Tropes

di BdbzB
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2.1 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 3.1 ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


TROPES

Era stato uno dei loro piani più semplici. Oliver aveva già l’invito per l’asta di beneficenza, quindi non avrebbero nemmeno avuto bisogno di introdursi lì. Tutto ciò che Felicity doveva fare era sgattaiolare via per qualche minuto e scaricare il principale hard disk del computer del padrone di casa mentre Oliver si assicurava che nessuno la interrompesse.
 
Semplice.
 
Ovviamente non lo fu. Affinché Felicity riuscisse ad accedere allo studio dove c’era il computer era dovuta andare all’asta come accompagnatrice di Oliver. Come fidanzata.
 
Oliver sembrava non essere in difficoltà per questo. Felicity era contraria alla sua nonchalance, ma dentro di sé era un macello di emozioni. 
 
Aveva discusso con lui, dicendogli che non era una buona idea. Che in questo modo avrebbero attirato ancora di più l’attenzione su di sé, specialmente perché lui si faceva vedere con una donna sconosciuta. Oliver mise semplicemente fine al suo sproloquio dicendo che era sicuro che lei avrebbe potuto “mettere in atto la sua magia” sui siti web se necessario.
 
La vera ragione per la quale lei non voleva farlo era che ciò era troppo vicino a quello che avrebbe davvero voluto. Era rimasta affascinata da Oliver dal momento in cui per la prima volta lui era entrato nel suo ufficio con quel suo sorrisino e la storia poco convincente che le raccontò. Ora che lavorava al suo fianco da più di un anno e che aveva fatto alcune delle più intense esperienze della sua vita con lui, era totalmente innamorata di quell’uomo, ed era incapace di fermare questo sentimento.
 
Non aveva mai fatto capire nulla a lui. Per quanto ne sapeva lei, però, Oliver sospettava solo una cotta, se avesse sospettato qualcosa.
 
Ma ora, in piedi avanti allo specchio del suo bagno mentre si lisciava il vestito verde scuro sui suoi fianchi e si sistemava le bretelline non sapeva se avesse potuto reggere questa asta di beneficenza a lungo.
 
Trovò i suoi occhi nel riflesso dello specchio e sapeva che in quel momento sembrava un libro aperto. Felicity serrò i suoi occhi per un lungo momento. “Seppellisci questo sentimento, Smoak” pensò tra sé, concentrandosi sui suoi sentimenti d’amicizia nei confronti di Oliver.
 
Con un sospiro si diede un’ultima occhiata allo specchio e prese la piccola borsetta dal tavolo. Prese il telefono, una penna USB e il suo lucidalabbra, tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno.
 
La lucente BMW nera la stava aspettando all’angolo, Diggle in piedi vicino alla portiera posteriore, le mani giunte avanti a lui sembrando in tutto e per tutto un autista professionista.
 
Felicity gli rivolse un sorriso nervoso. “Sarai bravissima.” La rassicurò lui aprendole la portiera.
 
Felicity doveva ammettere di essere rimasta un po’ sorpresa che Oliver non fosse venuto in persona alla porta del suo appartamento o non l’avesse aspettata fuori l’auto, ma forse voleva immedesimarsi nel personaggio ‘playboy’ quella sera. Non si aspettava di trovare l’interno dell’auto vuoto mentre si sedeva sui morbidi sedili di pelle.
 
“C’era…del lavoro” disse Digg discretamente, “Ora lo passiamo a prendere al club.”
 
Felicity annuì distrattamente mentre il suo cervello viaggiava attraverso le possibilità di ciò che avrebbe potuto attirare l’attenzione di Oliver. Che lei sapesse non c’era nient’altro su cui avrebbero dovuto lavorare quella sera oltre l’asta. Non ci sarebbe stato bisogno, quindi, del Giustiziere. Erano passati tre lunghi mesi da quando il congegno di Merlyn era stato attivato. C’era stato un momento in cui pensava che Oliver avrebbe abbandonato la sua missione di Giustiziere. Ma lentamente, era ritornato da loro.
 
L’uomo che cercavano di abbattere quella sera aveva legami con Merlyn che Oliver pensava dovessero essere portati alla luce; e lei concordava.
 
Prese il telefono mentre Digg guidava per le strade del Glades. Non c’era molto che poteva fare su quel piccolo apparecchio, ma era almeno in grado di accedere ai suoi dispositivi di base. Sembrava non esserci nulla di importante che lei potesse trovare. Un freddo pensiero le passò alla mente, pensando che Oliver e Digg forse le stessero nascondendo qualcosa.
 
Era così persa nei suoi pensieri che non si accorse che la macchina aveva rallentato, frenando all’entrata posteriore del club, o che la porta opposta alla sua si era aperta, permettendo a Oliver di entrarvi.
 
Fu una mano sul suo braccio che finalmente la riportò al presente. Sussultò quando, guardandolo, si rese conto che era a soli pochi centimetri da lei. Lo smoking nero gli calzava a pennello e lei poteva vedere ancora delle tracce d’acqua vicino l’attaccatura  dei capelli, segno che avesse fatto una doccia.
 
“Oliver! Scusami, ero…solo, stavo solo pensando…ehm stasera, sai” disse in fretta, rimettendo il suo cellulare nella borsa, armeggiando con la chiusura.
 
“Non devi essere nervosa. Dovrebbe essere facile” le disse lui con un mezzo sorriso.
 
“Certo. Facile” fece una piccola risata, prendendo un respiro profondo.
 
“Allora, dov’eri?” mimò il gesto di mettere un cappuccio sulla testa e lui inarcò un sopracciglio, prima di guardarsi le mani. “Perché non mi sembra che avevamo lasciato qualcosa in sospeso” continuò lei, cercando di non usare un tono sospettoso, ma credeva di non esserci riuscita.
 
“Ho…ho sentito dal canale della polizia di una rapina in atto. Distava solo un paio di isolati, quindi…” il suo tono si affievolì e lei non poté fermare il sorriso che le si distese sul viso.
 
Questa era la prima attività che faceva l’Incappucciato che non fosse sulla lista e ciò le riempì il cuore.
 
“Bè, allora credo di poterti perdonare per non essermi venuto a prendere alla porta” non poteva nascondere il suo orgoglio e il sorriso che aveva sul viso ne era un segno.
 
I fari di una macchina in movimento illuminarono il suo viso per un breve secondo e lei vide tracce di pittura verde vicino al suo orecchio che lui non aveva visto. Prima che potesse fermarsi, aveva già leccato il pollice e raggiunto quella parte di pelle, cominciando a togliergliela.
 
“Hai mancato della…” non riuscì ad andare avanti, una volta essersi resa conto di ciò che aveva appena fatto. “Oh Dio. Ho appena leccato il mio dito e pulito il tuo viso come se fossi un bambino. Oh Dio.” La sua mano era ancora alzata, il suo pollice ancora immobile vicino alla sua tempia mentre il resto della sua mano era avvolta intorno la sua mascella.
 
Gli occhi di lui erano fissi sui suoi e Felicity non riuscì a interpretare la sua espressione.
 
Si lasciò sfuggire un piccolo sussulto quando la mano di Oliver avvolse la sua e la abbassò lentamente.
 
“Grazie per prenderti cura di me” disse lui delicatamente, e lei riuscì a rilassarsi.
 
Mentre si riposizionava sul sedile, si accorse che lui non aveva ancora lasciato la sua mano. Cercò di riportarla sul suo grembo, ma Oliver rafforzò la presa.
 
“Credo che dovrei abituarmi a tenere la mano della mia fidanzata” disse lui con un sorrisino, enfatizzando la parola ‘fidanzata’.
 
Lo stomaco di Felicity si capovolse così tanto che le si bloccò il respiro. Felicity guardò fuori dalla finestra cercando di mantenere il controllo. Lui non poteva sapere quanto le sue parole l’avessero influenzata.
 
“Sei sicura di essere d’accordo con questo?” chiese lui piano e lei non sapeva se lui si riferisse alle loro mani o all’intera serata che si prospettava loro davanti.
 
“Sì” riuscì a dire con voce rauca, odiando quanto incerta fosse  risultata, “Facile, no?” ripeté le sue parole più a se stessa.
 
Improvvisamente la macchina era completamente illuminata, mentre si fermavano avanti una grande villa. Oliver aveva uno sguardo che lei non riusciva a definire, ma prima che potesse fargli domande, Digg aprì la portiera.
 
Oliver la lasciò andare velocemente, uscendo dalla vettura e sistemandosi la cravatta e la giacca. Felicity prese la mano che lui le stava tendendo e uscì con attenzione dall’auto con gambe tremolanti.
 
La mano di Oliver scivolò sulla parte bassa della sua schiena, il suo pollice tracciava una scia di fuoco sulla sua pelle nuda. Chinandosi verso di lei, Oliver le era vicino abbastanza che Felicity poté sentire la sua barbetta pungerla sulla guancia.
 
“Devi rilassarti o non arriverai alla fine.” Le disse a bassa voce, non facendo nulla per rallentare il suo battito o rilassarla del tutto. “E sei bellissima. Il verde ti dona.”
 
La sua ultima affermazione le fece bloccare il respiro e mentre lui tornava dritto Felicity poté vedere che gliel’aveva detto di proposito. Il doppio senso doveva scioccarla, forse anche farla ridere un po’ visto che lei ne diceva tanti senza accorgerne. E funzionò. Mentre lui la spingeva leggermente sulla schiena lei riuscì a riprendere a respirare normalmente e gli rivolse un sorriso leggermente civettuolo, immedesimandosi nel ruolo della nuova conquista di Oliver Queen.
 
Oliver le rivolse il suo più brillante sorriso da playboy, ma invece di farle tremare le ginocchia le fece roteare gli occhi. Si avvicinò maggiormente a lui, la sua spalla che sfregava contro il suo smoking mentre salivano le scale.
 
Ci furono le normali presentazioni e dopo si mescolarono con altre persone che lei non conosceva. Oliver fece dei giri e lei imparò la disposizione della casa, notando il corridoio in penombra che, capì, portava allo studio.  Felicity bevve un bicchiere di champagne velocemente per controllare ulteriormente i suoi nervi. Forse non era più un completo disastro, ma il costante tocco di Oliver era abbastanza da farla impazzire.
 
I due concordarono di squagliarsela dopo l’ora dell’aperitivo, prima che la cena fosse servita. Tuttavia, le persone vagavano dappertutto e non c’era mai una buona opportunità per loro per raggiungere il corridoio. Col passare del tempo si avvicinava il momento della cena e Felicity cominciava a diventare sempre più nervosa.
 
La coppia anziana con cui Oliver stava parlando si allontanò e loro ebbero un momento di tranquillità. Lui la strinse ancora più vicino e si sporse verso di lei, spostando leggermente i capelli sul suo collo mentre le sue mani si aprivano sui suoi fianchi. “Dobbiamo procedere con il piano B” le sussurrò nell’orecchio, facendola rabbrividire.
 
Lei annuì velocemente nel tentativo di mascherare la sua reazione. Il piano B prevedeva che lei si scusasse durante la cena, alzandosi dal tavolo e dirigendosi verso lo studio per avviare il download. Non era il piano migliore perché significava per lei non avere qualcuno che la coprisse, ma sembrava essere l’unica cosa da fare.
 
La cena fu orribile. Erano al tavolo con altre tre coppie, tutte più vecchie di loro e che conoscevano il padre di Oliver. Una donna in particolare non smetteva di fissarla con completo disdegno e non si tratteneva dal fare commenti aggressivi. Dovette fare uso di tutto il suo autocontrollo per non risponderle seccamente, dicendole della sua laurea a Stanford e di come avrebbe potuto rovinare la sua confortante vita se fosse rimasta da sola con il conto bancario di suo marito per cinque minuti. Oliver doveva aver notato la stretta del suo pugno sulla forchetta, che rendeva le sue nocche bianche, perché abbassò una mano sul suo ginocchio, posando quelli che lui pensava fossero cerchi rilassanti sulla sua pelle sensibile.
 
Un leggero calore si espanse nel suo petto al suo tocco e lei bevve avidamente il suo bicchiere d’acqua per cercare di calmarsi. Quello sembrava il momento perfetto per fare quello per cui erano a quella cena.
 
Felicity si schiarì la gola e prese la sua borsetta. “Se mi scusate un attimo, vado a cercare il bagno delle signore” disse con quanta più calma potesse.
 
Oliver si alzò con lei e spinse indietro la sua sedia. I suoi occhi catturarono quelli di lei mentre si alzava dalla sedia e gli passava affianco. Si alzò sulle punte dei suoi piedi e gli lasciò un bacio sulla guancia, perché tutti se lo aspettavano e perché lei poteva. “Andrà bene” gli disse in modo che solo lui potesse sentire.
 
Il cuore ora le batteva per un motivo totalmente diverso mentre scivolò silenziosamente fuori dalla sala da pranzo.
 
L’ingresso principale era rotondo e aveva numerosi corridoi che partivano da esso come i raggi di una ruota. Lei già sapeva dai progetti che aveva consultato all’inizio della settimana che il corridoio adiacente a quello dov’era lo studio aveva una piccola stanza impolverata. Non sembrava improbabile che avesse leggermente perso la strada.
 
Il bar che era stato allestito durante l’ora dell’aperitivo era già stato rimosso e ogni traccia della sua precedente presenza era stata ripulita da quello che sembrava essere uno staff invisibile. C’era un uomo della sicurezza all’ingresso ma era in piedi fuori, con la schiena rivolta all’entrata.
 
Dopo due passi lungo il buio corridoio, Felicity trasalì ai forti rumori che facevano i suoi tacchi sul marmo lucido. Si abbassò e si tolse le scarpe, proseguendo silenziosamente il resto del tragitto.
 
Quando raggiunse la porta si accorse del problema. Era chiusa a chiave.
 
Sospirò mentre la sua testa si appoggiava contro il legno scuro. Oliver le aveva assicurato che la porta sarebbe stata aperta.
 
Il panico cominciò a crescere in lei, mentre cercava di trovare una soluzione a quell’imprevisto. Se non avessero ottenuto quell’informazione durante quella serata avrebbero dovuto tornare nuovamente, organizzando un piano più elaborato e qualcosa le diceva che avrebbe implicato frecce e sangue e persone ferite.
 
Felicity si accucciò e guardò la maniglia della porta. Sembrava una serratura classica, non aveva mai sbloccato una serratura prima, in realtà, ma forse non era così difficile.
 
Prese due forcine dai suoi capelli, che tenevano ferma la sua elaborata acconciatura.
 
La luce era solo di poco migliore qui, perché c’era un candeliere da parete affianco a lei, ma era ancora fioca.
 
Si concentrò mentre inseriva una delle forcine nella serratura cercando di sbloccarla. Pensò che potesse c’entrarci un interruttore che doveva essere premuto mentre si faceva qualcos’altro, ma dopo qualche minuto, con il sudore freddo che cominciava a scivolarle sulla schiena, si rese conto di non aver idea di cosa stesse facendo.
 
“Hai bisogno di una mano?” una voce profonda le disse proprio dietro di lei, e il suo urlo sorpreso fu soppresso dalla mano che fu premuta proprio sulla sua bocca.
 
Cominciò ad avere paura, tirò una gomitata dietro di sé, le sue gambe che cercavano di calciare mentre lei sperava di indossare ancora i suoi tacchi.
 
Fu spinta con fermezza contro il corpo del suo aggressore, “Felicity, sono io!”. Un sospiro rigido finalmente sfuggì dalle sue labbra mentre si lasciava andare, rendendosi conto che fosse Oliver.
 
La sua mano cadde dalla bocca di lei. Felicity sospirò sfinita e si girò nelle sue braccia. “Non mi spaventare più così” gli disse.
 
“Ci stavi impiegando molto tempo. Ho cominciato a preoccuparmi” le rispose lui.
 
Felicity si sforzò di allontanarsi. “La porta è bloccata!” sibilò lei, indicando la porta in questione.
 
“Tutto qui?” chiese lui con calma, afferrando la maniglia prima di abbassarla con un movimento netto. Felicity sentì un rumoroso scatto, seguito dalla porta che si apriva.
 
“Esibizionista” mormorò verso di lui, mentre lo sorpassava, la sua attenzione ora rivolta a ciò che doveva fare.
 
Oliver stava in piedi vicino alla porta, i tacchi che Felicity aveva tolto in una mano. Felicity si sistemò nella poltrona di pelle e avviò il computer.
 
Non ci impiegò molto a trovare i file di cui avevano bisogno e cominciare a scaricarli. I suoi nervi stavano tornando alla normalità quando Oliver improvvisamente scattò sull’attenti e si mosse quanto più vicino possibile alla porta senza uscire.
 
“Qualcuno sta arrivando, sbrigati!” le disse, mentre lei azionava una serie di tasti prima di togliere la penna USB e spegnere il computer.
 
Era appena riuscita a portarsi al fianco di Oliver quando lui si portò i tacchi nell’altra mano e la prese dalla vita. “Mi dispiace” le disse, con tanta sincerità che lei si fermò di colpo.
 
E dopo la sua bocca era su quella morbida di lei.
 
All’inizio Felicity era talmente scioccata che non riusciva a rispondere.
 
Fu un bacio caldo e umido e bello, dannatamente bello. Non poté evitare di gemere quando la lingua di Oliver travolse la sua bocca. Poteva dire che Oliver li stava muovendo verso l’uscita della stanza, ma era così presa da quello che la bocca di lui stava facendo alla sua che non riuscì nemmeno ad accorgersi di quello che stava accadendo fin quando la sua schiena non entrò in contatto con qualcosa di solido.
 
I suoi occhi si aprirono di scatto quando la bocca di Oliver cominciò a muoversi sulla sua mascella e giù verso il collo e si accorse che erano tornati nel corridoio, appoggiati contro il muro opposto allo studio.
 
La mano di Oliver prese la sua gamba, portandosela attorno la sua, il caldo che le colpì il basso ventre rendendo il suo respiro affannoso, o forse era il modo in cui lui le stava succhiando la pelle morbida della clavicola.
 
Finalmente anche lei cominciò a partecipare, infilando una mano sotto la sua camicia, che le permetteva di scorrere facilmente verso la sua schiena dove vi passò le unghie, udendo un ringhio proveniente da lui.
 
Un brivido la percorse completamente, causato dalla consapevolezza di aver avuto un tale effetto su di lui. Lui riportò la sua bocca sulle sue labbra. I piccoli gemiti che lei non era riuscita a trattenere sembravano influenzare anche lui, visto il modo in cui lui la attirò ancora di più contro di sé.
 
La mano di lui era rimasta immobile sul suo ginocchio, ma ora stava percorrendo la sua gamba, scomparendo sotto la gonna. Sembrava come se la scottasse in ogni punto la toccasse e lei afferrò la sua camicia quando Oliver le massaggiò la pelle vicino il fianco.
 
Qualcuno si schiarì la gola e ciò li fece separare. Felicity si bloccò immediatamente quando vide la guardia di sicurezza in piedi proprio dietro Oliver.
 
“Mi dispiace, Signor Queen, ma in questa zona è vietato l’accesso agli ospiti.”
 
Felicity era a conoscenza di ogni centimetro di pelle, mentre la mano di Oliver scivolava fuori da sotto il suo vestito, portando gentilmente la sua gamba nuovamente a terra.
 
Portò una mano intorno la sua vita e si girò verso l’uomo. “Mi dispiace, cercavamo solo un po’ di privacy” disse lascivamente e lei non poté trattenere il sussulto che la attraversò.
 
La guardia mosse una mano in un chiaro invito per loro a uscire. Quando tornarono all’ingresso Felicity fermò Oliver con una mano sul suo petto. “Vado un attimo a…rinfrescarmi” la sua voce risuonava strana alle sue stesse orecchie, e non riuscì a guardarlo negli occhi.
 
“Fa presto, tesoro” disse lui, la sua voce sembrava del tutto normale.
 
Quando lei fu dentro le sicure mura del bagno si sedette senza tante cerimonie sul coperchio chiuso della toilette e fece cadere la testa sulle sue mani. Cosa era appena successo?!
 
Sapeva che era solo una copertura. Sapeva che lui l’aveva fatto solo per salvarsi, ma sicuramente anche Oliver non poteva fingere così bene. Non aveva mai mostrato di provare qualcosa per lei al di là dell’amicizia. Le lacrime cominciarono a riempire i suoi occhi mentre ricordava quello che era appena accaduto. Era stato meraviglioso, più di quanto avesse potuto sognare, ma se per lui fosse stato solo una finzione lei si sarebbe sentita mortificata.
 
Felicity indossò nuovamente le scarpe e si rimise in piedi. Il suo riflesso allo specchio sembrava quello di una donna sconvolta. I suoi capelli erano riusciti a restare immobili, ma la sua pelle era arrossata, il suo vestito sgualcito e il suo lucidalabbra quasi del tutto scomparso.
 
Si passò dell’acqua fredda sulle mano e cercò di sistemare il trucco quanto meglio riusciva. Quando si aggiustò le spalline del vestito poteva vedere il segno di un succhiotto che si stava formando e il suo stomaco fece una capriola. Non lasci un succhiotto involontariamente.
 
Uscì dal bagno ancora leggermente in confusione. Possibile che anche Oliver provasse qualcosa per lei?
 
La guardia di sicurezza era in piedi all’ingresso. Poteva sentire i suoi occhi su di lei mentre ritornava nella sala da pranzo.
 
Oliver finse di essere sorpreso quando lei tornò al tavolo. La donna che non era stata capace di nascondere la sua disapprovazione nei confronti di Felicity per tutta la serata disse qualcosa al marito con un tono non proprio sussurrato riguardo il decoro e le buone maniere e Felicity sentì le sue guance arrossarsi.
 
Oliver le spostò nuovamente la sedia e lei si sedette con sollievo. “Pensavo di averti persa” disse lui.
“Stavo solo dando un’occhiata in giro” rispose lei con calma, raccogliendo quanto più coraggio per alzare lo sguardo e fissarlo nei suoi occhi.
 
Le sue pupille erano ancora scure e dilatate e l’emozione che avevano provato era così forte che anche per lui era difficile nasconderla.
 
Il suo respiro si bloccò, ma fu salvata da qualsiasi cosa stesse provando a dirgli quando il padrone di casa prese il microfono e cominciò l’asta.
 
Per non destare sospetti furono costretti a rimanere fino alla fine della serata. Anche Oliver dovette fare delle offerte senza davvero curarsene.
 
Non l’aveva toccata per tutto il resto del tempo che erano rimasti seduti al tavolo, cosa per la quale gli era grata ma anche dispiaciuta.
 
Quando, al termine della serata, stavano salutando, la mano di Oliver si poggiò nuovamente sulla parte bassa della sua schiena, e la sorpresa che provò a questo nuovo contatto le sembrava ancora più forte di prima.
 
Diggle li fece salire in macchina e lei si accucciò contro il lato del sedile.
 
Oliver si sedette normalmente, fingendo di non essersi accorto delle sue azioni.
 
“Missione compiuta?” Digg chiese dopo aver fatto manovra ed essersi messo in coda alle altre macchine che uscivano dalla proprietà.
“Sì” disse fermamente Oliver.
 
“Qualche problema?” c’era preoccupazione nella sua voce, avendo percepito il tono di voce di Oliver.
 
“No. E’ andato tutto bene” replicò Oliver, e Digg capì che era meglio non chiedere altro.
 
Il silenzio calò tra di loro mentre il nervosismo di Felicity aumentava.
 
Digg parcheggiò sul retro del Verdant e lei era uscita dalla macchina e aveva attraversato già metà parcheggio quando Digg spense la macchina.
 
Inserì il codice quanto più veloce possibile e non si preoccupò nemmeno di mantenere loro la porta, cominciando subito a scendere le scale e mantenendosi alla ringhiera per evitare di cadere.
 
Quando anche Oliver e Digg la raggiunsero con un passo più lento, lei aveva già preso la penna USB e connessa al computer.
 
“Adesso comincio a lavorarci. Non è necessario che voi restiate qui, ragazzi” disse lei facendo un gesto sbrigativo da sopra la sua spalle, come se davvero pensasse che a Oliver sarebbe bastato questo per andarsene.
 
Sforzò le sue dita tremanti a fare quello che dovevano, mentre sentì Digg dare la buonanotte e uscire. Sapeva, però, che Oliver non era ancora uscito.
 
“Felicity…” cominciò lui, lentamente “dobbiamo parlarne”
“Perché?” disse lei immediatamente, “Era solo una copertura, no? E’ questo quello che vuoi dire. Che era solo una copertura per non farci scoprire e che non ha significato nulla, e che abbiamo preso ciò che ci serviva, quindi un urrà per noi e ora potresti semplicemente lasciarmi tornare a ciò che stavo facendo, così che non dovrò rimanere qui fino alle prime ore del mattino” riprese a respirare una volta finito.
 
Le sue mani battevano sulla tastiera, quando lui girò la sua sedia lentamente, costringendola a fronteggiarlo.
 
“Sì,” le rispose e il cuore di Felicity si sgretolò, qualsiasi rimanente speranza che lui potesse nutrire qualcosa per lei scomparve e cercò di non far riempire i suoi occhi di lacrime.
 
“E no” continuò lui. “Sì, ti ho baciato per copertura, ma ha significato qualcosa.”
 
Il suo cuore doveva essersi fermato. Sapeva di aver smesso di respirare.
 
Sempre molto lentamente alzò il suo sguardo fino a incontrare i suoi occhi, e guardandolo capì che non stava mentendo.
 
“Non ti aspettavo, Felicity Smoak. E sei molto pericolosa”. Felicity sapeva quanto contorta dovesse essere la sua faccia, perché non capiva del tutto cosa lui stesse dicendo.
 
La sua mano raggiunse quella calda di lei per intrecciare le loro dita e la fece alzare. “Sei pericolosa perché mi fai provare emozioni, e con tutto questo…” disse, guardando intorno a loro, “Non so se i sentimenti siano una cosa buona.”
 
“Lo sono sempre” disse lei immediatamente, sentendosi arrossire.
 
La mano di Oliver accarezzò la sua guancia e lei si lasciò andare al suo tocco.
 
“Ho bisogno di un po’ di tempo” disse dolcemente. Quando lei alzò lo sguardo su di lui capì cosa voleva dire, lui voleva provarci.
 
“Ok” rispose lei, e lo voleva anche lei. Poteva essere paziente, voleva solo essere sicura che non fosse un sentimento a senso unico, e lui gliel’aveva appena provato.
 
Lei portò una sua mano sul suo petto, lisciando la sua giacca. “Dovresti andare, davvero, scarico solo questi file e assemblo alcuni parametri di ricerca” lo rassicurò.
 
“Sei sicura?” le chiese.
 
“Sì, sono sicura” di proposito si staccò da lui e tornò a sedersi sulla sedia.
 
“Va bene. Buonanotte.”
 
Oliver era a metà rampa di scale, quando si fermò e si girò verso di lei, guardandola. “Oh, e Felicity? Non era una bugia quella di prima” un sorrisetto si andò a disegnare sulle labbra di lui mentre la guardava “Il verde davvero di dona.”
 
Felicity lo guardò con la bocca aperta per un lungo momento, prima che un pensiero malizioso entrasse nella sua mente “Mi fido, allora!”

 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ***


TROPES


PARTE 1
Felicity sospirò pesantemente e si massaggiò la parte del naso a contatto con gli occhiali. Era passata la mezza durante un venerdì notte e lei aveva trascorso le scorse sei ore nel seminterrato del Verdant, cercando di trovare una soluzione per far funzionare il firewall.
 
Oliver aveva indossato il suo costume presto quella mattina, ottenendo le informazioni di cui lei aveva bisogno, ma stava a lei trovare la soluzione attraverso tutti quei dati. Ora che sapeva contro chi si stava scagliando, si stava rivelando difficile.
 
Non le mancava la dimestichezza nel fare le nottate, tuttavia da quando negli ultimi quattro mesi metà del Glades era stata distrutta ne aveva fatte più di quante riuscisse a contare. Sapeva che sarebbe stato meglio per tutti se lei avesse ammesso la sconfitta per quella sera e avesse rimandato il tutto all’indomani.
 
Felicity prese il suo cellulare e scrisse un messaggio veloce a Oliver, per informarlo dei suoi piani. Lui si trovava al piano di sopra, alle prese con i suoi impegni da ‘proprietario del club’, e l’ultima cosa che lei voleva era andare su a dirglielo di persona.
 
Premette il pulsante ‘invia’ e si chinò per rimettere i suoi tacchi, quando la suoneria di un telefono squillò dietro di lei. Felicity si girò lentamente nella sedia e scorse il telefono di Oliver sul tavolo.
 
Il suo corpo sprofondò sconfitto. Con un lamento si costrinse ad alzarsi dalla sedia e, imbronciata, si diresse verso le scale. Quando raggiunse la porta il rumore della musica si andò ad aggiungere al mal di testa che, veloce, le si stava formando.
 
Indossava ancora gli stessi vestiti che aveva avuto durante tutto il giorno al lavoro. Appena scivolò fuori da dietro il bar si rese conto che era fin troppo evidente. Oliver era molto probabilmente nel suo ufficio o nella sezione VIP. Se tutto fosse andato nel verso giusto, l’avrebbe trovato velocemente, uscendo da lì presto.
 
Roy Harper lavorava come barista ora e Felicity lo vide tornare verso il bancone con un vassoio pieno di bicchieri vuoti.
 
“Quel router ha avuto altri problemi?” le chiese Roy con un sopracciglio alzato e un’aria di sarcasmo nella sua voce che le fece capire quanto sospettoso fosse, visto tutto il tempo che lei trascorreva al club.
 
“Qualcosa del genere” rispose con calma. “Hai visto Oliver nei dintorni?”
 
Roy mise il vassoio dietro il bancone e le fece cenno al di sopra della spalla verso la porta. “Probabilmente è fuori a parlare con i buttafuori. C’era un problema con dei ragazzi ma credo che se ne stia occupando.”
 
Felicity vide la massa di corpi sulla pista da ballo contorcersi, e l’ingresso del club sul lato opposto. Prese un respiro profondo e raddrizzò le spalle come se stesse andando in battaglia.
 
“Grazie, Roy” gli disse senza guardarlo, prima di dirigersi verso la pista.
 
Le luci vorticavano intorno a lei, rendendo difficile la vista, e ciò le causava difficoltà nel muoversi nel mezzo di tutto quel mare di ventenni ubriachi e sovraeccitati. Felicity si faceva largo tra di loro e urtò qualcuno più di una volta, e una scia bagnata cadde lungo la sua spalla, cosa che le fece capire che avrebbe dovuto togliere l’alcool dalla sua maglia una volta tornata a casa.
 
Il DJ che Oliver aveva assunto sembrava estremamente popolare, e quando la canzone corrente terminò e un’altra cominciò, i ragazzi sembrarono approvare, se l’assordante livello sonoro fosse una qualche indicazione. Felicity abbassò con forza un gomito e si trovò schiacciata tra due coppie che stavano quasi sicuramente facendo qualcosa di illegale, quando una mano le strinse il polso.
 
Prima di girarsi credeva fosse Oliver, o al massimo Roy. Una luce stroboscopica rossa e brillante la illuminò mentre lei guardava verso il basso, rendendosi conto immediatamente che la mano non apparteneva a nessuno che lei conoscesse.
 
I suoi occhi si alzarono in un istante verso l’uomo davanti a lei. Era alto, quasi più alto di Oliver, con un sorrisino presuntuoso e occhi che sembravano freddi, anche se stava sorridendo.
 
“Hey, Barbie, dove stai andando così di fretta?” l’uomo disse lascivamente mentre si avvicinò di due passi a lei.
 
Felicity cercò di ritirare il suo braccio dalla sua stretta, ma lui strinse ancora più forte. Ci provò di nuovo, lanciandogli uno sguardo esasperato. “Sto lavorando. Quindi se non ti dispiace, gradirei che mi lasciassi andare.”
 
Qualcosa cambiò nell’espressione dell’uomo, e lei non poté nascondere il suo sussulto quando lui la spinse contro di sé violentemente. Felicity passò dall’essere scocciata a spaventata in una frazione di secondo.
 
Nessuno intorno a lei aveva notato che qualcosa non andava. La gente si era chiusa intorno a loro e lei non riusciva a vedere il bar o la porta.
 
Più cercava di liberarsi dalla sua presa più lui usava più forza. Quando la sua mano libera andò ad arpionare la sua vita Felicity ne ebbe abbastanza. Si ricordò dell’allenamento che fece con Digg, così spostò dietro il braccio per tirargli una gomitata nella parte media del tronco.
 
In un istante lui aveva anticipato la sua mossa. La tirò contro di sé, la schiena contro il petto, immobilizzandole le braccia avanti a lei, la sua mano che cominciava a intorpidirsi per la pressione che lui stava facendo sul suo polso.
 
“No, no, dolcezza. Non credere che non sappia tutte le mosse di voi donne per ‘attaccare un predatore’” le sibilò nell’orecchio, mentre il panico cominciava a crescere dentro di lei. Con le braccia bloccate poteva a stento muoversi. Gridare sarebbe stato inutile; nessuno l’avrebbe sentita.
 
Improvvisamente fu spinta in avanti, cercò di inchiodare i suoi tacchi rifiutando di muoversi, ma lui avvolse semplicemente il suo braccio intorno alla vita e la alzò davanti a lui come se non pesasse nulla, e nessuno notò niente.
 
Non c’erano molti angoli bui nel Verdant, Oliver era stato chiaro su questo punto quando aveva progettato il locale. Tuttavia, mentre si allontanavano dalla pista da ballo Felicity sapeva dove lui volesse portarla.
 
Il corridoio che portava ai bagni aveva un piccolo spazio con una porta che dava nello sgabuzzino, ed era oltre gli ingressi ai servizi igienici. Nessuno sarebbe andato oltre quel corridoio.
 
Felicity agitò i piedi e cercò di colpirlo negli stinchi, nelle caviglie, anche più in alto se fosse stata fortunata. Lui la fece cadere pesantemente suoi piedi, slogandosi leggermente una caviglia prima che lui afferrasse la sua coda di cavallo e la attorcigliasse brutalmente. Il suo collo era piegato in una posizione scomoda, dalla quale tutto ciò che poteva vedere era il soffitto.
 
“Smettila di agitarti, Barbie, così andrà tutto liscio” le sussurrò minacciosamente. Felicity poté sentire le labbra e la sua lingua sul collo e combatté l’istinto di vomitare.
 
Il sangue che affluiva alla sua testa era quasi assordante. Felicity cercò di trattenere la paura che si stava facendo largo dentro di sé, sapendo che la sua unica opportunità era di trovare un’uscita e scappare.
 
Un trio di ragazze ubriache passò affianco a loro nel corridoio, ma nessuno di loro le diede un’occhiata. Poté vedere la porta del bagno delle donne mentre loro passavano e la bile aumentò nella sua gola.
 
Improvvisamente fu rilasciata e sbattuta violentemente contro la porta dello sgabuzzino, la maniglia che premeva dolorosamente nelle sue costole. L’illuminazione era quasi inesistente lì sotto e lei poteva solo distinguere la sua forma scura.
 
Scattò contro di lui quando si avvicinò, ma lui catturò il suo pugno prima che potesse fare qualsiasi cosa, stringendo lo stesso polso che aveva afferrato prima, tanto che lei fu costretta a lamentarsi per il dolore.
 
Quel poco di controllo che lei era riuscita a conservare scivolò via e lei gridò per essere aiutata mentre cercava di attaccarlo ancora.
 
Lui rise.
 
Le lacrime cadevano incontrollate sulla sua faccia e l’aria intorno a loro sembrava essersi fermata. Tutto ciò che poteva sentire era il suo stesso respiro esausto e il suono delle scarpe dell’uomo che strisciavano sul pavimento mentre si avvicinava ancora di più a lei.
 
La pista da ballo, Oliver, anche Roy, sembravano tutti lontano miglia adesso. Era letteralmente a chilometri dalla salvezza e non si era mai sentita più terrorizzata o più sola di così.
 
“Credi che non l’abbia fatto prima?” il modo casuale con cui le parlò le fece venire i brividi, “E’ facile”.
 
Tutto il suo corpo scattò quando lui le strappò la maglia in due. Appena sentì la sua mano sulla sua pelle nuda, qualcosa dentro di sé si spezzò. Uno schiacciante bisogno di sopravvivere montò in lei, che cercò di ribellarsi.
 
Poteva anche essere in grado di prevalere su di lei, ma non si sarebbe mai arresa.
 
In qualche modo riuscì a liberare una mano, graffiandogli con le unghie il lato della faccia. Il suo grugnito di indignazione precedette lo schiaffo che le tirò con il dorso della mano, ma anche se Felicity poté sentire il sangue nella bocca non se ne pentì.
 
Provò a tirargli una ginocchiata nell’inguine. Lui semplicemente rise minacciosamente mentre le spingeva le gambe per fargliele aprire, spingendola ancora più contro il muro. Non era mai stata così contenta di aver scelto di indossare un pantalone quella mattina.
 
Con le gambe che erano ormai inutilizzabili, girò il suo corpo cercando di fuggire. Un pugno vagante lo colpì sul naso. Ciò le costò un altro schiaffo, che la lasciò disorientata, mentre cadeva sul pavimento.
 
La testa le pulsava a causa dell’ultimo colpo e, per quanto si sforzasse, non riusciva a rimettersi in piedi. Una delle mani dell’uomo la tirò per i capelli ancora legati nella coda, alzandola in piedi, e lei non ebbe alternativa che seguire il suo movimento, il dolore nella sua testa era quasi accecante ora. Quando la sua bocca fu sulla sua lei morse forte sul suo labbro inferiore, e sentì una punta di soddisfazione quando lui urlò per il dolore.
 
Felicity si tirò indietro da quello che sapeva sarebbe stato un altro colpo, ma questo non arrivò mai. La sua presa sui suoi capelli improvvisamente cessò e lei cadde nell’angolo tra la porta e il muro, scivolando giù fin quando non si rannicchiò sul pavimento.
 
Sentiva rumori di una lotta, carne contro carne, esali d’aria, e grugniti di dolore.
 
“L’hai toccata?!” un grugnito che suonava sospettosamente come l’Incappucciato provenne dal buio. Non riusciva a definire la sagoma, ma ora poteva vedere Oliver. Freddo sollievo fluì dentro di lei.
 
Erano nel corridoio, il suo aggressore bloccato con un braccio intorno alla gola al muro opposto. Il pugno di Oliver si alzò e lo colpì con forza, facendo cedere le ginocchia dell’uomo, che però non voleva arrendersi ancora.
 
Tirò un colpo contro le costole di Oliver che non gli fece nulla se non farlo infuriare ancora di più. La sua ritorsione fu veloce e brutale. Felicity sussultava ogni volta che Oliver lo colpiva.
 
Ora erano sul pavimento, il suo aggressore prono sotto Oliver. Le luci sulla pista da ballo avevano cambiato angolazione e ogni secondo un fascio di luce rossa e verde tagliava l’ingresso. Felicity poteva vedere il sangue e uno sguardo sulla faccia di Oliver che non aveva mai visto prima.
 
Dopo poco furono accerchiati. Arrivò anche Roy con due dei buttafuori. Furono necessari entrambi per sollevare Oliver dall’uomo. Roy alzò lo sguardò e la vide, ancora accucciata nell’angolo.
 
Con occhi che stavano diventando sempre più offuscati vide Roy avvicinarsi subito al viso del suo capo. Non seppe mai cosa gli disse, ma gli occhi di Oliver si spostarono su di lei mentre la luce brillava dalla pista da ballo. La sua faccia era in gran parte nell’ombra, ma Felicity non si perse il modo in cui la sua mascella si strinse ancora di più o di come si lanciò nuovamente sull’uomo, ormai privo di sensi. Ancora una volta, i buttafuori furono gli unici a fermarlo.
 
Roy fu avanti a Oliver ancora una volta, prima di andarsene dal corridoio.
 
Felicity ora faceva respiri brevi e difficili e non riusciva a fare nulla per evitare che il suo corpo tremasse.
 
I suoi occhi caddero sull’uomo che le aveva fatto del male. Non sembrava così grande ora che era disteso sul pavimento. Felicity poteva vedere i profondi graffi che le sue unghie gli avevano fatto sulla faccia, così come tutto quello che gli aveva fatto Oliver. Voleva guardare altrove, ma non ci riusciva.
 
Un tocco sul suo braccio la fece balzare indietro prima che lei si rendesse conto di cosa stesse facendo.
 
Oliver si accovacciò avanti a lei, una profonda ruga tra le sue sopracciglia e un’intensità nel suo sguardo che lei non aveva mai visto prima. Le sue mani erano ferme avanti a lui, la sua bocca si muoveva ma il trambusto nella testa di Felicity era tale che non riusciva a capire cosa le stesse dicendo.
 
Esitò un istante, ma poi si buttò contro di lui. Se fosse stato sorpreso dal suo gesto non l’aveva dato a vedere se non in un momento di esitazione, prima di avvolgere le sue braccia intorno a lei.
 
Felicity appoggiò il viso nel suo collo e chiuse gli occhi con forza; il battito del cuore di Oliver sotto il suo orecchio e la presa sulla sua maglia erano le uniche cose che la facevano restare cosciente.
 
Poteva sentire una delle sue mani sulla schiena spingerla verso di lui, l’altra a coppa sulla parte posteriore della testa, le sue dita che le toglievano alcuni capelli dal viso.
 
Le stava parlando, poteva sentire il rimbombo nel suo petto, ma non lo stava ascoltando. Tutto ciò che sapeva era di essere salva.
 
Rannicchiandosi contro di lui permise alla sua mente si spegnersi. Pensare a cosa fosse appena successo, a cosa stesse quasi per succedere, era troppo. A un certo punto Oliver la spinse leggermente indietro, abbastanza da sistemare la giacca sulle sue spalle. Felicity guardò in basso mentre le sue mani facevano coincidere i risvolti della giacca e scorse la camicetta strappata e una parte del suo reggiseno. Il suo stomaco rotolò e si ributtò nelle braccia di Oliver.
 
Tutto ciò che riusciva a vedere era l’immagine sfocata della barbetta di un giorno di Oliver, e il bordo del colletto della sua camicia.
 
Sentiva delle voci ora, non solo quella di Oliver. Lentamente si rese conto che la musica nel club era stata spenta, e lo spazio intorno a loro era più luminoso.
 
“Perché non la porti nel tuo ufficio, capo? Aspetto io la polizia” sentì dire da Roy con attenzione, come se avesse paura di spaventarla solo con la sua voce.
 
La testa di Oliver si posò sulla sua. “Ti porto sopra. Sei al sicuro.”
 
Felicity riuscì a fare un mezzo cenno con la testa.
 
“Chiudi gli occhi” le disse Oliver, mentre si alzava in piedi tenendola tra le braccia con facilità. Sentì Oliver spostare il peso e capì che stava passando affianco il corpo del suo aggressore. Fece come le era stato detto, girando la testa ancora più contro il suo collo, fin quando non riuscì a vedere più nulla.
 
Non si era accorta del passaggio dal corridoio all’ufficio di Oliver. Quando lui provò a metterla giù sul divano di pelle, Felicity fece un rumore che lei stessa non sapeva di essere in grado di fare e si avvinghiò a lui ancora di più. Lui non ci provò di nuovo, semplicemente si sedette con lei sulle sue gambe.
 
Stettero così in silenzio per un lungo momento. Felicity lo sentì deglutire prima che finalmente parlasse.
 
“Felicity” disse piano e con calma “Sei ferita?”
 
Vedendo che non rispondeva, Oliver lentamente la spinse di poco indietro, fin quando non riuscì a vedere la sua faccia. Felicity si lasciò sfuggire un involontario brontolio di cui si vergognò subito dopo.
 
La mano di Oliver si alzò e con attenzione le accarezzò lo zigomo. Lei cercò di non sussultare al contatto, ma non riuscì a nasconderlo, e vide gli occhi di Oliver scurirsi.
 
“Ho…ho provato a difendermi, a fare quello che mi hai insegnato, ma era troppo forte…” soffocò un singhiozzo, la mano di Oliver che raggiunse i suoi capelli e la spinse di nuovo contro il suo petto. L’adrenalina stava cominciando a scomparire, ma non sapeva se il tremolio fosse dovuto a questo o ad altro.
 
“Sei al sicuro” le ripeté Oliver mentre le accarezzava la testa.
 
“Non avevi il cellulare, ho provato a mandarti un messaggio per informarti che stavo per andarmene, ma…” appena le uscirono queste parole, il viso di Oliver di bloccò. I suoi occhi si chiusero e quando li riaprì la strinse ancora più forte a sé.
 
“Mi dispiace” le disse duramente.
 
Un ricordo le tornò alla mente, mani rudi sulla sua pelle, labbra sulle sue. Sussultò. “Lui stava…lui stava per…” non riuscì a finire la frase. La presa di Oliver era quasi dolorosa adesso.
 
Poteva giurare di aver sentito le labbra di Oliver sui suoi capelli un attimo prima che parlasse. “Sei al sicuro”. Sentì il suo respiro spostarsi sulla sua fronte e si spinse ancora più a lui quando i singhiozzi cominciarono ad agitarla.
 
Potevano essere seduti lì da cinque minuti o cinque ore, il tempo ora non le interessava. Un leggero tocco alla porta spezzò il silenzio. Felicity guardò verso l’alto proprio quando la porta si aprì di poco e vide sbucare la testa di Roy.
 
“Mi dispiace disturbarvi, ma il detective Lance è qui e ha bisogno di…” la voce di Roy si affievolì, vedendo le condizioni in cui era Felicity.
 
“Fallo entrare” disse Oliver duramente.
 
Felicity si sedette rapidamente e si passò i palmi delle mani sul suo viso bagnato, prima di spostarsi volutamente dalle gambe di Oliver, in modo che fossero seduti fianco a fianco. Anche se c’era solo poco spazio a dividerli, ora si sentiva al freddo e sola. Si rannicchiò sul divano, permettendo alla sfarzosa pelle di circondarla, sostituendo Oliver.
 
Il detective Lance si avvicinò a lei lentamente. Lei strinse con forza le due estremità della giacca di Oliver, avvicinandole, e avrebbe voluto passare una mano sul viso, per togliersi le ciocche di capelli che erano uscite dalla coda durante la lotta.
 
Si avvicinò a lei e fece per toccarle la spalla, ma all’ultimo momento si tirò indietro e prese una sedia. Felicity percepì il modo in cui i suoi occhi la guardavano, non mancando neanche un particolare, e pensò che forse quella era la stessa espressione cupa che aveva già visto in Oliver prima.
 
“Mi dispiace che le sia accaduto tutto questo, signorina Smoak” cominciò “Ha bisogno di farsi vedere da un medico?” dopo il Glades, lei e Lance avevano creato una sorta di intesa. Non disattivi un apparecchio sismico con qualcuno senza creare un legame.
 
“Sto bene” sussurrò lei, odiando quando debole suonasse la sua voce, ma non essendo in grado di fare altro.
 
Lance guardò Oliver per conferma, il che fu strano agli occhi di Felicity, ma quando Lance cominciò a farle domande sul suo aggressore se ne dimenticò.
 
Prese un respiro incerto e gli raccontò tutto. A un certo punto lasciò andare la presa ferrea sulla giacca e trovò la mano di Oliver con le sue, concentrandosi su di essa. Lui girò la mano, in modo che le loro dita potessero intrecciarsi, permettendole di raccontare a Lance ciò che era accaduto.
 
Quando terminò non c’era più nulla di lei, le lacrime erano scese silenziose lungo il suo viso e lei non se n’era accorta. Più di tutto voleva andarsene e dormire e fingere per un istante che nulla di tutto ciò fosse accaduto.
 
Lance la guardò comprensivo e tamburellò sul suo taccuino con la penna. I suoi occhi intercettarono quelli di lei, prima di guardare verso il basso quasi come fosse colpevole. “Grazie per la sua dichiarazione. Lo stavamo cercando da molto tempo.”
 
L’aria sembrò immobilizzarsi quando Oliver si agitò affianco a lei. Improvvisamente era balzato in piedi, il viso una maschera di nervosismo mentre guardò verso Lance.
 
“Sapeva di lui?” Oliver ringhiò, la sua voce mortale che suonava esattamente come l’Incappuciato.
 
Lance non si alzò, anzi, rimase sulla sedia ancora più teso di prima “C’era un predatore seriale che ha riempito la scena dei club negli ultimi due mesi. Le ragazze erano spesso troppo ubriache o alticce per sapere cosa stesse succedendo. Le portava in un angolo buio del club, le picchiava…le assaliva, e poi se ne andava prima che qualcuno potesse identificarlo”.
 
La tensione di Oliver era palpabile. Cominciò a vagare nell’ufficio, che improvvisamente sembrava troppo piccolo, i muscoli del collo corde tese mentre cercava di mantenere il controllo.
 
“Lei sapeva che questo pezzo di merda era là fuori e non ha pensato di avvisare i proprietari dei club di lui?! Almeno darci una possibilità di aumentare la sicurezza!” Oliver ruggì.
 
Lance finalmente si alzò. “Ad essere onesti, gran parte di loro non farebbero nulla se accadesse qualcosa del genere nei loro club. Al contrario, molto probabilmente crederebbero fosse una normalità” ci fu un acuto nella voce di Lance che non c’era stato prima.
 
Oliver lo raggiunse fin quando non si trovarono quasi piedi contro piedi. “Io non sono ‘gran parte di loro’!” urlò “E’ entrato nel mio club e ha fatto del male alla mia…” si bloccò all’improvviso prima di sibilare l’ultima parte “E’ stata ferita perché voi della polizia non avete fatto il vostro lavoro!”
 
Felicity si sentì intorpidita quando la consapevolezza che era successo anche ad altre donne e che lei era stata fortunata si impadronì di lei. La bile le salì nella gola e sapeva che questa volta non sarebbe riuscita a fermarla.
 
Fece un lungo balzo per raggiungere il cestino di titanio vicino la scrivania. Non c’era molto nel suo stomaco, ma quello che c’era ora lo stava espellendo violentemente. Sentì Oliver e Lance imprecare dietro di lei e ci fu un turbinio di movimenti.
 
Non sentì più nulla fin quando il braccio di Oliver non le circondò la vita per supportarla e gli fu grata all’istante, la forza che le era rimasta la stava ormai abbandonando.
 
“Qui, tesoro” sentì Lance dirle gentilmente, mentre le porgeva dei fazzoletti. Felicity non poté evitare di pensare che forse quelle erano le stesse parole dette allo stesso modo a Laurel quando era una ragazzina.
 
Felicity si pulì la bocca debolmente e prese la bottiglia d’acqua che il detective le porse, riuscendo a stento ad alzarla per fare un sorso, viste le sue mani tremanti.
 
Lance riprese la bottiglia dalla sua debole presa e si alzò in piedi. “Dovrà venire al dipartimento a firmare una dichiarazione ufficiale, ma può aspettare un paio di giorni”.
 
“Verrà quando se la sentirà” disse Oliver, la sua voce dura.
 
Felicity cercò debolmente di dire la sua opinione a riguardo, ma si rese conto che non se ne importava, così lasciò stare. Quando cercò di rimettersi in piedi da sola, la sua caviglia non la resse e lei non poté evitare un leggero lamento per il dolore.
 
Senza una parola Oliver la prese tra le braccia e si incamminò verso il divano.
 
“No” disse lei improvvisamente e lui si bloccò subito, “Voglio…andarmene. Non voglio più stare qui.”
 
“Allora andiamo” Oliver si sforzò ad avere un tono dolce.
 
“Prenditi cura di lei, Queen” disse Lance improvvisamente. Le lacrime le pungevano gli occhi per la sua preoccupazione.
 
Oliver non rispose, ma lei sapeva che i due uomini avevano continuato il discorso semplicemente attraverso lo sguardo.
 
Voleva dire a Oliver di metterla giù, di lasciarla camminare da sola, ma sapeva che non ci sarebbe riuscita. Aveva perso qualcosa, e non sapeva se l’avrebbe mai riavuta indietro, ma per ora avrebbe permesso a Oliver di assolvere la sua colpa facendo questo per lei.
 
Lance aprì la porta per loro e trovarono Digg ad attenderli fuori, la sua faccia pietrificata.
 
Oliver e Digg si scambiarono uno sguardo che lei non riuscì a decifrare.
 
“Sta bene?” fu tutto ciò che Digg disse.
 
“Starà bene” rispose Olvier.
 
Digg annuì e le diede un mezzo sorriso per rassicurarla. “La macchina è sul retro.”
 
Felicity sussultò leggermente mentre passarono sulla pista da ballo ormai vuota, tutte le luci ora accese, la luminosità che ora le dava fastidio agli occhi.
 
Alcuni poliziotti erano ancora lì a prendere delle dichiarazioni da qualcuno dello staff, ma Felicity sapeva che nessuno aveva visto nulla.
 
Roy era in piedi vicino al bar. Sembrava nervoso. Oliver a stento rallentò quando si avvicinarono a lui.
 
“Mi dispiace se sei arrabbiato che ho chiamato il signor Diggle, ma pensavo che dovesse essere qui. Ti capisco se credi che abbia oltrepassato il limite” Roy deglutì ma mantenne lo sguardo.
 
“Hai fatto la cosa giusta, ragazzo, solo dimmelo prima la prossima volta” disse Oliver, ma subito trasalì per ciò che aveva detto. Felicity tremò al pensiero di una ‘prossima volta’.
 
“Sei al sicuro” le sussurrò ancora una volta nell’orecchio. Si chiese quante altre volte gliel’avrebbe dovuto dire prima che cominciasse a crederci davvero.
 
Guidarono in silenzio, fin quando Digg non abbassò il finestrino per parlare con qualcuno, e lei capì che erano fermi al cancello di villa Queen.
 
“Oliver…” cominciò lei.
 
“Non resterai sola” le disse in un tono che non ammetteva repliche.
 
Thea li stava aspettando sui gradini dell’entrata in pigiama.
 
Appena Oliver uscì dall’auto con Felicity tra le braccia, lei corse verso di loro.
 
“Sta bene? Roy mi ha mandato un messaggio, era preoccupato, e arrabbiato. Penso che lui pensasse di essere responsabile per non averlo fermato o…” la sua voce si affievolì quando catturò lo sguardo agitato del fratello. Thea prese un lungo respiro e cominciò da capo. “C’è qualcosa che posso fare?”
 
“Prendile qualche vestito per farla cambiare” disse Oliver e Felicity poté quasi sentire gli occhi di Thea su di lei quando strinse la giacca di Oliver e l’estremità della sua camicetta ormai lacerata.
 
“Oddio” sussurrò Thea con orrore.
 
Felicity non poté evitare di sentire la vergogna crescere dentro di sé e si girò quanto più possibile verso il petto di Oliver.
 
“Mi dispiace, mi…dispiace così tanto” disse Thea velocemente. “Vado subito a…vado. Sarò subito di ritorno”.
 
Oliver era silenzioso mentre saliva le scale che portavano al secondo piano. Felicity aveva sempre voluto vedere l’interno di villa Queen. Non aveva mai immaginato, però, che questo sarebbe stato il modo in cui l’avrebbe vista.
 
La testa ora le pulsava ed era esausta. I suoi occhi si erano chiusi diverse volte, ma sentì l’indecisione di Oliver quando cominciò ad abbassarla sul letto.
 
Batté gli occhi rapidamente e alzò la testa per guardarsi intorno. La stanza era enorme, con dettagliate lavorazioni di legno scuro e tendaggi pesanti.
 
Oliver la posò con gentilezza sul letto, facendola sedere e mettendosi in ginocchio davanti a lei, permettendo alle sue braccia di scivolare via dalla sua vita, nonostante le lasciò appoggiate ai lati dei suoi fianchi.
 
Un leggero sussulto di panico la pervase quando perse il contatto con lui e rabbrividì per il freddo.
 
“Sei al sicuro qui.”
 
Felicity pensò che forse questo sarebbe stato il modo in cui avrebbe cominciato tutte le frasi nei suoi confronti, d’ora in poi. Le linee intorno ai suoi occhi sembravano più profonde che mai. “Devo pulirti il viso” le disse.
 
Lei si tirò indietro leggermente al ricordo delle sue ferite. Ma prima che potesse rispondergli ci furono due tocchi leggeri alla porta.
 
“Ollie?” disse Thea  a bassa voce, entrando nella stanza. Teneva un pigiama pulito tra le mani.
 
“Grazie, Thea” le disse Oliver, raggiungendola per prendere i vestiti e poi si bloccò.
 
“Felicity, vuoi che Thea ti aiuti a cambiarti? Io posso andare a prendere le cose che mi servono per…” Non continuò perché il pensiero di lui che la lasciava sola, anche con sua sorella, era qualcosa che lei non riusciva nemmeno a considerare.
 
“No!” le uscì dalla bocca con così tanta enfasi che si portò una mano sulle labbra per la sorpresa.
 
“Ok” disse Oliver, avvicinandosi velocemente a lei, il pigiama caduto sul pavimento. “Non me ne andrò”
 
“Vado io a prendere quello che ti serve” disse Thea prima di uscire in silenzio dalla porta.
 
“Mi dispiace. E’ solo…non so perché mi sento così. Mi sento come se non fossi nemmeno nel mio corpo…non voglio che Thea pensi che non mi piace. Non è così. Voglio dire, non la conosco bene, ma sembra una ragazza gentile e…” c’era una piccola traccia di un sorriso sul viso di Oliver che fermò il suo sproloquio.
 
Prese un profondo respiro e aspettò che lui le spiegasse.
 
“Sembri un po’ tornata in te” le disse e lei gli fece un sorriso spezzato.
 
Oliver raccolse il pigiama e glielo porse sul grembo. “Vuoi che ti aiuti? Posso…” lei poté vedere quanto stesse lottando per mantenere il controllo.
 
“Ce la faccio” disse con falsa sicurezza. Ma quando lui si girò per uscire lei alzò una mano spaventata. Chiuse il pugno sulla sua manica con disperazione. “Puoi…puoi solo girarti? Non andartene.” La bocca di Oliver era una linea sottile e tesa, lui prese la sua mano e la strinse prima di girarsi in modo da darle la schiena.
 
Era solo a qualche passo da lei, Felicity avrebbe potuto alzare una mano e toccarlo se avesse voluto, ma dell’irrazionale terrore rendeva le sue mani tremolanti e il suo respiro aumentò quando fece fatica a togliersi i pantaloni.
 
Appena caddero sul pavimento fu colpita dal ricordo delle sue gambe aperte con la forza. Deglutì a fatica e si sedette pesantemente sul letto, il suo respiro ormai diventato sussulti pesanti.
 
“Oliver…” provò a dire, ma non era sicura che fosse comprensibile. Lui si girò in un attimo.
 
Senza dire una parola, le fece scivolare i piedi nel pantalone del pigiama e lo spinse sopra le ginocchia. Lei gli permise di aiutarla ad alzarsi e riuscì a infilarli completamente. Appena la sua giacca scivolò dalle spalle, il suo respiro si regolarizzò e fissò un punto dall’altra parte della stanza. Le tolse la camicia rovinata e lei non batté ciglio mentre stava davanti a lui con solo il reggiseno.
 
La maglia del pigiama era azzurra e morbida. Pensò che forse si sarebbe fermato prima di chiuderle i bottoni, ma non poteva esserne sicura. Oliver si allontanò solo per un secondo e poi le sue braccia venivano mosse un’altra volta. Un profumo familiare fluttuava nell’aria, rendendola più tranquilla. Quando abbassò lo sguardo vide Oliver alzare la zip di una felpa grigia. La stessa felpa grigia che lui aveva indossato nel covo quella mattina dopo essersi fatto la doccia. Il tessuto la copriva completamente, era caldo e profumava di Oliver e ciò era tutto quello che le importava.
 
Felicity si sedette sul letto proprio mentre Thea tornò nella stanza. Poggiò un assortimento di oggetti di primo soccorso e un bicchiere d’acqua sul comodino affianco al letto, prima di raccogliere i vestiti e dare a Oliver un sorriso triste. Fatto ciò uscì nuovamente.
 
Lo sfinimento la colpì forte e subito. Felicity quasi ondeggiava sul posto mentre Oliver puliva un piccolo taglio sul suo zigomo e poggiava un impacco freddo sulla sua tempia. Lei sapeva che l’indomani avrebbe avuto più lividi. Oliver prese due pillole da una confezione e gliele porse. Lei le prese con il bicchiere d’acqua che Thea le aveva portato.
 
Quando terminò Oliver si inginocchiò affianco a lei. La sua vista galleggiava mentre lei alzava una mano per accarezzargli il viso. I suoi occhi si chiusero al suo tocco. “Grazie” gli disse delicatamente.
 
Oliver riaprì gli occhi e li bloccò nei suoi. Il suo sguardo era indecifrabile. “Non puoi…non puoi dirlo” le disse con voce gutturale.
 
“Grazie” lei ripeté. La testa di Oliver si sporse in avanti, fin quando non si poggiò sul ginocchio di lei e vi restò per un lungo momento. Le mani arpionarono le coperte del letto con forza e poi si alzò da lei.
 
“Stenditi e riposati” le disse rigidamente, cercando di non suonare così duro.
 
Fece come le era stato detto perché sapeva che lui era al limite. Sapeva che lui non avrebbe voluto fare altro che andare a distruggere qualcosa o qualcuno, ma stava cercando di fare il suo meglio per controllarsi, solo per lei.
 
I cuscini erano perfetti, e le coperte le più morbide che aveva mai toccato, ma quando lui la coprì con il piumone e fece un passo indietro le tornò di nuovo la paura.
 
“Ti prego, non andare” disse tremante.
 
“Non vado da nessuna parte. Sarò subito di ritorno” le assicurò, per poi scomparire dalla sua vista. Felicity si stese in completo silenzio con gli occhi chiusi fin quando lui non tornò. Una porta si chiuse e sentì un forte colpo. Sobbalzò a quel suono e poi si ristese di nuovo, gli occhi aperti per la paura, fin quando non lo sentì ritornare nella stanza.
 
Se avesse dovuto indovinare, avrebbe detto che presto ci sarebbe stato bisogno di riparare qualche muro nel bagno.
 
Oliver non mostrò alcun segno di rabbia quando lei lo rivide. Prese una sedia e cominciò a trascinarla vicino al lato del letto.
 
“Ti prego” gli disse di nuovo, e quando i loro occhi si incontrarono capì che lui aveva inteso cosa gli stesse chiedendo. Stava attraversando i confini, in realtà li stava proprio cancellando, ma non le importava.
 
L’aria cominciò a diventare pesante intorno a loro. Felicity sapeva di essere andata troppo oltre. Troppo. Troppo presto. Oliver l’aveva a stento toccata prima di quella notte, ma non era sicura di riuscire a tranquillizzarsi senza lui accanto a lei.
 
Il fatto che non dicesse una parola era un segno di quanto lontano fosse andata. Poi, però, lo vide dirigersi verso i piedi del letto. Sentì il materasso abbassarsi mentre lui vi saliva, non esitando a mettersi direttamente dietro di lei.
 
Felicity emise un sospiro che non sapeva di aver trattenuto tutto quel tempo. Il braccio di Oliver le circondò la vita e la strinse a sé.
 
“Grazie” gli disse di nuovo, perché glielo doveva. Oliver poggiò la fronte sulla sua spalla per un momento.
 
Felicity andò a tentoni fin quando non trovò la sua mano. La strinse, il pollice che gli accarezzò leggermente la pelle irregolare e tagliata delle sue nocche. Non sapeva se se lo fosse procurato ora, o prima quando l’aveva salvata.
 
Oliver non si ritirò quando lei intrecciò le loro mani, portandosele tra i seni. Con un lungo sospiro si mise comoda contro di lui.
 
“Dormi” le sussurrò nell’orecchio, e lei rabbrividì.
 
 
 
Si svegliò solo una volta per un incubo. Stava cercando di difendersi dal suo aggressore di nuovo. Il dolore divampava nel polso e quando si svegliò respirando a fatica vide Oliver in equilibro su di lei, le mani che le tenevano le braccia per evitare di essere colpito.
 
“Oddio!” sussultò, le braccia che le caddero di nuovo sul materasso. Oliver la lasciò andare e ritornò steso sulla schiena, spingendola verso di sé.
 
“Sei al sicuro” le disse, ancora e ancora, mentre la accarezzava, fin quando lei non si riaddormentò, ascoltando la sua promessa.
 
Il mattino dopo il letto era vuoto. Si sedette di colpo, la testa che le faceva male e il lato della faccia che sembrava il doppio rispetto al normale.
 
Oliver non era nella stanza, ma Digg sì. Era in piedi vicino la finestra come una sentinella, la schiena rivolta al letto. Quando la sentì, però, si girò verso di lei.
 
“Hey” le disse gentilmente, come quando si parla a un animale che sta per attaccarti, “Come ti senti?”
 
Si spostò i capelli lisci dal viso e si appoggiò ai cuscini con un sospiro. “Come se avessi combattuto due round contro di te e ne fossi uscita sconfitta” disse, pentendosene subito. “Scusami, pessima analogia.”
 
Digg sventolò la mano e fece qualche passo verso di lei. Le mani di Felicity erano attorcigliate nelle coperte e i suoi occhi sfrecciavano per la stanza. Aveva sperato che il suo bisogno di Oliver accanto a sé la abbandonasse dopo quella notte, ma sembrava non essere così.
 
“Dove…uhm…dov’è lui?” cercò di suonare incurante, ma sapeva di aver fallito miseramente.
 
Gli occhi di Digg si scurirono per un secondo, “Aveva delle questioni da risolvere.”
 
Il silenzio calò tra di loro, “L’uomo che mi ha attaccato ha una freccia conficcata nel corpo ora, non è vero?” chiese alla fine.
 
“Credo sia lo scenario più probabile” confermò Digg.
 
“Bene” disse semplicemente, credendolo davvero.
 
Sbadigliò apertamente e sentì gli occhi cominciare a chiudersi un’altra volta. “Scusami” disse a Digg, “Non devi farmi da babysitter.”
 
“Torna a dormire, Felicity” le disse con una piccola risatina.
 
 
Voci smorzate la svegliarono la volta successiva e riuscì a schiudere un occhio per vedere Oliver e Digg parlare con calma sulla porta. Dopo che Digg uscì, vide Oliver entrare nel bagno e tornare poi dopo qualche minuto in una maglietta e pantaloni della tuta.
 
Non ci fu esitazione, questa volta. Si stese direttamente dietro di lei e le passò un braccio intorno. “Sei pessima a far finta di dormire” la rimproverò. Felicity sentì le guance arrossire, ma ciò non la fermò dallo girarsi verso di lui e appoggiare la testa sul suo petto.
 
“Oliver…” cominciò, ma lui portò un dito sulle sue labbra e lei non riuscì a evitare l’improvvisa presa d’aria al contatto.
 
“Dopo” le promise. Lei annuì e chiuse nuovamente gli occhi, chiedendosi se lui stesse pensando alla stessa cosa che stava pensando lei. Quando le sue dita cominciarono ad accarezzarle i capelli sperò che fosse così.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 2.1 ***


TROPES 

PARTE 2
Felicity si svegliò nel tardo pomeriggio, trovandosi spalmata sul petto di Oliver. Non osava muoversi, perché tutto le faceva male.
 
I respiri di lui erano profondi e regolari e quando lei aprì un occhio vide che era profondamente addormentato.
 
Ricordi della notte precedente cominciarono a correre nella sua mente. Le sue dita si strinsero involontariamente, alzando la maglia all’altezza dell’addome. Oliver si mosse leggermente, la mano posata sulla sua schiena raggiunse i suoi capelli. Glieli accarezzò due volte prima di tornare immobile.
 
Improvvisamente tutto ciò era troppo per lei. Le emozioni cominciarono a sovrastarla. Aveva bisogno di uscire da quel letto e da quella casa.
 
Si mosse più velocemente e attentamente possibile mentre scivolava fuori dalla sua presa e dal letto. I suoi piedi la condussero dritta in bagno, senza guardarsi indietro.
 
Una volta dentro chiuse la porta dietro di lei e si appoggiò contro il freddo legno, cercando di far rallentare il suo battito, ma non ci riuscì.
 
Una sola occhiata allo specchio fu abbastanza per farle capovolgere lo stomaco. C’erano lividi lungo il suo zigomo, e altri lungo la mascella. Le sue labbra erano spaccate e gonfie, e quando portò la lingua sulla ferita sussultò per il bruciore.
 
C’era uno strappo sulle costole. Quando si tolse la felpa e si alzò la maglia del pigiama fu sorpresa di vedere la parte di pelle vicino alle costole sul lato destro pieno di macchie. Se prendeva un profondo respiro le faceva male più di quanto si aspettava. Non si ricordava nemmeno come se lo fosse fatto.
 
Un profondo dolore risalì dalla sua caviglia e si ricordò esattamente cos’era successo.
 
Si spostò vicino ai lavandini e ne aprì uno con mani tremanti. Qualcosa nello specchio catturò la sua attenzione, così guardò dietro di sé, trovando un grande buco nel muro, polvere di cartongesso e pezzi di intonaco giacevano sul pavimento sotto.
 
Tremando fortemente, portò le mani sotto l’acqua fredda, quando vide il suo polso.
 
I lividi sulle sue dita erano estremamente nitidi. Poteva distinguere ogni dito, anche dove si erano sovrapposti quando lui le aveva avvolto il polso con la sua mano, stringendo forte. Fece passare la mano gentilmente su ogni livido. La pelle era gonfia e delicata. All’ultimo livido prese improvvisamente una grande boccata d’aria. Il panico cominciò a consumarla ed era ritornata al club, accucciata sul pavimento, il suo polso stretto così forte che pensò si sarebbe rotto.
 
Le sue mani cercarono con difficoltà di sbloccare la porta, con disperazione. Aveva bisogno di andarsene. Ora. Aveva bisogno del suo appartamento e dei suoi vestiti. Aveva bisogno che tutto tornasse alla normalità.
 
Agendo d’istinto non si rese nemmeno conto che era passata nella camera di Oliver senza guardare verso il letto e vedere se stesse ancora dormendo. Zoppicò per il corridoio e aveva sceso a metà la scala principale quando si rese conto che non poteva andarsene.
 
Il panico la stordì e si aggrappò alla ringhiera con entrambe le mani, mentre le sue ginocchia minacciavano di cedere.
 
Non aveva la macchina, o la borsa, o anche le scarpe. Il suo respiro si fece veloce e pesante e il mondo cominciò a restringersi intorno a lei, facendola sentire ancora di più in trappola.
 
Qualcuno stava chiamando il suo nome e quando alzò il viso vide Digg, a cinque passi da lei, le sue mani protese verso di lei come se pensasse che stesse per cadere.
 
Un acuto e spaventato urlo le scappò dalla gola. Lo superò con un balzo, i suoi piedi impacciati sui raffinati gradini di legno.
 
La porta dell’ingresso era pesante. L’aprì e corse fuori. L’aria fredda della sera l’assalì, riempendo i suoi polmoni e facendola sussultare. Aveva sceso anche i gradini esterni e attraversato il vialetto di ghiaia, quando sentì qualcuno dietro di lei.
 
Si girò sul posto, le sue mani alte per proteggersi, quando vide Oliver, anche lui a piedi scalzi, con la felpa che aveva abbandonato nel bagno stretta nella sua mano.
 
Aveva la fronte corrugata in confusione e preoccupazione per lei e tutto ciò era troppo.
 
“Felicity, devi tornare dentro” le disse con calma, muovendosi lentamente verso di lei.
 
Lei si allontanò, non rendendosi conto di quanto la ghiaia le stesse tagliando i piedi. “No!” urlò, con voce più alta di quanto avesse voluto. “Sto bene. Sto bene. Voglio solo andarmene.”
 
Aveva bisogno di andarsene. Non poteva avere un crollo davanti al giardino di villa Queen. Non poteva. Ma se non fosse uscita immediatamente da lì sarebbe stato esattamente quello che sarebbe successo.
 
“Felicity” cominciò di nuovo, ma lei lo fermò. Oliver era abbastanza vicino da toccarla se solo ci avesse provato. Questa cosa la faceva tremare.
 
“No” disse di nuovo, questa volta con un tono più calmo. Non riusciva a spiegarlo. Aveva avuto bisogno di lui così tanto la notte prima che gli aveva chiesto di dormire vicino a lei, e ora voleva solo andarsene. Solo andarsene. Non voleva ricordare. E forse era questo il punto. Lui le ricordava tutto ciò che era successo.
 
Non si accorse di piangere fin quando il vento freddo non le rese le guance fredde. Tremò fortemente e si strinse le braccia attorno al corpo, ma fu subito colpita dal ricordo delle sue braccia costrette a stringersi al corpo, quando quell’uomo l’aveva portata via dalla pista da ballo.
 
Doveva essere impallidita, gli occhi che si chiusero con forza. Quando sentì la mano di Oliver sul gomito si lasciò sfuggire un urlo e balzò su un lato verso Digg che si era portato affianco a loro. Per fermarla se fosse scappata, le fece notare il suo cervello.
 
Oliver non si mosse.
 
Un movimento dietro di lui le fece alzare lo sguardo e vide Thea e una donna in uniforme che non riconobbe guardarla con preoccupazione. Vergogna e imbarazzo raggiunsero le sue guance e pensò di essere probabilmente malata.
 
“Oddio. Fatemi andare via di qui. Digg, ti prego. Fatemi solo andare via di qui” implorò. Lo vide scambiarsi uno sguardo con Oliver, che però non fece cadere il suo da lei.
 
“Felicity, so che sei turbata, ma fa freddo e tu sei ferita. Dovresti tornare dentro” cercò di farla ragionare, ma lei scosse la testa furiosamente.
 
Quando fece un passo verso Digg vide un lampo di dolore passare attraverso gli occhi di Oliver. “Ho bisogno di andarmene” sospirò. “Ti prego, Oliver, lascia…lasciami andare” era sull’orlo di singhiozzare, un groppo in gola per via delle lacrime mentre lo implorava.
 
Gli occhi di Oliver finalmente lasciarono i suoi. Sapeva che stava avendo una conversazione silenziosa con Digg. Quando Digg prese la felpa dalle mani di Oliver e la poggiò sulle sue spalle provò a non sussultare al contatto.
 
Oliver indietreggiò riluttante. Sentì i suoi occhi di nuovo su di lei, mentre Digg la guidò verso la macchina senza toccarla e le aprì la portiera.
 
Non disse una parola quando si raggomitolò sul sedile posteriore, e gli fu grata per questo. Il viaggio verso il suo appartamento fu silenzioso, nonostante sapeva che la guardava dallo specchietto retrovisore quasi costantemente.
 
Quando si fermò avanti all’edificio sapeva che lui stava per offrirsi di accompagnarla su. “Starò bene. Lasciami qui” gli disse prima che lui potesse parlare. Digg la guardò e Felicity capì che lui aveva compreso che gli stava mentendo. Però la rispettava abbastanza da lasciarla andare.
 
“Se hai bisogno di qualsiasi cosa chiama me o Oliver” disse fermamente e lei annuì. Digg le passò la borsa che aveva lasciato nel covo la sera prima e lei emise un sospiro di sollievo. Non avrebbe dovuto cercare il padrone di casa per pregarlo di farla entrare nell’appartamento.
 
La tranquillità del suo appartamento era quasi troppa. Fece cadere la borsa e le chiavi vicino alla porta e puntò dritto verso la sua stanza. Si strappò quasi la felpa da dosso e la lanciò sul letto prima di togliersi il pigiama che le aveva prestato Thea e la biancheria che aveva indossato quelli che le sembravano essere giorni prima. Il reggiseno andò dritto nella spazzatura. Non sarebbe mai riuscita a guardarlo di nuovo senza immaginarselo sotto una camicetta strappata.
 
Aprì la fontana della doccia sull’acqua calda. Invece di pulirla e liberarla, il caldo la fece sentire malata e claustrofobica. La testa le girò con forza quando abbassò lo sguardo e vide un grande livido nero nella parte interna di una delle sue gambe, l’altra aveva i segni delle dita di quell’uomo, proprio come il polso. Lo stomaco le si rigirò, non ricordava di aver avuto le sue mani anche lì e non sapeva se ciò fosse bene o no.
 
Si lavò i capelli velocemente e uscì quando ancora riusciva a sentirsi le gambe. Il suo respiro cominciava a diventare pesante e si sentì stordita.
 
L’asciugamano era a stento stretto intorno al suo corpo quando lei inciampò nella sua stanza e cadde sul pavimento, appoggiandosi contro il letto. La testa le girava e tutto ciò che riuscì a fare fu appoggiare la guancia contro il materasso e cercare di evitare di svenire.
 
Macchie bianche danzavano davanti ai suoi occhi mentre la vista riusciva a vedere solo ciò che era avanti a lei. Poteva sentire il suo corpo scivolare sul pavimento ma le sue braccia non funzionavano. L’ultimo pensiero fu che forse non avrebbe dovuto lasciare la villa.
 
 
Quando si risvegliò la sua stanza era scura e lei era nel suo letto, sotto le coperte. Con un sussulto si sedette, i suoi occhi che analizzavano la stanza.
 
La piccola lampada sul suo cassettone si accese improvvisamente e vide una figura nell’angolo della stanza. Con un urlo cominciò a indietreggiare. Tutto ciò che riusciva a vedere era l’uomo che l’aveva aggredita.
 
Quando forti braccia si strinsero intorno alla sua vita e la spinsero sul letto gridò ancora di più e cercò di liberarsi.
 
Fu il profumo che la fece tornare in sé. Una specifica combinazione di sapone, pelle e colonia che le sembrava sempre presente.
 
Il suo corpo riconobbe di essere al sicuro prima del suo cervello, così si tuffò nelle sue braccia singhiozzando.
 
La sua mano le accarezzava i capelli, togliendoglieli dal viso e mormorandole scuse nel collo.
 
Si girò nella sua stretta, le mani che stringevano la sua maglia e le coperte e tutto ciò che riuscissero a stringere. Le sue emozioni erano precipitate completamente ancora una volta. Lei aveva bisogno di lui. Terribilmente.
 
Oliver la strinse forte per tutto il tempo in cui singhiozzò. Solo quando i singhiozzi divennero occasionali allentò la stretta, come se volesse testare se quel gesto andava bene. Lei si fece sfuggire un sospiro e lui lo prese come un buon segno, alzando una mano per lasciarla correre sulla sua testa e giù sulla schiena.
 
Il suo respiro si bloccò nella gola per un motivo totalmente diverso quando sentì il caldo della sua mano sulla sua schiena nuda.
 
Oliver dovette accorgersi di cosa aveva fatto, perché la sua mano si spostò veloce e le chiese scusa ancora. Felicity deglutì pesantemente, ricordandosi di essere uscita dalla doccia con nulla se non un asciugamano addosso ed era piuttosto convinta di essere nuda sotto le coperte. Coperte che, si rese conto solo in quel momento, non la stavano comprendo interamente.
 
Oliver si spostò lentamente e allungò una mano per prendere la felpa che le aveva prestato. La scosse un po’ e gliela pose sulle spalle. Muovendosi con attenzione, Felicity mise le braccia nelle maniche e strinse i lembi della felpa, unendoli. Quando fu sicura di essere coperta anche dalla vita in giù si rilassò.
 
Le ci volle un lungo momento per alzare gli occhi su di lui. Era preoccupato per lei, lo vedeva chiaramente. Il senso di colpa la colpì, ricordandosi il modo in cui l’aveva lasciato prima, dopo tutto quello che aveva fatto per lei.
 
“Mi dispiace” disse esausta.
 
Prima che finisse di parlare lui già stava scuotendo la mano. “Non dirlo” le disse con convinzione. “Non hai nulla di cui scusarti”
 
Felicity abbassò lo sguardo, giocando con il bordo delle coperte e le sue guance si imporporavano alla consapevolezza che era seduta nel suo letto, indossando nient’altro che una felpa.
 
“Dovrei…dovrei vestirmi” balbettò, portandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
 
Oliver scese dal letto e si mise in piedi. Lei tirò un po’ le lenzuola verso il basso, quando una vasta parte della sua coscia fu visibile, e non riuscì a guardare verso di lui, anche se sapeva che lui l’aveva trovata sul pavimento e messa nel letto.
 
“Ti aspetto fuori” le disse, puntando un dito verso il soggiorno.
 
Quando lei uscì dalla stanza qualche minuto dopo nella sua più coprente tuta e una vecchia maglietta, indossandole come un’armatura, aveva ancora la felpa addosso. Ora la considerava inconsapevolmente parte di lei.
 
Oliver camminava avanti e indietro vicino al divano. Dovette schiarirsi la gola per catturare la sua attenzione. Era così concentrato in qualsiasi cosa stesse pensando che non l’aveva sentita.
 
Si fermò improvvisamente e fece qualche passo indietro, lasciandole tutto lo spazio per entrare nella stanza. Felicity non disse nulla, semplicemente si accoccolò nell’angolo del divano, le gambe infilate sotto di lei. Lui si avvicinò, ma non si sedette.
 
“Credevo che stare qui mi avrebbe fatta stare meglio, ma non è stato così” ammise lei, la voce che sembrava agitata.
 
“Nessuno esige che tu stia già bene” le rispose immediatamente, sorridendole debolmente.
 
“Se fossi arrivato solo qualche minuto più tardi…” non riuscì a continuare e lo guardò con occhi sbarrati. Non avrebbe voluto dirlo.
 
La sua espressione si fece più scura, ma Felicity non riuscì a fermarsi.
 
“Lui…lui stava per…” la notte precedente non era stata in grado di dirlo. Provò a dirlo, ora, ma lui la fermò.
 
Si mise in ginocchio davanti a lei, prendendole le mani. “No. Non avrebbe fatto nulla” le disse, con voce calda. “Io non gliel’avrei permesso.”
 
Le parole fluttuavano sopra di loro, prendendo così tanto spazio che lei sentì la pressione sul suo petto.
 
“Come lo sapevi?” chiese alla fine. Era qualcosa che si chiedeva da quando era accaduto il tutto.
 
Oliver fece un lungo respiro e si passò una mano sulla nuca. “Lo sapevo, semplicemente” disse con semplicità e il cuore di lei fece un salto. “Qualcosa mi sembrava strano. Avevo alzato lo sguardo in quel momento e ho visto la tua testa e qualcuno che non conoscevo”.
 
Le sue mani caddero da quelle di lei per stringersi nei pugni. Felicity vide una maschera cadere dal suo viso, la stessa che indossava sempre quando diventava l’Incappucciato.
 
“Avrei dovuto ucciderlo allora” disse brutalmente.
 
“L’hai fermato adesso” gli disse, cercando di sollevarlo, sapendo che il peso di quanto le fosse accaduto al club lo stesse divorando.
 
Le sue dita tracciarono i lividi sul viso di lei, che chiuse gli occhi al contatto. “Troppo tardi” rispose lui con un sussurro, la sua voce impastata con il rimorso.
 
Felicity alzò le mani per stringerle intorno ai suoi polsi, massaggiandoglieli con il pollice. Oliver emise un fragoroso sospiro e guardò in basso, i suoi occhi che catturarono la zona in cui le maniche le si erano abbassate, esponendo i lividi intorno ai suoi polsi.
 
Le sue dita si intrecciarono a quelle di lei e portarono le mani davanti a lui, abbassando ancora di più le maniche. Inconsapevolmente fece la stessa cosa che lei aveva fatto prima. Tracciò ogni segno sulle dita. Felicity rabbrividì al contatto.
 
“Dovremmo fasciarlo” disse con una voce dura.
 
Lei annuì semplicemente, non fidandosi della sua voce.
 
“Torno subito” le disse, alzandosi con un movimento calmo ora che aveva qualcosa su cui concentrarsi.
 
Felicity lo poteva sentire armeggiare con i mobili del bagno e si chiese se stesse facendo rumore di proposito per farle capire che era ancora lì.
 
Dopo poco era di nuovo in ginocchio avanti a lei, poggiando i medicinali sul tavolino accanto a lui.
 
“Ho trovato dell’arnica, ti servirà per i lividi” le disse, alzando un piccolo tubicino bianco.
 
“Mi ero dimenticata di averlo” gli rispose, odiando quanto forzata e falsa sembrasse la sua voce.
 
Pur sapendo di riuscire a passarsi la crema sul polso da sola non lo fermò quando lo fece lui. Sussultò solo una volta quando le massaggiò una parte particolarmente sensibile. Oliver si prese il suo tempo, accertandosi di non aver mancato nessuna zona, e le fasciò il polso con una fascia elastica.
 
Stava quasi per ringraziarlo quando lui si risedette e diede un colpetto al suo ginocchio. Lei lo guardò confusa.
 
“La tua caviglia” disse, e lei fece scivolare fuori il piede, poggiandolo sulla sua gamba.
 
Prese una grande quantità d’aria quando lui le alzò l’orlo del pantalone. Le sue mani si fermarono per un secondo prima di continuare. Ebbe la stessa cura che aveva avuto per il polso. Quando terminò con la seconda fasciatura alzò lo sguardo nei suoi occhi.
 
“Altre parti?” poteva vedere negli occhi di lui il disperato bisogno di prendersi cura di lei, di riparare a tutto questo.
 
“Il mio fianco…dove mi ha spinto contro la porta” disse lentamente. Oliver corrugò la fronte alle sue parole.
 
Portò le mani automaticamente alla felpa. “Scusami” le disse, scuotendo la testa per il suo errore.
 
Tremando interiormente Felicity si sedette e abbassò la zip. Avrebbe potuto passarsi da sola la crema, ma questo era qualcosa di cui entrambi avevano bisogno.
 
Quando si tolse del tutto la felpa e la lanciò verso l’altra estremità del divano fissò gli occhi nei suoi e si alzò il bordo della maglia.
 
“Appoggia la schiena” le disse con voce roca.
 
Quando le sue mani la toccarono Felicity sobbalzo e mentalmente si maledì. “Scusami” gli disse e Oliver girò di scatto la testa di lato, stringendo la mascella. Quando le massaggiò la crema sulle costole e vicino il fianco il suo corpo fremette e si scosse. Sensazioni agitate di panico la riempirono e tutto ciò che avrebbe voluto fare era scappare. Voleva volare letteralmente giù dal divano e andare a nascondersi, ma aveva bisogno che lui facesse questo.
 
Quando Oliver terminò sembrava esausto. La guardò con uno sguardo triste. “Stai piangendo” le disse e lei sussultò, una mano raggiunse la sua guancia e si asciugò le lacrime.
 
“Non ti farò del male” le disse con una voce talmente disperata che lei sentì dolore per lui.
 
Alzò la mano e gli accarezzò la mascella. “Lo so…sono al sicuro con te” gli disse con un sorriso spento.
 
Oliver chiuse gli occhi con forza e poggiò la testa sul suo ginocchio. Felicity gli passò le dita tra i capelli, azione che era tanto sia per lei che per lui.
 
Quando lui rialzò la testa sembrava più controllato. “In che altra parte?”
 
Un immagine dei lividi sulle sue gambe le passò per la mente e sobbalzò.
 
“Felicity…” cominciò lui, avendo chiaramente visto la sua reazione. “Dove?”
 
Ci fu qualcosa nel modo in cui lo disse che le fece pensare che lui avesse visto qualcos’altro. E con un flash si ricordò che era stato lui a raccoglierla dal pavimento svenuta, quasi sicuramente nuda. Lui aveva visto i suoi lividi, ma voleva che fosse lei a dirglielo.
 
Felicity si leccò le labbra nervosamente e sussultò quando la lingua passò su un taglio. “Le, uhm…le gambe. Lui…lui…Dio” si portò la mano alla fronte, cercando di andare avanti. “Ha aperto con la forza le mie gambe…non sapevo nemmeno che aveva messo le mani lì fin quando non ho visto i lividi nella doccia” disse tutto di fretta, impaziente di dirlo ad alta voce e di liberarsene.
 
Stava piangendo di nuovo e questa volta lui non esitò. Felicity sentì il divano abbassarsi mentre lui si sedeva affianco a lei, avvolgendo le sue spalle con le braccia e spingendola verso di lui.
 
Con un singhiozzo si accoccolò sul suo petto. I suoi singhiozzi aumentarono e ciò la faceva innervosire. Era stanca di piangere, era stanca di sentirsi debole, era stanca di Oliver che doveva sempre scusarsi ogni qualvolta si muoveva troppo velocemente.
 
“Odio tutto ciò” sputò dai denti.
 
“Odio sentirmi debole e spaventata. Non sono quel tipo di persona, ma lui mi ha fatto diventare una vittima” le mani di Oliver le accarezzarono i capelli mentre lei inveiva ma rimase in silenzio. “Io non sono una vittima. Mi sono infiltrata in casinò sotterranei, e sono sopravvissuta a quel dannato crollo del covo intorno a me. Sono andata dall’altra parte del mondo per riportare il tuo sedere pesante qui a Starling. Questo non è qualcosa che farebbe una vittima. Ma in un arco di tempo di due minuti mi ha portato via qualsiasi potere che avessi e questo mi fa innervosire” si alzò d’improvviso a sedere e si strofinò furiosamente il viso.
 
Oliver la studiò attentamente prima di rispondere. “Tu non sei una vittima” confermò “Tu sei la persona più forte che io conosca” la sua mano senza esitazione si appoggiò sulla guancia senza lividi. “Tu sei straordinaria, Felicity Smoak” le disse con un sorriso e lei non poté evitare di sentire gli angoli delle sue labbra curvarsi in risposta.
 
La sua mano coprì quella di lui e la portò tra di loro mentre ritornava ad accoccolarsi contro di lui, la testa poggiata sulla sua spalla. “Non stai pensando di andartene, vero?” gli chiese, senza vergogna per volere che lui stesse con lei.
 
“No” rispose lui.
 
“Bene.”
 
Stettero in silenzio per un lungo momento. Le dita di Oliver le accarezzavano i capelli mentre lei chiuse gli occhi. “Il mio ‘sedere pesante’, eh?” mormorò lui a bassa voce e lei fece una breve risatina.
 
“E’ la verità” replicò e lo sentì sospirare.
 
L’aria fredda cominciava a farsi sentire e lei rabbrividì. “Rivoglio la mia felpa” disse, allungandosi verso di essa.
 
“La tua felpa?” le chiese passandogliela.
 
“Possedere una cosa vuol dire già averla quasi per diritto, signor Queen” lo informò con un piccolo sorriso e sedendosi giusto un attimo per inserire le braccia nelle maniche, per poi tornare ad accoccolarsi contro di lui.
 
“Davvero?” le chiese e lei annuì. “Bè, allora dovresti venire alla prossima riunione del consiglio di amministrazione, visto che tu possiedi gran parte di me. Avresti il voto di maggioranza”.
 
Lei alzò gli occhi scioccata, vedendo poi che lui stava scherzando.
 
Le spostò alcune ciocche di capelli dal viso e le diede un bacio sulla tempia. Il cuore le cominciò a battere così veloce nel petto che era stranita che lui non lo sentisse.
 
“Oliver…”
 
“In caso tu non l’abbia notato, posso a stento andare avanti senza di te. Tu mi hai fatto rimettere in piedi. Non una volta, ma due. E la scorsa notte…la scorsa notte, per un breve momento ho dovuto considerare un futuro senza di te ed era…inaccettabile. Non lo permetterò. Non posso permetterlo. Spero che ti vada bene…” la sua voce era forte e sicura, ma lei poté vedere la trepidazione nei suoi occhi.
 
“Va molto bene. Molto, molto bene” replicò lei, non ancora sicura di cosa le stesse cercando di dire.
 
Quando lui si sporse per posarle il più tenero dei baci sulle labbra lei capì.
 
Oliver la riportò contro di lui, la testa che poggiava di nuovo sulla sua forte spalla e si allungò per prendere la coperta da dietro il divano per coprirla.
 
“Non andrai da nessuna parte?” gli chiese ancora una volta.
 
“No. E tu?” le chiese di rimando.
 
“Non ci sto neanche pensando.”

 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 ***


Eccomi tornata con una nuova one-shot! Prima di lasciarvi al capitolo vorrei ringraziare tutti coloro che hanno recensito finora la storia, quelli che l'hanno messa nelle seguite/ricordate/preferite e quelli che, invece, sono lettori silenziosi. Sono davvero contenta che questa raccolta vi stia piacendo.
Ora vi lascio alla storia.
Ciaooo :**
 
 
TROPES

PARTE 1
Felicity fece passare la key card magnetica nella fessura e aspettò che si illuminasse la luce verde, prima di spingere la porta. Si girò per vedere la surreale visione di Oliver Queen che portava le sue valige in una stanza d’hotel.
 
Oliver si guardò intorno lentamente, facendo capolino nel bagno al buio. “E’ questa?”
 
Per cercare di rimanere nel raggio del radar, Felicity era stata costretta a prenotare una camera a suo nome usando la sua carta di credito. Anche se Oliver le avesse ridato i soldi, lei non si sarebbe potuta permettere una suite sull’attico con stanze da letto a non finire e soggiorno infossato.
 
Così erano in una che lei si era potuta permettere. Ciò significa che erano in una normale stanza d’albergo.
 
Questa stanza aveva una vista libera sugli appartamenti in costruzione dall’altra parte della strada, che è il motivo per cui aveva chiesto espressamente la tariffa più economica, e una finestra che affacciasse sul parcheggio.
 
“Mi dispiace, signor miliardario. Dovrà stare nei bassifondi come il resto delle persone” disse semplicemente, scivolando avanti a lui verso il bagno.
 
“Dove posso mettere le tue borse?” lo sentì chiederle attraverso la porta.
 
“Mi va bene su qualsiasi dei due letti” gli rispose.
 
“Letto” replicò lui.
 
“Cosa?” chiese in confusione, uscendo dal bagno. Appena girò l’angolo si rese conto di quale fosse il problema.
 
“No. Io ho prenotato una camera con due letti. Due. Non uno” Felicity sentì le guance andarle in fiamme per l’orrore, sperando che Oliver non pensasse che l’avesse fatto apposta.
 
Lui non sembrava così irritato come lei. Lasciò le loro borse sull’unico letto della stanza e fece un cenno verso il telefono. “Chiama la reception. Sono sicuro che ci possono spostare”.
 
Aprì la borsa contenente l’arco e la faretra e si allontanò da lei. “Mandami un messaggio con il nuovo numero di camera. Vado a esplorare il tetto e poi raggiungo la piazzola del luogo” e in un attimo se ne andò.
 
Felicity era rimasta immobile lì, prima di scuotersi letteralmente dai suoi pensieri e chiamare la reception.
 
 
Ci aveva provato. Lui non poteva dire che non l’avesse fatto.
 
In reception si erano scusati abbondantemente, ma c’era una convention nell’hotel e non c’erano altre stanze disponibili da quella parte dell’edificio. Ironicamente avrebbero voluto spostarli in una suite con due stanze per scusarsi dell’errore, ma quella affacciava sulla piscina ed era più in alto di cinque piani.
 
Con un sospiro e la richiesta di farle sapere immediatamente se si liberasse una camera con due letti in quella stessa parte dell’edificio, attaccò.
 
Rassegnata, mandò un messaggio a Oliver con il numero della stessa camera, dopodiché cominciò a lavorare montando l’attrezzatura per la sorveglianza.
 
Quando Oliver ritornò in camera si stava facendo buio e lei era seduta sulle ginocchia, cercando di installare una particolarmente difficile fotocamera a lungo raggio al suo computer, così che avrebbero potuto tenersi aggiornati su cosa accadeva.
 
“Felicity…” Oliver chiamò, non vedendola all’inizio.
 
“Qui” rispose lei, poggiando una mano sul bordo del letto prima di continuare quello che stava facendo.
 
“Perché siamo ancora in questa stanza?” Felicity sentì il letto tremare quando lui vi poggiò la borsa e si sedette pesantemente.
 
“C’è una convention o qualcosa del genere e l’unica stanza che avevano disponibile era dall’altra parte dell’hotel, il che avrebbe vanificato il nostro obbiettivo di essere qui, quindi ho detto in reception di metterci su una lista nel caso una camera si liberasse da questo lato, ma non ho intenzione di stare con le mani in mano e…quindi è questo il modo in cui dovrebbe andare!” disse tutto d’un fiato, non fermandosi neanche una volta a guardarlo mentre stava lavorando.
 
“Credo di aver capito solo la metà di quello che hai detto, ma il succo è che questa è la nostra stanza” c’era un cenno di divertimento nella sua voce, ma anche qualcos’altro.
 
Riuscendo finalmente a far collegare il tutto come voleva, Felicity emise un gridolino vittorioso e strisciò fuori da sotto il tavolo.
 
Poggiò i gomiti sul letto e guardò verso Oliver. “Sì, questo è il succo”.
 
Aveva immaginato questa conversazione nella sua mente per tutto il tempo in cui lui era stato fuori.
 
“Senti, siamo entrambi adulti. Questo è un letto matrimoniale. Non c’è assolutamente alcuna ragione per non condividerlo” disse frettolosamente e si rimise in piedi, lisciandosi la maglietta. Incrociò le braccia sotto il seno mentre aspettava una sua risposta.
 
Oliver le diede un’occhiata imperscrutabile e rise. “Ti sei esercitata per dirlo, vero?”
 
Le sue guance si imporporarono e lei si spostò da dietro il letto per mettere un po’ di distanza tra loro. “Io…come…voglio dire…come lo sapevi?” gli disse, ammettendo.
 
“Non hai balbettato. E questa è proprio una situazione da modalità ‘Felicity Smoak balbettante’” il suo sorriso era genuino.
 
Felicity spalancò la bocca e la chiuse prima che potesse balbettare una risposta. “Oh, quindi pensi di essere un esperto sui miei balbettii, vero?”
 
“Credo che sia abbastanza giusto dire che lo sono” le rispose lui, e le sue guance si infiammarono ancora di più, così girò la testa per non guardarlo. “Lo trovo tenero” continuò lui.
 
Felicity rialzò la testa verso di lui e incontrò i suoi occhi. Aveva sentito bene?
 
“Bè, non devi preoccuparti, voglio dire, siamo adulti. E possiamo usare anche una barriera di cuscini se vuoi. Non sto dicendo che ne abbiamo bisogno e non intendo saltarti addosso nel bel mezzo della notte…oddio, l’ho davvero detto ad alta voce?” Perché non riusciva a imparare? Perché continuava a fare sempre figure?
 
Oliver si avvicinò a lei lentamente e si sporse leggermente in modo che la potesse guardare negli occhi. “Felicity, andrà bene. Non credo di essere in pericolo. Come hai detto, siamo adulti. Possiamo condividere un letto.”
 
Felicity prese un respiro profondo e annuì verso di lui, il desiderio di aprirsi un’enorme fossa sotto di lei e sotterrarsi piano piano stava sparendo.
 
Il resto della serata passò in relativa tranquillità. Le fotocamere e i computer erano collegati, quindi se ci fosse stato qualsiasi movimento nell’appartamento l’avrebbero sentito. L’uomo a cui stavano dietro sarebbe arrivato quella sera o forse la successiva, l’Intel non era stato chiaro su questo. Felicity aveva organizzato i programmi in modo che non fossero legati alla tecnologia.
 
Oliver ordinò il servizio in camera e pagò in contanti. Mangiarono in silenzio mentre Felicity analizzò altro oltre il file che aveva accumulato sul loro obbiettivo.
 
Continuò a pensare che le cose fossero un po’ strane tra di loro, ma poi lui fece o disse qualcosa perfettamente normale, così lei pensò che forse si stava solo immaginando tutto. Non era molto diverso dallo stare insieme nel covo tutta la notte, si disse.
 
Intorno alle undici, Oliver decise di andare a fare una veloce perlustrazione. Lei sapeva che era molto più probabile che stesse diventando nervoso a stare fermo in un posto per così tanto tempo, ma non gli disse nulla.
 
Appena la porta si chiuse dietro di lui, lei rilasciò il respiro che non si era accorta di aver trattenuto. Forse lui non era stato al limite per tutta la serata, ma lei sì.
 
Come avrebbe potuto dormire nello stesso letto di Oliver fingendo di non aver mai avuto questa fantasia quasi dal primo giorno in cui lo vide?
 
Si lasciò andare in un sospiro esasperato e si stese sul letto.
 
Aveva una grande cotta per lui. In realtà era qualcosa di più di quello, lui le piaceva. Un sacco. Oh, al diavolo! Lei amava quell’uomo. Era totalmente innamorata di lui. Non guardava un altro ragazzo da mesi.
 
E non c’era una dannata cosa che potesse fare per toglierselo dalla testa.
 
Dopo Tommy, qualsiasi cosa ci fosse stata tra Laurel e Oliver era crollato. Diavolo, Oliver era crollato. Ci erano voluti mesi per Felicity per farlo riprendere, prima che tornasse a essere l’uomo che era prima del terremoto nel Glades. Ma qualsiasi cosa avesse pensato potesse esserci tra di loro, o anche solo l’idea che potesse essere possibile, si era effettivamente annullata. Oliver non si era interessato a nulla se non agli affari da quando era ritornato.
 
Sembrava il vecchio Oliver e si comportava come il vecchio Oliver, tranne quando si trattava di lei.
 
All’inizio non se n’era accorta, ma lui non la toccava più. Non che prima la toccasse chissà quanto, però c’era l’occasionale mano sulla spalla o una carezza sul braccio dopo essere tornati da una particolarmente difficile missione. Ma da quando aveva ripreso a indossare il cappuccio dopo il Glades…nulla.
 
Così lei cominciò ad agire come lui. A meno che non dovesse cucirgli qualche ferita nemmeno lei lo toccava e anche in quei casi si assicurava di indossare i guanti. Non aveva mai realizzato quanto le piacesse farlo, fino a quando non poté più.
 
Con un ringhio di frustrazione si costrinse a scendere dal letto e ad aprire la valigia. Quando l’aveva preparata sapeva che lei e Oliver avrebbero condiviso la stanza e già quel pensiero era stato abbastanza. Ma adesso…
 
Aveva riflettuto a lungo e intensamente su cosa portare per la notte. Non poteva essere troppo esagerato, ma nemmeno voleva sembrare troppo sciatta. Solitamente indossava una vecchia maglietta e dei pantaloni da yoga ma così semplice non sarebbe andata bene.
 
Alla fine aveva optato per una camicia da notte con le spalline, che erano quasi due centimetri larghe. Le arrivava alle ginocchia, quindi era più lunga dei vestiti da cocktail in cui lui l’aveva vista altre volte.
 
Mentre si dirigeva in bagno a lavare i denti e cambiarsi si chiese se fosse stata la decisione più saggia. Forse una maglietta larga sarebbe stata la scelta migliore.
 
Il letto incombeva davanti a lei. Si chiese distrattamente se Oliver preferisse un lato del letto. Si chiese anche se i loro lati preferiti fossero compatibili. Controllò ancora una volta i collegamenti al computer e poi guardò il letto con circospezione. Sarebbe potuta rimanere sveglia ad aspettarlo prima di decidere un lato del letto, oppure avrebbe potuto semplicemente stendersi e sperare di addormentarsi. O almeno fingere di esserlo.
 
Giunse alla conclusione che l’ultima delle due opzioni fosse la migliore.
 
Per essere una catena di hotel di medio livello, il letto era sorprendentemente morbido e c’erano più che abbastanza cuscini per creare una barriera, se lei avesse davvero voluto. Scelse il cuscino migliore tra tutti e ne mise un altro sul pavimento sul suo lato.
 
Con le luci spente e senza gli occhiali, tutto ciò che riusciva a vedere erano le luci tenui del computer e varie piccole luci della fotocamera. Si chiese se avesse dovuto alzarsi per accendere una luce per Oliver, ma si ricordò che lui aveva la vista di un gatto, quindi così sarebbe andato bene.
 
Si era aspettata di non prendere subito sonno, tanto il suo cervello era iperattivo, ma a quanto pare il suo impazzire internamente per cinque ore per dover dividere il letto con Oliver Queen era stato piuttosto stancante, così si addormentò in pochi minuti.
 
 
Un acuto rumore ripetitivo la svegliò dal suo sonno. Sbatté gli occhi offuscati e guardò l’orologio che segnava le 2:43 di mattina. Le venne un colpo di panico pensando che Oliver non fosse ancora tornato, fin quando non sentì un peso sul suo stomaco.
 
Pensando di essere ancora addormentata e di star sognando, Felicity si girò leggermente, trovandosi Oliver dietro di lei con un braccio posato sulla sua vita.
 
Il rumore continuava, e solo perché si preoccupava che lo potesse svegliare scivolò da sotto il suo braccio e, in silenzio, si diresse verso il suo computer. Con due tocchi sulla tastiera fermò l’allarme e trascorse alcuni minuti rivedendo l’ultimo pezzo della pellicola. Non c’erano movimenti nell’appartamento, ma c’era un uccello che aveva deciso di posarsi sul ripiano che era a stento visibile dalla sua posizione. Con un pesante sospiro, fece alcuni aggiustamenti e riprese a registrare. Fatto ciò, adesso doveva avere a che fare con la realtà che era stesa a soli pochi metri da lei.
 
Girandosi lentamente lo osservò per un bel po’ di tempo. Non sembrava si fosse mosso e la cosa era strana visto che avrebbe giurato che lui fosse uno dal sonno leggero. Era steso quasi del tutto sulla pancia con la testa girata verso il suo lato del letto, il braccio ancora steso.
 
Con un udibile sussulto si rese conto che era venuto a letto senza maglietta. Per caso stava cercando di ucciderla?
 
I suoi occhi vagarono dallo spazio vuoto nel letto dove stava dormendo prima alla sedia nell’altra parte della stanza che sembrava alquanto scomoda. Avrebbe dovuto provare a dormire lì?
 
No. Sarebbe sembrato anche peggio così l’indomani mattina se lui si fosse svegliato prima di lei, trovandola sulla sedia. Forse, una volta tornata a letto, lui si sarebbe girato dall’altro lato e non avrebbe mai nemmeno saputo che fosse accaduto tutto questo.
 
Felicity si decise e, con il cuore che le batteva talmente forte nel petto che le sembrò strano non fosse esploso, spostò le coperte e si stese nuovamente nel letto.
 
All’inizio di mise talmente lontano da lui che le sue dita a stento la toccavano. Era rigida come una tavola, e cercò di fare un patetico tentativo di controllare il suo respiro quando, improvvisamente, lui si girò.
 
Felicity spalancò gli occhi e non osò muoversi. Oliver sospirò pesantemente e mormorò qualcosa prima di allungarsi.
 
Soffocò l’urletto di sorpresa quando il suo braccio le cinse di nuovo la vita, ma questa volta la spinse verso di lui. La portò contro di lui con tanta facilità che sembrava lei pesasse non più di uno dei cuscini. Oliver strinse la coperta in modo che li coprisse e fece un altro rumore, che sembrava più un sospiro di appagamento, prima di ritornare immobile.
 
Un milione di pensieri viaggiarono nella mente di Felicity. Quello più acuto urlava ‘Goditelo! Non avrai mai un’altra occasione come questa!’. E nonostante allo stesso tempo avrebbe voluto sotterrarsi e morire di vergogna, c’era una qualche verità. Così decise di ascoltarla. Mise da parte le sue paure e i suoi nervi e la possibilità che sarebbe stato orribile l’indomani mattina e decise semplicemente di farlo accadere.
 
Sorprendentemente, appena accettò questa strada il suo respiro e il suo battito tornarono normali. Si rimise di nuovo su un fianco attentamente, ancora con il viso lontano da lui e cercò semplicemente di godersi quel momento, invece di permettere alle farfalle nel suo stomaco di svolazzare fuori controllo. Si addormentò pensando di fare questo a villa Queen e di come sarebbe se potesse addormentarsi così tutte le sere.
 
Non ci furono più allarmi durante tutta la notte. Un leggero solletico alla sua gamba destra la portò lentamente nel dormiveglia. Girando la sua testa nel cuscino aprì leggermente gli occhi per trovarsi davanti uno dei tatuaggi di Oliver.
 
Se non era il cuscino quello su cui si era girata, doveva essere per forza il braccio di Oliver. Si immobilizzò quanto più possibile, ora improvvisamente e terribilmente sveglia. Oliver aveva un respiro pacato, e lei ne era immensamente grata.
 
Che lei si fosse girata verso di lui durante la notte o che lui l’avesse spinta più vicino era impossibile da dire, ma entrambe le sue braccia erano strette intorno a lei, una mano aperta all’altezza delle costole, l’altra che le stringeva i fianchi. Era questa mano che le causava così tanti problemi.
 
La sua vicinanza era disorientante per lei. Era stata così vicina a lui solo quando lui era stato vicino alla morte, e anche in quei momenti aveva pensieri che l’avevano fatta arrossire dopo. Ora in un letto, con l’uomo su cui non poteva smettere di fantasticare…era nei guai.
 
Le sue dita tracciavano scie sulla sua pelle che la facevano rabbrividire completamente, oltre a procurarle un’ondata di caldo dritto al suo centro.
 
Sta dormendo, continuava a ripetersi. Non era consapevole di quello che stava facendo. Probabilmente stava sognando di qualche supermodella o attrice con cui era stato. O forse Laurel. Sì, sicuramente Laurel. Continuava a dire a se stessa che non era possibile che lui sapesse quello che stava facendo, nella speranza che avrebbe diminuito la delusione quando lui si fosse svegliato e reso conto con chi stava davvero.
 
Prese un profondo e lento respiro prima di cominciare a muoversi; non poteva continuare a stare stesa in quel letto e perdere in quel modo la sua sanità mentale.
 
Appena si mosse un po’ Oliver fece lo stesso. Si stese ancora meglio sulla schiena, portandosi Felicity con sé. Il suo peso era abbastanza da tenerla in trappola tra il suo petto e il suo braccio. Ora era costretta a tenere una mano sul suo petto.
 
La mano che prima stava sul suo fianco, ora aveva spinto la gamba di lei sopra la sua. Il suo cuore aumentò i battiti mentre una sensazione di puro piacere la attraversò completamente.
 
Non poteva farlo, doveva assolutamente uscire da quel letto.
 
Decise di farlo velocemente. Uscire dal letto il più veloce possibile, e sperare che potesse trovare un po’ di sollievo nel bagno, prima che lui si svegliasse e si accorgesse quello che era successo.
 
Era un buon piano.
 
Appena si diede il via nella sua testa, la mano di Oliver divenne più audace, spostando la mano su e giù per tutta la lunghezza della sua gamba. Lei non si era nemmeno accorta che la sua camicia da notte si era ormai alzata sopra i suoi fianchi.
 
Felicity si preparò per il movimento successivo, ma nel momento in cui stava per spostarsi Oliver sospirò profondamente e nascose il viso nei suoi capelli. “…’Licity…” mormorò e lei si bloccò.
 
Il cuore cominciò a battere ancora più forte. Girò il viso, in modo che potesse vedere il suo. Lui sembrava calmo e in pace e lei poteva contare su una mano le volte in cui l’aveva visto così. Senza rendersene conto, alzò una mano e la portò sul suo viso, accarezzandogli la linea della mascella.
 
Gli occhi seguirono le dita mentre passavano sulla barba di un giorno. Tracciarono il suo orecchio, giunsero sulla tempia e attraversarono la linea dei suoi occhi. Mentre stava per spostarle sullo zigomo si bloccò.
 
Senza che lei se ne accorgesse, lui si era svegliato e ora aveva lo sguardo puntato nei suoi occhi. Occhi azzurri che erano chiari, e attenti, e ben consapevoli di cosa stesse accadendo la stavano guardando. Non c’era sorpresa nei suoi occhi, né rabbia.
 
Tutto il nervosismo e l’insicurezza che aveva provato prima scomparvero e dopo la più lunga della pause in cui nessuno dei due disse una parola, lei riprese a muovere la mano, con leggera esitazione.
 
Anche Oliver riprese a muovere la mano sulla sua gamba. Tracciò una lunga e lenta scia dal suo ginocchio al fianco, dove si prese il suo tempo per giungere al bordo delle sue mutandine.
 
Felicity bloccò il respiro nella gola, ma non smise di toccarlo. Quando portò la mano sulla sua nuca e strinse un po’ i capelli alla base, Oliver si fece sfuggire un involontario gemito che le fece scombussolare lo stomaco.
 
L’immediato scurirsi dei suoi occhi le fece capire che lui era influenzato da tutto ciò quanto lo era lei, ma lui non aveva ancora detto nulla.
 
Felicity fece scendere la mano lungo la sua gola, amando la sensazione dei muscoli tesi sotto la mano.
 
“Perché non mi tocchi più?” gli disse col respiro affannoso, incapace di restare ancora in silenzio.
 
Oliver spostò la mano dal suo fianco alla vita e sopra la spalla. Quando il pollice si fece strada sotto la spallina della sua camicia da notte, lei rabbrividì vistosamente e cercò di controllare il battito del suo cuore che sembrava a momenti uscire fuori controllo.
 
Lui la studiò con attenzione, prima di portare una mano ad accarezzarle la guancia. “Perché so che se cominciassi, non sarei più in grado di fermarmi”.
 
Felicity smise di respirare, questo è poco ma sicuro. Forse stava ancora dormendo, perché questa non poteva essere la realtà.
 
“Oliver…” cominciò, ma si interruppe perché lui le portò un dito alle labbra.
 
“Tu mi rendi migliore, Felicity. Ma non sono sicuro che io renda migliore te”. Non c’era altro se non verità nelle sue parole, lui era davvero convinto di quello che diceva.
 
“Allora perché mi stai toccando ora?” doveva saperlo. Aveva bisogno che lui le dicesse cosa avesse causato questo improvviso cambiamento.
 
La mano sulla sua guancia scivolò in modo che le dita carezzassero la base della nuca e il pollice l’orecchio. Oliver la avvicinò ancora di più verso di sé quando le rispose.
 
“Perché sono un uomo egoista” le sussurrò, le labbra a un palmo dalle sue. Poi non lo furono più.
 
Le labbra sulle sue sovrastarono qualsiasi pensiero che stesse vagando nella sua mente. Il bacio era umido e caldo e leggermente disperato. C’erano mesi di tensione sessuale accumulata, ma lei era completamente all’oscuro che anche lui avesse provato lo stesso.
 
Oliver la sovrastò. Tutti  sensi erano intensificati, le mani e i piedi di Felicity intorpiditi, mentre il sangue fluiva dentro di lei, mandandole scariche al cuore per il suo tocco.
 
Immerse le dita nei suoi capelli, la mano che prima era sulle sue costole ora scendeva sotto la camicia da notte, lasciandole scie di elettricità ovunque toccasse.
Felicity si inarcò contro di lui quando il pollice le carezzò una parte del seno, le sue mani delicate che finalmente decisero di muoversi verso le sue spalle.
 
Felicity era incapace di trattenere piccoli lamenti mentre lui le succhiava il labbro inferiore e glielo mordeva leggermente con i denti. Portò una mano sulla parte posteriore delle sua testa per spingerlo ancora di più contro di sé, assicurandosi che lui non smettesse.
 
Oliver rotolò sulla schiena portandola con sé. Felicity emise un sussulto ansimante mentre si spalmava sul suo petto e prese vantaggio della nuova situazione. Allungandosi per raggiungere di nuovo le sue labbra, fece cadere una mano sulle sue spalle e cominciò il suo percorso verso il basso.
 
Percorse ogni cicatrice, ogni ruvida increspatura della pelle marcata dalla violenza, e lasciò che le sue dita scivolassero su di esse quasi con riverenza. Il suo tocco delicato era accompagnato da Oliver, quando smise di baciarle le labbra per dedicarsi alla mascella e poi al collo.
 
Felicity ansimò sonoramente quando lui trovò un punto particolarmente sensibile, e si lasciò sfuggire un gemito quando vi usò i denti, inconsciamente premendo i fianchi contro quelli di lui.
 
Scintille partirono dal suo centro a quel contatto e procedere lentamente divenne improvvisamente impossibile per entrambi.
 
Oliver fece passare un palmo della mano sulla sua schiena nuda, posandosi tra le sue scapole, facendole venire la pelle d’oca ovunque toccasse.
 
In un movimento di cui lei non si accorse, lui le tolse la camicia da notte e la fece ridistendere sulla schiena prima che lei battesse gli occhi. Ora il suo petto era in contatto con quello muscoloso di lui. Felicity aprì le gambe automaticamente per permettergli si sistemarsi tra esse.
 
Le sue forti braccia erano posizionate ai lati del suo corpo, mettendo in evidenza quanto fosse grande rispetto a lei. Felicity rabbrividì quando guardò in alto, gli occhi di Oliver erano ormai neri. Quando la sua mano si posò sul seno, portò la testa indietro. Oliver lo prese come un aperto invito ad assaggiare il suo collo con la lingua e i denti, passando poi per la clavicola, su cui, era sicura, l’indomani avrebbe trovato un succhiotto.
 
A un certo punto, come se qualcuno le avesse gettato addosso dell’acqua gelata, le tornarono alla mente le sue parole. Quando gli aveva chiesto perché la stesse toccando, lui le aveva risposto che era un uomo egoista.
 
Si trattava di lei e lui, oppure era solo un modo per lui per mettere un punto definitivo?
 
Improvvisamente si spinse lontano da lui, cercando di mettere quanta più distanza possibile tra loro. “No, Oliver! Fermati!” disse con tono disperato, scivolando via da sotto di lui e portandosi dall’altro lato del letto quanto più veloce possibile.
 
Felicity afferrò le coperte per coprirsi il petto, cercando di non pensare a come lui l’avesse toccata. Si portò una mano nei capelli e chiuse gli occhi con forza, cercando di riacquistare un po’ di compostezza.
 
“Che ti prende?” un lampo di dolore attraversò il viso di Oliver e lei subito cambiò le sue parole. “Cosa ci prende?” perché doveva affrontare il fatto che anche se lui l’avesse fatto per motivi diversi, lei non lo aveva fermato subito.
 
Oliver aprì la bocca per dire qualcosa, ma lei non glielo permise. “Dio, Oliver. Dovevi saperlo. Dovevi saperlo che provo qualcosa per te. Tu non puoi…giocare così con me. Sono una persona vera. Non faccio finta, non sono superficiale. Questo significa qualcosa per me. E oltre questo, anche il lavoro che facciamo significa qualcosa per me. Non posso tornare indietro ora. Ma se tu non ci sei dentro come me allora…dove ci porterà questo? E come influirà sull’attività da Incappucciato?” le lacrime le rendevano la vista sfocata. “So che non c’entro nulla con il tuo mondo reale, ma c’entro con quell’altro, almeno credevo fosse così…non posso…non posso perderlo. Ma se questo è solo un gioco per te, o se ti stai solo approfittando della situazione…”
 
Felicity alzò titubante lo sguardo verso di lui. Era ancora immobilizzato dove l’aveva lasciato, poggiato per metà sul fianco dopo che lei era sgusciata via dalla sua presa. L’espressione di pietra che aveva sul viso era indecifrabile, tranne per i suoi occhi che sembravano essere passato dalla rabbia, al dolore a qualcosa che lei non riuscì a capire.
 
Oliver fece un lungo respiro e molto deliberatamente si spinse indietro, così da essere poggiato contro la testiera del letto. Quando le rispose, non la guardò.
 
“Qualche ora fa, poco dopo mezzanotte, sono rientrato e tu stavi dormendo. Capelli biondi erano sparsi su tutto il cuscino e…mi hai tolto il fiato. Sembrava così giusto stendermi su questo letto, con te già qui, e non riuscivo a capire perché. E poi…mi sono addormentato, Felicity” fece una pausa, come se si aspettasse una reazione da lei, e quando non arrivò girò il viso verso di lei. L’emozione dipinta sul suo viso la face sussultare.
 
“Non dormo mai. Ogni volta mi alleno duramente perché solo in questo modo riesco a prendere un po’ di sonno. Mi alleno talmente tanto che sono sfinito, a volte perdo anche i sensi. Se non lo facessi non riuscirei a dormire, almeno non quanto dovrei. Da quando sono tornato…è così che va avanti. E la scorsa notte…non pensavo sarebbe andato diversamente. Pensavo che sarei rimasto sveglio tutta la notte, ma…ho dormito. Ho davvero dormito”.
 
Il viso di Felicity si imporporò per tutto quello che le aveva detto, con orrore ripensò a quello che gli aveva detto senza prima sapere la sua parte dei fatti.
 
“Mi sono svegliato intorno alle cinque e ti ho trovato tra le mie braccia. Ero…in pace. Ho pensato che ogni brutto pensiero che avessi mai fatto non poteva essere così brutto, avendo qualcuno come te nella mia vita. E prima che potessi cominciare a rimuginarvi su, mi sono riaddormentato, con te tra le mie braccia. Sei la mia assoluzione, Felicity Smoak ma…non sono sicuro che qualcuno meriti questa responsabilità” poté vederlo nei suoi occhi, lui credeva a tutte le parole che le aveva appena detto e stava aspettando una sua reazione.
 
Senza aggiungere nulla le passò la camicia da notte che le aveva tolto e girò la testa di lato volutamente per permetterle di vestirsi. Con le guance imporporate, lei la indossò, ripensando a quello che le aveva appena detto.
 
“Non posso dire che mi dispiace di quello che è accaduto, perché non è così” le disse con una leggera alzata di spalle. “Ma mi dispiace se ti ho fatto dubitare delle mie intenzioni” Oliver spostò le coperte e si alzò in un fluido movimento. “Credo che una parte di me abbia sempre saputo che tu saresti stata importante per me, ma ero troppo spaventato a chiederlo, perché non credo di meritarti”.
 
Cominciò a girarsi, ma lei non glielo permise.
 
“Fermati!” disse improvvisamente, mentre raggiunse l’altro lato del letto e si inginocchiò davanti  a lui. “Ho bisogno di saperlo…ci sei dentro del tutto?”
 
Oliver alzò la mano insicuro prima di farla cadere sui suoi morbidi capelli. “Ci sono dentro del tutto”.
 
Lei gli diede un sorriso luminoso e lo guardò da sotto le sue lunghe ciglia. “Potevi semplicemente dire così, sai? Invece di girarci intorno, può essere una caratteristica piuttosto antipatica, sai?”
 
Gli angoli delle sue labbra si alzarono in risposta. “Antipatica?” le disse. “Pensavo avessimo stabilito che fosse tenero.”

“Davvero?” gli chiese con finta confusione, continuando a sorridergli apertamente. Le sue mani si posarono leggere sul suo petto, mentre Oliver portò le sue ad accarezzarle i gomiti.
 
“Sono sicuro di sì” disse delicatamente, sporgendosi in avanti per far sfiorare le loro labbra.
 
“Molto bene, allora, fin quando lo terremo bene a mente” approfondì il bacio mentre le sue braccia si allacciarono intorno al suo collo.
 
“Dovremmo andarci piano” gli disse senza fiato quando si separarono.
 
“Forse non è una cattiva idea” concordò lui, allontanandosi di qualche passo da lei. “Vado a farmi una doccia, e dopo, forse, dovremmo rivedere la registrazione di ieri sera, giusto per essere sicuri.”
 
Felicity annuì e lo guardò entrare nel bagno senza guardarsi indietro.
 
Si sedette sul letto mezza intontita, cercando di elaborare tutto quello che era appena successo.
 
Appena sentì l’acqua della doccia scorrere prese una decisione. Prima che potesse cambiare idea si stava già dirigendo verso il bagno. Il vapore volava sopra la doccia, le tende le oscuravano la vista. Senza pensarci un minuto di più si tolse la camicia da notte dalla testa e si liberò dell’intimo.
 
Se Oliver fosse sorpreso quando la vide aprire le tende non lo mostrò.
 
“Che stai facendo?” le chiese.
 
“Sono venuta a dirti che abbiamo perso già troppo tempo a prenderla con calma” gli disse con quanto più controllo della voce avesse ed entrò nella doccia con lui.
 

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 3.1 ***


TROPES

PARTE 2
Il cuore di Felicity batteva all’impazzata mentre si girava per fronteggiarlo, non guardando da nessuna parte se non il suo viso. Come se poi potesse guardare altrove. I suoi occhi avevano catturato i suoi. Così tanta speranza, così tanto desiderio. Felicity poteva dire che lui fosse come appeso a un filo.
 
“Sei sicura?” le chiese con voce gutturale, le mani già protese verso di lei.
 
Felicity gli rispose avvicinandosi a lui, in modo da far toccare i loro corpi, l’acqua che ora incontrava anche il suo corpo.
 
Il contatto ruppe definitivamente la decisione di Oliver. La sua bocca ingerì il sussulto sorpreso di Felicity. La alzò facilmente, incastrandola tra il suo corpo e le mura della doccia. Le mani percorrevano la sua pelle liscia, esplorando, imparando cosa le piacesse.
 
Felicity portò le braccia intorno al suo collo e cercò di fare del suo meglio. Una mano andò nei suoi capelli, l’altra accarezzò il suo ampio petto, assicurandosi di graffiarlo con le unghie sul capezzolo. Oliver le rispose con un ringhio gutturale, e portò una gamba sui suoi fianchi.
 
Felicity si inarcò in risposta, i fianchi che combaciavano con quelli di lui. Lo poteva sentire tra le gambe. Duro. Si chiese se fosse così da quando aveva lasciato il letto.
 
La lingua di Oliver giocò con la sua, mandando scintille di desidero proprio dove lei ne aveva bisogno. Portò una mano dal fianco al seno, non perdendo tempo nell’usare il pollice per stuzzicarle un capezzolo. Felicity gemette alla sensazione, separando le loro bocche per dargli maggiore accesso.
 
Oliver prese l’occasione al balzo, le labbra tracciarono una scia lungo il collo, fermandosi nei posti che la facevano gemere a voce più alta. Si fermò sulla clavicola per un po’, prima di sollevarla più in alto. Felicity ora era leggermente su di lui, entrambe le gambe si posizionarono sui suoi fianchi per avere maggiore stabilità, ma questo gesto li fece gemere entrambi.
 
Quando Felicity inarcò la schiena, Oliver abbassò la testa. La sua calda bocca sul seno le fece girare la testa, tutto quello che poteva fare era graffiare la sua schiena, infilandovi le unghie quando lui succhiava forte.
 
La mano che non era appoggiata contro la parete raggiunse l’altro seno, stuzzicandolo come aveva fatto prima. Il respiro di lei cominciò a essere corto e, nonostante ci provasse, non riusciva proprio a fermare i gemiti.
 
Non avendo paura di cadere, Felicity fece scivolare le unghie lungo la schiena. Oliver fece un gemito in approvazione e Felicity fece una risatina mentre lui riprese a succhiare la pelle del collo, mordendola leggermente lungo la mascella.
 
Con una leggera rotazione dei fianchi lei lo poté sentire, proprio dove lo voleva. Oliver mosse il bacino verso quello di lei e Felicity si tirò indietro, solo questa pressione era quasi abbastanza. Tutte le sensazioni si concentravano nel suo centro.
 
“Oddio!” gemette sonoramente mentre Oliver fece scivolare una mano tra i loro corpi, trovando il suo clitoride con il pollice. Felicity inarcò i fianchi involontariamente. La mano che aveva sulla sua schiena si mosse verso il basso, posandosi sul fondoschiena.
 
Aveva poggiato la testa sulla sua spalla, incapace di fare qualsiasi cosa se non sentirlo. Le dita di Oliver lavoravano magicamente dentro di lei, scivolando nelle sue pieghe, stuzzicandola incessantemente. Il ritmo che aveva scelto funzionava e il piacere montava in lei lentamente, totalmente concentrata su ciò che le stava facendo.
 
Voleva vederlo. Aveva bisogno di vederlo. Alzò la testa, portando una mano sulla sua nuca, tirandogli leggermente i capelli.
 
Non aveva mai visto i suoi occhi così scuri. Felicity sussultò quando i loro sguardi si incontrarono. Oliver era intenso, ma il suo sguardo era chiaro e vero, e lei sapeva cosa ciò significasse per lui.
 
“Felicity” il suo tono era basso e pesante e le fece capire quanto tutto ciò lo influenzasse.
 
Non sarebbe durata ancora a lungo e credeva lo stesso di lui.
 
C’erano momenti per andare piano. Questo non era uno di quelli. Non era mai stata più pronta per qualcosa in tutta la sua vita.
 
“Oliver…ora” riuscì a dirgli. Lui le chiese con gli occhi se ne fosse sicura e lei ruotò i fianchi in risposta.
 
 Le sue mani caddero pesanti sui fianchi di Felicity, che si avvinghiò alle sue spalle, sentendosi quasi senza peso per un momento. Il suo cuore batteva forte e il crescendo che stava montando dentro di lei continuava a salire. Lo sentì cercare la sua entrata e si morse il labbro per contenere i gemiti.
 
Oliver contrasse la mascella cercando di trattenersi dall’immergersi dentro di lei, ma lei sapeva che era quello che voleva fare. Una scintilla di desiderio raggiunse il suo stomaco e, senza pensarci, Felicity mosse i fianchi.
 
La sua bocca era aperta a ‘O’, completamente incapace di emettere un suono a causa delle sensazioni che stava provando in quel momento. Oliver la riempì completamente e Felicity si sentì la testa leggera, cercando di godersi semplicemente il momento.
 
Oliver cominciò ad avere il respiro corto, totalmente preso dalle sue azioni. Felicity sentì un interno senso di orgoglio per averlo sorpreso. Sentì le sue dita premere sulla pelle dei fianchi e contorcersi leggermente per cercare di controllarsi.
 
Il potere che corse dentro di lui quasi vibrò. Felicity poté sentire piccoli tremori sotto i polpastrelli mentre lui si sforzava di trattenersi. Lei portò le gambe intorno ai suoi fianchi e Oliver lo prese come un invito.
 
Invece di spingersi fuori da lei, la alzò. Senza alcuno sforzo, Felicity lo sentì alzarla, prima di spingere nuovamente in lei. Gemettero entrambi alla sensazione. Non poteva concentrarsi su altro se non su di lui e su di loro. Questo era l’uomo che amava. Questo era quello che stava aspettando.
 
Oliver continuò a tenerla più in alto e improvvisamente l’angolo sembrava dannatamente giusto. Con un sussulto e un gemito e una totale noncuranza di ciò che le stesse uscendo dalla bocca, Felicity era quasi al limite. I movimenti di Oliver divennero più irregolari, il ritmo sembrava sconosciuto perché tutto ciò che importava loro era muoversi.
 
Felicity strinse le gambe quando sentì l’orgasmo montare. Oliver spinse ancora una volta ed era tutto ciò di cui lei aveva bisogno. Con un alta, soffocata, incomprensibile serie di parole venne. Oliver la seguì qualche momento dopo, facendole poggiare la schiena contro le fredde mattonelle mentre le avvolgeva le braccia intorno, i fianchi che continuavano a spingere in avanti fin quando non sentì entrambi ansanti e senza respiro.
 
Felicity permise ai suoi occhi di chiudersi e poggiò la fronte contro la sua. Sentiva il suo respiro sulle sue labbra e non poté resistere alla tentazione di sporgersi verso di lui leggermente per catturare le sue labbra in un lento bacio.
 
Quando riaprì gli occhi vide che la stava guardando. Non poté evitare di sorridere, così come lui.
 
“E’ stato…” cominciò lei, per una volta non avendo parole.
 
“Già” concordò lui, facendo cadere una mano dalla sua vita per accarezzarle dolcemente una guancia.
 
Non c’era disagio né imbarazzo. Tutto sembrava esattamente come doveva essere.
 
Felicity rilasciò un piccolo urletto di sorpresa quando Oliver si spostò di due passi indietro, con lei ancora con le gambe intorno ai suoi fianchi. Ora erano completamente sotto il flusso della doccia.
 
Con un gemito, Felicity sciolse le gambe dai suoi fianchi e tornò in piedi. Oliver le prese il viso con le mani e le tolse i capelli davanti agli occhi. Lei gli rispose con un mormorio di approvazione e un piccolo sorriso.
 
In un silenzio rassicurante terminarono la doccia insieme. Lei si prese il suo tempo, passandogli una mano insaponata sul petto e sulla schiena, costringendosi a non fare altro, quasi del tutto sicura che li avrebbe riportati indietro a inizio doccia e purtroppo avevano del lavoro da fare.
 
Quando chiusero l’acqua della doccia, Oliver prese un asciugamano dall’attaccapanni e la asciugò, lasciandola leggermente senza fiato perché non era stato corretto come invece era stata lei.
 
Felicity tornò nella camera per vestirsi e le sembrò di camminare in un mondo alieno. Tutto le sembrava uguale ma diverso allo stesso tempo.
 
Oliver la raggiunse alle spalle e la circondò con le braccia all’altezza dello stomaco. Felicity si appoggiò a lui con un sospiro, non riuscendo ancora a credere di poterlo fare senza imbarazzo.
 
“Stiamo bene, giusto?” gli chiese, un leggero tremolio nella voce mentre la realtà cominciava a ritornare.
 
“Stiamo bene” confermò lui.
 
“Bene” disse, per poi schiarirsi la gola e girarsi nelle sue braccia. “Solo una cosa, però”
 
“Cioè?” le chiese semplicemente.
 
Lei gli diede un sorrisetto compiaciuto, guardandolo dalle lunghe ciglia “Lo dici tu a Digg”.


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Eccoci con la seconda e ultima parte! Mi dispiace aver aggiornato dopo così tanto tempo ma sono stata impegnata con gli esami. Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Grazie a tutti voi che leggete le storie!
A presto :**

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