Our Future

di Kaleido_illusion
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mele rosse ***
Capitolo 2: *** I Due Mondi ***
Capitolo 3: *** Evasione ***
Capitolo 4: *** Incontro Scontro ***
Capitolo 5: *** Astio ***
Capitolo 6: *** Decisioni Importanti ***
Capitolo 7: *** Il Primo Passo ***
Capitolo 8: *** Nella tana del lupo ***
Capitolo 9: *** Ho bisogno di una risposta ***
Capitolo 10: *** Accetto. ***



Capitolo 1
*** Mele rosse ***


Capitolo 1







Un’ altra giornata calda ed infernale. Il sole cocente di metà Giugno picchia attraverso i palazzi sopra la mia testa, facendomi sudare ancora di più sotto il cappuccio leggero. Mentre corro per le strade affollate dei sobborghi, si alzano ad ogni passo nuvole di polvere e sabbia, che mi irritano la gola mentre i polmoni stanno per scoppiare dalla fatica. Purtroppo, se voglio arrivare salva e intatta a destinazione, non mi posso fermare a riprendere fiato, perché se il tizio che mi insegue mi acciuffasse, con la mole che si ritrova, non mi lascerebbe andare senza un graffio, o qualche osso rotto. Perciò stringo ancora più forte al petto la preziosa borsa di cuoio e corro più veloce che posso, facendomi strada a suon di gomitate e spintoni tra i passanti. Qualcuno cade a faccia a terra o finisce contro una bancarella arrangiata, ma non posso fermarmi a controllare i danni o come stiano, così urlo solamente delle frettolose scuse che si perdono nel chiacchiericcio. Intanto alle mie spalle l’energumeno, ormai a corto di fiato, continua ad urlarmi, con parole molto “fini”, di fermarmi e restituirgli la merce se non voglio finire in guai ancora più seri.
“ Ma crede davvero che me la beva?!” penso trafelata.
Accelero l’andatura e alla prima occasione svolto a destra. Le vie si assomigliano un po’ tutte è l’unico modo per riconoscerle sono i pochi nomi o insegne di negozi ancora sopravvissute che ora pendono con i fili scoperti come resti bionici. Le vecchie case ormai crollate si accasciano su loro stesse come animali feriti o ai lati di quelli che un tempo erano marciapiedi, mentre macerie, ferro e pezzi edili giacciono sparpagliati qui e là per la strada. Alcuni edifici più fortunati si ritrovano senza una porzione di muro, con qualche finestra saltata o qualche portone, ma sono ancora solidamente in piedi; di altri, invece, non rimane più nulla se non qualche piano pericolante, sotto cui sono stati allestiti provvisori banchetti di venditori ambulanti che cercano di rivendere cianfrusaglie, oppure lo spazio viene utilizzato come riparo momentaneo durante la pioggia. Qui a Cardia-Y 311, la città-stato in cui vivo, la pioggia è micidiale ma, sono più che convinta che nelle altre parti del pianeta la situazione non sia poi così diversa. A causa dell’ inquinamento di centinaia di anni, l’acqua, se così si può ancora definire, è diventata talmente acida che bastano poche gocce per corrodere il cemento e tutto ciò che tocca; e l’effetto sulla pelle è altrettanto letale. Inoltre è utile dire che l’acqua stessa è inutilizzabile, a meno che, se si riesce ad immagazzinarla come si deve, non la si usi come potente corrosivo per lavorare o smaltire piccole quantità di rifiuti. Dico piccole, perché lo Stato più di una volta ha tentato di sciogliere tonnellate di spazzatura, con l’unico risultato di creare avvelenamento da fumi tossici come mai prima nella storia, tanto che tutt’ora alcuni distretti, dove si trovavano le centrali di smaltimento, sono chiusi per le esalazioni. Non solo, in alcuni punti della città l’ingresso è vietato anche a causa del pericolo di crolli o della concentrazione di monossido di carbonio, su cui gli scienziati del Centro continuano a indagare per spiegare come mai ci sia addensamenti solo in alcune zone. Ma non hanno trovato ancora risposte soddisfacenti, così si limitano a diffondere delle ipotesi verosimili, per calmare la popolazione.


Finalmente sono arrivata alla vecchia cartiera. Ha lo stesso aspetto di trecento anni fa, almeno così si dice in giro, con l’unica differenza che oggi è inattiva e completamente abbandonata, visto che non esistono più boschi da cui poter prendere il materiale la materia prima per fabbricare la carta. A me è sempre sembrata un’enorme scheletro di cemento. Inoltre all’interno vi sono ancora quasi tutti i macchinari e cianfrusaglie varie. Tuttavia nessuno, tranne me, ovviamente, osa entrarci siccome è una delle zone gialle di livello 5 per il rischio di crollo (quindi una tra le più pericolose). Penso che sia stata chiusa anche perché trattiene monossido di carbonio o qualche altra sostanza tossica­. Una sola volta, quando ero più piccola ed ero in giro con mio padre, la curiosità mi ha spinta ad entrarci. Ho avuto appena il tempo di fare qualche passo all’interno, che la testa ha iniziato a farsi pesante, le braccia e le gambe non mi rispondevano più, erano come piombo saldato a terra, pesantissime e rigide, mentre la vista andava lentamente annebbiandosi. Per fortuna mio padre mi ha trovato e portato via in tempo, altrimenti ci avrei lasciato le penne. Da allora non vado più in giro senza la mia fedele mascherina depura-aria, che adesso sistemo accuratamente sul naso e sulla bocca prima di procedere oltre. Questa è un aggeggio simile alle vecchie mascherine trasparenti per aerosol, usate per curare bronchiti e asma tuttavia al centro ha un cilindro spesso tre centimetri, che contiene griglie al carbonio trattate con agenti chimici, che scompongono l’aria lasciando passare solo ossigeno e, tramite due tubicini ai lati, lunghi tutta la larghezza dell’aggeggio di plastica, vengono espulse anidride carbonica e altre sostanze.
Cerco la solita crepa nel fianco dell’ edificio e mi ci addentro, voltando un attimo la testa per
vedere dov’ è il mio inseguitore; ho appena il tempo di scorgerlo a pochi metri da me che subito sparisco oltre il muro.
Caspita non molla, anche con tutta quella ciccia! Lesta, sposto delle scatole subito dopo l’ingresso della crepa per rallentarlo. All’interno i passi rimbombano troppo forti, producendo un’eco cupo e ritmico. Dovrei rallentare perché ormai sono al limite delle forze, ma le urla sguaiate del tizio mi convincono di nuovo a non farlo. Supero cartacce e sporcizia, trovandomi a una ventina di metri dall’uscita quando uno schianto mi fa voltare di colpo, arrestando la mia fuga.
Il resto accade in un attimo. Il ciccione inciampato nella pila di scatoloni, si è schiantato contro una colonna malandata che sorreggeva una trave di ferro arrugginita. L’impatto fa sì che la trave si sganci completamente dal supporto, precipitando dritto su di me. Mentre il cervello cerca di mettere insieme i dati, i riflessi, allenati ormai da anni di vita spericolata, hanno già dato istruzioni al mio corpo, che perciò si butta in scivolata di fianco ad un enorme macchinario, che credo dovesse tagliare e sminuzzare materiali vari. L’impatto della trave con il suolo è indescrivibile: le vibrazioni, che si propagano sul suolo, sono come scosse di terremoto che percepisco benissimo accucciata come sono e squassano tutto il mio corpo. Spingo la faccia in giù e proteggo con una mano la borsa e con l’ altra la testa, nel momento in cui il sisma scatena una serie di crolli a catena. Aspetto minuti interminabili e decido di riprendere a muovermi solo quando non sento più nessun rumore. Si è alzato un gran polverone nel frattempo, che mi fa lacrimare gli occhi stanchi. Rotolo sulla schiena e, appena la nube si deposita nuovamente al suolo, noto con terrore che ho scampato per un pelo di rimanere spiaccicata: la trave, colpendo in pieno il macchinario, lo ha trasformato in un ammasso compresso di lamiere e miracolosamente è riuscito a sostenere il peso, salvandomi la vita! A quanto pare in questa dannata fabbrica, ogni volta che ci metto piede, rischio di rimanerci secca. Forse è meglio restarle alla larga per un po’.
Impiego qualche minuto a smaltire l’adrenalina e ritrovare il controllo. Di nuovo in me, con la tracolla sulla schiena, striscio lontano dalla trave. Il senso di liberazione è magnifico, sebbene non ne sia uscita indenne; la stoffa della gamba destra del pantalone è completamente strappata ed insanguinata come il gomito e parte del braccio a causa della scivolata e sembrano dei pezzi di carne da macello. Siccome sono ferite agli arti sono lievi, ritorno ad esaminare il pantalone; di sicuro mia zia mi ucciderà! Soltanto settimana scorsa ne ho rotto un altro e non posso permettermi di buttare via ancora un paio, con tutto quello che costano. Sbuffo irritata al pensiero della ramanzina che mi aspetta, ma solleva il morale sapere che il contenuto della borsa e la mascherina sono intatti. Purtroppo non è il momento di pensarci, tra non molto una marea di gente e sorveglianti si precipiterà a vedere cosa è successo e non possono beccarmi di nuovo. Non qui, in una zona dove, in teoria, è vietato l’ingresso. Mi arresterebbero di sicuro, visto che sono al secondo ammonimento, e soprattutto non la farei franca se sul posto dovessero arrivare i Funzionari! Sono il dipartimento al vertice dei servizi di sicurezza e della polizia, perciò hanno molti poteri, oltre ad un piccato senso del dovere e delle regole, per non parlare del loro rigore e dell’inflessibilità che hanno suscitato la diffidenza della popolazione. Credo però che sia anche a causa del reparto di sorveglianza speciale che si occupa delle persone con “abilità” particolari.
Scaccio dalla mente questi pensieri, fascio alla meglio la gamba ed il braccio con degli stracci, e mi allontano senza guardare indietro.

Sporca di terreno, sudata come una capra e ridotta a un rottame, sono finalmente giunta al capolinea, la vecchia drogheria al limite dei sobborghi della città. È un vecchissimo edificio crollato e chiuso da saracinesche, ma è un posto piuttosto isolato, dove il retro con l’ingresso al magazzino è perfetto per un possibile nascondiglio. Apro la botola in cemento con porte di ferro nel giardino dietro il fabbricato, divenuto una discarica di rifiuti ingombrati e senza più vegetazione, e scendo fino al quarto gradino, chiudendo delicatamente i battenti, cercando di non fare il minimo rumore.
Lo scantinato, illuminato da quattro finestre orizzontali e rettangolari, è tappezzato da monitor di computer obsoleti, alcune scrivanie, viti, cacciaviti, attrezzi elettrici, circuiti, fili di rame, saldatrici, chiavi inglesi ed un enorme generatore elettrico in un angolo. È il paradiso per uno con la passione per PC e qualsiasi cosa funzioni ad elettricità e non solo.
<< Ehi Kid!>> urlo, mentre mi siedo sul corrimano in ferro, lasciando dondolare a penzoloni le gambe. Una figura china sotto una delle scrivanie sobbalza e picchia la testa contro una cassetta di ferro.
<< Auch! … grazie mille, April!>> mugugna il ragazzo che si mette in piedi massaggiandosi un punto della testa coperto dal suo cappellino senza visiera preferito. Kid è il mio migliore amico, ha un anno più di me, capelli biondo cenere e occhi grigi. È alto e magro da fare schifo, ma questo lo penalizza in fatto di muscoli: a nulla serve la canotta bianca che porta per mettere in evidenza un filo, appena accennato, di addominali. Adesso cerca di fissarmi seriamente, con lo sguardo di rimprovero che, però, non gli riesce. Cerco comunque di restare al gioco.
<< Mi dispiace tanto>> dico nel tono più dispiaciuto che riesco a fare.
<< Lo sai? Non sei brava a mentire>> mi schernisce.
Mi sa che non ci è cascato, peccato.
<< Qualcuno deve avermelo già detto, ma sono convinta di poter migliorare>> scherzo.
<< Spero di no! Altrimenti siamo tutti fregati>> risponde lui finalmente divertito. Purtroppo per lui, anche quando era piccolo, non riesce a restare arrabbiato per più di cinque minuti di fila.
<< Indovina cosa ti ho portato?!>> cambio volutamente argomento per non tirarla per le lunghe, perché sono una che si stufa facilmente.
<< Hai rubato ancora?!>> adesso è seriamente indignato.
<< Non direi rubato. Piuttosto ho soddisfatto dei bisogni primari>> ribatto decisa.
<< Quale? Quello della cleptomania? >>
<< No, scemo! E poi non sai neanche che significa “cleptomania”>>
Ride. << E cosa mi avresti portato, sentiamo…>>
Estraggo dalla borsa tre mele rosse come il fuoco. Kid ha un’espressione stupefatta, mentre si avvicina estasiato, cosa che mi rende orgogliosa del mio operato, anche se ho rischiato la vita per portagliele.
<< Se fossi stato in te avrei preso qualcosa di più prezioso! Hai idea di quanto costano?>>
<< E dai Kid, non fare il moralista! È da mesi che non se ne vedono in giro. Le ho adocchiate su una bancarella e le ho prese. Chissà quando ci ricapiterà ancora>> cerco di avvalorare la mia tesi, ma mi sa di non averlo ancora convinto, perché non le ha neanche toccate.
<< Oh! Se non la vuoi, la mangio io!>> sbotto stufata. Faccio per addentarne una, quando lui me la toglie prontamente di mano.
<< No! No! La mangio>> strilla lui di rimando.
Non posso fare a meno di sorridere.
Lo conosco fin troppo bene per capire che ha una fame allucinante che solo i ragazzi posso avere, ma non lo mostra mai, perché sa che altrimenti ruberei qualcosa di più sostanzioso per sfamarlo. Così, per assecondarlo, faccio finta di non essermene accorta. Nei sobborghi il cibo è scarso e per lo più mangiamo scatolame o prodotti non deperibili, cioè quelli che si possono conservare più a lungo, anche per mesi. Inoltre sono gli unici che possiamo permetterci perché a basso costo, oltre alle uova e pochi formaggi prodotti dai limitati allevamenti arrangiati. La frutta e verdura “fresca”, in verità frutto di manipolazioni genetiche provenienti dal Centro, hanno dei prezzi assurdamente alti e pochissimi, grazie a risparmi di settimane forse mesi di lavoro, riescono a comprarli. Comunque è sempre un piacere vedere Kid che mangia con gusto, non importa quanto debba rischiare. Ha un’espressione contenta, serena e meno afflitta dai problemi quotidiani, ritornando quasi un bambino, come J. J.
A proposito di lui!
<< Dov’è J. J ?>> chiedo preoccupata a Kid. Di solito, quando vengo qui, mi salta sempre in braccio, come il piccolo koala del libro illustrato che abbiamo trovato in un vicolo abbandonato, proprio come lui.
J. J è un orfano. Tre anni fa, io è Kid lo abbiamo visto vagabondare per le strade, tremante di freddo, mentre un gruppo di cani randagi, con le costole evidenti sotto il pelo, lo seguiva a poca distanza, sperando che si accasciasse al suolo per attaccarlo. Ad un certo punto le sue esili gambe non hanno più retto per gli stenti e la fame, ed è caduto in ginocchio. Mentre passavamo lì accanto, avevo colto un leggero movimento di quello che poteva essere il capobranco dei randagi, e non ho saputo trattenermi, correndo in suo aiuto. Sapevo che non potevamo aiutarlo, perché a stento in inverno riuscivamo a sfamare noi stessi e le nostre famiglie, ma non me lo sarei mai perdonata se fosse morto in quel vicolo, davanti ai miei occhi. Con l’aiuto di Kid ho scacciato i cani a suon di bastonate, per avvicinarmi al bambino e rimetterlo in piedi. Era avvolto solo in una mantella slabbrata e da sotto gli stracci si vedevano le ossa. Fu il viso a colpirmi maggiormente. Le guance erano scavate dalla fame, i capelli castani erano arruffati e sporchi, gli occhi di un grigio spento dalle atrocità viste, ma determinati a non soccombere. Non pensavo che un bambino di poco più di sei anni potesse avere uno sguardo così intenso.
Cosa dovevo fare adesso che l’avevo aiuto? Che speranze potevamo dargli se nemmeno noi né avevamo? Quegli occhi così espressivi mi stavano incastrando lentamente e non sapevo cosa dirli. Allora gli chiesi il nome, ma l’unico suono che emise in risposta fu una flebile j e per questo lo chiamammo J. J. Quando poi menzionai i suoi genitori e dove fossero, mi strinse il braccio con tutta la forza che aveva e, fissandomi intensamente, il suo sguardo disse più cose di quante si possano esprimere con le parole, colpendomi dritto all’anima. Potevo immaginare solo lontanamente cosa avesse subito per trovarsi in quel vicolo, da solo e sperduto e mi chiesi come mai non fosse scoppiato ancora a piangere per comunicarmi il suo disagio. Forse si tratteneva dal farlo o forse non aveva più lacrime da piangere. Semplicemente rimase lì, fermo a trattenermi. Quella stretta, così forte per le sue fragili dita, mi fece capire che anche lui era una vittima, ma voleva sopravvivere a tutti i costi. Mi aveva conquistata mostrandomi la sua determinazione. Perciò capii che non sarebbe stato difficile aiutarlo e che da allora non l’avrei abbandonato. Lo portammo subito al rifugio dove, datigli dei vecchi vestiti del mio amico, gli offrimmo tutto il cibo che avevamo portato con noi. Vederlo mordicchiare il pane, con quegli indumenti troppo larghi, tanto da farlo sembrare più minuto di quanto fosse, mi fece provare subito una certa simpatia ed affetto nei suoi confronti. Da quel giorno in avanti gli portammo avanzi, rimasugli e tutto quello che riuscivamo a trovare e dopo tre mesi, finalmente iniziò a parlare, a muoversi con scioltezza, migliorando di giorno in giorno, fino ad essere lo spiritoso, esuberante ed energico moccioso che è adesso.
<< È anfafo a fafe una fommiffione… >> mi risponde, con la bocca piena della mela che sta gustando.
<< Ingoia! Non fi capiffe nienfe>> gli faccio il verso.
<< È andato a fare una commissione, se la gestisce bene gli abbiamo trovato un lavoro>>
<< Ma è fantastico!>> esulto.
Sono davvero contenta per J. J.. Finalmente potrà guadagnare un po’ di soldi per conto suo ed iniziare a provvedere da solo a se stesso, così da avere dei pasti decenti e non le solite microscopiche porzioni che gli portiamo o possiamo offrirgli di tanto in tanto.
Ripongo con cura una delle due mele rimaste, mentre l’altra la addento senza complimenti con la soddisfazione e la contentezza dipinte sul viso. Appena Kid ha finito la sua, pulendosi la bocca sulla manica corta della maglietta, torna ad armeggiare con il generatore elettrico.
<< April, hai preso i pezzi che ti ho chiesto?>>
Rispondo di sì, saltando giù dalla mia sedia improvvisata e, dopo aver finito con calma la mela, gli piazzo in mano una scatolina con dei fili che schizzano fuori da tutte le parti. Kid lo osserva per qualche secondo sconcertato, poi posa il suo sguardo infuriato su di me. Il suo lato oscuro esce solo quando si tratta di aggeggi di questo tipo.
<< L’hai strappato via a mani nude?!?>> mi rimprovera.
Questa volta la faccia seria gli riesce benissimo e non sta scherzando.
<< Sì?>>
<< SÌ?? Ma sei impazzita?! Potevi danneggiarlo! E come avremmo fatto a sistemare il generatore per accendere i computer?? È da mesi che ci lavoro!!>> sbraita in preda all’ira.
<< Che altro dovevo fare? Non c’erano forbici o oggetti utili a portata di mano. E poi ero di fretta>> sbuffo seccata.
Kid sbuffa a sua volta scontento e sistema i fili scoperti, borbottando come una pentola di fagioli messa a bollire. Purtroppo mi tocca assisterlo e perciò mi siedo pazientemente accanto a lui a gambe incrociate, passandogli gli attrezzi che mi chiede ed aspettando che la rabbia gli sbollisca un po’, prima di riprendere a chiacchierare.
<< Cosa speri di trovare nei PC?>> chiedo dopo un buon minuto di silenzio.
<< Non saprei. Spero che essendo del Centro ci siano dei dati interessanti>> commento ad alta voce.
<< Non credo che abbiano lasciato file importanti in un computer da buttare>>
<< Infatti ho scoperto alcuni metodi per ripristinare file cancellati o criptati. Ci sono diversi sistemi e ognuno ha bisogno di passaggi ben definiti…>> ma il discorso diventa troppo specifico e complesso per me, così mi limito ad annuire e far finta di ascoltare, perdendomi nei miei pensieri. Quando Kid attacca a parlare con la passione per queste cose, non lo ferma più nessuno. Infatti, non so per quanto va avanti, ma nel momento in cui si zittisce ha finito di montare la scatolina. Soddisfatto, attacca gli ultimo due fili ad una ciabatta a più prese, collegandovi le spine necessarie e si ferma ad ammirare il suo capolavoro.
<< Sei pronta?!>> esulta posandosi i pugni sui fianchi.
<< Mah!>> bofonchio. Sono ancora scettica a riguardo. << Sbrigati ad accendere quei dannati affari!>> lo incito ormai stufa. Felice come una pasqua, Kid spinge verso il basso una leva laterale, azionando con un ronzio il vecchio catorcio che dovrebbe fungere da generatore. Appena la corrente inizia a passare nei fili, il mio amico preme uno ad uno i pulsanti dei PC che lentamente prendono vita e i loro monitor, da grigi, assumono un azzurro brillante, mentre una barra verdognola inizia a caricarsi.
<< Funzionano>> rimango senza parole, mentre Kid è fuori di se dalla gioia. << Funziona
davvero Kid. Ce l’ hai fatta!!!>> adesso sono io quella fuori di sé e gli assesto una gran pacca sulla spalla.
<< Cosa ha fatto? Vi si sente da fuori … >> dice qualcuno alle mie spalle, avvinghiandosi a me.
<< J. J !! sei tu >> dico, sobbalzando. Il piccolo koala si stringe ancora di più, anche con le gambe, mentre ridacchia divertito di avermi spaventata.
<< Come è andata la commissione?>> gli chiede Kid, mentre gli faccio il solletico.
Si stacca con il sorriso stampato in faccia << He he! Mi hanno assunto!>> saltella dalla gioia.
<< Bravissimo J>> lo abbraccio fortissimo. << dove andrai a lavorare?>> chiedo rendendomi conto di non aver indagato prima sull’argomento.
<< Sarò l’aiutante del fabbro a due isolati più giù di dove lavora Kid >> racconta J. con il petto gonfio di trionfo e del suo orgoglio di bambino.
<< Sembra grandioso! E quando inizi? >> chiedo curiosa.
<< Dopodomani mattina, però presto>> puntualizza.
<< Mi raccomando, vedi di scottarti!>> lo punzecchia Kid, mentre gli arruffa i capelli ed iniziano ad azzuffarsi per gioco.
Sono proprio due bambini! Kid, grande e grosso, si diverte ancora a fare la lotta con chi è più piccolo di lui. Alzo gli occhi al cielo, ma lascio lo stesso la borsa in disparte e mi butto nella mischia. Non mi lascio mai sfuggire una piccola zuffa contro Kid, soprattutto perché vinciamo sempre J. J ed io. Il gioco finisce quando riesco ad atterrare di schiena il mio amico, mentre J. J gli tiene ferme le gambe.
<< Abbiamo vinto!!>> strilla J.
<< Non vale, avete fatto di nuovo squadra!>> scoppiamo tutti a ridere.
All’improvviso un bip dei computer interrompe il nostro momento di svago. Kid ci scrolla subito di dosso, mandandoci a finire con i sederi per terra, e si avvicina alla postazione. Prima di raggiungerlo do la mela al bimbo, che la divora in un nanosecondo con le guanciotte arrossate per lo stupore.
<< Cosa ti sei fatta?>> mi chiede d’un tratto indicando le fasciature.
Cavolo! Mi ero dimenticata di medicarmi per non fargli vedere le ferite. Quando c’è J. J nei paraggi, evito sempre di farmi vedere bendata e sanguinante, per evitare che si preocupi inutilmente.
<< Di sicuro ha rischiato ancora di farsi ammazzare. Come sempre!>> brontola Kid.
Lo sa che non deve dire certe cose davanti a J. J, accidenti a lui! Perciò gli assesto un cazzotto dritto sul braccio.
<< Che ho detto?>> si lamenta.
<< Parli sempre a sproposito!>> lo guardo furibonda, poi mi rivolgo al bambino << Non è niente di grave, sono solo scivolata>> sorrido per non farlo intristire di più.
<< Stai attenta, non voglio che ti fai male>> ha una faccina così addolorata mentre lo dice, che mi si stringe il cuore e, maledicendo me stessa per la mia disattenzione, gli arruffo i capelli corti. << Starò più attenta, promesso>>.
Ci avviciniamo ai monitor, dove Kid si è già messo all’opera, battendo freneticamente sui tasti neri delle tastiere.
<< Allora?>> chiedo impaziente, sporgendomi da dietro la spalla del mio amico.
<< È più complicato del previsto! Devo studiare bene il sistema operativo prima di procedere al ripristino dei file>> dice in tono serio e concentrato << Perciò oggi non c’è molto che possa fare>> deluso, si appoggia sullo schienale della sedia di legno, reclinando la testa all’indietro, a due centimetri dal mio viso.
<< Quanto ci metterai?>> chiede J. J, appollaiato su una scrivania. Sembra un piccolo scoiattolo curioso.
<< Non so. Una, massimo due settimane>>
<< Caspita, così poco?>> si stupisce J.
<< Ti sei dimenticato? Sono il migliore in questo campo>> afferma orgoglioso.
In effetti Kid è il migliore che conosco: riesce a fare veri e propri miracoli con macchine, ingranaggi e quant’altro. Non a caso è diventato il braccio destro del gestore dell’officina principale dei Sobborghi ed è molto probabile che un giorno ne diventi il proprietario. Questa sua innata capacità, però, allo stesso tempo è fonte di molte preoccupazioni, perché se i Funzionari scoprissero il suo talento, lo trasferirebbero senza perdere tempo al Centro alle loro dipendenze per sfruttarlo per i loro interessi. Perciò tutti quelli che conoscono Kid cercano di essere discreti e di diffondere meno notizie possibili sul conto del mio amico… Ma non riesco a fare a meno di pensare all’eventualità che possa succedere una cosa del genere, se uno solo dei suoi conoscenti o lui stesso, involontariamente si lasciasse sfuggire anche una parola di troppo. Come cambierebbe la sua vita? Si troverebbe meglio o peggio? Cosa potrebbero fargli? Lo torturerebbero? Cosa lo costringerebbero a fare?
<< Ehi April! Yuhuuuu… mi stai ascoltando?>> dice Kid, strappandomi dai miei pensieri.
<< Cosa?!>> mi affretto a chiedere, sentendomi una cretina totale ad aver pensato alla possibilità che Kid ci possa lasciare, dato che non lo permetterei mai!
<< Dicevo che si è fatto tardi. Dovremmo andare a mangiare qualcosa e tornare a casa prima che suonino le sirene>> sbuffa guardando l’orologio di plastica rovinata allacciato al polso.
<< Sì, sì hai ragione. Che ore sono?>> chiedo.
<< Quasi le sette>> mi risponde lui pazientemente.


NDA: se volete vedere le illustrazioni della storia e tanto altro seguiteci anche su Facebook alla pagina Black signs che condivido con l’altra Admin, l’autrice Dusky Doll. Un bacione Kaleido X3

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Capitolo 2
*** I Due Mondi ***


Capitolo 2




Quando usciamo dal negozio il sole ha quasi raggiunto l'orizzonte ma, nonostante stia calando la sera, il caldo afoso è ancora insopportabile, tanto che i vestiti si appiccicano addosso come ventose. Così intontiti dalla calura, vaghiamo per qualche isolato finché non decidiamo di fermarci in un locale, abbastanza lontano dal rifugio, per mangiare un boccone e dopo filare a casa. La locanda è appostata in un vicolo buio e non molto pulito, e ci accorgiamo della sua presenza solo grazie ad una logora insegna di legno che pende all’angolo della strada. Guardo il mio amico perplessa perché non mi sembra un posto affidabile. Tutto l’insieme mi da l’idea di un covo di ubriaconi, o delle vecchie taverne in cui ci sono solo balordi che strillano par l’alcol e si azzuffano.
<< Non ti preoccupare, me l’ha consigliato mio padre>> mi tranquillizza Kid intuendo quello che mi passa per la mante. Ho sempre creduto a quello che mi consigliava Thomas, suo padre, poiché nutro nei suoi confronti una certa fiducia, oltre al fatto che non sia mai successo nulla che mi portasse a pensare il contrario. Perciò stando a quello che dice lui, è un posto sicuro. Mah! Tuttavia nonostante i mie seri dubbi, seguo i due che mi precedono.
Spingiamo la pesante porta di legno ed entriamo in un pub semi-desolato. I tavoli scuri, sparsi qua e là come una manciata di pepe, sono occupati da pochissimi avventori silenziosi radunati sotto al solitario ventilatore al centro della sala, che con il lento moto delle sue pale, cerca di dispensare un po’ di refrigerio. Di fronte a noi invece si erge massiccio il bancone con la cassa automatica, dietro alla quale vi sono posizionate alcune mensole colme di bottiglie dai colori sgargianti e mezze vuote. Guardando la clientela, optiamo per prendere posto sugli alti sgabelli affiancati al bancone. La cameriera, avvisata dal trillo della porta al nostro ingresso, compare tutta trafelata da una porta dall’altro lato della sala e si posiziona davanti a noi porgendoci tre menù.
<< Non vi ho mai visti da queste parti, siete nuovi?>> chiede curiosa appoggiando una mano sul fianco. È una ragazza sulla trentina, ma le occhiaie sotto i limpidi occhi turchesi la fanno sembrare più vecchia, alcuni ricci biondi e ribelli, sfuggiti all’alta coda di cavallo, le incorniciano il viso tempestato di lentiggini mentre la divisa da lavoro che indossa consiste in una stretta maglietta bianca e leggermente sudata ed un grembiule nero.
<< Sì, passeggiavamo da queste parti quando ci è venuta fame>> risponde amichevolmente Kid per tutti.
<< Allora Benvenuti da Shaggy’s, siete fratelli?>> chiede per fare un po’ di conversazione, mentre fa passare lo sguardo da me a Kid a J. J.
Ma è cieca?! Capirei se Kid e J venissero scambiati per parenti, in effetti per il loro sguardo intenso oltre che per il colore degli occhi, si assomigliano molto, anche fisicamente. Ma io che c’entro?! Non ho nulla in comune con loro per via dei miei capelli castani scuro e gli occhi color nocciola.
<< No, siamo amici>> si affretta a precisare il mio amico, vedendo il mio sguardo sbigottito ed inceneritore. Trai i miei altri difetti si conta anche quello di essere asociale e poco incline ad afferrare le battute degli estranei.
<< Però vi assomigliate molto. Comunque cosa posso portarvi?>> annuncia estraendo dal taschino del grembiule un blocchetto per le nostre ordinazioni.
OK! Ha decisamente bisogno di una bel paio di occhiali sentenzio, commentando a me stessa.
Sanza farcelo ripetere due volte, diamo una rapida occhiata alla lista e optiamo per tre panini ed una brocca d’acqua da un litro. Una volta persi gli ordini e i menù, la cameriera sparisce nuovamente dalla porticina che suppongo porti alle cucine.
<< Tu mia Sorella!!>> scoppia a ridere Kid, una volta sicuro che la ragazza non possa sentirci << Questa è bella!>>
<< Ha bisogno di un buon oculista!>> bofonchio.
<< Allora posso chiamarti sorellona?>> chiede candidamente J. sfoggiando un sorriso angelico a cui manca qualche dentino.
<< Certo che puoi!!>> rispondo al bimbo che vorrei soffocare di coccole. È troppo tenero!
<< Sì, sì anch’io ti prego>> si piega in due dalle risate il mio amico.
<< Te lo puoi scordare! Detto da te non suonerebbe altrettanto bene>> ribatto assestandogli una pacca sull’addome che, però, non riesce ad arrestare il suo attacco di ridarella.
La cameriera ritorna a grandi falcate nella sala per porgerci le cena e Kid cerca di recupera un minimo di contegno nonostante stia piangendo per il divertimento.
Senza troppe cerimonie, accecata dalla fame e con l’avidità di un lupo a digiuno, affondo i denti nel pane secco e insipido, fino al prosciutto gommoso che rimane incastrato in gola. Perciò ingollo avidamente un bel bicchiere d’acqua fresca che rinfranca anche il corpo spossato dalla calura. Tutto sommato non posso lamentarmi, è pur sempre cibo e lo sto pagando anche caro, quindi non si discute.
<< Kid?>> chiede tutto d’un tratto J. interrompendo il silenzio religioso che accompagna il pasto << posso venire a dormire da te stasera? … Credo che ci siano dei topi nel rifugio>> chiede con la vocina supplichevole, sgranando gli occhi per enfatizzare la sua recita.
Non posso fare a meno di soffocare un risolino. Ogni volta che il marmocchio non vuole dormire da solo al rifugio tira sempre fuori la scusa di aver sentito sgattaiolare nello scantinato dei roditori o qualsiasi bestia strana gli venga in mente.
<< Se vuoi venire a dormire da me basta chiederlo senza inventare scuse, ok?>> lo ammonisce affettuosamente il mio amico.
<< Evviva! ma li ho sentiti comunque i topi!>> si difende il bimbo finendo il suo panino. Sorridiamo comprensivi. Non è facile per gli adulti dormire da soli a quartieri di distanza da amici e persone care, figuriamoci per un bambino di otto anni.
<< Ragazzi, mi dispiace disturbarvi ma stiamo per chiudere>> ci coglie di sorpresa la cameriera comparendo dietro al bancone ed indicando l’orologio appeso sul muro alle sue spalle << È quasi ora per l’Erogazione>>.
L’erogazione?! Cavolo, certo che è volato il tempo!
<< Sì, ci scusi. Possiamo avere il conto?>> chiedo bruscamente.
La ragazza poggia con rapidità la carta sul banco. Kid ed io paghiamo la cena con la paga ricevuta oggi a lavoro, poi afferrato frettolosamente il resto e lo scontrino, ci fiondiamo fuori dal locale.
L’afa ci assale nuovamente come una morsa stritolandoci tra le sue dita aride, ma non abbiamo il tempo di curarcene, dobbiamo correre se vogliamo arrivare in tempo a casa! Perciò sfrecciamo a perdifiato per le vie deserte dove a farci compagnia c’è solo l’eco dei nostri passi. Ci dobbiamo fermare solo un’ attimo perché J. J non ce la fa più. Purtroppo non possiamo perdere neanche un altro minuto prezioso, allora Kid se lo carica in spalla e ripartiamo con maggior foga.
Dopo strade e vicoli che sembrano non finire mai raggiungiamo, finalmente, il nostro quartiere che ci accoglie con il solito cartello “ zona H_5”. E già, ogni quartiere ha una lettera e un numero che lo contraddistingue. Che fortuna! Si potrebbe benissimo pensare a Cardia come una gigantesca scacchiera. Tuttavia, tranne che per il nome, ogni settore non ha nulla di diverso dagli altri: stessi malandati palazzi residenziali almeno protetti dalla vernice anti acido (ah! Dimenticavo, da noi gli uffici sono assolutamente proibiti, tranne piccoli e controllatissimi esercizi commerciali); tanta polvere da far venire uno shock anafilattico ad un allergico; edifici scolastici, alcuni dei quali quasi inagibili a causa della maglia di crepe che li decora; fabbriche o una “stazione ecologica”, qualche negozietto e qualche spaccio di cianfrusaglie e cibarie che spuntano a casaccio, come i fughi dopo la pioggia.
Auguro velocemente ai ragazzi una buona serata, oltre ad un implicito buona fortuna per arrivare in orario a destinazione, e le nostre strade si dividono con le sirene che urlano il momento più atteso della giornata.
Dopo altri dieci minuti abbondanti di maratona tra le ormai note strade, appare un edificio bellissimo. Ecco come mi sembra, nel delirio per eccesso di acido lattico e mancanza di ossigeno al cervello, il condominio-catapecchia dove abito. Senza rallentare la corsa varco il portone, ci manca poco che non travolga una signora con il suo cesto di panni, e sfruttando lo slancio delle poche energie che mi rimangono salgo in volata le rampe di scale neanche fossi il pugile visto in un vecchissimo film.
Finalmente arrivo alla porta e con il fiato corto picchio sull’uscio.
<< Sky, apri sono io!!>> riesco a dire tra i rantoli e aspettando attimi che sembrano eterni, la mia cuginetta finalmente mi fa entrare.
<< Sei tornata!>> esulta la bambina saltellandomi intorno e scuotendo i folti ricci neri.
Vivo con loro da quando sia suo padre, mio zio, che il mio e mia madre sono stati selezionati per fare da aiutanti alle squadre di ricerca mandate in esplorazione al di fuori della città. Da allora non abbiamo più avuto notizie da nessuno dei tre.
<< Dov’è la zia?>>
<< Mamma è in cucina>> infatti trovo Catherine al lavello, intenta a riempire più taniche e bottiglie d’acqua possibili.
La saluto affettuosamente mentre mi chiede dove sia stata.
<< Vai a farti il bagno, l’erogazione è appena iniziata. L’acqua dovrebbe essere ancora calda>> mi esorta prima di concentrare nuovamente la sua attenzione sulle bottiglie. Seguendo il suo consiglio, vado in bagno e carico una bacinella con asciugamani, tutto l’occorrente per la doccia e la biancheria pulita con i vestiti appena tolti dal bucato ed aggiungo anche un panetto di sapone per i panni. Preso tutto il necessario dovrei raggiungere l’ingresso, ma non voglio passare di nuovo davanti alla cucina, mi è già andata bene che mia zia non si sia accorta in che stato sono ridotti i vestiti. Sfortunatamente non ci sono strade alternative per poter evadere senza essere vista e facendomi coraggio, oltre ad affidarmi ad una buona stella, sfido la mia fortuna.
<< Allora vado e torno>> annuncio di fretta, cercando di defilarmi il prima possibile per quanto le mie gambe stanche me lo permettano.
Proprio quando penso di avercela fatta << April! Cos’hai combinato alla gamba?!>>.
Beccata, accidenti! La sorte non è minimante dalla mia parte oggi.
<< Non so di cosa parli. Vado, a dopo!>> mi affetto a ribattere e mi defilo attraverso il pianerottolo del quinto piano.
Per tutto il corridoio arrivano gli schiamazzi dei vicini, intenti ad accalcarsi ai bagni comuni posti ogni due piani. Sinceramente, e credo chiunque sarebbe d’accordo con me, non mi piace neanche un po’ l’idea di condividere il mio momento privato al bagno con degli sconosciuti. Per fortuna, da qualche tempo ho trovato all’ultimo e abbandonato ottavo piano, delle docce ancora funzionanti di cui nessun’altro è a conoscenza, tranne la mia famiglia, che dopo una bella disinfettata da cima a fondo, sono perfettamente utilizzabili. Perciò, guardandomi attorno con circospezione e sperando che nessuno mi veda, sgattaiolo verso le scale d’emergenza, anch’esse inutilizzate, che mi portano dritta dritta alla meta.
L’ampio spazio e la quiete del posto sono un invito al relax non indifferente, ma prima di svuotare la mente e pensare un po’ a me, prendo la bacinella e, riempitala con un pezzetto di sapone ed acqua, ci lascio in ammollo i panni che mi tolgo di dosso. Invece più ostiche da staccare sono le bende ormai diventate un tutt’uno con le ferite che dovevano solamente coprire. Cercando inutilmente di tirarle via dopo averle bagnate, son costretta alla fine a strapparle di forza con un colpo secco, come si fa con i cerotti, procurandomi un male atroce e qualche goccia di sangue. Leggermente seccata, getto in malo modo il tutto nella bacinella insieme al resto e finalmente posso lasciarmi andare sotto il getto d’acqua calda.
La piacevolissima sensazione delle gocce che picchiettano sulle spalle, il vapore che si insinua nei polmoni fino alla viscere, mi scrollano di dosso la pesante giornata insieme a tutti i pensieri negativi ad essa collegati, facendomi sentire come rinata. Decisa ad assaporare il più a lungo possibile quel momento di pace, che ci viene concesso appena due volte al giorno, mi accovaccio sulla ceramica fredda del piato doccia e lì rimango, lasciando che la mia mente vada alla deriva verso il nulla.
Non so di preciso quanto tempo sia rimasta a crogiolarmi, ma le dita raggrinzite mi dicono che ci sia rimasta molto, anche troppo, e forse è ora di uscire.
Mi do una rapida insaponata completa di shampoo, l’ultimo risciacquo per eliminare le bollicine ostinate ed infine mi avvolgo nel morbido abbraccio del telo da bagno.
Indosso abiti puliti e, mentre i capelli si asciugano all’aria, finisco di lavare i panni per poi stenderli sul filo metallico teso tra due docce opposte, che funge da stendino.
Anche questa volta, come capita sempre quando mi ritrovo in quel luogo da sola, la mia attenzione viene catturata dalla vista che viene offerta dalle finestre del bagno e mi ritrovo a guardare la cupola del Centro che si staglia dietro ai palazzoni. Quel occhio di cristallo che si erge immacolato contro il tramonto, mentre tutto intorno si inginocchia una distesa di case ed edifici sottomessi dalle intemperie e dalla miseria. Rancore e rabbia sono i sentimenti che rivolgo quotidianamente a quella maledetta architettura che salvaguarda, come una comoda gabbia di vetro, delle bestie preziose, cioè gli altri nostri “concittadini”. Loro sono relegati a vita in un bello ed effimero sogno di sicurezza e protezione; la loro esistenza viene scandita dalla tecnologia (da quel che ci hanno riferito alcune fonti certe) dal lavoro e dagli agi. Paragonata alla nostra loro vivono nel lusso sfrenato. Tuttavia, il mio risentimento è dovuto al fatto che i “Centriani” abbiano considerato chiunque non fosse di alto lignaggio o avesse un lavoro “importante”, sacrificabile e per questo, potesse essere giustamente escluso dal progresso ed abbandonato con il minimo indispensabile che gli permettesse di essere produttivo e utile, in qualche maniera, al sostentamento di Cardia.
È proprio questo che non capisco! Come, o in base a cosa stabiliscono che un individuo sia più importante di un altro e perciò avente diritto ad un trattamento diverso? E per quale assurdo motivo si avvalgono della facoltà di “prelevare individui promettenti”, per usare il loro gergo, e trasferirli al Centro dove potranno essere più utili, separandoli per sempre dalle loro famiglie?
Eppure la cosa veramente triste e che noi reietti dall’alta società, abbiamo perso la capacità di opporci a certi eventi; sia perché siamo ormai abituati a vivere in questa realtà dei fatti, sia perché molti si sono lasciati abbindolare dalle belle parole e dalle generose donazioni periodicamente elargite a grandi mani in onore delle feste dello Stato, che abbiamo perso la capacità far sentire la nostra voce e reclamare i nostri diritti. L’unica cosa che c’è rimasta è l’odio e la diffidenza, e se ci va bene qualche piccola rappresaglia.
Ed io odio il Centro e disprezzo i suoi abitanti, per questi e per mille altri motivi, tra i quali l’impossibilità che le cosa cambino. Per questo ho appoggiato in parte il piano di Kid di recuperare vecchi computer. Questo è in parte il mio modo per sfogare tutte le cose negative che costellano la mia vita e rappresenta il mio seppur debole tentativo di ribellione.
Stizzita, arraffo le mie cose e, lasciando che la porta richiudendosi alle mie spalle, sigilli i miei pensieri severamente punibili dalla legge, torno a preoccuparmi del mio piccolo presente e della ramanzina che di sicuro mi aspetta alla fine di queste tre rampe di scale.
Che bella serata mi aspetta…Uffa.

***

Bibibip Bibibip Alzati sono le 7:30 | Bibibip Bibibip Alzati sono le 7:30

Gracchia la sveglia strappandomi dal sogno che stavo facendo. Pigramente tiro fuori dalle coperte il braccio e lo lascio ricadere sull'aggeggio, poi torno ad avvolgermi nelle lenzuola, sprofondando nel sonno.

Bibibip Bibibip Alzati sono le 7:40 | Bibibip Bibibip Alzati sono le 7:40

Prima o poi lo rompo quel dannato affare! Perché li hanno costruiti così assillanti? Per farti saltare i nervi fin dalle prime ore del mattino?!
Ormai sveglio mi alzo di malavoglia dal letto. La stanza immersa nella penombra mi invita a tuffarmi ancora sul materasso a poltrire e perciò, per non cedere alla tentazione, spalanco le tende della finestra lasciando filtrare la calda luce del sole. I raggi pizzicano sulla faccia e sul torso nudo, tanto che sono costretto a scostarmi per evitare quel contatto, poi lanciando i pantaloni del pigiama sul materasso, mi avvio in bagno per ficcarmi sotto la doccia. Non mi va di sembrare uno zombie già di prima mattina. Lascio che l'acqua fredda mi risvegli completamente e a contato con pelle, mi restituisca le facoltà di intendere e volere prima inebetite dal sonno. Mentre mi asciugo i capelli con l'accappatoio ancora addosso e non curante di bagnare tutto la moquette, essendo a piedi nudi, entro nella cabina armadio.

| Buon giorno signore, cosa indosserete oggi?|

Annuncia al mio ingresso la voce metallica del computer installato nel muro. Stamattina non sopporto neanche lui, perciò premo il pulsante di spegnimento del pannello centrale e la spia a led rossa sbiadisce fino a diventare nera. Che sollievo non sentire più tutte queste voci robotiche.
Finalmente nel silenzio, rovisto nei cassetti estraendo biancheria e calzini puliti, poi dalle grucce ordinatamente posizionate sulle aste di metallo che fungono da sostegno, tolgo la divisa universitaria di un indicibile e metallico colore verde scuro con rifiniture in oro sulle maniche corte e sui bordi. Ho quasi finito di cambiarmi quando Ed, il maggiordomo di famiglia, mi annuncia che la colazione è pronta. Un'ultima controllata allo specchio e scendo i gradini fino all'ampia sala da pranzo. È una stanza rettangolare, con esattamente al centro un vasto tavolo di marmo nero circondato da sedie altrettanto scure, mentre anonimi quadri decorano i muri bianchi. C’è un solo posto apparecchiato a spezzare la desolazione della sala.
<< Dove sono tutti Ed?>> chiedo al maggiordomo che mi attende sulla soglia. Edward è un uomo dalla corporatura minuta, dal carattere tranquillo e pacato. È estremamente saggio e comprensivo, tutte caratteristiche comuni per i suoi settant'anni, eppure da quando gli è stato affidato quest'incarico, svolge il suo lavoro ancora con impeccabile precisione e serietà e mai una volta si è preso la libertà di fare a meno delle formalità e delle etichette. È in servizio presso la nostra famiglia da ormai ventisei anni, esattamente un anno prima della mia nascita. Per me è come un padre, una figura insostituibile. In effetti possiamo dire che sia stato lui a crescermi e per questo motivo è una delle poche persone di cui possa fidarmi ciecamente e a cui affiderei i miei segreti più intimi.
<< Il signore è uscito presto stamattina, dicendo di avere affari urgenti in ufficio, vostra madre invece non si è ancora alzata>> risponde immediatamente.
C'era da immaginarselo. Tutte le mattine la stessa storia, ma non ha più importanza ormai ci ho fatto l'abitudine, tuttavia la sala vuota fa sempre impressione.
<< Hai già fatto colazione Ed?>>
<< No, signorino>> esita prima di rispondere, sapendo già cosa ho in mente.
<< In questo caso, mangeremo insieme!>> annuncio andando in cucina a prendere un altro coperto per apparecchiare la tavola, sotto lo sguardo contrariato del maggiordomo. Ed non è ben disposto a farsi preparare il posto da me, poiché è fermamente convinto che il figlio del padrone di casa, nonché suo datore di lavoro, non dovrebbe scomodarsi per simili cose etc etc. ma diversamente dalle prime volte in cui mi rimproverava per ciò, adesso si limita solamente a guardarmi con disappunto, perché sa che lo farei comunque, a discapito di qualsiasi cosa possa dire per farmi desistere. L'unico aspetto su cui non sono riuscito a fargli cambiare idea è il fatto, che almeno quando siamo solamente io e lui, mi possa chiamare per nome senza tutte le formalità che, secondo lui, la sua posizione gli impone.
Finalmente seduti a tavola, non ho neanche il tempo addentare un boccone che un individuo molesto entra rumorosamente nella sala.
<< Buon giorno cugino!!!!>> urla sprizzando energia da tutti i pori.
Lo ignoro sperando che il mio malaugurato parente se ne vada, così com'è venuto.
<< Cuginooooo! … cuginettooooooooooo!>> cinguetta apposta per innervosirmi il bastardo.
<< Non chiamarmi a quel modo Spike>> dico reprimendo il senso di irritazione e la voglia di picchiarlo. Ho un trauma legato a quel appellativo. Quando eravamo bambini ogni volta che Spike pronunciava quella parola per me significava sempre e solo guai!
<< Siamo di cattivo umore? >> domanda prendendo posto sulla sedia accanto alla mia.
Tengo a precisare che Spike non è proprio mio cugino in direttissima, ma è il figlio della cugina di nostro padre o qualcosa del genere, non mi sono mai cimentato nell'approfondimento dell'albero genealogico di famiglia. Tanto meno vorrei essere imparentato con un individuo egocentrico, spara-scemenze e farfallone come lui. Ma è quanto di meglio offre il convento perciò mi tocca sopportalo tutti i giorni. Incomincio a credere che non abbia una casa, visto che ogni due per tre è sempre nel mio salotto o in camera mia. A proposito di questo.
<< Cosa ti porta oggi da noi? >> chiedo a Spike che rigira tra le dita una galletta compressata di riso come se fosse un oggetto astruso e non identificato.
<< Volevo proporti una cosuccia>> butta lì in modo innocente.
<< Sarebbe??>> lo incalzo incuriosito.
<< Una scommessa! Chi prende il voto più alto nell'esame di rilevazione microscopica III, si becca la chiave per gli spogliatoi dell'ala ovest per tutto l'anno>> dice sventolando sotto il naso la tessera magnetica che ha ricevuto quando è diventato il capo della squadra di kick-box. Non è un cattivo offerta. Avere tra le mani la chiave di uno spogliatoio quasi inutilizzato mi permetterebbe di saltare le lezioni ed avere un posto tranquillo in cui sonnecchiare, senza dovermi preoccupare dell'eventualità di essere scoperto, cosa che in più di un occasione non mi ha fatto rilassare quanto avrei voluto.
Dopo averci riflettuto un po' mentre sgranocchio gallette e marmellata, finalmente do la mia risposta.
<< Ci sto! Ma la posta in palio per chi perde? >> chiedo sapendo che Spike non da nulla a gratis.
<< Non preoccuparti lo saprai a tempo debito>> esordisce maliziosamente, e non gli chiedo nulla sul presunto pagamento della posta in gioco, tanto non me lo direbbe mai.
Approvata la scommessa, non ci resta altro che finire la colazione e prepararci ad uscire. Prendo con tutta calma la cintura con tutto il materiale necessario per la giornata di oggi e mi avvio con Spike in strada. Un’esile figura fasciata si verde metallizzato ci sta aspettando oltre il cancello.
<< Buon giorno Ragazzi!!>> saluta Chanel con un sorriso smagliante.
Chanel Moores, oltre ad essere una nostra cara amica, è la mia compagna di classe. È estremamente intelligente, caratteristica che le ha permesso di iscriversi alla nostra sede con un anno di anticipo, superando brillantemente tutti i test. Inizialmente sembra posata e tranquilla, ma l'apparenza inganna. Ha un caratterino difficile da gestire se le cose non vanno come aveva pianificato ed in quei casi è meglio restarle alla larga finché non si calma, altrimenti la sua voce, che raggiunge i toni striduli del cicaleccio, rischia di perforati i timpani. Tutto sommato è abbastanza simpatica, ma cosa più importante, è una delle poche ragazza che conosco, che riesce a tenere testa e sopportare Spike o che non gli sbava dietro come una lumaca, ed è assicurato che anche mio cugino è difficile da gestire per certi versi. Comunque tornando a Chanel, fisicamente non sarà una top model ma rientra nel gruppo delle ragazze più carine della scuola con i suoi capelli color biondo platino acconciati in un pettinatura corta e voluminosa, viso a forma di cuore, occhi uno lilla e l'altro verde giada, snella e con le curve giuste. Unica pecca non è altissima, appena un metro e cinquantacinque.
<< Come stai Nagìl?>> mi chiede spostandosi al mio fianco.
<< Come al solito direi>>
<< Anch'io sto bene! Grazie per l'interessamento>> esordisce Spike, mentre ci lasciamo casa mai alle spalle.
<< Ah! È vero, ci sei anche tu... >> lo punzecchia, rivolgendogli uno sguardo di sufficienza.
Così tra una chiacchiera e l'altra attraversiamo il Centro costantemente ingombrato dal via vai di gente sempre di fretta, mentre le automobili ad energia elettrica o solare sfrecciano silenziosamente per le strade. Le alte abitazioni e gli uffici, oscurano parzialmente i raggi del sole che attraversano la cupola e, nonostante tutto, il caldo si sente abbastanza. Meno male che gli impianti di ventilazione sono attivi tutto il giorno, altrimenti saremmo già morti asfissiati.
Attraverso le strade, i marciapiedi puliti, le poche aiuole sintetiche senza uno stelo fuori posto, mi convinco di quanto sia inquadrata e rigida la nostra società. Neanche ai bambini è concesso di schiamazzare ai giardini pubblici o giocare a palla per paura che disturbino la quiete pubblica. Eppure sotto la crosta di indifferenza che provo si agita da diverso tempo anche qualcos’altro. È difficile descriverlo a parole perché non ha ancora assunto una propria forma definita.
Mentre rimugino e scambio ancora qualche battuta distratta con Spike e Chanel, raggiungiamo l'Istituto di Istruzione, così i professori vogliono che chiamiamo il liceo-universitario. Si tratta si un edificio immenso, poiché deve ospitare tutti i giovani studenti del Centro, dalla imponente facciata di pietra bianca dove è collocata in bella mostra la targa dorata che riporta il nome, l'anno di fondazione e lo stemma scolastico riportato anche sulle nostre divise: una rosa dei venti all’interno di un quattro dalle estremità allungate che intersecano il cerchio in cui è racchiuso. L'intero stabile è percorso da lunghe finestre a nastro in corrispondenza dei diversi piani, conferendogli un aspetto regolare e accademico. La pianta è a ferro di cavallo con un ampio cortile interno e diverse sezioni distaccate, adibite per le palestre e le svariate attività, mentre alcune ospitano le più moderne aule di simulazione.
Finalmente raggiungiamo l'ingresso rientrante nell'edificio, mentre le due guardie poste ai lati delle porte di vetro scorrevoli, ci osservano impassibili. Nell'atrio un'altra guardia seduta dietro la scrivania circolare ci invita ad avvicinarci.
<< I vostri badge prego>> ordina autoritario.
Porgiamo all'uomo i tesserini di plastica che vengono strisciati in un lettore. Un bip di assenso, seguito da una lucina verde, poi i nostri nomi, codici di identificazione e sezione di appartenenza, appaiono sullo schermo piatto alle spalle della guardia, e solo dopo ci è consentito l’accesso alla struttura. Dagli altri schermi a cristalli liquidi nell'atrio, la segreteria annuncia le aule assegnate alle classi per gli ultimi esami di fine semestre e veniamo a sapere dalla voce sintetica che la classe del sesto anno V-A
3, cioè la mia e di Chanel, si trova al terzo piano della parte secondaria dell'edificio, mentre la classe sesta V-B1, quella di Spike è dall'altra parte.
<< Non dimenticarti quello che siamo detti!>> dice prima di allontanarsi per arrivare in tempo all'esame, visto che la camminata che deve fare è piuttosto lunga. Non lo invidio.
<< Di che si tratta?>> chiede Chanel morendo di curiosità.
<< Niente di che, solo una piccola scommessa>> rimango sul vago, se Spike non ha detto nulla di preciso vuol dire che la cosa non deve sapersi.
<< Sempre a sfidarvi vuoi due!>> mormora contrariata.
In effetti io e Spike, fin da piccoli ci siamo sfidati più o meno su tutto, dagli stupidi giochini di abilità, a vere e proprie gare fisiche o scolastiche. Il perché mi sfugge tutt'ora, è come una sorta di routine, tanto che è diventato automatico proporre sempre nuove sfide. Forse per sfuggire alla monotonia che accompagna ogni nostro giorno? Probabile.
Saliamo gli scalini che portano al piano che ci interessa tra il vociare giulivo dei nostri compagni di istituto. Tutti i corridoi, le rampe, le aule asettiche, sono maledettamente uguali. Non un colore, né una qualsiasi cosa che li renda diversi tra di loro. Un senso di insofferenza si insinua lentamente in me, strisciando come un serpente velenoso. Mi è già passata la voglia di stare in classe e la tentazione di marinare è forte, purtroppo ho accattato la scommessa e non voglio dover fare qualcosa per Spike senza aver provato a batterlo, perciò mi impongo di presentarmi all’esame. La stanza non è nulla di particolare: circolare, spoglia e con una gradinata di ferro da cinque file che corre lungo i muri, interrotta qua e la da piccole scalinate per accedere ai vari posti. Io e Chanel ci accomodiamo in terza fila il più lontano possibile dall'ingresso, poi mi prendo del tempo per osservare il centro della sala dove è posizionata la pedana di simulazione virtuale. La piastra ottagonale, cha fa da base alla pedana, è alta almeno cinquanta centimetri e larga sette metri, ed esattamente al centro vi è un disco metallico, leggermente rialzato, da cui partono otto raggi, che dividono la pedana in altrettanti spicchi. Questi, a loro volta, sono formati da un’intricata ragnatela di dischetti ottagonali fatti di silicio e altre leghe altamente conducibili. Dalla parte bassa della pedana, escono numerosi cavi di colori e misure diverse che terminano in un’ enorme scatola nera, il motore e processore di dati, dalla cui griglia posteriore scoperta, è possibile vedere le ventole e le altre componenti da cui è costituita. Non male come pedana di simulazione, speriamo che le immagini siano di buona qualità, siccome già è difficile scovare quei minuscoli microorganismi, figurati se non si vede un accidente! La mia attenzione però viene attirata da un carrellino metallico addossato alla gradinata opposta e coperto da oggetti neri. Oh, no! Caschi di simulazione! Sono arnesi claustrofobici e non molto puliti che vengono usati nei vecchi sistemi di simulazione. E io che avevo sparato di capitare in un’aula dove non ce ne fosse bisogno.

Sbam! Il professore entra nell’aula sbattendosi alle spalle la porta e facendoci sobbalzare. Il professor Ferruro, assomiglia ad un ratto con i piccoli occhietti neri, una vistosa pelata con qualche ciuffo di capelli superstiti (ma ancora per poco), viso giallognolo con una bocca dagli incisivi sporgenti, magrissimo e con le dita delle mani lunghe e affusolate. Abbiamo certi soggetti nel nostro istituto!
Ferruro trascina una sedia fino al motore d’accensione della pedana, e ci si siede, poi estrae dalla sua ventiquattrore consumata il tablet in dotazione ai professori. Accende quindi il suo computer piatto, avvia il motore della piattaforma e infine collega i due apparecchi con un cavo USB.
<< Tirate fuori i vostri palmari e metteteli difronte a voi in modalità ricezione esterna. Confermate il messaggio di connessione al server.2xf.dek>> afferma lapidario.
Obbediamo all’istante, battendo intimiditi i tasti virtuali. I palmari fornitici sono un incrocio tra un cellulare allungato e un microscopico computer, in cui sono raccolti i dati anagrafici e scolastici del possessore per sostenere gli esami e varie cose burocratiche, oltre a numerose applicazioni tra cui mappa satellitare, lettore mp3, calcolatrice e molto altro. È dotato inoltre di un sensore magnetico, che permette rapidi passaggi di dati in caso di necessità.
Finite le operazioni tecniche, il professore inizia a chiamare i candidati in ordine alfabetico, così decido di schiacciare un pisolino, mentre Chanel preferisce ripassare un altro po’ tramite gli appunti sul palmare.


<< Nagìl! Andiamo Nagìl svegliati!>>
<< Mmh>> biascico con la voce impastata di sonno.
<< È già la terza volta che il professore ti chiama>> insiste continuando a scuotermi.
<< Ho capito>> mi alzo sbadigliando vistosamente.
<< Signor Sunders finalmente ha deciso di unirsi a noi!>> afferma irritato il professore, appena lo raggiungo << sappia che anche se è il figlio del Governatore, non si fanno sconti di favore. Deve sudare per guadagnarsi la promozione nella mio corso come tutti gli atri studenti chiaro?! Adesso si prepari>> aggiunge stizzito picchiettando con le dita ossute sul tablet e facendo apparire accanto al mio fascicolo scolastico una serie di cartelle e programmi di simulazione.
Ancora con la solita solfa! Sono il figlio del governatore e allora?! Ho mai chiesto di chiudere un occhio o facilitarmi lo studio? Non mi pare. Comunque per chiarire la situazione, lo rassicuro sul fatto di non volere aiuti, poi indosso l’attrezzatura necessaria, i guanti di simulazione e il casco integrale che ha un gradevolissimo odore di sudore e polvere. Come ultima cosa, prima di posizionarmi sul disco metallico al centro della pedana di simulazione, inserisco il jek del casco al mio palmare appeso alla cintura e attendo istruzioni. Speriamo che finisca presto, questo è quello che mi passa per la mente, mentre dall’altoparlante nel casco irrompe la voce distorta del sistema: <<
Inizio sequenza di rilevazione microscopica III
>>
A questo punto la pedana si attiva con un ronzio sommesso ed inizia ad illuminarsi, mentre le luci dell’aula si abbassano, poi un fascio opaco all’estremità della pedana mi separa dal resto.
Svuoto la mente concentrandomi sul mio obbiettivo.
Che il gioco abbia inizio Spike!

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Capitolo 3
*** Evasione ***


Capitolo 3




<< Allora, allora! Sei pronto a vedere i risultati?>> urla Spike entrando nel bagno maschile, ma la sua voce mi giunge distorta e attutita dallo scrosciare dell'acqua fredda sulla faccia.
Sollevando lo sguardo, con ancora le gocce d'acqua che mi scorrono sul viso, osservo mio cugino attraverso lo specchio.
<< E tu sei pronto a pagare la scommessa?>> ribatto fiducioso con un sorriso sornione.
Per tutta risposta Spike fa spallucce per poi schioccarmi uno dei suoi sguardi da seduttore incallito. Devo ancora capire come mai certi atteggiamenti facciano sciogliere tutte le ragazze della nostra facoltà, che malauguratamente incrociano per i corridoi il mio sbandato parente. Non che Spike sia un cesso ambulante, anzi, ma certe volte si comporta da vero cretino; per esempio come si relaziona con l'altro sesso. Da l’impressione di non fare sul serio, si diverte a circuire una ragazza, ma appena questa si lascia convincere (di solito il tempo che trascorre tra una fase e l'altra è assai breve) in Spike scatta qualcosa, che lo fa ritornare sui suoi passi, mollare la ragazza e trovarne qualcuna più interessante. Infatti avrà avuto un centinaio di fidanzate, ma mai nessuna che sia durata più di tre settimane. Ne ha lasciati di cuori infranti dietro di se! Eppure molte gli corrono ancora dietro, sebbene sappiano a cosa vanno in contro.
Tuttavia per l'occhiata rivoltami, mi vengono i brividi e non posso fare a meno di alzare un sopracciglio come a dire “ Che cavolo fai?!”, ma lui ignorandomi si avvicina ad uno specchio ed incomincia a sistemarsi i capelli: li liscia, li ravviva per poi lisciarli di nuovo. È peggio di una ragazza! Ha un' ossessione quasi maniacale per i suoi capelli sistemati in modo insolito rispetto al classico taglio corto che vige dalle nostre parti. Infatti delle lunghe ciocche nere e fluenti gli ricadono sul petto, mentre il resto della chioma è semi-lunga e mossa sulla nuca.
Spike, con la coda dell'occhio, nota che lo sto osservando.
<< Un ruba cuori come il sottoscritto deve prendersi cura del suo aspetto, specialmente i capelli>> sentenzia dopo l'ennesimo ritocco alla capigliatura, poi continua << se sei invidioso posso insegnarti qualche trucco del mestiere per fare strage di ragazze, perché non sei completamente da buttare!>>
Vorrei veramente mandarlo a quel paese, ma mi trattengo dal dirglielo direttamente per non iniziare una discussione infinita, perciò mi limito ad un innocuo << Quando la smetterai di dire cazzate?>> che regalano mille punti al mio autocontrollo.
<< Scusa, dimenticavo che hai già una fan: la biondina che ci aspetta fuori>> scherza mentre accenna con il capo alla porta che separa noi dalla nostra amica Chanel.
<< Ma che?!>> dico in modo alterato, intuendo il significato nascosto delle sue parole.
<< Che … lei vorrebbe essere più di un'amica?!>> adesso è completamente girato verso di me per guardarmi divertito con le braccia conserte.
<< Te lo dico ora e mai più: tra me è lei non c'è assolutamente niente. E poi non mi attira in quel senso>> sibilo. Non mi vanno a genio certi discorsi, mi mettono a disagio, per non parlare del fatto che dopo, una volta insinuato il dubbio di un possibile coinvolgimento sentimentale, non si riesce più a vedere come prima il rapporto con quella persona.
<< Ehi, ehi non ti scaldare! volevo solo metterti in guardia, prima che ti possa trovare in una situazione imbarazzante. Sappiamo com'è fatta Chanel!>> si schernisce lui.
Rimaniamo per qualche istante a scrutarci, io furente e lui impassibile, e prima qualcuno possa aggiungere dell'altro, la porta del bagno si apre leggermente e dall'altro lato ci giunge la voce della nostra amica.
Giusto in tempo!
<< Sono stufa di aspettare, muovetevi i risultati sono già uscitiiiiiiii!>> scalpita.
Senza perdere tempo la raggiungo nel corridoio, seguito a ruota da Spike, felice di non dover riprendere il discorso.
<< Ce ne avete messo di tempo! Vi siete raccontati i vostri segreti?!>> dice spostandosi al mio fianco. In effetti, ora che ci penso, ho notato che Chanel con me si comporta in maniera diversa rispetto agli altri ragazzi.
“ Che cavolo, adesso che mi ha messo la pulce nell'orecchio e chi se la leva più?! Maledizione a te Spike!” rifletto innervosito.
<< Si, non hai idea di che segreti scabrosi nasconda Nagìl!>> le risponde mio cugino, lasciandola interdetta.
<< Non ascoltarlo, spara solo scemenze ultimamente!>> intervengo per smentire la sua balla quotidiana.
Seguiamo il flusso degli alunni che scende le scale, simili a tanti rivoli di un fiume in pendenza per giungere a valle, e guadagniamo l'aula magna. Una moltitudine di studenti, come tante formiche attirate dallo zucchero, si accalca davanti agli schermi posizionati nella sala. Pertanto ci facciamo faticosamente largo tra la calca per poi fermarci difronte ad uno dei televisori piatti che sembra il meno affollato e avidamente scorriamo con lo sguardo la lista, ordinata in modo decrescente, di tutti i risultati della sezione V dell'esame di rilevamento microscopico III. Ed eccoci: Nagìl Sunders classe V-A
3 ID 009734557 punteggio 120/120; Spike Granger classe V-B1 ID 009812365 punteggio 120/120 …
“ Cosa?! Stesso punteggio? Guarda, guarda chi si è impegnato questa volta!” penso ironico.
<< Pari merito!>> esulta Spike giulivo, mentre mi cinge le spalle con un braccio. Devo dire che sono deluso dal fatto di non aver vinto la scommessa, forse ci tenevo più di quanto non pensassi ad avere la chiave magnetica.
<< Caspita avete raggiunto la vetta anche questa volta!>> ridacchia Chanel per nulla sorpresa.
<< Già … e a te come è andata?>> chiedo per cortesia.
<< Abbastanza bene, 118 punti>> dichiara amareggiata. A quanto pare sperava di prendere di più, ma i batteri e tutti gli organismi del genere non hanno mai attirato le sue simpatie, e ciò l’ha penalizzata nello studio.
<< Magari la prossima volta sarai più fortunata>> la prende in giro Spike. Chanel, per tutta risposta, dopo averlo fulminato con lo sguardo, gli tira un pizzicotto talmente forte da farlo piegare in due dal dolore.
<< Ma sei impazzita!>> le urla adirato, massaggiandosi la parte interessata.
<< La prossima volta impari!>> ribatte acida la ragazza, mentre io me la rido sotto i baffi.
<< Il mio corpo, ovviamente come tutto il resto, è importantissimo! E per averlo deturpato dovrai pagarmi in natura>> ammicca, ma Chanel non è in vena di scherzi e sta per assestargli un altro violento pizzico.
<< Queste te le sei cercate Spike!>> dico non prendendo minimamente in considerazione l’idea di fermarli, è troppo divertente vederli discutere, soprattutto perché Chanel la spunta sempre.
<< Ecco i nostri migliori allievi, complimenti ragazzi sono fiero di voi!>> veniamo interrotti dalla voce affannata del responsabile delle sezioni V dell’istituto: il signor Walter Evensbee, un ometto grassoccio e di piccola statura, con una zazzera di capelli brizzolati, occhietti piccoli e neri che si notano appena dietro la vistosa montatura degli occhiali. Il sorriso svanisce dalle nostre facce e Spike si allontana da me assumendo un atteggiamento formale. La nostra reazione non è dovuta in sé al professore, poiché sia un uomo dispotico o antipatico, anzi è abbastanza alla mano se si sa come prenderlo; il problema è dovuto alle notizie che deve riportare, perché ormai sappiamo che quando approccia gli studenti in questo modo, vuol dire solo una cosa: ci sono delle cose che la direzione vuole che tu faccia, ed in particolar modo chi ha diretti rapporti con le alte sfere.
<< Signor Sunders, stavo cercando proprio lei>> inizia impacciato e, con un misto di imbarazzo e preoccupazione, estrae il suo inseparabile fazzoletto di stoffa per il consueto rituale prima di parlare, tamponarsi la tempia imperlata di sudore.
<< Il preside le porge i suoi sinceri auguri per il brillante risultato ottenuto nella prova … e vorrebbe che fosse lei, in qualità di miglior studente, a pronunciare l’annuale discorso di chiusura del primo semestre di studi>> termina quasi balbettando.
Il discorso! Mi ero completamente scordato di questo stupido evento. Un’apparizione e successivo monologo dello studente più meritevole, il tutto accuratamente allestito su un palco nell’aula magna difronte a tutto il corpo docente e studentesco. E guarda caso a chi è toccato l’onore?! Sempre la solita storia, non passa giorno in cui non provino a sfruttare il fatto che sia il figlio del governatore per ingraziarsi il favore, ma soprattutto le generose donazioni, di mio padre. Ci credo che poi i professori mi rinfacciano che non esistano trattamenti eccezionali, come è successo questa mattina con il professore Ferruro. Perciò, come tutte le volte che capitano questi eventi, indosso una maschera ed interpreto il personaggio inflessibile e formale che spesso anche troppo mi accompagna da quando, ad undici anni, fui presentato ufficialmente come unico figlio, nonché erede dei Sunders, alle maggiori cariche e figure del Centro di Cardia Y-311. Fu proprio nei tre anni precedenti al mio ingresso nella cerchia dei potenti, che Alexander, mio padre, mi insegnò con il suo metodo severo, ai limiti del militarismo, ad usare l’espediente di inventare un carattere fittizio ed intransigente che non lasciasse trasparire nulla della mia vera personalità o delle mie qualità; dovevo essere un perfetto muro impenetrabile, educato e cordiale, ma mai troppo disponibile o dal polso debole come era stato insegnato a lui a suo tempo.

“Ricorda, non permettere a nessuno, estraneo o parente che sia, di conoscerti per quello che sei! Useranno le tue debolezze per il loro tornaconto o contro di te. Vorranno attirarti nella loro ragnatela solo per poterti sfruttare ed ottenere il più possibile, perciò non pensare che i sorrisi o le parole gentili che ti rivolgeranno saranno perché gli interessi qualcosa di te”.

Queste furono le prime parole che accompagnarono la fine della mia spensieratezza e dell’illusione che il mondo non fosse tutto nero. Da allora il personaggio che ho costruito è diventato come una seconda personalità che non mi abbandonava mai, anzi cercava di prendere il sopravvento anche quando giocavo con gli altri bambini, nei pochi momenti liberi tra una lezione e l’altra. Spike fu il primo ad accorgersi del cambiamento nel mio comportamento, proprio perché anche lui doveva subire la stessa situazione. Fu sempre Spike, grazie al suo carattere più ribelle e menefreghista del mio, e sospetto anche più forte, che riuscì a non farsi sopraffare dalla maschera e mi aiutò a stabilire un equilibrio tra chi ero e la finzione che avevo eretto. Anche se mi secca ammetterlo, mio cugino non è poi così inutile o stupido come vuole sembrare.
<< Professore sono onorato della fiducia che riponete lei ed il preside nelle mie competenze, ma sono costretto a declinare. Sicuramente troverete qualcuno che saprà adempiere adeguatamente al compito>> dico in tono disaccato e glaciale, sperando che ciò lo faccia desistere dal proseguire oltre.
<< Signor Sunders come figlio del governatore dovrebbe … comprendere quali responsabilità il suo ruolo comporta e l’esempio che dovrebbe dare agli altri studenti!>> si affretta a dire Evensbee cercando di far leva sul solito argomento: è figlio del governatore Sunders e per questo deve rappresentarlo al meglio per non farlo sfigurare, perciò deve fare quello che le diciamo! Mi viene una rabbia solo al pensiero che con questa scusa vorrebbero farmi diventare una marionetta alla loro mercé e per questo vorrei poter sputare il rospo che per troppo tempo ho ingoiato, vomitando addosso al professore tutto quello che penso veramente. Ma purtroppo non posso, proprio a causa del mio “titolo”. Bella fregatura! E poi si dice che i “potenti” abbiano il coltello dalla parte del manico.
Perciò, pensando che se si diffondesse la notizia che il figlio dei Sunders si è rifiutato di presenziare ad un discorso scolastico ufficiale, potrebbe danneggiare la reputazione della mia famiglia, sono costretto a desistere dai miei raptus di ribellione ed accettare il compito a malincuore.
<< Responsabile…>
> Spike non mi permette di finire la frase che stavo per esprimere, che si intromette nel discorso, oltre a pararmisi difronte << Capita giusto a proposito! mi è venuto in mente un fatto increscioso accaduto poco fa nella mia classe>> annuncia serissimo.
<< Per favore signor Granger, discuteremo di questo in un altro momento adesso mi lasci finire il discorso con…>> cerca di divincolarsi Evensbee, sempre più affannato.
<< Ma professore ! Ne va dell’equilibrio scolastico e della tranquillità degli studenti! Ed in qualità di responsabile delle sezioni V non può ignorare l’urgenza della situazione!>> rincara la dose Spike, per trattenere il più possibile il professore mentre di nascosto mi fa segno di andarmene e alla svelta. Dovrei dare una risposta all’insegnante, non posso semplicemente andarmene … però, chi se ne frega! Almeno per una volta me ne infischio dell’etichetta.
Non me lo faccio ripetere due volte, afferro per il polso Chanel, che fino a quel momento aveva assistito impassibile alla scena, e ci defiliamo dalla sala gremita di studenti.
Al mio ritorno devo ricordarmi di ringraziare Spike come si deve, anche se non ne ho voglia perché so fin troppo bene che mi chiederà il conto.
Usciamo dall’edificio scolastico dalla porta di servizio del personale delle pulizie e attraversiamo le strade del Centro senza meta, ma con l’unica certezza di dovermi allontanare il più possibile. Le vie sono deserte, tutte le persone che le ingombravano questa mattina sono stipate negli uffici davanti ai loro monitor con gli impeccabili vestiti formali. Solo i Funzionari di pattuglia girano sulle loro volanti ad energia solare. Ci fermiamo all’ombra di un muro a pochi isolati dalla base della cupola.
<< Dove stiamo andando?>> sussurra appena Chanel.
In verità alla destinazione non avevo minimamente pensato. Sollevo lo sguardo sugli edifici neri che appaiono storti al di là della volta di vetro che ci protegge dalla pioggia. Un idea in particolare si fa strada tra i pensieri che si affollano rumorosamente nella testa come uno sciame d’api. “ Perché no?!” ripeto mentalmente per convincermi.
<< Andremo nei Sobborghi!>> dichiaro entusiasta, mentre mille fantasie sulla nuova destinazione, che avevo relegato in qualche parte del cervello, si rifacciano alla memoria.
<< C-cosa?! Non possiamo Nagìl! Se ci scoprissero?!? Potremmo finire ai servizi socialmente utili o peggio ancora in prigione!>> si altera la mia amica.
<< Certo che se urli così ci scoprono di sicuro! Facciamo solo un giro e poi torniamo>> dichiaro.
<< Non so se vale la pena rischiare tanto… >> ribatte titubante osservandomi, in cerca di qualche segno di dubbio sul mio volto. Sfortunatamente, non sono mai stato più sicuro di così in tutta la mia vita.
<< Solo un po’, giusto per staccare la spina, poi torniamo a casa prima che si accorgano della nostra assenza. Però ti capisco se non te la senti, ma sappi che ci saranno le guardie dell’accademia a cercarci. Sei pronta ad affrontarle?>> sentenzio affabilmente, per celare la leva psicologica che sto usando contro di lei. A questo punto non voglio tornare indietro sprecando quel briciolo di ribellione che mi ha permesso di fregarmene, almeno per oggi, delle regole.
<< No, le guardie no, ti prego!>> afferma, mentre un leggero pallore le scende sul viso e non posso fare a meno di gioire in segreto.
<< Allora è deciso! Andiamo>> sentenzio porgendole la mano per riprendere il cammino. Chanel la afferra con più sicurezza, arrossendo e ci incamminiamo.

Sei un deficiente! Molla quella mano!!!! Ti si è azzerata la memoria su cosa ti ha detto Spike?!
Urla una parte di me. Purtroppo me ne ricordo solo ora e alla prima occasione buona la lascio andare, sperando di non aver fatto qualcosa di irreparabile.
Ci fermiamo poco dopo nell’unico luogo che mi è venuto in mente: una ditta farmaceutica abbastanza lontana dalla scuola e dalle stazioni dei Funzionari. Stranamente oggi c’è un insolito via vai di gente, e dai discorsi degli addetti che corrono indaffarati da una parte all’altra, capisco che la ditta sta effettuando lo scarto dei farmaci non utilizzabili o scaduti, quindi destinati allo smaltimento negli appositi centri dei Sobborghi. Dovranno perciò aprire la pesante porta di ferro a pochi passi da loro, per far uscire il camion dei trasporti.
Almeno in questo la fortuna è dalla nostra parte.
Non ci rimane che avvicinarci il più possibile e aspettare il momento buono per uscire. Con questo piano ben fissato in mente, ci nascondiamo dietro a dei cassonetti a ridosso della base della cupola, protetti anche da una porzione di muro ad angolo. Chanel non sembra molto entusiasta della soluzione, e cerca attentamente di non sfiorare neppure per sbaglio i contenitori dell’immondizia con una parte della divisa. Appena nascosti, veniamo sorpresi da due voci troppo vicine al nostro nascondiglio e l’adrenalina inizia a scorrermi nelle vene come un treno impazzito.
<< Ma quanti stramaledetti scatoloni ci sono ancora da caricare?!>> dice una voce maschile molto profonda e irritata.
<< E io che ne so! Spero pochi, tra mezz’ora dobbiamo ritirare un altro carico ed il trabiccolo è strabordante di schifezze da cestinare>> si affretta a rispondere un collega, mentre sbatte violentemente il coperchio della pattumiera difronte a Chanel che si paralizza per la paura. I due fattorini si scambiano ancora qualche battuta, prima di allontanarsi, rivelandoci ancora qualche dettaglio utile per la nostra evasione. Quando sono sicuro che i due addetti se ne siano andati, faccio capolino da dietro al muro per studiare la situazione. La vettura appostata a pochi passi da noi, è un vecchio modello a miscela idrocarburica con la parte posteriore coperta da un telo di spessa plastica nera. Strano che facciano circolare ancora certi esemplari, visto che le nostre scorte di benzina e affini non sono molto abbondanti; per non parlare del tasso di anidride carbonica e agenti inquinanti emessi. Comunque il telone di plastica non è fissato bene in una delle estremità, perciò potremmo intrufolarci nel furgone senza problemi. Trascorrono diversi minuti prima di sentire le voci aspre dei fattorini annunciare l’ultimo scatolone ed il rumore acuto del trabiccolo che prende vita, tra gli sbuffi nerastri dello scarico. Leggermente affumicato, ma pronto all’azione, scatto in piedi trascinandomi dietro la ragazza e, senza essere scorti dagli specchietti laterali del mezzo, approfittiamo del gentile passaggio.
Così parte il nostro viaggio, con continui sobbalzi della vettura che affonda le ruote nel suolo irregolare come la superficie lunare, e con l’odore di terreno secco e carburante nelle narici. Non male come inizio! Quando dopo un secolo sbircio all’esterno, la cupola è soltanto un piccolo globo che si intravede tra i palazzi. È ora di scendere. Alla prima occasione favorevole, smontiamo dal furgone, immergendoci completamente nel luogo.
Devo ammettere che adesso che mi trovo nei Sobborghi non so cosa provo. È come se ci fossero troppe sensazioni da digerire. Adrenalina? Paura? Eccitazione? Forse ci sono tutte oppure non ce ne è nessuna, poiché il mio cervello fatica a riconoscere ogni emozione e a trovarle un posto all’interno del corpo. Mi sento come durante una lezione di chimica in cui l’assistente ti chiede di esaminare una provetta in cui sono mescolati insieme diverse sostanze dai nomi complicati, che hai sentito parecchie volte, di cui conosci il nome esatto, ma che non riesci a distinguere, perché ogni componente è mischiata in modo omogeneo con le altre. Eppure tutto ciò non mi spaventa affatto, al contrario mi incuriosisce maggiormente, in più ho fantasticato mille volte su come dovesse essere questo posto fuori dall’ordinario di cui ci hanno sempre parlato malamente in facoltà e alle conferenze; ci hanno sempre descritto un luogo lugubre, pieno di malviventi attaccabrighe o gente che elemosina per strada, di persone allontanate dal Centro perché pericolose per la società e per il governo e capace dei comportamenti più marci di questa società.
Era tutto falso? La gente qui mi sembra piena di vita, si affaccenda nei lavori più disparati e invece di lamentarsi o urlare perché qualcosa non funziona, per ogni crepa nel muro o per i marciapiedi deformati, se ne vanta quasi, asserendo che nonostante tutto resistono ancora sotto l’attacco degli elementi naturali. Tutto quello che mi era stato inculcato si sgretola sbattendo contro la verità e la condotta pacifica di questa gente. Un pensiero si fa strada tra reclamando la mia attenzione: “ e se fosse stato tutto premeditato?”. Scioccato all’ eventualità di uno sviluppo simile, accantono in un angolino buio il dubbio concentrandomi solo su quello che posso vedere. Sono davvero colpito e voglio conoscere di più di questo posto che è l’esatto contrario del mio; così ci addentriamo per i vicoli polverosi e tra le strade che hanno dei loro propri odori (alcuni non molto gradevoli, ma pazienza) per poi arrivare in una piazza piena di bancarelle dalle merci di colori sgargianti e alcuni dall’aria vissuta.
Un banco vende delle cianfrusaglie che non ho mai visto, un altro ha disposti diversi bracciali di pietruzze lucide e alcune medaglie militari che da tempo sono sparite dalla circolazione (almeno dalle nostre parti), oltre a bende e bandane dai colori leggermente sbiaditi, c’è addirittura qualche kefiah.
<< Chanel, hai mai visto tante cose strane tutte insieme? È tutto così …>> ho troppi aggettivi che mi frullano per la testa per pronunciarne anche solo uno.
<< Rozzo!>> conclude astiosa.
<< Avrei detto bizzarro e poi non fare la schizzinosa, siamo qui per divertirci>> esulto al settimo cielo, perché finalmente un mio sogno infantile si sta avverando.
<< Ti diverti come un bambino con un giocattolo nuovo. Sei entusiasta è l’ho notato, adesso possiamo andarcene?!?>> ribatte sulla difensiva stringendosi nelle spalle, tesa come una corda di violino. Ammutolisce di colpo per poi lanciare occhiate preoccupate tutt’attorno.
<< C’è qualcosa che non va?>> chiedo apprensivo; non è da lei fare così.
<< Ecco … è da prima che la gente parlotta e ci fissa in modo strano>> sussurra appena.
<< Ma che stai dicendo?>> ma appena sollevo lo sguardo per osservarmi intorno, per trovare smentita alle sue parole, noto che le persone a poco a poco si allontanano da noi bisbigliando, mentre le madri allontanano i figli incuriositi, guardandoci in modo torvo ed apprensivo come se fossimo delle belve feroci.
La situazione non mi piace per niente. Come mai d’un tratto si comportano in maniera così sospettosa? Fino a qualche minuto prima andava tutto alla grande. Una brutta sensazione mi attanaglia dell’interno, bloccando lo stomaco e mettendo in allerta i sensi. Istintivamente afferro Chanel per una spalla e la sospingo lentamente verso il punto meno gremito della piazza, ma senza voltare le spalle alla folla, come se un movimento brusco potesse far scatenare la reazione dei presenti. Poco dopo aver raggiunto l’estremità libera, si alza una voce: << Vengono dal Centro!!!>> e incomincia il pandemonio.
Per istinto di conservazione incomincio a correre tirandomi dietro la ragazza, mentre la folla inferocita ci insegue a pochi metri di distanza, sbraitando con veemenza e pretendendo la nostra cattura. Come mai ce l’hanno con noi? Possibile che debba ricredermi su ciò che ho pensato appena arrivato? Non so più cosa pensare; fatto sta che adesso la mia priorità è mettere più distanza possibile tra me e la gentaglia, altrimenti va a finire male.

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Capitolo 4
*** Incontro Scontro ***


Capitolo 4




 

Accelerando il passo e, a poco a poco, riusciamo a seminare gli inseguitori. Finalmente possiamo fermarci a riposarci all’ombra di una palazzina decadente, stanchi e madidi i sudore. Dobbiamo trovarci in un quartiere periferico, perché non c’è anima viva ed il silenzio è quasi assoluto.
<< Nagìl! … dove caspita ci troviamo?!>> strilla Chanel con il poco fiato che ha nei polmoni.
<< Per il momento al sicuro … e abbassa la voce!>> la rimbrotto, mentre, appoggiato al muro di cemento, mi lascio scivolare fino a terra.
<< Come facciamo a tornare a casa?!>> domanda sull’orlo del pianto.
<< Basterà cercare la cupola e raggiungerla. Per il momento non mi muoverei però, ci saranno ancora quei tizzi a cercarci>> ragiono ad alta voce.
Questa mia considerazione sembra tranquillizzare Chanel, e finalmente posso distendere i nervi per qualche minuto prima di sentire la sua voce stridula di nuovo.
La calura strisciante che discende gli edifici come una mano bramosa, afferrandoci la gola  e lasciandoci boccheggianti nonostante le tiepide folate di vento che si insinua tra i palazzi e  grazie all’assenza di sole. Certo che fuori dalla cupola la temperatura si sente più accentuata, o forse è solo una mia impressione perché non vi sono abituato. Ora che l’adrenalina se ne è andata mi sento spossato e, socchiudendo gli occhi incoraggiato dalla tranquillità del posto, cerco di recuperare un minimo delle forze spese nella fuga.
Purtroppo il momento di quiete dura assai poco, infatti l’eco di una lattina che si schianta sulla parete a poca distanza da noi, si propaga come un colpo di cannone in tutto il vicinato, seguita da risa sguaiate. Subito dopo compaiono una dozzina di ragazzi vestiti di nero e con catene penzolanti che, accorgendosi della nostra presenza, assumono un atteggiamento ancora più minaccioso e spavaldo. Mi alzo da terra mettendomi sulla difensiva, pronto per agire in ogni evenienza, mentre quello che deve essere il capobanda si fa avanti prendendo la parola.
<< Guarda, guarda chi abbiamo qui, dei forestieri!>> dice uno in tono di scherno << … di dove sbucate?>> domanda ancora curioso, ma con una smorfia di scherno sul volto abbronzato. Ha molti più muscoli di me nonostante non sia molto più alto, e mi da l’idea di uno che non si risparmia con i pugni o con le risse. Devo decidere ed in fretta cosa fare, altrimenti rischiamo di trovarci in guai seri. Di certo non posso raccontargli balle, perché avrà già capito da sé di dove siamo, come lo ha capito la gente al mercato.
<< Veniamo dal Centro>> dico, studiando le loro reazioni.
<< Degli schifosi figli di papà venuti in visita ai bassi fondi! >> brontola un individuo magro, sputando con sdegno nella nostra direzione, mentre i suoi compari scoppiano in una fragorosa risata come se avesse detto o fatto la cosa più divertente del mondo.
Comincio ad innervosirmi, ma mantenendo il sangue freddo riesco a chiedere << Che volete?>>
<< Avete sentito?!>> sentenzia ironico il boss seguito da altre risate. << Smilzo! Lo dici tu al nostro amico qui perché ce l’abbiamo tanto con lui?>>
Chiamato in causa, un ragazzo dalla mole elefantesca e dagli strabordanti rotoli di grasso fa un passo in avanti nello schieramento dei teppisti per obbedire agli ordini << Vi siete presentati senza invito>> dichiara con voce tanto profonda da far vibrare la sua massa grassa.
<< Esatto! Per questo vi abbiamo riservato un benvenuto con i fiocchi, non è vero ragazzi?!>> ribadisce il boss scrocchiando le dita.
Immediatamente i suoi tirapiedi, rompendo le righe, avanzano brandendo in modo teatrale delle mazze, delle catene e quanto si sono portati dietro, fino ad accerchiarci completamente.
<< Non c’è modo di risolverla pacificamente? Almeno difronte ad una ragazza>> cerco di trattare, mentre faccio un rapido giro su me stesso per vedere fino a quanto siamo messi male. “ Siamo nella merda fino al collo, dannazione!” constato sconfitto.
<< Non ti preoccupare, risolviamo subito il problema>> la risposta arriva secca e definitiva come un colpo d’ascia calato dal boia. Pocodopo Chanel inizia ad urlare e le sue mani vengono staccate con violenza dalla mia maglia.
<< Bastardi!>> mi volto di scatto per riprendere la mia amica, ma in quel preciso momento si scatena il peggio. La teppaglia si scaglia all’assalto ed una randellata mi colpisce ad una gamba, da cui risale in tutto il corpo un dolore sordo e bruciante come una lingua di fuoco.
Stingo i denti e meno le mani, sperando di cavarmela con le nozioni di arti marziali che ho sporadicamente seguito. Se proprio devo essere massacrato di botte, darò la stessa sorte a qualcuno di questi schifosi!


***
 

 

Finalmente la pausa pranzo!! Oggi è stata una giornata particolarmente movimentata a lavoro, c’erano una marea di pacchi da consegnare e così finalmente Chris, il mio capo, ha lasciato che usassi la bicicletta della ditta ad una condizione, che non la distruggessi. Purtroppo la vista della bici non è stata tra le più piacevoli e appena immessa nel traffico mattutino ha tentato più di una volta di attentare alla mia vita! Il perché è semplice da spiegare: il mezzo in questione non è altro che un ammasso informe di ferraglia arrugginita che cigola e si lamenta ad ogni pedalata; i freni funzionano a malapena e le marce, quasi mangiate dalla ruggine, sono durissime da inserire. Ho chiesto più di una volta al capo di farla sistemare perché non l’avrei mai usata in quelle condizioni, ma lui per tutta risposta mi ha detto di usarla così o avrebbe passato l’incarico a qualcun altro. Piuttosto che saltare mezza giornata di paga, ho afferrato il catorcio e mi sono data da fare. Col cavolo che il pomeriggio lo passerò ancora su quell’arnese scassato a scansare carretti, galline razzolanti, muri e quant’altro mi si pari di fronte all’ improvviso, solo perché nessuno vuole farla aggiustare. Appena ci vediamo chiederò a Kid di darle un’ occhiata, alla faccia di tutti!
A proposito del mio amico, dove si è cacciato? È da un quarto d’ora che lo aspetto. Non è che si sarà dimenticato come al solito del nostro ritrovo alle “poste”?!?
Abbiamo scelto questo posto perché abbastanza vicino alle rispettive sedi di lavoro eppure non si vede ancora. Oh, si arrangerà! Ormai non posso più aspettare, il mio stomaco ha deciso che se non metto subito qualcosa sotto i denti, mi dichiarerà guerra con tanto di effetti sonori. Avanzo cauta tra le scrivanie logore e ne scelgo una di mio gusto, rovesciando sul pavimento tutte le cianfrusaglie abbandonate su di essa. Mi ci accomodo, togliendo dalla borsa il pranzo che consiste in una sottospecie di tortillas con uova e formaggio salato ed una delle bottigliette d’acqua, naturale riempite stamattina alle 6:00, che levataccia! Per di più l’erogazione mattutina non è annunciata pubblicamente, quindi se ti svegli bene, altrimenti l’acqua te la vai a comprare con tutte le tasse e dopo la batosta di ieri a cena ho imparato la lezione: mi porto l’acqua dal rubinetto, fa niente che a fine giornata sia calda.
Per mia fortuna o sfortuna, nella palazzina dove viviamo io e la mia famiglia, sappiamo benissimo quando è ora di riempire le taniche, perché le condutture che serpeggiano nei muri di calcestruzzo vengono scosse da violenti sobbalzi e squittii tanto che ti sembra di avere un gruppo di topi che scorrazza su e giù per i muri. Non è un granché come sveglia visto che se stai dormento e senti certi sinistri rumori, il minimo è saltare giù dal letto per lo spavento, comunque dopo un po’, un bel po’, ci si fa l’abitudine.
Senza più remore, addento l’involtino fatto in fretta e furia prima di uscire, perché come sempre sono in ritardo. Niente male come esperimento culinario! Devo farlo assaggiare anche alla mia cuginetta la prossima volta; magari quando tocca a me cucinare, per esempio domani sera quando Catherine fa il turno di notte. Infatti mia zia è la segretaria dello studio medico del nostro distretto, oltre ad essere un po’ una tuttofare. A volte si occupa dei pazienti non particolarmente gravi,  dove le sue conoscenze mediche, tramandate da suo padre infermiere, riescono ad arrivare, quando lo studio del dottor Rosemberg è sommerso di pazienti, il che non succede così di rado a causa dell’alto tasso di incidenti sui luoghi di lavoro e di avvelenamenti per le esalazioni tossiche. Sporadicamente ed in casi estremi di sovraffollamento, insieme ad altri volontari, dò una mano anch’io con i bendaggi, fasciature e steccature per ossa rotte di sui sono espertissima siccome più di una volta le ho applicate su me stessa. Sto spazzolando le ultime briciole della tortillas, quando il mio amico finalmente si palesa.
<< Peccato, non ti darò neanche un pezzetto del mio pranzo!>> affermo leccandomi le dita. Quella di assaggiare il pasto dell’altro è diventata un’abitudine da tempi immemori e serve a criticare affettuosamente gli improbabili accostamenti di sapore, oltre a venire a conoscenza di possibili nuove ricette improvvisate.
<< Ma se l’hai finito?!>> risponde offeso.
<< Non arrivavi più e avevo fame>> dico semplicemente guardandolo con gli occhi da cerbiatta e allora la sua faccia scura crolla. Lo so, sono tremenda!
<< Uffa, allora devo mangiare solo io. Però mi fai compagnia!>>
<< Okeeeeeeeeeeeeeei>>
Da brava amica salto giù dalla scrivania e lo seguo mentre si siede sul bordo del pavimento, dove un tempo c’era un muro delle poste, con i piedi che penzolano nel vuoto. Non si sta affatto male quassù, c’è una leggera brezza che allontana momentaneamente la calura afosa, e poi si gode di un’ ottima vista del vicinato. Mi sono sempre piaciuti i posti in alto, mi fanno sentire un po’ più vicina la cielo e meno alla terra a cui sono inchiodata.
<< Cosa hai preparato stavolta?>> chiede d’un tratto Kid prima di divorare il panino malconcio che si è portato dietro.
<< Una tortillas gigante con formaggio salato e uova>> dico senza staccare gli occhi dai palazzi in lontananza, osservandone i profili malconci e sbilenchi come castelli di sabbia in preda alla marea.
<< Sembra buono>> ingoia un’ altro boccone prima di allungarmi il suo pranzo per un assaggio.
<< Promesso, la prossima volta ne preparerò uno soltanto per te>> sorrido e poi mi avvicino al panino per staccarne un morsetto. È duro e schifosamente salato a causa della carne essiccata che c’è nel mezzo. Arriccio il naso, facendoglielo notare e poi ci perdiamo nel parlare del più e del meno della giornata, ma non mi dimentico di chiedergli di aggiustare la bici della ditta di corrieri che ho lasciato all’ingresso del palazzo. Mentre smangiucchiamo dei biscotti fatti dalla madre di Kid, giungono delle voci dalla strada sottostante. Prima sono solo due: una ragazza agitata ed un ragazzo seccato, poi arrivano gli schiamazzi. Ci sporgiamo per vedere meglio. Ciò che si presenta sono dodici, al massimo quattordici, ragazzi che accerchiano la coppia di giovani dai capelli insolitamente chiari e dai vestiti troppo sgargianti per essere abitanti di uno dei quartieri circostanti.
<< Devono essere del Centro>> dico apatica indicando con la testa gli “stranieri”, mentre il disgusto ed un ondata di risentimenti, mi ribollono nelle viscere.
<< Quelli non sono i Demon’s Cross?>> chiede Kid sporgendosi un po’ di più, in allarme.
Un rapido esame al vestiario dei tizzi che consiste in pantaloni strappati, catene pendenti, magliette nere senza maniche che ritraggono sulla schiena un croce latina inscritta in un pentacolo, e qualche bandana a scacchi sbiadita; e poi rispondo al mio amico << Sì sì, sono loro>> confermo tornando a mangiare il dolce.
I Demon’s Cross è una banda di giovani violenti e sbandati, noti soprattutto per il loro profondo odio verso il Centro che si manifesta spesso e volentieri con atti vandalici, a volte gravi, volti anche a sfidare la pazienza dei Funzionari. Sono molto famosi specialmente tra i ragazzi, che li vedono come una valvola di sfogo per le dure condizioni di vita imposte dalle alte sfere del Centro. Per questi motivi, molti cercano di entrarvi, ma si vocifera che la prova d’iniziazione sia talmente crudele e difficile, che la maggior parte abbandona il tentativo ancor prima di cominciare.
<< Dobbiamo fare qualcosa!>> sbotta Kid.
<< Perché? abbiamo il dolce più spettacolo>> dico distrattamente tirando calci all’aria e fingendo che la cosa non mi riguardi.
<< April, non ti rendi conto! Li massacreranno>> Kid è palesemente preoccupato.
<< A me sembra che il tipo se la stia cavando bene … Auch! Guarda che pugno gli ha assestato>> e indico il giovane che ha appena atterrato un tizio più robusto di lui.
<< APRIL!>> alza il tono il mio amico. Adesso è infuriato.
<< Non fai sul serio vero?!>> dico in un soffio, mentre la rabbia inizia a montarmi dentro come il mare in burrasca.
PERCHÉ?! Perché dovrei aiutare degli abitanti del Centro?? Cosa hanno fatto loro per noi quando morivamo di fame? Qualcuno si è degnato di dire che non era giusto portare via i nostri cari perché avevano abilità speciali? Cosa hanno fatto quelli del Centro per fermare i Funzionari dal mandare i nostri in missioni impossibili e suicide?
<< Lo so cosa provi, ma …>> cerca di riprendere in tono calmo.
<< No! Tu non lo sai!!!>> incenerisco Kid con uno sguardo pieno di rancore. Sono cose ingiuste da dire alla persona che da anni è al mio fianco, ma il dolore che provo è troppo forte e vivido per trattenerlo.
<< April, avranno la nostra stessa età! Che colpa possono avere  di quello che ti è successo?! Ragiona!!>>
Non voglio più ascoltarlo, perciò lo ignoro.
<< Non mi lasci altra scelta … Ci andrò da solo!!>> sbraita lanciandomi l’ultimatum.
Mi volto lentamente nella sua direzione, arrabbiata più che mai. L’ha fatto apposta! Lo sa che non lascerei mai che si lanciasse in mezzo ad una mischia, perché magro com’è non è capace di tirare un pugno come si deve ed è una frana nelle risse, anche quelle più banali; figuriamoci affrontare i Demon’s Cross?!.
 In questo momento verrei picchiarlo selvaggiamente per avermi messo con le spalle al muro, è una sensazione che detesto! E poi lui sa che sono costretta a cedere! Per questo la cosa mi fa incavolare ancora di più.
<< Va bene!!>> dico di getto, stringendo i pugni finché le dita non mi fanno male.
<< Cerca di capire, è la cosa giusta da fare>> tentare di indorare la pillola.
Lo capisco anch’io che ha ragione, ma non ne ho nessuna voglia e perciò mi fa imbestialire! 
<< Ho capito, sta’ zitto!>> rispondo brusca. Lascio che la rabbia sbollisca leggermente ed una volta schiarite le idee continuo << Tu resti qui! Mi devi passare quel bastone appena te lo chiedo … poi fai quello che vuoi>> indico una mazza piuttosto pesante appoggiata in un angolo della stanza e mi avvio ad un capo dell’apertura nell’edificio dove c’è una grondaia in buono stato che posso usare per scendere più velocemente.
<< Sei cocciuta come un mulo>> dice Kid quando gli passo a fianco.
<< E tu troppo buono!>> sentenzio acidamente, lasciandomelo alle spalle.
Ad un passo dal tubo di ferro, fascio abbondantemente ed il più stretto possibile i palmi con degli stracci che ho trovato in giro, sperando che reggano per tutta la discesa e dopo un bel respiro mi lascio cadere aggrappata al cilindro. Pochi attimi e attero con un tonfo, mentre le mani bruciano per la frenata finale. Nonostante tutto non mi hanno notato, tanto erano concentrati nella rissa, quindi sto pensando di urlar loro qualcosa, ma ci pensa la grondaia. Un grosso pezzo si stacca dai sostegni e crolla rovinosamente al suolo con uno schianto micidiale. Magnifico! Adesso non potrò più scendere da lì. Sbuffo seccata, per lo meno la rabbia mi darà la carica o comunque qualcosa su cui focalizzarmi.
La baraonda almeno ha fatto sì che la scazzottata si sia fermata e tutti siano voltati verso di me.
<< Salve! Posso unirmi anch’io?>> dico non trovando niente di più brillante nel mio repertorio. Passano attimi di silenzio, rotti poi da una voce cavernosa.
<< Oh! Chi si rivede la piccola Wild! Non dovevi essere morta sotto un crollo?>>
Piccola?! La rabbia ora è come una mandria di bisonti impazziti << Ciao Marcus! È da un po’ che non ti fai prendere a pugni. Sei ancora in convalescenza?>> dico spavalda, trattenendo a stento un ghigno sadico.
Non è un’invenzione, io e Marcus, il capo della banda, ci conosciamo bene. Più di una volta ci siamo affrontati perché lui sosteneva che avessi violato non so quale confine; o forse mi ero intromessa in una lite come ora? Sì, forse anche questo. Fatto sta che non poco tempo fa ci siamo cimentati in un nuovo scontro, dove non me la sono vista tanto bella. Ho rischiato molto, visto che il mio avversario era, ed è il doppio di me in fatto di muscoli, per non parlare della forza bruta che si ritrova. Comunque neanche Marcus ne è uscito indenne (naso rotto e diversi lividi) e la notizia ha fatto il giro della città, ecco perché il boss mi odia tanto.
<< Non dire stronzate e vattene prima che rompa quel tuo musino>> si è scaldato, ma non abbastanza da dare in escandescenza, conoscendo il soggetto, ovvero una testa calda come poche. Il mio piano è di farlo incavolare per bene, così farà la prima mossa e poi attaccarlo subito dopo, spiazzandolo. Devo giocare d’astuzia, perché non posso confrontarmi con ottanta chili di muscoli! Subito dopo devo mettere k.o. il tizio che tiene in disparte la biondina che frigna non troppo lontano da me, così, se tutto va bene, il cerchio che tiene in pugno il ragazzo dovrebbe rompersi e se non è un rimbambito, riuscirà facilmente a liberarsi.
Allora con un abbozzo di piano in testa scelgo accuratamente le parole da rivolgere a Marcus per farlo andare fuori dai gangheri.
<< Scusa, se poi mi spacchi il muso, chi porterà con discrezione il kit sadomaso che ha ordinato tua madre? Ops!... Ho parlato troppo>> porto platealmente una mano davanti alla bocca, come se avessi rivelato un segreto inconfessabile. Lo so che è davvero meschino da parte mia dare addito a presunte dicerie sentite dalle comari al mercato riguardo alla madre del ragazzo, ma senza una notizia sconvolgente non credo che potrebbe mostrare la reazione giusta. Perciò mi scusi signora, non ho nulla contro di lei … solo con suo figlio.
La reazione non si fa attendere; Marcus è paralizzato dalla rabbia e le vene sul collo stanno per esplodere. Ci siamo quasi!
<< Cos’hai osato dire?>> ringhia in cagnesco.
<< Voi davvero che lo ripeta?! Ok >> scrollo le spalle sfacciatamente << Ho detto s-a-d-o-m-a-s-o!>> scandisco le parole come si farebbe con un ritardato e la cosa gli fa perdere le staffe.
<< Brutta Puttana!>> urla scagliandosi letteralmente contro di me.
In un confronto diretto tra lui e un rinoceronte non so chi la spunterebbe! Meglio non scoprirlo sulla mia pelle, perciò ecco che parte la mia contromossa. Gli corro incontro, ma un attimo prima che si abbatta su di me un sonoro pugno, mi butto in terra. La mossa è talmente inaspettata che l’energumeno rimane disorientato, così con tutta la forza che ho in corpo gli tiro un poderoso calcio nei paesi bassi, che lo lascia senza fiato ed agonizzante al suolo.
Prontamente scatto i piedi e urlo a Kid di lanciarmi il bastone, che afferro al volo. Dopo di ché mi avvento sul tipo che trattiene la ragazza. Tutto intorno si scatena il finimondo. Do Giusto uno sguardo per capire se il cerchio si è aperto e poi mi concentro sul prossimo bersaglio. Un colpo al ginocchio sinistro fa sbilanciare il ragazzo, mentre il successivo sul petto lo allontana definitivamente dalla biondina.
<< Stai bene? Riesci a correre?>> chiedo di mala voglia alla ragazza spaurita che ha appena la forza di annuire col capo.
Un solo secondo di distrazione, uno soltanto, che mi serve per prendere la ragazza per un braccio dicendole che va tutto bene e girarmi, quando un lampo argenteo mi saetta davanti al viso colpendomi in pieno sopra il sopracciglio. Un fiotto di sangue cola sull’occhio destro mentre una serie di puntini luminosi scoppiano come fuochi d’artificio nel mio campo visivo. Merda! Il colpo è stato così violento che mi sento rintronata e le gambe non mi reggono, mentre la testa sembra un alveare in piena attività, inoltre le urla da sirena della bionda non aiutano. Ripresa un attimo, mi accorgo troppo tardi del ragazzo che brandendo nuovamente la catena di metallo, fa calare il secondo colpo inesorabilmente verso di noi. Spingo la ragazza lontano dalla traiettoria e mi preparo all’impatto proteggendomi con le braccia.
Al contrario percepisco solamente un lieve bruciore all’avambraccio. Com’è possibile. Non dovrei contorcermi dal dolore? Spalanco gli occhi, chiusi preventivamente, e vedo il ragazzo del Centro che con una spallata ha sbalzato il teppista così che la catena mi colpisse solamente di striscio. 
<< April muoviti, che fai lì impalata?!>> strilla qualcuno.
È la voce di Kid che mi sembra lontana chilometri; poi lo vedo, è ai piedi del palazzo che con una fionda e con quanto ha a disposizione, ci copre le spalle. Afferro i due stranieri e corro a più non posso verso il mio amico, mentre la ferita mi pulsa violentemente e il sangue non ne vuole sapere di  fermarsi.
Dannazione, questa strada non mi è mai sembrata così larga.
<< April! Santo cielo sei una maschera di sangue! Dobbiamo fermare l’emorragia! Non puoi…>> strilla preoccupatissimo Kid, mentre preme sul taglio con una pezza.
<< Signor perspicacia! Non preoccuparti e pensa a portarli via. Camuffali in qualche modo sono troppo … appariscenti. Io vi raggiungo al rifugio>> dico con il fiato corto, strappandogli di mano la stoffa inzuppata di rosso.
<< Non fare la stupida …>>
<< Vai!>> dico decisa, per farlo desistere, sentendo le grida sguaiate degli scagnozzi di Marcus che evidentemente si stanno riprendendo dai colpi di fionda e che a momenti convergeranno nuovamente verso di noi. Ma Kid è ancora difronte a me, perciò arrabbiata più che mai spintono tutti e tre.   
<< April non posso lasc…>>
<< VAI!!!>> urlo con tutto il fiato che mi rimane. Vorrei aggiungere che è più importante portarli al sicuro, ma le parole per qualche motivo non vogliono uscire. Non sono ancora pronta a dirlo.
Questa volta il mio amico non se lo fa ripetere, e malvolentieri si volta, incominciando a correre e tirandosi appresso la bionda, così mi volto verso gli avversari.
<< Cosa speri di fare conciata così?>> mi sorprende qualcuno alle spalle. Si tratta del ragazzo del Centro perciò, lo trascuro sperando che se ne vada e mi appoggio ad un pilastro. Non mi reggo in piedi e mi sento terribilmente stanca. Potrei sedermi solo un attimo a riposare…
No! Non posso, devo resistere per dare a Kid qualche metro di vantaggio. Sollevo il viso e pulisco con il braccio la macchia rossa dalla faccia mentre il sapore metallico del sangue mi riempie la bocca. Guadagno la posizione d’attacco stringendo più che posso il bastone, ma appena sto per fare un passo in avanti, una mano mi agguanta per la spalla facendomi voltare di scatto. Il movimento brusco provoca un violento capogiro, le gambe cedono e  tuttavia prima di toccare il suolo, vengo rimessa in piedi a forza.
<< E tu che vuoi?!>> sibilo stizzita, allontanando bruscamente il ragazzo con uno schiaffo sul braccio.
<< Simpatica!>> mi rinfaccia irritato.
<< Ma chi ti ha chiesto niente!>>lo fulmino con lo sguardo.
Ci scambiamo una lunga occhiata in cagnesco. Ormai è troppo tardi per attuare qualsiasi cosa avessi in mente di fare. Ho perso tropo tempo a litigare con il riccone che ho davanti, perciò gli do le spalle e mi avvio alla bicicletta con passo spedito, cercando di non farmi sopraffare dalle vertigini causate dalla botta, mentre l’ululato delle sirene delle pattuglie squarciano l’aria. Monto in sella pronta a partire ed aspetto comunque un attimo per veder se il tizio mi stia seguendo. Se lo lasciassi qui Kid non me lo perdonerebbe mai. Più che seguirmi, però, il tipo sta zoppicando e cerca palesemente di nasconderlo. Che cavolo vuole dimostrare facendo così?! Sbuffando spazientita, faccio marcia indietro e freno lateralmente piazzandomi difronte a lui per farlo salire.
<< Ce la faccio benissimo!>> esordisce guardandomi in malo modo. Adesso ne ho piene le scatole! Gli assesto un calcio, volutamente forte, sulla gamba che gli da problemi, tanto che il macho a stento cerca di trattenere un urlo di dolore e deve appoggiarsi alla bicicletta per non cascare in terra.
<< Adesso sali! O preferisci fartela a piedi con i funzionari?>> sibilo incavolata nera, mentre il rumore delle volanti si è intensificato.
<< Tu sei Pazza!>> esordisce prendendo finalmente posto sul portapacchi e sfrecciamo via a tutta velocità per i vicoli. Poco dopo raggiungiamo il giardino sul retro del rifugio e lascio il due-ruote in mezzo ai rifiuti per camuffarla. Sono sfinita ed il dolore alla testa è aumentato, per questo sento il bisogno irrefrenabile di sdraiarmi e chiudere gli occhi anche solo per pochi secondi. Purtroppo non si può, dobbiamo ancora metterci al sicuro. Pertanto mi avvicino alla botola che porta allo scantinato barcollando.
<< Ehi, stai bene?>> mi chiede il tizio, ma quando mi volto per rispondergli, la vista va fuori fuoco e dai bordi del mio campo visivo si propaga una coltre nera come succede alle pellicole fotografiche quando bruciano,  poi un terribile senso di pesantezza mi attira verso il basso. Prima ancora di rendermi conto di cosa stia succedendo, sento la dura consistenza del terreno e vengo risucchiata nella più totale oscurità.

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Capitolo 5
*** Astio ***


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Capitolo 5




…Il … pril … April!
È il mio nome? Qualcuno mi sta chiamando … mi stanno chiamando?!
Spalanco gli occhi di scatto. La luce bianca mi ferisce la retina come una lama, perciò la prima cosa che vedo è una faccia sfocata che mi fissa.
<< Ti sei ripresa!>> perfora i timpani una familiare voce preoccupata: è di Kid.
Porto istintivamente le mani a coprire le orecchie.
<< Dove mi trovo?>> chiedo frastornata dal dolore pulsante che martella nella testa.
<< Quante dita sono?>> dice un’altra voce maschile con autorità, perciò osservo più attentamente i salsicciotti rosa che ho difronte.
<< Q-quattro?>> rispondo titubante, mentre mi massaggio gli occhi per allontanare il dolore e possibilmente dissipare la coltre nebbiosa che non mi permette di vedere bene.
<< Allora stai bene>> dice nuovamente il ragazzo, alzandosi facendo scricchiolare la brandina su cui sono distesa.
<< Dove sono?>> chiedo ancora mettendomi seduta ed il dolore aumenta tanto che devo appoggiare la testa tra le mani per paura che salti via. Sul sopracciglio destro sento della stoffa grezza attaccata con dello scotch, mentre il sangue è sparito.
<< Siamo nel rifugio, in camera di J>> risponde il mio amico, poi parte con il resoconto di quello che mi sono persa << Mi hai fatto venire un colpo! Sono arrivato con Chanel e tu eri collassata sul prato, mentre Nagìl cercava di farti rinvenire, poi ti abbiamo portata dentro… >>
<< Frena un attimo, Chanel e Na-chi?!>> lo interrompo, non riconoscendo i nomi.
<< È vero, non vi siete ancora presentati! Lei è Chanel>> indica una ragazza con il viso arrossato dal pianto e seduta in disparte con una borraccia di plastica in mano. Ok ora ricordo, la biondina piagnucolona. Poi passa al ragazzo appoggiato a braccia conserte allo stipite della porta << E lui è Nagìl>>.
Lui lo ricordo benissimo purtroppo per me. Speravo fosse tutto un brutto sogno ed invece era accaduto realmente. Squadro i ragazzi da capo a piedi senza dire nulla, perché, adesso che ho il tempo di studiarli con calma, i loro sguardi mi lasciano sconcertata come se avessi difronte degli alieni. Non tanto la ragazza dagli occhi violaceo e muschio, come ha detto che si chiama … ah! Chanel. Sì, il suo aspetto fisico (bionda e bassina) è simile ad alcuni nostri concittadini perciò nulla di nuovo; invece il ragazzo mi inquieta abbastanza. Ha una folta chioma di capelli bianchi, mai visti su nessun essere umano, che fanno risaltare maggiormente la carnagione ambrata e lo sguardo d’orato e argenteo. Sembra così innaturale! È una stramberia che non può essere di altri posti se non del Centro, perciò decreto che non ci si può fidare.
Sto ancora assimilando tutte le informazioni che il loro aspetto può fornirmi e ipotizzando congetture sulle loro intenzioni, che Kid imbarazzato dal silenzio calato nella stanza, mi presenta agli estranei.
<< Questa invece è April. Scusatela a volte è un po’ lunatica>> scherza il mio amico e la battuta mi fa tornare alla realtà.
<< Già scusate la lunatica, ma adesso dove sloggiare>> dico decisa, lasciando tutti spiazzati, tanto che Kid cerca subito di rimediare in qualche modo alle mie parole rudi, ma sono costretta a metterlo a tacere.
<< I funzionari erano in zona e se hanno acciuffato e interrogato i Demon’s, di sicuro sanno che sono qui! Mentre noi rischiamo la prigione. Perciò Kid non c’è niente da aggiungere, devono andarsene!!>> dichiaro alzandomi in piedi per rafforzare maggiormente la mia decisione. E
miracolo, almeno riesco a stare in piedi nonostante il mal di testa destabilizzante.
<< Ha ragione. Chanel è ora di andare>> dice l’alieno alla biondina e senza battere ciglio raccolgono le loro cose.
<< Aspettate!>> li ferma il mio amico prima che escano dalla stanza, meritandosi il mio sguardo di rimprovero << è vero che dovete tornare prima che vi trovino, però non potete andare in giro così! Vi scopriranno di sicuro, perciò vi accompagneremo>>
<< Cosa?! Non dici per davvero…>> dico indignata.
<< Invece lo faremo! Li abbiamo aiutati ed andremo fino in fondo, vero April?!>> sentenzia, facendo sì che ancora una volta si faccia a modo suo. Oggi Kid sta superando ogni limite! Tuttavia ha fatto male i suoi conti, siccome non ho nessuna voglia di fare come vuole lui, perciò butto lì un interrogativo che non può ignorare.
<< E di grazia come facciamo a portarli sani e salvi al Centro, se non possiamo neanche avvicinarci alla cupola?>> dico inviperita, perché l’idea del geniaccio non mi va giù; ci porterà soltanto altri guai. Inoltre di aiutare tipi come quelli e per giunta del Centro non lo accetto! Per loro mi sono già presa una randellata sulla testa, mi ricorda il dolore lancinante al lato destro ed il ché è imperdonabile, perciò non ho la minima intenzione di espormi oltre. Basta!
So di aver posto la domanda giusta, dal momento che la sua espressione è seria e pensierosa, così con un’occhiata lo sfido silenziosamente a darmi almeno un’opzione sensata. Mentre mentalmente formulo la mia di idea e cioè di scaricare i due individui davanti alla prima pattuglia di funzionari. Non sono meschina, di sicuro, i protettori della legge non faranno nulla ai figli di papino, li riporteranno semplicemente a casa come se nulla fosse, e mi dovranno anche ringraziare che non li metta difronte ad un gruppo antigovernativo! Oltretutto la cosa che mi fa imbestialire è che i diretti interessati non facciano nulla per decidere della loro sorte, lasciando semplicemente che siano gli altri, per giunta estranei, a risolvere i loro stessi casini. Che razza di gente è mai questa?! Sono tutti un branco di viziati menefreghisti e non voglio averli difronte ai miei occhi un secondo di più.
Ne ho piene le scatole e , per chiudere la faccenda alla svelta, proprio mentre sto per rinfacciare a Kid di non avere una soluzione al problema, lui mi anticipa. << So cosa fare!>> dichiara senza la minima intenzione a voler mollare.


Così mezz’ora dopo siamo tutti e quattro, compresa l’immancabile bicicletta scassata, difronte alla mia sede di lavoro: la “Eolo express, ditta di consegne”, un enorme magazzino riadattato incastrato tra i palazzi, che fa consegne in tutta la città. Eh già, alla fine mi sono fatta convincere, ancora.
Come c’è riuscito il mio amico? Semplice non mi ha dato scelta per l’ennesima volta, ma appena ne ho l’occasione me le paga tutte e con lo scotto.
Una figura slanciata si precipita fuori dalla sede. O-oh! È il mio superiore, Chris Dolan. Ci mancava solo lui.
<< Wild! Ma dove diavolo eri finita?! Lo sai quante consegne dobbiamo fare? E tu sparisci così senza dire nulla, né avvisare! Mi devi una spiegaz…>> si blocca a metà fissandomi accigliato. << Che cavolo ti è successo?>> avrà notato la fasciatura che ho sulla fronte? o il sangue raggrumato dappertutto?
<< E chi sono quelli?>> aggiunge indicando le due figure imbacuccate che compongono il gruppo.
Non gli do spiegazioni altrimenti si fa notte, mi limito solamente ad informarlo che devo parlare con Tiberius il padrone dello stabile e quindi di passare le mie consegne a qualcun altro. Stupefatto mi chiede chiarimenti mentre mi corre dietro per non farsi distanziare. Faccio segno agli altri di seguirmi dopo aver posato la bici nella apposita rastrelliera ed entriamo in un luogo ampio ma soffocato da scatoloni, fatture, gente che va e viene, un rumore di macchine e informazioni urlate che riempie l’aria. Tanto è il ronzio che sembra di essere all’ interno di un alveare in piena attività. Su entrambe le lunghezze maggiori del capanno ci sono due soppalchi dove sono disposti in verticale dei cubicoli rettangolari che ospitano le richieste di tutta Cardia, inoltre i due lati sono messi in comunicazione sia da binari metallici, su cui corrono i carrelli, permettendo il passaggio di qualsiasi materiale da una parte all’altra dell’edificio grazie anche a dei montacarichi verticali. Per fortuna l’energia elettrica non manca mai (guarda caso), altrimenti saremmo in grossi guai. Chris, ancora attaccato alle costole, continua a rimproverare la mia discutibile condotta e bla bla bla… perciò lo semino tra le pile di imballaggi e per essere sicura di lasciarmelo definitivamente alle spalle, passo sotto ad una fila ordinata di pacchi che frecciano su un nastro trasportatore che taglia a metà la ditta, immancabilmente vengo imitata dagli altri. Come previsto il mio capo è troppo alto e orgoglioso, per abbassarsi e passare sotto al nastro e quando mi lancia l’ultima minaccia: “non abbiamo finito”, alzo un braccio per salutarlo “affettuosamente” senza voltarmi. Chris con la sua etica lavorativa è davvero un seccatore se ci si mette, ma basterà dirgli che il grande-capo mi ha fatto una lavata di testa, perché si metta l’anima in pace. Saliamo la ripida scalinata che porta all’ ufficio-casa sopraelevato di Tiberius Carrol da cui è possibile osservare tutto il locale. L’ambiente in cui sostiamo è completamente diverso: confortevole e accogliente, non sembra per niente il cuore della ditta, anche perché pile e pile di libri, progetti, anche un albero genealogico dei Dei greci, sono ordinatamente stipati ovunque. Infatti il proprietario è un maniaco della sistemazione oltre ad avere una smodata attrattiva per la cultura greca, tanto che alcune pagine e raffigurazioni su carta sono appese su fili che corrono da una parte all’altra del soffitto formando un percorso didattico. Il ragazzo del centro sembra interessato e per vedere meglio si toglie il cappuccio della felpa di Kid e gli occhiali da sole che gli ho costretto a far indossare. Lo ammetto sono talmente paranoica da quando siamo usciti dal rifugio, che li sorveglio con la coda dell’occhio in ogni istante.
<< Solo un attimo, arrivo subito>> annuncia una voce dal cucinino ricavato in un angolo apparentemente sgombro della casa. Mi sono sempre chiesta come riesca a non far appiccare un incendio. Dopo pochi minuti la persona che stavamo aspettando ci raggiunge al centro della stanza dove è posto un ampio tavolo seppellito da carte macchiate da impronte di bicchieri e penna. << Oh! April sei tu, non ti aspettavo così presto. Cosa ti porta da me? spero non quello che ti è capitato>> sorride bonario. Tiberius, per le persone più in confidenza Titt, è un alto e scheletrico signore di settant’anni suonati, viso spigoloso, lunga barba e occhi marroni ingranditi a dismisura da spesse lenti tonde. È dotato di un spiccato senso di osservazione, tanto che basta un unico sguardo accurato perché possa dirti cosa ti sia capitato nelle ultime ore, infatti credo si sia già fatto più di un idea sul motivo della nostra visita. Eppure non mette mai fretta ed aspetta pazientemente che sia tu a raccontargli quel che vuoi.
<< Ci serve il tuo aiuto>> esordisce Kid, visto che non mi propongo a riguardo << abbiamo bisogno di un modo per arrivare alla Cupola senza essere visti>>.
<< Per i vostri amici?>> chiede pacato intercettando lo sguardo dei Centriani.
Sorvolo sulla parola amici e vostri, limitandomi ad assentire. << per questo, immagino tu voglia chiedermi le mappe dei tunnel>>
<< Sì, signore>> risponde prontamente il ragazzo.
<< D’accordo. Sapete che quello che state facendo è decisamente pericoloso? Anche per voi >> si rivolge ai forestieri.
<< Certo>> risponde il giovane dai capelli diafani.
<< Bene, April potresti venire a darmi una mano?>>
Rimango leggermente stupita dalla sua accondiscendenza e come me anche il mio amico che si affretta a domandare << Tiberius, non mi chiedi proprio nulla?>>
L’arzillo vecchietto si limita a sorridere delicatamente, facendomi segno di seguirlo in fondo alla sala.
<< Mi sorprende che tu abbia deciso di aiutare quei due giovani. Me lo sarei aspettato da Kirckland, e posso dedurre che in parte tu sia qui per proteggerlo sapendo quanto tieni a lui. Ma spero anche che tu non sia venuta solo per questo. Hai cambiato idea alla fine?>> chiede una volta fuori dalla portata degli altri, osservandomi intensamente e soppesando la mia reazione. Tiberius, oltre ad essere colui che mi ha dato lavoro, è anche la persona che ha saputo aiutarmi in un momento difficile dalla mia vita, preoccupandosi di tirarmi piano piano fuori dal cunicolo nero in cui ero, ed in parte ancora sono, intrappolata. Lo considero un amico molto saggio a cui posso affidarmi, dire liberamente ciò che penso (pur entro certi limiti) e non solo per una questione di riconoscenza.
<< Mi dispiace, ma la mia idea non è cambiata>> dico a testa china, sapendo che quelle parole lo feriscono molto, ma su questo punto non posso assolutamente cambiare il mio pensiero.
<< Capisco>> sospira << Sappi però che sei giovane per rimanere ancorata al passato anche se quello che hai vissuto ti sembra inaccettabile, perché è proprio grazie ai ragazzi della tua età, con la vostra particolare capacità di stupirci, se possiamo sperare che un giorno possa iniziare un futuro migliore. Per questo ti chiedo solo una cosa, un piccolo favore: non chiudere le porte a tutto ciò che pensi possa ricollegarsi al passato, anzi cerca di affrontarlo, perché solo così potrai liberartene una volta per tutte>> posa una mano sulla mia spalla, tuttavia non apro bocca per replicare. << Non vederlo come un rimprovero o una forzatura. Pensalo come un consiglio per essere finalmente libera dal rancore e poter vivere serenamente. Adesso, passiamo alla mappa che vi serve, dovrebbe essere da queste parti>> parlotta rovistando tra vecchi fascicoli e cartelle nascoste dentro a grossi tomi.
So perfettamente che Titt cerca di darmi una mano a dire finalmente addio al vecchio dolore, ma ho paura, una paura folle che una volta superato questo odio, non mi resti più nulla per cui andare avanti e alla fine scoprire di essere una persona vuota e debole. Per questo non riesco a buttarmi semplicemente tutto alle spalle e cambiare il mio modo di comportarmi in determinate situazioni, perché non voglio sentirmi un’incapace e un’ indifesa. Questo, però, non ho il coraggio di dirlo ad alta voce, soprattutto a Tiberius, non sopporterei l’idea di deluderlo con il mio modo di agire. La paura è una gran brutta cosa.
Torniamo dagli altri con una ruvida mappa in scala ripiegata più volte su se stessa e, che una volta spiegata, ci rivela una labirinto di passaggi nascosti sotto terra che ci permetteranno di raggiungere la parte esterna del Centro in totale sicurezza.
Sono sbalordita nello scoprire come il sottosuolo assomigli ad una tana per talpe con tutti quei passaggi e biforcazioni. Titt ricalca velocemente un quadrante ben preciso, segnandoci i passaggi cruciali ed eventuali punti di riferimento per non perderci, oltre ad evidenziare eventuali tunnel crollati o deviati e la presenza di nidi di ratti.
Come mai questo signore possiede informazioni tanto preziose è presto detto: ha lavorato per molti anni nella divisione per la manutenzione delle gallerie che prima erano viste come un rifugio anti attacco dall’esterno ma, visto che ormai sappiamo di essere completamente soli per miglia e miglia, mi chiedo quando la squadra sia stata smembrata. Adesso invece viene inviato occasionalmente qualche gruppo di “volontari” a controllare lo stato delle murature e fine della storia. Dopo che ci è stato raccomandato di riportargli la mappa, riceviamo altre due maschere per i forestieri ed una torcia elettrica a mulinello, e dopo aver ringraziato. raggiungiamo il punto di accesso alla rete sotterranea.
Non immaginavo quest’odore che ci accoglie una volta forzata la porta blindata che immette nel primo tratto del percorso; è un misto tra formaggio ammuffito, acqua stagnante e non ho il coraggio di approfondire cos’altro. Perciò indosso per precauzione la mascherina, non si sa mai, potremmo morire stecchiti non per le esalazioni tossiche, ma per il tanfo.
Decidiamo allora come organizzarci per l’avanzata: il mio amico in testa con le indicazioni, a seguire i forestieri e a chiudere la fila la sottoscritta, così riesco a tenere sotto controllo tutti a causa della mia solita paranoia sui complotti (ovviamente questo non l’ho detto a Kid).
Il primo tratto, proprio come ci è stato raccontato, non ci da grossi problemi: una lunga strada dritta da percorrere sguazzando nelle pozzanghere putrescenti, aggiungerei anche ultra infette di batteri soltanto per il colore, mucchietti di cadaveri di topi rosicchiati probabilmente dai loro simili e poi che altro … tutto il lerciume misto a fanghiglia che si possa immaginare per una discarica. Mi sembra di essere entrata nelle viscere di un enorme mostro mangia carogne e che non ci fosse altra alternativa se non quella di finire digeriti dal suo abnorme stomaco. Siccome lo scenario non è molto invitante, prendo un buon minuto per osservare la biondina schizzinosa, i suoi modi mi divertono. È schifata da tutto, cammina con le braccia strette al corpo ed posa ogni passo come se stesse per calpestare dell’acido che inevitabilmente le scioglierà il piede con tutta la gamba. Ha paura che un enorme batterio gigante la attacchi da un momento all’altro? Io avrei più paura dei roditori assassini nell’ombra! Che ridere.
A parte le beffe, siamo arrivati ad uno dei nodi cruciali della mappa. Ci troviamo ad uno svincolo, una piazzetta circolare illuminata da un tombino che getta sulle nostre teste dei motivi da carcerati, e tutt’attorno si affacciano numerosi archi scuri: altri tunnel. Stranamente questi sono caratterizzati da sagome sbiadite e corrose dal tempo. Non riesco a distinguere che forme vi siano incise.
<< Dove si va adesso?>> chiede la biondina impaziente, mentre schiva l’ennesimo ristagno.
<< Non riesco a capire. Deve essere il terzo o il secondo partendo da destra>> ci illumina la nostra giuda, sovrastando di poco il suono di uno sgocciolio lontano.
<< Fantastico>> borbotto tra me e me. Per finire questa giornata in bellezza dobbiamo giustamente rimanere bloccati nel sottosuolo.
<< Fammi vedere>> parla il ragazzo dai capelli chiari avvicinandosi a Kid, poi estrae un oggetto da una tasca della cintura, da cui parte un lampo che diviene fisso, come un faro nella notte, per illuminare meglio il foglio.
<< Cos’è quello?>> sbotto allarmata indicando l’aggeggio in mano al ragazzo, sembra più grosso di un normale telefono cellulare.
<< È il mio cellulare?!>> risponde sarcastico.
<< Ma davvero?! Devi spegnerlo>> ribatto perentoria.
<< Perché mai?>>
<< Di un po’, sei stupido per caso? E tu verresti dal Centro?!>> dico in tono acido.
<< Senti un po’ che problema hai?!>> mi rinfaccia, scattando nella mia direzione. A quanto pare non solo io ho i nervi a fior di pelle. È una novità inaspettata vedere un barlume di carattere in tipi come loro.
<< Vuoi litigare Centriano?>> sibilo avvicinandomi a mia volta.
<< Mi chiamo Nagìl>> ribatte indispettito.
<< Vuoi litigare Nagìl?>> ripeto, facendo un passo avanti fino a trovarmi a pochi centimetri da lui per fissarlo dritto negli occhi. Non chiedo di meglio che di prenderlo a calci nel di dietro, così eliminerei all’istante uno dei miei problemi, ma purtroppo veniamo interrotti.
<< Fatela finita! April piantala, potevi chiederglielo in altro modo>> Kid sembra davvero stanco.
<< Allora parlaci tu signor-nobel-per-la-pace!>> sbotto stizzita strappandogli di mano la cartina e, dopo averle dato una rapida occhiata, mi dirigo verso il terzo tunnel caricando con foga la torcia elettrica.
Perché gli ho tolto la mappa? Forse per tenermi occupata e non schiaffeggiare una certa persona che oggi mi sta davvero facendo incavolare ed il resto del viaggio si svolge in silenzio. Kid ha fatto spegnere i telefoni ai forestieri per non farci rintracciare con il GPS, d’obbligo ormai su tutti gli apparecchi elettronici, perciò non abbiamo altro motivo di interagire (e di questo sono grata), così mi limito a sfogare la rabbia e la frustrazione sulla torcia caricandola troppo e troppo spesso, cercando di scacciare i pensieri che si avvicinano pericolosamente nella mia testa come mosche sullo zucchero.
Arrivati al capolinea ci assicuriamo che i tizzi restituiscano la felpa e gli altri oggetti prestati e sbuchino in superficie, per poi tornare sui nostri passi. Decido che il mio amico non è degno di rivolgermi la parola. Mi sento tradita ed ingabbiata come un animale da circo, il che mi da i nervi, perciò Io e Kid non parliamo per il resto del tragitto.

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Capitolo 6
*** Decisioni Importanti ***


Capitolo 6

 

 

 

Senza neanche togliermi i vestiti mi butto letteralmente sul letto con il braccio appoggiato alla fronte. Ho accompagnato Chanel a casa, sorbendomi un estenuante interrogatorio da parte dei genitori, non che non avessero ragione, però è stata un’esperienza che non vorrei ripetere. Per fortuna la ragazza mi ha aiutato ad inventare una storia verosimile a cui hanno creduto, altrimenti non so come sarebbe andata a finire, e adesso non ho più energie.
Sospiro esausto, mentre le immagini di questa allucinante giornata mi scorrono davanti agli occhi, susseguendosi sul soffitto come se fosse lo schermo di un videoproiettore: Le case, la gente con il loro vociare, la fuga, i teppisti e tutto il resto, poi la ragazza (quella pazza furiosa). C’è mancato poco che arrivasse alle mani, ma che problemi ha?
Non odia te in particolare”, mi ha detto il ragazzo biondo Kid, alla biforcazione nei tunnel “odia solo il posto da cui provieni e quello che quel luogo implica… Senti lo so, è una situazione strana, ma April ne ha passate tante perciò non ti chiedo di capirla, ma almeno di  ignorarla finché puoi”.
Perché covare un odio così profondo? Cosa le sarà mai capitato?! Mah! Poi che mi importa di un’estranea? Non la rivedrò più!... e allora perché ho fatto quella foto alla mappa dei tunnel?
Fisso rapito il display del palmare come se, guardando quello specchio nero, le risposte che mi servono possano saltar fuori come nelle sfere magiche. Non sarà mai così facile, rifletto amareggiato.
I colpi sulla porta infrangono i miei pensieri e mi affretto a sedermi composto, acquisendo un atteggiamento formale.
<< Ed, sei tu!>> dico sollevato, rilassando i muscoli e sciogliendo le spalle << … pensavo fosse mio padre.>>
<< No signorino, i suoi genitori non sono ancora rientrati. Le hanno lasciato un messaggio: torneranno tardi poiché sono fuori a cena. Vuole che gli riferisca della telefonata dell’istituto?>>
Edward ha capito al volo la situazione, come sempre.
<< No, grazie. Lo scopriranno comunque, anche se spero di poter gestire tutta la faccenda prima che ciò avvenga. Perciò non preoccuparti mi prenderò io tutta la responsabilità se dovessero venire a sapere che non sono stati avvisati >> sospiro.
<< Come vuole. Le ho portato le medicazioni che mi ha chiesto, le serve qualcos’altro?>> appoggia la cassetta bianca con la croce rossa sul letto. È ancora nuova di zecca con i colori sgargianti e tutto il resto, si vede proprio che qui non succede mai nulla per la quale ci si debba medicare, eppure noi abbiamo gli ospedali con tutte le attrezzature, mentre la gente là fuori no, curioso.
<< Bastano queste, grazie. Ah, Ed! ha chiamato qualcun altro oltre la direzione?>> aggiungo.
<< Sì, ha telefonato il signorino Spike, ha detto che sarebbe passato stasera e che vuole sapere tutto di oggi>> termina lanciandomi un’occhiata curiosa e severa allo stesso tempo.
Seccato, mi lascio sfuggire grugnito appoggiando le braccia sulle ginocchia << Immagino di doverglielo, d’altronde è stato lui a tirarmi furi dall’impiccio>>
<< Suppongo di sì. Vengo a chiamarla per la cena?>> mi chiede.
<< No grazie, scendo tra poco. Potresti farmi preparare qualcosa di leggero per favore? Non ho molta fame>> dichiaro apatico, mentre lo stomaco si ripiega su se stesso al solo sentire la parola “ cibo”. Non posso non cenare, altrimenti la servitù potrebbe pensare male ed adesso è meglio evitare pettegolezzi.
Cosa ho combinato ancora, rimugino passandomi una mano nei capelli, con un gesto troppo rude per sembrare casuale agli occhi di Ed. Il maggiordomo fa un cenno di assenso con la testa per poi sparire chiudendosi la porta alle spalle. Mi lascio sfuggire un altro sospiro, stavolta di rassegnazione.
Dopo una breve doccia, rovisto per un po’ nella cassetta del pronto soccorso finché non scelgo una delle tante poltiglie piene di tutto, ma che in sostanza non contengono nulla, che spacciano per pomate applicandola sui lividi, mentre sulla gamba ancora dolorante applico un cerotto antinfiammatorio, sperando basti. Devo ringraziare anche la mia carnagione leggermente più scura che nasconde abbastanza il colore violaceo degli ematomi che vanno formandosi, altrimenti avrei dovuto spiegare qualcosina in più ai signori Moores.  Alla fine, quando penso che lo strato di pomata sia sufficiente, decido di scendere di sotto. 
La sala da pranzo è come l’ho lasciata stamattina: squallidamente deserta. Trascino di malavoglia i piedi fino al posto apparecchiato aspettando che la cena venga servita ed intanto il mio stomaco si annoda sempre di più per la tensione e le domande ancora irrisolte che si stanno accumulata dopo “l’evasione dalla scuola”(così Chanel l’ha descritto in un tragico soliloquio una volta al sicuro e sulla strada de ritorno). Ormai hanno preparato il pasto e non posso rifiutarla, perciò sbocconcello un po’ di pasta e ben presto anche quel poco di fame che ho se ne va miseramente. Prendo il piatto e mi trascino fino alla cucina, fortunatamente i cuochi si sono già ritirati nelle loro camere e rimane solo il vecchio Ed a controllare le ultime faccende, così mi intrufolo buttando gli avanzi nel tritarifiuti, guardandoli scendere verso la rete fognaria. Chissà  se sbucheranno in una delle gallerie che ho attraversato oggi? Quando anche l’ultimo pezzo scompare inghiottito dalle fauci metalliche ed il piatto è pulito, mi avvio nello studicciolo vicino alla porta sul retro ad aspettare l’arrivo di Spike, come da tempo immemore siamo soliti fare.
Sono quasi le undici, il coprifuoco è ormai passato da un pezzo, quando mio cugino bussa con due pugni brevi e uno secco dato con il palmo sull’assito. Apro la serratura magnetica, lasciando uno spiraglio. Poco dopo compare la nera e ordinata massa dei capelli di Spike, il suo occhio celeste luccica ferino nella fioca luce dell’ingresso di servizio.
<< ’Sera cugino!>> bisbiglia abbastanza forte per farsi sentire da me che sono a diversi passi di distanza per controllare i corridoi.  Alzo una mano e lo invito a seguirmi, quando Ed si dirige verso la sua camera facendomi l’occhiolino per indicare il via libera: non c’è più nessuno alzato. Attraversiamo silenziosamente i corridoi bui fino alla mia stanza, solo allora abbandoniamo la cautela e ci rilassiamo.
<< Non la smetteremo mia con le vecchie abitudini>> scherza Spike malinconico, sedendosi a cavalcioni sulla sedia della scrivania.
<< L’infanzia non si dimentica>> ribatto con lo stesso tono però irritato. Parlare del passato mi mette sempre in uno stato di indisposizione, oltre a lasciare un sapore acido di fiele in bocca. Eppure non possiamo fare a meno di ritornare a quei tempi, come si dice: il passato ci ha fatto diventare ciò che siamo. Mai fu detta cosa più vera, infatti questa complicità e tutti i gesti appena eseguiti li abbiamo messi in pratica diverse volte da bambini quando c’erano questioni importanti da discutere lontano dai grandi o semplicemente per parlare e sfogarci delle ingiustizie della giornata. Ciò nonostante a distanza di anni non abbiamo smesso e, per quanto mi ostini a dire come non lo sopporti, Spike è il migliore amico che abbia mai avuto e credo sia lo stesso anche per lui.
<< Allora fuggitivo! Non si è parlato d’altro nella scuola. Spero ne sia valsa la pena! … e i lividi mi urlano: certo che sì amico! Hai pestato qualche cencioso dei Sobborghi?>>
<< Qualcosa del genere>> rispondo vagamente, prima di raccontargli di malavoglia, per filo e per segno cos’è accaduto da quando ho lasciato l’aula magna…

 << Fiuuuu … però te ne sono capitate oggi! Molte di più che nella tua piccola e breve vita>> mi schernisce sarcastico appoggiandosi a braccia incrociate sullo schienale.
<< Ma va all’inferno>> erompo spazientito tuttavia lui ridacchia divertito << Non eri lì, non hai visto quella gente, Spike! È completamente diversa da …tutti noi.>>
<< Ne sei sicuro? >> la domanda, unita al suo sguardo serio, mi spiazza. È troppo greve per un tipo come lui. Mi nasconde qualcosa, ma continuo incapace di riflettere con calma.
<< Se ne son sicuro?!? Certo, che domande!>> sbotto stizzito e confuso, lasciando che queste emozioni guidino le mie parole.
<< Sei sicuro che sia questo il punto: la nostra e la loro diversità?>>
<< Ma guardaci Spike! In confronto a loro sembriamo degli alieni di un altro pianeta>> però le mie stesse parole non mi convincono, ho la sensazione che in qualche modo siano sbagliate.
Tuttavia, dopo questa dichiarazione, non posso evitare di confrontarmi fisicamente con il ragazzo Kid: lui così magro e normale; io che non ho mai sopportato la diversità dei miei occhi o il pallore dei miei capelli, spettralmente in contrasto con la carnagione. Cosa buffa la genetica, anche spaventosamente crudele sotto certi aspetti. “ Ma non dovremmo far parte della stessa condizione? Siamo esseri umani alla fine” mi ritrovo a pensare amareggiato … poi qualcosa si sblocca, come un interruttore che viene premuto portando alla luce un’idea che da tempo mi chiedeva di essere scoperta. Finalmente posso dare un senso al perché della fotografia della mappa dei tunnel, a quella sensazione che ci fosse qualcosa di errato nel modo in cui ragionavo prima.
<< Sì, il punto è questo. Non siamo poi così diversi giusto? Siamo sempre persone … però ci preoccupiamo che questa differenza tra noi e loro venga marcata!>> espongo con fervore, Spike mi sorride complice, insinuandomi il sospetto in una domanda che esprimo subito << Tu ci eri già arrivato vero?>>
<< Da un po’>> fa spallucce con fare indifferente, come se fosse normale riflettere in quel modo.
Dannato psicopatico! Ecco cosa celava dietro a quegli indizi velati.
<< E adesso che pensi di fare?>> mi chiede oscillando sulla sedia.
Cosa penso di fare, io?! … Ho causato una marea di guai oggi che mai avrei pensato di combinare e nonostante tutto non mi pento di aver visto com’è là fuori, anzi sono ancora più curioso, poiché ormai so che quello che accade intorno a me non mi va più bene; sono consapevole che tutto quello che ci hanno detto, mostrato nei corsi sul senso civico e tutte le altre chiacchiere erano soltanto balle! Nulla è vero di quello che ci hanno insegnato, nulla, NULLA! Se non il messaggio sott’inteso che ci vogliono tenere separati. Ma perché? Perché comportarsi così con un intera popolazione.
È questo il primo nodo da sciogliere oltre a trovare il capo da cui partire per le mie indagini. Una cosa è certa, non qui: a casa, dove tutto è strettamente controllato, né a scuola o dovunque nel Centro; sarebbe troppo sospetto fare domande in giro, per non parlare del fatto che informazioni di questo tipo saranno di sicuro inaccessibili. Mi rimane solo un’alternativa, cioè tornare nei Sobborghi. Tuttavia prima di comunicare la mia nuova decisione ad uno Spike trepidante d’attesa, gli chiedo cosa lui abbia fatto quando è giunto alla stessa conclusione.
<< Lo ammetto, quasi nulla … non potevo fare molto essendo l’unico ad aver capito che le cose facevano schifo. Perciò ho aspettato il momento che anche tu ci arrivassi da solo. Ho seriamente pensato di non vedere mai questo giorno! Stavo per spifferarti tutto, ma alla fine ne è valsa la pena. In due è molto meglio ed infatti sei mooooolto bravo nell’evadere. Oggi ne è la prova! Hai letteralmente fatto perdere le tue tracce hahahahahaha>> sembra intrigato dalla cosa.
<< Ci mancherebbe! Ho passato anni a nascondermi da qualcuno!>> sibilo un po’ soddisfatto dell’abilità sviluppata che ora potrà tornarmi molto utile.
<< Muhahahahahaha! Era tutto premeditato>> gongola.
<< Sei un bastardo sociopatico!>> ci spanciamo tutt’e due dal ridere.
<< Ho deciso cosa farò>> dichiaro ad un tratto, attirando la sua attenzione. << Voglio scoprire il perché di tutto questo. La cupola, i Funzionari con i reparti segreti e tutto il resto. Sono stufo di vivere in una prigione dove ogni mia mossa è registrata dalle telecamere ed analizzata da esperti del comportamento per vedere se ho qualche mania rivoluzionaria>>
Adesso che so cosa voglio fare, so anche da cosa o meglio da chi partire: la ragazza sospettosa dei sobborghi. Se ha una bestia nera, ovvero l’odio per il Centro che la perseguita a causa di un passato burrascoso, dovuto proprio al luogo da cui provengo, allora è la “complice” numero una da avere dalla nostra parte. Inoltre il suo lavoro come corriere copre tutta la città e sarebbe perfetto come espediente di raccolta d’informazioni.
<< Ben detto cugino! Siamo una squadra adesso!>> mi batte una pacca sulla spalla. Poi il viso gli si illumina di un sorriso malizioso << Allora rivedrai la moretta?! Sembra proprio il mio tipo! Forte, coraggiosa e contorta! La conoscerai e poi me la presenterai vero? Vero?! Dai, dai, dai, dai, dai…>>
<< Spike abbiamo appena deciso di infrangere una marea di divieti per capire cosa diavolo sta succedendo e tu pensi a quella tipa?! Abbiamo cose più importanti a cui prestare attenzione>> dico indignato.
<< Ma questa è una cosa importante?!>> piagnucola.
<< Sei scemo o cosa! Dobbiamo ancora stabilire i compiti e …>>
<< Frena! I compiti sono già stabiliti: io farò la talpa nelle file interne, mentre tu sarai la spia infiltrata tra gli esterni visto che già “conosci” un paio di persone; quindi non ci sono altre cose da concordare, visto! Tornando alla ragazza…>>  mima con le dita delle virgolette.
Sono esasperato. Crede davvero  che sia tutto così semplice? Basterebbe un errore o una distrazione per finire i nostri giorni in carcere o peggio nelle segrete della quartier generale dei Funzionari?! … anzi, probabilmente lo sa, ma non gliene frega niente perché ha la testa marcia e piena di mosche! Ma gliela rimetto a posto io alla vecchia maniera, ne ho abbastanza del suo straparlare per oggi.  E si inizia con le prese di lotta libera che mi ha insegnato proprio lui. Lo sorprendo alle spalle con una presa per togliergli il fiato, ma non stringo troppo, non vorrei sbagliare i tempi e lasciarlo diciamo… un po’ morto.
<< Credi ancora che non ci sia niente da concordare? È in gioco la nostra vita >> dico di getto.
<< Va bene, ho capito … lasciami! N-non respiro>> arranca.
<< Sicuro?>> chiedo scettico e lui scuote il capo per assentire.
Lo lascio andare perché ha un leggero colorito rossastro tendente al blu, decisamente poco normale.
<< Però, hai imparato bene!>> appoggia un ginocchio a terra per riprendere fiato << ma … mai abbassare la guardia!>> con un movimento rapido mi tira un calcio sulla gamba malandata. Il dolore si ripresenta violentemente come nel pomeriggio, facendomi barcollare all’indietro.
<< È un colpo basso! Schifoso…>> ringhio, ma la nuova fitta di dolore mi toglie le parole.
<< Lo so, sono un bastardo nato, me lo dicono spesso>> sorride trionfante.
Mi rimetto in piedi a fatica, imprecando mentalmente per non urlare e svegliare gli inservienti.
<< Tu ...>> lo guardo in cagnesco, ma sorrido anch’io un po’ divertito, ma decisamente incavolato.
Spike stende un braccio e con l’indice fa segno di farmi sotto. Non me lo faccio ripetere due volte e mi scaglio contro di lui. Ci scambiamo colpi e parate, pugni e calci finché non siamo sfiniti e collassiamo sul pavimento come due bambini.
<< Bastaaaaaaaaaaaaaa! Pietà, non ce la faccio più>> si lamenta.
<< Sei una schiappa… per essere… il capitano del club>> ansimo.
<< ha ha ha ha … allora è deciso?>> chiede tra un respiro e l’altro, alludendo all’altra questione.
<< Sì>> sputo fuori in un soffio a corto di fiato.
Ma ho compreso appieno quello in cui mi sto cacciando? No, ma voglio farlo comunque, ho bisogno di farlo. A questo punto la questione ha troppi buchi aperti per lasciarla così ed il mio stesso senso pratico nel risolvere i problemi, mi impedisce di lasciare correre. Devo riempire quei vuoti di informazioni e trovare una risposta alla classificazione della nostra società o non troverò mai pace. È quasi una questione di principio.
<< Da adesso le cose di fanno interessanti>> Spike si sdraia sulla moquette a pancia in su, guardando il soffitto, tracciando cerchi invisibili nell’aria.
<< Si fa anche tutto più incasinato>> ribatto appoggiando la schiena contro il muro e piegando il ginocchio della gamba sana contro il petto per appoggiarvi il braccio.
<< Non lo era già?>> bofonchia infastidito lui.
Su questo non posso dargli torto.

 

***

 
Le sirene dell’erogazione si sono appena spente, segno che i rubinetti sono stati chiusi e per oggi ho perso la mia occasione di lavarmi. Che giornata di merda e giustappunto non è ancora finita. La sala d’attesa dello studio del dottore Rosenberg è vuota al momento, fatta eccezione per un piccolo orsacchiotto di peluche che ammicca dalla sedia difronte. È un po’ troppo sfacciato per essere un orsetto, tuttavia non resisto alla tentazione di coccolarlo. Guardandolo da vicino, gli manca un occhio, ha il farfallino celeste storto ed un braccio più corto, ma tutto sommato è meglio di niente come consolatore. Gli arruffo il pelo sintetico, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, aspettando che il dottore abbia finito di raccogliere l’acqua e possa ricevermi. Per lui non sarà certo una novità vedermi, ormai posso dire che la clinica sia la mia seconda casa viste le innumerevoli volte che gli faccio visita. Meno male che il posto è così familiare che quasi riesco a rilassarmi e far sbollire il nervosismo provocato da Kid e quei due rampolli impomatati del centro, bleah! Al solo pensarci vorrei strangolare qualcuno e sfortunatamente il malcapitato di turno è il pupazzetto che affretto a sistemare. Non voglio ripensarci, non adesso che la tempia ha ripreso a farmi un male cane. Appoggio la schiena contro lo schienale di plastica e la testa sul freddo e ruvido muro, poi, allungando le gambe, stringo Mr. Boo, ( così ho ribattezzato l’orso) sperando di riprendermi un po’ per non sembrare un rudere.
<< Cos’hai combinato stavolta?>> mi chiede una voce graffiata da anni di sigarette.
 << Niente dottore!>> rispondo alzandomi dal sedile e raggiungendo l’uomo.
Ha ancora l’asciugamano sulle spalle ed i lunghi capelli scuri sono umidi, deve aver appena finito di lavarsi. Peccato, credo di avergli rovinato l’unico momento in cui la clinica è tranquilla e silenziosa.
<< Certo e io sono al fatina dei denti. Entra>> mi dice mantenendo la porta aperta per farmi passare.
Non posso fare a meno di immaginarlo in gonnella azzurra e bacchetta alla mano, scoppiando a ridere per il prodotto partorito dalla mia fervida fantasia, ma il karma mi rimette in riga con una fitta terribile al sopracciglio.
<< Fammi indovinare perché hai una garza attaccata alla fronte… magari una rissa con una banda di teppisti? E potrei azzardare si tratti dei Demon’s. Ho indovinato?>> mi incalza, mentre indossa il camice e si lega i capelli in un corto codino dietro la nuca.
<< Non le si può nascondere nulla dottore. Nonostante abbia superato la quarantina, la memoria le funziona ancora bene!>> ribatto sedendomi sul lettino e posizionando Mr. Boo al mio fianco. Purtroppo ho constatato che il mio malumore non è svanito e rischio di prendermela anche con il dottore.
<< Sarcasmo intatto, quindi non hai subito danni al cervello, almeno sembra. Starei attento fossi in te al possibile trauma cranico. Problema serio quello>>
<< Che razza di dottore direbbe mai una cosa del genere ad un suo paziente?!>> scherzo, per addolcire la battutaccia di prima.
<< Quello che rimprovera una sua aiutante scavezzacollo che, se vuole essere curata per evitare una ramanzina, farà meglio a dirmi il motivo di questa>>
<< Ahi! >> urlo, quando il dottore Ian Rosenberg, preme con molta malagrazia nell’esatto punto della ferita. << Per il suo bene è meglio che non lo sappia>> aggiungo secca.
<< Io invece credo, per il TUO bene, che lo debba sapere>> insiste, puntando i suoi  arrabbiati occhi nocciola nei miei. Se non fosse per gli occhiali da vista che schermano un po’, temerei un  incenerimento con lo sguardo.
<< E va bene!>> cedo alla fine, regalando la vittoria a Ian << io e Kid abbiamo tolto dei forestieri dalle grinfie di Marcus & co e questa è la mia ricompensa>>
<< Centriani?!?! Che diavolo … dove sono adesso?>>
Davvero non gli si può nascondere nulla?!
<< Io sto bene, davvero grazie per l’interessamento! … Sono tornati a casa>> rispondo concisa, preferirei lasciare incompiuto il discorso. Magari la botta in testa avesse cancellato una parte di memoria! Il mio interlocutore coglie al volo l’indisposizione nel parlarne e non torna più sull’argomento. Inizia a svolgere la fasciatura sulla testa, sospirando poi alla vista della taglio.
<< Cavolo April … è molto profondo ci vorranno dei punti>>
<< Punti?! O signore, no! Chi li spiega poi a Catherine>> pensando alla nuova sfuriata di  mia zia. Adesso sono io quella che sospira, di frustrazione però.
<< Già bel problema, ma se non li mettiamo rischierai di prendere infezione e perdere altro sangue eeeee visto il tuo fantastico colorito smorto, direi che ne hai perso abbastanza per il momento.>>
Non posso oppormi, il medico è lui. Così gli do il via libera alla sutura del sopracciglio, mentre i suoi fantastici zoccoletti sanitari picchiettano sulle mattonelle dello studio. Sfortunatamente gli anestetici sono un bene di lusso e, quei pochi e sacri in possesso del dottore, vanno usati per i casi più gravi. Non il mio, ovviamente. Perciò stringo i denti e trattengo le lacrime quando Rosenberg fa il primo passaggio con filo e ago, sterilizzato su fiamma. Il dolore è bruciante e impreco mentalmente come se fossi il camionista della peggiore specie. Devo inoltre stringere a più non posso il bordo del lettino, altrimenti rischio di: 1- svenire, 2- allontanare con uno spintone il dottore, il che non  mi sembra molto carino. Così digrigno ni denti e penso alla punizione che riserverò al mio amico domani.
Quando finalmente il supplizio finisce, la fronte che scotta e ho le lacrime agli occhi per averli serrati troppo forte.
<< Brava bimba, ti meriti questo>> mi prende in giro il medico, regalandomi un lecca-lecca scarlatto ed una carezza sulla testa.
Una caramella! Erano secoli che non la mangiavo; di solito quelle che ci sono alla clinica sono per i bimbi e perciò devo regalarle ai mocciosi, invidiandoli nel vedere la loro soddisfazione nel succhiare gli zuccherini.
Un sorriso tirato e stanco, mi distende le labbra. È bello ricevere un premio ogni tanto. Scarto l'involucro piena di aspettative e lascio che lo sciroppo, un po’ troppo dolce, indori la bile che ho ingoiato fin'ora.
Solo dopo che ho finito il globo di zucchero, scopro il dottore seduto sulla sua sedia girevole, intento ad osservarmi concentrata tra una boccata e l’altra della sua sigaretta preferita.
<< Qualcosa non va?>>
<< Niente di che, stavo solo pensando. Ad ogni modo, il pagamento per le cure è la tua prossima giornata di riposo, da mettere al servizio dello studio. E visto che sono immensamente buono ti permetto di restare qui a dormire, così potrai rimandare almeno di un po’ la ramanzina che ti aspetta. Affare fatto?>>
<< Affare fatto>> concordo. Mi sento leggermente sfruttata, ma le condizioni sono troppo allettanti per essere rifiutate.
<< Ah! Inoltre dovrai darmi una mano se stanotte ci saranno dei pazienti. Eloise è in malattia e non ho una degna sostituta>> si lamenta.
<< Brutto doppiogiochista!>> inveisco. Adesso si che mi ha fregato ed in segno di scuse il dottore mi scocca un ghigno furbesco. << E va bene! Sei peggio di uno strozzino>>
Rosenberg scoppia a ridere. Mi affretto a scegliere una branda libera ad un capo dell’infermeria e tiro la tenda per riposarmi prima che arrivi gente, scegliendo Mr. Boo come compagno di letto. Stesa sul fianco ascolto il dottore comporre un numero ed annunciare a mia zia che resterò lì a dargli una mano, poi scivolo nell’incoscienza non pronta ad affrontare una nottata quasi insonne.

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Capitolo 7
*** Il Primo Passo ***


Capitolo 7

 



Sebbene non sia ancora consapevole di tutti i rischi che questo piano comporta, alla fine mi ritrovo nello stesso tratto di tunnel attraversato quattro giorni fa. Volevo ritornare prima nei sobborghi per iniziare a raccogliere informazioni utili, ma purtroppo la situazione non me l’ha permesso, visto che, anche se son riuscito a sistemare lo scompiglio che ho creato all’Istituto prima che la notizia trapelasse in tutto il paese, ho dovuto promettere di annunciare il discorso per la chiusura del semestre ed i miei movimenti sono stati tenuti d’occhio per qualche giorno. Tuttavia non potevo rischiare che scoprissero le mie “escursioni”, così ho dovuto aspettare che le acque si calmassero un po’ e soprattutto mi lasciassero in pace, prima di rimettere piede fuori dalla cupola. Sono fortunato che i miei spostamenti siano stati controllati solo per due giorni! Altrimenti non mi sarei liberato prima di due o tre settimane. Nonostante tutti gli sforzi, ho dovuto rendere conto ai miei genitori dell’accaduto e salvandomi con un patetico “ ero sotto pressione e non ho retto” (espresso non in questi termini, soprattutto difronte a mio padre, ma il succo è stato questo).
Dopo tanto penare eccomi qui a rammaricarmi di non essere rimasto a casa o per lo meno di non aver pensato a salvarmi dal tanfo dei cunicoli che mi sta uccidendo! Se non è qualcos’altro. Non si può certo immaginare che odori così intensi possano piegare un essere umano sotto la loro morsa, ti s’insinuano nelle narici fino a raggiungere il cervello e s’infilzano come tanti spilli, con un dolore lancinante. Perciò accelero l’andatura e, tenendo sempre sott’occhio la mappa fotografata, mentre mi copro la bocca e il naso con il colletto della vecchia maglia, indossata per l’occasione, mi dirigo a passo di marcia verso l’uscita. Una volta fuori, tolgo dal marsupio un berretto per nascondere i capelli e schermo lo sguardo da alieno con un paio di lenti scure. Sono conciato come il peggiore dei rapinatori e, sfoggiando una tuta stinta e dimenticata nell’armadio, mi aggiro indisturbato tra la folla.
Adesso dove potrei trovare la mia, si spera, collaboratrice? Non se ne parla di cercare il suo indirizzo perché potrei trovarmi nella parte sbagliata della città e poi non conosco il suo cognome, ammesso che la gente la conosca. Perciò opto per l’agenzia in cui lavora, almeno di quella sono assolutamente certo. Girovago un po’ per le strade senza la minima idea di dove stia andando e quando decido di arrischiarmi nel chiedere informazioni, m’imbatto nuovamente nelle bancarelle viste il primo giorno e che ancora una volta mi sorprendono con i monili e gli oggetti esposti, tutte cose che non potrei mai trovare al Centro neanche pagandole a peso d’oro, eppure qui sono così comuni!
<< Hai trovato qualcosa che t’interessa ragazzo?>> sussurra una vocina da dietro il banchetto che ha attirato la mia curiosità. Dal fresco dell’ombra, proiettata dal telo che copre il suo banchetto, è seduta una piccolissima signora anziana dai capelli canuti raccolti in una crocchia e, con gli occhi stretti per l’intensità della luce, mi fissa ansiosa di sapere se uno dei suoi manufatti le potrebbe fruttare qualche moneta.
<< Veramente non m’interessa niente, ero solo curioso>> rispondo.
<< Peccato>> le sfugge una smorfia di delusione.
Decido allora che forse potrei chiedere a lei l’ubicazione dello stabile che sto cercando. Mi sembra una persona a posto.
<< In verità avrei bisogno di un’informazione>> azzardo e sul viso della vecchietta splende di nuovo un barlume di speranza per un possibile guadagno << sa dove si trova l’agenzia di spedizione Eolo express?>>
<< Certo, chi non la conosce?!>> questo semplifica molto le mie ricerche. << Ma tutto, anche la più piccola informazione ha un prezzo giovanotto!>> dice la vecchia affilando furbescamente lo sguardo.
Sta cercando di estorcermi del denaro?!? Appena realizzo il tutto, faccio per andarmene ma la nonnina, sporgendosi dal suo sgabello sulla bancarella, mi afferra con sorprendente velocità.
<< Non credere che qualcun altro possa darti ciò che cerchi>> sussurra tra i denti. Non posso evitare di chiederle il perché.
<< Proprio perché tutti conoscono la Eolo, non tarderebbero a guardarti con diffidenza se lo chiedessi in giro. Però sono disposta a darti le indicazioni in cambio di un giusto pagamento>>
Rimango per un attimo sbigottito dal modo di fare dell’anziana… troppo arzilla per i miei gusti.
<< E sarebbe …>> incalzo, ma la nonna indica semplicemente la bancarella << Vuole che compri le sua merce?>>
<< Minimo due pezzi!>> ribatte portandosi i pugni sui fianchi sfoggiando la sua aria da donna d’affari.
Intanto valuto la situazione: rischiare di essere scoperto chiedendo a qualcun altro o scucire qualche moneta e finirla qui? Non credo ci sia da discutere.
Do un’altra occhiata superficiale agli oggetti esposti e proprio quando ho deciso, la signora mi affibbia un collanina di pietruzze grezze e un polsino di cuoio con un gufo ricamato sopra.
<< Ottima scelta! Fanno 37 bire>>
Mi sta prendendo in giro, o qui tutti hanno questo modo di fare? 37 bire per un paio di ninnoli inutili?! Per tagliare corto, anche se la sensazione di essere truffato è forte, saldo il conto e attendo le informazioni “ adeguatamente pagate”.
<< Cosa ti spinge ad andare in quell’agenzia?>> chiede d’un tratto la vecchietta una volta finito di istruirmi sulla strada da prendere.
<< Signora ogni informazione ha un prezzo>> ribatto sarcastico, ma suscito solo una risata divertita dopo un attimo di stupore.
<< Ragazzo, mi piaci! Perciò ti do un consiglio>> questa volta mi metto sulla difensiva. << Tranquillo è completamente gratuito. La prossima volta che passi di qui scegli meglio il tuo guardaroba. È vero c’è gente strana in giro, ma non così stramba da conciarsi in questo modo!>> e detto ciò si rintana dietro al banchetto, ridendo di gusto.
Rimuginando sull’affermazione della vecchia, osservo preoccupato il mio abbigliamento. Cos’ha che non va? Guardo curioso la gente intorno a me, non mi pare che abbiano vestiti dalla foggia o stile molto diverso dal mio.
Seguo attentamente le indicazioni fornitemi e dopo parecchie svolte in quel mare caotico di gente e piccoli animali d’allevamento, sbuco da una stradina laterale nei pressi dell’agenzia. Sono indeciso sul da fasi: entro e chiedendo direttamente di April, pregando che lì dentro non ci siano altre ragazze con il suo nome, o aspetto fuori che finisca il turno? Bel dilemma. Il primo punto mi mette direttamente alla mercé del primo a cui chiederò e, dopo l’esperienza di poco fa, preferisco evitare, non ho così tanto denaro con me. Così mi appoggio a un muro tenendo sotto controllo l’ingresso principale. Dopo mezz’ora di posta si presenta un’ opportunità che non posso lasciarmi sfuggire. La persona che sto cercando, si catapulta fuori dallo stabile inseguendo una macchia arancione.

<< Felipe! Vieni qui maledetto!!>> inveisce contro la creatura << ridammi quelle carte!>>. Il felino si gira di scatto in atteggiamento scherzoso, con il sedere puntato verso l’alto mentre il resto del corpo si appiattisce al suolo, così appena la ragazza si avvicina per afferrare le pagine che tiene in bocca, la scarta e riprende a correre verso il vicolo nella mia direzione. È il momento di intervenire per avvicinarla, ma per far sì che la tipa mi ascolti devo impossessarmi dei fogli che vuole recuperare. Perciò attiro l’attenzione del micio con la collanina presa al banchetto (almeno adesso serve a qualcosa) e, non appena è a portata di mano, prendo i fogli mentre la bestiola è intenta a cercare di afferrare con la zampa le perline. La ragazza, che ha assistito alla scena, si avvicina. È il mio momento.
<< Avrei potuto prenderlo da sola quel disgraziato!>> dichiara allungando la mano per farsi consegnare l’oggetto dell’inseguimento.
Per lo meno è simpatica come al solito, ma non è l’ora di procrastinare e decido di farmi riconoscere. Sfilo gli occhiali scuri, lasciando che siano gli occhi a parlare al mio posto << Alla fine ci rivediamo >> gongolo trionfante, vedendo la ragazza sbiancare per l’improvvisazione.
Ebbene sì, poteva aspettarsi chiunque, ma non il sottoscritto. Sorpresa! La guardo dritto negli occhi specchiandomi nelle sue naturali iridi color cioccolato.
<< Che diavolo ci fai TU qui?!>> sbotta di rabbia superato il momento di shock, poi si guarda freneticamente intorno.
<< Devo parlarti>> dichiaro.
<< Non credo>> sibila sulla difensiva indietreggiando di qualche passo. Penso non voglia farsi vedere con me nel caso sopraggiungesse qualcuno.
<< E invece credo proprio di sì, se rivuoi indietro le tue carte. Non vuoi discutere con il tuo capo>> le sventolo sotto il naso i fogli ormai bellamente spiegazzati e inzuppati i saliva di felino. Non sono bravo a ricattare la gente e spero che la minaccia vada a buon fine, altrimenti non so che fare. Pare, però, che la cosa funzioni perché la ragazza non replica né cerca di picchiarmi. Evidentemente sta valutando le possibilità con tutti i pro e i contro.
<< Spero per te che sia importante>> si sta sforzando di restare calma, ma la cosa le brucia probabilmente; scendere a patti con una persona odiata non dev’essere per niente facile. È lo stesso per me quando devo relazionarmi con Spike, perciò un minimo posso capirla.
Cerca in un ultimo disperato tentativo di afferrare le carte, cogliendomi impreparato, ma non perdo il bottino.
<< Non così in fretta, voglio una prova che manterrai la parola, altrimenti salta tutto>> dirle una cosa simile è un azzardo, ma non posso rischiare; soprattutto adesso. La vedo diventare paonazza ma, in seguito a due bei respiri profondi, sembra calmarsi, poi trae dalla tasca dei pantaloni la sua mascherina depura-aria e me la lancia in malo modo.
<< Soddisfatto?!>> ringhia.
<< Adesso sì>> ripongo al sicuro il pegno nel marsupio e le restituisco i fogli; devono essere importanti, per renderla così collaborativa.
Sto per dirle se c’è un posto dove poter parlare senza problemi, ma lei mi anticipa. << Non qui>> intima, poi mi squadra dalla punta dei capelli ai piedi, scuotendo la testa.
Le chiedo quale sia il problema.
<< Sei inguardabile! Dove hai preso questi … cosi? >> dice schifata arricciando il naso.
La guardo di traverso. Che problema hanno tutti quanti con i miei vestiti? È solo una tuta da ginnastica con motivi militari e una maglia nera! Uno scintillio metallico nella mano della ragazza mi mette in allerta.
<< Metti giù quell’affare>> le ingiungo in tono serio.
<< Se vuoi che l’accordo prosegua, sta’ zitto e lasciami fare. Non mi va di finire nei guai per colpa tua>> ribatte con una smorfia di rabbia. Cerco inutilmente di rilassarmi, visti i precedenti non mi fido per niente di questa matta! Comunque allargo le braccia in segno di resa. La lama si avvicina alla spalla e … taglia le maniche?! Che …?
<< Che stai facendo?>> chiedo palesemente disorientato.
<< Tu che dici? Ti do un aspetto decente!>> passa all’altra manica e anche questa dopo un paio di tagli e strappi viene via. In seguito prende una manciata di polvere rossastra da terra e la butta sui pantaloni, poi con brutalità ne strofina un po’ anche sulla maglia. “ Questa sarebbe una ragazza? Non ha niente a che vedere con i  modi pacati e femminili di Chanel” penso, perché il paragone viene istintivo.
<< Adesso arrotolati una gamba del pantalone almeno sotto il ginocchio>>
Eseguo di cattivo umore, vedendo come questa tizia mi tratta. Eppure non le ho salvato la vita qualche giorno fa deviando la catena del malvivente?
<< Il cappello e gli occhiali vanno bene. Se qualcuno ti chiede qualcosa, sei uno di quei fissati con la break-dance e parla solo se necessario … anzi sta zitto, è meglio>> mi ammonisce.
<< C’è qualcos’altro che devo fare, sergente?>> bofonchio infastidito. Non mi piace che qualcuno m’imbecchi su cosa devo fare e dire. Né ho già abbastanza dalle mi parti e un’altra persona da aggiungere alla lista non mi va proprio. Infilo istintivamente le mani in tasca e la guardo in segno di sfida attraverso le lenti.
<< Cretino, non capisci proprio eh?!>> mi volta le spalle e si avvia verso le porte della Eolo express ditta di spedizioni.
La seguo spazientito. Ed io dovrei aver a che fare con lei?!?! Sono impazzito di colpo.
Una volta all’interno il rumore assordante mi assale. Non lo ricordavo così caotico! Ma ecco che dopo pochi passi, veniamo fermati da un omone di colore alto almeno un metro e novanta.
<< Piccola A, hai acciuffato il mostriciattolo?>> dice affabilmente con la possente voce baritonale.
<< Quel sacco di pulci è un flagello! Dovremmo dire a Chris di prendere un cane per tenerlo lontano>>
<< Andiamo, lo so che un po’ ti piace averlo intorno! Ehi, è lui chi è?>> si rivolge a me.
<< beh, lui è …>> incomincia la ragazza, ma la anticipo nei tempi.
<< Sono Nagìl, il breake-dancer del quartiere, ho recuperato io le carte alla signorina>> mi atteggio a spaccone e gli porgo la mano per una stretta tra fratelli, come ho visto fare a un certo parente demente.
<< Signorina?! Ha ha ha ha ha ha. Ehi, April hai sentito sei una signorina adesso? Mi sorprende che tu non lo abbia già preso a calci in culo>> scoppia a ridere.
La ragaza mi fulmina con lo sguardo, forse sta rimpiangendo di non averlo fatto. Le sorrido ammiccando, il che la fa imbestialire. Me la farà pagare, ma al momento mi piace prendermi qualche piccola rivincita.
<< Amico, io sono Zedd Turner!>> dice giulivo agguantando la mano con la sua possente presa.
<< Avete finito? C’è del lavoro da fare. Zedd, ecco le carte per quella spedizione da dare a Chris. L’altra consegna è pronta?>> chiede acida, ma professionale. Vedendola al lavoro mi rendo conto che ho fatto bene a scegliere lei come prima (e direi unica) “confidente”, anche se ho ancora qualche dubbio su una nostra futura collaborazione. È insopportabile!
<< Sì, è stata caricata adesso sul carrello>>
<< Allora vado a fare la consegna, ci vediamo più tardi per il rapporto>> si allontana per impossessarsi della maniglia del carrello su cui è posizionata una spessa scatola di cartone e, sollevando una saracinesca nel fianco della ditta, aspetta che la raggiunga.
<< Informo il capo. Ehi, Nagìl! Fatti vedere in giro così mi dai qualche dritta>>
<< Contaci fratello>> gli rivolgo un amichevole gesto di saluto con la mano e mi avvio molleggiando verso l’uscita. Come attore non sono affatto male!
April mi aspetta spazientita all’esterno e, appena la tenda di metallo ci separa dalla vita dei corrieri, sbotta. << Ti ha dato di volta il cervello?!?! “sono il dancer del quartiere”!! Hai idea della balla che hai detto?>> scimmiotta.
<< Quanto la fai tragica!>>
<< Non hai idea di come stanno le cose qui! Pensi che le parole siano solo suono che si disperde nell’aria? Non per noi! Qui tutto ciò che dici può essere usato per te o contro di te, perché tutti sanno tutto di tutti! E cosa pensi succederà quando la voce del ballerino di strada si diffonderà e non troverà nessuna conferma tra gli abitanti dei dintorni? A chi pensi che chiederanno del misterioso mostro di bravura delle piroette per strada?>>
<< Non lo so>> sono costretto ad ammettere di malavoglia.
<< Certo che non lo sai!!! Non hai nemmeno usato un nome falso! Non posso passare dei casini per colpa di uno come te>>
<< È già la seconda volta che lo dici … aspetta, con uno come me?!>> ribatto offeso. Ma sentite questa! Che diamine, non sa che sto passando dei guai anch’io per portare avanti questo progetto?
<< Sono stufa di averti tra i piedi, facciamola finita. Dimmi cosa hai di così urgente e poi sparisci>> cerca di liquidarmi ferocemente.
<< Sta calma, è una questione delicata, sei sicura che possiamo parlare per strada?>> ribatto accigliato lanciandole un occhiataccia eloquente; così sentenzia << prenderemo una strada laterale tra due svolte a sinistra>>

 
Le racconto per filo e per segno le congetture che abbiamo elaborato io e Spike, aggiungendoci qualcosa di mio; ad esempio i computer che ho visto al loro rifugio e dell’aiuto che potrei dargli con i file che dovessero trovarvi. Le riferisco anche il fatto che dovrei passare molto tempo nei Sobborghi per studiare la situazione e tutte le ipotesi che mi vengono in mente, non tralasciando nessun dubbio o ipotesi. Alla fine sembra pensierosa, spero di averla almeno un po’ incuriosita, ma non parla per tutto il tragitto. Non chiede spiegazioni, né fa domande per saperne di più. Dalla postura rigida delle spalle e dallo sguardo di sottecchi che mi rivolge, capisco che non sa se credermi. La sua diffidenza può essere una caratteristica molto utile da aggiungere al suo curriculum di alleata, tuttavia spero comunque di averla convita più di quanto lo sia io.
Non ho fatto attenzione a dove mi stava portando, finché un enorme edificio semidistrutto non ci blocca la visuale e ci accoglie un enorme porticato coperto d’edera essiccata e dall’intonaco scrostato che lascia nudi i rossi mattoni che ne sono lo scheletro. Seguo la ragazza tra cumuli di cemento e calcinacci e, dopo aver superato una fila di finestre, di cui alcune saltate e rattoppate alla meglio con nastro isolate e pannelli di plastica, ci attende un portone divorato dai tarli. Dopo aver bussato, da uno spiraglio della porta si intravede un occhio sospettoso e la porta si richiude, un frettoloso rumore di catenacci e poi il battente viene nuovamente spalancato con uno strattone.
<< April! Quanto tempo!!>> una ragazza sui ventisette anni, dai capelli scuri ed arruffati, raccolti alla meglio in due lunghe trecce, salta al collo della ragazza in questione, tra lo svolazzare della sua ampia gonna grigia abbinata ad una severa camicia bianca.
<< Anche per me è bello rivederti Rose … però potresti staccarti? Sto soffocando!>>
<< Scusami!!>> si allontana sistemandosi sul naso la tonda e grande montatura degli occhiali da vista, poi si accorge della mia presenza << Oh! E il tuo accompagnatore chi è? Sono  Rosemary Highfield, piacere di conoscerti!!!>> esordisce vivacemente scuotendomi a più non posso la mano. Ha energie da vendere.
<< Nagìl, piacere mio>> biascico preso alla sprovvista dalla sua esuberanza e dalle sue formose curve che sobbalzano seguendo i suoi movimenti.
<< Rose, ho portato una nuova donazione>>
<< Davvero?! Oh! Che bello, i bambini saranno contentissimi, aspetta che vado a chiamarli, stavano finendo i compiti!>> finalmente molla la presa e si precipita dentro urlando a squarciagola.
<< Dove siamo?>> dico ancora frastornato, ma non ottengo risposta.
Neanche il tempo di dirlo che una mandria di circa trenta marmocchi, tra i 3 e i 9 anni, si catapulta fuori circondandoci e salutando calorosamente April: alcuni l’abbracciano, altri le saltellano intorno cantilenando “ Ben tornata, ben tornata” e lei ricambia la loro esultanza. È strano non vederla arrabbiata, sembra quasi normale.
Un bimbetto dalla pelle olivastra e fitti capelli corvini, mi scruta curioso, finché non esordisce con il classico: “ lui chi è?? ”.
La domanda non mi coglie alla sprovvista, ma istintivamente guardo irritato April per vedere se, anche in quest’occasione, ha intenzione di parlare al posto mio; sorprendentemente è a braccia conserte e mi guarda con aria di sfida. Vuole vedere se ho il coraggio di mentire anche a questi innocenti bambini?! Me ne infischio dei suoi presunti sospetti.
<< Sono Nagìl! Il break-dance del quartiere!>> dico spavaldo.
<< Davveroooooo?? E cos’è?>> chiede il bimbo con una smorfia inclinando il capo.
<< E’ un modo di ballare>> spiego paziente, mentre si solleva un coro di “Oh!”
<< Che bello!! Facci vedere>>; << Sì, sì facci vedere>> urlano i bimbetti.
Non aspettavo altro! Lancio uno sguardo beffardo ad April poi, dopo aver chiesto che si dispongano in un cerchio abbastanza largo, faccio appello a tutte le memorie sulle lezioni di break e mi lancio in una performance.
Mi alzo poco dopo con il fiato corto tra gli applausi scroscianti di Rosemary e le bocche spalancate dei bambini. Il marmocchio di prima mi strattona la tasca dei pantaloni con gli occhi spalancati e pieni d’ammirazione << Fratellone, mi insegni a ballare cm te?!?!?>> e subito una manciata di bambini lo imitano.
Cerco con lo sguardo la ragazza per lanciarle un’occhiata alla “ adesso hai la conferma che cercavi” ma April intanto si è rivolta a Rosemary, e insieme stanno scaricando il carrello. Ferito nell’orgoglio decido che dovrei darle una mano, ma non prima di aver risposto a “capelli neri”.
 << Certo! Intanto esercitatevi con questi passi>> gli mostro alcuni semplici mosse base, poi chiedo alle ragazze cosa fare, non sapendo da dove iniziare.
È April che con mala grazia, mi getta tra le braccia un sacco da almeno cinque chili, intimandomi di non farlo cadere, e, dopo essersene caricato uno sulle spalle, si avvia dietro alla Governante all’interno dell’edificio.
Attraversiamo un piccolo vestibolo e un soggiorno spartano, fin troppo, sembra quasi che non abbia visto abitanti da almeno qualche anno, e giungiamo alle cucine. Le ragazze appoggiano quanto trasportato sul ripiano di cottura e ripetiamo l’operazione almeno cinque volte, finché non svuotiamo tutto il contenuto dello scatolone. In ultimo sistemiamo le vettovaglie nella dispensa e quel poco che c’è di deperibile nella sottospecie di frigorifero, un ammasso di ferraglia pitturato alla meglio di bianco.
Mentre sistemiamo, mi arrischio a chiedere a Rosemary di che posto si tratta.
<< Il tuo amico è nuovo di queste parti>> scherza la ragazza rivolta ad April, mentre questa fa una smorfia di disappunto. Non deve aver ancora superato lo scoglio della nostra diversa provenienza.
<< Questo è un Orfanotrofio Comunale, viviamo con le donazioni delle compagnie o dei pochi spiccioli che ci da il governo>>
<< Come mai ci sono così tanti bambini se guerre non ce ne sono?>> dico senza pensare. Sul viso della ragazza si delinea un sorriso tra lo stupito e il triste.
<< Non sai proprio nulla allora?>> chiede sbalordita.
Scuoto la testa improvvisamente a disagio, uno sguardo fugace alla mia guida, che non sembra tesa, ma visibilmente stanca. Non tenta di intervenire a riparare al mio errore, ma va avanti a sistemare le provviste sulle mensole.
Distolgo lo sguardo non appena la ragazza inizia a parlare.
<< Non ci sono guerre, è vero, ma la situazione nei sobborghi non è facile come saprai. La gente qui vive, anzi sopravvive con quel poco che il Centro distribuisce, con le Donazioni e dei miseri prodotti che riesce ancora a coltivare o allevare. Perciò molte persone, i più deboli, chi non ha spazio per coltivare o perché non ha più nulla, non sopravvivono e i figli vengono spediti qui. Ma la maggior parte dei bambini qui ha un’altra storia>> fa una pausa per osservare April che, girata  di spalle, ha smesso di sistemare delle lattine nelle dispensa in alto, è tesa ma non si volta, anzi decide di cambiare stanza, alludendo a nascondere ai vandali il montacarichi che ci siamo portati dietro. Questo da alla ragazza un incitazione per riprendere il discorso. << La maggior parte è arrivata per colpa delle “ Stelle nere”>> dice d’un fiato come se il solo pronunciare quella parola portasse enormi disgrazie << si presentano senza preavviso alla porta delle persone e portano via gli interessati imponendo le ragioni più disparate: abilità uniche o molto sviluppate, necessarie in un determinato ambito nel Centro; l’essere stato scelto per la missione di avanscoperta alla ricerca di altre città superstiti come la nostra e molte altre cause. Perciò i bambini che non hanno più un posto dove andare o stare, giungono al nostro orfanatrofio. Purtroppo molti non vengono accettati e finiscono per morire di fame in strada>>
Un nodo mi sale alla bocca dello stomaco, guardo i bambini che saltellano sul patio visibilmente contenti e una sensazione subdola e infida mi striscia addosso, mi sento colpevole! Colpevole, per tutti gli anni passati nell’ignoranza, chissà quanti hanno affollato le strade in cerca di ricovero e quanti  non hanno potuto ottenerlo. Sono colpevole, per tutti quelli che non hanno cibo da mangiare ed io l’ho sprecato, buttato nello scarico, per capriccio e ripenso a quanti sprechi avvengono nel Centro. La rabbia per la mia ottusità e anche per un altro motivo di cui devo parlare al più presto con Spike, monta inesorabile.  
<< Perché non dite nulla? Perché non vi ribellate?>> prorompo spinto dalle emozioni del momento. Rosemary mi guarda colpita, non si aspettava una domanda del genere. È perplessa e forse ha capito la mia vera identità, perciò mi maledico di essere così stupido. È già la seconda persona a cui stupidamente ho rivelato la mia provenienza.
<< A cosa servirebbe? Abbiamo imparato dal passato. Una volta hanno tentato, ma è finito con una sconfitta schiacciante seguita da una povertà che ha dimezzato la popolazione. Ormai la gente è stanca e disillusa, non spera più nel futuro perché non vede via d’uscita. Non si può più cambiare…>> Rosemary è costernata e abbattuta, con il capo reclinato verso il petto.
La gente si è arresa, ecco la verità che mi brucia. Non credono più in un cambiamento, pensano di essere soli e abbandonati. Potrò mai fare qualcosa con il progetto che abbiamo in mente?
Cala un silenzio pesante come un macigno, non so che dire; di solito cosa si aggiunge in queste occasioni? Non lo so, non ne ho la più pallida idea.
È la governante a riportare tutti al presente.
<< Quasi dimenticavo. April! Il dottore ti cercava. Oggi non ti sei presentata per togliere i punti, dice di andare prima che chiuda. , perciò sbrigati!>>
April sbuffa seccata ricomparendo nella cucina, ma non sembra realmente infastidita, perciò la informa che ci andrà dopo sotto lo sguardo severo della ventiseienne.
Salutiamo i bambini tra un coro di “no” delusi. Alcuni addirittura si attaccano alle tasche e al marsupio, tirandomi da tutte le parti. Non sono mai stato bravo con i marmocchi, perciò non riesco a scollarmeli di torno. Devo promettere a un paio che tornerò a dargli lezioni affinché mi lascino andare i pantaloni, dove si sono avvinghiati. Gli altri li rimette in riga l’istitutrice. Poi imbocchiamo la strada del ritorno. Nessuno dei due parla, ognuno ha i suoi pensieri da riordinare ed impilare. Arriviamo fin troppo presto all’ormai noto ingresso ai tunnel, e lì ci fermiamo, eppure anche a questo punto non viene pronunciata una parola. Lei allora fa per andarsene, ma non posso lasciarla andare via così, ho bisogno di togliermi un peso perciò la chiamo. Si volta dubbiosa e seccata.
<< Mi dispiace! Mi dispiace per tutto, in parte comprendo perché ci odi e farò del mio meglio per aiutarvi, perciò pensa alla mia proposta. Mi farò vivo io.>> affermo deciso portando una mano sul cuore come giuramento e rilanciandole il pegno per la nostra conversazione.
Che idiota che sono, non potevo trovare qualcosa di meglio da dire?! Non mi sono mai sentito così impacciato e incapace. Anche sembra irritata dalla veemenza delle mie parole, avevo bisogno di dirglielo, avevo bisogno che capisse che ho compreso, almeno in parte, le sue ragioni e soprattutto che sono sincero. Le cose che ho detto le penso davvero e voglio impegnarmi a fare ciò che ho detto.
La ragazza mi guarda senza rispondere rimettendo nella borsa a tracolla la sua mascherina depura aria, forse ha capito o forse no, non posso saperlo adesso. Poi semplicemente si volta e ritorna sui suoi passi, sparendo per le vie aranciate dal tramonto ormai vicino.
Percorrendo i cunicoli, ormai memorizzati, rifletto sulla giornata: mi sento sconvolto dalle poche informazioni scoperte e mi sorprendo a pensare al perché mi abbia portato lì con sé, poteva benissimo troncare il discorso e lasciarmi a macerare nel dubbio della sua risposta, invece no, ha fatto in modo che vedessi l’orfanotrofio. Pura coincidenza o voleva che vedessi l’oppressione del nostro governo? Quante altre cose non so sul Centro? Quanti orrori si celano per quel dedalo di edifici che cadono come tessere di domino?
Oppure voleva punirmi perché provengo dal luogo che detesta, mettendomi così difronte alla verità?! Non lo so, non conosco quella lunatica e perciò non posso farmi un’idea delle sue intenzioni. Tuttavia di una cosa sono certo, da più di una stamattina sono convinto che quello che abbiamo intrapreso io è Spike sia necessario. Per tutti questi anni sono fuggito da quelli che ritenevo essere stupidi vaneggiamenti, da parte di gruppi di sediziosi, sul nostro amato governo e ora mi accorgo che mi sarebbero tornati immensamente utili come base da cui partire! Comunque a questo punto non serve a niente rimuginarci sopra, tuttavia posso perlomeno avvisare il mio complice delle nuove scoperte, perciò cerco il cellulare nel marsupio per controllare la strada.
Sparito! Il palmare non è da nessuna parte. Maledizione come ho fatto a perderlo?! Cerco freneticamente nelle tasche ma nulla. È troppo tardi per tornare indietro, se non rientro immediatamente mi scopriranno. Vorrà dire che invece di chiamarlo appena lasciata questa rete sotterranea, dovrò andare direttamente da lui. Adesso però ho un altro problema immensamente rilevante da risolvere; devo riuscire a ricordare il percorso, altrimenti sono fottuto, in ogni senso.

 
<< Alleluya Spike ce ne hai messo di tempo!!>> sentenzio spazientito.
Mio cugino mi osserva sbadigliando e con i capelli ancora arruffati da un pisolino appena interrotto.
<< Che vuoi?>> biascica.
Spero mi stia prendendo in giro. Lo scanso, puntando verso camera sua. Non è cambiata di una virgola: stesso letto a baldacchino nero, le identiche ante con specchio della sua “stanza-armadio”, l’angolo studio in acciaio satinato, il soppalco con libreria anche esso in acciaio ed i suoi immancabili scatti fotografici in bianco e nero. È rimasto un narcisista.
<< Non è cambiato nulla. Da quanto non vengo a casa tua?>>
<< Da quando hai deciso di fare il ribelle-che-cerca-di-far-incavolare-il-padre andandotene a zonzo>> mi rinfaccia innervosito con i capelli in disordine e una smorfia indispettita.
<< Ti sei alzato con il piede sbagliato?>> ribatto guardolo in cagnesco.
<< No, mi hai svegliato! Stavo sognando di passeggiare in riva al mare con una bella bionda>> si lagna << e visto che mi hai interrotto sul più bello spero sia molto importante!>>
<< Non trovo più il palmare altrimenti ti avrei chiamato >>
<< Ho ho ho Nagìl che perde qualcosa, finalmente una notizia interessante. Meglio di quella del governatore che chiede del figlio scomparso>> cerca di fare il sarcastico.
<< Oh finiscila, sono venuto per il nostro progetto ricordi? Cosa mio padre ha chiamato?>> lo canzono prima di rendermi conto di cosa abbia detto. Mio padre non chiama mai nessuno, specialmente di persona, perciò che diavolo stava succedendo?
<< Ebbene sì! Ho dovuto pararti di nuovo il culo. Tanto per cambiare>> dice con un sorriso beffardo e canzonatorio che gli solleva un angolo della bocca.
Già sono infuriato, ci manca solo lui a peggiorarmi l’umore. È stata una pessima idea raggiungerlo per aggiornarlo sui fatti, e non ho voglia di perdere fiato e tempo con un rincoglionito come lui! “ Ma chi me l’ha fatto fare di allearmi con lui?!” Penso mentre cerco di porre fine alle sue scenate da attrice capricciosa e farmi dire cosa è successo dalla telefonata del Governatore in poi.

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Capitolo 8
*** Nella tana del lupo ***


Capitolo 8

 

 

 

 

Questa mattina mi sono alzata di pessimo umore, non che non lo fossi già, sapendo cosa mi riserva la giornata: riportare il palmare al suo stupido proprietario. In verità sono stati i mocciosi dell’orfanotrofio di Rosemary ad averglielo sfilato dal marsupio e poi nascosto, sperando di rivenderlo a qualche banchetto per ottenere qualche moneta. Perciò ora che ci penso, è tutta colpa loro e per questo, mi ricorderò di dargli una bella strigliata. Comunque tutta la situazione non mi va molto a genio ma ieri, pur di non sentirgli dire tutto il giorno che devo portarlo al tizio eccetera eccetera, l’ho promesso a Kid. Questa faccenda l’ha coinvolto molto più di quanto immaginassi e non è un bene fraternizzare con il nemico.  Purtroppo il mio rapporto di amicizia con lui mi ha rimbambita al punto di raccontarli l’offerta che mi è stata proposta dal Centriano. Non so nemmeno io perché gliel’ho detto, forse l’ho fatto per lui; pensando che se avessimo sfruttato l’essere dai capelli diafani, che di certo ne sapeva più di noi sui circuiti abbandonati che il mio amico aveva rimesso a nuovo, almeno avremmo capito a cosa servissero e se potevano esserci utili. Come avevo previsto la risposta da parte sua era stata favorevole, se non entusiasta e rasente all’euforia. Credeva forse che la compagnia di quel coso invasato, che ne capiva di più il blaterare del biondino, fosse un interlocutore più interessante di me? Quel maledetto ingrato! Mi sta davvero mettendo a disagio, forzandomi a essere gentile con gente che non se lo merita ed è una cosa che non sopporto, mi irrita tremendamente, eppure pare che la cosa non gli importi oppure semplicemente non ci ha fatto caso, tonto com’è!! Anzi, gliel’ho detto in tutti i modi come stanno le cose, ma lui ha fatto le orecchie da mercante. Per questo lo sto odiando immensamente come mai prima.
Perciò non avevo previsto che mi incitasse, o forse avrei dovuto sospettarlo, che mi spingesse addirittura a incontrarlo nuovamente quel … coso. Ma come poteva anche solo pensarlo! Io incontrare un tizio raccapricciante come quello e che tra l’altro odiavo con tutta me stessa?! Di certo la questione aveva mandato a marcire il cervello di Kid, rincretinendolo fino a quel punto; aveva addirittura preso l’iniziativa, parlando con Titt e chiedendogli addirittura un giorno di riposo in mia vece. Mi aveva sentita. Avevo sfuriato dando sfogo a tutta la rabbia che avevo represso, facendo buon viso a cattivo gioco e, nonostante mi fossi lamentata anche con il mio capo per quella richiesta insensata, lui aveva acconsentito di buon grado dicendo che un giretto da quelle parti mi avrebbe fatto cambiare prospettiva, ampliando se pur di poco la mia mentalità chiusa e sospettosa. L’avevo guardato interdetto, ma come adesso ci si metteva anche lui? Perché tutti volevano spingermi a fare cose che non erano nella mia natura né nella mia disposizione d’animo? Per loro era così facile dare fiducia a degli sconosciuti che avevano incassato malmenate botte e randellate dai nostri vicini? Secondo loro se uno veniva pestato e salvato da qualcuno era degno di fiducia, ma a mio parere no. Erano solo degli stupidi arroganti ficcanaso, annoiati dalle loro vite monotone e sciatte. Non meritavano un briciolo di comprensione né aiuto, erano egoisti interessati solo al loro tornaconto personale che non sapevano aggiustare le loro faccende. Con il lavoro perciò ero a posto, anche se non per mia volontà, e mi era stato concesso un permesso speciale firmato da Tiberius, per assentarmi e assicurarmi un ingresso legale nella roccaforte del potere di Cardia. Posso solo rallegrarmi del fatto che così non aggiungerò un’altra violazione alla lista delle leggi che ho infranto in questi ultimi giorni. Eppure non immaginavo che per entrare al Centro, dove in teoria dovremmo aver diritto a presentarci liberamente, visto che la maggior parte dei servizi primari si trova lì, ci volessero tutte queste scartoffie da presentare all’ingresso principale; lo stesso da cui distribuiscono i doni nelle occasioni speciali. Cammino di malavoglia come un condannato che si avvia alla ghigliottina con l’animo però di un rinoceronte imbestialito. Ho rifiutato persino la bicicletta gentilmente offerta da Chris affinché tornassi il prima possibile a lavoro, per rimandare al più tardi il dover mettere piede nella tana delle serpi. Come unico svago per non urlare di rabbia per tutto, ho i miei stessi pensieri, che per tutta la giornata di ieri mi avevano portato a chiedermi cosa avesse di speciale questo telefonino ultrasottile. La pulce nell’orecchio mi era stata messa dalla frase del noioso insetto: “ mi troverei in grossi guai, se lo perdessi”. All’una esatta di stamattina ho scoperto l’oscuro mistero! Quest’aggeggio ha un sacco di applicazioni impressionanti: fa calcoli, scatta foto, ha una memoria quasi infinita, riproduce musica, ti indica tutte le strade possibili ed immaginabili per raggiungere il posto che desideri e tanto altro ancora! Wow, mi piacerebbe avere un oggetto simile perché mi faciliterebbe di molto le varie mansioni che adesso mi tocca fare manualmente. Ma come ho fatto a scoprire tutte queste cose? Semplicissimo c’ho smanettato un po’.  In teoria non si dovrebbe fare, perché è come mettere le mani in una borsa non tua, violando la privacy di una persona, tuttavia non ce l’ho fatta, ero troppo curiosa! Poi quando mi ricapiterà una cosa del genere tra le mani?! Ok, senza contare il lavoro.
Nascondo il palmare in una tasca interna della mia inseparabile borsa che ho preventivamente foderato con un camice ospedaliero, preso in prestito da un'altra consegna, che assorbe i raggi X nel caso controllassero i miei averi, dopo averlo ammirato ancora un pochino perché sono arrivata. Le imponenti porte d’acciaio, mi danno il loro freddo e statuario benvenuto, mettendomi sulla difensiva: non sarà facile entrare, perciò devo fare molta attenzione. Raggiungo il gabbiotto, dove è pigramente seduta una sentinella, che si affretta a sedersi come si deve non appena mi vede arrivare.
<< Signorina lei non può…>> intima attraverso l’interfono, ma non lo lascio finire perché non ho tempo da perdere e voglio sbrigarmela il prima possibile.
<< Ho il permesso per una consegna urgente!>> dico acida, lasciando cadere i documenti compilati e firmati nella cassetta metallica che ci separa. La guardia, tirandolo dalla sua parte, si affretta a sfogliare i documenti, manifestando l’intenzione di trovare una scusa qualsiasi per mandarmi via, purtroppo per lui, quelle pagine le ho controllato decine di volte e sono impeccabili. Nonostante ciò non sembra contento e, digitando qualcosa sulla tastiera che ha davanti e spegnendo l’interfono, inizia a parlare da solo dietro il vetro antiproiettile (evidenziato dal talloncino verde fluorescente con scritte a caratteri cubitali). Devo dire che non mi aspettavo certo di entrare in una gabbia di matti fissati con la sicurezza, di certo questo rafforza i miei pregiudizi. Dopo pochi minuti, l’uomo mi lancia un’occhiataccia chiedendomi il documento identificativo e di mostrargli la commissione da consegnare. Con un sorriso smagliante quanto finto, inserisco il mio braccialetto elettronico identificativo, saldamente ancorato al polso sinistro, in una finestrella sotto il vetro antiproiettile da cui parte uno scanner a luci rosse che diventano smeralde una volta ricevute le informazioni contenute nel cip ed infine il mio nome, gruppo sanguigno, domicilio e lavoro,  vengono annunciati da una voce robotica. Ma dico, le leggi sulla privacy sono andate a farsi benedire? Poi apro più inviperita che mai, la borsa per mostrare il pacchetto che in teoria dovrebbe contenere il palmare, ma per ovvi motivi non è questo l’oggetto dichiarato nelle carte. Glielo passo per i controlli, sperando che Zedd abbia incartato davvero una vecchia scheda madre per computer e non una schifezza raccolta in discarica all’ultimo minuto. Prego inoltre che Kid sia riuscito a inserirsi nel database delle richieste effettuate dai Centriani verso i Sobborghi, inserendoci la nostra. Per fortuna dalla faccia seccata del ragazzo deduco che non ci sono stati intoppi e infatti preme un pulsante verde nel riquadro alla sua destra, aprendo una porta nella parete di ferro. Ed io che mi aspettavo aprisse l’intero portone per lasciarmi passare, che maleducati. Comunque mi lascia sospettoso un visto di passaggio, restituendomi il pacco. Senza perdere un millisecondo raccolgo il tutto ficcandolo in borsa. Uffa, tanta fatica per compilare quei moduli e non me li hanno nemmeno restituiti. Pazienza, penso, saranno più utili a loro, io una volta a casa li avrei inceneriti all’istante. Una volta attraversata la porta incrocio un altro gabbiotto. No vi prego, altri controlli no, è assurdo!!!
Un'altra guardia impettita mi fa segno di avvicinarmi e rassegnata gli porgo il visto, ma non basta vuole vedere il braccialetto elettronico. Come se potessi diventare un’altra persona attraversando una stupida porta! Seccata, inserisco tutta la mano in un’altra identica finestrella con identiche luci rosse che diventano verdi ed il mio nome e tutto il resto compaiono nuovamente su un display.
Quando finalmente mi lasciano andare, il mio umore è più nero di un cielo tempestoso e ogni traccia di buona intenzione è stata spazzata via nello stesso istante in cui ho varcato il confine. Ho una voglia matta di gettare il telefono nel primo cassonetto che mi capita a tiro e tornare diritto di filato a casa, ma è indubbio che le guardie si insospettirebbero, perciò continuo per la mia strada stufa marcia della situazione. Mi inoltro nel dedalo di vie sparendo alla vista,  prima che una delle due “sentinelle” si offra gentilmente per accompagnarmi.
Davanti a me si apre Il Centro ed è davvero … spaventoso! Non so di preciso cosa mi aspettassi, sicuramente non quello che ho davanti agli occhi. Gli edifici nuovi ma senza i segni del tempo, né una crepa, né un colore ingrigito per la polvere o lo smog; i marciapiedi sono immacolati come le aiuole, di un verde stranamente brillante e lucido da sembrare finte; non una cartaccia o piccolo frammento di sporcizia, neanche la strada è segnata dal passaggio di macchine. Qui sembra che tutto si sia fermato al momento dell’inaugurazione. Ipocondrici! È questa la parola che mi saetta nella mente, fulminata dal panorama. Ho i brividi di terrore, ma la cosa che mi spaventa di più è che l’aria non ha odore. Non sa di niente, è innaturale! Di solito quando passeggi per le vie, dovresti sentire i profumi più disparati dovuti alle attività, alle piante e a mille altre cose che emettono essenze o odori non molto invitanti. Qui invece non si percepisce la benché minima fragranza, come se tutta l’aria fosse risucchiata e purificata. Avanzo sempre più smarrita, non sentire nessuna caratteristica del posto non mi era mai capitato e devo dire che è piuttosto brutto, oltretutto c’è qualcosa che mi disturba, come uno sciamare di sottofondo, lieve, persistente che logora i nervi. Vago con lo sguardo in cerca della sua fonte ma intorno non vedo nulla che ne possa essere l’origine, perciò cammino a passo svelto mi sento inquieta e spaesata, come se fossi approdata su un suolo alieno ed una creatura bitorzoluta potesse saltarmi addosso da un momento all’altro. Estraggo nervosamente dalla tasca dei pantaloni il foglietto spiegazzato con l’indirizzo dell’istituto ed una mappa approssimativa del percorso che seguo fedelmente perché se mi perdessi qua dentro di certo impazzirei prima di trovare l’uscita.
Credo di essere vicino al cuore del Centro, perché finalmente incrocio delle persone che, mi guardano schifate, come se fossi uno scarafaggio trovato in cucina. Beh! Neanche loro mi piacciono con i loro vestiti inamidati e quasi tutti uguali, perciò proseguo senza dar peso ai loro sussurri e il loro scansarmi come la peste. Stranamente ho ritrovato l’irritazione e il mal umore e con passo di marcia raggiungo la destinazione: un enorme edificio bianco nuovo di zecca come gli altri, dalle ampie finestre a nastro e l’ingresso rientrante. Finalmente posso mollare l’aggeggio a quel tizio e tornare a casa; questo posto mi ha già stufato e per di più ha confermato le mie aspettative sulla gente: sono tutti arroganti e presuntuosi. Varco la soglia e sto per avvicinarmi al bancone per chiedere della persona interessata, quando qualcuno mi afferra saldamente per le spalle costringendomi a fare un mezzo giro su me stessa.
<< Dove crede di andare?!>> esordisce una delle guardie apostate all’entrata e che non avevo minimamente notato. Ha una divisa a mezze maniche blu scura a doppio petto, con rifiniture di rosso cupo e porta dei guanti coordinati, mentre alla cintura sono appesi un manganello ed un teaser; il tutto mette soggezione tanto farfuglio solo di avere una consegna da fare e le mostro il lasciapassare. Purtroppo la guardia non né vuole sapere e inizia a trascinarmi verso le porte con malagrazia. Punto i piedi e con uno strattone libero il braccio.
<< Mi lasci andare! Le ho detto che ho una consegna, ho il lasciapassare non ci vede?>> affermo stizzita.
<< Non mi interessa>> la guardia cerca di afferrarmi di nuovo, ma non gliene do modo. Devo trovare qualcosa che mi tolga d’impiccio.
<< Il cliente mi ha espressamente chiesto di consegnarglielo di persona e qui altrimenti avrei perso il posto>> mi giro e cerco nuovamente di guadagnare il bancone, altrimenti una volta sbattuta fuori non avrò modo di rientrarci perciò mi toccherà aspettare la fine delle lezioni non sapendo quanto ci vorrà e allora sì che perderò il posto. Cerco di ricordarmi il nome completo del tizio, ovviamente recuperato dal suo palmare e poi parlo.
<< Sto cercando il signor Sunderset, Nagìl Sunderset! Ho una consegna urgente, può chiamarlo?>> dico con velocità impressionante sapendo che la guardia mi raggiungerà subito.
La receptionist o quello che è mi guarda allibita non sapendo che fare, ma sembra che non abbia la minima voglia o non possa fare quanto le ho chiesto. La guardia intanto mi ha agguantata di nuovo e cerca invano di buttarmi fuori. Chiedo di nuovo alla receptionist di chiamare quella persona, ma lei si limita a fissarmi con gli occhi sbarrati. Ma cavolo è sorda?!?
Sono ancora aggrappata al bancone con la guardia che cerca di scollarmi quando vedo degli studenti, con un’orribile divisa metallizzata, che si stanno avvicinando: una ragazza minuta bionda e un ragazzo alto con capelli corvini tagliati strani.
<< Poteva accompagnarmi!>> si lamentava la ragazza.
<< Accontentati di me>> dice il ragazzo fingendosi offeso << adesso devo tornare indietro o non mi troverà. Ci vediamo Chanel!>> e si ferma prima dei tornelli di vetro guardando l’altra mentre li attraversa.
Non perdo tempo. << Ehi, tu biondina!>> grido per attirare l’attenzione, tentando nel frattempo di resistere alla guardia, e quando finalmente capisce che ce l’ho con lei, si blocca all’istante sgranando gli occhi.
Ma certo la conosco! La biondina, quella che era con il demente! Che fortuna, ma devo andarci cauta comunque.
<< Ehi! Ciao, conosci Nagìl Sunderset? Ho una consegna urgente per lui>> e le faccio vedere il badge lasciapassare e una bolla per le consegne. Sono fiduciosa, lei mi ha riconosciuto, lo so che l’ha fatto e adesso potrà darmi una mano.
Chanel dopo essersi ricomposta si avvicina con aria arrogante.
<< Puoi lasciare a me, glielo consegnerò al posto tuo>>
<< È una consegna della massima urgenza, non è delegabile>> ribatto con il tono di voce più calmo e formale che conosca. Ma la sua reazione fa svanire le mie speranze, infatti si rivolge con aria di superiorità alla guardia << Non dovrebbe essere qui! Come ha fatto a entrare?>>
<< Sono spiacente signorina di averle recato disturbo,  rimedieremo subito>> e, serrando ancora di più la presa, inizia a trascinarmi verso l’uscita. Sono scioccata. Come?! le ho salvato il culo e nemmeno mi ringrazia? Lo sapevo, di questi tipi non ci si può fidare, perché una volta che ti hanno usato per i loro comodi si rivoltano contro di te! Kid, quanto ti sbagliavi, sono i peggiori che tu abbia mai incontrato.
Cerco di liberarmi a colpi di reni e strattoni, per sfuggire alla morsa delle mani della guardia che rincarano la dose, affondando le unghie nella carne delle braccia. Non so che fare… Perché non mi sono fatta gli affari miei?! Tra l’altro è davvero necessario riportarglielo? Tanto ormai mi hanno fermata, il mio dovere l’ho fatto, arrivando addirittura varcare un limite per me invalicabile. Rinuncio a dibattermi come un’anguilla e come una criminale aspetto che mi sbattano fuori a calci nel sedere.
<< Dovresti consegnarmi il pacco da recapitare, così lo farò avere al proprietario>> cerca di convincermi la “signorina” con voce altisonante.  Mi volto di tre quarti e con il sorriso più falso del mondo dipinto sul volto, le faccio il dito medio.
<< Mi dispiace consegna urgente ed esclusiva>> le sibilo incavolata nera.
<< Aspettate!>> urla qualcuno dal corridoio con voce di comando.
Le guardie si bloccano e tendono i muscoli, mentre una massa arruffata di capelli argentei, simili a un anemone, si precipita nella nostra direzione. << Lasciatela andare!>>
<< Signore, non può uscire!>> strepita la segretaria da dietro il bancone, ma viene bellamente ignorata.
<< Nagìl che stai facendo?>> gli domanda Chanel, ottenendo come risposta un occhiataccia fulminante. Questo è decisamente inaspettato e tutto sommato piacevole. Quindi si tradiscono anche tra di loro? Ha ha ha ha, peggio di quanto immaginassi, anche se non dovrei parlare, visto che tra di noi ci pestiamo a sangue e non solo.
<< Signore è un Outsider. Non posso permettere che entri nell’edificio, se la vedessero … >> risponde seccata la guardia, senza però mancare di rispetto al signorino.
<< Ho detto, la lasci andare. La consegna è per me e mi assumo tutte le responsabilità>> ribatte in tono severo socchiudendo gli occhi bicromatici.
<< Signore, ragioni>> ritenta nuovamente il vigilante.
<< Ha sentito? O devo fare rapporto al suo superiore?>> lo minaccia.
<< No, Signore>> risponde l’interlocutore remissivo.
La presa sul mio braccio si allenta e ne approfitto per scrollarmi le mani di dosso.
<< Signorina Adeline, registri nelle note che il signor Sunderset esce prima quest’oggi>> sentenzia e senza lasciare che nessuno lo contraddica, mi si affianca poggiandomi una mano sulla schiena ed invitandomi a seguirlo. Per il momento lo lascio fare, sarebbe da stupidi mettersi a litigare con chi ti ha appena tolto dai guai. Comunque questo contatto non mi piace per nulla, mi mette a disagio, perciò cerco di tenere la schiena leggermente scostata, quel tanto che basta per permettere a un filo d’aria di dividerci. Lui sembra non farci caso, o non lo da a vedere. Mi urta la sua aria composta e la parte del bravo figlio di papà che sta recitando!
Mi scorta attraverso le vie del centro come si farebbe con un prigioniero e per non sbottare, cerco di concentrarmi sulla strada e le stramberie che incontriamo.
Finalmente capisco il rumore di sottofondo che ho sentito quando sono arrivata. Sulla volta della cupola ci sono delle ventole che ruotano su loro stesse senza sosta. Chi sa a che serviranno e come funzionano. Se ci fosse Kid al mio posto ne rimarrebbe meravigliato, magari avrebbe tartassato chiunque con una marea di domande, anzi sono più che sicura che tartasserà la sottoscritta non appena rientrerò. La cosa però che mi sconvolge è che qui nelle aiuole ci sono davvero degli alberi! Dalle nostre parti sono quasi del tutto scomparsi, almeno le piante vive, perché di tronchi rinsecchiti e ancora in piedi li si può trovare facilmente. Lascio correre lo sguardo sulle piante e sul verde che non ho mai visto così rigogliosi, sembra il giardino dell’Eden racchiuso in una serra. Perché così mi appare quella gabbia che mi sovrasta e nasconde il cielo terso che conosco. Dopo un parco, il mio sguardo viene calamitato da una fontana esageratamente  grande che gorgoglia riversando il suo oro bianco in una vasca piena di carpe koi.
Cosa? Non riesco a credere ai miei occhi, tanto che devo dare una seconda e più approfondita occhiata. Resto allibita, osservando l’acqua scorrere allegramente dalla brocca di un essere mezzo pesce e mezzo uomo e la rabbia inizia ad artigliarmi le viscere. Com’è possibile? Nei sobborghi moriamo quasi di sete, mentre aspettiamo dodici ore per appagarla, visto che non possiamo permetterci neanche il lusso di comprarla e questi idioti, babbei, e cialtroni la sprecano per dei pesci? Ma per chi ci hanno preso, per i beoti di turno?! Come possono lontanamente pensare lui e i suoi simili di trattarci come bestie, mentre loro navigano nell’agio. L’ingiustizia delle nostre diverse condizioni mi fa disprezzare ancora di più questa gente, ma che dico? Non hanno il diritto di chiamarsi tali, sono mostri aguzzini. Sono accecata dalla rabbia e vorrei saltare al collo del Centriano che mi ha in custodia, ma le volanti dei funzionari che pattugliano le strade sgombere, mi fanno desistere, mentre l’essere cerca di nascondermi alla loro vista. Tsz! Ha una faccia di bronzo allucinante. Gliela vorrei spaccare a suon di pugni quando la osservo di profilo, e visto che non posso farlo, almeno per il momento, fantastico su come starebbero dei bei lividi violacei su quel colorito bronzeo.
Ero talmente assorta nei miei pensieri da non rendermi conto che nel frattempo, il mio secondino, mi ha trascinata davanti ad un’abitazione enorme, la cui posizione topografica mi è sconosciuta. Anche se volessi andarmene adesso, e la voglia è irresistibile, non so proprio da che parte dovrei andare. Perciò sono costretta a restare al mio posto esaminando con disgusto crescente la facciata immacolata. L’edificio che ho difronte, non ha nulla a che vedere con i nostri palazzoni decrepiti, oltre al fatto di essere enorme e nuovissimo. Ha un portico lindo e asettico, dipinto di un bianco marmoreo come il resto delle pareti. L’ingresso invece è incorniciato da due colonne ritorte e il numero civico ammicca dalla frescura ombrosa, invitando ad avvicinarsi alla porta lucida e laccata di nero. Senza nemmeno bussare il Centriano spalanca l’uscio e, dandomi una pacca tra le scapole, mi spinge oltre l’ingresso facendomi inciampare nei mie stessi piedi.
Sto per disintegrarlo e dirgliene quattro, ma con la coda dell’occhio vedo una figura vestita di nero che ci fissa. Mi raddrizzo, inveendo sommessamente per poi scoccare un’occhiata di fuoco all’ennesimo essere estraneo che incontro. È sulla sessantina abbondante e i suoi occhi dalle iridi diverse mi osservano imperturbabili attraverso gli occhiali da vista. Sembra innocuo e dai vestiti che porta, stranamente scuri per gli standard di questi abitanti, non so attribuirgli un grado sociale, tuttavia non voglio abbassare la guardia e continuo a fissarlo di rimando come del resto lui fa con me.
<< Ed, c’è qualcuno in casa?>> chiede circospetto il signorotto.
<< No signorino>> risponde l’uomo pacato. È troppo sottomesso perché sia un suo pari, rifletto osservando la postura dell’uomo, e la questione della sua posizione nella comunità mi tormenta. Pensavo che lì si trattassero tutti come pari e allora perché lui si rivolge al ragazzo, più giovane di lui, con tono quasi riverente? Chi è questo ragazzo, per cui tutti assecondano il suo volere e addirittura, i nonnetti, che dalle nostre parti sono rispettati come saggi e pilastri della collettività, devono rispettare gli ordini?
Incomincio a odiare questo tizio ogni secondo che passa, e più vedo gli aspetti della sua vita e più lo detesto.
<< Bene, per favore avvisami se rincasa qualcuno. Ho delle questioni urgenti da sistemare>> gli dice inquieto e in tono sbrigativo, cercando poi di accompagnarmi verso le scale.
<< Non mi toccare >> sibilo a denti stretti e guardandolo di sottecchi. Penso che se solo mi sfiorasse di nuovo, potrebbe insudiciarmi con le sue buone maniere del cavolo. Sono solo una facciata, puah!
<< Come preferisci>> sentenzia alzando le mani per poi avviarsi lungo l’alta scalinata di marmo al centro dell’atrio.
<< Ehi! Ehi, non ci salgo lì!>> gli urlo dietro innervosita, ma lui fa finta di non sentire e continua ad avanzare macinando un gradino dopo l’altro. Devo proprio seguirlo? Non posso semplicemente mollargli la scatola e andarmene?! Lancio un’occhiata alle mie spalle, sperando che l’anziano signore se ne sia andato, così che possa lasciare il pacco con il cellulare sulle scale e raggiungere l’uscita, perché di questa gitarella ne ho fin sopra i capelli; ahimè, l’uomo è ancora fermo nella stessa posizione e continua a fissarmi imperterrito, se tentassi di scappare, mi fermerebbe o potrebbe chiamare addirittura la sicurezza. Meglio evitare e così addio sogni di gloria! Mi giro avvilita verso l’omuncolo che mi precede e seguo i suoi stessi passi, deviando a destra sulla scalinata biforcuta, fino all’uscio di una camera dove lui mi sta aspettando appoggiato allo stipite della porta. È troppo tranquillo e la cosa mi puzza di bruciato.
Che cosa sta macchinando? Appena lo raggiungo, mi fa un cenno d’invito prendendomi in giro con un sorriso sghembo che gli arriccia l’angolo della bocca. E adesso che vuole?
Purtroppo non ho vie di fuga, perciò sono costretta a entrare di malavoglia.

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Capitolo 9
*** Ho bisogno di una risposta ***


Capitolo 9

 

 

 

 

Mi trovo molto probabilmente in quella che deve essere camera sua. È troppo ordinata, per essere la stanza di un ragazzo, con il letto impeccabilmente rifatto e nessun vestito in giro. Non posso fare a meno di compararla a quella di Kid o J.J. che, a confronto, sembrano un accampamento di profughi con tutti gli oggetti sparsi a casaccio. Questa decisamente non ha oggetti o suppellettili inutili, è una noia da guardare ma, proprio perché non vi è nulla di superfluo, devo stare attenta che il proprietario non voglia fregarmi come la sua amichetta. Osservo il mobilio con sospetto e decido di controllare addirittura sotto il materasso e la scrivania, mentre con un occhio tengo sotto controllo quello pseudo-essere umano. 
<< Che problemi hai? >> mi domanda furioso una volta che, finito di ispezionare ogni centimetro della stanza, decido di passare al bagno attiguo. << Ma
da piccola non giocavi con le bambole? Oppure ti divertivi a fare la spia?>> sbotta tirandomi per un braccio per farmi uscire dal locale e sbattere violentemente la porta.
<< Non mi sono mai piaciute le bambole, come le principesse. Fanno una brutta fine dopo il matrimonio con il principe, sempre se lo sposano!>> rispondo divincolandomi e guardando la sua mano come se volessi morderla al pari di un cane rabbioso. Non gli ho mica detto che non doveva toccarmi?!
<< Infatti, guarda come sei diventata! Che infanzia deviata…>> annuncia sarcastico.
<< Cosa?! Ah ma bene sentite chi parla, sua infanzia felice! Immagino che Lei l’abbia vissuta meglio della sottoscritta, mi corregga se sbaglio>> lo canzono in cagnesco.
Proprio un essere come lui osa giudicarmi?!
<< Non credo siano affari tuoi>> ribatte secco, mentre s’irrigidisce in tutto il corpo, abbandonando la posizione rilassata.
<< Ma davvero?! Ascoltami bene signorino dei miei stivali, non sono qui per perdere ancora tempo con uno come te e con cui, per giunta, non voglio nemmeno avere a che fare!>> sbraito, scaraventando sul suo letto, insieme alla finta consegna, il palmare che avevo nella borsa. << Ora siamo pari! Non ti devo più nulla>>
<< Quindi l’avevi tu?>> mi ferma adirato e stupefatto, adocchiando l’aggeggio elettronico.
<< No! Ora firma questo dannato foglio. Mi sono stufata!>> sbraito perdendo le staffe per essere passata per la ladra di turno, e sventolandogli la ricevuta sotto il naso, che è il mio unico lasciapassare legale per lasciare quell’inferno.
<< No>> replica secco.
<< Come prego?!>> riesco a dire, vincendo la rabbia e lo sconcerto.
<< Ho detto di no>> ripete calmissimo.
È troppo sicuro di sé; questo mi fa pensare che aveva già in mente un piano quando ha deciso di portarmi qui. Sono stata raggirata, non posso crederci!!
<< Senti tu, chi ti credi di essere?! >> mi infurio, adesso che sono consapevole delle sue reali intenzioni, ovvero tenermi lì; e non esito a prenderlo per il bavero della divisa inamidata, costringendolo ad indietreggiare fino allo stipite dove fino a poco prima se ne stava tranquillo e spavaldo. Mi sento usata e non ne sono per niente contenta! E se anche la sua risposta non dovesse piacermi, gli regalo un occhio nero come volevo fare da qualche tempo. Sfortunatamente non potrò punire tutti i Centriani, ma almeno questo che non vuole saperne di levarsi dai piedi, lo concio per le feste, perché ne ho viste troppe oggi per poterlo graziare.
<< Non credo proprio. Sono uno importante da queste parti. Perciò se vuoi andartene in sicurezza, dovrai ascoltarmi di nuovo finché non avrò una tua risposta; e fino ad allora rimarremo qui a costo di impiegarci ore, chiaro?! Altrimenti… prego. Di la c’è la porta, ma ti assicuro che i Funzionari che incontrerai là fuori, non ti daranno un caloroso benvenuto come il sottoscritto. Anzi saranno più che contenti di darti un biglietto solo andata per le prigioni, se non ci sarò io a confermare la versione dei fatti. Perciò che vuoi fare? A te la scelta.>> predica, strattonando il polso che stringeva la stoffa attorno alla sua gola e liberandosi della presa.
<< Brutto figlio di …>> le parole mi muoiono in gola soffocate dallo sdegno nel sentire il ricatto celato nel suo discorso, ed il naso mi si torce in una smorfia di ribrezzo. Mi ha incastrata, che bastardo!
<< Non puoi farlo!>> sibilo, tentando di contrattaccare, sentendomi però come un leone in gabbia. Adesso davvero non ho nessun’altra scelta se non quella di rimanere inchiodata lì. Mi sono fatta infinocchiare da un damerino imbellettato, che imbecille sono stata e mi detesto perché in fondo dovevo aspettarmelo.
<< Oh, certo che posso>> scandisce serio con un luccichio ferino negli occhi.
Oggi è sicuramente troppo arrogante rispetto all’incontro di qualche giorno fa. Sono tutti bravi a fingersi dispiaciuti e commuoversi davanti a dei bambini orfani ma, quando non li hai davanti agli occhi tutti i giorni, è fin troppo facile cambiare opinione e ignorare i fatti. Come si dice, lontano dagli occhi lontano dal cuore. La collera mi istiga fino all’inverosimile a restituirgli le botte che non ha ricevuto quel giorno nei Sobborghi, anche perché un’altra persona, oltre a Kid, è riuscita a mettermi con le spalle al muro. Questo non me lo perdonerò mai, soprattutto se si tratta di qualcuno della peggior feccia che ci sia e che odio di più al mondo. Purtroppo mentre, finalmente sto per assecondare il mio stato d’animo ed infatti ho già pronto un bel pugno da assestargli sul suo bel faccino, veniamo interrotti da Ed che si ferma appena fuori dalla porta, e attende inquieto il momento per parlare.
Dannazione! Faccio scivolare il braccio piegato lungo il fianco. Davvero non mi farei problemi a pestarlo seduta stante, ma gli occhi del signore appena arrivato mi mettono soggezione e allo stesso tempo mi sono in qualche modo familiari.
<< Dimmi Ed>> interviene il tipo, ma vedendo l’espressione corrucciata dell’uomo che mi osserva, si affretta a continuare << Non ti preoccupare non è successo nulla, dimmi pure>>.
<< Signore è rientrato il segretario di suo padre. Adesso è nello studio del Padrone e penso che a momenti verrà a chiamarla>> spiega l’uomo soppesandomi con lo sguardo.
“ Padrone?” penso sbigottita dalle innumerevoli possibilità che ciò può implicare. Sento appena l’imprecazione del tipo che ancora mi stringe saldamente il polso, che subito vengo strattonata e trascinata nella stanza lontano dalla porta. Il ragazzo arraffa precipitosamente il palmare e la scatola sulle coperte, e ci dirigiamo a rotta di collo attraverso l’ennesima porta di quella camera: si tratta di un armadio, almeno credo, ma è talmente largo e capiente che potrebbe benissimo essere una stanza a sé. Mi lascia andare solo quando è sicuro di aver appoggiato le cose sul tavolo lucido al centro dello spazio.
<< Non ti muovere, non fiatare nemmeno finché non te lo dico io!>> irrompe, ammonendomi. Sembra una scena già vista, solo con le parti invertite e con uno scenario differente. Tuttavia non sono propensa a collaborare e sto per ribattere, così lui mi interrompe scavalcando le mie parole.
<< Casa mia, regole mie! Se non vuoi essere scoperta, faresti meglio a seguire il consiglio>>, poi mi lascia nell’oscurità, spezzata appena dalle lame di luce che filtrano dalle ante a persiana. Mi ha chiusa dentro un armadio, neanche fossi un amante!
Ancora più incavolata nera di come sono entrata, mi avvento contro l’uscio cercando di forzarlo ad aprirsi, ma il tipo lo tiene sbarrato con forza. Ha fatto appena in tempo a richiuderle sotto un mio attacco, che un uomo più giovane e in tenuta elegante rispetto a Ed, entrare a forza nella stanza da letto senza nemmeno bussare, cogliendo il ragazzo con ancora le mani sui pomelli della porta. Posso ancora vedere la sua figura dietro ai battenti della mia prigione improvvisata.
<< Signor Sunderset, il Governatore la vuole al telefono>> dichiara in tono formale e contrariato, come se quello fosse il compito più fastidioso che gli potesse capitare.
<< Arrivo subito, devo solo sistemare una cosa>> risponde.
<< Signore, mi dispiace contraddirla, ma suo padre ha detto immediatamente e non accetta una dilazione sulla tempestività della sua risposta>>.
<< Ed per favore potresti continuare tu? >> chiede gentilmente rassegnato agli eventi al nonnetto, che con un inchino accetta l’incarico, e poi i due scompaiono dalla vista chiudendo la porta.
Prima che possa anche solo muovere un muscolo, il signore di nome Ed spalanca le imposte all’improvviso, lasciandomi accecata per un attimo. Quando riprendo a vedere, lui si fa da parte lasciandomi libero il passaggio, ma non mi sposto nemmeno di un millimetro reggendo il suo sguardo indagatore.
<< Salve signorina>> esordisce allora l’uomo.
<< Salve, Ed>> replico civilmente e con il rispetto che mi hanno insegnato a portare per le persone più vecchie di me, ma allo stesso tempo, chiamandolo per nome, dichiaro che non sono stata indifferente ai discorsi che sono avvenuti in mia presenza.
<< Ed è il diminutivo affettuoso che mi ha dato il signorino, ma il mio nome completo sarebbe Edward. Mentre il suo è?>>
<< April>> rispondo monotona. Inutile mentire e poi, dato che conosco il suo, è una forma di rispetto dire la verità.
<< Nome incantevole, tra l’altro di una stagione altrettanto splendida, non trova?>> sorride appena e le rughe ai lati degli occhi, uno giallo e l’altro marrone, si tendono assottigliandone il profilo. Sembra pacifico, tipo qui vecchietti che si possono incontrare al parco e che danno da mangiare ai piccioni, solo che da noi i volatili poi finiscono arrosto di solito accalappiati dalle stesse persone che le nutrivano. Comunque non so che rispondergli e mi limito a fissarlo annuendo appena, non posso abbassare la guardia. Inoltre non so come sia fatta la primavera, purtroppo quando sono nata, le stagioni erano già irrimediabilmente cambiate e le mezze stagioni erano scomparse da tempo, perciò conosco solo il freddo intenso ed il caldo afoso. Credo che il vecchietto intuisca il motivo del mio silenzio, perché indaga attentamente il mio viso. Sembra non sappia se dirmi qualcosa o meno, tuttavia alla fine capitola.
<< Come se la passano i Sobborghi?>> mi chiede a bruciapelo abbandonando momentaneamente le formalità.
Lo guardo allibita. Cosa potrebbe importagliene del mondo la fuori se vive nell’agio? Poi rimango sbigottita nel momento in cui capisco finalmente cosa sott’intenda la domanda.
<< Lei viene da lì?>> sputo fuori dai denti ancora incredula ed il signore si limita a sorridere affabile. << Non tanto bene>> sono costretta ad ammettere sotto shock ed incapace di immaginarlo con due occhi dello stesso colore.
<< Non è cambiato molto allora>> dice malinconico.
<< Perché … perché si trova qui?>> non posso fare a meno di chiedere, vinta dalla curiosità, pensando che anche lui sia stato vittima delle stelle nere.
Come ha fatto un mio simile ad approdare nel Centro e addirittura restare alle dipendenze di gente così … spietata? Non posso capacitarmi. 
<< Un po’ per sfortuna, ma non tutte le persone sono così spietate come sembrano, e mi ritengo fortunato di lavorare tuttora per il signorino Nagìl e famiglia>>.
<< Mi scusi, non volevo essere invadente>> dico subito per rimediare alla mia sfacciataggine.
<< Non c’è problema, ormai fa parte del passato. Quindi non le dispiacerà se le faccio qualche domanda, vero?>>
Ormai ho completamente abbandonato ogni atteggiamento ostile, anche volendo, non potrei adesso che so come stanno davvero le cose. Insomma è un mio “ simile” e non posso non sentirmi in qualche modo coinvolta nelle sue vicende, perciò lo seguo fuori dall’armadio e chiacchieriamo scambiandoci impressioni e descrizioni, anzi, per lo più sono io che rispondo alle sue curiosità.
Dopo un po’ che conversiamo, gli chiedo senza accorgermene che tipi siano i proprietari di casa, non perché mi importi davvero di loro, ma perché vorrei capire come mai una persona così affabile e intelligente come Ed, si trovi qui e possa sottostare alle regole di questi mostri.
<< Vuole sapere di tutti i membri o uno in particolare?>> mi domanda scherzoso.
“ Conosci il tuo nemico” mi ripeto, riuscendo così a rispondere che mi interessa tutta la famiglia in generale perché, se non sbaglio, sono a casa del Governatore di Cardia, mica cavoli lessi, perciò meglio accumulare più informazioni possibili; potrebbero rivelarsi utili più avanti.
<< Vediamo, il capofamiglia è un uomo molto austero e devoto al suo lavoro, ma è ben consapevole di quanta gentilezza elargire ai suoi subordinati affinché lo appoggino. Sa il suo carattere rigido è dato dettato dalla carica di Governatore che ricopre. La signora è una donna molto raffinata, dai tratti esotici ed è di buon cuore con chi conquista la sua fiducia, ma sa essere terrificante se viene contraddetta o scopre di essere stata raggirata. Infine c’è il signorino Nagìl. Lui è l’unico erede e ha delle idee un po’ discordanti dal comune pensiero ed adora i dolci alle mele.>>
Non vedo come l’ultima informazione possa importarmi, comunque non ribatto e cerco di mantenere un’espressione impassibile.
<< Perché mi sta dicendo tutto questo, in fondo sono un’estranea>> mi sorprendo a dire ad alta voce, incuriosita dal mio interlocutore. Chiunque, credo, avrebbe detto la stessa cosa in una situazione simile, cerco di convincermi.
<< Perché se il signorino l’ha portata fin qui, in un certo senso si fida di lei ed io non posso essere da meno. È un ragazzo giudizioso, nonostante sia un po’ fuori dagli schemi ed ha la mia piena fiducia, nonostante alle volte debba essere messo in riga>> decreta affettuosamente l’anziano. Sembra sia effettivamente legato a questa famiglia, anche se non riesco ancora ad immaginare il perché.
<< Sembra scettica, però mi permetta di darle un consiglio che è libera di accettare o meno. Il signorino si sta impegnando molto per cambiare le cose, e non dubito che un giorno sarà un degno Governatore, perciò fossi in lei, cercherei di aiutarlo, anche se non le è simpatico perché, che lo voglia o meno lui rappresenterà il nostro futuro, o meglio il suo. Anche volendo parlare in termini opportunistici, è meglio averlo dalla sua parte che contro, non crede?>>.
Nelle sue parole colgo, però oltre al consiglio, una sfumatura di avvertimento. È solo una sensazione e comunque mi dà da pensare. Adesso, riesco a riconoscere in quella livera impeccabile, i tratti smussati ed addomesticati di un vero Outsider.
Ha appena terminato il suo discorso che il soggetto al centro delle chiacchiere entra stremato, rischiudendo nuovamente la porta e lasciandosi poi cadere sulla sedia, senza badare a noi. È trano vederlo così… umano, forse devo iniziare a prendere sul serio le parole del maggiordomo, tuttavia non posso ancora cedere. Ci sono troppe cose in ballo e da chiarire.
<< Jonah se né appena andato>> sospira, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
<< Vuole del thè signorino?>>
<< Grazie mille Ed. Porteresti portare per favore una tazza anche per la nostra ospite?>> chiede cortese ed il maggiordomo, dopo essersi inchinato, si avvia a compiere la sua mansione. Ancora non riesco a digerire il fatto che debba mostrare tanto servilismo per questo tipo, anche se mi dato ad intendere che lo fa molto più che volentieri.
<< Prego, vedo che ti sei accomodata>> sentenzia Nagìl con sarcasmo. Mi affretto ad alzarmi dal suo letto, scuotendomi i vestiti come se mi fossi appena seduta su un marciapiedi polveroso e rischiassi di beccarmi la peste. Nonostante tutto non riesco ancora a trattarlo da persona con raziocinio, figuriamoci come figura di stato. Futuro governatore? Ma non scherziamo.
<< Scusa, non era con cattiveria. Puoi sederti se vuoi… lascia stare. Torniamo al nostro discorso. Dove eravamo rimasti?>> mi chiede, sospirando.
<< Che volevo tirarti un pugno.>
> ribatto seria, strappandogli un sorriso stanco. Ehi! Non volevo essere mica simpatica. Questo ragazzo è… strano. Ha diverse sfaccettature e sfumature nascoste, come una scheggia di vetro colpita dalla luce. Ma che cavolo? Come faccio a pensare a cose simili! Le parole di Ed hanno attecchito più di quanto dovessero. Toh! Se dovessi raccontarlo a Tiberius, almeno lui sarebbe contento di sapere che sto cambiando idea.
<< Anche, ma se ti ho portata qui c’è un motivo. Vorrei sentire la tua risposta alla nostra proposta>>.
<< Non mi hai fatto nessuna domanda, non diretta, perciò non devo rispondere proprio a nulla. E soprattutto ‘ Nostro’? Chi altro sa di me e Kid?>> sentenzio allarmata facendo un passo avanti. Che qualcun altro della famiglia sappia del tunnel e tutto quanto? È troppo pericoloso, soprattutto dopo le descrizioni di Edward. Potrei essere in un mare di guai e non solo io, perciò ho fatto bene a non deporre l’ascia di guerra.
<< No ehi, tranquilla. Io e mio cugino Spike abbiamo iniziato a lavorare a questo piano e nessun altro. Per il momento non ha ancora una forma, ma ci serve il tuo aiuto per definirlo. Se dirai di sì, potremmo aiutare questa città e soprattutto i Sobborghi.>>
Il maggiordomo è ritornato, spingendo un carrellino d’argento con due tazze ed una teiera fumante. Bloccando sul nascere il mio rifiuto.
<< Grazie. Ed, per favore rimani. Vorrei che sapessi anche tu di questa cosa e poi con te nei paraggi April sembra più a suo agio.>> e cede al signore il suo posto sulla sedia, per porgermi una tazza calda ed accomodarsi sul comodino con la sua.
Annuso distratta l’aroma che sale in volute sinuose dalla ciotolina di porcellana, di sicuro il miscuglio di foglioline è molto più fine e costoso di quello che abbiamo a casa, decreto cercando di concentrarmi sulle proprietà olfattive, tuttavia non riesco ad apprezzarne la qualità. Ho troppi pensieri per la testa, osservando queste strane dinamiche sociali che mi si parano difronte: un “nobile” che tratta come suo pari un maggiordomo adottato dai Sobborghi. Il mondo sta andando alla rovescia o ho la botta in testa mi ha rincretinita? Che devo fare? Sono certa di odiare questa gentaglia, ma dovrei concedergli di spiegarsi o no? Tiberius di sicuro mi direbbe di provarci, Kid pure, mia zia non so e di dirglielo non se ne parla nemmeno, mi chiuderebbe in casa per i prossimi mille anni, mentre i mie genitori...
 E comunque, visto che mi offrono una possibilità per migliorare il mio mondo, non dovrei mettere da parte il mio orgoglio e il mio egoismo a favore di un bene collettivo? Se rifiutassi, potrei tornare alla vita di sempre e tenere le persone a cui tengo al sicuro ( anche se credo che Kid non me lo permetterebbe mai), ma se davvero potessimo fare la differenza… e poi non ero io quella che si lamentava dell’arrendevolezza con cui la mia gente accetta le leggi?
Gli occhi bicromatici e artificiali del signor Edward, mi soppesano significativamente. “ Lui, chi sa che direbbe se potesse fare una scelta” mi ritrovo a esaminare, ma infondo la risposta la conosco già. Non dovrei fare qualcosa anche per lui e per tutti quelli nella sua stessa condizione? Mi sento come se le sorti dell’intera umanità dipendessero da me, però io non ho grandi poteri da cui attingere aiuto. Dannazione!
<< Devo conoscere prima questo Spike e accertarmi che sia un tipo affidabile, poi vi dirò quel che penso>> cerco di prendere tempo per trovare una risoluzione al tumulto di sentimenti che si agita nel petto. Tanto anche volendo rispondere di no, non mi lasceranno andare così facilmente con una risposta negativa.
Vedo il rampollo trasalire e quasi strozzarsi con il liquido brunastro, alla parola “affidabile”, ma non commenta e si limita a dire che è giusto, afferrando una cornetta e componendo riluttante un numero.
<< Spike, sono io. Devi venire immediatamente, ho bisogno di una mano per il discorso di chiusura. Lo so ma è urgente! No. Sta zitto e muovi il culo>> scandisce guardandomi e poi riattacca. << Arriverà tra poco. Intanto hai delle domande o non so qualcosa che vuoi dirmi?>>.
Mi coglie di sorpresa, mentre studio i biscottini posati sul carrello. Ci penso su, alla fine ho un’unica domanda.
<< Perché io?>>
<< Come?>> sembra stupito.
<< Tra tanti perché io?>> ripeto stizzita.
<< A dire la verità non c’è un motivo preciso. Sei sta la prima ad aiutarci e poi credo anche per quello che avete costruito nel rifugio>> espone alla fine dopo averci pensato un po’ su.
<< Comunque non è stata una mia idea aiutarti, dovresti ringraziare Kid. E visto che sei stato sincero, volevo esserlo anch’io>> gli dico, pur sapendo che le mie parole sono un’arma a doppio taglio: volevo essere sincera, ma gli ho fatto capire anche che non mi fido ancora abbastanza di loro da prestagli il mio aiuto. Vedo con la coda dell’occhio il maggiordomo sorridere impercettibilmente dietro i suoi baffetti ben curati. Se non altro credo di essergli almeno un po’ simpatica.
<< Ah … comunque credo di doverti ringraziare almeno per il fatto di avermi ascoltato. E mi dispiace ancora per quelli>> dice indicando con il mento i punti che ho coperto alla meglio con la frangetta. Involontariamente le sopracciglia mi schizzano verso l’alto, incredule.
Ma a che gioco sta giocando?  Non posso fare a meno di pensare che abbia qualche problema di comprendonio oppure è scemo. Non gli rispondo e torno silenziosamente a studiare il liquido che fluttua nella tazzina. Non credo che lo berrò.

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Capitolo 10
*** Accetto. ***


Capitolo 10
 

 

 

 

Minuti interminabili, trascorrono nel più totale silenzio da quando Ed ci ha lasciato per andare ad accogliere Spike; attimi che ho provato a colmare studiando la mia ospite forzata. Certo, l’avevo osservata nei nostri ultimi incontri, ma ho l’impressione che una ragazza simile … cocciuta e lunatica, possa nascondere più lati di sé a cui essere preparati. Eppure è buffo vederla così docile e silenziosa nella mia camera, tanto che potrei trovarlo strabiliante! Come vedere una tartaruga di terra che nuota come un delfino. Eppure mi trovo a pensare a come mutano gli atteggiamenti non appena cambia il campo di battaglia. Questo non fa che rendermi teso ed elettrizzato come mai prima, perché finalmente la mia posizione si rivela favorevole per un progetto personale e non è solamente un peso o un’etichetta che mi porto dietro. Tuttavia ho appena sperimentato il rovescio della medaglia su April, perché non sempre forzarla, usando guarda caso il mio status, è un bene. L’ho visto fare al suo amico e per lui non si è messo tanto maglio, nemmeno considerando da quanto tempo si conoscevano ( grazie a quel poco che sono riuscito a scoprire dalla nostra breve conversazione) , per cui dovevo ponderare bene le mie mosse o, come era successo nei sobborghi, potrei vedermela brutta. Adesso capisco come mai la chiamino Wild, soprannome azzeccato per il carattere, ma non per l’apparenza. Di statura è nella media, sono comuni anche il colore castano scuro dei capelli, e le iridi di un caldo marrone. Ha la chioma abbastanza liscia da arrivarle ad accarezzare il collo, ma spettinata, e che le incornicia il viso armonioso che risulterebbe gradevole se non fosse tanto corrucciato e sospettoso. Inoltre il suo sguardo vigile mi preoccupa tanto che ho davvero paura per l’impressione che avrà di mio cugino, oltre a quello che lui potrà combinare poiché, anche se tutto di questa alleanza si basa su fondamenta precarie e instabili, il suo aiuto è indispensabilmente necessario. Pertanto sono costretto a mettere da parte il mio orgoglio ferito dalle offese e cercare di trovare un punto debole nella sua corazza per instaurare un minimo d’intesa, altrimenti c’è il rischio di perdere quest’opportunità. Purtroppo, conoscere Spike nelle prime fasi di allacciamento dei rapporti, è decisamente una mossa azzardata e non so fino a che punto favorevole alla causa.
Perciò, per cercare di ben disporla a questo incontro, provo a fare un po’ di conversazione, ma anche se ci metto tutto l’impegno, non riesco a fare breccia nei suoi pensieri né a distoglierla dall’osservare il tè che fluttua nella chicchera sul vassoio o dal sondare con lo sguardo ogni angolo della camera. Credo che continuerà a osservare la tazza finché non si sarà raffreddato il contenuto e penso che nemmeno in quel caso lo berrebbe. Pensa che l’abbia avvelenato? Oppure che l’abbia drogato per poterla rapire o chi sa che altro? Forse non le importa nemmeno che l’abbia bevuto anch’io, nonostante sappia che non è una prova sufficiente per scagionarmi.  Sospiro rassegnato, pensando a cosa darei per conoscere ciò che pensa! Almeno saprei che contromosse preparare per conquistare la sua fiducia, ma sembra che la sola persona capace di strapparle qualche parolina, addirittura intere frasi, sia Ed. Li ho sentiti dal corridoio mentre chiacchieravano tranquillamente come se fossero amici da sempre e ammetto di essermi sentito fuori posto nel rientrare, mettendo fine alla loro conversazione. Devo confessare che sono abbastanza curioso di cosa si stavano raccontando, visto che ho colto solo alcuni sprazzi delle notizie che si confidavano, per lo più riguardanti i Sobborghi, ma non mi sembra il caso di chiedere i dettagli, finirei solo per addossarmi ancora più antipatie.
Comunque visti insieme davano l’impressione di avere molte più cose in comune di quanto avessero potuto scoprirne l’uno dall’altro in soli dieci minuti e poco più di discorsi. Davvero non so spiegarmi il perché e, solo adesso che ci rifletto, non ho mai chiesto a Ed di parlarmi di sé, anche se credo che la sua natura riservata schiverebbe le mie domande con semplici frasi che potrebbero dire tutto e niente. Volendo insistere poi, finirei per farmelo raccontare con la forza, ma non ho il cuore di fargli una cosa simile, soprattutto non dopo quello che ha fatto per me. Così ho lasciato correre le mie indagini. Sarà più utile se almeno uno all’interno di queste mura riesce a garantirsi la sua stima, anche se spero di non dover coinvolgere Edward.
Malgrado il disagio nel trovarci in due sotto lo stesso tetto, provo ancora ad articolare qualche frase e quando l’ennesimo tentativo finisce senza risposta, ci rinuncio, preferendo osservare assorto il muro difronte, bianco e immacolato. In questo momento mi viene una voglia pazzesca di scaraventarvi un barattolo di vernice nera e vedere l’effetto che farebbe imbrattato pur di non dover sopportare oltre questo macigno di silenzio. Lo immagino cosparso di spirali e chiazze nere, che si intersecano e si allontanano come pianeti lungo la loro orbita. Certo che lo stress è proprio un nemico infido, ti fiacca finché non inizi a dar i numeri. Non che sia la prima volta che sperimento l’elettrizzante tensione negativa, anzi credo che potrei eleggerla la mia droga personale, visto che i suoi effetti non mi abbandonano mai, come una crisi d’astinenza. Nonostante sia assorto nei mie sogni ad occhi aperti dettati dalla frustrazione visto che le cose non vadano nel verso in cui dovrebbero, sono comunque cosciente di quello che avviene nella stanza, percepisco l’insistente sguardo della ragazza snocciolare ogni centimetro del sottoscritto per poi dedicarsi a comparare il mobilio con quello che avrà concluso dalla sua analisi ed ottenere un’ipotesi sul mio carattere.
È insopportabile. Odio quando le persone mi fissano e dalle loro congetture pretendano di conoscermi, quando nemmeno mi hanno rivolto mai la parola. Perciò le indirizzo uno sguardo tanto glaciale e ostile, da farle alzare un sopracciglio per lo sconcerto. Sono caduto di nuovo in vecchi vizzi, ancora la paranoia, e che diamine! Pensavo di averla superata ormai. Mi volto nuovamente in direzione del muro e, con gli occhi socchiusi stavolta, attendo che la porta si riapra nuovamente.  Alla fine esulto mentalmente alla vista di Ed rientrare, dissipando in un lampo tutti i miei pensieri.
<< Il tè non era di suo gradimento?>> chiede alla ragazza osservando la bevanda intonsa, dopo aver percepito l’atmosfera pesante nella stanza.
<< Non mi va>> risponde lei laconica e con vago imbarazzo.
<< Un vero peccato, perché andrà sprecato allora>> sentenzia il nostro buon Ed allungandosi per riprendere possesso del carrello delle vivande, tuttavia prima che l’oggetto si muova di un millimetro, la ragazza si è già riappropriata della tazza per berne fino all’ultima goccia senza riprendere fiato.
Ma come ci è riuscito?! Non appena l’avrò riaccompagnata, dovrò farmi assolutamente dire come sia riuscito a farsi ascoltare, perché sembra che io non riesca proprio a rompere la sua barriera di ostilità e mutismo.
Un’altra cosa che non riesco a fare e scorgere in tempo e bloccare il nuovo arrivato.
<< Ma che tipetto che abbiamo qui. Nagìl mi aveva accennato qualcosina, ma vederti dal vivo è molto più che una piacevole sorpresa.>> fa il suo ingresso mio cugino.
Sussulto a quel pessimo tentativo di approccio, anch’io se fossi stato una ragazza l’avrei additato come un maniaco seriale, il che è tutto dire. Forse sono di parte e non dovrei far testo; ad ogni modo l’espressione truce dell’ospite mette in agitazione tutti i miei campanelli d’allarme. Spike sta entrando in un campo minato senza minimamente curarsi dei segnali d’avvertimento che la stessa ragazza gli stava lanciando. Come ho avuto modo di costatare non le piacciono i complimenti, benché meno fatti con l’intento di attaccare bottone. Forse è meglio intervenire.
<< April, ti presento Spike. Cugino, questa è April. Lei ha chiesto di vederti per decidere il da farsi.>> Butto lì, sperando lui colga al volo le implicazioni connesse all’ultima frase ed eviti di combinare un disastro prima ancora di presentarsi come si deve.
<< Gli hai parlato di me?!>> dichiarano all’unisono voltandosi entrambi nella mia direzione. Solo che uno è stupidamente entusiasta che gli sia venuto in contro e aver messo una buona parola in suo favore, l’altra invece mi inchioda con evidente fastidio per non essere stata interpellata. Voglio sparire. Odio le seccature e nel complesso la faccenda si sta rivelando più complicata del previsto, ma ormai la frittata è fatta e non posso lasciare le cose così. C’è un alto rischio che se li lasciassi da soli, April faccia fuori il Farfallone e finisca in prigione spifferando tutto quello che sa ai Funzionari; a quel punto mi ritroverò a dover affrontare problemi ben più gravi.
<< Ho dovuto.>> rispondo rassegnato ed in tono piatto a entrambi, anche se la mia patetica risposta, simile ad una scusa, sia rivolta più a lei che a lui.
<< Ehi Nagìl, cos’è questa storia! Ti avevo detto che era proprio il mio tipo e di presentarmela come si deve. Descrivendo soprattutto quanto sia fantastico e insuperabilmente il migliore sulla piazza.>> brontola lui risentito, imitando i toni lamentosi di Chanel. È irritante oltre ogni dire quando ricade sempre nei soliti stupidi e infausti atteggiamenti.
Gli lancio un’occhiataccia tra l’irritato e l’esterrefatto per trasmettergli il mio disappunto, oltre al chiarissimo messaggio: “ Non mi pare di avertelo mai promesso”.
Non ho mai capito l’essere che mi trovo di fronte e sul come lui cerchi di rapportarsi alle persone, rispetto il suo lato risoluto e serio, ma lo sopprimerei appena mette in piedi certi atteggiamenti da Don Giovanni incallito. Ciò nonostante vengo snobbato in un nano secondo e Spike si rivolge nuovamente alla ragazza.
<< Allora dimmi April, ora che mi hai incontrato di persona ci darai una mano, visto che sono il meglio che quel disastro di cugino poteva aspettarsi? Se dici di sì, sarò più che felice di concederti un appuntamento speciale. Solo tu ed io.>> ammicca, cercando di farla cadere ai suoi piedi con la sua miglior espressione seducente. Sono in imbarazzo per lui. Si rende conto delle boiate che spara? È inutile che me lo chieda, di certo la risposta è no. Allo stesso tempo sono curioso di sapere che reazione avrà a riguardo la mia ospite.
<< Spike scherza sempre per rompere il ghiaccio.>> minimizzo, cercando di arginare il disgusto che affiora sul viso di lei per colpa delle sue parole.
La ragazza inizia a starmi simpatica. Non ha ancora raggiunto i livelli di Chanel, ma ha guadagnato abbastanza punti.
<< Ma quale scherzo, dico sul serio! Che ne dici splendida, usciremo per sancire il nostro accordo?>> sentenzia gongolante afferrandole una mano con fare svenevole.
Con questo posso definitivamente vedere infranti gli sforzi fatti. Addio sogni di gloria! Il treno delle opportunità è saltato in aria con l’ultimo brandello di credibilità di Spike, perciò non mi sorprendo molto quando la stessa ragazza gli allontana la mano con un sonoro schiaffo.
Perché quel decerebrato non ascolta mai quando gli do qualche avvertimento, anche se velato?
<< NON MI PIACI. Né tu, né tantomeno il lenzuolo lì dietro. Sapete dove potete infilarvi la vostra proposta e arrangiatevi tra di voi.>> sbotta furibonda, mentre imbocca come una collera la porta sotto lo sguardo severo di Ed rivolto alla controparte maschile, soprattutto verso di me, che non sono stato capace di prevedere e prevenire la situazione.
<< Fossi in te, non oltrepasserei la soglia con tanta leggerezza. Ammesso che tu sappia a quali rischi vai in contro.>> prende la parola Spike facendo piombare un silenzio tombale sui presenti, << Ho mille modi per poterti incastrare, se servono le maniere forti per convincerti.>>
<< Mi stai minacciando?>> replica Wild, girandosi lentamente con uno sguardo truce.
Come siamo finiti alle minacce? Devo essermi perso qualche passaggio.
<< Forse. Oppure ti sto dimostrando che facciamo sul serio, dipende dai punti di vista. Ad ogni modo la scelta è tua: se rischiare stando dalla nostra parte, oppure correre il rischio di stare contro di noi. Se scegli di darci una mano ricaviamo tutti un vantaggio, mentre se prendi la strada opposta, e non ti denunciamo, possiamo sempre ridurti al silenzio. Sai, non vogliamo intoppi nel piano e possiamo trovare un'altra persona; magari il tuo amico potrebbe essere una valida alternativa, visto che sembra molto più collaborativo. Altrimenti si potrebbe screditarti davanti ai suoi occhi per non aver accolto un’opportunità che avrebbe aiutato molti dei vostri. Cosa penserà a quel punto di te?>>.  Continua implacabile adottando un atteggiamento troppo calmo e calcolato per i suoi standard. Mi si ghiaccia il sangue nelle vene vedendo la ragazza trasalire nel sentirsi sbattere in faccia un’eventualità così violenta.
Ho intuito solo la relazione che c’è tra lei e quel Kid, e credo che anche Spike se ne sia reso conto dai miei rapporti, ma usarla in questa circostanza mi sembra assurdo. Come gli è venuto in mente di usare un ultimatum! È impazzito e vuole bruciarci ogni possibilità. Non riesco nemmeno a immaginare le idee omicide che stanno frullando dietro a quelle sopracciglia aggrottate e quegli occhi duri e incendiari come pietre focaie della ragazza, rimasta di sasso difronte a me.
Ho il fondato sospetto che voglia appenderlo al muro, come avrebbe fatto con me, ma prima che la situazione precipiti, devo salvare il salvabile o per lo meno far ragionare la mente contorta che ci ha fatto arrivare a questo punto.
<< Spike, non erano questi i piani! Ti ho chiamato perché conoscendoti potesse darci fiducia, non che la istigassi a odiarci!>> dico tirandolo per la maglietta perché rinsavisca. Eppure per tutta risposta scrolla con nonchalance il mio pugno dalla sua divisa e riprende come se nulla fosse successo.
<< Speravo facessi tu un discorso simile.>> mi rinfaccia, con una voce tagliente.
<< Non l’ho fatto perché non era questo che volevo. Che senso ha quello che facciamo se poi non ci comportiamo diversamente da come abbiamo fatto fin ora, ovvero imponendo di farci ascoltare? Nessuno ci darà fiducia se agiamo come i Funzionari. Non andremo da nessuna parte!>> sbotto e non mi sfugge il suo sorrisetto compiaciuto.
<< Adesso conosce il tuo vero modo di vedere le cose e così forse sono anche più chiare le nostre intenzioni.>> ribatte a fil di voce, per indirizzare quelle parole solo a me.
<< Avevi già un piano non è così?! Anche questa volta.>> sibilo irritato.
Anch’io sono stato messo alle strette da una persona a me vicina, e non mi piace per niente. Ora penso di capire un po’ il punto di vista di April; è la stessa cosa che le ha fatto Kid quando siamo apparsi noi. Sebbene non sia la prima volta che capita, non riesco ad allontanare quel senso di tradimento e sfruttamento che provo.
<< Allora cosa rispondi a questo? Non è forse la stessa cosa che speri in fondo anche tu? Non ti sei mai arrabbiata vedendo che nessuno batteva ciglio difronte agli eventi che non andavano?>>.
Mi giro appena per vedere la sua reazione e non mi sfugge il velo di rabbia e assenso che guizza per un attimo nelle sue iridi scure. << Perciò sai bene che non si possono cambiare le cose se la gente non inizia a pensare diversamente. Ora da che parte stai: da quella di chi si nasconde dietro un muro di lamentele e rassegnazione o deciderai di iniziare a cambiare e coinvolgere quelli che ti sono vicini? È solo così che si può sperare in un futuro migliore, il nostro futuro.>> sentenzia la persona che ho davanti e che ancora una volta non so chi sia, se un calcolatore sadico o il mio stupido parente con la fissa per le donne.
Osservo preoccupato la ragazza non sapendo bene cosa aspettarmi dalla conversazione, che sembra più un’accusa che un discorso di persuasione. Per questo mi aspetto una faccia trucemente contenuta o l’odio fatto persona che sarebbe più adatto ad un tipo come lei. Ebbene, non trovo nulla di tutto ciò, solo un’espressione indecifrabile e statuaria con lo sguardo perso nel vuoto oltre le nostre spalle.
“ Che le prende?” mi trovo a pensare. È una situazione piuttosto strana e seriamente vorrei essere nella sua testa per carpirne i pensieri.
Lei resta trincerata nel suo mutismo, meditando sulle parole e spero anche a una risposta. Quando questa non arriva, cerco di rompere il silenzio con una proposta rischiosa per entrambe le parti. << Sta di fatto che non è solo a vantaggio nostro, ci sarebbero dei rifornimenti che potremmo passarti sottobanco, tipo medicine, viveri, prodotti che non arrivano ai sobborghi e tutto quello che ti servirebbe per aiutare e convincere più persone possibili. >> faccio una pausa per sondare l’effetto che la mia proposta potrebbe aver suscitato e vedendo ancora dei moti di combattimento tra i suoi pensieri arricchisco la proposta. << Siamo disposti a venirti incontro per qualsiasi cosa sia in nostro potere, basta che tu lo chieda se accetterai.>>
<< Ehi, non stai promettendo troppo?>>
<< Taci, mi sembra il minimo anche come scuse per quello che le hai detto.>> lo rimbecco sottovoce, ma per tutta risposta lo vedo ridere sotto i baffi.
<< Degno di te Signor gentiluomo.>> esordisce tra un riso e l’altro, tuttavia non stacco lo sguardo dall’ospite sostenendo il peso dei suoi ardenti e diffidenti occhi marroni. Pochi istanti dopo la vedo scambiare un’occhiata scettica verso Ed che le sorride come sempre. Ancora una volta la curiosità di sapere della loro conversazione mi brucia come un fuoco vivo. Infine sospira rilasciando la tensione delle spalle, anche se non completamente.
<< D’accordo, ma a un paio di condizioni! Uno, nei sobborghi si fa come dico io. Due, l’intera faccenda deve rimanere tra i presenti in questa stanza più Kid, nessuno in più; specialmente la vostra amichetta ossigenata.>>
<< HAHAHAHA.>> la risata sonora ci colpisce all’improvviso come l’esplosione di un tuono. << Perdonatemi ma a Chanel non pensavo di dirle nemmeno il mio nome di battesimo. Potrebbe spifferare tutto anche al suo gatto, non so se ho reso l’idea.>> ribatte Spike.
<< Andata! Hai la mia parola.>> mi rianimo porgendole la mano e aspettando che lei ricambi il gesto.
Solleva un sopracciglio sconcertata incrociando le braccia al petto. << Mi serve un po’ più della tua parola. Non mi fido di voi.>>
Esasperato, penso a cos altro possa convincerla a darci un briciolo di stima, poi l’idea mi fulmina. Corro alla scrivania e arraffo dall’ultimo cassetto un palmare vecchio modello e dopo averlo avviato e messo fuori uso tutte le password di accesso e credenziali, glielo mostro.
<< Questa è la cosa più preziosa che abbiamo al centro. I palmari sono un po’ come quei braccialetti che avete al polso. Solo che da noi contengono molte più informazioni.>> e senza aspettare una replica glielo infilo tra le braccia e il petto.
<< In pratica mi state dando un altro aggeggio per controllarmi?!>> mi accusa, scurendo lo sguardo. Adesso la sua aura minacciosa è tangibile.
<< No, ti assicuro che non è così.>> provo a persuaderla, ma sembra che ascolti solo quello che vuole. Come posso rimediare?
Al che, interviene Ed con mio enorme sollievo. << Veramente è come ha detto il Signorino, persino noi della servitù abbiamo il nostro palmare. E la pena per lo smarrimento è piuttosto severa, perciò gli creda quando dice che è la cosa più importante che possa darle insieme alla sua parola. Posso garantire per lui.>> le confida, mostrando il suo dispositivo e finalmente vedo quasi tutte le sue barriere arrendersi all’evidenza. April infila con cattiveria l’apparecchio nella tasca dove teneva il mio palmare, poi afferra quasi disgustata la mia mano per stritolarla.
Certo che per essere una mezza nana, ne ha di forza. Ricambio soddisfatto e la trattengo ancora qualche istante.
<< Tienilo spento finché non passi dall’altra parte e poi fallo aggiustare dal tuo amico. Usate solo il numero con l’asterisco nel nome, lui capirà perché e cancellate qualsiasi altro contato o linea esterna. Se non lo fai, ci beccheranno in meno di due minuti.>> la lascio andare.
La vedo assentire impercettibilmente con il capo e so di aver fatto breccia nella sua circospezione.
<< Perfetto! Che ne dite di festeggiare? Abbiamo segnato il primo passo verso una svolta storica! … O forse può anche aspettare.>> aggiunge vedendo lo sguardo glaciale della ragazza.  Probabilmente è un po’ presto per essere anche compagni di bevute, anche se posso scommettere che sembra il tipo di persona a cui non dispiacciono gli alcolici, ameno che anche questo preconcetto non sia un'altra impressione inculcata dalla visione distorta che ci hanno rifilato.
<< La accompagno a casa. Intanto tu prepara qualcosa.>> non lo dico solo per tenere buono mio cugino, ma anche perché non mi dispiace l’idea di rilassarmi con qualche birra e abbandonare l’ansia fuori dalla porta per qualche ora. In più, una bella notizia va sempre festeggiata! Ci sono così poche di occasioni per farlo e di certo le feste organizzate a casa non sono proprio il massimo del divertimento e del relax, con gli abiti formali e le etichette da rispettare.
<< Alla prossima signorina April.>> la saluta Edward con simpatia e lei ricambia con quella che mi sembra più cordialità di quanta possa immaginare si nasconda dietro a quell’aria selvaggia. Ad ogni modo non lascio che la mia soddisfazione venga intaccata da certi pensieri. è la prima cosa che va per il verso giusto da quando abbiamo iniziato.
<< Aggiungerei un altro punto all’accordo.>> dichiara schietta quando imbocchiamo il viale.
<< E quale sarebbe>> chiedo con un sorriso forzato e ansioso. È da un po’ che vedo i suoi sguardi assorti nel circondario, come se stia cercando qualcosa e più di una volta l’ho sorpresa a fissare un punto. Non riuscendo a trovare l’ogge3tto di tante ricerche, non vi ho dato peso pensando solo a portarla al sicuro oltre la cupola, ma è stato un errore di valutazione che mi costa questa richiesta aggiuntiva.
<< Informazioni. Mi racconterai cosa succede qui al Centro e soprattutto come funziona.>> e per dare enfasi alle sue parole si pianta nel bel mezzo del marciapiede aspettando ciò che le avevo promesso, cioè darle quello che le serve a patto che lo chieda. Abbiamo gli occhi dei passanti inchiodati malevolmente su di noi e di certo non posso darle qui e subito ciò che reclama. Oltre a ciò vengo preso alla sprovvista e resto a fissarla sconvolto, per il tempo in cui un rivolo ghiacciato di sudore mi scivola alla base nuca e lungo la spina dorsale. Mi sta mettendo in difficoltà ma non posso farglielo notare apertamente, altrimenti attirerei ancora più sospetti. Nonostante percepisca il mio stato d’animo, sembra non voglia desistere.
<< Tranquillo, non sono così idiota da metterti pressioni qui, visto che tutti possono sentirci. A tempo e luogo adatto mi racconterai quello che mi serve.>> sussurra riprendendo a camminare.
Quest’ultimo scambio di battute è il più inquietante e spaventoso di tutta la mia vita. Quello che mi chiede è molto, per questo non so se le basteranno le poche cose che potrò dirle perché, diciamocela tutta, nemmeno io sono un’idiota che va a raccontare informazioni pesanti come questa, senza garanzie. Per il momento non posso fare altro che scortarla sana e salva al confine, preoccupandomi di rassicurare i Funzionari che ci fermano lungo la strada. Una volta ritornato a casa non ho voglia di rovinare l’umore generale, così mi dimentico per qualche ora dell’accaduto, festeggiando la nuova conquista con Spike e Ed.
Non appena il parente ci lascia, addormentandosi sbronzo marcio sul mio letto, approfitto dell’animo allegro per rivolgere al maggiordomo qualche domanda, intanto che smistiamo i rifiuti rimasti della nostra festicciola.
<< Ed, posso chiederti come hai fatto ad entrare subito in sintonia con la ragazza?>>
<< La Signorina April è una personcina dal carattere molto energico e determinato, perciò non serve a nulla usare la forza o le prese di posizione. A questo riguardo, mi permette un appunto?>>.
Non ha risposto alla mia domanda ma sono determinato ad ascoltare ciò che ha da dirmi. Quest’uomo non dice mai nulla per caso, per questo quando ti rivela ciò che pensa e bene farne tesoro; inoltre è una delle poche occasioni in cui mi chiede di esprimere le sue idee e non posso rifiutarmi.
<< Le maniere di suo cugino sono state piuttosto irruenti, c’erano modi diversi per ottenere la sua approvazione. Tuttavia devo dire che è stato molto furbo a usare quest’approccio per smuovervi. Signorino Nagìl, anche lei deve essere più deciso. Mostri apertamente le sue intenzioni senza frenarsi dagli ipotetici “ se e ma”, altrimenti, come diceva il Signorino Spike, le persone che le stanno intorno non capiranno mai cosa vorrà fare e purtroppo non le daranno fiducia. L’essere umano tende a seguire i leader più convincenti e risoluti, dimenticandosi di prestare attenzione a ciò che dicono. E lei non ha nulla di cui invidiare a un Leader , in quanto a carattere e forza d’animo; perciò non tema di sbagliare, anche se non può commettere errori. Spero comprenderà le mie parole, perché sono sempre qui a sostenerla e  Perdoni la mia impertinenza.>> mi rivela, mostrandomi un inchino servile.
Lo faccio alzare subito, non c’è bisogno che mostri tanta formalità, ho molto a cuore quest’uomo, tanto da permettergli di dirmi qualsiasi cosa, anche sgridarmi se fosse necessario, perché so che tiene a me nello stesso modo. Comunque, insieme al fatto che anche Ed si sia accorto di come mi sia fatto usare da Spike, le sue parole sono state un po’ mortificanti e per questo non posso sentirmi completamente soddisfatto.
<< Hai qualche consiglio su come relazionarmi con Wild?>> tento un’altra via, poiché non mi ha fornito le risposte che cercavo sulla loro sintonia.
<< La signorina è molto sola e disillusa. Pensa che non possa fidarsi di nessuno se non di se stessa ed è comprensibile conoscendo l’ambiente in cui vive. Perciò posso solo suggerirle di provare a comprenderla, di immedesimarsi nella sua situazione per conoscerla. Soprattutto provi ad ascoltare attentamente ciò che le dirà, le sue parole rivelano molto del suo modo di pensare e le saranno di indizio per anticiparla e andarle incontro. È una ragazza intelligente, non sprecherà quest’occasione per delle motivazioni superficiali come i pregiudizi.>>
<< Peccato che non voglia saperne di avere un dialogo.>> sentenzio con rammarico ed un pizzico di sdegno che suscita una lieve risata trattenuta, come uno sbuffo di una caldaia a vapore, da parte del maggiordomo.
<< La prenda come una sfida e non si arrenda, le relazioni sociali non sono mai semplici. Vedrà che alla fine comincerà a fidarsi.>>
<< Sembra che tu mi stia dando dei consigli per approcciare un animale selvatico.>> ironizzo per scherzare, ispirando altri colpetti di riso di Edward.
<< Il cognome le rende giustizia.>> sorride con affetto riferendosi alla ragazza, mentre raccoglie le ultime bottiglie svuotate dall’ubriacone che sonnecchia beato. Ha pensato anche lui alla connessione tra la persona e il suo carattere, da quanto sento. Ciò nonostante posso percepire la nota di affezione che prova nei suoi confronti e sono sempre più convinto che ci sia qualcosa che li accomuni. Pertanto vorrei sapere di che si tratta, non solo per curiosità, ma anche per capire meglio l’uomo che mi ha visto crescere.
<< Ed, un girono mi racconteresti qualcosa di te?>> gli chiedo, ma non appena lo faccio mi sento in colpa per avergli fatto una domanda tanto presuntuosa. Infatti vedo i suoi occhi bicromatici spalancarsi per la sorpresa della domanda e poi tornare quelli miti e saggi che conosco.
<< Un giorno Signorino.>> e con un ultimo enigmatico e malinconico sorriso, lascia la stanza sollevando il sacco dei rifiuti.
Resto ancora un attimo alla scrivania, rimuginando sui discorsi di oggi, finché non decido che è ora anche per me di prendere una pausa da questa giornata e, dopo essermi fatto una doccia metto in carica il palmare, che servirà parecchio da ora in poi e dunque non posso lasciare con il minimo di batteria. Dopo di che mi riapproprio del mio letto, sbattendo per terra Spike che ha il sonno più pesante di un ghiro e,  visto che sono immensamente gentile, gli concedo anche uno dei miei cuscini. Alla fine sto per cedere al sonno quando  la vibrazione dell’apparecchio elettronico
si attiva e scopro con sorpresa che è un messaggio di April.
| Sistemato tutto. Kid ha trovato ed impostato un canale sicuro per le chiamate ed i messaggi, quindi usa “Solo” questo numero. Ci aggiorniamo.

P.s: Se mi beccano negherò tutto e darò la colpa a te.|
Scoppio a ridere. 
Questa ragazza è sorprendentemente lunatica e precisa, tanto da indagare subito sulla veridicità di quanto le ho raccontato. Sono esterrefatto perché è la prima volta che mi capita di incontrare un non Centriano che si comporta come tale e so già che per questo
sarà uno spasso lavorare con lei.

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