The Impure's Rebirth

di John Hancock
(/viewuser.php?uid=703236)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Spark ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Ferro Batte Suono ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Vecchie Lacrime ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Whispers In The Dark ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Bella Earl! ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Stelle Piangenti ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Colpo Grosso ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Big Bang ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Terra e Ossa ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Always Running ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Casa ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - I Bastiodon Ubriachi ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - La Città Bianca ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - New Hope ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Nell'Antro Del Mostro Pt.1 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 14 - Nell'Antro Del Mostro Pt.2 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 14 - Nell'Antro Del Mostro Pt.3 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 15 - Quiete ***
Capitolo 19: *** Capitolo 16 - Indizi ***
Capitolo 20: *** Capitolo 17 - Il Credo Dei Puri ***
Capitolo 21: *** Capitolo 18 - Gold Digger ***
Capitolo 22: *** Capitolo 19 - Picco Corvo ***
Capitolo 23: *** Capitolo 20 - Never Had A Friend Like Me ***
Capitolo 24: *** Capitolo 21 - I Meravigliosi Twinky Spugnosi Alla Vaniglia ***
Capitolo 25: *** Capitolo 22 - Come L'Acqua Che Frantuma La Roccia ***
Capitolo 26: *** Capitolo 23 - Ideale E Verità ***
Capitolo 27: *** Capitolo 24 - Il Dono Della Luna Piena ***
Capitolo 28: *** Capitolo 25 - L'Alba Nuova Scaccia Via Le Tenebre Della Notte ***
Capitolo 29: *** Capitolo 26 - Tramonto ***
Capitolo 30: *** Capitolo 27 - United We Stand ***
Capitolo 31: *** Capitolo 28 - Ghiaccio e Sangue ***
Capitolo 32: *** Capitolo 29 - Before The Storm ***
Capitolo 33: *** Capitolo 30 - Dalle Ceneri, Come Una Fenice ***
Capitolo 34: *** Capitolo 31 - Morituri ***
Capitolo 35: *** Capitolo 32 - Fortitudo ***
Capitolo 36: *** Capitolo 33 - Lumos ***



Capitolo 1
*** Prologo - Spark ***


Spark
 

 
Un forte mal di testa, dovuto alle poche ore di sonno, lo distraeva continuamente dalla sua mansione.
Non era neanche spuntato il primo raggio di luce, e lui si trovava adesso a fare quello che faceva tutte le mattine, con una cadenza perfetta, precisione al minimo secondo.
Ore quattro: sveglia.
Ore quattro e dieci: rasatura della barba e pulizia intima.
Ore quattro e venti vestirsi e mettere in ordine la brandina.
Ore quattro e trenta: inizio della giornata.
Così, tutte le mattine svolgeva le stesse ed identiche azioni, nell’ordine prestabilito, così come gli era stato detto, o meglio, imposto.
Si avvicinò all’uscita di quella che era stata una palestra scolastica, ora adibita a camerata maschile, e prese la seconda Poké Ball sullo scaffale, retto per miracolo da una rete di fili di ferro che faceva affidamento su di un paio di chiodi rossi di ruggine.
- Avanti Loudred, esci e fa’ il tuo dovere. Niente smancerie oggi, mi esplode il cervello.
Placido, il Pokémon Vocione apparve dinanzi al grosso ragazzo che lo aveva appena risvegliato. Si stiracchiò, allungando le braccia prima in avanti e poi verso l’alto.
- Piano, mi raccomando. Iniziamo con un volume basso.
Loudred annuì, aprendo lentamente la bocca ed iniziando ad emettere ritmicamente onde sonore di intensità sempre maggiori.
Inizialmente non ci fu alcun effetto, se non qualche sporadico risveglio. I veri risultati si ebbero non appena Loudred iniziò ad urlare sul serio, assomigliando a una campana.
Tutti i ragazzi presenti si iniziarono a svegliare, lamentandosi come ogni mattina.
- Forza ragazzi, forza! Non siate pigri e muovete quel bel culettino che vi ritrovate. E mi raccomando, alle sei in punto dovete essere tutti pronti, i più piccoli vengano da me e io…
- Ciao zio Cole!
- Guarda un po’ tu chi si vede, ciao ometto! Come va stamattina?
- Benissimo, ho imparato a fare i lacci alle scarpe da solo! Non dovrò più chiedere ai grandi di aiutarmi.
- Beh questo è perché stai diventando grande, Kyle.
- Proprio come te? - chiese il ragazzino, euforico all’idea di poter assomigliare al ragazzo che aveva di fronte.
- Certamente. Che credi, io ho iniziato così. Impari ad allacciarti le scarpe da solo, e poi passi a combattere i cattivi. Parola di Christopher Coltrane!
- Da grande voglio essere proprio come te!
Cole prese il viso del bambino fra le mani, sorridendo, immedesimandosi in lui, quando anch’egli, da piccolo, guardava in quel modo il suo fratello maggiore.

Chissà dove sarai in questo momento, fratellone…

- Davvero vuoi somigliare a questo bisonte nero e tutto muscoli, senza cervello, piccolo? - sentenziò una voce che proveniva dalle spalle di Cole.
- Un buon giorno anche a te Daisy. Fai attenzione a come parli, non si addice ad una signorina.
- Sai dove puoi ficcartelo il tuo sarcasmo?
- Qualcuno si è svegliato dal lato sbagliato del letto stamattina?
- Piantala, non è giornata.
- Dai, ammettilo che sei innamorata di me e non vedi l’ora di saltarmi addosso, sei solo timida e cerchi di nasconderlo.
- Cole, davvero hai perso la testa in quella massa di muscoli? Sembri un sacco da centoventi chili di stronzaggine.
- Se proprio vuoi essere precisa, sono un metro e novantotto per novantadue chili, di cui il cento per cento sono muscoli. Avanti, so che non mi resisti.
- Sei un cretino. E anche il nero più inutile che abbia mai visto, non hai nulla da fare? Non dovresti tipo lavorare e portare da mangiare ai tuoi compagni?
- Sì ma cinque minuti con questa dolcezza non guastano mai- disse lui, avvicinandosi per baciarle la mano.
- Smettila, sai che odio queste porcate da galateo.
- È proprio per questo che l’ho fatto- disse lui sorridendo.
- Senti, vai a prepararti ed esci di qui prima che io mi arrabbi davvero.
- Agli ordini, sergente Hartman.
- Cole, prima che mi dimentichi, fai attenzione. Nella piazza c'è un battaglione al completo di Sacerdoti, se ho sentito bene, ti stanno aspettando.
- Grazie mille, sei un tesoro- la baciò, avvolgendo con il suo braccio la vita di lei, mentre le loro labbra si scambiavano milioni di parole non dette.
- Sei sempre il solito…
- È per questo che mi ami!- disse lui, dirigendosi verso i bagni pubblici.
Lì tutto era statale, dai bagni alle brandine dove dormivano. Tutto si trovava sotto l’influenza del Sacro Ordine, chiunque in quella Regione doveva sottostare alle leggi dello stato, il quale incombeva come un condor sui poveri cittadini che lavoravano duro per i loro dominatori.
Come se le cose non andassero magnificamente male anche senza di loro.
Erano passati ormai due anni dalla Grande Guerra, scoppiata nel 2038. Tutto era iniziato quando un gruppo di fanatici scienziati, Sinnoh, grazie alle nuove scoperte tecnologiche, riuscì a sviluppare una nuova tipologia di bomba, soprannominata in seguito Bomba 0. Essa era in grado di creare dei potenti pozzi gravitazionali che, essendo comandabili da lunghissime distanze, rendevano il loro possessore in grado di far scomparire nel nulla intere placche continentali in pochi minuti, facendole collassare all’interno del buco nero, praticamente impossibile da bloccare. Il tutto era stato scoperto da una setta di fanatici religiosi, aiutati da tutti gli scienziati che i soldi fossero in grado di conquistare, nominata “Il Sacro Ordine”. Al suo vertice si poneva il capo religioso, comunemente chiamato Sua Santità, in quanto solo i suoi diretti sottoposti avevano la possibilità e l’onore di riferirsi a lui utilizzando il suo vero nome. Utilizzando la sua figura di capo religioso, era riuscito ad ottenere un numero sempre superiore di seguaci pronti a dare la vita pur di adempire al loro compito: creare un nuovo mondo libero da soprusi e ingiustizie, libero da violenza e criminalità.
La Bomba 0 venne creata per questo: il suo principale utilizzo doveva essere di carattere intimidatorio; costringere il resto della popolazione mondiale alla pacifica convivenza con il prossimo, sotto la continua minaccia di distruzione totale del globo.
La prima Regione ad opporsi a Sinnoh fu Hoenn, i combattimenti durarono diversi mesi, prolungandosi dall’Ottobre 2038 sino al Marzo 2039. Tempo durante il quale Sua Santità, ormai leader indiscusso di Sinnoh, diede un ultimatum a Hoenn: arrendersi o venire distrutti dalla superiorità bellica del suo nemico.
I leader di Hoenn erano tuttavia rassicurati dal fatto che Sinnoh non avesse utilizzato la tanto nominata Bomba 0 per diversi mesi di acceso conflitto fra le due. In effetti, grazie alla superiorità numerica e al maggiore addestramento delle proprie truppe, Hoenn stava radendo al suolo le varie città di Sinnoh, lasciando in piedi unicamente Nevepoli poiché considerata inoffensiva, del tutto inutilizzabile dal punto di vista militare.
Poi, agli inizi di Marzo, Sinnoh decise di sperimentare la Bomba 0 sulla Regione di Hoenn.
In poche ore dopo il via libera, il razzo contenente l’ordigno, fu spedito in orbita e comandato sino alla rotta che lo avrebbe portato in collisione con Ceneride. L’impatto fu catastrofico: in soli due minuti, il buco nero artificiale si espandeva dalla Lega Pokémon sino a Memoride, inghiottendo qualsiasi cosa sotto il proprio dominio. La Regione collassò su se stessa, trasportando con se milioni di vite, fra Pokémon ed umani; nessuno fu in grado di salvarsi.
In meno di dieci minuti, Hoenn fu sostituita da un abisso profondo decine e decine di chilometri, arrivando fino alle caverne colme di magma che si trovavano alla base della Regione; intorno al suo perimetro si ergevano imponenti catene montuose, nate dalla forza attrattiva del buco nero. In questo modo, Hoenn scomparve, lasciando dietro di sé il vuoto, accentuato dalle enormi dimensioni delle montagne perimetrali che si innalzavano con i loro pennacchi sino alle nuvole più alte.
Il rombo dell’implosione fu udita in ogni angolo del pianeta, tra lo sgomento di tutte le popolazioni. Poche ore dopo la sconfitta di Hoenn, Sinnoh inviò un messaggio alle restanti regioni, utilizzando le parole di Sua Santità: - Alleatevi a noi, rendete i vostri servigi al nostro culto, alla nostra fede, oppure fatevi inghiottire dall’oscurità dell’abisso. La scelta è solo vostra.
Due giorni dopo, il 3 Marzo, tutte le Regioni si sottomettevano incondizionatamente a Sinnoh, quello fu l’inizio della fine.
Le popolazioni assoggettate furono rese al pari degli schiavi, lavoravano incessantemente, ricevendo in cambio il minimo indispensabile per poter vivere. All’interno delle varie città vi era una distinzione: il centro, dove vivevano i degni seguaci dell’Ordine, ed i Quartieri, luoghi in cui venivano isolate le popolazioni sottomesse, classificati per numero. Ognuno di essi godeva di una certa reputazione. Il più malvisto dai seguaci di Sua Santità, era il Quartiere 16, situato all’interno di Astoria, nuova capitale del regno.
Al suo interno si trovavano in maggioranza neri, persone apertamente contro la religione di Sinnoh, e chiunque fosse visto come “diverso” Questa era la casa di Cole, la sua famiglia, le persone per cui avrebbe dato la vita e per le quali si spaccava di lavoro la schiena dalla mattina alla sera lavorando come poliziotto nel centro città. Il suo lavoro certamente non era dei più semplici, dovendo cercare di placare i continui atti di vandalismo provocati dalla sua stessa gente. Le pene erano molto severe, e per un semplice furto di una mela si poteva venire giustiziati, in quanto non adatti alla prospettiva di vita della parte sana della popolazione.

Siamo un cancro per loro. Un fottuto virus da eliminare, senza però dimenticarsi di assoggettarlo e sfruttarlo fino all’ultimo. Fatti i loro comodi ci faranno fuori, ne sono sicuro. Prima o poi, la rivolta esploderà, ed io voglio avere la pistola carica in quel momento. Ed anche una confezione di cioccolato, ucciderei per averne qualche chilo…
Al momento è meglio placare gli animi, quindi vediamo cosa hanno da dirmi i testa a punta.


Cole, immerso com’era nei suoi pensieri, non si accorse di essere arrivato all’interno della Grande Piazza, il luogo in cui veniva riunita tutta la popolazione del Quartiere 16 in caso di annunci pubblici.
Una folla di uomini e donne di colore si era riversata in quel luogo, non appena i Sacerdoti avevano fatto il loro ingresso, con le loro uniformi bianche, candide e senza la minima macchia. Il gruppo trasportava un arsenale degno di una guerriglia, scortati da un branco di Ninetales ed, a capo di essi, un Delphox dall’aria altezzosa.
Il piccolo raggruppamento di milizia sembrava una briciola di meringa sopra una torta fondente, con tanto di granella colorata che fungeva da perimetro.
Chiunque, in quell’istante, inveiva con le parole ed i gesti contro i Sacerdoti, maledicendoli per la loro stessa esistenza ed invocando una futura vendetta che li avrebbe ridotti in cenere. Nonostante tutto ciò, il piccolo gruppo bianco continuava la propria marcia verso il centro della Piazza, fermandosi solo di rado per scaraventare via qualche coraggioso che tentava di ostruire il loro tragitto.
Non appena sul posto, la formazione si divise in due. Cole li guardava incuriosito.
- Chissà che merda sputeranno su di noi, stavolta.
- Per ordine di sua altezza, Sua Santità, sono qui oggi per porre fine al lavoro scorretto eseguito da Christopher Coltrane. Si faccia avanti il diretto interessato immediatamente, e non sarà usata la forza.

Lo sapevo, bella merda quella in cui mi trovo ora.

Cole avanzò lentamente, intorno a lui la folla si apriva per favorirne il passaggio, lanciandogli occhiate interrogative ed invadenti, cercando di scoprire il perché dell’intervento dei militari.
- Eccomi, qui per servivi- disse lui, cercando di sorridere il più possibile e facendo un profondo inchino.
- Christopher Coltrane, lei è accusato di disobbedienza dei diretti ordini di un Sacerdote suo superiore. Nel giorno tredicesimo del mese di Ottobre anno 2041 lei, in veste di poliziotto, ha deliberatamente deciso di non recuperare la merce rubata dal camion contenete le razioni indirizzate al centro di Astoria. A causa di ciò è costretto a restituire distintivo e Poké Ball contenenti le seguenti specie: Arcanine, Luxray, Sceptile, Staraptor e Blastoise. Pena per il rifiuto: morte immediata. A lei la scelta.
- Ehi ma guarda che carino, un Umpa Lumpa che sa parlare! Merda, non ne avevo mai visto uno. Oh, per rispondere alla tua accusa, io ho lasciato fuggire quel ladro da quattro soldi per salvare il suo ostaggio.
- Ed è andato contro un ordine ufficiale. Le era stato ordinato di recuperare il carico, non di salvare una vita.
- Era una bambina! Penso sia più importante di una fottuta partita di razioni, no?
- No, un banale impuro non è superiore a nulla. La tua priorità era il tuo ordine. Ed adesso ne hai uno nuovo: consegna distintivo e Poké Ball o morirai.
- Tieni pure, lurido pezzo di merda; ma ricorda, gnomo da giardino, Cole non ti uccide ora solo perché a casa sua non si versa sangue. Spera di non rivedermi fuori da queste palazzine, altrimenti ti stacco il cappello a imbuto e te lo infilo lì dove non batte il sole.
- Belle parole, davvero. Solo uno sporco impuro come te poteva utilizzare un tale linguaggio.
- Senti, non è buona cosa offendere un nero in compagnia di altre centinaia di neri. Soprattutto per la diversità della pelle o di religione. Un consiglio da amico, prendi queste cose e va’ a farti fottere da un unicorno nel tuo magico mondo mistico.
- Come osi! Tu, lurida…
- Taci, opossum, prima che mi arrabbi sul serio. Mi dispiace solo per voi amici, che dovete tornare da certa gente. Prometto che tornerò a prendervi- disse Cole, posando le Poké Ball con estrema cura sul pavimento, per poi lanciare, con tutto il suo sdegno, il suo distintivo ai piedi dell’uomo in bianco.
Immediatamente, al Quartiere 16, furono tagliati i viveri.

Due settimane dopo, Cole si aggirava con i ragazzi fra i vari palazzi, in cerca di rifornimenti da mettere in comune.
- Cole, qui è tutto finito, è inutile che tu ti affanni così tanto, non c’è niente.
- DEVE esserci qualcosa, Daisy, altrimenti siamo nella merda. I ragazzini non mangiano da giorni.
- Lo so amore, purtroppo è tutto finito. Ormai siamo arrivati alla fine, nessuno ci aiuterà. Ci hanno chiuso i cancelli d’ingresso in faccia. Siamo isolati dal mondo.
- Devo fare assolutamente qualcosa, non possiamo starcene con le mani in mano, mentre centinaia di nostri compagni muoiono ogni giorno!
- Lo so! Cazzo Cole lo so, sono la prima a cercare di fare qualcosa ma non abbiamo più nulla ormai. Senza un aiuto siamo bloccati qui.
- Che grande presa per il culo. Abbiamo fatto ciò che volevano e alla fine ci lasciano morire come dei topi in trappola nelle loro stesse tane.
- Forse non tutto è perduto, ragazzo mio- gracchiò una voce da dietro una porta.
Cole girò il suo campo visivo di centottanta gradi, per poi mettere a fuoco la sagoma di un uomo molto deperito, a malapena in grado di reggersi in piedi, i cui vestiti erano molto più simili a stracci che ad indumenti.
- Cosa intendi, vecchio?
- Dico soltanto che un uomo di esperienza come me si accorge quando c’è qualche cambiamento nelle persone che lo circondano. E fidati, la tensione è alle stelle, tutti non aspettano altro che un minima possibilità per farsi sentire.
- E con ciò?- chiese Cole.
- Con ciò sto solamente dicendo che hanno bisogno di una piccola spinta, e di cibo. Senza quello non si può fare nulla. Ecco di cosa necessita ora la nostra gente, cibo e qualcuno che gli indichi la via da percorrere.
- So dove vuoi portare il discorso, ma senza armi non si può fare nulla.
- Oh sì che si può, oggigiorno un’arma è necessariamente una pistola. Non è così, pensaci figliolo, pensaci- disse l’anziano, ritirandosi all’interno della sua abitazione.
- Aspetta vecchio! Ah maledizione, al diavolo…

Poche ore dopo, Cole si trovava disteso sulla sua brandina, fissando il soffitto.
Continuava incessantemente a rigirarsi, senza riuscire a riposare. La sua mente era troppo occupata a riflettere. Negli ultimi giorni aveva visto sempre più persone allo stremo delle forze, vagare senza meta in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Le risate dei bambini, una volta incessanti, erano scomparse del tutto, così come il cantare delle donne durante le ore in cui cucinavano; era tutto muto e silenzioso, come se la morte abbia ricoperto quel posto, prima felice nonostante tutte le difficoltà e le oppressioni, con il suo velo nero, oscurando la città sino a spegnere ogni scintilla umana.
Tutto questo lo stava lentamente distruggendo. Le persone con cui aveva passato la sua intera vita erano al loro limite. Ovunque provasse a girarsi, vedeva solo morte e nessun futuro.
Si tirò su, massaggiandosi le tempie; sbuffò quando il mal di testa si fece più prepotente.
Il suo sguardo stava vagando in ogni direzione, in cerca di qualcosa che lo aiutasse a prendere una decisione. Stava pensando a Daisy, a Kyle, i ragazzini del Quartiere e tutti coloro che si erano stabiliti lì, unendo le loro radici alle sue, cercando di farsi forza l’uno con l’altro in quell’arido terriccio.
Pensava ai loro visi, che lo guardavano incuriositi. Gli ponevano silenziose richieste.
Pensava alle parole del vecchio, e alla necessità di fuoriuscire da quel posto.
Pensava agli imponenti muri neri con tanto di torri da osservazione che obbligavano tutti a restare in quel luogo.
Pensava alla vigilanza armata, ed alle decine e decine di Pokémon che avrebbero distrutto chiunque avesse provato a fuggire da lì. Anche il cielo era una via di fuga negativa, a causa dei Dragonite che lo popolavano.
Pensava al fatto che lui era lì, dalla parte del suo popolo, ed era l’unico ad avere un’arma. Una vera.
Balzò giù dalla sua brandina, incamminandosi verso il gruppo di armadietti. Non c’era un solo lucchetto, dato che lì tutti condividevano tutto e rispettavano gli altri; in effetti nei suoi lunghi anni di carriera, Cole, non aveva mai partecipato all’arresto di una persona nel suo Quartiere, la loro furia si riversava all’esterno, soprattutto sui Sacerdoti.
Si avvicinò a quello la cui targhetta indicava -Christopher Coltrane COLE- opera di Kyle. Quel bambino venerava Cole, e non sopportava di vedere o sentire qualcuno chiamarlo in altro modo se non Cole, per lui era come insultare il suo mito.
Al ricordo del giorno in cui aveva scoperto la correzione fatta dal bambino, iniziò a ridere. Davanti ai suoi occhi stava rivivendo il momento in cui Kyle, impaurito dal modo in cui Cole aveva pronunciato il suo nome, con un sorriso enorme sulla faccia e le dita delle mani che schioccarono quando le spinse le une contro le altre, fuggì urlando, diretto verso la protezione delle lenzuola del suo letto.
Aprì l’armadietto, facendo cigolare i cardini arrugginiti che lo mantenevano a stento. La ruggine aveva fatto il suo corso, aprendo diversi forellini sul corpo di metallo scadente e poco igienico.
Iniziò dal cassetto più basso, prendendo una camicia pulita ed il migliore paio di pantaloni che avesse, un paio color cachi, prese inoltre le scarpe d’ordinanza dei poliziotti. Rovistò poi fra i vari piccoli scompartimenti, trovando ciò che gli serviva.
Infine alzò lo sguardo, imbattendosi nella sua Poké Ball. Era sempre stata di sua proprietà, e per tutti quegli anni era riuscito a tenerla nascosta all’Ordine.
- Tutto questo tempo passato a nasconderti… erano poche le volte in cui potevamo goderci una passeggiata assieme… ora c’è un lavoretto da fare, fratello mio. Sei pronto? È arrivato il momento di essere un’arma, io e te, assieme. Portiamo un po’ di armonia qui dentro- disse il ragazzo, prendendo fra le mani la Poké Ball. Emanava delle pulsazioni vitali forti e chiare, in fase con diversi raggi di luce che venivano irradiate dalla superficie tonda e perfettamente liscia della Ball.
- È tempo che Christopher Coltrane faccia vedere cosa significa fare la cosa giusta - prese il suo compagno e lo inserì nella tasca posteriore destra dei pantaloni, incamminandosi verso l’uscita.


Il colossale Pokémon Trapano si avvicinò alla porta blindata del Caveau, mettendo in moto il suo corno. Era pronto alla trivellazione.
- Avanti mio caro Rhyperior! Non c’è metallo che ti possa resistere! Sventra quella puttanella! - urlò Cole, indossando il suo passamontagna appena lavato.
- Mh, profuma di cannella questo coso, che spreco. Allora Ryp, quando sei pronto, batti un colpo, io e la mia bambina ti copriamo- disse, indicando la sua mitragliatrice leggera.
Pochi attimi dopo arrivò il cenno da Rhyperior, che iniziò a trapanare la cassaforte.
- Via alle danze, ragazzi, è tempo di far festa! Oh guarda Ryp, arrivano gli invitati, li senti? La polizia è arrivata. Diamole il benvenuto degno di noi due, ti va?
Rypherior ruggì feroce, trapanando ancor più velocemente. Si era arpionato con le immense zampe al terreno ed al cemento che si trovava ai lati della cassaforte, per esercitare più pressione.
L’allarme era appena scattato, un rumore fastidioso si unì al rombo del corno del Pokémon che cozzava contro l’acciaio, deformandolo secondo dopo secondo. Stava creando una breccia sempre più grande nel ventre d’acciaio del deposito.
- Oh- oh, è arrivata la cavalleria! Guarda Ryp, ora ti faccio vedere cosa significa fare il culo pelo e contropelo a qualcuno, come mi diverto! Erano anni che volevo dirlo: venite a prendervi la vostra dose di supposta di piombo, puttanelle!


 

- Hancock
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Ferro Batte Suono ***


Ferro batte Suono
 
 
 
- Allora? Quanto vi ci vuole?
Kyle si voltò verso il suo superiore, un uomo di mezza età, dal volto spossato e l’aria perennemente stanca.
- Solo un attimo, Sur, io e il mio compare riempiamo quest’altro secchio e vi raggiungiamo.
- Tu già non dovresti essere qui, Daisy mi ucciderà se verrà a sapere che stai aiutando negli scavi.
- E allora tu non dirle nulla, no? Non mi piace restare a guardare mentre gli altri lavorano, lo sai.
- Lo so, lo so, però il tuo turno verrà dopo, e non è dei più facili - Disse Sur, asciugandosi dalla fronte rugosa le gocce di sudore che, nella luce delle torce, apparivano come delle stelle in un immenso cielo notturno.
- Tu ti preoccupi troppo per me, sicuro di stare bene? Non hai un bel colorito
- Ragazzo, ricordati sempre che stai parlando col mitico Sur, colui che può tutto.
- Già mi hai raccontato questa storia ma insisto: zoppichi, a malapena ti reggi in piedi, meglio che tu vada. Qui ce la vediamo io e Riolu.
Sur guardò con attenzione il ragazzino, passando dal volto puro e innocente, al piccone arrugginito che reggeva fra le mani. Lo sguardo passò poi oltre il minatore clandestino, per raggiungere la parete dove si riuscivano a intravedere decine e decine di pietre, incastonate nel ventre che stavano profanando con il loro continuo picconare.
Il veterano degli scavi riagganciò i suoi occhi al viso di Kyle, passando in rassegna i pochi segni che il tempo aveva lasciato al suo passaggio. Finì col restare fisso sulla cicatrice che si trovava poco sotto l’occhio sinistro.
- E va bene hai vinto, non so resistere a quel faccino. Sbrigati a crescere, così non mi imbrogli più, chiaro? Già adesso quella pazza di Daisy mi ucciderà sapendo che ti ho lasciato lavorare di nuovo qui dentro.
- A me fa paura quella donna, delle volte. Tanta paura - disse Kyle, riprendendo il suo lavoro di picconatore.
- Non è una donna, figliolo. Quella è la versione apocalittica di Giratina: se è arrabbiata, scappa.
Kyle tolse la bandana che portava al braccio, la indossò per simulare l’enorme massa di capelli di Daisy e impugnò il piccone a due mani, innalzandolo verso il cielo come se fosse il martello di Thor. Sur si rannicchiò, implorando pietà. Kyle abbassò il piccone su di Sur che, arrivato il suo turno, simulò una fulminazione.
I due iniziarono a ridere a più non posso, mentre Riolu li fissava incuriosito - Non ti spaventare Riolu, è tutto normale.
- Tanto normale non è, Kyle. Forza finisci presto e vieni a mangiare; io ti precedo, vuoi qualcosa in particolare?
- Cosa c’è per pranzo?
- Zuppa con la zuppa, oppure zuppa di zuppa. A te la scelta.
- Opterò per la zuppa, mi sa.
- Bravo, e ora sbrigati, ci vediamo sopra.
- Certo Sur, a dopo.
Kyle osservò Sur allontanarsi, pensieroso.


 
Si voltò verso il suo Riolu, che ricambiò il suo sguardo.
Il ragazzo si sentì improvvisamente nudo di fronte lo sguardo del suo Pokémon: sapeva che Riolu stava lentamente imparando come analizzare le aure delle cose e persone che lo circondano, e che non lo facesse con cattive intenzioni. Nonostante questo, lo turbava, e non poco, la capacità del suo Riolu di abbattere le barriere della sua psiche così facilmente.
Sentì tutti i suoi pensieri ed emozioni fluire lentamente verso di lui. Ogni sensazione convergeva dal suo cervello verso quello del suo compagno, creando un legame invisibile fra i due, così flebile che bastò un battito di ciglia a interromperlo: Kyle chiuse per un istante gli occhi, e quando li riaprì tutto era come prima.
Riolu lo guardava sempre con aria pensierosa, come se si sforzasse con tutto se stesso di capire cosa stesse pensando il suo amico.
Il ragazzo inspirò lentamente, per poi emettere rapidamente le sue riserve di aria conservate all’interno dei suoi polmoni. Portò la sua mano destra sulla spalla sinistra di Riolu, sorridendo nonostante il disagio.
- Sai che non sopporto quando qualcuno cerca di scavare dentro di me, eppure lo fai lo stesso, perché?
Il Pokémon Emanazione lo fissava. Il suo corpo diventò rigido, il volto inespressivo.
Kyle sentì la sua mente collegarsi con quella di Riolu. Erano uniti da un ponte mentale, il ragazzo riusciva a sentirlo. Tutte le sue emozioni si riversarono in Riolu, così come la sua mente accolse tutto ciò che stava sentendo l’altro capo del ponte. Era un po’ come trovarsi a mezz’aria, su di un piccolo ponte di legno che funge da tramite fra due capi di un baratro. Kyle si trovava dal lato opposto di Riolu, e al contempo riusciva a vedersi anche al suo fianco. La sensazione era stranissima: sentiva ancora il suo corpo e i suoi pensieri, ma il tutto era come filtrato da una sottile lastra di vetro, che sembrava dividere in due tutti i pensieri. Kyle riusciva a sentirli nella sua testa, ma li vedeva indirizzarsi anche verso di Riolu, che stava captando ciò che il suo amico provava.
Kyle si sentì barcollare, era come se quel collegamento gli stesse risucchiando le sue riserve di energia. Si appoggiò al ponte, quando le gambe gli vennero meno. Fu a quel punto che vide Riolu, tendergli la mano. Il ragazzo allungò la sua, incontrando il tiepido calore del corpo di Riolu.
“Amico” disse telepaticamente Riolu, rispondendo alla domanda iniziale del suo compagno. Kyle rimase esterrefatto, prima di svenire.
 
Quando riaprì gli occhi, Riolu era comodamente seduto sul suo ventre, con le gambe incrociate. Sorrideva.
- Ma che… era tutto vero? Non me lo sono sognato, Riolu? - Kyle si mise a sedere a sua volta, alzando Riolu a mezz’aria, mettendo in collisione il suo raggio visivo con quello del Pokémon.
Riolu sorrise, annuendo vigorosamente per tre volte.
- Come cavolo hai fatto? Da quel che so soltanto i Lucario ne sono in grado…
Riolu fece spallucce, stranito a sua volta.
- Beh è molto strano ma ciò non significa che sia un male! Mi raccomando, continua a esercitarti, però la prossima volta avvisami, se non vuoi farmi venire un colpo, ok? - Kyle fece scendere Riolu al livello del terreno, per poi alzare il pugno.
La risposta non si fece attendere: Riolu alzò a sua volta il pugno, e colpì velocemente quello del suo amico, due volte.
- Ottimo, e ora rimettiamoci a lavoro. Abbiamo una parete da abbattere! - disse Kyle, impugnando nuovamente il piccone. Nonostante stessero scavando da diverse ore, i due riuscirono a trovare le forze sufficienti per riprendere il lavoro, incoraggiati più dal loro obbiettivo finale che dalle loro rimanenti scorte di energie.
Alla luce delle lanterne a led l’interno del tunnel diventava sempre più sinistro, per Kyle.
Inizialmente, accompagnato dai diversi Machoke, Excadrill e Rhydon che con la loro presenza andavano a riempire gli enormi spazi ora vuoti, non aveva fatto caso a come si presentasse la vena che stavano aprendo all’interno del terreno.
Il ragazzo osservò per un breve istante il muro che si trovava davanti ai suoi occhi: riusciva a distinguere diverse sostante ferrose e vari minerali che risplendevano quando colpiti dal fascio di luce che emettevano le lanterne: alcuni si limitavano a riflettere la luce bianca che li colpiva, mentre la maggior parte, composta da minerali, mutava la luce assorbita. I colori andavano dal rosso acceso, al violetto scuro, passando per le diverse graduazioni dello spettro. Kyle rimase a bocca aperta davanti a quello spettacolo. Guardò il suolo, dove trovò la stessa disposizione, seppur in percentuale minore.
- È bellissimo… ed è incredibile come io non abbia visto nulla di tutto questo durante il lavoro, ero troppo applicato… forse farei meglio ad avvisare gli altri però, penso che ci possano essere utili tutti questi materiali. Eh? Cos’era quello? - Kyle si girò di scatto di centottanta gradi, dirigendo il proprio sguardo verso la provenienza del suono che lo aveva turbato. La vista non fu per niente come la precedente: Kyle indirizzò il fascio di luce verso la parte già scavata del tunnel e, seppur le pareti fossero costellate di minerali che riflettevano luce, questa andava scemando mano a mano che continuava il suo percorso, allontanandosi dalla sua fonte. Alla distanza di circa una ventina di metri, la luce lasciava il posto al buio; i riflessi colorati e il fascio di luce della potente lampada a led si interrompevano improvvisamente, come inghiottite dal buio.
Il cuore si fermò per un istante, uno strano brivido si ripercosse lungo tutta la lunghezza del corpo del ragazzo, partendo dalla spina dorsale. Senza accorgersene, Kyle stava trattenendo il respiro, impegnato nello scrutare l’oscurità, aspettando uno dei tanti demoni che costellavano la sua immaginazione, pronto a scagliarsi su di lui per fare a brandelli il suo corpo. Quello, apparve davvero: dall’oscurità apparve una figura indistinta. L’essere si avvicinò quanto bastava per rendere visibile nella penombra il suo corpo, dalle sembianze umanoidi.
Kyle la illuminò meglio, rapito dal suo sguardo. Era una donna, dal corpo pallido ed esile. Talmente gracile che era possibile vedere le vene pulsare al di sotto del sottile strato di pelle che le proteggeva dagli agenti esterni.
Lei fluttuava a mezz’aria, indossava una veste da notte bianca che le lasciava nude le gambe dal polpaccio in giù. Diverse ricamature in pizzo le adornavano la veste, con un motivo floreale sul petto. La veste candida era violentemente stuprata da una notevole quantità di sangue rappreso, accumulato soprattutto in prossimità del ventre. Una spallina le si era accasciata sull’avambraccio, rendendo libera la vista di una porzione di seno, sodo e prorompente, sproporzionato in confronto all’esile corpo a cui apparteneva.
Escludendo gli abiti, l’aspetto della donna era più vicino a come vengono immaginati gli angeli, piuttosto che una creatura dell’oscurità: nonostante il suo corpo fosse esile, aveva le curve al punto giusto, lo sguardo scivolava senza interruzioni dal viso sino alle gambe e viceversa. Le curve erano al punto giusto, e perfette quasi quanto il volto. Fu quello a ipnotizzare definitivamente Kyle. Il volto formava un’ovale perfetto, le cui linee si addolcivano mano a mano che lo sguardo si avvicinava al mento; le labbra erano sottili e delicate, leggermente carnose, valorizzate dal naso alla francese, la cui forma pareva come indirizzare lo sguardo verso le labbra sottostanti; una ciocca dorata le fluttuava dinnanzi agli occhi, grigio chiaro, risplendenti come una perla di ghiaccio, al cui interno si nasconde un cuore d’acqua, colpita dai raggi solari. Per Kyle, quella era la donna più bella che avesse mai visto.
Lei smise di levitare, atterrando col massimo dell’eleganza. I suoi occhi lo fissavano, scrutando nei suoi, catturandolo e rendendolo privo di volontà. Sorrise, scoprendo due perfette file di denti, bianchi come neve appena depositata al suolo.
Kyle sapeva di non trovarsi al cospetto di un umano, anche se l’essere ne aveva le sembianze.
Come sottofondo sentiva ancora il continuo picchiettare di Riolu, che non si era accorto dell’apparizione.
- Riolu, credo sia meglio andarcene, vieni subito qui - Il ragazzo si girò verso di lui, cercando di attirare la sua attenzione.
O almeno così gli parve. Nella sua mente aveva pronunciato le parole. Le aveva sentite, era certo di aver chiamato a voce alta il suo Pokémon, ciò nonostante, dalle sue corde vocali non passò alcun filo d’aria, era diventato completamente muto.
- Riolu! - provò nuovamente a urlare. Così fece per diverse volte, ottenendo solo un suono gutturale ovattato, che non raggiunse che pochi centimetri dalla sua bocca.
Provò ancora.
E ancora.
E ancora.
Provò a urlare con quanto fiato avesse in corpo, con il solo risultato di sentire la gola andare in fiamme. Decise di smuovere con la forza Riolu.
Appena mosse un passo nella sua direzione, lei iniziò a piangere.
Kyle si girò nella sua direzione, la vide seduta sul pavimento, rintanata all’interno di una piccola nicchia laterale del tunnel, con le gambe strette al petto dalle braccia, la testa china su di esse. Si dondolava leggermente in avanti e indietro, alternando singhiozzi a lunghi lamenti. Le lacrime le stavano lentamente scivolando sulle guance, per poi lanciarsi nel vuoto, trovando la loro morte nella veste, dove si univa ai coaguli di sangue.
Sapeva di non doversi avvicinare, eppure il suo inconscio lo stava facendo avanzare lentamente verso di lei. Kyle provò ad arrestarsi, cercò di riprendere il controllo del suo corpo, invano. Era come se il pianto della donna fungesse da magnete, e il suo corpo fosse una sostanza magnetica.
Arrivò a pochi passi da lei, quando la donna alzò il viso. I suoi occhi erano ora irritati, a causa del violento pianto. Nonostante stesse piangendo da poche decine di secondi, gli occhi erano fin troppo arrossati. Kyle provò compassione per lei, anche se la mente gli urlava di scappare via da quel luogo.
Fece un altro passo nella sua direzione, e lei smise di piangere.
Ora lo stava fissando, con i suoi occhi rossi.
Per Kyle fu come venir circondato dalle fiamme.
Stava provando il suo stesso dolore.
Ed era tanto, fin troppo per lui. Si sentiva bruciare le interiora.
Sentì il suo corpo urlare di dolore, eppure lui fece un ulteriore passo verso di lei. L’attrazione era troppo forte per potersi tirare indietro.
Smise di piangere, lei, e questo lo risollevò un poco, senza togliere la sensazione di autocombustione.
Una mano venne allungata verso di lui. Sporca di sangue, muco e lacrime, imprimeva un dolore indicibile nel petto del ragazzo, che ora vedeva la sua mano alzarsi per cercare quella della ragazza.
Lei si sporse leggermente in avanti, toccando prima solo i polpastrelli del ragazzo, per poi richiudere la mano in una morsa, attorno a quella di lui.
Kyle sussultò, non aspettandosi tale velocità e forza da quel corpo esile.
Poi, accadde.
Kyle sentì letteralmente il mondo esplodere, quando lei iniziò a urlare.
Non era un urlo normale, di quelli che ti colpiscono i martelletti nelle orecchie.
Quello che sentì Kyle fu come una colossale esplosione. Percepì ogni singola cellula del proprio corpo venir colpita dall’impatto con l’onda sonora. Urlò a sua volta, inciampando sulle sue stesse gambe.
Riuscì a liberarsi dalla mano di lei, e cercò di coprirsi le orecchie, senza alcun risultato. Le grida di dolore della donna diventavano sempre più forti. Era insopportabile sentire quel lungo e tormentoso lamento. Kyle vide sgorgare fuori dalle sue orecchie sangue a fiotti, le sue gambe tremare e il petto iniziò a scricchiolare all’altezza del cuore. Quell’essere lo stava uccidendo.
Annaspò utilizzando le gambe, per allontanarsi da lei, arrivando vicino al piccone che reggeva fra le mani prima dell’incontro. Si rovesciò su di un lato, cercando di alzarlo, ma le forze lo avevano già abbandonato. L’unica cosa che riuscì a fare fu abbassare lo sguardo, verso il suo petto, vedendo le chiazze rosse che si stavano formando sulla sua T-shirt di Left 4 Dead, poi non vide più nulla, rimase solo l’urlo straziante di lei per qualche altro attimo, poi, il nulla.
 
Clank Clank Clank
 
Fu questo che fece rinvenire Kyle.
Sentì quel rumore diverse volte, crescente d’intensità.
Quando riaprì gli occhi, si trovò disteso sul suolo, completamente illeso. Riolu stava immobile davanti la parete, col piccone depositato ai suoi piedi. Era intento a osservare la parete, all’interno della quale si intravedeva uno scheletro metallico.
- Riolu non hai visto… nulla? Niente di strano? - chiese, massaggiandosi la nuca.
Riolu lo stava guardando con la testa leggermente inclinata sul lato destro, quando la scosse a destra e sinistra, dando una risposta negativa.
Il Pokémon prese fra le sue mani quelle del suo allenatore, sentendo la preoccupazione che si faceva sua. Ora lo guardava fisso negli occhi.
- Non ti preoccupare, sto bene… credo di aver avuto un incubo. Troppo lavoro fa male - sorrise, Kyle, cercando di essere il più convincente possibile. Ciò nonostante, era palese il terrore che si era dipinto sul suo viso.
Riolu lasciò lentamente la presa, a malincuore.
Kyle sorrise, per davvero stavolta, mentre accarezzava sulla testa il suo amico, che adorava essere coccolato in quel modo.
Riolu rispose lanciandosi fra le braccia del proprio allenatore, abbracciandolo e venendo stretto da Kyle. Il legame fra i due era sempre stato molto forte, dal primo giorno in cui si erano incontrati non aveva fatto altro che crescere sempre di più, rendendoli due fratelli.
La mente del ragazzo ritornò al suono metallico che aveva sentito in precedenza e che lo aveva risvegliato dal suo incubo. Rivolse la sua attenzione alla parete oggetto degli scavi, intravedendo qualcosa che prima non c’era, liscio e lavorato.
Si avvicinò, sollevando con fatica la grossa lanterna, la cui luce venne riflessa dal metallo, accecandolo.
- Questo è… è un pilastro! Riolu ci siamo, queste sono le fondamenta! Santo Arceus, due settimane di lavoro finalmente ci stanno ripagando. Veloce, torniamo indietro e andiamo ad avvisare Sur, sarà felicissimo di venire a conoscenza del risultato, forse la fortuna è finalmente dalla nostra parte - Kyle stava passando velocemente la mano sul pilastro, ripulendolo dalla polvere.
Le sue dita si muovevano velocemente, in cerca di una conferma. Era talmente euforico da non fare caso ai graffi che venivano inflitti ai suoi polpastrelli dalle pietruzze ancora attaccate alla lastra metallica. Stava iniziando a sanguinare, quando trovò quello che stava cercando.
Acciaierie Krupp. Scelte da Sua Santità. Anno 2046.
- Sì, sono loro! La data è esatta, quella di un anno fa, quando hanno iniziato la costruzione.
Riolu lo guardava, carico di energia. Non riusciva a stare fermo e quindi spostava il suo peso da una zampa all’altra, saltellando di tanto in tanto.
- Forza amico, corriamo al villaggio, abbiamo da lavorare nei prossimi giorni. Veloce!
Kyle lasciò cadere il piccone, raccolse una torcia dal pavimento e girò su se stesso, puntando verso il buio del tunnel. Non perse un attimo e partì, correndo a perdifiato. La torcia fra le mani si muoveva incessantemente, gli cadde diverse volte prima e fu raccolta altrettante volte, prima di trovare una posizione stabile. In quel momento Kyle sembrava più un ubriacone intento a inserire, senza riuscita, le chiavi di casa all’interno della serratura della propria porta.
Dopo l’ennesima caduta della torcia, si fermò, inspirò e cercò di calmarsi, ancorando saldamente la mano attorno al corpo in plastica allungata fuggiasco.
Ritrovato il giusto equilibrio fra euforia e pensiero critico, il ragazzo partì nuovamente in una corsa sfrenata, diretto alla sua base, seguito a ruota da Riolu, il quale continuava a sentire un qualcosa di strano nell’aria.
In effetti, poco dietro i due, là dove l’oscurità tornava a richiudersi, fecero capolino due gemme rosse fluttuanti.
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Vecchie Lacrime ***


Vecchie Lacrime

 
 
Kyle stava continuando la sua corsa incessante verso l’altro capo del tunnel, senza dare ascolto ai suoi muscoli che gli urlavano in ogni modo possibile di fermarsi a riposare. I polmoni erano diventati due braci ardenti all’interno del corpo del ragazzo: Kyle sentiva a ogni respiro l’aria fredda in lotta con il calore del proprio corpo, provocandogli quell’orribile sensazione di autocombustione, accompagnata dall’incessante martellare del dolore che sentiva sul fianco sinistro, causato anch’esso dallo sforzo.
Kyle però doveva correre, e non aveva tempo per fermarsi.
Ogni minuto passato era uno in più verso il fallimento del loro piano, e questo non lo poteva permettere, troppe vite dipendevano da ciò. Per questo corse, corse e corse ancora.
Per un breve istante guardò dietro di sé, trovando Riolu che lo seguiva a ruota, visibilmente meno spossato rispetto a Kyle, il quale diventava sempre più pallido.
- Non… vale… sei troppo allenato… io muoio e tu no… - disse, intervallando ogni parola da diverse boccate d’aria.
Riolu non sorrise come suo solito, anzi, si fermò di colpo; Kyle gli si avvicinò capendo immediatamente che c’era qualcosa di sbagliato in quell’atteggiamento.
Il ragazzo alzò il braccio con cui reggeva la torcia, proiettando un fascio di luce sul viso di Riolu, il quale rimase impassibile, con la stessa espressione assunta durante il loro discorso telepatico di poco prima.
- Riolu, che c’è? Cosa fai amico?
Lui tese le orecchie, per poi voltarsi di scatto verso il tratto di galleria già percorso. Alzò a sua volta la propria torcia, illuminando il percorso. Lo scrutò a fondo, passando molto lentamente da una porzione di rocce e terreno a un’altra, analizzò ogni minimo particolare, archiviandoli nella propria memoria, in attesa di ciò che stava cercando.
Kyle puntò allora la sua torcia nella stessa direzione del fascio luminoso già esistente. Così facendo il campo visivo si ampliò notevolmente, denudando le pareti dal velo di tenebre che le avvolgeva, nascondendo la loro vera forma a occhi indesiderati. L’unica cosa che i due furono in grado di vedere e sentire furono le rocce e le gocce d’acqua che cadevano dal soffitto andando ad alimentare minuscole pozzanghere colme di sali minerali.
- Che cerchi, non vedi che non c’è nulla? Dai Riolu dobbiamo fare presto, rimettiamoci in marcia.
Riolu, però, rimase fisso sulla sua posizione, continuava a osservare la galleria. Il ragazzo gli si avvicinò, mettendogli una mano sulla spalla; questo fu come un antidoto per la paralisi momentanea di Riolu, il quale si girò di scatto, spaventato.
- Ehi calma amico, non c’è niente di cui preoccuparsi, vedi? Solo rocce e terra, unite a terra e rocce, inoltre l’unica entrata è quella dove ci stiamo dirigendo noi due, non può esserci niente di pericoloso lì, fidati.
Riolu tentennò, ritornando a illuminare la galleria alle sue spalle, disperdendo le prime ombre. Questo rivelò nuovamente la totale assenza di movimenti fra le pareti, cosa che tranquillizzò il Pokémon.
-Allora, andiamo? - chiese Kyle, indicando la via con la sua torcia.
Riolu fece cenno di sì col capo, per poi incamminarsi, superando Kyle, il quale restò per un attimo fermo sui suoi piedi, osservando la galleria.
-Nulla… - sospirò, rassicurato dalle sue stesse parole.
Il ragazzo si girò, riprendendo la sua marcia: passò dal passo svelto alla corsa sostenuta in pochi metri, poi, come colto da una paura infantile, avvertì un brivido lungo la schiena.
Si ricordò di tutte le volte in cui, da piccolo, scappava da una stanza non appena spenta la luce.
Ricordò la sicurezza delle proprie teorie, secondo le quali, non appena una stanza veniva lasciata al buio, i mostri all’interno erano autorizzati a rincorrere e trascinare con loro nelle tenebre tutti i bambini che non li temevano e scappavano. Kyle non era uno di quelli. Da buon fifone, preferiva lasciar spegnere la luce a qualcun altro, e quando questo non era possibile, preferiva spegnerla allungando un braccio all’interno della sala, col corpo già pronto alla fuga verso la sicurezza e protezione della luce.
Ricordò la sensazione che provava da piccolo quando iniziava a correre a perdifiato, soprattutto per le scale della cantina, immaginando qualche oscura entità alle sue calcagna. A volte riusciva a sentire anche il loro respiro sul collo, con la sicurezza che se si fosse fermato, o girato, la pena sarebbe stata la morte. Ebbe paura da piccolo, e ne provò ancora in quel momento, nonostante fossero passati dodici anni.
Stavolta non solo lo immaginò, lo sentì proprio sulla sua pelle, la quale si accapponò all’istante: un alito di vento lo raggiunse all’altezza della nuca, per poi ridiscendere lungo la colonna vertebrale.
Fosse stato solo quello, non avrebbe avuto paura più di tanto, non avrebbe corso come un pazzo.
Il vero problema fu quello che il vento portò con sé, parole.
Kyle riuscì a percepire poche lettere, prima che ogni singolo atomo del suo corpo gli urlasse di correre come mai prima per salvarsi la pelle. Giunse forte e chiaro al suo cervello, nonostante fosse appena udibile: “ti ve… ro mi…”.
Il ragazzo strabuzzò gli occhi, incredulo e impaurito. Immediatamente iniziò una lotta all’interno del suo cervello, fra la parte razionale e la parte impulsiva.
La prima a prendere parola fu quella razionale, incarnata, nella mente di Kyle, dal Dio romano Apollo.
- Qui bisogna mantenere la calma, non è possibile un fenomeno del genere, sicuramente ci sarà una spiegazione logica, mio caro. Fermati, illumina il retro del tunnel e conferma l’ipotesi secondo la quale nessun essere paranormale ti insegue. Sarà una brezza sotterranea nata in una fenditura fra la roccia e il pilastro poco prima portato alla luce. Mi raccomando Kyle, calmo e razionale, con la ragione si supera tutto.
Fu questo il momento in cui la parte impulsiva, travestita dal Dio romano Dioniso, completamente in contrasto con Apollo e il suo incitamento, prese il proprio turno, pronunciando tre semplici parole: “Corri maiala, coooooorriiii!”.
Kyle, da buon ragazzo intelligente e razionale, prese alla lettera le parole della parte impulsiva, iniziò a correre, spingendo sempre di più con le gambe sul terreno, cercando di avere la massima velocità e accelerazione. In pochi secondi raggiunse Riolu, lo raccolse al volo e se lo posizionò sulla spalla sinistra, senza fermare la sua corsa.
Corse ancora, e corse ancora, sembrava una distanza infinita quella che stava percorrendo, il tempo si era dilatato, facendogli sembrare pochi attimi in più di ore e ore.
Finalmente riuscì a intravedere la luce salvatrice che si faceva strada nel buio, proveniente dal loro nascondiglio sotterraneo.
Riolu continuava a cercare di attirare l’attenzione di Kyle, colpendolo sulla spalla, senza però il minimo risultato. Il ragazzo era in modalità fuga, e non riuscì a sentire nulla al di fuori di Dionisio che continuava a urlargli nel cervello.
A pochi metri dall’arco da cui si propagava la luce, inciampò e cadde, graffiandosi le braccia e le mani, poste a protezione della faccia. Rovinò per un paio di metri, prima di fermarsi.
Quando finalmente aprì gli occhi, Riolu era in piedi di fianco a lui, completamente illeso.
Kyle guardò dietro di sé, sentendo il buio della galleria urlare di rabbia per essersi fatto scappare la sua preda.
 
- Ragazzo, che ti prende? - chiese la voce proveniente dalle sue spalle.
Kyle si voltò di scatto, lanciando la torcia che aveva in mano verso il suo interlocutore inaspettato. Il colpo andò a segno, dritto al ventre di Sur, che si piegò su di sé per il dolore.
- Diamine figliolo, sono vecchio, queste cose non si fanno… bel colpo comunque… ah cazzo
- Sur! Scusami, è solo che lui, o meglio lei, stava urlando, quindi io ho corso. Anche perché c’era il coso di acciaio in mezzo al muro, era un casino lì dentro… e poi il buio mi correva appresso! Si muoveva! E poi e poi…
- Calma! Ragazzo, tu hai passato fin troppo tempo dentro quella galleria, ti avevo detto di non restarci più del dovuto, il tuo cervello stava andando a puttane.
- No, Sur, non è vero. Credimi io ho visto quella donna, l’ho sentita urlare, e ho sentito anche l’oscurità cercare di aggrapparsi a me e trascinarmi nelle viscere della Terra.
- Kyle, non è che hai mangiato qualche funghetto che hai trovato nella galleria? Doveva essere qualcosa di molto ma molto forte.
- Ti dico la verità! Ho visto quella donna, l’ho sentita urlare, e mi stava uccidendo quel tremendo suono. Riolu mi ha salvato, nonostante non mi potesse sentire. Era come se fossimo stati divisi da una parete di vetro insonorizzato, però lui ha colpito col piccone uno dei pilastri in acciaio che cercavamo e il rumore del metallo contro metallo l’ha fatta scappare-
- Non mi stai mentendo, ragazzo? Tu e Riolu avete davvero visto questa cosa?
- Sì.
-E avete trovato il primo pilastro?
- Di nuovo sì.
- Nient’altro di strano? Qualsiasi cosa successa dovete dirmela, assolutamente.
- No, questo è tutto Sur- Kyle decise di tenere per sé la chiacchierata mentale col suo Riolu.
- Va bene, allora ci siamo?
- Sì, Sur, l’abbiamo raggiunto.
Kyle poteva vedere la felicità negli occhi del suo superiore. Dall’ultimo colpo fallito non lo aveva visto più così felice. Quella sconfitta lo aveva deluso a fondo, e ora Kyle leggeva nel suo viso la voglia di rifarsi e di rimettersi in gioco. Il ragazzo poteva notare una scintilla di speranza farsi largo fra le curve delle rughe facciali di Sur, cavalcandole come un surfista in un mare carico di onde così alte da sfidare la forza di gravità, vincendola prima dell’inevitabile discesa, momento in cui si può approfittare della rinnovata velocità per rimettersi in gioco. Allo stesso modo viaggiava ora lo stato d’animo di Sur.
- Kyle tu non sai quanto ci sarà d’aiuto tutto questo, se tutto andasse nel verso giusto, la nostra casa ne gioverebbe e non poco. E Arceus sa quanto ne abbiamo bisogno ora, siamo quasi allo stremo- una lacrima spiccò un balzo da una delle creste rugose sul viso di Sur, diretta verso il suolo.
Kyle la vide. In essa si concentravano tutte le preoccupazioni, le paure, i ricordi e le speranze dell’uomo che aveva di fronte. Il tempo gli parve fermarsi, si prolungò improvvisamente, ripetendo lo stesso fotogramma all’infinito all’interno della testa del ragazzo. Kyle vide in quella lacrima centinaia di persone affamate, prossime alla morte.
Vide bisognosi di cure elemosinare medicinali per le strade.
Vide senzatetto ringraziare infinite volte quando una famiglia lo accoglieva in casa propria.
Vide tutta la sua gente, intenta ad aiutare ognuno il prossimo, indipendentemente dal rango sociale o dalla disponibilità di materie prime.
Vide quella ragazzina di tanti anni fa, in fila per la razione giornaliera di zuppa, cedere il suo pasto al ragazzino poco dietro di lei, che altrimenti sarebbe rimasto senza cibo a causa della carenza di rifornimenti. Provò nuovamente la stessa sensazione di meraviglia, sentì la stessa bontà irradiata dagli occhi di lei colpire il suo cuore, inducendolo a riflettere
 
È questo che si fa in famiglia, si divide e si aiuta per primi i bisognosi. Quella ragazzina ha rinunciato al suo pasto pur di far mangiare uno più piccolo e debole di lei. Noi non siamo tante persone messe assieme, non siamo semplici ribelli fuggiaschi. Noi siamo una grande famiglia, ci sosteniamo uno con l’altro, contro le ingiustizie e le repressioni. È questo che siamo, e io ne sono fiero.
 
Il pensiero della ragazza benevola si ricollegò ad altri innumerevoli episodi di condivisione e bontà a cui aveva assistito. Uno in particolare ritornò alla sua mente, imponendosi sugli altri: il giorno in cui tutto cominciò.
Ricordò il ritorno trionfale di Cole all’interno del Quartiere 16, seguito a ruota dal suo Rypherior che trasportava diverse tonnellate di provviste. Lo rivide sorridere, distribuendo razioni gratuite a tutti. Vide se stesso, in piedi di fronte a lui, aspettando per un suo abbraccio, che mai più arrivò.
Gli unici ad arrivare furono i Sacerdoti, Cole non ebbe neanche il tempo di girarsi.
Fu a questo punto che il tempo riprese a scorrere davanti agli occhi di Kyle, riportandolo al fiume in corsa della realtà.
Sur lo aveva osservato per tutto il tempo, cercando di decifrare il suo stato d’animo. Gli avvicinò una mano al volto, accarezzandogli una guancia.
- Ehi… che ti prende, non sei felice? Abbiamo trovato il punto dove infiltrarci, avremo cibo e provviste in sufficienza per molto altro tempo, non sei felice?
- Sì, certo. Stavo solamente pensando, è tutto ok.
- Ho visto altre volte quello sguardo, so che non è niente di buono. Forza, non obbligarmi a dirlo a Daisy, sai che ti uccide
- Questo è un ricatto, dov’è finita la libertà del decidere se condividere o meno i propri sentimenti?
- Morta, la poverina ha contratto l’Ebola. Per fortuna non ha sofferto- disse sussurrando Sur.
- Ti sembra questo il momento di scherzare!?
- Scusa, volevo solo scherzare.
- Pure io, tranquillo Sur.
- Hai la stronzaggine che cresce sempre di più, ma se vuoi parlare io sono qui, ok?
- Grazie Sur, non ti preoccupare però; stavo solo ripensando a quando abbiamo perso Cole…- Kyle abbassò lo sguardo, richiudendosi in se stesso come un bozzolo.
- Lo so, piccolo, lo so. Guardaci adesso però, grazie a lui il popolo si è risvegliato: è opera sua tutto questo. È grazie a lui se la rivolta è esplosa, ci ha invogliato a ribellarci, quindi tutto questo è un suo figlio, non trovi? - Sur gli stava sorridendo, alzando l’angolo sinistro della bocca, come era suo solito nei momenti in cui si sentiva il nuovo Seneca.
- Hai ragione… - Kyle vuotò completamente i polmoni al pronunciare l’ultima sillaba della frase.
-Ecco vedi? Dai sorridi, la vita è bella, don’t worry, be happy.
- Dove l’hai sentita, quella?
- Bob Marley, ma tu sei troppo giovane e troppo poco educato in musica per poterlo conoscere, un giorno te ne parlerò, ma adesso abbiamo cose più importanti da fare.
- Diciamo agli altri del traguardo raggiunto?
- No no, meglio dirlo domani mattina, lasciali dormire ora. Se dovessimo dirglielo, non ci sarebbe uno solo di loro che aspetterebbe domani per lavorare, ed è meglio lasciarli riposare, domani mattina li avviserò io all’alba, in modo da poterci preparare per bene.
- E cosa allora, Sur? - chiese dubbioso Kyle.
-Dobbiamo scoprire chi era quella puttanella che ti ha attaccato, no? - ammiccò il brizzolato.
Solo allora Kyle si accorse che i capelli di Sur stavano diventando bianchi piuttosto in fretta, una settimana prima erano del tutto diversi. Kyle li ricordava folti, voluminosi e di un nero acceso, sembravano appartenere a una di quelle vecchie stelle del cinema di cui aveva visto le locandine dei film una volta, mentre saccheggiavano un vecchio cinema, in cerca di tessuti e cavi elettrici.
Adesso, invece, sembravano morenti, dal colore spento a causa dello spesso strato di polveri che si era accumulato durante gli scavi, e il colore bianco stava prendendo il sopravvento sul nero.
Sur gli sembrava improvvisamente più vecchio, e questo non gli si addiceva per niente. Kyle lo aveva sempre visto allegro, felice e iperattivo: era il primo a proporsi in qualsiasi tipo di lavoro, specialmente quando si trattava di scavare lui era un maestro; e nessuno era in grado di ottenere gli stessi risultati raggiunti da Sur, la galleria appena scavata aveva soltanto quattro giorni di vita, così come il campo base.
- Ragazzo mio, smettila di fissarmi, stai diventando inquietante.
- Scusami Sur… mi ero accorto dei tuoi capelli, e volevo chiederti una cosa.
- Shampoo tre volte a settimana, con un pizzico di linfa dal bocciolo del mio Ivysaur- sorrise nuovamente lui.
- Non quello! - rise forte Kyle.
- Volevo chiederti come fai a essere così bravo negli scavi- disse, cercando di contenere le risate per non far uscire solo dei versi gutturali dalla bocca.
- Sono un ingegnere edile, non vedi quanto è figo il campo base? Merito mio!
- Quindi sei andato a scuola!
- No, mai andato in vita mia. Un titolo si può ottenere anche senza studiare, basta leggere tanto, fare applicazioni nella vita vera, non scoraggiarsi mai, e farsi un poco il culo, tutto qua.
- Quindi hai fatto tutto da solo!? Io so che ci vogliono anni e anni per studiare bene.
- Non da solo, con Earl
- Earl? E chi è?
- Il vecchio da cui ti voglio portare, fidati che se c’è qualcuno che conosce tutto, quello è Earl. È proprio dall’altra parte del campo, nella mia tenda. È venuto a trovarmi, sei fortunato.
Kyle lo guardava dubbioso, notando un sosia del precedente sorriso. Stavolta entrambi gli angoli della bocca erano rivolti verso l’alto. Questa espressione inquietava abbastanza Kyle, nonostante conoscesse il vecchio Sur fin da quando riusciva a ricordare, gli ricordava uno di quegli orrendi pupazzi dei clown che lo avevano sempre terrorizzato.
Sbatté diverse volte le palpebre, facendo allontanare quei pensieri e facendo riapparire davanti ai suoi occhi l’immagine familiare e tranquillizzante di Sur, un po’ più vecchio di quanto lo ricordasse, ma pur sempre il suo amico Sur.
- Va bene, fammi strada allora… speriamo bene.
I due si incamminarono, seguiti a ruota da Riolu che era rimasto in disparte durante tutta la conversazione, troppo occupato nell’osservare l’apertura della galleria, completamente al buio, nonostante ci fossero diversi neon posti nelle vicinanze. Con diffidenza il Pokémon gli diede le spalle, per raggiungere gli altri due del suo gruppo.
 
I tre oltrepassarono i cumuli delle poche pale unite ai vecchi picconi arrugginiti che componevano il misero attrezzamento del loro gruppo. Alcuni di loro erano costituiti da un semplice bastone a cui era stata legata una grossa pietra, opportunamente levigata sulla punta, in modo da renderla più funzionali. Agli occhi di Kyle quelli non erano semplici utensili, bensì la loro via d’uscita dal momento di difficoltà, erano gli strumenti che li avrebbero portati al deposito del centro commerciale.
Kyle volse lo sguardo verso la grande tenda, i cui lati erano stati sostituiti con del plexiglass bucherellato, adibita a mensa. Al suo interno vi scorse tutti gli uomini e i Pokémon, prima impegnati a liberare dalle rocce la galleria, ora impegnati a saziare la loro fame con quel poco che restava. Solo la birra artigianale abbondava. Aiutava chiunque in quella sala a ritrovare la giusta voglia di dormire, anestetizzando ogni tipo di preoccupazione o dolore dovuto al troppo lavoro. Quella era la sera in cui chiunque poteva, per qualche ora, essere libero di essere felice. Kyle li vide tutti, uomini e Pokémon, scherzare e ridere assieme: un Hitmonlee e un Hitmonchan stavano ballando su di un tavolo, accompagnati dal battere di piedi e boccali di birra su ogni tipo di supporto, nel mentre gli uomini intonavano diversi canti, tutti con riferimenti alla giornata passata, e al seno della barista.
- Perché cantano quelle canzoni così strane? - chiese Kyle.
- Perché quello è Jazz, Kyle. È davvero molto, molto vecchio come genere, per questo le nuove generazioni non lo conoscono: il Sacro Ordine ha distrutto tutto ciò che non fosse la loro musica - Sur pronunciò le ultime parole colmo di disgusto.
- E quei temi così… normali?
- Appunto, questo è il Jazz, improvvisazione su di un fatto appena accaduto, per farla facile. Poi la barista ha delle belle poppe, è Joy?
- Sì, almeno così mi pare.
- Beh, è sempre stata una bella ragazza. Kyle dovresti provarci.
- Ma cosa dici, Sur! Ha come minimo cinque anni in più a me! E poi, non dovevamo andare da Earl?
- Ragazzo tu togli tutto il divertimento, ogni tanto una risata nella vita devi farla. Se vivi solo per lavorare ed eseguire gli ordini, poi cosa ti resta? O meglio, tu dove resti?
- Io? Scusa che significa?
- Quando lo capirai, te lo dirò. Ora… andiamo da Earl - disse Sur, incamminandosi per la via mal illuminata.
Kyle e Riolu iniziarono poco dopo la marcia, seguendo Sur passo dopo passo, inoltrandosi in una crescente oscurità.
Riolu avvertì nuovamente la sensazione provata poco prima nella galleria, mentre Kyle avvertì la mente di Riolu avvicinarsi timidamente alla sua.
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Whispers In The Dark ***


Whispers in the Dark
 
 
I tre si lasciarono alle spalle tutta l’allegria e i canti provenienti dalla mensa dell’accampamento, dirigendosi verso la tenda di Sur, dove alloggiava Earl.
Kyle, passo dopo passo, era visibilmente più rilassato, conscio della sempre crescente lontananza che si interponeva fra di lui e quella strana creatura. Cercava costantemente di distrarsi, dirigendo lo sguardo verso i vari lampioni a led, evitando così le zone d’ombra che tanto lo inquietavano. Non appena il suo sguardo si dirigeva dove la luce non riusciva ad arrivare, la razionalità lo abbandonava, lasciandolo in balia di tutte le sue paure. Un senso di angoscia cercava costantemente di imporsi nel suo cervello, facendo continua pressione nelle pareti della sua mente. Graffiava, mordeva e colpiva tutto ciò che riusciva ad avere a tiro, sbaragliando ogni tentativo del ragazzo di rimanere lucido.
Lei era di nuovo lì, riuscì a vedere i suoi occhi cremisi che lo osservavano nel buio. Il pianto di lei stava nuovamente raggiungendo le orecchie del ragazzo che, preso dalla paura, incominciò a sudare freddo. Gli sembrò di vederla addirittura sorridergli, lasciando intravedere le zanne con cui l’avrebbe successivamente sbranato.
Quel pensiero scomparve, la sua mente venne liberata da tutto, restando completamente vuota. Kyle sentì uno strano calore irradiarsi dal suo petto in tutto il corpo, la testa gli girava, per qualche attimo i suoi occhi non vedevano altro se non la luce dei lampioni sparsi per il campo base. Timide, le sagome delle tende che lo circondavano, rientrarono nel suo campo visivo, accompagnate dal debole chiarore delle luci. Il ragazzo sentì un calore intenso alla mano sinistra.
Abbassò lo sguardo, Riolu stringeva forte la sua mano. Il Pokémon gli parve molto più rilassato rispetto a pochi minuti prima, adesso sorrideva guardando nella sua direzione; a Kyle parve che si stesse ripetendo lo stesso evento di poco prima.
 
Chissà se davvero riesce a sentire i miei pensieri o mi sono sognato anche quello…
 
Riolu tirò la mano che stava stringendo, portandosela sul capo.
- Lo prendo come un sì…-  disse il ragazzo.
- Hai detto qualcosa, Kyle?
- No no, niente Sur, stavo chiedendo a Riolu come si sentisse.
- E va tutto bene, piccolo? -  chiese Sur, inginocchiandosi per arrivare all’altezza del Pokémon.
Riolu sorrise nuovamente, cercando di celare il suo vero stato d’animo. Pensava che far capire ai due umani che qualcosa non quadrava in quel momento non avrebbe sicuramente aiutato a risolvere la situazione e, anzi, li avrebbe allarmati per nulla. I suoi sensi gli dicevano che c’era un nemico nei paraggi, era quasi sicuro di sentirne l’aura. Però, proprio quel “quasi” lo tratteneva dall’avvertirli. Sapeva di non avere ancora la certezza, e fino ad allora sarebbe stato lui a vegliare su di loro.
Ci fu un blackout momentaneo. I lampioni si spensero, e con essi anche l’attività cardiaca di Kyle.
Il ragazzo si girò istintivamente in direzione di Sur, chiamandolo per nome.
- Sur… che succede?
- Mh… ci mancava solo un guasto al generatore, senza corrente qui non si vedrà più nulla. Kyle, dobbiamo andare a vedere, seguimi-  accese la torcia che portava fissata al taschino della sua camicia bianca, resa logora e ingiallita dal tempo.
- Va bene. È tanto lontano?
- Non molto, due minuti a piedi.
- Ok, allora vediamo un po’ che è successo. Riolu tu fai attenzione, e al minimo movimento avvertici.
Sur faceva da capogruppo, facendo scorrere fra le dita la Pokéball resa piccola come una caramella grazie alle innumerevoli innovazioni scientifiche.
Riolu, che si trovava alla sua destra, fu il primo a notare lo strumento tecnologico fra le mani di Sur. Era in contraddizione con tutto ciò che era il suo possessore: le mani, sporche e annerite dalle fatiche, riuscivano a tenere la presa su quel piccolo oggetto bianco come una perla, lucente nel flebile bagliore irradiato dalla torcia. Riolu si concentrò sulla sfera bianca, riuscì a sentirne le emanazioni: una potenza immane raggiunse il Pokémon, accompagnata da un gradevole profumo di erba fresca e fiori delicati. Sulle prime, Riolu rimase scioccato dal potenziale del Pokémon contenuto all’interno della piccola perla fra le mani di Sur, poi il profumo dell’erba lo rapì, facendolo ritornare indietro nel tempo, quando assieme a Kyle e Cole era solito fare lunghe passeggiate fra i boschi intorno alla sua casa, la guerra ancora non infuriava in ogni parte del mondo e Riolu sentiva ancora i Pidgey cinguettare. Gli vennero a mente tutte le volte in cui aveva provato a cavalcare l’allora Rhydon di Cole, col solo risultato di fare voli di decine di metri e provocare il riso dei due umani.
- Ehi Sur, dove hai preso quella Pokéball così strana? -  la voce di Kyle riportò Riolu alla realtà.
- Ah questa? Un mio vecchio amico la fece per me, era l’uomo più bravo nel suo mestiere. Pensa che ogni sua Pokéball era speciale, unica e con una qualche abilità speciale non replicabile.
- Cosa? E come è possibile una cosa simile? La tua che abilità ha?
- Calma ragazzo, una domanda per volta. È possibilissimo, credimi. Non posso dirti come abbai potuto fare qualcosa di simile, ma ti assicuro che ne era in grado, e rifiutò ogni tipo di proposta dalle grandi industrie produttrici di Pokéball.
- Perché?
- Perché a volte un uomo decide di fare qualcosa di buono, e non rendere usuale qualcosa che è unico, da persona a persona. Poi immagina, se usando la sua invenzione avessero creato una Pokéball infallibile, a basso costo, cosa sarebbe successo? Niente più Pokémon selvatici, kaputt. Vivrebbero solo in cattività, e senza di loro, la natura che fine farebbe?
- Kaputt… -  disse Kyle, tremando involontariamente.
- Esattamente: l’uomo vuole troppo, Kyle, ricordatelo. Questo può portare alla sua distruzione in pochissimo tempo.
- Cavoli…
Kyle si accorse della strada già percorsa soltanto quando furono vicini alla loro meta. Diverse scariche elettriche di debole voltaggio gli attraversarono il corpo, provocandogli una strana sensazione di prurito. L’elettricità percepibile era così tanta da renderne l’aria completamente satura.
Davanti a loro si trovava una piattaforma ottagonale composta esclusivamente da gomma, sopra la quale si trovava una lastra d’acciaio, usata per accumulare l’elettricità in un punto. Ai suoi vertici, per fissarla al terreno, erano stati usati degli enormi bulloni, collegati a diversi fili che poi si riunivano all’interno di un generatore vecchio e borbottante.
Un Raichu visibilmente sfinito era intento a riversare scariche elettriche sulla struttura accumulatrice. I lampioni lì intorno emanavano una luce flebile e morente.
- Il nostro generatore è un… Raichu? -  chiese Kyle.
- Non solo, guarda -  Sur indicò una figura nell’ombra.
Kyle vide un’ombra enorme sollevarsi da una brandina improvvisata con paglia e foglie secche. Doveva essere alto almeno due metri secondo il punto di vista del ragazzo, e ne ebbe la conferma quando fece il suo ingresso nella poca luce presente. Il Pokémon era completamente giallo, con dei motivi neri a linea spezzata che gli percorrevano il corpo, braccia muscolose e due antenne gialle gli dominavano il cranio. Lui si stiracchiò allungandosi verso l’alto, per poi far schioccare il collo e le mani, stringendone una nell’altra. Sbadigliò, mostrando due enormi canini argentei nell’arcata superiore della bocca. Il Pokémon si avvicinò alla piattaforma, alzando il pugno all’altezza della spalla. Il Raichu sorrise, spostandosi dalla sua postazione andando verso la brandina, a metà strada i due battettero i pugni all’unisono, come Kyle aveva visto fare molte e molte volte Cole con i suoi colleghi.
- Ecco, era soltanto il cambio fra Raichu ed Electabuzz.
- Cambio? -  chiese Kyle.
- Già, fanno a turno per generare energia elettrica, senza quei due noi saremmo leggermente fottuti. Niente corrente uguale buio come il buco del culo.
- Quindi il merito è loro, ma non si stancano?
- Certo che si stancano, come chiunque qui. Nonostante questo devono farlo, ognuno dà il proprio contributo alla sua gente, siamo una famiglia, Kyle.
- Dai e ricevi, giusto?
- Esattamente.
- Capito… -  Kyle si chinò sulla brandina, portando il suo viso vicino al Raichu appena disteso. Gli accarezzò per qualche momento la testa, il Pokémon accolse felicemente il gesto del ragazzo, godendo della sua piccola ricompensa.
Sur stava osservando attentamente lo svolgimento dell’azione, mentre Riolu bruciava con gli occhi Raichu, geloso del suo allenatore.
- Cosa? Il suo piccolo momento del ricevere da parte mia.
- Va bene, quel Raichu se lo meritava davvero, ma ora che ne pensi di andare? Già abbiamo perso tempo e se non ci sbrighiamo Earl va a nanna e addio aiuto-  Sur sorrise nel vedere il piccolo gesto di Kyle, per poi riprendere il cammino.
- Certamente, vorrei capire che diamine fosse quella cosa che ho visto.
- Sempre senza dimenticare l’opzione dei funghetti….
- Sur, te l’ho detto. Niente funghi o altre droghe, non ho nemmeno diciotto anni!
- E con questo? All’età tua avevo un orto botanico a casa, era come vivere a Los Santos.
- E che città sarebbe? Mai sentita.
- Se solo tu fossi vecchio quanto me, allora mi avresti capito, e staresti lontano da qualunque donna si chiami Catalina.
- Un po’ più chiaro no eh, Sur?
- No. Ah voi giovani non avete mai avuto l’ebrezza di provare certe cose, sto iniziando a far scorrere la mia intera vita davanti agli occhi. Che palle, passa al prossimo capitolo.
- Sei di buon umore stasera, o sbaglio?
- Non sbagli affatto, ragazzo.
- Ovviamente…
- Ehi, Kyle, guarda che siamo arrivati, la tenda blu davanti a te.
 
Blu? Di blu non resta nulla su quella tenda. La sola cosa ben definita è l’ingresso, che è un buco.
 
- Come si suole dire, casa dolce casa.
- Dolce, ne sei sicuro? -  Kyle stava osservando le innumerevoli toppe che costellavano la superficie esterna della tenda, donandole infinite tonalità di blu. L’unico particolare che la divideva dal resto anonimo di tende rettangolari che la circondavano, era il restante di un’enorme scritta bianca, sul lato destro, ormai quasi cancellata dal tempo. Kyle riuscì a decifrare solo la parte iniziale del logo, che era più leggibile rispetto al resto.
- Deca… qualcosa.
- Decathlon. Una delle tende più costose che esistesse all’epoca. È enorme ed è una di quelle che si montano da sole in quindici secondi.
- Non sapevo avessi tanti soldi.
- Io non ho mai parlato di comprare, l’ho presa in prestito -  Sur sfoggiò un sorriso tale da far moltiplicare i suoi denti.
- L’hai rubata!
- Sì, forse.
- Sur sai che non si ruba.
- E allora adesso tu non potresti parlare con Earl, se io non avessi rubato quella tenda. È una catena cosmica, togli una tenda, e l’intero universo collasserà su se stesso.
- Dove hai sentito questa stupidaggine?
- In un qualche libro, ma non penso ci sia una tenda. Beh che vuoi fare, entriamo oppure no?
- Entriamo, voglio vederci chiaro -  Kyle si avviò verso l’ingresso, ma venne fermato da Sur.
- Le scarpe - disse lui.
- Devo proprio, Sur?
- Earl è strano, ti conviene fare come ti dico. Togli le scarpe e bussa.
- Ma è una tenda! Come busso?
- Tu fallo e basta.
Kyle si tolse le scarpe, le poggiò sul lato sinistro dell’ingresso e alzò il pugno, pronto a colpire la tenda. Fu immediatamente fermato da una voce proveniente dall’interno.
- Fermo, so che sei lì, entra pure, ma togliti le scarpe - il timbro era dolce, accogliente, quasi come se cercasse di avvolgerti con il suo calore, allo stesso modo di una sciarpa che viene usata per fasciare e riscaldare il collo nelle fredde giornate invernali, la sensazione che provò Kyle al petto fu più o meno la stessa. Anche se fu in quel momento che iniziò ad essere dubbioso sul voler entrare all’interno della tenda. Non gli erano mai piaciuti gli indovini e i chiromanti, lo inquietavano. Sapeva che non avevano i poteri che vendevano ai turisti, padroneggiando con l’arte dell’ammaliziare le carte, con cui lui al massimo riusciva a giocare a scala quaranta. E perdeva pure. Quello fu il primo segnale che Kyle percepì circa lo strano incontro a cui si stava preparando.
Il ragazzo non rispose, si limitò a scostare il lenzuolo consumato che rivestiva il ruolo di porta. Entrò, seguito da Riolu e Sur.
Diverse cose erano strane all’interno di quella tenda, prima fra tutte, l’enorme statua gialla sulla sinistra dell’atrio, raffigurante un’enorme e grasso uomo dorato, con le mani congiunte in segno di preghiera, una larga veste scivolava dalla spalla sinistra fin sul ventre, creando un triangolo rettangolo sul suo pancione. La statua scaricava il peso sullo spesso tappeto in stile indiano, attraverso le gambe incrociate al di sotto del sedere. Subito alla destra della statua si trovava un piccolo tavolino di legno, sviluppato in verticale, su cui poggiava una vaschetta con dentro diversi bastoncini profumati. Kyle riuscì a sentire fragranze come la vaniglia, muschio, petali di rose e cioccolato fondersi assieme, creando uno strano ma piacevole profumo. Dall’interno la tenda era ancor più grande di quanto sembrasse dall’esterno, ogni angolo era stato sfruttato, anche se in modo molto disordinato; in effetti Kyle notò diversi cumoli di vestiti e cianfrusaglie varie che passarono quasi indifferentemente sotto gli occhi di Kyle, il quale era più concentrato sui molti colori sgargianti che ricoprivano il soffitto. Era una piccola riproduzione del cosmo, con i vari pianeti dipinti su di uno sfondo blu notte. Le proporzioni erano state però violate: il pianeta Terra era circa dieci volte più grande del Sole. Al posto dei mari blu e le innumerevoli zone forestali, erano state dipinte centinaia di piccole fabbriche in acciaio, accompagnate da gruppi di alberi spezzati ai loro lati e un fitto fumo nero che mano a mano si allargava fino ad oscurare il cielo. All’interno del pianeta si trovava un cuore stilizzato, color rosso vermiglio, e anche qui il fumo si stava inoltrando, aprendosi delle vie simili a vene all’interno del nucleo vitale, infettandolo con la corruzione e l’avarizia dell’uomo. Kyle si sentì molto a disagio guardando quella cruda rappresentazione della realtà. Ne era sconcertato, e a un tratto percepì una strana sensazione di calore nel basso ventre. Quella era la verità, non ci aveva mai pensato prima d’ora, gli esseri umani stavano lentamente distruggendo tutto ciò che era la loro stessa casa: foreste bruciate, oceani inquinati e spopolati, i Pokémon che venivano usati come armi, per portare avanti le inutili lotte di potere a cui l’uomo è spinto per il suo egoismo. Gli parve di poter ascoltare le grida di terrore degli abitanti di quel pianeta dipinto sulla tela, esseri umani e Pokémon si disperavano cercando di trovare qualcosa da mangiare, mentre l’aria diveniva giorno dopo giorno più tossica, a causa del massivo inquinamento dell’uomo e delle sue azioni.
Fece un passo in avanti, e al contempo un passo nel buio. Kyle non vedeva più con i suoi occhi, la sua mente stava vagando. Lontane, alcune immagini si dirigevano verso di lui con accelerazione costante. Venne investito da una potente luce bianca, chiuse istintivamente gli occhi e andò in apnea.
Un leggero ronzio gli occupava i padiglioni auricolari, affievolendosi mano a mano che le immagini facevano il loro ritorno. Davanti a lui si trovava una gigantesca figura luminosa, emanava una calda luce bianca, la quale aveva l’effetto di un calmante su di Kyle: pochi attimi e si dimenticò delle sue sensazioni negative, della sua paura, delle ombre che lo rincorrevano nella notte, dei continui incubi e si liberò immediatamente della tristezza che in quel momento attanagliava il suo cuore. Non riusciva a fare altro se non fissare i due occhi lucenti dell’essere, fissi su di lui. Erano di un blu intenso, con diversi riflessi azzurri sparsi per le pupille che continuavano a muoversi e a scorrere da un lato all’altro dell’occhio, simili a tante goccioline di olio che in acqua, galleggiando, ora si uniscono, e ora si separano, in una perpetua danza apparentemente senza gravità.
I due enormi zaffiri dell’essere luminoso assalirono la sua mente, immediatamente tutte le difese psichiche di Kyle vennero frantumante; non fece male ma il ragazzo si sentì completamente nudo. Non riusciva a opporre resistenza, l’essere riuscì a scavare a fondo nel suo animo, osservando tutto ciò che era e era stato. Tutte le esperienze, le sensazioni, le parole dette, tutto. Ogni singolo ricordo del ragazzo venne messo alla mercé dell’intruso. Tutti, tranne uno, il suo incubo peggiore.
Lo sentiva avvicinarsi, era sempre più vicino. Il ragazzo provò con tutte le forze a non cedere, era una di quelle esperienze che nessuno vuole far sapere agli altri, perché se una cosa viene detta, verrà anche ricordata, e se viene ricordata nel tempo, non può mai morire, e Kyle aveva ucciso quel ricordo già troppe volte, non poteva permettere a nessuno di riportarla in vita. Quindi raccolse tutte le sue forze, e le convogliò a difesa del suo ricordo. L’energia mentale dell’essere si scontrò violentemente contro la barriera eretta dal ragazzo, e provò più e più volte a sfondarla. Colpo dopo colpo, Kyle sentiva le sue energie scemare copiosamente, un altro tentativo e l’essere ci sarebbe riuscito.
Si fermò. Kyle sentì la sua mente venir lasciata libera, anzi stava riacquistando velocemente energie, come se qualcuno o qualcosa fosse accorso in suo soccorso.
La creatura parve soddisfatta, nonostante il ragazzo fosse sicuro che se si fosse presentata l’occasione, sarebbe arrivato un secondo attacco.
La luce che investiva gli occhi di Kyle iniziò a diminuire, fino a che, dopo aver scostato uno dei suoi enormi arti superiori, la creatura mostrò una città al ragazzo. Si trovavano nei cieli, fra le opprimenti nuvole grigiastre che coronavano le alte ciminiere delle grandi industrie umane. Era come guardare dentro un vaso colmo d’acqua pura, Kyle vide la superficie incresparsi in certi punti, per poi defluire come onde marine verso i bordi della visione, scontrarsi con essi e poi fare ritorno indietro, percorrendo il percorso a ritroso.
Vide tutto ciò che il dipinto di poco fa gli stava trasmettendo: la Terra era davvero arrivata alla sua fine. Uomini in strada si uccidevano per un pezzo di pane, una madre urlava perché un uomo le aveva ucciso la figlia dopo che lei si era rifiutata di avere un rapporto con lui. Vide suo marito, appena tornato dalla ricerca di cibo, urlare di furia brandendo un’enorme mazza con cui colpì l’assassino. E li vide poco dopo, marito e moglie, piangere davanti il cadavere della piccola.
Vide interi ettari di terreno occupati da tronchi d’albero tranciati, non una zona verde si poteva vedere nel giro di chilometri. Carcasse di Pokémon costellavano il suolo, mezzi sepolti dalle polveri pesanti che saturavano l’aria.
Vide il mare nero come la pece, reso corrosivo dal troppo inquinamento, inghiottire onda dopo onda zone di terreno che, una volta circondate dall’acqua infetta, si dissolvevano al suo interno. Gli parve di caderci, in quell’inferno, dritto verso quell’enorme buco nero corrosivo. Mano a mano che si avvicinava alla superficie terrestre, Kyle sentiva il suo corpo venir letteralmente divorato dagli agenti patogeni abitanti l’atmosfera. Cercò di urlare, ma non appena aprì la bocca riuscì soltanto a inghiottire litri di nubi velenifere.
Il suolo era sempre più vicino, questione di pochi attimi e si sarebbe schiantato sulla superficie dell’acqua. Riuscì a sentire il tanfo nauseante dell’oceano, ma ad appena pochi metri dall’impatto, fu nuovamente investito da una luce bianca. Quando riaprì gli occhi si ritrovò completamente avvolto dall’oscurità, al cospetto dell’essere luminoso.
- Chi sei tu? Cosa vuoi da me? -  chiese il ragazzo, mentre le lacrime iniziavano a nascere dai suoi occhi.
Nessuna risposta, l’essere si limitò a indicarlo, per poi far ricadere il braccio lungo il corpo.
Un sussurro arrivò all’orecchio di Kyle, come se qualcuno nascosto dietro di lui stesse provando a suggerirgli la risposta.
- Devi dirmi chi sei! -  urlò Kyle.
Ancora nulla, se non un nuovo sussurro proveniente dalle spalle del ragazzo.
Kyle si voltò, ma non vide nulla. Si girò nuovamente verso l’essere misterioso, e venne investito da una potentissima scarica di luce bianca, così forte da accecarlo e da fargli perdere i sensi; la sua mente si offuscò, la sola cosa che riusciva a sentire era un calore che si propagava sul palmo della sua mano destra.
Riuscì ad aprire gli occhi dopo un lasso di tempo che non riuscì a definire, come se in quel luogo il normale scorrimento spazio-temporale fosse distorto. La prima cosa che vide fu il dipinto raffigurante il sistema solare, era nuovamente nella tenda di Sur. Sentiva una lieve pressione sulla mano destra, si impaurì credendo di aver portato con se un pezzo di quell’orribile mondo. Decise, titubante, di volgere lo sguardo in quella direzione, rasserenandosi a quella vista.
Riolu.

 
 
            - Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Bella Earl! ***


Bella Earl!
 
 
Tirò un sospiro di sollievo, era tornato alla realtà. Era la seconda volta in giornata che Kyle veniva salvato da Riolu, durante i suoi improvvisi viaggi della mente. Il Pokémon lo stava guardando con naturalezza, come se non fosse successo nulla; abbassò la testa su di un lato, corrugando la fronte, quando percepì che qualcosa non andava nello sguardo di Kyle.
Uno schiaffo lo colpì dietro la nuca.
- Che diavolo ti prende?!
- Ti eri imbambolato, e io ti ho risvegliato. Non ringraziare non serve - Sur sorrideva.
- Non stavo dormendo a occhi aperti… sto… sto bene.
- Dai che ora zio Sur ti porta da Earl e lui toglie tutti i tuoi dubbi.
- Va bene… senti, Sur, quella statua è tua?
- Quel panzone? No, è per Earl, lui è quasi un buddista.
- Quasi un che?
- Buddismo, era una religione esistente, diversa dal culto di Arceus, prima dell’avvento dell’Ordine. E quella è la loro divinità, credo, o meglio qualcuno di cui imitare lo stile di vita. Earl ne voleva una e quindi io l’ho - presa in prestito - da un magazzino statale.
- Presa in prestito?
- Sì, alla Homer Simpson.
- Ossia? Non l’ho mai sentito - chiese curioso il ragazzo.
- Significa che adesso è mia, e che la restituisco quando preferisco, quindi mai. E mi dispiace per te, quando sei nato i Simpson non esistevano più, quante cose che vi siete persi voi ragazzi, prima era tutta un’altra cosa. I bei tempi in cui la tua sola preoccupazione era capire come aveva fatto Homer a mangiare un panino di dieci metri… - lo sguardo di Sur si perse nel vuoto, mentre la sua mente tornava indietro di diversi decenni, verso un contesto completamente diverso, e meno pericoloso.
- Sur, non per qualcosa, ma non credo sia il momento di fare il nostalgico, dobbiamo andare o no da questo Earl? Ho bisogno di togliermi questa sensazione di morte da dosso.
- Oh certo, scusami caro, ora ci andiamo. Seguimi, qui dietro.
Sur aprì un’enorme zip laterale, all’interno delle pareti della tenda, da cui apparì l’ingresso della camera in cui si trovava in quel momento Earl.
Kyle mise il primo piede lì dentro, rimanendo stupito da tutti gli artefatti che erano stati deposti lì dentro.
Ovunque si girasse poteva vedere mimetiche militari, armi più varie, dai fucili d’assalto ai potenti fucili a pompa, granate, mine, giubbotti antiproiettili, spade medievali e, cosa che più lo sorprese, maschere tribali delle antiche tribù africane. Il tutto era riposto in delle teche di vetro completamente consumate dal tempo che, grazie agli agenti atmosferici più vari, era riuscito a rendere le pareti di vetro quasi impenetrabili dallo sguardo.
Il pavimento della stanza era rivestito da una spessa moquette, su di cui erano poggiati degli enormi cuscini rettangolari, le cui federe erano quasi completamente logorate dal tempo.
Le pareti presentavano innumerevoli foto molto vecchie, ritraenti diversi battaglioni d’esercito, ognuno dei quali era ritratto con la propria bandiera e ogni soldato imbracciava un fucile che poteva risalire alla seconda guerra mondiale.
Kyle si avvicinò ad una di esse, prestando la massima attenzione a ogni minimo particolare. La fotografia era danneggiata in più punti, specialmente vicino gli angoli, dove si trovava anche un’enorme buco dovuto probabilmente a una sigaretta. Il corpo centrale era occupato da circa una ventina di uomini, resi completamente gialli a causa dell’invecchiamento della carta. AI due estremi del gruppo in posa, si trovavano due bandiere, una complementare dell’altra: in quella di sinistra si trovava raffigurata la prima metà di un’enorme dragone spettrale, comprendente la testa e il busto, con gli arti che erano composti da strana materia gassosa. La seconda, posizionata all’estrema destra, comprendeva invece il lato inferiore del corpo, le cui zampe sprofondavano in un pozzo oscuro.
Dall’altro capo dell’asta che la reggeva, si trovava un bambino, sul cui capo volteggiava un Abra. I due sorridevano, nonostante le abrasioni che si trovavano lungo quasi tutto il loro corpo.
Riolu si avvicinò a sua volta alla fotografia che stava guardando Kyle, incuriosito dalle tracce di energia che rilasciava. Riusciva a sentirle a intermittenza, come un flebile calore che gli accarezzava la mente, attirandolo a sé. Era uno strano misto di felicità, stanchezza e paura, quello che stava sentendo in quel momento, e questo lo turbava. Era la prima volta che un oggetto inanimato inviasse delle piccole onde di energia nella sua mente, le poche volte in cui era riuscito a captarne di simili, era stato da persone o esseri viventi, che in qualsiasi caso possedevano un’energia vitale propria, e soprattutto viva. Non gli piacque ciò che stava succedendo in quella situazione, lo strano oggetto umano lo stava inquietando. Cercò affannosamente la mano di Kyle, per trovare conforto. La trovò giusto in tempo, prima di sbiancarsi per la paura.
- Ventotto Aprile, terzo anno di guerra - gracchiò una debole voce, proveniente dalle loro spalle.
Sur si voltò, incrociando lo sguardo dell’uomo.
- Bella Earl! - urlo, sorridendo come suo solito.
- Ehilà Gamberone! - ricambiò lui, sorridendo a sua volta.
Kyle si voltò, vide un uomo anziano, molto anziano, seduto su di un mucchio di cuscini. L’osservò alzarsi  e dirigersi verso di Sur, a braccia spalancate. I due si abbracciarono a lungo.
Earl era un tipo strano, molto magro, di piccola statura, con la pelle del viso così tanto piena di rughe da somigliare alle iscrizioni in braille che aveva visto diverse volte durante gli scavi.
I capelli erano completamente bianchi, lisci quanto nessuna donna della sua comunità poteva mai solamente aspirare ad averne. Indossava una lunga tunica, bianca anch’essa, dalle ampie maniche, su di cui si trovavano, ricamate, due fiamme, una azzurra, l’altra rosso vermiglio. Erano una speculare dell’altra, correvano verso tutta la lunghezza delle braccia, si lanciavano verso il basso tramite i fianchi della veste, e atterravano sull’ampia gonna, che copriva i piedi dell’anziano, unendosi lungo tutto il bordo, dando infine vita a una nuova fiamma, composta da vampe blu fuse con le loro sorelle rosso sangue.
- Tu sei Earl? - chiese timidamente Kyle.
- Signorsì, Caporal Maggiore della tredicesima divisione, nel fiore della mia carriera si intende, ma sono passati molti anni.
- Piacere, io sono Kyle - si avvicinò ai due, e allungò la mano verso di Earl, titubante.
- Il piacere è mio, ragazzo. So cosa ti stai chiedendo: sì sono bianco, ma non sono dell’Ordine, sono un rifugiato come voi, e odio quei luridi pezzi di merda; inoltre, in quella foto, io sono il bambino con quell’Abra vicino. Avevo più o meno sei anni.
- E a sei anni già eri un militare?!
- Quando la guerra ti porta via tutta la tua famiglia, trucidata davanti ai tuoi occhi, e tu vieni salvato da un Abra che miracolosamente si era rifugiato nello stesso fienile in cui eri scappato quando quel soldato nemico aveva preso il coltello, accompagnato dalle risa dei suoi commilitoni, allora l’età in guerra non conta. Ciò che importa è solo vivere, e uccidere il tuo nemico prima che lui uccida te.
- Mio Arceus… scusa io non sapevo….
- Ah tranquillo, non ci sono problemi. La guerra mi ha privato di tutto, ma mi ha anche donato il mio Abra, e col tempo sono finito qui, con voi, invece che trovarmi nell’oppressione delle città. Certo non dico che sia un bene, ma tanto male alla fine non mi è andata, sono ancora vivo, dopotutto - Earl allungò una mano, poggiandola sulla testa di Kyle per poi scombinargli i capelli.
Un’esemplare di Abra iniziò a fluttuare dietro la schiena dell’anziano, intimidito da Riolu. Volteggiò un paio di volte sulle teste dei presenti, per poi calarsi fra di loro, restando vicino a Earl.
Riolu si avvicinò, cercando di toccare la coda di quel Pokémon che, nell’aria, fluttuava e danzava come un fiocco di neve cadente, sospinto dal vento in modo irregolare.
Sulle prime Abra si mostrò impaurito dall’altro Pokémon, nonostante fosse incuriosito a sua volta.
- Ecco, e lui che si è auto presentato, è Abra, lo stesso che vedete nella foto.
- E non lo hai mai fatto evolvere dopo tutto questo tempo?
- No, lui non voleva, probabilmente, e io non l’ho mai catturato, viviamo assieme da quasi cento anni, e non ho bisogno di comandarlo, siamo amici e lui fa per me quello che io farei per lui.
- Aspetta un momento, hai detto cento anni! Ma quanto sei vecchio?
- Molto, Kyle, forse troppo - ridacchiò lui, prima di scoppiare in un violento attacco di tosse.
Si portò un fazzoletto di stoffa alla bocca, coprendo i suoni, mentre boccheggiava in cerca di una posizione migliore. Sur accorse in suo aiuto, sostenendolo nel durante.
- Ecco, vedi? Sono vecchio. Ma prima che si faccia tardi, perché sei qui, Kyle?
- Per una cosa che ho visto all’interno del tunnel, abbastanza complicato da spiegare in poche parole.
- Allora prenditi tutto il tempo che ti serve, noi mettiamoci comodi sui miei cuscini, ti va?
Kyle annuì, impossibilitato a parlare; incominciava a sentire un grosso nodo bloccargli la gola, annullando del tutto la salivazione.
- Lasciamo i due piccoli a divertirsi, fra poco faranno amicizia, non preoccuparti per il tuo piccolo Riolu.
- Va bene, Earl. Io mi siedo qui? - indicò un vecchio cuscino viola, molto grande e spesso.
- Certamente, adesso vai pure figliolo, io e Sur ci sistemiamo di fronte a te, così possiamo ascoltarti per bene. Abra, ti dispiace portare del the al nostro ospite? Ha la gola secca - il Pokémon acconsentì e si diresse verso la piccola dispensa, seguito a ruota da Riolu.
Kyle apparve visibilmente stupito.
- Non domandare, la risposta non è razionale, non capiresti. Coraggio, figliolo, parla pure.
- Ok… beh tutto è iniziato… - Kyle impiegò all’incirca un’ora nel descrivere l’incontro con la donna, soffermandosi anche sullo strano essere luminoso.
 
 Earl ascoltò prestando la massima attenzione, annuendo di tanto in tanto.
- Ragazzo, di tutte le esperienze vissute in vita mia, nessuna si avvicina a questa. Non ho mai combattuto contro di un essere simile, però forse ti posso aiutare, seguimi.
Il vecchio si alzò, e si diresse verso di una tenda nascosta dietro due tenute d’assalto, comprendenti anche due scudi antisommossa. Tirò una cordicella, e all’istante la tenda si divise in due, rivelando una libreria dal corpo in legno massiccio, sembrava pesare una tonnellata.
- Sur, ma questa non era la tua tenda? - chiese Kyle.
- Certo, ma sai com’è, gli anziani vanno accontentati, altrimenti se la prendono.
- Oh non solo per questo - s’intromise Earl.
- Se non mi fa portare la mia roba, gli spacco il culo, come i vecchi tempi, sotto le armi.
- Sur ha combattuto con te?! - quell’affermazione sconvolse Kyle, che se l’era sempre immaginato come uno che non appena poteva, scappava dalle fatiche.
- Già, ed era pure forte, quasi quanto me - disse con una punta di stanchezza facilmente riconoscibile nella sua voce, mentre tirava fuori dallo scaffale un’enorme libro.
Kyle intravide un luccichio proveniente dal fondo dello scaffale.
- Eccolo qui, questo può aiutarci - Earl poggiò il grande libro su di un tavolino vicino il mucchio di cuscini colorati.
- Che cos’è? - chiese Kyle, incuriosito dalla copertina raffigurante, in rilievo, una foresta al cui interno si materializzavano occhi fluttuanti nel buio, completamente rossi. La lingua utilizzata per il titolo era estranea per il ragazzo.
- Mitologia Nordica, questo libro ne raccoglie tutti gli aspetti, parla dei miti e le leggende di praticamente tutti i popoli appartenenti alle montagne a nord di Sinnoh, dove si trovava Nevepoli. Prima di noi, Kyle, sono vissuti moltissimi altri regni, questo ne è uno dei testimoni più antichi, è antecedente ogni sorta di scoperta tecnologica, quando i Pokémon erano completamente allo stato brado.
- Quindi è un raccoglitore di tutte le credenze dei popoli antichi?
- Esattamente, anche se, essendo loro contemporaneo, le differenziazioni sono fatte semplicemente in base a dove vivevano le loro tribù. Per esempio, credo che la nostra amica faccia parte delle tribù delle Foreste Nere.
- Le foreste nere…? Il nome non mi piace.
- Non ti preoccupare ragazzo, il nome è dovuto al fatto che lì il sole era molto raro - Earl rise sonoramente.
- Ricevuto… beh di che cosa si tratta allora?
- Aspetta, aspetta, lasciami il tempo di cercare le apparizioni femminili, poi vedremo a quale tribù era collegata, e da lì possiamo capirne la natura - Earl prese un fodero in cuoio da sopra il tavolo, e ne cacciò un paio di vecchi e consumati occhiali argentati, talmente opachi da non riuscire più a riflettere la luce che li investiva, ma ancora perfettamente utili al loro scopo.
Le pagine del libro scorrevano veloci sotto le avvizzite dita di Earl; l’odore di manuali antichi si iniziò a diffondere, penetrando all’interno del naso di Kyle.
- Adoro l’odore dei libri, hanno quel non so che di ipnotico, mi piace - inspirò a fondo, godendo degli impulsi che i suoi organi percettivi inviavano al suo cervello.
Earl si inumidì le dita passandosele sulle labbra, in modo da poter far scorrere con maggiore facilità la carta spessa che nascondeva al suo interno l’essenza di ciò che stava tormentando Kyle.
- Eccoci, in queste pagine ci sono le rappresentazioni di tutte le figure femminili, qui troverai la tua adorata perseguitrice, avanti dai un occhiata - Earl aggiunse una pacca sulla spalla del ragazzo, sorridendo.
Cercava di tranquillizzarlo, poteva ancora vedere i residui del terrore che aveva vissuto in poco tempo.
Kyle sfogliava e sfogliava, scrutando ogni singola figura, senza però ottenere nessun risultato: ogni immagine gli sembrava simile alla donna che aveva visto all’interno della galleria, era impossibile per lui distinguere una figura dall’altra, anche a causa del quasi totale sbiadimento delle sagome, il cui inchiostro aveva iniziato lentamente ad allontanarsi dal proprio solco originale, creando macchie sparse fra le pagine.
- Non riesco a capirci nulla, Earl. Le pagine sono troppo sbiadite per poter leggere qualcosa con questa grafia - Kyle continuava, invano, a sfogliare l’enorme libro, nella speranza di porre fine ai suoi dubbi e preoccupazioni.
- Aspetta - disse il vecchio - Ti aiuto io, guarda forse è questa!
Earl strappò il manuale dalle mani del ragazzo, portandolo avidamente vicino al viso, come se fosse il suo unico tesoro. Kyle venne sorpreso dalla sua reazione, era come se lui non contasse nulla in quel momento, nonostante si parlasse di ciò che lo interessava in prima persona. Inizialmente fu quasi disgustato dall’improvviso cambio di carattere di Earl; bastò vedere le successive mosse, per cambiare idea.
Earl prese un’enorme lente di ingrandimento, spessa diversi centimetri, e dal diametro abbastanza ampio da ricoprire completamente la sua faccia. La portò all’altezza degli occhi, focalizzandola sul libro.
- Non ci vedo, cataratta. A questo serve questo stupido vetro: credo di aver visto qualcosa che potrebbe essere la nostra indiziata. Il solo problema è che i miei occhi hanno visto troppe albe, e da soli non riescono a effettuare un buon lavoro, almeno nei particolari - Earl alzò lo sguardo, mostrando una faccia distorta, a causa dell’effetto di ingrandimento, al ragazzo.
- Oh capisco… cos’hai visto di tanto importante?
- Niente.
- Come niente? Ma hai detto di guardare, avevi trovato qualcosa!
- Non ho mai detto questo.
- Ciò che hai detto lo implica, però.
- Nondimeno non l’ho detto, ragazzo.
- E allora che cosa vuoi dire?
- Dico che fai troppe domande, e sei fortunato a non trovarti nell’esercito, altrimenti adesso ti ritroveresti a pelare patate per anni, oltre a dover rasare i peli sotto le ascelle del cuoco - Earl rise, Kyle parve sconvolto - Scherzo ragazzo, scherzo. Semplicemente mi è venuta in mente una creatura, forse è lei.
- Lei chi? Kyle era sempre più curioso, non poteva evitare di pensare alla vera identità di ciò che l’aveva quasi ucciso.
- Eccola! Una Banshee, mitologia delle tribù della Foresta Nera, come pensavo. Sono degli spiriti femminili, di solito appartenenti a una famiglia in particolare, ne erano le protettrici, in un certo senso. Viaggiavano spesso nei boschi, accompagnate dalle loro risa di vittoria, nel caso in cui muoia un membro di una famiglia rivale, oppure piangendo in modo straziante, a seguito della morte di un familiare. Si pensava che fosse sufficiente udire il loro pianto per far impazzire un uomo adulto, portandolo alla morte. L’unica cosa che non torna è il fatto che ti ha attaccato, non si registravano attacchi, almeno non voluti: si poteva venir attratti dal pianto, in quanto si voleva cercare di aiutare la donna in pericolo, ma quando se ne capiva la vera natura, era ormai troppo tardi.
- Santo Arceus, che brutto modo per andarsene… e c’è un qualcosa che le tenga lontane? Anche un amuleto o robaccia simile - Kyle era diventato completamente bianco, le gambe iniziarono a tremare sotto il peso del suo corpo, senza la sua approvazione.
- Mi dispiace, Kyle, ma la sola cosa che si può fare è interrompere il loro pianto, spesso rumori forti le fanno scappare, come a esempio….
- Un piccone contro una lastra d’acciaio?
- Esattamente, mi hai tolto le parole di bocca.
- Lo so, è stato quello a salvarmi, grazie a Riolu - Kyle si voltò in cerca dell’amico, che stava ancora giocando con Abra, correndo avanti e indietro per la tenda.
- Una delle poche cose che puoi fare, in questo momento, è tornare immediatamente da Daisy, e restare sempre in compagnia. Non restare mai solo, ragazzo.
- Lo farò, grazie mille, Earl. Posso fare qualcosa per ricambiare?
- Ruba tanta roba al magazzino, se c’è vorrei della Rap Cola, è la mia preferita.
- Vedrò di trovartene una cassa allora.
- In questo caso spero che la Banshee non ti prenda. Sur, che dici, vuoi accompagnare Kyle a casa sua?
- Sì certo, il bianco non muove il culo dai suoi bei cuscini e il nero deve fare il lavoro pesante, è ingiusto. E poi dormi nel letto comodo, voglio il mio avvocato.
- Non riapriamo questo discorso, ti offrii vitto e alloggio, ricordatene - Earl ammiccò verso di Kyle.
- Erano trent’anni fa! Ho diritto a picchiare il tuo candido culo da puretto del cazzo.
- Non vorrai obbligarmi a dire a Daisy che non hai voluto accompagnare Kyle?
- Calma, vecchio del malaugurio, scherzavo. Kyle lo accompagno io, con piacere. Andiamo ragazzo. E a mai più, stupido cialtrone dell’epoca di Tutankhamon.
- Arrivederci miei cari, mi raccomando fate attenzione lì fuori, nelle gallerie è meglio essere prudenti.
- Certo, Earl, grazie ancora di tutto, arrivederci. Tornerò con la sua Rap Cola! - Kyle corse verso l’uscita, seguito a ruota da Riolu, il quale non aveva mai smesso di osservare e vigilare sul suo amico. Salutò Abra con un cenno della mano, per poi darsi all’inseguimento di Kyle, il quale, preso dall’entusiasmo di conoscere finalmente il nome di quella donna, sentiva il bisogno di correre da Daisy a raccontarle tutto, lei avrebbe saputo sistemare le cose nel caso di un nuovo attacco.
- Non sono fatto per questo, io dovrei trovarmi sul divano a vedere tv, con una birra in mano. E invece devo correre appresso a due duracell senza fine. Ma perché corrono e non camminano! Kyle, rallenta che la pancia mi fa perdere velocità! Sur iniziò a correre a sua volta, sbuffando per il troppo esercizio fisico a cui era sottoposto.
- Dai Sur, che un po’ di corsa ti fa bene.
Il pensiero di quell’essere parve come scivolare via dalla mente di Kyle, che in questo momento pensava solo al fare ritorno da Daisy, per poter dormire tranquillamente.
Le cose andavano diversamente per Riolu, il quale non riusciva a rassicurarsi, neanche adesso che si trovavano completamente circondati dagli scavatori che popolavano le strade.
Quella cosa, la Banshee, occupava il primo posto nella mente del Pokémon, obbligandolo a non abbassare la guardia in nessun istante. Temeva per l’incolumità di Kyle, piuttosto che per la sua vita; credeva che le possibilità di pericolo in quelle circostanze fossero minime, ma nonostante questo non poteva fare a meno di girarsi per guardarsi le spalle, con la continua impressione di essere inseguito. Spesso si ritrovò a girarsi per guardarsi le spalle e individuare eventuali malintenzionati pronti ad aggredirli, senza però trovare nulla, e questo lo portava ad allontanare i pensieri negativi. Era ora certo che in quelle condizioni non ci sarebbe stato nessuno in grado di aggredirli, in mezzo a tanta gente.
Di una cosa era sicuro, qualcuno o qualcosa li seguiva. Non si trattava però della Banshee, o almeno in parte. Sentiva la sua presenza, simile a ciò che aveva percepito all’interno della galleria, e nonostante questo c’era un particolare che gli sfuggiva, impossibilitandolo a identificare la presenza che sentiva sul collo. L’essenza immaginata dai dettagli del vecchio militare si differenziava da ciò che percepiva ora, come se fosse un falso, un’imitazione molto accurata.
Riolu scrollò la testa, liberandosi all’istante delle troppe congetture effettuate in pochi secondi dalla sua mente, riportando l’attenzione all’attività motoria. Un passo col piede destro, uno col sinistro, in rapida sequenza.
Kyle percepì i dubbi di Riolu, anche se in parte molto limitata, voltandosi e guardandolo dritto negli occhi. Capì che qualcosa non tornava al suo Pokémon, e quindi non era cosa da sottovalutare.
 
Banshee… ho una brutta sensazione. Riolu, non ce ne siamo liberati...

 
 
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Stelle Piangenti ***


Stelle Piangenti
 
 
Quella notte, Morfeo, non riusciva in alcun modo ad accogliere nel suo caldo e rassicurante abbraccio il giovane corpo di Kyle.
Impaziente, il ragazzo, continuava a camminare avanti e indietro per la stanza, il pavimento in legno inviava segni di cedimento in continuazione, tanto che Kyle ebbe paura di svegliare Daisy, che dormiva nella stanza affianco. Dal giorno della ribellione lei si prendeva cura di lui, diventando a tutti gli effetti la sua vera madre. E ora vivevano assieme, sotto lo stesso tetto, all’interno del rifugio nascosto all’interno delle gallerie scavate grazie all’aiuto dei loro Pokémon, in modo da non essere scovati dai Sacerdoti.
Kyle si avvicinò alla finestra, pensieroso. Il davanzale in mattoni e pietre non lavorate era piuttosto scomodo per appoggiarvisi, come distendersi su di un manto di puntine da disegno.
Le braccia inviarono l’impulso del dolore persistente al cervello del ragazzo che, incurante, rimase immobile nella sua posizione. Da lì aveva la vista completamente libera di tutto il rifugio: la sua vista poteva spaziare dall’altare eretto in onore di Arceus, ai vari tunnel che collegavano la caverna con l’esterno, sorvegliati ventiquattrore su ventiquattro da uomini armati e Pokémon ben addestrati.
In quel preciso momento un Primeape stava facendo cambio turno con un enorme Machamp, i due si scambiarono un cenno di assenso e si divisero. Primeape fece ritorno al suo alloggio, mentre Machamp prese due torce e si inoltrò all’interno di un cunicolo, seguito a ruota da un uomo armato con una grossa mazza.
- Così tanta gente qui sotto, ognuno collabora con tutti, ci si protegge le spalle, ci si aiuta, tutto per sopravvivere, perché qui non si vive, si fa il minimo indispensabile per restare in vita, giorno dopo giorno - Kyle guardò il suo piccolo Riolu, avvolto nelle coperte fino a sembrare una versione tarocca di un Cascoon - Non è giusto, né per me, né per te o chiunque qui sotto. Che vita è, se non è possibile neanche vedere il cielo stellato senza la paura che qualcuno ti fucili sul posto perché hai il colore della pelle diverso?
Alzò lo sguardo, scrutando nell’oscurità della caverna. Non vide nulla, il soffitto era buio, e inquietante. Si ricordò quando, molti anni prima, era solito sgattaiolare dal dormitorio dei ragazzi, accompagnato come sempre da Riolu, per addentrarsi nella boscaglia che si trovava vicino il limitare a est del loro Quartiere, cercando la quiete necessaria a osservare le stelle.
Non sapeva spiegarsi il perché, era un impulso che sentiva provenire dall’interno, lui non faceva altro che assecondarlo. Infondo, le stelle, erano sempre belle. In qualsiasi situazione sembravano capirlo, risplendevano sempre per lui quando ne aveva bisogno, lasciando il posto di protagonista celeste alla Luna. Tanta gente, quando scruta il cielo notturno, la cerca, tralasciando gli astri minori. Kyle invece non riusciva mai a giungere alla tanto ambita torta al formaggio che si stagliava, immobile, nel mare dell’immenso. Quando i suoi occhi avevano la fortuna di incrociare i meravigliosi spettri luminosi emessi dai lontanissimi corpi celesti, ci si perdevano completamente: la sua mente saltava di stella in stella, creando infiniti segmenti che le collegavano le une alle altre. Era come se, in automatico, il suo cervello creasse una fitta ragnatela nell’immensità che lo circondava, catturando infinite fotografie di quella bellezza. Kyle ci si immergeva completamente, sia col corpo che con lo spirito. Per lui era come il suo passaporto per fuggire dalla reclusione forzata applicata da quei pazzi costantemente vestiti di bianco. Si ricordò la prima volta che venne scoperto lì fuori, molte ore dopo l’attivazione del coprifuoco. Quella notte si era perso talmente tanto fra le stelle da perdere la cognizione di tempo e spazio, finendo con il non accorgersi dell’uomo che sopraggiungeva dalle sue spalle.
Non appena fu afferrato cercò di urlare, ma subito un’enorme mano gli bloccò le labbra, ammutolendolo all’istante. Lui cercò di dimenarsi, invano; la forza del suo aggressore era troppa per il suo debole corpo.
- Calma, piccolo. Sono io, Cole, non lo sai che è pericoloso qui fuori a quest’ora?
- Cole… io… beh… volevo solo… - Kyle cercò di giustificarsi, per evitare l’imminente punizione.
- La prossima volta non devi assolutamente uscire da solo a quest’ora. Sveglia me, così ti accompagno, ok?
- Va bene, Cole, scusami.
- Non ti posso perdere, per nessuna ragione. E poi Daisy mi ammazzerebbe - ammiccò al giovane ragazzo.
Dagli occhi di Kyle iniziarono a scorrere lacrime sempre più numerose, finché il ragazzo non si ritrovò a piangere come non faceva da moltissimo tempo. Come lava che scorre scavando solchi incandescenti dalla bocca alle pendici del vulcano, le lacrime del ragazzo iniziarono la loro lunga e tormentata discesa. La prima ad aver raggiunto il mento restò in equilibrio precario per qualche istante, ondeggiando nell’assecondare i movimenti del corpo di Kyle, dopodiché si lasciò cadere nel vuoto, infrangendosi sul davanzale. La prima fu seguita quasi, nella sua corsa, quasi immediatamente dalle sue sorelle, dirette verso la pietra scabra su di cui Kyle poggiava dolorosamente.
Guardò verso il basso, immaginando i giochi di riflessi che si verrebbero a creare fra le gocce ormai morte sul davanzale, se quel posto fosse illuminato. Fu in quel momento che una sensazione conosciuta gli si radicò nel cervello
 
Se fossi all’aperto avrei potuto vedere il riflesso delle stelle nelle mie lacrime, e avrei potuto guardarle così come usavo fare con Cole…
 
Kyle si asciugò il viso utilizzando il suo pigiama, consistente in una semplice t-shirt bianca con pantaloncino a quadri blu, e si avvicinò al letto.
- Scusa Riolu, ma non posso portarti con me ora, è una cosa che devo fare da solo, torno presto. Tu dormi - sussurrò al Pokémon con un tono di voce abbastanza basso da essere sicuro di non svegliarlo.
Infilò le scarpe, diede un ultimo sguardo al suo amico che dormiva tranquillo nel letto che condividevano, e si avvicinò nuovamente alla finestra. Uscì fuori, stando ben attento a non fare rumori camminando sul terreno pietroso della caverna. L’uscita fu molto facile, in quanto la sua finestra si trovasse a pochi metri dal suolo, la distanza minima per evitare compagnie di esseri sotterranei indesiderate.
Kyle camminò facendo ben attenzione a dove mettesse i piedi, abbassandosi quando passò vicino la stanza di Daisy. Si affacciò alla finestra, per assicurarsi che la donna non si fosse accorta dei suoi movimenti; lei dormiva placidamente su di un fianco, dando le spalle al ragazzo, mentre la sua Glaceon riposava serenamente ai suoi piedi. L’elegante Pokémon emetteva una leggera condensa a ogni suo respiro, Kyle poteva sentire il potere rinfrescante del suo corpo, tanto che ebbe l’impulso di mettersi la felpa che si trovava sul davanzale della finestra.
Glaceon si stiracchiò sbadigliando, Kyle vide i suoi artigli scintillanti nel buio fendere l’aria, mentre i suoi occhi blu cobalto si posarono sul ragazzo.
Lui si irrigidì, avendo paura di venire scoperto.
- Glaceon sono io, Kyle, non far rumore, altrimenti Daisy mi uccide - sussurrò il ragazzo, mimando una zip in chiusura con l’uso delle dita sulle labbra.
Il Pokémon inclinò su di un lato la testa, continuando a fissare il ragazzo. Rimase per qualche secondo in quella posizione, dopodiché si acciambellò nuovamente ai piedi del letto e tornò a dormire.
Kyle non perse tempo, si avviò immediatamente verso il cunicolo che sicuramente non era controllato da nessuno. Di tutti i punti di uscita, il solo da cui si poteva passare inosservati, con una buona dose di fortuna, era quello situato vicino il deposito degli attrezzi.
Era quello l’obbiettivo del ragazzo, intento a uscire dal sottosuolo a ogni costo.
 
Che sarà mai, devo soltanto andare dall’altra parte dell’accampamento ed evitare i Pokémon e gli adulti di controllo, facile. Tanto a quest’ora si troveranno tutti quanti all’interno dei cunicoli, avrò via libera.
 
Sicuro di ciò, il ragazzo si incamminò per il campo base, prediligendo i percorsi più nascosti fra le case. Tutto filò liscio, a parte un infarto che lo colpì mentre si nascondeva dietro una pila di vecchie coperte consumate. Il ragazzo era circa a metà percorso, quando il passaggio inatteso del fabbro lo colse di sorpresa. Il grosso e sudato uomo si stava dirigendo verso la sua abitazione dopo una lunga giornata di lavoro, durata più del dovuto in quanto Sur necessitava con urgenza di nuovi picconi e trivelle manuali, per poter portare a termine i lavori di scavo.
Kyle si accorse in tempo del suo arrivo grazie alla canzone che il fabbro canticchiava durante la sua ultima camminata della giornata.
- God bless us everyone, We’re a broken people living under loaded gun….
Il ragazzo si girò alla ricerca di un riparo, cadendo nel panico.
 
Maledizione che cosa faccio adesso? Non posso mica infilarmi in quella finestra... aspetta, e quello cos’è?
 
Kyle notò un vecchio e polveroso cumulo di vari stracci, coperte e indumenti vari, lasciati lì vicino l’ingresso di una piccola vena laterale della strada principale, da chissà quanto tempo.
- Questo è perfetto! - si posizionò in modo da avere le spalle coperte dal cumulo di vecchi, rannicchiandosi il più possibile.
Il fabbro continuava ad avvicinarsi, Kyle poteva sentire il suo canticchiare farsi sempre più vicino.
Si avvicinò ancora, e ancora, e ancora.
Il ragazzo riusciva a sentire il suo respirare pesante, causato dalla troppa stanchezza, ricompensa della giornata lavorativa. Gli sembrò quasi di sentirlo esattamente dietro la nuca, alla base del cervelletto; poteva percepire l’odore acre e pungente dell’uomo che si trovava a pochi passi da lui, pensieroso e dell’umore giusto da intonare un canto alle tre di mattina.
Però lui non canticchiava più.
Improvvisamente Kyle si ritrovò circondato dal più totale silenzio, eppure era convinto che il fabbro si trovasse dal lato opposto del suo rifugio improvvisato. Come se fosse sparito nel nulla, senza lasciarsi dietro neanche il rumore dei suoi passi lontani.
Kyle si sporse leggermente sul lato del cumulo di coperte, curioso di conoscere la fine del suo compagno.
Non lo vide.
In quel momento lo immaginò eretto dietro di lui, pronto a riportarlo da Daisy, che lo avrebbe conciato per le feste. Nella sua testa lo vide portarselo dietro, usando il suo lobo come un guinzaglio. Chiunque lì sotto lo conosceva, non avrebbe neanche potuto mentire sulla sua identità e sul perché si trovasse fuori di casa a quell’ora.
Dei passi risuonarono in lontananza, provenienti dai viali più interni. Kyle si rassicurò, convinto che il pericolo fosse ormai passato.
Il cuore finalmente decelerò, raggiungendo pochi attimi dopo un nuovo picco: qualcuno gli aveva toccato una spalla, e non era un semplice tocco, lo aveva afferrato.
Il ragazzo rabbrividì, convinto di essere nei guai fino al collo. Si girò il più lentamente possibile, per cercare di guadagnare qualche altro istante; il cuore aveva traslocato nella sua mente, poteva sentire ogni battito rimbombare senza fine al suo interno, come una granata a grappolo lasciata lì, in attesa di essere attivata. La presa venne stretta ancora di più sulla spalla del ragazzo, iniziando a strattonarlo.
- Ti prego lasciami stare, non volevo fare niente di male! - urlò girandosi.
Si ritrovò con un piccolo Meowth scodinzolante fra le gambe, intento a afferrargli i vestiti e tirarli, giocando con essi.
- Mi hai fatto prendere un colpo piccoletto, sai? - accarezzò il Pokémon al di sotto del collo, ricevendo in cambio un magnitudo 8.5 di fusa. Kyle sorrise, notando con quanto poco un Pokémon possa essere felice; bastava un semplice gesto, anche solo una carezza, affinché la sua giornata possa essere considerata valida da vivere. Anche se per un breve lasso di tempo, era riuscito a rendere felice qualcuno, e questo lo ripagò dell’infarto preso poco prima.
- Chi ha parlato? C’è qualcuno lì fuori? - chiamò una voce dalla casa alla destra di Kyle.
Il ragazzo solo allora si accorse di essersi nascosto nella veranda del vicino del fabbro. I passi si avvicinarono alla porta, Kyle venne preso alla sprovvista.
Si alzò e iniziò a correre, mentre una voce lo chiamava, sempre più lontana - Ehi ragazzo torna qui! Cosa è successo?
Kyle continuò a correre a perdifiato, noncurante dei polmoni che iniziavano a chiedere pietà dopo lo sforzo sempre crescente a cui erano sottoposti. Smise di correre soltanto quando si trovò all’ingresso della galleria che avrebbe dovuto usare, era piccola, e non completa. In effetti era proprio per questo che era perfetta: le dimensioni lasciavano a desiderare, obbligando Kyle a camminare in ginocchio per tutto il tragitto, ma questo si tramutava in vantaggio in quanto il solo che potesse passare di lì, era l’Excadrill che l’aveva scavata. Quindi era praticamente privo di vigilanza, dato anche che nei pressi dell’ingresso si trovavano i dormitori delle sentinelle, costantemente sorvegliati.
L’unica cosa da fare adesso era trovare un diversivo. Kyle iniziò a guardarsi intorno, alla ricerca di una qualsiasi cosa che possa essergli d’aiuto. Una delle guardie si voltò dalla parte opposta della galleria, pronta ad accogliere l’uomo che stava arrivando.
- Salve ragazzi, ho visto un ragazzo correre dalle mie parti, non sarà mica un infiltrato, vero? Avete visto qualcuno? - chiese il fabbro.
Kyle non perse l’opportunità, si incamminò verso la fessura e vi si immerse completamente, percorrendo in una sottospecie di corsa a quattro zampe il primo tratto di corridoio, in modo da mettere strada e oscurità fra di lui e le altre persone. Kyle conosceva a memoria quel cunicolo, lo aveva usato già diverse volte per le sue fughe rapide, e proprio per questo non si sentiva affatto afflitto dal buio che lo circondava. Parve dimenticarsi delle sue disavventure precedenti, compreso l’attacco della Banshee.
 
- Finalmente fuori - Kyle inspirò a fondo l’aria fresca e pulita.
Mai come in quel momento aveva apprezzato la delicatezza della leggera brezza che, silenziosa e timida, gli carezzava il viso.
La prima cosa che fece, senza alzare lo sguardo, fu dirigersi verso il piccolo albero che si alzava dal terreno, poco distante dalla galleria dalla quale aveva avuto luogo la fuga del ragazzo. Non sapeva che tipo di albero fosse, né il colore delle sue foglie; circondato dall’oscurità, desiderava soltanto avvicinarsi alla sola cosa visibile alla debole luce della Luna.
Chiuse gli occhi non appena la sua schiena incontrò la dura corteccia dell’albero. Era molto scomodo restare in quella posizione, ma a lui non importava: la luce lunare donava un debole chiarore pallido al suo viso, sfumando i suoi lineamenti poco marcati.
Kyle si esternò dall’intero universo. Poté vedere il suo corpo allontanarsi nel mentre il suo spirito si innalzava verso il cielo; gli parve di volare, e di poter vedere tutto dal suo piccolo posto nell’universo.
Per un solo attimo, riaprì gli occhi, lasciando che la luce delle tante stelle si immergesse nei suoi doloranti specchi dell’anima. Essa venne lasciata vagare in quella notte buia e insonne, sperando che il vento la portasse in un luogo migliore.
Kyle iniziò a fare riflessioni su riflessioni, la cosa che più lo attanagliava era il dubbio sulla giustizia della sua esistenza, non poteva riuscire a credere che per colpa di un gruppo di esseri viventi, lui e la sua gente, così come il resto del mondo, erano obbligati a vivere nel terrore e nella miseria, privi di libertà. Piegò in avanti il collo, lasciando che la sua testa sprofondasse nelle ginocchia portate al petto.
I ricordi della sua infanzia iniziarono a tornargli in mente, partendo dal momento in cui era nata la cicatrice che aveva sul volto, non era mai riuscito a ricordare prima dell’incidente. Neanche voleva saperlo, in quel momento. La sola cosa che riuscì a fare fu piangere. Le lacrime caddero sulla sua maglietta, lasciarono al loro passaggio tutto il dolore che il ragazzo provava, intrappolandolo sul cotone che lo vestiva.
Il suo pianto divenne sempre più forte, a stento riusciva a trattenere i singhiozzi. Pensava alla sua defunta madre, il suo padre scomparso, a tutte le persone che ogni giorno soffrivano all’interno della sua grotta. Piangeva perché sapeva che, a pochi chilometri di distanza, c’erano altri gruppi di rifugiati che vigevano nelle stesse condizioni, mentre una misera fetta di una sottospecie di umanità, si accaparrava tutti i beni, ovviamente senza omettere lo sfruttamento dei Pokémon, diventato normale routine negli ultimi anni.
Ma la cosa che più fece male, come una pugnalata al cuore, fu il ricordo di Cole. Le immagini di lui che faceva ritorno al Quartiere, con tutte le provviste necessarie a sfamare la sua gente, sorridendo mentre cavalcava il suo Rypherior, si fusero con quelle della sua scomparsa, dovuta all’improvviso attacco dei Sacerdoti. Quel giorno morirono centinaia di persone, prima che il resto riuscisse a scappare. La notizia divenne virale, e in pochi mesi la Resistenza era già nata in tutto il globo, erano iniziati gli anni del sangue. Era tutto diventato ancor più orrendo, e Cole non c’era più. Il solo a cui teneva come un vero padre, era morto. Kyle si sentì solo, davvero solo.
Le lacrime iniziarono a fermarsi, mentre il ragazzo cercava di distrarsi dai fantasmi del suo passato.
Si asciugò gli occhi, passandosi le mani sul viso. Era molto più leggero ora, come se avesse perso una parte ormai vecchia e inutile di se stesso, lasciando lo spazio per il futuro. Sapeva però che a breve sarebbe ritornato tutto come prima, ma non importava, adesso stava bene.
Iniziò a giocherellare con un ramo secco caduto per terra, disegnando cerchi e figure geometriche senza un senso preciso nell’argilloso terreno in cui l’albero nascondeva la sua parte più intima, quando udì un nuovo pianto di dolore levarsi nelle vicinanze.
- E questo cos’è? - Kyle si allarmò.
Il pianto, straziante, proveniva dalla parte opposta del grosso tronco. Kyle si alzò, titubante, quando la sua curiosità visse sul suo buon senso che gli urlava di scappare nel buco da dove era uscito e tornare a tutta corsa nella sicurezza del suo rifugio.
Fece mezzo giro, e allungò il collo, sporgendo solo per metà con la testa dall’altra parte dell’albero.
Steso su di un piccolo letto di foglie, c’era un Cubone che piangeva tenendo stretto il cranio di colei che probabilmente era stata la sua madre, di fianco era posizionato un osso, con un’estremità fissa nel terreno, mentre sull’altra era stata appoggiata una grossa foglia, in modo da creare un piccolo riparo dal vento. Il Pokémon si era unito al suo canto di dolore, avvolto dal mantello della fredda e dolorosa oscurità.
- Ehi… piccolo… - Kyle fece per avvicinarsi, suscitando il terrore negli occhi dell’altro.
- Nono fermo! Non voglio farti del male, vieni qui, prendi - si sfilò la maglietta, offrendola al Cubone.
Questi la annusò, senza mai lasciare la presa dal cranio che stringeva fra le mani.
- Prendilo, così ti scaldi un poco, piccolo.
Cubone allungò una mano, afferrando un piccolo lembo della maglietta che Kyle lasciò cadere fra le sue piccole mani. Lui la sistemò nel terreno, per poi sedersi sopra.
Kyle guardò il piccolo Pokémon, il cui cranio marrone chiaro risplendeva alla luce della Luna.
- Ti fa male, vero? So cosa si prova, mi dispiace… - il ragazzo gli si sedette di fianco.
Cubone continuava a tenere gli occhi fissi sul cranio di sua madre, con gli occhi pieni di lacrime.
Lacrime in cui, le stelle, si specchiavano.
- Sono stati degli uomini in bianco, vero?
Il Pokémon annui.
- Sai vero che lei non è morta triste? Perché sa che tu stai bene. Guarda lì su - indicò il cielo - Lei è uno di quei piccoli puntini bianchi, e veglia ancora su di te, solo che non la puoi sentire. Ma lei c’è, è sempre con te, e non ti abbandonerà mai.
Cubone non smise neanche per un istante di fissare il teschio che aveva fra le mani. Kyle pensò quasi di rinunciare a tirar su di morale il suo nuovo amico, quando questi si alzò e, senza esprimere il minimo sentimento, si distese sulle gambe del ragazzo, stringendo in una mano il teschio, e nell’altra la maglietta bagnata delle lacrime di Kyle. In breve tempo il Pokémon si assopì, rasserenato dalla presenza del ragazzo.
Kyle si appoggiò al tronco e strinse il suo abbraccio sul suo protetto, chiudendo per un lungo istante le sue palpebre rese ormai pesanti dalla fatica del giorno.
 
Le prime luci del giorno nascente investirono il viso del ragazzo. Lui si svegliò, con la schiena a pezzi a causa della posizione in cui era rimasto per tutto quel tempo.
- Mi ero addormentato… - Kyle sbadigliò, aprendo a poco a poco gli occhi non più abituati alla anche più minima luce.
Guardò il piccolo Cubone che dormiva ancora sulle sue gambe, respirava serenamente. Il teschio che stringeva fra le mani riflesse una parte dei raggi solari ancora tiepidi, indice che il Sole stava iniziando la sua corsa verso il suo punto di zenit.
- Oh merda è tardissimo, se Daisy non mi trova a casa sono morto - il ragazzo spostò delicatamente Cubone, sistemandolo sotto le fresche chiome dell’albero. Gli lasciò la sua maglietta, utilizzata come coperta. Lui si svegliò, anche se rimase quasi completamente stordito dall’improvviso cambiamento di prospettiva.
- Scusa amico, devo correre a casa, mi ha fatto molto piacere stare qui con te - gli accarezzò il morbido e caldo capo, soffermandosi per più tempo dietro le orecchie. Cubone parve accettare di buon gusto le carezze del ragazzo.
- Adesso devo andare però, tu resta nelle vicinanze, magari qualche giorno di questo ci rivedremo! - Kyle scattò in piedi, diretto verso il cunicolo che lo avrebbe riportato indietro.
Il Pokémon realizzò, qualche istante dopo la sua scomparsa fra l’oscurità della terra, che era nuovamente solo. Il senso di tristezza e solitudine che poche ore prima gli attanagliava il cuore, tornò a colpirlo nel profondo. Cubone si sentì maledettamente male, raccolse il teschio di sua madre, lo avvolse nella maglietta ormai sporca di terreno del ragazzo, e se lo caricò sul petto, intonando il suo perenne lamento di dolore.
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Colpo Grosso ***


Colpo Grosso
 
 
Al suo risveglio, Riolu, si ritrovò solo nella stanza, Kyle era sparito. Il Pokémon balzò immediatamente in piedi, impaurito per il suo amico. Non gli era mai capitato di distaccarsi da Kyle, se non quando il ragazzo era obbligato a seguire le basilari lezioni scolastiche. In quel momento, trovarsi improvvisamente solo, gli provocò una strana sensazione allo stomaco, come se avesse mangiato un chilo di stucco e questo si fosse solidificato all’interno del suo intestino.
Riolu cercò in ogni angolo della stanza, dall’interno dell’armadio all’angusto spazio al di sotto del letto, ma niente, di Kyle non c’era ombra. Si affacciò alla finestra, il rifugio si stava risvegliando alla luce ormai incrementata dei lampioni disseminati su di ogni parete della grotta.
 - Kyle, Riolu, svegliatevi forza! C’è la colazione, forza che la giornata è lunga! - urlò Daisy, la sua voce arrivò forte alle orecchie di Riolu che, appena sveglio, ne soffrì come una post sbornia.
Il Pokémon si ritrovò nel panico, certo che Daisy avrebbe ucciso Kyle per essere scomparso, e poi lui per esserselo perso.
- Kyle… perché non mi rispondi? - i passi della donna si facevano sempre più vicini, pochi attimi ancora e sarebbe arrivata alla porta.
Non sapendo cosa fare, Riolu optò per l’unica opzione plausibile, scappare. Corse alla finestra, valutando la possibilità di essere visto da qualcuno in giro per le strade; guardò a destra e a sinistra, notando soltanto due uomini che si incamminavano verso destra, in direzione della centrale elettrica, lasciandosi alle spalle la casa di Kyle. Non perse un solo istante, e saltò con un unico balzo fuori dalla finestra, atterrando direttamente per strada. Il Pokémon chiuse gli occhi, cercando di sintonizzarsi con l’ambiente esterno, alla ricerca dell’aura emessa da Kyle: un’immane quantità di sensazioni si riversò verso di lui, per un breve istante riuscì a visualizzare una cucciola di Poochyena sbadigliare, ma il collegamento fu interrotto immediatamente.
- Kyle, Riolu, dove siete? - urlò Daisy, ormai prossima alla finestra.
Riolu corse a nascondersi all’interno del viale che dalla casa di Kyle si dirigeva verso il centro cittadino, approfittando di una tenda che pendeva dal tetto di una casa lì vicina, per nascondersi dalla vista di Daisy.
Provò più volte a cercare Kyle, senza però alcun successo. Il Pokémon fece mente locale, pensando a dove si possa essere cacciato il suo amico. L’unico posto che gli venne in mente, fu l’ingresso delle gallerie, da cui avrebbe dovuto aver inizio la loro missione di recupero beni, sicuramente il ragazzo si era incamminato molto prima del suo risveglio, non riuscendo più ad aspettare. Sicuro del suo istinto, Riolu iniziò a correre fra le varie abitazioni, diretto verso la neo galleria.
 
Kyle, dato l’enorme ritardo, decise di dirigersi direttamente verso il punto di ritrovo della sua nuova squadra, senza passare per casa. Secondo lui Riolu si sarebbe diretto sicuramente nella stessa direzione, conoscendo l’obbiettivo del giorno, e avrebbero trovato in seguito cosa dire a Daisy, senza farle riversare su di loro la propria furia.
Per sua fortuna, si trovava in prossimità del punto d’incontro, e per strada, sporgendosi leggermente dal cunicolo in cui si trovava, non vide nessuno. Credette di essere molto più in ritardo di quanto pensasse e che, magari, gli altri avessero dato il via alle operazioni senza di lui.
Arrivò di corsa all’ingresso del tunnel, provando timore quando i ricordi della sera precedente tornarono a farsi vivi. Contro l’impulso di allontanarsi il più possibile da quel posto, Kyle si avvicinò sempre più all’enorme buco nero che ingurgitava al suo interno ogni fonte di luce artificiale presente in zona, rendendo il buio quasi completamente totale a meno di tre metri di profondità. L’unica cosa che aveva sempre odiato del dover vivere sottoterra, era quanto rapidamente la luce cedesse il suo posto all’oscurità.
Si avvicinò ancor di più all’ingresso, concentrandosi per poter sentire anche il minimo rumore che rivelasse la posizione dei suoi compagni al suo interno.
- Kyle! Già qui!? - urlò Sur dalle sue spalle, il ragazzo si girò urlando.
- Sur, mi hai spaventato!
- Calma figliolo. Che ci fai già qui?
- Beh, in realtà, credevo di essere in ritardo… mi sa di aver perso la cognizione del tempo. Sono troppo eccitato per la mia prima missione!
- Non è niente di che, devi solo rubare un po’ di cose, facile facile. Guarda, stanno arrivando gli altri, ora che ci riuniamo tutti spiego per bene il piano. A proposito, dov’è la tua maglietta?
- Ehm… ho dimenticato di metterla, per la fretta.
- Va’ nel magazzino, ci sarà qualche tuta della tua taglia, ma sbrigati che stiamo per iniziare.
- Certo, Sur, vado subito - Kyle volse lo sguardo verso le diverse strade che convergevano agli ingressi dei tunnel, alla ricerca di Riolu.
 
Amico, so che verrai, sbrigati…
 
Il ragazzo indossò una vecchia tuta da meccanico color grigio, quasi completamente scolorita, e con un’enorme macchia d’olio sul petto. Purtroppo era l’unica cosa della sua taglia che fosse riuscito a trovare in poco tempo, sapeva di doversi sbrigare. Uscì fuori dal magazzino di corsa, spalancando la porta. Iniziò a correre verso l’ingresso della galleria, dove Sur stava iniziando a dare i particolari della missione, quando qualcosa lo strattonò all’altezza dell’anca. Kyle si girò, convinto di essersi incastrato da qualche parte, probabilmente un vecchio pezzo di ferro fuoriuscente dal deposito che stava superando in quel momento, o anche un semplice arnese, poco importava. Quando si voltò, invece, vide il volto sorridente di Riolu. Kyle ricambiò il sorriso, e i due si avvicinarono al piccolo manipolo di uomini lì vicino raccolti.
- … lo Snorlax’s Paradise, rubando tutto il contenuto del suo magazzino. Per nostra fortuna sappiamo che oggi non ci sarà alcun tipo di sorveglianza, dato che svolgeranno le messe annuali in onore di Arceus. Quindi, ci aspetta una giornata bella piena di lavoro, forza ragazzi, che al ritorno offro un giro d’erba a tutti, a patto che ne venga trovata!
Kyle raggiunse in quel momento il gruppo, e chiese quali nuove notizie ci fossero.
- Niente di nuovo, ragazzino, noi adulti perforeremo il pavimento del magazzino con l’aiuto dei nostri Excadrill, e vi copriremo le spalle sorvegliando il buco da cui entrerete e poco a poco ci passerete le merci, poi al nostro ritorno faremo saltare la galleria, non ci scoveranno mai così - disse un uomo grosso e grasso che Kyle non aveva visto prima d’allora.
- Uh... beh grazie, mi tengo pronto allora.
- Kyle forza, vieni qui! - urlò Sur.
 
Ci fu un ulteriore scossa, a ogni colpo, le vibrazioni che Kyle percepiva tramite i suoi piedi aumentavano. Il gruppo di Excadrill continuava a cercare di perforare la lastra d’acciaio che li separava dalla loro salvezza, senza alcun successo. Ai Pokémon si unirono anche gli uomini che, armati di picconi, fendevano l’aria, sperando in un prossimo cedimento da parte del loro avversario. Kyle osservava spazientito assieme a Riolu, sperando di potersi rendere utile il prima possibile.
Sur, in disparte, sedeva su di una roccia, intento a massaggiarsi le tempie, come se un qualche strano pensiero lo affliggesse. Stava osservando la bianca Pokéball unica nel suo genere, almeno così aveva ammesso lui stesso.
- Beh, mi sa che mi tocca riaprire questa, nonostante avessi promesso di non usarla per cose simili, ma c’è di mezzo la vita della mia gente, non posso… - i suoi pensieri ad alta voce vennero interrotti dal grido d’attacco proveniente dall’ingresso della galleria.
All’istante, Pokémon e uomini, si bloccarono su se stessi, voltandosi impauriti verso la fonte.
Il possente Machamp che Kyle aveva visto sorvegliare gli ingressi, si dirigeva correndo e fendendo l’aria con i suoi quattro bracci. Levò un ulteriore urlo quando fu più vicino, e stavolta gli Excadrill gli risposero; i quattro di loro più grossi si spostarono in prima fila, per poi assumere la loro forma da lavoro, trasformandosi in una trivella in carne, ossa e acciaio.
Gli uomini si spostarono istintivamente dal percorso del Pokémon che pareva infuriato come se avesse visto qualcuno usare gli attrezzi con cui si allenava quotidianamente.
Machamp afferrò al volo i quattro Excadrill che si erano già posizionati per lui, e iniziò a colpire con una forza impareggiabile l’enorme lastra d’acciaio.
Il rumore generato dagli impatti era assordante, chiunque si trovasse all’interno della galleria, o in prossimità del suo ingresso, si ritrovò gettato al suolo, con i palmi premuti sulle orecchie, nel vano tentativo di attenuare l’orrendo sibilo prodotto dal continuo colpire di Machamp. Iniziò prima con un braccio alla volta, deformando leggermente il muro d’acciaio, ma quando iniziò a colpire utilizzando tutto il corpo come leva, caricando ogni suo arto, per poi sprigionare tutta la forza accumulata in ogni fibra muscolare del suo corpo quando si sporgeva in avanti. L’energia cinetica accumulata in tal modo rese i colpi inferti molto più efficaci, ma nonostante questo, il metallo iniziava solo a cedere. Machamp si fermò per un istante, gli Excadrill che aveva raccolto erano storditi, ma non rinunciavano alla loro forma, pronti a colpire di nuovo.
Il Pokémon chiuse per un istante gli occhi, rilassando i muscoli. I suoi pugni iniziarono a brillare sempre di più, e al contempo emanavano uno strano calore che raggiunse tutti coloro che si trovavano nelle sue vicinanze. Sur capì subito le intenzioni del Pokémon.
- Dredd, chiama immediatamente Kekleon dalla Pokéball e digli di usare Protezione tutt’attorno a Machamp, sbrigati!
- Cosa, perché mai, vecchio?
- Perché sta per usare Dinamipugno, cazzo!
- Oh fottuto Giratina, Bob esci subito, abbiamo bisogno del tuo aiuto - un Kekleon dall’aria molto rilassata fuoriuscì con tutta calma dalla sua Pokéball, indossava un berretto jamaicano e aveva al collo diverse collanine fatte con più pietre colorate, di tutte le dimensioni - Forza, usa Protezione, crea un campo contenitivo attorno a Machamp, o moriremo tutti!
Bob si stiracchiò, prendendo di mira il suo obbiettivo, giostrò con le mani, disegnando strani simboli nell’aria ed emettendo al contempo dei getti di aria compressa dalle narici, come se stesse sfoggiando tutta la sua forza tramite quel gesto. Inizialmente quasi invisibile, un campo di forza si sviluppò attorno a Machamp che nel frattempo era stato isolato dal resto del gruppo, rintanato a diversi metri di distanza. Pochi attimi dopo, il Pokémon si trovò circondato da un muro color verde smeraldo, con venature simili ai nidi d’api.
Il Pokémon Megaforza spalancò improvvisamente gli occhi, levando un nuovo urlo che fu attutito dal muro di forza psichica eretto da Bob. I suoi quattro pugni risplendevano come delle stelle nane bianche, la cui luce si fuse e amplificò non appena Machamp sferrò il suo terribile attacco. Kyle credette di vedere l’esplosione di una Supernova, lo spettacolo fu sensazionale: la forza del Pokémon, venne convogliata dai corpi a punta degli Excadrill, formando una lancia di luce diretta contro la lastra di cui, pochi attimi dopo l’impatto, non rimase neanche la polvere. Il tutto, senza emettere il minimo suono, del tutto assorbito dalla barriera del Kekleon. Machamp si ergeva ora in tutta la sua stazza, affiancato dagli esausti Excadrill.
- Tu, lurido stronzo, ci stavi per uccidere tutti! Sei stato irresponsabile, folle e pazzo nel fare ciò che hai fatto, se non ci fossimo protetti, ora saremmo tutti morti. Mi piaci, ben fatto! - gli altri guardarono stupiti Earl, intento a dialogare con Machamp - Dategli la giornata libera, lui ha già fatto il suo.
- Ma stavamo per morire! - disse Dredd.
- È vero, ma ha fatto breccia, no? Questo importa. Forza gente, tocca a noi.
I ragazzi iniziarono, con l’aiuto degli adulti, a entrare all’interno del magazzino.
- Ricordatevi, portate con voi un Pokémon per difendervi in caso di attacco e per farvi aiutare a portarci le provviste, noi aspetteremo qui, le caricheremo sui carrelli e vi copriremo, il buco sarà la vostra casa base per il resto della giornata. Andate ragazzi e ricordate, se siete nei guai scappate, senza badare al cibo, ok?
I ragazzi acconsentirono all’unisono.
Kyle sentì il cuore esplodere, arrivava il suo turno per fare l’ingresso ufficiale nella sua prima missione.
- Ragazzo… fa attenzione, ok? Qualsiasi cosa tu possa vedere o sentire, corri subito qui assieme agli altri, dai la priorità a te. Mi raccomando, non farti del male.
- Certo, Sur, contaci. Riolu andiamo! - Kyle lesse negli occhi del vecchio amico la preoccupazione di un padre nel vedere il figlio entrare per la prima volta nel mondo del lavoro, senza il suo supporto.
 
Non ci credo, ci siamo quasi, ho il cuore a mille… Dentro!
 
Kyle mise il suo primo piede all’interno del magazzino, aiutato da Sur e i suoi compagni. Attorno al buco, per evitare che chiunque possa infiltrarsi senza essere visto, si disposero a cerchio diversi uomini, armati di fucili d’assalto, spranghe, coltelli da macellaio e qualsiasi oggetto possa diventare un’arma; ovviamente accompagnati dai loro Pokémon.
- Veloci ragazzi, noi vi aspettiamo qui per aiutarvi a passare i rifornimenti al resto del gruppo, non abbiamo tutti il giorno - continuavano a ripetere quelli.
I ragazzi iniziarono a correre in ogni direzione, arraffando qualsiasi cosa capitasse a tiro, per poi passarla velocemente al resto del gruppo, che preparava il tutto per il ritorno.
- Ok Riolu, gli obiettivi sono semplici, prendiamo tutto! Inizia dalle scorte di cibo e acqua, poi penseremo al resto - Kyle iniziò a passare in rassegna scaffale dopo scaffale mentre riempiva il suo sacco con ogni tipo di merce in deposito nel grande magazzino. I due corsero diverse volte avanti e indietro, fra il punto d’irruzione e la merce sugli scaffali ancora pieni zeppi. Kyle si chiese se tutta quella roba fosse davvero utile agli abituali acquirenti del centro commerciale: la quantità e la varietà di prodotti era tale da poter sfamare la sua gente, più di un migliaio fra Pokémon e umani, per mesi. Nonostante questo, ogni settimana erano necessari dei rifornimenti in arrivo dal centro città, segno di un colossale spreco di cibi in eccesso da parte degli abitanti dei piccoli centri vicini.
- Al diavolo, questa roba è nostra adesso - Riolu lo guardava incuriosito dalle sue improvvise parole - Non fare quella faccia, stavo solo pensando. Anzi fa’ una cosa, arrampicati sullo scaffale e lanciami quello che c’è, non c’è tempo per cercare una scala.
Kyle issò Riolu, dandogli così la possibilità di raggiungere degli appigli più alti, facilitando la sua salita. Una volta in cima, il Pokémon iniziò a lasciar cadere verso di Kyle, uno dopo l’altro, gli scatoloni contenenti diversi tipi di farine che, il ragazzo, accoglieva con ben poca voglia, costretto a flettere le ginocchia per attutire il colpo ed evitare di rompere qualcosa. E soprattutto di rompersi qualcosa.
Il rumore dell’ennesimo pacco che subiva la stessa e identica ammaccatura, lì dove gli avanbracci di Kyle prendevano il posto dell’aria, fu accompagnato da un prolungato ululato, al quale si susseguirono diversi latrati.
- Che… che cos’era quello? - chiese più a se stesso che a Riolu.
Il Pokémon scese immediatamente dallo scaffale, lasciandosi cadere, atterrando senza emettere il minimo rumore. Ai due sopraggiunsero alcune grida lontane, smorzate immediatamente da rumori secchi, come il chiudersi violento di una mascella.
L’attenzione di Kyle venne rapita da un rapido movimento alla sua destra, vide un’ombra scomparire fra due scaffali.
- Riolu, non mi piace questa situazione, sta’ in guardia - Kyle assunse un atteggiamento difensivo, portando una gamba più indietro rispetto all’altra, e alzando entrambe le braccia.
Prese la sua Colt M1911, l’unica cosa che gli restava di Cole, la sua pistola d’ordinanza, tolse la sicura, controllò che ci fosse il colpo in canna e armò il cane, continuando a spostare lo sguardo da un angolo all’altro. Sentì dei passi, qualcuno si avvicinava velocemente dalla sua destra.
Un’enorme massa di pelo nero e grigio si presentò ai due sfondando un divisorio in PVC, fermandosi a pochi metri dai due. Gli occhi di ghiaccio di quello fissavano Kyle, chiudendosi ritmicamente, accompagnati dal continuo gonfiarsi e sgonfiarsi del torace. Il canide sembrava nel pieno dell’euforia, si poteva sentire nell’aria l’energia che il suo corpo emanava. Energia che sarebbe stata usata per tentare di ucciderli.
Lui digrignò i denti che, improvvisamente, si accesero di un rosso intenso, mentre scintille si sprigionavano ogni volta che schioccava le fauci, in segno di sfida. D’improvviso fiamme gli circondarono il muso, e un attimo dopo quello balzò verso di loro.
- Riolu…! - Kyle non ebbe il tempo di dire una sola parola in più che il loro avversario si trovava ormai con il muso a pochi centimetri dal ragazzo.
In quel momento, il tempo parve fermarsi. Riolu e il mondo interno scomparvero dalla sua vista.
- Idropompa! - urlò qualcuno molto vicino al trio. L’attacco colpì il fianco del Pokémon, che rovinò contro di una struttura in ferro, accasciandosi al suolo.
- Ottimo, Golduck. Tu, muoviti a tornare indietro, siamo nella merda - disse il ragazzo che l’aveva salvato.
- Ma che cosa succede qui?
- Mightyena, erano a guardia del magazzino, non ne sapevamo nulla. Non c’è tempo ora, dobbiamo correre al tunnel!
- Cazzo, via! - Kyle diede un rapido sguardo alle sue spalle, da dove provenivano nuovi latrati, prima di incominciare a correre.
L’agile papero blu aprì la strada ai ragazzi, attento a eventuali nuovi attacchi. Kyle rimase in coda, mantenendo alta la pistola, come Daisy gli aveva insegnato, col dito lontano dal grilletto per evitare spari accidentali.
In quegli attimi, quel posto si trasformò in un labirinto: sembrava tutto uguale, la sola cosa che contrassegnava una corsia dall’altra era il numero di cadaveri presenti al suo interno. Mal volendo, Kyle si ritrovò nel fissare, durante la sua corsa, il cadavere di un povero ragazzo quasi completamente sventrato, affianco al quale si trovava, rivolto al suolo, un Mightyena con mezza testa maciullata dalla caduta di un grosso tubo di ferro caduto dall’alto dello scaffale. Quella scena lo lasciò inorridito, per lui fu come viverla in prima persona quando passo di fianco ai due cadaveri, senza avere la possibilità di fermarsi e portare loro il dovuto rispetto.
I due corsero a perdifiato, senza ben riuscire a capire dov’erano diretti. Il chaos delle molte lotte imperversava in ogni angolo del magazzino, a decine i Mightyena si erano riversati sui ragazzi e sugli uomini a guardia, mettendoli in serie difficoltà.
- Riolu! - Kyle si fermò di colpo, accorrendo in auto del suo Pokémon.
Scivolò su di una pozza di sangue, lui, proveniente dal lato opposto della fila di scaffali sulla loro destra.
- Forza, amico, dobbiamo uscire di qui se non vogliamo restarci sechi - lo sollevò dal terreno, caricandoselo sulle spalle.
Si girò di centottanta gradi, per poi ripartire di gran corsa, col cuore che gli batteva come una grancassa all’interno delle meningi.
Con suo grande rammarico, il ragazzo che poco prima gli aveva salvato la vita, assieme al suo Golduck, erano spariti nel nulla. Kyle si fermò di scatto, si sentiva fin troppo solo in un posto come quello; l’ansia e la paura iniziarono a sopraffarlo, dal ventre gli si diffuse un lieve tepore che raggiunse ogni parte del suo corpo.
Le sole cose che riusciva a udire erano le grida dei suoi compagni, unite a quelle degli adulti che erano intervenuti in loro aiuto.
- Hai sentito? Veniva da quella parte, forse abbiamo trovato la strada per tornare indietro! - ritrovò immediatamente la fiducia persa, mentre correva nuovamente a perdifiato.
Svoltò l’angolo, dirigendosi verso sinistra, usando le voci come Tom Tom.
Era così tanto preso dall’ascoltare ciò che accadeva intorno a sé, da non prestare attenzione alla strada percorsa, lasciando alle sue gambe il compito di portarlo in salvo.
Girò all’ennesimo incrocio, ovunque si girasse il risultato era lo stesso, scaffali e scaffali in ripetizione periodica.
Il ragazzo rimase sbalordito, quasi lasciò la presa su di Riolu che, a sua volta, pose il suo sguardo su ciò che Kyle stava osservando.
- Quello è un Arcanine… ricordo che Cole ne aveva uno, quando faceva il poliziotto - l’enorme molosso dormiva placidamente su di una pila di vecchi cartoni sgualciti, su di cui erano evidenti i segni lasciati dai suoi artigli.
- Come cavolo fa a dormire con tutto questo baccano? - Kyle volse lo sguardo a Riolu che, in risposta, rispose scrollando le spalle - Beh andiamo via, prima che sia troppo tardi e si svegli - sussurrò.
Kyle indietreggiò lentamente, poggiando un piede dopo l’altro in cadenza ritmica, con gli occhi fissi sull’enorme muso di quell’Arcanine. Il ventre gli si gonfiava, mentre inalava litri e litri di aria, spalancando le narici. D’un tratto schiuse la bocca, sbadigliando sonoramente; Kyle si pietrificò sul posto, con la Colt alta davanti a sé.
Nulla accadde, Arcanine non si degnò di aprire gli occhi e tornò a russare con la testa fra le zampe.
Kyle tirò un sospiro di sollievo, scrollandosi ansia dalle spalle. Nuove grida si levarono alle sue spalle accompagnate dal rumore di vetri infranti. Lui si girò nella direzione di propagazione del suono, cercando di capire quanto fosse lontano da lui. Non si accorse di star camminando su di una lastra di vetro, lasciata lì in attesa di lavorazione. Il primo scricchiolio lo raggiunse, suscitandone l’allerta.
Abbassò lo sguardo, cercando di capire dove stesse camminando; Kyle vide le crepe crescere di numero e spessore, arrivando a occupare l’intera lastra in pochi secondi.
Immediatamente reagì d’istinto, saltando verso destra nel tentativo di arrestare la frattura del vetro. Non appena il suo peso smise di esercitare pressione, l’avanzare delle crepe si arresto.
Kyle era ancora in equilibrio precario sui suoi piedi, quando scivolò e cadde per terra, a pochi centimetri dalla lastra. Colpì violentemente il terreno col naso, accompagnato dal suono sordo della sua testa che batteva contro il linoleum mal conservato. Riolu era in piedi di fianco a lui in posizione d’attacco, intento a osservare Arcanine.
- Sto bene, Riolu, non preoccuparti. E tranquillo anche per lui, dorme peggio di nonna Betta, neanche un terremoto potrebbe svegliarlo, sicuro che… - Kyle non riuscì nemmeno a finire la frase, quando un possente ruggito lo raggiunse alla spina dorsale, provocandogli una scarica gelida lungo tutta la lunghezza del suo corpo, contagiando anche le punte dei capelli.
Si voltò, l’Arcanine si mostrava in tutta la sua stazza, col petto gonfio e gli artigli che raschiavano il verde pavimento lucido, su di cui si riflettevano le luci dei lampioni appesi sul soffitto. Lui si stiracchiò, abbassandosi sulle zampe posteriori e spalancando le enormi fauci.
Kyle rimase immobile, colto dalla paura. Arcanine lo stava fissando, occhi cremisi arsero il legno color nocciola di quelli del ragazzo. Il canide mosse un passo nella sua direzione, abbassandosi sulle zampe posteriori, per predisporsi all’imminente scatto.
Fu una questione di attimi: il ragazzo reagì d’istinto alla carica del Pokémon, trascinando con sé Riolu, in una disperata corsa senza meta.  Inizialmente guadagnò terreno quando Arcanine, preso alla sprovvista dal suo improvviso spostamento, scivolò sulla lastra di vetro, frantumandola sotto il peso del suo corpo massiccio.
Svoltò l’angolo, correndo a perdifiato. La paura e l’adrenalina gli donarono uno degli scatti migliori della sua vita, senza neanche il problema della fatica: il suo cervello eliminò ogni traccia di sensazione negativa, concentrando tutte le energie nei muscoli delle gambe, per poter correre più veloce, più a lungo. La formazione di acido lattico era l’ultimo dei suoi problemi in quel momento.
La locomotiva con quattro forze motrici era il vero problema. Soprattutto aggiungendo il fatto che la distanza fra i due si accorciava sempre di più; Kyle riusciva a sentire l’alito cocente del Pokémon sulle sue spalle. Il forte ruggito di lui lo raggiunse, accompagnato dallo stridere degli artigli sul pavimento, dovuto all’improvviso cambio di peso subito precedente al balzo che portò i due alla distanza di pochi centimetri.
Arcanine aveva a portata di muso il collo di Kyle; senza perdere un attimo, aspettò pochi istanti, in modo da trovarsi nella posizione favorevole, e si limitò a spalancare le fauci, lanciandosi contro la giugulare, così come era stato addestrato fin da piccolo. Il calore sprigionato dalla gola del Pokémon raggiunse Kyle, accompagnato dallo scintillare dei suoi denti.
Fu allora che Riolu si liberò dalla morsa del ragazzo, sbucando dalla sua spalla destra. Colpì con un potente rovescio il muso del nemico, facendogli perdere l’equilibrio.
- Come… hai… fatto…? Cazzo sto morendo - Kyle cercò di raccogliere fiato sufficiente a comporre una minima frase.
Arcanine si rialzò immediatamente, lanciandosi nuovamente all’inseguimento.
Kyle era in vantaggio, aveva appena girato attorno a un enorme container lasciato lì, fra le corsie di un corridoio colmo di merce in stoccaggio, e si lanciò verso la corsia di sinistra, sperando che Arcanine non lo trovi.
- Cazzo! Siamo nella merda, Riolu troviamo un modo per uscire - erano finiti in un vicolo cieco.
Non potevano in alcun modo arginare il problema, Arcanine era sempre più vicino, potevano sentirlo, e non c’era verso di arrampicarsi su di quei ripidi scaffali alti decine di metri.
- No, no, ci metteremmo troppo ad arrampicarci… pensa Kyle, pensa cazzo, non puoi non trovare niente, ci sarà pure una scala o qualcosa di simile! - urlò più a sé che in forma di domanda a Riolu.
Guardò a destra e sinistra, incrociando solo scatole di legno e adesivi con la scritta - Fragile, trasportare con riguardo - incollati dappertutto, ma di mezzi per fuggire, neanche l’ombra.
- Riolu, proviamo a spostare questa cassa, sembra la più leggera - Kyle iniziò a spingere con tutta la forza che aveva in corpo, perdendo le poche energie rimaste, ormai era esausto.
- Riolu… dove sei? Aiutami! - si voltò in cerca del suo amico.
Arcanine li aveva raggiunti.
- Va bene Riolu… sei pronto? Mi sa che c’è una lotta da fare, sarà come ci ha insegnato Cole - cercò di infondere quanta più sicurezza possibile negli occhi del suo amico - Poi io sono qui, ti copro con la Colt. Tienilo impegnato per un po’, lasciami prendere la mira e cerco di liberarcene.
Riolu fece un abbozzo di movimento del capo, intento a focalizzarsi sul suo rivale. Era la prima lotta a tutti gli effetti per lui, e in palio c’erano le loro stesse vite, non poteva perdere.
Doveva proteggere Kyle.
Ma Arcanine fu più veloce. Fiamme si sprigionarono dalle sue fauci, ricoprendo tutto il suo corpo. Divenne una palla infuocata e accecante, Arcanine iniziò a rotolare su se stesso, dirigendosi a tutta velocità contro di Riolu.
- Riolu schivalo, vai a destra!
Le gambe gli si flessero, pronte a spiccare il balzo, l’adrenalina gli fece raddoppiare la frequenza del battito cardiaco, mentre caricava l’attacco Palmoforza, pronto a rispondere una volta schivato il colpo; si sentì vivo come mai prima.
Tutto fu inutile.
Non ebbe il tempo di sprigionare l’energia accumulata nei muscoli, che Arcanine gli fu addosso. Il dolore subito fu lancinante, ma durò per un breve istante. Riolu fu scaraventato contro una delle scatole in legno, distruggendola e alzando enormi quantità di polveri.
Kyle sparò tre colpi, cercando di colpire il suo avversario, ma le fiamme che gli avvolgevano il corpo erano troppo incandescenti, e la mira ne fu danneggiata. Tutti i proiettili mancarono miseramente il bersaglio.
Arcanine smise di roteare, usando l’energia cinetica accumulata come riserva per spiccare senza alcuna interruzione di moto il suo balzo, diretto contro di Kyle.
D’istinto il ragazzo chiuse gli occhi, portando le braccia al viso e incrociandole, nel disperato tentativo di proteggersi.
Lo schiocco che raggiunse le sue orecchie fu tremendo, tanto da fargli male.
Con sua grande meraviglia, il muso del Pokémon si trovava a pochi centimetri dal suo, e un istante dopo, Arcanine si ritrasse, ululando di dolore. Lo stridere delle unghie sul pavimento si sovrappose al rumore di catene.
- Sei legato… me ne accorgo solo adesso… - fece un passo verso il Pokémon, titubante.
Quello rispose ringhiando, chiudendo immediatamente gli occhi, in risposta alla fitta di dolore provato.
- Fermo, ti fai male cosi! - allungò una mano verso Arcanine - Voglio solo vedere, non ti farò del male, fidati.
Kyle si sentiva sicuro di sé, nonostante pochi attimi prima, il Pokémon che ora cercava di soccorrere, stesse provando a staccargli la testa a morsi.
Arcanine si fece indietro col capo, stavolta il suo lamento si sentì forte e chiaro.
- Devi avere qualcosa al collo, vero? - Kyle era ormai vicino, sentì il calore del pelo sotto il suo palmo.
In quel momento Riolu si rialzò, caricando un nuovo attacco contro Arcanine, ignaro della nuova situazione.
- No, Riolu, fermo!
Si fermò di colpo, guardando stupefatto Kyle.
- So cosa pensi, ma dobbiamo aiutarlo.
Riolu si mostrò schivo, quasi indignato dalle parole di Kyle. Lo strattonò per i pantaloni, cercando di farlo ritornare in sé.
- È prigioniero, come lo eravamo noi, vedi? Non merita anche lui la libertà? - quelle parole colpirono la mente di Riolu come un martello, lasciandolo stupito.
Kyle sorrise, ritrovando la sua stessa espressione negli occhi del suo Pokémon.
- Tu fermo qui, cercherò di toglierti questo coso… - Kyle appoggiò le mani intorno al collo di Arcanine, trovando immediatamente un oggetto freddo e duro al tatto.
- Lo sapevo, hai un collare, ma adesso ci pensiamo noi, ok? Fammi solo vedere dove si apre… - infilò una mano fra carne e acciaio, pungendosi all’istante.
- Cazzo, è dentellato! - spostò dei ciuffi di peli, notando come il collo di Arcanine fosse lacerato.
Non perse tempo, e iniziò immediatamente a tirare, aiutato da Riolu che, capita la situazione, si era precipitato a controbilanciare la forza, tirando a sua volta dall’altro lato.
Arcanine ululò per il dolore - Riolu, fermo! Lo uccidiamo così… ci serve qualcosa….
L’attenzione di Kyle venne attirata da un cartello con su scritto - Pericolo, temperature critiche - incollato su di una piccola cesta metallica. L’aprì, trovandoci all’interno delle bombole di azoto liquido.
- Perfetto! Riolu vieni qui, e quando te lo dico, colpisci la bombola sulla valvola, in modo da far uscire tutto il gas, pronto? Al mio via.
Con fatica, Kyle portò il recipiente del gas vicino Arcanine, indirizzandone il limitare superiore sul collo.
- Forse sentirai freddo, tanto freddo. E potrà far male, ma non muoverti, durerà poco e sarai libero, ok? Riolu preparati - Arcanine voltò il collo dall’altra parte, e chiuse gli occhi.
- Tre, due, uno… ora! - con le mani strinse il più possibile, per l’eventuale rinculo dovuto all’improvvisa fuoriuscita del gas.
Riolu colpì con tutta la sua forza, e un gelido getto fuoriuscì dalla bombola. In pochi attimi Kyle si congelò le mani, e il ferro intorno al collo di Arcanine scricchiolò. La bombola venne lasciata scorrere sul terreno, mentre si allontanava velocemente. Kyle rimise nuovamente le mani intorno al collare di Arcanine, applicando pressione in due punti opposti. Stavolta, grazie al congelamento subito, il ferro cedette immediatamente, liberando Arcanine.
Il Pokémon si scansò immediatamente, ringhiando.
- Calmo, è finita. Sei libero ora - Kyle guardò le mani, sanguinanti a causa delle spine.
Arcanine lo fissò per un breve istante, come se stesse cercando di ringraziarlo.
Si girò, fece un paio di passi, e tornò a guardare Kyle; dopodiché guardò nuovamente avanti.
- Vuoi essere seguito?
Arcanine guardò nuovamente davanti a sé, poi tornò a osservare Kyle.
- Riolu, lo seguiamo? - Kyle guardò il suo amico, leggendo il dubbio nei suoi occhi.
Sembrò titubante, ma alla fine mosse il capo in alto e in basso, accettando la proposta.
- Bene, credo sia il momento in cui tu voglia ricambiare il favore, ti seguiamo… - Kyle mosse un passo dopo l’altro, guidato da Arcanine, ancora dubbioso. Nella destra, stringeva forte l’impugnatura della sua Colt.
 
- Kyle! Cazzo qui è un putiferio, ho dovuto usare i miei Pokémon e per fortuna ci hanno salvato, per ora, anche se qualcuno non ce l’ha fatta... Dobbiamo sbrigarci e tornare indietro, facendo crollare la galleria, altrimenti ci saranno addosso.
- Scusa Sur, mi ero perso nel magazzino, e volevo cercare di aiutare qualcuno ma ho trovato solo morte… ma aspetta quali Pokémon.
- Non è importante, e non preoccuparti degli altri, ora andiamo. Chi poteva è tornato, purtroppo non possiamo cercare i corpi o moriremo anche noi. Aspetta, e tu chi cazzo sei? - indicò Arcanine.
- Lui? Un amico - sorrise Kyle.

 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Big Bang ***


Big Bang
 
L’odore pungente delle ceneri che, ancora calde, riempiva il tunnel, contribuiva a tener in vita il perpetuo ciclo di immagini che si materializzava nella mente di Kyle.
L’ultima cosa che poté vedere, prima di dover fuggire attraverso il tunnel, fu la sagoma di un’enorme uomo intento a dirigersi, assieme a ombre confuse tra il fumo che continuava ad addensarsi all’interno del magazzino, verso di loro. Ricordò di aver attraversato il varco con i suoi piedi, e pochi attimi dopo divenne tutto nero. Calore avvolse il suo corpo.
 - Dove… dove sono?
 - Ah, finalmente ti sei svegliato. Mi hai fatto cagare sotto, Kyle.
Il ragazzo aprì gli occhi, ritrovandosi disteso su di Arcanine - Quando sono finito qui sopra? - affondò una mano nel folto manto del Pokémon, reso completamente nero dalla fuliggine.
 - A quanto pare i Sacerdoti ci hanno anticipati, e facilitato il lavoro. Qualcuno doveva avere un Pokémon tipo Fuoco molto potente, in pochi istanti ha distrutto l’ingresso del tunnel, proprio mentre stavi per entrare, sigillandolo tramite fusione delle rocce. Sei salvo grazie a questo Arcanine, non so come, ma ti ha protetto col suo corpo. Per questo è tutto nero e sporco ora, sembra uno del nostro rifugio - gli uomini risero.
 - Quindi, mi ha salvato lui?
 - Sì, adesso stiamo tornando a casa, una volta arrivati sigilleremo per sempre questo tunnel. Crollerò tutto, ma saremo più sicuri e nasconderemo le nostre tracce.
 - Capisco… quanti non ce l’hanno fatta? - Kyle si alzò, sistemandosi meglio in groppa ad Arcanine. Riolu dormiva sulla testa di quest’ultimo.
 - Troppi, una ventina almeno fra adulti e ragazzini… fottuti fanatici, li ucciderò tutti. Tu come ti senti?
 - Sto bene, grazie. Tu come te la passi?
 - Puzzo di zolfo, sono più nero del solito, e ho perso la mia maledetta sigaretta speciale.
 - Nulla di importante quindi… quanto manca? - Kyle allungò le mani, prese Riolu e se lo sistemò sul ventre, avvolgendone il corpo con le sue braccia.
 - Poco, mettiti comodo e riposati, te lo sei meritato.
 - Va bene, Sur, ma quando arriviamo voglio aiutare.
 
Mancava poco. Sur poteva vedere le luci di casa risplendere nella parte finale del tunnel, gli parve quasi di venir scaldato dai raggi luminosi che giungevano sulla sua pelle.
Una strana sensazione iniziò a farsi viva all’interno della sua mente: quel calore era fin troppo reale, per essere solo una fantasia dovuta alla felicità di tornare a casa dopo la battaglia affrontata poco prima.
 - La cosa non mi piace - Sur iniziò a insospettirsi - Questo sembra… è odore di sangue! Ragazzi mollate tutto e correte al campo, siamo sotto attacco!
 - Attacco? Come? - Kyle saltò all’istante, rischiando di cadere dalla groppa di Arcanine.
 - Non lo so, cazzo, non lo so!
 - E cosa stiamo aspettando? Andiamo, siamo tutti pronti - Trevor chiamò al suo fianco Golem.
 - Ragazzi, non sappiamo quello che troveremo, quindi mi raccomando: entrate lì dentro, e spaccate il culo a chiunque. Non mi interessa quanti assalitori ci siano, né dove si trovino. Noi li troveremo, e li uccideremo tutti, nessuno fa del male alla famiglia senza venir punito! - Sur imbracciò il suo Barret.50, mise il colpo in canna, e lustrò il mirino telescopico con uno straccio che aveva avvolto al braccio.
Si girò verso di Kyle, e lo bloccò per le spalle - Tu vai da Daisy, proteggila, ok? Lascia a me e gli altri il lavoro sporco. Raccogli quante più donne e bambini possibili, prendi Daisy e andate al rifugio.
 - E tu, vedi di non morire, altrimenti Daisy ti uccide.
Sur sorrise, ringraziando mentalmente Arceus di poter vedere il viso di Kyle, prima di dover rischiare la vita.
Fu il primo a mettere piede all’interno del rifugio. Non fece caso né ai cadaveri delle sentinelle, né di essersi fermato all’interno di una pozza di sangue. I muscoli del corpo si contrassero, mentre la nera portatrice di morte veniva imbracciata.
Sur inspirò, fondendo il proprio corpo col fucile.
Svuotò completamente la testa, portando il mirino telescopico all’altezza del suo occhio destro.
Trattenne il respiro.
 - Non ancora… - l’indice venne corteggiato dal grilletto, bramandolo.
Un attimo dopo, cedette. Il colpo venne esploso, diretto con precisione chirurgica verso l’obbiettivo.
Meno tre.
 
Kyle avanzava velocemente, grazie alla potenza muscolare unita all’agilità di Arcanine.
Il canide lo condusse all’interno della città, diretti verso il cuore delle forze nemiche.
 - Arcanine, dobbiamo arrivare dall’altra parte della grotta però ci fermeremo ad aiutare chiunque sia in difficoltà, ok? Riolu, tu coprici le spalle - Kyle estrasse la sua arma dal cinturone, mentre il suo amico fidato cercava la miglior posizione per restare in equilibrio sul dorso di Arcanine.
I tre passarono vicino la bottega del fabbro, completamente in fiamme, ormai prossimi al centro dello scontro.
 - Andate tutti al rifugio, forza! Non c’è tempo da perdere, lasciate a Sur e i suoi uomini il compito di ripulire. Portate donne e bambini al sicuro - urlava ai sopravvissuti, Kyle, sfrecciando per le strade della città.
Voltarono l’angolo, trovandosi faccia a faccia con un gruppo di persone completamente vestite di bianco. Arcanine si bloccò sul posto, iniziando a ringhiare.
Il cuore di Kyle gli si bloccò nel petto, incastrato fra la sesta e la settima costola, quando uno di loro si voltò nella sua direzione. Il soldato della luce alzò il fucile, puntandolo verso il ragazzo.
Non ebbe il tempo di reagire, partì una raffica di colpi.
Kyle chiuse gli occhi per istanti che gli parvero infiniti. Sentì l’odore della polvere da sparo, un rombo assordante gli tempestava le orecchie mentre credeva d’esser morto. Non aveva il coraggio di vedere gli eventi successivi, il solo pensiero di dover trovare il suo corpo perforato dai proiettili lo avrebbe ucciso al momento, privandolo dell’ultimo respiro.
Tutto questo non accadde, stranamente. Non sentiva dolore né alcun altro cambiamento particolare.
 - Kyle, dove diavolo sei stato! - venne preso per le spalle e disarcionato da Arcanine.
Il ragazzo cadde per terra, completamente impaurito.
Aprì gli occhi, il viso di Daisy gli si iniziò a comporsi lentamente dinnanzi.
 - Mi hai fatta spaventare a morte! Ti rendi conto di cosa cavolo sta succedendo qui? - sottolineò l’ultima frase additando la mitragliatrice che stringeva nell’altra mano.
 - Sì lo so, Sur mi ha detto di correre da te e portare gli altri nel rifugio.
 - Almeno una cosa buona ogni tanto la fa quello stupido vecchio. L’avevo detto che dovevi restare a casa, ho sempre ragione.
 - Ma adesso cosa vuoi fare?
 - Ora tu porti le tue chiappe con me, al rifugio. Stammi vicina e aiuta tutti quelli che puoi, ok? Ah a proposito, carino il tuo nuovo cane, scordati che dorma dentro con noi però.
 - È bello anche per me rivederti….
 
Lato opposto della caverna, vicino la breccia.
 
 
Sur sparò l’ennesimo colpo, coprendo l’avanzata dei suoi.
 - Munizioni, figliolo! - urlò, liberando la sua arma dal caricatore ormai vuoto - E ricaricami subito questo caricatore, i figli di puttana sgusciano fuori come ragazzini quando tiri fuori una canna.
 - Eccole, caricato!
Il ragazzo consegnò i proiettili a Sur, che riprese immediatamente a sparare.
 - Vedi? Non serve per forza entrare nel conflitto per... - il veterano sparò un altro colpo, tirò l’otturatore per far fuoriuscire il bossolo vecchio e inserire il nuovo, e riprese la mira.
 - Vincere o aiutare in battaglia, se non ci fossi tu….
Sparo, otturatore, mira.
 - … avrei perso una decina di secondi per ricaricare il caricatore, quindi nemici in meno morti. E questo significa?
 - Significa che i nostri sono di più nella merda - passò il nuovo caricatore a Sur, anticipandone la richiesta.
 - Esatto, ragazzo, vedo che stai iniziando a imparare. Scusami un attimo.
Sparo, otturatore, cambio caricatore, mira.
 - Sono troppi, Sur… non finiscono mai.
 - Già, lo so, ci servirebbe un miracolo. Gli stronzi usano i Pokémon anche contro gli umani, dobbiamo inventarci qualcosa. Iniziamo a scendere da questo tetto, andiamo nella mischia. Pronto?
 - Io e Tyranitar siamo pronti.
 
 
Raggiunsero in pochi attimi il vivo della battaglia, le strade erano deserte. I soli segni del passaggio di qualcuno erano dati dal sangue ancora fresco sparso sui vari muri, unito ai cadaveri di rifugiati e Sacerdoti.
La resistenza si trovava in serie difficoltà, ormai quasi accerchiata. Il nemico era troppo fin troppo numeroso per poter essere affrontato in quella situazione, in campo chiuso.
 - Ragazzi ritirata! Abbiamo preso tempo sufficiente, è arrivato il momento di sparire, veloci! Tutti via! - Ordinò Sur.
Un tremendo rimbombo fece eco alle sue parole, il terreno tremò.
 - Ancora altri rinforzi?! Ma quanti sono? - urlò qualcuno, fra i restanti.
 
Tum… Tom Tum… Tum!
 
 - Sembra… un tamburo da guerra… ma non è dei Sacerdoti, guardate - Sur indicò il fronte opposto della battaglia.
Tutti erano come impietriti, immobili ad ascoltare. Non si udiva un solo sparo o respiro.
Arrivò di nuovo, stavolta più forte e vicino.
Tum, Tom Tum, TUM.
 - Viene da quella parete. Voi tutti, scappate sta per arrivare qualcosa! Deve essere molto grosso quindi correte! - Sur diresse il suo sguardo verso la parete a Ovest, dove stazionava un gruppo di Sacerdoti.
 - Che fai, salvi il nemico? - chiese il suo sottoposto.
 - Certo, sennò poi io chi ammazzo?
Il battere ritmato si fece ancor più vicino, talmente tanto da far tremare la parete. Un paio di piccole stalattiti si infransero al suolo, ferendo un paio di Sacerdoti.
Tum… tom… Tum!
L’ultimo battere fu accompagnato da una violentissima esplosione: la parete si trasformò in uno zampillo di frammenti e rocce, grandi fino alle dimensioni di uno Snorlax. La slavina uccise sul colpo almeno una ventina di Sacerdoti, mandando chiunque nel panico.
Una spessa nube di polvere venne lacerata da un ruggito talmente potente da perforare l’animo di chi l’avesse udito, ricordando una bestia primordiale nel momento del suo risveglio dopo un sonno millenario.
Un Pokémon enorme fece il suo ingresso, calpestando e sgretolando sotto il suo possente peso i blocchi di pietra precedentemente scaraventati al suolo.
Reggeva in ogni mano un grosso osso, utilizzandoli a mo’ di clava per tamburellare sul ventre roccioso a ogni passo, come se stesse suonando una marcia di guerra.
Alla sola vista dei Sacerdoti, s’imbestialì: lanciò i due ossi in direzione delle truppe bianche, spezzando e smembrando arti come fossero burro.
Ruggì, possentemente.
Un uomo cavalcava la bestia, eretto in tutta la sua altezza sulla sua spalla destra.
Sparò diversi colpi col suo Revolver, ridendo di gran gusto.
I Sacerdoti iniziarono a scappare impauriti dal punto in cui avevano fatto irruzione, abbandonando le armi e fregandosene del nemico. In quel momento la sola cosa importante era salvarsi la pelle.
 - Ryp guarda un po’ che hanno fatto… non gliela faremo mica passare liscia? - il Pokémon ruggì, acconsentendo.
Raccolse due enormi blocchi di pietra e li inserì nei palmi delle mani.
 - Ottimo, quanto sei bello quando mi capisci! Stasera doppia porzione di bistecca per te. Vai ora, Devastomasso! - l’uomo puntò verso l’alto un pugno, imitando i giocatori di basket famosi dopo aver messo a segno un canestro da metà campo.
Il Pokémon ruggì nuovamente, facendo da accompagnatore alla tremenda esplosione generata dal successivo impatto delle rocce contro altre rocce.
 - Il mio preferito, sandwich di Sacerdoti!
 
 
Pochi minuti dopo, le intere truppe nemiche erano state polverizzate o erano scappate in cerca di un rifugio. Il Pokémon corazzato stava dirigendosi verso il gruppo di ribelli.
 - Sur, ma chi cavolo è quello che ci ha salvati? - chiese il suo caricatore umano.
 - Quello, amico mio, è il figlio di puttana più bello che possa esistere.
 
 
Poco prima, distante dallo scontro centrale.
 
 - Abra, preparati, stanno arrivando - fece Earl udendo i passi che svelti si avvicinavano alla sua tenda.
Tredici Sacerdoti, accompagnati da altrettanti Vigoroth, misero piede all’interno degli alloggi del vecchio saggio.
 - Mani in alto! - urlò uno di quelli - Sua Eccellenza ha ordinato il suo arresto, ci segua o lo elimineremo immediatamente, compreso il suo inutile Pokémon.
 - Ragazzi, calmi. Volete che questo vecchio vi segua? Va bene, va bene. Lasciatemi prendere solo il mio bastone - Earl si incamminò verso la libreria.
 - Non ci provare, vecchio. Se ci tieni alla testa non muovere un solo passo.
 - Testardo, eh? E va bene… volevo divertirmi anch’io ma… Alakazam, Psichico, uccidili.
 - Ma è un Abra! Vecchio se credi di spaventarci, sei fuori strada.
 - Oh mio caro, devi imparare a non vedere con gli occhi - Earl sorrise, mostrando uno strano bracciale con sopra incastonata una pietra giallognola con degli inserti marroni.
 - E quello cos’è? Dammelo immediatamente o….
 - O cosa, mia cara guardia? Sicura di poterti muovere?
Nel frattempo, Abra rivelò la sua vera forma: Alakazam.
 - Come ha fatto? Ha mascherato il suo aspetto! - urlò uno dei Sacerdoti.
 - Semplice, mio caro. Anni e anni di esperienza, il mio Alakazam sa praticamente tutto. E ora, morirete, ho già perso la canna delle cinque per voi, non voglio spingermi oltre.
 - Non restate lì impalati, attaccate! Vigoroth, usa Nottesferza.
Earl lanciò uno sguardo ad Alakazam, sorrideva - Compare mio, è il momento!
Alakazam urlò, avvolgendosi in una potentissima luce bianca che accecò tutti i presenti.
Pochi attimi dopo ne fuoriuscì completamente trasformato: i lunghi baffi si erano uniti a formare una folta e vistosa barba, mentre le zampe posteriori si erano ritratte, nel mentre lui si elevava dal terreno levitando, grazie al potere della psiche. Scontrò i due cucchiai che reggeva nelle mani, fondendoli, dopodiché li ritrasse con forza, sdoppiandoli varie volte, fino ad arrivare a far volteggiare intorno al suo capo dieci cucchiai.
Il Pokémon schiuse gli occhi; una potentissima onda d’urto psichica investì i Sacerdoti e i loro Pokémon, scaraventandoli in un angolo.
 - Voi, Pokémon, non avete colpe, fuggite ora e non vi farò nulla - commentò Earl.
I Vigoroth fuggirono impauriti, lasciando soli i Sacerdoti, bloccati dalla potenza mentale di Alakazam.
 - E voi, sottospecie di essere umani. Siete fortunati, non uso i Pokémon per uccidere altri umani. Però voi avete dato la caccia, torturato e massacrato donne e bambini, non è vero? Quindi non potete essere degli umani. E questa è una fortuna, per me… - Earl si prese una pausa, camminando avanti e indietro per la tenda, come se cercasse qualcosa.
Nei volti dei Sacerdoti poteva scorrere il terrore crescere sempre di più, mano a mano che la mente di Alakazam si insinuava nelle loro.
 - Ho deciso, vi risparmierò la vita. Non dovrete più soffrire dovendo ubbidire agli ordini di un pazzo, grazie a me sarete liberi.
 - No, ti prego, abbi pietà! - uno dei Sacerdoti scoppiò in lacrime.
 - Pietà?! - ruggì Earl - Pietà?! Dov’era la pietà quando avete decimato la mia gente? E quando ci avete resi schiavi? E quando ancora oggi, venite qui per uccidere i nostri bambini? Mio caro, già stai avendo tutta la mia, di pietà. Ringrazia Arceus che io non ti stia eviscerando con uno stuzzicadenti. Finiamola qui, Alakazam terminali.
Il Pokémon aprì gli occhi, scatenando un susseguirsi di orribili schiocchi di ossa rotte, accompagnati dal rumore soffocato degli organi dei Sacerdoti che collassavano su se stessi. Durò pochi istanti prima che anche l’ultimo dei nemici crollasse al suolo, con ogni singola ossa polverizzata e gli apparati interni ridotti a un brodo.
 - Alakazam… c’è qualcun altro, attento - Earl si voltò, inorridendo all’istante.
 - Tu… come hai potuto?
 - Ciao, zietto. Quanto tempo, vero?
 - Dopo tutto quello che abbiamo fatto per te, è così che ci ripaghi? Uccidendoci?
 - Non cominciare! Non vuoi morire con onore? Devi sempre rompere il cazzo fino alla fine - l’uomo si avvicinò a Earl, mostrando una Master Ball aperta, soddisfatto.
 - Cosa ti hanno fatto, figliolo? Perché sei diventato così?
 - E lo chiedi pure? Dovresti conoscermi, o sbaglio?
 - Lurido bastardo… Alakazam, preparati.
 - Non credo proprio. Zekrom, Incrotuono.
 Un potentissimo bagliore azzurro apparve dalle spalle dell’individuo, lacerando la tenda all’istante.
Earl fissò la scena sbigottito, incapace di agire. Alakazam tentò con tutte le sue forze di opporsi all’attacco imminente ma non poté nulla contro la potenza del Pokémon leggendario.
 
 
L’intera caverna brillò per un istante, scossa da un violento terremoto.
Poi, il nulla.
 
 
 - Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Terra e Ossa ***


Terra e Ossa



Cole, una decina di uomini forzuti e il reparto speciale di Sur erano all’opera, sotto indicazioni di quest’ultimo. L’attacco era cessato da diverse ore, e in quel momento stavano facendo del loro meglio per rimuovere gli enormi pezzi di pareti e roccia crollate sulla tenda di Earl. Tutti, lentamente, stavano avvicinandosi al gruppo che lavorava senza fiato, raccogliendo per strada tutti gli averi che riuscivano a ritrovare e chiamando ad alta voce i nomi dei loro cari. Troppo rare erano le volte in cui si udiva una risposta, anche un flebile richiamo lontano.
Le truppe dei Sacerdoti erano fuggiti in preda al panico non appena Rhyperior si era lanciato su di essi. Incalzati da Sur e i suoi compagni, erano scomparsi dalle grotte d’ingresso da cui erano giunti.
Molti i cadaveri lasciati durante la fuga ma lo erano ancora di più quelli dei difensori. Cole alzò un enorme macigno e, alzando lo sguardo, vide ovunque si poggiasse il suo sguardo i corpi senza vita di donne e bambini.
Caricò sulla spalla destra la grossa pietra e si voltò, diretto verso l’ennesimo cumulo di macerie che si ergeva sempre più alto. Ryp lo seguiva, caricatosi di una grossa mole di pietre e ferro distrutto. Cole passò con attenzione fra i cadaveri dei ribelli, evitando ogni singolo contatto con loro.
- Ryp, aspetta un attimo e poi chiudi - posò le pietre a destra del cumulo.
Si piegò su di un ginocchio, per poi raccogliere con delicatezza una ragazzina di appena dieci anni; la sua lunga veste creata con molti rattoppi era ormai lacerata in più punti.
La poggiò all’interno del tumulo improvvisato; un peluche di Teddiursa cadde dal gelido abbraccio della piccola, cadendo sui piedi del soldato. Cole si piegò una seconda volta, lasciando che qualche lacrima scorresse giù, verso il terreno, raccogliendo il piccolo giocattolo consumato dal tempo.
Lo osservò per qualche attimo e le sue dita, sporche di fango, sangue e polvere, ne imbrattarono il profilo. Ryp lo osservava pensieroso e taciturno, a poco a poco anche gli altri uomini si voltarono a osservarlo, stavano aspettando lui per ultimare il lavoro.
Cole si piegò per una terza volta, sempre sullo stesso ginocchio, portando il suo viso al pari con quello della bambina. Sistemò il peluche sul petto della piccola, per poi richiuderne le braccia attorno, in un ultimo, eterno, abbraccio.
- Grazie… - sussurrò una voce femminile poco lontana, interrotta dai singhiozzi.
Cole pensò che dovesse trattarsi della madre, distrutta dal dolore.
- Ryp, chiudi anche questo, abbiamo quasi finito - si spostò, dando la possibilità al suo Pokémon di richiudere il tumulo e sigillarlo per l’eternità.
Tornò indietro, verso il luogo in cui Sur guardava ormai da molte e molte ore.
- Lo abbiamo trovato, Cole… almeno il nostro Earl avrà degna sepoltura. Come tutti gli altri.
Cole si arrampicò sul mucchio di pietre, sedendogli di fianco. Gli mise una mano sulla spalla, cercando di consolarlo.
- Già, Rhyperior ha già preparato il suo tumulo, sarà il solo lì. Non abbiamo trovato Alakazam.
- Sì, lo so. Troppi morti, donne e bambini. Se la sono presa con le donne e i bambini.
- Lo so, amico mio, lo so. Dobbiamo andare però, non c’è tempo per piangere i morti, dopo che li avremo seppelliti tutti, bisogna spostarsi. Conosco un posto, ci sono altri Ribelli lì, ho lasciato un mio fidato a comandare mentre io non c’ero. Ci accoglieranno loro.
- Mhh… - sussurrò il più anziano, lo sguardo perso nel vuoto.

Daisy, Kyle e il gruppo di persone da quest’ultimi ritrovati durante il loro tentativo di fuga, furono gli ultimi a giungere al centro della grotta dove si ergeva l’enorme tumulo dedicato a Earl, loro capo. Cole aveva appena finito il suo discorso, presentandosi alle persone che non lo conoscevano data la sua assenza più che prolungata.
Daisy si fece spazio tra la folla, in mezzo a una moltitudine di persone che non smettevano di piangere i propri cari e i propri beni. Quando riuscì ad arrivare fra le prime file, Cole era già intento ad addentrarsi all’interno del tumulo, dove con la potenza di Rhyperior avevano costruito un letto di pietra dove poggiare il corpo di Earl e, con esso, il lungo bastone bianco che adoperava per i lunghi spostamenti. Rhyperior lo aspettava all’esterno, un monolite come guardiano dell’ingresso; affianco a esso, col capo chino per nascondere gli occhi in lacrime, Sur si manteneva a stento in piedi.
Cole fuoriuscì poco dopo e Rhyperior sigillò con dei possenti massi l’ingresso del tumulo, dopodiché rese i blocchi un tutt’uno con la forza del suo corpo, rendendolo inamovibile.
Fu allora che Daisy lo vide e, nonostante gli anni avessero segnato il viso un tempo giovane, riconobbe Cole: il suo cuore fece un salto nell’oblio.
Le orecchie le fischiarono e sibilarono e il mondo perse consistenza e il sopra si mischiò col sotto. Avanzò di qualche passo, barcollando, mentre la folla si diradava lentamente, per andare a raccogliere le proprie cose. Gli occhi di lui le si posarono addosso, finendo con l’incrociare i suoi.
Daisy sentì un’imponente pressione su tutto il corpo, era come paralizzata. Aveva anche iniziato a tremare, e il mondo riprese a essere sottosopra, diversi puntini bianchi ricoprivano il suo campo visivo. Ma non Cole.
Lui era lì, fisso nel suo sguardo, immobile. Fu lui a fare il primo passo, verso di lei, liberandola dalla paralisi.
Daisy riprese a camminare, mentre Cole avanzava il passo.
Lui si apprestò ad abbracciarla e a sollevarla da terra, ormai giunto in sua prossimità. Venne però fermato da un sonoro e vigoroso schiaffo in pieno viso.
- Ma cosa….
- Ti credevo MORTO! - urlò Daisy, facendo da eco all’ultima parola con un pugno alle costole di lui.
- Ascolta, piccola, ero....
- Non me ne frega un cazzo di quello che hai fatto in questi sette anni, sei scomparso! - seguì un altro pugno.
Cole rimase immobile, incassando senza alcun danno.
- Non hai chiamato - altro pugno alle costole, - Non ti sei preoccupato della tua gente - ulteriore schiaffo al viso, - E non ti sei preoccupato di me! - seguì un ulteriore schiaffo, intercettato dalla mano salda ma dolce di Cole.
Daisy cercò di forzarlo, senza successo, piangendo a più non posso. Cole teneva saldamente il braccio di lei senza però stringere la presa, non voleva farle del male.
Lei alzò lo sguardo, incrociando gli occhi di Cole, per poi specchiarsi nel loro color nocciola chiaro.
Si lasciò cadere sul suo petto, affondando e arpionandolo con le sue unghie. Lui sorrise e la rinchiuse in un caldo e morbido abbraccio, accarezzandole i lunghi capelli ricci.
- Credevo fossi morto.
- Una pallottola è troppo poco per fermare il grande Cole - ammiccò lui.
Rimasero così per un tempo indefinito, mentre la gente scemava intorno a loro. Erano come pilastri in intemperie. Roccia in freddo e gelo.
Poi lui le sollevò il mento e si avvicinò per baciarla. Non fu un bacio degno di film, ma fu ciò che di più intimo avessero fra di loro. Le labbra di Daisy vennero avvolte in un caldo abbraccio, mentre il suo uomo la raccoglieva da terra con una sola mano, alzandola per il fondoschiena. Le braccia di lei gli volarono intorno al collo, mentre le gambe gli si artigliavano intorno alla vita. Cole utilizzò la mano libera per accarezzarle il viso e spostare le ciocche di capelli, sporche e piene di polveri, dal suo dolce viso.
Daisy si staccò per un attimo e Cole poté ammirare, dopo tutti quegli anni, i bellissimi occhi blu scuro di lei. Da sempre libertà del suo cielo, furia e potenza indomata del suo oceano.
- Ti ho sempre amato… Anche se tu sembravi morto, sapevo che non era così. Siamo dovuti scappare quel giorno, sennò sarei venuta a….
Cole la interruppe - Non c’è bisogno di scusarsi in alcun modo. Lo dovrei fare io per non averti avvisata, ma poi saresti stata ancora peggio per la distanza e paura che io non tornassi. Ho avuto parecchio da fare, ma te ne parlerò fra poco. Sur si sta già dirigendo alla punta Sud della caverna, gli ho detto di andare lì con tutti i superstiti, abbiamo lunghi giorni di marcia da fare, prima di essere al sicuro.
- Me la pagherai lo stesso - sorrise lei, raggio di luce in un cielo tenebroso in cui incombe una tempesta.
- Riscuoterò volentieri la punizione, stasera, nel letto.
Daisy lo colpì nuovamente al petto, imprecando e insultandogli i parenti. Poi i due si voltarono, diretti verso il punto di raccolta. 
La folla era quasi del tutto scemata, pochi gruppi di persone erano rimasti a parlare, quasi sottovoce, probabilmente per rasserenare qualche madre o padre piangenti delle loro perdite. Fra di essi si trovava Kyle, in groppa al suo Arcanine; aveva perso di vista Daisy in mezzo alla folla. Lei si era inoltrata ma lui ne era stato impossibilitato in quanto il suo Pokémon era fin troppo ingombrante per potersi addentrare nella foresta di gente che si era rivoltata lì per assistere e dare un ultimo addio al loro leader.
Fu solo allora che il giovane riuscì a ritrovarla. Al suo seguito c’era un grosso uomo, mai visto prima d’ora. Kyle smontò dalla groppa di Arcanine e si diresse verso i due che gli stavano venendo incontro. Più si avvicinava ai due, più riusciva a scorgere i particolari del viso di lui, dal grosso naso, alla mascella serrata e squadrata, quasi come fosse stata rintagliata in un blocco di marmo. Una cicatrice gli correva lungo tutta la guancia sinistra, partendo dalla base dell’occhio per poi finire al di sotto della mandibola, completamente sbarbato. Sotto il braccio sinistro portava un elmo, ed era rivestito da una strana armatura che gli ricordò in parte quella vista in qualche fumetto semi-distrutto di Iron Man, trovato mentre saccheggiava assieme ai suoi compagni, solo senza reattore Arc ed era completamente nera, con tanto di guanti e stivaloni. Dei strani simboli in una lingua sconosciuta erano intarsiati su petto, spalle e ovunque lo sguardo di Kyle riuscisse ad andare a cercare. Alcune parvero brillare per un istante, poi il bagliore si spense. 
Alla cintura portava un grosso revolver dalla lunga canna bianca e impugnatura nera.
Quello fu il primo particolare a indurre Kyle a pensare di conoscere molto bene quell’individuo, la sua pistola. Gli ricordava quella di suo zio, utilizzata quando faceva ancora parte della polizia speciale dei Sacerdoti; uno degli oggetti che si erano fissati nella sua mente, dopo la sua scomparsa.
Allungò il braccio destro verso Arcanine, accarezzandogli il folto manto che ne ornava il collo, sprofondando fino in fondo. La sua mano venne avvolta dal calore e dal morbido, fu una scossa di pace e tranquillità in mezzo a tutta quella morte. Il Pokémon Leggenda camminava fiero di fianco al suo compagno, evitando con grazia e disinvoltura i cadaveri dei Sacerdoti lasciati lì a marcire. Il petto in fuori e gli occhi, vispi e vigili, puntati sul nuovo uomo. Non ne riconosceva l’odore.
Ringhiò e abbaiò, diffidente.
Kyle lo tranquillizzò parlandogli a bassa voce, chiamando più volte il suo nome.
Cole rise di gran gusto, senza trattenere minimamente gli schiamazzi. - Ah, si vede proprio che è un tuo Pokémon, irrispettoso e dubbioso come pochi - alzò il braccio libero dall’elmo, in segno di saluto.
- Stai crescendo bene, vedo. Meglio così, avrei avuto qualcosa da ridire a Sur, altrimenti. E non ci sarei mica andato leggero come Daisy, oh no. Ma tieni a bada il cucciolo, non vorrei che Ryp pensasse male e lo schiacciasse.
Kyle si bloccò, sia per il tono che per la voce che disse quelle parole. L’aveva già sentita, in passato. Gli tornarono a mente i discorsi fatti con Cole, quando era più piccolo e suo zio era ancora in vita.
Perché lui l’aveva visto morire, gli avevano sparato in testa, davanti ai suoi occhi. Aveva impiegato mesi, se non anni, per smettere di ripetere lo stesso incubo, notte dopo notte, dove riviveva il momento in cui era iniziata la loro fuga e aveva perso la persona a lui più cara.
- C-Cole? - chiamò Kyle, ma la sua voce fu poco meno di un sospiro. 
Si sentì venir meno, le gambe cedettero e dovette farsi forza aggrappandosi al folto manto di Arcanine, sulla cui testa, era seduto Riolu, dedito a osservare l’uomo che si trovava di fronte. 
Riolu saltò in avanti, percorrendo metà della strada che lo divideva da Daisy e Cole, per poi correre verso quest’ultimo con lunghi e veloci balzi. 
- Vedo che almeno qualcuno si ricorda di me, vero Riolu? - Cole si chinò, raccogliendo e alzando Riolu, per poi sistemarselo sull’enorme spalla.
- Zio Cole! - urlò Kyle, lanciandosi anch’esso verso di lui. 
Il ragazzo si fiondò con tutte le forze sul petto di Cole, spezzandogli il fiato. Iniziò a piangere, mentre con le mani cercava di stringere quanto più possibile la grossa schiena dello zio.
- Ciao, piccolo mio. Scusa per l’assenza, il tabaccaio era chiuso - Cole gli arruffò i capelli, lasciati crescere nell’ultimo mese.
Kyle fu sopraffatto dall’emozione e per molti attimi non riuscì a dire una sola parola. Poi, come se il pianto avesse lentamente portato alla luce i suoi sentimenti, parlò. - Ti credevo morto. Ho visto, ti hanno sparato in testa.
- Beh, questo è vero. Però, se ti ricordi bene come ricordi la scena, vedrai che avevo la stessa armatura di ora, assieme al mio elmo. Davanti sembra aperto, per poter vedere, ma in realtà è chiuso. Grafene, una chicca. È trasparente ed è resistente come il diamante, flessibile come la plastica. Ovviamente, con l’aiuto di Ryp, io l’ho reso ancor più resistente, l’intera armatura ne è ricoperta. Qui dentro sono praticamente indistruttibile, non è facile far fuori il vecchio Cole.
Kyle lo guardò, stupito. Pensò che quell’uomo era sempre pieno di sorprese, e sarcasmo. Tanto sarcasmo. Nella mente apparirono migliaia di domande da sottoporgli, e Kyle saltava da un argomento all’altro, senza apparente filo logico.
La voce di Cole lo riportò alla realtà - So che hai molte domande da farmi, al momento, però dovremo rimandare. Gli altri ci aspettano e noi dobbiamo muoverci, ho ancora degli amici, ci stanno aspettando oltre le montagne, al di là del Monte Corona.
- Vuoi portare tutti via, e dove? - chiese, Kyle.
- Verso la libertà, è ovvio. Non credere che io abbia passato tutti questi anni a perdere tempo, ho aiutato un po’ in giro per il mondo. Ma tutto a suo momento, andiamo.
Cole si portò velocemente avanti, affiancato da Daisy, dietro di loro venivano Kyle e Arcanine, su cui Riolu si era appollaiato.

Dopo pochi minuti, durante i quali nessuno osò proferire parola, i tre giunsero in una piccola piazza, circondata da ciò che rimaneva della zona commerciale, dove si trovavano i pochi luoghi dove era possibile ottenere qualche bene, tutto rigorosamente grazie alla regola del baratto.
Sur si trovava al centro, chino su di un tavolo improvvisato con delle macerie, intento a osservare una mappa dei cunicoli sotterranei da loro scavati, cercando di trovare un punto di fuga, aiutato dai suoi migliori soldati. Tutt’intorno, la gente discuteva a voce bassa, creando un primo anello intorno a Sur, il secondo, molto meno numeroso, si estendeva all’esterno di tutti, composto dalle forze armate e i loro Pokémon, intenti a controllare armi, cucire ferite e guarire danni da lotte contro altri Pokémon.
Il rimbombo dei passi di Rhyperior fece ammutolire l’intera folla. Tutti volsero a lui i loro sguardi, a metà fra lo stupore e il timore. 
Cole gli fece segno di aspettare lì; l’enorme Pokémon Trapano si accomodò sui resti di un edificio, facendo scricchiolare cemento e ferro sotto alla sua mole. 
I soldati si fecero da parte, lasciando un canale d’ingresso per Cole e i suoi accompagnatori. L’anello interno di persone li imitò con qualche attimo di ritardo, più per paura che per altro: il ricordo di quella bestia portatrice di morte era ancora ben impressa nelle loro menti, nonostante gli atti delle ultime ore del ritrovato membro degli Impuri.
Nel mentre, Sur si occupò delle scartoffie sul tavolo, liberandolo da ogni anfratto. Cole gli si avvicinò, sorrise e utilizzò un calcinaccio lì vicino per salire più agilmente sul tavolo. Gli occhi di tutti si piantarono su di lui.
- Ascoltate, so bene che la maggior parte di voi forse non mi conoscerà nemmeno. Quando feci la mia uscita da questa grande famiglia, lo feci in modo piuttosto strano e probabilmente, chi di voi mi ricorda, mi crederà un fantasma. Circa sette anni fa, portai delle scorte di cibo al mio Ghetto, i Sacerdoti mi seguirono e attaccarono per riprendersi tutto. Io fui dato per morto, mentre la mia gente riuscì a fuggire e a rifugiarsi sotto le montagne. I Sacerdoti mi diedero la caccia per molto tempo e questo li distrasse abbastanza affinché tutti si mettessero in salvo.
Volse lo sguardo prima a destra, poi a sinistra, tutti stavano ascoltando con la massima attenzione.
- Dopodiché, non so esattamente cosa successe a quel gruppo di persone, molto numeroso. Per un anno circa, non ebbi contatti, vagabondando in giro. Andai di Ghetto in Ghetto, invogliando tutti gli oppressi a ribellarsi e a unirsi sotto un’unica bandiera, contro il nemico comune. Delle mie spie vi hanno sempre tenuto d’occhio, comunicandomi la vostra posizione e situazione vitale, in modo che voi non vi possiate trovare in difficoltà. Nel frattempo, io ho viaggiato, portando il mio aiuto dove fosse necessario, attaccando di tanto in tanto le forze nemiche, per scandagliarle e trovare un eventuale punto debole. Non siamo riusciti a scoprire molto, se non che il culto è diventato quasi maniacale, nei confronti delle Divinità Pokémon e sembra stiano cercando un modo di controllare i Pokémon Leggendari. L’unica nostra possibilità è di impedirglielo. Per questo, pochi giorni fa, mi misi in marcia, da solo, per giungere qui, senza destare troppa polvere e attirare gli occhi del nemico su di voi. Sembra che io sia arrivato giusto in tempo per aiutare nel momento del bisogno. 
Probabilmente, chi mi conosce, pensa io sia un pezzo di merda a essere scomparso per così tanto tempo. Ma credetemi, non è così… Ho visto molta, troppa morte durante questi anni. Molti uomini e donne valorose sono caduti durante il mio viaggio, ma altrettanti sono riuscito a salvare, e ora le nostre forze si stanno man mano convogliando nel nostro rifugio più grande e sicuro. Si trova al di là del Monte Corona, a Ovest. Interamente scavato dai nostri Pokémon, con una sola via d’accesso perennemente sorvegliata, non c’è modo ai Sacerdoti di entrare. La mia idea è di condurvi tutti lì, lasciando donne, bambini, anziani e chiunque sia in difficoltà all’interno del rifugio. Dopodiché, io, Sur e un piccolo numero di soldati, andremo in ricerca di un modo di entrare ad Astoria, scovare il punto debole del nemico, e poi tornare qui e preparare il grosso delle forze per un’offensiva finale. Non possiamo continuare a vivere così e, se Sua Fottità riuscirà a ottenere il controllo sugli elementi del mondo, resteranno ben pochi luoghi dove poter sopravvivere.
Una seconda volta Cole levò lo sguardo, incontrando quello di ogni presente. Per ultimo, Kyle lo osservava, quasi venerandolo per la sua presenza e capacità d’intingere di coraggio e forza chiunque gli stesse vicino. 
- Io intendo andare a riprendermi ciò che ci appartiene in quanto esseri viventi: la libertà di vivere come e dove voglio. Niente e nessuno dovrà mai mettersi contro di me - inspirò a fondo - O contro di voi, amici miei. Chiunque provi a impedirmi di rispedire quei preservativi bianchi ambulanti nel buco di culo da dove sono venuti, subirà la mia ira. E posso giurarvi che non è roba da poco.
Kyle sentì la tensione crescere, persone e Pokémon sembravano ora risplendere di luce propria, come se caricati di una nuova fonte di energia. Un Golbat alla sua sinistra sbuffò aria dalle narici, ingrossando le ali.
- Ho intenzione di andare faccia a faccia con quel lurido verme che si è permesso di farci questo e dirgli cinque semplici parole: - interruppe per un attimo il fluire di parole e incoraggiamenti, gonfiando il più possibile il torace.
Il sudore gli imperlava la fronte, scendendo a goccioloni dai capelli corti e ispidi. 
Poi, quasi come se stesse urlando ogni parola, si rivolse nuovamente al gruppo di persone.
- Io sono Christopher Coltrane, stronzo!
Rhyperior ruggì furioso, facendo da eco al suo compagno. Il suo ruggito si riversò in tutta la grotta, rimbalzando da parete a parete, trapassando ogni essere vivente lì presente e facendoli tremare fin dentro le ossa. Come un corno di battaglia suonato all’interno del torrione di un’immensa fortezza, riversato sui nemici, incutendo terrore e orrore, così il suo ruggito si propagò all’interno di ogni singolo cunicolo, galleria, grotta e lago sotterraneo, riempiendo in pochi attimi tutto il sottoterra, venendo udito da chilometri e chilometri di distanza, anche all’esterno, sotto il forte sole luminoso e limpido.
Per quello che parvero minuti, ore e secoli, tutti coloro che udirono quel potente ruggito, restarono immobili, come pietrificati dalla paura. Sur fu il primo a destarsi dall’incantesimo, avvicinandosi a Cole, per poi appoggiare una mano sul tavolo. 
- Io seguirò quest’uomo, ne abbiamo affrontate molte in guerra, io e lui. Lo seguirei ovunque, anche se andasse dritto nelle fauci del nemico; certo, dopo qualche bicchierino ma ci andrei lo stesso.
Il ristretto gruppo di soldati più vicino a loro due si dichiarò disposto a seguirli, e così fecero, man mano, tutti i presenti. Pokémon compresi.

Passarono poche ore, il sole stava ormai per tramontare quando i preparativi per partire erano ormai prossimi alla conclusione. Kyle passò tutto il suo tempo con Cole, riempiendolo di domande e chiedendo ogni possibile cosa che gli passasse in mente. Era avido di informazioni sul come avesse passato tutti quegli anni e a quali avventure avesse preso parte. Venne così a conoscenza dei suoi viaggi a Kanto, Johto, e le altre Regioni, indirizzati al salvare e liberare il maggior numero di Ribelli e unirli sotto un’unica bandiera. 
- E poi, a Kanto ho trovato amici che non avrei sperato. Ma non è questo il momento e il luogo adatto per parlarne - ammiccò Cole, mentre aiutava a caricare vettovaglie e provviste sui carri destinati ad essere trainati dai Pokémon più forzuti. 
Sur venne loro incontro, incalzando i preparativi, per poter partire il prima possibile. 
- Cole, Daisy, voi andate pure avanti con gli altri, io resterò nella retroguardia con i miei, partiremo fra un po’. Prima ho una faccenda da portare a termine – disse loro, gli occhi spenti e tristi.
Così il grosso dei Ribelli si mise in marcia, attraverso la fitta rete di gallerie, per poter restare il più possibile nascosta agli occhi nemici. Molte leghe li aspettavano, nel sottosuolo, prima di poter uscire alla luce del sole. Kyle camminava di fianco a Cole e Daisy, il suo fagotto era caricato sulla schiena di Arcanine, utilizzato come cuscino da Riolu che sonnecchiava beato. Avanzavano come un branco di lupi, i più anziani, deboli e lenti nel passo venivano subito dietro di loro, poi a seguire un gruppo di uomini forzuti ed armati, poi donne e bambini, e infine un piccolo gruppo di uomini a chiudere la lunga fila. Seguiva Rhyperior, ultimo fra gli ultimi, immenso muro oltre il quale nessuno sarebbe riuscito a passare. Tutti loro, aiutati dai rispettivi Pokémon, portavano zaini e borse colmi di provviste e materiali e strumenti essenziali, lasciando indietro tutto il superfluo. Avevano urgente bisogno di muoversi, il più velocemente possibile. 

Il piccolo manipolo di uomini, diretti soldati di Sur, rimase a osservare i loro compagni inoltrarsi nel buio della galleria, illuminata dai loro Pokémon Elettro e Fuoco. Sur si era appena voltato, dirigendosi verso i tumuli, quando Rhyperior scomparì nelle tenebre, trasportando sulla schiena un’enorme turbina utilizzata per generare corrente domestica tramite il potere dei Pokémon.
Sur camminò a testa bassa sino al tumulo in cui era seppellito Earl. Si sedette davanti l’ingresso sigillato e si tolse il fucile dalla schiena, appoggiandolo poi davanti ai suoi piedi. Il mirino ottico scintillava e rifletteva la luce che lo colpiva, spargendola tutt’intorno. Il nero del corpo metallico era offuscato da polvere e sudore, ma le impronte delle sue mani erano ancora ben visibili e lasciavano trasparire il lucido sotto il lerciume. 
- Ebbene, Maggiore, credo che questa sia la fine. Non è come avevamo sperato, col bacino rotto e il seno di Fiammetta e Camilla che ci soffoca, rispettivamente a me e a lei. Sì, perché Fiammetta l’avrei presa io – fece una breve pausa, sorridendo – Perché sappiamo entrambi che io avrei preso la rossa, con tutto il rispetto per il grado e la sua persona, ma quel culo non l’avrei di certo lasciato a lei.
Andò ad accarezzare la Poké Ball che portava fissata al cinturone, venendo immediatamente rilassato e rincuorato dal profumo di verdi prati che emanava. Respirò lentamente e profondamente, lasciando tremare e sfogare il suo corpo. 
- Sa bene che non sono bravo con le parole, vero Maggiore? Cazzo, non sono riuscito a dirti sinceramente grazie nemmeno quella volta che mi hai salvato il culo in guerra, Earl. Una volta usciti da quella prigione quanti ne abbiamo fatti fuori, un centinaio? – rise fragorosamente, scuotendo il capo a destra e a sinistra – Ricordo ancora i tuoi insulti perché col mio fucile li facevo secchi prima che arrivassero a portata di tiro del tuo. Te l’ho sempre detto, il mio spara più lontano. Ed è più grosso, ecco perché mi meritavo io la rossa. Ma probabilmente ora è morta, che spreco; spero che almeno lì dove vi trovate adesso ve la stiate spassando, alla faccia mia. Io sono obbligato a portare il mio vecchio culo in giro, fra fango e roccia, mentre tu te ne lavi le mani. Non è affatto giusto, stronzo d’un Maggiore. 
Sur spostò il fucile di lato e si alzò in piedi per poi dirigersi verso l’ingresso del tumulo, ormai sigillato. Una sola piccola crepa nella roccia che faceva da porta, rendeva il tutto non perfetto.
- Con le parole non sono mai stato bravo, è vero. Però volevo ricambiare in qualche modo il favore fattomi quella notte, in quella prigione lurida e fetida. 
Estrasse dal cinturone un lungo coltello seghettato in acciaio, osservandone la lama. Ne tastò il filo, tagliandosi il pollice. 
Lasciò scorrere le prime gocce del suo sangue sulla lama, mentre dalle sue labbra fluivano, colme di malinconia, le parole del ritornello di “Three Little Birds” di Bob Marley.
- Ho fatto lasciare questa fessura apposta per me, volevo ridarti il tuo coltello, quello che ci salvò la vita e ci ricondusse a casa. Mi dispiace doverti lasciare così, senza gli adeguati riconoscimenti, ma il tempo preme, fratello.
Sur sussurrò quasi quell’ultima parola, mentre le lacrime avevano ormai sfondato la diga da lui autoimpostasi, poco prima di decidere di avviarsi verso la tomba. Alzò il pugnale, la cui lama risplendeva di vermiglio e lo conficcò con forza nella pietra, sigillandolo per sempre lì, dove i posteri sarebbero poi venuti a commemorare la memoria del loro condottiero.
Sur sentì delle ventate di compassione provenire dalla sua Poké Ball, accompagnate da crescente profumo di verdi prati e rugiada al mattino. 
Senza troppe cerimonie, si alzò, dando per la prima ed unica volta, le spalle alla tomba del defunto fratello. 
Pochi minuti dopo, era nuovamente fra i suoi soldati, già pronti a partire. 
- Ebbene, amici miei, è arrivato il momento di partire. Lasciate tutto ciò che non è necessario, perché nulla vi ridarà i vostri cari. Terra e ossa, solo questo resta nel nostro pugno, sporco di sangue e impregnato dell’odore delle viscere dei nostri nemici.
Il suo sguardo spiazzò dal primo all’ultimo dei suoi uomini, fisso nei loro occhi. Sur si ergeva come un vecchio albero d’ebano nero, sfidante le intemperie, mentre i suoi sottoposti caricavano le arme e controllavano un’ulteriore volta l’attrezzatura.
- Vi avevo promesso che non ci sarebbe più stato bisogno di voi, se non a difesa delle nostre segrete terre. Mi spiace dover venire meno alla parola data ma abbiamo una missione, e spero che voi non vi tiriate indietro.
Nessuno osò muovere un singolo muscolo, restarono ad osservare ed ascoltare, mentre i cadaveri iniziavano il loro lungo abbraccio eterno con la terra.
- Lo sapevo, banda di cazzoni che non siete altro. E sia, romperemo il culo anche a questi figli di puttana e poi potrete riposare. C’è solo un’altra cosa, ancora…
- Che cosa, Sur? – chiese il sergente Tyrell.
- Una volta tornati a casa, io scelgo per primo la femmina, nel locale dove festeggeremo.
Tutti risero, il loro umore era lievemente migliorato nell’ultimo frangente della giornata.
E come seguiti da un tacito accordo, i soldati seguirono Sur, disponendosi a ventaglio.
L’oscurità li inghiottì non appena misero piede all’interno della galleria, diretti verso la loro nuova casa.


 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Always Running ***


Always Running
 
 
Il gruppo di sopravvissuti marciò per diversi giorni, nel sottosuolo. Giorno e notte; persero ogni inferenza temporale, al buio delle caverne e gallerie. Le luci emanate da Pokémon, torce e dispositivi vari non riuscivano a illuminare del tutto l’ambiente. In particolare, la zona superiore delle pareti e il soffitto vennero lasciate arbitrariamente in balia delle tenebre, per risparmiare energia e batterie. Cole, assieme a Kyle, Arcanine e Riolu, apriva la fila; seguivano i più anziani, i bambini e i feriti, i quali davano il ritmo alla marcia. Subito dopo di loro si trovavano i giovani e gli adulti più in forze ed esperti in combattimenti, affiancati dai loro Pokémon, già fuori dalle Poké Ball. Daisy veniva subito dopo di loro, assieme alle donne e i restanti civili, dietro di loro giganteggiava Rhyperior, trascinandosi il suo immenso fardello senza un apparente sforzo. Infine, a circa quaranta passi di distanza, Sur e i suoi tenevano d’occhio il tutto e si occupavano della sicurezza delle retrovie. Simile alla tattica utilizzata dai branchi di Luxray durante le migrazioni.
Dopo il primo giorno, in cui marciarono per sette ore di fila senza tregua, Cole decise che fosse arrivato il momento di prendersela con più comodo. Non aveva intenzione di perdere altri innocenti a causa dei ritmi serrati. Sur aveva fatto brillare l’ingresso della galleria, sotterrando le prime centinaia di metri di strada: sarebbe stata un’impresa ardua, anche per Rhyperior, sgomberarla dai detriti in poco tempo. Così, Cole cominciò a concedere pause più lunghe e più frequenti, durante le quali il gruppo si univa, lasciando qualche sentinella nella retrovia e in capo al manipolo di sopravvissuti. Fu soprattutto durante questi momenti che Cole raccontò varie vicende della sua avventura, lasciando in sospeso il numero di persone dall’altra parte, ad aspettarli. Daisy parve accontentarsi dei suoi racconti; Kyle era sempre più desideroso di conoscere ogni istante del suo viaggio.
 
In soccorso di Cole venne Sur, le poche volte che lasciava la retroguardia, per poter allenare Kyle, Riolu ed Arcanine.
- State migliorando, ragazzo. Arcanine è una forza, non si stanca mai!  
- Grazie, Sur, cerchiamo di mettercela tutta – rispose Kyle, mentre parava la sassata lanciata da Sur, utilizzando un coperchio di una pentola a mo’ di scudo.
Durante l’allenamento fisico di Kyle, Arcanine e Riolu lottavano in coppia contro un Electabuzz e un Raichu addetti ai rifornimenti energetici, venendo messi a dura prova.
- Kyle, concentrati! – urlava spesso, Sur – Se non resti concentrato su di noi e loro, come pensi di guidarli in battaglia?
- È difficile, non posso pensare a entrambi.
- Sì che puoi, basta fare pratica.
Kyle mosse brevemente il viso verso i suoi Pokémon, urlandogli delle mosse da seguire per portarsi in vantaggio. Sur approfittò per colpirlo violentemente sul viso, utilizzando il suo bastone. Kyle cadde all’indietro, con un sonoro tonfo. Riolu e Arcanine si voltarono, sentendo i lamenti del loro allenatore e vennero colpiti a loro volta dai loro rivali.
Sur fece segno ai due tipi Elettro di fermarsi, aiutò Kyle ad alzarsi e si avvicinò con lui ai Pokémon.
- Vedi? Una sola distrazione, tua o loro, e siete fregati. Credi nei tuoi compagni, e loro crederanno in te.
Colse la rassegnazione negli occhi di Kyle, sorrise e puntò verso di lui il proprio bastone.
- Forza, un’altra volta. Poi basta, c’è quella quarantenne fra le ultime file che… Meglio non dirti cosa faremo, dietro quella roccia – ammiccò il veterano, tornando in posizione di combattimento.
Kyle fece un segno d’intesa ai suoi Pokémon, e si lanciò di nuovo all’attacco.
 
Tutto filò liscio fino al settimo giorno di cammino, durante il quale sarebbero arrivati a poche leghe dalla loro destinazione.
Daisy aveva raggiunto Sur e stava discutendo con lui gli ultimi dettagli sul come sistemare i sopravvissuti. Nei giorni passati si erano fatti un resoconto di chi fosse riuscito a scamparla, scrivendo una lunga lista contenente i vari lavori e le braccia disponibile per ognuno. Cole, però, le disse di non preoccuparsi più di tanto, in quanto nella loro nuova base avrebbero trovato tutto ciò che occorreva.
Quest’ultimo, si trovava come sempre in testa alla strana e malridotta carovana, assieme a Kyle. Fuori splendeva il sole di mezzogiorno ma nessuno, all’interno delle gallerie, percepiva l’alternarsi del giorno e della notte. Il loro ciclo vitale era ormai dettato dal solo sempre più affaticamento del corpo, fra una dormita e un pasto.  
Kyle aveva finalmente esaurito l’interminabile sfilza di domande da lui gettate di continuo sul povero Cole e per questo si limitava, al momento, ad avanzare silenziosamente al suo fianco. Riolu aveva ormai trovato il suo posto, sul capo di Arcanine.
Cole imbracciava un fucile a pompa, mentre un enorme martello simile a quelli utilizzati dai fabbri, ma con l’asta di sostegno molto più lungo, rimbalzava e tintinnava sulla sua schiena. Kyle notò che su tutto il corpo dell’arma si intravedevano gli stessi strani simboli argentati che costellavano l’armatura: spesso le linee correvano le une indipendenti dalle altre, per poi riunirsi in strane rune che gli fecero venire in mente le foto di vecchi templi, trovate rovistando in giro fra case e costruzioni abbandonate.
Erano giorni che voleva chiedergli cosa significassero ma ogni volta qualcosa glielo impediva, a volte stesso la sua mente, troppo vogliosa di conoscere le meraviglie in giro per il mondo viste da suo zio: mari, monti, foreste, città fantasma. Una in particolare, rimase impressa dai racconti di Cole: Amarantopoli, con la sua immensa Torre di Latta e la vecchia Torre Bruciata, di cui non restavano neanche le fondamenta. Cole gli raccontò di averla vista in sogno, mentre aspettava, arrampicato su di un albero, il passaggio di alcuni Sacerdoti per tendergli una trappola.
Il giovane si decise: era arrivato il momento di chiedergli da dove provenisse quell’equipaggiamento così strano.
Si avvicinò a Cole, accelerando di poco il passo, per poterlo raggiungere. Allungò verso di lui una mano, per richiamare la sua attenzione. D’improvviso un grido gelido e tagliente gli lacerò i timpani, facendolo rabbrividire. Venne trapassato da parte a parte, l’impatto fu così forte da farlo accasciare sul pavimento; cercò di coprirsi la testa con le mani, per non impazzire.
I Pokémon gemettero, mentre la gente tutt’intorno si gettava al suolo. Cole fu l’unico a restare in piedi, un nero monolite in una radura di rami piegati dal vento. Urlò qualcosa ma alle orecchie di Kyle non arrivò altro che un suono ovattato e attutito. Cole gli si avvicinò, urlando di nuovo. Lo alzò di peso, indicandogli Arcanine e Riolu, i quali si erano già ripresi e si apprestavano a raggiungerli. Piano piano, l’udito tornò nuovamente e Kyle poté sentire ciò che gli veniva detto.
- Kyle, resta vicino ad Arcanine e Riolu, proteggi i civili. Io, Daisy e gli altri penseremo a qualsiasi cosa sia.
Vagamente, dalle retrovie, Sur stava dando ordini simili ai suoi soldati.
Kyle si sforzò per rialzarsi, facendo leva con le braccia. Non appena fu in piedi, una miriade di puntini bianchi iniziò a ronzare davanti ai suoi occhi. Barcollò, il suo piede parve vagare nell’infinito nero cosmico, per poi ritrovare il saldo appoggio sul terreno. In pochi attimi, tutt’attorno, iniziarono a correre umani e Pokémon: seguirono le direttive di Cole, posizionandosi poco più avanti dei civili.
In mezzo a tutto quel baccano, Kyle impiegò non poca fatica a raggiungere Arcanine. Riolu era sceso dalla sua testa e lo aspettava ai piedi di quest’ultimo. Dopo l’intenso allenamento al seguito di Sur, i tre si sentivano molto più sicuri di sé; bastò un solo cenno di Kyle e i suoi Pokémon lo seguirono. Dal folto pelo di Arcanine si sprigionavano scintille e l’aria venne pervasa da un leggero odore di zolfo, mentre dalle mascelle serrate del possente Pokémon Leggenda fuoriuscivano piccole vampe, illuminandogli la cicatrice che gli coronava il muso.
- Kyle, resta indietro – gli urlò Daisy – Pensa ai civili, io vado avanti. Voi uomini, seguitemi, portate i Pokémon, veloci!
- No, Daisy, non ancora – Cole le fece segno di restare indietro e riporre la Poké Ball.
Ci fu un ulteriore urlo, straziante più del precedente. Ad esso si unirono, come un richiamo, decine e decine di versi simili, più o meno acuti. Kyle aveva le orecchie che andavano letteralmente in frantumi.
Il ragazzo si aggrappò con una mano al manto di Arcanine, ancora sporco di detriti dopo l’incidente durante la loro missione, utilizzandolo come trespolo per tirarsi su. Volse lo sguardo verso l’oscurità in cui convergevano le pareti ma nessuna figura si presentava ai suoi occhi, nonostante i vari Pokémon Elettro stessero bombardando la galleria con potenti scariche elettriche, portando la visibilità a oltre cento piedi di distanza.
Cole urlò qualcosa che non arrivò alle orecchie di Kyle, indicando il soffitto. Gli attacchi dei Pokémon si riversarono immediatamente verso la direzione indicata dal loro compagno. I tipo Psico, capitanati da un Espeon, crearono una bolla protettiva intorno ai civili, fermando la caduta dei massi, causata dall’impattare delle mosse contro ciò che Kyle pensò dovesse trattarsi dei loro nemici.
Si alzò un polverone immenso. Ogni rumore cessò.
I macigni vennero spostati e depositati ai lati della strada, creando un minimo di riparo ai civili.
Kyle, completamente stordito dal tutto, ci mise qualche attimo a riprendere contatto con la sfera terrestre. La maggior parte della gente si era buttata per terra, impaurita. In piedi restarono solo i combattenti, e Cole. La polvere sembrava, per qualche strano effetto ottico, non riuscire a raggiungere la sua armatura.
Ci furono ulteriori grida, stavolta di minore intensità. Kyle alzò gli occhi e rabbrividì non appena vide la prima di quelle cose.
- Banshee, allora esistono, non era un sogno… - disse, più fra sé e sé, ripensando alla spiegazione data da Earl pochi giorni prima.
Ed effettivamente, erano molto vicine a questa: parevano delle ninfe, coi lineamenti del viso delicati e dolci, lunghi capelli lisci come seta e un corpo da far invidia alle donne più belle che Kyle avesse mai visto. Indossavano tutte una lunga camicia da notte, di pura seta, bianche come un raggio di Luna. Il sangue si gelò nelle vene di Kyle, non appena i suoi occhi si poggiarono su quelli di una delle Banshee. Neri.
Neri più dell’assoluta tenebra.
La visuale tornò a farsi limpida, polvere e frammenti di rocce scomparvero lentamente dalla vista di tutti. Kyle ne riuscì a contare una dozzina, a primo sguardo. Quelle parvero non importarsi particolarmente dei Pokémon: i loro sguardi erano fissi sui sopravvissuti, che ricambiavano con occhi pieni di terrore.
I Pokémon non persero tempo e ripresero il loro attacco, non curanti dei danni collaterali alla struttura della galleria.
- Riolu prepara Vuotonda, Arcanine tu Lanciafiamme, intesi? – Kyle si voltò verso i suoi Pokémon, notando che erano scomparsi.
In pochi attimi il suo sguardo saltò da un lato all’altro della galleria, temendo il peggio. Riconobbe la folta criniera di Arcanine ergersi poco oltre Cole, di fianco a lui si trovava Riolu. Corse istintivamente verso di loro, fregandosene della minaccia incombente. Un masso si staccò dal soffitto, fracassandosi poco sopra la sua testa; l’impatto rese visibile, per qualche istante, la bolla protettiva che finiva pochi metri più avanti. Kyle alzò gli occhi, controllando il soffitto. Inspirò profondamente e si lanciò oltre la barriera, trattenendo il respiro.
In pochi attimi fu di fianco ai suoi Pokémon, Arcanine ringhiava violentemente verso la galleria, non parve accorgersi della sua presenza.
- Che fate qui? – urlò Kyle, cercando di sovrastare il rumore dello scontro alle sue spalle.
Riolu si voltò verso di lui, afferrandogli il braccio sinistro. Lo trascinò in avanti di qualche passo e indicò davanti a loro, nella direzione in cui Arcanine stava ringhiando. Gli occhi di Kyle, non dotati della possibilità di individuare le auree emanate dagli esseri viventi come quelli di Riolu, ci misero molto più tempo ad adattarsi al buio profondo e a scorgere la sagoma indistinta di un qualcosa, decine di metri più avanti, celata nell’oscurità.
Kyle staccò la torcia dalla propria cintura, per poi puntarla in avanti: un Pokémon fantasma fluttuava a mezz’aria. Era di color viola, quasi porpora con le estremità più chiare del resto del corpo. Tre grossi gioielli, di un’altra tonalità di viola, erano incastonati nel suo petto. Due enormi occhi penetranti erano spalancati, sormontati da quel che ricordava un vecchio cappello da stregone, mentre il corpo del fantasma era simile ad una tunica svolazzante al vento.
Lui parve non aver fatto caso a loro tre, continuò ad osservare imperterrito la moltitudine di gente che cercava un qualche modo per contrattaccare l’assalto delle Banshee.
Kyle rimase come pietrificato, perso negli enormi occhi del Pokémon. Il suo sguardo gli fece accapponare la pelle e gelare il sangue nelle vene. Perse progressivamente l’udito: i suoni giunsero ovattati alle sue orecchie per i pochi attimi successivi, per poi svanire del nulla. Il silenzio lo sommerse come una valanga, mentre il cuore pulsava sempre più prepotentemente nelle sue orecchie, martellando con incessante paura. Gli parve di impazzire.
Sbatté ripetutamente le palpebre, impossibilitato ad altri movimenti, e improvvisamente il mondo tornò ad esistere: Riolu era lì, vicino la sua gamba, a strattonarla e cercare di attirare l’attenzione, mentre Arcanine ringhiava ferocemente verso il Pokémon nell’ombra.
- Riolu, corri a chiamare Cole, fallo venire qui! – urlò Kyle, riprendendosi dall’ipnosi.
Il Pokémon Emanazione non perse tempo e si fiondò alla ricerca di Cole, nella moltitudine che si trovava poco più indietro, nel lungo tunnel.
Kyle fece qualche passo, raggiungendo Arcanine. Dalla sua mandibola fuoriuscivano scintille e piccoli lapilli, che una volta toccata terra, continuavano a bruciare. Il manto dell’enorme Pokémon Leggenda era completamente arricciato, diventando perpendicolare al terreno in corrispondenza della schiena, dal collo alla coda, anch’essa compresa.
Saldamente fermo sulle sue quattro zampe, sembrava un’antica scultura intagliata in granito ed arricchita di ebano nero come la pece. La sporcizia accumulata sul suo manto non faceva altro che far risaltare ancor di più la sua possanza.
Fiero, inamovibile, pareva ergersi a difesa di tutti. Unico baluardo, contro cui il pericolo si sarebbe infranto come vento contro una montagna.
Immobile e fedele, aspettava in modo glaciale un solo comando, per avventarsi sull’avversario ed eliminarlo.
- Arcanine, vogliamo mettere in pratica quel paio di cose che Sur ci ha spiegato? – Kyle deglutì violentemente, con le gambe che gli tremavano.
Le mani sudate, e un’infinità di emozioni contrastanti scaturite dal suo primo, vero e proprio, incontro di Pokémon.
L’adrenalina di Arcanine finì per infettare Kyle, che avvertiva la tensione, palpabile e malleabile, che si era creata nell’aria. Sembrava che scariche elettriche e fulmini rombassero attorno ad Arcanine, tanto che era voglioso di sfogare la sua potenza. Il Pokémon Leggenda ruggì forte, facendo tremare l’animo di Kyle per eccitazione e paura assieme.
Kyle analizzò un attimo la situazione: quel Pokémon non sembrava prestare la minima attenzione, era completamente assorto dalle Banshee.
 
Che sia in qualche modo collegato? In ogni caso, devo neutralizzarlo o tenerlo impegnato finché Cole non sarà qui.
 
Kyle si volse verso i Sopravvissuti, notando che ben poco era cambiato da prima. Di Cole neanche l’ombra, Riolu proseguiva la sua ricerca.
Tornò a guardare in avanti, Arcanine stava letteralmente esplodendo per l’adrenalina. Kyle chiuse gli occhi.
Inspirò a fondo.
Svuotò completamente i polmoni.
E, infine, aprì gli occhi. La determinazione poteva leggersi sul suo volto.
- Arcanine – sentenziò, si sentiva onnipotente in quel frangente – Attacca! Però… - non fece in tempo a finire la frase, che il suo Pokémon scattò in avanti.
Arcanine piegò indietro le orecchie, appiattendole fino a diventare una sola linea con la testa. I muscoli e i tendini delle zampe scattarono, tendendosi. Tale fu la potenza della carica, che Arcanine parve quasi esplodere. Terreno, pietre e polvere si alzarono al suo passaggio, vorticando nella sua scia, come un uragano in piena estate.
Le fauci di Arcanine schioccarono rumorosamente, quando le fiamme vennero liberate dall’interno del suo corpo. Ne venne avvolto completamente: ogni singolo centimetro del suo corpo venne avvolto da roventi fiamme scarlatte, che rombavano e danzavano intorno alla sua figura in carica, illuminando di un macabro rosso scuro tutte le pareti rocciose prossime al suo corpo. Arrivò a circa quindici passi dal Pokémon avversario, ancora in trance, e si rannicchiò, comprimendo tutta la sua energia cinetica nelle zampe. Spiccò un unico, enorme balzo, carico di furia e potenza, per poi abbattersi inevitabilmente sul Pokémon fantasma.
Una spessa coltre di detriti, polvere e fumo si sparse nel punto d’impatto, intralciando la vista. All’istante, ogni rumore cessò. Kyle non si accorse della scomparsa improvvisa delle Banshee, tantomeno di Cole che stava avvicinandosi, accompagnato da Riolu. I secondi passarono e non un movimento percepibile.
Kyle puntò una torcia nel punto in cui era atterrato Arcanine, sforzandosi con gli occhi, per poter vedere. Finalmente, il manto di Arcanine apparve alla luce artificiale, mostrandolo seduto, immobile ad osservare Kyle, scodinzolando. Il Pokémon avversario giaceva inerme alla sua destra.
- Penso che Arcanine l’abbia beccato – disse Cole, ormai giunto al fianco del ragazzo.
Gli intarsi argentati rilucevano debolmente, nel momento in cui Cole puntò la sua torcia in direzione di Arcanine, per poi illuminare il Pokémon fantasma, riverso per terra.
- Richiama Arcanine, è un Pokémon fedele e fino a che non riceve un ordine, non si schioda di lì. Potrebbero essercene altri, vado io.
Dicendo questo, Cole si incamminò, torcia nella mano destra, la sinistra appoggiata su di una Ball completamente nera. Gli stessi decori dell’armatura ne rivestivano la lucida sagoma, completamente liscia, al di fuori del lato superiore, su cui facevano capolino diverse scaglie disposte in fila indiana, come le squame sulla schiena di un Feraligatr.
Kyle richiamò Arcanine, il quale si incammino con passo fiero e col torace in fuori. Nonostante fosse ricoperto di sporcizia, la sua regalità era tale da venir trasmessa anche tramite lo spesso strato di fuliggine e polvere adagiato sul suo manto.
Cole gli scambiò un cenno d’intesa a circa metà della distanza che avrebbe dovuto percorrere, dandogli una leggera pacca sulla spalla anteriore sinistra. Arcanine si diresse verso Kyle e Riolu, che lo guardavano carichi di ammirazione, Riolu in particolare. I due lo stavano aspettando al limitare del gruppo. Tutti erano con gli occhi fissi su di Cole, il cuore di molti sembrò andare in pausa, mentre la loro guida si avvicinava al punto in cui si trovava il loro aggressore. Nessuno emetteva fiato, l’unico rumore udibile era dato dai piedi di Cole che calpestavano e sgretolavano le pietre più piccole, depositate sul suolo.
Dopo pochi passi di attesa, Cole lo raggiunse. L’aria intorno al suo corpo era stranamente più fredda e rarefatta rispetto a pochi metri prima.
Il Pokémon giaceva a terra, privo di forze e di coscienza. Cole puntò la luce della torcia sul suo viso, sorridendo soddisfatto.
- Niente di cui preoccuparsi – urlò, per farsi sentire anche da Sur e coloro che erano rimasti indietro, assieme a Ryp, per evitare attacchi dalle retrovie.
- È soltanto un Mismagius. Utilizzano i loro poteri psichici per creare delle illusioni per le loro vittime. Mentre si è impegnati a combattere contro dei finti pericoli, Mismagius si nutre di paure e dell’energia vitale delle sue vittime.
Cole prese una Poké Ball vuota dal suo cinturone e l’adagiò lentamente sul viso di Mismagius. Il Pokémon non oppose la minima resistenza alla cattura, ormai privo di forze.
Sur arrivò di corsa, facendosi largo tra la folla. – Cole, che cavolo è successo qui? C’erano delle gran gnocche ectoplasmatiche che urlavano come Daisy nel terzo giorno di ciclo. Sono venuto appena ho potuto, ora la situazione è sotto controllo.
- Tranquillo, vecchio, era solo un Mismagius, Kyle l’ha preso, ora è al sicuro. Penso che lo porterò alla nostra equipe di scienziati, potrebbe tornare utile nella difesa del rifugio.
Sur spostò il grosso fucile ad otturatore scorrevole da una spalla all’altra, per poi far schioccare la colonna vertebrale, con un chiaro segno di soddisfazione sulle labbra. – Quanto manca ancora, per arrivare? – chiese poi.
- Ormai non più di un paio di chilometri. Siamo prossimi all’ingresso Sud: se guardi le incisioni su quel masso, vedrai che non sono scalfitture casuali, è una nostra piccola invenzione, un linguaggio non visibile a chi non cerca bene. Bisogna mettersi in una certa posizione e illuminare il masso in questo modo – alzò la torcia, facendo molta attenzione all’inclinatura dei raggi.
Apparvero segni incomprensibili ma che furono tradotti con cura da Cole.
- Sì, esattamente due chilometri e mezzo. Il mio orologio dice che sono circa l’una e un quarto di notte, direi che per oggi può bastare, domani riprenderemo la marcia.
- Va bene, allora faccio sistemare tutti quanti come meglio possibile. Vado a preparare i ragazzi per i turni di guardia.
 
Circa mezz’ora dopo, Kyle fu libero dal complimentarsi di Cole e gli urli violenti di Daisy, dritti in volto, preoccupata a morte per la sua incolumità.
Arcanine era accucciato vicino una grossa stalattite, appoggiatoci col fianco sinistro. Riolu ronfava sulla sua groppa. Il Pokémon Leggenda vide Kyle avvicinarsi, i suoi occhi di fuoco erano posati in quelli color nocciola del ragazzo.
Arcanine spostò le zampe anteriori, creando un varco entro il quale Kyle trovò posto. Si appoggiò con la schiena contro il caldo ventre del suo Pokémon, che lo fissava incessantemente.
- Sei stato bravissimo prima – lo accarezzò sotto al mento e poi dietro l’orecchio, Arcanine chiuse gli occhi e si rilassò.
- Però devi farmi finire di parlare, la prossima volta. Non voglio ti accada nulla, intesi?
Kyle, dopo aver porso la domanda, si alzò, per poter osservare Arcanine. Quello emise un leggero brontolio, segno di intesa. Kyle, quindi, prese la sua enorme testa fra le mani, avvicinandoci la sua. La poggiò contro la fronte di Arcanine, chiuse gli occhi, e inspirò a fondo.
Tornò a stendersi, avvolto e protetto dal caldo manto del Pokémon. Addormentandosi, pochi minuti dopo, si unì al resto del folto gruppo.
Non una sola vita era sveglia in quella grotta, in quel preciso istante. Tutto taceva.
 
 
Hancock.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Casa ***


Casa
 
 
Il giorno successivo, Cole si svegliò molto presto. Dormì poco più di quattro ore, irrequieto com’era. Coprì Daisy, fino al collo, con la parte di coperta che aveva utilizzato lui, dormendo vicino alla sua donna. Si alzò dal suo giaciglio e si allontanò dal gruppo, diretto verso la fine del tunnel. Nel suo cammino fu il più silenzioso possibile, evitando di svegliare anche una sola persona. L’unico rumore udibile era il tintinnare del grosso martello che cozzava sulla sua armatura. Si spinse oltre il limitare del campo adibito per la notte, nell’oscurità della grotta. Nonostante fosse sprovvisto di luce, riusciva a vedere in modo impeccabile la strada davanti a sé. Scavalcò un masso che altrimenti l’avrebbe fatto inciampare, accarezzando la sua tetra corazza, in segno di ringraziamento. Molto era cambiato da quando l’aveva indossata per la prima volta, ed era sicuro che ancora molto sarebbe cambiato. Uno strano brivido gli percorse la colonna vertebrale, facendogli rizzare i capelli quasi del tutto rasati. Sentì l’abitante della Poké Ball nero lucido fremere, come se condividesse il suo stato d’animo.
- Non ancora, amico mio. Dobbiamo prima arrivare alla base, non voglio rivelare la tua presenza – disse Cole, parlando più a sé che alla Ball.
Si fermò, immerso nell’oscurità, con la mente che vagava nei suoi pensieri. Ce l’avevano quasi fatta, ormai erano praticamente al sicuro, grazie anche ai sistemi di difesa dell’ultima zona ancora libera dalla tirannia dell’Ordine. Assieme a Daisy e Sur, anche l’ultimo gruppo di rifugiati ancora in libertà era finalmente giunto verso la sicurezza. Cole lo aveva lasciato per ultimo in quanto il più numeroso e potente rispetto agli altri. Dopo aver vagato di Regione in Regione, era finalmente arrivato il momento in cui i suoi sforzi avrebbero dato vita a un movimento che avrebbe portato alla liberazione del mondo intero.
Cole chiuse gli occhi, restando in ascolto del mondo che lo circondava. Piccole gocce d’acqua che filtravano dal soffitto cadevano a un ritmo quasi regolare, andando a creare piccole pozze nell’infinito labirinto di tunnel creati nei secoli dai molti Pokémon scavatori. Alcune sezioni della nuda e viva terra si muovevano, gemevano e venivano distrutte, dal passaggio di Pokémon selvatici in superficie. Le pareti parvero essere vive, gremite di Pokémon tipo Terra intenti a spostarsi nel sottosuolo, aprendo nuove gallerie e distruggendone di vecchie al loro passaggio. Poco più avanti ai piedi di Cole apparve un Nosepass dal terreno che esaminò la zona circostante con il suo naso elettromagnetico. Osservò Cole, nell’oscurità, ricambiando il suo sguardo. Il Pokémon inclinò leggermente la testa di lato, si girò velocemente e scomparve nel sottosuolo, chiudendo la piccola galleria al suo passaggio.
Cole fece altrettanto, girandosi a sua volta, per poi tornare indietro. Ritornò dal gruppo, per poi svegliare tutti. Circa mezz’ora dopo, erano nuovamente in marcia.
 
L’ultimo tratto di strada fu per lo più silenzioso e senza eventi degni di nota. Tutti camminavano con lo sguardo proteso in avanti, cercando di fendere l’oscurità e osservare finalmente la fine del loro viaggio. Per tutta la galleria rimbombava il pesante falcare di Rhyperior: come un enorme tamburo da guerra, il rumore prodotto dai suoi passi faceva vibrare le pareti e sobbalzare le pietre più piccole presenti sul terreno. Il Pokémon Trapano avanzava senza alcuno sforzo evidente, nonostante trasportasse un’enorme turbina da diverse tonnellate di peso.
Dietro di lui, Sur e i suoi uomini camminavano con passo sostenuto, lasciando volontariamente qualche dozzina di metri di distanza da Ryp, con armi e Poké Ball pronte a ogni evenienza.
- Singing' “Don't worry 'bout a thing, 'Cause every little thing gonna be alright” – cantavano in coro, rendendo la melodia alquanto felice ed eccitata, nonostante le circostanze in cui veniva evocata.
Una piccola porzione di terra e sassi si staccò dal lato destro della galleria, portando con sé polveri e provocando un debole rumore, amplificato grazie alla tipologia di ambiente. Chiunque si accorse dell’accaduto ma nessuno gli diede più importanza di quanta se ne dà a una mosca.
Kyle volse lo sguardo verso destra, appena in tempo per vedere la polvere galleggiare, per brevi istanti, per aria, prima di ricadere dolcemente sul terreno arido e compatto.
L’arrivo era imminente, mancava sempre meno. Mano a mano che avanzavano l’eccitazione generale aumentava: anche se non espressa in alcun modo, era tangibile. Istintivamente, mano a mano che si avvicinavano, iniziarono ad accelerare il passo, sempre più inclini a voler raggiungere il prima possibile la nuova zona sicura.
Cole si fermò d’impatto, intimando l’alt al resto del gruppo. – Ci siamo, eccoci arrivati – disse, indicando la fine della galleria.
Quella, si concludeva con un’immensa voragine nel suolo, di almeno cinquanta metri di raggio, da cui trasudava una sinistra oscurità che pareva cercare di vincere le fonti di luce, per poi avvinghiarsi alle sue prede e gettarle nell’abisso.
Un fremito percorse la schiera di sopravvissuti, scioccati dalla vista. Tutte le fonti di luce erano puntate nella voragine, e anche così non si riusciva a vincere il buio.
Daisy si sporse in avanti, superando Cole. Allungò il collo verso la voragine, da cui proveniva un gelido alito di aria carica d’odore di uova marce e chiuso, pestilenziale.
- Cole, che razza di presa per il culo è, questa? – sbottò la corvina.
- La nostra nuova casa – sorrise lui, mostrando tutti i suoi denti.
Daisy raccolse un sasso piuttosto grosso e lo lasciò cadere nel vuoto. Aspettò diversi secondi, che si accumulavano in decine. Poi si girò, impaurita e stizzita allo stesso momento, verso di lui.
- Credi davvero di poter scendere lì sotto? Il sasso non ha prodotto il minimo rumore, sarà profondo chilometri!
I più prossimi ai due, sentendo le parole di Daisy, iniziarono a mormorare fra di loro, impauriti e sicuri di essere ormai spacciati. Non avevano più viveri ed erano fin troppo stanchi, per poter tornare indietro. Senza contare che i Sacerdoti stavano sicuramente seguendo il loro stesso percorso, seppur con qualche giorno di svantaggio.
Daisy continuò a urlare e imprecare, attirando l’attenzione di tutti. Giunse Sur, dalle retrovie, per cercare di capire cosa stesse succedendo e di trovare una soluzione. Kyle li vide discutere, mentre Cole continuava a fissare il baratro, con un sorriso stampato in faccia.
Esprimeva immensa soddisfazione. E pareva anche divertito, e non poco.
Si girò verso di Kyle, facendogli l’occhiolino. Poi, senza dire nulla, si avviò verso l’enorme fossa.
Daisy non ebbe il tempo di aprire bocca, che Cole saltò in avanti, diretto verso morte certa.
Invece di precipitare, schiacciato verso il basso dalla forza di gravità, rimase fermo a mezz’aria, come se fosse capace di levitare. Fece un paio di passi in avanti, tastando un immaginario terreno, con il piede. Diede un paio di pestoni, facendo vibrare l’aria. Della polvere si sprigionò dal suo stivale, per poi ricadere nel vuoto.
Cole si girò verso di Daisy, scoppiando a ridere all’istante. – Dovresti vedere la tua faccia, tesoro mio. Sembri morta. Coraggio, seguitemi.
Colpì nuovamente il vuoto con lo stivale, stavolta sembrò una sequenza di pause e colpi ben definita, della durata di una decina di secondi. All’ultimo colpo, l’aria sotto di Cole s’illuminò, mostrando un sentiero invisibile a occhio nudo che andava piano piano definendosi.
- Una delle difese del rifugio, non credereste mai a chi ha pensato questa cosa geniale. Abbiamo approfittato dell’abisso, probabilmente Groudon era venuto in vacanza qui. Noi ci abbiamo fatto qualche modifica con i nostri Pokémon Psico.
Nel mentre Cole parlava, un’azzurra strada andò a disegnarsi sotto i suoi piedi: dal limitare dell’abisso, partì un potente fascio di luce che andò a rendere visibile il percorso creato grazie alle arti psichiche dei Pokémon. Avanzò con velocità sempre maggiore, voltando ora a destra, ora a sinistra. Per lunghi tratti proseguiva dritto, per poi girare bruscamente e invertire il senso di marcia, salendo di quota e poi ridiscendendo. Sembrava un vero e proprio labirinto su più piani, con la sola differenza che lì la strada era singola.
Tutti erano fin troppo stupiti per poter proferire parola. Kyle, Riolu e Arcanine guardavano sbalorditi le luci azzurre sotto i loro piedi, che diventavano più scure in prossimità dei loro corpi. Rhyperior andò per ultimo, e la strada scomparve al suo passaggio, lasciando dietro di sé il vuoto.
- Abbiamo pensato di renderlo un po’ più lungo da percorrere, ma così facendo, nel caso qualcuno avesse trovato per caso la via, sarebbe stato impossibile seguirla senza conoscere la combinazione giusta, per questo la strada gira di volta in volta in modo imprevedibile, per evitare qualsiasi problema. E se qualcuno dovesse volare – e qui Cole indicò le parti di strada sopraelevate, fatte in modo da impedire qualsiasi passaggio laterale – ci sono quelle a pensare al resto.
La traversata durò una mezz’ora abbondante, nel mentre Cole rispose a molte delle domande a lui dirette, sulla strana e bizzarra natura di quel modo per attraversare il baratro.
- Certo che è vero, non c’è nessuna illusione. Scavammo nella montagna per poter avere una via di fuga segreta, in caso di attacco, diretta verso di voi, e ci trovammo quest’immane voragine davanti, abbiamo semplicemente pensato di rendere la cosa a nostro favore. Ovviamente c’è anche la combinazione per rendere il ponte dritto e passare più velocemente, ma non avreste le mascelle che puliscono il pavimento adesso! – Cole rise di gran gusto, mentre Rhyperior metteva, finalmente, piede sull’altro capo dell’abisso. Di colpo la luce azzurra che aveva illuminato l’ambiente, emessa dal ponte, scomparve. Cole batté le mani, e immediatamente apparvero delle fiamme eteree sulla parete di fronte a loro. I sopravvissuti erano stipati in una piccola zona pianeggiante, in cui erano a malapena contenuti. Non c’erano gallerie, scale o tunnel in cui passare, solo il muro di terra e rocce che sbarrava loro la strada.
- Ryp, vuoi essere così gentile da fare tu gli onori di casa?
Il Pokémon ruggì lievemente. Segno di assenso.
Si fece largo tra la folla, con delicatezza imbarazzante per uno della sua stazza, facendo ben attenzione a non calpestare nessuno. Si avvicinò al muro, a circa un quinto della sua lunghezza, sulla sinistra.
E batté il grosso pugno sulla parete.
 
Tum… Tum Tum… Tum.
 
Ci fu un attimo di pausa poi, come richiamato dalle viscere della terra, qualcuno rispose a sua volta.
 
Tum Tomp… Tomp Tum, Tum.
 
Rhyperior lasciò passare pochi secondi, poi concluse quello scambio di battute con colpi di forza crescente.
 
Tum… Tum, Tum, TUM.
 
Dal nulla comparvero delle fessure di luce. Due imponenti battenti di pietra si spostarono verso l’interno, lasciando entrare fasci di luce così potenti da accecare i più di loro, ormai non più abituati a luci così intense.
Cole entrò, facendo segno agli altri di seguirlo. – Benvenuti, a New Hope, la vostra nuova casa!
I primi a entrare furono Daisy, Sur e Kyle coi suoi Pokémon. Ci fu un’esplosione di grida di gioia e applausi. Loro erano accecati dalla troppa luce ma, dopo pochi attimi, furono di nuovo capaci di vedere.
Davanti a loro si estendeva un’enorme vallata posta fra le montagne.
E dentro di essa, migliaia di persone che erano giunte all’ingresso per l’occasione.
Fra le urla di gioia, Kyle sentì il suo cuore esplodere. Non ricordò di essersi mai sentito così bene come in quel momento: era certo di trovarsi nel posto giusto. Quello era il piccolo angolo di universo in cui sentiva che si sarebbe trovato benissimo. Già a primo impatto, venne raggiunto da qualcosa, che pareva permeare l’aria, di dolce e gentile, trasudante sicurezza. Non aveva alcun dubbio, quella era la sua nuova casa.
 
Diverse ore dopo, gli abitanti di New Hope stavano aiutando i sopravvissuti a sistemarsi e ad allestire il nuovo campo. Rhyperior venne incaricato di portare con sé i vari Pokémon lavoratori, verso le zone lasciate apposta per loro. Venne raggiunto in un grosso spiazzo da alcuni tecnici, abitanti del posto, che iniziarono a mettere assieme i vari pezzi dei generatori di energia elettrica, portati dal vecchio campo dai Pokémon. I più robusti erano impegnati a spostare a destra e sinistra, sotto comando degli ingegneri, i vari inverter e connettori. Rhyperior sistemò l’enorme turbina vicino a diversi condensatori e gruppi di batterie che avrebbero poi contenuto l’energia prodotta dai Pokémon. Nel frattempo, un gruppo misto di Mankey, Machop, Gabite e alcuni Toxicroac, era impegnato nel concludere la costruzione di nuove case ed edifici vari, già avviata dagli abitanti di New Hope. Un piccolo stormo di Noctowl li supervisionava, con i loro enormi occhi penetranti e perennemente attenti. Utilizzavano i loro poteri psichici solo in rari casi, restando appollaiati sugli alberi che delimitavano la piccola radura in cui si sarebbero stabiliti i nuovi arrivati.
 
Kyle approfittò del tempo che impiegarono gli altri a sistemarsi, per poter esplorare la valle.
Si erano lasciati l’imponente Monte Corona, la cui vetta innevata si stagliava nel cielo come un’imponente zanna intenta a lacerarlo, alle spalle. Tutt’attorno, i confini erano definiti da diverse montagne minori, vallate e dirupi: a prima occhiata pareva impossibile uscire da quel luogo, senza dover ricorrere al volo o allo scavare nella nuda e viva roccia. Kyle alzò lo sguardo al cielo, troppo bramoso di rivedere nuvole, sole e Pokémon volare liberi nelle blu onde celesti; l’abitare sotto terra aveva i suoi difetti, di questo ne era certo.
Il cuore gli batteva forte nel petto anche per il semplice cinguettio di alcuni stormi di Starly, intenti a volteggiare sopra le loro teste, ad altezze piuttosto elevate. C’era verde ovunque, dalle centinaia di alberi di frutta sparsi in modo casuale o raggruppati per tipologia, di cui la maggior parte sconosciuti a Kyle, all’erba, così soffice e morbida che non si avrebbe avuta alcuna difficoltà a dormirci sdraiati, con più comodità dei migliori letti disponibili a Sinnoh. Decise di togliersi le scarpe, che portò poi a mano, e di affondare con i nudi piedi nell’erba ancora leggermente bagnata di rugiada, lì dove il sole non era riuscito ad arrivare direttamente. Dietro di lui, Riolu cercava inutilmente di smuovere Arcanine, immobile, con la coda fra le zampe.
Kyle lo guardò, ipotizzando che il Pokémon si sentisse a disagio, in una situazione del tutto diversa dalle sue abitudini, rinchiuso chissà quanto tempo in quel deposito dov’era stato trovato.
- Arcanine, seguimi dai. Non ti devi preoccupare di niente, è solo erba, non fa male – il ragazzo calò una mano, facendola sprofondare nel manto erboso.
Raccolse un po’ di terreno, facendosi largo fra gli steli, per poi avvicinarsi ad Arcanine e facendoglielo annusare.
Riolu lo imitò, affondando entrambe le braccia nell’erba. Guardò il Pokémon Leggenda dritto negli occhi, sorridendo.
Arcanine mosse un primo passo, calpestando lentamente la verde peluria della terra, con la sua zampa. Raspò il terreno con gli artigli, facendo finire del terriccio fra le unghie e il pelo fra le dita.
La sensazione di freschezza lo raggiunse immediatamente; Kyle lo vide scodinzolare.
Pochi istanti dopo, Arcanine scattò in avanti, diretto verso il nulla. Corse il più velocemente possibile, scartando improvvisamente di lato o fermandosi di colpo, lasciando lunghi solchi nel terreno. Corse da un lato all’altro della valle, così veloce che chi lo vedeva non aveva neanche il tempo di domandarsi cosa fosse quella freccia arancione, impazzita e indomata.
Diverse volte concluse la sua corsa rotolandosi nell’erba, ruzzolando per diversi metri con le gambe all’aria e l’affanno, per poi fermarsi qualche istante, sdraiato per terra, con la lingua di fuori e i muscoli in eccitazione, e subito dopo ripartire.
Kyle mosse un passo in sua direzione, cercando di coglierlo in un momento di pausa, dato che sembrava essere diventato sordo ai suoi richiami, quando un’enorme mano gli si poggiò sulla spalla.
- Lascialo fare, credo sia la prima volte che veda l’erba e la natura…
Kyle si volse verso la voce familiare, trovando il volto di Cole che lo fissava, sorridente.
- … Lasciagli godere la libertà, per la prima volta.
- Ho solo paura si allontani troppo – commentò Kyle, ingenuamente.
- Di questo non devi preoccuparti, i Pokémon sono fedeli, gli Arcanine in particolare lo sono di più del solito. Forse non lo hai notato, ma non ha smesso di guardarti neanche per un istante, fra una corsa e l’altra. In un certo senso sta ancora aspettando la tua approvazione.
- Oh, allora devo andare a dirgli di fare liberamente ciò che vuole, non voglio essere d’intralcio con questo.
- Non è il momento, ragazzo. Devi venire con me da una persona, ci tengo che tu la conosca e, se siamo fortunati, ci sarà anche l’altro. Probabilmente avrà portato ormai a termine l’altra missione. Manda Riolu da Arcanine, ci penserà lui.
E così fece, lasciando i suoi due Pokémon liberi di scorrazzare in giro, godendosi quei brevi istanti di felicità pura e slegata da ogni logica e legame materiale. Nel mentre, il pelo di Arcanine era ormai quasi libero dalla fuliggine e la sporcizia che si erano accumulati durante il viaggio, portando il suo manto a una nuova nascita, libera dal peso del passato e aperta a una nuova vita.
 
 
 
- Hancock
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 11 - I Bastiodon Ubriachi ***


“I Bastiodon Ubriachi"
 
Il Sole di mezzogiorno splendeva forte sulle teste della gente di New Hope; i suoi raggi colpivano perpendicolarmente il terreno, così donando un flusso continuo di calore, nella frescura di fine Marzo.
Kyle era, ovviamente, del tutto spaesato fra le varie case e costruzioni in legno, cemento o pietra, disseminate per la grande valle. Cole si muoveva con disinvoltura nella piccola cittadina, riconoscendo vie che a Kyle parevano tutte identiche fra loro. Mentre si districavano nel sempre più complesso labirinto di costruzioni, Cole veniva inondato da decine di persone, intente a salutarlo o a ringraziarsi con lui per averle salvate in passato.
- Sono passati anni da quando magari ho assaltato la loro carovana di schiavi, liberandoli, e ancora mi ringraziano. È più difficile farli smettere che combattere a mani nude contro di un Garchomp infuriato, credimi.
Cole salutò l’ennesimo uomo che, agli occhi di Kyle, era apparso come uno dei fabbri o qualcosa di simile. Portava un enorme martello sulla spalla, mantenendone il manico con la mano destra, mentre la sinistra era impegnata a portare un grosso contenitore pieno di ferraglie che cozzavano e facevano un rumore assordante, ovunque l’uomo andasse.
Voltarono l’angolo, dirigendosi adesso verso la parte bassa della valle; l’erba sotto le scarpe restava sempre soffice e fresca, passo dopo passo, seguendo il dolce declivio della terra.
- Lui si fa chiamare Siegfrid, è uno dei nostri fabbri più forti e intelligenti, è lui che ha progettato quella strada sospesa. È una specie di genio, però è anche molto scorbutico, e se non gli si parla con calma e delicatezza, diventa mezzo matto – Cole strinse leggermente le labbra, pronunciando le parole seguenti – È così da quando gli hanno ucciso moglie e figli.
- Qui non c’è nessuno che non abbia perso qualcuno…
- Beh, quasi nessuno, Kyle. Negli ultimi due anni ci siamo stabiliti qui, senza più spostamenti improvvisi, ormai è casa nostra. E dove c’è una casa sicura, ci sono bambini che nascono e crescono. Piano piano, stiamo riportando in vita la civiltà, dritti verso il futuro.
Cole si fermò davanti ad una porta di legno finemente lavorata su cui, leggendo dall’alto in basso, da sinistra a destra, si potevano vedere piccole incisioni raffiguranti una lotta fra due Bastiodon, palesemente ubriachi. Per l’appunto, l’insegna recitava “I Bastiodon Ubriachi” con una grafia che a Kyle ricordò quella utilizzata in alcune parti di un vecchio tomo che lesse da piccolo, intitolato “Il Signore Degli Anelli”. In particolare, li trovò molto simili agli idiomi utilizzati nell’antica lingua utilizzata dagli elfi.
Ricordava di averne amato ogni pagina, anche se molto rovinato quando lo trovò fra le macerie di una vecchia scuola elementare di Rupepoli. Gli balenò davanti agli occhi tutta la storia di Frodo e dell’Anello, e di come lui e i suoi compagni si erano inoltrati fra mille pericoli, pur di salvare la loro terra dall’annientamento. Si rammaricò al pensiero di non averne mai scoperta la fine, in quanto il volume finiva subito dopo l’ingresso di Sam e Frodo all’interno di Mordor, dove viveva l’Oscuro Signore. Aveva sentito Sur vantarsi un paio di volte di conoscere l’intera storia a memoria e di aver conosciuto addirittura il vero scrittore e ideatore del tutto. Non credeva a ognuna di quelle parole, ma Kyle si ripromise di chiedergli almeno il finale della storia, non appena l’avesse rivisto.
La voce familiare di Cole lo scosse dai suoi pensieri, profonda e potente come sempre. Lo sentì borbottare fra sé e sé, maledicendo la porta arrugginita sui cardini, per poi riprendere il discorso di pochi istanti prima.
- Ma adesso, pensiamo al presente. E a mangiare qualcosa, sto morendo di fame – spinse la porta verso l’interno.
Quest’ultima si aprì cigolando e gemendo, come se fosse stata costretta a eseguire uno sforzo sopra le sue possibilità.
Kyle, entrando, pensò che avesse bisogno di un po’ d’olio, per lubrificare le giunture e renderle più scorrevoli. Ma un successivo sguardo all’interno della struttura, dopo che gli occhi si furono abituati alla polvere che saturava l’aria, gli fece capire che lì dentro l’olio sui cardini era l’ultimo dei problemi: c’erano innumerevoli tavoli e sedie in legno, completamente usurati; il parquet era diventato scolorito e scivoloso a causa del continuo passare e spassare dei clienti, le lampade che pendevano dal soffitto erano polverose ed emanavano una flebile luce, lasciate accese nonostante fosse giorno. L’enorme bancone in legno di quercia si trovava al centro della sala, con una forma ottagonale. Su di ogni lato era poggiata una tovaglia dal colore diverso, dal più vivido arancione al più cupo color porpora. All’interno del bancone si trovava una collezione di alcolici ben fornita, le cui bottiglie erano per lo più Gin e Vodka di diverse annate e tipologie. Alcune erano così vecchie e polverose che era impossibile anche solo vederne il liquido all’interno. Un’enorme vetrata nel soffitto, anch’essa di forma ottagonale, era posta esattamente sopra al bancone e, col Sole di mezzogiorno alto nel cielo, lasciava fluire sul legno e il vetro delle bottiglie la luce solare, inondando il bancone ed ergendolo a pilastro indiscusso della sala. La luce che penetrava era poi riflessa in tutto il locale dal vetro posto sulla passerella del bancone, per poi rimbalzare diverse volte fra i vetri e gli specchi posti su pareti varie, creando un gioco di ombre e luci come di un flusso continuo di raggi fluttuanti, percorsi da migliaia e migliaia di acari di polvere che sembravano volare nei più ristretti sprazzi, dove la luce era più intensa.
Mentre Kyle osservava l’ambiente, perso nei suoi pensieri, Cole attraversò di gran passo la stanza, giungendo all’estremo opposto alla porta, dove si trovava anche un piccolo palco dove un vecchio Sax, tirato a lucido e ben tenuto, era dolcemente appoggiato sulla piccola sedia imbottita del pianista, posta di lato a un pianoforte in legno di mogano, con una grossa macchia scura sul lato sinistro del corpo centrale.
Proprio sotto al palco si fermò e, abbassata una sedia dal tavolo posto di fronte agli strumenti, urlò ad alta voce.
- Ehi, Bryan, siamo arrivati!
Kyle rimase immobile pochi attimi. Quasi istantaneamente, una voce provenne da una porta a doppie ante mobili, situata sul lato destro del palco, seguita poi da un grosso sferragliare di pentole e posate, molte delle quali parvero rovinare sul terreno.
Un uomo di bassa statura e tarchiato fece il suo ingresso nel locale, inciampando poco prima della porta a doppia anta e finendo quasi con lo spezzarsi il collo sul pavimento. Si aggrappò a un tavolo lì vicino, tirandosi su lentamente. Si stropicciò i folti capelli ricci e mori, cercando di liberarli dalla farina che li ricopriva completamente. I suoi ricci ricordarono a Kyle delle foto di un cantante Pop vissuto molti anni prima che lui nascesse, un certo Michael Jackson, il cui viso da bambino al momento gli sfuggiva. Ma i suoi capelli li ricordava benissimo, ed erano uguali a quelli del cuoco.
Quest’ultimo starnutì più volte, facendo volare farina ovunque e saltando quasi sul posto. Si sistemò un’ultima volta il grembiule, annuendo soddisfatto una volta che fu sistemato.
Dopodiché guardò Cole dritto negli occhi, sorridendo.
Gli andò contro, pulendosi nel mentre le mani sul suo grosso grembiule blu da cuoco. Kyle intravide un paio di pantaloni mimetici verde militare e una t-shirt grigia che spuntavano dai lati lasciati scoperti dal grembiule, mentre la farina iniziava a turbinare nell’aria attorno al cuoco, avvolgendolo simile a un panno morbido che circonda una pagnotta di pane appena sfornata.
- Cole, che piacere vederti! – Bryan gli strinse energeticamente la mano – È da molto che non ti vedo, la missione è andata bene?
- Certamente, tutto liscio come l’olio. Ho anche trovato un nuovo cadetto per la nostra barriera, stavo proprio andando a consegnarlo al capo. Sai se è in casa?
- Figurati, è nel suo laboratorio come sempre. Come se tu non sapessi che lei non smette mai di inventare e ingegnare. Ma conoscendoti so che non sei passato solo per salutare, non è più come una volta.
- Eh sì, il lavoro chiama, non ho più tempo per un goccio come facevo un tempo, devo restare abbastanza lucido mentre mi occupo delle mie faccende. Appena sarà tutto finito, sicuro rimedierò.
- Sarà meglio per te. Ma, avanti, cos’è che ti porta qui da me?
- Beh, è lui – Cole indicò nella direzione di Kyle – Forza ragazzo, non fare il timido e vieni avanti, c’è un caro amico che devi conoscere.
Kyle si avvicinò ai due, con passi incerti e titubanti. Lanciò un paio di occhiate alle pareti della grande sala da pranzo, notando solo allora diversi quadri appesi in modo apparentemente casuale, molti dei quali erano vecchie e lacere raffigurazioni di Arceus, intento ora a creare, ora a punire chiunque osasse mettere in discussione la sua autorità. Uno fra tanti, quasi completamente consumato da vecchie fiamme, sembrava rappresentare la strana figura lucente che aveva avvistato giorni addietro, nella tenda di Earl.
Non ci diede troppa importanza, ormai era al fianco di Cole e si rese conto di essere già stato presentato a Bryan, che ora stava tendendo verso di lui la sua mano, piena di farina e condimenti vari.
- Piacere di conoscerti, Kyle. Cole ci ha parlato molto di te, non ha smesso un solo istante di pensarti e di tenerti al sicuro, di questo ne puoi essere sicuro – ammiccò, lui.
- Il piacere è mio – Kyle strinse la mano, ritrovandosela tutta appiccicosa e pastosa – Mi scusi se sembravo con la testa da un’altra parte, stavo osservando tutti quei quadri fissati alle pareti e i mobili in generale… Non avevo mai visto qualcosa simile a questo posto.
A quest’affermazione, Bryan parve accendersi: gli occhi gli brillarono e iniziò a non poter più stare fermo sul posto. Con la sua piccola stazza, sembrava una pentola a pressione prossima allo scoppio.
- Oh, maledizione, adesso riparte. Bryan, per l’amor di Arceus.
- Silenzio! – lo interruppe, lui.
- Ti piace davvero qui dentro, Kyle?
- Ehm… sì, molto… - il ragazzo sentì d’improvviso il panico impadronirsi di lui, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato e mortalmente erroneo.
- Bene, molto bene. Se c’è una cosa che rende orgoglioso un cuoco, è un complimento per il suo ristorante. Anche se, purtroppo, abbiamo dei limiti visibili, dato che tutto ciò che vedi qui non fa parte di un unico blocco di arredo. Sai, l’ho dovuto racimolare un po’ qui, un po’ là, girovagando per Sinnoh durante i nostri spostamenti; non ci sono due sedie uguali, purtroppo.
- È proprio questo il bello: il fatto che sia tutto incompleto e del tutto isolato dal resto, lo rende… particolare – Kyle disse quest’ultima parola quasi come un sussurro, cercando di non ferire il cuoco.
- Particolare, tu dici? – Bryan guardò Cole con aria accusatoria, come se avesse appena ricevuto la notizia di dover morire per mano dei Sacerdoti.
Poi, come una pentola a pressione che si dimentica sul fuoco per lungo tempo, esplose. Saltò in aria e raggiunse altezze che Kyle non credeva possibili per un uomo così piccolo e grassoccio.
- Hai sentito, Cole? Al ragazzo piace il mio locale, bisogna festeggiare!
- Calmati, o ti verrà un infarto. Di nuovo – Cole lo bloccò al suolo mantenendolo per la testa, con una sola mano.
- Avete fame? Vi preparo qualcosa?
- Secondo te perché siamo qui, B?
- Perfetto, perfetto – Bryan continuava a muoversi ininterrottamente fra tavoli, sedie e barili e botti di birra, vino e altre bevande.
Non riusciva a stare fermo, sembrava quasi come impazzito.
Kyle quasi urlò quando gli si avvicinò rapidamente, come se volesse infilzarlo con un coltello nascosto nel grembiule.
- Ti piace la parmigiana di melanzane? – chiese lui al ragazzo.
- Ehm… S-sì, l’ho mangiata un paio di volte, me la fece Daisy. Era buona.
- Eccellente torno subito da voi! – Bryan fuggì in cucina, facendo sbattere le ante scorrevoli al suo passaggio.
Cole rise fra sé, scuotendo energeticamente la testa. Spostò una sedia di plastica da sotto al tavolo, per poi sedersi, avendo di faccia il piccolo palco.
Inspirò a fondo e poi liberò i suoi polmoni dall’aria che li facevano espandere fino al loro limite; sembrò godere anche dell’odore di legno che permeava quel posto. Assaporò ogni odore che veniva filtrato all’interno del suo naso.
Chiuse gli occhi per un attimo, stiracchiandosi sulla sedia, per poi slanciare le braccia verso l’alto, protese verso il grande lucernario ottagonale.
- Avanti, siediti pure.
Cole indicò la sedia all’altra estremità della tavola, spostandola con un calcio. Il tavolino era piuttosto piccolo e Cole, per poter stare comodo, era costretto a stendere le gambe ai lati della sedia di Kyle, o avrebbe rischiato di alzare e rovesciare il tavolo con tutto il suo futuro contenuto.
Poco dopo, una giovane cameriera apparve, portando piatti, posate, bicchieri e acqua. Sorrise a Cole, con cui scambiò un paio di parole, prima di scomparire nuovamente in cucina, per aiutare Bryan.
- Allora, ragazzo, appena finito di mangiare ho da farti conoscere una persona. O due, dipende da come si metterà la situazione. Avrei preferito farti conoscere immediatamente la testa che c’è dietro tutto questo, però era troppo tempo che non mangiavi qualcosa di decente e non volevo tu svenissi proprio davanti a lei, non avresti fatto una buona impressione, vero?
- È una lei? Non avevi mai parlato di una donna.
- Ragazza, attento a come parli con lei, o ti ammazza. Seriamente, ho visto volare schiaffi per molto meno e, anche se non sembra, ha una mira infallibile.
Kyle sbiancò in viso, lasciando trasparire il suo disagio.
Cole rise di gusto, guardando l’espressione suscitata in Kyle.
- Accidenti, non credevo che tu cedessi in questo modo. Tranquillo, è gentilissima, basta non farla incazzare. E chiamala “Signorina”, meglio.
- D’accordo – annuì Kyle.
- E, nel peggiore dei casi, falle un complimento alle caviglie e tutto andrà bene.
- Le… caviglie?
- Sì, proprio le caviglie. Non so, dille che le trovi proporzionate e aggrazianti, roba così.
- Perché mai le caviglie, Zio?
- E io che ne so, sono donne. Non puoi capirle; c’è anche una leggenda su questo.
Kyle aggrottò la fronte, curioso. – Una leggenda… sul perché non si possono capire le donne?
- Esatto: un bel giorno, un uomo, grande e stimato inventore e scienziato del suo tempo, decise di voler capire come funzionasse il cervello di una donna. Voleva studiarlo, capirne i meccanismi e come facessero a fare pensieri tanto strani. Passò anni a cercare di decifrarne i linguaggi che sembravano criptati e impossibili da capire. Il pover’uomo si sforzò così tanto di riuscire a capire le donne, che impazzì. Perse il senno e ogni capacità cerebrale. Mosso da follia, la sua stessa pazzia lo trasformò in un qualcosa di nuovo.
- Che cosa? – domandò Kyle, visivamente incuriosito.
- Un Pokémon. I suoi discendenti esistono ancora oggi. Si chiamano Wobbuffet.
- E io che ti credevo pure! – Kyle scoppiò a ridere.
Cole rise a sua volta. Anche Bryan, che stava arrivando in quel momento con le pietanze, iniziò a ridere a gran voce.
- Adesso mangiate, forza. E voglio i vostri pareri non appena finite, chiaro? Per qualsiasi cosa, mi trovate in cucina, se serve qualcosa basta fare un fischio.
Detto questo, Bryan fece dietro front e si infilò nuovamente fra pentole e fuochi.
Kyle, ancora fra le risate, iniziò a mangiare di gran gusto, notando che la parmigiana avesse un sapore delizioso.
Cole prese la forchetta in mano, con la pagnotta di pane nell’altra. Stava per infilzare il primo boccone, quando si fermò di scatto e, diretto verso la cucina, urlò a gran voce.
- Ehi, dove diavolo è la mia Birra!?
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 12 - La Città Bianca ***


La Città Bianca
 
 
L’alba di un nuovo giorno iniziava la sua nascita. La luce del sole, timidamente, spuntava con forza sempre maggiore, illuminando palazzi, case, mura e tutto ciò che incontrava nel suo cammino. Il grande giardino situato al centro città era ancora avvolto nella penombra, mentre la rugiada scorreva dolcemente su foglie e fiori di alberi e piccoli arbusti, per poi raccogliersi in minuscole pozzanghere alla base di tronchi e steli.
La luce, calda e luminosa, andava poi riflessa dal candido bianco delle strutture, venendo riversata in ogni dove. La città si stava risvegliando, dopo una notte calma e tranquilla.
E quello sarebbe stato un risveglio particolare, come ogni settimana. Era Domenica, giorno santo della settimana nel culto del Sacro Ordine; e questo significava giorno di festa e di riposo. Ogni tipo di lavoro era proibito, in quel giorno. Fatta eccezione per i Sacerdoti: loro erano incaricati direttamente da Arceus per poter vegliare sulle vite di tutti gli abitanti del nuovo Regno, in particolare per coloro che vivevano proprio lì, ad Astoria, città nata dalle ceneri della vecchia Rupepoli. Ovviamente ampliata, modificata e resa molto più funzionale. Trovandosi sul fianco di una delle vette della Catena del Monte Corona, godeva di un’ottima vista su tutto il territorio circostante. Ogni giorno migliaia di persone entravano e uscivano dalla città, accorrendo da ogni parte di Sinnoh per poter commerciare o chiedere permessi di viaggio. Tutto quel flusso di persone richiedeva costante controllo e sicurezza, per questo erano state create le bianche mura di cinta: alte quaranta metri e spesse più della metà, circondavano l’intera città, percorrendo molti chilometri sul fianco della montagna, reso quasi piano grazie a molti anni di lavori intensi. Le imponenti mura erano sovrastate da torri da guardia, fori per l’appostamento di cecchini, cannoni da 120mm e altre armi sperimentali, come i cannoni al plasma. Come se non bastasse, potenti Pokémon Drago sorvolavano costantemente il perimetro esterno, con uomini sempre pronti a combattere.
Per questo, molta della gente che era costretta a introdursi nella città, camminava con costante terrore e paura di venir catturati per un qualsiasi motivo o per un semplice capriccio di una delle guardie.
Uno stormo di Staraptor si levò in aria quando risuonarono le enormi campane della costruzione più grande e imponente dell’intera città. Situata nel cuore della vita cittadina, si ergeva l’enorme tempio di Arceus, sormontato dall’altissima Torre Bianca, dove dimorava Sua Santità in persona. Le pareti completamente lisce, eccezion fatta per le incisioni in onore di Arceus che la percorrevano in tutta la sua lunghezza, giungendo fino in cima, dove si ergevano quattro pilastri ai quattro punti cardinali, stagliati verso il cielo, come una mano che prova ad aggrapparsi a una sporgenza. Quello era il luogo dove Sua Santità si dirigeva, per poter parlare con le Divinità per comprendere il loro volere. La Torre Bianca, coi suoi settanta metri di diametro e oltre trecento di altezza, era il simbolo dell’Ordine. Grazie a essa, Astoria veniva anche chiamata “La Città Bianca”. Ed effettivamente sembrava un faro di luce, in contrasto con la spoglia e scura roccia su cui era costruita.
La città si era svegliata, la campana delle sette risuonava nell’aria e il cancello, unica via d’accesso alla città, veniva aperto grazie alla forza combinata di varie decine di Aggron.
Il turno di guardia finiva mentre centinaia di Sacerdoti percorrevano in lungo e in largo le grandi mura della città e i primi rumori della vita cittadina si innalzavano nell’aria.
 
 
Quasi nello stesso istante, Madame Carol stava aprendo la porta della stanza della sua ragazza. Era dalla nascita della piccola che lei se ne occupava come fosse sua figlia, nonostante non avesse alcun tipo di parentela con la ragazza. Dal giorno in cui i Sacerdoti l’avevano amichevolmente convinta ad adempire al lavoro per cui volevano assumerla, lei aveva indossato i vestiti da balia e dedicava giorno e notte a quella ragazza. Nonostante i ritmi serrati e l’orribile divisa completamente bianca, poteva dire di essere fortunata a svolgere quella vita.
Guardò l’orologio, appeso sul grande letto a due piazze dove dormiva la sua protetta, che segnava appena le sette e dieci.
- Sveglia, Alice, non farti chiamare una seconda volta – disse lei, diretta alla ragazza avvolta nelle coperte come un involtino primavera.
Ricevette, come ogni mattina, un lungo lamento mozzato in gola, come di un motore che fa fatica ad avviarsi.
Madame Carol, come ogni mattina, si avvicinò alle enormi finestre, scostando le tende spesse e pesanti, facendo così entrare i primi raggi di sole, ancora deboli e timidi della notte passata.
In pochi attimi la penombra color amaranto lasciò il posto al chiarore del sole.
- Tende nuove, vedo. Quelle rosa non erano meglio, tesoro?
La ragazza si rigirò nel letto, facendo cadere uno dei cuscini e sradicando le coperte dal lato sinistro del letto, per avvolgersi meglio al loro interno.
- Non mi piace più il rosa da quanto avevo dieci anni – bofonchiò Alice, soffocando sempre più a fondo nel materasso.
- E come mai non le hai mai cambiate?
- … Pigrizia. Semplice.
- Già, ma che ne dici di metterla da parte, almeno oggi? So che tuo padre si arrabbierà molto se dovessi arrivare di nuovo in ritardo. Sai che ti vuole al tuo posto. E so già anche quali proteste stai per farmi, quindi risparmiati. In piedi, forza – e mentre parlava, smuoveva mobili, apriva ante e infine tolse parte delle coperte che coprivano il corpo della ragazza.
- Alle otto devi trovarti in cucina, stamattina ho intenzione di fare colazione con te, quindi non tardare. Hai quarantotto minuti.
Alice non fece in tempo a rispondere, che Madame Carol era già uscita dalla stanza, chiudendo la porta alle sue spalle.
Lei con sforzo sovraumano si mise a sedere sul letto. Aveva gli occhi ancora completamente chiusi, le coperte che ricoprivano il ruolo di mantello e la chioma che sembrava essere passata attraverso tre guerre civili e un’epidemia di colera. Fece un altro sforzo, alzandosi dal letto. Separarsi dal caldo delle coperte fu un dolore atroce per lei, mentre si dirigeva verso il bagno, strisciando i piedi.
Camminava senza ancora riuscire a vedere completamente, quando andò a sbattere con il ginocchio contro uno dei mobili della stanza.
- Porca troia che male… Tu non avvisarmi eh, Gallade. So che sei sveglio, infame – la ragazza si girò verso il punto in cui si trovava il tappeto su cui il suo Pokémon amava riposare.
Non lo aveva mai visto dormire veramente, sembrava limitarsi a sedersi a gambe incrociate e meditare, fissando un punto nel vuoto o con gli occhi persi dietro le pupille.
Lui ricambiò uno sguardo gelido e privo di emozioni, come ogni mattina. Rimase nella sua posizione, continuando a fissare un punto non ben definito della stanza.
Alice, adesso un po’ più sveglia, si diresse verso il suo armadio della biancheria, col pantalone del pigiama tutto arrotolato attorno alle gambe e la spallina sinistra della maglietta che gli cascava sul lato, lasciando intravedere le sue forme femminili. Prese il necessario, assieme alla sua spazzola preferita, che utilizzava fin da piccola, e poi si diresse finalmente verso il bagno.
Aprì immediatamente la manopola dell’acqua calda della doccia, lasciandole il tempo di scaldarsi. Nel frattempo liberò la sua vescica dalla pressione della notte passata e preparò bagnoschiuma, shampoo e balsamo. Aprì nuovamente la porta in vetro opaco che permetteva l’ingresso nel piatto doccia, per tastare il calore dell’acqua. La trovò bollente come un fiume di lava, come piaceva a lei.
Sorrise.
Si liberò dei vestiti della notte, lanciandoli verso il cestino degli indumenti sporchi.
- LeBron! – urlò a se stessa, quando fece canestro con la maglietta.
Una volta finito venne immediatamente raggiunta da un brivido di freddo e decise quindi di non indugiare oltre e di fiondarsi all’interno della doccia.
L’interno era già pieno di vapore, generato dai getti dei tre grossi soffioni che spuntavano dal tetto del box doccia. Non aveva mai capito perché servisse una doccia tanto grande, però le piaceva. Il calore all’interno era paragonabile solo a quello generato dal caldo abbraccio del letto. Inoltre, l’enorme massa di nebbia vaporosa era tale da nascondere qualsiasi cosa agli occhi indiscreti. Le era sempre piaciuto quel particolare. L’essere nascosta, in qualche modo, la faceva sentire al sicuro.
Circa venti minuti dopo Alice fuoriusciva dalla doccia. Mise l’accappatoio e andò dritta verso il lavello, su cui era montato il grande specchio del suo bagno. Si asciugò con cura, tralasciando per il momento i suoi capelli. Attaccò il phon alla presa elettrica e diresse il suo getto sullo stomaco, assorbendo quanto più calore possibile. Nel mentre, fissò lo specchio, completamente ricoperto di vapore.
Indirizzò il phon nella sua direzione, puntandolo al centro dello specchio, per liberarlo dall'offuscamento. Un senso di soddisfazione apparve sul suo viso quando, dopo poco, iniziava ad aprirsi uno squarcio nella tenda di vapore acqueo. Poco dopo, aveva liberato tutto lo specchio, giocando con i vari punti ancora occupati dall'acqua. Fu in quel momento che la sua immagine fu libera di essere riflessa dal vetro, seppur ancora umido.
Alice vedeva i suoi lunghi capelli rossi, d’una tonalità molto scura e intensa, simile al rosso rame, scendere appiccicati al suo corpo, per poi finire sull’asciugamano che portava avvolta attorno al seno. Pensò che in quello stato non rendevano molto, in quanto il loro colore era alterato dalla forma presa a causa dell’acqua. Si diede da fare col phon, impiegando molto del suo tempo rimanente per poterli asciugare e portare nella forma migliore possibile. Anche se ne era contraria, quello era il giorno di festa e avrebbe fatto meglio a rendersi il più presentabile possibile, oppure il suo padre adottivo si sarebbe arrabbiato e non aveva alcuna voglia di perdere tempo a discutere inutilmente con lui. Quindi fece del suo meglio, pettinando i capelli per poi farli ricadere, come sempre, sulle sue spalle. Dato che erano lisci e senza il minimo ricciolo, lei ne approfittava per lasciarli vivere la vita propria, senza perdere ore e ore ad acconciarli. Nessuna pettinatura bizzarra, a lei andavano benissimo così. Le piacevano i suoi capelli lisci.
Una volta finito, uscì dal bagno per ritornare nella sua stanza da letto. Gallade era ancora immobile nella sua posizione, solo che adesso levitava a circa mezzo metro da terra, con gli occhi chiusi, come sempre.
Alice non ci fece molto caso e si diresse verso il suo grande armadio. Ne trasse una semplice camicia a maniche lunghe, bianca, con una gonna che arrivava sotto al ginocchio, rosso scarlatto con grandi pois bianchi a cui abbinò il colore delle sue scarpe che avevano giusto un paio di centimetri di tacco, come sempre. Concluse il tutto riprendendo i suoi occhiali con le lenti belle grandi e color blu scuro, senza altri particolari o artifizi. Li pulì usando il tessuto della gonna e se li mise sul naso, nascondendo in parte le lentiggini che le riempivano la parte di viso fra gli zigomi e gli occhi. Non erano poi così tante, ma lei non le sopportava e quindi preferiva nasconderne il più possibile.
Si diede una rapida occhiata nello specchio appeso di fianco alla grande finestra, prima di decidere di essere presentabile. Alice si diresse verso di Gallade, il quale stava ancora fluttuando a mezz’aria, in trance. Una lieve aura viola ne circondava il corpo, inspessendosi in prossimità delle lame sulle braccia del Pokémon.
Lei gli diede un bacio sulla guancia, appena accennato, ma abbastanza da fargli perdere la concentrazione e cadere per terra.
Ma Gallade era addestrato, e al minimo contatto col terreno, balzò di lato, coprendosi il volto con le braccia, pronto a contrattaccare.
- Tranquillo, sono io. Volevo solo dirti che scendo nelle cucine a mangiare, se vuoi venire – disse lei, cercando di trattenere una risata.
Gallade si ricompose, riassumendo quell’aria di calma glaciale che circondava sempre il Pokémon.
Acconsentì con un minimo e inavvertibile movimento del capo, per poi ritornare una statua di pietra.
- Allora andiamo – disse Alice, aprendo la porta che dava sul corridoio del piano ottantotto della Torre Bianca.
Come sempre, le due guardie poste a vegliare sul suo riposo, si trovavano fuori dalla sua stanza.
- Salve, Kal e Kalin.
- Buongiorno, signorina – risposero quelli, quasi in coro.
- Vi ho detto un sacco di volte di chiamarmi Alice, anche se Lui non vuole. Se proprio dovete perdere tempo controllandomi, chiamatemi pure per nome.
- Come desidera, Alice – Kal fece l’occhiolino nell’esprimere l’ultima parola.
- Parli per entrambi, Kal?
- Certo, Miss. Sono il più grande fra noi fratelli, la mia parola vale per tutti.
- Più grande solo di dodici minuti – aggiunse il suo gemello, colpendolo con il piccolo scudo espandibile, posto sull’avambraccio sinistro.
- Sono comunque più grande, non discutere. Faresti piangere la mamma.
- Ti odio quando la metti in mezzo.
- Quanto siete carini – Alice rise di gusto – Vorrei avere anche io un fratello con cui parlare.
- Non è per niente bello – risposero all’unisono, come facevano quasi sempre.
I tre, seguiti da Gallade, si incamminarono per i vari corridoi, giungendo infine all’ascensore che portava ai piani inferiori. Nel passare davanti alle grandi finestre, il sole colpiva forte le armature delle due sentinelle, facendone risplendere il colore bianco e oro, unito al biondo dei loro capelli.
Alice fu costretta a salutare diverse persone durante l’ultimo pezzo del loro tragitto. Riusciva a sentire il disagio di Gallade, non era affatto entusiasta quando qualcuno si avvicinava troppo alla sua allenatrice. A causa di ciò che era capitato a entrambi in passato, era molto protettivo.
Non si fidava di nessuno, se non di Madame Carol.
Kal e Kalin camminavano ora in silenzio, alle immediate spalle di Alice; in presenza di altre persone era meglio non andare fuori dal personaggio.
Qualunque uomo appartenente al loro Ordine ne era consapevole: una volta entrati a far parte dell’Ordine di Kyurem, l’élite dell’élite delle guardie fra i Sacerdoti, bisognava seguire regole rigide e ordini ben precisi. Non era ammesso sbagliare, in quanto loro erano la rappresentazione fisica della volontà di Sua Santità, e quindi della volontà divina.
Nonostante la loro dedizione e il loro giuramento di fedeltà verso Sua Santità, Gallade non si fidava di loro, e camminava in perenne allerta, pronto a balzare su di loro e metterli fuori combattimento o, se necessario, ucciderli per proteggere Alice. Il suo primo allenatore gli aveva dato quel compito, e lui non intendeva deluderlo. Alice era la sua sola famiglia, e in famiglia ci si aiuta sempre.
Quindi preferiva restare sempre all’erta, soprattutto quando non si trovava in solitudine con la sua allenatrice.
Poco dopo, erano finalmente giunti nella sala da colazione privata di Sua Santità, dove quel giorno lei avrebbe dovuto consumare il primo pasto della giornata, circondata da persone illustri e, ovviamente, Madame Carol.
- Grazie mille del passaggio, Doppia-K – chiamò così i gemelli, come era solita fare.
- Immagino che dovrete aspettare qui fuori, stavolta. Non penso che il mio patrigno sia favorevole al far mangiare due guardie assieme a tutti quei personaggi importanti.
- No, Miss, a noi non è consentito. Resteremo qui fuori, qualsiasi cosa succeda basterà dire la parola d’emergenza e noi saremo subito da lei. Se la ricorda, giusto? – chiese Kal
- Pineapples! – disse ad alta voce Alice, soddisfatta della sua idea.
- Perfetto, Miss, allora – disse Kalin
- Buona colazione – concluse Kal.
Alice si accomiatò dalle sue guardie del corpo, per poi avvicinarsi alla porta. Fece un profondo respiro e la spalancò lentamente, facendo scricchiolare l’anima in legno della porta.
Entro, e Gallade fu subito dietro di lei.
All’istante la sala calò nel più tetro silenzio. Nessuno osava parlare per primo, sapendo che Lui ci avrebbe tenuto a darle il buon giorno per primo.
Lui la guardò un istante, riempiendo il suo cuore del viso di lei.
- B-buon giorno a t-tutti – disse Alice, timidamente e completamente a disagio per la situazione.
Odiava queste situazioni.
- Finalmente mia figlia è qui! Che la colazione abbia inizio! – esordì, entusiasta, Sua Santità.
Alice venne accompagnata al suo fianco, prendendo posto alla destra del padrigno.
Gallade, nonostante gli venisse detto da camerieri e servitori che quello era un posto a lui chiuso, non batté ciglio e rimase in piedi, dietro la sedia di Alice.
Quando vide la tensione crescere sul suo volto, appoggiò una mano sulla spalla della sua protetta, cogliendone il ripudio verso la figura del patrigno.
Gallade fissò il volto di Sua Santità, con sguardo vitreo.
Sì, lo odiava con tutto se stesso.  
 
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 13 - New Hope ***


New Hope
 
 
Kyle e Cole, una volta riusciti a liberarsi da Bryan che continuava a tempestare Cole di domande, tornarono all’aria aperta, lasciandosi le porte del locale alle spalle.
Il Sole aveva iniziato il suo declivio verso l’orizzonte, mezzogiorno era passato da un pezzo. Mentre loro due riprendevano a percorrere la strada che ancora li divideva dal settore tecnologico della cittadella, il resto delle persone iniziava a raggiungere ristoranti e locali vari, dove li aspettava un buon pasto dopo la prima parte della loro giornata di lavoro. I nuovi arrivati si muovevano già fra gli abitanti di New Hope, integrati quasi all’istante. I locali si erano dimostrati molto ospitali e fin dall’arrivo dei loro nuovi compagni, si erano dati da fare per aiutare tutti a sistemarsi, indipendentemente da religione, colore della pelle o qualsiasi altra finta differenza che incorre nel genere umano.
Pochi minuti dopo, i due erano fuori dal centro della cittadina, le case e le costruzioni diventavano mano a mano più rare, lasciando il posto a spazi erbosi, alberi da frutto, coltivazioni e allevamenti di Miltank. Attraversata una piccola radura, iniziarono a infiltrarsi sempre di più all’interno della foresta che delimitava il perimetro del lato est della città. Mano a mano che procedevano, gli alberi si facevano sempre più fitti e il Sole faceva sempre più difficoltà a penetrare fra il fogliame. Diversi Hoothoot li fissavano, con i loro enormi occhi ipnotizzanti. Uno di loro si alzò in volo e percorse la distanza che li separava, in breve tempo. Fece un paio di volteggi sopra le loro teste, prima di appollaiarsi sulla spalla di Kyle, il quale rimase immobile.
- Sono abituati all’uomo, qui viviamo in armonia con la natura – spiegò Cole, mentre frugava nelle tasche dello zaino che gli aveva consegnato Bryan, poco prima di ripartire dalla sua taverna.
Ne estrasse un pezzo di pane, a cui staccò varie parti utilizzando le mani. Una la diede all’Hoothoot poggiato sulla spalla di Kyle, mentre le restanti le lasciò cadere verso i restanti Pokémon, che discesero immediatamente dagli alberi.
Kyle accarezzò quell’Hoothoot, sentendone il calore emanato dal piumaggio.
- Sembra tu gli piaccia, di solito non restano appollaiati così a lungo.
- Tu dici, zio?
- Credo proprio di sì, magari ci diventi amico. Vediamo un po’ se acconsentono a darti delle Poké Ball, ma ricordi ancora come la penso al riguardo, giusto?
- Sì, certo. “I Pokémon non si devono catturare mai e poi mai, se accettano di seguirci, la Poké Ball è solo un mezzo di trasporto più efficiente, sempre che il Pokémon sia consenziente” – ripeté in maniera mnemonica Kyle, riprendendo le parole di Cole.
- Ah ottimo, vedo che addirittura ricordi a memoria quello che ti insegno.
- Beh… ho sempre cercato di trarre il meglio dai tuoi insegnamenti, mi piace il tuo modo di comportarti.
Cole rise, stropicciando i capelli del ragazzo.
- Mi sa che hai molto ancora da imparare, però. Ci penseremo dopo, adesso fa andare quel Hoothoot, dobbiamo andare ai laboratori.
Kyle fece salire sul braccio il Pokémon Gufo, per poi farlo scendere a terra, lasciandogli un altro pezzo di pane.
- Ci vediamo dopo, amico – salutò un’ultima volta, prima di seguire Cole fra gli alberi.
Non ci volle ancora molto per arrivare, e quasi subito la vegetazione lasciò il posto a cemento e acciaio. L’erba scompariva immediatamente, dietro l’enorme recinzione di protezione. Kyle individuò subito diversi padiglioni, non comunicanti fra loro, costruiti su di una base di solido cemento. Dall’ingresso, subito si notava il più grande, dalla forma rettangolare, al centro del campo. Ai suoi lati e tutt’intorno si distribuivano a distanze più o meno eguali, gli altri edifici dalle più diverse forme.
Cole salutò la guardia al cancello ed entrò, seguito a ruota da Kyle, che non poteva fare a meno di osservare il tutto con occhi pieni di stupore. Non gli era mai capitato di vedere delle strutture in buono stato, reggersi ancora su tutti i suoi muri, intatti.
- La recinzione è per proteggere i Pokémon selvatici, non vogliamo che si possano far male – spiegò Cole, indirizzando Kyle verso il penultimo edificio sulla destra, dal colore verde chiaro e piuttosto piccolo rispetto agli altri.
- Quello, è l’ufficio del capo, vedrai, ti piacerà. Mi raccomando bussa prima di entrare.
- Perché, tu non vieni con me?
- No, piccolo. Ho altri impegni qui dentro, devo andare a vedere dei risultati di test importanti, ma appena finisco ti raggiungo. Puoi farcela.
- Certo che posso farcela – obiettò Kyle.
- Oh, sei diventato più sicuro di te, col tempo.
- No, certo che no.
- E allora cosa ti dà tutta questa sicurezza?
- Sono sopravvissuto tutto questo tempo con Daisy, è ovvio che possa farcela con qualunque altra donna.
 Cole si fermò di scatto, voltandosi completamente verso di Kyle.
La sua risata proruppe con prepotenza dalla sua gola, riempiendo in poco tempo il silenzio zen che regnava in quel posto.
- Il senso dell’umorismo l’hai preso da me, non c’è dubbio. Tuo padre non l’ha mai avuto.
- Lo so, zia Daisy me ne ha parlato, quando tu eri via.
- E io te ne parlerò al nostro ritorno, adesso però devo andare.
- Ok, ti aspetto lì allora, non ci mettere troppo però.
Cole annuì, battendosi il pugno destro sul petto. La sua armatura cozzò, senza emettere alcun suono metallico. Poi si girò e si avviò verso l’esatto opposto del campo.
Kyle, invece, andò a passo svelto verso la piccola porta in legno che apriva l’ingresso della struttura verde. Inspirò a fondo, e soffiò via tutta l’aria con violenza, prima di bussare.
 
 
- Avanti – rispose una voce femminile, proveniente dall’interno.
Kyle aprì timorosamente la porta che si aprì da sola, dopo un breve rumore elettrico. Non fece la minima opposizione, scivolando sui cardini senza emettere un solo suono. Venne inizialmente abbagliato dal bianco della luce artificiale dei neon, riflessa sul linoleum verde del pavimento.
- Chiudi la porta, per favore – la voce proveniva da un luogo ignoto dell’interno.
Il ragazzo si volse immediatamente per chiudere la porta, notando in quel momento che il legno esterno era una semplice copertura estetica. L’interno delle pareti, così come la porta, era in spesso acciaio. Quest’ultima scivolò velocemente sul suo asse di rotazione, richiudendosi. Diversi pistoni idraulici andarono scivolando nelle fessure laterali delle pareti, incastonandone il corpo e isolando il mondo esterno. Dopo la chiusura ermetica delle giunture ci fu un minimo e silenzioso sibilo, attestante del completo isolamento dal mondo esterno.
Ancora sorpreso, Kyle si voltò verso l’interno della struttura, venendo a conoscenza che l’intera casa in legno era costituita da un singolo ambiente, in cui si trovavano diversi banconi da ricerca, postazioni per computer, tavoli in acciaio sterilizzato e varie bacheche in cui erano riposti miscugli e oggetti mai visti prima in vita sua.
- Resta un attimo fermo sulla soglia.
- Perché? – chiese Kyle.
In pochi istanti, venne colpito dal basso e dall’alto da violente raffiche di vento, abbastanza forti da fargli perdere l’equilibrio.
- Scusa, era per tenere l’ambiente sterile. Ho dovuto eliminare le impurità del mondo esterno.
Kyle riaprì poco a poco gli occhi, riuscendo finalmente a individuare la giovane donna di cui parlava Cole.
Era china su di un microscopio, i suoi lunghi capelli castani erano legati in una semplice coda lasciata scivolare al di là delle spalle, per poi percorrere la sua schiena a cavallo del bianco camice da laboratorio.
- Posso? – chiese Kyle. Le mani gli sudavano e lui stava cercando di sminuire la tensione continuando a stropicciare gli angoli della sua vecchissima t-shirt degli Arctic Monkeys.
- Certamente, ti stavo aspettando. Sei il nipote di Cole, giusto? – gli occhi ancora puntati nel visore del microscopio.
Pareva molto indaffarata al momento e Kyle odiava interrompere qualcuno che stesse facendo qualcosa che sembrava importante.
Nonostante ciò, si decise ad avanzare, seppur con passo lento e incerto.
Si avvicinò a lei, restando in attesa alla sua destra, cercando di essere il meno invadente possibile.
- Scusami ancora, stavo cercando di capirci qualcosa in questi strani campioni, qui il genio è Green, mica io – lei si voltò, mostrandosi in quel momento in tutta la sua bellezza.
La prima cosa che colpì Kyle, furono gli occhi di lei: erano d’un blu intenso, più luminosi del limpido cielo sopra le vette del Monte Corona, dopo mesi e mesi di isolamento dalla luce, giù nelle cavità della nuda Madre Terra. Erano vispi e giovani, così come il resto del suo viso.
Le sue labbra sottili erano in posizione di sorriso, rendendo più visibili le rughe d’espressione sul suo viso. Si vedeva che rideva spesso. I lineamenti delicati del volto erano sormontati da un piccolo naso, leggermente all’insù. Nel momento in cui si voltò, la coda di cavallo le cascò sulla spalla destra, lasciando i capelli liberi di sparpagliarsi sul petto di lei. Kyle non aveva mai visto una ragazza bianca così bella, nonostante avesse assistito a diverse parate, ad Astoria, dove sfilavano le ragazze più belle del regno, con vestiti stupendi e piene di vari trucchi, per esaltare le loro bellezze femminili.
Lei invece era bella così, al naturale. Non aveva un filo di trucco in viso e i capelli erano leggermente spettinati. Ma nonostante tutto, era stupenda.
Kyle rimase senza parole.
Lei notò la sua difficoltà nell’esprimersi, e quindi decise di andare in suo soccorso. Non senza prima aver riso, nascosta dalla sua mano portata per l’occasione all’altezza del naso.
- Comunque io sono Blue, piacere di conoscerti Kyle.
Kyle si riprese dalla pietrificazione e si affannò per rispondere con prontezza.
- C-ciao, io sono Kyle, Cole ti ha già detto il mio nome?
- Ah, ha fatto molto più che dirmi solo il tuo nome. So praticamente quasi tutto di te, Cole è meglio di Wikipedia, quando ci si mette.
- Che cos’è questo Wikipedia?
- Ah giusto, dimentico che tu sei troppo piccolo per ricordartelo. Era un sito Internet in cui era pubblicato molto del sapere umano. Seppur in modo molto superficiale, argomento per argomento.
- Ah, Sur ogni tanto mi ha raccontato delle cose riguardanti Internet. Però non credo di aver mai sentito quel nome.
- Nessun problema, per quanto possibile, ti aiuto io a imparare cose nuove. È un po’ il mio lavoro qui. Da quando è scoppiata la guerra e abbiamo perso, ci siamo dovuti arrangiare. Green è il vero genio e scienziato, io mi sono dovuta improvvisare per aiutarlo, assieme agli altri.
- Chi è Green? – chiese Kyle, ingenuamente.
- Credevo Cole avesse parlato un po’ di questo posto… Vabbè, è uno di quelli che dirige questo posto ed è il nostro migliore scienziato. Le nostre armi di difesa, metodi per generare energia, quando e dove coltivare per avere il massimo rendimento e tutte queste cose così. Lui è quello che ne sa di più di tutti.
- Oh capito – disse Kyle, con lo sguardo perso nel vuoto.
Non si era mai trovato in un posto come quello e, per lui, era tutto completamente nuovo.
Blue si accorse del suo momento di stand by, mentre la fissava dritto negli occhi, e cercò di richiamare la sua attenzione.
- Ehi, tutto bene piccolo? – schioccò un paio di volte le dita davanti il viso di Kyle, facendolo quasi sobbalzare.
Lui sbatté la testa a destra e sinistra, come per rimettere insieme le idee.
- Scusa, mi ero perso a guardare… tutte le cose che ci sono qui. Non ho mai visto circa il novantotto per cento di ciò che c’è in questa stanza – Kyle cercò di sviare l’attenzione dal viso di lei, in cui si era perso per qualche istante, rapito dalla bellezza e purezza del blu dei suoi occhi.
Lei parve accorgersene e smascherò immediatamente il falso nelle sue parole ma, sempre col sorriso sulle labbra, decise di lasciar scorrere e lo assecondò.
- Dimmi un po’, cos’è che suscita più interesse in te, in questa stanza? Volevo farti un paio di domande per capire che tipo sei, Cole era rimasto un po’ indietro con gli anni. Ma, sai, si scopre molto di una persona anche in base a ciò che attira la sua attenzione – accompagnò l’ultima frase con un occhiolino, leggermente piegata in avanti per raggiungere l’altezza del viso di Kyle.
Più o meno, al suo occhio, Blue pareva di poco più alta di Daisy: un metro e settantotto circa, contro uno e settanta scarsi.
- Beh… - Kyle diede una rapida occhiata alla stanza, passando in rassegna elemento per elemento – Direi… quello che c’è in quel contenitore trasparente.
Dopodiché il ragazzo indicò una grossa cassa di materiale simile a plastica rinforzata, o qualsiasi cosa fosse. Non si intendeva affatto di materiali o di qualunque altra cosa ci fosse in quella struttura, quindi era costretto a tirare a indovinare.
- Quel contenitore, o quello che c’è dentro? -  chiese lei, con un’alba di sorriso di orgoglio stampato sul viso.
- La pietra, ovviamente. È la cosa più familiare. Sai, vivendo sotto terra ne ho viste molte, ma quella non la conosco. Non fraintendermi, non so praticamente niente di rocce, semplicemente quella è strana.
Ci pensò su un paio di secondi, guardando la pietra. Poi, spostò lo sguardo su Blue, la quale ricambiava con visibile voglia di conoscerne il motivo.
-… E per questo mi piace – concluse Kyle.
Sei uguale a tuo zio, più o meno. Certo, si dovrebbe parafrasare per bene quello che disse la prima volta che venne qui, ma la vostra curiosità è uguale.
Kyle divenne visivamente più allegro, venendo paragonato a Cole, l’uomo a cui si era sempre ispirato e il suo idolo.
Poi arrossì, capendo solo in quel momento di essere in presenza di Blue.
- Comunque, ci sono un paio di cose che vorrei chiederti, se non ti dispiace. Facciamo così, tu mi racconti un po’ di come vivevate e di quello che hai fatto che ti sembra degno di nota e io ti offro una cioccolata calda, ho il microonde qui dentro.
- Non ne ho mai assaggiata una… - ammise Kyle.
- Oh, allora bisogna assolutamente rimediare, i dolci sono essenziali. Avanti, abbiamo un patto? – Blue allungò la mano verso di Kyle.
- Affare fatto – Kyle allungò la sua e strinse quella della ragazza.
 
Il tempo trascorse veloce, mentre Kyle raccontava tutto ciò che gli veniva in mente, cercando di tenere un ordine cronologico dei vari avvenimenti importanti della sua vita nel vecchio rifugio sotto terra. Non tralasciò il suo incontro col Cubone selvatico e parlò in modo molto fiero mentre raccontò di quando trovò Arcanine e di come, durante il tragitto, avesse individuato e messo fuori combattimento il Mismagius selvatico. Ricevette anche alcune domande personali, come caratteristiche del proprio carattere, punti di forza e di debolezza, eventuali fidanzamenti e altre cose che Blue rivelò essere pertinenti per un profilo psicologico.
- Profilo psicologico, per che cosa? – chiese Kyle.
- Come forse saprai, noi siamo tutto ciò che resta della Resistenza contro il Sacro Ordine. E dato che sei entrato a farne parte, penso sia opportuno tu sappia che abbiamo intenzione di attaccare. Non abbiamo ancora nessun dettaglio al riguardo, ma l’intenzione c’è.
- Volete… volete fare una guerra? – chiese Kyle, sbigottito.
- No, vogliamo semplicemente sradicare quel pazzoide che si fa chiamare Sua Santità.
- È per questo che Cole ci ha condotti qui?
- No, vi ho condotti qui per potervi proteggere – rispose Cole, palesatosi solo in quel momento.
- Cole, è un piacere rivederti. Viaggio tranquillo?
- Abbastanza, abbiamo avuto solo qualche problema con un Mismagius. Ma ora credo che, una volta liberato, vorrà sicuramente fare la sua parte.
- Ci vuoi proteggere portandoci in guerra, zio? – chiese Kyle, visibilmente scosso e impaurito.
- No, non vi porterei mai nell’occhio del ciclone. Ero in contatto con Earl, molto in segreto. Neanche Sur o Daisy potevano sapere della mia esistenza.
- Però volete organizzare una guerra.
- Siamo in guerra da quando hanno distrutto Hoenn. E ucciso milioni di persone, tra cui Sapphire e Ruby – si intromise Blue, con le lacrime agli occhi – Siamo in guerra da quando quel pazzoide ha iniziato un genocidio dopo l’altro, comandando con il potere della paura e della morte.
- Se non facciamo qualcosa tu e Daisy vivrete per sempre così; con la paura di venir uccisi senza nessun motivo. Solo perché il nostro colore della pelle è diverso da quello di Sua Santità o perché non gli lecchiamo il culo come tutti i suoi seguaci. Non c’è altra soluzione.
- Ma è impossibile vincere! Avete visto che tecnologie hanno, il numero di soldati e di Pokémon. Voi cosa avete? – obiettò Kyle, cercando di farli ragionare.
- Una nuova speranza – Blue sorrise, e immediatamente il cuore di Kyle divenne più leggero.
- E hanno la mia forza – aggiunse Cole, indicando il suo cuore.
- Come pensi di fare, zio? Non puoi fermarli tutti.
- Beh, da solo non potrei ma ho un asso nella manica. Sono sicuro che ti piacerà – Cole batté il pugno sul petto, per poi alzarlo a mezz’aria, in attesa di Kyle.
Il ragazzo si sentì rasserenato dal gesto di suo zio. Era ciò che faceva ogni volta che partiva in missione, una specie di buon augurio. E fino ad allora, non aveva mai deluso le sue aspettative. Anche quando lo credevano morto, Kyle sapeva che ce l’avrebbe fatta. Suo zio era una specie di supereroe per lui. E Kyle aveva fede.
Batté il pugno sul petto a sua volta, per poi incontrare quello di suo zio.
- Quindi, volete dirmi il vostro piano? Ho letto abbastanza fumetti, rubati un po’ in giro, so che in queste situazioni c’è la spiegazione del piano, sennò perché mi troverei qui?
Qualcuno bussò alla porta.
- Oh, faremo di meglio. Devono essere Sur e Daisy, la scorta deve essere arrivata. Ora che ci sono anche loro, è arrivato finalmente il momento di togliermi un peso dallo stomaco e spiegarvi come e dove ho trovato questa armatura grandiosa – Cole ammiccò verso di Kyle, mentre si dirigeva verso la porta, per aprirla.
Aspettarono la disinfezione di Sur e Daisy, dopodiché Cole fece le dovute presentazioni e iniziò a rimuovere, pezzo dopo pezzo, la sua armatura, lasciando intravedere ciò che era diventato il suo corpo.
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Nell'Antro Del Mostro Pt.1 ***


Nell’Antro Del Mostro Pt.1

 
Circa un anno prima, Sinnoh, nei pressi della Fonte Saluto.
 
Cole correva a perdifiato fra gli alberi, col cuore che gli martellava nel petto. Lui e Green avevano appena attaccato un convoglio di Sacerdoti, liberando circa una sessantina di prigionieri. Quest’ultimi li seguivano correndo come meglio potevano, deboli e feriti com’erano. I sacerdoti, quei pochi rimasti in vita, continuavano a inseguirli, restando alle loro calcagna.
Cole voltò bruscamente a destra, venendo emulato da tutto il gruppo. Si lasciò cadere lungo un pendio, scivolando fra piccole rocce e foglie secche lasciate cadere dalle vette più basse di pini e querce che si trovavano tutt’intorno. Un grosso ramo gli frustò il viso, lacerandogli la bandana che portava sul viso, a mo’ di maschera. La camicia si ruppe in più parti quando scivolò fra le radici, mentre il pantalone paramilitare tenne agli urti e gli strappi. Si alzò una volta giunto dove il terreno ritornava dritto, per poi controllare il resto del gruppo.
Guardò a destra e sinistra, in cerca di una strada da percorrere o un nascondiglio. Lo trovò in un piccolo incavo nel fianco della montagna, che sembrava abbastanza spazioso per tutti. Aspettò che tutti giungessero nei suoi pressi, con Green che faceva da chiudi fila. Li diresse tutti verso il nascondiglio, prima di andarci a sua volta. Da quella posizione, erano invisibili dalle minacce dall’alto.
Tutti ne approfittarono per riprendere fiato. Cole controllò il suo fucile d’assalto staccandone il caricatore. Restavano otto colpi in totale, contando quello in canna. Inserì la modalità semiautomatica e ripose il fucile a tracolla.
Fu solo in quel momento che Green prese la parola.
- Non dovevano essere solo una decina di Sacerdoti? Saranno almeno in trenta! – sbottò, indirizzato verso di Cole.
- Beh, forse ho contato male – rise lui, estraendo il grosso coltello da caccia, per poi liberare gli ultimi con ancora i lacci alle mani.
- Avremmo dovuto essere in più, ci hai fatto rischiare grosso, Cole.
- Non potevamo aspettare i rinforzi, questa gente stava andando a morire e tu lo sai bene.
- È comunque stata una cosa da incoscienti. Sembravi Gold mentre ti lanciavi dall’albero con una liana. Pensavi di essere Tarzan?
- Si chiama effetto sorpresa. Più un pizzico di fantasia.
- È stata pazzia.
- Comunque ne ho uccisi cinque solo mentre scendevo.
- Ci servivano comunque più uomini – obiettò Green, indicando gli schiavi da loro soccorsi.
- Se tu ti decidessi a usare delle armi da fuoco, non ne avremmo avuto bisogno.
Green sospirò, passandosi una mano fra i capelli, per poi allentarsi un po’ la cravatta blu con le paperelle.
Cole lo guardò da sott’occhio, mentre liberava anche l’ultimo paio di mani.
- Sì lo so, lo so. Tu non uccidi, non ti preoccupare, c’è lo zio Cole qui.
Green fece segno di fare silenzio e tutti si ammutolirono all’istante. Si alzò una manica della lunga tuta tattica, estraendo il suo palmare legato al braccio.
Eseguì una rapida scansione del terreno circostante, collegandosi con un segnale pirata ai satelliti utilizzati dal Sacro Ordine. Un gruppo di circa una dozzina di Sacerdoti si stava avvicinando al nascondiglio, portando i Pokémon fuori dalle sfere.
- Arrivano, Cole. Sono troppi.
Cole guardò gli schiavi, tremanti di paura e con le spalle al muro, quasi piangere pensando alla sorte che li stava raggiungendo.
Strinse l’impugnatura del suo coltello, inspirando a fondo.
- Green, portali al punto di estrazione. Io distraggo i Sacerdoti. Li condurrò nella Grotta Ritorno così li faccio tutti fuori mentre sono disorientati fra le stanze, poi ti chiamo col palmare.
- Sei pazzo? Sono troppi, continuiamo a fuggire e nel mentre richiedo l’estrazione.
Ma Cole si era già lanciato fuori dal rifugio, correndo nella direzione in cui Green aveva avvistato i Sacerdoti. A nulla servirono le grida di quest’ultimo, che dalla piccola grotta cercava di far ragionare il suo compagno.
Green sospirò, prendendo a calci una radice di rampicante che lottava per crescere su di un tronco morto.
 
Green aspettò una decina di minuti, lasciando il tempo necessario a recuperare le forze, anche ai più deboli.
Chiamò fuori dalle sfere Machamp ed Heracross, rendendo più sicuri i prigionieri, consci delle nuove braccia appartenenti alla loro scorta.
- Machamp, Heracross, caricatevi le persone che vi sembrano più deboli e impossibilitate a muoversi e seguitemi. Chiuderete voi la fila, va bene?
I due Pokémon acconsentirono e si misero immediatamente a disposizione: il solo Machamp era in grado di trasportare quattro per ogni braccio superiore. Lasciò gli arti inferiori liberi, sotto consiglio di Green, in modo da potersi difendere immediatamente in caso di attacco. In effetti, staccò dal muro della grotta due grossi pezzi di terreno, pronti a essere usati come armi da lancio.
Green fu il primo a fuoriuscire allo scoperto, cauto e non prima di aver scannerizzato un’ulteriore volta la zona circostante col suo bracciale tecnologico.
Non c’era anima viva. Soltanto qualche Dustox che si librava nell’aria, quasi in stasi, cercando fiori da cui attingere nutrimento e dei Wurmple che strisciavano fra le radici degli alberi, senza degnare dell’alcun minima attenzione i nuovi visitatori della foresta.
- Ok, via libera. Andiamo.
Green incitò gli altri a seguirlo, mantenendo un’andatura costante e non troppo spedita, per favorire i deboli. Si orientò tramite il proprio palmare, trasmettendo ogni dieci minuti la propria posizione al campo base, dove li aspettavano i soccorsi. Non potevano spingersi troppo in profondità nella foresta, dove ora si trovava Green, o rischiavano di essere intercettati troppo velocemente dalla guardia dei Sacerdoti.
Quindi la loro unica soluzione, al momento, era camminare.
E fu quello che fecero.
 
Cole correva a perdifiato, evitando rocce e radici. Durante il primo contatto visivo aveva esploso sei cartucce dal suo ARX-160, con altrettanti colpi a segno. Ora i Sacerdoti alle sue calcagna erano otto, con soli due proiettili. Non sapeva nemmeno lui come avesse fatto a uscire dallo scontro a fuoco illeso, data la schiacciante superiorità del nemico. Fatto sta che aveva iniziato a correre dopo aver accertato le morti visivamente e non si era ancora fermato.
Non riusciva a sentire gli Absol che gli erano alle calcagna, dato che quei Pokémon non emettevano alcun suono neanche calpestando i rami. Ma ne sentiva la presenza, e per questo era più che deciso a raggiungere il prima possibile la sua meta.
Correndo, lasciò cadere delle trappole dal suo cinturone.
- Ti prego, Blue, fa che questi cosi funzionino. Se mi salvi il culo, giuro che smetto di sfottere Green… per una settimana.
Dopo qualche attimo, lo schermo del suo computer da polso si illuminò di rosso, a conferma dell’avvenuta esplosione della trappola.
Cole si fermò e si concesse un attimo di tregua, volgendosi verso i suoi inseguitori.
Sei Absol erano bloccati fluttuanti sopra il punto in cui era caduta la sua granata sperimentale. Erano avvolti in una bolla blu di stasi. Cole sogghignò, entusiasta della riuscita della trappola.
- Cole è un uomo felice quando gli vengono dati nuovi giocattoli – disse fra sé.
Diede un ultimo sguardo agli Absol bloccati nel loro balzo, per poi guardare il suo computer da polso.
- Secondo Blue, questa specie di bolla dovrebbe durare almeno trenta minuti. Peccato non potermene accertare.
Sentì i Sacerdoti farsi più vicini. Riusciva a sentirne perfino i passi nel sottobosco. Erano così sicuri dell’essere fuori pericolo che non si preoccupavano minimamente del baccano da loro provocato.
Ma per sua fortuna, Cole non era così sbadato. Si accorse in tempo del loro arrivo e riuscì, senza troppa fretta, a distruggere quasi tutte le sue tracce. Eccezion fatta per un paio di pedate nel fango, che utilizzò come ulteriore trappola. Mise un paio di mine nascoste fra erbacce e fanghiglia, prima di riprendere la sua corsa verso la Grotta Ritorno.
Ebbe un’idea migliore: dopo circa venti metri si fermò ai piedi di un grosso albero, estrasse il rampino dalla cintura che aveva ideato Green e lo utilizzò per issarsi su di uno dei rami più in cima ma abbastanza robusto alla vista, in grado di poterlo reggere. Una volta salitoci, si nascose come meglio possibile utilizzando il fogliame dei rami sottostanti. Premette un pulsante sulla sua cintura e un sottilissimo strato di materiale riflettente lo avvolse, rendendolo quasi impossibile da vedere: la luce veniva riflessa dal marchingegno, mimetizzando il suo corpo con l’ambiente naturale. Anche il suo odore venne coperto, seppur non completamente.
I Sacerdoti si avvicinarono alla bolla di stasi, con lo sguardo fisso sui corpi dei loro Pokémon. Erano troppo impauriti dal poter fare la stessa fine e quindi evitarono di anche solo avvicinarsi alla sfera blu volante, generata dalla granata di Cole.
Si limitarono a lanciare un paio di sassi verso di essa. Videro che nessun effetto veniva attivato, esclusione fatta per il fatto che la bolla assorbì anche i sassi, inglobandoli e mettendo in stasi anch’essi.
Decisero che era meglio starne lontani e quindi andarono avanti nelle loro ricerche.
Uno di essi chiamò fuori dalla Poké Ball un Houndoom e gli ordinò di rintracciare l’odore che stavano inseguendo. Il Pokémon girò intorno alla sfera un paio di volte, sfrecciando avanti e indietro per il terreno. Alla fine rintracciò l’odore, che seguì spedito attraverso gli alberi, diretto verso la posizione di Cole. Si fermò per qualche attimo al di sotto del suo albero e Cole sperò con tutto se stesso che la nuova tecnologia di Green e Blue funzionasse.
Per sua fortuna, la mimetizzazione parve superare i sensi del Pokémon. Houndoom riprese la sua corsa, in direzione di dove le tracce parevano continuare, per poi perdersi nel bosco. Ma il Pokémon era più che sicuro che la direzione fosse quella giusta. Passò sulla mina laser, senza che quest’ultima si attivasse. Era progettata da Green, quindi non era in grado di uccidere i Pokémon.
I sensori erano in grado di stabilire la fisionomia dell’organismo che entrava nel loro raggio d’azione, limitando la detonazione alla sola presenza di esseri umani. Inoltre, erano in grado di leggere i marcatori genetici delle “razze” di uomini appartenenti ai Ribelli, in modo da evitare feriti da fuoco amico. Ma ovviamente tutto questo era teorico, in quanto Cole ne era il tester ufficiale.
Però sembrò i sensori sembrarono funzionare nell’individuare il Pokémon. Cole sperò che anche il resto funzionasse alla perfezione.
I Sacerdoti si avviarono per poter seguire il loro Pokémon, arrivando in breve tempo nei pressi della mina.
- Forza, fai Boom e rendi felice papà – sussurrò Cole a bassa voce, come se le sue parole fossero dotate del potere di persuadere l’ordigno a detonare.
Il Sacerdote a cui apparteneva Houndoom, seguito da altri due, arrivò in prossimità della mina.
Si sentì un beep di conferma, prima della detonazione. I tre non ebbero nemmeno il tempo di chiedersi mentalmente da dove provenisse quel suono, che avvenne l’esplosione. Del più vicino non rimase che della polpa sparsa sull’erba, mentre i corpi senza vita, maciullati e deformi, dei restanti due, ricaddero poco lontano. La detonazione era stata pensata per essere letale e concentrata in spazi ristretti, quindi l’onda d’urto non si espanse per più di cinque, quasi sei metri.
Cole approfittò del momento di panico generato, per sparare gli ultimi due colpi restanti nel caricatore.
Il silenziatore fece il suo effetto, rendendo quasi inavvertibili gli spari in caso di silenzio e quiete. Grazie all’esplosione, la posizione di Cole era completamente nascosta.
Riuscì a colpire uno dei restanti cinque in pieno viso, dritto fra gli occhi; mentre il secondo venne colpito nel collo, all’altezza delle giugulare. Cercò di far piombare su di loro i colpi quanto più orizzontalmente possibile, ragione per cui scelse i due più in lontananza. Così facendo sperava di nascondere il suo essere più in alto, depistandoli.
I restanti tre non ebbero la benché minima idea di cosa stesse succedendo, finché gli altri due loro compagni non furono morti. Allora Cole lanciò il suo fucile, ormai inutile, lontano, nella direzione in cui si era diretto Houndoom.
Quello che gli parve il capo, il più grosso, urlò diversi ordini ai due restanti, invogliandoli a correre nella direzione da cui provenne il tonfo del fucile. I tre iniziarono quindi a correre, mentre Cole sorrideva soddisfatto.
Passarono i minuti, e quando fu certo di essere abbastanza al sicuro, si lasciò scivolare giù dalla sua protezione. Le batterie del camuffamento erano andate e quindi ora era di nuovo senza protezione.
Una volta a terra, sentì il ringhio di Houndoom, tornato indietro a chiamare il suo allenatore, del quale non restava che una piccola poltiglia.
Il Pokémon fissò Cole, avvicinandosi sempre di più. Lui rimase impassibile, notando i resti della Poké Ball in cui era contenuto il Pokémon.
- Sei libero, non devi più servire quella gentaglia. Non devi più combattere.
Rimase fermo sul posto, senza distogliere lo sguardo dagli occhi del Pokémon.
Quest’ultimo si avvicinò ancora, arrivando quasi a sfiorare il naso di Cole col suo muso.
I due si guardarono per istanti che parvero interminabili, fissandosi dritto negli occhi.
Poi Houndoom si girò e corse via nel bosco, abbandonando tutto ciò che lo legava a quel posto.
Cole si mosse, riprendendo a correre nel sottobosco. Restavano altri tre sacerdoti ma era sicuro che ormai Green fosse lontano e quindi poteva ritornare sui suoi passi.
Si girò e fece per imboccare il sentiero per il ritorno, controllando la strada sul suo computer da polso. Fece appena un passo e un proiettile si conficcò nel legno dell’albero vicino alla sua testa. Schegge di legno volarono nell’aria, alcune rimbalzarono sul casco in grafene di Cole, che probabilmente gli salvò l’occhio.
- Porca puttana! – urlò, mentre si spostò dall’altro lato del tronco, cercando riparo.
- Mi sa che devo mettere in atto il piano “Grotta Ritorno”, ormai ci sono quasi.
Riprese a correre, chino sul terreno, mentre i Sacerdoti recuperavano velocemente terreno.
Dopo una breve radura, ecco che apparve: davanti ai suoi occhi c’era l’ingresso alla Grotta.
Cole non perse un solo istante e ci si fiondò all’interno, seguito a ruota dai Sacerdoti.
 
Nel frattempo, sul limitare opposto della foresta.
 
- Forza, ci siamo quasi – Green spronava il resto del gruppo, cercando di accelerare i tempi.
Erano finalmente giunti in prossimità del campo base e riusciva a intravederne i tendoni e le vedette.
Green si bloccò, dando istruzioni agli altri di procedere. Il gruppo si spinse all’interno del perimetro sicuro, venendo infine soccorso dai Ribelli. Machamp ed Heracross si liberarono dei loro fardelli per poi ritornare dal loro allenatore, che ancora aspettava sul limitare del campo.
- Cole, mi ricevi? – disse, premendo il tasto di comunicazione.
- Sì, anche se non perfettamente. Sono nella Grotta Ritorno ora, ti sento da schifo. Non ti preoccupare per me, volate via. Ho sentito i Sacerdoti dire che stanno arrivando i loro rinforzi, io me la caverò, ho sempre il tuo Pidgeot.
- Non me lo trattare male, mi raccomando. Evito di provare a persuaderti perché so che sarebbe inutile. Fa avere tue notizie.
- Certamente, principessa. Qui Cole, passo e chiudo.
Fu solo allora che Green si diresse verso il campo base.
Non perse tempo inutile e preparò la partenza di tutti, organizzando i vari Pokémon volanti e i loro passeggeri. In pochi minuti furono tutti pronti, anche grazie alle precedenti comunicazioni fra Green e gli altri Ribelli, che nel frattempo avevano iniziato a preparare il tutto.
Mancavano pochi minuti alla partenza, quando i radar portatili individuarono grosse truppe in avvicinamento con i Pokémon pronti all’assalto.
- Portate tutti via – ordinò Green.
- E lei, capo? – chiese l’addetto alle comunicazioni.
- Vi raggiungerò in volo. Vi copro le spalle.
E senza dire un’altra parola, si diresse verso i Sacerdoti in arrivo.
Non dovette camminare molto, che vide decine di quest’ultimi avanzare di gran carriera, con Tyranitar e Garchomp vari pronti al combattimento.
Green si fermò per un istante, pensieroso. Continuava a fissare i suoi nemici avanzare.
Decise di non perdere tempo e finire immediatamente quello scontro.
- Non ho voglia di tirarla per le lunghe. Sono molti e forti, ma non sono per niente addestrati, glielo leggo in faccia – espresse il suo pensiero ad alta voce, quando il nemico fu a meno di trenta metri da lui.
Estrasse una Poké Ball, richiamando in campo il suo Charizard. Lui ruggì, affamato di combattimento, come sempre.
Green inserì la Megapietra nel suo Bracciale, innescando la mutazione nel DNA del suo Pokémon. Lentamente, il corpo di Charizard si riadattò alle modifiche subite dall’esplosione di potenza in lui innestata: le corna si allungarono, le ali aumentarono la propria aerodinamicità, mentre un nuovo paio di quest’ultime, in scala ridotta, apparve sugli avambracci nel Pokémon. Inoltre, Charizard, aumentò di stazza e prestanza.
I Sacerdoti iniziarono a esclamare i loro ordini ai Pokémon che, costretti con la forza a ubbidire, non riuscivano a sprigionare la loro vera potenza.
Green non ci diede alcun peso, restando completamente rilassato. Sentì il suo corpo e quello di Charizard entrare in armonia, mentre le loro energie si fondevano e univano.
Un cenno impercettibile del capo del suo Pokémon gli fece capire che fosse pronto.
- Basta contrattempi – esclamò Green.
E immediatamente, delle potenti vampate bianche, lucenti come mille soli, esplosero dalle fauci di Charizard.
L’attacco Incendio colpì violentemente la zona, cancellando ogni forma di pianta in una lunghezza di almeno cento metri, polverizzando l’area a cono subito antecedente i due. Charizard aveva provato a contenere la propria forza, per evitare danni accidentali ai Pokémon selvatici.
Una volta che il bagliore fu finito, tutti i Pokémon avversari erano privi di forze, mentre i Sacerdoti si cercavano di rialzare a fatica, con ustioni su tutto il corpo.
Ma si muovevano ancora, quindi erano vivi. Il patto di Green era stato rispettato.
Senza ulteriori indugi, balzò sulla schiena di Charizard, librandosi in volo per raggiungere il resto del gruppo. Mentre volava via, vide chiaramente che i Pokémon selvatici erano riusciti a mettersi in salvo. Il suo cuore si alleggerì di un ulteriore peso.
 
Poco dopo, nella Grotta Ritorno.
 
Cole aspettò diverso tempo, nascosto nell’ombra, per poter sorvegliare l’ingresso. Ma per quanto gli parve di aspettare un’eternità, nessuno varcò la soglia.
Pensò che i Sacerdoti fossero intimoriti dalla fama del luogo, e che avessero preferito che ci pensasse l’oblio a eliminare la loro preda.
Proprio in quel momento, sentì il vociare dei Sacerdoti provenire da diverse stanze di distanza.
- Come diavolo hanno fatto? Ero convinto ci fosse solo quello di ingresso. La cosa è piuttosto sospetta.
Non ebbe nemmeno il tempo di terminare il proprio pensiero, che il debole alito di vento che ravvivava le stanze della Grotta portò alle sue orecchie il suono delle grida dei Sacerdoti.
“Ah, col cazzo che resto ancora qui” pensò, scattando in piedi e dirigendosi a passo spedito verso l’ingresso.
Lo varcò, per poi accorgersi che l’oscurità, invece che essere diradata dal sole, si infittiva sempre di più.
Era rimasto intrappolato all’interno di quel luogo maledetto.
- Grandioso, ci mancavano le porte che si spostano – urlò al vuoto, preso da un attimo d’ira.
Scosse la testa e continuò a proseguire. Trovò un grosso ramo fra due rocce e lo raccolse, chiedendosi da dove potesse provenire. Mano alla Ball di Ryp, continuò a cercare la strada per uscire. Passò diverse stanze, per poi scontrarsi nei cadaveri dei tre Sacerdoti che lo stavano seguendo. Tutti e tre senza arti, le vesti bianche infettate dal sangue.
- Beh, almeno rendetevi utili una volta morti – scavò negli zaini dei tre, alla ricerca di qualsiasi cosa potesse tornargli utile.
Trovò diverse bende da pronto intervento e dell’alcool. Avvolse le bende attorno al ramo e ci spruzzò sopra l’alcool, per poi dar fuoco al tutto col suo acciarino.
- Ok, problema luce risolto. Peccato gli stronzi fossero senza più munizioni. Pazienza, me la caverò da solo.
Controllò la sua posizione sul computer, notando con ovvia delusione che lì sotto le sue apparecchiature non funzionavano. Non era neanche in grado di accendere lo schermo, qualcosa di tetro vegliava su quel posto.
Rincuorato dal fuoco, e dalla lama in titanio di diciotto centimetri che reggeva nella mano destra, si avventurò all’interno della grotta, per cercare un’uscita. Conscio, però, che stava andando dritto dove quel posto voleva condurlo.
Il suo sesto senso si attivò, e a Cole sembrò di essere osservato da un paio di occhi attenti, potenti e tirannidi, il cui sguardo sembrava fendere pareti rocciose e macigni, posti al centro di quel labirinto.
Non si sbagliava.
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 14 - Nell'Antro Del Mostro Pt.2 ***


Nell’Antro Del Mostro Pt.2

 
 
Cole si trovava sottoterra ormai da parecchio tempo. Era arrivato al sesto grosso ramo utilizzato come torcia. Non si spiegava il motivo ma, entrando nella stanza successiva, riusciva praticamente sempre a trovare un ricambio alla sua torcia, nel momento in cui quest’ultima sia sul punto di esaurirsi. Così diede alle fiamme l’ennesimo ramo, per poi ricontrollare la sua posizione.
Tramite il calcio del fucile che aveva raccolto dai cadaveri dei Sacerdoti, aveva continuato a fare segni sulle pareti e le rocce delle stanze, senza però riuscire mai a ritrovarne neanche uno. Non ci riuscì neanche quando provò a tornare indietro, non appena superato un antro. Anzi, quella era la cosa più strana: tornando indietro dalla porta d’ingresso di una stanza, si ritornava sempre nella stessa grande sala, al cui centro si stagliava l’enorme pilastro su cui si poteva leggere, a caratteri cubitali, due numeri romani; due enormi “I”, stando a significare due numeri uno.
Cole controllò nuovamente il computer, che non diede la minima risposta. La batteria che era oltre il settanta per cento, era morta d’improvviso una volta entrato in quel posto. Anche l’energia cinetica che accumulava la tuta con il movimento, pareva essere svanita. Nonostante fosse in cammino da molto tempo, non sapeva neanche più lui quanto, il display riportante l’energia totale utilizzabile era addirittura spento. Lì sotto c’era qualcosa che distruggeva ogni forma di tecnologia.
D’un tratto, un fascio di luce investì Cole, partendo da una delle aperture nella nuda roccia. Alle sue spalle, la grossa porta nella terra su cui era visibile un gigantesco bassorilievo di Giratina, sembrò aprirsi all’improvviso.
La luce filtrò all’interno, allontanando l’oscurità. Le restanti tre porte, tuttavia, restarono nell’oblio.
Cole riuscì a vedere il giorno, nell’esterno del mondo. Il Sole brillava alto sulla foresta, in tutto il suo splendore e calore, così tanto che Cole rimase abbagliato e sentì la pelle bruciargli addosso, abituato al freddo glaciale di quel posto.
Si avvicinò, incredulo, all’apertura. Torcia ancora in mano, mentre l’altra andava a tentoni verso l’uscita. Si lanciò verso l’esterno, entusiasta di essere finalmente libero e di rivedere la luce del Sole.
Qualcosa, però, parve bloccarlo dal correre via, permettere alla tuta di ricaricarsi e di trovare un segnale radio con cui chiamare i soccorsi, prima di mettersi in viaggio con Pidgeot.
Si girò verso l’interno della Grotta, sentendo come un richiamo dall’oscurità. Sembrava solo un sibilo del vento, eppure Cole credeva che ci fosse qualcosa lì dentro che stava cercando di trovarlo. La cosa lo inquietava e non poco, soprattutto aggiungendo il fatto che non sapeva come avesse fatto a ritrovare la luce.
“Dannazione, questa non ci voleva proprio. Che cavolo mi prende?” pensò lui, stringendo la Poké Ball di Rhyperior da cui proveniva conforto e calore.
- Che dici, compare, ci buttiamo nell’esplorazione?
La sua mano venne investita da un forte calore, e vibrazioni che erano la manifestazione del ruggito del proprio Pokémon.
- Ottimo, ma tu vieni con me, sia chiaro.
Estrasse la Ball dal cinturone, liberando Ryp. Fuoriuscì con un potente ruggito, imponendosi immediatamente a capo della catena alimentare di quella zona della foresta.
- La tecnologia sembra non funzionare lì dentro, quindi meglio tu mi segua dall’inizio. Inoltre puoi portare molta più legna, meglio non sfidare la sorte.
Cole ordinò a Rhyperior di raccogliere dei vecchi tronchi secchi e ormai morti, che all’occorrenza sarebbero stati fatti in pezzi più piccoli e utilizzati come fiaccole. Inoltre estrasse una grossa radice, anch’essa morta, dal terreno, per poi affilarla con le grosse zanne e consegnare a Cole.
- Sempre meglio che niente… - commentò lui, abbandonando con rammarico il suo fucile automatico preso “in prestito” dai Sacerdoti.
- Non ti preoccupare, Ryp, c’è abbastanza spazio per te, lì dentro. Le porte sono il doppio di te. Ma non hai scuse, quando si torna a casa, dieta!
Raccolse una gran quantità di Bacche varie dagli alberi lì vicini, assieme a una grossa partita di mele, per poi inserire il tutto all’interno del grande spazio vuoto che riempiva le tasche degli zaini che aveva trafugato.
Fatto questo, si avviò all’interno, nuovamente. Stavolta però con una torcia più che consistente e una scorta degna di nota.
C’era pur sempre Rhyperior con lui.
 
I due, non appena rimisero piede all’interno della Grotta Ritorno, vennero avvolti dall’oscurità. Piombò su di loro come un condor, separandoli all’istante dal mondo esterno.
Cole riprese a camminare, affiancato dal suo Rhyperior. I pesanti passi del Pokémon riecheggiavano in tutto il sistema di gallerie e stanze, facendo vibrare le pareti stesse.
Cole provò nuovamente a procedere in linea retta, poi a zig zag, per poi provare anche ad affidarsi al più disparato chaos, scegliendo una direzione totalmente a caso.
Ma per quanto si sforzassero, i due non riuscirono a ottenere altro che sassi, pietre e stanze che sembravano una identica all’altra, esclusione fatta per il numero di rocce e sassi presenti in ogni stanza.
Ogni tanto ritornavano a visualizzare l’enorme pilastro in pietra che segnava il doppio numero romano. Cole capì che era matematicamente certo che, ogni qualvolta provasse a riprendere la strada da cui fosse arrivato, si ritrovava nuovamente al grande pilastro. Quindi il modo per tornare all’uscita era semplicemente ritornare sui propri passi. E ciò significava ridurre la scelta a sole tre porte. Cosa che però non si rivelò di grande aiuto.
Continuarono per quella che sembrava essere un’eternità, andando di stanza in stanza con le gambe e i piedi dolenti. Poi, quando l’ennesimo tizzone fu utilizzato per accendere l’ennesima torcia, Cole e Rhyperior attraversarono, casualmente, la porta alla destra di quella da cui erano giunti nell’ennesima stanza, ritrovandosi nuovamente d’innanzi al pilastro. Cole perse i successivi cinque minuti a trovare bestemmie sempre più fantasiose.
Poi, mosso da non seppe cosa, si decise a dare uno sguardo al pilastro, notando che i numeri erano cambiati: segnava, in sequenza, un due e un ventotto.
- Allora quello che ho letto su questa Grotta era verità e non solo mito. Quei pilastri sono una specie di collegamento col Mondo Distorto e Giratina. Ecco cosa mi tratteneva qui.
Come evocato dal solo pronunciare quelle parole, Cole avvertì l’aria farsi improvvisamente rarefatta e gelida. Istintivamente, portò la mano alla base del coltello.
- Se è tutto come diceva quel vecchio libro polveroso, questa grotta è un collegamento con Giratina e quei pilastri sono uno dei mezzi per giungere a destinazione. Se non erro, ogni trenta stanze si ritorna a quella di partenza, più o meno; a meno che non si trovino le stanze contenenti tutti e tre i pilastri e, quindi, si giunga da Giratina.
Cole analizzò meglio il pilastro, per essere sicuro delle sue supposizioni.
- Quindi ho solo altri due tentativi, prima di dover ricominciare tutto daccapo. Sono nella merda…
Cole, pensieroso, osservò per brevi istanti il numero ventotto, per poi avere ciò che lui narrò come “la sua illuminazione”.
- A meno che… - indirizzò lo sguardo verso di Rhyperior, con una scintilla negli occhi che il suo fedele Pokémon riconosceva fin troppo bene.
- Ryp, dato che sei così bravo nell’usare Perforcorno, per caso ti andrebbe di scavare un po’?
 
 
Base segreta della Resistenza, località confidenziale, nome in codice “New Hope”
 
Non appena i prigionieri liberati furono coi piedi per terra, vennero accolti da centinaia di persone, fra urla e applausi. Immediatamente venne dato loro cibo, acqua, e qualsiasi cosa di cui avessero necessità o bisogno. Poi vennero portati nei loro alloggi dove, uno alla volta, vennero interrogati per ottenere informazioni su loro familiari o conoscenti che potessero essere ancora in vita e quindi salvati a loro volta. Non venne chiesto loro nulla di personale che non volessero rivelare, al momento avevano solo ed esclusivamente bisogno di riposo. Tutta New Hope parve mettersi a loro disposizione. Eccezion fatta per Blue. Lei era ancora al limitare della foresta, da cui avrebbe potuto vedere arrivare Green.
Era stato riferito ormai da tempo, tramite contatto radio con le truppe inviate come squadra di recupero, che Green aveva preferito restare indietro e coprire la ritirata agli altri, mentre Cole si occupava di altri Sacerdoti nel cuore della foresta. Non era per niente in pena per quest’ultimo: era fin troppo coriaceo e a suo agio sul campo di battaglia, per poter essere fatto fuori. Inoltre aveva il Pidgeot di Green con lui, che l’avrebbe riportato a casa sano e salvo.
E poi, cosa fondamentale, Green era il suo uomo.
Così Blue attese per più di un’ora dall’arrivo dei prigionieri, prima di poter vedere un piccolo bagliore rosso stagliarsi nel cielo, visibile fra le nuvole, nell’ora che precede il calare delle tenebre.
Nonostante fosse molto lontano, impiegò quasi un tempo nullo a giungere fino al punto in cui sostava Blue. Al suo passaggio le nuvole si deformavano per poi creare delle spirali attorno alla traiettoria del Pokémon di Green: volava a velocità così elevata da sembrare fendere lo stesso cielo.
Si bloccò d’improvviso a mezz’aria, investendo Blue di una forte raffica di vento che andò a scombussolarle l’orologio interiore, oltre la capigliatura già discutibile di suo.
Green scese dal suo Charizard, che era ancora nella sua forma Megaevoluta, per poi farlo rientrare nella Poké Ball e fargli godere il meritato riposo.
Blue gli corse incontro, tempestandolo di domande.
- Come stai? Cole che fine ha fatto? È successo qualcosa di grave laggiù? Sei ferito?
Blue continuò ancora a lungo, sparando parole a raffica, mentre Green si avvicinava a sua volta, spegnendo l’udito.
Arrivò nei pressi della sua donna, per poi spostarle dolcemente una ciocca dal viso, e baciarla.
Lei inspirò a fondo, assorbendo l’essenza di Green e facendola sua, portando il cuore a trentamila giri.
- Lo hai fatto apposta, vero?
- Cosa? – sorrise Green.
- Il vento, hai detto a Charizard di farlo solo per potermi dare quel bacio. Mi hai rovinato la pettinatura.
- Forse – Green sorrise ancora – Avete avuto notizie di Cole?
Cinse Blue con un braccio attorno alle spalle, per poi controllare eventuali comunicazioni archiviate sul suo computer.
- No, ancora niente da lui. Credi che… gli sia successo qualcosa?
- A Cole? Impossibile, quel bastardo non muore mai. Io vado a farmi una doccia, ne ho un bisogno fisiologico. Se entro un’ora non si sa niente dimmelo, torno lì.
- Perché sempre tu? È pericoloso, ci sono un sacco di uomini ben addestrati e – Green le fece segno di no con la testa.
- È il mio partner, è mio dovere pensare a lui. Finito il tempo a sua disposizione, tornerò lì a cercarlo.
- Inutile provare a farti cambiare idea, vero?
- Direi di sì.
- Allora meglio non sprecare il nostro tempo: abbiamo un’ora.
- Un’ora per? – chiese Green, sicuro di essersi perso qualche dettaglio.
Blue si alzò sulle punte dei piedi, avvicinando la sua bocca alle orecchie di lui, come a marcare la segretezza di quel che stava per dire, quasi sussurrando.
- Per farci la doccia.
 
 
Grotta Ritorno, in prossimità dell’antro di Giratina.
 
- Wohooooo – urlò Cole, fra la polvere e i detriti che fluttuavano nell’aria, roteando e rombando attorno alla sua testa.
Rhyperior si stava aprendo una strada all’interno dell’infinito labirinto generato dalla follia del chaos di Giratina, perforando e polverizzando le rocce più solide come fossero fatte di carta straccia. Il suo corno roteava all’impazzata e, l’enorme energia prodotta dal Pokémon, era tale da creare un’aura azzurra che avvolgeva il suo corpo, partendo dal corno e generando delle spirali di energia pura che polverizzavano ogni cosa che veniva in contatto con loro. Erano quest’ultime a proteggere Cole dall’enorme quantità di detriti che volavano via.
Rhyperior aveva iniziato lentamente, per tastare la resistenza di quei locali ma, una volta capito che non correva alcun rischio, si lasciò prendere dall’euforia e dalla furia incontenibile. Correva a tutta forza, con il capo chino e il corno spinto in avanti, mentre le braccia erano incassate sui fianchi, per ridurre la porzione di corpo a contatto con la roccia.
Così facendo, passarono di stanza in stanza, devastando tutto al loro passaggio. Un paio di volte Cole sentì le cavità da loro attraversate crollare e implodere su loro stesse.
Continuarono così finché, dopo una serie infinita di demolizioni e urla e grida di gioia, si ritrovarono in un’enorme sala, mai vista prima.
Rhyperior precedette l’ordine di Cole e si arrestò, lasciando che l’aura azzurra scomparisse lentamente, dando il tempo a Cole di approfittare della luce emessa per poter riaccendere delle fiaccole. Si avviò verso il cuore dell’immensa sala, il cui soffitto si perdeva nell’oscurità diverse decine di metri sopra le loro teste. A parte le mura da cui erano arrivati con una breccia, non si vedeva altro. Camminò per diversi minuti, sforzandosi di tenere una linea retta nonostante lì non ci fosse alcun metodo per orientarsi. Neanche un misero sasso da prendere come riferimento.
Poi, finalmente, dall’ombra iniziò a spuntare un pilastro. Cole ci si avvicinò, leggendoci il numero tre, in romano, non seguito però da altro.
- Strano… le coppie dovevano essere due.
Al suono della sua voce, un potente fascio di luce illuminò una porta distante, sulla sua sinistra. Non riuscì a vedere l’origine della luce, e questo lo snervava abbastanza.
Ma ormai si era spinto fin troppo oltre per restare sul posto. Se Giratina o chiunque altro voleva che lui passasse per quella porta, trappola o meno, lui non si sarebbe tirato indietro e, nel caso necessario, avrebbe sventato qualunque attacco.
Quindi ci si lanciò incontro quasi correndo, seguito a ruota da Rhyperior.
 
I due percorsero la grande volta su cui erano visibili diverse incisioni raffiguranti entrambi gli aspetti di Giratina, affiancati da una specie di grosso gioiello che emanava un debole bagliore grigio, nonostante fosse solo un’incisione.
Una voce gli penetrò dritto nel cervello, parlandogli con voce autoritaria e ferma.
- Hai l’opportunità di avvisare i tuoi compagni del tuo stato di salute. Starà a te riuscire a rivederli o meno. Quindi decidi se utilizzare ora il tuo misero aggeggio elettronico o continuare oltre. Tocca l’immagine della Grigiosfera e potrai utilizzarlo.
Cole non ci pensò su due volte e si fidò del suo istinto. Presse il palmo contro la tenue luce grigia, affondando nella nuda pietra. Il suo computer portatile si accese, già inoltrando la chiamata a Green.
Preferì non perdere tempo e quindi, invece di aspettare una risposta, si limitò a lasciare un messaggio.
- Ehy, Green vecchio mio, qui parla Cole. Non preoccuparti per me, ho superato un bel po’ di merda ma sto benone. Più o meno. Io e Ryp ci troviamo adesso nella Grotta Ritorno, i Sacerdoti sono KO ma ho ancora qualche questione da svolgere qui. Quindi non ti preoccupare, sarò di ritorno a breve. Ah Blue, so che stai ascoltando e sarai molto in pena per me, ma non ti preoccupare, sto benissimo. E dato che ti voglio bene, volevo avvisarti che ho “preso in prestito” una collana davvero niente male da uno dei Sacerdoti morti: era una lei, bel culo e tette ma sparava di merda. Ok ora vado, pace a tutti e fate il tifo per il grande Cole!
Cole estrasse la mano senza fatica, nel mentre il computer andava spegnendosi.
Sentì dei movimenti provenire dalle proprie spalle e vide che Ryp se n’era accorto a sua volta. Non ci pensò due volte, lì sotto nulla poteva essere amichevole.
Con un solo scambio d’occhiate Cole diede il comando a Ryp, il quale sparò con violenza immane due grossi sassi dai palmi delle mani, generando una Sassata letale, diretta contro il loro nuovo ospite.
I due sassi si infransero e disintegrarono a mezz’aria, colpendo quello che sembrava uno scudo di energia violastra.
Cole estrasse il coltello, mentre Ryp si mise in posizione difensiva, aumentando notevolmente la densità della sua corazza.
Un essere umanoide si mostrò alla luce della torcia di Cole, avanzando lentamente e con passo sicuro. Appena fu più vicino alla fonte di luce, Cole capì che non era ovviamente umano, dato che aveva una coda viola che si univa poi al ventre e il resto del corpo, completamente grigio. Lui si arrestò, mostrando i suo occhi luminosi, viola.
- Vedo che hai preferito inviare il messaggio – proferì lui, mentalmente.
La voce era maschile, profonda e seria.
- Sì, è stato grazie a te? – chiese Cole.
- Diciamo che è stata una cortesia, prima di procedere.
- Procedere con cosa?
- La valutazione – sentenziò lui, mostrandosi più aggressivo del dovuto.
- Non abbiamo certo paura di una copia cinese di Freezer.
- Dovresti – disse, iniziando a levitare a mezz’aria.
Gli occhi gli brillarono di un blu intenso, mentre le mani si proiettavano davanti al suo viso, protese verso Cole e Rhyperior.
- Io, sono Mewtwo.
 
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 14 - Nell'Antro Del Mostro Pt.3 ***


Nell’Antro Del Mostro Pt.3
 
 

Cole e Rhyperior si ritrovarono sollevati a mezz’aria dalle forze psichiche di Mewtwo. Senza il minimo sforzo, il Pokémon Genetico, aveva preso il controllo dei loro corpi e li aveva resi praticamente indifesi. Rhyperior ruggì, furente, riuscendo tuttavia soltanto a muovere minimamente la mano destra, di pochi centimetri verso di Mewtwo, prima di lasciarla ricadere sul fianco.
- Cosa ci fate nella mia dimora? – domandò, parlando a Cole telepaticamente.
“Vaffanculo” pensò Cole.
- Non c’è bisogno di insultare, umano – disse questa parola con tutto lo sdegno immaginabile – Mi dovete delle spiegazioni: nessuno può venire qui senza restare impunito. E sì, leggo i vostri pensieri.
Mewtwo rivolse loro uno sguardo glaciale e privo di ogni tipo di emozioni.
- Ci inseguivano dei Sacerdoti, sono entrato qui per liberarmi facilmente di loro: ero in inferiorità numerica, e speravo di farli fuori uno alla volta, dividendoli. Ma vedo che ci hai pensato tu.
- Non mi abbasso a simili cose, gli esseri umani non mi interessano minimamente. Saranno stati gli spettri. Ma tu hai avuto la tua possibilità di fuggire, perché sei tornato indietro?
- Colon irritabile.
Mewtwo strinse la sua morsa attorno al torace di Cole, togliendogli il fiato per qualche secondo.
- Parla, umano. La mia pazienza verso la tua razza è finita nel momento stesso in cui sono venuto al mondo.
- Qualcosa mi tratteneva, mi sono sentito attratto da qualcosa, una specie di presenza. Forse eri tu.
- No, mi spiace. Sarà stato Giratina.
- Il grosso serpentone incazzato, me ne ero quasi dimenticato. Tu vivi qui nonostante ci sia quella bestia in giro?
- Sì, è uno dei migliori posti dove incanalare energia. Ma ora basta chiacchiere.
Mewtwo canalizzò l’energia telecinetica e utilizzò il suo potere per poter fare un attacco mentale ai due. In pochi attimi, tutti i ricordi e le sensazioni vennero trasferite a Mewtwo che, così, riuscì ad apprendere tutta la vita dei due, anche ricordi da loro stessi rimossi e dimenticati.
Rhyperior non la prese per niente bene; la sua furia crebbe senza limiti. Si sentì violato nel profondo e ruggì di rabbia. Spezzò i legami telecinetici imposti da Mewtwo e si lanciò rabbioso verso di lui.
- Ryp, fermo! – urlò Cole.
Il Pokémon si bloccò all’istante, col pugno chiuso a pochi centimetri dal viso di Mewtwo, il quale non aveva mosso neanche un muscolo.
- Il tuo animo è puro – disse a Cole – Vi lascerò passare e incontrare Giratina, sembra sia tornato dal Mondo Distorto e vi stia aspettando.
- Oh, molto gentile da parte tua – Cole puntualizzò il suo sarcasmo con un inchino, non appena venne reso libero dalla forza mentale del Pokémon.
- Verrò con voi, non voglio che per colpa di uno scontro si possa rovinare anche questa dimora.
Cole non si interessò molto della cosa, in quanto Mewtwo non parve avere motivi di attaccare. E, soprattutto, sentiva che non era lui ad averlo attratto nuovamente all’interno. Rhyperior invece non fu per niente felice della cosa e si incamminò al di là del grosso portale in pietra con discrezione, quasi ostacolando il contatto visivo fra Cole che lo precedeva e Mewtwo, che veniva subito dopo dei due.
Ci misero qualche secondo ad abituarsi alla forte luce che si sprigionava in quella stanza: le stesse pareti sembravano emettere una pura luce bianca, completamente in contraddizione a ciò che sarebbe dovuto essere quel posto. La stanza era completamente priva di qualsiasi tipo di decorazione od oggetti utili. La sola cosa presente, era un enorme altare posto al centro esatto del quadrato che era la stanza. Si trovava molto più in basso rispetto alla posizione attuale di Cole e gli altri. Il pavimento curvava sempre più ripidamente mano a mano che ci si avvicinava al centro, per poi tornare improvvisamente piano. Qui in fondo, si apriva un’enorme spiazzo di diverse centinaia di metri per lato. Sembrava di essere arrivati nel cuore della montagna, pronti per affacciarsi sull’essenza magmatica della Terra stessa.
Lì, proprio nel centro, si ergeva l’altare che dall’alto non era altro che un puntino. Su di essa, si ergeva un’indistinta massa di materia nera fluida, in continuo movimento nel fluttuare fra gli infiniti atomi che costituivano l’aria.
Cole iniziò a scendere verso quest’ultima, sicuro che non ci fosse alcun tipo di pericolo ad attenderli. Assieme a lui, Rhyperior si mosse automaticamente, riuscendo ormai a pensare come Cole e addirittura predire le sue mosse, tanto era forte il legame da loro due instaurato. Mewtwo li anticipò in velocità, dirigendosi fluttuando verso l’altare. In pochi secondi lo raggiunse, per poi aspettare lì vicino. Cole e Rhyperior, invece, si inerpicarono verso il basso utilizzando la scalinata che, dall’ingresso, conduceva direttamente verso l’enorme spiazzo, in linea retta. Proprio per questo, più si avanzava, più la scala diveniva ripida. L’ultimo tragitto fu il più pericoloso, soprattutto per Rhyperior che era il più grosso dei due.
Dopo diverso tempo, i due giunsero nella zona pianeggiante, per poi dirigersi verso l’altare, ora visibile per ciò che era: un’imponente monolito in ciò che a Cole parve legno massiccio d’ebano, lungo decine di metri e alto almeno cinque, lo spessore era invisibile da quel punto di vista. L’enorme massa fluida informe fluttuava ancora sopra di esso, senza toccarlo in alcun modo; era talmente nera che pareva assorbire la forte luce nella stanza per farla scomparire a favore dell’oscurità che avanzava. Ciò non era solo un’impressione: la massa nera si allargava sempre di più, crescendo in stazza così come aumentava la profondità che trasmetteva.
Mewtwo rimase impassibile, un osservatore neutro nel tutto.
- Sta arrivando, ormai non potrete ritornare indietro. Non contate sul mio aiuto.
Detto questo, si spostò nuovamente, allontanandosi di poco dal monolito e dai due, ma abbastanza vicino da poter osservare al meglio le prossime scene che sembravano promettere una buona dose di divertimento. Senza contare l’enorme energia che avrebbe generato Giratina ritornando nella nostra dimensione e che Mewtwo avrebbe assorbito senza il benché minimo sforzo, ritornando finalmente al pieno della sua potenza, dopo la distruzione della sua Grotta Celeste a causa dei Sacerdoti che erano stati incaricati della sua cattura.
Così rimase in disparte, ansioso di poter accrescere il suo potere fino alla massima potenza.
Cole, invece, rimase impassibile a pochi passi dall’altare, quanto bastasse per poter osservare quello che doveva essere il portale, espandersi, senza dover sforzare il collo. Rhyperior lo imitò, coprendo il suo lato destro.
 
Dopo pochi attimi, la terra iniziò a tremare e con essa tutto il sistema di gallerie e stanze. Le vibrazioni erano tali che neanche Rhyperior riuscì a tenersi in piedi e fu costretto a ripiegarsi sulle ginocchia, mentre Cole era steso pancia a terra. La sola cosa stabile, in tutto quello, era il monolito, che non risentiva neanche la minima vibrazione. E, ovviamente, Mewtwo.
Di colpo, l’enorme portale collassò su se stesso, riducendosi a poco più che un punto. In un solo istante, l’oscurità calò nell’enorme stanza. La luce stessa parve essere assorbita da quel piccolo buco nero, così come ogni traccia d’aria. Cole sentì il respiro venirgli sottratto e le orecchie esplodere, mentre la vista cadeva nel più completo oblio. Freddo, c’era freddo glaciale.
Dal piccolo buco nero vennero proiettati raggi di luce corvina che gettarono la stanza in un’oscura penombra dai riflessi violenti.
Poi, in un attimo di calma apparente in cui tutto smise di tremare, si aprì un immenso squarcio dimensionale al di sotto del monolito, il quale si spaccò in due, polverizzandosi poco dopo.
Dall’enorme squarcio fatto di pura oscurità parve uscirne il diavolo in persona. Giratina, il signore del Mondo Distorto e di qualsiasi forma di chaos, fece il suo ingresso ruggendo e portando con se fasci di pura oscurità che avvinghiavano il suo corpo. Si materializzò dal terreno, per poi erigersi come un’antica statua potente e indistruttibile, di fronte ai tre. I suoi occhi brillavano di un rosso trasudante morte e distruzione.
Giratina volse la sua attenzione in direzione di Mewtwo, mentre lentamente l’oscurità avanzava, divorando tutto ciò che incontrava sul proprio cammino. Parevano tanti tentacoli di un Tentacruel gigante, intento a stritolare ogni cosa attorno a sé. Tutti, al momento, puntavano in direzione di Mewtwo, come fossero pronti a sferrare il loro attacco. Quest’ultimo non si preoccupò minimamente e non mosse un solo muscolo. Il suo sguardo si incrociò con quello di Giratina.
Cole osservava da poco distante, immobile a sua volta. I due Pokémon parvero fissarsi per quella che a Cole parve un’eternità. Infine, Giratina ritrasse i lunghi bracci oscuri e smise di tenere d’occhio Mewtwo. Ora volgeva il suo sguardo verso di Cole.
Cole avvertì un forte prurito all’interno della testa, seguito da un forte ronzio; poi, come un tuono possente, la voce umanizzata di Giratina esplose nella sua mente.
- Chi sei, umano, per osare sfidarmi e mostrarti al mio cospetto?
Cole non ebbe neanche il tempo di capire cosa stesse succedendo e soprattutto come, ma sentì Giratina penetrare nella sua mente e farla rapidamente a pezzi. Distrusse ogni sorta di sua difesa mentale e ottenne libero arbitrio sui pensieri di Cole.
Tutti i suoi ricordi, anche quelli che l’uomo credeva scomparsi da tempo, fluirono in un potente fiume davanti ai suoi occhi, corrompendo i cinque sensi e sovrapponendo il reale al passato, per poi fuoriuscire dalla mente di Cole e venir assorbiti da Giratina. Durò tutto pochi istanti, giusto il tempo di venire messi a nudo e privati della propria cognizione di essere umano. Rhyperior non se ne accorse nemmeno.
Una volta terminato il processo, dopo brevi secondi, Giratina si rivolse nuovamente verso di Cole.
- Ho ciò che tu cerchi, uomo che si fa chiamare Cole – disse, come emettendo un editto.
- Ciò che io cerco? – domandò, perplesso – Che cosa intendi dire? Io sono arrivato fin qui perché mi sono sentito stranamente attratto da questo posto.
- Hai risposto al mio richiamo. Ho sentito la tua psiche turbata e inquieta, colma d’odio e rancore; per questo sei ancora in vita.
- Vorresti tipo assorbire la mia violenza?
- No, affatto. Voglio aiutarti a sconfiggere il nuovo impero che è nato dalle ceneri dell’insediamento umano che voi chiamate Rupepoli. Sempre se ti dimostrerai degno di ciò.
- Tu, il signore del chaos, vorresti aiutarmi? Siamo su un programma tv, tipo Scherzi A Parte? Da che parte è la telecamera?
- Sei fin troppo insolente, Cole. Ma Mewtwo ti ha lasciato in vita, quindi ti do una sola possibilità: sconfiggimi, e io ti renderò l’incudine che colpirà con potenza le porte di Astoria.
- Tu vorresti fare cosa? E perché mai, non sei mica Mew, o qualcuno dei buoni. Insomma, ti ho sempre immaginato come quello che appare, uccide tutti stuprando poi i loro teschi dai bulbi oculari, e ritorna nel Mondo Distorto per scegliere dove colpire ancora. E tutto d’un tratto vuoi fare qualcosa di buono?
- Vedo che sono riuscito a imprimere un’ottima reputazione nel mondo degli esseri umani. Ma capisco che voi non abbiate chiaro il vero quadro generale dell’universo. Dimentico che Arceus vi ha resi così deboli e stupidi.
- Ha parlato quello che ha paura di un fottuto Clefairy.
- Ma vedi, bimbo, in quanto adoratore del chaos, è mio interesse ribaltare costantemente i nuovi equilibri e seminare panico in ogni dove. Inoltre questa nuova religione mi offende. E nessuno può sopravvivere a un simile affronto nei miei confronti. Quindi do a te la possibilità di diventare il mio araldo. Devi solo dimostrarti degno: feriscimi, e il patto sarà saldato. Oppure muori nel tentativo.
- Ferirti?
- So che per te è impossibile sconfiggermi in un duello, quindi voglio facilitarti il compito; se riesci anche solo a scalfirmi o a eludere la mia difesa, ti renderò degno e ti darò le armi per poter liberare la tua gente.
- C’è sempre un “ma” quando si tratta di fare affari col diavolo; dov’è la fregatura? – Rhyperior iniziò a spazientirsi durante il dialogo mentale fra i due e iniziò a caricare i palmi, generando una slavina di macigni pronti a essere scagliati.
- Il capo supremo, lui deve essere mio. Vivo.
- Oh se si parla di questo, va benissimo. Te lo spedisco per posta? Però ti avviso, non ho Amazon Prime, ci metterà forse una settimana a raggiungerti. Poi ti conviene mettere un custode all’ingresso o il postino muore prima di riuscire a raggiungerti fra tutte quelle stanze.
- Preferisco tralasciare tutte le idiozie che blateri. Accetti?
Cole guardò Rhyperior negli occhi, venendo rassicurato dalla presenza del suo compagno di vita. Rhyperior parve capire la situazione, e annuì poderosamente, facendo scattare i massi nei palmi, come a caricare un colpo in canna.
- Accettiamo.
Giratina ruggì, e immediatamente l’oscurità s’infittì, coprendo ogni cosa e nascondendo pavimento, soffitto e anche Mewtwo, che era a pochi metri di distanza, muto osservatore.
Il sovrano del Mondo Distorto si eresse in tutta la sua potenza e magnificenza, piantando le sue sei zampe nel suolo. Ruggì ancora.
L’intera montagna tremò di paura al suo grido di morte.
 
Cole si avvicinò a Rhyperior, brandendo il suo praticamente inutile bastone di legno. In confronto al suo Pokémon, Cole non era altro che una formica, nonostante fosse alto circa due metri e dieci. Si mise alle spalle di Rhyperior, proteggendosi a vicenda.
- Il primo che lo vede, lo dice all’altro, d’accordo?
Rhyperior ruggì in tono basso, e poi dopo il nulla. Attesero per minuti che parvero delle ore, cercando di tendere al massimo l’udito, in quanto la vista si rivalse totalmente inutile. Oltre il muso di Rhyperior, Cole non era in grado di vedere nulla.
Uno spostamento d’aria alla loro sinistra li fece sussultare, risvegliandoli dal loro torpore.
- Ryp, a sinistra! – Cole indicò inutilmente davanti a esso.
La prima scarica di macigni venne sparata nella direzione indicata da Cole, aprendosi a ventaglio, impossibile da schivare. Pochi istanti dopo, sentirono il rumore della roccia che impattava sulla roccia.
Mancato.
- Stai perdendo tempo. Se non riuscirai a trovarmi, come pensi di potermi ferire? – Giratina manteneva vivo il legame mentale fra i due, deridendolo.
Cole e Rhyperior provarono ad attaccare più e più volte, mente le ore scorrevano e Giratina si muoveva sghignazzando per la stanza, senza emettere il minimo rumore.
Un paio di volte apparì un artiglio fatto di pura oscurità, per poi andare a impattare sulla corazza di Rhyperior. Il Pokémon subì pochi danni, data la sua elevata resistenza fisica. Ma non potevano continuare così all’infinito.
Cole cercava di elaborare velocemente una tattica d’attacco, mentre le loro energie andavano via via svanendo. Neanche l’utilizzo di Giornodisole portò delle novità ai loro occhi. L’oscurità era troppo fitta.
Poi, d’un tratto, arrivò l’idea. Cole aprì lo zaino, per poi estrarne il suo casco in grafene. Lo indossò e sigillò la sua tuta dallo spazio esterno. Chiuse i respiratori, dopo aver caricato le riserve d’ossigeno ed essersi assicurato della loro completa funzionalità.
- Ryp, devi fidarti di me. Usa Lucidatura quanto più possibile, poi Terrempesta.
Rhyperior fece come gli disse Cole, aumentando notevolmente la propria velocità, sino al limite sopportabile dal suo corpo. Resistendo alle pressioni delle modifiche del corpo, utilizzò poi Terrempesta.
- Perfetto, adesso tocca a te. Non puoi vederlo – la tempesta di sabbia evocata da Rhyperior era così potente che Cole dovette inginocchiarsi per evitare di venir trascinato via dal vento – Ma sono sicuro che riuscirai a sentirlo. Con tutta la calma che hai, ascolta il mondo attorno a te. Impara il rumore dei granelli di sabbia che sfregano le rocce e trova un punto morto, dove non proviene rumore. Avvisami quando ci riesci.
Rhyperior annuì, per poi spaccare in più parti la nuda roccia davanti a sé, e raccogliere grossi pezzi da utilizzare come arma. Stava caricando la mossa Devastomasso, senza sprecare energie nel generare lui stesso i colpi.
Dopodiché chiuse gli occhi e si concentrò. Lentamente, riuscì ad assorbire ogni singolo rumore generato da ogni granello di sabbia che vorticava violentemente nell’aria. Divenne un tutt’uno con la tempesta, come quando da giovane utilizzava questa tattica per trovare fonti d’acqua o ripari, durante qualche situazione simile. Rimase quel che parve un’eternità in quel modo, semi flesso sulle ginocchia e con le braccia distese lungo il corpo. Inizialmente tutto parve un chaos intorno a lui. Poi, lentamente, la tempesta gli raccontò ogni forma presente in quella sala. Riconobbe Cole, per poi ritrovare i resti dei suoi colpi, e anche Mewtwo. Cercò a fondo Giratina, senza risultati.
Infine, una nuova brezza di granuli rocciosi, portò alle sue orecchie un rumore diverso, come se la sabbia venisse bloccata da un qualche oggetto fluido.
Rhyperior ruggì furioso, per poi sparare un’indescrivibile cannonata di macigni grossi quanto dei pick-up.
Il colpò fu accelerato in maniera esponenziale dal movimento rapidissimo delle braccia di Rhyperior, sfrecciando così veloce da non poter essere seguito da un occhio non ben allenato. Le rocce andarono a schiantarsi, provocando un rumore completamente nuovo.
All’istante, la tempesta cessò e tornò a regnare la luce.
- Bene, vedo che non hai solo la forza fisica dalla tua parte. E sia, avrai il mio aiuto.
- Oh che bello. Cosa abbiamo vinto? Ti prego dimmi che è un lanciafiamme.
- Non hai nulla su cui scherzare, Cole. Ti donerò la forza dell’oscurità. La mia stessa fonte di energia, sarà la tua.
- Vuoi rendere un negro, ancora più nero? Sai che è principalmente questo il motivo per cui mi danno la caccia?
Giratina trattenne a stento la furia e voglia di massacrare quell’insignificante essere umano.
- Taci, per una buona volta, Christopher Coltrane. O ritirerò la mia offerta.
- Togli tutto il divertimento.
- Ti donerò un’arma con cui eliminare i tuoi nemici, e potenzierò la tua armatura, dato che sembri così affezionata a essa. Ti devo avvisare però, l’energia oscura che l’impregnerà segnerà la tua fine: il tuo corpo non è in grado di tollerare una simile potenza, quindi col tempo ti porterà a morire. Più l’indosserai, più il tuo fisico ne subirà le conseguenze. Sarai più forte, ma avrai il tempo contato.
Mewtwo, che era stato in disparte tutto il tempo, ascoltò la conversazione mentale fra Cole e Giratina.
- Fermo, voglio unirmi anch’io. Voglio quel potere.
- Ti rendi conto che, così facendo, sarete legati uno all’altro fino alla morte? – chiese Giratina.
Cole non aprì bocca, muto osservatore.
- Sì. Ma se condividiamo il legame, dovremmo resistere più a lungo all’influsso dell’energia, giusto? – chiese Mewtwo.
- Col tuo potere, il processo diventerà quasi immobile. Cole, sei d’accordo?
- Significa che Mewtwo collaborerà con me?
- Sì, ti aiuterò. Ho scrutato a fondo la tua mente. Non siamo poi così diversi.
- E sia, da adesso in poi, condividerete il legame.
Giratina ruggì, evocando lunghi fasci di oscurità che avvilupparono in pochissimo tempo sia Cole che Mewtwo, creando un bozzolo attorno a essi.
Infine, l’oscurità esplose, liberandoli. L’armatura di Cole era come adesso la conosceva Kyle: nera come la notte, con intarsi e rune di una lingua ormai morta e dimenticata, color argento vivo. L’enorme bastone che reggeva in mano era adesso il suo martello a due mani, decorato allo stesso modo.
Mewtwo invece era immutato, se non per il fatto che urlava di piacere, mentre il potere fluiva in lui, oltrepassando di gran lunga quello immagazzinato in anni e anni di riposo. Superò i suoi stessi limiti, per poco non morì per il troppo potere. Emise potenti scariche psichiche in ogni direzione, lacerando il suolo sotto ai suoi piedi.
Guardò Cole dritto negli occhi, prima di parlargli.
- Non mi sono mai sentito così bene, socio – la voce di Mewtwo gli rimbombò nella mente.
- Infine – disse Giratina – Questa è per poter portare con te Mewtwo ovunque tu vada. Non ti preoccupare, non è una Poké Ball qualsiasi, non verrà stabilito alcun tipo di legame eterno. Mewtwo sarai libero di uscirne quando vorrai. Ma, per la vostra sicurezza, meglio che tu resti nascosto il più a lungo possibile.
Detto questo, una Poké Ball dello stesso tipo dell’armatura di Cole apparve dal pavimento, da una pozza di oscurità.
Cole la raccolse, prima di incamminarsi verso l’uscita. Rhyperior lo seguiva in silenzio, conscio del dolore a cui era posto il suo compagno. Mewtwo li seguiva poco distante, raccolto nei suoi pensieri.
- Non dimenticare la tua parte, Cole – Giratina ruggì, ritornando nel Mondo Distorto.
- Avrai la testa di Sua Santità – disse Cole.
Infine aggiunse, sussurrando – Dopo che sarà stata mia.

 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 15 - Quiete ***


Quiete
 

 
Cole concluse il suo racconto, cercando di non tralasciare alcun particolare. Il tempo scorse veloce mentre spiegava i particolari di come fosse venuto in possesso della sua armatura e, ovviamente, avesse ottenuto il supporto di Mewtwo. Le ombre iniziarono a farsi oblique, mentre il racconto volgeva al termine. Kyle rimase con la bocca spalancata per tutto il tempo, incredulo di fronte alle parole dello zio. Non avrebbe mai potuto anche solo immaginare una storia simile, per questo restò più che incredulo alle parole dello zio; soprattutto la parte riguardante Mewtwo. Quel Pokémon leggendario esisteva davvero, e si trovava adesso a pochi passi di distanza da lui.
- Ti rendi conto di ciò che hai fatto? – chiese Daisy.
La donna aveva gli occhi lucidi mentre parlava al suo uomo. Conscia delle conseguenze che di lì a poco, sarebbero potute giungere.
- Potresti morire da un momento all’altro! – continuò lei. Blue rimase in silenzio, lasciando le sue osservazioni vagare nella sua mente.
- Non rischio la morte, tecnicamente. Semplicemente più tempo passa, più l’oscurità corrompe il mio corpo.
- E non è la stessa cosa? – sbraitò Daisy.
Kyle si spostò, istintivamente, verso di Blue, in cerca di conforto mentre i due litigavano. La ragazza lo prese nel suo abbraccio, come a proteggerlo.
Sur, che fino a quel momento era rimasto in silenzio seduto su di una sedia, leggermente in disparte, prese la parola per la prima volta durante quell’incontro.
- Cole, tutto questo è vero? – il suo tono era pacato, quasi disinteressato.
La sua voce proruppe in modo anomalo, nel baccano creato da Cole e Daisy, i quali si voltarono immediatamente verso di lui.
- Quello che hai appena detto, è vero? Hai Mewtwo con te?
- Sì, era tutto vero.
- Quindi adesso abbiamo anche noi un’arma dalla nostra parte. Hai già sperimentato le potenzialità dell’armatura e di Mewtwo?
- Non ancora.
- Sur, che diavolo stai blaterando? – Daisy rimase scioccata.
- Sono oggettivo, Daisy. Stanno organizzando un assalto. Abbiamo bisogno di un asso nella manica, loro hanno un esercito fatto di uomini e Pokémon senza alcun tipo di contegno morale. Uccidono donne e bambini, e farebbero qualsiasi cosa per soddisfare quel pazzo del loro leader. Quindi una cosa come quell’armatura può esserci davvero utile. Quanto tempo ti ha dato Giratina?
- Non mi ha dato alcun tempo, non si è sprecato per queste cose. Però ho Mewtwo dalla mia, quindi dovrebbe essere abbastanza.
- Ma una volta vinta la rivolta, potrai liberartene?
- Sì, Sur. Portato Sua Santità al cospetto di Giratina, sarò libero dal fardello.
- Ottimo; l’ago delle possibilità si sposta a nostro favore – commentò Sur, con lo sguardo vitreo perso nel vuoto.
- Siete pazzi? Vi rendete conto di ciò che state dicendo? Tutto questo mi sembra un film di fantascienza… - Daisy era scioccata e impaurita al tempo stesso.
- Daisy, non ti preoccupare. È stata una mia scelta e me ne prendo le responsabilità. Avevamo la necessità di un vantaggio, per poter vincere, ho solo rimediato quel vantaggio.
- Ma rischi la morte. Ti ho già perso una volta, non voglio accada di nuovo.
- Scusate se mi intrometto – Blue prese la parola – Ma Cole ha fatto la cosa più logica: nel caso in cui ciò che stiamo organizzando andasse male, moriremmo tutti. Nel caso in cui non facessimo nulla, moriremmo lo stesso; abbiamo la certezza, grazie alle nostre spie, che il Sacro Ordine stia organizzando uno sterminio di massa, utilizzando i loro satelliti e armi biochimiche calibrate per attaccare chiunque non appartenga al loro Credo. Abbiamo poco tempo, moriremmo in qualsiasi caso. Cole ha fatto la scelta giusta, a mio parere.
Daisy le volse uno sguardo glaciale, quasi come a ucciderla con i soli occhi. Blue sentì i brividi nel vedersi osservata in tal modo da lei.
Lo sguardo mutò, diventando una ricerca di sicurezze e conforto.
Blue capì quasi immediatamente le preoccupazioni della donna, molto simili a ciò che provava anch’essa ogni volta che Green andava in missione.
- Credimi, il tuo Cole ha la pelle più dura che io abbia mai visto, non morirà.
Daisy si volse verso di Cole, guardandolo fisso negli occhi. Poi, senza dire una parola, si diresse verso la porta, lasciando lì gli altri. Kyle non diede tempo alla porta di chiudersi, e si fiondò immediatamente dietro di lei, mormorando parole affrettate di scuse nei riguardi di Blue, per essersene andato senza salutare.
- Lei capirà – disse Sur, guardando Cole in volto.
- Lasciale metabolizzare la cosa, poi vedrai che sarà lei stessa a tornare. Adesso, se volete scusarmi, questo vecchietto deve andare a far riposare il culone. Ci vediamo a cena?
- Certo, Sur, a dopo.
Così, anche Sur si allontanò dal laboratorio di Blue, lasciandola da sola con Cole.
- Capirà il motivo delle tue scelte, vedrai – Blue prese la mano di Cole fra le sue, minuscole al confronto.
- Beh, almeno una fidanzata mi consola… peccato non sia la mia però. Piuttosto, notizie di Green?
- È da stamattina che sta rintanato nell’osservatorio. Ancora non si è staccato dalla radio.
- Nessuna novità, presumo…
- No, Cole, zero contatto radio. Sembrano come scomparsi nel nulla.
- Tranquilla, il vostro uomo è fin troppo stronzo per essere morto.
- Lo so, e poi deve ancora riuscire a batterti a biliardo, giusto? Non si arrenderebbe mai.
- Esattamente – Cole ridacchiò.
- Ora meglio io vada, se non voglio che Daisy diventi la versione satanica di se stessa, avvertimi quando il dottore torna.
Cole salutò Blue, richiudendosi poi la porta alle spalle, col sorriso sul volto. Era convinto che Daisy avesse capito perfettamente tutto ciò che l’aveva spinto a quella scelta, aveva solo bisogno di tempo. E lì, a New Hope, lo scorrere di quest’ultimo era come rallentato o addirittura fermato.
Dopo anni e anni di fuga e paura, era arrivata una prima pace duratura.
 
- Daisy! – Kyle correva verso la donna che, quasi correndo, si era lanciata dentro la foresta.
Ma lui era più piccolo e atletico, riuscì a sgusciare facilmente fra i rami e tronchi degli alberi, mentre Daisy era costretta a fermarsi più e più volte, non conoscendo neanche il sentiero.
Kyle si avvicinò e la bloccò afferrandole il braccio.
- Stai sbagliando strada, la cittadella è… - Kyle si bloccò, non appena vide il volto di Daisy – Ma stai piangendo?
- No, è solo colpa di tutte queste piante, mi è finita della roba schifosa negli occhi.
- È la prima volta che ti vedo piangere… Lo zio lo fa per noi, solo per questo ha deciso di…
- Basta! – urlò Daisy, interrompendolo.
- So benissimo perché l’ha fatto e cosa ha pensato in quel momento. L’avrei fatto anche io.
- Allora perché sei scappata?
- L’hai detto tu, è la prima volta che mi vedi piangere. Nessuno dovrebbe mai vedere i propri leader piangere, che esempio darei?
- Essere umani – sussurrò Kyle, più a se stesso che a Daisy.
- Cosa?
- Essere umani – ripeté.
- È normale piangere, tutti lo fanno, anche i leader possono permetterselo. E poi, piangere significa combattere con tutte le forze per qualcosa.
Kyle abbracciò Daisy, lasciando che la testa di lei scivolasse nell’incavo fra il suo collo e la sua spalla.
- Non sei arrabbiata con lo zio Cole, vero?
Lei scosse la testa, liberando le emozioni che tratteneva da molto più tempo che Kyle potesse immaginare. Il suo pianto venne consolato dalle carezze e le parole del suo giovane nipote acquisito, nonostante le orecchie di lei non recepissero ormai più alcun suono. Rimasero così, in ginocchio uno davanti all’altro, per un lasso di tempo indefinito.
Fu solo quando un piccolo Hoothoot si librò nell’aria sopra le loro teste, che i due alzarono gli occhi.
Il Pokémon volteggiava su di loro, descrivendo cerchi di diametro sempre inferiore, sfrecciando fra gli alberi con precisione chirurgica, nonostante la scarsa illuminazione. Il suo verso echeggiò fra i rami, quando iniziò la manovra di discesa. Senza alcun dubbio o ripensamento, Hoothoot planò verso i due, poggiandosi infine sulla spalla di Kyle. Rimase lì appollaiato, come se non si fosse accorto di stare usando un essere umano come appoggio. Daisy rimase immobile, mentre le ultime lacrime le scorrevano sul viso, distruggendole quel poco di trucco fatto in casa che le avevano prestato le donne del posto.
- Ehi, ma tu sei lo stesso Hoothoot di prima. Ti è piaciuto il pane? – Kyle gli accarezzò sotto il becco, provocando un leggero tremolio di piacere nell’altro.
Hoothoot parve accettare di gran gusto le carezze di Kyle, tanto col finire con lo strofinare il becco sulla guancia del ragazzo.
- Se vuoi venire con noi, stiamo andando a mangiare. Ho due Pokémon con cui potresti stare, nel frattempo; sono due terremoti ma secondo me ci puoi fare amicizia.
- Hoot-Hooooot – commentò il Pokémon, dando il suo consenso.
- Ottimo, allora seguici! – esclamò Kyle, preso dall’euforia.
Iniziò a camminare spedito, sicuro di ricordarsi perfettamente la strada da cui erano provenuti, ore prima.
Daisy lo guardò allontanarsi, con quel piccolo Hoothoot che si era arpionato testardamente alla sua spalla e non ne voleva sapere di scendere e percorrere la strada in volo. Anche lei si alzò in piedi e seguì Kyle. Per tutto il tragitto, a partire da quel momento, Kyle non aveva smesso per un attimo di parlare con Hoothoot. Dialogò senza fermarsi un solo istante, continuando a incitare il suo nuovo compagno.
Daisy sorrise nel vederlo affaccendarsi in tal modo con Hoothoot. Era come se stesse parlando con un suo coetaneo, non con un Pokémon.
- Sei uguale a tuo zio.
- Per? Che ho fatto?
- Per come ti comporti: anche Cole ha questo rapporto coi Pokémon, e non solo i suoi. Una volta lo vidi farsi amico un Houndoom di un altro allenatore. Arrivò al punto che, quando Cole era nei paraggi, l’Houndoom dava ascolto prima a Cole, che al proprio allenatore.
- Io non faccio niente di speciale. Non c’è differenza fra persona e Pokémon: entrambe hanno bisogno d’amore e di essere capite; la sola differenza è che i Pokémon non sono mai cattivi per natura. Quindi credo che sia più facile parlare con loro che con le persone.
- Appunto, uguale e identico a tuo zio. Ma per fortuna ci sono io, a salvarti dal fare cose stupide.
- Intendi roba tipo fare un patto col diavolo per salvare il tuo popolo? E avere un’armatura fighissima. Perché è figa, ammettilo.
- Beh…
- Avaaanti, so che lo pensi.
- Non è male, addosso a Cole. Ma ciò non toglie che è uno stronzo, morto.
- Morto?
- Non appena gli metto le mani addosso, gliela faccio pagare per essere scomparso tutto questo tempo.
- Stai scherzando, vero?
- … Forse – Daisy ammiccò, sorridendo di gran cuore.
Kyle fu felice di essere riuscito a farla riprendere un po’. Adesso che erano ritornati alla cittadella, aspettava soltanto il momento in cui Daisy sarebbe potuta riprendersi del tutto, una volta giunta l’ora di cena e il loro ricongiungimento con Cole e gli altri.
E Hoothoot, ovviamente.
 
Kyle era steso nell’erba fresca, sotto il cielo stellato, assieme ad Arcanine e Riolu, che avevano fatto amicizia con l’Hoothoot. Arcanine era accucciato per terra, mentre Kyle occupava l’incavo creato fra testa e ventre del Pokémon. Riolu era, come sempre, appollaiato sulla testa di Arcanine, mentre Hoothoot si era rannicchiato fra le braccia di Kyle. Lì, fuori dalla casa di Blue e Green, aspettavano di poter entrare, una volta che la riunione tattica dei capi fosse ultimata.
La luce della Luna metteva in risalto le goccioline di rugiada che iniziavano a crearsi sugli alberi, mentre l’umidità faceva risplendere i fili di erba su cui si condensava. Kyle iniziava a sentire gambe e sedere bagnarsi a contatto con l’erba. Il contatto con la natura in crescita lo rinfrescava fin dentro l’animo; inoltre la debole brezza notturna che soffiava in quella valle contribuiva al tutto, portando brividi di freddo a chi lo pativa più degli altri.
La porta si aprì e Cole e Daisy ne uscirono, per poi richiuderla alle loro spalle. I due avanzarono verso il gruppo, cingendosi uno all’altro.
- Avete deciso qualcosa? – chiese Kyle, curioso.
- Sì, ma non è questo il momento di parlarne. Ormai è passata mezzanotte, dobbiamo tornare a casa. Ti ho preso una casa di fianco quella nostra; ho pensato che avresti preferito stare tranquillo coi tuoi compagni… E poi, non vorrei che tu sentissi dei “rumori”.
Daisy diede una gomitata nella bocca dello stomaco a Cole, rimproverandolo per ciò che aveva appena detto, davanti a Kyle. Il ragazzo rise di gran gusto, approvando l’idea della casa tutta per sé.
- Però, stasera voglio dormire all’aperto. C’è Hoothoot con noi, non vorrei che non fosse a suo agio in una struttura. Poi, il cielo è troppo bello… voglio restare fuori.
Daisy iniziò a fare l’elenco di tutti i motivi per cui non avrebbe mai e poi mai dovuto dormire fuori, ma fu tutto inutile, il ragazzo aveva già deciso.
- Lascialo fare, Daisy. È un sacco di tempo che Kyle non vede la Luna e le stelle. Inoltre i suoi Pokémon lo proteggeranno, stanne certa.
Kyle rassicurò Daisy, acconsentendo a tutte le sue richieste, prima di salutare lei e Cole per la notte.
I due si avviarono verso la loro nuova casa, dove sarebbero stati assieme dopo tanto tempo. Daisy camminava con la testa poggiata sul braccio di Cole, dondolando a ogni passo di lui.
Il ragazzo, invece, si diresse con i suoi Pokémon e Hoothoot verso il grosso spiazzo dove quella stessa mattina Arcanine aveva dato pieno sfogo alla sua libertà. Avanzarono fino a che le luci delle case non diventarono dei piccoli puntini, dove l’erba cresceva folta e indomata, arrivando alla cinta di Kyle. Lì, si stesero uno affianco all’altro, con gli occhi verso il cielo stellato. Arcanine era steso dietro di tutti, e su di lui erano poggiate le loro teste. Il solo respirare di Arcanine generava piccole scintille all’interno della sua pelliccia, donando agli altri un debole tepore che fu in grado di tenere lontano il freddo in arrivo. Hoothoot si addormentò sulla testa di Arcanine, utilizzandolo a modo di trespolo, mentre Riolu rimase fra le braccia di Kyle.
Kyle fu l’ultimo a restare sveglio a osservare le stelle. Gli occhi si fecero mano a mano più pesanti, cullato dal respiro regolare di Arcanine. Finché, in un momento di tempo indefinito, Morfeo espanse il suo potere anche su di Kyle.
Però, prima di addormentarsi, a Kyle parve di vedere, fra le stelle, una strana figura bianca che ricordava fin troppo bene. Era identica a quella intravista nella capanna di Earl.
Gli occhi del ragazzo si chiusero completamente quando, l’essere fatto di pura luce, allungò una mano verso di lui, per potergli accarezzare il viso.
In quel momento, poco prima di giungere completamente nel mondo di Morfeo, il vento portò alle orecchie di Kyle una parola, quasi un sussurro.
Al…” fu tutto ciò che riuscì a cogliere, prima di addormentarsi sotto la luce pura della Luna.
 

 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 16 - Indizi ***


Indizi
 
 
 
La notte passò più in fretta del previsto; era molto tempo che Kyle non riuscisse a dormire in modo così sereno e tranquillo, senza la paura di risvegliarsi con una squadra di Sacerdoti tutt’attorno. Passò la notte all’aperto, si addormentò osservando le stelle, per poi sognare l’ultima cosa che vide in cielo. Dopo tutto quel tempo, l’essere bianco che aveva sognato ad occhi aperti nella tenda di Earl, si era rifatto vivo nella mente di Kyle.
Come la prima volta, Kyle si trovò circondato da luce bianca, gli sembrava di camminare nel vuoto e di volare su di una grossa pedana fatta di pura energia luminosa. Lui, si trovava a pochi metri di distanza da Kyle, imponente nel suo splendore. La luce che emanava era così potente da disintegrare i limiti tangibili del suo corpo e distruggere la sua immagine agli occhi di Kyle che, così, si ritrovava a dover osservare una figura del tutto indistinguibile.
Quella notte, però, fu l’essere ad avvicinarsi a Kyle. Ogni passo da Lui fatto, rendeva il ragazzo più resistente ai fasci di luce che colpivano la retina dei suoi occhi. Alto almeno il triplo di Rhyperior, Lui si fermò a pochi passi da Kyle, sovrastandolo di decine di metri.
Il ragazzo provò a parlare, a esprimersi e a chiedere chi egli fosse ma, nonostante i suoi sforzi, dalla sua gola non fuoriusciva una sola sillaba. Era come bloccato, inerme e vulnerabile.
Ma non aveva paura, sapeva di non doverne avere. Non riusciva a spiegarsene il motivo, ma era sicuro che l’essere fatto di luce fosse un suo amico, qualcuno di cui ci si potesse fidare.
Fu proprio quando Kyle iniziò a pensare di chiedergli il suo nome, o almeno provare a chiedere, che Lui lo irradiò con tutto il suo splendore. Davanti agli occhi di Kyle comparve un bellissimo cielo del mattino, col Sole di mezzodì che splendeva sulla natura e la vita libera e selvaggia. Delle nuvole si scostarono dalla vista che aveva dall’alto della terra, rivelando la figura di un’imponente torre bianca, eretta come a sfidare il cielo. Kyle provò ad allungare un braccio, cercando di raggiungerla per poi coglierla come si coglie un fiore in un bel giardino, quando tutto scomparve. Ci fu di nuovo un potente lampo, poi ritornò nella sala di luce dove aveva avuto inizio il suo sogno. Lui era ancora lì, intento a fissarlo. Ci fu come un gemito nell’aria, un sussurro di dolore, poi Lui rispedì Kyle indietro, ricongiungendo la sua mente col corpo. Poco prima di veder tutto dissolversi, Kyle fu in grado di scorgere per un’ultima volta l’entità luminosa: due grosse ali bianche si stagliarono nel cielo, poi calò nuovamente il buio.
 
Kyle si svegliò di soprassalto, con la sensazione di essere precipitato dalle profondità dello spazio, fin sulla Terra e poi ripiombare nel suo corpo. I suoi Pokémon e Hoothoot dormivano placidamente, il Sole stava ancora acquisendo potenza, come una lampada a incandescenza, appena svegliato dal suo riposo notturno. Nonostante questo, New Hope era già sveglia e libera della brina mattutina. Il vento portava alle orecchie di Kyle le prime voci, quasi dei sussurri, provenienti dai lunghi e intrecciati sentieri fra le case della gente. La cittadella stava lentamente riprendendo vita.
Kyle preferì non perdere tempo, aveva bisogno di parlare con qualcuno del suo sogno, finché fosse stato ancora vividamente impresso nella sua mente. Si alzò, destando dal sonno i suoi compagni.
Hoothoot stiracchiò le ali, prima di lanciarsi in aria e sgranchire il corpo. Descrisse dei cerchi concentrici mentre si alzava sempre più in alto, volteggiando sulle loro teste. Kyle lo osservò per qualche istante, rapito dalla sua capacità di librarsi in aria e, libero da ogni pensiero, volare via da tutto e seguire solo il suo desiderio di volare sulle ali del vento. Arcanine lo riportò nel mondo reale quando, per scrollarsi di dosso la rugiada notturna, lo colpì con una pioggia di acqua gelida.
- ‘Giorno, ragazzi – esordì Kyle, vedendo che i tre fossero svegli.
- Devo assolutamente vedere Sur o Cole, ho fatto uno strano sogno e devo raccontarglielo. È troppo strano sognare due volte quel tizio, senza che significhi qualcosa… - il ragazzo, colto dal dubbio, iniziò a credere di essere ancora sotto l’effetto di Mismagius.
- Visto che mi trovo qui vicino, proverò prima da Cole. Forza, andiamo.
Kyle iniziò a camminare, con le gambe ancora molli e deboli per la dormita. Arcanine recuperò immediatamente terreno, portandosi alla sua destra, con Riolu sempre appollaiato sulla sua testa. Hoothoot si librava ancora nel cielo ma, ogni volta che Kyle lo osservasse, notava sempre che il Pokémon non li perdeva d’occhio.
Non ci misero molto a tornare nei pressi della periferia della cittadella, dove Cole aveva stabilito la sua casa. Kyle non ricordava esattamente la strada percorsa la sera prima e se non fosse stato per l’aiuto di Hoothoot, ci avrebbe messo molto più tempo a ritrovarla. Il Pokémon volante si librava in aria poco più avanti dei tre, fermandosi a ogni svolta da prendere, girandosi indietro per assicurarsi di essere seguito. Così riuscirono a giungere molto più facilmente davanti alla casa di Cole. Hoothoot li aspettava già lì, appollaiato sui rami di un grosso melo, le cui foglie gettavano nell’ombra la facciata della casa color giallo chiaro. Kyle non perse tempo a cogliere ulteriori particolari e andò a bussare immediatamente alla porta, ripetendo mentalmente i vari passi del suo sogno, per evitare di dimenticarsi il tutto. Dall’interno provenne la voce delicata di Daisy, che incitava ad attendere un momento. Subito dopo seguirono un paio di imprecazioni da parte di Cole, per il disturbo a prima mattina.
La porta si aprì di scatto, quasi volando dai cardini.
- Oh, eccoti qua ometto – Cole gli diede un paio di pacche sulla spalla, smontandogli la colonna vertebrale.
- Zio, quanto ne capisci di interpretazione di sogni?
- Come mai una domanda simile, di prima mattina?
- Ho fatto uno strano sogno. Molto strano.
- Hai sognato Suraji nudo?
- Chi? – chiese Kyle, con un’espressione del tutto estraniata dal concetto.
- Sur, in realtà si chiama Suraji. Ma non chiamarlo così, potrebbe ucciderti.
- N-no, ho sognato un Pokémon, con tanta luce e altre cose. Però la cosa strana è che ho avuto una visione, credo, dello stesso Pokémon quando sono andato nella tenda di Earl, assieme a Sur.
- Sei sicuro fosse lo stesso Pokémon? – Daisy si intromise nel discorso, incuriosita e preoccupata allo stesso tempo.
- Sì, ne sono sicuro. Daisy tu cosa ne pensi?
- Non è nostra competenza. Earl era molto colto su queste cose, la sua famiglia era specializzata in antiche leggende e miti – Cole espresse il suo pensiero ad alta voce.
- Credi che Sur sappia cavarci qualcosa? – Daisy s’intromise nuovamente, stavolta con più energia.
- Non c’è cosa che quell’uomo non sappia. Dubito che Green, Blue o chiunque altro sia in grado di darci una risposta, se Sur non ne sarà in grado. Kyle, dopo pranzo ti ci porto io, adesso ho un Mismagius da inserire fra i Pokémon addetti alla barriera psichica che elude ogni metodo per entrare qui in città.
- Non ti preoccupare, Cole. Porto io Kyle da Sur, non avrei nulla da fare in qualsiasi caso. E poi, sono curiosa di sentire ciò che ha sognato. Datemi solo il tempo di vestirmi e rendermi più presentabile.
Daisy si voltò di corsa e si lanciò in direzione del bagno, dove poco prima aveva lasciato i suoi vestiti per il giorno in corso.
- I tuoi capelli sono bellissimi anche da selvaggi – commentò Cole, mentre Daisy si chiudeva la porta alle spalle.
- Fottiti – urlò di rimando quella, prima di scomparire nel vapore della doccia bollente che la stava aspettando.
- Ah le donne, come non amarle – Cole scosse la testa, trattenendo a stento una risata.
- Su, ragazzo, non restare qui sull’uscio. Entrate pure tutti, dovete fare una bella colazione, è il pasto più importante di tutta la giornata.
Cole li invitò a entrare, spalancando la porta e indicando il tavolo, già imbandito di qualsiasi tipo di cibo potesse venire in mente a una persona: dal bacon con uova alla frutta, era praticamente possibile trovare di tutto.
- Pensavo saresti passato di qui e, colta la possibilità, ho chiesto un favore a Bryan per farti trovare una bella colazione. Quanto tempo era che non la facevi per bene?
- Cole, credo di non aver mai visto così tanto cibo in vita mia.
Mentre i due parlavano, Arcanine e Riolu si fiondarono sulla tavola, iniziando a razziare il tutto.
Kyle uscì fuori casa per poter chiamare Hoothoot e farlo unire al banchetto. Il Pokémon, non appena lo vide, si alzò in volo e andò ad appollaiarsi sul braccio che Kyle gli offrì. I due entrarono all’interno della casa e Cole chiuse la porta. Kyle raggiunse i suoi Pokémon al tavolo, concedendosi una delle migliori mangiate della sua vita.
 
Circa trenta minuti dopo, Kyle, accompagnato da Daisy, giunse alle porte della casa di Sur.
Lo trovarono all’esterno, intento a piantare un paletto nel terreno, sul quale un grosso cartello recitava “Se non sei Belen, non bussare a questa porta”.
Sur li riconobbe prima che loro potessero arrivare a portata d’orecchio, quindi li salutò da lontano, agitando la mano con cui reggeva il martello utilizzato per il lavoro. Disse qualcosa rivolto verso l’interno della casa, per poi entrarci. Sulla soglia invitò i due a entrare, poi scomparve all’interno.
Kyle e Daisy lo seguirono, entrando a loro volta. Lì vi trovarono Sur e Blue intenti a prendere un thè seduti sul grosso tavolo in legno che occupava gran parte dell’unica stanza, escluso il bagno.
- Benvenuti nella casa del negro più bello di tutti. Kyle, figliolo, ti ho mai raccontato della volta in cui c’eravamo io e Belen?
- Sì Sur, almeno tredici volte.
- Peccato, stavo per raccontarla anche a Blue, avresti potuto sentirla anche tu. Comunque sedetevi pure, cosa vi porta qui?
- Uno strano sogno che ha fatto Kyle, dopo aver avuto una specie di visione dello stesso soggetto – interloquì Daisy – E buongiorno, Blue, non so ancora come ringraziarti per l’ospitalità data al mio popolo.
- Non è il tuo popolo, Daisy. Tutti noi siamo la tua famiglia adesso, e tu la nostra – la ragazza dagli occhi blu sorrise e Kyle venne di nuovo rapito dal suo sguardo.
Ci fu uno scambio di ringraziamenti e di diversi “No, è un piacere per me” ma Kyle era come estraniato, con la mente fissa sul sogno, per evitare di perdere qualsiasi dettaglio.
Ritornò sulla Terra quando Sur stava prendendo la parola.
- … Quindi è successo quando stavamo andando da Earl, perché non ne hai parlato prima?
Kyle ci mise qualche attimo per rispondere, ancora con la testa fra le nuvole, letteralmente.
- Non credevo fosse importante.
- Beh a quanto pare potrebbe esserlo, avanti ragazzo, parla pure.
Così Kyle iniziò a parlare, ricordando prima quello che sembrava essere stata una visione, nella tenda di Earl, per poi passare al sogno, e all’imponente torre bianca.
Sur e Blue ascoltarono attentamente ogni parola di Kyle. Ogni tanto Sur annuiva o lasciava lo sguardo vagare, fino a trovare un oggetto da utilizzare come ancora, fissandolo a lungo. Quasi come a volerlo far esplodere con la sola forza del pensiero.
Quando ebbe finito, Sur prese la parola.
- Quello che dici può essere vista come una coincidenza: molte persone sognano o immaginano luoghi reali, persone mai viste prima o Pokémon sconosciuti. Ma praticamente mai si avvera ciò che sognano. L’altra possibilità è piuttosto brutta, molto brutta.
- E tu quale pensi sia, Sur? – chiese Blue, preoccupata.
- La seconda.
Ci furono degli attimi di attesa, nei quali nessuno proferì parola.
- In poche parole – continuò Sur – fin dalle antiche radici della tribù da cui discendo, si narra di questo tipo di eventi: le persone coinvolte venivano portate immediatamente dal Grande Sciamano, che li interrogava e interpretava i loro racconti. Quello di Kyle ha molteplici interpretazioni, di cui ovviamente solo una ne è vera; questo però suppone che voi crediate almeno un pizzico alla magia di Arceus e tutti i suoi figli.
- Come facciamo a sapere qual è la giusta interpretazione? – chiese Kyle.
- Oh, Earl ti avrebbe saputo rispondere in due secondi, lui era il Grande Sciamano della nostra generazione. Sì, oltre alle tette siamo molto legati anche alle nostre tradizioni.
- Tu non sei in grado di aiutarci, quindi?
- Certo che posso ma non con estrema precisione, Daisy.
Sur rifletté per qualche istante a occhi chiusi, poi riprese a parlare.
- Penso di poter restringere le possibilità a due interpretazioni: la prima, sei riuscito non so come a captare le onde psichiche di qualche Pokémon davvero potente, quasi al livello di Arceus, che risiede nella Torre Bianca di Astoria e credo tu abbia sentito aria di guerra, come se si stessero muovendo le pedine sulla scacchiera per attaccarci.
I tre rimasero ammutoliti, Blue sbiancò in volto.
- La seconda possibilità – continuò Sur – È sempre incentrata sul Pokémon che stavolta ha volontariamente mandato un messaggio psichico a Kyle, cercando aiuto per il dolore subito, o in arrivo. E ha cercato di far vedere al nostro ragazzo dove poterlo trovare, per liberarlo. Un messaggio di aiuto, in pratica.
- Preferisco di gran lunga la seconda… - Kyle sentì la testa girare e si dovette sedere.
- Sì, assolutamente la seconda. Kyle, hai detto che la seconda volta sei riuscito a vedere più chiaramente il Pokémon, giusto?
- Sì, perché?
- Allora non ci resta che aspettare, a breve avrai altri episodi, stavolta più forti e nitidi. Le forze del Pokémon sembrano crescere, riuscirai ad avere più dettagli, e stavolta corri immediatamente da me.
- Certamente lo farà, Sur. Se adesso vuoi scusarci, sono troppo traumatizzata per poter restare ancora qui, dobbiamo andare ad informare Cole immediatamente, soprattutto se c’è un attacco in arrivo – Daisy prese Kyle per la mano, dandogli una mano ad alzarsi.
- Mi dispiace dover andare via così ma è meglio non rischiare nulla.
- Hai ragione, Daisy – Blue si alzò a sua volta, avvicinandoli – Mi raccomando fate il prima possibile e, Kyle, riposa. A quanto pare sei più interessante di quanto volevi sembrare, o sbaglio?
- Certo, andate pure a parlare con Cole. Io e Blue ci dirigeremo al laboratorio, aveva delle cose da farmi vedere; spero sia qualche vecchio giornaletto di Pamela Anderson, pace all’anima sua – Sur rise di gusto, come suo solito. La sua risata da baritono risuonò in tutta la stanza.
- Allora ci vediamo dopo, grazie mille dell’aiuto, Sur.
- Di niente, ometto – Sur fece un occhiolino, togliendo da testa il suo berretto da baseball blu scuro, sgualcito dal tempo e le intemperie.
Kyle e Daisy tornarono fuori, unendosi ad Arcanine, Riolu e Hoothoot che aspettava appisolato sul grosso cranio di Arcanine. Assieme a loro si diressero verso il campo di addestramento, dove Cole stava dando lezioni di combattimento.
All’interno della casa, Sur cominciò a preparare il suo zaino. Prese il cinturone con la sua Poké Ball e si diresse verso la porta.
- Aspetta un attimo – fece Blue.
- Cosa succede, signorina?
- Abbiamo delle cose di cui parlare, meglio che non ci senta nessun altro per il momento. E non fare battutacce sessuali, è una cosa seria.
- Vedo che inizi a conoscermi – Sur rise di nuovo – Allora, che succede?
- Credo che dovremmo spostare momentaneamente Kyle.
- Perché mai? Suvvia Blue, ti credevo meno credente alle catastrofi mistiche, non ci porterà del male.
- Lo so benissimo, non sono affatto stupida. Green mi ha resa una donna di scienza, certe cose per me sono impossibili. Credo però di poter aiutare il vostro ragazzo, ho una persona adatta a lui. Vive non lontano da qui, in prossimità delle vette.
- Chi sarebbe?
- Hai mai sentito parlare di Maisy? – chiese Blue, col sorriso sulle labbra – Credo tu abbia un’invenzione di suo padre con te.
Sur guardò immediatamente la sua Poké Ball.
- Non dirmi che il vecchio alla fine lo ha fatto.
- Sì, Sur, alla fine Franz lo ha deciso.
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 17 - Il Credo Dei Puri ***


Il Credo Dei Puri
 
 
Il tempo trascorse lento e corrotto. I commensali dialogavano tra di loro e si inerpicavano in argomenti che ad Alice parvero completamente insignificanti e privi di alcun senso. Passarono dalla necessità di costruire nuovi luoghi di culto, ai loro stupidi e insignificanti capricci da ricchi e potenti, come il bisogno di ulteriori servi nelle proprie dimore. Mano a mano che il tempo avanzava, il numero e il volume delle voci aumentavano, creando un chaos controllato in cui Sua Santità spiccava in ogni istante.
Alice non aveva ancora toccato cibo; quella gente la disgustava. Aveva la nausea al solo guardare le frittelle o ad annusare l’odore della pancetta affumicata.
La sua mente cominciò a vagare mentre osservava un punto fisso nel vuoto, sulla parete di fronte a lei, color bianco. Tutto quel bianco iniziava a darle il voltastomaco. Non aveva mai visto tanto accanimento per un singolo colore. Lo si poteva trovare ovunque, dalle costruzioni ai vestiti di tutti i giorni. In quella sala in speciale. Soprattutto, lo erano i gioielli delle persone che Alice detestava più di quanto loro avessero timore e riverenza del suo patrigno.
- È tutto a posto, piccola mia? – gli chiese lui.
A quelle parole, la mente di Alice volò via dalla sala, salendo verso l’alto. Penetrò pavimenti e soffitti di un piano dopo l’altro, uscendo sulla vetta della Torre Bianca. Fuggì dalle sue grinfie e tornò a casa sua, nel villaggio di Memoride.
Rivisse il grande incendio che distrusse tutto e uccise quasi tutti gli abitanti del piccolo centro montano. Si rivide fra le macerie, intrappolata sotto tonnellate di pietre, collanti e legno ardente.
Rivide se stessa, in ginocchio, col capo chino verso i cadaveri incendiati dei suoi genitori e di suo fratello neonato. Sentì nuovamente il calore bruciarle i capelli e il dolore delle fiamme che cercavano di ghermirla. Era di nuovo lì, nell’attimo in cui il tutto cedette, inghiottendo i cadaveri. Lei urlò di nuovo con gli occhi chiusi, sicura di essere ormai morta. Improvvisamente il calore cessò per brevi istanti, portando calma e freschezza. Non sentiva neanche più il rumore delle fiamme divorare la sua casa. Pensò di essere finalmente morta e aver raggiunto Arceus o chiunque l’avesse chiamata a sé.
Poi la debole voce di un Pokémon la riportò alla realtà.
- Ri-Riolu…
Alice alzò lo sguardo, per quanto possibile, notando solo in quel momento di essere in compagnia di un Riolu. Il Pokémon stava sostenendo il peso dell’intere macerie con la forza della sua mente. Poteva vedere la bolla azzurra che si opponeva al fuoco e alla morte, vacillante ma presente.
Lei si avvicinò strisciando al piccolo Pokémon, cercando di essere il più possibile vicina a lui. Riolu cedette per un attimo, e le macerie si fecero più vicine. Adesso Alice era obbligata a stare quasi con la testa sul terreno, per evitare di entrare a contatto con le fiamme o la bolla di protezione che Riolu aveva innalzato.
Lo sentì gemere e poi, dopo un ultimo lamento, il Pokémon perse i sensi. Alice si lanciò su di lui, abbracciandolo e proteggendolo col suo stesso corpo. Ci fu un susseguirsi di rumori. E, poi, la sua voce giunse.
- È tutto a posto, piccola mia?
Per lei fu il suono più dolce al mondo, era il suono della salvezza. Alzò gli occhi verso colui che etichettò come il suo angelo custode. La lei futura che osservava la scena, biasimò quel comportamento, conscia che il suo angelo altro non era che un demone travestito.
Si rivide essere sollevata dall’uomo, mentre stringeva al petto il piccolo Riolu selvatico che si era gettato nel fuoco per cercare di salvarla. Rivide l’Haxorus cromatico e lo Slaking di Lui, che reggevano senza sforzo le macerie, per permettere al loro allenatore di entrare nella casa senza alcun pericolo.
- Alice, mi senti? – la sua voce la riportò bruscamente alla realtà.
- S-sì, mi scusi, padre.
- Devi essere sempre attenta quando ti trovi in pubblico, soprattutto in questo giorno. Ne va dell’onore e la rispettabilità della nostra famiglia.
- Ha ragione, padre, non ricapiterà – rispose Alice, col tono e l’automatismo di una macchina programmata.
Aveva imparato a sue spese cosa si riceveva nel caso in cui si dovesse trasgredire alle regole o rispondere col tono errato al suo patrigno. Erano mesi ormai che non aveva più un livido o un taglio sul suo corpo; ci teneva a restare in quella condizione. Inoltre, c’era Gallade con lei, sicuramente non avrebbe esitato un solo istante a mozzare di netto la testa di Sua Santità, e questo sarebbe significato morte per entrambi. Opzione che non le piaceva per nulla.
Perciò, ormai si limitava a parlare quando necessario, dicendo solo il necessario.
- So che non sei a tuo agio in queste situazioni – le sussurrò all’orecchio – Ma la tua presenza, come la mia, sono necessarie per tenere gli uomini uniti. Confido nella tua presenza nella cerimonia di oggi.
- Certo, padre, sarò presente al suo fianco.
Lui poggiò la mano su quella della figlia, Gallade nel vedere il gesto serrò la mascella, stringendo i pugni quasi fino a sanguinare.
- Ne sono sicuro.
Le diede un bacio sulla fronte, per poi tornare a concentrare la sua attenzione sui commensali.
 
Il banchetto durò fin troppo per Alice, che poté alzarsi solo quando furono ormai passate da tempo le undici del mattino. Si accomiatò da tutti, dovendoli salutare uno per uno. Uno dei consiglieri del suo patrigno le bisbigliava nell’orecchio, di volta in volta, i vari nomi accoppiati ai volti che gli si paravano davanti con così tanta finta gentilezza. Sapeva benissimo che quelle erano persone di cui non ci si poteva fidare. D’altronde, chiunque fosse rimasto in città dopo l’ascesa del Sacro Ordine, era non meno folle ed estremista del suo patrigno, figura in cui vedevano l’incarnazione stessa di Arceus.
Riuscì finalmente a liberarsi anche dell’ultima persona da cui doversi accomiatare. Ringraziò col falso sorriso stampato sul volto, come ogni volta che era obbligata a mostrarsi dolce e gentile con tutti, il consigliere del padre e si avviò verso la porta. Gallade le camminava ora vicino il fianco destro, silenzioso e maestoso come un re dei tempi passati.
Fuori la porta li aspettavano Kal e Kalin, sembrava non si fossero mossi di un solo passo. L’elmo bianco con i bordi in oro copriva quasi completamente i capelli corvini dei due. Una ciocca ribelle fuoriusciva dalla protezione di Kal, unico neo colorato, nel mare di bianco in cui vagavano gli occhi che si posavano sulle guardie personali.
Questa volta Alice non gli rivolse la parola, a stento li degnò di uno sguardo. Loro risposero di conseguenza, scattando immediatamente per mettersi al suo seguito. Erano d’accordo su questo, meglio non far notare a persone vicine al suo patrigno che le proprie guardie del corpo dialogavano tranquillamente con la loro protetta. Arrivarono in silenzio fin dentro la camera di Alice, dato che i corridoi erano colmi di preti vari e orecchie troppo indiscrete.
Prima di entrare in camera, Alice accennò un saluto con la mano. Kalin le fece l’occhiolino, prima di darle le spalle e restare a guardia del corridoio.
Alice si chiuse pesantemente la porta alle spalle. Controllò l’orologio, segnava le undici e cinquantatré. Aveva tre ore abbondanti prima di doversi recare nel cuore della Torre Bianca, dove si sarebbe tenuta la cerimonia tanto importante per il suo patrigno. Quel giorno, nella Prima Chiesa, Sua Santità avrebbe ascoltato le parole di Arceus in merito al futuro del loro popolo, per poi poter riferire il tutto agli uomini di Astoria. E lei, essendo la sua figlia adottiva, era obbligata a presenziare la cerimonia.
Trovò pronto sul letto il vestito che avrebbe dovuto indossare quel pomeriggio, una semplice gonna bianca, lunga fino ai piedi, con una camicia anch’essa bianca. Alice spostò gli abiti sulla sua poltrona vicino la scrivania, liberando il letto. Approfittò anche per mettere in ordine il grande tavolo in mogano che utilizzava come base per lo studio. Ripose i libri di storia e di teologia nella sua libreria, rispettando l’ordine alfabetico. Ripulì il ripiano dalla tempera con minuta accuratezza, gettando tutta la sporcizia all’interno del cestino. Dopodiché si andò a stendere sul letto, sbuffando. Prese il suo smartphone e aprì il lettore multimediale, in riproduzione c’era “I Left My Heart in San Francisco” di Mayer Hawthorne, lasciata in play dalla sera precedente. Scostò i capelli dalle orecchie, lasciandoli sparpagliare sul lenzuolo. Mise quindi le cuffie, per poi far partire la canzone.
Chiuse gli occhi e lasciò che la musica facesse il resto.  Il tempo parve fermarsi, mentre la mente iniziò a vagare via, lontano da quella città. Pensò a tutti i posti che avrebbe voluto vedere, dalla Torre bruciata al Tempio di Solgaleo, ad Alola. Si immaginò sulle sue spiagge, a osservare i Pokémon esotici abitanti di quei luoghi, con l’acqua marina che le bagnava i piedi, dandole una sensazione di freschezza nonostante il caldo e il clima molto più torrido rispetto a quello a cui era abituata. Immaginò le imponenti Isole Vorticose, dimora di Lugia, circondate da eterni mulinelli e vortici d’acqua così potenti da poter trascinare un’intera nave transcontinentale nelle viscere del mare. Si fiondò all’interno di uno di quei mulinelli, affondando sempre più all’interno del mare. S’insinuò in una grotta marina, in prossimità delle isole, andando sempre più a fondo. Percorse i suoi tunnel, svoltando all’improvviso da una parte e dall’altra, ora salendo, ora scendendo. Accelerò sempre più, con le bolle che le turbinavano intorno al viso. Trovò rapidamente l’uscita dal lato opposto e l’imboccò voltando un’ultima volta a destra. Quando uscì dalla grotta si trovò nuovamente nell’oceano aperto, poteva sentire il calore del Sole raggiungerla debolmente attraverso le molte acque che la sovrastavano. Continuò a nuotare libera, riprendendo una velocità consona a un essere umano sott’acqua. Un gruppo di enormi Wailord la raggiunse, per poi nuotare assieme. Lentamente, finì col ritrovarsi nel mezzo dell’imponente branco, galleggiando nell’acqua di fianco alle creature più grandi del mare. I suoi occhi si riempirono del blu del mare, mentre la salsedine le provocava prurito alle narici. Risalì lentamente verso le creste delle onde, cullata dal canto dei Wailord e dalle varie correnti marine d’acqua fredda che le sfrecciavano velocemente ai lati, trasportando senza fatica alcuna il suo corpo. Finalmente respirò di nuovo aria pulita giovando delle boccate d’ossigeno che immetteva nei propri polmoni. Alzò lo sguardo al cielo, limpido e privo di ogni traccia di nuvole. La luce del Sole le diede fastidio, troppo abituata alle scure acque profonde. Restò abbagliata e si portò una mano al viso, per coprire gli occhi. D’un tratto le nubi si addensarono in ogni parte del cielo, scure e minacciose. Una violenta tempesta si scatenò all’improvviso, portando copiose piogge e terribili raffiche di vento.
Alice abbassò lo sguardo sul mare, ancora calmo e placido come prima, neanche una variazione nell’altezza delle onde. Un grosso zampillo la investì in pieno, facendola affondare. Quando risalì a galla, Alice vide l’enorme occhio del dio del mare che la fissava. Kyogre si trovava d’innanzi a lei e nuotava lentamente in sua direzione. Lei allungò una mano, muovendo frettolosamente i piedi per poter restare a galla, avvicinandola al corpo del dio. Sfiorò la pelle di Kyogre, sentendone il calore emanato.
In quel preciso istante, suonò l’allarme della sua sveglia. Erano le quattordici e un quarto, aveva il tempo necessario per prepararsi. Con un occhio ancora chiuso e l’altro pure, spense la musica, tolse le cuffie e iniziò a spogliarsi. Finito di abbottonare l’ultimo bottone della camicia, si diresse poi in bagno per potersi pettinare e sistemare i capelli. Uscì poco dopo, si diresse quindi verso la scrivania, da cui prese il suo taccuino e la piccola matita. Infilò tutto nella tasca posteriore della gonna e uscì dalla stanza, scortata da Gallade e i gemelli, diretta verso la Prima Chiesa di Astoria.
 
 
Nell’enorme sala c’era un continuo e crescente brusio. Dalla forma circolare, le porte d’ingresso si trovavano su tutta la lunghezza del lato curvo. Quel piano della Torre era completamente occupato dalla grande chiesa e ci si poteva accedere da diverse scale sparpagliate su tutta la circonferenza, terminanti nelle porte d’ingresso. L’altare era collocato in fondo, vicino alla parete, circondato da tende e piccole stanze riservate a Sua Santità e i suoi sacerdoti più vicini. L’enorme altare era completamente bianco, composto di marmo bianco senza la minima imperfezione, levigato in ogni suo punto. Nel davanti vi era raffigurata in bassorilievo la figura di Kyurem, circondato da ogni lato da ghiaccio e diamanti. Ai due lati troneggiava Arceus, dal cui corpo veniva irradiata una luce stilizzata. Dall’altare partivano poi delle sequenze di colonne finemente intagliate, raffiguranti le varie battaglie fra le potenze dell’universo: Arceus e Giratina, Groudon e Kyogre, Lugia, Ho-Oh, tutti erano presenti sul bianco, puro, resi vivi dai colori delle pitture. E così, mano a mano che i semicerchi di colonne si allontanavano e diradavano dall’altare, si passava dai più potenti e temuti, ai Pokémon comuni ma pur sempre nobili, fra cui Arcanine e Absol. Tutto lo spazio era stato utilizzato per sistemare panche per i fedeli, unite ad alti seggi per i Sacerdoti e i nobili più importanti. Tutti avevano già preso il proprio posto e, dall’esterno, l’intera città si era ritirata in prossimità della Torre Bianca, per poter vedere tramite gli oloschermi la celebrazione in atto.
Il palco era interamente dedicato a Sua Santità e i suoi adepti. Alice prese posto alle spalle di Sua Santità, seduta comodamente su una poltrona, alla sinistra del trono del suo patrigno. Distolse quasi immediatamente l’attenzione dalle parole dette dalla gente, in quella sala. Non sentì parlare Sua Santità dell’importanza di quel giorno, dei sacrifici fatti, e delle azioni fatte in relazione alla parola degli dei.
Quando Alice finì di contare i cappelli a punta presenti nella sala, la sua attenzione venne nuovamente attirata dalla voce del patrigno.
- Questo, è un giorno molto importante per il nostro popolo: festa, celebrazioni, e nessun tipo di lavoro. Quest’oggi, parlerò con il nostro grande Arceus, chiedendo il potere e la conoscenza necessari a concludere il nostro compito. L’espiazione dei peccati, l’eliminazione delle impurità della razza umana, la distruzione di ogni vizio e corruzione, e, infine, la rinascita delle nostre vite.
Prese un istante di pausa, ammirando la gloria e la devozione che aveva creato attorno a sé, vedendo tutte le persone che era riuscito a salvare. Tutti loro, puri e meritevoli, erano stati scelti da Arceus e messi sulla sua strada affinché lui potesse salvarli e donargli una vita pura e libera da ogni male.
Tutte quelle persone che adesso si trovavano in quella sala, o nelle strade cittadine, o in ogni luogo del mondo, erano i devoti al Sacro Ordine. La loro fiducia era riposta nella forza sua e dei suoi seguaci. Loro erano il fuoco che purificava e liberava dalle torture della carne.
E adesso, in quel preciso istante, tutto ciò a cui avesse rinunciato per loro, sarebbe stato ricambiato con qualcosa di unico e inestimabile: la salvezza e la gloria della razza pura.
Sua Santità chiuse gli occhi e portò le braccia al cielo. Venne colpito da una tremenda scarica di energia pura, simile a una tempesta di fulmini. Tutti in sala rabbrividirono. Tutti tranne Alice.
Lui venne sollevato al cielo, gli occhi gli si riversarono, mostrando due biglie bianche come il latte. Una sfera di energia gli circondò il corpo, mentre altri fasci si aggrappavano al terreno e le colonne più vicine. Ci fu un boato assordante, dopodiché l’energia parve scomparire e Sua Santità ricadde sul grosso altare con un singolo tonfo secco.
Nessuno era in grado di muoversi e non osavano farlo, colti da improvvisa paura e panico. Sua Santità sembrava morto.
Alice, invece, storse il labbro, sicura che si trattasse di un effetto speciale creato con le tecnologie esistenti. Erano ormai cosa comune i generatori di fasci di elettroni talmente potenti da sembrare un laser sparato dall’armatura di Iron Man. Con i giusti calcoli, potevano sollevare case sfruttando i campi magnetici, senza arrecare nessun danno all’oggettistica. Inoltre, c’erano i Pokémon.
Praticamente un trucco da quattro soldi da predicatore di strada.
Lei incrociò le braccia, notando che Gallade, che si trovava alla sua sinistra, sorrideva compiaciuto.
Le guardie personali di Sua Santità lo raggiunsero lentamente e cercarono di alzargli il viso. Lui, però, rivenne poco prima che il più vicino riuscisse ad avvicinarlo.
- Adesso lo so – disse a bassa voce.
Poi urlò, rivolto a tutti, entusiasta.
- Miei figli, Arceus mi ha mostrato la via. Kyurem è la nostra via di salvezza, il Drago Della Distruzione porterà le fredde fiamme della vita!
Ci fu un istante di silenzio, poi la folla proruppe in un immenso boato, esultando e lodando Sua Santità.
Alice approfittò del chaos generato e sgattaiolò via, evitando così di venir travolta dall’orda che circondò in poco tempo Sua Santità, chiedendo la grazia divina e misericordia.
Raggiunse Kal e Kalin che l’aspettavano vicino la porta da cui sarebbe uscita e con la loro scorta si diresse verso le stanze di Madame Carol.
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 18 - Gold Digger ***


Gold Digger


 
 
Il tempo parve scorrere veloce, e impetuoso come i ruscelli che Kyle esplorò durante la sua breve permanenza a New Hope. Ormai era una settimana che si trovavano lì, raggruppati con ciò che restava della libera popolazione ancora esistente. Durante quel lasso di tempo, Kyle diede il suo contributo nei lavori più vari, facendo molta amicizia col fabbro che lavorava vicino casa sua. Ronan era un tipo strano ma simpatico, e Kyle era entusiasta dell’essere statogli assegnato come apprendista. Lì, nella fucina, passava la maggior parte del suo tempo. Dalla mattina, quando il Sole si alzava in cielo, fino all’ora di pranzo, quando rincontrava Daisy, Cole, Sur e tutti gli altri, per poi riprendere e fermarsi intorno alle diciotto. Così ogni giorno, iniziando dai lavori più semplici e dalla sola osservazione di Ronan al lavoro. Riolu, nel frattempo, gironzolava per la cittadella, accompagnato da Hoothoot, esplorava la selva e correva da un punto all’altro dei campi. Arcanine preferiva il calore delle fucine e per questo restava con Kyle. Spesso aiutava Ronan a velocizzare i processi di riscaldamento dei materiali, grazie alle potenti vampe di fuoco che era in grado di generare, facendo risparmiare così molte ore di lavoro.
Il tardo pomeriggio era di solito dedicato all’esplorazione delle sezioni di foresta, aiutato da Riolu che nel frattempo era diventato ormai esperto nell’orientarsi fra i vari profumi della natura. Altre volte, invece, preferiva gironzolare per le strade di New Hope facendo amicizia con i suoi abitanti e, nel caso fossero in bisogno, recargli aiuto nelle loro mansioni.
Quel giorno, subito dopo essere stato congedato da Ronan, Kyle si diresse verso la foresta. Blue gli aveva chiesto di farle un resoconto sul numero di Hoothoot e Noctowl selvatici che si aggiravano nella selva a sud-ovest della cittadella. Riolu fu il solo ad accompagnarlo, in quanto Arcanine era occupato con le visite mediche e le vaccinazioni nella zona ricerca di New Hope. Cole si stava occupando di lui al momento, mentre i medici si davano da fare fra esami e cure varie.
Quindi Kyle si diresse verso la selva con Riolu al suo fianco. Gli bastò addentrarsi di poco all’interno della boscaglia per poter vedere i vari stormi di Pokémon volanti stanziati sui rami degli alberi. Mentre la maggior parte di Starly e qualche sporadico Staravia iniziavano a cercare un rifugio per la notte, i primi Pokémon notturni cominciavano ad animare la foresta secondo il loro stile. I Dustox si levarono in volo uno dopo l’altro, lasciando al loro passaggio una sempre più fitta scia di polvere luminescente mista a feromoni: erano giunti i primi giorni di Aprile, e i Pokémon sembravano come elettrizzati dalla carica di energia trasportata dalla Primavera ormai stabilitasi del tutto in quella Regione. L’aria iniziava a rendersi più calda rispetto a poco tempo fa, anche il Sole si rendeva di giorno in giorno più inclemente verso gli esseri viventi. In quel frangente, la natura rinasceva rigogliosa e indomita. Kyle e Riolu si fecero spazio fra alberi ed enormi cespugli, evitando grovigli di spine e annusando i fiori più colorati che avessero mai visto.
Un po’ grazie al suono del bubolare dei Hoothoot, un po’ per merito di Riolu, Kyle riuscì in poco tempo a raggiungere un grosso stormo di Hoothoot in risveglio. Si mise ai piedi di un grosso tronco dalle foglie strane, uniche rispetto al resto della foresta. Kyle si chiese cosa ci facesse un banano in un luogo come quello, in montagna.
Uno degli Hoothoot si staccò dal resto del gruppo per dirigersi verso di Kyle. Il ragazzo lo riconobbe subito, era l’Hoothoot che ogni giorno volava fino alla cittadella per salutarlo e che passava molto del suo tempo con Arcanine e Riolu.
Kyle si inginocchiò per potersi portare all’altezza degli occhi di lui, che si era posato a terra nel frattempo.
- Allora, piccolo Hoothoot, come va? – estrasse del pane avvolto in un panno morbido dallo zaino e lo porse al Pokémon.
- Ti piace ancora il pane, vero?
Hoothoot strappò qualche centimetro di pane quando Kyle sentì un tonfo alle sue spalle.
Si voltò e vide Riolu riverso a terra, ai piedi dello strano albero. Kyle non fece neanche in tempo a muoversi che rimase paralizzato dallo stupore. L’enorme albero iniziò a muoversi, utilizzando le grosse foglie sul suo dorso per spostare i rami degli alberi alle sue spalle e generare spazio di manovra. Solo allora Kyle alzò lo sguardo, notando si trattasse di un gigantesco esemplare di Tropius, finito lì sopra chissà come. Il Pokémon emise un lungo, borbottante e penetrante richiamo, a cui risposero in coro altri esemplari della sua specie. In poco tempo, una ventina di finti alberi era in movimento intorno a Kyle. Non lo degnarono di attenzioni e si diressero invece nel luogo da cui proveniva un nuovo richiamo. Stavolta però pareva diverso, c’era un tono di malinconia in esso.
Kyle non ebbe tempo di riprendersi dallo stupore che la radio che gli avevano donato iniziò a vibrare. Kyle allungò l’antenna e accese il pulsante di ricezione.
- Kyle, come ti butta? Lascia stare gli Hoothoot, porta il tuo culo qui. C’è una persona che devi assolutamente conoscere. E sottolineo devi.
- Sur, sei tu?
- In carne e ossa, e un po’ d’erba.
- Avvisa subito Blue, ho visto dei Tropius. Ci credi, Sur? Non ne avevo mai visto uno.
- Blue al momento è impegnata con Green. È tornato e ha un paio di sorprese con sé. Quindi porta il culo qui al laboratorio. Sur passo e chiudo.
Kyle ripose alla bell’e meglio la radio e si diresse di corsa verso il laboratorio, senza tante cerimonie. Hoothoot decise di seguirlo, volteggiando sulla testa di Riolu che si destreggiava fra i rami degli alberi.
 
Quando Kyle giunse al sito dei laboratori, vi trovò una grossa folla di personale, dai medici agli ingegneri, raccolto nell’ampio piazzale che si trovava al centro fra tutti gli edifici. Un Charizard e un Togekiss stavano riposando ai lati di tre grosse pedane stracariche di contenitori in acciaio e sacche di ogni grandezza, tenute assieme e fissate da numerosi lacci e catene rinforzate. Vicino a essi, Cole, Sur e Blue stavano discutendo con due uomini.
Mano a mano che si avvicinava, Kyle riconobbe Green grazie alle descrizioni di Blue. La camicia, cosa che portava praticamente sempre, era ancora al suo posto, seppur lacerata in più punti. I capelli castani erano stati lasciati liberi di muoversi, rendendosi ribelli e del tutto scomposti, come se fossero stati colpiti da mille getti d’aria provenienti da ogni direzione. Il viso, leggermente indurito dall’età, era costellato dalla nascita di una nuova barba non curata, mentre gli occhi verdi ardevano di un’insolita luce. Quello doveva essere per forza Green.
Quando Kyle giunse vicino al gruppo più ristretto, l’altra persona sconosciuta si volse verso di lui, indicandolo e parlando sottovoce con Sur.
- Kyle, figliolo, questa è la persona che dovevi conoscere, ti presento Gold, l’essere più geniale su questa terra, dopo me ovviamente.
Gold spostò il voluminoso ciuffo di capelli che gli cascava davanti agli occhi dorati e li fissò utilizzando gli occhialoni da aviatore come se fossero un frontino. Si pulì la mano sul giubbotto in pelle marrone scuro e poi anche sui lunghi e larghi pantaloni da tuta che indossava.
- Ciao, ragazzino, piacere di conoscerti. Quindi tu sei Kyle, Cole ha parlato molto di te, speravo di poterti conoscere, almeno ancora vivo.
- Tu sei Gold, giusto? Sur mi ha raccontato che una volta hai combattuto fianco a fianco con Raikou, com’è stato?
- Ah già, quella vecchia storia. Ero più piccolo di te quando facemmo quel team-up; comunque fu una cosa grandiosa, ho ancora il corpo che va a fuoco per l’adrenalina del momento. Un po’ come andare a letto con Fiammetta.
- Chi è Fiammetta? – chiese Kyle.
- Momento, momento momento. Mi stai dicendo che non conosci Fiammetta?
- Non ho idea di chi sia questa persona, vive qui?
- Purtroppo no, in questi giorni si dovrebbe trovare a Kanto, a mettere assieme i nostri uomini lì.
- Una fortuna che non si trovasse a Hoenn quando è stata sganciata quella maledetta bomba. Il mondo avrebbe perso una bellissima persona – s’intromise Sur, accennando coi gesti al seno prosperoso della ragazza.
- Comunque, lei era la capopalestra di Cuordilava, tipo fuoco. E questo la dice già lunga sul suo conto. Adesso lavora e vive con noi, è stata mandata da poco in missione.
- Gold, non c’è bisogno di spiegare cosa stiamo facendo, a mio nipote. Sa che stiamo organizzando una ribellione. Manca solo Kanto e Alola, dopodiché saremo pronti – Cole si avvicinò ai tre, parlando a sua volta.
- Oh, ottimo. Vedo che Silver non ha ancora perso del tutto il prepuzio ed è riuscito a liberare Johto.
- Sì, è stato abbastanza facile per loro. Il popolo libero ha supportato in ogni modo i nostri uomini. Il Sacro Ordine però adesso sa le nostre intenzioni. Non sarà per niente facile attaccare e prendere Astoria, quei maledetti l’hanno creata in un luogo difficile da colpire e resa maledettamente impenetrabile.
- Silver diceva questo anche delle Kimono Girl ma ho dimostrato l’incontrario: nulla è impenetrabile, neanche Yuki.
Sur rise di gran gusto, dopodiché batté il pugno a Gold.
- Ti ho appena nominato mio discendente. E comunque quando io ero giovane, le loro predecessore erano molto più carine – Sur alluse alla sua conquista, a suo tempo.
Green tossì, riportando l’ordine fra Sur e Gold che nel frattempo avevano iniziato a elencare tutto ciò che avevano fatto con le rispettive Kimono Girl.
- Gold, credo sia arrivato il momento di spiegarci tutto quello che è successo: perché non sei rientrato alla base e sei sparito per due settimane?
- Ero… occupato. Sì, con quelle casse.
- Cosa conterrebbero? – chiese Green, glaciale.
- Medicine, antibiotici, kit di pronto soccorso e di sopravvivenza, otto scatole di cibo militare e quelle schifose Razioni K. E due casse di preservativi.
- Hai portato con te due intere casse di preservativi?
- Potevo mai lasciarli lì e abbandonarli al loro destino? Tu mi hai detto di riportare alla base tutte le provviste che si possa trasportare.
- Ma non dei preservativi! – sbottò Green.
Sospirò, maledicendo tutta la discendenza di Gold.
- Ora mi spieghi dove li hai trovati.
- Nel posto in cui sono stato, assieme a tutte le altre provviste. Sarebbe stato uno spreco enorme lasciarli lì.
- Gold, ti abbiamo creduto morto per due settimane, abbiamo mandato delle squadre di recupero, io e Charizard abbiamo setacciato l’intera Regione giorno e notte. E tu eri chissà dove con due scatole di preservativi?
- Non esattamente, c’erano anche dei Sacerdoti, molti. Per questo ci ho impiegato tutto questo tempo, ho dovuto prima occuparmi di quei parassiti.
- Per fortuna ti ho trovato sulla via del ritorno, altrimenti saresti precipitato con tutto quel carico. Era troppo anche per Togekiss. Per fortuna sei tornato da chissà dove, sano e salvo.
- Già, a proposito del “chissà dove” … ci devo tornare immediatamente.
- Gold, non ci servono altri preservativi.
- Non è per i preservativi. C’erano dei civili, devo tornare a prenderli. Non sono venuti con me perché avevano bisogno di tempo per prepararsi e raggrupparsi. Si erano nascosti bene, finché non sono stati scoperti. Hanno bisogno di aiuto.
- Se c’è della gente, abbiamo il dovere di salvarli e portarli qui – s’intromise Cole – Gold, sei per caso riuscito a contarli?
- Sì, sono circa trenta persone, quasi tutte femmine ma in grado di muoversi e di combattere. Erano anche armati e muniti di Pokémon.
- Ottimo, di questo ce ne occuperemo immediatamente allora. Green, abbiamo bisogno dei Pokémon volanti.
- Al momento disponiamo di soltanto nove Pidgeot e un Dragonite.
- Basteranno, faremo più soste durante il tragitto.
- “Faremo”? Cole, vai anche tu? – chiese Kyle che era rimasto lì ad ascoltare, in silenzio.
- Sì, solo io e Gold. Non abbiamo modo di portare più persone, manca il trasporto. E così quest’idiota smetterà di perdere tempo.
- E io cosa faccio?
- Sur ha l’incarico di condurti in un posto qui vicino. Abbiamo parlato poco fa, assieme a Blue e Daisy, c’è una persona che devi incontrare.
- Che cosa, volete mandarmi via?
- Non è così. Tu volevi allenarti con Sur, giusto?
- Sì, è così.
- Bene, questa persona ti preparerà a questo. Abita su queste montagne, non è molto lontano. Ti troverai bene.
Kyle riluttò, un macigno parve essergli caduto sul petto, bloccandogli la respirazione. Si stava perdendo nei suoi pensieri e affogando nelle angosce, quando Riolu gli strinse la mano, infondendogli le emozioni che provava.
Il cuore gli si alleggerì e il peso parve quasi scomparso. I due si scambiarono uno sguardo e Kyle ricevette l’approvazione, tramite emozioni, di Riolu.
- Va bene, dove devo andare?
 
 
La mattina dopo, Kyle si trovava nella sua casa, utilizzata praticamente solo per dormire, impegnato a raccogliere tutti i suoi pochi averi all’interno del suo zaino.
Vestiti di ricambio, un coltello, binocolo, munizioni, razioni, corda, torcia e guanti, e vari strumenti curativi per i suoi Pokémon, quei pochi che era riuscito a trovare in giro. Kyle passò in rassegna tutto quel che c’era.
- E mi raccomando, se dovessi vedere qualsiasi cosa di sospetto, torna immediatamente qui a cavallo del tuo Arcanine. Ho ancora i miei dubbi su questa storia ma a quanto pare nessuno mi vuole stare a sentire – Daisy continuò la lunga, lunghissima lista di raccomandazioni che gli stava facendo da praticamente tutto il giorno, in vista della sua partenza.
“Cosa mi manca ancora?” si chiese, fra sé. Gironzolò per qualche secondo per la stanza, mentre le prediche di Daisy gli scivolavano lentamente via dal cervello, in cerca di qualcosa di utile. Prese del nastro adesivo, un paio di acciarini e una coperta. Ficcò tutto nello zaino, riempiendolo fino a scoppiare.
-… Assolutamente, non devi fidarti di nessuno. Non fare stupidaggini o io lo saprò. Sappilo, ho un sesto senso per queste cose… - Daisy continuava a parlare e a parlare.
Nel frattempo, Kyle si fissò il cinturone da allenatore, modificato per contenere anche la sua colt e un paio di caricatori di riserva, già carichi e pronti all’uso.
Si mise lo zaino in spalla e si avvicinò a Daisy.
- Porterai anche Hoothoot con te?
- Sì, ne avevo intenzione. Ovviamente se per lui va bene. Hoothoot, che ne dici, vuoi accompagnarci?
Hoothoot bubolò allegramente, spalancando le piccole ali, appollaiato sulla sedia.
- Credo sia un sì – Kyle sorrise, offrendo il braccio al Pokémon che ci volò immediatamente sopra.
- Fa attenzione, mi raccomando. Non come tuo zio, che ci ha fatto disperare così tanto per essere sparito e…
Kyle la interruppe abbracciandola. Affondò il viso nel petto della donna, stringendola più forte che poté.
Daisy cominciò a piangere silenziosamente, accarezzando la testa di Kyle e stringendogli la spalla.
- Non ti preoccupare, Daisy, tornerò qui da te. Non mi succederà nulla.
- Meglio per te – si asciugò una lacrima con la manica della maglietta – Altrimenti mi toccherà venirti a prendere col coltello.
In quel momento Sur entrò dentro casa, solare come sempre.
- Buongiorno, amore mio. Pronto per partire?
- Certo Sur, tu sei pronto per raccontarmi la storia dell’ananas?
- Questo viaggio si fa già più divertente – disse Sur, chiudendosi la porta alle spalle.
 
Dall’altra parte della cittadella, Cole e Gold erano intenti a prepararsi per il viaggio. Avevano già riempito i loro zaini con tutto il necessario, caricato le armi e sistemato ciò che non erano in grado di trasportare su di Togekiss.
- Si può sapere perché dobbiamo usare Togekiss come fosse un mulo e volare su Dragonite?
- Perché Togekiss ci serve in forma e riposato, è un tuo Pokémon e dovrebbe poter lottare. Dragonite è in grado di volare più a lungo, stancarsi meno ed è più veloce, quindi volerà meglio con noi due sopra.
- Io vado con Togekiss, ce la farà a portarmi.
- No, Gold. Fuori discussione. Io e te andremo su Dragonite, così potrai spiegarmi dove andiamo, com’è il territorio e descrivermi la situazione.
Gold, rassegnato, buttò le mani al cielo, per poi calare gli occhialoni sul volto.
Cole salì su Dragonite e Gold lo seguì, finendo con lo stare più indietro di lui.
- Non è che possiamo fare a cambio posto?
- Io guido, tu fai da navigatore.
- Come posso fare da navigatore se non vedo niente? Sei troppo grosso, mi ostruisci la visuale.
- Ho detto che la strada a Dragonite la indico io. Quante volte sei salito su di lui? Sicuro molte in meno di me.
- E dai, Cole, fallo per la nostra amicizia. Scivolo pure qui!
- Santissimo Arceus dammi la pazienza e non la forza sennò l’affogo con le mie mani. Tieniti a Dragonite.
- Ma scivolo!
- E allora tieniti a me, abbracciami alla vita e vedi che non cadi.
Gold obbedì, brontolando a bassa voce.
Dragonite si mise in volo con un solo, poderoso battito d’ali, trovandosi a molti metri d’altezza.
Salì ancora di poco di altitudine e poi si lanciò in avanti, seguito a ruota da Togekiss.
Gold si immaginò come avrebbe potuto vederlo la gente in quel momento, volando su un Dragonite, Pokémon che riteneva abbastanza femminile, abbracciato a quel gigante nero, tutto muscoli, per non cadere, con la testa premuta contro la sua schiena.
- Che cosa omosessuale… - si lamentò a bassa voce.


 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 19 - Picco Corvo ***


Picco Corvo
 
 

 
La luce solare, filtrata dallo spesso fogliame degli alberi, iniziava a farsi sempre più calda, mano a mano che l’orologio volgeva le sue lancette verso mezzogiorno.
Il sottobosco diveniva sempre più indomato, crescendo a dismisura. Ovunque Kyle volgesse lo sguardo, era in grado di notare solo ed esclusivamente il verde delle foreste, interrotto in pochi punti dai Pokémon selvatici.
Lui, i suoi Pokémon e Sur stavano avanzando ormai a rilento, a causa della folta vegetazione, costeggiando un grosso ruscello. In quel momento occupavano la riva sinistra, lasciando a destra l’acqua che scorreva sempre più impetuosa, metro dopo metro, dalla vetta a valle.
Ormai si trovavano al secondo giorno di marcia, su, in salita, continuando sempre a camminare. Sia lui che Sur tendevano a parlare molto di meno adesso. In parte per poter risparmiare energie, in parte per una strana angoscia che piano piano si stava impossessando di loro. Kyle si accorse che lo stato d’animo era condiviso anche da Riolu e Arcanine. Quest’ultimo, in particolare, era costantemente all’erta e sussultava al minimo rumore che provenisse dalle loro spalle. Il suo naso non smetteva di fiutare l’aria e gli odori che le raffiche di vento gli portavano.
Kyle accelerò il passo per potersi avvicinare a Sur e poter parlare senza dover alzare troppo la voce. Qualcosa gli martellava nel cervello, dicendo di non fare più rumore del necessario.
- Sur, non ti sembra strana l’aria, qui?
- Che cosa intendi, ragazzo? È normale che l’aria sia diversa, stiamo salendo di altitudine, l’ossigeno diminuisce e il respiro risulta faticoso. Ma è del tutto normale, niente di preoccupante.
- No, intendo che fino a un’ora fa i boschi pullulavano di Pokémon di tutte le specie. Adesso invece quei pochi che si vedono fuggono non appena si accorgono della nostra presenza e sembrano perennemente alla ricerca di un nascondiglio.
- Sono semplicemente meno abituati alla presenza dell’essere umano. Voglio dire, qui non ci si avventura nessuno, nemmeno per una bottarella lontana da occhi indiscreti.
- Non è quello che intendevo. L’aria mi sembra… pesante. È una brutta sensazione, sento lo sguardo di qualcosa che mi cerca fra le foglie; come se fossimo sotto costante osservazione.
- Ti si stanno rizzando i peli sulla nuca come se un enorme bestia sia in agguato, pronta a sbranarti coi suoi lunghi artigli?
- Più o meno.
- Perfetto, allora è tutto normale.
- Che cosa intendi per “normale” ?! – Kyle bloccò l’avanzata di Sur, cingendogli il braccio e tirandolo a sé.
Lui rise e indicò a nord - ovest della loro posizione, fra un grosso tronco morto ricoperto di muschio, ancora conficcato nel terreno, e un grosso spuntone del terreno.
Lì, Kyle, riuscì a intravedere per qualche secondo degli enormi occhi luminosi, poi la sagoma scomparve nuovamente.
Il ragazzo rabbrividì sentendo Arcanine ringhiare adesso più forte di prima.
- Come ho detto, è tutto normale.
- Ti sembra normale essere inseguiti da una bestia delle montagne, Sur?
- Non conviene riferirsi a lei con il termine “bestia”. Quell’Ursaring è piuttosto permalosa, meglio evitare queste parole in sua presenza, d’ora in poi.
- Tu conosci quel Pokémon?
- Se è chi penso che sia, allora sì, la conosco come conosco la sua allenatrice. È da lei che ti sto portando adesso, si chiama Maisy, nipote di un mio caro amico.
- Amico? Intendi prima della guerra?
- Sì, lui si chiamava Franz, ero molto più giovane quando lo conobbi. Era un maestro nel creare Poké Ball; a quanto pare, alla fine ha deciso di tramandare i suoi segreti a sua nipote. Chi credi mi abbia regalato questa bellissima Poké Ball che profuma come una Ricola alle erbe balsamiche?
- Quindi stiamo andando da una ragazza che non vedi da quanto tempo?
- Da molto, Ursaring era ancora una Teddiursa. Ma credimi, il carattere non cambia col tempo, soprattutto con le donne. Isteriche sono, isteriche resteranno per tutta la vita.
- Mi stai portando lì perché Maisy può aiutarmi con i sogni che ho avuto, o per farmi fare delle Poké Ball?
- Nessuna e tutte e due nello stesso momento. Hai bisogno di allenamento, lei sarà il tuo mentore.
- E tu allora? E Cole, Daisy, Blue, Green e tutti gli altri? Che bisogno c’era di venire fin qua sopra per allenarmi?
- Calma, ragazzo, calma le domande.
Sur si avvicinò al ruscello, tolse il suo berretto da baseball e immerse la testa nell’acqua gelida. Quando l’estrasse, i capelli bianchi come perle rilucevano alla luce del Sole, con le gocce d’acqua che andavano a infrangersi sulle spalle dell’uomo.
- Cole e gli altri sono troppo impegnati al momento. Per quanto riguarda me, sono troppo emotivamente coinvolto, non finirei mai a staccarti un dito per punirti. Quindi Maisy è la risposta giusta.
- Mi staccherà le dita?
- No. Forse, dipende da te. Comunque se Franz le ha insegnato ciò che sapeva, significa che la ragazza è molto meglio di me. Dobbiamo solo riuscire ad arrivare a casa sua e il gioco è fatto.
- E Ursaring? – chiese Kyle, ormai terrorizzato.
- Di lei non ti devi preoccupare finché sarai con me. Blue mi ha spiegato come muovermi, non avremo problemi.
Sur si volse, cogliendo un fruscio fra i rami.
- È semplicemente protettiva verso la sua padrona, qui sopra sono per la maggior parte del tempo da sole, puoi capirla benissimo.
Ci furono diversi movimenti sospetti nel sottobosco, i quali furono notati da Kyle e Arcanine.
- Adesso però è meglio riprendere a muoversi, non vorrai di certo restare di notte qui fuori, troppo vicino alla tana di Ursaring, vero? – Sur diede un colpetto sulla spalla di Kyle, ridacchiando.
Dopodiché, i due ripresero a camminare. Immediatamente Arcanine si lanciò di lato a Kyle, proteggendogli il lato sinistro. Riolu imitava una vedetta, sul capo del Pokémon, mentre Hoothoot volteggiava nel cielo, anticipandoli di qualche decina di metri. Ogni tanto il Pokémon andava in avanti per poi ritornare indietro con traiettorie circolari, in modo da poter ispezionare una maggiore porzione di terreno.
 
Arrivarono in una zona del fianco della montagna completamente scoperta dalla vegetazione, fatta eccezione per l’erba e il muschio che cresceva su una grossa roccia presente vicino a un profondo dirupo. Sur le si avvicinò e piazzò lì il campo base per il pranzo. Estrasse dallo zaino un paio di fette di frittata di maccheroni avvolte nella carta argentata e delle porzioni di cibo per Pokémon. Lì, all’ombra della pietra, consumarono in fretta il loro pranzo, per poi rimettersi immediatamente in marcia.
Da qualche decina di metri più avanti, Kyle si voltò indietro verso la pietra, notando la grossa figura di Ursaring intenta a piegarsi sull’erba, fiutando le tre mele che Sur aveva lasciato lì.
- Le piaceranno, le sono sempre piaciute le mele. Magari così inizierà a capire che non siamo ostili. O almeno lo spero – aggiunse Sur, quando le fece cadere dal suo zaino, prima di rimettersi in marcia.
Stavano quasi per lasciare il ruscello, il quale sterzava bruscamente verso est, mentre loro dovevano seguire una strada praticamente impossibile da individuare, ancora più in alto verso le vette.
Il tempo e soprattutto l’assenza di manutenzione e di passaggio, avevano reso la piccola strada in terra battuta nient’altro che un ricordo. Sur, per loro fortuna, era riuscito a ritrovarne i resti e a seguirne i tratti per parecchie decine di metri, fino a quando la loro strada non si incontrava nuovamente con una nuova fonte d’acqua, che stavolta tagliava loro la strada.
- Dovremo guadare il ruscello, se vogliamo raggiungerla – commentò Sur, mentre estraeva un paio di corde dallo zaino.
Legò un’estremità di una corda a un ramo, a pochi centimetri da terra, per poi fare lo stesso con un albero vicino, distante quasi un metro. Controllò che l’altezza fosse uguale, dopodiché lanciò le altre estremità dall’altra parte del profondo e largo corso d’acqua. Estrasse quindi un oloschermo portatile e lo accese. Con pochi e precisi comandi, le due estremità sull’altra riva si animarono. Sur le indirizzò a un albero non troppo lontano e le legò lì, utilizzando i comandi digitali. Premette un pulsante virtuale e una luce azzurra riempì lo spazio fra le corde, da una riva all’altra. Sur ci salì sopra, utilizzandola come passerella e attraversò, giungendo senza sforzi sull’altra riva.
- Mi scocciava dovermi bagnare i piedi – fece lui, quando Kyle lo guardò stupito.
- È un giocattolo di Green, ho scoperto che va pazzo per questi gioiellini. Era un peccato non testarlo sul campo – commentò Sur, aiutando Kyle a scendere dalla passerella energetica.
Una volta che anche i suoi Pokémon ebbero attraversato, nonostante la paura di Riolu, il gruppo poté riprendere il cammino.
Sur ripose le corde nello zaino utilizzando lo stesso metodo di controllo e avanzò nuovamente fra gli alberi che si facevano sempre più fitti.
Finalmente, da un’apertura nel basso fogliame, Kyle intravide quella che doveva essere la dimora di Maisy: un grosso muro di cinta fatto di tronchi d’albero, alto almeno otto metri, si ergeva a semicerchio, attorno a una delle pareti della montagna, come se vi si fosse scavato all’interno per poterci costruire una casa, coperta dalla nuda pietra.
Erano arrivati, la foresta si concludeva d’improvviso, lasciando il campo aperto davanti a loro.
- Eccoci qui alla fine, non ci resta che andare a bussare e vedere se c’è qualcuno in casa.
Sur aggiunse altro ma Kyle era ormai lontano dall’ascoltare, rapito dal muschio e le piante rampicanti che crescevano sui tronchi del muro, lasciando libera solo l’apertura che faceva da ingresso.
Sur iniziò a muovere i primi passi nel campo d’erba, quando Kyle si voltò di colpo. Un feroce ruggito li raggiunse alle spalle.
Il ragazzo riuscì a vedere attraverso gli alberi l’enorme figura di Ursaring, ritta sulle zampe posteriori. Le fauci spalancate e terribili, da cui fuoriusciva il suo violento grido.
Arcanine si piazzò dietro gli altri, in linea con Ursaring, iniziando a ringhiare a sua volta. Le scintille si creavano fra i suoi canini per poi esplodere in fiamme.
- Kyle, non siete pronti per una lotta simile, corri! – urlò Sur, indicando l’apertura nella muraglia.
Imitato da Kyle, iniziò a correre attraverso il campo, con un’accelerazione che non credeva d’avere.
Arcanine, con ancora Riolu sul capo, rimase indietro, intento a sbarrare la strada all’Ursaring che si avvicinava minacciosa. Hoothoot li sorvegliava dall’alto, volando in cerchi sempre più stretti sulle loro teste.
- Arcanine, lascia perdere, vieni al riparo! – Kyle urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, cercando di compensare il forte vento che fischiava nelle orecchie.
Il Pokémon parve capire e, con Ursaring a pochi metri dal muso, si girò di scatto e partì verso di Kyle. Arcanine fu così veloce che in pochi secondi raggiunse Sur e Kyle che erano ormai prossimi all’apertura.
In una manciata di secondi, i quattro furono dentro.
- La porta, sbarrala! – urlò Sur a Kyle, raccogliendo un’enorme asse da terra.
Kyle spinse con tutte le sue forze per poter chiudere la grossa porta in legno massiccio. Arcanine giunse in un baleno al suo fianco, aiutandolo nell’impresa. Chiusero la porta appena in tempo, Ursaring la colpì in pieno.
Il colpo fece volare Kyle via dal suo posto, mentre la porta si riapriva. Arcanine spinse ancor più forte, piantando i piedi nel suolo e utilizzando testa e spalle come contro spinta. Riolu si trovava ai suoi piedi, intento anche lui a spingere. Kyle si rialzò, con la testa che gli vorticava, e si lanciò contro la porta. Dall’esterno provenivano i ruggiti di Ursaring, furente e selvaggia.
Sur riuscì a far filare l’enorme asse tra i cardini appositi per bloccare l’apertura, chiudendo il Pokémon all’esterno. Kyle ricadde sulle ginocchia, madido di sudore e con il sapore del sangue in bocca, doveva essersi rotto il labbro.
- Siete in ritardo – una voce femminile provenne dalle loro spalle.
Kyle si giro e, benché accecato dal Sole, riuscì a intravedere i contorni della persona che erano andati a incontrare.
Lei le offrì la mano e lui la strinse, venendo aiutato a rialzarsi. Una volta che gli occhi si furono abituati al colpo di luce, riuscì a vederla in volto. I capelli castani, raccolti in una lunga treccia lasciata scorrere dietro le spalle, facevano da contorno a un viso molto giovanile, dai lineamenti sottili e delicati. Le sopracciglia, come tutto il resto, erano perfettamente ordinate e curate. Gli occhi azzurri risplendevano, in contrasto con gli zigomi dai colori più rosei e, dalla direzione in cui Kyle stava guardando, rilucenti della luce solare. Un naso sottile e leggermente all’insù faceva da corona alle labbra carnose, ma pur sempre in equilibrio estetico col resto del volto. Sembrava quasi scolpita apposta per apparire in quell’istante davanti agli occhi del ragazzo.
Il resto del corpo era coperto da un lungo kimono bianco su cui erano disegnate con un motivo che pareva casuale, delle macchie azzurre. Una di queste rapì lo sguardo di Kyle, in particolare, situata sulla spalla sinistra della ragazza, dalla forma che ricordava vagamente la coda di un Aipom.
- Tu… devi… essere Maisy.
Sur si raddrizzò, mantenendo la schiena con le mani. Ci furono diversi schiocchi e lui gemette di piacere.
- E tu devi essere troppo vecchio per correre in quel modo. Perché mai avete chiuso la mia Ursaring di fuori?
- Voleva mangiarmi il culo e stuprarmi il cranio. O il contrario, al momento non riesco a pensare, ho bisogno di un paio di ore di pausa.
- Scusalo, ogni tanto perdiamo il controllo su di lui.
- Sei tu Kyle, quindi? – chiese Maisy, squadrandolo dalla testa ai piedi.
- Sì, sono io. Loro sono Riolu, il mio compagno da sempre, Arcanine, salvato da una prigionia e lì, sulle nostre teste, c’è Hoothoot, acquisto recente del gruppo, ha scelto di seguirci.
- Scelto? – Maisy inarcò un sopracciglio.
- Esatto, non ho catturato mai nessun Pokémon in vita mia. Arcanine si trovava in un deposito che stavamo derubando, era in catene e l’ho liberato. Da quel momento ha deciso di seguirmi. Hoothoot invece ha fatto amicizia con noi e dopo aver vissuto per un po’ assieme, ha deciso di seguirmi. Riolu invece è l’unica cosa che resta di mia madre, non ricordo giorno senza di lui al mio fianco.
- Sono tutti fuori dalla Poké Ball, deduco che non ne hai.
- Sì, mai avuta una.
Maisy sorrise e Kyle pensò che quello doveva avvicinarsi di molto al paradiso.
- Eccellente, vedo che qualcuno ha ancora un po’ di buon senso.
- In realtà, sapevamo che tu odiassi questi strumenti non puri dal tuo punto di vista, quindi abbiamo evitato di mettere il ragazzo in cattiva luce già dal primo incontro.
- Ah, davvero? – chiese lei.
- No, siamo poveri come la merda. Poi sono troppo carini quando corrono ovunque, sono come la nostra mascotte.
- Fa sempre così, o solo quando è stanco?
- No, solo quando è stanco, signorina.
- Chiamami pure Maisy, Kyle. Ma toglietemi una curiosità, perché non avete aspettato all’esterno, come avevo detto a Blue?
- Come, scusi? – chiese Kyle.
- Avevo avvisato Blue sulla natura protettrice della mia Ursaring e che avreste dovuto aspettare all’esterno che Ursaring finisse di fare il giro di ronda. Una volta concluso, sarebbe venuta da voi e vi avrebbe accompagnato all’ingresso, sicura che non ci sia nessun pericolo.
Sur pensò velocemente a tutte le cose che Blue gli aveva raccomandato di fare e di non fare, dopodiché iniziò a ridere.
- Ah, può essere che quella parte io l’abbia saltata. Aveva iniziato a parlare così tanto che ho cominciato a fissare un punto sul muro e a immaginarmi nei panni di David Hasselhoff.
- Che hai fatto? – urlò Kyle.
- Sai com’è Blue quando parla, a un certo punto sento soltanto il rumore del vento. Però siamo salvi, almeno.
Kyle e Sur iniziarono a discutere, dimenticandosi di Maisy. Lei si avvicinò alla porta, la sbloccò e fece entrare Ursaring. Dopo averle accarezzato il muso e sussurrato delle parole, la presentò a Kyle e Sur.
Ursaring si dimostrò immediatamente docile, nonostante i ringhi di Arcanine quando Kyle le si avvicinò per poggiarle la mano sul petto.
- Dovete capirla, mi protegge come se fossi sua figlia, quando ha visto che non vi stavate comportando come avevo detto che avreste fatto, ha pensato foste nemici e vi ha attaccato.
- Nessun problema – fece Kyle – Non avevo mai visto un Ursaring, qui non se ne trovano.
Maisy osservò il cielo, in cui le nuvole iniziavano ad addensarsi e l’oscurità si diffuse rapida in ogni luogo, rendendo difficile vedere a più di pochi metri di distanza.
- Meglio parlare dentro, qui a Picco Corvo il tempo non è affatto clemente da quando Sua Santità ha iniziato a giocare a fare gli esperimenti con quelle sue diavolerie. Svelti, andiamo in casa prima che arrivi la tempesta.
Rapidi, si diressero all’interno della struttura in nuda roccia, legno e piante vive. La sola cosa che Kyle riuscì a scorgere, mentre le raffiche di vento crescevano in intensità e violenza, fu una panchina composta unicamente da piante rampicanti intrecciate tra di loro.
Una volta che tutti furono al sicuro all’interno, Maisy fece sbarrare l’ingresso a Ursaring con un grosso macigno fatto rotolare da un lato della porta. Sotto le indicazioni della ragazza, chiusero tutte le finestre e i luoghi da cui potesse entrare il vento e la pioggia, lasciando libero soltanto il camino, il cui legno ardeva già prima del loro arrivo.
- Allora, Kyle, spiegami un po’ perché sei qui.
Kyle iniziò a raccontare tutte le vicende più recenti e, sotto richiesta di Maisy, anche di quando aveva conosciuto Arcanine e molte altre domande furono fatte al ragazzo quel giorno, anche durante la cena, prima che lui potesse finalmente andare a dormire nella stanza preparata apposta per lui e i suoi Pokémon.
 



 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 20 - Never Had A Friend Like Me ***



 
Never Had A Friend Like Me


 
 
Mentre, su Picco Corvo, Kyle e gli altri si riparavano dalla tempesta incombente, centinaia di miglia più a est, nel bel mezzo delle foreste ormai selvagge e prive di ogni tipo di ordine, Cole e Gold erano impegnati a farsi strada nella folta vegetazione che cresceva indomita.
Gold rassicurò più volte Cole sul fatto che non ci fosse la necessità di stabilire un campo base, in quanto avrebbero trovato riparo all’interno del rifugio di coloro che erano venuti a salvare. Inoltre, la missione non avrebbe dovuto prolungarsi più del dovuto.
Dragonite e Togekiss riposavano beati all’interno delle Ball, lasciando ai due uomini l’arduo compito del farsi strada a colpi di machete, nel folto sottobosco ormai indomato da anni. Lì, dove il controllo dell’Ordine non giungeva direttamente, fra le selvagge foreste, tutto cresceva e viveva secondo leggi da loro sconosciute. L’essere umano diveniva un estraneo, un visitatore non accetto. Per questo, grovigli di spine, enormi radici nodose, piante ed erbe velenose o orticanti, crescevano di fianco ai fiori, i prati verdi e i grandi alberi.
Il calore del Sole cresceva di ora in ora, nella calura delle tre del pomeriggio, nonostante ci fosse uno spesso manto di foglie a fare da riparo naturale. La fatica e l’inesorabile presenza degli insetti, però, favorivano l’aumento spropositato della stanchezza che mano a mano iniziava a impossessarsi dei corpi dei due.
Stranamente silenzioso, Gold procedeva dietro di Cole che, col machete, era intento ad aprirsi un varco fra le piante. Di tanto in tanto, il ragazzo troppo cresciuto dagli occhi dorati, indicava la strada, rammentando di volta in volta le direzioni poi prese da lui, in precedenza.
Uno stormo di Staraptor volò fra gli alberi, starnazzando, diretto nel verso opposto a quello percorso dai due.
- Non mi è mai piaciuto vedere dei volatili in cielo, diretti via dal luogo in cui sto andando, urlando come se ci fosse l’apocalisse – Cole scosse la testa, evitando uno Staraptor che per poco non gli conficcò il becco nell’occhio.
- Figurati, sarà una coincidenza. Poi non credo che gli uccelli urlino, il loro verso ha un altro nome.
- Oh, da quando Gold è diventato uno istruito? Ti ricordavo quello del “Le tette sono la risposta a tutto”.
- Ed è vero, una sacrosanta verità. Ma questo, è un altro discorso, poi ne parleremo a casa. Ancora non ho avuto l’occasione di fare a Kyle la fatidica domanda.
- Ti prego, dimmi che non hai intenzione di rifare quella stupida cosa che ripeti ogni maledetta volta che qualcuno di nuovo viene alla base.
- Stupida? Credi davvero che quella scelta sia stupida?!
- Gold, non puoi traumatizzare le persone con queste cose.
- Certo che posso, e lo faccio – tagliò corto lui, concludendo con una sana grattata di natica destra.
- Ancora non capisco perché tu ci tenga così tanto.
- È la scelta fondamentale nella vita di un uomo – Gold mise una mano sulla spalla di Cole, per poi voltarlo e fissarlo negli occhi.
- Cole, come puoi dire di conoscere qualcuno, se non sai cosa preferisca fra tette e culo, in una donna? È fondamentale e necessario alla convivenza tra fratelli, questa conoscenza.
- Ti si è bruciato il cervello, purtroppo.
- No, non ti preoccupare che sto benissimo. Ah, siamo arrivati.
Gold indicò un’enorme struttura dalla forma di una torre, seppur più larga che alta. Nera, si ergeva in netto distacco lì in fondo, nella vallata ai piedi dell’ennesima vetta bianca.
Cole si stese fra gli alberi, coperto in parte da un grosso cespuglio di rampicanti, circa venti metri più avanti di dove si era fermato Gold, per poi estrarre il suo binocolo e osservare la zona. Tutta la strada fino alla struttura era quasi completamente spoglia di alberi e piante, eccezion fatta per l’erba molto alta. Non c’era anima viva fino alle porte d’ingresso, dove si trovava un accampamento.
- Gold, vieni qui a vedere – Cole lo chiamò, passandogli il binocolo.
- Quelli sono senza dubbio dei Sacerdoti, riconosco la forma delle tende.
- Esatto, sembra che alla fine abbiano trovato il rifugio dei tuoi amici.
- Non ti preoccupare, Cole, le ragazze sono furbe: si saranno barricate all’interno in attesa del mio ritorno.
- Ragazze? Niente uomini?
- Ehm… no, solo ragazze. Forza, andiamo a salvarle.
Cole rimase per qualche istante in stasi, convinto che qualcosa gli stesse sfuggendo di mente.
D’improvviso, ottenne l’illuminazione e collegò tutti i pezzi del puzzle. Bloccò Gold per una caviglia, strattonando e facendolo cadere di fianco a sé.
- Adesso ho capito che sta succedendo: due settimane fuori senza alcun contatto, un carico di provviste con annessi dei preservativi, solo ragazze dentro quella specie di torre. Dimmi la verità, mi hai portato a salvare delle prostitute?
- Forse…
- Gold, io giuro che ti ammazzo! – urlò Cole.
- Andiamo, sei stato tu a dire che dovevamo salvare quanta più gente possibile per portarla con noi.
- Non osare usare le mie parole contro di me, pervertito. Ho detto che dovevamo salvare tutti, questo è vero, però ci serve forza di fuoco al momento. Cosa pensi che possano fare al campo, delle prostitute?
Gold aprì bocca per rispondere, quando Cole gli diede un pugno sul fianco, zittendolo.
- Non provare nemmeno a dire quello che stai pensando. Dannazione, delle volte mi sembra di vedere la versione giovane e perversa di Sur.
- Ma adesso siamo qui. Visto che ci siamo, salviamole, no?
- Io giuro sul mio culo negro che appena finirà questa storia ti scuoierò vivo e offrirò in sacrificio a Giratina.
- Tu mi adori, non negare. Non avrai mai un amico come me – Gold si alzò di scatto, avanzando verso la torre.
Iniziò a canticchiare California Love di 2Pac, oscillando le spalle e la testa a ritmo.
Cole non poté fare a meno di ridere e si avviò a sua volta, aggiungendosi al canto.
 
Un paio di ore dopo, giunsero finalmente in prossimità dell’accampamento dei Sacerdoti. Avevano finito tutto il loro repertorio di canzoni e adesso si limitavano a camminare in silenzio.
- Cole, qual è il piano? Sai vero che ci hanno visti da molto tempo?
- Certo che lo so, canti così da schifo che gli avrai rotto tutti gli oggetti in vetro.
- Allora che si fa? La solita tattica del finto cacciatore di taglie?
- Non ho voglia di fare Django, ancora. Stavolta andiamo con la tattica che ti piace tanto.
- Rompiamo il culo a tutti e ci facciamo strada a suon di pugni?
- Esattamente – Cole accarezzò la Poké Ball contenente Rhyperior, posizionata di fianco a quella di Mewtwo.
- Perfetto, mi piace come stai ragionando adesso.
Arrivati a pochi metri dalle tende, due Sacerdoti si accorsero della loro presenza.
- Chi siete? Identificatevi – intimò uno di essi, richiamando al suo fianco il suo Haunter.
- Lascia fare a me – disse Cole a Gold.
- Salve, signori. Siamo due capitani della Resistenza. Lui è Gold, probabilmente lo conoscete. Io invece sono Christopher Coltrane, credo che su di me ci sia la taglia più alta di tutte.
Gli altri Sacerdoti accorsero, compreso quello che doveva essere il loro capo. Era più grosso e più brutto degli altri, col capo coperto dal loro solito cappello bianco, ridicolo per gli altri.
- Deponete le armi e arrendetevi, vi sarà risparmiata ulteriore sofferenza – intimò lui.
- Lo farei… ma non voglio – disse Cole, estraendo la sua Poké Ball.
- State minacciando delle nostre amiche, quindi saremo costretti a farvi il culo.
Gold indicò uno dei Sacerdoti.
- La tua testa, finirà nel culo di quello lì – indicò un ulteriore Sacerdote – Mentre tu te la vedrai con il sottoscritto.
- Gold, finito con le minacce? – chiese Cole, piantandosi per bene sui piedi e chiamando in campo Rhyperior.
- Certo, io mi occupo di questi stupidi, tu pensa al loro capo.
Quattro Sacerdoti evocarono i loro Pokémon: Tropius, Golbat, Absol e l’Haunter. Gold chiamò a sua volta, in campo, i suoi, liberando anche il suo fedele Typhlosion.
- Tu affronterai me, negro – il capo dei Sacerdoti chiamò in campo un enorme Blastoise, a fronteggiare Rhyperior.
- Oh, andiamo, pensi che il vantaggio di tipo possa aiutarti?
- Blastoise, Idropompa.
- Ryp, Fuocobomba.
Le fiamme che si scaturirono in contemporanea da entrambi i polsi di Rhyperior andarono a scontrarsi coi potenti getti ad alta pressione di Blastoise. All’impatto ci fu una violenta onda d’urto e poi un’enorme nube di vapore si sprigionò quasi immediatamente, nascondendo tutto e tutti alla vista.
- Stupidi Sacerdoti, mi rovineranno la messa in piega! – l’urlo di Gold arrivò fino alle orecchie di Cole, nonostante i continui rumori generati dalle lotte.
Rhyperior rimase attento durante tutto il tempo. Nessun suono provenne dai loro avversari.
- Ryp, attento, credo stiano cercando di aggirarci. Usa un po’ Giornodisole, mettiamoci in vantaggio.
Il Pokémon annui. Generò due enormi sfere di luce all’interno dei palmi, per poi spararle alte nel cielo. Quasi istantaneamente, le due esplosero, intensificando il calore solare e la presenza del sole in quell’area. La luce li aiutò a vederci meglio nella nube di vapore che ancora persisteva, riuscendo così a vedere in anticipo Blastoise che stava attaccando dal lato destro.
Rhyperior agì istintivamente, precedendo i comandi di Cole. Staccò una placca di terreno e la lanciò verso il proprio viso. Azionò inoltre il suo corno principale, trivellando la terra e le pietre. La grandine di detriti così creata, andò a rallentare il Geloraggio di Blastoise, seppur non riuscì a fermarlo del tutto. Rhyperior venne colpito alla spalla, che si congelò all’istante.
Il capo dei Sacerdoti esultò, intimando poi a Blastoise di finire lì la lotta.
- Colpisci ora che è bloccato, ancora Geloraggio!
Cole non rimase lì a guardare e spronò Rhyperior a reagire.
- Ryp, vai con Lucidatura poi avvitamento a destra, forza!
Il Pokémon Trapano obbedì e grazie alla mossa divenne molto più veloce e riuscì a schivare con facilità la mossa in arrivo, grazie ai riflessi accelerati.
- Adesso forza, liberati di quel ghiaccio, usa Blastoise come mezzo.
Rhyperior ruggì di rabbia, caricando Blastoise ancora intento a generare il raggio ghiacciato, andato a colpire il terreno. Corse a testa bassa, tenendo il braccio congelato con l’altro. Arrivato in prossimità di Blastoise, caricò l’intero peso sui piedi, piegandosi sulle ginocchia.
- Adesso, salta.
Rhyperior ruggiva ancora, furioso, poi caricò il salto e fece schiantare la propria spalla sotto il mento di Blastoise. L’impatto fu tale da frantumare il ghiaccio e sbalzare Blastoise in aria, facendolo volare e arretrare di vari metri.
Rhyperior si scrollò i pochi frammenti di ghiaccio ancora ancorati alla sua spalla con un rapido movimento del braccio, mentre i pochi resti del vapore si estinguevano.
Blastoise si stava alzando a fatica, con il suo allenatore che lo incalzava a riprendere la lotta.
Nel frattempo, Cole e Rhyperior rimasero immobili, intenti a riprendere le energie.
Una volta che Blastoise fu in piedi, il Sacerdote ordinò l’attacco finale.
- Blastoise, finiamola qui, mi hai umiliato già abbastanza. Usa Idrocannone a piena potenza, uccidilo.
Il Pokémon Crostaceo puntò i propri cannoni in direzione del suo avversario, generando quanta più energia possibile. Si ancorò con i pedi sul terreno, stringendolo con le unghie, usate come radici di un grosso albero.
L’acqua andò ad accumularsi all’interno del proprio corpo, per poi esplodere con innata potenza e velocità.
- Ryp, proviamo la nuova mossa. Manovra evasiva numero tredici, vai con la tattica Zidane! – Cole incoraggiò il proprio compagno a uno scontro frontale.
Rhyperior ruggì come suo solito, quando l’enorme mole d’acqua andò a schiantarsi sul suo petto.
Lentamente, iniziò ad avanzare in direzione di Blastoise, portando le mani davanti al viso, per proteggerlo. Anche il suo corno cominciò a roteare, dissipando in parte la violenza dell’attacco subito.
Inesorabile, si avvicinò sempre di più a Blastoise, nonostante la furia che quest’ultimo immise nell’attacco. A nulla valsero gli incoraggiamenti e le minacce del Sacerdote, la forza di Blastoise parve diminuire di secondo in secondo. Le energie prosciugate dalla potenza del suo Idrocannone.
Finalmente, Rhyperior arrivò faccia a faccia con Blastoise. Si ancorò al carapace di lui utilizzando le enormi braccia, costringendolo ad alzare il viso e diminuire la pressione del getto.
- Adesso, Capocciata.
Rhyperior obbedì e, bloccato il collo di Blastoise con la mano destra, andò a colpirlo violentemente con la testa. Blastoise perse l’equilibrio e il getto d’acqua venne arrestato.
- Ora, finiscilo con un doppio Martelpugno sul mento! – al concludere la frase, Cole saltò verso l’alto, con entrambi i pugni in su.
Rhyperior caricò l’attacco rannicchiandosi al terreno, per poi esplodere in un violento salto verso l’alto. Colpì così forte il suo avversario che quello perse immediatamente coscienza, ricadendo di peso sul guscio.
- Inutile essere! – urlò il Sacerdote al suo Pokémon.
Estrasse la sua pistola e la puntò verso di Cole, quando qualcosa in volo lo colpì violentemente al capo e lo fece cadere a terra.
Un attimo dopo, Gold era su di lui. Tra lo stupore di Cole e Rhyperior, raccolse l’oggetto dal suolo e iniziò a brandirlo come una mazza, colpendo più volte il viso del capo dei Sacerdoti, facendogli perdere i sensi.
Cole si avvicinò ai due, furioso.
- Quello era mio! – urlò a Gold.
Quest’ultimo interruppe il suo colpire, col braccio fermo a mezz’aria.
- Mi stavo annoiando, già avevo eliminato quei due.
Solo allora Cole poté vedere ciò con cui Gold stava deturpando il viso del Sacerdote.
- Gold, dove cazzo hai preso un fottuto vibratore gigante, e per quale motivo lo stai usando come arma?!
- Dal mio zaino. L’ho portato da casa – Gold iniziò a ridere, azionando il giocattolo sessuale – Era da tantissimo tempo che sognavo di usarlo per picchiare qualcuno. Certo, avrei preferito fosse una ragazza ma anche così è davvero divertente.
Infierì un ulteriore colpo al viso al Sacerdote, per poi abbandonare la sua arma inusuale sul naso di lui, ancora accesa.
Gold si tirò su e si stiracchiò la schiena.
- Adesso andiamo dentro e finiamo questa storia, o io ti uccido – intimò Cole.
- Sembra non sia necessario, guarda chi è arrivato. Ciao Zitanna! – Gold urlò agitando la mano, in direzione delle porte della struttura.
Dall’interno stavano uscendo delle ragazze, armate fino ai denti con fucili d’assalto, mitragliatrici leggere e fucili di precisione.
Quella che doveva essere la loro leader si avvicinò ai due.
- Gold, finalmente sei ritornato, pensavamo ci avessi abbandonato.
- Tranquilla, Zitanna, ero andato a cercare rinforzi. Cole ti presento Zitanna, Zitanna Cole.
Gli occhi di lui si poggiarono sul corpo mozzafiato della donna: capelli rossi, mossi e lunghi erano lasciati ricadere davanti al seno prosperoso, incorniciandone le forme. Il viso era puntellato da lentiggini in prossimità del naso sottile e sugli zigomi, mentre la bocca delicata e piccola ne era priva. Gli occhi verdi risaltavano notevolmente, grazie anche alla carnagione chiara di lei.
Indossava un jeans strappato in vari punti, stivali in pelle e una t-shirt degli Iron Maiden, bucata in più punti in prossimità dei fianchi.
- Gold, non mi avevi detto che i tuoi amici fossero così belli.
Cole arrossì.
- Piano, dolcezza, ho già un impegno piuttosto importante.
- Per il momento – Zitanna fece l’occhiolino. Poi rise.
- Come mai vivevate qui? – chiese Cole.
- Lunga storia, ma in sintesi questo era il nostro posto riservato. Quasi tutti gli uomini di potere in cerca di piacere venivano qui da noi, poi è esploso il mondo e abbiamo deciso di nasconderci e stare per i fatti nostri. Almeno finché non è arrivato Gold e ci ha promesso di salvarci e condurci alla libertà.
- La Resistenza serve proprio a questo. Combattiamo il Sacro Ordine.
- Da adesso, ci aggiungeremo anche noi. Gold ci ha salvate più volte, glielo dobbiamo – Zitanna chiamò le sue compagne.
Mentre le altre si presentavano e preparavano i bagagli, Cole e Gold chiamarono tutti i Pokémon volanti fuori dalle Poké Ball, rendendoli pronti al lungo viaggio che li attendeva.
Qualche ora dopo, i preparativi furono ultimati e tutti erano pronti a partire.
- Gold, tu vai su Togekiss, Zitanna viene con me su Dragonite, deve aggiornarmi su ciò che sa – Cole salì in groppa al Pokémon Drago.
- Ehm, non è che si può fare a cambio? – chiese Gold.
- No, niente sesso in volo per te.
- Rachel, vai tu con Gold – Zitanna s’intromise, con un tono di voce piuttosto malizioso.
- Con piacere – rispose la bionda.
- Sai che ti voglio bene, vero? – Gold mise un braccio attorno al collo di Rachel, cominciando a vantarsi della lotta precedente la loro comparsa.
Zitanna si voltò un’ultima volta in direzione della sua casa, per poi avviarsi verso Dragonite. Passò di fianco al corpo del capo dei Sacerdoti, che stava lentamente riprendendo i sensi. Gli assestò un violento calcio con la punta in acciaio degli stivali, fracassandogli lo zigomo. Quello ricadde al suolo con un tonfo.
Solo allora la rossa salì in groppa a Dragonite, e l’intero stormo di Pokémon si alzò in volo, diretto verso New Hope.
 
 
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 21 - I Meravigliosi Twinky Spugnosi Alla Vaniglia ***


I Meravigliosi Twinky Spugnosi Alla Vaniglia
 

 
La mattina seguente, su a Picco Corvo, arrivò con tutta la calma e tranquillità immaginabili. La tempesta sfogò tutta la sua furia durante la notte, col rombo del vento che impauriva dall’esterno delle mura della casa di Maisy.
Kyle si svegliò di soprassalto, impaurito da un incubo. Si alzò a sedere, madido di sudore ma parve non riuscire a ricordare il motivo della paura che sentiva alla bocca dello stomaco.
“Poco importa. Ho già fin troppe cose a cui pensare, non posso permettermi di rimuginare su un qualcosa di inesistente” pensò mentre si stiracchiava, liberando dal viso i peli di Arcanine che gli si erano appiccicati durante la notte.
Solo allora si accorse di aver dormito sulla pancia del Pokémon. Arcanine era rivolto zampe all’aria e russava rumorosamente, le zampe posteriori chiuse attorno alla vita di Kyle, mentre le anteriori penzolavano nell’aria. Kyle pensò che probabilmente si era svegliato così sudato poiché aveva dormito a stretto contatto col corpo caloroso del Pokémon, che lo protesse dal freddo vento.
Il ragazzo si sforzò per poter scivolare via senza svegliare Arcanine. Allentò un minimo la presa delle sue zampe, per poi scivolare verso il basso, facendole scorrere sopra il suo corpo. Riuscì a districarsi senza far svegliare Arcanine che, dal suo canto, continuava a dormire beatamente.
Kyle si alzò allora in piedi e prese a guardarsi intorno: la camera era spoglia se non per il letto e il grosso camino nel quale la brace ardeva ancora, illuminando tiepidamente le pietre che componevano la facciata. Un piccolo armadio, sul quale Hoothoot dormiva appollaiato, e un altrettanto piccolo tavolo con sedia annessa era tutto ciò che si poteva trovare in quella stanza, rigorosamente costruiti con legno grezzo. Sul tavolo era stato sistemato il suo zaino, probabilmente da Ursaring, mentre dormiva.
Un rapido sguardo bastò immediatamente a capire come mai Kyle si fosse risvegliato addosso ad Arcanine: Riolu.
Stava dormendo beatamente nel suo letto, avvolto nelle coperte. Non appena Kyle si avvicinò al capezzale del letto, Riolu si svegliò lentamente. Aprì un solo occhio, a metà, pigramente e molto, molto lentamente. Non appena vide Kyle, mandò verso la mente del ragazzo le sue emozioni, fu come liberarsi da un enorme peso.
Per contro, Kyle si sentì come bombardato mentalmente; calma e felicità s’impadronirono di lui, contagiato da ciò che provava Riolu, che in quell’istante stava tirandosi su.
Kyle fu nuovamente sbalordito dall’improvviso bombardamento psichico, tanto da mozzargli il fiato.
- Come… come hai fatto? – chiese Kyle, a bassa voce per non svegliare gli altri.
Riolu piegò la testa di lato, lo sguardo innocente e ingenuo di chi non abbia idea di cosa si stesse parlando.
- Va be’ lascia perdere, sembra tu non lo faccia neanche apposta. Quando ti senti abbastanza operativo, sveglia gli altri e venite di là. Io inizio a vedere Sur e Maisy cosa stanno facendo, se sono svegli.
Detto questo, il ragazzo si diresse verso il suo zaino, sul tavolo. Lo aprì ed estrasse su quest’ultimo tutta l’attrezzatura che ora gli era inutile, come l’acciarino e le pentole da campo, compresa la tenda espandibile. Abbastanza soddisfatto del risultato, tirò a sé lo zaino per poterlo indossare sulle spalle. Nel farlo, strusciò la mano destra sulla superficie ruvida del tavolo, finendo col far conficcare una grossa scheggia di legno fra le nocche di indice e medio. Il dolore lo raggiunse subito, e Kyle gemette, ritraendo rapidamente la mano. Una parte del legno era ancora esterna alla mano, quindi il ragazzo cercò di estrarla il prima possibile.
Avvicinò l’altra mano all’estremità che fuoriusciva, iniziando a tirare piano, un po’ bloccato dal dolore, un po’ dalla paura. Mano a mano che la scheggia scivolava fuori dalla carne, sentiva brividi di freddo e dolore pervadergli tutto il braccio, partendo dalle dita fin dietro la nuca, dove i capelli si stavano lentamente rizzando. Fece quanta più attenzione possibile in modo da evitare che il legno si scheggiasse e dividesse, lasciando dei residui all’interno. Trattenne il fiato quando il dolore iniziò a creare fuoco e fiamme all’interno del braccio, tanto da sentirlo bollire. Riolu, vedendolo in difficoltà, si precipitò verso di lui, preoccupato.
Fu solo allora che Kyle riuscì a liberarsi dalla scheggia, lasciandola cadere a terra, insanguinata. Un debole fiotto di sangue cominciò a fuoriuscire dalla mano, mentre la vista di Kyle esplodeva in infiniti puntini bianchi. Si resse appena sulle gambe, diretto verso lo zaino. Con la mano destra in alto, lontano dal tavolo, frugò all’interno, trovando rapidamente bende e il nastro adesivo medico.
Stava per ripulire la ferita con delle bende imbevute di disinfettante, quando Riolu avvicinò le proprie mani alla mano insanguinata. Un debole pallore azzurro nacque fra i palmi del Pokémon e Kyle sentì la ferita bruciare. Fu tutto questione di pochi secondi, e poi il foro smise di sanguinare e una piccola crosta si formò in superficie, avviando il processo di cicatrizzazione. Confuso, il ragazzo guardò Riolu che sorrideva felice. Ripulì mano e braccio con degli stracci che si trovavano sulla sedia, per poi bendare la ferita. Dopo essersi assicurato che il bendaggio tenesse, si preoccupò di ripulire il pavimento.
- Non so ancora come hai fatto, e cosa hai fatto, ma grazie – Kyle accarezzò Riolu sulla testa.
Le bende fecero il solletico al Pokémon, che si ritirò istintivamente. Dopodiché, Riolu tornò al suo posto, sul letto. In un attimo fu nuovamente avvolto dalle coperte, dando a Kyle l’impressione di star guardando un enorme kebab.
Finalmente prese lo zaino e se lo mise in spalla, varcando la soglia della sua camera. Ed eccolo di nuovo lì, nell’unica camera della casa, esclusi il bagno e la camera di Maisy. Nel camino il fuoco era ancora acceso, dando a quello che doveva essere il salotto un calore e odore di legno molto più intensi che nel resto della casa. L’enorme tavolo in marmo grigio su cui avevano cenato era adesso spoglio da piatti e quant’altro. Un lato della stanza era occupato per tutta la sua lunghezza dagli elettrodomestici, fra cui il frigo e il fornello elettrico, ai quali era costantemente attaccata la grossa batteria. Il lato opposto ospitava il camino e i suoi attrezzi, la legna e il divano a ferro di cavallo. Di fronte a Kyle e le porte delle stanze, si trovavano unicamente l’ingresso e un piccolo appendiabiti, sul quale si trovava appeso un grosso bastone da passeggio che sembrava fatto in legno massiccio.
Sul tavolo, Kyle vide una lettera, trattenuta sotto una confezione di Twinky alla vaniglia, per evitare che il vento la portasse via. La prese e l’osservò, la calligrafia precisa e impeccabile così recitava:
“Mia cara Maisy, nonostante stia diventando sempre più difficile procurarceli, sono ben lieta di farti ricevere questa confezione di Twinky. È il minimo per la tua collaborazione e per la tua amicizia. A breve Green dovrebbe consegnarti altre scorte, vedrò di farci inserire qualche altro Twinky.
P. S. Sto ancora aspettando per quella bottiglia di Bourbon da aprire assieme.
Con affetto, Blue.”
Kyle la ripose nella stessa e identica posizione in cui l’aveva trovata, quando la voce di Maisy lo fece saltare dalla paura.
- C’è qualcosa che devi dirmi, Kyle? – chiese lei, con le braccia conserte attorno al petto.
Era già vestita e pronta per la giornata. Indossava un lungo kimono completamente blu notte, con delle piccole rose bianche attorno alla vita e vicino i bordi delle braccia e le gambe. I capelli raccolti ancora una volta nella treccia che Kyle aveva visto il giorno prima.
- Oppure – continuò lei – Sei semplicemente curioso?
Il ragazzo andò nel panico, si sentiva sporco nell’essersi intromesso negli affari privati di qualcuno. Non gli era mai capitata una situazione simile, prima d’ora.
- N-no, è solo che l’ho vista lì e…
- Ho fatto una domanda, rispondi coerentemente. Regola numero zero, si fa sempre quello che ci viene detto, in maniera naturale e intuitiva. Ti faccio una domanda, tu rispondi a quella domanda, chiaro? – il tono di Maisy fu piuttosto autoritario, simile alla voce di Daisy quando scopriva Kyle fuori la notte, senza permesso.
- Sì, chiaro. E sono semplicemente curioso.
- La curiosità è una buona cosa ma, come tutto, deve essere moderata o si finisce nel danneggiare gli altri e se stessi. E so che hai infinite domande per me, te lo leggo negli occhi.
Maisy scoppiò a ridere. La sua risata sembrava acqua limpida che scorreva in un ruscello montano, Kyle pensò che avrebbe potuto guarire qualsiasi ferita semplicemente ridendo.
- Scusami, dovresti vedere la tua faccia adesso – si fece scappare un altro risolino – Ma sappi che l’idea del sembrare severa e impassibile è stata di Sur.
- Sur ha fatto cosa? – chiese Kyle.
- Mi ha detto di farti questo piccolo scherzo, e ha predetto esattamente come avresti reagito.
- Adesso dove sta?
- È già partito, ha ricevuto una chiamata dalla base. Non faceva altro che ripetere euforico “Gold ha portato delle donne poco raccomandabili alla base, devo assolutamente tornare lì” e mentre mi salutava rozzamente e diceva di avvisarti al posto suo che per ovvi motivi è dovuto fuggire così, è corso via, inciampando su praticamente tutto ciò che incontrava. Un tipo molto particolare a mia idea.
- Sì… Sur è molto strano su certe cose. Ma, Maisy, posso farti quella domanda?
- Oh, ottimo, vedo che non ti dimentichi nulla; fa’ pure.
L’osservo, rivolgendogli un debole sorriso accennato.
- Che cos’è il Bourbon?
A sentire quella domanda, Maisy sorrise ancora più intensamente.
- Kyle, dimmi, hai mai assaggiato un Twinky?
- No, a dire la verità li ho visti ora, per la prima volta.
- Allora la conversazione di stamattina si svolgerà davanti a dei bei Twinky spugnosi. Sono buonissimi, devi assolutamente provarli. Inoltre, sarà una scusa per farti fare qualche domanda; ieri sono stata io a interrogarti, ora tocca a te. Il che ci porta alla lezione numero uno di oggi “Ricevi qualcosa di prezioso da qualcuno, regalagliene il doppio”. Tienilo sempre a mente.
Lei gli diede per un istante le spalle, avvicinandosi alla tavola. Estrasse due sedie in legno da sotto al marmo e si sedette su di una, offrendo l’altra a Kyle.
- Comunque, il Bourbon è un tipo di whisky, pure piuttosto buono – continuò lei, aprendo la confezione del suo Twinky.
Ne assaporò la fragranza, prima di addentarlo e mangiarlo come fosse la cosa più buona al mondo.
- Non c’è nulla di meglio che un meraviglioso Twinky – disse lei, guardando Kyle coi suoi occhi azzurri.
Ci fu un momento di imbarazzante silenzio, prima che Maisy prendesse nuovamente la parola.
- Avanti, Kyle, chiedi pure.
Lui soppesò se fare o meno quella domanda, troppo personale dal suo punto di vista. Cercando poi di evitare il suo sguardo, si decise a parlare.
- Tu e Blue siete molto amiche?
Maisy inarcò un sopracciglio, prima di rispondere.
- Beh… adesso sì, anche se in passato ci sono stati degli inconvenienti fra di noi. È stato divertente, però.
- Cioè?
- Abbiamo lottato, Ursaring contro Blastoise, la lotta è durata diverse ore.
- Come mai? – ormai Kyle aveva eliminato ogni barriera e iniziava a parlare con naturalezza, come rasserenato dalla presenza della ragazza che in qualche modo lo faceva sentire a suo agio.
- Non so se ti hanno mai parlato di mio nonno, Franz. Lui era uno dei più bravi fabbricatori di Poké Ball, prima che le grandi aziende le producessero in massa. Ogni Ball da lui creata, era unica. Per esempio, sono sicura che Sur ha ancora quella che gli fece mio nonno, all’epoca. Ero molto piccola, quindi non ricordo bene a cosa servisse però ogni Ball aveva un potere particolare, unica nel suo genere, ecco.
Kyle osservava con febbrile eccitazione le parole di Maisy. Aveva sempre adorato ascoltare le storie altrui, in qualche modo erano in grado di farlo viaggiare in luoghi e tempi in cui lui non era mai stato. Inoltre, ascoltare era il suo modo migliore per poter capire una persona e capire quanto possa essere sicuro essere al suo fianco o fidarsi di lei.
Maisy si accorse che Kyle fosse come bloccato, col Twinky fermo a mezz’aria. Dopo una debole risata, spinse la mano di Kyle verso la bocca di quest’ultimo, che morse il Twinky come per reazione automatica.
- Comunque, come puoi immaginare, le materie prime per creare Poké Ball scarseggiano e quando i tuoi amici si trasferirono qui e Blue mi conobbe, volle a tutti i costi delle nuove Ball da poter utilizzare. Io non volevo, come mi insegnò mio nonno, non si crea nulla se non si conosce la persona a cui deve essere donata. Quindi lottammo, è il modo migliore per capire una persona. Mi assicurai che valesse la pena aiutarla e da quel momento siamo in contatto. Lei porta i materiali, io le costruisco le Ball che le servono.
- Non hai detto che le Poké Ball che crei sono uniche, per ogni persona?
- Esattamente. Se fossi meno impaziente, finirei il racconto.
Kyle arrossì e incassò la testa fra le spalle. Maisy parve divertita dalla cosa e continuò poi a parlare.
- Quindi, quando c’è la necessità, Blue fa arrivare qui coloro che ne hanno bisogno e io dono loro le Poké Ball. Forse un giorno, se ne sarai degno, te ne farò una anche per te.
- Davvero? – Kyle si eccitò così tanto da traballare sulla sedia.
- Certo, anzi a proposito – Maisy si alzò e si diresse all’esterno. Rientrò dopo poco, mantenendo una sezione orizzontale di tronco di albero, su cui poggiavano tre Poké Ball.
- Queste sono pure Poké Ball, senza alcun segno particolare. Sono per i tuoi Pokémon ma tranquillo, non sono come quelle in commercio. Le mie non agiscono allo stesso modo della loro tecnologia. Queste ricreano l’ambiente perfetto per il Pokémon e funzionano solamente se è lui ad acconsentire. Inoltre, generano un piccolo fattore di guarigione, quindi i Pokémon all’interno saranno in grado di recuperare energie con il tempo e di curare ogni ferita. È il segreto di famiglia, all’epoca i Centri Pokémon non esistevano e i miei antenati inventarono un metodo per poter aiutare i loro Pokémon.
- Beh oggi non è cambiato molto, per noi…
Kyle si adombrò un istante, per poi ritornare raggiante quando il pensiero delle Poké Ball tornò nella sua mente.
- Quindi, posso tenerle? – chiese euforico.
- Certo che puoi, non appena i tuoi Pokémon accetteranno. Adesso però mi spieghi perché hai la mano bendata.
Kyle impiegò il successivo quarto d’ora a parlare a Maisy del problema avuto col tavolo in legno e di come Riolu avesse stranamente accelerato la guarigione della mano. Su questo punto in particolare, Maisy rimase piuttosto interdetta, non sicura delle capacità di Riolu.
- Sicuro che sia andata così? Riolu non è ancora in grado di utilizzare l’aura in quel modo.
- Sì, è andata così.
- Dunque il tuo Riolu è a uno stato molto avanzato. Avete un rapporto molto stretto?
- È con me da quando riesco a ricordare di esistere.
- Bene, molto bene – fece lei, alzandosi di scatto.
- Scusami, torno subito – Maisy scomparve nella sua camera.
Ne uscì pochi minuti più tardi, parendo molto soddisfatta. Entrò poi in camera di Kyle, i cui Pokémon erano in piedi e stavano per dirigersi all’esterno.
Da lì chiamò il ragazzo e gli disse di andare all’esterno a prendere le lime e le raspe per il legno, che si trovavano nella capanna degli attrezzi, vicino il pozzo alla destra della casa. Kyle obbedì e corse fuori, non notando quasi nessun particolare del paesaggio che si apriva davanti ai suoi occhi. Prese gli strumenti necessari e tornò dentro, sempre correndo. Entrò in camera sua e trovò Daisy in piedi davanti al tavolo.
- Altra regola del giorno: tenere cura delle proprie cose e imparare a migliorarle e conoscerle – lo invitò ad avvicinarsi al tavolo.
I due passarono le successive ore a levigare il legno, passando poi in rassegna il resto dei mobili, discorrendo nel frattempo di vari argomenti, tutti incentrati per lo più sulla cura dei Pokémon.
 
 
 
Quello stesso giorno, nel tardo pomeriggio, a New Hope.
 
Sur passò tutta la mattinata a discendere dalla montagna, sul dorso del suo Pokémon che sfrecciava veloce fra gli alberi. Una volta giunto a New Hope, si diresse immediatamente nel laboratorio di Green. Nel grande piazzale che dava sulle strutture, vi trovò numerose tende dalle dimensioni e i colori più diversi. Fece rientrare il suo Pokémon e si incamminò nell’accampamento. Ovunque posasse lo sguardo, vi vedeva bellissime donne intente a parlare con la gente del posto.
Estasiato dalla vista e benedicendo Arceus per tutto quello che gli stava donando, continuò a camminare fino a una tenda molto più grande delle altre, di spesso telone color porpora. Davanti il suo ingresso, Gold stava parlando con una ragazza stupenda, che rideva a ogni sua parola.
- Gold! – urlò Sur.
- Vecchio mio! Stavo proprio pensando a te in questo momento.
Gold gli andò incontro, abbracciandolo a metà strada. Sur, però strinse fin troppo, carico di felicità e testosterone.
- Piano, piano, mi rovini la camicia! – Gold indicò la camicia che indossava, color blu scuro con delle scimmie intente a lanciarsi bucce di banana.
La ragazza si avvicinò ai due, muovendo le anche come fosse una dea.
- Lei, Sur, è Zitanna. Mia intima amica e capo delle meravigliose signorine qui.
- Oh, il piacere è tutto mio mi creda, mia cara – Sur fece un profondo inchino, finendo col baciare la mano di Zitanna.
Lei fu colpita da tale comportamento, per niente abituata.
- Abbiamo un gentiluomo qui – fece lei, mettendo le mani suoi fianchi.
- Non è come sembra, Zitanna. Sur è quasi peggio di me. E sottolineo quasi.
- Allora mi piace già.
- Comunque, Sur, stavo raccontando a Zitanna del duello fra me e Cole, contro i Sacerdoti, ero arrivato alla parte divertente, in cui picchiavo il loro capo, vuoi ascoltare anche tu?
- Certamente! Il rapporto a Blue su Maisy può benissimo aspettare. Non credo mi allontanerò mai più da questo accampamento.
Gli occhi verdi, luminosi, di Zitanna brillarono per un istante, quando lei li posò su quelli di Sur. I capelli sparpagliati dal vento.
- Fa piacere sapere di importare così tanto per qualcuno – Zitanna si sistemò una ciocca ribelle che continuava a dare fastidio davanti al viso.
Gold riprese il racconto dall’inizio, in modo da far capire l’intero svolgimento anche a Sur.
Dopo circa una ventina di minuti, gli ultimi dei quali Sur li passò a sbudellarsi dalle risate per via dell’inusuale arma di Gold, Blue, Green e Daisy fecero il loro ingresso in scena, provenienti dal laboratorio di Green.
Ci fu uno scambio di saluti e presentazioni, dopodiché Zitanna iniziò a spiegare a tutti loro chi fosse la sua gente e come avevano fatto a trovarsi lì in questi giorni.
A racconto finito, tutte le ragazze di Zitanna si erano raccolte attorno a loro.
- Non vi dovete più preoccupare, qui avrete tutto il riparo necessario. Nessuno vi potrà fare del male finché sotto la nostra protezione – Green gli diede il benvenuto.
- Oh, ma noi non vogliamo essere protette – Zitanna sorrise e schioccò le dita.
All’unisono, le sue ragazze caricarono le loro armi e urlarono come delle amazzoni.
- Noi vogliamo vendetta.
Blue sorrise a Zitanna, la quale ricambiò con grande felicità.
 
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 22 - Come L'Acqua Che Frantuma La Roccia ***



Come L’Acqua Che Frantuma La Roccia
 


 
Kyle passò tutta la mattina a levigare il tavolo in camera sua e le sedie affini. Nel frattempo, Maisy portò fuori Hoothoot, Riolu e Arcanine. I tre si diressero nella foresta, scortati da Ursaring che aveva le direttive per il loro primo allenamento. Quando Kyle concluse il suo primo incarico aveva mani, faccia e maglia colmi di piccole schegge di legno, volate in ogni direzione mentre limava la superficie del tavolo. Andò nel piccolo angolo cottura, dove vi trovò scopa e paletta, con cui ripulì la polvere di legno creatasi sul pavimento. Una volta finito, uscì fuori casa, per incontrare Maisy.
Dalla sua permanenza lì, solo in quel momento poté osservare con più tranquillità la proprietà terriera: la casa si trovava sotto una parete rocciosa, leggermente sporgente, e quindi creava un minimo riparo al tetto. Il prato su cui si affacciava era pressoché solo erba, eccezion fatta per una piccola fontana a pompa, situata alla destra della casa, osservando con l’ingresso alle spalle; sulla sinistra si trovava un orto ben fornito e, isolato dal resto delle piante, un grosso albero verde che sembrava luccicare alla luce del Sole, davanti al quale si trovava una coppia di panche in legno.
Maisy si trovava lì, intenta a tagliare con cura il prato che cresceva attorno al tronco, in modo da non permettere a nessun filo d’erba di crescere sull’albero. Kyle le si avvicinò, con la faccia ancora imperlata di sudore.
Le grandi cesoie nelle mani della ragazza parevano quasi scivolare sul manto erboso, come fossero acqua in un ruscello sassoso. Riusciva a lavorare senza tuttavia perdere l’eleganza che aveva sempre trattenuto in ogni fibra del suo corpo da quando Kyle la vide per la prima volta.
I capelli di lei erano accuratamente acconciati in uno chignon trattenuto da una coppia di kanzashi color rosa perlaceo, abbinato al colore della lunga veste di quel giorno, colma di fiori blu che risaltavano notevolmente sullo sfondo monocromo. Sentendolo arrivare, Maisy si alzò, posò le cesoie sulla panchina e rimise ai piedi i suoi gheta.
- Ho finito – Kyle riprese momentaneamente il fiato, inspirando a fondo più volte.
- Ma metti sempre il kimono, come vestiti?
- Questo non è un kimono – Maisy sorrise, con la testa leggermente inclinata.
Una ciocca di capelli le ricadde davanti agli occhi ma lei la ricacciò prontamente dietro l’orecchio destro.
- È uno yukata. Simile al kimono ma diverso: per prima cosa, è estivo, fatto di cotone leggero. Secondo e più importante: è informale, a differenza del kimono, anche se entrambi vanno indossati quasi allo stesso modo.
Nel momento in cui Maisy concluse il suo pensiero, un frutto cadde dall’albero alle sue spalle, affondando comodamente nel letto d’erba.
Lei si voltò immediatamente, per poi inginocchiarsi e raccoglierlo. A Kyle la domanda venne spontanea.
- Che albero è? – chiese incuriosito, dato che da nessuna parte aveva mai visto un albero i cui frutti fossero racchiusi in dei gusci nodosi.
- È uno degli ultimi alberi puri di ghicocche. L’eredità di mio nonno è tutta qui – Maisy porse il frutto a Kyle, che lo accolse all’interno dei palmi. Immediatamente, il guscio si sfaldò in due parti esatte, rivelandone l’interno; una ghicocca bianca apparve.
Il ragazzo osservò con timore il frutto, impaurito di averlo rovinato.
- Non ti preoccupare – Maisy lo tranquillizzò – È normale che si apra immediatamente.
- Questo non è un comune albero di ghicocche: di norma se ne dovrebbe raccogliere una sola al giorno, quando perfettamente matura, per evitare che l’albero muoia. Ma questo piccolo qui – la ragazza ne accarezzò il tronco – È diverso: puoi raccogliere più ghicocche al giorno, spesso cadono da sole quando sono mature, come in questo caso. Oppure sta a te decidere quando prenderne una. È in grado di produrre tutti i tipi di ghicocche, la cosa è casuale. Il nonno diceva sempre che questo albero era in grado di rispondere alle necessità del suo padrone.
- Quindi… è da qui che prendi i materiali per le Poké Ball? – chiese cautamente Kyle, impaurito di sbagliare qualcosa.
- Esattamente. Quando sarai degno, ne farò una anche a te. Ma ci vorrà molto tempo e, soprattutto, allenamento e lavoro.
- Io sono pronto per iniziare.
- Questo, però, sarà diverso da ciò che hai fatto finora. Non credere che io ti possa allenare come faceva Sur, ad esempio. Se vuoi diventare un vero allenatore, dovrai seguire le mie istruzioni anche se ti sembreranno… stupide.
Kyle la guardò con fare interrogativo, come se non avesse capito l’ultima frase.
- Quando poi sarai pronto, e lo saranno anche i tuoi Pokémon, potrete allenarvi assieme. Ma fino ad allora, i vostri allenamenti dovranno essere divisi.
- In cosa consisterà il mio?
- Non correre, Kyle, un passo alla volta. Ti dirò di volta in volta ciò che dovrai fare.
Maisy scorse lo sguardo palesemente deluso del ragazzo che sperava di poter essere messo al corrente il prima possibile rispetto a ciò che lo aspettava.
- Vogliamo iniziare? Abbiamo già perso troppo tempo – Maisy fece riaffiorare una scintilla negli occhi di Kyle.
- Certo! Dimmi solo che cosa fare.
Maisy sfilò uno dei suoi kanzashi su di cui era stato fissato un grosso fiore rosa dalle estremità azzurre, liberando in parte i capelli. Vedendoli ormai disfarsi sempre più velocemente, rimosse anche la seconda bacchetta. I capelli le ricaddero sulle spalle con un unico, fluido movimento. Kyle l’osservò rapito, non era affatto abituato a vedere una ragazza bianca che avesse un simile effetto su di lui. Gli parve quasi che il movimento dei capelli fosse durato in eterno.
- Questo fiore cresce solo in una particolare zona di questa montagna.
Lei lo tolse da sopra il kanzashi, tenendolo nella mano libera. Lo avvicinò agli occhi di Kyle, che adesso poteva osservarlo con minuzia. L’azzurro dei petali si ritrovava anche all’interno, dove al posto del polline c’era un altro insieme di petali, stavolta racchiusi su se stessi.
- La sua particolarità – continuò Maisy – sta nel fatto che il polline è protetto da un’ulteriore cerchia di petali, resistenti quanto la corteccia di un albero. E velenosi, soprattutto velenosi. Una sola goccia del suo nettare può uccidere all’istante.
Kyle ritrasse istintivamente il viso all’udire l’ultima affermazione. Maisy ne parve compiaciuta.
- Il tuo primo compito è di portarmene almeno tre. Puoi usare qualsiasi cosa tu riesca a trovare o costruire, per portarli indietro.
- Devo… raccogliere dei fiori, tutto qui?
- Non tutto ciò che sembra facile, lo è in realtà. Adesso vai, hai fino a stasera quando calerà il Sole per trovarli.
- Dovrò trovarli da solo, giusto?
- Ovviamente, Kyle.
Maisy ricompose in pochi attimi l’acconciatura, riprendendo poi in mano le cesoie per riprendere a tagliare l’erba al di sotto dell’albero.
Kyle si incamminò verso il portone d’ingresso. Sulla soglia, venne fermato dalla voce della sua maestra.
- Non sempre – fece una breve pausa - Ciò che si cerca, si trova nei posti dove le persone sono sicure di trovarlo. A volte, bisogna spingersi un po’ più in alto di dove arriva la vista degli altri, per vedere meglio. Oserei dire anche che serva per avere una più ampia visuale.
Maisy sorrise fra sé, ritornando alla sua occupazione, mentre Kyle cercò di registrare ogni singola parola emessa da lei.
Tornò a guardare la foresta che si apriva subito dopo la radura al di fuori del perimetro della sua nuova casa, dopodiché uscì dal portone e si incamminò fra gli alberi, diretto verso la cima della montagna.
 
Kyle continuò a camminare per circa venti minuti fra i tronchi degli alberi, facendosi spazio fra le erbacce che crescevano a dismisura. Il capo chino, rivolto al terreno, balzava da un lato all’altro, alla ricerca dei fiori che era stato incaricato di trovare.
S’inoltrò sempre più all’interno della foresta, accompagnato dal continuo cinguettare di Pokémon volanti che erano intenti a godersi il caldo sole. Decise di andare verso la vetta della montagna, in quanto ricordava perfettamente che, nel viaggio di andata assieme a Sur, non aveva intravisto nulla di simile ai colori di quel tipo di fiore.
Prese un piccolo e accidentato percorso, di cui erano sopravvissute solo delle porzioni, cancellato dalle intemperie e dalla vegetazione che, senza controllo, cresceva indomita su quelle montagne.
Per quanto possibile, si limitò a seguirlo, mentre lo sguardo andava in ogni direzione, scrutando ogni pianta e cespuglio, alla ricerca del rosa dei fiori. Si spinse sempre più in alto, mentre il terreno iniziava a rendersi mano a mano più ripido e tortuoso, con numerosi rovi che bloccavano la strada.
All’iniziò fu facile districarsi in quel labirinto, in quanto bastava semplicemente aggirare le spine. Ma, quando Kyle ebbe camminato per due ore abbondanti, si ritrovò ormai circondato da alberi e arbusti, rendendo quasi impossibile passare in altre parti se non in quelle piccole insenature fra il fogliame che occupava tutta la zona visibile. Per tre volte Kyle fu costretto ad arrampicarsi sul tronco di un albero, almeno un paio di metri, per riuscire a superare una barriera di fitte spine che, come un virus, sembrava invadere con prepotenza crescente la vegetazione di quella porzione di montagna.
Era ormai ora di pranzo e Kyle moriva di fame. Dopo aver camminato tutta la mattina, senza neanche bere un goccio d’acqua, le forze iniziarono a venire meno. Si fermò un attimo, stendendosi nel manto erboso ai piedi di un grosso albero, per poter riprendere fiato e far calmare il cuore che continuava a martellargli nelle tempie. Chiuse gli occhi e lasciò andare le braccia perpendicolarmente al corpo. In quel preciso istante, il tempo parve accelerare e il silenzio estinguersi
Dal nulla, il suono di acqua in movimento, giunse alle sue orecchie.
Kyle si alzò a sedere immediatamente, con la schiena dolorante. Sì, ne era sicuro: quello era il rumore di una fonte d’acqua montana.
“C’è dell’acqua qui vicino. E dove c’è acqua… ci deve per forza essere la vita”.
Con questo pensiero palesato in mente, Kyle scattò in piedi e si diresse di tutta corsa verso la fonte del rumore. Non badò ai rami che gli frustarono il viso e gli strapparono le vesti, né alle fitte che iniziavano a raggiungerlo nel basso ventre e nei polpacci, per colpa dello sforzo. Continuò a correre, finché non giunse nel punto desiderato.
Un piccolo ruscello scendeva dalle vette, strisciando fra gli alberi, aggirando rocce e muovendosi sinuoso fra la vegetazione.
Kyle si avvicinò cautamente alla riva, su cui crescevano diversi alberi giovani di bacche. Uno di questi, stracolmo di Baccafrago, attirò la sua attenzione. Il ragazzo ne raccolse un paio, belle grosse e dall’aspetto invitante, per poi mangiarle con avidità. Il suo corpo urlò di felicità mentre nuove energie affluivano al suo interno, mentre il morso della fame allentava la sua presa.
Una volta finito si avvicinò al ruscello. Facendo attenzione a non finire in acqua, iniziò a bere, affondando le mani dove il fondale roccioso era meno profondo. Ne trasse diverse, profonde, sorsate, prima di restare immobile a osservare l’acqua che scorreva limpida. Il cielo, così come gli alberi, si riflettevano nello specchio d’acqua.
Kyle rimase in quella posizione per molto tempo, mentre il Sole abbandonava il suo punto di zenit e si avviava nella discesa per poter, infine, lasciare il posto alla sua regina bianca. Quando la luce riflessa dal ruscello iniziò a diminuire, le figure da quest’ultimo specchiate, iniziarono ad essere più visibili.
In quel momento, balenò negli occhi di Kyle uno strano riflesso, che non aveva nulla a che fare col verde del fogliame. Più in alto, dove gli alberi cedevano il posto al cielo, qualcosa attirò la sua attenzione.
Si raddrizzò, puntellandosi sui gomiti. Volse lo sguardo verso l’alto, quando finalmente li vide: in prossimità dei grandi alberi, c’erano dei fiori rosa.
Kyle non poté capire con precisione se fossero quelli da lui cercati, in quanto la troppa distanza non rendeva possibile vedere il colore azzurro che li caratterizzava.
- Finalmente vi ho trovati… ecco cosa intendeva Maisy quando diceva che bisogna spingersi un po’ più in alto del solito. Devo solo andare a prenderli.
Si avvicinò all’albero più vicino, la cui cima era completamente piena di fiori. Ai piedi del tronco, soppesò l’altezza a cui si trovava il suo obiettivo. Erano circa una trentina di metri, più o meno, e il primo ramo dell’albero era a circa due metri dal suolo.
Kyle si guardò in giro, in cerca di qualcosa che potesse aiutarlo. Il suo sguardo si poggiò sull’albero alla sinistra di quello su cui doveva arrampicarsi, nettamente più piccolo ma privo di fiori. Ci si avvicinò immediatamente e si iniziò ad arrampicare, usando un masso lì vicino come scalino extra. Salì facilmente fra i primi, grossi rami, prendendo velocemente altezza. Una volta che fu arrivato oltre i tre metri, salì sul ramo più vicino all’albero dei fiori, e prese a camminarci sopra.
“Menomale che sono sempre stato bravo ad arrampicarmi”.
Con questo pensiero fisso in mente a farsi forza, Kyle arrivò fin dove poté, senza rischiare di far spezzare il ramo, per poi saltare sull’altro albero. Atterrò su uno degli ultimi rami in basso, afferrandosi con le braccia e rischiando pericolosamente di cadere. A fatica si issò, non curante delle escoriazioni che iniziavano a crearsi nell’interno del braccio.
Una volta tiratosi su, volse lo sguardo verso l’alto.
- Beh – inspirò profondamente più volte – facciamo finta che sia come quando ero piccolo e mi arrampicavo sui mobili della cucina per prendere i biscotti di Daisy.
Lentamente, incominciò la sua ascesa, arrampicandosi fra i rami più vicini e saltando quando necessario, per raggiungere quelli più lontani. In men che non si dica, riuscì a raggiungere la cima, proprio sotto i fiori.
Distratto momentaneamente, la vista gli cadde sulla valle che si stendeva ai piedi della montagna. New Hope era invisibile, protetta dai legami dei Pokémon Psico. Ma, nonostante questo, la vista era comunque spettacolare: le vette innevate, in lontananza, riflettevano l’arancione del sole in tramonto, mentre l’erba risplendeva verde ovunque si guardasse e gli alberi, con i loro fiori, davano una spruzzata di colore tipica di una bomboletta spray.
La mente ritornò alla realtà quando una grossa Butterfree volò vicino a Kyle, sulla sua testa. Si avvicinò, senza paura, ai fiori e iniziò a succhiarne il polline. I suoi denti penetrarono senza la minima difficoltà all’interno del guscio azzurro, mentre un rivolo di liquido dorato fuoriusciva e una parte ne colava sul viso del Pokémon, per poi cadere nel vuoto, lentamente, a causa della sua densità.
Kyle, ricordando la pericolosità del fiore, si spostò in fretta per evitare di venir colpito dalla linfa.
Solo in quel momento realizzò che si era dimenticato il modo per trasportare i fiori senza venirne a contatto. Per sua fortuna, fu quella Butterfree a dargli la soluzione. Svolazzò, una volta sazia, sui rami in prossimità di Kyle e, come capendo le sue necessità, si appollaiò su un vecchio nido ormai abbandonato.
- Posso? – chiese stupidamente Kyle, come se il Pokémon lo potesse ascoltare.
Con sua grande sorpresa, Butterfree sbatté un paio di volte le ali, fissandolo dritto negli occhi, per poi rialzarsi in volo e volare via.
Kyle, ancora stupito, raccolse il nido e lo incastrò in una cavità del tronco affusolato, mentre coglieva i fiori con una mano e l’altra usata per reggersi. Una volta presi tre esemplarli, iniziò la sua discesa, con le ultime luci che ormai iniziavano a morire.
Una seconda volta Butterfree lo stupì, ritornando in suo aiuto. Iniziò a volare in cerchio sopra la sua testa, lasciando al suo passaggio una polvere che pareva essere impregnata della vita delle stelle: cadendo lentamente, illuminava il percorso fino a terra, poggiandosi poi sui rami, rendendoli tante grosse lucciole.
 
 
Maisy era intenta a preparare la cena, con Arcanine, Riolu e Hoothoot a farle compagnia. Ursaring come sempre in giro fra i boschi, sotto suo ordine.
Mentre pelava delle patate, venne disturbata da una voce proveniente dal prato esterno. Incuriosita, uscì a dare uno sguardo.
- … Davvero sei sicura di non voler restare a mangiare qualcosa? Sicuramente Maisy ha qualcosa per te.
- Kyle, con chi parli? – chiese quest’ultima, sentendosi presa in causa.
- Oh, Maisy, ho trovato i fiori! – alzò fiero il nido, in cui erano riposti con cura i tre esemplari da lei richiesti.
- Questa Butterfree mi ha aiutato a prenderli e a tornare qui. Senza lei, avrei dovuto camminare al buio.
In quel momento, Butterfree si andò a poggiare sulla punta dell’albero di ghicocche, lasciando al suo passaggio altra polvere luminosa.
Maisy, sorpresa, si avvicinò a Kyle. Prese uno dei kanzashi, ne rimosse il fiore e lo sostituì con uno di quelli raccolti da Kyle. Dopodiché lo inserì nuovamente fra i capelli, riportandoli all’ordine. Vedendo la faccia incuriosita del ragazzo, decise di rispondere in anticipo alla sua domanda.
- Non avrei creduto tu facessi già ritorno, complimenti. Comunque, sì, era solo per sostituire quello vecchio. E no, non è stato affatto inutile, ho potuto testare le tue abilità, anche se non ti sembra.
Kyle rimase in silenzio, conscio di essere stato letto nella mente.
- Inoltre – continuò Maisy – Devo dire che sei stato promosso a pieni voti. Lei è una nuova amica?
- Chi…? Ah, no, Butterfree ha detto che mi avrebbe solo accompagnato e poi sarebbe andata.
- In che senso, ha detto?
- Beh… me lo ha fatto capire, coi movimenti, almeno credo…
Maisy lo guardò dubbiosa, cosa che mise Kyle sotto pressione.
Poi, il sorriso di lei gli rimosse ogni peso dallo stomaco.
- A questo punto, direi che è ora di cena. Mai assaggiate le patate in salsa di Baccalampon? – chiese lei con naturalezza.
Kyle rispose con una debole scossata di testa, andando a indicare un “no”.
- Perfetto, allora potrai sicuramente dire che la mia è la migliore che tu abbia mai mangiato.
I due entrarono dentro casa, dove i Pokémon di Kyle lo aspettavano con trepidante eccitazione.
Nella notte, Butterfree si levò in volo un’ultima volta, lasciando la sua polvere luminosa su tutti i rami dell’albero di ghicocche, facendolo sembrare la coda di una cometa che vola alta e lontana nello spazio più profondo.
 
 
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 23 - Ideale E Verità ***


Ideale E Verità
 
 
 

Erano passati poche settimane dall’ultimo discorso di Sua Santità ai propri seguaci, e da allora l’intera città sembrava essere sprofondata nel chaos. L’agitazione era ovunque, tutti erano indaffarati e davano il massimo nei loro lavori, per poter riuscire lì dove aveva predetto il loro leader: trovare Kyurem e utilizzarlo per riportare la purezza nel mondo.
“Tutte stronzate” pensò Alice, mentre li osservava dall’alto della Torre Bianca, operosi come tante piccole formiche ai suoi occhi; solo che, secondo lei, sprecavano le loro energie per qualcuno che non meritava altro che la morte.
Quei pensieri le balenarono in mente nello stesso istante in cui, senza saperne il motivo, pensò nuovamente ai suoi genitori.
Cercò immediatamente di pensare ad altro e la sua mente si concentrò su quello che sembrava un enorme Exeggutor proveniente da Alola, lo riconobbe dal suo collo molto allungato. Un gruppo di persone di cui non riuscì a distinguere l’età lo circondava, ammirando uno dei pochi Pokémon esotici visti nella Regione, negli ultimi anni. Alola era l’unica Regione non considerata dal Sacro Ordine e, per questo, era diventata un rifugio di chiunque fosse in fuga, soprattutto coloro che erano considerati “non puri” e quindi ridotti in schiavitù. Per qualche motivo, Sua Santità, evidentemente la considerava di scarso interesse, e quindi non si interessò più di tanto quando le popolazioni di Alola rifiutarono di accettare il nuovo Credo.
“Stupidi e rudi pescatori e barcaioli” venivano spesso apostrofati dai più. Alice invece, giorno dopo giorno, si immaginava sul dorso di qualche Pokémon volante, intenta a solcare i venti, diretta verso Alola e la liberazione. Da anni, ormai, era rinchiusa in quella torre, al massimo le era concesso di tanto in tanto, quando non finiva in punizione, di fare un giro nei Giardini Sacri posti tutt’intorno, ma sempre all’interno delle mura di cinta della Torre Bianca. Il suo padre adottivo era fin troppo apprensivo verso di lei, e questo le faceva venire la nausea.
Stranamente, però, dal giorno del discorso, lui era completamente scomparso. Non che la cosa le dispiacesse, però le sembrava strano di non averlo ancora visto, neanche ai pranzi che di solito era obbligata a consumare in sua presenza.
Quel giorno, mentre scrutava il mondo fuori dalla finestra, decise di approfittare di questa novità e decise di scendere giù, ai giardini, e farsi una camminata fra gli alberi.
Senza la presenza del suo patrigno, Alice si sentì libera di non dover seguire le regole imposte per il vestiario. Balzò giù dal davanzale della finestra, eccitata all’idea, e si diresse verso l’armadio. Lo aprì immediatamente e ne estrasse rapidamente tutti i vestiti all’interno, ben ripiegati, stirati e puliti. Li lanciò alle sue spalle, noncurante di dove sarebbero finiti, accatastandoli uno sull’altro. Una volta che il ripiano più basso fu libero, Alice corse alla sua scrivania e ne trasse una robusta riga per il disegno tecnico, spingendola poi nella piccola fessura che si intravedeva nel profondo dell’armadio, nell’angolo sinistro. Così facendo forzò la base in legno e riuscì ad alzarla, riaprendo dopo tanto tempo lo scompartimento segreto che era riuscita a ricavarne, grazie soprattutto all’aiuto di Kal e Kalin.
Spostò rapidamente i pochi averi che aveva nascosto, compreso il suo quaderno per gli appunti e la Poké Ball che aveva utilizzato per Gallade quando era ancora un Ralts, regalo sempre dei due fratelli e tenuta nascosta in quanto il suo patrigno gli aveva proibito più volte di possedere un Pokémon, anche Gallade, in una Poké Ball. Infine riuscì a vedere i vestiti che custodiva con tanta gelosia: un semplice pantalone di tuta color nero, leggermente largo in modo da nascondere in parte le sue forme, e una maglietta lunga, di cotone e completamente grigia. Li indossò velocemente, spogliandosi in fretta e furia, lanciando il pigiama sul letto. Una volta finito, si abbassò vicino i cassetti inferiori, aprendo il primo ed estraendone un paio di calzini lunghi. Li mise e poi prese gli stivali lunghi col tacco basso, anch’essi neri come i pantaloni. Non pensò neanche di sedersi per indossarli e se li infilò in piedi, barcollando. Mettendo il secondo, andò a sbattere contro il comodino vicino al letto e imprecò a bassa voce, dovendo rigettare indietro i capelli che gli erano finiti in bocca a causa del trambusto. Fu allora che perse l’equilibrio e cadde sul pavimento, con le braccia spalancate e la gamba in cui stava infilando lo stivale ancora issata in alto. Almeno, era riuscita a calzarlo.
Alice si alzò a sedere, dando uno sguardo a Gallade che non parve per nulla infastidito dal baccano da lei provocato e continuava a meditare, fluttuando a mezz’aria.
- Vado un po’ nei giardini, ho voglia di stare all’ombra degli alberi, vuoi venire anche tu? – Alice indicò la Poké Ball nell’armadio.
Gallade aprì una palpebra, per poi richiuderla subito dopo.
- Perfetto.
Alice fece appiglio sul letto per potersi alzare più facilmente. Ritornò vicino l’armadio, chiuse lo scompartimento nascosto, ributtò alla rinfusa tutti i vestiti all’interno dell’armadio e chiuse le ante.
- Ci vediamo dopo, allora – lo salutò lei, uscendo dalla porta.
Kal e Kalin erano appostati come sempre fuori dalle sue stanze. Vedendola uscire, le rivolsero un cenno di saluto, senza scomporsi troppo in quanto c’era un gran vai e vieni di persone, nel corridoio. Di norma, avrebbero dovuto seguirla ovunque si dirigesse ma, Kal, notando i vestiti di Alice, parlò di proposito ad alta voce, in modo che tutti potessero sentire ed essere testimoni.
- Kalin, credo sia arrivato il momento di fare rapporto al nostro superiore rispetto il turno di guardia di stanotte, direi di dirigerci nei suoi uffici. La signorina Alice potrà contare sulla scorta del personale, situata al momento nella biblioteca del terzo piano – Kal ricalcò queste ultime parole, come fosse un avviso.
- Grazie – sussurrò Alice ai due, mentre si incamminavano nella direzione opposta alla sua, deliberatamente allungando il tragitto fino all’ufficio del loro superiore.
Lei camminò lentamente nella direzione opposta, dirigendosi verso le scale della Torre. Non le era mai piaciuto viaggiare su e giù con l’ascensore, per questo ogni volta che poteva, preferiva prendere le scale. Non appena le imboccò, incominciò a correre, fuori dalla portata di occhi indiscreti che avrebbero potuto parlare con Sua Santità sul suo comportamento “poco signorile”, con conseguente arrivo di altre punizioni per lei.
Si lanciò dunque a capofitto per le scale, scendendo piano dopo piano. Arrivata al terzo, rallentò l’andatura, in quanto le scale sbucavano vicino l’ingresso della biblioteca, vicino il quale si stavano radunando i Sacerdoti, per poi dividersi i punti da presidiare. Per sua fortuna e sfortuna, Alice conosceva a memoria ogni passaggio di quella Torre, in quanto era costretta a vivere fra le sue mura da diversi anni, e quindi non ebbe difficoltà, tramite corridoi secondari e passando un paio di volte nei locali cucine, dove sgraffignò anche un paio di pagnotte di pane con scaglie di cioccolato, ad arrivare al piano terra. Qui si sistemò distrattamente i capelli in una coda, per poi ficcare le pagnotte di pane all’interno del piccolo zaino che si era portata dietro, contenente il minimo indispensabile.
I Giardini esterni erano, come sempre, di una bellezza unica: i colori si alternavano uno dopo l’altro fra i vari fiori e i più disparati alberi, da quelli locali ai più esotici provenienti da Alola o Unima. C’era perfino una porzione di terra dedita alla crescita degli alberi di ghicocche, provenienti da Johto. Fontane in marmo bianco e sculture intervallavano il tutto, poste ai lati dei lastricati in pietre lavorate o in punti strategici, dove erano sistemate poltrone e divanetti per poter passare il tempo a osservare il panorama. Il posto preferito di Alice, tuttavia, era il lago che si trovava al centro della sezione Nord dei Giardini; oltre ai vari Pokémon acquatici e non che lo abitavano e ne approfittavano per procurarsi acqua e cibo, c’era un enorme abete bianco che raggiungeva i sessanta metri d’altezza e superava di gran lunga le mura della Torre.
Alice superò il lago, in cui un banco di Goldeen era intento a fuggire da una Milotic piuttosto eccitata che si divertiva a inseguirli e determinarne l’allontanamento gli uni dagli altri quando ci passava vicino.
Quando il Pokémon la vide, saltò fuori dall’acqua per poi ricadere all’interno, spruzzando fini goccioline tutt’intorno e provocando un piccolo ed effimero arcobaleno sulla superficie del lago.
Alice salutò con la mano la Milotic che conosceva ormai da anni e si avvicinò alla targa esplicativa sotto l’enorme pianta sempreverde.
- Abies Alba, l’esemplare più antico di tutta Sinnoh. Età approssimata, cinquecentoventotto anni. Altezza di circa 60m. Tutti i dati sono riferiti alle misure effettuate in data quattro Giugno del primo anno del Sacro Ordine.
La ragazza lesse con sdegno le ultime parole, storcendo il suo naso che spesso le ricordava una piccola patata.
Scosse la testa, obbligando sé stessa a non farsi rovinare l’attimo di libertà. Diede una rapida occhiata dietro la schiena, giusto per essere sicura di non essere osservata da nessuno. Ma, come quasi sempre, quel lato del giardino era completamente sgombro da altre persone. Non perse un istante di più e si legò saldamente lo zaino, chiudendo le fibbie posteriori sul ventre e si issò sui primi rami.
In poco tempo e con facilità, riuscì a raggiungere l’altezza del muro di cinta, conoscendo quasi a memoria la struttura dell’albero su cui si era arrampicata ogni giorno, sin da bambina. Coperta alla vista dalle foglie dell’abete, si inerpicò su uno dei rami, sporgendosi il più possibile verso il muro. Poi, con un salto, giunse infine sul tetto di una delle torri di guardia. Aspettò quindi che nessuno stesse guardando e scese dall’altra parte del muro di cinta, mettendo piedi e mani nelle piccole insenature che aveva trovato negli anni precedenti.
Una volta toccato terra, dietro la solita casa che la nascondeva sempre da occhi indiscreti, estrasse il berretto da baseball dallo zaino e lo mise in testa, limitando le possibilità di essere vista. Purtroppo, essere la protetta di Sua Santità portava notevoli conseguenze negative, come quella di essere vista come una salvatrice e cercare i suoi favori. Non che ad Alice dispiacesse, le piaceva aiutare quando le era possibile, ma non era nel suo stile volere l’adulazione degli altri.
Si risistemò lo zaino sulle spalle e si diresse nel viale su cui affacciava la casa. Già stracolmo di gente che andava e veniva in ogni direzione, il quartiere commerciale era come sempre una banda musicale ambulante.
Alice si camuffò fra gli altri abitanti, solo un’altra ragazza in cerca di qualcosa da comprare in uno dei tanti negozi. Passò ancora una volta davanti a quelle vetrine immense, in cui erano esposti i vestiti più strani che abbia mai visto in vita sua.
La sua attenzione venne rapita da un capo in particolare, completamente bianco, composto di una gonna cubica, la cui forma era ottenuta tramite dei supporti che ne attraversavano i lati, e una maglietta fatta da quadrati bianchi intervallati da spazi vuoti in cui mancava il tessuto. Infine, il cappello, aveva la forma di un enorme piramide.
- Chi diavolo si metterebbe mai una cosa del genere?
Alice guardò in basso, notando la targhetta col prezzo; non aveva mai visto tanti zero, uno dietro l’altro. Rimase completamente senza parole quando si accorse che stava leggendo solo il costo del cappello, mentre per l’insieme dell’abbigliamento si giungeva a cifre che probabilmente neanche esistevano.
Decise, disgustata, di non soffermarsi oltre e riprese a camminare, percorrendo l’arteria principale del commercio. Mano a mano che si allontanava dal centro città, i negozi e le persone parvero “umanizzarsi” col tempo: affioravano sempre più venditori di alimenti, negozi di giocattoli, ogni tanto passava qualcuno con un carretto, carico di oggetti più disparati e antichi. Da una di loro, Alice comprò un vecchio orologio analogico con il marrone del cinturino in pelle quasi completamente scolorito, lasciando una buona somma di denaro extra. Si allontanò dall’anziana donna per poi continuare ad addentrarsi nel mare di persone che parlavano, concitate, le une con le altre. Sentì qualche risata in sottofondo che l’indusse a ridere a sua volta, pensando a quanto è bello sentirsi circondati da persone che vivono le une con le altre, invece delle solite macchine che sembrano sempre con la testa altrove, perse nei loro aggeggi tecnologici per fare chissà cosa.
Finalmente, giunse al sarto verso cui era diretta. L’insegna, recitante “Filch & Murdock”, era quasi completamente corrosa dal tempo. Aveva ormai perso da anni il suo colore acceso, dove il bianco delle lettere risplendeva lucente sul blu scuro che ne faceva lo sfondo.
Nonostante il cartello recasse la scritta “Chiuso” Alice spinse ugualmente la porta, sapendo che si sarebbe aperta. Il solito odore di biscotti caldi e cornetti appena sfornati la salutò sulla soglia, mentre la campanella suonava e avvisava l’arrivo di un nuovo cliente.
- Chi è così cretino da non saper neanche leggere un semplice cartello? Siamo chiusi!
Un uomo anziano uscì dal retrobottega, con addosso quel che sembrava un giubbotto antiproiettili.
- Ciao, Ferdinand – Alice lo salutò con un grosso sorriso.
- Oh… è lei, signorina Alice. Mi scusi, è colpa di quei ragazzini che…
- Non ti preoccupare, e smettila di chiamarmi signorina, ti ho già detto di chiamarmi solo Alice.
Superò il bancone con sopra la polverosa cassa e diede un lieve bacio sulla guancia del vecchio, lasciandogli una piccola busta in mano.
- Questi sono per i vestiti che mi ha confezionato tuo nipote – indicò ciò che portava addosso – Più qualcosa per te, così magari potrai sistemare quella serratura. Però voglio un paio di chiavi, altrimenti resto chiusa fuori.
- Non c’è bisogno, Alice. Sei una nostra amica e la figlia di Sua Santità, non puoi pagare.
- Certo che posso, e l’ho appena fatto.
Sorridendo, si diresse verso il retrobottega, dove c’era il laboratorio.
Sparì dietro le doppie ante mobili, che le ricordavano tanto un saloon del far west e oltrepassò un paio di scatole colme di tessuti. Lì polvere e ragnatele erano ovunque, costellando l’intera lunghezza del corridoio che aveva pavimento e pareti in legno. Le lampade che cadevano dal soffitto emanavano una tiepida luce in ogni direzione, accentuando le ombre di scatoloni, manichini e scaffali posti lì alla rinfusa, abbandonati da un’era in cui il negozio era colmo di clienti.
Aprì una porta in acciaio e immediatamente venne bombardata dal chiasso delle macchine in azione lì dentro. Tra il fragore del metallo e il sibilo dei tessuti lavorati, al centro della sala, c’era un ragazzo piuttosto in carne che lavorava a mano un vestito, seduto su una piccola sedia e appoggiato a un traballante tavolo in legno.
Alice gli si avvicinò chiamando a gran voce il suo nome, ma il rumore delle macchine impediva anche a sé stessa di sentirlo. Giunse quindi alle sue spalle, per poi affondare la mano nei lunghi capelli ricci del ragazzo. Lui si girò immediatamente e parve urlare quando la vide. Si alzò immediatamente e, facendo segno di aspettare, corse verso il pannello di controllo principale. Lì spinse delle leve e calò qualche bottone, imponendo il silenzio all’interno della sala.
- Bucky, che canzone è questa? – chiese Alice che, solo allora, riuscì a sentire la canzone che c’era in filodiffusione all’interno della stanza.
- Alt-J, Something Good – fece lui, col sorriso che gli si stampava sul volto.
Bucky corse al trotto verso di lei, per poi abbracciarla e sollevarla da terra. Una volta che Alice sentì nuovamente il pavimento sotto i piedi, dovette alzare lo sguardo per guardarlo nel volto.
- Incredibile, sei cresciuto ancora.
- Beh, zio Filch mi dà da mangiare, nonostante dica sempre di odiarmi a morte e che il suo stupido fratello l’ha fatta apposta a morire e a lasciarmi a lui, così da rovinargli la vita.
Bucky sorrise rozzamente, mentre i suoi occhi color nocciola non smettevano un attimo di fissare Alice, scorrendo da un punto all’altro della ragazza.
- Vedo che… - Bucky si fermò un istante, con le lacrime che iniziavano a scorrergli sul viso.
- Sì, li adoro, grazie Bucky.
Quello fece crollare la diga e l’enorme ragazzo iniziò a piangere dalla gioia.
Alice cercò di tranquillizzarlo, assicurandolo che erano i suoi vestiti preferiti non solo perché glieli aveva confezionati lui. Ma questo parve farlo ricadere nel pianto.
- Scusa, è che sono stati i primi che io abbia mai fatto, non pensavo venissero bene.
- Ma dai, sono bellissimi. In effetti non li metto mai quando sto su, alla Torre.
- Come mai?
- Beh, li tengo per le cose importanti, no?
Bucky rise a questo e sembrò essersi fermato per un istante.
- Lo odi, vero?
- Sì, dopo che ho scoperto quello che mi ha fatto, odiarlo è il minimo. Però qualcosa di buono ogni tanto se ne ricava.
Alice si tolse lo zaino da spalla e ne estrasse le pagnotte che aveva prima rubato in cucina. Le consegnò a Bucky e insieme iniziarono a mangiarne una parte, raccontando uno all’altro quello che era successo in quel mese che era passato senza che si potessero vedere.
A metà del suo racconto, Bucky si alzò, tutto eccitato, e si diresse verso un armadio. Tornò con in mano un fagotto di lenzuola.
- Questi sono per te, ho pensato di migliorarli un po’ dall’ultima volta.
Alice aprì il fagotto e ne trasse una bellissima maglietta blu chiaro, sul cui davanti erano state ricamate, in bianco, le figure di un grosso abete bianco e un piccolo Deerling. C’era anche un jeans che richiamava in parte il colore della maglietta.
Lei rimase senza parole e non poté fare altro che abbracciare Bucky che ricambiò, soddisfatto, la dimostrazione di affetto.
- Sono lieto che ti piacciano, per ora sei la mia prima e seconda cliente.
- Bucky, non so come ringraziarti.
- Una cosa puoi farla. Voglio bene a mio zio ma, quando scapperai da questa maledetta città, portami con te.
Lei sorrise e accettò, stringendogli la mano per siglare il loro patto.
In quel momento, il megafono collegato allo studio di Ferdinand gracchiò delle parole che non riuscirono a comprendere bene.
- Fa sempre questo, la vecchiaia gli ha dato al cervello. Ora vado a dirgli di spegnerlo.
Alice parve riconoscere una delle voci e zittì immediatamente l’amico.
- Aspetta, sembra la sua voce.
I due rimasero in attesa, finché la voce di Ferdinand non scomparve.
- So per certo che lei forniva abiti militari tecnologicamente avanzati e senza pari a un gruppo di ribelli sotto il comando di uno dei maggiori ricercati, Suraji Wanjala. Sono venuto qui oggi, in questa catapecchia, per darle la possibilità di redimersi dagli errori e potersi trovare un posto migliore dove passare i propri giorni. Ha qualche familiare che potrebbe venire con lei?
- No – gracchiò la voce di Ferdinand.
- Beh, non sarà un problema poterle fornire qualcuno che possa farle compagnia, quando si trasferirà nella Torre Bianca per lavorare con i miei scienziati.
- Che cosa ti serve?
- Vestiti e armature, le migliori che tu possa creare.
- Che devi farci?
- Insolente, non sono cose che ti riguardano, devi solo…
- Se non so a cosa ti servono, non so come devo lavorare. E se non so come lavorare, tanto vale che resti qui, in questa catapecchia.
Alice sorrise quando il suo patrigno parve non riuscire più a parlare, non era abituato a essere interrotto. Dopo un silenzio che parve infinito, parlò nuovamente.
- Una, in particolare, deve essere in grado di resistere alle energie di Reshiram e Zekrom, non vorrei finire colpito dagli attacchi dei miei stessi Pokémon. Le altre devono semplicemente essere più resistenti possibile. Dobbiamo affrontare e catturare Kyurem. Contento, vecchio?
Bucky guardò con la bocca spalancata Alice, che rispose allo stesso modo.
- Sì, grazie mille per avermi informato.
- Bene, ora deve solamente dirmi i materiali e i macchinari di cui ha bisogno, provvederemo a tutto noi.
- Vada a farsi fottere, per piacere – Ferdinand parve mettere tutto il sarcasmo esistente al mondo in quelle due ultime parole.
- Come, scusi?
- Ho detto: Vada A Farsi Fottere – Ferdinand scandì alla perfezione le parole, divise da brevi silenzi tattici che parvero accentuare di mille volte il suo pensiero.
Immediatamente dopo, ci fu come un’esplosione emanata dal megafono.
- Ripulite questo posto. Il cadavere del vecchio eliminatelo e lavatemi la pistola, credo che si sia sporcata con qualche schizzo di sangue.
Alice e Bucky rimasero in silenzio mentre i fruscii generati dai movimenti davanti al microfono nella stanza di Ferdinand echeggiavano nelle loro orecchie.
Bucky, come svegliato da un sogno, corse verso l’armadio da cui aveva preso i nuovi vestiti di Alice e ne trasse una grossa ascia affilata. Brandendola, si diresse verso la porta.
- No! – gli urlo Alice, tirandolo per un braccio.
- Bucky non puoi, ti uccideranno.
- Hanno già ucciso mio zio, devono pagarla! – lui si liberò dalla presa, voltandosi verso di lei.
Alice lo stava fissando, con gli occhi pieni di lacrime. Sussultò quando lui fece scivolare il manico dell’ascia dalle sue mani e la testa cozzò sul pavimento. Il ragazzo si accasciò a terra, in ginocchio, piangendo sempre più forte.
Alice gli si avvicinò, gli prese l’enorme testa colma di capelli e l’avvicinò al suo petto, mentre lui continuava a piangere e le sue enormi mani cercavano conforto stringendole le spalle. Lei chinò la sua testa verso quella del ragazzo, accarezzandolo.
- Non possiamo fare niente, adesso. Andiamocene – disse lei, risoluta.
- Come? – lui alzò lo sguardo, con gli occhi pieni di lacrime e scosso dai sussulti.
- Tuo zio è morto, e il mio patrigno è un essere orribile. Dobbiamo andare via da questa città.
Lo sguardo fermo e deciso di Alice quasi spaventò Bucky, che a fatica si stava rialzando.
- Come pensi di poter fare? Non voglio lasciarlo qui.
- Lo hai sentito, c’erano altre persone con lui. E io e te non siamo abbastanza forti da sconfiggerli e prendere il corpo di tuo zio. Proprio come è successo coi miei genitori, non ci possiamo fare niente.
Alice indugiò un attimo sul volto dell’amico, che la guardava con gli occhi vitrei e lo sguardo abbandonato chissà dove.
- Stanotte, dammi il tempo di andare in camera mia a prendere le cose necessarie e Gallade. Poi ce ne andremo. Nel frattempo hai qualcuno da cui nasconderti?
- S-sì, c’è la vecchia fornaia che credo sia innamorata dello zio.
- Ottimo, vai da lei, allora. E porta con te Wartortle.
- In realtà si è evoluto, ora è un Blastoise – Bucky indicò la Poké Ball che aveva nascosta in tasca.
- Oh… beh, complimenti – Alice abbozzò un sorriso, suscitando un lieve miglioramento nello sguardo di Bucky.
Alice aspettò Bucky, in silenzio, mentre inseriva quanta più roba poteva all’interno dell’enorme zaino che si stava preparando. Il ragazzo raccolse l’ascia e l’utilizzò per sfasciare un macchinario, da cui trasse un grosso libro.
- Non lascerò che quei tizi prendano le ultime ricerche di mio zio – esclamò, quando Alice gli si avvicinò, impaurita che il rumore potesse attirare qualcuno.
- Tranquilla, la sala è insonorizzata. Possiamo fare tutto il baccano che vogliamo. In effetti…
Bucky trottò attraverso la stanza, mettendo in moto tutti i macchinari e sistemandoli in modo strano, armeggiando con fili e bracci meccanici.
- Tutto pronto, andiamo.
Il ragazzo spinse un grosso armadio sotto una finestra, per poi metterci davanti il tavolo da lavoro. Ci fece salire Alice e poi la seguì. Nessuno dei due parlò, una volta fuori. Corsero a perdifiato, in direzione della casa della fornaia, con Bucky che apriva la strada. Si fermarono solo una volta scavalcato il recinto del giardino e messi al sicuro, all’ombra del balcone.
- Sono sicuro che alla vecchia Dolores non piacerà per niente, ma sarà felice di aiutarmi.
Bucky bussò alla finestra, e subito sentirono dei passi provenienti dal soggiorno.
- Bucky, devo chiedertelo. Perché hai acceso quei macchinari?
- Li ho manomessi. La porta è sigillata, entro stasera si saranno surriscaldati a sufficienza da esplodere. Ho pensato che sarebbe stato un buon diversivo per poter scappare.
Alice rimase senza parole. Mai una volta aveva visto Bucky fare un pensiero più malvagio del mischiare cioccolato bianco e fondente.
- Mio zio ha sempre detto di voler andarsene col botto, penso di averlo accontentato.
Bucky si sforzò di ridere e Alice lo seguì nel suo intento.
- Credo sia meglio che tu vada, ci vediamo stasera a mezzanotte, qui nel giardino. Ok?
- Va bene, buona fortuna, Bucky – Alice gli diede un bacio sulla guancia e poi, tenendo saldamente il cappello con una mano, scavalcò nuovamente la recinsione e si diresse verso le mura della Torre.
Corse il più rapidamente possibile e non si spaventò di essere vista mentre si arrampicava sulle mura, per poi salire sul tetto della torretta di guardia e risalire sull’albero. Cadde con un tonfo nell’erba, e poi riprese nuovamente a correre per i giardini, fra le urla di sgomento dei nobili che ci passeggiavano. Quando fu nella sua stanza, era ormai passato da tempo il tramonto.
Kal e Kalin rimasero sull’ingresso, dopo che lei gli raccontò tutto. Tutti e due, da sempre fedeli a lei e non ad altra persona, si occuparono personalmente di non far passare nessuno, in modo da renderle più rapidi i preparativi.
- Alle undici, miss, saremo stranamente convocati da qualcuno – Kal fu il primo a parlare.
- E questo telefono è nel caso lei abbia bisogno di qualcosa, nel caso si dovesse stranamente trovare fuori dalle sue stanze – concluse Kalin.
Alice li ringraziò entrambi, facendogli poi promettere a tutti e due di seguirla non appena possibile. Solo dopo averli convinti, entrò nella sua stanza.
Lì vi trovò Gallade, ancora intento a meditare, che aprì gli occhi non appena la vide, cercando tuttavia di restare impassibile e nascondere la propria preoccupazione.
- Gallade, facciamo i bagagli. Andiamo via.
Sentendo quelle parole, il Pokémon parve riprendere vita. In un attimo balzava da un angolo all’altro della stanza, raccogliendo tutto ciò che la sua allenatrice gli diceva di prendere, felice come non mai.
Alice guardò fuori dalla finestra, notando una grossa sagoma diretta verso di lei. Il Pokémon volante si librava lì davanti al vetro, come in attesa di poter entrare.
Gallade fu più veloce della ragazza e si diresse alla finestra. Dopo pochi istanti in cui i due si fissarono negli occhi, Gallade aprì la finestra e un enorme Noctowl ne entrò.
In quel momento Alice non capì come, ma delle immagini le balenarono nella mente, concludendosi con la vista di lei e Bucky volare via, sul dorso del Pokémon.
Senza pensarci, Alice prese la Poké Ball di Gallade, lo fece entrare e se la mise nella tasca dei pantaloni. Si mise lo zaino sulle spalle e salì in groppa al Pokémon.
Fuggirono, via dalla Torre, diretti alla casa di Dolores. Lì Bucky ne uscì, pieno di domande. Dovette però trattenersi per il momento, in quanto Alice insistette per partire immediatamente.
Così, senza fare alcun rumore, le ali di Noctowl li portarono via, nelle ombre della notte che inghiottirono i loro corpi, nascondendoli alla vista di Pokémon e tecnologie.
 
 

 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 24 - Il Dono Della Luna Piena ***



Il Dono Della Luna Piena
 
 



Dopo circa un mese di allenamento, Kyle e i suoi Pokémon avevano fatto passi da gigante. Grazie a Maisy, adesso erano in grado di lottare assieme, senza perdere la concentrazione e senza intralciarsi uno con l’altro, come una vera squadra. In particolare, Maisy aveva spinto molto sulla capacità di suggerire mosse e tattiche ai propri Pokémon, mentre si è impegnati in una lotta corpo a corpo con un qualche avversario.
Quella notte, in particolare, fu per Kyle momento di grande gioia, in quanto finalmente era riuscito a colpire Maisy, anche se lei aveva parato il colpo. Fino ad allora lei semplicemente li evitava per poi contrattaccare. Dopo i complimenti fatti da Maisy, Kyle era andato a coricarsi dopo una sostanziosa cena, dormendo all’aria aperta, sul ventre di Arcanine, scaldato dal suo pelo incandescente.
Lontano centinaia di chilometri da ogni possibile fonte di luce elettrica, il cielo su cui si posarono gli occhi di Kyle apparve in tutta la sua bellezza. Se c’era una cosa che adorava del vivere isolati dal resto della società era, per l’appunto, la possibilità di poter dormire sotto il cielo stellato e osservarne le stelle, privo di inquinamento luminoso. Quella notte in particolare, le stelle parvero splendere più del solito; la luna piena spiccava per la luce emanata che veniva riflessa dagli occhi di Kyle, fissi sull’immenso infinito vuoto e freddo.
Al pensiero dello spazio, così vasto e inesplorato, un brivido lo percorse dal cervelletto fino alle unghie delle dita dei piedi. Ebbe un piccolo spasmo che infastidì Arcanine, che sbuffò irritato.
Cercò di sistemarsi più comodamente sul ventre del Pokémon, girandosi da una parte e dall’altra, senza successo.
Troppo irrequieto, decise infine di spostarsi e si alzò in piedi, tra le proteste di Arcanine e Riolu che erano stati disturbati dal loro sonno. Kyle si allontanò un po’ da loro, per evitare di disturbarli ancora di più e si incamminò nella fresca erba, bagnata in parte dall’umidità portata dai primi venti che annunciavano l’arrivo dell’Estate, in parte dalla rugiada che iniziava a formarsi durante la notte. I piedi scalzi affondarono nel morbido manto erboso, godendo della freschezza trasmessa dal contatto. Lentamene, quasi barcollando, Kyle arrivò ai piedi dell’albero di ghicocche e vi si stese nei pressi, dandogli le spalle. Il suo sguardo si poté poggiare su ogni monte che li circondava, illuminati dalla forte luce lunare. Vide qualche vetta scintillare debolmente grazie alla neve che ancora la sommergeva. Il suo sguardo si sporse poi fra i monti, cercando la vetta più alta: il Monte Corona si ergeva imponente sui suoi fratelli minori, con le vette più alte nascoste fra le nuvole ammassate nell’orizzonte.
Mentre la sua vista si inerpicava su fra i fianchi del monte, e lui si divertiva a procrastinare osservando le stelle, qualcosa lo impaurì improvvisamente. Kyle scattò d’istinto, girandosi all’istante quando qualcosa lo colpì delicatamente sul capo. Nonostante la reazione del suo allenatore, Hoothoot era serenamente atterrato sull’erba e non si mosse di un centimetro.
- Mi hai spaventato… Sei arrivato fluttuando o cosa? Non usi le ali?
- Gli Hoothoot sono in grado di volare quasi nel più totale silenzio. Solo i Noctowl li superano in questo – la voce di Maisy rispose al posto del suo Hoothoot.
- Sei ancora sveglia? – chiese Kyle, che fino ad allora non si era accorto nemmeno della sua presenza.
- Sì, ero uscita a vedere che Ursaring stesse bene, stanotte c’è la Luna piena.
- Che c’entra con Ursaring…? – la mente di Kyle lo portò all’orribile pensiero di una qualche specie di lupo mannaro versione Pokémon e questo gli fece rizzare i capelli.
- Ogni volta che c’è la Luna piena, Ursaring si dirige nel bosco. È come attratta da una qualche forma di energia. Ho provato a seguirla qualche volta, ma lei si è rifiutata ed è fuggita via. Quindi preferisco lasciarla in pace, finché sta al sicuro. Per questo, ogni volta, le do il tempo di avanzare per conto suo e poi la raggiungo nella radura dove si ferma con i suoi simili, restando nascosta.
- Ci sono altri Ursaring qui intorno?
- Ovvio, siamo sulle montagne, ci sono alcuni branchi ma la mia Ursaring ha già deciso da tempo che il suo è composto da noi due.
- E non hai paura ad andare da sola?
- Certo che no, finché ho questa, non sono per niente indifesa – Maisy sfilò una katana dalla lama affilata e sottile dal fodero che portava legato sulla schiena tramite un elaborato nastro di stoffa colorata.
In quel momento, Hoothoot riprese a volare attorno alla testa di Kyle. Il ragazzo lo lasciò appollaiarsi sulla spalla con entrambe le zampe. Hoothoot gli beccò amichevolmente la testa, come segno d’affetto. Dopodiché si alzò nuovamente in volo e si allontanò dai due. Fermo a mezz’aria, si girò e cercò di richiamare la loro attenzione fischiando acutamente.
- Credo voglia che tu lo segua, Kyle – Maisy stava trafficando con i capelli, cercando di tenerli fermi in un’elaborata coda.
- Vai pure, penserò io a Riolu e Arcanine, li porterò con me a cercare Ursaring.
Kyle si lasciò convincere da Maisy e seguì Hoothoot fuori dalle porte del muro di cinta.
 
I due si inoltrarono sempre più a fondo nel bosco, spingendosi verso le cime più alte della montagna. Hoothoot volava sempre davanti a Kyle, sembrava esplodere di eccitazione. Non faceva altro che fischiare e girare continuamente la testa indietro, per essere sicuro di essere seguito.
Mano a mano che si inoltrarono, Kyle notò come delle note musicali pervadere l’aria. Inizialmente pensò che dovesse trattarsi solamente del vento che fischiava fra gli alberi, ma più avanzavano, più Kyle era sicuro che qualcuno in quel bosco stesse suonando qualche strumento musicale a fiato. Il sottofondo si intensificò passo dopo passo, come se un flusso d’acqua scivolasse fra le corde di un’arpa, provocandone leggere vibrazioni che erano udibili in tutto il corpo. Ciò si trasformò in un crescente di pelle d’oca per Kyle, simile alla sensazione che provava ogni volta che ascoltava la banda di Sur che suonava.
Si sentì avvolto dal suono, quasi sollevato dal pavimento; lui non camminava più, non pensava più, non respirava. Semplicemente, ascoltava, e il suo corpo parve muoversi in completa autonomia.
Sentì il volume aumentare e, sicuro di essere più che mai vicino alla fonte di quel suono che lo stava facendo letteralmente impazzire dalla voglia di ascoltarlo all’infinito, decise di aumentare il passo. Dei colpi, percussioni, si aggiunsero alla melodia, assieme a pizzichi di note che Kyle non aveva mai udito prima. La musica gli invase ogni poro, penetrò a fondo nella sua mente e spazzò via ogni pensiero negativo. Per un attimo si dimenticò addirittura di essere braccato da quando era al mondo, solo per il colore della sua pelle. Non aveva altri pensieri se non scoprire da dove venisse quel suono.
Hoothoot scomparve fra gli alberi poco più avanti, dove una debole luce penetrava fra i tronchi. Kyle lo seguì correndo, inciampando e rialzandosi continuamente. Scostò un grosso volume di foglie di un salice piangente che toccavano terra e si sparpagliavano in ogni direzione, per poi essere inondato dal suono più puro che avesse mai sentito. Davanti ai suoi occhi si aprì una grossa porzione di bosco completamente priva di alberi, piante e qualsiasi altro vegetale che non fosse l’erba sul terreno. Una moltitudine di Pokémon delle più diverse specie si era riversato all’interno della radura nascosta, Kyle vide spiccare quelli che dovevano essere i diversi branchi di Ursaring, un folto gruppo di Pokémon Coleottero di cui della maggior parte non ne conosceva nemmeno l’esistenza, e uno stormo di Noctowl in volo, al centro. Questi e altri Pokémon contribuivano al creare il canto che aveva attirato Kyle in quel posto. Hoothoot si avviò, alto sopra le teste dei presenti, al centro della radura, scomparendo nella fioca luce emanata da qualcosa che era oscurata a Kyle dalla moltitudine di corpi.
Non appena il ragazzo mosse un passo, l’intero coro di Pokémon che cantava e suonava si interruppe, tutti si voltarono verso di lui. Kyle, con tutti quegli occhi puntati addosso, si pentì amaramente di ciò che aveva appena fatto, in parte per aver interrotto quella melodia magnifica, in parte perché la sua timidezza lo stava lentamente facendo sprofondare nell’oblio.
Poi, come se la sua presenza fosse stata annunciata già tempo addietro, i Pokémon si allontanarono su due lati, lasciando un corridoio fra Kyle e il centro della radura. Poco a poco, mentre i Pokémon gli facevano spazio, Kyle venne raggiunto da una sempre crescente luce bianca. Un grosso masso, un perfetto semicerchio dal raggio di almeno una decina di metri, si ergeva lì dove confluiva tutto il flusso di Pokémon.
Sentendosi gli occhi di tutti addosso, Kyle iniziò a muoversi con timore. Non sapeva neanche lui il perché ma sentiva di dover raggiungere quello strano masso che sembrava irradiare luce propria.
Ad ogni passo, un nuovo Pokémon riprendeva il canto interrotto prima, mentre gli altri si richiudevano dietro di lui, bloccando il passaggio. Kyle si trovò così ad avanzare in uno spazio angusto, pieno di Pokémon, dai visi pericolosi o indifesi. Passò di fianco un folto gruppo di Ursaring e riconobbe quella di Maisy. Fu lei a rialzarlo quando inciampò in un Metapod che non aveva fatto in tempo a spostarsi al suo passaggio.
Nota dopo nota, la musica tornò ad essere viva e con essa anche la serenità di Kyle. Così, senza accorgersene, fu ai piedi del masso, Hoothoot di fianco a lui. Il Pokémon saltellò su un solo piede, fino a raggiungerlo. Spinse la testa verso il suo polpaccio, come faceva sempre quando chiedeva di essere coccolato. Kyle si piegò sulle ginocchia e lo prese fra le mani, poggiandoselo sulle spalle. In quel momento alzò gli occhi e vide lo stormo di Noctowl volare su di loro, in una serie di perfetti cerchi concentrici. Tra di loro, giungeva la luce lunare dallo spazio siderale, colpendo in pieno il masso che sembrava assorbirla per poi farla esplodere in ogni direzione.
Mentre i Pokémon continuavano ancora a cantare e a utilizzare i loro corpi come percussioni, Hoothoot si alzò in cielo, diretto al centro delle circonferenze descritte dal volo dei Noctowl.
Quando giunse all’altezza dei suoi simili, due Noctowl partirono in una picchiata verticale, diretti verso di Kyle. Gli artigli delle loro zampe si chiusero sulle spalle del ragazzo, tenendolo non eccessivamente stretto, in modo da non penetrare nelle carni. Lo alzarono in cielo, mentre lui iniziava ad urlare per lo spavento. I Pokémon, come se niente fosse cambiato, continuarono a portarlo in alto, mentre la musica s’interrompeva. Lo portarono fin sopra gli ultimi cerchi di Noctowl, così in alto che Kyle a stento distingueva le forme dei Pokémon al suolo. Cercò di dimenarsi, disperato, alla ricerca di Hoothoot che parve scomparso.
D’un tratto, la musica si arrestò completamente, e i Noctowl lasciarono la presa. Kyle precipitò a testa in giù, dritto verso il suolo. Prese così tanta velocità che i suoi occhi cominciarono a lacrimare e non riuscì a vedere nient’altro che la luce emanata dal masso. Il vento gli sferzava il volto e sembrava lacerargli le carni, mentre il pensiero della morte per un qualche specie di sacrificio da rituale si stampava nella sua mente. Il suolo si faceva sempre più vicino, mentre i secondi si dilatavano, trasformandosi in anni, poi in decenni e in un’infinità di sensazioni ed emozioni diverse, fino alla realizzazione dell’accaduto. Non potendo fare altro, Kyle urlò ad alta voce il nome di Hoothoot quando era ormai prossimo al suolo e la luce del masso sembrava potente quanto mille soli.
Chiuse gli occhi, portandosi le mani davanti al viso in un inutile gesto di protezione.
Ci fu un unico, sordo tonfo, e null’altro. Niente dolore, niente paura, niente emozioni. Kyle si convinse di essere morto ed essere finito al cospetto di Arceus, steso su un morbido cuscino.
Poi il freddo scomparve e il calore di un qualcosa di esterno si sviluppò sulla sua guancia e sulle sue mani. Kyle aprì cautamente gli occhi e per un breve istante rimase accecato dalla potenza della luce sprigionata da quel masso che era a pochi passi dai suoi piedi. Qualcosa sotto di lui si muoveva, sentiva le mani serrate attorno a qualcosa di morbido e piacevole al tatto. Abbassò lo sguardo e fu allora che lo vide, ancora luminoso e fonte di luce, il corpo in mutazione di Hoothoot l’aveva afferrato al volo.
La luce emanata dal corpo del suo Pokémon in seguito all’evoluzione in un Noctowl cominciò ad affievolirsi, mostrando i nuovi tratti che aveva acquisito tramite la metamorfosi il suo Hoothoot. La luce si ritrasse lentamente, lasciando per ultimo il capo del Pokémon, girato di centottanta gradi, i suoi grossi occhi castani e profondi lo scrutavano fra un battito d’ali e l’altro.
Noctowl atterrò quando Kyle era ancora troppo stupito per poter parlare o agire, per poi farlo scendere dalla schiena.
Di nuovo coi piedi sul suolo, Kyle giungeva a stento all’altezza dello sterno del suo Pokémon. La nuova figura, col piumaggio impeccabile e gli occhi scrutatori, ostruiva la visuale a Kyle, impedendogli di vedere che in quel momento il masso aveva smesso di emanare luce e tornava a essere una semplice forma del terreno, bianca e immacolata. Il fascio di luce parve ritirarsi da essa e giungere nuovamente sulla Luna, mentre Kyle si fiondò a braccia aperte su di Noctowl, intendo ad abbracciarlo. In quel momento, la musica esplose di nuovo, mentre i Pokémon esultavano per il successo del loro compagno che era riuscito a evolversi senza alcun problema.
Kyle riuscì a staccarsi unicamente quando Noctowl gli beccò gentilmente su di una spalla.
- Ah, questa proprio non me l’aspettavo.
Kyle si girò, vedendo che Maisy e i suoi Pokémon avevano assistito allo spettacolo. Riolu si precipitò verso di lui, seguito a ruota da Arcanine. Dopo averli rassicurati, i due passarono poi a osservare ed elogiare, a loro modo, il nuovo aspetto del loro amico.
- Tu sapevi cosa stavano per fare? – chiese Kyle, incredulo.
- Questa è la celebrazione della Luce della Luna, i Pokémon che vi prendono parte, se pronti, possono provare a evolversi dopo aver superato una prova e aver dimostrato al Masso Lunare di essere degni. O almeno, io così l’ho interpretata. Purtroppo non capisco i costumi dei Pokémon come vorrei.
- Però – aggiunse Maisy – Sono molto felice che tutti e due ce l’abbiate fatta. Credo non ci sia momento migliore per questo.
Maisy frugò nello zaino che aveva portato con sé, i capelli che scintillavano alla luce della Luna, esaltando la bellezza della ragazza che indossava un kimono argentato, con motivi che ricordavano le varie fasi del ciclo lunare.
- Ecco, queste sono le Poké Ball migliori in circolazione, per Arcanine e, dovrei dire, Noctowl. Sono diverse dalle Poké Ball che conosci, queste ricreano l’habitat naturale del Pokémon e sono in grado di facilitare la rigenerazione di energie e cura dalle ferite. Quella di Noctowl è stata fatta con un nucleo di pioppo e per guscio ho usato solo le migliori ghicocche unite al legno di salice.
Maisy gli porse una prima Poké Ball, completamente argentata, col simbolo di una Luna nuova in rilievo, fatto di legno di salice.
- Questa, invece, è fatta con nucleo di pietra vulcanica. Per l’esterno ho utilizzato dell’ossidiana, assieme alle ghicocche. Nell’antichità era anche chiamata Vetro di Drago.
Kyle prese le due Poké Ball fra le mani, soppesandole e venendo a conoscenza del fatto che sembravano non avere peso.
- Forza, che aspetti a provarle? – la incitò Maisy.
Kyle si voltò, con l’intenzione di chiedere ai suoi Pokémon se loro fossero d’accordo ma non ce ne fu bisogno. I due premettero leggermente il capo sulle Poké Ball, che li raccolsero al loro interno senza il minimo sforzo. Immediatamente, Kyle sentì il calore emanata da quella in ossidiana e il profumo di corteccia d’albero dato dall’altra.
Kyle era ancora senza parole, e Maisy ne approfittò per avvicinarsi e gli cinse i fianchi con un cinturone da Poké Ball. Nel farlo, il ragazzo sentì e inspirò a pieni polmoni il profumo di Maisy e ne restò inebriato.
- Questo cinturone invece te l’ho fatto io, pensavo sarebbe stato più comodo viaggiare con questo piuttosto che tenere le Poké Ball in tasca. Il legno è preso da uno dei rami del mio albero di ghicocche, l’ho lavorato apposta per renderlo flessibile e resistente. Neanche un Incendio di un Charizard potrebbe scalfirlo.
Maisy sorrise, quasi sembrò approfittare della situazione per mettere in imbarazzo Kyle e divertirsi in questo modo.
- Ma aspetta a ringraziarmi – lei gli poggiò un dito sulle labbra, smorzando ogni parola e facendogli accelerare il cuore.
- Questo, è il mio regalo per essere riuscito in così breve tempo a finire il tuo percorso.
Maisy estrasse dallo zaino un piccolo fagotto, circondato da stoffa.
- Per te, e Riolu – gli passò l’involtino di stoffe.
Le loro mani si sfiorarono e Kyle ebbe un altro salto nel vuoto al posto del cuore.
Aprì lentamente il pacco e ne estrasse una piccola Poké Ball azzurra. Il colore sembrava danzare continuamente sulla superfice, creando come un’aura emanata dalla stessa Ball.
- L’ultimo regalo di Earl, prima di scomparire. Il suo Alakazam è giunto da me tempo fa, teletrasportandosi. Mi fece vedere tutto ciò che era accaduto quella sera, quando Earl fu assassinato. Mi disse di aver salvato ciò che era tuo di diritto e che Earl l’aveva messo da parte per quando saresti stato pronto. La Poké Ball ha il nucleo estratto dall’essenza della Lucarite, mentre il guscio è stato fatto con i poteri psichici di Alakazam, non so come ma ha reso tangibile la sua energia psichica, dandomi modo di lavorarla per te. È stata la Poké Ball più difficile mai costruita, ma sono fiera del mio lavoro. Questa è la sola che potrai avere in tutta la vita, trattala bene.
Kyle, completamente senza parole, provò a parlare.
- Unica, in che senso?
- Questa Poké Ball rende il Pokémon e l’allenatore in simbiosi: condividerete tutto, stati d’animo, pensieri, energie.
Kyle rimase a bocca aperta.
- Sì, Kyle, energie. Riolu potrà attingere dalle tue energie fisiche e mentali e tu dalle sue, potrete sorreggervi a vicenda in caso di scontro o in qualsiasi attività. Inoltre, non hai bisogno di nulla per la Mega Evoluzione, quando ne sarà il momento capirai.
Riolu, che aveva ascoltato quelle parole, si avvicinò alla Poké Ball. L’annusò e premette il tasto centrale. Dopo essersi espansa, la Poké Ball si aprì, dando la possibilità a Riolu di prenderne possesso. In quello stesso istante, Kyle sentì la presenza di Riolu al suo fianco e dentro di sé.
Vedendolo, Maisy sorrise.
- Allora, che te ne pare?
- Io… non so come ringraziarti – Kyle ancora non si riusciva a spiegare quelle strane sensazioni e pulsazioni che aveva nella mente.
- Ti ci abituerai – Maisy sorrise, dopodiché lo abbracciò e Kyle si sentì sciogliere, fra il terrore di essersi preso una cotta per la sua maestra.
In quel momento, un violento tonfo e stridere di urla li fece scattare.
Ursaring si parò davanti a loro, giunta a velocità inaspettata dal nulla. Un Noctowl giaceva fra l’erba, riverso sulla schiena, con una ragazza al suo fianco.
Kyle e Maisy corsero verso di loro mentre lei iniziava ad alzarsi. Aveva il viso rigato dalle lacrime e sembrava piuttosto scossa.
- Tu chi sei? – chiese Maisy, mettendosi davanti a Kyle.
Lei riuscì a mantenersi sulle gambe ancora incerte. Il suo sguardo andò a incrociarsi con gli occhi di Kyle, sembrava terrorizzata.
- Io mi chiamo Alice…
Lei svenne, i capelli rossi che guizzarono ovunque quando colpì il terreno.
 

 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo 25 - L'Alba Nuova Scaccia Via Le Tenebre Della Notte ***


L’Alba Nuova Scaccia Via Le Tenebre Della Notte
 
 

Le ore parvero scorrere al rallentatore, fuori, nel grande giardino di Maisy. Lì Kyle era stato confinato, ad aspettare, finché le ferite di quella ragazza non fossero state medicate. Lui aveva passato tutto il suo tempo a camminare avanti e indietro, fra l’osservare le stelle e le sue nuove Poké Ball. In quel frangente, soltanto Riolu gli faceva compagnia, aggrappato sulla sua schiena e la spalla destra. Non sapendo cosa fare, il ragazzo andò vagando come un’anima in pena, euforico per i nuovi doni ma molto turbato dall’arrivo di quella ragazza che non aveva mai visto, neanche a New Hope. Per di più, il fatto che fosse svenuta subito dopo aver detto il loro nome non lo incoraggiava affatto. Se non fosse stato per Ursaring che l’aveva presa fra le sue braccia, starebbero ancora cercando di trascinarla tra i rovi del bosco.
Piena di tagli e probabilmente con qualche ossa rotte, Maisy avrebbe impiegato giorni a guarirla.
Avendo esaurito le idee e soprattutto le forze, dopo gli eventi della notte che moriva, Kyle decise di stendersi sul prato per provare a riposare ma, per quanto si sforzasse, non fu in grado di dormire neanche per un solo minuto. Rimase però con gli occhi chiusi, cercando di trarre comunque del riposo. Riolu lo scosse d’improvviso e Kyle li aprì a malapena.
- Woah, non ne avevo mai visto uno così.
Lo sguardo dei due era diretto sul Sole che, lentamente e timidamente, stava riemergendo dal suo sonno notturno. Le vette in lontananza, colme di neve, fungevano da enormi riflettori, assorbendo le prime e deboli luci del giorno ed espandendole in ogni direzione. Un debole pallore bluastro iniziò a diffondersi nel cielo, colpendo gli occhi di Kyle. Non dovettero aspettare troppo affinché i primi, veri, raggi di luce nascessero; il Sole spuntò appena dal profilo delle montagne e subito la sua luce esplose nel cielo, intervallata dalle zone d’ombra prodotte dalle vette bianche, formando in questo modo un pianoforte fatto di luce e tenebre. Il fulcro di tutto ciò, il Sole, stava ormai prendendo forze e sempre più velocemente saliva nel cielo, completando la sua rinascita. Con velocità crescente, le ombre iniziarono a diventare sempre più corte, mentre la luce solare scomponeva lentamente il fitto buio delle montagne. Kyle rimase immobile finché la luce non colpì direttamente le sue pupille, assorbendo ogni istante di quel magnifico spettacolo.
Probabilmente sarebbe rimasto lì all’infinito se la voce di Maisy non l’avesse chiamato e la mano di lei non gli si sarebbe appoggiata sulla spalla.
- Ho finito con lei, adesso è stabile. Alakazam ha fatto del suo meglio per guarirla, fra qualche giorno dovrebbe risvegliarsi.
Kyle si voltò e vide le mani insanguinate di Maisy. Lei vide la sua espressione e anticipò la sua domanda.
- Non ti preoccupare, è tutto ok. Ti dispiace tenerla un attimo d’occhio mentre io vado a occuparmi di quel Noctowl? Lo conosco, vive qui vicino con il suo stormo, devo aggiustargli l’ala prima di riaccompagnarlo dove si trovano adesso gli altri.
- Sì, certo – Kyle si sforzò di sorridere nonostante le ansie crescenti.
- Ottimo, lei sta in camera mia al momento, dorme nel mio letto.
- Posso entrare oppure devo restare fuori?
- Entra pure. Solo… lasciala riposare, ok?
- Certo, non ti preoccupare.
Kyle si alzò, seguito da Riolu. Si incamminò verso la casa e nel frattempo fece uscire Arcanine e Noctowl dalle Poké Ball. Dopo essersi assicurato che le nuove dimore fossero di loro gusto, li lascò liberi di scorrazzare in giro, assieme a Riolu che si divertiva a saltare dalla groppa di Arcanine a quella di Noctowl e viceversa, rincorrendosi e lottando per scherzo.
 
Una volta dentro casa, Kyle si chiuse la porta alle spalle, smorzando immediatamente i rumori del mondo esterno. Ormai il Sole stava velocemente prendendo possesso del cielo e la sua luce stava adesso inondando il piccolo salotto con annessa la cucina. Kyle decise di spegnere le lampade lasciate accese, notando Alakazam che fluttuava a mezz’aria.
- Tu sei… l’Abra di Earl? – chiese a voce bassa, per paura di disturbarlo.
Il Pokémon aprì gli occhi e, lentamente, appoggiò le esili zampe al terreno. I cucchiai d’argento roteavano attorno alla sua testa sempre più velocemente, quasi fossero smossi dalla forza di un uragano. Alakazam, sempre senza distogliere lo sguardo, li lasciò vorticare sempre più intensamente, diretti verso di Kyle. I cucchiai si fermarono d’improvviso ai due lati della sua testa. Kyle sentì i piedi staccarsi violentemente dal terreno mentre un senso di vuoto lo colpì alla bocca dello stomaco come un montante ben piazzato, mozzandogli il fiato. Tutto divenne scuro mentre i contorni delle figure sfumavano e gli vorticavano negli occhi. Si sentì sul punto di vomitare quando finalmente poté assaporare il piacere del terreno sotto i piedi.
Si trovava nella tenda di Earl, assieme a quest’ultimo c’era Alakazam mimetizzato con le sembianze di un Abra.
- Lo so, lo so. So bene cosa stai dicendo, Alakazam. Qualcuno sta cercando di contattare la mente di Kyle. Mi hai ripetuto più volte che assieme a lui c’era una qualche altra presenza secondaria, che stava prendendo forza dentro di lui.
Alakazam annuì vigorosamente, nessuno dei due parve accorgersi della presenza di Kyle. Lui cercò di comunicare in qualche modo ma nessun suono uscì dalla sua bocca. Si osservò il corpo e solo allora vide di avere le sembianze di un fantasma, gli sembrava di essere fatto di luce incorporea azzurra, simile a fumo mosso dal vento.
Earl stava parlando ancora e quindi Kyle decise di restare ad ascoltare, forse si trattava di un ricordo di Abra, in quanto era certo che Earl fosse morto.
- Devi promettermi che lo terrai d’occhio, amico mio. Ed è di vitale importanza che tu gli porti questa Lucarite. Se i nostri dubbi sono fondati, ne avrà più che bisogno.
Earl consegnò nelle mani di Alakazam una piccola borsa di pelle in cui era custodita la Lucarite, presa dalla sua libreria.
- Qualsiasi cosa succeda, deve andare nelle mani di Kyle. Se dovesse accadermi qualcosa, portala a Maisy, lei saprà cosa fare.
Alakazam annuì, prendendo nelle piccole mani la sfera luminosa. La sollevò coi suoi poteri psichici fino a farla roteare attorno alla testa, per poi occultarla alla vista.
In quel momento ci furono diverse esplosioni. Poi, il grido di Sur che chiamava a raccolta i suoi uomini e Pokémon: era iniziato l’assalto alla loro vecchia casa. Earl parve impaurito ma non del tutto sorpreso.
- Alla fine, ci hanno scoperti. Andiamo, hanno bisogno di noi.
Earl udì dei passi molto più vicini, Alakazam assunse una posizione difensiva. Conscio del fatto che fossero diretti alla sua tenda, rimise in atto la sua scena.
- Abra, preparati, stanno arrivando – fece Earl, udendo i passi che svelti si avvicinavano alla sua tenda.
Kyle assistette alla lotta che ci fu in quella tenda, rimanendo spiazzato dalla velocità e facilità con cui Earl si sbarazzò dei suoi nemici. Vide infine il breve scambio di battute fra l’uomo che era apparso dal nulla, quasi scambiato per Cole data la loro somiglianza, con il suo Zekrom. Pochi attimi prima di morire, Earl comunicò mentalmente ad Alakazam di fuggire con la Lucarite. Nonostante il Pokémon si oppose, Earl l’obbligò ad accettare i suoi ordini, e Alakazam fuggì, lasciando il suo allenatore morire nell’esplosione.
Poco dopo, venne trasportato assieme ad Alakazam al cospetto di Maisy. La ragazza strillò appena lo vide, poi lui si accasciò al suolo, col corpo completamente ricoperto di ustioni e gambe e braccia piegate in posizione innaturali. La Lucarite scivolò via dalle dita del Pokémon e rotolò via.
Poi, Kyle sentì nuovamente la sensazione di venir catapultati via e si ritrovò di nuovo al cospetto di Alakazam.
- Chi… chi era quell’uomo? Non era Cole, vero?
Alakazam scosse la testa.
- Tu lo conoscevi?
Ancora la stessa risposta.
- Hai già fatto vedere queste cose a Sur, Cole o qualcun altro?
Alakazam stavolta annuì, poi gli diede le spalle e scomparve nel nulla, diretto chissà dove.
Kyle rimase qualche istante, ancora non del tutto ripresosi dallo shock. Poi si ricordò della richiesta di Maisy e si diresse nella sua stanza da letto, per la prima volta da quando si trovava lì.
Entrò cercando di fare quanto più silenzio possibile e si richiuse la porta alle spalle. L’interno, escluso l’enorme armadio, qualche sedia e il letto a due piazze, era completamente privo di arredo. Sul fondo si apriva un’altra porta che Kyle pensò dovesse trattarsi del bagno.
Le finestre erano socchiuse, la luce del giorno entrava a stento fra gli infissi, diretto verso il letto, per poi fermarsi ai suoi piedi. Il Sole non era ancora spuntato del tutto e la debole luce faticava a farsi strada all’interno della stanza.
Alice stava adesso riposando al di sotto delle coperte, con solo testa e braccia lasciate scoperte. Kyle notò immediatamente le medicazioni fatte da Maisy, fra le quali spiccava l’enorme fasciatura sul cranio che imprigionava gran parte dei capelli di lei e alcune sulle braccia, dove i tagli erano maggiori. A differenza di poche ore prima, l’espressione sul suo viso era serena e il respiro era regolare. Kyle le si avvicinò timidamente, trascinandosi una sedia. Sussultò quando le scivolò da mano e colpì il pavimento. Si affrettò ad alzarla e si voltò verso di Alice, impaurito di averla svegliata ma lei parve non essersi accorta di niente.
Kyle si sedette di fianco al letto, prendendo posto sulla sedia. Non sapendo cosa fare, passò il tempo osservando la camera che pareva ripetersi nello stesso modo, parete per parete. Spinto dalla curiosità, spostò il suo sguardo sulle mani esili di Alice. Il colorito della sua pelle era completamente fuori luogo per lui, abituato a convivere con tutt’altre persone. Gli ricordò quasi una mozzarella, quando sovrappose il suo braccio al suo. Rise, forse troppo forte, perché subito dopo si pentì del suo gesto e tornò rigidamente a essere immobile.
Però continuò a osservarle le bracca, dove i tagli più piccoli si trovavano soprattutto sul lato esterno, e le mani, come se avesse provato a difendersi da qualcuno o qualcosa che la notte precedente li aveva attaccati.
Il tempo scorreva e Kyle continuò a restare immobile sulla sedia, a volte girandosi i pollici, a volte lanciando frugali occhiate ad Alice, soffermandosi per molto tempo sul suo viso. Non voleva farlo, ma era più forte di lui. Fino ad allora, aveva vissuto sempre e solo fra la sua gente e, a parte poche persone come Maisy, Green o Blue, una persona con la pelle bianca era per lui una novità. Soprattutto se si aggiungevano i capelli rossi di lei e le sue lentiggini. Kyle si sporse verso il piccolo ceppo che faceva da comodino a Maisy, lo stesso che lui in persona aveva levigato e da cui aveva rimosso ogni scheggia, rendendolo quasi morbido al tatto. Lì erano appoggiati gli occhiali da vista di Alice, spezzati al centro ma con i vetri ancora intatti. Un paio di giri di nastro isolante tenevano unite le due metà, anche se la simmetria fra i due vetri era stata minata. Era sicuro che ormai non avrebbero mai più trovato la forma originale e che sarebbero dovute essere sostituite.
Li prese fra le mani vedendo, flebile, il suo riflesso nelle lenti. Diede un’altra rapida occhiata ad Alice per assicurarsi che stesse dormendo ancora, poi li inforcò. Divenne praticamente cieco all’istante, vedeva tutto sfocato e gli venne il capogiro in pochi attimi. Dovette toglierli rapidamente, mentre gli occhi iniziavano a lacrimargli copiosamente. Li posò nuovamente sul ceppo con una mano e nel frattempo cercò di riprendere il controllo della vista, ripulendo gli occhi dalle lacrime che sembravano non voler smettere di uscire.
Quando Maisy fece finalmente ritorno, Kyle era stremato dalla notte passata in bianco e l’intera mattinata passata su quella sedia, in posizione scomoda e perennemente con un’ansia addosso che non si sapeva spiegare. Dopo le rassicurazioni di lei sulla salute del Noctowl che aveva trasportato lì Alice, i due andarono a cucinarsi qualcosa. Mangiarono velocemente e senza molto appetito, dopodiché Maisy uscì nuovamente annunciando che doveva mettersi in contatto con Blue e raccontarle dell’accaduto e che sarebbe mancata tutto il giorno.
- Tu riposa, Kyle. Ti chiedo solo di dare uno sguardo ogni tanto alla nostra ospite, non vorrei che peggiorasse. Alakazam resterà qui con te, in caso serva aiuto.
Lui accettò a malincuore, sentendo il peso della stanchezza premere con violenza sulle palpebre. Osservò Maisy prendere le sue cose, per poi uscire fuori e partire, assieme a Ursaring. Arrivata fuori dalle mura, salì in groppa al Pokémon e scomparvero nella foresta. Kyle si spinse fino al grosso portone, per poi chiuderlo e sigillarlo dall’interno, per evitare altre esperienze negative.
- Restate qui, voi, ma se sentite o vedete qualcosa di sospetto, avvisatemi subito. Noctowl tu pattuglia i cieli, fatemi sapere se c’è qualcuno nei paraggi che non dovrebbe essere qui.
Si accomiatò così dai suoi amici e compagni, diretto alla sua camera. Lì si lasciò cadere sul letto e si addormentò quasi subito.
 
Dopo un breve periodo di tre ore, che a Kyle parvero dieci anni, il ragazzo si risvegliò con la luce del pomeriggio morente che entrava nella stanza dalla finestra lasciata aperta. Sentì dei brividi e in quel momento si ricordò di essersi addormentato senza neanche tirarsi su le coperte e adesso quel vento freddo l’aveva costretto a svegliarsi.
Si alzò e si diresse verso i fornelli, dove rubò del pane per la cena e un paio di fette di bacon essiccato. Mandò giù il tutto con un paio di sorsi d’acqua e andò fuori a osservare i suoi Pokémon che dormivano adesso placidamente all’ombra dell’albero di ghicocche.
Diede un ultimo sguardo al cielo che piano piano tornava ad assumere le tonalità della notte e tornò dentro, diretto in camera di Maisy.
Alice dormiva ancora, noncurante di ciò che le accadeva intorno. Kyle notò, però, che la ragazza stava sudando copiosamente. Si affrettò vicino al letto e le toccò la fronte, scoprendo senza sorpresa che era rovente. Controllò che le finestre fossero chiuse correttamente, in modo che neanche uno spiffero potesse passarci, dopodiché corse fuori a cercare Alakazam che fino a poco fa era in salotto. Non trovandolo, si diresse all’armadio dei medicinali, da cui prese degli antibiotici e dell’acqua. Quando tornò in camera, Alakazam era chino su di Alice, i suoi cucchiai vorticavano lentamente nell’aria, subito sopra la ragazza, emettendo una strana luce verdastra. Kyle si avvicinò timidamente, pauroso di intralciare le azioni di Alakazam. Ma quando quest’ultimo lo vide, si fece da parte, indicando prima le pillole che Kyle aveva in mano, e poi Alice.
- Come gliele diamo? È incosciente, potrebbe affogarsi.
Ma Alakazam insistette. Fu solo quando Kyle si decise ad aprirle la bocca e provò a farle ingoiare i medicinali che capì: Alakazam stava usando i suoi poteri psichici per controllare le azioni del corpo inerme di Alice, muovendo gli organi digerenti per lei. La ragazza riuscì a ingerire senza alcun problema gli antibiotici e parve non essersi accorta di essere stata manipolata contro la sua volontà.
Anche grazie alle cure di Alakazam, Alice aveva perso ogni minimo particolare facciale che tradiva una sofferenza interna, seppur ancora zuppa di sudore.
Kyle le tolse le coperte di dosso, felice del fatto che Maisy si era data pena di cambiarle abito prima di metterla a letto, prestandole una delle sue tute da allenamento. Con delle pezze passategli da Alakazam, Kyle le asciugò il sudore dalla fronte, braccia e gambe, non osando spingersi oltre. Non aveva intenzione di scoprirla ulteriormente senza neanche la sua approvazione. Per non parlare del fatto che non voleva che fosse questo il modo in cui avrebbe visto per la prima volta un corpo femminile. Con cura e cercando di fare meno movimenti possibili, Kyle cercò di legarle i capelli, senza successo, sperando che in questo modo avrebbe sudato di meno. Fu in quel momento, quando le alzò delicatamente la testa, che capì che il letto era zuppo di sudore.
Completamente nel panico, Kyle non sapeva più cosa fare, sicuro che Maisy gli avrebbe dato la colpa per questo. Pensò che la cosa migliore sarebbe stata cambiarle le coperte e quindi sollevò Alice, prendendola in braccio a fatica. La testa di lei gli andò a finire sulla spalla mentre lui gli reggeva la schiena e le gambe. Fece un paio di passi indietro, incerto sul dove andare. Pensò di spostarla momentaneamente sul suo letto ma Alakazam fu più rapido di lui. Con un solo pensiero, aprì l’armadio e ne trasse lenzuola e coperte pulite, compreso un cuscino di riserva. In un attimo spostò le sporche dal letto e lo ricoprì con le nuove, facilitando di molto il compito a Kyle.
- Grazie – bofonchiò Kyle, mentre riponeva nuovamente Alice nel letto.
Lei parve non aver notato alcun cambiamento, tranne per il fatto che adesso respirava nuovamente in modo regolare e già scottava di meno. Kyle la ricoprì con la coperta lasciandole, come prima, le braccia scoperte, distese lungo il corpo.
Si allontanò di poco dal letto, per avere una visione più ampia ed essere sicuro che tutto andasse bene. Alakazam stava prendendo posto su una sedia, anche se non vi era seduto direttamente ma fluttuava a mezz’aria su di essa. Una ciocca di capelli era ricaduta sul volto di Alice, e Kyle si sentì disturbato da quel particolare che pareva distruggere tutta l’armonia che si era creata in quell’istante sul volto ora sereno della ragazza. Senza pensarci due volte, scostò lentamente la ciocca, lasciandola ricadere poi di lato, quasi sfiorò la pelle di Alice nel farlo nonostante si fosse sforzato di evitare di disturbarla oltre.
Quasi urlò di paura quando sentì dei colpetti alla finestra. Si girò di scatto, portando istintivamente la mano alla cintura delle Ball. Fuori, sul davanzale, un piccolissimo Hoothoot trotterellava sul legno, carico di energia e come se avesse una gran fretta.
Kyle si avvicinò alla finestra e l’aprì, facendo entrare quell’Hoothoot che era così piccolo da poter entrare nella sua mano. Legata alla sua zampa, c’era un foglio arrotolato su se stesso e tenuto fermo da un nastro che sembrava molto simile a quelli che Maisy usava per legarsi i capelli. Il Pokémon allungò quella zampa in sua direzione.
- È per me?
A quelle parole il Pokémon parve gonfiarsi d’onore, avendo portato a termine il suo incarico.
Kyle prese il foglio e iniziò a leggere.
 
Kyle, so che la notizia non ti piacerà affatto. Ho incontrato Blue, anche loro hanno avuto un visitatore inaspettato. Tranquillo, stanno tutti bene qui, però devo correre in delle cave situate su vari punti delle montagne qui intorno, Green e Blue hanno bisogno di vari materiali. Non ho tempo di spiegarti cosa, sto per partire con Ursaring ma fidati di me e non temere, al massimo tre o quattro giorni e sarò da te. Sai dove si trovano le varie provviste.
Ho chiuso il passaggio a chiunque nei paraggi, i miei amici Pokémon pattugliano già i cieli e il sottobosco, non hai di che preoccuparti. A meno che non sia io o uno dei miei, non aprire a nessuno e non uscire dalle mura esterne.
Prenditi cura di Alice, sono sicura che saprai cavartela anche con questa prova.
Rimandami indietro Apollo (sì, è un nome stupido per un Hoothoot così piccolo, ma gli piaceva) con la descrizione della Ball di Riolu, così saprò che sei tu e la lettera non è stata intercettata.
Ci vediamo presto.
P. S. se Alice dovesse svegliarsi, dille che il suo amico è con noi.
 
Ed ecco che la sensazione di panico lo colpì nuovamente. Era solo, doveva badare a una sconosciuta e chissà cosa stava succedendo di così importante lì fuori, dove lui non poteva neanche mettere piede. Corse lo stesso a prendere carta e penna e a rimandare Apollo indietro con la risposta, mosso soprattutto da un rinnovato senso del dovere. Non avrebbe deluso Maisy per nulla al mondo.
Kyle passò il resto del giorno a organizzare mentalmente il necessario per i giorni a venire. Preparò la cena e, dopo essersi rifocillato assieme ai suoi Pokémon, tornò nella camera di Maisy. Trascinò a fatica il piccolo divano con sé, facendogli prendere il posto della sedia scomoda. Qui si addormentò e passò la notte.
 
I giorni successivi furono un semplice susseguirsi delle mansioni che svolgeva normalmente, come la raccolta dell’acqua o la legna per il fuoco. Kyle decise di continuare ad allenarsi almeno un’ora al giorno, subito prima del pranzo e dopo aver controllato le condizioni di Alice che, adesso, sembrava essersi stabilizzata. A parte questo, passava tutto il suo tempo vicino al suo letto, come se la sua presenza bastasse a evitare altre complicazioni al recupero della ragazza.
La sera del terzo giorno si stava avvicinando e Kyle aveva appena finito di chiudere tutte le finestre della casa, sigillandole, in previsione della tempesta che sembrava essere prossima allo scatenarsi.
Quella notte i suoi Pokémon entrarono e dormirono in casa, mentre pioggia e vento frustavano ogni cosa all’esterno delle robuste mura della casa. Ma, per fortuna, niente sembrava essere in grado di entrare e il fuoco nel camino rendeva le stanze più accoglienti. Noctowl fu più che felice di appollaiarsi sul divano, più che altro riposando a occhi aperti. Lì vicino, sempre nel salotto, Riolu cercò di ottenere le attenzioni di Alakazam, attratto dal Pokémon che era in grado di manipolare la materia come lui non era ancora in grado di fare. Riuscì infine a ottenere il suo favore e si addormentò sulle sue gambe incrociate, durante uno dei suoi continui periodi di meditazione.
Kyle, invece, si era completamente trasferito in camera di Maisy e, sebbene avesse timore di coricarsi di fianco ad Alice per paura di farle del male in qualche modo, riuscì a trovare un valido compromesso fra il dormire vicino a lei per essere presente a ogni evenienza e la necessità di poter finalmente coricarsi in un posto comodo: Arcanine si era steso di fianco al letto, prendendo posto su un grosso tappeto, Kyle si stese sulla sua groppa dal pelo caldo e morbido. L’aria aperta delle montagne aveva giovato molto al Pokémon, restituendogli la magnificenza che anni di prigionia avevano adombrato.
Il calore che emanava il corpo di Arcanine era tale da non far rimpiangere la coperta del suo letto. Non stava neanche troppo scomodo, anzi, non aveva di che lamentarsi. Quella era, forse, la prima notte in cui avrebbe dormito un po’ più decentemente.
Si girò un’ultima volta verso di Alice, controllando che fosse tutto ok. Il fatto che respirava tranquillamente era un ottimo segno.
Kyle fece posto sul ceppo di fianco al letto, dove erano posati gli occhiali e la Poké Ball di lei e ci mise il suo cinturone con le sue Ball. Quella di Riolu continuava a emanare una leggera luce azzurra, come mossa dalle onde dell’acqua. Il suo tatto rassicurò il ragazzo quando entrò in contatto con le emozioni di Riolu.
Controllò che la fronte di lei non scottasse, dopodiché si assicurò che le mani non fossero troppo fredde, sempre con delicatezza e con timore, quasi come se a toccarla, si sarebbe potuta infrangere come vetro. Rassicurato, affondò la testa nel pelo di Arcanine e si addormentò.
 
Al suo risveglio, gli avvenimenti degli ultimi giorni parvero sfocarsi davanti ai suoi occhi. Le forze sembravano essere ancora minori di quando era arrivato il sonno, come un macigno in un lago.
Si sforzò di aprire gli occhi e, nonostante la vista annebbiata, riuscì a capire di trovarsi in un posto che non conosceva affatto. Si tirò su a sedere, puntellandosi sui gomiti e fu allora che capì che qualcosa la stava bloccando. Spostò lo sguardo sul suo braccio destro e in quel momento vide un enorme Arcanine, su cui era steso un ragazzo di colore, mai visto prima, che le teneva stretta la mano nella sua.
Lui si stava lentamente svegliando. Il suo sguardò si fermò prima sulla sua mano, poi, come confuso, alzò gli occhi verso di lei. Quando vide che era sveglia, arrossì immediatamente e cercò di ritrarre la mano, non prima però che Alice potesse urlare.
L’Arcanine si svegliò di soprassalto, facendo cadere il ragazzo che imprecò quando colpì il pavimento con la testa. La porta si spalancò ed entrò un piccolo Pokémon che Alice non riconobbe e un Noctowl, forse quello che li aveva trasportati fin lì.
- Calma, calma! – gli urlò lui quando si rialzò e si avvicinò al letto.
Lei provò a colpirlo col cuscino, l’unica cosa a portata di mano. Quelli che dovevano essere i Pokémon del ragazzo guardavano incuriositi la scena.
- Non voglio farti del male, Alice!
Sentendo il suo nome, la ragazza si fermò di botto.
- Come conosci il mio nome?
- Ce lo hai detto tu, prima di svenire. Poi io e Maisy ti abbiamo portato qui e…
- Chi sei? – l’interruppe lei, bruscamente.
- Immagino che non sia il modo migliore per presentarci, scusami ma Maisy mi ha chiesto di prendermi cura di te e dato che pochi giorni fa avevi la febbre forte, ho preferito dormire qui in modo da essere più reattivo, stavolta. Comunque, io sono Kyle, davvero non ricordi niente? – lui gli allungò la mano ma lei l’ignorò.
Lentamente, quando la mano di Kyle tornò al suo posto, Alice riprese a parlare.
- Dov’è Bucky, che gli avete fatto?
- Chi è Bucky? Il Noctowl che ti ha portato qui si chiama così?
- No, Bucky è il mio amico, volava con me finché non ci hanno attaccati… Poi non ricordo più nulla.
Kyle sentì raggelarsi il sangue, non sapeva come dirle che era sola.
- Vedi… quando ti abbiamo trovato, beh… tu eri sola. Sei piombata giù dal cielo con quel Noctowl. Io e Maisy, la mia maestra, ti abbiamo soccorsa e portata qui. Poi ha dovuto raggiungere delle persone, credo che Bucky sia con loro. Maisy dovrebbe tornare a breve, spero. Poi sicuramente ti porteremo da lui.
Alice, a quel momento, si rese conto delle bende che le fasciavano le vari parti del corpo e i vestiti non suoi.
- Non ti preoccupare, ha fatto tutto Maisy, io non c’ero – puntualizzò subito Kyle.
Alice continuò a fissarlo, colma di dubbio e impaurita.
- Non voglio farti del male, davvero. E il mio Arcanine è un cucciolo, non spaventarti per la stazza. Lui invece è Riolu, mi accompagna da praticamente sempre. Di là invece ci sono il mio Noctowl e Alakazam, anche lui ha aiutato a curarti.
- Ho sognato che un Alakazam mi ripuliva il letto mentre qualcuno mi teneva in braccio… - rifletté lei.
Kyle, visivamente in difficoltà, sembrò rimpicciolirsi.
- In realtà, lo abbiamo fatto davvero. Io ti ho presa in braccio mentre Alakazam ha cambiato le coperte. Avevi sudato tantissimo e non potevamo lasciarti così. Ti ho asciugato il sudore e lavato con acqua calda braccia e viso, poi ti ho rimessa a letto.
- Quanto tempo ho dormito?
- Contando anche questa notte, circa quattro giorni.
- E tu sei stato qui tutto il tempo?
- Beh, non proprio tutto, ho anche dovuto mangiare ogni tanto e fare delle cose. Ma sì, la maggior parte del tempo l’ho passata qui. Maisy mi avrebbe ucciso se ti fosse successo qualcosa.
Il piccolo Pokémon, Riolu, balzò sul letto e le si avvicinò. Allungò una zampa e le porse il palmo. Spinta da una strana sensazione, lo prese fra le sue mani. Il contatto del Pokémon la rassicurò e le infuse le sue sensazioni e la fiducia che aveva nel suo allenatore. Vide sprazzi dei suoi ricordi, compreso quello della notte precedente, quando Riolu si era affacciato dentro la stanza per assicurarsi che Kyle stesse bene e li aveva trovati con le mani vicine. Vide il suo salto sul letto e il momento in cui avvicinò le loro mani, finché non si strinsero una nell’altra. Ci fu una debole luce verde ad avvolgere le mani dei tre, poi il senso di dolore dal viso di Alice sparì.
- Ehi, tutto bene? – la voce di Kyle la riscosse.
- Grazie.
- Come?
- Grazie per quello che hai fatto per me.
- Oh… beh, figurati – qui Alice fu certa di vederlo arrossire nuovamente.
Si ricordò della Poké Ball in quel momento.
- Il mio Gallade!
- Tranquilla, è qui.
Kyle le porse gli occhiali, lei li inforcò con una smorfia. Notò subito che le lenti erano state rovinate.
- Mi dispiace, ho fatto del mio meglio per aggiustarle. Sono dovuto ritornare con la luce del sole per trovare la parte mancante. La Poké Ball è intatta, però.
Alice la prese fra le mani, facendo fuoriuscire immediatamente Gallade. Lui le si lanciò incontro, sul letto, per cingerla in un abbraccio.
Dopodiché, il Pokémon si interpose fra lei e gli altri, in posa difensiva.
- Tranquillo, Gallade, sono loro che ci hanno salvati dai Sacerdoti.
- Vi hanno attaccati quei figli di puttana? – a Kyle venne spontaneo l’insulto, stranamente questo la fece sorridere.
- Vedo che l’esercito del mio patrigno è famoso anche qui.
Vedendo l’espressione di stupore sullo sguardo di Kyle, Alice raccontò brevemente la sua prigionia e la fuga, assieme all’amico, tralasciando i dettagli importanti e più significativi, come la morte dei suoi genitori.
- Anche io sarei fuggito. Forse avrei portato un po’ più di mangiare con me. A proposito di mangiare, credo tu abbia fame.
Quelle parole parvero magiche. In quell’istante, Alice sentì il suo stomaco fremere violentemente e si accorse che Gallade era dello stesso avviso.
- Credo fosse un sì – Kyle sorrise.
- Io vado di là a preparare qualcosa per la colazione. Il bagno, credo tu voglia usarlo, è dietro quell’altra porta. Aspetta solo un attimo.
Lui sparì in quello che Alice intravide come il salotto, seguito dai suoi Pokémon. Lo sentì inveire un paio di volte davanti a Riolu che probabilmente aveva provato a sgusciare nuovamente nella sua stanza, finché l’abbaio di Arcanine l’aveva dissuaso dal fare altro.
Poco dopo, Kyle rientrò dentro la stanza, reggeva fra le mani i vestiti nuovi che Bucky le aveva fatto.
- Si è rovinata, ho provato a sistemare la maglia ma non c’è stato niente da fare. I pantaloni sono integri, però.
Glieli consegnò, poi allungò anche l’altra mano.
- Ecco, prendi, puoi indossare questa nel frattempo.
Alice prese fra le sue mani una vecchia maglia degli Arctic Monkeys.
- Era quella in migliori condizioni che io abbia, almeno è qualcosa.
- Grazie ancora – Alice si sforzò di sorridere.
Kyle rimase immobile qualche secondo, poi l’imbarazzo parve impossessarsi nuovamente di lui.
- Beh, io vado allora. Quando hai finito in bagno vieni pure, ti aspetto di là per la colazione. Ti piacciono i waffles?
- Li adoro.
Kyle sorrise, poi scomparì.
 
Una mezz’ora di bagno bollente, con l’acqua riscaldata dalle fiamme di Arcanine, Alice uscì in salotto. Kyle era solo, indaffarato con piatti e altre cose, i suoi Pokémon erano probabilmente fuori.
- Oh, eccoti. Se vuoi, Gallade può uscire fuori con Arcanine, Riolu e Noctowl. Non c’era spazio per loro, qui, quindi ho preparato fuori.
- Non ti preoccupare, starò bene – Alice lo rassicurò e lo vide uscire fuori.
Immediatamente, Riolu gli si attaccò ai talloni e non si staccò durante tutta la colazione.
- Scusalo, è molto affettuoso, deve aver captato i poteri di Gallade.
Lui gli passò il piatto con i waffles mentre lei si legava i capelli con un codino che aveva trovato nel bagno. Notò che aveva messo sottosopra la cucina nel tentativo di preparare la colazione.
- Nutella o marmellata?
- Marmellata, come ce l’hai? – rispose lei.
- Albicocca, ciliegia e… fragola. Come la preferisci?
- Fragola.
- Oh, allora voi tizi religiosi pazzi avete almeno un buon gusto.
Lei lo fulminò con lo sguardo e iniziò a mangiare.
Kyle si fermò un attimo a osservarla. Alice fu sicura che la stesse fissando anche se aveva la testa abbassata. Quando l’alzò, Kyle sobbalzò.
- È anche la mia preferita – provò a scusarsi lui.
- Allora anche i selvaggi hanno gusti decenti – disse lei, senza alzare lo sguardo.
Si sentì stupida subito dopo averlo detto, non sapeva cosa le fosse preso.
Per fortuna, Kyle rise.
- Almeno io mi lavo ogni giorno, e non una volta la settimana – la punzecchiò lui.
- Ehi! – lo colpì sul braccio con la forchetta.
Per un istante, fu come se niente fosse accaduto e nessun Sacerdote con uno stormo di Salamance l’avesse seguita e attaccata.
Poi, la porta si aprì. Una giovane donna entrò, affiancata da un’imponente Ursaring, entrambe dall’aria esausta.
- Maisy, sei qui! – Kyle balzò in piedi e corse da lei per sorreggerla. Fuori, i Pokémon, iniziarono ad agitarsi.
- Dobbiamo fuggire di qui, i Sacerdoti stanno arrivando. Svelti, a New Hope.
Alice non capì cosa stesse succedendo finché Kyle non le lanciò uno zaino addosso.
- Qui ci sono provviste e le tue cose, svelta, prendi Gallade e andiamo. Ti spiegheremo strada facendo.
Alice ubbidì silenziosamente e si mise a seguirli. La luce del Sole le fece male agli occhi, troppo abituati all’oscurità.
Nel grande giardino, davanti alle porte d’ingresso, c’erano tre Sacerdoti coi loro Salamance.
- Via di qui, a loro penso io.
Maisy sguainò la katana. Ursaring ruggì furiosa, alzandosi sulle due zampe posteriori.
Kyle, conscio del fatto che la sua maestra era irremovibile e sapeva quel che faceva, prese la Poké Ball di Noctowl e lo chiamò. Spinse a forza Alice sul suo dorso e la seguì. Volarono per qualche centinaio di metri, per poi ridiscendere nella foresta.
In lontananza, le grida di battaglia infuriavano.
 
 

 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo 26 - Tramonto ***


Tramonto
 


Kyle correva ormai senza più fiato nei polmoni. Ogni passo successivo incideva sempre di più sulla fitta sul fianco. Dietro di lui, Alice arrancava con difficoltà fra alberi, radici e piante varie. La sentì inciampare e cadere. Kyle si fermò di scatto e tornò indietro. L’aiutò a rialzarsi, issandola a forza. Lei era ancora troppo debole e lo sforzo la stava minando molto più di quanto stesse facendo a Kyle, abituato fin da piccolo a correre o morire. Alice non si oppose quando lui riprese a correre, stavolta trascinandola, mano nella mano. La guidò nel sottobosco, schivando rami e arbusti quanto più velocemente possibile. Non ricordava la strada esatta fatta all’andata, quindi dovette affidarsi all’istinto.
- Aspetta… non ce la faccio… più…
Alice cadde nuovamente, stavolta senza inciampare in nulla.
Kyle si voltò verso di lei, col cuore che gli martellava nel petto.
- Ti sei fatta male?
- No. Ho solo i polmoni che vanno a fuoco e una decina di tagli praticamente ovunque – respirò a fondo – Perché dobbiamo correre così tanto? Ormai li abbiamo seminati.
- Si vede che non conosci le guardie del tuo patrigno. Corrono, e anche tanto. Ma la loro particolarità è quella di arrivare come un gregge di pecore, chissà quanti ce ne sono qui fuori.
- E allora perché non andiamo via con Noctowl?
- Pattugliano i cieli, secondo te perché ho allungato più volte, evitando di passare per delle radure prive di alberi? Ci sono dei Salamance in cielo, ne ho visti almeno una decina da quando abbiamo iniziato a correre.
- Arcanine?
- Lascia orme troppo visibili, li condurremmo dritti a New Hope. La città è nascosta dagli occhi ostili tramite dei campi psichici che scombussolano i sensi. Si è convinti di andare dritto, ma in realtà si fa il giro del perimetro e quindi non si incontra la città. Inoltre è resa invisibile, sarebbe strano sparire nel nulla.
Alice parve aver inghiottito un pugno di sabbia e il suo viso divenne molto più cupo.
- Io non ce la faccio più. Non ho le forze per fare un altro passo.
- Non posso prenderti sulle spalle, non sono abbastanza forte per correre per tutti e due.
- Mi dispiace, forse dovresti semplicemente lasciarmi qui, tanto non mi faranno niente. Altrimenti Artorius li ucciderà.
- Artorius?
- Sua Santità, è il suo vero nome. L’ho scoperto da sola, forse sono ormai l’unica a conoscerlo.
- Che nome ridicolo – Kyle rise.
Prese la Poké Ball di Arcanine e lo richiamò fuori. Spiegò in breve la situazione e il Pokémon si avvicinò ad Alice, per poi accucciarsi vicino a lei, stendendosi sulla pancia, per permetterle di salirgli in groppa.
- Non hai detto che ci avrebbero seguito facilmente?
- Sì. Ma, beh, non posso lasciarti indietro. Avrei sprecato quattro giorni della mia vita, altrimenti.
Kyle si avvicinò ad Alice e l’aiutò ad alzarsi. Dopodiché salì in groppa da Arcanine e tese una mano alla ragazza, issandola sul dorso del Pokémon.
- Tieniti forte, Arcanine sa essere fin troppo veloce quando vuole.
Si avvicinò all’orecchio del suo compagno.
- Corri, Arcanine, mostraci cosa significa “fretta”.
Il Pokémon si drizzo sulle zampe e, dopo aver ruggito, sprigionando scintille dalle mascelle, partì al galoppo. Immediatamente, Kyle e Alice vennero sbalzati all’indietro e sarebbero caduti, se non si fossero mantenuti al pelo del Pokémon con tutte le loro forze.
Arcanine sembrava conoscere già tragitto e destinazione, tanto veloce svoltava, evitava alberi e saltava rocce e piccoli dirupi. Diverse volte Alice ebbe paura di essere sbalzata dalla sua groppa e, per timore che ciò accadesse, si strinse forte a Kyle, cingendogli la vita con le braccia. Appoggiò la testa alla sua schiena e chiuse gli occhi, sferzati dal vento incessante.
 
Corsero così per molto tempo, ogni tanto Kyle le urlava di abbassarsi e un ramo sfrecciava sulle loro teste subito dopo.
Arcanine accelerò di colpo e Alice poté vedere distintamente delle figure sfrecciare nel cielo sopra di loro.
- Ci hanno trovati! – urlò nel vento, sperando che Kyle la sentisse.
Come in risposta, Arcanine voltò di colpo, immergendosi nella boscaglia. Però, poco dopo, un enorme Salamance piombò in verticale dal cielo, tagliandogli la strada con un potente getto di Dragospiro.
Arcanine si lanciò fra le fiamme azzurre e ne uscì indenne dal lato opposto. Si girò immediatamente a fronteggiare l’assalitore.
Kyle lo fermò e allentò la presa delle mani di Alice.
- Resta qui, Arcanine ti proteggerà.
- Dove vai? Dobbiamo scappare.
- Sarebbe inutile, è troppo veloce.
- E cosa intenderesti fare? Quello ha un Salamance, vuoi lottarci?
Mosso da un improvviso moto di coraggio, Kyle ispirò a fondo.
- Sì.
Scese dalla groppa di Arcanine e si diresse a grossi passi verso il Sacerdote che ora scendeva dal suo Salamance.
- Consegnaci Miss Alice.
- Fottiti, è sotto la mia protezione – Kyle si stupì di sé stesso. Cole sarebbe stato fiero di lui.
- Ragazzino non mi ripeterò due volte.
- Neanche io – la mano scivolò automaticamente sull’impugnatura della sua Colt, per poi abbassare il cane e togliere la sicura.
Il Sacerdote prese una Poké Ball e fece rientrare Salamance. Dopodiché ne prese un’altra da cui chiamò in campo un Tauros.
Il Pokémon scalciò violentemente con le zampe posteriori, poi prese a raspare il terreno con tale furia da sembrare completamente fuori controllo.
Kyle era deciso a lottare utilizzando Riolu, ma qualcosa nella Poké Ball di Noctowl lo fece tentennare. Il Pokémon stava tentando di comunicargli qualcosa tramite la sfera. Sentì il battito del cuore e il calore provenire dalla sfera. La sicurezza che ne veniva emanata finì col contagiarlo.
- E va bene, d’altronde tu conosci benissimo questi boschi, vediamo se l’allenamento è servito a qualcosa.
Noctowl apparve davanti a Kyle, a mezz’aria. Non un suono tradì la sua presenza; i suoi enormi occhi erano puntati fissi sul suo avversario. Sembrava quasi non muoversi.
- Non perdiamo tempo. Tauros usa Incornata.
Il Pokémon muggì violentemente prima di lanciarsi all’attacco, a testa bassa. Le sue corna sferzarono l’aria mentre le zolle di erba vorticavano attorno ai suoi zoccoli. Noctowl riuscì a schivarlo senza problemi, spostandosi di lato poco prima di venire colpito. Kyle si spostò per evitare di venir travolto dal Pokémon che, come impazzito, era andato a conficcarsi all’interno di un tronco d’albero.
Strattonò con violenza la testa verso destra, stracciando la corteccia e liberandosi.
“Ha qualche problema a controllare la rabbia” pensò Kyle, osservando quella scena mentre il Sacerdote continuava a sputare ordini su ordini al Pokémon ancora intento a liberarsi dal legno.
Kyle guardò il suo Pokémon che, ancora immobile a mezz’aria, osservava la scena e sembrava del tutto annoiato dal suo avversario. A volte la troppa calma di Noctowl lo metteva a disagio.
Tauros riuscì finalmente a liberarsi del tutto e a riprendere la lotta; la mossa a vuoto parve farlo infuriare ancora di più. Kyle pensò che avrebbe potuto utilizzare questo a suo vantaggio.
Per sua fortuna, gli allenamenti di Maisy avevano insegnato a lui e i suoi Pokémon a combattere quasi senza la necessità di comunicazione vocale. Un solo sguardo e Kyle capì che anche Noctowl pareva aver captato quel particolare e, forse, per questo era ancora immobile. Sembrava quasi farsi beffa di Tauros.
- Idiota di un Pokémon, stavolta colpiscilo!
Tauros muggì odiosamente, prima di partire nuovamente alla carica.
- Noctowl, schivalo.
Il Pokémon Gufo fece una rotazione sul proprio asse, spostandosi quanto basta per schivare il colpo. Tauros, stavolta, si riuscì a fermare poco dopo e si voltò verso di Noctowl che, in quel momento, gli dava le spalle.
Con totale noncuranza, il Pokémon voltò di centottanta gradi la testa. Fissò per un paio di secondi il Tauros che respirava affannosamente e poi, ancor più lentamente, fra un battito d’ali e l’altro, girò anche il resto del corpo.
Questo parve far perdere il senno a Tauros. Il Pokémon non ascoltò i successivi ordini del suo allenatore e iniziò a scaraventare un possente attacco Frana su di Noctowl, bombardandolo di enormi massi e pezzi di terreno staccati dal suolo a furia di colpi di zoccoli.
Noctowl iniziò a volteggiare in aria, cercando di schivarli. Qualcuno riuscì a colpirlo all’ala destra, facendogli perdere quota.
- Noctowl, usa Riflesso, proteggiti dietro lo scudo.
Il Pokémon utilizzò la forza della propria psiche per generare dal nulla un muro invisibile fra lui e i massi che Tauros continuava a lanciargli contro. Utilizzò i suoi poteri anche per intrappolarci i massi che vi entravano a contatto, rafforzando così le proprie difese. Più volte la mossa Frana andò a infrangersi contro le rocce precedentemente create, annullando a vicenda i colpi.
Kyle sorrise istintivamente quando vide che Tauros stava completamente perdendo il senno.
- Smettila immediatamente, Tauros! – gli urlò il Sacerdote – Vediamo di convogliare per bene le tue forze, usa Frustrazione.
Negli occhi di Tauros si sprigionò un fuoco indomabile. La vista gli divenne rossa mentre si lanciava contro di Noctowl, senza badare a null’altro che al suo avversario. Cercò d’incornarlo più volte, saltò con forza assurda raggiungendolo anche alle più impressionanti altezze e cercò di calpestarlo ogni volta che Noctowl si posò a terra. Utilizzò ogni parte del corpo per colpirlo e qualche volta riuscì a inferirgli qualche frustata con la coda, anche se il continuo Riflesso di Noctowl portò al minimo i danni.
Tauros smise di colpire, ansimante.
- Sei pronto per il colpo finale, Noctowl?
Il Pokémon bubolò in segno di assenso.
In quel momento, Tauros, sfuggito ancora al controllo del suo allenatore, lanciò un violentissimo attacco Bora verso di Noctowl.
Kyle non ebbe tempo di pensare, il colpo era troppo violento per essere evitato o parato e quindi agì d’istinto.
- Noctowl, difenditi con Psichico! – pensò che la mossa più potente a disposizione avrebbe almeno potuto diminuire i danni, nel peggiore dei casi.
In quel momento, però il suo Pokémon lo stupì. Probabilmente aveva concepito male l’idea di “difesa” ma quel che fece funzionò in modo ottimale, tanto che anche Alice rimase senza parole.
Noctowl utilizzò la mossa Psichico non come contrattacco difensivo, bensì per manipolare il violento vento gelido carico di frammenti e lame di ghiaccio, facendolo vorticare attorno a sé stesso.
Il ghiaccio prese a diventare sempre più compatto mano a mano che la Bora di Tauros continuava a colpire, fino a che del Pokémon non rimase più neanche una piuma.
Il Sacerdote ordinò di terminare l’attacco, convito di aver vinto l’incontro. Però Noctowl, era ancora intento a manipolare il ghiaccio. Lentamente, parve aderire al suo corpo, piegato alla sua volontà. Prese le forme del grosso gufo, avvolgendolo in una spessa armatura di ghiaccio, costellata di spuntoni.
Come se nulla fosse successo, lui continuò a volare, ricoperto di lucente ghiaccio.
Kyle ricordò la mossa che avevano provato poco prima del risveglio di Alice, e pensò che fosse il momento adatto per provarla.
- Noctowl, vediamo se hai imparato a utilizzare quella mossa, preparati!
Il Pokémon Gufo si librò sempre più in alto nel cielo, caricando l’energia necessaria al colpo; un’aura azzurra iniziò a scandirne i contorni del corpo.
- Tauros non restare lì impalato, sciogli il ghiaccio con Fuocobomba!
Il Pokémon obbedì ma lo spesso ghiaccio, unito ai poteri psichici di Noctowl, fornì una protezione perfetta e impenetrabile.
Quando fu pronto, iniziò la sua picchiata sul suo obiettivo.
- Aeroattacco, vai!
Imbevuto nell’azzurro della sua stessa aura, Noctowl piombò inesorabile su Tauros che inutilmente provava a colpirlo ancora con le sue fiamme. L’impatto fu devastante: l’armatura ghiacciata esplose e si riversò su di Tauros colpendolo decine di volte, mentre l’Aeroattacco gli si riversava addosso in tutta la sua potenza.
Ci fu una grossa esplosione di energia e poi anche il vento parve fermarsi.
Tauros era K.O.
Noctowl era atterrato al suolo di fianco al suo corpo sfinito e pieno di tagli.
Il Sacerdote, rimasto senza parole e imitato da Kyle, si riprese quasi subito dal colpo subito e riportò le mani alla Poké Ball di Salamance.
Kyle intercettò le sue intenzioni e intervenne prima che fosse troppo tardi.
- Noctowl, Confusione sul tizio!
Gli occhi del Pokémon divennero immediatamente bianchi e lo stesso accadde al Sacerdote che ora restava, immobile, in piedi, come sostenuto da fili invisibili.
- Che gli è successo? – chiese Alice, portata vicino al campo di battaglia da Arcanine.
- Non ne ho idea, ho reagito d’istinto ma non volevo fargli troppo male con Noctowl. I miei Pokémon non uccidono gli umani e io non uccido Pokémon, ho sempre vissuto con questi principi.
- Beh, che aspetti? Hai una pistola, sparagli!
- Troppo rumore e… aspetta un attimo. Noctowl, fallo venire qui.
Il Pokémon tornò a fissare il Sacerdote che obbedì a un ordine silente, avvicinandosi a Kyle. Si fermò a pochi passi da lui.
- Fantastico, gli ho fatto il lavaggio del cervello. Fagli infilare un dito nel naso.
- No, dobbiamo fuggire! – intimò Alice, dando uno schiaffo dietro la testa di Kyle.
- Ok, ok, calmati. Ad Astoria non sapete come divertirvi…
- Noctowl, digli di prendere Salamance, tornare in volo, chiamare i suoi compagni e dirgli di averci seguito fino a un tunnel. Abbiamo fatto crollare tutto dietro di noi e siamo fuggiti. Prima di essere scoperto, tuttavia, ha sentito dirci che eravamo diretti a Giardinfiorito, alle Fonderie Fuego, dove ci aspetta il resto della Resistenza. Quindi deve convincere gli altri a farci un agguato dall’altra parte del passaggio segreto.
Noctowl sbatté le palpebre, forse la prima volta che Kyle glielo vide fare. Dopodiché tornò a osservare il Sacerdote, i suoi occhi ritornarono nuovamente bianchi e consegnò il messaggio.
Kyle e Alice lo osservarono mettersi in groppa a Salamance che parve contrariato. Salì immediatamente in cielo e pochi minuti dopo videro uno stormo dirigersi a Sud-Ovest.
- Perché non ha usato subito Salamance? – chiese Kyle, mentre risaliva in groppa ad Arcanine.
- Ognuno ha un ruolo, ad Astoria. Ci sono Pokémon per combattere e altri per gli spostamenti. Siamo stati salvati dal fatto che sono ossessionati dalla fede.
- Beh… buon per noi. Non voglio pensare come sarebbe andata con quel Salamance – Kyle accarezzò Noctowl in segno di ringraziamento, prima di farlo tornare nella Poké Ball. Dopodiché si avvicinò ad Arcanine e riprese posto davanti ad Alice.
- Sarebbe potuto finire molto peggio… - sussurrò Alice, più a sé stessa.
- Che hai detto?
- Niente, niente – si affrettò a dire Alice.
- Ok – Kyle non ne sembrò convinto.
- Tieniti forte stavolta, andremo subito al massimo.
Alice obbedì e si strinse di nuovo a Kyle. Stavolta con un po’ di fiducia in più verso quel ragazzo.
 
Il Sole stava ormai scomparendo di nuovo, nel suo eterno ciclo di morte e rinascita, dietro le vette più alte che circondavano New Hope.
Daisy e Bucky stavano passeggiando fra i campi d’erba al limitare della cittadella, dopo un’estenuante giornata di lavoro.
- Quindi, sei sicuro che Sua Santità voglia catturare Kyurem?
- Sì, era venuto con i suoi da mio zio, voleva i progetti che ho portato qui da voi. Sono felice di poter produrre quelle armature. Per Ferdinand.
- È comunque un miracolo che tu sia caduto poco lontano da qui e che Sur fosse lì vicino. Se non fosse stato per i suoi Pokémon, non saresti sopravvissuto alla caduta.
- Sur è un grande, mi piace un sacco. Ma quella Maisy non avrebbe dovuto già essere qui, con Alice e il tuo Kyle?
- Effettivamente stanno tardando un po’ troppo per i miei gusti. Appena Cole si sarà liberato delle pattuglie che cercano New Hope, lo manderò a cercarli.
- Poveri Sacerdoti, non vorrei essere nei loro panni.
I due continuarono a camminare ancora un po’, chiacchierando prima della cena. Da lì, riuscivano a vedere i Salamance che inutilmente provavano ad abbattere Green e il suo Charizard, mentre dei massi venivano costantemente sparati verso l’alto da Cole e Rhyperior che sembrava una contraerei.
All’improvviso qualcosa sbucò fuori dal bosco davanti a loro. Bucky s’irrigidì immediatamente, memore del fresco assalto che aveva subito in cielo.
Rimasero immobili, incerti sul da farsi. La barriera avrebbe dovuto tenere lontano chiunque non abitasse a New Hope. Solo quando gli intrusi furono più vicini e il Glaceon di Daisy iniziò ad andare loro incontro, che i due riconobbero, rispettivamente, Kyle e Alice.
Arcanine giunse trotterellando fino a raggiungerli, con Glaceon che continuava a gironzolargli attorno. Si fermò di fronte a Daisy e Glaceon iniziò a fargli le fusa fra le zampe.
Alice, alla vista dell’amico, scese di corsa da Arcanine, liberando il più velocemente possibile Kyle dal proprio abbraccio e si lanciò verso di lui.
- Bucky, stai bene! – Alice lasciò scorrere le braccia attorno al collo di lui, stringendolo con la poca forza ancora in corpo.
Lui ricambiò l’abbraccio senza dire una parola, troppo felice di vederla.
Kyle scese a sua volta da Arcanine, distogliendo lo sguardo dai due amici, per rivolgerlo altrove, verso di Daisy che lo aspettava, rigida, proprio davanti a lui.
- Maisy è riuscita a precederci? – chiese Kyle, tutto d’un fiato, come avendo paura della risposta.
Daisy titubò per qualche istante, poi lo abbracciò forte.
- No, non ancora. Tu come stai?
- Bene, ci sono un sacco di cose che devo raccontarti.
Era sul punto di cominciare il proprio racconto quando videro Charizard e Pidgeot ritornare al campo base. Green volò direttamente da Blue; Charizard ruggì di dolore passando sopra le loro teste.
Non dovettero chiedersi il motivo, in quanto l’arrivo di Pidgeot subito dopo sfumò ogni dubbio. Prima di atterrare, adagiò quanto più delicatamente possibile sull’erba davanti a loro i corpi di Maisy e Ursaring, privi di vita. Il Pokémon aveva numerosissime ferite sul petto e qualsiasi punto del suo davanti. Maisy aveva un profondo taglio all’altezza dell’ombelico. Il kimono sporco di sangue.
Kyle si avvicinò, quasi inciampando, alle due, col mondo che iniziava a vorticare attorno a sé.
Fu solo quando Cole scese dalla groppa di Pidgeot e lo strinse fra le sue braccia, che Kyle evitò di crollare al suolo. Iniziò a piangere sulla sua spalla.
Cole, senza troppe cerimonie, gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Kyle, fra i singhiozzi, annuì. Cole salì sulla groppa di Pidgeot e allungò una mano a Kyle, invitandolo a salire.
Alice si mosse rapidamente, vedendo la scena. Si avvicinò a Kyle, gli poggiò delicatamente una mano sulla spalle e, quando lui si voltò, l’abbraccio senza dire nulla. Lui ricambiò quell’abbraccio, mezzo imbarazzato.
- Ti aspetto qui – fece lei.
Lui annuì e salì prendendo posto dietro Cole.
- Cole, dove andate adesso? I ragazzi hanno bisogno di riposo. E Maisy… abbiamo tutti bisogno di riordinare le idee e… fare qualcosa.
Lui si limitò a scuotere la testa, lentamente.
- Andiamo più su, a vedere il tramonto.
Cole si allungò verso le orecchie piumate di Pidgeot. Sussurrò anche a lui qualcosa e questo fece irritare non poco Daisy, che con Cole condivideva sempre tutto, nulla escluso.
Il Pokémon emise uno strano verso, come un lamento stridulo. Alice sentì una stranissima sensazione di vuoto mentre la pelle le si accapponava.
Poi Pidgeot si alzò a pochi centimetri dal terreno. I suoi artigli si richiusero nel terreno attorno a Maisy e Ursaring, per poi sollevarli con delicatezza innaturale. Nonostante la stazza e il peso, riuscì a trovare la posizione giusta per sollevare anche il grosso Pokémon.
Il tempo sembrava essersi fermato mentre Pidgeot saliva sempre più in alto, rallentato dal peso trasportato ma conservando la sua regale eleganza. Kyle guardò in giù, il volto di Maisy, coi capelli mossi dal vento, era più bello che mai.
 
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo 27 - United We Stand ***


United We Stand
 
 

 
Il mattino dopo Kyle si svegliò da un sonno profondo e buio, senza sogni o altre sensazioni. Semplicemente, il suo corpo era entrato in standby per delle ore di fila, per poi riprendere il normale funzionamento, appena sveglio.
Si fece strada fra i corpi privi di sensi di Arcanine e Riolu, salutò con un cenno Noctowl che era appollaiato sulla finestra lasciata aperta. Il Sole entrava dall’apertura, illuminando la sua stanza.
Il freddo vento della mattina gli fece scivolare un brivido di freddo dalla base del cervelletto fino ai talloni, facendolo pentire di aver dormito con soltanto gli slip addosso.
Si avvicinò al baule sistemato lì da Daisy, l’ultima a lasciare la casa di Kyle, la notte prima. Il ragazzo cercò di ricordare, inutilmente, gli avvenimenti successivi al suo ritorno con Cole, mentre infilava la maglietta con sopra disegnato, con un motivo pittorico, lo scudo di Capitan America.
La sola cosa che riuscì a ricordare fu Alice, aiutata da Bucky, che spiegavano ai presenti, a cui si erano aggiunti anche Green, Blue, Gold, Sur e Zitanna, quello che avevano sentito prima che il famoso sarto venisse ucciso. Dopo, gli adulti passarono molto tempo a discutere fra di loro sulle possibilità che Sua Santità riuscisse a catturare Kyurem, di cui si erano perse le tracce. Dopodiché, uno dopo l’altro, i presenti se ne erano andati, lasciando solo Kyle. In particolare, ricordò Green prendere da parte Bucky e parlarci piuttosto entusiasta.
Tornò al presente quando ormai la patta dei jeans vecchi e consunti fu chiusa. Si costrinse a uscire dalla stanza e ad allontanarsi dalla comodità sorprendente del dormire su di Arcanine, e senza far rumore, chiuse la porta alle sue spalle.
Il piano di sotto era più scuro e silenzioso di quanto ricordasse. Si sbrigò ad andare ad aprire gli scudi esterni delle finestre e a far entrare il Sole, lasciando chiuse quelle dove si affacciava il piccolo divanetto sgualcito, ormai bloccate dopo che Riolu ci aveva lanciato una sfera di energia, per sbaglio, cercando di colpire la coda di Arcanine che gli sventolava davanti al naso, la notte scorsa.
Andò dritto verso i mobili della piccola cucina, prese della frutta fresca lasciata lì probabilmente da Daisy, non appena saputo che sarebbero tornati a New Hope.
Ebbe giusto il tempo di addentare una sola volta una mela verde, che qualcuno bussò alla porta.
- È aperta.
Alice aprì la porta, seguita da Gallade. Lei rimase per un attimo ferma sulla soglia, a guardare Gallade che andava a prendere posto in un angolo della stanza, per poi appoggiarsi al muro e incrociare le braccia sul petto. Stavolta Alice aveva i capelli in perfetto ordine, lasciati scorrere sulla schiena e indossava un semplice pantalone e una maglietta anonima, sicuramente prestati da Daisy o Blue.
- Ciao. Disturbo?
- Cosa? Oh, certo che no. Stavo per fare colazione, vuoi qualcosa?
Kyle le allungò una grossa fragola, facendole segno di avvicinarsi al tavolo.
- Grazie mille. E scusa per Gallade, a volte è un tantino tenebroso.
- Non ti preoccupare, lasciagli godere questi attimi. Quando scenderà Riolu, perderà la pace.
I due sorrisero quasi contemporaneamente. Per qualche attimo Kyle si concentrò solo sulla sua mela. Poi, quand’ebbe finito, ritornò a osservare Alice.
- Tu e Gallade state bene?
- Sì, Blue è stata tanto gentile ieri quando siamo andati via. Ci ha ospitati a casa sua. Figurati, ha fatto andare Green a dormire sul divano per farmi spazio nel letto assieme a lei e mi ha prestato questi vestiti, i miei ormai erano troppo rovinati. Lei e Green sono felici di farmi dormire da loro anche se a me dispiace dover far dormire Green sul divano, ogni notte.
- Il tuo amico, invece?
- Oh lui dorme da Sur. Loro hanno preso posto in casa di Gold quando lui si è voluto trasferire da quella Zitanna.
- Se vuoi, io di sopra ho una stanza in più. Credo fosse stata preparata per Maisy ma, beh, lei non può. Quindi, potresti venire qui… se ti va. Io posso trovare posto da Cole e Daisy, abitano praticamente di fianco.
- Ma questa è casa tua, non voglio appropriarmene.
- Figurati, ci ho passato meno tempo di quanto tu creda. Prima vivevamo sotto terra, poi ci hanno stanati e siamo fuggiti qui a New Hope.
- Abbiamo già dormito più che nella stessa casa… Se prendo quella stanza, tu resti qui. E poi preferisco non restare da sola, con quel pazzo libero.
Kyle divenne visivamente rosso, nonostante il colore naturale della sua pelle. Per sviare l’attenzione si sbrigò a mettere in fila qualche parola e produrre una specie di frase.
- Artorius ci tiene davvero tanto a te, vero?
- Sì, sono obbligata a vivere con lui da quando sono piccola, i miei genitori sono morti.
- Almeno ha avuto il buon cuore di prendere un’orfana.
Alice scattò d’improvviso, facendo esplodere la rabbia che aveva in corpo da molto tempo.
- Buon cuore? È stato lui ad attaccare la città dove abitavamo. Lui ha fatto esplodere la nostra casa, seppellendoci nelle macerie. È solo merito di Gallade se sono viva, mi ha protetto da quando era solo un piccolo Ralts. Il bastardo invece, mi ha presa come se fossi un suo premio e una sua proprietà per quello che ha fatto – urlò lei, stizzita.
- Io non ho mai conosciuto i miei. Mio padre, il fratello di Cole, è scomparso prima della mia nascita, forse lottando contro Artorius. Mia madre è morta dandomi alla vita; di me si sono sempre occupati Cole e Daisy, Sur mi fa un po’ da nonno.
- Almeno tu una famiglia ce l’hai…
- Noi, abbiamo una famiglia – la corresse Kyle.
- Da quando Bucky è arrivato qui, è entrato a far parte della famiglia. Quando io e Maisy ti abbiamo trovata e ti abbiamo curata, sei entrata a far parte della famiglia. Da queste parti funziona così: siamo tutti un solo, grande gruppo che lotta contro i Sacerdoti e la vita per poter sopravvivere. Nessuno viene lasciato indietro, o viviamo tutti o moriamo lottando per gli altri.
- Ma io…
- Niente ma – la interruppe Kyle – Se vuoi restare qui con noi, è una cosa che devi accettare. Benvenuta nella famiglia, eccoti il regalo di benvenuto.
Le porse una ciliegia.
Lei sorrise e si sistemò gli occhiali che le stavano scivolando dal naso.
- Vedo che te li hanno già aggiustati – commentò Kyle, indicando dove fino alla sera precedente c’era del nastro isolante a tenere unite le due metà.
- Sì, ci ha pensato Green con della strana colla.
Alice balzò improvvisamente in piedi, facendo quasi affogare Kyle per lo spavento.
- Me ne ero completamente dimenticata, dobbiamo andare ai laboratori. Daisy mi ha detto che tu conosci la strada e mi ci avresti potuta accompagnare.
- Come mai devi andare lì? Ieri non hai già detto tutto quello che sapevi sui piani di Sua Santità?
- Sì, in effetti non ho idea…
Kyle non riuscì a sentire il resto della frase, la vista gli si annebbiò e una forte luce parve investirlo in pieno. Si alzò e si ritrovò su una specie di piattaforma di vetro, sospesa fra nubi di luci. Davanti a lui si stagliava la figura luminosa che ormai aveva imparato a riconoscere. Ci si avvicinò senza timori e, quando apparve una sedia trasparente al suo fianco, Kyle ci prese posto.
- Ciao, ti va se questa volta parliamo? Ho delle cose da chiederti – anche il ragazzo si stupì del suo coraggio nel parlare.
Però, qualcosa gli diceva che non c’era nulla da temere e che, anzi, aveva tutto il diritto di fare delle domande.
In tutta risposta, finalmente, l’essere luminoso si rivelò per quello che era.
- Tu sei Reshiram, vero?
- Sì – la voce calda del Pokémon rimbombava nella mente di Kyle.
Kyle si sentì improvvisamente piccolo, al cospetto di una divinità. Gli occhi di Reshiram penetravano a fondo nei suoi, scandagliandogli l’anima. Passò chissà quanto tempo prima che Kyle trovasse la forza di poter parlare di nuovo. C’era una costante sensazione di essere sotto esame che stava lentamente logorando i suoi nervi. Quindi, prima che la tensione lo facesse esplodere, si sforzò di aprire nuovamente bocca.
- Perché mi stai parlando?
- Io e la mia controparte, Zekrom, siamo prigionieri dell’umano che si fa chiamare Artorius. Ci ha ingannati e, con la forza, imprigionati. I suoi scienziati hanno creato degli abomini che, tramite i continui sacrifici di anime, tengono sotto il suo controllo i nostri poteri.
- Alice ci ha raccontato del fatto che Artorius voglia impossessarsi di Kyurem e che tu e Zekrom c’entravate qualcosa. Non ricordo bene al momento. È per questo che vi tiene prigionieri?
- Esatto. Il suo obiettivo è quello di ricreare il Drago Originale, il signore del Chaos. Nella sua follia, pensa che solo lui possa “purificare” il nostro universo.
- Drago Originale? Che cos’è?
- In antichità, Io, Zekrom e Kyurem eravamo uniti in un solo corpo, il Drago Originale. Kyurem è ciò che resta del suo guscio, mentre Io e Zekrom ne siamo il nucleo. In seguito a una grande lotta fummo divisi e precipitammo sulla Terra, dove ognuno ottenne le sembianze che adesso tu vedi. Ma se mai il Drago Originale dovesse ritornare unito, regnerebbe solo il chaos. Kyurem ha perso ogni traccia di empatia ed emozioni dal suo cuore ora gelido più della morte. Non prova altro che odio verso tutti, Pokémon e umani; se dovessimo ritornare in un solo corpo, il suo potere riuscirebbe a sopraffare quello mio e del mio fratello. Nulla potrebbe fermarlo, distruggerebbe tutto. Anche Arceus avrebbe difficoltà a combatterlo, in queste condizioni.
- Porca puttana – fu tutto ciò che Kyle riuscì a dire.
- Per questo, ho bisogno della tua gente per impedire che ciò accada. Siete i soli a vedere la follia in tutto questo.
- Forse non te ne sei reso conto, ma siamo molti di meno e ci stanno braccando. Non credo che siamo nella posizione di poter fare qualcosa.
- In questo momento, Artorius si sta preparando per andare a catturare Kyurem che, in questi anni, si è rifugiato in cima al Monte Corona. È uno dei pochi posti abbastanza gelidi e privi di vita per lui. Ha profanato il tempio di Palkia e Dialga, è lì che lo troverete. Dovete impedire che ciò accada, altrimenti ci renderà di nuovo un unico corpo.
- E a quel momento, morti tutti, giusto?
- Il concetto è più complicato ma, in sintesi, sì. Confido in te. E se doveste fallire, venite a cercarci alla Torre Bianca e per porre fine alle nostre sofferenze e scongiurare la fine di tutto.
Kyle non ebbe neanche il tempo di rispondere che tutto divenne troppo luminoso e un attimo dopo si ritrovò per terra, disteso. Una cascata rossa gli impediva di vedere qualsiasi cosa.
- Kyle? Kyle!
- Sono vivo, sono vivo – disse, alzandosi a sedere, aiutato da Alice.
- Che ti è successo? Sei svenuto per non so quanto tempo.
- Stavo facendo due chiacchiere con un mio amico. Adesso dobbiamo andare da Cole, devo parlare con lui e Green.
- Non se ne parla, tu torni a letto. Sei svenuto due minuti fa.
Kyle si sentì in imbarazzo per la sua premura ma insistette.
- No, è importante, Reshiram mi ha appena parlato.
 
Tre ore e mezzo dopo e circa sette ripetizioni del suo racconto dopo, Kyle poté finalmente bere un po’ d’acqua passatagli da Blue.
- Tieni, bevi un poco adesso – gli sorrise lei, passandogli il bicchiere.
Green, che fino ad allora era rimasto in silenzio, ascoltando con molta attenzione il racconto di Kyle, dimenticò completamente il motivo principale per il quale aveva fatto chiamare lì Kyle. Il modo in cui i Sacerdoti avessero trovato la casa di Maisy passò improvvisamente in secondo, se non ultimo piano. Nessuno, tuttavia, osò parlare.
- Reshiram è noto per poter parlare telepaticamente con esseri umani, giusto? – chiese Cole.
- Esatto, i suoi poteri sono molto, molto sviluppati – rispose Green.
- Quindi è plausibile che tutto questo sia vero e che non sto impazzendo.
Kyle si sentì leggermente rassicurato da questo ma non riuscì a dire altro, così come gli altri presenti.
Alice, che era rimasta di fianco al ragazzo per tutto il tempo, guardò dritto davanti a sé, dov’era seduto Bucky. Lui ricambiò il suo sguardo e le fece un cenno con la testa, mimando le parole “Dillo tu” con le labbra. Lei si fece forza, mordendosi il labbro inferiore.
- Dobbiamo andare a fermare Artorius, è l’unica azione logica da fare.
Immediatamente, tutti si voltarono verso di lei. Green prese la parola.
- Da quanto ne sappiamo, potresti anche essere un’esca per portarci all’esterno. Nessuno sa praticamente niente di te. Chi ci dice che non ti ha mandato Sua Santità, qui, per farci fare una mossa falsa?
In quel momento, Blue lanciò una delle sue occhiate peggiori al suo ragazzo.
- Mi dispiace, ma anche tu sai che è così, Blue. Una ragazza tende sempre a intenerire ma è con la furbizia e le precauzioni che siamo riusciti ad andare avanti fino a ora.
- Io non sono in combutta con quel bastardo! – urlò Alice, perdendo improvvisamente la pazienza.
- Ragazzi, calmi. Siamo diversi da quelle bestie. Ricordate? Noi siamo quelli impuri, i “non degni di vivere”. Avete accolto qui chiunque fosse in fuga dal Sacro Ordine, senza distinzioni di razza, sesso o colore della pelle. Se dubitiamo uno dell’altro, non potremmo mai pensare di convivere, né tantomeno sconfiggere una volta per sempre Artorius e i suoi Sacerdoti.
L’attenzione di tutti, lentamente, tornò su di Kyle, rimasto in completo silenzio fino a quel momento.
- Insomma… Uniti si vince, no? Roba del genere. Credo – il ragazzo si rifugiò nel suo minuscolo spazio vitale, sentendosi addosso tutti quegli sguardi.
- Il ragazzo ha ragione. Diamole una tregua, Green. Conoscevo benissimo Ferdinand, lo zio di Bucky. Abbiamo superato tante guerre grazie a lui; se si fidava tanto della ragazza da farle conoscere l’adorato nipote e farli incontrare, allora non abbiamo nulla da temere da lei.
- Ne sei sicuro, Sur? – chiese Green.
- Assolutamente. E sono certo che, se fosse qui, Earl l’avrebbe accolta a braccia aperte nel team. Poi probabilmente io avrei fatto qualche battuta sconcia. Cazzo, quanto mi manca.
Tutti tacquero per dei lunghi, infiniti istanti. Alice cercò la mano di Kyle, lui quasi rabbrividì quando la ragazza gliela strinse, facendogli perdere qualche attimo. Dopo un leggero tirare da parte sua, Kyle si girò. Alla domanda che Alice espresse con solo la mimica facciale, impaurita dall’interrompere il silenzio che era calato, Kyle fece segno di no con la testa. Poi, con la mano libera, le fece intendere che dopo avrebbe avuto le risposte. Lei annuì e poco dopo lasciò la presa dove ormai la mano di Kyle andava a fuoco.
Fu Cole a interrompere il silenzio.
- Io… Maledizione. Non c’è niente da poter dire per Earl, era una delle persone migliori che io conosca. E sicuramente ci starà bestemmiando addosso facendo smuovere Arceus in persona per calmarlo, adesso che ci vede litigare come delle bambine all’asilo. Kyle ha rischiato la vita, Maisy è morta, per poter salvare Alice. Quindi, anche io mi fido.
Ci fu una serie di assensi generali, quando Green si scusò con Alice.
- Perdonami, ma sai…
- Devi pensare al bene della tua gente, lo so – concluse lei.
- Però, se quello che Kyle è vero, credo che dovremmo muoverci per impedirlo – azzardò lei, resa più sicura di sé dalle persone che avevano preso le sue difese.
- Ed è quello che faremo. Cole, Sur, che ne dite di fare una gita in montagna? – Green sorrise mentre sfilava il camice da laboratorio e iniziava a inserire cose strane che Kyle non aveva mai visto in vita sua, all’interno di uno zaino preso da uno dei tanti armadietti.
- Io dico che sarà una bellissima scampagnata. Mi piace l’ardore della ragazzina, mi ha fatto venire voglia di spaccare qualche bel culetto immacolato. E poi ho sempre sognato di liberare la mia vescica dall’alto di un precipizio, chissà che sensazione di gloria che si prova.
Gold, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, ad ascoltare mentre roteava su una sedia con le rotelle, si alzò e si avvicinò al gruppo.
- Gold, questa dovrà essere un’operazione di massima segretezza. Dobbiamo muovere molte truppe fin sopra le vette, non credo che sia nel tuo stile – Green lo fulminò con lo sguardo.
- O mi porti con te, o io vado fin là sopra con Togekiss e rilascio una pioggia di preservativi dove vi sistemerete.
Green stava già per perdere le staffe, come capitava praticamente sempre quando si trattava di Gold, quando Alice, timidamente, parlò di nuovo. Nessuno, però, riuscì a sentirla a causa del trambusto che stava andando creandosi.
Cole, che si trovava vicino ai due ragazzi, parve ruggire in modo identico al suo Rhyperior, richiamando l’ordine. La sua voce sovrastò quelle degli altri e tutti tacquero all’istante.
- La signorina ha qualcosa da dire. Le volete dare la possibilità di parlare, o devo prendere il martello?
- Oh, sai che vado pazzo per il sadomaso. Dopo puoi prestarmelo? Credo che Zitanna mi abbia messo gli occhi addosso – Gold scoccò un occhiolino ad Alice, che rise alla sua battuta.
- Avanti, piccola mia, parla pure – la incitò Daisy, regalandole il più bel sorriso che avesse nel suo caricatore.
- Io… io ho vissuto molto tempo, purtroppo, con quel mostro. Non fa mai niente di azzardato. Quando è giunto da Ferdinand per farsi creare quelle specie di armature, era con un paio di persone soltanto. Non mobiliterà l’esercito intero, credo che utilizzerà i suoi guerrieri più fidati. E se la cosa è di così vitale importanza, verrà anche lui ma saranno in pochi.
- Perché mai andare con pochi uomini, se ne ha a disposizione miliardi? – chiese Green.
- Perché lui si fida solo di sé, e del suo braccio destro. Non ho mai visto quell’uomo senza la sua armatura, non so chi sia o che aspetto abbia. Probabilmente ci sarà anche lui, al massimo qualche altra guardia fidata. Se tutti sapessero le sue mosse, lui non avrebbe più l’aura di figura potente e unica. È un megalomane, in pratica.
- Un’imboscata. Ecco cosa serve. Andremo in pochi anche noi, tutti pezzi da novanta – Cole assunse d’improvviso un’espressione decisa, sembrava una montagna in mezzo agli altri.
- Chi altri vuole venire? Sappiate che ci si potrebbe rimettere la vita – aggiunse.
- Missione completamente alla cieca. Persone che non sono mai state assieme su un campo di battaglia. Nessuna informazione su chi o cosa ci sarà ad aspettarci. Scarse possibilità di vittoria. Che cosa aspettiamo? – Sur fu il primo a dare il suo appoggio.
- Vengo anch’io. È mio dovere proteggere la mia gente – Green si alzò in piedi, raggiungendo i due membri fondatori della squadra.
- Come ho già detto, sto trovando divertente e soddisfacente fare il culo ai Sacerdoti. Inoltre, mi piace umiliare i loro corpi con i miei giochetti. Basta che non debba volare di nuovo abbracciato a Cole e ci sono – anche Gold si unì ai tre.
- Vengo anche io – Daisy si alzò, facendo irritare Glaceon che si era acciambellata sul suo grembo.
- Daisy, sai quanto ci faresti comodo. E anche tu, amore. Ma dovete restare qui, tenete d’occhio gli altri mentre non ci saremo. Inoltre, credo che Bucky abbia bisogno del vostro aiuto per il suo nuovo progetto – Green indicò il ragazzo che, grosso e ingombrante, si era rannicchiato in un angolo mentre i più grandi parlavano.
Lui sorrise e salutò con la mano.
Daisy e Blue provarono a opporsi ma Green le zittì entrambe.
- Se dovessimo fallire, servirà qualcuno che li guidi, lo sai bene, Blue.
Lei odiava essere chiamata in quel modo, dal suo ragazzo. Le faceva capire la serietà della situazione e sembrava quasi un rimprovero. Dovette ricacciare nel fondo del pozzo la sua testardaggine, l’orgoglio e la voglia di fare. Si limitò ad annuire, conscia che non ci fosse altra possibilità. Si alzò dalla sedia e si avvicinò al suo uomo e, nonostante le desse fastidio dimostrare affetto in pubblico, lo baciò appassionatamente sulle labbra, assaporando quanto più possibile la fragranza del suo corpo. Lui la strinse in un abbraccio e lei ricambiò.
- Fa attenzione, lì fuori.
Daisy diede una gomitata nel fianco di Cole, mozzandogli il fiato. Indicò, snervata, la coppia davanti ai suoi occhi. Cole rise e, in risposta, abbracciò Daisy, che scomparve se non per i capelli che fuoriuscivano dalle braccia del suo uomo.
Sur guardò Gold.
- Non ci pensare nemmeno – il vecchio scacciò via ogni pensiero con un gesto della mano troppo osceno per uno della sua età.
- Vengo anche io.
Tutti si girarono a guardarlo, increduli delle sue parole.
- Non esiste – Daisy si girò furiosa.
- Reshiram ha parlato con me. Ci sarà un motivo se lo ha fatto. Inoltre, mi sono allenato con Maisy. Lei è morta assieme alla sua Ursaring, per salvarmi. Ho lottato e mi sono allenato giorno e notte, da solo e con i miei Pokémon. Non resterò a guardare da dietro le quinte mentre le persone a cui tengo vanno a rischiare la vita, per tutti quanti.
Il suo discorso parve fare breccia, anche Daisy rimase in silenzio.
- Tu vieni. Ma restami attaccato al culo – Cole gli strinse una spalla.
- Sei abbastanza grande da prendere le tue decisioni, mi fido di te.
Kyle si sentì riempire di orgoglio a quelle parole, dette da suo zio.
- Se gli succede qualcosa, io ti ammazzo. E se muori, ti vengo a prendere fin dentro l’Inferno e ti ammazzo di nuovo – commentò Daisy, abbracciando forte Kyle.
Alice si sentì non poco in imbarazzo a osservare quella scena di dimostrazione d’affetto. Cose a cui lei non era per niente abituata.
- Anche io ho studiato… e fatto pratica. Gallade sa lottare – provò a dire lei, cercando di attirare l’attenzione senza essere troppo invasiva.
Bucky rimase senza parole, la osservò a occhi sgranati.
- Voglio venire con voi. Mi avete accolta, voglio rendermi utile.
Green l’osservò e parve quasi trapassarla con lo sguardo, tanto che Alice si sentì del tutto ridicola dopo aver detto quelle parole.
- Potresti rivelarti utile. Se Artorius ci tiene così tanto a te, come dici, allora potremmo usarti a nostro vantaggio. Ma non farai nulla se non ti verrà detto, intesi?
Alice annuì a Green, che parve stranamente soddisfatto.
- Ottimo. Partiremo domani all’alba. Fate i preparativi. Kyle, Alice, vi farò recapitare la lista delle cose da portare e dove le potrete trovare. Adesso abbiamo tutti bisogno di riposo e di prepararci. Ci vediamo dopo a pranzo – Green con questo lasciò intendere che la riunione fosse finita.
- La squadra più strana che abbia mai visto: un vecchio, un malato mentale, due ragazzini, un soldato e un cervellone. Può andare – Cole rise profondamente, scuotendo la testa.
 
Alice e Kyle erano appena usciti fuori, all’aperto. Il Sole splendeva forte sulle loro teste, le poche nuvole presenti proiettavano ombre gigantesche sui fianchi delle montagne. Passarono attraverso il grosso campo di tende delle ragazze di Zitanna, venendo salutati da tutte quante. Il nuovo gruppo si dimostrò molto socievole e gentile. Venute a sapere ciò che poco prima era successo ai due, molte si dimostrarono affettuose al pari di una madre, tante erano le attenzioni che ricevettero in un passaggio di circa dieci minuti. Zitanna in particolare, non li fece andare via se non dopo aver accettato i cornetti caldi che aveva preparato con le sue mani.
 
La mattina parve volare, tanto che furono impegnati con i preparativi. Soltanto verso ora di pranzo finirono di riempire i propri zaini e a mettere in primo piano tutta l’attrezzatura e il vestiario necessario per l’avventura, provviste comprese. Dopo essere stati rapiti da Zitanna e costretti a mangiare con lei, i due furono finalmente liberi di riposarsi per il resto della giornata.
La passeggiata di ritorno, all’interno del bosco, fu piuttosto imbarazzante per entrambi, tanto che rimasero in silenzio per la maggior parte del tempo, finché Alice non trovò finalmente il coraggio di parlare.
- Grazie, comunque.
- Per cosa? – chiese Kyle, colto di sorpresa dalla domanda.
- Prima, mi hai difesa quando Green ha dubitato di me.
- Ah. Beh… non è stato niente di che. Ho saputo quello che ti ha fatto passare quel tizio, credo sia improbabile che tu stia dalla sua parte. E poi, tutti meritano una possibilità – fece spallucce, come a sottolineare la semplicità delle sue azioni.
- Mi hai comunque difesa, probabilmente se tu non avessi parlato, nessuno avrebbe preso le mie parti.
- Maisy ci teneva molto al tuo recupero. Se lei si fidava di te, allora lo faccio anche io.
- Beh, grazie lo stesso per avermi difeso, ho apprezzato.
In quel momento, Alice allungò il collo, alzandosi sulle punte dei piedi, per dare un bacio sulla guancia a Kyle. Sorrise, poi riprese a camminare fra l’erba.
Il ragazzo rimase per qualche istante immobile, impacciato, senza sapere cosa fare. Si riscosse con una potente scrollata di testa e s’incamminò dietro di Alice. Prese posto al suo fianco e la guidò fra gli alberi, diretti verso casa. Una volta arrivati, raggiunsero poi i loro Pokémon che si godevano il calore del Sole, distesi fra i verdi prati. Li ripresero con sé e, sotto desiderio di Alice, Kyle condusse tutti quanti alla riva del fiume montano che lui era solito costeggiare durante il suo tempo libero. Lì lasciarono i loro compagni liberi di vagare e svagarsi, mentre loro due passarono il pomeriggio distesi in prossimità della riva Ovest del fiume, saltando da un argomento all’altro. Fu solo quando era ormai buio che decisero di ritornare indietro; se non fosse stato per la guida di Noctowl, probabilmente sarebbero arrivati in ritardo per la cena. Mangiarono più che poterono e, solo quando Daisy minacciò Kyle con un coltello in mano, si decisero ad andare a dormire. I due si salutarono sul pianerottolo che divideva le loro stanze, quando Alice diede a Kyle un secondo bacio sulla guancia.
Quella notte, Kyle tornò a sognare.
 
 
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo 28 - Ghiaccio e Sangue ***



Ghiaccio E Sangue
 
 

New Hope, poco prima dell’alba.
 
Daisy camminava avanti e indietro per le strade di New Hope, insonne e turbata. Blue, che fino a quel momento aveva screditato ogni sua preoccupazione, adesso le faceva compagnia in quello che era un rituale giornaliero. Si erano incontrate per caso, mentre entrambe vagavano fra le case di ignari dormienti.
Dialogando a voce bassa, si erano fatte compagnia una con l’altra, cercando di smentire tutte le brutte premonizioni che una delle due aveva sempre con più costanza. Sapevano che era praticamente impossibile parlare via radio lì sopra, dove c’erano tempeste perenni durante tutti i giorni. Daisy alzò la testa verso la Vetta Lancia, nascosta da nuvole più scure della pece. In quel momento, la sua Glaceon tornò trotterellando dalla fine della strada. Vedendola, il suo cuore mancò un battito. Le si avvicinò titubante, anche Blue si accorse del suo timore nel vedere qualcosa di sbagliato. Nonostante avesse controbattuto così tanto a quell’idea, giorno dopo giorno era diventata anche lei del parere che avrebbe dovuto funzionare.
Glaceon le si avvicinò iniziando a fare le fusa e a strusciarsi sulla gamba della sua allenatrice. Daisy si abbassò verso il suo Pokémon, notando una piccola coroncina fatta di ghiaccio poggiata sulla sua testa. Lei la prese, con le mani tremanti e le lacrime che incominciavano a scorrere dagli occhi. Blue, che non conosceva il significato di quel rituale, si avvicinò di più alle due.
- Daisy, cosa significa questo?
L’amica spezzò la corona in due parti facendola scontrare col proprio ginocchio. Dopodiché lasciò cadere le due metà nell’erba, dove si sciolsero immediatamente, dando vita a due magnifiche stelle alpine.
- Significa che la mia amica ha deciso di tornare da me.
Si asciugò una lacrima sulla guancia usando la manica della felpa. In quel momento, un’enorme ombra calò su di loro, portando con sé un freddo innaturale.
- Ciao, bimba mia – disse Daisy, gli occhi volti al cielo.
 
 
Vetta Lancia, ore dopo.
 
La neve, trasportata dal vento gelido e lacerante, sferzava senza sosta tutt’attorno. Mano a mano che il gruppo aveva fatto strada, salendo sempre più in alto verso la Vetta Lancia, i colori della primavera avevano abbandonato il loro posto, preso poi dal bianco della neve. Adesso, ovunque Kyle volgesse lo sguardo, non vedeva altro che neve, rocce e alberi coperti di neve, vento che ne portava altri fiocchi e, ovviamente, le rovine vicino le quali si erano appostati. Se era vero che Kyurem si fosse stabilito lì e, come spesso gli raccontò Sur, era in grado di controllare e generare ghiaccio e temperature minime, allora tutto quello era il paesaggio ideale.
Il suo gruppo aveva stabilito un perimetro intorno alle rovine, pronto a tendere un agguato a Sua Santità. Avevano stabilito il campo base poco distante, nascosto fra gli alberi coperti di neve, con provviste per circa un mese, escludendo i sei giorni impiegati per giungere fin lì e i tre passati a osservare il nulla. Cole aveva insistito ad arrivarci a piedi, per evitare di venire avvistati.
I problemi durante la salita non erano mancati e spesso si erano ritrovati a camminare uno addosso all’altro, per evitare di congelare. Niente Pokémon, altra idea di Cole.
Nonostante non si vedesse un solo altro essere vivente, Kyle aveva intravisto più volte i gruppi di Ursaring e altre specie, che camminavano a debita distanza ma, inevitabilmente, assieme a loro. Fino a poco prima di giungere sulla cima, gli avevano fatto come da scorta. Forse un ultimo regalo di Maisy e Ursaring.
- Com’è la vista da voi, Kyle? – Cole interruppe il silenzio radio.
- Neve ovunque, il settore ovest è pulito. Io e Alice non abbiamo ancora visto nulla di vivo.
- Bene, fate sapere se vedete qualcosa. Non fate gli eroi, mi raccomando, altrimenti vi ammazzo.
- Qui Sur, dall’alto dei cieli. Nota per voi: mi si sta congelando il mio bel culo negro. Questo stupido albero ha dei rami così scomodi che per stare seduto mi entra la neve pure nelle mutandine.
- Green, lato est libero.
- Ah, tocca a me? Ok, ok, mi ero preparato un bel discorso… Ma l’ho dimenticato. Comunque anche io non ho ancora visto nulla. Sto pensando di dar fuoco al mio perizoma, così almeno mi scaldo un po’.
- Tenete gli occhi aperti. Sur, tu continua a coprirci. Hai il fucile pronto? – chiese Cole, osservando l’ostico sentiero da cui era più probabile che fosse giunto Sua Santità.
- Sempre e comunque, fate attenzione voi a terra.
Kyle scostò il dito dall’auricolare, ricontrollando ancora il cappuccio della tuta e la sua maschera, accertandosi che fossero chiusi per bene. Disteso fra la neve, con indosso vestiti completamente bianchi, si sentiva come una macchia nera su di un muro appena pittato.
Alice, distesa alla sua destra, si iniziò a muovere inquieta, come Kyle aveva imparato a riconoscere durante quel breve periodo. Stava iniziando ad agitarsi di nuovo, forse stanca della stessa posizione per ore intere.
- Qualcosa non va? – chiese lui.
- No, non ti preoccupare. È solo che non mi sento più i gomiti a stare così, ho bisogno di muovermi un po’ – urlò lei, cercando di sopraffare il boato del vento.
Il Sole venne offuscato nel momento in cui lei si alzò, rendendo i suoi raggi ancora più deboli di quanto non fossero stati durante tutto il giorno, soprattutto a causa delle nuvole che sempre in maggior numero si addensavano sopra le loro teste. Lentamente, però, la nevicata stava iniziando a perdere potenza.
Alice allungò una mano a Kyle, dandogli una mano a issarsi. Quasi affondò quando il ragazzo fu finalmente in piedi. Lui, vedendola in bilico, l’afferrò senza pensarci e la tirò verso di sé, evitandole di ricadere di schiena nella neve.
- Grazie, Kyle. Goffa come sono, fossi caduta di schiena, avrei fatto la fine di una tartaruga.
- Beh allora avresti potuto semplicemente rotolare fino a valle, forse saresti riuscita ad alzarti.
Anche se non lo vide, per la maschera, sapeva che aveva riso. Tendeva a infossare il viso nel collo quando lo faceva.
- Menomale che la tormenta sta finendo, non ce la facevo più – fece lei.
- Non nevica ad Astoria?
- Non così spesso e così forte. E poi, io ero confinata quasi sempre nella Torre, la vedevo solo da lontano. Forse è stato un bene, sto congelando.
- Comunque tutta questa neve non è normale. Secondo me è causata da Kyurem.
- Cosa te lo fa credere?
- Beh, per primo, il fatto che adesso ha smesso e non c’è più nemmeno una nuvola.
Kyle abbassò il cappuccio e si tolse la maschera, respirando come si deve, finalmente. Nonostante il gelo sembrò penetrargli nel volto come mille aghi, si sentiva più libero. Alice l’imitò, liberando i capelli dalla tenaglia del cappello che gli stava opprimendo la testa.
- Che hai da ridere? – chiese a Kyle che era quasi immediatamente esploso in una grossa risata.
- Non sono neanche cinque secondi che ti sei tolta cappello e maschera che il tuo naso è già diventato rosso, mi sembri Rudolph.
- Sono freddolosa, non è mica colpa mia! – Alice gli diede le spalle, stizzita.
- Stronzo – aggiunse sottovoce ma abbastanza forte affinché Kyle la sentisse.
Incerto sul da farsi e impaurito dalla follia improvvisamente suscitata nella ragazza, lui preferì non proferire altra parola e rimase immobile.
- Allora? Ti muovi?
- Cosa? – chiese lui, non capendoci più nulla.
- Ti ho appena detto che sono freddolosa.
- E… quindi? – la domanda uscì dal più profondo della sua ingenuità.
- E allora, quando una ragazza ti dice che ha freddo, tu dovresti fare qualcosa per scaldarla.
- Non potevi dirlo direttamente?
- No, lo dovevi capire tu – Alice gli dava ancora le spalle.
Kyle scrollò le spalle, i palmi verso il cielo. Ora capiva quando Sur, Cole, Gold e chiunque altro gli avesse parlato di femmine era sempre stato d’accordo con gli altri su una cosa: sono strane.
Si avvicinò ad Alice a pesanti passi nella neve, facendo affondare gli scarponi. Non sapendo che altro fare, l’abbracciò, portando le mani sul ventre di lei, a incontrare le sue che erano strette in una morsa da broncio.
- Meglio? – le chiese.
- Ho freddo al naso.
- Non ti puoi girare così…
- No – fece di nuovo lei.
Kyle sbuffò, dopodiché la lasciò andare. Fece il giro e le si pose davanti. Dopodiché indicò le sue mani, ancora legate saldamente. Lei le lasciò andare nascondendo un sorrisetto.
- Ora sei contenta? – disse quando l’abbracciò e lei affondò il suo naso gelido nell’incavo fra testa e spalla di Kyle, dove si apriva il giubbotto.
- Forse.
Poi Alice alzò lo sguardo e i suoi occhi andarono a incontrarsi con quelli di Kyle. Il ragazzo sentì improvvisamente così tanto caldo da dimenticarsi di essere sulla neve. Si accorse di quello che stava succedendo solo quando il cuore, allarmato, gli stava comunicando che con altri sei battiti avrebbe distrutto la cassa toracica per poi fuggire via a nascondersi nei boschi. Mano a mano che le loro teste si avvicinavano, e così le loro labbra, Kyle sentiva il corpo di Alice pulsare sempre più forte fra le sue braccia e non poté fare a meno di chiedersi se anche lei stesse provando le stesse cose.
Se Cole avesse iniziato a parlare anche due secondi più tardi, tramite l’auricolare, i due sarebbero finiti col baciarsi.
 
Tutti conversero verso le posizioni designate. Sua Santità, seguito dai suoi uomini, avanzava lungo il sentiero che Cole osservava ormai da giorni. Il gruppo riuscì a contare altre sette figure avanzare con lui, tutti in quelle che parevano armature futuristiche. Tutte erano rigorosamente bianche, esclusione fatta per l’uomo che camminava di fianco a Sua Santità, completamente nera. Non potendone vedere i volti a causa degli elmi, pensarono che la più appariscente sarebbe dovuta appartenere ad Artorius.
Il gruppo passò fra di loro, ignaro dei ragazzi appostati fra alberi, rocce e cumuli di neve; a quanto pareva, la mimetizzazione stava funzionando.
Li seguirono, muovendosi quanto più piano possibile, nonostante il vento attutisse i loro passi e fossero ormai diversi metri dietro di loro. Cole dovette dissuadere Sur dallo sparare dritto in faccia a Sua Santità. Sicuramente quegli elmi non erano solo per il freddo. Anzi, con tutta possibilità, avevano trovato qualcun altro disposto a creargli quelle armature protettive.
Non capì mai come e quando successe. Kyle si lanciò in avanti al grido di Cole di avanzare. L’ultima cosa che ricordò vividamente fu l’apparizione di Reshiram e Zekrom che iniziavano a sparare fulmini e fiamme diretti verso di loro; in qualche modo, li avevano individuati.
Gli attacchi si infransero su una barriera invisibile davanti al gruppo della Resistenza, senza che nessuno di loro fosse stato anche solo in grado di pensare di prendere le Poké Ball. Quando le fiamme blu e le saette scomparvero, Kyle riuscì a riaprire gli occhi e a respirare altro oltre il fumo e l’odore di alberi spezzati e bruciati. Un’alta figura si ergeva davanti a loro, una mano dritta davanti a lui, avvolta da una specie di fumo violastro.
Mewtwo.
Senza pensarci due volte, Cole lasciò cadere i vestiti mimetici, prese la Poké Ball di Rhyperior e il martello, lanciandosi in avanti. Dietro di lui, anche gli altri chiamavano in campo i loro Pokémon. Uno sparo echeggiò nell’aria, uno dei Sacerdoti cadde a terra. Il proiettile, penetrato di fianco, aveva portato via metà cassa toracica.
- I loro punti deboli sono sotto le ascelle e dietro il collo – proferì Sur.
E da quel momento in poi, Kyle riuscì a seguire poco e niente di quello che successe. Cole era impegnato a lottare contro Zekrom e Reshiram, con Rhyperior e Mewtwo al suo fianco, facendo roteare l’enorme martello contro di Artorius che parve fin troppo agile per essere in quell’armatura.
Kyle, durante i combattimenti, riuscì a vedere Gold e Green lottare contro quello in armatura nera, mentre Sur si era fatto strada fino a lui e Alice.
- Restate con me! – gli urlò prendendo la sua Poké Ball.
Nonostante il freddo, nonostante la neve, Kyle venne colpito nuovamente da quell’odore di erba fresca e alberi in estate. Un’enorme Sceptile e un ancora più grosso Venusaur apparvero davanti ai tre, a fronteggiare i quattro Sacerdoti rimanenti.
- La mia Poké Ball data da Maisy. Figa, eh? Può contenere due Pokémon in armonia fra loro. E guarda cosa succede se faccio così.
Sur girò il quadro dell’orologio che portava al polso ormai da anni. Ci fu una reazione a catena che portò i suoi Pokémon a brillare per un momento poi, Venusaur e Sceptile, riapparvero nelle loro forme megaevolute.
- E scommetto che questo è ancora più figo, eh?
Sur partì all’attacco, coprendo le spalle ai due ragazzi e occupandosi di una coppia di Sacerdoti che lottavano come se fossero in perfetta sintonia, coi loro Electivire e Magmortar.
Kyle non riuscì a notare quali fossero gli altri Pokémon, se non il grosso Machamp che avanzava verso di lui e Alice e i tre Absol che li stavano circondando. Senza pensarci due volte, prese tutte e tre le sue Poké Ball, chiamando in campo i suoi compagni. Arcanine e Noctowl, supportati da Gallade, andarono a scontrarsi contro i tre Absol, con Alice a fargli da compagna.
- Guidali tu, io penso a quello grosso – gli urlò lui, indicandogli i suoi due Pokémon.
Poi, Riolu, si piantò nella neve davanti a lui. Machamp avanzava verso di loro con i pugni che sferzavano l’aria. Il Pokémon Emanazione scansò tutti i colpi con facilità, piccolo com’era. Cercarono di colpirlo in più sequenze, senza però riuscire anche solo a scalfire la resistente pelle grigiastra
Sia sul piano fisico che psichico, Machamp sembrava una montagna indistruttibile.
- Riolu, forza, dobbiamo abbatterlo velocemente! – Kyle urlava, non sicuro di venir capito in tutta quella confusione.
Poi, lo sentì colpire forte nel petto. Un calore innaturale si stava sprigionando dentro di lui. Vide Machamp colpire con tutti e quattro i pugni in contemporanea il viso del suo compagno. Il colpo fu tremendo e il Pokémon venne scaraventato via. Kyle sentì un dolore lancinante nel petto, a causa del legame che si era formato con il suo compagno.
Quest’ultimo volò dritto verso il ragazzo, atterrando a pochi metri da lui. Kyle avanzò a tentoni verso il corpo, riverso di lato e praticamente privo del più piccolo movimento.
- Riolu…? – chiamò, col sangue che iniziava a scorrergli da un lato della bocca.
Prese il Pokémon fra le braccia, non curante di tutto quello che accadeva intorno a sé. Machamp alla carica non esisteva più, per quei brevi attimi. Cercò di cullarlo e lo strinse a sé quando vide che il suo amico giaceva inerte, privo di ogni movimento. D’improvviso sentì una forte presenza nella sua mente, estranea ma familiare.
Machamp caricò un dritto spaventoso, diretto contro il ragazzo. Il pugno parve infrangersi contro una barriera invisibile. Kyle guardò verso di Mewtwo ma quello era troppo impegnato nel seminare distruzione e non avrebbe potuto difenderlo così. Un movimento nelle sue braccia lo destò.
Riolu si stava alzando a fatica e adesso si ergeva fra Machamp e Kyle. Guardò indietro e sorrise al suo allenatore, dopodiché la luce che ne seguì fu così accecante da rendere il mondo oscuro.
Pochi attimi dopo, Riolu non era più lo stesso. Così come fece il suo allenatore, giorno dopo giorno, era finalmente maturato.
Un’arma psichica dalla forma di un osso apparve nella nuova mano di Riolu, per poi abbattersi con innata violenza sotto la mascella di Machamp, che si era lasciato prendere dallo stupore. Volò per diversi metri per poi affondare nella neve.
- Credo che adesso io debba chiamarti Lucario, vero? – Kyle sorrise, sollevato dalla paura presa poco prima.
Riolu, ora Lucario, riprese a lottare con rinnovate forze. Scansava i colpi quasi come se li prevedesse, per poi controbattere con pugni, calci e colpi di palmi mirati nei punti deboli di Machamp. Fu il grido di Alice a distrarli.
Un Absol corse verso di lei, dopo essersi fatto breccia fra i Pokémon, con la lama che scintillava al sole puntato al suo petto.
Kyle non ebbe il bisogno di proferire parola che Lucario si lanciò in avanti.
“Ci penso io” gli comunicò mentalmente. Ma prima che potesse raggiungere la ragazza, gli altri due Absol si lanciarono verso di lui. Lucario li scansò agilmente, assestando due possenti montanti alle loro gengive ma, la perdita di tempo, lo rallentò troppo. Absol era a un passo da Alice.
E poi, accadde. Il sangue schizzò ovunque su neve e ghiaccio, e la ragazza gridò.
Subito dopo, Lucario colpì con così tanta potenza da fracassare la lama sulla testa del Pokémon, per poi afferrarlo per il collo e lanciarlo lontano, mentre Arcanine, Noctowl e Gallade accorrevano e formavano un cerchio di protezione attorno ad Alice. Lei, inginocchiata, piangeva copiosamente. Questo distrasse anche Sur e il suo ultimo avversario che gridò di dolore vedendo il suo compagno di lotte.
- Kal! – si lanciò attraverso il folto gruppo di Pokémon che lo fece stranamente passare, assieme al suo Magmortar. L’Electivire di Kal, che stava ancora lottando contro Venusaur e Sceptile, lasciò perdere il combattimento e si precipitò verso il suo allenatore, seguito da Sur e i suoi Pokémon, ignaro di ciò che stava succedendo.
Kalin arrivò vicino ad Alice e si inginocchiò di fianco a lei, con una mano provò a premere sulla ferita al petto del fratello gemello.
- Dobbiamo portarti via, i medici riusciranno a metterti a posto.
- Principessa, abbiamo promesso di proteggerti, ricordi? – Kal tossì sangue mentre le interiora sporcavano lentamente il suolo ghiacciato. Il casco gli era cascato e ora i capelli inondavano le ginocchia di Alice.
Lei piangeva a più non posso, con il ragazzo stretto al petto.
- Perché? – gli chiese lei, non curante dei Pokémon che lottavano per proteggerla, con Sur al comando.
- Abbiamo fatto un… giuramento.
Kal tossì di nuovo, sempre più bianco in volto.
- Fratellino, tocca a te, proteggi la nostra piccola principessa. Non lasciare che la riprendano…
- Non puoi farlo. Non puoi morire! Cosa faccio senza di te? – Kalin prese a piangere ancora più forte.
- Difendi Alice. Devi ascoltarmi… sono sempre il… fratello maggiore.
Kal esalò l’ultimo respiro. I suoi occhi vuoti fissavano Kalin.
Il suo Electivire sembrò impazzire. Si lanciò nella mischia, puntando i Pokémon dei Sacerdoti. Li colpì tutti, senza timori, con fulmini così potenti da fermargli il cuore.
Solo allora, Kyle si riscosse e si accorse che Machamp puntava dritto su di lui. Nessuno dei suoi Pokémon o degli alleati era abbastanza vicino da poterlo aiutare. Urlò il nome di Lucario e quello si girò immediatamente e si lanciò verso di lui. Ma fu troppo tardi; Machamp era già su di lui e iniziò a sferrare i suoi colpi. Kyle riuscì a scansarne alcuni ma un violento pestone lo fece ricadere spalle a terra. Machamp lo bloccò con un piede mentre il suo ultimo pugno volava verso la sua testa. In quel momento un violento ruggito spezzò l’aria e Kyle vide Machamp volare via. La neve vorticò attorno a lui mentre Rhyperior si frapponeva fra i due. Il Pokémon dalle quattro braccia s’infuriò per la preda rubata e si lanciò all’attacco. Rhyperior era troppo lento per poter scansare tutti i colpi che lo stavano colpendo e quindi si limitò a incassare mentre ricambiava con altrettanti pugni. Machamp lo colpì al petto con tutta la sua forza, facendolo arretrare. Rhyperior s’infuriò e, invece di continuare a colpire, gli afferrò due braccia. Iniziò a tirare con tutta la sua forza, cercando di tenerle ferme.
Il suo avversario continuò a tempestarlo di pugni esplosivi al petto ma non riuscì a liberarsi dalla morsa, le mani di Rhyperior si erano chiuse come una morsa attorno alle sue braccia. L’urlo di dolore che Kyle udì fu tale da spezzargli l’anima. Fu un istante: le articolazioni di Machamp scricchiolarono quando le ossa furono spostate dalla loro giusta locazione e la carne gridò mentre veniva lacerata. Con una forza innata, Rhyperior strappò le due braccia bloccate, facendo urlare di dolore Machamp. Le lanciò via, nella neve, per poi bloccare il suo rivale per le spalle. Azionò il corno sulla fronte e poi si avvicinò lentamente e inesorabilmente al cranio dell’altro. La punta cominciò a penetrare mentre Machamp si dibatteva per liberarsi. Ci fu un sonoro crack e poi le braccia ancora attaccate al corpo del Pokémon, smisero di dibattersi.
Quella fu l’ultima immagine che Kyle riuscì a vedere, prima del glaciale ruggito che bloccò immediatamente i pensieri di tutti. Kyurem era apparso, attratto dalla violenza dei combattimenti, e con lui una tremenda tempesta.
Rhyperior afferrò Kyle e corse a testa bassa, portandolo in braccio, fino al cerchio dove si trovavano Sur, Alice, Kalin e i loro Pokémon. Lì attesero, non potendo vedere nulla, raggiunti poi da Gold e Green conciati piuttosto male. Aspettarono gli uni vicino agli altri per quello che sembrava un tempo infinito. La tempesta si placò improvvisamente e poterono vedere, lì sulle rovine, Cole e Mewtwo intenti a combattere Reshiram e Zekrom. Alle loro spalle, Sua Santità teneva fra le mani uno strano oggetto.
Kyurem si avvicinò a quello ruggendo ma prima che potesse fare altro, venne colpito da un piccolo oggetto sferico che si chiuse all’istante.
- Arrenditi al potere della Poké Ball più potente di tutte. Io credo! – la voce di Artorius si fece largo nella neve mentre catturava Kyurem, con i suoi avversari impotenti.
Kyle vide Mewtwo e Cole lottare con tutte le loro forze ma Zekrom era ancora lì a sbarrare loro la strada.
- Andiamo via. Riprendi Reshiram e andiamo – Artorius diede ordini al Sacerdote in nero.
Quello obbedì, facendo rientrare il difensore della Verità nella sua Master Ball. A uno schioccare di dita, Zekrom fece dietrofront e si mise in volo. Raccolse l’altro uomo e volò via.
Sua Santità guardò Cole e Mewtwo avvicinarsi e rise di gusto. Fece uscire Kyurem, ormai sotto il suo controllo. Si fece alzare da quello e portare sulla sua testa.
- Uccidili tutti.
Vide in quel momento Alice e parve esitare per un istante. Poi sorrise.
- Anche lei, ormai non mi serve più a nulla.
Detto questo, un’immensa pioggia di neve e ghiaccio iniziò a colpire ovunque. Artorius scomparve dalla vista.
Cole si fece strada fino a giungere nei pressi del cerchio di alleati, dove tutti si scaldavano alle fiamme di Charizard e Typhlosion. Kalin seduto al fianco del fratello, per fortuna unica vittima dello scontro. Alice, priva del movimento, giaceva immobile fra le braccia di Kyle che provava a riscuoterla.
- Dobbiamo andarcene di qui o rischiamo di morire – fece Green.
- Facciamo trasportare i feriti e il cadavere dai Pokémon e filiamo via. Mi si sta congelando il culo – aggiunse Gold.
- Non possiamo, c’è troppa neve che ronza qui intorno. Ci perderemo o ci faremo del male – Cole ormai giunto da loro, cercava di farli ragionare.
Mentre i tre litigavano sul da farsi, Kyle non poté fare a meno di accarezzare i capelli di Alice, sporchi di sangue, cercando di darle conforto.
Il tempo parve scorrere all’infinito mentre il freddo s’impossessava dei loro corpi. Si udì un dolce canto in lontananza e d’improvviso il Sole riuscì a entrare a forza nella coltre di neve. In pochi istanti, la tormenta cessò. Tutti si guardarono intorno, alla ricerca della fonte del magnifico suono.
Fu Alice la prima a vederlo e rimase a bocca aperta.
- Cole, appena ti salvo e porto tutti voi al riparo, giuro che ti ammazzo.
Daisy si librava a mezz’aria, cavalcando un magnifico esemplare di Articuno che cantava allegramente. Al dolce, lento muoversi delle sue ali, una piccola brina ricadeva al suolo, creando minuscoli arcobaleni lì dove veniva attraversata dalla luce del Sole. Atterrò e Daisy ne scese, per poi accarezzarle il becco.
- Lei è la mia Articuno, per fortuna siamo arrivati.
Alice si staccò dall’abbraccio di Kyle e, trascinandolo per una mano, lo portò con sé. Corse vicino a Daisy e l’abbracciò.
- Piccola mia, tu vieni con me, d’accordo?
Lei annuì e poco dopo seguì la donna sulla sua Articuno.
- Vi copriamo noi dall’alto, non posso trasportarvi tutti – si alzarono in volo, mentre Articuno cantava di nuovo.
Gli altri, fisicamente e mentalmente distrutti, sembrarono come riscuotersi da un momento di stasi. Raccolsero quello che restava delle loro cose e si diressero verso New Hope, feriti e malconci. Lucario e Mewtwo insistettero per restare fuori dalle Poké Ball e li accompagnarono, facendo da retroguardia.
Dietro di loro viaggiavano Electivire e Kalin, che portava fra le braccia il cadavere del gemello, i cui capelli dorati ondeggiavano al vento.
 
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo 29 - Before The Storm ***


Before The Storm
 
 
New Hope, sedici giorni dopo
 
La città era più silenziosa del solito. Nonostante fosse mattina inoltrata, tutti quanti erano via dalle loro case, lavorando per la loro ultima, grande impresa. Chiunque, dal fornaio all’armaiolo, era impegnato nel lavorare per la loro causa comune. La maggior parte delle energie erano concentrate nelle nuove fucine, dove sotto le indicazioni di Bucky stavano costruendo ciò che suo zio aveva lasciato in eredità per lui. Green passava la maggior parte del suo tempo lì con il ragazzo, colmando le sue lacune tecno scientifiche e supportando il suo lavoro. Nonostante i dubbi, Bucky si rivelò un ottimo costruttore delle armature speciali che Ferdinand aveva ideato: leggere, sottili e più resistenti dell’acciaio.
Cole passò tutto il suo tempo con Daisy, Blue e Sur, ideando la strategia da adattare nel momento in cui tutto sarebbe stato pronto per muoversi. Di solito si vedevano di fronte il laboratorio della donna, dove c’era abbastanza spazio affinché Articuno potesse riposare sull’erba fresca, in compagnia della sua amica. Daisy, in effetti, non aveva mai detto di averla catturata. Bensì, le due condividevano un legame di profonda amicizia e si spalleggiavano a vicenda, nel momento del bisogno.
- Era andata ad aiutare i suoi compagni a Kanto – spiegò a Blue, la prima volta che vide Articuno, perdendo il fiato per l’enorme bellezza del Pokémon.
Gold e Zitanna, invece, furono mandati per tutta la Regione per passare la parola a tutti coloro che ancora combattevano per la libertà: l’ultima guerra degli Impuri era ormai alle porte. I due riportarono ottime notizie a New Hope dalle altre zone del mondo: Kanto era ormai liberata, così come tutte le altre Regioni, dove la caccia ai Sacerdoti era diventata l’ultimo pezzo del puzzle. Persino Hoenn, distrutta all’inizio della presa di potere di Sua Santità, stava lentamente rinascendo dalle sue ceneri. Tutti coloro che erano sopravvissuti poiché lontani al momento dell’implosione, erano finalmente riusciti a trovare Groudon e Kyogre. Col loro aiuto, il gruppo capitanato da Fiammetta e Rocco, stava riuscendo a ricreare l’intero continente che conteneva la Regione. Tale era la forza di Groudon da poter riplasmare ciò che l’essere umano aveva distrutto.
Queste notizie, in un momento così delicato, erano tutto ciò che si potesse desiderare ascoltare. Le parole dei due messaggeri erano rincuoranti per tutti loro. Nonostante ciò, i rinforzi erano ancora lontani troppo tempo, dato che tutti erano ancora impegnati a estirpare l’erbaccia dalla propria Regione. Quindi, per quanto rincuorati, erano loro contro Astoria e Sua Santità, ormai in possesso di tre Pokémon dalla forza devastante.
Nonostante tutto sembrasse a loro sfavore, gli abitanti di New Hope e tutti i loro compagni erano più che decisi a eliminare ogni pazzia di Artorius.
Una volta ritornati dalla Vetta Lancia, Cole e gli altri avevano attuato diverse riunioni a cui presero posto tutti quanti, per poter spiegare ciò che era avvenuto e le loro preoccupazioni.
Kyle si meravigliò quando nessuno parve obiettare la parte in cui un ragazzino diceva di venir contattato telepaticamente da Reshiram che lo avvisava del pericolo imminente e dei piani del Sacro Ordine. Tutti erano decisi a finire una volta per tutte quell’orribile guerra e non provavano il minimo dubbio nei confronti di Cole, che prese la parola più volte. Avrebbero seguito il loro condottiero anche nelle fauci di Giratina, se lui glielo avesse chiesto.
Mancava ormai davvero poco al mobilitarsi di tutti.
 
Tutti quei giorni furono completamente diversi per Kyle e Alice. I due, dopo aver aiutato Kalin a seppellire suo fratello, lo convinsero che ormai Alice non necessitava più di una guardia del corpo ventiquattr’ore al giorno. Così, il ragazzo, decise di passare le sue giornate ad allenare e addestrare quante più persone possibile, insegnando loro i metodi di combattimento dei Sacerdoti e le loro tattiche più utilizzate e, di conseguenza, come evitarle e torcergliele contro. Dopo di questo, i ragazzi furono obbligati da una Daisy armata di mestolo incandescente a evitare ogni sorta di fatica: nel piano ideato da Cole loro due avevano un ruolo centrale. Pericoloso ma centrale.
A nulla servirono le obiezioni delle donne del gruppo, quando venne detto loro in cosa consisteva. Nessuno era del parere che far infiltrare Alice fino alle mura della Torre Bianca fosse una buona idea, ma la ragazza era l’unica a conoscere alla perfezione la struttura e il modo di arginare il problema della spessa e immensa recinzione che la circondava. Da qui, Kyle si era imposto di doverla accompagnare, facendo leva sul suo orgoglio e il fatto che Maisy fosse morta per loro due e che avesse ceduto a lui il compito di proteggere la ragazza. Così si era deciso che l’attacco sarebbe avvenuto in due fasi: il grosso degli uomini sarebbe andato a combattere, mentre Cole, Sur, Kyle e Alice avrebbero trovato qualche ingresso secondario per andare diretti alla Torre Bianca e fermare Artorius prima che sia troppo tardi. Almeno, sapendoli lontani dalla guerra vera e propria, Daisy sembrava un po’ più sicura.
Ora, a poco tempo dalla partenza, Kyle e Alice stavano trascorrendo uno degli ultimi giorni in completa tranquillità, senza nulla da dover fare. Anche i loro Pokémon si erano dati al relax ed erano spariti chissà dove fra i boschi e le distese erbose.
Senza una meta precisa, i due iniziarono a vagare per le strade di New Hope, subito dopo la cena. Passarono davanti al “I Bastiodon Ubriachi” dove Bryan li salutò entusiasta e offrì loro della cioccolata da portare con sé. Kyle le raccontò quindi della sua prima volta in quel posto, con Cole, facendola ridere in più riprese. Ma, nonostante lei avesse insistito per entrare a vedere tutte le strane decorazioni in quel locale, Kyle la costrinse a continuare a camminare.
- Devi vedere un posto, questa sera. L’ho scoperto durante i miei momenti liberi in cui camminavo praticamente ovunque. Scommetto che di notte è ancora più bello.
Lei sbuffò ma alla fine, anche per merito della cioccolata, si addolcì ed evitò di irritarsi a un livello tale che solo Kyle riusciva a farle raggiungere. Nonostante questo, il ragazzo riusciva lo stesso a farla ridere, anche se ancora non aveva del tutto superato la scomparsa di Kal.
Il Sole ancora non era del tutto scomparso dai cieli e questo li aiutò non poco, in quanto si stavano dirigendo in direzione del bosco. Armato solo di una torcia elettrica, Kyle apriva la strada, lasciando ad Alice il compito di illuminare i propri passi con la sua luce portatile.
Camminarono per diverso tempo, a volte in silenzio, altre parlando animatamente. Un Weedle selvatico s’impaurì non appena li vide, quando si trovarono faccia a faccia. Cercò disperatamente di fuggire via ma nella fretta non si accorse del ramo di un cespuglio e ci andò a sbattere contro, restando bloccato con il piccolo aculeo frontale. Alice rise di buon gusto quando Kyle cercò di liberarlo, beccandosi in tutta risposta un’abbondante porzione di Millebave in faccia.
- Bel ringraziamento, io volevo solo aiutarti! – gli urlò contro, mentre il Weedle fuggiva via nel sottobosco.
- Magari nella sua lingua questo significa “grazie” – Alice rise ancora.
- Vorrei vedere se fosse successo a te. Saresti impazzita per i tuoi capelli.
- Perché loro sono bellissimi e importanti. E poi sarebbe stato un peccato se si fossero rovinati.
- E i miei no?
In tutta risposta, Alice, vedendolo irritato, staccò un pezzo di cioccolato dalla sua barretta e glielo porse.
- Pensi che il cioccolato possa risolvere ogni cosa?
- Sì – gli avvicinò ancora di più le dita, arrivando sotto al suo naso.
Kyle aprì la bocca e iniziò a mangiare il pezzo del dolce.
- Allora? – gli chiese lei.
- È delizioso, ma questo non cambia nulla – disse lui, con la bocca piena di cioccolato.
Ripresero a camminare e nel frattempo il cielo si tinse di blu scuro portando con sé la notte e infiniti puntini luminosi su, in alto fra le nuvole. La Luna quasi piena si stagliava sulle vette delle montagne alzandosi con una perfetta perpendicolare sulle loro teste.
Kyle si infilò all’interno di un enorme fila di siepi selvatiche che percorrevano in orizzontale la strada che loro stavano seguendo. Aprendola a forza, creò un piccolo varco con le braccia. Fece segno con la testa ad Alice di entrare, e quella obbedì in silenzio. Una volta dentro fu difficile per lei uscire dall’altra parte ma riuscì a coprirsi il volto quanto bastava per non graffiarsi. Subito dopo essere uscita, si accorse che lì gli alberi erano quasi assenti e che l’erba alta dominava ovunque.
Kyle la seguì non appena lei oltrepassò la barriera vegetale. Si scrollò qualche foglia di torno e iniziò a illuminare a raggio l’ambiente circostante. Ne venne rivelata una grossa distesa d’erba, circondata tutt’attorno da siepi e alberi, al cui centro si trovava una piccola struttura.
- L’ho trovata per caso, quando cercavo di rincorrere Riolu e Arcanine, il merito è loro.
Il ragazzo iniziò a camminare, seguito subito da Alice che gli si attaccò al braccio, impaurita.
- Non mi piace questo posto, è spettrale.
- Tranquilla, siamo quasi arrivati – disse lui, liberandosi il braccio solo per poter poi cingere le spalle della ragazza, stringendola a sé.
- Così va meglio?
- Per stare meglio dovresti come minimo darmi tre chili di cioccolata al latte.
Kyle sorrise e spinse delicatamente in avanti Alice.
Una volta arrivati alla porta della piccola casa, lui si fermò.
- Avanti, aprila.
- Io? Nemmeno morta. Se questo è uno scherzo, ti do una testata sulle gengive.
- Aprila e non ti preoccupare.
Lei tentennò per qualche istante ma poi cedette al sorriso di Kyle. Per qualche strana ragione quel ragazzo le ispirava fiducia. Più di quanta avrebbe voluto.
La porta fece resistenza non appena lei abbassò la maniglia, per poi girare sui cardini, lamentandosi. Il cigolio penetrò a fondo nel fitto silenzio che regnava tutt’attorno, dove neanche un verso di un Pokémon selvatico si udiva ormai da quando erano entrati all’interno del muro di siepi.
Alice illuminò l’interno con la sua torcia esplorando, palmo a palmo, tutte le pareti.
- Aspetta, ci penso io – Kyle la spostò di lato, entrando a sua volta. Armeggiò con quello che al buio sembrava un generatore. Un debole ronzio pervase la stanza quando quello si accese con un colpo secco. In conseguenza, decine di piccole luci blu, verdi e rosse si accesero: erano fissate sul tetto, sui muri e, quelle più grosse che emettevano una luce naturale, penzolavano da una parete all’altra, tutte unite in serie. Solo il centro della stanza era lasciato sgombro e si poteva vedere il vecchio soffitto in legno scuro e massiccio. In un angolo, c’erano Kyle e il generatore, mentre gli altri erano occupati da tanti e piccoli mobili, come cassettiere e armadi a mezz’altezza. In una parete si apriva un piccolo buco in marmo che faceva da camino mentre, dalla parte opposta, c’era un vecchio e consumato frigorifero. Al centro del pavimento, era stato lasciato un materasso con coperte e lenzuola consistenti, per combattere il freddo montano. Ma gli occhi di Alice rimasero piantati sulle tante luci colorate che si riflettevano nel verde chiaro delle sue iridi. Una cosa tanto semplice quanto stupenda, per lei.
Kyle richiuse la porta alle sue spalle, per poi spingere la ragazza verso il centro della stanza.
- Spostati un attimo da qui, devo prendere una cosa.
Sganciò una piccola scala da dei ganci dal muro e la posizionò poco prima del materasso. Ci si arrampicò sopra fino in cima e poi tirò due anelli d’acciaio fissati nel legno. Una porzione di tetto scivolò in giù, per poi staccarsi dal resto. Kyle la tirò a sé e la fissò su di un lato con degli altri ganci, lasciando il cielo entrare all’interno. Dopodiché scese, posò la scala al suo posto e, sorridendo, spinse Alice fino a farla sedere sul letto.
- Chiudi la bocca, che entrano le mosche – disse lui, provando a farla rinvenire da chissà quale posto.
Lei parve ricadere sul terreno da centinaia di metri di altezza, riscossa dai suoi pensieri.
- Scusa che hai detto? Mi ero persa.
- Me ne sono accorto – aprì il frigorifero – Sei fortunata, le riserve consistono in: acqua, succo di arancia, succo di pera e succo di mele. Quale preferisci?
- Arancia. Ma lo hai fatto tu? – chiese lei, indicando la struttura.
- Io? No, certo che no. L’ho scoperta mentre girovagavo nei boschi con i miei Pokémon. Mancavano il letto con le coperte, le luci, il generatore e il frigorifero. Ho portato tutti qui quando ancora non mi ero trasferito da Maisy, con l’aiuto dei miei Pokémon. Al generatore ha pensato Arcanine, l’ha caricato lui poco prima che venissimo qui.
Kyle passò l’aranciata ad Alice, per poi stendersi di fianco alla ragazza. Più tuffandosi che sdraiandosi.
- Queste notti, da quando siamo tornati dalla Vetta Lancia, le ho passate quasi tutte qui. Dopo che tutti fossero andati a dormire, saltavo in groppa a Noctowl e con lui venivo qui con i miei Pokémon, a guardare le stelle. Purtroppo sta iniziando a fare troppo freddo qui fuori, di notte, quindi dentro era l’ideale. Poi, con Arcanine vicino, ci si scalda più che a dovere.
- Ma… la mattina ti trovavo sempre a casa, appena sveglia.
- Perché poco prima dell’alba tornavo via, con loro. Sai, Daisy.
- Sì lo so, ti uccide se ti fai del male.
- Proprio quella roba lì. Aspetta, prendi pure tu il cuscino e stenditi, così si vede meglio il cielo, io sono abituato a dormire senza.
- No, tranquillo, preferisco restare seduta – Alice sorseggiò un po’ del suo succo d’arancia, con gli occhi fissi in alto.
Kyle si stiracchiò e poi incrociò le mani dietro la testa, trovando una posizione più comoda. La luce delle lampadine non faceva altro che diventare un contorno sulla finestra che si affacciava sull’eterno e immenso blu scuro, puntellato di stelle.
- Come mai hai aspettato fino a stasera per farmi vedere questo posto? Ci avrei passato la mia intera vita qui dentro.
- Prima ho dovuto portare qui le luci, il letto e tutto il resto. Ci stanno anche delle sedie a sdraio per guardare il cielo da fuori, ma credo ci sia troppo vento per quello. E poi stanotte c’è la Luna piena, è più bello.
- In effetti il suo effetto l’ha fatto. È così stupendo questo cielo, che anche Sur potrebbe rimorchiare se portasse qualcuna qui.
Entrambi risero e Alice sentì un brivido pervaderle la schiena. Poi anche lei si distese di fianco al ragazzo, rinunciando per una seconda volta al cuscino.
- È meglio senza, mi verrebbe il torcicollo.
- Cagionevole come sei, rischieresti di spezzartelo direttamente.
Lei gli diede una gomitata nel fianco, mozzandogli per qualche istante il fiato.
- Zitto e lasciami godere dello spettacolo. Anzi, fa qualcosa, sto sentendo freddo. Entra un sacco di vento da quell’apertura.
- Aspetta, vado ad accendere il camino.
- No, è inutile, troppo lontano.
Kyle allora si abbassò verso il fondo del letto e raccolse le coperte, per poi sommergere entrambi fino al collo.
Passarono pochi minuti, il ragazzo era convinto di aver ormai trovato la pace interiore, quando la voce di Alice squillò di nuovo.
- Non sta funzionando, ho ancora freddo.
- Allora lasciami accendere il camino, vedrai che ti scaldi – disse lui, per poi alzarsi sbuffando.
- Non capisci mai niente – lei allungò una mano verso il ragazzo per poi farlo distendere nuovamente.
Dopodiché, alzò leggermente la testa e l’appoggiò sul suo petto. Lo fissò in volto con una strana espressione, un misto fra voglia di uccidere e pietà per la sua stupidità e la poca capacità di comprensione delle volontà femminili.
Lentamente, soprattutto perché impaurito, Kyle spostò il suo braccio per farlo scorrere sotto il corpo di Alice che si era alzata per permetterglielo e, infine, l’abbracciò. Lei l’abbracciò a sua volta, affondando la testa nei rossi capelli che erano sparpagliati ovunque e solleticavano il mento di lui.
Dopodiché lei annuì e lui fu consapevole che aveva scampato la morte un’altra volta, uscendone più o meno indenne.
Il tempo prese a scorrere sempre più velocemente, mano a mano che la stanchezza aumentava e il sonno giungeva con crescente prepotenza. Alice iniziò ad assopirsi quando Kyle cercò di alzarsi.
- Si sta facendo tardi, dovremmo rientrare – rispose al verso di brontolio di lei, successivo all’improvviso movimento del ragazzo.
- Altri cinque minuti – lei volse il suo sguardo verso l’alto – Fammi guardare un altro poco il cielo e ce ne andiamo.
- Va bene, ma solo cinque minuti.
Kyle stiracchiò la testa e volse uno sguardo intristito al braccio sul quale poggiava Alice, ormai privo di ogni sensibilità. Provò a muovere le dita che risposero al comando e fu sicuro che non era ancora morto.
Poi riportò lo sguardo verso l’alto ma qualcosa nei capelli della ragazza lo catturò. Il loro rosso sembrava risplendere di luce propria al riflesso della Luna e le infinite lampadine dentro la piccola costruzione. Pur sapendo che non avrebbe dovuto farlo, Kyle continuò a fissarle il volto, mentre lei era distratta, cosa che notò essere successa più e più volte negli ultimi giorni. Per qualche istante iniziò a penetrare nella sua mente uno strano pensiero, che non aveva nulla di sensato e razionale. Lei era troppo bella e aveva sempre vissuto con persone illustri e colte. Lui, invece, era solo Kyle.
Proprio mentre cercava di allontanare e accantonare il più possibile quel pensiero irrealizzabile, Alice si girò e incontrò il suo sguardo. Per quanto lui cercò di girarsi e fare il vago, non riuscì a comandare ai suoi occhi di volgere altrove.
Ci furono quattro o cinque secondi o forse minuti interi, Kyle non seppe capire il flusso del tempo in quel frangente, in cui tutti e due si fissarono. Ogni sforzo di voltarsi gli parve inutile, quindi lasciò perdere e decise di aspettare una qualche reazione da parte di lei.
Nulla, però, l’avrebbe potuto preparare a quel momento.
Invece di parlare, di dargli qualche pugno o schiaffo per farlo rinvenire, Alice iniziò a farsi sempre più vicina. Si mosse lentamente, come se avesse paura di fare qualcosa di sbagliato o di rompere qualcosa, di distruggere l’attimo.
Il cervello di Kyle iniziò a rombare e a correre a mille in pochi attimi, lasciandolo leggermente stordito e dubbioso su cosa stesse accadendo. Poi, senza più pensare a nulla, andò a intercettare il movimento di Alice. Fu più veloce e facile di quanto si aspettasse.
L’istante dopo, le labbra sue e quelle di lei, si strinsero in un caldo abbraccio. Intimo, ma delicato.
La sua mano andò a inoltrarsi fra i capelli rossi di lei, spostandoglieli dal viso, per poi adagiarsi dietro il suo orecchio, a sorreggerle la testa. Lei si discostò e lo fissò timidamente negli occhi.
Rise e lui ricambiò. La sua risata gli parve il suono più bello e dolce, in quel momento.
Ripresero a baciarsi, stavolta con più ardore. Kyle venne inondato di capelli quando Alice alzò le coperte e si spostò sopra di lui, per poi richiuderle su di sé. Fece adagiare il suo corpo su quello del ragazzo, spingendo la testa del ragazzo verso la sua, andando a cercare le sue labbra. Nel mentre, lui l’abbracciò con tutta la passione che aveva in corpo. La sua mano andò a stringerle la schiena, quando lei si scostò una copiosa ciocca di capelli che le era caduta davanti al volto e s’era insinuata fra le loro labbra. Kyle spinse nuovamente il corpo di Alice verso il suo, per poi riprendere a baciarla ancora più intensamente. Lei si alzò a sedere, per poi sfilargli la maglietta. Lui imitò il suo gesto e subito dopo venne inondato nuovamente dai lunghi capelli rossi quando la ragazza si abbassò di nuovo su di lui.
- Non avrai più freddo così? – disse lui, sarcasticamente.
Alice gli morse il labbro inferiore, zittendolo all’istante.
- Taci, non rovinare la mezza volta che non ti odio.
Lui gli prese il volto fra le mani mentre la chioma della ragazza ricadeva tutt’attorno, oscurando ogni cosa alla vista, se non il suo bellissimo viso. Entrambi risero per lo scambio di battute e si baciarono nuovamente, stavolta con più calma, sicuri adesso di avere il tempo dalla loro parte.
Quella notte, furono uno nelle braccia dell’altro.
Un corpo solo.
 
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Capitolo 30 - Dalle Ceneri, Come Una Fenice ***


Dalle Ceneri, Come Una Fenice
 
 
 
Il calore della lampada da comodino iniziava ormai a infastidirlo. Posò la penna sul foglio, distese la mano e poi si strofinò gli occhi. Controllò l’orologio e vide che erano quasi le diciannove, ora di cena. Rilesse velocemente i suoi appunti presi in classe e li utilizzò per correggere da solo i suoi esercizi di algebra. Ci volle solo un attimo e chiuse il quaderno. Lo ripose sulla mensola, al suo posto, poi prese l’astuccio e lo mise nuovamente nello zaino già pronto per il giorno dopo. Spense quella fastidiosa lampada, si cambiò e si diresse verso la porta.
Una volta fuori, s’incamminò verso il bagno del piano di sopra. Decise di prendere il corridoio principale, quello con tutte quelle sculture in marmo e dipinti su un lato, mentre l’altro era aperto sul salone dove quella donna, la decima forse in una settimana, era intenta a produrre una dolce e lieve melodia con il pianoforte a coda della sua famiglia. Si appoggiò alla balaustra, infilando la testa fra due dei piccoli pilastri intagliati che ne sostenevano il corrimano in marmo bianco, per poter vedere meglio. La donna, dai capelli biondi, indossava un lungo e sfarzoso vestito color blu notte.
Dopo circa tre minuti di Mozart, decise di rimettersi in cammino per non arrivare tardi alla cena. Percorse il resto del corridoio e si chiuse nel bagno. Si sciacquò per bene il viso e le mani, asciugandosi sul suo asciugamano personale e poi lo ripose facendo attenzione a non creare la minima piega.
Una voce lo salutò una volta che fu uscito.
- Buona sera, Lucius.
- Buona sera, Madre.
- Finito con gli studi?
- Sì, erano fin troppo banali. Mi sono preso la libertà di anticiparmi con le pagine da studiare per la prossima settimana. Quando ho finito ho deciso di iniziare a prepararmi per la cena e ho colto l’occasione per ascoltare qualcosa della nuova pianista.
- Ottimo. Che te ne pare di lei?
- È brava, un’ottima sostituta per prendere il vostro posto ma, con tutto il rispetto, non riesce lo stesso a eguagliarvi nel suonare quel pianoforte. Solo voi riuscite a rendere alla perfezione le note di Mozart.
- Puntare sui complimenti è un modo velato per chiedermi di riprendere il posto di tuo insegnante?
- Sarebbe un onore per me, imparare dalla migliore – Lucius sorrise a sua madre.
Lei perse per un attimo il suo tono composto e altezzoso, quando non poté fare a meno di accarezzare i capelli del figlio.
- Vedremo, per adesso pensiamo ad andare a cena. Tuo padre è tornato poco fa dall’incontro con i responsabili della lega di Sinnoh.
- Perfetto, erano settimane che non lo vedevo. Sta bene?
- Potrai chiederglielo tu stesso, cenerà con noi questa sera.
Lucius s’illuminò in volto, quasi pronto a esplodere. Sua madre colse i segnali, come solo lei sapeva fare, e lo fermò prima che potesse esprimersi.
- Controllati, tesoro mio. Sei il figlio del Capitano della Guardia di Stato, gli occhi di tutti saranno sempre puntati su di noi. Qual è la prima cosa che si deve rispettare?
- Contegno ed eleganza come prima cosa. In secondo luogo, fare tutto ciò che possiamo per rendere il mondo un posto migliore.
- E…?
- Aiutare e proteggere i più deboli.
- Bravo bimbo mio – lei si abbassò fino alla fronte di suo figlio, baciandogliela – Sei l’uomo di dieci anni migliore che ci sia.
Gli porse la mano e lui la prese, per poi scendere le scale assieme e dirigersi nella sala da cena.
Lucius vide la figura di suo padre all’altro estremo della tavola e gli corse incontro. Lui allargò le braccia, sorridendo, per poi prenderlo in braccio e baciarlo sulla guancia. A nulla servirono gli avvisi della madre che si premurava fin troppo delle attenzioni che gli altri potevano riservare per la propria famiglia. Quando l’uomo la vide, si precipitò verso di lei, per poi baciarla.
- Tutto bene qui, Cassandra?
- Nulla fuori dall’ordinario. Lucius sta facendo progressi favolosi negli studi. Potrebbe prendere la tua strada, Maxwell.
Il bambino vide suo padre sorridere venendo a conoscenza della sua bravura. La folta barba di lui ondeggiava assecondando i movimenti della sua testa.
Tutti e tre si sedettero a tavola e immediatamente i camerieri iniziarono a portare i vari piatti, stracolmi dei più disparati tipi di leccornie. Poi, durante l’arrivo del dolce, il pianoforte s’interruppe di scatto.
Cassandra si alzò, diretta verso il salone, decisa a fare una lavata di testa alla nuova ragazza, quando si udirono degli spari in lontananza. Lei urlò e corse nella direzione da cui proveniva. Suo marito estrasse immediatamente la pistola dalla fondina e prese Lucius sotto braccio.
- Tutti nel bunker, subito! – urlò lui, spingendolo fra le braccia della madre e aprendo loro la strada.
Corsero per le diverse rampe di scale e corridoi, dove i cadaveri dei camerieri e gli addetti alle pulizie spuntavano un po’ ovunque. Una figura incappucciata comparve d’improvviso da un angolo ma Maxwell fu più veloce di lui e lo colpì prima che quello potesse esplodere il proiettile. Qualcuno sgattaiolò alle spalle di Cassandra, per poi bloccarla tirandole i capelli. La presa su suo figlio si allentò, facendolo incespicare sui propri piedi e cadere in avanti, mentre lei veniva bloccata da più paia di braccia.
Suo marito si girò, allarmato dalle grida di lei. Uno degli incursori lanciò un coltello che andò a conficcarsi nel ventre di lui, lacerandogli le budella. La presa sulla sua pistola si fece più lenta e i pochi attimi successivi non furono abbastanza lunghi. Uno degli uomini incappucciati si fece avanti, dando un calcio in faccia a Lucius nel mentre, per poi giungere davanti a Maxwell. Gli bloccò la testa con una mano e con l’altra gli conficcò un pugnale sotto al mento, trapassando lingua e cervello con una sola mossa secca.
Il bambino cercò di alzarsi a fatica ma altre due persone lo bloccarono e lo issarono di peso, facendogli staccare i piedi dal terreno. A nulla servì la sua debole resistenza. Sua madre urlava ancora quando lo stesso uomo che aveva ucciso Maxwell si avvicinò a lei. Le diede uno schiaffo in pieno viso, zittendola all’istante. Lui schioccò le dita e i due uomini che reggevano Cassandra risero, come in risposta a un ordine già prestabilito: con un coltello lacerarono il vestito della donna, lasciandola nuda, per poi colpirla col manico all’altezza dell’ombelico. Lei cadde bocconi a terra, reggendosi su ginocchia e mani. Poi l’altro la prese per i capelli e la costrinse con la forza a girarsi, dando le spalle a quello che doveva essere il loro capo.
Lui, sentendo le grida di Lucius, si girò verso di lui, prima di continuare.
- Tu, piccolo mio, guarderai. Un solo altro grido e, dopo che anche i miei uomini avranno goduto di tua madre, le taglierò la testa per poi conficcare il corpo nel suo adorato pianoforte.
Lucius chiuse gli occhi.
 
Artorius riaprì i suoi occhi, liberando la mente dai ricordi del passato. Erano anni che non ripensava agli ultimi attimi della sua infanzia, prima della sua fuga. Le parole del padre e la madre defunta rimasero impresse nella sua mente quando, anni dopo, iniziò a predicare la salvezza di tutti e la necessità di supremazia della razza pura ed estranea da ogni forma di cattività e male. In quegli anni, quando Lucius era ormai un ricordo e Artorius il nuovo presente, la vita fu colma di sacrifici e dolori. Ma, adesso, i suoi sforzi venivano ricompensati: era sul punto di cancellare ogni traccia dell’esistenza del male, usando il chaos e la morte a suo favore. Come un dio, lui avrebbe ripulito la razza umana da ogni fetore per poi farla rinascere sotto nuove e più candide spoglie.
Tornò al presente.
Il laboratorio in cui erano incubati i tre Pokémon leggendari stava lavorando a massimo regime, sotto la sua personale guida. I suoi lunghi sforzi per studiare, fin da bambino, avevano dato frutti più che soddisfacenti. Adesso, con il Cuneo DNA non più frammentato, poteva essere il solo e unico uomo a rimettere assieme le due parti del Drago Originale con il suo guscio.
- Quanto tempo è necessario per costruire il nuovo oggetto che farà da catalizzatore per la fusione? – chiese ai suoi sottoposti.
- Circa otto ore e trentotto minuti, Sua Santità.
- Magnifico. Finalmente ci siamo, figli miei. È giunta l’ora della salvezza. La fine del mondo così come lo conosciamo, sta per giungere. Il chaos potrà trionfare e distruggere tutto ciò che c’è di malvagio in questa società, per poi far rinascere dalle ceneri di questo mondo, una nuova vita utopica. E io, Artorius, comanderò il Drago Originale e avrò il potere necessario a ricostruire tutto così come deve essere.
Inspirò profondamente.
- Nessuno più soffrirà in quel modo – sussurrò, quando il ricordo riapparve.
Ordinò ai suoi sottoposti di farlo chiamare dalle sue stanze nel caso ci dovesse essere qualche complicazione o il processo fosse vicino a terminare. Dopodiché si congedò e si diresse verso l’uscita. Tutti coloro che incontrò per la strada lo salutarono e si complimentarono con lui per l’ormai imminente arrivo della salvezza di tutti. Artorius non poté fare a meno di intrattenersi quel tanto che bastava per rispettare l’educazione e i doveri che il suo ruolo gli imponeva. Finalmente libero, varcò le porte delle sue stanze.
Lì, all’interno, fu finalmente libero di poter riposare. Non fece caso alla grossa pila di lettere poggiata sul tavolo, e lasciò cadere il suo copricapo sulla sedia lì vicino. Si diresse verso l’unico, piccolo armadio in cui erano riposti i suoi pochi vestiti e ne trasse una lunga veste. Velocemente si svestì e l’indossò, per poi coricarsi.
 
 
Astoria, quarantasette chilometri fuori dalle mura della città.
 
- Forza, portate qui quelle piattaforme con le batterie. I nostri cannoni non si caricheranno coi Pokémon, abbiamo bisogno di tutti loro! – erano ormai ore che Cole lanciava ordini in ogni direzione, capitanando la sua squadra, imitato a gran distanza da Green, Blue, Daisy, Zitanna e Gold. Sur, invece, si era spinto in avanscoperta con i suoi reparti speciali e si erano appostati fra gli alberi e le rocce della montagna, in attesa di ordini. Ognuno di loro puntava già il loro obiettivo tramite i mirini dei potenti fucili.
Kyle e Alice si erano ormai liberati da tempo dalle premure di Daisy e si stavano preparando a loro volta: Bucky, Green, Blue e tutti gli altri scienziati avevano lavorato giorno e notte per dotarli di quegli speciali indumenti in grado di camuffarli e farli passare inosservati all’interno della Torre Bianca.
- Aspetta, ti aiuto io, tu non ci arrivi – Kyle fece il giro attorno ad Alice, andando ad allacciarle il dietro del pettorale.
Una volta che fu sicuro della tenuta della chiusura, fu soddisfatto.
- Sei proprio sicura di volerlo fare?
La ragazza si voltò, i capelli ondeggiarono seguendo meccanicamente il suo movimento, fluidi e densi come una colata di lava basica.
- Sicura, perché non dovrei? Ci sono dentro.
- È solo che…
Alice lo zittì mettendogli un dito sulle labbra. Poi si avvicinò a Kyle e lo guardò fisso negli occhi.
- Non mi accadrà nulla, ok?
- Certo che non ti accadrà nulla, sennò ti uccido.
- Che fai, provi a imitare Daisy? Non ci riesci, lei è troppo superiore.
- Ma non ha il mio culo, punto a favore.
Alice rise e poi si lanciò in avanti, andandolo a baciare. Kyle l’avvolse in un abbraccio e lei andò a verificare con la mano la veridicità delle sue parole.
- Ok, forse su questo hai ragione – le loro labbra si unirono di nuovo.
- Credi che tu possa risolvere tutto con un bacio?
- Direi proprio di sì - ripeté il gesto un’ulteriore volta.
Kyle le accarezzò i capelli e poi le fissò le protezioni per le braccia. Raccolse i due cinturoni modificati e li inserì fra le fessure delle loro vesti. Infine prese i caschi ultra leggeri e ne porse uno ad Alice.
I due uscirono dalla piccola tenda allestita in fretta e furia e si incamminarono verso il punto di incontro con gli altri. Solo allora Kyle si accorse di quanto fosse comoda quella specie di armatura e di quanto i movimenti non ne fossero assolutamente intaccati.
Bucky si diresse verso i due con un grosso sorriso sul volto, nonostante le grosse occhiaie, seguito dal suo Blastoise. Ad ogni passo del Pokémon, la terra sembrava rombare.
- Ah, vedo che vi stanno alla perfezione. Siete stupendi assieme.
Alice divenne improvvisamente viola. Vedendola, Bucky si affrettò a concludere la frase.
- Tranquilli. Non dirò a nessuno di voi due – strizzò l’occhio a Kyle, che aveva capito che lui aveva capito.
- Inoltre – continuò l’enorme ragazzo – Vedo che le mie tute vi stanno magnificamente. La “Mark I” e “Mark II” sono praticamente perfette.
Il suo occhio vagò su di loro, beandosi della buona riuscita del suo lungo e faticoso lavoro.
- Non so davvero come ringraziarti. Per le tute e l’altra cosa – Alice abbracciò il suo amico.
- Figuratevi. È questo che faceva mio zio: difendere quanto più possibile i suoi amici. Ho deciso di dedicarmi anima e corpo a questo.
Qualcuno, dalle retrovie, chiamò a gran voce il suo nome.
- Scusatemi, hanno bisogno di me per le tute standard, ci vediamo dopo. E, ragazzi, spaccate il culo a quel pezzo di merda tinto di bianco.
Salutò, abbracciandoli entrambi. Kyle si sentì quasi stritolare dalle braccia del ragazzo.
Fece segno ad Alice e insieme a lei s’incamminò verso il punto di raccolta. Lucario e Gallade vennero fatti uscire dalle Poké Ball, in modo da poter prendere parte e ascoltare il piano. Poco prima, Kyle aveva liberato Arcanine e Noctowl dalle loro Poké Ball e mandati nei boschi: la loro missione era di vitale importanza.
Non ci fu molto su cui discutere, come si erano aspettati. Cole spiegò un’altra volta come si sarebbe svolto il tutto, affidando agli altri il controllo del grosso dell’esercito, mentre lui, Alice e Kyle si sarebbero diretti verso la Torre Bianca, con Sur a guardargli le spalle.
Poco tempo dopo, i tre presero posto su di Pidgeot e volarono bassi fra gli alberi, diretti dove prestabilito. Da lontano, Kyle vide tutta la gente di New Hope e chiunque facesse parte della Resistenza, affrontare a faccia aperta il nemico. Avanzavano, cantando tutti insieme, diretti verso lo scudo violaceo che si era eretto automaticamente attorno alla città, mentre le sirene d’allarme risuonavano in tutta Astoria.
 
 
All’interno della Torre Bianca.
 
Artorius si alzò, lento e inesorabile, ancor prima che la sua guardia venisse a svegliarlo. Era già consapevole di ciò che avrebbe sentito. E in effetti, non fece altro se non annuire quando gli venne annunciato l’arrivo in massa dell’esercito rivale.
Si avvicinò alla finestra, con passo lento e sicuro. Guardò fuori, dove le difese avevano già preso posto.
Le diede le spalle e con la stessa calma surreale si avviò verso il laboratorio. Lì, le tre creature riposavano, e il Cuneo DNA era ormai completato. Artorius sorrise, prese le tre Master Ball e le ripose all’interno della sua cintura. Raccolse il Cuneo come fosse una reliquia e si diresse verso il luogo da lui prestabilito. Lì, dove le ceneri del vecchio mondo avrebbero potuto cospargersi ai quattro punti cardinali, sorrette dal vento e le fiamme della rinascita.
- E così, è davanti alle mura di Astoria che il nuovo mondo prenderà vita.
 
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Capitolo 31 - Morituri ***


Morituri
 


La battaglia era ormai imminente: la Resistenza si era fermata poco lontano dallo scudo eretto dalle macchine di Astoria. Su tutte le mura era un fremere di Sacerdoti che accorrevano da ogni parte per prendere posto nella difesa delle loro case. Ogni arma e tecnologia bellica era stata attivata ed era pronta all’uso, i battaglioni di soldati erano nei pressi del portone principale, i Pokémon al loro fianco. Anche tutta l’aviazione era mobilitata: i Salamance volavano a gran velocità nello spazio aereo della bolla.
L’esercito degli Impuri si fermò e rimase immobile, in silenzio. Green si fece avanti, in groppa al suo possente Charizard già megaevoluto.
- Blue, tu prendi i Pokémon più rapidi e punta al fianco sinistro. Gold, Zitanna, voi andrete con il reparto psichico e quello ombra, generate quanto più chaos possibile sul fianco destro. Io andrò con il grosso dell’esercito al centro, i Pokémon corazzati faranno da sfondamento. Tutta la flotta verrà guidata da Daisy. Per qualsiasi cosa, non esitate a comunicare: Alakazam terrà tutti noi in contatto mentale.
I vari settori si divisero, ognuno seguendo il proprio leader. Tutti, insieme, marciarono verso di Astoria. Dall’altra parte della barriera, i capitani delle difese urlavano ordini in ogni direzione, concludendo il posizionamento della difesa: ogni singolo Sacerdote, con la sua squadra, era stato chiamato a difendere le mura in ogni modo possibile. I primi colpi partirono dai Pokémon dei Ribelli, andando a infrangersi contro lo scudo difensivo, venendo riflessi o senza provocare il minimo danno. Il morale e l’ansia dei Sacerdoti andò scemando rapidamente.
- Restate ai vostri posti, ho detto! Guardate, i loro colpi non riescono neanche a scalfire le nostre difese più esterne – uno dei generali derise gli attaccanti, prorompendo poi in una grossa risata, seguito dagli altri.
Nonostante ciò, i Ribelli continuarono ad avanzare, senza più colpire.
- Ci penso io, state tutti fermi – commentò Daisy, grazie all’aiuto di Alakazam.
Articuno si levò in volo portandola con sé. Glaceon si trovava dietro la donna, a coprire i fianchi e il retro dello spazio aereo. L’Uccello Leggendario iniziò a cantare sempre più forte, mano a mano che si avvicinava al suo obiettivo. I Sacerdoti iniziarono a osservare la scena, impotenti e allo stesso tempo ammaliati dalla bellezza del Pokémon mai visto prima.
Le due arrivarono fin troppo vicino alla barriera, quando Daisy fece fermare Articuno. Librandosi a mezz’aria, parve bloccare il tempo e indurre tutto il mondo in stasi, mentre danzava fra il vento. Il Pokémon smise di cantare e il solo rumore attenuato delle sue ali smorzava il silenzio surreale che era calato.
- Fagli conoscere il gelido bacio della morte, amica mia.
Lei urlò improvvisamente, facendo sobbalzare chiunque fosse dal lato sbagliato del campo di battaglia. Schioccò il grosso becco e un’immane vampa di ghiaccio, freddo e crudele, andò ad abbattersi contro la barriera che faceva da scudo alla città. Il raggio si spostò, lento e inesorabile, su tutta la superficie delle difese, da sinistra a destra, in alto e in basso, creando uno spesso strato di ghiaccio su tutta la struttura. I Sacerdoti sussultavano e urlavano impauriti mentre fronteggiavano il gelido abbraccio mortifero che li circondava sempre di più. Ovunque sulla barriera iniziarono ad aprirsi crepe più o meno profonde, in corrispondenza di dove era stata colpita con più violenza.
Articuno si fermò solo quando ogni centimetro quadrato era stato bombardato a dovere. I Sacerdoti, vedendo bloccarsi d’improvviso l’attacco, esultarono, sicuri della potenza insufficiente del Pokémon Leggendario.
- Lascia, ora ci penso io – disse Green, che aveva raggiunto Daisy in groppa a Charizard.
- Fuocobomba. Con tutte le tue forze.
Charizard aprì le fauci, dove una piccola sfera di fiamme bianche andava a crearsi, alimentate dal potere della Megapietra. Ruggì d’ira quando la sparò in avanti, piccola e lucente come un Sole nascente. Quella volò silenziosa, sferzando il vento e procurando il panico nei Sacerdoti.
Un istante dopo, entrò a contatto col ghiaccio di Articuno, esplodendo con tanta violenza da polverizzare all’istante la barriera psichica. Fiamme e ghiaccio piovvero ovunque, lacerandola e facendola in mille pezzi finché non ne restò più nulla. Gli Impuri esultarono e partirono all’attacco.
In quello stesso istante, l’esercito dei Sacerdoti scese in campo, ormai obbligati al confronto, uscendo dalle porte della città e riversandosi fuori, in difesa delle mura e dei loro compagni che avrebbero coperto le loro spalle con le loro armi dai bastioni.
 
Molto più a Ovest, Kyle si fermò un attimo a osservare i due eserciti che entravano in contatto, esplodendo in un enorme boato di armi da fuoco e Pokémon che combattevano gli uni contro gli altri. Riuscì a intravedere Daisy che partiva all’attacco col suo Articuno e la potenza dei suoi attacchi di ghiaccio infrangere le linee dell’aviazione nemica.
- Non male quando butti un mostro di ghiaccio contro dei tipi Drago, vero? – commentò Cole, che si era fermato a osservare anch’esso.
I tre camminavano silenziosi nell’erba alta fra gli alberi, con Sur che li precedeva. Aveva già ispezionato tutta la via fino alle mura e, oltre qualche Sacerdote lasciato lontano dallo scontro a prevedere incursioni laterali, non c’era nessun altro. Lo raggiunsero, ai piedi dell’albero dove si era arrampicato.
- Ho contato cinque nemici sulle guglie. Posso ucciderne tre velocemente, ma ho paura che uno degli altri due riesca a dare l’allarme. Non sono più veloce come una volta col mio fucile.
- Non preoccuparti, Sur, ci penso io agli altri due – aggiunse Cole, prima di dare uno sguardo all’armatura nero lucido che iniziava a risplendere.
- Fai silenzio, però, altrimenti ne arriveranno altri.
- Tranquillo, ho i miei metodi.
Senza dire una parola, prese la Ball di Mewtwo e lo chiamò in campo. Si fece alzare grazie alla telecinesi fin quasi al limite del livello del muro e aspettò il segnale, che non si fece attendere. Sur sparò in rapida sequenza i proiettili dal suo fucile col silenziatore, colpendo alla gola i suoi tre obiettivi, mentre Cole veniva sparato sul cammino di ronda dove sfracellò il cranio agli altri due Sacerdoti, senza neanche dargli il tempo di capire che la morte incombeva su di loro. Scomparve per un istante, a decine di metri di altezza, per ricomparire subito dopo. A un suo cenno, Mewtwo portò se stesso e gli altri sulle mura.
Erano dentro.
 
La battaglia tutt’attorno impazzava. Gold aveva perso di vista da parecchio tempo Zitanna e le sue ragazze, nel mezzo del chaos che regnava sovrano, quando ormai il Sole calava dietro le più alte vette. Le fiamme del suo Typhlosion illuminavano tutt’attorno, riflettendosi sulle armature dei Sacerdoti, poco prima di venir lacerate dai colpi del mazzafrusto impugnato dal suo allenatore, ormai finite le munizioni delle sue armi da fuoco. Il suo reparto dell’esercito era stato l’unico a infiltrarsi così tanto fra le linee nemiche e adesso erano circondati. Avevano cercato di aiutare gli altri senza badare troppo a se stessi e il nemico ne aveva approfittato.
- Restate fermi, restate fermi! – urlò ai suoi, mentre i Pokémon si disponevano tutt’attorno, pronti a difenderli con i denti e il sangue.
I suoi, in particolare, combattevano come mai prima d’ora.
I Sacerdoti li avevano ormai circondati ma Gold, dall’alto della roccia su cui si era ritirato, riuscì a vedere Blue e Green avanzare, stavano quasi per raggiungerli. Almeno loro, sembravano molto più in forma. Anche Daisy, che volteggiava nel cielo coi suoi uomini, stava riportando vittorie su vittorie, tanti erano i Salamance che venivano abbattuti uno dopo l’altro. Lentamente, però, i rinforzi dei Sacerdoti stavano per sopraffarli. E dopo di loro, gli altri sarebbero stati in grande difficoltà.
Le sue forze stavano perdendo velocemente terreno, sempre più stretti fra di loro. A nulla servirono gli incitamenti di Gold, fra un colpo e l’altro. Vide il suo Togekiss sparare Ambipom verso degli Absol, che vennero martellati dai suoi violenti pugni.
- Gold, ci stanno per sopraffare! – Zitanna riapparve alle sue spalle, cambiando caricatore in un mitra.
Soffiò via una ciocca di capelli dal viso prima di riprendere a sparare, falciando gli scudi energetici di alcuni Sacerdoti. Le sue ragazze apparvero dal nulla, crivellando di piombo le carni dei loro nemici. Diedero una piccola finestra di tempo, prima del successivo assedio. Typhlosion si frappose fra Gold e un grosso Poliwrath. Lo colpì con un violento Tuonopugno prima che lui potesse accorgersi anche solo della sua presenza, spedendo indietro il suo cadavere. Il Blaziken di Zitanna, invece, era intento a decimare le orde di Pokémon nemici, balzando da un lato all’altro del campo, sempre più veloce grazie alla sua abilità innata. Difendeva chiunque stesse per ricevere un colpo, attaccava ogni singolo avversario con precisione micidiale.
Gold si trovò faccia a faccia con un grosso Sacerdote, immediatamente si avventò contro di lui, brandendo il mazzafrusto con cui aveva preso confidenza in un lampo. L’uomo, però, non si smosse e, anzi, rise. Alzò il braccio, estraendo una pistola dalla cintura e sparò verso di Gold.
Fu un attimo. Lui pensò di essersi beccato un proiettile in pieno petto quando venne spinto indietro e cadde a terra. Spinse lo sguardo verso il Sacerdote, non sentendo stranamente dolore, quando vide Blaziken che si era inserito fra loro due. Con un calcio ben mirato colpì in pieno la testa dell’uomo, staccandogliela di netto mentre veniva avvolta dalle fiamme.
Gold si alzò in piedi controllando il petto, per poi rassicurarsi per non aver ricevuto ferite. Blaziken gli si avvicinò, anche lui incolume. Poi, non appena il Pokémon spostò di poco lo sguardo, urlò e si lanciò in avanti, sbalzando il ragazzo. Lui si girò su se stesso, puntellandosi sui gomiti. Alzò lo sguardo e, non appena vide, urlò a sua volta, tanto fu il dolore provato.
Zitanna giaceva nella polvere.
L’intero mondo smise di esistere mentre lui si alzava in tutta fretta e si lanciava in avanti, verso di Zitanna. Un altro Sacerdote si frappose fra Gold e la sua corsa folle ma durò poco, finché una delle ragazze non gli fracassò la mascella con il calcio del fucile, per poi finirlo con un colpo alla testa.
Ma lui non badò a nulla più di tutto ciò che succedeva. Spinse via Blaziken, il quale urlò indignato, ma Gold non se ne accorse.
Si abbassò sul corpo di lei, osservando la macchia di sangue che le si allargava sul ventre. Zitanna respirava a fatica e gemette quando lui l’alzò.
- Oh cazzo, oh cazzo. Serve aiuto qui! – urlò lui nella folla.
Le ragazze di Zitanna si erano velocemente unite ai restanti dei suoi uomini e Pokémon, creando uno scudo protettivo attorno ai due. Come delle amazzoni, si lanciarono nuovamente in avanti, furenti e assetate di sangue.
- Finalmente… ti ho visto manovrare per bene una mazza – disse lei, tossendo sangue che le impiastrò i capelli.
- Non provare nemmeno a crepare prima di avermela data. Vedessi quanto sono bravo con l’altra – Gold rise, contagiando Zitanna.
- A ripensarci, forse avrei dovuto accettare almeno alla trentottesima volta. Ma almeno questo me lo devi.
La donna si aggrappò al collo della maglia di Gold, tirandolo a sé. I due si baciarono, mentre la tempesta di sangue e morte vorticava attorno a loro. Per quei pochi istanti, il mondo intero si fermò.
Poi lei, semplicemente, lasciò la presa.
Gli occhi di lui andarono a posarsi sul viso di Zitanna e solo in quel momento si lasciarono andare a una pioggia d’oro. Un ruggito lacerò l’aria e in un attimo Green e Charizard piombarono su loro due. Il Pokémon strappò il corpo di lei dalle mani di Gold e si rialzò immediatamente in volo, con dei Salamance alle calcagna.
Nel più totale chaos e confusione mentale, il ragazzo riuscì a trovare lo sguardo di Green, voltato indietro per un solo attimo.
- Vendicala – mimarono le sue labbra.
E poi, scomparve nel fumo e nelle ombre della notte.
Un fuoco si fece strada nel più profondo delle viscere di Gold, animandolo a nuove forze mentre un solo, singolo pensiero si faceva largo nella sua mente. Il suo orgoglio glielo aveva sempre impedito, in quanto lui doveva essere in grado di combattere i suoi nemici ma, in quel momento, ogni singolo frammento del suo lato ragionevole e razionale andò completamente incontro alla morte. Un unico obiettivo esplose nella sua mente come un neon che infastidisce l’intero vicinato con la sua luce orribile.
- Morte! A morte! – urlò, le vene del collo parvero esplodere.
Tutti si fermarono un istante a osservarlo, lì nella polvere, coperto di sangue, tanto fu potente la sua voce. Si alzò, prima di parlare di nuovo, senza badare agli sguardi.
Osservò i visi, sfiniti e lacerati dal dolore dei suoi uomini e le sue donne. Strinse nel suo pugno il manico del mazzafrusto e riprese la parola.
- Abbiamo lottato fino a ora, soffrendo e guardando la morte dritta negli occhi più volte di quante una persona dovrebbe in dieci vite.
Gli sguardi di tutti si spostarono su di lui, mentre i Pokémon continuavano a lottare per la loro incolumità.
- Mi avete seguito fin qui, non per gloria, non per collera, bensì per la nostra libertà. Tante persone di razze e pensieri differenti, uniti per un solo scopo.
Inspirò, ricacciando indietro le lacrime per Zitanna.
- Ci sarà un giorno, in cui il coraggio degli uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo ogni legame di fratellanza. Ma non è questo il giorno! – il discorso gli venne naturale, come letto qualche volta da qualche parte.
- Ci sarebbero cadaveri, e scudi frantumati quando il nostro popolo volgerà al crollo. Ma non è questo il giorno, quest’oggi combattiamo! Per tutto ciò che c’è di impuro, su questa bella terra, v’invito a resistere, uomini liberi!
Ci fu un clangore assordante, misto a urla e ruggiti di tutti coloro che erano ancora in vita.
- Rompiamogli il culo. Alla morte! – Gold si lanciò come un pazzo, scavalcando la folla, diretto contro i Sacerdoti.
Come un solo, unico corpo, tutti quanti balzarono in avanti, animati da nuove forze, Pokémon e umani. Un Exploud proruppe in un profondo e penetrante rimbombo, prendendo il ruolo del corno del loro esercito, portando gloria al tempo di spada e cavaliere.
- Morte! – urlavano all’unisono, avanzando e mietendo anime dopo anime.
I Sacerdoti iniziarono ad arretrare, impauriti, finché l’esercito di Gold non penetrò a fondo fra le loro linee, lasciando una scia di cadaveri al suo passaggio.
Nel frattempo, anche il resto della Resistenza stava riportando una vittoria dopo l’altra, mentre i soldati avversari ritiravano lentamente all’interno delle mura di Astoria, prese già di mira da Daisy e chiunque avesse un Pokémon volante. Una dopo l’altra, le macchine e le armi difensive caddero.
Vedendo ormai la pressione accentuarsi sui suoi compagni, dove le forze dei Sacerdoti erano maggiori, Gold decise di giocarsi il tutto per tutto.
Si avvicinò al suo Typhlosion e disse due sole parole.
- Bruciali tutti.
Sebbene non avesse mai fatto del male a un essere umano, il Pokémon obbedì, memore di tutti i suoi compagni morti per mano loro.
Chiuse gli occhi, restò immobile per diversi secondi, mentre le fiamme sulla sua schiena si ritiravano all’interno del corpo. L’urlo che si fece largo nella sua gola venne soffocato dal fragore dell’esplosione che ne seguì.
Typhlosion aprì gli occhi, ormai rossi e luminosi come lava calda, quando fiamme azzurre esplosero dal suo dorso, incendiando e polverizzando tutto ciò che raggiunsero. Il ciclone di morte si espanse a velocità immane, falciando innumerevoli vite, di Pokémon e non. All’interno dell’occhio di fuoco, Gold osservò per la prima volta il cielo da quando era iniziato l’assalto, notandone il sempre più forte colore azzurro vincere sul blu della notte: l’alba era alle porte.
Typhlosion si accasciò al suolo, con le energie ormai prosciugate. La terra, calda e incenerita, lasciava il passo all’erba carica di rugiada di dove i compagni di Gold si erano uniti, stretti gli uni agli altri, mentre le fiamme del Pokémon consumavano le vite dei loro nemici.
I Sacerdoti che scamparono all’incendio poiché troppo lontani, non pensarono due volte di restare a combattere e corsero verso le porte della città. Blue, Green e Daisy si avvicinarono al gruppo, con i loro soldati.
- Se raggiungono le mura, abbiamo perso. Siamo troppo deboli per un assalto di quella portata, dobbiamo intercettarli – proruppe Green.
- Zitanna l’hai portata via? – Gold se ne fregò di tutto e tutti.
- Sì, all’accampamento. Alakazam l’ha curata prima di sparire. Sta bene, se la caverà.
Il cuore del ragazzo dagli occhi dorati fece un sussulto.
- Ma, a proposito di Alakazam, qualcuno di voi è riuscito a contattarlo? – chiese Blue, preoccupata.
- No, è dall’esplosione ai piedi della Torre Bianca che è scomparso ogni dialogo.
- Quale esplosione, Green? – s’intromise Gold.
- Non l’hai vista?
- Ero troppo impegnato a salvare il culo di tutti.
- Non per distrarvi, ma che sta succedendo lì? – Daisy indicò in prossimità del bosco che nasceva a est del combattimento, luogo in cui Articuno guardava e verso cui era diretto il suo canto.
Dagli alberi, col Sole che nasceva alle loro spalle, apparve una moltitudine di Pokémon selvatici. Dalla distanza era impossibile riconoscerne le razze, eccezion fatta per i Noctowl che volavano rapidi sui pendii e gli enormi Ursaring che ruggivano, lanciando massi e tronchi verso i Sacerdoti. Un grosso Arcanine, affiancato da un solo Noctowl, era alla testa del bizzarro assortimento di Pokémon dei boschi.
- Sono andati a chiamare i rinforzi… - le lacrime iniziarono a sgorgare dagli occhi di Daisy.
- Quello grosso, con la cicatrice nel cerchio sul petto… era il compagno dell’Ursaring di Maisy… alla fine, sono venuti – Blue strinse la mano di Green, graffiata e piena di sangue.
- Arcanine li deve aver convinti – Daisy sorrise – Tale e quale al padrone: testardo fino alla morte.
I Sacerdoti rimasero impietriti, osservando i nuovi avversari sbucati dal più totale nulla. I loro Pokémon iniziarono a disporsi sul loro fianco, coprendo la ritirata degli allenatori, privi di munizioni e forze.
Arcanine ruggì mentre i raggi solari gli inondavano il capo, per poi partire alla carica, tanto veloce e furioso che nessuno dei suoi compagni riuscì a stargli dietro finché non si andò a scontrare con i primi nemici sul suo cammino.
- Che dite, gli diamo una mano? – Gold era salito in groppa a Togekiss, brandendo il mazzafrusto.
 
 
Quattro ore prima, nei pressi della Torre Bianca
 
Cole si mosse furtivo e silenzioso nell’ombra, grazie alla sua tuta mimetica in grado di riflettere anche il più minimo raggio di luce, rendendolo praticamente invisibile a occhio umano. Il collo del Sacerdote si spaccò con un silenzioso crack e l’uomo si accasciò al suolo. Nonostante la sicurezza della tuta, preferirono viaggiare con calma e precauzione, anche se le strade erano completamente deserte. La popolazione fuggiva sulle montagne e nelle case più lontane dal campo di battaglia.
Sur si avviò, perlustrando la strada col mirino del suo fucile. Nessun altro in vista ma dovevano fare presto, l’alba era vicina e anche le mura interne che circondavano la Torre Bianca.
- Siamo arrivati, la casa è quella – sussurrò Alice nell’orecchio di Cole.
Lui annuì e si spinse in avanti. Attraversò in silenzio la strada e scavalcò la recinzione del giardino ben curato. Andò sul retro e si arrampicò dal gazebo che Alice gli aveva menzionato. Salì sul tetto della casa, poi sul comignolo del camino e si issò sul muro, con Mewtwo alle sue spalle.
- Via libera, li ho stesi – proferì mentalmente ai suoi compagni, grazie all’aiuto del Pokémon.
Una volta che tutti e cinque furono sulla passerella fra le mura e si furono accertati che nessuno fosse in giro, Cole, Sur e Mewtwo scesero dal lato opposto, arrampicandosi fra i rami dell’abete bianco. Tutto era calmo lì intorno, nessun suono. La superficie del lago era completamente piatta.
Prima di seguire i tre, Kyle prese Alice per una mano e la fece girare verso di sé.
- Qualunque cosa succeda volevo dirti che…
La ragazza lo interruppe, baciandolo. I due si strinsero come mai prima quanto più tempo possibile.
- Lo so. Anche io – disse lei, prima di iniziare la discesa.
Il gruppo camminò veloce, costellando la riva del lago, fino a giungere ai piedi della Torre Bianca.
Cole aprì cautamente la porta, sbirciandoci all’interno. Il grosso salone, illuminato a giorno, era completamente vuoto.
- Via libera. Evidentemente il grande stronzo pensava che non saremmo mai riusciti a superare le mura esterne, non c’è nessuno.
Entrò, seguito subito dopo da Mewtwo, pronto all’attacco, Kyle e Alice. Sur, che era rimasto poco dietro a guardargli le spalle, colse un movimento con la coda dell’occhio. Spinse Alice e Kyle in avanti, appena in tempo prima che la detonazione della porta li facesse saltare in aria. Grazie alla prontezza di Mewtwo che aveva eretto uno scudo attorno a tutti loro, riuscirono a salvarsi. Sur emerse dalle macerie in un attimo, per poi portare le mani alla Poké Ball.
- Andate via, stanno arrivando – sputò un grumo di sangue per terra, chiamando in campo Venusaur e Sceptile.
Un enorme gruppo di Sacerdoti apparve dalla porta principale delle mura, diretto verso di loro. Altri irruppero dalle scale della Torre.
- Merda, siamo bloccati. Kyle, Alice, restatemi vicini.
Cole non riuscì a finire di parlare che i Sacerdoti provenienti dalle scale furono eliminati dal micidiale Foglielama di Venusaur. Altri entrarono nel salone dalle stanze laterali. Cole brandì il suo possente martello e le vene d’argento parvero esplodere come mille soli sulla sua armatura, mentre si lanciava a testa bassa verso di loro, falciandone uno dopo l’altro, con Mewtwo al suo fianco. Kyle si lanciò su di Alice, finendo entrambi dietro di una colonna, poco prima che l’aria dove si trovavano venisse attraversata dai proiettili. Estrasse la sua pistola e iniziò a sparare e rifugiarsi, coprendo le spalle a Cole.
All’esterno, Venusaur e Sceptile, megaevoluti, combattevano fianco a fianco, proteggendosi e curandosi a vicenda quando feriti. Lottavano con tutte le loro forze, mentre Sur abbatteva uno dopo l’altro i Sacerdoti, rifugiato fra le macerie della porta. Alakazam apparve al suo fianco, pronto a combattere anch’esso.
- Vuoi vendicarlo anche tu, vero? – Sur sorrise fra un colpo e l’altro.
Il Pokémon urlò.
- Lo prendo per un sì.
In breve, l’interno della sala fu liberata e tutti e quattro si diressero verso la porta, venendo però sbalzati indietro da un campo di forza.
- No, ragazzi, voi dovete proseguire. Non perdete tempo con questi e pensate ad Artorius, fermatelo prima che sia troppo tardi, qui ci penso io.
- Sur, non dire cazzate. Mewtwo, abbatti questa parete psichica – ordinò Cole.
Ma lui, rifiutò.
- Non c’è tempo, sono troppi.
- Cosa significa che sono troppi? – chiese Cole.
Mewtwo indicò il grosso buco nella parete, dove si potevano vedere le fiamme della battaglia: centinaia di Sacerdoti si erano riversati all’interno del giardino, tutti con Pokémon Fuoco e Buio.
- Era una trappola, sapeva che saremmo venuti. Ha già visto quali sono i nostri compagni e si è premurato di fotterci col vantaggio di tipo. Figlio di puttana… - pensò Cole a voce bassa.
- Che stiamo aspettando? Dobbiamo aiutarlo! – urlò Kyle, lanciandosi di nuovo in avanti.
- Cole, fa qualcosa col tuo martello, abbatti questo muro – implorò Alice.
Lui si lanciò in avanti, con tutte le sue forze, ma nessun potere parve venire in suo aiuto.
- Giratina non ti lascerà sprecare le tue energie per questo.
- Zitto, Mewtwo, e aiutami.
- Sai anche tu che dobbiamo avanzare, è più importante.
Venusaur e Sceptile continuavano a lottare avvolti nelle fiamme. Un grosso Fuocobomba si diresse verso quest’ultimo, pronto a colpirlo alla schiena. A pochi centimetri dal bersaglio, venne intercettato da un getto d’acqua ad alta pressione: una grossa Milotic era apparsa dal nulla, facendosi strada abbattendo i Pokémon Fuoco. Scambiò uno sguardo con Alice, la quale iniziò a piangere, prima di girarsi e continuare a lottare, di fianco a Sur e i suoi.
- Non fatevelo ripetere due volte, forza, andate! – sbraitò lui.
Cole ripose il martello sulle spalle, senza più energie. Ci fu una grossa esplosione vicino alle porte e l’intera sala tremò. Kyle si avvicinò di nuovo alla barriera, implorante.
- Facci passare, Sur, ti prego – le lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi.
- Mi dispiace, ma non posso Kyle.
Ci fu un’altra esplosione, Venusaur ruggì furente.
- Alakazam, prendi gli altri e vai via, ho una sorpresa per questi Sacerdoti.
Ma il Pokémon si rifiutò di ascoltare Sur, così come fecero i suoi compagni e Milotic. I Sacerdoti si ritirarono, arretrando con i loro Pokémon. Per un istante, calò il silenzio.
- Siete stati gli amici migliori che si possano desiderare, brutti culi verdi. Alakazam, presto vedremo di nuovo mio fratello. E tu, Milotic, sono sicuro che Alice non si dimenticherà di te.
Si girò all’indietro, mentre i suoi avversari caricavano l’imminente colpo.
- Cole, di’ a Daisy che mi dispiace di non poter più sbirciare nel suo davanzale, intesi?
- Lo farò, figlio di puttana.
Venusaur e Sceptile lanciarono liane in ogni direzione, andando lentamente ad attorcigliarsi attorno e nelle pietre della struttura.
- Alice, prenditi cura di Kyle. E tu, piccolo mio, sei il figlio che non ho mai avuto, ricordalo sempre.
Una lacrima scese dai vecchi e stanchi occhi di Sur, poco prima che l’enorme massa di fuoco venisse esplosa contro di lui. Venusaur e Sceptile, in quel momento, tirarono con tutta la loro forza, aiutati psichicamente da Alakazam e dalla forza d’urto del getto d’acqua di Milotic, facendo crollare l’intera facciata della Torre Bianca. L’esplosione fu micidiale, tanto potente da fondere assieme i materiali indistruttibili che erano stati usati per erigere l’imponente struttura. L’ingresso era stato sigillato dalla stessa furia dei suoi difensori, precludendoli da ogni ingresso.
Le grida di dolore di Kyle vennero sommerse dal boato. Si lanciò in avanti, iniziando a prendere a pugni la parete dove poco prima c’era Sur.
Cole chiuse gli occhi, soffrendo in silenzio, per poi voltarsi, diretto verso le scale.
- Dobbiamo andare, forza Mewtwo – ordinò, la voce fredda e priva di vita.
Kyle era caduto in ginocchio, con le lacrime che gli sgorgavano in viso. Alice gli si avvicinò cautamente, impaurita di fargli ancor più del male. Anche lei, col volto bagnato, si inginocchiò. Di fianco al ragazzo, gli passò una mano attorno alle spalle.
- Poniamo fine a tutto questo. Per i miei genitori, per Earl, per Ferdinand, per Maisy, per tutti quelli morti a causa della sua pazzia e soprattutto per Sur.
Kyle volse lo sguardo verso Alice, che nonostante il pianto provò a sorridere, ricordando al ragazzo che la bellezza esisteva ancora in mezzo a quel cumulo di cenere e morte che era diventato il suo mondo. Si alzò, asciugandosi gli occhi. Allungò una mano alla sua ragazza e l’aiutò a tirarsi su anch’essa. Guardandola dritta negli occhi, sentì il fuoco ardergli dentro.
Per tutto il male che aveva fatto nella sua vita, per tutte le famiglie spezzate, per tutti gli amori distrutti, e per tutte le persone che ancora soffrivano per colpa sua, Kyle sentì il desiderio, prima volta in vita sua, di voler uccidere qualcuno.
- Poniamo fine all’esistenza di quel figlio di puttana.
Allungò la mano ad Alice, che la prese e ricambiò il gesto. Il ragazzo partì spedito verso di Cole che li attendeva al limitare delle scale. Iniziarono a salire, insieme, uniti contro la fonte di tanto male.
- È sul tetto, quella guardia è stata tanto gentile da dirlo prima che Mewtwo gli facesse implodere il cervello – sentenziò Cole.
- Andiamo – disse Kyle, asciutto e più motivato che mai.
Il fuoco che divampava dentro di lui diventava di attimo in attimo più forte e violento, bramoso di vendetta e giustizia. Superò Cole, andando spedito nonostante i piani che si accumulavano uno dopo l’altro. L’elettricità era andata con l’esplosione e prendere l’ascensore non era l’idea migliore di tutte. Anche il volo era precluso, in quanto sotto informazione di Alice, il tetto della struttura era schermato da strani macchinari costruiti su preciso ordine di Artorius.
Nonostante la fatica che si accumulava, il ragazzo continuò a salire, coperto di polvere e sporcizia, trascinandosi dietro di lui Alice, con una forza mai avuta prima. L’aiutò così per tutta la salita, fino all’ultimo piano, quello da cui si doveva obbligatoriamente passare per giungere sul tetto. Una grossa e unica stanza priva di muri si apriva lì. Senza mobili o altro. Dall’altra parte, proprio davanti alle scale, c’era il Sacerdote in armatura completamente nera, il braccio destro di Artorius.
Kyle provò una stretta allo stomaco alla vista di quella persona, complice anche lei della morte dell’uomo che aveva considerato come un nonno per tutta la vita.
C’era una cosa che però il ragazzo venne a sapere in quel momento, grazie a un frammento psichico lanciato da Alakazam, di poco precedente all’esplosione, diretto verso di lui.
Per un istante, vide con gli occhi del Pokémon.
Sur ansimò mentre le liane di Venusaur e Sceptile si avvinghiavano alle pareti. Si girò verso di lui e, con voce ferma e gioiosa, disse:
- Sono riuscito a proteggerlo ancora, prima di andarmene.
Morì col sorriso sulle labbra.
 

 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Capitolo 32 - Fortitudo ***


Fortitudo
 
 
Cole si portò in avanti, distaccando di diversi metri i ragazzi, con Mewtwo al suo fianco. Istintivamente, portò una mano al martello e l’altra alla Poké Ball di Rhyperior.
- Finalmente ci rivediamo, faccia a faccia, senza tutto il trambusto dell’altra volta – il Sacerdote in nero parlò.
- Non sarà come allora. Adesso non ci sono Zekrom e Reshiram a proteggerti. E io sono leggermente più incazzato dell’ultima volta – Cole fece scivolare il martello fra le proprie mani, roteandolo in aria.
- Mai andato per il sottile vero, Cole? – d’un tratto, quella voce gli parve più familiare di quanto ricordasse.
- Tu chi cazzo saresti?
- Ma come, non mi ricordi?
Il Sacerdote si tolse l’elmo, rivelando il suo viso, sfregiato da un lato all’altro, in diagonale da sinistra a destra, e i suoi capelli rasati. Non uno dei “puri” bensì un Impuro, dello stesso colore di carnagione di Cole.
- Daken…? – disse quest’ultimo, incredulo a tal punto che la testa iniziò a ronzargli.
- Ciao, fratellino.
Sorrise, beffardo. Nei suoi occhi c’era qualcosa che non ricordava per nulla il suo animo pacato e innocente, di anni e anni prima.
- Che ti è successo? Ti credevo morto.
- Ci è mancato poco, come puoi vedere – indicò la sua cicatrice – Ma, per fortuna, Artorius mi trovò subito dopo che quelli del Team Rocket mi avessero ridotto così. Mi ha tenuto con sé, insegnandomi ciò che era davvero importante per gli esseri umani.
- E la tua famiglia? Abbiamo pianto tutti per la tua perdita. Siamo stati noi a dare la caccia ai rapitori di Jodie e a riportarla a casa, con tuo figlio nel grembo.
- Beh, in fin dei conti, non era poi così importante. A proposito, il bambino è morto con lei quando abbiamo assaltate le vostre case? Ricordo le sue grida fra le fiamme…
In quel momento Kyle perse completamente la pazienza. Si liberò dalla stretta in cui Alice lo stava stringendo, conscia del peso delle parole del ritrovato padre del ragazzo, ed estrasse la sua pistola. Abbassò il cane, automaticamente, con il pollice, per poi puntare dritto davanti a sé e scaricare l’intero caricatore in direzione di Daken. Quest’ultimo si riparò dietro uno scudo elettromagnetico generato dall’avambraccio della sua tuta. La polvere da sparo si dissipò nella stanza col passare del tempo, attimi in cui regnò il silenzio assoluto.
- Mi piace il tuo carattere, ragazzino.
- Lui è Kyle, non osare rivolgergli la parola – Cole lo spinse ad abbassare la pistola.
- Ah, ora si spiega tutto. Hai preso il caratterino di tua madre.
Sorrise di nuovo, stavolta guardandolo dritto negli occhi.
- Che c’è? Non vieni ad abbracciare il tuo paparino? Pensavo mi stessi cercando ovunque.
Allargò le braccia.
- Beh, eccomi qui.
- Tu non sei mio padre, Daisy e Cole mi hanno cresciuto. Lui è il mio vero padre. E anche Sur lo è stato. Ma tu no, sei solo l’assassino di mia madre.
Il suo sguardo incrociò, impassibile, quello di Daken.
Alice gli si avvicinò e gli strinse la mano.
- Stai bene?
- Sì, non ti preoccupare, è tutto ok. È solo un altro Sacerdote come un altro.
Kyle le sorrise, sincero, nonostante un’ombra indelebile fosse appena calata sul suo cuore.
- Allora? Volete morire uno alla volta o tutti e tre insieme? Decidete, ho ben sei Pokémon, quindi possiamo lottare come vogliamo – Daken li sfidò, dondolando il peso del corpo da un piede all’altro.
Ci fu una violenta scossa e l’intera struttura della Torre Bianca parve vacillare.
- Tic toc, il tempo scorre. Sbrigatevi o Artorius evocherà il Drago Originale.
Nonostante la rabbia che era montata in testa, Cole riuscì a capire che le sue parole erano vere e che non avevano più molte possibilità.
- Kyle, so cosa stai provando, ma questa è una cosa fra me e mio fratello. Io penso a lui e, mentre è distratto, prendete Mewtwo e salite le scale. Lui vi proteggerà.
- Va bene – rispose il ragazzo, con decisione.
- È stato più facile di quanto pensassi.
- Non è questa la mia battaglia. Artorius ha provocato la morte della mia vera madre, ed è lui a minacciare la vita di tutti coloro a cui tengo. Inoltre, Reshiram ha contattato me, penso di avere il dovere di liberarlo.
Cole sorrise guardando la determinazione negli occhi di Kyle.
- Sai, ogni volta che fai così, mi ricordi un po’ me.
- Ho imparato dal migliore. Adesso però spaccagli il culo.
- Sarà un piacere.
Cole rivolse nuovamente l’attenzione a Daken che aspettava una loro mossa. Fece roteare il martello a mezz’aria e chiamò fuori dalla sua Poké Ball Rhyperior.
- Bene bene, il fratellino si fa sotto per primo, come ai vecchi tempi. Come stai, Ryp?
Il Pokémon ruggì furente verso di lui, facendo scricchiolare il pavimento sotto il suo peso.
- Ricordamelo, hai mai vinto contro di me? – Daken chiamò in campo un enorme Aggron.
Lui e Rhyperior si scambiarono sguardi truci.
- C’è sempre una prima volta. E poi, questa volta Rhyperior non dovrà contenersi.
- Pensavo usassi Mewtwo ma, a quanto vedo, non ti piace giocare in vantaggio.
Daken estrasse due lunghe lame da due incavi, dietro la schiena.
- Lui serve ai ragazzi, penseranno loro al tuo capo col culo pieno di verruche.
Kyle non capì perché svelare l’intenzione di arginare l’ostacolo mentre loro due combattevano.
- Non mi interessa di lui, passate pure. Tanto fra due minuti salirò anch’io sopra e mi occuperò di voi.
Daken si fece da parte, imitato da Aggron, liberando la via per le scale.
- Andate, ragazzi. Mewtwo, tu tienili d’occhio.
Il Pokémon annuì e s’incamminò verso la porta dall’altra parte della sala.
- Kyle, fa attenzione e proteggi Alice. A proposito, credo sia arrivato il momento di darti questa.
Cole aprì una piccola borsa legata alla sua cintura e diede una collana con un medaglione color zaffiro alla ragazza.
- Da parte di Blue, ha una Galladite. Credo che ti servirà prima di quanto lei pensasse.
Alice ringraziò e si legò la collana al collo.
- Ora andate, lasciate che zio Cole metta la parola fine a qualcosa che non sarebbe mai dovuta esistere.
Kyle e Alice camminarono a testa alta, giungendo in prossimità di Daken. Lui salutò con un cenno della mano al quale il ragazzo non fece neanche caso, prima di scomparire nelle tenebre delle scale.
- Allora… vogliamo iniziare? – Daken accarezzò Aggron con la punta della sua lama, facendo stridere il metallo contro il metallo.
- Ryp, tu pensa a quello grosso, io mi occupo di quel bastardo di mio fratello. Uccidilo come più preferisci.
L’enorme Pokémon fece sbattere pugno contro pugno, cozzando le rocce fra di esse. Insieme al suo amico di vita, si lanciò in avanti contro i loro nemici.
Il clangore del metallo contro la dura armatura rocciosa di Rhyperior rimbombò nel grosso ambiente vuoto, mentre Cole schivava un primo affondo effettuato da Daken. Lui utilizzò l’altra spada per puntare al petto del suo fratello ma quella venne intercettata dal martello di lui, per poi essere spedita in alto.
Cole roteò su se stesso, colpendo il suo avversario al fianco. Lui parve non accusare il colpo e subito ricambiò con un calcio dietro il ginocchio.
- Pensavi davvero che questa fosse solo estetica? – ridacchiò Daken.
- Affatto, speravo il contrario – Cole colpì con una velocità innaturale al ventre – Altrimenti non ci sarebbe stata soddisfazione.
I due si allontanarono uno dall’altro, utilizzando le armi come leve. Le rune sull’armatura e il martello emanarono un breve bagliore. Con la coda dell’occhio, vide Rhyperior e Aggron combattere con la pura forza fisica, intervallata da fiamme e macigni lanciati dai palmi del suo Pokémon. Le rocce si sgretolavano contro il metallo del suo avversario, lasciandolo apparentemente illeso.
Daken approfittò della distrazione di Cole per colpirlo al volto con una delle sue spade. Lui però riuscì a reagire abbastanza in fretta e alzò il braccio per difendersi. L’armatura parò il colpo con un lampo accecante. La lama era spezzata in due. Le rune splendettero più che mai, creando un’aura azzurra attorno a Cole.
- Eh sì – disse lui, prima di colpire con un pugno in pieno viso suo fratello.
Lui volò via per qualche metro, ricadendo di schiena. Si rialzò e si asciugò il sangue sul labbro.
- Bene, ora so che devo colpire più forte – sorrise lui.
 
 
Kyle e Alice erano ormai giunti in cima alla Torre, senza sapere cosa si sarebbero trovati ad affrontare. Prima di varcare la porta, la ragazza strinse la mano di lui nella sua.
- Ci sono io qui, tranquilli – Mewtwo li incitò.
Tutti e tre assieme, varcarono la soglia. Alice urlò di disgusto.
Davanti a loro, Kyurem, Reshiram e Zekrom erano obbligati a restare piegati in avanti, con degli enormi collari legati con catene al suolo. Dai colli, gocciolava copiosamente il loro sangue, riversandosi in dei canali costruiti al di sotto dei tre, comunicanti. Il miscuglio disgustoso scendeva poi in un a grande pozza posta davanti a loro, in cui si trovava uno strano manufatto pieno di rune e simboli strani, il Cuneo DNA creato dagli scienziati del Sacro Ordine. Artorius osservava il tutto dando le spalle ai tre. Parve non accorgersi della loro presenza fino a che Kyle non portò la mano alla pistola.
- Pensavo che uno di voi venisse fin qui per provare a fermarmi – si girò con le braccia spalancate e un grosso sorriso sul volto – Ma non pensavo arrivasse un ragazzino e quella stupida di mia figlia. La ribellione è caduta davvero in basso. Che delusione, mi aspettavo almeno Cole o quell’idiota di Sur o come si fa chiamare.
Kyle sentì il sangue ribollire nelle vene ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, Alice si fece avanti.
- Non sono tua figlia, e non lo sono mai stata. Tu mi disgusti.
Artorius rise, sminuendola con un gesto della mano.
- Presto, mia cara, capirai. Il sacrificio sarà solo l’inizio della nuova era.
Reshiram e Zekrom ulularono per il dolore, quando le punte del collare andarono a trivellare più in profondità. Il sangue riprese a scorrere dalle loro carni.
- Lurido bastardo. Non ti interessa della sofferenza di nessuno – Kyle s’intromise, chiamando in campo Lucario – Non lascerò che altri muoiano per mano tua.
Alice portò anch’essa la mano alla Poké Ball, tremando. Gallade prese posto alla destra di Lucario, mentre a sinistra andò a prendere posto Mewtwo. Gli occhi del Leggendario s’infiammarono, colmi della luce viola che precedeva i suoi mortali attacchi.
­- Ah, Mewtwo, ancora non capisco cosa ci fa Lei con questi individui sporchi.
- Nessuno fa del male ai miei compagni. Sarò sempre schierato dalla parte di chi viene sfruttato e messo in minoranza.
- Già, a nessuno piace essere una macchina e venir manipolato dai propri creatori, non è vero? Ma provi a immaginare: l’intero universo verrà riscritto, potrebbe finalmente essere un vero Pokémon e non una macchina.
Mewtwo vacillò per un attimo. Volse il suo sguardo indietro, verso di Kyle. Vide i suoi occhi, colmi d’ira per quell’uomo. Ci si immerse e vide ciò che Reshiram aveva trovato quando, giorni prima, aveva chiesto aiuto a quel semplice ragazzo nemmeno tanto bravo a combattere. La purezza del suo animo guidò le parole successive del Pokémon.
- Io non sono una macchina. Sono un Impuro, come loro.
Due enormi sfere di energia apparvero nei suoi palmi, la loro luce viola irradiò su tutta la superficie della bolla a sfera che faceva da chiusura ermetica del tetto. Prima che potesse lanciarle, un grido lacerò l’aria.
All’unisono, i tre Leggendari urlarono di sofferenza quando i loro collari scattarono. Le catene si spalancarono da sole, liberandoli. I tre caddero riversi nella pozza del loro stesso sangue, ormai colma fino all’orlo. Kyle vide le loro teste, legate ai corpi da non più che l’osso del loro collo, ciondolare in avanti. Ci fu un sonoro crack quando i tre scivolarono all’interno del liquido denso e il ragazzo sforzò se stesso a non vomitare al pensiero di ciò che avrebbe potuto provocare quel rumore.
La terra prese a tremare e con essa l’intera struttura parve ripiegarsi sul suo stesso peso. Artorius si avvicinò a un piedistallo posto alla sua sinistra e ne prese una specie di corona fatta da una semplice fascia metallica circolare. La pose sul suo capo e iniziò a ridere, mentre il sangue all’interno della pozza veniva convogliato nel corpo del Cuneo DNA posto al centro. Una volta che si fu completamente svuotata Kyle poté vedere che anche i tre leggendari erano stati assorbiti. Un lampo di luce grigiastra venne sparato verso l’alto dal Cuneo, squarciando le nubi addensate su, nel cielo. Ricadde con un rombo, colpendo la punta del manufatto. Infine quello si alzò in aria e iniziò a volteggiare rapidamente in cerchio. Una sfera di luce apparve e l’assorbì, espandendosi sempre più velocemente.
Un’altra esplosione accecante e i ragazzi rimasero senza vista per decine di secondi. Tutti vennero sbalzati dall’onda d’urto e lanciati per aria. Kyle sbatté violentemente la testa al suolo.
Non seppe quanto tempo era passato ma riuscì a rialzarsi puntellandosi con i gomiti. Allungò una mano ad Alice e l’aiutò, trovando i loro Pokémon davanti a loro, in posizione difensiva.
Un tremendo grido lacerò l’aria, facendo tremare l’animo di Kyle. Lui si obbligò a guardare nella direzione dove poco prima si trovava il Cuneo DNA e lì lo vide. I suoi occhi tremarono quando il Drago Originale ruggì nuovamente.
Immenso, aveva spazzato via ogni cosa e adesso poggiava al centro del tetto. Il suo corpo era fatto interamente di ghiaccio mortale, spesso come mai sul suo petto, dove riluceva di luce propria. Sui quattro arti sfoggiava il suo controllo totale della natura: il braccio destro era avvolto dalle fiamme, il sinistro circondato da violenti venti in moto perpetuo. La gamba sinistra, in contraddizione col braccio che si trovava in diagonale, era come formata da acqua senziente. La destra era solida terra e rocce. L’unica cosa che parve immutata era la testa, simile a quella di Kyurem, bensì completamente nera, esclusione fatta per gli occhi, iniettati di sangue rosso.
Ai suoi piedi, Artorius continuava a ridere.
- Ce l’ho fatta, finalmente sei rinato! – s’inginocchiò ai piedi del Pokémon.
Quando si rialzò, volse la sua attenzione ai ragazzi e i loro compagni.
- Vedrete, la magnificenza della rinascita del genere umano. Tutto grazie a me.
Mewtwo non perse tempo e lanciò una potente sfera psichica verso di Artorius.
Lui alzò una mano e il Drago Originale sputò fiamme dalle proprie fauci, annientando il colpo. La corona di Artorius parve illuminarsi per un attimo.
- Mia cara, sei davvero sicura di voler finire così la tua vita da peccatrice?
- Fottiti – rispose lei.
- Molto bene. Me l’aspettavo. Ma vedrai, una volta rinata, quanto pure erano le mie intenzioni.
Il Drago Originale ruggì e iniziò a muoversi verso di loro, lento e imponente, alto più di cinque volte rispetto a Rhyperior.
- Uccidili, sarà il tuo primo atto sotto il mio volere, Kyurem.
Lui ruggì mentre i primi colpi dei suoi rivali rimbalzarono sul suo corpo.
 
Cole affannò quando per l’ennesima volta Daken si lanciò contro di lui come un pazzo, brandendo la spada con entrambe le mani. Lui scivolava a destra e sinistra, utilizzando la testa del martello solo quando necessario. Stava cercando di sfinirlo in modo da non sprecare un ulteriore colpo ed energie. Quando vide una breccia nelle difese di suo fratello, abbassò il martello con immane potenza, diretto verso il suo viso.
Daken alzò il braccio con cui non brandiva la spada, facendo apparire il suo scudo elettromagnetico giusto un istante prima che il martello gli fracassasse il cranio. Il colpo rimbalzò ammaccandogli il para braccia. I due caddero distesi, uno sull’altro. Dal suo punto di vista, Cole vide Aggron colpire violentemente il terreno, facendo crollare una parte di piano e, con esso Rhyperior, che dovette aggrapparsi al bordo. Il Pokémon metallico si avvicinò, pronto a colpire.
Cole raccolse tutte le sue forze: il martello scintillò quando venne lanciato con tutta la sua forza contro il volto di Aggron, sbalzandolo indietro. Rhyperior ebbe il tempo di rialzarsi e reagire ma, al contempo, Daken scivolò dalla morsa in cui era bloccato e ribaltò la situazione, bloccando il fratello sotto il peso e abbassando la lama contro di lui.
Cole bloccò la spada utilizzando le braccia più volte ma alla fine il fratello lo colpì al volto con una testata che gli scombussolò i pensieri. Il braccio destro cadde disteso a terra quando venne trafitto all’altezza della spalla.
Daken sorrise mentre ritraeva il colpo per poi abbassarlo di nuovo verso il fratello che stavolta serrò la mano attorno alle sue. La lama si avvicinava, lenta e inesorabile, verso il suo occhio.
La punta era ormai arrivata a un centimetro dall’iride.
- Sai, fratellino, la voglia di aiutare gli altri è sempre stata la tua rovina.
Cole rise nonostante lo sforzo.
- Ne sei proprio sicuro?
Rhyperior gridò quando il suo colpo finale andò a impattare contro Aggron, mettendolo K.O.
- Dimmi un po’, Daken, tu conosci Thor?
Suo fratello ripose il suo sguardo su di lui.
Le rune sull’armatura di Cole brillarono, imitando la luce generata dal martello che, d’improvviso, si alzò in aria e volò rapido e preciso nella mano destra del suo padrone. Lui non esitò e colpì con tutta la forza che aveva. Ci fu un rumore di ossa spaccate quando Daken si accasciò al suo fianco, inerme. Rhyperior si avvicinò e alzò il suo corpo, per poi scaraventarlo lontano, verso il muro. Impattò di testa e si afflosciò al pavimento, privo di vita.
Cole si issò, aiutato dal suo compagno, rimettendosi in piedi. L’armatura parve diventare liquida per un attimo e lui sentì un dolore indicibile alla spalla, mentre il materiale, rovente, si riversava all’interno della ferita. Tutto durò pochi istanti, guarendolo. Dopodiché l’armatura tornò al suo posto, intatta.
- Non mi abituerò mai al dolore di questa merda.
Avanzò, arrancando per la fatica, verso le scale.
- Andiamo ad aiutarli, Ryp.
 
Kyurem, nel suo stadio originale, stava devastando tutto ciò che gli capitava davanti agli occhi. A nulla sembravano servire i colpi di Lucario, Gallade e Mewtwo.
- Adesso basta giocare con loro. Uccidili.
Il Drago ruggì violentemente. Le fiamme iniziarono a proiettarsi in tutte le direzioni dal suo braccio. Ovunque toccassero il terreno, quello si liquefaceva all’istante. Solo la bolla di protezione eretta da Mewtwo parve resistere al colpo, benché lui fu costretto in ginocchio dallo sforzo. Gallade unì i propri poteri psichici a quelli del Leggendario, mentre Lucario rimase immobile, con gli occhi chiusi e le braccia distese lungo il corpo.
Non appena il turbine di fuoco si fermò, lui scattò in avanti. Saltò sul grembo di Kyurem e gli assestò un violento pugno utilizzando tutta la sua forza. Il Drago ruggì di rabbia e lo scaraventò via utilizzando violente tempeste generate dal nulla. La sua caduta fu bloccata da Gallade che con diversi balzi intercettò la sua traiettoria.
- Quello è il suo punto debole, Lucario me l’ha detto.
- Ne sei sicuro, Kyle? – chiese Alice.
- Sì, è il momento – urlò lui di rimando, per sopraffare l’ululato del vento.
La ragazza annuì e attivò la mega pietra. Gallade s’illuminò fino a mutare, raggiungendo la sua forma finale.
- È il momento, vai – Lucario comunicò mentalmente con lui.
­- Non so come fare, non c’è un pulsante da premere.
- Ricorda le parole di Maisy. Quella Poké Ball ci unisce, devi trovare le forze dentro di te, lasciami attingere.
Kyle inspirò a fondo, chiuse gli occhi e cercò di liberare la mente. Scavò dentro di lui, trovando le ultime energie che gli erano rimaste. Sentì Lucario osservarle per poi farne uso, attingendone con brama.
Lentamente, anch’esso si trasformò. Le sue orecchie divennero più lunghe, le zampe cambiarono colore, tingendosi di rosso. La cosa che più colpì Kyle, però, fu la comparsa di segni neri, dalla forma tribale, sulle gambe del Pokémon.
Arrivò anche Cole, seguito dal suo Rhyperior.
- Ciao ragazzi, vi sono mancato? Woah, che gran figlio di puttana – commentò, dando il suo primo sguardo al Drago Originale.
- I nostri attacchi non ci fanno niente – urlò Kyle sovrastando il vento.
Rinvigoriti dalla forza della mega evoluzione e dalla presenza di Ryp, i Pokémon tornarono all’attacco. Mewtwo in particolare aveva giovato della presenza di Cole, grazie soprattutto alla sua armatura che rigenerava le sue energie. Nel mentre, fiamme e schegge di ghiaccio si unirono al vento della tempesta
Troppo lontani per sentire le sue parole, in quel turbinio elementale, Kyle vide solamente Artorius muovere le labbra. Dopodiché quella specie di corona che aveva sulla fronte s’illuminò nuovamente e Kyurem attaccò nuovamente. Fulmini e tuoni iniziarono a piovere ovunque, scontrandosi con l’enorme bolla presente sul tetto e scaraventandosi per tutta la sua lunghezza. Le nuvole oscurarono il cielo fino a far calare nuovamente la notte ed eliminando l’alba.
Lucario atterrò dopo un balzo davanti al suo compagno. Ansimando, lo contattò.
- È inutile, non gli facciamo alcun danno. Sto guidando gli attacchi di tutti nei punti dove la sua aura è più debole ma è troppo forte. – la voce calda e pura del suo Pokémon rimbombò nella mente.
- Riesci a capire cos’abbia Artorius sulla testa? Mi sembra che lo usi per comandare Kyurem.
Lucario si girò e aguzzò la sua vista sviluppata. Concentrò le sue energie e scandagliò l’aura dell’uomo, sebbene disgustato al suo contatto.
­- Hai ragione. E ho notato che ha una mente piuttosto debole, è troppo preso a comandarlo. Ma finché lo ha in pugno, è impossibile eliminarlo, per me. Le energie del Drago lo proteggono.
- E se ci avvicinassimo? Tu puoi condividere la mia forza. Attacchiamo, insieme.
Lucario lo guardò fisso negli occhi.
- So che è pericoloso ma abbiamo altre possibilità? – chiese Kyle.
Il Pokémon Aura rispose negativamente con un cenno.
- Gli altri distraggono Kyurem, noi andiamo. Tieniti pronto.
Kyle avvicinò Cole e Daisy, spiegando in fretta e furia il loro piano. Una grossa scheggia di vetro volò nella loro direzione e venne fatta in mille pezzi dalle lame di Gallade prima che si potesse avvicinare troppo.
Si sarebbe aspettato innumerevoli insulti e prediche sul quanto fosse stupida quell’azione ma, invece, Cole si limitò a ridere e ad avvicinarsi a Ryp. Ci salì in groppa brandendo il suo martello e tornò all’attacco.
Alice, prima di lasciarlo andare, lo strinse a sé e lo baciò.
Dopodiché Kyle iniziò a correre seguendo il suo compagno. Diverse volte rischiò di morire per dei frammenti di pavimento in volo, tutti intercettati dai pugni di Lucario. L’attenzione del grosso Drago era altrove, infastidito dagli attacchi sempre più mordi e fuggi dei suoi avversari. Iniziava a spazientirsi per il fatto di non riuscire a colpirli. Artorius fu l’unico ad accorgersi della loro presenza, ma troppo tardi.
- Tocca a te, l’energia del Drago Originale non permette ad altri Pokémon di avvicinarlo.
Kyle si fece forza e si lanciò su di lui. Non ci fu lotta perché nel preciso istante in cui le sue mani andarono a toccare la testa di lui, nell’intento di sfilargli la corona metallica, lui iniziò a gridare in modo innaturale per un essere umano. Disgustato, il ragazzo fu tentato dal rimuoverle ma il contatto parve essere impossibile da evitare.
­- Non mollare la presa, sta funzionando! – Lucario parlò forte nella sua mente e lui resistette.
- Falle smettere, falle smettere! – urlava Artorius, in preda al dolore.
Grazie al legame che aveva creato con il Drago Originale, adesso anche lui si contorceva dal dolore in tutta la sua mole.
Kyle fu inizialmente incredulo, finché non sentì una voce nella sua mente. La riconobbe immediatamente anche se erano anni che non la sentiva.
- Figlio mio, non cedere. Resisti, sei la speranza di tutti coloro che sono ancora in vita. Fallo per me, vivi e ama.
Col volto rigato dalle lacrime, finalmente capì. In qualche modo, Lucario stava facendo provare ad Artorius tutto il dolore che lui, in tanti anni, aveva causato alle persone.
- Ti prego, aiutami! – urlò di nuovo lui.
Kyle lo guardò fisso negli occhi, tutte le persone a lui care vorticarono come un tornado nella sua mente, dandogli la forza necessaria a fare ciò.
- No.
Strinse con più forza il capo di Artorius. La corona che l’adornava andò in mille pezzi sotto la potenza dell’aura sprigionata da Lucario che pulsava nelle sue mani. Lasciò la presa solo quando le grida cessarono e Sua Santità cadde a terra, immobile.
Kyle si girò e vide il Drago Originale urlare dal dolore, contorcendosi. A quanto pareva, l’attacco di Lucario aveva raggiunto anche lui. Il suo corpo iniziò a brillare, prima di spararsi in alto, fracassando la bolla di protezione, per poi dividersi in tre raggi di luce che volarono via, in direzioni opposte.
- Grazie mille per averci salvato. Ci rivedremo, Kyle dal cuore puro.
Sorrise nel sentire le parole di Reshiram, vivo e salvo. Si girò a guardare Lucario, per poi battergli il pugno e lanciare in aria la mano, aprendo le dita e mimando delle onde.
Cole e Alice corsero immediatamente verso i tre.
Kyle cadde a sedere per terra, con le gambe stese e lo sguardo vacuo per lo sforzo. Alice gli balzò addosso atterrandolo e iniziando a tempestarlo di premure e abbracci.
Cole, che sapeva ancora controllare la propria emotività, si diresse a saldare il suo patto. Con Mewtwo al proprio fianco, si avvicinò ad Artorius che venne sollevato in aria grazie ai poteri del Pokémon. Ormai inerme, chiedeva solo la pietà.
Cole rise e gli poggiò una mano sulla spalla. In quel momento, l’armatura prese vita, scorrendo dalle sue dita per avvolgere Artorius.
Per la prima volta, Kyle riuscì a vedere le cicatrici su tutta la lunghezza del corpo di suo zio: in corrispondenza di dove prima avevano trovato posto le rune sull’armatura, adesso c’erano i segni della forza da lui presa in prestito. La maglietta e i pantaloni ormai logori erano le uniche cose a proteggerlo dal freddo.
Artorius ricadde al suolo. Un solco oscuro apparve nel pavimento. Braccia deformi e nere come la pece gli cinsero il corpo e in un solo colpo l’inghiottirono, per poi richiudere la fenditura dietro di loro. Sua Santità aveva fatto il suo ingresso nel mondo di Giratina.
In lontananza, gli echi della fine della battaglia li raggiunse: i Ribelli avevano vinto.
Cole si allontanò, andando incontro a Daisy, Gold, Green e Blue che arrivavano, a due a due, sulle ali di Articuno e Charizard.
Kyle si alzò a sedere, incrociando le gambe. Alice poggiò la testa sulla sua spalla, abbracciandolo e venendo abbracciata. I due rimasero così per diverso tempo, neanche Daisy fu lasciata passare da Rhyperior che si era imposto fra il loro gruppo e i due ragazzi.
Le nuvole si erano ormai dissipate. Dall’altezza della Torre Bianca, si poteva vedere la luce dell’alba nascere da dietro le montagne. Dal basso, giungevano i canti degli Impuri, a cui si unì presto Articuno.
- È bellissimo – disse Alice, con le lacrime che andavano a inzuppare la tuta di Kyle.
- Già.
- Adesso, cosa facciamo? Andiamo a New Hope?
Kyle sorrise. Pensò che non aveva mai creduto di riuscire ad avere un futuro e di conseguenza non aveva alcun pensiero al proposito. Poi, portato dal vento, un petalo di un sakura volteggiò davanti ai suoi occhi e in quel momento capì.
- No, non torneremo a New Hope.
- E dove andremo? – chiese Alice, sempre stretta al suo braccio, come a non volersene staccare mai più.
Kyle si allungò e afferrò il petalo. Lo portò vicino la mano di lei e lì lo lasciò scivolare. Poi intrecciò le dita alle sue, stringendo la piccola testimonianza della primavera fra i loro palmi. Baciò la sua ragazza e tornò a guardare l’alba, appoggiando la testa alla sua.
- A casa.
 
 
 
- Hancock

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Capitolo 33 - Lumos ***


Lumos
 
 
Dodici anni dopo.
 
Lentamente, la neve riprese a piovere. I primi fiocchi del giorno incominciarono a cadere dalle nuvole, trasportati dal debole vento invernale. Le vette lontane, già completamente colme, riflettevano i raggi solari dritti nei suoi occhi. Si dovette portare una mano al viso per evitare di restare accecato. Tirò sul naso la sciarpa e sistemò il cappello di lana in modo da lasciare quanta meno pelle alle intemperie. Dopodiché affondò le mani nel folto piumaggio, caldo come una tazza di tè, del Pokémon. Il suo ritmato avanzare e sprofondare nella neve alta lo divertiva non poco, con quel suo bizzarro suono.
- Smettila di muoverti così, sei lentissimo! Avanti, dobbiamo prendere quella Ghicocca rossa, è la nostra missione.
Il Pokémon emise un dolce e pacato suono, segno che si stava divertendo a sua volta. Riecheggiò nell’aria, trasportato per chilometri dalle raffiche di vento.
- Non ci arrivo, alzati ancora un po’.
Allungò le mani, sporgendosi più del dovuto, ma riuscendo a raggiungere il suo obiettivo. Prese lo zaino dalle spalle e vi infilò la Ghicocca. Poi lo assicurò alle spalle e guardò, soddisfatto, l’enorme albero.
Abbassò lo sguardo verso il terreno, fino a incrociare la teca in cui era custodita la lunga katana e le pietre che erano state sigillate anni prima dall’alito di fuoco del Pokémon.
- Reshiram, ma è vero che siete stati tu e papà a fare questa cosa?
- La tomba, intendi?
- Sì, quella. Non mi ricordavo come si chiama.
- Tuo padre e tuo nonno l’hanno costruita. Hanno voluto seppellirla qui, con la sua spada. Io ho solo sigillato il tutto in modo che il tempo non ne corroda il ricordo.
- Cosa significa “corrodere”?
- In questo caso, è come dire “consumare”. Lo sai, il tempo piano piano fa scomparire tutto.
- Sì, me lo hai insegnato tu.
Il bambino guardò verso Sud, non vedendo l’ora di vederli arrivare. Affondò ancora più a fondo le mani fra le piume di Reshiram, per poi stendersi completamente sulla testa del Pokémon. Adorava quel genere di calore.
- Stavolta resti almeno a cena? Arrivano i nonni fra poco.
­- Mi piacerebbe, ma ho delle faccende da fare. Tornerò presto, Sur, non ti preoccupare.
- Almeno una volta alla settimana. Non posso uscire a giocare nella foresta quando c’è tutta questa neve, altrimenti mamma mi minaccia col coltello come fa la nonna con papà. Solo con te mi lasciano allontanare un po’ di più.
- Ok, una volta la settimana sarò qui.
Reshiram emise di nuovo quel suono che tanto piaceva al bambino. Subito dopo, si sentì un gran fragore alla porta delle mura.
- Eccoli! Avanti, andiamo! – urlò il piccolo Sur, eccitato come mai.
In groppa al Leggendario, avanzò fino al limitare della sua casa. La neve aveva bloccato lo scorrere del legno, sigillando l’ingresso.
Reshiram si girò, dando alle fiamme la turbina che aveva come coda. In un attimo, il calore sciolse ghiaccio e neve, liberando la strada. La porta si spalancò di scatto, spinta dalle grossa braccia di Rhyperior. Sul suo dorso, Sur vide sua nonna e suo nonno.
- Oh Oh Oh. Buon Natale! – proruppe lui, sfoggiando il suo nuovissimo abito da Babbo Natale.
- Nonno Cole! – il bambino perse ogni istinto di autoconservazione e si alzò in piedi per poi balzare in avanti. I poteri psichici di Reshiram gli rallentarono la caduta, facendolo planare nell’aria, dritto nelle mani di Rhyperior, per poi venire issato da quest’ultimo sulla sua schiena.
- Come stai, piccolo Satana? Quante cose hai distrutto nelle ultime tre settimane?
- Solo quattro lampade, nel soggiorno. Ma non è stata colpa mia, Lucario non ha parato il pallone.
- Ehm ehm – quello schiarire di voce fece trasalire Cole.
- Meglio che saluti tua nonna, altrimenti ci ammazza.
Il bambino si lanciò in avanti, anche perché aveva perso l’equilibrio quando Rhyperior aveva ripreso a camminare facendo un enorme solco nella neve grande quanto un furgone. Atterrò fra le braccia della donna e affondò la testa nel suo ventre mentre lei gli scompigliava i lunghi capelli neri e ricci.
- Come sta il mio piccolo angioletto? Mi sei mancato un sacco, la prossima volta che Cole ha una riunione con la Confederazione della Lega ci va da solo. Hai mangiato abbastanza? Mamma cucina bene? Kyle ha fatto qualcosa per beccarsi la mia ira?
- Calma, nonna Daisy, va tutto benissimo. Mamma mi fa mangiare e papà è stato bravo. Non ti preoccupare. Ma Blue, Green, Gold e Zitanna non vengono?
- No, piccolo mio. I primi due sono ancora occupati con delle faccende da grandi della Lega. Gold e Zitanna sono in ospedale, ieri è nato il loro figlio.
- Oh che bello. Come si chiama?
- Non hanno deciso ancora ma andremo presto a trovarli – Daisy gli accarezzò la testa.
- Sur, quello lo avete finito? – Cole indicò la grossa sfera in vetro, dentro la quale si trovava il piccolo lago del loro giardino.
- Sì, l’altro ieri io e papà abbiamo dato da mangiare ai Magikarp e alla piccola Feebas di mamma. Poi lui ha portato una statua di un Pokémon bellissimo, ha detto che si chiama Milotic. Quella l’abbiamo messa al centro, fra le piante che usano come nido.
- Benissimo, devo ricordarmi di darci uno sguardo dopo.
- Cole, Kyle è ormai adulto, credo se la cavi piuttosto bene con i lavori per sistemare questo posto.
- Giusto una controllatina, Daisy. Per essere sicuri che sia tutto al suo posto.
Mentre i due battibeccavano, Rhyperior continuò a camminare nella neve, seguito da Reshiram, fino ad arrivare alla casa. La porta si aprì non appena i tre vennero deposti al suolo dalla schiena di Ryp, sulla soglia fecero capolino i lunghi capelli rossi di Alice. Si stringeva il petto in un abbraccio, mentre il suo respiro creava delle nuvolette davanti al suo viso. Il lungo e grosso maglione rosso, con ricamati vari disegni di alberi e decorazioni natalizie, intervallate da una spessa linea a zig zag all’altezza del seno, cascava sui pantaloni di cotone spesso, color beige, infilati negli stivali della donna.
Le guance le si arrossarono immediatamente a causa del freddo. Gli occhi verdi passarono da uno all’altro. Il Sole ne esaltava le particolari schegge giallastre che erano sparpagliate nel mare di smeraldi.
Si avvicinò a Daisy non appena furono sul pianerottolo, spalato e ripulito dalla neve. Le due si abbracciarono forte. Cole arrivò imitando Babbo Natale e le sollevò di peso entrambe, cingendole con le braccia.
- Sono felicissima che siate riusciti a passare. Tutto bene alla riunione?
- Niente di speciale: solite cose sulla sicurezza di tutte le Regioni. C’è stato un incontro con tutti i Capopalestra, i Superquattro, i Campioni e ovviamente Green e i suoi compagni. Abbiamo rinforzato un po’ le difese contro eventuali attacchi da altre piccole sette che ancora nascono in clandestinità. Quel maledetto Artorius ha bruciato il cervello di molta gente. Meno male che c’è Bucky.
- A proposito, come sta? Sono un paio di settimane che non riesco a sentirlo.
- Sta meglio di noi. È a Unima adesso, la sua squadra ha trovato un’altra cellula di idioti pazzi. Dovendo stare sotto copertura credo sia difficile per lui contattarti. Che darei per vedere la faccia di quei tizi quando lo vedranno sventolare il distintivo con Mewtwo al suo fianco.
- Da quando ha deciso di unirsi alle forze speciali della Lega di Sinnoh è diventato difficile anche solo vederlo, gira sempre per tutto il mondo – disse Alice, pensierosa.
- Beh, almeno ha Mewtwo con sé. Quel Pokémon è una vera forza della natura quando si tratta di combattere per gli oppressi.
- Mi spiace interrompervi, ma mi si stanno gelando le chiappe, entriamo? – s’intromise Daisy.
Alice sorrise, raggiante e bellissima.
- Certo, è tutto il giorno che cucino. Dovete entrare e mangiare assolutamente.
Solo allora, il bambino si fece coraggio e si spostò da dietro le gambe di Cole, venendo alla vista della madre. Sporco, con le mani piene di graffi a causa dei rami. Aveva ancora una foglia conficcata nel cappello.
Lei lo vide e il suo solo sguardo bastò a fargli capire che era in guai seri. Molto seri.
- Saluta immediatamente Reshiram, devi entrare pure tu con noi. E vai a lavarti le mani e a cambiarti. Facciamo i conti dopo per come ti sei combinato, mi sembri tuo padre.
Sur deglutì sonoramente e si girò. Ciondolando e col passo pesante si avviò verso il Leggendario. Dopo che lui ebbe abbassato la testa per permettere al piccolo di abbracciarlo, si alzò in volo e scomparì fra la neve cadente.
Entrarono in casa, immediatamente salutati dal calore del camino acceso. L’interno era rimasto pressoché identico, se non per il cambio di mobili, tra cui la cucina nuova, il grande tavolo al centro della sala e la nuova porta che si apriva alla destra di quella che una volta era la camera di Kyle e ora occupata da Sur. Mentre Alice tornava vicino ai fornelli, allarmata dalle fiamme improvvisamente sprigionate da uno dei fuochi, Cole prese posto sul divano davanti al camino e Daisy accompagnò il piccolo in bagno per aiutarlo a lavarsi.
Sentendo le urla di panico provenienti dalla cucina e le risate di Cole, la porta della nuova stanza appena finita di costruire si aprì di scatto. Ne uscì un’enorme nuvola di polvere bianca, causata dai residui della lavorazione delle pietre e segatura. Una testa riccioluta e piena zeppa di sporcizia degna del più laborioso muratore fece capolino mentre le mani di Kyle si avvinghiavano attorno al legno della porta.
- Ho sentito gridare, serve aiuto? – disse lui, tossendo diciassette chili e tre quarti di polvere.
- Non ti preoccupare, le fettuccine con salsiccia, piselli e funghi sono salve. Se vuoi, occupati del tacchino sul camino.
Kyle si avvicinò ad Alice, lasciando impronte bianche sul pavimento a ogni suo passo. L’abbracciò da dietro e le baciò il collo. Quasi gli venne un infarto quando dal bagno sentì la voce di Daisy che gli gridava di ripulire il disastro fatto in salotto.
Si riprese dallo spavento mentre Alice non riusciva a smettere di ridere e si avvicinò a Cole per salutarlo. I due si abbracciarono e si salutarono.
- Come diavolo ha fatto a capire che ho lasciato le impronte? – chiese Kyle mentre controllava la struttura in metallo in cui cuoceva il grosso tacchino.
- Non chiedere, è Daisy. Fa l’impossibile. Ti dispiace se do un’occhiata ai lavori in corso?
- Vieni pure. C’è sempre bisogno di un paio di mani in più, papà – si avviò, facendo strada.
Alice si voltò giusto in tempo per osservare lo sguardo di meraviglia negli occhi di Cole, ancora non abituato a essere visto sotto quella luce. Gli vide asciugarsi una sola, solitaria, lacrima scesa dall’occhio destro e poi farle l’occhiolino. Lei sorrise e tornò a occuparsi del pranzo.
Appena dentro la nuova stanza costruita da Kyle, Cole vide Gallade e Lucario, reciprocamente intenti a tagliare e lavorare i restanti tronchi. Arcanine sonnecchiava su una pila di vecchi cartoni.
- Quelli verranno inseriti all’interno, fra le pareti, assieme al materiale isolante. Seguendo il vecchio branco di Ursaring ho trovato la cava dove Maisy ha preso le pietre per creare questa casa. Con un po’ d’aiuto e vari viaggi, abbiamo portato qui tutto il necessario. Robuste e resistenti, meglio del cemento – disse l’uomo di casa, fiero del proprio lavoro.
I Pokémon salutarono Cole con un cenno del capo mentre lavoravano e lui ricambiò.
- Avete fatto proprio un ottimo lavoro, qui. Ancora non mi hai detto perché hai fatto tutto questo, però.
- Beh, ho pensato che una stanza in più non avrebbe fatto male. E dato che questo spazio era al sicuro sotto la montagna, ho pensato di allargarci. Se non fosse stato per le fiamme di Arcanine sarebbe stato difficile sigillare i blocchi di pietra.
- E dopo lo strato isolante? – chiese Cole, passandoci una mano all’interno.
- Stavo pensando a un pavimento e pareti in legno. Potrebbe essere una stanza dei giochi per Sur o comunque un posto di svago per tutti.
- Mi sembra una buona idea. Ora però…
- Meglio darsi una lavata e fermarsi qui, o Daisy ci uccide.
- Le abitudini sono dure a morire – rise Cole, dando una pacca sulla spalla di Kyle e sprigionando una slavina di polveri.
I due tornarono in salotto e qui Kyle salutò finalmente Daisy che però non volle saperne di toccarlo finché fosse stato così sporco. Quindi Cole lo accompagnò in bagno, continuando a parlare di lavoro e avventure sue e di Ryp degli ultimi giorni.
 
Alice si sciacquò le mani nel lavello per poi asciugarle sul grembiule da cuoca. Obbligò Sur ad andare in camera sua a mettere i vestiti da lei preparati sul letto e poi tornò a occuparsi del cibo, attenta agli schizzi d’olio della padella delle melanzane.
Daisy le si avvicinò e l’aiuto, prendendo posto di fianco a lei nella grossa cucina.
- Ogni volta che torniamo qui, trovo la casa sempre più grande.
- Colpa di Kyle. Certo, avendo allargato il salone, le stanze e i bagni abbiamo recuperato molto spazio. Poi mi ha comprato la cucina nuova quindi non posso lamentarmi – si scostò una ciocca di capelli che le era caduta sul volto e la ricacciò indietro, dove si unì alla cascata d’amaranto.
- Anche se, lo ammetto, mi manca non potermi più muovere per colpa di Sur che si addormentava sul tappeto, dietro ai miei piedi – aggiunse.
Daisy rise mentre sciacquava e ripuliva l’insalata, per poi far scolare l’acqua e metterla nella grossa scodella per iniziare a condirla.
- E la nuova stanza? Se serve più spazio potete sempre venire giù a New Hope da noi. Ormai è una città a tutti gli effetti, anche se è rimasta uguale ad anni fa.
- Sai com’è fatto Kyle. Da quando ha avuto le ferie natalizie non sa cosa fare e quindi si è messo a distruggere pareti e a costruire. In pieno inverno, se si ammala lo ammazzo.
- Poi si lamentano se gli diciamo di stare fermi, lo facciamo per il loro bene – aggiunse Daisy, agitando il pelapatate un po’ troppo in fretta.
- È quello che dico sempre io. Comunque non ti preoccupare, stiamo bene qui, abbiamo anche la strada che ci unisce a New Hope, con Arcanine ci mettiamo neanche due ore ad arrivare.
- Avvisami però, quando vorrai volare in qualche città a fare acquisti per i mobili. Non permetteremo che quella stanza diventi un covo da maschi. C’è bisogno dell’impronta femminile in una casa.
Alice avvampò in volto tutto d’un colpo, con un piccolo e timidissimo sorriso che si faceva largo fra le sue guance.
- Veramente… non credo proprio che diventerà un qualsiasi tipo di covo – disse lei.
- Oh certo, perché gliela faremo vedere noi. Ho una bellissima idea: stanza da letto per gli ospiti, soprattutto per me e Cole, così lui e Kyle non dovranno dormire sul divano quando verremo a trovarvi.
Daisy si bloccò di scatto con gli occhi spalancati e increduli. Aprì la bocca senza trovare la forza di emettere alcun suono. Alice annuì timidamente, quasi facendo scomparire la faccia nel maglione. La stessa ciocca ribelle le ricadde davanti al viso, mentre con una mano si teneva il basso ventre.
Ancora con la bocca spalancata, Daisy corse verso il divano. Alzò un cuscino e lo premette contro il viso, urlandoci dentro. Tornò quindi di corsa da Alice e l’abbracciò quasi stritolandola. Lei rise per tutto il tempo, non aspettandosi una reazione così.
- Da quanto lo sai? E Kyle ne è a conoscenza? Sei sicura? Perché non ti si vede neanche un filo di pancia. Giuro che se non ingrassi non ti parlo per un anno. Ah ma chi voglio prendere in giro, diventerò di nuovo nonna! – quasi urlò, sforzandosi di tenere un tono pacato.
- È… È stato Lucario a dirmelo. Quattro giorni fa, è una bambina. Ha aspettato il giorno dopo per dirmelo, ne ha sentito l’aura nascere dentro di me, come con Suraji.
- E Kyle?
- Non lo sa ancora, altrimenti impazzirebbe e correrebbe a costruirgli la stanza senza fermarsi neanche per mangiare.
Daisy non riusciva a stare ferma e iniziò a saltellare per tutta la lunghezza della penisola di fianco ai fuochi.
- Come la vuoi chiamare?
Alice si prese un attimo per rispondere e poi proseguì, obbligando Daisy a zittirsi.
- Ci ho pensato tipo venti ore al giorno e ne sono più che sicura che glielo dobbiamo, senza di lei io non sarei qui e probabilmente neanche Kyle. Non ci saremmo nemmeno conosciuti. Quindi sì, voglio chiamarla Maisy.
Fu una delle poche volte che Daisy pianse per la gioia in vita sua.
 
Poche ore dopo, Cole, Kyle e Sur erano di ritorno dal giro nei boschi per raccogliere legna. Sulla lunga tavola era stata stesa la tovaglia natalizia e tutte le varie pietanze cucinate dalle donne di casa. Con sua grande soddisfazione, Sur portò il tacchino a tavola sul suo vassoio, senza bisogno di aiuto. I divani erano stati spinti verso il muro in modo da lasciare spazio libero a Noctowl, Gallade, Lucario e Arcanine di mangiare al loro fianco. Date le dimensioni colossali, Rhyperior sedeva all’esterno e interagiva con gli altri tramite una finestra lasciata aperta. Mezzo attraverso il quale Sur gli portava il cibo e, mentre sua madre e Daisy non guardavano, le sue verdure.
Non appena le pance di tutti furono piene e quasi la metà del cibo fu consumato, Cole non perse tempo e uscì fuori, per poi ritornare con un’enorme sacca sulla spalla, abbinata al rosso del costume.
- Manca qualcosa però… trovato! – si avvicinò al frigo, simulando una grossa pancia con due cuscini.
Lo aprì e ne prese la panna spray. Svuotò quasi tutto il contenitore ma riuscì, dopo vari tentativi, a non far cascare la sua nuova barba candida e bianca.
- È l’ora dei regali – proruppe lui.
- Un attimo, vado in camera da letto a prendere quelli fatti da me, Alice e Sur per voi – Kyle sparì per qualche istante.
Daisy lanciò la sua occhiata del “avanti, è il momento migliore per parlare”, con cornice di sorriso e movimento di testa, ad Alice. Lei arrossì di nuovo e si fece coraggio, inspirando a fondo.
Non appena Kyle tornò coi regali, interruppe il tutto.
- Amore, ma a Daisy non hai fatto vedere la nuova stanza della casa?
- Oh… ehm… non ancora. Non è ultimata, pensavo di farle vedere il tutto con almeno pavimento e muro sistemato – disse lui, colto di sorpresa.
- A proposito, Kyle, in cosa pensavi di trasformarla? Ricordati di me e Cole, mi raccomando – s’intromise Daisy, reggendo il gioco di Alice.
- Una stanza per gli hobby. O qualsiasi cosa serva, possiamo metterla lì. Ovviamente ci sarà anche il letto e lo spazio per te e Cole.
- Veramente… io credo che lo spazio verrà un po’ a mancare – Alice parlò di nuovo.
- Che cosa dici? È abbastanza grande, possiamo metterci di tutto dentro, amore.
- Forse è meglio rivedere il piano. Ci sono… degli sviluppi – disse sua moglie, accarezzandosi il ventre.
A Cole brillarono gli occhi. Capì immediatamente cosa stava cercando di dire Alice, anche perché Daisy stava riprendendo a piangere nello stesso modo di quando, cinque anni prima, seppe dell’arrivo di Sur. Non capendo molto bene cosa stava succedendo, Kyle si guardò attorno per qualche istante, finché Lucario non gli permise, grazie al loro legame, di utilizzare la sua vista: fu allora che lo vide, ancora debole ma esistente, un piccolo raggio d’aura nato all’interno del corpo della moglie.
Balzò in piedi e la sedia venne lanciata all’indietro mentre lui si lanciava verso il posto occupato da Alice. L’alzò di peso e l’abbracciò, alzandola e iniziando a roteare attorno al proprio asse Z. La baciò più volte e sempre più intensamente.
- Quando l’hai saputo? – chiese, col fiatone.
- Quattro giorni fa, grazie a Lucario. Me l’ha detto la mattina dopo. È ancora molto presto ma è sicuro sia una femmina e io gli credo. Ho già pensato a un nome per lei.
- Sarebbe? – la ripose a terra, ancora su di giri.
- Il nostro primo figlio si chiama Sur. Non ho intenzione di dimenticare chi ci ha donato il nostro futuro: senza di lei non ci saremmo conosciuti, io sarei probabilmente morta e forse anche tu. Che ne dici di Maisy?
Kyle la baciò e la strinse di nuovo a sé.
- Credo sia un’idea bellissima.
Non potendo più resistere, Cole e Daisy si unirono all’abbraccio e assieme a loro iniziarono a progettare come sarebbe dovuta essere la stanza.
- Avrò una sorellina? – chiese Sur, tirando il maglione della madre.
Alice si abbassò e gli baciò una guancia.
- Proprio così, ci vorrà un po’ perché lei arrivi ma l’avrai.
Lui sembrò irrigidirsi e si voltò. Corse nella sua stanza senza dire nulla. Tutti e quattro rimasero senza parole, non avevano preso in considerazione che Sur potesse restarci male. Lui però non diede al padre il tempo di alzarsi e inseguirlo nella stanza che uscì facendo sbattere la porta e tirando con tutta la sua forza qualcosa che era nascosta dal buio della stanza.
- Dai, vieni, scherzavo su quello che mamma ci avrebbe fatto coi coltelli.
Tutti erano rimasti immobili nel vederlo sforzarsi finché, timidamente, un piccolo Pokémon apparve da dentro la camera del bambino.
- È una femminuccia, come Maisy. L’abbiamo trovata io e Reshiram l’altro ieri, nel bosco. Era tutta sola e quindi ho pensato di portarla con me. Reshiram mi ha detto che si chiama Teddiursa, o almeno così ricordo. Quando le ha parlato ha saputo che la mamma non c’è più e io allora le ho detto che l’avrei portata con me, dato che io la mamma la tengo ed è così brava che poteva anche pensare a due bambini. Scusa se l’ho nascosta però sapevo di non poter avere Pokémon ma non volevo lasciarla da sola.
- Ti sei preso cura tu di lei? – chiese Cole.
- Sì, tutti i giorni. Per questo volevo sempre uscire. La nascondevo e correvamo via mentre mamma e papà non guardavano, così potevo darle da mangiare tranquillamente. Volevo tenerla e farci amicizia ma, dato che è una femminuccia e che avrò una sorellina, magari posso occuparmi io di lei finché Maisy non c’è. Poi voglio regalargliela. Cioè, so che i Pokémon non sono cose. Però potrebbe essere il suo primo Pokémon, se vuole anche lei.
Alice non ce la fece più e iniziò a piangere. Si lanciò su suo figlio e lo abbracciò più forte che poté. Anche Kyle gli si avvicinò con gli occhi lucidi.
- Appena nascerà, prometto che ti racconterò perché abbiamo deciso di chiamarla “Maisy”. Così capirai perché la mamma sta piangendo adesso per Teddiursa.
- Non ho fatto male, papà? – chiese Sur, non capendo nulla di ciò che accadeva.
- Certo che no. Anzi, sono sicuro che il tuo bis nonno sarà molto fiero di te.
- Kyle, forse è pronto – Cole mise a terra il sacco e quello fece uno strano verso, spaventando il bambino.
- Che cosa c’è dentro? – chiese il piccolo, impaurito.
- Il tuo regalo di Natale. Avanti, aprilo – gli suggerì il padre.
- E tranquillo, Rhyperior l’ha tenuto al caldo fino a ora – aggiunse Cole.
Sur si avvicinò lentamente al sacco rosso all’interno del quale qualcosa iniziava a muoversi, agitato. Il bambino mosse furtivo i piedi e, timidamente, con la mano destra alzò un lato dell’apertura. Una piccola protuberanza verde, lunga e un po’ appiccicosa si avvicinò, impaurita a sua volta, all’aria aperta. Sur non ci pensò due volte e la toccò con un dito. Urlò quando quella si ritirò e l’essere all’interno gemette a sua volta.
Guardò i suoi genitori per un istante, prima di riprovare. Avvicinò di nuovo la mano e di nuovo la strana cosa verde uscì timida. Stavolta, Sur l’accarezzò. Quella iniziò ad allungarsi sempre di più verso l’esterno.
- Vieni, non ti faccio male – disse lui, prendendola come fosse la mano di suo padre e guidandolo fuori.
Camminò un po’ finché, prima la testa, poi il corpo e infine il bocciolo del Pokémon apparvero agli occhi di tutti. Ritirò quella che si rivelò una delle sue liane e spinse la testa verso la gamba del bambino. Sur lo alzò e portò con fatica la testa del Pokémon all’altezza della sua.
- Sei strano. E quella corda verde è un po’ vomitevole.
Il piccoletto verde inclinò la testa di lato, cercando di capire. Poi gli leccò la faccia, lasciandogli la bava addosso.
- Mi piaci – disse Sur, rimettendolo a terra e accarezzandogli la testa.
- Lui si chiama Bulbasaur. Ricordi il Venusaur del tuo bis nonno Sur, di cui ti racconto le storie? – chiese Kyle.
- Certo, quello è un Pokémon fortissimo.
- Beh, questo è il piccolo figlio di un Venusaur.
A Sur s’illuminarono gli occhi.
- Posso tenerlo? – chiese, quasi urlando.
- Certo che puoi, amore. Sempre se lui vuole restare – sua madre gli accarezzò la testa.
- Piccolo Bulbasaur, che ne dici? Vuoi restare e diventare mio amico? – chiese Sur, ormai seduto per terra con le gambe spalancate e gli occhi fissi sul Pokémon.
Quest’ultimo fece schioccare una liana in direzione dell’angolo giochi di Sur, facendo crollare una piccola torre di Lego.
- Lo prendo come un sì.
- Questa è la sua Poké Ball. Te l’ha fatta papà in persona, col metodo che ha ereditato da Maisy – Alice gli passò una piccola sfera verde e color legno.
Sur la prese e l’appoggiò delicatamente sulla testa di Bulbasaur che entrò senza opporre la minima resistenza. Sentì un forte calore al petto e poi fece uscire nuovamente il Pokémon.
- Che potere ha questa? – chiese lui, diretto a suo padre.
- Beh, vedi, questa Poké Ball ha lo stesso potere di quella mia che uso con Lucario – rispose lui.
- Davvero? – il piccolo ormai aveva gli occhi così spalancati da rischiare di perderli e farli rotolare per terra.
Kyle annuì.
Sur si girò di nuovo verso Bulbasaur e, alzandosi in piedi, gli fece segno di seguirlo verso gli altri.
- Possiamo andare a giocare fuori?
Alice guardò suo marito e parlò a nome di entrambi.
- Certo che puoi ma non ti allontanare troppo e lasciati controllare da Rhyperior.
- Ok, grazie mamma! – Sur si alzò sulle punte dei piedi, mentre lei abbassava il capo, per poter essere baciata sulla guancia.
Fece lo stesso con suo padre e i suoi nonni, dopodiché si fiondò verso la porta. La spalancò e uscì, seguito da Bulbasaur.
- Sai, penso proprio che questa sarà l’inizio della nostra avventura – gli disse, mentre i due varcavano la soglia.
Kyle e Alice si abbracciarono e si guardarono, per un lungo istante, uno negli occhi dell’altro. Lui la baciò come le piaceva: spostando prima la ciocca ribelle dal viso per poi nasconderla dietro l’orecchio e, infine, baciarla. Si strinsero uno nell’altro mentre osservavano il loro figlio muovere i primi passi nel mondo, seppur ancora sotto il loro vigile sguardo, accompagnato da un amico per la vita.
Lui le strinse la mano e lei ricambio. Entrambi furono fieri del futuro che erano riusciti, nonostante il dolore e le sofferenze, a creare per la loro famiglia.
Come leggendo i pensieri della sua donna, Kyle le diede un bacio sulla testa.
- Lo abbiamo fatto per lui – disse, sorridendo.
Alice lo baciò, portando la mano sul suo viso.
- E per lei.
 
 
 
Fine.
 
 

 

Note dell'autore


Sinceramente, non so da dove iniziare. Ci sono molte cose che vorrei dire eppure non ho idea da cosa partire.
Inizierò col dire che questa storia è iniziata così, giusto per divertimento e per scherzo.
Il mio caro amico Andy Black, con cui condivido forse troppe cose, mi istigò a provare a scrivere qualcosa
dato che leggo molto e ho abbastanza fantasia (in più punti mi ha dato del depravato mentale per ciò che
ne è uscito) e a pubblicare qui, su EFP. Però poi, per varie cose, mi bloccai intorno ai primi capitoli.
Poi, sempre su sua insistenza, e perché mi ha pregato di aiutarlo col suo blog e la pagina Facebook
"Pokémon Courage", ho deciso di riprendere fra le mani questo lavoro lasciato a metà.
È stato divertente, lo devo ammettere. Anche un po' doloroso, quando ho ucciso alcuni dei miei
personaggi preferiti. Però, si sa, il loro è stato un sacrificio che sono stato fiero di fare.
Anche se questo mi è valso una valanga di insulti e bestemmie da parte della mia beta.
Che, fra parentesi, ha accettato alla sola condizione di lasciare in vita Alice.
Sì, l'avrei uccisa, un po' come ho fatto con Sur (altra cosa che è valsa insulti).
Poi ha aggiunto anche il mio obbligo morale a non ringraziarla per aver corretto il tutto, dato che è timida.
Ma essendo stronzo, ovviamente, una scappatoia si trova.
Ecco perché apro i miei ringraziamenti proprio con lei.
Non intendo ringraziarla per aver corretto la mia storia. Però, (e qui dovrai perdonarmi) ringrazio
Chiara per avermi dato più di uno stimolo per continuare a scrivere questa storia che era in cantiere
ormai da tanto, tanto, tanto, fottuto tempo.
La ringrazio anche per il sostegno che mi ha dato e soprattutto perché è stata lei a darmi le maggiori
soddisfazioni con questa storia: quando ha iniziato, erano già pubblicati circa una quindicina
di capitoli, che ha recuperato in una sola notte.
Pazza.
Poi, non contenta, mi ha letteralmente tolto l'anima per poter leggere il più velocemente possibile.
Hai adorato il mio stile di scrittura e forse i tuoi complimenti mi hanno dato ancora più stimoli.
Quindi, dato che ho iniziato a macinare capitoli per settimana, ha voluto leggerli in anticipo e così ha finito già
da tempo il tutto. Non vi sto a dire quanto mi abbia insultato per quello che ho fatto a Sur e Maisy.
Ma, comunque, grazie per aver avuto l'avidità di voler leggere la mia storia, Dolcezza.
Inoltre devo ringraziare quel grassone di Andy Black che mi ha consigliato e dato spazio sul suo blog.
Oltre per tutto ciò che fa per me, giorno dopo giorno (non mi allungo sennò vi faccio due coglioni giganti).
Ammetto, però, di aver sofferto molto quando ho ucciso i miei personaggi, fra i migliori che mi siano riusciti.
Magari, Sur l'avrei potuto far sopravvivere. Questo capitolo, però, non avrebbe avuto lo stesso effetto.
Non sareste stati mortalmente feriti al cuore per molte cose che ho infilato di proposito, come piccoli omaggi e citazioni.
Ovviamente, alla fine, voglio ringraziare quelle teste malate che siete, voi che avete letto. Non so come
abbiate fatto ad arrivare fino in fondo al pozzo di follia che si innalza attorno a questa storia e per questo vi
faccio i miei più sinceri omaggi. Ora, pure voi, siete nella merda con me.
Forse dovrei concludere dicendo qualcosa di intellettuale o di profondo.
Ma non è nel mio stile.
Qui si conclude la piccola chiacchierata, figlio di puttana.
(per una volta, mi firmo col mio nome).


 
 
Vincenzo Esposito

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3177091