Like a Rolling Stone

di vause91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Like a Rolling Stone ***
Capitolo 2: *** Rules ***
Capitolo 3: *** Do not come back ***
Capitolo 4: *** Let's get it started! (I) ***
Capitolo 5: *** Let's get it started! (II) ***
Capitolo 6: *** Sunday Morning ***
Capitolo 7: *** November Rain ***



Capitolo 1
*** Like a Rolling Stone ***


Cap. I
Like a Rolling Stone


 

 

Certi giorni aprire gli occhi sembra la cosa più difficile al mondo.

Mi sforzo, va bene, adesso mi alzo. Ancora cinque minuti. Con la coda dell’occhio vedo sull’orologio che sono già le due e mezza. “Merda.” biascico. La luce del sole filtra tra le persiane semichiuse. Fa un caldo indecente. La testa mi pulsa come una bomba che sta per esplodere. Mi porto le mani alle tempie, e con tutta la forza che ho in corpo urlo “Taaaash!!!!”

Niente. Nessuna risposta.

“Taaassshhhh!” Oddio che sforzo, non riuscirò a farne un altro, ti prego rispondimi…

Dall’altro lato della casa sento provenire dei gemiti che si fanno sempre più forti. Ma non ci posso credere, dai, io ho bisogno di te e tu stai scopando?!

Finalmente sento che la vittima di turno riesce a raggingere il tanto desiderato orgasmo. Devo cambiare casa. Non so quante volte al giorno lo penso ma ora giuro che appena mi riprendo cerco un affitto sugli annunci.

Dopo qualche minuto, Natasha si presenta alla mia porta, completamente nuda con un cappellino con scritto “NY” sopra. Ci fissiamo per alcuni secondi, prima di scoppiare a ridere in una risata mortale.

“Amica mia, ti prego, portami dell’acqua”
“Dannazione Taylor, quante volte devo dirtelo che non si beve l’acqua dopo una sbronza?”
“Ma io ho sete…!”
“Ti porto una Coca e vedrai che dopo starai meglio.”
“Voglio l’acquaaa! Guarda che inizio a romperti i coglioni con Laura!”
“Oddio no, basta, non voglio più sentirla nemmeno nominare. Fuck the Prepon! Ti porto tutta l’acqua che vuoi, così forse riesci a vomitare anche quella stronza insieme all’alcol di ieri sera.”

Così dicendo, si allontana. La voce di Tash mi fa sempre sentire a casa. Facesse un po’ meno sesso sarebbe l’amica perfetta, ma questa storia sta diventando una condanna!

Dopo qualche minuto, ritorna con una Coca-Cola. La fisso intensamente negli occhi.

“Dunque, come ti dicevo ieri Tash, lei non è etero! Cioè dannazione lo vedono persino i muri come cammina, e me l’hai insegnato tu che…”

“BAAASTAAAA! Taylor non ti sopporto più. Vado a prendere il cellulare, chiamo la Prepon e le dico di andarsi a suicidare così i miei problemi finalmente svaniranno!”

“Dai Tash, sei la mia amica, io mi ascolto dieci orgasmi alla settimana e tu per lo meno ti puppi le mie paranoie su Laura. L.a.u.r.a… Che nome meraviglioso…”

“Pronto? Prepon? Senti, ti voglio bene, ma dalla C.I.A. mi dicono che è necessario che io ti…”

“Cazzo ma sei scema?!” Le prendo il telefono dalle mani e lo lancio contro il muro.
“Ci manca solo che capisca qualcosa. Poi sono veramente fottuta.”

Scoprii solo dopo che Laura, dall’altro lato della cornetta, dopo un tonfo assurdante, cercava di capire che diavolo stesse succedendo.

“Natasha? Stai bene? Ma che cosa stai dicendo?”

“Ma cosa vuoi che capisca? Se non ha capito fino ad ora, nemmeno quando le hai mandato i fiori al suo compleanno, o quando le fai trovare sempre un cuore sullo specchio del camerino, o tutti i gesti coglioni che è in grado di formulare il tuo cervello a forma di gabinetto, non penso che per una chiamata stupida possa… Taylor, hai chiuso la telefonata?”

A quelle parole, Laura premette subito il tasto rosso. In tempo da farmi credere di averlo fatto io.

“O santo cielo…” Andai a controllare. Era spento. Fiùùù. Che panico.

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Capitolo 2
*** Rules ***


CAPITOLO II. Rules

 

Ogni giorno dobbiamo confrontarci con la nostra società. E, ahimè, la società in cui vivo accetta ancora gli eterosessuali... Scherzi a parte. Ci sono delle regole. Non possiamo eludere le regole, fottercene di esse. Ci sono. Dobbiamo rispettarle. Tutti. Tranne Tash, ovviamente.

"Ehi amica, buongiorno! Com'è?! Ascolta, non è che avresti voglia di passare in centrale qui ad Albany... Facevo un giro con la moto e niente, sai come sono le cose Tay...insomma. Dai, ti aspetto qui eh?"

Questo fu il messaggio in segreteria che trovai, erano le 5.38 del mattino. Montai immediatamente in macchina, e dopo un paio d'ore ero con Tash. Io fuori dalle righe, lei dentro. Senza chiedere che diavolo fosse successo, allungai alla guardia la mazzetta desiderata, e filammo via di lì senza dirci troppe parole.

"Scusa, Tay... Mi è sfuggita di mano la situazione."
"Spero che non c'entri più Yael questa volta..."
La vidi che impegnò tutto il suo cervello per cercare una scusa diversa. Poi disse: "No no."
Non voleva aggiungere altro ed era chiaro. Quando avesse voluto, mi avrebbe parlato lei.

Quando arrivai in studio erano le 10. L'appuntamento con gli altri era alle 11.
Decisi di ripassare il copione, visto che la metà delle battute me le inventavo sul momento e dovevamo interrompere perchè Laura scoppiava sempre a ridere. 

Ogni tanto facevamo un gioco. Quando c'era una ripresa singola di una delle due, ma l'altra era di fronte, giocavamo a distrarci, a farci le linguacce. Un giorno, Laura si passò la lingua sul labbro superiore mentre io dovevo fare una scena in cui ero incazzata nera con lei per avermi buttata in prigione. Credo sia per quello che ho sottolineato così tanto la parola "fucking"...anche se era seguita da "hate you". Stavo per svenire.

Salii le scale una ad una, e ad ogni passo pensavo a quanto sarebbe stato bello vederla, quella mattina. Avevo deciso che per un po’ avrei lasciato perdere tutte quelle attenzioni. Laura meritava il suo spazio. Non potevo continuare ad umiliarmi in quel modo, tra regali, sorrisi e rotture di palle varie. Non avevo chances. L'unica che le vedeva ero io. Da oggi avrei cercato di mantenere un rapporto professionale con Laura, cercando magari di costruire insieme una bella amicizia.

Arrivata su, andai dritta nel mio camerino per posare tutte le borse. La porta cigolò nell’aprirsi.

“Ehi, Pipes.”

La guardai, con uno sguardo che era un misto di sonno e stupore.

“Laura.. Cosa ci fai qui? Ho sbagliato camerino?”

“Non sono Laura… Io sono Alex Vause.”

Così dicendo, si avvicinò a me lentamente, con uno dei suoi sorrisi migliori stampati sul viso. Si fermò a pochi centimetri dalle mie labbra. I suoi occhi erano dentro ai miei.

“Sei impazzita..?” bisbigliai, cercando di velare l’infinito desiderio che mi causava il suo corpo a quella distanza.

“No… Anzi. Volevo darti la possibilità di nominarmi, come ho fatto io con te al processo. Ho detto il tuo nome. Adesso voglio che tu dica il mio.”

Le sue mani iniziarono a scorrere lungo i miei fianchi. Ero sconvolta da quello che stava accadendo, e soprattutto mi dava fastidio questo suo “scambio” di ruolo e di personalità improvvisi. Era veramente Alex Vause. Mi stava toccando come lei. Mi stava desiderando come lei. Ma io… Io era Laura che volevo. La Laura docile, timida e ingenua che avevo conosciuto. La ragazza che passa le sue giornate a leggere romanzi inglesi, saggi filosofici. La ragazza a cui piace il Bellini, non il Margarita. Così tirai fuori tutto il mio coraggio, e la fermai.

“Laura… Così no.”

“Quante volte devo ripetertelo?” Mi strinse i polsi con le sue mani, appoggiandomi dolcemente al muro. La sua lingua sfiorò il mio labbro inferiore. “Mi sei mancata.”

“Alex non avrebbe mai usato tutta questa dolcezza con me… Sono Taylor. E tu sei Laura. E sei qui davanti a me, e mi stai baciando. Non c’è niente di male in questo. Vieni qui…”

Cercai di liberare i miei polsi dalla sua presa, ma non c’era verso. Mi fissava negli occhi, che d’improvviso si riempirono di lacrime. La sua forza su di me si indebolì. Le presi le mani. Le baciai i palmi, e poi le nocche.

D’improvviso, mi scostò di colpo e uscì dalla stanza, piangendo.

“Laura!” gridai, ma di lei non rimaneva che una porta spalancata.

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Capitolo 3
*** Do not come back ***


III. DO NOT COME BACK


“Pronto, Taylor?”
“Mmh..?”
“Taylor, sono Jenji… Ti disturbo?”
“Jenny? Ma non eri morta? Secondo me ti ha uccisa Bette… Si… Ne sono sicura…”
“Chiarissimo. A più tardi tesoro.”

Cazzo. Mi ha chiamata una dal mondo dei morti. Che trip.

“Taylor, chi era?” La voce squillante di Natasha vicina a me nel letto mi ridestò dal sogno.
“Ma tu non dormi mai? Che cazzo sei, un vampiro?”
“Sono piena di energia.. Sai amica, le donne emanano una tale vitalità… Certo, tu non puoi saperlo, sei praticamente ritornata vergine da quando hai conosciuto Mortisia Addams.”
“Non ho intenzione di parlare di lei nemmeno per un istante oggi.”
“Credo fosse Jenji, Taylor. Ha chiamato anche me qualche minuto fa. La Prepon fa una festa di addio.”
Aprii gli occhi. Guardavo Natasha come se fosse l’Uomo Nero.
“Addio de che? E poi ti avevo chiesto di non  nominarla nemmeno tre secondi fa…”
“Non ha firmato per la seconda stagione. Dice che sarà solo una comparsa. Non ho capito, forse ha deciso di diventare il prefetto di Serpeverde, una roba del genere per cui non ha molto tempo da dedicare a noi poveri Mezzo Sangue”

Nonostante l’ironia di Tash, il mio sguardo era immobile, la bocca aperta, gli occhi ancora rossi di sonno. Ma che diavolo le prende? Ma perché non capisco mai niente delle donne?
Mi alzai dal letto senza dire una parola. Andai in bagno, una sciacquata veloce ed ero già in mezzo alla strada, con una maglietta bianca e un paio di culotte. Il tocco di classe erano le ciabattine da albergo, quelle proprio erano di un inchiavabile raro a trovarsi. Misi in moto la macchina e mi diressi a casa di Laura.
Quando arrivai, lei era sulla soglia, stava bagnando le ortensie nel suo giardino.

“Pensi davvero che sia bello che io sia l’unica a non sapere di Serpeverde?!”

“…Taylor… Ma stai bene?... Credo tu sia ubriaca, inoltre sei in mezza nuda…”

“Perché te ne vai? Non te ne andare.”

“Ma quelle ciabatte..?”

“Non lasciarmi, cazzo!”

“E tu non rubarmi le battute, Chapman…”

“Ti prego, Laura, per una volta togliti quel velo da sfinge che porti sempre addosso, basta con gli indovinelli, smettila. Dimmi chiaramente per quale motivo hai preso questa decisione totalmente stupida!”

“Devo andare in Europa. Mi hanno selezionata per un film, gireremo tra Roma e Parigi.”

“Tu menti! Dimmi la verità una volta tanto!”

“E’ la verità… Non prendertela con me, Tay, verrò a trovarvi di tanto in tanto, e se tu e Tash organizzate qualche festa sarò felice di vederti…”

“Sai cosa? Vaffanculo. Davvero. Vaffanculo, Laura.”

 “Sparisci, Pipes.”

“E tu smettila con questa storia e non fare la bambina!”

“Ci vieni alla festa?”

“Certo che ci vengo… Così posso mandarti a quel paese un’altra volta.”

“Allora ci vediamo sabato.”

Mentre mi allontanavo da lei sfrecciando sulla mia macchina scassata di terza mano color verde militare, pensavo che era la donna più bella che io avessi mai visto. E andava in Europa.






Cari lettori e care lettrici! Scusate l'attesa. Spero che questo nuovo capitolo vi piaccia e vi ringrazio per le vostre parole!
A presto, promesso questa volta.

 

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Capitolo 4
*** Let's get it started! (I) ***


IV. Let’s get it started!
(parte prima)

 
Il mio letto era il cimitero dei vestiti. Ce n’erano di qualsiasi colore, lunghezza, trasparenza. Ce n’erano da mille dollari e da dieci. Ce n’erano di vecchi, e c’erano quelli con ancora l’etichetta attaccata. La scena che vide Tash entrando in camera mia era la seguente: la sottoscritta, seduta per terra semi nuda, le mani alle tempie, uno sguardo killer e centinaia di abiti sparsi ovunque.

“Vedo che alla fine hai capito cosa ti sta meglio addosso” disse, indicando le mie mutande, l’unica cosa che stavo indossando.
Non riuscii neanche a replicare. Erano le sette, la festa iniziava alle otto e mezza. Guardavo quel cumulo di stracci e pensavo che niente avrebbe reso giustizia all’addio di Laura. Dal canto suo, Tash indossava un paio di jeans scuri, una maglietta bianca e un gilet nero di pelle.
“Secondo me dovresti mettere questo” ammiccò, passandomi un vestito che, se andava bene, mi avrebbe coperto solo i capezzoli e metà chiappa.
“Mi serve un vestito che dica “ehi, bella, buon viaggio, divertiti, ci vediamo al tuo ritorno”, non che dica “ehi, bella, scopami su questo tavolino prima che parti e non ci vediamo per un anno o chissà quanto. Ho deciso di non forzare le cose. Accetto in toto la sua non-eterosessualità confusa. Questa serata è per lei. Non voglio risultare troppo appariscente.”
Sette e un quarto.
Suonano al citofono. “Ma chi è?” disse Tash.
“Vai tu che sono nuda e isterica?” replicai.
“Casa dell’ammore, buonasera, chi ci desidera?”
Nessuna risposta. Sentii le gomme raschiare sul terreno. Mi affacciai, sembrava la macchina di Laura. Ma no. Avranno sbagliato.
“Un timidone che non ha saputo replicare al mio humor!”
”Dai su, aiutami.” Iniziammo a provare tutti i vestiti, per la terza o quarta volta. Finalmente, forse, trovai qualcosa di adatto. Era un’abito che avevo comprato proprio a Roma, qualche anno prima. Una seta a palazzo, color avorio. “Rifletterà la pelle di Laura”, pensai. Mi vestii dei suoi colori. Indossai una collana blu, fatta di zaffiri proveniente dalla Thailandia. Presi una borsa nera a portafoglio. Mi guardai allo specchio. Ero piuttosto formale. Anadava bene. Otto e dieci. Merda. Merda. Uscimmo di corsa, facendo fare i numeri alla macchina scassata che ci ritrovavamo. Tash si accese una sigaretta.
“Sono felice che sei mia amica, sai?” se ne uscì all’improvviso.
Scoppiai a ridere. “E il motivo di cotanto affetto?” La guardavo. Era bellissima.
“No niente. Visto che stiamo andando nella tana del leone volevo farti sentire che non sei sola. Tipo, se vuoi che je meno basta dirlo, due cazzotti alla Prepon ce li ho sempre voluti dare.”
“Grazie Tash. Ma tieniti le mani in tasca. O nelle tasche di Yael…!”
“Ahhh adesso andiamo nel personale, Schilling! Si faccia le tasche sue, grazie!”
Tash era molto riservata riguardo all’amore. Succedeva proprio di rado che si innamorasse di una ragazza, ma quando accadeva diventava un’altra persona. Non ero l’unica ad aver notato come guardasse Yael, ma nessuno si osava dirle nulla… Io soltanto potevo. I pregi di essere amica di una stronza!
“Eccoci, siamo arrivati. Accosta.”
Parcheggiai la macchina accanto a quella di Laura. Erano già arrivati tutti. Mancavamo solo io e Tash. Erano quasi le nove.
“Eccole, le nostre ritardatarie preferite!” sbraitò Uzo nonappena ci vide. Ci abbracciammo forte. Quanto amavo quella donna! Poi fu il turno di tutte le altre.
Intravidi Laura solo di sfuggita, sembrò quasi scappare subito dopo che entrammo nella sala. La location era da urlo: una villa con piscina appena fuori New York, le luci soffuse, la musica bassa. C’erano tantissime persone, molte delle quali non conoscevo. Pensavo fosse una festa tra colleghi, e invece era proprio la sua festa di addio ufficiale. Decisi di ambientarmi, andai al bancone del bar, dove c’era una ragazza chiaramente lesbica. “Un Bramble, grazie.” Gin e liquore alla mora. Adoravo quel cocktail. La ragazza mi servì e mi sorrise in maniera davvero provocante. Ricambiai il sorriso, forse anche la provocazione.

Nel frattempo, Tash era già fly to paradise. In men che non si dica, aveva creato una pista da ballo spostando qualche divanetto e  ne era anche l’unica partecipante. Dopo un po’, Uzo si unì, e con lei tutte le ragazze di colore. Allora arrivarono altre persone, il dj cambiò musica, e in un attimo fummo tutti catapultati da un launge bar a una discoteca tamarra lesbica della peggior specie.

Vidi Laura, finalmente. Stava scendendo le scale. Non mi rivolse neanche un saluto. Decisi di seguirla.
Scesi le scale dopo di lei. Sentivo il suono dei suoi tacchi rimbombare nel corridoio. Affrettai il passo. Ma dove correva?
Dopo un po’, finalmente la vidi. Era al bordo della piscina. Si era tolta le scarpe e aveva immerso i piedi dentro.

“Ehi, speedy gonzales…!”
“Scema..” Rise. “Non ne potevo più di quel chiasso. Ma non voglio fare la bacchettona. E’ una festa e voglio che tutti si divertano.”
“Eh no!” mi alzai in piedi. Assunsi l’espressione di Leonida prima delle Termopili. “Questa è la tua festa e sei tu che ti devi divertire! Cosa vuoi fare?” mentre dicevo queste parole, realizzai che era l’ultimo giorno in cui l’avrei vista. Mi si strinse un nodo intorno al cuore.
“Dimmi un desiderio e io lo esaudirò. Agente Schilling, al suo servizio signorina.”
Laura rideva. Il suo sorriso era come una porta sull’oceano. Una bellezza mozzafiato. Si voltò verso di me, mi guardava negli occhi sorridendo. Pensai di morire.
“Proprio qualsiasi cosa?” disse, ancora ridendo.
“Qualsiasi le ho detto, mia signora!”
Si alzò in piedi. Venne verso di me. “Alzati.” Divertita… mi alzai.
Senza che riuscissi a rendermene conto, mi aveva presa in braccio. Sembrava non facesse affatto fatica. Io non mi divincolai. Tenevo le mani intorno al suo collo, il viso a pochi centimetri dal suo.
Ero così immersa nei miei sogni che mi resi conto solo all’ultimo che quella stronza maledettamente gnocca stava per lanciarmi nella piscina.

“Oh ma no! Laura no! No cazzo!”
SPLASH. La sentivo ridere anche da sott’acqua.
“Non so nuotar…. Laur..” Feci finta di affogare. Vidi il suo volto terrorizzato. Ci pensò due secondi, poi si tolse il vestito e si cacciò in acqua. Mi prese per la vita, mi strinse a lei. Io feci finta di essere svenuta.
“Taylor! Cazzo Taylor svegliati. Scusami, non lo sapevo, non avevo idea…”
Un sorriso mi si abbozzò sul volto. Non riuscii a controllarlo.
“Testa di cazzo! Ma sei cretina! Mi hai fatto morire di paura!”

Mi buttò sott’acqua e nuotò verso la scaletta per uscire. Io nuotai sott’acqua fino alle sue gambe. Le afferai un piede e la tirai di nuovo sotto con me. Avevamo gli occhi aperti sott’acqua. Quando risalimmo, lo sguardò era ancora lì. Non riuscivamo più a smettere di guardarci, come se ci fosse una calamita tra le nostre pupille. Maledizione. Laura Prepon stava flirtando con me? Ero io che lo stavo facendo e invece lei si stava solo chiedendo che diavolo stesse succedendo?

“Sei bella da morire. Sei… Sei magnetica. Io…”

Tutto quello che avevo sempre desiderato, improvvisamente stava prendendo forma. Lei, io, insieme. Le sue risate, i suoi occhi profondi quanto un pozzo: Lei, una donna che in realtà non conoscevo affatto, ma che mi faceva impazzire come nessun’altra. Non era Alex Vause, quella sera. Non era la mia co-star. Era una donna normale, come tutte le altre, bella, bellissima. Stava lasciando finalmente trapelare qualcosa di quella Laura che, a me, aveva sempre celato.

Le chiesi di non parlare, di non pensare. Volevo solo vivere quel momento, quell’istante insieme, senza barriere, costruzioni, ostacoli. Volevo che lei si lasciasse andare a me, mi sentivo sicura di farcela, questa volta.
 
Ma poi la guardavo, e tutti i pensieri diventavano nuvole.

Sapete quel momento in cui stai parlando con una persona, ma in realtà stai parlando solo alle sue labbra? Quando il cuore ti esplode dentro, il fiato è mozzato e tutte quelle menate lì. Ecco. Moltiplicatelo al fatto che avevo davanti Laura Prepon, bagnata fradicia, i capelli che le cadevano scomposti addosso, svestita… Avrei voluto vedere voi al mio posto.
Volevo baciarla. Fosse stata l’ultima cosa che facevo nella vita.

Dischiusi le mie labbra e mi avvicinai alle sue. Non ebbi il tempo di arrivare dove volevo, che lei si scostò in fretta, aprì i suoi occhi grandi e mi guardò fissa. Mi si gelò il sangue nelle vene. Mi avrebbe urlato qualcosa? Avrebbe cercato di stringermi i polsi di nuovo? Volevo solo sentire il sapore delle sue labbra, ma non di quelle di una violenta Alex. Laura, io volevo te.
Quello sguardò sembrò durare un’eternità. Alla fine, lei mi sorrise. Non l’aveva mai fatto prima. Si avvicinò a me, appoggiò il suo viso sul mio petto e mi strinse forte. Tremava, un po’ per il freddo, un po’ perché era la prima volta che faceva una mossa del genere nei miei confronti. Sembrava un bambino che abbraccia sua madre. Dopo pochi secondi, scoppiò in un pianto così violento che mi prese completamente alla sprovvista. Non sapevo cosa fare, se parlare, star zitta, scappare. Decisi di restare immobile. Le accarezzai i capelli bagnati, passandoci le dita in mezzo e massaggiandole il cuoio capelluto delicatamente. Lei continuava a piangere.
Rimanemmo così per un po’. Non fui in grado di dire nulla, ma nemmeno lei lo fece. Il pianto era finito, ma non riuscivamo ad uscire da quell’abbraccio. Ad un certo punto mi disse: “Taylor… Ho freddo. Possiamo andare via?”






E così si chiude anche il nuovo capitolo di questa storia...
Sono curiosa anche io di cosa succederà tra queste due che non ce la contano giusta da un bel po'!
Grazie a tutti per aver letto queste parole, a presto!

 

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Capitolo 5
*** Let's get it started! (II) ***


 5. Let’s get it started! (II)



 
“Possiamo andare via?”
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P-o-s-s-i-a-m-o? Ma in che senso? Ma insieme? Da sottona quale sono sempre stata e sempre sarò, di quelle con la “S” tatuata a fuoco sulla fronte proprio, emisi un flebile “Certo… Certo.” – per fortuna Natasha non era presente alla scena: mi avrebbe versato della benzina addosso lanciandomi un fiammifero acceso. Ti fai trattare di merda per mesi da una psicopatica con problemi di identità e poi, dopo averti sedotta nuda e bagnata in piscina ti piange addosso? Ma perché tutte le lesbiche hanno questo senso del dramma così fortemente sviluppato? Sì: è il nostro sesto senso. Tatto, udito, olfatto, gusto, vista e DRAMMA. Forse questo avrebbe dovuto convincermi sulla sessualità di Laura: una performance da record mondiale lesbodrammatico.
Comunque: tornando al racconto, quella notte durò almeno tre giorni. Sono passati ormai due mesi da quando è accaduta, e ora sono qui a ricostruirla, a cercare di rimettere insieme i pezzi per cercare di capire cosa successe allora.
Mi prese la mano – non l’aveva mai fatto prima. Strizzò il vestito con una mano sola, aiutandosi con le gambe. Se lo rimise addosso, ma fece fatica perché non le entrava. Così cercai di darle un aiuto ma disse che avrebbe fatto da sola. Mi stringeva la mano talmente forte che mi faceva male. Io non dovetti rivestirmi: mi aveva lanciata nell’acqua vestita. Stavo immobile ad aspettare che avesse finito e potessimo andare. Mi sentivo un cane in attesa del suo padrone.
Iniziò a camminare barcollando sui tacchi. Le andai dietro. Sembravamo ubriache, di quando ti prende quella ciucca triste che non sai perché ma piangi sempre. Iniziammo salire le scale che portavano alla terrazza dove Tash stava ancora tenendo banco ballando – ma che ore erano? sono sempre più convinta che quella donna non sia umana.
Mi fermai subito prima che le nostre teste potessero spuntare.

“Laura… Ma se ci vedono tutti così, anche Jenji e la produzione… Ecco, non credi sia troppo?”
“Non mi interessa nulla. Andiamo a casa.”
Ma quale casa? A casa sua? Mia? Forse avevamo una casa “nostra” di cui io non sapevo l’esistenza? Ma poi.. Non era la sua festa? Che dramma.
“Va bene.” replicai. Aspettavo che da un momento all’altro sbucasse fuori quello di Candid Camera – gli avrei dato un limone che se lo ricordava per tutta la vita. Non successe. Quella era la vera vita di Taylor Schilling. Beautiful in confronto era una barzelletta.
Facendo finta di niente, Laura fece il suo ingresso alla sua festa. Era quasi mezzanotte. Eravamo state tre ore nel Fantastico Mondo di Amèlie per poi spuntarne fuori impresentabili. Adottai la tattica del “carini e coccolosi” e mi stampai un sorriso in faccia. Mi fecero anche una foto quella sera. Tash l’ha stampata e ce l’ha appesa in camera vicino a quella di David Bowie.
Accadde esattamente quanto pronosticato: proprio nessuno si accorse di noi, no. No no.
Il dj appena ci vide interruppe la musica e gridò “finalmente, ecco la nostra festeggiata!” – in un nanosecondo avevamo almeno 300 occhi puntati addosso nel totale silenzio. Laura sembrò non accorgersi di nulla, attraversammo la sala per mano, gli occhi dritti in avanti, recuperammo le borse e ce ne andammo.
Si sentì un brusio che faceva più rumore dei miei pensieri. Dopo qualche minuto, sentimmo la musica ripartire e la festa andò avanti fino al mattino.
“Prendiamo la tua?”
Santa Madonna. Ma chi era la donna che avevo vicino? Prima di quella sera nemmeno era mai riuscita a rivolgermi la parola senza chiamarmi “Piper” e ora si atteggiava come se ci conoscessimo da sempre. Nota bene: non che la cosa mi desse fastidio. Ma si stava prendendo degli spazi che non aveva mai avuto con una velocità che mi lasciava sempre più senza parole.
In quel momento pensai a Tash. Sarebbe dovuta tornare indietro da sola. Risposi ugualmente di sì. Non so, tra l’altro, per quale ragione non potessimo prendere la sua macchina lussuosa invece del mio catorcio da mercatino dell’usato.
Salimmo in macchina. Misi in modo. Non feci in tempo a voltarmi per chiederle dove fossimo dirette, che la vidi addormentata sul sedile. Era distrutta. Non l’avevo mai vista in questo stato e non sapevo proprio cosa fare. Così, guidai fino a casa mia. Mi scese una lacrima, ma cercai di trattenerla.
Trovai parcheggio proprio davanti al portone di casa. Che culo, pensai. Bene: e ora? Devo svegliarla? Devo abbandonarla in macchina? Devo portarla a casa sua? Che dramma infinito.
Optai per cercare di prenderla in braccio, non visualizzando che era alta tre volte me e con delle ossa mastodontiche, senza contare il peso di quel cervello testa di cazzo che aveva nel cranio. Cercando di non svegliarla, le misi un braccio intorno al collo e uno sotto le ginocchia, e la strinsi a me. Era freddissima…e anche io stavo gelando. Cercai di tirarla su… senza successo.
La sentii sorridere, sorrisi anche io.
“Dai… Puoi fare di meglio, Taylor…”
Cercai di nuovo di tirarla su, ma il suo corpo era completamente abbandonato nella mia presa.
“C’è solo un modo per farmi alzare.”
“Sì, lo vedo… Ma sono stanca Laura, non ce la faccio. Vuoi che ti porti a casa?”
“Vieni qui, scema…”
Mi attirò a sé con la sola forza del suo sguardo. A sapervelo descrivere, lo farei. Era stanca, sciupata, addormentata. Il trucco le colava dagli occhi, le sue labbra erano semi-aperte in un sorriso. Mi guardò con quei suoi occhi disarmati e disarmanti al tempo stesso. Senza che me ne rendessi conto, le nostre labbra si sfiorarono per un istante. Pensai che se ne sarebbe andata di nuovo, che mi avrebbe detto di portarla a casa… E invece riprese ancora a baciarmi, di baci stanchi e abbandonati. Le sue labbra facevano attrito sulle mie, si incollavano e facevano fatica a staccarsi.
Le porsi la mia mano, lei la prese e uscimmo dalla macchina. Le cinsi la vita col braccio e salimmo le scale di casa scambiandoci degli stanchi sorrisi.
Aprii la porta dopo svariati tentativi. Il cuore mi batteva forte nel petto ed ero preoccupata. La casa era uno schifo, lei era bellissima. L’ansia da prestazione stava piano piano facendosi largo in me come un germe. Ero chiaramente agitata e lei se ne accorse, ma sembrò non badarvici.
Mi prese le chiavi dalla mano e le appoggiò sul tavolo. Mi guardò, e mi fece quello sguardo. Così mi lasciai guidare… E lei lo fece. Come se sapesse perfettamente com’era fatta casa mia, mi portò in bagno, mi tolse i vestiti e si tolse anche i suoi. Accese l’acqua nella doccia. Vi entrò per prima, si buttò sotto l’acqua bollente e rimase immobile, con la tenda aperta. L’acqua le scorreva addosso accarezzando le forme sinuose del suo corpo perfetto. Le sfiorava il collo, per poi fare uno scivolo sui suoi capezzoli e scenderle sulla pancia. La osservai mentre si lasciava pulire dall’acqua. Così decisi di entrare anche io nella doccia. Mi misi davanti a lei… L’acqua mi impediva la vista, mi entrava negli occhi e nella bocca. La baciai di nuovo, tirandola verso di me dolcemente. Lei si lasciò baciare. Rimanemmo lì, coi nostri pensieri, i nostri baci interminabili, i nostri sorrisi.
Con tutte le cose che avrei potuto fare, mi venne solo di abbracciarla.
Così la strinsi forte a me, le misi le braccia intorno alla vita, appoggiai la mia testa sulla sua spalla. Lei mi cinse il collo con le braccia e iniziò ad oscillare. Spensi l’acqua della doccia. Iniziammo una danza, lì, insieme, io e lei. Ballavamo un lento, di quelli che si possono vedere alle sagre, quando due vecchietti che sono sposati da cinquant’anni si dimenano nei lisci. Ci cullavamo a vicenda, oscillando un po’ da una parte un po’ dall’altra.
“Andiamo a dormire? Sono veramente stanca…”
Me lo disse con un tono dolcissimo. Così uscimmo dalla doccia, ci asciugammo a vicenda, con qualche risata… Io pettinai i suoi capelli, lei i miei.
Non fece in tempo a toccare il materasso che si addormentò. Guardai l’ora. Erano le 3,56. Tra qualche ora, Laura sarebbe scomparsa dalla mia vita.

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Capitolo 6
*** Sunday Morning ***


6. Sunday morning
 
 
 
Che stracazzo di ore sono.
Dove mi trovo.
Come sono arrivata qui.
Merda.
Ok, poster di David Bowie. Sono in camera mia. Questo è un bene.
C’è una tipa nel mio letto. Questo è un altro bene.
Aspè… Oh porca di quella puttana. No. No no no. NATASHA NO.
Bene. Ora devo nascondermi. Dove posso andare? Nell’armadio, sotto il letto? No no no no mi troverebbe, si renderebbe conto della stronzata che ha fatto, non mi parlerebbe mai più. Merda porca di quella troia! Ma com’è possibile ma santo cielo era tutto sotto controllo poi è arrivato quel bangladesh con tutti quei regalini poi non mi ricordo un cazzo. Merda. Non lei. NON LEI. Chissà cosa diavolo abbiamo fatto, non mi ricordo un cazzo!
Taylor.
Sì, vado da Taylor. Lei mi salverà. Lei mi salva sempre.
 

[Gniiiiiiiiiiiiiiic]
 
 
Minchia un po’ d’olio in sta porta ce lo potremmo pure mettere.
“Oh Tay ciao buong….”
Un paio di occhi azzurro ghiaccio mi fissavano nel chiaro scuro della stanza.
“Shh… Sta ancora dormendo. E’ stata una notte lunga. Ciao, Natasha.”
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Primo pensiero: ammazza che gnocca
Secondo pensiero: ma quanta droga ho preso ieri?
Terzo pensiero: merda, è veramente la Prepon
Quarto pensiero: sono nuda, forse è meglio uscire e smettere di fissarla con la mascella per terra

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Strisciando i piedi alla Michael Jackson, uscii dalla stanza come ero entrata, richiusi la porta davanti a me.
Mi battei un cinque da sola per la mia performance. Bene. Ora dovevo tornare in camera ed affrontare la situazione con Yael.
Mi fermai sulla soglia a guardarla dormire. Era dannatamente bella. Però… Io ero nuda. Lei era semi svestita. Cosa avevo fatto? Avevo rovinato tutto? Finalmente ero riuscita ad ottenere quello che volevo – o forse non volevo? Dannazione. Non doveva andare così. Voglio dire… Sì, volevo succedesse. Ma non in questo modo. Avrei voluto ricordarmelo, per lo meno.
Mi misi una maglietta degli Smashing Pumpkins, tornai a letto e mi sdraiai vicino a lei. Con la testa appoggiata al cucino, iniziai ad accarezzarle i capelli. Ma cosa stavo facendo? E se non fosse successo niente?
Lei socchiuse gli occhi, cercando di aprirli. Non ci riusciva. Mi fece un sorriso meraviglioso…
“Hey, buongiorno…”
“C-c-ciao.Com’è?” tolsi subito la mano dai suoi capelli.
“Mmh… Già che lo chiedi, avrei una fame! Mi prepareresti la colazione?”
Colazione… Non credo ci fosse in casa qualcosa per la colazione.
“Oh… S-sì. Certo. Subito. Cosa mangi al mattino?”
“Quello che mi prepara la mia Natasha.”
“Heeeeeeeeey bella, ma quanti aggettivi che usiamo stamattina eh? Daje, vado e torno. Mi aspetti qui?”
Sorrise.
“Sì…”
 
Porca merda. Nonappena scoprirà che non mi ricordo niente di ieri mi prenderà a calci nel culo. Complimenti a me.
Andai in cucina, e la scena che vi trovai è ardua a descriversi.
Laura era intenta a preparare dei pancakes, aveva una camicia di Taylor addosso. Trattenni le risate, fino ad apparire qualcosa di simile ad un pesce palla. Feci finta di niente, e le chiesi se poteva prepararne qualcuno in più anche per me e un’amica che stava di là.
Laura mi guardò, e per la prima volta la sentii ridere. Rise di gusto, e non la smetteva più.
“Certo!” mi disse.
“Dai Prepon, ti guardo così imparo l’arte del pancakes!”
“Chi c’è di là?”
“Fidati di me, non lo vuoi sapere.”
“Ahahahahah, quindi credo di aver capito. E’ proprio la casa dell’amore questa!”
“ALLORA ERI TU!”
“Certo che ero io. Volevo passare a prendere Taylor e non presentarmi nemmeno alla festa, ma poi hai risposto tu e mi è crollato tutto, così sono scappata, cercando di convincermi che fosse un segno mandato dal cielo.”
“Invece ero solo io che ho risposto al citofono mentre la bionda era intenta a scegliere un vestito adatto in mezzo ai centomila che si ritrova…”
“Va beh… Insomma, li vogliamo fare sti pancakes o no?”
“Agli ordini capitano Prepon!”
“Adesso non prendiamo troppa confidenza.”
“…s-sì.”
 
Mentre io e Laura eravamo intente a preparare la colazione per le nostre… amiche? colleghe? amanti? …insomma, per Tay e Yael, avemmo modo di chiaccherare un po’. Non avevo mai avuto un buon rapporto con la Prepon, era sempre fredda sul lavoro, e la odiavo per come aveva sempre trattato Tay. Ma quella mattina era diversa. Aveva il sorriso stampato sul viso, era solare e leggera. I capelli non erano il massimo, e il trucco le arrivava alle ginocchia. Ma la preferivo così, versione Amy Winehouse, che alla solita dritta, appuntita e tagliente Prepon che avevo conosciuto. Accesi la radio quando i pancakes erano quasi pronti. Partì “Love is in the air”. Imbandimmo una tavola da sogno. L’unica tovaglia che avevamo era di Natale, con dei fiocchi di neve e dei Santa Claus sorridenti. Poi mettemmo dei piattini che mi aveva regalato mia nonna, con sopra delle scene di caccia irandesi. I tovaglioli erano quelli che rubavo tendenzialmente nei bar, sottili e lunghi, che non asciugano un cazzo. Mettemmo tutte le cremine da spalmare sui pancakes: nutella, marmellata, miele. Laura tagliò qualche fiore dalla lavanda che avevamo sul terrazzino e lo mise in una brocca dell’acqua, al centro della tavola. Poi sgattaiolò in camera di Taylor. Allora pensai che fosse il momento di chiamare anche Yael.
Qualche minuto dopo, dalla camera di Tay sbucarono due raggi di sole. Si tenevano la mano, si guardano negli occhi, si sorridevano. Laura spostò i capelli dietro l’orecchio di Taylor. Non credevo ai miei occhi.
La scena di fece finalmente più interessante quando Tay mi vide. Tolse la mano dall’intreccio con quella di Laura, riportò le pupille al loro posto, si mise a posto la maglietta e controllò di essere presentabile, manco fossi sua madre. Guardando a terra, si sedette a tavola.
Arrivò anche Yael, e mi diede un bacio sulla guancia. Io feci un sorriso di circostanza, un po’ imbarazzato un po’ come quando un professore ti dice di essere il migliore della classe davanti a tutti i tuoi compagni.
Eravamo tutte e quattro sedute a tavola.
Dopo i primi cinque secondi di silenzio assordante, la prima ad iniziare fu, inaspettatamente, Laura. Poi attaccò Taylor, allora fui coinvolta anche io ed infine si attaccò pure Yael. Ridemmo a crepapelle per almeno cinque minuti. Gli occhi mi lacrimavano come delle fontane, Taylor era ripiegata su se stessa, appoggiata alle gambe di Laura.
 
 
E’ stata una delle mattine più belle della mia vita.

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Capitolo 7
*** November Rain ***


7. November Rain
 
 
I giorni passavano lenti, lenti, lentissimi. Fuori era primavera inoltrata, ma dentro di me ogni organo si preparava all’inverno. Tutte le mie foglie stavano cadendo, forse cercando di coprire il terreno arido su cui poggiavo i miei piedi. I primi giorni dopo la partenza di Laura erano stati positivi, godevo della bellezza che avevamo avuto insieme, dell’autenticità dei suoi occhi, del chiarore che la sua pelle di luna aveva emanato nella mia stanza. Poi i segni della sua presenza hanno iniziato a sfumare, piano, quasi impercettibilmente. Dopo un mese Tash ha persino cambiato le lenzuola in cui avevamo dormito insieme, lasciandomi un foglietto strappato dall’agenda 2012 con scritto “puzzi, sottona”. Si, lo ammetto, ci stavo sotto come a un treno. Ogni tanto trovavo dei post-it in giro per la casa con scritte le frasi più disparate, come: “I lombrichi vedono più luce di te”, oppure “s-talpati” o ancora “Taaaaylooor, mi senti da laggiùùù?”. Insomma, la mia amica non perdeva occasione di prendermi per il culo. Io stavo al gioco, non è che avessi molta scelta con Tash. Ma dentro sentivo sentimenti davvero profondi, un’eco di perdita, di abbandono, di solitudine. Anche riderci su non mi faceva star meglio. Se n’era andata, portandosi via un pezzo della mia “me” più vera. Glielo dissi, quella mattina, mentre riordinava le cose nella sua borsetta. Mi rispose che qualsiasi cosa fosse, lo avrebbe custodito con cura. “Sei al sicuro con me”, mi disse.

Decidemmo di non sentirci, per il tempo in cui sarebbe stata via. Sarebbe stato troppo doloroso, troppo lontano rispetto a noi. Sul mio comodino c’era un plico alto come me di lettere che le avevo scritto, ma che non sapevo dove inviare. “E per fortuna”, commentava Tash. Già. Forse l’avrei terrorizzata, forse non mi avrebbe mai più voluta. Che poi, mi aveva veramente voluta? In fondo avevamo solo dormito insieme. Ci eravamo sfiorate le labbra per un istante appena. Forse questo non significava niente per lei, forse era solo triste quella sera e aveva bisogno di compagnia. Forse tutto questo amore incontenibile era solo frutto della mia fervida immaginazione.

Fatto sta che le riprese, come a loro accade, ripresero. Le prime scene che girai quasi mi valsero il licenziamento. Le riguardo ogni tanto ora, manco la peggio soap-opera. Una recitazione priva, vuota, inconsistente. Jenji non faceva che interrompere tutto e convocarmi nel suo ufficio. Mi ripeteva che così non andava, che non potevamo continuare in questo modo, che ero fortunata di essere ormai insostituibile perché altrimenti non ci avrebbe pensato due volte a cacciarmi dal set.

Poi un giorno, arrivata prima a lavoro come sempre, per le scale incontrai Uzo.
“Ehi fiore! Come stai oggi? I miei occhi non possono più sopportare di vederti così triste. Ti va di parlare un po’? Cosa ti succede?”
Non mi andava di parlare. Non riuscivo a farlo nemmeno con Tash. Rimasi a guardarla, indecisa se andarmene senza risponderle oppure dire un semplice “no grazie”, finchè mi prese sotto braccio e mi portò nel mio camerino.
“Adesso tu ti siedi qui” mi disse.
Prese il copione in mano e iniziò a recitare tutte le battute con le diverse intonazioni dei personaggi. Non lo leggeva veramente, voleva solo nascondere di saperlo tutto a memoria dall’inizio alla fine. Aveva la forza di un leone nel suo massimo splendore di età e vigore. Risi di gusto al suo show.
“Puoi aiutarmi?” le chiesi infine.
“Ma certo bambolina, dimmi, cosa vuoi che faccia? Ci facciamo una serata film e ci ingozziamo di gelato?” disse sorridendo.
“No… No Uzo. Nulla di tutto questo. Io… vorrei che tu mi aiutassi col copione. Vorrei che lo leggessimo insieme, vorrei…” scoppiai in singhiozzi. Non era solo Laura a mancarmi, ero proprio io che mi stavo mancando da sotto i piedi, se non ero nemmeno più in grado di fare l’unica cosa che avevo sempre saputo fare.
“Io??? Ma Taylor Swift, tu sei la più brava attrice che io conosca, ma come potrei io aiutare te?”
“Tu… Tu Uzo sei la più bella persona che esista. E la più brava in questa stanza, lo sai, non sono certo io. Puoi aiutarmi, allora?”
Mi sorrise.
Passammo la mattinata insieme. Lei faceva le mie battute, e io le ripetevo con la medesima intonazione. Alle 14,00 iniziammo le riprese, feci le mie tre scene e la sera Jenji mi richiamò nel suo ufficio.
Mi accolse con un abbraccio e mi disse: “Finalmente la mia Taylor è tornata!”
Sorrisi, imbarazzata, un po’ consapevole di non meritarmi quelle parole. Avevo solo copiato Uzo. Non c’era cuore. O almeno, c’era il suo, non il mio. Dopo aver ringraziato Uzo per non avermi fatto perdere il posto, la invitai fuori per una birra, per sdebitarmi. Lei accettò di buon grado, mi chiese dieci minuti per prepararsi. Io decisi di scendere e la aspettai appoggiata alla mia macchina. Mi sembrò un tempo interminabile, i pensieri andavano veloci come schegge impazzite nel turbine della mia mente. Laura, il lavoro, il suo benedetto film. Chissà se sta conoscendo qualcuno, chissà quante persone la baceranno ora su quel set, chissà con chi vive, cosa fa.

*BIP BIP*

Un messaggio. Numero sconosciuto. Prefisso francese.

Mi manchi.”

 
Avete mai visto, ai giochi olimpici, quelli che fanno quei tuffi ultra mega tripli quadrupli carpiati con giravolte sopra e sotto e poi con un silenzio imabarazzante sprofondano nell’acqua? Ecco, credo che al mio cuore successe una cosa del genere. Un boato dentro. Un vortice di roba confusa, rabbia, stupore, gioia, tristezza infinita. Col sorriso sulle labbra, iniziai a sentire le lacrime scorrermi sul viso.

Arrivò Uzo. Mi guardò un po’, senza chiedere nulla mi strinse forte a sé. Piansi. Piansi tutto fuori. Quei pianti che fanno rumore, che non hanno paura di farsi sentire. Lei non si mosse di un millimetro. Rimase lì in quella stretta. Solida, presente, statuaria. Finimmo in un silenzio.
“Scusa… Scusa Uzo. Andiamo dai.”
“Solo se ritiri queste scuse.”
“…le ritiro…”
“Benissimo. Non ti porto a casa se non sei ubriaca.”
“Ma la macchina è mia!”

“Appunto, al ritorno non guidi, hai capito? Andiamo, forza!”
 
Mi lasciai trasportare dal suo carisma. Volevo portarla nel mio bar preferito, ma invece era chiuso. Così finì per decidere lei dove andare. Finimmo in un posto stile “peggiori bar di Caracas”. Ballammo fino allo sfinimento. Ricordo poco. Ricordo le risate. Ricordo il vomito nel bagno del locale, in macchina, a casa. Ricordo Uzo che balla con un omone sud americano che la fa volteggiare come una farfalla nella pista da ballo. Ricordo di essermi svegliata nel letto di Tash, tra lei e Yael.
“Finalmente ti sei levata le ragnatele dal fegato!”
“Vaffanculo” fu l’unica cosa che riuscii a bofonchiare, prima di andare in bagno di corsa.
 
 
La mattina seguente risposi al messaggio.
 

Mi manchi.”
 

La parte dopo recitava: “Vorrei vederti. Dove sei? Ci vediamo domani?”
La riscrissi cento volte, poi la cancellai, e inviai quelle due parole banali, quelle due strane e cacofoniche parole di vuoto.

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