei pensieri alla stesura di un testo.
La scrittura è diventata parte di me, per questo non voglio smettere.
Infatti ho già in mente, e già abbozzato, alcune possibili storie future, che annuncerò dopo l'epilogo.
Come, come? Ho scritto epilogo?
Ebbene si, il vero e proprio ultimissimo capitolo sarà il prossimo.
Non so quanto sarà lungo, o corto, so solo che ci sarà
Ovviamente mi auguro il prima possibile. Purtroppo si sta avvicinando la maturità ed il tempo libero si riduce a zero ogni giorno che passa.
Vi prego di portare pazienza, non vogliatemi male.

Ed ora, come sempre, che ne dite di farmi sapere cosa ne pensate del capitolo?
Lasciatemi i vostri commenti, le critiche, i temi, gli insulti, o tutto ciò che vi sentite di dire in un commento o una recensione!
Fremo dalla voglia di sapere cosa ne pensiate.
Sono elettrizzata e terrorizzata.
A presto, un bacione
KamiKumi

 

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Capitolo 39
*** 39. EPILOGO - DUKE ***


Sono passati otto mesi da quella sera e, ragazzi che sera!

Abbiamo passato la notte piú calda della nostra vita, non ho mai usato cosí tanto l'uccello in una volta sola. Dio solo sa quanto Emily mi fosse mancata.

Non avevo capito quanto l'amassi finchè non l'ho persa, e non ho capito quanto mi mancasse finchè non l'ho ritrovata.

E si certo, quella notte è stata fantastica, ma i problemi che sono sorti in seguito decisamente meno.

Questo è piú o meno quanto accaduto: le prime settimane sono state perversione allo stato puro. Il sesso con lei da la stessa assuefazione della marijuana e la stessa dipendenza dall'eroina.

La prendevo in qualsiasi modo ed in qualsiasi posto; gli uffici non sono stati risparmiati dalla nostra lussuria. Vi dico solo che il sesso sulla scrivania di lavoro è degno di essere nella classifica Top Five posti in cui prendere la proria donna. Gli altri quattro sono: in auto, in piscina, nei vicoli fuori dai locali e nei bagni di un ristorante di classe (Per chi ci tiene a non prendersi malattie strane).

Cazzo, mi viene duro se penso al modo in cui la sua vita si adatta alla perfezione alle mie mani, al suo culo perfettamente sodo che sbatte contro il mio pube, ai suoi gemiti strozzati nel tentativo di trattenere la goduria nel momento in cui le tiro i capelli, spingendola all'orgasmo... E quando viene, cazzo. I suoi orgasmi sono il paradiso in terra: sentirla tremare facendosi più stretta, irrigidendosi intorno a me… ‘Fanculo, ho bisogno di una doccia fredda, voi non ne avete idea.

I problemi, comunque, sono sorti nel momento in cui le ho comunicato che sarei andato in Italia, con tutte le intenzioni di restarci. Chiaramente non è stata una decisione semplice, anzi tutt’altro. Il fatto è che sentivo il bisogno di stare accanto a mia madre, alla mia famiglia, dopo ciò che ci era successo. Avevamo trascorso troppi anni lontani l’uno dall’altro ed avevo bisogno di rimediare a questo.

Ed Emily sarebbe stata disposta a seguirmi, anche nell’immediato istante in cui le ho dato la notizia. Cazzo, se fosse stato per lei sarebbe partita armata solo di passaporto, se non l’avessi fermata.

Il punto è che proprio non potevo permetterle di piantare in asso così la sua vita: i suoi genitori avevano appena ricominciato a parlare, non potevo portargliela via.

Così, a partire sono stato solo io. Ci siamo visti un weekend al mese per otto interminabili mesi, da allora.

Avete idea di quanto sia stato straziante e logorante doverla lasciare? No? Ve lo dico io: è stato come sradicarmi da lei, strapparmi con forza dalla persona con cui sarei dovuto rimanere.

Ci è mancato davvero poco perché mandassi tutto quanto a puttane, pur di stare con lei.

È stata Emily a farmi ragionare: sapeva quanto avessi bisogno di andare in Italia, così ha incoraggiato e sostenuto la mia scelta, nonostante tutto ciò che questa avrebbe comportato per noi. Anche per questo la amo.

Eppure salutarci per un lungo mese dopo un breve, ma fantastico weekend passato tra le lenzuola all’insegna della passione è stato ben peggio del non vederla affatto.

Beh, questo fino all’altro ieri, perché voi ormai conoscete Emily, no? E sapete quanto possa essere pazza e sconsiderata talvolta.

Già, perché questa pazza e sconsiderata ragazza, che sono così fortunato da poter chiamare mia, si è presentata senza preavviso alla porta del mio appartamento con solo un trasportino per gatti ed una borsetta tra le mani.

Esatto. Immaginate la mia sorpresa nel sentir bussare alla mia porta alle tre e mezza del mattino e vedere lei, in tutto il suo splendore, sorridermi radiosa. Ha piantato in asso tutto, per me. E anche per questo la amo.

«Sono a casa!» Ha esclamato come se la sua vita non avesse appena avviato al cambiamento radicale la sua vita intera.

Ma cazzo, chi avrebbe mai detto che io, Duke Worten, sarei potuto essere così felice di avere una donna tra i piedi? Eppure è proprio così, cari amici miei, sono cresciuto anche io, ed è in questo modo che arriviamo a parlare di questa sera: la sera.

Sono così fottutamente teso che potrei anche farmela sotto, o tirare le cuoia per l’ansia. Mi passo i palmi delle mani sudate sui jeans mentre mi siedo sul letto di quella che ora è camera nostra. Cacciare Emily per un pomeriggio intero e convincerla a stare con mia madre è stato il lavoro più arduo della mia vita, considerando che non dovevo farle sospettare di nulla.

Però ce l’ho fatta e ne è valsa la pena: quando tornerà a casa perderà la testa e, se non dovesse andare come ho in mente, almeno ci divertiremo a testare le lenzuola di raso rosso, comprate solo per quest’occasione.

La luce nella stanza è bassa, calda, data solo dal fuoco delle candele che si sciolgono a terra, lungo tutto il perimetro. Le persiane sono chiuse, le tende rosse sono tirate e poi ci sono io, vestito di nero da capo a piedi, proprio come piaccio a lei.

Sto aspettando il suo ritorno, non manca molto.

Ricontrollo che tutto intorno a me sia perfettamente come avevo progettato, quando sento aprirsi la porta d’ingresso. Perdo un battito, chiudo gli occhi, inspiro, espiro e riapro gli occhi. È il momento.

«Ciao, sono tornata!» Urla in un italiano stentato, facendomi sorridere «Ci sei?» Continua in inglese.

Mi metto in piedi «Sono in camera, piccola!» Rispondo con voce altrettando alta, per farmi sentire oltre le porte. Infino la mano sinistra in tasca toccando con le dita la piccola scatoletta vellutata che tengo ben stretta. Sono nervoso come un ragazzino sfigato. Inspiro di nuovo, trattenendo il fiato quando la maniglia della porta si abbassa.

«Uff, sono stremata.» Sbuffa aprendo la porta, prima di immobilizzarsi guardandosi intorno con espressione sorpresa «Ma che succede?»

Muovo un passo verso di lei, che sta posando la borsa sul mobile accanto alla porta. Prendo le sue mani tra le mie, baciandola sulle labbra con dolcezza, e guardarla poi negli occhi. Le sue iridi verdi brillano sotto la luce fioca delle candele ed il mi ci perdo dentro, senza scampo. Amo i suoi occhi.

«Succede che ti amo…» Sussurro sulla sua bocca, prima di lasciarle una scia di baci su e giù per il collo, risalendo fino al lobo del suo orecchio facendola sospirare e rabbirividire. Amo la sua sensibilità. «E che voglio passare con te il resto della mia vita.» La mia voce trema, mentre mi inginocchio lentamente ai suoi piedi.

Sgrana le palpebre portandosi le mani alla bocca «Oh mio Dio.» Sussurra, il suono arriva ovattato alle mie orecchie, mentre il sangue mi rimbomba nelle vene e la paura mi assale. Le sorrido dal basso, mentre i suoi occhi brillano di emozione. Apro la scatoletta che contiene l’anello scelto con scrupolosa cura per lei «Emily Mayton, vorresti rendermi l’uomo più felice della terra e diventare mia moglie?» Trattengo il fiato, in attesa di una risposta.

La osservo con apprensione, mentre il battito del mio cuore è l’unico suono percepibile in questa piccola stanza, ma prima che il panico possa impadronirsi di me s’inginocchia davanti a me, trattendo a stento le lacrime.

Allunga una mano sulla mia guancia, è calda e morbida. Amo il suo tocco. Si sporge verso il mio viso, mordendosi il labbro inferiore coi denti «Si, voglio diventare tua moglie, Duke.»

La sua voce è quasi un sussurro che arriva forte e chiaro al mio cuore. Ricomincio a respirare quando posa la sua bocca sulla mia, unendole nel bacio più dolce che abbia mai dato e ricevuto. Amo le sue labbra.

Prendo la sua nuca tra le mani attirandola più vicina a me, approfondendo il bacio, poi la ribalto facendola sdraiare sul pavimento. La guardo con adorazione, con stampato sul viso l’espressione da più grande idiota felice del mondo intero.

La bacio di nuovo, di nuovo e di nuovo ancora, per poi infilare l’anello sul suo anulare destro e fare l’amore con lei, la mia futura moglie.


THE END

E si è quindi giunti alla fine.
Looking for you è definitivamente conclusa e, con lei, un capitolo della mia vita durato tre lunghi anni.
Niente mi ha mai resa più soddisfatta prima d'ora. Concludere un progetto tanto lungo, nonostante i vari scoraggiamenti, è la cosa più bella del mondo.
Ma se ce l'ho fatta è anche per merito vostro, che mi avete seguita fino ad ora.
Per questo vi ringrazio, con tutto il cuore.

Grazie Aaron, che con tanta pazienza hai corretto i miei errori.
Grazie allemari ;
Grazie Crilu_98 ;
Grazie MusicHeart ;
Grazie Etaypoe ;
Grazie sabrina10raus ;
Grazie Lauraacinno1 ;
Grazie Mvale ;
Grazie iloveryuga ;
Grazie MeandIz ;
Grazie Kaname97 ;
Grazie Domy03 ;
Grazie Kallisto ;
Grazie Lulu80 ;
Grazie Gaia2903 ;
GrazieTuplok ;
GrazieTsubakiHibinoLovesOP;
e Grazie wewa_angie_benny
Le vostre parole sono state importantissime per me.

Spero di rivedervi presto.



Un bacione
KamiKumi


P.S. Se a qualcuno dovesse interessare ho messo in vendita su Amazon Looking for You in versione cartacea!
Inizialmente era per puro e semplice sfizio personale, poi ho deciso di lasciarlo li.
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