Rosa Velenosa

di SaraJoie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


 
 
- C’era una volta una foresta magica. E c’è ancora. È abitata da folletti, elfi, spiritelli e da tutte le creature che popolano le vostre fantasie, E come in ogni regno che si rispetti, c’è un Re.Ma il Re della Foresta non è un re qualunque, non è un noioso omone con i baffi impomatati, chiuso nel suo castello, circondato da scartoffie e servitori. Il Re della foresta è un Re Bambino. La sua casa è un cespuglio ricoperto di rose bianche, grandi e profumate.Ogni notte il Re Bambino si stende all’ombra delle sue foglie, e rimane giovane per sempre. Non teme le spine che coprono i rami nodosi, perché tutta la foresta gli obbedisce. I fiori sbocciano a un suo comando, le foglie si ingialliscono per un suo capriccio. È il padrone delle stagioni. Ed è il re dei sogni.>>

Estratto da: “Le Avventure di Cecily D.”
Di Cecily Dashwood

 
 
 
 
Gabriel osservò le sue scarpe sprodonfadare nel morbido terriccio del giardino della nonna.Erano i piedi di un bambino di sei anni, piccoli , circontadi da ciuffetti di erba verde. Indossava le sua scarpe preferite: di un rosso acceso , con i lacci neri e i disegni gialli sui lati. Sapeva bene cosa stava per succedere. Tra qualche secondo sarebbe comparso Jonathan.Il suo fratellone. Ecco lì in lontananza, vicino alle sedia preferita della nonna, quella nera di ferro battutto, posizionata strategicamente sotto l’ombra del grande faggio. Nel sogno il faggio era sempre rigoglioso e pieno di foglie. Jonathan lo salutò con la mano, aveva dieci anni,ed era decisamente più alto di lui. I suoi ricci erano di una tonalità di castano più chiara, ma erano sempre indomabili e sparavano in tutte le direzioni.E poi gli occhi. Azzurri come l'acqua,allegri e ridenti.Gli occhi di un angelo. Gabriel lo chiamò, lo invitò ad avvicinarsi. Sapeva esattamente cosa avrebbe detto. Gli avrebbe chiesto di avvicinarsi allo 'stagno’. Si trovava sul fondo del giarino, quasi al confine col vecchio bosco.Era una piccola buca piena di acqua sporca, abbastanza profondo. La storia dei piccoli folletti nel fiume era in assoluto la sua preferita.I folletti erano bassi come bambini- raccontava sempre la nonna, seduta sotto l’albero- con la pelle verde, i capelli di alghe e i larghi cappelli fatti di foglie di ninfee. Si nascondevano sotto il fango,e se andavi sott'acqua e aprivi gli occhi, potevi scorgere i loro nasi a patata e i loro grandi occhi blu brillare nell’oscurità. Jonathan lo raggiunse. Senza nemmeno togliersi le scarpe entrarono in acqua. La mamma glielo probiva. Ma in quel momeno lei era dentro casa, tutta presta dal suo lavoro, mentre la nonna cullava ignara la piccola Elizabeth , raccondandogli fiabe che loro due conoscevano già a memoria.Gabriel assaporò la sensazione dell’acqua che gli lambiva le caviglie. La mamma diceva sempre di stare lontani dal fiume. Era pericoloso, non sapevano nuotare. Gabriel vide una foglia di ninfea vibrare..erano loro, erano i folletti dell’ Acqua! E poi non respirava più. C’era acqua, acqua ovunque. Gli entrava nelle narici, nella bocca. Non riusciva a respirare. C’era qualcosa sulla sua schiena, un peso che lo spingeva giù, sempre più giù. Gabriel lo sapeva che non sarebbe morto soffocato, che suo fratello lo avrebbe tirato fuori di lì. Che tra qualche secondo si sarebbe trovato bagnato dalla testa ai piedi disteso sulla riva. Eppure , in quei pochi secondi, pensava sempre che sarebbe morto. Che sarebbe soffocato lì in mezzo alle alghe e ai pesci. Due occhi gialli entrarono nel suo campo visivo. Due occhi freddi e crudeli.Non li aveva mai visti prima.
 
 
-AAAARGH!- Urlò alzandosi di colpo. Era Gabriel, era di nuovo se stesso. Aveva di nuovo diciott’anni e quello era stato il solito incubo. Cercò di liberarsi da quel groviglio di lenzuola sudate che era diventato il suo letto. Si mise la testa fra le mani ,cercando di scacciare quelle immagini che lo perseguitavano. Erano da un bel pò che non riviveva quell’incubo.Strinse gli occhi, picchiandosi i pugni sulla fronte. Due occhi gialli. I particolari del suo sogno erano sempre uguali, la sedia nell’angolo, le scarpe rosse...ma quegli occhi era sicuro di non averli mai sognati prima.Forse li aveva visti alla TV a sera precedente? E il suo cervello li aveva rielaborati? Smise di pensarci, mentre la stanza intorno a sè tornava a fuoco. L’odore del caffè proveniente dalla cucina gli solleticò le narici. Gettò le coperte di lato e scese a piedi nudi sul pavimento. Aprì le imposte , permettendo alla luce del sole di illuminare la stanza. La vista del solito profilo dei mobili, dei vestiti sulle sedie, e dei libri sul pavimento lo rincuorò. Era tutto normale, era la sua solita stanza. E quello era il suo primo giorno dell’ultimo anno di liceo. Il cuore smise di battere all’impazzata.Si stiracchiò sbadigliando. Sollevò una manciata dei libri finiti sul pavimento...doveva essersi agitato proprio parecchio nel sonno , visto che tutti e tre i volumi di fisica avanzata erano finiti per terra. La sveglia parlande sul comodino gracchiò ‘’ Sono le sette, è tardi!” ,con la solita voce stridula e inespressiva.Era un recente regalo di Melanie, per assicurarsi che si alzasse in tempo la mattina. Lo avrebbe volentieri buttato nella spazzatura, se non fosse stata lei a regalarglielo. Schiaffò una mano sulla sveglia con poca delicatezza, e quella finalmente taque. Doveva sbrigarsi,nessuno lo avrebbe giustificato, nemmeno ai bambini si permette di trascurare la vita reale per un incubo. Dopo un lungo quarto d’ora in bagno era pronto. Si infilò la divisa del suo liceo:camicia bianca, pantaloni neri, giacca nera con brodino dorato, e cravatta rosso scuro. Stupido nodo. Strattonò un paio di volte la cravatta, fino a quando non si mise apposto in modo più o meno decente. Avrebbe chiesto a Melanie di aggiustarla, come sempre. In realtà non glielo avrebbe chiesto affatto...ci avrebbe pensato lei da sola, non appena lo avesse visto. Gabriel fissò la sua immagine nello specchio. Cosa importava avere la cravatta apposto, se poi sembrava di avere un tornado in testa?! Si passò corrucciato le mani tra i capelli, pur sapendo che non c’era modo di farli stare apposto. Erano una montagna, ricci di un castano molto scuro. Odiava quell’aspetto da porco spino che aveva sempre al mattino. Anche se Melanie sosteneva che i suoi riccioli fossero “sexy”, la sua immagine nello specchio lo faceva pensare più a un barbone che si è appena alzato dal suo letto di cartone. Sbuffò e uscì finalmente dal bagno. Aperta la porta andò a sbattere contro sua sorella, che- ovviamente ancora in piagiama e con li occhi gonfi di sonno- ciondolava davanti al bagno in attesa del suo turno.
-Cretino!- sbraitò Effy. -Non potevi aprirla piano questa stupida porta?!-
Gabriel la fissò in modo ironico,sollevando un sopracciglio.Evitò –come al solito-di risponderle. Fu sicuro di sentire sua sorella borbottare qualcosa a proposito della gente ‘alta e stupida’. Scese la scale. Mamma e papà stavano già facendo colazione nella spaziosa cucina. Era una stanza ampia circondata da vetrate luminose che affacciavano sul loro piccolo il giardino. I Signori Hayes erano seduti intorno all’isola che occupava il centro della cucina. Suo padre sorseggiava una tazza di caffè scuro- rigorosamente senza zucchero- mentre la mamma mordicchiava un toast, sfogliando violentemente le pagine del giornale. Salutarono Gabriel con un sorriso.
-Buongiorno!- esclamò sua madre. SI avvicinò e lui , e si sollevò sulle punte per stampargli un bacio in testa. -Ci sono le uova belle stapazzate, e la pancetta croccante..come piace a te!-
-Grazie- rispose lui, avvicinandosi con desiderio al bricco del caffè. Non aveva il coraggio di confessare che non aveva molto appetito. Il sogno gli aveva letteralmente chiuso lo stomaco. Prese così una misera porzione di uova e di bacon, insieme a una tazza stracolma di caffè, e si accomodò vicino al padre.
-’Giorno Campione!- disse quello tirandogli un affettuoso pugno sul braccio. Gabriel sorrise, e continuò a giocherellare con le sue uova. Suo padre aveva un idea molto contorta del linguaggio giovanile, era convinto che il pugno a mò di saluto non sarebbe passato mai di moda.In quel caso servì solo a fargli percepire ancora di più il suo stomaco sotto sopra. L’odore di fritto risvegliò il suo appetito. Sua madre- Magda per i figli, per il resto della città “Avvocato Meyer”- era tornata in cucina, spostò alcuni piatti nel lavandino e osservò corrucciata la sua immagine sul bordo di un cucchiaio. Si aggiustò nervosamente il ciuffo castano che le cadeva sugli occhi azzurri. Gabriel sapeva che non era molto felice del suo nuovo taglio.
-Mamma, stai benissimo. Il ciuffo di ringiovanisce- disse continuando a tagliare la pancetta. Sua madre sorrise raggiante, buttando finalmente il cucchiaio nel lavabo. Si stirò la gonna nel tallieur nero con le mani.
-Si, si. Prendi pure in giro tua madre!- rispose ridendo. -Ah...il mio piccolo gentiluomo! Non sei più bravo a mentire come quando eri bambino- proseguì avvicinandosi al figlio,lisciando con la mani le spalline della giacca della divisa.Magda soleva riempire suo figlio di nomignoli dolci e zuccherosi.Lo chiamava spesso piccolo, cosa piuttosto impropria visto che suo figlio sfiorava il metro e ottanta.
-ll ciuffo ti ringiovanisce, mammina-cinguettò Effie facendogli il verso.Ancora una volta Gabriel si stupì della capacità di sua sorella di svegliarsi cinque minuti prima di uscire ...e di essere comunque perfetta. Accompagnò le sue parole scostandosi i capelli dal viso con un gesto nervoso. Ne aveva una montagna, erano lunghi fino alla vita di un bel castano scuro color cioccolata, proprio come quelli del padre. Si lamentava sempre di aver ereditato dai genitori solo il peggio.Non aveva preso gli occhi azzurri della madre, ma in compenso aveva in testa una marea di riccioli – cosa di cui quasi nessuno era a conoscenza, grazie a numerose passate di piastra al mattino- proprio come il papà. Effy rispecchiava tutto quello che Melanie,la fidanzata di Gabriel, odiava . La tipica adolescente, con abiti all’ultimo grido, il cui pensiero fisso era quello di ricevere mi-piace su Facebook e di accalappiare il ragazzo più carino della scuola. In effetti, era molto bella. Aveva il viso a forma di cuore e le labbra carnose. Oltre a un altezza esagerata per un ragazza della sua età, che riusciva comunque a dissimulare col suo portamento sensuale. Anche Effy indossava la divisa della Sant Xavier.Ma riusciva a spiccare comunque tra le sue compagne, lasciando aperto qualche bottone della camicia, e arrotolando la gonna permettondogli si salire sopra il ginocchio.
-Signorinella...abbassa quella gonna!- sbairtò Magda. Effy si limitò a toccarsi i capelli con una mano piena di anellini e braccialetti tintinnanti. Prese posto su una sedia vicino all’isola, ignorando gli sguardi severi del padre. Effy attraversava quel periodo caratteristico della giuventù in cui ci si sente in guerra con il mondo. Era in sfida con le altre ragazze della scuola per accalappiare il più ‘figo di tutti’, odiava i genitori che cervano di metterle i bastoni tra le ruote in ogni cosa che faceva, e non sopportava più suo fratello ,che era il tipico esempio di virtù e rettitudine. Qualche anno fa- il primo anno di liceo- Effy stava sempre attaccata alla giacca di Gabriel, balbettava parlando con i ragazzi più grandi e andava ancora bene a scuola. Poi aveva cominciato a trasformarsi:ora si chiudeva sempre in bagno per mettersi chili di lucidalabbra, sedeva all’ultimo banco scribacchiando bigliettini tutto il tempo,e ogni mattina ancheggiava nel corridoio davanti agli armadietti, dispensando sorrisi ai ragazzi più belli e occhiatacce agli ‘sfigati’. Gabriel si limitava a ignorare le battute acide e sprezzanti della sorella. Per quanto lo riguardava non aveva mai attraversato quella fase della vita, e l’esperienza gli aveva insegnato che risponderle a tono era semplicemente inutile...ignorare le sue battutacce era molto più efficace.La ragazza spezzettò rabbiosamente un toast con le mani, lancinado occhiatacce al fratello che si rifiutava di rispondere alla sua provocazione.
-Gabriel..quando cominciano gli allenamenti?- chiese il padre ,posando la tazza di caffè ormai vuota sul tavolo. Era da due anni che Gabriel faceva parte della squadra di basket della scuola...esattamente da quando era tornato dopo l’estate del suo sedicesimo compleanno ,cresciuto di un bel pò di centimetri. Era il ragazzo più alto della sua classe, e da quando aveva cominciato a giocare aveva messo su un bel pò di muscoli, assicurandosi un fisio decisamente piacente.
-Mmm.. ricominciamo questo giovedì.-
-Se non ti nominano capitano quest’anno non so proprio cosa passi per la testa del coatch..-
-Andrew!-lo interruppe Magda, -credevo che quest’anno avremmo parlato meno di basket! Non c’era qualcos’altro che dovresti dire a nostro figlio?!- continuò, fissando il marito con la sua tipica occhiata piena di significati sottointesi. Quando pensava a sua madre al lavoro, Gabriel la immaginava rivolgere quello sguardo di rimprovero a un vecchio giudice con la parrucca bianca e boccoluta.
-Oh si , certo!- disse Andrew riscuotendosi, pulì le briciole dalla camicia con un gesto della mano e proseguì: -Gabriel, ho parlato con professor Harris... ha detto che sarà felicissimo di darti ripetizioni di fisica! Potrete parlane proprio oggi, magari fai un salto nel suo studio più tardi. Così sceglierete le date.-
Gabriel sentì un grosso peso calargli improvvisamente sullo stomaco. Ripensò con amarezza ai libri di fisica avanzata, che aveva poco elegantemente sparso sul pavimento quella notte.
-Ehm..si , certo- si limitò a rispondere. Posò forchetta e coltello incapace di mangiare altro. Non riusciva a credere che i suoi avessero già cominicato a mettergli pressione! Come i suoi genitori gli avevano ricordato –circa un centinaio di volte- prendere lezioni private aggiuntive per migliorare in alcune materie sarebbe stato l’ideale. Il primo passo per l’ammissione al college, e ,successivamente, per essere ammesso alla scuola di Medicina.Gabriel sentì lo stomaco appesantirsi ancora di più. Il che era un cosa decisamente ridicola, se si pensava che era stato lui stesso a cacciarsi in quel guaio. Era da quando aveva dieci anni che andava dicendo a destra e a manca che avrebbe voluto fare il chirurgo da grande, e i suoi genitori lo avevano preso letteralmente in parola, decidendo di sostenerlo in quel percorso. Ma ora che stava per avvicinarsi alla meta si sentiva sempre più dubbioso. Non riusciva proprio a vedersi con indosso un camice bianco come quello di suo padre – che era un dentista- e gli faceva orrore il pensiero che i suoi genitori avessero già programmato tutto. Ogni volta che beccavano alla tv Grey’s Anatomy in televisione facendo zapping tra i canali la mamma costringeva tutta la famiglia a guardarlo per almeno dieci minuti, continuando a mandare occhiate colme di gioia verso il figlio.Probabilmente incollava mentalmente un camice sui suoi vestiti. Per non parlare di quegli orridi momenti in cui papà si rivolgeva a lui come al il nostro futuro dottore, facendogli puntualmente finire di traverso qualunque cosa stesse ingerendo.Avrebbe dovuto prevederlo, dopotutto. Non sta bene scegliersi il sogno di un altro, e pretendere di conviverci con tranquillità...perchè quello era il sogno di Jonathan. Jonathan Hayes. Il piccolo eroe. Il fratello defunto. Jonthan era morto nello stagno giardino della nonna, affogando nel tentativo di salvare il suo sciocco fratellino di sei anni che ,senza saper nuotare, si era calato dritto dritto nell’acqua. Nessuno se l’era mai presa con lui , nessuno gliene aveva mai fatto una colpa. Ma da quel giorno Gabriel aveva cominciato a sentirsi responsabile verso i suoi genitori. Aveva causato la morte di suo fratello, ed era suo dovere cercare di restituirglielo in qualche modo. Jonathan era un bambino perfetto:Generoso , ubbiente, col viso di un angelo. Era intelligente, e molto più coraggioso del suo piagnucoloso fratellino .Era il cocco di mamma e papà, l’idolo del fratello, la stella nascente della famiglia. Pur essendo solo un bambino aveva già deciso che da grande avrebbe seguito le orme del padre, sarebbe diventato un medico e avrebbe curato i poveri e gli ammalati. Bè, poi era morto. Gabriel non ricordava molto bene suo fratello in realtà, apparte qualche immagine frammentaria di quel giorno sul fiume. Certo aveva stamapato bene il suo volto nella mente. Era impossibile il contrario visto che le sue foto – lui con i suoi occhi azzurri e ridenti- tappezzavano le pareti di tutta la casa.Eppure aveva così pochi ricordi di quel bambino dal volto d’angelo, anche quando tutti affermavano che un tempo erano inseparabili..o meglio ,che Gabriel non sapesse fare un passo senza stare attaccato alla mano del fratello. Così , involtantariamente , era stato lui stesso a copiare Jonathan. Dopo la sua morte aveva smesso di essere un bambino piagnucolone, era diventato più forte, più determinato. Obbediva sempre ai genitori, studiava con impegno per essere il primo della classe. Era gentile con tutti, dispensava sorrisi a chiunque ..proprio come avrebbe fatto Jonathan. Eppure quella bugia cominciava a pesargli.Da quando si era reso conto di non voler fare davvero il medico, aveva cominciato a dubitare di tutta la sua vita. Se tutto fosse stato una farsa? Se ogni lato della sua personalità fosse stata solo una brutta copia di quella di Jonathan? Chi era lui davvero?
-Gabry..? Tutto bene?- chiese Magda. Mamma,papà ed Effy lo fissarono stupiti. Era rimasto con la forchetta a mezz’aria perso nei suoi pensieri. Accidenti.
-Si. Tutto bene..ero... un attimo sovrappensiero- rispose con un sorriso. Andrew continuò a fissarlo dubbioso. -Davvero...tutto bene-
-Stanotte ha fatto di nuovo gli incubi!- intervenne improvvisamente Effy tutta soddisfatta, con un sorriso maligno stampato in volto.
-Vaffanculo Effy!- esclamò Gabriel, sferrando un pugno sul tavolo. Effy si limitò a sorridere con un’aria molto poco innocente.Andrew e Magda si scambiarono degli sguardi preoccupati. O no, eccoli che ricominciano. Da quando era avvenuta la tragedia 12 anni prima ,c’era sempre un momento in cui i suoi genitori si scambiavano quello sguardo preoccupato e ansioso. Dalla morte di Jonathan, erano diventati molto apprensivi nei suoi confronti...forse anche troppo. Quello era lo sguardo che riservavano verso il bambino-che-ha-sensi-di-colpa-che-non-dovrebbe-avere. Odiava quando lo guardavano in quel modo.Pieni di compassione per la sua psiche, come se Gabriel potesse rompersi da un momento all’altro ,come un oggetto fragile e delicato.
-E’ vero! L’ho sentito urlare!- continuò a gongolare Effy.
-Chiudi quella cazzo di bocca Effy!- sbaritò Gabriel che aveva ormai perso il controllo. Stai calmo.
-Elizabeth!- tuonò suo padre, -smettila... e vai a scuola che è tardi. E tu Gabriel, modera il linguaggio- Effy non se lo fece ripetere due volte, con un toast ancora tra i denti uscì dalla cucina , facendo sbattere volutamente la porta.Quello era il suo numero preferito.
-Gabry- disse sua madre in piedi dietro di lui , posandogli una mano sulla spalla . -Tesoro, credo che sia normale fare qualche brutto sogno. Ti sarai ricordato inconsciamente che oggi..bè...è l’anniversario-
Anniversario. In realtà Gabriel se l’era completamente dimenticato. Era il 12 settembre, ed erano dodici anni che suo fratello era morto. Forse sua madre aveva ragione, quel sogno glielo aveva mandato il suo subconscio per ricordarglielo. E gli occhi gialli.. che cosa significavano?
Gabriel si alzò di scatto. Il ricordo del sogno gli fece venire un brivido lungo la schiena.-Ho detto che è tutto okay ,mamma. Ora vado, tra un pò passa l’autobus.- Tagliò corto.
-Vuoi prendere la macchina oggi?- chiese il padre.
-No non c’è bisogno..preferisco l’autobus.-
Si mise in spalla lo zaino e uscì senza dire una parola. Scorse Effy ancheggiare in lontananza, con la borsa elegantemente posato sulla  spalla. Altro che indifferenza.L’avrebbe uccisa prima della fine dell’anno se avesse continuato a fare la stronza in quel modo. Preferiva che nessuno sapesse degli incubi che ogni tanto lo tormentavano, voleva fare credere a tutti di stare bene. Tu stai bene ,Gabriel.
 
-Buongiorno spilungone- esclamò Melanie sbucando improvvisamente da dietro le loro spalle. Stampò un bacio in bocca al suo fidanzato e lo prese sotto braccio. Effy-qualche metro più in là- alzò gli occhi al cielo, e si scostò i capelli dal viso. Gabriel aveva finalmente raggiunto la fermata dell’autobus a qualche metro da casa sua. Nessuno riusciva a capire perchè - sebbene i Hayess possedessero ben tre costosissime macchine chiuse nel garage-Gabriel si ostinasse ad andare a scuola in autobus. Lui trovava ridicolo pavoneggiarsi con la sua automobile nuova di zecca, quando aveva la scuola a pochi isolati da casa.Prendeva l’autobus solo per Melanie, altrimenti sarebbe andato felicemente a piedi . Lei approvava la sua decisione, lo trovava un atteggiamento maturo ed equilibrato. ‘Maturo’ ed ‘equilibrato’ erano gli aggettivi preferiti di Melanie per descrivere il proprio fidanzato...con grande gioia per Effy, che non faceva che ricordargli quanto questa descrizione calzasse perfettamente anche al Professor Harris, o peggio al Preside.
-Gabry! La cravatta!- esclamò Melanie con una eccessiva nota di stupore. Gabriel si limitò ad alzare passivamente il mento, mentre lei provvedeva a scioglierla e ad annodargliela elegantemente sotto il colletto.Melanie Peterson – o ‘suor Melanie’ a detta di Effy- e Gabriel Hayess erano fidanzati da ben quattro anni. Era prevedibile che si mettessero insieme. La ragazza carina, diligente e studiosa, col ragazzo più assennato di tutto il quartiere.Melanie aveva la stessa età di Gabriel,ed era abbastanza alta da non sfigurare accanto al suo fidanzato. Il viso era incorniciato da lucidi capelli rossi ,e reso ancora più dolce da due grandi occhi azzurri e da un leggera spolverata di lentiggini. Melanie era capoclasse, era iscritta a numerosi club, ed era anche una campionessa di equitazione. Quella mattina indossava una divisa nuova di zecca –con la gonna della lunghezza giusta, e i bottoni tutti al loro posto- e aveva i capelli legati in una coda alta. Si era passata un velo di lucidalabbra e un pò di mascara...lo faceva sempre quando c’era Gabriel nelle vicinanze. Per tutti erano la coppia perfetta.Lui era un bocconcino niente male , e, al contrario di quasi tutti i suoi coetanei,non era un perfetto idiota. I ragazzi furono presto raggiunti da Eddy e Mark - amici di Gabriel- e da tre amiche di Effy, che suo fratello riusciva difficilmente a distinguere, visto che scimmiottavano sua sorella sotto ogni aspetto, anche nella pettinatura. Effy e le sue amiche –con le loro scrime dei capelli rigorosamente a sinistra-si allontanarono dal gruppo parlottando sotto voce (l’argmomento verteva sulle orrende scarpe di Melanie) ,mentre Gabriel fu costretto a sorbirsi un resoconto molto dettagliato della partita di regby della sera prima, con la sua ragazza che continuava a tenerlo sottobraccio. Quello giornata non era per niente normale. Gabriel non riusciva a seguire la conversazione dei suoi amici, e cosa ancora più importante, cominciava a percepire con un notevole fastidio le attenzioni di Melanie. Aveva l’impressione che quel giorni volessero tutti stargli addosso. Si sentiva soffocare. Non capiva perchè, ma avrebbe tanto voluto sciogliersi quella stupida cravatta , mettersi a urlare e correre via lasciandosi tutto quel chiacchericcio inutile alle spalle. Al gruppo si aggiunse Liv Wilson, una loro compagna di scuola. Liv aveva la loro stessa età, e decisamente qualche chilo di troppo. Appena si avvicinò Mark e Eddy cominciarono a darsi gomitate e lanciarle sguardi di scherno. Gabriel odiava quando facevano così. Melanie si staccò (finalmente) dal braccio del suo ragazzo, rivolgendosi, come faceva tutte le mattine, con gentilezza a Liv, chiedendole come stava e come avesse passato il weekend. Tanto ti conosco, lo so che non te ne frega niente di Liv Wilson, lo fai solo perchè vuoi che tutti pensino che sei una ragazza buona e matura. Gabriel si stupì di se stesso. Era un pensiero veramente cattivo...e anche inguisto. Non c’ era niente di male ad essere buoni con qualcuno, e Melanie lo faceva perchè era veramente quello il suo carattere. Per un attimo si sentì disgustato da se stesso. Lanciò a Liv un largo sorriso , sperando di rimuovere così la sua colpa. Liv arrossì e distolse lo sguardo, continuando a rispondere timidamente alle domande di Melanie. Ma che cos’ho oggi?! Gabriel cercò di concentrarsi su qualcosa, una cosa qualsiasi. Mark e Eddy continuavano a chiccherare tra loro.Qualcuno sbattè violentemente contro la sua spalla. Dovette abbassare lo sguardo per scorgere chi era stato, incontrò due occhi neri che lo fissavano con disprezzo.  Gabriel si irrigidì, la ragazza che lo aveva spinto (senza scusarsi minimamente) continuò a camminare ignorandolo. La fissò per qualche secondo. Si era propio Morticia. Oddio, quello non era di certo il suo vero nome. Aveva un cappuccio nero calato sulla testa, e stava per attraversare la strada con un passo decisamente incerto. Era leggermente traballante , come se fosse sul punto di svenire.La Strada. Gabriel si staccò dai suoi amici continuando a tenere gli occhi fissi sulla ragazza.
-Diana!DIANA!-gridò, ma quella sembrava non ascoltaro.Diana si portò un mano alla fronte confusa, e fu proprio lì lì per finire sotto un’auto che correva a tutta velocità lungo la strada. Gabriel corse da lei appena in tempo, le afferrò per un braccio attirandola verso di se. Proprio quando la macchina  passava sopra il punto esatto in cui qualche secondo prima si trovava la testa della ragazza. La macchina proseguì nella sua corsa, strombazzando col clacson.
-Ehi...tutto okay?- chiese con la voce affannata, mentre teneva la ragazza per le spalle. Diana continuava a portarsi una mano alla tempia, dopo qualche secondo sembrò tornare in sè. Era incredibile quanto fosse forte pur essendo un tale scricciolo. Diede un fortissimo spintone a Gabriel, costringendolo ad arretrare.
-Toglimi le mani di dosso!- urlò, guardandolo con rabbia. -Sto benissimo...pensa agli affaracci tuoi Superman.- mormorò. Gabriel sollevò le sopracciglia stupito. Sembrava un animale selvaggio più che una ragazza in cerca di aiuto. Fu quasi tentato di darle uno spintone e ributtarla lì sull'asfalto. Ma Diana non sembrava per niente in forma, si portò di nuovo una mano alla tempia e traballò perdendo l'equilibrio. Melanie e gli altri si avvicinarono, parlottando eccitati alle loro spalle.
-Ehi!- esclamò Gabriel riafferrandola dalle spalle, questa volta con maggior delicatezza.Più per la paura di ricevere un pugno in faccia, che per premura.
-Gabry che succede?- chise Melania. Si erano avvicinati quasi tutti , comprese Effy e le sue amiche pettegole. Melanie lo osservava con gli occhi azzurri colmi di preoccupazione. Fece guizzare ripetutamente lo sguardo da Gabriel a Diana. -Forse ha bevuto? Ha preso qualcosa?- chiese con una leggera nota di panico. Diana , che aveva reclinatò la testa inerme la spalla sulla testa del ragazzo, gli sussurrò all'orecchio : -Dì alla tua ragazza , che può prendere qualcosa e infilarselo su per i...-
-La accompagno a casa!- esclamò Gabriel interrompendola. -Voi andate. Ci penso io.-
-Ma, Gabriel la scuola..-
-Mel vai! L'autobus sta ripartendo!- tagliò corto Gabriel , indicando con lo sguarod l’autobus fermo alla fermata in attesa.
-Mel l'accompagno a casa e poi arrivo.Ci penso io .-
La ragazza girò i tacchi riluttante , seguita presto da tutti gli altri. Mark ed Eddy ridacchiavano, lanciando verso Diana sguardi derisori. Mentre saliva sull’autobus Melanie gli fece segno di richiamarlo appena poteva.
Gabriel si chinò verso la ragazza, dicendole che andava tutto bene e che l'avrebbe riaccompagnata a casa lui.
 
La ragazza sembrò ridestarsi, e lo allontanò via con un nuovo gesto seccato. Si levò il cappuccio rivelando una cascata di lucidi e lisci capelli neri. Guardò Gabriel con gli occhi ancora un pò vitrei.
 
-Ti ho detto che sto bene maledizione! Va tu a casa! Io so benissimo dove sta la mia!- esclamò , biascicando un pò le parole.
-Hai preso qualcosa?- chiese Gabriel con tono incerto. Cercò di non far trasparire la rabbia, ma l'atteggiamento della ragazza cominciava veramente a dargli sui nervi. Un grazie verso chi aveva appena evitato che ti spiaccicassi sull’asfalto era quantomeno gradito. Ma lei non la pensava certo allo stesso modo.
-Devo ripeterti dove puoi metteri questo qualcosa?!- urlò lei per quanto il suo stato glielo permettesse. Arretrò di qualche passo. Gabriel aggrottò le sopracciglia, limitandosi a fissarla con rabbia.
-Senti Superman- cominciò a dire Diana, togliendosi con la mano della polvere immaginaria dal braccio che Gabriel aveva afferrato per sorreggerla. -Non ho preso proprio un bel niente!E se proprio tu e Anna-dai-Capelli Rossi volete saperlo, è fottutamente legale dire la parola DROGA, in questo paese! Dire qualcosa non ti salva mica dalla tossicodipenden..- non riuscì a finire la frase. Diana rovesciò gli occhi indietro e si accasciò al suolo. Una malefica vocina interiore suggerì a Gabriel di lasciarla cadere per terra, sperando che la botta in testa le insegnasse un pò di educazione. Ma l’istinto inziale fu quella di prenderla in braccio, prima che si spaccasse il cranio al suolo. La afferrò appena in tempo (per la seconda volta in quella giornata) e si stupì di quanto fosse leggera. Girava sempre con felpone di tre taglie più grandi che nascondevano quanto fosse magra.L’attenzione di Gabriel fu catturata da un braccio di lei che pendeva inerme. La felpa nera si era tirata su, lasciando scoperto il suo polso sottile e bianco. Se la sistemò meglio tra le braccia. Aveva avuto un collasso ? Era ubriaca? Sei un futuro medico, cazzo. Avrebbe potuto portarla a casa e liberarsi di lei. Gabriel, come tutti i membri della sua famiglia, sapeva perfettamente dove abitasse Diana Forrest. Ma se avesse ingerito qualcosa di pericoloso? Senza pensarci due volte si diresse verso casa. Avrebbe reso felice sua madre, quella mattina per una volta avrebbe usato la macchina.
 
 
Che diavolo ci faccio qui.
-Allora, sembra tutto a posto- disse la giovane dottoressa, sfogliando velocemente i fogli della cartella. -La tua amica non ha preso niente. Si sarà trattato solo di stress.-Concluse, chiuse la penna che aveva appena usato per scrivere con un tic e se la infilò nel taschino del camice. -Appena si sveglia potete andare...e assicurati che metta qualcosa sotto i denti.- disse e uscì dalla stanza. Gabriel Hayes rimase fermo ai piedi del letto. Aveva avuto solo un capogiro, e lui e Melanie erano stati così idioti da chiederle se si fosse appena drogata. Gabriel rivolse lo sguardo sulla figura nel letto. Diana Forrest . L’avevano adagiata su un lettino dietro una tenda bianca. Era distesa su un fianco. I capelli neri formavano una corona scura intorno al suo viso. Gabriel stringeva la sua felpa in mano. La ragazza indossava una canotta scura, anche questa troppo grande per lei, dei jeans strappati e dei pesanti anfibi bodeaux scuro. Lo sguardo di Gabriel indugiò sulle spalle magre e bianche , sotto la canotta si scorgeva la bretella nera del reggiseno. Distolse lo sguardo, sentendosi un pò colpevole. Non portava gioielli,solo una sottile catenina d’oro intorno al collo,da cui pendeva un ciondolo un pò barocco, una grossa pietra verde incastonata in una cornice dorata.Diana era l’unica figlia di Amanda Forrest, la pecora nera della loro bella e tranquilla comunità. Amanda era una tossica e un ubriacona,che passava il suo tempo a sonnecchiare sui banconi dei bar davanti a una bottiglia di birra, o in compagnia di soggetti discutibili con cui si rinchiudeva nei bagni pubblici. Per quanto ne sapesse Gabriel, Diana aveva avuto un infanzia alquanto triste, sballotolata tra casefamiglia e genitori adottivi. In città davano tutti per scontato che avrebbe fatto la stessa fine della madre. In realtà non somigliava per nulla alla ad Amanda ,che portava i capelli tinti di biondo platino che facevano a pugni con le perenni occhiaie violecee, ed era magra come uno scheletro. Diana aveva un viso d’angelo, la pelle candida e liscia.Era magra , ma in maniera eterea e aggrazia, anche se cercava di nasconderlo sotto i vestiti sformati .Gli occhi erano neri quasi quanto i suoi capelli. Le labbra erano sottili e gli zigomi alti. I suoi lineamenti delicati contrastavano con la sua espressione. In città i ragazzini la chiamavano Morticia. Non era certamente un soprannome carino, ma le calzava a pennello. Non solo per i capelli lunghi e neri ( sembrava che li portasse apposta in quel modo, come due tende scure davanti agli occhi) ma anche per l’espessione, aveva sempra la bocca imbronciata, e uno sguardo indifferente, come se ogni cosa su cui posasse lo sguardo non la riguardasse. Era strano vederla dormire lì, tranquilla e rilassata sotto i suoi occhi. Forse avrebbe dovuto svegliarla. Eppure si sentiva finalmente in pace, a osservare quella ragazza dormire.Fu l’unico momento della giornata in cui Gabriel si sentì in armonia con se stesso. Diana mosse gli occhi.Si svegliò lentamente, e la prima cosa che fece fu portarsi una mano al petto per assisurarsi che la catenina fosse ancora lì. Si tirò su, guardandosi intorno con gli occhi ancora socchiusi dal sonno.
-Dove siamo?- disse con un filo di voce, continuando a stingere il ciondolo tra le lunghe dita bianche.
-In ospedale. Va tutto bene. La dottoressa ha detto che non hai niente, hai mangiato qualcosa stamattina?- chiese Gabriel. Era pronto a vederla scattare da un momento all’altro. Diana non rispose, si strofinò le mani sulle spalle, accorgendosi di essere rimasta solo in canottiera. Si guardò intorno.La catenalle dondolava frenetica al collo, mandando bagliori dorati sotto la luce al neon.
Gabriel allungò un braccio tendendola la felpa.
-Ecco prendi. Te l’ha tolta la dottoressa.- precisò lui. Diana la afferrò strappandogliela di mano, incurvò leggermente le labbra. Gabriel notò che quel sorriso riguardava solo le labbra, gli occhi continuavano a rimanere indifferenti.
-Non avevo dubbi..Superman.-
Sbuffò, fingendosi infastidito. Incrociò le braccia, cercando di rivolgere alla ragazza uno sguardo accigliato.
-Guarda che dire grazie ogni tanto non fa mica male.- disse. La ragazza lo fisso per qualche secondo in silenzio. Indossò la felpa,chiuse la zip, e si sposto i lunghi capelli di lato.
-Grazie, signorino Hayes.- disse , incurvando le labbra in una smorfia che sembrava la parodia di un sorriso. -Se non ci foste stati tu e La Sirenetta come avrei fatto ad essere trascinata senza motivo in ospedale? Grazie infinite, Clarke Kent. La prossima volta lasciami sul ciglio della strada, so cavarmela benissimo da sola. -
Gabriel sorrise.Era combatutto.Da un lato trovava quella ragazza fin troppo indisponente, dall’altro si sentiva come stuzzicato. Si sedette sul bordo del letto, a distanza di sicurezza. Non voleva ricevere un anfibio dritto in faccia.
-Stavi per finire sotto una macchina.- disse serio, avrebbe voluto affibbiargli pure lui un qualche soprannome, ma gli veniva in mente solo Morticia.
-Non è vero.-
-Si che è vero.-
-NO-
-Si.-
-E va bene! GRAZIE!...contento?!- esclamò lei esasperata. Si strinse le ginocchia al petto, infischiandosene che le scarpe fossero sulle lenzuola. Cominciò a fissare la tenda che la separava dal letto vicino, facendo calare il silenzio tra i due.
-Dovrò prendere l’autobus per tornare.- disse Diana dopo un pò, come se stesse rivolgendosi a se stessa.
-Posso accompagnarti io. Siamo venui qui con la mia macchina. - La ragazza si girò ,cominciando a fissarlo con i suoi occhi neri.
-Ti ringrazio, ma ne ho abbastanza di te per oggi. E poi, credi davvero che vorrei andare in macchina con un tizio che non sa nemmeno come mi chiamo? Lo so che continuai a chiamarmi Morticia , nella tua bella testolina!-
Gabriel deglutì, sembrava che l’avesse letto nel pensiero.Non era mica colpa sua se tutti la chiamavano così.
-Stavi così bene prima, da non accorgerti che ti ho chiamao ‘Diana’ quando ti ho salvato da quella maledetta macchina.- rispose, soddisfato di riuscire a dire finalmente qualcosa di pungente. -E poi, credo che quella che non sa come mi chiamo sia tu.-concluse fissandola intensamente. Diana non mostrò il minimo imbarazzo a quella domanda, anche se Gabriel fu sicuro di vedere un nuova sicntilla accendersi nei suoi occhi. La ragazza si avvicinò , portando il viso a un centrimetro dal suo. Gabriel si irrigidì, non se l’aspettava di trovarsela così vicina. Poteva contargli le ciglia.La pelle di lei era veramente bella, liscia e luminosa.
-Gabriel Tomas Hayes.- disse scandendo con attenzione ogni sillaba, -questa potevi anche risparmiartela. La tua bella faccia me la ritrovo davanti ogni mattina, perchè c’è una tua gigantografia appesa fuori dalla porta della mia stanza. Da piccolo eri molto più simpatico.- Gabriel deglutì, non era riuscito a seguire molto il filo del discorso, il profumo dei capelli di lei lo stordiva. Chi se lo aspettava che Diana Forrest profumasse così tanto di fiori? Un suono di passi interruppe il loro battibecco. Erano passi lenti, scanditi dal suon sordo di un bastone. Nella stanza entrò una signora.Una signora molto anziana.Diana ritornò con un movimento fluido a stendersi sul letto, lasciando Gabriel lì imbambolato. La vecchina che era appena entrata sembrava uscita direttamente da una fiaba. Nonostante l’età e il bastone camminava con un portamento regale. Gli occhi ,ciorcondati da una sottile ragnatela di rughe, erano azzurri come il cielo, il viso era incorniciato da capelli candidi fermati sulla nuca in uno chignon. Sembrava uscita da una foto in bianco e nero degli anni ’30. Indossava una camicia bianca di ottima fattura, il cui colletto era fissato da una spilla ,su cui brillava una pietra brillante pietra rossa. Cecily Dashwood. Sua nonna. Erano anni che non si trovava con lei nella stessa stanza. Cecily si avvicinò al letto, fissando Diana e ignorando apparentemente Gabriel. Lui non avrebbe dovuto essere lì, non avrebbe dovuto incontrarla.
 
 -Mi ha chiamato Lucy. Ti ha visto al pronto soccorso in compagnia di un giovanotto.- disse Cecily, posando elegantemente le mani sull’impugnatura del bastone, guardò Gabriel con la coda dell’occhio per una frazione di secondo. Il bastone era di un legno scurissimo , quasi nero,l’impugnatura era intagliata come la testa di un leone, con gli occhi di pietre preziose.
Diana incrociò le braccia, sbuffando. Gabriel non potè ignorare la preoccupazione che leggeva nei suoi occhi.
-Oh si! Avrei dovuto immaginarlo, quella ficcanaso! Non dovevi venire. Non c’era bisogno-
-Sono venuta in taxi. Due rampe di scale non hanno ucciso mai nessuno.- rispose Cecyli sorridendo benevola.
-Sono le dieci. Le hai prese le pillole?-ribattè Diana ignorandola.
-Certo.- rispose la donna. -Scommetto che è stata scontrosa pure con te, vero Gabriel?- proseguì rivolgendosi improvvisamente al ragazzo. Gabriel arrossì, e scattò in piedi. Distolse lo sguardo non riuscendo a reggere quegli  occhi azzurri senza tempo che lo fissavano.Non riusciva a rispondere.
-Puoi stare tranquillo è fatta così. Più si arrabbia e più ti vuole bene-.Sua nonna sorrise con calore.
 Diana sbuffò divertita. Scese dal letto, rimettendosi il cappuccio della felpa in testa.
-Si, si certo. Ora piantala con queste sciochezze e andiamo a casa.- disse la ragazza prendendo Cecily sotto braccio, non rivolse a Gabriel neanche uno sguardo.
-Gabriel- riprese sua nonna, ignorando le parole della ragazza. -Vuoi tornare insieme a noi? Mi piacerebbe tanto parlare di fronte a una tazza di tè. Sempre se vuoi.- Lo fissò intensamente speranzosa. -Ho tante cose da dirti- Queste ultime parolo furono quasi sussurrate. Lui sentì la gola seccarsi, prese lo zaino posato lì vicino e se lo mise in spalla.
-Io..mi dispiace. Devo proprio andare- disse continuando a fissarsi intensamente le scarpe. Si voltò sentendo lo sguardo rabbioso di Diana che gli trafiggeva la schiena. Dopo una frazione di secondo fu colpito effettivamente da qualcosa. Sentì un dolore sordo alla nuca,e vide una bottiglietta d’acqua rotolare ai suoi piedi.
-Invece di andare in giro a salvare la gente, potresti fare una vera buona azione e rispondere a tua nonna!- urlò Diana. Gabriel non ebbe il coraggio di girarsi. Sentì le guancie che diventavano rosse.
-Lo sai almeno quante medicine prende al giorno eh? Ha un aneurisma maledizione!Potrebbe rompersi da un momento all’altro, e voi ve ne state  belli e tranquilli chiusi in casa vostra invece di..-
-Diana- esclamò Cecily con tono inquisitorio, indurendo il tono di voce all’improvviso. -Basta così-
Gabriel non riuscì ad ascoltare altro. Uscì a gran velocità, travolgendo un paio di infermiere e qualche barrella. Sentì come una bestia nel cuore che lacerava e distruggeva. Che strano modo di percepire il senso di colpa, pensò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


-...Così la piccola Cecily strisciò sotto la staccionata verde del giardino, e si inoltrò nella foresta. Il silenzio del bosco era rotto solo dal pigolio degli uccelli, c’erano foglie e rami ovunque, che non permettevano di vedere a un palmo dal proprio naso. E poi, i grossi tronchi degli alberi si aprirono su una piccola radura, al centro del quale vi erano solo le radici di un vecchio albero .Posato sul ciocco vi era un lucido bicchiere di cristallo , pieno di un liquido violetto. Cosa ci fa un così bel bicchiere nella foresta? Pensò Cecily. Aveva una gran sete e intorno non si vedeva proprio nessuno. Senza pensarci, bevve dal bicchiere, fino all’ultima goccia. E all’improvviso apparve una bellissima fata. I suoi occhi lucciavano come pietre preziose, e nella mano destra reggeva una lunga bacchetta nodosa. Bambina mia , disse la fata, quella che hai bevuto era succo fatato! Colui che mangia o beve il cibo delle fate, potrà vedere a parlare col mio popolo per sempre. E questo è il tuo destino.-

 

 Da: “Le Avventure di Cecily D.”

Di Cecily Dashwood

 
-Avete qualche libro di Cecily Dashwood?-
-Figliolo, abbiamo una parete intera dedicata a lei! Lì in fondo nel corridoio C.- rispose la bibliotecaria, guardandolo con le sopracciglia sollevate in un espressione sorpresa. Detto questo inforcò di nuovo gli orridi occhiali a farfalla tempestati da pietre di platica colorata, e tornò concentrarsi sullo schermo del computer. Era stata una domanda sciocca in effetti, ammise Gabriel. Si diresse verso il corridoio C, dopo aver sussurrato appena una grazie. La biblioteca di Porthale era un edificio molto piccolo, una manciata di scaffali disposti intorno a uno spazio circolare, in cui erano sistemati pochi tavoli sempre vuoti. Gli abitanti di Rentwood di solito erano molto poco interessanti alla lettura, sembravano ricordarsi dell’esistenza dei libri solo quando potevano pavoneggiarsi con i turisti (circa due o tre volte all’anno) di avere come concittadina una famosa scrittrice.  “Il Silenzio è D’Oro” recitava un grosso cartello attaccato al muro. Le suole della scarpe da ginnastica di Gabriel stridevano sul pavimento lucido, rimbombando in quel silenzio tombale. Ma fortunatamente i tavoli erano vuoti, e non c’era nessuno da disturbare. Gabriel posò lo zaino di scuola carico di libri su una sedia, cercando con lo sguardo il cartello “corridoio C”. Sentì qualcosa vibrargli in tasca. Era il suo cellulare, che squillava ininterrottamente ormai da qualche minuto. Sullo schermo illuminato comparve una foto di Melanie, con una margherita ferma dietro l’orecchio.Se l’era scelta sola quella foto. Cacciò il telefono in tasca, non aveva voglia di parlare con nessuno. Non era proprio da lui sparire in quel modo, ma quello era un giorno strano dopotutto. Trovò finalmente il famoso scaffale, e comprese a pieno lo scetticismo della segretaria. Ogni ripiano era occupato da varie copie dei libri di sua nonna, e al centro del corridoio c’era addirittura una sagoma di cartone, con una grossa freccia e la faccia sorridente di Cecily stampata sopra. In una teca di plastica faceva bella mostra una foto della scrittrice risalente a molti anni prima. Era in bianco e nero, ritraeva la nonna da giovane, con i capelli ancora castani, intenta a scrivere con un elegante stilografica nera. La foto era corredata di una piccola biografia, che ricordava che Rentwood non era solo la cittadina che aveva dato i natali alla famosa scrittrice, ma era anche il luogo in cui viveva attualmente. Sempre nella vecchia casa col giardino, che aveva ispirato tutti i suoi racconti. Gabriel fece vagare lo sguardo da uno scaffale all’altro, fino a quando una copertina familiare attirò la sua attenzione. I libri della nonna erano inconfondibili, rivestiti da copertine di finta pelle, dai colori brillanti e vivaci. Gabriel ne afferrò uno verde smeraldo, e dopo aver vagato con lo sguardo sullo scaffale ne prese un secondo. Questo si intitolava “Cecily Dashwood. La mamma delle fate”, e aveva una normale copertina di plastica color azzurro cielo. Era l’unica biografia autorizzata dalla scrittrice, uscita poco prima che Gabriel nascesse. Il ragazzo raggiunse il tavolo, e cominciò a sfogliare i libri con attenzione. Da piccoli avevano in casa una collezione di tutti i libri della nonna, erano messi in unico scaffale in salotto...prima che la mamma li buttasse via. Gabriel osservò la copertina del libro verde, che recava scritto a lettere dorate “Le avventure di Cecily D.”. Tutta la serie si chiamava così. Aprì il libro.
A Jonathan.
Adesso balla in cerchio con gli elfi, indossando corone di fiori. Vivi felice nel loro regno, amore mio.
Recitava la dedica scritta sulla prima pagina. Sapeva che sua nonna aveva fatto ritirare tutte le copie precedenti di quel volume, la nuova edizione aveva questa dedica speciale...e una fiaba in meno tra le sue pagine. Gabriel scorse velocemente l’indice, e, come aveva intuito, notò che non c'era traccia del racconto -I folletti del fiume-. Sfogliò le pagine, soffermandosi sui titoli e sui disegni che stuzzicavano la sua memoria. Cecily Dashwood era la scrittrice per bambini più famosa degli Stati Uniti. Aveva stregato tutti i bambini del paese con le sue storie, popolate da fate, elfi, folletti, alberi stregati. “Le avventure di Cecily D.” era una collana di racconti divisi in venti volumi, la cui protagonista non era altro che la scrittrice stessa. Tutti i i libri si fondavano su un unico artifizio letterario: le avventura di una bambina e delle creature fantastiche che aveva incontrato nel suo giardino incantato, e nella foresta adiacente. La nonna non aveva mai scritto nient’altro. Quando i giornalisti le chiedevano perchè non avesse mai pensato di cambiare genere, rispondeva sempre che lei sapeva scrivere solo ciò che vedeva davvero. E aveva visto solo le fate per tutta la vita. Gabriel ossevò ancora una volta la foto di sua nonna sulla quarta di copertina. I ricordi della sua infanzia erano tutti popolati dal suo viso. La nonna lo faceva sedere in giardino, sulle sue ginocchia, passandogli le dita fra i morbidi ricci. Con la sua voce calda e dolce raccontava fiabe bellissime, in cui fate vestite di fiori venivano salvate da guerrieri elfici con armature fatte di rami. Ogni storia era ambientata lì nel giardino della villa, o nella foresta che si scorgeva oltre la staccionata. La nonna diceva sempre che chi raccontava delle storie sul bordo della foresta richiamava le fate e i folletti. Erano degli esserini vanesi, e adoravano sentir parlare di loro.
-Guarda Gabriel! Lì, tra quei fili d'erba! Una fata ci sta guardando!- esclamava nel bel mezzo di una storia. Il bambino aguzzava la vista, e si dimenava sulle ginocchia della nonna. E la cosa bella era che Gabriel ricordava davvero di vedere le fate. Per anni era stato convinto di aver scorto un piccolo elfo sul ramo del vecchio faggio, che con le gambe a penzoloni e il mento tra le mani, ascoltava le storie della nonna. -È un folletto volpino-, diceva la nonna. Aveva i capelli rossi, il nasino nero come una bestiola, e tra le gambe pendeva una morbida coda arancione. Gabriel aveva mandato versi di gioia, e sulle sue gambette corte aveva corso verso l'albero...ma il folletto si era volatilizzato. La nonna gli era corsa dietro urlando il suo nome. Si era inginocchiata di fronte a lui, lo aveva guardato dritto negli occhi, e gli aveva detto di non avvicinarsi mai alle creature della foresta. Le fate sono esseri capricciosi , diceva, potrebbero rapirti e portarti nelle loro case di rami e foglie, e allora non faresti mai più ritorno. Le fate non restituiscono mai le cose rubate. Già allora i rapporti tra la nonna e la mamma non erano dei migliori. Magda era molto diversa da sua madre. Pur essendo cresciuta con le sue fiabe, odiava ogni tipo di fantasticheria. Era una donna pratica, con i piedi per terra, e guardava con preoccupazione all'amore dei suoi figli per le storie della nonna. Jonathan e Gabriel tornavano a casa ripetendo parola per parola le sue fiabe, raccontavano storie assurde e dicevano di aver visto le fate in giardino. Soprattutto Gabriel. Era convinto che esistessero davvero. Magda non riusciva a darsi pace, aveva il terrore che quelle storie avrebbero rincitrullito i suoi figli, facendoli distaccare troppo dalla realtà. Non era raro vedere Cecily e Magda litigare per questo. - Un giorno faranno qualcosa di pericoloso! Si butteranno dalla finestra, credendo di poter volare!- E poi, era accaduto. Un pomeriggio Gabriel si era tuffato nello stagno, convinto di poter acciuffare i folletti che vi abitavano. Jonathan si era buttato in acqua a sua volta, sicuramente per salvare il suo sciocco fratellino.Non uscì vivo da quell’acqua.O almeno questo era quello che la polizia era riuscita a ricostruire  dal racconto confuso di un bambino di sei anni. Gabriel ricordava di essersi tuffato, di essere andato con la testa sott’acqua, e poi più nulla. -I folletti mi hanno spinto giù- aveva continuato a ripetere alla polizia e ai suoi genitori, ma nessuno lo aveva naturalmente creduto su questo punto. Il piccolo Jonathan era stato ritrovato in acqua a faccia in giù, a galleggiare come una foglia di ninfea. Mentre Gabriel era rimasto svenuto sulla riva, con i vestiti tutti inzuppati.
Da quel momento in poi ogni rapporto tra Cecily e la sua unica figlia era stato interrotto. Cecily ,vedova da anni, si era rinchiusa nella sua bella villa col giardino.Continuava a scrivere storie, ed erano tutte dedicate a Jonathan. E poi era arrivata Diana...nemmeno loro sapevano precisamente come. La baracca in cui viveva Amanda Forrest si trovava poco lontano da Villa Dashwood. Quando era troppo ubriaca se la prendeva con la figlia, gridando che l’avrebbe ammazzata di botte. La piccola Diana si era rifugiata spesso a casa di Cecily, sua nonna aveva sempre avuto il cuore tenero. La faceva entrare offrendole latte e biscotti, e raccontandole delle storie. Col passare degli anni Diana era cresciuta, e raggiunta la maggiore età aveva lasciato casa sua, e si era trasferita definitivamente dalla nonna. Erano due donne sole, in un modo o nell’altro. Quando i genitori di Gabriel credevano di non essere ascoltati, il ragazzo aveva sentito sua madre lamentarsi della cosa. Diana Forrest era un’approfittatrice, come sua madre. Si faceva mantenere, nell’attesa di poter sperperare alla morte della vecchia tutto il patrimonio. Gabriel non aveva mai scambiato una sola parola con lei, apparte quella mattina. Non si era mai fatto un’opinione precisa su quella strana ragazza. Ripensò a quello che era successo poche ora prima, alle parole familiari che si erano scambiate, alla preoccupazione nello sguardo della ragazza quando sua nonna era entrata arrancando col suo bastone. No, era semplicemente una ragazza sola. E sicuramente si prendeva cura di sua nonna, al contrario di tutti loro. Gabriel prese in mano la biografia, leggendo qualche frase quà e là. Non scoprì nulla di nuovo. La vecchia Cecily trascorreva una vita tranquilla, vivendo delle generose rendite dei propri racconti. Possedeva in casa un arco di legno che diceva di aver rubato alle fate, quello era il pezzo forte che faceva impazzire i giornalisti. Non una pagina faceva cenno al suo stato di salute. Il nome di Cecily in casa sua era diventata una parola tabù, quando lui o Effy lo pronunciavano sua madre faceva puntualmente cadere qualcosa per terra. Sua sorella diceva di non aver nessun ricordo di sua nonna, ma per Gabriel non era così. Ricordava sempre le sue mani morbide che gli accarezzavano i capelli, o quando posava il viso sul suo collo profumato. Quando era bambino gli permetteva anche di guardarla mentre scriveva. Lui se ne stava buono e zitto in un angolino a mangiucchiare biscotti, mentre la nonna riempiva fogli e fogli con la sua vecchia stilografica. Non si era mai convertita alla scrittura a macchina. E ora era malata. I suoi genitori non lo sapevano, o peggio, erano indifferenti alla cosa. E se non ci fosse stata Diana con lei? Che fine avrebbe fatto? Come potevano dare a Diana della furfante, se erano stati loro stessi a lasciare una povera donna, anziana e sola, senza aiuto? Gabriel chiuse il libro con rabbia. Tutti non facevano altro che ripetergli che era un bravo ragazzo, una persona buona. Eppure oggi aveva voltato le spalle a un donna anziana e malata, senza nemmeno guardarla negli occhi. E i suoi genitori? Era più probabile che conoscessero le condizioni di sua nonna. Il pensiero che potesse essere così lo fece imbestialire ancora di più. Sua madre aveva scaricato tuttti i suoi sensi di colpa su quella donna, ed era una cosa ingiusta, considerato che in fin dei conti era solo colpa sua se Jonathan si era buttato nel fiume. Era lui quello da biasimare e da escludere, prendersela con una vecchia era solo la strada più facile per sfuggire alle proprie colpe. Cosa avrebbe fatto suo fratello al suo posto?
 
Gabriel ritornò a casa dopo molte ore. Aveva trascorso il resto della giornata nel piccolo campo da basket, a fare qualche tiro. Andava sempre lì quando aveva bisogno di pensare. Erano le sei passate quando aprì con una spalla la porta di casa. Teneva la giacca della divisa sotto braccio, tutta appollotolata a stropicciata. La camicia non era in condizioni migliori.Era zuppa di sudore, con la maniche arrotolate fino ai gomiti.Appena mise piede nell’ingresso scorse il cappotto verde di Melanie appeso all’attaccapanni. Sentì stringersi lo stomaco per il senso di colpa. Non l’aveva nemmeno richiamata, si era comportato davvero male. Posò lo zaino per terra, e si asciugò il sudore che gli colava dalla fronte col dorso della mano. Non poteva evitare la sua famiglia per sempre. Erano tutti seduti sul divano in salotto, lo sapeva. Si erano zittiti quando avevano sentito il suono della chiave che girava nella toppa.
-Gabriel?- chiese sua madre dal salotto. Il ragazzo entrò. Come aveva previsto anche Melanie era lì, si alzò dal divano e si precipitò verso di lui. I capelli rossi erano sciolti, non indossava più la divisa. Si avvicinò a lui incrociando le bracci al petto. Era arrabbiata, lo sapeva, glielo diceva quella ruga che le si formava sulla fronte.
-Mel, mi dispiace.- disse posandogli un braccio intorno alle spalle. Ma come gli era venuto in mente di sparire così? La sua ragazza continuava a guardarlo con quell’espressione corrucciata. Si scostò da lui.
-Perchè non hai risposto al telefono?!- esclamò con la voce incrinata dalla rabbia. -Eravamo tutti preoccupati!-
-Hai preso la macchina senza dire niente a nessuno, e hai saltato la scuola!- tuonò suo padre. Era seduto sul divano insieme alla mamma, che lo guardava arrabbiata a sua volta.
-Ho accompagnato Diana Forrest in ospedale...e poi sono stato al campo da basket- rispose lui semplicemente. Se sapeva di aver sbagliato con Melanie, non poteva dire lo stesso dei suoi genitori. Il solo vederli lì tranquilli seduti sul divano lo fece infuriare. I suoi genitori non sembrarono sorpresi, Mel doveva avergli raccontato tutto.
-Gabriel.- esclamò sua madre con tutta l’indignazione possibile. -Non è una scusa! Anzi saperti in giro, con quella...quella..-
-Ho visto la nonna, oggi.- la interruppe con una punta di freddezza. I suoi genitori rimasero di sasso. Melanie spalancò gli occhi sorpresa. Bingo.
 - Quando avevate intenzione di dirmi che ha un aneurisma, e che potrebbe morire da un momento all’altro?-
Magda boccheggiò incapace di parlare. Lo sapevano quindi. Gabriel sentì la rabbia montargli nel petto.
-Sarà meglio che vada...- disse Melanie, guardandosi intorno in cerca della borsa. Gabriel l’afferrò per un braccio.
-Non è necessario.- disse gelido, -noi siamo di sopra...buonanotte.- La trascinò in corrido, e la condusse verso camera sua, lasciando i suoi genitori ancora sbigottiti. Le passò un braccio intorno alle spalle, e lei lo lasciò fare. Non era più arrabbiata.
Gabriel e Melanie non stavano mai in camera sua da soli, a parte quando dovevano studiare. Al massimo  guardavano la tv in salotto. Entrambi trovavano poco rispettoso fare altro, ma quella sera Gabriel decise di fregarsene. Si sedettero sul letto, e Gabriel le raccontò quello che gli era successo. Tralasciò alcuni particolari, riservando a Diana un ruolo marginale. Non riusciva proprio a trovare innocente il modo in cui l’aveva fissata mentre dormiva.
-Capisco Gab. È normale che tu ti senta così, è pur sempre tua nonna! ma...non devi prendertela con i tuoi genitori. Se è malata non è certo per colpa loro.- disse Melanie, era rannicchiata contro il suo petto, le scarpe abbandonate sul tappeto. Si erano messi sul letto, avevano acceso lo stereo mantenendolo a volume basso.
-Non lo so- disse lui, accarezzandole la spalla. -Lasciarla in quella casa, da sola.-
-Hanno avuto delle divergenze, è normale che non si siano più interessati l’una all’altra!-
-Bè sai cosa ti dico, che queste divergenze sono solo una bella stronzata!- rispose lui, scontandosi di colpo dalla ragazza. -Con tutto quello che è successo la nonna non c’entra proprio niente- continuò tormentandosi un ricciolo castano che gli era finito davanti agli occhi, -Se Jonathan è caduto nello stagno la colpa è solo...-
Melanie lo abbracciò da dietro, impedendogli di proseguire. Gli strofinò il viso contro la nuca.
-Non dirlo nemmeno scherzo, Gab. Tu non c’entri proprio niente. Semplicemente, non è colpa di nessuno.-
Gabriel voltò si voltò verso di lei, e gli prese il viso tra le mani. Si baciarono intensamente per qualche secondo.
-Gabriel.- sussurrò lei staccandosi un attimo da lui, e fissandolo con i suoi occhioni verdi.  -La prossima volta voglio che mi chiami, subito. Io e te parliamo sempre di tutto!-
-Hai ragione, Mel! Scusami. È che oggi avevo bisogno di stare da solo... avevo troppi pensieri- rispose lui in un sussurro, accarezzandole i capelli. Lei si accoccolò ancor di più contro di lui.
-Sei perdonato- disse dandogli uno buffetto sul naso. Ricominiciarono a baciarsi, sempre più appassionatamente. Gabriel le mise  una mano dietro il collo, e un’altra alla base della schiena. La mano scivolò sulla pelle nuda di lei sotto la maglietta, profumava di shampoo alla vaniglia. I capelli di Diana profumavano di fiori. Cercò di scacciare quel pensiero dalla testa. La baciò sempre più appassionatamente, facendo salire la mano sempre più su, fino a toccare il gancetto del reggiseno con la punta delle dita.
-Ehi, sta’ buono.-disse lei, con le gote tinte da un timido rossore. - Ci sono i tuoi di sotto. E poi lo sai che non voglio...-
-Hai ragione, scusami.- rispose lui pacato, rimettendo la mani al suo posto.
-Ti amo, Gab.- disse lei contro il suo petto.
-Anche io.-
 
 
Gabriel si trovava nel bosco di Rentwood. Non che ci avesse mai realmente messo piede, ma lui sapeva si essere lì. In quale altro posto della sua città si potevano trovare alberi altissimi che sembravano solleticare il cielo? Anzi, erano così fitti che i rami verdi nascondevano anche la più piccola traccia di azzurro. Indossava il suo solito pigiama blu, ma era a piedi nudi. Per essere un sogno era fin troppo reale. Poteva sentire il terriccio solleticargli i piedi, e l’odore di muschio invadergli le narici. Una leggera brezza gli scompigliava i ricci, ma da dove proveniva quel vento, se intorno a sè riusciva a vedere solo alberi e foglie? Una nebbia fumosa permeava ogni cosa intorno a lui.
-Ti ricordi di me?- . Una figura era apparsa a un tratto davanti ai suoi occhi. Prima non c’era, ne era sicuro. Era apparsa all’improvviso, nello spazio di tempo di un battito di ciglia. Gabriel sentì un brivido percorrergli la schiena. Era una figura femminile, esile e bellissima. Suscitava paura. Era nuda, ma era difficile scorgere qualcosa, perché ogni lembo di pelle era ricoperto da una crosta di pietre luccicanti. L’unica cosa che aveva la parvenza di un vestito era il mantello bianco, di una stoffa impalpabile simile al vento. Aveva capelli lunghissimi e aggrovigliati che le scendavano fino alla vita, rosso scuro come il sangue. Ma la cosa realmente inquietante erano gli occhi. Non si distinguevano iride o pupilla, non erano occhi in realtà. Erano  pietre preziose, due cristalli fucsia imprigionati tra le palpebre. Quelle due pietre luccicanti erano prive d’espressione. Sembrava il viso di una statua. E poi di nuovo gli occhi gialli.
 
Quella volta Gabriel ebbe l’accortezza di non urlare. Si limitò a sollevarsi di scatto, spalancando gli occhi. Il cuore batteva contro la cassa toracica, rimbombandogli nelle orecchie. Si portò le mani al petto cercando di fermarlo. Un altro incubo. Si strinse le ginocchia tra le mani, posandovi la fronte in cerca di conforto. Le coperte caddero abbandonate ai piedi del letto. Che diavolo mi succede? Era tutta colpa di quegli stupidi libri, maledì se stesso e il giorno in cui aveva deciso di andare in biblioteca. Sapeva benissimo cosa aveva sognato. Tra le immagini contenute nella biografia della nonna, c’era la fotografia di un vecchissimo disegno: La Fata Emeraude. Disegnata da Cecily Dashwood all’età di sei anni. Emeraude era l’essere fatato che la piccola Cecily aveva incontrato la prima volta che si era addentrata nella foresta, passando sotto la rete del giardino.  Era la prima creatura a comparire nei suoi racconti. La fata madrina che le aveva spiegato che da quel momento, per tutta la vita, avrebbe avuto la facoltà di vedere e sentire il Piccolo Popolo. La fata, infatti, faceva la sua comparsa esattamente dopo che Cecily aveva bevuto l’ultima goccia di una calice fatato- trovato posato su un vecchio ciocco di legno, proprio al centro di una piccola radura- nella fiaba che fungeva da prologo alla raccolta. James Avoy, l’illustratore ufficiale, aveva dato a Emeraude un volto rassicurante e bonario. L’aveva vestita con abiti bianchi e vaporosi, le guance piene e il sorriso materno, gli occhi -splendenti come pietre preziose- erano solo due normalissimi occhi, solo particolarmente brillanti. La fata reggeva in mano una lunga bacchetta sormontata da una stella a cinque punte. Eppure, l’illustrazione dei libri era ben diversa dallo scarabocchio che la piccola Cecily aveva disegnato anni e anni prima, quando era rientrata a casa tutta entusiasta, raccontando delle fate che popolavano il suo giardino. La figura che Cecily aveva riportato su carta- sproporzionata, con i tratti tortuosi, e i colori fuori da bordi- raffigurava qualcosa di ben diverso: una donna seminuda coperta di cristalli, con un lungo e nodoso bastone in mano. Con una matita fucsia la bambina aveva tracciato dei cerchi colorati al posto degli occhi. Due cristalli rosa, imprigionati tra le palpebre. Stupida immaginazione. Chi l’avrebbe mai detto che un libro per bambini potesse suscitare degli incubi? Un soffio di vento che spirava alle sue spalle riportò Gabriel alla realtà. C’era decisamente troppa aria nella sua stanza. Una voce gracchiante e fastidiosa continuava a parlare in sottofondo. Finalmente si svegliò del tutto e si guardò intorno. La finestra era aperta. Strano, la chiudeva sempre prima di andare a dormire. Piano piano il torpore del sonno svanì, e il ragazzo si rese conto da dove provenisse quella voce. La sveglia era riversa sul comodino, come se qualcuno l’avesse buttata lì con violenza. Non c’erano i soliti numeri rossi a illuminare il display, sullo schermo lampeggiavano solo quattro zeri. Il vento che entrava dalla finestra stava facendo danzare in aria numerose pagine bianche provenienti probabilmente dai suoi quaderni.
-Sono a casa della nonna. Sono a casa della nonna. Sono a casa della nonna- continuava a ripetere la voce impostata della sveglia. Gabriel la fissò con la bocca spalancata, incapace di interpretare quello che stava realmente accadendo.
-Sono a casa della nonna- scandì ancora quella voce orribile, con le stessa indifferenza con cui diceva ogni mattino “Sveglia! Sono le sette”.
Gabriel afferrò la sveglia con violenza, facendo rotolare per terra la piccola lampada e tutto quelle che era rimasto sul comodino.Cominciò a pigiare i tasti, nel tentativo di far tacere quell’orribile aggeggio.
-Gesù, sta’ ZITTA- sibillò a denti stretti continuando a tormentare i pulsanti. Sono a casa della nonna. Scaraventò la sveglia contro il muro.
-...della nonna- disse la voce ormai distorta. Era andata in frantumi. Pezzi di plastica nera e frammenti dello schermo erano sparsi per terra. La sveglia esalò l’ultimo respiro e tacque. Gabriel non riusciva a ragionare. Sentiva il cuore battergli nelle orecchie, non riusciva a calmare il suo respiro. Scese dal letto, affrettandosi a chiudere la finestra, lottando contro le tende che si gonfiavano e danzavano per colpa del vento. Rimase per qualche secondo con le braccia ancora tese sulla finestra chiusa, fissando il pavimento incapace di comprendere quello che era appena accaduto. Le parole della sveglia continuavano a tormentarlo. Qualcuno era entrato dalla finestra e l’aveva manomessa? Si volse verso il comodino, e quasi gli si gelò il cuore quando si accorse di quello che vi era posato sopra. Era certo che non fosse sua, non l’aveva mai vista nella sua stanza.
Sul comodino, stranamente ancora candida e in fiore nonostante fosse stata recisa, era posato il bocciolo di una rosa bianca, ancora impreziosita dalle gocce di rugiada. Gabriel  si avvicinò e la prese tra le mani. Non sembrava un normale fiore, era troppo bianca, troppo brillante. Era forse una sorta di firma dell’autore?
 
Gabriel fermò la macchina di colpo. Il cagnolino di peluche che sua madre aveva appeso allo specchietto, ondeggiava selvaggiamente. Spense il motore, e si guardò intorno per qualche secondo. Il parcheggio davanti al fast-food era ingombro di macchine, dopotutto era ora di pranzo. Cominiciò a pensare di aver fatto una grossa cavolata. Il ricordo della rosa bianca posata sul comodino si riaffacciò nella sua mente, scuotendogli l'anima e facendogli ritrovare il coraggio.  Si sbottonò la camicia della divisa  per sostituirla con una vecchia maglia blu scuro. Era una cosa ridicola, ma non aveva nessuna intenzione di sembrare appena scappato da scuola. Anche se era la verità. Aveva finto di aver dimenticato alcuni compiti a casa, e durante l'ora di pranzo era saltato in macchina. Per tutto il tragitto aveva controllato ogni secondo l'orologio che portava al polso, non aveva molto tempo e non voleva assolutamente essere scoperto. Ripensò alla rabbia con cui Diana lo aveva guardato il giorno prima. Sai almeno quante medicine prende al giorno, eh?! Quante probabilità c'erano che fosse stata Diana Forrest a inscenare quello scherzo inquietante? Molto basse in realtà, eppure quelle parole gli rimbombavano nella testa. Dopotutto la madre era una poco di buono, poteva benissimo averle insegnato come entrare in una casa dalla finestra. L'immagine di Diana che si arrampicava sul tetto di casa sua era comica e grottesca allo stesso tempo. Ma chi altro poteva essere stato? Gabriel osservò per l'ultima volta la sua immagine nello specchietto. I capelli andavano in tutte le direzioni come al solito. Al diavolo. Sospirò e scese dall'auto. Aprì la porta del locale, accompagnato dal tintinnio di un campanello, ed entrò con passo deciso cercandola con lo sguardo. Aveva sentito dire che Diana lavorava nel nuovo fast-food all'angolo della strata. Era un posto squallido, con un insegna rossa al neon, che si spegneva a intermittenza. Gabriel c'era stato pochissime volte, insieme a Fred e Eddy probabilmente, di venerdì sera. In realtà non era proprio sicuro che l'avrebbe trovata lì , poteva darsi benissimo che oggi non fosse il suo turno, che fosse stata malata, o che ... con un tuffo al cuore scorse il suo viso. Indossava un orribile cappellino rosso con il logo del locale, che nascondeva i suoi capelli neri acconciati in una coda sulla nuca. Si trovava dall’altra parte del bancone. Davanti a lei si era formata una piccola coda di clienti. Stava pigiando furiosamente un tasto della cassa, mentre un signore corpulento  in giacca e cravatta batteva con impazienza le dita sul lucido bancone. Gli occhi avevano quella solita espressione accigliata, Gabriel si chiese se accogliesse tutti clienti con quello sguardo o con una battutaccia. Alla fine la cassa sputò lo scontrino giusto, Diana lo tese al suo cliente, stirando le labbra in un sorriso forzato molto poco credibile. Non sapendo cosa fare, Gabriel si mise in coda. Sentiva la voce di lei dire frasi come -il prossimo!- o -Passi di nuovo a trovarci!-. Se non fosse stato furioso si sarebbe messo a ridere. La voce registrata della sua  -ormai defunta- sveglia era molto più espressiva.
-Cosa gradisce da bere?-
La fila si accorciava e Gabriel si rese conto di non essersi preparato nemmeno un discorso. Cominciava a sentirsi un pò idiota, forse andare sul posto di lavoro non era stata una grande idea. Cosa avrebbe dovuto dire? Doveva pronunciare qualche frase ad effetto? Un bicchiere di sincerità, grazie. Quando l’ultimo cliente che si sovrapponeva tra loro fu andato via, Gabriel si limitò a rimanere in silenzio, aspettando che lei alzasse lo sguardo dalla tastiera della cassa.
-Buongiorno, benvenuti al Paddy’s..- Diana si bloccò di colpo, spalancando gli occhi. Finalmente era riuscita a sorprenderla. -Cosa diavolo ci fai qui?!- bisbigliò. La sua espressione tornò neutra, Diana rialzò le sue difese emotive fissandolo con i suoi occhi grigi. Gabriel non riusciva ancora a spiegarsi perchè quella ragazza gli facesse quell’effetto. Dalla prima volta che l’aveva vista, era come se Diana avesse scombussolato la sua coscienza. In sua presenza si sentiva selvaggio, quasi come se lei liberasse la sua parte più irrazionale e pericolosa. Lui non era così, Gabriel Hayes era pacato, pensava sempre prima di agire, sapeva qual era la cosa giusta da fare. Ancora una volta Diana gli fece lo stesso effetto, era come se qualcuno sciogliesse una catena e liberasse quella animale che era la sua vera anima. Gabriel non rispose, le afferrò il polso sbattendolo contro il balcone.
-Se voleva essere una specie di scherzo, sappi che non è stato affatto divertente- sussurrò rabbioso . Non riconosceva nemmeno la propria voce. La ragazza fece scorrere lo sguardo da lui alla mano che le stringeva il polso. Gabriel vide i suoi occhi tingersi di rabbia.
-Tu sei fuori di testa!- rispose lei a denti stretti. Intorno a loro era calato il silenzio . Solo il bambino che stringeva la mano alla signora dietro di lui continuava a pignucolare , dicendo di volere anche il gelato.
-Forrest! C’è qualche problema?- disse qualcuno con un forte accento straniero da dietro il bancone. Una ragazzo biondo col codino.
-Tutto a posto- disse la ragazza, continuando a tenere gli occhi fissi su quelli di Gabriel -Yuri, puoi sostituirmi un momento?-  Il ragazzo biondo fece un cenno di assenso, accostandosi alla cassa e continuando a fissare la mano stretta intorno al polso di lei. Gabriel mollò la presa.
-Se hai bisogno di me sono qui- disse Yuri, continuando a guardarlo in cagnesco. Diana uscì da dietro il bancone, e si limitò a indicargli la porta sul retro con un cenno della testa. Gabriel la seguì. Lo condusse in un piccolo spazio angusto dietro il locale, un rettangolo di cemento con tanto di cassonetto. Gabriel chiuse la porta alle sue spalle, e il silenzio calò tra loro. La ragazza si levò il cappellino, sciogliendo involontariamente i capelli , che si disposero come un manto nero sulle sue spalle.
-Allora, si può sapere che diavolo c’è?- sbraitò Diana.
-Qualcuno è entrato dalla finestra di casa mia- disse  lentamente  stringendo i pugni, era difficile tenere a bada quella bestia che Diana aveva liberato. La creatura gli diceva di inchiodare la ragazza al muro, e mettere a tacere quello sguardo derisorio con cui la fissava.
-E allora va’ a chiamare la polizia , imbecille!- rispose quella allargando le braccia in un gesto di disperazione. -Cosa vuoi da..? Oh. Pensi che sia stata io.- concluse. La labbra le si incurvarono in un sorriso sprezzante. Si avvicinò a lui con passi lenti e studiati, gli posò un dito sul petto.
-Ti informo che mi madre è una tossica, non una scassinatrice. Se vi piace proprio scaricare tutte le sue colpe su di me, almeno scegliete quelle giuste. Non ho mai scassinato una finestra, e mai lo farò. Men che meno se si tratta della tua, dolcezza.- Fece per andarsene,ma il ragazzo l’afferrò per un braccio bloccandola.
-Piantala di toccarmi come se fosse di tua proprietà. Altrimenti..-
-Chiami il biondino in tuo aiuto?-
-No chiamo le mie ginocchia, e te le ficco nelle palle.-
Gabriel le mollò lentamente il braccio. La bestia si stava finalmente acquietando.
 
 

 
-Senti, non è così semplice. Stamattina quando mi sono svegliato ho trovato la finestra spalancata. E tutte le mie cose in giro. Qualcuno ha manomesso la mia sveglia, che continuava a dire “Sono a casa della nonna”.-
Diana si limitò a sollevare un sopracciglio. Lo guardava come se fosse una sorta di squilibrato.
-Quindi...ora la tua sveglia parla?-
-No. Parlava già prima-
Diana continuva a fissarlo incredula.
-Cioè, dice -diceva- ad alta voce l’orario. Stamattina invece, non so come sia possibile, diceva solo questa frase : “sono a casa della nonna”. E qualcuno è entrato dalla finestra, ne sono sicuro.Sei stata tu...insomma l’altro giorno, mi hai detto che..che sembravo essermi dimenticato della nonna. Sembrava, una sorta di scherzo...di vendetta...proprio la casa della nonna , capisci?-
Gabriel cominciava a percepire l’ inconcludenza delle sue parole. Ma come diavolo gli era venuto in mente di andare da lei? Diana lo guardava sempre più sorpresa.
-E, quindi, tu pensi io abbia messo in scena questa specie di scherzo, entrando in casa tua - dalla finestra!-  col rischio di essere scoperta e  magari arrestata, solo per ricordarti di venire a trovare tua nonna ogni tanto?-
Gabriel si sentì arrossire fino alla punta delle orecchie, detta da lei suonava come una cosa totalmente idiota. Si passò una mano tra i capelli, nel più totale imbarazzo.
-Si, ehm...io...mi dispiace, hai ragione- biascicò lui, -..non so cosa mi sia preso, scusami. C’era quella rosa bianca , e io ho pensato...quel profumo di fiori nei capelli..-
-Profumo di fiori?!-
-Senti, lascia perdere! Fa finta che non sia mai venuto, okay? Buona giornata- concluse Gabriel rabbioso, rientrò nel locale senza guardarla in faccia. Risalì in macchina con la coda tra le gambe, pieno di vergogna. Sarebbe stato meglio evitare Diana Forrest d’ora in avanti, lo portava a fare cose davvero irrazionali.
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***



 
 

 
 
 
 

 

-...Le fate appaiono come donne giovani e bellissime.La loro pelle è diafana e brillante. Hanno chiome lunghe, morbide, e dei colori più svariati, in cui sono impigliati fiori che non appassiscono mai. Ogni notte la fate più giovani ballano sotto la luce della luna ,girano in tondo e si tengono per mano, mentre gli spiriti più anziani le osservano divertite, intrecciando colore di fiori per le loro chiome variopinte...-

 

 Estratto da: “Le Avventure di Cecily D.”

Di Cecily Dashwood

 
 
Diana girò la chiave nella toppa, cercando di non fare il minimo rumore. Fortunatamente a lavoro poteva indossare scarpe da tennis, se avesse dovuto portare tacchi alti come l’ultima volta sarebbe stato meglio toglierseli. Cecily ultimamente aveva il sono leggero e non aveva proprio voglia di svegliarla.Entrò in casa chiudendo lentamente l’uscio, e posando le chiavi nell’apposita ciotolina di porcellana,  sul mobile  accanto al vecchio porta ombrelli di ottone. Se Cecily si fosse svegliata la avrebbe riempito di domande, e le avrebbe rivolto il solito sguardo corrucciato. Per quanto fosse una donna moderna e aperta ,Cecily Dashwood era pur sempre figlia del suo tempo, secondo la sua opinione una giovane e bella signorina non doveva andare da sola in giro di notte accettando passaggi da perfetti sconosciuti. Una bella e giovane signorina avrebbe dovuto indossare vestiti carini, tornare a casa presto scortata fino alla porta da un bravo fidanzato, che le avrebbe scoccato un bacio sulla guancia a mò di saluto.  Avrebbe anche scelto un futuro migliore-una carriera universitaria ad esempio- rispetto a uno squallido posto da cameriera in un fast-food. Ma Diana non aveva alcuna voglia di proseguire con gli studi. Non voleva neanche un soldo da Cecily.E poi odiava la scuola, e il fatto che tutti la guardassero dall’alto in basso e la compatissero.Da quando aveva cominciato a frequentare l’asilo era impossibile ignorare gli sguardi stucchevoli delle mamme che notavano i suoi calzini spaiati, e le macchie sul grembiule. Non ricordava nemmeno quante volte aveva aspettato inutilmente sua madre davanti al cancello della scuola, nascondendosi dagli inservienti o da altri genitori. Aveva imparato presto a tornare da sola a casa, e anche a custodire bene il suo mazzo di chiavi. Quando Amanda sprofondava ubriaca sul divano – o sul tappeto,o davanti al water- sua figlia poteva anche dormire sul portico di casa per quanto la riguardava. Diana salì le scale, gettò una rapida occhiata nella stanza di Cecily , dormiva beata a tranquilla e respirava regolarmente. Il suo cuore si rassenerò. Negli ultimi tempi aveva sempre paura di tornare casa e trovare il suo corpo freddo, con gli occhi spalancati e le coperte cadute dal letto. Non era strano vedere Cecily perdere il filo di un discorso, e vagare con la mente a proposito di elfi e fate in maniera inquietante. Stava invecchiando per davvero. Vederla non riuscire nemmeno salire le scale, senza sospirare a ogni gradino, le faceva ogni volta gelare il cuore. Cecily era la sua unica famiglia, se fosse morta lei si sarebbe sentita veramente sola. Ed era anche l’unica persona a farle credere che esistesse ancora della bontà nel genere umano. Entrò finalmente nella propria stanza. Si sbottonò la felpa, e gettò la maglia per terra, si levò le scarpe con i piedi e scivolò fuori dai suoi jeans cadenti. La stanza di Diana era la vecchia camera degli ospiti. Nel resto della casa sembrava che il tempo si fosse fermato. La stanza dei bambini aveva ancora una carta da parati punteggiata da piccoli e colorati cavalli a dondolo, e  alle pareti erano ordinatamente sistemati giocatoli di vario genere, da quelli antichi che erano in casa Dashwood da generazioni, alle macchinine telecomandate e ai robot con cui i nipotini avevano giocato un tempo. Quella stanza era nata per ospitare i piccoli Hayes, e ormai era vuota da anni. Solo la stanza di Diana sembrava non essere congelata nel tempo.Era disordinatissima. Il letto non era mai fatto, c’erano mucchi di vestiti e pacchi di sigarette posati in ogni angolo. C’era anche qualche libro. Come potevi non amare i libri se vivevi con Cecily ? Diana-ormai vestita solo di intimo nero- si diresse in bagno. Doveva fare pipì prima di andare a dormire. Appena mise piede nel corridoio si trovò faccia a faccia con Gabriel Hayes. O meglio , con Gabriel Hayes ringiovanito di una decina di anni. Le pareti di casa Dashwood erano ingombre di foto dei nipoti...Quelle foto si fermavano a dodici anni prima, ovviamente. In quell’immagine era vestito come un damerino, e stringeva gioioso un grosso girasole in mano, che era lì lì per spezzarsi su se stesso. Diana si ritrovò a sorridere. Mentre si lavava i denti e si pettinava i capelli la sua mente cominciò a vagare. Era strano, avrebbe dovuto passare tutta la notte a pensare a Yuri.Si erano presi una birra dopo il lavoro, e c’era mancato poco che finissero a letto insieme. O meglio, a rotolarsi sui sedili posteriori  della sua vecchia auto. Invece Diana riusciva a pensare solo a Gabriel. Chi l’avrebbe mai detto che ,il bambino sorridente e paffuto delle foto ,si sarebbe traformato in quel ragazzone alto e muscoloso? Quello stupido di Gabriel Hayes. Quel giorno in cui l’aveva salvata dal finire spiaccicata sotto una macchina lo aveva davvero odiato. Odiava tutti quelli che provavano a prendersi cura di lei, sapeva benissimo cavarsela da sola. E poi quell’idiota della sua fidanzata,l’ aveva fissata terrorizzata ,come se avesse potuto trasmettere la peste al suo fidanzatino bamboccio solo sfiorandolo. Non l’aveva mai sopportata quella.Era una stupida con la sindrome della crocerossina, che sembrava perennemente in competizione per vincere il premio nobel della pace. Una volta quando erano bambine, si era avvicinata a lei per provare a offrirle un biscotto...Diana le aveva tirato uno spintone e l’ aveva fatta finire in una bella pozzanghera fangosa, lei e il suo stupido vestitino rosa. Sorrise a quel ricordo. Gabriel. Quel giorno però qualcosa era cambiato. Per lei i figli Hayes erano sempre stati dei bambocci viziati e stupidi. Diana era più grande di Gabriel e si ricordava benissimo di suo fratello Jonathan, avevano frequentato le scuola elementari assieme.Non aveva mai capito perchè tutti lo adorassero. Certo somigliava a un cherubino, col viso d’angelo, gli occhi azzurri e i riccioli castano chiaro. Tutto il mondo stravedeva per lui: aveva addirittura vinto il premio come “studente dell’anno”, solo perchè aveva restituito una banconota da cinquanta dollari trovata per strada. Diana lo aveva sempre odiato con tutto il cuore. Ricordava benissimo anche quando era morto. La loro piccola e bella cittadina era stata in lutto per quel piccolo martire, strappato in modo crudele alla vita da un destino spietato. A scuola avevano fatto un minuto di silenzio in suo onore. Diana avrebbe voluto far chiasso di proposito. Per lei Gabriel Hayes ,invece, non era mai esistito, si trattava solo di un’ ombra del fratello, un’ ombra che al contrario di lui aveva continuato a crescere. I suoi lineamenti non erano angelici come quelli del suo fratello defunto, erano più morbidi. Ma aveva gli stessi capelli ricci, anche se più scuri. Per lei Gabriel era sempre stato il fratellino un pò tonto. Eppure quel pomeriggio...Ripensò allo sguardo furioso che le aveva rivolto, a come aveva piantato il suo polso sul tavolo. Quegli occhi castani, dolci e grandi si erano tinti di furia. Non era cattiveria, non era malvagità. Sembrava una tempesta.Una forza travolgente, che l’aveva soggiogata . Non aveva per niente gli occhi del fratello. Diana tornò nella sua stanza e si stese nel letto così com’era, senza nemmeno infilarsi sotto le coperte. Non aveva mai detto a Cecily quello che pensava realmente dei suoi nipoti. Non voleva spezzarle il cuore...lei li adorava tutti e tre. Le foto di Jonathan erano ovunque, ogni tanto la sorprendeva ancora ad accarezzare il vetro liscio di qualche cornice, con le lacrime agli occhi. Molto lentamente, Diana si addormentò.
Il suo non fu un riposo tranquillo, continuava ad agitarsi e a rigirarsi tra le coperte. I suoi sogni erano tinti di angoscia. Fu svegliata da un raggio di sole che le trafisse le palpebre. Si accorse subito che qualcosa non andava. Non riusciva a percepire con la pelle nuda la morbidezza della lenzuola. C’era troppa aria. Odore di erba, di muschio, di fiori. Diana dischiuse lentamemnte gli occhi, e un accecante raggio di sole la trafisse. Intorno a lei vedeva solo verde. Si sollevò di scatto. Non è possibile. Quella non era la sua stanza, non era per niente il suo letto. Si trovava nel bel mezzo della foresta. Stesa su un ’altura ricoperta di erbetta verde e rigogliosa, e circondata da fiori bianchi.Lunghe ciocche di capelli neri le cadevano davanti agli occhi, se li acconciò dietro l’orecchio guardandosi intorno. Era esattamente come si era vestita (o svestita) la sera prima:in mutande e reggiseno.L’aria fresca del mattino le lambiva le spalle e le braccia facendole venire la pelle d’oca. Cosa diavolo ci faceva lì? Non si addentrava mai nella foresta. Nessuno ci metteva mai piede, a parte i cacciatori in precisi periodi dell’anno. Doveva trovarsi proprio nel cuore del bosco, visto che pur guardandosi in tutte le direzioni non risciva a scorgere le mura familiari di casa Dashwood.  Si alzò in piedi. La sensazione dell’erba sotto i suoi piedi era strana, ma piacevole. Un luccichio bianco attrasse il suo sguardo. Incurante dei piedi nudi,e di essere praticamente nuda ,Diana seguì quel luccichio. Scostò un bel pò di rami prima di accorgersi che si trattava di un bianco roseto , che fioriva nel bel mezzo di una radura. Diana sentì un gelo avvolgerlgli lo stomaco. C’era quella rosa bianca .Gabriel aveva detto proprio così.Girò i tacchi e corse verso casa sua, incurante del rami che le ferivano i piedi e le gambe, come se avesse una bestia alle calcagne.
 
-...quindi, rendetemi orgogliosi ragazzi!- ruggì il capitano . Gabriel rispose con un urlo di gioia, insieme ai suoi compagni di squadra, sollevando i pugni chiusi. Era la prima partita della stagione.La squadra contro cui si battevano non era un avversario molto tenace, ma Gabriel percepiva comunque una certa tensione. Era il suo ultimo anno nella squadra, l’anno precedente avevano sfiorato la vittoria...e questa era la sua ultima possibilità.Una volta cominciato il college non avrebbe avuto molto tempo per il basket. I ragazzi uscirono finalmente dal piccolo spogliatoio, lasciando dietro di sè un caos di borsoni aperti e di magliette abbandonate per terra.  Gabriel indossava la maglia dell’uniforme, una larga canotta senza maniche blu, e sul petto aveva stampata la mascotte della squadra: una tigre a cartone animato, con un improbabile berretto e con tanto di mantello svolazzante.Non a caso il nome della squadra era Tiger’s Rentwood .La scarpe da tennis strisciarono sul lucido pavimento della palestra , un suono dolce e familiare. Gli spalti della palestra esplosero con urla di goia, non appena i beniamini della scuola misero piede in campo. Gabriel guardò in basso, trovava sempre difficile pavoneggiarsi e salutare come i suoi compagni di squadra. Perse tempo ad aggiustarsi sulla fronte una fascetta bianca,  un regalo di Melanie, visto che i ricci gli andavano continuamente davanti agli occhi coprendogli la visuale. In realtà aveva l’impressione di sembrare un pò idiota con quel coso in testa, e le prese in giro e gli spintoni da parte dei compagni glielo avevano confermato. La squadra si dispose in campo, e mentre Robbie-il capitano-  e il capo della squadra avversaria si stringevano civilmente la mano, Gabriel ebbe il tempo di far vagare lo sguardo sugli spalti. Scorse immediatamente i capelli rossi di Melanie, che saltava reggendo un grosso stricione con una tigre disegnata sopra. Era insieme alle sue due amiche bionde- Lizzy e Jane- e si era legata i capelli in due treccine. Sugli zigomi si era dipinta due strisce , una rossa e una blu, in onore della squadra. Agitò la mano tutte allegra, e lui rispose con un caloroso sorriso. Di Effy non c’era traccia, mentre scorse i suoi genitori qualche posto più giù. Con i loro abiti bon ton, stonavano un pò in mezzo a quella calca di adolescenti. I rapporti a casa ultimamente si erano rassenerati, la situazione non era ritornata rosea come un tempo ,ma quanto meno la tensione tra loro era diminuita. Non sapeva nemmeno lui se aveva perdonato i suoi genitori o no, certo si stava sforzando per cercare di comprenderli, ma c’era ancora qualche particolare della faccenda che lo infastidiva .Sua madre gli aveva spiegato che avevano taciuto le condizioni della nonna a lui e a Effy semplicemente per non farli preoccupare, a cosa sarebbe servito che loro sapessero? E poi avevano sempre continuato a ricevere notizie sulla salute della nonna in modo indiretto. Se avesse avuto bisogno di un aiuto economico, di certo non glielo avrebbero mai negato. Lui riteneva che questa scusa fosse un pò traballante, se c ‘era qualcosa che alla nonna non mancava erano i soldi. Ma dopotutto era giusto condannare in quel modo i propri genitori? Era stato lui per primo a disdegnare l’invito della nonna senza tanti complimenti,e ormai era un adulto non poteva giustificarsi dicendo di essere troppo piccolo per capire. Gabriel scacciò quei pensieri, doveva concentrarsi sulla partita, doveva dare il meglio di sè quel giorno. Si aggiustò la fascia, e gettò un ultimo sguardo distratto alla fila più in alto. Quando una certa figura attirò tutta la sua attenzione. Era assurdo, eppure lei era lì.Con i soliti anfibi e i jeans cadenti.Quel giorno indossava una maglia nera con delle maniche lunghe che le ricadevano fin sopra i polsi. Aveva qualcosa di diverso, forse i capelli, che non erano come al solito davanti al viso, ma erano ordinatamente acconciati dietro l’orecchio.Diana Forrest era venuta ad assistere a un incontro di basket della scuola, era assurdo. Non prendeva mai parte a eventi di questo genere. Si accorse di essere stata notata, e si limitò a indirizzargli un sorriso sghembo, prima di distogliere lo sguardo e riportarlo al centro del campo. Aveva le gambe accavallate, e le braccia conserte. Dopo un primo secondo di stupore Gabriel si riscosse, non poteva essere lì per lui, era impossibile. Quella fascetta ora gli sembrava ancora più idiota.
-HAYES! Non dormire!- gli urlò Robbie dall’altra parte del campo, visto che era rimasto lì imbambolato con la palla che gli rotolava ai piedi. Gabriel si ridestò, cominciò a muoversi per il campo cercando abilmente di evitare di ricevere una palla da basket dritto in testa ,e di controllare la situazione sugli spalti con la coda dell’occhio. Dopo qualche secondo Diana non si vedeva più.Si rilassò e continuò a giocare come se nulla forse, anzi si impegnò anche più del previsto, nel caso in cui la ragazza fosse rimasta a osservarlo da qualche angolo della palestra. Con un piccolo moto di orgoglio pensò che doveva essere bello da guardare, mentre spiccava il salto verso il canestro. Dopotutto Diana sembrava averlo visto solo nei momenti peggiori: quando sembrava un damerino stretto nella divisa scolastica, e quando si era precipitato nel fast-food con lo sguardo di un invasato. La partita si concluse con un risultato soddisfacente, avevano vinto e il merito era in gran parte suo. Dopo l’educato applauso della platea  per i perdenti e le urla di trionfo dei suoi compagni di squadra, i ragazzi si dispersero a bordo campo. Gabriel ricevette parecchie pacche sulla spalle,e  dovette battere cinque più di una volta anche a gente che conosceva a malapena. Robbie gli scompigliò addirittura i capelli continuando a sorridere orgoglioso,un immagine abbastanza strana, considerando che Gabriel era alto parecchi centimetri più di lui. Quando si fu finalmente liberato delle attenzioni dei compagni, si precipitò famelico sulla boraccia d’acqua abbandonata sulla panchina, da cui prese una generosa sorsata.
-Amore...sei stato favoloso!!- esclamò Melanie giungendo a un tratto alle suo spalle. Si astenne dall’abbracciarlo –comprensibile visto che trasudava sudore come una spugna- e gli tese prontamente una piccola asciugamano bianca. Sorrideva raggiante, continuando a fissarlo in attesa che dicesse qualcosa. Gabrie si limitò a sorridere.
-Dai, non è stato niente di che. Ho giocato come al solito- mentì. Melanie gli tirò un pugno affettuso sul braccio continuando a sorridere.
-Il solito modesto...sei stato fenomenale! In campo eri il migliore, tutti notavano solo te.-
Gabriel non rispose, si tenne l’asciugamano in faccio più del dovuto.Non sapeva cosa dire. Furono raggiunti da Robbie, Che era alla continua ricerca di persone con cui commentare la meravigliosa partita , tessendo le lodi di ogni singolo giocatore.Da quando Gabriel era entrato in squadra erano diventati grandi amici. Robbie era una ragazzo atletico, dalla pelle perennemente abbronzata, portava i capelli scuri sempre rasati a zero. Gabriel adorava la sua compagnia, al contrario di quasi tutti i suoi amici sembrava capire quando lasciarlo in pace con i suoi pensieri...tranne quando avevano appena vinto una partita come quella!Come era prevedibile attaccò immediatamente discorso con Melanie...anche se sembrava che parlassero ognuno per conto proprio.
-...E poi hai visto lo scatto di Jonh? Un salto incredibile...-
-...e quando Gabriel ha segnato per la quinta volta di fila?!..-
Gabriel fu contento di riuscire a sottrarsi finalmente alle attenzioni della sua fidanzata. Vide in lontananza i suoi genitori che si avvicinavano, facendosi largo tra la calca di studenti. Sicuramente per congraturarsi con lui. Si voltò dall’altra parte sperando di trovare una buona scusa per evitarli. Ed eccola lì. Diana era nascosta all’ombra di uno degli spalti, con un cenno impercettibile della mano lo invitò ad avvicinarsi. Gabriel lanciò un’ occhiata discreta alle sue spalle, per assicurarsi che stesse chiamando proprio lui. Melanie era ancora tutta presa dalla discussione con Robbie. Senza attirare la loro attenzione si diresse verso di lei, almeno aveva una scusa per evitare i suoi genitori. Diana continuava a fissarlo, gli occhi persi nella sua solita espressione indifferente,e la bocca tesa in sorriso derisorio.
-Bella parita, campione. A chi era dedicato il canestro della vittoria? Ad Anna-dai-capelli-rossi? E bella pettinatura, comunque.-
-Diana , che cosa vuoi?- chiese spazientito. L’ultima volta che si erano parlati lei lo aveva trattato come un idiota, non glielo avrebbe permesso di nuovo.Era meglio ignorare il suo sarcasmo. Ciò non gli impedì di togliersi rapidamente la fascetta, e farla sparire nelle viscere della tasca del pantaloncino. Diana continuava a fissarlo.
-Cecily diceva sempre che Jonathan sognava di entrare nella squadra di basket della scuola...Che fai scimmiotti il fratellino?- disse dopo qualche secondo di silenzio. Gabriel sentì qualcosa spezzarsi dentro di lui. Stava prendendo in giro il suo fratellino morto... ma non fu quello a farlo infuriare. Lo conosceva appena, eppure aveva raccolto in una frase il senso della sua vita.  La fissò intensamente con i suoi occhi marroni. La rabbia divampava nel suo sguardo.
-Non è divertente.- rispose glaciale. Gabriel girò sui tacchi , pronto ad andarsene, quando sentì afferrarsi per la maglietta. Lo stava trattenendo. Lei che di solito era sempre così spavalda, ora stringera la sua  maglia tenendo la testa china, come una bambina spaventata.
-Anche a me è successa una cosa strana.-disse la ragazza improvvisamente. Questa volta nel suo tono non c’era schermo o derisione, c’ea un retrogusto di paura. Gabriel si voltò verso di lei, Diana lasciò sciovalrsi la stoffa della maglietta tre le dita.Per la prima volta aveva un espressione dubbiosa.
-Questa mattina, mi sono svegliata nel prato in mezzo alla foresta.Non ho idea di come ci sono arrivata...mi sono trovata lì e basta. All’inizio ho pensato di essere sonnambula, ma poi....tu l’ultima volta mi hai parlato di una rosa bianca, vero?-
-Si. E poI?-
Si strinse le braccia, quasi come se sentisse un brivido di freddo.
-E poi, lì vicino c’era un roseto bianco.-
Rimasero in silenzio. Il caos della palestra sembrava non sfiorarli,come se fossero rinchiusi in una bolla lontani dal resto del mondo.
-Ti sembrerà una cosa stupida.- disse sorridendo con cupo divertimento. Gabriel fece un passo verso di lei, avrebbe voluto confortarla, metterle una mano sulla spalla o cingerla in un abbraccio. Sembrava così vulnerabile.
-No , non è una cosa stupida. Forse è solo una coincidenza. Potrebbero esserci mille spiegazioni.E poi, ho cominciato io a venirti a seccare con cose stupide.- concluse sorridendo.
-La verità è che non sapevo a chi dirlo.Mi sei venuto in mente solo tu.- Gabriel fece un altro passo verso di lei. E la bolla scoppiò. Diana arretro, e in viso riapparve la solita espressione gelida. Il caos della palestra si riverso improvvisamente su di loro, quel piccolo momento di intimità si era spezzato.
-Io devo andare. E i tuoi amici ti cercano.- disse lei, rivolgendo lo sguardo alle sue spalle. Lui si voltò. Melanie lo e Robbie lo fissavano.
-Ehi, dobbiamo parlarne meglio.Io ora vado con la squadra a festeggiare al Grill, se più tardi sei nei paraggi...-
-No! Non mi sembra il caso.- rispose di getto. Si era infilata le mani in tasca ed era arretrata di un altro passo.-Ciao ,Gabriel. Buona serata.-Girò i tacchi per andarsene.
-Diana!- la chiamò lui alzando leggermente il tono di voce. -Vengo io da te. A casa...della nonna.-
La ragazza strabbuzzò gli occhi stupita, aprì la bocca per parlare.
-Domani. Dimmi tu a che ora.- la interruppe lui.
-Cecily ha un fissazione per il te delle cinque.Neanche fossimo inglesi.- rispose lei dopo qualche secondo di silenzio. Gabriel sorrise.
-Ci sarò.-
 
Gabriel si specchiò nel lucido batacchio a forma di leone. Come c’era da aspettarselo, i suoi ricci avevano ricominiciato ad andare in tutte le direzioni. Era stato una mezz’ora intera a cercare di metterli a posto con un pettine bagnato, ma sembrava non esserci verso. Alla fine Effy era venuto a strapparglielo di mano, rimproverandolo di averglielo rubato e alludendo al suo “dubbio orientamento sessuale”.
Bussò al campanello di casa di sua nonna. Era stranissimo trovarsi lì. Aveva cercato di mettersi in tiro,e quando si era reso conto che la giacca e cravatta forse erano un tantino esagerati per un semplice tè pomeridiano, aveva optato per una camicia a righine azzurre, e un semplice jeans.Si sentiva un pò scemo ad aspettare lì davanti alla porta, con un mazzo di fiori stretto in pugno. La porta venne aperta, proprio mentre si soffiava via dalla fronte un lungo ricciolo ribelle.
-Sei in ritardo- disse Diana, ferma a braccia conserte sul bordo della porta.Indossava dei jeans (meno larghi del solito) e una maglia bianca con le maniche che gli scoprivano a malapena le dita.
-Avevo gli allentamenti oggi, ho dovuto trovare una scusa decente.-  La ragazza lo squadrò da capo a piedi, ma stranamente non gli rivolse alcuna battuttina sarcastica. Per la prima volta Gabriel ebbe l’impressione che lei fosse veramente felice, le labbra era incurvate in un sorriso sincero che andava a sclafire la sua solita espressione. Con un cenno del capo gli indicò di seguirlo. Il ragazzo entrò, sentiva l’emozione crescergli nel petto. Dal giorno della morte di Jonathan lui era uscito da quella casa, e non vi aveva più messo piede. Quando entrò nel lungo ingresso ,cominciò a studiare l’ambiente circostante con attenzione. Proprio come la sua proprietaria, la casa sembrava essere uscita direttamente da un vecchio romanzo. I mobili in noce scuro, le tende rosse voluminose, i quadri e i mezzi busti di marmo posti negli angoli.Gabriel seguì docilmente Diana, anche se era sicuro che avrebbe saputo orientarsi in quella vecchia casa a occhi chiusi. Entrarono in un piccolo salottino, se non ricordava male quella era la stanza privata della nonna, riservata solo a lei o a ospiti speciali. Era una stanza piccola, con la carta da parati punteggiata di fiorellini colorati,e la pareti erano ingombre di foto in bianco e nero racchiuse in cornici dorate. E lì nell’angolo sotto la finestra, un vecchio scrittoio di legno bianco, su cui era ordinatamente sistemata una pila di fogli. La mente di Gabriel tornò indietro nel tempo. Quando la nonna scriveva nessun adulto poteva entrare nel salottino, solo i bambini e solo se promettevano di rimanere in un religioso silenzio. Riconobbe la vecchia poltrona verde su cui si sistemava da bambino, si era addormentato su quei braccioli almeno un centinaio di volte. La poltrona adesso era occupata da Cecily, che al suo ingresso si alzò immediatamente in piedi per quanto l’età glielo consentisse. Davanti alla poltrona era sistemato un piccolo tavolo, apparecchiato con un delicato servizio da tè, e alzate piene di dolcetti a tramezzini. La nonna si diresse verso di lui.
-Si è messa proprio in tiro oggi.- sussurrò Diana a mezza voce mentre si chinava sul tavolo a sistemare le ultime tazze. Cecily indossava un elegante completo rosso sangue, con i bordi neri. In mano teneva il solito bastone.
-Ciao  nonna.- la salutò Gabriel sorridendo timidamente. Lei allargò le braccia sorridendo. Lui si chinò verso di lei, e ricevette un morbido bacio sulle guance. La nonna profumava di cipria, come sempre.
-Questi sono per te.- disse il ragazzo dopo essersi sciolto dall’abbracio della nonna, questa prese in mano il mazzo di fiori osservandoli entusiasta.
-Sono splendidi caro!-esclamò la vecchia signora piena di gioia. -Diana, per favore potresti..?-
La ragazza si avvicinò e prese i fiori, uscì dalla stanza   probabilmente con lo scopo di cercare un vaso. Cecily prese posto sul divano, e con una pacca sul cuscino invitò il ragazzo a sedersi vicino a lei. Gabriel obbedì. Cominciava a sentirsi meno in imbarazzo, il sorriso di sua nonna aveva ampiamente sciolto il ghiaccio.
-Sono così felice che tu sia venuto , Gabriel!- disse la signora, stringendogli le mani tra le sue.
-Anche io. E’ come se nulla fosse cambiato qui, mi ricordo ogni cosa.- rispose lui , rivolgendo lo sguardo allo scrittoio.
Il pomeriggio trascorse in tutta tranquillità.La nonna lo aveva riempito di domande: sulla scuola, sugli amici, su Melanie, sui progetti per il futuro.Aveva accuratamente evitato-con somma gioia di Gabriel- di chiedergli informazioni sui suoi genitori. Aveva chiesto notizie anche di Effy,e lui le aveva mostrato una foto sul cellulare. In quegli anni l’aveva potuta vedere sola da lontano. -E’ bellissima! Proprio come te! Siete sempre stati belli come angeli!-.Gabriel si stupì quando lei versò prontamente tre cucchiaini di zucchero nel suo tè proprio come faceva dodici anni fa, a lui il sapore amaro non era mai piaciuto. Dopo un pò anche Diana era tornata, si era seduta in silenzio sulla poltrona, incrociando le gambe come un indiano, neanche lei riusciva a non sorridere. Nonna e nipote – lui grande giovane e forte, e lei piccola e delicata- facevano proprio un bel quadretto commovente. Cecily aveva ripetuto più volte di quanto fosse diventato alto. Molto alto per la sua età. E di quanto fossero belli i suoi capelli. Vi aveva passato spesso le dita, pettinandoglieli come faceva un tempo. Gabriel addentò l’ennesimo tramezzino al tonno, quando sua nonna chiese a Diana di passargli un grosso tomo rilegato in pelle posato sulla scrivania. Seguirono momenti di un certo imbarazzo per lui, quando si ritrovò tra la mani un grosso album fotografico con l’etichetta “Gabriel” sulla copertina. Diana si mise in piedi dietro il divano, ridacchiando ogni volta che cambiavano pagina. Sicuramente lo faceva apposta per farlo innervosire, visto che doveva aver già avuto l’occasione di sfogliare quell’album fotografico. Stava per morire di vergogna davanti a una foto che lo ritraeva nudo  -nudo proprio in tutti i sensi- e sorridente, mentre reggeva un pannolino in mano –probabilmente non pulitissmo , grazie a qualche vistosa macchia marrone-.  -Guardati qua! Ancora me lo ricordo, volevi fare da solo , e combinasti un proprio un bel pasticcio...-Gabriel si appropriò tempestivamente dell’album, con la scusa di cambiare pagina. La foto successiva era molto grande, occupava una pagina intera, ed era in bianco e nero.Gabriel guardava l’obiettivo sorridendo (e senza qualche incisivo) mentre abbracciava per la vita un bambino più alto di lui. Un bambino bello, dai capelli ricci e gli occhi chiari, che sorrideva pacato verso l’obiettivo, quasi indulgente verso il fratellino.La nonna si zittì, e lui fu sicuro di percepire Diana irrigidirsi alle loro spalle.Gabriel non voleva parlarne, non era quello il momento, e forse non avrebbe voluto parlarne mai con sua nonna. Chiuse dolcemente l’album.
-Era bellissimo anche lui, nonna.- disse sorridendo. La nonna aveva gli occhi leggermente lucidi.
-Bè- disse lei dopo qualche secondo di silenzio, con voce risoluta, -sarà meglio sparecchiare.- . Si chinò sul tavolino, e Diana intervenne immediatamente ad aiutarla - -ci penso io-- chinandosi sul tavolo e cominciando a raccogliere le tazze decorate con i fiori.  Gabriel osservò la ragazza per qualche secondo. Era china sul tavolo, i lunghi capelli neri, che pendevano da un lato, schermavano la luce del sole al tramonto.I raggi vi passavano attraverso, disegnando il suo profilo e rendendole la pelle ancor più luminosa.Si portò un ciuffo nero ribelle dietro l’orecchio, con le sue dita affusolate. A Cecily Dashwood, che certo non mancava di esperienza in quelle cose, non sfuggì lo sguardo del nipote, anche se durò solo una frazione di secondo. Non potè fare a meno di sorridere. Gabriel era un ragazzo molto piacente, e , proprio com’era da bambino, aveva un animo buono e la testa sulle spalle. Eppure doveva aver preso da lei quel pizzico di follia, che gli faceva amare le cose pericolose e avvolte dal mistero.Tutto quello che rappresentava Diana. E lei? Avrebbe mai potuto apprezzare l’animo puro di Gabriel? Avrebbe ricambiato quelle sensazione?Non ne era sicura. La osservò con la coda dell’occhio, ma lei sembrava imperturbabile, come se non avesse nemmeno colto quel fugace sguardo del nipote. Ma dopotutto la ragazza difficilmente lasciava trasparire i suoi sentimenti.Era bella e misteriorsa.Aveva sempre pensato che lei fosse diversa dagli altri, guardava alla realtà come qualcosa di lontano di poco interessante, proprio come le fate dei suoi racconti. Diana non era fatta per questo mondo.
-Diana, perchè non porti Gabriel a fare un giro per la casa. Le mie gambe malferme non me lo permettono. E poi sarà ormai stufo di tener compagnia a una vegliarda come me!- esclamò d’un tratto. La ragazza la guardò con gli occhi socchiusi velati dal sospetto, la conosceva bene. Percepiva sempre le sue intenzioni.
-Veramente...-cominciò lei, ma venne bruscamente interrotta da Gabriel.
-Più che la casa..vorrei rivedere il giardino.-
 
Nei suoi ricordi il giardino della nonna era enorme, un tappeto di verde lussureggiante che si stendeva per metri e metri. Erano passati dodici anni dall’ultima volta che vi aveva messo piede, e adesso sembrava che si fosse proprio rimpicciolito. Era possibile abbracciarlo con un solo sguardo. I confini del giardino si confondevano col bosco circostante, intorno alla staccionata verde crescevano rampicanti selvaggi, che sembravano voler invadere quell’angolo di paradiso.Tra una stecca e l’altra spuntava qualche fiore selvatico come a voler spiare la vita dei suoi abitanti. Non esisteva un giardino simile in tutta Rentwood . Il giardino in origine era parte della foresta, era stato il bis bis nonno di Gabriel ad acquistare quell’ettaro di terra e a recintarlo. Non aveva nulla di simile ai giardini comuni,non vi erano nanetti da giardino o cespugli scolpiti. La natura era selvaggia e rigogliosa.I rami degli alberi erano piegati in forme contorte e fantasiose, i fiori non erano imprigionati in disciplinate aiuole, crescevano ovunque come chiazze di vari colori nel verde. Sembrava di essere stati catapultati nell’illustrazione di un vecchio libro di fiabe. Diana era rimasta sulla porta, a braccia conserte. L’attenzione di Gabriel fu subito attratta dalla sedia in ferro battuto verniciata di bianco.Si trovava  sotto le fronde del grande faggio, proprio come nei suoi sogni. Accarezzò con un dito il bracciolo della vecchia sedia, perso nei suoi ricordi.Sentì Diana che si avvicinava alle sue spalle.
-Questo era il mio posto preferito- disse Gabriel, parlando quasi con se stesso. -La nonna mi prendeva sulle ginocchia, e mi leggeva i suoi libri-
-Allora è tua la colpa- disse la ragazza mentre si sedeva a gambe incrociate sulla sedia. Sembrava meno tesa del solito, i suoi occhi erano stranamente sereni. -Cee ha provato a inchiodarmi sulla sedia almeno un centinaio di volte. All’inizio credeva che fossi timida, poi c’ha lasciato semplicemente perdere.-
-Davvero non ti piacciono le sue fiabe?!- chiese lui incredulo. Diana chiuse gli occhi e si distese,rivolgendo il viso verso un flebile raggio di sole che attraversava i rami del faggio.Gabriel sospettava che lo facesse apposta a non rispondere subito alle sue domande, quasi come se non lo ascoltasse.
-Non ho detto questo- rispose dopo qualche secondo di silenzio -Preferivo leggermele da sola.E poi non sono il tipo che salta sulle ginocchia di qualcuno.- Con un movimento fluido si alzò . -Vieni ti faccio vedere il mio posto preferito- Lui la seguì. Era incredibile come si muovesse con grazia, e come fosse capace di muoversi silenziosamente.Immersa nel verde con quella chioma corvina sembrava una principessa della fate a passeggio nel suo regno. La ragazza lo condusse dall’altra parte del giardino, davanti a un grosso cespuglio coperto di fiori gialli. Si piegò sulle ginocchia e scostò qualche ramo. L’interno del cespuglio era cavo, come una piccola tana.
-Bè, ero molto più piccola di così. Giuro che ci entravo davvero.-disse infilando la testa dentro. Un fiore le si impigliò nei capelli. Le mani di Gabriel prudevano dal desiderio affondare le dite in quella chioma e levarglielo.Si piegò vicino a lei e sbirciò dentro. Erano fin troppo vicini, poteva sentire il profumo dei suoi capelli.
-C’era da immaginarselo.-
-Cosa?-
-Niente.-
-Cosa?!-
-Che ti scegliessi la parte più piccola e nascosta del giardino.- Fu sicuro di vedere l’ombra di un sorriso. Bè facevano progressi, il fatto che non l’avesse spinto dritto con la testa nel cespuglio era già qualcosa.
Gabriel si alzò e si guardò intorno. Sapeva cosa c’era lì vicino. Placido e azzuro poco lontano da loro c’era il piccolo stagno, come allora, la superfice era  punteggiata  di ninfee. Sentì il suo cuore stingersi in una morsa.Con un sospiro spostò lo sguardo incapace di osservare ancora quell’acqua verde. Chiuse gli occhi, la testa cominciava a girare. Dovette sforzarsi per togliersi dalla mente l’immagine di suo fratello che galleggiava a faccia in giù. Un ronzio gli risuonava nell’orecchio.
-Ehi, non guardarlo non ti servirà a molto- la voce di Diana frantumò i suoi pensieri. Aprì gli occhi e la fissò. -E’ lì che ti aspetta da dodici anni. Dovrai affrontarlo prima o poi.- 
Rivolse lo sguardo verso il teatro dei suoi incubi. Diana aveva ragione, alla fine a guardarlo bene era solo uno stagno. Solo acqua e melma, e non il simulacro di una tragedia come aveva sempre pensato.
-Ti hanno mai detto che il “tatto” non è il tuo forte?- chiese lui (lasciando passare volutamente qualche secondo di silenzio).
-Dovresti conoscere mia madre, allora.- rispose lei con disinvoltura.
Gabriel non seppe cose rispondere. Diana non sembrava assolutamente a disagio, si avvicinò al fiume e si inginocchiò sulla riva. Qualunque ragazza si sarebbe preoccupata del fango, o di sporcarsi le mani..ma non lei. Sfiorò con un dito un fiore bianco che galleggiava.
-La prima volta che ho incontrato Cecily, mi sono nascosta proprio in quel cespuglio. -Disse continuando a giocherellare col fiore fissando le sue dita con occhi vitrei. -Quando Amelia finiva i soldi e non si poteva comprare la roba se la prendeva sempre con me. Quella volta mi tirò una bottiglia di birra in testa...si ruppe in mille pezzi. Sono scappata via prima che mi riacciuffasse, ricordo che sono scesa in strada e ho cominciato a correre a piedi nudi come una pazza. Sono passata sotto la staccionata, e sono strisciata nel posto più piccolo e buio che ho trovato.Credo di essere rimasta lì per delle ore. Poi lei mi ha trovato, e mi ha invitato in casa.Mi ha accarezzato la testa, e poi finalmente ho pianto.- Il fiore affondò, inghiottito dalle acque verdi. -Non esiste qualcuno più buono di lei.-
-Mi dispiace.- disse lui, continuando a fissare il suo profilo.
-La gente me lo dice continuamente, ma nessuno lo pensa davvero.-  esclamò lei sollevandosi di colpo. -per gli altri la mia vita è solo una cosa bizzarra da raccontate. Un aneddoto . Niente di più- si pulì le ginocchia dal terricio con una mano.
- Non credo di poter capire a pieno quello che hai passato. Non ho mai provato niente di simile,lo sai.Ma mi dispiace, sul serio-
-Lo so.-
Si fissarono in silenzio.
-Allora, cos’è successo stamattina?- chiese lui ,sperando di rompere quel silenzio assordante. Diana indicò con un dito un punto indefinito oltre la staccionata.
-Mi sono svegliata, e mi sono ritrovata stesa su un prato.- rispose. Si girò a fissarlo, sorridendo con finta allegria. -Mi sono svegliata in un sacco di posti strani, ma questa non mi era ancora capitata.- Gabriel fece un passo nella direzione da lei indicata, socchiuse gli occhi cercando di scorgere qualcosa nella foresta. Ma era impossibile, davanti a suoi occhi c’era solo un intricato muro di rami e foglie.
-Forse...sei sonnambula?-
-Mai succeso.-
-Mmm...hai bevuto,sei entrata nella foresta e hai dimenticato tutto?-
-Il calcio nelle palle lo vuoi subito,o lo preferisci dopo a mò di saluto?-
Gabrel sorrise. Si stava abituando al suo atteggiamento, lo trovava quasi divertente.
-E le rose?-
 Diana si sedette nell’erba a gambe incrociate, dopo un secondo di esitazione Gabriel la seguì.
-Allora?- la incitò il ragazzo.
-Forse non avrei dovuto raccontartelo. Alla fine ho gironzolato per la foresta, e ho trovato una pianta di rose...niente di strano, in fin dei conti.Si è trattata solo una coincidenza. Solo che stamattina sembrava più spaventoso.-
Gabriel si strinse le ginocchia al petto. Rimasero in silenzio fissando il vuoto per un pò. Lo sguardo del ragazzo fu attivato da una coccinella rossa che zampettava vicino al suo piede.
-Allora, quanto tempo le resta?- disse il ragazzo, cotinuando a fissare l’insetto con occhi vitrei.
Diana si volto a guardarlo, il suo sguardo divenne improvvisamente triste.
-I medicini non sanno dirlo. Ha un..un aneurisma all’aorta. Potrebbe rompersi da un momento all’altro.-
-E non c’è niente che si possa fare?- esclamò lui fissandola negli occhi.
-E’ troppo anziana per finire sotto i ferri, rischierebbe di morire in sala operatoria. Non c’è niente da fare, dobbiamo solo aspettare.-
Diana non versò una lacrima, eppure Gabriel fu sicuro di non aver mai visto un’espressione più triste della sua.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 
“ ...la bambina si nascose sotto un cespuglio proprio come il folletto la aveva ordinato. ‘Fa silenzio!’ ripetè lui tutto serio. La foresta era buia, ma in lontanza si scorgevano delle piccole luci bianche che avanzano lentamente. ‘ É la corte del Re della foresta’ disse il folletto sotto voce. La bambina si sollevò un poco per osservare meglio. Davanti ai suoi occhi passarono donne altissime col viso e il corpo celato da lucenti mantelli d’argento.Non si sentivano suoni di passi, sembravano fluttuare sull’erba. Erano seguite da cavalieri con le armature di corteccia a gli archi fatti di rami legati sulle spalle. Piccoli folletti con le orecchie a punta fungevano camminavano veloci dietro di loro, in equilibrio sui loro grossi piedi pelosi, avevano il capo  cinto da corone di fiori.Alla fine del corteo c’era il Re, viaggiava su una portantina  fatta di rami spinosi. Era circondato da una mistica luce dorata Ma il folletto la tirò giù nel cespuglio rimproverandola, e lei non riuscì a vederlo mai in viso. “
 Da “Le Avventure di Cecily D.” Di Cecily Dashwood            
 
 
 
 
Cecily Dashwood sorrideva raggiante, nonostante i capelli bianchi e il lungo bastone a cui si reggeva saldamente, sembrava come ringiovanita. Gabriel era fermo sulla porta , il sole era ormai calato ed era giunta l’ora di andare. Cecily non potè fare a meno di contemplare suo nipote.Gli occhi azzurro sbiadito continuavano a guizzare dal suo viso, ai suoi capelli e al suo sorriso gentile.Il suo istinto l’avrebbe portata ad appendersi al suo braccio e ad impedirgli di andare via, contringendolo a restare per sempre. Ma il massimo che poteva fare era inebriarsi della sua vista, per fissare nella memoria ogni singolo particolare del suo viso.Fino al momento in cui lo avrebbe rivisto.
“Arrivederci ,nonna” disse lui emozionato. Sentirsi chiamare in quel modo le provocava una piacevole stretta allo stomaco. Era da anni che cercava di persuadere Diana a chiamarla con qualche appellativo più affettuoso di “Cee”-le sarebbe bastato anche un semplice Zia Cecily- ma la ragazza era allergica a quel tipo di etichette, e sopratutto quando ci provava scoppiava a ridere in maniera incontrollabile.
“A presto.” si limitò a rispondere. Era una stranissima sensazione riparlare con qualcuno che si era conosciuto solo da bambino.Per tutta la mattina non aveva fatto che pensare a come si sarebbe dovuta comportare con suo nipote. Quando era piccolo era facile: bastava prenderlo sulle ginocchia, o accarezzargli i ricci scuri per renderlo felice. Come ci si comportava invece con una persona ormai adulta? Ripensando adesso a quei dubbi che l’avevano assillata, le veniva quasi da ridere. Era stato così facile parlare con lui, il suo sorriso gentile era contagioso e la sincerità dei suoi occhi era disarmante. Quano era bambino Gabriel era sempre stato l’ombra di Jonathan. Suo fratello era saggio, maturo, equilibrato, mentre Gabriel era un bambino molto fragile e insicuro. Adesso che era quasi un uomo Cecily era orgogliosa di vedere come era diventato. Aveva preso le migliori qualità di Jonatanh: era saldo come una roccia, ispirava fiducia e tranquillità a chiunque gli stesse intorno.Eppure era diverso dal fratello maggiore. La gentilezza di Gabriel era pura, i suoi occhi marroni avevano mantenuto il candore di quando era bambino. Cecily avrebbe voluto saltargli al collo, ma si limitò a stringergli la mano con tutto l’ardore possibile per una donna della sua età. Diana era poggiata al muro nascosta nell’ombra, a controllare che tutto filasse liscio. Anche se aveva cercato di nasconderlo, era molto preoccupata per quell’incontro, probabilmente temeva che il ragazzo avrebbe finito con spezzarle il cuore.
Gabriel aprì la porta e fece per andarsene ,aveva messo il piede sul primo scalino quando si bloccò a un tratto, come se un pensiero gli avesse attraversato la mente.
“Nonna, prima di andare via c’è una cosa che vorrei chiederti” disse rientrando ,e socchiudendo la porta alle sue spalle.
“Certo, dimmi pure”
“La fata Emeraude –quella dei tuoi racconti- in origine, per caso, doveva avere gli occhi come delle pietre? Intendo proprio delle pietre preziose, come dei rubini..” disse il ragazzo ,cercando di esprimere  goffamente con le mani il concetto.
Cecily sentì un vuoto alla testa. Se non avesse avuto il bastone tra le mani a sorreggerla probabilmente sarebbe caduta a terra dalla sorpresa.
“Cee?!” chiese Diana con la voce carica di preoccupazione,accorrendo alle sue spalle.Gabriel la sorresse per una spalla , aiutandola a sedersi.
“Io non l’ho mai detto a nessuno.” sussurrò Cecily con la voce incrinata dalla paura.”Chi te l’ha detto Gabriel?”
“No nessuno, niente di cui preoccuparsi, davvero..” rispose lui sedendosi accanto. Diana si inginocchiò ai loro piedi, continuando a fissare preoccupata la sua amica.
Chi, Gabriel?!” chiese ancora, con la voce che diventava mano mano più stridula.
“Io, credo di averlo sognato...ma è solo una coincidenza. Ho visto i tuoi disegni sulla biografia.” rispose il ragazzo tutto di un fiato. Cecily si portò le mani alle tempie, e chiuse gli occhi.
“Gabriel, cos’altro hai sognato? C’erano delle spine,o....o delle rose bianche?!”
L’espressione del ragazzo fu sufficente come risposta.
“Diana, portami il volume sei per favore. Ha la copertina bianca.” ordinò dopo un pò la donna , recuperando finalmente un pò di fermezza nella voce.
“Cee, non mi sembra prorpiro...”
Diana” ripetè con tono autoritario. La ragazza si alzò riluttante, sentirono i suoi passi risuonare nel corridoio mentre si allontanava.
 
Gabriel continuava a fissare sua nonna, incredulo di come quella che era stata una piacevole serata, si fosse tramutata d’un tratto in quella stranissima situazione. Non appena Diana le aveva consegnato il volume, Cecily aveva aperto il libro a colpo sicuro a pagina sessantasette, e aveva cominciato a scorrerla con un dito intirrizito.  Gabriel rivolgeva a Diana sguardi preoccupari. La ragazza invece lo ricambiava con uno sguardo furioso, come se fosse solo colpa sua.Non era più l’adorabile vecchina che aveva conosciuto, sembrava più che altro una donna in preda a qualche allucinazione...o in piena crisi schizofrenica. “ ...La casa del Re è un roseto coperto da grosse rose bianche... ogni notte lui si stende sotto le sue foglie....e rimane giovane per sempre...non teme le spine perchè tutta lo foresta lo obbedisce...è il padrone della stagioni ed è il re dei sogni...” leggeva Cecily ad alta voce, come una forsennata. Gabriel scorse la pagina che stava leggendo da dietro la sua spalla:la fiaba era intitolata “ Il Re della Foresta”,  era impreziosita da una colorata illustrazione. Raffigurava una giovane seduto un trono di rami, dai capelli biondi e boccolosi. Il capo era ornato da una corona di rosa candide,e le sue vesti erano dipinte con pennellate dorate e di bronzo. Era un tripudio di oro e di bianco .
“Gabriel!” lo chiamò la nonna , artigliandogli una mano e portandosela alle labbra. Aveva gli occhi spalancati, come quelli di una folle.Qualche ciuffo bianco era uscito dall’acconciatura, cadendole sugli occhi e conferendole un’espressione ancora più drammatica “Devi stare attento, lui è il Re. Qualunque cosa ti chieda, tu non farla...evita la foresta...non andare mai nella foresta...”
“ Okay, Cee. Adesso mi stai davvero spaventando!” intervenne Diana, strappando il libro dalle ginocchia della nonna. Lo posò su un tavolino, il più lontano possibile dai suoi occhi. Con una certa fermezza staccò la mani nodose e  tremanti di lei da quelle di Gabriel, incitandola ad alzarsi.
“Sei stanca, troppe emozioni oggi. Và a dormire.” ordinò la ragazza con tono fermo,mentre le riponeva il bastone tra le mani. Cee obbedì , aveva gli occhi ancora vitrei e stralunati. Si limitò a salire lentamente le scale borbottando in maniera incomprensibile.
“E tu vieni con me!” esclamò furiosa la ragazza, trascinandolo per la manica della camicia fuori dalla porta. Nel giro di un attimo i due si ritrovarono davanti alla porta della villa chiusa, con Diana che lo fissava furiosa.
“Okay,okay, ricevuto.” disse lui, scrollandosi dalla presa della ragazza, e riuscendo a fargli mollare finalmente la camicia “...che diavolo le è successo?”
“E’ successo che sei un idiota! Come ti è venuto in mente di raccontarle quelle cose?” esplose lei, rimarcò quelle parole tirandogli un fortissimo pizzicotto sul braccio.
“AHIO!Cosa c’entro io?! Un minuto prima era calma e poi..”
“Ma dico, l’hai vista ?! Era sconvolta!”
“...dovevo chiederglielo,dovevo saperlo! Hai sentito, ha parlato anche lei di quelle rose...”
“..O sì! Lui doveva saperlo! Non poteva aspettare nemmeno un attimo! Credi davvero che le abbia raccontato del fatto che mi sono svegliata nuda nella foresta?...”
“Nuda?!”
“...non puoi scaricarle questo peso addosso!”
“In che senso nuda?!”
“...Non è la prima volta ..e anziana, cazzo ! A volte si confonde , perde la testa, parla di fate e di tutta quella roba..”
“Ma come potevo immaginarlo! Come?!”
“...è malata! E tu ti metti a fare quelle domande da detective del cazzo! Potevi tirare fuori il fratellino morto già che c’eri!”
Calò il silenzio. Per fortuna la casa della nonna era abbastanza isolata dal resto della città, se ci fossero stati dei vicini avrebbero già ricevuto una secchiata d’acqua in testa.
Gabriel non riusciva ancora a sopportare che lei parlasse con leggerezza della morte del fratello, come se si trattasse di una cosa su cui poter fare tranquillamente dell’ironia, e non di una vera tragedia. Sentì la rabbia montargli dentro. Per un attimo Diana lo guardò intimorita, vedere una persona di quella stazza fissarti in quel modo doveva fare un certo effetto.
“Sei proprio...una...una..” farfugliò avvicinandosi.
“Una cosa?!” chiese lei rabbiosa. Le labbra erano piegate in quel solito sorrisetto derisorio. Gabriel si chinò su di lei , così vicino da sfiorarle quasi il viso.
“Sei proprio una stronza del cazzo!”
Effy sarebbe stato proprio orgogliosa si lui. Girò sui tacchi e risalì il vialetto, evitando accuratamente di voltarsi. Una scena molto teatrale. Sentì la porta di casa sbattere alle sua spalle, mentre si riavviava verso la città. Passò qualche minuto prima che riuscisse a calmarsi effettivamente. Rallentò il passo recuperando finalmente il controllo. Il cellulare vibrò nella sua tasca posteriore. Era un messaggio di Mel, che gli chiedeva a che ora si sarebbero visti quella sera. Gabriel pigiò i tasti del cellulare con un forza eccessiva, rispose con un sms del tutto sgrammaticato. Quella ragazza lo faceva uscire proprio dai gangheri!Che colpa ne aveva lui , se la nonna non aveva tutte le rotelle a posto? La brezza della sera gli scompigliò i capelli, coontribuendo a rinfrescargli la mente. Forse la mamma aveva ragione. Era vero che la nonna viveva troppo nel mondo dei suoi racconti.Non credeva che la colpa della morte di Jonathan fosse sua , ma cominciava a comprendere un pò di più sua madre. Cecily forse era davvero troppo immersa nelle sue fantasie: gli elfi, le fate, la magia...la stavano facendo uscire proprio di testa.Era per questo che sua madre non era mai ruscita a chiarsirsi con lei? Ripensò al carattere pratico e risoluto di Magda,cercò di immaginare come avrebbe reagito quella sera a sentir parlare di cose come il-re-delle-fate. Sua nonna era veramente pazza come dicevano?! C’erano ..delle rose bianche Gabriel? Era solo una caso che le avesse chiesto delle rose? Forse viveva talmente nei suoi libri, da confondere facilmente la realtà con la fantasia. Ma era pur  sempre una strana coincidenza: i sogni che aveva fatto, gli occhi della fata Emeraude, l’episodio dell’altra mattina.Continuò a rimurginarci fino a che non fu tornato a casa. Quella sera non raccontò alla sua famiglia dove era stato, ma fu più gentile con i suoi  genitori.
 
 
Liv Wilson tentò disperatamente di tirarsi giù la maglietta. Era una bianca e aderente, tesa sulla sua pancia sembrava mettere in evidenza la sua ciccia proprio come se fosse nuda. Si fissò ancora una volta nella teca di vetro. Le veniva proprio da piangere. Abbassò ancora di più la maglietta, e si chinò a prendere altri due grossi coni arancioni di plastica. Fissò ancora la sua immagine. I suoi capelli erano di uno scialbissimo castano chiaro, e non avevano alcuna forma. Indossava degli occhiali quadrati e vecchi, visto che sua madre insisteva a non farglieli cambiare. Odiava la sua faccia. Al posto delle guance sembrava avere dua palloncini, e oggi aveva anche un brufolo sul mento.Quel giorno si era passata una matita verde sulla palpebra, nella speranza di mettere in evidenza i suoi occhi dal verde incerto. Si riabbassò la maglietta,e, con le braccia cariche di coni di plastica, uscì dagli spogliatoi dirigendosi all’aperto.Ma come le era venuta quella stupida idea? Sua madre aveva cercato di impedirglielo. Lei con le sue cosce gigantesche, e con i piedi piatti,come poteva iscriversi al club della corsa campestre?! Non appena aveva calzato la maglietta e i pantaloncini microscopici si era subito resa conto dell’assurdità della cosa. Almeno era riuscita a sostituire quei cosi striminziti con dei leggins neri. Avrebbe fatto meglio a rimanere a casa, e a mettersi seriamente a dieta. La luce del sole per poco non la accecò. Camminò goffamente nel campo della scuola, verso Melanie che in piedi sulla panchina si sbracciava inditandola ad avvicinarsi. La osservò in lontananza, bella e magra stretta nei suoi pantaloncini bianchi. Si pentì ancora una volta della sua scelta. Era stato così imbarazzante dover consegnare il modulo di iscrizione a lei e a quella pomposa di Lizzy Taylor. Lizzy l’aveva osservata- da sotto i sui capelli biondo platino perfettamente lisci- che una forma ce l’avevano eccome- con un sorriso sulle labbra e con lo sguardo pieno di scetticismo. Per fortuna era intervenuta Melanie a porre fine a quel momento di imbarazzo, le aveva strappato il modulo di iscrizione di mano e le aveva rivolto un sorriso gentile. Liv in realtà odiava anche lei. Cercava sempre di essere gentile e disponibile, ma riusciva solo a rimarcare quanto Liv fosse goffa e imperfetta.Melanie aveva preso il foglio senza tante cerimonie, le aveva allungato una divisa e le aveva detto di presentarsi al campo quel pomeriggio. Le aveva dato una taglia XL, che arpia! Una L sarebbe andata benissimo. Ma Liv non la odiava solo per questo, non solo perchè lei era tutto ciò che sarebbe voluto essere. La odiava sopratutto per un altro motivo. Quel motivo era alto un metro e ottanta, aveva i capelli ricci castani, e il viso più bello e dolce del mondo. Era solo per Gabriel Hayes che lei si era iscritta a quello stupido club. Solo per lui. Gli allenamenti di basket coincidevano con i loro, mentre le ragazze correvano intorno al campo, i ragazzi della squadra facevano riscaldamento prima di fiondarsi sul canestro. Non appena era arrivata lo aveva visto da lontano. Indossava la divisa della squadra, e rideva spensierato con Robbie Norton, il capitano della squadra. Era bellissimo, alto, con le braccia muscolose che spuntavano dalle maniche della maglietta. Lo vedeva ogni giorno alla fermata dell’autobus, e per lei era sempre una gioia. Era gentile con lei. Non era le gentilezza invadente di Melanie, no. Era una gentilezza pura e semplice. La faceva sempre salire per prima sull’autobus , e le sorrideva in modo caloroso. Oddio quanto lo amava.
“Portali qui Liv!” urlò Melanie dall’altra parte del campo. Liv si bloccò per un attimo. Riconobbe un gruppo di ragazzi seduti sui primi spalti. Erano Mike e i suoi amici. Mike Enderson era letteramente il suo incubo. Erano finiti in classe insieme da quando erano all’asilo, e non perdeva mai l’ occasione per tormentarla. Una volta le aveva versato un intero piatto di pasta sulla camicia, proprio davanti a tutti. Quando non riusciva a nascondersi da lui nei corridoi, quello cominciava a urlare chiamandola “Big Liv”, e facendo in modo che tutti lo sentissero.Un’altra volta le aveva tirato un pugno in pancia, ma aveva avuto l’accortezza di agire nei bagni, quando non c’erano testimoni. Non oggi, ti prego. Non oggi. Pensò la ragazza con tutte le sue forze, fissando Gabriel, che, ignaro di tutto, continuava a chiaccherare con Robbie, facendo stretching con le lunghe braccia. Perchè? Perchè le toccava portare quegli orrendi cosi di plastica per tutto il campo proprio con Mike Enderson nelle vicinanze? Era tutta colpa di quella stronzetta di Melanie, l’aveva fatto apposta. L’aveva mandata di proposito a prendere gli ostacoli negli spogliatoi, solo perchè lei era più robusta delle altre. Una goccia di sudore le scivolò sul naso, contribuendo a far scenderle ancora di più gli orridi occhiali. Fissò Mike Enderson con la coda nell’occhio,e quello si voltò come un cane da punta, proprio come se avesse potuto percepire il suo sguardo terrorizzato.Aveva la faccia piena di brufoli, i capelli tinti di un improbabile rosso acceso divisi in punte aguzze fissate col gel. E poi cadde. Fu il massimo dell’imbarazzo, uno dei coni le rotolò in mezzo i  piedi , come se fosse sgusciato via dalla sua stretta per magia,facendola finire a carponi sull’erba. Gli occhiai caddero con un tonfo lì vicino. Che vergogna. Senza occhiali non vedeva nulla, riuscì solo a distiguere una massa nera e rossa che si avvicinava.
“Ehi Big Liv! Attenta se cadi di nuovo farai venire un terremoto!” disse, accompagnato dalle risate dei suoi amici in sottofondo.Era in piedi di fronte a lei. Puzzava di sigaretta e di sudore. Liv non rispose, allungò un braccio nel tentativo di raccogliere quella macchia arancione davanti a lei che era doveva essere un cono. Mike gliel’allontanò con un calcio.
“Mi hai sentito, Big?!> le gridò nell’orecchio chinandosi verso di lei. La osservò meglio, e solo allora si accorse della divisa che indossava. Un sorriso maligno si disegnò sul suo viso. “Corsa campestre?Sul serio, Liv? Se ti metti a correre tu, altro che terremoto , ci aspetta un cataclisma.” Alle risate degli amici si aggiusero alcuni borbotii in sottofondo. Perchè proprio davanti a Gabriel? Perchè?! Liv si mosse in maniera impacciata, cercando gli occhiali a tentoni . Mentre si piegava udì un rumore inquietante. Qualcosa che si strappava. I pantaloni elastici si aprirono proprio sul suo didietro, lasciando in bella mostra uno scorcio dei suoi mutandoni rosa a pois. Com’era possibile? Non le andavano mica così stretti!La risata di Mike si trasformò in un vero e proprio latrato. Era piegato in due, e si batteva la mano sulla coscia con le lacrime agli occhi.
“Non lo sai che sei troppo cicciona per questi pantaloni?!” urlò lui tra uno scoppio di risa e l’altra. Due calde lacrime le scesero lungo le guance.Nessuno sarebbe venuta in suo aiuto, nessuno lo faceva mai. Aveva tutti troppo paura di prenderle da Mike e dai suoi amici.
“ENDERSON! Perchè non te la prendi con qualcuno della tua taglia?” tuonò una voce maschile alle sue spalle. Liv sentì qualcuno che le posava delicatamente un indumento sul fondoschiena.Era la giacca di una tuta bianca e rossa. Gabriel Hayes era alle sue spalle, con la gambe divaricate e le braccia conserte. Si chinò su di lei aiutandola ad alzarsi senza aspettare una risposta. Liv si spostò prontamente dietro di lui, legandosi la felpa in vita.
 
Mike si sollevò in piedi, e lo fissò con un un sorriso che andava da un’orecchio all’altro.Negli occhi aveva un luccichio maligno.
“Hayes. Su, sta calmo. Ci stavamo facendo solo due risate...” disse con tono leggero, infilando le mani nelle tasche della felpa “ti stavo divertendo, vero B. Liv?”. La ragazza emise una specie di squittio, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano e nascondendosi ancora di più dietro le ampie spalle del ragazzo. Gabriel lo ignorò, continuando a fissarlo con gli occhi incendiati dalla rabbia. Era più alto di Mike almeno di tutta la testa. Quell’idiota dai capelli tinti non gli faceva nessuna paura, anche se i pettegolezzi dicevano che avesse rotto il braccio di un ragazzo del terzo anno il mese prima.
“Divertiti con qualcun’altro la prossima volta” disse serio Gabriel.
“...Oppure?” chise l’altro , continuando a sorridere in modo maligno.
“Oppure ti spacco quella faccia di merda.”
Il sorriso scomparve in un attimo dal volto di Mike. Ruotò su se stesso rivolgendosi ai suoi amici.
“Sentito ragazzi , Hayes ci farà la bua se non ce ne andiamo. Tranquillo Hayes, abbiamo finito..” disse facendo qualche passo,per dimostrare che stava abbandonando il campo. Quando un sonoro crack risuono nell’aria. “Ops!” disse ironicamente Mike, fissando gli occhiali di Liv, che ora giacevano col vetro in frantumi sotto le sue scarpe da tennis. Gabriel gli tirò un pugno dritto sul naso. Il ragazzo urlò, piegandosi su stesso, e imprencando a gran voce. Un fiotto di sangue gli scorreva tra le dita.Fissò Gabriel da sotto le sue soppracciaglia spesse, prima di saltargli addosso. Dopo di che fu solo un groviglio di braccia e gambe che rotolavano sull’erba. Gli amici di Mike incitavano il loro campione, mentre Melanie e Robbie si erano avvicinati gridando al loro amico di fermarsi. Continuanrono a rotolare un altro pò, in una nuvola di polvere. Gabriel ,che ora stringeva una ciocca di capelli rossi in mano, ricevette un pugno dritto sull’occhio.Alla fine riuscì a inchiodarlo per terra col peso del suo corpo. Per un secondo si squadrarono in cagnesco, prima che Mike gli tirasse una testata dritta sulle gengive. Gabriel sentì il sapore del sangue. Un numero indefinito di braccia lo presero per le spalle, costringendolo a staccarsi dal suo avversario. Mike rimase a terra cercando di tamponarsi intutilmente il naso, il sangue gli era gocciolato sui jeans formando tante piccole macchioline scure.
“Sta calmo amico, finisce che lo ammazzi!” gli sussurrò Robbie all’orecchio. Gli aveva passato le braccia sotto le ascelle in una morsa ferrea. Insieme ad altri due ragazzi che gli bloccavano le braccia. Mike si alzò a fatica aiutato dai suoi amici. Gabriel si rilassò, e dopo un attimo di esitazione Robbie lo libero dalla sua stretta.
“Amico, non ti ho mai visto scattare così” disse fissandolo con una certa preoccupazione. Gabriel si pulì la bocca con il dorso della mano, lasciandovi una scia di sangue. Melanie- che si era prudentemente tenuta a distanza fino a quel momento- fece per avvicinarsi, fissando con ansia il suo viso impiastricciato di polvere e sangue. Furono interroti da una voce alle loro spalle.
“HAYES ,ENDERSON! In presidenza, adesso!”
 
Gabriel uscì dalla presidenza, lasciando entrare Mike al suo posto. Quello lo guardò sottecchi con rabbia, e gli tirò uno spintone. Gabriel non reagì, si era sfogato ormai. Chiuse la porta della presidenza alle sue spalle, e raggiunse Melanie, che lo attendeva appogiata al muro del corriodio a braccia conserte.Indossava ancora la tenuta da corsa.
“Allora?” chiese lei impaziente. Aveva le sopracciglia contratte, e lo sguardo furioso.
“Non mi espelleranno. Per buona condotta immagino. Chiameranno i miei però” rispose lui, tamponandosi il sangue ormai secco sulla labbra. Melanie si avvicinò brontolando. Aveva in mano un fazzoletto che inumidì  con una bottiglia d’acqua..Si alzò sulle punte e lo passò sul viso del suo ragazzo con non troppa delicatezza.
“Ahio!” si lamentò lui scostandosi. Melanie si mise le braccia sui fianchi, e lo fissò come una mamma che guarda un bambino pestifero.
“Ti rendi conto di quanto ti sei comportato da ..stupido?” esclamò, rimarcando l’ultima parola con particolare disgusto.
“Stupido?!” disse lui sbigottito, “Sono l’unico ad essersi accorto di cosa stava facendo a Liv quel verme?”
“Ti credevo diverso Gabriel! “ disse lei, con quel tono da maestrina che gli  fece veramente saltare i nervi. “Ti sei comportato in maniera ridicola,come quei bellimbusti che cercano una scusa per menar le mani, e far vedere quanto son bravi!Non credevo fossi così”
Il ragazzo la guardò stupito, incapace anche di rispondere.
“Mi stai dicendo..” disse in tono ironico, “che me avrei dovuto lasciarla passare liscia a quel verme di Enderson?!Senza fare niente?”
“NO! Ti sto dicendo che non c’era bisogno di comportarsi come un...come un ...animale! Dovevamo andare a chiamare il professore...”
“Mel, la stava umiliando!” disse lui alzando pericolosamente il tono di voce “non ci credo che fai sul serio! Ho fatto la cosa giusta, cazzo! Quello che nessuno aveva il coraggio di fare!”
“Questo non è coraggio!” rispose lei esasperata “Questo è comportarsi da stupidi! Non ti riconosco più davvero..Non ti sei mai comportato così!”
Gabriel sospirò, e si allontanò da lei passandosi le mani tra i capelli con frustazione.
“E adesso dove diavolo vai?” gli urlò lei da dietro.
“Vado a casa,Mel.” rispose lui, lasciandola lì da sola in corridoio.
 
Doveva recuperare le sue cose prima di tornare a casa. Gettò uno sguardo sul campo dalla finestra, era vuoto. Gli allenamenti erano finiti da un pezzo. Raggiunse il suo armadietto giallo continuando a rimurginare su quanto era accaduto. Una piccola parte di lui era orgogliosa di aver fatto sanguinare a dovere il naso di quell’imbecille, per il resto continuava a crogiolarsi sulle parole di Mel. Non ti riconosco più. Bè, nemmeno lui si riconosceva più a dire il vero. Melanie conosceva solo il suo lato migliore, quello saggio e pacifico. Se solo avesse saputo come si sentiva in presenza di Diana, sarebbe rimasta sconvolta. Il dubbio che lo tormentava da giorni stava diventando sempre più reale. Tutta la sua vita era una brutta copia di quella che avrebbe avuto Jonathan, a partire dai progetti per il futuro fino alla sua ragazza. In un attima di follia si ritrovò a chiedersi chi avrebbe scelto Melanie tra lui e suo fratello, se lui non fosse affogato quel giorno. Digitò la composizione del suo armadietto, e ancora con la testa tra le nuvole vi infilò una mano dentro senza cercare qualcosa in particolare.
“Ahi!” gemettè, allontanando la mano di scatto.Sull’indice si era formata una minuscola goccia di sangue. Mi sono punto? Spalancò la porta dell’armadietto, e quello che vi trovò dentro gli provocò un’amara sensazione alla bocca dell stomaco. Su una pila di libri era adagiata una corona di rose bianche, la più bella che avesse mai visto. Ogni rosa era grossa come un pugno, e ricca di petali luccicanti. I gambi erano pieni di piccole spine. Per un secondo si chiese come aveva fatto l’autore a  intrecciarla senza pungersi. Chiuse l’armadietto con un rumore assordante che riecheggiò per il corridoio vuoto. Posò la testa sul metallo freddo, incapace di muoversi e sopratutto di riaprire l’anta. Qualcuno lo stava perseguitando. Qualcuno che usava una rosa bianca come firma.Davanti ai suoi occhi balenò un immagine che aveva visto solo qualche sera prima. L’immagine di un re ragazzino, seduto su un trono di rami, con una corona di rose bianche in testa. Si mise lo zaino in spalla, e si diresse verso casa, senza preoccuparsi di buttare quell’omaggio floreale poco gradito. Non sapeva cosa pensare. Aveva come la bruttisima sensazione che il suo misterioso persecutore si ispirasse ai libri di sua nonna, e Dio solo sapeva perchè.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


“ ... ‘Ma è vero che le fate non possono mentire?’ chiese la bambina, al vecchio tasso. Il vecchio saggio, così lo chiamavano, stava tutto il tempo seduto –sì proprio seduto, come una persona!- sul suo ciocco di legno. Era cieco , le sue pupille avevano il colore della luna. ‘Ma no sciocchina! È una frottola inventata dai folletti, per farvi cadere nei nostri tranelli! Non fidarti mai di un folletto ,piccola Cecily. “ Da “Le Avventure di Cecily D.” Di Cecily Dashwood “ ... ‘Ma è vero che le fate non possono mentire?’ chiese la bambina, al vecchio tasso. Il vecchio saggio, così lo chiavano, stava tutto il tempo seduto –sì proprio seduto, come una persona!- sul suo ciocco di legno. Era cieco , le sue pupille avevano il colore della luna.
‘Ma no sciocchina! È una frottola inventata dai folletti, per farvi cadere nei nostri tranelli! Non fidarti mai di un folletto ,piccola Cecily. “
 Da “Le Avventure di Cecily D.” Di Cecily Dashwood            
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La mattina successiva la corona di rose era sparita nel nulla.L’armadietto non era stato forzato ,e il lucchetto era al suo posto come sempre. Qualcuno stava cercando di farlo impazzire.Una vocina nella sua testa gli diceva che era cominciato tutto il giorno in cui aveva conosciuto Diana, il giorno in cui aveva sognato un paio di occhi gialli spaventosi. Aveva dormito un sonno agitato, riuscendo a pensare solo  alla corona e all’illustrazione del libro della nonna.Lo sguardo buono e dolce del disegno, nel silenzio della notte, era diventato sinistro e inquitante.Non aveva alcun senso. Non c’è niente soprannaturale. Si trattava di qualche pazzo che lo odiava. Qualcuno che stava cercando di spaventarlo. E lo stava facendo da vero fuori classe.Era una domenica di fine settembre, ma quel giorno si sarebbero trovati tutti a scuola. Quella mattina si sarebbe svolta la consuenta “fiera del libro” . Lo scopo era quello di arrichire la biblioteca della scuola a costo zero. I cittadini potevani donare libri usati di qualunque genere. Anche quell’anno era stato incastrato, Melanie lo costringeva a rendersi utile praticamente in ogni evento extrascolastico. In realtà avrebbe partecipato l’intera squadra di basket, dieci ragazzoni alti erano molto più utili delle ragazze a trasportare  pesanti casse di libri. Quella mattina aveva buttato giù solo un pò di caffè e, grazie a Mike Enderson, ora aveva anche un bellissimo occhio nero a decorargli il viso.Magda di solito adorava la fiera del libro, insisteva sempre per dare una mano e preparava uno scatolo di vecchi libri apposta. Quella mattina si limitò ad augurargli buon giorno, con un sorriso tirato. Gabriel colse uno sguardo di intesa tra i  suoi genitori. Stranamente non era stato sgridato per la piccola rissa in campo di due giorni fa. Andrew si era limitato a rivolgergli un rimprovero formale a cena, e in modo nemmeno troppo convinto. Sospettava che i suoi genitori avessero interpretato il suo  gesto come una sorta di ribellione , dopo il litigio a proposito della malattia della nonna. Sembravano voler lasciar correre , proprio come con Effy. Gabriel avrebbe voluto suggerirgli che sarebbe bastato guardare come si era conciata sua sorella quel giorno, per intuire che quel metodo non era poi così efficente. Per Effy la fiera del libro era solo un’occasione per vestirsi carina e pavoneggiarsi davanti ai compagni. Quel giorno indossava una minigonna nera fin troppo corta e stretta , e una camicia color crema, trasparente e con le maniche risvoltate. In realtà il freddo autunnale cominciava a farsi sentire, checchè ne pensassero le gambe senza calze di sua sorella.I lunghi capelli erano legati in una treccia.
“EFFY! Torna al tuo banco!” gridò Gabriel, osservando sua sorella ridacchiare con una delle sue amiche-fotocopia. Quell’anno aveva deciso anche lei di iscriversi al comitato organizzatore,ma si limitava a trasportare un solo libro alla volta sotto il braccio, sfilando davanti ai banchetti, in bilico sulle sue zeppe nuove.Le rispose sollevando poco eleganemente il dito medio.Sbuffò spazientito. Robbie rise di gusto, tirandogli una gomitata. Per fortuna erano stati messo a lavorare insieme, il loro compito era compilareil registro, aggiungendo mano a mano i libri che gli passavano dal banco delle ragazze là vicino.
“Una bella gatta da pelare , eh? A sedici anni sono dei diavoli , amico. Ti capisco , con mio fratello è lo stesso!” disse con tono consolatorio Robbie, mentre litigava con una penna bic che non si decideva a scrivere.
“Non dirlo a me. Sembra che si diverta a fare tutto il contrario di quello che le dico...o no, con Jack Rivers no, per favore!” si lamentò Gabriel, osservando sua sorella che faceva gli occhi dolci a Jack Rivers, un suo compagno di classe che usava un pò troppa brillantina, e che sembrava avere un uccello da cucù a posto del cervello.
Robbie ridacchiò.
“Dì loro quello che devono fare, e loro faranno esattamente il contrario!” senteziò saggiamente Robbie. Gabriel sfogliò la pagina del registro, pronto a riempire una nuova riga. Tra i due amici calò il silenzio.
“Robbie?”
“Uhm..si?” rispose quello, buttando con gioia la penna nel cestino e aprendone una nuova.
“Posso chiederti una cosa?”
“Spara amico!” disse passandosi una mano sulla grossa testa rasata.
“Sento che ultimamente con Melanie le cosa non vanno a gonfie vele. Voglio dire, ho l’impressione che non mi capisca. Sento che ci sono dei lati di me che non conosce, e che non apprezzerebbe. Non capisco neanche io il motivo.”
“Mmm. Gabriel caro, in realtà è semplice.” disse fissando con orgoglio il titolo che aveva appena trascritto ordinatamente sul registro.Non aveva mai sentito nessuno  usare nella stessa frase le parole “semplice” e “donne>.
“A sesso, come state messi?” chiese ,senza curarsi di abbassare la voce.A Gabriel sfuggì la penna di mano, la pagina del registro adesso era rovinata da una lunga linea nera.
“Bè, ehm..in realtà noi..” borbottò imbarazzato. Con Eddy e Fred si parlava sempre di sesso, ma non in quel modo. Se ne parlava in astratto, e Melanie non veniva mai menzionata.
Un piccolo colpo di tosse interruppe la loro conversazione. Liv Wilson era in piedi davanti a loro, e stringeva tra le mani la giacca della tuta di Gabriel. Al ragazzo non sfuggirono i nuovi occhiali, con la montatura rossa e spessa.
“Ciao, Liv” la salutò lui con un sorriso caloroso. Quella continuava a guardarsi i piedi, nel più totale imbarazzo.Dopo qualche secondo di silenzio, gli tese la felpa con un gesto quasi meccanico.
“Io..l’ho lavata...e stirata” disse in un sussurro. Dalla felpa proveniva un piacevole profumodi bucato a confermare quelle parole. “Volevo..ehm ...r-r-r..”
“Non c’è bisogno Liv. Davvero. E’ stato solo dovere”
“....bè...allora..g-g-graz..”
Il borbottio senza forma di Liv fu interroto da un libro che veniva schiaffato sul tavolo, proprio sotto il suo naso. Aveva la copertina in pelle rossa e il titolo inciso a lettere d’oro. Gabriel riconobbe immediatamente le mani bianche e magre che reggevano il libro.Era prima volta che la vedeva con i capelli raccolti, stretti in una coda sulla nuca. Indossava un paio di scintillandi occhiali da sole neri. Per il resto calzava sempre il solito jeans strappato.  Gabriel abbassò lo sguardo cercando di ignorarla. Era ancora arrabbiato con Diana, per come era scattata l’ultima volta. Robbie si limitò a rimanere in silenzio,mentre lui era tornato freneticamente a scrivere. Se non fosse stato tanto in collera con lei sarebbe scoppiato proprio a ridere. Era rimasta in silenzio con il libro ancora stretto tra le mani, e lo guardava sfacciatamente da sotto gli occhiali scuri. Non si preuccupò nemmeno di scusarsi per aver interroto la conversazione. Liv scappò via borbottando tra se e sè qualcosa che somigliava a un grazie.Gabriel finse di concentrarsi con attenzione eccessiva su quello che stava scrivendo.La cosa divertente era che aveva desiderato per giorni di parlarle, non immaginava nessun altro a cui raccontare il misterioso episodio delle rose. Con Melanie non era proprio il caso, erano rimasti abbastanza freddi da allora.
“I libri da donare vanno portati lì ...” intervenne Robbie,cercando di attirare l’attenzione della ragazza, che continuava imperterrita a fissare Gabriel.
“Ho come l’impressione di aver interroto qualcosa.” disse lei ignorandolo, e voltando finalmente lo sguardo verso Liv che si allontanava.” E comunque questo libro non è in vendita.” disse poi lapidaria verso Robbie, che sollevò le sopracciaglia sorpreso.Rimasero tutti e tre in silenzio per qualche secondo. “Vi pagano almeno per fare questo mercatino idiota?”
Gabriel sbuffò esasperato. Se non le avesse prestato attenzione avrebbe cominciato a diventare pungente peggio del solito.Per un secondo se la immaginò a dire qualcosa di sarcastico verso Robbie, soprannominandolo con qualcosa come “Testa-pelata”.
“Okay...Robbie, ci puoi concedere un secondo?”
“Certo” rispose quello con un sorrisetto sulla labbra, “credo proprio che Lizzy mi stia chiamando!” si allontanò, riuscendo a stento a trattenere le risate.
Gabriel continuò a concentrarsi su quello che stava facendo,cercando di mantenere contemporamente un atteggiamento disinvolto.
“Potresti smetterla di far finta di scrivere. Stai con la penna sulla stessa parola da cinque minuti..”
“O santo Cielo! Va bene Diana, che c’è?”
“Hai detto sul serio Santo Cielo?
Gabriel rivolse lo sguardo da un altra parte, incrociando le braccia al petto.
Lei fece scivolare il libro sul tavolo verso di lui . Lo riconobbe subito, era quello che avevano consultato la sera a casa della nonna.
Lo prese, e quello si aprì quasi da solo, su una pagina in cui era incastrata una busta da lettere, di una spessa carta color pergamena.
“Me lo manda la nonna?” chise il ragazzo, fissando la pesante busta contro luce.
“La busta si. Non concepisce cose come dare-un-apputamento-per-telefono,  purtroppo. Il libro invece è un mio regalo.” Gabriel la fissò curioso, incitandola a continuare. “Credo che dovresti dare davvero un’occhiata alla storia sul Re della Foresta”
Gabriel sfogliò distrattamente le pagine, fino a quando non trovò quella giusta. Osservò di nuovo il ritratto del Re, con la luce del mattino il suo sguardo sembrava meno inquietante. Rimasero in silenzio per qualche secondo.
“Oh, e va bene. S-c-u-s-a. Sentito? Non dovevo scattare in quel modo l’altra sera, ricevuto. La prossima volta che devi dire cose inquietanti, cerca prima di consultarti con me, va bene?” disse lei  tutto d’un fiato, mentre si levava gli occhiali da sole con una mano sola. UN capello nero finì fuori posto. Gabriel sorrise suo malgrado.
“Un momento...è un occhio nero quello che vedo?” chiese Diana incredula, sollevando un sopracciglio. Il ragazzo emise un piccolo colpo di tosse imbarazzato, cercando inutilmente di coprire l’occhio pesto con una mano. Anche se aveva messo Mike k.o. , quell’idiota gli aveva lasciato un bel ricordino.
“Diciamo che ho avuto una piccola discussione, niente di importante.” rispose a bassa voce. Diana incurvò le labbra in un vero sorriso, anzi sembrava si stesse trattenendo dallo scoppiagli a ridere in faccia.
“Non ti si addice affatto, Clarke Kent. Non rientra nel tuo personaggio, tu sei quello buono.”
Gabriel la fissò scettico, avrebbe voluto tanto fargli notare che ultimamente non si sentiva per niente buono. Una vocina interiore gli ricordò che erano giorni che ignorava Melania, senza sentirsi minimamente in colpa.
“Lascia perdere questa storia..piuttosto, ti è successo nient’altro di strano ultimamente?” chiese il ragazzo, abbassando ancor di più la voce. L’esitazione di Diana fu quasi impercettibile, ma Gabriel se ne accorse. La ragazza sembrava improvvisamente a disagio, anche se si limitò a rispondergli che no, non le era accaduto nulla di strano. Fece finta di non accorgersi di nulla, limitandosi a dirgli che a lui invece stavano succedendo parecchie cose strane. Voleva parlarle.
“Quando?” disse lei con trepidazione. Lo fissava in modo diverso, in maniera ansiosa ,impaziente. Gabriel era sul punto di risponderle prima che qualcuno si attaccase al suo braccio, interrompendoli proprio sul più bello.
 
Melanie mise da parte l’ennesimo libro, era insieme a Lizzy ,e il compito della loro squadra era quello di assicurarsi che i libri fossero in buono stato, e poi inserirlo nella giusta categoria. Aveva tra le mani una copia abbastanza malandata del libro “Espiazione”. Osservò il titolo sul dorso del libro, quella parola solleticò la sua mente, lasciandole un senso di amarezza in bocca. Involontariamente rivolse lo sguardo verso Gabriel, era insieme a Robbie apparentemente tutto preso dal suo lavoro. Sospirò amareggiata, mettendo da parte il libro. Era da circa tre giorni che le cose con Gabriel non andavano bene,dalla loro ultima discussione lui era diventato stranamente freddo. Si sentivano poco, e non si erano visti affatto. Melanie prese tra le mani un nuovo tomo, dopo aver posato il precedente nello scatolone destinato alla narrativa contemporanea. Non si sentiva propro in colpa, era ancora convinta di avere ragione. Lei e Gabriel si erano conosciuti proprio tra le mura del liceo. Era stato lei a sceglierlo, quel giorno in cui l’aveva aiutata a raccogliere tutti i suoi quaderni, che si erano sparpagliati lungo il corridoio. Appena lo aveva visto aveva capito che era l’uomo della sua vita. Era così diverso da tutti gli altri ragazzi: inaffidabili, volgari, oziosi. Gabriel aveva tutte le qualità che aveva mai desiderato in un uomo: era assennato, e saldo come una roccia. Era il punto fermo della sua vita. Era per questo che l’aveva scelto, era questo che l’aveva colpita fin da subito. Vederlo cimentarsi in una scazzottata era stato uno shock. E per chi poi? Per Liv Wilson? Le era dispiaciuto per Liv, ma ,vedere il suo ragazzo fare a pugni per lei, le aveva recato una punta di fastidio.E se lo avessero espulso per quella rissa? Se avesse messo in pericolo il college? La loro futura carriera? E tutto per una ragazzina sciocca, che non aveva abbastanza forza di volontà nemmeno per seguire una semplice dieta. Melanie non voleva un eroe, non voleva un visionario, un idealista. Voleva qualcuno con i piedi per terra... quello che Gabriel era sempre stato fino ad ora.
“Non ce la faccio più!” disse Lizzy, spostandosi la lunga chioma bionda di lato. Se si fosse legata i capelli come tutte loro, sarebbe stata sicuramente molto più comoda. Ma non c’era niente da fare, Lizzy amava civettare a ogni occasione. Melanie era vestita semplicemente, in jeans e t-shirt, con i capelli legati in una treccia alla francese. Lizzy si annodò inutilmente i capelli di lato, quelli ricaddero immediatamente sciolti sulla spalla, esattamente come prima. “Quanto manca alla pausa?” chiese speranzosa, guardandosi corrucciata le unghie e lo smalto rosa leggermente scheggiato.
“Ancora un’ora” rispose Melanie seccata, spostando un’altra pila di libri. Lo sguardo le ricadde ancora su Gabriel, ora parlava fitto fitto con Robbie.
“Ancora non avete chiarito , tu e Gabe?” chise Lizzy, sedendosi sul tavolo con le gambe elegantemente accavalate.
“No” rispose tristemente Melanie. “Continua ad essere freddo. Stamattina non siamo nemmeno venuti insieme” Non le piaceva parlare di problemi d’amore con Lizzy. Lei era la sua migliore amica, certo, ma a Mel non sfuggiva di certo il modo in cui passava velocemente da un ragazzo all’altro . Era una di quelle che voleva solo divertirsi, pensava solo al sesso e a cose sciocche. Non poteva saperne proprio niente di amore.
“Mel, apri le tue belle gambe, e tornerà felice in un attimo!” sentenziò la ragazza, continuando a giocare con i capelli.
“LIZZY!” esclamò Melanie scandalizzata. Era proprio per questo che odiava parlare con lei di queste cose. Si rivelava sempre sciocca e superficiale. E sapeva benissimo quale fosse l’opinione di Melanie su quello specifico argomento.
“Scusa , tesoro. E’ la verità!”
Sospirò, era inutile discutere. Gabriel ora parlava con Liv Wilson. Ancora quella, non ci posso credere.
“Gabriel non è quel tipo di ragazzo!” esclamò Melanie, con più rabbia di quanto avrebbe voluto. “Noi, non risolviamo i nostri problemi così” . Scagliò una copia dell’Odissea in fondo alla scatola “letteratura antica”.
“Si, Mel nessuno sta dicendo questo ,lo sai. Solo che è pur sempre un uomo, è inutile nascondersi dietro a un dito non c’è niente da fare...” Lizzy si lanciò come al solito in uno dei suoi lunghissimi monologhi. Melanie smise di ascoltarla continuando a trafficare col suo lavoro, quando una frase dell’amica riattirò improvvisamente la sua attenzione. “...per esempio, quell’accattona di Diana Forrest, scommeto che gliela darebbe anche qui..”
Melanie sollevò lo sguardo di colpo. Sentì una sensazione di gelido attanagliarli le viscere. Diana Forrest era lì. Stavano parlando, anche se lui non sembrava dargli molto ascolto.Altro che Liv Wilson, quella si che era un problema serio. In effetti, tutto era cominciato a precipitare da quando lei era svenuta alla fermata dell’autobus. All’inizio Melanie non vi aveva dato peso, Gabriel era un bravo ragazzo, non avrebe mai lasciato una ragazza da sola in mezzo alla strada. Eppure...c’era qualcosa nel modo in cui la guardava , che l’aveva fatta sentire improvvisamente insicura. Si era presentata alla partita di basket poco dopo. Il modo in cui avevano parlato, così vicini ,così complici...le aveva fatto venire il desiderio di ucciderla. Melanie non poteva dire nulla, sapeva che Gabriel parlava con lei solo perchè rappresentava la sua unica connessione con la nonna. Le aveva raccontato per filo e per segno la sua ultima visita a casa Dashwood. Quando  descriveva la vecchia, lo faceva con una strana luce negli occhi, con una felicità che non dimostrava da tempo.Mel si era limitata a sorridere e dire che era molto contenta per lui. Non era vero. L’aveva capito subito che il riavvicinamento a quella vecchia visionaria avrebbe portato solo guai. Quelle donne glielo stavano portando via, in un mondo che per lei era inaccessibile. Eppure sembrava tenerci così tanto, se le avesse detto quello pensava realmente lo avrebbe allontanato per sempre, lo sapeva. Gabriel cominiciò a parlare con lei,e alla ragazza non sfuggì come fosse scomparsa la rigidezza che c’era poco prima nella piega delle spalle. Ora sembrava così rilassato.
“Lizzy, dovrei preoccuparmi di quella lì seconto te? Dovrei preoccuparmi sul serio?”
“Oh, siìì. Certo che dovresti. Quella lì è una bella puttanella, te lo dico io. I ragazzi adorano questo genere di cose, avere delle distrazionio con tipe come lei...cose così rispose l’amica, arricciando la bocca con disgusto. Melanie non credeva che Gabriel andasse dietro a questo genere di cose, non era da lui. Ma cominciava a sentirsi sempre meno sicura.
“Il problema” disse , distogliendo totalmente l’attenzione dai libri,  “è che non posso dirgli niente. E’ per quella che si è riavvicinato alla nonna. Ci tiene tantissimo a questa cosa. Se gli chiedessi di interrompere i rapporti con lei, la prenderebbe malissimo. “Diana si levò gli occhiali da sole e lanciò uno sguardo lascivo al suo fidanzato. Tieni giù le mani.
“Mel, Mel. Mia piccola ingenuona!” esclamò l’amica, sventolandole l’indice davanti agli occhi, “Fatti furba! La cosa che rende speciale quella brutta barbona è la cara dolce nonnina? Fa finta di adorare anche tu quella vecchia!E ti amerà più di prima”
Melanie si ritrovò ad essere d’accordo con la sua amica. Se la chiave dle cuore di Gabriel era sua nonna, bè nessuno diceva che quel monopolio doveva essere solo di Diana Forrest. Improvisamente più sicura di sè , decise di raggiungere Gabriel , sperando che la tattica di Lizzy funzionasse.
 
Gabriel non riusciva a credere che quella appesa al suo braccio fosse Melanie. Gli era venuta alla spalle senza farse accorgersene,e adesso lo afferrava con fare possessivo. Aveva tutta l’aria di essere un tentativo poco discreto di marcare il territorio, cosa strana visto che Mel non si era mai comportata così in vita tua.
“Scusate l’interruzione!” disse Mel, indirizzando un sorriso (decisamente falso) vero Diana. “Non ci siamo ancora ufficialmente presentate, piacere Melanie” disse la sua fidanzata tenendo una mano verso l’altra ragazza. Diana guardava quel braccio come se si trattasse di un insetto repellente. Aveva le sopracciglia leggermente sollevate, come se stesse tentando di di nascondere a stento lo stupore. Si limitò a fissare quella mano stesa in aria senza stringerla. Dopo qualche secondo Melanie abbassò il braccio, osservandola con uno sguardo offeso.
“Sei Diana , giusto? La nuova amica di Gabriel” proseguì con un tono carezzavole, che Gabriel conosceva bene.Alla parola amica il ragazzo percepì la sua stretta farsi più intensa.Era il tono che usava Melanie quando voleva farsi amico qualcuno a tutti i costi. Un misto di gentilezza e di autorità.
Lo sguardo di Diana si volse lentamente verso Gabriel, quasi a chiedergli cosa diavolo volesse la sua ragazza da lei. Nemmeno lui risciva a rispondere  a quella domanda.
Dopo quella che parve un eternità proferì finalmente qualche parola. Il suo sguardo era tornato indecifrabile e vuoto.
“Io non sono “amica” proprio di nessuno.” rispose lapidaria.Melanie finalmente si zittì, continuò a sorridere anche se una riga di preoccupazione si era formata tra le sopracciglia ramate.
“Ricordati dell’invito, Gabriel” disse dopo un pò Diana, voltandosi per andare via.
“Ehm..aspetta!” esclamò Melanie, sciogliendo il suo fidanzato dalla stretta, girò intorno al tavolo avvicinandosi alla ragazza.Diana arretrò di un passo. “Senti ,scusami. Forse siamo partite col piede sbagliato! E’ solo che, bè...ora la signora Cecily fa di nuovo parte della vita di Gabriel. E io sono ansiosa di conoscerla. Dici che potrei unirmi anche io alle visite una di questi giorni?”
La bocca di Gabriel si spalancò in una O perfetta. Melanie non gli aveva mai detto nulla di diretto riguardo a sua nonna, si era sempre limitata a dare consigli ragionevoli e a dirgli quanto fosse contenta per lui.Ma non si era sbilanciata mai più di tanto, non gli dava l’impressione che cosa la rendesse realmente felice.
Diana la fissò ancora per qualche lungo secondo in silenzio.
“La casa non è di certo mia. Vieni quando ti pare” disse,senza lasciar trasparire alcuna emozione della voce. Girò i tacchi e  se ne andò senza voltarsi indietro.
 
Gabriel Hayes sarebbe stata la persona perfetta a cui confidare tutta quella strana storia. Diana non aveva amici, e parlarne con Cee era fuori discussione. Ultimamente era sempre tesa come una corda di violino, e voleva proprio evitarsi altri minuti di panico ,in cui lei rovesciava gli occhi indietro e cominciava a vaneggiare su elfi e folletti. Quando Cee la aveva consegnato quell’invito, aveva sentito che era un segno del destino. Gabriel era l’unico con cui potesse parlarne, anche se aveva paura a dar voce ai propri pensieri. La facevano sembrare pazza. Non aveva mentito quando aveva detto al ragazzo che non era accaduto nulla di straordinario. Nelle ultime notti si era assicurata di addormentarsi sempre vestita, nel caso in cui si fosse messa a gironzolare di nuovo per la città. Ma si era sempre risvegliata rigorosamente nel suo letto. Non era quello il problema, il vero problema era al sua testa. Da quel giorno non era più riuscita a guardare al foresta con occhi diversi. Era lì fuori, ad aspettarla, non sapeva nemmeno lei perchè. Se rimaneva da sola in casa per qualche minuti si sentiva impazzire. Era costretta a chiudere le finestre, sembrava che quegli alberi verdi e rigogliosi la richiamassero, che le sussurrassero dolci promesse all’orecchio.Non riusciva più a stare nel giardino per più di cinque minuti. Aveva l’impressione che se si fosse lasciata andare, si sarebbe spogliata e avrebbe corso verso la foresta senza tornare più indietro. In quei momenti il suo medaglione sembrava pulsare, come se avesse vita. Diana non riusciva a sopportare i gioielli, sembrava che ogni tipo di metallo le irritasse la pelle. Non riusciva a tenerli addosso per più di qualche minuto. Tutti ,tranne quel ciondolo. Era l’unica cosa che la legava ad Amanda. Lo possedeva da quando aveva memoria, e l’unica ordine che Amanda avesse mai dato a sua figlia in tutta la sua vita era proprio quello di non toglierselo mai. Perchè? Perchè ,si. E’ parte di te e basta. Cee sospettava che fosse fatto di oro puro, e che per questo non le desse fastidio.Le aveva proposto più volte di portarlo da un gioiellere a farlo analizzare, almeno per conoscere l’unico tipo di metallo che poteva indossare. Ma Diana non voleva separarsene mai. Era veramente una  parte di se stessa. Quel giorno si era veramente convinta, voleva veramente raccontare tutto  a Gabriel. Sembrava che degli eventi soprannaturali li avessero travolti da quando si erano parlati per la prima volta. Non poteva essere un caso. Tuttavia, mentre si allontanava con gli occhiali scuri calati sul volto e le mani sprofondate nelle tasche, non potè fare a meno di sentirsi stupida. Gettò un ultima occhiata all’allegra coppia felice. Melanie e Gabriel adesso parlavano fitto fitto. Molto vicini. Lei sorrideva radiosa, lui continuava a guardarla sbalordito e compiaciuto allo stesso tempo. Era stata proprio una stupida. Non avrebbe mai più pensato di raccontare qualcosa a Gabriel Hayes. Non erano amici, si conoscevano appena. Le mani gli prudevano da desiderio di mollarsi da sola due bei ceffoni. Lei non apparteneva al suo mondo. Era un ragazzo bello,ricco, educato ,composto. Lei non era così,e non lo sarebbe stata mai. Scalciò una pietra con rabbia, incapace di guardare ancora quel quadretto di ritrovata felicità coniugale.
 
  Era un ragazzina dai capelli lunghi, di un castano scuro. Blando. C’erano centinaia di ragazze come lei. Non brillava per nulla come le persone speciali. Lui aveva un sesto senso per la persone eccezionali, i loro contorni sembravano illuminati dal sole. Brillavano come fari nella notte, in quella marmaglia di gente comune. Gabriel era uno di questi. Sfavillava di luce propria.Ma quella ragazzina, per quanto fosse banale, per quanto fosse normale e anonima, si sarebbe rilevata utile.
Sapeva mescolarsi bene tra la gente nonostante tutti quegli anni lontano dal mondo umano. Bastava poco per stupirli:una camicia di alta sartoria, i pantaloni stirati, un orologio super costoso al polso. E infatti anche la ragazzina, proprio come aveva previsto, cadde nel tranello.
“Ciao” disse con voce carezzevole.
Si voltò verso si lui. La sua espressione mutò in una frazione di secondo. Come aveva sperato,la ragazza si soffermò solo su quello che vedeva. Un bel ragazzo dai riccioli biondi, con gli occhiali da sole costosi fermi sulla testa.
“Ciao” rispose lei , incurvando le labbra carnose in un sorriso felino. Cominciò a giocare con i capelli. Niente di più facile. “Sei nuovo? Non ti ho mai visto in giro?” chiese ancora, squadrandolo da capo a piedi, e assumendo un espressione sensuale.
“Si. Mi sono trasferito da poco” rispose, lanciandogli uno sguardo galante e fascinoso. Era fatta. La ragazza era sua.
Chiaccherarono del più e del meno. Fino a quando lui non si decise a porgergli la fatidica domanda.
“Conosci quela ragazza dai capelli rossi?”
La ragazza storse la bella bocca in un’ espressione di fastidio. Erano seduti un banco, molto vicini.Le loro gambe che si toccavano.
“Non è per me. E’ per un amico.Credo che gli piaccia” disse,cercando di essere il più suadente possibile.
Lei ci ricascò. Era stato proprio facile.Vuotò il sacco. Era fidanzata con Gabriel, ma da giorni non si parlavano.Perchè? Non sapeva nemmeno lei perchè, ma sospettava c’entrasse quella ragazza dai lunghi capelli neri.
“E com’è che sai tutte queste cose?” chiese lui  con un tono carezzavole.Gettò uno sguardo sull’oggetto del suo interesse. La rossa stringeva Gabriel per il braccio, rivolgendosi alla bruna, che sembrava più infelice che mai. Un triangolo amoroso, niente di meglio per creare tensione, imbarazzo, debolezza.
La ragazza rise in modo civettuolo. Lo fissò con uno sguardo furbo. Solo allora riuscì a scorgere un pò di svavillio in lei.
“Oh. Loro credono che non noti niente, ma io guardo tutto. Melanie è sempre stata la donna della sua vita, ma solo bacetti e tenersi per mano non bastano a nessuno.Io lo sapevo ,che anche nel loro paradiso d’amore sarebbe andato storto qualcosa.Mio fratello è sempre stato troppo ingenuo.”
Mio fratello.
Oh. Questo si che era interessante.
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***



 
 
 
 “ ... ‘E i baci delle fate come sono?’ chiese la bambina al folletto. Quello si levò il cappello a forma di pigna, e vi si nascose dietro ridendo. ‘Oh, piccola umana. I baci delle fate sono un dono. A volte però sono anche una disgrazia. Non permettere mai a una fata di baciarti, piccola, o la tua memoria verrà via e non ricorderai più niente di noi e di tutto questo’
‘Nemmeno un bacio sulla guancia? O sulla mano’
‘No nemmeno quelli. ’ ”
 
Da “Le Avventure di Cecily D.” Di Cecily Dashwood


 
Melanie si passò ancora una volta il pettine tra i capelli.Era un piacere vederlo affondare nella sua chioma rosso-arancio.Era felice. Si , quel giorno era proprio felice. La strategia di Lizzy si era rivelata vincente. Tra lei e Gabriel sembrava filare di nuovo tutto liscio, e lui non vedeva l’ora di presentarla ufficialmente a sua nonna. Avrebbe dovuto ricordarsi in futuro di questa lezione: dell’amore che i maschi nutrono per le figure materne. Si rimirò ancora una volta nel piccolo specchio, soddisfatta di come i capelli le ricadevano lisci e morbidi sulle spalle. Si tolse l’asciugamano rosa che che aveva legato sul seno, e si rivestì, cercando con non poca difficoltà il reggiseno schiacciato nel suo borsone blu. In giro non c’era nessuno. Gli allenamenti si erano conclusi da un’oretta. Al contrario delle altre ragazze che si erano lavate e rivestite in fretta e furia, lei non aveva alcuna fretta. Gabriel avrebbe trascorso il pomeriggio a casa della nonna, si sarebbero visti direttamente per le otto, per mangiare insieme al Grill-Inn.Lei avrebbe espresso il desiderio di farsi raccontate la visita a Cecily nei minimi dettagli, così lui sarebbe stato soddisfatto.Il rumore di una porta aperta in lontanza la fece voltare di scatto. Si coprì istintivamente il petto con la maglietta ancora appallottolata, indossava soltanto i jeans. Silenzio. Non sembrava esserci nessuno. Melanie si infilò a maglietta in fretta, e cominciò a raccogliere le sue cose. Sarà stato il vento , pensò tra se e sè, non riuscendo comunque a trattenersi dal buttare le sue cose nella borsa alla rinfusa. La lampadina al neon sopra la sua testa cominciò a sfavillare.
 Melanie si ritrovò al buio.Sentì un rumore di passi, leggeri come un ombra.
“C’è nessuno?” disse, cercando di mantenere la voce ferma. Si caricò la borsa in spalla, mentre un orribile presentimento si faceva strada nella sua mente. Okay, era meglio uscire fuori da lì. Non finì nemmeno di formulare questo pensiero che si sentì tirare da dietro per i capelli. Fu dolorissimo. Quelle mani sconosciute la strattonarono con un forza tale, che barcollò e cadde quasi in ginocchio. Cominicò a urlare. Ma fu tutto inutile, la sua voce rimbombò per i corridoi vuoti.La testa era piegata all’indietro, il collo teso. Cercò inutilmente di girarsi il viso del suo aggressore. Allungò la mani verso quello sconosciuto cercando di difendersi,  ma anche quel tentativo fu vano, cadde solo col sedere sul pavimento.Sembrava che le volesse fare lo scalpo. E poi finì tutto in un baleno. Melanie sentì il suo corpo libero dalla presa del suo aggressore, cadde completamente per terra con le spalle sul pavimento. Riuscì solo a vedere una figura minuta, con una felpa blu calata sul capo, che scompariva nel corridoio. Non la udì nemmeno allontanarsi, scomparve semplicemente nel nulla.Rimase dov’era per qualche secondo, pietrificata dalla paura. Non riusciva a capire ancora cos’era realmente succeso. Percepì qualcosa di morbido e leggero adagiato sulle sue spalle.Quando allungò le braccia per capire cosa fosse, si trovò tra le mani lunghe ciocche di capelli rossi. Si portò di scatto le mani sulla nuca. Non sentiva più quella matassa familiare, toccò solo delle punte corte e e irregolari.Pianse.
 
Quella volta non fu Diana ad aprire la porta, con suo sommo disappunto. Al suo posto quel giorno venne accolto da Lucy, una donna di circa quarantanni dai capelli mesciati raccolti in una coda severa. Era l’infermiera personale della nonna, e Gabriel non osava chidere cosa facesse di preciso. Lucy –che continuava a fissarlo con uno sguardo ispiegabilmente severo- lo fece accomodare nel solito salottino. Trovò sua nonna intenta a versare il tè in due tazze. La tavola era apparecchiata esattemente come l’ultima volta, con tazze e teriera al posto giusto. Diana aveva ragione quando diceva che Cecily era ossessionata dall’ora del tè. Era vestita meno formalmente: con una sobria camicia bianca (decorata dall’immancabile spilla) e un cardigan di lana . Erano ormai i primi di ottobre, e l’inverno si avvicinava inesorabile. L’invito della nonna diceva che c’era una questione importante di cui voleva discutere. La carta da lettere profumava di fiori, e la scrittura era sempre la stessa: elegante e dolcemente incurvata. Gabriel si pentì di non aver portato nemmeno una misera scatola di dolci con sè , era stato troppo preso dal pensiero di rincontrare Diana e raccontarle delle rose nel suo armadietto. Ma di lei non c’era traccia.
“EDiananonc’èoggi?” chiese senza riuscire più a trattenersi. Stavano chiaccherando del più e del meno, e Gabriel sperava che quella domanda sembrasse solo una innocente curiosità.
“Come dici, caro?” chiese la nonna con un’espressione confusa. Forse aveva parlato un pò troppo velocemente.
“Um..Diana, non è in casa?” ripetà stavolta forte e chiaro. Affondò subito la faccia nella sua tazza di tè, cercando di nascondersi dallo sguardo indagatore Di Cecily.
“Sfortunatamente è al lavoro. Dovevi chiederle qualcosa?”
Gabriel si affrettò a negare, fionandosi sul piattino di biscotti a cioccolato. Nell’imbarazzo si infilò in bocca anche un tramezzino al cetriolo…mischiato col cioccolato aveva un sapore orribile. Il pomeriggio trascorse in modo diverso dall’ultima volta, c’era meno eccitazione nell’aria. Era solo un tranquillo pomeriggio tra nonna e nipote, e Gabriel ne fu felice.Era come se avessero recuperato in pochi giorni quell’intimità che era rimasta sospesa per dodici anni. Era andato dalla nonna subito dopo essere uscito da scuola, indossava la divisa (la cravatta era rigorosamente piegata nella tasca posterioire del pantalone) e si era portato dietro anche uno zaino carico di libri. Parlarono a lungo della scuola, Cecily si informò con minuzia di particolari delle sue lezioni di letteratura. Nessuno dei due fece riferimento allo strano atteggiamenteìo della nonna dell’ ultima volta, non si parlò di re della foresta, nè di fate, nè di magie. Gli fece anche qualche domanda sull’occhio nero, ormai in via di guarigione, ma Gabriel si limitò a rimanere sul vago, dissimulando la risposta con un colpo di tosse un pò forzato.
“Gabriel, come ti dicevo nell’invito, c’è qualcosa che mi preme mostrarti oggi” disse dopo un pò la nonna, sorridendo trepidante. Prese un fascio di fogli posati sul tavolino a fianco, e inforcò degli eleganti occhiali a mezzaluna.Diede una rapida lettura della prima pagina, per poi passarli al nipote. Lo sguardo di Gabriel fu attratto dalla frase “La tana delle Fate”. Per un secondo interminabile di puro terrore temette che quei fogli parlassero del misterioso Re della Foresta, o di altra fandonie. A una seconda occhiata il ragazzo colse parole come ‘membri’, ‘associazione’ e ‘statuto’, e si rese conto che quei fogli parlavano di tutt’altro. Cominciò a leggere con attenzione ogni rigo, mentre la nonna, allegra e entusiasta, gli illustrava in maniera chiara il contenuto. Cecily Dashwood aveva deciso di investire parte del suo patrimonio in un’associazione benefica. “La tana delle fate” non era solo un semplice titolo, la Tana esisteva in carne e ossa...anzi, in cemento e mattoni. Si trattava di un piccolo edificio che la donna aveva da poco comprato, e che stava arredando per i suoi scopi. L’obiettivo dell’associazione era quello di creare un supporto ai bambini che vivevano in famiglia disagiate. L’idea di Cecily era creare una vera  e propria casa, che accogliesse i bambini in caso di bisogno senza strapparli del tutto alle loro famiglie, un porto sicuro lontano dall’inferno degli assistenti sociali e dalle questioni burocratiche. Ci sarebbero stati dei letti , delle cucine, e ovviamente una libreria. La Tana doveva essere un supporto per altri enti, un ponte tra lo stato e i bambini infelici.
“Un pò come questa casa lo è stata per Diana” constatò Gabriel, sollevando lo sguardo dai fogli. Cecily sorrise tristemente.
“Si. Non so cosa i tuoi genitori ti abbiano raccontato a proposito di Diana. Sappi che, al contrario di quello che pensa tutta la città, non sono ancora così rimabita da ospitare in casa mia qualcuno che mira solo al mio denaro. Diana è..” esitò.
“...è la tua famiglia.” concluse per lei Gabriel.         Il senso di colpa cominciò di nuovo a farsi sentire, e questa volta lo colpì dritto al cuore, come una gabbia di ghiaccio che si stringeva attorno al petto.
“Si, è, anzi era- gli rivolse un dolce sorriso- l’unica famiglia che ho. A volte penso che Diana sia il mio debito. Non ho potuto fare nulla per Jonathan, ma la vita mi ha fatto incontrare qualcuno che avesse ancora bisogno di me. Non ha avuto una vita facile, Gabriel. Quello che per te e tua sorella è sempre sembrato normale e dovuto, a lei è stato sempre negato.”
Ripensò alla storia raccapricciante che la ragazza gli aveva raccontato in giardino. Una madre che spacca una bottiglia in testa alla propria figlia. Cecily aveva ragione, era un qualcosa di inimmaginabile per lui. I suoi genitori forse aveva fatto degli errori, ma di certo erano sempre stati presenti e gli avevano sempre voluto bene.
“Lo so. Mi ha raccontato qualcosa” ammise dopo un pò. Gabriel fu sicuro di leggere sorpresa nel suo sguardo.
“Incredibile. Ritieniti un privilegiato allora, Diana chiude il suo cuore a chiunque . Perfino a me” rispose lei. Lo disse con serenità, ma con un sorriso velato sulle labbra, come se fosse felice per qualcosa di cui Gabriel non era a conoscenza.
“Che mi dici di Amanda Forrest? Si incontrano mai?”
Cecily si porto le dita alla tempia, sospirando. Scosse la testa.
“No. Amanda, è una donna spregevole. Avrebbe venduto la figlia per un pò di droga...non le è mai importato niente di lei, a meno che non le servisse per qualcosa.”
Il ragazzo rimase in silenzio, fissandosi le mani strette in grembo e rimurginando.La nonna era capace di vedere del buono in chiunque, se era lei a dirlo allora quella donna doveva essere davvero un mostro.  Aveva il cuore in subbuglio, pensando alla piccola Diana maltrattata dalla madre. Ripensò a come era intervenuto in difesa di Liv Wilson, gli sarebbe piaciuto tornare indietro nel tempo e fare lo stesso per Diana. Se la immaginava piccola e indifesa, ad aspettare che qualcuno la salvasse proprio come era accaduto a Liv. Ma quel qualcuno non era mai arrivato.
“Su, basta rimuginare! Se sapesse che ti ho raccontato queste cose, Diana mi ucciderebbe!” esclamò la nonna sorridendo. “Gabriel, và all’ultima pagina del fascicolo per favore.”
Il ragazzo obbedì. Lesse l’ultima pagina, è si stupì quando lesse il suo nome. Guardò sua nonna con un sopracciglio sollevato, quella lo incitò a continuare con un gesto della mano.
“Vuoi...che...che una parte dell’associazione sia mia?”chiese il ragazzo dubbioso.
“Non esattamente. Sono vecchia ormai Gabriel, vecchia e molto ricca. La Tana delle Fate è il mio monumento su questa terra, e quando non ci sarò più, perchè accadrà presto tesoro, voglio che qualcuno continui il mio lavoro. Una quota dell’associazione sarà tua alla tua morte..non sarà impegnativo tranquillo, abbiamo sistemato ogni cosa con gli avvocati. E poi, non ci sarai solo tu.”
Il ragazzo fissò di nuovo il foglio, in fondo alla pagina c’era lo spazio per tre firme.Sul primo rigo lesse, con non poca difficoltà, il nome di Diana, tracciato con una grafia disornitata a frettolosa. Sotto di esso c’erano altri due spazi vuoti.
“Diana, io, e....?”
“Elizabeth. Tua sorella” rispose lei. Non era abituato a sentirse chiamare Effy col suo nome di battesimo. “Non ho mai dimenticato nessuno dei miei tre nipoti.”
Gabriel prese una penna posata sul tavolino, e firmò senza nemmeno pensarci su troppo.
“Effy firmerà di persona, davanti a te. Molto presto. Te lo prometto.”
Continuarono a parlare dell’associazione ancora per un pò, prima che il telefono del ragazzo cominciasse a squillare. Gabriel lo tirò fuori dalla tasca con difficoltà, lesse il numero di Melanie sul dispaly. Guardò la nonna, che lo incitò a rispondere con un sorriso. Si portò il telefono all’orecchio , e si alzò cercando di avere un pò di privacy.
“G-Gabriel...” disse una voce lacrimosa al telefono.
“Mel?! Che succede?”
“Devi venire alla centrale di polizia...è....è successa una cosa.”
 
Gabriel non era mai stato così in ansia in vita sua, nemmeno quando Effy era stata operata d’urgenza di appendicite o quando si era rotto un braccio cadendo dalle scale. Quando aveva lasciato casa di Cecily, si era precipitato in macchina a tutta velocità,aveva sfrecciato per le strade silenziose  premendo al massimo l’acceleratore, come se avesse un inseguitore alle calcagne.In quel breve tragitto mille pensieri gli affollarono la mente. Si trattava sopratuttto di immagini vivide in cui vedeva Melanie in preda alle sofferenza. Nelle sue fantasia più rassicuranti la ragazza aveva il volto sfregiato con l’acido. Non era stata molto esaustiva al telefono, sembrava solo che qualcuno l’avesse aggredita. Chi poteva odiare Melanie, che era buona con tutti e non aveva neanche un nemico? Mike Enderson? Il re della Foresta? Ormai associava automaticamente il misterioso uomo delle rose bianche a quel nome assurdo,e per un attimo si sentì ridicolo. Non poteva essere stato lui, fino ad ora si era limitato a spargere le sue inquietanti rose in giro, e a non fare del male a nessuno. C’entrava sicuramente Enderson. Quel vigliacco non aveva avuto abbastanza fegato per prendersela con lui.Arrivato a destinazione scese dalla macchina come una furia, parcheggiando in maniera approssimativa e dimenticandosi di chiudere la macchina.
“Buonasera. Sono qui per l’aggressione. Melanie Peterson.” disse tutto d’un fiato, con la mani posate sul bancone della reception, incombendo sulla povera segretaria stordita. La signorina lo fissò con aria confusa,in quel preciso momento era intenta ad applicarsi minuziosamente il mascara sulle ciglia dell’ occhio sinitro.
“...la signorina dai capelli rossi?” disse lei poco dopo, continuando a sbattere con fastidio l’occhio appena truccato. “La porta in fondo a destra, è con i suoi genitori...” Senza nemmeno darle il tempo di rispondere il ragazzo si fiondò versò la porta a vetri. Tirò un sospiro di sollievo. Si trovavano in un piccolo ufficio, arredato solo con una scrivania e un divano verde scuro.Melanie era seduta sul sofà, circondata da un gruppo di persone che lì per lì non riuscì a identificare, e fortunatamente sembrava illesa. Niente sfregi in faccia, e nessun livido. Aveva una coperta sulle spalle, e tra le mani stringeva un tazza di polistirolo, da cui partiva un rivolo di caldo vapore.Posò la tazza al sua fianco, e Gabriel si precipitò su di lei.
“Mel…stai bene? Cosa ti hanno fatto?” chiese trepidante, mentre con dolcezza le afferrava il viso, accarezzandole le guance. Fece vagare lo sguardo sulle braccia libere, ora che la coperta era caduta arrotolandosi sul divano.Sembrava non avere niente di rotto, tornò a fissarla in viso. Gli occhi verdi della ragazza erano lucidi, come se avesse appena pianto.
“Oh Gabriel. È-è stato orribile...” disse lei con un filo di voce. La afferrò tra le braccia stringendola forte. Lei affondò il viso nel suo collo. Le mani di Gabriel risalirono verso i capelli di lei, pronte ad affondare le dita nella sua morbida chioma. Sentì solo la pelle della nuca sotto le sue dita. Si scostò da lei osservandola meglio. I capelli. Erano corti, fin sopra le orecchie, tagliati in modo irregolare. Piccole ciocche rosse sparavano in tutte le direzioni. Melanie si accorse del suo sguardo, si chinò sulla sua spalla ricominciando a piangere. Le hanno tagliato i capelli? Gabriel fece vagare lo sguardo nella stanza, riconoscendo finalmente le persone che gli stavano attorno. In piedi dietro di loro c’erano il signor e la signora Peterson, la mamma era una copia sputata della sua fidanzata, pur conservando i lunghi capelli rossi. Il signor Peterson era un omino basso , con pochi capelli in testa e un paio di baffetti castani. Dietro di loro in disparte c’era qualcun’altro.
“Mamma?!” esclamò Gabriel continuando a stringere Melanie fa le braccia.
“Mi ha chiamato Jane. Sono arrivata poco fa” rispose quella semplicemente  , portandosi un ciuffo castano dietro l’orecchio. Gli occhi azzurri erano colmi di preoccupazione.
“Cosa è successo?” chiese Gabriel senza rivolgersi a nessuno in particolare, e continuando a stringere Melanie fra le braccia.Nei minuti successivi gli altri lo misero al corrente dei fatti: l’aggressione era avvenuta negli spogliatoi della scuola, qualcuno le aveva afferrato i capelli da dietro, l’aveva buttata per terra e glieli aveva sfrangiati con una forbice. Gabriel afferrò dolcemente Melanie per le spalle, costringendolo a guardarla negli occhi.
“Mel...è stato Mike Enderson?” chiese lui, sempre più convinto che un gesto così vigliacco poteva provenire solo da lui.
“E lui è il fidanzato, suppongo” disse una voce maschile alle sua spalle. Gabriel si alzò in piedi , fissando il nuovo arrivato. Era un uomo alto, probabilmente un quarantenne, aveva i capelli biondo cenere e la fronte alta segnata da numerose rughe.
“Sceriffo McBurney, piacere.” disse il poliziotto tendendogli la mano. Lo sguardo di Gabriel cadde automaticamente sul distintivo, elegantemente appuntato sulla giacca. Il ragazzo rispose titubante alla stretta. “Gabriel Hayes” si limitò a rispondere.
“Gabriel, è il nuovo sceriffo del distretto” precisò sua madre da dietro, “il vecchio Jeffrey è andato in pensione”. Gabriel ripensò al sceriffo Jeffrey, c’era lui quando avevano tirato il corpo di Jonathan fuori dall’acqua. Ricordava perfettamente i suoi occhi gentili e le sue carezze sulla testa, quando gli aveva chiesto che cosa fossero andati a fare lui e suo fratello nello stagno. Gli occhi del sceriffo McBurney trasmettevano tutt’altro.
“E’ bizzarro, signor Hayes” disse il sceriffo dopo aver lasciato la sua mano, lo squadrava da testa a piedi con uno sguardo indagatore. “La sua fidanzata sembra essere piuttosto sicura dell’identità del suo aggressore, eppure sono certa di averla sentito pronunciare un nome maschile, contrariamente alle dichiarazioni della signorina.”
Gabriel si voltò di scatto verso di lei, la fissò con uno sguardo interrogativo, invitandola a parlare.
“Tu l’hai visto in faccia?” chiese alla sua fidanzata.
“Mi permetto di correggerla Gabriel...l’ha vista.” lo corresse il sceriffo. Melanie si decise finalmente a fissarlo negli occhi. Sussurrò il nome dell’aggressore con un filo di voce.
“ Diana Forrest. E’ stata lei...l’ho vista.”
Non era possibile. Gabriel lo aveva ripetuto già a McBurney almeno tre volte, non poteva essere stata Diana, perchè era al lavoro. Lo aveva detto pure Cecily. Eppure una vocina nella sua testa non faceva che sussurrargli che dopotutto non era impossibile, non sapeva se poteva fidarsi effetivamente di lei. La conosceva da così poco tempo, e lei era così sfuggente e misteriosa. Se tutte le cose strane fossero davvero dipese da Diana? La sveglia manomessa, la rosa nell’armadietto. ...lui le aveva creduto subito, non era riuscito a mettere in dubbio le sue parole, quando lei aveva affermato di non saperne niente. Ricordò lo sguardo colmo di paura quando aveva raccontato di essersi risvegliata nella foresta. Le era sembrata così sincera. Eppure Melanie l’aveva vista. C’era qualcosa che non tornava, un particolare che stonava in tutta quella storia, anche se nemmeno Gabriel riusciva a identificarlo con esattezza.
Melanie era ancora seduta sul divano insieme a sua madre, il sceriffo aveva costretto Gabriel a seguirlo nel corridoio adiacente, voleva fargli ancora qualche domanda. Magda li aveva seguiti a ruota, come un segugio. Il ragazzo non era indagato e non c’erano prove del suo coinvolgimento, il sceriffo non aveva il diritto di sottoporlo a una vero e proprio interrogatorio. E trovarsi in una stazione di polizia era sicuramente più piacevole se si aveva una mamma avvocato.
“..Signor Hayes. Non riesco proprio a capire come fa ad essere così sicuro che Diana Forrest fosse al lavoro in quel momento. Che rapporti ci sono tra lei e quella ragazza?” chiese lo sceriffo, cercando di mascherare il sospetto che si faceva strada nella sua mente. In realtà Gabriel non era sicuro proprio di un bel niente. Non poteva proprio dire come faceva a sapere che Diana fosse al lavoro, non con sua madre davanti. O avrebbe scoperto delle sue visite a casa della nonna, e sicuramente non l’avrebbe presa bene. E poi, nemmeno lui aveva idea di quali fossero i suoi rapporti con Diana Forrest. Non era un amica, ma non era nemmeno una semplice conoscente. Rimase lì impalato, senza riuscire a spiccicare una parola.
“Sceriffo! Cosa vorrebbe insinuare?! Gabriel non rispondere, non sei obbligato a farlo!” esclamò sua madre, ponendo fine a quel silenzio straziante. Magda stava a braccia conserte, aveva un espressione seria e decisa, quella che a casa chiamavano la “faccia-da-avvocato”. Continuava a rivolgere al figlio delle occhiate indecifrabili. Sicuramente anche lei aveva gli stessi dubbi, ma fu abbastanza furba da non lasciarlo trasparire.
“Senta” disse Gabriel esasperato, aveva l’impressione che stare taciturno e fermo lo avrebbe fatto sembrare solo colpevole, anche se  non sapeva esattamente di cosa. “Sanno tutti che lavora lì..sono sicura che non è stata Diana..”
“Non è stata Diana a fare cosa?” disse una voce familiare alle sua spalle, che catturò immediatamente l’attenzione di tutti i presenti. La segretaria che poco prima aveva accolto Gabriel alla reception arrivò una manciata di secondi dopo, aveva il fiatone e gli occhiali storti sul naso.
“Mi scusi signore...non...sono riuscita a fermarli.Sono corsi...corsi via...”
Diana si limitò a rimanere in silenzio come se la donna non avesse parlato affatto. Rimase a braccia conserte a squadrarli col suo solito sguardo velato di indifferenza. Ma non era sola. Era spalleggiata da un ragazza alto, i capelli color grano erano lunghi e fissati sulla nuca in un codino. Gabriel squadrò il suo volto, gli occhi chiari, il naso dritto e gli zigomi alti. Sembrava straniero.
“Signorina Forrest...mi fa piacere che sia corsa qui immediatamente ma...”
“So che avete chiamato a casa di mia madre” lo interruppe lei glaciale, “sembrava urgente.
“Melanie Peterson è stata aggredita, qualche ora fa” disse all’improvviso sua madre, precedendo il sceriffo che aveva a malapena aperto bocca. McBurney la fulminò con uno sguardo. Ma l’attenzione di Gabriel fu tutta per sua madre, gli occhi azzurri di Magda, di solito buoni e calorosi, erano socchiusi e colmi di odio disprezzo mentre fissava Diana. Non aveva mai visto sua madre fissare qualcuno con quell’atteggiamento, stava riservando alla ragazza lo sguardo che si rivolge a qualcosa di ripugnante, a un parassita. La ragazza non sembrò accorgersene, si limitò a ricambiare con uno sguardo freddo. Il ragazzo biondo invece fissò sua madre con altrettando disgusto.
Esattamente” intervenne il sceriffo, continuando a fissare Magda in cagnesco. “E la vittima ha fatto il suo nome signorina Forrest. Ora se vogliamo accomodarci...”
“Non è possibile.” intervenne il ragazzo biondo, con un marcato accento dell’Est. “Non serve nessun interrogatorio, signore. Diana è stata a casa mia tutto il pomeriggio. C’era il mio conquilino, è stato sempre lì. Può chiamarlo se vuole” Diana rimase impassibile, ignorando totalmente Gabriel che la fissava cercando di dire qualcosa.Il ragazzo biondo le passò possessivamente un braccio intorno alle spalle, e lei lo lasciò fare. Lo sceriffo McBurney piegò le labbra in un sorriso soddisfatto, facendo vagare lo sguardo tra loro tre.
“Verificheremo. Il signorino Hale aveva ragione, almeno in parte. Ha affemato con una certa sicurezza che lei fosse al lavoro” disse, rivolgendole un sguardo pungente.
La ragazza lo fissò da sotto le lunghe ciglia scure, con un’espressione impenetrabile.
“La signorina Forrest era effettivemente da un’altra parte. In un posto che lui non immaginava affatto.”
Gabriel aveva smesso di ascoltarlo, non si stava comportando in maniera molto furba e lo sapeva. Continuava a far guizzare lo sguardo da Diana al ragazzo straniero, con un espressione sempre più accigliata stringendo i pugni con forza.
“E’ a lui che doveva fare delle domande!” esclamlò a un tratto il ragazzo biondo, sciogliendo Diana dal sua stretta e indicando Gabriel con fare accusatore.
L’attenzione di tutti si spostò su di lui. Gabriel lo guardò stupido, incapace di fare domande.
“Perchè non gli racconti di quando hai importunato Diana al lavoro...eh?!” proseguì il ragazzo. Gabriel sentì un peso calargli sullo stomaco. Si ricordò improvvisamente del ragazzo, era il collega di Diana che li aveva visti discutere al fast-food. In effetti, quel giorno non aveva fatto bella mostra di sè. A chiunque avesse visto la scena da fuori doveva effettivamente sembrare che stesse importunando una ragazza indifesa.La tensione divenne palpabile.
“Gabriel!” intervenne Magda, “di cosa sta parlando questo ragazzo?E’ la verità?”
Non riusciva a trovare qualcosa da dire, come poteva spiegarsi senza raccontare tutto nei particolari?
“E’ la verità!” intervenne di nuovo il ragazzo “l’ha strattonata da un braccio! Perchè non parli,eh? Non ti sai difendere senza l’aiuto di mammina?”
Ora lo gonfio di botte, pensò Gabriel prima di avvicinarsi minacciosamente al suo interlocutore.
“Ti faccio vedere io come si strattona qualcuno se non...”
Sentì Magda trattenere il respiro alle spalle, e il sceriffo avvicinarsi per dividerli. Ma fermarlo fu una mano piccola e fredda posata sul suo petto.
“Smettila” ordinò Diana. Si era messa in mezzo a loro due, e gli aveva posato una mano sul petto come per allontanarlo. “Anzi...smettetela tutti e due!”  tolse la mano e si rivolse al sceriffo.
“Gabriel non mi stava aggredendo! Ci eravamo incontrati per caso il giorno prima e io lo aveva trattato male perchè non va mai a trovare sua nonna. Quel giorno abbiamo solo chiarito. E sapeva che ero al lavoro perchè è stata sua nonna a dirglielo.”
Il sceriffo la guardò perplesso. Ma fu Magda a intervenire.
“La nonna?!” esclamò incredula. “Tu…cosa…da quanto parli con quella donna?!” chiese sbalordita.
Diana sbuffò, quasi ridacchiando.
Quella donna è tua madre!” ribatté Gabriel piccato, “e penso di avere il diritto di vederla quanto mi pare a piace. Il problema è un altro…”
“…Da quanto va avanti questa storia?! Ti avevo avvertito di stare alla larga da lei!” lo interruppe quella, evidentemente incapace di concentrarsi su altro.
“Qualcuno vuole gentilmente spiegarmi?” intervenne lo sceriffo, facendo guizzare lo sguardo da madre a figlio con interesse.
“Sceriffo” intervenne Magda sospirando e massaggiandosi le tempie “…la nostra situazione familiare è alquanto particolare.  Se possiamo andare da un’altra parte le spiegherò...”
“Miss Hayes, adesso parlerò con Diana Forrest in privato di là, poi sentiremo anche la sua versione...Jules e Jim invece se ne rimarranno calmi qua fuori” rispose lui lapidario, e con un gesto condusse Diana nel suo ufficio chiudendosi la porta alle spalle.
Quei venti minuti sembrarono durare un’eternità. I tre ragazzi erano stati fatti accomodare nella sala d’aspetto, Diana e il suo amico sedevano vicini su due sedie di plastica rossa, mentre Gabriel preferì rimanere in piedi con le spalle appoggiate al muro. Avrebbe voluto camminare su e giù, ma fu costretto a trattenersi. Era troppo impegnato a guardare in cagnesco il ragazzo straniero. La tua ragazza è appena stata aggredita, e tu ti metti a litigare con uno sconosciuto? Disse una vocina nella sua testa. Cercò di ricomporsi, guardando Diana con la coda dell’occhio. La ragazza non riusciva proprio a stare seduta normalmente, aveva incrociato le gambe come un indiano e continuava a giocherellare con la sua collana barocca, tenendo lo sguardo basso. Mentre tu perdevi tempo a difenderla, lei se la spassava con quel bell’imbusto, disse di nuovo quella vocina fastidiosa. Gabriel scosse la testa, quasi cercando di zittirla. Lo sceriffo aveva parlato a lungo con Diana, e adesso stava trattenendo sua madre da quella che sembrava un eternità. A intervalli regolari dall’ufficio di McBurney si riusciva a sentire la voce di sua madre, che aveva evidentemente perso le staffe. Si riconoscevano frasi del tipo “come osa” o “…lei sa chi sono…”. Improvvisamente la porta dell’ufficio si aprì. Magda fu la prima ad uscire, teneva le braccia incrociate al petto e aveva un’espressione contrariata. Fu seguita subito dallo sceriffo, che richiuse la porta dietro di se con studiata calma. La cosa non presagiva nulla di buono.
“La Signorina Forrest e il suo amico sono liberi di andare” disse il sceriffo, indicandoli con un cenno del capo.
“Alleluya” commentò Diana a mezza voce.
“Abbiamo contattato telefonicamente il vostro amico, e ha confermato che i ragazzi sono stati in casa per tutto il tempo” spiegò il sceriffo con fare pratico. Gabriel tirò un sospiro di sollievo, non poteva essere stata davvero lei.
“Ci sono novità sull’aggressore?” chiese incapace di trattenersi. Per un attimo si sentì in colpa, era talmente sollevato dal fatto che Diana fosse stata scagionata da essersi dimenticato di chiedere di Melanie.
Magda intervenne, mise una mano sul braccio di Gabriel spingendolo ad allontanarsi.
“Non c’è proprio nessuna novità. Andiamo a casa, nemmeno noi abbiamo motivo di stare qui” disse, cercando di spingere via il figlio. Nel frattempo l’altro ragazzo fece lo stesso, poggiando un braccio sulle spalle di Diana, quella sì scansò. I due se ne andarono, camminarono ben distanti l’uno dall’altra. Gabriel osservò la ragazza con la coda dell’occhio, ma non ricevette in cambio nemmeno un misero sguardo.
“Gabriel” lo richiamò lo sceriffo. Il ragazzo ignorò sua madre che continuava a cercare di spingerlo via. “Il mio dovere mi obbliga a informarla che abbiamo già smesso di cercare il presunto aggressore” disse asciutto, con un ombra di sorriso sul volto. Presunto?
“Come sarebbe a dire?!” esclamò il ragazzo trafelato.
“Le sue sono solo supposizioni…” intervenne Magda, cercando di mettersi fisicamente tra i due con fare autorevole. Il sceriffo alzò una mano, invitandola a tacere. Gabriel lo ammirò, quasi nessuno era capace di zittire sua madre.
“A giudicare da quello che ho visto qualche minuto fa, qui non si tratta altro che di un banalissimo triangolo amoroso, e nemmeno troppo interessante. Signor Hayes, le consiglio vivamente di prestare attenzione alla sua ragazza…solo alla sua ragazza. Così, la prossima volta eviterà di compiere degli atti così sciocchi solo per richiamare la sua attenzione…e incolpare la sua rivale in amore. Le donne a volte sanno essere davvero spietate”
Gabriel rimase imbambolato, incapace di rispondere per lo stupore.
“Lei…lei sta insinuando che Melanie avrebbe fatto tutto da sola?! Ma che razza di poliziotto è! Ora la colpa è della vittima?! Sul serio?!” esclamò, alzando eccessivamente il tono della voce. Il ragazzo sentì la mano della madre sulla schiena, che cercava di invitarlo a calmarsi.
“Gabriel” disse pacatamente il sceriffo, “ho chiamato personalmente il guardiano della scuola, che ha visionato per noi i filmati. Nessuno è uscito o entrato dagli spogliatoi…a parte Melanie, ovviamente. L’edificio è circondato da telecamere, nessuno sarebbe potuto passare senza essere visto. Domani andrò a controllare i filmati di persona, ma sono certo che non troverò niente di più di ciò che le ho detto”
Il ragazzo rimase in silenzio, incapace di ribattere.
“E ora inviterei lei e sua madre a tornare a casa. Melanie e i suoi genitori hanno già lasciato l’edificio da un po’. Se non le dispiace ho dei veri casi che mi attendono.”
 
 
 
Il ritorno a casa fu terribile. Aveva ancora il cappotto sulle spalle quando sua madre comincò a sbaitare nell’ingresso di casa.
“Ma cosa diavolo sta combinando Gabriel?! Eh?”
Il ragazzo sbuffò togliendosi del tutto il cappotto.
“Non sto combinando proprio un bel niente!” rispose lui con rabbia. “Non puoi farmi una scenata solo perchè sono andato dalla nonna... non puoi impedirmi di...”
“Oh cielo!” lo interruppe lei ridendo con poco divertimento, “...non parliamo di quello non voglio pensarci! Sto parlando del tuo comportamento a dir poco...sconveniente!”
Gabriel la fissò incredulo.
“Scusami Kirsten, mia madre ha deciso di urlare proprio ora” disse Effy, che uscì in quel preciso istante dalla cucina con il cordless attaccato all’orecchio.
“Elizabeth...va di sopra! Subito.” urlò Magda.La ragazza salì le scale ridacchiando, con la coda nell’occhio Gabriel la vide sedersi sedersi a terra su uno scalino al piano di sopra intenta ad origliare.
“Sconveniente?!” esclamò Gabriel dopo qualche secondo. “E cosa avrei fatto di tanto sconveniente?
Sua madre gli puntò un dito contro. “Non provare a prendermi in giro Gabriel Hayes! Non so cosa tu abbia combinato, ma Melanie è una bravissima ragazza e ti vuole bene, e tu...tu… pensi a trastullarti con quella poveraccia!”
Al termine poveraccia il ragazzo sentì la rabbia montargli dentro.
“Adesso dai ragione allo sceriffo pure tu?! Pensi che sia stata Melanie a farsi quello da sola! Mamma...sul serio?!”
“Io non penso proprio niente. So solo che qualcuno ha fatto una bella scenata di gelosia alla centrale... e che quel qualcuno non sono di certo io! Sei cambiato Gabriel! Non sei più la stessa persona, non rispetti Melanie, ti mescoli a certa gente…per l’amor del cielo siamo appena stati in una centrale della polizia!
“Cosa c’entro ora io con la centrale della polizia?!” esclamò il ragazzo, sempre più colpito sul vivo.
“…E scommetto che centra lei. Oh sì, avrei dovuto immaginarlo che era colpa di Cecily!” continuò quella imperterrita.
“Stai parlando di tua madre per caso?!” urlò Gabriel di rimando, alzando sempre di più il volume della voce.
“Si sto parlando esattamente di lei! Hai cominciato a vederla senza dirmi nulla…e guarda ora cosa diavolo sta succedendo!” rispose Magda, che sembrava sempre di più aver perso ogni controllo. Si avvicinò al figlio, puntandogli un dito contro il petto. “Apri bene le orecchio: sta lontano da tua nonna, da quella casa e soprattutto da quella ragazza!”
 

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