Sirenia

di Dregova Tencligno
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** XVIII ***
Capitolo 19: *** XIX ***
Capitolo 20: *** XX ***
Capitolo 21: *** XXI ***
Capitolo 22: *** XXII ***
Capitolo 23: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** I ***


Piove, proprio come nel giorno in cui sono nata. Righe sottili disegnate da gocce formano le grate di una prigione, la mia, dalla quale non riesco a evadere. Gli alberi sono giganti enormi che si divertono e ridono giocando col vento che sibila tra le loro fronde di aghi appuntiti e pronti a colpire dove sono più debole.
Lentamente tutto sembra perdersi, come il suo ricordo che, giorno dopo giorno, si affievolisce; come il rumore dei miei pensieri che viene inghiottito dal rombo del tuono che rotola lontano, dal fragore del fulmine che si accartoccia e le immagini dei ricordi vengono spazzate via dal bagliore accecante dei lampi.
Dentro mi sento arida e consumata, come se fossi un ciocco di legna nel camino; eppure, come la legna si trasforma in carbone, dimostrando che nulla svanisce completamente ma cambia e si trasforma, la mia vita sembra cambiare per qualche minuto nello stesso momento in cui inizia o finisce, non saprei dirlo con precisione. Immagino dipenda tutto da come si guarda questa trasformazione. Però posso affermare con vivida certezza che ogni inizio è correlato a una fine e ogni fine dà vita a un nuovo inizio. Un circolo vizioso, anzi, più che un cerchio andrebbe meglio rappresentato come una spirale infinita perché non si torna mai veramente al punto di partenza ma si va comunque avanti portando con sé qualcosa della propria esperienza passata.
È una melodia lenta, quasi malinconica per il suo ritmo, quella che sento. Parla della vita, dei sogni e delle speranze di un intero popolo che segue un’effigie vivente di speranza.
Non capisco da dove proviene, vicino alla foresta c’è un villaggio, ma è comunque troppo distante per far in modo che il suono arrivi così pulito… e poi sembra che solo io riesca a sentirlo. Vorrei tanto andare in cerca della fonte di quel canto, ma non ho il permesso di uscire. E se solo ci provassi per me sarebbe la fine.
No, ancora non posso. Non potrò essere libera, almeno non fino a quando tutto sarà sistemato.
La voce del cantante si potenzia e si moltiplica. Diventa un concerto in cui più voci si uniscono. Bambini, uomini, donne, anziani, ragazzi. Tutti intonano la stessa armonia.
C’è qualcosa in quella canzone che per me è un richiamo al passato.
Una ninna nanna, una di quelle che le madri cantano ai propri figli per farli addormentare e per consolarli quando sono preda della paura per lo Spettro Oscuro o per la Strega Rossa, o più semplicemente quando fuori imperversa una tempesta.
Le note si rincorrono, giocano a nascondino, ridono.
Una canzone di mia madre.
Mia madre… Vorrei che fosse qui adesso. Mai come in questi momenti sento la sua mancanza. Mi manca il suo odore e la sua presenza; mio fratello e mio padre, anche loro mi mancano. Mi manca la mia vita. Quello che ero, perché adesso sono solo l’ombra di me stessa. Oggi, poi, mi manca tutto un po’ di più. È il mio compleanno, il mio centodiciannovesimo anno di vita. Forse sarà oggi che riuscirò a realizzare il mio più grande sogno. Poter respirare ancora.
Mi rigiro fra le mani la penna.
Il foglio bianco e vuoto rispecchia quello che ho nella mente. Non so cosa scrivere, mi sembra tutto molto assurdo, e triste.
C’è un vuoto fastidioso dentro me, la mancanza di ricordi che contengono la mia identità e quando provo a riportarli alla mente è tutto confuso. Un misto di colori sulla tavolozza di un pittore che non trovano significato in ciò che ha riportato sulla tela.
È inutile, penso, rimanere ferma a non fare nulla.

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Capitolo 2
*** II ***


Il viaggio è stato lungo e condotto ai limiti della realtà dove sogno e fantasia si intrecciano in contorti nodi ricamando le leggende degli uomini. Ricordo colori che si allargavano come chiazze d’olio confondendosi fra di loro unendosi e sovrapponendosi. Ricordo il rosso cremisi e il giallo estivo della paglia, il denim chiaro, il verde prato e l’azzurro dell’oceano che a tratti diventa verde e arancione, l’orchidea, il violetto e il blu reale, l’eliotropo e il blu fiordaliso. Mi piace pensare che sia stato per un qualche disegno, ma la realtà potrebbe essere molto differente e così mi sono ritrovata in un villaggio senza nome, ai confini del mondo conosciuto e, per uno strano scherzo del destino, è lo stesso dove centodiciannove anni prima ho visto la luce ed ho esordito piangendo mentre mi sembrava di respirare fuoco anziché ossigeno.
Canticchio mentre con la scopa pulisco il pavimento.
Come ho detto, oggi è il mio compleanno e le cose potrebbero cambiare, per questo faccio di tutto per sistemare la nostra abitazione.
La nostra dimora è una vecchia capanna con mura di pietra e il tetto di legno, il tutto tenuto insieme da una poltiglia ormai secca da secoli di terra, acqua e fango; il teatrino della nostra vita ha luogo in una sola grande stanza dove c’è persino un camino e la minima mobilia che una casa dovrebbe avere.
Io e Esmeralda viviamo così, senza aver bisogno di altri. Un po’ perché non capirebbero e un po’ perché ce la caviamo benissimo da sole.
Tutto però è concepito per una sola persona. Io non ho bisogno di dormire o di mangiare, tutto è per Esmeralda.
È a lei che devo tutto. Grazie alla sua magia ho smesso di viaggiare senza meta e sarà grazie a lei se tutto questo potrà finire perché tutte le ingiustizie devono scontrarsi con la giustizia e, anche se non è detto che questa vinca sempre, io lotterò per far in modo che accada.
Alla fine del mio operato non c’è neanche un granello di polvere in tutta casa, né una ragnatela o un insetto.
Dalle assi di legno del pavimento giunge il suono di congegni che cigolano, una botola si apre e mostra un ciuffo ribelle di capelli rossi, poi un’intera chioma e infine, Esmeralda.
È una persona dall’aspetto molto mutevole, passa in una frazione di secondo da una donna segnata dall’età a una ventenne piena di vita.
Questo è il prezzo che sono pronta a pagare.
-Fuori sta piovendo vero?- dice.
-Infiltrazioni?-
-Come sempre.-
Come altre cose, non ho il permesso di scendere nella botola anche se potrei benissimo farlo. Non so cosa ci sia là sotto, ma qualche sospetto ce l’ho.
Come una buona strega anche lei deve avere un antro dove praticare la sua magia. Non ho voluto indagare più a fondo per rispetto della sua persona e perché mi ha chiesto gentilmente di non farlo.
-Come sta la mia creatura preferita?-
-Come al solito.- dico rintanandomi nuovamente sotto le coperte vicino alla finestra.
La sento armeggiare con un pentolone. Per lei è arrivata l’ora di pranzo.
Profumo di stufato presto riempie la stanza, è un buon odore e mi fa venire voglia di assaggiarlo. Mi mordo le labbra trattenendo il corpo dal fare una cosa stupida. Una cosa che difficilmente si dimentica è il piacere di avere una pancia piena e la dolce sensazione di un corpo caldo vicino che ti stringe nelle notti fredde. Cose che si vorrebbero provare ancora, cose che il mio corpo desidera poiché vicine, ma anche, paradossalmente troppo distanti per averle.
-Vedo che hai pulito casa.- dice Esmeralda –Allora oggi sei di buon umore. Anche se dal tuo viso non si direbbe.- continua lei per riempire il mio silenzio
-Te l’ho detto, mi sento come sempre.-
-Anche se oggi è il tuo compleanno?- (faccio spallucce) –Tanti auguri. Quanti anni sono?-
-Centodiciannove.-
-Complimenti! Li porti proprio bene!-
-Grazie.-
Dopo questo strano momento di affetto, fatto solo di parole, Esmeralda ritorna ad armeggiare con lo stufato.
Quando mi ha evocata, lei era solo una principiante, poi ha avuto una trasformazione che l’ha resa più forte, è più caria. Alcune volte non sembra neanche lei.
-Vorrei parlarti di una cosa.-
-Dimmi, dimmi.- mi esorta mentre gira lo stufato che bolle sul fuoco.
-Essendo oggi il mio compleanno vorrei che mi facessi un favore.-
-Dimmi pure cara.-
Non mi sta ascoltando o lo sta facendo distrattamente. È una cosa che ho imparato, adesso so che se anche lo dico non si arrabbierà; non è la prima volta che gliela chiedo e il risultato è sempre lo stesso, ogni volta in questo giorno da quando ne ho memoria. Le ho sempre chiesto di permettermi di uscire, di vedere il mondo per sentire sulla mia pelle il suo mutare costante e perpetuo.
-Vorrei… vorrei uscire. Solo per oggi.-
È come se fosse passato un tornado nella casa spazzando via tutto, ma sono solo parole dalla forza travolgente. Mi volto lasciando che il mondo di fuori ritorni a essere tale.
Esmeralda mi sta guardando, gli occhi spalancati per la sorpresa e la bocca leggermente aperta. Poi la chiude ed è in quel momento che diventa seria. Ostile. Gli occhi sono due fessure rosse per il bagliore delle scoppiettanti fiamme.
-Pensavo che non saremmo più tornate su questo argomento.- è un sussurro, uno spiffero glaciale, ma la risposta è sempre la stessa.
-Lo so che te lo avevo promesso, ma pensavo che avrei potuto vedere solo per poco com’è tornare a vivere.-
Si avvicina e mi stringe le spalle.
-Vuoi veramente riprendere questo discorso?-
-Esmeralda, non voglio che ti arrabbi, ma ho veramente bisogno di uscire. Sto incominciando a dimenticare come ci si sente a stare con altre persone. Sono rinchiusa da cento anni. Sono sicura che non mi accadrà nulla.-
-Tutti dicono così prima di incontrare le braccia della morte.-
-Esmeralda!-
-Pensi che per me sia facile? Mi sono mai lamentata per questo secolo che sono rimasta con te? No. E sai perché? Perché quando ti ho trovata ti ho fatto una promessa. Avrei spezzato la maledizione. Solo una cosa ho chiesto in cambio.-
-Una fonte d’energia…-
-E me lo rinfacci pure!-
Si accascia al suolo, i capelli che le coprono il viso.
-Non volevo dire questo. Ti sono grata per quello che stai facendo per me, è solo che ho bisogno di vivere.-
-Ma tu sei morta!-
E già. Questa la dura realtà. Io sono morta da ben cento anni e per una frazione di secondo, forse anche per qualche mese, ho vagato tra il mondo umano e una sorta di limbo nel quale ho trovato l’inibizione di tutti i sentimenti. So che sono morta, ma ho comunque qualche difficoltà ad accettarlo nonostante sia passato così tanto tempo.
-Oh, scusa cara, non volevo.- si alza da terra e mi abbraccia –Sai quanto odio fare la cattiva, ma quando insisti sono costretta a comportarmi in questo modo.-
-Lo so.-
-Devi capire che lo faccio per il tuo bene. In tutto questo tempo il mondo fuori è cambiato, è diventato più pericoloso e pieno d’insidie. Cosa pensi ti farebbero se scoprissero cosa sei? E non pensi a me? Da te arriverebbero presto a me e non posso rischiare di essere scoperta, finirei sul rogo. E addio al tuo sogno.-
-Ma…-
-Non ci sono ma. Ti voglio troppo bene per perderti.-
-Come vuoi. Ho capito.-
Mi passa una mano tra i capelli.
-Forse quando sarai più forte e riuscirò a spezzare l’incantesimo.-
Secondo quanto mi ha detto, quando mi ha evocata si è generata una forte concentrazione d’energia che si è aggrappata all’essere più pericoloso nella stanza, imprigionandolo. Quell’essere… me. Teoricamente sono intrappolata in una gabbia che esploderebbe al mio minimo tentativo di oltrepassarla, cosa che Esmeralda mi ha sconsigliato vivamente di fare perché potrei finire col perdere anche l’ultima mia essenza. Per questo non ho mai cercato di provare la veridicità dei fatti e delle sue parole.
-Sono sicura che ti sia convinta e spero, e questa volta per sempre, che questa sia l’ultima volta che me lo chiedi. E se non lo sei ora sono stanca per cercare di farti comprendere come sia insensata questa tua richiesta. Adesso ho bisogno d’energia.-
-È ora?-
-Sì mia cara.-
Mi prende il volto fra le mani, i suoi occhi sembrano scurirsi ogni volta. Mi bacia. È un bacio normale, freddo e distante.
Come ogni volta la mia pelle inizia a sfrigolare e si illumina come se riflettesse la luce solare, la stessa luminescenza poi si diffonde a Esmeralda.
Quando ci allontaniamo la metamorfosi è compiuta.
Le rughe sono scomparse dal suo volto, i capelli stanno ritornando alla loro lucentezza, al loro bel colore rosso senza fili di bianco lino ad arricchirli e il corpo ha riacquistato la sua tonicità, le forme giovanili che ogni donna vorrebbe avere. Lei si sente piena, io svuotata.
-Questa volta non ti sei indebolita molto.-
Mi sono accorta allora che non sono tornata trasparente e incorporea.
-Sto migliorando.-
-Forse un centinaio d’anni ancora e sarai pronta. Guarda!- dice mentre si avvicina alla pentola –Mi hai fatto bruciare lo stufato. Adesso devo andare al villaggio per mangiare, e sai quanto mi pesi farlo.-
Si guarda allo specchio e si ravviva i capelli. Prende una borsa da sopra una sedia e vi mette all’interno un sacchetto tintinnante, alcune fiale e il suo Libro delle Ombre.
–Bene, io vado.- mi bacia sulla fronte –Sono talmente buona che ti ho già perdonata e quando ritorno potrei avere una sorpresa per te.-
-Fai attenzione.- le dico.
-Hai proprio ragione.-
Chiude la porta e sono di nuovo sola a osservare il cielo coperto di nubi. Sembra che abbia smesso di piovere.
Almeno la casa non si sporcherà più del dovuto, penso immaginandomi le impronte di fango che lascerà una volta rincasata. E toccherà a me pulire.
Mi siedo sul divanetto accostato alla parete sotto la finestra e posso ammirare l’intera stanza.
Non so cosa fare nel frattempo. Leggere un libro? Ritornare a scrivere l’ignoto? Mi accontento di osservare un ragnetto che sul soffitto intreccia la sua casa. Anche quell’esserino sembra essere intrappolato in un mondo di ricordi, altrimenti non mi spiego come mai abbia scelto quel posto, sempre lo stesso, per mettere radici. Alla fine anche io potrei essere come quel piccolissimo e insignificante animale… sono tornata dove sono nata.

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Capitolo 3
*** III ***


Mi perdo nel ricamo del ragno sognando di creare un abito con quella leggera e resistente tela. Un abito bianco da poter mettere in qualsiasi occasione. Mi perdo nel suo ricamo di pizzo e immagino che sia il mio personale labirinto di cui solo io conosco la strada per uscire e nel quale sarei al sicuro. Stacco il corpo dal pavimento per volteggiare nello spazio sopra di me e tendo una mano per sfiorare la fragile dimora dell’aracnide quando un rumore di passi mi riscuote.
Possibile che sia già di ritorno? Sono un po’ trepidante per l’attesa di vedere cosa mi ha portato, ma presto capisco che i passi non sono i suoi. Questi sono striscianti e lenti, tremanti, ogni singolo passo è calcolato per non far rumore, come se questo potesse essere utile contro di me, e, la cosa più esaltante, non sono di una sola persona.
-Buon compleanno…- mi dico perché so che mi divertirò.
Esmeralda non sarebbe d’accordo normalmente, ma quando non è in casa mi ha dato il permesso di spaventare i curiosi che si avvicinano troppo. Solitamente si tratta di giovani coppiette che, cercando un luogo per appartarsi, fanno finta di ignorare le voci che aleggiano circa la mia casa; altre volte sono ragazzi stupidi che organizzano ancor più stupide prove di coraggio, l’ultimo a uscire senza le braghe bagnate dimostra di avere più fegato degli altri. Cosa che non accade mai.
Sono questi ultimi quelli che mi divertono di più, è crudele, ne sono consapevole, ma quando si è morti sono rare le occasioni per farsi quattro risate.
Lascio che il mio corpo si tramuti.
Gli abiti che indosso si inceneriscono liberando nell’aria della neve nera e luccicante di rosso, torno ad avere il mio aspetto naturale, quello con cui sono venuta al mondo la seconda volta. Una ragazza semitrasparente senza un abito ben definito, i capelli svolazzanti e gli occhi iridescenti che leggono ciò che alberga nelle anime dei Viventi. Il fantasma della casa nel bosco. Il mostro che infesta i cuori impavidi di chi ha il coraggio di farsi avanti per sfidarla.
Mi affaccio alla finestra e vedo con piacere che un gruppo di ragazzi, tre in tutto, si sta avvicinando furtivamente pensando, forse sperando, che non lo abbia ancora scoperto mentre si addentra nella mia dimora.
Con un gesto della mano spengo le candele. È giunto il momento dello spettacolo e come da copione i tre ragazzi entrano in casa.
Per loro c’è troppo buio per distinguere qualcosa e spesso vanno a urtare contro la mobilia imprecando a bassa voce, i loro passi sono incerti e il pavimento scricchiola sotto di loro. Un rumore che mi fa pregustare il tremolio delle loro ossa, quindi un suono magnifico alle mie orecchie.
-Secondo me è solo una stupidaggine. Non esistono i fantasmi.-
-Come sei fifone.-
-E ti sei anche arruolato! Tu che dici Zephyro?-
Non gli risponde nessuno.
Che il sipario si apra.
Uno schiocco di dita e le candele si accendono lanciando in aria lingue di fuoco. La luce è talmente accecante che per un attimo non riesco a vedere i loro volti, solo dopo che il bagliore scema li vedo accovacciati a terra. Uno di loro si tiene la testa fra le mani.
Muovo una mano e i coltelli iniziano a volare in aria facendo una macabra danza.
Un altro schiocco di dita e il fuoco sotto al pentolone nel camino si accende e lo stufato ricomincia a puzzare di bruciato.
Il ragazzo magrolino dal nasone a punta è il primo a scappare via a gambe levate.
Adesso il pezzo forte.
Appaio a un metro dagli ultimi due ragazzi. Uno di loro, robusto e dalle spalle larghe, fa da scudo all’altro che gli sta dietro e lo tiene per un braccio. Mi osserva mentre l’altro cerca di nascondersi. Posso percepire la loro paura, ma non si muovono, continuano a osservarmi.
Sopra le nostre teste i coltelli continuano a ondeggiare riflettendo la luce del fuoco, ma i loro sguardi sono fissi sulla mia figura, non mostrano il minimo accenno di fuga.
Non mi sono mai trovata in una situazione simile e questo mi spinge ad arrivare al limite di quello che sono disposta a compiere.
Schiocco le dita un’ennesima volta e i coltelli iniziano a cadere conficcandosi nel pavimento, l’ultimo a un pelo del ragazzo bruno. Quello dietro di lui emette un gridolino soffocato. Continuano a non muoversi.
Spengo le luci e l’ombra mi riavvolge nel suo manto.
-Firo, andiamocene.-
Sento il rumore di passi che si allontanano, poi la porta si apre e si richiude.
Fine dello spettacolo. Di nuovo sola.
Un po’ mi sono divertita, anche se la loro fermezza mi ha un po’ disorientata.
Forse sto perdendo il tocco. Naaa…
Riaccendo le candele e faccio tornare tutto al proprio posto.
-Ecco il tuo regalo.- dico a bassa voce.
Riacquisto la mia corporeità e indosso un abito azzurro. È vero, sono diventata più forte.
Mi siedo per terra e giocherello con un batuffolo di polvere. Soffio e vedo quanto lontano riesco a mandarlo.
L’orologio appeso alla parete mostra il passare del tempo e mi chiedo come mai Esmeralda non sia ancora tornata. Le sarà capitato qualcosa?
Scuoto la testa. Mi preoccupo troppo. È forte e poi ha in circolo la mia energia, se la saprà cavare. Mi sdraio e cerco di rilassarmi.
Per me è impossibile dormire ma tento di rammentare cosa si provi a farlo.
Quando ero viva per me il momento più bello era andare a letto. La mia famiglia non era ricca e abitavamo in una casa più o meno come questa in cui mi trovo.
Io e mio fratello dormivamo nella stessa stanza, quando faceva particolarmente freddo ci abbracciavamo per trovare conforto. Mio fratello….
Non mi accorgo neppure di aver incominciato a piangere.
Mi fa male ricordare la vita che ho perso, tutto quello che avevo non c’è più e mi sono ridotta ad allietare alcune serate spaventando gli umani.
I singhiozzi si fanno più forti e il dolore che di solito provo al ventre mi arriva alla testa. Il cervello sembra sul punto di scoppiare.
Gli occhi mi fanno male e urlo con tutto il fiato che ho in corpo.
 
‘Non vedo più niente.
Da lontano sento giungere una voce, penso sia la canzone di questa mattina, ma mi sbaglio. È una voce maschile e non canta, ripete solo una parola: aiuto. In continuazione, tanto da affollare la mia mente. Poi, dalla più completa oscurità, appare una figura rannicchiata a terra. Sento distintamente il rumore della pioggia. Ci sono tante pozzanghere, ma quella che mi spaventa è dove c’è un corpo. Un misto di terra, pioggia e sangue.
La figura volta il corpo in uno spasmo di dolore e anche se è distante vedo il suo volto come se fosse davanti a me.
È il volto di un ragazzo che mi sembra di riconoscere ma c’è qualcosa che mi blocca, un velo invisibile che mi rende difficile ricordarmi di lui. Piange, ma non scorrono lacrime, ma sangue. E gli occhi… sono vitrei e si muovono confusi in cerca di qualcosa.
Sono paralizzata dalla paura e dalla confusione. È una nuova sensazione che non avrei mai voluto provare, è come se un reticolo di fili invisibili cercasse di stringere ogni muscolo immobilizzandomi.
Due mani appaiono e l’immagine diventa confusa come quando ci si specchia sulla superficie di un lago che viene increspata dal vento trasformano l’immagine in una chimera. Un’illusione ancora più oscura.
Annaspo in cerca di un appiglio a cui attaccarmi con tutte le mie forze e quelle mani fanno al caso mio. Le afferro e mi sollevo verso di loro.’
 
In quel momento la visione libera i miei occhi e mi ritrovo davanti Esmeralda che mi osserva incuriosita e, dopo qualche secondo di incertezza, mi abbraccia con veemenza. Non lo hai mai fatto con tanto trasporto.
-Lo sapevo che era questione di poco ormai. Tra un po’ sarai abbastanza forte.-
-Abbastanza forte per cosa?- dico con difficoltà.
Mi aiuta ad alzarmi. -Non devi preoccuparti.-
Ho il respiro ancora spezzato. Sorreggendomi accompagna il mio corpo al giaciglio che di solito lei occupa, la mia mente è ancora persa nel ricordo di quello che ho visto. Sono incapace di distogliere lo sguardo da quel volto che mi osserva supplichevolmente traviato dal dolore. Vorrei considerarlo solo uno scherzo della mente, ma non ci riesco perché sento che questa scena impressa nelle retine è reale, e per questo ho paura.
È sempre strano trovarsi a provare un sentimento da umana, anche se lo sono stata un tempo, e ogni volta mi rendo conto che sono talmente lontana da quella me del passato che ogni emozione mi atterrisce perché mi rendo conto di non sapere più come gestirla.
Alla paura subentra la confusione. Come è possibile che una sola persona possa provare tutto questo tormento?
Esmeralda mi posa sulle spalle una coperta, anche se sa che è inutile dato che il mio tremare non è causato dalla temperatura. Confondo il caldo col freddo, posso soltanto cercare di ricordare cosa si provi in quelle condizioni.
-Cosa vuol dire?- non sembra neanche la mia voce, è distorta e risuona nelle mie orecchie come un flebile sussurro proveniente da molto lontano.
-Questo è il primo attacco.-
-Di cosa?-
-Adesso è stato violento, poi le avrai senza sentire dolore.-
-Va bene, ma cos’era?-
-Hai avuto la tua prima premonizione.-
-La mia prima…-
-… premonizione.- Esmeralda finisce la frase al posto mio.
-E come…?-
-Come hai fatto? È strano invece che sia uscita allo scoperto così tardi. Di solito è uno dei primi poteri che uno come te sviluppa.-
-E come faccio a smettere di averle?-
-Smettere di averle? Non puoi. È una parte di te.-
-Ma io non voglio.-
-È stato così terribile?-
Non riesco a descrivere quello che ho provato perché ogni volta mi si forma un groppo in gola che mi impedisce di parlare. Esmeralda lo comprende o, almeno, sembra farlo.
Comincia a pettinarmi i capelli con le dita e poi mi massaggia la schiena.
Continuo ad avere un senso di paura opprimente nello stomaco anche se non è come prima e riesco a mantenermi calma, stringo con forza il bordo della coperta, l’ancora che lentamente mi riporta alla realtà anche se le nocche cominciano a farmi male.
È strano. I fantasmi non sentono il dolore, almeno è quello che Esmeralda mi ha detto il giorno della mia nascita, ma posso provarlo se a farmi male sono me stessa. Secondo la mia strega questo potrebbe essere dovuto al fatto che tento di nuocere volontariamente alla mia anima. Il dolore è un segnale di allarme che mi porta a smettere di farmi del male da sola.
Se è veramente una premonizione tutto deve ancora accadere e poi non è detto che si avveri. Smettila di agitarti! Il destino non è mai scritto con inchiostro indelebile. Fin da quando il nostro cuore compie il suo primo battito siamo NOI, con le nostre scelte e le nostre azioni, con tutto quello che ci definisce e maledice, che lo scriviamo di nostro pugno modificandolo ogni volta. Una buona dose di caso e il nostro libro del destino verrà scritto. Ma… solo la morte è certa… BASTA! Non esiste un solo futuro, ce ne sono a miliardi di possibili futuri solo per una persona.
-Ti senti meglio?-
No. –Sì.-
Mi stacco da lei e mi metto in piedi. La testa mi gira ancora un po’ ma sono sicura che presto mi sentirò meglio. È solo una cosa passeggera, giusto?
Esmeralda si alza dal giaciglio e dal suo baule prende una leggera vestaglia bianca. Ho ancora impressa nella testa l’immagine del ragazzo immerso nel sangue e i suoi occhi che cercano qualcuno che possa aiutarlo.
Conficco le unghie nelle mie braccia sperando che il dolore scacci via questa visione, non funziona, tutto piroetta intorno al ragazzo.
Mi asciugo le lacrime che mi scivolano sul viso e cerco di distrarmi come posso.
-Com’è andata?-
Esmeralda mi guarda e sorride –Benissimo.-
-Cos’hai mangiato?-
-Sono andata alla taverna giù in paese e mi sono dovuta accontentare del menù del giorno. Ho mangiato una fettina di carne di cervo con delle patate arrosto come contorno.-
-Sei andata sul leggero.-
Voglio parlare di altro per dimenticarmi di tutto. E distrarmi mi fa sentire meglio.
-Invidio come riesci a tenerti in forma.-
Esmeralda sorride.
-È il vantaggio di essere una strega. Pensa a come sarei grassa se fossi umana. Terribile!- mi fa l’occhiolino. –Usare la magia mi fa consumare molte delle calorie che traggo dai pasti.-
Mi fa ridere immaginarla grossa fino ad assomigliare a una palla.
Lascio cadere a terra la coperta, mi avvicino a lei e le accarezzo il volto.
I suoi occhi verdi sono magnetici e dei fili argentati li rendono ancora più attraenti.
Mi prende per i fianchi e mi avvicina a lei; sento la sua fragranza e il suo fiato sul mio collo.
Mi cinge la vita con un braccio mentre con una mano mi accarezza il viso, le braccia, la schiena.
Mi stringo a lei e scorrono le sue forme sotto le mie mani. Sospira e mi bacia il collo mentre sotto le sue dita la mia pelle scricchiola elettrizzata.
Sono nuda. Lo sono sempre quando simulo una forma corporea dove rinchiudo la mia anima.
Ci sdraiamo, lei sopra di me. Mi tiene le mani bloccate sopra la testa e mi guarda con la strana luce negli occhi che ho imparato ad amare. Puro desiderio.
-Sei bellissima.- dice strappandomi un bacio e basta questo semplicissimo tocco per far fluire dal mio corpo il calore del mio potere che la deve ringiovanire, esso prende forma e consistenza al mio interno fino a conquistarmi completamente. Voglio che continui sempre a guardarmi in questo modo, ad accarezzarmi così delicatamente, mi fa sentire importante, speciale.
Faccio un po’ di resistenza perché so che le piace e le leggo ora sul suo viso il piacere che le dà avere il controllo.
Stranamente mi lascia. Normalmente questi momenti degenerano in altro, ma la passione fugge dai suoi occhi.
-Cos’hai?-
Si aggiusta una ciocca di capelli dietro un orecchio e mi lascia completamente libera.
-Sono molto stanca, per andare e venire dal paese ho dovuto usare un incantesimo di occultamento e sai quanto mi costa.-
Mi lancia un abito che poi mi aiuta a indossare.
-Sarà per un’altra volta.-
Si distende sul suo giaciglio. –Tu, invece, come hai ammazzato il tempo?-
È un’espressione che mi fa ridere per la sua innocente indelicatezza crudele perché, in realtà, è stato il tempo a uccidere me tanto tempo prima e trova sempre modo di ricordarmelo. Anche lei.
-Sono venuti a farci visita dei ragazzi. Li ho spaventati, ma non è stato come al solito. Uno, sì, è scappato a gambe levate appena ho incominciato a fare i miei giochetti, gli altri due, invece, sono rimasti fino alla fine dello spettacolo. Tu che ne dici?- ma quando mi volto a guardarla lei sta dormendo. Non ha sentito nulla di quello che le ho detto.

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Capitolo 4
*** IV ***


Quando chiudo il libro è già giorno. Sono riuscita a leggerne quattro.
Ho svolto il mio compito: sorvegliare la casa e il sonno di Esmeralda che, lentamente, si sta svegliando.
Emerge da sotto il lenzuolo senza fretta; indossa la sua vestaglia preferita, quella che fa intravedere le forme del suo corpo.
-Buon dì.- dico allegra –Ti ho preparato la colazione, latte alle mandorle e una fetta di pane.-
-Buongiorno anche a te.- guarda il tavolo –Come sei dolce. Ma in questo momento avrei voglia di altro.-
La guardo stranita. –Non ti va bene? Se mi dici cosa vuoi mi metto a prepararlo.-
-No, stupidina.- scivola dal letto e mi afferra –Ho una fame diversa, e poi ieri ti ho promesso un regalo.-
Slaccia i nodi che tengono la vestaglia aderente al tronco e lascia che scivoli lungo il suo corpo, poi, arrivata a terra, la allontana dandole un calcio. Bacia il mio collo mentre accarezzo le sue forme sode e giovani.
Mi prende con forza per le braccia e mi butta sul suo giaciglio; si mette a cavalcioni su di me e mi straccia l’abito mettendo a contatto le nostre nudità.
Mi accarezza, mi blocca, mi stringe. La sua bocca si fa impetuosa mentre scende per le vie del mio corpo toccando ogni punto che a lei fa piacere stimolare. Le sue mani giocano con me facendomi provare una rosa di sensazioni diverse: dolore, leggero fastidio, piacere, eccitazione… tanta eccitazione.
Il suo corpo si muove contro il mio, poi sfiora il mio punto di massimo piacere. Lo stuzzica, ci gioca, fa come il gatto col topo. Gioca con la mia eccitazione ora smorzandola, ora dandole combustibile. È per lei il massimo del divertimento. Mi ha in pugno.
Il mio ventre arde mentre le mie mani bloccate sopra la testa si agitano dal piacere; il mio corpo si contorce fino a quando l’orgasmo non giunge con impeto.
Soddisfatta, Esmeralda mi concede una breve tregua prima di cominciare il secondo round, poi il terzo e infine il quarto, quando decide che è giunto il momento di smetterla di giocare.
Questi sono i momenti che mi fanno ricordare di più quali sensazioni può provare un corpo vivo. Come fantasma posso provare solamente il dolore che sono io a infliggermi, ma con il costume da umana posso provare una vasta gamma di sensazioni a cui non vorrei mai dover rinunciare. Anche se alcune mi sono completamente precluse, in fin dei conti si tratta sempre del corpo di un morto.
Esmeralda si pulisce, poi si veste con i suoi abiti da viaggio.
-Dove stai andando?-
-È giunto il momento. Devo andare a fare visita a un mio vecchio amico che possiede un Libro delle Ombre appartenuto a una potente strega che potrebbe contenere il segreto per portarti in vita. Fino a ora non ero pronta a rischiare, ma sembra che sia arrivato il tempo di tentare.-
La guardo, gli occhi mi si inumidiscono. –Dici sul serio?-
-Sì. L’inconveniente è che si tratta di un viaggio lungo, persino utilizzando la magia. Dovresti restare da sola per tre giorni.-
-Così tanto?-
La cosa mi preoccupa un po’, ma mi emoziona al contempo. Cosa avrei potuto fare nel mentre? Le prendo una mano e la stringo.
Ho paura di avere un’altra visione e di non poter far nulla per uscirne, di diventare matta a forza di vedere persone sofferenti.
-Devi proprio andare?-
-È essenziale che io lo vada a prendere.-
-Cercherai di tornare il più presto possibile, vero?-
-Non posso promettertelo, ma ci proverò.- si alza di scatto dopo aver ponderato le mie parole –Se devo tornare presto allora devo partire adesso.-
-Partire subito?-
Oggetti di vario tipo saettano per la casa e finiscono in una borsa che non sembra capace di contenere tutto quello che vi entra dentro.
-Come ti ho detto il viaggio è molto lungo, se devo fare presto è l’unico modo.-
In un modo o nell’altro sarei rimasta comunque da sola.
-Se parti adesso dovresti essere in grado di tornare fra due giorni.-
-In due giorni? Ci vuole almeno un giorno per arrivare e ce ne vorrà almeno un altro per racimolare tutte le informazioni necessarie.-
-Capisco, ma…-
-È un lungo lavoro di ricerca. Ma tre giorni vedrai che passeranno in fretta e poi io me la so cavare.-
-Pure io.-
-Non cercare di fare pazzie.-
-Allora aspetta prima di partire.-
-E quanto?-
-Non lo so, un po’.-
Esmeralda mi guarda come se fossi una bambina che fa i capricci.
-Posso aspettare giusto il tempo che mi ci vuole per finire di sistemare i bagagli.-
Poco tempo.
Si guarda intorno osservando se tutto è al suo posto e se si è dimenticata qualcosa, poi fa un profondo respiro.
L’abito nero stretto in vita manda dei bagliori azzurro-scuri.
-Mi dovrai spiegare come fai.- le dico indicando la sua borsa di stoffa che sembra vuota nonostante contenga tutte le sue ampolle e le pozioni che in cento anni è riuscita a fare, senza contare tutti i libri di magia dai quali non si separa mai.
-Diamo tempo al tempo.- sospira nuovamente dando un’altra perlustrazione alla stanza –Bene, è ora.-
È quello che non voglio sentire, ma lo dice e io non posso fare altro che sentirmi male.
Sto per separarmi dall’unica persona che sa chi sono senza avere paura di me e di quello che posso fare.
Esmeralda è sul punto di aprire la porta.
Ho voglia di fermarla e so che potrei farlo senza problemi. Basterebbe solo bloccare la porta, è sbagliato ma per un momento lo faccio anche se poi desisto.
Penso che lo sta facendo per me. Deve farlo, quel libro le serve per spezzare la maledizione.
Apre la porta e sta uscendo di casa, non posso perdere l’ultima occasione che ho per salutarla.
Mi muovo velocemente verso di lei. Le sfioro la mano fuori dalla porta.
Le dita oltrepassano la soglia, un brivido mi percorre la mano fino alla base del gomito e la ritraggo rapidamente.
-Comunque non sarai da sola. Appena avrò il libro tra le mani lancerò un incantesimo a distanza per eliminare la barriera e manderò una mia cara amica a prenderti. L’incanto non durerà molto, lo scudo di energia apparirà intorno alla tua nuova residenza. Per il momento è l’unica soluzione che sono riuscita a pensare.-
Esmeralda mima un ciao con la bocca prima di sparire in una nube grigia trasportata via dal vento.
Chiudo la porta e ci appoggio contro la schiena.
Mi guardo la mano. No, non è scomparsa, non è bruciata e non sono morta un’altra volta.
Faccio attraversare la porta dal mio braccio. Ancora niente.
Perché Esmeralda mi ha mentito? Perché tenermi rinchiusa con una menzogna? Perché dirmi che avrebbe sciolto un incantesimo inesistente?
Faccio un passo verso il giaciglio quando perdo l’equilibrio e cado.
Sento i nervi tendersi e i muscoli restringersi mentre la mente si estende dolorosamente. Le figure si dissolvono e tutto diventa scuro.
 
‘Sono in piedi. Davanti a me c’è un viale fiancheggiato a destra e a sinistra da alberi scheletrici che si tendono verso un cielo tinto di rosso e si incurvano incorniciando una figura nera che vibra minacciosamente.
So che sono io a osservare ciò che mi circonda, ma è come se ci fosse un’altra persona al mio posto.
L’aria è fredda e sembra tagliente come lame.
Scorgo con la coda dell’occhio un movimento alle mie spalle.
Mi volto ed è come se lo facessi al rallentatore.
Accovacciato per terra c’è un ragazzo che stringe le spalle di un’altra persona di cui non riesco inizialmente a scorgere i particolari somatici.
Il ragazzo accovacciato mi dà le spalle e mi è praticamente impossibile vedergli il volto mentre l’altro riesco a metterlo lentamente a fuoco.
Non è lo stesso della mia visione precedente o forse sono io a non riconoscerlo perché il volto è privo di ogni espressione, sembra quasi stia dormendo, ma è solo una mera illusione. Ormai la vita non è più una sua proprietà.
Ha la pelle pallida e gli occhi vitrei e dal corpo escono delle ossa.
Il ragazzo gli accarezza il volto, lo smuove cercando disperatamente di destarlo dal suo sonno, senza riuscirci.
Muove le spalle come se fosse preda di un pianto disperato.
Mi avvicino a lui, ha la maglia lacera e gli poso una mano sulla spalla. Ha la pelle umida e fredda.
Provo a consolarlo ma le parole mi muoiono in gola, non so cosa dire. Tutto ciò che mi viene in mente mi sembra inutile.
Il ragazzo posa la testa sul petto del defunto e sono costretta a inginocchiarmi per continuare a stargli vicino.
Le piante esplodono in nubi di particelle e alla fine rimane quella cosa nera nel cielo e i due ragazzi che poco dopo spariscono lasciandomi sola sotto lo sguardo di quella figura minacciosa.
Inizia a vibrare ancora di più di quando la visione è cominciata ed esplode anch’essa liberando una fitta nebbia nera che comincia a muoversi formando il corpo di un uomo.’
 
La visione si spezza e mi ritrovo distesa a terra boccheggiante. Tento di rialzarmi ma i muscoli non rispondono.
Poi tutto comincia a ruotare e perdo i sensi.
Quando riapro gli occhi la stanza è piombata nella più completa oscurità e un fastidioso alito di vento fischia attraverso un’apertura della finestra.
La testa pulsa dolorosamente e la cosa strana è che riesco a toccare il pavimento, ma, sinceramente, non so cosa aspettarmi. In cento anni non mi è mai capitato di perdere i sensi e non so se è normale. Anzi, so che non lo è.

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Capitolo 5
*** V ***


Non mi tormenta, anche se dovrebbe, il fatto di essere svenuta, ma la consapevolezza che Esmeralda ha mentito spudoratamente sulla mia prigionia.
Perché dirmi che sarei morta, che avrei perso la mia anima se non c’è nessun reale pericolo?
Sicuramente avrà avuto i suoi buoni motivi per farlo. Lo dico anche ad alta voce per convincermi, ma non ci riesco. Ho un tarlo nella testa che mi sussurra che non avrebbe dovuto comportarsi così, ma ciò che è fatto è fatto. Adesso devo capire il perché.
Appena torna mi dovrà dare delle spiegazioni. Perché adesso sono libera.
Realizzo solo ora che ho la concreta possibilità di uscire fuori a conoscere il mondo. Per adesso i dubbi sarebbero comunque rimasti tali, non avrei potuto ricevere spiegazioni non prima di tre giorni, avrei retto il gioco anche con la strega che verrà a prendermi.
Ogni mio pensiero riconduce alla rabbia per essere stata condannata alla reclusione quando avrei potuto vedere come la vita è andata avanti senza di me, e anche se continuo a pensare che di Esmeralda mi fido, che prima di allora non aveva mai fatto nulla per mettersi in cattiva luce, continuo a immaginare un vetro che si incrina mostrando tante spiegazioni, alcune impensabili, altre possibili e altre ancora terribili.
Ma oltre a rabbia e a frustrazione c’è un altro sentimento che mi anima: curiosità. Perché adesso posso veramente fare quello che ho sempre sognato.
Mi avvicino alla porta e mi basta oltrepassare la soglia per sentire sul mio viso l’aria fresca del primo mattino.
Sento una forte energia pervadermi. Elettricità mista a una misteriosa forza esplosiva.
Inizio a correre in preda all’emozione in cerchio ridendo come una matta. È fantastica la sensazione che dà l’odore della terra umida e il rumore delle foglie secche che scricchiolano allegramente sotto le scarpe.
Mi getto a terra ridendo a crepapelle e comincio a rotolare e poi mi fermo.
Resto così, semplicemente distesa aspettando di stancarmi di tutta quella felicità, ma è una cosa impossibile.
Guardo la mia casa. Capisco come mai le persone credano che sia infestata. All’esterno la struttura è fatiscente e per tutto il perimetro è circondata da filo spinato arrugginito, le finestre sono decorate con chiodi che sembrano ciglia appuntite di occhi troppo grandi. Chissà come mai la cosa non mi sorprende. Mi è noto l’odio profondo che Esmeralda cova nei confronti dei Viventi e sembra che si sia impegnata al massimo per rendere palese il suo sentimento.
Un senso di colpa mi cresce dentro. Penso che se ha fatto una cosa del genere è solo per proteggermi oltre che a tenere lontano gli esseri che odia di più tra tutti e che io non sia stata corretta nei suoi confronti arrabbiandomi per avermi tenuta in casa per tutto questo tempo. Effettivamente le cose possono essere profondamente cambiate da quando anch’io ero una Vivente, può darsi che sia pericoloso per me andare in giro in un periodo storico che ho osservato solo dalla finestra e immaginato al di là del bosco.
Per questo sono convinta che la cosa migliore da fare sia tornare in casa… ma il canto della vita è così suadente che non me la sento di abbandonare tutto senza una minima esplorazione.
Cammino fra gli alberi accarezzando i tronchi rugosi e ascoltando tutti i suoni che la foresta produce. Lo scricchiolio delle cortecce e delle foglie, il canto degli uccelli e il grido di un’aquila. È tutto stupendo e inquietante nel medesimo tempo.
Ho timore per quello che potrebbe capitarmi, anche se che i pericoli che potrebbero nuocermi rasentano quasi lo zero. Non rischio più la morte e gli unici a potermi vedere per quella che veramente è la mia natura sono solo gli animali che, in qualche modo, sono attratti da quelli come noi. Forse perché sanno che non possiamo uccidere i Viventi, neanche se fossero loro a chiedercelo.
Per la maggior parte del tempo cammino sovrappensiero e saltello leggermente quando un lupo mi passa davanti.
Ha il pelo fulvo e una maschera nera che gli decora il muso. È bellissimo nella sua semplicità. La natura riesce sempre a produrre delle opere magnifiche.
Inizialmente abbassa le orecchie e ringhia mostrando i denti. Mi sembra strano vederne uno da solo, solitamente si muovono in branco.
Gli sorriso e dopo qualche momento di istintiva indecisione l’animale si rilassa, comincia a scodinzolare cacciando la lingua e si avvicina. Ha capito che non posso nuocergli.
Mi accovaccio e gli accarezzo il bel pelo morbido facendogli dei grattini dietro le orecchie e alla base della nuca passandogli l’altra mano sul torace e in mezzo alle orecchie massaggiando queste zone vigorosamente. La coda mi sembra l’ala di un colibrì per come si muove velocemente e non posso fare a meno che ridere per la scena. Una ragazza che coccola un lupo selvatico. Da pazzi.
Si sdraia sulla schiena e mi accorgo che ha una lunga cicatrice che gli percorre tutta una zampa. Deve aver impiegato tanto tempo per rimarginarsi, a occhio sembra essere stata una ferita profonda. Forse per questo è stato lasciato in dietro. L’anello debole, l’elemento sacrificabile. Ma deve essere un animale molto forte per essere riuscito a sopravvivere da solo.
Scatta all’improvviso puntando la lepre che gli sfreccia accanto. Per lui è giunta l’ora della colazione.
Inspiro l’aria fresca anche se non ce ne sarebbe bisogno, in fin dei conti sono morta.
Mi colpisce un suono indistinto, uno sciabordare d’acqua che, seguendolo, mi porta nelle vicinanze di un fiume. La sua superficie è cristallina e vedo il letto formato da ciottoli di tanti colori, brilla come vetro colpito da una luce e delle libellule volano su di esso.
Sto per avvicinarmi per osservare meglio l’ambiente quando sento nuovamente quel rumore d’acqua mossa.
Mi nascondo giusto in tempo.
Dalla placida lastra emergono due ragazzi. Non avevo notato gli indumenti piegati vicino alla riva.
Sono entrambi nudi e mi sento un po’ strana a osservarli, ma mi è quasi impossibile distogliere lo sguardo.
Il primo ragazzo a uscire è un armadio vivente. Mi incute timore perché assomiglia a un orso come muscolatura.
Il secondo è più magro ma anche lui ha una discreta forma fisica. Ha i capelli biondo castani e gli occhi azzurri.
Non sembrano imbarazzati della reciproca nudità e anche questo particolare mi mette a disagio. Ho l’impressione di violare un rituale antico che solo due persone legate da un vincolo indissolubile possono condividere.
-Sbrigati Lovro, l’addestramento inizia tra meno di un’ora.-
-Lo so Zephyro. Dammi il tempo di asciugarmi.-
Prende da terra un telo spugnoso e se lo passa sul corpo, poi lo porge al gigante che lo ringrazia.
Entrambi cominciano a vestirsi nello stesso momento, ogni gesto simile come è simile ogni loro movenza.
La cosa che mi sorprende di più è la voce di Zephyro, dolce in confronto alla sua stazza.
Resto in silenzio a osservare lo scambio di pacche sulle spalle, di sorrisi e di battute mormorate sottovoce.
Grazie all’Empatia riesco a percepire la forza del loro legame. Un rapporto costruito nel tempo e che le esperienze hanno saldato. Però, anche se da entrambe le parti percepisco una forte emozione per l’altro, rimango un po’ male sentendo che i due sentimenti non hanno proprio la stessa intensità. L’affetto che Zephyro prova nei confronti di Lovro è più forte.
-Sbrighiamoci.-
-Altrimenti dobbiamo sorbirci Stefano.- Dice rapido Lovro.
-E Marcus.- aggiunge Zephyro.
-Pure lui, hai ragione.-
Sono le ultime loro frasi che sento perché poi scompaiono inghiottiti dalla vegetazione. Sono diretti al paesino e quella è anche la mia destinazione, ma prima devo sistemare delle cose.
Ritorno di corsa alla mia casa e prendo da sotto il tavolo vicino alla finestra il baule dove ho messo tutti i vestiti che Esmeralda non mette più. Ne prendo uno verde che mi arriva fino a metà polpaccio.
È troppo largo e lo lego in vita con un nastro celeste chiaro; completo tutto indossando un paio di scarpe di stoffa.
Adesso sono pronta ad affrontare quello che vedrò.
Imbocco il sentiero che dal lato ovest della casa porta al paesino, è coperto di foglie secche, alcune scricchiolano, altre sono umide e formano un tappeto appiccicoso che si incolla alla suola delle scarpe quando cammino.
Un pensiero mi folgora. Potrebbe essere solo una coincidenza, ma l’armadio vivente ha lo stesso nome di uno dei tre ragazzi che ho spaventato poche ore prima della partenza di Esmeralda. Mi pento per la prima volta di avere come unico passatempo quello di spaventare la gente. Se sono veramente gli stessi ragazzi potrebbero riconoscermi e per me la situazione diverrebbe spinosa, darei io stessa inizio la caccia al fantasma e anche se non possono uccidermi sarebbe un’enorme scocciatura dover scappare sia da loro sia dalla rabbia di Esmeralda. Sbuffo e metto da parte il senso di colpa.
Faccio dietrofront e ritorno a casa in cerca di qualcosa che possa celarmi alla vista altrui. Trovo un mantello di un colore simile al verde smeraldo. Non mi piace molto perché è un colore troppo brillante, quando il mio obiettivo è quello di passare inosservata. Però è l’unico disponibile al momento.
Poco dopo sono davanti all’ingresso del villaggio. Ho i nervi a fior di pelle tanto da non riuscire a far smettere alla mani di tremare. L’aria ha un odore diverso, non di casa, estraneo; non aveva niente a che fare con l’odore caldo dell’aria domestica, del legno, dei materassi e della polvere che si posava su tutti gli oggetti appena scostava lo sguardo da essi. L’aria aveva una fragranza fresca e leggera.
C’è tanta gente in giro anche se è molto presto. Donne che urlano dai balconi delle abitazioni, che stendono i panni o che sbattono i tappeti liberando nell’aria fiocchi di polvere che ricadono come neve sui passanti.
Sento l’urlo di un pescivendolo che inneggia alla freschezza della sua merce invitando i passanti ad avvicinarsi al suo carretto. Io sono una fra quelle e, anche se l’odore non è proprio dei più invitanti, rimango meravigliata nel vedere la quantità di pesci e crostacei di ogni dimensione, forma e colore, ancora muoversi.
La freschezza è assicurata penso ridendo.
Faccio per allontanarmi ma qualcuno mi urta e per poco non finisco per terra inciampando nella veste di una signora alle mie spalle; mi hanno salvata mani forti che mi sorreggono e che mi aiutano a mettermi in piedi.
-Scusa, non ti avevo vista.-
-N-non preoccuparti, non mi sono fatta niente.-
Alzo lo sguardo verso colui che mi ha salvata da una rovinosa caduta su un banco di pesci puzzolenti. Inorridisco quando vedo che è il ragazzo che si chiama Lovro ed è accompagnato dal suo amico che sta parlando con una donna, se non sbaglio proprio quella in cui sono inciampata.
-Comunque scusa ancora, andavo di fretta.-
-S-scusa t-tu se ti sto fa-facendo perdere tempo.-
Mi guarda arricciando il naso; vedo il pensiero che sta prendendo forma nella sua mente. Ha il sospetto di avermi già vista, ma non ricorda dove e in quale circostanza.
Vengo salvata dal suo amico che gli dà un colpetto al gomito.
-Sbrighiamoci.-
-Sì. Scusa ancora.- mi dice allontanandosi.
Faccio ancora in tempo a sentire Zephyro chiedergli cosa mi avesse detto per farmi assumere l’espressione di una che ha appena visto un fantasma. Non sa quanto si stia sbagliando.
Li osservo allontanarsi. C’è mancato poco che Lovro si ricordasse di me, ma Zephyro no e sono felice per questo. Se avesse collegato la sua sensazione su di me alla casa di Esmeralda mentre li spaventavo sarebbe bastata una voce per mettermi nei guai.
Mi rimetto in cammino notando come sempre più persone affollino la strada.
Un buon profumo di pane appena sfornato riempie l’aria. Una donna corpulenta sta sistemando dei banconi fuori dalla sua bottega dove un uomo esile e stempiato con dei baffi enormi posa delle pagnotte enormi.
Non so dove andare, per lo più seguo l’istinto.
È un paesino piccolo e concentrandomi riesco a percepire quante presenze vi sono. Mille anime. Pochissime.
Sicuramente si conoscono tutti e suppongo che siano più o meno tutti mezzi imparentati fra loro.
Mentre i piedi trascinano un corpo attratto da qualsiasi cosa gli occhi vedano, una casa attira il mio sguardo.
Ha le mura annerite e manca la facciata frontale. I detriti sono sparsi a terra all’esterno dell’abitazione, come si ci fosse stata un’esplosione che ha spazzato via tutto quello che c’era dentro.
Sotto le scarpe sento il rumore di vetri rotti che si frantumano ulteriormente e tra le macerie ci sono vari pezzi di stoffa e, sotto un mattone, un pupazzo.
Vengo attraversata da una scarica elettrica quando lo prendo in mano. La testa comincia a girarmi e sono costretta ad appoggiarmi a una delle pareti ancora in piedi. Spero che non decida di crollare proprio in questo momento.
Desidero lasciare quella bambola. Che cada pure nella polvere in cui l’ho trovata, mi dico. Ma la mia mano sembra essere incapace di farlo.
Alcune immagini iniziano a scorrere nella mia mente e poi davanti ai miei occhi prendendo il posto di quello che per me è la realtà.
 
‘Vedo una bambina che gioca con un pupazzo, lo stesso che stringo in mano.
Sua madre si sta vestendo. Ho un bell’abito, ma il volto esprime solo tristezza. Anche la bambina lo è.
È preoccupata per la salute di una persona molto vicina alla sua famiglia.
Al tavolo della cucina è seduto un uomo con occhi grigi come il fumo e buoni. Ha i capelli biondicci e una barba incolta screziata di bianco.
Sta intagliando un oggetto di legno. È un regalo, ma non so per chi è.
Dalla finestra entra la luce calda del sole e vedo un bambino giocare con una palla di cuoio. Ha gli stessi occhi dell’uomo, deve essere il figlio.
Ogni tanto il padre lo scruta e sorride timidamente; capisco che è uno di quei padri che sono disposti a fare qualsiasi cosa che sia in loro potere, e forse anche oltre, per i propri figli. È una roccia con incastonato al suo interno un cuore caldo.
La donna gli si avvicina e lo bacia teneramente sulle labbra. Il grembo è tondo e sodo, aspettano un altro bambino. Gli occhi di lui si illuminano e lei ride diventando un po’ rossa, si amano molto.’
 
Le immagini iniziano a cambiare sfocandosi e mettendosi a fuoco.
 
‘Non è più giorno, fuori è buio e nel camino scoppietta un fuoco caldo e invitante.
La piccola scultura di legno è terminata ed è appoggiata sul tavolo, rappresenta un cagnolino, e vicino a essa c’è la bambola che non si stacca dalla mia mano.
L’uomo è seduto ancora al tavolo, ha appena finito di cenare. Varie ciotole sono davanti a lui mentre guarda serio la porta in pensiero per sua moglie e i suoi piccoli adorati e cercando di vedere oltre essa per anticipare il momento del loro ritorno, li avrebbe abbracciati dicendo che gli sono mancati tantissimo.
Bussano alla pesante porta di legno e lui va ad aprire pieno di speranza. Pensa che siano tornati, ma la verità cozza dolorosamente sul suo naso sotto le sembianze di una figura femminile. Non riesco a distinguere nulla di lei, è l’unica parte di quella strana visione che mi appare sfocata, come se avesse una sorta di schermatura che la protegge dai miei occhi. Capisco che deve essere una bella donna per rendere imbarazzato l’uomo che la fissa senza dire una parola.
Lei gli chiede un bicchiere d’acqua perché ha viaggiato tanto ed è stanca. Dopo essere stata servita si toglie il mantello e lo posa sul tavolo accanto al cagnolino di legno di cui accarezza il profilo.
-Per chi è?- chiede con voce suadente.
-Per mio figlio.-
-Tua moglie è proprio una donna fortunata.-
Comincia a lusingarlo facendogli complimenti prima sulle sue opere e poi sul suo fisico, poi mormora una parola che non capisco. Ho il presentimento che tutto questo non porterà a nulla di buono ma appena provo a fare un passo verso di lui mi accorgo di essere bloccata al mio posto. Sono solo un’osservatrice.
L’uomo dapprima si irrigidisce e poi si rilassa, si alza dalla sedia e rimane fermo, in mezzo alla stanza.
La donna, anche lei in piedi, si avvicina a lui. Gli accarezza il volto, il mento, le labbra, i capelli che stringe fra le sue dita e gli tira indietro il capo e gli morde il collo.
L’uomo non si muove, sembra un fantoccio.
Lei si sfila l’abito rimanendo nuda, prende le mani dell’uomo e le posa sui suoi seni mentre lo accarezza con lo sguardo.
Poi gli toglie la maglia e la camicia, lo accarezza e lo bacia; l’uomo continua a rimanere immobile.
La donna gli slaccia i pantaloni e lo costringe a sdraiarsi.
Sono entrambi nudi.
Lei lo bacia e lo tocca violentemente, lui la stringe e asseconda i suoi movimenti. Incominciano a fare l’amore ma c’è qualcosa di malsano nel modo in cui lo fanno. Lei lo morde e lo graffia a sangue.
Lui si irrigidisce mentre la donna continua con le sue movenze e se avessi un cuore sicuramente finirebbe con lo spezzarsi per la pena perché l’uomo incomincia a piangere e non è per il piacere. Percepisco il suo dolore ed è più intenso di qualsiasi altro provocato da una ferita fisica.
Leggo nei suoi occhi i suoi pensieri. Vorrebbe che lei si fermasse, che lasciasse in pace lui e la sua famiglia, ma non può reagire perché i muscoli non seguono la sua volontà. Non è con lei che vuole giacere e non capisce con quale forza potrà vivere sapendo di aver tradito sua moglie in casa loro.
La donna comincia a essere scossa da fremiti e ricade sul petto di lui. Sul viso ha un’espressione soddisfatta.
Sono disgustata da quello che vedo, non riesco a chiudere gli occhi e la visione continua.
La donna ha in mano un pugnale dalla lama ondulata, non so da dove l’abbia preso.
Allarga le braccia all’uomo. Gli passa il filo della lama sul viso, sulle braccia percorrendo le vene, sul petto, sull’addome scendendo fino all’ombelico e poi risale. La punta del pugnale ferma sul cuore.
Il suo divertimento mi investe. So dove si vuole spingere.
Il pugnale affonda nel petto.
Gli occhi dell’uomo diventano due occhi neri e la pelle si ingrigisce. Lei si alza e lecca dalla lama il sangue dell’uomo che ai suoi piedi sta perdendo consistenza tramutandosi in un fumo denso che viene assorbito dal pugnale.
La osservo mentre si riveste e si guarda in torno. Non posso vedere il suo viso ma sono quasi sicura che stia sorridendo.
Allarga le braccia e una forte luce viene irradiata dal suo corpo. La casa esplode.
Dalle macerie si alza una nube scura che assume sembianze maschili e mi trafigge con le sue orbite senza occhi.’
 
Ritorno alla realtà, sconvolta per quello che ho visto e sentito.
Lascio che il pupazzo mi cada di mano. Non riesco a capacitarmi che esista veramente qualcuno in grado di fare qualcosa di simile, che possa far soffrire in questo modo le persone.
Dalle mie spalle provengono degli scricchiolii. Mi volto aspettandomi di vedere l’uomo di fumo pronto ad assalirmi, ma c’è solo una donna. Uno scheletro bianco in un abito nero che tiene per mano due bambini, un maschietto e una femminuccia, e un’altra vita in grembo.
I bambini stringono nelle mani libere delle rose rosse. I fiori dell’amore eterno.
Sono le stesse persone della mia visione.
La donna ha il volto rigato dalle lacrime che sembrano aver solcato sul suo viso due solchi scuri che dagli occhi le arrivano alla mascella.
Prendo di nuovo da terra la bambolina. Ho i nervi tesi aspettandomi di vedere nuove immagini prendere sede nella mia mente, ma con un lieve sospiro mi rilasso perché non accade nulla.
Mi avvicino a lei.
-Scusi.-
Mi osserva con circospezione. Un’ondata di tristezza e paura mi colpisce e provo il bisogno di piangere; l’Empatia non mi è molto utile ora e la sopprimo per il momento.
-Posso esserle d’aiuto?-
-Sì, ecco…- abbasso il cappuccio del mantello per farmi vedere in viso, lei pare rasserenarsi.
-So che lei era la proprietaria di questa casa, volevo solo dirle che ero entrata solo perchè avevo notato una cosa tra i mattoni.- dico mostrando la bambola.
Il volto della bambina si illumina e gliela porgo. Lei guarda il viso della madre e non leggendovi sopra nessun rimprovero, del fatto che stava accettando un regalo da una sconosciuta, la afferra e l’abbraccia come fosse una vera amica.
-Grazie.- mi dice la madre.
-Si figuri.-
-Lei non è di queste parti vero?-
Sorrido. –Cosa mi ha tradito?-
-Il suo accento.-
-Vengo da un paese non molto lontano.- le dico continuando a rivolgerle un caldo sorriso.
-Quindi sa cosa è successo.-
Vorrei non saperlo, ma è bastata la visione per capire quello che è accaduto.
-La Strega Rossa.-
-Prende tutti i nostri mariti. Non sono al sicuro, né loro e né chi vive con loro. Cerchiamo di ignorare la verità, ma qualche volta è troppo evidente per fingere di essere ciechi.-
Non so cosa dire a parte… -Mi dispiace per la sua perdita.-
-Questa volta è toccato a me. Se è venuta per cercare marito le consiglio di andarsene con il fortunato prima che una cosa simile capiti anche a voi.-
Quella della Strega Rossa è una storia molto vecchia, Esmeralda me l’ha raccontata qualche giorno dopo avermi invocata. All’inizio non avevo nessun ricordo e il racconto della Strega è stato il primo della mia nuova vita.
Esiste una ballata che parla di una bellissima donna dagli occhi ammalianti e seducenti che ricordavano i boccioli primaverili e con i capelli rossi e ricci. Si narra che abbia avuto una storia molto triste alle spalle. Abbandonata dai genitori quand’era piccola perché capace di utilizzare la Lingua di Sirena, un potere che costringe l’ascoltatore a fare quello che viene detto, fu costretta a vivere ai confini della società per paura di quello che avrebbero potuto farle. Col passare degli anni la solitudine si fece sentire e la costrinse a cercare la compagnia di una ragazza, un fantasma che nascondeva due segreti impensabili.
Un giorno la strega vide nel bosco un giovane uomo, un soldato, che ai suoi occhi diventò il tesoro più prezioso, ma il suo cuore si spezzò e l’odio crebbe quando scoprì il primo segreto del fantasma. Era innamorata di un mortale, lo stesso che lei voleva.
Aveva passato troppi anni da sola covando sentimenti negativi per sapere cosa significasse veramente amare, così l’amore diventò ossessione.
Scoprendo anche l’ultimo segreto del fantasma ottenne anche la chiave per avere tutto per sé il ragazzo. Preparò un incantesimo che il fantasma, per il dolore, si convinse a usare. Perse tutto ciò che era per tornare a essere mortale, per stare accanto al proprio amato, l’unico a cui abbia mai detto che non era più viva. Ma la parola anni non andava a genio alla strega, non poteva aspettare. Così uccise la ragazza e imprigionò nel fumo il ragazzo dopo averlo costretto al peccato veramente letale per un’anima. Il tradimento di tre capisaldi: famiglia, amicizia, amore. Creò così uno Spettro Oscuro
Ma l’anima del ragazzo ricercò sempre la sua amata e l’incantesimo della Strega Rossa non era perfetto. Riuscì a liberarsi e a ricongiungersi col fantasma… ma durò poco.
Loro due erano stati legati da un amore sacrilego. Un Vivente che ama un fantasma… non è concepibile e l’incantesimo della Strega Rossa non fece altro che dare il via a una fonte di sofferenza che continua ancora. La maledizione.
Da allora fantasmi non possono vedersi, toccarsi, parlarsi tra loro e con i Viventi. Vivono tutti in mondi separati che non possono più essere uniti. La Strega Rossa venne condannata alla vita eterna. Una vita piena di indicibile sofferenza che può essere spezzata solo da amori impuri. Quelli dati dal tradimento.
-Grazie.- mi dice, poi trascina i suoi bambini tra la folla e li perdo di vista.
Pensavo fossero solo voci, una storiella per spaventare i giovani innamorati, ma è invece la verità. La maledizione… la stessa che io vorrei spezzare… e trovare la via per ricordare il mio passato.
Continuo ad andare dove mi portano i piedi. Questa volta però non faccio attenzione a quello che mi capita attorno, sono distratta da altri pensieri dai quali mi stacco solo quando giungo nei pressi di una grande costruzione dalla quale provengono urla di ragazzi.
A sinistra c’è un muro formato da una rete che dà a un ampio campo. Ci sono tantissime ragazze che ridono in continuazione indicando qualcosa al di là della recinzione.
Capisco a cosa è dovuta la loro agitazione appena mi avvicino a loro, ed è anche un motivo stupido.
Nel campo si stanno allenando dei ragazzi. Quell’edificio è la caserma.
Mi ricordo che almeno uno dei due ragazzi che ho spaventato a casa e che ho già incontrato due volte dovrebbe essere in mezzo a quel gruppetto che corre e che fa altri esercizi. Loro due non mi hanno dato l’impressione di riconoscermi, ma il terzo potrebbe ricordarsi qualcosa. Mi copro il capo con il cappuccio.
Trovo un posto libero dal quale posso osservare i ragazzi.
Scorgo subito l’armadio umano. Zephyro, e al suo fianco c’è Lovro.
Devo ammettere che Lovro è molto agile, mai come un fantasma, ma per essere un umano se la cava bene. Segue gli ordini dell’istruttore alla lettera e in modo perfetto. Evita affondi e para con abilità. Stanno facendo allenamenti di scherma.
Sono curiosa di sapere cosa prova.
Libero l’Empatia dalla sua prigione e la lascio lavorare. Come se fosse mia, sento l’energia che pulsa nel suo petto, la felicità e la fatica che prova. Percepisco anche la sua forza, mi entra dentro e scorre attraverso me come se fosse un fiume in piena. Sento i suoi muscoli guizzare sotto la pelle che sfrega contro gli indumenti riscaldandolo. Sento il sudore scorrere per tutto il suo corpo; sento il suo respiro e il cuore che pompa il sangue in ogni arteria, arteriola e capillare per poi tornare al punto di partenza privato dell’indispensabile ossigeno dopo aver attraversato le vene. Percepisco il calore che pulsa vivo nel suo essere e dentro me si accende un tepore che cresce e che scende giù, sempre più in giù, fino…
Distolgo lo sguardo da lui quando qualcuno mi sfiora il braccio.
È una ragazza che ha più o meno la stessa età che dovrei avere io da viva, ha gli occhi di un azzurro intenso e i capelli biondiccio-castani.
Mi sta sorridendo.
-È carino vero?-
Le guance mi ardono e mi calo ancora di più il cappuccio sul volto.
-Lovro dico.-
Cerco di ignorarla anche quando si mette a ridere.
-Non ti preoccupare, fa quest’effetto a molte ragazze.-
Mi pento di averlo fatto nel momento stesso in cui lo faccio. Guardo la folla acclamante in cerca di qualcun’altra che urli il suo nome o si comporti in modo civettuolo. Dell’ultima cosa quasi tutte.
-Sto scherzando!- mi dice dandomi una pacca sulla spalla –Mi chiamo Elebene.-
Mi porge una mano e per educazione gliela stringo.
Tutta la sua vita mi scorre davanti agli occhi.
Mi sento una ladra perché niente di quello che vedo mi appartiene, ma non riesco a fare a meno di sbirciare.
 
‘Vedo il giorno della sua nascita. Un sei giugno afoso le dà il benvenuto, a lei e a un bellissimo maschietto.
I loro genitori li coccolano felicissimi.
Li vedo farsi grandi e ogni giorno o momento che osservo è quasi sempre concentrato sul prendersi cura del fratello immaturo.
Vedo quello che le piace e quello che la fa piangere, i momenti felici e quelli tristi. Posso guardare il dolore farsi largo sul suo volto quando davanti ai suoi occhi, giorno dopo giorno e inesorabilmente muore suo padre. Odo il suo cuore infrangersi in tanti pezzi e il grazie che mormora a Zephyro quando la consola e le offre una spalla su cui piangere. È sicura che suo fratello non ci sia per vederla in questo stato, ma lui c’è. Sempre.’
 
Quando la visione scompare mi accorgo di avere gli occhi pieni di lacrime e le mani tremanti.
-Stai male?- mi chiede Elebene guardandomi preoccupata e smarrita.
Le sorrido.
-No, non è niente. È… sono appena arrivata.-
Se le visioni mi fanno questo effetto…
-Hai bisogno di un posto dove stare.-
-No-sì-cioè no. Abito con mia sorella, ma adesso sono sola perché è dovuta partire con urgenza.-
Mi spaventa come mi sia facile mentire, come bere un bicchiere d’acqua se avesse per me senso farlo.
-Allora ci si vede in giro, anzi, se ti va, domani ci incontriamo qui. Ti faccio conoscere mio fratello e il suo amico. Sono un po’ matti, almeno… per me lo sono, ma sono sicura che ti piaceranno.-
Poi si allontana dicendomi di scusarla ma ha delle commissioni da fare.
La saluto con un gesto della mano e decido che me ne andrò pure io.
Mi volto un attimo per guardare per pochi secondi Lovro, con la luce del sole i suoi occhi assumono una tonalità verde.
Lascio quelle ragazze sbavare contro la rete e torno sui miei passi per tornare a casa, scommetto che più di una sarebbe disposta a perdere la propria verginità con uno di loro, sempre se non lo avevano già fatto.
Provo una sensazione strana… un turbinio allo…
Sono morta! M. O. R. T. A.! Non posso fare questi pensieri!
Eppure continua a tornarmi in mente il viso di quel ragazzo, l’azzurro dei suoi occhi e lui nel fiume; i suoi muscoli che promettono protezione, le sue labbra che mi chiamano sussurrandomi dolci parole provocatorie.
Nella mia mente si delinea una scena mentre nel mio stomaco sussulta una tempesta. Io sopra di lui e lui che mi stringe tra le sue braccia, mi tiene stretta al suo corpo mentre con la sua leggera peluria bionda mi solletica la cute dandomi delle scosse di sublime piacere che viene enfatizzato dalle sue mani che afferrano i miei seni e poi scivolano e trovano un varco che solo Esmeralda aveva visto e goduto. Mi sembra di sentire la sua forza, la sua passione farsi largo in me mentre io gli afferro i capelli e finalmente posso cibarmi delle sue labbra che mi fanno impazzire…
Smettila! Tu sei morta, lui vivo! È una cosa facile da capire. Mi picchietto due dita sulla fronte e penso a tutti i modi per scacciare quelle immagini e me ne viene solo uno.
Oggi ho già infranto una regola, tanto vale infrangerne un’altra. Devo vedere cosa nasconde la botola.
L’ho vista portare in quel buco nel pavimento libri che dice le servono per spezzare la mia maledizione e, sicuramente, ci sarà anche un tomo che parli di quello che accade a un fantasma, soprattutto delle capacità che può sviluppare.
Mentre cammino per le vie del paesino vedo tante coppiette che si tengono per mano e mi scopro essere gelosa di loro.
Avere l’Empatia è una maledizione in queste situazioni; ci sono troppi sentimenti e troppe emozioni in quei corpi, troppi desideri che si trovano nel loro cervello.
Su una staccionata è seduta una ragazza, sta baciando un ragazzino dai capelli neri e ricci. Sembrano volersi divorare a vicenda e il mio dono non fa altro che alimentare il carbone che ho dentro sperando possa accendere un fuoco, ma non potrà mai trarre nulla da un cadavere ambulante.
Tutti quei colori che non riesco a ignorare funzionano come una droga. Anche se voglio smettere di scrutare nei loro cuori non posso smettere di desiderarne altri.
Quando esco dal villaggio sono quasi sollevata nel sapere che non li vedrò più per molte ore.
Seguo il sentiero che mi porta a casa e quando entro nella mia dimora lascio cadere il mantello a terra.
Mi avvicino alla botola a passo veloce ma appena mi chino per afferrare la maniglia in metallo mi fermo. La stanza inizia a ruotare e dei pizzicori lungo la schiena mi avvertono che sto per avere una premonizione.
Tento di soffocarla, ma non ci riesco e il solo tentare mi fa star male.
 
‘Sono circondata dalle fiamme. Cerco di usare il mio potere per spegnerle ma in lontananza sento delle voci, non posso usarlo senza rischiare di essere scoperta. Al mio fianco sento qualcuno tossire. Un uomo di fumo nero si muove nel fuoco e mi attacca. Cerco di agire, per difendere la persona alle mie spalle.’
 
Questa volta non sento nessun dolore e anche quando è arrivata, se non l’avessi ostacolata, avrei sentito poco o nulla. È come ha detto Esmeralda. All’inizio fanno male, dopo no.
La botola non può proprio più aspettare. Devo capire cosa sto diventando e a cosa sono dovute le mie visioni.
Con un gesto della mano apro la botola e osservo la sua gola oscura.
Sono pronta.

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Capitolo 6
*** VI ***


Non ero pronta. È la scusa che mi ripeto per non essere scesa nella botola.
Mi è mancato il coraggio e la cosa più triste è che non so il perché mi sia bloccata.
Ho fatto di tutto e di più per perdere tempo: ho lavato abiti sporchi e se non lo erano non me ne è importato nulla, ho rassettato la casa ed ho ordinato i libri in ordine alfabetico prima per titolo e poi per autore. Mi sono persino distesa sul letto di Esmeralda per cercare di pensare a cosa mi stava frenando, ma ho fatto male.
Ho ripercorso la vita di Lovro attraverso gli occhi di Elebene e, anche se provo a pensare ad altro non ci riesco, finisco nella stessa trappola ed ho le farfalle nello stomaco quando lo immagino davanti a me, a fissarmi con i suoi occhi di cristallo.
È una sensazione che conosco molto bene e che ho imparato a temere.
Adesso sto girando intorno alla botola ponderando su cosa fare.
Se non entri adesso scordati di farlo in seguito e poi datti una mossa a decidere se vuoi andare da Elebene!
Ma è quello che veramente voglio?
Osservo la botola.
E che diamine, facciamolo!
Ci sono delle scale e le scendo facendo attenzione a dove metto i piedi perché non si vede niente, alla fine mi stanco di andare a tentoni ed accendo una fiammella azzurra che rischiara il tunnel col suo bagliore.
Dalla scala si accede a un’enorme stanza sotterranea.
Tutte e quattro le pareti sono adorne di librerie traboccanti di libri e pergamene, la scala di legno si ferma in mezzo alla stanza vicino a un tavolo che mi sembra di marmo su quale sono posate varie fialette e contenitori e su un leggio c’è un libro chiuso.
Decido di iniziare la mia ricerca da quello.
È il libro degli incantesimi di Esmeralda; mi sorprende che lo abbia lasciato a casa, di solito non se ne separa mai.
La maggior parte dei suoi incantesimi, quelli più potenti sono racchiusi in quel libro dalle pagine ingiallite e pesanti che odorano di muffa.
L’ho sempre guardato con aria timorosa e ora non so cosa aspettarmi. Solo la padrona di quel libro ha il diritto di sfogliarlo.
Slaccio le fibbie che lo tengono chiuso e lo apro.
D’istinto chiudo gli occhi immaginandomi di essere colpita da un incantesimo, ma non accade nulla.
Apro prima un occhio, poi un altro e fisso le sue pagine bianche. Meglio gialle. Non c’è nessuna scritta, nessun segno.
Ma cosa?
Le pagine hanno una trama spessa e ruvida; richiudo il libro e ammiro e ammiro la copertina bianca e rigida solcata da decorazioni astratte nere.
Lo prendo in mano, non si direbbe dal suo volume ma è molto leggero.
Lo riapro sperando sia cambiato qualcosa, ma non è comparso nulla di nuovo.
Sbuffo maledicendo la mia sfortuna e lancio il tomo sul tavolo.
Il libro scivola sulla superficie liscia del marmo e cade a terra aprendosi verso le ultime pagine.
Sono segnate da una grafia chiara e sottile, molto minuta ed elegante. Lo raccolgo e comincio a leggerlo.
Ovviamente ci capisco poco.
È una favola che narra di un Custode, un essere che vive nel confine tra la vita e la morte e solo accettando chi è potrà ricevere il pieno dominio sui propri poteri. Ma l’accettazione di se stesso non sarà semplice; il custode dovrà perdersi prima di potersi ritrovare e dubiterà della sua natura. Ma alla fine capirà che il male e il bene sono molto più di due facce della stessa medaglia. Sono come l’acqua e il vino mischiati assieme, inseparabili e che condividono lo stesso corpo.
Un mare di stupidaggini penso e chiudo il libro mettendolo al suo posto.
A terra, dove il libro era caduto, c’è un foglio ripiegato. Lo apro e con la stessa scrittura contenuta nel libro è scritto un elenco sul quale trionfa a chiare lettere un titolo:
 
I Lasciti
 
Sono tutti i poteri che un fantasma può sviluppare, lo scorro velocemente con lo sguardo. Di alcuni sono già padrona, altri ho appena iniziato a conoscerli e altri ancora mi sono completamente sconosciuti. Capisco che il mio cammino è solo all’inizio e spero vivamente che non tutti si presentino dolorosamente.
Ripiego il foglio e lo metto nel libro.
Passo alle librerie. Volumi di ogni colore e spessore sfilano davanti ai miei occhi mostrando i loro titoli sul dorso. Non riesco a leggerne neanche uno, sono tutti scritti in strane lingue e anche quando ne apro qualcuno vengo sopraffatta da lettere strane che si susseguono creando frasi incomprensibili.
Che strazio!
Salgo al piano di sopra un po’ abbattuta, l’unica cosa positiva è che ho scoperto cosa aspettarmi dai giorni che ho davanti. Nuovi poteri che dovrò imparare a usare e che mi renderanno la vita un inferno.
Apro il mio baule per prendere dei vestiti e sul fondo noto un abito celeste chiaro, lo prendo e lo dispiego: è un mantello. Questo mi piace di più, è meno vistoso di quello di Esmeralda. La cosa che mi dà noia è che mi ricorda gli occhi di Lovro.
Però, più penso a lui e più sono curiosa di conoscerlo per capire il perché mi sia rimasto così impresso.
Il cervello mi dice che non è una buona idea e il cuore mi sussurra il contrario, entrambi pretendono la vittoria e lo scontro si preannuncia terribile. Sorrido alla mia teatralità e alla vittoria del cuore aiutato dei desideri del corpo, per il momento.
Qualcuno bussa alla porta.
È una cosa mai capitata prima e non so come comportarmi.
Inizialmente penso possa essere un gruppo di ragazzi che devono affrontare una prova di coraggio, ma è un pensiero sciocco che scaccio via repentinamente quando rammento che è giorno. Niente fa paura alla luce del sole.
Le pareti della casa vengono scosse da un forte tremore e la porta si spalanca con un botto.
Sono spaventata. Lascio che i vestiti ardano mentre torno a essere puro spirito e mi rendo invisibile.
La luce del giorno penetra nella casa con tutta la sua violenza mostrando l’ombra nera di una persona.
Levito in alto, quasi fino al soffitto, e lì rimango in attesa di quello che accadrà.
L’ombra scura entra dentro la stanza e ai miei occhi si schiarisce.
È una donna normale, anziana e dai capelli bianchi e ricci, intrecciati con qualche ciocca castana. Ha gli occhi celesti chiari, come il ghiaccio, e scrutano l’area che la circonda.
Ha addosso un abito rosso acceso che si stringe in vita e intorno alle cosce facendola sembrare molto più alta.
Il suo sguardo vaga ancora per la casa studiandola prima di fermare lo sguaro su di me. Sorride.
Non può essere, mi dico, non può vedermi.
-Sono un’amica di Esmeralda, mi ha detto che avrei dovuto prenderti per portarti in un luogo più sicuro.-
Non smette di guardare nella mia direzione, sembra proprio potermi vedere. Decido di credere che sia lei la strega di cui mi aveva parlato.
Mi rendo visibile.
-Finalmente! Credevo che nessuno sarebbe mai riuscito a rompere la mia gabbia d’energia.- mento.
Lei non fa una piega.
-Ho portato degli abiti per te.- e caccia da dentro una minuscola borsa (lo stesso trucco di Esmeralda) un vestito arancione. –Però faresti meglio a tornare corporea.-
Non mi fido di lei, ma non posso fare altrimenti.
Immagino una prigione aderente al mio spirito con gambe, braccia, testa, tronco, organi, muscoli, ossa, tendini e tessuti di vario genere. La mia maschera prende forma facendomi acquistare peso e lentamente scendo a toccare con i piedi il pavimento.
Sono umana, nuda, davanti a lei.
Mi mangia con gli occhi, avida.
-Esmeralda ha proprio ragione, sei proprio una bella ragazza. Spero per te che riesca a trovare l’incantesimo necessario a restituirti la vita e la mortalità. Sarebbe uno spreco lasciarti uno spettro.-
La guardai accigliata. –Non sono uno spettro.-
-Vero. Fantasma.-
È un errore nel quale molti incorrono. C’è una differenza sostanziale tra me e uno spettro.
Io, un fantasma, sono la manifestazione di una persona che non è riuscita ad andare oltre per due motivi. O perché vuole proteggere una persona, o perché, come nel mio caso, è stata evocata.
Gli spettri sono fantasmi che perdono il controllo della propria anima mentre stanno per andare al di là della vita terrena rimanendo intrappolati sulla terra. Sono spinti dalla rabbia e, a differenza dei fantasmi, possono nuocere ai Viventi. Pure gli spettri possono essere evocati dalla magia ed è più facile controllarli in quanto la loro anima è corrotta.
-Comunque non voglio tornare viva, è una cosa, la vita, che non mi appartiene più.-
-La vita ai vivi, la libertà ai morti. Immagino sia giusto così.- dice sorridendo la strega.
-Esatto. Mi accontento si ritrovare la memoria.-
Finisco di vestirmi e la seguo fuori di casa.
-Non mi hai detto come ti chiami.- le dico.
-Non serve che tu lo sappia, devo solo portarti in un posto sicuro.-
-Come mai?-
-Già troppi umani ti hanno vista. Tu ed Esmeralda potreste essere in pericolo.-
-Sono d’accordo con te, meglio non correre inutili rischi.-
Camminiamo in silenzio. Spero vivamente che non resti per tutto il tempo attaccata a me, mi piacerebbe incontrare nuovamente Elebene… e suo fratello.
L’intero tragitto viene occupato da un pensiero che mi mangia viva. All’inizio pensavo solo a Lovro e cosa avrei detto, ma è stato sostituito dal non aver scoperto come mai in ogni visione lo Spettro Oscuro mi attacca.
La mia fantasia cavalca liberamente e spesso mi disarciona facendomi urtare contro la realtà. Posso pensare qualsiasi cosa, ma non ho nulla di concreto fra le mani.
Neanche mi accorgo di essere arrivata all’Accademia. Per fortuna i miei piedi hanno un ottimo senso d’orientamento, altrimenti mi sarei certamente persa.
Mi domando cosa ci faccio in questo luogo, non penso che andare in giro tra gli umani sia un buon modo per una strega di passare inosservata.
-Ho fatto in modo che a ospitarti sia una mortale.-
-Nascosta in bella vista. Più difficile da trovare.-
Ha senso.
-Ho incontrato una ragazza che ora crede di essere la tua migliore amica. Sarà lei a darti asilo fino a quando Esmeralda non farà ritorno. Poi sarai libera.-
-Tu rimarrai con noi?-
-No.-
-Perché?-
-Sarai al sicuro anche senza di me. Io devo andare, il mio compito è finito.-
Si sta già allontanando, nessun Vivente sembra vederla.
-Aspetta un attimo. Come farò a riconoscere la Vivente?- cerco di afferrarla ma in mano stringo solo inafferrabile fumo.
-Sarà la prima persona che ti parlerà oggi.- mormora in un filo di vento.
Mi sento stordita e, per la prima volta, fragile.
Osservo cosa accade oltre il recinto con la rete.
Gli allenatori stanno già torchiando le reclute disposte ordinatamente sul campo.
Anche se il sole è pallido, è comunque fastidioso quando entra negli occhi, e poi l’aria fredda deve star congelando i loro corpi in quegli abiti sottili.
I veterani urlano ordini di ogni genere, variando il ritmo della corsa e aggiungendo esercizi di piegamento sulle braccia e sulla gambe. Disumano.
Cerco con lo sguardo Zephyro e Lovro, ma non li trovo. Tutto quell’ordine mi dà la nausea.
Allora provo con l’Empatia, dovrei essere in grado di trovare Lovro dopo aver sentito le sue emozioni.
È come cercare un ago in un pagliaio, più o meno tutti provano le stesse cose, ma alla fine lo trovo grazie a una nota particolare.
È elettrizzato per un motivo a lui molto importante ed è contento di avere un amico con cui può parlare di tutto. Zephyro è al suo fianco e ora che li ho individuati posso vedere il sorriso stampato sui loro volti.
-Ciao.- dico.
L’ho percepita già da un po’. Mi mordo le labbra. Allora è lei che ha incantato.
Mi domando se la strega l’abbia scelta per puro caso e perché conosce il mio segreto. La fuga tanto desiderata che il giorno prima ha trovato la sua realizzazione.
Scusa, le dico mentalmente, ma so che ormai l’incantesimo non può essere spezzato tranne dalla persona che lo ha lanciato e non so dove sia in questo momento.
-Pensavo che non ti fossi accorta di me, sembravi così assorta.-
Faccio spallucce.
-Tentavo di allontanare il brusio delle altre.- indico con un gesto distratto della mano le strepitanti oche che ci circondano.
-A quello farai l’abitudine e poi aspetta di vederle stasera.-
-Stasera?-
-Sì. Ci sarà una grande festa.-
-Cosa si festeggia?-
-Sinceramente non l’ho mai capito. Si pensa che si possa allontanare la Strega Rossa e lo Spettro Oscuro dando loro da mangiare, invece che paura, felicità.-
Non penso che serva a molto, soprattutto a chi a visto la famiglia sfasciarsi sotto i propri occhi. Il mio pensiero corre subito alla donna incinta che ho visto ieri. A lei non servirà a nulla questa festa.
-Grazie per avermi invitata.- le dico.
-Non ti preoccupare… Mi dispiace, non mi ricordo come ti chiami.-
L’incanto non è perfetto.
Sempre un problema. Le posso dire il mio nome? Ovviamente no.
-Emma Hyde…-
-Hyde… che strano cognome.-
-Non sono del luogo. Pensavo te lo ricordassi.-
Il suo sguardo si illumina e mi indica il campo di allenamento, capisco che non mi ha dato retta.
-Ecco che iniziano.-
-Iniziano…?-
-Ogni anno la festa viene aperta da uno scontro amichevole tra i due allievi più bravi dell’Accademia. Quest’anno è il turno di mio fratello.- dice indicando i due ragazzi che si dispongono al centro del campo.
Ora non mi è difficile riconoscere Lovro e sfortunatamente mi accorgo di conoscere anche l’altro ragazzo. È quello che è scappato lasciando Zephyro e Lovro a fronteggiarmi quando ho cercato di spaventarli.
L’allenatore da via al combattimento.
Hanno lo stesso livello di abilità. Parano, affondano e schivano allo stesso modo; solo una volta Lovro è stato tanto così dal colpirlo, ma tutto ritorna a essere in una posizione di stallo.
Lovro è completamente diverso dal nostro primo incontro che l’ha visto come un ragazzo spaventato e tremante, adesso è forte e non sembra provare paura.
Un’onda negativa mi colpisce in pieno, proviene dal suo sfidante. So cosa sta per fare ancora prima che il suo pensiero prenda definitivamente forma e che i suoi muscoli si muovano.
-Ma cosa sta facendo Stefano?-
Adesso posso dare un nome al ragazzo che sta prendendo una manciata di ciottoli da terra e che getta in viso a Lovro.
Viene accecato, non riesce a tenere gli occhi aperti, Stefano lo spinge e lo fa cadere a terra.
Un movimento coinvolge gli altri allievi, è Zephyro che cerca di farsi strada per aiutare l’amico, ma viene bloccato da un insegnate che gli fa segno di rimanere fermo.
Lovro si alza e agita alla cieca la spada. Stefano sogghigna contento.
È una cosa che non riesco a sopportare. Non dovrei agire, ma sto iniziando a provare uno strano brivido di piacere nell’infrangere le regole e, invece di esserne spaventata, questo mio nuovo lato mi eccita particolarmente.
Mi guardo intorno per essere sicura che nessuno mi stia osservando, Elebene è troppo impegnata a urlare insulti per preoccuparsi di me, e con la Telecinesi spingo Stefano a terra e lo blocco.
Tutti ammutoliscono non capendo come il ragazzo abbia fatto a cadere e come mai non riesce a rialzarsi.
Torno a osservare Lovro. Si compre con una mano gli occhi e quando la leva vedo che sta piangendo sangue, si inginocchia a terra.
Si è avverata.
Con lo sguardo corro lungo la rete per vedere un’entrata, c’è un’apertura e mi ci reco, ma è chiusa con un lucchetto. Lo stringo nella mano e lo apro con i miei poteri senza dovermi concentrare molto.
Cammino a passo spedito verso Lovro mentre tutti mi osservano. Sono partita con la volontà di guarirlo, ma sono circondata da Viventi e mi rendo conto di non poter fare nulla solo quando gli sono vicino e gli tengo il volto.
-Stai tranquillo, ora si sistema tutto.-
-N-non riesco a vedere niente.-
Dagli occhi esce sangue e ci sono delle pietruzze che lo feriscono ogni volta che sbatte le palpebre per il fastidio.
Si avvicina l’istruttore e Zephyro, entrambi preoccupati per Lovro. L’insegnante prende in disparte Stefano e, a quanto posso capire dai gesti, suppongo che gli stia facendo una bella lavata di testa.
Ben gli sta, io gli farei anche di peggio.
Infatti, non contenta della semplice ramanzina, lo faccio inciampare di nuovo.
-Bisogna che qualcuno chiami un medico.-
-Vado io.-
A parlare è stato un ragazzo minuto e dagli occhi che mi rimangono impressi nella mente. Le iridi sono quasi bianche, sporche di una sfumatura rosa. Non ne avevo mai visti di simili.
Un’altra persona si accovaccia al mio fianco. È Elebene.
-Lovro… come stai?-
-Mi fanno male gli occhi.-
-E smettila di fare la vittima! Caccia le palle, non ti ho fatto mica male!-
-Tu, stupido babbuino!- Elebene si avventa su Stefano e lo afferra per l’uniforme strattonandolo. Non avrei mai detto che fosse più forte di lui. –Doveva essere uno scontro pulito e tu ti sei comportato come un vigliacco!-
-Lasciami, ragazzina!-
La spinge via e porta una mano all’elsa della spada.
Ho già deciso che questo tipo non mi piace.
Sento i palmi delle mani riscaldarsi e un odore di terra bruciata si alza da dove le mie dita toccano il terreno.
La fortuna è però dalla sua parte.
Quando sto per incenerirlo arriva il ragazzo dagli occhi strani seguito da quello che riconosco essere un medico. Il dottore è un omino anziano e curvo su se stesso con pochi capelli ricci bianchi.
Allarga le palpebre di Lovro per osservargli gli occhi per individuare eventuali lesioni, non si cura dei suoi lamenti. Mi sbalordisce che il dottore riesca a vedere dato che ha sul naso un paio di occhiali con delle lenti spesse quanto un dito.
-Bisogna portarlo in un sanatorio o a casa sua.-
-Lo possiamo portare nella sua camera nel dormitorio.- dice l’istruttore, ma il dottore scuote la testa contrariato.
-Gli serve un posto tranquillo per poter riposare.-
-Non abitiamo molto lontano, lo possiamo portare a casa.- dice Zephyro.
L’istruttore sbuffa –Va bene. Portatelo via.-
-Benissimo giovanotto, facci strada.- sputacchia il medico.
Seguo Elebene spaventata per il fratello fino a casa loro mentre Zephyro porta in braccio Lovro. Il medico cammina in disparte.
Appena entro nell’abitazione l’Empatia schizza alle stelle a causa dello spavento provato da Beatrice. La madre dei gemelli, nel vedere il figlio con gli occhi sporchi di sangue, fa domande a tutto spiano e continua a portarsi le mani alla bocca.
Lovro viene posato su un divano davanti a un camino e Beatrice prepara degli impacchi mentre il medico gli pulisce le ferite controllando che non ci siano gravi lesioni, poi se ne va dicendo che guarirà senza problemi. Ha solo delle ferite superficiali. Non rischierà di diventare cieco… necessita solo di un po’ di riposo per riprendersi dallo spavento.
Passo inosservata per quasi tutto il tempo, distrattamente mi vengono dati stoffa ed un pentolino pieno di un infuso profumato con cui faccio degli impacchi a Lovro. Ma la mia invisibilità dura poco. Beatrice, passata la tempesta, si accorge della presenza di una persona a lei sconosciuta.
È Elebene a spiegare chi sono, da dove provengo. Maledico affettuosamente la strega che è riuscita a creare una quasi solida copertura.
-Dove hai dormito in questi giorni?- mi chiede Beatrice.
-Da mia sorella, adesso lei non c’è perché in viaggio d’affari.-
-E vivi da sola adesso?-
-Sì…-
-Lo sai che non è sicuro per una fanciulla rimanere da sola in una casa senza protezione?-
-Si stupirebbe nel sapere cosa posso fare per difendermi.-
-Non ne dubito, ma non posso lasciare che un’amica di mia figlia corra inutili rischi. Fino a quando tua sorella non sarà tornata rimarrai da noi.-
Sono sconvolta. Mi ha offerto di restare a casa loro senza neanche conoscermi.
-Io e sua figlia non…-
-Non siamo semplici amiche. Siamo amiche del cuore!- esclama Elebene tutta contenta.
-E come mai non ce ne hai mai parlato prima?- chiede giustamente Zephyro.
Io mi sento in imbarazzo, si sta complicando tutto e non trovo una via d’uscita.
Quando becco quella vecchia…
-Se te ne avessi parlato prima di oggi sarei stata costretta a presentartela e, come puoi ben vedere, è molto più bella di me. Le saresti saltato al collo senza darle il tempo di dire ciao.-
-Stai esagerando.-
-Non sto esagerando. So cosa ti passa per la testa.-
Zephyro diventa rosso sempre più man mano che la discussione va avanti.
-Ele, smettila…-
-Ma ti avviso che non è per te.-
-Scusa?-
Gli dice una cosa all’orecchio che non riesco a sentire, ma so che riguarda Lovro dato che Zephyro lo guarda e ride.
-Sei terribile.-
-Per questo mi ami.-
Ridono e poi mi guardano.
-Ma io ti ho già vista!- dice Zephyro.
Un brivido freddo mi congela le meningi.
Veramente? E dove? A casa mia mentre ti stavo facendo orinare nei pantaloni?
-Sì, ci siamo visti di sfuggita ieri al mercato. Mi avete urtata per sbaglio.-
-Esatto.-
-Tua madre è molto gentile.- dico a Elebene.
-È fatta così.- dice Zephyro ridendo –Ma ha ragione, non è saggio che tu rimanga da sola.-
Dici così perché non sai chi sono. Chissà che faccia faresti se ti dicessi cosa posso fare e che sono stata io a bloccare Stefano. Se sapessi tutte queste cose non saresti così sicuro di quello che dici.
Gli sorrido ignorando il più possibile i miei pensieri.
-Comunque è un piacere conoscerti.-
Zephyro mi stringe la mano e avverto una scarica elettrica. Penso che odierò questi momenti.
 
‘Vedo la sua vita, il momento in cui ha dovuto dire addio ai suoi genitori. Aveva solo sei anni.
È stato adottato da Beatrice e Adolfo che lo hanno trattato come un figlio ed è diventato per Lovro ed Elebene più di un fratello.
Per Lovro è il migliore amico mentre per Elebene è l’amore della sua vita.
Ascolto tutto quello che si sono detti, gli abbracci, le lacrime e i litigi che li hanno uniti maggiormente.’
 
-Senti Emma, noi due dobbiamo andare a prendere gli abiti per questa sera, vorrei che venissi con noi.-
-Per me non c’è problema, ma Lovro…-
-Se non viene una volta… non penso morirà.-
Non dovresti scherzare su questo. Guarda me, ero giovane e sono morta.
Se ne vanno e dopo poco li segue Beatrice.
Rimango da sola, con Lovro che nel frattempo si è addormentato.
Lo guardo respirare placidamente, le goccioline di sudore migliorano il suo aspetto facendolo assomigliare molto di più al Lovro che è uscito dal fiume. La scena mi torna in mente violentemente.
Ma la vuoi smettere! Sei un caso patologico, non può nascere niente.
Il problema è che sto seriamente pensando che qualcosa potrebbe nascere.
Percorro ogni centimetro del suo viso con lo sguardo, mi soffermo sulle labbra sottili, sul disegno della barba, sul collo elegante e sulle spalle forti.
Spero che gli occhi abbiano smesso di sanguinare.
Torno a osservargli le labbra, sottili e morbide.
Ma sei impazzita o cosa?! È un Vivente!
Perché non riesco a dare retta ai miei pensieri. È tutta colpa della mia condizione. Ogni mio sentimento è amplificato all’inverosimile e questo mi conduce a fare pensieri che non ho mai formulato prima di oggi.
Forse se lo bacio posso guarirlo.
Sei forse diventata completamente matta? Non fare stupidaggini, non puoi innamorarti di un Vivente, è contro natura, il fantasma della leggenda è stato maledetto per aver fatto una cosa simile.
Io sono già maledetta. Quindi…
-Perdonami…- sussurro prima di posare le mie labbra sulle sue.
Mi sento avvampare e il calore pervade anche il suo corpo che sotto le mie dita diventa incandescente. Ogni millimetro della mia pelle viene solleticato da un brivido piacevole che mi fa desiderare di non staccarmi mai da lui.
Le sue labbra sono morbide ed hanno un buon sapore, poso una mano sul suo petto e sento il suo cuore accelerare.
Ma non mi basta.
Gli mordicchio il labbro superiore e poi torno a baciarlo con più passione.
Ora basta!
Il mio stesso pensiero mi colpisce come un’onda d’urto e mi allontano di scatto portando le mani alle labbra.
Ma cosa stavo facendo…
Mi sento colpevole, ma non più di tanto.
Sono delusa perché non si è svegliato, ma anche contenta perché almeno così non ricorderà niente.
Gli tolgo le bende dagli occhi, è guarito, almeno una cosa buona l’ho fatta.
Mi siedo a terra, nel camino scoppietta un fuoco azzurro.
Come diamine ho fatto?! Possibile che abbia perso il controllo?
I miei occhi vengono attratti dalla sua figura distesa.
Sembra essere tranquillo. È così bello…
Mi tiro uno schiaffo e mi viene un colpo quando noto due occhi azzurri che mi osservano curiosi.
-E tu chi sei?- ha la voce impastata dal sonno, ma mi piace tanto.
Allora ti sei fissata!
-Sono Emma. Sono un’amica di tua sorella, ci siamo già visti. Ieri mi hai investita mentre andavi all’Accademia.-
Inizialmente è confuso, ma dura poco perché i suoi occhi si illuminano e un sorriso imbarazzato si disegna sulle sue labbra.
-Ora mi ricordo! Ma Ele non ha mai parlato di te.-
-Dovresti chiedere a lei.-
-Che maleducato, io mi chiamo…-
-Lovro.-
-Sì.-
-Non facevano che chiamarti, penso che a tua madre non sia venuto un infarto per pura fortuna.-
-Si preoccupa molto a volte, ma è una donna forte.-
Si stiracchia tirando fuori completamente la camicia dai pantaloni somigliando più a un bambino troppo cresciuto che a un uomo e si stropiccia gli occhi. Si accorge che c’è qualcosa che non va.
-Ma… non mi fanno più male.-
-Se è per questo non sanguinano più.-
Mi fissa e involontariamente sussulto pensando che forse ricorda quello che gli ho fatto, forse non dormiva.
Ma brava!
-Grazie.- mi dice.
-I-io non ho fatto niente, dovresti ringraziare il medico e tua madre.-
Ci pensa un po’ su e poi mi dà ragione con un gesto del capo.
-A proposito di mia madre. Dove sono gli altri?-
-Giù al paese. Avevano delle compere da fare.-
Fa una faccia un po’ dispiaciuta e poi scuote le spalle.
-Vado a rinfrescarmi.- Mi sorprende come quello che gli è capitato non sembra importargli più di tanto ed io non faccio domande.
Si alza ed entra in una stanza. Dopo pochi minuti si presenta con in mano dei vestiti puliti ed esce di casa avvicinandosi al pozzo che è perfettamente visibile dalla finestra della cucina.
Con varie secchiate riempie un’enorme tinozza d’acqua e incomincia a spogliarsi.
Questa volta no. Hai avuto troppe emozioni per oggi mia cara.
Mi volto lasciandolo in compagnia della sua intimità e cado preda dei ricordi.
La sensazione che ho provato nel baciarlo, nel sentire il suo cuore pulsante di vita, non ha avuto niente a che vedere con quello che ho provato per tutti questi anni ringiovanendo Esmeralda o giacendo con lei. Lei non mi ha mai fatto sentire così… non riesco a trovare un termine adatto perché l’unico che ho sulla punta della lingua non fa per me… viva?
Posso risentire le labbra di Lovro sulle mie e subito un forte calore si irradia alla base dell’addome. Mai capitato prima in morte mia.
Faccio vari sospiri cercando di calmarmi.
Vago con lo sguardo per la casa. Non è molto grande.
Una cucina-salotto e due camere piccoline tanto che i letti quasi si toccano, mi basta aprire le porte per sapere di chi siano. Una è ordinata e ben areata, Elebene e Beatrice, l’altra è regnata dal disordine e mi piace.
Qui dorme Lovro con Zephyro. Quale sarà il suo letto?
Immagino me e lui avvinghiati su uno di quei letti. Sgrano gli occhi.
Ma cosa pensi?
Decido che per mantenere la mia sanità mentale devo uscire da quella camera.
Nella cucina-salotto ci sono poche cose. Un divano, due tavoli, tre sedie, una mensola e un esile tavolino sul quale è posato un libricino di pelle.
La curiosità è troppa. Lo prendo e comincio a sfogliarlo.
Sono pagine e pagine segnate da una calligrafia veloce e minuta, alcune volte illeggibile.
È interamente scritto.
Per la prima volta riesco a bloccare una visione sul nascere, non voglio spiare la vita di un’altra persona.
Arrivo fino all’ultima pagina e in basso a destra mi colpisce una frase scritta ordinatamente, ma la grafia e molto simile a quella che ha riempito l’intero libro: “Lovro, ti voglio bene. Non piangere perché sarò sempre al tuo fianco per proteggerti. Tuo padre.”
Tutto quello che ha scritto, per la maggior parte poesie, lo ha lasciato al figlio.
-È di mio padre.-
Lovro è sulla porta d’ingresso, i capelli bagnati e il suo corpo tremante lo fanno assomigliare a un cucciolo infreddolito.
-Scusa, non volevo.-
Si avvicina e lo afferra; per un attimo le nostre mani si incontrano e, prima di riuscire a soffocarla, la visione mi fa sentire un pianto lontano nel tempo.
Sono imbarazzata e vorrei scappare. Ci muoviamo nello stesso momento e ci scontriamo.
Lui mi sorregge per non farmi cadere e io mi aggrappo alla sua maglia per mantenere l’equilibrio.
Sento la forza dei suoi muscoli, del suo cuore; gli occhi azzurri sembrano una distesa d’acqua ed io ho tanta sete.
Le sue labbra sono lì, a portata di bacio, ma non mi muovo per paura di allarmarlo. La mia Empatia approfitta di questo momento per nutrirsi avidamente delle sue emozioni. Le mie labbra sono colte da un fremito quando percepisco la sua eccitazione, lui se ne accorge e la forza del suo sentimento aumenta eccitandomi ancora di più.
Staccati ora, prima che accada l’irreparabile.
-Ma bravo! Ti lasciamo per qualche minuto e tu già ci provi con la mia amica.-
Mi spingo via imbarazzatissima e mi renderei invisibile se non fosse che così facendo farei morire tutti per lo spavento.
Elebene mi osserva divertita, Zephyro ha il volto rosso con un leggero sorriso. Lovro li guarda accigliato e questo lo rende ai miei occhi irresistibile. Mi fa sentire la pelle percossa da fremiti, come se fosse ricoperta da brulicanti formiche che mi camminano dappertutto. Mi piace la sensazione.
Lovro guarda la sorella come se fosse stato beccato con le mani nel sacco.
-I tuoi occhi… sono guariti.- Zephyro è il primo ad accorgersi del cambiamento.
-È vero!- urla Elebene –Com’è possibile?-
-Non era nulla di serio.- commenta Lovro.
Anche a me sembra una scusa campata in aria. È impossibile che qualcuno possa credere a questa storia.
-Mmm… Non era niente di grave, eh?-
Una strana scintilla anima gli occhi di Elebene mentre fa finta di annusare il fratello, come solo un cane da caccia o un lupo farebbe.
-Lo sai che hai un odore diverso?- ride.
-Mi sono appena lavato.-
Gli dà un buffetto sulla guancia.
-Caro fratellino, io sto parlando di un altro odore che non centra nulla con la tua solita puzza.-
Lovro scoppia a ridere e le pareti sembrano tremare.
-Innanzi tutto… IO non puzzo mai e, seconda cosa, TU non stai affatto bene.-
-Io sto più che bene. Mio caro fratellino… evidentemente non sei ancora maturo per certe cose…-
Lovro fa un verso strano, un rumore simile a un ruggito che gli nasce dal petto, e va a chiudersi nella sua camera seguito da Zephyro.
Elebene mi prende sottobraccio e mi fa accomodare sul divano, il fuoco è ancora accesso, nessuno sembra essersi accorto delle sue innaturali sfumature azzurrognole. Ha un sorriso che mi piace poco, è come se stesse tramando qualcosa.
-Lasciamo che i maschietti si divertano un po’ fra loro.-
-Cosa vuoi dire?-
-Niente.- ma non mi convince, soprattutto con quell’indecifrabile sorriso stampato in faccia –Come hai fatto a farti guardare così da Lovro?-
-Così come?-
-Non hai notato nulla.-
Le sue labbra…Scuoto la testa.
-Ero troppo imbarazzata per pensare lucidamente.-
-Allora lascia che ti informi io. È terribile con le donne, non sa come comportarsi con loro. È impacciato in tutto ciò che prova a fare per farsi notare da noi. Non guarda nessuna come se la volesse spogliare da tanto tempo.-
-Non mi sembra il caso di scambiare lucciole per lanterne. Mi ha solo afferrata al volo per non farmi cadere.-
-Non fidarti. È più complicato di quanto possa sembrare.-
È una persona. È normale che sia complicato, altrimenti sarebbe un oggetto.
-Secondo me ti stai sbagliando.-
-Fidati, gli piaci.-
-Mi ha visto bene per la prima volta dieci minuti fa.-
-La mia famiglia è strana. Esistono poi i colpi di fulmine.-
Su questo non ci piove.
-Ne dubito.-
Restiamo in silenzio per molto tempo.
Ogni tanto mi guarda, ma io faccio finta di nulla e per dare l’impressione che non mi importi quello che ha detto; perdo tempo giocando con una ciocca di capelli anche se, in realtà, sto sondando le loro emozioni, poi mi spingo fuori da quelle quattro mura e arrivo alle prime case al limitare del paese. Più in là non riesco ad andare.
Lascio che quell’esperimento mi tenga impegnata per tutto il pomeriggio fino a quando, verso sera, non rincasa Beatrice.
-Oggi alla Locanda sono stati dei veri cani.-
Va in cucina e poi urla.
-Ma non avete mangiato!-
-Non avevamo fame.- dice Elebene.
-Come sta?-
-Gli occhi sono guariti, probabilmente non era niente di grave.-
-Sono contenta.-
-Gli sono guariti così bene che è rimasto folgorato dalla nostra ospite.-
Arrossisco.
-Andate a prepararvi.- dice Beatrice guardando male la figlia e la ringrazio per i minuti di pace che mi sta regalando.
Dopo quella che sembra un’eternità tutti e quattro sono ben vestiti e attendono solo me.
-Oggi ci divertiremo tantissimo.- mi sussurra Elebene dandomi una gomitata tra le costole.

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Capitolo 7
*** VII ***


Mentre camminiamo per le vie del paese, incrocio con lo sguardo le tante coppiette che, mano nella mano, passeggiano sotto il manto stellato della notte. I loro sorrisi, i loro sguardi complici. Quelle dolci risate mi mettono a disagio perché risvegliano i desideri che ho nascosto nel corpo rendendomi difficile controllare anche l’Empatia che si nutre delle loro sensazioni come se si trovasse a un florido banchetto nuziale.
Elebene e Zephyro non mi sono di grande aiuto visto che pigolano frasi dolci in continuazione. Si fa tutto più imbarazzante quando ci distanziano aumentando il passo lasciando me e Lovro in mezzo a tutti gli innamorati.
Fantastico. Non poteva andare peggio di così.
Ovviamente mi sbaglio. Raggiungendo il paese mi accorgo di quanto la situazione possa ancora peggiorare.
Tutti sono per le strade, alcuni gruppi sono fermi a parlare, altre persone si abbracciano salutandosi calorosamente e il numero delle coppie di giovani ragazzi aumentano vertiginosamente.
Per non perdermi tra la folla sono costretta a restare vicina a Lovro, appiccicata a lui. Le nostre mani si sfiorano in continuazione e i nostri corpi aderiscono per farci largo in quella massa di Viventi.
Passiamo davanti a una coppia che mi trapana la mente e il cuore. Sono due anziani che si tengono per mano e si guardano come se non fosse passato nemmeno un giorno dal loro innamoramento. Il mio cuore già secco si inaridisce ancora di più appena mi pongo l’insensata domanda se mai riuscirò ad avere il viso solcato da profonde rughe di saggezza e i capelli ingrigiti dalle esperienze, se mai qualcuno guarderà me come quella donna si vede osservata.
Un denso gelo si posa sulle mie spalle e si frappone tra me e tutti coloro che mi circondano ma non ha il tempo di condensarsi perché lui rompe il ghiaccio e gliene sono silenziosamente grata.
-Strana mia sorella vero?-
-Ti potresti rendere conto che esistono persone ancora più strane.-
-Sono quelle più interessanti a mio avviso.-
Gli sorrido –Come ti senti?-
-Bene…-
Non mi sembra convinto –Non saresti dovuto venire. Il medico ha detto che hai bisogno di riposo.- dico in un sussurro.
-Sto bene, veramente. Se fossi stato male non sarei venuto.-
Il suo tono si irrigidisce. Ha ragione, leggo i suoi pensieri attraverso i suoi sentimenti. È vagamente irritato. Non lo conosco, eppure mi permetto di fargli la paternale dicendogli quello che avrebbe dovuto fare.
Quando arriviamo in piazza rimango stupita per ciò che vedo.
È magico…
Ci sono musicisti che tengono alto il livello emotivo della gente e tutti i mercanti sono pronti a vendere; c’è il fornaio con dei dolci fantastici e variopinti, la sarta che mette in mostra le sue creazioni, il calzolaio che ripara e vende scarpe. Ci sono proprio tutti, pure il pescivendolo che vende alici marinate miste a molliche di pane, aceto e zafferano.
Cerco con lo sguardo Elebene e Zefiro e non vedendoli comincio a preoccuparmi.
-Dove sono andati secondo te?-
-Se conosco bene mia sorella…-
Mi conduce dal tendone della sarta e lì c’è Zephyro con Elebene che sta mirando gli abiti.
-Ciao! Guardate che bello questo!- e ci indica un abito rosso decorato con pailette che lo fanno brillare come se fosse circondato da fiamme danzanti. Abbastanza, appariscente per i miei gusti. No, decisamente troppo.
-Costa trenta piume di bronzo.- esordisce la sarta tutta sorridente.
-Così poco?-
-Oggi è festa. Tutte hanno il diritto di vestirsi come principesse.-
-Allora lo prendo.-
A me non la dà a bere. Sono sicuramente gli abiti che le sono rimasti invenduti e che adesso quasi regala.
-Se lo vuoi indossare puoi andare al capannone.-
Ad Elebene si illuminano gli occhi, si volta verso di me.
-Lovro, le devi comprare un abito.-
Per poco non gli và la saliva di traverso e io cerco subito di tamponare la situazione.
-Non c’è bisogno.-
Ma lei mi ignora e si volta verso la sarta.
-Irma, le potresti trovare qualcosa di bello? Mi affido a te.-
La sarta mi squadra con sguardo indagatore. –Penso di avere qualcosa di adatto a te.-
Prende un abito e me lo mostra. -È semplice ma non è scontato.-
È un abito bianco senza spalline, il tessuto è liscio e brillante. L’unica decorazione è un fiocco nero cucito al livello del cuore.
-Quanto costa?-
Lovro mi guarda tutto sorridente.
Aspetta di sapere cosa sono…
Irma ci guarda e ride contenta, mi porge l’abito.
-È un regalo, ma non dite in giro che ve l’ho dato io.-
Rimango senza parole.
-L’accompagno al capannone così lo può indossare.-
Lovro mi aspetta fuori mentre mi cambio.
-Lovro!-
-Dimmi.- entra senza curarsi se sono vestita o meno.
Faccio finta di nulla.
-Potresti aiutarmi a chiuderlo? Da sola non ci riesco.-
Sento le sue mani armeggiare sul retro dell’abito e, quando ha finito, mi volto verso di lui.
-Che ne pensi?-
-Sei bellissima.-
Lo dice in un modo che non mi aspetto, ha dato voce ai pensieri che lo hanno tormentato per la maggior parte della serata, gli occhi gli brillano e le mie mani sudano.
-Il mio abito dove lo metto?-
-Qua dentro.-
Prende una borsa viola. È di Elebene, non capisco come faccio a non averla notata.
Prende l’abito che indossavo e lo piega con cura prima di metterlo nella sacca.
-La prendo io, così non ce la dimentichiamo.
Quando torniamo dagli altri vedo solo un turbinio di mani e Lovro sparisce.
Stanno ballando tutti e tre tenendosi per mano, rimango a osservarli incerta su cosa fare. Emanano talmente tanta felicità da poter illuminare una città intera con la luce di un nuovo sole. Mi regalano una sensazione fantastica dalla quale però vengo distratta da qualcuno che mi posa una mano sulla spalla.
-Sei venuta con i Tazotzbo?-
Mi volto e mi trovo davanti Stefano con il suo nasone e i capelli e gli occhi neri che contrastano con il pallore della sua pelle. Al suo fianco c’è una ragazza fasciata in un abito color pesca.
-Io sono…-
-Stefano, lo so.-
-Che bello! Una mia ammiratrice.-
-No, solo una che ha visto quale codardo tu sia in realtà.-
-Se ti riferisci a quello che ho fatto al tuo amico è stato solo per scherzo.-
Anche per scherzo sei corso via a gambe levate quando vi ho spaventati. Loro sono rimasti, tu no.
Vorrei dirglielo, ma mi trattengo.
-Lei è Virginne, la mia fidanzata.-
Le stringo la mano con un falso sorriso sulle labbra per nascondere lo schifo che provo per il suo comportamento e per non dare l’impressione di avere una visione.
 
‘Lei e Lovro sono i primi a comparire, poi il bosco. Immerso in un mare di luce.
È estate, gli alberi sono coperti da foglie verdi che brillano ricoperte da perle finissime d’acqua. Anche se ha appena smesso di piovere l’aria è piacevolmente tiepida.
Non c’è un filo di vento. Odo il canto degli uccelli e il frinire delle cicale.
Lovro e Virginne sono stretti in un abbraccio al sicuro sotto le fronde di alberi enormi. Una tovaglia li divideva dall’erba che, schiacciata dai loro corpi, emanava un dolce profumo.
Si baciano, lei si avvinghia al suo collo e cerca di spogliarlo, ma lui la blocca. Non si sente ancora pronto, tenta di spiegare quello che prova ma Virginne non vuole sentire spiegazioni.
Lei lo abbandona tra gli alberi, le imprecazioni si perdono per quanto veleno le esce dalla bocca.’
 
-Stefano, perché non te ne vai?-
Alle mie spalle c’è Lovro che posa una mano sulla mia spalla.
Ho un’altra visione.
 
‘Lui osserva Virginne andarsene, rimane da solo e comincia a piangere. Si chiama codardo e si colpisce le gambe con furiosi pugni, si tira i capelli ed alla fine rimane immobile sulla sua tovaglia. Mi muovo senza toccare il suolo; vorrei poterlo consolare ma sarebbe tutto inutile com’è il gesto spontaneo che i miei falsi muscoli compiono. Gli poso le mani sulle spalle, ma non tocco nulla. Lo attraverso.
Un vento silenzioso accarezza l’erba e piega le corolle dei fiori mentre fa ondeggiare i rami degli alberi.
Da lontano, non si capisce da dove, giunge una leggera melodia, un canto.
Lovro si calma e il respiro torna alla sua normale ritmicità. Il sonno lo abbraccia e lo consola.
Anche se la voce sembra arrivare da tutte e da nessuna direzione in particolare io so dove si nasconde la fonte.
Il mondo corre velocemente intorno a me e si ferma nella radura dove si trova la casa di Esmeralda.
Con la testa appoggiata all’unica finestra che possiede la struttura ci sono io che canto la melodia che solo io riesco a sentire.
Il destino non esiste. E mi ritraggo dalla mia visione.’
 
-Lovro, che sgradevole vista. Non sai quanto mi faccia piacere vedere che i tuoi occhi stanno meglio. Ero sicuro che non ti avevo fatto male.- fa un sospiro teatrale -Ci stavamo presentando alla tua nuova amica e devo dire che le scegli sempre meno belle. Ti sei fatto scappare una regina al confronto, eppure sarebbe bastato solo accontentarla.-
Con il suo bastone da passeggio sfiora l’inguine a Lovro e mi assale un’onda di rabbia.
Con una smorfia di disgusto Stefano ci sorpassa, ma Lovro non si calma ed ho paura che possa fare qualcosa di avventato.
Lo blocco afferrandolo con un braccio e lo costringo a guardarmi negli occhi. È furibondo.
-Non devi dare retta a quello che dicono.-
Fa per allontanarsi, non per la rabbia, ma per la vergogna.
Lo prendo per una mano lasciando che le nostre dita si intreccino.
-Lei voleva solo un pezzo di carne con cui divertirsi. Non desiderava conoscerti, sentirsi protetta da te, essere tua amica e complice. Voleva solo giocare.-
Spero che mi abbia capito. Non posso dirgli che ho avuto una visione e che ho percepito che Virginne non lo amava veramente e penso di sì quando sulle sue labbra compare l’abbozzo di un sorriso.
I musicisti hanno cambiato sinfonia. È un lento.
Improvviso un inchino e gli porgo una mano.
Dalla luce che ha negli occhi capisco che la cosa lo intriga.
-Come faccio a capire cosa vuole la dama se non porge nessuna domanda?-
Sbuffo teatralmente e lui ride.
-Il garzone può concedermi un ballo?-
Fa finta di pensarci su e poi acconsente.
-A patto che non si faccia tardi. A mezzanotte devo tornare a casa.-
Mi prende la mano e mi trascina nel gruppo di persone che ballano.
Lasciamo che sia la musica a guidarci. Da parte mia cerco di cancellare dalla mente tutte le persone che non conosco e di immaginarmi sola con lui. Prima di isolarmi completamente vedo con la coda dell’occhio Elebene che mi guarda.
Lovro mi stringe contro il suo corpo e sento la sua forza, mi chiedo cosa avrebbe fatto a Stefano se non lo avessi fermato.
Appoggio la testa sulla sua spalla e mi lascio cullare da questo momento.
Ha un buon odore e sento il battito del suo cuore, una melodia incantevole.
Vorrei che questi attimi di pura felicità non finissero mai perché non mi sembra di essere morta. Potrei levitare senza usare i miei poteri per quanto mi sento bene.
Percepisco una porticina che si apre e riesco a sentire i sentimenti che lui sta provando in questo momento.
Ha la pelle d’oca e un frullio continuo nello stomaco.
Quindi anche lui prova quello che provo io. Ma non è possibile, cosa ci trova in me?
Ancora non sono disposta a rovinarmi la serata e inspiro la melodia che serpeggia intorno a noi come se fosse un profumo, e quando finisce e ci sciogliamo dall’abbraccio mi sento scoperta, con un vuoto nel petto.
Sono felice, mi sento anche un po’ in colpa per quello che sta accadendo, gli sto mentendo su tutto ciò che mi riguarda e lui prova qualcosa per me.
Elebene e Zephyro ci aspettano vicino al sentiero che ci riporta a casa.
-Com’eravate teneri! Dobbiamo farvelo fare più spesso.- dice Elebene sprizzante d’energia e Zephyro è d’accordo con lei.
Ritornati a casa Elebene mi restituisce il vestito che Lovro aveva messo nella sua borsa e ognuno di loro entra nella propria camera.
Loro tre hanno cenato mentre tornavamo, una pagnotta ciascuno, io non ho voluto niente, anche perché mi risulterebbe impossibile mangiare, rimarrebbe tutto all’interno del mio corpo.
Beatrice mi presta un abito per la notte, è leggero e lo indosso; è semitrasparente, se non lo è proprio e non mi sento a mio agio nell’indossarlo. È come se fossi nuda.
Mi chiedo come mai mi preoccupo così tanto, del resto io sono morta, non mi dovrebbe interessare se qualcuno mi vede senza vestiti. Con Esmeralda è così.
-Emma…-
Lovro entra nel mio campo visivo e istintivamente mi siedo sul divano coprendomi con la coperta.
-Dimmi.-
-Non è niente di importante.-
Si siede al mio fianco. È visibilmente imbarazzato e non posso fare a meno che sorridere .
-Ti volevo solo dire che mi sono trovato bene con te.-
-Anche io.- dico con un filo di voce.
Non fare così.
-Puoi restare con noi fino a quanto vorrai. Ne abbiamo parlato. M-Ci farebbe piacere.-
-Anche a me.-
Ma non è possibile.
Si avvicina ancora di più, le nostre braccia si incontrano e posso sentire il suo calore arrivare al mio corpo. Mi prende le mani.
Cos’hai intenzione di fare? Per favore non torturarmi ancora…
-Sei fredda.-
Sono morta.
-È perché siamo stati fuori tutta la notte.-
Le stringe tra le sue mani per riscaldarle, ma qualsiasi cosa faccia non può riscaldare il mio corpo talmente tanto da riportarlo in vita.
Mi mordo le labbra quando osservo le sue, sono vicine e la voglia è tanta.Ricordo il bacio che gli ho dato mentre lui dormiva sul divano. Il suo sapore mi torna sulla lingua e provo il fremente desiderio si riassaporarlo di nuovo. Sono così perfette… le nostre labbra si sfiorano.
Basterebbe poco per averle per me. Per averlo per me.
Sono passati cento anni dall’ultima volta che ho fatto la pazzia che il cuore mi consiglia di compiere.
Le nostra labbra si sfiorano.
-Buonanotte.- mi basta pronunciare quest’augurio per rovinare tutto.
Lui sorride amaramente e ricambia prima di tornare in camera sua.
Prima di conoscermi ha sofferto per amore e non sarò io a riaprire la ferita. Purtroppo è vero che basta un giorno per innamorarsi, basta un secondo. Su di me pendono due maledizioni, e anche la terza se la cosa continua.

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Capitolo 8
*** VIII ***


Faccio finta di dormire quando sento una porta venire aperta.
È Lovro. Passa accanto al divano dove sono distesa.
Lo osservo togliersi la maglietta, socchiudendo gli occhi, e posarla sullo schienale del divano e mi osserva a lungo prima di andarsene.
La porta d’ingresso si chiude silenziosamente.
Un po’ alla volta sento che anche gli altri si stanno svegliando e prima che Beatrice esca dalla sua camera sono già in piedi ed ho riscaldato anche il latte.
-Mattiniera?-
-Non mi piace stare per tanto tempo distesa a oziare.-
-Non dovevi disturbarti per il latte.-
-A me non piace essere in debito con le persone, e poi io ho già fatto colazione, mi è sembrato giusto prepararla anche per voi.-
-Sei molto gentile.-
-Non l’ho fatto per essere gentile.-
-Lo so, ma lo sei lo stesso.-
Un brivido freddo mi corre lungo la schiena e sento provenire dall’esterno della casa il rumore di vari colpi, tra cui quello che fa la porta di Beatrice quando rientra nella sua camera.
È una sensazione bruttissima e non so come decifrarla. Sono molte le nuove emozioni che sto sperimentando. Quando passa mi accorgo di non aver respirato e mi sento pronta a scattare per qualsiasi cosa.
Ti stai facendo prendere dal panico. Anche se lo vedi in ogni visione, non è detto che ti attaccherà anche nella vita reale.
Mi avvicino al divano e piego la coperta posandola sul bracciolo, piego anche la maglia di Lovro, ma quando la sollevo da questa cade un foglio di carta piegato. Lo prendo pensando si tratti di una sciocchezza, forse persino un foglio di carta bianco, ma quando lo apro vedo che è scritto.
È una calligrafia chiara e ordinata quella che sto osservando. Un messaggio: “Illuminami col tuo sorriso perché la tua luce riscalda ma non brucia. Continua a guardarmi con i tuoi occhi neri, così da permettermi di immergermi in quei due laghi limpidi e sicuri. Pronuncia il mio nome e sarò il tuo servo e il tuo cavaliere. Lovro.”
Immagino il mio cuore mettersi a palpitare e le guance diventare rosse. Ed è quello che accadrebbe se le cose fossero diverse. Ora come ora sono solo spaventata dalla strana piega che hanno preso gli eventi.
La porta dalla camera di Lovro si apre ed esce Zephyro.
Richiudo in fretta il foglio sperando che non l’abbia notato.
-Buongiorno.- mi dice.
-Bu-Buongiorno.- sento il foglio bruciarmi tra le mani.-
-Hai qualcosa che non va? Ti senti male?-
-No, perché?-
-Mi sembri solo un po’ pallida.-
Sono sempre pallida.
-Sarà solo una tua impressione.-
-Beatrice?-
-È in camera a vestirsi.-
-Dille che sono andato giù in paese per cercare il regalo per Elebene.-
Sarà il suo compleanno.
-Non fai colazione?-
-Non ne ho bisogno.-
-Sicuro?-
-Sì, sì…-
Il foglio non smette di bruciarmi il palmo della mano e sembra aver acquisito un considerevole peso. Quando finalmente Zephyro se ne va mi sento meglio.
Non è possibile che stia accadendo tutto questo a me.
Riapro il foglio e lo rileggo.
Non può essere per me. Sicuramente è per un’altra ragazza. Una che conosce da più tempo.
Quando Beatrice esce dalla sua camera ho come un’illuminazione. Devo controllare una cosa con urgenza.
-Sono stata bene con voi, ma è giunto il tempo che io tolga il disturbo.-
-Tua sorella è già arrivata.-
-No, ma sarà a casa tra poche ore e vorrei farle trovare un buon pasto caldo quando torna, sicuramente sarà stanca e affamata.-
-Vuoi che Lovro ti accompa…-
-NO!...Voglio dire… non si deve preoccupare…-
Mi guarda con sospetto.
-Sei sicura?-
-Sicurissima.-
Esco dalla casa prima che possa accadere qualcosa che non sia in grado di gestire.
Capisco cosa è che produce quei rumori secchi che sento.
L’aria è fredda e mi chiedo se così facendo non corra il rischio di prendere un brutto malanno.
La leggera peluria dorata che gli copre il petto e l’addome fa da specchio ai pigri raggi solari facendo brillare queste zone come se fossero ricoperte da schegge di vetro. Sono tentata di corrergli incontro solo per vederlo da vicino, ma le parole che ha scritto mi risuonano nella mente e non posso dargli l’impressione di tenere a lui in quel modo. Anche se è vero.
Io conosco tutto di te, ma tu non mi conosci, altrimenti non proveresti questo per me.
Sento i suoi occhi su di me, ma non posso voltarmi.
Mi incammino velocemente sul sentiero che porta al paese e poi devio entrando nel bosco e mi guardo intorno freneticamente in cerca di un posto in cui mettere al sicuro le mie cose.
Scorgo, tra i rami di un pino, quello che doveva essere stato il nido di un gufo o di uno scoiattolo. È un buco abbastanza largo da permettermi di verificarne l’abbandono e lo stato di pulizia. Mi spoglio pregando che nessuno mi veda e metto i miei abiti al suo interno, mi concentro e torno alla mia vera forma; fiamme blu coprono il mio corpo donandomi la mia naturale incorporeità e trasparenza.
Una manciata di minuti e sono dentro la mia casa.
Avendo indossato per tanto tempo i panni di una mortale mi ero quasi dimenticata quanto fossi veloce da fantasma.
La stanza è come l’ho lasciata, non c’è segno di altre visite oltre la mia.
I libri e gli oggetti che Esmeralda si è portata via ancora mancano, come lei. Faccio un sospiro di sollievo.
Mi serviva sapere se era nei paraggi per non rischiare di incontrarla per caso mentre ero al paese. Visto che, in teoria, una barriera avrebbe dovuto tenermi prigioniera.
Probabilmente tornerà questa notte.
Constatato che tutto è in ordine ritorno all’albero dove ho lasciato le mie cose.
Lentamente, non senza un po’ di difficoltà, ricreo il mio costume di carne.
Appena termino la trasformazione provo nuovamente un brivido freddo, questa volta doloroso, entrarmi nei tessuti della schiena. È immenso e mi piego in due. Provo una forte pressione al petto e sul cranio, penso che stia per arrivare una visione, ma lentamente tutto svanisce lasciandomi una brutta sensazione alla bocca dello stomaco.
I fantasmi sono molto più sensibili dei Viventi. So che sta per accadere qualcosa di orribile e ho paura che sia per colpa mia.
Ho un conato di vomito e mi appoggio al tronco dell’albero. Pensavo che tutto fosse passato e invece il dolore ritorna più insistente, poi passa com’è venuto. Aspetto un po’ per vedere se torna di nuovo, ma non sentendo niente prendo gli abiti dal buco nel tronco e mi rivesto.
Ho le mani che tremano, gli occhi che lacrimano e una sensazione orribile che sale verso la gola.
Quando sono pronta mi sento esausta.
Lentamente torno a casa di Lovro.
Lo trovo madido di sudore e seduto a terra, faccio un sospiro per cercare di alleggerire il peso che ho nel petto. Tutto inutile, è un macigno indistruttibile.
Sembra proprio stanco, ed è da solo.
Entro in casa e non vi trovo nessuno. Prendo un asciugamano e verso dell’acqua in un bicchiere e, attenta a non versarla per terra, gli porto tutto.
-Acqua?-
Mi sorride.
-Sì grazie.-
Gli porgo il bicchiere e lui trangugia il contenuto in un battibaleno.
Apro l’asciugamano e gli copro la schiena, ho preso il più grande che sono riuscita a trovare.
-Pima che ti ammali.- gli dico.
Mi siedo al suo fianco.
Ha un pezzetto di corteccia fra i capelli e gliela tolgo e non mi è difficile notare che è diventato rosso, gli sorrido e gli poso un mano sulla spalla mentre con l’altra gli chiudo l’asciugamano davanti al petto.
Fai anche la civettuola adesso?
Mi sta per dire qualcosa quando sua madre lo precede.
È davanti alla porta di casa.
-Tua sorella è tornata?-
-Ancora no.- le rispondo –Però penso che tornerà a momenti.-
E dovresti farti trovare a casa.
Ma guardo Lovro e non trovo il coraggio di lasciarlo.
Quale metodo migliore di sbatterle in faccia la verità se non farmi trovare fuori di casa con un Vivente?
Aiuto Lovro ad alzarsi e, ridendo, mi trovo stretta tra le sue braccia in un abbraccio molto stretto.
-Sei piccola.-
-Tu sei grande perché sei più muscoloso.-
-Ti potrei far del male facilmente.-
-Non penso. Finiresti a terra prima di poter alzare un dito su di me.-
-Ne dubito. Hai detto pure tu che sono più muscoloso di te.-
-Non sfidare mai una persona che non conosci veramente. Potrebbe sorprenderti.-
-E se la volessi conoscere?-
La domanda mi sorprende e mi abbraccia più forte affondando il viso nel mio collo.
Poi torna a fissarmi.
Un’ombra vola nei suoi occhi e non riesco a percepire più nessun suo sentimento. È come se la corda delle sue emozioni si fosse improvvisamente spezzata.
Mormora qualcosa a bassa voce e poi le sue gambe cedono. Lo afferro al volo e sono costretta a usare i miei poteri per non far cadere entrambi a terra.
Chiamo a squarciagola Beatrice che esce di casa con lo sguardo spaesato e quando vede suo figlio in queste condizioni si precipita ad aiutarmi seguita da Elebene.
Non mi sono accorta che anche lei fosse tornata. Fortuna vuole che mentre cerchiamo di portarlo in casa Zephyro sia a una ventina di metri dall’abitazione, abbastanza lontano per vedere cosa sta accadendo e per correre a darci una mano.
Dentro casa lasciamo che sia lui a cambiarlo dopo averlo portato in camera loro.
Elebene corre fuori di casa urlando che sarebbe andata a chiamare il medico.
Zephyro però non riesce a vestire un peso morto, così lo aiuto.
La pelle di Lovro scotta molto ed è appiccicosa.
Non capisco cosa gli è preso.
Lo prendo per una spalla e comincio a chiamarlo. Lo faccio per salvare le apparenze perché in realtà sto cercando di curarlo, ma non ci riesco. Il mio potere si ferma solo all’interno del mio corpo, non riesce a entrare nel suo.
Forse così non è sufficiente.
-Vai a vedere se Elebene è tornata con il medico.- dico secca a Zephyro.
-Non penso, altrimenti sarebbe già qua dentro.-
-Per favore, vai.-
Mi fissa pensieroso, poi se ne va senza dire una parola.
Lovro tossisce e un grumo di sangue gli sporca le labbra. Il suo colorito sta diventando violaceo.
Mi chino su di lui e lo bacio.
Le labbra sono calde e sento il sapore ferroso del sangue entrare nella mia bocca. Lo bacio tenendo gli occhi aperti. La mia pelle incomincia a emettere un flebile bagliore mentre la sua continua a essere viola.
Le vene si scuriscono mentre continuo a baciarlo.
Impossibile…
Smetto di baciarlo e le vene tornano al loro stato normale.
Lo stavo uccidendo.
Beatrice entra nella stanza e urla vedendo il colorito del figlio, ma forse si preoccupa più per l’espressione che ho io.
-Emma…-
La Guarigione non ha mai fallito, non ha mai ucciso nessuno.
Tutto il potere che sono riuscita a produrre nel mio corpo per tentare di salvarlo non è servito a nulla. Incomincio a piangere dalla rabbia.
Velocemente mi pulisco le labbra per non far notare che sono sporche di sangue.
Elebene posa una mano sulle mie spalle, ma io la allontano stizzita ed esco dalla stanza.
Zephyro prova a bloccarmi ma gli basta una mia occhiata per fermarsi.
Sento un sussurro. Un filo d’aria che porta tra le sue braccia il mio nome. Il mio vero nome.
Penso di essermi immaginata tutto, ma accade di nuovo.
Guardo fuori dalla finestra.
Dal suolo nudo esce un’erbetta sottile che forma un percorso che porta dritto nella foresta.
Delle foglie volteggiano e si posano sul vetro della finestra.
Forma il mio nome, c’è qualcuno che mi chiama…
Non andare, te ne pentirai.
Non riesco a darmi retta.
Lei saprà cosa fare.
Mi asciugo le lacrime con le maniche del vestito ed esco di casa incamminandomi sul sentiero d’erba. Questa, quando la calpesto, diventa gialla e secca per tramutarsi in cenere.
Gli alberi mi salutano piegandosi al mio passaggio. Vorrei sapere il perché di tutta questa messinscena.
Non mi è difficile trovarla.
Capelli rossi e ricci, occhi verdi e un abito nero.
-Pensavo saresti tornata verso sera.-
-Mi hai detto di tornare prima se mi era possibile. Bene, eccomi qui.-
-Trovato quello che cercavi?-
-E tu?-
-Non so di cosa parli.-
-Sei uscita dalla casa senza il mio permesso ignorando il pericolo da cui ti avevo messa in guardia. Sai almeno di stare rischiando molto? Cosa farebbero se scoprissero cosa sei? Te lo sei chiesto?-
Mi guarda in cagnesco.
-Mi hai tenuta prigioniera con una menzogna. Non mi sembri la più adatta per farmi una predica.-
-Ma io l’ho fatto per il tuo bene.-
-L’hai fatto solo per tenermi sotto controllo.-
-E mi vuoi rimproverare per questo? Sei una mina vagante. Puoi sviluppare poteri distruttivi da un momento all’altro e te la fai con loro? O con lui?-
Mi sento il viso incendiarsi.
-Io non me la faccio con nessuno.-
-Dici? Ho visto come lo guardi e come lui guarda te… Mi dispiace solo darti questa delusione: quello che prova non è reale.-
-Ti stai sbagliando. Sento quello che ha dentro e so che è genuino!-
-Ne sei certa? Non potrebbe essere il frutto di un tuo nuovo potere?-
-Ne ho sviluppato solo un altro.-
-Ma veramente?-
Adesso sembra divertita.
-Non sembri sorpresa.-
-Non lo sono infatti. So tutto quello che ti capita dentro e fuori, sono io che ti ho evocata, siamo legate. E ti sbagli se pensi che hai sviluppato solo un nuovo Lascito.-
-Cos…-
-Mai sentito parlare della Lingua di Sirena?-
La Lingua di Sirena, il potere della strega con cui controlla le persone.
-Ti stai sbagliando e te lo dimostrerò.-
-Non ne avrai l’occasione perché adesso verrai con me.-
-Non intendo andarmene.-
Sospira scocciata.
-Ti rendi conto di essere nel torto? Lo stai controllando tu, lo manovri come un burattino seguendo quello che tu provi per lui. Non ti sei chiesa come ha fatto a innamorarsi di te quando non gli hai mai confidato nulla? Semplicemente perché sei tu a volere che sia così.-
-Vuol dire che smetterò di usare i miei poteri.-
-Anche se lo facessi non cambierebbe nulla. Hai instillato nella sua testa ricordi che non esistono. Dovresti cancellare la sua memoria per vedere se ricambia effettivamente i tuoi sentimenti. Devi ritornare a casa perché sei troppo pericolosa per loro.-
-Non potrei mai…-
-Far loro del male? Mia cara… lo stai già facendo.-
-Non è vero! Io non verrò con te.-
-Non vorrai mica che al tuo ragazzo capiti qualcosa di brutto. Ho sentito che la morte più essere molto dolorosa a volte.-
Allora capisco.
-Cosa gli hai fatto?-
-Mi hai costretta tu. L’ho fatto per farti capire che questo non è il posto adatto a te. Vieni con me e guarirà, in caso contrario… dovrai vederlo morire.-
-Non lo faresti mai.-
-No? Sei sicura di voler scommettere contro di me?-
-Troverò un modo per guarirlo.-
-Dovresti aver notato che il tuo potere non ha più effetto su di lui.-
-Non sei giusta, mi stai ricattando.-
-La vita non è mai giusta tesoro. È giunto il momento che anche tu provi un po’ di sana sofferenza.-
-Io sono morta.-
-Pregherai di morire una seconda volta. Adesso non vuoi venire, ma alla fine tornerai da me strisciando con la coda fra le gambe chiedendo il mio perdono. Per ora rimani e guarda morire il tuo amato.-
Una folata di vento disgrega il suo corpo.
Corro più veloce che posso da Lovro.
Il medico se ne è già andato ma dai volti di Elebene, Zephyro e Beatrice so che non ha detto nulla di buono.
Elebene alza lo sguardo verso di me e scuote la testa.
Pregherai di morire una seconda volta.
-Posso vederlo?-
-Non è cosciente ed ha la febbre molto alta. Ma sentire qualcuno che gli sta vicino gli farà sicuramente bene.-
Entro nella sua camera; è disteso, sotto le coperte, mi sembra ancora più cianotico e magro.
Cosa gli hai fatto?
Gli scosto un ciuffo di capelli dal viso sudato.
Mi chino a baciarlo ma ancora una volta la Guarigione non funziona e rischio di ucciderlo.
Ma non mi arrendo, lo devo salvare, è il mio compito.
Qualcosa si schiude lentamente dentro di me. È come quando uso l’Empatia al suo massimo potenziale, ma ciò che percepisco è diverso.
L’aria si muove intorno a noi generando un caldo venticello. Mi sento andare a fuoco mentre il suo corpo diventa un po’ più fresco.
Quando controllo il mio operato vedo che ha un colorito decisamente migliore e la febbre è scesa, anche se di poco.
Non sono riuscita a curarlo completamente però. O trovo un altro metodo o le sue condizioni si aggraveranno nuovamente.
Mi alzo dal letto e mi rendo conto di essere molto debole, riesco a malapena a mantenere il mio corpo tangibile.
La testa mi gira e ho l’impressione che la terra scompaia alcune volte da sotto i miei piedi.
Faccio qualche passo ma cado sul letto di Zephyro.
Ogni singola fibra del mio corpo va a fuoco e la testa mi fa un male cane.
Tutto diventa nero.
 
‘Ho l’impressione di star scendendo verso il basso, priva di gravità, galleggiando, poi atterro su un suolo morbido.
Una sensazione fredda si irradia dal mio ventre e mi fa tanto male da costringermi ad aprire gli occhi.
Davanti a me vedo il cielo, di un grigio chiaro.
Sono scalza, le dita affondano in una sottile erbetta che si estende fino all’orizzonte in ogni direzione.
Sono nella mia forma corporea anche se mi sento diversa. E in un certo senso lo sono. Ho qualcosa che si muove nel torace, che si contrae e si espande mandando in circolo il sangue. Il mio corpo è caldo e di un rosa naturale. Inoltre indosso l’abito con cui sono morta.
Faccio un profondo respiro, i colori cominciano ad accendersi.
Cerco di tornare indietro, voglio scappare da questa visione perché so già dove mi condurrà e so che mi farà male.
Come se volessero prendermi in giro il cielo assume un bel color turchese e l’erba il suo rilassante color verde chiaro con qualche fiorellino bianco, giallo, arancione a renderlo ancora più bello.
L’aria è calda e tutto è calmo.
Alle mie spalle sento un rumore di zoccoli che si muovono rapidi.
Delle figure mi sorpassano. So dove mi trovo.
È il prato che circondava il paesino prima che Esmeralda facesse crescere una foresta con l’uso della magia.
Mi muovo a mio piacimento in questa scena, al contrario di quando ho visto l’omicidio dell’uomo nella sua casa.
Mi riconosco subito, d'altronde fisicamente non sono cambiata. Il mio cavallo, Shad, corre velocissimo. Una saetta nera.
Ognuno di noi corre per la propria salvezza.
Mio fratello vola al mio fianco, i nostri genitori ci fanno strada. Non so dove ci stanno portando, non ce l’hanno detto, ma so che dobbiamo scappare. Ci dobbiamo nascondere perché siamo seguiti da qualcosa di forte e pericoloso.
Mio padre è preoccupato per le parole di mia madre, non ho sentito tutto il discorso ma ricordo di essermi spaventata molto.
Continuano a correre ed io li seguo trovandomi sempre davanti a loro o perfino con loro prendendo di tanto in tanto il posto della mia me nel ricordo. Ogni volta che accade mi viene la pelle d’oca, l’aria mi entra nei polmoni stordendomi e quando torno a essere una semplice spettatrice continuo a portare con me queste spiacevoli sensazioni.
Improvvisamente i suoni si ovattano e le immagini iniziano a scorrere lentamente fino a diventare una macabra danza a scatti. Quando il tempo e lo spazio tornano alla normalità il cavallo di mia madre prende fuoco, delle lingue dorate la circondano e si aggrappano al suo corpo, le afferrano la gola impedendole di urlare. Il terrore si dipinge sul suo volto mentre un odore acre appesta l’aria entrando nelle nostre narici e risveglia orribili incubi. Senza un suono, un rumore, di lei rimane solo cenere nera e qualche osso carbonizzato.
Shad e il cavallo di mio fratello nitriscono terrorizzati e ci disarcionano.
Mi vedo rotolare a terra. Entrambi i miei corpi provano dolore.
Un sibilo. Una freccia si conficca nel terreno, a pochi centimetri dal mio polpaccio.
-Papà!- urlo.
Lui tira le redini e il cavallo si ferma. Il viso contrito in una maschera di terrore.
Ci chiama per nome, fa voltare il cavallo e galoppa verso di noi.
Mio fratello è già in piedi e mi aiuta a rialzarmi, cominciamo a correre verso nostro padre. Quando ci è vicino mi afferra e mio tira sul cavallo, mi stringo a lui.
Con un nitrito acuto sfrecciamo nella direzione contraria.
Gli urlo di fermarsi, mio fratello non può seguirci, deve tornare a prenderlo. Ma lui non lo fa e mi volto a guardare il figlio che sta lasciando indietro; non avrei dovuto farlo.
Una freccia colpisce mio fratello in mezzo alle scapole e si tramuta in una nebbia grigia.
-NO!- urlo sia io che la me del passato.
Vedo un’altra freccia volare verso di noi, colpisce una coscia del cavallo che si disintegra. Finiamo per terra, rotoliamo annaspando. Mio padre mi spinge, mi rimette in piedi. Non so cosa pensare e il mio corpo non reagisce, lui mi muove come se fossi una bambola senza coscienza e senza volontà.
Mia madre, mio fratello… non ci sono più.
Vengo trascinata da mio padre, poi odo un sussurro e lui si ferma lasciandomi cadere a terra.
Mi metto in piedi, non vedo perché ho gli occhi velati dalle lacrime, ma lo afferro per la giacca e cerco di spingerlo. Non si muove. Lo chiamo e lo tiro.
Vengo alzata da terra e scaraventata lontano. L’impatto con il terreno è doloroso, ma mai quanto quello che mi provoca la freccia che mi entra nel ventre.
Un bruciore atroce cresce e mi fa bollire il sangue nelle vene.
Ricordo di aver urlato il nome di mio fratello prima di morire.’
 
Mi sveglio all’improvviso cercando di inspirare quanta più aria possibile, non mi ricordo dove sono e impiego un po’ di tempo a riordinare le idee. Sdraiandomi di lato scorgo nell’oscurità il profilo del corpo di Lovro.
E Zephyro?
Mi basta aguzzare l’udito per capire che sta dormendo sul divano. Non ci conosciamo neanche da tre giorni e l’ho già scacciato dal suo letto.
E se Esmeralda avesse ragione? Se sono io a costringerli a fare quello che voglio con la Lingua di Sirena?
Usando l’Empatia non noto nessuna alterazione dei loro sentimenti…
Se l’ha detto solo per farmi male?
È la seconda volta che perdo i sensi dopo una visione. Ora però non mi importa se sia normale o no, penso solo alla salute di Lovro.
Cercando di non farlo cigolare troppo lascio il letto di Zephyro e mi avvicino al suo.
La fronte è ancora calda e respira a fatica.
Apro il palmo della mano davanti a me e accendo un fuoco fatuo.
Ha due profonde occhiaie sotto gli occhi e la pelle è cosparsa da goccioline di sudore.
Chiudo la mano e il fuoco si spegne.
Vado da Zephyro e lo scuoto dolcemente per la spalla. A differenza di Lovro, lui sembra un orso per quanto russa.
-Ele?- si sveglia.
-No, sono Emma.-
-È successo qualcosa a Lovro?- si mette seduto di scatto, ha gli occhi sgranati.
-No, sembra stabile. Volevo solo dirti che se vuoi puoi tornare al tuo letto.-
Si stiracchia rumorosamente.
-Non preoccuparti. Una nottata passata sul divano non mi farà male.-
Quella che dovrebbe essere un’amichevole pacca sulla spalla mi arriva sulla pancia.
-Beatrice ti ha cambiato i vestiti, non riuscivamo a svegliarti. Ha detto che eri gelata e che non sembrava respirassi, però poi hai mormorato nel sonno. Solo per questo non abbiamo chiamato il medico. E anche perché non eri pallida.-
Mi tocco la vestaglia che indosso.
Decido di chiudere il discorso per non avventurarmi in una via che potrebbe smascherarmi.
-Allora buonanotte.- dico e torno nella camera da letto.
Di tornare a letto non se ne parla.
È un po’ strano rimanere in questa stanza con lui perché, qualsiasi cosa tenti di fare, vengo distratta dal suono del suo respiro.
È ingiusto. Perché tutto sembra accanirsi su di me?
Decido di fare una camminata.
Esco di casa stando attenta a non fare rumore per non rischiare di svegliare il facocero in calore sul divano.
L’aria rinfrescante della notte invernale è un toccasana per i cuori afflitti da mille problemi.
Ma quanto ho dormito?
Era quasi ora di pranzo quando Lovro è svenuto, ho incontrato Esmeralda poco dopo e sono rientrata a casa poco prima dell’una.
Mi siedo sul suolo duro e mi cingo le ginocchia con le braccia.
Ci sono tante cose che vorrei sapere ma non saprei da dove cominciare. Tornare da Esmeralda è fuori discussione. Non dopo quello che ha fatto a Lovro.
In fin dei conti è colpa mia se sta ancora male. Se fossi tornata a casa con lei, lui starebbe meglio.
Lo penso, ma non ci credo. Non sono sicura che Esmeralda l’avrebbe lasciato vivere. Per me sarebbe comunque motivo di pensiero e lei non mi vuole condividere con nessuno.
Cosa devo fare?
Sospiro.
-Brutti pensieri?-
Mi volto di scatto sorpresa, non l’ho sentita arrivare.
-Brutti e tanti.-
Elebene si siede al mio fianco.
-Capita a volte.-
-Come hai fatto a sapere che non ero in casa?-
-Zephyro ha un trombone in gola, ma ha un orecchio eccezionale. Si è svegliato appena hai chiuso la porta.-
-Mi spiace averlo svegliato per la seconda volta.-
-Non devi scusarti. Siamo tutti preoccupati per Lovro.-
Cade su di noi uno scomodo silenzio pieno di ricordi e sentimenti contrastanti.
-Me ne vuoi parlare.-
Sorrido e scuoto la testa.
-Non capiresti.-
-Spiegami.-
Bene. Ho l’occasione di dire finalmente tutta la verità, a partire da chi sono veramente. Ma non lo faccio, mi spaventa l’idea di diventare troppo inerme e non so quale potrebbe essere l’effetto della mia rivelazione sull’incantesimo che la coinvolge e decido di dirle mezze verità. Sempre meglio che mentire.
-Ho paura che tu abbia ragione.-
-Di cosa?-
-Dei colpi di fulmine.-
Non ha più un volto ma un enorme sorriso anche se gli occhi sono tristi.
-Lo sapevo!-
-Non fantasticare. Siamo troppo diversi.-
-Meglio, se questo lo fa stare bene.-
-Non penso di poterlo guarire. Non faccio miracoli.-
Il suo volto si intristisce.
-Ho controllato Lovro molte volte mentre tu dormivi e ogni volta lo vedevo migliorare. Non molto, questo è vero, ma la febbre stava diminuendo e il colorito migliorava. Allora ho capito che eri tu… sei tu a farlo stare meglio.-
E se fosse tutto causato dalla Lingua di Sirena? Se perfino le tue parole fossero in qualche modo controllate da me. Anche se non me ne accorgo. Anche se non lo vorrei fare. Non devo dimenticare che molti dei tuoi ricordi sono stati partoriti dalla magia.
-Non penso potrei essergli molto d’aiuto.-
-Lascia stare. Non l’hai notato perché lo conosci da poco, ma lascia che te lo dica una che lo ha visto crescere e sbagliare. Quando è insieme a te sembra un’altra persona. Quando alla festa l’ho visto parlare con Stefano ho pensato che sarebbero arrivati alle mani.-
-E per poco non l’hanno fatto.-
-Sei stata tu a calmarlo. Poi quando avete ballato aveva un’espressione così rilassata. E non è da lui. Le ragazze sembrano essere per lui come delle spine. Tu invece sei come l’aria. Sono felice di vederlo così dopo tutto quello che gli è capitato.-
-La morte di vostro padre.-
Fa un sorriso amaro e scuote la testa.
-No, non è per quello. Ti ricordi di Virginne?-
-Sì, la fidanzata di Stefano.-
-Sicuramente Lovro non te lo ha detto, ma loro due erano fidanzati.-
-Diciamo che Stefano me lo ha fatto capire bene.-
Se è per questo li ho anche visti.
Mi sorprende scoprirmi gelosa al ricordo di quello che ho sbirciato su loro.
-Ma non sai quello che quell’amore ha causato alla nostra famiglia. Virginne proviene da una famiglia molto più ricca della nostra ed ha un atteggiamento verso gli altri che mi fa venire voglia di staccarle la testa. È impertinente, parla male delle persone che non sono al suo livello nella scala sociale. A lei non importa se spezza cuori o corpi, deve solo ottenere quello che vuole a ogni costo.-
-Capisco che genere di persona è.-
-Non so proprio come Lovro abbia fatto a innamorarsi di lei. Aveva i genitali al posto del cervello. Attratto dal corpo, ma non dall’anima. Comunque, Virginne non gli faceva bene. Ha iniziato a ignorare Zephyro e me, ci trattava come pezze e faceva di tutto per rendere felice quella oca di ceramica. Era arrivato anche al punto di umiliare Zephyro davanti a tutti pur di salire di qualche gradino agli occhi della sua amata. Che stupido Zephyro a non avergli dato pan per focaccia. Ma non è da lui provare rancore, e, soprattutto, non nei confronti di Lovro, farebbe di tutto per lui e cercherebbe di essere chiunque mio fratello voglia. Non so se sia innamorato più di me o di mio fratello.- dice ridendo.
-È una bella cosa.-
-Sì. È difficile vedere un’amicizia simile. Devi sapere che Lovro, da piccolo, veniva vessato dai suoi coetanei per ogni motivo. Aveva paura dei ragni, era timido e insicuro, non reagiva mai… Zephyro lo ha sempre difeso venendo qualche volta alle mani per lui. Fatto sta che quando Lovro mi disse che si era lasciato con Virginne ringraziai il cielo. Non mi ha mai detto il motivo della rottura, ma in fin dei conti non mi interessa. L’importante è che si sia allontanato da quella vipera.-
Semplicemente non era ancora pronto. Sono contenta che non lo sia stato.
Mi mordo l’interno della guancia per punirmi di quello che ho pensato.
-E dopo, Virginne si è avvicinata a Stefano.- dico.
-Sono della stessa razza. Cadranno insieme.-
-L’avete perdonato.-
-È nostro fratello, ha una parte del nostro cuore. Sapevamo che era l’influenza di Virginne ad averlo trasformato.-
-Comunque hai detto che Virginne e Stefano si sono avvicinati perché sono molto simili. Quindi anche tu pensi che bisogna avere qualcosa in comune.-
-Ma voi avete una cosa in comune.-
-E cosa?-
-Il fatto di non avere niente in comune. E se non ti sei convinta dovresti leggere quello che Lovro ha scritto su di te.-
-Ho già letto qualcosa.-
-Veramente?-
Leggo la sorpresa nei suoi occhi.
-“Illuminami col tuo sorriso perché la tua luce riscalda ma non brucia. Continua a guardarmi con i tuoi occhi neri, così da permettermi di immergermi in quei due laghi limpidi e sicuri. Pronuncia il mio nome e sarò il tuo schiavo e il tuo cavaliere”.-
-La sai a memoria? Quando te l’ha data?-
Per quante volte me la sono ripetuta dentro la testa è anche normale.
-Ieri mattina, per questo me la ricordo.-
Lei ride.
-Cosa c’è di tanto divertente?-
-Niente. È solo che non mi aspettavo facesse così presto la prima mossa, gli ci vuole sempre tanto tempo per decidersi.-
-A me non sembra.-
-Sarà che gli fai bene all’anima?-
Ne dubito. Il massimo che potrò fare sarà maledire la sua anima.
Non rispondo.
-Guarda, sta sorgendo il sole!-
L’orizzonte comincia a colorarsi di rosso e il manto nero del cielo si schiarisce facendo scomparire le stelle. Un nuovo giorno ha inizio; per i Viventi sarà carico di aspettative, per me non sarà che un misero granello nell’immensità.
-Vado a casa prima che mia madre si spaventi.-
-Io devo andare a parlare con una persona.-
-Vai, ti copro io.-
Parlare con lei mi ha aiutata.
Le persone che amiamo sono quelle su cui possiamo sempre contare, anche dopo strappi che sembrano irriducibili. La cosa bella dei Viventi è questa: hanno sempre dentro di loro una scintilla di speranza.
Cercano ardentemente l’amore vero e l’amicizia eterna, anche quando la strada si fa tortuosa e piena di intrighi loro non si arrendono.
Per sopravvivere si affidano alle persone che sanno che avranno cura del loro cuore di infiammabile paglia, si aggrappano a coloro che possono donare loro un sorriso gratuito e bellissimo nei momenti di difficoltà.
Se è un vero amico capirà, se è un vero amico ti amerà, se è un vero amico ti proteggerà. Interessante come ad amico si possa facilmente sostituire la parola amore. Forse perché l’amicizia è alla basa di questo forte sentimento?
L’amico e l’amante, gli unici pronti a sacrificarsi per te, qualsiasi cosa tu faccia o dica. Ti staranno sempre vicino.

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Capitolo 9
*** IX ***


Questa è stata la mia casa. Un tempo. Non so se potrò ancora considerarla tale.
Sono pronta ad affrontarla, a dirle che a lei ci tengo, che è solo grazie a lei che sono ancora su questo mondo, ma che questo non le dà il diritto di comportarsi in questo modo.
Non voglio attraversare la porta. Poso la mano sulla maniglia ed entro nella casa.
Non c’è nessuno.
Ma cosa…?
La stanza è completamente vuota. Non ci sono più mobili, vestiti e libri. C’è solo un vecchio tavolo con sopra il mio baule e su di esso un foglio ingiallito.
È una lettera di Esmeralda.
“Dopo che hai deciso di abbandonarmi mi sono resa conto che non ti è mai importato veramente cercare un modo per spezzare la maledizione. Hai deciso di vivere con quegli sporchi umani? Bene, ti renderai conto che hai fatto la cosa più stupida in assoluto. La cosa che mi fa soffrire è che non mi hai mai veramente amata. Buon funerale.”
Non ci posso credere.
Le ginocchia cedono e cado a terra in preda al panico e comincio a piangere.
La maledizione, Lovro. Ora come posso fare.
Batto i pugni nervosamente sul suolo e urlo a squarciagola.
Mi trascino alla botola e la apro calandomi nella stanza sotterranea.
Accendo una fiammella che illumina l’area circostante, anche questa è vuota.
Ha portato via tutto, il libro che poteva aiutarmi, la sua magia. Si sta pure portando via la vita di Lovro.
La paura e la rabbia prendono il sopravvento. Non mi capacito di quello che ha fatto. Di come ha scagliato un incantesimo di morte su un Vivente senza batter ciglio, di essersene andata senza rimediare ai suoi errori.
Dentro me si muove una bestia che cerca di uscire, con artigli e zanne affilate si fa largo fra la mia carne. Lo sento farsi spazio divorando tutto ciò che incontra. All’inizio doloroso, comincia a essere piacevole quel continuo graffiare e lacerare le pareti interne della mia pelle.
È un movimento che dal ventre sale fino ad arrivare al mio cuore fermo e freddo. Lo punge, lo graffia, lo mordicchia, lo schiaccia e lo tira, ma non lascia che si rompa o si laceri troppo. Ci gioca e basta, come fa un bambino piccolo con il cibo, poi, stufo, lo scaglia lontano, fuori dalla sua sede.
Il mio cuore si espande e si contrae una volta. Un misero, normalissimo, ma importante battito. Un battito che non dovrebbe esistere, ma l’ho sentito e nel momento stesso in cui ritorna a essere fermo, i miei poteri impazziscono manifestandosi in tutta la loro furia.
Il mostro esce.
La fiammella che ho evocato per illuminare sfrigola e poi esplode in una miriade di lingue che avvolgono il mio corpo che torna alla sua normale trasparenza e incorporeità.
Ma le fiamme non si fermano a cambiare il mio aspetto, ma si espandono e attaccano le pareti di pietra e legno divorandole. L’inferno cresce e si ingrossa. Non provo nemmeno a contrastare la loro avanzata. Voglio, desidero, che distruggano tutto, che cancellino la fonte della mia sofferenza.
Urlo dal piacere, non sono urla umane ma bestiali. Le fiamme reagiscono al mio richiamo esplodendo e spolpando ogni cosa con cui entrano in contatto.
Provo un fastidio alla testa che mi fa innervosire ancora di più e questo fomenta il fuoco facendolo ruggire e muoversi come se avesse una sua volontà.
Più il fastidio aumenta più le correnti incendiarie si muovono intorno al mio corpo dando vita a nuove fiamme.
Illuminami… perché la tua luce… brucia. Continua… neri,… immergermi… laghi. Pronuncia… nome… schiavo.
È questa preghiera a darmi fastidio. Non la vedo bene ma mi basta la prima frase per sentirmi in pace con me stessa.
-Illuminami perché la tua luce brucia.-
Urlo e le fiamme esplodono ruotando e distruggendo tutto.
Illuminami col tuo sorriso perché la tua luce riscalda ma non brucia. Continua a guardarmi con i tuoi occhi neri, così da permettermi di immergermi in quei due laghi. Pronuncia il mio nome e sarò il tuo schiavo e il tuo cavaliere.
-Lovro…- le fiamme si spengono tutte insieme alzando una nube di cenere che ondeggia nell’aria.
Il mio corpo ritorna a essere consistente anche se non voglio e cado nuda in quel mare nero, caldo e morbido.
Forse per la prima volta da quando sono morta sento veramente freddo e mi rannicchio su me stessa cercando di mantenere il mio calore. Sto tremando e i denti battono producendo un suono agghiacciante. I muscoli mi fanno male e piango.
Mi sento svuotata.
Tutto quel potere e ancora non sono completa. È stato fantastico sentire ogni mia particella, ogni mia emozioni amplificarsi a dismisura alimentando i miei Lasciti. Attraente e letale. Il cibo della follia.
Il freddo lentamente svanisce insieme ai tremori.
Sono in un cratere.
Un riflesso brilla tra la cenere. È il mio baule.
Come ha fatto a salvarsi?
Lo pulisco e noto che il metallo si è fuso ricoprendo la pelle e formando uno scudo.
Lo apro. Le mie cose sono per la maggior parte integre, solo qualcosa è andata perduta.
Come il vestito di Elebene.
Rovistando fra gli abiti che mi sono rimasti ne trovo uno simile a quello che avevo, lo posso far passare per il suo.
La mia pelle ancora sfrigola.
Trascino quel baule usando anche la Telecinesi per aiutarmi. Seguo le tracce invisibili che ho lasciato la prima volta fuori da quelle mura che ora ho distrutto.
Sei un pericolo per loro. Se fosse capitato a casa di Lovro li avresti uccisi tutti. Avresti sentito le loro urla, l’odore della loro carne che brucia e che si stacca dalle ossa. I loro ultimi respiri che si perdono nel silenzio della morte. Come tua madre.
Lacrime amare scorrono sul mio viso.
L’acqua è fredda mentre mi immergo. La fuliggine si stacca dalla mia pelle disperdendosi sulla superficie cristallina del liquido dipingendolo con una traslucida patina grigia.
Lascio che l’acqua abbracci completamente il mio corpo, il letto sassoso contro la mia schiena.
Smetto di fingere di respirare e rimango ferma.
Vorrei diventare un pesce, almeno mi dovrei preoccupare solo di mangiare e di non essere pescata. Vivrei in pace in città di corallo e alghe. Viaggerei, andrei lontano per conoscere nuovi regni marini. Mi accontenterei anche di essere una misera roccia. Restare ferma e immobile trasformandomi, secoli dopo secoli, in sabbia leggera che il vento porterà via.
Apro gli occhi e la luce del sole filtra attraverso l’acqua con un bagliore intenso.
Mi ricorda le fiamme che ho creato, che hanno distrutto l’unica mia vera casa. La cenere cade come neve nei miei ricordi, si posa su un terreno reso sterile da me.
E se la Strega Rossa fossi io?
Penso mi ricorderei di tutti i miei amanti e se così non fosse, non penso che lo Spettro Oscuro delle mie visioni attaccherebbe mai la sua creatrice.
Smettila di dire idiozie. Adesso devo trovare un modo per spezzare la maledizione da sola.
Vai a capire da dove cominciare!
Un’ombra compare sulla superficie dell’acqua. Riemergo.
È il lupo che ho visto il mio primo giorno di libertà.
-Ehi bello!-
Si avvicina e gli accarezzo il muso, lui comincia a scodinzolare.
Esco dall’acqua seguita dall’animale.
Mi sistemo contro un albero e il lupo appoggia il muso sulle mie gambe. È piacevole il tepore che emana il suo corpo.
Continuo ad accarezzarlo. Mi piace sentire il suo manto morbido a contatto con la mia nuda pelle.
-Quanto vorrei che tu parlassi, mi farebbe piacere ricevere un consiglio o due.-
Il lupo sospira e si alza. Annusa l’aria e incomincia a ringhiare mettendosi davanti a me.
­-Cosa c’è?-
Non sembra esserci nessuno, ma lui continua a ringhiare mostrando i denti e raspa con una zampa il terreno, il pelo gli si è rizzato sulla schiena.
Apro il baulee prendo velocemente un abito. È bianco e si attacca al mio corpo umido mostrando più delle sole curve.
Uno scricchiolio, un fruscio, una lama che entra nello stomaco.
Il lupo scarta di lato abbaiando furiosamente.
Una lingua di fumo nero mi attraversa il ventre, il dolore è immenso.
Sul lago scivola una nebbia nera che si attacca a quella che mi ha attaccata.
Una forma indistinta inizia a condensarsi formando un tronco, gambe e braccia e una testa dalle orbite vuote.
Sento la mia energia venire risucchiata da quest’entità. Nelle mie visioni non è mai riuscito ad attaccarmi, ma ora sembra che lo Spettro Oscuro ci sia riuscito.
Il lupo si scaglia contro lo Spettro. L’umanoide non si muove, una parete nera intercetta la povera bestia che viene lanciata contro il tronco di un albero.
La lama nera affonda ancora di più.
Provo quello che prova lui. Rabbia, odio, sete di sangue, risentimento, dolore. Ed è forse quest’ultimo il sentimento che ha trovato terreno fertile mettendo radici profonde. Il dolore lo dilania ed è anche il sentimento di cui si nutre.
Una scheggia rossa chiude le mandibole intorno alla sua testa e, mentre cerca di togliersi il lupo di dosso, sfila la lama dal mio corpo e fa qualche passo in dietro.
Si scuote violentemente ma non riesce ad afferrare l’animale, poi si ferma e torna a essere fumo. Una mano afferra il lupo e una lama nera si allunga da quell’ammasso oscuro.
Sta per colpire.
-NO!- urlo.
Dal mio corpo di stacca una nebbia azzurra che colpisce in pieno il fumo disperdendolo nell’aria in modo disordinato.
E questa?
Lo Spettro si scaglia contro di me. Alzo le mani istintivamente per difendermi e la nebbia azzurra si compatta diventando uno scudo che la lama nera non riesce a penetrare.
Ma è un nuovo potere e non riesco a controllarlo. Lo scudo si dissolve e lo Spettro Oscuro mi è sopra. Mi blocca al suolo con il suo peso e stringe con le ginocchia i miei fianchi.
Mi stringe il collo.
È inutile che mi strangoli, sono già morta.
Mi muovo sotto di lui.
Provo a evocare di nuovo la nebbia ma non ci riesco e il fuoco non attecchisce su di lui, tento anche di diventare intangibile ma senza successo.
La sua stretta perde un po’ di vigore, la sua figura comincia a tremolare e lo Spettro assume i caratteri di un ragazzo. Con una mano mi accarezza il ventre. continuo a lottare ma è troppo forte e riesce a tenermi a bada. La mano scende sempre più in basso…
No!
La bestia dentro di me vuole ancora uscire, non le è stato sufficiente distruggere la mia casa, vuole altro. Pretende sangue.
Di nuovo paura e rabbia.
La nebbia azzurra si alza dal mio corpo in una quantità tale da formare un’onda enorme sopra di noi.
Rido dalla gioia quando ci investe e strappa da sopra di me lo Spettro Oscuro. Cerca di ricomporre il suo corpo mentre è in aria ma non gliene do il tempo. Gli scaglio contro tutta la mia rabbia. Lui prova a difendersi, ma ora gli è quasi impossibile concentrare tutte le sue forze sulla difesa.
La nebbia azzurra lo colpisce producendo un lampo di luce e un rombo di tuono.
Tutto poi viene soffocato dal silenzio.
La bestia ritorna a dormire ed io non percepisco più nessun pericolo.
Mi avvicino al lupo e sono felice nel vedere che non ha nessuna ferita grave, solo qualche graffio e una zampa rotta.
Riesco a rimetterlo subito in sento, si alza e mi lecca le mani, poi incomincia a ringhiare verso qualcuno alle mie spalle.
Deglutisco pensando che sia di nuovo lo Spettro Oscuro. Mi volto e dagli alberi esce Lovro.
Lovro?
-Ti ho trovata finalmente?-
Fa qualche passo nella mia direzione, però qualcosa lo spinge a fermarsi.
Quindi non sono solo io a farti paura.
-È un mio amico.- dico accarezzando il lupo che smette di ringhiare.
-Sei sicura? A me non sembra molto pacifico.-
-Non aver paura. Vieni.-
Visto che non muove un passo mi alzo io e mi avvicino a lui seguita a distanza ravvicinata dal lupo.
È paralizzato dalla paura, ne sento il sapore sulla lingua.
-Non dovresti essere qui.-
Gli prendo una mano.
-Hai ancora la febbre.- dico.
-Non è vero.-
-È evidente che ce l’hai.-
È bollente ed è pallido, gli occhi sono lucidi.
-Sto meglio però.-
-Voglio farti provare una cosa.-
Gli stringo la mano e le sue guance acquistano un po’ di colore.
Elebene… hai ragione. Lo amo ma non posso stare con lui. Lo renderò felice per quanto mi sarà possibile… però, prima o poi…
Mi inginocchio davanti al lui. Il lupo fischia.
Gli sorrido.
-Non avere paura.-
Lo tiro per la mano costringendolo a inginocchiarsi e con la mia lo guido, gliela poso sopra la testa del lupo, i suoi muscoli si rilassano e il cuore batte velocemente.
-Vedi? È un bravo cucciolone.-
Mi sorride e non smette più di accarezzare l’animale e la mia mano. Non lo fa a posta perché quando se ne accorge la lascia.
I raggi del sole lo illuminano, gli occhi da azzurri diventano verdi e il biondiccio dei capelli diventa oro incandescente.
-Dobbiamo tornare a casa.- dico –Non dovresti stare fuori dalle coperte.-
-Sono venuto a cercarti. Non ti ho vista e mi sono preoccupato.-
Ti renderò felice per quanto posso, ma non mi rendere difficile lasciarti.
-Ora mi hai trovato, possiamo andarcene.-
-Sì, ti ho trovata nel luogo del nostro primo incontro.-
Mi blocco.
-Non…-
-Eri nascosta dietro quell’albero.-
Non può avermi vista, ero invisibile.
-Stai vaneggiando. Hai la febbre alta.-
-No, sono sicuro di averti vista.-
-Sarà stata un’ombra.-
-Non…-
Un colpo di tosse gli impedisce di parlare.
Lo aiuto ad alzarsi.
-Andiamo a casa.-
Con una mano e con un po’ di Telecinesi trascino il mio baule mentre scruto Lovro avanzare lentamente fino a casa.
Si sarà sbagliato. Non ero visibile ai suoi occhi. O era un’altra ragazza o ha confuso un’ombra per una persona.
Spero sia così perché altrimenti non saprei cosa pensare.
A casa non c’è nessuno. Non mi serve sapere che sono al paese per comprare le medicine che lo dovrebbero salvare.
Lo accompagno in camera.
-Adesso ti lascio cambiarti, poi vengo e sto un po’ con te.-
-Aspetta, non ce la faccio da solo.-
Si accascia sul letto e tossisce. Gli tocco la fronte, la febbre si è alzata.
-Non dovevi venire a cercarmi. Sei stato uno stupido.-
Sei stato tenero.
-Lo so, ma non…-
-Non mi hai vista, me lo hai già detto.-
-Mi devi aiutare a vestirmi.-
Entrambi diventiamo rossi.
-Non so se sia il caso.-
-Elebene e Zephyro pensano già male di me.- tossisce -Non penso che se lo scoprissero cambierebbe qualcosa.-
-Loro non pensano male di te, ti vogliono bene.-
-Non è vero, li ho fatti soffrire troppo. Non mi perdoneranno.-
Sospiro.
-Quando ti sarà passata la febbre ti renderai conto che stai dicendo tante fesserie.-
Mormora qualcosa di incomprensibile.
-Mi aiuti o sei anche tu arrabbiata con me?-
Dovresti tu arrabbiarti con me. Ti lascerò e questo ancora non lo sai.
Lo aiuto a svestirsi. Gli tolgo i pantaloni e la maglietta. Mi dispiace quando trema per il freddo delle mie mani. Gli faccio indossare il pigiama che Zephyro gli aveva messo il giorno prima.
Lui si distende e lo copro.
-Puoi rimanere a farmi compagnia?-
Lo osservo non sapendo cosa rispondere. Le mani mi tremano e qualcosa d’incomprensibile mi si muove nel petto, come se il mio cuore stesse per battere un’altra volta.
-Sì.-
Si gira di lato e si rannicchia per farmi spazio. Mi siedo accanto a lui e gli accarezzo i capelli facendo attenzione a non toccarlo con le dita fredde.
-È un bell’animale.-
Gli confermo che ha ragione con un mugolio di assenso.
-Come si chiama?-
Faccio spallucce.
-Non lo so. Non ho mai pensato a dargli un nome.-
Conosco anche lui da poco e poi sarà un’altra creatura a cui spezzare il cuore, e non mi và.
-Se vuoi possiamo darglielo insieme.-
Lovro sorride.
-Che ne dici di Cerberus.-
Il guardiano dell’Oltretomba. Mi sembra azzeccato.
-È perfetto.-
Rimaniamo in silenzio, lo guardo e mi ripeto che è tutta colpa mia.
Non dice più nulla e il respiro si fa pesante, penso si sia addormentato e mi alzo.
Mi afferra il polso con una mano tremante.
-Non te ne andare. Rimani ancora un po’. Non voglio rimanere da solo.-
Mi risiedo.
-Non sei da solo. Hai tutta la tua famiglia su cui contare.-
-Ma non potrò avere te.-
-Ehi! La febbre ti sta facendo sparlare!-
-Non sto sparlando.-
-Non mi conosci, come fai a dire una cosa simile.-
-È vero, non ti conosco, ma so di amarti. È più forte di me.-
Forse la Lingua di Sirena…
-Non è naturale.-
-Ed invece lo è. Non credere che è perché sto male, parlo sul serio.
… lo sta controllando.
-Dormi e vedrai che tutto passerà.-
-Non te ne andare.-
-Non è tra le mie intenzioni.-
Ma sarò costretta un giorno.
Rimango al suo fianco fino a quando non sono sicura che stia dormendo.
Gli rimbocco le coperte ed esco dalla camera dopo avergli dato un bacio sulla fronte.
La porta d’ingresso si apre ed entrano Beatrice insieme ai figli e a una donna anziana.
Stanno parlando di cosa mangiare a pranzo. Non so come evitare questo momento.
Beatrice mi saluta. Ha gli occhi stanchi ma si sforza di sorridere.
-Hai visto come sta Lovro?-
-Si è appena addormentato.-
Zephyro entra in camera sua e quando ne esce sembra distrutto.
Elebene fa sedere sul divano la signora mentre Beatrice è intenta a far da mangiare.
-Emma, lei è mia nonna.- mi dice Elebene.
-È un piacere fare la sua conoscenza.-
La nonna di Elebene mi squadra dalla testa ai piedi e arriccia le labbra.
-Nonna Erika, lei è una mia amica. Ci conosciamo da un po’ di tempo e non sai la novità! Sembra che a Lovro piaccia. Forse è la volta giusta che si mette con una con la testa sulle spalle.-
Erika si alza dal divano e mi gira intorno. Mi guarda intensamente, come se volesse vedere quello che ho dentro.
-Sei troppo magra e non hai un bel colorito. Sei sicura di stare bene.-
-Sì Signora.-
-Chiamami pure Erika, ancora non sono così vecchia.-
-Stia tranquilla Erika, sono in ottima forma.-
-A me non sembra.-
-È tuo quell’animale che si è accoccolato fuori alla porta?- mi chiede Beatrice.
-Sì, scusa, mi ha seguita. Si chiama Cerberus.-
-È tranquillo?-
-Non mi ha mai fatto male, quindi penso di sì.-
-Resti con noi a pranzo?-
-Non ho molta fame in verità. Resterò un po’ con Lovro per il momento.-
-Io l’ho detto che è troppo magra!- esclama Erika.
-Sei sicura?-
-Sì Beatrice. Ma, se vuoi, potresti riempire una ciotola per Cerberus?-
Mi guarda e sbuffa.
-D’accordo, tanto ne ho fatta troppa.-
Mi dà un’abbondante porzione di stufato di carne.
Apro la porta e Cerberus mi accoglie scodinzolando.
-Ti abbiamo chiamato Cerberus, spero che ti piaccia.-
Gli poso davanti la ciotola e lui ci affonda il muso spazzolando con gusto il contenuto. È bello vederlo mangiare; da lui mi giunge un miscuglio di emozioni per la maggior parte positive. Aspetto fino a quando non ha finito, poi rientro dentro casa e metto la ciotola nel cesto delle cose da lavare.
Gli altri sono tutti seduti e stanno mangiando.
Sono silenziosi, probabilmente non hanno molta voglia di parlare, dopo quello che sta capitando a Lovro è anche normale.
-Emma, potresti prendermi una posata? La mia è caduta per terra.- mi chiede Erika.
-Certo.-
Ne prendo una nuova e gliela porgo. Le nostre dita si sfiorano appena, ma questo contatto basta per scatenare l’arrivo di una visione.
Non adesso.
-Vado a controllare come sta Lovro.-
-Sì…- dice Beatrice - … e se è sveglio vieni che ti do un po’ di stufato da fargli mangiare.-
Entro di corsa nella stanza e chiudo la porta appoggiandomi a essa con la schiena.
Appena in tempo perché la realtà si sta dissolvendo mentre la visione ha inizio.
 
‘I miei occhi sono ciechi a causa di un fitto fumo perlaceo che mi impedisce di vedere qualcosa.
Sopra la mia testa si accende una luce che dissipa questa foschia. Mi trovo in una camera da letto molto grande e immersa nello sfarzo. Vi sono specchi dappertutto.
Ci passo davanti e noto che non riflettono la mia immagine. Alle mie spalle c’è un letto a baldacchino e sopra di esso ci sono due persone. Una donna e l’uomo formato da fumo nero.
Lo Spettro Oscuro bacia la donna e le accarezza il corpo nudo soffermandosi su tutti i particolari esaminandoli come se fossero delle pietre esotiche.
La donna ride e si scompiglia i capelli rossi e lisci che si muovono come fiamme infernali.
So che è inutile, ma non resisto alla tentazione. Dal gomito fino alla punta delle dita inizio a sentire un dolce pizzicorio, do vita a un globo azzurro che scaglio contro quei due.
Il letto, lo Spettro e la Strega svaniscono in una nuvoletta di fumo per poi ricondensarsi.
L’uomo di fumo è sopra la donna e la possiede.
La scena mi fa venire la nausea. Lo Spettro cambia continuamente forma, prende le sembianze di coloro che la Strega Rossa ha preso con la forza e ogni cambiamento è scandito da sospiri di piacere della donna.
Questo non è amore, è solo desiderio carnale, e anche uno dei meno puri.
Lo Spettro prende le sembianze di mio padre e per me è una stilettata al cuore. Non voglio più vedere e mi concentro per uscire dalla visione.
Sono troppo lenta. Mentre tutto svanisce sento l’urlo di piacere della Strega e mio padre che ansima.’
 
Lovro tossisce e si piega in avanti.
Sono al suo fianco per aiutarlo, gli poso una mano sulla schiena e l’altra sul petto. I suoi polmoni tremano.
Quando la tosse gli dà un attimo di tregua è una consolazione futile perché ogni volta rimane senza fiato. Con la manica del mio vestito gli pulisco la saliva che gli è colata sul mento.
-Non dovresti.-
-Cosa?-
-Badare a un moribondo. Perché sto morendo, non è così?-
Sì, per causa mia.
-No, vedrai che troveremo un modo per farti stare meglio.-
Si schiarisce la gola.
-Ti fa male qualcosa?-
-Il petto.-
Lo scopro e gli sbottono la maglia.
Cerco di riscaldarmi le mani soffiandoci sopra.
-Scusa se sono fredda.-
Gli massaggio il petto usando la Guarigione. Anche solo al tatto sento che qualcosa sta migliorando, ma non è niente in confronto al male che lo affligge. Almeno ora posso curarlo un po’ rispetto alla prima volta che ho provato.
Trema per il freddo e decido che così può anche bastare. Per lui è difficile sopportare il mio tocco adesso.
Lui è caldo come il fuoco. Io fredda come il ghiaccio.
Gli riabbottono la maglia e lo copro.
-Hai fame?-
-L’ultimo pasto?-
-Smettila, sono seria.-
-Anche io.-
Gli do un pizzicotto di proposito e lui storce la bocca.
-Mi hai fatto male.-
-Io non ho sentito niente.- sorrido stancamente.
-Avrei un po’ di fame, sì.-
-Allora vado a prenderti un po’ di stufato caldo.-
Aprendo la porta sento Erika ed Elebene che stanno discutendo.
-Nonna, Emma è speciale.-
-Lo immagino.- lo dice in modo secco, apatico –E dimmi, Elebene, si è confidata con te.-
-Mi ha detto quello che poteva. È una ragazza molto riservata.-
-Per quanto ne sappiamo potrebbe essere una ladra. O un’assassina. Non si ospita in casa propria una persona di cui non si conosce nulla.-
-Nonna, smettila. È una brava persona e la cosa più importante è che, con lei, Lovro si sente bene.-
-Sì, fino a quando non tirerà le cuoia o lei lo mollerà.-
Chiudo la porta facendo rumore.
-Non lo lascerò. Soprattutto adesso che ha bisogno di persone che lo ascoltino e che gli stiano vicino. Lei da quando è entrata non ha mai espresso la volontà di vedere come sta suo nipote. Non può parlare di me in questo modo ignorando quello che provo per lui e per questa famiglia.-
-E sentiamo. Cosa ti hanno dato loro?- fa un gesto a indicare i presenti nella sala.
-Io non ho più una vera famiglia da tantissimo tempo e loro mi hanno ospitata offrendomi amicizia, calore e affetto e non sono disposta a perderla; non farei mai nulla per farli soffrire.-
Almeno non fino a quando dovrò pugnalarli alle spalle abbandonandoli per sempre. E Cerberus, cosa farò con lui?
-A me sembrano solo belle parole senza cuore.-
Ce l’avrebbero un cuore se il mio non fosse fermo da cento anni.
-Mamma!- esclama Beatrice.
-Figlia mia, hai sempre avuto un pessimo senso dell’ospitalità.-
Erika si alza e prende le sue cose.
-È ora di tornare a casa.-
-Non vuole salutare Lovro?- le domando.
Lei sorride.
-Ci vedremo al suo funerale.-
Questa frase mi spiazza del tutto. È già la seconda persona che mi augura una cosa così orribile.
Esce di casa portandosi via il calore domestico.
Mi avvicino alla pentola e riempio una scodella con lo stufato bollente e prendo un cucchiaio di legno.
-Lovro ha fame.- è l’unica cosa che dico prima di tornare da lui. Nessuno ha il coraggio di rivolgermi una parola.
Lovro è seduto sul letto e si tiene la testa con le mani.
-Mal di testa?- chiedo.
-Sono solo stanco.-
-Dopo che avrai mangiato un po’ potrai dormire.-
Mi fa spazio sul letto.
-Hai bisogno di una mano per mangiare?-
-Non lo so.-
Cerca di prendere il cucchiaio ma non ha forza abbastanza da stringerlo.
Posso cercare di guarirlo un po’, ma l’incantesimo avanza velocemente. Non so quanto sarà in grado di reggere senza una cura o un contro incantesimo.
Lo imbocco io stando attenta a non dargli delle cucchiaiate troppo piene e a non strozzarlo infilandogli tutta la posata in bocca.
Ma come fanno i Viventi a farlo di continuo. È così difficile.
Dopo poco diventa una cosa normale, automatica, come se questi movimenti fossero sempre stati dentro di me, nascosti da qualche parte pronti a uscire alla prima occasione. È un qualcosa che ha strettamente a che fare con la vita… e che la morte non è riuscita a strapparmi.
Quando ha finito riporto la scodella in cucina.
Non mi guarda nessuno e nessuno mi rivolge la parola neanche quando rientro nella camera di Lovro.
Lo trovo sotto le coperte, disteso di lato.
Sto per andarmene quando mi chiama.
-Hai bisogno di qualcosa?- chiedo.
-Sì, di compagnia.-
Mi siedo sul suo letto.
-Puoi sdraiarti vicino a me?-
Gli sorrido.
-Non posso dire di no a un malato.-
Stupida! Gli DEVI dire di no. Non puoi innamorarti e non PUOI lasciare che lui si innamori ancora di più di te.
Mi metto sotto le coperte e lo abbraccio da dietro.
Trema per il dolore e per il freddo che sente. Io vorrei essere più calda per aiutarlo a stare meglio.
-Emma?-
-Sì.-
-Pensi di potermi voler bene.-
Nascondo il mio viso nel suo collo.
-Io ti voglio bene.-
-Mi fa piacere.-
-E non ti farò soffrire.-
-Non promettere quello che non sai di poter mantenere.-
Ha ragione lui. Idiota!
-Adesso cerca di riposare.-
-Ho sentito quello che vi siete dette tu e mia nonna.- rimango in silenzio dietro di lui –Devi scusarla, è da un po’ di tempo che si comporta così male verso la gente. Penso sia dovuto alla vecchiaia, prima era sempre gentile. Non ti avrebbe mai offesa.-
-Non preoccuparti, non me la sono presa. Da una parte ha ragione, potrei essere chiunque. Vi potrei star raggirando per i miei scopi.-
-Non penso. Tu sei buona.-
-Come fai a esserne così sicuro?-
-Non lo so. Mi stai accanto… è un buon esempio.-
-Potrebbe essere perché mi fai pena.-
-No, non è per questo. Tu ci vuoi bene.-
Piango silenziosamente.
-Sì, vi voglio bene. Ma adesso dormi, altrimenti non guarirai e io voglio che tu stia meglio presto.-
-Perché?-
-Così possiamo fare delle lunghe passeggiate nel bosco, andare giù al paese per prendere il pane insieme. Mi potresti regalare un fiore.-
-Sarebbe bello.-
-Sarà bello. E poi mi leggerai delle frasi belle come quella che mi hai scritto.-
-Ti è piaciuta?-
-E come avrebbe potuto non piacermi.-
-Ti offendi se ti dico che l’ho modificata un poco?-
-Per favore ora dorm…-
-“Sarai il fuoco della mia candela, illumini il mio cammino senza bruciarmi. Permettimi di immergermi nei tuoi occhi per arrivare alla tua anima. Ti dono il mio cuore perché con te non provo dolore ma pace.”-
-Grazie.-
Lo stringo forte mentre le lacrime scorrono.
Mi dispiace per tutto questo.
-Emma?-
-Sì?-
-Stai piangendo?-
-No.-
-Sei calda.-
È vero!
Emano calore e la mia pelle brilla leggermente e la luce si espande anche sul suo corpo. Finché gli resterò vicina si sentirà meglio. Per adesso.
Lovro si addormenta ma già dal principio capisco che farà un sonno movimentato, allora canto l’unica canzone che conosco, che mi riempie il corpo di quel calore di cui Lovro ha bisogno.

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Capitolo 10
*** X ***


Mi sveglio. Mi sveglio?
Non so come sia potuto accadere. Mi metto a sedere sul letto con il cuore che batte a mille. È strano, non dovrebbe muoversi.
Muovo la mano sul materasso in cerca di una figura confortevole. La trovo.
Mi distendo al suo fianco facendo aderire il mio corpo al suo.
È vicino a me e il suo calore mi dà speranza per la vita che potremo passare finalmente insieme, non mi importa quanto sia breve, basta che sia con lui.
-Hai fatto un brutto sogno?- dice lui.
Affondo il volto nell’incavo del suo collo e lo bacio.
-No. l’incantesimo ha funzionato.- rispondo.
Lui mi afferra e mi tira su di lui.
Mi bacia teneramente e mi accarezza la schiena.
-Ho una strana voglia…-
-Di cosa?-
-Bè, questo è il mio primo giorno da umana.-
Mi bacia il collo e mi stringe a lui.
Siamo entrambi nudi nascosti sotto un lenzuolo leggerissimo.
-Ti amo.-
-Io di più.- mi dice Larz.
-Ti stai sbagliando.-
-Lo vedremo.-
Rido.
-Vediamo cosa sa fare questo corpo.- propongo.’
 
La scena cambia.
 
‘-Strano vero?-
Mi volto e c’è Samara seduta su una sedia che mi osserva e ride divertita. Posso ancora usare i miei poteri, anche se non come prima e percepisco solo noi due nella casa.
-Dove sono gli altri?-
Mi mostra i denti bianchi in un ghigno maligno.
-Al villaggio. Davanti a loro c’è una lunga vita, la stessa cosa non può dirsi per te.-
Mi lancia una cosa e l’afferro al volo. Delle fitte di dolore mi attraversano la mano e lascio cadere l’oggetto a terra.
-Ahi!-
È una palla con degli spilli.
-La tua mano sanguina, non te ne sei accorta?-
-È normale.-
-Usando l’incantesimo che ho creato.-
-L’ho fatto per tornare mortale.-
-Anche se per poco? Glielo hai detto?-
-Ti stai divertendo vero?-
-Glielo hai detto? Sì o no.-
-No.-
Prorompe in una fragorosa risata.
-Me lo aspettavo. Eppure pensavo che sapessi che è suo diritto sapere che tra tre anni morirai perdendo la tua nomina di Custode.-
-Questo gliel’ho detto.-
Un velo di confusione svolazza nei suoi occhi.
-Cos’è che non gli hai detto all’ora.-
-Che sono incinta.-
La sua risata è glaciale e sottile.
-Non è possibile.-
-Grazie al tuo incantesimo sono tornata a essere una Vivente, per tre anni posso fare qualsiasi cosa un’umana può fare.-
-Ed immagino questa sia una di quelle.- sospira –Sei andata a innamorarti veramente di un mortale. Cosa non si fa per amore…-
-Tu non potrai mai saperlo.-
-Per colpa tua. Non sono io a essermi innamorata dell’uomo che piaceva alla mia amica.-
-Ma se io e Larz ci siamo conosciuti prima che tu lo vedessi.-
-Menti!-
-No, è la verità. Tu eri mia amica ed hai deciso di diventare un mostro solo per vendicarti di un motivo stupido.-
-Per te è stupida, per me non lo è.-
Un pensiero si infila come un ago e si trasforma in un tarlo agitandosi tra le pieghe del cervello.
-Dov’è Larz.-
-Non preoccuparti di lui. Adesso pensa a te.-
Creo una sfera di fuoco.
-Non lo farai.-
La sua voce si espande risuonando molte volte nelle mie orecchie.
Stringo la mano e il globo si spegne.
-Hai usato il tuo potere su di me…-
Ride di gusto.
-Hai visto. Quando eri un fantasma non potevo farlo, ma adesso… sei come tutti gli altri. Solo con qualche potere in più, ma presto scompariranno anche loro.-
-Però ancora li ho, non puoi avere un controllo totale su di me.-
Evoco della nebbia che non ha più il suo colore azzurro, è viola, e la scaglio contro di lei. Alza una mano creando una barriera di fiamme che viene però infranta dal mio attacco e la colpisco in pieno petto facendola volare all’indietro. A mezz’aria riprende l’equilibrio e atterra in piedi con agilità.
-Sei forte, lo ammetto, ma ognuno ha il suo limite. Qual è il tuo?-
Samara mi guarda con aria di sfida.
Ha una bellezza unica nel suo genere. Gli occhi verdi resi magnetici da folte ciglia rosso-nere, i lineamenti delicati, i capelli rossi lisci raccolti in una lunga treccia. L’abito nero la rende ancora più magra e slanciata.
-Se vuoi possiamo essere ancora amiche. Basta che mi dai i tuoi poteri, non fa niente se si sono indeboliti. Io mi so accontentare.-
-E a cosa potrebbero mai servirti?-
Inclina la testa di lato.
-A farti soffrire. Vieni mio caro!-
Dei passi striscianti e una figura emerge dall’ombra, ha una parte del viso insanguinato.
-Perché?!- urlo.
Larz si avvicina a Samara, lei gli accarezza il volto e lo bacia. Le lacrime iniziano a scorrere senza controllo.
-Quello che provi si chiama dolore, ma so che lo conosci già. Non è stato facile riuscire a sottometterlo. Per non cedere al mio incantesimo ha anche cercato di strapparsi le orecchie ma alla fine ce l’ha fatta ed è stato fantastico. Almeno per me, lui era troppo indaffarato a piangere per la sua disfatta.-
-Larz… per favore…-
-È inutile. Anche se tenti di usare la tua Lingua di Sirena.-
-Scusa Larz… mi dispiace…-
-Le scuse adesso non servono a niente. Non può sentirti, gli ho ordinato di non ascoltarti.-
-Larz…-
Samara gli dà un coltello. È un pugnale e brilla.
-Ho faticato molto per creare questo incantesimo, ma ci sono riuscita. Può uccidere i fantasmi e strappa le anime degli umani imprigionandole.-
-Larz… diventerai padre.-
-Non serve a nulla. Larz, uccidila.-
Il mio amore, la mia vita. Dal suo corpo si libera del fumo che si alza verso il soffitto in spire nere.
Sento la lama entrare nelle mie viscere e risucchiare tutte le mie ultime energie.
-Ti amo.- dico.
Lo abbraccio stringendolo a me.
Il dolore è lancinante, mi sento esplodere. Piango per il nostro bambino che non nascerà mai e per la nostra vita che è morta ancora prima di vedere la luce.
La mia pelle brilla. Un fumo dorato si espande sotto la sua.
Troppo tardi.
La Redenzione lo risveglia.
-Zoe…-
Lo bacio. Un ultimo fugace bacio di amore eterno prima che giunga la fine.
Estrae dal mio corpo il pugnale.
-Che scena patetica.- dice Samara.
La mia pelle si assottiglia e le mie ossa diventano fragili. Una nube di capelli cade al suolo portandosi dietro un fermaglio a forma di libellula con due pietre verdi al posto degli occhi.’
 
Guardo il fermaglio che ho in mano.
-Elebene, chi ti ha dato questo?-
-Nonna…- dice dopo avergli lanciato una distratta occhiata.
Ripensando alla visione non posso che notare la sua particolarità, è molto differente dalle altre. Generalmente si fermano solo a farmi osservare quello che è accaduto, questa volta ero nel corpo di chi ha vissuto veramente quei momenti.
Zoe e Larz… sono insieme alla Strega Rossa, mi chiedo se siano loro i protagonisti della leggenda.
Zoe, la Custode che ha rinunciato alla propria essenza per vivere come una Vivente insieme a Larz…
Potrei farlo pure io? Vivere come una ragazza normale… Sarebbe bello. Per tre anni… insieme a Lovro.
Finalmente so come si chiama la Strega Rossa. Samara. Non mi sembra il nome di una persona cattiva… però le azioni contano molto di più di una mia semplice sensazione.
-Sai per caso dove l’ha presa?- le chiedo.
Lei scuote il capo.
-Non ne ho idea. A quanto ne so, l’ha sempre avuta. Me l’ha data solo perché non le serve più.-
Non ci siamo per niente rivolte la parola, fino a ora. Neanche con Beatrice. Erika è stata proprio brava a instillare il sospetto nei loro animi.
A peggiorare il tutto c’è Lovro. Non ha chiuso occhio per tutta la notte perché in preda a dolori e a forti tremori dovuti a una brutta tosse. Solo alle prime ore dell’alba è riuscito a prendere sonno.
Quando sono uscita dalla camera ho trovato Zephyro ad aspettarmi.
-Vorrei parlarti.- mi dice –Andiamo a fare quattro passi.-
Dopo il breve discorso con Elebene usciamo di casa. Faccio un salto da Lovro per salutarlo. Non me la sento di svegliarlo, per questo gli do un bacio sulla guancia curandolo un altro poco.
-Ritorno presto, lo prometto.-
La giornata si preannuncia tiepida anche se le nuvole promettono la pioggia.
Camminiamo in silenzio verso il villaggio.
Si tormenta le mani mangiandosi le unghie e le pellicine. Percepisco il suo nervosismo, non ne capisco il motivo ma mi sta contagiando.
I ciottoli scricchiolano sotto i nostri piedi e una ventata d’aria gelida pugnala il tepore di questo mattino.
Riesco a sentire il silenzio sulla pelle; prende la forma di cubetti di ghiaccio che scivolano lungo la mia schiena.
Qualche volta lui mi fissa e dopo faccio lo stesso io aspettando che cominci a parlare, ma non produce nessun suono se non quello del suo respiro lento e regolare, lo definirei quasi armionioso. Dopo un po’ non riesco più a reggere questo gioco di sguardi e sbotto.
-Si può sapere cosa mi devi dire?!-
Lo sorprendo e si mette sulla difensiva cercando di smettere di balbettare.
Sono nervosa. Non mi fa bene esserlo. La rabbia mi ha fatto perdere il controllo due volte. La prima creando un’esplosione di fuoco e la seconda evocando uno tsunami di nebbia. Cosa mi devo aspettare questa volta? Un’onda d’energia capace di abbattere tutte le case o una guarigione miracolosa di tutti i malati del paese?
-Volevo parlarti di Erika…-
-Non mi devi dire niente.-
-Non ti interessa sapere perché ieri si è comportata male nei tuoi confronti.-
-No. Lovro è stato molto chiaro in proposito.-
-La sua teoria della vecchiaia?-
-Sì.-
-Ma io non volevo dirti questo.-
-Cosa allora?-
-Devi sapere che Erika non ha mai avuto dei buoni rapporti con Beatrice. Non l’ha mai perdonata per aver sposato Adolfo. Non è mai d’accordo con le decisione che prende ed è sempre pronta a rinfacciarle tutti i suoi fallimenti.-
-È un peccato che abbiano questo tipo di rapporto. Tra madre e figlia non dovrebbe essere così.-
-Vero. Ma non mi spiego come mai abbia parlato male di te. Solitamente non lo fa se prima non ha conosciuto la persona.-
-Beatrice ha deciso di ospitarmi ed Erika si è sentita in diritto di sparlare. Però, scusa se te lo dico, ha fatto una vera e propria carognata.-
Il villaggio è già nel pieno della sua attività.
I bambini corrono per andare a scuola, qualcuno strilla cercando di liberarsi dalla presa delle madri che li trascinano nel luogo per loro pieno di noie, le ragazze camminano a braccetto con i propri amati e ricevono di tanto in tanto un fiore, omaggio dai fiorai che non possono che invidiare la fortuna di quei giovani che hanno ancora tutta la loro vitalità.
Lo seguo senza sapere dove siamo diretti.
Un gruppetto di ragazze ci passa accanto e una di loro mi guarda indicandomi alle altre che parlottano subito sottovoce. Non riesco a sentire cosa stanno dicendo perché hanno un passo un po’ più veloce del nostro e ci distanziano. L’Empatia capta un’onda di curiosità e un pizzico di gelosia.
-Stanno parlando di te.-
-E perché mai?-
-Pensano che ti stia con Lovro e che abbiate fatto qualcosa di male per farlo ammalare.-
-Non capisco cosa gli potrei aver fatto.-
-Per ridurlo a un passo dalla morte? Solo una cosa. La conosci la leggenda della Strega Rossa?-
-Com’è che tutti pensate che io non la conosca?-
-Quindi la sai?-
-Sì.-
-E quindi sai anche come fa ad attrarre a se le anime dei ragazzi.-
È elementare, rompendo il legame che si instaura dopo il matrimonio o il…
-Non ci posso credere!- esclamo.
-Stai calma, era normale che cominciassero a parlare subito di voi. È un paese molto piccolo e le voci girano veloci.-
Troppo veloci per i miei gusti.
-Comunque non abbiamo fatto niente di niente. IO non ho fatto NIENTE per farlo stare così.-
Lui ride più rilassato di prima.
-Ti credo.-
-Grazie.-
-Anche perché se fosse stato vero, Lovro me lo avrebbe detto.-
Penso che la mia espressione valga un pozzo di soldi perché lui si mette a ridere rumorosamente e tutti i passanti si voltano a guardarci.
Adesso, mentre cammino, faccio attenzione agli sguardi che si posano sopra di me. Non sono solo le ragazze o i ragazzi a mostrarsi interessati, ma anche le persone anziane sedute a filare fuori dalle loro case o passeggiando con i loro mariti ricordando i vecchi tempi.-
-Ma mi guardano tutti?-
-Non riceviamo molte visite dai villaggi vicini perché il nostro paesino è maledetto.-
-Sempre per la leggenda.-
-Esatto. E poi, diciamolo, molte sono invidiose di te.-
-Di me?-
-Sei molto bella e le donne più anziane vorrebbero avere la tua stessa giovinezza. Come se potesse essere eterna.-
Non sbagliano molto.
-Non dovrebbero essere invidiosi di me.-
-Non puoi biasimarli. Non capiscono come mai, quando ti vedono, hanno l’impulso di fidarsi di te.-
Non può essere per la Lingua di Sirena! Con tutti loro non ho mai scambiato una parola. Sarà come per gli animali, mi accettano molto più facilmente di come farebbero con un altro Vivente perché hanno la certezza che io non posso nuocere loro. Anche se non si spiegano il motivo di questa sensazione.
Alla fine riconosco la strada che stiamo facendo.
-Perché stiamo andando all’Accademia?.-
-Dobbiamo prendere le cose mie e di Lovro. Per il periodo dell’Eterna Neve tutti i ragazzi ritornano alle proprie case per poi ritornare all’Accademia con i primi giorni primaverili.-
-Quindi dovrei entrare in un luogo che ospita centinaia di ragazzi in preda a tempeste ormonali? Wow, sono proprio fortunata!-
Ridiamo entrambi.
-Le ragazze non potrebbero entrare, ma questa è un’occasione speciale.-
-E come mai?-
-Tutti ti considerano la ragazza di Lovro, quindi una familiare. E ai familiari è concesso entrare nell’accademia… alle ragazze una volta all’anno.-
-Sciagura a me!-
-Non dire così. Non sono poi dei cattivi ragazzi.-
-E fu così che Emma venne trovata nuda e senza vita in una camera dall’Accademia. Solo più tardi si scoprì che alcuni giovani ragazzi con il testosterone a mille si erano divertiti trattandola come una bambola, ma lei trovò il modo di vendicarsi. Li perseguitò fino alla loro morte.-
-Non penso che una cosa del genere potrebbe mai accadere.-
Ti sorprenderesti nel vedere con quanta facilità potrei farlo. Diverrei la vostra ombra.
Appena siamo vicini all’Accademia vedo un ragazzo con un borsone sulle spalle che corre nella nostra direzione investendoci.
-Scusate!- urla.
Questo minimo contatto scatena una miriade di reazioni in me che riesco difficilmente a tenere nascoste. Inizialmente percepisco un forte senso di felicità; è felice di poter finalmente passare un lungo periodo con i suoi genitori e con i suoi tre fratellini, l’ultimo nato appena tredici mesi prima. Lo ha visto poche volte e vuole solo poter abbracciare quell’orsacchiotto spelacchiato. È un pensiero tenero che sarebbe stato in grado di scaldarmi il cuore.
È da tanto che desidera questo momento e finalmente è giunto. Per i giorni a venire sarebbe stato il fratellone giocherellone. Ma la sua anima desidera anche un altro tipo di felicità, la differenza è sottile ma importante. Lo vedo, nascosto dentro l’acqua, non è da solo, è in dolce compagnia.
È l’amico di sempre, colui che lo ha amato di nascosto fin dai primi giochi infantili. Attraverso la visione percepisco i sentimenti di entrambi. Si amano, ma è un amore difficile da rivelare. Troppe incognite, troppe sofferenze si nascondono dietro l’angolo; per questo si accontentano di vedere il loro amore ardere in silenzio, nascosto da sguardi indiscreti.
Li vedo giocare nell’acqua, le loro risate sono accompagnate dalla rapsodia che le piccole onde del fiume creano dissolvendosi contro i loro corpi coperti da cristalli di gocce brillanti. Carezze e baci fuggono e si nascondono per essere trovati, gli sguardi si cercano magnetici e la felicità non sembra essere solo la flebile luce di una candela esposta al vento gelido dell’inverno. È tangibile e li fa sentire pieni, allontana il senso di abbandono che provano quando non sono insieme. C’è la paura che qualcuno scopra il loro segreto, ma, si domandano, se non sia questo continuo cercare di nascondersi a farli vivere male.
Alcune volte sentono di perdere la loro identità a forza di celarsi nell’ombra; per il momento però vivranno così, fino a quando non saranno pronti a spiccare il volo.
Percepisco anche una nota velata di nostalgia, lontana, ma pur sempre presente e insidiosa. Sta abbandonando un luogo che è diventato la sua casa, il suo piccolo mondo dove ha scoperto cosa vuol dire essere grandi. Avrebbe voluto che anche il suo amico, il suo vero amore, lo avesse seguito in questa avventura, ma, a causa di un braccio mancante non lo hanno accettato.
Altri ragazzi escono e tanti altri entrano nell’edificio accompagnati dalle loro famiglie.
-Saresti dovuto venire con Elebene.-
Zephyro sospira.
-Non ha voluto. Mi ha detto che avrei dovuto portare te, anche costringendoti con la forza se necessario. Non sappiamo quello che stai passando. E, di conseguenza, non sappiamo come aiutarti. Ieri hai trascorso tutto la nottata insieme a Lovro consolandolo quando i dolori erano troppo forti, ci ha colpito molto come tu riesca a calmarlo, ma vorremmo anche sapere come ti senti tu.-
-Starò meglio quando tutto finirà.-
Zephyro mi guarda, pensa mi stia riferendo a Lovro ma non sa che mi sto riferendo a molto altro. Ed è meglio così.
Un rombo e la terra trema, l’aria s’increspa e ci colpisce.
Tutto avviene molto velocemente. La gente arriva di corsa per soccorrere i ragazzi che corrono fuori dall’Accademia urlando.
Le fiamme si alzano verso il cielo insieme alle grida delle persone.
È un movimento che coinvolge tutti. Quasi senza sapere come, io e Zephyro ci troviamo a dare una mano a chi si sta occupando dei feriti e a chi è intento a cercare di spegnere l’incendio divampato improvvisamente.
Molte sono le madri che piangono, ma nessuna è ferma, anche fra le lacrime dispensano aiuto.
-Tom!-
Ad urlare questo nome è una signora di mezz’età con l’abito tutto sgualcito e il terrore negli occhi, i suoi sentimenti mi colpiscono in pieno attirando il mio sguardo verso di lei.
-Tom! Qualcuno ha visto il mio Tom!- a chiunque chiede riceve la medesima risposta. Nessuno l’ha visto. Osservo i volti dei ragazzi che sono usciti. Ognuno di loro ha almeno un adulto vicino.
La donna ci corre incontro.
-Signorina, ha per caso visto il mio piccolo Tom? Ha quindici anni ed ha i capelli rossi e gli occhi color miele, è magro... La prego, mi dica che lo ha visto.-
-Mi dispiace, non ho visto nessuno con queste caratteristiche.- le rispondo e il suo pianto smette di essere controllato.
La donna si allontana e si avvicina a tutti i ragazzi. Vedo che ne riconosce uno e spero sia suo figlio, ma non lo è e quando parla con lui cade in ginocchio sotto shock.
-O mio Dio.-
-Deve essere rimasto dentro l’Accademia.-
Alcuni uomini stanno gettando dei secchi d’acqua sulla costruzione in fiamme ma non serve a nulla; un’alta esplosione li fa correre ai ripari e la donna sbianca e urla il nome del figlio.
-Vai ad aiutare quegli uomini, non ce la faranno a spegnere il fuoco se continuano ad arretrare ogni volta che un’asse di legno cade al suolo.- dico a Zephyro e mi allontano da lui di corsa.
-Aspetta un attimo, dove stai andando?-
-A rendermi utile.- urlo.
Corro verso l’Accademia, tra la folla mi sembra di vedere prima Erika e poi intravedo il volto di Samara.
-Cosa sta facendo quella?-
-È impazzita?-
-Che qualcuno la fermi!-
Mi lascio alle spalle le parole e le frasi di chi vorrebbe fermarmi, ma che non agisce.
Entro nell’inferno. Le mura e il soffitto scricchiolano pericolosamente e c’è tantissimo fuoco che mi blocca la visuale e chiude molti corridoi. C’è anche tanto fumo che mi entra nei polmoni, smetto di respirare e mi guardo attorno in cerca di un passaggio.
C’è ancora un corridoio sgombro da fiamme alte alla fine del quale c’è una scala. Salgo al piano di sopra e controllo in ogni stanza in cerca del ragazzino, ma non lo trovo da nessuna parte. Il pavimento in alcuni punti mostra i primi segni di cedimento. Devo sbrigarmi.
Fa che non sia troppo tardi…
Entro ed esco da stanze dove il fuoco sta prendendo sempre più piede. Non lo trovo. Non mi piace la sensazione di impotenza che provo.
Ma dove può… Ma certo! Quanto sono stupida.
Mi sono buttata a capofitto in una ricerca quasi impossibile senza tenere conto di quello che posso fare usando i miei poteri.
Chiudo gli occhi e mi concentro.
Sento paura e sofferenza provenire da una stanza a due metri da me, a sinistra.
Mi muovo rapida spingendo via le fiamme con i miei Lasciti. A sbarrarmi la strada c’è una porta di legno bloccata con delle assi cadute dal soffitto.
Potrei attraversarla, ma quel ragazzo come farà.
Spengo parzialmente il fuoco. Mi maledico per non essere abbastanza forte da estinguere le fiamme in tutto l’edificio, ma può anche darsi che sia meglio così in fondo, non rischio di essere scoperta.
Un ragazzo che sembra corrispondere alla descrizione della donna è steso a terra. Una trave di legno gli blocca le gambe ed è privo di sensi, con un gesto della mano la sposto e mi lancio a esaminare le sue condizioni.
Le gambe sono piegate con un’angolatura strana.
-Tom… Tom, mi senti?- urlo il nome sperando che sia lui.
Non riprende conoscenza.
Portarlo di peso mi è impossibile e non posso farlo levitare perché qualcuno potrebbe avermi seguito e ho paura per le sue gambe. Sono ridotte troppo male e potrei far più male che bene spostandolo.
Mi rimane solo una scelta.
Scusami Lovro.
Lo bacio e il mio potere curativo fa subito effetto. Sento l’energia defluire dal mio corpo per immettersi nel suo, dei cupi schiocchi provengono dalle sue gambe e so che ogni sua ferita si sta rimarginando.
Qualcosa mi colpisce e smetto di guarirlo cadendo al suolo. Mi pulsa dolorosamente la testa, la vista mi si appanna e mi sembra di sentire un sapore ferroso in bocca. Mi giro sulla schiena e faccio dei respiri profondi.
Sento il calore delle fiamme e il rumore di altri passi. Inizialmente è solo un’ombra quella che intravedo. Poi tutto ritorna alla sua chiarezza. Mi sento gelare viva. Stefano mi ha colpito e in mano stringe il pugnale di Samara che ho visto nella mia visione.
Come ho fatto a non accorgermi di lui? E come mai ha quel pugnale?
Mentre cerco di alzarmi cerca di colpirmi ancora.
Non posso perdere tempo.
Evoco la nebbia azzurra e lo blocco. Una spilla sulla sua camicia brilla di una luce rossa e vengo colpita da una scarica elettrica he ha l’intensità di un fulmine. Il mio corpo è scosso da spasmi che mi impediscono di agire.
Mi colpisce una, due, tre volte. Sento la lama entrare e uscire dal mio petto e ogni volta mi sembra di perdere una parte dell’energia che mi permette di rimanere una Vivente.
-La mia padrona sarà contenta.-
-C-Cosa v-vuoi fa-fare?-
-Mi ha detto di eliminarti perché sei un pericolo, perché non dici quello che sei veramente. Perché l’hai abbandonata.-
Sto riacquistando le forze.
-N-Non puoi farlo…-
-Ma prima…-
Lo vedo avventarsi su Tom con il pugnale.
-Questo no!-
Mi getto su di lui e lo spingo di lato e rotoliamo.
Stefano mi blocca a terra con la punta del pugnale a pochi centimetri dal mio volto ostacolato solo dalle mie mani che stringono il suo braccio.
-Non farai del male a nessuno…- dico.
Non con questo pugnale.
-Stefano...-
Devo liberarmi.
Del fumo dorato compare sotto la mia pelle, riconosco il potere perché l’ho visto mentre Zoe lo usava su Larz. La Redenzione.
Stefano si sveglia e lo spingo all’indietro mentre urla terrorizzato.
Torno da Tom. A causa di Stefano non sono riuscita a curarlo in tempo ma ora non ne ho altro per finire il lavoro iniziato. Loro due possono morire soffocati dal fumo. Dobbiamo uscire al più presto.
Stefano è rannicchiato e si colpisce la testa con i pugni.
-Non volevo, non volevo…-
-Stefano vieni a darmi una mano!- la mia voce si ingrossa e risuono per tutta la stanza, Stefano si irrigidisce e si alza avvicinandosi a Tom. Lascia cadere il pugnale.
-Aiutami a portarlo via.-
Senza dire una parola si issa sulle spalle il ragazzo ed usciamo dalla stanza, cerco di rendergli più sicuro il cammino spostando con la Telecinesi i detriti ed abbassando le fiamme troppo alte.
Provo ad aiutarlo usando la mia nebbia ma ogni volta la spilla che indossa si illumina e io provo forti fitte dolorose.
Scusa se non posso aiutarti in altro modo.
-Fermati.- ancora una volta la mia voce riverbera nell’aria.
Allora questa e la Lingua di Sirena.
È un Lascito che mi dà una forte sensazione di potere, mi fa sentire inarrestabile. È dolcissima la frenesia che mi fa provare nel profondo delle viscere; mi incanta, è suadente la facilità con cui mi è possibile manipolare le persone facendo fare loro tutto ciò che voglio. Ed è proprio questo che mi spinge a tenermi lontana dal folle piacere che mi chiama sussurrando eroticamente il mio nome.
È un’arma a doppio taglio: può essere d’aiuto, ma se non usato con coscienza porta sicuramente alla pazzia e alla distruzione.
Tra tutti i miei doni questo è sicuramente quello che mi piace di meno. In ogni frase che pronuncio infondo il potere della Lingua di Sirena e ho la terribile sensazione di ferire con essa Stefano, direttamente nell’anima. Gli sto togliendo il libero arbitrio.
Nell’eco della mia voce incantata si fa largo un rumore. Prima confuso, poi si fa distinto.
Qualcuno mi sta chiamando.
-Emma!-
È la voce di Zephyro e dai passi che sento deduco che non è solo.
Sono riusciti a trovare un varco! Finalmente!
-Emma, dove sei?-
Sono vicini.
-Andiamo Stefano! Ci salveranno.-
Dietro di noi le mura tremano e il soffitto cede, le fiamme si fanno ancora più alte e iniziano a circondarci bloccando in parte la nostra unica via di fuga.
-Corri!- ma la mia voce non ha più l’intensità di prima. Non potendo contare sulla Lingua di Sirena lo prendo per un braccio e cerco di trascinarlo.
-Non posso.-
-Ma che dici, certo che puoi!-
Ancora il mio nome.
-Stefano, per favore…- sento il potere scivolare via dalla mia voce.
-Mi dispiace.-
Appoggia Tom a terra e indietreggia di qualche passo.
-Non lo fare! Vieni con noi!-
-Ho fatto troppo male alle persone che conosco. Lei non mi perdonerà e mi costringerà a fare cose che non voglio. Scusa…-
-Dammi la mano. Ci salveremo tutti!-
Non riesco ad afferrarlo, un fumo nero denso compare alle sue spalle e lo ingloba dissolvendolo
Il soffitto crolla su di noi, richiamo la nebbia formando una cupola che ci protegge dalle assi infuocate. Sentendo di nuovo il mio nome faccio scomparire la protezione
-Emma… Ti ho trovata…-
Zephyro, come avevo previsto, è accompagnato da altri due ragazzi. Prende Tom in braccio.
-Fai attenzione alle gambe. Sono entrambe fratturate, l’ho trascinato stando il più attenta possibile a non aggravarle.-
Poco dopo siamo fuori dall’Accademia e al sicuro dalle fiamme.
Faccio finta di tossire mentre Zephyro posa a terra il ragazzo al sicuro ormai da tutto.
Tom viene circondato da varie persone tra cui riconosco la madre ed il medico. La signora, notandomi, mi si aggrappa al collo.
-Grazie per aver salvato mio figlio. Te ne sarò sempre grata.-
-Non ce n’è bisogno. Sono felice per suo figlio.-
La presa di Zephyro si fa più forte, capisco che così, invece di passare inosservata, alimento le voci che circolano sul mio conto.
Mentre ci allontaniamo, sento qualcuno dei ragazzi parlare.
-Ho visto Stefano mentre dava fuoco a una cassa di zolfo.- sussurra Tom.
-Ma cosa dici?!- un brusio generale si alza dalla folla.
-Giuro che è stato lui!-
Mi gira la testa, sto per sentirmi male.
-Non posso crederci…-
-Possiamo andarcene?- dico. L’Empatia sta captando forti sentimenti che però non appartengono a nessuno dei presenti. Sono oscuri e tentano di inglobarmi ma so che se permetto al mio potere di trascinarmi finirò col perdermi. Cerco di andare contro corrente e la cosa mi sfinisce.
Zephyro mi guarda serio.

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Capitolo 11
*** XI ***


Beatrice ci accoglie spaventata chiedendomi come sto. Tento di rassicurarla e di capire come abbia fatto a sapere già tutto.
Il paese è piccolo, le voci girano velocemente e per me questo è pericoloso.
Elebene mi riempie di domande, la tensione sembra essere scomparsa.
Zephyro mi porta in camera sua e mi aiuta a sdraiarmi sul suo letto.
-Lovro sta ancora dormendo?- chiedo.
-A quanto sembra sì.-
-E tu? Come stai?- mi chiede.
Cerco di analizzarmi. Gioco ancora a tiro alla fune con l’Empatia e la fune rappresenta il mio autocontrollo. La nausea è ancora presente.
-Meglio.-
-Sai stata un’eroina.-
-Ho fatto solo quello che ritenevo giusto fare.-
Zephyro sorrise. –Non tutti l’avrebbero fatto. E soprattutto non come hai fatto tu, era come se non ti importasse delle fiamme.-
Non possono bruciarmi… Ma grazie per la dritta, farò più attenzione a come agisco in futuro. Questa volta ho rischiato molto, sarebbe bastato veramente poco per farmi scoprire.
-Non ho pensato più di tanto. Ho agito d’istinto.-
Mi volto a guardare Lovro disteso sul letto; neanche le coperte che hanno aggiunto alle molte che già lo coprono sembrano riuscire a chetare i suoi tremori.
-Spero che guarisca presto…-
Zephyro mi osserva, è diventato improvvisamente pallido ; è come se lo avessi colpito allo stomaco alla sprovvista.
Sospira. –Lo spero, per il momento prego…-
Pregare.
Non lo faccio più da tento tempo.
-Non sono molto religiosa.-
-Non bisogna esserlo per poter pregare per chi si ama.-
Elebene lo chiama dal giardino e mi lascia in balia dei miei pensieri. Penso a Stefano, al suo sguardo quando lo Spettro Oscuro l’ha preso, al momento in cui ho utilizzato la Redenzione per spezzare l’incantesimo che lo rendeva un burattino.
Non sono riuscita a salvarlo. Anche lui ha sofferto a causa mia.
Ma c’è una cosa che continua a trapanarmi il cranio, le sue parole. “Mi ha detto di eliminarti perché sei un pericolo, perché non dici quello che sei veramente. Perché l’hai abbandonata.”
Torno con lo sguardo su Lovro. Mi muovo senza pensare e mi stendo accanto e lui e lo abbraccio. È più caldo di quando l’ho lasciato questa mattina, trema e dentro di lui si agita un male che affonda le radici sempre più nel profondo.
Lo stringo a me, la sua schiena a contatto con il mio petto, mi sembra che sia dimagrito tantissimo in questi pochi giorni.
Ripenso a Tom. Lui sono riuscita a salvarlo… mentre tu…
Gli do un bacio sui capelli.
-Si sistemerà tutto, vedrai. Presto starai meglio.-
Sento la porta d’ingresso sbattere. Qualcuno è uscito.
Lo stringo ancora perché voglio che mi senta al suo fianco.
Si infiltra tra i miei pensieri il fermaglio che Erika ha lasciato a Elebene. Diventa un pensiero fisso, un bisogno fisiologico talmente impellente che mi costringe ad alzarmi e a recarmi all’ingresso.
Beatrice è seduta sul divano e piange consolata da Zephyro. Il fermaglio è sopra al tavolino, sul libro di poesie di Adolfo.
Lo prendo. Non succede nulla.
Ritorno nella camera e mi siedo sul letto, lo stringo e unisco al potere delle visioni quello dell’Empatia e una porticina si apre. Chiudo gli occhi e nella mia mente iniziano a delinearsi e a prendere consistenza delle immagini. Questa volta è molto doloroso, ma non mollo.
 
‘Vedo Erika. È seduta su una sedia a dondolo e mi guarda. No… guarda la donna alle mie spalle.
Un freddo formicolio mi scorre lungo la schiena.
Mi volto ed ho davanti il bellissimo volto di Samara anche se i suoi occhi verdi mostrano una malvagità che stona con l’insieme.
-Erika, mia cara, da quanto tempo non ci vediamo?-
-Sono passati novant’anni e tu sei bella come sempre.-
-È vero, per mantenere un’apparenza giovane ho trovato una nuova fonte di energia. Ma stai pur certa che anche io comincio a sentire il peso degli anni.-
-Vedo che non riesci a prendere le distanze dal passato.- dice Erika con tono di scherno.
Samara si tocca il fermaglio che ha tra i capelli e fa una smorfia, come se si trattasse di un peso dal quale però non riesce a staccarsi facilmente.
-Ho deciso di darlo via.-
-La coscienza sporca si fa sentire.-
-No. Lo regalerò a mia nipote, resterà in famiglia.-
-Nipote? Non hai nessun parente.-
-Tu sì e ti ricordo che con me hai stretto un patto. Gli uomini della tua famiglia non subiranno la mia vendetta a patto che tu possa offrirmi la tua anima.-
-Ancora è troppo presto.-
-Erika.. Erika… non capisci. Se voglio una cosa, la prendo.-
Samara si avvicina all’anziana donna che è paralizzata sulla sedia, una figura nera la tiene bloccata. La Strega Rossa si china su di lei e la bacia, un bacio che segna la morte di Erika. Esplode in una nube di cenere tra le grinfie dello Spettro.
Samara prende fuoco e la sua fisionomia cambia.
Nella stanza c’è un’altra Erika. Negli occhi vedo determinazione e follia.’
 
Tutto svanisce e per la seconda volta mi trovo a indossare i panni di Zoe.
 
‘Sono nuda e distesa su un prato soffice. Larz è al mio fianco, anche lui nudo, e bacia il mio corpo. L’aria fresca ci accarezza e la sua vicinanza mi fa stare ancora meglio. Il rumore dell’acqua che scorre nasconde i nostri sussurri.
-Sei bellissima.-
-Grazie.- gli do un bacio.
-Sta scendendo la notte.-
-Non ti facevo pauroso.-
Mi alzo e mi metto su di lui cingendogli la vita con le gambe. Il suo petto si alza e si abbassa, è tranquillizzante ed eccitante questo movimento per lui normalissimo, ed io percorro con le dita ogni sua cicatrice.
-Sai perché lo dico.-
-Sono stanca di tutti questi allenamenti…-
-Ma ti servono. Sei la Custode e devi saper padroneggiare i tuoi poteri.-
-Voglio restare ancora un po’ così, con te.-
-Se vuoi possiamo rimanere insieme per tutta la vita.-
-Sai che questo è impossibile a meno che non uso l’incantesimo di Samara.-
-Non a quel prezzo.-
-Se vogliamo vivere insieme dovrò farlo.-
-Troveremo un altro modo.-
-Quale?-
-Sposami e lo scopriremo.-
-Non posso.-
-Non è vero.-
-Soffriresti soltanto.-
-Sbagli. Mi renderesti l’uomo più felice in assoluto.-
Sorrido.
-Ti amo.- dico prima di baciarlo sulle labbra.
-Allora?-
-Sì, lo voglio.-
-Adesso andiamo.-
-Si ritorna al Monte Sacrificio.-‘
 
Apro gli occhi. Nelle mie mani il fermaglio brucia.
Il Monte Sacrificio, ho pochi e confusi ricordi riguardo a quel posto.
Se lei si allenava lì, forse andandoci potrei trovare qualcosa su come potenziare i miei Lasciti..
Ho bisogno di Beatrice.
La trovo in camera sua affacciata alla finestra.
-Beatrice…-
L’onda triste della sua anima mi investe.
-Emma…-
-Scusa se ti disturbo. Dovrei chiederti una cosa.-
-Dimmi tutto.-
-Dove si trova il Monte Sacrificio?-
-Il Monte Sacrificio?-
-Sì.-
-Mio padre mi ha raccontato una storia che lo riguarda. Si dice che il monte nasconda nelle sue profondità un luogo dove solo i morti possono accedere. Si trova a nord, dopo la foresta. Perché me lo chiedi?-
-Devo andare a fare una cosa.-
-Emma…-
-Sì?-
-Non resisterà a lungo, non sei costretta a rimanere. Sei così giovane. Hai ancora tutta una vita davanti che ti afferra.-
È qui che ti sbagli.
-Non lo dire neanche per scherzo. Ce la farà.-
-Come fai a esserne così sicura?-
Mi fa star male vedere che lentamente si stanno arrendendo. Può la speranza umana essere così fragile nonostante nasconda in sé più potere di quanto io potrò mai essere in grado di sprigionare?
-Ne sono sicura perché lo amo.-
Scusa per questo…
-Dormi Beatrice.- e la Lingua di Sirena fa il suo dovere. –E dimenticati di me.-

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Capitolo 12
*** XII ***


Beatrice dorme oramai da tre ore buone, sono nella camera di Lovro e non riesco a convincermi a agire. Zephyro ed Elebene non sono in casa, nessuno che possa fermarmi, solo la mia coscienza mi blocca.
L’ultima spiaggia potrebbe rivelarsi un miraggio.
Appena rientrata nella camera di Lovro una cosa mi colpisce. L’odore del sangue; la pelle si sta lacerando e da queste ferite ne esce molto. Soffre, trema e piange nel sonno.
Gli disinfetto le ferite, è un lavoro che mi occupa un po’ di tempo ma mi è anche utile per capire appieno la sua situazione. Le ferite non sono profonde, i lembi della pelle sono regolari anche se secchi, al contrario del resto della pelle che è umida. Quando finisco di medicarlo lo rivesto.
Ormai è al limite. Non potrà reggere a lungo.
-Merda….-
Mi siedo sul letto e gli accarezzo il volto. Il suo respiro suona come un rantolo.
Questo è l’ultimo giorno in cui saremo liberi di essere chi vogliamo. Dopo cambierà tutto, non ci sarà più spazio per noi e per il nostro amore che viaggia sulla linea sottile che divide l’impossibile dal possibile. Dopo oggi, nessuno di noi due sarà come prima. Chissà come ci trasformeremo. Forse in chimere che vivono di sogni? Ma anche se non so cosa sarò, so cosa farò. Intraprenderò il mio ultimo viaggio. Però, prima, voglio fare una cosa che può sembrare insensata, ma voglio farla e con nessun altro che non sia tu.
Sono nervosa e mi scappa un sorriso.
Nella mia vita potevo incontrare tantissime persone, tutte diverse, particolari. Persone che non avrei mai potuto sopportare e altre che mi avrebbero sorpreso continuamente. Io ho incontrato te. Mi hai salvata dagli spettri del mio passato facendomi dimenticare in questi giorni che ho una vita alle spalle che mi è stata strappata con la forza. Sei stato mio amico, la stella che ha illuminato il mio cammino. Sei stato il mio amore, il richiamo che mi ha donato nuova vita. Per me sei stato un fulmine a ciel sereno, sei stato la cosa più bella che mi sia mai capitata.
Mi chino su di lui e lo bacio; ci metto tutta me stessa.
I muscoli sotto la sua pelle si rilassano, le ferite si rimarginano e la febbre scompare. Cancello ogni sua pena e lo rendo completamente libero.
-Ti amo.- gli sussurro nell’orecchio e lui sembra rispondermi facendo un profondo respiro, di liberazione.
Questa è la mia promessa. Sarò per sempre tua.
Le sue mani accarezzano delicatamente le mie braccia.
-Emma…-
-Ciao…- le lacrime rigano già il mio viso.
-Perché stai piangendo?-
-Perché sei guarito.-
Se ne accorge solo adesso.
-Sei stata tu a farlo, mi hai chiamato nel sonno.- dice scherzosamente.
-Sì. Sono stata io.-
La mia voce ferma lo rende serio.
-Come avresti fatto?-
-Non ti rispondo perché mi odieresti.-
Tento di baciarlo ma lui mi ferma
-Emma…-
-Per favore…- lo bacio continuando a piangere -… non farlo… -
Non si lascia baciare.
-Non puoi spaventarmi. Io ti amo.-
-Pure io.-
-Allora dimmelo.-
Non posso dirgli quello che sono. Non capirebbe.
-Posso farti vedere solo una cosa. Però non spaventarti.-
Evoco la nebbia che fluttua intorno a noi e poi accendo una fiammella azzurra tra le mie dita che fa brillare la bruma.
Non è spaventato, è curioso e affascinato.
Mi prende la mano e per paura di bruciarlo spengo il fuocherello e ritorniamo nell’oscurità, disperdo anche la nebbia.
-Ti amo.- mi dice.
-Anch’io.-
Non sono un mostro, lui lo sa e mi ama non per ciò che posso fare o per quello che ho fatto. Ma per chi sono realmente.
Comincio a baciarlo e sento che una parte dei miei poteri continua a influire su di lui.
Riesco a leggergli nella mente oltre che a provare i suoi stessi sentimenti. Ha un po’ di paura perché è la sua prima volta e non sa se sarà all’altezza, se mi farà del male.
-Non preoccuparti.- gli dico. Lo accompagno in ogni movimento mentre le sue mani iniziano a esplorare il mio corpo e ad addentrarsi sotto i mie abiti.
Passo le mie tra suoi capelli, mi bacia il collo e la clavicola. È così delicato da farmi tenerezza e questo mi eccita ancora di più aumentando il bisogno di soddisfare questo desiderio.
Mi sbottona lentamente la camicetta, mi sfiora la schiena con i polpastrelli e poi mi stringe fra le sue braccia. Ha le mani che tremano, come le mie, gliele prendo e le nostre dita si intrecciano.
Lovro si siede e mi tiene stretta a sé, gli tolgo la maglia e affondo nel suo petto caldo e protetta dalle sue braccia.
I nostri corpi iniziano a muoversi come se fossero uno solo. Gli bacio il collo, le guance, la bocca. Gli mordicchio il labbro superiore e lui solletica le mie con la punta della lingua.
Ogni movimento, ogni sensazione, non fa altro che aumentare quello che proviamo sulla nostra pelle e si forma un legame fra noi che ci lega indissolubilmente.
I suoi sussurri e le sue carezze divengono stelle che si accendono alimentando il fuoco che ho dentro.
Mi sento leggera.
Accarezzo la sua schiena e il suo petto. Ammiro ogni particolare del suo viso e mi perdo nei suoi occhi azzurri.
I nostri corpi iniziano a fremere, mi aggrappo a lui e mi tengo forte come fa l’ostrica con il proprio scoglio. Non voglio abbandonarlo perché mi sentirei persa senza di lui. È la mia casa, la mia coperta, la mia luce.
I sospiri formano una dolce melodia e i nostri nomi sono poesie che si rincorrono nel vento creando galassie immaginarie. I movimenti, ora lenti, ora più veloci, sono i terremoti che scardinano le leggi dell’intero universo. Infine tutto esplode in una miriade di scintille multicolori che mi ricordano i petali dei fiori che cavalcano la brezza primaverile creando farfalle dalle ali di cristallo scintillante.
Le sue mani si fanno più audaci ed esplorano ogni angolo del mio corpo in cerca del frutto proibito e quando lo trova lo assaporiamo insieme e le farfalle esplodono in mille splendidi soli che ci fanno tremare con la loro magnifica forza.
Mi stendo al suo fianco con la testa sul suo petto.
Il battito del suo cuore…
I raggi della luna che entrano dalla finestra creano degli intriganti giochi di luci e ombre sui nostri corpi nudi.
Adesso potrei anche morire, per la seconda volta. Me ne andrei felice.
Vorrei dire qualcosa ma ogni parola mi sembra troppo impura per descrivere quello che ho provato.
Il suo volto mi scruta in cerca di una conferma a una domanda che solo lui conosce.
-Ti è piaciuto?-
Rido affondando il viso nel suo collo e inspirando il suo dolce profumo.
-Ti preoccupi di questo?-
Un altro pensiero dovresti avere. L’hai fatto con un fantasma.
Lui continua a fissarmi. Gli do un bacio.
-Che questa sia la mia risposta.-
La cosa che ci rende simili agli animali è anche una delle cose più belle.
-Vorrei sapere chi sei.-
Lo guardo negli occhi e vedo solo amore.
Non dovresti guardarmi in questo modo. Non sai cosa sto per farti.
È giunto il momento e sto male perché non vorrei lasciarlo
Mi alzo abbandonando il nostro caldo rifugio e prendo i miei abiti. Anche se non sono quelli che indosserò non voglio lasciare tracce del mio passaggio. Non dovrà essere un mio ricordo a tormentarli.
-Dove stai andando?- si alza e mi blocca e i nostri corpi nudi aderiscono ancora una volta. Torna l’eccitazione, più forte di prima. Lo voglio di nuovo ma non posso.
-Emma… cosa stai facendo.-
Non vorrei farlo, ma devo. Sto per infrangere per la seconda volta un voto che ho fatto. Mi mancherai.
-Non odiarmi.- dico e lui mi abbraccia.
-Non potrei mai farlo.-
Questo è il momento.
-Mi basterebbe dirti una cosa.-
-Non è vero.- mi sussurra in un orecchio.
-Sono morta cento anni fa, questo non è il mio mondo, ciò che ho intorno è tutto nuovo per me tanto che alcune volte ho l’impressione che sia tutta una falsità… una falsità come il mio nome. Non mi chiamo Emma e anche se ti amo con tutta me stessa non posso permetterti di ricambiare il sentimento.-
Il suo abbraccio si scioglie come cera a contatto con una fiamma. È spaesato, cerca di capire se quello che ho detto è la dolorosa verità od una perfida bugia.
-Dormi.- la mia voce incrina l’aria e si espande creando una bolla che lo imprigiona nell’incantesimo della Lingua di Sirena.
Si accascia al suolo.
Mi accovaccio al suo fianco e gli afferro un polso.
-Prendi i ricordi che hai di me e nascondili dietro un velo pesante. Voglio che cancelli i sentimenti che hai provato per me e le confidenze che ti ho fatto. Dimenticati del mio amore e continua a vivere.-
Vedo il mio volto scomparire dalla sua mente,nascosto da una fitta foschia, i suoi sentimenti vengono attenuati e tutto quello che è accaduto poco fa diventa solo un sogno confuso. Cesso di usare la Lingua di Sirena.
-Continuerò ad amarti e a proteggerti.- sussurro.
Esco dalla camera e mi vesto velocemente. Pantaloni e stivali di pelle e una maglia grande, non è una delle mie, è di Lovro, il ricordo di un amore impossibile.
La cosa che mi consola è che non soffrirà per me come ha sofferto per Virginne, la mia sofferenza non conta.
Cerberus mi sta aspettando nascosto nella boscaglia che fiancheggia il sentiero che porta al paese. Appena mi vede lascia il suo nascondiglio e mi viene incontro agitando freneticamente la coda. Lo accarezzo.
-Vai nella foresta, ci incontriamo là. Ho un impegno che non posso mancare.-
Lui uggiola e si allontana.
Mi muovo come il fantasma che sono, scivolando da ombra ad ombra, sgattaiolando veloce contro i muri e per le viuzze; non percorro le strade principali per non correre il rischio di essere vista.
Devo trovare Zephyro.
Non so dove si è recato per passare la notte e non posso certo entrare in ogni casa.
Giro ancora per le strade quando sento una forte tristezza provenire dal primo piano di una casa. L’energia che la emana è quella di Zephyro.
Non è stato molto difficile. Penso sollevata.
Evoco la nebbia formando una scala che mi porta fino a una finestra chiusa.
Cavolo!
Con la Telecinesi la sblocco e la apro facendo entrare nella stanza una ventata d’aria fredda.
Anche se dorme non smette di provare sentimenti ed è fantastico perché vuol dire che sono preziosi e che non dovrebbero mai essere nascosti, anche quando sembrano delle maledizioni più che doni di un’esistenza meravigliosa. Ed è proprio mentre decido se entrare o no che mi viene un dubbio, per i Viventi i sentimenti sono tutto ed io ho fatto di tutto affinché perdessero quelli riguardanti me, un pensiero mi contorce il cervello e mi punge la base del cranio.
Forse non ho fatto bene a cancellare la memoria a Lovro… mi mordo le labbra No! Ma smettila! È per il suo bene.
Salto dentro la camera e accendo un fuocherello che spingo verso la testa di Zephyro dormiente. È infastidito dalla luce tremolante che danza a mezz’aria davanti a lui. Gli devo chiedere aiuto ed è necessario che sappia chi sono veramente.
Si sveglia e salta urlando dallo spavento per l’innocua fiammella ed esce dal letto con un salto.
-Ma che diamine…-
-Zephyro, Zephyro, sono io. Emma.-
Provo a calmarlo ma è troppo agitato e tenta di colpirmi con un pugno. Lo schivo facilmente ma ho paura che tutto il rumore che sta facendo possa svegliare le altre persone nella casa; richiamo la nebbia e lo avvolgo formando un bozzolo che gli chiude la bocca.
-Zephyro, calmati. Non ti farò niente. Devi solo starmi ad ascoltare.-
Sembra calmarsi anche se il suo battito cardiaco è ancora veloce, con l’empatia percepisco la sua paura.
-Ora ti lascio, ma devi promettermi che non incomincerai a urlare. D’accordo?-
Ci pensa su qualche secondo e poi muove la testa in segno d’assenso.
Lo libero e fa un profondo respiro.
-Lovro?-
-Sta bene, l’ho guarito prima di venire.-
-Non è possibile... Il medico ha detto che non c’è più nulla da fare.-
-Fidati se ti dico che ora non corre più alcun rischio, sono riuscita a guarirlo. Starà bene. Per un po’ potrebbe sembrarti confuso ma sappi che è solo perché gli ho cancellato la memoria.-
-Cosa gli hai fatto?-
-Non preoccuparti, i ricordi della sua vita sono intatti, mi sono preoccupata di nascondergli quelli che riguardano me e gli ultimi giorni trascorsi insieme.- prendo un po’ di tempo per fargli e farmi digerire quanto ho detto. –L’ho fatto perché è la cosa migliore per lui. Non posso scendere nei particolari.-
Mi guarda con sospetto e timore. Non ti biasimo.
-Cosa vuoi da me?-
-Ho bisogno del tuo aiuto.-
-Se non acconsento cosa farai? Mi cancellerai la memoria?-
-Se sarò costretta.-
I suoi occhi mi trafiggono come frecce ardenti e digrigna i denti.
-Non dovresti farlo.- dico.
-Cosa?-
-Digrignare i denti. Non fa bene.-
-Non lo faccio.-
-Invece lo fai spesso.-
-Cosa vuoi?- dice seccato.
-Prima devi sapere una cosa.-
-Riguarda quel fuocherello…- indica la lingua azzurra sulle nostre teste -… e quella cosa con cui mi hai bloccato?-
-Precisamente.-
-Ti ascolto.-
Gli riferisco le poche notizie che so sulla mia morte e sui miei anni di prigionia. Della felicità che ho provato nell’essere di nuovo libera e proprio questa mia voglia di libertà ha causato la rabbia di Esmeralda spingendola a lanciare una maledizione su Lovro. Tralascio il modo in cui l’ho guarito. Non dovrei dire altro perché potrei solo metterli in pericolo, ma non posso fare altrimenti. Lo devo mettere in guardia.
-Devo dirti una cosa che riguarda tua nonna. Forse è meglio se ti siedi.-
-Se a questo punto vuoi dire che ha ragione, sappi che è troppo tardi.-
Fisso il vuoto davanti ai miei piedi e fingo di non aver sentito, ma alla fine non posso fare a meno di giustificarmi.
-Vi ho mentito, ma solo su quello che sono io, non su quello che provo. Non vi avrei mai fatto del male, non posso.-
-A Lovro hai cancellato la memoria, lo hai danneggiato privandolo di una parte di sé.-
-Cerca di capirmi. L’ho fatto per salvaguardare lui e Beatrice.-
-Lo hai fatto anche a Beatrice?-
Più ci dilunghiamo e più mi sento in colpa.
-Sì. Ma non puoi definire quello che ho fatto come un’azione nociva. Un essere come me non può in alcun modo nuocere ai Viventi.-
-E allora come dovrei interpretarlo?-
-Un atto di amore. Lasciando in loro il ricordo di me li avrei messi solo in pericolo. I sentimenti possono essere manipolati, se si hanno le armi giuste per farlo. E la Strega Rossa ce le ha. Poi, pensi che Beatrice mi avrebbe creduta se le avessi rivelato la vera identità di sua madre e che è stata proprio lei a far ammalare suo figlio?-
-Aspetta un secondo? La vera identità di Erika? Cosa centra lei in tutto questo? E non era stata Esmeralda a lanciare la maledizione?-
-Sì… e no.-
-Scusa?-
-È una mia teoria, e non sono sicura corrisponda al vero, ma su una cosa sono certa. Erika e la Strega Rossa sono la stessa persona. L’ho visto in una delle mie visioni e il favore che ti chiedo è di tenere la tua famiglia lontana da lei.-
E poi non riesco a immaginare come possa prendere la guarigione di Lovro, spero scarichi la sua rabbia direttamente su di me.
Faccio un sospiro e riprendo il discorso.
Gli parlo dei miei poteri soffermandomi sulle mie visioni e di come ho previsto che Lovro sarebbe stato accecato da Stefano. Gli racconto anche di Zoe e di Larz.
-Sono loro che mi hanno dato l’idea di andare al Monte Scrificio.-
Quando smetto di parlare lui non dice niente. Mi fissa e basta.
- Da quanto sei morta?-
-Cento anni.-
-In totale quanti anni hai? Centodiciassette, centodiciotto?-
-Centodiciannove.-
Sospira e alza lo sguardo verso il soffitto mordendosi le labbra, poi mi guarda fisso negli occhi.
-Com’è morire?- È una domanda che ho imparato essere propria dei Viventi. È insita nella loro natura, nel timore che hanno verso la morte. Hanno il terrore che essa possa cancellare tutto ciò che sono stati e che hanno fatto, farli assomigliare a fantasmi della storia. Ma, di fatto, tutti sono condannati a esserlo, chi prima, chi dopo. Solo alcuni eletti hanno la fortuna di essere ricordati.
-Non lo so. È strano da descrivere. È come se si diventasse cechi per poi tornare a vedere il mondo con nuovi occhi viaggiando tra la Terra dei Viventi e quella dei miei simili cercando una via da seguire. In altre parole… non saprei proprio cosa dirti. È una sensazione che non si può provare prima e per la quale non si è mai veramente pronti, si può solo sperare di riuscire a scorgere la luce.-
-Ora cosa farai?-
-Dipende tutto da quello che deciderai di fare tu, Zephyro.-
-Sembra non abbia molta scelta. Cercherò di accontentarti.-
-Grazie.-
-Quindi?-
-Domani mattina farai ritorno a casa e ti prenderai cura di Lovro e degli altri. Devo cancellare la memoria a Elebene. Sarai da solo. Farai finta che non sia mai entrata nella vostra vita, che non sia mai esistita.-
-Ele è da Erika.-
-Da Erika? Che ci fa da lei?-
-Era sconvolta ed è andata da lei in cerca di conforto.-
-Cavolo! Dove abita?-
-Davanti all’Accademia.-
-Grazie.-
-Lui continuerà ad amarti anche se non si ricorderà di te.-
-Lo so. Ma non sarei potuta rimanere a lungo con voi.-
-Per quale motivo?-
-Vedervi invecchiare e morire senza poter fare nulla per impedirlo... Come pensi avrei potuto sopportarlo?-
-Quindi hai intenzione di non fare più ritorno.-
Mi sembra di essere stata chiara. Sospiro.
-Devo andare adesso.-
-Emma…-
-Dimmi.-
-Buona fortuna.-
Gli sorrido.
-Inizia col dimenticarti questo nome, non è quello vero.-
Salto dalla finestra.

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Capitolo 13
*** XIII ***


Non mi è difficile trovare la casa di Erika. È fatiscente e sembra essere sul punto di crollare da un momento all’altro. Dà l’impressione di aver visto molto con le sue mura di pietra: il mondo cambiare e la vita agitarsi al suo interno.
Da una finestra esce un luce fioca.
Levito fino a quella e la apro. Elebene è distesa su un letto, dei fazzoletti sparsi a terra e uno ancora nella sua mano.
-Sei stata la mia migliore amica, vorrei essere stata più sincera con te in questi giorni.-
Respiro e libero la Lingua di Sirena,
-Dimenticati di me.-
Aspetto un attimo per essere sicura ci sia solo lei nella casa e per essere sicura perlustro l’abitazione con l’Empatia, non ricevendo nulla decido di visitarla. Entro in qualche stanza. La camera da letto di Erika, una cucina, un salotto.
Non sembra la casa di una famiglia povera, forse lo è diventata dopo.
Vorrei capire come mai Erika ha stretto un patto con la Strega Rossa e mi affido alle mie visioni. Faccio scivolare le mie dita su quadri e oggetti, ma nessuna immagine si forma davanti ai miei occhi.
Finisco in uno studio. Non c’è più niente dentro, è stato completamente svuotato a parte per un tavolo di legno marcio sul quale è posato un metronomo.
È più moderno rispetto a quelli che facevano nella mia epoca.
È una piramide con attaccata un’asticella di ferro che si muove producendo un ticchettio che alla lunga mi da fastidio. Faccio per fermarlo, appena lo sfioro tutto si fa nero.
 
‘-Guarda com’è bello.- dico.
-Sono stato proprio bravo.-
Sul tronco di un pino Larz ha inciso le iniziali dei nostri nomi circondati dalla forma di un cuore trapuntata da tante croci e stelle. È una cosa che si fa spesso e che può essere considerata un cliché, ma per me è fantastico vedere la nostra promessa di matrimonio incisa. Resa indelebile per me che lo sono stata. Mi accorgo che si è ferito a un dito, ma non vuole che lo guarisca e non capisco il perché.
-Sei felice?- Mi domanda.
-Domani è il grande giorno. Come faccio a non esserlo?- saltello contenta e Larz mi sorride di rimando.
-Sono felice pure io.- Dice lui.
Scorro le dita sulle nostre iniziali, sento quei sottili segni sotto i polpastrelli e mi regalano una sensazione strana, sconosciuta. È piacevole ma sento anche un peso, ho paura che stia per accadere qualcosa di terribile.
-Dimmi quello che ti passa per la testa. Lo so che mi nascondi qualcosa.-
Rido. È bello sapere che c’è qualcuno che mi conosce talmente bene al punto di essere in grado di leggermi nella mente, di mettere ordine nei miei pensieri quando neppure io ne sono in grado, ma anche che non riesce a percepire tutto permettendomi di mentire per il suo bene anche se è riprovevole farlo.
-Ripensavo all’incantesimo di Samara.-
-Qualche problema?-
-No, niente di grave.- Gli rispondo.
-Zoe... Dimmi. Sai che io so che mi stai mentendo, è inutile che fai la finta tonta.-
-Mi sono venute.- ed ecco che parte la sudicia menzogna.
-Cosa?-
-Le mestruazioni.- il suo volto si fa purpureo e gli occhi lucidi.
-Com’è possibile?-
-Bè, è il bello di avere un corpo mortale.-
-S…sì, immagino che sia così. Non è un male, vero?-
-Non lo è.-
-Dovrai solo cercare di non dimenticarti di respirare.-
-Se fosse solo quello sarei già a un buon punto. Devo nutrirmi regolarmente e poi devo anche…-
-Anche?-
-Soddisfare alcuni bisogni fisiologici.-
-È una cosa naturale.-
-Lo so, lo so. Ma è strano. Non mi accadevano tutte queste cose da tanto tempo che ora non so come comportarmi con ognuna di esse, non riesco a ricordare come ci si sente.-
-Sarai fantastica.-
-Per tre anni.-
-Questa decisione sappiamo entrambi che non è dipesa da me.-
-Puoi anche non rinfacciarmelo ogni volta.-
-Avresti dovuto informarmi.-
-Non me lo avresti permesso.-
-È logico. Non voglio vederti morire sapendo che la tua anima andrà perduta per sempre.-
-Non andrà perduta, e lo sai benissimo. Non potrò più tornare in questo mondo ma no, non la perderò.-
-E a me non pensi? Cosa potrò mai fare io senza di te?-
-Sarai felice.-
-Preferirei averti per sempre con me come un fantasma.-
-In quel caso sarei io a vederti morire. Lentamente, giorno dopo giorno.-
Lo abbraccio e gli do un bacio.
-Preferirei questo…- mi sussurra -… che saperti lontana da me senza la possibilità di riaverti.-‘
 
Non capisco cosa mi voglia dire questa visione e a cosa possa servire un metronomo in una casa priva di strumenti.
Esco dalla dimora e prima di dire addio al paese e alle persone a cui ho voluto bene, mi concedo il tempo per un augurio di lunga vita e di serenità per coloro che mi hanno dato una nuova casa, un nuovo focolare da amare e dove sentirmi protetta. Qualcosa per cui lottare e sacrificarmi.
Imbocco il sentiero che porta nella foresta ed entro in quel mondo fatto di sussurri silenziosi e scrutatori eterni, mi dirigo verso il fiume dove trovo Cerberus intento a sgranocchiare il cranio di una lepre.
Quando mi vede lascia il suo giocattolo e si abbevera.
-Siamo pronti quindi.-
Mi incammino con lui al mio seguito. Ci aspetta una lunga camminata prima di arrivare alla base del Monte Sacrificio e prima partiamo, prima avrò le risposte che cerco e un modo per far cessare questi omicidi.
Questa storia è cominciata con io che fuggo, scappo da tutto e cerco di cambiare la mia natura; ora, per una volta, per la prima volta in questa mia nuova vita combatterò.

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Capitolo 14
*** XIV ***


‘Ho fatto un sogno, un bellissimo sogno che ha riempito il mio cuore freddo di felicità.
Ci sono persone che ballano. Si divertono. Ma non è un sogno, è la realtà.
Alcuni fantasmi hanno l’abilità di ricostruire il proprio corpo tanto da sembrare veramente dei Viventi, altri accendono fuocherelli che illuminano senza bruciare, altri ancora evocano una nebbiolina brillante. Ognuno ha una capacità che lo rende speciale. Usano i loro doni davanti ai mortali, non dobbiamo preoccuparci di loro, sono nostri amici, ci ricordano il nostro mondo passato, un’ancora di cui non possiamo fare a meno.
Osservo tutta questa gioia frenetica da lontano. Le feste mi piacciono solo se le posso osservare, se devo partecipare inizio a odiarle perché mi sento fuori posto e anche se provo a inserirmi alla fine finisco col sentirmi male.
Osservare. È la cosa che preferisco fare. Conoscere le persone grazie a ogni loro piccolo gesto, alle loro espressioni, a come si pongono e quali atteggiamenti assumono ma non lo faccio solo per questo, lo faccio maggiormente perché sono gelosa di loro.
Hanno un corpo caldo che usano per amare e proteggere e con una melodia del cuore, un muscolo che batte e che invia la linfa vitale in ogni parte del loro corpo. Invidio il rossore delle loro gote e i risolini delle coppie che si allontanano pensando che nessuno sappia cosa stiano per fare. In realtà lo sanno tutti.
Loro possono amare in un modo che ha me è precluso, in modo puro. Io, invece, sono succube di sentimenti ampliati che non riesco a controllare come fanno gli altri fantasmi che sembrano più che altro simularli. Come se non provassero nulla in realtà, come se agissero come uno specchio che rimanda il riflesso di un’emozione.
Rimango in disparte sul tetto della chiesa di legno dove hanno celebrato il mio funerale. Ho assistito alla celebrazione da fantasma. Per gli altri miei simili è stato traumatico lasciare il limbo a un passo dalla felicità eterna, io non ci sono mai arrivata. Per me è stato un po’ come svegliarmi.
Dall’alto della scogliera guardavo l’immenso oceano che ha avvolto il mio corpo inghiottendolo nelle sue oscure profondità. Non è mai tornato a riva e per questo nella bara c’era solo un mio vestito con uno dei braccialetti che avevo intrecciato con dei fili di paglia e dei fiori. Non c’era quasi nessuno a darmi l’estremo saluto; il parroco, la donna che si occupava degli orfani come lo era stata io e qualche altra persona che mi aveva conosciuta o che era capitata per caso o per curiosità. A differenza del funerale di mio fratello mancavo solo io.
Mi sono uccisa. Non perché spinta da altri, ma per mia volontà. Avevo visto morire mio fratello a causa della peste e non ero riuscita a sopportare l’idea di vivere senza di lui. Per questo l’ho fatto. È stato rapido e indolore. Pressappoco. Il dolore è arrivato dopo aver visto le mie speranze disintegrarsi.
Inizialmente ho veramente preso in considerazione la possibilità di vivere in eterno assieme all’anima di Raph, ma non è mai tornato dal limbo, è passato oltre. E mi sono sentita sola… proprio come adesso. Proprio come ora che la mia bara viene calata in una profonda fossa mentre le foglie hanno iniziato la loro danza coprendo il terreno con un secco e scricchiolante manto. Mi nutro avidamente della musica che assume consistenza grazie ai corpi dei fantasmi che vibrano a ogni accordo e ondeggiano con grazia.
Ognuno di noi diverte i mortali con il proprio regalo datoci dalla Morte. I Lasciti.
Cosa direbbero gli Anziani se scoprissero che so usare la maggior parte dei loro poteri?
Probabilmente, anzi sicuramente, mi imporrebbero altri limiti oltre a quello che già mi sta stretto. Non posso parlare con gli umani… mi sembra che basti.
Il primo potere che ho sviluppato mi permette di controllare tutte le persone che mi ascoltano. In definitiva potrei far fare loro tutto quello che voglio. So controllarlo e non mi permetterei mai di utilizzarlo per scopi meschini. Ho provato a spiegarlo, ma non hanno voluto sentire ragioni. Non vogliono che io abbia rapporti con i Viventi. Però dalla mia vita terrena mi sono portata dietro un piccolo difetto: quando sento le regole troppo strette, non posso fare a meno che infrangerle.
Ho usato il mio Lascito un paio di volte per impedire a degli imbecilli di fare delle cretinate. Per esempio. Un uomo voleva suicidarsi perché aveva contratto dei debiti di gioco, gli ho detto solo che doveva smetterla di comportarsi come uno stupido e di rimboccarsi le maniche per trovare legalmente i soldi per estinguere tutti i debiti e ricostruirsi una vita partendo da zero, e alla fine c’è riuscito.
O il ragazzo che si era innamorato di una che lo tradiva senza impegnarsi troppo a nascondere il reato, lo voleva solo perché era di bella compagnia. Quando lui si accorse che era solo un accessorio cadde in depressione. Solo grazie al mio potere si dimenticò della smorfiosa e si accorse per la prima volta della ragazza della porta accanto, quella con il fratello mutilato a causa di un incidente in miniera.
Ed ora eccoli lì, abbracciati sotto i fuochi con sopra lo sguardo del fratello che vede per la prima volta la felicità sul volto della sorella dopo anni di sacrifici, lacrime ed infelicità.
-Bella festa.-
Mi volto, è Samara. La mia unica e brutale vera amica. Una strega, proviene dalle Paludi Ardenti del sud con una brutta storia alle spalle. I genitori l’hanno abbandonata perché anche lei può controllare le persone con il suono della sua voce. Ha fatto del male sotto il comando di persone cattive che l’hanno usata come arma per uccidere i loro debitori e creditori, per questo l’intero villaggio la teme e la tiene a distanza ignorando quanto potrebbe essere utile.
Io sono riuscita a riscattare delle vite e sono solo un fantasma, lei è una strega. Potrebbe fare molto di più di quanto è in mio potere.
Per quanto ancora possa dimostrarsi in talune occasioni spregevole e spietata mi trovo bene in sua compagnia, forse perché entrambe non abbiamo niente da perdere. O quasi. Io una cosa ce l’avrei e lei è l’unica a sapere questo mio piccolo segreto.
Ho trovato l’amore, una perla portata dal vento. È un amore impossibile, lo so e lei non fa altro che ripetermelo in continuazione, ma è ricambiato e so che di lei mi posso fidare. La prima volta che ci siamo incontrate non ho faticato a riconoscerla, lo stesso è capitato per Larz, anche se erano solo bambini; li avevo già viti nello Specchio dell’Eterno Divenire, uno specchio di anonime origini capace di far vedere a chi si specchia le persone che segneranno la propria vita.
La prima volta che vidi Samara era intenta a viaggiare a nord, diretta verso gli Immensi Ghiacciai alla ricerca di un posto sicuro in cui vivere, aveva solo quindici anni, Larz lo vidi qualche giorno dopo, all’epoca era un neonato di due giorni, ma era bellissimo: paffuto e candido.
Cinque anni dopo io e Samara ci incontrammo, aveva appena ucciso una persona per conto di un cacciatore di taglie, un perfido individuo che aveva intenzione di sposarla solo per tenerla stretta al suo fianco; non si spaventò quando mi vide, non era la prima volta che incontrava un fantasma lungo il suo viaggio ma fu la prima volta che ne risparmiò uno. Generalmente li eliminava con degli incantesimi ma con me non lo fece perché ero diversa, lo sentiva sulla sua pelle e nell’aria che respirava. Riuscii a convincerla a seguirmi, con me avrebbe potuto avere una nuova vita e lei accettò.
Ci siamo incontrati di nuovo dopo vent’anni dalla nostra prima volta io e Larz, in un’occasione non proprio felice. Stava nevicando molto e lui era andato a caccia ma la neve aveva reso tutto freddo, uguale e letale e così lui smarrì la strada. Lo trovai in fin di vita, coperto dalla gelida e cristallina neve. Fu in quel giorno che scoprii di poter guarire le persone.
Incominciammo a incontrarci di nascosto, io tornavo alla mia forma corporea e questo ci permise di comportarci come tutti gli altri ragazzi. Ma oggi è un giorno speciale, non abbiamo bisogno di nasconderci, possiamo incontrarci alla luce della luna senza destare sospetti, come se fosse tutto normale.
Ancora non lo vedo e comincio a dubitare che verrà.
-Zoe, sei pronta?-
L’unica occasione in cui posso usare il mio spaventoso dono.
La musica si ferma e il silenzio scende con il suo leggero peso alitandoci sul collo. Sia i fantasmi che gli umani non parlano e non fanno nessun tipo di movimento se non quello utile a formare un cerchio abbastanza largo di cui io sono il centro.
Tutti mi guardano trepidanti. Gli umani perché a loro donerò minuti di pura felicità data dall’oblio della perdita di ogni pensiero negativo, i fantasmi perché… niente, per loro è solo uno spettacolo bello a cui assistere.
Tutto tace e tutto è immobile. Vorrei che fosse qui.
Un dolce pizzicore parte dalla punta dei piedi e sale fino a ogni mia estremità, sospiro e poi lascio che i suoni viaggino tra la folla.
I Viventi mi guardano inebetiti con gli occhi vacui, la sensazione che mi dà questo potere non mi piace e non vorrei mai essere costretta a usarlo se non fosse per salvare delle vite. Mi colpisce un movimento tra la folla, non è mai capitato, che si avvicina serpeggiando al limite del cerchio; è causato da un ragazzo ipnotizzato con lo sguardo rivolto al cielo. È lui: Larz.
Provo un’emozione completamente nuova. I miei poteri impazziscono e prendono il sopravvento sulle mie azioni. Continuo a cantare, gli Anziani si sono accorti che sta accadendo qualcosa di insolito e mi studiano sia con crescente curiosità che con timore.
Una forte esplosione inonda le persone e i fantasmi e l’epicentro sono io.
Acquisto corporeità e dei nastri di fuoco azzurro mi circondano facendo brillare la nebbiolina violacea che si libera dal mio corpo. Le foglie secche iniziano a prendere vigore e volteggiano tra la gente disegnando nell’aria strane ed esili figure che si muovono in trasparenti evoluzioni.
Cerco di riacquistare un minimo di controllo sulle mie doti postume, ma non ci riesco e ogni volta mi sembra di ricevere un contraccolpo che inibisce la mia volontà.
Un urlo di dolore spezza per pochi secondi la mia melodia, è il ragazzo mutilato. Lo vedo steso a terra contorcendosi dal dolore e stringendosi il moncherino ricoperto da fiamme azzurre che crescono fino a quando l’intero arto non ricresce completamente. Una vera gamba formata da ossa e muscoli, tendini e cartilagine, vene e arterie.
I nastri di fuoco che mi ruotano attorno esplodono in lapilli che rendono ancora più brillante la bruma viola che lentamente si ritira nel mio corpo che ritorna a essere puro spirito.
Smetto di cantare e i Viventi si svegliano dalla loro trance; alcuni mormorano meravigliati, ci sono delle urla di sorpresa e di felicità per quella guarigione miracolosa che ho provocato io.
Non può essere vero…
Con lo sguardo cerco il volto di Samara, ma non la vedo da nessuna parte. Possibile che se ne sia andata?
Oltre alla gamba ricresciuta il terreno è ricoperto da baccelli di fiori colorati.
Tutti mi guardano, mi indicano e mormorano, anche Larz, e mi inquieta non sapere il perché.
Poi mi accorgo di quello che sta avvenendo.
Sto brillando, sembro una scultura di ghiaccio che riflette i raggi solari.
Le fiamme scorrono sul mio corpo intangibile ricoprendolo con un abito bianco lungo con le maniche nere, è decorato con dei cristalli scuri che formano un intreccio su tutto il vestito; i miei capelli si raccolgono in un nastro bianco a formare una coda di cavallo che lascia libera solo la frangetta che mi ricade sul lato sinistro del viso incorniciandolo.
Quando la trasformazione è terminata uno degli Anziani mi viene vicino.
-Seguimi.-
Siamo entrambi alla base del monte che si alza ripido verso il cielo stellato sopra la foresta.
-Sospettavo che prima o poi uno di noi sarebbe stato scelto.-
-Igno?- lo chiamo perché osserva il suolo roccioso ignorandomi completamente.
-Sei tu. La Custode delle Anime.-
Le parole mi colpiscono come grandine.
-La storia dei Custodi è solo una leggenda.-
-Non lo capisci, tutto ha senso.-
Mi guarda dritto negli occhi ed ho paura che possa scoprire il mio segreto.
-Non fidarti mai degli altri se a dirtelo non è il tuo istinto.-
Mi bacia sulla fronte e mi mormora una frase nell’orecchio. “Sono la Custode delle Anime, la voce di chi non c’è più, il mio è il canto del tempo.”
Non capisco cosa voglia dirmi con queste parole. Le ripeto per cercare di afferrarne il senso e una porta si apre nel terreno mostrando l’inizio di una scala.
-Ma cosa….-
-Capirai a tempo debito.-
Mi dà un buffetto sulla guancia ed esplode in una nube elettrica. So che la stessa cosa è avvenuta a qualche altro fantasma alla festa. A tutti gli Anziani.
Possiamo passare dal regno dei morti al mondo dei Viventi liberamente, rimaniamo un anno e poi dobbiamo tornare dall’altra parte per un altro anno. Auguro a Igno, Edvige, Saro e a tutti gli altri di passare felicemente i trecentosessantacinque giorni che verranno nel nostro vero mondo.
Rimango in compagnia del vento e di qualche farfalla notturna.
Guardo la scala che conduce verso il basso.
Se devo capire chi sono questo sarà un buon punto da dove cominciare.
Mentre scendo le scale mi viene in mente il racconto di Igno riguardante la mia morte. “Ti sei buttata da una rupe del Monte Scrificio.”
Strano come il luogo della mia morte segni anche l’inizio del mio destino.
Entro in una grotta e mi sembra di sentire un sussurro che mi chiede chi sono. Immagino che sia dovuto alla mia immaginazione ma l’istinto è più forte di me. Così rispondo alla domanda.
-Mi chiamo Zoe, sono un fantasma, sono morta all’età di venti anni, sono ancora nel mondo dei Vivi perché voglio proteggere mio fratello e la sua famiglia. A quanto pare sono la Custode delle Anime. Sono il fantasma che si è innamorata di un mortale e che ha come amica una strega.-
Su una parete della grotta incido il mio nome.’

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Capitolo 15
*** XV ***


Il Monte del Sacrificio si staglia davanti a me. Cerberus non mi ha seguita, si è fermato nella foresta ringhiando contro la montagna, ho preferito rimandarlo al villaggio per controllare Zephyro e Lovro, penso sia stata la decisione migliore.
Solo i morti possono accedervi.
In mano tengo il fermaglio di Zoe, me lo rigiro tra le dita dopo aver frugato ancora nei suoi ricordi e mi sento in colpa, ma sono giunta a un punto dove ogni tassello deve tornare al suo posto.
-Sono la Custode delle Anime, la voce di chi non c’è più, il mio è il canto del tempo.-
Delle linee nere segnano il terreno formando una porta orizzontale le cui ante si aprono verso l’esterno; il puzzo penetrante di terra bruciata mi entra nelle narici e mi sembra di poterlo sentire sulla lingua, è pastoso.
C’è una scala e la scendo fino a quando davanti a me si allunga un corridoio che odora di pioggia e di muffa, sento l’eco che producono le gocce che si infrangono al suolo trasmettendomi una sensazione che mi fa ricordare di un viaggio fatto con la mia famiglia. Eravamo andati a Lacrimosa, chiamata così a causa della perenne pioggia che bagna i suoi tetti, un agglomerato urbano con case di mattoni e lamiere e con ampi spazi coperti da una sottile e scura erba schiacciata dalla pungente acqua piovana.
Parlo della città al presente perché non so se esiste ancora, o se ha solo cambiato nome… ma degli avvenimenti che mi hanno vista in questo paese posso solo parlare usando il passato.
Ci eravamo recati lì perché mio padre doveva incontrare un acquirente, un suo vecchio amico d’infanzia. Un cinese alto e muscoloso. Mi aveva fatto ridere la sua figura: un corpo enorme sormontato da una testa minuscola e priva di peli; non aveva né sopracciglia, né ciglia, né capelli, né barba, ma la cosa più strana erano le sue orecchie a punta che svettavano come antenne sui lati del volto.
Assistemmo per la prima volta a uno spettacolo circense in un capannone ricco di odori e colori.
Adesso, mentre ripercorro con la mia mente il sentiero che ho percorso, delineo i contorni leggeri di ragazze che mi avevano fatto sognare con la loro grazia e leggerezza, e quei ragazzi forzuti che si cimentavano nelle acrobazie più strane mi avevano fatta arrossire pensando che, nel mio futuro, mi sarebbe piaciuto essere stretta da quelle braccia muscolose al loro forte petto. Tutto di loro mi dava sicurezza, tutto di loro mi prometteva protezione.
Era emozionante sentire e vedere la passione che li spingeva ogni volta a migliorare, a stupire sempre più le persone. Alcuni di loro lo facevano solo per i soldi, per avere una pagnotta ogni sera o un piatto di zuppa calda. Ma c’erano altri che lo facevano per i bambini, per vedere sui loro volti un sorriso. Sorriso che è difficile trovare sui volti degli orfani. Volevano regalare dei piccoli sogni, far immaginare anche a loro di poter volare o fare giravolte in aria sostenuti solo da un telo colorato.
La luce lunare non riesce a filtrare nell’oscurità del tunnel che ho davanti. Accendo un fuocherello che illumina la zona intorno a me con il suo bagliore azzurro. Il corridoio sembra non avere fine ed essere pronto a inghiottirmi alla prima occasione chiudendosi su se stesso.
Percorro la gola profonda e le sue pareti sono decorate da strani segni. Avvicino la luce al muro. Sono simboli strani, che non riesco a decifrare… alcuni sembrano persino degli animali che si muovono, ma è solo frutto della mia immaginazione.
Mi sento strana in questo luogo, è permeato da secoli di storia, di eventi; è qui che i Custodi si sono recati per migliaia di anni.
Ma per fare cosa?
-Accidenti!-
Mi pizzicano gli occhi, il prurito diventa un forte bruciore che si concentra all’intero della retina; li apro e chiudo mentre il dolore si affievolisce. Le rune sul muro ruotano vorticosamente scambiandosi di posto e mutando nelle lettere del mio alfabeto.
È una lista di nomi alcuni dei quali impronunciabili.
Albrither, Monurutm, Trumototoru…
Ogni scritta ha la sua grafia.
Marcus, Caesar, Tanato, Lucanus, Albae…
Si susseguono per tutto il muro. I nomi si intrecciano diventando confusi, alcuni sono grandi, altri talmente piccoli da renderne difficile la lettura.
Emma, Taylor, Logan, Rupert, Daniele, Asa, Lorenzo…
Continuo e scorro le dita sulle incisioni. Appena li tocco riacquistano la loro forma originale, non sono loro a essersi trasformati, sono io che li vedo diversi.
Alfredo, Delia, Selena, Ingrid, Camelia, Bianco, Rosalba, Gabriele…
Vedo i loro volti nella mia testa, tanti occhi che puntano dritti al mio cuore. Celesti, ambrati, azzurri, verdi, castani, neri…
Le loro energie attraversano il mio corpo, vedo le loro seconde morti.
Avevo sempre creduto che noi fantasmi fossimo immortali, non avevo idea che esistessero delle armi capaci di eliminare completamente la nostra anima e neppure che ci fossero delle persone capaci di vederci anche quando siamo invisibili agli occhi degli altri Viventi.
Diego, Jacob, Carlotta, Phyra, Tom, Salem…
Sembrano non finire mai.
Katherine, Mària, Eugenio, Aleksandar, Albrecth…
Il muro curva e finisco in una stanza, spingo il fuoco fatuo all’interno di questa fino a quando non incontra un ostacolo e si spegne con un leggero scoppio, ne accendo un altro e cammino con cautela fino a quando non mi trovo davanti a una scultura di roccia. Alla luce azzurra le decorazioni sono inquietanti. Quest’opera ha la forma di una coppa quadrata e ogni lato è decorato con volti maschilisimboleggianti le fasi della vita umana.
Il viso di un bambino ha un ricciolo di capelli sulla fronte e un naso a patata su una bocca spalancata in un sorriso gioioso. Ha quattro occhi.
Il volto di un giovane adulto ha due occhi e un corno sulla fronte che divide i capelli in due ciuffi che cadono ai lati del viso, l’espressione è seria, il naso leggermente all’insù.
Una barba lunga che copre la bocca ha invece l’anziano con tre occhi contornati da profonde rughe e con un naso lungo e bitorzoluto.
Il terzo volto è terrificante. Ha una sola orbita vuota, senza bocca e con due tagli al posto del naso.
La coppa è piena di una sostanza oleosa e traslucida alla quale avvicino il mio fuocherello per vedere se contiene qualcosa, ma sono costretta a indietreggiare perché il liquido prende fuoco illuminando completamente la stanza.
Anche qui le pareti sono decorate con nomi, pure il soffitto lo è. Solo una porzione di muro è ancora sgombra.
Carlos, Diamante, Elios, Alias, Zoe…
E poi…
Il mio nome.
Degli strani echi mi chiamano. Sono miliardi di voci che si accavallano, davanti ai miei occhi sfilano tante vite.
Questa volta non ho sentito nulla. Semplicemente l’oscurità è calata sui miei occhi.
 
‘Asa. Venti anni. Morto a causa di una valanga che lo ha travolto. Non ha sentito nulla. Lui e la carovana con cui era in viaggio scomparvero nel nulla sotto metri di candida neve assassina. Solo quattro di loro rimasero nel mondo dei Viventi come fantasmi. Lui l’unico a diventare un Custode. Capelli bianchi e occhi rosa, una pelle chiara attraverso la quale si intravedevano le vene e le arterie che un tempo avevano contenuto il suo sangue pulsante. La sua seconda morte lo venne a prendere un’estate. Un uomo, armato solo di spada, lo colpì alle spalle attraversando il suo corpo che esplose in una nube di scintille, la sua anima si perse per sempre.’
 
‘Selena. Sedici anni. I capelli arancio fuoco e gli occhi verde acqua, il viso coperto da efelidi e un sorriso che avrebbe sciolto gli Immensi Ghiacciai. Gentile e dolce come il miele, la morte l’aveva accolta in giovane età a causa di una malattia terribile che aveva sfigurato il suo bellissimo corpicino rendendolo esile e fragile, fino a spezzarlo. Da fantasma non ebbe la forza di abbandonare sua madre e suo fratello, non voleva più vedere lo zio abusare di loro. Divenne una Custode e spaventò il mostro che l’aveva fatta soffrire fino a farlo scappare. Non tornò più. Sviluppò i doni che la Morte aveva da offrirle. Non si mostrò mai al resto del villaggio in cui abitò, ma con il suo canto guarì per duecento anni le persone che contraevano malattie mortali. Ma, ormai, tutte le persone che aveva conosciuto e amato erano morte e la solitudine iniziò a farsi largo tra le sue sensazioni. Ruppe la promessa che fece a sua madre sul letto di morte e si mostrò a una ragazza. Furono amiche per molto tempo. Avevano imparato entrambe che la morte rappresentava un inizio e fu per questa donna che Selena rinunciò a essere un Custode. Bruciò se stessa e la propria anima pur di salvarla da un parto funesto. Si chiamava Phyra e a novantacinque anni diventò Custode guidando i fantasmi e i mortali nelle loro scelte per più di duemila anni. Proprio come aveva fatto la sua amica prima di lei.’
 
Per millenni i Custodi si sono susseguiti, piango per le loro morti. Per entrambe. Chi per salvare i Viventi e chi ucciso da armi magiche.
 
‘Diamante. Dodici anni. Pelle scura e gli occhi due pozzi neri di infinito coraggio. Solo un bambino quando morì per salvare dalle acquee il suo fratellino nato da poco. Ci riuscì ma dovette abbandonare la sua famiglia. Come fantasma viaggiò molto fino a giungere in un piccolo villaggio in riva al mare. L’acqua gli aveva tolto la vita ma, in qualche modo, lo chiamava. Qui incontrò dei fantasmi che non erano come lui, non sembravano essere capaci di provare la vasta gamma di sensazioni che invece si agitavano nel suo piccolo petto trasparente. Come un fardello, la solitudine aveva accompagnato la seconda esistenza dei Custodi e lui non fu da meno. Non comprendeva ciò che gli stava accadendo e si rifiutava di utilizzare i poteri che lentamente sviluppava. Voleva lasciare il mondo dei Viventi ma non ci riusciva, c’era ancora qualcosa che lo teneva legato a esso. La sua stessa coscienza. Sapeva che c’era un motivo se era diverso dagli altri suoi simili.
La sua solitudine trovò tregua quando incontrò un ragazzo. Non si era mai mostrato ai Viventi, ma non ce ne fu bisogno perché questo Vivente era in grado di vedere i fantasmi.
Divenne più di un amico, più di un fratello. Restarono insieme anche dopo la sua morte. Il vero amore aveva assunto un’inusuale forma per mostrarsi. Come lo è tutt’ora. Il ragazzo si chiamava Thanksoh; aveva gli occhi a mandorla castani, come i capelli, sormontati da due sottili sopracciglia e un naso piccolissimo. I sui lineamenti erano dolci e ben si sposavano col suo corpo esile e scattante.
La famiglia di Thanksoh possedeva uno specchio con un grande potere. Lo Specchio dell’Eterno Divenire.
Thanksoh non aveva mai imparato i trucchetti da fantasma che, invece, Diamante sapeva fare. Non poté nulla per salvare il suo migliore amico da una freccia incantata. Era stata scoccata dal servo di una strega. Uno Spettro.’
 
Il fuoco sembra scintillare ancora più forte disegnando sulle pareti quello che ho visto. Un bagliore attira il mio sguardo. Incastonato nella parete c’è un oggetto coperto da un telo stracciato da un lato facendo intravedere quello che dovrebbe essere il vetro di uno specchio.
Mi avvicino e afferro la stoffa spessa, la tiro alzando una nuvola di polvere.
Infatti.
Riflette la mia immagine, anche se devo dire che è diversa. Lo sguardo… è più forte. Deciso.
-Diamine!-
Faccio un balzo all’indietro quando la mia immagine nello specchio si muove, posa i palmi delle mani sull’altra parte dello specchio come se fosse una finestra che divide due diversi universi simili. Le mie mani coprono perfettamente le sue e avviene un ritorno di fiamma, un’implosione del tempo stesso che si accartoccia su se stesso frammentando la realtà e sostituendola con una più antica.
 
‘Sono io bambina che corro davanti alla mia casa. Ricordo questo giorno.
Un dolce vento soffia pigro, ma con la giusta forza per farmi sperare di poter volare quando il vestito si gonfia. Avevo solo tre anni.
La piccola saluta il padre, un giovane uomo che ha sempre desiderato questa vita. La osserva seduto sul prato e ogni tanto la piccola gli si appende al collo e ride come una matta.
-Pulce.- la chiama lui –La mia piccola pulce.-
La stringe forte e lei si inebria dell’odore paterno e di quella gabbia protettiva che sono le sue braccia forti per il lavoro che a volte fa mangiare e altre no. Ma sono felici e non hanno mai sofferto.
Lui falegname, lei pulce giocherellona.
Questo è un giorno speciale.
La bambina è un po’ preoccupata per la madre, in nove mesi si è ingrossata tantissimo. Non sa cosa le stia accadendo e non le sono sufficienti le vaghe risposte dei genitori che dicono che è tutto normale, che lei ha un bambino nella pancia.
Lei non ci crede perché è impossibile che la sua mammina abbia mangiato un bambino tutto intero, sicuramente è malata. E il padre, per tranquillizzarla, le dice che sì è malata, ma di vita.
Le piccola me non è molto convinta ma preferisce andare a giocare.
Un urlo proviene dalla casa, è nonna Myll.
-Dedalo! Dedalo, è ora!-
Dedalo la prende in braccio e corre a casa dove lascia la bambina alle cure della nonna.
Entra nella dimora e per un tempo che alla piccola pulce sembra eterno si sentono solo gemiti di dolore, poi un pianto e le risa dei suoi genitori.
-Entrate!-
La nonna le tiene la manina, ma lei non vuole perché quella di Myll trema ed è tutta sudata. Non le è difficile liberarsi dalla sua presa e a correre verso la madre. Ma si spaventa, c’è uno strano liquido che copre le lenzuola e gli abiti di Dedalo.
La madre vedendo la sua indecisione la invita ad avvicinarsi. –Vieni, guarda.-
La curiosità vince sul timore e sale sul letto mettendosi al fianco della madre per vedere cosa nasconde quel bozzolo di stoffa.
-È bruttissimo.-
-Non è brutto.- spiega la madre. -È la cosa più bella che ci sia potuta accadere. È un bambino, tuo fratello.-
Fratello. La parola magica che sblocca qualcosa nel cervellino della bambina, che trasforma quella faccetta tutta grinzosa in un piccolo tesoro che muove le manine e il nasino.
-Come lo avete chiamato?-
-Non ci abbiamo ancora pensato.- dice la madre.
-Non è accetabile.- cinguetta Myll.
-Elizabeth ha bisogno di riposo ora.- dice Dedalo.
-Non potete non dargli un nome!-
-Ronan.-
Tutti tacciono e osservano la bambina che ha dato il nome a suo fratello.
Ronan. Chissà perché proprio questo nome.
Una luce mi illumina da dietro. Mi volto e vedo che fuoriesce da sotto una porta. La attraverso e tutto cambia.
Sono passati tanti anni dal giorno della sua nascita, per la precisione tredici e due giorni.
-Ronan, fammi entrare!-
-No! Vattene!-
-Dai, non fare così. Permettimi di aiutarti. Apri la porta.-
Ronan è accovacciato sul letto e si tiene la testa fra le ginocchia. La camera è piccola e i due letti presenti sono attaccati.
Sta piangendo, le lacrime mescolate al sangue che gli sporca il viso fanno sembrare ancora di più il liquido denso e vermiglio.
Continua a piangere anche quando la sorella minaccia di buttare giù la porta della loro camera. Alla fine lo convince dicendo che avrebbe raccontato tutto ai loro genitori; la sedia che blocca la porta viene spostata e la sorella entra nella stanza, Ronan le si getta tra le braccia sporcandole il vestito di sangue.
Coll’indice spinge in alto il viso del fratello per guardare la sua ferita.
-Chi è stato?-
-Nessuno.-
-Jeremia e Santos?-
-No.- ma lei lo conosce troppo bene, sa che sta mentendo. Ogni volta che lo fa si alza sulla punta dei piedi.
-Mi sentiranno.-
-No, non lo fare. Mi faranno del male.-
-Non ne avranno la possibilità.-
Passano il resto del tempo in silenzio mentre lei è impegnata a pulirgli la faccia.
-Non è rotto.- dice passando la stoffa bagnata sul naso di Ronan –Ma ci vorrà un po’ prima che guarisca.- gli da un bacio sulla guancia –Questo è per farlo guarire più in fretta.-
Avrei fatto di tutto per lui.
-Adesso cambiati.-
Lo lascia da solo con la sua vergogna. Non ha detto il motivo che ha spinto gli altri a picchiarlo. Ha difeso un bambino da quei due bulli.
Lui non lo ha mai scoperto, ma la sorella è venuta a conoscenza di quello che è successo estrapolando le informazioni direttamente dalle fonti primarie. Jeremia e Santos. Il primo si è trovato con il naso rotto e il secondo con un enorme livido sulla guancia.
Lei sa di non rischiare nulla, nessuno dei due avrebbe mai detto che a ridurli così è stata una ragazza.
Da sotto la porta d’ingresso entra della luce dorata, appena la apro mi trovo in un altro luogo.
-Tanti auguri mamma!- dice Ronan.
È il compleanno di Elizabeth.
La donna dagli occhi grigioverdi, gli stessi del figlio, sorride contenta di avere tutte le persone che ama vicino. Soprattutto dopo quello che è successo.
Da una settimana sua madre non c’è più. Myll è stata portata via da una malattia che nessuno è stato in grado di curare e che le ha sciolto i muscoli e le ossa trasformandola in un sacco di pelle contenente una sostanza gelatinosa.
È bello vedere come la vita trovi comunque il modo di sopraffare la morte, basta un sorriso a volte per rendere più leggero il cuore e più sopportabile dolore.
Dedalo abbraccia la moglie e la bacia. Ronan e la sorella sono seduti vicini ed aspettano con ansia che la madre apra il loro regalo. Hanno usato gli ultimi loro risparmi per comprarglielo sperando di fare una cosa gradita. Sanno che la madre ne ha avuto uno simile e che lo ha dovuto impegnare per poter comprare la casa dove abitano.
Anche Dedalo ha aiutato i suoi bambini. Non baderà al fattore estetico del regalo, ma per ciò che vuole dire.
Non l’hanno impacchettato bene e un po’ se ne vergognano ma si rilassano quando lei lo strappa dalle mani del marito urlando. È un semplice carillon un po’ rovinato, ma è come Ronan da appena nato: Anche se bruttino è un tesoro prezioso.
È questo che ha fatto innamorare Dedalo di Elizabeth, riuscire a vedere la bellezza in tutte le cose e persone, anche quando questa sembra non esserci.
Dalle risate passa al pianto di gioia, stringe il marito in un braccio al limite dello strangolamento a cui partecipano anche i figli.
Ma i momenti felici non sono eterni e alcune volte possono essere considerati degli eventi strani vicini alla soglia dell’irrealtà.
In questo giorno, quando madre e figlia rimangono da sole, viene raccontata una strana storia. Parla di una Custode delle Anime e di un ragazzo che si innamorano e di una strega che li ha separati per sempre. Le dice che lei ha un dono ma la sua Pulce è ancora troppo piccola per capire quale peso abbia in realtà quella sua particolarità che la rende diversa da tutte le altre.
Il primo atto della fine.
Sto cominciando a ricordare tutto.’
 
Torno alla mia realtà e guardo con nostalgia al passato.
La me nello specchio è tornata a essere solo un riflesso, niente di più che un’imitazione di ciò che è vero.
Un sussulto.
Alle mie spalle vedo prendere consistenza delle figure, mi volto spaventata, ma non c’è nessuno. Quando ritorno a specchiarmi ci sono cinque fantocci traslucidi dai contorni irregolari. Si allungano e si allargano, prendendo sempre più consistenza e colore.
Inciso sulla cornice c’è scritto “Specchio dell’Eterno Divenire”. Ci metto un po’ prima di ricordarmi le leggende che ne parlano, le quali si uniscono con la visione che ho avuto sia di Zoe che di Diamante.
È in grado di mostrare le persone che, nel bene e nel male, segnano indelebilmente l’esistenza di chi ci si specchia. Si narra che lo specchio non sia altro che la lacrima cristallizzata di una divinità.
Alla sinistra del mio riflesso c’è Lovro, alla mia destra Elebene e sua madre, e dietro di me Zephyro.
La mia seconda famiglia…
Poi mutano e mi trovo circondata da altre persone.
Le lacrime scendono da sole. Non faccio nulla, rimango a osservarli.
Alla destra del mio riflesso c’è Ronan, mi guarda e mi sorride mimando il mio nome. Alla mia sinistra c’è mia madre con i suoi occhi dolci. Dietro di me, con tutta la sua altezza, c’è mio padre, mi sembra quasi di sentirlo chiamarmi “Pulce”.
Ha le mani posate sulle mie spalle, cerco di toccargliele ma sotto le dita sento solo la stoffa ruvida del mantello.
M’irrigidisco quando vedo la mia famiglia che mi abbraccia nello specchio.
Ma nella realtà…
È una cosa terribile. Mi sembra di averli a portata di mano quando in realtà sono lontanissimi. Una stretta soffocante che mi riduce in polvere il petto è il dolore che in questo momento sento.
Guardare ma non toccare. L’unico modo che ho per farlo è scivolare con la memoria tra le pagine della mia esistenza e, con le dita, cercare di afferrare la loro immagine attraverso il vetro. Una magra consolazione prima di vedere gli abitanti dello specchio tornare a essere ombre e sparire lasciando solo il mio riflesso.
Prima di uscire dalla stanza poso a terra il fermaglio di Zoe ai piedi dello specchio. È giunto il momento che torni alla sua proprietaria.

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Capitolo 16
*** XVI ***


Quando riemergo dal passaggio sotterraneo c’è una sorpresa ad attendermi.
Un albero esce dall’oscurità, scricchiola a ogni movimento e disperde qualche scheggia di legno nell’area tutt’intorno a sé, i suoi rami si ritirano e il tronco si assottiglia creando il corpo di una donna dalla pelle di corteccia e dall’abito di muschio e radici con rami al posto dei capelli.
-Ti stavo aspettando.- mi dice –Non posso attendere oltre, devi far ritorno da me.-
-So che sei tu la Strega Rossa.-
-Le tue visioni. Ho sempre pensato che potessero rappresentare un problema, ma ora non ha più importanza.-
Un brivido freddo mi percorre la schiena, è molto simile alla sensazione che ho provato quando ha scagliato l’incantesimo contro Lovro.
-Cosa hai fatto?-
-Niente. Solo un trucco per convincerti che faresti meglio a non sfidarmi.-
-Non puoi fare niente per convincermi a tornare con te, so cosa hai fatto e so che volevi i poteri di Zoe.-
-Lei era come te. Ma ora… ora che ti ho a portata di mano tutto si sistemerà.-
-Non potrai fare nulla...-
-Hai cancellato la memoria alle persone che potevano tradirti. Sono contenta che tu abbia sviluppato la Lingua di Sirena. Con lui immagino sia stato difficile.-
-Non lo puoi più toccare.-
-Mia cara… Sono solo all’inizio. Per te è stato difficile convincerlo di aver vissuto solo un sogno, per quanto vivido pur sempre irreale, ma per me è stato semplice costringerlo a seguirmi. Mi è bastato solo seguire il filo dei suoi tormenti, della sua sofferenza. Pure con gli altri è stato facile. Certo, forse con Zephyro hai fatto una buona mossa. Raccontargli la verità su Erika, non sono riuscita ad avvicinarmi a lui sotto quella forma, è bastato seguire le briciole di pane della tua bugia per stregarlo. Se non come Erika, perché non come sua sorella?-
-Non ti avrebbero fatto niente…-
-Ma sai qual è stata la parte più divertente? Quella che mi ha dato maggior soddisfazione? Togliere le dighe che tu hai messo e costringerli a ripudiare i sentimenti che hanno provato per te.-
-Menti!-
La rabbia, quel sentimento che mi tramuta in mostro alimentando i miei poteri, è talmente forte che mi viene spontaneo lanciarle contro un’onda d’energia.
Il suo corpo di legno assorbe il colpo, troppo potente per non danneggiarla. Delle crepe si aprono sul suo volto e un braccio si stacca dal tronco con un rumore secco.
-Guarda cosa sei. Uno spirito in preda alle emozioni, forse è per questo che non ti vogliono più. Troppo sentimentale. Proprio come tuo padre, sempre attaccato alla gonna di Elizabeth.-
-Non ti permettere di parlare di loro!-
Accendo due globi di fuoco e li scaglio contro l’essere ligneo,le fiamme azzurre l’abbracciano, ma la cosa terrificante è che prima di esserne consumata,scoppia in una fragorosa risata.
-Voglio vedere come te la caverai.-

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Capitolo 17
*** XVII ***


È come l’ho lasciato.
Gli alberi spogli dai tronchi carbonizzati e la terra bruciata liberano un odore secco che fa pizzicare gli occhi e la gola, è qui che cento anni fa è incominciata la mia storia ed è giusto che in questo luogo termini. La desolazione regna come un sovrano e non si sente nessun suono a parte un flebile fruscio che proviene dalla cenere che scivola su se stessa, quella stessa cenere creata dal mio stesso fuoco distruttivo. Pure gli animali sembrano essere fuggiti da questo luogo, timorosi che si possa ripetere l’apocalisse causata da me.
A tre metri da me il suolo sembra sciogliersi e da essa emerge una figura molliccia che si trasforma rendendosi familiare ai miei occhi.
-Non dovevi farlo.- Le mie parole sibilano nell’aria.
-Perché rovinare tutto?- Mi chiede, sembra quasi ferita.
-Io mi fidavo di te e mi hai sempre mentito, hai cercato in tutti i modi di tenermi al tuo fianco per potermi controllare. Sono solo un animaletto domestico per te, non è così?-
-Mi sembra di averti trattato molto meglio di un animaletto. Sempre lì ad ascoltare le tue solite lamentele. “Devi aiutarmi a spezzare la maledizione, voglio essere libera.” E poi con quella tua stupida canzone che dicevi di sentire.-
-Perché mi hai uccisa?-
-Perché mi hai fatto soffrire, sei riuscita a fare innamorare di te l’unico ragazzo che non sono riuscita a controllare.
Un fruscio alle mie spalle, rumore di passi. Ho imparato a riconoscere al volo il suono dei loro cuori.
-Ogni volta che mi hai ringiovanita o guarita io ho preso un po’ dei tuoi poteri e fortificato quelli che già possedevo. Adesso sono in grado di possederli nel vero senso della parola.-
La Possessione. Il potere che ho acquisito subito dopo quello di guarire gli altri. L’ho usato una volta sola e non mi è piaciuto.
Erano passati venti anni dal mio ritorno alla vita. Mi sono abituata al nuovo panorama che ho visto cambiare dalla finestra. Là dove c’era una pianura verdeggiante lei aveva creato una foresta per tenere lontani i Viventi e nonostante il tempo sia trascorso anche per me, non posso che sentirmi in colpa per quello che feci.
Esmeralda era andata in paese ed io ero rimasta sola.
Verso sera ricevetti una visita, non erano i soliti ragazzi fissati con le prove di coraggio, era una coppia. Una ragazza un po’ pallida e un ragazzo dalla carnagione scura. Entrambi della stessa età.
-Theo, non dovremmo essere qui.-
-Nata, non c’è nessuno. Dicono solo tante sciocchezze.-
-Io ho paura.-
-Ci sono io con te.-
Theo abbracciò la ragazza e lei si aggrappò a lui come se fosse la sua unica ancora di salvezza, Theo prese tra le mani il volto di Nata.
-Ti amo.- le disse.
-Anch’io.-
Incominciarono a baciarsi. Solitamente si trattava solo di questo, ma i due andarono oltre.
Theo abbassò la spallina dell’abito di Nata e le scoprì i seni, lei gli sbottonò la camicia e slacciò la cintura aprendogli i pantaloni.
Incominciarono a giocare, a percorrere ogni strada di quell’intricato e interessante labirinto. Potevo percepire quello che stavano provando, erano sensazioni a me sconosciute, mi allettavano.
Volevo che quell’emanazione fosse mia perché era incomparabile, energia liberata per creare una sinuosa armonia di suoni e odori. Mi bastò avvicinarmi alla ragazza e sfiorarle una spalla. Il suo corpo mi attrasse come una calamita e mi trovai al suo interno. Era come indossare un vestito stretto ma non aveva importanza, ero immersa in quel flusso impetuoso. Ma la cosa finì col spaventarmi e il sogno si tramutò nel peggiore degli incubi.
Quello non era il mio corpo e incominciai a sentirlo come una gabbia, volevo liberarmene al più presto. Percepii uno strappo doloroso al livello dell’ombelico quando mi liberai da quell’involucro.
-Liberali.-
Si diverte, lo leggo nei suoi occhi.
Un movimento alle mie spalle. Mi scanso verso destra e un arco scintillante cozza contro il terreno duro.
Mi chiedo dove sia finito Cerberus e prego che non gli abbia fatto del male.
Una fitta dolorosa divampa al polpaccio sinistro e la gamba cede.
Ho una freccia infilata nel muscolo e il dolore è insopportabile, dalla ferita non esce sangue ma dallo strappo del pantalone vedo che la pelle sta diventando grigia ed è questo che mi spaventa di più.
Com’è accaduto la prima volta.
Afferro il dardo e lo sfilo dalla carne, ruoto il tronco per schivare un affondo di Zephyro e lancio la freccia.
Un sibilo. Un fischio. Un rumore secco.
La freccia è conficcata nella fronte di Samara. Il volto le torna serio e una profonda spaccatura lo divide in due. L’accenno di un sorriso e la terra torna a essere terra.
Vorrei sapere dove si nasconde la vera Samara, ma non ho il tempo per pensarci più di tanto. Elebene sta caricando la balestra, le scaglio contro un muro d’energia che la fa volare all’indietro; sbatte contro il tronco di un albero.Mi dispiace per lei, ma non ho molte altre possibilità.
Zephyro mi afferra un braccio e mi butta per terra. Il filo della sua spada mi sfiora la gola, gli tiro un calcio al petto, il fiato gli si spezza e molla la presa.
Posando la gamba sinistra a terra mi sorprende la sensazione di dolore che mi fa contrarre il volto in una smorfia, sarei dovuta essere già guarita. Lancio velocemente un’occhiata allo squarcio del pantalone e vedo che il foro che ha creato la freccia si è rimarginato, ma la pelle è arrossata e si vedono i capillari viola sotto la cute. Un’arma magica, come quella che ho visto nelle mie visioni nella grotta: anche se la ferita non è permanente, gli effetti rimangono per più tempo contrastando il mio potere di guarigione.
Zephyro cerca di colpirmi ancora con la spada, questa volta mira al fianco.
Evoco la nebbia che mi fa da scudo e lo spingo via usandola come ariete.
Urlo di dolore quando un’altra freccia si conficca nel mio corpo. Dritta nel petto, al livello del cuore.
Ho usato la nebbia per allontanare Zephyro e non ho pensato a concentrarne un po’ intorno a me per proteggermi.
Dolorosamente la sfilo e la lascio cadere a terra. Elebene mi osserva con occhi carichi di rabbia. Uso la nebbia per afferrarla ma una spilla sulla sua maglia si accende di un bagliore vermiglio e provo una scarica elettrica che mi fa vibrare la pelle causandomi dolore. È successa la stessa cosa quando ho usato i miei doni contro Stefano. Allora le strappo di mano la balestra con la Telecinesi per poi darle fuoco.
Si lancia contro di me liberando dal corpetto un pugnale. Si prepara a colpirmi, le blocco il braccio e rimaniamo ferme in uno scontro di forze.
Vedo Zephyro rialzarsi e guardarci, si avvicina con la spada pronta a colpire che brilla alla luce del sole che tramonta.
Libero la nebbia dal mio corpo e colpisco la gamba a Elebene che perde l’equilibrio, lascia la presa sul pugnale che cade a terra ed io lo afferro. Ruoto su me stessa e la lama scivola su quella della spada deviandone il percorso, poi uso il pugnale per rompere la spilla di Elebene. È in ferro con un rubino incastonato, sento la sua magia, potente, svanire appena il metallo si spezza.
L’afferro con la bruma e la spingo lontano. Vengo colpita da un pugno, ma non mi sbilancio e, lasciando Elebene, mi avvento su Zephyro che mi afferra il braccio con cui tengo il pugnale e me lo immobilizza, con il manico della spada mi colpisce la spalla facendomi perdere per qualche secondo la sensibilità a questo braccio.
Sento il pugnale toccare il terreno e tintinnare.
Mi tiene ancora stretta e dà un calcio al pugnale che scivola lontano da noi. Cerco di divincolarmi, uso anche la nebbia, ma anche lui ha un oggetto in grado di spezzare la mia magia, allora tento di usare anche la telecinesi ma ogni volta che ci provo sento l’energia abbandonarmi progressivamente.
Comincio a sentire il fianco destro dolorante, mi volto quel tanto che basta per rendermi conto che Elebene mi ha pugnalata.
La lama dentro la mia carne si surriscalda, Zephyro continua a tenermi bloccata e qualsiasi potere cerchi di usare non è abbastanza forte.
Tento di evocare la nebbia ma dalla superficie del mio corpo non si libera niente e la mia mente comincia a vagare nel vuoto.
Anche se continua a essere consistente, il mio corpo inizia a diventare trasparente e delle piccole fiammelle scoppiettano sulla mia pelle bruciacchiando i vestiti.
No, non posso. Se torno a essere un fantasma non potrò salvarli.
Capisco che è proprio questo che Samara vuole, indebolita da quelle armi incantate diverrei troppo debole e facile da controllare.
Mentre mi sento pizzicare dall’interno guardo Zephyro negli occhi nella disperata ricerca di una celata umanità perché sono convinta che anche se la sua volontà è incatenata dalla magia, deve ancora provare qualcosa per Lovro ed Elebene, ci deve essere ancora un segno della sua umanità all’interno di quel corpo schiavo di un incantesimo.
Samara ha fatto in modo che tre pilastri dell’anima umana vengano meno. Famiglia, Elebene, amicizia, Zephyro. All’appello manco solo io.
E se fosse già riuscita a renderlo suo schiavo? Samara si nutre di tradimento…
-Merda…- mormoro mentre sento il mio corpo perdere peso.
Cerco di liberarmi ma Zephyro è troppo forte e mi rigira come vuole. Mi tiene attaccata al suo corpo, un suo braccio sotto il mio mento e una mano mi tiene i polsi dietro la schiena. Faccio per parlare ma Elebene mi copre con la mano libera la bocca per impedirmi di usare la Lingua di Sirena.
Un tanfo di carne bruciata mi arriva alle narici, il mio corpo sta per andare a fuoco e loro continuano a trattenermi. Se non mi lasciano moriranno inceneriti.
No, no!... ti prego…
Mi costringo a pensare a una maniera per liberarli, ma non è semplice. Non lo è stato neppure per Stefano.
Ma certo!
Non ho abbastanza energia per tutti e due, ma per uno dovrebbe essere a sufficienza.
Lascio che le poche scintille nella mia testa mi sconvolgano dall’interno. Mi sento cogliere da un freddo intenso che si concentra nel basso ventre e che poi va diramandosi in tutto il corpo.
Quando apro gli occhi un fiume dorato si fa strada sotto la pelle di Elebene. Lei, spaventata, lascia la presa sul pugnale e si allontana graffiandosi la pelle fin dove riesce ad arrivare, ma non può liberarsi dal mio incantesimo.
Si curva su se stessa e cade a terra in ginocchio, si tiene le mani sul cuore come se volesse impedirgli di scappare. Il suo sguardo torna a essere vigile… e umano.
Guarda me e Zephyro, vorrei avere abbastanza potere per aiutarla ancora, ma non posso.
-Scappa.- le urlo.
È spaventata e non sono sicura che farà quello che le ho detto.
Sento la presa di Zephyro allentarsi e lo vedo lanciarsi su Elebene.
-Corri!-
Ma lei è troppo stordita e i suoi movimenti sono scoordinati.
Zephyro le è sopra in pochi secondi, la blocca e la colpisce alla nuca. Lei si accascia a terra, un sibilo le esce dalla gola. Un urlo raspa nel mio petto.
Sul terreno comincia a spandersi una macchia rossa,
Delle vibrazioni provengono dal suo corpo, ma sono deboli e ho paura che se non faccio qualcosa lei morirà.
Sono distesa a terra, talmente stremata da non riuscire a muovermi. Il pugnale ancora piantato nel mio fianco.
Zephyro irrompe in una fragorosa risata, molto diversa dalla sua solita dolce e quasi infantile. Si avvicina a me e mi prende per il collo e mi trascina, poi mi alza da terra e mi sbatte contro un tronco. L’urto fa scricchiolare il legno e un paio d’aghi di pino cadono sulle nostre teste.
Un dolore lancinante mi stringe il cranio e la spina dorsale. Mi tiene premuta contro l’albero con la mano che stringe la trachea, se fossi stata una Vivente mi avrebbe già uccisa fracassandomi la testa.
Negli occhi non ha altro che odio.
Mi lascia e cado sulla sua spalla e riesco a rimanere in piedi solo grazie a questo supporto.
Afferra il pugnale e lo infila ancora di più nella carne rigirandolo, un sapore ferroso mi ricopre la lingua. La mente mi sta giocando un brutto scherzo. È impossibile che io sanguini.
Contro ogni previsione, sfila il pugnale dal mio corpo e mi lascia cadere a terra. Vicino al mio viso cade l’arma.
Zephyro si allontana osservandomi ogni tanto con un guizzo degli occhi. Fa un passo in dietro, poi un altro ancora. La presa sulla spada si stringe, la pelle che ricopre l’elsa produce un rumore stridulo e le nocche diventano bianche. Contrae la mascella in un’espressione indecifrabile.
Ora che il pugnale non assorbe più la mia energia sto riacquistando lentamente le forze, insieme ai miei poteri.
Lancio un’occhiata a Elebene, i capelli biondo castani hanno assunto un colore rossiccio per il sangue.
Zephyro indica con la punta della spada il pugnale. Mi alzo senza più la stanchezza opprimente che l’arma incantata mi ha fatto provare.
Impugnare l’arma che stava per uccidermi. Mi sembra logico.
Afferro l’elsa, lui mi corre incontro, evoco la nebbia e gliela lancio contro con tutta l’energia a mia disposizione, l’urto è violento e lui piroetta in aria finendo contro un albero.
La spada gli vola di mano e lui si trova inginocchiato e confuso, prima che possa tornare lucido mi getto su di lui e perdiamo entrambi l’equilibrio.
Rotoliamo e alla fine riesce a mettersi sopra di me stringendomi la gola, della bava gli esce dalla bocca, il viso contrito in un’espressione bestiale, gli occhi fiammeggianti d’ira che cresce perché non reagisco.
Mi chiedo come Samara possa trovare divertente tutto questo, cosa stia provando in questo momento e cosa stia facendo a Lovro.
Zephyro continua a stringere. Inizia a piangere.
Sento qualcosa giungere da lui. È un opaco sentimento, un fumo intangibile, che affonda le sue radici in un passato triste.
Nella mia mente prende forma una porticina col suo nome inciso sopra. So che se la apro vedrò una parte di lui, qualcosa che vuole tenere nascosta e che solo ora che non è cosciente emerge. È una difficile scelta quella che faccio, ma è anche l’unica via di fuga che mi si presenta davanti… e non posso lasciare che mi scappi via dalle mani senza aver prima provato a percorrerla.
 
La porta è di legno, vecchia, segnata da profonde crepe dalle quali sussurrano fischi d’aria che portano l’odore di un altro tempo appartenuto a un’altra vita. È incorniciata da una serie di quadrati d’argento in rilievo; scorro le dita sulla maniglia, ha la forma della testa di un orso, dello stesso materiale dei quadrati, con le fauci aperte, due zaffiri incastonati al posto degli occhi. Brilla oscura e mi attrae a sé.
Quando la stringo nella mano, delle lame di ghiaccio sembrano sezionarmela mettendo a nudo i muscoli e i tendini, affondano ancora fino a quando non incontrano le ossa, solo così si arrestano. Giro il pomello, sudo copiosamente, ed entro. Senza guardare cosa mi aspetta ora che sono all’interno della memoria di Zephyro, chiudo immediatamente la porta e poso la fronte sul suo legno freddo respirando con la bocca aperta per far entrare più aria possibile.
È come una punta di ferro che graffia il vetro di una finestra.
Mi basta voltarmi per vedere cosa sta accadendo.
Mi trovo in una casa non dissimile da quella dove abitavo io, ma l’odore e le sensazioni che percepisco sono diverse. Il calore che provo sulla mia pelle è scomodo, malsano, l’atmosfera è resa ancora più orribile dal pianto di un bambino.
La camera è immersa nel buio e l’unica fonte di debole luce è rappresentata da una candela accesa quasi incastrata a forza nell’oscurità, sembra quasi un pallido e minuscolo sole senza il quale però non riuscirei a scorgere nulla. Su un letto mangiato dalle termiti ci sono due corpi coperti da un lenzuolo, non stanno semplicemente dormendo, stanno facendo il loro ultimo sonno.
Ci sono anche un bambino e un uomo che riconosco subito. È Adolfo.
-No! Lasciami!- il bambino cerca di divincolarsi ma l’uomo è troppo forte e anche se ha le lacrime agli occhi non può avere il cuore dolce. Avverto l’urgenza che prova; lo deve portare via il prima possibile, lo deve portare al sicuro, prima che accada qualcosa di irreparabile al piccolo e a lui.
Mi avvicino al letto. Fuori dal lenzuolo un braccio di uno dei due corpi esanimi penzola, è coperto da bolle piene si essudato purulento circondate da cute lesionata e necrotica dalla quale si libera un puzzo di marcio talmente acre da sturbarmi lo stomaco. Per essere solo una visione, un’illusione creata dai miei poteri, è molto vivida.
Comprendo il motivo della sua fretta, si tratta di una malattia altamente infettiva che sta mietendo inarrestabile vittime di ogni età e classe sociale.
Il piccolo Zephyro viene trascinato via in preda alla disperazione. Poco dopo intorno a me si alzano delle fiamme che ben presto arrivano al soffitto consumando la casa e i loro corpi. Una freccia infuocata conficcata ai piedi del letto matrimoniale è la causa dell’incendio, il fuoco divora tutto, colori e oggetti vengono ingurgitati da un ululante gorgo di fuoco dando vita a un’altra scena. questa volta conosco bene il luogo dove la visione mi porta.
È il salotto della casa di Lovro. Beatrice e Adolfo stanno discutendo.
-Non possiamo tenerlo.-
Lui la guarda, ma è come se non la riconoscesse.
-Bea, cosa dici?!-
-Dico solo quello che penso.-
-Non possiamo lasciarlo a qualcun altro. Jukhu e Shall erano nostri amici.-
-Lo sai che volevo bene a Shall, ma non possiamo. Riusciamo a malapena ad arrivare alla fine del mese. Con un altro non so se…-
-Ce la faremo, a questo ci penserò io.-
-Questa volta no. Sappiamo entrambi come stanno andando le cose alla locanda.-
-Credimi se ti dico che ce la possiamo fare.-
-Testardo!- urla Beatrice.
-Tu mi ami per questo.-
Lei lo bacia.
-Hai ragione, ma non possiamo.-
-Perché?-
-Non è solo perché non abbiamo i soldi a sufficienza per mantenerlo, ma girano troppe voci su di lui.-
-È solo un po’ diverso dagli altri.-
-Un po’? Tutti hanno paura di quel bambino e non sai cosa dicono le madri! Sappiamo fin troppo bene cosa facevano quei due per vivere e non lo puoi certo definire un lavoro onesto.-
-Si guadagnavano da vivere, punto e basta. Non puoi basare i tuoi pensieri solo su quello che dicono gli altri.-
-Sai almeno cosa dicono di loro?-
-Sì, ed è per questo che dobbiamo tenerlo con noi, gli altri fraintenderebbero, anzi l’hanno già fatto.-
-No, è proprio per questo che dovresti portarlo lontano, in modo da potergli offrire una vita migliore.-
-Non penso.-
-Amore…-
-Bea, non accadrà nulla…-
Le prende il volto fra le mani e la bacia teneramente..
-A tre anni ha ucciso una pecora a mani nude. Jukhu e Shall gli insegnavano i trucchi del mestiere.-
-Meglio, si saprà difendere.-
-Erano degli assassini!-
-Erano cacciatori di taglie.-
-Perché mi devi sempre contraddire.-
-Non ci hanno mai fatto del male, erano nostri amici. Hanno cresciuto un bravo bambino.-
-Non gioca e non parla con nessuno, resta sempre in disparte e in questi giorni ho notato che ci osserva mentre dormiamo.- dice incrociando le braccia -È inquietante.-
-Si deve solo abituare e noi lo aiuteremo. Siamo l’unica famiglia che gli rimane.-
Fuori dalla finestra, Zephyro è completamente diverso da come Beatrice lo descrive, gioca insieme a dei piccoli Lovro ed Elebene.
Ha un sorriso stupendo, gli occhi spiccano luminosi e chiari in contrasto con la sua pelle nera. La bontà e la speranza che leggo sul suo volto sono rimaste immutate in tutti questi anni.
L’aria è carica di elettricità, l’avevo già notata all’inizio della visione e sapevo che ormai era solo questione di tempo. L’aria turbina intrecciando nuove sensazioni a me familiari: confusione, paura.
-Non è possibile.- sussurra qualcuno.
Stretta nella mia mano c’è quella di un’altra persona, è segnata dalle fatiche del lavoro ed è sudata e tremante. La strigo, anche se vorrei fare altro. Vorrei abbracciarlo e dargli la certezza che farò di tutto per sistemare le cose e salvare Lovro, ma non posso, un po’ perché sarebbe come promettere la luna, e poi perché non è il momento né il luogo per queste smancerie. Devo trovare un modo per liberare la sua coscienza anche nel mondo reale.
-Stai tranquillo.-
-Do-Dove siamo.-
-In un tuo ricordo.-
-Com’è…?-
-Sono stata io. Grazie a un contatto fisico anche i Viventi possono condividere con me una parte dei miei doni. Nella realtà mi stai strangolando, siamo fisicamente connessi. È un altro dei miei poteri: l’Espansione.-
Mi guarda stranito, non sa cosa dire e lo capisco. Un movimento attira il suo sguardo e non posso fare a meno di sorridere alla sua crescente confusione
-Ma quello sono io…-
-Devi stare calmo.-
Le immagini cominciano a sciogliersi, le voci si trasformano in stridii lontani, cupi rumori tra i quali non riesco più a distinguere quali sono umani e quali, invece, no.
Ogni suo respiro sembra un tuono a causa dell’eco che permea lo spazio vuoto e infinito dove ci troviamo e quando parlo sembra scoppiare una tempesta.
-Chi erano Jukhu e Shall?-
-I miei padri.-
-I tuoi padri?-
-Jukhu era il mio vero padre, mia madre morì dandomi alla luce. Shall era il fratello di mio padre. Per me sono stati entrambi importanti, mi hanno cresciuto insieme e non volevo negare a nessuno dei due il rispetto che si meritavano.-
-Capisco.- gli sorrido -Hanno fatto un buon lavoro.-
-A volte non ne sono sicuro.-
Il buio che ci circonda si tramuta improvvisamente in una sfera d’acqua turbata da una goccia che ne fa ondeggiare la superficie quando la tocca; poi tutto crolla in una miriade di schegge che cominciano a vorticare tumultuosamente collidendo tra di loro frantumandosi ancora e ancora fino a quando di loro non rimane solo una sottilissima polvere che forma un nuovo paesaggio.
Al posto delle mura, di Adolfo e di Beatrice, ci sono alberi altissimi ed enormi con i rami che si intrecciano creando un interessante gioco di ombre sottili. L’aria è calda e un dolce profumo la riempie, gli uccelli cinguettano allegri e tutto è pieno di vita.
Al di là degli alberi si vede la sponda del fiume. È il posto in cui ho visto per la seconda volta Zephyro e Lovro. Stanno nuotando. Stupidamente mi cerco con lo sguardo tra gli alberi pensando possa trattarsi del giorno della mia liberazione dal giogo della menzogna.
-Io mi ricordo…-
Ha le lacrime agli occhi.
-È un giorno triste?-
-No…-
I ragazzi escono dall’acqua e si dirigono verso di noi, attraversano il nostro corpo per andare a prendere i vestiti.
Appena Zephyro-ricordo prende la maglia, un foglietto di carta gli cade. Mi avvicino a lui per vedere meglio le scritte che porta, la calligrafia è quella di Lovro.
 
“Potrei inventare qualsiasi tipo di frase,
usare bellissime parole,
ma sento che il miglior modo per farti gli auguri
sia quello di essere il più semplice e sincero possibile.
Quindi, caro Zephyro, tanti auguri
e che tutti i tuoi sogni si possano avverare.
Ti voglio bene,
Lovro.”
 
-È il tuo compleanno.-
-Sì.-
-Quando è stato.-
-La scorsa estate. Era da tanto che non ci parlavamo, per la storia di Virginne.-
-Penso sia stata dura.-
-Era cambiato molto, non sembrava più lo stesso.-
-Ma ti ha sempre voluto bene.-
Lui annuisce.
Un intenso gelo mi fa accapponare la pelle che diventa azzurra facendo emergere in superficie le vene viola.
Zephyro non è l’unico ad avermi seguito nella visione, anche qualcun altro che ho imparato a temere perché in grado di sopraffarmi con facilità.
L’acqua del fiume inizia a bollire e a evaporare velocemente lasciando secco il letto pietroso, l’erba si ingiallisce e diventa sabbia come i corpi dei ragazzi che sorridono.
-Questo non me lo ricordo però.-
-Questa non è una tua memoria, qualcuno sta modificandola.-
Un vento bollente si alza sollevando nuvole di sabbia che ci investono; tutto si ingrigisce e perde consistenza diventando fumo, un mare intangibile e nero che ci circonda formando spirali che si trascinano verso i nostri corpi per poi ritirarsi con tetri sibili. La massa informe prende le sembianze di una grossa mano che ci afferra e ci stringe.
Zephyro digrigna i denti.
-Stai calmo…- gli urlo -…non può farti niente, è solo nella tua testa.-
Ma è ovvio che non serve a nulla.
Il dolore che prova gli sembra reale, basta convincere la mente per ingannare il corpo.
Inspiro l’aria e la trattengo nei polmoni per un paio di minuti fino a quando sento di non poterla più contenere e mentre espiro la nebbia azzurrina si stacca dal mio corpo e ci ingloba in una bolla che si espande fino a quando la mano mastodontica non può più stringerci.
-Questo è il mio mondo, la mia visione. Ho tutto il potere necessario per sconfiggerti.-
Un’esplosione dissolve il frammento del cuore dello Spettro Oscuro dentro Zephyro e tutto ritorna come un tempo… quasi.
 
Zephyro cade al mio fianco, è provato, ma ancora lui.
Corro a soccorrere Elebene, le premo una mano sulla fronte e subito mi accorgo che la Guarigione è arrivata giusto in tempo. Il polso è debolissimo anche se sta riacquistando vigore, ma è troppo lento il processo. Mi concentro maggiormente, ma riesco solo a tenerla stabile, non a farla stare meglio.
Zephyro le si avvicina e le stringe le mani fra le sue, piange e chiama il suo nome. La invoca urlando ma lei non risponde al richiamo.
-Ti prego… salvala…-
Non ci riesco.
-Ci sto provando.-
-Per favore.-
La sua vita è un macigno per un filo troppo sottile e consumato per reggerlo e realizzo che se smettessi di usare la Guarigione, lei non sopravvivrebbe ma anche continuando non riuscirei comunque a guarirla.
-Mi dispiace…- mormoro.
Zephyro mi guarda attonito. –No…-
La tira a sé e la lascio, sento che con la Guarigione porto con me anche i suoi ultimi momenti.
-Ti prego… non mi lasciare…-
Ora la famiglia è venuta meno completamente.
-Ti prego…-
Non so cosa dire, e taccio. Tutto mi sembra così scontatoe e inutile.
Si curva sul suo viso e le da un bacio tremante sulle labbra.
È ora che sento qualcosa accendersi. Una scintilla che sfrigola piano cercando di mostrarsi, ma non ci riesce e ogni tanto scompare. Ma c’è, ed è questa la cosa più importante.
Le afferro una mano, forse sbaglio ad alimentare le sue speranze, non sono sicura nemmeno di riuscirci, ma più cerco di alimentare quella scintilla con i miei poteri, più questa cresce fino a diventare una fiammella traballante.
Il suo cuore inizia a muoversi, il suo battito diventa più forte e risuona con audacia e vigore. Vuole la vita, vuole Zephyro, non vuole perdere la sua famiglia, tutto deve rimanere integro. Niente deve crollare.
-Zeph…- sibila Elebene.
-O… amore….-
Zephyro la abbraccia forte.
-Grazie, grazie.- dice fra le lacrime.
Una terribile risata proviene dalla foresta.
No, non ci sei riuscita. Amicizia e famiglia sono ancora in piedi, non sarò io a far crollare la sua anima.
-Se la caverà.-
-Dove vai?-
-Devo salvarlo.- cammino a passo di marcia. Sono furiosa.
-Ti ucciderà.-
-No, non lo farà. Le servo.-

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Capitolo 18
*** XVIII ***


No, non posso rimanere statica come il viso pallido della luna, come la montagna che veglia silenziosa sul paese. Vorrei essere impetuoso mare che sconvolge le navi con il suo ruggire, o come il vento che ulula forte bisbigliando fra le fronde degli alberi che si piegano al suo passaggio. Però, penso, preferirei essere come quel falchetto che vola nel cielo rigato da spilli d’acqua, illuminato da lampi, scosso da tuoni e squarciato da fulmini. Finalmente libera di essere quello che voglio senza essere costretta a indossare le maschere che il vivere insieme impone.
 
Il cielo è nero e la luna è coperta da nubi, il suono della pioggia unito a quello del vento e del tuono mi fanno sentire rilassata. La pioggia ha sempre avuto questo potere su di me, forse perché posso tornare a immaginare di essere con Ronan, tra le mie braccia quando era piccolo e tra le sue quando a essere piccola ero io.
Quante cose mi sono persa, ci siamo persi. Tante prime volte che non potremo più riscattare… forse però io sono stata più fortunata, qualcuna io sono riuscita a viverla.
Un cratere enorme si apre davanti a me. Seduta su un altare c’è Samara e al suo fianco c’è Lovro.
-Sapevo che saresti venuta.-
-Samara… è questo il tuo vero nome?-
Mentre la raggiungo lei scende dall’altare e inizia a cambiare forma.
Ha un occhio verde ed un occhio rosso, i capelli biondi con un ciuffo arancione che le ricade sul viso. Non l’ho mai vista con questo aspetto.
Cambia nuovamente. Erika. Poi assume un’altra forma a me molto familiare.
-Esmeralda…-
-Come mi hai sempre conosciuta.-
Il mondo mi crolla sulle spalle. Esmeralda, la donna che ho amato, è colei che mi sta dando la caccia, che aveva messo Lovro in pericolo. Non posso credere che lei… che lei sia stata capace di tanto? Perché fingersi la madre di Beatrice? Per Lovro e per tenere sotto controllo me?
Ride soddisfatta, come se sapesse quali pensieri stanno turbinando incontrollabili dentro di me.
Mi mordo le labbra amareggiata: le mie visioni non sono state d’aiuto, non sono riuscite a mettermi in guardia verso la persona che rappresenta il motivo della mia distruzione e sofferenza.
Poi è la rabbia a prendere il sopravvento.
Tutte quelle volte che ho creduto essere amata sono solo i frutti marci delle menzogne, di un inganno architettato fin nei più minimi dettagli. Lei ha osato farmi questo, lei che ha sterminato la mia famiglia come se niente fosse…
-Lascia stare Lovro, ormai su di lui non puoi avere più nessun controllo. Elebene è salva e Zephyro si sta occupando di lei. Possiamo sistemare questa cosa, di qualunque cosa si tratti, tra noi due. Siamo donne adulte ormai da parecchio tempo.-
-Lovro…-
Un’eco dolce si espande, Lovro è incantato dalla sua voce. Si avvicina a lei e mi guarda con il risentimento negli occhi mentre cambia nuovamente forma.
-Interessante vero?- ride.
-Vir… Virginne.- mi sento gelare le vene -Virginne non è mai esistita, vero?-
Mi sorride.
-È stato un vero colpo di genio, sei d’accordo con me? Prendere le sembianze di una ragazza comune e sedurre un uomo. Agire dall’interno, cercare di fare leva su i suoi punti più deboli, renderlo fragile e poi spezzare le radici che lo tengono in piedi.-
-Però non ha funzionato.-
-No, hai ragione. Non sono riuscita a concludere nulla con lui. Troppo spaventato dai rimorsi per aver allontanato la sua famiglia e il suo migliore amico.-
-Così hai pensato bene di circuire un altro ragazzo. Stefano.-
-Sbagli. Mi serviva solo qualcuno per ingelosirlo, e stava anche funzionando. Sei stata tu, tu hai deciso di cambiare, di provare altro. E hai rovinato tutto.-
-Cosa gli hai fatto?-
-Ma, mia cara, dovresti saperlo. Per semplicità ho usato la strategia di sempre, non mi sembrava giusto complicare troppo il gioco. Non sarebbe stato leale nei tuoi confronti.-
-Non c’è niente di leale in quello che hai fatto.-
-Ognuno la vede come vuole.-
-Liberalo.-
-Ancora con questa storia. Non posso più farlo, il dado è tratto e la partita è cominciata e immagino che tutte e due giocheremo usando tutti i nostri assi nella manica.-
-Farò tutto quello che vuoi.- dico, ormai non so che pesci prendere, non capisco neanche a pieno la situazione in cui mi sono trovata –Basta che lo lasci stare.-
-No.- sospira –Questo è impossibile.-
-Impossibile?.-
-Sì. Vedi, lui è una pedina molto importante del gioco che noi due abbiamo creato, non potremmo mai fare a meno del nostro Lovro.-
Samara gli si avvicina ancora più, non c’è più niente a separarli se non i vestiti che indossano. Il mio corpo reagisce come se fosse vivo facendomi venire la pelle d’oca. Lei mi guarda e sorride, caccia la lingua e gli lecca la guancia mentre con le dita gioca con le sue labbra. Mi fa venire il voltastomaco.
-Gioco? Noi non abbiamo creato nessun gioco e, sinceramente, non mi interessano le tue storie.-
-Come non ti interessano? E pensare che lo sto facendo anche per te. Non vorresti che tutta la tua famiglia tornasse a vivere?- schiocca le dita e dietro Lovro si condensa lo Spettro Oscuro –Quanti anni sono passati?- mi chiede ridendo -Troppi a mio avviso.- si risponde con gli occhi ridotte a due piccolissime fessure.
Le spalle dello spettro Oscuro si allargano, i muscoli si assottigliano e tutta la figura si alza. Dal fumo emergono abiti, carne, pelle, occhi… mio padre.
Samara si avvicina a lui, gli accarezza il volto e con un dito volta il suo viso e le loro labbra si incontrano. Il volto di mio padre si contrae come se stesse soffrendo e le labbra si anneriscono, un fetore di carne bruciata si spande nell’aria.
-Smettila, gli fai male!-
-È quello che voglio, che le altre persone soffrano come ho sofferto io.-
-Basta! Ti prego…-
-Altrimenti? Sappiamo entrambe che mi puoi fare ben poco, sei sempre stata troppo sentimentale e questo è un tuo punto debole, come l’essere molto stupida. Credi ancora nell’amicizia pura e nell’amore eterno, devi capire mia cara che sono solo delle leggende create dall’uomo per fargli sembrare la vita meno dura.-
-Ti prego, lasciali andare.-
Lei per tutta risposta dà un altro bacio allo spettro di mio padre. –Dedalo, è ora di insegnare a tua figlia come può essere dura e ingiusta la vita. Sai cosa fare, ma non ucciderla. Mi serve.-
Non sento nessun dolore dovuto all’impatto, solo un peso all’interno del mio petto che mi stordisce. Mi ritrovo a terra con la polvere nella bocca.
-Pulce, perché non ti unisci a noi. Potremo stare di nuovo insieme.-
Mi rimetto in piedi, a quanto pare gli spiriti si possono nuocere l’un l’altro.
-Stai zitto.-
-Non lo capisci? È inutile andare contro al tuo destino. Lei potrà essere per te una nuova madre e quel ragazzo tuo fratello se vorrai, o il tuo amante se desideri divertirti. La nostra famiglia può essere ricostruita. Non lo hai sempre sperato? Non ci vuoi più bene?-
-Papà…- le lacrime cominciarono a scorrere, chiudo gli occhi e li stringo con tutte le mia forze fino a quando non mi fanno male.
-Pulce…- mi tende una mano e mi guarda con aria supplichevole –Ti prego, piccola mia. Puoi ancora avere una famiglia, questa volta per sempre, non rimarrai più da sola.-
Vederlo davanti a me, come se non fosse mai accaduto nulla, mi fa male; i suoi occhi hanno la stessa limpidezza di quando mi abbracciava o mi parlava, di quando mi sorrideva con quelle due fossette che si creavano ai lati della bocca. Vorrei che fosse lui, ma non lo è, è solo il riflesso di un’anima imprigionata. Io l’ho visto morire e nessuno potrà mai prendere il posto di mia madre, di Ronan… il suo.
Samara non potrà mai avere una vera famiglia perché non sa amare genuinamente, ha bisogno di incantesimi per legare a sé le persone e questo non è amare e né farsi amare.
-Tu non sei mio padre!-
La sua espressione cambia, diventa più dura, con un accenno di delusione.
-Pulce…-
-Non chiamarmi così! Non sei reale!-
-Ti sbagli, sono tuo padre, l’anima che mi dà la vita è la sua.-
-Potrai anche avere la sua anima, le sue sembianze, ma non potrai mai sostituirlo. Sei solo un contenitore freddo, vivi solo perché Samara ha bisogno di te, quando non le sarai più utile non ci penserà su due volte prima di eliminarti. Sei solo un burattino, un giocattolo. Niente di più, tutto di meno.-
-Tu non sai niente, lei mi ama!-
-Dici di essere mio padre e accetti l’amore di una donna che non è Elizabeth! Vuoi sostituirla e vuoi fare la stessa cosa anche con Ronan… il mio VERO padre non lo farebbe mai. Preferirebbe soffrire invece di sottomettersi a tutto questo.-
Qualcosa dentro il mio petto cresce. È una bolla pronta a scoppiare da un momento all’altro e quando accade mi sento veramente libera.
È una sensazione che non ha nulla a che fare con la gioia provata quando sono uscita dalla mia prigione dopo quasi cento anni… non assomiglia neanche lontanamente all’emozione appagante che mi ha invasa quando ho giaciuto con Lovro… niente di quello che ho mai provato si avvicina a quello che ora il mio corpo sta ospitando.
È una sensazione impetuosa, dolce e amara al contempo. Non è rabbia o felicità, mi sento serena e tranquilla come mai sono stata prima. Finalmente so quello che devo fare, so che tutto andrà per il verso giusto. Capisco che rifarei tutte le scelte fatte, tutti gli errori commessi. Ognuno di questi è stato importante per rendermi ciò che sono.
-Sai qual è la cosa che più mi dà fastidio di te? Mi vuoi illudere veramente di essere mio padre e questo mi fa soffrire. L’ho visto spegnersi e so che non lo potrò più riabbracciare, non potrò più ascoltare il canto di mia madre, non potrò più vedere l’uomo che mio fratello sarebbe diventato. Non potrò, ed è questa una delle cose che mi fa imbestialire, costruire una famiglia che sia veramente mia!-
-Non dire stupidaggini!- urla e un’onda d’energia si abbate sul mio scudo di nebbia dissolvendolo –Devi fare quello che Samara dice, LEI sarà tua madre e LOVRO tuo fratello. Capisco che ti è difficile accettarlo, ma alla fine, mia cara Sir…-
-Non dirlo! Non pronunciare il mio nome! Non ne hai il diritto.-
-Non fare così. Solo dopo che avrai accettato quello che ti sta accadendo potrai stargli vicino.- dicendo questo indica con un gesto della mano Lovro –Tu lo ami, altrimenti non faresti tutto questo. Ma una cosa mi incuriosisce… Come fai ad amarlo se sei…-
-Se sono morta? Perché l’amore copre con le sue ali qualsiasi persona, che sia viva o che sia morta. È un calore che non può essere attenuato, un fuoco che non può essere estinto. Rifiutare l’amore nella sua forma più pura è come voler spegnere l’unica candela che illumina una stanza immersa nella più assoluta oscurità. Ma questo tu non puoi di certo capirlo, sei solo un ammasso inorganico di essenze che non ti apparterranno mai e che tu usi solo come maschere per nascondere quello che in realtà sei. Un parassita!-
Lo Spettro Oscuro sbianca, una luce accecante si diffonde e la fonte sono io.
Raggi luminosi vengono irradiati da ogni cellula, molecola ed atomo del mio corpo.
I miei abiti prendono fuoco, ma non sono le solite fiamme azzurre quelle che accarezzano il mio corpo. Sono bianche e roventi.
Sul volto di marmo di Lovro leggo la sorpresa, su quello di Samara la soddisfazione.
I vestiti, ormai laceri, si disintegrano in piccolissime scintille che sfrigolano mentre si allontanano dalle mie gelide membra.
Un leggerissimo canto sibila nelle mie orecchie. È lo stesso che ha riempito, di tanto in tanto, le mie giornate.
Le fiamme si alzano e si ingrossano, giocano, si divertono… poi si spengono lentamente.
Un abito bianco e lungo con una sola spallina lavorata a mo’ di treccia alla spalla destra. Il braccio sinistro è completamente avvolto da un guanto nero, il vestito è stretto al bacino da una fascia argentata sulla quale spicca un fiocco dello stesso colore sul fianco destro.
-Padrona…?-
Lo Spettro Oscuro è confuso, ma Samara sembra comprendere bene cosa significhi questa trasformazione. Bene almeno quanto me.
-È inutile che cerchi di farla ragionare. Le devi solo dare una bella lezione.-
-Se è così…-
Due lingue di fumo nero gli escono dalle maniche della giacca di pelle che indossa formando delle spade nere che brillano di una luce violacea.
Evoco la nebbia e sento subito la sua forza scorrermi nelle vene, formo uno scudo intorno a me quando lo spettro mi attacca. Le sue lame rimbalzano contro la mia protezione, si crea un’onda d’urto che gli fa perdere l’equilibrio.
Non gli lascio il tempo di riprendersi dall’impatto. Lo colpisco con un muro d’energia che si frantuma quando una spilla rossa si accende sul colletto della giacca.
Pianta un piede a terra e con tutto il suo peso spinge la punta della spada contro il mio scudo che inizia a vibrare. Sento un intenso calore pervaderlo. Alla fine riesce a penetrarlo…
È difficile spiegare quello che accade dopo.
Lo Spettro Oscuro è a pochi centimetri da me, la sua spada bloccata a qualche millimetro dal mio viso da un filo di luce tremolante. Una forza invisibile ci scaglia in direzioni opposte.
Finisco contro un albero, il fiato spezzato e cado a terra in ginocchio.
Un forte rumore proviene da qualche parte davanti a me, un fumo denso si sta avvicinando velocemente saettando tra gli alberi che si seccano al suo passaggio.
La temperatura cala e il terreno viene coperto da un sottile strato di ghiaccio che brilla sotto le venature rosse delle nuvole.
Un scintillio oscuro infrange la quiete dell’aria. Mi difendo come posso.
Leggo l’odio negli occhi del mio falso padre.
In mano stringo una spada, un fioretto per la precisione, tutto il mio corpo sprigiona dei leggeri fili di nebbia che mi circondano e vorticano intorno a me come se fossi io il loro centro gravitazionale.
Guardo il mio assalitore negli occhi.
Non c’è più niente che mi possa fermare.
Le spade cigolano mentre spingiamo le lame l’una contro l’altra, nessuno ha la meglio. Iniziamo così una sfavillante ed elegante danza fatale.
Niente sopravvive ai nostri colpi. Onde di energia, lame di fumo e di nebbia si scontrano a mezz’aria dissolvendo l’erba gelata e i tronchi degli alberi che incontrano nel loro tragitto. Le nostre spade si cercano, si desiderano e si uniscono in un connubio di sibili e fischi.
Lo scontro continua, inesorabile, incessante, nessuno molla, non siamo stanchi, non potremmo mai esserlo perché nessuno dei due appartiene al mondo fisico. fisicamente andiamo avanti aspettando un passo falso dell’avversario per scagliare quello che sarà l’attacco finale e quando giunge lo colgo al volo.
Si è dato la spinta saltando da un tronco, le sue mani stritolano l’elsa, la spada portata all’indietro per dare più forza al colpo.
Mi avvento su di lui e con precisione chirurgica affondo la lama nella sua spilla che si spezza, e poi nel suo collo.
Un’espressione di puro terrore si disegna sul suo volto, lascia la presa sulla spada e lo spingo a terra. È immobile, estraggo la lama e gli do la morte trafiggendogli il cuore.
Nessun ultimo respiro, è una morte rapida. Il suo corpo diventa fumo denso che si perde nell’aria liberando un globo luminoso che emana un dolce calore.
Un essere orribile prende forma davanti a me. Non ha occhi, non ha labbra, sembra uno scheletro ricoperto da una pelle nera che si tende a fatica sulle sue forme spigolose.
Questo è il tuo vero essere?
Non ha niente di umano, non ce l’ha mai avuto. Mi fa pena.
Ruggisce e nel farlo una lunga coda terminante con un aculeo gli fuoriesce dalla base della spina dorsale.
Non è rimasto nulla di umano, le anime che avevi nel tuo corpo ora sono libere, possono andare nel luogo che spetta loro. So qual è il mio destino. L’ho capito, alla fine. Meglio tardi che mai, giusto? La maledizione riguarda solo i Custodi delle Anime.
Siamo molto simili, ma c’è una cosa che ci tiene distanti. Tu poi essere salvato, io no.
La nebbia intorno al mio corpo si condensa formando centinaia di schegge azzurre che lo colpiscono come fossero dardi, trapassandolo da parte a parte e sminuzzando pelle, ossa, muscoli e legamenti.
Cerca di aggrapparsi alla vita, in fin dei conti nessuno vuole mai lasciarla veramente.
­-Non posso morire…- sibila -…sono come te…- un grumo di sostanza nera gli esce dalle fauci.
-Ti sbagli…-
Mi avvicino a lui, lo stringo con la nebbia in modo da non farlo muovere e quando gli sono vicino lo abbraccio.
La Redenzione scatta dentro di me, la mia pelle si illumina e lui comincia a urlare e cerca di liberarsi dalla prigione che lo circonda, ma non ha più senso combattere. È finita. Il suo corpo si dissolve. Questa volta per sempre.
Guardo il globo di luce stringo al petto, si divide in sfere luminose più piccole che si perdono nell’etere schizzando da tutte le parti.
So che tra loro c’è anche l’anima di mio padre e spero che possa incontrare mia madre e mio fratello… che possano ancora essere felici.
Una saetta luminosa mi sfiora la pelle e tutto si fa scuro.
 
‘-Eliza, devi andare a letto, non sei in condizione di…-
-Posso stare alzata quanto mi pare. Sono incinta, non malata.-
Quelli che vedo sono i miei genitori, non gli ho mai visti così giovani. Mia madre è mio il riflesso, mio padre quello di Ronan eccetto per gli occhi, quelli sono di mia madre.
-Appunto perché sei incinta devi riposarti, non vorrai mica far del male al bambino.-
-Dedalo! Sembri mia madre.-
La donna dalla lunga capigliatura corvina si cinge il pancione con le braccia.
-Non dare retta a tuo padre. Ci vuole bene anche se vorrebbe rinchiuderci in una stanza piena di piume.-
-Se bastasse questo a tenerti ferma lo farei, ma sei testarda e quindi dovrò agire per altre vie.-
-E cosa vorresti fare? Sono proprio curiosa. Non vorrai mica far del male alla madre di nostra figlia?-
-No, no. Questo mai. Ma… come fai a dire che è una bambina? Potrebbe essere un maschietto.-
-Santo cielo, non dire queste sciocchezze!- si accarezza la pancia –Scusalo piccola, non voleva darti del maschietto.-
-Sarebbe così grave se fosse un maschietto invece che una femminuccia?-
-E sarebbe altrettanto grave se fosse il contrario?-
-Bè, no, ma….-
-Ovvio!-
-Cosa ovvio?-
-Ne basta uno che sbava dietro una scollatura pronunciata o a un corpo tutto curve. A un certo punto sareste in due ed io incomincerei a invidiare quelle che vi faranno comportare come dei cagnolini.-
-E sarebbe tanto sbagliato? Poi lo sai che amo solo te.-
-L’amore non te lo ferma.-
-Eliza! Fai sentire queste cose al nostro bambino?-
-La verità. È una bambina.-
-Ma non posso essere il padre di una bambina.-
-E perché?-
-Perché? Cosa pensi che le dovrò dire quando mi verrà a confidare che le piace un ragazzo?-
-Non ti preoccupare per questo, è più probabile che ne parli con me.-
-O con nessuno dei due. Comunque… e quando il ragazzo verrà a farle la corte davanti alla nostra casa?-
-Cosa c’è di male. Sbaglio o lo hai fatto anche tu?-
-E ricordi cosa mi voleva fare tuo padre? Basta solo dire che aveva un coltellaccio in mano.-
-Questo non vuol dire che ti comporterai come lui.-
-Non puoi saperlo. E quando farà quella cosa?-
Mio padre è diventato rosso in viso.
-Quale cosa?-
-Lo sai quale cosa. Quella cosa.- si passa una mano sul viso asciugandosi l’improvviso velo di sudore che gli imperla la fronte.
-Vuoi dire quando farà l’amore?-
-Non dirlo, te ne prego!-
-Caro…- dice mia madre ridendo posandogli una mano sulla spalla -…anche se sarà un maschietto prima o poi lo farà. È una tappa ed è naturale che ci arrivi, e non penso che parlerà con noi di questo, che sia maschio o femmina. Lo sapremo con certezza quando avremo dei nipoti… Ma non mi fare pensare a questo! Non voglio sentirmi vecchia prima del tempo.-
-Sarai sempre bella.-
-Lo dici adesso, voglio vedere se tra quarant’anni penserai lo stesso.-
-Comunque spero ancora che sia maschio.-
-Facciamo così…- dice mia madre prendendogli le mani tra le sue –Non è importante il sesso del bambino, ma solo che sia sano.-
-Va bene.- le dà un bacio –Tanto sarà maschio.-
-Sei incorreggibile.- dice e gli dà un pizzicotto alla pancia.
-Passiamo alle maniere forti allora!-
Papà inizia a farle il solletico e finiscono con l’abbracciarsi e baciarsi riscaldati dal fuoco che scoppietta allegro nel camino mentre, ognuno per conto proprio, sognano un futuro con il loro bambino. Con quello che sarei stata io.
Sento delle urla giocose provenire da dietro la porta d’ingresso, la apro lasciando i miei genitori divertirsi senza essere osservati.
La luce della stanza in contrasto con la semi oscurità di quella precedente mi confonde un attimo, non riesco a vedere nulla perché vengo accecata dal bagliore. Mi basta però sentire delle parole per far riaccendere la fiamma vibrante della memoria.
Qualche giorno prima dell’ultimo compleanno di mamma.
-Ronan, vieni qua!-
Si è appena lavato e gira per casa mezzo nudo.
Una lacrima mi riga la guancia, la asciugo con il guanto. Vorrei essere lì, veramente me, e non osservare il mio riflesso di un tempo che è passato troppo velocemente. Non sono riuscita a trattenere nulla, a portare nella mia testa dei ricordi fissi perché ogni volta essi vanno e vengono a proprio piacimento. Essere morti, non avere una storia alle proprie spalle che si può osservare, è più che una maledizione… ma il mio destino non era quello di continuare a vivere… o non sarei qui, ora.
Vorrei che fosse stato diverso per i miei familiari, ma non posso cambiare quello che è stato, posso solo combattere per rendere migliore il futuro e fare in modo che quello che è capitato a me, e a tanti prima di me, non si ripeta più.
Ronan mi prende alle spalle mentre sono intenta a tagliare le verdure per lo stufato.
-Ringrazia la tua buona stella che mamma e papà non sono qui, altrimenti te ne direbbero quattro.-
-E per cosa? Mica sono entrato in casa nudo, mi sono messo i pantaloni.-
-Non parlo di questo, ti ho visto varie volte sgattaiolare e correre con le chiappe al vento. Volevo dire che dovresti metterti una maglia, fa freddo e non penso che quei quattro peli che ti porti appresso possano tenerti al caldo.-
-Su questo hai ragione. Ma sul fatto che mi hai visto senza niente a dosso… non penso.-
-Io dico di sì.-
-Forse quando eravamo bambini.-
-E due giorni fa.-
-Ne dubito, non ero neanche a casa.-
-Inira Lake. Verso l’imbrunire, nella foresta.-
Rido rivedendo la faccia di Ronan assumere un colore simile a quello dei papaveri.
-Ti stai sbagliando.-
-O c’è un’altra persona che ha una voglia a forma di cuore sulla natica sinistra, o eri proprio tu.-
-È da quando sono nato che lo sai.-
-Anche questo è vero.- faccio un sospiro che suona più come un verso di scherno –Allora immagino che lascerò a te decidere se credermi o meno.
Mi fissa in silenzio -Non lo dire a mamma.- mi supplica.
-Dovresti preoccuparti più di papà.-
-Lui lo sa.-
Lascio il coltello a guardo mio fratello che abbassa lo sguardo concentrandolo sui suoi piedi con espressione colpevole.
-Lo hai detto a papà e a me no?-
Sbuffa.
-Come potevo dirtelo?-
-Non lo so. Un semplice: ho fatto sesso con Inira Lake? A me sarebbe andato bene.-
Diventa ancora più rosso.
-Il fatto è questo… non siamo arrivati a quel punto. Abbiamo solo... esplorato.-
Ad essere imbarazzata sono io, non pensavo che in vita fossi stata così ficcanaso.
-Allora è per questo che hai ancora la testa sulle spalle.-
-Sì. Ma non una parola con mamma.-
-Per te questo e altro.-
Lo ripeto insieme alla me del passato.
-Ti voglio bene.- dice e mi dà un bacio sulla guancia.
-Dovresti incominciare a raderti.-
-Non mi piace, e se poi mi taglio?-
-Guarirai.- lo guardo disperata –Sono stanca di pungermi ogni volta.-
Mi ricordo di aver pensato quel giorno, con amarezza, che Ronan stava crescendo troppo in fretta, ma bene. Forte e slanciato, molto più alto di me nonostante io fossi più vecchia. Alto persino più di nostro padre.
Mi ricordo di aver sentito una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Mi ha sbattuto la verità in faccia. Non è più il mio Ronan, quello da difendere, è diventato un uomo.
Ronan esce dalla nostra stanza vestito tutto elegante.
-Dove stai andando?-
-Da Inira.-
Mi vedo infilzare una patata con un coltellaccio e gliela metto davanti agli occhi con fare minaccioso.
-Se ti fa del male dille che finirà come questa patata.-
-Sbucciata?-
-No, a pezzi.-
-Penso non si arriverà a questo punto. Forse, un giorno, farà parte della nostra famiglia.-
-Non correre troppo con la fantasia, sei ancora troppo piccolo per questi pensieri.-
-Guarda che sarei già in età da matrimonio, e anche tu.-
-Non posso pensare a un altro imbranato se devo costantemente pulirti il naso e sistemare i guai che combini.-
-Mi sembra di averti già detto che non sono più un bambino.-
-Per me lo sei.-
-Ti voglio bene.- dice ed esce di casa.
-Io più di te.- mormoro ormai da sola in casa -Ahi! Che devo fare con lui? Appena vede un pelo spuntargli sul petto pensa già di potersi comportare come un uomo fatto e finito. Povera me! Essendo mio fratello non posso non volergli bene. Vero Zoe?-
Zoe?
Nella stanza sono sola e non mi ricordo che fosse entrato qualcun altro.
Lo spazio alle spalle della me del passato si contorce e libera dalle sue pieghe una figura femminile.
Mi sorprendo nel vedermi tranquilla, un altro Vivente nella mia stessa situazione si sarebbe messo a urlare dalla paura, ma nella visione continuo a spelare e a tagliare a dadini le patate.
È molto diversa dalla Zoe delle mie visioni.
È bellissima…
Ha i capelli di un intenso nero, una ciocca lunga le ricade sul volto e lei la sistema dietro l’orecchio destro. Il resto della lunga chioma corvina è trattenuta da un nastro bianco in cima alla testa.
-Hai ragione.- mi risponde.
Vedermi parlare con un fantasma mi terrorizza.
Non può essere… mi ripeto. Per i Viventi non è considerato normale parlare con i morti, solo asserire una cosa del genere può portare alla condanna a morte.
Loro possono andare e venire, solo i Custodi sono intrappolati. Esiliati da entrambi i mondi. Non possono accedere al loro regno, devono vivere tra i mortali fingendo.
-Peccato che Ronan non abbia preso da nostra madre. Almeno avrebbe qualche amico in più.-
-Solo fantasmi.-
-Siete di buona compagnia, e poi è sempre meglio di niente.-
Zoe si muove nell’aria come se nuotasse.
-Ma voi avete bisogno dei vostri simili per vivere.-
-Loro non hanno le vostre storie.-
-Alcune sono inventate.-
-Altre sono vere.-
Il fantasma sorride.
-Alcune volte sarebbe meglio non ricordare.-
Cala il silenzio e sono io a romperlo.
-L’ho detto a mia madre.-
-Cosa?-
-Quello che mi hai riferito riguardo Xia. Spero che non sia vero.-
-Purtroppo lo è, la saprei riconoscere anche tra mille.-
Sospiro e butto le patate tagliate dentro il pentolone.
-Posso farti una richiesta?- chiedo.
-Tutto quello che vuoi.-
-In realtà sarebbero due.-
-Vediamo se posso accontentarti.-
-Puoi mandare Larz a controllare Ronan? Ho paura che possa fare qualche stupidaggine.-
-Lo sta già tenendo d’occhio.-
-Grazie…-
-E l’altra richiesta?-
-Potresti cantare per me? Oggi è festa e non posso uscire di casa per via della febbre, mi farebbe molto piacere se mi accontentassi.-
Zoe sorride e poi inizia a cantare.
Le strofe che si susseguono melodiosamente parlano di una notte sacra, magica, durante la quale la Vita fa un bellissimo dono agli uomini. Una creatura vede la luce e riesce a ledere l’oscurità che grava sui cuori, scioglie gli affanni e porta amore. Tutto in una notte in cui si possono sentire le voci degli angeli che cantano in coro. Un’armonica danza tra crescendo e diminuendo di toni, pause e note prolungate. La sua voce acquista una sottile eco che riverbera per la stanza dando l’impressione che siano più voci a cantare. La canzone mi rimbomba nella testa, nel petto, nelle viscere…
Mi vedo chiudere gli occhi e so cosa sto immaginando. Immagino mia madre e mio padre con me e mio fratello e mia nonna guarita, tutti insieme, e, come la me passata, piango commossa, ora anche affranta al pensiero che tutta la mia vita sia stato un intrecciarsi di eventi che mi hanno portata a questo punto. All’infrangersi dei sogni.
La musica si assottiglia progressivamente fino a terminare.
-Gr…-
La visione si dissolve.
Cosa ho ereditato da mia madre che Ronan non possedeva?
Tutta la scena cambia. Non sono più a casa mia, non mi trovo in nessun luogo che conosco.
Sono immersa in un liquido rosso che contiene delle schegge di vetro che mi strofinano la pelle di tanto in tanto graffiandomela e dandomi sensazioni contrastanti. Ora di gelo, ora ustionanti.
Sento qualcosa attraversarmi il petto, farsi largo nella mia pelle e agganciarsi al cuore. È come un amo che, legato a una lenza invisibile, mi trascina.
Una luce accecante mi disturba e sono portata a chiudere gli occhi, ma non ci riesco, come non riesco a ricordarmi nulla. Non so chi sono, se sono viva e se tutto questo sia vero.
Non riesco a chiudere le palpebre e tutto si oscura diventando una massa informe nera che mi accarezza volgarmente il corpo.
Quando riemergo…’

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Capitolo 19
*** XIX ***


Un urlo atroce squarcia l’aria.
Fulmini neri saettano contro il cielo vermiglio stracciando lo spazio.
Un altro urlo. L’aria si ripiega su se stessa e, prima di distendersi, disintegra ogni pietra, ogni albero, ogni arbusto. Rimango solo io.
Resisto all’onda distruttrice aprendomi un varco in essa con la spada.
È giunto il momento. Bisogna porre le ultime battute di questa storia.
Mi muovo velocemente navigando alla cieca nella polvere che l’onda di potere ha sollevato, quando esco dalla barriera granulosa vedo Samara inginocchiata per terra, Lovro è al suo fianco intento ad aiutarla ad alzarsi. Un forte vento schiaffeggia i nostri corpi.
Delle lacrime di sangue le rigano il viso e quando posa il suo sguardo su di me mi trafigge con i suoi occhi verdi.
-Spero tu sia contenta ora!- urla straripante di collera.
-Ho liberato le anime di chi hai circuito.-
-Hai distrutto l’unica creatura che mi abbia mai veramente amata!-
-No. Tu l’hai creato, non lo amavi, non lo hai mai trattato come un tuo pari, per te era solo un servo. Se lo avessi amato veramente non lo avresti costretto ad assorbire le forme di chi uccidevi.-
-Io ti ho voluto bene.- adesso ho davanti Esmeralda –Ti ho trattata come una sorella. Perché siamo arrivate a questo punto?-
-Prima o poi sarebbe successo.-
-No. Ti avrei resa mia prima. Povera Esmeralda, lei non vedeva il tuo potenziale, si limitava solo a trarre energia vitale da te.-
-Cosa vuoi dire?-
-Semplice, e mi sorprende che tu non l’abbia ancora capito. Io non sono sempre stata Emeralda, non è un mio travestimento, non mi sarei mai abbassata a prendere quelle semplici sembianze, diciamo, più che altro, che era una delle mie apprendiste streghe. In tutti questi anni ne ho avute molte, ma solo lei sembrava all’altezza di adempiere al compito che le avevo prefissato. Tenerti con sé fino a quando non avrei trovato il modo di renderti mia. Peccato che ha finito con l’affezionarsi a te, ha anche cercato di ribellarsi ai miei ordini, ma, anche se era brava, rimaneva comunque una strega di secondo ordine. I suoi erano dei trucchi di prestigio da fare nelle più squallide bettole. Voleva liberarti, pensava fosse il giusto prezzo da pagare per redimersi e chiudere definitivamente con la magia.-
-L’hai uccisa…-
-Non c’era altra soluzione, non potevo perdere la possibilità di avere i poteri di un Custode, di riportare in vita la persona che amavo, che ho perso a causa di esseri come te.- nei suoi occhi c’era solo follia –Se ti può consolare, non ha provato molto dolore. Dopo essermi sbarazzata di lei ha indossato i suoi scomodi panni e tu non ti sei accorta di nulla. Come ti ho detto, ti avrei assorbita prima, ma volevo aspettare che sviluppassi qualche potere in più. E ora… potrò finalmente avere i tuoi Lasciti. Sono ancora in tempo.-
-Non ti serviranno a nulla.-
-Ma io non lo faccio solo per questo: avere il potere. Sai, alla lunga stanca cibarsi solo di uomini. Bastardi e codardi. Unita a me nessuno potrà più fermarmi, non potranno cacciarmi di nuovo, non mi esilieranno come hanno fatto quando ero bambina.-
Lovro mi guarda di traverso e stringe più forte a sé Samara, per difenderla; anche lui percepisce che ora sono una minaccia.
-Non posso lasciartelo fare.-
-Perché?-
-Perché non tutti sono come le persone che ti hanno fatto soffrire, ce ne sono altre, come Lovro, Zephyro che sono buone, non mi hanno tradita dopo aver saputo quello che sono. Non lo ha fatto neanche Zoe, o Larz, eppure erano a conoscenza della tua reale natura.
-Menti!-
-Una Custode non può mentire.-
-Aaarrrrgggg….-
Un globo rosso mi colpisce in pieno petto scagliandomi all’indietro, cado a terra e sento un dolore intenso pervadermi tutto il corpo, come se avessi tutte le ossa rotte.
Mi concentro per evocare la mia nebbia, ma non ci riesco.
-È inutile. Ho inibito i tuoi poteri; adesso calmati, a breve sarà tutto finito.-
-Non mi toccare!-
Riesco a produrre solo una leggera lingua di fumo, non riesco a fare di meglio. La condenso formando una lancia e la scaglio contro di lei.
Le basta un gesto della mano per deviarla.
-Ero convinta che l’incantesimo agisse più velocemente. Vuol dire che sei più forte di quanto pensassi. Ma non è un problema.-
Prima di morire tutti sono convinti che saranno presi alla sprovvista da una miriade di domande, che la loro vita scorrerà davanti ai loro occhi, ma è tutto sbagliato. Si comincia a pensare razionalmente, così si porge all’assassino solo una domanda, quella che darà la spinta verso il baratro.
-Eravamo solo umani, perché ci hai uccisi?-
Samara si ferma e scoppia in una grassa risata.
-Ancora vuoti di memoria? È tutta colpa di Zoe, se proprio lo vuoi sapere. Diventare amica con una Vivente in grado di vedere i fantasmi, tua madre, e farle fare delle ricerche su di me per smascherarmi, non potevo permetterlo. Troppi anni di sacrifici fatti per trovare un modo per destare dal sonno eterno Larz sarebbero andati in fumo. Ho solo scelto il male minore.-
Mia madre poteva vedere i fantasmi, come me… Ronan no…
-Era comunque una mortale!-
-Sbagli! Quella cagna di tua madre era una strega, e anche di un certo livello. Ma un misera puttanella non poteva nulla contro secoli di pratica. Si capisce che dovevo per forza eliminare tutta la sua impura progenie, per non rischiare che uno dei suoi frutti avesse il dono della magia. Dato che era una strega mi è sembrato giusto non rompere la tradizione della morte sul rogo. Nata dalle fiamme dell’Inferno, a esse doveva tornare. Anche dopo aver tolto tutti gli impicci di torno ero convinta di poter evocare il mio primo amore, ma sei arrivata tu. Non ti avevo riconosciuta all’inizio, Esmeralda poi non ha mai condiviso le informazioni che traeva da te, ma dopo essermi ricordata di chi eri non potevo sopportare la tua vista e volevo eliminarti. Però le cose si misero bene per te. Non ti ricordavi di me e hai incominciato a sviluppare sin da subito i tuoi poteri, sapevo cosa saresti diventata e non potevo lasciarmi scappare un’occasione simile. Poi sono arrivati i tuoi primi ricordi, troppo frammentati per rappresentare una reale minaccia.- parlando mi dà un po’ di tempo per permettere ai miei poteri di farmi guarire –Ed eccoci qua. In definitiva sto mantenendo la promessa di Esmeralda, sto per infrangere una maledizione. La mia.-
Si volta verso Lovro e gli dà un buffetto sulla guancia.
-Vatti a mettere al suo fianco.-
Un lampo mi attraversa la mente.
Il corpo di Zephyro tra le braccia di Lovro viene sostituito dal cadavere di quest’ultimo e sono io a piangere stringendolo a me.
-Non lo fare, allontanati!- gli urlo, ma lui non mi ascolta.
-Prima di tutto… Il sangue dell’amato di colei che non è né viva né morta.-
Muove la mano verso Lovro e so che è una sentenza di morte.
Un liquido rosso scuro schizza sul mio volto imbrattandomi gli abiti, un fantoccio cade al suolo e una chiazza densa si sparge sul terreno.
-No!-
La nebbia esplode attraverso il mio corpo con tutta la forza che sono in grado di generare, Samara viene investita dalla mia energia e cade a terra ridendo.
-Vuoi ancora ribellarti? Non serve più a nulla. L’ultimo ingrediente lo hai messo tu adesso. L’anima del Custode che non può passare. L’offesa verso chi l’offesa ha posto.-
Mi blocco e lentamente il mio corpo si tramuta in polvere che viene assorbita da Samara che ha allargato le braccia regalandomi un abbraccio mortale.
-No! No! No!-
Cerco di usare i miei poteri ma questi non fanno altro che aumentare la dissoluzione del mio corpo oltre che a rivelarsi inutili. L’incantesimo che Samara ha lanciato contro di me sta dando i suoi frutti. I miei Lasciti sono nulli.
Mi gira la testa e cado a terra.
Buio.
La mia pelle si crepa liberando una luce che si nasconde sotto di essa.
Buio.
Non ho più arti.
Buio.
Rimane solo la coscien…

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Capitolo 20
*** XX ***


Sento freddo.
Sono rannicchiata a riccio, stringo le ginocchia al mio petto e ci affondo dentro la testa.
Apro gli occhi, ma sono cieca. Il buio mi circonda.
Vorrei avere una luce per schiarire l’area intorno a me mentre mi lascio trascinare della corrente fredda che congela i miei muscoli.
Penso.
Cerco di andare indietro con la memoria, ma non so neanche cosa sia e un pensiero terribile nasce.
Forse non sono niente.
Ma come posso non essere niente se riesco a percepirmi?
E se fosse tutto uno scherzo? Se non stessi pensando veramente?
Vorrei mettere in ordine la confusione che ho dentro, ma non ci riesco. È come giocare a scacchi con se stessi, non si può.
Qualcosa penetra l’oscurità, un puntino luminoso che si fa sempre più grande dopo ogni onda nera che sbatte contro me.
Non voglio non esistere.
È una freccia che mi colpisce e inizio a muovermi, forse a nuotare, verso quel disco che mi ferisce gli occhi con la sua luce, che mi brucia la pelle col suo calore.
Delle fitte da qualche parte mi fanno perdere il ritmo e invece di andare in su, scendo negli abissi dai quali spuntano dei tentacoli che mi afferrano le caviglie, il bacino e qualcosa mi accarezza la gola. Tendo il braccio verso la fonte luminosa e vedo l’orma scura della mia mano in contrasto con il bianco del cerchio.
Apro la bocca e libero un urlo che viene inghiottito dal liquido nero.
Sopra di me un’ombra mi afferra la mano e inizia così un tiro alla fune che ha come vincitore l’essere venuto dall’alto.
Vengo sballottolata e trascinata.
-Stai calma.-
Mi tiene tra le sue braccia, non riesco a muovere nessun muscolo.
-Tra un po’ si sistemerà tutto, è normale che sia così.-
Nuota e mi trascina fuori dall’acqua. Mi sembra di essere niente.
Mi posa su una superficie soffice e calda che mi si attacca alle braccia, alle gambe e alla schiena e per quanto tenti di togliermela di dosso non ci riesce.
-Respira.- dice e mi passa una mano sulla fronte –Brava, così.-
Metto a fuoco le immagini e osservo il mio salvatore.
Ha gli occhi limpidi e neri, i capelli scuri tagliati molto corti e una barba nera e sottile. Ha un naso piccolino rispetto alla faccia grande.
-Rilassati.-
Provo a parlare ma produco solo suoni disconnessi, i muscoli bruciano.
-Il tuo corpo è inibito, a breve sarai come nuova.-
Mi toglie un ciuffo di capelli dal viso e noto dei graffi sulle sue braccia.
Un dolore lancinante allo stomaco mi coglie all’improvviso e mi piego in due prima di vomitare una fanghiglia scura e densa, lui mi aiuta a mettermi sul fianco.
-Bene, sei ancora in transizione…-
Ad ogni inspirazione inalo fuoco che mi consuma i polmoni e la luce mi brucia la pelle.
-S-s-s-sto br-ucian-n-do.- sussuro balbettando.
-Scusa, è vero. Sei ipersensibile.-
Prende un telo e mi copre completamente, sento subito un fresco sollievo.
-Gr-gr…-
-Non ti preoccupare. Adesso stai calma. Ti devo lasciare, vado a prenderti degli abiti, ma torno subito, lo prometto.-
-N-n-no-
-Sarò di ritorno prima che te ne accorga.-
-R-r-ri-mani.-
Ma non c’è più nessuno ad ascoltarmi. Sono di nuovo sola in un luogo sconosciuto.
La mia attenzione si concentra, allora, sul suono ritmico della risacca, ma non mi calma, anzi, mi urta profondamente il suo calmo e placido ripetersi in eterno.
Vorrei sapere molte cose: dove mi trovo, perché un liquido caldo e sottile mi esce dagli occhi, cos’è la sensazione strana che provo all’addome, ma, soprattutto, chi sono.
Così però non va meglio, il cuore inizia a battere violentemente contro le costole e mi fa male, devo cercare di controllarmi, di rilassarmi.
Pensare non è un’opzione, qualsiasi pensiero io cominci finisce sempre col riportarmi alla mia condizione attuale. Devo trovare un altro modo, non ho scelta. Allora decido di fare una cosa umanamente impossibile, non pensare, ma essendo impossibile fallisco ancora prima di provare.
C’è una cosa che voglio assolutamente fare, ne sento la necessità, nasce proprio dalla strana sensazione che, dall’addome, sale fino al petto e mi arriva in bocca.
Mormoro un motivo, non so bene da quale recesso della mia mente o della mia anima abbia origine, ma per me è fantastico perché mi fa sentire subito meglio.
I tessuti si rilassano e il cuore torna al suo battito normale, il bruciore alla pelle si affievolisce e l’aria non mi sembra più tanto pesante. Continuo a canticchiare.
È come sentire qualcuno al mio fianco. Una presenza ignota, che si fa notare per la sua gentilezza e la sua disponibilità. Forse non la si può chiamare amico perché, in definitiva, si ha sempre paura dell’altro, può sempre far soffrire, ma in qualche angolo remoto del cervello si sa che su questa persona si può fare sempre affidamento, non ti lascerà mai, anche se tu vorresti che lo facesse. Ma non lo fa, continua a restare al tuo fianco quando ti senti uno strofinaccio usato per pulire le stalle o quando sei al settimo cielo. Ti resta vicino sia quando la vedi, sia quando diventa invisibile agli occhi di chi ha bisogno di una luce nel buio.
Quando anche i miei muscoli sembrano riprendersi dal loro torpore cerco di togliermi la stoffa che il ragazzo mi ha messo sopra. È una liberazione, mi sembra di poter respirare per la prima volta veramente.
Resto distesa, vorrei avere più libertà di movimento, ma non mi è concessa.
Allora piango in silenzio, l’unica cosa che riesco a fare in questo momento.
-Ehi! Ehi! Cosa ti è successo?- il ragazzo è tornato ed è preoccupato.
-Non riesco ad alzarmi.- mi lamento.
-È normale. Una cosa alla volta, parli già meglio. Hai notato?-
È vero, non balbetto e scandisco meglio le parole.
-Chi sei?-
Appena pongo la domanda mi sento stupida.
Ride e scuote il capo e, non so perché, inizio a ridere pure io ma la mia risata assomiglia molto di più a un ghigno malevolo. Lui non sembra farci caso.
-Tra tutte le domande che possono venirti in mente, questa è l’unica che ti sembra importante?-
Lo guardo e i suoi occhi ora esprimono il divertimento più puro.
-Non penso che la sabbia possa farmi del male, tu sì.-
Ride ancora.
-Su questo hai ragione.-
Mi pulisce dolcemente il viso. La sua vicinanza mi mette a disagio, mi sento come se stessi tradendo qualcuno…
-Sei tornato.-
-Te l’avevo promesso.-
-Sì. L’avevi fatto.-
Cala il silenzio e ne approfitto per cercare di mettermi seduta. Lui mi afferra e mi sorregge.
-Sei testarda, ancora il tuo corpo non è pronto.-
-Io dico di sì.-
-Come mai tutta questa fretta?-
-Non lo so, e anche se lo sapessi non te lo direi.-
-Come mai?-
Lo guardo e cerco di leggere cosa si annida nella sua anima.
-Non mi hai detto come ti chiami.-
-Larz.-
-Bene Larz. Aiutami ad alzarmi per piacere.-
-Dopo che ti ho vestita. Non posso permetterti di andare in giro nuda.-
Sembra imbarazzato e non mi spiego il motivo, capirei se a essere nudo fosse lui. È proprio strano… anche se non è più strano che vedersi essere vestiti da un perfetto sconosciuto, ma penso che non sia molto diverso da come si debba sentire un neonato.
Mi copre con un abito celeste chiaro, non mi piace molto il colore ma non glielo faccio presente perché non voglio sembrare un’ingrata dopo tutto l’aiuto che mi sta dando.
-Adesso vediamo se puoi camminare.-
Mette le mani sotto le mie ascelle e mi alza come se fossi una piuma e mentre tento di fare i primi passi lui mi sorregge. In generale le prove sono molto deludenti.
Le piante dei piedi non aderiscono bene al suolo e le gambe si muovono da sole facendomi assomigliare a una papera.
Per sbaglio do un calcio a Larz che lo schiva per un pelo.
-Quasi quasi ti preferisco sdraiata.-
-Anche io.- dico ignorando la malizia nel suo tono.
-Forse sarebbe meglio se ti portassi sulle spalle.-
Non so come faccia ma mi fa fare qualsiasi cosa voglia, così mi ritrovo sulle sue spalle a pensare a quanto siano larghe.
-Sei piuttosto leggera, ma mangiavi abbastanza?-
-Non lo so…-
Cibo, cibarsi… sono parole con un suono così lontano che mi sembra di non sentirle e di non pensarle da tempo.
Lasciamo la spiaggia e dalla sabbia iniziano a spuntare dei ciuffetti verdi e ispidi, prima radi e poi la coprono interamente. In questo luogo le distanze sembrano essere così brevi che potrei fare il giro del Mondo a piedi.
Cammina in silenzio, senza lamentarsi. Mi sento in colpa per il peso che sono.
Nelle narici entra il suo odore e incomincia a martellarmi nel cervello una sorta di allarme che mi dice che dovrei sapere qualcosa. Ma il fatto è questo: il qualcosa non ha un nome, mi ha solo spinto a muovermi, a bruciare le tappe. È un’urgenza di cui non conosco l’origine.
Larz, il suo odore, “L”… ho qualcosa che vola nella mente, ma si nasconde dietro gli occhi, ho bisogno che si palesi davanti a me. Provo soprattutto la necessità di sapere perché non ricordo nulla; decido di chiederlo alla mia cavalcatura.
-Non lo so. Ad alcuni succede, ma dura poco. Vedrai che presto passerà.-
C’è qualcosa che non mi vuole dire.
-Voglio scendere.-
-Sei sicura? Non penso tu sia pronta.-
-Tu fallo.- gli dico imperativa.
-Va bene, come vuoi. Non c’è bisogno di scaldarsi.-
Allenta la presa e la sedia di dita intrecciate si dissolve e cado per terra. Troppo lenti i riflessi.
Larz ride e si piega per aiutarmi ma io lo fermo alzando una mano.
-Ce la faccio da sola, grazie.-
-Tipina tosta.-
-Non lo so, ma voglio alzarmi da sola.-
E lo faccio veramente.
Il piede poggia bene e le gambe non si piegano in modo strano sotto al mio peso. Inizialmente mi muovo con cautela per paura che le ginocchia possano cedere da un momento all’altro, ma, appurato che non accade, acquisto sicurezza e mi muovo spedita.
È una sensazione bellissima sentire l’erbetta sottile sotto i piedi e i muscoli tendersi e rilassarsi per permettere ogni passo. Mi sembra di vivere un déjà-vu.
-Bravissima! Ci sei riuscita molto più velocemente di quanto pensassi.-
-Te l’avevo detto.- squittisco euforica.
Sorride soddisfatto.
Mi fermo a osservare ciò che ci circonda.
Nel cielo non vedo la sfera luminosa che alla spiaggia mi stava bruciando, tiro un sospiro di sollievo. Il cielo ha un colore limpido, un azzurro intenso venato da nuvole celestine che mandano dei leggeri bagliori. Un venticello caldo muove l’erba sottile e i fiori spandendo nell’aria il loro dolce profumo; riesco a sentire l’odore delle margherite e una fragranza simile a quella degli agrumi. Provo una strana sensazione alla bocca dello stomaco che si palesa al mio compagno con un sottile ruggito.
-Hai fame?-
Lo guardo di sottecchi e lui allarga di più il sorriso.
-Non lo so.-
Fa una sonora risata.
-Come fai a non sapere se hai fame?-
-Non lo so.-
-Allora basta fare una prova.- mi prende la mano e c’è qualcosa di molto tenero nel modo in cui lo fa, come se fossi sua sorella –Seguimi.- mi lascia e inizia a correre. È velocissimo, sembra non toccare il suolo.
-Non così.- urlo –Non posso raggiungerti.- ma è troppo lontano per potermi sentire. Allora comincio a correre anche io ed è fantastico. Il battito del cuore che accelera il suo ritmo e il respiro che smette di essere regolare, i muscoli che si tendono e flettono sotto la pelle.
Anch’io sono veloce, forse persino più di lui. Gli sono vicino e gli salto sopra e cadiamo entrambi sull’erba, rotoliamo fino a quando un leggero dislivello non ci ferma e anche fermi continuiamo a ridere ignorando le fitte alla pancia.
-Come ti chiami?- mi domanda.
Una domanda alla quale non so rispondere. So di avere un nome ma non ho idea di quale sia e, per di più, non so quale sia il motivo che mi spinge a compiere la maggior parte delle cose che faccio. Come, per esempio, riuscire a fidarmi di una persona che non ho mai visto prima. Lo faccio solo perché ho la convinzione, l’infondata certezza, di conoscerlo bene tanto da potergli affidare la mia vita.
-Non ti so dare una risposta.-
-Ancora la memoria non ti è tornata.- è diventato serio e sembra turbato.
-Devo preoccuparmi?-
-N-no.-
Cosa mi nascondi?
Si alza.
-Vieni, ti do qualcosa da mangiare prima che svieni dalla fame.-
Mi alzo pure io e lo seguo a qualche passo di distanza osservando come si muove, la cadenza dei suoi passi, come ondeggia le spalle. La sua muscolatura possente.
Sento che dovrei ricordare qualcosa, ma non ci riesco.
-Guarda.- mi dice mentre camminiamo; mi sposto togliendomi da dietro la sua figura e seguo la direzione che indica il suo dito –Siamo quasi arrivati.-
Davanti a noi, a qualche metro di distanza, c’è un frutteto dai colori vivaci che attira subito il mio sguardo rendendomi difficile spostarlo da esso.
Le piante sono alte quanto noi e sono strane. Anche se non ricordo di averne viste altre in precedenza, so per certo che non dovrebbero essere così.
Le foglie hanno vari colori e forme. Foglie a forma di cuore tinte di un brillante giallo, poi ce ne sono alcune nere a forma di luna e altre blu a forma di goccia, poi delle foglie bianche a forma di cristallo di neve. I frutti si scostano come colorazione dalle foglie spiccando giocosamente.
Sono uguali, sferici ma a seconda della pianta che ha dato loro la vita hanno colori diversi.
Un verde chiaro e una buccia ruvida per la pianta gialla, una sfera bianca e morbida per quella nera, l’arbusto blu ha dei frutti di un rosso acceso. Una buccia liscia e una consistenza dura ce l’hanno invece i frutti neri della pianta bianca.
-Che piante sono?-
-Non conosco i loro nomi, ma ci sono sempre state. Ci danno il nutrimento di cui abbiamo bisogno.-
Prende un frutto nero e lo sbuccia. È diviso in cinque spicchi, ne prende uno e me lo porge.
Lo guardo attenta prima di afferrarlo. È tiepido a contatto con la mia pelle, ma quando lo metto in bocca il succo è fresco e dolcissimo.
-Dovresti vedere la tua faccia!- dice sorridendo.
-È buon…- non finisco la frase, un conato di vomito spinge fuori quello che ho ingerito.
Larz mi posa una mano sulla schiena e con l’altra mi tiene la fronte.
Appena sento che va meglio gli faccio segno con la mano che può lasciarmi. Ho il fiato spezzato e un sapore dolciastro in bocca.
-Probabilmente il tuo corpo ancora non si è abituato.-
Ho di nuovo la sensazione che mi stia nascondendo qualcosa.
-Cosa mi sta succedendo?-
-È normale, puoi stare tranquilla.-
Queste parole non sono rivolte a me, ma a te. Non puoi ingannarmi.
-Ce la fai a camminare o vuoi che ci fermiamo così puoi riposare?-
-Ce la faccio.-
Mi guarda preoccupato.
-Dove dobbiamo andare?- gli chiedo.
-Intanto fuori da qui.-

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Capitolo 21
*** XXI ***


Ogni tanto mi colgono dei giramenti di testa, ma resisto e alla fine scompaiono lasciandomi solo un lieve senso di nausea.
Le piante che ci circondano sono sempre le stesse, si alternano creando un variopinto gioco di contrasti che si conclude con una serie di arbusti verdi dalle foglie ovali e dai frutti di un giallo pallido molto più piccoli dei precedenti.
-Questi cosa sono?-
Sfioro una foglia con un dito ma devo subito ritrarre la mano perché sento una fitta dolorosa che si irradia velocemente per tutto il braccio.
-Ma che diamine…-
Ho il polpastrello segnato da piccoli tagli che si rimarginano in fretta.
-Cosa è successo?-
-Questa pianta… questa pianta mi ha tagliato.-
Larz si fa ancora più serio. –Non possono farti niente, ti sarai sbagliata.-
-Non penso. So riconoscere un taglio quando lo vedo e il mio dito aveva tanti piccoli taglietti.-
-Sei solo stanca ma tra un po’ potrai riposarti.-
Mi afferra un braccio e mi allontana dalle piante e poco dopo siamo fuori dal frutteto e davanti a una casa enorme in legno.
Larz produce un acuto fischio mettendosi i mignoli in bocca e, dopo qualche secondo, la porta si apre.
Mi aspetto di vedere di tutto, ormai di stranezze ne avevo viste a bastanza, tranne quello che si presenta davanti a noi. Dalla casa esce una ragazza dai capelli lunghi raccolti in una coda. Indossa dei semplici abiti: una canottiera nera e una gonna bianca. Anche lei è scalza.
Ma qui non ci sono scarpe?
Le andiamo incontro e a ogni metro in meno che ci separa da lei, lo sguardo di Larz diventa sempre più dolce e i muscoli delle spalle sono percorsi da brevi fremiti. È come se l’aria si riempisse di elettricità; la sento contro la mia pelle, scoppietta allegra. Provo la stessa felicità di Larz.
È impossibile, penso, ma continuo a sentire una strana energia provenire proprio da ui. Ha qualcosa di stranamente familiare questa sensazione, so che dovrei ricordarmi di una cosa importante, ma non ci riesco…
Ormai siamo a due metri da lei e con un solo grande balzo Larz copre questa distanza lasciandomi il braccio e la afferra tenendola stretta al suo corpo e baciandola teneramente sulle labbra.
Mi colpisce nuovamente l’onda della felicità che emanano, mi pare ogni volta più tangibile.
È un semplice movimento alle mie spalle, un sibilo impercettibile. Mi sento osservata e mentre mi volto ho l’impressione di vedere un ombra che si nasconde tra la vegetazione.
-Larz, c’era qualcun altro nell’orto?-
-No. Perché?-
-Qualcuno si è nascosto tra le piante.-
-Ti sarai sbagliata.- mi dice la ragazza.
Vuol dire che oggi mi accade spesso…
-No.- le rispondo voltandomi di scatto verso di lei e azzerando la distanza tra noi
-Forse il tuo corpo…-
-Si sta ancora abituando?- finisco la frase di Larz scrollandomi dalle spalle le sue mani.
All’improvviso sento che c’è qualcosa che vorrei chiedergli, ma non riesco a formulare la domanda. Mi si ferma in gola e là muore prima di trasformarsi in parola.
-Vaaa beeeneee.- dice Larz. –Lei è Zoe. Mia moglie.- cerca di cambiare discorso.
I suoi occhi neri mi restituiscono lo stesso sguardo intenso con cui tento di entrarle nella testa.
-Ancora non ricorda come si chiama.- la informa Larz.
-Capisco.- e dopo un breve momento di esitante silenzio -Bene! Entrate in casa, siete arrivati giusto in tempo per il pranzo.-
Appena varcata la soglia vengo investita da vari odori, ma nonostante si fondino in un’orgia di fragranze riesco a percepire ogni singolo profumo. Margherita, arancio, mela, rosa, pane appena sfornato… Sento odore di casa.
-Larz, sei andato a…-
Il rumore di un vaso che si rompe.
Mi volto e c’è una donna che mi osserva con occhi sgranati dalla sorpresa e dalla confusione, il labbro inferiore le trema, come le mani. Ho la vaga sensazione che sia sul punto di piangere.
-Non si ricorda.- dice Larz.
La sua pelle riacquista un po’ di colore, comunque non abbastanza da impedirle di sembrare mortalmente bianca rispetto ai suoi capelli neri e ondulati.
-Scu-scusate. È stata solo la sorpresa. Adesso pulisco.-
-No Eliza, faccio io.- si propone Zoe che ha già in mano una scopa.
Eliza…
-Eliza?- i suoi occhi si illuminano –Non ho mai sentito questo nome…-
Adesso sembra triste.
-Mi chiamo Elizabeth, ma Eliza va più che bene.- poi si rivolge a Larz –Resta un attimo con lei, vado a chiamare gli altri.- ed esce correndo.
Do una veloce occhiata all’arredamento della casa. Mi trovo in una piccola stanza con al centro un tavolo di legno coperto da una tovaglia a quadri rossi e bianchi. Ci sono due mobili con ante di vetro che mostrano una stupefacente collezione di bicchieri di cristallo di tutte le dimensioni e abbelliti nei più variopinti modi. C’è, ad esempio, un calice decorato con degli sgargianti colori che si intrecciano per dare vita a una farfalla dalle immense ali ed un altro circondato da petali disegnati con un delicato rosa. Ma c’è un particolare che non si può ignorare in questa stanza perché presente ovunque.
-Ci sono molti fiori.-
-E già. È normale per chi vive qui.- dice Larz.
-Non so se saprò abituarmi.-
-Non ti piacciono i fiori?-
-Non lo so.-
-Larz, vieni! Ti devo parlare.- dice Zoe uscendo da una camera. È preoccupata.
Rimango sola, per la terza volta, in un luogo che non conosco e che fatico a comprendere, ma non ho il tempo per pensare ad altro perché la porta d’ingresso si apre con foga lasciando entrare insieme a Eliza altre tre persone che mi guardano come se fossi un fantasma.
-Vorrei presentarti gli altri membri della mia famiglia. Lei è mia madre, Ingrid.- devo dire che assomiglia molto a Eliza, tranne per i capelli, quelli di Ingrid sono segnati da qualche ciocca bianca –Questi sono mio marito Dedalo e mio figlio Ronan.-
Padre e figlio sembrano due gocce d’acqua e lo sarebbero stati se il figlio non fosse stato più alto del padre più esile e con i capelli castano chiari invece che color miele. Ma la postura e l’espressione del viso sono identiche, gli occhi però erano quelli della madre.
-Piacere, io sono…- d’impulso ho iniziato una frase che non so completare –Non so chi sono ma appena me lo ricorderò lo saprete.- dico sorridendo.
Tutti mi guardano in silenzio aspettandosi chissà cosa, è Eliza a salvare la situazione.
-Vuoi qualcosa da mangiare?-
-Non può, per adesso.-
Larz e Zoe escono dalla stanza in cui si sono rinchiusi ed hanno una sguardo triste che peggiora quando fanno un malriuscito tentativo di sorridermi.
I presenti si scambiano sguardi carichi di messaggi che solo io sembro non essere in grado di decifrare. Larz è mortificato quando l’espressione di Eliza muta in un velo di tristezza; Dedalo posa una mano su una spalla della moglie, lei lo guarda e lui le sorride tristemente. Il suo obiettivo è quello di infonderle speranza, ma non ci riesce.
-Ronan…- dice Zoe -… perché non la porti a fare un giro mentre noi prepariamo da mangiare?-
Il ragazzo è visibilmente elettrizzato dall’offerta e un sorriso che va da un orecchio all’altro si disegna sul suo volto. Vorrei dire che non ne ho molta voglia, ma vengo presa di peso e portata fuori di casa e mi trovo a camminare al fianco di un gigante che mi osserva e sorride. Mette ansia il suo modo di farlo e per il momento decido di non dare molto peso alla cosa, ma continuo a guardarlo con la coda dell’occhio sperando che la smetta, cosa che non avviene. Allora provo a ignorarlo, continuo però a sentire il suo sguardo sulla mia testa e le rapide occhiate nella sua direzione non fanno altro che confermare i miei pensieri. Mi sta ancora osservando. È inquietante.
-Se non la smetti finirai col perforarmi la testa.-
Diventa rosso e i suoi occhi scuri diventano due pozzi neri.
-Scusa, è solo che sono felice che tu sia qui.-
-Felice che io sia qui? Ma se neanche ci conosciamo!-
Sembra ferito dalle mie parole e incomincia a fissarsi i piedi. Sta piangendo.
Tutto tranne questo.
Mi sento a disagio.
-Scusa, non dovevo risponderti male. È solo che è tutto molto strano e poi quell’acqua nera e densa…-
-Acqua nera e densa? Dove?-
-Dove mi ha salvata Larz.-
-È impossibile.-
-Anche tu! Ma cosa avete tutti, avete deciso che oggi è la giornata ‘fatela diventare matta’? So quello che ho visto, quello che ho provato. Non penso di essermi inventata tutto, non voglio essere al centro dell’attenzione di tutti. Voglio capire quello che mi sta succedendo, perché non ricordo nulla e perché mi trovo qui.-
Ronan mi guarda sbalordito.
-Forse ancora non ti sei abituata.-
Finalmente la domanda che mi grava nel petto riesce a uscire dopo aver scalato tutta la gola con le unghie e con i denti.
-A cosa mi devo abituare?!-
Mi guarda spaesato, si sente in colpa e in qualche modo riesco a percepirlo come è stato per l’affetto che lega Larz a Zoe.
Mi coglie ancora la sensazione di essere osservata, poso subito lo sguardo sul frutteto e vedo un’ombra oscura e minacciosa che si protrae nella nostra direzione tendendo i suoi artigli.
Un riverbero lontano, un’eco la cui origine si perde nello spazio, mi colpisce il timpano e tutto il mio essere vibra pronto a scappare e trovare un riparo. Non voglio essere trovata da quell’ombra. Non promette nulla di buono.
-Lo senti pure tu?-
-Cosa? Io non sento niente…-
-Ascolta.-
È un suono inconfondibile, quello di una goccia che cade su una superficie liquida.
-Io non sento niente.- ripete, ma io continuo a udirlo.
-Andiamo a casa.- dico. Sboccia la paura, lentamente cresce…
-Come? Perché?-
-Fidati.-
-Io mi fido.-
-Non puoi fidarti di una persona che non conosci.-
-Questo però non sembra valere per te. Ti sei chiesta il perché?-
L’eco diventa più forte e sento un peso gravarmi sulla testa.
-Andiamocene, ora.-
Mi muovo prima di lui, lo prendo per la mano.
Cerca di liberarsi, di fermarmi, vorrebbe delle spiegazioni ma non posso perdere tempo. C’è una cosa importante che mi spinge a comportarmi in questo modo anche se non so bene qual è.
Apro la porta con furia e ci spingo dentro Ronan. Tutti mi guardano allarmati.
-Cosa sta succedendo?- chiede Eliza allarmata.
-È impazzita! Dice di vedere e sentire cose che in realtà non ci sono.-
-Sicuramente si deve ancora abituare.-
Ancora questa frase che mi viene detta in continuazione e che incomincia a martellarmi il cervello.
-Mi volete spiegare a cosa?!-
Sto per perdere il controllo. La testa incomincia a farmi male, sembra sul punto di esplodere, cado a terra, in ginocchio, e stringo forte il cranio fra le mani.
-Piccola!- Eliza si avvicina a me e mi accarezza le spalle.
-Non si sta abituando, sta combattendo.- dice Zoe e Eliza mi guarda triste ma anche consapevole che è giusto ciò che sta accadendo, anche se io ignoro cosa sia.
-Allora si deve arrendere.- mormora Dedalo.
-No, deve continuare.-
-Che dici Zoe?!-
-Larz l’ha salvata. Stava affogando quando invece avrebbe dovuto galleggiare. C’era qualcosa che la stava chiamando.-
Zoe mi si avvicina.
-Senti ancora quel rumore?-
-Sì.-
-Chiudi gli occhi e concentrati su quello. Dimmi cosa vedi.-
Faccio come dice ma è difficile concentrarsi su qualcosa quando hai dell’esplosivo al posto del cervello, alla fine finisco col seguire il dolore e mi accorgo che anche il suono si fa più intenso.
-Sono tante gocce…- dico, la voce che trema -… sono piccole e pungenti come spilli. E sono rosse.-
-Cos’altro vedi?-
-Cadono. È una pioggia. Infrangono la superficie e si disperdono nel ventre di un lago vermiglio… sangue!-
-Non è possibile!- urla Dedalo.
-Invece sì.- Zoe è calma.
-Cosa vuoi dire?- chiede Ronan. Poverino, mi dispiace per lui, come me anche lui ha perso le fila degli avvenimenti.
-Quello che vede e che sente è un risultato di una ribellione messa in moto dalla sua anima. Sa che questo non è il suo mondo, per questo non ricorda più chi è e il cibo, che a noi dona forza, le è indigesto.- mi prende per le spalle scostando Eliza, la guardo negli occhi –Devi lottare, non lasciare che ti costringa a rimanere qui.-
-Ma io…-
-Non ricordi nulla perché le tue memorie sono nel tuo vero mondo. Non in questo.-
-Falla smettere!- Dedalo la spinge di lato –L’abbiamo già perso una volta, non permetterò che accada di nuovo.-
-Amore…- Eliza gli prende una mano -… ti ha liberato ed è giusto che noi facciamo altrettanto per lei.-
-Non voglio! Ora che potevamo essere felici per sempre. Eliza, non possiamo permettere che accada…-
Eliza lo guarda negli occhi, poi mi guarda con il dolore nello sguardo ma anche con la consapevolezza che questa è l’unica cosa giusta da fare. Anche l’unica possibile.
-Mancherà a tutti.-
Continuano a discutere ma io non li sto più ad ascoltare. Ci sono delle voci, una preghiera che fa male.
-Il sangue dell’amato di colei che non è né viva né morta. L’anima del Custode che non può passare. L’offesa verso chi l’offesa pone.-
-Eliza! Hai sentito?-
-Il sangue dell’amato di colei che non è né viva né morta…-
-Qualcuno sta cercando di catturarla.- mormora Ingrid.
-L’anima del Custode che non può passare…-
-Figlia mia torna indietro.-
-L’offesa verso chi l’offesa pone…-
Zoe mi tira un schiaffo e mi afferra con violenza il viso costringendomi a guardarla negli occhi. Vi leggo molto dentro: sofferenza, rabbia, voglia di vendetta, ma anche amore e coraggio di chi sa che amare vuol dire soffrire perché non si ha mai nessuna certezza. Solo il sentimento che si prova.
-Non permettere che ti faccia del male, non lasciarle distruggere quello che ami come ha fatto con noi. Lotta!-
-Come?- la mia voce ridotta a un sussurro.
-Canta…-
Non so se ridere o piangere, mi sembra un’assurdità, ma, a quanto pare, il mio corpo sa cosa fare per la prima volta da quando sono qua. Le labbra si muovono da sole. La canzone parla di una notte sacra, limpida e magica. Di una creatura che ha il potere di spezzare le catene delle pene. Di voci angeliche.
È una melodia che lacera lo spazio, che attraversa il tempo. Strofe in grado di scaldare i venti gelidi e che fanno battere i cuori pietrificati. Un’armonia cresce e s’ingrossa come un fiume di ricordi che infrange la diga che lo arginava. Torna tutto. Ogni sensazione, ogni evento, non solo frammenti. Tutto. E ogni persona riacquista la propria storia.
Ingrid. La nonna fiera e pronta al combattimento, l’unica a potermi tenere testa.
Zoe. Il fantasma della mia epoca, la mia amica, il Custode che rinunciò alla sua anima per poter restare con il suo amato mortale, anche se per poco.
Larz. Il guerriero, l’angelo custode di mio fratello, il messaggero, il salvatore, l’amico.
Dedalo. Mio padre, il mio compagno di giochi, il mio custode e cavaliere personale da cui ho imparato a fidarmi degli altri e a picchiare duro perché anche se ero una ragazza dovevo saper difendermi.
Elizabeth. Mamma, amica, scrigno dei miei segreti, da lei ho ereditato la mania di prendermi cura delle persone anche quando loro non vorrebbero e il dono della mia famiglia: vedere chi non c’è più.
Ronan. Il mio fratellino impacciato, il gigante buono dagli occhi scuri come il cielo notturno sempre pronti a sciogliersi, timido ma sicuro, leale, il mio grattacapo personale, la luce dei miei occhi.
E io…
Ma io chi?
Ronan mi abbraccia e mentre tutto sparisce mi sussurra una frase che dà l’ultima pennellata all’affresco che rappresenta la mia storia. Custodito ora in forma indelebile nella mia mente.
-Ti voglio bene e veglierò sempre su di te. Lo sto già facendo da tempo, anche se tu non te ne sei mai accorta. Mi raccomando, ricordati chi sei…-

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Capitolo 22
*** XXII ***


È sconcertante come un latrato possa somigliare al verso di sofferenza di un uomo.
Sono distesa sulla terra fredda con ogni molecola del mio corpo che fa male nonostante sia morta già da tempo.
Ho la vista appannata e con fatica metto a fuoco le figure che si muovono causando tanto rumore.
Cerberus? Che ci fa qui? E cosa sono quelle…
Un paio di ali gli escono dalla schiena. Ringhia contro Samara, ha il pelo sporco di sangue, irto e qualche piuma manca all’appello.
Sulla testa di Samara svetta una coda infuocata di scorpione, sicuramente un incantesimo che usa per allontanare il lupo da lei; l’animale ha un’andatura claudicante ed il dorso è segnato da numerose ferite sanguinanti.
Ti voglio bene e veglierò sempre su di te. Lo sto già facendo da tempo anche se tu non te ne se mai accorta.
Non è possibile… anche se…
La coda di fuoco lo colpisce in pieno e mentre rotola per terra, Samara la trasforma in una frusta e lo intrappola stringendolo in una morsa letale.
Sento le sue ossa che scricchiolano e guaisce per il dolore; il terreno si macchia col suo sangue, una pozzanghera simile a quella dove giace il corpo di Lovro.
Lo devo aiutare. Lo devo salvare come lui ha fatto con me regalandomi l’ultimo tassello del mio puzzle. Lo devo fare perché non sono in debito solo con lui, anche con Lovro.
Il dolore è insopportabile mentre cerco di girarmi sulla schiena.
Il cielo davanti agli occhi… la prima cosa che ho visto quando sono stata attirata nuovamente in questo mondo. Un cielo notturno dietro a una finestra e le stelle che sorridono.
È lo stesso cielo che guardavo la notte quando ero viva e non riuscivo a dormire, lo stesso cielo che mi ha visto sorvegliare i sonni di mio fratello invidiando la sua capacità di sognare.
Mi metto in piedi ignorando il fuoco che famelico si avvinghia alla mia carne.
Samara mi dà la schiena. La punta della sua frusta si irrigidisce, pronta a colpire.
Evoco la mia nebbia creando una sfera contenente tutta la mia rabbia, i miei ricordi e i miei dolori. Immagino di poter un giorno ritrovare i bambini che hanno perso il loro padre, sorridere alla loro madre con la magra consolazione che ora suo marito è libero. Posare un fiore sulla tomba di Stefano, ricordare tutte le vite che sono state spezzate…
Uso la mia energia come una palla demolitrice colpendola. Il suo incantesimo si spezza liberando Cerberus che si accascia al suolo stremato.
Grazie, gli dico mentalmente, ma ora è il mio turno.
Samara trema inginocchiata per terra, il suo vestito sgualcito, la sua pelle perfetta segnata da profondi graffi. La vedo per la prima volta per quello che è in realtà. Una povera donna malata che ha trovato sollievo nel dolore altrui, che ha deciso di far sentire soli gli altri per non sentirsi sola. È ingiusto quello che ha fatto, ma posso capirla; non la perdonerò mai per quello… però non posso non provare pietà per lei.
-Sam… Esmeralda…- mi avvicino a lei cercando di non cadere sopraffatta dai dolori che percuotono le mie membra.
-Non mi parlare…-
-Adesso basta… guarda quello che hai fatto…-
-Stai zitta… non sai…-
-So tutto quello che mi serve sapere.-
La abbraccio, cercando di infonderle tutto quello che il convivere con lei mi ha dato anche se non per tutto il tempo che io credevo, tutto ciò che ho appreso stando a contatto con i Viventi, quello che ho provato rivedendo per l’ultima volta la mia famiglia. Vorrei anche farle sentire il dono più grande che Lovro mi ha fatto.
-Invece non sai nulla…-
-Ti sbagli, proprio adesso vedo frammenti del tuo passato.-
Mi spinge lontano usando la sua magia, ma è debole e non riesce a fare altro se non allontanarmi di un metro.
-Non puoi farlo.-
Un bagliore rosso illumina la terra e un serpente si ferma davanti al mio volto.
Sta piangendo.
-Sei incapace di farmi del male.-
-Perché?-
-Perché dopo tutto quello che hai fatto, dopo le minacce, i dolori che mi hai provocato… dopo tutto… mi vuoi bene… mi consideri la tua unica famiglia… per questo non sei riuscita ad assorbirmi, a uccidermi. Avresti finito coll’uccidere una parte di te.-
-No…-
-E questo non lo potevi permettere. Hai perso troppo, non volevi distruggere l’unica cosa che ti faceva sentire viva.-
-Ti sbagli.-
-Non mi sbaglio. Me lo sono sentito dire spesso, soprattutto oggi, ma no… non mi sbaglio.-
-Come ti permetti? Tu non puoi pensare di conoscermi. Non sei nessuno, lo vuoi capire? Sei morta e non sei più niente!-
-So di essere me stessa. L’ultima Custode delle anime. Ho riscoperto cosa significa amare. Ho sviluppato tutti i poteri che ci si aspetta da me. Risonante, capace di creare suoni facendo vibrare l’aria; Invisibilità, agli occhi dei mortali; Cambio di stato, per toccare e per essere toccata; Empatia, per scoprire piccoli grandi mondi; Telecinesi, per chi non mi vede; Guarigione, per lenire i dolori; Pirocinesi, per accendere le anime; Preveggenza, per sbirciare tra le pagine del tempo; Psicometria, per scoprire storie; Protezione, per proteggere con un velo di nebbia; Redenzione, per svegliare le menti; Lingua di Sirena, per ammaliare; Omnilinguismo, per capire il linguaggio del cuore; Possessione, per catturare; Espansione, per rendere uguali a me; Evocatrice, per richiamare ciò che si nasconde nel fumo. Sono una Maledetta, non posso stare con le persone che amo, sono l’immagine riflessa di quello che sono stata ma, in fondo, sono sempre la stessa ragazza che guarda fuori dalla finestra in cerca di un canto che solo lei può sentire.-
-NO!-
-Sono sempre io. Anche se non ho più un nome da molto tempo.-
-Perché sei morta…-
-No, perché sono rinata… E la prima cosa che si fa quando un essere nasce è dargli un nome a cui rispondere.-
Le prendo il viso fra le mani e lascio che i miei poteri facciano il resto. Vede quello che ho visto io, le mie memorie, il mio primo bacio e come mi sono sentita. Tutti i suoi ricordi attraverso i miei occhi e quelli della gente che ha accartocciato come fogli di carta senza più un’utilità. Osserva la mia anima, la sua, quello che ho fatto. Ritrova la Samara del passato, Zoe e Larz. Tutto ciò che hanno condiviso e quello che hanno sofferto. La perdita di un bambino. Le faccio vedere la sua storia. L’abbandono da parte dei suoi genitori, la tristezza sul suo volto. La rabbia nel suo cuore.
Ora so la verità. I suoi genitori non l’hanno abbandonata perché avevano paura di lei, l’hanno fatto per proteggerla, sapevano che se la sarebbe cavata. Volevano tenerla lontana dall’ignoranza delle persone, desideravano solo che la cattiveria dell’uomo non intaccasse la loro figlioletta, ma il buio ha mille tentacoli…
Vede la mia notte passata con Lovro, come i miei poteri siano aumentati traendo forza dai sentimenti.
Inizia a piangere, le lacrime scorrono sotto le mie mani e sul suo volto cominciano a formarsi crepe che si propagano su tutto il corpo. Si frantuma, come una bambola di porcellana che cade a terra.
Cerberus si avvicina e mi lecca la guancia.
-È finita…-
Ma è veramente finita? Al mondo esistono altre persone speciali come Samara… tutto può ancora ripetersi, altre vite possono essere ancora spezzate…
Mi volto verso Lovro. Ha gli occhi vuoti, non percepisco più niente provenire dal suo corpo.
Il naso freddo del lupo contro il mio braccio.
-È morto…-
Mi avvicino al corpo esanime. Il Lupangelo mi osserva tenendosi a distanza.
Lo prendo tra le braccia, mi viene da piangere vederlo ridotto così male. Il sangue che gli inzuppa i vestiti, la pelle cerulea…
È inutile vivere senza di te.
Lo stringo a me più forte. Ho sconfitto Samara ma non sono riuscita a salvarlo e ora non mi resta altro che piangere per sfogare la mia rabbia e il mio dolore.
Non posso credere che sia vero… non dopo essere riuscita a purificare l’anima oscura di una strega, non dopo aver capito che la mia eternità non ha nessun valore se non posso passare a osservarti vivere e amarti per la tua fragilità e la tua forza, per il tuo sorriso e per le gioie del tuo cuore. Perché dovevi morire…?
Un ultimo…
Le nostre labbra si incontrano.
Le lacrime scorrono senza freni.
Ricordati chi sei…
Chi sono?
Sono la figlia di una strega, sono dotata di poteri che in molti non riuscirebbero nemmeno a immaginare. Sono stata una figlia, un’oggetto, un’umana, un fantasma. Se i nomi definiscono chi siamo sono stata Pulce, Piccola, Emma, Custode, Amore…
Ma solo a un nome, che ho perso molti anni fa, posso rispondere con certezza… nessuno me lo potrà togliere perché con quello sono morta e sono rinata.
Un’esplosione di energia parte dal mio corpo, precisamente da un cuore che ho pensato aver perso per sempre, leggeri fili bianchi e luminosi compaiono nell’oscurità e io li afferro, tiro ciò che c’è alla loro estremità verso di me.
Non mollo la presa.
Non si spezzano.
Continuo a tirare verso di me ciò che si cela nell’oscurità.
Lovro. Colui che amo… sarei disposta a rinunciare al mio titolo di Custode se solo bastasse a far battere nuovamente il suo cuore, anche se questo mi condannerebbe alla mia seconda morte, una morte eterna questa volta.
I nostri corpi si fanno più leggeri, la nostra pelle vibra e brilla, il mio cuore comincia nuovamente a battere e, quando pulsa per la prima volta, un’esplosione di fiamme azzurre si libera dal mio corpo avvolgendoci.
Il fuoco frulla intorno a noi attecchendo alle nostre membra e cominciando a divorarle, ma non fa male, anzi mi sento bene, libera e felice, come se tutto quello che è accaduto avesse come ultimo fine quello di farmi giungere a questo punto.
Canto e la mia melodia viene affiancata da un’altra che conosco bene, mi accarezza al viso e mi prende per mano; semplicemente mi perdo nei suoi occhi azzurri.
Le fiamme crescono e ci coccolano diventando il nostro nascondiglio mentre, fuori, comincia a nevicare.
 
*
 
Questo è il mio diario. È la mia storia, la mia mente, il mio corpo.

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Capitolo 23
*** EPILOGO ***


La ragazza è seduta sotto un albero nella foresta vicino alla sua casa, è estate e fa caldo. Indossa un semplice abito di lino bianco che le aderisce perfettamente al corpo, ha i capelli raccolti un una lunga treccia e un sorriso dipinto con tratti leggeri e delicati su labbra morbide e carnose, la pelle chiara come la neve che l’ha vista nascere.
Sirenia, questo il nome che i suoi genitori le hanno dato, due persone magnifiche che l’hanno cresciuta come il figlio che il destino non ha mai concesso loro di concepire. Zephyro e Elebene le hanno raccontato che è nata protetta da una nebbia cristallina e da un cerchio di fiamme azzurre, ma lei non ci ha mai creduto.
È bella, anche se questa parola sminuisce com’è effettivamente. Con due occhi celesti magnetici che non si può fare a meno di fissare estasiati e con una voglia a forma di cuore in mezzo alle scapole che attira lo sguardo di tutti.
Timida ma anche coraggiosa, come quando ha affrontato dei mocciosi per aiutare un suo amico di scuola, un ragazzino smunto, pallido e dal raffreddore facile, con i capelli neri con un taglio a scodella, due occhi scuri che sormontano due ancor più scure occhiaie.
È seduta con le gambe accavallate e la schiena poggiata contro il tronco rugoso e comodo di un pino, i suoi occhi viaggiano su parole scritte su un diario che ha con sé da quand’era bambina. Non se ne è mai separata e lo ha letto tantissime volte tanto che sa ogni minimo segno a memoria, ma non ne ha mai abbastanza.
Rail, il suo migliore amico, è addormentato ai suoi piedi e un rivolo di saliva che gli cola lungo la guancia.
Anche se non è il massimo della bellezza e della prestanza fisica, pur anche vero che non lo avrebbe mai confessato neppure sotto tortura, comincia a piacerle in un modo che sconfinava dai limiti dell’amicizia. Sua madre le dice spesso di guardarsi intorno, ci sono molti giovani che giocherebbero carte false pur di ricevere un sorriso da lei, non capisce come mai si limiti a restare in compagnia di una ragazzo che sembra essere perennemente sul punto di morire.
Qualcosa si muove in mezzo ai cespugli muovendosi silenziosamente sull’erba sottile, può essere di tutto a nascondersi nell’ombra, ma non ha paura.
-Ciao Ronan…-
Un lupo dal pelo fulvo e dalle enormi ali esce dal suo nascondiglio con la lingua a penzoloni e la coda che si muove come le ali di un colibrì. Si avvicina alla ragazza e si accuccia al suo fianco.
Lei sospira e lo accarezza, sa che vuole un po’ di coccole, poi muove una mano sull’erba, un movimento delicato e fluido che disegna nell’aria un cerchio, e dal verde spuntano tanti fiorellini bianchi che formano il suo nome, lo stesso della proprietaria del suo diario.
Chiude la mano e i petali si trasformano in farfalle che volano verso il cielo in una omogenea massa ondulante e muta.
 
*

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