I'm a queen. Of stupid people

di Kirame amvs
(/viewuser.php?uid=854161)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I – Our world will survive at the end of time ***
Capitolo 2: *** Mr. and Mrs. Stupid ***



Capitolo 1
*** Capitolo I – Our world will survive at the end of time ***


Autore: Kirame amvs

Titolo: I’m a queen. Of stupid people

Coppia utilizzata: Percabeth (Percy/Annabeth)

Rating: verde

Genere: romantico, introspettivo, angst, comico

Avvertimenti: //

Citazione: “Sbatto la testa contro il muro. Se esistesse una nazione di persone stupide, sarei la loro regina” (Cancella il giorno che mi hai incontrato)

Prompt: Alba

Situazione: Proposta di matrimonio

Conteggio parole: 1° capitolo senza titolo: 2.688, 2° capitolo senza titolo: 3.189

NdA:

Ho molte cose da riferire xD

Intanto grazie che hai aspettato sino all’ultimo per me, te ne sono infinitamente grata, ci tenevo così tanto a partecipare a questo contest!

Parlerò principalmente del secondo capitolo. Immagino Annabeth come una persona attenta all’arredamento, per cui, nella casa che visitano, ho descritto tutto, con minuziosità. Spero di non averti annoiato, ma lo trovavo “da Annabeth”, e poi, stiamo o non stiamo parlando della sua casa?

Seconda cosa: nell’ultima parte del capitolo ci sono varie ripetizioni, che ho inteso più come un rimarcare dei pensieri di Annie. Spero non lo considererai un errore. Primo capitolo: nella citazione ho tolto “sbatto la testa al muro”, perché non sapevo dove metterlo ^^’’ Ho recuperato nel secondo scrivendolo non nella frase ma in quella successiva. Spero vada bene lo stesso.

Ho usato anche una citazione da “Orgoglio e Pregiudizio”.

Detto questo, grazie ancora, e che vinca il migliore :)

Kirame

 [Partecipante al contest “Per il potere conferitomi vi dichiaro marito e... indetto da AnnabethJackson]. 

 

 

Capitolo I – Our world will survive at the end of time

 

Camminare mano nella mano con Percy sul bagnasciuga all'alba era una di quelle cose che adoravo fare, le poche volte in cui ero libera dal lavoro su all'Olimpo come architetto e a Long Island per aiutare i ragazzi al Campo Mezzosangue. Era una nostra storica abitudine, al pari del cibo blu di Percy o dei baci subacquei. Ogni domenica mattina io e il mio ragazzo ci trovavamo alla spiaggia del campo e, sotto la luce del sole dai colori dinamici e vivaci, passeggiavamo sulla battigia a piedi scalzi, affondando le piante dei piedi nella sabbia fresca e umida. Occasionalmente mi prendeva in braccio e mi portava sott'acqua, dove restavamo per ore, circondati da una bolla iridescente che mi permetteva di respirare. E allora, quelle domeniche mattina, capivo sino in fondo tutto ciò̀ che noi avevamo dovuto sopportare: fatiche immani, mille tipi diversi di mostri, Crono, il tradimento di Luke, la difficile impresa dei sette e il risveglio di Gea. Ma quel che più̀ di tutto ci aveva uniti era stata la difficile traversata del Tartaro.

Dopo quella difficile situazione, avevamo sviluppato una sorta di morbosa preoccupazione l'uno per l'altro, non riuscivamo a restare mezza giornata senza sentirci, quando, immediatamente, pensavamo che l'altro fosse accidentalmente scivolato nel Tartaro.

Era una paura enorme, ma, ehi, non si dice che per amore si sopporta tutto?

E se c'era una cosa di cui ero sicura, tre parole che reggevano l'impalcatura del mio cuore, quelle erano ti amo Percy.

«Annie, hai fame?» due grandi occhi verdi come il mare mi squadrarono con scetticismo, soprattutto perché risposi con un "eh?" poco intelligente.

«Ci sei, Sapientona?» mi chiese, sventolandomi una mano davanti al viso.

«Certo che ci sono, Testa d'Alghe» sospirai, prendendogli il polso e accompagnandolo sulla spiaggia asciutta.

Ci sedemmo su due teli da spiaggia piuttosto imbarazzanti regalati da Chirone (Uno con Poseidone e uno con Atena)  e lui tirò fuori dallo zainetto delle scatolette grigie.

Le aprì lasciando il coperchio alzato così che io non potessi vedere il contenuto, poi girò la prima scatola:

C'erano dei biscotti ha forma di lettera, erano messi in ordine e formavano una parola:

Will.

Una strana idea si fece strada nella mia mente, ma Percy non era quel tipo di persona. Lui non era capace neanche di fare due passi, in cucina come minimo sarebbe saltato in aria, e poi... Insomma. Percy? Ma non scherziamo.

Forse.

Girò la seconda scatola: you. 

Magari mi voleva solo chiedere se volevo fare una nuotata o una gita. Sì, doveva proprio essere così.

Con una lentezza esasperante iniziò a ruotare verso di me gli ultimi due contenitori.

Chase, calma.

Non ti sta mica chiedendo di spos-

Marry me?

Will you marry me?

Io non sapevo cosa dire. Ero strabiliata ed entusiasta, e se avessi avuto dei dubbi sul passare il resto della mia vita con Percy, l'avrei già detto tempo fa.

Lo guardai, mentre lui, visibilmente teso, cercava una qualche risposta nei meandri della mia mente e del mio cuore.

Ma prima che io potessi dire anche solo "bah", lui si voltò verso l'oceano, così mi girai anche io. Quello che vidi mi fece scendere una grossa lacrima sulla guancia.

Percy aveva creato un muro d'acqua a forma di cuore, scrivendo a grosse lettere d'acqua salata I love you, Annabeth Chase.

Un braccio d’acqua portò vicino a me una scatolina in velluto blu incredibilmente asciutta, che si aprì rivelando un piccolo cerchio d’oro semplice, con un piccolo diamante al centro.

Era meraviglioso.

«Ti amo, Sapientona» con il dorso dell'indice mi asciugò la lacrima, dandomi poi un bacio nel punto in cui si era fermata.

«Oddio, Testa d'Alghe, questa è la cosa più melensa e bella che una figlia di Atena possa immaginare... Io... Io non so cosa dirti»

«Potresti iniziare col dirmi sì. Tanto lo so che mi ami tantissimo» esclamò lui sorridendo, tronfio, per nascondere la tensione.

Deglutii, ignorando la sua frecciatina. Come fare a spiegarglierlo?

 «Percy... Io... Cioè, noi abbiamo ventitré anni, siamo un po' troppo giovani per sposarci, non conviviamo neanche... Io ti amo, ma non sono pronta, non adesso»

 

Il suo sorriso si spense. Abbassai lo sguardo, mortificata. Adesso mi avrebbe preso per un ingrata, ma un passo come questo richiedeva di essere pianificato. Non avevamo una casa, né convivevamo, non eravamo abbastanza ricchi per poterci permettere un appartamento, né i mobili e gli arredi.

Mi guardò con un misto di imbarazzo e paura, come se gli stessi per dire che lo avrei lasciato. Mentre io pensavo che lui avrebbe lasciato me.

«Capisco» disse solo, e questa semplice parola crepò il mio cuore, perché il suo tono era più duro e distaccato, quasi il figlio di Poseidone si volesse chiudere nella corazza di un porcospino e non avere più a che fare con il mondo.

«Percy... Io... Mi disp-»

«Non dirlo, Annabeth. Per favore» seppellì la testa nelle gambe, scuotendola, e cingendosi le ginocchia con le braccia.

«Ehi» mi avvicinai a lui, abbracciandolo e sollevandogli la testa il più delicatamente possibile.

Presi un biscotto blu a forma di W da Will è uno a forma di M da Marry. Diedi la W a Percy, ruotando la M in modo che formasse una w.

«Siamo uguali, uniti. Non puoi spezzare una M, giusto, Testa d'Alghe? Se la spezzi, non è più nulla» mormorai.

Lui annuì, incerto. Osò anche sollevare un sopracciglio con scetticismo, ma nessuno di noi due era in vena di discutere come facevamo sempre, anche se poteva risultare molto divertente.

«Si può incominciare... convivendo» lo guardai, pensando a una camera con un letto matrimoniale. Arrossii violentemente. Avremmo chiesto un prestito. Qualunque cosa, pur di stare con lui.

«Cioè, non sei obbligato, ovviamente, era solo un'idea...»

Mi tappò la bocca con la sua, premendo le labbra contro le mie. Lo presi come un sì.

Ci baciammo per quelle che mi sembrarono ore, desiderosi di un maggiore contatto.

Percy mi accarezzò la schiena, infilando la mano sotto la maglietta.

Io gli allacciai le mani dietro la nuca, accarezzandogli i capelli scuri scompigliati ma morbidissimi lo stesso.

Il mio cervello era in tilt, e pensare che sarei dovuta essere io quella matura, e lui il bambino.

Prima di perdere il controllo in una spiaggia alle otto del mattino, interruppi il bacio e lui, capendo, tolse la mano dalla mia schiena. Mi sentii subito svuotata, come se mi avessero tolto la flebo che mi teneva in vita.

Poche ore più tardi salutai Percy, promettendogli di chiamarlo per gli appartamenti.

Era ormai sera quando trovai una villetta vicino al mare appena restaurata.

Chiamai il mio ragazzo e lui rispose al secondo squillo.

«Pronto? Sapientona?»

«Ciao, Testa d'Alghe. Senti, ripensando ad oggi, sono...» provai.

«Non importa più ormai. Un passo alla volta, giusto? Hai trovato qualcosa?» era chiaro che non voleva parlarne, ma se non me lo avesse più chiesto?

Se dopo che, da completa deficiente, avevo rifiutato la sua proposta, come potevo anche solo pensare che il figlio del dio del mare ci avrebbe riprovato?

Deglutii e mi costrinsi a lasciar perdere. "È una questione di rispetto verso di lui, Chase", mi dissi, per farmi coraggio.

«Sì, giusto. Hai ragione, basta parlarne. Ho trovato una villetta vicino all'oceano... Volevo chiederti se ti va di andare a vederla... Magari domani mattina? Ti mando l'indirizzo via sms»  proferii parlando velocemente, forse temendo un suo rifiuto, che, in quel particolare frangente, non avrebbe avuto esclusivamente funzione di diniego nei confronti della nostra imminente convivenza, ma, soprattutto, in quelli del nostro matrimonio, che io avevo prontamente respinto. Bollando la sua proposta meravigliosa come una sfaccettatura del suo carattere, come un atto di impazienza.

Solo ora mi accorgevo del mio errore. La sua non era impazienza. La mia, invece, era stata stupidità.

«Sì, certamente. A che ora? Le nove e mezzo può andare bene per te?» Percy ha la voce desolata. Forse pensa che lo rifiuterò per sempre, che non ci sposeremo mai.

C'è una parte di me che immagina il matrimonio come una privazione della libertà. È una decisione troppo importante, che ti cambia per sempre. Niente più programmi, niente più spazi, tuttavia... È una parte piuttosto piccola.

L'altra parte, quella che ora prevale, chiede a gran voce Percy.

Urla che una vita insieme al figlio di Poseidone è l'unica cosa che desidero.

Ed è vero. Svegliarmi e trovarlo accanto, cucinare la pasta blu per pranzo, portare a scuola i nostri piccoli pargoli con i capelli biondi e gli occhi verde mare, essere chiamata Annabeth Jackson.

"Perché non vuoi essere una persona diversa? Perché non vuoi essere Annabeth Jackson?" Mi domando. Sono stata proprio una stupida.

«Sì...» mi riscuoto dai miei pensieri. «Ci incontriamo lì, Percy. 'Notte»

«Buonanotte, Annabeth»

Chiude la telefonata e io mi lascio cadere mollemente sul letto a una piazza e mezzo.

Affondo la testa nei cuscini, inspirando a pieni polmoni il profumo di Percy, che ancora impregna le lenzuola in memoria delle notti passate insieme.

Salsedine, l'odore dell'amore. Questa parola, adesso, per me ha assunto un volto, una voce, un odore, un nome specifico: Percy Jackson. Come pensare che possa cambiare ciò che mi comporta?

Il suo profumo mi ricorda l'alba in spiaggia. La lieve brezza marina che porta con sé l'odore dell'oceano, delle mareggiate, delle estati passate sott'acqua a ridere, prendersi in giro, amarsi, rincorrersi, sorridersi, anche consolarsi.

Con Percy, posso avere tutto. Senza, non ho niente. Non esiste neanche più Annabeth. Chi è Annabeth, senza Percy? Dopo tutte le imprese, le morti, i pianti, le disgrazie, il Tartaro, come farebbe Annabeth a reggersi in piedi, senza qualcuno che la sostenga sempre, dovunque? Persino all'Inferno.

D'altra parte, come fa un tempio a stare in piedi senza le sue colonne?

Una lacrima cade su una penna di una delle civette sul copriletto.

Anche quello mi deve ricordare che mia madre non è d'accordo con il cuore di sua figlia.

Un'altra goccia segue la prima.

E tante altre. Decine? Centinaia? Ho smesso di contarle.

Squilla il telefono.

Con gli occhi rossi di pianto guardo lo schermo.

Piper.

Mi viene quasi da ridacchiare.

Anche quando non è con me, la mia amica capisce quando non è proprio il momento di non farmi sentire in colpa.

Se non rispondessi, me la ritroverei determinata a sapere qualunque cosa sul ciglio della porta, le braccia magre incrociate sotto il seno e il piede che batte ritmicamente sulle piastrelle del corridoio del terzo piano.

Faccio un grosso respiro e mi impongo di essere convincente.

 «Pronto? Ciao Pipes!» sono ridicola. Anche uno dei biscotti blu di Percy capirebbe che c'è qualcosa che non va.

«Pronto, ciao Annie...? C'è... qualcosa che dovrei sapere?» chiede, la voce prima entusiasta e poi piano piano sempre più preoccupata.

Fantastico.

Non le posso nascondere nulla.

Tanto vale negare l'evidenza.

«No! Ma che dici, non ho nulla. Cosa te lo fa pensare?»

«Okay, Annabeth. Sono lì da te col take away cinese tra esattamente dodici minuti. E non voglio sentire storie» avverto il suo cipiglio preoccupato ma determinato ad aiutare chiunque. È troppo buona.

Cerco ancora di farla desistere. Per tutta risposta mi chiude la chiamata con un "Si capiva benissimo! Dodici minuti!"

Forse ho davvero bisogno dei consigli di Pip. Sono una frana con le emozioni.

Esattamente dodici minuti dopo, una Piper McLean in tenuta da guerra irrompe nella mia stanza senza neanche bussare.

Al diavolo il momento in cui le ho dato le chiavi del mio appartamento.

«Allora, Chase?» mi chiede, sedendosi sul letto e abbracciandomi.

«Sono una stupida, Pipes. Se esistesse una Nazione di persone stupide, sarei la loro regina» dico sconsolata. Poi mi ricompongo.

«Tu perché mi avevi chiamato?» provo a cambiare discorso.

Sospira e ha un fremito. Penso che si stia trattenendo dal dirmelo.

«Non provare a cambiare discorso. Che hai?»

«Io... No, cioè... Percy stamattina ha provato a chiedermi... Di sposarlo. E cioè, lui è stato dolcissimo, la cosa più bella che io abbia mai visto... Capisci?» Piper strillò di gioia.

«Annabeth! Finalmente! Quando vi sposate? Dove? Dobbiamo trovare l'abito, fare gli inviti... Dei! Sono così felice per te!» mi abbracciò di nuovo, commossa.

«Pipes... Gli ho detto di no» abbassai lo sguardo, incapace di reggere i suoi occhi caleidoscopici increduli.

«...Come sarebbe a dire? Perché? Vi amate da morire, fattelo dire da una figlia di Afrodite»

«Io ho pianificato qualunque cosa, nella mia vita, come un grande palazzo. Avevo le idee chiare... Andare al Campo Mezzosangue, poi al college, fare l'architetto... Poi! Poi è arrivato quello stupido lama bavoso, ergo Percy Jackson. Ha sconvolto tutto! Era così fastidioso ed insopportabilmente bello che ho finito per innamorarmi di lui.

Ma sposarci? A ventitré anni? È come bloccare la mia strada. Mi vedo già come una casalinga che sa solo pulire la casa, preparare il pranzo e aspettare il proprio marito. Io... Io non posso vivere così, Pip. Tengo ancora al progetto della mia vita, sebbene sia ovvio che voglia passare il resto della mia vita con Percy. Non potrei con nessun altro» dico sconsolata. Cosa devo fare?

«Senti, lo hai detto anche tu, sei cotta come un marshmallow. E a proposito, ti ho chiamata per dirti che oggi Jason mi ha chiesto di sposarlo! Gli ho detto di sì, quindi non è troppo presto. Se è l'amore -e lo è-, non ha tempo» anche Jason? Ma si erano messi d'accordo lui e il figlio di Poseidone?

«Oddio, Pip! Ma è una notizia bellissima! Quando vi sposate?» sono davvero felice per lei, e per un po' mi farà dimenticare Percy.

«Pensavamo di sposarci fra quattro-cinque mesi, a luglio oppure i primi di agosto. Annabeth, te lo dico da amica ad amica. Questo è il momento giusto. Sposatevi. Vivete felici. Non cambierà nulla, dei tuoi programmi. Chiedi a Reyna, Rachel, Hazel, Clarisse... Chiunque. Ti diranno che il matrimonio è la ciliegina sulla torta di ogni amore. Ricordati, voi due ne avete passate molte più di me e Jason, e siete ancora qui. Significherà qualcosa, no? L'amore non ha un lieto fine, Annie. L'amore non ha fine» mi dice, e non c'è alcun bisogno che usi la sua lingua ammaliatrice, risulta convincente anche così.

«Pensi che Percy sia proprio quello giusto? Anche io ho trovato l'amore della mia vita?» le chiedo, anche se sono piuttosto sicura già da me della risposta.

«Certo che sono sicura! Io ho Jason, Hazel ha Frank, Grover ha Juniper, il Coach Hedge Mellie, Nico ha Will, Clarisse Chris, persino Reyna, che mia madre ha maledetto, ha incontrato Logan, un umano! Anche Hylla, per esempio, ha trovato Stefan. Tu sei destinata a stare con Percy» esclama, elencando con le dita le relazioni dei nostri amici.

«Hai ragione, Pip. Aspetterò qualche mese per vedere come va se conviviamo e poi glielo chiederò» mi alzo e mi stiracchio, dirigendomi verso la cucina.

Anche Piper mi raggiunge, ed insieme scaldiamo i noodles alla soia con le verdure e li mangiamo sedute sul parquet.

Stare con Piper mi fa sempre bene, formiamo una coppia di guerra famosa perché ci completiamo a vicenda: la razionalità e le emozioni.

Anche come amiche siamo inseparabili. Con le questioni di cuore è un genio. E pensare che Nico pensava di non essere stato scoperto da lei, agli albori della sua relazione con Will Solace, il figlio di Apollo.

 

New York City, monolocale di Annabeth, 22 aprile 2015, ore 23:37

 

Piper si avvolse con cura la sciarpa color zafferano attorno al collo, si rimise i comodi scarponcini malridotti che si ostinava ad indossare, prese lo zainetto nero dal comò e si voltò verso di me.

«Buona fortuna» mi disse, infondendo nelle sue parole felicità, speranza e determinazione.

Non voleva convincermi con la lingua ammaliatrice, questo no, voleva solo darmi la carica per parlare a Percy.

«Sei un'amica fantastica, Pip McLean. Grazie, di tutto» le dissi, abbracciandola.

«Spacca tutto, tesoro! Poi, il vestito te lo scelgo io. Sarà un matrimonio così romantico...» anche se non lo ammette, Piper è un inguaribile romantica. Ha osservato tutto il tempo la mia relazione con il figlio di Poseidone, come se fosse al cinema con i popcorn e la coca-cola in mano.

Chiudo la porta e mi sdraio sul letto, addormentandomi quasi subito, e cadendo in un sonno cupo e irrequieto.


_____________________________________________________________________

Ehilà, gentaglia! Vi sono mancata? Non penso xD

Eccomi approdata finalmente su Marte sul fandom di Percy Jackson, con una storia che partecipa al "Per il potere conferitomi, vi dichiaro marito e..." di AnnabethJackson/Roses98.

La ringrazio anche quaggiù per la pazienza infinita e per la gentilezza :)

Grazie, Rose :D ♥

Il suo era un contest a cui tenevo talmente tanto che mi son ridotta a consegnare alle 23:59 esatte. Quando si dice "All'ultimo minuto" xD

Vi avviso già da adesso che ci saranno due capitoletti soli. È una mini mini long.

Questo era il primo, spero di non aver scritto degli strafalcioni ed essere andata troppo sull'OOC.  Se avete 1 minutino per me, vi prego, scrivetemi un parere. Ne ho davvero tanto, tanto bisogno.

Detto questo auguro buona fortuna a tutti gli altri partecipanti del contest, che vinca il migliore :)

Grazie a chi ha messo fra le seguite, ricordate, preferite, soprattutto a chi ha recensito ♥ e anche grazie a tutti coloro che hanno letto ^-^

Vostra Persyana (?),

Kirame ♥

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Mr. and Mrs. Stupid ***


Autore: Kirame amvs

Titolo: I’m a queen. Of stupid people

Coppia utilizzata: Percabeth (Percy/Annabeth)

Rating: verde

Genere: romantico, introspettivo, angst, comico

Avvertimenti: //

Citazione: “Sbatto la testa contro il muro. Se esistesse una nazione di persone stupide, sarei la loro regina” (Cancella il giorno che mi hai incontrato)

Prompt: Alba

Situazione: Proposta di matrimonio

Conteggio parole: 1° capitolo senza titolo: 2.688, 2° capitolo senza titolo: 3.189

NdA:

Ho molte cose da riferire xD

Intanto grazie che hai aspettato sino all’ultimo per me, te ne sono infinitamente grata, ci tenevo così tanto a partecipare a questo contest!

Parlerò principalmente del secondo capitolo. Immagino Annabeth come una persona attenta all’arredamento, per cui, nella casa che visitano, ho descritto tutto, con minuziosità. Spero di non averti annoiato, ma lo trovavo “da Annabeth”, e poi, stiamo o non stiamo parlando della sua casa?

Seconda cosa: nell’ultima parte del capitolo ci sono varie ripetizioni, che ho inteso più come un rimarcare dei pensieri di Annie. Spero non lo considererai un errore. Primo capitolo: nella citazione ho tolto “sbatto la testa al muro”, perché non sapevo dove metterlo ^^’’ Ho recuperato nel secondo scrivendolo non nella frase ma in quella successiva. Spero vada bene lo stesso.

Ho usato anche una citazione da “Orgoglio e Pregiudizio”.

Detto questo, grazie ancora, e che vinca il migliore :)

Kirame

 [Partecipante al contest “Per il potere conferitomi vi dichiaro marito e... indetto da AnnabethJackson]. 

 

 

Capitolo II – Mr. and Mrs. Stupid 

 

Il vestito aveva uno scollo con una sola spallina, non troppo vistoso, aderiva accentuando le mie curve dolcemente e non era troppo eccessivo, perché dalla vita in giù si allargava, sino ai piedi, da cui partiva uno strascico di mezzo metro, adornato di rose minuscole color avorio.

Piper, sebbene non fosse una make-up artist, si era data molto da fare, acconciando con altre piccole rose color avorio i miei morbidi ricci biondi, solitamente non pettinati né tantomeno curati. Mi aveva anche truccato, ignorando le mie proteste, anche se si era trattenuta: una sottile striscia di eye-liner, un po' di mascara, dell'ombretto tonalità corallo e aveva anche passato il lucidalabbra dello stesso colore.

Dovevo dire che, sebbene non mi fossi mai truccata né acconciata i capelli, davanti al grande specchio su cui potevo ammirarmi, mi sentivo salire le lacrime agli occhi. Finalmente era arrivato anche per me. Finalmente sarei diventata Annabeth Jackson.

Piper mi guardò, orgogliosa e bellissima fasciata nel suo abito stile greco sempre color corallo, i capelli scuri e mossi adornati da piccole magnolie chiare.

Anche Rachel, Reyna, Hazel e Talia erano bellissime. Talia si era lamentata per tutto il tempo di come volesse la sua tenuta da cacciatrice, poi si era convinta, sbuffando sonoramente. Le abbracciai tutte.

 

Mi diressi verso l'altare con mio padre, che mi guardava leggermente melanconico, così gli diedi un bacio sulla guancia per rassicurarlo. Mi sorrise e mi fece cenno di girarmi verso Percy. Voltai il capo, sicura di incrociare i due occhi verdi che tanto amavo specchiarsi nei miei. Quello che vidi, invece, mi bloccò il respiro. Boccheggiai, scrutando sbigottita gli occhi azzurri del mio quasi sposo. 

Salii sul gradino sotto l'arco di fiori candidi, e, senza parole, lo osservai.

Stetti così, senza sentire veramente ciò che veniva detto da Chirone, sino a quando il centauro non disse una frase che confermò le mie paure, i miei sensi di colpa, e diede loro un nome.

«Vuoi tu, Luke Castellan, sposare la qui presente Annabeth Chase?»

No. 

Non era così che doveva andare.

Davanti a me, in quel momento, non poteva esserci nessun altro, se non Percy Jackson.

Era lui che amavo.

Era lui che avrei sposato.

Nessun altro.

Era lui che avrei amato.

Per tutta la vita.

«Sì, lo voglio» Percy mi fece un gran sorriso, mostrando i denti bianchissimi e le fossette sulle guance, che trovavo adorabili.

Ricambiai, dimenticandomi di Luke.

Ora era giusto. Ora potevo dire di sì.

«Vuoi tu, Annabeth Chase, sposare il qui presente Luke Castellan?»

Cosa?

Percy scomparve, e per la seconda volta mi mancò l'aria.

Tornò Luke, sicuro e sorridente.

No! No!

Pregai, sperando che Percy tornasse.

Ma il figlio di Ermes era fermo, in smoking, davanti a me, era bello, ma sbagliato.

Stavo tradendo Percy.

«No.»

 

 

 

New York City, appartamento di Annabeth, 23 aprile 2015, ore 4:52

 

Mi svegliai di soprassalto, stringendo nei pugni le lenzuola con violenza.

Avevo ancora la vista annebbiata e faticavo a respirare. Mi lasciai ricadere senza forze sul materasso, osservando l'orologio sulla parete.

Le quattro e cinquantadue.

Sapevo che non sarei più riuscita a riaddormentarmi, così mi alzai e mi misi un paio di jeans e una t-shirt color lime. Presi una felpa, le chiavi e una mela, poi uscii, non sapendo con precisione dove andare.

Guidai senza una meta precisa, e con mio sgomento mi ritrovai ad osservare le prime luci diurne con i piedi che affondavano nella spiaggia umida.

Amavo l'alba. Mi sarebbe piaciuto rinascere, come il sole al mattino, colorare il cielo di giallo, arancio, rosa e rosso, alzarmi in una routine rassicurante di milioni di anni su per nelle nuvole come il bolide di Elio trasportato da Apollo.

Amavo guardare il gioco di luci che si formava sulla superficie placida dell'oceano, mi infondeva tranquillità, e mi ricordava Percy. Tutto mi ricordava lui.

Le onde infrante sulla battigia, l'alba che tanto mi piaceva, il sole, il blu, anche quella donna maestosa che si avvicinava a me sembrava in qualche maniera collegata al figlio di Poseidone.

Un momento.

Quella donna era... Mia madre. Atena. Pericolosamente vicina al mare.

«Madre» dissi soltanto quando fu più vicina.

«Annabeth»

Guardò la mela che avevo in mano, e, con un cipiglio incolore negli occhi, la prese e la lanciò in mare.

Potevo solo immaginarne il perché. E avevo un'idea.

Fece una lieve smorfia.

«Non amo particolarmente le mele» si giustificò, sebbene non le avessi chiesto nulla.

Era molto permalosa.

«Di cosa mi voleva parlare, madre? È stata lei a farmi fare quel sogno? A rovinare il mio matrimonio?» dissi, più che rabbiosa, esausta.

Ero stanca che mia madre mi dicesse come un figlio di Poseidone non fosse giusto per me. Ero stanca, stanca di avere una madre mai presente. Era come non averla.

«Sì»

Sì cosa? Il sogno? O l'intenzione di rovinare il mio matrimonio?

«Annabeth, sarò testarda, ma non sono sicuramente priva di intelligenza. Ti ho fatto vedere quel sogno per farti capire quanto tu ami Percy Jackson. Ti do la mia approvazione. Sei stata brava. E, parlando del tuo amato, ha compiuto un atto di coraggio e amore, seguendoti nel Tartaro. Per quanto mi costi affermarlo, non ti saresti salvata, senza di lui. Solo, che stia attento a non farti soffrire. O avrai il mio pieno consenso per eliminarlo. Possibilmente con un’ampia varietà di armi. Scommetto che Poseidone starà sghignazzando orgoglioso e arrogante proprio qui, ridendo della mia debolezza» disse, spostando lo sguardo sulle acque dell'oceano. Per tutta risposta arrivò un'onda più grossa delle altre.

Ero incredula. Avevo il suo permesso? Si era complimentata con me? Non mi sarei salvata innumerevoli volte, senza Percy al mio fianco.

Mi alzai, ancora scossa. Nella sua forma mortale, mia madre era alta quanto me, ma pareva fissarmi ugualmente dall’alto in basso, irraggiungibile.

La guardai negli occhi grigi come una tempesta, cercando un inganno. Non trovai nulla.

«Quindi... posso finalmente sposarlo? Posso avere la mia ricompensa per tutte le fatiche e le imprese?»

«Figlia mia, non domandare l’ovvio»

Presa da un impulso primordiale, naturale, le buttai le braccia al collo, piangendo di gioia. Mi ero finalmente riconciliata completamente con mia madre.

«Grazie» singhiozzai.

Sulle prime, Atena restò immobile, con le braccia abbandonate sui fianchi. Poi, con un sospiro, ricambiò la stretta.

«Annabeth, chiudi gli occhi» ubbidii, vedendo comunque un bagliore accecante dietro le palpebre chiuse, ritrovandomi poi ad abbracciare l’aria.

L’alba era simbolo di rinascita. Una rinascita avvenuta in me, e con mia madre. Un inizio.

 

 

Long Island, 23 aprile 2015, ore 9:37

 

Battevo impaziente un piede sulle mattonelle del vialetto davanti alla villetta. Percy era in ritardo. Come sempre.

Mi concentrai sull’edificio che avevo davanti. Sospettosamente, ricordava una villa greca. Era collocata ad una cinquantina di metri dalla spiaggia, circondata da un giardino piuttosto ampio, con alberi di diverso tipo, ma quasi tutti da frutto: c’era un ciliegio, un mandorlo, un castagno e tanti altri, poi due aceri. Era una villa imponente, bellissima. Era costruita su due piani, ed in contrasto con le colonne all’ingresso, sulla parte frontale aveva diverse finestre coperte da tende rosso fragola.

Era maestosa, ma accogliente, anche da fuori. Iniziavo a pentirmi: quella villa era enorme e me ne ero innamorata, ma sarebbe costata fin troppo. Non c’era traccia neanche del venditore.

Sotto al portico, notai un’amaca, due poltrone e un tavolino di vetro circolare. Mi avvicinai ulteriormente, e sbigottita, sulla targhetta del numero civico “17” vidi due minuscoli simboli che “facevano a pugni fra di loro”: una civetta e un tridente. Per poco non mi venne un colpo. Atena e Poseidone? Insieme?

La macchina di Percy, rigorosamente blu, si parcheggiò accanto alla mia nella stradina di fronte alla casa.

Gli corsi incontro, sebbene già da là fosse palpabile la tensione fra noi due.

«Ciao» disse chiudendo la portiera. Era un po’ rigido, ma mi sorrise.

«Ciao»

Il semidio si guardò attorno.

«È meravigliosa, ma... non ho i soldi per pagarla»  mi guardò un po’ imbarazzato.

«Neanche io, ma guardare non costa nulla, no? Il venditore sarà dentro. Però c’è una cosa, non crederai ai tuoi occhi: vieni» risposi. Mi seguì sino al portico e sgranò gli occhi.

«Com’è possibile? I nostri genitori si odiano! Che sia una trappola?» tolse Vortice dalla tasca.

«Non lo so, ma andiamo a controllare dentro» abbassai con cautela la maniglia e spinsi la porta, lasciandola comunque aperta.

Dentro, il salotto era ordinatissimo, arredato con mobili moderni e ampio. Non c’era nessuno.

«Però, che casa…» mormorò Percy. Non potei che concordare. Era la casa dei miei sogni.

I toni erano tutti sul rosso, sul nero e sul bianco. Erano presenti un divano, tre poltrone e una libreria con dei libri di cucina, che occupavano due dei quattro scaffali, neri, il pavimento in parquet, la parete bianca, senza quadri o poster, un tavolo di vetro quadrato e un tappeto piuttosto grande, rosso.

All’estrema destra del salone c’era un arco aperto che separava il soggiorno da un’altra stanza; all’estrema sinistra, invece, c’erano delle scale in legno a chiocciola.

«Destra» dissi io.

«Sinistra» disse lui nello stesso momento.

«Va beh, decidi tu» esclamammo insieme. Ridemmo nervosamente.

Mi incamminai a destra, lui alzò le mani in segno di resa e mormorò un “Sissignora” che non passò inosservato.

La stanza si rivelò essere un enorme cucina, di color rosso lucido, provvista di tutto quello che serviva: frigo, forno, credenza, mensole, lavastoviglie e lavandino, fornelli, freezer, cassetti, un ripiano lungo di marmo, e vari robot da cucina. Controllai la credenza, il frigo e il freezer: erano vuoti.

«Beh, abbiamo a che fare con un mostro con l’hobby della cucina, ma che deve fare un salto al mercato» ipotizzò Percy. Era un’altra cosa che adoravo di lui: riusciva a fare dell’umorismo anche nelle situazioni che sicuramente non lo richiedevano.

«Se non ci vivesse nessuno, non dovrebbe essere così pulito» sentenziai, non avevo infatti visto neanche un filo di polvere, una ragnatela (anche perché sarei scappata a gambe levate, dopo la brutta esperienza avuta con Aracne) o la porta chiusa.

«Magari è un mostro del pulito che si ciba di aria» provò di nuovo lui.

«Sì, e poi la frigge in padella» replicai.

Dalla cucina, tramite una porta scorrevole, accedemmo alla sala da pranzo. Era circa metà del salotto, con un tavolo circolare nero lucido, circondato da quattordici sedie con il rivestimento in pelle bianca. C’era poi un divano a L bianco con dei cuscini rettangolari neri, una libreria, vuota.

Attraverso un’ennesima porta scorrevole ci ritrovammo in un bagno.

Lo etichettai come bagno di servizio. Di quelli che usi quando arrivi a casa e non riesci a salire le scale.

Non aveva né doccia né vasca. Niente asciugamani. Solo una finestra chiusa, i servizi igienici, delle mensole e due armadietti.

«Ricapitolando, abbiamo a che fare con un mostro che ci tiene alla pulizia, che si ciba di aria fritta, è probabilmente un designer di interni, e invita la sua famiglia a cena, non gli piace leggere che manuali di cucina ma ha addirittura due libreria, sino ad ora, inoltre non fa uso di asciugamani né di prodotti per la pelle/squame/pelliccia e qualsiasi cosa abbia. È sicuramente il mostro più originale del mondo» dissi, scettica.

 

«Già. Proviamo a salire le scale»

Attraversammo il salotto, e ci incamminammo su per le scale. Come immaginavo ci ritrovammo in un corridoio, con 8 porte scorrevoli.

La prima era una camera degli ospiti, composta da un armadio bianco a muro, delle mensole, una scrivania di vetro e due letti a una piazza e mezzo con un copriletto con i pegasi e uno con le civette.

Io e Percy ci guardammo arrossendo.

«Che cosa sta succedendo?» chiesi io a nessuno in particolare.

La seconda stanza era uno studio. C’era un computer su una scrivania di vetro (il mostro aveva anche la mania del vetro?), una libreria rigorosamente nera e rigorosamente vuota, Una poltrona nera con le ruote e un paio di piante e fiori in vaso. C’erano poi due mensole e cinque cassetti.

La terza, invece, era un bagno, questa volta provvisto di doccia, oltretutto molto spaziosa.

Il parquet era di legno scuro e impermeabile, a prima vista. Per il resto, quella stanza era identica al bagno del piano terra.

La quarta porta conduceva ad una camera da letto più… infantile.

Il muro assumeva una tonalità verde chiaro, simile alla mia maglietta, che risaltava con le tipiche tende rosso fragole di tutta la casa. L’armadio a muro, invece, richiamava il colore delle tende, mentre il letto aveva un copriletto coi gatti; c’erano poi un tappeto color lime e una tipica scrivania di vetro con una poltrona provvista di ruote.

Stavo ormai abbandonando del tutto l’idea del mostro particolare, facendo posto a un altro pensiero, forse più assurdo: Poseidone e Atena che collaboravano e avevano una casa insieme.

Impossibile!

La quinta era una cameretta esattamente identica all’altra.

La sesta stanza del primo piano si rivelò essere uno stanzino.

Era vuoto, fatta eccezione per la lavatrice, una cassettiera e la finestra che conduceva ad un balcone (ogni stanza ne possedeva uno, a parte i bagni) con due stendini.

La settima porta rivelò una camera meravigliosa. Se fosse stata casa mia, sarebbe stata camera nostra.

Il letto matrimoniale era basso e con moltissimi cuscini, circondato da una zanzariera. Ai lati c’erano due comodini neri lucidi, di fronte un armadio a muro rosso come il tappeto sul parquet scuro, poi un’ennesima libreria vuota e “la scrivania”, una cassettiera e una grossa vetrata con fuori un davanzale uguale agli altri, con due poltrone nere e un tavolino circolare.

«Sarebbe bellissimo vivere in questa casa» mormorò Percy sorridendomi. Gli sorrisi a mia volta.

L’ultima stanza era un bagno, differente dall’altro solo per la vasca da bagno al posto della doccia.

«Qui non c’è nessun mostro, ma che cosa ci fanno tutti questi simboli di Atena e Poseidone assieme? Loro si detestano!» esclamai.

«Non so, comunque non possiamo stare qua. Torniamo alla macchina e vediamo un altro appartamento»

Scendemmo le scale e vedemmo una porta in fondo al salotto.

«Sbaglio o prima non c’era?» scosse la testa, e io la aprii.

Dava sul retro della casa.

Davanti a noi c’era una piscina con qualche sdraio e degli ombrelloni. E, seduti sotto due di quelle, stavano mia madre… e suo padre. E litigavano.

«Ti sto dicendo che gli ateniesi, se tu non li avessi abbindolati con delle olive, avrebbero scelto me!»

«E io ti dico che le tue offerte erano poco utili e ingegnose. E comunque, sei stato scorretto con il mio prediletto di Itaca!»

«Vuoi litigare di nuovo per quell’Odisseo?! Ha accecato mio figlio!»

«Con buone motivazioni»

Percy tossicchiò, e i nostri genitori lo fulminarono con lo sguardo.

«Ah, sei tu, figlio mio» si addolcì il dio del mare dopo un attimo.

«Non ti avevo notato, figlia mia» fece invece mia madre.

«Che cosa significa questa casa, divina Atena, divino Poseidone?» chiesi.

Loro si guardarono in cagnesco, poi dissero “È stata una mia idea” in contemporanea.

«Abbiamo deciso, di raro comune accordo, che meritavate un regalo di nozze. E così, vi abbiamo costruito una casa, anche per premiarvi dato che siete i più grandi eroi di questo secolo. Non dovete preoccuparvi della questione mostri, c’è una barriera che protegge questo luogo e Jackson potrà attingere al mare  per aumentare il suo potere, se mai dovesse capitare» spiegò Atena, guardando prima me e poi Percy.

Se la dea della sapienza e il dio del mare avevano collaborato c’era proprio da ringraziarli per ore.

«Noi… non possiamo accettare… insomma, è troppo grande e lussuosa!» esclamai guardando Percy, che faceva strani gesti.

Carpii qualcosa come “dacci un taglio” “va benissimo” “accetta” “non fare la scema” e altre cose.

Quel ragazzo doveva essere un pochino più educato.

Lo guardai male.

«Non dite sciocchezze. Come sta cercando di farti capire –a modo suo- mio figlio, un nostro regalo non arriva tutti i giorni. Apprezzalo e saremo compiaciuti» Mi disse Poseidone, e io sospirai.

Ringraziammo e loro, per tutta risposta, svanirono.

 

 

 

Appartamento di Annabeth  e Percy, 8 maggio 2015, ore 20:09

 

Erano passate più di due settimane da quando mia madre e il padre di Percy ci avevano regalato la casa. “Regalo di nozze”, lo avevano definito. Tuttavia, in casa io e Percy eravamo distanti, facilmente irritabili. Io mi arrabbiavo perché lui era sempre assorto in chissà quali pensieri, a volte dormiva nella camera degli ospiti dicendo “Non ce la faccio a dormire con te”. Queste parole mi ferivano, credevo non mi amasse più. Avevamo appurato di amarci, eravamo così sicuri. E allora, che cosa gli era preso? Avrei voluto dirgli che sì, volevo sposarlo, ma non mi sembrava proprio il momento giusto. Lui sembrava così triste, arrabbiato, non solo con me, ma con chiunque e qualunque cosa.

 

Era ormai l’ennesima cena passata in silenzio. Io e Percy guardavamo la nostra bistecca, piluccando annoiati il cibo. Mi feci coraggio e cercai di attaccare discorso.

«Oggi dove dormi?» Chiesi, poi mi accorsi che forse non era la domanda giusta.

Alzò lo sguardo e inchiodò i miei occhi con i suoi verde mare.

«Non lo so. Non ce la faccio a dormire con te, te l’ho già detto.» quella frase era rabbiosa, ma detta da lui pareva solo triste.
Decisi di indagare.
«Perché?» mi stavo arrabbiando parecchio, non lo negavo. Neanche il tono della mia voce era calmo.
Batté la mano sul tavolo e si alzò con uno scatto, rovesciando la sedia. Non avevo paura di lui, questo mai.
«Sai perché?! Lo vuoi sapere? Perché ogni santa volta, ogni volta che ti guardo qui, in questa casa, dormire, cucinare, fare qualunque cosa, mi ricorda che no, non siamo sposati! Capisci? Come vuoi che possa riuscire a vivere così? Come, Annabeth? Pensavo di potercela fare, ma no. Io proprio non lo so» scosse la testa, abbassando  il tono di voce gradatamente.
Non riuscivo a proferire parola.
Era per quello?
Mi guardò con gli occhi  lucidi, deluso, tradito.
Pensai di aver visto una lacrima, mentre si voltava.
Avrei voluto fermarlo, prendergli il polso e baciarlo, dirgli che sì, volevo sposarlo, ma avevo il corpo paralizzato, la voce spenta.
Avrei voluto gridare, urlare fino a perdere del tutto la voce, avrei voluto abbracciarlo, stringerlo a me e non lasciarlo mai più.
Ma il momento era passato.
La porta si chiuse con un tonfo.
Mi sgretolai come una statua colpita da una meteora.
Caddi in ginocchio e iniziai a piangere, ad urlare, buttare via tutti i cocci della mia anima, come quando si fa pulizia.
Finita.
Era finita. Per sempre.
E quando finii la voce, e non potei più gridare, e non potei più versare lacrime e morire ogni volta che una di queste toccava il parquet, parlai.
«Sei una stupida, Annabeth. Eravate fatti l'uno per l'altra. Non so di cosa fossero fatte le vostre anime, ma la sua e la tua erano uguali. Sei un idiota, Chase. Dovevi dirgli sì. Sì, sempre sì. Se esistesse una Nazione di persone stupide, saresti la loro Regina.» Mi dissi sbattendo la testa contro il muro.
«Posso essere io il Re?»

Sussultai quando lo vidi dietro di me, con gli occhi lucidi che mal si trovavano con il sorriso che campeggiava sul suo volto.
Lo baciai, e tutte le lacrime, tutti i dolori, tutte le incomprensioni sparirono, e mi sentii felice, perché ero con lui. Perché sarei stata con lui.
«Sì. Sempre sì»

 

___________________________________________________________________________________________________

Konnichiwa, ragazzi :D

E così, quasta mini-mini-long è finalmente completa ^^

Partecipa al contest di AnnabethJackson sul forum di EFP. Spero vi sia piaciuta, e, se potete, lasciate un piccolo commentino per farmi sapere se vi è piaciuta :)

Alla prossima storia,

Kirame ♥

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3201346