Vuoto per pieno

di erzsi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atti premeditati ***
Capitolo 2: *** La patente ***
Capitolo 3: *** Differenze e Malafede ***
Capitolo 4: *** Compromessi ***
Capitolo 5: *** Nomi ***
Capitolo 6: *** Colori ***
Capitolo 7: *** Dimostrazioni ***
Capitolo 8: *** Vuoto - parte I ***
Capitolo 9: *** Gunfire ***
Capitolo 10: *** Vuoto - parte II ***
Capitolo 11: *** Profumo - parte I ***
Capitolo 12: *** Profumo - parte II ***
Capitolo 13: *** Reazioni ***
Capitolo 14: *** Promesse ***
Capitolo 15: *** Pieno ***



Capitolo 1
*** Atti premeditati ***


Atti premeditati

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non era una brava persona.
Certo, nella sua vita aveva fatto cose di cui chiunque – quasi chiunque, o almeno, il chiunque che per lui sembrava contare di più – ne sarebbe andato orgoglioso : aveva deriso, minacciato, macchinato e manipolato qualsiasi persona potesse offrirgli un qualsiasi tornaconto. Era un Serpeverde, dopotutto.  No, era stato un Serpeverde, ma era e sarebbe stato sempre un Malfoy.
Aveva fatto anche cose di cui lui stesso non ne era andato fiero : l’unico compito – la prova più importante – che gli era stato affidato, lui non era riuscito a portarlo a termine. Erano passati molti anni, questo era vero, eppure la sconfitta che aveva subìto gli bruciava ancora, e a distanza di tempo non esisteva acqua o incantesimo che potesse fargli dimenticare. Certo, poteva sempre provare con un Oblivion – e tante erano state le volte, in passato, in cui aveva sperato che quell’incantesimo potesse aiutarlo a togliersi quel fastidio che per lui era il senso di colpa, nient’altro che una noia, una cosa seccante da scacciare al più presto – ma in fondo sapeva bene che quella formula non poteva assolutamente nulla contro la sua memoria.
In fondo, era o non era vero che era proprio il passato, a fare una persona? E lui non poteva fare altro che accettare ciò che era diventato, per il semplice motivo che erano state le sue scelte, a fargli compiere certe azioni; le sue convinzioni, a fargli prendere certe decisioni; la sua vita, a fargli assumere certi comportamenti. Il senso di colpa non era di certo parte di lui.

Non era una brava persona.
Non lo era mai stato, e lui questo lo sapeva bene.
«Eccoti. Ti ho cercato in tutta la casa.» una voce interruppe i suoi pensieri ed i suoi gesti. Posò sul tavolino il bicchiere di Whisky Incendiario che aveva in mano, mentre l’altra avvicinava la sigaretta alla bocca. Diede una lunga boccata, chiudendo gli occhi, prima di rispondere a quella voce, la voce di sua moglie, chiedendole – no, ordinandole – una sola cosa.
«Vattene.»
C’era un detto Babbano – ebbene sì, nonostante tutto era in grado di pensare quella parola senza che niente gli accadesse – che aveva sentito una volta ad Hogwarts, durante una lezione di un corso che – nel bene e nel male – era stato costretto a frequentare, e che in quel momento gli sembrò più che adatto per descrivere come si sentiva. La vita può essere capita solo all’indietro, ma va vissuta in avanti.
Non era forse quello che stava facendo, fin da quando era uscito da Hogwarts? E quanto gli era costato finora, e quanto gli sarebbe continuato a costare, in futuro, essere davvero sé stesso? Nemmeno lui era in grado di darsi una risposta.
Sentì sua moglie avvicinarsi a lui. Riprese il bicchiere che aveva accantonato, finendo quel poco di liquido che ancora vi era, e lo strinse per calmarsi. Lo strinse forte, fino quasi a farsi male alle dita. Non era forse quello che meritava?
«Draco.»
«Vattene, Astoria.» le ripeté, simulando con la voce una calma che non sentiva. Possibile che la sua stessa moglie, la persona che avrebbe dovuto conoscerlo meglio di sé stesso, non riuscisse a capire? Eppure non gli sembrava di aver sposato una sempliciotta.
«Ti chiedo il favore di asc…»
Sua moglie non riuscì a terminare la frase, zittita dal rumore che il bicchiere che Draco aveva in mano produsse frantumandosi contro il muro di pietra. Astoria arretrò verso la porta, gli occhi sgranati. Non era mai capitato che Draco si comportasse così, con lei. Nemmeno una volta in tutti quegli anni di matrimonio.
«Sono stanco di ripetermi, Astoria. Vattene.» si girò a guardarla in faccia, e ciò che vide quasi lo rincuorò. Sua moglie aveva i capelli in disordine, e gli occhi sgranati. La guardò negli occhi, e ciò che vide gli confermò che aveva fatto bene ad agire in quel modo. Nonostante quello che avrebbe potuto pensare di lei, Draco sapeva che Astoria non era una stupida. Era stata anche lei una Serpeverde, dopotutto; era nella loro natura valutare tutti i rischi di ogni singola azione. Premeditazione.
Sua moglie non provava nemmeno il minimo rimorso, per quello che aveva fatto. Che gli aveva fatto. Astoria tentò di parlare, esprimendo quella forza che l’aveva convinto a sposarla, ma lui la bloccò sul nascere.
«Fuori di qui, Astoria.» le ripeté ancora. «Fuori da questa casa. Non meriti di stare qui. Non dopo tutto
Ora negli occhi di sua moglie non c’era più paura o timore di lui, ma ira. Una forte e bruciante ira. Lei rise, tentando di batterlo ad un gioco dove l’insegnante era lui, non lei. Deridere, schernire… Draco era abituato a tutto questo. Niente poteva più ferirlo. Si era corazzato bene, con il passare degli anni.
«Non merito di stare qui?» gli chiese lei, ridendo. «Lo merito più di chiunque altro, Draco. Più di chiunque altra
Lui allargò un poco gli occhi, tornando a guardarla. Forse Astoria davvero
«Credi che sia cieca, Draco? Credi che, dopo tutti questi anni, non abbia davvero capito? Sono tua moglie, anche se forse non lo vorresti. Ti conosco. So come sei fatto. So come pensa la tua mente. So a chi pensa. L’ho sempre saputo. Ed ora tu vieni a dire a me di andarmene? Senza di me non saresti niente, a quest’ora. Niente.»
«È per questo che hai acconsentito a sposarmi?» le chiese stringendo i pugni ed avvicinandosi a lei. «Per vanto
Astoria sorrise, e quel sorriso non gli piacque affatto. «Credi davvero sia stato per amore, Draco? Perché ti amavo?» gli domandò retoricamente. Premeditazione. Sapeva che quella domanda sarebbe stata senza risposta. Come molte altre che gli aveva rivolto tante, troppe volte nel corso degli anni.

Dove sei stato, Draco? Perché sei arrabbiato, Draco? Pensavi a lei, Draco?
Lui strinse i denti. Non avrebbe permesso che una stupida lo prendesse in giro così. No, Astoria non lo avrebbe mai battuto al suo stesso gioco.
«Povero sciocco.» continuò lei, avvicinandosi a suo marito. «Credevi che potessi davvero amarti? Eri davvero così ingenuo? Tu
«Vattene, Astoria.»
Lei non lo ascoltò. «Vattene, Astoria. È tutto quello che riesci a dire? Non volevo finire così, Draco.»
Lui le si avvicinò fulmineo. «È questo il gioco che vuoi fare? Ne sei certa, Astoria?» le chiese, fissandola con rabbia. «Non hai alcuna possibilità di vincere.»
«Lo so.» replicò lei. «Ma ho tutte le carte per aggiudicarmi questa mano. Anche se alla lunga potresti essere tu, ad avere la vittoria, mi dispiace deluderti ma questa volta tocca a me.»
Draco la fissò, non capendo dove volesse arrivare. «Parla chiaro.»
«Mi stupisci, Draco. Non sei forse tu, ad avermi trasmesso l’abilità di parlare per metafore ed allusioni? O vuoi forse dirmi che l’allieva ha superato il gran maestro? Davvero non capisci cosa ti sto dicendo, o non vuoi?» Astoria rise, schernendolo ancora una volta. Draco la lasciò fare, riconoscendole il diritto. Per questa volta. Non sapeva forse essere gentile, ogni tanto?
«Potevi essere tu, la mia scelta non voluta. Potevi essere quello che avrei potuto amare.»
«In un’altra vita.»
«No, Draco. In questa. Nell’unica e sola che abbiamo a nostra disposizione.» rettificò lei, usando un tono pacato. Materno. «Ma tu eri forse troppo occupato a riparare i cocci della vita che avevi prima, per permettermelo.»
Draco tornò a guardarla, rimanendo in silenzio e provando una strana sensazione dentro di sé. Che fosse realmente senso di colpa nei confronti dell’unica donna che aveva avuto la pazienza di stargli vicino in tutti quegli anni, provando ad accettarlo così com’era?
Forse su una cosa aveva ragione Astoria. Lei avrebbe potuto davvero amarlo, potevi essere quello che avrei potuto amare, e lui avrebbe potuto amare lei, in un’altra vita.
«O probabilmente eri tu, a non volere che lo facessi, forse per troppo orgoglio.» continuò Astoria. «In fin dei conti, eri un Serpeverde.»
Draco scattò come se lo avesse morso qualcosa quando sua moglie trasformò in parole ciò che lui aveva pensato alcuni minuti prima.. Forse era stato lui stesso, a mordersi.
«Non lo fare. Non sfottermi, Astoria.» la persona che sembrava minacciare sua moglie non sembrava lui, ed anche lei sgranò lievemente gli occhi al sentire quel tono di voce. Deridere, minacciare, macchinare e manipolare… non erano questi, gli elementi comuni a tutti i Serpeverde, compresa lei? E allora da cosa, esattamente, sua moglie si diceva tanto estranea?
«Altrimenti, Draco?» gli chiese lei, divertita. «Non è questa, la moneta che ti piace usare?»
Draco non rispose, preferendo il silenzio per notare meglio l’ennesimo cambio di tono nella voce di sua moglie.
«Lasciamo stare tutto. Ormai non abbiamo più nessuno da incolpare, se non noi stessi.»
«E le nostre scelte, Astoria?» le chiese allora lui, stanco da tutti quei giochi di parole. Non avrebbe mai pensato di esserlo, ma era così.
«Sono cambiate, Draco. La gente cresce. Matura. E, a volte, cambia idea.» gli rispose, sorridendole tranquilla come faceva un tempo. «È accaduto anche a te, dopotutto.»
«Non so di cosa…»
«Non mentire. Per questa volta, non mentirmi. Te l’ho detto, so a chi pensi quando ti corichi a letto prima di addormentarti accanto a me. So che vuoi, e chi avresti voluto ci fosse al mio posto. Non c’è più bisogno di mentire. Io forse non sono sincera, ora?»
«Questo non ha nulla a che vedere con quello che…»
«È questo il punto, Draco! Ha tutto a vedere con lei.» ribatté Astoria. «Tutto questo non è stato altro che una farsa.»
Draco sentì che il peso strano ed indigesto che aveva sempre avuto, proprio sopra lo stomaco, da quando aveva conosciuto sua moglie si stava alleggerendo, ma non sapeva spiegarsene il motivo.
«Lo è anche Scorpius?» le chiese temendone la risposta, ma Astoria lo stupì ancora una volta.
«No, certo che no. Non pensarlo nemmeno. Lui è una – forse l’unica – delle cose migliori che mi siano capitate.» Draco sorrise al sentire il tono dolce di una madre mentre parlava di suo figlio. Avrebbe voluto che anche la sua potesse parlare così di lui.
«Non volevo finire così, Draco.» riprese lei, ripetendo la frase pronunciata poco prima, in modo che suo marito la recepisse davvero. «Non era questo, che avevo sognato per me.»

Premeditazione.
E Draco capì. Forse per la prima, vera, volta da quando si erano sposati, Draco la capì. Si allontanò dirigendosi verso un cassetto, rendendosi conto solo dopo che avrebbe potuto appellare ciò che era sicuro che sua moglie desiderasse.
Ma non avrebbe avuto la stessa soddisfazione.
«Prendila. E’ questa che volevi fin dall’inizio, giusto?» le chiese, sibilando come il serpente che in fin dei conti non aveva mai negato di non essere. «È solo per questa, che hai voluto sposarmi.»
Astoria alternò lo sguardo da lui a ciò che aveva in mano. «No.» lo contraddì. «Non solo. Volevo il tuo cognome, Draco. Sai, per alcuni di noi il nome Malfoy conta ancora qualcosa.» gli sorrise amara. «Forse per te non è più così, ora, ma per me ha significato molto. In passato.»
«Ora non più?» si lasciò sfuggire lui. Non doveva, non voleva mostrarsi così. Non poteva essere debole. Non gli era stato insegnato questo. Si riprese subito, mostrando la perenne indifferenza che lo contraddistingueva fin da quando era piccolo.
«Oh, andiamo, Draco. Non crederai davvero che io possa rimanere qui?» il tono fintamente indulgente con il quale sua moglie pronunciò quella domanda lo fece alzare le spalle.
«Quello che scegli di fare non è affar mio, Astoria.»
«Quello che scelgo, Draco? Ora la scelta spetta a me?» Astoria si ritrovò a ridere senza volerlo. «Non accusarmi di colpe che sono soltanto tue. Ricorda ciò che ti ho detto. So chi sei.»
«Pensavo di saperlo anch’io, di te.» ribatté lui. «E invece è chiaro che mi sbagliavo. L’ho sempre fatto.»
Astoria socchiuse gli occhi, fissandolo di sbieco. «Mi stai dando della puttana? Vorrei ricordarti che non sono io, quella che finge
«No, ma sei quella che si diverte con un…» iniziò a sibilare lui, ma si fermò di colpo non sapendo bene quali parole scegliere. Era la prima volta che si trovava in difficoltà verbale, e non gli piaceva.
«Con cosa, Draco? Con uno di che cosa? Con un altro Purosangue?» ribatté lei, incrociando le braccia al petto. Nonostante il gesto, non aveva assolutamente nulla da cui doversi proteggere. Suo marito non le faceva di certo paura. Solo pena. «Almeno non sporco i miei pensieri. E tu dovresti essere il primo, a non farlo. O tutto quello che è successo ti ha cambiato così tanto?»
Draco alzò di nuovo le spalle, fingendo indifferenza, decidendo che sua moglie non avrebbe avuto risposta. Non avrebbe comunque saputo quale darle. E poi, non avrebbe mai e poi mai ammesso una cosa simile, ma dentro era dispiaciuto per tutta quella situazione. Forse Astoria aveva ragione, forse era davvero cambiato. O forse era questo, quello che era sempre stato ma che non aveva mai avuto la possibilità di riconoscerlo. I suoi genitori, suo padre in primis e poi lui stesso, si aspettavano molto da un Malfoy. Probabilmente molto di più di ciò che Draco poteva effettivamente dare. Ma la sua era una famiglia importante, e le aspettative familiari e magiche in generale erano alte.
Lasciò cadere a terra ciò che le aveva offerto, attendendo di vederla chinarsi. Come tutti gli altri davanti a lui.
«Prendila. E vattene.» il serpente tornò a sibilare con una cattiveria che a stento anche lui riconosceva nella sua voce. Ma non se ne meravigliò, pensando che stava lentamente tornando ad essere quella serpe, quel drago che richiamava il suo nome e che al posto del fuoco sputava veleno, che era sempre stato. Pensò che sua madre aveva avuto ragione, su di lui. Ogni giorno che passava, il tempo lo rendeva sempre più simile a Lucius, fisicamente e caratterialmente. Ma, a differenza di suo padre, lui non era un assassino.
Probabilmente questa era una magra consolazione per lui, dato che aveva tentato di seguire le orme paterne senza riuscirci – avrebbe fatto di tutto pur di salvare la sua famiglia; e se questo fosse un bene o un male, doveva ancora stabilirlo a distanza di anni – ma ciò che di più non poteva accettare era proprio il tradimento. Di qualunque natura fosse.
Draco diede un’occhiata fugace ad uno degli specchi presenti nella stanza, meravigliandosi delle sue occhiaie scure e del suo aspetto disordinato. Si accese l’ennesima sigaretta, cercando di dimenticare che non era da solo.
Astoria prese ciò che lui aveva lasciato cadere in terra – la chiave della sua camera blindata alla Gringott – e si smaterializzò in completo silenzio. Sarebbe andata dai suoi genitori, portandosi dietro il loro figlio una volta che avesse avuto una pausa da Hogwarts, o sarebbe andata da quell’altro, portandosi sempre dietro Scorpius?
Draco si rese conto che, in fondo, non gli importava. Non gli importava niente : sua moglie poteva fare quello che voleva, poteva premeditare qualsiasi cosa, ma non avrebbe mai permesso che suo figlio abbandonasse la sua casa. Scorpius era un Malfoy come Draco, e come suo padre prima di lui.. Sarebbe cresciuto lì, nella casa dove lui si trovava ora, che Astoria volesse o meno sarebbe andata così.
Si versò un altro generoso bicchiere di  Whisky Incendiario ingollandolo tutto d’un fiato, incurante del bruciore che gli provocava alla gola. Nemmeno di questo gli importava più, realizzò, mentre rettificava mentalmente ciò che aveva pensato poco prima.
Sua madre aveva pienamente ragione : lui e suo padre non erano solo simili. Draco era la fotocopia di Lucius.

Non era una brava persona.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note.

 

È molto tempo che non scrivo, più di un anno e mezzo, e devo ammettere che tornare a farlo è stato più semplice di quanto potessi immaginare. E, proprio perché è stato così facile, mi aspetto le prima difficoltà molto presto.
Vuoto per pieno, però, non era assolutamente prevista nei miei programmi – dato che il mio genere abituale ha poco a che fare con Harry Potter e tanto con la sezione Originali romantiche; chi ricorda il mio account precedente, ormai cancellato, lo sa bene – ma è nata da un’intervista fatta alla Rowling che mi è capitato di leggere qualche tempo fa, dove appunto diceva che, a differenza dell’attore che lo interpretava, Draco Malfoy non è una brava persona.  Da qui, la storia.
Vuoto per pieno è un espressione utilizzata sia in edilizia che in turismo, il cui significato – in ambito turistico – potete trovarlo qui.
La frase “La vita può essere capita solo all’indietro, ma va vissuta in avanti” non è mia, ma bensì di Søren Kierkegaard.
Le frasi quali “Potevi essere tu, la mia scelta non voluta. Potevi essere quello che avrei potuto amare”; “Ma tu eri forse troppo occupato a riparare i cocci della vita che avevi prima, per permettermelo”; “Lasciamo stare tutto. Ormai non abbiamo più nessuno da incolpare, se non noi stessi” pronunciate da Astoria sono liberamente tratte da UnintendedSoldier’s poem, entrambe canzoni dei Muse.
Grazie per essere arrivati fin qui.

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Capitolo 2
*** La patente ***


La patente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Doveva stare attento.
Lo sapeva fin da quando aveva accettato – no, obbligato – di sostenere quella prova, che ci sarebbero quasi sicuramente state molte cose che rischiavano di andare storte.
Nonostante questo, però, era altrettanto consapevole che era una cosa necessaria, e se non fosse riuscito a superare l’esame che lo attendeva, di certo suo padre non gliel’avrebbe perdonato. E se si fosse saputo in giro, poi… non voleva nemmeno pensarci, alle conseguenze.
«Appena è pronto, vada.»
L’uomo di fianco a lui appariva tranquillo, con la sua cartellina e la sua penna stilografica. Che poi, si domandò sovrappensiero, chi le usa più al giorno d’oggi, le penne stilografiche?
Doveva ammettere che, però, avevano un loro fascino : erano come piume Babbane, con la comoda differenza che queste, a differenza delle altre, duravano molto di più.
«Mi ha sentito? Vada.»
Si ridestò dai suoi pensieri, prestando attenzione a ciò che gli veniva detto dopo aver controllato per precauzione di avere la sua bacchetta con sé. Si sentì più tranquillo quando la trovò nella tasca interna della giacca che aveva indossato quella mattina.

Doveva stare attento. I pericoli erano dappertutto.
Obbedì all’uomo che aveva di fianco, sentendosi improvvisamente nervoso. Quante persone erano state fatte fuori, dopo che non erano riuscite ad arrivare fino alla fine? E quante, per un gesto errato o dimenticato? Non poteva commettere errori. Suo padre non gliel’avrebbe mai permesso.
Nemmeno cinque minuti dopo, il Babbano di fianco a lui gli ordinò di fermarsi per comunicargli il verdetto. Gli sudavano le mani, notò, e sicuramente doveva avere le orecchie arrossate. Succedeva sempre così.
«Sono spiacente, ma proprio non ci siamo» annunciò arcigno scuotendo la testa, scrivendo ancora su quella sua cartella. Lui si toccò la tasca della giacca, mormorando qualcosa che l’altro uomo non sentì. «Dovrà ripetere…» l’uomo si fermò a frase appena iniziata, cambiando improvvisamente tono di voce e tipologia di parole.  «Congratulazioni, è stato promosso. Metta una firma qui, e questa sarà sua.»
Fece come gli aveva detto, impaziente di prenderla, Smaterializzarsi e mostrarla a tutti. Ci aveva lavorato a lungo, se l’era decisamente sudata, e proprio per questo l’avrebbe tenuta come se fosse stata un cimelio delle sue fatiche.
«I miei complimenti, signor Weasley.»
Non credeva alle sue orecchie, mentre sul volto gli spuntava un sorriso che andava da una all’altra. Per un secondo, gli era passata in mente l’idea di mettersi a saltellare, ma poi si rese conto che probabilmente non era poi così buona, come idea. Prese ciò che l’uomo gli porgeva, sistemandola subito al sicuro in una delle sue tante tasche.

Era riuscito a prendere la patente.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

Non poteva credere ai suoi occhi.
Sapeva bene che i tempi in cui La Gazzetta del Profeta pubblicava articoli ingannevoli, atti solo alla diffamazione ed al pubblico dileggio, erano finiti da tempo, ma comunque la cosa non cambiava granché. Si prese qualche istante per leggere tranquillamente quell’annuncio, ma ciò che sentiva, parola dopo parola, era solo indifferenza.
«Sinceramente, Ginny, non capisco.» affermò dopo pochi secondi. «Perché hai voluto che lo leggessi?»
L’altra alzò le spalle, accomodandosi meglio sulla poltrona. «Non c’è un motivo. Ho solo pensato che, magari, potesse incuriosirti.»
«In base a cosa? Lo sai che la sezione dei ficcanaso non mi interessa.» le rammentò, porgendole il giornale che le aveva portato. Socchiuse gli occhi, vagamente sospettosa, quando Ginny si dimostrò più che disponibile a cambiare discorso.
«Va bene, va bene.» Ginny accompagnò le sue parole con un gesto noncurante della mano. «Fai come se non ti avessi fatto leggere nulla.»
«No, Ginny. Mi hai dato la Gazzetta, ed ora vorrei saperne il motivo.» si impuntò Hermione. Sul volto di sua cognata spuntò un sorriso, e lei non ne capì il motivo. «Perché questa cosa dovrebbe avere importanza?»
«Beh, innanzitutto perché è sulla bocca di tutti.»
«Di sicuro non sulla mia.»
«Secondo, ammetterai anche tu che ha quasi salvato la vita ad Harry, durante la guerra, o perlomeno ci ha provato.»
«Quel quasi fa una differenza enorme.»
«Terzo, per quanto mi disgusti l’idea che mio marito sia ancora qui con noi grazie anche a lui, è una cosa che comunque non posso ignorare.»
«Ma è un Malfoy!» ribatté Hermione, alzando gli occhi al cielo.
«Lo so.» replicò l’altra, tranquilla. «Per questo non mi va a genio che abbia contribuito a salvare la pelle ad Harry, dopo anni in cui non ha cercato di fare altro che distruggerlo ed affondarlo con qualsiasi mezzo.»
Hermione si ritrovò a sorriderle. «Hai davvero un cuore d’oro, Ginny. Non tutti sarebbero riusciti a comportarsi come stai facendo tu ora.»
Sua cognata scosse la testa. «No, Hermione. Non si tratta di avere un cuore grande, o dorato. O argentato. Non credere, la voglia di fargli pagare tutto ciò che noi tutti abbiamo dovuto passare per causa sua e della sua famiglia c’è ancora, ma so quando devo essere in debito con qualcuno e, mio malgrado, sento di esserlo con quel viziato, villano e presuntuoso che è Malfoy.» le spiegò, dimostrandole a parole quanto grande potesse davvero essere, il cuore di Ginny Potter.
«Ginny, in ogni caso non sono cose che ci riguardano. Si è separato dalla moglie, e allora? Sono affari suoi. Non sarà il primo né l’ultimo a farlo.»
«Lo so, ma…»
«No.» la interruppe Hermione, alzandosi dalla sedia dietro la sua scrivania. «Lascia che gli altri parlino. Parlane tu stessa, se vuoi. Ma non ne voglio sapere niente. Quella famiglia… i Malfoy mi hanno creato ricordi che sono difficili da cancellare, anche a distanza di anni.» prese un respiro, sentendo il braccio pizzicare come se fosse stato chiamato in causa.
Ginny seguì lo sguardo di Hermione sul suo arto sinistro, e si alzò per abbracciarla. «È stata Bellatrix, Hermione. Non i Malfoy.»
«Ma ne sono ugualmente responsabili.»
«Sì, però non materialmente.» ribatté Ginny. «Dovresti provare a dimenticare.»
«Non sai quante volte ci abbia provato. Non è facile.» Hermione si asciugò gli occhi umidi. Ripensare a quella cicatrice – vedere, quella cicatrice – era sempre doloroso per lei, soprattutto a livello emotivo. Le ricordava giornalmente il fallimento per non essere riuscita a portare via tutti quanti in tempo da quella maledetta Villa Malfoy.
«Non colpevolizzarti, Hermione. Te l’ha detto anche Harry. Tu non hai nessuna colpa.» la sgridò bonariamente Ginny. «E non dovresti incolpare nemmeno i Malfoy. Aspetta, forse Lucius sì.» aggiunse, facendola sorridere.
Aveva ragione, pensò. Aveva pienamente ragione, ma il dubbio dell’impossibilità effettiva di perdonare le rimaneva, e a volte non la lasciava dormire la notte. Capitava ancora spesso, a distanza di tempo, che Hermione si svegliasse nel cuore della notte, in preda agli incubi che le ricordavano quelle ore passate a Villa Malfoy, nelle mani di Bellatrix Lestrange. Ricordava perfettamente i Crucio, le urla ed il dolore. Lo viveva ancora nella sua memoria, notte dopo notte.
«Ma non il Malfoy più giovane. Lo abbiamo visto, come è cambiato nel corso degli anni. Ha rinunciato ad essere un Mangiamorte, Hermione.»
«Perché era un Serpeverde, Ginny. Non hanno il giudizio necessario, per scegliere ciò che è buono o cattivo. Vanno dove la corrente li porta.»
«Forse.» ne sovvenne Ginny. «Ma non sono degli stupidi. Beh, non tutti. E sta di fatto che Malfoy ha compiuto una scelta che andava contro tutto quello in cui aveva creduto fino ad allora. Una scelta giusta
«Solo perché non ne aveva altre.» ribatté Hermione, per poi scuotere la testa incredula. «Stiamo seriamente parlando di Malfoy?»
Ginny scoppiò a ridere. «Già. Chi l’avrebbe mai detto che…»
«Ron!» Hermione la interruppe quando suo marito si Materializzò dietro la sorella. Aveva il volto quasi paonazzo, e le orecchie rosse. Hermione lo conosceva abbastanza bene da sapere che quando era ridotto in quello stato aveva fatto un incantesimo che non doveva. Per questo glielo chiese subito.
«Cos’hai fatto?»
Suo marito deglutì, salutando con la mano sua sorella, e le porse la patente Babbana faticosamente guadagnata. «Niente! Volevo mostrarti questa.»
«Ce l’hai fatta, bravo.» si complimentò Ginny. «E grazie a quale incantesimo, questa volta?»
Ron si mise a borbottare qualcosa che nessuna delle due riuscì a capire. «…us... dus
«Ron, non abbiamo tutto il giorno. Quale hai fatto?» gli richiese Ginny.
«Confundo.» rispose, questa volta chiaramente. «Ho confuso l’esaminatore.»
Ginny rise, ed Hermione lo guardò male. Sapeva che lei non voleva che si usasse la magia su Babbani, a meno che non fosse strettamente necessaria.
«Ho dovuto farlo, mi ero scordato lo specchietto!» si giustificò Ron, e sua sorella rise ancora di più.
«Ah, Ron… non cambierai mai, vero?» gli chiese, tra una risata e l’altra. «Dai, andiamo. Papà sarà felice di vedere la tua nuova patente. Hermione, pensa a quello che ti ho detto, va bene? Non lasciare che i vecchi pregiudizi tornino a galla.»
Ron alternò lo sguardo da una all’altra, non capendo nulla dell’argomento su cui parlavano. «Che pregiud…»
«Nulla, Ron.» minimizzò Ginny. Nessuno la batteva, in quello. «Te lo spiego dopo. Andiamo a casa, dai.»
Dopo averla salutata, si Smaterializzarono entrambi verso la Tana, ricostruita qualche anno prima grazie ai Galeoni di Harry, ed Hermione rimase da sola nel suo ufficio, a riflettere su quello che Ginny le aveva detto. I suoi occhi caddero sulla scrivania, dove le foto alternate di Malfoy e della moglie facevano capolino. Hermione prese il giornale, sgridando mentalmente Ginny per il fatto di averlo dimenticato lì, e fissò quella foto a lungo, riflettendo sulle parole della cognata.

Ammetterai anche tu che ha quasi salvato la vita ad Harry, durante la guerra, o perlomeno ci ha provato.
Quel
quasi è una differenza enorme.
Ed era vero. Era una piccola parola, quasi, ma che poteva fare una differenza abissale. Certo, Malfoy aveva tentato di salvare la vita di Harry, ma soltanto per salvare la sua, di vita, non di certo per un atto di generosità improvviso. Hermione era convintissima di questo, e comunque i fatti successi ad Hogwarts le davano pienamente ragione. Le derisioni, i dispetti e gli insulti… anche questi erano incisi nella sua memoria, e niente o nessuno glieli avrebbe potuti far dimenticare. I Serpeverde non erano di certo famosi per l’altruismo. Tantomeno la famiglia Malfoy.
Ed erano stati proprio loro – no, un componente in particolare – a farle vivere i peggiori momenti da quando era entrata nella scuola. Voleva sembrare forte, voleva dimostrare che nessuna offesa o derisione potesse effettivamente toccarla; ma all’epoca era solo una bambina, e nonostante tutti gli sforzi che aveva fatto, il cuscino del suo letto aveva conosciuto fin troppe volte l’umidità delle sue lacrime.
No, non poteva dimenticare. Ma avrebbe dovuto tentare di farlo, come Ginny le aveva consigliato, e come più volte lei stessa si era prefissata. Ci avrebbe provato ancora, e questa volta ce l’avrebbe fatta.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

Non doveva avere paura.
Si era Smaterializzata direttamente lì per un motivo preciso, e nulla, nemmeno quella sensazione così simile al terrore che iniziava a sentire, l’avrebbe fermata. Respirò profondamente per calmarsi, e si avvicinò a quell’enorme viso che aveva davanti.
«Motivo della visita?» le domandò il cancello che aveva di fronte. Per poco non fece un salto indietro quando quelle sbarre di ferro iniziarono a muoversi.
«Io…» iniziò a bisbigliare, salvo poi ricordarsi che non ne aveva alcun motivo. Non stava facendo niente di male, dopotutto. «Devo vedere il signor Malfoy.» annunciò al cancello con la sua tipica, temeraria espressione con il mento all’ insù, il quale si aprì per lasciarla entrare, informandola che più avanti avrebbe trovato un elfo domestico che l’avrebbe accompagnata all’interno.
Annuì, sebbene sapesse che quell’ammasso di ferro non potesse vederla, né tantomeno risponderle più, ed avanzò fino quasi ai gradini d’ingresso della villa, dove appunto trovò l’elfo ad attenderla. Non tentò nemmeno di aiutarlo, quel povero elfo, dato che sapeva che sarebbe stato completamente inutile.
«Sock ha sentito tutto. Sock la accompagna da padron Malfoy.» l’elfo non aspettò di sapere se lei lo seguisse oppure no : si addentrò immediatamente nella villa, e lei dovette affrettare il passo per stargli dietro, domandandosi per quale motivo un elfo domestico avrebbe dovuto chiamarsi Calzino.
L’elfo la portò in quello che doveva essere il salone principale. «Padron Malfoy vuole che gli ospiti stiano comodi.» l’elfo le indicò una poltrona, e lei si sedette, sentendosi quasi rimproverata da quel commento. «Padron Malfoy arriva subito. Sock le porta qualcosa da bere.»
Prima che potesse ribattere con un no, l’elfo sparì e comparì pochi istanti dopo con un bicchiere di succo di zucca. «Sock spera che le piaccia.» aggiunse l’elfo, per poi sparire di nuovo. Non c’era che dire, anche gli elfi erano decisamente strani, in quella casa. Come tutto il resto. Prese il bicchiere dal vassoio, scoprendosi tutt’un tratto assetata al solo vedere quel succo. Ma come faceva a sapere, l’elfo, che…
«Non lo berrei se fossi in te, Granger.» una voce proveniente dalla sua destra la fece bloccare con il bicchiere a mezz’aria. Girò la testa di scatto, rischiando di far cadere del succo sul tappeto, e vide la persona che stava cercando. «Sock non ama chi è sporco
Hermione mise nuovamente il bicchiere sul vassoio, non voleva nemmeno sapere cosa, esattamente, l’elfo le avesse messo nel succo, anche se una vaga idea l’aveva, e rivolse poi tutta la sua attenzione a Malfoy. «Ed allora spiegami, Malfoy, per quale motivo rimane come tuo elfo domestico se odia tanto chi non è pulito?» gli chiese, rendendosi conto che non c’era gusto a controbattere a quel tipo di offese se le venivano servite così gratuitamente. Purtroppo, però, fu esattamente quello che fece, orgogliosa come era sempre stata. «E comunque, mi chiamo Weasley.»
«C’è una bella differenza, tra sporco e superiore.» ribatté Malfoy, raggiungendola circospetto e fingendo di non sentire quella precisazione sul suo cognome.
«E quale saresti, esattamente, tra i due, Malfoy?» obiettò Hermione, innervosendosi. Stare in quel luogo… non le faceva bene. Ma se voleva davvero dimenticare, avrebbe dovuto vincere sui suoi ricordi di quella casa, e delle persone che ci vivevano.
«Così mi offendi, Granger.» lo vide ghignare, calcando volutamente sul cognome da nubile di Hermione, totalmente a suo agio. Dopotutto, le schermaglie verbali gli erano sempre andate a genio. «Io sono molto più che superiore.»
Lei alzò gli occhi al cielo. «Sì, in quanto ad ego
«Sock mi ha riferito che volevi vedermi.» Malfoy cambiò discorso repentinamente. Non voleva immaginare cosa sarebbe potuto succedere se lui l’avesse trovata lì, in casa sua. No, si corresse, la casa era sua, non di suo padre. Narcissa gliel’aveva lasciata preventivamente come eredità, oltre che alla probabilmente non più colma camera blindata alla Gringott, quando Lucius era stato rinchiuso ad Azkaban anni prima.
Hermione parve quasi spiazzata da quel cambio improvviso di direzione, ma si riprese subito. «Oh, non sei così importante da poterti dedicare parte del mio tempo, Malfoy. I sotterranei. Vorrei vederli, se posso.» gli chiese, puntandogli gli occhi addosso.
Malfoy allargò un poco gli occhi, sorpreso da quella richiesta. «I miei sotterranei?» le domandò a sua volta. «Perché vorresti…»
«Ne ho bisogno, Malfoy.» lo interruppe lei. «E comunque, non sono qui di certo per fare conversazione con te, ammesso che tu ne possa reggere una intera, ma solo per…»
«I sotterranei. Sì, l’avevo capito.» il tono improvvisamente duro di Malfoy la fece impensierire ancora di più, e le sue sopracciglia si aggrottarono di conseguenza. Stava per rispondergli a tono, ma – nuovamente – l’altro cambiò tono di voce. Non sarebbe mai riuscita a star dietro a tutti quei repentini sbalzi di umore, pensò Hermione. Non che ne avesse davvero avuto bisogno, lei e Malfoy erano incompatibili esattamente come l’acqua e l’olio. E comunque, non aveva alcuna intenzione né di rivedere quella casa, né i suoi inquilini.
«Spiacente, Granger. Non sono solito far entrare persone in luoghi così inappropriati per una Mezzosangue.» ghignò ancora lui, e le guance di Hermione si imporporarono leggermente pensando a cosa c’era esattamente di inappropriato laggiù, lasciando correre l’uso della parola Mezzosangue a Malfoy. Non voleva innervosirsi ancora di più. «Ma se vuoi vederli comunque, non sarò di certo io a fermarti.»
«Malfoy.»
«Granger.» la rimbeccò lui, e a lei parve quasi di essere tornata nuovamente ad Hogwarts. «Perché hai bisogno di vederli?»
«Questi, se permetti, sono affari miei
«No, dato che suddetti sotterranei si trovano nella mia proprietà.» ribatté lui, ed Hermione non seppe più come controbattere, dato che aveva ragione. Erano nella sua casa, ma il bisogno che aveva di vederli l’aveva spinta fino a lì, incurante di quello che sarebbe potuto accadere.  Sapeva solo che non sarebbe riuscita a dormire sonni tranquilli fino a quando non avrebbe allontanato definitivamente quei brutti ricordi dalla sua mente. E quale modo migliore per farlo, se non tornare a vedere il luogo che continuava a perseguitarla nel sonno?
«Voglio dimenticare.» esordì piano Hermione, tornando a guardarlo. «Non voglio più avere paura, Malfoy.»
Non ci fu bisogno di spiegare altro. Lui aveva capito perfettamente a cosa si riferiva in particolare, e sapeva che per esorcizzare davvero qualcosa dalla propria memoria, il cammino era lungo. Se il timore della Mezzosangue erano davvero quei sotterranei, lui sapeva che una sola visita non era affatto sufficiente. E non poteva capitare in un momento migliore.
«Seguimi, Granger.» la invitò, precedendola verso una  piccola e stretta scala nascosta da quella più grande. Non attese che lei lo seguisse, sicura che l’avrebbe fatto. In fondo, era lì proprio per quello. Non per lui, ma per i suoi sotterranei. Poco gli importava, al momento. La precedette fino alla pesante porta – non era un cancello?, si chiese Hermione – che bloccava l’ingresso ai sotterranei, la quale si aprì immediatamente per lasciarli passare.
«Mi vedo costretto ad avvertirti nuovamente. Ciò che c’è dentro non è adatto ad una Mezzosangue quale sei tu.» l’avvisò ancora, ma Hermione non aveva alcuna intenzione di tornare indietro. Aveva faticato per trovare il coraggio di tornare lì, e sarebbe stato da sciocchi, ora, rinunciare a così poco dal traguardo.
«Credo di saper affrontare qualsiasi cosa ci sia lì dentro.» ribatté lei, e vide l’altro alzare indifferente le spalle, mormorando qualcosa che lei non sentì, prima di accompagnarla dentro senza dire più una parola.
«Mi dispiace.» Hermione colmò il silenzio improvviso che si era creato. Malfoy la guardò con un’espressione confusa. Forse Ginny aveva torto, forse tutti quelli di Serpeverde erano davvero degli stupidi. «Ho letto quello che è successo, e me ne dispiace.»
Malfoy restò indifferente, e fu solo grazie ad un lampo che passò negli occhi del biondo che lei poté smentire l’ipotesi che fosse stato pietrificato.
«A me no.» le rispose secco. «Ad ogni modo, non se qui di certo per fare conversazione con me.» la citò poi, facendole cenno di entrare. Hermione obbedì, sempre più ansiosa di lasciare quella casa. Aveva una brutta sensazione addosso, e raramente queste sensazioni erano errate. Rabbrividì non appena mise piede nei sotterranei, capendo – vedendo con i suoi occhi – solo ora cosa esattamente era, l’inappropriato di cui le aveva parlato Malfoy.

Erano tutti lì.
I dipinti raffiguranti alcuni membri di entrambe le famiglie, Malfoy e Black, presero a guardarla con astio, ed Hermione sentì rimpicciolirsi sempre di più davanti a quelle espressioni di puro odio nei suoi confronti.
«Sangue sporco, sangue sporco…» Cygnus Black III.
Lei continuò ad avanzare all’interno della stanza, ancora incurante – ma non sorda – delle accuse e degli insulti che le venivano rivolti.

Non doveva avere paura.
«Marciume dentro la mia casa!» Abraxas Malfoy.
Avanzò ancora fino ad essere completamente circondata da quei dipinti. Si guardò intorno, fissandoli uno ad uno, lentamente, come se volesse sfidarli a dire di peggio. Erano solo dipinti, non potevano farle niente. O quasi.
«Come osi presentarti qui, sporca Mezzosangue?» Druella Rosier.
Si portò le mani alle orecchie, ma presto si rese conto che era inutile : poteva sentire benissimo ciò che le urlavano senza sosta.
«Silencio!» Draco Malfoy.
I ritratti tacquero, ma continuarono a lanciarle appellativi offensivi. Hermione si voltò nella direzione del biondo, trovandolo nella stessa identica posizione di prima, schiena contro il muro e braccia incrociate, ma c’era anche qualcosa di diverso nella sua postura. Tutt’un tratto, sembrava dimostrare davvero la sua età. Eppure, pensò Hermione, non era ancor vecchio; ma cose stranissime e quasi inverosimili, mostruosi intrecci di razze, misteriosi travagli di secoli bisognava immaginare per giungere a una qualche approssimativa spiegazione di quel prodotto umano che si chiamava Draco Malfoy. 
Lo guardò meglio, e notò cosa c’era di effettivamente diverso in lui. Il suo sguardo era differente. La stava forse guardando con… pietà?
«Non ho bisogno della tua compassione, Malfoy.» sbottò Hermione. «Ho sopportato cose peggiori di qualche insulto proveniente da un paio di dipinti inaciditi.»
«Lo so.» affermò tranquillo, raggiungendola. «Ma non è un buon motivo per offendere un mio ospite.»
Hermione sgranò gli occhi, di fronte a tanta gentilezza. «Da quando… perché?»
«Perché cosa, Mezzosangue?»
«Perché sembri tanto gentile?»
«Sembro, esatto.» sembrò ghignare Malfoy. «Tu hai i tuoi motivi per esserti presentata qui, ed io ho i miei per essermi comportato in questo modo.»
«Ma io, il mio motivo, l’ho confessato.» ribatté Hermione. Più gli stava vicino, meno riusciva a capire. Non che avesse realmente desiderato comprenderlo, Malfoy. Era lì per un unico motivo, il resto non le interessava anche se, doveva ammetterlo a sé stessa, la incuriosiva e non poco. Compreso l’inusuale comportamento del biondo di fronte a lei.
«E dimmi, Granger.» pronunciò lentamente il suo cognome, confermando ciò che Hermione aveva sempre pensato di lui fin dai tempi di Hogwarts, ovvero che avesse qualche problema di comprendonio o, come Ginny aveva insinuato, che fosse semplicemente stupido.
«Ti aspetti forse la stessa sincerità che hai avuto tu nei miei confronti?» le chiese.
Hermione sbuffò, quasi divertita da quello scambio verbale. «Certo che no, Malfoy. È una caratteristica che tu non sembri conoscere.»
Lui sembrò aspettarsi quella risposta da parte sua, anche se attese qualche istante prima di risponderle. «O forse, Mezzosangue, sono talmente abituato a ciò che gli altri pensano di me, o credono di sapere, che alla fine me ne sono dovuto convincere anch’io. Chi dice che non possa essere sincero, che non possa esserlo davvero? O il modo in cui appunto mi dipingono debba corrispondere per forza alla verità? Ad esempio, se uno fa lo stupido, non vuol dire che lo sia davvero, semplicemente lo sembra. Eccola, la parola. Sembrare. Non trovi sia strano come un semplice termine possa cambiare il significato di un’intera frase?»
«Non in questa conversazione.» replicò secca Hermione, non capacitandosi di star davvero semplicemente dialogando con Malfoy. All’inizio poteva essere divertente, forse, quello scambio di battute, ma ora iniziava seriamente a stancarsene. Aveva ottenuto ciò che voleva, vedere quei sotterranei, anche se non come aveva sperato per poter davvero dimenticare, ed era tempo di uscire di lì, quella casa la innervosiva a dir poco. «Si è fatto tardi, Malfoy, devo andare via.»
«Mi è sempre piaciuta, quella parola.» riprese lui, come se lei non avesse parlato. «Sembrare. Apparire. È come se ti permetta di mentire senza però ingannare davvero.»
«Ed allora a cosa ti serve? Tu sei avvezzo, alle menzogne.» le sfuggì dalla bocca prima che potesse impedirlo, ma quello che non le sfuggì fu l’espressione apparsa sul volto di Malfoy.

Offesa.
Il biondo cambiò ancora espressione, e lei pensò che era vero, che non sarebbe mai potuta riuscire a stargli dietro. E comunque non ne aveva alcuna intenzione.
Insulto.
Le si avvicinò ancora, ed Hermione fu costretta ad arretrare, sotto gli occhi di quei dipinti che non toglievano i loro da dosso a lei. Non doveva avere paura.
Oltraggio.
Si ritrovò con le spalle letteralmente al muro, e notò con un lieve accenno di preoccupazione che lui le si stava avvicinando troppo. Molto più del normale, o del consentito. Deglutì, cercando di ricordare se avesse detto a qualcuno dove si sarebbe diretta prima di tornare a casa da suo marito e da suo figlio.  Nessuno, non lo aveva detto nemmeno a Ginny. Accidenti a me ed al mio orgoglio, pensò, fissando negli occhi Malfoy.
«Allontanati o ti Schianto, Malfoy.» lo avvertì, già pronta con la bacchetta in mano. Lui sembrò non udirla, avanzando ancora ed ancora e finendo proprio davanti a lei, a pochi centimetri da lei.
«Expelliarmus.» pronunciò, e la bacchetta di Hermione volò a diversi metri lontano, con un’espressione sul volto a metà tra il ghigno e quella che lei definì nient’altro che soddisfazione. Di averle fatto volare via la bacchetta, forse? Presuntuoso.
Era sempre così, che lui era sembrato. Fin dal primo giorno in cui l’aveva conosciuto, Malfoy aveva sempre avuto quell’atteggiamento tipico di chi si può permettere di fare tutto, ben sapendo che non riceverà nessuna punizione. Viziato.
Lei non seppe cosa lui vide passare sul suo viso, forse panico – non doveva avere paura – ma di fatto sembrò calmarsi. Girò di scatto la testa all’indietro, verso la porta del sotterraneo dietro la quale erano chiaramente udibili dei rumori e delle voci concitate, ed allora anche l’espressione di lui si tramutò in paura.
«Mio padre.» la guardò negli occhi, e lei seppe che aveva avuto ragione. Ciò che aveva visto, e che continuava a vedere negli occhi del biondo era davvero terrore. «È qui.»
Ed ora, anche negli occhi di lei.

Doveva avere paura.

 

 

 



 

Note. 

Il capitolo prende appunto il nome da “La patente”, novella prima ed opera teatrale poi, di Luigi Pirandello, autore che ho imparato ad apprezzare durante le scuole superiori, successivamente inclusa nella raccolta Novelle per un anno; trasportata poi sullo schermo dal grande ed inimitabile Totò in un episodio del film Questa è la vita, di Luigi Zampa, film basato appunto sulle opere di Pirandello.
Qui potete trovare più informazioni sull’opera; qui
il testo della novella e qui il testo teatrale; infine, qui l’interpretazione di Totò.
Anche la frase “Non era ancor vecchio; ma cose stranissime e quasi inverosimili, mostruosi intrecci di razze, misteriosi travagli di secoli bisognava immaginare per giungere a una qualche approssimativa spiegazione di quel prodotto umano che si chiamava Draco Malfoy ” pensata da Hermione è tratta dalla novella. Malfoy a parte.
L’idea della patente Babbana di Ron proviene, invece, da qui, e non tiene conto della cronologia del paragrafo, in quanto Ron ottiene la patente solo dopo che sua figlia Rose è partita per Hogwarts.
Ciò che è accaduto durante la persuasione di Bellatrix Lestrange nei confronti di Hermione –  e relativa cicatrice Mudblood sul suo braccio sinistro – non avviene nei sotterranei di Villa Malfoy, naturalmente, ma ho dovuto modificare questa parte del settimo libro per adattarla meglio alla storia.

Grazie per essere arrivati fin qui.

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Capitolo 3
*** Differenze e Malafede ***


Differenze e Malafede

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«E non ti ha dato nessuna noia?» le chiese, avvicinandola a sé. La camera era buia, ma lui poteva vedere ogni dettaglio del suo corpo. E non se ne sarebbe stancato mai.
«Affatto. Sembrava quasi sollevato nel darmi quella chiave.» lei si lasciò stringere, non potendo fare a meno, però, di confrontare anche un misero abbraccio.

Chi la stringeva meglio? Chi, tra i due, la faceva sentire più protetta? Più amata?
«Comunque, non credo che tu abbia agito bene, Astoria.» sospirò lui. «Lo so, mi hai spiegato che non avevi molta scelta, ma c’è sempre qualche opzione di riserva.»
«Intendi dire che sarei dovuta rimanere con lui, Terence?» lo provocò, conoscendone bene la possessività.
Ecco un’altra differenza tra lui e Draco. Suo marito non l’aveva mai trattata con tutta quella gelosia, perché, si rese conto solo ora, che la gelosia lui non l’aveva mai provata; e se non fosse stato per Scorpius, Astoria avrebbe nutrito seri dubbi sull’effettiva validità - esistenza - del suo matrimonio con Draco.
«Non dire sciocchezze, Astoria. Sei rimasta con quel buono a nulla di Malfoy anche troppo a lungo.»
«Non lo è.» mormorò lei, non del tutto convinta. «Mi ha dato Scorpius, dopotutto.»
«È un fallimento, Astoria.» riprese lui, mai stanco di sentire il peso di lei su di sé. «Malfoy, intendo. È fallito, come Mangiamorte prima e come persona adesso. Non vale nemmeno un secondo del tuo e del mio tempo.»
«Forse. Ma non posso cancellare il passato, Terence. Lui è stato mio marito, e a tutti gli effetti lo è ancora. Non puoi chiedermi di cancellare anni della mia vita.»
Lui la strinse maggiormente, voleva farle sentire che nulla di quello che lei stava pensando corrispondeva a verità. «Non ho mai pensato di farlo, Astoria. Mi stupiscono le tue accuse.»
«Hai ragione.» mormorò piano, sorridendogli colpevole. Non era lui, a desiderare che lei dimenticasse, ma Astoria stessa. Voleva una vita nuova, lontana da tutto quello a cui si era abituata, distante da tutto quello che l’unione con Draco l’avevano abituata.

Ma con i suoi Galeoni.
Dopotutto, non era quello che si era meritata, dopo tutti quegli anni passati insieme? Se l’era guadagnata, quella maledetta chiave, pensò fissandola. Aveva dovuto sopportare le recriminazioni di suo suocero quasi ogni giorno; aveva sopportato i commenti malevoli su di lei e sulla sua condotta di pensiero quasi ogni giorno; aveva sopportato suo suocero per anni, punto. E non si poteva di certo dire che Lucius fosse una persona facile, con cui avere a che fare, o che fosse semplice dialogare con lui.

Non puoi davvero credere che questo tipo di educazione sia meglio per mio nipote.
Quante volte, Astoria l’aveva sentito pronunciare quella frase? E quante volte, era dovuta rimanere in silenzio per non offendere la famiglia dell’uomo che aveva sposato? Quanti erano stati, i rospi che aveva dovuto ingoiare? Aveva perso il conto. Ma l’aveva fatto più che volentieri, per amore di suo figlio. Quale madre, non si sarebbe comportata come lei? La famiglia prima di tutto. Era così che la sua, di madre, l’aveva sempre educata. Non conosceva altre maniere per dimostrare il proprio amore verso Scorpius.
Ma anche Draco è parte della sua famiglia.
No, non più.

«A cosa pensi?» la voce di Terence la destò dai pensieri, e lei realizzò che ora era lui, la sua famiglia. Differenze.
«A Scorpius.» gli disse la verità. Sapeva che Terence era preoccupato quanto lei per quella situazione; e, come lei, amava quel bambino come se fosse davvero suo figlio, sebbene Astoria non avesse mai voluto che si incontrassero, trincerandosi dietro la patetica, menzognera scusa che Scorpius fosse troppo piccolo, per sapere la verità sulla separazione dei propri genitori.
Ma non era così. Era lei, ad avere paura. E se suo figlio non avesse accettato Terence nella sua vita? E se questo l’avesse messa di fronte ad un bivio, tra lui e suo figlio? E se Scorpius avesse semplicemente smesso di volerle bene?
Astoria era consapevole che esistevano troppi se e troppi forse, ma era altrettanto consapevole che il matrimonio con Draco non era altro che una farsa, una finzione alla quale si era abituata forse per comodità, forse per la paura di dover davvero fare i conti con la presenza di lei nel suo matrimonio.

Non mentire. Per questa volta, non mentirmi. Te l’ho detto, so a chi pensi quando ti corichi a letto prima di addormentarti accanto a me. So chi vuoi, e chi avresti voluto ci fosse al mio posto. Non c’è più bisogno di mentire.
Le parole che gli aveva rivolto risuonavano ancora nella sua mente. Non l’aveva accusato, non l’aveva attaccato, non l’aveva giudicato; non aveva fatto nulla di tutto questo. Gli aveva chiesto sincerità, ben sapendo che lui non avrebbe mai potuto dargliela, semplicemente perché lui era convinto di non possedere quella qualità.
Non sapeva quanto si sbagliava.
Lei se ne era accorta giorno dopo giorno, mese dopo mese ed anno dopo anno, della sincerità del marito. Non era palese, certo, ma niente di lui lo era. Aveva mascherato l’onestà dietro mille gesti; l’aveva elargita a poco a poco, mischiata alle notti insonni di lui e che a quel tempo Astoria non aveva compreso, e nemmeno Draco; l’aveva infine sfoderata il giorno in cui lei se n’era andata da Villa Malfoy, lasciandola semplicemente andare via. Ma nemmeno allora, lui l’aveva riconosciuta, la lealtà. Non nei suoi confronti, questo no, ma verso di lei.
L’altra donna che suo marito non era mai riuscito a togliersi dalla mente, la cui presenza aleggiava come un fantasma dispettoso sul suo matrimonio, minacciandolo costantemente. Ma lei vi aveva posto rimedio, non volendo più essere pietrificata in un’unione che aveva smesso di sentire viva da molto tempo.
Gli aveva fatto un favore, e ben presto se ne sarebbe accorto anche Draco, scegliendo di lasciarlo. Non perché non amasse davvero l’uomo che ora la teneva stretta tra le braccia, ma perché sentiva - voleva, desiderava - che anche Draco avrebbe dovuto avere la possibilità di conoscere davvero quel sentimento che non aveva mai potuto assaporare, e che non l’aveva mai effettivamente toccato.
«Ti amo. Lo sai questo, vero?» mormorò piano Astoria. Lui annuì, stupito da quella domanda.

L’amore.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

Non aveva avuto il tempo necessario per rendersi conto di quello che stava succedendo.
Un momento prima, Hermione vedeva solo Malfoy davanti a lei, e poco dopo quest’ultimo era stato sostituito dalla sua bacchetta. Gliela stava puntando contro, e lei si maledì per essersi lasciata Disarmare. Come avrebbe potuto rispondere, se Malfoy avesse deciso davvero di attaccarla? In che modo si sarebbe potuta difendere, se la sua, di bacchetta, era metri e metri lontano? Poteva sempre Appellarla, ma Malfoy e la sua bacchetta le erano talmente vicini che dubitava di fare in tempo anche solo per iniziare l’incantesimo.
Ecco cos’era, quella brutta sensazione che sentiva. Non sarebbe dovuta andare lì. E poi, tutt’un tratto, mentre fissava la bacchetta di Malfoy e mentre lui faceva lo stesso con la porta d’ingresso, capì.
Capì il perché Malfoy sembrasse così gentile nei suoi confronti, capì il perché l’elfo domestico l’avesse trattata quasi rispettosamente, capì perché Malfoy le aveva sconsigliato di bere il succo di zucca portatole dallo stesso elfo, capì perché non aveva fatto molte obiezioni quando lei gli aveva chiesto di vedere i sotterranei. Capì tutto.

Tu hai i tuoi motivi per esserti presentata qui, ed io ho i miei per essermi comportato in questo modo.
Hermione sgranò gli occhi, mentre il suo cervello cercava un modo di uscire da quel luogo e da quella situazione in modo da rimanere il più intatta possibile, riflettendo sui probabili motivi di Malfoy. Sull’unico possibile motivo che poteva aver avuto : consegnarla a suo padre. Dopo Bellatrix, anni prima, stava forse per finire ora nella mani di Lucius Malfoy?
No, questo non sarebbe riuscita a sopportarlo.
«Stai sbagliando, Mezzosangue.» le mormorò Malfoy, ed Hermione si chiese quando lui avesse ripreso a fissarla. «Per quanto mi piacerebbe  non sono così… Serpeverde da fare quello che stai pensando.»
Lei alzò lo sguardo dalla sua bacchetta, chiedendosi se i suoi pensieri gli erano così palesi, e lo puntò negli occhi del biondo sentendo che le voci al piano di sopra si stavano avvicinando sempre di più.
«Sarai sempre un Serpeverde, Malfoy. Non puoi cambiarlo.»
Negli occhi di lui passò un lampo, qualcosa di indefinito che nemmeno Hermione riuscì a decifrare. Forse… rabbia? Il biondo bisbigliò qualcosa che lei non riuscì a sentire. La bacchetta di Malfoy tornò su di lei, ma era preparata a tutto meno all’incantesimo che le fece.
«Desilludo.» mormorò un attimo prima che la porta del sotterraneo si aprisse e che Lucius Malfoy facesse il suo solito trionfale ingresso. Merlino, quell’uomo aveva davvero bisogno di una dose immediata di umiltà, pensò scioccamente Hermione, concentrandosi poi sul tipo di incantesimo che le era stato fatto.

Disillusione.
Con tutti gli incantesimi esistenti, perché Malfoy aveva scelto quello? Avrebbe potuto permetterle di Smaterializzarsi, avrebbe potuto fare mille altre cose, ma aveva optato proprio per quello. Perché?
«Dov’è, Draco?» gli chiese Lucius, raggiungendo fulmineo il figlio. Si guardò intorno circospetto, alla ricerca forse di qualche indizio. «Sock mi ha detto tutto. Mezzosangue in casa mia!» alzò la voce, sguainando la sua bacchetta.

La bacchetta! Hermione si rese conto solo ora che era dall’altra parte della stanza, ancora visibile, a sua differenza. E se Lucius l’avesse vista, non avrebbe avuto più alcun dubbio che lei fosse ancora all’interno della Villa.
«Non ti aspettavo.» il Malfoy più piccolo finse stupore. «Che sorpresa.»
«Dov’è, Draco?»
«Non capisco di cosa stai parlando. Qui ci sono solo io.» mentì, sistemandosi silenziosamente meglio nel punto in cui aveva nascosto Hermione. Cercava davvero di… nasconderla?
«E poi, ti sembro il tipo di persona  che farebbe entrare qui un Mezzosangue?»
Il cipiglio di Lucius sembrò addolcirsi. «No, certo che no. Sock…»
«È uno stupido elfo domestico. Cosa vuoi che ne possa sapere?» ribatté il Malfoy piccolo.
Hermione seguì quello piccolo scontro verbale senza perdersi una parola, capendo davvero solo in quel momento perché Malfoy più le avesse fatto esattamente quell’incantesimo.
Voleva che ascoltasse tutto. Voleva che vedesse, tutto quanto. Ma perché? Questo ancora non era riuscito a capirlo. Ma, come aveva avuto modo di appurare anche in passato, ad Hogwarts, capire le ragioni di un qualsiasi gesto di Malfoy era un’impresa ardua.
«Ho letto la Gazzetta, stamani.» Lucius cambiò improvvisamente discorso. Ecco da chi aveva preso il figlio, pensò Hermione. «Non dovevi, Draco.»
«Diciamo che quello che volevamo erano due cose differenti. Non potevamo conciliarle.» Draco alzò le spalle come se stessero parlando del tempo, e non di un matrimonio andato in frantumi.
«Talvolta, però, bisogna… sforzarsi. Le cose non vanno sempre come vorremmo. Tu dovresti saperlo.» Lucius si decise a mettere via la sua bacchetta all’interno del mantello che indossava. «I Greengrass sono una delle poche famiglie di Purosangue rimaste libere, Draco.»
Hermione vide le spalle di Malfoy irrigidirsi al commento di suo padre, e si irrigidì a sua volta, suo malgrado stupita dal commento di Lucius. Supremazia Purosangue… che sciocchezza.
«Abbiamo già Scorpius.» commentò. «I Malfoy continueranno ad essere puri, come hai sempre voluto.»
«Sai cosa avrei voluto, Draco? Molta più purezza.» Lucius superò Draco e si avvicinò pericolosamente ad Hermione, che fu costretta a anche a trattenere il respiro pur di evitare che la scoprisse.
«Astoria non…»
«Lo so.» lo interruppe il padre, guardando attentamente nel punto dove Hermione era stata nascosta. «So che non è colpa tua. Ma era un unione voluta da entrambe le famiglie, Draco. Sareste potuti essere perfetti, se aveste continuato la convivenza.»
«Non era più possibile.»
«So anche questo. L’altro Purosangue.»
Il Malfoy più piccolo annuì convinto. Forse fin troppo, secondo Hermione. Lucius si avvicinò a suo figlio, e gli posò una mano sulla spalla. «Non ti dirò che hai agito bene, Draco. Il matrimonio è una cosa seria, perfino per noi. Soprattutto per noi. Ma a tutto c’è rimedio.»
Malfoy alzò la testa di scatto, fissando suo padre. «Non credo che…»
«Quello che credi tu non mi interessa, Draco.» minimizzò Lucius. «Non ha alcuna importanza. Ora, ho già parlato con i genitori di tua moglie, ed abbiamo deciso che voi due torniate insieme, com’è giusto che sia tra un marito ed una moglie. Le tue obiezioni sono inutili.» aggiunse quando suo figlio era sul punto di ribattere. «Non sei ancora il capofamiglia, Draco. Decisioni di questo tipo non spettano a te.»
Hermione udì chiaramente il momento in cui il Malfoy giovane digrignò i denti, e strinse i pugni, e non poté non sentire almeno un briciolo di pietà, per il biondo che aveva davanti. Non l’avrebbe mai confessato, ma era davvero dispiaciuta per lui.
«No.» una parola pronunciata seccamente interruppe il silenzio nella stanza. «Non lo farò.» si oppose, e suo padre lo guardò chiaramente infuriato.
«Non sono più un bambino. So prendere da solo le mie decisioni già da molto tempo, e questa volta, mi dispiace dirlo, non coincidono con le tue. Anzi, no, non mi dispiace affatto. Non starò qui a farmi trattare ancora da quella marionetta che hai sempre pensato che fossi. Una volta, forse, ti avrei obbedito e seguito ciecamente, credendo in ciò che credevi tu, perché lo immaginavo giusto. Perché tu, mi hai fatto credere che era giusto.» prese un respiro, ed Hermione vide il tremito, che sembrava scuotergli tutto il corpo, aumentare.
«Al contrario di quanto credi, non spetta di certo a te prendere una decisione sull’unione tra me ed Astoria. È già stata presa, da entrambi, e nessuno dei due ha l’intenzione di tornare indietro, né l’avrà mai.» Draco sfidò suo padre, contraddicendolo davanti a testimoni. Ma questo, Lucius non poteva saperlo. «Il matrimonio con lei è finito. Non torneremo indietro.»
Lucius gli si avvicinò fulmineo, l’età non sembrava dargli alcun impedimento. O forse era la rabbia, che lo faceva muovere così velocemente?
«Non osare sfidarmi, Draco.» lo minacciò. «Potresti pentirtene.»
Il figlio lo guardò stupito, in viso quel ghigno di strafottenza che Hermione aveva sempre detestato. «Sono un Malfoy. Non puoi farmi nulla di peggio di quello che mi hai già fatto.» gli mostrò il braccio, dove il Marchio Nero faceva ancora mostra di sé. Non l’aveva mai voluto togliere, quel tatuaggio, perché gli dimostrava quanto una persona poteva cadere in basso pur di compiacere il proprio padre. O qualcun altro.
«È un onore averlo, Draco.»
Lui rise. «Ne sei certo? Quanti Mangiamorte, esattamente come te e me, sono stati imprigionati dopo la guerra, perché avevano quello che definisci onore
Sul viso di Lucius si dipinse una smorfia disgustata identica a quella di Hermione, ma le motivazioni erano diverse. «Non è questo che ti ho insegnato. Non è così, che un Malfoy si comporta.»
«A volte non si ha scelta.»
«O non la si cerca.» ribatté il padre. «Ti incontrerai con tua moglie domani, le chiederai perdono per quello che hai fatto e le dirai di tornare qui. Fine della storia.»
Non attese che il figlio gli rispondesse, e si Smaterializzò via. Hermione attese che le togliesse l’incantesimo con il quale l’aveva nascosta, per andarsene velocemente da quel luogo, ma il biondo non sembrava muoversi.
«Malfoy.» lo chiamò, ricordandogli la sua presenza. Lo vide girarsi di scatto, dimentico che non era solo, e ciò che lei vide sul suo viso gliela fecero provare davvero, la pena cui pensava prima. C’erano scintille di odio nei suoi occhi, e tracce di impotenza sul suo viso. Fece un gesto con la bacchetta, ed Hermione tornò finalmente visibile, per sua gioia.
«Vai via, Mezzosangue.» le suggerì stanco. Aveva davvero la voce rotta? «Non avresti dovuto sentire.»
«Non dovevi farmi quell’incantesimo, allora.» ribatté lei, avvicinandosi a lui. «Tu hai voluto che sentissi, Malfoy. Quello che mi chiedo è il motivo.»
«Non sono quello che tutti credono.» si ritrovò a mormorare, ignorandola quasi, ma lei lo sentì benissimo. «Mio padre non accetta che qualcuno la possa pensare diversamente da lui. Quello di cui mi ha fatto circondare, fin dalla mia nascita, non è nient’altro che malafede. D’altronde, il mio cognome dice tutto, non è vero? Malfoy. Malafede. Forse è davvero destino.» si trovò a sorridere, amaro.
«Lasciatelo dire, tuo padre è un imbecille.» Hermione non ce la faceva, a vederlo così - pena - e gli confessò ciò che pensava di Lucius. Una minima parte, almeno. «Un despota imbecille, che non ha alcun diritto di dire la sua sulla vita di suo figlio, né dovrebbe avere l’arroganza di comportarsi in quel modo. E dire che voi Purosangue vi credete così superiori… Lucius di certo non ha dato un esempio, di superiorità.»
Malfoy la guardava in un modo strano. Era abituata all’odio ed all’astio nei suoi confronti, non di certo a… a qualsiasi cosa ci fosse riflessa in quegli occhi.
«Non credevo di dirlo.» esordì lui. «Ti ammiro, Mezzosangue. Di certo non le mandi a dire, le cose.»
«Ho imparato che nella vita bisogna andare a testa alta.»
«Sai, al contrario tuo, nessuno me lo ha mai insegnato davvero.» le confessò, facendole cenno di seguirla al piano di sopra ed Hermione accettò più che volentieri, ansiosa di lasciare quel sotterraneo. Era buio, troppo buio.
«Cosa significa?» gli domandò, una volta seduta sulla stessa poltrona che le aveva indicato l’elfo domestico. L’elfo… «Perché il tuo elfo si chiama Calzino?»
Il biondo parve spiazzato da quella domanda improvvisa, ma fin troppo presto tornò il solito irritante Draco Malfoy che aveva sempre conosciuto. «Davvero non riesci ad immaginarlo? Fruga nella tua memoria, Mezzosangue.»
Hermione aggrottò le sopracciglia, non capendo a cosa si riferisse, o tra cosa dovesse cercare.
«E pensare che eri una delle streghe più intelligenti di Hogwarts.» la prese in giro senza cattiveria. Forse per la prima volta da quando si conoscevano. «Ti ricorda nulla, il C.R.E.P.A.?»
Fu grazie al suggerimento di Malfoy, che Hermione comprese. «Sì. Era il Comitato per la Riabilitazione…»
«Degli Elfi poveri e Abbruttiti.» finì lui al posto suo, e lei si scoprì piacevolmente sorpresa, nel constatare che uno come Malfoy potesse ricordarsi, a distanza di anni, una cosa quale il C.R.E.P.A. «Una delle cose più assurde che siano state inventate.»
Hermione si impuntò, colta nel vivo. «È stata utile, invece. A suo modo.»
«Andiamo, Granger. Sono solo degli elfi… sono nati per obbedire, non per essere liberi.» ribatté lui. «Succo di zucca? Prometto che questa volta, Sock non c’entra.» le offrì un bicchiere, e questa volta Hermione si chiese se era davvero solo succo di zucca. Il biondo, però, le sembrava sincero. Non aveva alcun motivo di mentire, non ora, non dopo tutto quello che lui aveva voluto che lei sentisse. L’accettò.
«Perché hai voluto che rimanessi a sentire, Malfoy?» non se ne sarebbe andata di lì fino a quando non avrebbe avuto una risposta soddisfacente.
Il biondo alzò le spalle, fingendo indifferenza. Ma indifferenza non sentiva. «Non saprei, Granger. Forse perché, per una volta, volevo che una persona - qualsiasi persona - sapesse davvero che tipo è Lucius Malfoy.»
«Credimi, Malfoy, lo sappiamo già.»
L’altro scosse la testa, ingollando il contenuto del suo bicchiere. «Non è così. Voi conoscete solo quello che lui vuole mostrarvi.»
«Da quello che ho visto, non è poi così differente dalla realtà.»
«Non è solo una questione di sangue, Granger.» ribatté il biondo. «Quello è relativo. Sì, lo è anche per noi.» aggiunse, accorgendosi dell’espressione stupita di Hermione.
«O almeno, lo è per me, e per Astoria. Lei è come te. Non crede che né i Mezzosangue, né i Babbani siano inferiori a noi. È così che abbiamo sempre voluto educare Scorpius.» le confessò. «Tutti sono uguali, nella loro diversità.»
«Quindi lo ammetti, che c’è davvero una differenza.»
«Te l’ho detto, Granger. Il sangue è relativo.» negò lui. «Non è ciò che scorre nelle vene, a poter dimostrare se una persona è davvero superiore.»
«Tuo padre sembra pensarla diversamente, però.»
«Tu stessa hai detto che è un imbecille. A differenza dello stupido, inizio a pensare che lui lo sia davvero.»
Hermione sorrise, stupendosi ancora una volta di come le persone potessero cambiare. Meravigliandosi di come Malfoy potesse cambiare, differenziandosi da quello che aveva conosciuto ad Hogwarts. «Credevo fossi d’accordo con lui.»
«Malfoy, ricordi?»  si indicò. «La malafede è collegata a noi.»
«Non a tutti, i Malfoy.» commentò lei, riconoscendo solo ora ciò che aveva visto riflesso negli occhi del biondo.

Ammirazione.  
«No.» concordò lui. «Non a tutti. Ad ogni modo, spero che la visita ai miei sotterranei ti sia stata d’aiuto.»
Hermione si alzò, intuendo che doveva congedarsi. «Non esattamente, Malfoy, ma mi accontento. Spiegami una cosa, però. Perché i dipinti della tua famiglia sono lì sotto?»
Malfoy alzò nuovamente le spalle. «Mi ero stancato di vederli in giro.»
La sua risposta non la convinse, ma rifletté che in fondo non erano affari suoi e lasciò perdere. «Grazie per il succo di zucca, e per i sotterranei. E per la chiacchierata.»
Il biondo si voltò nella sua direzione, sul volto l’ennesimo enigmatico sorriso pari solo a quello di Monna Lisa. «Inutile dirti, Granger, che Sock non ne sarà contento se dovesse rivederti un’altra volta.»
«Vedrò di evitarlo, in futuro.» ribatté lei, ricambiando inconsciamente il sorriso che le veniva rivolto. Si Smaterializzò verso casa, non prima, però, di aver udito chiaramente il proprio nome.

Pronunciato da Malfoy.

 

 

 




 

Note. 

Breve precisazione, questa volta.
Il Terence - l’altro Purosangue - con il quale Astoria compare all’inizio del capitolo altri non è che Terence Higgs, Cercatore della squadra di Quidditch dei Serpeverde dal 1991 al 1992, prima che il suo posto venisse alternativamente preso proprio da Draco, grazie al generoso zampino di Lucius. Per altre info sulla squadra, andate qui.
Per quanto riguarda Sock, il calzino dal quale prende il nome si riferisce sì, al C.R.E.P.A, ma più esattamente da uno degli indumenti che Hermione dissemina in giro per Hogwarts al quarto anno, nella speranza che qualche elfo possa impossessarsene e diventare libero. Peccato che Dobby li abbia voluti tutti per sé…

Grazie per essere arrivati fin qui.

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Capitolo 4
*** Compromessi ***


Compromessi















«Hogsmeade
L’altra alzò indifferente le spalle. «Pensavo fosse più facile.»
«I Tre Manici di Scopa
«Avevo voglia di qualcosa di forte, e qui ce l’hanno.»
«Hogsmeade
«Questo l’ha già detto. Non crede di essere ripetitiva?» le chiese, ordinando la seconda Acquaviola. Non era una bevitrice usuale, e quella era il massimo che voleva sopportare.
«Non capisco.» ammise. «Perché?»
La rossa alzò gli occhi al cielo, sospirando forte. Forse aveva torto, pensò cambiando idea. Tutti erano stupidi.
«Non se lo immagina, Malfoy?»
L’altra strinse gli occhi al sentire il suo cognome pronunciato così aspramente e scelse di ripagarla con la stessa moneta genealogica che aveva usato lei. «Illuminami, Potter.».
«Lo ha letto.» la informò. «Come mi aveva chiesto di fare. Non capisco bene il perché, comunque, ed anzi credo che dovrei saperlo dato che c’è di mezzo la mia famiglia.»
«A tempo debito, lo sapranno tutti.»
«E non crede, Narcissa, che abbia qualche diritto in più, anche per il solo fatto di averla cortesemente aiutata?»
Lei ci rifletté su, e suo malgrado si vide costretta a darle ragione. «No, non lo credo. Ma te lo dirò comunque.»
Ginny Potter ascoltò in silenzio le parole che Narcissa snocciolava, evitando di interromperla per fare domande che l’avrebbero aiutata a capire meglio l’intera faccenda. L’altra finì di parlare dopo vari minuti, e nonostante le molteplici domande che le affollavano la testa, la bocca decise per conto suo.
«È mio fratello.»
«E lui è mio figlio.» ribatté Narcissa. «Non posso più tollerare che sia così.»
«Perché proprio adesso?» le domandò Ginny. «Per la separazione?»
«No.» Narcissa scosse la testa. «Quella è stata solo un colpo di fortuna, ma non c’entra nulla. Non fraintendere, è ovvio che non sia felice per il matrimonio fallito di Draco, ma non posso evitare di pensare che tutto accada per una ragione, la quale non ci è data sapere. Mio figlio ha sofferto molto, negli anni. Non voglio che stia male più.»
Ginny si ritrovò a guardarla, improvvisamente intenerita da quello slancio di maternità, e si chiese cosa avrebbe fatto lei, se si fosse dovuta trovare nei panni di Narcissa. Non che volesse effettivamente trovarcisi, naturalmente…
«Non lo so. Voglio bene a mio fratello. È parte della mia famiglia.»
«E Draco è l’ultimo pezzo della mia che mi resta.» ribatté piano Narcissa. Ginny le ricolse uno sguardo confuso. E Lucius? «Ho errato troppe volte, ed altrettante me ne sono pentita. Questa volta non voglio sbagliare, e per quanto mi costi ammetterlo - e credimi, mi costa davvero molto - ho bisogno del tuo aiuto.»
Se non avesse provato davvero tenerezza nei confronti della donna che aveva di fronte, sicuramente si sarebbe messa a ridere nel sentire che Narcissa - Narcissa Malfoy! - aveva bisogno di lei. Ma comunque non poteva dirle di no, Arthur e Molly soprattutto l’avevano educata in un certo modo. Aiutare, dare una mano a chi la chiede. Senza domandare nulla in cambio.
«Perché io?» le chiese, sinceramente confusa. «Perché si è rivolta proprio a me?»
Narcissa non le rispose subito : preferì prendersi qualche istante per organizzare meglio le parole. «I Weasley non sono poi così male. Certo, per quanto possa esserci di meglio - e ce n’è molto, in giro - è anche vero che ci sono persone molto peggiori.»
Ginny alzò le sopracciglia, non credendo alle sue orecchie. «Sarebbe un complimento?»
Narcissa sorrise, guardando il bicchiere davanti a lei. «Certo che no. Non sono ancora nelle condizioni per fare in modo che mi sfugga un complimento ad una dai capelli rossi.»
L’altra ricambiò il sorriso che non le veniva espressamente rivolto, pensando che se non fossero state in netta antitesi, probabilmente le sarebbe perfino parsa simpatica, la Malfoy.
«Naturalmente no.» si limitò a commentare Ginny. «Non le prometto di accettare tutto senza fiatare, ma farò il possibile per quel che mi riguarda.» acconsentì. «Cosa vuole che faccia?»












***












Inutile dirti, Granger, che Sock non ne sarà contento se dovesse rivederti un’altra volta.
Vedrò di evitarlo, in futuro.

Hermione.
Hermione.

Hermione…
L’aveva davvero chiamata per nome?

Draco si lasciò cadere nuovamente sulla poltrona, coprendosi gli occhi con un braccio. Come aveva potuto chiamarla per nome? Cosa gli era passato nella mente?
Scoprì il viso ed iniziò a guardare distrattamente per il salone. Non poteva averlo fatto davvero. Non lui, non Draco Malfoy. Era già abbastanza strano il fatto che avesse accettato di farla entrare in casa, sotto gli occhi degli elfi domestici e per fortuna non sotto quelli di suo padre, ma arrivare a chiamare la Mezzosangue per nome… sperava solo che lei fosse riuscita a Smaterializzarsi prima di sentire - non poteva definirlo diversamente - l’errore che aveva commesso. Non ci aveva dato peso, il nome della Mezzosangue era uscito dalle sue labbra senza pensarci. Con naturalezza. E non se ne capacitava.
Cos’era successo, a tutti quegli anni di litigi, offese, dispetti e mille altre cose che lui le aveva rivolto, e che lei aveva prontamente contraccambiato?

Perlomeno, nessuno della squadra di Grifondoro si è dovuto comprare l’ammissione. Loro sono stati scelti per il talento.
Nessuno ha chiesto il tuo parere, sporca Mezzosangue.
Tu! Brutto perfido lurido schifoso scarafaggio!

Il dolore del pugno sul naso se lo ricordava ancora, si ritrovò a pensare mentre un sorriso sinceramente divertito spuntava sulle sue labbra. Oh, come l’aveva fatta arrabbiare, quella volta! L’aveva provocata; l’aveva fatta infuriare infinite volte; le aveva rivolto nomi ed insulti decisamente poco carini nei confronti di una ragazza, ma che all’epoca suonavano perfetti per uscire dalla sua bocca; eppure non ne aveva mai compreso il motivo.
Lucius gli aveva sempre detto che i Babbani ed i Mezzosangue erano ad un gradino molto inferiore della scala sociale rispetto al loro essere Purosangue. Draco si chiese se questo bastasse per nutrire un odio così forte nei confronti di qualcuno che - si rese conto solo ora - non aveva mai effettivamente conosciuto. No, si corresse, non aveva mai voluto conoscere, sicuro che le parole ed il pensiero di suo padre fossero giusti e corretti. Insindacabili. Ma l’odio che aveva sempre provato nei confronti di chiunque non fosse puro di sangue, bastava a giustificare il suo comportamento? Si chiese se non ci fosse realmente dell’altro, dietro. E se l’odio non fosse altro che semplice terrore? Terrore di finire contaminato dalla gentilezza che vedeva sempre in quella Mezzosangue?

La sua Mezzosangue.
Quel pensiero sfrecciò fulmineo nella sua testa, e sentì il sangue defluire dal suo viso, facendolo sbiancare ancora di più, mentre il sorriso che aveva mantenuto fino ad allora gli si gelò sul volto. Possibile che… 
Credi che sia cieca, Draco? Credi che, dopo tutti questi anni, non abbia davvero capito?
Non mentire. Per questa volta, non mentirmi.
È questo il punto, Draco! Ha tutto a vedere con lei.
Ti conosco. So come sei fatto. So come pensa la tua mente. So a chi pensa. 

Possibile che Astoria avesse avuto davvero ragione, su di lui? Dopotutto, gliel’aveva fatto capire chiaramente, quando l’aveva lasciato. E non cominciava ora a capirlo anche lui, forse? Tutte quelle domande, quando rientrava tardi a casa, o quando era di malumore, o quando rientrava tardi a casa di malumore
Dove sei stato, Draco? Perché sei arrabbiato, Draco? Pensavi a lei, Draco?
Astoria l’aveva sempre saputo, realizzò improvvisamente. Lo sapeva, forse anche da prima che si sposassero. Ed allora perché l’aveva fatto comunque?
Credi davvero sia stato per amore, Draco? Perché ti amavo?
Sai, per alcuni di noi il nome Malfoy conta ancora qualcosa.
La gente cresce. Matura. E, a volte, cambia idea. È accaduto anche a te, dopotutto.

Si domandò se fosse davvero così. Aveva veramente cambiato semplicemente idea? Era un Malfoy, diamine. Non poteva cambiare idea, non su una cosa così importante.
Oh, non sei così importante da poterti dedicare parte del mio tempo, Malfoy.
Non credevo di dirlo. Ti ammiro, Mezzosangue.

O forse sì?
Fu come se qualcuno gli avesse rivolto un Incantesimo Illuminante : improvvisamente, tutto gli fu chiaro. Non c’erano più ombre, non c’erano più dubbi, non c’era più alcuna incertezza. Aveva davvero cambiato idea. Fino ad allora non ci aveva mai dato peso, preferendo convincersi che era colpa del tempo che era cambiato. Voldemort era stato sconfitto, i Mangiamorte non esistevano più, nessuna distinzione tra puro e sporco, il mondo magico era finalmente libero, eppure lui sembrava essersi cristallizzato in quel periodo, nonostante l’educazione scelta di comune accordo con Astoria verso Scorpius.
Più nessuna differenza, più nessun divario tra una classe e l’altra. Non c’era più nessuna di queste cose. Era sempre stata una questione di sangue? Era davvero così importante come suo padre tanto amava credere, come lui stesso aveva sempre creduto, qual era il tipo che scorreva nelle vene? In fondo, il sangue è uguale per tutti. Ed allora perché sarebbe dovuto essere un divario così importante tra lui e la Granger?

Oh, non sei così importante da poterti dedicare parte del mio tempo.
La sua Mezzosangue.

Sentì un crack provenire dalla sua sinistra, e le sue spalle si rilassarono quando si accorse che si trattava semplicemente di Astoria, ma il suo volto rimase tirato. Sua moglie lo guardò in volto, e sul suo spuntò un sorriso. Non era derisorio né di scherno, e Draco se ne stupì. Era semplicemente un sorriso.
«Ce l’hai fatta.» mormorò, appropriandosi di una poltrona. «Hai impiegato meno tempo di quanto avessi preventivato, Draco. Lei dev’essere stata qui. Sì, non c’è altra spiegazione.»
«Da quanto?» la sua voce era intenzionalmente secca. Non permetteva che nessuno potesse prendersi gioco di lui, nemmeno Astoria.
«Da tanto, Draco.» gli rispose. Lui si era aspettato furia, incantesimi e fatture e magari anche una Maledizione Senza Perdono, ma lei non gli aveva lanciato nulla di tutto questo. Si era limitata a sorridere tranquilla. «Può essere difficile da superare, nell’immediato. Per me lo è stato. Ma poi ho capito. Non si sceglie chi amare.»
«Tu e Terence…»
«Non stiamo parlando di me.» lo interruppe lei, per nulla meravigliata che fosse venuto a conoscenza del nome dell’altro. «Non ti rimprovero nulla. Questo te l’ho già detto. Non riuscivi a comprendere, ma sono felice di sapere che ora l’hai fatto. Con i tuoi tempi, certo, ma l’importante è arrivare, giusto?»
«Perché?»
«E lo chiedi proprio a me?» Astoria rise. «Dovrei fartela io, questa domanda. Non spettava a me dirtelo, Draco. In fin dei conti, sono sempre tua moglie
«Non volevo che finisse così.» si ritrovò a mormorare lui, citandola e prendendosi il volto tra le mani. Astoria gli si avvicinò, stringendogli le spalle con entrambe le braccia.
«Non puoi scegliere chi avere affianco. Alla fine, non è la testa a prevalere.» gli fece notare. Il tono di voce di sua moglie era calmo, e forse era questo che gli faceva più male. O era forse il sentirsi impotente?
«È una Mezzosangue.»

La sua Mezzosangue.
«Sciocchezze.» ribatté lei. «Il sangue non dev’essere l’unica cosa ad avere importanza.»
«Mia madre…»
«Ti ama molto di più di quanto tu stesso non creda. Vuole che tu sia felice, come qualsiasi madre.»
«E mio padre…»
«Non ho mai voluto dirtelo, Draco, per rispetto nei tuoi confronti, ma ora posso finalmente farlo. Tuo padre è un imbecille.»
Draco si ritrovò a sorridere, e quel sorriso si tramutò presto in una risata. «Sai, lei ha detto lo stesso. Poco fa.»

Oh, non sei così importante da poterti dedicare parte del mio tempo. Anche questo, aveva detto. Lo credeva davvero?
«Se lo dicono due persone una dopo l’altra, allora dev’essere vero.» commentò lei, e poi si fece seria. «Devi scendere a compromessi, Draco. Se è lei quella che davvero vuoi, devi farlo. Non puoi avere tutto insieme : nome, rispetto, denaro ed anche lei. L’amore talvolta è rinuncia.»
Ma era anche possessione, e gelosia, e controllo smisurato dell’altro. La sua Mezzosangue.
Avrebbe voluto chiederle a cosa aveva rinunciato lei, ma si trattenne. Aveva paura della risposta che Astoria avrebbe potuto dargli.
«Lo so. Non è semplice.»
«Sei tu a volere che non lo sia, Draco.»
«Forse.» concordò. «Sta di fatto che però lei è sposata.»
«E quindi? Lo sei anche tu, tecnicamente.» ribatté lei. «Posso capire che non vuoi rovinarle il matrimonio con quel rosso, ma - e qui sono costretta a ripetermi - se davvero la desideri, non puoi fare altrimenti.» fece una piccola pausa, forse per permettergli di capire meglio le sue parole. E per comprenderle meglio lei stessa.
«Ho capito. Tu temi che per lei non sia lo stesso. Bisogna rischiare, talvolta, per ottenere quello a cui si aspira. Compromessi
Draco la guardò in silenzio, meravigliandosi di come fosse diventato facile leggerlo senza utilizzare la Legilimanzia. Era così per tutti o era una cosa riservata a lei, e alla Mezzosangue?
«Compromessi.»
«Esattamente. A volte sono necessari.»
Draco annuì, guardandola. «Sì. A volte lo sono.»
Astoria gli parve pensierosa, e poco dopo ne capì il motivo. «Vorrei incontrarla.»
Draco alzò le spalle, non potendo evitare di mostrarsi stupito da quella richiesta, seppur comprensibilissima. Ultimamente lo faceva molto più spesso, quel gesto, si ritrovò a notare. «Nessuno te lo vieta, Astoria.»
«Non adesso.» lei scosse la testa. «Ora non avrebbe senso farlo. Quando ti sarai deciso. La vorrei incontrare allora.»
Lui la guardò meravigliato. «Credi sia davvero così importante?»
«Cosa, lei o il volerla conoscere?» gli domandò con naturalezza. Non poteva sentire altro che affetto nei confronti di suo marito. L’espressione sul viso del biondo rispose al suo posto. «Oh, intendi lei. Di nuovo, questo dovresti dirmelo tu. Non posso rispondere al tuo posto, ma dati gli anni che abbiamo trascorso insieme, secondo me lo è. E poi, ammettiamolo, è intelligente.»

E con la lingua sinceramente sciolta, oltre che orgogliosamente testarda. Ed in grado di tenergli testa come mai nessun’altra ci era mai riuscita con lui. E l’ammirava, per questo. La sua Mezzosangue.
«Ad ogni modo, sono qui per altri motivi.» deviò il discorso e non perché non voleva sapere altro, sulla donna che era riuscita a conquistarsi il cuore di suo marito, ma perché aveva lasciato a malincuore - molto, a malincuore -  Terence a casa di lui, dove lei si era momentaneamente trasferita. E non voleva lasciarlo troppo a lungo da solo.
«Lo so. Mio padre è passato di qui.»
«Ti avrà informato, quindi, che ha parlato con i miei genitori, e che è suo desiderio che questo matrimonio prosegua.»
«Sì.» confermò stancamente. «Ti avrei cercata domani, ma ormai sei qui. Gli ho detto chiaramente che non era affatto una buona idea.»
Fu Astoria, questa volta, a essere stupita. «Vuoi dire che Lucius sa di te e della Weasley?»

Oh, non sei così importante.
«Non c’è nessun me e la Weasley, Astoria.» ribatté pronto lui, seccato per quella frase che continuava a pensare. «E comunque, no, non credo sappia nulla. Anche se mia madre qualcosa penso che l’abbia intuito.»
Astoria annuì, ma preferì non commentare. «Capisco. Sono d’accordo con te, però. Nemmeno io credo sia una buona idea, continuare questo matrimonio.»
«Farsa.» mormorò lui piano, ed il viso confuso di Astoria lo costrinse a ripetersi a voce più chiara. «Farsa. Così, l’hai chiamata.»
L’espressione di sua moglie si rilassò. «Ero… ero… non so nemmeno io cos’ero, Draco. Arrabbiata? Furiosa? Stanca? Non lo so. La parola che ho usato non…»
«Avevi ragione.» la interruppe. «Era solo una commedia. E non perché non ti volessi bene.»
«Non mi amavi, Draco.» ribatté lei, per nulla arrabbiata. «Voler bene ed amare sono due cose diverse.»
«Lo ami?» le domandò di getto, senza riflettere. Non aveva più paura delle sue possibili risposte. Ora lo sapeva. Solo adesso lo aveva finalmente accettato.
«Sì.» il viso di Astoria si addolcì. «È bello, sai? Amare qualcuno. Ti fa stare bene.»
«Per quello, Astoria, c’è pur sempre il Whisky Incendiario.» ribatté, stemperando la serietà di quella conversazione. Non gli erano mai piaciute le cose drammaticamente serie, sebbene tutta la sua vita era stata una successione di drammi e cose serie. Vedeva sua moglie fare il possibile per trattenersi, le smorfie sul suo viso erano davvero comiche, ma alla fine non ce la fece. Scoppiò a ridere, e lui la seguì ben presto, evocando una bottiglia di quel liquore.
«Sei diventato divertente, Draco?» gli chiese, tra un colpo di tosse e l’altro. «La Weasley deve davvero farti bene, allora. Certo, a meno che tu non ti voglia votare ad una vita da alcolizzato. Oh, già mi immagino la faccia di Lucius!» rise ancora, quasi incapace di smettere.
Era strano trovarsi lì a ridere insieme, pensò Draco, guardando sua moglie. No, moglie non più. Non era mai accaduto che fossero così tanto… qual era la parola? Complici. Doveva ammetterlo, sentire la risata di Astoria era piacevole. Si rabbuiò, pensando che non l’aveva sentita abbastanza spesso, in passato.

E qual era, la sua, di risata? Si trovò a domandarsi, rendendosi conto di non averla mai sentita, mai una volta in tutti quegli anni ad Hogwarts. Anche perché probabilmente, se l’avesse fatto, l’avrebbe di certo schernita e presa in giro, sicuramente davanti a spettatori. E lei l’avrebbe prontamente Schiantato. Draco sospirò, guardando velocemente a terra. Era stato davvero uno stronzo, a quei tempi.
Non sei così importante.
La sua Mezzosangue.

«Se non sapessi davvero di essere cresciuto, Astoria, lo farei solo per gustarmi l’espressione di mio padre.» sorrise ad un punto imprecisato del salone. Anche la Weasl… Hermione ne avrebbe riso? «La disgustata espressione di mio padre.» aggiunse, correggendosi.
«Piacerebbe anche a me, vederla.» commentò lei. «Ah, dimenticavo. Ti è arrivato il gufo dal Ministero?»
Il biondo annuì. «Sì, per Scorpius. Vogliono vederci entrambi domattina. Anche ad Hogwarts la prossima settimana.»
«A quanto pare, in questi giorni dovremo stare vicini.» commentò neutra Astoria.
«E te ne dispiace?»
«Credevo di sì.» ammise lei sinceramente. «Credevo che vederti così presto mi avrebbe fatta arrabbiare, ed innervosire. Ma invece non è così.»
«Devo ammetterlo, mi aspettavo non so quali fatture appena ti sei Materializzata.» confessò. «Ed in parti del corpo non propriamente baciate dal sole.»
«Oh, credimi Draco. La mia intenzione era proprio quella.» rise quando lo sguardo preoccupato di suo marito corse alla sua bacchetta stretta tra le dita. «Ma mi hanno fatto capire che non era il caso, di affatturarti. Terence, esatto. E poi, è probabile che la Weasley me l’avrebbe fatta pagare cara.»
«Vorrei incontrarlo anch’io, Astoria.» mormorò lui, ignorando volutamente l’ultima frase. «Voglio conoscere l’uomo che ha fatto innamorare mia moglie.»

No, moglie non più.
«Lo sai, vero, che sembra una cosa poco carina detta così?» gli fece notare. «Per me va bene. Glielo chiederò.»
«Cosa c’è?» le domandò lui, quando si accorse che Astoria lo fissava in una maniera strana.
«Sembri davvero cambiato, Draco. In così poco tempo.»
Lui scosse la testa, adocchiando la bottiglia di Whisky ancora integra. «Sono sempre lo stesso, Astoria.» ribatté. «Solo che qualcuno mi ha detto di scendere a compromessi, se desidero davvero qualcosa. Ed è quello che voglio fare, e che sto già iniziando a fare.»
«Mi dirai poi se quel qualcuno aveva ragione.» sorrise lei, frugandosi in tasca. Gli porse la chiave della Gringott. «Non ho preso nulla, Draco.»
Lui la guardò stupito. «Credevo che fosse questa, quella che volevi.»
«All’inizio, forse sì.» gli confermò. «Ma mi sono resa conto - o meglio, Terence me l’ha fatto capire - che prendere ciò che non è mio equivarrebbe a rubare, ed io non sono una ladra.»
«Lo sai che potevi farlo. Al contrario di quanto avevo detto, non me la sarei presa. Metà di quello che c’è lì dentro è tuo di diritto, Astoria. L’altra metà è di Scorpius.»
Lei lo guardò confusa. «E per te?»
«Io ho già tutto quello che potrei desiderare.» le rispose, indicandosi intorno. «Ho questa casa. Non vorrei niente di più.»
«Ma…»
«Va bene così, Astoria.» Draco la interruppe, agitò la bacchetta e due bicchieri apparvero; l’agitò nuovamente e questi si riempirono da soli. Ne prese uno, offrendo l’altro alla donna che era stata sua moglie. «Ai compromessi.»

Non sei così importante.
La sua Mezzosangue.

Sei così
«No, Draco.» lo corresse lei, accettando quel brindisi. Lo guardò negli occhi, ed in quelli grigi di lui non vide altro che tranquillità. «Ai cambiamenti.»
importante.












***












Le cose non sarebbero dovute andare in quel modo.
Non che fosse un male, che avessero seguito proprio quella strada, ma non era così che le aveva pensate quando aveva iniziato quel qualcosa di irrimediabilmente definitivo che a lungo aveva meditato e che solo ora aveva trovato il coraggio di fare.
Non c’era nulla, che non avrebbe fatto per lui. Non avrebbe esitato a mentire, e non avrebbe battuto ciglio di fronte alla collera di suo marito. A lungo andare, se ne sarebbe fatto una ragione. Certo, suo figlio ormai era un adulto, ma per lei sarebbe stato lo stesso bambino che piangeva per un gufo e che si credeva irrimediabilmente superiore agli altri, plasmato da suo padre a sua immagine e somiglianza.
Quanti errori che avevano commesso. Solo ora se ne accorgeva, ma per sua fortuna non era troppo tardi. Avrebbe potuto rimediare, poteva ancora…

Avrebbe fatto di tutto per lui.
Suo marito si Materializzò davanti a lei, livido in volto. Non aveva voluto che lo accompagnasse, sebbene immaginasse benissimo quanto avrebbe voluto stare vicino a suo figlio, ma non gliel’aveva permesso.
Queste sono cose che non ti riguardano. Non ti immischiare.
E lei aveva obbedito, come aveva sempre fatto fin da prima del loro matrimonio. Un altro errore irrimediabile. A distanza di anni, non poteva non considerarlo uno sbaglio di gioventù. Era stata accecata dalle sue lusinghe e dalle sue promesse di un mondo magico più selettivamente puro, ma allora era giovane. Non comprendeva bene a cosa sarebbe poi andata incontro. Ma ora sì, che lo capiva. E voleva rimediare. Aveva già cominciato a farlo.
Avrebbe fatto di tutto per lui.
Voleva che suo figlio fosse felice, realmente felice, conscia che nessuno più di lui lo meritasse. Non le importava quali carte avrebbe dovuto giocarsi, né di quali e quanti assi aveva ancora nella manica, ma se fosse stato necessario lei di certo non si sarebbe tirata indietro.
«Un solo figlio sei riuscita a darmi, ed è un misero inetto.» la accusò lui arrabbiato. Camminava avanti ed indietro per il salone sempre più furiosamente, incapace di fermarsi. Avrebbe potuto farlo lei, ma non voleva rischiare di farlo infuriare ulteriormente, più di quanto già non fosse.
«Un incapace. Un buono a nulla.»
«Lucius.»
«Un peso, ecco che cos’è!»
«Lucius.»
«Non è capace nemmeno di tenere in piedi uno stupido matrimonio.»
«Lucius.»
«Cosa vuoi?» si rivolse a lei alzando ancora di più la voce, innervosito per essere stato interrotto in quel suo così benevolo elenco di qualità su suo figlio. Lei non gli diede peso, ma non poté trattenere una smorfia seccata.
«È arrivata questa, per te. Dal Ministero.» gli porse una lettera consegnata pochi minuti prima che lei si incontrasse con la Potter. Lucius l’afferrò prontamente, stupito che qualcuno al Ministero potesse scrivergli.
«Il Ministero? Cosa vuole ora da me…» aprì la missiva e la scorse velocemente. «Perfetto. Hanno saputo ciò che è successo con tuo figlio.» sputò, accartocciandola e gettandola in terra. «Non so cosa io c’entri con questa storia, ma vogliono vedermi domattina.»
Narcissa attese che suo marito si allontanasse, prima di sincerarsi su ciò che vi era davvero scritto su quella pergamena.
 



Sig. Lucius Malfoy,
date le ultime vicissitudini accadute nella sua e nella famiglia Greengrass, il Ministero la convoca, tra gli altri interessati, per domattina alle ore dieci.


Le bastò leggere questo, per capire che ora poteva agire e comportarsi finalmente da madre. Aveva atteso anche troppo.
Avrebbe fatto di tutto per lui.
















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Capitolo 5
*** Nomi ***


Nomi















Quella sera, Draco faticava ad addormentarsi.
E non perché non fosse stanco : era convinto che appena la sua testa avesse toccato la morbidezza del cuscino ed il suo corpo il tepore delle coperte, sarebbe crollato nel sonno. Ma così non era stato, con suo enorme disappunto. Ed ora si ritrovava a fissare il soffitto da ore, incapace di chiudere gli occhi. Erano i suoi pensieri, a tenerlo sveglio. La sua mente vagava tra i ricordi di quella giornata, evocandone ogni singolo istante e facendogli rivivere ogni secondo, ogni parola pronunciata e sentita, e sembrava concentrarsi in particolar modo sulla serata appena trascorsa, passata in parte con Astoria.
Era stato strano stare così in sua compagnia. Draco non ci era affatto abituato, colpa delle numerose volte in cui aveva preferito lasciarla da sola in quella stessa villa, in compagnia di sé stessa, per fare altrettanto lui stesso. Ed ora, a stare da solo in quella grande enorme casa era lui. Quasi gli venne da ridere, al pensiero di come le circostanze si fossero rovesciate.
Doveva ammettere che, però, Astoria aveva ragione. Ogni singola parola che le era uscita dalla bocca corrispondeva al vero, ed ormai nemmeno Draco stesso poteva più negarlo. Non avrebbe più avuto senso farlo, pensò mentre si girava da una parte all’altra del letto.
Ma forse era solo la stanchezza, a parlare per lui.
Era stanco di sentirsi indicare la direzione da prendere, come se lui non avesse abbastanza giudizio da poter scegliere da solo; era stanco di sentirsi obbligato a soddisfare le aspettative dei suoi genitori, come del resto aveva sempre fatto fin dalla nascita; era stanco di non poter utilizzare quell’organo che era il cervello nelle decisioni che riguardavano la sua vita; era semplicemente stanco di tutto.
Si rese conto che era davvero così.
Durante tutta la sua vita, Draco aveva seguito un percorso che gli era stato tracciato in precedenza, forse addirittura prima della sua stessa nascita, e con il passare del tempo, gli era sembrato di non avere scelta. O forse era lui, a non averla desiderata. Si chiese come sarebbe andata la sua vita, se fosse stato libero di scegliere. Sarebbe comunque arrivato a quel momento, da solo e circondato da nient’altro che mobilia, a riflettere sulla sua vita? Se le sue scelte fossero state diverse, se non avesse avuto così paura di deludere i suoi genitori, avrebbe avuto comunque quel segno sul suo avambraccio sinistro? Gli sarebbe stato ordinato comunque di uccidere Silente, per rimediare agli errori di suo padre?
Forse sarebbe stato comunque un Mangiamorte. Forse avrebbe tentato comunque di adempiere a quel compito. Forse avrebbe lo stesso sposato Astoria, ed avrebbe avuto comunque Scorpius.
Ad ogni modo, non poteva biasimare ciò che ormai era successo. Che l’avesse davvero voluto, o desiderato, poco importava. La sua vita era andata così, e con il senno di poi non l’avrebbe mai cambiata.
Però poteva cambiare il suo futuro.
Era adesso, che aveva davvero la possibilità di scegliere. No, la libertà di farlo. Per quanto amasse ed onorasse i suoi genitori, non poteva più permettere che decidessero per lui. La sua vita era affar suo, e di nessun altro.
Per la prima volta, si rese davvero conto che era libero. Libero di errare e commettere errori, libero di compiere stupidaggini per poi rimediare, libero di agire, conscio che nessuno - nemmeno Lucius e Narcissa - avrebbero potuto dirgli alcunché. Era padrone della sua vita.

Da quanto?
Da tanto, Draco.

No, da adesso.
Avrebbe potuto finalmente scegliere, cambiare tutto quello che era e tutto quello che era stato in passato. Avrebbe dovuto cogliere questa opportunità per essere ascoltato. Ma la domanda era : che cosa voleva veramente?
Non aveva mai avuto aspirazioni, nella sua vita. Essere un bravo figlio era il massimo cui aveva desiderato, essere rispettato da tutti la sua maggiore ambizione. Non sapeva se fosse realmente riuscito in entrambe le cose, ma suo malgrado ce l’aveva messa tutta per riuscirci. Ma cosa gli rimaneva, oltre a questo?
Draco sapeva che la noia e la solitudine erano cattive compagnie a lungo andare, lo aveva provato sulla sua pelle e continuava a sentirlo tuttora, e non voleva più sentirsi emarginato e relegato a qualcosa che ormai non era più da tempo.

Purosangue.
Serpeverde.
Mangiamorte.

Era davvero tutta una questione di etichetta, si trovò a chiedersi, o era la consuetudine a condizionare il modo di essere di una persona?
Mezzosangue.
Grifondoro.

No, realizzò Draco, le etichette non valevano così tanta afflizione per nessuno. E lui non voleva sentirsi così, non in quel momento, e forse mai più. Poteva davvero cambiare, poteva realmente smettere di essere quella persona, quella orribile persona, che tutti credevano fosse. Ma come? In che modo avrebbe potuto dimostrare a sé stesso di voler cambiare?
Draco si coprì gli occhi con un braccio, stanco di tutti quei pensieri ma desideroso di trovare un punto di svolta. Fu la sua mente, a suggerirgli la maniera : l’immagine del volto della Granger gli apparve dietro le palpebre chiuse, e fu costretto ad aprire gli occhi di scatto, come di scatto si trovò seduto sul suo letto.
La Granger… che fosse lei, la soluzione che tanto cercava? Sarebbe stata in grado di dimostrargli che si sbagliava, sul proprio conto, aiutandolo a non essere più quello che era?

Era vero, si rese conto mentre si accendeva una sigaretta per aiutarsi a rimanere lucido, la desiderava, e quell’immagine ne era la prova, che lui lo volesse o meno. Astoria aveva ragione, l’aveva sempre avuta.
È una Mezzosangue.
Sciocchezze. Il sangue non dev’essere l’unica cosa ad avere importanza.
È bello, sai? Amare qualcuno. Ti fa stare bene.

Ma come convincerla ad aiutarlo, senza esporsi davvero? Sentiva il bisogno di cambiare, questo sì, ma la dignità lo bloccava. Era pur sempre un Malfoy.
Deridere, minacciare, macchinare e manipolare…
Di nuovo fu la sua mente a suggerirgli il modo di agire, e si diede dello stupido per non averci pensato prima. Forse c’era un modo, per aiutarsi a convincerla. Non era convenzionale, certo, ma cosa di lui lo era? Non aveva mai detto di essere corretto, né tantomeno l’aveva mai pensato o dato a vedere. E perché questa volta sarebbe dovuto essere diverso?
Se si desiderava una cosa, bisognava fare di tutto per ottenerla. Poco importava come. Questo, gli avevano sempre insegnato. E lui la voleva. Avrebbe usato qualsiasi mezzo, lo sapeva bene. E presto l’avrebbe saputo anche lei. Spense la sigaretta ormai consumata,
afferrò senza indugiare la bacchetta dal comodino, nella mente e davanti agli occhi solo lei ed il suo viso - la sua Mezzosangue, Hermione - si concentrò e pronunciò l’incantesimo che mai avrebbe pensato di usare.
Mentem Incedo.
E, finalmente, si addormentò.











***











Hermione.
Era questo il suo nome. Per quanto ne sapesse lei non l’aveva mai cambiato, era sempre rimasto quello fin dalla nascita, per quanto strano ed insolito potesse essere.
Granger, Hermione Jean.
Granger, non Hermione. E tantomeno non Jean.
Granger.
Ed allora per quale assurdo motivo il suo nome - nome, non cognome - era uscito dalla bocca di Malfoy? E da quando aveva iniziato a chiamarla davvero per nome?

Malfoy!
Granger…

A questo, si era abituata ad Hogwarts con il passare del tempo. Al cognome di lui pronunciato da lei con stizza e rabbia, e a quello di lei pronunciato da lui con scherno e derisione, non di certo ai nomi. Non sapeva cosa pensare, non se ne sapeva spiegare il motivo. Perché un motivo ci doveva essere sicuramente, dietro. Uno appartenuto alla Casa di Serpeverde, non poteva fare niente per niente.

Malfoy non faceva mai niente per niente, rettificò mentalmente. Ma qual era, questo motivo? Nonostante i suoi sforzi, non era riuscita a trovarne nemmeno uno che potesse essere vagamente plausibile.
Aveva ipotizzato incantesimi e fatture alle quali Malfoy poteva essere stato sottoposto contro la sua volontà, ma poi ci aveva riflettuto più attentamente e si era data mentalmente della sciocca : Malfoy aveva pronunciato il suo nome mentre lei si stava Smaterializzando da casa sua. Mentre, non prima. Hermione era arrivata ad una sola spiegazione : non voleva che lei sentisse. Ma questo, per lei, risultò essere molto peggio.
Era sempre stata una persona razionale, a volte anche fin troppo, eppure tutti i suoi ragionamenti l’avevano portata ad una sola domanda.

Perché?
Poteva accettare che fosse stata una svista da parte del biondo. Doveva esserlo. Ed anche il fatto che avesse voluto che lei restasse a sentire il dialogo con suo padre… per quale motivo si era comportato così, verso di lei?
Perché hai voluto che rimanessi a sentire, Malfoy?
Non saprei, Granger.

Oh, lei non ci avrebbe scommesso. Lo sapeva eccome. Malfoy era un manipolatore bugiardo che meditava e calcolava a lungo le sue mosse, prima di compierle. Di una sola cosa era estremamente sicura : Malfoy non sapeva essere sincero. Ed allora perché gliel’aveva mostrata, così tanta sincerità?
Ripensò al riflesso che aveva scorto in quegli occhi grigi, vedendolo per la prima volta : ammirazione, sincera ammirazione. Non ci aveva mai fatto caso, negli anni, all’espressività di quegli occhi. Il solo fatto che fossero grigi avrebbe dovuto indurla a pensare che fossero tutto meno che eloquenti, dato il colore, ma non era così; ed il solo fatto che appartenessero al biondo avrebbe dovuto farla girare dall’altra parte ignorandone il proprietario. Ma nemmeno questo era stato esattamente così.
Aveva sempre risposto ai suoi insulti, ai suoi dispetti ed alle sue frecciatine : erano stati tutti comportamenti che, a quei tempi, l’avevano fatta letteralmente imbestialire. Malfoy era sempre stato saccente e indisponente, viziato e maleducato, infantile e mille altri termini che al momento non le venivano in mente, e questo era bastato a giustificare le sue azioni e il suo comportamento.
Fin dalla prima volta che si erano incontrati, Hermione l’aveva immediatamente detestato a causa del suo credersi superiore a tutti gli altri e all’atteggiamento che ne era conseguito.
Era semplicemente fastidioso, ecco cos’era Malfoy. Eppure, ora poteva affermare con sicurezza che fosse cambiato dai tempi di Hogwarts.
In tutti quegli anni non si erano frequentati molto : anzi, non si erano frequentati affatto, e questo aveva permesso ad Hermione di conservare un davvero brutto ricordo di quel biondo che l’aveva fatta innervosire infinite volte. Però, doveva ammettere che il Malfoy che ricordava stonava indiscutibilmente con  il Malfoy che aveva incontrato poco prima. E tra i due tipi di Malfoy che aveva avuto la sfortuna di conoscere, senza dubbio sceglieva il secondo.
E non perché non l’avesse affatto insultata, insistendo con quella faccenda della Mezzosangue, ma perché l’aveva fatto senza cattiveria. Il che era un avvenimento alquanto insolito, per uno come lui. Merlino, aveva persino mostrato gentilezza, nei suoi confronti!
Sarà stato sotto Imperius, senza dubbio. Quello che aveva incontrato poco prima non poteva davvero essere quel Malfoy, si ritrovò a pensare, mentre frugava nella borsa alla ricerca della sua bacchetta. Si accigliò, non trovandola. Ma dove diamine era andata a finire?
Che l’avesse lasciata nel suo ufficio al Ministero? No, rifletté, quando se n’era andata da lì l’aveva con sé.
Villa Malfoy! Ecco dove doveva trovarsi la sua bacchetta. L’aveva dimenticata nei sotterranei di quella casa, troppo incredula a ciò che aveva nascostamente sentito per ricordarsi di prenderla. Si diede della sciocca : mai stare senza bacchetta. Certo, ormai non c’era tutta questa necessità di portarla sempre dietro come anni prima, ma Hermione era diventata prudentemente puntigliosa e aveva sempre continuato ad averla addosso. Quindi come diamine aveva fatto, a scordarsela lì?
Guardò l’orologio sperando di fare ancora in tempo per recuperarla subito, ma ormai era tardi : Ron sarebbe arrivato da un momento all’altro con Hugo, e lei voleva farsi trovare a casa, come aveva sempre fatto da quando era diventata moglie prima e madre poi.
Pazienza, pensò, per una volta non sarebbe accaduto nulla. L’avrebbe presa l’indomani.
«Mamma!»
Sul volto di Hermione si aprì un sorriso al sentire il suono della voce di Hugo. Lui le corse incontro, quasi rischiando di cadere pur di abbracciarla il più velocemente possibile.
«Rallenta, tu!» lo sgridò Ron, apparso in salotto subito dopo il figlio. Hermione rise, contenta di rivedere la sua famiglia dopo un’intera giornata in cui era stata lontana da loro. L’amore di Ron e il calore dell’affetto di Hugo non l’avrebbe cambiato con niente al mondo.
«Guarda cosa mi hanno regalato i nonni!» esclamò eccitato, mostrandole un giocattolo Babbano. «E mi hanno fatto vedere la tevi… telive…»
«Televisione, Hugo.» Ron corse in suo aiuto, scuotendo la testa.
Il piccolo annuì ripetutamente, contento che qualcuno l’avesse salvato ripetendogli il nome di quell’oggetto. «La telivisione
Hermione scoppiò a ridere, rinfrancata dall’entusiasmo di Hugo dopo una giornata pesante come era stata quella. «Davvero? E cosa hai visto?»
«Era un film, mamma. Un film di fantasmi!» esclamò il bambino, gli occhi spalancati. «Papà, come si chiamava? Non me lo ricordo.»
«Ghostbusters
«Sì! Ghost… quello lì! C’erano tanti fantasmi… alcuni erano davvero tanto cattivi, però.»
Hermione gli sorrise, e tornò ad abbracciarlo. Ron fece lo stesso con entrambi, dopo essersi scambiato un saluto con sua moglie.
«Bleah! Perché dovete baciarvi così tante volte!» esclamò ancora Hugo, guardandoli. Ron gli scompigliò i capelli rossi identici ai suoi, meritandosi un’occhiataccia dal bambino.  «Mamma, posso andare da Lily? Le ho promesso che l’avrei aiutata in qualche magia!»
Hermione sorrise al tono saccente vagamente familiare di Hugo, dandogli il permesso. «Va bene. Zia Ginny sa quando deve riportarti indietro.»
Ron si schiarì la voce, imbarazzato. «Veramente le ho chiesto se poteva tenercelo fino a domani.» le confessò, il volto ancora più rosso dei capelli suoi e di quelli di suo figlio messi insieme. Si avvicinò all’orecchio di sua moglie, per non farsi sentire da un Hugo decisamente impaziente di incontrare la cugina. «Ho qualche idea nient’affatto male.»
Le guance di Hermione si imporporarono lievemente, capendo subito quale tipo di idea suo marito avesse in mente. Forse era questo, che le ci voleva per scrollarsi di dosso la pesantezza di quella giornata : stare semplicemente con suo marito. Godersi i suoi baci e le sue carezze, abbandonarsi a lui e con lui, per dimenticare quella stessa giornata.
Hermione lo guardò negli occhi, e trovò quelli di suo marito ad attenderli. Erano così luminosi, quella sera…

Come il grigio. Come gli occhi grigi di lui.
Hermione si accigliò, non capendo da dove saltasse fuori quel pensiero e domandandosi per quale assurdo motivo la sua mente avesse liberamente scelto di evocare gli occhi del biondo proprio in quel momento, o più semplicemente di pensarci, a Malfoy.
Ammirazione.
Era questo, che aveva visto negli occhi di suo marito e che immediatamente l’avevano riportata indietro, quando gli occhi del biondo l’avevano guardata nello stesso modo. Ma c’era dell’altro che Ron le stava comunicando con lo sguardo, oltre alla profonda ammirazione verso di lei. C’era amore, c’era complicità nei suoi occhi. C’era passione.
Hermione deglutì. Davvero quegli occhi grigi erano così simili a quelli di Ron in quel momento?, si domandò. Scosse impercettibilmente la testa. No, non poteva essere. Si stava senza dubbio sbagliando.
Si costrinse a rivolgere un sorriso a suo marito che la guardava in attesa, ma la sua voce era molto meno sicura rispetto a prima, quando tornò a parlare.
«Fai in fretta.»















Note. 

Le frasi pensate da Draco, quali “Avrebbe potuto finalmente scegliere, cambiare tutto quello che era e tutto quello che era stato in passato e avrebbe dovuto cogliere questa opportunità per essere ascoltato.” sono liberamente tratte da Time is running out dei Muse.
L’incantesimo Accedo Mens pensato da Malfoy è simile alla Legilimanzia, ma se questa permette solo di vedere il contenuto della mente, l’Accedo permette invece di farne parte e manipolarla. Non conosco il latino, non avendolo mai studiato, per cui se le parole fossero scorrette fatemelo sapere e provvederò a rimediare. L’incantesimo non esiste in nessuno dei libri, è stato inventato per necessità della storia.
Sempre per necessità ho dovuto tagliare questo capitolo in due parti, altrimenti avrebbe rischiato davvero di essere noiosamente lungo. Per il prossimo, è probabile che sia costretta a cambiare rating a tutta la storia, ma non avendolo ancora terminato non saprei dirlo con certezza. Spero che, comunque, non sia un problema. 
 

Grazie per essere arrivati fin qui, ed al prossimo capitolo.


Edit : Grazie a ElectraDuPre che mi ha gentilmente permesso di rimediare all' Accedo Mens errato, fornendomi la versione più corretta, ovvero Mentem Incedo.

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Capitolo 6
*** Colori ***


Colori















L’aria profumava di pergamena nuova.
L’odore che tanto amava era dappertutto : la circondava come una carezza, le avvolgeva la pelle e le solleticava il naso.

La stanza era semibuia, illuminata fiocamente da alcune candele quasi del tutto consumate ma che all’inizio erano state intonse, e percepiva di non essere da sola. Non aveva idea di chi ci fosse, lì insieme a lei, ma Hermione sentiva che - chiunque fosse - poteva fidarsi, e non se ne sapeva spiegare il motivo. Avrebbe dovuto avere paura, a trovarsi in un luogo che non conosceva e per di più quasi al buio, ma quella sensazione le sembrava lontana.

Sapeva, era stranamente cosciente che nulla di quello che sentiva era davvero reale - nella realtà mai si sarebbe sognata di trovarsi in una simile situazione - eppure quel momento le sembrava decisamente più vivo di molti altri istanti che aveva vissuto.

Davanti a lei c’era solo il buio, eppure la sua vista non era mai stata così tanto perfetta.

Poteva distinguere ogni suo gesto, poteva percepire ogni suo minimo spostamento.

Era buio, davanti a lei, eppure vedeva.

Vedeva i suoi abiti dissolversi improvvisamente, vedeva la sua figura che le si avvicinava, vedeva le sue braccia che presero a stringerla, vedeva la sua bocca sfiorare ed impossessarsi della sua, ma soprattutto vedeva quegli occhi.

Vedeva grigio.

Ogni sospiro, ogni parola, ogni carezza accennata e data : i suoi sensi non erano mai stati così accentuati ed intensi, come intensi erano quegli occhi grigi la guardavano dall’alto, scrutandola seri ma coscienti della situazione in cui si trovavano.

Sto sognando?

Sì. Niente di tutto questo è reale.

Le sue mani la accarezzavano lentamente, non tralasciando nemmeno il minimo lembo di pelle. E queste, si domandò, erano reali? Esistevano davvero, o erano evanescenti come presto lo sarebbe stato quel sogno?

Le labbra di lei che percorrevano quella pelle pallidamente bianca, i muscoli che si tendevano ad ogni passaggio della sua bocca, i capelli ingarbugliati ai quali le mani di lui si aggrappavano, evitando una caduta alla quale - loro malgrado - presto entrambi sarebbero giunti, erano reali.

I sospiri, i singhiozzi ed i gemiti che lui le provocava esistevano davvero. Erano veri, e lei sapeva che non avrebbe potuto dimenticare tanto presto tanta realtà.

Le sue dita, le sue mani, i suoi occhi, il suo viso e tutto il corpo che sentiva schiacciarla senza però farlo davvero, la stava trascinando verso un fondo dal quale sarebbe stato difficile risalire. Non avrebbe dovuto permettergli di torturarla così dolcemente, non riusciva a respirare ma si sentiva bene.

Stava bene.

Per la prima volta nella sua intera vita, poteva essere un’altra Hermione, un’Hermione diversa da quella che tutti conoscevano e che era sempre stata. In quel momento, insieme a lui, non esistevano rancori, rimorsi e pregiudizi. Non esistevano pensieri. Esistevano solo loro, le candele che li illuminavano fiocamente, i loro respiri spezzati ed i loro gesti frenetici, entrambi ansiosi di raggiungere quel punto nel quale avrebbero voluto rimanere a lungo.

I francesi la chiamavano la piccola morte.

Nessun altro termine avrebbe potuto descrivere più chiaramente ciò che si accingevano a provare, i gesti sempre più febbrili e le mani sempre più affamate le une sul corpo dell’altro.

Hermione non avrebbe dovuto permettergli di conquistarla completamente, adesso non riusciva ad uscire da quel sogno, e non riusciva a credere che si sentisse bene.

Devo svegliarmi.

Non puoi.

Le braccia di lui tornarono a stringerla in una morsa alla quale si abbandonò volentieri, la testa bionda appoggiata sul suo petto ed affidata alle carezze delle mani di lei e gli occhi grigi sollevati ad incontrare i suoi, i respiri di entrambi ancora accelerati. Le sue labbra erano rosse, quelle di lui un riflesso delle sue, talmente tanta era stata la voracità con la quale lui le si era avvicinato e se ne era appropriato. E tornarono ad accostarsi alle sue, sfiorandole appena, fuggendo a quelle di lei che cercavano di trattenerle mai sazie, trasformandosi in un sorriso.

Il bacio che si scambiarono era dolce e lento, non affrettato ed ingordo come erano stati molti altri in precedenza, ed Hermione riconobbe in quel gesto un addio. Sentiva i suoi muscoli risvegliarsi dal sonno in cui era scivolata, ma lei non voleva ridestarsi. E nemmeno lui, che continuava a stringerla come se non avesse voluto più lasciarla andare, voleva mettere fine a tutto quello.

Non voglio svegliarmi.

Non puoi.

Ma ne erano coscienti entrambi, che presto sarebbe finito tutto. Si sarebbero svegliati, e sarebbero tornati alla loro vita di sempre.

Voglio stare qui.

Chiudi gli occhi.

Hermione lo guardò ancora negli occhi, imprimendosi tutte le sfumature di quel grigio che l’avevano affascinata durante tutto il tempo che avevano passato assieme, ma sapeva che il risveglio era vicino.

Non voglio che finisca.

Nemmeno io.

E fu lui, a dire addio a quello che non era altro che un sogno, ma che per lei aveva la parvenza di un incantesimo, consci entrambi che non sarebbero riusciti a dimenticare ciò che era accaduto.

Apri gli occhi.

Non avrebbero potuto.











***












Camminava svelto per il vicolo grazie al suo solito bastone dal quale non sembrava separarsi mai. Nonostante potesse affermare con sicurezza, e nessuno poteva dire il contrario, che quel luogo fosse come la sua seconda dimora, date le infinite volte con il quale aveva avuto a che fare, non era a conoscenza di quella parte del sottoquartiere.
Era buio, più buio rispetto al quale lui era abituato, e proprio per questo avrebbe dovuto sentirsi al sicuro. Dopotutto, pensò, si trovava bene al buio. Lo faceva sentire a casa.
Girò l’ennesimo angolo del vicolo, e il tono già smorzato delle luci si abbassò ulteriormente. Questo iniziò a renderlo nervoso, e si sentì più al sicuro solo quando percepì la presenza materiale della sua bacchetta, recuperata dall’interno del suo bastone.
Sentì dei passi, dietro di sé, e si voltò di scatto. Quella stradina, però, era deserta. Li aveva immaginati, quei suoni? Impugnò la bacchetta, pensando che la prudenza, in certi casi - e questo era esattamente uno di quelli - non era mai troppa.
«Homenum Revelio.» mormorò piano, cercando di non farsi sentire. Avrebbe potuto usare un Incantesimo Non Verbale, certo, ma non era mai stato bravo con quelli. Si guardò intorno, avanzando di qualche passo, e si rese conto di essersi semplicemente immaginato quei passi. Non c’era nessun altro, lì con lui.

Si sbagliò.
Delle figure nere incappucciate si Materializzarono dal nulla, ed immediatamente lo circondarono con le bacchette puntate contro di lui.
Erano troppi, per un mago solo. Deglutì, aspettando la prossima mossa di quelle figure per valutare come agire. Come poteva fuggire senza incorrere in uno scontro, al quale probabilmente avrebbe perso?
Odiava perdere.
Scelse la figura davanti a lui per guardarla meglio in volto, ma indossava una maschera. Strinse gli occhi per vederla meglio, pur rimanendo al suo posto. Sembrava la maschera di… sembrava la sua maschera. No, non sembrava : era.
La sua maschera da Mangiamorte.
Perché era sul volto di quella persona? Come faceva ad averla, chi gliel’aveva data e quando? Era convinto che fosse riposta al sicuro nella sua villa - no, ora quella villa era di suo figlio - nella stanza sotto il salotto. Lucius deglutì.
«Chi siete?» chiese, animato da un coraggio che non gli apparteneva, guardandoli meglio. Le maschere le indossavano tutti. Se volevano uno scontro, era esattamente quello che avrebbero ottenuto. Ammesso che quello stesso coraggio non l’avesse fatto scappare prima a gambe levate. Provò a Smaterializzarsi, conscio del pericolo nel quale era incappato, ma scoprì di non riuscirci.
Le figure non gli risposero, e lui provò con altre domande. «Chi vi manda? Cosa volete?»
«Te, Lucius. Vogliamo te.» gli rispose qualcuno che non riuscì a riconoscere, la voce falsificata da qualche incantesimo.
«Non ho fatto niente.» ribatté pronto, aspettando il momento giusto per scagliare contro di loro la formula che aveva in mente.
L’incappucciato di fronte a lui si mosse in avanti, e Lucius arretrò di un passò all’indietro. «Sono molte le cose che non hai fatto, Malfoy.» commentò. «E quelle che hai fatto sono state le peggiori.»
Malfoy continuò ad arretrare, ma sapeva che era inutile tentare di scappare. Le loro voci, seppur ancora distorte, non gli sembravano affatto pacifiche, ed il solo fatto che avessero tutti le loro bacchette in mano, tutte ancora puntate su di lui, avrebbe dovuto suggerirgli di non farli arrabbiare.
Ma lui era un Malfoy. Nessuno avrebbe osato fargli del male.
Si sbagliò anche questa volta.
«Expelliarmus
«Protego!» urlò difendendosi. Lucius era fin troppo pronto e reagì prontamente, ma altri lo erano molto più di lui e, nonostante i suo tentativi per trattenerla, la sua bacchetta volò nelle mani dell’incappucciato che indossava la sua maschera.
«Davvero un’ottima bacchetta.» commentò, guardando Lucius negli occhi da dietro le fessure. Lucius indugiò per qualche istante, non sapendo bene come comportarsi.
Doveva - voleva - riprendersi la bacchetta, o doveva - voleva - fuggire?
Diede un’altra occhiata a quegli incappucciati, e si rese conto che senza bacchetta non avrebbe fatto altro che pochi passi. Allungò la mano, in attesa di riappropriarsene. L’incappucciato rise, restituendogliela.
«Che poi non si venga a dire che non sono leale.» mormorò quello davanti a lui.
Tutti gli incappucciati che lo circondavano puntarono meglio le bacchette contro di lui, ed allora seppe che si stava mettendo davvero male per lui. Il nero dei loro abiti sembravano stringerlo in una morsa, sempre più oppressiva man mano che gli si avvicinavano.
«Diffindo!» urlarono in sincrono. Lucius si aspettava di tutto meno che quell’incantesimo, e non fu abbastanza veloce nel difendersi : la sua bacchetta si spezzò in due e lui cadde carponi a terra, vedendo davvero nero davanti ai suoi occhi, gemendo per le profonde e numerose ferite che quell’incantesimo gli avevano provocato. Cercò di riafferrarla con una mano, mentre con l’altra cercava di mantenere l’equilibrio, ma era troppo lontana e completamente inutilizzabile.
La figura con la sua maschera gli mise la bacchetta sotto il mento costringendolo ad alzarlo.
«Sectumsempra.» mormorò un attimo dopo che Lucius incrociasse gli occhi quasi neri di chi l’aveva attaccato. Quella formula fu l’ultima cosa che udì e quegli occhi furono l’ultima cosa che videro, prima di cadere definitivamente a terra.












***












Era sulla bocca di tutti, quella mattina.
Occupava anche l’intera prima pagina della Gazzetta del Profeta, non lasciando il posto a nessun’altra notizia, corredata da foto e addirittura da interviste a fantomatici testimoni.
Il Ministero non era mai stato così pieno, né aveva mai avuto così tanto da fare per tranquillizzare la comunità magica per i fatti accaduti il giorno precedente. Tutti i funzionari erano stati allertati e messi al corrente del piano di evacuazione, ordinato dal Ministro in persona, di quella parte di Diagon Alley.
Non si conosceva ancora il colpevole - o i colpevoli, dato che alcuni testimoni giuravano di aver visto più di una persona sospetta nelle vicinanze - ma il Quartier Generale degli Auror e il Dipartimento della Regolazione della Legge Magica lavoravano a pieno regime per scoprirne il responsabile.
Il negozio di Madama McClan era stato attaccato nel tardo pomeriggio del giorno prima, quando ancora era in piena attività. Grazie all’articolo della Gazzetta del Profeta, il Ministero - e tutta la comunità magica - era a conoscenza del fatto che erano state avvistate alcune figure incappucciate nei pressi del negozio prima che venisse preso di mira. Alcuni erano sicuri che queste figure indossassero delle vecchie maschere da Mangiamorte, e per questo il Ministero aveva immediatamente cercato di nascondere quante più informazioni possibili, giudicandole prontamente errate o frutto di qualche mente molto fantasiosa o in cerca di fama.
«Maschere da Mangiamorte? Non è possibile, Harry! Sono state tutte confiscate e distrutte dopo la guerra.»
«Magari non tutte.» ribatté l’altro, appoggiandosi alla scrivania di Hermione. «Qualcuna dev’essersi salvata, se sono state viste.»
«Non ci crederai davvero? Possono essere dei falsi.» Hermione lo guardò, e dietro quelle spesse lenti vide i suoi occhi bruciare di rabbia.

Occhi grigi che la guardavano con ira quando si scansava dalle sue carezze.
«È probabile.» Harry fu costretto ad annuire, ma rimase della sua idea. «Ma come esserne sicuri? Lo hai letto anche tu, l’articolo. Di punto in bianco, Hermione.»
«In effetti è insolito.» sospirò lei. «Cosa avete in mente?»
L’espressione insieme contrita e determinata e le labbra strette di Harry risposero al suo posto.

Labbra rosse che si trasformavano in una linea sottile quando gli negava la sua bocca.
«Volete davvero… cercarle tutte? Harry, hai idea di quanti Mangiamorte esistevano?»
«La maggior parte sono ad Azkaban.» ribatté subito l’altro, sicuro delle sue argomentazioni. «Le loro maschere sono davvero state distrutte. Ed il resto… basterà trovarle. Il Ministro vuole che i nostri Uffici collaborino.»
«E pensi che la soluzione migliore sia perquisire tutte le case degli ex Mangiamorte rimasti liberi?»
«Non sono poi molti.» l’Auror alzò le spalle. «Voglio prendere il colpevole.»
«Ed io no? Senti, Harry, so che non ti aspettavi una cosa del genere. Nessuno se l’aspettava, ed il fatto che si accaduta è grave, è vero, ma…»
«Sono state ferite delle persone in quel negozio, Hermione!» la interruppe l’altro, alzando di alcuni toni la voce. «Dobbiamo trovare i responsabili.»
«E lo faremo, Harry. I responsabili saranno assicurati ad Azkaban.» cercò di tranquillizzarlo Hermione. «Ma non abbiamo niente da cui partire. Lo sai anche tu che la Gazzetta del Profeta non è del tutto affidabile. Quello che non riesco a capire, è perché usare proprio le maschere da Mangiamorte. Perché attaccare ora, e proprio Madama McClan?»
«Troviamo i proprietari della maschere e lo sapremo.» insistette.

L’insistenza e l’urgenza dei movimenti di lui dentro di lei.
Hermione deglutì, cercando di concentrarsi su Harry, ma la sua mente vagava e le proponeva dettagli che di certo non avrebbe condiviso. «E non credi che, ammesso che sia vero, le abbiano già distrutte loro stessi dopo averle usate?»
Harry la fissava da dietro gli occhiali, non capacitandosi di chi aveva davvero di fronte. «Dobbiamo fare un tentativo. Non possiamo stare senza fare niente.»
«Non ho detto questo.» sospirò Hermione, massaggiandosi le tempie. La giornata era da poco iniziata, e lei già sentiva i primi segni di stanchezza. «Va bene, Harry. Tentiamo con le perquisizioni. Il Ministro ne è al corrente?»
«È stato lui a consigliarlo.»
«Bene, allora. Dovremmo fare un elenco dei Mangiamorte liberi e dividerlo tra i nostri Uffici.» propose, per poi ricordarsi che la bacchetta era ancora a Villa Malfoy. «Potresti farlo tu, Harry? Non ho la bacchetta con me.»
L’altro la guardò, stupito del fatto che la previdente Hermione andasse in giro senza arma, fece comparire due fogli già compilati con l’elenco delle persone a cui fare visita e gliene porse uno. Hermione guardò il suo e rilasciò l’ennesimo sospiro. Forse era ancora in tempo per scambiare l’elenco con quello di Harry, ma lui sicuramente avrebbe avanzato domande alle quali lei non aveva alcuna voglia di rispondere.
«Qualcosa non va?» le domandò Harry, sinceramente preoccupato. Hermione non sembrava avere una bella cera, quel giorno. L’Auror si passò una mano tra i capelli, in evidente imbarazzo.

Capelli biondi stretti ed attorcigliati tra le sue dita.
«Non è niente, Harry. Sto bene.» soffiò lei, chiudendo gli occhi per pochi secondi.
La guardò meglio, e scosse la testa. «Dal tuo aspetto non si direbbe. Cioè, non volevo dire che…»
«Harry, sto bene.» lo interruppe. «Direi di cominciare le visite, siamo già in ritardo.»
«Ti mando un Auror per sicurezza.»
«Non è necessario.»
«Ma sei senza…»
«Bacchetta. Sì, lo so. Prima di iniziare vado a recuperarla.»
«Dove l’hai lasciata? Non vai mai in giro senza.»
«Ecco, ehm… non preoccuparti della mia bacchetta, Harry. Prima iniziamo, prima potremo trovare i colpevoli. Forza!» gli fece segno di andare, e lui non ebbe altra scelta che obbedirle, non prima però di averle rivolto un sorriso.

Il sorriso sul suo volto quando cercava le labbra di lui.
Rimasta sola, Hermione diede un’altra occhiata al primo nome dell’elenco e sospirò ancora, tentando di cancellare quella strana sensazione che sentiva ed alla quale non sapeva dare un nome. Non poteva permettersi alcuna distrazione, però, e questo lei lo sapeva bene. Ma dopo la nottata precedente, sapeva altrettanto che le sarebbe stato difficile restare fedele a ciò che si era prefissata di fare.
Ed il primo nome sulla sua lista di certo non sembrava collaborare con lei. Anzi, tutt’altro. Come avrebbe fatto? Come avrebbe potuto affrontarlo senza sentirsi in completo imbarazzo? Certo, quello che aveva sognato lo sapeva solo lei, e proprio per questo fare il suo lavoro le sarebbe stato decisamente più difficile. Peccato che, però, non avesse alcuna scelta.

Basta.
Non doveva pensarci oltre, o davvero le sarebbe stato impossibile fare qualsiasi cosa. Prese coraggio, e si Smaterializzò verso il primo ex Mangiamorte della sua lista.
Malfoy, Draco.

















Note.

Non è stato affatto semplice riuscire a scrivere questo capitolo, in particolar modo la prima parte. La trama della storia è già ben delineata su carta, eppure ci ho messo giorni per scrivere la scena iniziale. Avevo detto, nel capitolo precedente, che con questo il rating sarebbe potuto cambiare, ma fortunatamente non ce n’è stato bisogno. Cioè, mi auguro di essere restata davvero dentro i parametri dell’arancione e di non aver sforato nel rosso.

Le frasi “Non avrebbe dovuto permettergli di torturarla così dolcemente, non riusciva a respirare ma si sentiva bene.” e “Non avrebbe dovuto permettergli di conquistarla completamente, adesso non riusciva ad uscire da quel sogno, e non riusciva a credere che si sentisse bene.” sono tratte, sempre liberamente, dalla canzone Good Enough degli Evanescence, grazie ai quali sono riuscita a portare a termine il capitolo.

La stanza sotto il salotto di Villa Malfoy fa riferimento al secondo libro della serie, La Camera dei segreti, capitolo 12.

Ultima nota : ricordate il Sectumsempra. La formula sarà importante per i capitoli a venire.

Come sempre, grazie per essere arrivati fin qui. Al prossimo capitolo.

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Capitolo 7
*** Dimostrazioni ***


Dimostrazioni















Il San Mungo non era stato così affollato dai tempi della guerra.
Medimaghi correvano avanti ed indietro, seguiti da familiari preoccupati ed in ansia per le condizioni di salute dei propri cari, cercando di rimediare alle ferite dei degenti.
Alcune erano gravi, altre meno.
C’erano maghi con parti del corpo completamente fasciate, tenuti sedati da qualche incantesimo, ed altri erano sporchi del sangue versato dai primi, incapaci di ripulirsi. O forse non volevano, troppo sconvolti da quello che avevano subìto.
Anziani, adulti, bambini… tutte le fasi della vita umana erano presenti dentro quel negozio, al momento dell’attacco, vittime in un luogo che ritenevano sicuro ma che protetto non era stato.
Ad ogni passo, ad ogni metro conquistato, Hermione non vedeva altro che lacrime, e non poteva fare a meno di sentirsi in qualche modo responsabile, per quello che era accaduto.
Certo, nessuno si immaginava che una semplice bottega di abiti potesse essere attaccata in quel modo, con così tanta ferocia, eppure era esattamente quello che era accaduto.
Hermione avanzava tra i corridoi, nelle orecchie i pianti e brevi resoconti singhiozzati di chi aveva visto tutto.

Erano incappucciati.
Maschere da Mangiamorte.
Fatture ustionanti.
Incantesimi esplodenti.

Sentì gli occhi farsi umidi, e si costrinse a muoversi con più rapidità. Non voleva più vedere tutto quel dolore. Le era già bastata la guerra, per questo. Avanzava con gli occhi fissi sull’ascensore, cercando di concentrare i pensieri sul motivo che l’aveva condotta fin lì.
Raggiunse il quarto piano, uscì dall’ascensore e si ritrovò con le spalle appoggiate al muro, in una nicchia creata nella parete. I singhiozzi e le lacrime erano troppo inarrestabili perché potesse farsi vedere in quello stato.
Aveva visto cose peggiori nella sua vita, questo era vero, ma credeva ormai di averle superate. Era a questo che era servita la guerra di molti anni prima, ad evitare che succedessero ancora fatti come quello di MadamaMcClan, in fondo. Hermione non ne era più poi così sicura.
Si passò una mano sul viso ma sapeva che era inutile, i segni delle lacrime le sarebbero rimasti a lungo, e per questo non vide una donna che le passava accanto rivolgendole un qualcosa di molto simile ad un sorriso.
Prese un respiro per calmare i residui dei singhiozzi che ancora le scuotevano le spalle e proseguì nel corridoio, fino alla stanza che le era stata indicata all’accettazione. Svoltò un angolo, e lì si bloccò. C’erano solo due persone, lì nella corsia. Hermione si ritrovò a pensare che, anche da quella distanza, quei capelli biondi erano inconfondibili.
Malfoy era seduto e si teneva il volto tra le mani, mentre l’altra figura - sua moglie? - gli era inginocchiata davanti, le mani appoggiate sulle gambe di lui, e gli parlava.
Hermione si prese qualche istante per osservali. Erano carini insieme, dovette ammettere a sé stessa, stavano bene. Cercò di ricordare come si chiamasse, la moglie di Malfoy, ma non le venne in mente alcun nome.
La donna si alzò da terra, guardandosi intorno finché non la vide, seminascosta dalla parete. Hermione incrociò i suoi occhi, e sul suo viso lesse solo dispiacere. Cos’era successo?, si domandò sperando che non fosse nulla di grave, anche se il reparto in cui erano era per degenti tutto fuorché poco gravi, si rese poi conto.
Vide la donna avvicinarsi all’orecchio del biondo, mormorargli qualcosa e la cosa successiva che Hermione vide furono quegli occhi grigi, dritti nei suoi.
Malfoy si alzò e rimase in attesa di un suo passo. Voleva che lei andasse dal lui, ed Hermione obbedì a quella specie di richiesta mai detta. Mentre camminava, i suoi occhi non riuscivano a staccarsi dalla figura della donna : aveva qualcosa che non le piaceva, ma non si seppe spiegare esattamente cosa.
«Granger.» la salutò Malfoy. Aveva la voce roca, tipica di chi ha pianto fino a poco tempo prima, e gli occhi spenti.  «Cosa ci fai qui?»
«Cercavo te, Malfoy.» gli rispose, distogliendo lo sguardo dalla calamita che era la donna con lui. «Sono passata dalla tua villa, e l’elfo mi ha detto che eri qui al San Mungo.»
«Ah. Ti ha ridato la bacchetta, vero? L’avevi scordata nei sotterranei.» le chiese, e la donna voltò il viso di scatto verso di lui.
«Nei sotterranei, Draco? Ora la fai entrare anche lì?» gli chiese, la voce velenosa peggio dell’elfo domestico. Doveva averlo scelto lei personalmente, suppose Hermione, per essere così simili.
«Astoria.» la chiamò lui, la voce dura ed arrabbiata. Era davvero la moglie. «Non ora.»
«E quando?» chiese ancora lei. «Draco, dovevamo…»
«No.» ribadì Malfoy. «Non è il momento adatto.»
Sua moglie incrociò le braccia al petto, guardandolo con aria beffarda. «È così, allora… sai, è tutta una questione di preferenze, come ti dicevo prima. Anche se la scelta è alquanto limitata.» sibilò, guardando Hermione.
«Smettila. Te l’ho detto, non è il momento adatto.» ricambiò il sibilo di sua moglie.
«E quando mai lo è per te, Draco?»
Malfoy si passò stancamente una mano sul viso. «Granger, ti dispiace…»
Hermione gli fu grata per la scappatoia che le aveva offerto, fin troppo contenta di allontanarsi da quella donna che le era parsa a dir poco infernale. Scosse la testa, allontanandosi di qualche metro per evitare di sentire, lasciandoli in quella che era a tutti gli effetti una litigata da separati.
Vide Malfoy passarsi numerose volte le mani tra i capelli quasi bianchi, tra un’occhiataccia e l’altra - tutte rigorosamente rivolte a lei - di Astoria, ed Hermione non capì per quale motivo un’estranea avesse dovuto avercela così tanto con lei. Li osservò parlare fitto, scambiandosi occhiate tra il serio, il nervoso ed anche il divertito.

Era proprio vero, ragionò lei, trovando interessantissima una piccola crepa nel muro che prontamente venne cancellata dalla sua bacchetta, chi si somiglia si piglia. E a quei due mancava poco che si pigliassero sul serio, per i capelli però. O che iniziassero a lanciarsi fatture ed incantesimi vari.
Ma Hermione non poteva dedicare tutto il giorno a qualche scaramuccia tra quasi divorziati, aveva ben altre cose da fare, cose decisamente più importanti di questa. Si schiarì rumorosamente la voce, ricordando ai signori Roses la sua presenza, e si avvicinò nuovamente a loro.
«So che probabilmente avrete da fare, ma sono qui per un motivo preciso.» iniziò, non sapendo bene come continuare. Cosa poteva o non poteva dire, su quanto era accaduto al negozio di abiti? Nessuno le aveva detto nulla né imposto alcuna segretezza e così optò per la verità, certa che prima o poi sarebbe comunque uscita fuori.
«Ieri pomeriggio il negozio di Madama McClan è stato attaccato. Alcuni testimoni dicono di aver visto alcune figure incappucciate lanciare numerose fatture ed incantesimi, ferendo molte persone.»
Malfoy le annuì, ma sembrava non ascoltarla realmente. Aveva gli occhi fissi su un punto imprecisato del pavimento, e soprattutto continuavano ad essere terribilmente spenti.

Erano così diversi da quelli luminosi che aveva sognato…
Hermione si riscosse da quel pensiero e ritornò al suo discorso, ma per poco la testa bionda di Malfoy non la distrasse ancora. L’aveva alzata di colpo, poco dopo quel suo pensiero, ma lei non ci fece caso. Rivolse la sua attenzione alla donna, che le sembrava davvero interessata a ciò che stava raccontando. Hermione strinse di poco gli occhi, chiedendosi se il suo interessamento non volesse significare un reale coinvolgimento nella faccenda.
«Lo abbiamo saputo. Era sulla Gazzetta di stamani.»
Hermione annuì. «Sì. Quella però è la versione edulcorata fornita in accordo con il Ministero. Ci sono stati molto feriti, e purtroppo non sappiamo ancora chi sia il responsabile di tutto questo. Alcuni testimoni dicono di aver visto questi incappucciati indossare delle maschere. Maschere da Mangiamorte.»
Hermione divenne ancora più sospettosa all’occhiata che si lanciarono i due coniugi Malfoy al sentire la parola Mangiamorte. Che c’entrassero veramente, in tutta quella storia? Non lo sapeva, e doveva assolutamente interrogarli in merito.
«Non è così.» rispose il biondo, guardandola negli occhi. «Noi non siamo coinvolti in questa storia.»
Hermione sgranò gli occhi. Come faceva a rispondere ad una domanda, se la stava solamente pensando? «Ma come…»
«Legilimanzia.» spiegò, alzando le spalle. «Bellatrix era una Legilimens, me l’ha insegnata lei. Prima di… prima di Silente.»
«Perché accusate noi?» domandò Astoria, interrompendoli e fissando incuriosita lei e Draco. «Che prove avete?»
«Nessuna. E nessuno sta accusando i Malfoy.» replicò Hermione. «Data la presenza di maschere da Mangiamorte, il Ministro vuole quelle di chi è in libertà sulla sua scrivania. Il Ministero le sta solo recuperando.»
«Posso assicurarle, Weasley - o dovrei chiamarla Granger? - che nessuno della famiglia Malfoy c’entra in questo casino.» rispose secca Astoria, guadagnandosi l’ennesima occhiataccia dal marito. «E dunque, mi vedo costretta a chiedere a lei ed al Ministero di lasciarci in pace. Questa famiglia è finita fin troppo sui giornali, ultimamente.»
«Vorrei poterla accontentare, Malfoy. O forse dovrei dire Greengrass?» le rispose serafica Hermione, ricordando fortunatamente il cognome della donna. «Ma non è possibile. Non sono io, a comandare.»
«Oh, non ne sarei così sicura.» mormorò piano Astoria, talmente piano che Hermione fece fatica a sentirla. Ma non il biondo, lui la sentì perfettamente.
«Astoria!» sibilò il suo nome. «Finiscila
«Andiamo, Draco… iniziavo a divertirmi.» ribatté lei, l’ennesimo sorriso compiaciuto sul viso. «Non puoi togliermi anche questo.»
Malfoy sospirò. «No, certo che no. Ma c’è maniera e maniera, Astoria.»
«Lo so. Ma così è più piacevole. Magari non per tutti.» aggiunse, rivolgendo ad Hermione un’altra occhiata incomprensibile.
«Si riferisce a me, Malfoy?» le chiese allora lei, stanca da tutte quelle battute ed allusioni. «In cosa, esattamente, sarei divertente?»
«Granger, non…»
«No.» Hermione interruppe Malfoy, rivolgendogli una breve occhiata arrabbiata. «Gradirei saperlo, Greengrass.»
«Sono una Malfoy
«Ancora per poco, stando alla Gazzetta.» replicò Hermione in volto un’espressione beffarda così poco tipica di lei. «Erro?»
«Lasci che le dica una cosa, Granger.» Astoria le si avvicinò, spinta dalla collera e dall’irritazione che filtrava chiaramente dalla sua voce. «Se non fosse stato per colpa di una miserabile Sanguesporco, a quest’ora la Gazzetta non avrebbe…»
«Astoria!» Malfoy la richiamò, la voce e gli occhi pieni d’ira. «Basta. Non voglio più sentire una sola parola da te.»
«Proprio tu difendi questa…»
«Non ti azzardare a finire la frase, Astoria.» le sibilò lui, avvicinandosi minacciosamente alla moglie. Hermione smise di ascoltare, bloccata alle parole della donna.

Miserabile Sanguesporco.
Così, l’aveva appena definita. Tralasciò momentaneamente l’insulto, preferendo concentrarsi sul significato celato dietro quell’offesa.
Se non fosse stato per lei, a quest’ora la Gazzetta non avrebbe… non avrebbe scritto quell’articolo. Erano queste, le parole che Malfoy aveva fermato prima che arrivassero alle sue orecchie. Ci avrebbe scommesso tutte le Gelatine di Mielandia di Hugo. Hermione deglutì, sentendosi dì improvviso fuori posto.

Era… era colpa sua?
Era lei la responsabile della separazione dei Malfoy?, si trovò a domandarsi. E in quale modo poteva c’entrare, lei, se aveva rivisto il marito solo dopo che quell’articolo era uscito sul giornale?
Lo sguardo di lui sul suo viso, come se fosse una delle cose più preziose nelle sue mani.
Si costrinse ad alzare gli occhi che non si era accorta di avere fissi sul pavimento, e li puntò sul biondo davanti a lei. E fu lui questa volta, a chinare la testa, confermandole che i suoi pensieri erano esatti.
Era realmente colpa sua.
Si dimenticò di tutto : del suo compito di recuperare la maschera, dell’attacco al negozio, del perché i Malfoy si trovassero in quel reparto… scordò tutto.

Miserabile Sanguesporco.
No, questo non l’avrebbe mai dimenticato.
Senza dire una parola, si Smaterializzò lontano.

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

 

Riprese forma a casa di Harry e Ginny.
Non avrebbe voluto Materializzarsi lì, ma era l’unico posto dove avrebbe potuto trovarla, e Merlino sapeva quanto le servisse parlare con la rossa in quel momento.
«Hermione! Cosa… cosa ti è successo?» Ginny le si avvicinò velocemente, notando anche da quella distanza il volto tirato e gli occhi lucidi di sua cognata. Hermione l’abbracciò, sentendo la necessità di confidarsi con lei su quello che le era appena capitato. «Hai pianto?»
Lei annuì, preferendo non fidarsi della propria voce. Le sarebbe sicuramente uscita soffocata, o magari non le sarebbe uscita affatto.
«Oh, cara, perché?» le chiese Ginny. Le mise un braccio sulle spalle, accompagnandola dentro casa. «Ti va del tè, sì?»
Agitò la bacchetta, e subito due tazze di quella bevanda le comparvero davanti. Hermione ne prese una, beandosi del calore bollente che le scaldava le dita fredde.
Ginny stette in silenzio, rispettando quello dell’altra. Quando avesse avuto voglia di parlare, la rossa era sicura che lo avrebbe fatto. Conosceva bene sua cognata, sapeva che cercare di tirarle fuori le parole di bocca l’avrebbe solo fatta chiudere di più nel suo guscio.
«Io…» Hermione si schiarì la voce, rendendola più comprensibile. «Non so da dove cominciare. È colpa mia, Ginny. Sono stata io, la causa.»
La rossa la guardò interrogativa. «Dell’attacco a Madama McClan? Non è poss…»
«No. Non di questo.» calcò sull’ultima parola, sperando che l’altra capisse a cosa si stava riferendo. La vide aggrottare le sopracciglia, pensierosa, per qualche silenzioso minuto, e vide l’esatto istante in qui capì.
«Malfoy.» disse solo, guardandola nuovamente.
Hermione annuì. «Sono appena stata al San Mungo. Era lì, con la moglie.» una smorfia di fastidio le attraversò il viso. «Donna simpatica, Astoria.»
«Cos’è successo?»
«Mi ha accusata della fine del suo matrimonio con Malfoy. Io! Responsabile per qualcosa in cui non c’entro.»
«Magari voleva solo fare scarica barile.» ragionò Ginny, venendole in aiuto. «A volte è difficile accettare qualcosa di cui si è colpevoli. Accettarlo davvero.»
«Non c’entro niente.» ripeté Hermione, sfidandola senza accorgersene a dire il contrario. «Se lei non è riuscita a tenersi un marito, cosa vuole da me? Merlino, Ginny, mi ha chiamata miserabile Sanguesporco!» sbottò, troppo infuriata per stare seduta. «Posso affatturarla?»
Ginny rise. «Non credo che Malfoy ne sarebbe contento.» replicò. «Eppure dev’esserci un motivo, dietro, se ti ha accusata di averle rovinato il matrimonio.»
Hermione roteò gli occhi. «E sarebbe? Non ci sono arrivata.»
Sua cognata alzò le spalle. «Non saprei dirtelo. Forse la Malfoy ha scoperto qualcosa che non doveva, e per questo si è separata dal marito.» ipotizzò. «La Gazzetta non ha scritto nulla in proposito.»
«E perché quel qualcosa dovrebbe riguardare proprio me?»
Ginny la osservò fare avanti ed indietro per la sua cucina. «A volte è più facile deridere qualcuno piuttosto che ammettere di amarlo.»
Hermione si bloccò, sorpresa dalle parole di sua cognata. «Cosa vorresti dire?»
«Esattamente quello che hai capito, tesoro. Il confine tra dileggio ed affetto è sottile.» affermò sicura, ed Hermione fu costretta nuovamente a sedersi. «Non dico che non si sia comportato da bastardo, in passato, specialmente con te, eppure il suo è stato un comportamento che mi ha sempre incuriosita. Con tutti i Mezzosangue che c’erano ad Hogwarts, perché Malfoy doveva prendersela proprio con te? Ed ammettiamolo, era chiaro a tutti quanto gli piacesse farlo.» Ginny le strinse una mano, ma Hermione non sentì quel contatto. Era troppo concentrata sulle sue parole.
«E, dato che gli piaceva così tanto prenderti in giro ed offenderti, cosa lo rendeva così sicuro che dietro tutte quelle parole, non ci fosse altro? E cosa rendeva sicura te
Hermione si coprì il volto con le mani. «Non può essere vero.»
«Sai, una volta qualcuno mi disse che non si può scegliere chi amare.» Ginny le sorrise comprensiva. «E se devo essere sincera, Hermione, non ho mai visto di buon occhio il matrimonio tra te e Ron.» le confessò. «Harry ha sempre detto che mi sbagliavo, che voi due eravate perfetti, insieme; eppure non posso fare a meno di pensare a quanto sareste stati ancora meglio tu e Malfoy.»
Hermione si lasciò sfuggire un gemito inorridito, ma Ginny si limitò a sorridere.
«Siete entrambi intelligenti, siete ugualmente testardi. Ed orgogliosi.» proseguì. «Sì, sareste davvero bene insieme.»
«Ginny.» la chiamò Hermione, sollevando la testa dal tavolo dove poco prima l’aveva posata. La guardò fissa negli occhi, e ne trovò due sorridenti ad attenderla. «Ti rendi conto che mi stai guidando verso l’adulterio?»
La rossa scoppiò in una risata. «A meno che non sia cibo, Ron non riuscirebbe ad accorgersi di niente.»
«Ginny!»
«Oh, Hermione! Nessuno ti dice di lasciare Ron. È mio fratello, non mi permetterei mai di farlo.» affermò, seria. «Ma tu sei praticamente mia sorella, e Malfoy è sempre stato un po’… come definirlo? Interessante. Se non si considera la famiglia da cui proviene, certo.»
«Ginny…» la interruppe lei, ricordandosi che non le aveva ancora raccontato nulla. «Ho fatto un sogno, ieri notte.»
E glielo raccontò, fin quasi nel più minimo dettaglio. Quando finì, il volto di Ginny aveva un espressione a metà tra il sognante e l’invidioso.
«Merlino, Hermione. Questo sì, che è un signor sogno.» dichiarò. «Vedi? Anche la tua mente te lo mostra.»
Lei mormorò qualcosa a proposito di un Oblivion che avrebbe potuto fare su sé stessa.
«Posso farti una domanda, Hermione? Una domanda personale
Hermione alzò gli occhi al cielo. «Da quando hai il bisogno di chiedere, prima di farla?»
«In effetti… ma non è questo il punto. Rispondimi con sincerità. Hai mai fatto anche solo la metà delle cose che hai sognato, con Ron?»
«Ginny!» esclamò lei, il tono scandalizzato. L’altra alzò le spalle.
«La tua reazione ha risposto al posto tuo.» replicò semplicemente.
«Non siamo più adolescenti.» ribatté Hermione. «Il tempo da schiavi ormonali dovrebbe essere finito da un pezzo, Ginny.»
«Ti dico solo una parola.» replicò subito lei. «Ronald. Più che adolescente, lui è fermo proprio all’infanzia.»
Hermione voleva ribattere, ma si accorse di essere rimasta in silenzio. Non poteva di certo darle torto, se a volte Ron si comportava davvero come se avesse a malapena dieci anni…
La guardò di sottecchi, Ginny stava ancora sorridendo. Apertamente. «Dunque mi stai dicendo di…?»
Toccò alla rossa, alzare gli occhi al cielo. «È semplice.» mormorò. «Realizza quel sogno. Dimostra alla moglie di Malfoy che aveva torto, su di te. Falle capire che effettivamente non c’entri, con la loro separazione. Dimostra a me che sono in errore.»
Hermione strinse gli occhi guardandola adirata, e l’altra la ricambiò con un’occhiata calma.
«In fondo, cos’hai da perdere?»

Tutto, avrebbe voluto risponderle Hermione. Ho tutto da perdere.
Ma non lo fece.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note.

Questa volta ci ho messo più del solito a riuscire a postare, ma alla fine ce l’ho fatta.
Unico chiarimento, per questo capitolo. I signori Roses fanno riferimento a “La guerra dei Roses”, film del 1989 diretto da Danny DeVito, che ho visto recentemente e che non potevo non includere, dato che mi era sembrato un paragone abbastanza realistico su quello che accade tra Draco ed Astoria.
Al posto dei suppellettili, fatture ed incantesimi.
Ho fatto un veloce ed approssimativo calcolo, e direi che siamo a metà della storia. Non prevedo di fare più di quindici/venti capitoli. Altrimenti la storia risulterebbe troppo lunga, e quindi, noiosa. E a me piace poco, annoiarmi.
Al solito, grazie per essere arrivati fin qui ed al prossimo capitolo.

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Capitolo 8
*** Vuoto - parte I ***


Vuoto
Parte I















«Oh, Hermione! Entra pure.»
Entrò silenziosamente dentro l’ufficio, chiudendosi con attenzione la porta alle spalle. «Non vorrei disturbarti.» mormorò, altrettanto piano. «Ma ho bisogno di parlarti.»
«È per le maschere? So che non è un compito facile, prenderle tutte, ma il…»
«No.» lo interruppe lei, guardandolo finalmente negli occhi. «Non si tratta di questo. O meglio, c’entra. Vorrei che scegliessi qualcun altro per aiutarti, Harry. Io… non posso farlo.»
L’Auror la guardò meravigliato. «Ma… credevo fosse questo, l’importante. Trovare i colpevoli del negozio.»
Suo malgrado, Hermione si ritrovò ad annuire. «E lo è. Davvero. Non c’è niente che mi stia più a cuore che spedire quei bastardi ad Azkaban.» concordò, improvvisamente infervorata. «Ma sono successe delle cose che… non me la sento, Harry. Non ora.»
«Ginny mi ha accennato qualcosa.» le confessò lui. «Mi ha detto che hai avuto dei problemi. Spero non sia nulla di irreparabile, comunque. Sei una delle migliori del Ministero, Hermione.»
Lei gli sorrise debolmente, confortata dalle sue parole. «Ti ringrazio, Harry. So che non è il momento migliore, ma vorrei chiederti un favore. Ho bisogno di alcuni giorni liberi. Sento il bisogno di staccare la spina per qualche tempo.»
L’altro annuì prontamente. «Non hai bisogno di chiedere, Hermione. Lo sai che puoi prenderti tutti i giorni che vuoi.» la raggiunse da dietro la scrivania, sedendosi accanto a lei e le prese una mano. «Lo sai che, qualsiasi cosa ti sia successa, puoi contare su di me. E su Ginny, nel caso la mia presenza non ti sia d’aiuto.»
Hermione si ritrovò nuovamente ad annuire. Sentiva gli occhi umidi, ma non si sarebbe concessa di piangere. «Lo so. Davvero.» cercò di sorridergli, ma le uscì una smorfia. «Tornerò tra una settimana, se per te va bene.»
Harry le rivolse una lunga occhiata, prima di tornare a parlare. «Sicura che non sia niente di grave?» le domandò preoccupato. «Voglio dire… tra te e Ron tutto bene, vero? Ginny mi ha confidato che avete avuto una discussione, ieri sera. Per questo Ron ha dormito da noi.»
Hermione provò a minimizzare. «È una sciocchezza, Harry. Sul serio.» non doveva piangere. «Screzi tra marito e moglie. Nulla di che.»
Da quando era diventata così brava a mentire, si chiese, specialmente ad Harry? Non era stata affatto un’inezia, quella successa tra lei e Ron la sera precedente.


«È appena arrivato un gufo per te.»
Ron l’aveva salutata così, quella sera. Nessun bacio, nessun abbraccio, niente di niente. Hermione lo osservava, seduto in cucina, turbata da quell’accoglienza così poco tipica di lui, alternando gli occhi tra suo marito e la pergamena che giaceva sul tavolo.
«Un gufo a quest’ora?» gli domandò stupita, avvicinandosi.
«Già.» la voce secca di Ron la fece sussultare. Non l’aveva mai sentita così. Era arrabbiata, e lei non ne conosceva il motivo. «È urgente.» aggiunse, spostando lo sguardo verso una delle finestre.
«Cosa dice?» domandò piano, quasi sussurrando. Se suo marito aveva avuto quella reazione, leggendo quella pergamena, di sicuro non poteva contenere nulla di buono.
«Leggila.» Ron gliela porse con un gesto stizzito, allontanandosi con altrettanta rabbia da lei. Hermione prese la pergamena, sgranando sempre di più gli occhi ad ogni parola che leggeva. Non appena finì, capì il motivo dello strano comportamento di Ron e si rese conto che era stato giustificato dallo stesso contenuto della missiva.
Voleva parlargli, spiegargli il motivo per il quale aveva ricevuto quel gufo, ma lui la batté sul tempo.
«Per quale motivo un Mangiamorte ti chiede di perdonarlo?»
Per la seconda volta nell’arco di una sola giornata, Hermione sentì di trovarsi fuori posto. Ma quella era la sua stessa casa, e lei non aveva alcun motivo di sentirsi così isolata.
«No.» Ron riprese poi, alzando le mani in segno di resa. «Non voglio sapere. È chiaro.»
Hermione spalancò gli occhi. «Cosa sarebbe chiaro, Ron?» gli chiese, sentendo la rabbia crescere per l’insinuazione implicita di suo marito nei suoi confronti.
«Sai, il fatto di aver ricevuto una lettera a quest’ora così tarda. Specie se urgente. Ho pensato di aprirla, visto che mi era sembrata davvero importante. Dato l’attacco al negozio, ho pensato che il Ministero avesse fatto progressi, e volevano informarti. O magari il gufo poteva provenire da Hogwarts. Ricordi che abbiamo una figlia, lì? Ho pensato che ci fossero stati problemi, o che Rose si fosse fatta male.» le sbraitò addosso. «Ma sai cosa non pensavo? Non avrei mai pensato che quel gufo appartenesse a Malfoy. Per quale motivo un Mangiamorte come lui ha necessità di mettersi in contatto con mia moglie? A quest’ora, poi, e chiedendole di perdonarlo!»
Hermione scosse la testa, incredula a ciò che sentiva. «Non hai capito niente, Ron.»
«E allora spiegamelo.» ribatté lui. «Di cosa deve perdonarti, quel Mangiamorte?»
«Non è un Mangiamorte. Solo tu ti ostini a chiamarlo ancora così.»
«La gente non cambia, Hermione.» pronunciò secco. «Ha scelto di esserlo, e lo rimarrà sempre.»
Lei scosse la testa. «Non è vero. La gente può scegliere di cambiare. Forse tutti noi non siamo cambiati, dalla guerra?»
«Quello è diverso. Non avevamo scelta.»
«È questo il punto, Ron! Nemmeno lui aveva scelta.»
Suo marito la guardò rattristato. «Da quando lo difendi?»
«Da quando ho capito che non è più come è stato in passato.» mormorò, abbassando lo sguardo. «È stato un Mangiamorte? Vero. Ha tentato più volte di fare una cosa orribile, a Silente? Vero anche questo. Ma non ci è riuscito. Non lo si può accusare di qualcosa che non ha mai commesso.»
«Ucciderlo, Hermione, ha cercato di ucciderlo! È cattivo!»
Lei scosse amaramente la testa. «No, Ron. Non è cattivo. La cattiveria nasce da sentimenti negativi come la solitudine, la tristezza e la rabbia. Viene da un vuoto dentro che sembra scavato con il coltello, un vuoto in cui rimani abbandonato quando qualcosa di molto importante ti viene strappato via.» mormorò, più a sé stessa che a suo marito. «Malfoy non è cattivo.» tornò a ripetere, guardando la rabbia di suo marito. «È solo vuoto.»
«È un maledetto Mangiamorte, Hermione!» ribatté Ron, agitando nervoso le mani.
«No.» sussurrò ancora lei, gli occhi ancora più umidi. «Il mondo non si divide più in persone buone e Mangiamorte, Ron! Tutti abbiamo sia luce che oscurità dentro di noi. Ciò che conta è da che parte scegliamo di agire. È questo quello che siamo. E lui ha scelto.»

«Dovrebbe assumerti come suo difensore. Anche se lo accusassero di omicidio, con te riuscirebbe a spuntarla.» la tacciò amaramente, guardandola di sbieco.
Hermione sospirò. Quel discorso non avrebbe portato da nessuna parte, ne erano coscienti entrambi. «Ron…»
«No. Niente Ron.» ribatté. «Sono giorni che sei strana, Mione. Ed ora ho capito perché.»
«Te l’ho detto. Non hai capito nulla.» insistette lei, lasciando che le lacrime le si intrappolassero tra le ciglia.
«Non c’è niente da capire. Ora è tutto chiaro, sai? Il perché mi sembravi lontana, in questo periodo. L’ho capito solo adesso.»
«Non farlo, Ron. Non anche tu, ti prego.» lo scongiurò, lasciando finalmente libere le lacrime. «Non incolparmi anche tu di cose che non ho fatto.»
Ron la guardò interrogativo, stupito dalle lacrime di sua moglie. Si precipitò a raggiungerla, sostenendola prima che gli crollasse davanti. «Mione… cosa succede?»
«Non sono così.» iniziò a singhiozzare lei, perdendo tutta la calma che fino a poco prima l’aveva trattenuta. «Non posso essere la causa di tutto.»
«Mione? Di che stai parlando?» le chiese allora lui, sinceramente preoccupato per il crollo improvviso di sua moglie. La sorresse, aiutandola a sedersi nuovamente, guardandola mentre si maltrattava i capelli e si passava una mano sul viso, cancellando quel poco di trucco che aveva fin dal mattino. «Hermione…»
Lei alzò lo sguardo verso di lui, e Ron poté vedere gli occhi incredibilmente rossi e gonfi di sua moglie. Cosa aveva potuto ridurla in quello stato? Chi, poteva averlo fatto? Che… che fosse questa, la ragione per cui Malfoy le aveva mandato quel gufo?
Ron si alzò in piedi, fremendo di rabbia. «Cosa ha fatto?» le chiese, obbligandola a guardarlo. «Cosa ti ha fatto quel Mangiamorte, Hermione? Rispondi!»
Ma sua moglie non lo ascoltava. Singhiozzava in un modo che Ron non le aveva mai visto fare, e si teneva la testa tra le mani.
«Non può essere davvero colpa mia.» continuava a ripetere. «Non possono essersi separati per me.»
Per Ron fu tutto chiaro.


«Ne vuoi parlare?» le chiese gentilmente lui, ma Hermione scosse la testa. «Va bene. Rispetto la tua privacy. Sicura che una settimana ti basti?»
«Credo… credo di sì. Non voglio stare troppo lontana da Hugo.» gli rispose, strisciando i palmi avanti ed indietro sui jeans che aveva indossato. «Starà dai miei.» gli spiegò, rispondendo ad un’occhiata interrogativa dell’Auror.
«Dove andrai?» le chiese allora, usando quel tono simil paternalistico che utilizzava ai tempi della scuola.
«Ancora non lo so.» mormorò, guardando in terra. «Penso… non lo so. Qualcosa mi verrà in mente.»
«Per qualsiasi cosa, manda un gufo.» si premunì lui, alzandosi per abbracciarla. Hermione ricambiò subito quella stretta, desiderosa che non finisse mai. Aveva davvero bisogno di Harry, in quel momento. Non era mai stato una persona di molte parole, con lei, eppure tutto ciò che aveva detto le aveva dimostrato il contrario.
Gli voleva bene.

 
 

 

 

 

***

 

 

 

Primo giorno.

 

Granger,
so che non dovrei scriverti, ma non posso fare a meno di continuare a scusarmi per quello che è accaduto al San Mungo. Sicuramente penserai che non meriti nemmeno una tua risposta, e probabilmente avrai strappato questa pergamena appena ti è stata consegnata, ma voglio continuare a tentare.
Ho commesso tanti errori, in passato, ed altrettanti ne sto commettendo. E, come me, ha fatto Astoria. Non aveva alcun diritto di rivolgerti a te usando quelle parole, e sinceramente non so cosa le sia passato per la mente. Vorrei scusarmi anche da parte sua, anche se sicuramente servirà a poco. Non è una cattiva persona, ma sono certo che avrai modo di sincerartene tu stessa.
Draco Lucius Malfoy.

 

La pergamena finì nella pattumiera.

 

 

 

Secondo giorno.

 

Granger,
Il gufo di ieri non ti è arrivato? Dev’essersi perso per la strada. Spero che questo non faccia la stessa fine, e che il messaggio ti arrivi senza problemi.
Non sono solito chiedere perdono della mia condotta, eppure questa volta mi vedo costretto a farlo. Devo chiederti scusa delle azioni mie e di Astoria, quel giorno al San Mungo. Non era nelle sue intenzioni, offenderti in quel modo. Ha sbagliato, e mi auguro che lei stessa - quanto prima - possa chiederti perdono di persona.
Draco Lucius Malfoy.


Finì incendiata in un cestino.

 

 

 

 

 

Quarto giorno.

 

 

Hermione,
ho lasciato passare volutamente un paio di giorni, dall’ultimo gufo, per darti tutto il tempo di riceverlo. So per certo che è arrivato, eppure non ho ricevuto alcuna risposta da parte tua, e vorrei almeno vedere ripagate le mie fatiche nello scriverti.
Vorrei chiederti nuovamente perdono, ma ormai sappiamo entrambi che sarebbe inutile. Non mi risponderesti. Ma non mi arrendo.
Draco Lucius Malfoy.


Finì abbandonata nel camino.

 

 

 

 

Quinto giorno

 

 

Hermione,
tento nuovamente, nella speranza inutile di una risposta.
Perdonami per ciò che è successo.
Draco Lucius Malfoy.

 

Venne rimandata al mittente.

 

 

 

Sesto giorno.

 

Hermione,
voglio tentare ancora una volta.
Vorrei tanto che tu riuscissi a perdonare me ed Astoria. Ho bisogno che tu lo faccia. Le cose non stanno andando bene, e l’unica cosa che riuscirebbe a tenermi in piedi è il tuo perdono.
Non so se tu abbia letto la Gazzetta, quest’oggi. In caso contrario, vorrei che lo facessi.
Anche di questo, ho bisogno.
Draco.


La conservò.
E, dopo giorni e giorni di silenzio, vuoto e solitudine immersa solo nei suoi pensieri, tornò al mondo reale.
Aprì la Gazzetta del Profeta.

 

 

 
 

 

***

 

 

 

 


Erano passate quasi due settimane, dall’ultima volta che Hermione aveva messo piede al San Mungo.
E lo avrebbe volentieri evitato anche questa volta, se non fosse stato per il profondo senso di colpa che sentiva e che non l’aveva lasciata dormire per molte notti.
Quando le era arrivato il gufo del giornale che aveva richiesto, un esemplare diverso da quelli solitamente usati dal Ministero o dal solito che Malfoy aveva usato per spedirle quelle insistenti lettere, Hermione aveva immediatamente capito che la sensazione di nervosa apprensione che aveva provato era esatta.
Quel gufo era nero.
Aveva aperto la Gazzetta consegnatale dall’animale con un misto di agitazione, paura  ed indecisione, e solo alla fine aveva capito che probabilmente sarebbe stato meglio non leggerla affatto, quella notizia. Anche se così, ammise a sé stessa, sarebbe sicuramente stato peggio. Sarebbe stato come fingere di non esserne venuta a conoscenza, e lei non poteva recitare né davanti ai suoi amici né davanti a lui.
Avrebbe potuto, certo, ma non era così codarda da fare finta di niente.
Lucius Malfoy era morto.
Era successo quella stessa mattina, al quarto piano del San Mungo. Le ferite provocategli durante l’agguato che gli era stato teso dalle stesse persone - il Ministero era assolutamente certo di questo - che avevano attaccato Madama McClan gli erano state fatali. I Medimaghi che l’avevano in cura non erano riusciti a salvarlo, adducendo che i tagli, provocati da quello che a tutti gli effetti somigliava molto ad un Sectumsempra, erano troppo profondi per essere curabili.
Si era spento dopo giorni e giorni di dolore, assistito notte e giorno dalla moglie e dal figlio che non l’avevano mai lasciato solo. Ed Hermione si vergognava, perché non sapeva se essere lieta della notizia o meno. Da un lato, e non si poteva di certo negare, Lucius era stato responsabile - probabilmente uno dei maggiori colpevoli - di quello che era accaduto ai tempi della guerra, ma dall’altro… non poteva non rattristarsi per la famiglia che si lasciava dietro. Non era così meschina di riderne, di quella disgrazia che aveva colpito la famiglia Malfoy, né lo sarebbe mai stata.
Nessuno lo sarebbe stato.
Ricordava che Malfoy era sempre stato legato a suo padre in maniera particolare, e nonostante Lucius avesse sbagliato innumerevoli volte, anche con il suo stesso figlio, lui lo aveva sempre rispettato come si conveniva nei confronti di un genitore. Era sicura che non se lo fossero mai detti, ma si volevano bene.
Malfoy ne sarebbe uscito distrutto, da quella morte.
Hermione non poteva nemmeno immaginare cosa significasse perdere un genitore, e si augurava di provarlo il più avanti possibile, se non addirittura mai, ma in quel momento si mise davvero nei panni del biondo.
E sarebbe crollata.
Arrivò al quarto piano e lo vide, seduto sul pavimento di quello stesso corridoio dove l’aveva rivisto solo poco più di una settimana prima. Era completamente solo, nessuno era presente per sostenerlo.
Ma c’era lei, ora, lì con lui.
E non l’avrebbe lasciato
.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note.
 

Devo ammetterlo, Lucius Malfoy è un personaggio che ho sempre considerato profondamente odioso - non me ne vogliate - e scegliere di farlo uscire dalla storia, oltre che per motivi di trama, è stato alquanto… liberatorio.
Come avete potuto notare, lo spazio temporale in questo capitolo si è allungato rispetto a quello passato. Posso assicurare che, a fine storia, questi buchi temporali saranno spiegati. Dopotutto, per ogni cosa c’è un perché.
La frase “La cattiveria nasce da sentimenti negativi come la solitudine, la tristezza e la rabbia. Viene da un vuoto dentro che sembra scavato con il coltello, un vuoto in cui rimani abbandonato quando qualcosa di molto importante ti viene strappato via.” appartiene a Ryū Murakami, scrittore, sceneggiatore e regista giapponese; mentre “Il mondo non si divide più in persone buone e Mangiamorte. Tutti abbiamo sia luce che oscurità dentro di noi. Ciò che conta è da che parte scegliamo di agire. È questo quello che siamo.” è una frase pronunciata da Sirius Black nel quinto film, L’ordine della Fenice.  

Alla prossima.

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Capitolo 9
*** Gunfire ***


Gunfire















Arrivò al quarto piano e lo vide, seduto sul pavimento di quello stesso corridoio dove l’aveva rivisto solo poco più di una settimana prima. Era completamente solo, nessuno era presente per sostenerlo. 
Ma c’era lei, ora, lì con lui. 
E non l’avrebbe lasciato.

Lo raggiunse, camminando il più piano possibile. Non voleva che il rumore delle sue scarpe risuonasse più di quanto già non facesse, in quel corridoio semivuoto. Camminava verso di lui ed intanto lo guardava, riuscendo a comprendere - per quanto le era possibile - lo stato in cui riversava il biondo. Non doveva essere affatto facile, per lui, come non lo sarebbe stato per chiunque altro.
Le cose non stanno andando bene.
Questo, le aveva scritto nell’ultima lettera che le era stata consegnata, ed Hermione di certo non avrebbe mai immaginato che andassero così male. Non appena aveva letto la Gazzetta del Profeta si era immediatamente Smaterializzata nello Wiltshire, ma lì aveva trovato ad attenderla solamente l’elfo domestico Sock, il quale le aveva prontamente comunicato che i padroni erano al San Mungo, neanche se lei fosse stata una cosa sgradita da mandare via al più presto.
Ma Hermione non vi aveva dato peso, scambiando lo sdegno dell’elfo per preoccupazione verso uno dei suoi padroni, e si era precipitata all’ospedale. La famiglia Malfoy, nonostante il declino che li aveva visti protagonisti anni ed anni prima, potevano vantarsi di annoverare - malgrado tutto - molte persone tra le loro amicizie, ed il fatto di non vederne nemmeno una, di quelle conoscenze così importanti, aveva provocato in Hermione un senso maggiore di dispiacere nei confronti della persona che aveva davanti.

Doveva sentirsi incredibilmente solo.
Si fermò davanti a lui portandosi alla sua stessa altezza, inginocchiata sul pavimento, non sapendo cosa pensare del fatto che il biondo nemmeno l’aveva sentita avvicinarsi a lui.
«Malfoy.» lo chiamò, stupendosi lei stessa di quanto sommesso le fosse uscito quel mormorio. Prontamente gli si avvicinò con una mano, come faceva con Ron quando fingeva di non sentirla, ma si bloccò a mezz’aria. Deglutì, non sapendo come comportarsi.
Forse voleva semplicemente stare da solo, si trovò a riflettere. Forse, era stato così tanto tempo da solo, che si era convinto di esserlo davvero. In fondo, ragionò, nessuno era lì con lui. Sì, probabilmente non desiderava avere nessuno accanto a sé, ed Hermione si diede della sciocca per aver pensato che - forse - lei poteva aiutarlo in qualche maniera.

Stupida.
Si alzò da terra, seccata per il suo stesso pensiero, intenzionata ad andarsene di lì. E l’avrebbe davvero fatto, se non fosse stato per una parola che la fece arrestare sul posto.
«Resta.»
Hermione lo osservò alzare la testa e rivolgere lo sguardo verso di lei. Gli occhi arrossati ed i suoi capelli disordinatamente arruffati la colpirono, facendole provare realmente un’incredibile pena nei confronti di Malfoy. Non l’aveva mai visto in quelle condizioni, ai tempi di Hogwarts, nemmeno una volta. Ma ora non erano in quel castello : erano entrambi adulti, anche se a volte le reazioni - specie davanti ad un avvenimento funesto come quello - tornavano ad essere lievemente infantili.
«Resta.» la pregò ancora lui, alzandosi a sua volta. «Per favore.»
Hermione deglutì, alzando gli occhi sul suo viso, sinceramente indecisa sul da farsi. Sarebbe dovuta rimanere, come lui le aveva chiesto, o avrebbe dovuto seguire la logica, andando via da quel luogo?
«Tua moglie?» gli chiese invece. «Potrebbe stare lei, qui con te.»
Il biondo scosse la testa. «No. Astoria è… Astoria non ha mai provato cosa significhi perdere qualcuno. Non saprebbe come… come comportarsi.» mormorò.
«È adulta. È ora che lo impari, non credi?» sussurrò lei, la voce più dura di quanto realmente volesse. «Scusa. Non volevo.» aggiunse poi, chinando colpevole la testa. Non intendeva comportarsi così, non in quel momento, ma le cattiverie - gli insulti - pronunciati verso di lei dalla Greengrass ancora le bruciavano.
«Hai tutte le ragioni per avercela con lei.» notò lui, stupendo non di poco Hermione, che di fatto tornò a guardarlo meravigliata. Le stava davvero dando ragione? Cos’era successo al solito Malfoy?, si domandò.
Vide un mezzo sorriso spuntare sul viso di lui. «Ha solo fatto una scelta.» gorgogliò triste.

Ciò che conta è da che parte scegliamo di agire. È questo quello che siamo. E lui ha scelto.
«Legilimens. L’avevo scordato.» mormorò a sé stessa. «Mi dispiace per tuo padre. Non dev’essere facile.»
«No, non lo è. Ma nessuno è eterno, dopotutto. Bisogna rassegnarsi.» affermò, e la voce priva di qualsiasi inflessione aumentò in Hermione la compassione che già sentiva di provare nei confronti di Malfoy. Lo guardò alzare la testa, fissando quegli occhi che ora sembravano animati da scintille di rabbia.
«Compassione?» le chiese, la voce improvvisamente dura, lo stesso sentimento che contagiò quegli occhi grigi, rendendoli di ghiaccio. «Non ho bisogno della tua compassione.»
Hermione si ritrovò a deglutire, pensando che avrebbe dovuto controllare meglio i suoi stessi pensieri, in sua presenza. Però era anche vero che Malfoy non poteva leggerle nella testa a suo libero piacimento! Merlino, che presuntuoso che era. L’immagine di un furetto le balenò d’improvviso nella mente, e dovette reprimere l’impulso di sorridere.
«Nessuno ti ha mai detto che la tua mente è alquanto contorta, Mezzosangue?» le chiese, nuovamente calmo, - che soffrisse davvero di personalità multipla?, si trovò a chiedersi -, ed Hermione iniziò a notare che la tristezza che aveva caratterizzato il viso del biondo fino ad allora stava iniziando a scemare. Grazie a lei?
«Forse perché nessuno si è mai preso l’onere di farlo.» ribatté, accorgendosi solo dopo dell’implicazione nelle sue parole. Arrossì lievemente.
«Mi stai dando il permesso, Granger?» le domandò ancora, avvicinandosi a lei. Hermione non nascose un sorriso. Sapeva che doveva avercela con lui, per la strana piega - sincera - che stava prendendo la conversazione, eppure… eppure non ci riusciva.
«Credevo che i Malfoy non avessero bisogno del permesso di nessuno.» si ritrovò ad affermare.
Il biondo annuì. «È vero. Generalmente. Ma in questo caso…»
«E comunque, - riprese lei, interrompendolo - la mia mente non è affatto contorta!» esclamò offesa, incrociando le braccia al petto. Malfoy si mise a ridere, ed Hermione vide davvero la tristezza cominciare ad abbandonare quegli occhi grigi.
«Sei una donna, Granger.» la contraddì lui. «La tua mente è contorta di natura.»
Hermione aprì la bocca per ribattere, pronta a dirgliene quattro, ma nessuna parola le uscì.
Probabilmente aveva ragione, dovette ammettere a sé stessa.
«Io ho sempre ragione, Granger. Dovresti averlo capito ormai.» proferì lui, ripescando i gesti altezzosi di Hogwarts. Presuntuoso, borioso ed arrogante di un furetto. Hermione lo vide sorridere.
«Grazie.» bisbigliò poi, talmente piano che fece fatica a sentirlo. Lo guardò interrogativa, la testa lievemente inclinata di lato, costringendolo a spiegarsi meglio. Dopo una breve occhiata al cielo, naturalmente. «Per ciò che stai facendo. Non è semplice.»
«Non pensavo che uno come te, un Malfoy - specificò, alla sua occhiataccia torva - avesse bisogno di una Mezzosangue, come ormai ti sei abituato a chiamarmi. Devo ammettere che mi ha stupito e non poco, la tua insistenza. Non credevo che…» si interruppe non appena si accorse che la stava guardando con insistenza e confusione.
«Di che stai parlando?»
Hermione alzò gli occhi al soffitto. «Delle lettere, Malfoy. Sto parlando di quelle.» gli spiegò. «Dei gufi che mi hai mandato per tutta la settimana scorsa.»
Lui strinse gli occhi per qualche istante, per poi sgranarli fino quasi a dismisura. Una smorfia di rabbia gli deformò i lineamenti. «Cosa diamine crede di fare!» sibilò, infuriato.
«Ma cosa…»
«Granger, le hai ancora? Le lettere.» le chiese, e lei annuì.
«Sì, una. Ma non la ho qui con me.» gli rispose, non riuscendo a capire perché fossero così importanti. Lo osservò stringere i pugni e mormorare qualcosa di inintelligibile, mentre ripercorreva avanti ed indietro l’intero corridoio.
«Draco!»
Si voltarono entrambi quando la voce di Narcissa Malfoy chiamò quasi urlando il nome di suo figlio. Hermione si ritrasse senza pensarci, volendo lasciare quanta più privacy possibile a quei due. Tre, rettificò poi, osservando irritata la presenza della Greengrass subito dietro la Malfoy.
La donna si fermò a pochi passi da lei, e non fu in grado di fare altro : Malfoy le si avvicinò fulmineo, la prese per un braccio e si diresse vero il fondo opposto del corridoio.
L’espressione del biondo non lasciava adito a fraintendimenti, era davvero furioso. Ma per cosa? Per le lettere che le aveva spedito? Ed in che modo, si domandò Hermione, quelle missive riguardavano la moglie?
Avrebbe voluto avere una spiegazione in merito, ma si rese conto che - in fondo - non erano davvero affari suoi, e lasciò correre.
«La sta prendendo bene.»
Hermione si voltò, incrociando gli occhi ed il volto tirato della signora Malfoy. La guardava con un misto di dolore e qualcos’altro che non sapeva definire; il tono della voce insolitamente gentile.
«Ho sempre pensato che la morte di Lucius potesse avere conseguenze negative, su mio figlio.» rivelò, guardandolo mesta. «Draco è sempre stato molto legato a suo padre. Nonostante tutto, lo ammirava. Era una delle poche figure autoritarie che conosceva. Era un esempio, per lui. Un modello da seguire.»
«Sì, ricordo vagamente quando ci ha provato.» ribatté  ironicamente Hermione. «Silente…»
«Silente non c’entra.» la contraddisse seccamente l’altra. «A quel tempo ne è stato costretto, non aveva scelta. Ma non è a questo che mi sto riferendo, signora Weasley. Draco… mio figlio è cresciuto in un ambiente poco adatto ad un bambino. Fin da piccolo, è stato abituato a certi comportamenti da mio marito. E da me. Non ho alcun problema ad assumermi le mie colpe. Ma ora, con la morte di Lucius…» scosse la testa, lasciandosi cadere su una sedia.
«Perché sta dicendo queste cose?» le chiese Hermione, quando la donna smise di parlare. «Perché a me, perché adesso?»
Narcissa Malfoy le rivolse uno sguardo indecifrabile. «Lo capirà, signora Weasley. A suo tempo.» decretò, ed Hermione si sentì ancora più confusa di prima.
«Oh, Draco.» Narcissa si rivolse al figlio che l’aveva appena raggiunta. «Possiamo portarlo a casa. I Medimaghi hanno acconsentito, per il...»
«Ho capito.» la interruppe lui, guardando di sbieco la moglie. «Vai avanti tu, per favore. Ti raggiungo subito.»
Narcissa gli accarezzò il volto, uno dei pochi - forse l’unico - gesti materni che Hermione le vide fare in pubblico. «Sei sicuro? Se non te la senti, possiamo vederci direttamente a casa. Va bene, allora. Ti aspetto dentro.»
Hermione la vide allontanarsi, ed azzardò uno sguardo alla fine del corridoio notando ancora la presenza di una Greengrass insolitamente silenziosa. Si chiese se avesse terminato gli insulti o se ne stesse pensando di ancora più crudeli da rivolgerle.
«Granger, potrei parlarti un attimo?» le domandò il biondo.
«Non credo sia una buona idea.» asserì lei, asciutta. «Anzi, non lo è affatto.»
«Weasley.» la chiamò la Greengrass, avvicinandosi ad entrambi. Rivolse una breve ma insistente occhiata a Malfoy, il quale si allontanò per raggiungere la madre senza dire nulla. «Sono io, ad avere bisogno di parlarle. Potremmo andare in un posto meno… desolante?»
«No.» affermò Hermione, ancora più seccamente di prima. «Gli insulti che mi ha rivolto mi sono bastati, e mi basteranno per molto tempo. Non ho bisogno che me ne rivolga altri, Malfoy, grazie.»
«Mi sono comportata male, è vero.» confermò. «Le chiedo solo cinque minuti del suo tempo.»
Hermione tornò a guardarla, combattuta sul come comportarsi. La Greengrass non sembrava avere cattive intenzioni, notò. Forse avrebbe dovuto concederle il beneficio del dubbio. E poi, era curiosa di conoscere il motivo di tanta urgenza nel volerle parlare. Le annuì.
«Non qui, però. Andiamo di sopra, le dispiace? Ho davvero bisogno di una tazza di tè.» le rivolse un’occhiata veloce, riprendendo subito a camminare. «O magari di un Gunfire
«Facciamo due, Malfoy.» sospirò Hermione, stupita che conoscesse quella bevanda tipicamente Babbana, e stupendosi ancora di più per il fatto che quella stessa bevanda la desiderava anche lei, nonostante fosse quasi del tutto astemia.
«E due Gunfire siano.» ordinò, una volta giunte alla sala da tè al piano superiore. Hermione la vide cercare un tavolo appartato, e quello che scelse lo era decisamente troppo. Era completamente isolato dal resto della sala, e di conseguenza, perfetto per qualsiasi cosa la Malfoy avesse in mente. Perché così tanta segretezza?, si domandò Hermione. Non trovò risposta.
«Prima di tutto, Weasley - iniziò, stringendo tra le mani il tè corretto appena arrivato - è mio desiderio chiederle perdono. Mi sono comportata male nei suoi confronti, quella volta. E me ne dispiaccio profondamente.»
Hermione la fissò a bocca aperta. O quasi. «Perché… perché?»
«Perché le sto chiedendo scusa?» le domandò, ed Hermione annuì. «Mi sembra ovvio. L’ho insultata, ho commesso un errore e ora sto cercando di rimediare. Non mi sembra niente di straordinario.»
«Mi creda, Malfoy. Lo è.» replicò Hermione, dissetandosi con un sorso di quella bevanda.
L’altra la guardò incuriosita. «Perché sono stata una Malfoy?»
«No. Cioè, anche. Sì.» affermò. «Il fatto è che non capisco tutta questa insistenza nel volersi scusare con me.» aggiunse poi, sospirando. «Anche suo marito…»
«Mio… Draco non c’entra.» la interruppe subito l’altra, prestando particolare attenzione alle reazioni di Hermione alle sue parole. Lei la guardò confusa.

Devo ammettere che mi ha stupito, la tua insistenza. Non credevo che…
Di che stai parlando?
Delle lettere, Malfoy. Sto parlando di quelle. Dei gufi che mi hai mandato per tutta la settimana scorsa.
Cosa diamine crede di fare!

Hermione strizzò gli occhi, fissando la donna seduta davanti a lei come se fosse stata un fantasma. «È… è stata lei! Lei mi ha spedito quelle lettere!» esclamò alzandosi improvvisamente, non prestando attenzione al contenuto della tazza di fronte a sé che si rovesciò spandendosi su tutto il tavolo. «Lei ha finto che fossero di…»
«Di Draco, sì.» confessò lei, tranquilla. «Sono stata io. Ora, Weasley, le chiederei di tornare a sedersi. I Malfoy sono già abbastanza chiacchierati, oggi.»
Hermione seguì il suo consiglio, lasciandosi cadere nuovamente sulla sedia. «Sono… esterrefatta sarebbe un eufemismo. Perché?»
L’altra alzò le spalle, un gesto così simile a quello del marito, e continuò a sorseggiare il suo tè per qualche istante prima di risponderle. «Non lo immagina?» le domandò. «No, altrimenti non me l’avrebbe chiesto. E pensare che era conosciuta come la strega più intelligente di tutta Hogwarts.» aggiunse poi, guadagnandosi un’occhiata di sbieco da Hermione.
«Perché? Perché far credere che fossero di suo marito, quelle lettere?»
«Ho i miei motivi.» fu la sua risposta lapidaria. «E, al momento, vorrei tenerli per me.»
«Credo di meritare una spiegazione.» obiettò Hermione, insistendo ostinatamente.
«Cosa conosce di Draco?» le chiese poi, dopo qualche istante di silenzio. La domanda inaspettata della Malfoy la lasciò di sasso. «Se le chiedessi di descriverlo, quali parole userebbe?»
«Insulti, vorrà dire.» le scappò prima che potesse fermarsi. Hermione si portò una mano alla bocca, vergognandosi di ciò che le era appena sfuggito, ma l’altra non sembrava affatto offesa, piuttosto estremamente divertita.
«Sono parole anche quelle.» affermò. «Allora?»
Hermione ci rifletté per alcuni secondi, ma davvero le venivano in mente solo insulti nei confronti del biondo assente. Alzò le spalle - stava diventando simile a Malfoy anche lei? - ed optò per quella che, almeno teoricamente, non sarebbe stata in grado di ferire nessuno. Specialmente la donna seduta davanti a lei, data l’espressione divertita che ancora non ne abbandonava il volto.
La verità.
«Beh, Malfoy è…» iniziò, scegliendo accuratamente il primo aggettivo. «È
prepotente, altezzoso, presuntuoso, sfrontato e insolente.» sputò tutto d’un fiato. La Greengrass rise di nuovo, più forte e più genuinamente di prima.
«È appurato, Weasley, che quelli siano aggettivi tipici di una Casa chiamata Serpeverde.» la corresse, allargando il divertimento anche agli occhi. «Se ricorda bene, non le ho chiesto di descrivermi la Casa, ma Draco.»
«L’ho fatto.» ribatté, accalorandosi. «È questa, la mia descrizione.»
La Greengrass sospirò, mostrandosi abbattuta. «Merlino, è più complicato del previsto.» bisbigliò tra sé, scuotendo la testa. «Weasley… posso chiamarla Hermione? Bene. Hermione, le lasci dire una cosa. No, nessun insulto, stavolta. La descrizione di Draco ne è sufficiente. E si fidi, ha preso in pieno molti suoi comportamenti.» sorrise, palesemente divertita. «Ci riprovi. Sono sicura che le usciranno aggettivi migliori di questi.»
Hermione sospirò, frustrata. Perché quella donna insisteva così tanto? Pensò ad un modo per cavarsi d’impiccio - in fondo, gli anni passati con Ron qualcosa le dovevano per forza aver lasciato - ma l’espressione seria della Greengrass la fecero desistere dal suo proposito, e si rese conto che non avrebbe mollato l’osso tanto presto.
Ma lei, si domandò poi, era davvero quell’osso, o piuttosto la bistecca? A giudicare dalla veemenza della serietà sul volto della donna, era decisamente l’osso.
«Malfoy è… è freddo.» soffiò, scegliendo il primo aggettivo che le venne in mente, e che le ricordò il primo incontro con il biondo, anni ed anni prima.
«Freddo?»
Hermione annuì convinta. «Sì. Freddo. Scostante. Scontroso.» mormorò, abbassando lo sguardo a terra.
«Terrorizzato.» aggiunse poi, ricordandosi degli occhi impauriti del biondo nei sotterranei, quando aveva voluto che ascoltasse la conversazione tra lui e Lucius.
«Protettivo.» ricordò ancora, quando si era messo davanti a lei per timore che suo padre la scoprisse, sebbene protetta dall’ Incantesimo di Disillusione.
«Rassegnato.» quando aveva inizialmente chinato la testa alle decisioni del padre.
«Possessivo.» come lo era stato nei suoi confronti durante il sogno che aveva fatto poco meno di dieci giorni prima.
«Vuoto.» come aveva descritto il biondo a Ron, difendendolo dalle ennesime accuse di essere ancora un Mangiamorte, e come lo aveva visto solo pochi minuti prima, nel corridoio al piano di sotto.
«Incoerente.» come quando l’aveva difesa dalle accuse e dagli attacchi della donna… di Astoria, andando perfino contro ciò che lui aveva sempre creduto che fosse Hermione - Mezzosangue, Sanguesporco - dimostrando davvero una contraddizione senza precedenti; forse davvero troppa rispetto alla razionalità che il biondo aveva sempre dimostrato di possedere, in special modo nei suoi confronti.
Ed Hermione non si accorse che Astoria aveva ricominciato a parlare, mormorando piano una parola che lei ebbe modo di registrare solo dopo, quando la ripeté ad alta voce senza pensarci, troppo occupata a scoprire di quale colore fosse il fondo della sua tazza di Gunfire.

Quel fondo era nero.
«Innamorato.» affermò ancora, e fu solo successivamente che Hermione si rese davvero conto del reale significato di quella parola. «Cosa… no!» esclamò, atterrita. «Cosa diamine mi fa dire?» sbraitò poi, contro un’Astoria dall’espressione tranquilla, comodamente seduta sulla sua sedia.
«Io? Nulla.» negò pacatamente. «Ho solo cercato di seguire il suo naturale ragionamento.»
«Naturale? Naturale un accidenti! Non mi sembra di aver mai pensato una cosa del genere, Astoria!»
«Tu forse no.» una voce dietro di lei la fece bloccare sul posto. Hermione sbiancò, raggiungendo quasi la tonalità di quella pelle pressoché trasparente della persona dietro di lei. Si voltò lentamente, deglutendo a fatica.
«Tu forse no, Hermione.» tornò a ripetere, aggiungendo il suo nome alla frase, e lei ebbe quasi la sensazione di potersi specchiare in quelle due pozze grigie che non sembravano abbandonarla. Draco Malfoy la fissava in una maniera indecifrabile, ma - stranamente - nessuno di quegli aggettivi che aveva elencato prima sembravano contraddistinguerlo in quel momento.

Freddo, scontroso, terrorizzato, incoerente.
Protettivo, rassegnato, possessivo, vuoto.

Hermione tornò a deglutire, la gola ancora più secca di prima. Avrebbe voluto davvero sprofondare. Guardò male quel poco che restava della sua bevanda, addossandole tutta la colpa della situazione imbarazzante in cui si trovava.
«Ma io sì.»

Innamorato.
Maledetto Gunfire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note.
 

Prima di andare avanti con le note vere e proprie, vorrei solo ricordare che i personaggi - Draco Malfoy in particolar modo - sono OOC.
Per chi non lo conoscesse, il Gunfire è una bevanda decisamente alcolica che mi è capitato di assaggiare durante una festa in tema British poco tempo fa, e non è altro che semplice tè nero corretto al rum. Vi lascio immaginare gli effetti che questa bevanda possa aver avuto su un’astemia… comunque, qui potete trovare maggiori info sul drink.
Ultima cosa, e poi la smetto di ciarlare. La frase “Forse, era stato così tanto tempo da solo, che si era convinto di esserlo davvero.” è liberamente tratta - o per meglio dire, è un riassunto - della seconda strofa della canzone “L’abitudine”, di Andrea Bocelli, contenuta nell’album The Homecoming del 2002.

Grazie per essere arrivati fin qui, ed alla prossima.

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Capitolo 10
*** Vuoto - parte II ***


Vuoto
Parte II















«È stata piacevole, la settimana con quel Mangiamorte?»
Questa sì che è una bella accoglienza, pensò Hermione non appena rimise piede in casa. Eppure avrebbe dovuto immaginarla, la reazione che avrebbe avuto Ron al rivederla.
«Una settimana, Hermione!» proruppe, già furioso. «Non ti sei fatta sentire per un’intera settimana!»

Perché, tu l’hai fatto?, avrebbe voluto chiedergli. Ma non lo fece, preferendo rimanere in silenzio. Era colpevole, questo doveva ammetterlo. Si era allontanata volontariamente, da quella casa, lasciando marito da solo e figlio dai suoi genitori. Non aveva giustificazioni, nessuna scusante alla quale potersi appellare. Si rese conto di non desiderarle nemmeno, quelle attenuanti che in qualche modo avrebbero potuto permetterle di difendersi.
Aveva litigato con Ron.
Aveva litigato con lui per colpa di un gufo di scuse.
Aveva litigato con suo marito a causa delle accuse che le aveva rivolto per colpa di quello stesso gufo.
Avevano litigato, e lei si era allontanata.
«Hermione.»
Ed allora perché non provava in benché minimo rimorso, per ciò che aveva scelto di  fare?
Guardò Ron e la sua espressione arrabbiata e delusa a lungo, cercando di ricordare ciò che l’aveva fatta innamorare di lui, e chiedendosi se fosse ancora così. Ronald Weasley era suo marito, con lui aveva generato due bellissimi figli, con lui aveva una vita calma e tranquilla. Ed allora perché si sentiva come se si fosse rotto qualcosa, durante la sua assenza, dentro di lei? Non amava più Ronald?

La gente non cambia, Hermione.
E se lui avesse avuto ragione, quella volta? Le persone erano davvero staticamente immobili, o potevano scegliere liberamente?
Non è vero. La gente può scegliere di cambiare.
Dopotutto, non erano forse cambiati tutti quanti, in seguito ad eventi del tutto eccezionali, vent’anni prima? Ne erano stati costretti, questo era vero, ma di certo non era stato contro il loro volere. Erano cresciuti, con quel cambiamento. Erano diventati adulti.
La gente poteva davvero cambiare idea. L’aveva cambiata realmente anche lei?
«Hermione.»
Guardò nuovamente suo marito, e si rese conto di non esserne affatto stupita. Non sentiva nulla, per il rosso che le stava davanti. Aveva avuto modo di riflettere a lungo, durante quella settimana di pausa che si era concessa,  aveva meditato e valutato molte cose, ed altre le aveva completamente stravolte.
Durante quella settimana, si era chiesta più e più volte se la colpa di tutto quanto era successo non fosse da attribuire interamente a lei. In fondo, non poteva di certo negare di averne preso parte attivamente, a quel… quel disastro che stava accadendo sopra le teste di molte persone,  nelle loro case e nelle loro vite.

Se non fosse stato per colpa di una miserabile Sanguesporco, a quest’ora la Gazzetta non avrebbe…
… non avrebbe scritto quell’articolo.
La testa del biondo china davanti a lei, a conferma dei suoi pensieri esatti.

Come poteva, dunque, dichiararsi completamente innocente?
«Hermione!»
Sussultò quando la chiamò quasi urlando, voltandosi irritata verso suo marito. «Cosa c’è?» sbottò, mascherando con un tono di voce secco il senso di colpa che provava.
«Cosa c’è?» ripeté incredulo Ron. «Sei sparita per una dannata settimana, Hermione! Potevi essere ferita, potevi essere… morta, per quel che ne sapevo!»
«Non dire idiozie, Ronald.» sibilò, allontanandosi da lui. «Se sono qui, vuol dire che sto bene.»

Peccato che non stesse bene affatto.
Hermione non avrebbe saputo spiegare come si sentisse in quel momento. Forse era colpa del tè corretto che aveva bevuto solo poche ore prima, forse era colpa della confusione che l’aveva avvolta all’ospedale, o forse, ancora, la colpa era dello sbigottimento dovuto alle parole che aveva sentito pronunciare da Malfoy.
Possibile, che fosse davvero… innamorato di lei?
Hermione all’inizio era scoppiata a ridere, non appena aveva sentito quell’affermazione, ma poi era stata costretta a smettere. L’espressione sul volto di Malfoy mentre parlava non era affatto divertita : era profondamente seria.

Stai… stai scherzando, vero?
No. Non sono mai stato così serio.

«Dove sei stata?» le chiese ancora, seguendola per la casa. «Ho chiesto a tutti, e nessuno lo sapeva.»
«Forse non hai chiesto proprio a tutti.» replicò Hermione. «Dov’è Hugo?»
«Ah, ora te ne ricordi!» la schernì Ron. «Dopo giorni, solo ora ti ricordi di avere un figlio ancora a casa.» l’accusò poi, più arrabbiato di prima. «Bella madre che sei.»
Hermione si bloccò, a sentire quelle parole. Strinse i pugni, valutando seriamente l’ipotesi di Schiantare davvero suo marito. Si voltò lentamente verso di lui, e l’espressione omicida che era sicura di avere in volto fece arretrare di poco Ron.
«Non ti permettere.» sibilò, a pochi centimetri dal viso rubicondo di lui. «Non permetterti di offendermi! Cosa ne sai tu, di che madre sono per Hugo? Non ci sei mai, Ron! Sei troppo preso dai Tiri Vispi per poter vantare il diritto di giudicare me per come mi comporto con tuo figlio.» lo accusò, brandendo davvero la bacchetta davanti al viso di Ron. «Sei l’ultima persona ad avere il diritto di potermi accusare di qualcosa. Te lo chiedo di nuovo. Dov’è Hugo?»
«È… è da Ginny, adesso.» mormorò l’altro, deglutendo spaventato dalla reazione di sua moglie. Non l’aveva mai vista così furiosa, nei suoi confronti.
«Grazie. Vado a prenderlo.» gli comunicò. Mosse in circolo la bacchetta, ed un piccolo gruppo di borse apparve vicino all’entrata. Ron le guardò con gli occhi sgranati, inghiottendo ancora aria a vuoto.
«Non… non puoi andartene.» tentò di fermarla. «Hermione…»
Lei chiuse gli occhi, respirando profondamente. Non avrebbe voluto farlo, ma la settimana precedente aveva riflettuto sul fatto che forse era questa la scelta migliore, al momento, o almeno fino a quando non avesse capito e fatto chiarezza dentro di lei e nei suoi pensieri.
«Non posso fare altrimenti, Ron.» mormorò, e gli rivolse un’occhiata dispiaciuta. «Non posso rimanere con qualcuno che ha così poca considerazione di me. Mi dispiace.»
L’altro annuì, realizzando solo ora le parole con le quali l’aveva definita. «Non c’è modo di farti cambiare idea. Mi dispiace che sia andata così. Ci… ci sarà modo di rimediare?»
«Non lo so, Ron.» sussurrò lei, spedendo con un colpo di bacchetta le sue cose a casa di Ginny ed Harry. «Lo spero. Per il bene di Rose e Hugo, lo spero tanto.»

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Hogwarts era cambiata di poco, in quegli anni.
Sebbene la ricostruzione post bellica fosse stata abbastanza lenta, per gli standard magici, tutto era esattamente uguale al prima.
Gli stessi corridoi, le stesse aule, le stesse statue. Perfino l’ufficio del Preside era rimasto uguale. Ma le espressioni dei quadri appesi alle pareti… quelle non erano affatto uguali, e di certo non gli stavano rivolgendo occhiate benevole. Fin da quando vi era entrato, i personaggi avevano preso a lanciargli insulti e a chiamarlo Mangiamorte, mentre lui cercava di non lasciarsi influenzare dalle loro parole, sebbene sembrasse avere seri ed improvvisi problemi nella deglutizione.

Era così, che si era sentita Hermione in quel sotterraneo? Offesa ed umiliata? Fuori luogo, circondata da quei quadri pieni di odio e risentimento?
Ma non tutti.
C’era un quadro, un solo dipinto, che lo guardava diversamente dagli altri. Due calmi occhi azzurro chiaro, su un volto altrettanto tranquillo, lo osservavano esprimendogli solo serenità.
«Draco.» il quadro lo chiamò, pacato come era stato in vita il personaggio che raffigurava. Ci mise qualche secondo, a decidere di voltarsi. Non voleva vedere la pena, in quegli occhi chiari quasi quanto i suoi; non voleva compassione nei suoi confronti, gli bastava quella di Hermione; e soprattutto non voleva fare i conti con il profondo senso di colpa che sicuramente l’avrebbe colpito non appena avesse messo i suoi occhi davanti a quelli dell’altro.
Non era pronto.
Nonostante fossero passati quasi vent’anni, da quel giorno, lui ancora non era pronto.
«Draco, guardami.» Silente tornò a chiamarlo, con più placidità di prima. Si voltò, e nulla di ciò che si era aspettato di vedere in quegli occhi lo colpì. L’ex Preside lo guardava bonario, sorridente come poche volte lo aveva visto rivolgersi a lui.
«C’è sempre qualcosa di buono in ogni cosa che vedi, Draco.» proferì. «Sognare non è sbagliato. Il segreto sta nel trovare il momento giusto per attraversare la corrente.» aggiunse. «Suppongo basti avere una barca sufficientemente larga.»
Draco si ritrovò a sorridere, a testa bassa, confortato dal fatto che l’anziano Preside avesse scelto di evitare rimproveri nei suoi confronti. Alzò il capo per ringraziarlo delle sue parole - indiscutibilmente strane, ma stranamente comprensibili - e per il peso sul cuore che gli aveva alleggerito, ma Silente non c’era già più.
Draco si lasciò cadere su una poltrona, e chiuse gli occhi. Mai, in tutta la sua vita, gli era capitato di sentirsi in quel modo, di sentirsi così stanco.

Si sentiva svuotato.
Si accorse di non sentire davvero più nulla. Non sentiva quali parole avrebbe dovuto utilizzare, di lì a poco; non sentiva la presenza di Astoria di fianco a lui, pronta come sempre a sostenerlo; non sentiva il peso degli anni, come invece avrebbe dovuto.
Era vuoto.
Astoria gli strinse una mano, come solo un’amica - no, moglie non più - poteva fare. Gli era profondamente grato, per essere lì con lui. Nonostante lei e Lucius non fossero stati in così buoni rapporti, lei comunque era lì, ad assicurarsi che non avesse cedimenti.
Come avrebbe fatto, a dire a suo figlio che suo nonno non c’era più? Con quale coraggio lo avrebbe guardato negli occhi, tentando di dirgli la verità su ciò che era accaduto?
Per una volta, desiderò avere quella rinomata temerarietà così tipica dei Grifondoro. Per una volta, si trovò a rinnegare la scelta del Cappello Parlante, quando l’aveva smistato a Serpeverde. Per una volta, voleva smettere di essere codardo.

I sentimenti, Draco. I sentimenti saranno la tua fine.
Fin da piccolo, si era ripromesso di seguire quel monito, credendo davvero che i sentimenti fossero qualcosa di superfluo, una cosa accessoria della quale si poteva fare benissimo a meno. E per anni ci aveva creduto, basando di conseguenza la sua intera vita su quella frase.
Ciò che conta davvero sono le apparenze, Draco. L’immagine è tutto.
Ne era ancora convinto di questo, dopo tutto quello che aveva passato? Dopo tutte le vicissitudini - buone e cattive - che aveva affrontato, poteva dirsi ancora certo che i sentimenti potessero essere ancora classificati come debolezze?
La sola cosa certa, e che solamente ora aveva compreso appieno, era che non voleva essere come lui. Avevano lo stesso cognome, questo era vero; avevano lo stesso sangue, e questo era altrettanto veritiero, ma avevano due nomi diversi. Draco e Lucius. Sarebbe bastato questo, a poterli differenziare? 

I sentimenti, Draco. I sentimenti saranno la tua fine.
Draco aprì un pò di più gli occhi, fissando una piccola porzione del muro davanti a sé. Lui non voleva essere come Lucius. Non più.
No, padre. I sentimenti saranno la mia forza.
Scorpius non avrebbe dovuto vederlo così. Si ricompose, facendo leva su ciò che non avrebbe mai smesso di provare per suo figlio : l’amore nei suoi confronti.

Ti voglio bene, Scorpius. Non dimenticarlo mai.
La porta dell’ufficio si aprì, rivelando il bambino accompagnato dalla Preside. Aveva la testa bassa, Scorpius, ma appena si rese conto di avere davvero i genitori davanti, corse loro incontro, incurante dei richiami della McGranitt. Li abbracciò entrambi, e Draco si sentì ancora più male, al pensiero che la gioia di suo figlio sarebbe stata presto rimpiazzata dal dolore. Per causa sua. Sarebbe stato lui, difatti, a dare la notizia al bambino. Incrociò gli occhi di Astoria, e vi lesse determinazione. Deglutì nervoso, mentre si abbassava alla stessa altezza di suo figlio. Ringrazio mentalmente la Preside, promettendosi di farlo più tardi a voce, per aver avuto la gentilezza di lasciare a loro il suo ufficio.
«La Preside ha detto che volevate parlarmi.» esordì il bambino, alternando lo sguardo ai visi di entrambi i genitori. «Non mi sono comportato male, però.»
Astoria sorrise, di fronte a quell’ammissione, e gli scompigliò i capelli biondi identici a quelli del padre. «No, tesoro. Lo sappiamo, che sei un bravo studente.» lo tranquillizzò, ed il bambino tirò un sospiro di sollievo. «Non siamo qui per questo. Abbiamo bisogno di parlarti.»
«Ma non qui.» si intromise Draco, rialzandosi. «C’è un posto in cui… hai un posto speciale, Scorpius?» gli domandò, ed il bambino annuì immediatamente.
«Il campo da Quidditch!» esclamò felice, e gli occhi gli si illuminarono. «Quando voglio stare solo, vado lì.»
Draco gli rivolse un sorriso, accarezzandogli la testa bionda. Era proprio figlio suo. «Andiamo.»
Raggiunsero il campo in totale silenzio, camminando l’uno di fianco all’altra, tenendo a malapena il passo con quello frettoloso di uno Scorpius troppo impaziente di arrivare a destinazione.
E lo sarebbe stato ancora, si domandò Draco, una volta saputo il motivo della presenza sua e di Astoria? Scorpius non era uno stupido, ed era pur sempre suo figlio. Gli avrebbe fatto male, quella notizia. Ma non poteva evitare di dargliela.
«Scorpius.» lo chiamò, bloccandosi al centro del giardino. Non voleva che il posto speciale di suo figlio si tramutasse da felice a quello in cui era venuto a conoscenza della morte del nonno. Gli porse una mano, e prontamente il bambino l’afferrò. «Vieni, sediamoci qui.»
«Cosa c’è papà?» gli chiese il bambino. «Stavo giocando a Spara Schiocco, e…»
«Tesoro, papà deve dirti qualcosa di importante.» lo interruppe Astoria, rivolgendo uno sguardo comprensivo all’ex marito. «Lascialo parlare, va bene?»
Draco vide il bambino annuire, per poi immobilizzare i suoi occhi grigioverdi sul suo volto, carico di aspettativa.
«Scorpius…» subito si interruppe, rivolgendo alla moglie un’occhiata in cerca d’aiuto. Come fare, a dare ad un bambino una notizia del genere? Come riuscirci, senza farlo star male più dello stretto necessario?
«È successo qualcosa, vero papà?» interloquì il bambino, la voce improvvisamente e tristemente adulta. Non meritava quel dolore. «Ho sentito… i professori….»
Draco rilasciò un sospiro, in fondo grato per l’appiglio che gli aveva fornito inconsciamente suo figlio. «Vedi, Scorpius… ti ricordi di Asper?» attese che il figlio annuisse, prima di continuare.
«Era un gatto malato, papà.» mormorò dispiaciuto, e poco dopo si ribellò senza preavviso dalla sua presa. Draco se lo ritrovò davanti, gli occhi già umidi e il viso alterato dalla tristezza. «Anche il nonno è malato?» singhiozzò, puntando gli occhi chiari sul volto di suo padre. «È con Asper, ora, vero?»
«Scorpius…» Draco cercò di riavvicinarlo, ma il figlio si allontanò ancora di più, ed iniziò a correre via verso la scuola. «Scorpius!»
«Lascialo andare.» lo fermò Astoria. «Vuole stare da solo.»
Draco non rispose, preferendo lasciarsi cadere sul’erba. Si tenne la testa tra le mani, rimproverandosi di aver sbagliato tutto nel modo in cui aveva gestito la cosa con suo figlio. Sentì una mano posarsi sul suo braccio.
«Non rimproverarti.» gli mormorò lei. «Hai agito bene.»
«Bene? È scappato via, Astoria!» ribatté lui. «Ho sbagliato tutto, altro che bene.»
Lei sospirò. «Invece no, Draco. Era attaccato a Lucius, è naturale che la notizia gli abbia fatto male. Ma Scorpius è uguale a te. È forte. Gli passerà.» gli tese una mano, affinché la prendesse e si rialzasse da terra. «Andiamo. Portiamolo a casa.»

 

 

 

 

***

 

 

 

 

«Harry, ci sono novità.»
L’Auror si precipitò fuori dal suo ufficio, seguendo quasi di corsa il collega che l’aveva chiamato. «Su cosa?»
«Sull’attacco a Madama McClan.» gli rispose. «Era stato nascosto bene, ma siamo riusciti comunque a trovarlo. È un frammento piccolo, ma siamo comunque riusciti a risalire ad alcuni dettagli.»
Harry prese il pezzetto bruciacchiato che l’altro gli porgeva, assottigliando gli occhi per cercare di riconoscerlo. Era davvero piccolo, notò, ma era stato sufficiente. «Cosa sai dirmi?»
L’altro aprì una cartelletta, leggendo da una pergamena all’interno. «C’erano varie tracce, comprese quelle di numerosi Incendio e persino quella di un Ardemonio
«O le cose si fanno bene, o non si fanno affatto.» commentò sarcastico Harry, rigirandosi il frammento quasi del tutto carbonizzato tra le dita. «Altro?»
«Sì. C’erano tracce di biancospino, acacia e noce.»
La fronte dell’Auror si aggrottò automaticamente. «Bacchette.» affermò. «Si sa di chi sono?»
L’altro scosse la testa. «Ci stiamo lavorando. Non è semplice, risalire ai proprietari.»
«Lo immagino. Eppure…» mormorò, continuando a riflettere. Il legno d’acacia non gli era del tutto nuovo. Sapeva di averla già avuta tra le mani, una bacchetta con un legno simile. Ma non rammentava dove o quando. Alzò le spalle, gli sarebbe sicuramente venuto in mente, ringraziò per essere stato informato e tornò nel suo ufficio, in compagnia delle maschere da Mangiamorte finora recuperate. 
 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

«Tieni. Ti sarà d’aiuto.»
Prese con malavoglia il bicchiere che gli veniva offerto, roteandolo stancamente con il polso. Si appoggiò allo schienale della poltrona, e chiuse gli occhi. Non avrebbe voluto svegliarsi più.
«Scorpius si è addormentato.» lo informò Astoria, ingollando anche lei qualche sorso di Whisky Incendiario. «Spero solo che non abbia incubi, stanotte.»
«Stai tranquilla.» la rassicurò il biondo. «Rimarrò sveglio per accertarmi che non ne abbia.»
Astoria strinse le labbra in una sottile linea di rimprovero, che lui però non vide. «Devi dormire, Draco. Domani sarà una giornata lunga.»
«Più di quella appena trascorsa?» le domandò lui, un leggero sorriso sul volto. Ma anche quello era stanco, proprio come tutto il resto di lui. Gli sembrava di non riuscire a provare alcuna emozione, in quei giorni. Anche solo sorridere, gli era difficile. Era emozionalmente vuoto, ecco com’era.  
«Suppongo di sì.» mormorò lei. «Anche quella di ieri lo è stata, eppure non mi sei sembrato così provato.»
Draco aprì piano un occhio, rivolgendolo alla moglie. «Divertente.»
«No, sono seria. Te l’ho detto, Draco. La Weasley ti fa bene.» gli confessò ciò che sapeva già. «L’ho notato, sai? Ora che l’ho conosciuta. Sei diverso, quando c’è lei. Sei… sei più Draco e meno Malfoy.»
Quel paragone lo fece sorridere. «Sono la stessa persona, Astoria.» le fece notare, ingollando l’intero contenuto del suo bicchiere. La gola gli bruciava, ma decise di non darvi importanza.
«Invece no.» ribatté lei, riempiendo nuovamente entrambi i bicchieri. «Draco è più gentile di Malfoy. Devo ammetterlo, mi piace di più il primo. Anche ad Hermione, sai?»
Draco le lanciò un’occhiataccia torva. «Cosa ti è passato per la mente, Astoria?»
«Sei lento, Draco. Le cose importanti vanno afferrate subito. Ho solo aiutato con i tempi.»
«Aiutato.» ripeté lui. «L’hai praticamente terrorizzata, Astoria!»
«No, non credo. E comunque, non ho detto nulla che lei non sapesse già di pensare. O pensasse di sapere.» replicò tranquilla. «Come puoi vedere, ho davvero solo aiutato.»
«E se lei…»
«Scelga comunque quel rosso al posto tuo?» lo interruppe, e lui annuì. Era questo, il dubbio che lo tormentava e che non lo lasciava dormire tranquillo da alcune notti.
«Non accadrà.» una voce li raggiunse dallo stipite della porta. Narcissa Malfoy si avvicinò al figlio, posandogli una mano tra i capelli e l’altra sulla spalla, fino a chinarsi per posargli un bacio sulla guancia. Era diventata affettuosa, con il passare degli anni. Forse voleva semplicemente recuperare, con tanto di interessi, il tempo in cui aveva creduto che fosse meglio il contrario, per suo figlio. E doveva ammetterlo, a lui non dispiaceva minimamente.
«Non succederà. Astoria ha ragione. Tornerà a cercarti.»
«Come fai ad esserne così certa?» gli chiese titubante. Temeva la risposta che sua madre avrebbe potuto dargli.
«Sono una madre, Draco.» gli rispose sorridendo. «Noi sappiamo sempre tutto


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note.
 

Solo una breve precisazione, per questo capitolo.
Le frasi “
C’è sempre qualcosa di buono in ogni cosa che vedi” e “Il segreto sta nel trovare il momento giusto per attraversare la corrente”, pronunciate da Silente, sono liberamente tratte dalla canzone I have a dream degli Abba, contenuta nell’album Voulez-vous del 1979 e parte della colonna sonora del film Mamma Mia!.
È probabile che sentirete ancora parlare di questo gruppo, nei capitoli futuri.
Ultima cosa. Ci terrei a ringraziare le persone che hanno aggiunto questa storia nelle varie liste, chi legge e commenta e chi legge in silenzio. Non avrei mai pensato che una storia del genere potesse essere così seguita, specie considerando che è la prima long che posto in questo fandom. Dunque, ancora grazie.

Alla prossima.

Edit : il prossimo capitolo potrebbe essere rinviato di alcuni giorni, per via di una nuova storia alla quale sto attualmente lavorando e che spero di postare quanto prima. Mi scuso fin da ora per l'eventuale ritardo.
Edit 2 : Per spoiler ed anticipazioni varie, vi ricordo la pagina Facebook che potete trovare cliccando qui.

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Capitolo 11
*** Profumo - parte I ***


Profumo
Parte I















Lucius Malfoy II fu sepolto vicino ad un gelso, in una fredda mattina di inizio ottobre.
Questo era stato il volere della famiglia, che voleva comunque rendergli gli onori che solo ad un defunto spettavano.
Tutti i peccati e tutti gli errori sarebbero stati lavati via, con la morte. Si sarebbe tornati ad essere innocenti e puri, con la morte.
Valeva anche per uno come Malfoy, questo?, si domandò Hermione, giunta per assistere all’ultimo saluto di una persona che aveva odiato come non mai, in passato, ma che non riusciva a detestare adesso. Non in quel frangente, non con ciò che restava della famiglia Malfoy, stretti tra loro, a salutare ed assistere il loro caro nell’ultimo viaggio. Anche questo, era stato il volere della famiglia : solo poche persone, i conoscenti e gli amici più fidati, avevano ricevuto il gufo di promemoria.
Hermione fece vagare lo sguardo suoi pochi presenti alla cerimonia, notando che solo una persona, tra tutte, stava piangendo. E le si strinse il cuore, a vedere quel bambino che versava lacrime su lacrime, aggrappandosi ai genitori come se volesse pregarli di non lasciarlo andare.
Come si poteva portare un bambino ad un funerale?
La parola stessa, bambino, avrebbe dovuto far capire agli adulti che non era luogo adatto per loro, il cimitero. Scosse la testa, scacciando quei pensieri. Quel bambino non era figlio suo, non era lei la responsabile delle decisioni che venivano prese nei suoi confronti. Non se ne sarebbe dovuta preoccupare. Ma la tristezza infinita del ragazzino non poteva lasciarla indifferente, Hermione non aveva un cuore di pietra, e poi era anche lei stessa una madre. E mai e poi mai avrebbe permesso ad uno dei suoi figli, giovani com’erano, di partecipare ad una cosa tanto triste. Non gli avrebbe mai dato il permesso di partecipare a tutto quel dolore.
Si azzardò ad avvicinarsi a quel piccolo gruppo di persone, preferendo però nascondersi dietro un albero. Era stata invitata, se di invito si poteva davvero parlare, a quella cerimonia, ma non voleva mettere nessuno dei presenti in imbarazzo. Tantomeno sé stessa.
Notò Astoria alzarsi verso la testa dell’ex marito, mormorandogli qualcosa, ma era troppo lontana per capirne le parole, ed il biondo annuirle in risposta. Si allontanò, portando con sé il bambino, e la raggiunse.
«Io ho già fatto quel che potevo, Hermione.» le mormorò, mentre rallentava per fermarsi vicino a lei. «Di più non posso. Ha bisogno di un’amica, adesso. Non lo fa vedere, ma… sta male, per Lucius. Non sopporto di vederlo così.»
Hermione deglutì, vagando con gli occhi sul volto di Malfoy. «In che modo?» sussurrò ad Astoria. «Come faccio, a…»
«Le stia vicina. È l’unica cosa di cui ha bisogno, al momento.» le chiese l’altra, anche con gli occhi. «Draco avrà fatto cose senza dubbio cattive, ma non si merita questo. E nemmeno Narcissa, nonostante tutto.»
«Mamma.» la chiamò il bambino, ed Astoria gli rivolse subito un sorriso. «Non voglio più stare qui.»
«Ora ce ne andiamo, tesoro, sì.» sussurrò la donna, accarezzandogli piano la testa bionda.
«Perché insistete tanto?» le domandò Hermione. «Perché lei insiste così?»
Astoria la guardò negli occhi, mostrandole tutta la sincerità di cui era capace. «Mi sembra chiaro, ormai, Hermione. È lei, ad aver preso il mio posto. È sempre stato così.» affermò, separandosi di qualche metro da suo figlio. «Mi chiede perché sono così insistente? Conosca meglio Draco, e lo capirà da sola. Voglio dirle un’altra cosa, prima di andare. Lei ha ricevuto l’invito, per questa cerimonia. Si chieda il perché.»
Hermione sgranò lievemente gli occhi ed aprì la bocca per parlare, ma nessun suono le uscì. Vide il sorriso gentile della Greengrass, e poi la sua schiena che si allontanava. Deglutì più volte, prima di trovare il coraggio per tornare a guardare le altre persone. Incrociò il cipiglio severo di Narcissa Malfoy, che divenne subito gentile quando lei ricambiò l’occhiata. Aggrottò le sopracciglia, e si appoggiò contro il tronco di un albero.
Perché erano tutti così gentili, con lei? Prima Draco, poi Astoria ed infine Narcissa. La trattavano tutti con considerazione, come se davvero fosse stata loro amica.
Ed ora, anche l’invito a quel funerale. Hermione aveva sempre detestato Lucius Malfoy, non era di certo un segreto, eppure la famiglia aveva desiderato invitarla comunque. Perché?
Si ripromise di domandarlo a Malfoy, non appena ne avesse avuta l’occasione.
«Grazie per essere venuta.» Hermione sussultò, sentendo una voce interrompere i suoi pensieri. Il biondo le si avvicinò, ma evitava di guardarla. Lei si schiarì la voce, ma non disse nulla. Nessuna parola era in grado di confortare quell’enorme senso di perdita che affliggeva Malfoy.
«Perché sono qui, Malfoy?» gli domandò invece, osservando la reazione dell’altro. Se non fosse stato per un respiro lievemente più profondo degli altri, Hermione non avrebbe avuto alcun dubbio sulla sua impassibilità. Eccola, la proverbiale freddezza che l’aveva così tanto colpita, nei giorni e negli anni passati. 
«Cosa vuoi che ti risponda?» mormorò il biondo, la voce stanca. Hermione trasalì, osservando le profonde occhiaie e l’espressione tirata sul viso del biondo.
«Hai dormito almeno qualche ora, la notte scorsa?» Malfoy la guardò strizzando le palpebre, ed Hermione poté vedere meglio quelle occhiaie violacee che gli contornavano gli occhi. Gli tese la mano, attendendo che l’afferrasse e dovette insistere, appoggiando la mano sul suo braccio.
«Cosa… dove?»
«Devi dormire, Draco.» lui allargò gli occhi, sentendo il suo nome uscirle dalle labbra. Per la prima volta. Ma si riprese subito.
«Non voglio dormire.»
«Devi, invece.» insistette lei. «Non puoi andare avanti così. Tua moglie non lo permetterebbe.»
«Non ho più voglia di dormire.» ripeté. «Voglio solo andare via.»
Hermione strinse la presa sul braccio del biondo, lasciando che il biondo Smaterializzasse entrambi. Quando aprì gli occhi, si ritrovò nel salone della villa dove era già stata in precedenza. Malfoy le lasciò subito il braccio che gli aveva offerto, e si allontanò verso un carrello.
«Whisky, Granger?» le offrì, muovendo in circolo una bottiglia di cristallo. «O preferisci altro?»
Hermione gli si avvicinò frettolosamente. «Non è nemmeno mezzogiorno, Malfoy. Non dovresti bere.» affermò, togliendogli la bottiglia dalle mani. «Dovresti andare a dormire, invece. Hai certe occhiaie che…»
«Non mi interessa.» la interruppe lui, afferrando un’altra bottiglia dal carrellino. «Non mi interessa delle occhiaie, della stanchezza o del bisogno di dormire. Non mi interessa più niente.»
«E credi che bere sia la soluzione?» gli chiese, osservando i gesti del biondo. «A quest’ora, poi?»
Malfoy si voltò verso di lei, in viso un espressione furiosa. «Non sei mia madre, Granger.» le sibilò, e lei sgranò gli occhi a sentire quel paragone. «Lasciami in pace.»
Hermione sbatté le palpebre, incredula alle sue stesse orecchie. «Tu mi hai chiesto di essere qui, oggi. So bene che la coerenza non è mai stata il tuo forte, ma almeno vedi di non comportarti come il bambino capriccioso che sei sempre stato, fin da Hogwarts. Sei un adulto, Malfoy. Comportati come tale.» gli sibilò a sua volta, fermandosi a pochi centimetri da lui e dal suo volto. «Vuoi stare da solo? Vuoi ubriacarti fino a perdere i sensi? Bene, fallo. Non mi interessa. Ma non contare su di me. Non rimarrò di certo qui, a vederti mentre…»
Hermione si interruppe, guardando allarmata l’espressione determinata apparsa ora sul volto del biondo. Avanzò ancora nella sua direzione, fino a quando Hermione non fu completamente circondata. Quel profumo. Deglutì, rispecchiandosi in quegli occhi grigi così chiari, e ciò che vi lesse non fu dolore, o dispiacere. Nulla di tutto quello era presente nello sguardo del biondo davanti a lei.
«Malfoy…» il suo nome le si intrappolò in gola, mentre inspirava profondamente, cercando di incamerare aria. Ma non era l’odore pulito e fresco dell’aria che sentiva, bensì uno più forte e più acre. Quel profumo.
Hermione sapeva cosa stava per accadere, e si rese conto che doveva scostarsi, allontanarsi da quella situazione che rischiava di diventare ancora più imbarazzante. Avrebbe dovuto scostarsi. Avrebbe voluto farlo, ma gli occhi di lui l’avevano catturata, stregandola con quel grigio nel quale si sarebbe voluta perdere.
E lei non voleva allontanarsi.
Sentì un braccio circondarle la vita, e si ritrovò a pochi millimetri dal viso diafano di Malfoy. Deglutì, e fu l’unica cosa che riuscì a fare. Quel profumo le rendeva difficile ragionare. Lui le rendeva impossibile farlo. Inspirò ancora ed ancora quell’odore, stupendosi di quanta tranquillità riuscisse a trasmetterle.
Avrebbe voluto scostarsi, ma non lo fece.
Avrebbe dovuto essere nervosa, ma quella sensazione non la sfiorò.
Avrebbe dovuto sentirsi fuori luogo, stretta tra le braccia di una persona che tanto a lungo aveva mal sopportato, eppure era lì, serena come mai lo era stata in sua presenza.
Probabilmente era colpa delle circostanze, e forse la colpa era di quel profumo, ma Hermione non poté negare a sé stessa di sentirsi bene, in quel momento.
Leggeva nei suoi occhi tante di quelle sensazioni, che si susseguivano quasi sovrapposte le une alle altre, da non lasciarle quasi il tempo di decifrarle : ci vedeva l’angoscia, dentro quelle iridi; vedeva la paura prenderne subito il posto, il dubbio - la remota possibilità - che lei non volesse quello che lui desiderava in quel momento; ci vedeva mille altre emozioni e sensazioni, ma erano troppo veloci per poterle riconoscere appieno.
Hermione lo osservò sfiorare i suoi capelli, mentre la mano sui suoi fianchi l’attirava di più contro di lui senza tuttavia costringerla. Sapeva che non avrebbe mai fatto nulla che potesse anche solo andare contro i suoi desideri, e gli fu grata per questo. Allargò di poco gli occhi, non appena si rese conto che nemmeno la situazione nella quale si trovava andava contro i suoi desideri : lei voleva trovarsi lì.

Voleva rimanere così, circondata dalle braccia che ora erano divenute due, e che la stringevano contro il corpo di lui; voleva essere circondata da quel profumo che non le lasciava quasi lucidità.
Profumo di pergamena nuova.
«Malfoy - deglutì ancora, cercando quella lucidità che sembrava averla abbandonata - non credo che…»
«Draco.» mormorò lui. Hermione si ritrovò a sorridere, non solo per il tono col quale aveva pronunciato il suo nome, ma per la situazione in generale : sembravano davvero due adolescenti, abbracciati in quel modo.
«Draco.» ripeté lei, e sul viso del biondo comparve un sorriso sincero. La guardò con profonda gratitudine, e lei sapeva che non era perché lo aveva chiamato con il suo nome di battesimo, ma bensì perché - suppose - non era scappata a gambe levate quando lui aveva Smaterializzato entrambi a casa sua.
E perché mai avrebbe dovuto?, si domandò lei. Era contenta, di essere lì insieme a lui. Stava bene.

«Non credo sia una buona idea. È stata una mattinata lunga, per te, e hai davvero bisogno di dormire.» gli consigliò ancora, osservandolo fissare insistente mente le sue labbra. «Cercare di baciarmi non è affatto dormire, Malfoy.»
Hermione sbuffò divertita quando vide un ghigno comparire su quel volto.
«No, è vero. Ma è infinitamente più divertente. Senza contare che, come ho detto, non ho voglia di dormire.»
«Credo che a questo punto dovrei chiederti cosa tu abbia voglia di fare, ma immagino già la tua risposta.» mormorò lei, costringendosi a scostarsi dal biondo per tentare di trovare un po’ di lucidità sul divano.
«Immagini male. Non sono uno… un adolescente, Granger.» si accomodò di fianco a lei.
«Hermione.»
«Sì, so come ti chiami.» la prese in giro lui, e lei gli scoccò un’occhiataccia incrociando le braccia sotto il petto. «Non farei mai nulla che possa metterti a disagio. Non sono più quel tipo di persona, Hermione.»
«Bene.» rispose solo, prendendosi qualche istante per mettere in ordine i suoi pensieri. Le venne in mente la domanda alla quale lui non aveva ancora risposto. «Perché sono qui, Draco?»
Il biondo sospirò, vagando con lo sguardo per tutta la stanza, ma non si soffermò su di lei. Hermione strinse gli occhi, richiamandolo.

«Sono vivo.» mormorò, e lei si lasciò catturare dalla grigia sincerità di quegli occhi. «Al contrario di quanto si possa pensare oggi, sono ancora vivo. E continuerò ad esserlo.»
Si alzò in piedi, camminando per il salone, ed Hermione non si perse nemmeno un suo minimo movimento.
«Sono stanco di dovermi mostrare per quello che non sono. Sono stufo di dover dimostrare agli altri di essere il degno figlio di mio padre. Il figlio di un Mangiamorte, a sua volta tale, che non ha mai rinnegato le sue convinzioni, ma le ha solo accantonate. Sono stanco di dover sempre rispettare le aspettative di tutti. Un Malfoy è forte, un Malfoy non può mostrarsi debole, un Malfoy deve dimostrare sempre ciò che vale. Un Malfoy può piangere la morte del proprio padre, per quanto bastardo sia stato lui in vita, Hermione?» le domandò infine, parlando a stento per il blocco che non lo lasciava quasi respirare. «Sono vivo, e sono stanco di stare male.»
Hermione ascoltò ogni singola parola senza emettere fiato, osservando a sua volta con dispiacere le lacrime che avevano iniziato ad uscire dagli occhi del biondo. Aveva mai pianto, in vita sua? E se l’aveva fatto, da quanto tempo non lo faceva più? Hermione dubitò che si fosse davvero lasciato andare, nell’arco della sua vita. Lui stesso si era appena definito forte, e per qualche strano ed assurdo motivo, i forti non erano soliti piangere. Non i Malfoy, perlomeno, a quanto aveva appena sentito affermargli.
Hermione lo raggiunse, e sorrise quando lo vide fissare la mano che gli aveva allungato.
«Devi dormire. Dopo ti sentirai meglio. Fidati.»
Lui la scostò con un gesto stizzito, guardandola truce.
«È tutto quello che riesci a dire? Che devo dormire?» le sibilò, a pochi millimetri dal volto. «Chi credi che sia, Granger, un moccioso? Te l’ho già detto una volta, se non ricordo male. Non voglio la tua dannata compassione. Non mi serve, così come non mi servirà chiudere gli occhi e dormire.»
«Per una volta, Malfoy, evita di essere egoista. Sì, tu. Credi che a tuo figlio faccia piacere vederti così? Credi ne sia contento? Non sei l’unico, ad aver seppellito qualcuno oggi. Ho visto come piangeva il tuo bambino, e i singhiozzi che lo scuotevano. Lui dovrebbe essere arrabbiato, non tu. È lui il bambino, non tu.» ribatté, ricambiando le occhiate assassine che le rivolgeva. Prese la sua bacchetta dalla tasca, posandola su un tavolino sotto gli occhi attenti di lui. «Comportarti come tale non migliorerà certo le cose, né tantomeno ti farà passare il dolore che senti. Vuoi sfogarti? Fallo.»
Lui scosse la testa e lei ne approfittò per raggiungerlo, costringendolo a guardarla negli occhi. «Sono disarmata, Draco. Avanti. Ti sentirai meglio, dopo.»
«Non potrei mai colpirti.» sussurrò lui, gli occhi umidi in modo insolito. «Mai.»
«Lo hai già fatto, in passato.» gli ricordò lei, un sorriso sul viso. «Non è nulla di nuovo. Anzi, una differenza c’è. Questa volta sono io a chiedertelo.»
Il biondo ricambiò il sorriso, limitandosi a stringerla e ad avvicinare i loro volti. La osservò deglutire, mentre si sforzava di non distogliere lo sguardo dai suoi occhi, ed un colorito più accentuato le comparve sulle guance. Era bella, quando arrossiva. No, rettificò quel suo pensiero subito dopo, lei era bella sempre.

«Urla, strilla, tirati i capelli, affatturami, piangi, rompi qualcosa. Fai quello che vuoi, ma, Merlino, sfogati.» lo invitò ancora, certa che non avrebbe mai fatto niente di grave o pericoloso nei suoi confronti. Difatti il biondo scosse ancora la testa, ed aumentò la stretta sui suoi fianchi tirandola contro di sé con un gesto deciso.
«No. Non farò nulla del genere.» mormorò, sfiorandole piano la bocca. Attendeva un suo cenno, Hermione lo sapeva bene, ma doveva ammettere che tenerlo sulle spine era decisamente divertente.
Fino ad un certo punto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note.
Sono in leggero ritardo rispetto ai miei soliti tempi, lo ammetto. La colpa, oltre a vari impegni personali, è di questa, che mi ha portato via parte del tempo che avrei voluto dedicare a Vuoto. Spero, comunque, di farmi perdonare con la seconda parte di questo capitolo, che non arriverà prima di venerdì.
Alla prossima.

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Capitolo 12
*** Profumo - parte II ***


Profumo
Parte II















Perché la gente fuggiva il dolore e lo evitava come la peste? Sì, faceva male, ma faceva male anche ogni cosa che avesse importanza. Amare faceva male, vivere faceva male, nascere faceva male, cambiare faceva male, crescere faceva male. I morti non provavano dolore, solo i vivi.
Non si era mai sentita tanto viva.
Non come in quell’istante, circondata dalle braccia e dal profumo di pergamena del biondo, che a sua volta la guardava come se fosse stata davvero una cosa talmente preziosa da poterla sfiorare appena.
Ma lei non era di cristallo. Aveva dei pensieri, dei sentimenti e delle emozioni, che insistevano nel farla rimanere in quella posizione, sussurrandole che solo lì si sarebbe trovata bene.
Quel profumo le sussurrava che era a casa.
E lo sentiva sempre di più, sempre più vicino : la avvolgeva come una seconda pelle, le annebbiava i sensi e le ottenebrava la mente a tal punto da non poter fare altro che lasciarsi in balìa del biondo che la stringeva e la baciava in un modo che mai - da lui, per uno come lui - avrebbe potuto ritenere possibile.
E continuava a baciarla, a stringerla, ad accarezzarle la testa, il viso, i fianchi, la schiena  e tutto quello che riusciva a raggiungere, mostrandosi affamato come non era mai stato, nemmeno con sua moglie.
Ma lei non era Astoria.
Non era di Astoria, il profumo di pulito della pelle con cui si stava intossicando; non era di Astoria, la rapidità con la quale lo privava degli abiti; non erano di Astoria i gemiti e gli ansimi con i quali manifestava la propria partecipazione; non era di Astoria, il respiro spezzato con cui manifestò il culmine di un atto al quale entrambi avevano equamente preso parte.
Lei non era Astoria.
Era Hermione.

La sua Mezzosangue.


 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

«Ho saputo quello che è successo. Tra te e la donnola. Scusa. Tra te e Weasley.» si corresse immediatamente, dopo l’occhiata truce che gli rivolse Hermione.
Chiuse gli occhi, sistemandosi meglio e respirando profondamente. Sapeva di dover affrontare il discorso, prima o poi, ma non pensava di doverlo fare così presto. Certo, era più che normale che si interessasse, dato quello che era appena accaduto, ma era comunque troppo presto. Non sapeva bene nemmeno lei come comportarsi, e non solo per il fatto di trovarsi praticamente nuda nel letto di Malfoy, stretta contro di lui, che le accarezzava pigramente i capelli e la schiena. Rilasciò un altro sospiro, cercando di mettere ordine tra i suoi pensieri.
«È stato inevitabile.» ammise, più a sé stessa che a lui. «Per quanta pazienza si abbia, per quanto amore si possa provare nei confronti di una persona, ci sono cose su cui è impossibile passare sopra.»
«Cosa intendi?»
Hermione sorrise e lo guardò negli occhi, stringendogli la mano posata sul suo braccio giocando con le dita. «Vuoi proprio sentirtelo dire, non è vero?»
«No, se tu non vuoi.» le concesse, alzando noncurante le spalle. Hermione gli rivolse un’occhiata mesta, non riuscendo però a non sorridere ancora di più. «Ci sono cose che, magari, vanno tenute nascoste. Cose personali.»
«Oh, certo.» replicò lei, sbuffando. «Come le confessioni fatte per colpa del Gunfire?»
Draco la guardò stupito, ed Hermione poté vedere le sue iridi allagarsi meravigliate ed il respiro spezzarsi. «Quindi lo ammetti, che quella è stata una confessione.»
«Chi è, adesso, il contorto?» chiese lei a sua volta, scostandosi per mettersi seduta sul bordo del letto. «Non ho mai negato che non lo fosse, Draco. Certo, il modo in cui mi è stata estorta non è di certo convenzionale, ma ammetto che è stata prematura. Questo sì.»
Lo sentì ridere, dietro le sue spalle, e subito due mani diafane la raggiunsero stringendole la vita. Quando tornò a parlare, Hermione sentì le labbra sul suo collo scoperto, e fu costretta a chiudere gli occhi. «Guardati. Apri gli occhi e guardati, Hermione.»
Lei obbedì, scontrandosi contro l’immagine riflessa che mostrava lo specchio. I suoi capelli erano scarmigliati, gli occhi lucidi e le labbra arrossate in modo quasi innaturale. Eppure, nonostante ciò che vedeva, non poteva fare a meno di sentirsi appagata.
«Cosa vedi?»
«Draco…» lo chiamò lei, cercando un modo per evitare quella situazione. Quel confronto, con quale - suo malgrado - presto o tardi avrebbe dovuto farne i conti. Ma lui insistette, tenendole fermi i fianchi per impedirle di scappare.
«Smetti di fuggire. La guerra è finita da un pezzo.» le mormorò, sfiorandola lievemente. Hermione trattenne a stento un gemito, a quelle carezze appena accennate. «Rispondimi. Cosa vedi?»
«Una contraddizione. Ecco cosa vedo.» un’occhiata di lui la costrinse a continuare. «Vedo… non lo so.»
«Ti dico cosa vedo io, Hermione. Vedo due adulti, riflessi su quello specchio. Due adulti che hanno sofferto molto, entrambi. Vedo un adulto che ha sofferto molto più dell’altra, quest’oggi, e che sta cercando in tutti i modi di dimostrare a sé stesso di essere davvero ancora vivo. Vedo - proseguì, senza quasi riprendere fiato - vedo una donna con gli occhi lucidi, e le labbra rosse, il volto luminoso come poche volte mi è capitato di vedere.» espirò, sporgendosi per trovarsi davanti al suo viso. «Vedo un uomo ed una donna che si confortano a vicenda. E l’uomo ha molto bisogno di conforto.» terminò sulle sue labbra, attendendo che fosse lei, a volere quel contatto.
«Te l’ho mai detto, che sei terribilmente manipolatore?» replicò, appropriandosi poi della sua bocca. Si costrinse a staccarsi, seppur a malincuore, da quelle labbra che la chiamavano e la tentavano come se avessero potuto offrile ossigeno; quello stesso ossigeno che si sforzava di incamerare, conscia che quello fosse il momento in cui potergli rivolgere le domande alle quali aveva pensato a lungo, e che lui - finora - aveva sempre evitato.
Ma non ora. Ora voleva delle risposte, e le avrebbe ottenute.
«Draco.» lo chiamò, costringendosi ad alzarsi da quel letto che non avrebbe voluto abbandonare. «Perché?»
«Perché cosa?»
«Perché sono qui?» gli domandò Hermione, tornando a sdraiarsi. Sarebbe stata una conversazione lunga, se lui fosse riuscito a rispondere a tutte quelle domande che le affollavano la mente, tanto valeva mettersi comoda.
«Suppongo di non poter più evitare di rispondere.» affermò, e lei scosse convinta la testa. Si lasciò abbracciare, beandosi di quel profumo che le era sempre piaciuto, ma che solo ora iniziava ad adorare davvero.
«Non è stata una mia idea, il fatto che tu venissi invitata al funerale. Astoria ha… Astoria ha pensato di farmi un piacere, aggiungendoti. È stata lei, insieme a mia madre, ad organizzare il tutto.» le spiegò, ed Hermione vedeva la fatica che faceva nel risponderle. Forse avrebbe dovuto attendere, con quelle domande, ma sapeva di non poterlo fare. Non se questo significava tenerla in bilico in una situazione che non sembrava avere né capo né coda.
«Astoria ha solo cercato di aiutarmi, in un certo senso.»
«Insultandomi?» chiese lei, irritata al ricordo di quel Sanguesporco. Certo, lei stessa le aveva chiesto di perdonarla, eppure era una parola che difficilmente avrebbe dimenticato.

No, non l’avrebbe scordata mai, quella parola.
«Mi pare si sia scusata, per questo. Comunque, anche in quel caso voleva solo essermi d’aiuto. Credeva che… credeva che, insultando te, io riuscissi a farmi avanti.» le spiegò, sorridendo velocemente. «Credeva che ti avrei difesa, davanti a quegli insulti. E devo ammettere che ha avuto ragione.»
Hermione ascoltò con attenzione, cercando di cogliere l’implicito nelle parole del biondo, e lo ringraziò mentalmente per aver scelto di essere davvero sincero con lei. E sgranò gli occhi, cercando velocemente il suo volto, quando si ricordò.
«Quel sogno… sei stato tu.» affermò sicura, sentendolo espirare rumorosamente. «Perché?»
«Perché volevo sapere cosa significava poterti stare vicino.» ammise, spostando lo sguardo da lei alle lenzuola come se provasse vergogna per quello che le aveva appena confessato. Hermione gli alzò il viso, osservando le sue guance prendere lievemente colore. «Volevo provare cosa significava poterti toccare, senza che nessuno mi giudicasse. Lo trovi tanto strano?»
«Un pò, sì.» confessò. «Ma il fatto che tu sia qui, a rispondere alle mie domande con tanta sincerità, cambia tutto quello che avrei potuto pensare - che ho effettivamente pensato - in passato.»
«Mi sei stata vicina, oggi.» le fece notare, tornando ad accarezzarle piano la schiena. «Credo che te la sia meritata, la sincerità. Avanti, so che hai mille altre domande. Fammele.»
«Perché hai voluto che ascoltassi, quella volta, nei tuoi sotterranei?» gli domandò a bruciapelo, sentendolo irrigidirsi. «Hai detto che potevo chiedere, ed è quello che sto facendo.»
«Sì.» confermò il biondo con un mormorio sommesso. «Sapevo perché mio padre fosse venuto alla villa. Sapevo che avrebbe cercato di… reindirizzarmi verso Astoria, anche usando la sua autorità di genitore. E sapevo altrettanto che mai avrei avuto il coraggio di negargli quello che mi chiedeva. Ho sempre acconsentito a tutto, nella mia vita. Tutto quello che Lucius chiedeva od ordinava, la otteneva. Ma non potevo lasciare che continuasse a controllare la mia vita. Non più. Non il mio matrimonio con Astoria.»
«Perché ti ha lasciato?» la domanda di Hermione trasudava curiosità. «È per questo?»
«No.» rispose subito lui, giocando con i suoi capelli. «Te l’ho detto. Sono stanco di mostrarmi per quello che non sono, obbedendo ad ordini a cui non voglio. L’ho amata, Astoria. In un modo strano, è vero, ma l’ho fatto. Non mi pento delle scelte che ho fatto con lei, e le ripeterei altre mille volte. Per Scorpius. Ma era… era tutto finito da tempo. Non c’era modo di rimediare, e nessuno dei due voleva farlo. Le nostre vite si erano separate molto prima che lei mi lasciasse, Hermione.»
«Mi dispiace.» soffiò lei, posando la testa proprio sopra il cuore del biondo. Era rilassante, quel suono così ritmico.
«Non devi. Io ne sono contento, invece. Mi ha permesso di essere qui, oggi. Con te.» replicò lui, trattenendo una risata quando la sentì trattenere il fiato. «Una volta Astoria mi disse che non si può scegliere chi amare. Cominciò a credere che abbia sempre avuto ragione, su di me.»
Hermione espirò, a quelle parole, ma il fiato le rimase bloccato in gola. Sentì le pulsazioni aumentare, mentre si rendeva conto di averle già sentite, quelle stesse parole.
«Ginny.»


 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

«Ginny!»
Hermione si precipitò dentro la casa che la ospitava momentaneamente, trovando sua cognata seduta in cucina in compagnia di Hugo e Lily.
«Ginny, devo parlarti. Subito.» parlò seccamente, trattenendo a stento la rabbia. La rossa sospirò, osservando il volto tirato dell’altra, e mandò fuori a giocare i bambini.
«Una tazza di tè, Hermione?» le chiese, scrutandola di sottecchi mentre si alzava. «Forse del Whisky è più indicato, a giudicare dalla tua faccia.»
«Ginny, non sono qui per giocare.» la interruppe quasi, lasciandosi cadere con un movimento secco sulla sedia. «Ero da Malfoy.»
L’altra sorrise, occupandosi delle due tazze piene di quella bevanda quasi miracolosa che era il tè. «Dopo tutto quanto, Hermione, ancora non riesci a chiamarlo per nome?»
«Non credo che… tu sapevi tutto!» l’accusò, guardandola allibita. «C’eri anche tu, dietro tutto quanto!»
«Hermione, calmati. Bevi, ti farà bene.» le propose, piazzandole davanti la tazza. Con studiata calma le si sedette davanti, stringendo le dita intorno alla sua. «Non ha più senso fingere, non a questo punto. Come l’hai scoperto?»
«È stata una frase, a farmi collegare tutto.» confessò lei, irritata. «La stessa che mi hai detto tu un pò di tempo fa. Non si sceglie chi amare. L’ha sentita da Astoria.» aggiunse, sentendo l’irritazione dell’essere stata presa in giro aumentare. «Da quando siete amiche, tu e lei?»
«Non lo siamo.» negò Ginny, osservando attenta Hermione. «Non proprio. Abbiamo solo una persona in comune tra le nostre conoscenze.»
«Chi…» cominciò lei, fermandosi subito dopo. No, non poteva essere vero. «È un incubo, vero? Sono finita in un incubo.»
«No, affatto.» Ginny rise, accarezzandole piano una mano. «Stare ai Tre Manici di Scopa con Narcissa Malfoy, è stato un incubo.»
Hermione si trovò a gemere, incredula a ciò che sua cognata le stava confessando. Sapeva che quella donna poteva essere matta - ed in passato lo era stata senza dubbio - ma arrivare a coinvolgere addirittura la moglie di Harry Potter, solo per i suoi scopi personali era troppo anche per lei.

O niente sarebbe stato mai troppo, per una manipolatrice quale era Narcissa?
«Tesoro - riprese Ginny, costringendola a guardarla - Narcissa ama profondamente suo figlio, nonostante quello che abbiamo potuto pensare in passato. Vuole che sia felice, come ogni madre lo desidera. Ed io ti considero praticamente una sorella, lo sai. Meriti anche tu di essere felice. E so per certo che la tua, di felicità, non è con Ron.»
«Ginny…»
«No, Hermione. Ascoltami, per favore. Come ti ho già detto, Harry mi ha sempre ripetuto che era contento, di vedere insieme i suoi due migliori amici. E devo ammettere che all’inizio lo ero anch’io, e molto. Ma poi… poi ti ho osservata, con il passare degli anni. C’era qualcosa, nei tuoi occhi, che non mi convinceva. La conferma l’ho avuta quando abbiamo accompagnato i ragazzi a King’s Cross. Ho visto come lo guardavi, senza farti notare da nessuno. E come lui guardava te, senza che la moglie se ne accorgesse. È stato allora, che sono stata contattata da Narcissa. Voleva che la aiutassi, e l’ho fatto. Non conosco il motivo, però, per il quale abbia voluto chiedere aiuto proprio a me. Questo devi chiederlo a lei.»
«Merlino, Ginny…» mormorò Hermione, sinceramente abbattuta. Cosa avrebbe fatto, ora che era venuta a conoscenza della verità? Aveva ottenuto da Ron del tempo per riflettere e pensare a come comportarsi - non che lui fosse stato davvero restio, nel concederglielo, ma questa era un’altra storia - ed ora si ritrovava più confusa di prima.
Guardò sua cognata negli occhi, supplicando di aiutare anche lei nella scelta che avrebbe dovuto affrontare. Tenere il piede in due scarpe non le era mai piaciuto, non era il tipo da comportarsi in quella maniera. Avrebbe dovuto decidere, tra la persona che aveva amato da praticamente tutta una vita, e con il quale aveva due figli, con un’altra che l’aveva trattata in una maniera del tutto inaspettata. Ricordò il profumo di pergamena, quello stesso odore che le era sempre piaciuto, fin da Hogwarts.
Che significasse qualcosa, questo?, si trovò a chiedersi non sapendosi dare però una risposta soddisfacente.
«Cosa devo fare?»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note.

La frase iniziale, “Perché la gente fuggiva il dolore e lo evitava come la peste? Sì, faceva male, ma faceva male anche ogni cosa che avesse importanza. Amare faceva male, vivere faceva male, nascere faceva male, cambiare faceva male, crescere faceva male. I morti non provavano dolore, solo i vivi. Non si era mai sentita tanto viva.” è tratta dal libro The Saint di Tiffany Reisz.

Scrivere questo capitolo è stato più difficile del previsto. Molto più difficile, dato che quella che avete letto è la quarta stesura. Scrivevo, scrivevo, scrivevo ancora e poi tornavo indietro e cancellavo tutto, non del tutto convinta di ciò che avevo scribacchiato fino a quel punto.
Per questo, chiedo venia se avete dovuto attenderlo più del dovuto, questo capitolo, ma è stato veramente pesante da immaginare. E da scrivere.
Alcuni dei dubbi e delle domande iniziano a sciogliersi, ma ci sono ancora molte cose che dovranno essere spiegate, ed è stata proprio quella la parte che ho trovato più complicata da  pensare. E da descrivere.
Magari avrei potuto farla in modo diverso, è vero,  ma ammetto di essere soddisfatta così. Non riuscirei comunque a cambiarlo, questo capitolo, perché è esattamente così che l’ho immaginato fin da quando ho postato il primo di questa storia.
 

Spero sia piaciuto anche a voi.
Alla prossima.

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Capitolo 13
*** Reazioni ***


Reazioni















Solo.
Era così, che Ronald Weasley si sentiva in quel momento. Si sentiva abbandonato, lasciato a sé stesso dalla sua stessa moglie. La donna che aveva promesso di amarlo per tutto il resto della sua vita, lo aveva lasciato.
Ron non era sciocco, sebbene molte persone pensassero esattamente questo, di lui, e sapeva che le borse che aveva visto apparire all’ingresso non sarebbero più tornate. Così come non sarebbe più tornata Hermione, nonostante ciò che le aveva promesso prima di smaterializzarsi via.

L’aveva persa.
Ron era pienamente cosciente di questo, ma non poteva di certo esserne stupito. Il modo in cui l’aveva trattata, quando era ritornata a casa… era stato ignobile, lo doveva ammettere. L’aveva subito accusata, appena si era materializzata, di essere stata con quel maledetto Mangiamorte che era Malfoy, durante quella settimana di assenza. E continuava ad esserlo, testardamente sicuro su ciò che pensava grazie alla stessa ammissione di sua moglie.
Non può essere davvero colpa mia. Non possono essersi separati per me.
Hermione continuava a ripetere quelle stesse frasi, piangendo accasciata a terra, e le sue lacrime sembravano avergli rotto qualcosa dentro. Aveva sentito chiaramente il suo cuore spezzarsi, frantumandosi in tanti piccoli pezzi, uno per ogni anno in cui aveva vissuto e condiviso la sua vita con lei.
Ci aveva messo un attimo, Hermione, a spazzarglieli via, incurante dei suoi sentimenti e dell’amore e dell’affetto che provava per lei, e che le aveva sempre dimostrato. Giorno dopo giorno, mese dopo mese ed anno dopo anno. Tutte le tappe, tutti i traguardi e tutti i successi di Hermione li aveva vissuti con lei, standole accanto come nessun altro aveva mai fatto. Aveva passato più di vent’anni della sua vita, insieme a lei, amandola e standole vicino in ogni istante. Quando era felice, quando era triste, quando era arrabbiata, quando era addolorata, lui era lì. Accanto a lei, com’era giusto che fosse.
Poteva Malfoy affermare la stessa cosa?
Dov’era, quel misero Mangiamorte, quando lei piangeva? Dov’era, invece di consolarla per le lacrime che le aveva causato con la sua cattiveria?
Ron strinse i denti, aumentando la stretta sul bicchiere di Whisky Incendiario - a che numero fosse, ormai aveva perso il conto - finché non si ruppe tra le sue dita. Avrebbe dovuto sussultare, avrebbe dovuto imprecare. Avrebbe dovuto essere dolorante. Ma non sentiva nulla di tutto quello.
La collera, quella sì che la sentiva : occupava tutta la sua mente ed offuscava i suoi occhi, permettendogli di vedere ciò che aveva davanti come se fosse coperto da un velo. Un velo rosso di rabbia.
Rabbia nei confronti di quell’essere che non sarebbe dovuto nemmeno venire al mondo, non di certo per prendersi sua moglie; rabbia nei confronti di sé stesso, per non essere stato abbastanza insistente nel farla rimanere al suo fianco; rabbia nel sentirsi un fallito.
Hermione era sua moglie, dannazione, e l’avrebbe fatta rinsavire. Non poteva abbandonarlo. Non così. Non per un essere come lui. Non per un Mangiamorte come lui.
Ron si alzò in piedi, barcollando per il troppo bere, e gettò un’occhiata alla sua mano sanguinante. Avrebbe dovuto fasciarla, probabilmente. Avrebbe dovuto curarsi, ma non voleva. Ciò che voleva in quel momento, era che la sua Hermione vedesse con i propri occhi ciò che gli aveva fatto.
Voleva che stesse male come stava male lui. Doveva soffrire, per aver preferito un assassino fallito a lui.
Avrebbero sofferto entrambi.



 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

«Ti trovo meglio.»
Astoria gli si avvicinò, meravigliata di trovarlo solo in quell’immenso salone. Si guardò attorno, ma di Hermione non vi era traccia.

«Come sta Scorpius?» le domandò a sua volta, invece di risponderle. «Si è calmato? Ha pianto tanto, questa mattina.»
«Lui sta bene. È da Daphne, adesso. Gioca a Quidditch con Blaise.» mormorò lei, torcendosi nervosamente le mani. «Ho pensato di farlo rimanere ancora per qualche giorno, prima di riaccompagnarlo ad Hogwarts. Sai, per distrarlo.»
Draco chiuse gli occhi, sentendo arrivare tutta insieme la pesantezza di quella lunga giornata. Per un momento, pensò seriamente di non aprirle più, le palpebre. Si sentiva terribilmente stanco, schiacciato da tutte quelle emozioni che aveva affrontato fin dall’alba.

«Come stai, Draco?» il tono di voce di Astoria era tranquillo, a dispetto del nervosismo che traspariva dai suoi gesti.
Sorrise, pensando che mai avrebbe smesso di preoccuparsi per lui, e la ringraziò mentalmente per questo. Astoria era una delle poche persone che gi erano state davvero vicine, con il passare del tempo, e Draco era certo che non fosse solo per il fatto di essere sposati. No, il matrimonio c’entrava poco e niente. Lui ed Astoria, prima di essere marito e moglie, erano stati amici. E lo sarebbero sempre stati, anche a dispetto delle voci e dei mormorii che sicuramente gli avrebbero travolti in futuro.

«Hermione…»
«È andata via da un pò. Da Ginny Potter.» le mormorò ad occhi chiusi, sentendola respirare con calma. «Gliel’ho detto. Le ho confessato tutto.»
«E come l’ha presa?»
Draco si alzò, dirigendosi al carrello dei liquori.
«Da bere, Astoria?» le offrì, sentendola ridere.
«Whisky, grazie. Merlino, è andata davvero così male?» gli chiese, prendendo il bicchiere colmo che le porgeva. Lo guardò di traverso, quando si scolò il suo tutto d’un fiato.
«A dire la verità, no.» mormorò il biondo, servendosi un’altro giro di alcool. «Diciamo che è stato… interessante, sì.»
«Ho capito. Hai la stessa faccia che usa Blaise quando vuole chiudersi in camera con Daphne.» scherzò lei, posando il bicchiere sul tavolino davanti le sue gambe. Si alzò in piedi, prendendo a camminare nervosamente per la stanza. Draco la seguì con gli occhi, fermando il suo passeggiare con una mano sul suo braccio.
«Cosa succede, Astoria?»
Lei lo guardò negli occhi e deglutì, non trovando le parole per dirgli ciò per cui si era presentata alla villa.

«Padron Malfoy, padrone.»
Draco si scostò da lei, rivolgendo un’occhiata piuttosto seccata all’elfo.
«Cosa c’è?»
«Padron Malfoy ha ospiti, signore. Sock non sa se…»
Draco rivolse uno sguardo interrogativo ad Astoria, ma lei ne sembrava sapere quanto lui. Ospiti a quell’ora?
«Chi sono?
» guardò di sbieco l’elfo, già pronto a tirarsi le orecchie per aver sentito il tono seccato del suo padrone. Prese a lamentarsi di non essere un buon elfo domestico, e Draco dovette ripetergli la domanda.
«Sock non lo sa. Sock ha visto del rosso, però, padrone.»
L’espressione del biondo si fece più interrogativa di prima. Del rosso… intendeva capelli rossi? Glielo chiese, e l’elfo rispose affermativamente. Draco conosceva solo poche persone con i capelli rossi, e tutte erano appartenenti alla stessa famiglia. I Weasley.

«È una donna o un uomo?»
«Un uomo, padrone.»
Malfoy trattenne un sorriso, pensando che la situazione si stava facendo interessante. Aveva compreso chi ci fosse, al cancello della sua casa. E non vedeva l’ora di affrontarlo.
«Fallo entrare, Sock.»
L’elfo obbedì, smaterializzandosi con un lieve crack, ed Astoria gli si avvicinò.

«Weasley, giusto?» gli domandò, e Draco annuì quasi ghignando. Lei alzò gli occhi al cielo, mostrandosi palesemente divertita, forse più di prima. «Non sei più un ragazzino, Draco.»
«Lo so.» concordò lui, il ghigno più largo sul volto. «Lui è venuto da me.»
«Draco.» lo chiamò ancora lei, le mani sui fianchi in una posa che voleva essere ammonitrice, ma che fece solo aumentare il ghigno del biondo. «Ah, ci rinuncio. Devo contattare Hermione?»
Draco le fece un gesto con la mano, finendo ciò che rimaneva nel suo bicchiere.
«Non ce ne sarà bisogno. Davvero.»
«Non mi fido. Di lui, non di te. Starò di sopra, nel caso… nel caso ci sia bisogno.» lo avvertì smaterializzandosi subito dopo, appena in tempo per l’entrata dell’elfo e di Weasley.
Appena lo vide, Draco capì subito che avrebbe avuto la vittoria in tasca. Era visibilmente ubriaco, faticava a reggersi in piedi. Il rosso lo raggiunse barcollando, sfoderando la bacchetta nel tragitto. Malfoy rise, vedendo quel debole e patetico tentativo di attacco. O era di difesa?

«Weasley, benvenuto in casa mia. A cosa devo l’onore?» lo provocò subito, desideroso di uno scontro per sfogare tutto quello che sentiva dentro. Sì, sarebbe stato il modo perfetto per liberarsi di tutte le sensazioni - brutte e buone - che sentiva di avere dentro, e che rischiavano di soffocarlo.
«Tu… sei uno schifoso Mangiamorte.» biascicò l’altro, lentamente, e Draco poté sentire l’odore dell’alcool arrivare fino a lui. Lo guardò con disgusto, chiedendosi cosa mai ci avesse trovato in lui una donna intelligente come Hermione.
«Sei ubriaco, Weasley.» gli fece notare divertito, privandolo della bacchetta con un incantesimo non verbale. Lo vide guardare stupito la mano che prima la stringeva, e rivolgergli poi uno sguardo carico d’odio e disprezzo.
Il pane quotidiano, per uno come lui.
«Non… non ci riusc… riuscirai.» continuò Ronald, camminando storto verso di lui. «Mione è mia moglie.»
Malfoy scoppiò a ridere, non riuscendo a trattenersi.
«Merlino, ma ti senti?» gli chiese, allontanandosi da quell’odore terribile di whisky scadente che gli sentiva addosso. «Hermione è una donna adulta, ed è in grado di fare le sue scelte. Se suo marito si è dimostrato un inetto, la colpa di certo non è mia, Weasley.» gli sibilò poi, gelido come suo solito. Aveva sperato davvero in uno scontro, ed il vederlo tardare lo stava innervosendo ancora di più.
«Sei uno…»
«Schifoso Mangiamorte? Sì, l’hai già detto.» lo canzonò, provando davvero qualcosa di simile alla pena per lui. «Dovresti trovare più sinonimi, sai? Cominciano a scarseggiare.»
Draco abbassò velocemente lo sguardo, e quando lo rialzò vide il pugno di Weasley abbattersi sul suo naso. Imprecò, tenendosi una mano sulla faccia, e strinse i denti. Sentiva il sangue colare, ma fortunatamente non era riuscito a romperglielo.

«Astoria!» la chiamò, con un lamento soffocato. Merlino, se gli aveva fatto male, però. Lei comparve quasi subito, osservando la scena con occhi sgranati. Corse subito verso di lui, ed un singhiozzo le uscì dalle labbra quando vide il sangue macchiargli il viso e la camicia. Sentirono un tonfo e qualcosa che si rompeva, e quando si voltarono videro Ronald Weasley a terra. Svenuto dal troppo bere.
«Vai a chiamare Ginny Potter, per favore. Non voglio vedere quell’essere insulso sul mio tappeto un minuto di più.» la sentì sparire, e ne approfittò per recuperare la bacchetta e darsi una sistemata alla camicia sporca con un Tergeo. Il naso… quello l’avrebbe lasciato esattamente com’era. Guardò ancora l’uomo svenuto a terra, con profondo disprezzo e disgusto, realizzando che non si sarebbe vendicato. Voleva dimostrare agli altri e a sé stesso di essere superiore, specialmente nei confronti di Weasley. Un po’ lo capiva, doveva ammetterlo. Se ci fosse stato lui, al posto del rosso, era certo che avrebbe fatto la stessa identica cosa.
Forse, però, con una mira migliore.

 



 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Cosa devo fare?
Quella domanda l’aveva tormentata per ore ed ore, e continuava ad essere senza risposta, nonostante tutti gli sforzi che aveva fatto per trovargliene una.
L’aveva domandato a Ginny, ma era consapevole che non era lei, quella che sarebbe stata in grado di aiutarla nella pesante decisione che avrebbe dovuto prendere. Doveva farlo da sola, lo sapeva, eppure non poteva a fare a meno di pensare che quel limbo nel quale era caduta non potesse avere fine.
Una corda.
Ecco come si sentiva Hermione. Era una corda, tirata da entrambe le parti con la stessa forza e determinazione. Da un lato c’era Ron, la persona che amava e che aveva sposato e con il quale aveva costruito una famiglia; dall’altro c’era Draco Malfoy, colui che l’aveva profondamente disprezzata fin da bambino ma che aveva scelto di mostrarsi differente ora, nei suoi confronti, dichiarando in un luogo pubblico - la sala da tè del San Mungo - di essere innamorato di lei, dimostrando davvero un cambiamento senza precedenti per una persona come lui.
Hermione sbuffò per l’ennesima volta, coprendosi il volto con un braccio. Le sembrava di essere in una strada senza uscita, e senza nessuna prospettiva di scelta imminente. Come avrebbe fatto, allora, a scegliere?
Voleva bene a Ron, lo amava, aveva una famiglia con lui. Sarebbe stata in grado, qualora avesse deciso di scegliere Draco e non lui, di sopportarne le conseguenze? Avrebbe rovinato la sua famiglia, lo sapeva. Rose ed Hugo ne sarebbero usciti distrutti, da tutta quella storia. E lei?, si domandò Hermione. Anche lei se ne sarebbe dispiaciuta, se il matrimonio con Ron avesse smesso di esistere? Sarebbe stata capace di mandare tutto all’aria per Draco Malfoy, e per quello che sentiva verso di lui?
Hermione si chiese cosa sentisse davvero, per quel biondo. La attraeva, senza dubbio. Non era un mistero, né per lei né per lui. Si era trovata infinitamente bene, poche ore prima, tra le sue braccia e nel suo letto. Aveva vissuto ogni istante di ciò che avevano condiviso, l’aveva fatta sentire bene. Si era sentita desiderata, come ormai non le accadeva più da molto tempo con Ron.
Hermione si alzò dal letto su cui era sdraiata e che condivideva con Hugo, quando sentì Ginny chiamarla allarmata. Si precipitò da lei, bloccandosi di colpo quando vide Astoria Malfoy ferma al centro del salotto. Guardò interrogativamente sua cognata, scoprendola con un colorito quasi bianco. Aveva quasi paura di farla, quella domanda, ma non poteva evitarla.
«Cos’è successo? Perché Astoria è qui?
»
«È accaduta una cosa.» fu Ginny a parlare, scambiandosi veloce un’occhiata con l’altra donna. «Ron ha…»
Hermione strinse gli occhi, per nulla tranquillizzata dal clima gelido che percepiva nella stanza. «Cos’ha fatto Ron?»
«È a casa di Draco.» le spiegò Astoria, la voce freddamente arrabbiata come la sua espressione. «È svenuto, dopo averlo colpito con un pugno. Ed è ubriaco.»
Hermione aggrottò le sopracciglia, confusa. Per quale motivo Ron aveva colpito Draco, e perché si trovava a casa sua? Immaginava - sapeva, in fondo - che non era solo colpa dell’alcool, se Ron si era comportato in quel modo. Guardò Astoria, e il viso tirato della donna le suggerì la risposta. Per lei. Ron aveva fatto tutto quello per lei.
Rilasciò un sospiro, avvicinandosi alle due donne.
«Ginny, potresti guardare Hugo?» le chiese, decidendo velocemente la sua prossima mossa. Sarebbe andata a prendere Ron e a scusarsi con Draco al posto suo per quello che gli aveva fatto. Successivamente, avrebbe portato Ron a casa, e…
«No.» Astoria la fermò prima che potesse muovere anche un solo passo. «Draco ha chiesto di Potter. Di Ginny.»
«Ed invece dovrà accontentarsi di me.» ribatté Hermione, fissando con un espressione severa Astoria, la quale le sorrise benevolmente, apparendole improvvisamente sollevata. Che andasse lei al posto di Ginny? Le annuì, sparendo subito dopo. Hermione era pronta a seguirla, ma sua cognata la fermò.
«Hermione.» la chiamò, riprendendo colore in volto. «Dì a Malfoy che mi dispiace.»
Lei la guardò stupita, incredula a ciò che le aveva appena sentito dire, e la ringraziò con un cenno.

, pensò un attimo prima di smaterializzarsi, il mondo stava davvero andando al rovescio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note.


Povero Ron. Quasi mi dispiace per lui. Quasi. Usare le mani non è mai la soluzione, sebbene talvolta possa essere alquanto liberatorio.
Piccola curiosità : fosse accaduto a voi, di trovarvi nella posizione di Ron, come avreste reagito?

Un grazie infinite come sempre alle persone che seguono e commentano gentilmente questa storia. Alla prossima.

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Capitolo 14
*** Promesse ***


Promesse















«Grazie per essere venuto, signor Olivander.»
Harry si affrettò a raggiungere il suo ospite, tendendogli subito la mano per accorciare i convenevoli di rito. Lo pregò di accomodarsi, volendolo mettere il più a suo agio possibile, ed arrivò persino ad offrigli il miglior Whisky che aveva in ufficio, quello che teneva per le occasioni speciali, ma l’altro rifiutò con un cenno della mano.
«Ho portato quello che mi aveva chiesto, signor Potter.» tirò fuori un breve fascicolo dall’interno del mantello, posandolo sulla scrivania sotto lo sguardo avido dell’Auror. «Mi è costato ore di lavoro e ricordi, ma mi auguro che sia valsa la pena. Merlino sa quanto voglia conoscere quelli che hanno sfasciato Madama McClan.»
L’Auror annuì, sfogliando distrattamente quei fogli.
«Ci sono tutti?»
«Sì.» rispose subito Olivander, mostrandosi sinceramente offeso dalla poca fiducia che veniva riposta in lui. «Mi aveva chiesto Biancospino, Acacia e Noce, se non erro. Le ho elencato le bacchette degli ultimi cinquant’anni.»
Harry sospirò distrattamente, quando un nome gli fece bloccare il respiro a metà gola. Sgranò gli occhi, dandosi mentalmente del cretino per non esserci arrivato da solo, e rivolse uno sguardo di profonda gratitudine al fabbricante di bacchette.

«La ringrazio ancora per la sua cortesia. Mi vedo costretto, tuttavia, a chiederle di non pianificare vacanze, il Ministero potrebbe avere ancora bisogno di lei.» lo congedò velocemente, ansioso di potersi concentrare in tutta tranquillità sulle informazioni che aveva appena ricevuto.
Tirò fuori un altro fascicolo da un cassetto, aprendolo al punto che gli interessava e pensando al motivo che avrebbe dovuto spingere quegli assassini - non erano altro che questo - a commettere l’omicidio di Lucius Malfoy.
Certo, per quanto quell’uomo fosse stato particolarmente odioso, nonché assassino lui stesso, non poteva negare che la fine che gli era stata riservata non l’avrebbe augurata nemmeno a lui.
Il rapporto dei Medimaghi accorsi sulla scena dichiarava senza ombra di dubbio che era stato ucciso con qualcosa di orribilmente peggiore del semplice Diffindo, ma loro non avevano saputo dirgli altro. Per Harry, però, era una base abbastanza solida dalla quale poter partire con le indagini, ed andando avanti era arrivato alla ovvia conclusione che - chiunque fosse stato - odiasse profondamente quell’uomo, tanto da arrivare ad ucciderlo senza provare - Harry ne era certo - il benché minimo rimorso.
Ma chi, poteva arrivare a tanto?
L’Auror pensava e ripensava, concentrandosi nel cercare un indizio qualunque che gli avrebbe permesso di mascherare quella persona. Rilesse uno dei tre nomi che aveva riconosciuto nella cartella di Olivander, e solo ora gli venne in mente il motivo per cui una di quelle gli suonasse così familiare : l’aveva già avuta tra le mani, vent’anni prima.
La bacchetta di Biancospino.
Si mosse velocemente; chiamò i suoi migliori Auror, smaterializzandosi con loro nemmeno dieci minuti dopo la visita di Olivander.

Aveva compreso tutto.




 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

«Ron.»
«Prova con Lenticchia.»
«Draco…
» lo ammonì con un’occhiata truce, e lui scrollò le spalle con divertimento. «Ron, svegliati.»
«Donnola?
» suggerì ancora, nascondendo un ghigno dietro il fazzoletto che Astoria gli teneva premuto sul volto.
«Draco!» esclamò esasperata Hermione, scuotendo la testa. Colpì piano il viso di Ron, cercando di farlo rinvenire, ma ottenne in cambio solo dei mugolii e dei grugniti. Niente di nuovo, pensò lei. «Due bambini, ecco cosa siete. Fare a pugni come se foste alla Testa di Porco.»
«È stato lui, a colpire me.»
«È ubriaco, Draco. Cosa ti aspettavi che facesse? Che venisse qui per farti l’inchino come ai signori Montagnet? O a stringerti amichevolmente la mano?» ribatté ironica Hermione, guardandolo male e Draco la fissò stralunato, non capendo di cosa parlasse.
«Come a chi?» chiese, ricevendo in cambio solo un cenno noncurante. «Perché no, comunque, - riprese, alzando le spalle indifferente -, sarebbe stato un comportamento adulto.»
«Proprio tu parli?» gli domandò Astoria, rimasta in silenzio fino ad allora. «Tu, che non vedevi l’ora di scontrarti?»
Malfoy le rivolse uno sguardo risentito.
«Ma tu da che parte stai?»
«Da quella intelligente, Draco.» replicò sospirando. Gli tolse il fazzoletto dalla faccia, pulendo i residui del sangue che ancora lo imbrattavano. «Hermione ha ragione. Non siete più due bambini. Ci si aspetta un comportamento maturo, da persone della vostra età.»
«Concordo.» annuì Hermione, guardandola con gratitudine. «Quello che ha cercato di fare Ron non ha scusanti, ma a quanto dice Astoria nemmeno tu ti sei tirato indietro. Devo portarlo via, - aggiunse, cercando di alzare Ron -, non può stare di certo qui. »
«Aspetta.» la fermò Draco, recuperando una piccola boccetta da un cassetto. «Dagli questa. Lo farà riprendere completamente.»
«Che cos’è?» gli chiese Hermione, guardando con diffidenza e curiosità allo stesso tempo ciò che lui le porgeva in modo estremamente riluttante.
«È una pozione anti sbronza.» le illustrò l’ovvio. «Bastano poche gocce e si sveglierà completamente sobrio tra qualche minuto.»
Hermione guardò ancora più incuriosita la piccola boccetta rossa, chiedendosi se fosse il caso di somministrargliela. Non aveva mai visto Ron in quello stato, e dovette ammettere che non fosse un bello spettacolo. Guardò Malfoy, rivolgendogli un’occhiata incerta, ma lui alzò le spalle.

«La prendo spesso, ultimamente. Cioè, prima.» precisò lui con un tono che Hermione non comprese, evitando di guardarla. «L’ho inventata io, se non ti fidi.»
Hermione si morse la lingua, evitando di contraddirlo, e tornò a guardare Ron. Gli aprì velocemente le labbra, scegliendo di fidarsi del biondo e pensando che tanto più di così non poteva peggiorare, versandone alcune gocce all’interno.
«Ed ora?»
«Ora aspettiamo.» le rispose lui, mettendosi comodo sul divano. «Tra… tra una decina di minuti dovrebbe svegliarsi in condizioni normali. Certo, per uno come lui non credo…»
«Draco!» esclamò di nuovo Hermione, sedendogli affianco. Subito, le braccia del biondo la trassero a sé, sotto lo sguardo - compiaciuto? - di Astoria, che li guardava accanto alla finestra e gli tastò il naso per controllare che non ci fosse davvero nulla di rotto, provocandogli una smorfia di fastidio. Fece per alzarsi, sentendosi avvampare sotto lo sguardo dell’altra donna, ma lui glielo impedì.
«Resta qui.» le chiese mascherando la domanda da ordine, ed Hermione alzò gli occhi al cielo. Terribilmente possessivo, ecco cos’era, pensò lei, sorridendo contro di lui.
«Ma Astoria…» tentò di ribattere dopo, inutilmente, arrossendo ancora di più. Lei si avvicinò ad entrambi, scuotendo la testa.
«Posso darti del tu, Hermione? Grazie. Non devi sentirti in imbarazzo.» si premunì di rassicurarla, gentile come poche volte lo era stata nel rivolgersi a lei. «Non davanti a me. L’ho detto anche a Draco, state bene insieme voi due. Siete… belli.»
Hermione sentì la bocca di Draco distendersi in un sorriso contro la sua nuca, e non poté fare a meno di sorridere a sua volta. Lanciò un’occhiata preoccupata a Ron, scoprendolo ancora dormiente.

«È terribilmente riservata, non è vero?» domandò ad Astoria. «Lo è sempre stata, fin da Hogwarts.»
Hermione voltò il viso per guardarlo, scoprendo un tale orgoglio in quegli occhi da farle trattenere il respiro.

«Non saprei. All’epoca non la conoscevo.» gli rispose lei, nascondendo un sorriso. «Ma da quello che ho visto ora, direi di sì.»
Hermione si schiarì la voce con imbarazzo, e tirò un sospiro di sollievo quando Ron riprese conoscenza. Un paio di occhi azzurri vagarono per la stanza, assenti, ed Hermione cercò di sorridergli incoraggiante. Provò ad alzarsi per raggiungerlo, ma Malfoy non era affatto d’accordo : la strinse di più a sé e lei lo ammonì con un’occhiata truce, preferendo non commentare la possessività che le aveva appena dimostrato di avere. Strinse le labbra, ripromettendosi di sgridarlo più tardi, e concentrò la sua attenzione a Ronald, semiseduto su divano che la guardava incredulo e confuso.

«Mione? Cosa… come… »
«Sei svenuto, Ron.» gli rammentò. «Te l’avrò detto mille volte che non devi bere. Ti sei presentato qui, hai colpito Draco con un pugno e sei svenuto.» vide gli occhi di Ron vagare tra lei ed il biondo in questione, appoggiati l’una all’altro, ricordandosi tutto quanto. Fissò Malfoy con un’espressione astiosa in viso, ed incrociò le braccia al petto.
«Spero di averti fatto male.»
«Ron!»
«Tranquilla, Mione.» la redarguì Draco, celiando Ron. Hermione gli lanciò un’occhiataccia. «Sì, Lenticchia. Un bel gancio destro, lo ammetto, per essere ubriaco.»
«Bene.» il tono di Ron trasudava soddisfazione. «Ne sono contento.»
«Ron!» lo ammonì Hermione, ora davvero esasperata. «Perché eri qui?»
«E me lo chiedi anche, Hermione? Credevo che fossi qui. Sapevo che eri qui, e volevo… possiamo parlare in privato?» le domandò, ed Hermione chiuse gli occhi sospirando. Gli annuì. Almeno questo glielo doveva, realizzò, dopo tutto quello che aveva fatto per lei.
«Va bene. Andiamo a casa, però.» concesse. «Abbiamo disturbato anche troppo, qui.»
«Potete restare.» Draco la smentì, lasciandola andare a malincuore. Avrebbe voluto assistere a quel discorso, ma sapeva che Hermione non gliel’avrebbe mai permesso. E nemmeno Astoria, che già lo stava trascinando fuori dalla sala. «Usciamo noi.»




 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Astoria lo precedette, fermandosi a metà del corridoio, accanto alle scale. Era visibilmente tesa e pensierosa, il divertimento che aveva provato fino a pochi istanti prima era nuovamente sparito.
«Cosa succede, Astoria? Sei nervosa.
»
Lei gli annuì, guardandolo con preoccupazione.
«Si tratta di Terence. Lui… vorrebbe incontrarti.»
Draco sgranò gli occhi per un momento, capendo solo dopo quella richiesta. Era del tutto legittima, e dopotutto anche lui aveva espresso lo stesso desiderio di incontrarlo, tempo prima.

«Mi ha proposto di chiederti di affrettare le pratiche al Ministero. Per il nostro matrimonio.» aggiunse lei con un mormorio timido, decisamente poco tipico di lei, e Draco aggrottò le sopracciglia, non capendone il motivo.
«Perché? Voglio dire, perché correre?» le domandò, ma lei non gli rispose. Gli fece cenno di seguirlo, fino al dipinto sul muro conservato in un’altra stanza.
L’albero genealogico dei Black e dei Malfoy.
«Astoria, non capisco. Perché siamo qui?» tornò a chiederle, guardando l’espressione sul viso di lei. Era calma, ma Draco poteva vedere senza problemi l’ansia nei suoi occhi. Gli indicò un punto sul muro, corrispondente al suo nucleo familiare, chiedendogli di guardare meglio.
Lui si avvicinò al muro, socchiudendo gli occhi per notare meglio quel piccolo particolare che finora non aveva notato. Voltò di scatto il viso verso di lei, scoprendosi a sorridere come non aveva mai fatto e la abbracciò a lungo, congratulandosi tramite i gesti con la donna.

«Sei arrabbiato?»
Draco la guardò incredulo, scuotendo convinto la testa subito dopo.
«Sono felice per te. Lo desideravi tanto.»
«Sì.» Astoria annuì, gli occhi brillanti di gioia. «È stata dura, sai? Non credevo di riuscirci. Ma incantesimi, pratiche Babbane ed una buona Giratempo hanno fatto il resto.» gli sussurrò, accompagnandolo nuovamente davanti alla sala dove vi erano Hermione e quel rosso. «Per questo Terence vorrebbe affrettare il tutto, oltre che vederti.»
Draco le sorrise, mostrandosi contento come poche lo era stato per lei.
«Digli di venire qui domani pomeriggio. Lo incontrerò volentieri. E non pensare che ne sia rattristato, Astoria. Non è così. È una bella notizia. Te lo meriti. Sai già se è…»
«No.» lo interruppe, torcendosi le mani ma con meno ansia di prima. Si sentiva sollevata, ora che lo sapeva anche lui. Era più tranquilla. «Vogliamo che sia una sorpresa.»
«Scorpius ne sarà felice.» aggiunse Draco, prestando attenzione ai rumori e alle voci che provenivano dalla stanza di fronte a lui. «Ha sempre voluto una sorella. O un fratello, poco importa. Basta che sia sano, no?» le strinse dolcemente una mano, ed Astoria lo guardò con gratitudine mista a felicità, posandosi una mano lì dove aveva iniziato a crescere.
Sentì le voci aumentare d’intensità, dentro il salone, e riconobbe distintamente alcune parole che non gli piacquero per niente. E nemmeno ad Astoria, già pronta ad entrare con la bacchetta in mano, e per sicurezza la impugnò anche lui.

 




 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Hermione li guardò andare via, uno seccato e l’altra sorridente, fino a quando non sentì chiudersi la porta del salone.
«Non hai un minimo di pudore, non è vero?» le chiese, calcando sulla parola. «Addirittura abbracciati, davanti a me!»
Ron prese a camminare avanti ed indietro sul tappeto, non degnandola di un’occhiata, ed Hermione si sentì sprofondare.

«Ringrazio Merlino che Hugo non abbia assistito a questa disgustosa scenetta. Sua madre stretta ad un altro! Miseriaccia, Hermione, cosa ti passa per la testa? Sei sposata!»
«Questo lo chiami matrimonio, Ronald?» gli domandò allora lei, furente da quelle accuse quasi del tutto ingiustificate. «Siamo sposati da anni, e mai una volta mi hai guardata e trattata in modo diverso da una cameriera. Certo, eri affettuoso, all’inizio; eri amorevole, quando eravamo a letto; eri un bravo genitore, con Rose ed Hugo. Ed il resto del tempo, Ron? Te lo dico io dov’eri. A quel maledetto Tiri Vispi, ecco dove.»
«Sono affari, Mione!»
«E non chiamarmi così!» proseguì lei, sventolandogli davanti i pugni chiusi. «Non mi è mai piaciuto, te l’avrò detto mille volte. Ma tu no, dovevi sempre chiamarmi in quel modo.»
Ronald la guardò incredulo.
«Hermione…»
«No, Ron. Basta.» lo interruppe, sedendosi con le mani tra i capelli. «Sono davvero stanca.»
«È lui, non è vero? È colpa di quel dannato Mangiamorte, se ti comporti così.» l’accusò, sputando quelle offese al veleno. «Devo ammettere che l’Amortentia che ha senza dubbio usato è forte. Dove l’ha presa?»
Hermione lo fissò con gli occhi sgranati, non credendo a ciò che sentiva uscire dalla bocca di Ron. Come poteva denigrarla in quel modo? Come poteva essere a posto con la sua coscienza, se non esitava a crederla vittima di un misero filtro d’amore? Si chiese se la sua credibilità valesse così poco, secondo Ron. Ad ogni modo, suo marito era l’ultimo delle persone che poteva davvero accusarla di qualcosa. Le colpe non erano solo sue, anche Ron le aveva. Dopotutto, se un matrimonio falliva la colpa non era mai di uno solo.
Certo, Hermione aveva peccato d’adulterio nei confronti del rosso davanti a lei; aveva ceduto, giorno dopo giorno, a Draco; si rese conto di provare qualcosa di diverso dalla semplice infatuazione, per lui, e più nulla nei confronti di suo marito. Lo guardava fissarla quasi ansimante, e tutto ciò che provò fu davvero pena. Non per lui, no, ma per lei stessa : non era stata in grado di continuare quell’unione, preferendo interromperla quando aveva cominciato a non sentire più nulla.
E la colpa di tutto questo non poteva non essere anche di Ronald. Aveva preferito passare il suo tempo al negozio, piuttosto che con lei ed i bambini, ed era una cosa che - se ne rendeva veramente conto solo in quel momento - non gli aveva mai del tutto perdonato. E questo non lo giustificava affatto, negli insulti e nelle insinuazioni verso di lei. Lo guardava, e vedeva un estraneo.
«Che fine ha fatto Ronald?
» gli domandò, sentendo gli occhi inumidirsi. «Dov’è finita la persona che amava farmi ridere, e che si divertiva a giocare sulla neve con me e i suoi figli? Esiste ancora, o è stata risucchiata anche lei da quel negozio?»
«Non farlo, Hermione. Non trattarmi così. Non venirmi a dire che la colpa di tutto questo è mia!»
«No, Ron.» lei scosse la testa, delusa dalla mancanza di responsabilità di suo marito. «La colpa è anche tua. È vero, - proseguì, non dandogli il tempo di rispondere -, sono stata io ad allontanarmi. Sono stata io a tradirti. Sono stata io, a farmi trovare da te tra le braccia di un altro. Chieditene il perché, Ron. Invece di accusarmi, tenta di capirmi.»
«Non c’è nulla da capire.
» pronunciò secco lui, guardandola con astio. «Ormai è tutto chiaro. Dimmi, Hermione, da quanto l’avevi programmato? Da quanto tempo, aspettavi l’entrata di Rose ad Hogwarts, per potertela svignare senza sensi di colpa? E ad Hugo non ci pensi? Ha bisogno di una madre. Un genitore che sia presente, nella sua vita, non certo di una…»
«Azzardati a finire la frase e non esiterò a Cruciarti, Weasley.» la voce irata di Draco giunse ad entrambi con un sibilo, mentre Hermione guardava Astoria avvicinarsi protettiva a lei. Entrambi avevano le bacchette strette in mano, aspettandosi di usarle da un momento all’altro, ma Hermione non l’avrebbe mai permesso. «Credimi, realizzeresti un sogno che ho dai tempi di Hogwarts.»
«Non oseresti.» replicò Ron, fissandolo con sfida, e Draco gli sorrise. Se non fosse stata certa che non gli avrebbe mai fatto nulla, Hermione avrebbe temuto per quella smorfia quasi agghiacciante che dipingeva il volto del biondo. Faceva paura quel sorriso, le ricordavano quelli di Lucius. Rabbrividì impercettibilmente, al ricordo.
«Vuoi mettermi alla prova, Lenticchia? Avanti, sfidami. Staremo a vedere chi avrà la meglio, tra i due.» gli propose, un ghigno deformato dalla rabbia sul volto diafano. «E non sarai di certo tu.»
«Basta!» lo strillo di Hermione fece bloccare come impietriti i presenti. Li guardò entrambi, le bacchette in mano e gli sguardi folli. «Smettetela.»
Draco fu il primo ad abbassare l’arma, con grande stupore di Hermione. Le si avvicinò, sotto lo sguardo di Ron, abbracciandola per calmare i singulti che avevano iniziato a scuoterla. Rivolse un’occhiata di sufficienza ad un Ron con la testa lievemente chinata e le braccia abbandonate lungo i fianchi.

«Spero tu sia contento, Weasley.» gli sibilò con un tono talmente intriso di acidità da stupirsene lui stesso.  «Ti pregherei, ora, di andartene da casa mia. In fretta. Meno lei ti vede e meglio starà.»
«Non finisce qui, Hermione. Ah, - aggiunse, poco prima di smaterializzarsi -, Hugo e Rose non li vedrai più, stanne certa.»
«Astoria, ti dispiace andare da Blaise e fissarci un appuntamento per domattina?» le domandò Draco, accarezzando piano la schiena di Hermione, che non smetteva più di piangere. «Digli che è urgente.»
La donna obbedì, affrettandosi per quella richiesta, e Draco sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per aiutarlo, ed aiutare Hermione di conseguenza. Si staccò da lei, facendola sedere ed offrendole un bicchiere di liquore.

«Bevilo, ti sentirai meglio dopo.» le consigliò. «Non devi preoccuparti di niente. Quell’idiota non la spunterà. Ho mandato Astoria da Blaise, è il miglior avvocato del Ministero, ma suppongo questo tu lo sappia già.»
Draco cercò di sorriderle incoraggiante, ma dentro tremava di rabbia per le lacrime che quell’essere ignobile di Weasley le aveva provocato. Hermione gli annuì, guardandolo con gratitudine.

«S-sì. È lui che chiamiamo, quando… sì, lo è. Ti ringrazio.»
Draco la guardò con stupore, scuotendo poi la testa.
«Non devi. Ti meriti il meglio di ogni cosa, Hermione. E finché potrò dartelo, lo avrai.» le sussurrò. «Qualsiasi sia il costo. Non preoccuparti più di nulla, farà tutto Blaise. Cerca di stare tranquilla, ora.»
Le asciugò le lacrime, e non poté non sorridere sotto il suo sguardo sorpreso.
«Posso fare qualcos’altro, per te?» deglutì, quando lesse la risposta negli occhi di Hermione.
Aiutami a stare meglio.
Questo, vi leggeva in quegli occhi. E sperò che anche lei potesse leggere la promessa a quelle risposte, nel grigio dei suoi.
Lo farò. 
Te lo prometto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note.

In ritardo rispetto ai miei standard, o in anticipo per altri punti di vista, sono riuscita a postare.
Chi segue la pagina Facebook, saprà già che la storia è in dirittura d’arrivo : mancano davvero pochi capitoli alla fine, dato che la maggior parte dei nodi hanno già iniziato a sciogliersi.
Unico chiarimento, per questo capitolo. I signori Montagnet, citati da Hermione, potete trovarli qui; compresi in una tipologia di teatro che oggi si vede sfortunatamente troppo poco. O non si vede affatto.

Alla prossima settimana.

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Capitolo 15
*** Pieno ***


Pieno















«Hermione, ti ricordi di Blaise, vero?»
Lei annuì, allungando una mano per stringere quella del moro, mostrando tutto il suo sollievo e
l’altro ricambiò con un sorriso breve ma sincero.
«Loro, invece, sono sua moglie Daphne e le loro figlie Cassandra e Anfitea.
» presentò, prendendo a giocare con le bambine. Hermione si schiarì la voce, imbarazzata per il trovarsi con sconosciuti, ma i sorrisi incoraggianti di Draco la calmarono.
«Scorpius e Astoria?» domandò il biondo alla donna. «L’ha già riportato a Hogwarts?»
«No, non credo. L’ho vista ieri, e mi ha detto che oggi sarebbe stata presente. A quanto ne so, avrebbe portato anche Scorpius.»
Draco le annuì, abbassando lo sguardo verso la bambina che reclamava la sua attenzione.
«Zio, voglio giocare.»
«Tea, gioca con tua sorella.» le consigliò Daphne, scusandola con i gesti. «I grandi devono parlare. Ora arriva anche tuo cugino, contenta?»
«Bene, uhm… Hermione?» la chiamò Zabini, grattandosi distrattamente la nuca. «Posso darti del tu, sì? Tanto ormai sei di famiglia.»
«Oh, è arrossita!»
«Daphne!» esclamò Draco, stringendo a sé Hermione con un sorriso divertito in viso. «Avessi saputo che saresti venuta anche tu, avrei chiesto a Blaise di incontrarci nel suo studio.»
«E privarmi delle guance rosse della tua nuova moglie?» ribatté lei, scherzando. «Non avresti potuto farmi questo, tesoro.»
Ad Hermione per poco non andò di traverso la sua stessa saliva, e Draco dovette darle dei colpetti sulla schiena per farla riprendere, mentre rivolgeva un’occhiata truce a Daphne.

«Daphne.» si intromise allora Blaise, gelando con lo sguardo sua moglie. «Chiamalo ancora tesoro e giuro che divorzio anch’io.»
La donna rise di cuore, avvicinandosi al marito per baciarlo, e subito l’espressione di lui tornò serena come era stata fin dall’inizio, ed anche Hermione non poté trattenere una risata.

«Papà!»
L’esclamazione improvvisa fece girare tutti i presenti, notando l’entrata di Astoria e di suo figlio. Hermione lo ricordava bene, dal funerale di Lucius; se anche non l’avesse fatto, non sarebbe stato comunque difficile capirne l’identità. Quei capelli biondi erano identici a quelli di Draco. Il bambino corse verso suo padre, incurante del lieve rimprovero sul suo viso che si aprì subito in un sorriso quando lo strinse tra le braccia, inginocchiato sul pavimento per abbracciarlo meglio.

«Siete in ritardo.»
«Già. Dillo a lui, Daphne. Non ne voleva sapere di alzarsi dal letto, stamattina.» spiegò Astoria, rivolgendo un sorriso di saluto ad Hermione. «Vedo che ci siete tutti. Scorpius, perché non vieni a giocare con me e la zia? Di là ci sono due sorprese per te…»
«Cassandra e Tea!» esclamò il bambino, correndo nella direzione indicatagli dalla madre. Astoria e Daphne lo seguirono con un sospiro rassegnato, ed uscirono dalla sala senza più dire una parola.
«Allora, Hermione.» il moro la chiamò nuovamente con un tono serio, sedendosi davanti a lei. Una pergamena ed una piuma svolazzano a mezz’aria, e si sforzò di ignorarli. «Astoria mi ha spiegato brevemente quello che è accaduto, ma vorrei che me lo ripetessi tu. So che riguarda tuo marito, quel rosso di Weasley.»
«Sì.» confermò torturandosi le dita, ma la stretta di Draco la fermò. Rivolse un breve sguardo agli occhi del biondo, che la spronavano a continuare. «Lui… lui ha detto che… ha detto che mi avrebbe tolto la custodia dei miei figli.»
«Dì le cose come stanno, Hermione.» la interruppe Draco seccamente, gli occhi pieni di scintille di rabbia. «L’ha minacciata di non farglieli più vedere, Blaise, dopo averla persino accusata di essere una… una di quelle.»
«Draco.» lo chiamò l’altro, ammonendolo con lo sguardo. «Capisco la tua ira, ma è superflua. No, aspetta, mi sono espresso male. So che ci tieni a lei, e che faresti tutto per cercare di proteggerla, ma… ma ci sono altri metodi, per farlo. Per questo sono qui.» gli mormorò, evocando un libro. Cominciò a sfogliarlo in silenzio, ma ben presto si interruppe. Rivolse nuovamente la sua attenzione ad Hermione, chiudendo quello stesso libro con uno scatto secco che la fece sussultare.
«Hermione, devo chiedertelo, e spero che tu mi dica la verità.» iniziò, esitando subito dopo. «Draco, potresti…»
«No.» pronunciò secco, sistemandosi meglio sulla poltrona. «Non me ne vado, Blaise.»
«Draco, quello che… ci sono domande che devo farle, ed ho bisogno di privacy. Devo davvero chiederti di uscire.» si scusò alzando le spalle. «Non posso fare altrimenti, lo sai bene.»
Il biondo se ne andò controvoglia, sbattendo la porta infuriato mentre usciva, e Blaise poté continuare quel colloquio con una Hermione sempre più nervosa.

«So che tanto poi gli dirai tutto, ma per legge non potevo farlo rimanere. Sai, segreto tra avvocato a cliente.»
Hermione annuì, sorridendo alla smorfia infastidita che l’altro fece subito dopo.

«Draco!» tuonò, afferrando l’oggetto che spuntava da sotto la porta. «La privacy!»
Hermione rise, osservando la scena : Draco se ne stava comodamente contro lo stipite della porta della stanza davanti lo studio, in mano un riconoscibilissimo filo color carne, ed alzò gli occhi quando incrociò quelli grigi che le fecero l’occhiolino. Guardò Blaise rientrare, insonorizzando la stanza, e subito fece evanescere le Orecchie Oblunghe sequestrate a Draco.

«Scusalo, Hermione. A volte è più infantile di Scorpius e delle mie figlie messi insieme.»
«Sì, me ne sto accorgendo.» confermò lei, un sorriso sinceramente divertito sulle labbra, vedendo l’altro annuire vigorosamente.
«A volte mi domando quanti anni abbia esattamente. Ha l’aspetto di un adulto, ma si comporta ancora come un undicenne.» mormorò fingendosi esasperato. «Comunque… pronta, per le domande?»

 




 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

«Padrone…»
«Cosa c’è?» gli si rivolse con un sibilo, sgridandolo con gli occhi per il tono troppo alto che aveva usato nel chiamarlo. Diede un’occhiata ad Hermione, fortunatamente ancora addormentata di fianco a lui.
«Il signor Harry Potter, padrone. È sotto che aspetta padron Malfoy.»
Il biondo si affrettò a rivestirsi, dopo aver congedato l’elfo, riflettendo sul motivo che avrebbe dovuto spingere Potter a presentarsi a casa sua. Sapeva di non riuscire a darsi una risposta, al momento, e comunque non prima di aver parlato con l’Auror. Che Weasley gli avesse spifferato tutto quello che era accaduto poche ore prima? No, non poteva essere, pensò subito dopo. Lenticchia non era il tipo da umiliarsi con gli amici, per quanto tardo potesse essere.
Si affrettò a raggiungerlo, incuriosito, e lo trovò nel corridoio centrale che si guardava intorno, accompagnato da un nucleo di altri Auror. Draco li guardò uno per uno, non riconoscendoli.
«Potter.
» lo chiamò, piazzandosi davanti. «A cosa devo l’onore di avere te ed altri… sei Auror in casa mia?»
«Siamo qui per Narcissa Malfoy.» gli rispose, ed il biondo capì ancora meno di prima.
«Mia madre?» sussurrò, l’espressione sinceramente confusa. «Cosa volete da lei?»
«Affari del Ministero.» lo liquidò lapidario, ma fu grazie a quella reazione che Draco capì il motivo di quella visita. Gli unici affari del Ministero, perlomeno i più urgenti, riguardavano tutti l’assassinio di suo padre e l’attacco a quel negozio. Ma perché il dipartimento Auror avrebbe dovuto cercare sua madre? Cosa c’entrava lei, e in che modo quella situazione la riguardava?
«Perché la cerchi, Potter?» gli domandò, ma l’Auror scosse la testa dimostrando così la sua intenzione a non rispondergli.
«È qui?»
Draco tentennò, non sapendo bene cosa rispondergli. Da un lato, sapeva che prima o poi Potter e gli altri se ne sarebbero accorti, della sua menzogna, ma d’altro canto… era pur sempre di sua madre, che si stava parlando. Sapeva che erano lì per interrogarla - Merlino solo sapeva per quale effettivo motivo - e ostacolarli sarebbe significato finire immischiato anche lui. Ed era l’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento, caricare di lavoro extra Blaise, già indaffarato per conto di Hermione.

«Ecco, non…»
«Hermione?
»  l’esclamazione stupita di Potter lo fece voltare verso le scale che lei stava scendendo. Si fermò a metà, rivolgendo uno sguardo altrettanto stupito ad Harry, sinceramente sorpresa di trovarlo lì. Come lui, del resto.
«Ciao, Harry. Volevo andare in cucina.
» si scusò lei, distogliendo imbarazzata lo sguardo per fissarlo su Draco. «Ma non so dove sia.»
Lui le sorrise, grato di quel momentaneo diversivo. Le porse una mano, aspettando che lei l’afferrasse.
«Non potevi chiamare l’elfo? Ti avrebbe portato qualunque cosa volessi.»
«Assolutamente no!» esclamò infervorata. «Non sfrutterò Sock, Draco. E poi, non voglio disturbare.»
«Sciocchezze.» minimizzò lui. «È pagato, per questo.»
Hermione lo guardò prima allibita, ma subito un espressione contenta sostituì la precedente.
«Lo paghi? Davvero?»
«Certo.» Malfoy annuì, ghignando davanti al suo viso stupito, tornando a prestare attenzione a Potter. Hermione lo imitò, guardandolo con curiosità.
«Cosa succede? Perché Harry è qui?»
«Questioni di lavoro, suppongo.» le spiegò brevemente Draco. «Lui e gli altri cercano mia madre.»
«Oh. Per quale motivo, Harry?»
«Per questa.»
Tutti i presenti si voltarono in direzione delle scale, dove la voce limpida di Narcissa Malfoy li aveva interrotti. Stava scendendo i gradini con la solita grazia che la contraddistingueva, tra le mani una maschera.
Draco sgranò gli occhi, riconoscendola, osservando distrattamente che tutti gli Auror presenti avevano le bacchette pronte in mano. Narcissa lo raggiunse, superandolo di poco, e si sistemò a metà tra il gruppo del Ministero e lui ed Hermione.
«Cercava questa, signor Potter?
» gli domandò retoricamente, porgendogli la maschera da Mangiamorte di Lucius. «Suppongo di sì. La prenda, non mi servirà più.»
La maschera passò di mano in mano, finendo tra quelle di un Auror che si smaterializzò immediatamente, sotto lo sguardo confuso di Draco.

«Madre… cosa sta succedendo?»
Narcissa si voltò verso di lui, fiera come era sempre stata, e suo figlio poté sentire un singulto provenire dalle labbra di Hermione. Ma non ne capì il motivo.

«Ti voglio bene, Draco. Te ne ho sempre voluto.» cominciò lei, imponendosi di non piangere davanti a suo figlio. I Black non piangono, i Black affrontano tutto a testa alta. Ed era esattamente quello che stava facendo Narcissa, anche se le costava come nient’altro nella sua vita. Nemmeno dare alla luce Draco le era stato così doloroso. «Tutto ciò che ho fatto… è stato per te. Perché tu fossi davvero felice, perché tu potessi essere realmente te stesso, senza costrizioni, pregiudizi ed ordini.»
Draco la guardava a bocca lievemente aperta, e lei vi vedeva non l’adulto che era adesso, ma il bambino paffuto e maldestro che era da piccolo. Questo, sarebbe stato sempre per lei : il bambino che amava abbracciarla, confortandosi del suo profumo, e darle baci di nascosto a suo padre, custodendoli gelosamente come un segreto solo tra loro due; il bambino che con la sua prima magia aveva rotto il vaso preferito di Lucius, vecchio di trecento anni; il bambino dolce che era un tempo, prima di essere plasmato ad immagine e somiglianza del suo stesso genitore. E quegli occhi grigi… nonostante tutto, erano ancora infantili. Dopo tutto quello che Draco aveva passato nella sua vita, i suoi occhi avevano ancora quella purezza fanciullesca che l’aveva affascinata fin da subito, fin dalla prima volta che li aveva incrociati.

«Ti chiedo di perdonarmi, se puoi.» riprese lei, sforzandosi di parlare con voce chiara, nonostante gli occhi umidi. Ma non avrebbe mai pianto. «Per il gesto che ho compiuto. Chiunque avrebbe agito così.»
«Madre…» Draco la chiamò con un mormorio, più confuso di prima. «Cosa hai fatto?»
Narcissa non gli rispose; si voltò verso Harry Potter con i polsi uniti ma a testa alta. Nessuno mai gliel’avrebbe fatta abbassare, pensò in quel momento, lei era e sarebbe stata sempre una Black.

«Narcissa Malfoy.» Harry chiamò il suo nome, ignorando le occhiate supplicanti di Hermione e lo sguardo perso di Draco. Non poteva fare altrimenti. «Lei è accusata formalmente dal Ministero per l’assassinio di Lucius Malfoy e l’attacco al negozio di Madama McClan.»
Narcissa gli annuì, schiarendosi la voce per scacciare quel blocco che le stava impedendo di parlare.
«Come ha capito che ero stata io, signor Potter?»
L’Auror si raddrizzò velocemente gli occhiali, cieco però alle occhiate che Hermione gli lanciava per fargli capire di non parlare davanti a Draco. Ma Malfoy era un adulto, e comunque prima o poi sarebbe venuto comunque a conoscenza delle motivazioni di sua madre.

«Ha commesso un errore, Narcissa. Certo, è stato forse involontario, ma l’ha fatto. La bacchetta di Biancospino. Abbiamo trovato un frammento di quel legno mischiato ad altri, sia dove esisteva il negozio di Madama McClan che sul luogo del… dove è stato trovato suo marito, insieme con Acacia e Noce.» spiegò Harry, prendendo un respiro veloce prima di tornare a parlare. «Gli Incendio e l’Ardemonio non sono riusciti a distruggerli del tutto. Ma è stato grazie al Biancospino che sono riuscito a risalire a lei.»
«Quella bacchetta è di Draco.» puntualizzò Narcissa, e l’Auror annuì.
«Sì, ma sappiamo tutti, qui, che suo figlio non sarebbe stato in grado di fare male nemmeno ad una mosca. Non poteva essere stato lui. Non è un assassino, e questo l’abbiamo già appurato vent’anni fa.» la voce di Harry finì in un sussurro, ricordando la morte di Silente nella torre. «In più, quella maschera era l’unica che mancava all’appello. Quello che non riesco a capire, - aggiunse subito dopo, - è il motivo. Perché…»
«Perché colpire il negozio?» Narcissa lo interruppe con un gesto secco della mano. «Un semplice diversivo, signor Potter.»
«Ha ferito delle persone!» Harry alzò la voce, incurante delle occhiate che la Malfoy gli lanciava. «Decine di persone finite al San Mungo!»
«È vero. Ma sono ancora vive, no? Avevo bisogno di qualcosa che vi tenesse impegnati, mentre…» Narcissa prese un profondo respiro, guardando addolorata suo figlio, ma lui non sembrava realmente vederla. Aveva gli occhi vacui, e nemmeno gli abbracci di Hermione sembravano riscuoterlo dallo stato in cui era caduto.
«Mentre ordinava l’uccisione di Lucius Malfoy?» le domandò Harry, un finto tono sarcastico che stonava terribilmente con tutta quella situazione, ma lei lo fissò con stupore.
«Ordinare?» ripeté, le labbra strette in una linea severa. «Non sono una stupida, signor Potter. Non avrei mai rischiato che qualcun altro potesse… potesse tradirmi. Non ho ordinato alcunché a nessuno. L’unica responsabile sono solamente io.»
L’Auror aggrottò le sopracciglia, guardandola con confusione.
«Ma i testimoni… giurano di aver visto almeno un paio di persone.»
«Signor Potter, non credo che sia mio dovere ricordarle quanto le persone possano essere estremamente suggestionabili. Specialmente quando vedono del sangue. Ed un buon Confundus ha fatto il resto, facendo credere loro che le persone fossero molte di più.»
«Ha fatto tutto da sola, quindi.» ripeté Harry, incredulo a ciò che sentiva. «Non mi spiego un’altra cosa. Come ha fatto ad ucc… a colpire suo marito?» si corresse subito, dopo l’occhiata truce di Hermione verso di lui. «I Medimaghi hanno detto che sembrava qualcosa di simile al Diffindo, ma che era un incantesimo di tutt’altro genere. Quale ha usato?»
Sul volto di Narcissa spuntò un sorriso amaro. «Le ricorda nulla, signor Potter, il Sectumsempra?»
L’Auror sgranò gli occhi, balbettando poi parole incomprensibili.
«La formula di Piton?» le domandò, incredulo. «Come fa a conoscerla?»
«Signor Potter, come le ho già detto, non sono una sprovveduta. Severus mi ha confessato che lei ha usato quella stessa formula su mio figlio, al vostro sesto anno. Se Lucius non avesse fallito, l’anno prima, Draco non sarebbe stato Marchiato per rimediare agli errori di suo padre, come invece è stato, e tantomeno non sarebbe stato vittima di quella maledizione. Lucius meritava di morire nello stesso modo in cui aveva rischiato la vita il suo unico figlio.» spiegò senza tentennamenti, animata dalla rabbia che la vigliaccheria di suo marito le aveva provocato in passato.
Si voltò brevemente verso Draco, trovandolo con lo sguardo perso nel vuoto, e gli accarezzò una guancia. Lo fece piano, con estrema lentezza : voleva imprimersi ancora una volta la sensazione - la bellissima sensazione - che provava ogni volta che le sue dita entravano in contatto con la pelle di suo figlio. E, per lei, sarebbe stato davvero sempre un bambino, qualunque età potesse mai avere.
Narcissa sapeva cosa stava per accadere, lo aveva sempre saputo. Era cosciente che Azkaban era inevitabile, per una come lei, e nonostante conoscesse dal principio la fine che l’avrebbe aspettata, non aveva esitato neanche un momento. Forse, realizzò in quell’istante, Azkaban era un buon compromesso.

«Non mi pento di nulla.» gli mormorò, mentre un sorriso dolce spuntava dalle sue labbra rosse. «Perdonami.»
Si allontanò da lui, pronta a consegnarsi definitivamente nelle mani del Ministero, ma un sussurro timido la fece voltare nuovamente indietro.
«Perché?»
Narcissa guardò con gratitudine Hermione, abbracciata a suo figlio nel tentativo di sostenerlo, e non poté trattenere un sorriso dolce.
«Perché ti voglio bene. Perché sei il mio unico figlio. Perché tu, più di tutti gli altri, meriti di essere felice al fianco di una donna come Hermione. Perché sono una madre.»
Si voltò, dopo aver accarezzato ancora una volta con un sorriso il viso di suo figlio, e superò tutti quegli Auror giunti per arrestarla.

A testa alta.




 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

«Te l’avevo detto che Blaise era bravo, no?»
Hermione annuì, giocando con l’angolo del lenzuolo attorcigliandolo tra le dita.
«Sì, è vero. Ha fatto un buon lavoro, per Narcissa. E per me, trovando un cavillo che riuscisse a farmi ottenere i miei figli, nonostante avessi torto.»
«Ed è così. La Legge Magica è alquanto severa, su temi come questo. Sono le madri, ad avere la potestà in caso di separazione, o di divorzio, non i padri.»
«Non esserne così contento, Malfoy.» lo rimbeccò lei, sentendo il tono con il quale aveva pronunciato la parola divorzio. «Il fatto che, ora, Ronald ed io lo siamo non significa che puoi…»
«Gioirne?» domandò lui, accarezzandole un fianco fino a farla rabbrividire. «E’ stato difficile? Firmare quei documenti.»
Hermione ci pensò su per qualche istante, ma poi scosse convinta la testa. «Credevo di sì, sai? Credevo che avrei esitato, e che me ne sarei pentita subito dopo.»
«E non è successo.»
«No, non è successo.» ripeté, strappandogli un bacio. «Merlino, dovrò rivederlo. Devo andare a prendere Hugo, e so che Ron sarà alla Tana. Per fortuna che c’è Molly, con sua madre presente non potrà fare sciocchezze.»
«Ti stai dimenticando di me, Mezzosangue.» le ricordò con un bisbiglio, sfiorandole i capelli, ed Hermione trattenne il respiro. Alzò la testa per guardarlo, non leggendo altro che sincerità nel grigio dei suoi occhi.
«Vuoi essere presente? Perché?»
«Hermione.» scandì lentamente. «Dopo tutto quello che è successo, come puoi dubitare che non voglia fare parte della tua vita? Di ogni singolo aspetto? Devi essere davvero sciocca, per non esserci ancora arrivata.»
Lei sentì il cuore prendere a battere forte, sempre più forte, e non poté trattenere la parola che le uscì dalle labbra.
«Tu…»
«Sì.» la interruppe, deglutendo improvvisamente in imbarazzo. Lo era sempre, quando si parlava di sentimenti, e non avrebbe mai potuto farci niente. «Mi pare di averlo già detto. In una qualche sala da tè, se non ricordo male. Probabilmente quella del San Mungo.»
«Ma non era rivolto a me, bensì ad Astoria.» puntualizzò lei, gonfiando lievemente le guance come una bambina, e lui sogghignò davanti quell’espressione buffa. «Sai, sono contenta che sia in attesa. È una brava donna, si merita questa felicità. Anche Terence mi sembra gentile.»
«Vero, lo sono entrambi. Lo desiderava da tanto, un altro figlio, e sono contento che Terence sia riuscito a darglielo.»
«Ti dispiace, non averne avuto un altro?» gli domandò Hermione, ma evitò di guardarlo in volto.
«Sì, se devo essere sincero. Avrei tanto voluto avere una bambina. Ma Astoria… prima non riusciva a rimanere incinta. Aveva dei problemi, ma per sua fortuna li ha risolti.»
«Magari, in un futuro…»
Draco la guardò con un espressione indecifrabile, ma dentro si sentiva pieno di gioia per il solo fatto che lei potesse valutare quell’opportunità.
«Sì, magari.»
Hermione sospirò, non sapendo cosa dire. Si sentiva la testa libera da qualsiasi pensiero, ora che era lì con Draco. Le aveva proposto di trasferirsi da lui solo qualche giorno prima, dietro la scusa della solitudine : le aveva detto che non voleva sentirsi solo, in quella villa enorme, e che la sola compagnia di Narcissa non gli bastava. Voleva quella di Hermione, e l’aveva ottenuta.

«Sei tu, la mia scelta volontaria.» affermò lui dopo qualche istante di silenzio. «E non avrei potuto farne una migliore, nella mia vita.»
Draco le accarezzò il volto arrossato, ammirandola mentre lo guardava trattenendo ancora il respiro.
«Voglio darti tutto, Hermione. A volte non sarà facile, ma cosa lo è? Potrà capitare che litigheremo, arrabbiati l’una con l’altro, ma sono cose che potremo superare. Se tu lo vorrai.»
Attese in silenzio una sua risposta, pregando Merlino che fosse quella che lui si aspettava e non quella che sarebbe stata capace di distruggerlo completamente. Ci aveva riflettuto fin da quando l’aveva incontrata di nuovo, un paio di mesi prima, e con il passare del tempo si era reso conto che non aveva mai avuto scelta; si era reso conto di dipendere da lei, dai suoi sorrisi, dalle sue occhiate e dalle sue parole in un modo che non aveva mai creduto di provare. Nemmeno il matrimonio, ormai sciolto, con Astoria era stato così.
Ed Hermione… Hermione gli mostrò con i gesti, quale sarebbe stata la sua risposta.
Draco la guardava, abbracciata a lui e con la testa postata contro il suo petto, e sorrise al vuoto nella sua camera.
Era un Malfoy.

Tutto si era risolto.
Ed i Malfoy ottenevano tutto ciò che desideravano, da vincenti quali erano.
Sua madre aveva ottenuto il permesso dal Ministero per scontare la sua pena alla villa.
Draco aveva ottenuto Hermione.
Lui aveva divorziato, ed anche lei. Sarebbero potuti stare insieme senza ostacoli.
Fino a quando lui l’avrebbe voluta.
Forse…
Per il resto della sua vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note.

Scrivere la parola fine ad una storia è sempre difficile, ma per questa lo è stata il doppio. Vuoto per pieno è stata una storia nata per caso, senza essere minimamente programmata, e fino alla fine non sapevo quale esito ne avrebbe avuto. Sarebbe stata a lieto fine? Avrebbe avuto un finale triste? Non lo sapevo, fino a quando non ho scritto l’ultima parola di questo capitolo.
E ne sono soddisfatta.
Nonostante i ritardi, nonostante i blocchi che la stesura di questa breve storia mi ha portato ad avere, ne sono soddisfatta : si è svolta esattamente come l’avevo immaginata fin dall’inizio, ed è stato bello leggere i vostri commenti man mano che postavo, sia in pubblico che in privato, perché mi hanno aiutata ad essere più celere e - probabilmente - meno dispersiva negli stessi dialoghi tra i personaggi.

Per chi se lo stesse chiedendo, Terence ed Astoria hanno avuto una bambina, con grande invidia di Draco. Il nome è a vostra discrezione, ed anzi vi vorrei chiedere di suggerirmene alcuni per un probabile seguito al quale sto pensando.

Non so se effettivamente Daphne e Blaise fossero sposati, né se tantomeno entrambi avessero avuto dei figli, e sinceramente poco importa, ma questi sono personaggi a cui mi sto affezionando e non potevo assolutamente non metterli insieme. Con tanto di pargolette al seguito, i cui nomi riprendono le radici familiari dei Greengrass.  

Per quanto riguarda Ronald, anche se nel capitolo non è specificato, diciamo che una certa Lav-Lav in forma decisamente corporea ha fatto nuovamente capolino nella vita del suo Ron-Ron.

Ultimo ma non ultimo, ci terrei a ringraziare le lettrici che hanno recensito questa storia, che hanno semplicemente letto in silenzio e che l’hanno aggiunta nelle varie liste.

Mi auguro che anche quest’ultimo capitolo vi sia piaciuto.
Per l’ultima volta, grazie di essere arrivati fin qui.
erzsi.

 

 

 

 

 

 

P.S. : Capitolo non betato.

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