Tutta Colpa di un Pezzo di Carta

di Abigail_Cherry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Cotta ***
Capitolo 2: *** Il Patto ***
Capitolo 3: *** Il Sondaggio ***
Capitolo 4: *** Lo Sportivo ***
Capitolo 5: *** La Cena ***
Capitolo 6: *** Il Nerd ***
Capitolo 7: *** Il Bacio ***
Capitolo 8: *** L'Artista ***
Capitolo 9: *** L'Appuntamento ***
Capitolo 10: *** Il Leone ***
Capitolo 11: *** Il Ribelle ***
Capitolo 12: *** L'Inaspettato ***
Capitolo 13: *** La Minaccia ***
Capitolo 14: *** La Partita ***
Capitolo 15: *** L'Innamorato ***
Capitolo 16: *** La Verità ***
Capitolo 17: *** Il Blackout ***
Capitolo 18: *** Il Latte e i Biscotti ***
Capitolo 19: *** Il Gala ***
Capitolo 20: *** Il Problema ***
Capitolo 21: *** I Genitori - Parte 1 ***
Capitolo 22: *** I Genitori - Parte 2 ***
Capitolo 23: *** La Certezza ***
Capitolo 24: *** Il Sesso ***
Capitolo 25: *** Lo Shock ***
Capitolo 26: *** Il Crollo ***
Capitolo 27: *** L'Autunno Dannato ***
Capitolo 28: *** La Speranza ***
Capitolo 29: *** Gli Amici Rimasti ***
Capitolo 30: *** Il Piano ***
Capitolo 31: *** L'Articolo ***
Capitolo 32: *** Il Finale ***



Capitolo 1
*** La Cotta ***


Capitolo 1:
La Cotta
 
Chiudo il libro di scuola che stavo consultando fino ad un attimo fa e lo appoggio nell'armadietto con cura, prendendo poi i libri che mi serviranno per l'ora dopo. Mentre sistemo i libri in borsa, scorgo con la coda dell'occhio un ragazzo che guarda pensieroso fuori dalla finestra.
Colin Fresh. Solo a pensare il suo nome mi sento arrossire.
Quanto sono patetica. Innamorata di un ragazzo di cui conosco praticamente solo il nome e qualche altra piccola cosuccia che ho, diciamo, "ricavato" dalle mie ricerche online. Non è neanche particolarmente bello: banali occhi e capelli castani, occhiali, alto circa un metro e ottanta, quasi per niente muscoloso... insomma, uno dei tanti. Eppure me ne sono innamorata.
Metto a posto le ultime cose e chiudo l'armadietto, tiro fuori dalla borsa "Amore e Psiche" (il racconto che ho cominciato a leggere l'altro giorno),appoggio la schiena all'armadietto e ricomincio a leggere, incurante di ciò che mi succede attorno, persino di Colin. Io ho una regola: quando leggo il resto non ha più importanza, perché non sono più nel mio noioso mondo, ma in uno totalmente diverso.
«Ti piace leggere?» mi sento dire da qualcuno, ma lo ignoro completamente: la regola è la regola. E poi sono sicura che sia uno dei tanti simpaticoni che girano per i corridoi, troppo scemi anche soltanto per cercare di indovinare chi sia Apuleio.
«Ehi! Dico a te!» insiste la voce. Ma che vuole? Forse se continuo ad ignorarlo se ne andrà convinto che io sia sorda.
Sento un colpetto sulla fronte abbastanza forte e d'impulso alzo lo sguardo.
«Ahi! Ma che cavolo...» la mia frase resta sospesa in aria senza trovare una fine, mentre io mi perdo negli enormi occhi castano scuro di Colin. Così vicini... così vicini.
«Scusa, stavo quasi per credere che tu fossi sorda. Se così fosse stato, mi sarei vergognato a morte e sarai andato via.» Sorride.
È uno scherzo, vero?
«C-che cosa vuoi?» chiedo, forse un po' troppo sgarbata.
«Ti ho chiesto se ti piace leggere.»
«Mm-mm.» Annuisco con indifferenza «Non si vede? Quale altro adolescente leggerebbe Apuleio solo per diletto?»
Colin ridacchia. «Hai ragione, hai ragione. Punto a tuo favore.»
C'è qualche attimo di silenzio imbarazzante. «Perché me lo chiedi?» faccio per rompere il silenzio.
Colin tira fuori dalla sua borsa scolastica un volantino e me lo porge. Leggo il titolo: "Giornalino scolastico: vuoi farne parte?". Lo guardo confusa.
«Beh, innanzitutto, le presentazioni» comincia Colin «Mi chiamo Colin Fresh e sono il caporedattore del giornale scolastico da tre anni. Quest'anno, tre dei nostri più promettenti giornalisti che lavoravano per il giornale si sono diplomati e si sono liberati dei posti. Perciò mi hanno mandato a fare propaganda per cercare qualcuno che ami scrivere e, quindi, prima di tutto leggere. Ma soprattutto che abbia voglia di raccontare e lavorare con tutto sé stesso, partendo dal cuore.»
Chissà quante volte se lo sarà ripetuto questo discorso! «Grazie, ma...» comincio, ma lui mi zittisce appoggiandomi un dito sulle labbra.
«Aspetta prima di rifiutare. Lavoreresti tre volte a settimana con me e tutto lo staff, ci aiuterai a scrivere, inventare, se sarai brava potresti anche essere promossa!»
«P-promossa?! Ma... Insomma, il giornalino scolastico non è un vero lavoro! Non ci sono promozioni o licenziamenti!»
«Si fa per dire. Diciamo che potresti passare da semplice giornalista a redattrice. Questa sarebbe la prima promozione! Ma non divulghiamo. Pensaci su e poi vieni a comunicarmi cos'hai deciso. Secondo me potresti avere il potenziale giusto!» sul suo viso si accende un sorriso irresistibile.
«Scommetto che lo dici a tutti solo per costringerci a venire» dico.
Colin fa una leggera risata. «Vedi? Hai lo spirito della giornalista nata! Fammi sapere cosa decidi!» e detto questo si allontana.
Lo osservo andare via fin quando non esce dal mio campo visivo.
Sento che ho le mani strette a pugno, ma perché? Non sono arrabbiata... Raddrizzo il volantino che mi ha dato Colin e lo fisso.
Lavorare nel giornale, eh?
Non sembra una pessima idea!

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Capitolo 2
*** Il Patto ***


Capitolo 2:
Il Patto
 
È vero, lo ammetto, ho sempre sognato di essere una giornalista! Come è mio profondo desiderio stare di più con Colin! Quindi perché rifiutare? Devo solo trovare il tempo libero per regolarmi con gli amici, il lavoro e lo studio. E per "lavoro" non intendo il giornale scolastico, ma il mio vero lavoro, quello pagato.
L'anno scorso, compiuti i sedici anni, chiesi ai miei genitori di avere una paghetta, come quasi tutti gli adolescenti della mia età, ma loro mi dissero che ogni moneta che sarebbe entrata nel mio portafoglio doveva prima passare per il mio sudore. Così adesso tre volte a settimana faccio da cameriera in un bel ristorante. A dire il vero, un bellissimo ristorante! C'è spesso molta gente ricca e famosa che lo visita. Mi considero fortunata ad essere stata assunta, visto che c'erano molti altri ragazzi in lizza.
Quindi, non so proprio se tra tutti questi impegni riuscirò a trovare tempo anche per il giornale...
Sento il mio vicino di banco darmi una forte gomitata al braccio. Alzo gli occhi dal mio cellulare, nascosto dallo zaino, e mi tolgo gli auricolari dalle orecchie.
«...ascoltare, signorina!» sta urlando la mia prof di lettere. Purtroppo non ho sentito la frase, ma forse l'ho capita.
«Stavo ascoltando, prof. Continui» faccio.
«Molto bene, allora dimmi che cosa stavo spiegando fino a poco fa!»
Guardo la lavagna in cerca di indizi, ma con espressione calma. La professoressa non deve sapere che sono sotto pressione, anche se in verità me la sto facendo sotto. «Dante» dico alla fine «Stavamo per arrivare a Lucifero.»
La professoressa resta basita per qualche attimo, poi mi lancia uno sguardo assassino e borbotta qualcosa a proposito dei "giovani d'oggi" prima di ricominciare la lezione.
«Come ci riesci?» mi chiede Thomas, il mio compagno di banco. «Non c'era scritto nulla su Lucifero alla lavagna.»
Faccio spallucce «Intuito, tanto intuito. In più, penso aiuti aver letto a casa "La Divina Commedia" almeno tre volte.»
Thomas ridacchia e torna a far finta di prendere appunti. Io faccio per rimettermi gli auricolari, ma qualcuno entra in classe e mi fermo.
«Buongiorno» dice Colin alla prof.
«Di cosa hai bisogno?» gli risponde lei.
«Avrei bisogno un attimo di quella ragazza» e mi indica «Solo per cinque minuti.»
Il mio cuore fa un balzo, cominciando a battere sempre più velocemente.
«Certo, prenditela pure» dice la prof con asprezza.
«Grazie» con un sorriso, Colin fa cenno con la mano di raggiungerlo fuori dalla classe in corridoio e, dopo solo un attimo di esitazione, lo faccio.
«Cosa volevi dirmi?» attacco dopo aver chiuso la porta della classe.
«Volevo sapere se hai deciso cosa fare a proposito del giornale» risponde lui.
«Non ancora...» ammetto. «Devo valutare molte cose... Ho poco tempo libero durante la settimana.».
«Senti, se non sei convinta di questa cosa non farla, ma sappi che fare parte del giornale scolastico è molto più vantaggioso di ciò che pensi. Ti darà molti crediti per la maturità ed in più se un giorno, nel mondo del lavoro, deciderai di avere a che fare con lo scrivere e tutto il resto... essere stata nel giornale scolastico ti faciliterà l'assunzione. È pur sempre esperienza, anche se piccola.» Sorride.
Sto in silenzio per qualche attimo. «Perché ti interessa tanto che io entri nel giornale? Ci sono un sacco di altri ragazzi a scuola più qualificati di me.»
«Sarò sincero: ciò che hai detto è stupido.» fa lui, scuotendo la testa.
«Cosa?»
«Se te ne esci con queste affermazioni allora non hai mai vissuto in questa scuola! Tra tutte le persone a cui ho fatto pubblicità per il giornale, tu sei senz'altro la più qualificata per farne parte.»
«Come fai a dirlo? Non mi conosci neanche!»
«So più di quanto tu creda» fa un sorriso malizioso. «E penso, anzi so, che tu saresti perfetta nel giornale. Non dico che quest'ultimo non andrebbe avanti senza di te, ma tu aggiungeresti un tocco di freschezza e novità. La gente ha bisogno di questo al giorno d'oggi.»
C'è una piccola pausa di silenzio. «Non conosci neanche il mio nome...» gli faccio notare, abbassando imbarazzata lo sguardo.
Colin ridacchia. Mi alza il mento con un dito ed avvicina il viso al mio, costringendomi a guardarlo negli occhi. «Il tuo nome non ti definisce come persona. Ognuno è quello che è, indipendentemente dal proprio nome. Ed io dico che tu sei intelligente, solare ed adorabile. Questo è ciò che sei.»
Resto senza parole, rossa in viso, con il cuore che quasi mi esplode. Cosa faccio adesso? Mi ha colta alla sprovvista!
Mi scopro a scostare la sua mano dal mio viso ed a riabbassare lo sguardo.
«Sono tutto fuorché adorabile» dico.
«Allora aggiungiamo "modesta" alla lista di ciò che sei.» Ride, e dopo poco anche io assieme a lui.
«Facciamo così: resterò in prova per un po', per vedere se riesco a regolarmi con i miei impegni. Se così sarà, sarò ben felice di entrare a far parte del giornale. Ma sarò libera di andarmene quando vorrò. Niente costrizioni» propongo, porgendogli la mano.
Colin mi guarda dubbioso per qualche attimo, poi mi stringe la mano con un gran sorriso. «Benvenuta nel giornale.»

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Capitolo 3
*** Il Sondaggio ***


Capitolo 3:
Il Sondaggio
 
La porta della redazione del giornale è di legno, scura, con un vetro appannato. Inspiro ed espiro un paio di volte prima di afferrare la maniglia ed entrare nella stanza, seguita da Colin.
Subito il ticchettare delle tastiere dei computer cessa e tutte le persone presenti in stanza si girano a guardarci. Con un'ombra di terrore, li vedo alzarsi in piedi, schiena dritta e braccia lungo i fianchi.
«Buon pomeriggio, Colin» dicono in coro, perfettamente coordinati.
Ma che cavolo succede?
«Buon pomeriggio» risponde Colin con un sorriso diplomatico. Poi si rivolge ad una ragazza bionda alla scrivania più in fondo «Linda, hai pronto l'articolo sull'inquinamento delle fabbriche cinesi?»
«Non ancora» risponde lei, con visibile nervosismo in volto. «Mi spiace, devo ancora rivederlo.»
«Ti do massimo mezz'ora, poi lo voglio sulla mia scrivania» risponde Colin in tono duro.
«Con tutto il rispetto, Colin, non penso sarà possibile... Mi servirebbe almeno il doppio del tempo...»
Colin si avvicina velocemente a Linda, appoggia le mani sulla sua scrivania e le si avvicina col viso. «Rendilo possibile» dice lentamente, facendo assorbire le parole a tutti i presenti.
Vedo il viso di Linda diventare bianco. «Farò del mio meglio» dice alla fine.
«Così mi piaci.» Colin si raddrizza. «Bene. Seduti, diamoci da fare, il giornale non si scrive da solo!»
Detto questo, tutti ubbidiscono e Colin torna da me. «Seguimi» mi dice.
Ancora scossa dalla scena di poco prima, indugio prima di eseguire l'ordine. Lo ammetto, questo aspetto di Colin non lo conoscevo. È così... diverso. Incute timore, come se potesse uccidere con il solo sguardo.
Facciamo qualche passo finché non arriviamo ad una scrivania libera, con un computer portatile appoggiato ordinatamente sopra.
«Questa è la tua scrivania. Userai il computer ogni volta che verrai qui e potrai anche decorare la scrivania a tuo piacimento» dice Colin.
Mi siedo alla scrivania lentamente, come se la sedia potesse esplodere da un momento all'altro. Ovviamente non succede.
«Come tuo primo articolo ti darò qualcosa di semplice da fare» continua Colin.
«Ti ascolto» rispondo, cercando di risultare più calma e professionale possibile.
«Dovrai fare dei sondaggi tra gli studenti della scuola. Devi riuscire a fermare almeno venti persone, dieci maschi e dieci femmine, e riportare tutte le risposte sul computer» tira fuori dalla tasca un foglio piegato in quattro e me lo porge. «Queste sono le domande che dovrai fare, in base alle risposte dovrai poi fare un articolo di circa mille parole e riportare chiaramente tutti i risultati su un grafico che faccia capire la differenza tra ciò che hanno risposto le femmine e tra ciò che hanno risposto i maschi. Entro oggi credo che riuscirai a finire almeno la parte delle domande» fa una piccola pausa. «Beh, penso di averti detto tutto, se non hai domande vai subito a lavorare.»
Resto zitta per qualche secondo. Troppe informazioni in troppo poco tempo! Mi dimenticherò sicuramente di qualcosa!
«...Sì. Certo» bisbiglio alla fine.
Colin non mi rivolge neanche uno sguardo e si dirige verso la propria scrivania per cominciare a lavorare.
Non capisco. Dov'è finito il Colin affascinante e simpatico di poco fa?
Sospiro ed apro il foglio che mi ha dato Colin.
"Domanda uno: fai qualche sport?
Domanda due: cosa sceglieresti tra ricchezza e amore?
Domanda tre: sono più importanti i sogni o i ricordi per te?
Domanda quattro..."
Che domande inutili! Ma a chi vuoi che interessi?
Ma, nonostante tutto, è una responsabilità che mi sono presa. Devo almeno tentare! Magari verrà l'articolo più bello del giornale! Verrà incorniciato nei corridoi, nella hall... ci proverò! E poi, anche se alla fine verrebbe un articolo orribile, non sarà certo la fine del mondo!
...Giusto?
 
͘****************
 
«Ciao! Sono del giornale scolastico, posso...» comincio, ma la ragazza con cui stavo cercando di parlare se n'è già andata.
Sospiro. Sarà la ventesima persona che non riesco a fermare. Perché deve essere così difficile?
Appoggio la schiena al muro del corridoio, spossata, e guardo il mio taccuino ancora bianco. Colin non sarà contento... gli avevo detto che entro fine giornata avrei finito di fare i sondaggi e, beh, manca un'ora alla chiusura del giornale e non ho neanche cominciato. Come farò?
«Ehi, tu» mi dice una voce.
Mi volto e sorrido «Thomas! Come va?»
«Non c'è male. Tu?»
«Non bene. Anzi, malissimo!»
«Posso essere d'aiuto?»
«Beh, grazie ma non...» mi fermo prima di finire la frase. Thomas è un mio amico, magari... «Ti posso fare qualche domanda? È per il giornale.»
«Ah, alla fine hai deciso di farne parte. Sono molto felice per te.» Sorride. «Comunque, certo. Risponderò a tutte le domande che vorrai.»
«Grazie mille!» prendo una matita e la punto sul taccuino. «Allora, domanda numero uno: fai qualche sport?»
«Ma lo sai! Faccio nuoto da quasi dieci anni.»
«Oh. Giusto. Scusa sono un po'...» Mi schiarisco la voce. «Domanda numero due: ricchezza o amore?»
«Mmm... Beh, questa è difficile.»
«Ci stai davvero pensando?»
«Beh, certo. Tu cosa risponderesti, scusa?»
«La ricchezza, ovvio. Sai quante cose si possono fare quando hai milioni di dollari? Praticamente potrei creare l'amore della mia vita!» Rido.
«Penso che verrebbe solo una copia di te stessa» risponde Thomas, e scoppiamo a ridere entrambi.
«Mi conosci troppo bene» dico. «Allora? Cosa rispondi?»
«Beh, contrariamente a te, io scelgo l'amore.»
Sbuffo. «Quanto sei banale!»
«Sta' zitta e va' avanti!» risponde lui con un leggero rossore in viso.
E così, tra una risata e l'altra, finiamo le domande in circa cinque minuti.
«Grazie per avermi ascoltato. Sei stato l'unico che l'ha fatto» dico.
«Figurati. Mi sono divertito» risponde Thomas.
«Anche se penso che a questo punto sia stato inutile. Ho meno di un'ora per intervistare altri nove ragazzi e dieci ragazze. Se no penso che Colin mi sbatterà fuori dal giornale prima ancora di cominciare.»
«Se sono stato l'unico che sei riuscita ad avvicinare, vuol dire che sbagli approccio» fa un sorriso malizioso.
«Cioè?»
«Ti faccio vedere. Dammi il taccuino e le domande.»
Eseguo l'ordine. Thomas si guarda un attimo attorno e punta una ragazza che si sta avvicinando. Vedo che appoggia lo zaino a terra, si spettina un po' i capelli ed apre un bottone della sua camicia scura, scoprendo un bel po' di pelle.
Deglutisco. Effettivamente... Non sta affatto male. Spero che non faccia nessuna figuraccia.
«Ehi» fa Thomas con tono sensuale alla bionda, che si ferma subito. Non posso far a meno di sorridere, mi sembra tutto così buffo!
«Oh. C-ciao...» fa lei, imbarazzata.
«Sono James, del giornale scolastico» Thomas le offre la mano.
Okay, questa volta faccio davvero fatica a trattenere una risata. Cosa sta dicendo?!
«Piacere» la ragazza gli stringe la mano. «Sono Ashley.»
«Volevo solo farti qualche domanda veloce, posso?»
«C-certo. Con piacere» la ragazza arrossisce un po' e guarda Thomas con aria persa ed un sorriso ebete per tutto il tempo in cui lui le pone le domande.
«Grazie mille» dice Thomas dopo aver finito. «Mi sei stata davvero utile» fa per andarsene ma Ashley lo prende per il braccio.
«Aspetta!» fa lei e, veloce, sfila dalle mani di Thomas la matita e scarabocchia qualcosa sul taccuino. «Chiamami, se hai bisogno di fare altri sondaggi» dice, poi corre via.
Thomas torna da me con aria trionfante e mi consegna il taccuino. «Ora se vuoi puoi anche fare dei sondaggi sui numeri di cellulare» mi indica le sequenze di numeri che ha scritto Ashley e rimango senza parole. Ci è riuscito così in fretta!
«Sei stato incredibile!» dico, sorridente.
«Grazie, grazie, lo so già di essere fantastico... però basta complimenti. Abbiamo del lavoro da fare.»
«"Abbiamo"? Intendi dire che mi aiuterai con il sondaggio?»
«Sì, ma non prenderci l'abitudine. È solo per questa volta.»
«Oh, mio Dio! Grazie! Grazie mille!» gli butto le braccia al collo e lo stringo per qualche secondo, poi mi stacco.
«Allora,» propone Thomas «Procediamo così: io faccio i sondaggi alle ragazze rimanenti e tu ai ragazzi. Poi ci ritroviamo davanti alla porta del giornale tra cinquanta minuti.»
«Mi sembra un ottimo piano ma... non so se ce la farò. Insomma, non sono riuscita a fermare nessuno prima.»
«Beh, visto che dovrai intervistare solo ragazzi, ti consiglio di slacciare un bottone della camicia, vedrai che si fermeranno subito, distratti da quelle due» sorride maliziosamente, indicando con gli occhi il mio seno.
Ricambio la battuta con uno sguardo di rimprovero, ma la mia bocca sorride.
Mi porto le mani al primo bottone e lo slaccio. «Così va bene, James?»
Lui ride, continuando a fissare la mia scollatura. «Forse è meglio un altro ancora.»
Alzo gli occhi al cielo, ma slaccio il secondo bottone, scoprendo una più che generosa scollatura.
C'è un attimo di silenzio in cui vedo il viso di Thomas arrossire leggermente. «Un... altro?» fa lui poi.
«Thomas! Adesso esageri!» lo rimprovero a voce abbastanza alta da far girare un ragazzo a qualche metro di distanza.
«Okay, okay, scusa» dice lui, alzando le mani come se lo stessi arrestando. «Io ci ho provato» prende lo zaino e comincia ad allontanarsi.
«Tra cinquanta minuti tanto non avrai scampo!» gli urlo.
«Lo so!» mi risponde lui senza neanche voltarsi, poi lo sento ridere.
E mi scopro a rispondere con un sorriso.

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Capitolo 4
*** Lo Sportivo ***


Capitolo 4:
Lo Sportivo
 
Per cambiare un po' aria, ho deciso di spostarmi al terzo piano per completare il mio sondaggio.
Vedo un ragazzo biondo, muscoloso, in tuta avvicinarsi assieme ad altri due ragazzi, anch'essi in tuta, e decido di tentare con loro.
Sospiro nervosamente. Spero andrà bene.
«Ciao» faccio, piazzandomi davanti a loro.
«Ciao...» fa il biondo con un sorriso malizioso. Lo vedo scrutarmi dalle gambe fino al viso e le mie guance diventano rosso fuoco. Ma non mi farò intimidire.
«Sono del giornale» comincio, ma i ragazzi non sembrano neanche ascoltarmi.
«Sono Chris» si presenta il biondo, interrompendomi. «E loro sono Micheal e Bob» fa una breve pausa. «Ma dimmi di te. Sono molto... interessato» conclude, avvicinandosi di un paio di passi a me.
Ho il cuore che batte a mille, ma non lo darò a vedere, non ho intenzione di cadere nel loro gioco.
«Credetemi, sarei molto felice di chiacchierare con voi ma...» Sorrido. «...sfortunatamente vi ho fermati per un altro motivo.»
«E sarebbe?»
«Sono del giornale scolastico, e mi hanno dato il compito di fare un sondaggio a venti ragazzi per un articolo.» Mi interrompo. Lui è uno sportivo, non penso che riuscirò mai ad avere la sua attenzione se parlo di argomenti noiosi. Proverò ad essere un altro "tipo" di ragazza «Certo, non che mi dispiaccia...» gli appoggio una mano sul petto e mi avvicino col viso al suo «...finché ho il piacere di incontrare ragazzi belli come voi.»
«Fai pure tutte le domande che vuoi» fa Chris.
«Anche se l'unica cosa che vorrei chiedervi è il vostro numero di telefono, sono costretta ad attenermi al programma.»
«Che peccato. Una ragazza come te nel giornale è davvero sprecata, lasciatelo dire.»
«Lo so.» Sorrido, e riesco ad intervistare tutti e tre i ragazzi in circa dieci minuti.
«A proposito...» fa Chris alla fine «Non ci hai ancora detto il tuo nome.»
Questa frase mi fa pensare a Thomas, che aveva detto di chiamarsi "James" e sorrido. Voglio divertirmi un po' anch'io. «Mi chiamo Sasha» invento.
«Sasha... mi piace.» Chris fruga nella tasca interna della felpa e ne tira fuori un foglietto. «Tieni. Se ti venisse voglia di fare altro anziché chiacchierare e basta.»
Prendo il foglietto senza neanche guardarlo e lo metto nella tasca della gonna. «Non ci contare» gli faccio. Poi sorrido e mi allontano.
****************
 
Sono passati ben quarantasette minuti da quando io e Thomas ci siamo separati. Per fortuna sono riuscita a terminare tutte e nove le interviste (guadagnando anche un paio di numeri di telefono). Spero che anche Thomas ce l'abbia fatta.
Ho solo tre minuti scarsi per raggiungere il piano terra ed andare al giornale, così mi metto accelero il passo.
Fortunatamente, anche se un po' stanca, arrivo puntuale e noto con piacere che Thomas è già lì ad aspettarmi.
«Ritardataria» mi rimprovera.
«Sono in perfetto orario.» Appoggio la mano ad una parete e cerco di riprendere fiato. «Da quanto sei qui?»
«Circa venticinque minuti.»
«Cosa?! Sei stato velocissimo!» faccio, anche se in realtà non dovrei stupirmi. Insomma, Thomas ha sempre avuto un discreto successo con le ragazze.
«Che vuoi farci? Ho scoperto che sarei cento volte più qualificato di te nello svolgere il tuo lavoro.» Ridacchia. «A proposito, hai fatto tutti quanti i sondaggi o te ne manca qualcuno?»
«Li ho finiti tutti» dico, fiera. «Ora posso anche riallacciarmi la camicia.»
«Oh, sapevo sarebbe arrivato questo momento» fa lui con tono drammatico palesemente finto. «Addio, piccole amiche, è stato bello finché è durato.»
Gli do un pizzicotto sul braccio ed in quel momento la porta del giornale si apre.
«Oh, ciao» dice Colin. «Tutti sono già andati via, stavo per chiudere. Hai il tuo materiale?»
«S-sì» dico imbarazzata, e gli allungo i sondaggi.
Colin prende i fogli, si sistema gli occhiali e comincia a leggere. Segue un silenzio carico d'ansia. Poi Colin alza lo sguardo dai fogli e sorride. «Sono soddisfatto. Sei stata brava.»
«D-davvero?» Sorrido.
«Sì. Senti, ceni con me? Ormai è quasi ora.»
«C-cenare con te? M-ma certo. Perché no? Telefono solo un attimo a casa per dire che farò tardi ed arrivo.» Prendo il cellulare dalla tasca e digito il numero di casa. Mentre aspetto che qualcuno risponda, mi ricordo di Thomas.
Mi giro, e mi sorprende vedere che se n'è già andato.

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Capitolo 5
*** La Cena ***


Capitolo 5:
La Cena
 
«Un panino al tonno, per favore» fa Colin con un sorriso cortese alla cassiera. Poi si rivolge a me «Tu cosa prendi? Offro io.»
«M-ma non serve, posso pagare da sola» rispondo, e tiro fuori dalla tasca il portafoglio che mi viene prontamente sfilato di mano da Colin.
«Insisto» dice poi.
«E va bene! Prendo anch'io il panino al tonno» dico e, solo quando Colin paga il conto, riesco a riprendere il mio portafoglio.
Ci sediamo ad un tavolo del centro commerciale. Certo, quando mi aveva invitato fuori per cena non mi immaginavo di dover mangiare un panino al centro commerciale ma... L'importante è l'essere qui con Colin.
«Allora...» comincio, solo per interrompere l'imbarazzante silenzio «... Colin. Dimmi, quali sono i tuoi interessi?»
«Leggere, prevalentemente, poi mi piace anche giocare a scacchi» si sistema gli occhiali ed il mio corpo ha un fremito. Come fa ad essere così carino anche con gli occhiali?
«Certo, ovvio.» Mi schiarisco la voce. Ora di cosa posso parlare? «Avevo una domanda da porti.»
«Dimmi.» Colin si sporge in avanti, gomiti sul tavolo, interessato.
«Mi stavo chiedendo perché tu mi abbia fatto fare quel sondaggio... Insomma, le domande mi sembravano così... stupide. Banali. Non penso che agli studenti interessi più di tanto sapere le risposte, no?»
Colin ridacchia. «Ma guardati. Arrivata da un giorno al giornale e già critichi ciò che il tuo capo ritiene un buon articolo.»
«Ho solo esposto il mio punto di vista.»
«Sì, ma... nessuno l'aveva mai fatto. Immagino per timore, anche se credo che pensassero tutti all'inizio che quelle domande fossero stupide. Ma tu sei stata l'unica a venirmelo a dire in faccia.»
«Aspetta, aspetta. Sono confusa. Altre persone hanno fatto il mio stesso sondaggio?»
Colin sorride e si avvicina un po' di più a me col viso «Non solo "altre persone" ma tutti i componenti che adesso sono nel giornale. Diciamo che è una specie di rito di passaggio, se lo superi sei dentro, altrimenti...»
«Ah. Quindi tutto il lavoro di questo pomeriggio è stato...» deglutisco, nervosa.
«Inutile? Più o meno sì. Puoi anche strappare i fogli dei sondaggi perché ora sei una dei nostri. Comincerai a lavorare seriamente per il giornale.»
Rimango un attimo in silenzio. Sinceramente ci sono rimasta un po' male... Mi sono impegnata così tanto ed alla fine non è servito a niente. Ho persino coinvolto Thomas... non che lui non si sia divertito, alla fine.
«Capisco» rispondo, ed addento il panino. «E quale sarà il primo articolo serio che dovrò fare?»
«Ho già lo spunto, sarà qualcosa di fantastico!» fa Colin, con una strana luce che gli brilla negli occhi. «Però devi essere pronta a tutto per questo articolo.» Mi sfiora il naso con un dito e sorride. «Lo sei?»
«Beh, certo! Insomma, se non si tratta di cose illegali.» arrossisco.
Colin ride. «Ma no, figurati!»
Continuiamo a parlare ancora per circa venti minuti, finché Colin si alza dalla sedia.
«Vieni, ti accompagno a casa» dice.
«A casa? Sei sicuro? Abito piuttosto lontano» rispondo, alzandomi.
«Non preoccuparti, ho il motorino nel parcheggio.»
«Come mai? Non lo parcheggi davanti a scuola?»
«Davanti a scuola non è detto che si trovi parcheggio, e poi ci sono più probabilità che qualcuno rubi la moto. Quindi dalle sette e mezzo fino a sera il mio motorino è sempre qui.»
«Okay, ma... questo non è vietato? Il parcheggio si dovrebbe pagare.»
Sorride. «Diciamo che ho il mio metodo per passare inosservato.»
Cominciamo a camminare. «E sarebbe?» chiedo.
«Ci sono due controllori che si alternano ogni due giorni. Uno sono riuscito a convincerlo che ho l'abbonamento al parcheggio, mentre il secondo mi fa passare senza una parola: è mio amico.»
Sorrido. Un altro lato di Colin che non conoscevo. Lui non segue sempre le regole alle lettera, allora.
 
****************
 
«Il casco» fa Colin, infilandomi un casco scuro in testa, poi lo allaccia e si allontana.
«Potevo anche mettermelo da sola» bofonchio, rossa in viso.
Colin sale sulla moto, ed io dopo di lui.
«Sei mai stata su una moto?» mi chiede.
«Veramente no. Un mio ex ragazzo aveva uno scooter, ma non ci sono mai salita.».
«Ex ragazzo, eh?» Fa una piccola pausa. «Beh, basta solo che ti aggrappi forte.»
Mi guardo un attimo attorno «A cosa?»
Colin ride ed accende il motore della moto per poi partire.
Presa alla sprovvista, mi aggrappo all'appiglio posteriore facendomi sfuggire un sottile grido dalla bocca.
«Ti avevo detto di reggerti» mi dice Colin.
«Stupido!» gli rispondo dandogli una leggera botta sulla schiena.
Lo sento ridacchiare ma subito dopo frenare di colpo. «Cavolo!» esclama.
«Che succede?» domando, preoccupata.
Colin torna qualche metro più indietro, nascondendosi dietro ad una macchina.
«Lo vedi quell'uomo allo sportello?» e lo indica con un cenno della testa. «Non lo conosco. È nuovo.»
«Cosa?! E quindi cosa facciamo?»
«Ci sto pensando» fa Colin, ma il suo sguardo non è rivolto a me bensì ad un'auto che si sta dirigendo verso l'uscita, al passaggio a livello.
Il proprietario dell'auto abbassa il finestrino e da una manciata di monete all'uomo dello sportello.
Poi la sbarra del passaggio a livello si solleva e il volto di Colin si illumina. Sorride.
«Reggiti» mi dice.
«C-cosa vuoi fare?» rispondo.
«Tu...» mi prende entrambe le mani e le appoggia sui suoi fianchi «...pensa solo a reggerti forte.»
Non faccio tempo neanche ad arrossire che Colin ha già messo in moto il motore.
Mi avvinghio a Colin, tremante di paura, mentre lui, ad elevata velocità, sfreccia verso il passaggio a livello.
Vedo la sbarra cominciare a riabbassarsi. «Colin! Non ce la facciamo!» gli urlo.
Lui non risponde, e accelera ancora di più.
Ci siamo quasi.
In questo momento il tempo sembra scorrere sempre più lentamente..
Vedo la sbarra che minaccia di cadermi in testa, Colin piegato in avanti, avverto una voce dire di fermarci ma è troppo tardi.
Riusciamo a passare appena prima che la sbarra del passaggio a livello ci caschi in testa.

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Capitolo 6
*** Il Nerd ***


Capitolo 6:
Il Nerd
 
«Ora puoi anche aprire gli occhi» mi dice Colin.
Mi rendo conto soltanto in quel momento di stare tremando, con gli occhi serrati.
Li apro lentamente e realizzo di essere passata sana e salva dal passaggio a livello e di star stringendo Colin in un abbraccio forse fin troppo stretto.
Lui tossisce. «Così mi soffochi» dice.
«S-scusa!» imbarazzata, lascio subito Colin e quasi sto per cadere dal motorino.
Che idiota!
Colin mi afferra prontamente un braccio e mi riporta all'equilibrio, continuando a guardare la strada che scorre veloce ai nostri occhi.
«Non ho detto che ti devi ammazzare!» mi rimprovera, e mi rimette le mani sui suoi fianchi. «Solo... non stringere troppo.»
Il mio viso sta andando in fiamme, ma sono contenta di poter stringere Colin, di sentirmi in qualche modo protetta.
 
****************
 
«Ti ringrazio molto per il passaggio» dico, togliendomi dalla testa il casco.
«Era il minimo.» Colin mette a posto il mio casco. «Buonanotte.» Sorride.
Il mio cuore batte fortissimo. «Buonanotte.»
Mi avvio verso casa mentre Colin se ne va, e sento un vuoto dentro di me appena entro in casa.
È stato tutto così bello, così eccitante... ed adesso è finito. Chissà se mi capiterà di nuovo...
«Ben tornata tesoro» mi saluta mia madre. «Hai passato una bella serata?»
Non ho neanche il tempo di rispondere che mio padre dice qualcos'altro in tono duro «Sei arrivata tardi. Che hai fatto con quel tuo amico... Colin, giusto?»
Arrossisco leggermente. «N-niente! Abbiamo solo mangiato un panino.»
«E poi?» incalza mio padre.
«E poi mi ha riaccompagnata a casa. Niente di più. Finito l'interrogatorio?»
«Mmm... okay, puoi andare» e mi congeda con un gesto della mano. Non c'è di che stupirsi, mio padre è sempre stato diffidente riguardo ai ragazzi della mia età, mentre mia madre la pensa in modo completamente diverso.
Salgo in camera mia e trovo James, mio fratello maggiore, sul mio letto che legge un fumetto.
«Che ci fai qui?» faccio. «Sai che non voglio che entri in camera mia.»
«Stavo solo aspettando che...» comincia lui, ma non lo lascio finire.
«Esci di qui!» gli dico a voce alta.
«Ma non capisci...»
«Non mi interessa! Fuori!» gli indico la porta.
James apre e chiude la bocca un paio di volte ma non trova le parole. Poi sorride. «Come vuoi tu» dice, ed esce veloce dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Ho come l'impressione che qualcosa non vada, ma mi costringo a non pensarci troppo.
Appoggio la borsa di scuola sul pavimento vicino al letto e mi tolgo i vestiti per mettermi il pigiama, rimanendo solo in mutande.
Ma quando cerco il comodo abito sotto il cuscino, quello non c'è.
'L'avranno messo da lavare' penso.
Così, apro l'armadio per prendere un pigiama pulito, ma quando lo apro, il mio cuore ha un sobbalzo.
Un ragazzo è seduto a gambe incrociate nell'armadio, con delle cuffie alle orecchie ed un computer in grembo.
Appena si accorge di me alza lo sguardo. Mi guarda in viso per qualche attimo, poi sposta l'attenzione sul mio seno nudo ed arrossisce subito. Dopo essersi reso conto della situazione, distoglie lo sguardo. «Ehm...» dice, con un evidente panico in viso. Si toglie le cuffie.
Dopo quegli istanti in cui sono rimasta pietrificata, le mie mani scattano subito al petto per coprirlo, poi lancio un'urlo.
«Calma! Calma!» tenta di dire lui.
«Calmarmi?! Neanche per sogno! Chi diavolo sei tu?!» urlo.
«Che succede là sopra?» sento dire a mio padre dal piano di sotto. Perfetto. Forse lui mi potrà aiutare.
«Aiu...» cerco di dire, ma sono troppo lenta: il ragazzo si è già alzato e mi ha tappato la bocca.
«Zitta! Non crearmi casini con tuo padre, ti prego!» mi dice poi.
Mi dimeno, cercando disperatamente di liberarmi dalla presa del maniaco, ma non ci riesco.
«Ascoltami un attimo» comincia lui. «Non sono una persona cattiva, lo giuro! Non ero nel tuo armadio per spiarti. Dammi la possibilità di spiegare!»
D'improvviso, smetto di agitarmi. Decido di dargli una possibilità. Ma appena noterò qualcosa di insolito, chiamerò mio padre.
Il ragazzo si accorge che ho smesso di lottare e, lentamente, mi toglie la mano dalla bocca.
«Tutto a posto, papà! Tranquillo!» urlo, poi abbasso la voce rivolgendomi al ragazzo «D'accordo, ti do una possibilità per spiegarti.»
Lui mi guarda negli occhi ancora per qualche secondo, poi sembra ricordarsi qualcosa e comincia a fissare il pavimento.
«Magari... copriti con qualcosa» dice, visibilmente in imbarazzo.
Rossa fino alle orecchie, entro di nuovo nella cabina armadio e mi infilo il primo pigiama che trovo, poi incrocio le braccia al petto, aspettando che lui cominci a parlare.
Il ragazzo si schiarisce la voce, nervoso. «Mi chiamo Andrew, sono un amico di tuo fratello. Mi ha invitato a casa a dormire, ma... non mi sarei mai immaginato... che sarebbe successo questo...» Si sfrega la nuca con una mano. «Mi dispiace così tanto.»
«E come mai eri nel mio armadio?» chiedo.
«È stata tutta colpa di James! Mi ha lanciato una scommessa stupida! Vedi, io soffro di claustrofobia ma gli ho detto che se ho un computer con cui distrarmi, riesco a non avere una crisi di panico. Lui non mi ha creduto ed ha voluto sfidarmi.»
Sento ribollire la rabbia in gola. «James! Vieni qui!» urlo, e dopo qualche secondo lo vedo apparire davanti alla porta.
«Che c'è? Oh. Hai conosciuto Andrew» dice con un sorriso maligno.
«Potevi anche avvertirmi!» sbotto.
«Ci ho provato, Miss."Vai fuori da camera mia".»
«Sei sempre il solito! Non ne combini mai una giusta!»
«Non mi urlare contro!» poi, guardando Andrew «Andiamo, dai.»
Andrew riprende goffamente il computer e le cuffie ed esce dalla camera, chiudendo la porta.
Mi butto sul letto con un gran sospiro. Che giornata! Probabilmente non riuscirò mai più a parlare in faccia a Andrew per l'imbarazzo.
Però, tutto sommato, è stato molto gentile. Non ha approfittato della situazione, non è rimasto a fissarmi mezza nuda come avrebbero fatto quasi tutti. Anche quando mi ha zittito l'ha fatto con delicatezza. Ripenso a come sarebbe finita se avessi chiamato mio padre e mi ritrovo a sorridere.
Tutto sommato è stato gentile.

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Capitolo 7
*** Il Bacio ***


Capitolo 7:
Il Bacio
 
Okay, d'accordo. È stato carino ma ciò non vuol dire affatto che io sia pronta ad affrontare un'intera ora a casa da sola con lui!
Mio fratello ed i miei genitori iniziano presto a lavorare mentre io entro a scuola un'ora più tardi, quindi sono costretta a stare con Andrew.
Fino ad adesso sono riuscita a non andare nel panico perché dovevo finire la colazione, ma adesso entrambi abbiamo finito di mangiare e la tensione in tutto questo silenzio è quasi palpabile.
Mi schiarisco la voce, mi alzo dal tavolo con il piatto della colazione in mano e vado verso il lavandino.
Pochi secondi dopo vedo con la coda dell'occhio che Andrew fa lo stesso.
«No!» gli faccio prima che possa cominciare a lavare il piatto.
Lui mi guarda confuso. «Che c'è?»
«S-sei un ospite» non riesco a guardarlo negli occhi, ogni volta che ci provo la mia mente torna all'altra sera ed è troppo imbarazzante. «Non puoi lavare tu i piatti.»
Lui resta in silenzio e si lascia sfilare il piatto dalle mani.
«Scusa»dice poi.
«Non ti devi scusare!» la mia voce deve risultare stridula, tanto sono nervosa.
«Sì, invece. Anche se già ieri mi sono scusato con te... non mi sembra abbastanza. Dimmi come posso rimediare.»
Mi asciugo le mani con lo strofinaccio della cucina. «Non è stata colpa tua, ma di mio fratello. Ti ringrazio, ma non ce n'è bisogno.» Sorrido.
«E allora perché non mi guardi quando ti parlo?» dice in tono serio.
Io resto in silenzio a guardarmi le scarpe. Cosa dovrei rispondergli?
Lui si appoggia con una mano al bancone della cucina. «Se fossi una femmina basterebbe che mi alzassi la maglietta e saremmo pari» dice, ed azzarda una risata imbarazzata.
Sorprendentemente, anche io mi metto a ridere. «Già, sarebbe tutto più facile.»
Ed in quel momento trovo il coraggio di guardarlo negli occhi.
 
****************
 
«Come mai mi hai chiamato?» chiedo.
«Ho deciso» risponde Colin.
«Deciso cosa?»
«Per il tuo articolo. Dopo la sera in cui abbiamo cenato, tre giorni fa, ho cominciato a pensare e pensare a come perfezionare la mia idea. E sarai tu a farne un articolo.» Fa una piccola pausa. «Come ti ho già detto, però, devi essere pronta a tutto.»
«Lo sono» rispondo.
«Bene. Allora cominciamo.» Si schiarisce la voce. «La mia idea è nata, come tutte, dalla domanda "che cosa potrebbe interessare agli adolescenti?", poi ho visto due ragazzi che stavano accoccolati su una panchina ed ho realizzato: una storia d'amore. Ma non una banale, di quelle già sentite e risentite centinaia di volte...» gli occhi di Colin sono illuminati di una luce completamente nuova. «...ma di storie diverse. Tante storie diverse!»
«Dove vuoi arrivare?» chiedo.
«Il mio articolo parlerà di confronti. Quale uomo è più adatto ad una donna? Qual è la storia d'amore che una ragazza sogna di più al mondo?»
«Mmm... Penso di aver capito. Vuoi che io faccia un confronto tra dei tipi di ragazzi.»
«Esatto!» Sorride. «Per precisione cinque tipi: lo sportivo, il nerd, il brillante, l'artista e il ribelle.»
«Capito. Quindi mi darai le domande, farò dei sondaggi a queste tipologie di persone e scriverò l'articolo?»
«Cielo, no!» Colin si passa una mano tra i capelli già spettinati.
«Come?»
«È qui che arriva la parte difficile. Dove devi essere disposta a tutto per realizzare l'articolo.»
Il mio cuore batte velocemente: ho un brutto presentimento. Accavallo le gambe sulla sedia e gioco con una ciocca di capelli. «Dimmi.»
«Per realizzare un vero articolo non dovrai fare dei semplici e banali sondaggi...» Esita un attimo prima di continuare. «...ma dovrai provare la sensazione di stare insieme a loro sulla tua pelle. Solo così potrai scrivere un articolo vero, vivo.»
Resto immobile a fissarlo, sbalordita. «D-dovrei uscire con tutti quei ragazzi? E starci assieme? E magari anche baciarli?!»
«Avevi detto che eri pronta a tutto purché non fosse illegale.»
«E da quando una ragazza che si prostituisce non è illegale?» dico forse a voce un po' troppo alta.
«Non ti ho chiesto di farlo. Non ci devi andare a letto.»
Mi alzo velocemente dalla sedia e comincio a camminare avanti ed indietro per la stanza, pensando seriamente alla cosa. «Colin... è una pazzia!»
Colin si avvicina a me e mi prende le mani. «Non è quello che hanno detto a tutte le persone che ora sono ricordate in libri e film? Nella vita bisogna saper rischiare per arrivare al successo.»
«Ed io dove li troverei cinque ragazzi di queste categorie che possano essere vagamente interessati a me?»
«Beh, di solito agli sportivi va bene qualsiasi cosa che respiri, i nerd vogliono solo una ragazza che parli la loro lingua, per il delinquente vestiti di scuro con una gonna corta, mentre per l'artista sarà un po' più difficile...»
«Basta» lo interrompo. «Troppe informazioni in un colpo solo.» Sospiro.
«Giusto. Scusami.» C'è un attimo di silenzio. «Comunque se avessi problemi a trovare "il brillante" io sono qui.»
«Cosa vorresti dire?» chiedo.
«Beh, non per vantarmi ma sono uno dei migliori studenti della scuola.»
Arrossisco. «I-io... uscire con te?» "Sarebbe un sogno che si avvera!" concludo nella mia mente.
«Oh, scusa. Magari... non sei d'accordo.» Anche lui pare un po' imbarazzato.
«N-no! Figurati! Mi va benissimo.» Sorrido, ma subito dopo abbasso lo sguardo. «Ma se poi quello che scrivo di te non ti piacesse?»
Colin si avvicina a me col viso. «Hai il vizio di pensare sempre prima agli altri che a te stessa. Questa è la conferma di ciò che ti ho detto qualche giorno fa: sei adorabile.»
I nostri visi sono vicinissimi. Il mio battito del cuore sempre più accelerato e nell'aria si sente l'odore di Colin.
«Se sei d'accordo...» dice lui lentamente con gli occhi quasi socchiusi. «...Inizierei le ricerche per l'articolo adesso.»
Deglutisco. Sta per succedere davvero? «Assolutamente d'accordo.»
Poi Colin si china.
E l'unione delle nostre labbra è inevitabile.

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Capitolo 8
*** L'Artista ***


Capitolo 8:
L'Artista
 
Io e Colin ci siamo baciati.
Ci siamo... baciati.
È... è tutto vero! Non è stato un sogno! È successo davvero!
Ma ciò che mi chiedo è se l'abbia fatto solo per l'articolo o se alla fine anche io gli piaccia, almeno un pochino. Spero vivamente che sia la seconda opzione. Ma come faccio adesso ad avere altre relazioni se tutto il mio corpo continua ad urlare "Colin"?
Frugo nella mia borsa alla ricerca di una penna ed un foglio. Dovrò pur cominciare a buttare giù qualche idea, no?
Appena apro l'astuccio vedo un piccolo foglietto bianco con su scritto qualcosa. Lo prendo. "Il mio numero. Chris."
Chris...
Fisso pensierosa il foglietto. "Chris lo sportivo dongiovanni" potrebbe essere proprio lui ciò che mi serve per l'articolo.
Prendo il mio cellulare e compongo il numero di telefono scritto sul foglietto.
Sospiro per tranquillizzarmi. Devo tornare la ragazza decisa e sicura di sé. Devo tornare Sasha.
Premo la cornetta verde.
«Chris» mi risponde lui dopo un paio di squilli.
«Chris...» comincio, con tono sensuale. «Sono Sasha.»
«Sasha del sondaggio?»
«Felice di sapere che la tua memoria sia in buono stato.»
«Lo sarà sempre per le ragazze come te.»
«Stavo pensando giusto ora alla tua proposta di fare qualcos'altro oltre che chiacchierare...» Faccio una piccola pausa. «Ti piace ancora l'idea?»
«Definisci "qualcos'altro".»
«Pensavo ad una cena. A casa tua.»
«Bruci le tappe così presto? Di solito il primo appuntamento non è a casa dell'uomo e sopratutto non è la donna a proporlo.»
«Nessuno qui sta bruciando le tappe. Non ti illudere, potresti rimanere col cuore spezzato.»
C'è un'altra pausa. «Fammi avere il tuo inidrizzo e ti vengo a prendere domani alle otto. Avrai una delle serate più belle della tua vita. O, come sarà ovvio che vorrai, una delle nottate più belle della tua vita.»
Ridacchio. «Stupiscimi.» Chiudo la chiamata.
Sasha ce l'ha fatta.
 
****************
 
Ho deciso che per ogni ragazzo con cui uscirò userò un nome diverso, per sicurezza. Non vado matta all'idea di dover uscire con cinque ragazzi contemporaneamente, ma sarò costretta a farlo, avendo solo due mesi e mezzo per fare l'articolo.
Cominciamo a cercare la tipologia di ragazzo più semplice: il ribelle.
Dove potrei andarlo a cercare?
«Ordinazione per il tavolo dieci!» urla il cuoco.
«Arrivo subito!» rispondo e prendo i piatti per portarli al tavolo.
Oggi al ristorante c'è il pienone, con un sacco di gente che va avanti ed indietro dalle cucine. In più, oggi verrà uno studente del terzo anno di Harvard per un breve concerto di pianoforte. Spero che questo tranquillizzerà un po' l'ambiente.
«Ordinazione per il tavolo trenta!» grida di nuovo il cuoco.
«Arrivo!» Prendo in mano il piatto. «Quando cavolo arriva il pianista? Avrei bisogno proprio di un po' di musica classica per distendere i nervi» dico, a nessuno in particolare.
Faccio giusto in tempo a finire la frase che sento della musica provenire dalla sala.
Sospiro. «Finalmente.»
Esco dalla cucina con i piatti in mano e li porto al tavolo.
Sento qualcuno che mi tocca la spalla e mi volto. È Karla, la mia superiore.
«Ti voglio all'ingresso per accogliere i clienti ed assegnargli i tavoli, Melody si è sentita male» dice.
«O-okay, mi cambio ed arrivo» rispondo.
Vado nel retro dove il ristorante tiene le varie tenute ed indosso la mia. In realtà, non sono affatto dispiaciuta che mi abbiamo tolto dalla cucina, così potrò ascoltare meglio il concerto.
«Scusate l'attesa» dico ai clienti appena arrivo all'ingresso. «Avete prenotato?»
«Sì» risponde l'uomo. «Sotto nome "Micchel".»
Controllo velocemente l'agenda delle prenotazioni. «Perfetto. Mi segua.» Conduco l'uomo al tavolo e torno al mio posto.
«Il prossimo» dico, e si avvicina una famiglia con un figlio penso più o meno della mia età.
«Siamo noi» dice la donna, probabilmente la madre del ragazzo. «Siamo venuti a sentire nostro figlio suonare.»
«Oh, è vostro figlio? Complimenti, è da poco che sta suonando ma potrei già dire che è eccezionale per la sua età.»
«Oh, no! Ha già cominciato?»
«Sì, ma è giusto l'inizio, non preoccupatevi.» Do un'occhiata al ragazzo dietro di loro. Ha un'aria contrariata, come se l'avessero costretto a venire al ristorante. «Avete prenotato?»
«Sì. Siamo sotto nome "Benck".»
Guardo di nuovo l'agenda. «Perfetto. Tavolo sei. Seguitemi.» Li conduco al tavolo, proprio ai piedi del palco, ma, prima di tornare ad accogliere i clienti, mi concedo un attimo per ascoltare il concerto.
Il ragazzo sta suonando Beethoven in modo impeccabile. Posso ribadire ciò che ho detto prima: quel ragazzo è eccezionale.
 
****************
 
«Il tuo turno è finito, ti sostituirà Samantha. Tu puoi tornare a casa» mi dice Karla.
«Oh, grazie» rispondo. «Mi cambio e vado.»
Mi avvio di nuovo verso il retro del ristorante, ma noto qualcosa di strano. Sento un rumore provenire dallo spogliatoio maschile, ma abbiamo solo due camerieri maschi nel nostro ristorante e entrambi non sono di turno oggi. Quindi... chi c'è?
Mi avvicino incuriosita alla porta dello spogliatoio e busso.
«C'è qualcuno?» chiedo.
Nessuna risposta.
Abbasso la maniglia ed apro la porta. «Posso entrare?»
Ancora, nessuno risponde.
Appena entro, però, noto un ragazzo, seduto per terra in un angolo della stanza. Quando alza lo sguardo ci metto poco a capire chi sia: il ragazzo che stava con i signori Benck.
«Che ci fa Lei qui?» chiedo.
Lui abbassa lo sguardo e non risponde. Ha un'aria molto triste.
Lentamente, mi avvicino a lui. «Scusi se le sembrerò invadente, ma... Le è successo qualcosa? Anche prima, non mi sembrava al settimo cielo.»
«Non mi è successo un bel niente!» sbotta. «Ho solo bisogno di stare da solo.»
«Beh, qui non può farlo. Torni al Suo tavolo.»
Il ragazzo alza lo sguardo e mi guarda negli occhi. «Ti prego, non mandarmi via. Non sopporto di stare con quella gente.»
«"Quella gente" non è forse la Sua famiglia?»
«Certo, ma... non fanno altro che parlare di mio fratello, di quanto sia bravo, di quanto io dovrei somigliare a lui il più possibile.»
C'è un attimo di silenzio. «Lei come si chiama?» chiedo.
«Theo. Theo Benck. Dammi pure del "tu", non preoccuparti» risponde.
«Bene, Theo. Ti darò una dritta: tu e tuo fratello non potrete mai essere uguali. Ogni persona è diversa e cercare di somigliare a qualcun altro porterà solo male. La smetta di cercare di accontentare i suoi genitori, sia sè stesso.» faccio per andarmene. «Buona serata» concludo.
«Io dipingo» fa lui all'improvviso, prima che io possa uscire dalla porta. «Non cerco di assomigliare a mio fratello, ed è proprio per questo che i miei genitori non mi accettano. Pensano che sia un'attività stupida e senza futuro.»
D'improvviso, ho un'idea. Dipingere è una forma d'arte, giusto? Quindi Theo potrebbe essere il mio "Artista". Ero partita cercando "il ribelle" ed invece...
Mi giro verso di lui. «Continua, ti ascolto.»

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Capitolo 9
*** L'Appuntamento ***


Capitolo 9:
L'Appuntamento
 
«Ripetimi perché ho deciso di accompagnarti» dice Thomas.
«Per aiutarmi a comprare un vestito carino per il mio appuntamento di stasera con Chris» rispondo.
«Ma... non hai, che ne so, un'amica che ti possa aiutare al mio posto? E sottolineo amica. Perché questo è un lavoro da femmine
«Non sono mai riuscita a reggerle, le ragazze sono così... stupidamente irritanti. Comunque ti ricordo che tu hai accettato, di tua spontanea volontà. Ora accetti le conseguenze» scorro i vestiti appesi velocemente, ma nessuno mi piace. «Quindi datti da fare.»
Thomas sbuffa. «Okay, okay. Però almeno intrattienimi un po'. Come mai esci con questo... si chiama Christian o Christopher?»
Resto un attimo immobile. «Effettivamente... Non ne ho idea. Magari solo Chris.»
«Non sai neanche il suo nome! Ti conosco da quasi cinque anni ed in tutto questo tempo non sei mai stata così superficiale. Mi nascondi qualcosa?»
Non ho voluto parlare del mio articolo con Thomas, non avrebbe mai capito e si sarebbe allontanato da me. «Me l'ha chiesto lui. È stato così convincente che non ho potuto dire di no.» Beh, Sasha non ha potuto dire di no.
«Stai attenta, quei tipi di ragazzi pensano solo ad una cosa.»
«Lo so, lo so, ci ho già pensato. Non ti preoccupare. Starò bene.» Prendo in mano un abito da sera che non mi sembra niente male e lo mostro a Thomas «Che te ne pare?»
Lui lo analizza per qualche secondo. «Mmm... non saprei, quella scollatura così profonda sulla schiena non mi convince.»
«Dici così perché non ti piacciono le scollature sulla schiena o perché non sarai tu a vedermi tutta la sera con questo vestito?» Ridacchio, e Thomas accompagna la mia risata.
«Ovviamente per la prima delle due» risponde poi, sarcastico.
«Ovvio.» Rido di nuovo. «Okay, lo scarto. Però lavora un po' anche tu!»
«Va bene...» Thomas sospira e si dirige verso un altro mucchio di vestiti ordinatamente appesi, dopo poco tempo lo vedo tornare con un paio di abiti in mano. Me li mostra. «Ti piacciono? Sinceramente preferisco quello bianco. Fa tanto "brava ragazza", con quelle maniche in pizzo e gonna a pieghe. Ma anche l'altro azzurro col cinturino blu non è male.»
Li osservo attentamente. «Sono davvero belli» dico con un sorriso. «Ma sinceramente andrei più su quello con il cinturino.»
«Allora andiamo a provarlo, poi subito alla cassa.»
«Che fretta hai?»
«Ho da fare. Te l'avevo detto al telefono.»
«Come mai fai tanto il misterioso? Dai, sputa il rospo!»
«E va bene. Devo vedermi con una ragazza» dice, imbarazzato. «Dài, veloce! Vai a provare quel vestito!» mi spinge verso i camerini così velocemente che non ho neanche il tempo per ribattere.
Una... ragazza?
 
****************
 
Con indosso il nuovo vestito e delle scarpe bianche con i tacchi, aspetto pazientemente che Chris faccia la sua entrata e mi porti a cena. Sono in piedi davanti alla porta da qualche minuto, anche se ancora è presto, quando mi ricordo che Sasha non agirebbe mai così. Sasha se ne frega della puntualità e con chi deve uscire, le interessa solo flirtare con i ragazzi e lasciarli sempre a bocca asciutta.
Mi allontano dalla porta, mi tolgo le scarpe e allungo le gambe sul divano. Ora sì che sto meglio. Quando Chris arriverà dovrà aspettare che io mi prepari. È bene farsi desiderare e non arrivare sempre puntuali quando si esce con ragazzi come Chris, abituati ad avere sempre la pappa pronta.
Mi metto a leggere un libro, aspettando che arrivino alle otto.
Sento squillare il cellulare dopo qualche minuto. È Chris.
«Sono davanti a casa tua. Farai meglio ad uscire o faremo tardi» dice, senza neanche salutare.
«Oh, certo. Aspetta che finisca il capitolo del libro, mi metta le scarpe e mi pettini, poi sono tutta tua» rispondo, senza scostare lo sguardo dalle pagine del mio libro.
«Tutta mia, eh? Forse vale la pena aspettare, dopotutto.»
«Non sperarci» e riattacco.
Con un sorriso stampato in volto, continuo la mia lettura fino a fine capitolo, il resto lo faccio in un paio di minuti e, proprio quando sto per aprire la porta ed uscire, il mio cellulare squilla di nuovo.
«Sì?» faccio.
«Odio mettere fretta alle ragazze, ma almeno potresti affacciarti alla finestra?»
Obbedisco, e scosto la tenda che copre la finestra.
Il mio cuore sembra fermarsi per un attimo.
Questo non me l'aspettavo.
Chris è davanti a casa mia in smoking e dietro di lui (ci sta appoggiato con un braccio) c'è un enorme limousine nera sfavillante, quasi nuova.
«Avevi detto...» continua Chris dall'altra parte del telefono «..."stupiscimi".»
Attraverso il vetro della finestra intravedo sul suo viso un sorriso soddisfatto.
Tutto il mio corpo vorrebbe correre fuori da lui ed abbracciarlo, ma Sasha non agirebbe così. Sasha non si lascia impressionare. Non così facilmente.
Rido prima di riattaccare di nuovo.
A volte è davvero difficile essere qualcun altro.
Esco di casa e raggiungo Chris che, appena sono abbastanza vicina, mi prende una mano e me la bacia. «Se mi permette, signorina,» fa poi «oggi è meravigliosa. E non solo per il vestito.»
Sorrido, avvicinandomi con il viso al suo «Andiamo?»
Chris mi apre la portiera della limousine e mi fa salire, poi entra anche lui e, non appena chiude la portiera, l'autista mette in moto e partiamo.
C'è qualche istante di silenzio. Dovrei dire qualcosa?
Prendo un grande respiro «Allora...» dico «...quanti siete in famiglia?»
«Sei. I miei genitori e le mie sorelle.» Si avvicina un po' di più a me. «Ma, se ci tieni a saperlo, oggi a casa non ci sarà nessuno.» Mi appoggia una mano sulla coscia. «Possiamo fare... tutto ciò che vuoi.»
Sorrido. «Cerca di meritartelo.» prendo la sua mano e la tolgo dalla mia coscia. «O questa mano non toccherà oltre stasera.»
Chris ride. «Sei una ragazza difficile, Sasha.»
Ridacchio anch'io, ma non rispondo. Dopo poco tempo l'auto accosta e l'autista scende per aprirmi la portiera.
Appena uscita dalla limousine, vedo una villa, e non una villa qualunque, un enorme villa con giardino. Scommetto che sul retro c'è anche una piscina.
«Tu abiti qui?!» chiedo ad occhi aperti.
«Sì. Pensavo lo sapessi. Organizzo spesso delle feste e molti alunni della nostra scuola vengono» risponde Chris, sceso anche lui dalla limousine.
Cerco di ritornare un po' più "Sasha" «Non ne ero al corrente, ma ho visto ville più grandi» mento.
«Allora mi rifarò col cibo. Seguimi.» Mi prende la mano e mi trascina dentro a casa sua.
 
****************
 
Appena entrata vedo l'emblema del lusso: statue, piccole fontanelle, lampadari di cristallo e pavimento lucido e pulito.
Un maggiordomo si avvicina e chiede la mia borsa per poterla appoggiare altrove. Acconsento.
«Vieni.» Chris mi porge il braccio ed io lo cingo al mio. Camminiamo fino alla sala da pranzo respirando l'aroma disperso nelle stanze. «Questa è quella piccola, visto che siamo solo in due» spiega lui.
Piccola? È grande come la mia cucina ed il mio salotto messi insieme! «Carina» dico con finto disinteresse. Quanto è ricca la famiglia di Chris?
Ci sediamo, lui a capotavola ed io nel posto affianco. I nostri piatti sono vuoti ma non faccio nemmeno in tempo ad elaborare la cosa che i camerieri ci portano l'antipasto.
«Buon appetito, Sasha» dice lui.
«Vedremo» rispondo. Prendo la forchetta più esterna sul tavolo ed assaggio lo speck.
Le mie papille gustative hanno un fremito, il grasso dell'affettato mi si scioglie in bocca. «Delizioso!» mi lascio sfuggire.
«Sapevo che avrei recuperato terreno col cibo» ridacchia.
Strano a dirsi, ma le quattro portate più frutta con Chris passano in men che non si dica. Così ci ritroviamo, non so come, nel suo enorme salotto sul divano con un bicchiere di pregiato vino rosso in mano. Mi sto divertendo moltissimo. Chris è davvero simpatico, nonostante le apparenze.
Bevo tutto ciò che resta del mio vino.
«Ne vuoi ancora un po'?» mi chiede Chris.
«No, grazie.» Guardo l'orologio appeso alla parete. 23:34. «Cavolo! È tardi! Forse dovrei...»
«Aspetta un attimo.» mi interrompe Chris. Resto un attimo confusa, poi lui mi prende delicatamente una gamba, la mette sulle sue e mi slaccia la scarpa, fa lo stesso con l'altra.
Ridacchio. «Cosa stai facendo?»
Avvicina il viso al mio. «Ciò che ho aspettato per tutta la serata.» Mi sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio poi mi bacia.
Quando ricambio, le sue mani corrono ai miei fianchi mentre le mie al suo collo.
Mi piace la sensazione di sicurezza che mi dà Chris con le sue larghe spalle, se mi abbracciasse potrei svanirci dentro.
Chris si sfila la giacca e fa pressione su di me per farmi sdraiare sul divano ed accetto anche questo.
Tra i baci, le carezze e l'alcool, non capisco più niente.
«Se vuoi...» fa Chris «... possiamo spostarci in un posto un po' più comodo, come la camera da letto.»
«Sì» dico, ed in quel momento ritorno alla realtà. Sorrido maliziosamente. «O come fuori da casa tua.» Lo spingo non troppo delicatamente via da me e comincio a rimettermi le scarpe.
Chris rimane confuso. Probabilmente questa sarà la prima volta che una ragazza lo lascia andare in bianco.
Mi dirigo verso la porta di casa.
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?» chiede Chris, più sconvolto di ciò che dovrebbe essere.
«Per niente» rispondo. «È stato tutto... impeccabile.» Il maggiordomo vede che mi avvicino all'uscita e mi porta la borsa.
«Allora perché te ne stai andando?» Chris mi raggiunge alla porta, che il maggiordomo ha già aperto, e si appoggia con il braccio allo stipite.
«Chris... io non sono una di quelle ragazze che fanno sesso al primo appuntamento. È volgare, non sappiamo praticamente niente l'uno dell'altra. Non so come si chiami la tua squadra di football, non so come si chiamano i tuoi familiari... non so neanche il tuo nome per esteso.»
«Christopher. Ma che cosa c'entra?»
«Non hai mai letto un libro o visto un qualunque film? Di solito si aspetta come minimo il terzo appuntamento.»
«Che cosa stupida!» sbuffa.
«Se ti può consolare...» Mi mordo un labbro. «...non vedo l'ora di farlo con te.» Lo bacio e sorrido. «Buonanotte Christopher.»

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Capitolo 10
*** Il Leone ***


Capitolo 10:
Il Leone
 
È stato un appuntamento... stancante, per quanto divertente.
Entro un casa e mi tolgo subito le scomode scarpe col tacco.
«Com'è andata, tesoro?» chiede subito mia madre.
«Tutto bene, grazie. Ci siamo divertiti molto» rispondo.
«Sei tornata tardi» fa notare mio padre.
«Sì, scusa, ho avuto un piccolo...» ripenso ai baci sul divano ed a come ho impedito a Chris di andare oltre. «...imprevisto.» Sorrido.
«Niente di grave, spero» fa mia madre.
«Non ti preoccupare, mamma» rispondo. «Vado in camera a cambiarmi.»
Salgo velocemente le scale ed entro nella mia stanza. Mi metto in pigiama e prendo lo struccante, ma noto che ho finito il cotone.
Esco dalla stanza e cammino verso il bagno. Sento dell'acqua scorrere, James si starà lavando. Entrerò solo un attimo ed uscirò il più veloce possibile.
Apro la porta.
Noto che c'è qualcuno sotto la doccia in vetro.
Ma non è James.
Lui mi guarda, le mani ai capelli insaponati, il suo sguardo è indecifrabile.
Io ricambio lo sguardo, sconcertata.
Andrew.
Cosa ci fa Andrew a casa mia?! Di nuovo!
«Ehm...» comincio, ma le parole mi escono a fatica dalla bocca. «Devo solo... prendere il cotone.»
Continuo a fissarlo come un'idiota mentre prendo il cotone.
Lui ancora non parla, non cerca neanche di coprirsi, imbarazzato e scioccato quanto me.
Esco veloce del bagno e tiro un sospiro di sollievo.
Il cuore mi batte forte. È stato addirittura più imbarazzante dell'ultima volta.
Corro in camera di James, infuriata.
«James!» urlo, appena arrivata. «Come lo spieghi Andrew che si fa una doccia nel nostro bagno?»
«È venuto a dormire qui. Mi si è guastato il computer ed essendo lui un esperto in materia è venuto a ripararlo.» Fa una piccola pausa. «Perché? È successo qualcosa?»
Il suo tono calmo mi irrita. «Beh, è successo che il tuo caro amico non sa chiudere una dannata porta a chiave!»
E detto questo me ne vado, ancora con lo struccante in mano.
Per quel cotone... per quel dannato cotone!
 
****************
 
Il giorno dopo mi ritrovo di nuovo a far colazione con Andrew affianco.
Appena mi vede, si affretta ad andare da me. «M-mi dispiace tanto» dice.
«Non scusarti. Non è stata colpa tua» rispondo imbarazzata.
«Allora... siamo pari adesso? Insomma... io ti ho visto... e tu...» si gratta la nuca, le sue guance sembrano due peperoni.
«Già. Sembrerebbe di sì.»
«Okay.»
Nella stanza cala il silenzio. Non riesco a guardarlo negli occhi.
Ho una specie di Dejà Vu.
Lui mi guarda attraverso i grandi occhiali. Sospira. «Non sono mai stato bravo con le ragazze.»
«Ma questo non c'entra. È stato un caso. Un caso molto sfortunato... per due volte.»
«Sì, giusto» dice, poco convinto.
C'è un'altra pausa. «Allora...» comincio. «...Jami dice che sei un'esperto di computer.»
«Sì. Me la cavo.»
«Sei riuscito a riparare il computer?» chiedo.
«Non ancora. James ha installato un virus che mi sta dando noia, e finché non lo sistemo mi ha detto che posso dormire qui. Sto cercando di non dover resettare tutto il computer.»
«Capisco.» Mangio gli ultimi cereali e metto la ciotola nel lavandino. «Senti, non che mi interessi particolarmente, ma tu hai raccontato a Jami... ciò che è successo?» Mio Dio! Non riesco proprio a parlare!
«Sì, certo, come no!» dice, sarcastico. «"Ehi, James, ti devo dire che ho visto tua sorella solo con le mutande addosso. Ma tutto a posto, gran belle tette".» Ride.
Arrossisco. «D-davvero?»
Vedo arrossire anche lui. «Insomma... sono... normali. Sai, tonde e tutto il resto.» Accenna una risatina.
Rido, e riesco a guardarlo negli occhi. «Non intendevo questo!» dico. «Intendevo se davvero non glielo hai detto!»
«Oh. Oh...» Resta un attimo in silenzio. «Diciamo che sarà il nostro piccolo segreto, okay?»
Sorrido. «Okay.»
In quel momento il mio cellulare squilla. Guardo lo schermo del cellulare. È Theo.
«Scusa, devo rispondere» dico a Andrew.
«Sì, non preoccuparti» fa lui, poi si allontana.
Mi prendo qualche secondo di tempo prima di rispondere. Non mi sembra neanche vero che l'altro giorno sono stata nel retro del ristorante con Theo a parlare per un'ora intera.
Premo la cornetta verde. «Qui parla Erika» dico. "Erika" è la ragazza che ho creato per lui, è dolce e sensibile, pronta sempre ad ascoltare gli altri.
«Ciao, Erika. Mi avevi detto di chiamare nel caso avessi avuto bisogno di sfogarmi. Ed eccomi qui» dice Theo. «Beh, insomma, non proprio "qui", cioè, non ti sto parlando di persona. Oh! Che casino!»
Ridacchio. «Dimmi tutto.»
«Ecco... volevo sapere se fossi libera.»
«Quando?»
«Ora.»
 
****************
 
Sono seduta su una panchina del parco da quasi un'ora. Insomma, Theo mi chiede di vederci all'ultimo minuto e poi fa anche tardi!
Provo a chiamarlo per l'ennesima volta ma di nuovo non risponde.
Beh, tanto vale andarsene.
Cammino verso l'uscita del parco e solo ora sento dei bambini ridere dalla bancarella a qualche metro da me.
Mi volto e mi sorprendo nel vedere Theo ridere e scherzare con dei bambini mentre dipinge loro il viso.
Theo mi vede e mi saluta con un sorriso. Vado da lui.
«Sei in ritardo» dice Theo mentre finisce di dipingere una maschera da tigre ad un bambino.
«In realtà sono qui da quasi un'ora. Non ti avevo visto» rispondo.
Lui ride. «Che scema.»
«Scemo sarai tu! Potevi renderti un po' più visibile!»
«E come? Appendendo un enorme cartello con su scritto: "Scema, sono qui"?»
Rido. «Comunque, come mai mi hai chiamata? Eri molto misterioso.»
«I miei genitori mi hanno buttato l'ennesimo dipinto» risponde lui.
«Mi dispiace.» Abbasso lo sguardo. «E come mai sei qui?»
Il bambino con la faccia da tigre se ne va e prende posto una bambina che ordina una maschera da fata.
«Per i bambini.» Theo sorride.
«In che senso?»
«Faccio spesso le maschere gratuite ai bambini quando la mia creatività viene rifiutata o sono triste. Mi fa ricordare che il mio lavoro può ancora portare emozioni a qualcuno e che non è del tutto inutile. Ti ho chiamata perché volevo che lo vedessi con i tuoi occhi.»
«Vedere cosa? Non capisco...»
Theo mi porge un pennello. «Comincia a dipingere anche tu e lo capirai.»
Afferro il pennello dubbiosa e subito un bambino si avvicina a me e chiede una maschera da leone.
Non sono mai stata molto brava nel disegno, eppure quando finisco la maschera e faccio specchiare il bambino lui fa un finto ruggito, mi ringrazia e corre dalla mamma a farle vedere il mio lavoro. Ed è vedendo il sorriso di quel bambino che capisco.
Theo aveva ragione. Ora vedo.
Vedo la vera felicità, il vero modo in cui andrebbe vissuta la vita.
Guardo le mie mani sporche di pittura e non mi importa, non mi dà fastidio.
In questo momento sto vedendo il mondo come lo vede un bambino.
Ed è bello, infinitamente più bello.

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Capitolo 11
*** Il Ribelle ***


Capitolo 11:
Il Ribelle
 
«Ehi» mi ferma Colin mentre cammino verso l'aula di scienze.
«Oh, ciao. Tutto bene? Hai bisogno di qualcosa?» dico.
«A dire il vero sì. Mi servirebbe un aggiornamento sul tuo articolo. Sono passati tre giorni, quindi non mi aspetto che tu abbia già tutto il materiale, ma vorrei sapere a che punto sei» dice. «Ad esempio... hai già trovato gli altri quattro ragazzi?»
«Solo due, per ora. Lo sportivo e l'artista.» Mi sembra così strano parlare con lui di questo. Insomma, in un certo senso lui è il mio ragazzo, più o meno, ma dopotutto è anche il mio capo.
«Bene. Mi sembri a buon punto. Mi servono nome e cognome dei due ragazzi.» Colin prende in mano il cellulare e si prepara a scrivere. Mi guarda, aspettando che parli.
«"L'artista" si chiama Theo Benck e "Lo sportivo" Christopher.»
«Cognome?»
«Ancora non lo so» ammetto imbarazzata. «So che è nella squadra di football della scuola e che è molto ricco. E quando dico "molto" intendo "molto più di quello che tu possa anche solo immaginare".»
«Ah! Capito. Dev'essere Christopher Easton.» Colin digita il nome sul cellulare e lo spegne.
«Aspetta... "Easton"? Della "Easton's restourant"? La catena di ristoranti più grande del mondo?!»
«Proprio loro. Ma non esagerare, sono solo la terza.»
«Allora...» Ripenso alla cena di ieri sera. «...ho mangiato del cibo che valeva centinaia di dollari!»
«Come? Sei già stata a casa sua?»
Arrossisco. «S-sì.»
«Beh, allora dovrò rimediare.» Sorride, mi prende il fianco attirandomi a sé e mi bacia per qualche secondo, poi si allontana dalle mie labbra. «Mi farò venire in mente qualcosa.
E, detto questo, sparisce tra i corridoi.
«Sasha...» sento dire da qualcuno alle mie spalle. Mi giro. C'è Chris che mi guarda con aria turbata.
«Chris!» esclamo, con il cuore che mi batte forte. Oddio... Mi ha visto con Colin?
«Chi era quello?» mi chiede.
«Era il capo del giornalino. Un mio amico.» Dovrei provare ad essere "più Sasha" ma in questo momento sono troppo scossa.
«Mmm...» c'è un attimo di silenzio. «Ho pensato a com'è finita ieri sera.»
Non... non ci ha visti? «E...?»
«E penso che in fondo non posso costringerti a venire a letto con me se non vuoi, anche se so che anche per te sarà stato difficile sottrarti.».
«Quindi che hai deciso di fare? Mi lasci?»
«Io non mollo una come te per così poco. Accetto le tue condizioni. Farò arrivare in fretta il terzo appuntamento. Sarà divertente conquistarti.» Sorride e mi bacia. «Vieni a vedermi giocare questa Domenica.»
«Hai una partita di football?»
«Young contro Hibee. Vinceremo di sicuro.»
«Vedremo.»
«Certo...» Chris giocherella con il primo bottone della camicia della mia divisa. «...potrebbe essere un pochino "stressante" per te.»
«Perché dici così?»
Chris riesce a slacciare il primo bottone e passa al secondo, ed io lo lascio fare, come se non mi importasse. «Beh, diciamo che un ragazzo come me non passa affatto inosservato» dice. «E ci sono delle ragazze... parecchie ragazze, a dire il vero, che vengono a vedere le partite solo per sbavarmi dietro.»
«Oh...» sorrido maliziosamente e passo le mani sul nodo della cravatta di lui. «Di loro non mi importa molto, so di essere l'unica per te.» Afferro con decisione la cravatta e con uno scatto costringo Chris ad avvicinare il viso al mio. «Vero?»
Chris pare preso alla sprovvista. Deglutisce. «C-certo» risponde. «Ora lasciami, mi rovini la divisa.»
Gli do un bacio e gli lascio andare la cravatta, poi mi allontano da lui e vado via. «A Domenica, Christopher.»
 
****************
 
Digito veloce il messaggio sul display del cellulare.
"Oggi sono a casa da sola" invio a Colin.
Aspetto qualche secondo per la risposta. "Vuoi che venga a farti compagnia?"
Sorrido. "No, non preoccuparti, non voglio farti uscire con il buio e la tempesta." Guardo qualche secondo la pioggia cadere fuori dalla finestra, poi invio.
"Sicura? Potevamo guardare un film, farci due coccole e poi a nanna."
"Magari domani, la mia famiglia sta fuori ancora per tre giorni."
"Mmm... tre giorni. Vedrò di pianificare. Per ora ti do la buonanotte, bellissima."
Sorrido. Quanto lo amo! "Buonanotte." Spengo il cellulare e prendo il libro che sto leggendo in questi giorni. "Capitolo 24: Imprevisti." Comincio, e continuo finché qualcosa non attrae la mia attenzione.
Fuori dalla finestra si sentono dei cani abbaiare, strano per quest'ora.
Ma ad un certo punto, sento qualcosa sbattere contro la porta di casa mia. Qualcuno sta gridando fuori.
Un po' spaventata, vado all'occhiello della porta e sbircio: un ragazzo che avrà all'incirca la mia età bussa con aria sofferente alla porta. Sembra ferito.
Non posso stare ferma e non fare niente! Devo aiutarlo.
Decido di aprire la porta e lui velocissimo si fionda dentro casa mia senza neanche chiedere.
«Spegni tutte le luci!» mi grida, con una mano premuta sul braccio che, mi accorgo solo ora, sta sanguinando.
«C-cosa?! Perché? Che succede?» chiedo.
«Non c'è tempo! Spegni le luci o loro verrano qui! E ci finirai di mezzo anche tu!» risponde.
Terrorizzata, faccio come dice, spengo tutte le luci di entrambi i piani della casa e chiudo a chiave la porta principale con la catena.
«E adesso?» faccio. «Che dovrem-» non faccio in tempo a finire la frase che lui mi tappa la bocca con la mano, stringendomi a sè.
«Shh! Sono qui» mi sussurra, poi mi tira verso il basso e ci accucciamo sotto ad una finestra.
Percepisco il mio cuore sobbalzare appena sento i cani fermarsi davanti a casa mia.
«Ehi! Gasper ha fiutato qualcosa!» fa uno.
«Anche Rex. Controlliamo dalle finestre» risponde l'altro.
Non vedo ciò che i due stanno facendo, ma in un certo senso riesco a percepire i loro occhi che scrutano attentamente casa mia alla ricerca del ragazzo. Riesco quasi a vederli.
«Non mi pare che ci sia qualcuno in casa» fa il primo.
«Non lo so... allora perché i cani avrebbero indicato questa casa?» risponde il secondo.
«Magari ha provato a bussare qui, ha visto che non c'era nessuno e poi è andato via. Dobbiamo continuare o lo perderemo.»
«D'accordo. Ma poi ripassiamo da qua. Questa casa mi puzza.»
Sento i loro passi allontanarsi e dopo qualche secondo il ragazzo mi toglie la mano dalla bocca. «Dovrebbero essersene andati» mi dice, ancora a bassa voce.
Io non oso parlare, con il cuore che mi batte ancora a mille.
«Meglio comunque tenere tutte le luci spente stanotte, usiamo solo delle piccole torce o i cellulari.» Mi guarda. «Stai bene?» chiede.
Mi giro verso di lui, arrabbiata ma con le lacrime agli occhi per la paura. «Per niente!» gli urlo. «Chi diavolo sei tu?! E cosa volevano gli altri due da te? Ora sono in pericolo anch'io?»
«Stai calma! E non urlare! Ti scongiuro! Ti dirò tutto ciò che vuoi sapere. A patto che tu mi faccia stare qui per la notte.»
Ci penso su un attimo. Non mi sembra un ragazzo pericoloso, in più è ferito, sarebbe difficile per lui farmi del male.
«Solo per una notte, intesi? E voglio che lasci tutte le armi dentro una scatola che poi darai a me.»
«Chi ti dice che io abbia delle armi?» dice lui, a corto di fiato.
«Beh, quella ferita non si è fatta da sola, e se quei tipi avevano delle armi, le avrai avute anche tu.»
«Sì...» comincia, facendo fatica a respirare. «...a proposito della mia ferita...» ma non fa in tempo a finire la frase che si accascia a terra, senza sensi.
Resto immobile.
Ed adesso che faccio?

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Capitolo 12
*** L'Inaspettato ***


Capitolo 12:
L'Inaspettato
 
Del disinfettante! Della garza! Qualsiasi cosa!
Frugo nell'armadietto del bagno con la mano tremante mentre con l'altra tengo in mano la torcia, cercando di fare il prima possibile. Dove diamine sono i medicinali?!
Dopo qualche minuto, riesco incredibilmente a trovare del disinfettante, probabilmente scaduto per tutti gli anni in cui la mia famiglia non l'ha usato, e della garza.
Mi precipito di nuovo al piano di sotto dove il ragazzo sconosciuto è ancora accasciato a terra e continua a perdere copiosamente sangue dal braccio. Quanto ne avrà perso? È già morto?
Gli appoggio due dita sul collo (come vedo sempre fare nei film) ma non sento niente.
Provo e riprovo a cercare il punto giusto dove passa l'arteria ma non lo trovo. E non so se sia perché io non sia capace o perché ormai sia troppo tardi.
Afferro il telefono di casa, pronta a chiamare l'ambulanza, ma, prima di premere la cornetta verde, mi blocco.
Gli uomini che gli hanno fatto questo sono ancora per il quartiere e sanno che è ferito. Se vedessero un'ambulanza passare ci metterebbero meno di due secondi a mettere insieme i pezzi, e ci andrei di mezzo anch'io.
Tuttavia non so cos'altro fare. Non posso prendermi cura di questo ragazzo da sola.
Potrei chiamare Colin, lui di sicuro sa come curare una ferita come questa, ma abita abbastanza lontano da me, ci metterebbe troppo ad arrivare. Chris è una testa vuota, non saprebbe da dove cominciare, mentre Theo è troppo sensibile per questo tipo di cose e di Andrew non ho il numero di telefono.
Rimane soltanto...
Digito il numero sul telefono e premo sul pulsante di chiamata.
Aspetto, col fiato sospeso.
Fa che sia sveglio, ti prego.
Il telefono ha suonato già sei volte, ma nessuno ha ancora risposto.
Sto per abbandonare ogni speranza, quando il telefono smette di squillare. Per un attimo c'è il silenzio.
«P-pronto?» balbetto.
Si sente uno sbadiglio. «Pronto? È un'emergenza? Stavo dormendo. Sei matta a chiama-» comincia, ma si interrompe sentendo il mio pianto di gioia.
«Oh, Dio! Grazie di avere risposto!» dico tra i singhiozzi.
«Va tutto bene?» chiede lui, confuso.
«I-io...» Trattengo un singhiozzo. «...Thomas, ho bisogno di te.»
 
****************
 
«Continua a tamponare la ferita con l'asciugamano. Brava. Così.» mi dice Thomas, mentre fruga nel kit medico che si è portato.
Io eseguo, ancora con le guance bagnate di lacrime. Ho fatto bene a chiamarlo, dopotutto è cresciuto con entrambi i genitori medici, un po' di cose le ha imparate.
Thomas estrae dal kit medico delle pinze.
«Cosa hai intenzione di fare con quelle?» chiedo, allarmata.
«Ha un proiettile dentro ad un braccio. Non vorrai lasciarglielo dentro, no?» risponde, duro. Non l'ho mai visto rispondere così.
«Sei sicuro di quello che fai? Non rischi di compromettere la mobilità del braccio o... qualcosa del genere?»
«No. So quello che faccio. Togli l'asciugamano.» Ed appena eseguo, Thomas affonda le pinze nella ferita del ragazzo alla ricerca del proiettile mentre io illumino la zona.
Rimango col fiato sospeso. Spero davvero che ci riesca, c'è già troppo sangue sul pavimento, sui vestiti, sulle nostre mani... dobbiamo chiudere la ferita il prima possibile. Fermare l'emorragia.
«Ce l'ho!» esclama Thomas. «L'ho preso!» e, lentamente, fa uscire le pinze che stringono saldamente il proiettile dal braccio del ragazzo. Resta un attimo fermo a guardare il proiettile, poi fa cadere le braccia lungo i fianchi, assieme alle pinze. Sospira. «L'ho preso.»
«E adesso?» chiedo, ma non faccio neanche in tempo a finire la frase che sento un rantolo di dolore.
Mi volto.
Il ragazzo sconosciuto si è svegliato.
«Cavolo!» esclama Thomas.
«Chi sei tu?!» urla l'altro. «Che stai facendo?!» Ma si interrompe per urlare dal dolore. Si porta una mano sulla ferita. «Fa male!»
«Ehi, ehi, guardarmi» faccio al ragazzo, costringendolo a guardarmi negli occhi. «Mi riconosci?»
Lui mi fissa per qualche istante, con la fronte imperlata di sudore. «Sì. Credo. Sei la ragazza di prima.»
«Esatto, sì. Mi chiamo Kate.» Thomas mi lancia un occhiata confusa: non capisce perché abbia dato un nome falso. In realtà l'ho fatto perché se il ragazzo sopravvivesse magari potrebbe andare a dire a qualcuno il mio nome, indirizzo di casa, o qualcosa del genere ed avrei fatto la sua stessa fine. Non mi fido. «Tu come ti chiami?» continuo.
«C-Cameron» risponde lui, a fatica.
«Cameron, perfetto. Lui è Thomas.» Lo indico con la testa. «Deve curarti la ferita e richiuderla.»
«Okay, va bene. Ci sono già passato. Avete dell'anestetico o qualcosa di simile?»
Guardo Thomas, speranzosa. Ma lui fa cenno di no con la testa. Ritorno da Cameron. «No. Dovrai essere forte.»
«Capisco.» Fa un sospiro per tranquillizzarsi.
«Se non togli la mano dalla ferita non posso curarti» dice Thomas.
«Sì. adesso la tolgo» ma Cameron non si muove.
Decido di intervenire. «Cameron, lo facciamo insieme, okay? Lo facciamo in fretta, come un cerotto. Togli la mano e poi la stringi alla mia, va bene?».
Cameron annuisce. «Facciamolo.»
«Al mio tre. Thomas, sei pronto?» Lui annuisce. «Uno... due... tre!»
Cameron allontana la mano dalla ferita, che comincia subito a sanguinare di nuovo, e stringe velocemente la mia.
Ricambio la presa per incoraggiarlo e, appena Thomas tocca la ferita, Cameron ricambia la stretta.
«Resisti» dico, mentre Thomas continua a lavorare. «Passerà tutto.» Trattengo una lacrima. «Passerà.» Il fatto è che non ne sono sicura. Thomas sembra sapere ciò che fa, anche se è molto nervoso, ma è comunque un ragazzo, non è un esperto.
Vedendo Cameron continuare a gemere per il dolore, cerco di distrarlo. «Allora, Cameron, come si chiamano i tuoi genitori?»
«Io... io non ho i genitori» risponde.
Ahia. Domanda sbagliata. «Beh, con chi abiti?»
«Con nessuno. Sono... sono scappato ieri dal riformatorio.» Ha un altro gemito.
Penso di aver peggiorato la situazione. «S-scappato?! Quindi i due tipi coi cani erano... poliziotti?»
«No, no.» Ridacchia, anche se gli provoca dolore farlo. «Quelli sono... i miei capi. Che hanno deciso di farmi fuori.»
«E... perché?»
«Perché sono stato beccato e messo in riformatorio. Ho detto loro che non ho fatto nomi, ma non si sono fidati ed hanno convenuto di uccidermi. Così sono scappato. Beh, dopo essermi beccato una pallottola.»
Thomas ha ormai fermato l'emorragia e sta pensando a richiudere con un ago affilato ed un filo di non so quale materiale.
«Aspetta... mi sono persa un pezzo. Sei stato beccato a fare... cosa?»
Cameron sorride tristemente. «A spacciare droga.»

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Capitolo 13
*** La Minaccia ***


Capitolo 13:
La Minaccia
 
Ho uno spacciatore in casa.
Ho uno spacciatore in casa.
Ho uno spacciatore in casa.
«Thomas, è illegale!» urlo. «Incredibilmente illegale!»
«Shh! Ti potrebbe sentire!» risponde lui.
«E che senta pure! Lo sa anche lui che è sbagliato! Dovrei chiamare la polizia.»
«Dopo tutto ciò che ha appena passato? Ho finito due minuti fa di chiudergli la ferita. Ha bisogno di riposo.»
«Se chiamassimo la polizia gli assicurerebbero un comodo posto in un letto d'ospedale, dove dovrebbe stare!»
«No. Lo sai che se lo facessimo i suoi "capi" lo farebbero subito fuori. Per questo mi hai chiamato.»
«Se lo meriterebbe. Perché continui a stare dalla sua parte?»
«Perché ha la nostra età. È troppo giovane per essere ucciso, ha diritto ad una seconda chance.»
«Sì, hai ragione. Ma questo solo se lui è disposto a cambiare. Se ha intenzione di continuare a spacciare per il resto della sua vita allora per me può anche andare all'inferno!»
«Ma tu non sai tutta la storia. Magari è stato costretto, non lo puoi sapere.» c'è un attimo di silenzio. «Senti, facciamo così: tienilo in casa finché puoi, per il braccio ci servirebbero come minimo tre o quattro settimane, anche di più, ma non voglio coinvolgere la tua famiglia, quindi tienilo qui in casa finché non tornano, poi lascialo andare. Ognuno per la sua strada.»
Ci penso un attimo. Le armi che possedeva Cameron le avevo già prese quando Thomas doveva arrivare a casa, poi le avevo nascoste. Non avrebbe potuto farmi del male, ma avevo lo stesso paura. «Tu resterai con me?» chiedo.
Thomas sorride. «Certo.»
Cerco di sorridergli anch'io, ma scoppio in lacrime.
«Ehi, che succede ora?» mi chiede Thomas in modo dolce, appoggiando entrambe le mani sulle mie spalle.
«È che...» Alzo le mani e gliele mostro. «Sono piena di sangue, ed anche tu.».
«È tutto a posto. Vai a farti una doccia. Io tengo d'occhio questo... Cameron.»
Sorrido. «Grazie, Thomas.» lo stringo in un abbraccio, affondando il viso nel suo petto caldo. Sento il suo cuore battere velocemente, probabilmente per tutte le emozioni che ci ha dato questa nottata, ancora da smaltire.
Lui ricambia l'abbraccio, accarezzandomi i capelli con una mano. «Sei stata brava.»
 
****************
 
La mattina dopo mi sveglio nel letto dei miei genitori con il mio pigiama addosso.
Mi volto verso sinistra ed un sorriso si apre sul mio volto: Thomas si è addormentato con me questa notte, mi tiene ancora stretta la mano.
Vorrei tanto non farlo ma mi alzo dal letto per andare di sotto a controllare Cameron, ma prima di farlo mi prendo un momento per guardare di nuovo Thomas avvolto fra le soffici lenzuola con addosso un pigiama smesso di mio fratello. Quando scendo le scale ho ancora il sorriso in volto.
Mi avvicino al divano, dove abbiamo sistemato Cameron per la notte, ma noto che invece dorme per terra in posizione fetale.
«Cameron?» faccio a voce bassa, ma lui non si muove. «Cameron!» dico a voce un po' più alta. Quando vedo di nuovo che non si muove, avverto un leggero panico. Non è sopravvissuto? Thomas avrà anche curato bene la ferita ma ha perso troppo sangue, vero?
Con tutti questi pensieri che mi ronzano in testa, è difficile decidere sul da farsi. «Dannazione, Cameron!» urlo.
Ed a quel punto Cameron spalanca gli occhi e si volta veloce verso di me con aria spaventata. 
Per un attimo rimango immobile. Non è... «Non sei morto.»
«Cosa? No! Che diavolo dici?»
Sbuffo. «Niente.»
«Cos'è? Ci sei rimasta male?» mette una mano dietro la nuca e si appoggia al pavimento.
«Non fare lo stupido. Non augurerei mai la morte a nessuno.»
«Ah, no? Da ciò che hai detto ieri al tuo fidanzato non mi sembrava che la pensassi così.»
«Lui non è il mio fidanzato, okay? E comunque ieri non ero me stessa. Capiscimi, mi faccio in quattro per salvare la vita di una persona rischiando anche la mia sicurezza per poi scoprire che quella è una persona cattiva.» mi pento subito dopo di averlo detto.
Cameron si alza in piedi, barcollando un po'. Mi sembra turbato. «Io... sarei una persona cattiva secondo te?»
Rimango senza parole. «Io... non intendevo...»
«E, dimmi, "principessa", quali sono i requisiti necessari per non essere più una brava persona, eh? Quando commetti qualcosa di sbagliato?» Si avvicina velocemente a me con uno sguardo che mi gela il sangue.
«Io...» comincio, ma non riesco a finire la frase. Ho sbagliato a dire quelle cose, non ci sono scusanti.
«Tutti possono commettere degli errori nella vita! Anche i Santi ne hanno commessi ed anche tu di sicuro.» Mi afferra i polsi così forte che subito cominciano a farmi male. Mi sento incapace di muovermi.
«Lasciami!» gli urlo.
«Sei solo una stronzetta arrogante che si crede perfetta, non meriteresti tutto ciò che possiedi. Dovresti solo vergognarti di te stessa.»
«Cameron, è vero, ho sbagliato a darti della cattiva persona, non avevo il diritto di farlo. Ma devi capirmi! Io non ho mai vissuto esperienze come questa, non so come comportarmi. Ahi!» Cameron continua a stringere la presa sui polsi. «Ti prego, Lasciami andare.»
«Solo ora che ho il controllo su di te mi tratti come una persona, vero?» mi fa sbattere sulla parete alle mie spalle così forte che per un attimo mi manca il respiro. Piango. Ho tanta paura.
«Ti meriteresti un sacco di dolore. Ma oggi sarò clemente, solo perché sono in debito con te e tu hai le mie armi. Altrimenti, se dovessimo fare a modo mio... non dico che ti farei morire ma... ci arriveresti molto vicina.» Ride. Una risata che mi lascia di sasso.
«Che diavolo succede qui?!» urla Thomas, appena sceso dalle scale e con addosso ancora il pigiama.
«Thomas!» urlo fra i singhiozzi.
«Lasciala andare, Cameron. Lei non ti ha fatto nulla» dice lui in modo duro, avvicinandosi a noi.
Cameron resta qualche attimo fermo, poi mi lascia andare, portandosi la mano al braccio ferito, mentre io comincio a massaggiarmi i polsi doloranti.
Probabilmente gli ha fatto male stringerli per così tanto.
Cameron si allontana ed esce in giardino.
«Stai bene?» mi chiede Thomas, guardandomi i polsi.
«S-sì...» Mi asciugo le lacrime. «Ora sì.»
«Posso?» dice, indicando preoccupato i miei polsi.
«Certo.» Glieli porgo e lui li avvolge entrambi nelle sue mani delicatamente, poi inizia a studiarli: li sfiora, li tasta, guardandoli da ogni angolazione.
«Meno male che sei arrivato tu. Ho avuto davvero paura che avrebbe potuto...» lascio la frase in sospeso.
«Cosa gli hai detto per farlo arrabbiare così?»
«Ecco... Potrei avergli detto che era... una cattiva persona.»
Thomas mi guarda. «Quindi tu mi stai dicendo che hai detto ad un adolescente che è in stato confusionale e che potrebbe essere un potenziale assassino, che è una persona cattiva?»
«Stai di nuovo dalla sua parte, ora? Anche dopo che mi ha fatto questo?» dico, arrabbiata.
«No. Non sono dalla sua parte. Ciò che ha fatto è totalmente sbagliato ed ingiusto.»
«Ma?»
«Ma hai agito in modo stupido.»
«È che... ho detto quelle cose senza volerlo. Non volevo dire che lui fosse una persona cattiva, semplicemente che ha fatto delle cose cattive.»
«Capisco. La prossima volta stai più attenta con lui.»
«L-la prossima volta? Hai ancora intenzione di farlo restare qui?»
«Tranquilla. Ci parlo io.» Mi lascia andare i polsi con un'ultima carezza. Come fa a restare così tranquillo in una situazione del genere? «I polsi sono solo un po' arrossati, se il dolore persiste ancora per oltre due ore, ti consiglierei di mettere una pomata.»
Ridacchio.
«Che hai da ridere?» mi chiede Thomas.
«Niente, è solo che...» Sorrido «Vuoi davvero diventare un medico come i tuoi genitori, vero?»
«Sì, è vero. Lo vorrei tanto.» Lui ricambia il mio sorriso. «Ora vai a fare colazione. Io faccio quattro chiacchiere con Cameron poi ti raggiungo.»
«Va bene.» Mi avvio verso la cucina, dove c'è la portafinestra che dà sul giardino, e mentre tiro fuori una tazza e del latte, osservo la scena di Thomas che si avvicina velocemente a Cameron e comincia a parlargli. Io non sento niente per via del vetro, tuttavia riesco a scorgere qualcosa negli occhi di Thomas. Non è tranquillo come prima mentre parlava con me, ma infuriato. Ha l'aria di una persona che ne sta minacciando un'altra, e forse è proprio ciò che sta facendo.
Per un attimo ho paura che parta una lotta tra i due, ma poi Cameron tende una mano e Thomas gliela stringe. Che si staranno dicendo?
Poi Thomas si allontana, tornando all'uscita da cui era arrivato, mentre Cameron si avvicina alla portafinestra della cucina ed entra con un sorrisetto sul viso.
«Ringrazia il tuo ragazzo se non andrai mai all'ospedale per colpa mia.»
Il mio cuore ha un sobbalzo.
Thomas mi ha salvata.

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Capitolo 14
*** La Partita ***


Capitolo 14:
La Partita
 
«Hei, bellezza. Sono venuto a prenderti.» Chris mi dà un bacio ma io mi stacco subito per la fretta.
«Aspetta solo un attimo» dico.
«A che punto sei?»
«Metto le scarpe e ti raggiungo subito.»
Corro alla scarpiera e prendo le scarpe bianche sportive. Ho optato per una tuta da ginnastica come outfit, dato che vado a vedere una partita di football. Sono così di fretta che la mia mente è concentrata solo sulle scarpe e non mi accorgo che Thomas si è avvicinato alla porta, dove è anche Chris, aspettando che io esca.
«Lo sai, vero, che non si dovrà mettere solo le scarpe e che ci metterà anche del tempo per trovare la felpa giusta?» dice Thomas con un sorriso.
Chris lo guarda per qualche istante con aria diffidente. «Tu saresti...?»
«Thomas» il tono della sua voce è quasi ostile.
«Chris.» Si stringono la mano. «Sei il fratello di Sasha?»
«No. Per niente
Restano a guardarsi in cagnesco per qualche secondo finché io trovo la felpa e li raggiungo. «Eccomi! Scusa il ritardo, adesso possiamo andare» accarezzo il braccio di Chris con un sorriso.
Lui ha uno sguardo strano. Fissa Thomas, poi d'improvviso mi afferra i fianchi e mi bacia, prima normalmente, poi con più foga.
Non capisco cosa stia succedendo ma non lo respingono. Del resto, Sasha farebbe così, giusto?
Chris fa scorrere le dita delle sue mani su tutta la mia schiena finché non arriva ai miei glutei. Li accarezza, poi li palpa una volta prima di staccarsi.
Sono così confusa da tutto questo che riesco solo a sorridere come una deficiente.
«Adesso possiamo andare» mi sussurra Chris nell'orecchio, poi scocca un'occhiata a Thomas, che ricambia con uno sguardo a metà tra lo stupito ed il deluso, ma sono così distratta in questo momento che non noto nulla. Poi, d'un tratto, Chris afferra di nuovo i miei fianchi e mi prende in braccio. Io, di riflesso, mi aggrappo con le gambe ai suoi fianchi e gli circondo il collo con le braccia mentre lancio un gridolino spaventato, poi scoppio a ridere e lo bacio.
Chris cammina con me in braccio fino alla limousine, poi mi lascia ed io mi giro verso Thomas urlandogli un distratto "a dopo".
Poi Chris ed io saliamo sulla limousine e partiamo.
 
****************
 
Non mi intendo molto di football, ma a quanto ho capito Chris sarebbe il quarterback della squadra, cioè il primo giocatore che prende palla e decide se passarla, lanciarla o tenerla per poi correre. Uno dei ruoli più importanti, insomma. Le cheerleader sono come ipnotizzate da Chris, hanno occhi solo per lui e non sono le uniche. Da quando Chris è sceso in campo la maggior parte delle ragazze non gli ha tolto gli occhi di dosso. Sono così patetiche! Non è neanche iniziata la partita!
Ad un certo punto l'arbitro fischia e tutta la platea si zittisce.
«Sta per aver inizio la partita di football tra Young e Hibee» dice nel megafono. «Gioco leale, mi raccomando. Buona fortuna!» L'arbitro abbassa il megafono e prende la palla. Sento l'ansia salire quando mette in bocca il fischietto ma, un attimo prima del fischio, sono talmente vicina al campo che riesco a scorgere il viso di Chris attraverso il casco che mi sorride e mi fa l'occhiolino.
Ridacchio ed in quel momento la partita ha inizio.
 
****************
 
"Non ti annoi alla partita di quel pallone gonfiato di Chris?" mi scrive Colin.
"Dài, non dire così. Chris è solo... superficiale" rispondo.
"Pallone gonfiato."
"Alla fine non è male stare qui, non sai che risate a guardare tutte quelle ragazze che sbavano dietro a lui."
"E tu? Non fai il tifo? Sei la sua ragazza, dopotutto."
"Nah. Sasha non farebbe il tifo."
Il mio cellulare vibra per un altro messaggio, ma non è di Colin. Vado nella sezione messaggi e leggo. È Theo. "Settimana prossima ci sarà un gala di beneficenza a casa mia ed i miei genitori insistono affinché io trovi una ragazza con cui andare. Non conosco molte ragazze della mia età, quindi ho pensato a te. Ehm... ovviamente non sentirti obbligata, cioè, se non vuoi non venire."
Sorrido. Non sono mai stata ad un gala. Potrebbe essere divertente. "Theo, sarò lieta di accompagnarti. Dimmi solo come mi devo vestire e fammi sapere i dettagli della serata."
Intanto, Colin aveva continuato a scrivermi. "Senti, i tuoi genitori devono tornare dopodomani, ed io ti avevo detto che avrei pensato a qualcosa da fare insieme. Domani stiamo a casa tua, porto io il film, tu fai i popcorn ;)"
Arrossisco subito. Io e Colin a casa... da soli... potrebbe succedere di tutto. Sorrido, ma subito dopo mi ricordo che non saremmo stati soli. A casa ci sarebbero stati anche Thomas e Cameron. In più, Thomas mi ha già visto con Chris, pensa che io stia con lui, quindi non potrei fare nulla di romantico con Colin. E Colin di questa storia non ne sa niente.
"In realtà... casa mia non è disponibile. È una lunga storia" rispondo.
"Capisco... hai già un altro dei tuoi ragazzi là, eh?"
"No! Per niente. Senti, per farla breve, un delinquente è entrato in casa mia mentre era ferito, ho chiamato un mio amico per curarlo, ed adesso stanno entrambi a casa mia finché i miei non tornano."
"Come ho detto io: hai uno dei tuoi ragazzi a casa."
"Ma cosa cavolo dici?"
"Sveglia! Il ribelle!"
Rimango un attimo scossa. Il... ribelle? Cameron sarebbe "il ribelle"?! Non voglio frequentarlo! Mi ha aggredito ieri!
"Ah" rispondo solo.
"Comunque, possiamo lo stesso guardare un film a casa mia."
Il mio cuore ha un sobbalzo. C-casa di Colin? Senza nessun altro?
"Sembrerebbe un buon programma" rispondo.
Metto a posto il cellulare nella tasca della tuta e torno a guardare la partita di football. Young, la squadra di Chris, sta vincendo con dodici punti di vantaggio ed è solo l'inizio del terzo tempo.
Sento qualcuno toccarmi la spalla e mi giro.
«Andrew!» esclamo, sorpresa. «Cosa ci fai qui?»
«La scuola mi ha chiamato per assistenza tecnica in aula computer» risponde con un sorriso. «Non sapevo che frequentassi questa scuola.»
«Già. Quindi... ti chiamano spesso? Lavori qui?»
«No, no. Questa è solo la seconda volta che mi chiamano. Magari avessi un lavoro!»
«Sono sicura che troverai qualcosa. Magari un giorno diventerai il nuovo Steve Jobs!»
Andrew ridacchia. «Comunque, ora devo andare» mi appoggia una mano sulla testa e mi dà dei leggeri colpetti. È strano, ma in un certo senso dolce. «È stato bello incontrarci con i vestiti addosso.» Ride, ed io dopo di lui. Veramente mi imbarazza un po' tornare su questo argomento, ma mi piace che lui riesca a scherzarci su con tanta facilità.
Lo saluto e lui si allontana. Certo che è strano che la scuola chiami una persona così giovane per aggiustare i computer. Vuol dire che Andrew dev'essere davvero bravo in ciò che fa. Deve aver fatto tanta pratica, deve essere...
Un momento.
Potrebbe essere... il nerd che cercavo.
Non mi suona male. Andrew è simpatico e gli enormi occhiali lo rendono particolarmente carino.
«Andrew!» lo chiamo.
Lui, un po' più lontano, si gira con aria interrogativa. Corro da lui e tiro fuori il mio cellulare. «Potresti lasciarmi il tuo numero di telefono? Ora che ci penso il mio portatile sta avendo un sacco di problemi.»
«Hai installato qualche virus?»
«Davvero non saprei dirti.» Certo che non lo so. Il mio portatile funziona benissimo.
«Va bene, allora ti lascio il mio numero. Verrò a controllare appena mi chiamerai.»
«Grazie.» Mi metto sulle punte e gli do un bacio affettuoso sulla guancia.
Ed è in quel momento che si sente un urlo di delusione dalla platea e, appena mi giro verso il campo da gioco, noto che Chris è fermo in mezzo al campo che mi fissa, come pietrificato. Un ragazzo della squadra avversaria, correndo, lo urta per sbaglio, Chris lo prende per il collo della maglietta e gli assesta una ginocchiata in pieno stomaco. Il ragazzo si accascia a terra, stordito.
Sta succedendo tutto così in fretta che non riesco neanche ad assimilare ciò che è appena successo.
Chris si toglie casco e paradenti e li butta a terra, infuriato.
Poi l'arbitro fischia.
Cartellino rosso.
Chris... cos'è successo?

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Capitolo 15
*** L'Innamorato ***


Capitolo 15:
L'innamorato
 
«Fatemi parlare con lui!» urlo.
«Frena, ragazzina! Sta parlando col coach, in più è in uno spogliatoio maschile. Tu sei un maschio? Mi pare proprio di no» mi risponde un ragazzo degli Young che hanno messo a fare da guardia alla porta.
«Non me ne frega un cavolo! Sono la sua ragazza ed ho il diritto di...»
Il ragazzo scoppia a ridere. «Tesoro, conosco Chris e se dovessi far entrare tutte le sue ragazze in questo spogliatoio, credimi, non ci starebbero.»
Questo ragazzo mi sta irritando. Lo so benissimo che non sono l'unica ragazza di Chris in questo momento, ma ciò che non può sapere è che non mi importa! È uno stupido esperimento per uno stupidissimo articolo! Voglio solo sapere che diavolo è successo.
Sento una voce urlare dallo spogliatoio. Dev'essere il coach. Sembra molto arrabbiato.
Ad un certo punto la porta si spalanca e il coach esce dallo spogliatoio.
«Allora?» chiede il ragazzo di guardia.
«Si è rifiutato di parlarmi. Per tutto il tempo ha continuato a pronunciare il nome di una certa Sasha!» urla il coach. «Dobbiamo trovarla, devo riuscire a parlare con Chris.»
Chris...
«Scusi, mi ha chiamata, per caso?» chiedo al coach.
«Eh?!» sbotta, sembra davvero arrabbiato. «Tu chi saresti?»
«Sono Sasha. Ero preoccupata per Chris, volevo entrare ma questo ragazzo non mi ha fatto passare.»
«Ah! Così sei tu Sasha!» il coach tira uno schiaffo alla nuca del ragazzo che stava di guardia. «Phil, sei davvero un deficiente!»
«Scusi, coach, non ne avevo idea...»
«Taci! Sasha, tu entra pure e cerca di farlo rinsanire, devo essere in grado di parlargli!»
«Certo, coach. Farò del mio meglio.» Entro nello spogliatoio e chiudo la porta dietro di me. Chris continua a camminare avanti ed indietro nevroticamente.
«Chris...» comincio. «Che diavolo è successo in campo?»
«Oh, no... non è questa la vera domanda. La domanda è: "che diavolo è successo fuori dal campo?"»
«Di cosa stai parlando?»
«Parlo di te che ti scopi lo sfigatello con gli occhiali ed il tuo caro "amico" Thomas» lo sguardo di Chris fa quasi paura.
«Chris, io non scopo con nessuno, chiaro?» cerco di sembrare un po' più calma, più "Sasha" ma è difficile in questa situazione.
«È tutto chiaro, non c'è bisogno che tu menta. Stamattina con quel Thomas che si vedeva lontano un miglio che non vedeva l'ora di toglierti i vestiti di dosso, ed ora che ti baci con quello sfigatello con gli occhiali.»
«È stato solo un amichevole bacio sulla guancia! Andrew è un amico di mio fratello, mentre Thomas, oddio... perché continuate a dirmi tutti che è il mio ragazzo? È solo un amico!»
«Che si è trasferito a casa tua? E magari avete anche dormito nello stesso letto, eh?» Chris ridacchia istericamente. «Sicura di esserti svegliata con le lenzuola pulite?»
«Smettila! Non ti permetto di offendere Thomas senza un vero motivo! Ti ho già detto che non ci sto assieme, dovresti credermi! In più, da che pulpito! Ho sentito dire che hai un sacco di ragazze in giro per la scuola, se non contiamo anche quelle che si sciolgono appena ti vedono. Direi che dovresti essere l'ultimo ad essere geloso!»
«Non sono geloso!»
«Sai, a casa mia, prendere a pugni il primo che incroci solo perché hai appena visto la tua ragazza parlare con un ragazzo si chiama gelosia.»
«Io...» Chris si ferma, appoggia la schiena al muro e si lascia scivolare fino a terra.
Mi avvicino lentamente a lui. «Che hai adesso?» chiedo.
«Cartellino rosso» bisbiglia. «Ho preso un cartellino rosso.»
«Sì. Qual è il punto?»
«Non ho mai preso un cartellino rosso, non mi sono mai distratto durante una partita, ho sempre giocato bene. Niente mi ha mai potuto distrarre ma oggi...»
«Oggi...?»
«Che mi stai facendo, Sasha? È la prima volta che provo gelosia, è la prima volta che faccio una cosa del genere. Può essere... che tu sia diversa, in qualche modo, che tu abbia qualcosa di diverso dalle altre.»
«E cioè?»
«Penso che tu mi piaccia.»
Rimango un attimo stupita. «Le altre non ti piacevano?»
«Le altre... sono fazzoletti. Sai, vedi una bella ragazza, ci vai a letto una o due volte, lo racconti agli amici ed è finita lì. Per la prima volta non so cosa fare con una ragazza. È come se tu fossi la mia prima cotta.»
«Aaah, capisco» salgo su di lui a cavalcioni con un sorriso e gli circondo il collo con le braccia. «Beh, ti do un consiglio. Se davvero ti piace qualcuno, devi fare ordine e buttare via tutti i fazzoletti.»
«T-tutti? Non posso neanche usarne uno o due prima?»
«No, direi proprio di no.» Sorrido maliziosamente e comincio a baciarlo.
Eppure... mi sento male.
Sto solo recitando, ma Chris no. A Chris piaccio davvero, e mi fa soffrire pensare che tra un mese e mezzo circa dovrò lasciarlo.
Gli spezzerò il cuore, e non so se riuscirò mai a perdonarmelo.
 
****************
 
Entro in casa e sono stupita di vedere Cameron stravaccato sul divano a fare zapping con aria annoiata.
«Com'è andata la partita?» mi chiede, come se fosse la cosa più ordinaria del mondo.
«Young ha vinto. Ovviamente. Anche se Chris ha ricevuto un cartellino rosso al terzo tempo» rispondo, appoggio le chiavi sul tavolino all'entrata e vado verso il divano. «Thomas dov'è?»
«È fuori.»
Sono stupita. Avevamo concordato di non lasciare Cameron da solo. «Fuori? E dove?»
«Poco dopo che sei andata alla partita, lui si è vestito di fretta ed è uscito. Doveva riflettere, penso.»
«E su cosa?»
«Sei davvero ottusa, principessa.»
«Come?»
«Davvero non l'hai capito? Insomma, anche io stamattina mi sono sentito male per lui.»
«Mi dici di che stai parlando, per favore?» Sospiro.
«Nonostante tu cerchi di negarlo sai benissimo che lui è innamorato di te, eppure amoreggi con un altro ragazzo in modo molto volgare mentre sai che lui ti sta guardando. È una mossa un po' da stronza, non ti pare?»
Resto di sasso. Thomas... è innamorato di me? «I-io non ne avevo idea. In più stamattina era la prima volta che Chris si comportava così, ed io ero talmente stordita che non mi sono accorta di niente.»
«Questo non dovresti dirlo a me, principessa» mi indica la porta. «Non può essere andato molto lontano, non avendo la patente, sarà qui in giro.»
«Grazie, Cameron.»
E mi affretto subito ad uscire dalla porta.

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Capitolo 16
*** La Verità ***


Capitolo 16:
La Verità
 
«Thomas!» urlo per l'ennesima volta. Sarà almeno mezz'ora che corro per il quartiere cercandolo.
Sfinita, mi fermo un attimo e prendo fiato. Almeno la tuta che ho messo per la partita di football è servita a qualcosa.
Ormai ho setacciato ogni angolo ed ogni strada del quartiere possibile. Non voglio più correre a vuoto. Prendo il cellulare dalla tasca e chiamo il numero di Thomas.
Attendo qualche secondo prima che mi risponda, mentre ascolto il mio fiato battere contro la cornetta.
«Ciao» dice, il suo tono è quasi allegro. «È successo qualcosa?»
Prendo un lungo respiro per cercare di tranquillizzare il fiatone. «Beh, sì? Te ne sei andato di casa!»
«Sì... avevo intenzione di tornare stasera. Mi spiace, avevo bisogno di farmi una passeggiata da solo.»
«Non ti ho chiamato per rimproverarti, Thomas. So perché sei uscito di casa e dovrei essere io a scusarmi.»
Thomas sospira. «Cameron ti ha parlato, vero?»
Sorrido. «Sì, Cameron mi ha parlato. Dove sei adesso?»
«Non lo so esattamente, ma so come tornare a casa tua. Aspettami lì, arrivo.»
Thomas chiude la chiamata ed io mi avvio verso casa. Quando arrivo, devo solo aspettare qualche minuto prima che Thomas arrivi.
«Eccoti» dico.
«Eccomi» risponde lui e subito dopo cala il silenzio.
Thomas si schiarisce la voce. «Scusa se ho lasciato Cameron a casa da solo anche se avevamo detto di non farlo.»
«Beh, la mia cucina non è esplosa e tutti stanno bene, quindi... non hai niente di cui scusarti.»
«Cosa ti ha detto Cameron?»
«Mi ha fatto riflettere, più che altro. E mi ha detto che... che tu... insomma...»
«Che sono innamorato di te da quasi tre anni?»
Rimango un attimo in silenzio. «Ed è vero?»
Thomas mi fa un sorriso dolce, un po' malinconico «Certo che lo è.»
«Era da un po' di tempo che lo sospettavo. Solo che, quando siamo andati a prendere il vestito per il mio appuntamento con Christopher, tu mi hai detto che dovevi incontrarti con una ragazza ed allora ho smentito la mia teoria. Chi era, a proposito? Non mi hai voluto dire niente...»
«Era... Ashley» ammette imbarazzato Thomas.
«Ashley del sondaggio? Quella Ashley?»
«Sì, lei.»
«Oh, e ci esci ancora?»
«Sì. Ogni tanto.»
«Ma... perché? Perché sei uscito con lei se sei innamorato di me?»
«Non sono uscito con nessuna ragazza per tre anni, mentre tu ignoravi completamente la possibilità che io e te potessimo stare insieme. Così ho deciso di voltare pagina. Io e te saremmo stati solo amici.»
C'è un attimo di silenzio. «Non... Non so cosa dire» comincio. «Mi sento uno schifo per come ti ho trattato stamattina, davvero. Mi dispiace, non sai quanto fossi distratta, non capivo nulla...»
«Non preoccuparti per quello, è stata soprattutto colpa della testa vuota che hai come ragazzo. A proposito, perché ci esci?»
«Me l'hai già chiesto, ricordi?»
«Sì ma quella scusa valeva solo per un appuntamento, cosa ti piace di lui tanto da spingerti a starci insieme?»
«È simpatico, davvero, anche se tutti pensano il contrario.»
«Ci sei già andata a letto?»
«C-cosa?! No! Assolutamente!»
«Eppure eravate molto in intimità stamattina.»
«Te lo giuro! Non è successo nulla tra noi.»
C'è un altro silenzio imbarazzante. «Quindi... tu ti vedi con Ashley ed io con Chris» ed un altro paio di persone. «Siamo a posto, giusto?»
«A quanto pare.»
«Bene. Vogliamo entrare in casa? Cameron ci starà aspettando.»
 
****************
 
«Cosa?! Jami si è rotto una costola?» esclamo al telefono.
«Sì, un ragazzo l'ha sfidato a skateboard e... non è finita bene. Puoi immaginare quanto sia entusiasta tuo padre» risponde mia madre, anche lei un po' seccata.
«Quindi quando tornerete?»
«Ritarderemo di una settimana circa. Vogliamo lasciare riposare Jami per un po'. Tu te la caverai? Vuoi che io o papà torniamo a casa?»
«Tranquilla, mamma, è tutto a posto. Mi puoi passare Jami?»
«Adesso sta dormendo, ma ti faccio richiamare.»
«Okay. Buonanotte a tutti quanti.»
«Buonanotte, tesoro.»
Chiudo la telefonata.
«È successo qualcosa?» chiede Cameron.
«I miei staranno fuori ancora una settimana per colpa di mio fratello, che si è rotto una costola come un deficiente.»
«Oh, mi dispiace.» Cameron si siede sul divano accanto a me, ma appena lo fa io mi alzo, inquieta. Ogni volta che lo vedo mi tornano in mente le sue mani che stringono i miei polsi, la furia nei suoi occhi, la mia mancanza di respiro... e Colin vuole che sia lui uno dei miei "fidanzati"?
Cameron capisce subito perché mi sono allontanata. «Giusto.» Sospira. «Non ti ho ancora chiesto scusa per ciò che è successo l'altro giorno, io... ero fuori di me. So di non essere un grande esempio di persona, ma non mi piace che me lo dicano, perché io non mi ci sento. Spaccio droga, non uccido persone. Certo, mi è capitato a volte di doverne picchiare un paio ma era solo lavoro. Se non sto lavorando, sono solo un ragazzo normale, magari solo un po' più fico.» Ridacchia. «Kate, non puoi criticare un ragazzo per ciò che è costretto a fare per avere qualche spicciolo quando tu invece vivi sotto una campana di vetro con un bel ragazzo, una famiglia e tutto il resto.»
Colgo una punta di amarezza nel suo tono.  «Ti sbagli dicendo che la mia vita è perfetta» abbasso lo sguardo. «Se sapessi tutto ciò che mi è successo in queste ultime settimane...»
«Racconta, allora, ne ho sentite di ogni, ormai, in riformatorio.»
«Io...» comincio. Non posso dirglielo! Non posso! E se andasse a dirlo a qualcuno? Addio articolo, addio Colin, addio migliore amico. D'altra parte, Cameron è l'unico ribelle che ho trovato e mi devo sbrigare a frequentarlo, ma lui sa che sto con Chris, in più penso che abbia un'intesa con Thomas, e se è così, per rispetto non si avvicinerà mai a me. Quindi l'unica alternativa è dirgli la verità e sperare che accetti di essere il mio finto-fidanzato. In più, ho davvero bisogno di parlare con qualcuno dell'articolo.
«Innanzitutto, non mi chiamo Kate» dico, e mi siedo sul divano, un po' distante da lui. «Ti ho mentito.»
«Cosa? E perché avresti dovuto farlo?» risponde Cameron.
«Perché non ti conoscevo e magari poteva saltare fuori il mio vero nome con uno di quelli che volevano ucciderti e quindi sarebbe potuto tornare per uccidere anche me.»
Cameron resta un attimo in silenzio. «In effetti non ci avevo pensato, io non lo direi mai se non costretto sotto tortura, e se questo caso si avverasse saresti in pericolo, quindi non dirmi il tuo vero nome.»
«P-potrebbero torturati?»
«Non lo so. Sicuramente ne sarebbero capaci» il suo tono è calmo.
«E questo non ti spaventa?»
«A morte. Ma continua il tuo racconto.»
Ed è così che, un po' impacciata, racconto a Cameron tutti i miei segreti: l'articolo, i ragazzi, i nomi falsi, le nuove identità, le bugie...
E, sorprendentemente, alla fine del mio discorso, Cameron comincia a ridere e ridere per almeno un minuto.
«Sei davvero stupida, principessa.»
«Cosa?!»
«Hai accettato di prostituirti solo con la speranza che un giorno tu e questo Connor vi mettiate insieme.»
«Si chiama Colin! So che così può sembrare strano ma... è solo per un paio di mesi, poi tornerà tutto normale.»
«E, per curiosità, credi che Connor stia con te perché gli piaci o perché vuole agevolati il lavoro?»
«È "Colin"! E comunque non lo so con certezza, ma non penso che lo farebbe. Se no avrebbe fatto una versione dell'articolo al maschile con lui come protagonista.»
«Sarà, ma... mi hai raccontato tutto questo solo perché avevi bisogno di qualcuno che prendesse le parti del ribelle?»
«Beh, uno degli scopi era quello, me l'ha consigliato Colin.»
«Capisco.»
«E... a te andrebbe bene?»
«Poter baciare una ragazza ogni volta che voglio senza nessun motivo? Ovvio che mi andrebbe bene. Ma non mi sembra che tu ti sentiresti al settimo cielo.»
«Come?»
«Ripensa a poco fa, se non riesci a sopportare che ti stia vicino, come potrai accettare che io ti tocchi?»
«Ce la farò in qualche modo» mi sforzo di sorridere, anche se so che mi riuscirà molto difficile.
Cameron mi guarda, e dopo un istante allunga lentamente una mano verso il mio viso, ma appena si avvicina mi ritraggo. Non ci riesco.
«Ci vorrà del tempo» dice. «Non volevo causarti questo trauma, mi dispiace.»
Cameron si alza dal divano e va verso le scale, ma prima di salire si ferma. «Riguardo a Colin, stai attenta. Come ti ho detto, si è disposti ad essere tutt'altra persona sul lavoro, pur di raggiungere un risultato.»

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Capitolo 17
*** Il Blackout ***


Capitolo 17:
Blackout
 
Io e Colin siamo seduti sul divano, io con i piedi sulle sue cosce e lui che si mangia sorridendo dei popcorn.
Stiamo guardando un vecchio film romantico, di quelli ancora in bianco e nero, ed è da un po' che sento una sensazione di commozione al petto. Il marito della protagonista è appena morto e lei non riesce a smettere di gridare. Quando, ad un certo punto, proprio mentre nel film bussano alla porta e qualcuno sta per entrare in casa, la televisione si spegne, come il resto delle luci della casa.
«Ma cosa...» comincio.
«Blackout» mi anticipa Colin, un po' irritato. «Tranquilla, succede spesso, è un palazzo vecchio, dobbiamo solo aspettare che riparta il generatore.»
«Okay» dico. «Ed intanto che facciamo? Non riesco neanche a vederti.»
«Beh...» sento Colin che appoggia qualcosa sul tavolino affianco al divano, probabilmente il contenitore dei popcorn. «Io un'idea ce l'avrei. Ed è un'idea per cui non servono le luci.» sento le mani di Colin sfiorarmi i polpacci, salendo lentamente verso le cosce, e mi viene istintivo mettermi seduta.
Ridacchio, un po' per la situazione e un po' per il solletico che Colin mi sta provocando. «Ah, davvero?»
C'è un attimo di silenzio in cui Colin raggiunge i miei fianchi con le mani, sale ancora, raggiunge le spalle e sento che mi spinge delicatamente verso il basso. «Resta stesa» mi dice.
«Okay.» Mi lascio trasportare la schiena al divano dalle mani di Colin, che tornano subito dopo ai miei fianchi.
Sento che, delicatamente, la cerniera della mia gonna viene slacciata, Colin la sfila e la lascia cadere a terra.
Poi, sento la sua bocca baciarmi una coscia, dopo la pancia, infine sento il suo respiro arrivare al mio viso.
Mi bacia ancora e ancora mentre porta le mani all'orlo della maglietta e velocemente me la sfila.
Avvolgo le mie braccia attorno al suo collo, passo le mani tra i suoi capelli, poi comincio a slacciargli la camicia, dal primo all'ultimo bottone, quando ho finito, lui se la sfila, fa passare le sue mani sotto alla mia schiena e mi tira su, adesso sono sopra di lui, sopra le sue gambe.
Colin mi bacia il collo e, nel buio, cerca il gancetto del reggiseno.
È bellissimo stare così, nell'oscurità, dà un che di misterioso: non so quale sarà la prossima mossa, dove toccherà o cosa farà.
Ma lo fermo, senza dire una parola.
Mi sembra troppo presto, siamo solo al secondo appuntamento, se contiamo anche la cena di quando ho fatto il sondaggio. Ho detto a Chris che avrebbe dovuto aspettare minimo il terzo appuntamento, mi sentirei un po' ipocrita. Dopotutto, però, a me Chris non piace, Colin invece sì ma... lui prova la stessa cosa per me?
«Che succede?» mi chiede Colin. «Stai bene?»
«Sì, benissimo...» rispondo.
«Allora che c'è?»
«Colin...» esito. «...io ti piaccio?»
Colin resta un attimo in silenzio. «Perché me lo chiedi?»
«Ho questo stupido dubbio da quando mi hai baciata la prima volta, e recentemente è aumentato.»
«Tu pensi... che lo faccia solo per il giornale?»
«Non lo so.»
Colin ride, riporta le mani al gancetto del reggiseno e lo sgancia. «Stupida» dice, e mi sfila il reggiseno con un piccolo bacio sulle labbra, lanciandolo tra gli altri indumenti a terra.
Sorrido, sollevata. È vero, sono una stupida. Come ho potuto anche solo pensarlo?
Gli butto le braccia al collo e lo bacio, premendo il seno contro il suo petto.
Colin fa di nuovo pressione affinché mi stenda, poi mi sale sopra e mi bacia il collo.
È così bello... troppo bello. Vorrei che succedessero molto più spesso i blackout quando sono con Colin.
Lui sta per togliersi i pantaloni, quando sentiamo la serratura della porta scattare.
Entrambi restiamo immobili per qualche attimo, sperando che quel rumore sia stato solo frutto della nostra immaginazione, ma sentiamo la porta aprirsi e qualcuno chiamare il nome di Colin, facendoci capire che non è così.
 
****************
 
«Colin?» dice di nuovo la voce. «È saltata di nuovo la luce?»
«Chi è?» sussurro a Colin.
«Tranquilla» mi dice, ma riesco a percepire dalla voce che anche lui è agitato. «Vicino alla televisione c'è una coperta, puoi coprirti con quella se ci arrivi.»
«Colin? Dove diavolo sei?» continua la voce, un po' irritata.
«Vai!» mi dice Colin.
Un po' esitante, cerco di farmi strada nel buio per prendere la coperta.
La luce si accende.
Resto ferma, con il cuore in gola. Il mio cervello si è come spento: non riesco a fare nulla.
Fortunatamente, con uno scatto, Colin mi copre con un caldo abbraccio, appena prima che l'uomo della voce potesse vedermi.
Incrocio il suo sguardo oltre la spalla di Colin. Sembra perplesso.
«Papà!» esclama Colin. «Sei tornato prima.» Colin allunga un braccio, prende la coperta e me la avvolge attorno al corpo. Ora mi sento un po' meno in imbarazzo, anche se non mi ero immaginata proprio così l'incontro con il padre di Colin.
«Ti ho inviato un messaggio. Ma probabilmente eri troppo impegnato con la signorina» dice, lanciandomi uno sguardo scocciato.
Mi mordo il labbro non sapendo cosa dire e mi stringo più forte alla mia coperta.
Colin si avvicina al padre. «Ti giuro che non è successo nulla.»
«Davvero? Perché a me sembra che tu abbia invitato una ragazza a casa per fare sesso mentre io ero in viaggio per lavoro.» L'uomo sospira. «Non me lo aspettavo da te, Colin.»
Colin resta in silenzio, a sguardo basso, poi il padre gli alza il mento con una mano, e con l'altra gli assesta uno schiaffo sulla guancia.
Ho un sobbalzo. Non mi aspettavo reagisse così.
Colin non risponde e non osa guardare in faccia il padre.
«Non lo dirò a tua madre, ma tu vedi di rimettere a posto questo... bordello» dice l'uomo, poi entra in un'altra stanza e chiude la porta.
Mi precipito subito da Colin. «Stai bene?» gli chiedo, appoggiandogli una mano sulla spalla.
«Sì» risponde freddo. «Ora vestiti.»
«C-certo.» Raccolgo i miei vestiti e vado in bagno a vestirmi per poi uscire pochi minuti dopo con la coperta in mano.
Colin è seduto sul divano, lo sguardo triste e non si è neanche preso il disturbo di rimettersi la camicia.
Non so perché, ma penso che non sia la prima volta che il padre lo tratti così.
Mi avvicino a lui, gli metto la coperta sulle spalle e gli bacio la guancia arrossata. «Grazie della bellissima serata» dico.
Colin sorride sarcasticamente. «Bellissima, dici?»
«Non mi capitava da tempo di provare ciò che mi hai fatto provare tu stasera. Grazie, Colin.» Lo bacio per qualche secondo. «Però... vorrei parlare con tuo padre.»
Colin ride. «Non se ne parla!»
«Voglio chiarire un paio di cose con lui.»
«No, davvero, non...»
«Signor Fresh!» chiamo.
«Ma cosa fai? Stai zitta!»
«Signor Fresh!» chiamo di nuovo, ed infatti eccolo uscire dalla stanza in cui si era chiuso.
«Che succede?» chiede.
«Volevo solo che sapesse che tutto questo non era programmato. Colin mi ha invitato qui a vedere un film e le cose sono un po' degenerate col blackout. Non mi ha in alcun modo pagata, se è ciò che sta pensando, ed è stato tutto uno spiacevole incidente. Insomma... se non ci fosse stato il blackout non penso sarebbe mai successo tutto questo, davvero.» Riprendo un attimo fiato. «Quindi, per favore, non punisca Colin. È davvero un ragazzo d'oro. Se cerca qualcuno con cui prendersela è libero di darmi la colpa di tutto, ma lasci fuori Colin.»
Il padre di Colin sorride. «Che ragazza coraggiosa che sei. Prenderti carico di tutto e parlare apertamente ad uno sconosciuto che per poco non ti ha vista nuda.»
Ridacchio, un po' imbarazzata. «L'ho convinta, allora?»
«Direi di sì.» Il Signor Fresh tende una mano ed io gliela stringo. «È stato un piacere, signorina...?»
«Oh, non ha importanza come mi chiamo» dico. «Beh, arrivederci.»
«Arrivederci.»
Così esco di casa e, appena dopo aver chiuso la porta, mi arriva un messaggio da Colin.
"Grazie."

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Capitolo 18
*** Il Latte e i Biscotti ***


Capitolo 18:
Il Latte e i Biscotti
 
Nel pomeriggio seguente, ho chiamato Andrew perché venisse a riparare il mio computer, che avevo passato tutta la mattina a riempire di virus.
«Non capisco» dice Andrew, scorrendo la lista dei problemi di sistema sul computer.
«Cosa?» chiedo.
«Hai detto che hai questo computer da pochi mesi, come fai ad aver installato tutti questi virus? Sono più di cento!»
«Non saprei proprio...»
«In più, tu hai un buon antivirus, solo col tuo permesso avrebbe potuto installarli...»
Sorvolo l'argomento. «Quindi, li puoi togliere o no?»
«Sì, certo, non sarà difficile. Sono tutti virus a basso rischio, quindi non penso ci metterò molto.»
«Va bene. Ti lascio solo allora.» Gli accarezzo una spalla, sperando di provocargli qualche brivido, ma lui non se ne accorge neanche, troppo concentrato sul computer. «Avvertimi quando hai finito.»
Uscendo dalla mia stanza con un po' di delusione in volto, noto che Cameron è in piedi appena fuori dalla porta.
«Adesso mi segui?» chiedo, chiudendo la porta.
«Affatto» risponde. «Ma mi diverte vederti cercare di sedurre un mago dei computer mentre è già col suo amore più grande.»
«Stai dicendo che non mi guarderà mai finché sarà al computer?»
«Cavolo, sei sveglia» mi risponde con un sorriso beffardo.
«Ma io l'ho fatto venire a casa apposta perché mi riparasse il computer e poi tornasse a casa. Certo, era solo una scusa ma finché lui non lo capisce...»
«Dovrai trovare un modo per staccarlo da lì, allora. Oppure...»
«Cosa?»
Cameron sorride. «Fai in modo che ti guardi.»
Resto un attimo ferma a pensare. Fare in modo che mi guardi...
«Capito» dico. «Grazie, Cameron.»
Ritorno in camera mia, dove c'è anche Andrew, e apro l'armadio.
Vediamo... cosa potrebbe piacere a Andrew? Io punterei sullo stile casual, molto casual, ad esempio un abbigliamento da casa, comodo ma carino.
Cerco un po' in giro ed alla fine decido di indossare un maglietta larga di quelle che lasciano una spalla scoperta e un paio di pantaloncini vergognosamente corti, Andrew non si accorge di nulla ed io esco di nuovo dalla camera per andare a cambiarmi in bagno. Una volta uscita, vado in cucina sistemandomi disordinatamente i capelli con un mollettone.
Apro il frigo. Non c'è molto da mangiare. In realtà non c'è nulla a parte del latte e delle uova. Prendo il latte e lo verso in due bicchieri, poi apro la dispensa. Anche qui c'è poco, ma mi accontento e prendo dei biscotti. Sistemo tutto su un vassoio ed aggiungo una cannuccia ad entrambi i bicchieri di latte.
Faccio un lungo sospiro ed afferro il vassoio.
Si va in scena.
Salgo le scale e torno in camera mia. Lì trovo Andrew che sta ancora lavorando al computer, non sembra neanche essersi accorto che sono entrata.
«Ciao» dico, avvicinandomi a lui.
«Uh?» fa lui, come se l'avessi svegliato dal sonno. Mi dà giusto un'occhiata veloce. «Oh, non ho ancora finito.»
Sorrido. «Lo vedo.» Appoggio affianco a lui il vassoio. «Ma ho pensato volessi qualcosa da sgranocchiare.»
Andrew guarda il vassoio. «Grazie.» Sorride. «Aspetta un attimo...» Andrew clicca qualche volta sulla tastiera, poi preme invio e sullo schermo appare una finestra di caricamento. «Okay, mentre si carica mi concederò una pausa.» Prende un biscotto dal vassoio e lo porta alla bocca, ma prima di morderlo alza lo sguardo e finalmente sembra notarmi.
Resta fermo, con la bocca aperta ed il biscotto in mano.
«Qualcosa non va?» chiedo, con un sorriso. So benissimo cosa non va...
Andrew sembra riprendersi. «C-cosa? No, nulla, sto...» Si schiarice la voce. «Hai cambiato vestiti?»
«Avevo caldo.» Prendo un quaderno lì vicino e lo sventolo verso il mio viso. «Ed a dire il vero anche adesso la situazione non è cambiata.» Sospiro.
«Ma ci saranno massimo venti gradi!»
Ops. «In effetti hai ragione... è strano che abbia caldo.»
«Già.» Si vede che Andrew è nervoso: continua a passarsi le mani sui pantaloni e a distogliere lo sguardo.
«Già» gli faccio eco, poi cala un teso silenzio per qualche secondo.
«Sai,» comincio. «ho recentemente ripensato ai due, "incidenti" che ci sono capitati in queste ultime due settimane. E sono giunta ad una conclusione.»
«Una... conclusione? Quale?»
«Quando è successo non riuscivo a guardati in faccia senza arrossire o balbettare, ed i giorni seguenti cercavo di non pensarci per non sprofondare nell'imbarazzo. Ma, come ti ho detto, recentemente ci ho ripensato.»
«E...?»
«E per la prima volta non ho provato imbarazzo. Anzi, ero quasi... felice.»
«C-cosa intendi?»
«Vuoi proprio sentirmelo dire?»
Andrew non risponde. Io prendo i braccioli della poltrona girevole su cui è seduto e la giro verso di me. Avvicino il viso al suo, concendendogli la vista di una più che generosa scollatura. «È perché mi piaci, stupido.» Mi avvicino ancora di più, sfioro il suo naso col mio e lo bacio.
Lui all'inizio non ricambia il bacio, ma poco dopo si lascia andare e mi prende la testa tra le mani.
Quando mi stacco da Andrew, lui sta sorridendo ma appena anche io gli sorrido, la sua espressione cambia drasticamente.
«Oh mio Dio! No, no, no, no, no, no, no, no!» mi spinge via e si alza dalla poltrona.
«Cosa c'è?» chiedo, scossa.
«Non... non posso mi dispiace.»
«Cosa? Ma ci siamo appena...»
«Lo so, lo so, e mi dispiace tanto, davvero tanto ma... mio Dio! Sei minorenne!»
«E quindi? Ho diciassette anni, non dodici. Sono perfettamente in grado di scegliere chi baciare.»
«Lo so ma... prova a dirlo ai tuoi genitori! E poi... oddio, tuo fratello mi ucciderà.»
«Lascia perdere mio fratello!» Mi avvicino a lui e gli prendo le mani. «Io prima ho sentito qualcosa e so che l'hai sentita anche tu. Non è questo ciò che dovrebbe contare?»
«Non lo so...»
«E poi non dobbiamo per forza dirglielo, no?» Sposto le mie mani sul suo petto.
«In effetti...»
«E allora...» gli tolgo gli occhiali e li appoggio sulla scrivania. «Cosa aspetti?»
Andrew esita ancora un attimo. «Nulla.» riponde e, dopo un breve sorriso, mi bacia.
Sento suonare il campanello di casa. Potrebbe essere Thomas che è tornato, ormai sta più qui con me che a casa sua. Menomale che i suoi hanno poco tempo libero e non se ne accorgono più di tanto.
«Vado ad aprire» dico e gli do un ultimo bacio a stampo prima di andare alla porta con un sorriso stampato in viso.
Apro la porta e vedo un postino con in mano un enorme scatola, sottile ma molto larga, con il mio nome sopra. Strano, non aspettavo nulla.
«Una firma qui, prego.» mi dice il postino, porgendomi un foglio ed una penna. Firmo il tutto, prendo il pacco, saluto il postino e chiudo la porta.
«Chi era?» chiede Cameron. Da quanto è nella stanza?
«Solo il postino. Mi ha consegnato un pacco, anche se non aspettavo nulla» rispondo.
«Chi te lo manda?»
Guardo la targhetta sul pacco. «Theo?»
«Era... il ragazzo che dipingeva, giusto?»
«Sì. Chissà cosa mi avrà mandato...» Mi inginocchio a terra ed appoggio il pacco davanti a me. Cameron mi porta delle forbici ed io apro la scatola tagliando lo scotch che chiude i lati. C'è della carta velina bianca che copre qualcosa con appoggiato sopra un biglietto. Lo prendo e lo leggo.
 
"Spero sia di tuo gradimento, ho immaginato non avessi un vestito da gala, quindi ho tentato di indovinare le tue misure, spero siano giuste.
Theo."
 
Rimuovo la carta velina e scopro un bellissimo abito da sera bianco panna.
Lo afferro dalle delicate spalline e lentamente lo tiro fuori dal pacco, alzandomi in piedi. La gonna è a più strati, soffice, la scollatura è a cuore e all'altezza dello stomaco ci sono tanti piccoli brillanti che sembrano formare una cintura.
È bellissimo. Non ho mai visto nessun vestito più delicato e bello di questo.
«Qualcuno qua si è preso una cotta!» dice Cameron.
«Cosa?» chiedo, risvegliata dall'incanto del vestito.
«Regalare fiori e gioielli ci può stare come gentilezza, ma regalare vestiti di questo genere... sì, penso proprio che sia cotto.»
«Quanto sarà costato?» chiedo.
«Non sono un esperto ma scommetto qualche migliaio di dollari.»
«Migliaio?!»
«Beh, si capisce solo guardando il tessuto, così delicato e con un sacco di strati leggeri sulla gonna.»
Piego il vestito e lo rimetto nella scatola. «Non posso accettarlo.»
«Cosa? Sei impazzita? E come vorresti andarci al gala, in tuta? Se non te lo metti verrai umiliata appena entrata nella sala. Hai bisogno di quel vestito. O hai qualche miliardo di dollari sotto il letto?»
«Hai ragione ma...»
«Ascoltami» continua Cameron. «Se proprio non lo vuoi tenere, dopo il gala glielo potrai restituire ma, ti prego, almeno per quella sera mettilo. In più il signorino "sono triste perché nessuno capisce la mia arte" sarebbe deluso e offeso se non lo facessi, è meglio accettarlo.»
Passo le dita sul delicatissimo tessuto del vestito. È vero, Theo ci rimarrebbe male. Sospiro e mi giro verso Cameron. «Beh, spero di non sporcare il vestito.»

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Capitolo 19
*** Il Gala ***


Capitolo 19:
Il Gala
 
Tic tac.
Sono ancora a lavoro ed aspetto solo che l'orologio segni le otto per finire il mio turno ed andarmene a casa.
Tic tac.
Non riesco a smettere di guardare l'ora, quasi con la convinzione che facendolo il tempo scorra più velocemente, mentre invece resta solo una lenta agonia.
Tic tac.
Oh! Non posso credere che tra poco sarò ad un gala di lusso circondato da ricconi con vestiti da quattromila dollari l'uno! E chissà come si vestirà Theo!
Tic...
Bene, ho un'ora per andare a casa e cambiarmi, prima che Theo mi passi a prendere. Tre... due... uno...
...tac.
«Sì!» esulto, afferro la mia borsa e corro fuori dal ristorante.
Percorro qualche metro, attraverso la strada e prendo il taxi che avevo chiamato per stasera. Solitamente prendo i mezzi per andare e tornare da lavoro, ma ci metto sempre almeno tre quarti d'ora, e non avrei mai fatto in tempo per il gala di stasera.
Arrivata a casa, salgo in camera e butto a terra borsa e vestiti, apro l'armadio e prendo la confezione del vestito. Delicatamente, lo tiro fuori e lo appoggio sul letto in modo da non formare pieghe, vado in bagno e mi rinfresco, aggiungendo ai miei capelli una quantità di profumo esagerata, poi prendo il mascara e lo applico delicatamente sulle ciglia, tiro fuori il lucidalabbra e metto anche quello. Mi guardo allo specchio e sorrido. Stasera mi sento davvero carina.
Torno in camera ed indosso il vestito facendo attenzione a non rovinarlo. Devo ammetterlo, avere addosso più di duemila dollari di tessuto mi mette un po' sotto pressione, ma con questo vestito mi sento proprio una principessa.
Qualcuno bussa alla porta.
«Entra pure» dico.
Credevo fosse Cameron, invece vedo Thomas varcare la soglia della mia camera «Ti ho sentito entrare in casa e... oh, ti stai ancora cambiando, scusa.» Fa per andarsene, ma lo fermo.
«No, anzi, avrei bisogno di una mano con la zip, potresti...?»
Thomas sorride. «Ma certo.» Si posiziona dietro di me, ma lo sento indugiare quando sfiora la mia pelle ancora scoperta.
«C'è qualche problema?» chiedo.
«N-no.» balbetta lui, e allaccia la zip. Mi guarda riflessa nello specchio e sorride. «Sei incantevole» dice.
Arrossisco. Da quando ho scoperto che lui è innamorato di me non ci sono stati grandi scambi di parole fra di noi. «Grazie» rispondo.
Si sente qualcuno suonare il campanello.
«Dev'essere Theo» dico. «Potresti aprire tu? Io devo prendere il coprispalle, poi ti raggiungo.»
«Certo.» Thomas mi guarda ancora per qualche secondo. «Theo è un ragazzo fortunato.» Esce dalla porta e di lui mi rimane solo il rumore dei suoi passi che scendono le scale.
Cerco nell'armadio e trovo poco dopo il mio coprispalle bianco. Dovrei scendere e salutare Theo ma mi prendo un momento per riflettere: per qualche motivo, dopo che Thomas è uscito dalla stanza, mi sento strana. Mi siedo delicatamente sul letto ed affondo il viso tra le mani, ed è in quel momento che scopro la mia guancia sinistra bagnata. Giro lo sguardo verso lo specchio e noto che una piccola lacrima mi ha rigato il volto.
Perché?
La mia domanda trova subito risposta: è per Thomas. Per il senso di colpa che mi attanaglia lo stomaco ogni volta che mi parla, che mi tocca.
Oh, Thomas, mi dispiace tanto... mi dovevi capitare proprio tu... sarebbe tutto più semplice se tu non mi amassi. Vorrei non averlo mai scoperto. Adesso sento il nostro rapporto diverso, cambiato in peggio. Vorrei tanto tornare indietro, a quando ancora non sapevo della tua cotta.
Magari, se me l'avessi detto prima di tutto questo... la mia risposta sarebbe potuta cambiare.
 
****************
 
«Ti stai divertendo?» mi chiede Theo tra il chiasso delle persone che parlano.
«In realtà... non ho ancora parlato con nessuno, mi hanno solo fermato un paio di persone per chiedermi chi fossi. Devo sembrare davvero fuori posto qui» rispondo.
«Non dire sciocchezze, sei bella esattamente come qualunque altra donna in questa sala» dice, poi si sistema la cravatta argento, in perfetta armonia con il suo completo bianco. «Anzi, forse un po' di più.» Arrossisce.
Sorrido. «Grazie.»
Entrambi ci guardiamo negli occhi, in silenzio, senza neanche sentire il bisogno di dire una parola, finché qualcuno arriva ad interromperci.
«Oh. Guarda chi abbiamo trovato! La coppia in bianco della serata.»
Mi giro e vedo un uomo sui vent'anni a braccetto con una ragazza più o meno della sua età, entrambi intenti a guardarmi dall'alto in basso.
«Charlie, posso presentarti Erika? È la mia accompagnatrice per la serata. Erika, lui è Charlie, mio fratello maggiore, e l'incantevole signora al suo fianco è la sua fidanzata, Catherine.»
«Via, Theo» fa lei con tono di simpatico rimprovero. «Non sono una "Signora", penso mi manchi ancora un bel po' prima di esserlo.»
«Sì ma molto poco ad essere la mia signora» risponde Charlie.
«Cosa intende dire?» chiedo.
«Tra circa un mese ci sposeremo» dice lei, con un sorriso compiaciuto. «E tra dieci mesi cominceremo a cercare di concepire il primo figlio. Abbiamo già programmato tutto, non vorremmo mai che il bimbo nascesse in inverno, vero amore?»
«Vero. Un periodo bruttissimo a nostro parere» risponde lui.
«Concordo pienamente» dice Theo. «Ah! Catherine, potresti venire con me un momento? So quanto ti piacciono i violoncelli, e volevo giusto farti vedere l'ultimo acquisto nella nostra sala musica.»
«Finalmente qualcosa di interessante a questa festa! Vengo subito con te. Non ti dispiace, vero amore?»
«No di certo. Vai pure» risponde Charlie.
Catherine gli stampa un bacio sulle labbra, poi prende sotto braccio Theo e si allontanano insieme, lasciando soli me e Charlie.
«Theo è davvero un ragazzo gentile» dico, senza quasi rendermene conto.
«Penso che la sua gentilezza sia solo una forma di autodifesa per il suo fragile cervello»
Rimango qualche secondo interdetta. «Non La seguo» dico alla fine.
«Non ha mai avuto tanti amici, quindi penso che l'essere gentile sia dato dal fatto che vuole terribilmente farsi ben volere dalla gente.» Charlie beve un sorso di vino rosso dal suo bicchiere. Anche io ne ho uno in mano da quando è iniziata la serata, l'ho preso per educazione, anche se il vino non mi piace. «Poverino. Mi fa proprio pena» continua Charlie. «Ma, dopotutto, gli incidenti restano incidenti. Non ci si può aspettare molto da uno così.»
«"Uno così"?»
«Non per fare pettegolezzo, è chiaro, ma i miei genitori volevano avere solo un figlio: me. Poi è arrivato Theo. Gli incidenti capitano, dopotutto. Anche se, mia madre ha detto più volte che se potesse tornare indietro, non rifarebbe più lo stesso errore di dargli la vita.»
Resto basita. Come si possono dire certe cattiverie del proprio fratello? E con quella arroganza e schiettezza, per di più. Stringo più forte la mano attorno al bicchiere ed abbasso lo sguardo, specchiandomi nel riflesso del vino. Noto che ho gli occhi lucidi. «Perché mi sta dicendo queste cose?» dico, senza neanche alzare lo sguardo.
«Oh, mia cara, per metterLa in guardia. Nessuno dovrebbe avere a che fare con mio fratello. Poverino, gli voglio bene ma... è così strano, quasi sbagliato. Penso sia questo il risultato di crescere un figlio che nessuno ha mai voluto. È per prevenire questo che io e Catherine programmiamo tutto per nostro figlio. Vogliamo che cresca al meglio. Non vorremmo mai che...»
Charlie continua a parlare mentre io assorbo tutte le parole cattive che dice e le trasformo in rabbia. Parla di Theo come se fosse uno scarto della società.
Non lo posso sopportare.
Lui non è così. È un ragazzo fantastico, che si meriterebbe molto di più di essere considerato come un peso. Meriterebbe qualcuno che lo ami, che gli stia vicino. Qualcuno...
La mia mano si muove da sola.
Velocemente, la tendo in avanti, rovesciando tutto il vino rosso sul completo da migliaia di dollari di Charlie.
Lui smette finalmente di parlare, guarda prima la macchia che difficilmente andrà via dal completo, poi guarda me con un volto pieno d'ira.
«Ma che diavolo...?!» esclama.
«Oh, scusi, che sbadata che sono!» Sorrido. «Dopotutto, gli incidenti capitano.» Raccolgo delicatamente con la lingua la goccia di vino rosso che stava colando dal bicchiere, mentre lui cerca disperatamente di rimediare al disastro con qualche tovagliolo.
«Amore! Che è successo?!» esclama Catherine, tornata dalla sala musica con Theo a seguito.
«Menomale che sei tornata!» dice Charlie. «Dobbiamo cercare di assorbire il vino!»
«Ma chi...» comincia Theo, ma non gli do il tempo di finire la frase.
Devo fare capire a suo fratello che lui può essere amato, che è un ragazzo normalissimo, dolce e speciale. E devo farlo capire anche a Theo.
Quindi lo afferro delicatamente per la cravatta e lo bacio davanti a tutti.

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Capitolo 20
*** Il Problema ***


Capitolo 20:
Il Problema
 
«E quindi l'hai baciato?! Così, davanti a tutti?» chiede Cameron.
«Già» rispondo.
«E poi?»
«E poi... sono scappata via.»
«E lui?»
«Theo è rimasto immobile per un po', poi mi ha raggiunto fuori casa. Mi ha trovato seduta su una panchina del giardino. Non avevo calcolato che non sarei potuta tornare a casa visto che era stato lui ad avermi accompagnato al gala.»
«Stupida.»
«Tu che avresti fatto, allora?»
«Prima di tutto, non avrei fatto quella scenata. Se cercavi un modo per farti odiare dalla sua famiglia, ci sei riuscita.»
«Non mi interessa cosa pensa di me la sua famiglia. Sono solo un branco di ricconi bastardi.»
«Sì ma hai mai pensato che se tu fossi piaciuta alla sua famiglia e poi ti fossi messa insieme a Theo, magari avrebbero cambiato idea su di lui? Perché avrebbero pensato che almeno una cosa giusta l'avesse fatta. Così invece hai dato l'ennesima prova che lui non combina nulla di buono. Agli occhi dei genitori, è chiaro.»
«Oh.» Abbasso lo sguardo, sentendomi una vera stupida. Ieri sera ho agito d'istinto, non ho pensato alle conseguenze che quel gesto potesse avere. Anzi, pensavo di aiutarlo.
«Comunque, quel che è fatto è fatto. Cosa ti ha detto quando ti ha vista in giardino?»
«Si è seduto insieme a me e non ha detto nulla, siamo stati in silenzio. Poi lui mi ha abbracciata e mi ha ringraziato.»
«Questo cosa vorrebbe dire? Che crede che tu l'abbia fatto non perché ti piaceva ma per dimostrare ai suoi genitori che può avere una fidanzata?»
«Non lo so, non ne abbiamo parlato. Dopo mi ha solo riaccompagnato a casa.»
«Beh, dovresti chiarire con lui.»
«Ci proverò. In fondo, l'articolo dev'essere scritto, no?»
«Beh, è una tua decisione, principessa.» Cameron allunga una mano verso il mio viso, per mettere una ciocca di capelli dietro il mio orecchio. Ci è voluta tutta la mia forza di volontà per non respingerlo.
«Molto brava» mi dice con un sorriso che io ricambio.
È da stamattina che stiamo provando a superare il mio piccolo problema con Cameron. «Sto migliorando, eh?»
«Vogliamo provare qualcos'altro?»
Annuisco lentamente e Cameron fa passare la mano dai capelli alla guancia e me la accarezza. Stranamente, non mi fa molta differenza rispetto a prima.
Cameron scala di un posto sul divano fino ad arrivare a toccare la mia coscia con la sua. Sento il mio cuore aumentare i battiti quando lui allunga anche l'altra mano e mi sfiora l'altra guancia, avvicinando il suo viso al mio.
Cosa vuole fare? Vuole... baciarmi?
Sono completamente immobilizzata dalla paura, non voglio baciarlo. Non sono pronta.
Cameron arriva a far sfiorare i nostri nasi ed io penso di non avere più scampo ma all'ultimo momento lui mi abbassa dolcemente il capo e mi stampa un bacio sulla fronte.
«M-ma...» faccio, stupita.
Cameron mi interrompe. «Non sei ancora pronta.» Sorride.
Rimango un attimo in silenzio, poi gli sorrido anch'io. «Grazie.»
 
****************
 
«Scacco matto!»
«Che gioco stupido...» sbuffo, mentre Andrew fa cadere il mio re.
«No, la stupida sei tu che hai mi lasciato libera mezza scacchiera, concedendomi addirittura di scegliere come farti perdere.»
«Sì, certo, è stata solo fortuna!»
«No, è logica.»
Lo guardo in cagnesco per un attimo, poi raddrizzo la schiena sulla poltrona «Bene» dico e mi alzo. «Al vincitore spetta un premio, no?» mi siedo sulle sue ginocchia ed avvolgo il suo collo con le braccia.
«Ed a te un premio di consolazione?» ride.
«Sta' zitto!» dico, poi lo bacio per qualche secondo. Sorrido. «Sì, mi piaci decisamente di più quando stai zitto.»
Ridiamo insieme e ci baciamo di nuovo. Andrew ha esplicitamente detto che non andrà oltre ai baci finché non avrò compiuto diciotto anni e questo mi toglie un peso dallo stomaco. Insomma, l'unico dei ragazzi con cui vorrei davvero andare fino in fondo è Colin, ed avere un ragazzo come Andrew che neanche ci prova mi fa sentire davvero bene.
Sento qualcuno bussare alla porta «Si può?»
Thomas.
Mi alzo velocemente in piedi prima che Thomas possa vedermi, ma non posso cambiare lo sguardo di Andrew che sembra aver scritto in fronte cosa stavamo facendo.
Thomas entra in camera e dopo aver visto Andrew mi guarda con aria interrogativa «Ciao» dice. «Ero passato solo per chiederti cosa volevi per cena. Sono tornato dal cinema, quindi pensavo di andare a prendere qualcosa al supermercato.»
«Oh. Ehm... non saprei, ecco...» comincio, ma non riesco a mettere una parola dietro l'altra. So che Thomas ha notato qualcosa. Ha in qualche modo capito cosa sta succedendo.
Andrew si alza dalla potrona e cammina verso Thomas. «Oh, io sono Andrew, comunque» dice, tendendo la mano a Thomas.
«Thomas.» Lui gli stringe la mano. «Resti per cena?»
«No, non penso proprio, devo lavorare stasera.»
«Oh, già lavori? Non ti avrei dato più di diciotto anni.»
«Ne ho venti, in effetti.»
«Oh!» fa Thomas, poi mi rivolge uno sguardo di rimprovero mentre io vorrei solo dileguarmi dalla stanza.
«Beh, è stato un piacere» dice, poi si rivolge a me. «Puoi venire un attimo in cucina, per favore?»
«C-certo...»
Usciamo dalla stanza e scendiamo in cucina. Thomas sembra nervoso, ma io lo sono ancora più di lui. Avrà intuito qualcosa? E se sì, quanto?
Lui chiude la porta della cucina ed arriva subito al punto. «Ti dispiacerebbe spiegarmi perché sei fidanzata con un vent'enne e stavi da sola in camera da letto con lui quando hai già un fidanzato?»
«I-io... non è come pensi...» non voglio immischiare Thomas nella faccenda dell'articolo. Semplicemente non voglio. Non voglio farlo entrare nel mio mondo di bugie.
«Oh, per favore!» esclama Thomas. «L'ho visto come mi guardava. Sembrava che entrando avessi interrotto qualcosa per lui importante. E poi... come ha guardato anche te, con gli occhi pieni di desiderio.»
«Stai esagerando, lui...»
«Quindi neghi che voi due stiate assieme.»
«In realtà, ecco...»
«E, mio Dio! Stai insieme ad un altro ragazzo contemporaneamente!»
«Fammi parlare!» esclamo con tono autoritario.
Thomas resta stupito, così mi concede qualche secondo di silenzio per parlare.
«Lui è un amico di mio fratello. Mi ha riparato il computer qualche giorno fa e lì abbiamo fatto amicizia. Tutto qui. Poi, è vero, ha una cotta per me, mi ha baciato una volta, ma gli ho spiegato chiaro e tondo che sono fidanzata e lui non ci ha più riprovato.»
«Tutto qui?»
«Sì. Lo giuro.»
Thomas resta un attimo in silenzio, poi gli sento emettere una piccola risata isterica. Si siede, come se ne avesse bisogno per non cadere.
«Cosa c'è?» chiedo.
«Niente è che... ti ha baciata.»
«E...?»
«Niente. Perché dovrebbe interessarmi, dopotutto? Non sei la mia ragazza. Ha solo fatto ciò che io non ho trovato il coraggio di fare in tre anni in pochi giorni, proprio come il pallone gonfiato.»
«Thomas, non torniamo su questo argomento, per favore. È la tua gelosia che parla. Tu non lo vorresti.»
«Beh,» Thomas si alza dalla sedia e si avvicina a me di un paio di passi. «allora, per una volta, farò agire la gelosia.»
«Che...» ma non faccio in tempo a parlare che mi ritrovo le labbra di Thomas premere sulle mie.
Resto un attimo sorpresa ma poi accetto il bacio, anche se non vi partecipo granché.
Non so cosa provare. Non so neanche cosa pensare.
La mia mente ormai è un'esplosione di diverse emozioni e pensieri che si mischiano tra loro formando il caos.
Vuol dire che Thomas mi piace? Che forse sono innamorata di lui? O forse mi piace il bacio solo perché lo interpreto come un gesto d'affetto? Dopotutto, lui sa tutto di me ed io so tutto di lui. Mi capisce e, decisamente, sa come farmi provare piacere anche con un semplice bacio.
Thomas si allontana da me, prima con le labbra, poi con le mani.
Non so quando, un lacrima mi ha rigato il volto, lui la vede ed abbassa lo sguardo come se provasse un qualche senso di colpa. Mi affretto ad asciugarmi la guancia.
«Scusa» dice Thomas e fa per andarsene, ma io lo prendo per un braccio.
«Non andartene. Ti prego» dico.
Lui gira la testa e mi guarda coi suoi occhi iniettati di dolore e delusione ma non dice nulla.
«Ti prego» insisto. «So che negli ultimi giorni ci siamo un po' allontanati e, a proposito, ho apprezzato molto che nonostante questo tu sia rimasto, e voglio che tu sappia che sono davvero grata a chiunque ci sia lassù per averci fatto incontrare. Sei un amico prezioso, anzi, il mio migliore amico. L'unico a cui non posso e non voglio rinunciare.» Gli rivolgo un sorriso triste. «L'ironia è che io ti amo, Thomas. Ma non penso di amarti come si ama un fidanzato. Ti amo come si può amare un fratello.»
Thomas sospira. «Mi stai dicendo che non ho nessuna possibilità di essere più di un amico per te?»
Resto un attimo in silenzio. Thomas si merita di meglio di una come me, che esce con cinque persone diverse solo per compiacere il ragazzo che davvero le piace. Merita di essere felice con una ragazza onesta ed intelligente, magari che un giorno faccia il medico assieme a lui.
Gli sfilo dalla tasca dei jeans il cellulare e glielo metto in mano. «Chiama la ragazza con cui sei uscito quella volta che abbiamo comprato il vestito azzurro, quella "Ashley". Esci con lei, conoscila, se ti piace baciala ed innamorati. Solo così potrai smettere di pensare a me.»
Con entrambe le mani stringo la sua che tiene il cellulare e mi accorgo di star piangendo di nuovo. «Voglio che tu sia felice. Solo questo. E con me non puoi esserlo.»
Thomas resta in silenzio, come se stesse pensando ad ogni risposta possibile che possa tirarlo fuori da quella situazione con me al suo fianco, ma non sembra trovarla. «Se vuoi che io ci provi, lo farò. Ma non smetterò mai di sperare che tu cambi idea, perché al momento ciò che mi renderebbe felice sarebbe stare con te. Ma se così non può essere, allora...» mi accarezza una guancia e sorride. «...non ti darò più fastidio con le mie stupidaggini.»
Accende il cellulare e digita il numero di Ashley, preme la cornetta verde e resta in attesa avvicinando lo schermo all'orecchio. «Mi dispiace sia andata a finire così» mi dice, poi comincia a parlare con la ragazza al telefono ed esce in giardino.
«Anche a me» sussurro appena lui esce.
Ed adesso avrei solo bisogno di una risposta al perché non stia smettendo di piangere.

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Capitolo 21
*** I Genitori - Parte 1 ***


Capitolo 21:
I Genitori - Parte 1
 
Dopo ciò che è successo nello spogliatoio della scuola, Chris ha insistito per farmi conoscere la sua famiglia. Così ha organizzato una cena.
Ho passato tutto il pomeriggio a pensare come Sasha si sarebbe potuta vestire, quindi ho optato per qualcosa di carino e formale. Ho preso un abito lilla di mia madre che aveva usato al ballo dell'ultimo anno quando era ragazza, mi sta un po' largo ma ho aggiunto un grazioso cinturino di pizzo per nasconderlo.
«Che tipo di persone sono i tuoi genitori?» chiedo.
«Penso sia meglio che tu lo scopra da sola. Non voglio influenzarti» risponde Chris, stringendomi la mano.
«Mi devo preoccupare?»
«Ma non mi dire... l'impavida Sasha intimidita da un piccolo dialogo con i miei genitori.»
«Non dire assurdità! Sono solo curiosa, tutto qui.»
Chris afferra la maniglia della porta che conduce alla sala da pranzo. «Pronta?»
Gli lascio la mano per prenderlo a braccetto. «Lo sono sempre.»
Così Chris apre la porta, conducendomi in un mondo a me sconosciuto, pieno di posate d'argento e vasi preziosi, statue incantevoli ed un buonissimo profumo dolce.
L'ultima volta che Chris mi aveva invitato a cena avevamo mangiato nella sala sa pranzo "piccola" e già ero rimasta impressionata. Ora invece, passati a quella grande - che io definirei quasi enorme - è tutta un'altra cosa. Mi sento quasi una reale.
Un uomo e una donna sono seduti a tavola e conversano amorevolmente ma appena ci vedono si alzano in piedi e vengono verso di noi.
«Tu devi essere Sasha!» dice la donna. «Non sai quanto siamo lieti di conoscerti! Chris non ci presenta mai nessuna le sue fidanzate!»
«Marise...» fa l'uomo con tono di rimprovero.
«Oh, scusate, mio marito ha ragione.»
«Tranquilla mamma, non devi per forza rispettare l'etichetta stasera, Sasha è una ragazza semplice, la metteresti in imbarazzo» dice Chris.
Arrossisco ed abbasso lo sguardo. Dopotutto è vero, sono "una ragazza semplice", ma per qualche motivo quell'affermazione mi mette a disagio.
«Comunque,» comincia l'uomo «sarebbe oltremodo scortese non presentarci. Cara?»
Lei si schiarisce la voce. «Lui è mio marito, il signor George Easton e io sono Marise Easton, sua moglie.»
«Sasha Clinton.» rispondo, stringendo la mano prima a Marise e poi a George. Lui è alto, con un filo di barba marrone sul mento e gli occhi scuri e profondi, mentre lei è nettamente più giovane, direi sulla trentina, bionda, occhi azzurri e un fisico da modella, entrambi vestiti eleganti, molto più di me.
«Vogliamo accomodarci?» chiede George.
«Certamente» risponde Chris.
Ci sediamo a tavola, George e Marise a capotavola ed io e Chris uno di fronte all'altra.
«Ci serviranno tra pochi istanti.» dice Marise. «Intanto, siamo qui per conoscerti. Raccontaci di te.»
«Oh, beh...» da dove comincio? «Vado alla stessa scuola di Chris, ma non seguiamo nessun corso insieme. Credo sia perché abbiamo interessi diversi, lui è più pratico, mentre io adoro matematica e letteratura.»
«Che materia affascinante la letteratura! Stai leggendo qualcosa in particolare?»
«Al momento nulla, sono stata parecchio impegnata nell'ultimo periodo ma uno dei miei classici preferiti resta "Orgoglio e Pregiudizio". Banale, lo so, eppure non mi stancarei mai di leggerlo.»
«Mmm... sì, credo di aver visto il film, una volta.» Marise raddrizza la schiena per lasciare spazio al cameriere che sta servendo l'antipasto «Spero sia di tuo gradimento, cara» dice.
«Grazie.»
«Hai fratelli o sorelle?» mi chiede George.
«Due fratelli maggiori, James e Daniel.» Mi si stringe la gola. «Ma Daniel non vive più con noi da circa due anni, ha trovato lavoro a New York ed è partito.»
Parlare di Daniel mi mette sempre tristezza, eravamo molto legati prima che partisse, ma proprio il giorno della partenza abbiamo avuto un brutto litigio.
Non mi ha più chiamata da allora.
«Che cosa triste, ti dovrà mancare molto» dice Marise con una piega di compassione nella voce.
«Sì. È così.» Allungo il braccio per prendere il bicchiere, ma in quel momento vedo che la mia mano sta tremando, così la riappoggio sul tavolo. Chiudo un attimo gli occhi per riprendermi e sospiro.
Fortunatamente, Chris cambia discorso. «Sapete, Sasha è una dei primi dieci con i voti più alti a scuola. Prenderà una borsa di studio.»
«Oh, siamo molto contenti per te!» mi dice Marise. «Quanto mi piacerebbe che anche Chris si impegnasse come te a scuola.»
La serata è trascorsa tranquilla fino alla seconda portata, ma io non ho mai smesso di pensare a Daniel. Era un po' che non pensavo a lui. Ormai era normale per noi non averlo a casa e mi ero abituata alla sua assenza ma... la sua mancanza in quel momento mi stava facendo quasi male.
Stringo forte la gonna con una mano mentre con l'altra cerco di mandar giù un sorso di vino rosso.
Chris mi guarda perplesso: ha capito che c'è qualcosa che mi turba.
«Mamma, possiamo occuparci io e Sasha del dolce?» chiede.
«Sei sicuro, Chris? Sai, sono cose di cui si occupa la servitù di solito» risponde lei.
«Sicurissimo.» Chris stampa un bacio sulla fronte della madre e mi fa cenno con la mano di seguirlo.
Mi sento il corpo pesante e faccio fatica ad alzarmi, ma lo faccio e lo raggiungo in cucina.
Chris chiede ai camerieri di lasciarci soli e così fanno, chiudendo la porta alle loro spalle senza neanche dire una parola.
«Allora?» chiede.
«Cosa?» rispondo, senza lasciare andare il tessuto della mia gonna che ora stringo con entrambe la mani.
«Andava tutto bene all'inizio... poi sei diventata strana. I miei hanno detto qualcosa che ti ha offeso? Lo fanno spesso purtroppo.»
«No, niente del genere, sono stati gentilissimi.»
«Allora mi dici che ti è successo?»
«Nulla.»
«Sasha...» Chris si avvicina a me è mi prende il viso tra le mani. «...puoi dirmelo, lo sai. Ti starò ad ascoltare come tu hai ascoltato me quando dicevo tutte quelle cose idiote in spogliatoio, l'ultima volta.» Sorride. Un sorriso sincero. Non sembra neanche più il Chris che ho conosciuto.
«Chris...» mi tolgo le sue mani dal viso. «È un argomento di cui non sono pronta a parlare con nessuno ancora. Non dipende da te.»
«È per tuo fratello, non è vero?»
Spalanco per un attimo gli occhi, stupita che sia arrivato così facilmente alla risposta, ma ritorno subito ad abbassare lo sguardo, scoraggiata.
«Sai,» continua Chris «non c'è bisogno che tu me ne parli. Riconosco uno sguardo malinconico quando lo vedo. Ho quattro sorelle maggiori. Sorellastre, a dire il vero. Hanno abitato con me tutte quante durante la mia infanzia e spesso quando mio padre era via mi sentivo solo e anche loro. Così ci mettevamo in cerchio fantasticando su cosa avremmo potuto fare quando lui sarebbe tornato, questione di settimane o mesi di solito.»
Alzo lo sguardo verso Chris. Non deve essere facile per lui esprimersi a quel modo. «Mi dispiace tanto.»
«Acqua passata. Fortunatamente so cosa fare per risollevare il morale in queste situazioni.»
«Cioè?»
Chris viene verso di me e mi avvolge in un abbraccio piacevolmente soffocante. E dopo qualche secondo mi sento davvero meglio. Più tranquilla. Più sicura.
Quando ci separiamo, vedo Chris che con un sorriso intinge un dito nella crema al cacao e mi sporca le labbra.
«C-cosa fai?! Idiota!» esclamo, mentre cerco con lo sguardo qualcosa con cui pulirmi.
«Prendo il mio dolce.» Chris sorride di nuovo, poi appoggia le labbra sulle mie. Certo, il bacio sa di cioccolato, ma sono più concentrata, se non quasi preoccupata, della strana sensazione che ho al petto in questo momento. Non è più la malinconia per mio fratello. Ma è qualcos'altro.
Qualcosa che mi sta urlando insistentemente: "Sei fregata, provi qualcosa per Chris."

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Capitolo 22
*** I Genitori - Parte 2 ***


Capitolo 22:
I Genitori - Parte 2
 
«Non mi hai mai parlato dei tuoi genitori» dico ad Andrew mentre gli accarezzo una mano.
«Neanche tu» risponde.
«Sì ma tu i miei li hai conosciuti.»
«Come mai tutta questa curiosità improvvisa?»
«Ieri ho riflettuto molto su come i genitori determinino il perché una persona è quella che è. Quindi ho pensato a te. Per essere diventato così, tuo padre o tua madre devono averti fatto crescere in un ambiente tecnologico e tranquillo, giusto?»
«G-già, a proposito di questo... I miei genitori sono, diciamo, diversi dagli altri.»
«In che senso?»
«Beh, circa un'ora fa dovrebbero essere tornati a casa. Se vuoi in venti minuti siamo lì, così li puoi conoscere.»
«D'accordo. Grazie.» Bacio velocemente le labbra di Andrew, poi cominciamo a incamminarci verso casa sua. Prendiamo un paio di autobus, percorriamo un pezzo di strada a piedi mano nella mano fino ad arrivare alla sua piccola villetta.
Andrew prende le chiavi ed apre la porta.
Appena entro in casa, vengo avvolta da un tenero odore di biscotti. Il suo cane ci viene festosamente incontro ed Andrew lo accarezza per salutarlo. Il salotto è moderno con colori come il rosso, il nero e il bianco, un'enorme TV al plasma è fissata sul muro di fronte ai due divani.
«Eccoci a casa» dice Andrew. «Ti piace?»
«Eccome! È fantastica» rispondo, esplorando con gli occhi la casa.
«Andrew? Sei tu, tesoro?» si sente una voce femminile dal piano di sopra.
«Sì mamma, ho portato... un'amica» risponde lui, io gli lancio un'occhiataccia ma non dico nulla.
Si sente un rumore di tacchi scendere le scale, finché una donna bionda con gli occhi castani, vestita con un abito verde che le arriva a metà coscia, non si presenta davanti a noi.
«E così... tu devi essere la sua "amica". Molto piacere. Mi chiamo Ellen, sono la madre di Andrew.»
Sorrido e le stringo la mano. «L'avevo intuito. Suo marito è in casa? Mi piacerebbe conoscere anche lui.»
«Marito?» Ellen rivolge uno sguardo confuso a Andrew. «Tesoro... tu non gliel'hai detto?»
«Dirmi cosa?» chiedo, voltandomi verso Andrew.
«Ecco, volevo dirtelo ma...»
«Diciamo che non conosco il padre di Andrew. Anzi, possiamo dire che non ha un padre» continua Ellen, per non far cadere in maggior imbarazzo Andrew.
«Come? Com'è possibile?» faccio, sempre più confusa.
«Ellen?» sento dire un'altra voce femminile. «Sai dove ho lasciato i documenti dell'ultimo caso? Non li trovo più.»
«Prova a guardare in cucina, hai mangiato lì mentre li leggevi» risponde Ellen.
«Hai ragione! Arrivo subito.»
Si sentono di nuovo dei tacchi scendere le scale ed un'altra donna appare affianco a noi. È una donna con i capelli neri, gli occhi scuri e profondi e dei pantaloni larghi e marroni.
«Oh, ciao Andrew» saluta distrattamente lei prima di correre in cucina, non sembra neanche aver notato la mia presenza. «Sì, avevi ragione, erano proprio in cucina.» La donna torna da noi. «Grazie.» Stampa un bacio sulla guancia di Ellen e finalmente sembra accorgersi di me.
«Oh, abbiamo ospiti! Scusatemi, non me ne ero proprio accorta.» Mi tende una mano. «Sono Amber.»
«Molto piacere.» Le sorrido. «Lei è la zia di Andrew o qualcosa del genere?»
Amber ridacchia «Tesoro, no di certo!»
Andrew arrossisce un po'. «È mia madre.»
Ci metto qualche secondo ad elaborare. «Quindi voi...» e indico Ellen e Amber «...state insieme.»
Amber annuisce. «Sì, insieme da venticinque anni, sposate legalmente da otto.» Le due si scambiano uno sguardo d'intesa.
«Oh... Andrew non mi aveva accennato nulla» dico.
«Andrew è un po'...» Ellen fa un gesto eloquente con la mano «...com'era la parola, tesoro?»
«Diciamo che per lui è sempre difficile dirlo agli amici. Ha avuto brutte esperienze da piccolo» risponde Amber.
«Mamma!» esclama Andrew a un tratto «Hai detto abbastanza.»
«Okay, okay, starò zitta. Restate a casa o uscite di nuovo?»
«Direi che usciamo.» Poi Andrew si rivolge a me. «Ti riaccompagno a casa.»
«O-okay.» balbetto mentre vengo trascinata via per un polso da Andrew.
Una volta fuori di casa, mi lamento per un attimo con Andrew del fatto che non mi abbia fatto salutare le sue mamme e non me le abbia fatte conoscere davvero, ma presto l'argomento viene sostituito.
«A cosa si riferiva Amber prima?» chiedo.
«Riguardo a cosa?» dice Andrew prendendomi dolcemente la mano.
«Riguardo alla tua brutta esperienza da bambino.» Sento il corpo di Andrew irriggidirsi.
«Se non ti dispiace, non ne vorrei parlare» dice lui.
«Mai? Neanche tra un milione di anni?»
«Per me è un argomento difficile. Quando mi sentirò pronto te lo racconterò, okay?»
Resto un attimo in silenzio, poi mi sollevo sulle punte e gli dò un bacio sulla guancia, sentendo tutto il suo corpo rilassarsi. «Okay.»
 
****************
 
Non so come sia arrivata qui, in camera mia, a stringere il cellulare in mano in attesa di avere il coraggio di chiamarlo. Di dirgli che mi dispiace.
In questi ultimi giorni, mi sono resa conto di quanto la famiglia possa contare nella vita e come ci possa definire col tempo. E noi due... noi due siamo stati fin troppo testardi. Non so come abbia solo potuto pensare che Daniel potesse non avere influenza su di me. Perché lui ce l'ha, c'è l'ha eccome.
Senza di lui, io non ho una famiglia al completo e non posso avere la definizione completa di me stessa.
Il numero è già digitato sul display. Mi basta solo premere la cornetta e, quando lo faccio, sento mancarmi il respiro e lo stomaco si riduce a un gomitolo di lana.
Aspetto, mentre sento il cellulare chiamare una, due, tre, sette volte, finché non scatta la segreteria.
«...lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.»
Sì sente un "bip" dal cellulare, poi il silenzio.
Tocca a me parlare ora.
«Daniel? Sono io... ehm... tua sorella. Volevo solo... solo parlarti, ecco.» Gioco nervosamente con i miei capelli, sentendomi completamente bloccata, senza essere nemmeno in grado di comporre una frase. «Se non hai risposto perché sei ancora arrabbiato con me allora ti capisco, va bene. In caso contrario, ho davvero bisogno di parlarti. Mi stanno succedendo così tante cose e... tu sei sempre stato bravo a darmi consigli. Ti prego, richiamami.»
Detto questo riattacco, appoggio il telefono sulla scrivania e mi sdraio sul letto tirando un grosso sospiro di sollievo.
Ma dopo qualche secondo, sento già le amare lacrime di un pianto che durerà minuti interi scorrere sulle guance ed andare a bagnarmi le orecchie.

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Capitolo 23
*** La Certezza ***


Capitolo 23:
La Certezza
 
Sono passate ormai due settimane da quando i miei genitori sono partiti e Cameron è entrato in casa mia.
In questo lasso di tempo sono successe un sacco di cose: la scoperta dell'amore segreto di Thomas che prova per me, io e Colin che stavamo per fare sesso sul divano di casa sua, la decisione di mettermi con Andrew e conoscere le sue due mamme, la cena coi genitori di Chris e il gala con Theo ed i suoi parenti.
E adesso, dopo tutto questo tempo, è venuto il momento di salutarci.
I miei genitori hanno telefonato ieri sera ed hanno detto che oggi sarebbero tornati, mio fratello ormai sta bene. "Purtroppo la testa è sempre quella" hanno aggiunto scherzosamente.
«Hai preso tutto?» chiedo, Thomas al mio fianco che tiene sotto controllo la situazione.
«Non che avessi molto. Comunque mi dovete restituire la pistola» risponde Cameron.
Mi irrigidisco.
«Vado io» dice Thomas e, toccandomi per un momento la spalla, lo vedo scendere le scale.
«E l'articolo, alla fine?» chiede Cameron.
«Ci sto ancora lavorando.»
«Bene.»
C'è un attimo di silenzio.
«Spero potrai stare bene» dico. «Stai attento a dove ti vai a cacciare.»
«Ah, adesso ti importa di me?» dice con un sorriso sarcastico.
«Beh, sei stato un amico in questi giorni... forse più un confidente che un amico, in effetti. E di questo ci tenevo a ringraziarti.»
«Tuttavia hai ancora paura di me.»
«Non...» abbasso la testa e lascio un po' di tempo ai miei pensieri, accavallati l'uno all'altro, che cercano, molto a disagio, di trovate le parole giuste. «Vorrei riprovarci.»
Cameron resta un attimo stupito, ma non troppo. «Sicura di reggerlo?»
«No.» Incrocio le dita davanti al busto. «Ma ora o mai più, giusto?»
Cameron si avvicina a me di un paio di passi e sento già il mio cuore aumentare i battiti. Lentamente, avvicina le sue mani al mio viso e io mi sforzo di tenere gli occhi aperti.
Quando il suo viso si avvicina al mio mi irrigidisco, Cameron lo nota e fa per staccarsi, ma gli prendo i fianchi e li avvicino ai miei, invitandolo a continuare, a quel punto sento le sue labbra che, decise, si appoggiano sulle mie.
Inaspettatamente, il bacio è dolce e sa di fragola, da Cameron non me lo sarei mai aspettato.
Quando si stacca, mi sorride. «Molto brava, principessa.»
Ricambio il sorriso, un po' arrossata. Thomas ritorna e dà a Cameron i suoi oggetti sequestrati.
Poi, chiudendo la porta d'ingresso con Cameron fuori, do il mio ultimo addio al capitolo del ribelle.
 
****************
 
«Allora? Come sta andando l'articolo?» chiede Colin, tagliando la sua bistecca col coltello.
«Direi che posso già cominciare a scrivere il capitolo sul ribelle e molto presto potrò cominciare anche quello sullo sportivo e sul nerd» rispondo.
«Oh, e invece sull'intellettuale?» Fa un sorriso malizioso. «Niente da dire?»
Avvicino un po' il viso al suo, copiando il suo sorriso. «Non so. Non è che mi convinca molto ancora.»
Colin ridacchia. «E tu? Ti senti bene? Non deve essere facile questa situazione.»
«Mi ci sto abituando. Ma non parliamo di lavoro stasera.»
«Giusto. Non ti ho portata in un ristorante per questo.»
«E allora per cosa?»
«In parte, ci tenevo a farti le mie scuse per come è finita l'altra sera.»
I miei ricordi ritornano a qualche giorno fa, quando io e Colin stavamo per fare l'amore sul divano di casa sua. Arrossisco. «Non ci pensare, Colin, davvero.»
«Mi dispiace di non aver potuto "finire".»
Per poco non mi va di traverso il boccone di cibo che ho in bocca. «D-davvero?»
Colin sorride. «Sei bellissima. Sentire il tuo corpo così vicino al mio mi ha dato un piacere che non puoi neanche immaginare.»
«Esagerato.» Perché Colin sta parlando di queste cose proprio adesso?
Lui allunga una mano sul tavolo e afferra la mia, poi ne accarezza il dorso. «Ti andrebbe di... continuare da dove ci siamo fermati?»
«Cosa? Qui? Adesso?» il mio battito cardiaco accelera sempre di più.
«No, no!» ride Colin. «Ma se accetti, chiederò subito il conto e prenoterò alla reception di questo hotel una stanza per la notte. Dove saremo solo tu ed io. Nessun altro.»
Se l'era già programmato? Per questo mi ha portato in un ristorante di un hotel? Voleva solo...
Le mie labbra diventano una linea sottile.
«No» dico.
Colin resta di sasso. Penso che non avesse in programma un rifiuto. «Cosa?»
«Ho detto di no.» Mi alzo dal tavolo prendendo il mio tovagliolo ed una volta in piedi lo tiro addosso a Colin, colpendolo in pieno petto. «Il conto pagatelo da solo!» dico, così giro i tacchi ed esco dal ristorante.
Una volta superata la porta, cerco quasi barcollando qualcosa a cui appoggiarmi.
Odio il momento in cui la rabbia è talmente forte che le lacrime cominciano a scendere.
Credevo... credevo che la mia fosse una storia d'amore. Lo credevo davvero. Pensavo di piacere sul serio a Colin. O forse... forse era solo il mio cuore innamorato a imbrogliarmi e a farmi credere ciò che voleva.
Colin vuole solo portarmi a letto. Pensavo fosse il migliore dei ragazzi che frequento ma... si è rivelato persino più superficiale di Chris.
Che cosa faccio adesso?
Dopo poco tempo, anche Colin esce dalle porte del ristorante e subito mi vede, appoggiata alla colonna dell'ingresso.
«Vattene» gli dico.
«Cos'ho sbagliato? Dimmelo» risponde lui.
«Ancora continui a fingere?»
«Ma cosa stai dicendo?»
«Dimmi, perché mi hai portato in questo ristorante, eh?»
«Volevo... passare una bella serata con te, tutto qui.»
«Oh, lo so io che tipo di serata volevi passare! Lo so bene, si è visto!»
«Cos'è che ti dà così fastidio? L'altro giorno stavamo per farlo sul divano di casa mia! Pensavo che ti sarebbe piaciuto finire in un posto un po' più appartato.»
«Come ho detto a tuo padre, Colin, se non ci fosse stato il blackout niente sarebbe mai successo.»
«Oh.» Lui resta in silenzio per qualche secondo. «Non avevo capito.»
«Sai, in questo periodo, un amico mi ha detto che dovevo fare attenzione con te, che era tutta finzione. Io non gli ho creduto ma... forse avrei fatto meglio ad ascoltarlo.»
«Aspetta, è per questo che sei arrabbiata? Perché qualche idiota ti ha messo una pulce nell'orecchio facendoti dubitare di me?»
Ci rifletto un attimo.
Se Cameron non mi avesse mai detto ciò che mi ha detto riguardo a Colin... avrei reagito così?
«Scusa» riesco a sussurrare dopo parecchi secondi in silenzio.
Colin sembra addolcirsi. «Vieni qui» mi dice con tono dolce, spalancando le braccia.
Io non esito un attimo e affondo tutto il mio corpo contro il suo.
«Scusa» ripeto tra i singhiozzi. «Non è vero che mi sto abituando a questa situazione. È tutto così confuso... i miei pensieri, gli appuntamenti, lo studio, il dover fare tutto di nascosto, i sentimenti che provo... tutto si mischia ed io non capisco più nulla.»
Ci abbracciamo ancora per qualche secondo finché Colin non mi solleva il viso. «Allora fra tutti questi dubbi ti posso donare una certezza» dice.
«Cioè?»
«Me.» Colin mi dà un bacio a stampo sulla bocca. «Io sarò la tua certezza in questo periodo che stai attraversando.»
I nostri nasi si sfiorano ed io riesco solo a sussurrare un debole "grazie" prima che Colin riprenda a baciarmi come mai ha fatto prima, neanche la sera del blackout.
Questi baci sanno di futuro, speranza. Sento che in qualche modo entrambi abbiamo appreso qualcosa l'uno dell'altra e che adesso siamo più uniti di prima.
«Magari la stanza d'albergo la prenotiamo la prossima volta, quando sarai pronta» dice lui.
Sorrido, sentendo nel cuore una seconda certezza.
«Colin... io sono pronta

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Capitolo 24
*** Il Sesso ***


Capitolo 24:
Il Sesso
 
Riusciamo a trattenerci a stento una volta entrati in ascensore.
Quando arriviamo alla porta della camera ormai è palese che nessuno potrebbe resistere un momento di più.
Voglio Colin, lo voglio davvero, e il fatto che appena chiudo la porta dietro di noi lui cominci ad inondarmi di lunghi baci appassionati sulla bocca e sul collo conferma che anche lui mi vuole.
Mi tolgo velocemente il coprispalle che ho addosso e le scarpe, senza curarmi di slacciarle, Colin fa lo stesso.
Finisce poco prima di me e non faccio neanche a tempo a riprendere fiato che lui mi prende in braccio.
Rido. «Cosa fai?»
Non ho risposta se non un lungo bacio da parte di Colin che delicatamente mi appoggia sul letto a due piazze senza staccare le labbra dalle mie.
Mi tolgo la delicata camicetta che mi ero messa per l'occasione buttandola sul pavimento, poi mi inginocchio sul letto, con Colin ancora in piedi di fronte a me, la mia testa all'altezza della sua pancia.
Gli sfilo la cintura con fare malizioso e lui si toglie la maglietta. Mi bacia di nuovo, appoggiando le mani sul letto, costringendomi così a incurvare un po' la schiena. Si sporge ancora di più verso di me, facendomi cadere all'indietro sul morbido materasso con lenzuola azzurre decorate da del pizzo bianco.
Sorrido metre lui sale sopra di me e riprende a baciarmi. Le sue mani scivolano sui miei fianchi nudi e particolarmente sensibili, provocandomi un lieve solletico. Quando arriva ai pantaloni sposta il viso sulla mia pancia e mi bacia l'ombelico, slacciando intanto i bottoni dei miei pantaloni, quando finisce me li sfila e fa lo stesso coi suoi.
Riprende a baciarmi, mentre io gli passo le mani sul petto, poi d'improvviso lo spingo costringendolo a sdraiarsi supino sul letto e gli salgo sopra.
Lentamente, giusto per farlo un po' soffrire, faccio cadere una spallina del reggiseno, poi l'altra, slaccio il gancetto e finalmente lo lascio cadere a terra.
Colin sorride. «Beh, non c'è molto da vedere.»
Arrossisco un po'. «Stronzo» dico scoppiando poi in una risata.
Lui mi afferra le spalle e mi attira a sé, accogliendomi in un abbraccio finché non mi rigira ritrovandosi di nuovo sopra di me.
«Sai,» comincia in tono dolce «alla luce è decisamente meglio.»
Mi alzo sui gomiti e lo bacio «Concordo.»
Lo guardo attraverso i suoi occhiali appannati e in quel momento riesco proprio a sentirla. La certezza. Il mio porto sicuro.
Gli prendo una mano con le mie e lo porto a toccare il mio seno destro, e so che quello è solo l'inizio di una notte di lunghi e piacevoli momenti.
 
****************
 
I miei occhi si aprono lentamente, svegliati da un velo di luce leggero che entra dalla finestra. Il color crema del soffitto mi porta alla mente i ricordi della notte appena passata accompagnata da molte piacevoli sensazioni. Giro la testa verso destra e sono felice di trovarci Colin, ancora addormentato. Ha dei lineamenti molto più dolci senza gli occhiali.
Decido di alzarmi dal letto facendo attenzione a non svegliare Colin, di raccattare i miei vestiti e di andare in bagno.
Mi faccio una breve doccia calda ma, mentre mi vesto, noto che mancano i miei slip.
Esco dal bagno con indosso solo il reggiseno e la camicetta e comincio a cercare in giro sempre facendo attenzione a non fare troppo rumore.
Controllo sotto il letto, sul comodino, nei cassetti, di nuovo in bagno, ma ancora non trovo nulla, e anche se cerco di sforzarmi non riesco a ricordare che fine abbiano fatto. L'ultimo posto dove posso guardare, anche se dubito siano lì, è sotto la cassettiera di fronte al letto. Così mi abbasso sul pavimento e scruto sotto al piccolo spazio tra mobile e pavimento.
«Ma che bel panorama» sento dire dalla voce di Colin, ancora assopita dal sonno.
Sobbalzo e sento il mio viso scaldarsi. Mi rimetto in piedi il più in fretta possibile, tirando verso il basso la camicetta per coprirmi.
«Non serve agitarsi» continua Colin. «Niente che non abbia già visto stanotte.»
Non sapendo che rispondere, mi limito a fare una risatina imbarazzata. «S-stavo... stavo cercando le mie mutande e...»
«Calmati» mi sorride Colin, comprensivo. «Sembra quasi che ti voglia scusare.»
«Io...» Ma che mi prende? Perché sono così impacciata tutta d'un tratto?
«Comunque, se ti fa sentire meglio, ce li ho io i tuoi slip.»
«Cosa?»
Colin si raddrizza sul letto, scoprendo il petto e mi mostra il polso, a cui ha legato qualcosa di lilla... le mie mutande!
«Me le hai date tu ieri sera, ricordi?» continua lui.
«Oh.» Sì, adesso ricordo! Quando me le sono tolte la sera scorsa gliele ho legate al polso subito dopo.
Prendo un gran respiro.
«Beh,» vado da lui e gli sfilo le mutande dal polso «grazie per avermele tenute, ma ora mi servono.» Cammino verso il bagno, sentendo il mio fondoschiena scrutato dagli occhi di Colin.
«Davvero?» fa lui. «Secondo me stai meglio senza.»
Sorrido e gli rivolgo una linguaccia prima di rientrare in bagno.
 
****************
 
«Com'è andata dalla tua amica, tesoro?» mi chiede mia madre subito dopo essere tornata a casa.
«Bene. Abbiamo guardato un film e poi abbiamo dormito, niente di sofisticato ma mi sono divertita.» rispondo. Un po' mi dispiace mentirle ma dopotutto non posso dirle cos'è successo davvero, soprattutto perché lo direbbe di sicuro a papà e lui andrebbe direttamente a uccidere Colin.
«Sono contento che cominci a frequentare delle ragazze, hai fin troppi amici maschi per i miei gusti» dice papà.
«In effetti è strano, tesoro. A te non è mai piaciuto dare confidenza alle ragazze» dice mamma.
«Semplicemente, con lei mi trovo bene, non so come mai» rispondo, cercando di chiudere il discorso.
Fortunatamente, la suoneria del mio telefono mi viene in aiuto.
«Devo rispondere» dico, prima di ritirarmi in camera mia.
Premo la cornetta verde. «Pronto?»
«Pronto? Ciao, Erika, sono Theo.»
«Theo? È un piacere sentirti! Tutto bene?»
«Sì, tutto bene. Ti chiamavo per sapere se ti andasse di uscire, uno di questi giorni.»
«Con piacere» dico recitando una voce tenera. «Niente di formale come un altro gala spero.»
«Oh, beh, non penso che i miei mi permetteranno più di invitarti ai loro gala.»
Rido. «Quindi? Dove mi porti?»

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Capitolo 25
*** Lo Shock ***


Capitolo 25:
Lo Shock
 
Il sole sta già cominciando a sparire oltre le montagne mentre mi avvio verso il parco, ancora con indosso la divisa scolastica.
Il "Flybird Park" è uno dei miei posti preferiti di sempre, spesso ci passeggio oppure mi siedo su una panchina a leggere un libro preso in prestito dalla biblioteca, anche se per ovvi motivi in questo periodo non ne ho avuto molto tempo.
Questo pomeriggio, però, non sono venuta al parco per godermi il caldo tramonto all'orizzonte ma per incontrare Theo.
Cammino per le stradine del parco finché non arrivo al piccolo laghetto, dove abbiamo programmato di incontrarci, ed infatti eccolo lì.
Un metro e ottantasei di ragazzo con capelli castano chiaro lievemente chinato per appoggiare i gomiti al recinto del laghetto.
«Ehi» gli dico. «Sono in ritardo?»
Lui si gira verso di me e sorride. «Per niente, sono io che sono un po' in anticipo.»
Ci baciamo entrambe le guance e cominciamo a camminare senza una meta precisa, parlando del più e del meno per qualche minuto, finché mi stufo di aspettare.
«Allora?» faccio. «Come mai mi volevi parlare?»
Il corpo di Theo si irrigidisce e lui cerca di scacciare via il nervosismo schiarendosi la voce «Sì, ecco, in realtà è un po' complicato...»
«Vuoi sederti?»
«Sì, forse sarebbe meglio.»
E così facciamo. Mi giro un po' verso di lui per stringergli la mano. «Allora? Che c'è?»
«Volevo chiarire un paio di cose con te.»
«Ti ascolto.»
«Io... ecco, Erika, hai presente al gala quando mi hai baciato davanti a tutti?»
«Certo. Come dimenticare?»
«E, insomma...» continua lui, asciugandosi la mano che non sto stringendo sui pantaloni «...voglio solo sapere se tu l'abbia fatto perché ti piaccio o per compassione nei miei confronti.»
Sorrido, facendo passare un paio di secondi «Temevo non avessi capito.» Mi sporgo in avanti e gli do un bacio sulla guancia «L'ho fatto perché mi piaci, Theo.»
Ma la sua reazione non è come me l'aspettavo.
«Temevo lo dicessi» dice lui.
«Cosa?» cerco di dire io, un po' scossa.
«Ecco Erika è... è tutto così strano, io...» Theo inspira profondamente ed espira, qualunque cosa mi debba dire penso sia molto difficile per lui. «Vedi io... non sono sicuro ancora della mia sessualità.»
Resto un attimo a fissarlo perplessa. «Come?»
«Vedi, prima che arrivassi tu io... io sono uscito solo con ragazzi.»
Ancora, do un paio di secondi al mio cervello per elaborare le sue parole. «Quindi mi stai dicendo che io... non ti piaccio perché sei gay?»
«No, no. Tu mi piaci. Almeno credo. È questo il problema!»
«E cosa vorresti dire con questo?»
«Te l'ho detto, non sono certo della mia sessualità. Ero convinto di essere gay ma tu... non so, sei riuscita a capirmi e in qualche modo anche a piacermi. Ma non so se mi piacciono anche le ragazze o se tu sia l'eccezione.»
«Theo, dove vuoi arrivare?»
«A farti una domanda.» Theo si alza dalla panchina e si mette di fronte a me. «Erika, saresti pronta ad intraprendere una relazione con un ragazzo probabilmente gay che potrebbe non essere davvero innamorato di te?»
Resto un attimo immobile «No.» Mi alzo in piedi, ritrovandomi solo a pochi centimetri dal viso di lui «No, io sono pronta ad intraprendere una relazione con te. Non importa quale sia il tuo orientamento sessuale, passato, presente o futuro, voglio stare con Theo, un ragazzo dolce che non è sicuro di cosa provi per me.» Gli prendo le mani. «Ma quella cosa è tanto forte da fargli dubitare il suo orientamento sessuale. Allora io dico che con quel ragazzo, vale la pena provare.»
A quel punto, senza più avere parole da dire, Theo abbassa la testa e mi bacia. Un bacio lungo, forte, completamente diverso da quello del gala, di quelli che tolgono il fiato.
Quando lui si stacca fatico quasi a respirare, così appoggio la fronte alla sua «Wow» dico. «Se tutti i gay baciano così dovrei convertirne di più all'eterossessualità.»
Lui ride piano e mi dà un pizzicotto sul braccio. «Stupida.»
Ed è tra sussurri e battutine che ricadiamo tra i baci e le carezze, mentre il sole ormai sembra solo un ricordo lontano.
 
****************
 
Dopo ciò che mi sono accorta di provare per Chris, ho voluto tenere un po' le distanze per paura di arrivare ad innamorarmi di lui, il che sarebbe davvero un disastro.
Non l'avessi mai fatto.
Io e Andrew siamo seduti sul letto di camera mia e guardiamo una serie TV sul computer, i nostri piedi incrociati l'uno all'altro e la mia testa sul suo petto, quando qualcuno suona al campanello.
Sospiro, seccata. «Vado e torno» dico, scendo le scale per andare ad aprire la porta e, appena lo faccio, il mio cuore sembra essermi finito in gola.
Chris.
Ci metto meno di un secondo a capire la gravità della situazione. Se Andrew dovesse scendere, entrambi scoprirebbero di essere stati traditi.
«Mi vuoi dire che succede?» sbotta Chris, entrando in casa senza troppe cerimonie.
Mi appoggio un dito sulla bocca «Abbassa la voce.»
«Tu non puoi dirmi di abbassare la voce quando è giorni che mi eviti in tutti i modi possibili!» Chris sembra davvero infuriato, fa quasi paura.
«Non ti ho evitato.»
«Non mentirmi. Io ho evitato centinaia di ragazze, so come si fanno queste cose.»
«Parliamone in giardino, per favore, mio fratello sta riposando» mento, lo conduco fino alla porta in vetro scorrevole e lo faccio uscire.
«Non ti piaccio più? Mi stai lasciando?» dice Chris.
«No, no! Assolutamente no!»
«Ho detto o fatto qualcosa di sbagliato?»
«No!»
«Allora dimmelo! Dimmi perché mi ignori. Pensavo ci fosse sintonia fra di noi.»
«E c'è. Davvero. È solo che...»
Si sente qualcosa battere sulla porta-finestra del giardino. Entrambi ci giriamo e vediamo Andrew, con sguardo preoccupato, che cerca di chiedermi con i gesti se andasse tutti bene.
Mi sento in trappola.
Chris guarda l'occhialuto prima confuso, poi sembra ricordarsi di lui e ci mette poco a unire i pezzi. «Allora... mi tradisci. È per questo.»
«Chris, ti stai facendo di nuovo prendere dalla gelosia.»
«Io lo uccido.» Chris avanza verso Andrew velocemente, ma io mi piazzo davanti a lui.
«Fermati! Non è come pensi!» gli urlo, facendo pressione con le mani sul suo petto per fermarlo. Abbastanza inutile, visto la forza che anni di allenamento gli avevano dato.
«Facciamolo dire a lui.» Si scrolla le mie mani di dosso e apre la porta, trovandosi davanti un Andrew davvero preoccupato.
Io non ho neanche la forza di rientrare in casa. Sono immobile a fissare le labbra di Chris e di Andrew che si muovono, sentendo a malapena ciò che si dicono.
«Sasha? Non conosco nessuna Sasha» dice Andrew.
«Ma se sei in casa sua!» risponde Chris.
Stanno scoprendo tutto.
La mia bugia sta crollando.
Deluderò Colin, l'articolo non potrà più essere scritto, tutti scopriranno tutto.
Come farò ad affrontarli?
Il campanello della porta d'ingresso suona di nuovo.
No, non posso lasciar entrare nessun altro, non adesso.
Ma pochi secondi dopo, tra le urla infuriate di Chris e Andrew, si sente la serratura scattare.
La porta si apre.
E appena lo vedo sento le mie gambe tremare e la gola che freme per urlare finché non avrò più fiato.
Non posso.
Non posso perdere anche Thomas oggi.

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Capitolo 26
*** Il Crollo ***


Capitolo 26:
Il Crollo
 
Prendo coraggio ed entro in casa, venendo completamente ignorata da Chris e Andrew, troppo impegnati a litigare fra di loro.
Mi precipito da Thomas. «Che ci fai qui?» chiedo.
«Dovevo ridarti la copia delle tue chiavi di casa. Ho sentito delle persone urlare, mi sono allarmato ed ho aperto la porta. Ma che succede?»
«Nulla, tranquillo, ma per favore esci. Ti spiegherò poi.» Ho la voce ormai estenuata, ma sembro aver convinto Thomas, che fa per dire qualcosa ma viene interrotto.
«Sasha! Cos'è questa storia?» mi urla Chris.
«Dimmi che non è vero. Ci hai tradito?» dice Andrew, con gli occhi increduli.
Resto un attimo in silenzio, guardo Thomas che sembra ormai aver collegato tutto e mi guarda come se volesse dirmi sarcasticamente "Complimenti".
È arrivato il momento, dopo innumerevoli bugie, di dire la verità.
«Sì. Vi ho tradito» dico.
Vedo la faccia di Chris diventare rossa dalla rabbia mentre quella di Andrew riempirsi di tristezza.
«Certo,» continuo «potrei dire "non è come sembra" ma... in realtà, nonostante tutto ciò che questo tradimento porta in mezzo, il fatto che vi abbia tradito non cambia. Quindi non importa. Sappiate solo che mi dispiace.» Abbasso la testa e riapro la porta d'ingresso «Ora immagino che ve ne vogliate andare per non tornare più, quindi... fate pure.»
Chris mi guarda, stringendo i pugni lungo i fianchi. «Ringrazia che tu sia una ragazza se no ti avrei già picchiato a sangue.» Così dicendo esce di casa a passo spedito, senza curarsi di guardare indietro.
«Mi dispiace sia andata così, ho davvero pensato che tra noi sarebbe potuta durare» dice Andrew, e anche lui esce di casa.
Rimane con me solo Thomas che sembra non aver intenzione di muoversi.
Ora sa tutto.
E per forza mi lascerà anche lui.
«Vorrei dire che non me l'aspettavo, lo vorrei davvero» dice, ma quelle parole sembrano più spilli che bucano la mia pelle.
«Vorrei non fossi venuto a saperlo» rispondo.
«Sarebbe cambiato qualcosa? Come riesci a dormire la notte?» Thomas chiude la porta d'ingresso «Io ti conosco. E so che non l'avresti mai fatto senza un motivo, e mi rifiuto di pensare che tu l'abbia fatto per divertimento o per provare il "brivido" del tradimento. Quindi non me ne vado di qui finché non mi dirai perché l'hai fatto.»
Mi mordo il labbro. Tanto peggio di così. «D'accordo.»
Ci sediamo al tavolo da pranzo e inizio a raccontare tutto: la mia cotta per Colin, che ora è il mio vero fidanzato, l'articolo per cui tutte le relazioni sono cominciate, gli racconto di Theo, Chris, Andrew, il bacio con Cameron e la notte passata in hotel con Colin.
Sviscero tutti i segreti e le bugie delle ultime settimane finché non mi rimane più veramente nulla da dire.
Se devo lasciare Thomas, tanto vale che non abbia dubbi su ciò che è successo.
Lo guardo, con gli occhi velati di lacrime e noto con stupore che Thomas non è arrabbiato, sembra invece triste.
«Non so cosa dirti. Mi sento... deluso» dice.
«Mi dispiace tanto.»
«Lo so.» Thomas ticchetta con le punta delle dita sul tavolo per qualche secondo per poi fermarsi. «Ma vorrei sapere... tu pensi di aver fatto la cosa giusta?»
«In che senso?»
«Ti penti di aver preso la decisione di far soffrire dei ragazzi solo per un articolo? Per un pezzo di carta
«Beh, io...» abbasso lo sguardo e fisso le mie mani in grembo «No.»
«No?» dal tono di Thomas capisco che non si aspettava una tale risposta.
«No, non me ne pento. Ne è valsa la pena. Adesso sto con Colin grazie a quell'articolo. Non ci saremmo mai innamorati altrimenti.»
«Questo non lo puoi sapere.»
«Prima neanche mi guardava!»
«Ma io sì!» urla Thomas. «Non ti ho mai chiesto di fare cose che non vuoi o di essere chi non sei per avere la mia amicizia.» Sospira. «Riuscivo a guardarti, non come adesso.»
Si alza dalla sedia «Ti avrei sostenuta se almeno avessi capito la gravità di ciò che hai fatto. Ma non posso essere amico di una persona che sostiene di aver fatto la cosa giusta nonostante abbia ferito delle persone, mi dispiace.»
Sta arrivando.
Il momento in cui dovrò dire addio a Thomas.
Lui si avvia verso la porta, mentre una lacrima comincia a scivolare sulla mia guancia.
Poi, però, mi rendo conto che non voglio che se ne vada.
Mi alzo anche io e lo raggiungo. Mi aggrappo alla manica della sua maglietta provando un ultimo disperato tentativo.
Vorrei dirgli tutti i pensieri che mi passano per la mente in questo momento ma dalla bocca mi esce solo il suo nome. «Thomas...» dico, quasi come se stessi sussurrando.
Lui mi guarda. Ha capito cosa voglio dire, ma il suo sguardo è freddo. «Hai ragione» dice, e fruga nella tasca dei pantaloni, tirando fuori un mazzo di chiavi. «Ecco le tue chiavi.» Le lascia cadere sul pavimento ed esce velocemente di casa lasciandomi sola. Sola con i miei pensieri che, al momento, non possono che essere i peggiori.
Sconvolta, in un mare di lacrime, mi faccio spazio verso il divano dove rimango qualche minuto raggomitolata a piangere, poi prendo il cellulare e scrivo a Colin.
"Lo sportivo e il nerd hanno scoperto tutto. E anche Thomas. Tutti se ne sono andati e non penso torneranno." digito.
Mentre aspetto la risposta, penso a quanto sia fortunata ad avere almeno la mia certezza. Il mio ragazzo. Lui sarà sempre al mio fianco.
Sento il telefono vibrare.
"Mi dispiace. Ma ora sono occupato, ne parliamo poi, okay?"
Tra tutte le lacrime, un sorriso triste, quasi isterico, mi si stampa in faccia.
La mia certezza... "è occupata".

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Capitolo 27
*** L'Autunno Dannato ***


Capitolo 27:
L'Autunno Dannato
 
Guardo fuori dalla finestra l'autunno che sta arrivando. Le foglie cadute dagli alberi si spargono e, aiutate dal poco vento, formano dei cerchi attorno ai tronchi mentre si preparano a rinsecchirsi.
Non so come oggi abbia trovato il coraggio di venire a scuola. È stato doloroso vedere Thomas spostarsi di banco per evitarmi, lasciandomi vicino ad una mia compagna di classe.
«Non vorrei fare l'impicciona ma... tu e Thomas avete litigato? Non siete mai stati separati in classe» dice lei.
Ecco perché odio le ragazze della mia età, chiacchierone e oche, tutte quante. Neanche la conosco e mi parla come se fossimo amiche.
«Non sono affari che ti riguardano» dico e, con lo sguardo contrariato di lei, incrocio le braccia sul banco e ci appoggio la testa sopra, ricominciando ad osservare le foglie che cadono fuori dalla finestra.
Le ore passano ed io non sembro neanche accorgermene, quando l'ultima campanella suona e mi ritrovo a scendere le scale fino ad arrivare alla porta in legno del giornalino. La apro, e subito vengo accolta da saluti e domande da parte dei ragazzi presenti ma li ignoro, vado avanti fino alla stanzetta di Colin e la apro senza neanche bussare.
Lui è sulla sua scrivania, piegato a scrivere sul computer, alza gli occhi appena mi vede entrare.
«Ciao» mi dice con un sorriso.
«Ciao» gli rispondo sgarbatamente.
Lui sembra perso «È... successo qualcosa? Come mai qui?»
Alzo gli occhi al cielo. «Me lo stai davvero chiedendo?»
«Scusa ma non ti seguo.»
«Ieri sera ti ho scritto, ti ho scritto di cose davvero importanti e tu mi hai detto che ne avremmo parlato poi perché eri impegnato. Beh, adesso possiamo parlare?»
«C-certo.» Colin deglutisce. «Quindi... beh, racconta.»
«Come ti ho detto, Chris e Andrew sanno che li ho traditi, e insieme a loro Thomas è venuto a conoscenza di tutto, così se ne sono andati uno dopo l'altro.»
«Se ti preoccupi per l'articolo allora non devi, penso che tu abbia tutto il necessario per scrivere su loro due.»
Lo guardo, visibilmente stupita. Non posso crederci. «Ti rendi conto di ciò che stai dicendo? Qui non si tratta dell'articolo! Si tratta del fatto che sto male, Colin. Ho ferito delle persone e Thomas... Thomas mi ha abbandonato.» Non posso evitare di piangere.
Colin si avvicina e mi accoglie in un abbraccio «Ehi, tranquilla. Va tutto bene. Sapevi che comunque alla fine tutti ci sarebbero rimasti male. Li avresti dovuti lasciare. Beh, tutti tranne me.»
Riesco a farmi sfuggire un sorriso. Eccola la mia certezza. «Già. Tutti tranne te» ripeto.
«Sì, insomma, visto che so tutta la storia non avrei sofferto ad essere lasciato.»
Sento come un tonfo al cuore. Mi allontano da lui. «L-lasciato? Perché dovrei?»
«Beh perché i due mesi per fare l'articolo saranno finiti, quindi non vedo perché continuare a stare insieme.» Ho gli occhi sbarrati, lucidi e la bocca semiaperta. «C-cosa?»
«Perché ti stai sconvolgendo tanto? Era tutta una finta, no?»
«Una... una finta?» No, non può essere... «Mi stai dicendo che stavi con me solo per l'articolo? Ma... la notte in casa tua... quando c'è stato il blackout... hai detto di no.»
«Recitavo la parte. Pensavo lo stessi facendo anche tu.»
«Siamo stati a letto, Colin! Ti rendi conto? Secondo te l'avrei fatto solo per l'articolo?!»
«Non lo so! A malapena ti conosco! Hai accettato di uscire con cinque ragazzi diversi, pensavo saresti anche stata capace di andarci a letto, se avessi voluto.»
Non può star accadendo davvero. «Quindi» mi asciugo un paio di lacrime dal viso «non ti piaccio. Non ti sono mai piaciuta.»
«Esatto. Era solo business. Pensavo lo avessi capito, che lo sapessi... mi dispiace molto.»
«Ti dispiace...» Mi mordo un labbro, cercando di soffocare le lacrime e sperando che un po' di dolore mi faccia risvegliare da quell'incubo orrendo che io stessa avevo creato. «Pensi che questo risolva le cose? Scusarsi?»
«Che posso farci? È colpa tua, non mia.»
«Sì. Hai perfettamente ragione. È colpa mia. È stata una mia decisione fare l'articolo, scusa se ti ho disturbato.» Faccio per uscire dalla stanza, ma Colin mi interrompe.
«Vista la situazione, ti posso posticipare la data di consegna dell'articolo, se vuoi.»
Non voglio neanche rispondergli, mi chiudo la porta alle spalle e esco dalla sede del giornalino scolastico, convinta di non rimetterci mai più piede.
Colin.
La mia certezza, il mio porto sicuro, la persona su cui potevo contare, era una menzogna. Tutta una menzogna.
Come farò adesso? Se ne sono andati tutti. Nessuno mi può consolare. Nessuno tranne...
Prendo il telefono, digito il numero e schiaccio la cornetta verde.
«Erika. Dimmi tutto» dice la voce di Theo con tono allegro. Mi fa sentire già meglio.
«Ciao, Theo. Ci possiamo vedere? Sono successe un sacco di cose e ho bisogno di una spalla su cui piangere.»
«Certamente, spero non sia nulla di grave. Riesco ad essere a casa tua tra circa venti minuti, va bene per te?» dice, premuroso come sempre.
«Sarò lì» rispondo e comincio a incamminarmi verso casa dove vengo accolta subito da Theo, arrivato prima di me.
Senza dire una parola gli butto le braccia al collo e lo stringo forte. Lui ricambia l'abbraccio. «Ehi...» dice in tono dolce «Cos'è successo?»
«Ho fatto un casino.»
«Entriamo in casa e mi racconti?»
Mi allontano da lui e gli rivolgo un sorriso triste, annuisco ed entriamo in casa. Ci sediamo sul divano. Theo mi prende una mano e me l'accarezza. «Allora? Te la senti di parlare?»
Ovviamente non posso dirgli la verità, non in questo momento.
«Ti andrebbe se... ci facessimo le coccole in silenzio? Ti darebbe fastidio?»
«Figurati» mi risponde lui con un sorriso. «Mi dirai tutto quando te la sentirai.»
«Grazie.» Gli do un bacio sulla guancia ed appoggio la testa sulla sua spalla, protetta ed accarezzata dalle mani di Theo.
Sento un piacevole tepore lungo tutta la schiena e le mie preoccupazioni sembrano al momento dissolte. Dovrei pensare a come risolvere tutto ciò che mi sta succedendo, ma al momento voglio solo fermare il tempo e restare così per sempre, a guardare le foglie d'autunno che cadono e si posano dolcemente sul terreno.

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Capitolo 28
*** La Speranza ***


Capitolo 28:
La Speranza
 
Ho passato la notte senza dormire veramente, svegliandomi e riaddormentandomi in continuazione, così oggi ho deciso di non presentarmi a scuola.
Mia mamma si è preoccupata ed ha insistito per rimanere a casa a prendersi cura di me.
«No, mamma, grazie. Vai pure al lavoro, ci rivediamo stasera» le rispondo.
Lei si avvicina al letto e mi dà un bacio sulla fronte. «Allora d'accordo. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, chiamami e torno subito a casa.»
«Va bene.»
Mi guarda ancora per un attimo e poi esce dalla camera, lasciando aperta la porta per far entrare un po' di luce.
Quando ho deciso di rimanere a casa, ho pensato che sarei rimasta a letto tutto il giorno, magari a guardare video sul cellulare e a deprimermi leggendo le chat tra me e Colin ma circa alle 16, sento la porta di casa aprirsi.
Strano. Nessuno sarebbe dovuto tornare prima di sera.
«Papà?» chiamo. «Sei tu?»
Nessuna risposta.
Preoccupata, mi alzo dal letto, esco dalla camera e scendo le scale.
Mi guardo attorno ma non vedo nessuno, la porta d'ingresso era stata chiusa di nuovo e non sembrava fosse passata un'anima.
Sento un rumore dalla cucina, così decido di andare a controllare, un po' spaventata.
La porta della cucina è aperta, così sporgo appena la testa per cercare di vedere chi potesse essere.
Il frigo è aperto e qualcuno sta frugando tra il cibo ma l'anta mi impedisce di vedere il volto di quella persona. Dalla corporatura sembra essere un uomo, ma di certo non è nessuno che abiti in casa mia.
A quel punto mi allarmo sul serio. Chi è quell'uomo? Un Ladro?
Mi allontano dalla cucina per prendere il telefono e chiamare la polizia.
Lo prendo e digito il numero.
«911. Qual è l'emergenza?» chiede un poliziotto dall'altra parte del telefono.
Ma nello stesso momento in cui il poliziotto parla, decide di parlare anche l'uomo che si è intrufolato in casa.
«Ehi» è tutto quello che dice.
Mi volto, col sangue ghiacciato.
Vedo l'uomo in volto e il mio pollice preme sulla cornetta rossa del telefono automaticamente.
Ma nessuno mi può trattenere dall'urlare.
 
****************
 
«Ehi! Ehi!» mi dice l'uomo. «Calma!»
«C-cosa ci fai qui?» chiedo.
«Sono venuto a trovarti. Ho sentito il messaggio sulla segreteria. Mi sembrava che avessi bisogno di appoggio.»
Rimango di sasso. Tra tutto ciò che avrei potuto immaginare, il fatto che Daniel tornasse a casa non era tra queste.
Dopo qualche altro secondo di silenzio, prendo il coraggio e lo abbraccio, stringendo forte il suo collo. «Mi dispiace, Daniel. Per tutto. Sono stata una stupida a non rivolgerti la parola per così tanto tempo.» Sarà stata l'emozione del momento mista a tutto ciò che in questo periodo mi sta accadendo, ma una lacrima mi scivola sul viso. «Mi sei mancato.»
Lui ricambia l'abbraccio. Non posso vederlo, ma mi piace pensare che stia sorridendo con uno di quei suoi sorrisi che usava rivolgere solo a me.
«Ho le tue stesse colpe. Dispiace anche a me.»
Ci allontaniamo l'uno dall'altra e ci sediamo sul divano.
«Non avresti dovuto venire fin qui da New York» gli dico.
«Non ti preoccupare. Mi andava di rivedere la mia famiglia, oltre che te.»
Gli sorrido «Come va il lavoro? Sempre indaffarato?»
«Costantemente. L'ufficio legale per cui lavoro è un delirio.» Fa una piccola pausa, come se sapesse che sto cercando di rimandare la conversazione sui miei problemi. Si guarda attorno. «La casa non è cambiata di una virgola.»
«Già. Anche camera tua è uguale. L'abbiamo tenuta come camera degli ospiti.»
Un'altra pausa.
«Carol come sta?» gli chiedo. Carol è la sua fidanzata, si sono trasferiti insieme a New York, sono fidanzati ormai da sei anni.
«Bene.»
«Nessun matrimonio all'orizzonte?»
«Purtroppo, ancora non abbiamo abbastanza soldi.»
«Ah. Beh, spero li troverete presto.»
Daniel allunga un braccio e mi accarezza la testa con una mano «Andiamo, basta parlare di cose inutili. Sono venuto fin qua per ascoltare i tuoi problemi e per consigliarti come risolverli. Me l'hai chiesto tu.»
«Hai ragione.» Incrocio le dita delle mani tra di loro. «Prima di tutto, vorrei parlarti di Colin.»
E così eccomi qui, a raccontare nuovamente tutti i miei trascorsi delle ultime settimane. Daniel ascolta silenziosamente e durante il discorso non mi interrompe mai.
«...e quindi adesso nessuno mi parla più, escluso Theo» concludo.
Daniel resta in silenzio a riflettere per un attimo «Beh... gran bel casino.»
«Già.»
«E adesso cosa vorresti fare?»
«Non lo so. Vorrei solo tornare indietro e non accettare di fare questo stupido articolo e vorrei non aver mai incontrato Colin.»
«Capisco come ti senti, ma secondo me non dovresti soffermarti troppo a rimuginare su ciò che hai fatto. Ormai è passato. Dovresti pensare piuttosto a risolvere i problemi che hai creato. Dire "vorrei che non fosse successo" è inutile, finisci per non concentrarti su ciò che è il tuo vero problema. Perché il tuo problema non è aver fatto qualcosa di sbagliato, ma non sapere come risolverlo.»
Ascolto attentamente le parole di Daniel, ma ancora non sono convinta. «E come faccio? Cosa dovrei fare?»
Daniel ci pensa su un attimo. «Qual è la cosa più importante per te adesso?»
«Risolvere questo casino. Far tornare tutto a com'era prima.»
«E chi ti potrebbe aiutare?»
So benissimo la risposta, ma non voglio dirla.
«È Thomas, non è vero?» mi chiede lui.
Rimango in silenzio e non rispondo.
«Dovresti andare da lui e riprendertelo.»
«Ma Thomas non è un oggetto. Non posso semplicemente andare a casa sua e portarlo via! E se non volesse tornare mio amico?»
«Ma... lui ti ama.»
Quelle parole sembrano trafiggermi il cuore. Lo so. Lo so fin troppo bene. «Tu non l'hai sentito. Ha detto che l'ho deluso. Che non vuole più vedermi.»
«Ma ha anche detto che non voleva più essere tuo amico perché non ti sei pentita di ciò che hai fatto. Ma questo prima che scoprissi la falsità di Colin. Quindi, vai a casa sua e ammetti di aver sbagliato. Sono sicuro che tornerà da te.»
«E se non lo facesse?»
«Ascolta, l'amore non svanisce da un giorno all'altro. Se davvero per lui sei importante e il vostro rapporto è sincero allora, con le tue dovute scuse, sarà pronto a perdonarti.»
Sorrido. «Dici che poi mi aiuterà a risolvere questa situazione?»
Daniel ricambia il sorriso. «Certamente. Ed io con lui.»
Ci abbracciamo di nuovo.
«Mi dispiace non essermi scusata con te per tutto questo tempo. Avrei dovuto farlo fin da subito. Non posso credere di aver perso due anni con te» dico.
«Avrei dovuto farlo anche io. Ma, come ti ho detto, non bisogna rimuginare su ciò che si è fatto. Pensiamo a come rendere perfetti i giorni in cui resterò qui.»
«Hai ragione.» Ci stacchiamo.
«Adesso vai a farti una doccia, vestiti e corri da Thomas a fargli le tue scuse.»
E così faccio.

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Capitolo 29
*** Gli Amici Rimasti ***


Capitolo 29:
Gli Amici Rimasti
                                                                                            
«Ma guarda chi c'è, la troia del quartiere. Mi spiace, non ho soldi da darti, magari un'altra volta.» E così dicendo Thomas mi sbatte la porta in faccia.
Non l'ho mai visto parlarmi così e un po' mi rattrista, ma so di essermelo meritato.
«Thomas» dico in tono serio. Nonostante la porta non alzo la voce, so che lui non si è mosso dopo averla chiusa. «Ascoltami, ti prego.»
Nessuna risposta.
«Sono venuta a scusarmi con te. Sono stata una stupida e mi manchi. Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Avevi ragione, mi sono comportata in modo orribile con quei ragazzi e non sono stata onesta con te.»
C'è di nuovo silenzio e per un attimo penso che Thomas se ne sia andato, ma poco dopo sento la sua voce. «Non capisco come ti possa servire io. Ormai hai Colin, un ragazzo carino, che ti ama e ti ascolta.»
Esito un attimo prima di rispondere. «Colin... non è mai esistito.» La mia voce trema quando lo dico.
«Se pensi che sia una tua fantasia ti assicuro che ho visto Colin coi miei occhi ed è reale.»
«Thomas, io lo amavo davvero. È stata la mia cotta per un sacco di tempo e desideravo tantissimo avere un qualsiasi contatto con lui. Tu lo saprai meglio di me, penso di avertene parlato non so quante volte.» Sorrido. «Il punto è che una volta che i miei desideri si sono esauditi ero così felice che tutti i sentimenti che avevo provato per lui prima di allora sono riapparsi tutti in una volta e mi sono innamorata di colpo. In seguito tutto ciò che facevo era influenzato dai miei sentimenti per Colin, avrei fatto qualsiasi cosa pur di renderlo felice.» La voce mi torna tremante. «Ma poi... ho scoperto che lui fingeva. Non gli ero mai piaciuta. Per lui stavamo insieme solo per l'articolo. Certo, pensava che io lo sapessi ma...»
Thomas non mi lascia finire la frase. «Quindi ti sei pentita solo quando hai scoperto che lui non ti amava. Se lui fosse stato davvero innamorato, invece, non ti saresti pentita.»
Rimango un attimo in silenzio, sentendomi la persona più orribile del mondo. «Forse.»
Sento Thomas sbuffare. «Come immaginavo.»
Sembra che per lui la conversazione sia finita, ma non sono decisa a mollare.
«Ma probabilmente l'avrei capito lo stesso. Oggi è tornato a casa Daniel, sai? Di sicuro se non mi fossi pentita lui mi avrebbe fatto capire che ero in torto, e mi sarei ritrovata lo stesso qui, a... parlare ad una porta.» Sorrido di nuovo.
«Daniel è tornato?»
«Sì. Per una paio di settimane, poi dovrà tornare a New York.»
«Sarai al settimo cielo» il tono di voce di Thomas è più dolce adesso.
Non rispondo. Respiro solo la pace che sembra essersi creata attorno a me.
«Apri la porta, Thomas» gli dico.
Passano un paio di secondi prima che lo faccia davvero. Sta accennando un sorriso che io mi affretto a ricambiare.
«Allora? Mi aiuterai?» chiedo.
«Aiutarti?»
«Devo sistemare tutto. Mi serve un piano di azione. Mi servono idee. Le tue.»
«E dopo tornerà tutto come prima?»
«Lo spero.»
Lui sorride e mi appoggia la mano su un braccio. «Da dove iniziamo?»
 
****************
 
Devo farmi forza. Ho promesso che avrei rimesso tutto al proprio posto, quindi devo farlo.
Ho chiesto a Theo di incontrarci in qualche posto riservato, quindi abbiamo concordato di vederci di nuovo al Flybird Park.
Mentre aspetto seduta su una panchina che Theo arrivi, cerco di pensare alle parole da dirgli per lasciarlo. Non sarà facile ma devo dirglielo se voglio davvero risistemare le cose.
«Hei» mi dice lui, non l'avevo visto arrivare.
«Ciao» gli rispondo.
C'è un attimo di silenzio. «Vogliamo camminare?»
«Ehm... no.» Abbasso lo sguardo. «No, meglio rimanere seduti.»
Theo si siede affianco a me. «Qualcosa non va?» mi chiede.
«Ecco...» comincio, ma non riesco a dire altro.
Theo fa per stringermi a lui ma io mi ritraggo. «Per favore» dico. «Non rendermi la cosa più difficile.»
«O-okay» dice lui. «Dev'essere qualcosa di molto serio, allora.»
Smetto di rimuginare troppo su cosa dire o come comportarmi. Tanto lo ferirò ugualmente, non ci sono parole giuste o sbagliate.
«Theo, io non mi chiamo Erika» dico.
Lui sembra confuso. «Cosa?»
«Io ti ho mentito. Fin dall'inizio. Dovevo scrivere un articolo di giornale e per farlo mi servivi tu. Dovevo uscire con te e provare cosa volesse dire stare con un "artista".»
«C-cosa stai farneticando?»
«La nostra relazione è una menzogna. Ed hai tutto il diritto di arrabbiarti, adesso.»
«Aspetta, aspetta, aspetta.» Theo si alza dalla panchina. «Non ti chiami Erika?»
«No.»
«E stavi con me solo per scrivere un... un articolo?!» Theo sembra non crederci.
«Sì.»
«Perché dovevi scrivere di come ci si sentisse ad uscire con un ragazzo a cui piace dipingere?»
«Esatto.»
«Dimmi che scherzi, ti prego.»
«Vorrei poterlo fare.»
Theo si passa una mano sul viso e sospira. «Non so cosa pensare» dice in tono stranamente tranquillo.
«Mi dispiace.»
Lui si siede di nuovo sulla panchina, in silenzio.
Cerco di tirargli su il morale. «Theo, mi pento di ciò che ho fatto, non sai quanto. Se potessi tornare indietro non accetterei mai di scrivere questo stupido articolo. Magari in futuro ci saremmo incontrati lo stesso e avremmo passato dei bei momenti insieme. Perché tu sei un ragazzo d'oro, Theo. Ho imparato davvero a volerti bene. Mi piace la tua compagnia, sei simpatico, sensibile ed intelligente. Non erano tutte bugie i sentimenti che provavo. Non ti amo, è vero, ma ci tengo a te. Se per te va bene, possiamo restare amici, ma capirei se non volessi.»
Theo ha il viso ancora coperto dalle mani e non dice una parola, ma vedo le sue spalle cominciare a tremare. «Theo, non piangere» gli dico, accarezzandogli la schiena con una mano. «Non ne vale la pena per me.»
Passano un paio di secondi prima che lui di tolga le mani dal viso «Non sto piangendo» dice, asciugandosi le guance.
Sorrido, ma non dico nulla, continuo solo ad accarezzargli la schiena.
«La... cosa del rimanere amici...» comincia lui.
«Sì?»
«Possiamo provarci. Ma adesso ho bisogno di un po' di tempo per riflettere. Da solo.»
Lo abbraccio in modo molto goffo. «Sono felice che almeno tu sia rimasto.»
Lui non ricambia l'abbraccio, ma nemmeno si sposta.
Dopo qualche secondo lo lascio andare e mi alzo dalla panchina. «Sarà meglio che vada.» Alzo la mano in gesto di saluto e mi allontano.
Una volta uscita dal parco prendo in mano il cellulare e chiamo Daniel. «Sto tornando» gli dico. «Avete preparato un piano?»

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Capitolo 30
*** Il Piano ***


Capitolo 30:
Il Piano
 
«Andiamo, Linda, fammi questo favore» dico.
«Non so... Colin si arrabbierà. Faccio parte del giornalino dal primo anno, non vorrei essere cacciata via...» risponde la ragazza a sguardo basso.
«Lidia,» comincia Thomas «rischieresti davvero molto poco. Non saprà mai che sei stata tu.»
La ragazza bionda ci pensa su un attimo, mordicchiandosi la punta del pollice. «D'accordo. Lo farò. Ma dovrete essere pronti a prendervi tutta la responsabilità in caso succedesse qualcosa.»
«Promesso!» esclamo e l'abbraccio forte. «Grazie.»
Il viso di Lidia diventa completamente rosso ma ricambia timidamente l'abbraccio.
«Va bene» dico, allontanandomi. «Ti faremo avere i testi al più presto. Ciao!»
E detto questo esco dalla classe con Thomas affianco ed un sorriso stampato in viso.
«Non sarai un po' troppo esaltata?» mi chiede Thomas.
«Forse» rispondo. «Devo correre a casa a finire i due articoli. Ci vediamo, Thomas, grazie per l'aiuto!» Gli do una pacca sulla spalla e mi affretto verso l'uscita della scuola.
Il piano è abbastanza semplice, avevamo solo bisogno di una complice infiltrata per farlo funzionare, ed adesso so che andrà tutto per il meglio.
Arrivata a casa, mi metto a lavorare sul computer. Il primo articolo mi scivola praticamente tra le dita, in fondo, era pianificato per essere un articolo basato su stereotipi.
Per il secondo articolo, invece, impiego quasi tutta la notte, indecisa su come e cosa scrivere.
Alla fine, verso le quattro di mattina, trasferisco entrambi i file su chiavetta USB e vado a dormire.
Arriva la mattina.
Giorno del piano.
Giorno della scadenza dell'articolo.
Mi alzo dal letto molto facilmente, nonostante le poche ore di sonno, per l'adrenalina che mi percorre tutto il corpo.
In cucina incontro i miei fratelli che stanno già facendo colazione.
«Buongiorno» mi dice Daniel. «Tutto pronto?»
Sfilo dalla tasca dei pantaloni la chiavetta USB e la faccio dondolare tra due dita. «Certamente.»
«Sarà un successone» dice.
«Ma di che state parlando?» chiede James.
«Ah! Jamie, a proposito!» Mi siedo accanto a lui, ignorando la sua domanda «Ho bisogno che tu faccia una cosa per me.»
«Ancora? Mi chiedi sempre favori, tu! "Lava i piatti", "fai la lavatrice", "porta fuori il cane" e bla bla bla.»
«Ma noi non ce l'abbiamo neanche il cane!»
«Fa lo stesso» sbotta lui.
«Ti prego! È importante per me!» dico, unendo le mani in segno di preghiera.
James lancia uno sguardo interrogativo a Daniel, come a dire: "come faccio a togliermela di mezzo?" e Daniel ricambia lo sguardo con un cenno veloce della testa verso di me, intendendo probabilmente "dài, accontentala".
James sbuffa. «E in cosa consisterebbe questo favore?»
«Niente di che, davvero. Domani ci sarà la stampa del nuovo giornalino mensile della scuola, ho solo bisogno che tu ne dia una copia a Andrew da parte mia.»
«Ad Andrew?» James rimane un attimo scosso. «Sei amica di Andrew, adesso?» Poi, appena finita la frase, spalanca la bocca e gli occhi. «Non dirmi che...»
«Cosa?»
«Hai avuto una storia con Andrew?!»
Io arrossisco mentre Daniel se la ride sotto i baffi, continuando però a bere il suo caffè.
«Ma cosa dici!» faccio.
«E allora perché sei interessata a lui? Vi siete a mala pena parlati! Ti piace? Mi sa che sei un po' troppo piccola per lui, sai?»
Oh, se sapessi, caro fratellino...
«Ma no! Non è niente del genere! È che ci siamo parlati quella mattina in cui siamo rimasti soli in casa, giusto per rompere il ghiaccio, ed è venuto fuori il discorso che questo mese scriverò un articolo sul giornalino scolastico. Lui è sembrato interessato e mi ha chiesto se potessi portargli una copia una volta stampato.»
James mi guarda con occhi sospettosi. «Tutto qui?»
«Certo che sì. Sei tu che pensi sempre male.»
James mi guarda ancora per un paio di secondi, poi si porta alla bocca la sua tazza e finisce di bere il latte. «Sarà. D'accordo, farò questo sforzo e gli porterò l'articolo.»
«Grazie mille!»
James fa un cenno con la testa, si alza dalla sedia e va al piano di sopra.
Daniel mi fissa.
«Che c'è?» gli chiedo.
Daniel sorride e si alza in piedi. «Ti ho lasciata sola due anni e torno che sai mentire meglio di un agente sotto copertura.» Mi arruffa i capelli e si mette a lavare le tazze.
«E non sai che altro ho combinato» dico a bassa voce, ma Daniel sente comunque.
«Non ci tengo a saperlo, grazie. Vai su, sveglia mamma e papà e preparati che tra venti minuti passa il pulmino della scuola.»
 
****************
 
Tutto dovrebbe essere andato per il meglio, aspetto solo una chiamata o un messaggio da Colin che me lo confermino.
Il cellulare suona ma è un numero sconosciuto che mi scrive.
"Oggi è il grande giorno, eh?" dice.
Rimango stranita, così decido di rispondere.
"Chi sei?"
Dopo pochi secondi arriva la risposta "Mi rattrista che tu non mi abbia riconosciuto, principessa. Dopo quel bacio così appassionato che ci siamo dati... sapeva di fragola, ricordi?"
In questo periodo ci sono state tante persone che ho baciato, ma solo una sapeva di fragola, e solo una mi chiamava "principessa".
"Cameron?!" scrivo così velocemente che quasi sbaglio a digitare.
"Sei così stupita?"
"Certo che sì! Pensavo di non sentirti mai più! Come hai avuto il mio numero?"
"Non è stato difficile, ho tanti informatori e, diciamo, clienti nella tua scuola."
"Sei ancora in fuga?"
"Come sempre, principessa."
Sorrido. "E così ti sei ricordato del giorno della pubblicazione del mio articolo. Attento, le persone potrebbero pensare che adesso ti sia affezionato a me."
"Come si fa ad affezionarsi ad una piagnucolosa bimba piena di problemi? No, no, non hai capito. A me manca il tuo culo."
Rido. "Che scemo."
"Farò in modo di avere una copia del tuo articolo. Devo andare adesso."
"Ti rifarai mai vivo?"
Lascio passare un quarto d'ora, poi mezz'ora, un'ora, ma Cameron non risponde.
Sento il cellulare suonare.
Colin.
"Grandioso articolo! Sapevo che ce l'avresti fatta. Mando a Linda il file e per domani sarà stampato e distribuito in tutta la scuola."
Un angolo della mia bocca ha un guizzo.
"Perfetto" rispondo.
E adesso non mi resta che aspettare.

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Capitolo 31
*** L'Articolo ***


Capitolo 31:
L'Articolo
 
'Tutta Colpa di un Pezzo di Carta'
 
"Colin Fresh.
Un nome e un cognome. Basta poco per attirare l'attenzione della gente.
Ma la verità è che non sono altro che parole. Lettere.
Poiché un ragazzo così vuoto dentro non può avere un nome, né tanto meno un cognome.
Colin Fresh è parole.
Nient'altro.
 
Vi chiederete come mai io tenga un tale risentimento nei suoi confronti.
Beh, sedetevi, perché devo raccontarvi una storia.
 
Io ero totalmente, completamente, rapita dallo sguardo, dai modi di fare, dal modo in cui Colin metteva quell'unico cucchiaino di zucchero nel suo the pomeridiano, poco dopo la fine delle lezioni a mensa.
 
Mi piaceva, ma non gli avevo mai parlato, fino a quando non l'ha fatto lui.
Mi ha detto che gli servivano studenti che entrassero nel giornalino scolastico a lavorare con lui e, dopo un po' di indecisione, ho accettato la sua proposta.
 
Mi diede quasi subito un articolo su cui lavorare. Mi disse che sarei dovuta uscire con cinque ragazzi diversi allo stesso tempo per poi scrivere un articolo sulle differenze tra i vari generi.
Uno Sportivo.
Un Nerd.
Un Ribelle.
Un Intellettuale.
Un Artista.
 
All'inizio non volli accettare, ma lui mi convinse.
Mi baciò.
E mi disse che sarebbe stato per me "l'intellettuale".
Nella mia testa confusa non riuscivo a non pensare che se avessi fatto questo articolo sarei potuta stare con Colin. E quanto volevo stare con Colin!
 
Accettai.
E ancora me ne vergogno.
Colin, so che leggerai queste parole quindi voglio chiederti una cosa: lo sapevi che io avrei accettato se tu mi avessi baciato? Sapevi che avevo una cotta per te?
Perché io non ci volevo credere ma da come ti sei comportato poi, mi sembra quasi evidente.
 
Passarono i giorni.
Piano piano l'articolo si stava costruendo attorno a me. Incontravo ragazzi e recitavo la parte della ragazza perfetta per loro solo per poterci uscire.
Ho inventato nomi, raccontato bugie e rischiato di perdere quelli che erano davvero miei amici.
 
Però avevo la consolazione di avere Colin.
Pensavo mi amasse.
Pensavo saremmo stati insieme per molto tempo se non per sempre.
Abbiamo fatto l'amore.
Era dolce, gentile, mi ha fatto sentire accolta e al sicuro.
 
E adesso se ci riprenso riesco solo a pensare 'che grande prova attoriale'.
 
Venne fuori che non mi amava. Non l'aveva mai fatto. Mi stava solo aiutando con l'articolo, per avere una persona in meno da cercare.
 
Mi disse che non aveva idea che io non lo sapessi, pensava che anche io stessi recitando la parte.
Sentii il mondo crollarmi addosso, ma non mi arresi. Decisi che l'avrei detto a tutti. Tutti sarebbero venuti a sapere che tipo di ragazzo fosse Colin.
Vuoto.
Privo di empatia.
Non voglio neanche sforzarmi di trovare altri appellativi, non ne varrebbe la pena.
 
Ed ora, ho parlato fin troppo di Colin.
Visto che ho finito per ferire tutti quelli che hanno preso parte, anche se inconsapevolmente, alla costruzione dell'articolo che avrei dovuto pubblicare oggi, volevo dire due parole ad ognuno di loro, perché so che qualcuno gli farà leggere queste parole, nonostante fra di noi non ci sia più nessun tipo di rapporto.
 
Il primo che ho incontrato è stato Chris: lo Sportivo.
 
Chris, so che tu non sei stato neanche informato della faccenda dell'articolo ed hai pensato che ti tradissi, per questo mi hai lasciata.
Beh, ora sai come sono andate le cose, e spero che potrai perdonarmi.
 
Devo dirti la verità, all'inizio pensavo fossi solo una testa vuota, il solito tutto muscoli e niente cervello. Invece mi hai sorpresa. Sei riuscito addirittura a farmi provare qualcosa per te.
E mi dispiace davvero per tutto. Per il modo in cui ti ho fatto innamorare di questa 'Sasha' che avevo creato per poi portartela via.
Mi dispiace.
 
Volevo dirti un paio di parole prima di terminare la tua parte:
Pensa in grande. Vai al di là di ciò che dicono i tuoi genitori. Pensa con la tua testa. Dimostra al mondo che gli sportivi possono avere un cervello.
 
Il secondo ragazzo che ho incontrato è stato Andrew: il Nerd.
 
Andrew, sei un ragazzo dolcissimo, tenero, che mi ha fatto riscoprire un sacco di nuove emozioni.
Mi piaceva davvero parlare con te ed ho apprezzato la delicatezza con cui mi trattavi.
Anche tu non sei stato informato della faccenda dell'articolo, e adesso che lo sai, spero che anche tu possa perdonarmi un giorno.
Mi sono divertita con te, grazie dei bei momenti.
 
Qualche consiglio anche per te:
Non lasciare che la tua timidezza ti fermi, sotto tutta la tua insicurezza c'è un leader, una persona che potrebbe fare grandi cose in futuro. Cogli le occasioni che arriveranno e fai della tua vita qualcosa di importante. Perché tu puoi farlo.
 
E come terza persona, ho incontrato Theo: l'Artista.
 
Beh, Theo, tu sai già tutto, e ti ringrazio di essermi stato accanto nonostante questo.
Mi sono già scusata un sacco di volte con te e non finirò mai di farlo, ma visto che hai accettato le mie scuse, ti dico solo che spero potremo rimanere amici quanto più tempo possibile.
Sei una persona speciale, che ha completamente sconvolto il mio modo di vedere le persone. I tuoi dipinti sono meravigliosi e tu per primo sei meraviglioso.
 
Non smettere mai di fare quello che ti piace. Segui i tuoi sogni e non lasciarti calpestare dai tuoi parenti. Loro avranno una tabella di marcia sicura e precisa, ma sappiamo entrambi che tu sei troppo fuori dagli schemi per loro.
Semplicemente, segui la tua strada.
 
E ultimo, ma non meno importante, ho incontrato Cameron: il Ribelle.
 
Beh, 'incontrato' è una parola grossa, giusto, Cameron?
Sappiamo entrambi che non posso dire molto sul tuo conto in pubblico ma... lascia solo che ti ringrazi.
Nonostante il nostro inizio un po' turbolento, abbiamo trovato il nostro equilibrio, e sei stato un amico prezioso, un consigliere. L'unico che conosceva tutta la storia dell'articolo e che si è sorbito tutti i drammi che stavo affrontando in quel momento.
E avevi ragione riguardo a Colin, avrei tanto voluto crederti quando l'hai detto.
 
Beh, non conosco molto di te, quindi non posso darti consigli come ho fatto con gli altri. Ti dico solo: c'è sempre un altro modo per ottenere ciò che vuoi. Se smettessi di fare ciò che fai, non saresti perduto. Quindi provaci.
 
In conclusione: chiedo scusa a tutti quelli coinvolti in questo articolo.
Se vi può far sentire meglio, voi potrete perdonarmi un giorno, ma io non perdonerò mai me stessa per ciò che ho fatto. Non si dovrebbe giocare con i sentimenti degli altri, e dopo che è successo a me con Colin sono riuscita a capire di persona quanto male possa fare.
 
Quindi, per l'ennesima volta, mi dispiace.
Spero che possiate dimostrare al mondo che siete più di stupidi stereotipi."

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Capitolo 32
*** Il Finale ***


Capitolo 32:
Il Finale
 
Guardo fuori dalla portafinestra della cucina, seduta su uno sgabello del bancone.
Il prato è sporco, pieno di foglie secche, e un lieve filo di vento le sfiora delicatamente, facendole ondeggiare.
Per una volta, sono tranquilla. Non ho pensieri che mi sfiorano la mente. Solo tranquillità.
È bello non doversi preoccupare di nulla.
Una tazza piena di cioccolata calda copre improvvisamente la mia visuale.
Mi giro verso Thomas. «Grazie» gli dico e prendo la tazza, avvolgendo tutta la superficie con le mie mani per intiepidirle un po'.
Thomas non risponde, ma si siede sullo sgabello accanto al mio.
C'è qualche attimo di silenzio.
«E quindi è tutto finito, a quanto pare» dice Thomas.
«Già» rispondo.
Sono passati un paio di giorni dalla pubblicazione dell'articolo, e in questi due giorni ho ricevuto un mucchio di messaggi, tutti da ragazzi della scuola, alcuni non sapevo neanche come avessero avuto il mio numero.
Certi messaggi insultavano, altri si complimentavano, altri ancora volevano sapere se fossi stata davvero io a scrivere quell'articolo e se la storia fosse vera.
Non ho risposto a nessuno.
Finché non mi sono arrivati altri tipi di messaggi.
 
Il primo a scrivermi fu Andrew:
"Grazie delle scuse e dei consigli. Spero di vederti in giro."
 
Poi Theo:
"Bell'articolo, ne riparliamo oggi pomeriggio."
 
Poi me ne arrivò uno da un numero sconosciuto:
"Non credo ci riuscirò ma proverò a fare ciò che mi hai consigliato. Sono contento di averti incontrato, principessa."
 
Colin e Chris, invece, non mi hanno scritto, e non ho potuto neanche incontrarli non essendo andata a scuola per lasciar calmare un po' le acque.
Ho sentito, però, che Colin ha deciso di cambiare scuola, non si sa se i suoi genitori glielo lasceranno fare, ma sembra abbastanza convinto.
In quanto a Chris, spero di potergli parlare di nuovo un giorno.
 
Tutto sembra essersi stabilizzato. E vorrei che questa calma non finisse mai.
«Thomas, sai c'è ancora una cosa che non mi spiego» dico, e bevo un sorso dalla tazza.
«Dimmi.»
«Quella volta che sei uscito in giardino con Cameron, lui è tornato dentro che non aveva più intenzione di farmi del male. Perché? Cosa gli hai detto?»
Thomas ridacchia imbarazzato. «Cose da maschi.»
Sorrido. «Ah, sì? Tipo "No, cioè, fratello quella è mia amica e non la tocchi, chiaro?" Qualcosa del genere?»
«No...» dice, e lo fisso finché non parla di nuovo. «Non proprio.»
«Dai, andiamo, dimmelo!»
Thomas sospira. «D'accordo.» Appoggia la tazza sul bancone e passa un dito sul bordo della tazza, seguendone più volte la circonferenza. «Dopo essermi fatto spiegare le situazione, gli ho detto che se avesse provato a toccarti un'altra volta gli avrei rimesso il proiettile nel braccio e avrei fatto di tutto per ritrovare gli uomini che lo stavano seguendo.»
Resto in silenzio. Non avrei mai pensato che Thomas avrebbe potuto mai dire qualcosa di simile. «Devi essergli sembrato piuttosto minaccioso.»
«In realtà no. Mi ha riso in faccia, dicendo che non avrei mai avuto il coraggio di farlo. Io non risposi, e poi Cameron fece qualcosa di inaspettato.»
«Cioè?» chiedo, mentre continuo a bere cioccolata come se fossero popcorn accompagnati dal film che Thomas sta raccontando.
«Mi sorrise.»
«Come mai?»
«Non lo so. Mi disse che mi rispettava perché ero venuto a difenderti, anche se solo con minacce che probabilmente non sarei riuscito a mantenere, e...»
Bevo l'ultimo sorso di cioccolata rimasta e appoggio la tazza sul bancone. «E...?»
Thomas scuote la testa. «Nulla.» Prende entrambe le tazze e le sistema nel lavandino, accende l'acqua e comincia a lavarle.
«Non devi farlo. Non è casa tua, te l'ho già detto un milione di volte!» mi alzo in piedi e lo raggiungo davanti al lavandino, decisa a farlo smettere.
«Lo sai che lo faccio volentieri» mi risponde, così lo lascio fare.
«Allora? Come continua la storia?» chiedo.
«Non continua. Semplicemente ha accettato di non darti più fastidio.»
«Sì, certo, come no.» Mi metto di schiena ed appoggio le mani sul bordo del bancone affianco al lavandino per poter guardare in faccia Thomas. «Andiamo, dimmelo.»
Thomas resta in silenzio, continuando ad insaponare la tazza che sta pulendo, poi la sciacqua e fa lo stesso con l'altra, appoggiandole poi entrambe ad asciugare. «Vuoi saperlo davvero?»
Annuisco, e Thomas si asciuga le mani per poi incrociarle davanti al petto.
Mi guarda dritta negli occhi. «Gli ho detto che tu eri troppo importante per me, che ti amavo, e che le mie minacce non erano a vuoto se c'entravi tu e la tua sicurezza.»
Resto immobile a fissarlo come un'idiota, senza sapere cosa dire, mentre lui continua a parlare. «Questa volta lui non rise di me, stranamente. Mi tese la mano e mi promise che non ti avrebbe fatto mai del male se io non avessi fatto nulla per metterlo nei guai. Strinsi la sua mano ed accettai. Tutto qui.»
Sentivo uno strano tepore nel petto spargersi per tutto il corpo.
In realtà l'avevo sempre saputo. Avevo sempre saputo di provare qualcosa per Thomas. Me n'ero accorta la sera del Gala, quando era venuto in camera mia a sistemarmi il vestito. Ma in quel momento la mia vita era troppo incasinata per trascinarci dentro anche Thomas e avevo soffocato i miei sentimenti.
Ma adesso era diverso.
Tutta questa storia dell'articolo è finita, e io posso finalmente sistemare tutto e ripartire da zero.
Stacco le mani dal bancone e le porto al viso di Thomas.
Tutto accade velocemente, ma nella mia mente vedo tutto nitido. Vedo le palpebre di Thomas che si alzano un po' per lo stupore, sento le sue guance sotto le mie dita infreddolite, avvicinandomi al suo viso noto le pallide labbra di Thomas socchiuse.
Premo le mie labbra contro le sue per qualche secondo, poi mi stacco, lasciando giusto un paio di centimetri tra i nostri nasi.
«Grazie. Per esserci stato sempre. Per le tue parole. Per avermi protetta e per farlo ancora adesso. Grazie» dico, ed avvicino di nuovo la bocca a quella di Thomas, ma lui mi blocca con un dito.
«Aspetta un attimo.» Sembra un po' confuso. «Quindi mi stai dicendo che dopo averti confessato i miei sentimenti più volte ed essere stato rifiutato, adesso hai cambiato idea? Solo per aver sentito questa storia?»
Sorrido. «No.» Le mie mani scendono fino alle sue spalle e le incrocio dietro il suo collo. «Sarebbe successo comunque, prima o poi. Ti avevo rifiutato perché non volevo che tu fossi il sesto ragazzo che frequentassi e c'era Colin che non mi faceva ragionare lucidamente. Ma adesso che tutto è finito posso dirtelo.»
Mi stringo nelle spalle «Ti amo. Di questo non posso dubitarne. E voglio stare con te, con tutte le cose che comporta. Voglio stringerti la mano mentre camminiamo per strada, abbracciati per minuti interi, guardare film stupidi insieme, voglio conoscere meglio la tua famiglia per capire come abbiano fatto a crescere un figlio tanto perfetto. Voglio fare l'amore con te, più e più volte finché non ne saremo stanchi. Voglio farti felice, prepararti i dolci per San Valentino, baciarti, sentire tutto quello che hai da dire sulla tua passione per la medicina, starti accanto nei momenti difficili come tu lo sei stato con me. Voglio fare le conversazioni stupide tra innamorati, voglio che ci facciamo il solletico per poi bisticciare. Voglio semplicemente che tu faccia parte in modo incisivo nella mia vita. Voglio vivere con te affianco.» Mi manca un po' il fiato, ma continuo a sorridere, aspettando una risposta da Thomas.
«È valsa la pena aspettare tutto questo tempo» dice e accoglie nelle sue mani il mio viso per baciarmi. Sapore di cioccolato si sparge nella mia gola, e le gambe mi tremano per l'emozione.
Continuando a baciarmi, le mani di Thomas cominciano a scendere fino ai miei Jeans, dove slaccia il bottone e tira giù la lampo.
«Aspetta, che fai?» dico ridendo.
«L'hai detto tu che volevi far l'amore con me più e più volte finché non ne saremo stanchi, no?» mi risponde con un sorriso malizioso.
Io mi sfilo in fretta il maglione di lana, restando in reggiseno. «Vedo che non ti è sfuggita quella parte del discorso, eh?»
«Scherzi? Mi avevi già convinto al "Ti amo" ma quando hai detto "Voglio fare l'amore con te" ho capito che eri la ragazza della mia vita.»
Rido. «Che scemo.»
Thomas sospira ed appoggia la sua fronte contro la mia «Ti amo più di qualsiasi altra persona. Voglio che tu lo sappia. Ti rispetterò sempre e farò tutto ciò che è in mio potere per renderti felice.»
Chiudo gli occhi per un momento e sorrido compiaciuta. «Allora togliti quella maglietta.»
Thomas esegue e riprende a baciarmi passionatamente, le sue mani scivolano fino alle mie cosce e con uno strattone mi solleva e mi porta fino al lungo bancone dove eravamo seduti prima per poi appoggiarmici sopra, appoggio le dita sulla vita dei suoi pantaloni e lo attraggo a me finché i nostri corpi non si toccano.
Comincio a sbottonare i pantaloni ma lui mi ferma.
«Aspetta, aspetta, aspetta» mi dice con un sorriso imbarazzato. «Prima che sia troppo tardi, hai...» indica con un dito in mezzo alle sue gambe.
«Oh, sì certo.» Sorrido, e gli do un veloce bacio sulla bocca. «In camera mia nel cassetto della biancheria» gli sussurro. «Se trovi qualcosa che ti piace, puoi portare giù anche qualcos'altro da quel cassetto.»
Lui arrossisce per un attimo, poi mi bacia. Si stacca da me e cammina verso la porta, la apre e prima di richiuderla specifica un: «Non ti muovere.»
Chiusa la porta, mi ritrovo a fissare la mia immagine nello specchio appeso sul suo retro, circondata da un improvviso silenzio.
Nello specchio vedo una ragazza diversa da ciò che ero e che sono stata fino a qualche giorno fa. Ma quel viso così familiare in realtà non mi dice nulla. Lo sento bianco. Vuoto.
Ma queste parole non sono mai state così positive.
Sono un quaderno con pagine bianche, ancora tutto da scrivere. Nuovo.
E sono sicura che scriverò molte cose che ancora non so.
Ma sono certa che la prima parola che scriverò sarà: "Thomas".
 
FINE

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