Figlio del male

di moira78
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fuga verso l’ignoto ***
Capitolo 2: *** Il dolore dell’anima ***
Capitolo 3: *** Una vita innocente ***
Capitolo 4: *** Ritorno alla vita ***



Capitolo 1
*** Fuga verso l’ignoto ***


Attenzione! Qui è tigereyes che vi parla (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=3035), betareader di Moira. L’ultima volta che ci siamo incontrate, cioè ieri 24 gennaio, Moira mi ha candidamente confessato di aver trasferito su EFP tutte le ff di Ranma e Inuyasha postate su Manganet senza averle nemmeno riguardate. Manco un’occhiata, gli ha dato! >_< Al che avrei voluto strozzarla con le mie mani, perché per quanto bellissime, le avevo già fatto notare che non erano esenti da refusi di varia natura. Ora, essendo la sottoscritta una correttrice di bozze, non potevo non offrirmi per correggere i vari errori di cui sono costellati i capitoli, errori comuni, che tutti abbiamo fatto agli inizi della nostra carriera di fanwriter, ma non per questo ci si può passare sopra. XDD Ecco quindi che mi sono assunta l’impegno di riguardare uno per uno tutti i capitoli delle ff che Moira ha trasferito qui in un "raptus di follia da aggiornamento", spero non mi sia sfuggito niente, anche i correttori di professione, dopotutto, sono esseri umani. ^_-
Da parte di Moira (e mia), buona lettura! ^_^


Capitolo I

Fuga verso l’ignoto





"Forza, Akane, spingi di più!"
"Non… ce la faccioooo!"
"Sì che ce la fai, dai! Si vede già la testa!"
"Oh mio Diooo!"
"Brava! Così!"
"Oh… Dio…."
"Ce la stai facendo, non svenire proprio adesso!"
"NNNNNNHHHH!! RANMAAAAAAA!"


Era buio e nel sonno l’agitazione lo colse come una marea improvvisa. Sudore viscido gli colava dalle braccia, dalle tempie, dal torace nudo. Poi, l’urlo gli salì alla gola e lui lo lasciò fuggire, violento e libero come un cavallo selvatico.
"AKAAAANEEEEEEEEEEEEEEE!"


"Si sta svegliando!"
"Mettiglielo sul letto… piano…"
Akane aprì gli occhi e mise lentamente a fuoco il corpicino gemente al suo fianco. Provò a sfiorarlo, ma la sua mano non rispondeva al comando del suo cervello. Allora ritentò e finalmente poté toccare un braccino paffuto e profumato di sapone neutro, di quello che si usa solo per i bambini appena nati.
Si accorse vagamente che stava piangendo di gioia. Dopo tutte le brutture del passato, i ricordi orribili, ora quella creaturina indifesa le parve il più bel regalo che il cielo potesse darle in cambio. Sorrise tra le lacrime.
"Ciao…", gli sussurrò, "io sono la tua mamma."


Nodoka corse nella stanza del figlio col marito al seguito, ansante.
"Cos’è successo, caro? Un altro di quei brutti sogni?"
Genma accese la luce e Ranma apparve pallido e sudato.
"Io l’ho sognata di nuovo... mi chiamava…"
L’uomo alle sue spalle scosse la testa.
"Figliolo, è passato un anno ormai, non abbiamo avuto mai notizie, come pensi che…"
"Lei è viva!" Ringhiò come una tigre ferita. Sua madre gli porse un bicchiere d’acqua, ma lui lo rifiutò gentilmente. "Mamma ti giuro che è vero, io SENTO che è viva!"
"Ma Ranma…"
"Vi dico che mi chiamava! Lei… lei è…" I singhiozzi lo scossero. Odiava piangere e soprattutto odiava farlo in presenza di altri, anche se erano i suoi genitori. Ma non poté trattenersi.
Genma si sistemò gli occhiali sul naso e fece un gesto alla moglie. Nodoka annuì e lasciò la stanza in un frusciare di veli della camicia da notte. L’uomo si accosciò davanti al figlio e sedette calmo, in attesa che i singhiozzi che lo squassavano si placassero un poco. Quando accadde, parlò con voce flebile e tranquilla.
"Sai quando... quando trovammo la cura per le nostre maledizioni, pensavo che tutto si sarebbe sistemato. Sai… tu, Akane, la palestra… Soun aveva già preparato tutto per il vostro matrimonio, figurati. Non ci siamo mai soffermati a pensare ai vostri sentimenti. Mai una volta da quando arrivammo a casa Tendo."
"Papà…" Tentò Ranma. Non aveva mai sentito parlare suo padre in quel modo e questo lo spaventava. Se sua madre aveva fatto un miracolo su quell’uomo, ora ce l’aveva davanti agli occhi.
"Noi davamo per scontato che voi vi amaste e basta. I litigi fra di voi… pensavamo che una volta sistemati sarebbero spariti. Non immaginavamo che proprio quel giorno…"

Ranma quel giorno se lo ricordava bene. Ce l’aveva stampato nella mente come una fotografia troppo vivida. Rivide il volto di lei contrarsi in una smorfia davanti al kimono da sposa e le sue parole.
"Non potete decidere per noi!"
"Già, io non sposerò un maschiaccio privo di sex appeal!"
Lei lo aveva colpito forte, sul naso, e lui aveva cominciato a sanguinare. Il solito litigio, le solite cattive parole, ma qualcosa si era incrinato per sempre. La voce di lei, come un’eco, che urlava.
“È così, allora, eh?! Tu non vuoi davvero sposarmi! E allora perché non rompi il fidanzamento, perché continui a stare con me?!"
"Akane non fare la bambina adesso."
"Rispondimi!"
"Lo sai che i nostri genitori vogliono…"
"NON ME NE IMPORTA NIENTE DI QUELLO CHE VOGLIONO LORO! Io voglio sapere cosa vuoi TU!"
Era calato il silenzio. Ranma era con le spalle al muro. Cosa voleva lui?
"Io… io non lo so."
Akane si era morsa il labbro, ferita.
"Bene, Ranma. Ti dirò io cosa vuoi. Tu vuoi che io ti lasci, così non ti sentirai in colpa nei confronti di mio padre."
"Akane che dici?! Io non voglio lasciarti, io…"
"Cosa?!" Si era protesa davanti a lui, supplicante. "Dimmelo Ranma, sono quattro anni che aspetto che tu mi dica qualcosa a proposito di noi, sono stufa di litigare con te."
"Io… voglio… che tu stia con una persona che ami veramente."
Cosa aveva detto? Non era forse tacitamente convinto che fosse LUI quello che Akane amava?
Akane aveva taciuto, gli occhi grandi alla luce della luna. Che poteva dirgli? Che nonostante fosse un baka insensibile lei lo amava disperatamente? Avrebbe di certo riso di lei. No, forse quello di Ranma era stato un modo gentile per allontanarla, lui, che gentile non era mai.
Si avvicinò con passo tremante, le lacrime che le pungevano gli occhi. Ansimava leggermente, nervosa e confusa. Gli aveva passato una mano sulla nuca, attirandolo leggermente a sé, e aveva scorso nei suoi occhi una scintilla di stupore. Nel momento in cui aveva pigiato le labbra sulle sue, aveva sentito un sussulto da parte di lui. Quando si era staccata, tremante, lui aveva cercato di parlarle, ma Akane gli aveva posato un dito sulle labbra.
"Ssst, va bene Ranma, ho capito, uscirò dalla tua vita, tranquillo."
Era rimasto lì, a vederla scappare via, annaspando come un pesce fuor d’acqua, incapace di dirle… di dirle…

"Sono un vigliacco…" Mormorò più alla stanza che a suo padre.
"Figliolo…"
"No papà, se io avessi parlato per una volta nella mia vita, lei non sarebbe scappata via così!"
"Ranma, è inutile tormentarsi così adesso, ormai non puoi farci più nulla, tu…"
"Da domani ci riprovo. So a chi devo rivolgermi per cercarla."
Genma lo guardò. Era deciso, convinto, non avrebbe potuto fargli cambiare idea, non più. Se voleva farsi ancora del male erano fatti suoi.
"Fa come vuoi." Borbottò allontanandosi.


Akane tracciò col dito la linea del piccolo mento paffuto e lo riconobbe come simile al proprio.
(gli occhi)
Lo guardò in viso, aveva la bocca piccola e rosea.
(sì, ma gli occhi… oh dio… i suoi occhi…)
Akane emise un gemito. Occhi blu. Lei li aveva marrone scuro, per cui quel blu così intenso e violento non poteva essere che
(blu)
del padre.
"Blu, come quelli di Ranma."
Ma il padre di quel bambino, purtroppo, non era Ranma.

Akane era fuggita quel giorno. Aveva bisogno di pensare, di riflettere, di capire. Una notte fuori l’aveva già passata in precedenza, non aveva paura. Seduta sulla riva del fiume continuava a pensare: Oh mio dio, ho baciato Ranma! E arrossiva al pensiero. Era inutile negarlo, lei lo amava quel baka insensibile e probabilmente la mattina dopo sarebbe tornata da lui dichiarandogli i suoi sentimenti una volta per tutte.
Sì, è ora di darsi una svegliata, gli sbatterò in faccia la verità e poi vedremo se avrà il coraggio di confessarla a sua volta!
Era segretamente convinta che lui l’amasse a sua volta, ma avesse paura di dirglielo. Bene, si sarebbe fatta avanti lei una volta per tutte e si sarebbe finalmente presa ciò che era suo.
Non si accorse delle ombre scure alle sue spalle.

Ranma sedeva silenzioso al centro della palestra, ancora letteralmente paralizzato dopo il bacio di Akane. Si accorse a malapena che era quasi mezzanotte e lei non era ancora tornata. Si riscosse, come in un sogno. Ora sapeva cosa doveva fare, oh sì! Doveva cercarla, dirle che l’amava e sposarla come aveva sempre desiderato. Basta fare i bambini, ormai avevano vent’anni per uno, era ora di fare le persone mature e ammettere la verità.
Cominciò a correre, con un solo pensiero in testa, deciso a trovarla. Non aveva idea di quanto lunga sarebbe stata quella ricerca.

Akane si girò di scatto, mettendosi in guardia. Era un’artista marziale e non si spaventava per così poco.
"Chi è là?!" Gridò.
"Guarda, guarda che bella bambina! Che c’è tesorino, ti sei persa?"
A parlare era stato il giovane più gigantesco che Akane avesse mai visto. Aveva un corpo grassoccio e immenso, ricoperto in vari punti da brufoli ripugnanti. Dietro di lui, Akane scorse altre figure.
(tre… quattro… no… sono cinque… oh dio…)
"Allora che c’è? Hai paura forse?" Ghignò il gigante.
Akane arretrò di un passo e avvertì il cuore salirle in gola.
(sei contro una, grandi e grossi…)
"Io sono l’erede della scuola di Arti Marziali Indiscriminate Tendo e… e…" Cosa stava per dire? "…e il mio fidanzato si chiama Ranma Saotome, anche lui è l’erede di una scuola di Arti Marziali Indiscriminate! Non vi conviene darmi fastidio!"
Per la prima volta nella sua vita Akane ebbe paura e si parò dietro al nome di Ranma come dietro a uno scudo. Non sapeva perché, ma sentiva che quei ceffi erano più pericolosi di tutti quelli incontrati in passato.
"Io vi ho avvertiti!" mormorò prima di scagliarsi contro di loro. Con un salto colpì il gigante sul volto e lo fece sanguinare.
"Mi hai rotto il labbro!" Sbraitò il ragazzo con un misto di stupore e rabbia repressa, mostrandole le dita insanguinate. "Mi hai rotto il labbro, BRUTTA SGUALDRINA SCHIFOSA!"
Akane inghiottì a vuoto.
(Ranma dove sei?!)
Ranma era dall’altra parte della città a cercare lei.
Quando anche gli altri si scagliarono le si scagliarono contro, Akane poté sentire il tanfo dei loro aliti sul collo, il sudore proprio e loro confondersi, insudiciandola. Uno di loro l’afferrò per le gambe e altri due per le braccia, stendendola a forza sull’erba.
E d’improvviso capì.
Capì cosa volevano da lei e gridò, divincolandosi.
"LASCIATEMI MALEDETTII!"
Riuscì a sferrare una gomitata, poi un calcio, poi un altro, era quasi libera.
"Ora stai buonina e fai quello che ti diciamo noi, o ti faccio conoscere mister pallottola di piombo." Ringhiò amorosamente al suo orecchio il più magro del gruppo. Sentendo la canna della pistola gelida contro la propria tempia, Akane capì di essere in trappola.
(Ranma dove sei!)
Pregò per interminabili minuti, ma non servì a nulla. Li vide avvicinarsi, sentì le loro mani viscide su di sé che la toccavano, carezzandola con ripugnante lascivia e svenne. E quando svenne, loro la presero.

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Capitolo 2
*** Il dolore dell’anima ***


Capitolo II

Il dolore dell’anima




Ranma si fermò davanti al cancello di casa Tendo. Sapeva che non lo avrebbero mai accolto come una volta, ma prese un bel respiro ed entrò.
Tu sei il responsabile della scomparsa di Akane! Gli aveva gridato Soun e lui si era sentito morire. Strinse i pugni. Diavolo, l’aveva cercata tutta la notte e per un mese intero; poi avevano deciso che sarebbe stato meglio che lui andasse a vivere da sua madre con Genma. Ed era finito tutto. Aveva continuato ad avere incubi in cui lei moriva, sparendo per sempre dalla sua vita. In casa Tendo era scomparsa tutta l’armonia di un tempo e perfino Shampoo, Ryoga, Ukyo e gli altri erano rimasti in un silenzio appartato e attonito dopo la scomparsa di Akane.
Ma lui sapeva che non era morta. Se lo sentiva nel profondo del cuore, per quello strano fenomeno che lega indissolubilmente le persone che si amano.
Ora, davanti a quel cancello, i ricordi gli passavano davanti come le scene di un film in bianco e nero e rivide la sua Akane in piedi nell’angolo che gli mostrava la lingua con la cartella sulle spalle e la divisa del Furinkan. Si accorse a malapena delle lacrime che gli pungevano gli occhi. Se le asciugò col pugno ed entrò.


Akane pensava che il suo letto fosse diventato scomodo, DAVVERO scomodo. Le pareva di stare su un materasso di pietra, si era forse addormentata nel dojo? No, perché
(aveva litigato con Ranma)
la sera prima era uscita, decisa a restare fuori almeno per una notte a
(doveva chiarirsi con lui una volta per tutte)
riflettere. Lo aveva baciato e poi
(l’avevano aggredita… erano in sei…)
era fuggita e in riva al fiume…
L’urlo partì dalle viscere e le salì alla gola con un fiotto denso e acido.
(cosa ho mangiato ieri sera?)
Guardò esterrefatta il terreno
(quelli sono solo i miei succhi gastrici, ieri ho digiunato)
e si tirò a sedere. Si guardò.
La camicetta era buttata in un angolo e i bottoni erano saltati tutti. Indossava solo il reggiseno bianco che le aveva regalato tempo prima la madre di Ranma, solo che adesso era nero di terriccio.
La gonna verde acqua che indossava era stappata, lacerata, sporca, come le gambe. Non indossava biancheria intima e avvertiva un sordo pulsare tra le gambe
(avevano lacerato qualcosa in lei)
un dolore feroce
(sporco)
e allora ricordò tutto.
Si alzò barcollando, scorgendo appena il sangue che le scivolava tra le gambe viscido, assieme a qualcos’altro
(non voglio pensare a cosa sia, non voglio pensare non VOGLIO PENSARE!)
denso e biancastro.
Vide il fiume e seppe che non era nel luogo dove la sera prima l’avevano
(violentata)
presa.
(abusato di lei)
Sicuramente l’avevano trascinata per qualche chilometro perché non la ritrovassero che fuori città, lontana da casa.
(da Ranma)
Si passò le dita fra le gambe, le guardò istupidita.
(sangue e…e…)
Urlò, più forte di prima, sull’orlo della follia, artigliandosi la faccia e i capelli, strappandone ciocche su ciocche e corse nell’acqua per
(purificarsi)
lavarsi, disgustata, disperata, persa. Rimase lì a urlare e a strofinarsi per ore, poi tornò a riva, stordita, coi ricordi annebbiati, nella mente un unico imperativo: NON TORNERO’ MAI A CASA, NON DOPO QUESTO! NON POTREI PIU’ GUARDARE IN FACCIA NESSUNO
(Ranma)
NESSUNO!
(Mio padre, le mie sorelle)
Si addormentò piangendo mezz’ora dopo.


Kasumi lo squadrò un attimo e poi gli sorrise.
"Ciao Ranma!"
Ma non era la Kasumi di sempre, qualcosa dentro di lei pareva incrinato.
"Ehm… ciao Kasumi… io… ecco… Nabiki è in casa?"
“È all’università con Kuno adesso, però c’è papà, entra pure!"
Nella voce gentile gli parve di scorgere altre parole.
(vieni che papà ti dà un’altra bella strapazzata e magari accresce un tantino i tuoi ENORMI sensi di colpa, finché non ne rimarrai soffocato e allora…)
"No, grazie Kasumi… io… credo che la raggiungerò all’università, grazie."
Fece per voltarsi e andare via, ma sentì la mano di lei sulla propria spalla e si voltò. Nei suoi occhi vide solo dolcezza e compassione.
"Torna quando vuoi Ranma. Qui sei sempre il benvenuto."
Sì, come no… pensò e per un attimo ebbe l’impulso di abbracciare Kasumi e gridarle che non era stata colpa sua se Akane era fuggita, che lui l’amava e… ma sarebbe stato inutile. Fece un sorriso sbilenco e guardò la più grande delle sorelle Tendo.
"Certo… grazie Kasumi."
E così com’era venuto si allontanò.


Si era perso di nuovo. Credeva di essere giunto a Tokyo, invece si trovava nel bel mezzo di un bosco. Si sistemò meglio lo zaino sulle spalle e soffiò via un ciuffo ribelle. Fu a quel punto che sentì le voci. Una di quelle era… di Akane? No, com’era possibile? Non era sulle strade affollate di Nerima, eppure…
Udì il rombo di un motore e si affacciò da dietro un cespuglio per sbirciare. Kami era proprio Akane! Fece per correrle incontro ma rimase paralizzato: quella era davvero la sua Akane? Era sporca, i suoi bei capelli scuri spettinati e appiccicaticci, i vestiti lacerati
(indossa solo il reggiseno)
e accanto a lei c’era qualcuno. Era una donna alta e snella e le stava mettendo qualcosa sulle spalle.
Un’aura enorme di combattimento lo avvolse come fuoco. Chi aveva osato conciare Akane in quella maniera?! E chi era quella donna che la stava portando via?! Cominciò a correre, ma la sua reazione era stata ritardata dai pensieri contrastanti e prima che potesse raggiungerla, Akane era già salita su un fuoristrada con quella donna. Saltò su un albero, seguendolo con lo sguardo, non c’era un dannatissimo tetto nel raggio di un chilometro e i rami sotto i suoi piedi continuavano a spezzarsi. Corse per un po’, finché non precipitò nel sottobosco con un grugnito di disappunto.


Ranma passò in rassegna tutte le finestre prima di trovare quella giusta. Eccola finalmente, con i capelli a caschetto e un penna sulle labbra, intenta a prendere appunti. Sulla lavagna file di numeri facevano bella mostra di sé. Già, cos’altro se non Scienze della Finanza per Nabiki Tendo?
Ranma scivolò fino al lato in cui sedeva e bussò leggermente alla finestra. Si voltò qualche testa e molti lo indicarono, ma anche lei lo vide. Quello che aveva negli occhi era odio allo stato puro. Ranma inghiottì e le fece segno di uscire. La ragazza si alzò, parlò brevemente all’indirizzo della professoressa e uscì dalla classe.
Ranma scese giù all’entrata, aspettandola.

"Cosa vuoi?" Gli domandò freddamente. Ranma ebbe l’impulso di dire qualcosa di stupido come Non si tratta così una persona che non vedi da un anno! Ma tacque saggiamente.
"Dov’è Kuno? Non l’ho visto." Disse invece.
“È nell’altra classe, quella di Letteratura Giapponese… senti, cosa sei venuto a fare? Non ho molto tempo da perdere."
"Voglio sapere cosa hai scoperto. So che l’hai cercata e voglio sapere cosa sai."
Nabiki lo guardò con occhi scintillanti e Ranma arretrò istintivamente di un passo.
"E tu pensi – fece lei rabbiosa – che se anche sapessi qualcosa lo verrei a dire a te?! Ti direi: accomodati Ranma! Falle ancora del male! Avanti!"
"Nabiki…."
"No, ascoltami Ranma! Tu non la rivedrai mai più! Se anche fossi sulle sue tracce preferirei dirlo a Kuno piuttosto che a te! Almeno lui la ama e non l’avrebbe mai trattata male come hai fatto sempre tu!"
La mano di Ranma partì da sola, senza che lui ne avesse controllo. La schiaffeggiò duramente e vide lo stupore trasformarsi in rabbia con velocità sorprendente sul volto della ragazza. Ma ormai non poteva più fermarsi.
"Tu che cavolo ne sai di me?!" Le ringhiò. "Come puoi permetterti di giudicarmi?! Tu, che pensi sempre e soltanto ai soldi, come puoi pensare di conoscere i miei sentimenti?! CHE NE SAI TU DI QUANTO LA AMO?!"
Ecco, l’aveva detto, ci aveva messo quattro anni ma l’aveva detto, finalmente. Se si fosse trovato ancora al Furinkan, probabilmente avrebbero sciorinato coriandoli e striscioni con su scritto Congratulazioni! Ranma lo ha detto!
Il viso di Nabiki rimase freddo, ma parve ammorbidirsi un poco, in fondo, molto in fondo a tanto ghiaccio.
(Nabiki l’iceberg…)
"Ti aspetto alla sala da tè all’angolo dopo le lezioni. Non tardare o me ne vado."
Ranma sorrise. "Sarò puntuale come un orologio."
"Sarà meglio per te." Commentò allontanandosi.
"Nabiki!"
Lei si voltò a guardarlo da sopra la spalla. "Cosa?"
“È viva, vero?"
"Sì… credo proprio di sì."
Era fatta. Ora sapeva che lei era viva e avrebbe potuto cercarla con più speranze di prima. Mentre si avviava al luogo dell’appuntamento si ritrovò a fischiettare e per la prima volta in un anno si sentì quasi felice.


Quando si svegliò, la prima cosa che vide fu il viso di una ragazzina. Ma mise a fuoco solo i tratti del volto e la sua mente si rifiutò di formulare pensieri e di trasformarli in parole.
"Finalmente ti sei svegliata!" Akane arretrò d’istinto, ma la ragazza continuò a parlare. "Io mi chiamo Kurumi, e tu?"
Non poté risponderle, qualcosa la teneva lontana dalla realtà e come in sogno le sue corde vocali si bloccarono. Tanto meglio così. Non avrebbe dovuto dare spiegazioni. La ragazzina accanto a lei sospirò.
"Ho capito, sei muta. Comunque ti hanno conciata maluccio, ragazza mia! Vieni con me, la mia casa è nel prossimo villaggio a est, abito lì con mia madre. Non hai fame?"
Akane aggrottò le ciglia e poté solo scuotere la testa in segno di diniego.
"Va bene, ma almeno un cambio di vestiti lo vorrai! Senti, sai che facciamo? Tu resta qui, io vado a chiamare la mamma e ti veniamo a prendere col fuoristrada, d’accordo? Hai l’aria di non riuscire a camminare per molto. Resta qui, ok? Sarò di ritorno in un battibaleno!"
Detto questo, Kurumi si allontanò nel fitto del bosco, lasciando Akane stordita, una vaga espressione di sorpresa negli occhi.


Nabiki sorbiva il tè con calma, aumentando il nervosismo di Ranma: il suo non l’aveva neanche toccato.
"Allora?! Vuoi dirmelo?!"
"Con calma, Saotome. Ce l’ho ancora con te. Non solo hai lasciato fuggire mia sorella…"
"L’ho cercata per mesi dopo che mi buttaste fuori di casa!"
"….ma mi hai anche schiaffeggiata."
"Ti chiedo scusa Nabiki, umilmente, ma ora…"
"Ripetilo."
Ranma rimase interdetto.
"Cosa?"
"Ho detto: ripetilo."
"Ho capito, ma COSA devo ripetere?! Che mi scuso? Scusam…"
"No, non quello. Ripetimi che ami mia sorella."
Ranma ammutolì.
(Piccola ricattatrice che non sei altro!)
Nabiki lo fissò.
"Prima mi sembrava che dicessi la verità, Saotome, ma ora non ne sono più tanto sicura."
"Nabiki…"
"Magari vuoi cercarla solo per scusarti con lei e poi abbandonarla di nuovo. Sai che ti dico? Io me ne vado."
Nabiki si stava DAVVERO alzando, stava DAVVERO andandosene. Ranma sbatté un pugno sul tavolo.
"E va bene, te lo ripeterò! Io LA AMO! La amo disperatamente, amo tua sorella come non credevo di poter mai amare nessuno e non ho mai avuto il fottuto coraggio di dirglielo perché avevo paura che lei ridesse di me! Ma se potessi tornare indietro, glielo griderei contro con quanto fiato ho in gola!"
Nabiki rimase un attimo in piedi, una vaga espressione di sorpresa sul volto
Saotome, se mi hai sorpresa!
ignara di quelli che si erano voltati ad ascoltare quell’indiretta dichiarazione d’amore. Poi si ricompose e sedette nuovamente, notando il rossore diffuso sul volto del ragazzo.
"Così va meglio." Disse semplicemente. Poi aggrottò le sopracciglia, seria. "Ora, ascolta…"

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Capitolo 3
*** Una vita innocente ***


Capitolo III

Una vita innocente




La donna le avvicinò un piatto fumante di minestra calda, ma Akane scostò il viso.
"Ragazza mia, non puoi stare a digiuno tutto il giorno, ti farà male!"
Lei si limitò a tacere e le indicò con un dito la tinozza dell’acqua, rivolgendole uno sguardo supplichevole.
"Vuoi fare un altro bagno, tesoro? Ma sai che è il quinto oggi?"
Akane si morse il labbro, sul punto di piangere.
"Dai mamma lasciaglielo fare! Si vede che ne ha voglia!" Intervenne la ragazza dai capelli rossi alle sue spalle.
"Ma Kurumi, le farà male alla pelle!"
Lei scosse la testa. "Non vedi che è catatonica? Cosa vuoi che le importi della sua pelle?"
"Kurumi!"
Ma Akane non parve sentirla, si alzò e cominciò a spogliarsi e a riempire la vasca. Era come se intorno a lei non ci fosse nessuno. Si immerse e cominciò a insaponarsi la pelle nivea e già più volte strofinata, in più punti si era screpolata per il troppo sapone, ma lei non ci badava e continuava a strofinare con lamenti bassi e disperati, come se avesse addosso qualcosa che doveva togliersi assolutamente.
"Kurumi…"
"Sì, mamma?"
"Hai detto che quando l’hai trovata aveva i vestiti tutti strappati?"
"Sì ed era spaventata a morte."
La donna annuì lentamente. "Credo di capire cosa le sia successo: il fatto che continui a lavarsi…"
"Oh mamma, vuoi dire… proprio quello?"
"Temo proprio di sì, figliola."


"A Kyoto?! Hai idea di dove sia?! Ma sei proprio sicura, Nabiki?"
La ragazza diede un piccolo morso al pasticcino di riso e annuì. “È la sua descrizione perfetta. Ho raccolto informazioni, sai?"
Ranma si alzò dal tavolo.
"Vado da lei!"
"Frena Ranma, non così in fretta."
"E perché, scusa?"
"Non sono sicura che ti voglia rivedere. Lascia che vada io, ho solo un biglietto per il treno."
"Me ne comprerò un altro, ho dei risparmi…"
"No! Ma ci senti quando ti parlo?! Ho detto che devo vederla prima io! Dopo un anno non so se vorrà avere più a che fare con te. È dura da accettare, ma è così. Abbi pazienza."
Ranma grugnì, impotente.
"E dovrei starmene qua, buono buono, in attesa di notizie?!"
"Esattamente." Disse lei con un sorriso, alzandosi in piedi e cominciando ad allontanarsi.
"Do… dove vai Nabiki?"
"A casa a fare i bagagli, no? Parto tra due giorni e non provare a seguirmi!"
"Ma…"
"Niente ma, Saotome, ho già fatto troppo per te, dopo quello che hai combinato." Si girò nuovamente, poi parve ricordarsi di una cosa. "Ah, dimenticavo…"
"Cosa?" Fece Ranma speranzoso.
"Il conto. Pagalo tu." Concluse aprendo la porta e sparendo tra la folla.

Più o meno nello stesso momento in cui Nabiki affibbiava il conto della sala da tè a un esterrefatto Ranma, Akane stava discutendo animatamente con un’infermiera.
"No, mi rifiuto, non posso allattarlo io! Trovategli una balia!"
"Ma Akane, è figlio tuo!"
"Non l’ho voluto io! E poi se ne occupi la sua madre adottiva!"
"Ma Akane…"
"BASTA PER FAVORE, LASCIAMI SOLA!"
La donna scomparve mogiamente dietro la porta e Akane si prese la testa fra le mani. Per un attimo aveva provato amore per quel bambino, ma ora aveva deciso che era sbagliato. All’epoca si era lasciata dissuadere dall’abortire, lo avrebbe dato in adozione come già stabilito. Non voleva che quel bambino le ricordasse ogni momento della sua vita come l’aveva avuto. Amare provocava solo del male, ora lo sapeva. Si sarebbe imposta di dimenticarlo
(È sangue del tuo sangue)
pur di passare finalmente oltre quell’incubo durato quasi un anno.
Il problema era che non poteva tornare a casa come nulla fosse dopo tutto quel tempo e dire: Ciao, sono tornata! Scusate il ritardo, ma ho avuto parecchio da fare! A proposito Kasumi, cosa c’è per cena?
Probabilmente la credevano addirittura morta e poi… sarebbe riuscita a tenere per sé un segreto enorme come quello? E se Ranma l’avesse cercata? Come lo avrebbe affrontato? Le avevano detto che prima di svenire lo aveva chiamato a gran voce. Per nove mesi si era preoccupata solo di liberarsi di quel fardello e trovargli una sistemazione, ma ora non sapeva cosa avrebbe effettivamente fatto.
Fuori dalla sua stanza, una donna si aggirava per i corridoi dell’ospedale cercando la nursery e mormorando frasi incomprensibili.

Nabiki mise in valigia un altro paio di pantaloni e chiuse zip e bottoni. Poteva bastare, non sarebbe stata via molto. Se era veramente sua sorella l’avrebbe riportata a casa in un baleno, che lei lo volesse o no. Doveva dare delle spiegazioni alla sua famiglia, era scomparsa per quasi un anno e non poteva rifiutarsi di tornare.
Era convinta che fosse lei, nonostante la stranezza che le avevano riferito.
(Ha i capelli scuri, corti, una bella ragazza, sembra che il suo cognome sia Kendo o Tendo e…)
Sicuramente c’era stato un errore.
(Sembra essere in attesa di un bambino.)
Akane aveva spesso indossato vestiti larghi, magari era ingrassata un po’, ma sicuramente non era incinta, Nabiki ne era convinta. Chi avrebbe osato avvicinarsi tanto a sua sorella tanto da…? No, non era possibile.
Mise il biglietto del treno nel cassetto e aprì il suo libro di economia politica. Fuori, era imminente un temporale.

Erano stati mesi duri per Akane. A poco a poco era uscita dalla catatonia in cui si era rinchiusa, ma aprire la mente e la consapevolezza a quello che era accaduto era stato anche peggio. La madre di Kurumi le era stata vicina come fosse la sua e aveva ascoltato il suo sfogo piangendo con lei, condividendo il suo dolore. Kurumi, dal canto suo, era come la sorellina minore che non aveva mai avuto e spesso le ricordava Ranma, per via dei suoi capelli rossi. Un giorno l’aveva vista con i capelli raccolti in una treccia ed era scoppiata a piangere. Non se l’era sentita di spiegare a Kurumi del suo fidanzato e della sua strana maledizione, così aveva tergiversato parlandole di una sua cugina.
"Ma se ti manca tanto la tua famiglia perché non torni a casa?"
Akane era diventata pensierosa. Certo, tornare era facile, ma che avrebbe raccontato? Dopo un mese di assenza doveva dare una spiegazione plausibile, ma non voleva dare quella spiegazione. Così aveva indugiato. Dopo qualche giorno aveva scoperto di essere incinta ed era stato l’inizio della fine. Akane credé di toccare il fondo, di impazzire, e si era lasciata convincere solo in extremis a non abortire. Una notte aveva tentato addirittura di uccidersi, ma non appena aveva visto il sangue stillare dal suo polso le era venuto meno il coraggio e aveva accettato il seppur difficile richiamo alla vita. Era partita il mese successivo.
"Ho una zia a Kyoto, è anziana ma molto buona.” Le aveva detto la mamma di Kurumi. “Finché non ti senti di tornare a casa stai pure da lei. In quella città c’è un ottimo ospedale, ci lavora una mia amica, puoi avere il bambino là e farti aiutare da lei per l’adozione, se non cambi idea."
Akane le era stata immensamente grata e quando era partita le era dispiaciuto come se avesse abbandonato di nuovo la sua vera famiglia. Ma aveva bisogno di allontanarsi, non voleva che qualcuno la trovasse ora, gravida e disperata.
I nove mesi erano passati, ma Akane non riusciva ancora a trovare il coraggio di tornare.

La donna indossava un kimono largo decorato da strani simboli arcaici. Non appena fu davanti alla nursery i suoi occhi si illuminarono.
"Eccolo! È lui, il prescelto!" Mormorò in preda a una sorta di illuminazione mistica. Abile come un gatto scivolò dentro la stanza e fissò gli occhi blu del neonato. "Tu farai rinascere Aruku, il Sommo, e la Terra… oh la Terra finalmente sarà governata dai sudditi del nostro padrone supremo!"
In un attimo il bimbo fu nelle pieghe del suo kimono, silenzioso e tranquillo come se sapesse che quello era il suo destino. La donna scomparve in un fumo denso e acre senza lasciare traccia.
Un’ora dopo si sarebbe scoperto che il figlio di Akane era stato rapito.

Akane stava sognando sua madre. La vedeva su un sentiero opaco, l’erba di un verde cristallino e pulito.
"Mamma?"
Nulla, la donna la guardava con espressione triste e non parlava.
"Mamma, perché sono qui? Sto forse…"
La donna fece un gesto negativo.
"Allora, perché?"
Lei parlò con voce triste. "Quel bambino non ha colpa."
Akane spalancò gli occhi colmi di comprensione.
"Ma mamma… io…"
"Come te, neanche lui ha colpa di quello che ti è accaduto. Non rifiutare qualcosa che fa parte di te. Quel bambino è in pericolo ora, salvalo figliola, non merita ciò che gli vogliono fare."
Akane tentò di parlare, ma nessun suono le uscì dalle labbra. Si formò invece un’immagine davanti a lei:
(sacrificio)
delle donne con strani kimono neri stavano sorreggendo
(sacrificando)
suo figlio su un altare dove strane figure di marmo
(demoni)
sogghignavano come in attesa del suo sangue.
(resurrezione)
Si svegliò gridando e qualcosa le colpì il petto come una spada. Amore. Amore smisurato verso quegli occhi blu
(come… oh proprio come…)
quelle manine minuscole, quelle labbra rosee. Rivide se stessa lottare per farlo nascere dal suo grembo gonfio (sangue del mio sangue)
e la sua testolina minuscola
(come te non ha colpa)
uscire nel mondo inconsapevole
(è in pericolo)
che sua madre avrebbe voluto odiarlo.

Quando la rivide, era passato quasi un anno. Quell’idiota di Ranma doveva averle fatto qualcosa di terribile per tenerla lontana tutto quel tempo. E pensare che l’avevano cercata insieme il giorno in cui la vide nel bosco con quella donna! Ranma gli aveva lanciato contro le più svariate maledizioni, quando si era reso conto che lui non ricordava la strada come al solito. Poi era finita lì. Si era messo a girovagare ovunque nelle vana speranza di ritrovarla, viaggiando verso nord senza saperlo. E oggi era proprio a Kyoto e la stava vedendo di nuovo. Si strofinò gli occhi credendo di avere le traveggole. Akane indossava una camicia da notte bianca, era scalza e sembrava pallida da morire. Ancora un po’ e sarebbe svenuta.
Ryoga prese a correre come un pazzo e l’afferrò appena in tempo, prima che cadesse.
"Akane! Kami del cielo che ti è successo?!"
"Mio… ti prego… trova…"
"Cosa? Akane non capisco!"
"Ti prego… trova… mio figlio…"
E svenne.

Ranma non poteva mantenere fede alla promessa. L’avrebbe seguita e avrebbe rivisto Akane viva e vegeta, cascasse il mondo. Stava già preparandosi lo zaino.
"Figliolo, sei sicuro di voler…"
"Oh mamma, andiamo! Come pensi che possa rimanermene qui buono e tranquillo sapendo che lei è a pochi chilometri da me?!"
Nodoka sedette accanto a lui, piegando una camicia cinese blu e porgendogliela.
"La ami molto, vero?"
Ranma arrossì, ma non riuscì a mentire a sua madre.
"Se solo fossi stato meno vigliacco… se glielo avessi detto quella sera, ora non sarebbe così lontana da me."
La donna gli pose una mano sulla spalla. "Meglio tardi che mai, Ranma. Diglielo se puoi, ripetiglielo finché non si stancherà di sentirlo. Vedrai che non ti respingerà."
"Tu dici, mamma?"
Nodoka annuì. "Sono una donna anch’io e se un giorno tuo padre mi dovesse ripetere che mi ama fino alla noia credo che non potrei rimanere indifferente. Fallo Ranma, lei è la tua fidanzata… solo tua."
Già… pensò Ranma mentre sorrideva tra sé al pensiero di suo padre profuso in una dichiarazione d’amore. Lei mi appartiene e stavolta il destino me la dovrà ridare.
La pioggia cominciò a cadere.

Ryoga credeva di aver visto e sentito tutto nella sua seppur giovane vita. Ma ora, mentre lei giaceva nel suo sacco a pelo, al riparo nella tenda mentre fuori pioveva a dirotto, la rivide tra le sue braccia semisvenuta chiedergli di salvare suo figlio. Suo figlio. Sentiva che il cuore gli si liquefaceva nel petto. Akane aveva avuto un bambino? E chi era il padre? Se avesse scoperto che Ranma…
"Ma certo!" Esclamò piano per non svegliarla. Ranma l’aveva… l’aveva… ecco perché la povera Akane era fuggita e ora portava su di sé quella vergogna, quell’orribile marchio! Ah, ma l’avrebbe pagata carissima! Appena avesse rivisto Ranma gli avrebbe rotto le ossa una a una, quanto era vero che si chiamava Ryoga Hibiki!
Akane stava riprendendo conoscenza. Ryoga le si accostò.
"Akane…?"
Lei mise a fuoco il volto del ragazzo e un antico timore
(un uomo…)
le pervase le viscere. Gridò, allontanandosi, inconsapevole del sangue che le cominciava a fluire lento in grembo.
"Akane… Akane sono io!"
"Stai lontano! NON MI TOCCARE!"
"Akane… io… Akane stai sanguinando! Oh mio Dio!"
Lei si rannicchiò in un angolo, dondolandosi, piangendo.
"Rivoglio il mio bambino… lo rivoglio!"
Ryoga fece per avvicinarla, ma si bloccò. Akane aveva paura di lui. Non lo riconosceva, oppure aveva paura per qualcosa. Ma Akane voleva anche qualcosa da lui e anche se quel qualcosa era il figlio suo e di Ranma l’avrebbe ritrovato a costo della vita, per lei questo e altro. Tuttavia stava sanguinando, la camicia da notte era inzuppata appena all’altezza del ventre. Ryoga non era mai stato molto sveglio per quanto riguardava le donne, ma d’improvviso capì e si diede dell’idiota.
Ha appena partorito, ha camminato per chissà quanto e ora…
Arrossì. Non poteva curarle personalmente quella ferita, ma l’avrebbe portata all’ospedale immediatamente. Incurante delle proteste di lei, la prese in braccio, aprì l’ombrello e corse più che poté.

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Capitolo 4
*** Ritorno alla vita ***


Capitolo IV

Ritorno alla vita




Nabiki si alzò in piena notte e decise di partire, nonostante il temporale. Aveva sognato sua madre e ricordava che le parlava di qualcosa che aveva a che fare con Akane. Aveva un brutto presentimento e non perse altro tempo. Si vestì velocemente, afferrò la valigia e il biglietto e corse alla stazione centrale di Tokyo.

"Akane…"
"Mmmhhh…."
È Ryoga! È proprio lui e…
"Akane, ti riporterò tuo figlio, te lo giuro, ma devi dirmi dov’è! Non posso cercarlo ovunque, lo capisci questo?"
…mi ha salvata…
Akane provò ad alzare una mano e avvertì distintamente l’ago per le trasfusioni conficcato nel braccio.
"Sull’altare… sacrificio… i demoni… Aruku… nel bosco…"
Non era molto, ma doveva bastargli. Si asciugò le lacrime col polso e le posò un live bacio sulla guancia.
"Ti giuro che te lo ritroverò Akane, dovessi fare il giro del mondo a piedi!"
Sul volto pallido di lei apparve l’ombra di un sorriso di gratitudine.

"Tempo del cavolo!" Esclamò Ranma alzando il finestrino del suo scompartimento. Fortuna che aveva ricordato l’ombrello. Già, una volta senza di quello si sarebbe trasformato nella “ragazza col codino”. Era sempre Akane a ricordarglielo, nei giorni di pioggia, dolce e previdente come sempre. La sua Akane…
Ora, mentre il treno correva verso di lei, Ranma la sognava nel suo sonno leggero e tormentato, ignaro di Nabiki che viaggiava due carrozze più in là. La sognò avvolta in una camicia da notte bianca che gli correva incontro, ridendo. Lui apriva le braccia per accoglierla, ma poi il sogno cambiava e lei si fermava all’improvviso. Con orrore, vedeva l’indumento candido tingersi di rosso, lei gridava di dolore e Ranma non poteva fare nulla per aiutarla.
Si svegliò madido di sudore, trattenendo a stento un urlo.

Ryoga si era perso di nuovo e si maledisse. Doveva trovare quel bambino a costo della vita, l’avrebbe riportato alla sua amata, poi avrebbe cercato Ranma per mari e monti e gli avrebbe spezzato le ossa una a una come si era ripromesso. E poi? Sarebbe sparito di nuovo? Ora che aveva curato la propria maledizione si sentiva ancor più estraneo nei confronti di Akane. Ranma aveva acquistato punti agli occhi di lei e Ryoga aveva ripreso a vagabondare. Poi c’era stato l’ennesimo tentativo di matrimonio e tutto era andato a rotoli. Adesso, però, doveva solo concentrarsi nella sua missione. Al suo triste futuro avrebbe pensato dopo.
Davanti a lui c’era il bosco, miracolosamente ce l’aveva fatta. Il mio cuore mi ha guidato, pensò, e immediatamente il ragazzo con la bandana avvertì delle presenze estranee: un filo di fumo usciva dalla cima di un albero e Ryoga si diresse in quella direzione. A metà strada udì il pianto di un bambino.
"Per i tuoi infiniti servigi ti cediamo questo sacrificio, oh Sommo Aruku!" Invocò una delle donne vestite di nero. Una sua compagna teneva in mano una grossa katana appuntita e sull’altare fatto di foglie secche troneggiava un piccolo bonsai.
"Come dalle scritture sacrifico per te il figlio del peccato sul bonsai a te consacrato!"
"Tu non sacrificherai un bel niente!" La voce di Ryoga tuonò forte e chiara nella foresta, qualche uccello volò via.
"E tu chi sei?" Domandò una delle donne.
"Il mio nome non importa. Voglio che mi diate quel bambino immediatamente, come avete osato strapparlo dalle braccia della madre?!"
"Questo bambino è il figlio del peccato! Sua madre non lo voleva nemmeno!"
"Non dire sciocchezze, vecchia! Lascia andare quel bambino!"
Colei che lo teneva in braccio fece un gesto alla più giovane, che si avvicinò minacciosa a Ryoga.
"Che vuoi fare? Combattere con me? Io per principio non mi batto con le donne!"
"Oh ma io non voglio battermi!” Rispose languidamente. “Voglio solo farti una proposta. Tu lasci qui il bambino e io ti do la vita eterna! Il nostro padrone saprà soddisfare ogni tuo desiderio."
Ryoga arretrò di un passo. Non sapeva perché, ma provava ribrezzo per quella donna.
"Aruku è il tuo padrone, non è vero?"
Lei strinse gli occhi, osservandolo meglio.
"Tu sei un figlio delle Sorgenti…" Era un’affermazione, non una domanda.
"Come sai delle sorgenti di Jusen?” Domandò Ryoga stupito. "Tu…"
"Le sorgenti maledette appartengono al sommo Aruku. È lui che ha curato la tua maledizione ragazzino e questo è il prezzo che devi pagare!"
Ryoga scosse la testa, a disagio.
"Non capisco cosa c’entri il figlio della mia Akane con il tuo dio del cavolo!"
"Modera le parole, giovane figlio del male! Aruku ha sempre chiesto sacrifici in cambio dei suoi servigi! E in cambio di una delle sue acque vuole una vita umana, quella di un figlio del peccato!"
"Figlio del male… figlio del peccato… ma in che epoca vivete voi?!"
La donna sorrise, un sorriso freddo e malvagio.
"Ragazzo mio, se una donna commette il peccato di farsi possedere non da uno, ma da sei uomini, il figlio che avrà sarà l’unico pasto in grado di far risorgere un demone come il nostro signore!"
A Ryoga si appannò la vista: sei uomini? Possedere? Akane era stata… crollò sulle ginocchia, incapace di connettere. Non era stato Ranma, allora, lui non l’aveva neanche sfiorata! La rabbia ribollì come lava fusa dentro le sue vene e la sua aura risplendette furiosa per il bosco intero. La donna arretrò di un passo.
"Voi…” Ringhiò “Vi siete approfittati della disgrazia accaduta alla mia Akane per i vostri sporchi scopi e tirate fuori la cura per la mia maledizione per giustificarvi?! Sapete una cosa? FATE SCHIFOOO!"
Lo shishi hokodan illuminò il bosco intero e Ryoga gridò di rabbia e dolore.

Ranma ebbe appena il tempo di pensare che forse c’era un incendio, poi riconobbe la sfera di energia di Ryoga e si mise a correre come un pazzo. Giunse alla radura dalla quale era partito il colpo e rimase imbambolato. A terra c’erano quattro donne, una katana, un mucchio di foglie secche sparse un po’ ovunque e un piccolo bonsai spezzato a metà. Davanti a lui, in piedi, Ryoga teneva un neonato piangente in braccio.
"Ryoga…? Tutto bene?" Lui annuì, il volto nascosto dalla frangia.
"Quel… quel bambino… è di una di quelle donne?"
Ryoga scosse la testa.
"No Ranma, loro… volevano sacrificarlo a un demone."
"Oh dio…” Proruppe lui sconcertato. “E sua madre?"
Il ragazzo alzò il volto e Ranma si accorse con terrore che aveva gli occhi lucidi. Fece un sorriso triste e rispose all’amico.
"Sua madre è Akane."

"Mmmhhh mioooo… bambino…."
Akane delirava nel sonno, a causa della febbre. Nabiki bagnò la pezza e gliela pose sulla fronte.
"Ssst, tranquilla Akane, vedrai che Ryoga te lo riporterà qui, se non si perde… ti ha mai negato qualcosa, quell’imbranato?"
"Rrrranmaa…"
Il viso di Nabiki s’indurì.
Pensa ancora a lui. Chissà se è ancora a Tokyo… quel… quel…
Ma prima che potesse dire altro, la porta si spalancò e comparvero i due artisti marziali in questione, infangati e sporchi, ma col bambino di Akane tra le braccia.

"E’una setta che si credeva fosse estinta già da molto tempo. Purtroppo quelle donne erano forse le ultime adepte che ancora credevano in Aruku, il demone che vuole risorgere. Hanno il potere di leggere nella mente e altri trucchetti simili. Per fortuna Ryoga non le ha uccise, così la polizia potrà farle parlare e scoprire se ci sono altre persone che hanno intenzioni simili alle loro." La voce di Nabiki era bassa e monotona. "Pare che le sorgenti di Jusenkyio appartengano a questo demone e chi le usa per scopi curativi deve pagare un pegno di sangue per farlo risorgere e governare sulla Terra."
" Kamisama…" Mormorò Ryoga incredulo. Ranma invece rimase silenzioso.
"Chiunque le usi deve sacrificare un proprio figlio e in un certo senso è perché tu hai utilizzato le sue acque, Ranma, che il figlio di Akane è stato aggredito. Se vi foste sposati e aveste avuto dei figli, quelle donne li avrebbero cercati."
"Che vuoi dire Nabiki? Che forse è meglio che Akane sia stata violentata da sei bastardi di passaggio, così il figlio che hanno cercato non era il mio?! Mi vuoi far credere che sono stato fortunato?!"
"Ranma, non ho detto questo…"
"Lo so che non l’hai detto, ma sono sicuro che l’hai pensato! QUALCUNO HA VIOLENTATO LA MIA FIDANZATA E IO DOVREI SENTIRMI FORTUNATO?!"
Nabiki lo schiaffeggiò e lui parve riprendersi.
"Io… scusa, io…"
"Ora siamo pari, Saotome. Vado a vedere come sta mia sorella."
Nabiki si allontanò e Ranma rimase in silenzio, lo schiaffo che gli bruciava sulla guancia. Il dolore lo pervase come una febbre e per la prima volta dopo anni sentì la tensione allentarsi, il senso di colpa sopraffarlo e il pianto che seguì fu liberatore. Ryoga fissò il grande Ranma sciogliersi in singhiozzi disperati, lamentandosi come un bambino che si sia perso e si sentì debole come mai prima d’ora. Lentamente, passò un braccio attorno alla spalla del suo amico, gli circondò la vita con l’altro e gli fece poggiare il capo sul proprio torace, cullandolo piano.
"Ssst, Ranma… Akane starà bene, vedrai."
"Cosa le hanno fatto Ryoga? Come ho potuto lasciarla sola in un momento… così difficile? Come ho potuto permetterlo?!"
"Ranma, tu hai fatto di tutto per cercarla, non devi rimproverarti. Neanch’io c’ero. Anzi, se ricordi bene, l’ho anche vista, ma non sono riuscito a seguirla. Ora so perché aveva quell’aspetto così… così…"
Ranma si asciugò gli occhi rabbiosamente, ma senza smettere di piangere.
"Ma io sono il suo fidanzato! Era compito mio salvarla!"
Ryoga fece un sorriso triste con gli occhi umidi.
"Ma anch’io l’amo, almeno quanto te."
"Hibiki… ma cosa ci ha fatto Akane? Guardaci! Due artisti marziali come noi che fanno tanto i gradassi e frignano come scolarette deluse per una ragazza!"
"L’amore rende deboli." Dichiarò Ryoga convinto.
"Già…” Poi, si riscosse. “Ryoga sei diventato filosofo, ora?"
"È che l’ho provato sulla mia pelle."
Ranma rise, un sorriso sincero dopo tanto dolore.
"Ok, ok, te la do buona, Hibiki, solo… smetti di abbracciarmi o qualcuno penserà male."
"Razza di pervertito!" Ringhiò Ryoga, ma senza rabbia. "La sai una cosa, Ranma?"
"Cosa?"
"Avevo pensato che quel bambino fosse tuo."
Ranma scoppiò a ridere forte e Ryoga lo guardò come se fosse pazzo.
"Pensa… pensa se Akane mi avrebbe permesso… una cosa simile!" Farfugliò tra le risa, contagiando l’amico.
"Ti avrebbe spedito come minimo in India!" Esclamò Ryoga tenendosi la pancia, mentre Ranma annuiva incapace di parlare.
"Sono contenta che siate di buon umore!" Dichiarò Nabiki raggiungendoli. "Ranma fila da Akane, lei non sa che sei qui, ma credo che abbia troppe poche forze per spedirti…"
"…in India!" Finì Ranma per lei fomentando le risa isteriche di Ryoga.
Nabiki guardò in aria compatendoli e Ranma si alzò. Il ragazzo con la bandana lo trattenne per un braccio.
"Ryoga… so che la vuoi vedere anche tu, ma io…"
"Falla soffrire di nuovo”, cominciò lui senza ascoltarlo, “e ti rompo tutte le ossa un pezzettino alla volta."
Ranma sorrise. "Resta qui, così non ti perdi e la puoi vedere dopo di me."
Lui annuì, ma quando Ranma si allontanò, Ryoga decise che era ora di andare.

Lei giaceva pallida nel letto d’ospedale e a Ranma si strinse il cuore. Quando lo vide, i suoi occhi si fecero più grandi e Akane cominciò a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua, ma senza riuscire a emettere suoni.
"Non. Dire. Una parola." Le intimo lui con un dito sulle labbra.
"Ranma…" Pigolò Akane con voce disperata.
"Senti, se qui c’è qualcuno che ha colpa per quello che ti è accaduto, sono io. Sono solo io l’idiota che invece di sposarti ti ha permesso di andartene. E se anche dovessi pagare pegno per tutta la vita per rimediare a questo, ti giuro che lo farò. Ti prego solo di perdonare questo baka che ti ha fatta soffrire."
Akane sentì una lacrima solitaria scenderle sulla guancia e le dita di Ranma calde e dolci che l’asciugavano amorevolmente "È la prima volta che te lo dici da solo." Gli disse con un piccolo sorriso.
"È che avevi ragione, sono un baka. Anzi, me lo ridiresti?"
Lei rise un poco.
"Ma ora non hai fatto niente."
"Ma ho bisogno di sentirlo."
Akane gli mise una mano sulla guancia, dandogli piacevoli brividi alla schiena.
"Baka…"
Ranma sorrise, una luce di gioia negli occhi.
"Grazie, Akane."
Rimase così per un po’, beandosi del calore della sua mano, poi le parlò piano.
"Akane?"
"Mh?"
"Mi daresti un’altra possibilità?"
Akane lasciò ricadere la mano, fissandolo.
"Ranma, una volta queste tue parole mi avrebbero resa felice, ma ora… dopo quello che è accaduto…"
"Ascolta”, le impose dolcemente prendendole le mani tra le proprie, “qualunque cosa sia accaduta tu sei sempre la mia Akane e quel bambino è una parte di te. Lo amerò come se fosse mio, anche se non so assolutamente come accidenti si faccia il padre e sia un imbranato totale. Ma vi proteggerò per la vita, lo giuro, e se dovessi trovare quei bastardi che ti hanno fatto questo li ucciderò così lentamente che rimpiangeranno di non essere già all’inferno. Lascia che ti stia accanto, Akane… insomma… ti sto chiedendo di sposarmi, Akane Tendo."
Nel cuore di Akane esplose una gioia tale che si accorse a malapena di quanto gli era costata quella proposta. Tra le lacrime, lo abbracciò forte, ripetendogli decine di sì all’orecchio, facendolo arrossire violentemente. Ranma ricambiò goffamente il suo abbraccio e quando Ryoga entrò li trovò così.
D’istinto, lui cominciò ad agitare le braccia ripetendo: "Non è come pensi!"
Ryoga lo fissò per un istante.
"Io… veramente… credevo di essere nell’atrio dell’ospedale."
Ranma e Akane scoppiarono a ridere e poco dopo Ryoga si unì a loro.
Fuori nasceva il sole.

Sulla veranda di casa Tendo c’era una grande riunione. Tutti coloro che una volta erano stati nemici di Ranma o di Akane, parlavano insieme in armonia e discutevano del piccolo che gattonava davanti a loro.
"Akane Tendo gli ha trasmesso sicuramente la sua grande sensibilità e quando crescerà…" Proferì Tatewaki.
"Ah ah ah ah ah!” Lo censurò sua sorella. “Akane Tendo sensibile, ma non farmi ridere! Sarà stato sicuramente il mio Ranma ad aver trasmesso a quel bambino la su infinita forza di volontà, il suo coraggio…"
Il viso di Akane si rabbuiò a quelle parole. Nessuno di loro, a parte Ranma stesso, Ryoga e Nabiki sapeva la verità e lei non l’avrebbe confessato neanche sotto tortura. Pensava di doverlo dire almeno a Kasumi, ma doveva raccogliere tutto il proprio coraggio per rivivere quei momenti. Forse un giorno sarebbe riuscita a ricordare senza soffrire, ma sarebbe stata dura.
Guardò Ryoga sorridere all’ennesima parola strana del suo bambino e sorrise a sua volta. Lo aveva ringraziato più volte per aver salvato la vita a suo figlio, ma non le sembrava mai abbastanza, era davvero il suo amico più caro.
"Perché fissi così Ryoga? Potrei anche essere geloso, sai?"
Akane scrutò gli occhi blu tanto amati.
"Ma non mi dire! Il grande Ranma Saotome è geloso del suo più acerrimo rivale!" Poi si avvicinò al suo orecchio e bisbigliò. "Non ne hai motivo, è te che ho sposato."
Ranma sorrise, beato. "Hibiki è un grande, lo so, ma io ho la precedenza su tutti. Quindi, perché non ce ne andiamo di sopra?"
"Razza di pervertito, ci provi?" Rise dandogli un colpetto col gomito.
"Bè… ecco, è che… pensavo… che vorrei che Yuki avesse un fratellino… o magari una sorellina… io so cosa significa essere figli unici e…"
Akane sospirò. "Vuoi un figlio tuo, vero?"
Ranma si mise sulla difensiva, ma non riuscì a mentirle.
"Akane, lo sai che non è solo per questo e comunque se ancora non te la senti io non voglio forzarti."
"Ranma?"
"Ne abbiamo parlato, so che per te è difficile dopo quello che ti è accaduto e io non voglio obbligarti a…"
"RANMA?"
"Cosa?"
"Sì."
Ranma inghiottì, con la gola improvvisamente secca.
"Sì… cosa?"
"Lo voglio anch’io questo bambino da te. In fondo siamo sposati da un anno, dovremmo pur… ehm… consumare… no?"
"Ehmm… sicura?"
"Sì."
Gli occhi di Akane scintillavano. Sapeva che stavolta ce l’avrebbe fatta. Ranma l’aveva accarezzata e coccolata molto durante quell’anno e pian piano era riuscita a far rinascere la donna che aveva dentro. Il ricordo di quelle mani viscide sopra di sé si era opacizzato molto e sentì che voleva Ranma. Voleva la sua dolcezza, il suo amore, come per cancellare per sempre ogni traccia di violenza dal suo corpo.
Quando si svegliò nuda accanto a lui, era un’alba meravigliosa e ad Akane sembrò di tornare a vivere. Baciò il suo uomo sulle labbra e quando lui l’attirò a sé gli mormorò: "Ti amo, Ranma Saotome."
Posò la testa sul suo torace forte e si riaddormentò felice.

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