Card Game

di Alexander Bane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Luci ***
Capitolo 2: *** Montagna ***
Capitolo 3: *** Rosso ***
Capitolo 4: *** Silenzio ***
Capitolo 5: *** Acri ***
Capitolo 6: *** Inferno ***
Capitolo 7: *** Ceneri ***



Capitolo 1
*** Luci ***


Le rossastre luci nel cielo delle valli proiettarono le ombre di molti alberi sul villaggio.
Molti abitanti uscirono dalle loro case, chiedendosi cosa fossero tali oggetti, se così potevano essere definiti.
Esse parevano essere senza forma come l'acqua, adattandosi alle circostanze grazie al movimento su di esse esercitato da chissà quale forza.
Volteggiavano fra le vette e subito dopo fra le pianure, si intrecciavano come dita e subito dopo fronteggiavano come armate.
Come fuochi d'artificio che non hanno ancora imparato ad esplodere.
 
La Gola Alpha era famosa per gli eventi luminosi a volte osservabili nel cielo, ma nessuno quella notte seppe darsi una spiegazione su cosa potessero essere quelle particolari luci rosse.
Che fossero pericolose o meno, non sembrava importare agli spettatori.
Si limitavano a starsene eretti in strada coi loro bambini, ad osservare il villaggio con quello strano colorito e le sagome create dalle code delle luci.
Il tutto nel più religioso dei silenzi.
Nelle stanze delle case alcuni ancora dormivano, forse per stanchezza o forse perché in effetti alzarsi a tarda notte per vedere delle luci rosse nel cielo non sia il massimo, ma in una casa in particolare, al centro del villaggio, una piccola ragazzina picchiava sulla porta della camera dei genitori, tentando di svegliarli per poter uscire insieme a loro a guardare le luci.
"Mamma, papà!" Gridava la piccola, senza risposta.
Aveva paura di uscire da sola.
Dopo minuti lunghi quanto ore, vide sull'anta della porta un piccolo post-it.
I suo genitori l'avevano vista dormire, così erano usciti senza di lei per non svegliarla.
 
A rendersi conto di essere sola, la piccola salì sul letto con le lacrime agli occhi, e rivolse lo sguardo alla finestra.
"Mamma, papà..."
Il nero dei capelli scompigliati sui suoi occhi frammentò la luce, che non le appariva più come una singola scia luminosa ma ora come decine di piccole luci sparse in un piccolo spazio.
Strinse la coperta con le piccole mani, socchiudendo gli occhi.
Aveva visto quelle luci così tante volte, eppure mai era stata in grado di  uscire per vederle dal vivo.
Ne vedeva di simili ogni notte al tramonto ed ogni giorno all'alba.
I suoi occhietti verdastri amavano posarsi sulle scie e lasciare che i colori si amalgamassero, come in un piccolo arcobaleno.
Eppure, in lei ardeva il desiderio di vederle dal vivo, fuori dalla finestra.
Prese un respiro colmando i lievi singhiozzi e si rilassò, abbandonandosi al calore del letto, mentre quelle mistiche luci proseguivano la loro silenziosa danza su uno sfondo boschivo e sotto il cielo nero della gola.
 
 
Intanto, da qualche parte, sul versante di un monte scosceso, due scalatori osservarono dall'alto quelle luci rosse danzare.
Da sopra le nuvole, sopra la città, sopra lo spettacolo.
E mentre il mondo sembrava acquietarsi, i loro cuori saltarono qualche battito a causa della terrorizzante visione davanti ai loro occhi increduli.
 

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Capitolo 2
*** Montagna ***


 
 
Quelle luci lo avevano svegliato qualche ora prima del dovuto.
Ancora sonnolente, si affacciò alla balconata indossando ancora l'accappatoio notturno.
Stordito dall'improvvisa luce rossa, rientrò nell'ampio salone scavato nel versante ovest della montagna, e si concesse qualche secondo per osservarlo in tutto il suo splendore.
Scavato in un insenatura che sprofondava fino al cuore del monte, la forma di quel posto era tale che la luce dei primi raggi di sole del mattino proiettasse immagini sul muro disadorno in fondo alla stanza, seguendo i motivi sul parapetto della balconata.
Ma ora, quelle luci rosse vaganti proiettavano solo ombre disordinate e che rapidamente sfuggivano allo sguardo, correndo come bambini.
 
Sospirò scompigliandosi i capelli castani ed aprendosi l'accappatoio blu sul petto, voltandosi verso la balconata.
Il gelido vento notturno lo accarezzò con la delicatezza con la quale fu abituato ad essere sfiorato dalla sua donna, i suoi occhi videro ora ciò che si svolgeva sopra alle foreste.
La luce rossa percorse le sue retine, alterando il loro marrone come uno scanner ottico.
Egli non arretrò, anzi, si sporse dal parapetto in marmo per osservare meglio la situazione.
 
Quelle luci rosse, con le loro code rosine, si rincorrevano e giocavano nel cielo nero come bambini nel giardino, accompagnate da altre luci con la leggiadria di danzatrici esperte.
Una luce più grande delle altre si levò verso il cielo, si esibì in qualche altro passo di danza e poi svanì nel nulla, portando con sé, una ad una, tutte le altre.
Nella valle ritornò l'usuale buio notturno, rischiarato solo dalla luna.
 
La balconata risultò più nera del solito ai suoi occhi già abituati alla luce, ed egli affannò al ritornare nella sua camera seguendo la fievole illuminazione lunare.
Percorse il corridoio di sinistra e svoltò in quello a sinistra, attorno alle colonne portanti in marmo, fino a raggiungere la rossastra porta della sua camera.
Sedutosi sul soffice letto disfatto, afferrò un paio di occhiali da lettura e riprese in mano il suo libro, senza però aprirlo.
Rimase invece a guardare la copertina con ricami d'oro sul duro legno d'ebano, esitando.
Non pareva più dell'umore per leggere.
 
Si stese a petto in su sopra alle lenzuola, fissando le pitture sul soffitto.
Si perse nel vuoto con lo sguardo.
Qualcuno bussò alla porta, con tocco leggero ed insicuro.
-Avanti- fece lui, schiarendosi la voce.
La porta si aprì cigolando appena, ed una ragazza dai capelli castani con qualche punta blu mise un piede nella stanza.
La pelle pallida lasciò trasparire gli occhi blu profondo, timidi ed esitanti, posarsi sulla figura del ragazzo.
Alzò appena lo sguardo, e nei suoi occhi si intravide il tremolare della fiamma della lampada sul comodino.
 
-...Hai visto le luci?-
La sua voce era bassa e limpida, col rispetto di uno schiavo al padrone.
-Sì, le ho viste, per qualche minuto- replicò egli, mettendosi seduto.
-Erano così belle...come stelle...piccole nane rosse che volteggiano leggiadramente nel cielo...- proseguì lei, zittendosi subito dopo, come se avesse parlato troppo.
Ancora, nei suoi occhi si intravide un luccichio.
Il ragazzo accennò ad un lieve sorriso, guardando la sua leggera vestaglia disordinata.
-Sembra che tu ti sia svegliata di soprassalto, Lumia- sospirò egli, notando le occhiaie sotto gli occhi di lei.
Ella arrossì, sorridendo timidamente.
-Ho visto il rosso sulle pareti, ed ho temuto che fosse successo qualcosa...- sussurrò ancora, portandosi le dita magre e lisce sul cuore.
Improvvisamente arrossì più di quel poco per lei normale.
Egli seguì il suo sguardo fino al proprio petto scoperto.
-Oh, perdonami...- si ricoprì il petto con gesto rapido.
-Da quanto sei sveglia?-
 
La domanda parve metterla in imbarazzo.
Si appoggiò allo stipite della porta, sfregando le dita dei piedi sul tappetino.
-Da quando quelle luci sono apparse nel cielo- rispose, con tono di chi tenta di far intendere di voler eludere una domanda.
 
-E da quanto ci sono quelle luci, piccola osservatrice?- sorrise nel vedere quel lieve sprizzo di vita nei suoi modi.
-Quelle luci hanno danzato per ore..ed ore..- Così dicendo, ella portò una mano nell'aria davanti a sé e tracciò degli archi immaginari, a ricreare i moti delle luci.
Egli la guardò con sguardo apprensivo.
-Dovresti riposare, Lum..- provò a replicare lui, ma la sua frase fu interrotta a metà dal corpo sottile di ella che si posò con leggiadria sull'estremità opposta del letto.
-Erano così belle, Darevonn...- sussurrò ella con una debole emissione di fiato, coprendosi col lenzuolo e chiudendo le palpebre.
Il ragazzo guardò per qualche secondo il suo corpo acquietarsi sotto la coperta, poi spense la luce e si rimise in piedi, avvicinandosi alla porta.
 
Incamminandosi per i corridoi, vide per le balconate le ultime stelle spegnersi sotto i primi fievoli raggi del sole.
E da quel momento, seppe che anche quella giornata per lui sarebbe iniziata qualche ora prima.
 
Ma ciò che lo preoccupava, è che non sapeva quando sarebbe finita.
 

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Capitolo 3
*** Rosso ***


 
 
Rosso.
Solo rosso.
Quando iniziò a riacquistare la vista, vide solo un rosso intenso.
Abbassò lo sguardo per guardarsi le piccole mani.
Fortunatamente, almeno quelle erano ancora del loro colore.
Anche il suo vestito, una felpa verde con decorazioni bianche, era ancora del colore originale.
Non si vedeva però le gambe o i piedi.
Si guardò intorno: il mondo attorno a lei era lo stesso in qualsiasi punto.
Un'infinita distesa di rosso, quel rosso sulle lanterne cinesi.
Non notava differenziazioni nelle tonalità, ombre, nulla.
Era come se quello spazio fosse irradiato da una luce rossa costante da ogni punto dello spazio.
Provò a camminare, ma sentì il corpo trattenuto, come se qualcosa di denso le impedisse di muoversi.
Oltretutto, non c'era alcun rumore.
Girò ancora la testa, e percepì qualcosa accarezzarle la pelle sulle guance.
Seppur a malapena percepibile, parve avere la sua stessa temperatura.
Allora, ella guardò ancora verso il basso, il proprio petto.
Immobile.
Non stava respirando.
Alzò la testa verso quello che sarebbe dovuto essere il cielo, e vide qualcosa.
Sfumature in quel rosso, increspature nella sua struttura, e qualche minuscola bolla trasparente, della quale era visibile solo il contorno.
Era sott'acqua.
Ma non pareva che avesse bisogno di respirare.
 
Guardò ancora le bolle risalire verso la superficie lontana, poi abbassò ancora lo sguardo.
Non potevano venire da lei, non stava respirando.
Dal fondo, sicuramente.
Doveva esserci qualcosa sul fondo.
 
Ma quella cosa ce l'aveva un fondo?
Mosse lentamente le sue braccina intorpidite, percependo ancora quella carezza del liquido.
Nuotò verso il basso, senza mai toccare il fondo.
Lentamente, intorno a lei, le bolle iniziarono a creare linee curve che salivano di fretta verso l'alto, sempre più numerose.
Giunse in un punto dove non sentiva più il liquido sulle mani.
Non sentiva il fondo, ma neanche il liquido.
Iniziò a tastare, fino a quando percepì un solletico sotto al dito.
Una scia di bolle si levò da quel punto, risalendo rapidamente quell'oceano monocromatico.
Ella allora tastò con più forza, notando una lieve scanalatura nel terreno sottostante.
O comunque, in qualsiasi cosa fosse quel...coso.
 
Passò la mano su di esso, e quello prese a brillare flebilmente.
La luce iniziò a diffondersi in altre scanalature, fino a creare disegni contorti sul fondale.
E da tutte quelle giunture, scie di bolle iniziarono ad uscire con forza, come un'eruzione sottomarina tenuta a bada da uno strato di roccia.
Le bolle iniziarono a sollevarla, spingendola verso l'alto.
Tentò di rimanere sul fondo, ma ogni suo tentativo di movimento risultò in una salita più rapida.
Guardando il fondale illuminarsi, notò come un disegno comporsi su di esso.
Era familiare, ma non ricordò perché.
 
Tutto attorno a lei si fece d'improvviso bollente, ed un boato scosse tutto quel mondo.
 
 
 
La prima cosa che sentì fu il suo grido, flebile e quasi insicuro.
Il mondo sfocato attorno a lei si fece rapidamente messo a fuoco.
I suoi genitori stavano chinati sul letto davanti a lei, la finestra irradiava la stanza di una luce soffusa. Le particelle di polvere illuminate da essa erano l'unico oggetto mobile sullo sfondo, tutto il resto era immerso in un nero irriconoscibile.
Sentiva gocce di sudore colarle sulla pelle.
Un incubo?
 
-Tesoro, come ti senti?-
La voce calda della madre entrò ed uscì dalla sua testa.
-Melody, va tutto bene?-
La voce del padre era invece più preoccupata.
 
Nulla di ciò che dicevano le importava al momento.
Guardò l'orsetto di peluche e lo strinse al petto, affondando la testa nella sua.
In testa le era rimasto impresso un nome.
Chiuse gli occhi ed iniziò a ripeterlo sulla testa dell'orso, sentendo le labbra scaldarsi sotto il fiato caldo.
Non aveva idea di chi o cosa fosse quel nome.
Ma nel suo piccolo cuore, sentì il dovere di doverlo ripetere, come pregando, finché quella sensazione non sarebbe passata.
Nella sua testa calò il silenzio.
 
-...Emargot...-
La sua voce, calma, dolce e pacata, si perse nelle viscere del pupazzo, riscaldando il suo corpicino.
Si rilassò e si abbandonò contro il cuscino.
 
Qualcosa le diceva che quelli sarebbero stati i suoi ultimi minuti di riposo almeno per un po'.
 

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Capitolo 4
*** Silenzio ***


Il vino rossastro ondeggiò all'interno del bicchiere. I riflessi violacei del liquido, proiettati sul terreno dalla luce proveniente dalle sue spalle, ricordavano molto la luce del sole che si disperdeva nei primi metri d'acqua limpida sopra di lui. Il silenzio nel salone era totale. Nemmeno il mare osava interromperlo con le sue onde spumeggianti. I suoi occhi verde muschio si posarono sulla superficie del bicchiere, ma sembravano osservare oltre. In quella grande stanza, il vento sospingeva a qualche centimetro da terra i lembi del suo mantello bianco, mentre le lunghe maniche acquamarina rimanevano rigorosamente immobili sulle sue braccia. I capelli chiari riflettevano la luce che filtrava dal soffitto, disperdendola nell'aria. Dava le spalle alla porta, fissando il bicchiere di fronte alla vetrata lucida, quando un uomo in smoking entrò nella stanza. Il rumore dei suoi passi echeggiò nel silenzio circostante, senza risvegliare però l'altro dalla sua trance. Il silenzio si prolungò per qualche altro secondo mentre l'uomo si guardava intorno, studiando l'azzurro dell'acqua oltre le vetrate, oltre gli scaffali colmi di libri ed oltre l'impercettibile lastra di vetro lucidato. Per qualche altra incalcolabile misura di tempo, la sua voce si rifiutò di uscire dal suo corpo. Il ragazzo all'altro estremo della stanza non accennò a muoversi, quasi senza notare la sua presenza. Con un impercettibile cenno della mano nascosta dalla manica, indicò l'uomo in smoking. Consapevole che anche solo l'accelerazione del suo battito cardiaco sarebbe echeggiata in ogni angolo della stanza, aprì bocca e parlò con voce seria e ferma. 'Il vostro ospite è arrivato, vi attende alla Sala Grande' Senza il benché minimo rumore, l'altro si voltò verso di lui e lo fissò. Il vino nel bicchiere ondeggiò pericolosamente. Mosse appena la testa in un cenno di assenso, osservando l'uomo perfettamente immobile al centro della stanza. Quello si inchinò, abbassò lo sguardo ed uscì da dove era entrato. La veste del ragazzo smise di ondeggiare, ma il vino rallentò soltanto. Allora egli abbassò lo sguardo sul bicchiere e, con voce bassa e spenta, pronunciò parole in tono solenne e calmo. 'Lo senti questo silenzio, piccola? Per noi tutti sarà come una ninna nanna, una culla cosmica per le galassie. Acquietati, il peggio è già passato' Infine, egli, con lo sguardo puntato verso la porta scrollò le spalle e si incamminò lentamente verso di essa, sotto i riflessi dalle vetrate. Nella sua mano, contenuto nelle pareti del bicchiere, l'ondeggiare del vino si acquietò. Tutto ripiombò nel più religioso e solenne dei silenzi, mentre egli usciva dalla stanza, senza accennare a voltarsi.

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Capitolo 5
*** Acri ***


Darevonn guardò la porta della sua camera, sistemandosi l'accappatoio.
Si chiedeva quando si sarebbe svegliata.
Ogni volta che posava lo sguardo su quella porta non poteva fare a meno di pensare alla prima volta che era entrato in quel luogo.
Il mogano levigato, stretto fra due pareti di marmo nelle quali erano presenti decine di libri, era tutto ciò che separava il freddo mondo di fuori dalla sua camera, per anni suo unico rifugio da tutto e tutti.
Egli si voltò, percorrendo con lo sguardo i raggi del sole che filtravano dalle cime delle montagne per poi incontrare il bordo della balconata.
Il sole non era ancora sorto del tutto: le uniche luci visibili erano quei sottili raggi dorati.
Abbassò lo sguardo, osservando la fitta foresta di latifoglie sottostante.
Le scure cime degli alberi formavano un labirinto naturale impenetrabile eppure calmante, grazie al lieve sospiro del vento mattutino nelle valli.
I suoi occhi si posarono su una piccola luce sotto le chiome degli alberi, un piccolo lume in un piatto di ferro.
Non ci mise molto a riconoscerlo: una Lanterna Soffiodoro, chiamata più tipicamente una 'Sofiora'.
Quando il vento si alzava, esse disperdevano alcuni piccoli frammenti di cera nelle raffiche, mentre le condizioni climatiche ne permettevano l'accensione a mezz'aria.
Così, di tanto in tanto, gli abitanti della Gola Alpha erano spettatori del vento lucifero, ovvero decine di piccoli lumi mischiati alle raffiche, rendendole quasi tangibili, materiali.
Venti fiammanti eppure portatori di un lieve tepore amato da tutti...da dei piccoli lumi...
 
..Lumi...
 
Pensando alle Sofiore, a Darevonn tornò in testa Lumia, ancora addormentata nel letto.
Si richiuse l'accappatoio sul petto e, con passo felpato, si avvicinò alla porta della camera.
Da dentro non si sentiva alcun suono, oltre al flebile respiro di Lumia.
Darevonn aprì la porta ed entrò, sedendosi ai piedi del letto e guardando il suo corpicino illuminato dalla poca luce che entrava nella stanza.
 
Un'impercettibile brezza fece breccia nella camera, fino al letto, scostando i capelli di lei dal suo collo.
Le punte bluastre emisero un lieve brillio, che si acquietò sul suo corpo pochi secondi dopo.
Darevonn spesso rimaneva ammaliato dalla vitalità di quella ragazza, dal suo corpo così fragile eppure dai suoi ideali così saldi, dal suo desiderio di vivere la vita e da con quale debolezza chiudeva una giornata.
Spostò gli occhi sul suo collo, sulla catenina del suo ciondolo.
Un piccolo zaffiro, blu come i suoi occhi, faceva capolino da sotto il suo corpo che lo schiacciava.
Lumia non si separava mai da quella pietra, da quel piccolo gioiello dal valore, secondo lei, inestimabile.
A volte egli udiva sussurri quando lei era da sola, sentiva le sue parole rivolte al ciondolo, e temeva che stesse dando di matto.
Eppure, era sempre lei.
La piccola grande Lumia Rosseaux.
 
Darevonn si alzò, si voltò e si appoggiò alla porta per uscire e lasciarla dormire.
Quando mise un piede nel corridoio, si sentì osservato e d'istinto guardò alle sue spalle.
Negli occhi socchiusi di Lumia si scorgeva un lieve luccichio.
Era sveglia.
Sperando che non l'avesse notato mentre percorreva il suo corpo con lo sguardo, si avvicinò al letto e si inginocchiò accanto a lei.
Ella mosse le labbra, tentando di dire qualcosa, ma ancora intontita dal sonno riuscì ad emettere solo uno sbadiglio.
 
Darevonn sorrise, ricordandosi della sua voce tranquillizzante e sottile, dolce come il velo di zucchero sul caffè ed insicura come un alunno in una nuova scuola.
Ma la sua prima emissione di voce fu tutt'altro che con quei toni.
Ella si sporse fino al suo orecchio e poi sussurrò, lasciando che il fiato percorresse le curve dell'orecchio sulla sua pelle.
 
'Darevonn...Hai bruciato la colazione?'
La sua voce era ferma e seria, nonostante la frase ricordasse un qualcosa di sarcastico.
Darevonn la guardò leggermente confuso, finché lei non sussurrò nuovamente.
 
'L'aria...'
I suoi occhietti erano puntati dritti su di lui.
Egli osservò ancora le cime delle montagne in lontananza, percependo un alito di vento che si insinuava nella stanza.
Respirò a pieni polmoni per godersi quell'aria pulita, quando si rese conto di cosa intendeva Lumia.
 
Nell'aria era presente un forte odore acre, proveniente dall'esterno della residenza.
 

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Capitolo 6
*** Inferno ***


 
 
Melody si svegliò di colpo, tossendo ai suoi primi respiri.
Nell'aria c'era un odore che raramente sentiva, l'odore dello zolfo.
Si mise a sedere, ma ricadde sul letto con un capogiro.
Il suo corpo le faceva male, in ogni punto che riuscisse ad immaginare.
Raccolse le forze e, sopprimendo un conato di vomito, si mise a sedere.
Gli occhi le facevano male a causa della luce, tutto ciò che riusciva a vedere era un mondo sfocato che ruotava attorno a lei.
Tossì ancora, tastando il letto in cerca  di un punto di riferimento.
Sentì una corrente d'aria muoverle i capelli, portandole ancora l'acre odore dello zolfo.
Ora però almeno sapeva dov'era la finestra.
 
Con il corpo dolorante e tenendosi al letto, zoppicò fino alla porta di legno della camera.
I suoi occhi smisero di farle male e riuscì ad intravedere il corridoio per l'uscita, al piano di sotto.
Mugolando di dolore, scese le scale tenendosi più saldamente possibile alla ringhiera.
Giunta all'ultimo gradino, si sedette e si sistemò dietro alla testa i capelli, ansimando, poi tentò di sistemarsi il vestito lungo fino ai piedi, quell'intralciante veste bianca simile al vestito da sposa.
Riprendendosi, rialzò lo sguardo e osservò il salotto.
Tutto era al suo posto, ma quel dannato odore era ancora lì, persistente, nelle sue narici e nella sua casa.
 
Con la testa che le girava e gli occhi lucidi, corse verso la porta facendo soste ad ogni mobile.
Sentiva pulsare la testa, ad ogni battito del cuore, sentiva gli occhi lacrimare e le ginocchia cedere sotto il suo peso.
Prese fiato ma tossì, inalando quell'acre odore nell'aria.
Fece appello ad ogni forza rimasta nel suo esile corpicino e si lanciò verso la porta, aggrappandosi alla maniglia.
Essa si aprì con un cigolio, ed ella venne investita da un vento caldo.
 
Crollò in ginocchio tossendo, prendendosi la testa fra le mani e bagnandosele nelle proprie lacrime, affogando nel suo dolore corporeo.
Abbassò lo sguardo, fissando la strada di ciottoli ed i cerchietti scuri formati dalle sue lacrime.
Il caos attorno a lei era totale.
Decine di voci mischiate fra di loro, un groviglio di busti e gambe si stagliava davanti a lei.
Non capiva cosa potesse star succedendo, le faceva male anche solo pensare.
Poi, quando alzò lo sguardo, si dannò per averlo fatto.
 
Da sopra le teste delle persone si ergevano pennacchi ardenti di un arancione vivo, perfettamente visibile sotto il cielo azzurro.
Un fumo scuro si alzava da sopra di essi, diretto ella sua direzione.
Provò a rialzarsi, avvicinandosi a quel grande calore davanti a tutte quelle persone, ma cadde dopo poco ai piedi di una donna.
Sporse in avanti le braccia per proteggersi dalla caduta, ma gemette dal dolore.
Si sedette sulle ginocchia e si guardo le mani: qualche piccolo sassolino era penetrato nella sua sottile pelle, il resto della mano era coperto di polvere e cenere qua e là.
 
Alzò lo sguardo deglutendo, incapace di immaginare la gravità della cosa.
Dalla casa di fronte si alzava un rogo che la avvolgeva completamente, spingendosi in aria nella sua direzione, nel vento.
Sentì delle gocce caderle sulle mani, un liquido fresco e che le bruciava appena quando toccava i punti dove i sassi avevano colpito.
Sudore.
 
Alzo lo sguardo verso i presenti: tutta la loro pelle visibile era imperlata di sudore.
Si rese poi conto che anche la sua ne era imperlata.
Davanti a tutta la folla, due uomini ed una donna gesticolavano animatamente, indicando la casa in fiamme.
 
Ella sospirò, sapendo cosa di nuovo la attendeva.
Gli adulti difficilmente arrivavano a compromessi in quelle situazioni.
Alla fine era sempre troppo tardi.
Il più tragico dei cliché.
 
Fece appello ad ogni sua motivazione e forza, mettendosi in posizione.
La donna accanto a lei si spostò verso i due uomini, e lei approfittò del momento.
Scattò con ogni sua energia verso la casa, sotto gli occhi di tutti i presenti.
Alcuni allungarono le mani verso di lei, provando ad afferrarla, ma prima che riuscissero ad acciuffarla lei si lanciò in una piccola apertura nel legno ardente della casa.
Spese qualche secondo guardandosi dietro, e sorrise.
Una folla di adulti si spingeva per riuscire a decidere che sarebbe dovuto andare a prenderla.
 
Si fece forza e dimenticò ogni dolore, voltandosi ancora verso quell'inferno.
'Al piano di sopra.
Sono SEMPRE al piano di sopra', pensò rapidamente.
Tossì inalando ancora lo zolfo mischiato con il fumo, poi cercò la scala fra le fiamme.
Tutto il soggiorno e la cucina erano avvolte dal fuoco scoppiettante, le scintille schizzavano ovunque.
Il calore era indicibile.
 
Dall'altro lato della stanza, delle lastre di legno stavano impilate una davanti all'altra fino a creare una sorta di scala.
In fiamme.
Si fece coraggio e si lanciò verso di essa, schivando i mobili ardenti e le scintille.
Si tenne a contatto con il pavimento il meno possibile, e quando raggiunse la scala salì al piano di sopra a falcate, in pochi rapidi passi.
Di sopra, la situazione era ancora peggiore.
Le fiamme stavano divorando ogni cosa, ogni millimetro del piano.
Affannò a respirare, cercando un appoggio ma trovando solo fuoco.
Corse al centro della stanza, guardandosi intorno fra gli armadi in fiamme e le assi infuocate sul terreno.
Tirò un calcio ad una porta per aprirla, ma essa si spaccò dove l'aveva calciata e le bloccò il piede.
Da essa uscì un denso fumo nero.
 
Melody capì che il suo povero piede era dentro la stanza nella quale era probabilmente iniziato quell'inferno.
Tossendo si avvicinò per liberarlo, sferrando pugni alla porta.
Era però più resistente del previsto.
Pregando di non tagliarsi, saltò per calciare la porta con l'altro piede.
Riuscì nel suo intento, ma cadde pesantemente per terra sul fianco.
Ritrovando con ogni speranza rimasta la forza, tirò i piedi verso di sé ed appoggiò le mani a terra per rialzarsi.
Urlò di dolore.
Accanto a lei, una sbarra di metallo rovente, probabilmente un sostegno, stava immobile sul pavimento, avvolta dalle fiamme.
Si guardò le mani, ora sanguinanti e quasi insensibili.
Prese fiato per ridare ai suoi muscoli ossigeno, ma tutto ciò che i suoi polmoni trovarono fu il fumo nero uscito dalla porta rotta.
Sentì la pelle scottare, il sudore sul collo arroventarsi.
Sentì un tonfo sul pavimento, troppo lontano però perché lei potesse vedere cosa fosse stato.
Azzardò pensando che fosse stata un'altra trave cadere, sicura che quello sarebbe stato uno dei suoi ultimi pensieri.
Le sue lacrime scottavano sul viso, le sue mani sanguinavano ed il sangue sfrigolava sulla lastra di metallo, le sue caviglie recise dal legno erano in agonia.
 
Non aveva trovato nulla, in quella casa.
Solo la morte, il dolore.
Vide una punta dei suoi capelli prendere fuoco, i lembi della sua veste bianca scurirsi ed il fumo avvolgerla.
Chiuse gli occhi, rassegnandosi a ciò a cui lei stessa era andata incontro e lasciandosi avvolgere dal mortale abbraccio di fumo e fiamme.
 
Tossì un'ultima volta, sentendo il fumo bruciare nei polmoni, percependo ogni forza scivolare via dal suo corpo ed alimentare le fiamme.
I suoi pensieri si fermarono.
Incurvò appena il labbro, sapendo che avrebbe perso presto conoscenza.
Sarebbe morta senza soffrire.
 
L'ultima cosa che sentì prima che anche l'ultima delle sue forze la abbandonasse fu il rumore di un'asse che si spezzava.
Sentì sulle braccia un forte bruciore, poi più nulla.
Il buio della sua mente, dei suoi pensieri che andavano spegnendosi.
 
Cedette, l'ultima cosa che ancora aleggiava su di lei era la sua consapevolezza che non si sarebbe svegliata.
E quel denso, acre fumo nero.
 
Il suo respiro parve acquietarsi.
 

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Capitolo 7
*** Ceneri ***


 
Al posto dell'accappatoio, Darevonn stava ora indossando una felpa nera ed un paio di jeans rovinati.
Lumia invece era ancora nel suo pigiama, simile ad una vestaglia, eppure utilizzabile in ogni situazione.
 
Stava camminando avanti ed indietro nervosamente per il corridoio, come un neo-padre in sala d'attesa.
Sul suo volto si leggeva la preoccupazione.
Darevonn, d'altra parte, non poteva non ammettere di non essere del tutto sicuro che la piccola sarebbe sopravvissuta per più di qualche ora.
Quando l'aveva vista a terra sanguinante ed esausta, sotto il fumo nero, aveva immediatamente temuto il peggio.
Aveva estratto dallo zaino una sbarra di metallo per creare un buco nel muro abbastanza grande per far passare tutti, poi si era lanciato sulla ragazzina, l'aveva afferrata e caricata in spalla e s'era affrettato ad uscire da dove era entrato.
Lumia, intanto, osservava la scena da fuori per mescolarsi nella folla.
 
Durante il viaggio di ritorno, Lumia l'aveva esaminata.
Una lunga ciocca dei suoi capelli era stata arsa, ma quello era nulla in confronto al resto.
Le sue mani erano ustionate, graffiate e sanguinanti, le sue caviglie ricoperte di tagli e schegge ed i suoi vestiti bruciati.
Darevonn aveva insistito sul fatto che non ce l'avrebbe fatta, ma quando ella gli fece notare che, nonostante tutto il fumo inalato, lei riuscisse ancora a respirare debolmente, lui s'era convinto che valeva la pena di provarci.
L'aveva avvolta nella sua maglietta e se l'era portata in spalla fino a destinazione, per poi poggiarla sul letto e fasciarla a dovere.
 
Nonostante tutte queste precauzioni e cure, era ancora molto scettico sul fatto che potesse sopravvivere.
Era già sconvolto dal fatto che una ragazzina fosse riuscita a sopravvivere abbastanza tempo perché arrivasse qualcuno a portarla fuori, figurarsi sopravvivere fino a rimettersi...
 
Ma Lumia aveva insistito.
S'era impuntata davanti a lui con sguardo affilato e gli aveva detto che sarebbe sopravvissuta, qualsiasi cosa le fosse successa.
Darevonn non aveva potuto far altro che tentare di riporre speranze nelle parole di lei, non trovandovi però alcun appiglio abbastanza saldo per aggrapparvisi.
 
 
Ora, mentre Lumia era rientrata nella stanza per osservare le condizioni della piccola, egli sostava con sguardo perso davanti alla balconata che dava sul villaggio.
Da esso si alzava una nube di fumo nero che il vento portava verso le montagne, coprendo la vista delle foreste sui versanti.
Si chiese fin dove sarebbe arrivata, se le correnti opposte che erano presenti alle alte quote avrebbero reindirizzato quella nube anche verso di loro.
Voleva starne alla larga il più possibile.
 
Si guardò la mano sinistra e pulì dalla fuliggine l'anello azzurrino sull'anulare.
Era già stato sporcato abbastanza volte da quel fumo, non avrebbe retto una terza senza perdere definitivamente la sua brillantezza.
 
Gli abitanti del villaggio correvano per le strade portandosi dietro secchi d'acqua e gettandoli sulle fiamme, sperando di estinguerle.
Fortunatamente, la natura sarebbe stata ancora dalla loro parte: nuvole scure aleggiavano nel cielo sopra il paese.
 
Darevonn tirò un respiro di sollievo, ma quando riportò gli occhi sui pennacchi ardenti sopra la povera casa si chiese come sarebbe finita la piccola se lui non fosse intervenuto con Lumia.
Si immaginò il suo corpo sfigurato ed arso vivo, irriconoscibile.
La vide venir lentamente bruciata da quelle fiamme infernali come la falce del mietitore che reclama le sue anime.
 
E poi sarebbe scomparsa nel vento, un mucchietto di cenere disperso nelle correnti.
Forse sarebbe anche finita sul suo anello, e lui...avrebbe fatto ciò che aveva fatto pochi secondi prima.
L'avrebbe sfregata contro la propria felpa e l'avrebbe mandata ancora allo sbando nel vento.
Darevonn si sentì togliere la terra da sotto i piedi.
Fece un passo indietro e si sedette sulla sedia, prendendosi la testa fra le mani.
 
Quei dannati 'se' lo tormentavano da troppo, troppo tempo.
Ma erano come una dipendenza per lui.
Rialzò lo sguardo sui pendii e notò, in lontananza, un piccolo accampamento di scalatori.
Le deboli fiamme del falò scoppiettavano e disperdevano scintille nel vento, riscaldando quella che sembrava essere una pentola d'acqua.
Le tende erano ancora chiuse.
 
'Beati loro che possono dormire ancora, lontano dal caos cittadino', si disse.
Prima che potesse constatare o meno se la sua affermazione fosse corretta, Lumia sbucò da dietro un angolo e lo fissò negli occhi.
 
'Darevonn' gli sussurrò, in tono affranto.
'La piccola è sveglia, ma non so se lo rimarrà per molto'
 
Cogliendo la nota di insicurezza nella sua voce, egli si alzò e si incamminò verso la camera dove giaceva la piccola.
Il suo cuore saltò qualche battito quando si rese conto che forse stava per assistere ai suoi ultimi attimi della sua breve vita.

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