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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atti premeditati ***
Capitolo 2: *** La patente ***
Capitolo 3: *** Differenze e Malafede ***
Capitolo 4: *** Compromessi ***
Capitolo 5: *** Nomi ***
Capitolo 6: *** Colori ***
Capitolo 7: *** Dimostrazioni ***
Capitolo 8: *** Vuoto - parte I ***
Capitolo 9: *** Gunfire ***
Capitolo 10: *** Vuoto - parte II ***
Capitolo 11: *** Profumo - parte I ***
Capitolo 12: *** Profumo - parte II ***
Capitolo 13: *** Reazioni ***
Capitolo 14: *** Promesse ***
Capitolo 15: *** Pieno ***
Capitolo 1 *** Atti premeditati ***
Atti premeditati
Non
era una brava
persona.
Certo,
nella sua vita aveva fatto cose
di cui chiunque – quasi
chiunque, o
almeno, il chiunque che per lui sembrava contare di più
– ne sarebbe andato
orgoglioso : aveva deriso, minacciato, macchinato e manipolato
qualsiasi
persona potesse offrirgli un qualsiasi tornaconto. Era un Serpeverde,
dopotutto. No, era stato un Serpeverde, ma era e sarebbe
stato sempre un Malfoy.
Aveva
fatto anche cose di cui lui stesso non ne era andato fiero :
l’unico compito –
la prova più importante – che gli era stato
affidato, lui non era riuscito a
portarlo a termine. Erano passati molti anni, questo era vero, eppure
la
sconfitta che aveva subìto gli bruciava ancora, e a distanza
di tempo non esisteva
acqua o incantesimo che potesse fargli dimenticare. Certo, poteva
sempre
provare con un Oblivion –
e tante
erano state le volte, in passato, in cui aveva sperato che
quell’incantesimo
potesse aiutarlo a togliersi quel fastidio
che per lui era il senso di colpa, nient’altro che una noia,
una cosa seccante
da scacciare al più presto – ma in fondo sapeva
bene che quella formula non
poteva assolutamente nulla
contro la sua memoria.
In
fondo, era o non era vero che era proprio il passato, a fare una
persona? E lui
non poteva fare altro che accettare ciò che era diventato,
per il semplice
motivo che erano state le sue
scelte,
a fargli compiere certe azioni; le sue
convinzioni, a fargli prendere certe decisioni; la sua
vita, a fargli assumere certi comportamenti. Il senso di colpa
non era di certo parte di lui.
Non era una
brava
persona.
Non
lo era mai stato, e lui questo lo sapeva bene.
«Eccoti.
Ti ho cercato in tutta la casa.» una voce interruppe i suoi
pensieri ed i suoi
gesti. Posò sul tavolino il bicchiere di Whisky
Incendiario che aveva in mano, mentre l’altra
avvicinava la sigaretta alla
bocca. Diede una lunga boccata, chiudendo gli occhi, prima di
rispondere a
quella voce, la voce di sua moglie, chiedendole – no, ordinandole – una sola cosa.
«Vattene.»
C’era
un detto Babbano – ebbene sì, nonostante tutto era
in grado di pensare quella parola
senza che niente
gli accadesse – che aveva sentito una volta ad Hogwarts,
durante una lezione di
un corso che – nel bene e
nel male –
era stato costretto a frequentare, e che in quel momento gli
sembrò più che
adatto per descrivere come si sentiva. La
vita può essere capita solo all’indietro, ma va
vissuta in avanti.
Non
era forse quello che stava facendo, fin da quando era uscito da
Hogwarts? E
quanto gli era costato finora, e quanto gli sarebbe continuato a
costare, in
futuro, essere davvero sé stesso? Nemmeno lui era in grado
di darsi una
risposta.
Sentì
sua moglie avvicinarsi a lui. Riprese il bicchiere che aveva
accantonato,
finendo quel poco di liquido che ancora vi era, e lo strinse per
calmarsi. Lo
strinse forte, fino quasi a farsi male alle dita. Non
era forse quello che meritava?
«Draco.»
«Vattene,
Astoria.» le ripeté, simulando con la voce una
calma che non sentiva. Possibile
che la sua stessa moglie, la persona che avrebbe dovuto conoscerlo
meglio di sé
stesso, non riuscisse a capire?
Eppure non gli sembrava di aver sposato una sempliciotta.
«Ti
chiedo il favore di asc…»
Sua
moglie non riuscì a terminare la frase, zittita dal rumore
che il bicchiere che
Draco aveva in mano produsse frantumandosi contro il muro di pietra.
Astoria arretrò
verso la porta, gli occhi sgranati. Non
era mai capitato che Draco si comportasse così, con lei.
Nemmeno una volta in tutti quegli anni di
matrimonio.
«Sono
stanco di ripetermi, Astoria. Vattene.» si girò a
guardarla in faccia, e ciò
che vide quasi lo rincuorò. Sua moglie aveva i capelli in
disordine, e gli
occhi sgranati. La guardò negli occhi, e ciò che
vide gli confermò che aveva
fatto bene ad agire in quel modo. Nonostante quello che avrebbe potuto
pensare
di lei, Draco sapeva che Astoria non era una stupida. Era stata anche
lei una
Serpeverde, dopotutto; era nella loro natura valutare tutti i rischi di
ogni
singola azione. Premeditazione.
Sua
moglie non provava nemmeno il minimo rimorso, per quello che aveva
fatto. Che gli aveva fatto. Astoria
tentò di
parlare, esprimendo quella forza
che
l’aveva convinto a sposarla, ma lui la bloccò sul
nascere.
«Fuori
di qui, Astoria.» le ripeté ancora.
«Fuori da questa casa. Non meriti di stare
qui. Non dopo tutto.»
Ora
negli occhi di sua moglie non c’era più paura o
timore di lui, ma ira. Una forte e
bruciante ira. Lei rise,
tentando di batterlo ad un gioco dove l’insegnante era lui,
non lei. Deridere, schernire…
Draco era abituato
a tutto questo. Niente poteva più ferirlo. Si era corazzato
bene, con il
passare degli anni.
«Non
merito di stare qui?» gli chiese lei, ridendo. «Lo
merito più di chiunque
altro, Draco. Più di chiunque altra.»
Lui
allargò un poco gli occhi, tornando a guardarla. Forse Astoria davvero…
«Credi
che sia cieca, Draco? Credi che,
dopo
tutti questi anni, non abbia davvero capito?
Sono tua moglie, anche se forse non lo vorresti. Ti conosco. So come
sei fatto.
So come pensa la tua mente. So a chi
pensa. L’ho sempre saputo. Ed ora tu
vieni a dire a me di andarmene?
Senza
di me non saresti niente, a quest’ora. Niente.»
«È
per questo che hai acconsentito a sposarmi?» le chiese
stringendo i pugni ed
avvicinandosi a lei. «Per vanto?»
Astoria
sorrise, e quel sorriso non gli piacque affatto. «Credi
davvero sia stato per amore, Draco?
Perché ti amavo?» gli
domandò retoricamente. Premeditazione.
Sapeva
che quella domanda sarebbe stata senza risposta. Come molte altre che
gli aveva
rivolto tante, troppe volte nel corso degli anni.
Dove sei stato,
Draco? Perché
sei arrabbiato, Draco? Pensavi a lei,
Draco?
Lui
strinse i denti. Non avrebbe permesso che una stupida lo prendesse in
giro
così. No, Astoria non lo avrebbe mai battuto al suo stesso
gioco.
«Povero
sciocco.» continuò lei, avvicinandosi a suo
marito. «Credevi che potessi
davvero amarti? Eri davvero così ingenuo? Tu?»
«Vattene,
Astoria.»
Lei
non lo ascoltò. «Vattene,
Astoria. È
tutto quello che riesci a dire? Non volevo finire così,
Draco.»
Lui
le si avvicinò fulmineo. «È questo il
gioco che vuoi fare? Ne sei certa,
Astoria?» le chiese, fissandola con rabbia. «Non
hai alcuna possibilità di
vincere.»
«Lo
so.» replicò lei. «Ma ho tutte le carte
per aggiudicarmi questa mano. Anche se
alla lunga potresti essere tu, ad avere la vittoria, mi dispiace
deluderti ma
questa volta tocca a me.»
Draco
la fissò, non capendo dove volesse arrivare.
«Parla chiaro.»
«Mi
stupisci, Draco. Non sei forse tu, ad avermi trasmesso l’abilità di parlare per
metafore ed allusioni? O vuoi forse dirmi
che l’allieva ha superato il gran maestro? Davvero non
capisci cosa ti sto
dicendo, o non vuoi?»
Astoria rise,
schernendolo ancora una volta. Draco la lasciò fare,
riconoscendole il diritto.
Per questa volta. Non sapeva forse essere gentile,
ogni tanto?
«Potevi
essere tu, la mia scelta non voluta. Potevi essere quello che avrei
potuto
amare.»
«In
un’altra vita.»
«No,
Draco. In questa.
Nell’unica e sola
che abbiamo a nostra disposizione.» rettificò lei,
usando un tono pacato.
Materno. «Ma tu eri forse troppo occupato a riparare i cocci
della vita che
avevi prima, per permettermelo.»
Draco
tornò a guardarla, rimanendo in silenzio e provando una
strana sensazione
dentro di sé. Che fosse realmente senso
di colpa nei confronti dell’unica donna che aveva
avuto la pazienza di
stargli vicino in tutti quegli anni, provando ad accettarlo
così com’era?
Forse
su una cosa aveva ragione Astoria. Lei avrebbe potuto davvero amarlo, potevi essere quello che avrei potuto amare,
e lui avrebbe potuto amare lei, in
un’altra vita.
«O
probabilmente eri tu, a non volere che lo facessi, forse per troppo
orgoglio.»
continuò Astoria. «In fin dei conti, eri un
Serpeverde.»
Draco
scattò come se lo avesse morso qualcosa quando sua moglie
trasformò in parole
ciò che lui aveva pensato alcuni minuti prima.. Forse era stato lui stesso, a mordersi.
«Non
lo fare. Non sfottermi, Astoria.» la persona che sembrava
minacciare sua moglie
non sembrava lui, ed anche lei sgranò lievemente gli occhi
al sentire quel tono
di voce. Deridere, minacciare, macchinare
e manipolare… non erano questi, gli elementi
comuni a tutti i Serpeverde,
compresa lei? E allora da cosa, esattamente, sua moglie si diceva tanto
estranea?
«Altrimenti,
Draco?» gli chiese lei, divertita. «Non
è questa, la moneta che
ti piace usare?»
Draco
non rispose, preferendo il silenzio per notare meglio
l’ennesimo cambio di tono
nella voce di sua moglie.
«Lasciamo
stare tutto. Ormai non abbiamo più nessuno da incolpare, se
non noi stessi.»
«E
le nostre scelte, Astoria?» le chiese allora lui, stanco da
tutti quei giochi
di parole. Non avrebbe mai pensato di esserlo, ma era così.
«Sono
cambiate, Draco. La gente cresce. Matura. E, a volte, cambia
idea.» gli
rispose, sorridendole tranquilla come faceva un tempo.
«È accaduto anche a te,
dopotutto.»
«Non
so di cosa…»
«Non
mentire. Per questa volta, non mentirmi.
Te l’ho detto, so a chi pensi quando ti corichi a letto prima
di addormentarti
accanto a me. So che vuoi, e chi avresti voluto ci fosse al mio posto.
Non c’è
più bisogno di mentire. Io forse non sono sincera,
ora?»
«Questo
non ha nulla a che vedere con quello che…»
«È
questo il punto, Draco! Ha tutto a
vedere con lei.»
ribatté Astoria. «Tutto
questo non è stato altro che una farsa.»
Draco
sentì che il peso strano ed indigesto che aveva sempre
avuto, proprio sopra lo
stomaco, da quando aveva conosciuto sua moglie si stava alleggerendo,
ma non
sapeva spiegarsene il motivo.
«Lo
è anche Scorpius?» le chiese temendone la
risposta, ma Astoria lo stupì ancora
una volta.
«No,
certo che no. Non pensarlo nemmeno. Lui è una – forse l’unica – delle
cose migliori che mi siano capitate.» Draco
sorrise al sentire il tono dolce di una madre mentre parlava di suo
figlio. Avrebbe voluto che anche la sua
potesse
parlare così di lui.
«Non
volevo finire così,
Draco.» riprese
lei, ripetendo la frase pronunciata poco prima, in modo che suo marito
la
recepisse davvero. «Non
era questo,
che avevo sognato per me.»
Premeditazione.
E
Draco capì. Forse per la prima, vera,
volta da quando si erano sposati, Draco la
capì. Si allontanò dirigendosi verso un
cassetto, rendendosi conto solo
dopo che avrebbe potuto appellare
ciò
che era sicuro che sua moglie desiderasse.
Ma
non avrebbe avuto la stessa soddisfazione.
«Prendila.
E’ questa che volevi fin dall’inizio,
giusto?» le chiese, sibilando come il
serpente che in fin dei conti non aveva mai negato di non essere.
«È solo per
questa, che hai voluto sposarmi.»
Astoria
alternò lo sguardo da lui a ciò che aveva in
mano. «No.» lo contraddì. «Non
solo. Volevo il tuo cognome, Draco. Sai, per alcuni di noi il nome
Malfoy conta
ancora qualcosa.» gli sorrise amara. «Forse per
te non è più così, ora, ma
per me ha significato molto. In passato.»
«Ora
non più?» si lasciò sfuggire lui. Non
doveva, non voleva mostrarsi
così. Non poteva essere debole. Non gli era stato
insegnato questo. Si riprese subito, mostrando la perenne indifferenza
che lo contraddistingueva
fin da quando era piccolo.
«Oh,
andiamo, Draco. Non crederai davvero che io possa rimanere
qui?» il tono
fintamente indulgente con il quale sua moglie pronunciò
quella domanda lo fece
alzare le spalle.
«Quello
che scegli di fare non è affar mio, Astoria.»
«Quello
che scelgo, Draco? Ora la scelta
spetta a me?» Astoria si ritrovò a ridere senza
volerlo. «Non accusarmi di colpe
che sono soltanto tue. Ricorda ciò che ti ho detto. So chi sei.»
«Pensavo
di saperlo anch’io, di te.» ribatté lui.
«E invece è chiaro che mi sbagliavo.
L’ho sempre fatto.»
Astoria
socchiuse gli occhi, fissandolo di sbieco. «Mi stai dando
della puttana? Vorrei
ricordarti che non sono io, quella che finge.»
«No,
ma sei quella che si diverte con un…»
iniziò a sibilare lui, ma si fermò di
colpo non sapendo bene quali parole scegliere. Era la prima volta che
si
trovava in difficoltà verbale, e non gli piaceva.
«Con
cosa, Draco? Con uno di che cosa? Con un altro Purosangue?»
ribatté lei, incrociando le braccia al petto.
Nonostante il gesto, non aveva assolutamente nulla da cui doversi
proteggere.
Suo marito non le faceva di certo paura. Solo
pena. «Almeno non sporco
i miei
pensieri. E tu dovresti essere il primo, a non farlo. O tutto quello
che è
successo ti ha cambiato così tanto?»
Draco
alzò di nuovo le spalle, fingendo indifferenza, decidendo
che sua moglie non
avrebbe avuto risposta. Non avrebbe comunque saputo quale darle. E poi,
non avrebbe
mai e poi mai ammesso una cosa
simile,
ma dentro era dispiaciuto per tutta quella situazione. Forse Astoria
aveva
ragione, forse era davvero cambiato. O forse era questo, quello che era
sempre
stato ma che non aveva mai avuto la possibilità di
riconoscerlo. I suoi
genitori, suo padre in primis e poi lui stesso, si aspettavano molto da
un
Malfoy. Probabilmente molto di più di ciò che
Draco poteva effettivamente dare.
Ma la sua era una famiglia importante, e le aspettative familiari e
magiche in
generale erano alte.
Lasciò
cadere a terra ciò che le aveva offerto, attendendo di
vederla chinarsi. Come tutti gli altri
davanti a lui.
«Prendila.
E vattene.» il serpente tornò a sibilare con una
cattiveria che a stento anche
lui riconosceva nella sua voce. Ma non se ne meravigliò,
pensando che stava
lentamente tornando ad essere quella serpe, quel drago che richiamava
il suo
nome e che al posto del fuoco sputava veleno, che era sempre stato.
Pensò che
sua madre aveva avuto ragione, su di lui. Ogni giorno che passava, il
tempo lo
rendeva sempre più simile a Lucius, fisicamente e
caratterialmente. Ma, a differenza di suo
padre, lui non era
un assassino.
Probabilmente
questa era una magra consolazione per lui, dato che aveva tentato di
seguire le
orme paterne senza riuscirci – avrebbe fatto di tutto pur di salvare la sua famiglia; e
se questo fosse un bene o
un male, doveva ancora stabilirlo a distanza di anni – ma
ciò che di più non
poteva accettare era proprio il tradimento. Di
qualunque natura fosse.
Draco
diede un’occhiata fugace ad uno degli specchi presenti nella
stanza,
meravigliandosi delle sue occhiaie scure e del suo aspetto disordinato.
Si
accese l’ennesima sigaretta, cercando di dimenticare che non
era da solo.
Astoria
prese ciò che lui aveva lasciato cadere in terra –
la chiave della sua camera
blindata alla Gringott – e si smaterializzò in
completo silenzio. Sarebbe
andata dai suoi genitori, portandosi dietro il loro figlio una volta
che avesse
avuto una pausa da Hogwarts, o sarebbe andata da quell’altro,
portandosi sempre
dietro Scorpius?
Draco
si rese conto che, in fondo, non gli importava. Non gli importava
niente : sua
moglie poteva fare quello che voleva, poteva premeditare
qualsiasi cosa, ma non avrebbe mai permesso che suo
figlio abbandonasse la sua casa. Scorpius era un Malfoy come Draco, e
come suo
padre prima di lui.. Sarebbe cresciuto lì, nella casa dove
lui si trovava ora,
che Astoria volesse o meno sarebbe andata così.
Si
versò un altro generoso bicchiere di
Whisky Incendiario
ingollandolo tutto
d’un fiato, incurante del bruciore che gli provocava alla
gola. Nemmeno di
questo gli importava più, realizzò, mentre
rettificava mentalmente ciò che
aveva pensato poco prima.
Sua
madre aveva pienamente ragione : lui e suo padre non erano solo simili.
Draco era la fotocopia di Lucius.
Non era una
brava
persona.
Note.
È
molto tempo che non scrivo, più di un anno e mezzo, e devo
ammettere che
tornare a farlo è stato più semplice di quanto
potessi immaginare. E, proprio
perché è stato così facile, mi aspetto
le prima difficoltà molto presto.
Vuoto per pieno,
però, non era assolutamente prevista nei miei programmi
– dato che il mio
genere abituale ha poco a che fare con Harry Potter e tanto con la
sezione
Originali romantiche; chi ricorda il mio account precedente, ormai
cancellato,
lo sa bene – ma è nata da un’intervista
fatta alla Rowling che mi è capitato di
leggere qualche tempo fa, dove appunto diceva che, a differenza
dell’attore che
lo interpretava, Draco Malfoy non
è una
brava persona. Da
qui, la storia.
Vuoto per pieno
è un espressione utilizzata sia in edilizia che in turismo,
il cui significato
– in ambito turistico – potete trovarlo qui.
La
frase “La vita
può essere capita solo
all’indietro, ma va vissuta in avanti”
non è mia, ma bensì di Søren
Kierkegaard.
Le
frasi quali “Potevi
essere tu, la mia
scelta non voluta. Potevi essere quello che avrei potuto
amare”; “Ma tu eri
forse troppo occupato a riparare i cocci della vita che avevi prima,
per
permettermelo”; “Lasciamo stare tutto. Ormai non
abbiamo più nessuno da
incolpare, se non noi stessi”
pronunciate da Astoria sono liberamente tratte
da Unintended
e Soldier’s poem, entrambe
canzoni dei Muse.
Grazie
per essere arrivati fin qui. |
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Capitolo 2 *** La patente ***
La patente
Doveva
stare attento.
Lo
sapeva fin da quando aveva accettato – no, obbligato
– di sostenere quella prova, che ci sarebbero quasi
sicuramente state molte
cose che rischiavano di andare storte.
Nonostante
questo, però, era altrettanto consapevole che era una cosa
necessaria, e se non
fosse riuscito a superare l’esame che lo attendeva, di certo
suo padre non
gliel’avrebbe perdonato. E se si fosse saputo in giro,
poi… non voleva nemmeno
pensarci, alle conseguenze.
«Appena
è pronto, vada.»
L’uomo
di fianco a lui appariva tranquillo, con la sua cartellina e la sua
penna
stilografica. Che poi, si
domandò
sovrappensiero, chi le usa più al
giorno
d’oggi, le penne stilografiche?
Doveva
ammettere che, però, avevano un loro fascino : erano come
piume Babbane, con la
comoda differenza che queste, a differenza delle altre, duravano molto
di più.
«Mi
ha sentito? Vada.»
Si
ridestò dai suoi pensieri, prestando attenzione a
ciò che gli veniva detto dopo
aver controllato per precauzione di avere la sua bacchetta con
sé. Si sentì più
tranquillo quando la trovò nella tasca interna della giacca
che aveva indossato
quella mattina.
Doveva
stare attento. I
pericoli erano dappertutto.
Obbedì
all’uomo che aveva di fianco, sentendosi improvvisamente
nervoso. Quante
persone erano state fatte fuori, dopo che non erano riuscite ad
arrivare fino
alla fine? E quante, per un gesto errato o dimenticato? Non poteva
commettere
errori. Suo padre non gliel’avrebbe mai permesso.
Nemmeno
cinque minuti dopo, il Babbano di fianco a lui gli ordinò di
fermarsi per
comunicargli il verdetto. Gli sudavano le mani, notò, e
sicuramente doveva
avere le orecchie arrossate. Succedeva sempre
così.
«Sono
spiacente, ma proprio non ci siamo» annunciò
arcigno scuotendo la testa,
scrivendo ancora su quella sua cartella. Lui si toccò la
tasca della giacca,
mormorando qualcosa che l’altro uomo non sentì.
«Dovrà ripetere…»
l’uomo si
fermò a frase appena iniziata, cambiando improvvisamente
tono di voce e
tipologia di parole. «Congratulazioni,
è
stato promosso. Metta una firma qui, e questa sarà
sua.»
Fece
come gli aveva detto, impaziente di prenderla, Smaterializzarsi
e mostrarla a tutti. Ci aveva lavorato a lungo, se
l’era decisamente sudata, e proprio per questo
l’avrebbe tenuta come se fosse
stata un cimelio delle sue fatiche.
«I
miei complimenti, signor Weasley.»
Non
credeva alle sue orecchie, mentre sul volto gli spuntava un sorriso che
andava
da una all’altra. Per un secondo, gli era passata in mente
l’idea di mettersi a
saltellare, ma poi si rese conto che probabilmente non era poi
così buona, come
idea. Prese ciò che l’uomo gli porgeva,
sistemandola subito al sicuro in una
delle sue tante tasche.
Era
riuscito a prendere
la patente.
***
Non
poteva credere ai suoi occhi.
Sapeva
bene che i tempi in cui La Gazzetta del
Profeta pubblicava articoli ingannevoli, atti solo alla
diffamazione ed al
pubblico dileggio, erano finiti da tempo, ma comunque la cosa non
cambiava
granché. Si prese qualche istante per leggere
tranquillamente quell’annuncio,
ma ciò che sentiva, parola dopo parola, era solo indifferenza.
«Sinceramente,
Ginny, non capisco.» affermò dopo pochi secondi.
«Perché hai voluto che lo
leggessi?»
L’altra
alzò le spalle, accomodandosi meglio sulla poltrona.
«Non c’è un motivo. Ho
solo pensato che, magari, potesse incuriosirti.»
«In
base a cosa? Lo sai che la sezione dei ficcanaso
non mi interessa.» le rammentò, porgendole il
giornale che le aveva portato.
Socchiuse gli occhi, vagamente sospettosa, quando Ginny si
dimostrò più che disponibile
a cambiare discorso.
«Va
bene, va bene.» Ginny accompagnò le sue parole con
un gesto noncurante della
mano. «Fai come se non ti avessi fatto leggere
nulla.»
«No,
Ginny. Mi hai dato la Gazzetta, ed ora vorrei saperne il
motivo.» si impuntò
Hermione. Sul volto di sua cognata spuntò un sorriso, e lei
non ne capì il
motivo. «Perché questa cosa dovrebbe avere
importanza?»
«Beh,
innanzitutto perché è sulla bocca di
tutti.»
«Di
sicuro non sulla mia.»
«Secondo,
ammetterai anche tu che ha quasi salvato la vita ad Harry, durante la
guerra, o
perlomeno ci ha provato.»
«Quel
quasi fa una differenza
enorme.»
«Terzo,
per quanto mi disgusti l’idea che mio marito sia ancora qui
con noi grazie anche a lui,
è una cosa che comunque non
posso ignorare.»
«Ma
è un Malfoy!»
ribatté Hermione,
alzando gli occhi al cielo.
«Lo
so.» replicò l’altra, tranquilla.
«Per questo non mi va a genio che abbia
contribuito a salvare la pelle ad Harry, dopo anni in cui non ha
cercato di
fare altro che distruggerlo ed affondarlo con qualsiasi
mezzo.»
Hermione
si ritrovò a sorriderle. «Hai davvero un cuore
d’oro, Ginny. Non tutti
sarebbero riusciti a comportarsi come stai facendo tu ora.»
Sua
cognata scosse la testa. «No, Hermione. Non si tratta di
avere un cuore grande,
o dorato. O argentato. Non credere,
la voglia di fargli pagare tutto ciò che noi tutti abbiamo
dovuto passare per
causa sua e della sua famiglia c’è ancora, ma so
quando devo essere in debito
con qualcuno e, mio malgrado, sento di esserlo con quel viziato,
villano e
presuntuoso che è Malfoy.» le spiegò,
dimostrandole a parole quanto grande
potesse davvero essere, il cuore
di Ginny Potter.
«Ginny,
in ogni caso non sono cose che ci riguardano. Si è separato
dalla moglie, e
allora? Sono affari suoi. Non sarà il primo né
l’ultimo a farlo.»
«Lo
so, ma…»
«No.»
la interruppe Hermione, alzandosi dalla sedia dietro la sua scrivania.
«Lascia
che gli altri parlino. Parlane tu stessa, se vuoi. Ma non ne voglio
sapere
niente. Quella famiglia… i Malfoy mi hanno creato ricordi
che sono difficili da
cancellare, anche a distanza di anni.» prese un respiro,
sentendo il braccio pizzicare
come se fosse stato chiamato in causa.
Ginny
seguì lo sguardo di Hermione sul suo arto sinistro, e si
alzò per abbracciarla.
«È stata Bellatrix, Hermione. Non i
Malfoy.»
«Ma
ne sono ugualmente responsabili.»
«Sì,
però non materialmente.» ribatté Ginny.
«Dovresti provare a dimenticare.»
«Non
sai quante volte ci abbia provato. Non è facile.»
Hermione si asciugò gli occhi
umidi. Ripensare a quella cicatrice – vedere,
quella cicatrice – era sempre doloroso per lei, soprattutto a
livello emotivo.
Le ricordava giornalmente il fallimento per non essere riuscita a
portare via
tutti quanti in tempo da quella maledetta Villa Malfoy.
«Non
colpevolizzarti, Hermione. Te l’ha detto anche Harry. Tu non
hai nessuna colpa.»
la sgridò bonariamente Ginny. «E non dovresti
incolpare nemmeno i Malfoy.
Aspetta, forse Lucius sì.» aggiunse, facendola
sorridere.
Aveva
ragione, pensò. Aveva pienamente ragione, ma il dubbio
dell’impossibilità
effettiva di perdonare le rimaneva, e a volte non la lasciava dormire
la notte.
Capitava ancora spesso, a distanza di tempo, che Hermione si svegliasse
nel
cuore della notte, in preda agli incubi che le ricordavano quelle ore
passate a
Villa Malfoy, nelle mani di Bellatrix Lestrange. Ricordava
perfettamente i Crucio, le urla ed
il dolore. Lo viveva
ancora nella sua memoria, notte dopo notte.
«Ma
non il Malfoy più giovane. Lo abbiamo visto, come
è cambiato nel corso degli
anni. Ha rinunciato ad essere un Mangiamorte, Hermione.»
«Perché
era un Serpeverde, Ginny. Non hanno il giudizio necessario, per
scegliere ciò
che è buono o cattivo. Vanno dove la corrente li
porta.»
«Forse.»
ne sovvenne Ginny. «Ma non sono degli stupidi. Beh, non
tutti. E sta di fatto che
Malfoy ha compiuto una scelta che andava contro tutto quello in cui
aveva
creduto fino ad allora. Una scelta giusta.»
«Solo
perché non ne aveva altre.» ribatté
Hermione, per poi scuotere la testa
incredula. «Stiamo seriamente parlando di Malfoy?»
Ginny
scoppiò a ridere. «Già. Chi
l’avrebbe mai detto che…»
«Ron!»
Hermione la interruppe quando suo marito si Materializzò
dietro la sorella.
Aveva il volto quasi paonazzo, e le orecchie rosse. Hermione lo
conosceva
abbastanza bene da sapere che quando era ridotto in quello stato aveva
fatto un
incantesimo che non doveva. Per questo glielo chiese subito.
«Cos’hai
fatto?»
Suo
marito deglutì, salutando con la mano sua sorella, e le
porse la patente
Babbana faticosamente guadagnata. «Niente! Volevo mostrarti
questa.»
«Ce
l’hai fatta, bravo.» si complimentò
Ginny. «E grazie a quale incantesimo,
questa volta?»
Ron
si mise a borbottare qualcosa che nessuna delle due riuscì a
capire. «…us... dus.»
«Ron,
non abbiamo tutto il giorno. Quale hai fatto?» gli richiese
Ginny.
«Confundo.»
rispose, questa volta
chiaramente. «Ho confuso l’esaminatore.»
Ginny
rise, ed Hermione lo guardò male. Sapeva che lei non voleva
che si usasse la
magia su Babbani, a meno che non fosse strettamente necessaria.
«Ho
dovuto farlo, mi ero scordato lo specchietto!» si
giustificò Ron, e sua
sorella rise ancora di più.
«Ah,
Ron… non cambierai mai, vero?» gli chiese, tra una
risata e l’altra. «Dai,
andiamo. Papà sarà felice di vedere la tua nuova
patente. Hermione, pensa a
quello che ti ho detto, va bene? Non lasciare che i vecchi pregiudizi
tornino a
galla.»
Ron
alternò lo sguardo da una all’altra, non capendo
nulla dell’argomento su cui
parlavano. «Che pregiud…»
«Nulla,
Ron.» minimizzò Ginny. Nessuno la batteva, in
quello. «Te lo spiego dopo. Andiamo
a casa, dai.»
Dopo
averla salutata, si Smaterializzarono entrambi verso la Tana,
ricostruita
qualche anno prima grazie ai Galeoni di Harry, ed Hermione rimase da
sola nel
suo ufficio, a riflettere su quello che Ginny le aveva detto. I suoi
occhi
caddero sulla scrivania, dove le foto alternate di Malfoy e della
moglie
facevano capolino. Hermione prese il giornale, sgridando mentalmente
Ginny per
il fatto di averlo dimenticato lì, e fissò quella
foto a lungo, riflettendo
sulle parole della cognata.
Ammetterai
anche tu che
ha quasi salvato la vita ad Harry, durante la guerra, o perlomeno ci ha
provato.
Quel quasi è una differenza enorme.
Ed
era vero. Era una piccola parola, quasi,
ma che poteva fare una differenza abissale. Certo, Malfoy aveva tentato
di
salvare la vita di Harry, ma soltanto per salvare la sua, di vita, non
di certo
per un atto di generosità improvviso. Hermione era
convintissima di questo, e
comunque i fatti successi ad Hogwarts le davano pienamente ragione. Le
derisioni, i dispetti e gli insulti… anche questi erano
incisi nella sua
memoria, e niente o nessuno glieli avrebbe potuti far dimenticare. I Serpeverde non erano di certo famosi per
l’altruismo.
Tantomeno la famiglia Malfoy.
Ed
erano stati proprio loro – no, un componente in particolare
– a farle vivere i
peggiori momenti da quando era entrata nella scuola. Voleva sembrare
forte,
voleva dimostrare che nessuna offesa o derisione potesse effettivamente
toccarla; ma all’epoca era solo una bambina, e nonostante
tutti gli sforzi che
aveva fatto, il cuscino del suo letto aveva conosciuto fin troppe volte
l’umidità delle sue lacrime.
No,
non poteva dimenticare. Ma avrebbe dovuto tentare di farlo, come Ginny
le aveva
consigliato, e come più volte lei stessa si era prefissata.
Ci avrebbe provato
ancora, e questa volta ce l’avrebbe fatta.
***
Non
doveva avere paura.
Si
era Smaterializzata direttamente lì per un motivo preciso, e
nulla, nemmeno
quella sensazione così simile al terrore che iniziava a
sentire, l’avrebbe
fermata. Respirò profondamente per calmarsi, e si
avvicinò a quell’enorme viso
che aveva davanti.
«Motivo
della visita?» le domandò il cancello che aveva di
fronte. Per poco non fece un
salto indietro quando quelle sbarre di ferro iniziarono a muoversi.
«Io…»
iniziò a bisbigliare, salvo poi ricordarsi che non ne aveva
alcun motivo. Non
stava facendo niente di male, dopotutto. «Devo vedere il
signor Malfoy.»
annunciò al cancello con la sua tipica, temeraria
espressione con il mento all’
insù, il quale si aprì per lasciarla entrare,
informandola che più avanti
avrebbe trovato un elfo domestico che l’avrebbe accompagnata
all’interno.
Annuì,
sebbene sapesse che quell’ammasso di ferro non potesse
vederla, né tantomeno
risponderle più, ed avanzò fino quasi ai gradini
d’ingresso della villa, dove
appunto trovò l’elfo ad attenderla. Non
tentò nemmeno di aiutarlo, quel povero
elfo, dato che sapeva che sarebbe stato completamente inutile.
«Sock
ha sentito tutto. Sock la accompagna da padron Malfoy.»
l’elfo non aspettò di
sapere se lei lo seguisse oppure no : si addentrò
immediatamente nella villa, e
lei dovette affrettare il passo per stargli dietro, domandandosi per
quale
motivo un elfo domestico avrebbe dovuto chiamarsi Calzino.
L’elfo
la portò in quello che doveva essere il salone principale.
«Padron Malfoy vuole
che gli ospiti stiano comodi.» l’elfo le
indicò una poltrona, e lei si sedette,
sentendosi quasi rimproverata da quel commento. «Padron
Malfoy arriva subito.
Sock le porta qualcosa da bere.»
Prima
che potesse ribattere con un no, l’elfo sparì e
comparì pochi istanti dopo con
un bicchiere di succo di zucca. «Sock spera che le
piaccia.» aggiunse l’elfo,
per poi sparire di nuovo. Non c’era che dire, anche gli elfi
erano decisamente
strani, in quella casa. Come tutto il
resto. Prese il bicchiere dal vassoio, scoprendosi
tutt’un tratto assetata
al solo vedere quel succo. Ma come faceva a sapere, l’elfo,
che…
«Non
lo berrei se fossi in te, Granger.» una voce proveniente
dalla sua destra la
fece bloccare con il bicchiere a mezz’aria. Girò
la testa di scatto, rischiando
di far cadere del succo sul tappeto, e vide la persona che stava
cercando. «Sock
non ama chi è sporco.»
Hermione
mise nuovamente il bicchiere sul vassoio, non voleva nemmeno sapere
cosa,
esattamente, l’elfo le avesse messo nel succo, anche se una
vaga idea l’aveva,
e rivolse poi tutta la sua attenzione a Malfoy. «Ed allora
spiegami, Malfoy,
per quale motivo rimane come tuo elfo domestico se odia
tanto chi non è pulito?»
gli chiese, rendendosi conto che non c’era gusto a
controbattere a quel tipo di
offese se le venivano servite così gratuitamente. Purtroppo,
però, fu
esattamente quello che fece, orgogliosa come era sempre stata.
«E comunque, mi
chiamo Weasley.»
«C’è
una bella differenza, tra sporco e superiore.» ribatté
Malfoy,
raggiungendola circospetto e fingendo di non sentire quella
precisazione sul
suo cognome.
«E
quale saresti, esattamente, tra i due, Malfoy?»
obiettò Hermione,
innervosendosi. Stare in quel luogo… non le faceva bene. Ma
se voleva davvero dimenticare,
avrebbe dovuto vincere sui
suoi ricordi di quella casa, e delle persone che ci vivevano.
«Così
mi offendi, Granger.» lo
vide
ghignare, calcando volutamente sul cognome da nubile di Hermione,
totalmente a
suo agio. Dopotutto, le schermaglie
verbali gli erano sempre andate a genio. «Io sono
molto più che superiore.»
Lei
alzò gli occhi al cielo. «Sì, in quanto
ad ego.»
«Sock
mi ha riferito che volevi vedermi.» Malfoy cambiò
discorso repentinamente. Non
voleva immaginare cosa sarebbe potuto succedere se lui
l’avesse trovata lì, in casa sua. No, si corresse,
la casa era sua, non di suo padre.
Narcissa
gliel’aveva lasciata preventivamente come eredità,
oltre che alla probabilmente non
più colma camera
blindata alla Gringott, quando Lucius era stato rinchiuso ad Azkaban
anni
prima.
Hermione
parve quasi spiazzata da quel cambio improvviso di direzione, ma si
riprese
subito. «Oh, non sei così importante da poterti
dedicare parte del mio tempo,
Malfoy. I sotterranei. Vorrei vederli, se posso.» gli chiese,
puntandogli gli
occhi addosso.
Malfoy
allargò un poco gli occhi, sorpreso da quella richiesta.
«I miei sotterranei?»
le domandò a sua volta. «Perché
vorresti…»
«Ne
ho bisogno, Malfoy.» lo interruppe lei. «E
comunque, non sono qui di certo per
fare conversazione con te, ammesso che tu ne possa reggere una intera,
ma solo
per…»
«I
sotterranei. Sì, l’avevo capito.» il
tono improvvisamente duro di Malfoy la
fece impensierire ancora di più, e le sue sopracciglia si
aggrottarono di
conseguenza. Stava per rispondergli a tono, ma – nuovamente
– l’altro cambiò
tono di voce. Non sarebbe mai riuscita a
star dietro a tutti quei repentini sbalzi di umore,
pensò Hermione. Non che
ne avesse davvero avuto bisogno, lei e Malfoy erano incompatibili
esattamente
come l’acqua e l’olio. E comunque, non aveva alcuna
intenzione né di rivedere
quella casa, né i suoi inquilini.
«Spiacente,
Granger. Non sono solito far entrare persone in luoghi così inappropriati per una Mezzosangue.»
ghignò ancora lui, e le
guance di Hermione si imporporarono leggermente pensando a cosa
c’era
esattamente di inappropriato laggiù, lasciando correre
l’uso della parola
Mezzosangue a Malfoy. Non voleva innervosirsi ancora di più.
«Ma se vuoi
vederli comunque, non sarò di certo io a fermarti.»
«Malfoy.»
«Granger.»
la rimbeccò lui, e a lei parve quasi di essere tornata
nuovamente ad Hogwarts. «Perché
hai bisogno di vederli?»
«Questi,
se permetti, sono affari miei.»
«No,
dato che suddetti sotterranei si trovano nella mia
proprietà.» ribatté lui, ed Hermione
non seppe più come
controbattere, dato che aveva ragione. Erano nella sua casa, ma il
bisogno che
aveva di vederli l’aveva spinta fino a lì,
incurante di quello che sarebbe
potuto accadere. Sapeva
solo che non
sarebbe riuscita a dormire sonni tranquilli fino a quando non avrebbe
allontanato definitivamente quei brutti ricordi dalla sua mente. E
quale modo
migliore per farlo, se non tornare a vedere il luogo che continuava a
perseguitarla nel sonno?
«Voglio
dimenticare.» esordì piano Hermione, tornando a
guardarlo. «Non voglio più
avere paura, Malfoy.»
Non
ci fu bisogno di spiegare altro. Lui aveva capito perfettamente a cosa
si
riferiva in particolare, e sapeva che per esorcizzare davvero qualcosa
dalla
propria memoria, il cammino era lungo. Se il timore della Mezzosangue
erano
davvero quei sotterranei, lui sapeva che una sola visita non era
affatto
sufficiente. E non poteva capitare in un
momento migliore.
«Seguimi,
Granger.» la invitò, precedendola verso una
piccola e stretta scala nascosta da quella più
grande. Non attese che
lei lo seguisse, sicura che l’avrebbe fatto. In fondo, era
lì proprio per
quello. Non per lui, ma per i suoi
sotterranei. Poco gli importava, al momento. La precedette
fino alla
pesante porta – non era un cancello?,
si chiese Hermione – che bloccava l’ingresso ai
sotterranei, la quale si aprì
immediatamente per lasciarli passare.
«Mi
vedo costretto ad avvertirti nuovamente. Ciò che
c’è dentro non è adatto ad una
Mezzosangue quale sei tu.» l’avvisò
ancora, ma Hermione non aveva alcuna
intenzione di tornare indietro. Aveva faticato per trovare il coraggio
di
tornare lì, e sarebbe stato da sciocchi, ora, rinunciare a
così poco dal
traguardo.
«Credo
di saper affrontare qualsiasi cosa ci sia lì
dentro.» ribatté lei, e vide
l’altro alzare indifferente le spalle, mormorando qualcosa
che lei non sentì,
prima di accompagnarla dentro senza dire più una parola.
«Mi
dispiace.» Hermione colmò il silenzio improvviso
che si era creato. Malfoy la
guardò con un’espressione confusa. Forse Ginny
aveva torto, forse tutti quelli di
Serpeverde erano davvero degli
stupidi. «Ho letto quello
che è successo, e me ne dispiace.»
Malfoy
restò indifferente, e fu solo grazie ad un lampo che
passò negli occhi del
biondo che lei poté smentire l’ipotesi che fosse
stato pietrificato.
«A
me no.» le rispose secco. «Ad ogni modo, non se qui
di certo per fare
conversazione con me.» la citò poi, facendole
cenno di entrare. Hermione
obbedì, sempre più ansiosa di lasciare quella
casa. Aveva una brutta sensazione
addosso, e raramente queste sensazioni erano errate.
Rabbrividì non appena mise
piede nei sotterranei, capendo – vedendo
con i suoi occhi – solo ora cosa esattamente era,
l’inappropriato di cui le
aveva parlato Malfoy.
Erano
tutti lì.
I
dipinti raffiguranti alcuni membri di entrambe le famiglie, Malfoy e
Black,
presero a guardarla con astio, ed Hermione sentì
rimpicciolirsi sempre di più
davanti a quelle espressioni di puro odio nei suoi confronti.
«Sangue sporco, sangue
sporco…» Cygnus Black III.
Lei
continuò ad avanzare all’interno della stanza,
ancora incurante – ma non sorda
– delle accuse e degli insulti che le venivano rivolti.
Non
doveva avere paura.
«Marciume dentro la mia casa!» Abraxas Malfoy.
Avanzò
ancora fino ad essere completamente circondata da quei dipinti. Si
guardò
intorno, fissandoli uno ad uno, lentamente, come se volesse sfidarli a
dire di
peggio. Erano solo dipinti, non potevano farle niente. O quasi.
«Come osi presentarti qui, sporca
Mezzosangue?» Druella
Rosier.
Si
portò le mani alle orecchie, ma presto si rese conto che era
inutile : poteva
sentire benissimo ciò che le urlavano senza sosta.
«Silencio!» Draco Malfoy.
I
ritratti tacquero, ma continuarono a lanciarle appellativi offensivi.
Hermione
si voltò nella direzione del biondo, trovandolo nella stessa
identica posizione
di prima, schiena contro il muro e braccia incrociate, ma
c’era anche qualcosa
di diverso nella sua postura. Tutt’un tratto, sembrava
dimostrare davvero la
sua età. Eppure, pensò Hermione, non era ancor
vecchio; ma cose stranissime e
quasi inverosimili, mostruosi intrecci di razze, misteriosi travagli di
secoli
bisognava immaginare per giungere a una qualche approssimativa
spiegazione di
quel prodotto umano che si chiamava Draco Malfoy.
Lo guardò meglio, e notò cosa
c’era di effettivamente
diverso in
lui. Il suo sguardo era differente. La stava forse guardando
con… pietà?
«Non
ho bisogno della tua compassione, Malfoy.» sbottò
Hermione. «Ho sopportato cose
peggiori di qualche insulto proveniente da un paio di dipinti
inaciditi.»
«Lo
so.» affermò tranquillo, raggiungendola.
«Ma non è un buon motivo per offendere
un mio ospite.»
Hermione
sgranò gli occhi, di fronte a tanta gentilezza.
«Da quando… perché?»
«Perché
cosa, Mezzosangue?»
«Perché
sembri tanto gentile?»
«Sembro,
esatto.» sembrò ghignare Malfoy.
«Tu hai i tuoi motivi per esserti presentata qui, ed io ho i
miei per essermi
comportato in questo modo.»
«Ma
io, il mio motivo, l’ho confessato.»
ribatté Hermione. Più gli stava vicino,
meno riusciva a capire. Non che avesse realmente
desiderato comprenderlo, Malfoy. Era lì per un unico motivo,
il resto non le
interessava anche se, doveva ammetterlo a sé stessa, la
incuriosiva e non poco.
Compreso l’inusuale comportamento del biondo di fronte a lei.
«E
dimmi, Granger.»
pronunciò lentamente
il suo cognome, confermando ciò che Hermione aveva sempre
pensato di lui fin
dai tempi di Hogwarts, ovvero che avesse qualche problema di
comprendonio o,
come Ginny aveva insinuato, che fosse semplicemente stupido.
«Ti
aspetti forse la stessa sincerità
che
hai avuto tu nei miei confronti?» le chiese.
Hermione
sbuffò, quasi divertita da quello scambio verbale.
«Certo che no, Malfoy. È una
caratteristica che tu non sembri conoscere.»
Lui
sembrò aspettarsi quella risposta da parte sua, anche se
attese qualche istante
prima di risponderle. «O forse, Mezzosangue, sono talmente
abituato a ciò che
gli altri pensano di me, o credono di sapere, che alla fine me ne sono
dovuto
convincere anch’io. Chi dice che non possa essere sincero,
che non possa
esserlo davvero? O il modo in cui
appunto mi dipingono debba corrispondere per forza alla
verità? Ad esempio, se
uno fa lo stupido, non vuol dire che lo sia davvero, semplicemente lo
sembra. Eccola,
la parola. Sembrare. Non trovi sia
strano come un semplice termine possa cambiare il significato di
un’intera
frase?»
«Non
in questa conversazione.» replicò secca Hermione,
non capacitandosi di star
davvero semplicemente dialogando con
Malfoy. All’inizio poteva essere divertente, forse, quello
scambio di battute,
ma ora iniziava seriamente a stancarsene. Aveva ottenuto ciò
che voleva, vedere
quei sotterranei, anche se non come aveva sperato per poter davvero
dimenticare, ed era tempo di uscire di lì, quella casa la
innervosiva a dir
poco. «Si è fatto tardi, Malfoy, devo andare
via.»
«Mi
è sempre piaciuta, quella parola.» riprese lui,
come se lei non avesse parlato.
«Sembrare. Apparire.
È come se ti
permetta di mentire senza però ingannare davvero.»
«Ed
allora a cosa ti serve? Tu sei avvezzo, alle menzogne.» le
sfuggì dalla bocca
prima che potesse impedirlo, ma quello che non le sfuggì fu
l’espressione
apparsa sul volto di Malfoy.
Offesa.
Il
biondo cambiò ancora espressione, e lei pensò che
era vero, che non sarebbe mai
potuta riuscire a stargli dietro. E comunque non ne aveva alcuna
intenzione.
Insulto.
Le
si avvicinò ancora, ed Hermione fu costretta ad arretrare,
sotto gli occhi di
quei dipinti che non toglievano i loro da dosso a lei. Non
doveva avere paura.
Oltraggio.
Si
ritrovò con le spalle letteralmente al muro, e
notò con un lieve accenno di
preoccupazione che lui le si stava avvicinando troppo. Molto
più del normale, o
del consentito. Deglutì, cercando di ricordare se avesse
detto a qualcuno dove
si sarebbe diretta prima di tornare a casa da suo marito e da suo
figlio. Nessuno,
non lo aveva detto nemmeno a Ginny. Accidenti
a me ed al mio orgoglio,
pensò, fissando negli occhi Malfoy.
«Allontanati
o ti Schianto, Malfoy.» lo avvertì, già
pronta con la bacchetta in mano. Lui
sembrò non udirla, avanzando ancora ed ancora e finendo
proprio davanti a lei,
a pochi centimetri da lei.
«Expelliarmus.»
pronunciò, e la bacchetta di Hermione volò a
diversi metri lontano, con
un’espressione sul volto a metà tra il ghigno e
quella che lei definì
nient’altro che soddisfazione.
Di
averle fatto volare via la bacchetta, forse? Presuntuoso.
Era
sempre così, che lui era sembrato. Fin dal primo giorno in
cui l’aveva
conosciuto, Malfoy aveva sempre avuto quell’atteggiamento
tipico di chi si può
permettere di fare tutto, ben sapendo che non riceverà
nessuna punizione. Viziato.
Lei
non seppe cosa lui vide passare sul suo viso, forse panico – non doveva avere paura – ma di
fatto
sembrò calmarsi. Girò di scatto la testa
all’indietro, verso la porta del
sotterraneo dietro la quale erano chiaramente udibili dei rumori e
delle voci
concitate, ed allora anche l’espressione di lui si
tramutò in paura.
«Mio
padre.» la guardò negli occhi, e lei seppe che
aveva avuto ragione. Ciò che
aveva visto, e che continuava a vedere negli occhi del biondo era
davvero
terrore. «È qui.»
Ed
ora, anche negli occhi di lei.
Doveva
avere paura.
Note.
Il
capitolo prende appunto il nome da “La
patente”,
novella prima ed opera teatrale poi, di Luigi Pirandello, autore che ho
imparato ad apprezzare durante le scuole superiori, successivamente
inclusa
nella raccolta Novelle per un anno;
trasportata poi sullo schermo dal grande ed inimitabile Totò
in un episodio del
film Questa è la vita,
di Luigi Zampa,
film basato appunto sulle opere di Pirandello.
Qui potete
trovare più informazioni sull’opera; qui
il testo della novella e qui
il testo teatrale; infine, qui
l’interpretazione di Totò.
Anche
la frase “Non era ancor vecchio; ma
cose
stranissime e quasi inverosimili, mostruosi intrecci di razze,
misteriosi
travagli di secoli bisognava immaginare per giungere a una qualche
approssimativa spiegazione di quel prodotto umano che si chiamava Draco
Malfoy
” pensata da Hermione è tratta dalla novella. Malfoy a parte.
L’idea
della patente Babbana di Ron proviene, invece, da qui,
e non tiene conto della cronologia del paragrafo, in quanto Ron ottiene
la
patente solo dopo che sua figlia Rose è partita per Hogwarts.
Ciò
che è accaduto durante la persuasione
di Bellatrix Lestrange nei confronti di Hermione – e relativa cicatrice Mudblood sul suo braccio sinistro
– non avviene nei sotterranei di
Villa Malfoy, naturalmente, ma ho dovuto modificare questa parte del
settimo
libro per adattarla meglio alla storia.
Grazie
per essere arrivati fin qui.
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Capitolo 3 *** Differenze e Malafede ***
Differenze e Malafede
«E
non ti ha dato nessuna noia?» le chiese, avvicinandola a
sé. La camera era
buia, ma lui poteva vedere ogni dettaglio del suo corpo. E non se ne
sarebbe
stancato mai.
«Affatto.
Sembrava quasi sollevato nel darmi quella chiave.» lei si
lasciò stringere, non
potendo fare a meno, però, di confrontare anche un misero
abbraccio.
Chi
la stringeva
meglio? Chi, tra i due, la faceva sentire più protetta?
Più amata?
«Comunque,
non credo che tu abbia agito bene, Astoria.»
sospirò lui. «Lo so, mi hai
spiegato che non avevi molta scelta, ma c’è sempre
qualche opzione di riserva.»
«Intendi
dire che sarei dovuta rimanere con lui, Terence?» lo
provocò, conoscendone bene
la possessività.
Ecco
un’altra differenza tra lui e Draco. Suo marito non
l’aveva mai trattata con tutta
quella gelosia, perché, si rese conto solo ora, che la
gelosia lui non l’aveva
mai provata; e se non fosse stato per Scorpius, Astoria avrebbe nutrito
seri
dubbi sull’effettiva validità - esistenza
- del suo matrimonio con Draco.
«Non
dire sciocchezze, Astoria. Sei rimasta con quel buono a nulla di Malfoy
anche
troppo a lungo.»
«Non
lo è.» mormorò lei, non del tutto
convinta. «Mi ha dato Scorpius, dopotutto.»
«È
un fallimento, Astoria.» riprese lui, mai stanco di sentire
il peso di lei su
di sé. «Malfoy, intendo. È fallito,
come Mangiamorte prima e come persona
adesso. Non vale nemmeno un secondo del tuo e del mio tempo.»
«Forse.
Ma non posso cancellare il passato, Terence. Lui è stato mio
marito, e a tutti
gli effetti lo è ancora. Non puoi chiedermi di cancellare
anni della mia vita.»
Lui
la strinse maggiormente, voleva farle sentire che nulla di quello che
lei stava
pensando corrispondeva a verità. «Non ho mai
pensato di farlo, Astoria. Mi
stupiscono le tue accuse.»
«Hai
ragione.» mormorò piano, sorridendogli colpevole.
Non era lui, a desiderare che
lei dimenticasse, ma Astoria stessa. Voleva una vita nuova, lontana da
tutto
quello a cui si era abituata, distante da tutto quello che
l’unione con Draco
l’avevano abituata.
Ma
con i suoi Galeoni.
Dopotutto,
non era quello che si era meritata, dopo tutti quegli anni passati
insieme? Se l’era guadagnata,
quella maledetta chiave,
pensò fissandola. Aveva dovuto sopportare le recriminazioni
di suo suocero quasi ogni giorno;
aveva sopportato i
commenti malevoli su di lei e sulla sua condotta di pensiero quasi ogni giorno; aveva sopportato suo
suocero per anni, punto. E non si
poteva di certo dire che Lucius fosse una persona facile, con cui avere
a che
fare, o che fosse semplice dialogare con lui.
Non
puoi davvero
credere che questo tipo di educazione sia meglio per mio nipote.
Quante
volte, Astoria l’aveva sentito pronunciare quella frase? E
quante volte, era
dovuta rimanere in silenzio per non offendere la famiglia
dell’uomo che aveva
sposato? Quanti erano stati, i rospi che aveva dovuto ingoiare? Aveva
perso il
conto. Ma l’aveva fatto più che volentieri, per
amore di suo figlio. Quale
madre, non si sarebbe comportata come lei? La famiglia prima di tutto.
Era così
che la sua, di madre, l’aveva sempre educata. Non conosceva
altre maniere per
dimostrare il proprio amore verso Scorpius.
Ma
anche Draco è parte
della sua famiglia.
No, non più.
«A
cosa pensi?» la voce di Terence la destò dai
pensieri, e lei realizzò che ora
era lui, la sua famiglia. Differenze.
«A
Scorpius.» gli disse la verità. Sapeva che Terence
era preoccupato quanto lei
per quella situazione; e, come lei, amava quel bambino come se fosse
davvero
suo figlio, sebbene Astoria non avesse mai voluto che si incontrassero,
trincerandosi dietro la patetica, menzognera scusa che Scorpius fosse
troppo
piccolo, per sapere la verità sulla separazione dei propri
genitori.
Ma
non era così. Era lei, ad avere paura. E se
suo figlio non avesse accettato Terence nella sua vita? E se questo l’avesse messa di
fronte ad un bivio, tra lui e suo figlio?
E se Scorpius avesse semplicemente smesso di volerle bene?
Astoria
era consapevole che esistevano troppi se
e troppi forse, ma era altrettanto
consapevole che il matrimonio con Draco non era altro che una farsa,
una
finzione alla quale si era abituata forse per comodità,
forse per la paura di
dover davvero fare i conti con la
presenza di lei nel suo matrimonio.
Non
mentire. Per questa
volta, non mentirmi. Te l’ho detto, so a chi pensi
quando ti corichi a
letto prima di addormentarti accanto a me. So chi vuoi, e chi avresti
voluto ci
fosse al mio posto. Non c’è più bisogno
di mentire.
Le
parole che gli aveva rivolto risuonavano ancora nella sua mente. Non
l’aveva
accusato, non l’aveva attaccato, non l’aveva
giudicato; non aveva fatto nulla
di tutto questo. Gli aveva chiesto sincerità, ben sapendo
che lui non avrebbe
mai potuto dargliela, semplicemente perché lui era convinto
di non possedere
quella qualità.
Non
sapeva quanto si
sbagliava.
Lei
se ne era accorta giorno dopo giorno, mese dopo mese ed anno dopo anno,
della
sincerità del marito. Non era palese, certo, ma niente di
lui lo era. Aveva
mascherato l’onestà dietro mille gesti;
l’aveva elargita a poco a poco,
mischiata alle notti insonni di lui e che a quel tempo Astoria non
aveva
compreso, e nemmeno Draco; l’aveva infine sfoderata il giorno
in cui lei se
n’era andata da Villa Malfoy, lasciandola semplicemente
andare via. Ma nemmeno
allora, lui l’aveva riconosciuta, la lealtà. Non
nei suoi confronti, questo no,
ma verso di lei.
L’altra
donna che suo marito non era mai riuscito a togliersi dalla mente, la
cui
presenza aleggiava come un fantasma dispettoso sul suo matrimonio,
minacciandolo costantemente. Ma lei vi aveva posto rimedio, non volendo
più
essere pietrificata in
un’unione che
aveva smesso di sentire viva da
molto
tempo.
Gli
aveva fatto un favore, e ben presto se ne sarebbe accorto anche Draco,
scegliendo di lasciarlo. Non perché non amasse davvero
l’uomo che ora la teneva
stretta tra le braccia, ma perché sentiva - voleva,
desiderava - che anche Draco avrebbe dovuto avere la
possibilità di conoscere
davvero quel sentimento che non aveva mai potuto assaporare, e che non
l’aveva
mai effettivamente toccato.
«Ti
amo. Lo sai questo, vero?» mormorò piano Astoria.
Lui annuì, stupito da quella
domanda.
L’amore.
***
Non
aveva avuto il tempo necessario per rendersi conto di quello che stava
succedendo.
Un
momento prima, Hermione vedeva solo Malfoy davanti a lei, e poco dopo
quest’ultimo era stato sostituito dalla sua bacchetta. Gliela
stava puntando
contro, e lei si maledì per essersi lasciata Disarmare. Come
avrebbe potuto
rispondere, se Malfoy avesse deciso davvero di attaccarla? In che modo
si sarebbe
potuta difendere, se la sua, di bacchetta, era metri e metri lontano?
Poteva
sempre Appellarla, ma Malfoy e la sua bacchetta le erano talmente
vicini che
dubitava di fare in tempo anche solo per iniziare
l’incantesimo.
Ecco
cos’era, quella brutta sensazione che sentiva. Non
sarebbe dovuta andare lì. E poi, tutt’un
tratto, mentre fissava
la bacchetta di Malfoy e mentre lui faceva lo stesso con la porta
d’ingresso, capì.
Capì
il perché Malfoy sembrasse così gentile nei suoi
confronti, capì il perché l’elfo
domestico l’avesse trattata quasi rispettosamente,
capì perché Malfoy le aveva
sconsigliato di bere il succo di zucca portatole dallo stesso elfo,
capì perché
non aveva fatto molte obiezioni quando lei gli aveva chiesto di vedere
i
sotterranei. Capì tutto.
Tu
hai i tuoi motivi
per esserti presentata qui, ed io ho i miei per essermi comportato in
questo
modo.
Hermione
sgranò gli occhi, mentre il suo cervello cercava un modo di
uscire da quel
luogo e da quella situazione in modo da rimanere il più intatta possibile, riflettendo sui
probabili motivi di Malfoy.
Sull’unico possibile motivo che poteva aver avuto :
consegnarla a suo padre.
Dopo Bellatrix, anni prima, stava forse per finire ora nella mani di
Lucius
Malfoy?
No,
questo non sarebbe
riuscita a sopportarlo.
«Stai
sbagliando, Mezzosangue.» le mormorò Malfoy, ed
Hermione si chiese quando lui avesse
ripreso a fissarla. «Per quanto mi piacerebbe non
sono così… Serpeverde
da fare quello che stai
pensando.»
Lei
alzò lo sguardo dalla sua bacchetta, chiedendosi se i suoi
pensieri gli erano
così palesi, e lo puntò negli occhi del biondo
sentendo che le voci al piano di
sopra si stavano avvicinando sempre di più.
«Sarai
sempre un Serpeverde, Malfoy. Non
puoi cambiarlo.»
Negli
occhi di lui passò un lampo, qualcosa di indefinito che
nemmeno Hermione riuscì
a decifrare. Forse… rabbia?
Il biondo
bisbigliò qualcosa che lei non riuscì a sentire.
La bacchetta di Malfoy tornò
su di lei, ma era preparata a tutto meno all’incantesimo che
le fece.
«Desilludo.»
mormorò un attimo prima che la porta
del sotterraneo si aprisse e che Lucius Malfoy facesse il suo solito
trionfale
ingresso. Merlino, quell’uomo aveva
davvero bisogno di una dose immediata di umiltà,
pensò scioccamente Hermione,
concentrandosi poi sul tipo di incantesimo che le era stato fatto.
Disillusione.
Con
tutti gli incantesimi esistenti, perché Malfoy aveva scelto
quello? Avrebbe
potuto permetterle di Smaterializzarsi, avrebbe potuto fare mille altre
cose,
ma aveva optato proprio per quello. Perché?
«Dov’è,
Draco?» gli chiese Lucius, raggiungendo fulmineo il figlio.
Si guardò intorno
circospetto, alla ricerca forse di qualche indizio. «Sock mi
ha detto tutto.
Mezzosangue in casa mia!» alzò la voce, sguainando
la sua bacchetta.
La
bacchetta!
Hermione si rese conto solo ora che era dall’altra parte
della stanza, ancora
visibile, a sua differenza. E se Lucius l’avesse vista, non
avrebbe avuto più
alcun dubbio che lei fosse ancora all’interno della Villa.
«Non
ti aspettavo.» il Malfoy più piccolo finse
stupore. «Che sorpresa.»
«Dov’è,
Draco?»
«Non
capisco di cosa stai parlando. Qui ci sono solo io.»
mentì, sistemandosi
silenziosamente meglio nel punto in cui aveva nascosto Hermione.
Cercava
davvero di… nasconderla?
«E
poi, ti sembro il tipo di persona che
farebbe entrare qui un
Mezzosangue?»
Il
cipiglio di Lucius sembrò addolcirsi. «No, certo
che no. Sock…»
«È
uno stupido elfo domestico. Cosa vuoi che ne possa sapere?»
ribatté il Malfoy
piccolo.
Hermione
seguì quello piccolo scontro verbale senza perdersi una
parola, capendo davvero
solo in quel momento perché Malfoy più le avesse
fatto esattamente
quell’incantesimo.
Voleva
che ascoltasse tutto. Voleva che vedesse, tutto quanto. Ma
perché? Questo
ancora non era riuscito a capirlo. Ma, come aveva avuto modo di
appurare anche
in passato, ad Hogwarts, capire le ragioni di un qualsiasi gesto di
Malfoy era
un’impresa ardua.
«Ho
letto la Gazzetta, stamani.» Lucius cambiò
improvvisamente discorso. Ecco da chi aveva
preso il figlio, pensò
Hermione. «Non dovevi, Draco.»
«Diciamo
che quello che volevamo erano due cose differenti. Non potevamo
conciliarle.»
Draco alzò le spalle come se stessero parlando del tempo, e
non di un
matrimonio andato in frantumi.
«Talvolta,
però, bisogna… sforzarsi. Le cose non vanno
sempre come vorremmo. Tu dovresti
saperlo.» Lucius si decise a mettere via la sua bacchetta
all’interno del
mantello che indossava. «I Greengrass sono una delle poche
famiglie di
Purosangue rimaste libere, Draco.»
Hermione
vide le spalle di Malfoy irrigidirsi al commento di suo padre, e si
irrigidì a
sua volta, suo malgrado stupita dal commento di Lucius. Supremazia
Purosangue… che sciocchezza.
«Abbiamo
già Scorpius.» commentò. «I
Malfoy continueranno ad essere puri,
come hai sempre voluto.»
«Sai
cosa avrei voluto, Draco? Molta più purezza.»
Lucius superò Draco e si avvicinò
pericolosamente ad Hermione, che fu costretta a anche a trattenere il
respiro
pur di evitare che la scoprisse.
«Astoria
non…»
«Lo
so.» lo interruppe il padre, guardando attentamente nel punto
dove Hermione era
stata nascosta. «So che non è colpa tua. Ma era un
unione voluta da entrambe le
famiglie, Draco. Sareste potuti essere perfetti, se aveste continuato
la
convivenza.»
«Non
era più possibile.»
«So
anche questo. L’altro Purosangue.»
Il
Malfoy più piccolo annuì convinto. Forse
fin troppo, secondo Hermione. Lucius si avvicinò a
suo figlio, e gli posò
una mano sulla spalla. «Non ti dirò che hai agito
bene, Draco. Il matrimonio è
una cosa seria, perfino per noi. Soprattutto
per noi. Ma a tutto c’è rimedio.»
Malfoy
alzò la testa di scatto, fissando suo padre. «Non
credo che…»
«Quello
che credi tu non mi interessa, Draco.» minimizzò
Lucius. «Non ha alcuna
importanza. Ora, ho già parlato con i genitori di tua
moglie, ed abbiamo deciso
che voi due torniate insieme, com’è giusto che sia
tra un marito ed una moglie.
Le tue obiezioni sono inutili.» aggiunse quando suo figlio
era sul punto di
ribattere. «Non sei ancora il capofamiglia, Draco. Decisioni
di questo tipo non
spettano a te.»
Hermione
udì chiaramente il momento in cui il Malfoy giovane
digrignò i denti, e strinse
i pugni, e non poté non sentire almeno un briciolo di
pietà, per il biondo che
aveva davanti. Non l’avrebbe mai confessato, ma era davvero
dispiaciuta per
lui.
«No.»
una parola pronunciata seccamente interruppe il silenzio nella stanza.
«Non lo
farò.» si oppose, e suo padre lo guardò
chiaramente infuriato.
«Non
sono più un bambino. So prendere da solo le mie decisioni
già da molto tempo, e
questa volta, mi dispiace dirlo, non coincidono con le tue. Anzi, no,
non mi
dispiace affatto. Non starò qui a farmi trattare ancora da
quella marionetta
che hai sempre pensato che fossi. Una volta, forse, ti avrei obbedito e
seguito
ciecamente, credendo in ciò che credevi tu,
perché lo immaginavo giusto. Perché
tu, mi hai fatto credere che era
giusto.» prese un respiro, ed Hermione vide il tremito, che
sembrava scuotergli
tutto il corpo, aumentare.
«Al
contrario di quanto credi, non spetta di certo a te prendere una
decisione
sull’unione tra me ed Astoria. È già
stata presa, da entrambi, e nessuno dei
due ha l’intenzione di tornare indietro, né
l’avrà mai.» Draco sfidò suo
padre,
contraddicendolo davanti a testimoni. Ma questo, Lucius non poteva
saperlo. «Il
matrimonio con lei è finito. Non torneremo
indietro.»
Lucius
gli si avvicinò fulmineo, l’età non
sembrava dargli alcun impedimento. O forse
era la rabbia, che lo faceva
muovere
così velocemente?
«Non
osare sfidarmi, Draco.» lo minacciò.
«Potresti pentirtene.»
Il
figlio lo guardò stupito, in viso quel ghigno di
strafottenza che Hermione
aveva sempre detestato. «Sono un Malfoy. Non puoi farmi nulla
di peggio di
quello che mi hai già fatto.» gli
mostrò il braccio, dove il Marchio Nero
faceva ancora mostra di sé. Non l’aveva mai voluto
togliere, quel tatuaggio,
perché gli dimostrava quanto una persona poteva cadere in
basso pur di
compiacere il proprio padre. O qualcun altro.
«È
un onore averlo, Draco.»
Lui
rise. «Ne sei certo? Quanti Mangiamorte, esattamente come
te e me, sono stati
imprigionati dopo la guerra, perché avevano quello che
definisci onore?»
Sul
viso di Lucius si dipinse una smorfia disgustata identica a quella di
Hermione,
ma le motivazioni erano diverse. «Non è questo che
ti ho insegnato. Non è così,
che un Malfoy si comporta.»
«A
volte non si ha scelta.»
«O
non la si cerca.» ribatté il padre. «Ti
incontrerai con tua moglie domani, le
chiederai perdono per quello che hai fatto e le dirai di tornare qui.
Fine
della storia.»
Non
attese che il figlio gli rispondesse, e si Smaterializzò
via. Hermione attese
che le togliesse l’incantesimo con il quale l’aveva
nascosta, per andarsene
velocemente da quel luogo, ma il biondo non sembrava muoversi.
«Malfoy.»
lo chiamò, ricordandogli la sua presenza. Lo vide girarsi di
scatto, dimentico
che non era solo, e ciò che lei vide sul suo viso gliela
fecero provare
davvero, la pena cui pensava prima. C’erano scintille di odio
nei suoi occhi, e
tracce di impotenza sul suo viso. Fece un gesto con la bacchetta, ed
Hermione
tornò finalmente visibile, per sua gioia.
«Vai
via, Mezzosangue.» le suggerì stanco. Aveva
davvero la voce rotta? «Non avresti dovuto
sentire.»
«Non
dovevi farmi quell’incantesimo, allora.»
ribatté lei, avvicinandosi a lui. «Tu
hai voluto che sentissi, Malfoy. Quello che mi chiedo è il
motivo.»
«Non
sono quello che tutti credono.» si ritrovò a
mormorare, ignorandola quasi, ma
lei lo sentì benissimo. «Mio padre non accetta che
qualcuno la possa pensare
diversamente da lui. Quello di cui mi ha fatto circondare, fin dalla
mia
nascita, non è nient’altro che malafede.
D’altronde, il mio cognome dice tutto,
non è vero? Malfoy. Malafede.
Forse è
davvero destino.» si trovò a sorridere, amaro.
«Lasciatelo
dire, tuo padre è un imbecille.» Hermione non ce
la faceva, a vederlo così - pena
- e gli confessò ciò che pensava di
Lucius. Una minima parte, almeno. «Un despota imbecille, che
non ha alcun
diritto di dire la sua sulla vita di suo figlio, né dovrebbe
avere l’arroganza
di comportarsi in quel modo. E dire che voi Purosangue vi credete
così
superiori… Lucius di certo non ha dato un esempio, di
superiorità.»
Malfoy
la guardava in un modo strano. Era abituata all’odio ed
all’astio nei suoi
confronti, non di certo a… a qualsiasi
cosa ci fosse riflessa in quegli occhi.
«Non
credevo di dirlo.» esordì lui. «Ti
ammiro, Mezzosangue. Di certo non le mandi a
dire, le cose.»
«Ho
imparato che nella vita bisogna andare a testa alta.»
«Sai,
al contrario tuo, nessuno me lo ha mai insegnato davvero.»
le confessò, facendole cenno di seguirla al piano di
sopra ed Hermione accettò più che volentieri,
ansiosa di lasciare quel sotterraneo.
Era buio, troppo buio.
«Cosa
significa?» gli domandò, una volta seduta sulla
stessa poltrona che le aveva
indicato l’elfo domestico. L’elfo…
«Perché
il tuo elfo si chiama Calzino?»
Il
biondo parve spiazzato da quella domanda improvvisa, ma fin troppo
presto tornò
il solito irritante Draco Malfoy che aveva sempre conosciuto.
«Davvero non
riesci ad immaginarlo? Fruga nella tua memoria, Mezzosangue.»
Hermione
aggrottò le sopracciglia, non capendo a cosa si riferisse, o
tra cosa dovesse
cercare.
«E
pensare che eri una delle streghe più intelligenti di
Hogwarts.» la prese in
giro senza cattiveria. Forse per la prima
volta da quando si conoscevano. «Ti ricorda nulla,
il C.R.E.P.A.?»
Fu
grazie al suggerimento di Malfoy, che Hermione comprese.
«Sì. Era il Comitato
per la Riabilitazione…»
«Degli
Elfi poveri e Abbruttiti.» finì lui al posto suo,
e lei si scoprì piacevolmente
sorpresa, nel constatare che uno come Malfoy potesse ricordarsi, a
distanza di
anni, una cosa quale il C.R.E.P.A. «Una delle cose
più assurde che siano state
inventate.»
Hermione
si impuntò, colta nel vivo. «È stata
utile, invece. A suo modo.»
«Andiamo,
Granger. Sono solo degli elfi… sono nati per obbedire, non
per essere liberi.»
ribatté lui. «Succo di zucca? Prometto che questa
volta, Sock non c’entra.» le
offrì un bicchiere, e questa volta Hermione si chiese se era
davvero solo succo di zucca. Il
biondo, però, le
sembrava sincero. Non aveva alcun motivo di mentire, non ora, non dopo
tutto
quello che lui aveva voluto che lei sentisse.
L’accettò.
«Perché
hai voluto che rimanessi a sentire, Malfoy?» non se ne
sarebbe andata di lì
fino a quando non avrebbe avuto una risposta soddisfacente.
Il
biondo alzò le spalle, fingendo indifferenza. Ma
indifferenza non sentiva. «Non saprei, Granger.
Forse perché,
per una volta, volevo che una persona - qualsiasi
persona - sapesse davvero che tipo è Lucius
Malfoy.»
«Credimi,
Malfoy, lo sappiamo già.»
L’altro
scosse la testa, ingollando il contenuto del suo bicchiere.
«Non è così. Voi
conoscete solo quello che lui vuole mostrarvi.»
«Da
quello che ho visto, non è poi così differente
dalla realtà.»
«Non
è solo una questione di sangue, Granger.»
ribatté il biondo. «Quello è relativo. Sì, lo è
anche per noi.»
aggiunse, accorgendosi dell’espressione stupita di Hermione.
«O
almeno, lo è per me, e per Astoria. Lei è come
te. Non crede che né i
Mezzosangue, né i Babbani siano inferiori a noi.
È così che abbiamo sempre
voluto educare Scorpius.» le confessò.
«Tutti sono uguali, nella loro
diversità.»
«Quindi
lo ammetti, che c’è davvero una
differenza.»
«Te
l’ho detto, Granger. Il sangue è
relativo.» negò lui. «Non è
ciò che scorre
nelle vene, a poter dimostrare se una persona è davvero
superiore.»
«Tuo
padre sembra pensarla diversamente, però.»
«Tu
stessa hai detto che è un imbecille. A differenza dello
stupido, inizio a
pensare che lui lo sia davvero.»
Hermione
sorrise, stupendosi ancora una volta di come le persone potessero
cambiare.
Meravigliandosi di come Malfoy
potesse cambiare, differenziandosi
da
quello che aveva conosciuto ad Hogwarts. «Credevo fossi
d’accordo con lui.»
«Malfoy,
ricordi?» si
indicò. «La malafede è
collegata a noi.»
«Non
a tutti, i Malfoy.»
commentò lei,
riconoscendo solo ora ciò che aveva visto riflesso negli
occhi del biondo.
Ammirazione.
«No.»
concordò lui. «Non a tutti. Ad ogni modo, spero
che la visita ai miei
sotterranei ti sia stata d’aiuto.»
Hermione
si alzò, intuendo che doveva congedarsi. «Non
esattamente, Malfoy, ma mi
accontento. Spiegami una cosa, però. Perché i
dipinti della tua famiglia sono
lì sotto?»
Malfoy
alzò nuovamente le spalle. «Mi ero stancato di
vederli in giro.»
La
sua risposta non la convinse, ma rifletté che in fondo non
erano affari suoi e
lasciò perdere. «Grazie per il succo di zucca, e
per i sotterranei. E per la
chiacchierata.»
Il
biondo si voltò nella sua direzione, sul volto
l’ennesimo enigmatico sorriso
pari solo a quello di Monna Lisa. «Inutile dirti, Granger,
che Sock non ne sarà
contento se dovesse rivederti un’altra volta.»
«Vedrò
di evitarlo, in futuro.» ribatté lei, ricambiando
inconsciamente il sorriso che
le veniva rivolto. Si Smaterializzò verso casa, non prima,
però, di aver udito
chiaramente il proprio nome.
Pronunciato
da Malfoy.
Note.
Breve
precisazione, questa volta.
Il Terence - l’altro Purosangue - con il
quale Astoria compare all’inizio del capitolo altri non
è che Terence Higgs,
Cercatore della squadra di Quidditch dei Serpeverde dal 1991 al 1992,
prima che
il suo posto venisse alternativamente preso proprio da Draco, grazie al
generoso zampino di Lucius. Per
altre
info sulla squadra, andate qui.
Per quanto riguarda Sock, il
calzino dal quale prende il nome si riferisce sì, al
C.R.E.P.A, ma più esattamente da uno degli indumenti che
Hermione dissemina in
giro per Hogwarts al quarto anno, nella speranza che qualche elfo possa
impossessarsene e diventare libero. Peccato che Dobby li abbia voluti
tutti per
sé…
Grazie per essere arrivati fin qui. |
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Capitolo 4 *** Compromessi ***
Compromessi
«Hogsmeade.»
L’altra
alzò indifferente le spalle. «Pensavo fosse
più facile.»
«I Tre Manici di Scopa.»
«Avevo
voglia di qualcosa di forte, e qui ce l’hanno.»
«Hogsmeade.»
«Questo
l’ha già detto. Non crede di essere
ripetitiva?» le chiese, ordinando la
seconda Acquaviola. Non era una
bevitrice usuale, e quella era il massimo che voleva sopportare.
«Non
capisco.» ammise. «Perché?»
La
rossa alzò gli occhi al cielo, sospirando forte. Forse aveva
torto, pensò
cambiando idea. Tutti erano stupidi.
«Non
se lo immagina, Malfoy?»
L’altra
strinse gli occhi al sentire il suo cognome pronunciato così
aspramente e
scelse di ripagarla con la stessa moneta
genealogica che aveva usato lei. «Illuminami,
Potter.».
«Lo
ha letto.» la informò. «Come mi aveva
chiesto di fare. Non capisco bene il
perché, comunque, ed anzi credo che dovrei saperlo dato che
c’è di mezzo la mia
famiglia.»
«A
tempo debito, lo sapranno tutti.»
«E
non crede, Narcissa, che abbia qualche diritto in più, anche
per il solo fatto
di averla cortesemente
aiutata?»
Lei
ci rifletté su, e suo malgrado si vide costretta a darle
ragione. «No, non lo
credo. Ma te lo dirò comunque.»
Ginny
Potter ascoltò in silenzio le parole che Narcissa
snocciolava, evitando di
interromperla per fare domande che l’avrebbero aiutata a
capire meglio l’intera
faccenda. L’altra finì di parlare dopo vari
minuti, e nonostante le molteplici
domande che le affollavano la testa, la bocca decise per conto suo.
«È
mio fratello.»
«E
lui è mio figlio.» ribatté Narcissa.
«Non posso più tollerare che sia
così.»
«Perché
proprio adesso?» le domandò Ginny. «Per
la separazione?»
«No.»
Narcissa scosse la testa. «Quella è stata solo un
colpo di fortuna, ma non
c’entra nulla. Non fraintendere, è ovvio che non
sia felice per il matrimonio
fallito di Draco, ma non posso evitare di pensare che tutto accada per
una
ragione, la quale non ci è data sapere. Mio figlio ha
sofferto molto, negli
anni. Non voglio che stia male più.»
Ginny
si ritrovò a guardarla, improvvisamente intenerita da quello
slancio di
maternità, e si chiese cosa avrebbe fatto lei, se
si fosse
dovuta trovare nei panni di Narcissa. Non che volesse effettivamente
trovarcisi,
naturalmente…
«Non
lo so. Voglio bene a mio fratello. È parte della mia
famiglia.»
«E
Draco è l’ultimo pezzo della mia che mi
resta.» ribatté piano Narcissa. Ginny le
ricolse uno sguardo confuso. E Lucius?
«Ho errato troppe volte, ed altrettante me ne sono pentita.
Questa volta non
voglio sbagliare, e per quanto mi costi ammetterlo - e credimi, mi
costa
davvero molto - ho bisogno del tuo aiuto.»
Se
non avesse provato davvero tenerezza
nei confronti della donna che aveva di fronte, sicuramente si sarebbe
messa a ridere
nel sentire che Narcissa - Narcissa
Malfoy! - aveva bisogno di lei. Ma comunque non poteva dirle
di no, Arthur
e Molly soprattutto l’avevano educata in un certo modo.
Aiutare, dare una mano
a chi la chiede. Senza domandare nulla in cambio.
«Perché
io?» le chiese, sinceramente confusa.
«Perché si è rivolta proprio a
me?»
Narcissa
non le rispose subito : preferì prendersi qualche istante
per organizzare
meglio le parole. «I Weasley non sono poi così
male. Certo, per quanto possa esserci di meglio - e ce
n’è molto, in giro -
è anche vero che ci sono persone molto peggiori.»
Ginny
alzò le sopracciglia, non credendo alle sue orecchie.
«Sarebbe un complimento?»
Narcissa
sorrise, guardando il bicchiere davanti a lei. «Certo che no.
Non sono ancora
nelle condizioni per fare in modo che mi sfugga un complimento ad una
dai
capelli rossi.»
L’altra
ricambiò il sorriso che non le veniva espressamente rivolto,
pensando che se
non fossero state in netta antitesi, probabilmente le sarebbe perfino
parsa
simpatica, la Malfoy.
«Naturalmente
no.» si limitò a commentare Ginny. «Non
le prometto di accettare tutto senza
fiatare, ma farò il possibile per quel che mi
riguarda.» acconsentì. «Cosa
vuole che faccia?»
***
Inutile
dirti, Granger,
che Sock non ne sarà contento se dovesse rivederti
un’altra volta.
Vedrò di evitarlo, in
futuro.
Hermione.
Hermione.
Hermione…
L’aveva davvero
chiamata per nome?
Draco
si lasciò cadere nuovamente sulla poltrona, coprendosi gli
occhi con un
braccio. Come aveva potuto chiamarla per
nome? Cosa
gli era passato nella mente?
Scoprì
il viso ed iniziò a guardare distrattamente per il salone.
Non poteva averlo
fatto davvero. Non lui, non Draco Malfoy. Era già abbastanza
strano il fatto che avesse accettato
di
farla entrare in casa, sotto gli occhi degli elfi domestici e per
fortuna non
sotto quelli di suo padre, ma arrivare a chiamare la Mezzosangue per
nome…
sperava solo che lei fosse riuscita a Smaterializzarsi prima di sentire
- non
poteva definirlo diversamente - l’errore
che aveva commesso. Non ci aveva dato peso, il nome della Mezzosangue
era
uscito dalle sue labbra senza pensarci. Con naturalezza.
E non se ne capacitava.
Cos’era
successo, a tutti quegli anni di litigi, offese, dispetti e mille altre
cose
che lui le aveva rivolto, e che lei aveva prontamente contraccambiato?
Perlomeno,
nessuno
della squadra di Grifondoro si è dovuto comprare
l’ammissione. Loro sono stati
scelti per il talento.
Nessuno ha chiesto il
tuo parere, sporca Mezzosangue.
Tu! Brutto perfido lurido
schifoso scarafaggio!
Il
dolore del pugno sul naso se lo ricordava ancora, si ritrovò
a pensare mentre
un sorriso sinceramente divertito spuntava sulle sue labbra. Oh, come
l’aveva
fatta arrabbiare, quella volta! L’aveva provocata;
l’aveva fatta infuriare
infinite volte; le aveva rivolto nomi ed insulti decisamente poco carini nei confronti di una
ragazza, ma che all’epoca suonavano perfetti per uscire dalla
sua bocca; eppure
non ne aveva mai compreso il motivo.
Lucius
gli aveva sempre detto che i Babbani ed i Mezzosangue erano ad un
gradino molto
inferiore della scala sociale
rispetto al loro essere Purosangue. Draco si chiese se questo bastasse
per
nutrire un odio così forte nei confronti di qualcuno che -
si rese conto solo
ora - non aveva mai effettivamente conosciuto. No, si corresse, non
aveva mai voluto conoscere, sicuro
che le parole
ed il pensiero di suo padre fossero giusti e corretti. Insindacabili.
Ma l’odio che aveva sempre provato nei confronti di
chiunque non fosse puro di sangue,
bastava a giustificare il suo comportamento? Si chiese se non ci fosse
realmente dell’altro,
dietro. E se
l’odio non fosse altro che semplice terrore? Terrore di
finire contaminato dalla gentilezza che vedeva sempre in quella
Mezzosangue?
La
sua Mezzosangue.
Quel
pensiero sfrecciò fulmineo nella sua testa, e
sentì il sangue defluire dal suo
viso, facendolo sbiancare ancora di più, mentre il sorriso
che aveva mantenuto
fino ad allora gli si gelò sul volto. Possibile
che…
Credi
che sia cieca, Draco? Credi che, dopo tutti
questi anni, non abbia davvero capito?
Non
mentire. Per questa volta, non mentirmi.
È questo il punto, Draco! Ha tutto a
vedere con lei.
Ti conosco. So come sei fatto. So come pensa la tua mente. So a chi pensa.
Possibile
che Astoria avesse avuto davvero ragione, su di lui?
Dopotutto, gliel’aveva fatto capire chiaramente, quando
l’aveva lasciato. E non cominciava
ora a capirlo anche lui, forse? Tutte quelle domande, quando rientrava
tardi a
casa, o quando era di malumore, o quando rientrava
tardi a casa di malumore…
Dove
sei stato, Draco? Perché sei arrabbiato,
Draco? Pensavi a lei, Draco?
Astoria
l’aveva sempre
saputo, realizzò improvvisamente. Lo sapeva, forse anche da
prima che si
sposassero. Ed allora perché l’aveva fatto
comunque?
Credi
davvero sia stato per amore, Draco? Perché ti
amavo?
Sai, per alcuni di noi il nome Malfoy conta ancora qualcosa.
La gente cresce. Matura. E, a volte, cambia idea. È accaduto
anche a te,
dopotutto.
Si
domandò se fosse davvero così. Aveva veramente
cambiato semplicemente idea? Era
un Malfoy, diamine. Non poteva
cambiare idea, non su una cosa così importante.
Oh,
non sei così
importante da poterti dedicare parte del mio tempo, Malfoy.
Non
credevo di dirlo. Ti ammiro, Mezzosangue.
O
forse sì?
Fu
come se qualcuno gli avesse rivolto un Incantesimo
Illuminante : improvvisamente, tutto gli fu chiaro. Non
c’erano più ombre,
non c’erano più dubbi, non c’era
più alcuna incertezza. Aveva davvero
cambiato idea. Fino ad allora
non ci aveva mai dato peso, preferendo convincersi che era colpa del
tempo che
era cambiato. Voldemort era stato sconfitto, i Mangiamorte non
esistevano più,
nessuna distinzione tra puro e sporco, il mondo magico era finalmente
libero, eppure lui sembrava essersi cristallizzato in quel periodo,
nonostante
l’educazione scelta di comune accordo con Astoria verso
Scorpius.
Più
nessuna differenza, più nessun divario tra una classe e
l’altra. Non c’era più
nessuna di queste cose. Era sempre stata
una questione di sangue? Era davvero così
importante come suo padre tanto
amava credere, come lui stesso aveva sempre creduto, qual era il tipo
che
scorreva nelle vene? In fondo, il sangue è uguale per tutti.
Ed allora perché
sarebbe dovuto essere un divario così importante
tra lui e la Granger?
Oh,
non sei così
importante da poterti dedicare parte del mio tempo.
La sua Mezzosangue.
Sentì
un crack provenire dalla sua
sinistra, e le sue spalle si rilassarono quando si accorse che si
trattava
semplicemente di Astoria, ma il suo volto rimase tirato. Sua moglie lo
guardò
in volto, e sul suo spuntò un sorriso. Non era derisorio
né di scherno, e Draco
se ne stupì. Era semplicemente un sorriso.
«Ce
l’hai fatta.» mormorò, appropriandosi di
una poltrona. «Hai impiegato meno
tempo di quanto avessi preventivato, Draco. Lei dev’essere
stata qui. Sì, non
c’è altra spiegazione.»
«Da
quanto?» la sua voce era intenzionalmente secca. Non
permetteva che nessuno
potesse prendersi gioco di lui, nemmeno Astoria.
«Da
tanto, Draco.» gli
rispose. Lui si
era aspettato furia, incantesimi e fatture e magari anche una
Maledizione Senza
Perdono, ma lei non gli aveva lanciato nulla di tutto questo. Si era
limitata a
sorridere tranquilla. «Può essere difficile da
superare, nell’immediato. Per me
lo è stato. Ma poi ho capito. Non si sceglie chi
amare.»
«Tu
e Terence…»
«Non
stiamo parlando di me.» lo interruppe lei, per nulla
meravigliata che fosse
venuto a conoscenza del nome dell’altro. «Non ti
rimprovero nulla. Questo te
l’ho già detto. Non riuscivi a comprendere, ma
sono felice di sapere che ora
l’hai fatto. Con i tuoi tempi, certo, ma
l’importante è arrivare, giusto?»
«Perché?»
«E
lo chiedi proprio a me?» Astoria rise. «Dovrei
fartela io, questa domanda. Non
spettava a me dirtelo, Draco. In fin dei conti, sono sempre tua moglie.»
«Non
volevo che finisse così.» si ritrovò a
mormorare lui, citandola e prendendosi
il volto tra le mani. Astoria gli si avvicinò, stringendogli
le spalle con
entrambe le braccia.
«Non
puoi scegliere chi avere affianco. Alla fine, non è la testa
a prevalere.» gli
fece notare. Il tono di voce di sua moglie era calmo, e forse era
questo che
gli faceva più male. O era forse
il
sentirsi impotente?
«È
una Mezzosangue.»
La
sua Mezzosangue.
«Sciocchezze.»
ribatté lei. «Il sangue non dev’essere
l’unica cosa ad avere importanza.»
«Mia
madre…»
«Ti
ama molto di più di quanto tu stesso non creda. Vuole che tu
sia felice, come
qualsiasi madre.»
«E
mio padre…»
«Non
ho mai voluto dirtelo, Draco, per rispetto nei tuoi confronti, ma ora
posso
finalmente farlo. Tuo padre è un imbecille.»
Draco
si ritrovò a sorridere, e quel sorriso si tramutò
presto in una risata. «Sai,
lei ha detto lo stesso. Poco fa.»
Oh,
non sei così
importante da poterti dedicare parte del mio tempo. Anche
questo, aveva detto. Lo credeva davvero?
«Se
lo dicono due persone una dopo l’altra, allora
dev’essere vero.» commentò lei,
e poi si fece seria. «Devi scendere a compromessi, Draco. Se
è lei quella che
davvero vuoi, devi farlo. Non puoi avere tutto insieme : nome,
rispetto, denaro
ed anche
lei. L’amore talvolta è rinuncia.»
Ma
era anche possessione, e gelosia, e controllo smisurato
dell’altro. La sua Mezzosangue.
Avrebbe
voluto chiederle a cosa aveva rinunciato lei, ma si trattenne. Aveva
paura
della risposta che Astoria avrebbe potuto dargli.
«Lo
so. Non è semplice.»
«Sei
tu a volere che non lo sia, Draco.»
«Forse.»
concordò. «Sta di fatto che però lei
è sposata.»
«E
quindi? Lo sei anche tu, tecnicamente.» ribatté
lei. «Posso capire che non vuoi
rovinarle il matrimonio con quel rosso, ma - e qui sono costretta a
ripetermi -
se davvero la desideri, non puoi fare altrimenti.» fece una
piccola pausa,
forse per permettergli di capire meglio le sue parole. E per
comprenderle
meglio lei stessa.
«Ho
capito. Tu temi che per lei non sia lo stesso. Bisogna rischiare,
talvolta, per
ottenere quello a cui si aspira. Compromessi.»
Draco
la guardò in silenzio, meravigliandosi di come fosse
diventato facile leggerlo senza
utilizzare la Legilimanzia. Era
così per tutti o era
una cosa riservata a lei, e alla Mezzosangue?
«Compromessi.»
«Esattamente.
A volte sono necessari.»
Draco
annuì, guardandola. «Sì. A volte lo
sono.»
Astoria
gli parve pensierosa, e poco dopo ne capì il motivo.
«Vorrei incontrarla.»
Draco
alzò le spalle, non potendo evitare di mostrarsi stupito da
quella richiesta,
seppur comprensibilissima. Ultimamente lo faceva molto più
spesso, quel gesto,
si ritrovò a notare. «Nessuno te lo vieta,
Astoria.»
«Non
adesso.» lei scosse la testa. «Ora non avrebbe
senso farlo. Quando ti sarai
deciso. La vorrei incontrare allora.»
Lui
la guardò meravigliato. «Credi sia davvero
così importante?»
«Cosa,
lei o il volerla conoscere?» gli domandò con
naturalezza. Non poteva sentire
altro che affetto nei confronti di
suo marito. L’espressione sul viso del biondo rispose al suo
posto. «Oh,
intendi lei. Di nuovo, questo dovresti dirmelo tu. Non posso rispondere
al tuo
posto, ma dati gli anni che abbiamo trascorso insieme, secondo me lo
è. E poi,
ammettiamolo, è intelligente.»
E
con la lingua
sinceramente sciolta, oltre che orgogliosamente testarda. Ed in grado
di
tenergli testa come mai nessun’altra ci era mai riuscita con
lui.
E l’ammirava, per questo. La sua
Mezzosangue.
«Ad
ogni modo, sono qui per altri motivi.» deviò il
discorso e non perché non
voleva sapere altro, sulla donna che era riuscita a conquistarsi il
cuore di
suo marito, ma perché aveva lasciato a malincuore - molto, a malincuore -
Terence a casa di lui, dove lei si era momentaneamente
trasferita. E non
voleva lasciarlo troppo a lungo da solo.
«Lo
so. Mio padre è passato di qui.»
«Ti
avrà informato, quindi, che ha parlato con i miei genitori,
e che è suo desiderio
che questo matrimonio
prosegua.»
«Sì.»
confermò stancamente. «Ti avrei cercata domani, ma
ormai sei qui. Gli ho detto
chiaramente che non era affatto una buona idea.»
Fu
Astoria, questa volta, a essere stupita. «Vuoi dire che
Lucius sa di te e della
Weasley?»
Oh,
non sei così
importante.
«Non
c’è nessun me e la Weasley, Astoria.»
ribatté pronto lui, seccato per quella
frase che continuava a pensare. «E comunque, no, non credo
sappia nulla. Anche
se mia madre qualcosa penso che l’abbia intuito.»
Astoria
annuì, ma preferì non commentare.
«Capisco. Sono d’accordo con te, però.
Nemmeno io credo sia una buona idea, continuare questo
matrimonio.»
«Farsa.»
mormorò lui piano, ed il viso confuso di Astoria lo
costrinse a ripetersi a
voce più chiara. «Farsa.
Così, l’hai
chiamata.»
L’espressione
di sua moglie si rilassò. «Ero…
ero… non so nemmeno io cos’ero, Draco.
Arrabbiata? Furiosa? Stanca? Non lo so. La parola che ho usato
non…»
«Avevi
ragione.» la interruppe. «Era solo una commedia. E
non perché non ti volessi
bene.»
«Non
mi amavi, Draco.»
ribatté lei, per
nulla arrabbiata. «Voler bene ed amare sono due cose
diverse.»
«Lo
ami?» le domandò di getto, senza riflettere. Non
aveva più paura delle sue
possibili risposte. Ora lo sapeva.
Solo adesso lo aveva finalmente
accettato.
«Sì.»
il viso di Astoria si addolcì. «È
bello, sai? Amare qualcuno. Ti fa stare
bene.»
«Per
quello, Astoria, c’è pur sempre il Whisky
Incendiario.» ribatté, stemperando la
serietà di quella conversazione. Non
gli erano mai piaciute le cose drammaticamente serie, sebbene tutta la
sua vita
era stata una successione di drammi e cose serie. Vedeva sua moglie
fare il
possibile per trattenersi, le smorfie sul suo viso erano davvero
comiche, ma
alla fine non ce la fece. Scoppiò a ridere, e lui la
seguì ben presto, evocando
una bottiglia di quel liquore.
«Sei
diventato divertente,
Draco?» gli
chiese, tra un colpo di tosse e l’altro. «La
Weasley deve davvero farti bene,
allora. Certo, a meno che tu non ti voglia votare ad una vita da alcolizzato. Oh, già mi
immagino la
faccia di Lucius!» rise ancora, quasi incapace di smettere.
Era
strano trovarsi lì a ridere insieme, pensò Draco,
guardando sua moglie. No, moglie non
più. Non era mai accaduto
che fossero così tanto… qual era la parola? Complici.
Doveva ammetterlo, sentire la risata di Astoria era piacevole. Si
rabbuiò,
pensando che non l’aveva sentita abbastanza spesso, in
passato.
E
qual era, la sua, di
risata?
Si trovò a domandarsi, rendendosi conto di non
averla mai sentita, mai una volta in tutti quegli anni ad Hogwarts.
Anche
perché probabilmente, se l’avesse fatto,
l’avrebbe di certo schernita e presa
in giro, sicuramente davanti a spettatori. E lei l’avrebbe
prontamente
Schiantato. Draco sospirò, guardando velocemente a terra.
Era stato davvero uno
stronzo, a quei tempi.
Non
sei così
importante.
La sua Mezzosangue.
«Se
non sapessi davvero di essere cresciuto, Astoria, lo farei solo per
gustarmi
l’espressione di mio padre.» sorrise ad un punto
imprecisato del salone. Anche la
Weasl… Hermione ne avrebbe riso?
«La disgustata
espressione di mio
padre.» aggiunse, correggendosi.
«Piacerebbe
anche a me, vederla.» commentò lei. «Ah,
dimenticavo. Ti è arrivato il gufo dal
Ministero?»
Il
biondo annuì. «Sì, per Scorpius.
Vogliono vederci entrambi domattina. Anche ad
Hogwarts la prossima settimana.»
«A
quanto pare, in questi giorni dovremo stare vicini.»
commentò neutra Astoria.
«E
te ne dispiace?»
«Credevo
di sì.» ammise lei sinceramente.
«Credevo che vederti così presto mi avrebbe
fatta arrabbiare, ed innervosire. Ma invece non è
così.»
«Devo
ammetterlo, mi aspettavo non so quali fatture appena ti sei
Materializzata.»
confessò. «Ed in parti del corpo non propriamente
baciate dal sole.»
«Oh,
credimi Draco. La mia intenzione era proprio quella.»
rise quando lo sguardo preoccupato di suo marito corse
alla sua bacchetta stretta tra le dita. «Ma mi hanno fatto
capire che non era
il caso, di affatturarti. Terence, esatto. E poi, è
probabile che la Weasley me
l’avrebbe fatta pagare cara.»
«Vorrei
incontrarlo anch’io, Astoria.» mormorò
lui, ignorando volutamente l’ultima
frase. «Voglio conoscere l’uomo che ha fatto
innamorare mia moglie.»
No,
moglie non più.
«Lo
sai, vero, che sembra una cosa poco carina detta
così?» gli fece notare. «Per
me va bene. Glielo chiederò.»
«Cosa
c’è?» le domandò lui, quando
si accorse che Astoria lo fissava in una maniera
strana.
«Sembri
davvero cambiato, Draco. In così poco
tempo.»
Lui
scosse la testa, adocchiando la bottiglia di Whisky ancora integra.
«Sono
sempre lo stesso, Astoria.» ribatté.
«Solo che qualcuno mi ha detto di scendere
a compromessi, se desidero davvero qualcosa. Ed è quello che
voglio fare, e che
sto già iniziando a fare.»
«Mi
dirai poi se quel qualcuno aveva ragione.» sorrise lei,
frugandosi in tasca.
Gli porse la chiave della Gringott. «Non ho preso nulla,
Draco.»
Lui
la guardò stupito. «Credevo che fosse questa,
quella che volevi.»
«All’inizio,
forse sì.» gli confermò. «Ma
mi sono resa conto - o meglio, Terence me l’ha
fatto capire - che prendere ciò che non è mio
equivarrebbe a rubare, ed io non
sono una ladra.»
«Lo
sai che potevi farlo. Al contrario di quanto avevo detto, non me la
sarei
presa. Metà di quello che c’è
lì dentro è tuo di diritto, Astoria.
L’altra metà
è di Scorpius.»
Lei
lo guardò confusa. «E per te?»
«Io
ho già tutto quello che potrei desiderare.» le
rispose, indicandosi intorno.
«Ho questa casa. Non vorrei niente di
più.»
«Ma…»
«Va
bene così, Astoria.» Draco la interruppe,
agitò la bacchetta e due bicchieri
apparvero; l’agitò nuovamente e questi si
riempirono da soli. Ne prese uno,
offrendo l’altro alla donna che era
stata
sua moglie. «Ai compromessi.»
Non
sei così
importante.
La sua Mezzosangue.
Sei
così…
«No,
Draco.» lo corresse lei, accettando quel brindisi. Lo
guardò negli occhi, ed in
quelli grigi di lui non vide altro che tranquillità.
«Ai cambiamenti.»
…
importante.
***
Le
cose non sarebbero dovute andare in quel modo.
Non
che fosse un male, che avessero seguito proprio quella strada, ma non
era così
che le aveva pensate quando aveva iniziato quel qualcosa di
irrimediabilmente
definitivo che a lungo aveva meditato e che solo ora aveva trovato il
coraggio di
fare.
Non
c’era nulla, che non avrebbe fatto per lui. Non avrebbe
esitato a mentire, e
non avrebbe battuto ciglio di fronte alla collera di suo marito. A
lungo
andare, se ne sarebbe fatto una ragione. Certo, suo figlio ormai era un
adulto,
ma per lei sarebbe stato lo stesso bambino che piangeva per un gufo e
che si
credeva irrimediabilmente superiore agli altri, plasmato da suo padre a
sua
immagine e somiglianza.
Quanti
errori che avevano commesso. Solo ora se ne accorgeva, ma per sua
fortuna non
era troppo tardi. Avrebbe potuto rimediare, poteva ancora…
Avrebbe
fatto di tutto
per lui.
Suo
marito si Materializzò davanti a lei, livido in volto. Non
aveva voluto che lo
accompagnasse, sebbene immaginasse benissimo quanto avrebbe voluto
stare vicino
a suo figlio, ma non gliel’aveva permesso.
Queste
sono cose che non
ti riguardano. Non ti immischiare.
E
lei aveva obbedito, come aveva sempre fatto fin da prima del loro
matrimonio.
Un altro errore irrimediabile. A distanza di anni, non poteva non
considerarlo
uno sbaglio di gioventù. Era stata accecata dalle sue
lusinghe e dalle sue
promesse di un mondo magico più selettivamente
puro, ma allora era giovane. Non comprendeva bene a cosa
sarebbe poi andata
incontro. Ma ora sì, che lo capiva. E voleva rimediare.
Aveva già cominciato a
farlo.
Avrebbe
fatto di tutto
per lui.
Voleva
che suo figlio fosse felice, realmente felice, conscia che nessuno
più di lui
lo meritasse. Non le importava quali carte avrebbe dovuto giocarsi,
né di quali
e quanti assi aveva ancora nella manica, ma se fosse stato necessario
lei di
certo non si sarebbe tirata indietro.
«Un
solo figlio sei riuscita a darmi, ed è un misero
inetto.» la accusò lui
arrabbiato. Camminava avanti ed indietro per il salone sempre
più furiosamente,
incapace di fermarsi. Avrebbe potuto farlo lei, ma non voleva rischiare
di
farlo infuriare ulteriormente, più di quanto già
non fosse.
«Un
incapace. Un buono a nulla.»
«Lucius.»
«Un
peso, ecco che
cos’è!»
«Lucius.»
«Non
è capace nemmeno di tenere in piedi uno stupido
matrimonio.»
«Lucius.»
«Cosa
vuoi?» si rivolse a lei alzando ancora di più la
voce, innervosito per essere
stato interrotto in quel suo così benevolo
elenco di qualità su suo figlio. Lei non gli diede peso, ma
non poté trattenere
una smorfia seccata.
«È
arrivata questa, per te. Dal Ministero.» gli porse una
lettera consegnata pochi
minuti prima che lei si incontrasse con la Potter. Lucius
l’afferrò
prontamente, stupito che qualcuno al Ministero potesse scrivergli.
«Il
Ministero? Cosa vuole ora da me…» aprì
la missiva e la scorse velocemente.
«Perfetto. Hanno saputo ciò che è
successo con tuo figlio.»
sputò, accartocciandola e gettandola in terra.
«Non so
cosa io c’entri con questa storia, ma vogliono vedermi
domattina.»
Narcissa
attese che suo marito si allontanasse, prima di sincerarsi su
ciò che vi era
davvero scritto su quella pergamena.
Sig.
Lucius Malfoy,
date le ultime vicissitudini
accadute nella sua e nella famiglia Greengrass, il Ministero la
convoca, tra
gli altri interessati, per domattina alle ore dieci.
Le
bastò leggere questo, per capire che ora poteva agire e
comportarsi finalmente da madre.
Aveva atteso anche troppo.
Avrebbe
fatto di tutto
per lui.
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Capitolo 5 *** Nomi ***
Nomi
Quella
sera, Draco faticava ad
addormentarsi.
E non perché non fosse stanco : era
convinto che appena la sua testa avesse toccato la morbidezza del
cuscino ed il
suo corpo il tepore delle coperte, sarebbe crollato nel sonno. Ma
così non era
stato, con suo enorme disappunto. Ed ora si ritrovava a fissare il
soffitto da
ore, incapace di chiudere gli occhi. Erano i suoi pensieri, a tenerlo
sveglio.
La sua mente vagava tra i ricordi di quella giornata, evocandone ogni
singolo
istante e facendogli rivivere ogni secondo, ogni parola pronunciata e
sentita,
e sembrava concentrarsi in particolar modo sulla serata appena
trascorsa,
passata in parte con Astoria.
Era stato strano stare
così in sua compagnia. Draco non ci era affatto abituato,
colpa delle numerose volte in cui aveva preferito lasciarla da sola in
quella
stessa villa, in compagnia di sé stessa, per fare
altrettanto lui stesso. Ed
ora, a stare da solo in quella grande enorme casa era lui. Quasi gli
venne da
ridere, al pensiero di come le circostanze si fossero rovesciate.
Doveva ammettere che, però, Astoria
aveva ragione. Ogni singola parola che le era uscita dalla bocca
corrispondeva
al vero, ed ormai nemmeno Draco stesso poteva più negarlo.
Non avrebbe più
avuto senso farlo, pensò mentre si girava da una parte
all’altra del letto.
Ma forse era solo la stanchezza, a
parlare per lui.
Era stanco di sentirsi indicare la
direzione da prendere, come se lui non avesse abbastanza giudizio da
poter
scegliere da solo; era stanco di sentirsi obbligato a soddisfare le
aspettative
dei suoi genitori, come del resto aveva sempre fatto fin dalla nascita;
era
stanco di non poter utilizzare quell’organo che era il
cervello nelle decisioni
che riguardavano la sua vita; era semplicemente stanco di tutto.
Si rese conto che era davvero così.
Durante tutta la sua vita, Draco aveva
seguito un percorso che gli era stato tracciato in precedenza, forse
addirittura prima della sua stessa nascita, e con il passare del tempo,
gli era
sembrato di non avere scelta. O forse era lui, a non averla desiderata.
Si
chiese come sarebbe andata la sua vita, se fosse stato libero di
scegliere.
Sarebbe comunque arrivato a quel momento, da solo e circondato da
nient’altro
che mobilia, a riflettere sulla sua vita? Se le sue scelte fossero
state
diverse, se non avesse avuto così paura di deludere i suoi
genitori, avrebbe
avuto comunque quel segno sul suo avambraccio sinistro? Gli sarebbe
stato
ordinato comunque di uccidere Silente, per rimediare agli errori di suo
padre?
Forse sarebbe stato comunque un
Mangiamorte. Forse avrebbe tentato comunque di adempiere a quel
compito. Forse
avrebbe lo stesso sposato Astoria, ed avrebbe avuto comunque Scorpius.
Ad ogni modo, non poteva biasimare ciò
che ormai era successo. Che l’avesse davvero voluto, o
desiderato, poco
importava. La sua vita era andata così, e con il senno di
poi non l’avrebbe mai
cambiata.
Però poteva cambiare il suo futuro.
Era adesso, che aveva davvero la
possibilità di scegliere. No, la libertà
di farlo. Per quanto amasse ed onorasse i suoi genitori, non poteva
più permettere
che decidessero per lui. La sua vita era affar suo, e di nessun altro.
Per la prima volta, si rese davvero
conto che era libero. Libero di errare e commettere errori, libero di
compiere
stupidaggini per poi rimediare, libero di agire, conscio che nessuno -
nemmeno
Lucius e Narcissa - avrebbero potuto dirgli alcunché. Era
padrone della sua
vita.
Da
quanto?
Da tanto, Draco.
No,
da adesso.
Avrebbe potuto finalmente scegliere,
cambiare tutto quello che era e tutto quello che era stato in passato.
Avrebbe
dovuto cogliere questa opportunità per essere ascoltato. Ma
la domanda era :
che cosa voleva veramente?
Non aveva mai avuto aspirazioni, nella
sua vita. Essere un bravo figlio era il massimo cui aveva desiderato,
essere
rispettato da tutti la sua maggiore ambizione. Non sapeva se fosse
realmente
riuscito in entrambe le cose, ma suo malgrado ce l’aveva
messa tutta per
riuscirci. Ma cosa gli rimaneva, oltre a questo?
Draco sapeva che la noia e la solitudine
erano cattive compagnie a lungo andare, lo aveva provato sulla sua
pelle e
continuava a sentirlo tuttora, e non voleva più sentirsi
emarginato e relegato
a qualcosa che ormai non era più da tempo.
Purosangue.
Serpeverde.
Mangiamorte.
Era
davvero tutta una questione di
etichetta, si trovò a chiedersi, o era la consuetudine a
condizionare il modo
di essere di una persona?
Mezzosangue.
Grifondoro.
No,
realizzò Draco, le etichette non
valevano così tanta afflizione per nessuno. E lui non voleva
sentirsi così, non
in quel momento, e forse mai più. Poteva davvero cambiare,
poteva realmente
smettere di essere quella persona, quella orribile persona, che tutti
credevano
fosse. Ma come? In che modo avrebbe potuto dimostrare a sé
stesso di voler
cambiare?
Draco si coprì gli occhi con un braccio,
stanco di tutti quei pensieri ma desideroso di trovare un punto di
svolta. Fu
la sua mente, a suggerirgli la maniera : l’immagine del volto
della Granger gli
apparve dietro le palpebre chiuse, e fu costretto ad aprire gli occhi
di
scatto, come di scatto si trovò seduto sul suo letto.
La Granger… che fosse lei, la soluzione
che tanto cercava? Sarebbe stata in grado di dimostrargli che si
sbagliava, sul
proprio conto, aiutandolo a non essere più quello che era?
Era
vero,
si rese conto mentre si accendeva una sigaretta per aiutarsi a rimanere
lucido,
la desiderava, e
quell’immagine ne
era la prova, che lui lo volesse o meno. Astoria aveva ragione,
l’aveva sempre
avuta.
È
una Mezzosangue.
Sciocchezze. Il sangue non dev’essere l’unica
cosa ad avere importanza.
È bello, sai? Amare qualcuno. Ti fa stare bene.
Ma
come convincerla ad aiutarlo, senza
esporsi davvero? Sentiva il bisogno di cambiare, questo sì,
ma la dignità lo
bloccava. Era pur sempre un Malfoy.
Deridere,
minacciare,
macchinare e manipolare…
Di nuovo fu la sua mente a suggerirgli il modo di agire, e si diede
dello stupido per non averci pensato prima. Forse c’era un
modo, per aiutarsi a
convincerla. Non era convenzionale, certo, ma cosa di lui lo era? Non
aveva mai
detto di essere corretto, né tantomeno l’aveva mai
pensato o dato a vedere. E
perché questa volta sarebbe dovuto essere diverso?
Se si desiderava una cosa, bisognava fare di tutto per ottenerla. Poco
importava come. Questo, gli avevano sempre insegnato. E lui la voleva.
Avrebbe
usato qualsiasi mezzo, lo sapeva bene. E presto
l’avrebbe saputo anche lei.
Spense la sigaretta ormai consumata, afferrò
senza indugiare
la bacchetta dal comodino, nella mente e davanti agli occhi solo lei ed
il suo
viso - la sua
Mezzosangue, Hermione - si
concentrò e pronunciò l’incantesimo che
mai avrebbe pensato di usare.
Mentem Incedo.
E,
finalmente, si addormentò.
***
Hermione.
Era
questo il suo nome. Per quanto ne sapesse lei non l’aveva mai
cambiato, era sempre
rimasto quello fin dalla nascita, per quanto strano ed insolito potesse
essere.
Granger,
Hermione Jean.
Granger,
non Hermione. E tantomeno non Jean.
Granger.
Ed allora per quale assurdo motivo il suo nome - nome,
non cognome - era
uscito dalla bocca di Malfoy? E da quando aveva iniziato a chiamarla
davvero
per nome?
Malfoy!
Granger…
A
questo, si era abituata ad Hogwarts con il passare del tempo. Al
cognome di lui
pronunciato da lei con stizza e rabbia, e a quello di lei pronunciato
da lui
con scherno e derisione, non di certo ai nomi.
Non sapeva cosa pensare, non se ne sapeva spiegare il motivo.
Perché un motivo
ci doveva essere sicuramente,
dietro.
Uno appartenuto alla Casa di Serpeverde, non poteva fare niente per
niente.
Malfoy
non faceva mai niente per niente, rettificò mentalmente. Ma
qual era, questo
motivo? Nonostante i suoi sforzi, non era riuscita a trovarne nemmeno
uno che
potesse essere vagamente plausibile.
Aveva
ipotizzato incantesimi e fatture alle quali Malfoy poteva essere stato
sottoposto contro la sua volontà, ma poi ci aveva riflettuto
più attentamente e
si era data mentalmente della sciocca : Malfoy aveva pronunciato il suo
nome
mentre lei si stava Smaterializzando da casa sua. Mentre,
non prima.
Hermione era arrivata ad una sola spiegazione : non voleva che lei
sentisse. Ma
questo, per lei, risultò essere molto peggio.
Era
sempre stata una persona razionale, a volte anche fin troppo, eppure
tutti i
suoi ragionamenti l’avevano portata ad una sola domanda.
Perché?
Poteva
accettare che fosse stata una svista da parte del biondo. Doveva esserlo. Ed anche il fatto che
avesse voluto che lei
restasse a sentire il dialogo con suo padre… per quale
motivo si era comportato
così, verso di lei?
Perché
hai voluto che
rimanessi a sentire, Malfoy?
Non saprei, Granger.
Oh,
lei non ci avrebbe scommesso. Lo sapeva eccome. Malfoy era un
manipolatore
bugiardo che meditava e calcolava a lungo le sue mosse, prima di
compierle. Di
una sola cosa era estremamente sicura : Malfoy non sapeva
essere sincero. Ed allora perché gliel’aveva
mostrata, così
tanta sincerità?
Ripensò
al riflesso che aveva scorto in quegli occhi grigi, vedendolo per la
prima
volta : ammirazione, sincera
ammirazione. Non ci aveva mai fatto caso, negli anni,
all’espressività di
quegli occhi. Il solo fatto che fossero grigi
avrebbe dovuto indurla a pensare che fossero tutto meno che eloquenti,
dato il
colore, ma non era così; ed il solo fatto che appartenessero
al biondo avrebbe
dovuto farla girare dall’altra parte ignorandone il
proprietario. Ma nemmeno
questo era stato esattamente così.
Aveva
sempre risposto ai suoi insulti, ai suoi dispetti ed alle sue
frecciatine :
erano stati tutti comportamenti che, a quei tempi, l’avevano
fatta
letteralmente imbestialire. Malfoy era sempre stato saccente e
indisponente,
viziato e maleducato, infantile e mille altri termini che al momento
non le
venivano in mente, e questo era bastato a giustificare le sue azioni e
il suo
comportamento.
Fin
dalla prima volta che si erano incontrati, Hermione l’aveva
immediatamente
detestato a causa del suo credersi superiore a tutti gli altri e
all’atteggiamento che ne era conseguito.
Era
semplicemente fastidioso, ecco
cos’era Malfoy. Eppure, ora poteva affermare con sicurezza
che fosse cambiato
dai tempi di Hogwarts.
In
tutti quegli anni non si erano frequentati molto : anzi, non si erano
frequentati affatto, e questo aveva permesso ad Hermione di conservare
un
davvero brutto ricordo di quel biondo che l’aveva fatta
innervosire infinite
volte. Però, doveva ammettere che il Malfoy che ricordava
stonava
indiscutibilmente con il
Malfoy che
aveva incontrato poco prima. E tra i due tipi di Malfoy che aveva avuto
la sfortuna di conoscere, senza
dubbio
sceglieva il secondo.
E
non perché non l’avesse affatto insultata,
insistendo con quella faccenda della
Mezzosangue, ma perché l’aveva fatto senza
cattiveria. Il che era un avvenimento alquanto insolito, per
uno come lui.
Merlino, aveva persino mostrato gentilezza,
nei suoi confronti!
Sarà
stato sotto Imperius, senza dubbio.
Quello che aveva incontrato poco prima non poteva davvero essere quel
Malfoy,
si ritrovò a pensare, mentre frugava nella borsa alla
ricerca della sua
bacchetta. Si accigliò, non trovandola. Ma dove diamine era
andata a finire?
Che
l’avesse lasciata nel suo ufficio al Ministero? No,
rifletté, quando se n’era
andata da lì l’aveva con sé.
Villa
Malfoy! Ecco dove doveva trovarsi la sua bacchetta. L’aveva
dimenticata nei
sotterranei di quella casa, troppo incredula a ciò che aveva
nascostamente sentito per ricordarsi
di
prenderla. Si diede della sciocca : mai stare senza bacchetta. Certo,
ormai non
c’era tutta questa necessità di portarla sempre
dietro come anni prima, ma
Hermione era diventata prudentemente puntigliosa e aveva sempre
continuato ad
averla addosso. Quindi come diamine aveva fatto, a scordarsela
lì?
Guardò
l’orologio sperando di fare ancora in tempo per recuperarla
subito, ma ormai
era tardi : Ron sarebbe arrivato da un momento all’altro con
Hugo, e lei voleva
farsi trovare a casa, come aveva sempre fatto da quando era diventata
moglie
prima e madre poi.
Pazienza,
pensò, per una volta non sarebbe accaduto nulla.
L’avrebbe presa l’indomani.
«Mamma!»
Sul
volto di Hermione si aprì un sorriso al sentire il suono
della voce di Hugo.
Lui le corse incontro, quasi rischiando di cadere pur di abbracciarla
il più
velocemente possibile.
«Rallenta,
tu!» lo sgridò Ron, apparso in salotto subito dopo
il figlio. Hermione rise,
contenta di rivedere la sua famiglia dopo un’intera giornata
in cui era stata
lontana da loro. L’amore di Ron e il calore
dell’affetto di Hugo non l’avrebbe
cambiato con niente al mondo.
«Guarda
cosa mi hanno regalato i nonni!» esclamò eccitato,
mostrandole un giocattolo
Babbano. «E mi hanno fatto vedere la tevi…
telive…»
«Televisione,
Hugo.» Ron corse in suo aiuto, scuotendo la testa.
Il
piccolo annuì ripetutamente, contento che qualcuno
l’avesse salvato
ripetendogli il nome di quell’oggetto. «La telivisione!»
Hermione
scoppiò a ridere, rinfrancata dall’entusiasmo di
Hugo dopo una giornata pesante
come era stata quella. «Davvero? E cosa hai visto?»
«Era
un film, mamma. Un film di fantasmi!» esclamò il
bambino, gli occhi spalancati.
«Papà, come si chiamava? Non me lo
ricordo.»
«Ghostbusters.»
«Sì!
Ghost… quello lì! C’erano tanti
fantasmi… alcuni erano davvero tanto cattivi,
però.»
Hermione
gli sorrise, e tornò ad abbracciarlo. Ron fece lo stesso con
entrambi, dopo
essersi scambiato un saluto con sua moglie.
«Bleah! Perché
dovete baciarvi così tante volte!»
esclamò ancora Hugo, guardandoli. Ron gli
scompigliò
i capelli rossi identici ai suoi, meritandosi un’occhiataccia
dal bambino. «Mamma,
posso andare da Lily? Le ho promesso
che l’avrei aiutata in
qualche magia!»
Hermione
sorrise al tono saccente vagamente familiare di Hugo, dandogli il permesso.
«Va bene. Zia Ginny sa quando deve riportarti
indietro.»
Ron
si schiarì la voce, imbarazzato. «Veramente le ho
chiesto se poteva tenercelo
fino a domani.» le confessò, il volto ancora
più rosso dei capelli suoi e di
quelli di suo figlio messi insieme. Si avvicinò
all’orecchio di sua moglie, per
non farsi sentire da un Hugo decisamente impaziente di incontrare la
cugina.
«Ho qualche idea nient’affatto male.»
Le
guance di Hermione si imporporarono lievemente, capendo subito quale
tipo di
idea suo marito avesse in mente. Forse era questo, che le ci voleva per
scrollarsi di dosso la pesantezza di quella giornata : stare
semplicemente con
suo marito. Godersi i suoi baci e le sue carezze, abbandonarsi a lui e con
lui, per dimenticare quella stessa giornata.
Hermione
lo guardò negli occhi, e trovò quelli di suo
marito ad attenderli. Erano così
luminosi, quella sera…
Come
il grigio. Come
gli occhi grigi di lui.
Hermione
si accigliò, non capendo da dove saltasse fuori quel
pensiero e domandandosi
per quale assurdo motivo la sua mente avesse liberamente
scelto di evocare gli occhi del biondo proprio in quel
momento, o più semplicemente di pensarci, a Malfoy.
Ammirazione.
Era
questo, che aveva visto negli occhi di suo marito e che immediatamente
l’avevano riportata indietro, quando gli occhi del biondo
l’avevano guardata
nello stesso modo. Ma c’era dell’altro che Ron le
stava comunicando con lo
sguardo, oltre alla profonda ammirazione verso di lei. C’era
amore, c’era
complicità nei suoi occhi. C’era passione.
Hermione
deglutì. Davvero quegli occhi grigi erano così simili a quelli di Ron in quel momento?,
si domandò. Scosse
impercettibilmente la testa. No, non poteva essere. Si stava senza dubbio sbagliando.
Si
costrinse a rivolgere un sorriso a suo marito che la guardava in
attesa, ma la
sua voce era molto meno sicura rispetto a prima, quando
tornò a parlare.
«Fai
in fretta.»
Note.
Le
frasi pensate da Draco, quali “Avrebbe
potuto finalmente
scegliere, cambiare tutto quello che era e tutto quello che era stato
in
passato
e avrebbe
dovuto cogliere questa opportunità per essere ascoltato.”
sono liberamente tratte da Time is
running out dei Muse.
L’incantesimo Accedo Mens
pensato da Malfoy è simile alla Legilimanzia,
ma se questa permette solo di vedere il contenuto
della mente, l’Accedo
permette invece
di farne parte e manipolarla. Non conosco il latino, non avendolo mai
studiato,
per cui se le parole fossero scorrette fatemelo sapere e
provvederò a
rimediare. L’incantesimo non esiste in nessuno dei libri,
è stato inventato per
necessità della storia.
Sempre per necessità ho dovuto tagliare
questo capitolo in due parti, altrimenti avrebbe rischiato davvero di
essere
noiosamente lungo. Per il prossimo, è probabile che sia
costretta a cambiare
rating a tutta la storia, ma non avendolo ancora terminato non saprei
dirlo con
certezza. Spero che, comunque, non sia un problema.
Grazie per essere arrivati fin qui, ed
al prossimo capitolo.
Edit : Grazie a ElectraDuPre che mi ha gentilmente permesso di rimediare all' Accedo Mens errato, fornendomi la versione più corretta, ovvero Mentem Incedo.
|
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Capitolo 6 *** Colori ***
Colori
L’aria
profumava di pergamena nuova.
L’odore
che tanto amava era dappertutto : la circondava come una carezza, le
avvolgeva
la pelle e le solleticava il naso.
La
stanza era semibuia, illuminata fiocamente da alcune candele quasi del
tutto
consumate ma che all’inizio erano state intonse, e percepiva
di non essere da
sola. Non aveva idea di chi ci fosse, lì insieme a lei, ma
Hermione sentiva che
- chiunque fosse - poteva fidarsi, e non se ne sapeva spiegare il
motivo.
Avrebbe dovuto avere paura, a trovarsi in un luogo che non conosceva e
per di
più quasi al buio, ma quella sensazione le sembrava lontana.
Sapeva,
era stranamente cosciente che nulla di quello che sentiva era davvero
reale -
nella realtà mai si sarebbe sognata di trovarsi in una
simile situazione -
eppure quel momento le sembrava decisamente più vivo di molti altri istanti che aveva
vissuto.
Davanti
a lei c’era solo il buio, eppure la sua vista non era mai
stata così tanto
perfetta.
Poteva
distinguere ogni suo gesto, poteva percepire ogni suo minimo
spostamento.
Era
buio, davanti a lei, eppure vedeva.
Vedeva
i suoi abiti dissolversi improvvisamente, vedeva la sua figura che le
si
avvicinava, vedeva le sue braccia che presero a stringerla, vedeva la
sua bocca
sfiorare ed impossessarsi della sua, ma soprattutto vedeva quegli occhi.
Vedeva grigio.
Ogni
sospiro, ogni parola, ogni carezza accennata e data : i suoi sensi non
erano
mai stati così accentuati ed intensi, come intensi erano
quegli occhi grigi la
guardavano dall’alto, scrutandola seri ma coscienti della
situazione in cui si
trovavano.
Sto sognando?
Sì.
Niente di tutto questo è reale.
Le sue mani la accarezzavano lentamente,
non tralasciando nemmeno il minimo lembo di pelle. E queste, si
domandò, erano
reali? Esistevano davvero, o erano evanescenti come presto lo sarebbe
stato
quel sogno?
Le labbra di lei che percorrevano quella
pelle pallidamente bianca, i muscoli che si tendevano ad ogni passaggio
della
sua bocca, i capelli ingarbugliati ai quali le mani di lui si
aggrappavano, evitando
una caduta alla quale - loro malgrado - presto entrambi sarebbero
giunti, erano
reali.
I sospiri, i singhiozzi ed i gemiti che
lui le provocava esistevano davvero. Erano veri, e lei sapeva che non
avrebbe
potuto dimenticare tanto presto tanta realtà.
Le
sue dita, le sue mani, i suoi occhi, il suo viso e tutto il corpo che
sentiva
schiacciarla senza però farlo davvero, la stava trascinando
verso un fondo dal
quale sarebbe stato difficile risalire. Non
avrebbe dovuto permettergli di
torturarla così dolcemente, non
riusciva a respirare ma si sentiva bene.
Stava bene.
Per
la prima volta nella sua intera vita, poteva essere un’altra
Hermione,
un’Hermione diversa da quella che tutti conoscevano e che era
sempre stata. In
quel momento, insieme a lui, non esistevano rancori, rimorsi e
pregiudizi. Non
esistevano pensieri. Esistevano solo loro, le candele che li
illuminavano
fiocamente, i loro respiri spezzati ed i loro gesti frenetici, entrambi
ansiosi
di raggiungere quel punto nel quale avrebbero voluto rimanere a lungo.
I
francesi la chiamavano la piccola morte.
Nessun
altro termine avrebbe potuto descrivere più chiaramente
ciò che si accingevano
a provare, i gesti sempre più febbrili e le mani sempre
più affamate le une sul
corpo dell’altro.
Hermione
non avrebbe dovuto permettergli di conquistarla completamente,
adesso non
riusciva ad uscire da quel sogno, e non riusciva a credere che si
sentisse bene.
Devo
svegliarmi.
Non
puoi.
Le
braccia di lui tornarono a stringerla in una morsa alla quale si
abbandonò
volentieri, la testa bionda appoggiata sul suo petto ed affidata alle
carezze
delle mani di lei e gli occhi grigi sollevati ad incontrare i suoi, i
respiri
di entrambi ancora accelerati. Le sue labbra erano rosse, quelle di lui
un
riflesso delle sue, talmente tanta era stata la voracità con
la quale lui le si
era avvicinato e se ne era appropriato. E tornarono ad accostarsi alle
sue,
sfiorandole appena, fuggendo a quelle di lei che cercavano di
trattenerle mai
sazie, trasformandosi in un sorriso.
Il
bacio che si scambiarono era dolce e lento, non affrettato ed ingordo
come
erano stati molti altri in precedenza, ed Hermione riconobbe in quel
gesto un
addio. Sentiva i suoi muscoli risvegliarsi dal sonno in cui era
scivolata, ma
lei non voleva ridestarsi. E
nemmeno
lui, che continuava a stringerla come se non avesse voluto
più lasciarla
andare, voleva mettere fine a tutto quello.
Non voglio svegliarmi.
Non puoi.
Ma ne erano coscienti entrambi, che
presto sarebbe finito tutto. Si sarebbero svegliati, e sarebbero
tornati alla
loro vita di sempre.
Voglio stare qui.
Chiudi gli occhi.
Hermione
lo guardò ancora negli occhi, imprimendosi tutte le
sfumature di quel grigio
che l’avevano affascinata durante tutto il tempo che avevano
passato assieme,
ma sapeva che il risveglio era vicino.
Non voglio che finisca.
Nemmeno io.
E
fu lui, a dire addio a quello che non era altro che un sogno, ma che
per lei
aveva la parvenza di un incantesimo, consci entrambi che non sarebbero
riusciti
a dimenticare ciò che era accaduto.
Apri gli occhi.
Non avrebbero potuto.
***
Camminava
svelto per il vicolo grazie al
suo solito bastone dal quale non sembrava separarsi mai. Nonostante
potesse
affermare con sicurezza, e nessuno poteva dire il contrario, che quel
luogo
fosse come la sua seconda dimora, date le infinite volte con il quale
aveva
avuto a che fare, non era a conoscenza di quella parte del
sottoquartiere.
Era buio, più buio rispetto al quale lui
era abituato, e proprio per questo avrebbe dovuto sentirsi al sicuro.
Dopotutto, pensò, si trovava bene al buio. Lo faceva sentire
a casa.
Girò l’ennesimo angolo del vicolo, e il
tono già smorzato delle luci si abbassò
ulteriormente. Questo iniziò a renderlo
nervoso, e si sentì più al sicuro solo quando
percepì la presenza materiale
della sua bacchetta, recuperata dall’interno del suo bastone.
Sentì dei passi, dietro di sé, e si
voltò di scatto. Quella stradina, però, era
deserta. Li aveva immaginati, quei
suoni? Impugnò la bacchetta, pensando che la prudenza, in
certi casi - e questo
era esattamente uno di quelli - non era mai troppa.
«Homenum
Revelio.» mormorò piano, cercando di non
farsi sentire. Avrebbe potuto
usare un Incantesimo Non Verbale, certo, ma non era mai stato bravo con
quelli.
Si guardò intorno, avanzando di qualche passo, e si rese
conto di essersi
semplicemente immaginato quei passi. Non c’era nessun altro,
lì con lui.
Si
sbagliò.
Delle
figure nere incappucciate si
Materializzarono dal nulla, ed immediatamente lo circondarono con le
bacchette
puntate contro di lui.
Erano troppi, per un mago solo. Deglutì, aspettando la
prossima mossa di quelle figure per valutare come agire. Come poteva fuggire senza incorrere in uno scontro,
al quale probabilmente avrebbe perso?
Odiava perdere.
Scelse la figura davanti a lui per
guardarla meglio in volto, ma indossava una maschera. Strinse gli occhi
per
vederla meglio, pur rimanendo al suo posto. Sembrava la maschera
di… sembrava
la sua maschera. No, non sembrava :
era.
La sua maschera da Mangiamorte.
Perché era sul volto di quella persona?
Come faceva ad averla, chi gliel’aveva data e quando? Era
convinto che fosse
riposta al sicuro nella sua villa - no, ora quella villa era di suo
figlio -
nella stanza sotto il salotto. Lucius deglutì.
«Chi siete?» chiese, animato da un
coraggio che non gli apparteneva, guardandoli meglio. Le maschere le
indossavano
tutti. Se volevano uno scontro, era esattamente quello che avrebbero
ottenuto.
Ammesso che quello stesso coraggio
non l’avesse fatto scappare prima a gambe levate.
Provò a Smaterializzarsi,
conscio del pericolo nel quale era incappato, ma scoprì di
non riuscirci.
Le figure non gli risposero, e lui provò
con altre domande. «Chi vi manda? Cosa volete?»
«Te, Lucius. Vogliamo te.»
gli rispose qualcuno che non riuscì
a riconoscere, la voce falsificata da qualche incantesimo.
«Non ho fatto niente.» ribatté pronto,
aspettando il momento giusto per scagliare contro di loro la formula
che aveva
in mente.
L’incappucciato di fronte a lui si mosse
in avanti, e Lucius arretrò di un passò
all’indietro. «Sono molte le cose che
non hai fatto, Malfoy.» commentò.
«E
quelle che hai fatto sono state le peggiori.»
Malfoy continuò ad arretrare, ma sapeva
che era inutile tentare di scappare. Le loro voci, seppur ancora
distorte, non
gli sembravano affatto pacifiche, ed il solo fatto che avessero tutti
le loro
bacchette in mano, tutte ancora puntate su di lui, avrebbe dovuto
suggerirgli
di non farli arrabbiare.
Ma lui era un Malfoy. Nessuno avrebbe osato
fargli del male.
Si sbagliò anche questa volta.
«Expelliarmus!»
«Protego!»
urlò difendendosi. Lucius era fin troppo pronto e
reagì prontamente, ma altri
lo erano molto più di lui e, nonostante i suo tentativi per
trattenerla, la sua
bacchetta volò nelle mani dell’incappucciato che
indossava la sua maschera.
«Davvero un’ottima bacchetta.»
commentò,
guardando Lucius negli occhi da dietro le fessure. Lucius
indugiò per qualche
istante, non sapendo bene come comportarsi.
Doveva - voleva - riprendersi la
bacchetta, o doveva - voleva -
fuggire?
Diede un’altra occhiata a quegli
incappucciati, e si rese conto che senza bacchetta non avrebbe fatto
altro che
pochi passi. Allungò la mano, in attesa di riappropriarsene.
L’incappucciato
rise, restituendogliela.
«Che poi non si venga a dire che non
sono leale.»
mormorò quello davanti a
lui.
Tutti gli incappucciati che lo
circondavano puntarono meglio le bacchette contro di lui, ed allora
seppe che
si stava mettendo davvero male per
lui. Il nero dei loro abiti sembravano stringerlo in una morsa, sempre
più oppressiva
man mano che gli si avvicinavano.
«Diffindo!»
urlarono in sincrono. Lucius si aspettava di tutto meno che
quell’incantesimo,
e non fu abbastanza veloce nel difendersi : la sua bacchetta si
spezzò in due e
lui cadde carponi a terra, vedendo davvero nero davanti ai suoi occhi,
gemendo
per le profonde e numerose ferite che quell’incantesimo gli
avevano provocato.
Cercò di riafferrarla con una mano, mentre con
l’altra cercava di mantenere
l’equilibrio, ma era troppo lontana e completamente
inutilizzabile.
La
figura con la sua maschera gli mise la bacchetta sotto il mento
costringendolo
ad alzarlo.
«Sectumsempra.»
mormorò
un attimo dopo che Lucius incrociasse gli occhi quasi neri di chi
l’aveva
attaccato. Quella formula fu l’ultima cosa che udì
e quegli occhi furono
l’ultima cosa che videro,
prima di
cadere definitivamente a terra.
***
Era
sulla bocca di tutti, quella mattina.
Occupava
anche l’intera prima pagina della Gazzetta del Profeta, non
lasciando il posto
a nessun’altra notizia, corredata da foto e addirittura da
interviste a
fantomatici testimoni.
Il
Ministero non era mai stato così pieno, né aveva
mai avuto così tanto da fare
per tranquillizzare la comunità magica per i fatti accaduti
il giorno
precedente. Tutti i funzionari erano stati allertati e messi al
corrente del
piano di evacuazione, ordinato dal Ministro in persona, di quella parte
di
Diagon Alley.
Non
si conosceva ancora il colpevole - o i colpevoli, dato che alcuni
testimoni
giuravano di aver visto più di una persona sospetta nelle
vicinanze - ma il Quartier Generale degli
Auror e
il Dipartimento
della Regolazione della Legge Magica
lavoravano a pieno regime per scoprirne il responsabile.
Il
negozio di Madama McClan era stato
attaccato nel tardo pomeriggio del giorno prima, quando ancora era in
piena
attività. Grazie all’articolo della Gazzetta
del Profeta, il Ministero - e tutta la comunità
magica - era a conoscenza
del fatto che erano state avvistate alcune figure incappucciate nei
pressi del
negozio prima che venisse preso di mira. Alcuni erano sicuri che queste
figure
indossassero delle vecchie maschere da Mangiamorte, e per questo il
Ministero
aveva immediatamente cercato di nascondere quante più
informazioni possibili,
giudicandole prontamente errate o frutto di qualche mente molto
fantasiosa o in
cerca di fama.
«Maschere da Mangiamorte? Non è
possibile, Harry! Sono state tutte confiscate e distrutte dopo la
guerra.»
«Magari non tutte.» ribatté
l’altro,
appoggiandosi alla scrivania di Hermione. «Qualcuna
dev’essersi salvata, se
sono state viste.»
«Non ci crederai davvero? Possono essere
dei falsi.» Hermione lo guardò, e dietro quelle
spesse lenti vide i suoi occhi
bruciare di rabbia.
Occhi
grigi che la guardavano con ira quando si scansava dalle sue carezze.
«È
probabile.» Harry fu costretto ad
annuire, ma rimase della sua idea. «Ma come esserne sicuri?
Lo hai letto anche
tu, l’articolo. Di punto in bianco, Hermione.»
«In effetti è insolito.»
sospirò lei.
«Cosa avete in mente?»
L’espressione insieme contrita e
determinata e le labbra strette di Harry risposero al suo posto.
Labbra
rosse che si trasformavano in una linea sottile quando gli negava la
sua bocca.
«Volete
davvero… cercarle tutte? Harry,
hai idea di quanti Mangiamorte esistevano?»
«La maggior parte sono ad Azkaban.»
ribatté subito l’altro, sicuro delle sue
argomentazioni. «Le loro maschere sono
davvero state distrutte. Ed il
resto…
basterà trovarle. Il Ministro vuole che i nostri Uffici
collaborino.»
«E pensi che la soluzione migliore sia
perquisire tutte le case degli ex Mangiamorte rimasti liberi?»
«Non sono poi molti.» l’Auror
alzò le
spalle. «Voglio prendere il colpevole.»
«Ed io no? Senti, Harry, so che non ti
aspettavi una cosa del genere. Nessuno se l’aspettava, ed il
fatto che si
accaduta è grave, è vero,
ma…»
«Sono state ferite delle persone in quel
negozio, Hermione!» la interruppe l’altro, alzando
di alcuni toni la voce. «Dobbiamo
trovare i responsabili.»
«E lo faremo, Harry. I responsabili
saranno assicurati ad Azkaban.» cercò di
tranquillizzarlo Hermione. «Ma non
abbiamo niente da cui partire. Lo sai anche tu che la Gazzetta del
Profeta non
è del tutto affidabile. Quello che non riesco a capire,
è perché usare proprio
le maschere da Mangiamorte. Perché attaccare ora, e proprio
Madama McClan?»
«Troviamo i proprietari della maschere e
lo sapremo.» insistette.
L’insistenza
e l’urgenza dei movimenti di lui dentro di lei.
Hermione
deglutì, cercando di
concentrarsi su Harry, ma la sua mente vagava e le proponeva dettagli
che di
certo non avrebbe condiviso. «E non credi che, ammesso che
sia vero, le abbiano
già distrutte loro stessi dopo averle usate?»
Harry la fissava da dietro gli occhiali,
non capacitandosi di chi aveva davvero di fronte. «Dobbiamo
fare un tentativo.
Non possiamo stare senza fare niente.»
«Non ho detto questo.» sospirò Hermione,
massaggiandosi le tempie. La giornata era da poco iniziata, e lei
già sentiva i
primi segni di stanchezza. «Va bene, Harry. Tentiamo con le
perquisizioni. Il
Ministro ne è al corrente?»
«È stato lui a consigliarlo.»
«Bene, allora. Dovremmo fare un elenco
dei Mangiamorte liberi e dividerlo tra i nostri Uffici.»
propose, per poi
ricordarsi che la bacchetta era ancora a Villa Malfoy.
«Potresti farlo tu,
Harry? Non ho la bacchetta con me.»
L’altro la guardò, stupito del fatto che
la previdente Hermione andasse in giro senza arma, fece comparire due
fogli già
compilati con l’elenco delle persone a cui fare visita e
gliene porse uno.
Hermione guardò il suo e rilasciò
l’ennesimo sospiro. Forse era ancora in tempo
per scambiare l’elenco con quello di Harry, ma lui
sicuramente avrebbe avanzato
domande alle quali lei non aveva alcuna voglia di rispondere.
«Qualcosa non va?» le domandò Harry,
sinceramente preoccupato. Hermione non sembrava avere una bella cera,
quel
giorno. L’Auror si passò una mano tra i capelli,
in evidente imbarazzo.
Capelli
biondi stretti ed attorcigliati tra le sue dita.
«Non
è niente, Harry. Sto bene.» soffiò
lei, chiudendo gli occhi per pochi secondi.
La guardò meglio, e scosse la testa.
«Dal tuo aspetto non si direbbe. Cioè, non volevo
dire che…»
«Harry, sto bene.» lo interruppe. «Direi
di cominciare le visite, siamo già in ritardo.»
«Ti mando un Auror per sicurezza.»
«Non è necessario.»
«Ma sei senza…»
«Bacchetta. Sì, lo so. Prima di iniziare
vado a recuperarla.»
«Dove l’hai lasciata? Non vai mai in
giro senza.»
«Ecco, ehm… non preoccuparti della mia
bacchetta, Harry. Prima iniziamo, prima potremo trovare i colpevoli.
Forza!»
gli fece segno di andare, e lui non ebbe altra scelta che obbedirle,
non prima
però di averle rivolto un sorriso.
Il
sorriso sul suo volto quando cercava le labbra di lui.
Rimasta
sola, Hermione diede un’altra
occhiata al primo nome dell’elenco e sospirò
ancora, tentando di cancellare
quella strana sensazione che sentiva ed alla quale non sapeva dare un
nome. Non
poteva permettersi alcuna distrazione, però, e questo lei lo
sapeva bene. Ma
dopo la nottata precedente, sapeva altrettanto che le sarebbe stato
difficile
restare fedele a ciò che si era prefissata di fare.
Ed il primo nome sulla sua lista di
certo non sembrava collaborare con lei. Anzi, tutt’altro.
Come avrebbe fatto?
Come avrebbe potuto affrontarlo senza sentirsi in completo imbarazzo?
Certo,
quello che aveva sognato lo sapeva solo lei, e proprio per questo fare
il suo
lavoro le sarebbe stato decisamente più difficile. Peccato
che, però, non
avesse alcuna scelta.
Basta.
Non
doveva pensarci oltre, o davvero le
sarebbe stato impossibile fare qualsiasi cosa. Prese coraggio, e si
Smaterializzò verso il primo ex Mangiamorte della sua lista.
Malfoy,
Draco.
Note.
Non
è stato affatto semplice riuscire a
scrivere questo capitolo, in particolar modo la prima parte. La trama
della
storia è già ben delineata su carta, eppure ci ho
messo giorni per scrivere la
scena iniziale. Avevo detto, nel capitolo precedente, che con questo il
rating
sarebbe potuto cambiare, ma fortunatamente non ce
n’è stato bisogno. Cioè, mi
auguro di essere restata davvero dentro i parametri
dell’arancione e di non
aver sforato nel rosso.
Le
frasi “Non
avrebbe dovuto permettergli di
torturarla così dolcemente, non
riusciva a respirare ma si sentiva bene.”
e “Non avrebbe dovuto
permettergli di
conquistarla completamente, adesso non riusciva ad uscire da quel
sogno, e non
riusciva a credere che si sentisse bene.” sono
tratte, sempre liberamente,
dalla canzone Good Enough degli
Evanescence, grazie ai quali sono riuscita a portare a termine il
capitolo.
La
stanza
sotto il salotto di Villa Malfoy fa riferimento al secondo
libro della
serie, La Camera dei segreti, capitolo 12.
Ultima
nota : ricordate il Sectumsempra.
La formula sarà importante
per i capitoli a venire.
Come
sempre, grazie per essere arrivati
fin qui. Al prossimo capitolo. |
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Capitolo 7 *** Dimostrazioni ***
Dimostrazioni
Il
San Mungo non era
stato così affollato dai tempi della guerra.
Medimaghi correvano
avanti ed indietro, seguiti da familiari preoccupati ed in ansia per le
condizioni di salute dei propri cari, cercando di rimediare alle ferite
dei
degenti.
Alcune erano gravi,
altre meno.
C’erano maghi con parti
del corpo completamente fasciate, tenuti sedati da qualche incantesimo,
ed
altri erano sporchi del sangue versato dai primi, incapaci di
ripulirsi. O
forse non volevano, troppo sconvolti da quello che avevano
subìto.
Anziani, adulti,
bambini… tutte le fasi della vita umana erano presenti
dentro quel negozio, al
momento dell’attacco, vittime in un luogo che ritenevano
sicuro ma che protetto
non era stato.
Ad ogni passo, ad ogni
metro conquistato, Hermione non vedeva altro che lacrime, e non poteva
fare a
meno di sentirsi in qualche modo responsabile, per quello che era
accaduto.
Certo, nessuno si
immaginava che una semplice bottega di abiti potesse essere attaccata
in quel
modo, con così tanta ferocia, eppure era esattamente quello
che era accaduto.
Hermione avanzava tra i
corridoi, nelle orecchie i pianti e brevi resoconti singhiozzati di chi
aveva
visto tutto.
Erano
incappucciati.
Maschere
da Mangiamorte.
Fatture
ustionanti.
Incantesimi
esplodenti.
Sentì
gli occhi farsi
umidi, e si costrinse a muoversi con più
rapidità. Non voleva più vedere tutto
quel dolore. Le era già bastata la guerra, per questo.
Avanzava con gli occhi
fissi sull’ascensore, cercando di concentrare i pensieri sul
motivo che l’aveva
condotta fin lì.
Raggiunse il quarto
piano, uscì dall’ascensore e si ritrovò
con le spalle appoggiate al muro, in
una nicchia creata nella parete. I singhiozzi e le lacrime erano troppo
inarrestabili
perché potesse farsi vedere in quello stato.
Aveva visto cose
peggiori nella sua vita, questo era vero, ma credeva ormai di averle
superate.
Era a questo che era servita la guerra di molti anni prima, ad evitare
che
succedessero ancora fatti come quello di MadamaMcClan, in fondo.
Hermione non
ne era più poi così sicura.
Si passò una mano sul
viso ma sapeva che era inutile, i segni delle lacrime le sarebbero
rimasti a
lungo, e per questo non vide una donna che le passava accanto
rivolgendole un
qualcosa di molto simile ad un sorriso.
Prese un respiro per
calmare i residui dei singhiozzi che ancora le scuotevano le spalle e
proseguì
nel corridoio, fino alla stanza che le era stata indicata
all’accettazione.
Svoltò un angolo, e lì si bloccò.
C’erano solo due persone, lì nella corsia.
Hermione
si ritrovò a pensare che, anche da quella distanza, quei
capelli biondi erano inconfondibili.
Malfoy era seduto e si
teneva il volto tra le mani, mentre l’altra figura - sua moglie? - gli era inginocchiata
davanti, le mani appoggiate
sulle gambe di lui, e gli parlava.
Hermione si prese
qualche istante per osservali. Erano carini insieme, dovette ammettere
a sé
stessa, stavano bene. Cercò di ricordare come si chiamasse,
la moglie di
Malfoy, ma non le venne in mente alcun nome.
La donna si alzò da
terra, guardandosi intorno finché non la vide, seminascosta
dalla parete. Hermione
incrociò i suoi occhi, e sul suo viso lesse solo dispiacere.
Cos’era successo?,
si domandò sperando che non fosse nulla di grave, anche se
il reparto in cui
erano era per degenti tutto fuorché poco gravi, si rese poi
conto.
Vide la donna
avvicinarsi all’orecchio del biondo, mormorargli qualcosa e
la cosa successiva
che Hermione vide furono quegli occhi grigi, dritti nei suoi.
Malfoy si alzò e rimase
in attesa di un suo passo. Voleva che lei andasse dal lui, ed Hermione
obbedì a
quella specie di richiesta mai detta. Mentre camminava, i suoi occhi
non
riuscivano a staccarsi dalla figura della donna : aveva qualcosa che
non le
piaceva, ma non si seppe spiegare esattamente cosa.
«Granger.» la salutò
Malfoy. Aveva la voce roca, tipica di chi ha pianto fino a poco tempo
prima, e
gli occhi spenti. «Cosa
ci fai qui?»
«Cercavo te, Malfoy.»
gli rispose, distogliendo lo sguardo dalla calamita che era la donna
con lui.
«Sono passata dalla tua villa, e l’elfo mi ha detto
che eri qui al San Mungo.»
«Ah. Ti ha ridato la
bacchetta, vero? L’avevi scordata nei sotterranei.»
le chiese, e la donna voltò
il viso di scatto verso di lui.
«Nei sotterranei,
Draco? Ora la fai entrare anche lì?» gli chiese,
la voce velenosa peggio dell’elfo
domestico. Doveva averlo scelto lei personalmente, suppose Hermione,
per essere
così simili.
«Astoria.» la chiamò
lui, la voce dura ed arrabbiata. Era
davvero la moglie. «Non ora.»
«E quando?» chiese
ancora lei. «Draco, dovevamo…»
«No.» ribadì Malfoy.
«Non è il momento adatto.»
Sua moglie incrociò le
braccia al petto, guardandolo con aria beffarda.
«È così, allora… sai,
è tutta
una questione di preferenze, come ti dicevo prima. Anche se la scelta
è
alquanto limitata.» sibilò, guardando Hermione.
«Smettila. Te l’ho
detto, non è il momento adatto.»
ricambiò il sibilo di sua moglie.
«E quando mai lo è per
te, Draco?»
Malfoy si passò
stancamente una mano sul viso. «Granger, ti
dispiace…»
Hermione gli fu grata
per la scappatoia che le aveva offerto, fin troppo contenta di
allontanarsi da
quella donna che le era parsa a dir poco infernale. Scosse la testa,
allontanandosi di qualche metro per evitare di sentire, lasciandoli in
quella
che era a tutti gli effetti una litigata da separati.
Vide Malfoy passarsi numerose
volte le mani tra i capelli quasi bianchi, tra
un’occhiataccia e l’altra -
tutte rigorosamente rivolte a lei - di Astoria, ed Hermione non
capì per quale
motivo un’estranea avesse dovuto avercela così
tanto con lei. Li osservò
parlare fitto, scambiandosi occhiate tra il serio, il nervoso ed anche
il
divertito.
Era
proprio vero,
ragionò lei, trovando
interessantissima una piccola crepa nel muro che prontamente venne
cancellata
dalla sua bacchetta, chi si somiglia si
piglia. E a quei due mancava poco che si pigliassero sul
serio, per i
capelli però. O che iniziassero a lanciarsi fatture ed
incantesimi vari.
Ma Hermione non poteva
dedicare tutto il giorno a qualche scaramuccia tra quasi divorziati,
aveva ben
altre cose da fare, cose decisamente più importanti di
questa. Si schiarì
rumorosamente la voce, ricordando ai signori
Roses la sua presenza, e si avvicinò nuovamente a
loro.
«So che probabilmente
avrete da fare, ma sono qui per un motivo preciso.»
iniziò, non sapendo bene
come continuare. Cosa poteva o non poteva dire, su quanto era accaduto
al
negozio di abiti? Nessuno le aveva detto nulla né imposto
alcuna segretezza e
così optò per la verità, certa che
prima o poi sarebbe comunque uscita fuori.
«Ieri pomeriggio il
negozio di Madama McClan è stato attaccato. Alcuni testimoni
dicono di aver
visto alcune figure incappucciate lanciare numerose fatture ed
incantesimi,
ferendo molte persone.»
Malfoy le annuì, ma
sembrava non ascoltarla realmente. Aveva gli occhi fissi su un punto
imprecisato del pavimento, e soprattutto continuavano ad essere
terribilmente
spenti.
Erano
così diversi da quelli luminosi che aveva sognato…
Hermione
si riscosse da
quel pensiero e ritornò al suo discorso, ma per poco la
testa bionda di Malfoy
non la distrasse ancora. L’aveva alzata di colpo, poco dopo
quel suo pensiero,
ma lei non ci fece caso. Rivolse la sua attenzione alla donna, che le
sembrava
davvero interessata a ciò che stava raccontando. Hermione
strinse di poco gli
occhi, chiedendosi se il suo interessamento non volesse significare un
reale
coinvolgimento nella faccenda.
«Lo abbiamo saputo. Era
sulla Gazzetta di stamani.»
Hermione annuì. «Sì.
Quella però è la versione edulcorata fornita in
accordo con il Ministero. Ci
sono stati molto feriti, e purtroppo non sappiamo ancora chi sia il
responsabile di tutto questo. Alcuni testimoni dicono di aver visto
questi
incappucciati indossare delle maschere. Maschere da
Mangiamorte.»
Hermione divenne ancora
più sospettosa all’occhiata che si lanciarono i
due coniugi Malfoy al sentire
la parola Mangiamorte. Che c’entrassero veramente, in tutta
quella storia? Non
lo sapeva, e doveva assolutamente interrogarli in merito.
«Non è così.» rispose
il biondo, guardandola negli occhi. «Noi non siamo coinvolti
in questa storia.»
Hermione sgranò gli
occhi. Come faceva a rispondere ad una
domanda, se la stava solamente pensando? «Ma
come…»
«Legilimanzia.» spiegò,
alzando le spalle. «Bellatrix era una Legilimens,
me l’ha insegnata lei. Prima di… prima di
Silente.»
«Perché accusate noi?»
domandò Astoria, interrompendoli e fissando incuriosita lei
e Draco. «Che prove
avete?»
«Nessuna. E nessuno sta
accusando i Malfoy.» replicò Hermione.
«Data la presenza di maschere da
Mangiamorte, il Ministro vuole quelle di chi è in
libertà sulla sua scrivania.
Il Ministero le sta solo recuperando.»
«Posso assicurarle,
Weasley - o dovrei chiamarla Granger? - che nessuno della famiglia
Malfoy
c’entra in questo casino.» rispose secca Astoria,
guadagnandosi l’ennesima
occhiataccia dal marito. «E dunque, mi vedo costretta a
chiedere a lei ed al
Ministero di lasciarci in pace. Questa famiglia è finita fin
troppo sui
giornali, ultimamente.»
«Vorrei poterla
accontentare, Malfoy. O forse dovrei dire Greengrass?» le
rispose serafica
Hermione, ricordando fortunatamente il cognome della donna.
«Ma non è
possibile. Non sono io, a comandare.»
«Oh, non ne sarei così
sicura.» mormorò piano Astoria, talmente piano che
Hermione fece fatica a
sentirla. Ma non il biondo, lui la sentì perfettamente.
«Astoria!» sibilò il
suo nome. «Finiscila.»
«Andiamo, Draco…
iniziavo a divertirmi.» ribatté lei,
l’ennesimo sorriso compiaciuto sul viso.
«Non puoi togliermi anche questo.»
Malfoy sospirò. «No,
certo che no. Ma c’è maniera e maniera,
Astoria.»
«Lo so. Ma così è più
piacevole. Magari non per tutti.» aggiunse, rivolgendo ad
Hermione un’altra
occhiata incomprensibile.
«Si riferisce a me,
Malfoy?» le chiese allora lei, stanca da tutte quelle battute
ed allusioni. «In
cosa, esattamente, sarei divertente?»
«Granger, non…»
«No.» Hermione interruppe
Malfoy, rivolgendogli una breve occhiata arrabbiata.
«Gradirei saperlo,
Greengrass.»
«Sono una Malfoy.»
«Ancora per poco,
stando alla Gazzetta.» replicò Hermione in volto
un’espressione beffarda così
poco tipica di lei. «Erro?»
«Lasci che le dica una
cosa, Granger.» Astoria le si avvicinò, spinta
dalla collera e dall’irritazione
che filtrava chiaramente dalla sua voce. «Se non fosse stato
per colpa di una
miserabile Sanguesporco, a
quest’ora
la Gazzetta non avrebbe…»
«Astoria!» Malfoy la
richiamò, la voce e gli occhi pieni d’ira.
«Basta. Non voglio più sentire una
sola parola da te.»
«Proprio tu difendi
questa…»
«Non ti azzardare a
finire la frase, Astoria.» le sibilò lui,
avvicinandosi minacciosamente alla
moglie. Hermione smise di ascoltare, bloccata alle parole della donna.
Miserabile
Sanguesporco.
Così,
l’aveva appena
definita. Tralasciò momentaneamente l’insulto,
preferendo concentrarsi sul
significato celato dietro quell’offesa.
Se non fosse stato per
lei, a quest’ora la Gazzetta non avrebbe… non
avrebbe scritto quell’articolo.
Erano queste, le parole che Malfoy aveva
fermato prima che arrivassero alle sue orecchie. Ci avrebbe scommesso
tutte le
Gelatine di Mielandia di Hugo. Hermione deglutì, sentendosi
dì improvviso fuori
posto.
Era…
era colpa sua?
Era
lei la responsabile
della separazione dei Malfoy?, si trovò a domandarsi. E in
quale modo poteva
c’entrare, lei, se aveva rivisto il marito solo dopo che
quell’articolo era
uscito sul giornale?
Lo
sguardo di lui sul suo viso, come se fosse una delle cose
più preziose nelle
sue mani.
Si
costrinse ad alzare
gli occhi che non si era accorta di avere fissi sul pavimento, e li
puntò sul
biondo davanti a lei. E fu lui questa volta, a chinare la testa,
confermandole
che i suoi pensieri erano esatti.
Era realmente colpa
sua.
Si dimenticò di tutto :
del suo compito di recuperare la maschera, dell’attacco al
negozio, del perché
i Malfoy si trovassero in quel reparto… scordò
tutto.
Miserabile
Sanguesporco.
No,
questo non
l’avrebbe mai dimenticato.
Senza dire una parola,
si Smaterializzò lontano.
***
Riprese forma a casa di
Harry e Ginny.
Non avrebbe voluto
Materializzarsi lì, ma era l’unico posto dove
avrebbe potuto trovarla, e Merlino
sapeva quanto le servisse parlare con la rossa in quel momento.
«Hermione! Cosa… cosa
ti è successo?» Ginny le si avvicinò
velocemente, notando anche da quella
distanza il volto tirato e gli occhi lucidi di sua cognata. Hermione
l’abbracciò, sentendo la necessità di
confidarsi con lei su quello che le era
appena capitato. «Hai pianto?»
Lei annuì, preferendo
non fidarsi della propria voce. Le sarebbe sicuramente uscita
soffocata, o
magari non le sarebbe uscita affatto.
«Oh, cara, perché?» le
chiese Ginny. Le mise un braccio sulle spalle, accompagnandola dentro
casa. «Ti
va del tè, sì?»
Agitò la bacchetta, e
subito due tazze di quella bevanda le comparvero davanti. Hermione ne
prese
una, beandosi del calore bollente che le scaldava le dita fredde.
Ginny stette in
silenzio, rispettando quello dell’altra. Quando avesse avuto
voglia di parlare,
la rossa era sicura che lo avrebbe fatto. Conosceva bene sua cognata,
sapeva
che cercare di tirarle fuori le parole di bocca l’avrebbe
solo fatta chiudere
di più nel suo guscio.
«Io…» Hermione si
schiarì la voce, rendendola più comprensibile.
«Non so da dove cominciare. È
colpa mia, Ginny. Sono stata io, la causa.»
La rossa la guardò
interrogativa. «Dell’attacco a Madama McClan? Non
è poss…»
«No. Non di questo.»
calcò sull’ultima parola,
sperando che l’altra capisse a cosa si stava riferendo. La
vide aggrottare le
sopracciglia, pensierosa, per qualche silenzioso minuto, e vide
l’esatto
istante in qui capì.
«Malfoy.» disse solo,
guardandola nuovamente.
Hermione annuì. «Sono
appena stata al San Mungo. Era lì, con la moglie.»
una smorfia di fastidio le
attraversò il viso. «Donna simpatica,
Astoria.»
«Cos’è successo?»
«Mi ha accusata della
fine del suo matrimonio con Malfoy. Io!
Responsabile per qualcosa in cui non c’entro.»
«Magari voleva solo
fare scarica barile.» ragionò Ginny, venendole in
aiuto. «A volte è difficile
accettare qualcosa di cui si è colpevoli. Accettarlo
davvero.»
«Non c’entro niente.»
ripeté Hermione, sfidandola senza accorgersene a dire il
contrario. «Se lei non
è riuscita a tenersi un marito, cosa vuole da me? Merlino,
Ginny, mi ha
chiamata miserabile Sanguesporco!» sbottò, troppo
infuriata per stare seduta.
«Posso affatturarla?»
Ginny rise. «Non credo
che Malfoy ne sarebbe contento.» replicò.
«Eppure dev’esserci un motivo,
dietro, se ti ha accusata di averle rovinato il matrimonio.»
Hermione roteò gli
occhi. «E sarebbe? Non ci sono arrivata.»
Sua cognata alzò le
spalle. «Non saprei dirtelo. Forse la Malfoy ha scoperto
qualcosa che non
doveva, e per questo si è separata dal marito.»
ipotizzò. «La Gazzetta non ha
scritto nulla in proposito.»
«E perché quel qualcosa
dovrebbe riguardare proprio me?»
Ginny la osservò fare
avanti ed indietro per la sua cucina. «A volte è
più facile deridere qualcuno
piuttosto che ammettere di amarlo.»
Hermione si bloccò,
sorpresa dalle parole di sua cognata. «Cosa vorresti
dire?»
«Esattamente quello che
hai capito, tesoro. Il confine tra dileggio ed affetto è
sottile.» affermò
sicura, ed Hermione fu costretta nuovamente a sedersi. «Non
dico che non si sia
comportato da bastardo, in passato, specialmente con te, eppure il suo
è stato
un comportamento che mi ha sempre incuriosita. Con tutti i Mezzosangue
che
c’erano ad Hogwarts, perché Malfoy doveva
prendersela proprio con te? Ed
ammettiamolo, era chiaro a tutti quanto gli piacesse farlo.»
Ginny le strinse
una mano, ma Hermione non sentì quel contatto. Era troppo
concentrata sulle sue
parole.
«E, dato che gli
piaceva così tanto prenderti in giro ed offenderti, cosa lo
rendeva così sicuro
che dietro tutte quelle parole, non ci fosse altro? E cosa rendeva
sicura te?»
Hermione si coprì il
volto con le mani. «Non può essere vero.»
«Sai, una volta
qualcuno mi disse che non si può scegliere chi
amare.» Ginny le sorrise
comprensiva. «E se devo essere sincera, Hermione, non ho mai
visto di buon
occhio il matrimonio tra te e Ron.» le confessò.
«Harry ha sempre detto che mi
sbagliavo, che voi due eravate perfetti, insieme; eppure non posso fare
a meno
di pensare a quanto sareste stati ancora meglio tu e Malfoy.»
Hermione si lasciò
sfuggire un gemito inorridito, ma Ginny si limitò a
sorridere.
«Siete entrambi
intelligenti, siete ugualmente testardi. Ed orgogliosi.»
proseguì. «Sì, sareste
davvero bene insieme.»
«Ginny.» la chiamò
Hermione, sollevando la testa dal tavolo dove poco prima
l’aveva posata. La
guardò fissa negli occhi, e ne trovò due
sorridenti ad attenderla. «Ti rendi
conto che mi stai guidando verso l’adulterio?»
La rossa scoppiò in una
risata. «A meno che non sia cibo, Ron non riuscirebbe ad
accorgersi di niente.»
«Ginny!»
«Oh, Hermione! Nessuno
ti dice di lasciare Ron. È mio fratello, non mi permetterei
mai di farlo.»
affermò, seria. «Ma tu sei praticamente mia
sorella, e Malfoy è sempre stato un
po’… come definirlo? Interessante.
Se
non si considera la famiglia da cui proviene, certo.»
«Ginny…» la interruppe
lei, ricordandosi che non le aveva ancora raccontato nulla.
«Ho fatto un sogno,
ieri notte.»
E glielo raccontò, fin
quasi nel più minimo dettaglio. Quando finì, il
volto di Ginny aveva un
espressione a metà tra il sognante e l’invidioso.
«Merlino, Hermione.
Questo sì, che è un signor
sogno.»
dichiarò. «Vedi? Anche la tua mente te lo
mostra.»
Lei mormorò qualcosa a
proposito di un Oblivion che
avrebbe
potuto fare su sé stessa.
«Posso farti una
domanda, Hermione? Una domanda personale.»
Hermione alzò gli occhi
al cielo. «Da quando hai il bisogno di chiedere, prima di
farla?»
«In effetti… ma non è
questo il punto. Rispondimi con sincerità. Hai mai fatto
anche solo la metà
delle cose che hai sognato, con Ron?»
«Ginny!» esclamò lei,
il tono scandalizzato. L’altra alzò le spalle.
«La tua reazione ha
risposto al posto tuo.» replicò semplicemente.
«Non siamo più
adolescenti.» ribatté Hermione. «Il
tempo da schiavi ormonali dovrebbe essere
finito da un pezzo, Ginny.»
«Ti dico solo una
parola.» replicò subito lei. «Ronald.
Più che adolescente, lui è fermo proprio
all’infanzia.»
Hermione voleva
ribattere, ma si accorse di essere rimasta in silenzio. Non poteva di
certo
darle torto, se a volte Ron si comportava davvero come se avesse a
malapena
dieci anni…
La guardò di sottecchi,
Ginny stava ancora sorridendo. Apertamente. «Dunque mi stai
dicendo di…?»
Toccò alla rossa,
alzare gli occhi al cielo. «È semplice.»
mormorò. «Realizza quel sogno.
Dimostra alla moglie di Malfoy che aveva torto, su di te. Falle capire
che
effettivamente non c’entri, con la loro separazione. Dimostra
a me che sono in
errore.»
Hermione strinse gli
occhi guardandola adirata, e l’altra la ricambiò
con un’occhiata calma.
«In fondo, cos’hai da
perdere?»
Tutto,
avrebbe voluto risponderle Hermione. Ho
tutto da perdere.
Ma non lo fece.
Note.
Questa
volta ci ho
messo più del solito a riuscire a postare, ma alla fine ce
l’ho fatta.
Unico chiarimento, per
questo capitolo. I signori Roses
fanno riferimento a “La guerra dei
Roses”,
film del 1989 diretto da Danny DeVito, che ho visto recentemente e che
non
potevo non includere, dato che mi era sembrato un paragone abbastanza
realistico su quello che accade tra Draco ed Astoria.
Al posto dei
suppellettili, fatture ed incantesimi.
Ho fatto un veloce ed
approssimativo calcolo, e direi che siamo a metà della
storia. Non prevedo di
fare più di quindici/venti capitoli. Altrimenti la storia
risulterebbe troppo
lunga, e quindi, noiosa. E a me piace poco, annoiarmi.
Al solito, grazie per
essere arrivati fin qui ed al prossimo capitolo. |
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Capitolo 8 *** Vuoto - parte I ***
Vuoto
Parte I
«Oh,
Hermione! Entra pure.»
Entrò silenziosamente dentro l’ufficio,
chiudendosi con attenzione la porta alle spalle. «Non vorrei
disturbarti.»
mormorò, altrettanto piano. «Ma ho bisogno di
parlarti.»
«È per le maschere? So che non è un
compito facile, prenderle tutte, ma il…»
«No.» lo interruppe lei, guardandolo
finalmente negli occhi. «Non si tratta di questo. O meglio,
c’entra. Vorrei che
scegliessi qualcun altro per aiutarti, Harry. Io… non posso
farlo.»
L’Auror la guardò meravigliato.
«Ma…
credevo fosse questo, l’importante. Trovare i colpevoli del
negozio.»
Suo malgrado, Hermione si ritrovò ad
annuire. «E lo è. Davvero. Non
c’è niente che mi stia più a cuore che
spedire
quei bastardi ad Azkaban.» concordò,
improvvisamente infervorata. «Ma sono
successe delle cose che… non me la sento, Harry. Non
ora.»
«Ginny mi ha accennato qualcosa.» le
confessò lui. «Mi ha detto che hai avuto dei
problemi. Spero non sia nulla di
irreparabile, comunque. Sei una delle migliori del Ministero,
Hermione.»
Lei gli sorrise debolmente, confortata
dalle sue parole. «Ti ringrazio, Harry. So che non
è il momento migliore, ma
vorrei chiederti un favore. Ho bisogno di alcuni giorni liberi. Sento
il
bisogno di staccare la spina per qualche tempo.»
L’altro annuì prontamente. «Non hai
bisogno di chiedere, Hermione. Lo sai che puoi prenderti tutti i giorni
che
vuoi.» la raggiunse da dietro la scrivania, sedendosi accanto
a lei e le prese
una mano. «Lo sai che, qualsiasi cosa ti sia successa, puoi
contare su di me. E
su Ginny, nel caso la mia presenza non ti sia
d’aiuto.»
Hermione si ritrovò nuovamente ad
annuire. Sentiva gli occhi umidi, ma non si sarebbe concessa di
piangere. «Lo
so. Davvero.» cercò di sorridergli, ma le
uscì una smorfia. «Tornerò tra una
settimana, se per te va bene.»
Harry le rivolse una lunga occhiata,
prima di tornare a parlare. «Sicura che non sia niente di
grave?» le domandò
preoccupato. «Voglio dire… tra te e Ron tutto
bene, vero? Ginny mi ha confidato
che avete avuto una discussione, ieri sera. Per questo Ron ha dormito
da noi.»
Hermione provò a minimizzare. «È una
sciocchezza, Harry. Sul serio.» non
doveva piangere. «Screzi tra marito e moglie. Nulla
di che.»
Da quando era diventata così brava a
mentire, si chiese, specialmente ad Harry? Non era stata affatto
un’inezia,
quella successa tra lei e Ron la sera precedente.
«È
appena arrivato un gufo per te.»
Ron
l’aveva salutata così, quella sera. Nessun bacio,
nessun abbraccio, niente di
niente. Hermione lo osservava, seduto in cucina, turbata da
quell’accoglienza
così poco tipica di lui, alternando gli occhi tra suo marito
e la pergamena che
giaceva sul tavolo.
«Un
gufo a quest’ora?» gli domandò stupita,
avvicinandosi.
«Già.»
la voce secca di Ron la fece sussultare. Non l’aveva mai
sentita così. Era
arrabbiata, e lei non ne conosceva il motivo. «È
urgente.» aggiunse, spostando
lo sguardo verso una delle finestre.
«Cosa
dice?» domandò piano, quasi sussurrando. Se suo
marito aveva avuto quella
reazione, leggendo quella pergamena, di sicuro non poteva contenere
nulla di
buono.
«Leggila.»
Ron gliela porse con un gesto stizzito, allontanandosi con altrettanta
rabbia
da lei. Hermione prese la pergamena, sgranando sempre di più
gli occhi ad ogni
parola che leggeva. Non appena finì, capì il
motivo dello strano comportamento
di Ron e si rese conto che era stato giustificato dallo stesso
contenuto della
missiva.
Voleva
parlargli, spiegargli il motivo per il quale aveva ricevuto quel gufo,
ma lui
la batté sul tempo.
«Per
quale motivo un Mangiamorte ti chiede di perdonarlo?»
Per
la seconda volta nell’arco di una sola giornata, Hermione
sentì di trovarsi
fuori posto. Ma quella era la sua stessa casa, e lei non aveva alcun
motivo di
sentirsi così isolata.
«No.»
Ron riprese poi, alzando le mani in segno di resa. «Non
voglio sapere. È
chiaro.»
Hermione
spalancò gli occhi. «Cosa sarebbe chiaro,
Ron?» gli chiese, sentendo la rabbia
crescere per l’insinuazione implicita di suo marito nei suoi
confronti.
«Sai,
il fatto di aver ricevuto una lettera a quest’ora
così tarda. Specie se
urgente. Ho pensato di aprirla, visto che mi era sembrata davvero
importante.
Dato l’attacco al negozio, ho pensato che il Ministero avesse
fatto progressi,
e volevano informarti. O magari il gufo poteva provenire da Hogwarts.
Ricordi
che abbiamo una figlia, lì? Ho pensato che ci fossero stati
problemi, o che
Rose si fosse fatta male.» le sbraitò addosso.
«Ma sai cosa non pensavo? Non
avrei mai pensato che quel gufo appartenesse a Malfoy. Per quale motivo
un
Mangiamorte come lui ha necessità di mettersi in contatto
con mia moglie? A
quest’ora, poi, e chiedendole di perdonarlo!»
Hermione
scosse la testa, incredula a ciò che sentiva. «Non
hai capito niente, Ron.»
«E
allora spiegamelo.» ribatté lui. «Di
cosa deve perdonarti, quel Mangiamorte?»
«Non
è un Mangiamorte. Solo tu ti ostini a chiamarlo ancora
così.»
«La
gente non cambia, Hermione.» pronunciò secco.
«Ha scelto di esserlo, e lo
rimarrà sempre.»
Lei
scosse la testa. «Non è vero. La gente
può scegliere di cambiare. Forse tutti
noi non siamo cambiati, dalla guerra?»
«Quello
è diverso. Non avevamo scelta.»
«È
questo il punto, Ron! Nemmeno lui aveva scelta.»
Suo
marito la guardò rattristato. «Da quando lo
difendi?»
«Da
quando ho capito che non è più come è
stato in passato.» mormorò, abbassando lo
sguardo. «È stato un Mangiamorte? Vero. Ha tentato
più volte di fare una cosa
orribile, a Silente? Vero anche questo. Ma non ci è
riuscito. Non lo si può
accusare di qualcosa che non ha mai commesso.»
«Ucciderlo,
Hermione, ha cercato di ucciderlo! È cattivo!»
Lei
scosse amaramente la testa. «No, Ron. Non è
cattivo. La
cattiveria nasce da sentimenti negativi come la solitudine, la
tristezza e la rabbia. Viene da un vuoto dentro che sembra scavato con
il
coltello, un vuoto in cui rimani abbandonato quando qualcosa di molto
importante ti viene strappato via.»
mormorò, più a sé stessa che a suo
marito. «Malfoy non è cattivo.»
tornò a ripetere, guardando la rabbia di suo
marito. «È solo vuoto.»
«È
un maledetto Mangiamorte, Hermione!» ribatté Ron,
agitando nervoso le mani.
«No.»
sussurrò ancora lei, gli occhi ancora più umidi.
«Il
mondo non si divide più in persone buone e Mangiamorte, Ron!
Tutti abbiamo sia
luce che oscurità dentro di noi. Ciò che conta
è da che parte scegliamo di
agire. È questo quello che siamo. E lui ha scelto.»
«Dovrebbe
assumerti come suo difensore. Anche se lo accusassero di omicidio, con
te
riuscirebbe a spuntarla.» la tacciò amaramente,
guardandola di sbieco.
Hermione
sospirò. Quel discorso non avrebbe portato da nessuna parte,
ne erano coscienti
entrambi. «Ron…»
«No.
Niente Ron.» ribatté. «Sono giorni che
sei strana, Mione. Ed ora ho capito
perché.»
«Te
l’ho detto. Non hai capito nulla.» insistette lei,
lasciando che le lacrime le
si intrappolassero tra le ciglia.
«Non
c’è niente da capire. Ora è tutto
chiaro, sai? Il perché mi sembravi lontana,
in questo periodo. L’ho capito solo adesso.»
«Non
farlo, Ron. Non anche tu, ti prego.» lo scongiurò,
lasciando finalmente libere
le lacrime. «Non incolparmi anche tu di cose che non ho
fatto.»
Ron
la guardò interrogativo, stupito dalle lacrime di sua
moglie. Si precipitò a
raggiungerla, sostenendola prima che gli crollasse davanti.
«Mione… cosa
succede?»
«Non
sono così.» iniziò a singhiozzare lei,
perdendo tutta la calma che fino a poco
prima l’aveva trattenuta. «Non posso essere la
causa di tutto.»
«Mione?
Di che stai parlando?» le chiese allora lui, sinceramente
preoccupato per il crollo
improvviso di sua moglie. La sorresse, aiutandola a sedersi nuovamente,
guardandola mentre si maltrattava i capelli e si passava una mano sul
viso,
cancellando quel poco di trucco che aveva fin dal mattino.
«Hermione…»
Lei
alzò lo sguardo verso di lui, e Ron poté vedere
gli occhi incredibilmente rossi
e gonfi di sua moglie. Cosa aveva potuto ridurla in quello stato? Chi,
poteva
averlo fatto? Che… che fosse questa, la ragione per cui
Malfoy le aveva mandato
quel gufo?
Ron
si alzò in piedi, fremendo di rabbia. «Cosa ha
fatto?» le chiese, obbligandola
a guardarlo. «Cosa ti ha fatto quel Mangiamorte, Hermione?
Rispondi!»
Ma
sua moglie non lo ascoltava. Singhiozzava in un modo che Ron non le
aveva mai
visto fare, e si teneva la testa tra le mani.
«Non
può essere davvero colpa mia.» continuava a
ripetere. «Non possono essersi
separati per me.»
Per
Ron fu tutto chiaro.
«Ne vuoi parlare?» le chiese gentilmente
lui, ma Hermione scosse la testa. «Va bene. Rispetto la tua
privacy. Sicura che
una settimana ti basti?»
«Credo… credo di sì. Non voglio stare
troppo lontana da Hugo.» gli rispose, strisciando i palmi
avanti ed indietro
sui jeans che aveva indossato. «Starà dai
miei.» gli spiegò, rispondendo ad
un’occhiata interrogativa dell’Auror.
«Dove andrai?» le chiese allora, usando
quel tono simil paternalistico che utilizzava ai tempi della scuola.
«Ancora non lo so.» mormorò, guardando
in terra. «Penso… non lo so. Qualcosa mi
verrà in mente.»
«Per qualsiasi cosa, manda un gufo.» si
premunì lui, alzandosi per abbracciarla. Hermione
ricambiò subito quella
stretta, desiderosa che non finisse mai. Aveva davvero bisogno di
Harry, in
quel momento. Non era mai stato una persona di molte parole, con lei,
eppure
tutto ciò che aveva detto le aveva dimostrato il contrario.
Gli voleva bene.
***
Primo
giorno.
Granger,
so
che non dovrei scriverti, ma non posso fare a meno di continuare a
scusarmi per
quello che è accaduto al San Mungo. Sicuramente penserai che
non meriti nemmeno
una tua risposta, e probabilmente avrai strappato questa pergamena
appena ti è
stata consegnata, ma voglio continuare a tentare.
Ho
commesso tanti errori, in passato, ed altrettanti ne sto commettendo.
E, come
me, ha fatto Astoria. Non aveva alcun diritto di rivolgerti a te usando
quelle
parole, e sinceramente non so cosa le sia passato per la mente. Vorrei
scusarmi
anche da parte sua, anche se sicuramente servirà a poco. Non
è una cattiva
persona, ma sono certo che avrai modo di sincerartene tu stessa.
Draco
Lucius Malfoy.
La
pergamena finì nella pattumiera.
Secondo
giorno.
Granger,
Il
gufo di ieri non ti è arrivato? Dev’essersi perso
per la strada. Spero che
questo non faccia la stessa fine, e che il messaggio ti arrivi senza
problemi.
Non
sono solito chiedere perdono della mia condotta, eppure questa volta mi
vedo
costretto a farlo. Devo chiederti scusa delle azioni mie e di Astoria,
quel
giorno al San Mungo. Non era nelle sue intenzioni, offenderti in quel
modo. Ha
sbagliato, e mi auguro che lei stessa - quanto prima - possa chiederti
perdono
di persona.
Draco
Lucius Malfoy.
Finì incendiata in un cestino.
Quarto
giorno.
Hermione,
ho
lasciato passare volutamente un paio di giorni, dall’ultimo
gufo, per darti
tutto il tempo di riceverlo. So per certo che è arrivato,
eppure non ho
ricevuto alcuna risposta da parte tua, e vorrei almeno vedere ripagate
le mie
fatiche nello scriverti.
Vorrei
chiederti nuovamente perdono, ma ormai sappiamo entrambi che sarebbe
inutile.
Non mi risponderesti. Ma non mi arrendo.
Draco
Lucius Malfoy.
Finì abbandonata nel camino.
Quinto
giorno
Hermione,
tento
nuovamente, nella speranza inutile di una risposta.
Perdonami
per ciò che è successo.
Draco
Lucius Malfoy.
Venne
rimandata al mittente.
Sesto
giorno.
Hermione,
voglio
tentare ancora una volta.
Vorrei
tanto che tu riuscissi a perdonare me ed Astoria. Ho bisogno che tu lo
faccia.
Le cose non stanno andando bene, e l’unica cosa che
riuscirebbe a tenermi in piedi
è il tuo perdono.
Non
so se tu abbia letto la Gazzetta, quest’oggi. In caso
contrario, vorrei che lo
facessi.
Anche
di questo, ho bisogno.
Draco.
La conservò.
E, dopo giorni e giorni di silenzio,
vuoto e solitudine immersa solo nei suoi pensieri, tornò al
mondo reale.
Aprì la Gazzetta del Profeta.
***
Erano passate quasi due settimane,
dall’ultima volta che Hermione aveva messo piede al San Mungo.
E lo avrebbe volentieri evitato anche
questa volta, se non fosse stato per il profondo senso di colpa che
sentiva e
che non l’aveva lasciata dormire per molte notti.
Quando le era arrivato il gufo del
giornale che aveva richiesto, un esemplare diverso da quelli
solitamente usati
dal Ministero o dal solito che Malfoy aveva usato per spedirle quelle
insistenti lettere, Hermione aveva immediatamente capito che la
sensazione di
nervosa apprensione che aveva provato era esatta.
Quel gufo era nero.
Aveva aperto la Gazzetta consegnatale
dall’animale con un misto di agitazione, paura
ed indecisione, e solo alla fine aveva capito che
probabilmente sarebbe
stato meglio non leggerla affatto, quella notizia. Anche se
così, ammise a sé
stessa, sarebbe sicuramente stato peggio. Sarebbe stato come fingere di
non
esserne venuta a conoscenza, e lei non poteva recitare né
davanti ai suoi amici
né davanti a lui.
Avrebbe potuto, certo, ma non era così
codarda da fare finta di niente.
Lucius Malfoy era morto.
Era successo quella stessa mattina, al
quarto piano del San Mungo. Le ferite provocategli durante
l’agguato che gli
era stato teso dalle stesse persone - il Ministero era assolutamente
certo di
questo - che avevano attaccato Madama McClan gli erano state fatali. I
Medimaghi che l’avevano in cura non erano riusciti a
salvarlo, adducendo che i
tagli, provocati da quello che a tutti gli effetti somigliava molto ad
un Sectumsempra, erano troppo
profondi per
essere curabili.
Si era spento dopo giorni e giorni di
dolore, assistito notte e giorno dalla moglie e dal figlio che non
l’avevano
mai lasciato solo. Ed Hermione si vergognava, perché non
sapeva se essere lieta
della notizia o meno. Da un lato, e non si poteva di certo negare,
Lucius era
stato responsabile - probabilmente uno dei maggiori colpevoli - di
quello che
era accaduto ai tempi della guerra, ma dall’altro…
non poteva non rattristarsi
per la famiglia che si lasciava dietro. Non era così
meschina di riderne, di
quella disgrazia che aveva colpito la famiglia Malfoy, né lo
sarebbe mai stata.
Nessuno lo sarebbe stato.
Ricordava che Malfoy era sempre stato
legato a suo padre in maniera particolare, e nonostante Lucius avesse
sbagliato
innumerevoli volte, anche con il suo stesso figlio, lui lo aveva sempre
rispettato come si conveniva nei confronti di un genitore. Era sicura
che non
se lo fossero mai detti, ma si volevano bene.
Malfoy ne sarebbe uscito distrutto, da
quella morte.
Hermione non poteva nemmeno immaginare
cosa significasse perdere un genitore, e si augurava di provarlo il
più avanti
possibile, se non addirittura mai, ma in quel momento si mise davvero
nei panni
del biondo.
E sarebbe crollata.
Arrivò al quarto piano e lo vide, seduto
sul pavimento di quello stesso corridoio dove l’aveva rivisto
solo poco più di
una settimana prima. Era completamente solo, nessuno era presente per
sostenerlo.
Ma c’era lei, ora, lì con lui.
E non l’avrebbe lasciato.
Note.
Devo
ammetterlo, Lucius Malfoy è un
personaggio che ho sempre considerato profondamente odioso - non me ne
vogliate
- e scegliere di farlo uscire dalla storia, oltre che per motivi di
trama, è
stato alquanto… liberatorio.
Come avete potuto notare, lo spazio
temporale in questo capitolo si è allungato rispetto a
quello passato. Posso
assicurare che, a fine storia, questi buchi temporali saranno spiegati.
Dopotutto, per ogni cosa c’è un perché.
La frase “La
cattiveria nasce da sentimenti
negativi come la solitudine, la tristezza e la rabbia. Viene da un
vuoto dentro
che sembra scavato con il coltello, un vuoto in cui rimani abbandonato
quando
qualcosa di molto importante ti viene strappato via.”
appartiene a Ryū
Murakami, scrittore,
sceneggiatore e regista giapponese; mentre “Il
mondo non si divide più in persone buone
e Mangiamorte. Tutti abbiamo sia luce che oscurità dentro di
noi. Ciò che conta
è da che parte scegliamo di agire. È questo
quello che siamo.” è una frase
pronunciata
da Sirius Black nel quinto film, L’ordine
della Fenice.
Alla
prossima. |
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Capitolo 9 *** Gunfire ***
Gunfire
Arrivò
al quarto piano e lo vide, seduto sul
pavimento di quello stesso corridoio dove l’aveva rivisto
solo poco più di una
settimana prima. Era completamente solo, nessuno era presente per
sostenerlo.
Ma c’era lei, ora, lì con lui.
E non l’avrebbe lasciato.
Lo
raggiunse, camminando il più piano
possibile. Non voleva che il rumore delle sue scarpe risuonasse
più di quanto
già non facesse, in quel corridoio semivuoto. Camminava
verso di lui ed intanto
lo guardava, riuscendo a comprendere - per quanto le era possibile - lo
stato
in cui riversava il biondo. Non doveva essere affatto facile, per lui,
come non
lo sarebbe stato per chiunque altro.
Le
cose non stanno
andando bene.
Questo,
le aveva scritto nell’ultima lettera che le era stata
consegnata, ed Hermione di certo non avrebbe mai immaginato che
andassero così
male. Non appena aveva letto la Gazzetta del Profeta si era
immediatamente
Smaterializzata nello Wiltshire, ma lì aveva trovato ad
attenderla solamente
l’elfo domestico Sock, il quale le aveva prontamente
comunicato che i padroni
erano al San Mungo, neanche se lei fosse stata una cosa sgradita da
mandare via
al più presto.
Ma Hermione non vi
aveva dato peso, scambiando lo sdegno dell’elfo per
preoccupazione verso uno
dei suoi padroni, e si era precipitata all’ospedale. La
famiglia Malfoy,
nonostante il declino che li aveva visti protagonisti anni ed anni
prima, potevano
vantarsi di annoverare - malgrado tutto - molte persone tra le loro
amicizie,
ed il fatto di non vederne nemmeno una, di quelle conoscenze
così importanti, aveva
provocato in Hermione un senso maggiore di dispiacere nei confronti
della
persona che aveva davanti.
Doveva
sentirsi incredibilmente solo.
Si
fermò davanti a lui
portandosi alla sua stessa altezza, inginocchiata sul pavimento, non
sapendo
cosa pensare del fatto che il biondo nemmeno l’aveva sentita
avvicinarsi a lui.
«Malfoy.» lo chiamò,
stupendosi lei stessa di quanto sommesso le fosse uscito quel mormorio.
Prontamente gli si avvicinò con una mano, come faceva con
Ron quando fingeva di
non sentirla, ma si bloccò a mezz’aria.
Deglutì, non sapendo come comportarsi.
Forse voleva
semplicemente stare da solo, si trovò a riflettere. Forse,
era stato così tanto
tempo da solo, che si era convinto di esserlo davvero. In fondo,
ragionò,
nessuno era lì con lui. Sì, probabilmente non
desiderava avere nessuno accanto
a sé, ed Hermione si diede della sciocca per aver pensato
che - forse - lei
poteva aiutarlo in qualche maniera.
Stupida.
Si
alzò da terra,
seccata per il suo stesso pensiero, intenzionata ad andarsene di
lì. E
l’avrebbe davvero fatto, se non fosse stato per una parola
che la fece
arrestare sul posto.
«Resta.»
Hermione lo osservò
alzare la testa e rivolgere lo sguardo verso di lei. Gli occhi
arrossati ed i
suoi capelli disordinatamente arruffati la colpirono, facendole provare
realmente un’incredibile pena nei confronti di Malfoy. Non
l’aveva mai visto in
quelle condizioni, ai tempi di Hogwarts, nemmeno una volta. Ma ora non
erano in
quel castello : erano entrambi adulti, anche se a volte le reazioni -
specie
davanti ad un avvenimento funesto come quello - tornavano ad essere
lievemente
infantili.
«Resta.» la pregò ancora
lui, alzandosi a sua volta. «Per favore.»
Hermione deglutì, alzando
gli occhi sul suo viso, sinceramente indecisa sul da farsi. Sarebbe
dovuta
rimanere, come lui le aveva chiesto, o avrebbe dovuto seguire la
logica,
andando via da quel luogo?
«Tua moglie?» gli
chiese invece. «Potrebbe stare lei, qui con te.»
Il biondo scosse la
testa. «No. Astoria è… Astoria non ha
mai provato cosa significhi perdere
qualcuno. Non saprebbe come… come comportarsi.»
mormorò.
«È adulta. È ora che lo
impari, non credi?» sussurrò lei, la voce
più dura di quanto realmente volesse.
«Scusa. Non volevo.» aggiunse poi, chinando
colpevole la testa. Non intendeva
comportarsi così, non in quel momento, ma le cattiverie - gli insulti - pronunciati verso di lei
dalla Greengrass ancora le
bruciavano.
«Hai tutte le ragioni
per avercela con lei.» notò lui, stupendo non di
poco Hermione, che di fatto
tornò a guardarlo meravigliata. Le stava davvero dando
ragione? Cos’era
successo al solito Malfoy?, si domandò.
Vide un mezzo sorriso
spuntare sul viso di lui. «Ha solo fatto una
scelta.» gorgogliò triste.
Ciò
che conta è da che parte scegliamo di agire. È
questo quello che siamo. E lui
ha scelto.
«Legilimens. L’avevo
scordato.» mormorò a sé stessa.
«Mi dispiace
per tuo padre. Non dev’essere facile.»
«No, non lo è. Ma nessuno
è eterno, dopotutto. Bisogna rassegnarsi.»
affermò, e la voce priva di
qualsiasi inflessione aumentò in Hermione la compassione che
già sentiva di
provare nei confronti di Malfoy. Lo guardò alzare la testa,
fissando quegli
occhi che ora sembravano animati da scintille di rabbia.
«Compassione?» le
chiese, la voce improvvisamente dura, lo stesso sentimento che
contagiò quegli
occhi grigi, rendendoli di ghiaccio. «Non ho bisogno della
tua compassione.»
Hermione si ritrovò a
deglutire, pensando che avrebbe dovuto controllare meglio i suoi stessi
pensieri, in sua presenza. Però era anche vero che Malfoy
non poteva leggerle
nella testa a suo libero piacimento! Merlino, che presuntuoso che era.
L’immagine di un furetto le balenò
d’improvviso nella mente, e dovette
reprimere l’impulso di sorridere.
«Nessuno ti ha mai
detto che la tua mente è alquanto contorta,
Mezzosangue?» le chiese, nuovamente
calmo, - che soffrisse davvero di personalità multipla?, si
trovò a chiedersi -,
ed Hermione iniziò a notare che la tristezza che aveva
caratterizzato il viso
del biondo fino ad allora stava iniziando a scemare. Grazie
a lei?
«Forse perché nessuno
si è mai preso l’onere di farlo.»
ribatté, accorgendosi solo dopo
dell’implicazione nelle sue parole. Arrossì
lievemente.
«Mi stai dando il
permesso, Granger?» le domandò ancora,
avvicinandosi a lei. Hermione non
nascose un sorriso. Sapeva che doveva avercela con lui, per la strana
piega - sincera - che stava
prendendo la
conversazione, eppure… eppure non ci riusciva.
«Credevo che i Malfoy
non avessero bisogno del permesso di nessuno.» si
ritrovò ad affermare.
Il biondo annuì. «È
vero. Generalmente. Ma in questo
caso…»
«E comunque, - riprese
lei, interrompendolo - la mia mente non è affatto
contorta!» esclamò offesa,
incrociando le braccia al petto. Malfoy si mise a ridere, ed Hermione
vide
davvero la tristezza cominciare ad abbandonare quegli occhi grigi.
«Sei una donna,
Granger.» la contraddì lui. «La tua
mente è contorta di natura.»
Hermione aprì la bocca
per ribattere, pronta a dirgliene quattro, ma nessuna parola le
uscì. Probabilmente
aveva ragione, dovette ammettere a sé stessa.
«Io ho sempre ragione,
Granger. Dovresti averlo capito ormai.» proferì
lui, ripescando i gesti
altezzosi di Hogwarts. Presuntuoso,
borioso ed arrogante di un furetto. Hermione lo vide
sorridere.
«Grazie.» bisbigliò
poi, talmente piano che fece fatica a sentirlo. Lo guardò
interrogativa, la
testa lievemente inclinata di lato, costringendolo a spiegarsi meglio.
Dopo una
breve occhiata al cielo, naturalmente. «Per ciò
che stai facendo. Non è
semplice.»
«Non pensavo che uno
come te, un Malfoy - specificò, alla sua occhiataccia torva
- avesse bisogno di
una Mezzosangue, come ormai ti sei abituato a chiamarmi. Devo ammettere
che mi
ha stupito e non poco, la tua insistenza. Non credevo
che…» si interruppe non
appena si accorse che la stava guardando con insistenza e confusione.
«Di che stai parlando?»
Hermione alzò gli occhi
al soffitto. «Delle lettere, Malfoy. Sto parlando di
quelle.» gli spiegò. «Dei
gufi che mi hai mandato per tutta la settimana scorsa.»
Lui strinse gli occhi
per qualche istante, per poi sgranarli fino quasi a dismisura. Una
smorfia di
rabbia gli deformò i lineamenti. «Cosa diamine
crede di fare!» sibilò,
infuriato.
«Ma cosa…»
«Granger, le hai
ancora? Le lettere.» le chiese, e lei annuì.
«Sì, una. Ma non la ho
qui con me.» gli rispose, non riuscendo a capire
perché fossero così
importanti. Lo osservò stringere i pugni e mormorare
qualcosa di
inintelligibile, mentre ripercorreva avanti ed indietro
l’intero corridoio.
«Draco!»
Si voltarono entrambi
quando la voce di Narcissa Malfoy chiamò quasi urlando il
nome di suo figlio.
Hermione si ritrasse senza pensarci, volendo lasciare quanta
più privacy
possibile a quei due. Tre,
rettificò
poi, osservando irritata la presenza della Greengrass subito dietro la
Malfoy.
La donna si fermò a
pochi passi da lei, e non fu in grado di fare altro : Malfoy le si
avvicinò
fulmineo, la prese per un braccio e si diresse vero il fondo opposto
del
corridoio.
L’espressione del
biondo non lasciava adito a fraintendimenti, era davvero furioso. Ma
per cosa?
Per le lettere che le aveva spedito? Ed in che modo, si
domandò Hermione,
quelle missive riguardavano la moglie?
Avrebbe voluto avere
una spiegazione in merito, ma si rese conto che - in fondo - non erano
davvero
affari suoi, e lasciò correre.
«La sta prendendo
bene.»
Hermione si voltò,
incrociando gli occhi ed il volto tirato della signora Malfoy. La
guardava con
un misto di dolore e qualcos’altro che non sapeva definire;
il tono della voce
insolitamente gentile.
«Ho sempre pensato che
la morte di Lucius potesse avere conseguenze negative, su mio
figlio.» rivelò,
guardandolo mesta. «Draco è sempre stato molto
legato a suo padre. Nonostante
tutto, lo ammirava. Era una delle poche figure autoritarie che
conosceva. Era
un esempio, per lui. Un modello da seguire.»
«Sì, ricordo vagamente
quando ci ha provato.» ribatté
ironicamente Hermione.
«Silente…»
«Silente non c’entra.»
la contraddisse seccamente l’altra. «A quel tempo
ne è stato costretto, non
aveva scelta. Ma non è a questo che mi sto riferendo,
signora Weasley. Draco…
mio figlio è cresciuto in un ambiente poco adatto ad un
bambino. Fin da
piccolo, è stato abituato a certi comportamenti da mio
marito. E da me. Non ho
alcun problema ad assumermi le mie colpe. Ma ora, con la morte di
Lucius…»
scosse la testa, lasciandosi cadere su una sedia.
«Perché sta dicendo
queste cose?» le chiese Hermione, quando la donna smise di
parlare. «Perché a
me, perché adesso?»
Narcissa Malfoy le
rivolse uno sguardo indecifrabile. «Lo capirà,
signora Weasley. A suo tempo.»
decretò, ed Hermione si sentì ancora
più confusa di prima.
«Oh, Draco.» Narcissa
si rivolse al figlio che l’aveva appena raggiunta.
«Possiamo portarlo a casa. I
Medimaghi hanno acconsentito, per il...»
«Ho capito.» la
interruppe lui, guardando di sbieco la moglie. «Vai avanti
tu, per favore. Ti
raggiungo subito.»
Narcissa gli accarezzò
il volto, uno dei pochi - forse l’unico - gesti materni che
Hermione le vide
fare in pubblico. «Sei sicuro? Se non te la senti, possiamo
vederci
direttamente a casa. Va bene, allora. Ti aspetto dentro.»
Hermione la vide
allontanarsi, ed azzardò uno sguardo alla fine del corridoio
notando ancora la
presenza di una Greengrass insolitamente silenziosa. Si chiese se
avesse
terminato gli insulti o se ne stesse pensando di ancora più
crudeli da
rivolgerle.
«Granger, potrei
parlarti un attimo?» le domandò il biondo.
«Non credo sia una
buona idea.» asserì lei, asciutta.
«Anzi, non lo è affatto.»
«Weasley.» la chiamò la
Greengrass, avvicinandosi ad entrambi. Rivolse una breve ma insistente
occhiata
a Malfoy, il quale si allontanò per raggiungere la madre
senza dire nulla.
«Sono io, ad avere bisogno di parlarle. Potremmo andare in un
posto meno…
desolante?»
«No.» affermò Hermione,
ancora più seccamente di prima. «Gli insulti che
mi ha rivolto mi sono bastati,
e mi basteranno per molto tempo. Non ho bisogno che me ne rivolga
altri,
Malfoy, grazie.»
«Mi sono comportata
male, è vero.» confermò. «Le
chiedo solo cinque minuti del suo tempo.»
Hermione tornò a
guardarla, combattuta sul come comportarsi. La Greengrass non sembrava
avere
cattive intenzioni, notò. Forse avrebbe dovuto concederle il
beneficio del
dubbio. E poi, era curiosa di conoscere il motivo di tanta urgenza nel
volerle
parlare. Le annuì.
«Non qui, però. Andiamo
di sopra, le dispiace? Ho davvero bisogno di una tazza di
tè.» le rivolse
un’occhiata veloce, riprendendo subito a camminare.
«O magari di un Gunfire.»
«Facciamo due, Malfoy.»
sospirò Hermione, stupita che conoscesse quella bevanda
tipicamente Babbana, e
stupendosi ancora di più per il fatto che quella stessa
bevanda la desiderava
anche lei, nonostante fosse quasi del tutto astemia.
«E due Gunfire
siano.» ordinò, una volta giunte
alla sala da tè al piano superiore. Hermione la vide cercare
un tavolo
appartato, e quello che scelse lo era decisamente troppo. Era
completamente
isolato dal resto della sala, e di conseguenza, perfetto per qualsiasi
cosa la
Malfoy avesse in mente. Perché così tanta
segretezza?, si domandò Hermione. Non
trovò risposta.
«Prima di tutto,
Weasley - iniziò, stringendo tra le mani il tè
corretto appena arrivato - è mio
desiderio chiederle perdono. Mi sono comportata male nei suoi
confronti, quella
volta. E me ne dispiaccio profondamente.»
Hermione la fissò a
bocca aperta. O quasi. «Perché…
perché?»
«Perché le sto
chiedendo scusa?» le domandò, ed Hermione
annuì. «Mi sembra ovvio. L’ho
insultata, ho commesso un errore e ora sto cercando di rimediare. Non
mi sembra
niente di straordinario.»
«Mi creda, Malfoy. Lo
è.» replicò Hermione, dissetandosi con
un sorso di quella bevanda.
L’altra la
guardò incuriosita.
«Perché sono stata
una Malfoy?»
«No. Cioè, anche. Sì.»
affermò. «Il fatto è che non capisco
tutta questa insistenza nel volersi
scusare con me.» aggiunse poi, sospirando. «Anche
suo marito…»
«Mio… Draco non
c’entra.» la interruppe subito l’altra,
prestando particolare attenzione alle
reazioni di Hermione alle sue parole. Lei la guardò confusa.
Devo
ammettere che mi ha stupito, la tua insistenza. Non credevo
che…
Di
che stai parlando?
Delle
lettere, Malfoy. Sto parlando di quelle. Dei gufi che mi hai mandato
per tutta
la settimana scorsa.
Cosa
diamine crede di fare!
Hermione strizzò gli
occhi, fissando la donna seduta davanti a lei come se fosse stata un
fantasma.
«È… è stata lei! Lei mi ha
spedito quelle lettere!» esclamò alzandosi
improvvisamente, non prestando attenzione al contenuto della tazza di
fronte a
sé che si rovesciò spandendosi su tutto il
tavolo. «Lei ha finto che fossero
di…»
«Di Draco, sì.» confessò
lei, tranquilla. «Sono stata io. Ora, Weasley, le chiederei
di tornare a
sedersi. I Malfoy sono già abbastanza chiacchierati,
oggi.»
Hermione seguì il suo
consiglio, lasciandosi cadere nuovamente sulla sedia.
«Sono… esterrefatta
sarebbe un eufemismo. Perché?»
L’altra alzò le spalle,
un gesto così simile a quello del marito, e
continuò a sorseggiare il suo tè
per qualche istante prima di risponderle. «Non lo
immagina?» le domandò. «No,
altrimenti non me l’avrebbe chiesto. E pensare che era
conosciuta come la
strega più intelligente di tutta Hogwarts.»
aggiunse poi, guadagnandosi
un’occhiata di sbieco da Hermione.
«Perché? Perché far
credere che fossero di suo marito, quelle lettere?»
«Ho i miei motivi.» fu
la sua risposta lapidaria. «E, al momento, vorrei tenerli per
me.»
«Credo di meritare una
spiegazione.» obiettò Hermione, insistendo
ostinatamente.
«Cosa conosce di Draco?»
le chiese poi, dopo qualche istante di silenzio. La domanda inaspettata
della
Malfoy la lasciò di sasso. «Se le chiedessi di
descriverlo, quali parole
userebbe?»
«Insulti, vorrà
dire.» le scappò prima che potesse fermarsi.
Hermione si portò una mano alla bocca, vergognandosi di
ciò che le era appena
sfuggito, ma l’altra non sembrava affatto offesa, piuttosto
estremamente
divertita.
«Sono parole anche
quelle.» affermò. «Allora?»
Hermione ci rifletté
per alcuni secondi, ma davvero le venivano in mente solo insulti nei
confronti
del biondo assente. Alzò le spalle - stava
diventando simile a Malfoy anche lei? - ed optò
per quella che, almeno
teoricamente, non sarebbe stata in grado di ferire nessuno.
Specialmente la
donna seduta davanti a lei, data l’espressione divertita che
ancora non ne
abbandonava il volto.
La verità.
«Beh,
Malfoy è…» iniziò,
scegliendo accuratamente il primo aggettivo. «È prepotente,
altezzoso, presuntuoso, sfrontato e
insolente.»
sputò tutto d’un fiato. La Greengrass rise di
nuovo, più forte e più genuinamente di prima.
«È
appurato, Weasley, che quelli siano aggettivi tipici di una Casa
chiamata
Serpeverde.» la corresse, allargando il divertimento anche
agli occhi. «Se
ricorda bene, non le ho chiesto di descrivermi la Casa, ma
Draco.»
«L’ho
fatto.» ribatté, accalorandosi.
«È questa, la mia descrizione.»
La
Greengrass sospirò, mostrandosi abbattuta.
«Merlino, è più complicato del
previsto.» bisbigliò tra sé, scuotendo
la testa. «Weasley… posso chiamarla
Hermione? Bene. Hermione, le lasci dire una cosa. No, nessun insulto,
stavolta.
La descrizione di Draco ne è sufficiente. E si fidi, ha
preso in pieno molti
suoi comportamenti.» sorrise, palesemente divertita.
«Ci riprovi. Sono sicura
che le usciranno aggettivi migliori di questi.»
Hermione
sospirò, frustrata. Perché quella donna insisteva
così tanto? Pensò ad un modo
per cavarsi d’impiccio - in fondo, gli anni passati con Ron
qualcosa le
dovevano per forza aver lasciato - ma l’espressione seria
della Greengrass la
fecero desistere dal suo proposito, e si rese conto che non avrebbe
mollato l’osso
tanto presto.
Ma
lei, si domandò poi, era davvero quell’osso, o
piuttosto la bistecca? A
giudicare dalla veemenza della serietà sul volto della
donna, era decisamente l’osso.
«Malfoy
è… è freddo.»
soffiò, scegliendo il primo aggettivo che le venne in mente,
e che
le ricordò il primo incontro con il biondo, anni ed anni
prima.
«Freddo?»
Hermione
annuì convinta. «Sì. Freddo. Scostante.
Scontroso.» mormorò, abbassando lo
sguardo a terra.
«Terrorizzato.»
aggiunse poi, ricordandosi degli occhi impauriti del biondo nei
sotterranei,
quando aveva voluto che ascoltasse la conversazione tra lui e Lucius.
«Protettivo.»
ricordò ancora, quando si era messo davanti a lei per timore
che suo padre la
scoprisse, sebbene protetta dall’ Incantesimo di Disillusione.
«Rassegnato.»
quando aveva inizialmente chinato la testa alle decisioni del padre.
«Possessivo.»
come lo era stato nei suoi confronti durante il sogno che aveva fatto
poco meno
di dieci giorni prima.
«Vuoto.»
come aveva descritto il biondo a Ron, difendendolo dalle ennesime
accuse di
essere ancora un Mangiamorte, e come lo aveva visto solo pochi minuti
prima,
nel corridoio al piano di sotto.
«Incoerente.»
come quando l’aveva difesa dalle accuse e dagli attacchi
della donna… di
Astoria, andando perfino contro ciò che lui aveva sempre
creduto che fosse
Hermione - Mezzosangue, Sanguesporco - dimostrando davvero una
contraddizione senza precedenti; forse davvero troppa rispetto alla
razionalità
che il biondo aveva sempre dimostrato di possedere, in special modo nei
suoi
confronti.
Ed
Hermione non si accorse che Astoria aveva ricominciato a parlare,
mormorando
piano una parola che lei ebbe modo di registrare solo dopo, quando la
ripeté ad
alta voce senza pensarci, troppo occupata a scoprire di quale colore
fosse il fondo
della sua tazza di Gunfire.
Quel
fondo era nero.
«Innamorato.»
affermò ancora, e fu solo successivamente che Hermione si
rese davvero conto
del reale significato di quella parola. «Cosa…
no!» esclamò, atterrita. «Cosa
diamine mi fa dire?» sbraitò poi, contro
un’Astoria dall’espressione
tranquilla, comodamente seduta sulla sua sedia.
«Io?
Nulla.» negò pacatamente. «Ho solo
cercato di seguire il suo naturale
ragionamento.»
«Naturale?
Naturale un accidenti! Non mi sembra di aver mai pensato una cosa del
genere,
Astoria!»
«Tu
forse no.» una voce dietro di lei la fece bloccare sul posto.
Hermione sbiancò,
raggiungendo quasi la tonalità di quella pelle
pressoché trasparente della
persona dietro di lei. Si voltò lentamente, deglutendo a
fatica.
«Tu
forse no, Hermione.» tornò a ripetere, aggiungendo
il suo nome alla frase, e
lei ebbe quasi la sensazione di potersi specchiare in quelle due pozze
grigie
che non sembravano abbandonarla. Draco Malfoy la fissava in una maniera
indecifrabile, ma - stranamente - nessuno di quegli aggettivi che aveva
elencato prima sembravano contraddistinguerlo in quel momento.
Freddo,
scontroso, terrorizzato,
incoerente.
Protettivo, rassegnato, possessivo,
vuoto.
Hermione
tornò a deglutire, la gola ancora più secca di
prima. Avrebbe voluto davvero
sprofondare. Guardò male quel poco che restava della sua
bevanda, addossandole
tutta la colpa della situazione imbarazzante in cui si trovava.
«Ma
io sì.»
Innamorato.
Maledetto
Gunfire.
Note.
Prima
di andare avanti
con le note vere e proprie, vorrei solo ricordare che i personaggi -
Draco
Malfoy in particolar modo - sono OOC.
Per chi non lo conoscesse,
il Gunfire è una bevanda
decisamente
alcolica che mi è capitato di assaggiare durante una festa
in tema British poco
tempo fa, e non è altro che semplice tè nero
corretto al rum. Vi lascio
immaginare gli effetti che questa bevanda possa aver avuto su
un’astemia…
comunque, qui
potete trovare maggiori info sul drink.
Ultima cosa, e poi la
smetto di ciarlare. La frase “Forse,
era
stato così tanto tempo da solo, che si era convinto di
esserlo davvero.” è
liberamente tratta - o per meglio dire, è un riassunto -
della seconda strofa
della canzone “L’abitudine”,
di Andrea
Bocelli, contenuta nell’album The
Homecoming del 2002.
Grazie per essere
arrivati fin qui, ed alla prossima. |
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Capitolo 10 *** Vuoto - parte II ***
Vuoto
Parte II
«È
stata piacevole, la
settimana con quel Mangiamorte?»
Questa
sì che è una bella accoglienza,
pensò Hermione non
appena rimise piede in casa. Eppure avrebbe dovuto immaginarla, la
reazione che
avrebbe avuto Ron al rivederla.
«Una settimana,
Hermione!» proruppe, già furioso. «Non
ti sei fatta sentire per un’intera
settimana!»
Perché,
tu l’hai fatto?,
avrebbe voluto chiedergli. Ma non lo
fece, preferendo rimanere in silenzio. Era colpevole, questo doveva
ammetterlo.
Si era allontanata volontariamente, da quella casa, lasciando marito da
solo e
figlio dai suoi genitori. Non aveva giustificazioni, nessuna scusante
alla
quale potersi appellare. Si rese conto di non desiderarle nemmeno,
quelle
attenuanti che in qualche modo avrebbero potuto permetterle di
difendersi.
Aveva litigato con Ron.
Aveva litigato con lui
per colpa di un gufo di scuse.
Aveva litigato con suo
marito a causa delle accuse che le aveva rivolto per colpa di quello
stesso
gufo.
Avevano litigato, e lei
si era allontanata.
«Hermione.»
Ed allora perché non
provava in benché minimo rimorso, per ciò che
aveva scelto di fare?
Guardò Ron e la sua
espressione arrabbiata e delusa a lungo, cercando di ricordare
ciò che l’aveva
fatta innamorare di lui, e chiedendosi se fosse ancora così.
Ronald Weasley era
suo marito, con lui aveva generato due bellissimi figli, con lui aveva
una vita
calma e tranquilla. Ed allora perché si sentiva come se si
fosse rotto
qualcosa, durante la sua assenza, dentro di lei? Non amava
più Ronald?
La
gente non cambia, Hermione.
E
se lui avesse avuto ragione, quella
volta? Le persone erano davvero staticamente immobili,
o potevano
scegliere liberamente?
Non
è vero. La gente può scegliere di
cambiare.
Dopotutto, non erano
forse cambiati tutti quanti, in seguito ad eventi del tutto
eccezionali,
vent’anni prima? Ne erano stati costretti, questo era vero,
ma di certo non era
stato contro il loro volere. Erano cresciuti, con quel cambiamento.
Erano diventati
adulti.
La gente poteva davvero
cambiare idea. L’aveva cambiata realmente anche lei?
«Hermione.»
Guardò nuovamente suo
marito, e si rese conto di non esserne affatto stupita. Non sentiva
nulla, per
il rosso che le stava davanti. Aveva avuto modo di riflettere a lungo,
durante
quella settimana di pausa che si era concessa,
aveva meditato e valutato molte cose, ed altre le aveva
completamente
stravolte.
Durante quella
settimana, si era chiesta più e più volte se la
colpa di tutto quanto era
successo non fosse da attribuire interamente a lei. In fondo, non
poteva di
certo negare di averne preso parte attivamente, a quel… quel
disastro che stava accadendo sopra
le
teste di molte persone, nelle
loro case
e nelle loro vite.
Se
non fosse stato per colpa di una miserabile Sanguesporco,
a quest’ora la Gazzetta non avrebbe…
… non avrebbe scritto quell’articolo.
La testa del biondo china davanti a lei, a
conferma dei suoi pensieri esatti.
Come
poteva, dunque, dichiararsi completamente innocente?
«Hermione!»
Sussultò quando la
chiamò quasi urlando, voltandosi irritata verso suo marito.
«Cosa c’è?» sbottò,
mascherando con un tono di voce secco il senso di colpa che provava.
«Cosa c’è?» ripeté
incredulo Ron. «Sei sparita per una dannata settimana,
Hermione! Potevi essere
ferita, potevi essere… morta, per quel che ne
sapevo!»
«Non dire idiozie,
Ronald.» sibilò, allontanandosi da lui.
«Se sono qui, vuol dire che sto bene.»
Peccato
che non stesse bene affatto.
Hermione
non avrebbe
saputo spiegare come si sentisse in quel momento. Forse era colpa del
tè
corretto che aveva bevuto solo poche ore prima, forse era colpa della
confusione che l’aveva avvolta all’ospedale, o
forse, ancora, la colpa era
dello sbigottimento dovuto alle parole che aveva sentito pronunciare da
Malfoy.
Possibile, che fosse
davvero… innamorato di lei?
Hermione all’inizio era
scoppiata a ridere, non appena aveva sentito
quell’affermazione, ma poi era
stata costretta a smettere. L’espressione sul volto di Malfoy
mentre parlava
non era affatto divertita : era profondamente seria.
Stai…
stai scherzando, vero?
No.
Non sono mai stato così serio.
«Dove
sei stata?» le
chiese ancora, seguendola per la casa. «Ho chiesto a tutti, e
nessuno lo
sapeva.»
«Forse non hai chiesto
proprio a tutti.»
replicò Hermione.
«Dov’è Hugo?»
«Ah, ora te ne
ricordi!» la schernì Ron. «Dopo giorni,
solo ora ti ricordi di avere un figlio
ancora a casa.» l’accusò poi,
più arrabbiato di prima. «Bella madre che
sei.»
Hermione si bloccò, a
sentire quelle parole. Strinse i pugni, valutando seriamente
l’ipotesi di Schiantare
davvero suo marito. Si voltò
lentamente verso di lui, e l’espressione omicida che era
sicura di avere in
volto fece arretrare di poco Ron.
«Non ti permettere.»
sibilò, a pochi centimetri dal viso rubicondo di lui.
«Non permetterti di
offendermi! Cosa ne sai tu, di che madre sono per Hugo? Non ci sei mai,
Ron!
Sei troppo preso dai Tiri Vispi per
poter vantare il diritto di giudicare me per come mi comporto con tuo
figlio.»
lo accusò, brandendo davvero la bacchetta davanti al viso di
Ron. «Sei l’ultima
persona ad avere il diritto di potermi accusare di qualcosa. Te lo
chiedo di
nuovo. Dov’è Hugo?»
«È… è da Ginny,
adesso.»
mormorò l’altro, deglutendo spaventato dalla
reazione di sua moglie. Non
l’aveva mai vista così
furiosa, nei
suoi confronti.
«Grazie. Vado a
prenderlo.» gli comunicò. Mosse in circolo la
bacchetta, ed un piccolo gruppo
di borse apparve vicino all’entrata. Ron le guardò
con gli occhi sgranati, inghiottendo
ancora aria a vuoto.
«Non… non puoi
andartene.» tentò di fermarla.
«Hermione…»
Lei chiuse gli occhi,
respirando profondamente. Non avrebbe voluto farlo, ma la settimana
precedente
aveva riflettuto sul fatto che forse era questa la scelta migliore, al
momento,
o almeno fino a quando non avesse capito e fatto chiarezza dentro di
lei e nei
suoi pensieri.
«Non posso fare altrimenti,
Ron.» mormorò, e gli rivolse un’occhiata
dispiaciuta. «Non posso rimanere con
qualcuno che ha così poca considerazione di me. Mi
dispiace.»
L’altro annuì,
realizzando solo ora le parole con le quali l’aveva definita.
«Non c’è modo di
farti cambiare idea. Mi dispiace che sia andata così.
Ci… ci sarà modo di
rimediare?»
«Non lo so,
Ron.» sussurrò lei, spedendo con
un colpo di bacchetta le sue cose a casa di Ginny ed Harry.
«Lo spero. Per il
bene di Rose e Hugo, lo spero tanto.»
***
Hogwarts
era cambiata
di poco, in quegli anni.
Sebbene la
ricostruzione post bellica fosse stata abbastanza lenta, per gli
standard
magici, tutto era esattamente uguale al prima.
Gli stessi corridoi, le
stesse aule, le stesse statue. Perfino l’ufficio del Preside
era rimasto
uguale. Ma le espressioni dei quadri appesi alle pareti…
quelle non erano
affatto uguali, e di certo non gli stavano rivolgendo occhiate
benevole. Fin da
quando vi era entrato, i personaggi avevano preso a lanciargli insulti
e a
chiamarlo Mangiamorte, mentre lui cercava di non lasciarsi influenzare
dalle
loro parole, sebbene sembrasse avere seri ed improvvisi problemi nella
deglutizione.
Era
così, che si era sentita Hermione in quel sotterraneo?
Offesa ed umiliata?
Fuori luogo, circondata da quei quadri pieni di odio e risentimento?
Ma
non tutti.
C’era un quadro, un
solo dipinto, che lo guardava diversamente dagli altri. Due calmi occhi
azzurro
chiaro, su un volto altrettanto tranquillo, lo osservavano
esprimendogli solo
serenità.
«Draco.» il quadro lo
chiamò, pacato come era stato in vita il personaggio che
raffigurava. Ci mise
qualche secondo, a decidere di voltarsi. Non voleva vedere la pena, in
quegli
occhi chiari quasi quanto i suoi; non voleva compassione nei suoi
confronti,
gli bastava quella di Hermione; e soprattutto non voleva fare i conti
con il
profondo senso di colpa che sicuramente l’avrebbe colpito non
appena avesse
messo i suoi occhi davanti a quelli dell’altro.
Non era pronto.
Nonostante fossero passati
quasi vent’anni, da quel giorno, lui ancora non era pronto.
«Draco, guardami.»
Silente tornò a chiamarlo, con più
placidità di prima. Si voltò, e nulla di
ciò
che si era aspettato di vedere in quegli occhi lo colpì.
L’ex Preside lo
guardava bonario, sorridente come poche volte lo aveva visto rivolgersi
a lui.
«C’è sempre qualcosa di
buono in ogni cosa che vedi, Draco.» proferì.
«Sognare non è sbagliato. Il
segreto sta nel trovare il momento giusto per attraversare la
corrente.»
aggiunse. «Suppongo basti avere una barca sufficientemente
larga.»
Draco si ritrovò a
sorridere, a testa bassa, confortato dal fatto che l’anziano
Preside avesse
scelto di evitare rimproveri nei suoi confronti. Alzò il
capo per ringraziarlo
delle sue parole - indiscutibilmente strane, ma stranamente
comprensibili - e
per il peso sul cuore che gli aveva alleggerito, ma Silente non
c’era già più.
Draco si lasciò cadere
su una poltrona, e chiuse gli occhi. Mai, in tutta la sua vita, gli era
capitato di sentirsi in quel modo, di sentirsi così stanco.
Si
sentiva svuotato.
Si
accorse di non
sentire davvero più nulla. Non sentiva
quali parole avrebbe dovuto utilizzare, di lì a poco; non sentiva la presenza di Astoria di fianco
a lui, pronta come sempre
a sostenerlo; non sentiva il peso
degli anni, come invece avrebbe dovuto.
Era vuoto.
Astoria gli strinse una
mano, come solo un’amica - no,
moglie non
più - poteva fare. Gli era profondamente grato,
per essere lì con lui.
Nonostante lei e Lucius non fossero stati in così buoni
rapporti, lei comunque
era lì, ad assicurarsi che non avesse cedimenti.
Come avrebbe fatto, a
dire a suo figlio che suo nonno non c’era più? Con
quale coraggio lo avrebbe
guardato negli occhi, tentando di dirgli la verità su
ciò che era accaduto?
Per una volta, desiderò
avere quella rinomata temerarietà così tipica dei
Grifondoro. Per una volta, si
trovò a rinnegare la scelta del Cappello Parlante, quando
l’aveva smistato a
Serpeverde. Per una volta, voleva smettere di essere codardo.
I
sentimenti, Draco. I sentimenti saranno la tua fine.
Fin
da piccolo, si era
ripromesso di seguire quel monito, credendo davvero che i sentimenti
fossero
qualcosa di superfluo, una cosa accessoria della quale si poteva fare
benissimo
a meno. E per anni ci aveva creduto, basando di conseguenza la sua
intera vita
su quella frase.
Ciò
che conta davvero sono le apparenze, Draco. L’immagine
è tutto.
Ne
era ancora convinto
di questo, dopo tutto quello che aveva passato? Dopo tutte le
vicissitudini -
buone e cattive - che aveva affrontato, poteva dirsi ancora certo che i
sentimenti potessero essere ancora classificati come debolezze?
La sola cosa certa, e
che solamente ora aveva compreso appieno, era che non voleva essere
come lui.
Avevano lo stesso cognome, questo era vero; avevano lo stesso sangue, e
questo
era altrettanto veritiero, ma avevano due nomi diversi. Draco
e Lucius. Sarebbe bastato questo, a poterli
differenziare?
I
sentimenti, Draco. I sentimenti saranno la tua fine.
Draco
aprì un pò di più
gli occhi, fissando una piccola porzione del muro davanti a
sé. Lui non voleva
essere come Lucius. Non più.
No,
padre. I sentimenti saranno la mia forza.
Scorpius non avrebbe
dovuto vederlo così. Si ricompose, facendo leva su
ciò che non avrebbe mai
smesso di provare per suo figlio : l’amore nei suoi
confronti.
Ti
voglio bene, Scorpius. Non dimenticarlo mai.
La
porta dell’ufficio
si aprì, rivelando il bambino accompagnato dalla Preside.
Aveva la testa bassa,
Scorpius, ma appena si rese conto di avere davvero i genitori davanti,
corse
loro incontro, incurante dei richiami della McGranitt. Li
abbracciò entrambi, e
Draco si sentì ancora più male, al pensiero che
la gioia di suo figlio sarebbe
stata presto rimpiazzata dal dolore. Per
causa sua. Sarebbe stato lui, difatti, a dare la notizia al
bambino.
Incrociò gli occhi di Astoria, e vi lesse determinazione.
Deglutì nervoso,
mentre si abbassava alla stessa altezza di suo figlio. Ringrazio
mentalmente la
Preside, promettendosi di farlo più tardi a voce, per aver
avuto la gentilezza
di lasciare a loro il suo ufficio.
«La Preside ha detto
che volevate parlarmi.» esordì il bambino,
alternando lo sguardo ai visi di
entrambi i genitori. «Non mi sono comportato male,
però.»
Astoria sorrise, di
fronte a quell’ammissione, e gli scompigliò i
capelli biondi identici a quelli
del padre. «No, tesoro. Lo sappiamo, che sei un bravo
studente.» lo
tranquillizzò, ed il bambino tirò un sospiro di
sollievo. «Non siamo qui per
questo. Abbiamo bisogno di parlarti.»
«Ma non qui.» si
intromise Draco, rialzandosi. «C’è un
posto in cui… hai un posto speciale,
Scorpius?» gli domandò, ed il bambino
annuì immediatamente.
«Il campo da
Quidditch!» esclamò felice, e gli occhi gli si
illuminarono. «Quando voglio
stare solo, vado lì.»
Draco gli rivolse un
sorriso, accarezzandogli la testa bionda. Era
proprio figlio suo. «Andiamo.»
Raggiunsero il campo in
totale silenzio, camminando l’uno di fianco
all’altra, tenendo a malapena il passo
con quello frettoloso di uno Scorpius troppo impaziente di arrivare a
destinazione.
E lo sarebbe stato
ancora, si domandò Draco, una volta saputo il motivo della
presenza sua e di
Astoria? Scorpius non era uno stupido, ed era pur sempre suo figlio.
Gli avrebbe
fatto male, quella notizia. Ma non poteva evitare di dargliela.
«Scorpius.» lo chiamò,
bloccandosi al centro del giardino. Non voleva che il posto speciale di
suo
figlio si tramutasse da felice a quello in cui era venuto a conoscenza
della
morte del nonno. Gli porse una mano, e prontamente il bambino
l’afferrò.
«Vieni, sediamoci qui.»
«Cosa c’è papà?»
gli
chiese il bambino. «Stavo giocando a Spara Schiocco,
e…»
«Tesoro, papà deve
dirti qualcosa di importante.» lo interruppe Astoria,
rivolgendo uno sguardo
comprensivo all’ex marito. «Lascialo parlare, va
bene?»
Draco vide il bambino
annuire, per poi immobilizzare i suoi occhi grigioverdi sul suo volto,
carico
di aspettativa.
«Scorpius…» subito si
interruppe, rivolgendo alla moglie un’occhiata in cerca
d’aiuto. Come fare, a
dare ad un bambino una notizia del genere? Come riuscirci, senza farlo
star
male più dello stretto necessario?
«È successo qualcosa,
vero papà?» interloquì il bambino, la
voce improvvisamente e tristemente
adulta. Non meritava quel dolore.
«Ho
sentito… i professori….»
Draco rilasciò un
sospiro, in fondo grato per l’appiglio che gli aveva fornito
inconsciamente suo
figlio. «Vedi, Scorpius… ti ricordi di
Asper?» attese che il figlio annuisse,
prima di continuare.
«Era un gatto malato,
papà.» mormorò dispiaciuto, e poco dopo
si ribellò senza preavviso dalla sua presa.
Draco se lo ritrovò davanti, gli occhi già umidi
e il viso alterato dalla
tristezza. «Anche il nonno è malato?»
singhiozzò, puntando gli occhi chiari sul
volto di suo padre. «È con Asper, ora,
vero?»
«Scorpius…» Draco cercò
di riavvicinarlo, ma il figlio si allontanò ancora di
più, ed iniziò a correre
via verso la scuola. «Scorpius!»
«Lascialo andare.» lo
fermò Astoria. «Vuole stare da solo.»
Draco non rispose,
preferendo lasciarsi cadere sul’erba. Si tenne la testa tra
le mani,
rimproverandosi di aver sbagliato tutto nel modo in cui aveva gestito
la cosa
con suo figlio. Sentì una mano posarsi sul suo braccio.
«Non rimproverarti.»
gli mormorò lei. «Hai agito bene.»
«Bene? È scappato via,
Astoria!» ribatté lui. «Ho sbagliato
tutto, altro che bene.»
Lei sospirò. «Invece
no, Draco. Era attaccato a Lucius, è naturale che la notizia
gli abbia fatto
male. Ma Scorpius è uguale a te. È forte. Gli
passerà.» gli tese una mano,
affinché la prendesse e si rialzasse da terra.
«Andiamo. Portiamolo a casa.»
***
«Harry,
ci sono novità.»
L’Auror si precipitò fuori dal suo
ufficio, seguendo quasi di corsa il collega che l’aveva
chiamato. «Su cosa?»
«Sull’attacco a Madama McClan.» gli
rispose.
«Era stato nascosto bene, ma siamo riusciti comunque a
trovarlo. È un frammento
piccolo, ma siamo comunque riusciti a risalire ad alcuni
dettagli.»
Harry prese il pezzetto
bruciacchiato che l’altro gli porgeva, assottigliando gli
occhi per cercare di
riconoscerlo. Era davvero piccolo, notò, ma era stato
sufficiente. «Cosa sai
dirmi?»
L’altro aprì una
cartelletta, leggendo da una pergamena all’interno.
«C’erano varie tracce,
comprese quelle di numerosi Incendio
e persino quella di un Ardemonio.»
«O le cose si fanno
bene, o non si fanno affatto.» commentò sarcastico
Harry, rigirandosi il
frammento quasi del tutto carbonizzato tra le dita.
«Altro?»
«Sì. C’erano tracce di
biancospino, acacia e noce.»
La fronte dell’Auror si
aggrottò automaticamente. «Bacchette.»
affermò. «Si sa di chi sono?»
L’altro scosse la
testa. «Ci stiamo lavorando. Non è semplice,
risalire ai proprietari.»
«Lo immagino. Eppure…»
mormorò, continuando a riflettere. Il legno
d’acacia non gli era del tutto
nuovo. Sapeva di averla già avuta tra le mani, una bacchetta
con un legno
simile. Ma non rammentava dove o quando. Alzò le spalle, gli
sarebbe
sicuramente venuto in mente, ringraziò per essere stato
informato e tornò nel
suo ufficio, in compagnia delle maschere da Mangiamorte finora
recuperate.
***
«Tieni.
Ti sarà
d’aiuto.»
Prese con malavoglia il
bicchiere che gli veniva offerto, roteandolo stancamente con il polso.
Si
appoggiò allo schienale della poltrona, e chiuse gli occhi. Non avrebbe voluto svegliarsi più.
«Scorpius si è
addormentato.» lo informò Astoria, ingollando
anche lei qualche sorso di Whisky
Incendiario. «Spero solo che non abbia incubi,
stanotte.»
«Stai tranquilla.» la
rassicurò il biondo. «Rimarrò sveglio
per accertarmi che non ne abbia.»
Astoria strinse le
labbra in una sottile linea di rimprovero, che lui però non
vide. «Devi
dormire, Draco. Domani sarà una giornata lunga.»
«Più di quella appena
trascorsa?» le domandò lui, un leggero sorriso sul
volto. Ma anche quello era
stanco, proprio come tutto il resto di lui. Gli sembrava di non
riuscire a
provare alcuna emozione, in quei giorni. Anche solo sorridere, gli era
difficile. Era emozionalmente vuoto,
ecco com’era.
«Suppongo di sì.»
mormorò lei. «Anche quella di ieri lo è
stata, eppure non mi sei sembrato così
provato.»
Draco aprì piano un
occhio, rivolgendolo alla moglie. «Divertente.»
«No, sono seria. Te
l’ho detto, Draco. La Weasley ti fa bene.» gli
confessò ciò che sapeva già.
«L’ho
notato, sai? Ora che l’ho conosciuta. Sei diverso, quando
c’è lei. Sei… sei più
Draco e meno Malfoy.»
Quel paragone lo fece
sorridere. «Sono la stessa persona, Astoria.» le
fece notare, ingollando
l’intero contenuto del suo bicchiere. La gola gli bruciava,
ma decise di non
darvi importanza.
«Invece no.» ribatté
lei, riempiendo nuovamente entrambi i bicchieri. «Draco
è più gentile di
Malfoy. Devo ammetterlo, mi piace di più il primo. Anche ad
Hermione, sai?»
Draco le lanciò
un’occhiataccia torva. «Cosa ti è
passato per la mente, Astoria?»
«Sei lento, Draco. Le
cose importanti vanno afferrate subito. Ho solo aiutato con i
tempi.»
«Aiutato.» ripeté lui.
«L’hai praticamente terrorizzata,
Astoria!»
«No, non credo. E
comunque, non ho detto nulla che lei non sapesse già di
pensare. O pensasse di
sapere.» replicò tranquilla. «Come puoi
vedere, ho davvero solo aiutato.»
«E se lei…»
«Scelga comunque quel
rosso al posto tuo?» lo interruppe, e lui annuì.
Era questo, il dubbio che lo
tormentava e che non lo lasciava dormire tranquillo da alcune notti.
«Non accadrà.» una voce
li raggiunse dallo stipite della porta. Narcissa Malfoy si
avvicinò al figlio,
posandogli una mano tra i capelli e l’altra sulla spalla,
fino a chinarsi per
posargli un bacio sulla guancia. Era diventata affettuosa, con il
passare degli
anni. Forse voleva semplicemente recuperare, con tanto di interessi, il
tempo
in cui aveva creduto che fosse meglio il contrario, per suo figlio. E
doveva
ammetterlo, a lui non dispiaceva minimamente.
«Non succederà. Astoria
ha ragione. Tornerà a cercarti.»
«Come fai ad esserne
così certa?» gli chiese titubante. Temeva la
risposta che sua madre avrebbe
potuto dargli.
«Sono una madre, Draco.»
gli rispose sorridendo. «Noi sappiamo sempre tutto.»
Note.
Solo
una breve
precisazione, per questo capitolo.
Le frasi “C’è
sempre qualcosa di buono in
ogni cosa che vedi”
e “Il
segreto sta nel trovare il momento giusto per attraversare la corrente”,
pronunciate da Silente, sono liberamente tratte dalla canzone I have a dream degli Abba, contenuta
nell’album Voulez-vous
del 1979 e
parte della colonna sonora del film Mamma
Mia!.
È probabile che
sentirete ancora parlare di questo gruppo, nei capitoli futuri.
Ultima cosa. Ci terrei a
ringraziare le persone che hanno aggiunto questa storia nelle varie
liste, chi
legge e commenta e chi legge in silenzio. Non avrei mai pensato che una
storia
del genere potesse essere così seguita, specie considerando
che è la prima long
che posto in questo fandom. Dunque, ancora grazie.
Alla
prossima.
Edit : il prossimo capitolo potrebbe essere rinviato di alcuni giorni, per via di una nuova storia alla quale sto attualmente lavorando e che spero di postare quanto prima. Mi scuso fin da ora per l'eventuale ritardo.
Edit 2 : Per spoiler ed anticipazioni varie, vi ricordo la pagina Facebook che potete trovare cliccando qui.
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Capitolo 11 *** Profumo - parte I ***
Profumo
Parte I
Lucius
Malfoy II fu
sepolto vicino ad un gelso, in una fredda mattina di inizio ottobre.
Questo era stato il
volere della famiglia, che voleva comunque rendergli gli onori che solo
ad un
defunto spettavano.
Tutti i peccati e tutti
gli errori sarebbero stati lavati via, con la morte. Si sarebbe tornati
ad
essere innocenti e puri, con la morte.
Valeva anche per uno
come Malfoy, questo?, si domandò Hermione, giunta per
assistere all’ultimo
saluto di una persona che aveva odiato come non mai, in passato, ma che
non
riusciva a detestare adesso. Non in quel frangente, non con
ciò che restava
della famiglia Malfoy, stretti tra loro, a salutare ed assistere il
loro caro
nell’ultimo viaggio. Anche questo, era stato il volere della
famiglia : solo
poche persone, i conoscenti e gli amici più fidati, avevano
ricevuto il gufo di
promemoria.
Hermione fece vagare lo
sguardo suoi pochi presenti alla cerimonia, notando che solo una
persona, tra
tutte, stava piangendo. E le si strinse il cuore, a vedere quel bambino
che
versava lacrime su lacrime, aggrappandosi ai genitori come se volesse
pregarli
di non lasciarlo andare.
Come si poteva portare
un bambino ad un funerale?
La parola stessa, bambino, avrebbe
dovuto far capire agli
adulti che non era luogo adatto per loro, il cimitero. Scosse la testa,
scacciando quei pensieri. Quel bambino non era figlio suo, non era lei
la
responsabile delle decisioni che venivano prese nei suoi confronti. Non
se ne
sarebbe dovuta preoccupare. Ma la tristezza infinita del ragazzino non
poteva
lasciarla indifferente, Hermione non aveva un cuore di pietra, e poi
era anche
lei stessa una madre. E mai e poi mai avrebbe permesso ad uno dei suoi
figli,
giovani com’erano, di partecipare ad una cosa tanto triste.
Non gli avrebbe mai
dato il permesso di partecipare a tutto quel dolore.
Si azzardò ad
avvicinarsi a quel piccolo gruppo di persone, preferendo
però nascondersi
dietro un albero. Era stata invitata, se di invito si poteva davvero
parlare, a
quella cerimonia, ma non voleva mettere nessuno dei presenti in
imbarazzo.
Tantomeno sé stessa.
Notò Astoria alzarsi
verso la testa dell’ex marito, mormorandogli qualcosa, ma era
troppo lontana per
capirne le parole, ed il biondo annuirle in risposta. Si
allontanò, portando
con sé il bambino, e la raggiunse.
«Io ho già fatto quel
che potevo, Hermione.» le mormorò, mentre
rallentava per fermarsi vicino a lei.
«Di più non posso. Ha bisogno di
un’amica, adesso. Non lo fa vedere, ma… sta
male, per Lucius. Non sopporto di vederlo così.»
Hermione deglutì,
vagando con gli occhi sul volto di Malfoy. «In che
modo?» sussurrò ad Astoria.
«Come faccio, a…»
«Le stia vicina. È
l’unica cosa di cui ha bisogno, al momento.» le
chiese l’altra, anche con gli
occhi. «Draco avrà fatto cose senza dubbio
cattive, ma non si merita questo. E
nemmeno Narcissa, nonostante
tutto.»
«Mamma.» la chiamò il
bambino, ed Astoria gli rivolse subito un sorriso. «Non
voglio più stare qui.»
«Ora ce ne andiamo, tesoro,
sì.» sussurrò la donna, accarezzandogli
piano la testa bionda.
«Perché insistete
tanto?» le domandò Hermione.
«Perché lei
insiste così?»
Astoria la guardò negli
occhi, mostrandole tutta la sincerità di cui era capace.
«Mi sembra chiaro,
ormai, Hermione. È lei, ad aver preso il mio posto.
È sempre stato così.»
affermò, separandosi di qualche metro da suo figlio.
«Mi chiede perché sono
così insistente? Conosca meglio Draco, e lo
capirà da sola. Voglio dirle
un’altra cosa, prima di andare. Lei ha ricevuto
l’invito, per questa cerimonia.
Si chieda il perché.»
Hermione sgranò
lievemente gli occhi ed aprì la bocca per parlare, ma nessun
suono le uscì.
Vide il sorriso gentile della Greengrass, e poi la sua schiena che si
allontanava. Deglutì più volte, prima di trovare
il coraggio per tornare a
guardare le altre persone. Incrociò il cipiglio severo di
Narcissa Malfoy, che
divenne subito gentile quando lei ricambiò
l’occhiata. Aggrottò le
sopracciglia, e si appoggiò contro il tronco di un albero.
Perché erano tutti così
gentili, con lei? Prima Draco, poi Astoria ed infine Narcissa. La
trattavano
tutti con considerazione, come se davvero fosse stata loro amica.
Ed ora, anche l’invito
a quel funerale. Hermione aveva sempre detestato Lucius Malfoy, non era
di
certo un segreto, eppure la famiglia aveva desiderato invitarla
comunque.
Perché?
Si ripromise di
domandarlo a Malfoy, non appena ne avesse avuta l’occasione.
«Grazie per essere
venuta.» Hermione sussultò, sentendo una voce
interrompere i suoi pensieri. Il
biondo le si avvicinò, ma evitava di guardarla. Lei si
schiarì la voce, ma non
disse nulla. Nessuna parola era in grado di confortare
quell’enorme senso di
perdita che affliggeva Malfoy.
«Perché sono qui,
Malfoy?» gli domandò invece, osservando la
reazione dell’altro. Se non fosse
stato per un respiro lievemente più profondo degli altri,
Hermione non avrebbe
avuto alcun dubbio sulla sua impassibilità. Eccola, la
proverbiale freddezza
che l’aveva così tanto colpita, nei giorni e negli
anni passati.
«Cosa vuoi che ti
risponda?» mormorò il biondo, la voce stanca.
Hermione trasalì, osservando le
profonde occhiaie e l’espressione tirata sul viso del biondo.
«Hai dormito almeno
qualche ora, la notte scorsa?» Malfoy la guardò
strizzando le palpebre, ed
Hermione poté vedere meglio quelle occhiaie violacee che gli
contornavano gli
occhi. Gli tese la mano, attendendo che l’afferrasse e
dovette insistere,
appoggiando la mano sul suo braccio.
«Cosa… dove?»
«Devi dormire, Draco.»
lui allargò gli occhi, sentendo il suo nome uscirle dalle
labbra. Per la prima volta. Ma si
riprese
subito.
«Non voglio dormire.»
«Devi, invece.» insistette
lei. «Non puoi andare avanti così. Tua moglie non
lo permetterebbe.»
«Non ho più voglia di
dormire.» ripeté. «Voglio solo andare
via.»
Hermione strinse la
presa sul braccio del biondo, lasciando che il biondo Smaterializzasse
entrambi.
Quando aprì gli occhi, si ritrovò nel salone
della villa dove era già stata in
precedenza. Malfoy le lasciò subito il braccio che gli aveva
offerto, e si
allontanò verso un carrello.
«Whisky, Granger?» le
offrì, muovendo in circolo una bottiglia di cristallo.
«O preferisci altro?»
Hermione gli si
avvicinò frettolosamente. «Non è
nemmeno mezzogiorno, Malfoy. Non dovresti
bere.» affermò, togliendogli la bottiglia dalle
mani. «Dovresti andare a
dormire, invece. Hai certe occhiaie che…»
«Non mi interessa.» la
interruppe lui, afferrando un’altra
bottiglia dal carrellino. «Non mi interessa delle occhiaie,
della stanchezza o
del bisogno di dormire. Non mi interessa più
niente.»
«E credi che bere sia
la soluzione?» gli chiese, osservando i gesti del biondo.
«A quest’ora, poi?»
Malfoy si voltò verso
di lei, in viso un espressione furiosa. «Non sei mia madre,
Granger.» le
sibilò, e lei sgranò gli occhi a sentire quel
paragone. «Lasciami in pace.»
Hermione sbatté le
palpebre, incredula alle sue stesse orecchie. «Tu mi hai
chiesto di essere qui,
oggi. So bene che la coerenza non è mai stata il tuo forte,
ma almeno vedi di
non comportarti come il bambino capriccioso che sei sempre stato, fin
da
Hogwarts. Sei un adulto, Malfoy. Comportati come tale.» gli
sibilò a sua volta,
fermandosi a pochi centimetri da lui e dal suo volto. «Vuoi
stare da solo? Vuoi
ubriacarti fino a perdere i sensi? Bene, fallo. Non mi interessa. Ma
non contare
su di me. Non rimarrò di certo qui, a vederti
mentre…»
Hermione si interruppe,
guardando allarmata l’espressione determinata apparsa ora sul
volto del biondo.
Avanzò ancora nella sua direzione, fino a quando Hermione
non fu completamente
circondata. Quel profumo.
Deglutì,
rispecchiandosi in quegli occhi grigi così chiari, e
ciò che vi lesse non fu
dolore, o dispiacere. Nulla di tutto quello era presente nello sguardo
del
biondo davanti a lei.
«Malfoy…» il suo nome
le si intrappolò in gola, mentre inspirava profondamente,
cercando di
incamerare aria. Ma non era l’odore pulito e fresco
dell’aria che sentiva,
bensì uno più forte e più acre. Quel
profumo.
Hermione sapeva cosa
stava per accadere, e si rese conto che doveva scostarsi, allontanarsi
da
quella situazione che rischiava di diventare ancora più
imbarazzante. Avrebbe
dovuto scostarsi. Avrebbe voluto farlo, ma gli occhi di lui
l’avevano
catturata, stregandola con quel grigio nel quale si sarebbe voluta
perdere.
E lei non voleva
allontanarsi.
Sentì un braccio
circondarle la vita, e si ritrovò a pochi millimetri dal
viso diafano di
Malfoy. Deglutì, e fu l’unica cosa che
riuscì a fare. Quel profumo le rendeva
difficile ragionare. Lui le rendeva
impossibile farlo. Inspirò ancora ed ancora
quell’odore, stupendosi di quanta
tranquillità riuscisse a trasmetterle.
Avrebbe voluto
scostarsi, ma non lo fece.
Avrebbe dovuto essere
nervosa, ma quella sensazione non la sfiorò.
Avrebbe dovuto sentirsi
fuori luogo, stretta tra le braccia di una persona che tanto a lungo
aveva mal
sopportato, eppure era lì, serena come mai lo era stata in
sua presenza.
Probabilmente era colpa
delle circostanze, e forse la colpa era di quel
profumo, ma Hermione non poté negare a
sé stessa di sentirsi bene, in quel
momento.
Leggeva nei suoi occhi tante
di quelle sensazioni, che si susseguivano quasi sovrapposte le une alle
altre,
da non lasciarle quasi il tempo di decifrarle : ci vedeva
l’angoscia, dentro
quelle iridi; vedeva la paura prenderne subito il posto, il dubbio - la
remota
possibilità - che lei non volesse quello che lui desiderava
in quel momento; ci
vedeva mille altre emozioni e sensazioni, ma erano troppo veloci per
poterle
riconoscere appieno.
Hermione lo osservò
sfiorare i suoi capelli, mentre la mano sui suoi fianchi
l’attirava di più
contro di lui senza tuttavia costringerla. Sapeva che non avrebbe mai
fatto
nulla che potesse anche solo andare contro i suoi desideri, e gli fu
grata per
questo. Allargò di poco gli occhi, non appena si rese conto
che nemmeno la situazione
nella quale si trovava andava contro i suoi desideri : lei voleva trovarsi lì.
Voleva
rimanere così, circondata dalle braccia che ora erano
divenute due, e che la
stringevano contro il corpo di lui; voleva
essere circondata da quel profumo che non le lasciava quasi
lucidità.
Profumo
di pergamena nuova.
«Malfoy
- deglutì
ancora, cercando quella lucidità che sembrava averla
abbandonata - non credo
che…»
«Draco.»
mormorò lui. Hermione si ritrovò a sorridere, non
solo per il tono col quale
aveva pronunciato il suo nome, ma per la situazione in generale :
sembravano
davvero due adolescenti, abbracciati in quel modo.
«Draco.»
ripeté lei, e sul viso del biondo
comparve un sorriso sincero. La guardò con profonda
gratitudine, e lei sapeva
che non era perché lo aveva chiamato con il suo nome di
battesimo, ma bensì
perché - suppose - non era scappata a gambe levate quando
lui aveva Smaterializzato
entrambi a casa sua.
E perché mai avrebbe
dovuto?, si domandò lei. Era contenta, di essere
lì insieme a lui. Stava bene.
«Non
credo sia una buona
idea. È stata una mattinata lunga, per te, e hai davvero
bisogno di dormire.»
gli consigliò ancora, osservandolo fissare insistente mente
le sue labbra. «Cercare
di baciarmi non è affatto dormire, Malfoy.»
Hermione sbuffò
divertita quando vide un ghigno comparire su quel volto. «No,
è vero. Ma è infinitamente più
divertente. Senza contare che, come ho
detto, non ho voglia di dormire.»
«Credo
che a questo
punto dovrei chiederti cosa tu abbia voglia di fare, ma immagino
già la tua
risposta.»
mormorò lei, costringendosi a scostarsi dal biondo
per tentare di trovare un po’ di lucidità sul
divano.
«Immagini
male. Non sono
uno… un adolescente, Granger.»
si accomodò di fianco a lei.
«Hermione.»
«Sì,
so come ti chiami.»
la prese in giro lui, e lei gli scoccò
un’occhiataccia incrociando le braccia
sotto il petto. «Non
farei mai nulla che possa metterti a
disagio. Non sono più quel tipo di persona, Hermione.»
«Bene.»
rispose solo, prendendosi qualche istante per mettere in ordine i suoi
pensieri. Le venne in mente la domanda alla quale lui non aveva ancora
risposto. «Perché
sono qui, Draco?»
Il biondo sospirò,
vagando con lo sguardo per tutta la stanza, ma non si
soffermò su di lei.
Hermione strinse gli occhi, richiamandolo.
«Sono
vivo.»
mormorò, e lei si lasciò catturare dalla grigia
sincerità di quegli occhi. «Al
contrario di quanto si possa pensare oggi, sono ancora vivo.
E continuerò ad esserlo.»
Si alzò in piedi,
camminando per il salone, ed Hermione non si perse nemmeno un suo
minimo
movimento. «Sono
stanco di dovermi mostrare per quello che non sono. Sono
stufo di dover dimostrare agli altri di essere il degno figlio di mio
padre. Il
figlio di un Mangiamorte, a sua volta tale, che non ha mai rinnegato le
sue
convinzioni, ma le ha solo accantonate. Sono stanco di dover sempre
rispettare
le aspettative di tutti. Un Malfoy è forte, un Malfoy non
può mostrarsi debole,
un Malfoy deve dimostrare sempre ciò che vale. Un Malfoy
può piangere la morte
del proprio padre, per quanto bastardo sia stato lui in vita, Hermione?»
le domandò infine, parlando a stento per il blocco che non
lo lasciava quasi
respirare. «Sono
vivo, e sono stanco di stare male.»
Hermione ascoltò ogni
singola parola senza emettere fiato, osservando a sua volta con
dispiacere le
lacrime che avevano iniziato ad uscire dagli occhi del biondo. Aveva
mai
pianto, in vita sua? E se l’aveva fatto, da quanto tempo non
lo faceva più? Hermione
dubitò che si fosse davvero lasciato andare,
nell’arco della sua vita. Lui
stesso si era appena definito forte, e per qualche strano ed assurdo
motivo, i
forti non erano soliti piangere. Non i Malfoy, perlomeno, a quanto
aveva appena
sentito affermargli.
Hermione lo raggiunse,
e sorrise quando lo vide fissare la mano che gli aveva allungato. «Devi
dormire. Dopo ti sentirai meglio. Fidati.»
Lui la scostò con un
gesto stizzito, guardandola truce. «È
tutto quello che
riesci a dire? Che devo dormire?»
le sibilò, a pochi
millimetri dal volto. «Chi
credi che sia, Granger, un moccioso?
Te l’ho già detto una volta, se non ricordo male.
Non voglio la tua dannata
compassione. Non mi serve, così come non mi
servirà chiudere gli occhi e
dormire.»
«Per
una volta, Malfoy,
evita di essere egoista. Sì, tu.
Credi
che a tuo figlio faccia piacere vederti così? Credi ne sia
contento?
Non sei l’unico, ad aver seppellito qualcuno oggi. Ho visto
come piangeva il
tuo bambino, e i singhiozzi che lo scuotevano. Lui dovrebbe essere
arrabbiato,
non tu. È lui il bambino, non tu.»
ribatté,
ricambiando le occhiate assassine che le rivolgeva. Prese la sua
bacchetta
dalla tasca, posandola su un tavolino sotto gli occhi attenti di lui. «Comportarti
come tale non migliorerà certo le cose, né
tantomeno ti farà
passare il dolore che senti. Vuoi sfogarti? Fallo.»
Lui
scosse la testa e
lei ne approfittò per raggiungerlo, costringendolo a
guardarla negli occhi. «Sono
disarmata, Draco. Avanti. Ti sentirai meglio, dopo.»
«Non
potrei mai
colpirti.»
sussurrò lui, gli occhi umidi in modo insolito. «Mai.»
«Lo
hai già fatto, in passato.»
gli ricordò lei, un sorriso sul viso. «Non
è nulla di nuovo.
Anzi, una differenza c’è. Questa volta sono io a
chiedertelo.»
Il biondo ricambiò il
sorriso, limitandosi a stringerla e ad avvicinare i loro volti. La
osservò deglutire,
mentre si sforzava di non distogliere lo sguardo dai suoi occhi, ed un
colorito
più accentuato le comparve sulle guance. Era bella, quando
arrossiva. No, rettificò
quel suo pensiero subito
dopo, lei era bella sempre.
«Urla,
strilla, tirati i
capelli, affatturami, piangi, rompi qualcosa. Fai quello che vuoi, ma,
Merlino,
sfogati.»
lo invitò ancora, certa che non avrebbe mai fatto niente di
grave o pericoloso
nei suoi confronti. Difatti il biondo scosse ancora la testa, ed
aumentò la
stretta sui suoi fianchi tirandola contro di sé con un gesto
deciso.
«No.
Non
farò nulla del genere.»
mormorò, sfiorandole piano la
bocca. Attendeva un suo cenno, Hermione lo sapeva bene, ma doveva
ammettere che
tenerlo sulle spine era decisamente divertente.
Fino
ad un certo punto.
Note.
Sono in leggero ritardo
rispetto ai miei soliti tempi, lo ammetto. La colpa, oltre a vari
impegni
personali, è di questa,
che mi ha portato via parte del tempo che avrei voluto
dedicare a Vuoto. Spero, comunque,
di
farmi perdonare con la seconda parte di questo capitolo, che non
arriverà prima
di venerdì.
Alla prossima. |
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Capitolo 12 *** Profumo - parte II ***
Profumo
Parte II
Perché
la gente fuggiva il dolore e lo
evitava come la peste? Sì, faceva male, ma faceva male anche
ogni cosa che
avesse importanza. Amare faceva male, vivere faceva male, nascere
faceva male,
cambiare faceva male, crescere faceva male. I morti non provavano
dolore, solo
i vivi.
Non
si era mai sentita tanto viva.
Non
come in quell’istante, circondata
dalle braccia e dal profumo di pergamena del biondo, che a sua volta la
guardava come se fosse stata davvero una cosa talmente preziosa da
poterla
sfiorare appena.
Ma lei non era di cristallo. Aveva dei
pensieri, dei sentimenti e delle emozioni, che insistevano nel farla
rimanere
in quella posizione, sussurrandole che solo lì si sarebbe
trovata bene.
Quel profumo le sussurrava che era a casa.
E lo sentiva sempre di più, sempre più
vicino : la avvolgeva come una seconda pelle, le annebbiava i sensi e
le
ottenebrava la mente a tal punto da non poter fare altro che lasciarsi
in balìa
del biondo che la stringeva e la baciava in un modo che mai - da lui,
per uno come lui
- avrebbe potuto ritenere possibile.
E continuava a baciarla, a stringerla,
ad accarezzarle la testa, il viso, i fianchi, la schiena e tutto quello che
riusciva a raggiungere,
mostrandosi affamato come non era mai stato, nemmeno con sua moglie.
Ma lei non era Astoria.
Non era di Astoria, il profumo di pulito
della pelle con cui si stava intossicando; non era di Astoria, la
rapidità con
la quale lo privava degli abiti; non erano di Astoria i gemiti e gli
ansimi con
i quali manifestava la propria partecipazione; non era di Astoria, il
respiro
spezzato con cui manifestò il culmine di un atto al quale
entrambi avevano
equamente preso parte.
Lei non era Astoria.
Era Hermione.
La
sua Mezzosangue.
***
«Ho
saputo quello che è
successo. Tra te e la donnola. Scusa. Tra te e Weasley.»
si corresse immediatamente, dopo l’occhiata truce che gli
rivolse Hermione.
Chiuse gli occhi,
sistemandosi meglio e respirando profondamente. Sapeva di dover
affrontare il
discorso, prima o poi, ma non pensava di doverlo fare così
presto. Certo, era
più che normale che si interessasse, dato quello che era
appena accaduto, ma
era comunque troppo presto. Non sapeva bene nemmeno lei come
comportarsi, e non
solo per il fatto di trovarsi praticamente nuda nel letto di Malfoy,
stretta
contro di lui, che le accarezzava pigramente i capelli e la schiena.
Rilasciò
un altro sospiro, cercando di mettere ordine tra i suoi pensieri.
«È stato inevitabile.»
ammise, più a sé stessa che a lui. «Per
quanta pazienza si abbia, per quanto
amore si possa provare nei confronti di una persona, ci sono cose su
cui è
impossibile passare sopra.»
«Cosa intendi?»
Hermione sorrise e lo
guardò negli occhi, stringendogli la mano posata sul suo
braccio giocando con
le dita. «Vuoi proprio sentirtelo dire, non è
vero?»
«No, se tu non vuoi.»
le concesse, alzando noncurante le spalle. Hermione gli rivolse
un’occhiata
mesta, non riuscendo però a non sorridere ancora di
più. «Ci sono cose che,
magari, vanno tenute nascoste. Cose personali.»
«Oh, certo.» replicò
lei, sbuffando. «Come le confessioni fatte per colpa del
Gunfire?»
Draco la guardò
stupito, ed Hermione poté vedere le sue iridi allagarsi
meravigliate ed il
respiro spezzarsi. «Quindi lo ammetti, che quella
è stata una confessione.»
«Chi è, adesso, il
contorto?» chiese lei a sua volta, scostandosi per mettersi
seduta sul bordo
del letto. «Non ho mai negato che non lo fosse, Draco. Certo,
il modo in cui mi
è stata estorta non è di certo convenzionale, ma
ammetto che è stata prematura.
Questo sì.»
Lo sentì ridere, dietro
le sue spalle, e subito due mani diafane la raggiunsero stringendole la
vita.
Quando tornò a parlare, Hermione sentì le labbra
sul suo collo scoperto, e fu
costretta a chiudere gli occhi. «Guardati. Apri gli occhi e guardati, Hermione.»
Lei obbedì,
scontrandosi contro l’immagine riflessa che mostrava lo
specchio. I suoi
capelli erano scarmigliati, gli occhi lucidi e le labbra arrossate in
modo
quasi innaturale. Eppure, nonostante ciò che vedeva, non
poteva fare a meno di
sentirsi appagata.
«Cosa vedi?»
«Draco…» lo chiamò lei,
cercando un modo per evitare quella situazione. Quel confronto, con
quale - suo
malgrado - presto o tardi avrebbe dovuto farne i conti. Ma lui
insistette,
tenendole fermi i fianchi per impedirle di scappare.
«Smetti di fuggire. La
guerra è finita da un pezzo.» le
mormorò, sfiorandola lievemente. Hermione
trattenne a stento un gemito, a quelle carezze appena accennate.
«Rispondimi.
Cosa vedi?»
«Una contraddizione.
Ecco cosa vedo.» un’occhiata di lui la costrinse a
continuare. «Vedo… non lo
so.»
«Ti dico cosa vedo io,
Hermione. Vedo due adulti, riflessi su quello specchio. Due adulti che
hanno
sofferto molto, entrambi. Vedo un adulto che ha sofferto molto
più dell’altra,
quest’oggi, e che sta cercando in tutti i modi di dimostrare
a sé stesso di
essere davvero ancora vivo. Vedo - proseguì, senza quasi
riprendere fiato -
vedo una donna con gli occhi lucidi, e le labbra rosse, il volto
luminoso come
poche volte mi è capitato di vedere.»
espirò, sporgendosi per trovarsi davanti
al suo viso. «Vedo un uomo ed una donna che si confortano a
vicenda. E l’uomo
ha molto bisogno di conforto.» terminò sulle sue
labbra, attendendo che fosse
lei, a volere quel contatto.
«Te l’ho mai detto, che
sei terribilmente manipolatore?» replicò,
appropriandosi poi della sua bocca. Si
costrinse a staccarsi, seppur a malincuore, da quelle labbra che la
chiamavano
e la tentavano come se avessero potuto offrile ossigeno; quello stesso
ossigeno
che si sforzava di incamerare, conscia che quello fosse il momento in
cui
potergli rivolgere le domande alle quali aveva pensato a lungo, e che
lui -
finora - aveva sempre evitato.
Ma non ora. Ora voleva
delle risposte, e le avrebbe ottenute.
«Draco.» lo chiamò,
costringendosi ad alzarsi da quel letto che non avrebbe voluto
abbandonare. «Perché?»
«Perché cosa?»
«Perché sono qui?» gli
domandò Hermione, tornando a sdraiarsi. Sarebbe stata una
conversazione lunga,
se lui fosse riuscito a rispondere a tutte quelle domande che le
affollavano la
mente, tanto valeva mettersi comoda.
«Suppongo di non poter
più evitare di rispondere.» affermò, e
lei scosse convinta la testa. Si lasciò
abbracciare, beandosi di quel profumo che le era sempre piaciuto, ma
che solo
ora iniziava ad adorare davvero.
«Non è stata una mia
idea, il fatto che tu venissi invitata al funerale. Astoria
ha… Astoria ha
pensato di farmi un piacere, aggiungendoti. È stata lei,
insieme a mia madre,
ad organizzare il tutto.» le spiegò, ed Hermione
vedeva la fatica che faceva
nel risponderle. Forse avrebbe dovuto attendere, con quelle domande, ma
sapeva
di non poterlo fare. Non se questo significava tenerla in bilico in una
situazione
che non sembrava avere né capo né coda.
«Astoria ha solo
cercato di aiutarmi, in un certo senso.»
«Insultandomi?» chiese
lei, irritata al ricordo di quel Sanguesporco.
Certo, lei stessa le aveva chiesto di perdonarla, eppure era una parola
che
difficilmente avrebbe dimenticato.
No,
non l’avrebbe scordata mai, quella parola.
«Mi
pare si sia
scusata, per questo. Comunque, anche in quel caso voleva solo essermi
d’aiuto.
Credeva che… credeva che, insultando te,
io riuscissi a farmi avanti.» le spiegò,
sorridendo velocemente. «Credeva che
ti avrei difesa, davanti a quegli insulti. E devo ammettere che ha
avuto
ragione.»
Hermione ascoltò con
attenzione, cercando di cogliere l’implicito nelle parole del
biondo, e lo ringraziò
mentalmente per aver scelto di essere davvero sincero con lei. E
sgranò gli
occhi, cercando velocemente il suo volto, quando si ricordò.
«Quel sogno… sei stato
tu.» affermò sicura, sentendolo espirare
rumorosamente. «Perché?»
«Perché volevo sapere
cosa significava poterti stare vicino.» ammise, spostando lo
sguardo da lei
alle lenzuola come se provasse vergogna per quello che le aveva appena
confessato. Hermione gli alzò il viso, osservando le sue
guance prendere
lievemente colore. «Volevo provare cosa significava poterti
toccare, senza che
nessuno mi giudicasse. Lo trovi tanto strano?»
«Un pò, sì.»
confessò. «Ma
il fatto che tu sia qui, a rispondere alle mie domande con tanta
sincerità,
cambia tutto quello che avrei potuto pensare - che ho effettivamente
pensato -
in passato.»
«Mi sei stata vicina,
oggi.» le fece notare, tornando ad accarezzarle piano la
schiena. «Credo che te
la sia meritata, la sincerità. Avanti, so che hai mille
altre domande. Fammele.»
«Perché hai voluto che
ascoltassi, quella volta, nei tuoi sotterranei?» gli
domandò a bruciapelo,
sentendolo irrigidirsi. «Hai detto che potevo chiedere, ed
è quello che sto
facendo.»
«Sì.» confermò il
biondo con un mormorio sommesso. «Sapevo perché
mio padre fosse venuto alla
villa. Sapevo che avrebbe cercato di… reindirizzarmi verso
Astoria, anche
usando la sua autorità di genitore. E sapevo altrettanto che
mai avrei avuto il
coraggio di negargli quello che mi chiedeva. Ho sempre acconsentito a
tutto,
nella mia vita. Tutto quello che Lucius chiedeva od ordinava, la
otteneva. Ma
non potevo lasciare che continuasse a controllare la mia vita. Non
più. Non il
mio matrimonio con Astoria.»
«Perché ti ha lasciato?»
la domanda di Hermione trasudava curiosità.
«È per questo?»
«No.» rispose subito
lui, giocando con i suoi capelli. «Te l’ho detto.
Sono stanco di mostrarmi per
quello che non sono, obbedendo ad ordini a cui non voglio.
L’ho amata, Astoria.
In un modo strano, è vero, ma l’ho fatto. Non mi
pento delle scelte che ho
fatto con lei, e le ripeterei altre mille volte. Per Scorpius. Ma
era… era tutto
finito da tempo. Non c’era modo di rimediare, e nessuno dei
due voleva farlo.
Le nostre vite si erano separate molto prima che lei mi lasciasse,
Hermione.»
«Mi dispiace.» soffiò
lei, posando la testa proprio sopra il cuore del biondo. Era
rilassante, quel
suono così ritmico.
«Non devi. Io ne sono
contento, invece. Mi ha permesso di essere qui, oggi. Con
te.» replicò lui,
trattenendo una risata quando la sentì trattenere il fiato.
«Una volta Astoria
mi disse che non si può scegliere chi amare.
Cominciò a credere che abbia
sempre avuto ragione, su di me.»
Hermione espirò, a
quelle parole, ma il fiato le rimase bloccato in gola. Sentì
le pulsazioni
aumentare, mentre si rendeva conto di averle già sentite,
quelle stesse parole.
«Ginny.»
***
«Ginny!»
Hermione si precipitò
dentro la casa che la ospitava momentaneamente, trovando sua cognata
seduta in
cucina in compagnia di Hugo e Lily.
«Ginny, devo parlarti.
Subito.» parlò seccamente, trattenendo a stento la
rabbia. La rossa sospirò,
osservando il volto tirato dell’altra, e mandò
fuori a giocare i bambini.
«Una tazza di tè,
Hermione?» le chiese, scrutandola di sottecchi mentre si
alzava. «Forse del Whisky
è più indicato, a giudicare dalla tua
faccia.»
«Ginny, non sono qui
per giocare.» la interruppe quasi, lasciandosi cadere con un
movimento secco
sulla sedia. «Ero da Malfoy.»
L’altra sorrise,
occupandosi delle due tazze piene di quella bevanda quasi miracolosa
che era il
tè. «Dopo tutto quanto, Hermione, ancora non
riesci a chiamarlo per nome?»
«Non credo che… tu
sapevi tutto!» l’accusò, guardandola
allibita. «C’eri anche tu, dietro tutto
quanto!»
«Hermione, calmati.
Bevi, ti farà bene.» le propose, piazzandole
davanti la tazza. Con studiata
calma le si sedette davanti, stringendo le dita intorno alla sua.
«Non ha più
senso fingere, non a questo punto. Come l’hai
scoperto?»
«È stata una frase, a
farmi collegare tutto.» confessò lei, irritata.
«La stessa che mi hai detto tu
un pò di tempo fa. Non si sceglie chi amare. L’ha
sentita da Astoria.»
aggiunse, sentendo l’irritazione dell’essere stata
presa in giro aumentare. «Da
quando siete amiche, tu e lei?»
«Non lo siamo.» negò
Ginny, osservando attenta Hermione. «Non proprio. Abbiamo
solo una persona in
comune tra le nostre conoscenze.»
«Chi…» cominciò lei,
fermandosi subito dopo. No, non poteva essere vero.
«È un incubo, vero? Sono
finita in un incubo.»
«No, affatto.» Ginny rise,
accarezzandole piano una mano. «Stare ai Tre Manici di Scopa
con Narcissa
Malfoy, è stato un incubo.»
Hermione si trovò a
gemere, incredula a ciò che sua cognata le stava
confessando. Sapeva che quella
donna poteva essere matta - ed in passato lo era stata senza dubbio -
ma
arrivare a coinvolgere addirittura la moglie di Harry Potter, solo per
i suoi
scopi personali era troppo anche per lei.
O
niente sarebbe stato mai troppo, per una manipolatrice quale era
Narcissa?
«Tesoro
- riprese Ginny,
costringendola a guardarla - Narcissa ama profondamente suo figlio,
nonostante
quello che abbiamo potuto pensare in passato. Vuole che sia felice,
come ogni
madre lo desidera. Ed io ti considero praticamente una sorella, lo sai.
Meriti
anche tu di essere felice. E so per certo che la tua, di
felicità, non è con
Ron.»
«Ginny…»
«No, Hermione.
Ascoltami, per favore. Come ti ho già detto, Harry mi ha
sempre ripetuto che
era contento, di vedere insieme i suoi due migliori amici. E devo
ammettere che
all’inizio lo ero anch’io, e molto. Ma
poi… poi ti ho osservata, con il passare
degli anni. C’era qualcosa, nei tuoi occhi, che non mi
convinceva. La conferma
l’ho avuta quando abbiamo accompagnato i ragazzi a
King’s Cross. Ho visto come
lo guardavi, senza farti notare da nessuno. E come lui guardava te,
senza che
la moglie se ne accorgesse. È stato allora, che sono stata
contattata da
Narcissa. Voleva che la aiutassi, e l’ho fatto. Non conosco
il motivo, però,
per il quale abbia voluto chiedere aiuto proprio a me. Questo devi
chiederlo a
lei.»
«Merlino, Ginny…»
mormorò Hermione, sinceramente abbattuta. Cosa avrebbe
fatto, ora che era
venuta a conoscenza della verità? Aveva ottenuto da Ron del
tempo per
riflettere e pensare a come comportarsi - non che lui fosse stato davvero restio, nel concederglielo, ma
questa era un’altra storia - ed ora si ritrovava
più confusa di prima.
Guardò sua cognata
negli occhi, supplicando di aiutare anche lei nella scelta che avrebbe
dovuto
affrontare. Tenere il piede in due scarpe non le era mai piaciuto, non
era il
tipo da comportarsi in quella maniera. Avrebbe dovuto decidere, tra la
persona
che aveva amato da praticamente tutta una vita, e con il quale aveva
due figli,
con un’altra che l’aveva trattata in una maniera
del tutto inaspettata. Ricordò
il profumo di pergamena, quello stesso odore che le era sempre
piaciuto, fin da
Hogwarts.
Che significasse
qualcosa, questo?, si trovò a chiedersi non sapendosi dare
però una risposta soddisfacente.
«Cosa devo fare?»
Note.
La
frase iniziale, “Perché
la gente fuggiva il dolore e lo evitava come la peste? Sì,
faceva male, ma faceva male anche ogni cosa che avesse importanza.
Amare faceva
male, vivere faceva male, nascere faceva male, cambiare faceva male,
crescere
faceva male. I morti non provavano dolore, solo i vivi. Non si era mai sentita tanto viva.”
è tratta
dal libro The Saint di Tiffany Reisz.
Scrivere
questo capitolo è stato più difficile del
previsto. Molto più difficile, dato
che quella che avete letto è la quarta stesura. Scrivevo,
scrivevo, scrivevo
ancora e poi tornavo indietro e cancellavo tutto, non del tutto
convinta di ciò
che avevo scribacchiato fino a quel punto.
Per
questo, chiedo venia se avete dovuto attenderlo più del
dovuto, questo
capitolo, ma è stato veramente pesante da immaginare. E da
scrivere.
Alcuni
dei dubbi e delle domande iniziano a sciogliersi, ma ci sono ancora
molte cose
che dovranno essere spiegate, ed è stata proprio quella la
parte che ho trovato
più complicata da pensare.
E da
descrivere.
Magari
avrei potuto farla in modo diverso, è vero,
ma ammetto di essere soddisfatta così. Non
riuscirei comunque a
cambiarlo, questo capitolo, perché è esattamente
così che l’ho immaginato fin
da quando ho postato il primo di questa storia.
Spero
sia piaciuto anche a voi.
Alla
prossima. |
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Capitolo 13 *** Reazioni ***
Reazioni
Solo.
Era
così, che Ronald Weasley si sentiva
in quel momento. Si sentiva abbandonato, lasciato a sé
stesso dalla sua stessa
moglie. La donna che aveva promesso di amarlo per tutto il resto della
sua
vita, lo aveva lasciato.
Ron non era sciocco, sebbene molte
persone pensassero esattamente questo, di lui, e sapeva che le borse
che aveva
visto apparire all’ingresso non sarebbero più
tornate. Così come non sarebbe
più tornata Hermione, nonostante ciò che le aveva
promesso prima di smaterializzarsi
via.
L’aveva
persa.
Ron
era pienamente cosciente di questo,
ma non poteva di certo esserne stupito. Il modo in cui
l’aveva trattata, quando
era ritornata a casa… era stato ignobile, lo doveva
ammettere. L’aveva subito
accusata, appena si era materializzata, di essere stata con quel
maledetto
Mangiamorte che era Malfoy, durante quella settimana di assenza. E
continuava
ad esserlo, testardamente sicuro su ciò che pensava grazie
alla stessa
ammissione di sua moglie.
Non
può essere davvero colpa mia. Non possono essersi separati
per me.
Hermione
continuava a ripetere quelle
stesse frasi, piangendo accasciata a terra, e le sue lacrime sembravano
avergli
rotto qualcosa dentro. Aveva sentito chiaramente il suo cuore
spezzarsi,
frantumandosi in tanti piccoli pezzi, uno per ogni anno in cui aveva
vissuto e
condiviso la sua vita con lei.
Ci aveva messo un attimo, Hermione, a
spazzarglieli via, incurante dei suoi sentimenti e dell’amore
e dell’affetto
che provava per lei, e che le aveva sempre dimostrato. Giorno dopo
giorno, mese
dopo mese ed anno dopo anno. Tutte le tappe, tutti i traguardi e tutti
i
successi di Hermione li aveva vissuti con lei, standole accanto come
nessun
altro aveva mai fatto. Aveva passato più di
vent’anni della sua vita, insieme a
lei, amandola e standole vicino in ogni istante. Quando era felice,
quando era
triste, quando era arrabbiata, quando era addolorata, lui era
lì. Accanto a
lei, com’era giusto che fosse.
Poteva Malfoy affermare la stessa cosa?
Dov’era, quel misero Mangiamorte, quando
lei piangeva? Dov’era, invece di consolarla per le lacrime
che le aveva causato
con la sua cattiveria?
Ron strinse i denti, aumentando la
stretta sul bicchiere di Whisky Incendiario - a che numero fosse, ormai
aveva
perso il conto - finché non si ruppe tra le sue dita.
Avrebbe dovuto
sussultare, avrebbe dovuto imprecare. Avrebbe dovuto essere dolorante.
Ma non
sentiva nulla di tutto quello.
La collera, quella sì che la sentiva :
occupava tutta la sua mente ed offuscava i suoi occhi, permettendogli
di vedere
ciò che aveva davanti come se fosse coperto da un velo. Un
velo rosso di
rabbia.
Rabbia nei confronti di quell’essere che
non sarebbe dovuto nemmeno venire al mondo, non di certo per prendersi
sua
moglie; rabbia nei confronti di sé stesso, per non essere
stato abbastanza
insistente nel farla rimanere al suo fianco; rabbia nel sentirsi un
fallito.
Hermione era sua moglie, dannazione, e
l’avrebbe fatta rinsavire. Non poteva abbandonarlo. Non
così. Non per un essere
come lui. Non per un Mangiamorte come lui.
Ron si alzò in piedi, barcollando per il
troppo bere, e gettò un’occhiata alla sua mano
sanguinante. Avrebbe dovuto
fasciarla, probabilmente. Avrebbe dovuto curarsi, ma non voleva.
Ciò che voleva
in quel momento, era che la sua Hermione vedesse con i propri occhi
ciò che gli
aveva fatto.
Voleva che stesse male come stava male
lui. Doveva soffrire, per aver preferito un assassino fallito a lui.
Avrebbero sofferto entrambi.
***
«Ti
trovo meglio.»
Astoria gli si
avvicinò, meravigliata di trovarlo solo in
quell’immenso salone. Si guardò
attorno, ma di Hermione non vi era traccia.
«Come
sta Scorpius?»
le domandò a sua volta, invece di risponderle. «Si
è calmato? Ha pianto
tanto, questa mattina.»
«Lui
sta bene. È da
Daphne, adesso. Gioca a Quidditch con Blaise.»
mormorò lei,
torcendosi nervosamente le mani. «Ho
pensato di farlo
rimanere ancora per qualche giorno, prima di riaccompagnarlo ad
Hogwarts. Sai,
per distrarlo.»
Draco chiuse gli occhi,
sentendo arrivare tutta insieme la pesantezza di quella lunga giornata.
Per un
momento, pensò seriamente di non aprirle più, le
palpebre. Si sentiva terribilmente
stanco, schiacciato da tutte quelle emozioni che aveva affrontato fin
dall’alba.
«Come
stai, Draco?»
il tono di voce di Astoria era tranquillo, a dispetto del nervosismo
che
traspariva dai suoi gesti.
Sorrise, pensando che
mai avrebbe smesso di preoccuparsi per lui, e la ringraziò
mentalmente per
questo. Astoria era una delle poche persone che gi erano state davvero
vicine,
con il passare del tempo, e Draco era certo che non fosse solo per il
fatto di
essere sposati. No, il matrimonio c’entrava poco e niente.
Lui ed Astoria,
prima di essere marito e moglie, erano stati amici. E lo sarebbero
sempre
stati, anche a dispetto delle voci e dei mormorii che sicuramente gli
avrebbero
travolti in futuro.
«Hermione…»
«È
andata via da un pò.
Da Ginny Potter.»
le mormorò ad occhi chiusi, sentendola
respirare con calma. «Gliel’ho
detto. Le ho confessato tutto.»
«E
come l’ha presa?»
Draco si alzò, dirigendosi al carrello
dei liquori. «Da
bere, Astoria?»
le offrì, sentendola
ridere.
«Whisky,
grazie. Merlino, è andata davvero
così male?»
gli chiese, prendendo il bicchiere colmo che le porgeva. Lo
guardò di traverso,
quando si scolò il suo tutto d’un fiato.
«A
dire la verità, no.»
mormorò il biondo, servendosi un’altro giro di
alcool. «Diciamo
che è stato… interessante, sì.»
«Ho
capito. Hai la stessa faccia che usa
Blaise quando vuole chiudersi in camera con Daphne.»
scherzò lei, posando il bicchiere sul tavolino davanti le
sue gambe. Si alzò in
piedi, prendendo a camminare nervosamente per la stanza. Draco la
seguì con gli
occhi, fermando il suo passeggiare con una mano sul suo braccio.
«Cosa
succede, Astoria?»
Lei lo guardò negli
occhi e deglutì, non trovando le parole per dirgli
ciò per cui si era
presentata alla villa.
«Padron
Malfoy, padrone.»
Draco si scostò da lei,
rivolgendo un’occhiata piuttosto seccata all’elfo. «Cosa
c’è?»
«Padron
Malfoy ha
ospiti, signore. Sock non sa se…»
Draco
rivolse uno
sguardo interrogativo ad Astoria, ma lei ne sembrava sapere quanto lui.
Ospiti
a quell’ora?
«Chi sono?»
guardò di sbieco l’elfo, già pronto a
tirarsi le orecchie per aver sentito il
tono seccato del suo padrone. Prese a lamentarsi di non essere un buon
elfo
domestico, e Draco dovette ripetergli la domanda.
«Sock
non lo sa. Sock ha
visto del rosso, però, padrone.»
L’espressione del
biondo si fece più interrogativa di prima. Del
rosso… intendeva capelli rossi?
Glielo chiese, e l’elfo rispose affermativamente. Draco
conosceva solo poche
persone con i capelli rossi, e tutte erano appartenenti alla stessa
famiglia. I
Weasley.
«È
una donna o un uomo?»
«Un
uomo, padrone.»
Malfoy trattenne un
sorriso, pensando che la situazione si stava facendo interessante.
Aveva
compreso chi ci fosse, al cancello della sua casa. E non vedeva
l’ora di
affrontarlo. «Fallo
entrare, Sock.»
L’elfo obbedì, smaterializzandosi
con un lieve crack, ed Astoria gli si avvicinò.
«Weasley,
giusto?»
gli domandò, e Draco annuì quasi ghignando. Lei
alzò gli occhi al cielo,
mostrandosi palesemente divertita, forse più di prima. «Non
sei più un ragazzino, Draco.»
«Lo
so.»
concordò lui, il ghigno più largo sul volto. «Lui
è venuto da me.»
«Draco.»
lo chiamò ancora lei, le mani sui fianchi in una posa che
voleva essere
ammonitrice, ma che fece solo aumentare il ghigno del biondo. «Ah,
ci rinuncio. Devo contattare Hermione?»
Draco le fece un gesto
con la mano, finendo ciò che rimaneva nel suo bicchiere. «Non
ce ne sarà bisogno.
Davvero.»
«Non
mi fido. Di lui,
non di te. Starò di sopra, nel caso… nel caso ci
sia bisogno.»
lo avvertì smaterializzandosi subito dopo, appena in tempo
per l’entrata
dell’elfo e di Weasley.
Appena lo vide, Draco
capì subito che avrebbe avuto la vittoria in tasca. Era
visibilmente ubriaco,
faticava a reggersi in piedi. Il rosso lo raggiunse barcollando,
sfoderando la
bacchetta nel tragitto. Malfoy rise, vedendo quel debole e patetico
tentativo
di attacco. O era di difesa?
«Weasley,
benvenuto in
casa mia. A cosa devo l’onore?»
lo provocò subito, desideroso di
uno scontro per sfogare tutto quello che sentiva dentro. Sì,
sarebbe stato il
modo perfetto per liberarsi di tutte le sensazioni - brutte e buone -
che
sentiva di avere dentro, e che rischiavano di soffocarlo.
«Tu…
sei uno schifoso
Mangiamorte.»
biascicò l’altro, lentamente, e Draco
poté sentire
l’odore dell’alcool arrivare fino a lui. Lo
guardò con disgusto, chiedendosi
cosa mai ci avesse trovato in lui una donna intelligente come Hermione.
«Sei
ubriaco, Weasley.»
gli fece notare divertito, privandolo della bacchetta con un
incantesimo non
verbale. Lo vide guardare stupito la mano che prima la stringeva, e
rivolgergli
poi uno sguardo carico d’odio e disprezzo.
Il
pane quotidiano, per uno come lui.
«Non…
non ci riusc… riuscirai.»
continuò Ronald, camminando storto verso di lui. «Mione
è mia moglie.»
Malfoy scoppiò a
ridere, non riuscendo a trattenersi. «Merlino,
ma ti senti?»
gli chiese, allontanandosi da quell’odore terribile di whisky
scadente che gli
sentiva addosso. «Hermione
è una donna adulta, ed è in
grado di fare le sue scelte. Se suo marito si è dimostrato
un inetto, la colpa
di certo non è mia, Weasley.»
gli sibilò poi, gelido come suo
solito. Aveva sperato davvero in uno scontro, ed il vederlo tardare lo
stava
innervosendo ancora di più.
«Sei
uno…»
«Schifoso
Mangiamorte?
Sì, l’hai già detto.»
lo canzonò, provando davvero qualcosa
di simile alla pena per lui. «Dovresti
trovare più sinonimi, sai?
Cominciano a scarseggiare.»
Draco abbassò
velocemente lo sguardo, e quando lo rialzò vide il pugno di
Weasley abbattersi
sul suo naso. Imprecò, tenendosi una mano sulla faccia, e
strinse i denti.
Sentiva il sangue colare, ma fortunatamente non era riuscito a
romperglielo.
«Astoria!»
la chiamò, con un lamento soffocato. Merlino, se gli aveva
fatto male, però.
Lei comparve quasi subito, osservando la scena con occhi sgranati.
Corse subito
verso di lui, ed un singhiozzo le uscì dalle labbra quando
vide il sangue
macchiargli il viso e la camicia. Sentirono un tonfo e qualcosa che si
rompeva,
e quando si voltarono videro Ronald Weasley a terra. Svenuto dal troppo
bere.
«Vai
a chiamare Ginny
Potter, per favore. Non voglio vedere quell’essere insulso
sul mio tappeto un
minuto di più.»
la sentì sparire, e ne approfittò per recuperare
la bacchetta e darsi una sistemata alla camicia sporca con un Tergeo. Il naso… quello
l’avrebbe
lasciato esattamente com’era. Guardò ancora
l’uomo svenuto a terra, con
profondo disprezzo e disgusto, realizzando che non si sarebbe
vendicato. Voleva
dimostrare agli altri e a sé stesso di essere superiore,
specialmente nei
confronti di Weasley. Un po’ lo capiva, doveva ammetterlo. Se
ci fosse stato
lui, al posto del rosso, era certo che avrebbe fatto la stessa identica
cosa.
Forse, però, con una
mira migliore.
***
Cosa
devo fare?
Quella
domanda l’aveva
tormentata per ore ed ore, e continuava ad essere senza risposta,
nonostante
tutti gli sforzi che aveva fatto per trovargliene una.
L’aveva domandato a
Ginny, ma era consapevole che non era lei, quella che sarebbe stata in
grado di
aiutarla nella pesante decisione che avrebbe dovuto prendere. Doveva
farlo da
sola, lo sapeva, eppure non poteva a fare a meno di pensare che quel
limbo nel
quale era caduta non potesse avere fine.
Una corda.
Ecco come si sentiva
Hermione. Era una corda, tirata da entrambe le parti con la stessa
forza e
determinazione. Da un lato c’era Ron, la persona che amava e
che aveva sposato
e con il quale aveva costruito una famiglia; dall’altro
c’era Draco Malfoy,
colui che l’aveva profondamente disprezzata fin da bambino ma
che aveva scelto
di mostrarsi differente ora, nei suoi confronti, dichiarando in un
luogo pubblico - la sala da
tè del San Mungo -
di essere innamorato di lei, dimostrando davvero un cambiamento senza
precedenti per una persona come lui.
Hermione sbuffò per l’ennesima
volta, coprendosi il volto con un braccio. Le sembrava di essere in una
strada
senza uscita, e senza nessuna prospettiva di scelta imminente. Come
avrebbe
fatto, allora, a scegliere?
Voleva bene a Ron, lo
amava, aveva una famiglia con lui. Sarebbe stata in grado, qualora
avesse
deciso di scegliere Draco e non lui, di sopportarne le conseguenze?
Avrebbe rovinato
la sua famiglia, lo sapeva. Rose ed Hugo ne sarebbero usciti distrutti,
da
tutta quella storia. E lei?, si domandò Hermione. Anche lei
se ne sarebbe dispiaciuta,
se il matrimonio con Ron avesse smesso di esistere? Sarebbe stata
capace di
mandare tutto all’aria per Draco Malfoy, e per quello che
sentiva verso di lui?
Hermione si chiese cosa
sentisse davvero, per quel biondo. La attraeva, senza dubbio. Non era
un
mistero, né per lei né per lui. Si era trovata
infinitamente bene, poche ore
prima, tra le sue braccia e nel suo letto. Aveva vissuto ogni istante
di ciò
che avevano condiviso, l’aveva fatta sentire bene. Si era
sentita desiderata,
come ormai non le accadeva più da molto tempo con Ron.
Hermione si alzò dal letto
su cui era sdraiata e che condivideva con Hugo, quando sentì
Ginny chiamarla
allarmata. Si precipitò da lei, bloccandosi di colpo quando
vide Astoria Malfoy
ferma al centro del salotto. Guardò interrogativamente sua
cognata, scoprendola
con un colorito quasi bianco. Aveva quasi paura di farla, quella
domanda, ma
non poteva evitarla.
«Cos’è successo? Perché
Astoria è qui?»
«È
accaduta una cosa.»
fu Ginny a parlare, scambiandosi veloce un’occhiata con
l’altra donna. «Ron
ha…»
Hermione
strinse gli
occhi, per nulla tranquillizzata dal clima gelido che percepiva nella
stanza. «Cos’ha
fatto Ron?»
«È
a casa di Draco.»
le spiegò Astoria, la voce freddamente arrabbiata come la
sua espressione. «È
svenuto, dopo averlo colpito con un pugno. Ed è ubriaco.»
Hermione aggrottò le
sopracciglia, confusa. Per quale motivo Ron aveva colpito Draco, e
perché si
trovava a casa sua? Immaginava - sapeva,
in fondo - che non era solo colpa dell’alcool, se Ron si era
comportato in quel
modo. Guardò Astoria, e il viso tirato della donna le
suggerì la risposta. Per lei.
Ron aveva fatto tutto quello
per lei.
Rilasciò un sospiro,
avvicinandosi alle due donne. «Ginny,
potresti guardare Hugo?»
le chiese, decidendo velocemente la sua prossima mossa. Sarebbe andata
a
prendere Ron e a scusarsi con Draco al posto suo per quello che gli
aveva
fatto. Successivamente, avrebbe portato Ron a casa, e…
«No.»
Astoria la fermò prima che potesse muovere anche un solo
passo. «Draco
ha chiesto di Potter. Di Ginny.»
«Ed
invece dovrà
accontentarsi di me.»
ribatté Hermione, fissando con un
espressione severa Astoria, la quale le sorrise benevolmente,
apparendole
improvvisamente sollevata. Che andasse
lei al posto di Ginny? Le annuì, sparendo subito
dopo. Hermione era pronta
a seguirla, ma sua cognata la fermò.
«Hermione.»
la chiamò, riprendendo colore in volto. «Dì
a Malfoy che mi
dispiace.»
Lei la guardò stupita,
incredula a ciò che le aveva appena sentito dire, e la
ringraziò con un cenno.
Sì,
pensò un attimo prima di smaterializzarsi, il
mondo stava davvero andando al rovescio.
Note.
Povero Ron. Quasi mi
dispiace per lui. Quasi. Usare
le
mani non è mai
la soluzione, sebbene talvolta possa essere alquanto
liberatorio.
Piccola curiosità :
fosse accaduto a voi, di trovarvi nella posizione di Ron, come avreste
reagito?
Un
grazie infinite come
sempre alle persone che seguono e commentano gentilmente questa storia.
Alla prossima. |
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Capitolo 14 *** Promesse ***
Promesse
«Grazie
per essere
venuto, signor Olivander.»
Harry
si affrettò a raggiungere il suo
ospite, tendendogli subito la mano per accorciare i convenevoli di
rito. Lo
pregò di accomodarsi, volendolo mettere il più a
suo agio possibile, ed arrivò
persino ad offrigli il miglior Whisky che aveva in ufficio, quello che
teneva
per le occasioni speciali, ma l’altro rifiutò con
un cenno della mano.
«Ho
portato quello che mi aveva chiesto,
signor Potter.»
tirò fuori un breve fascicolo dall’interno del
mantello, posandolo sulla scrivania sotto lo sguardo avido
dell’Auror. «Mi
è costato ore di lavoro e ricordi, ma mi auguro che sia
valsa la pena.
Merlino sa quanto voglia conoscere quelli che hanno sfasciato Madama
McClan.»
L’Auror annuì, sfogliando distrattamente
quei fogli. «Ci
sono tutti?»
«Sì.»
rispose subito Olivander, mostrandosi sinceramente offeso dalla poca
fiducia che veniva riposta in lui. «Mi aveva chiesto
Biancospino, Acacia e
Noce, se non erro. Le ho elencato le bacchette degli ultimi
cinquant’anni.»
Harry sospirò distrattamente, quando un
nome gli fece bloccare il respiro a metà gola.
Sgranò gli occhi, dandosi
mentalmente del cretino per non esserci arrivato da solo, e rivolse uno
sguardo
di profonda gratitudine al fabbricante di bacchette.
«La
ringrazio ancora per la sua cortesia.
Mi vedo costretto, tuttavia, a chiederle di non pianificare vacanze, il
Ministero potrebbe avere ancora bisogno di lei.»
lo congedò
velocemente, ansioso di potersi concentrare in tutta
tranquillità sulle
informazioni che aveva appena ricevuto.
Tirò fuori un altro fascicolo da un
cassetto, aprendolo al punto che gli interessava e pensando al motivo
che
avrebbe dovuto spingere quegli assassini - non erano altro che questo -
a
commettere l’omicidio di Lucius Malfoy.
Certo, per quanto quell’uomo fosse stato
particolarmente odioso, nonché assassino lui stesso, non
poteva negare che la
fine che gli era stata riservata non l’avrebbe augurata
nemmeno a lui.
Il rapporto dei Medimaghi accorsi sulla
scena dichiarava senza ombra di dubbio che era stato ucciso con
qualcosa di
orribilmente peggiore del semplice Diffindo,
ma loro non avevano saputo dirgli altro. Per Harry, però,
era una base
abbastanza solida dalla quale poter partire con le indagini, ed andando
avanti
era arrivato alla ovvia conclusione che - chiunque fosse stato -
odiasse
profondamente quell’uomo, tanto da arrivare ad ucciderlo
senza provare - Harry
ne era certo - il benché minimo rimorso.
Ma chi, poteva arrivare a tanto?
L’Auror pensava e ripensava,
concentrandosi nel cercare un indizio qualunque che gli avrebbe
permesso di
mascherare quella persona. Rilesse uno dei tre nomi che aveva
riconosciuto
nella cartella di Olivander, e solo ora gli venne in mente il motivo
per cui
una di quelle gli suonasse così familiare :
l’aveva già avuta tra le mani,
vent’anni prima.
La bacchetta di Biancospino.
Si mosse velocemente; chiamò i suoi
migliori Auror, smaterializzandosi con loro nemmeno dieci minuti dopo
la visita
di Olivander.
Aveva
compreso tutto.
***
«Ron.»
«Prova
con Lenticchia.»
«Draco…»
lo ammonì con un’occhiata truce, e lui
scrollò le spalle con divertimento.
«Ron, svegliati.»
«Donnola?»
suggerì ancora, nascondendo un ghigno dietro il fazzoletto
che Astoria gli
teneva premuto sul volto.
«Draco!»
esclamò esasperata Hermione, scuotendo la testa.
Colpì piano il viso di Ron,
cercando di farlo rinvenire, ma ottenne in cambio solo dei mugolii e
dei
grugniti. Niente di nuovo,
pensò lei.
«Due
bambini, ecco cosa siete. Fare a pugni come se foste alla Testa di
Porco.»
«È
stato lui, a colpire
me.»
«È
ubriaco, Draco. Cosa
ti aspettavi che facesse? Che venisse qui per farti l’inchino
come ai signori
Montagnet? O a stringerti amichevolmente la mano?»
ribatté
ironica Hermione, guardandolo male e Draco la fissò
stralunato, non capendo di
cosa parlasse.
«Come
a chi?»
chiese, ricevendo in cambio solo un cenno noncurante. «Perché
no, comunque, -
riprese, alzando le spalle
indifferente -, sarebbe
stato un comportamento adulto.»
«Proprio
tu parli?»
gli domandò Astoria, rimasta in silenzio fino ad allora. «Tu,
che non vedevi l’ora di scontrarti?»
Malfoy le rivolse uno
sguardo risentito. «Ma
tu da che parte stai?»
«Da
quella intelligente,
Draco.»
replicò sospirando. Gli tolse il fazzoletto dalla faccia,
pulendo i residui del
sangue che ancora lo imbrattavano. «Hermione
ha ragione.
Non siete più due bambini. Ci si aspetta un comportamento
maturo, da persone
della vostra età.»
«Concordo.»
annuì Hermione, guardandola con gratitudine. «Quello
che ha cercato
di fare Ron non ha scusanti, ma a quanto dice Astoria nemmeno tu ti sei
tirato
indietro. Devo portarlo via, - aggiunse, cercando di alzare Ron -, non
può
stare di certo qui. »
«Aspetta.»
la fermò Draco, recuperando una piccola boccetta da un
cassetto. «Dagli
questa. Lo farà riprendere completamente.»
«Che
cos’è?»
gli chiese Hermione, guardando con diffidenza e curiosità
allo stesso tempo ciò
che lui le porgeva in modo estremamente riluttante.
«È
una pozione anti
sbronza.»
le illustrò l’ovvio. «Bastano
poche gocce e si sveglierà
completamente sobrio tra qualche minuto.»
Hermione guardò ancora
più incuriosita la piccola boccetta rossa, chiedendosi se
fosse il caso di
somministrargliela. Non aveva mai visto Ron in quello stato, e dovette
ammettere che non fosse un bello spettacolo. Guardò Malfoy,
rivolgendogli un’occhiata
incerta, ma lui alzò le spalle.
«La
prendo spesso,
ultimamente. Cioè, prima.»
precisò lui con un tono che Hermione
non comprese, evitando di guardarla. «L’ho
inventata io, se
non ti fidi.»
Hermione si morse la
lingua, evitando di contraddirlo, e tornò a guardare Ron.
Gli aprì velocemente
le labbra, scegliendo di fidarsi del biondo e pensando che tanto
più di così
non poteva peggiorare, versandone alcune gocce all’interno. «Ed
ora?»
«Ora
aspettiamo.»
le rispose lui, mettendosi comodo sul divano. «Tra…
tra una decina di
minuti dovrebbe svegliarsi in condizioni normali. Certo, per uno come
lui non
credo…»
«Draco!»
esclamò di nuovo Hermione, sedendogli affianco. Subito, le
braccia del biondo
la trassero a sé, sotto lo sguardo - compiaciuto?
- di Astoria, che li guardava accanto alla finestra e gli
tastò il naso per
controllare che non ci fosse davvero nulla di rotto, provocandogli una
smorfia
di fastidio. Fece per alzarsi, sentendosi avvampare sotto lo sguardo
dell’altra
donna, ma lui glielo impedì.
«Resta
qui.»
le chiese mascherando la domanda da ordine, ed Hermione alzò
gli occhi al cielo.
Terribilmente possessivo, ecco
cos’era,
pensò lei, sorridendo contro di lui.
«Ma
Astoria…»
tentò di ribattere dopo, inutilmente, arrossendo ancora di
più. Lei si avvicinò
ad entrambi, scuotendo la testa.
«Posso
darti del tu,
Hermione? Grazie. Non devi sentirti in imbarazzo.»
si premunì di
rassicurarla, gentile come poche volte lo era stata nel rivolgersi a
lei. «Non
davanti a me. L’ho detto anche a Draco, state bene insieme
voi due.
Siete… belli.»
Hermione sentì la bocca
di Draco distendersi in un sorriso contro la sua nuca, e non
poté fare a meno
di sorridere a sua volta. Lanciò un’occhiata
preoccupata a Ron, scoprendolo
ancora dormiente.
«È
terribilmente
riservata, non è vero?»
domandò ad Astoria. «Lo
è sempre stata, fin da Hogwarts.»
Hermione voltò il viso
per guardarlo, scoprendo un tale orgoglio in quegli occhi da farle
trattenere
il respiro.
«Non
saprei. All’epoca
non la conoscevo.»
gli rispose lei, nascondendo un
sorriso. «Ma
da quello che ho visto ora, direi di sì.»
Hermione si schiarì la
voce con imbarazzo, e tirò un sospiro di sollievo quando Ron
riprese conoscenza.
Un paio di occhi azzurri vagarono per la stanza, assenti, ed Hermione
cercò di
sorridergli incoraggiante. Provò ad alzarsi per
raggiungerlo, ma Malfoy non era
affatto d’accordo : la strinse di più a
sé e lei lo ammonì con un’occhiata
truce, preferendo non commentare la possessività che le
aveva appena dimostrato
di avere. Strinse le labbra, ripromettendosi di sgridarlo
più tardi, e
concentrò la sua attenzione a Ronald, semiseduto su divano
che la guardava
incredulo e confuso.
«Mione?
Cosa… come… »
«Sei
svenuto, Ron.»
gli rammentò. «Te
l’avrò detto mille volte che non devi bere. Ti sei
presentato qui, hai colpito Draco con un pugno e sei svenuto.»
vide gli occhi di Ron vagare tra lei ed il biondo in questione,
appoggiati
l’una all’altro, ricordandosi tutto quanto.
Fissò Malfoy con un’espressione
astiosa in viso, ed incrociò le braccia al petto.
«Spero
di averti fatto
male.»
«Ron!»
«Tranquilla,
Mione.»
la redarguì
Draco, celiando Ron. Hermione gli lanciò
un’occhiataccia. «Sì,
Lenticchia. Un bel gancio destro, lo ammetto, per essere ubriaco.»
«Bene.»
il tono di Ron trasudava soddisfazione. «Ne
sono contento.»
«Ron!»
lo ammonì Hermione, ora davvero esasperata. «Perché
eri qui?»
«E
me lo chiedi anche,
Hermione? Credevo che fossi qui. Sapevo che eri qui, e
volevo…
possiamo
parlare in privato?»
le domandò, ed
Hermione chiuse gli occhi sospirando. Gli annuì. Almeno
questo glielo doveva,
realizzò, dopo tutto quello che aveva fatto per lei.
«Va
bene. Andiamo a
casa, però.»
concesse. «Abbiamo
disturbato
anche troppo, qui.»
«Potete
restare.»
Draco la smentì, lasciandola andare a malincuore. Avrebbe
voluto assistere a
quel discorso, ma sapeva che Hermione non gliel’avrebbe mai
permesso. E nemmeno
Astoria, che già lo stava trascinando fuori dalla sala. «Usciamo
noi.»
***
Astoria
lo precedette,
fermandosi a metà del corridoio, accanto alle scale. Era
visibilmente tesa e
pensierosa, il divertimento che aveva provato fino a pochi istanti
prima era
nuovamente sparito.
«Cosa succede, Astoria?
Sei nervosa.»
Lei gli annuì,
guardandolo con preoccupazione. «Si
tratta di Terence.
Lui… vorrebbe incontrarti.»
Draco sgranò gli occhi
per un momento, capendo solo dopo quella richiesta. Era del tutto
legittima, e
dopotutto anche lui aveva espresso lo stesso desiderio di incontrarlo,
tempo
prima.
«Mi
ha proposto di
chiederti di affrettare le pratiche al Ministero. Per il nostro
matrimonio.»
aggiunse lei con un mormorio timido, decisamente poco tipico di lei, e
Draco
aggrottò le sopracciglia, non capendone il motivo.
«Perché?
Voglio dire,
perché correre?»
le domandò, ma lei non gli rispose.
Gli fece cenno di seguirlo, fino al dipinto sul muro conservato in
un’altra
stanza.
L’albero
genealogico dei Black e dei Malfoy.
«Astoria,
non capisco.
Perché siamo qui?»
tornò a chiederle, guardando
l’espressione sul viso di lei. Era calma, ma Draco poteva
vedere senza problemi
l’ansia nei suoi occhi. Gli indicò un punto sul
muro, corrispondente al suo
nucleo familiare, chiedendogli di guardare meglio.
Lui si avvicinò al
muro, socchiudendo gli occhi per notare meglio quel piccolo particolare
che
finora non aveva notato. Voltò di scatto il viso verso di
lei, scoprendosi a
sorridere come non aveva mai fatto e la abbracciò a lungo,
congratulandosi
tramite i gesti con la donna.
«Sei
arrabbiato?»
Draco la guardò
incredulo, scuotendo convinto la testa subito dopo. «Sono
felice per te. Lo desideravi tanto.»
«Sì.»
Astoria annuì, gli occhi brillanti di gioia. «È
stata dura, sai? Non
credevo di riuscirci. Ma incantesimi, pratiche Babbane ed una buona
Giratempo
hanno fatto il resto.»
gli sussurrò, accompagnandolo
nuovamente davanti alla sala dove vi erano Hermione e quel rosso. «Per
questo Terence vorrebbe affrettare il tutto, oltre che vederti.»
Draco le sorrise,
mostrandosi contento come poche lo era stato per lei. «Digli
di venire qui domani pomeriggio. Lo incontrerò volentieri. E
non
pensare che ne sia rattristato, Astoria. Non è
così. È una bella notizia. Te lo
meriti. Sai già se è…»
«No.»
lo interruppe, torcendosi le mani ma con meno ansia di prima. Si
sentiva
sollevata, ora che lo sapeva anche lui. Era più tranquilla. «Vogliamo
che sia una sorpresa.»
«Scorpius
ne sarà
felice.»
aggiunse Draco, prestando attenzione ai rumori e alle voci che
provenivano
dalla stanza di fronte a lui. «Ha
sempre voluto una sorella. O un
fratello, poco importa. Basta che sia sano, no?»
le strinse
dolcemente una mano, ed Astoria lo guardò con gratitudine
mista a felicità,
posandosi una mano lì dove aveva iniziato a crescere.
Sentì le voci aumentare
d’intensità, dentro il salone, e riconobbe
distintamente alcune parole che non
gli piacquero per niente. E nemmeno ad Astoria, già pronta
ad entrare con la
bacchetta in mano, e per sicurezza la impugnò anche lui.
***
Hermione
li guardò
andare via, uno seccato e l’altra sorridente, fino a quando
non sentì chiudersi
la porta del salone.
«Non
hai un minimo di pudore, non
è vero?»
le chiese, calcando sulla parola. «Addirittura
abbracciati, davanti a me!»
Ron prese a camminare
avanti ed indietro sul tappeto, non degnandola di
un’occhiata, ed Hermione si
sentì sprofondare.
«Ringrazio
Merlino che
Hugo non abbia assistito a questa disgustosa scenetta. Sua madre
stretta ad un
altro! Miseriaccia, Hermione, cosa ti passa per la testa? Sei sposata!»
«Questo
lo chiami
matrimonio, Ronald?»
gli domandò allora lei, furente da
quelle accuse quasi del tutto ingiustificate. «Siamo
sposati da anni,
e mai una volta mi hai guardata e trattata in modo diverso da una
cameriera.
Certo, eri affettuoso, all’inizio; eri amorevole, quando
eravamo a letto; eri
un bravo genitore, con Rose ed Hugo. Ed il resto del tempo, Ron? Te lo
dico io
dov’eri. A quel maledetto Tiri Vispi, ecco dove.»
«Sono
affari, Mione!»
«E
non chiamarmi così!»
proseguì lei, sventolandogli davanti i pugni chiusi. «Non
mi è mai piaciuto, te l’avrò detto
mille volte. Ma tu no, dovevi
sempre chiamarmi in quel modo.»
Ronald la guardò
incredulo. «Hermione…»
«No,
Ron. Basta.»
lo interruppe, sedendosi con le mani tra i capelli. «Sono
davvero stanca.»
«È
lui, non è vero? È
colpa di quel dannato Mangiamorte, se ti comporti così.»
l’accusò, sputando quelle offese al veleno. «Devo
ammettere che
l’Amortentia che ha senza dubbio usato è forte.
Dove l’ha presa?»
Hermione
lo fissò con
gli occhi sgranati, non credendo a ciò che sentiva uscire
dalla bocca di Ron.
Come poteva denigrarla in quel modo? Come poteva essere a posto con la
sua
coscienza, se non esitava a crederla vittima di un misero filtro
d’amore? Si
chiese se la sua credibilità valesse così poco,
secondo Ron. Ad ogni modo, suo
marito era l’ultimo delle persone che poteva davvero
accusarla di qualcosa. Le
colpe non erano solo sue, anche Ron le aveva. Dopotutto, se un
matrimonio
falliva la colpa non era mai di uno solo.
Certo, Hermione aveva
peccato d’adulterio nei confronti del rosso davanti a lei;
aveva ceduto, giorno
dopo giorno, a Draco; si rese conto di provare qualcosa di diverso
dalla
semplice infatuazione, per lui, e più nulla nei confronti di
suo marito. Lo
guardava fissarla quasi ansimante, e tutto ciò che
provò fu davvero pena. Non
per lui, no, ma per lei stessa : non era stata in grado di continuare
quell’unione, preferendo interromperla quando aveva
cominciato a non sentire
più nulla.
E la colpa di tutto
questo non poteva non essere anche di Ronald. Aveva preferito passare
il suo
tempo al negozio, piuttosto che con lei ed i bambini, ed era una cosa
che - se
ne rendeva veramente conto solo in quel momento - non gli aveva mai del
tutto
perdonato. E questo non lo giustificava affatto, negli insulti e nelle
insinuazioni verso di lei. Lo guardava, e vedeva un estraneo.
«Che fine ha fatto
Ronald?»
gli domandò, sentendo gli occhi inumidirsi. «Dov’è
finita la persona
che amava farmi ridere, e che si divertiva a giocare sulla neve con me
e i suoi
figli? Esiste ancora, o è stata risucchiata anche lei da
quel negozio?»
«Non
farlo, Hermione.
Non trattarmi così. Non venirmi a dire che la colpa di tutto
questo è mia!»
«No,
Ron.»
lei scosse la testa, delusa dalla mancanza di responsabilità
di suo marito. «La
colpa è anche tua.
È vero, -
proseguì, non dandogli il tempo di rispondere -, sono stata
io ad allontanarmi.
Sono stata io a tradirti. Sono stata io, a farmi trovare da te tra le
braccia
di un altro. Chieditene il perché, Ron. Invece di accusarmi,
tenta di capirmi.»
«Non c’è nulla da
capire.»
pronunciò secco lui, guardandola con astio. «Ormai
è tutto chiaro.
Dimmi, Hermione, da quanto l’avevi programmato? Da quanto
tempo, aspettavi
l’entrata di Rose ad Hogwarts, per potertela svignare senza
sensi di colpa? E
ad Hugo non ci pensi? Ha bisogno di una madre. Un genitore che sia
presente,
nella sua vita, non certo di una…»
«Azzardati
a finire la
frase e non esiterò a Cruciarti, Weasley.»
la voce irata di
Draco giunse ad entrambi con un sibilo, mentre Hermione guardava
Astoria
avvicinarsi protettiva a lei. Entrambi avevano le bacchette strette in
mano, aspettandosi
di usarle da un momento all’altro, ma Hermione non
l’avrebbe mai permesso. «Credimi,
realizzeresti un sogno che ho dai tempi di Hogwarts.»
«Non
oseresti.»
replicò Ron, fissandolo con sfida, e Draco gli sorrise. Se
non fosse stata
certa che non gli avrebbe mai fatto nulla, Hermione avrebbe temuto per
quella
smorfia quasi agghiacciante che dipingeva il volto del biondo. Faceva
paura
quel sorriso, le ricordavano quelli di Lucius. Rabbrividì
impercettibilmente,
al ricordo.
«Vuoi
mettermi alla
prova, Lenticchia? Avanti, sfidami. Staremo a vedere chi
avrà la meglio, tra i
due.»
gli propose, un ghigno deformato dalla rabbia sul volto diafano. «E
non sarai di certo tu.»
«Basta!»
lo strillo di Hermione fece bloccare come impietriti i presenti. Li
guardò
entrambi, le bacchette in mano e gli sguardi folli. «Smettetela.»
Draco fu il primo ad
abbassare l’arma, con grande stupore di Hermione. Le si
avvicinò, sotto lo
sguardo di Ron, abbracciandola per calmare i singulti che avevano
iniziato a
scuoterla. Rivolse un’occhiata di sufficienza ad un Ron con
la testa lievemente
chinata e le braccia abbandonate lungo i fianchi.
«Spero
tu sia contento,
Weasley.»
gli sibilò con un tono talmente intriso di
acidità da stupirsene lui
stesso. «Ti
pregherei, ora, di
andartene da casa mia. In fretta. Meno lei ti vede e meglio
starà.»
«Non
finisce qui,
Hermione. Ah, - aggiunse, poco prima di smaterializzarsi -, Hugo e Rose
non li
vedrai più, stanne certa.»
«Astoria,
ti dispiace
andare da Blaise e fissarci un appuntamento per domattina?»
le domandò Draco, accarezzando piano la schiena di Hermione,
che non smetteva
più di piangere. «Digli
che è urgente.»
La donna obbedì,
affrettandosi per quella richiesta, e Draco sapeva che avrebbe fatto
qualsiasi
cosa in suo potere per aiutarlo, ed aiutare Hermione di conseguenza. Si
staccò
da lei, facendola sedere ed offrendole un bicchiere di liquore.
«Bevilo,
ti sentirai
meglio dopo.»
le consigliò. «Non
devi preoccuparti
di niente. Quell’idiota non la spunterà. Ho
mandato Astoria da Blaise, è il
miglior avvocato del Ministero, ma suppongo questo tu lo sappia
già.»
Draco cercò di
sorriderle incoraggiante, ma dentro tremava di rabbia per le lacrime
che
quell’essere ignobile di Weasley le aveva provocato. Hermione
gli annuì,
guardandolo con gratitudine.
«S-sì.
È lui che
chiamiamo, quando… sì, lo è. Ti
ringrazio.»
Draco la guardò con
stupore, scuotendo poi la testa. «Non
devi. Ti meriti il
meglio di ogni cosa, Hermione. E finché potrò
dartelo, lo avrai.»
le sussurrò. «Qualsiasi
sia il costo. Non preoccuparti più di
nulla, farà tutto Blaise. Cerca di stare tranquilla, ora.»
Le asciugò le lacrime,
e non poté non sorridere sotto il suo sguardo sorpreso. «Posso
fare qualcos’altro, per te?»
deglutì, quando lesse
la risposta negli occhi di Hermione.
Aiutami
a stare meglio.
Questo,
vi leggeva in
quegli occhi. E sperò che anche lei potesse leggere la
promessa a quelle
risposte, nel grigio dei suoi.
Lo
farò.
Te lo prometto.
Note.
In
ritardo rispetto ai
miei standard, o in anticipo per altri punti di vista, sono riuscita a
postare.
Chi segue la pagina Facebook, saprà
già che la storia è in dirittura
d’arrivo : mancano davvero pochi capitoli alla
fine, dato che la maggior parte dei nodi hanno già iniziato
a sciogliersi.
Unico chiarimento, per
questo capitolo. I signori Montagnet,
citati da Hermione, potete trovarli qui;
compresi in una tipologia di teatro
che oggi si vede sfortunatamente troppo poco. O non si vede affatto.
Alla
prossima
settimana. |
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Capitolo 15 *** Pieno ***
Pieno
«Hermione,
ti ricordi di
Blaise, vero?»
Lei annuì, allungando
una mano per stringere quella del moro, mostrando tutto il suo sollievo
e l’altro
ricambiò con un sorriso breve ma sincero.
«Loro, invece, sono sua
moglie Daphne e le loro figlie Cassandra e Anfitea.»
presentò, prendendo a giocare con le bambine. Hermione si
schiarì la voce,
imbarazzata per il trovarsi con sconosciuti, ma i sorrisi
incoraggianti di
Draco la calmarono.
«Scorpius
e Astoria?»
domandò il biondo alla donna. «L’ha
già riportato a Hogwarts?»
«No,
non credo. L’ho
vista ieri, e mi ha detto che oggi sarebbe stata presente. A quanto ne
so,
avrebbe portato anche Scorpius.»
Draco le annuì,
abbassando lo sguardo verso la bambina che reclamava la sua attenzione.
«Zio,
voglio giocare.»
«Tea,
gioca con tua
sorella.»
le consigliò Daphne, scusandola con i gesti. «I grandi devono
parlare. Ora arriva anche tuo cugino, contenta?»
«Bene,
uhm… Hermione?»
la chiamò Zabini, grattandosi distrattamente la nuca. «Posso
darti del tu, sì? Tanto ormai sei di famiglia.»
«Oh,
è arrossita!»
«Daphne!»
esclamò Draco, stringendo a sé Hermione con un
sorriso divertito in viso. «Avessi
saputo che saresti venuta anche tu, avrei chiesto a Blaise di
incontrarci nel suo studio.»
«E
privarmi delle guance
rosse della tua nuova moglie?»
ribatté lei, scherzando. «Non
avresti potuto farmi questo, tesoro.»
Ad Hermione per poco
non andò di traverso la sua stessa saliva, e Draco dovette
darle dei colpetti
sulla schiena per farla riprendere, mentre rivolgeva
un’occhiata truce a
Daphne.
«Daphne.»
si intromise allora Blaise, gelando con lo sguardo sua moglie. «Chiamalo
ancora tesoro e giuro
che divorzio anch’io.»
La donna rise di cuore,
avvicinandosi al marito per baciarlo, e subito l’espressione
di lui tornò
serena come era stata fin dall’inizio, ed anche Hermione non
poté trattenere
una risata.
«Papà!»
L’esclamazione
improvvisa fece girare tutti i presenti, notando l’entrata di
Astoria e di suo
figlio. Hermione lo ricordava bene, dal funerale di Lucius; se anche
non
l’avesse fatto, non sarebbe stato comunque difficile capirne
l’identità. Quei
capelli biondi erano identici a quelli di Draco. Il bambino corse verso
suo
padre, incurante del lieve rimprovero sul suo viso che si
aprì subito in un
sorriso quando lo strinse tra le braccia, inginocchiato sul pavimento
per
abbracciarlo meglio.
«Siete
in ritardo.»
«Già.
Dillo a lui,
Daphne. Non ne voleva sapere di alzarsi dal letto, stamattina.»
spiegò Astoria, rivolgendo un sorriso di saluto ad Hermione.
«Vedo
che ci siete tutti. Scorpius, perché non vieni a giocare con
me e la
zia? Di là ci sono due sorprese per te…»
«Cassandra
e Tea!»
esclamò il bambino, correndo nella direzione indicatagli
dalla madre. Astoria e
Daphne lo seguirono con un sospiro rassegnato, ed uscirono dalla sala
senza più
dire una parola.
«Allora,
Hermione.»
il moro la chiamò nuovamente con un tono serio, sedendosi
davanti a lei. Una
pergamena ed una piuma svolazzano a mezz’aria, e si
sforzò di ignorarli. «Astoria
mi ha spiegato brevemente quello che è accaduto, ma vorrei
che me
lo ripetessi tu. So che riguarda tuo marito, quel rosso di Weasley.»
«Sì.»
confermò torturandosi le dita, ma la stretta di Draco la
fermò. Rivolse un
breve sguardo agli occhi del biondo, che la spronavano a continuare. «Lui…
lui ha detto che… ha detto che mi avrebbe tolto la custodia
dei miei
figli.»
«Dì
le cose come stanno,
Hermione.»
la interruppe Draco seccamente, gli occhi pieni di
scintille di rabbia. «L’ha
minacciata di non farglieli più
vedere, Blaise, dopo averla persino accusata di essere una…
una di quelle.»
«Draco.»
lo chiamò l’altro, ammonendolo con lo sguardo. «Capisco
la tua ira, ma
è superflua. No, aspetta, mi sono espresso male. So che ci
tieni a lei, e che
faresti tutto per cercare di proteggerla, ma… ma ci sono
altri metodi, per
farlo. Per questo sono qui.»
gli mormorò, evocando un libro.
Cominciò a sfogliarlo in silenzio, ma ben presto si
interruppe. Rivolse
nuovamente la sua attenzione ad Hermione, chiudendo quello stesso libro
con uno
scatto secco che la fece sussultare.
«Hermione,
devo
chiedertelo, e spero che tu mi dica la verità.»
iniziò,
esitando subito dopo. «Draco,
potresti…»
«No.»
pronunciò secco, sistemandosi meglio sulla poltrona. «Non
me ne vado, Blaise.»
«Draco,
quello che… ci
sono domande che devo farle, ed ho bisogno di privacy. Devo davvero
chiederti
di uscire.»
si scusò alzando le spalle. «Non
posso fare altrimenti, lo sai bene.»
Il biondo se ne andò
controvoglia, sbattendo la porta infuriato mentre usciva, e Blaise
poté
continuare quel colloquio con una Hermione sempre più
nervosa.
«So
che tanto poi gli
dirai tutto, ma per legge non potevo farlo rimanere. Sai, segreto tra
avvocato
a cliente.»
Hermione annuì,
sorridendo alla smorfia infastidita che l’altro fece subito
dopo.
«Draco!»
tuonò, afferrando l’oggetto che spuntava da sotto
la porta. «La
privacy!»
Hermione rise,
osservando la scena : Draco se ne stava comodamente contro lo stipite
della
porta della stanza davanti lo studio, in mano un riconoscibilissimo
filo color
carne, ed alzò gli occhi quando incrociò quelli
grigi che le fecero l’occhiolino.
Guardò Blaise rientrare, insonorizzando la stanza, e subito
fece evanescere le
Orecchie Oblunghe sequestrate a Draco.
«Scusalo,
Hermione. A
volte è più infantile di Scorpius e delle mie
figlie messi insieme.»
«Sì,
me ne sto
accorgendo.»
confermò lei, un sorriso sinceramente divertito
sulle labbra, vedendo l’altro annuire vigorosamente.
«A
volte mi domando
quanti anni abbia esattamente. Ha l’aspetto di un adulto, ma
si comporta ancora
come un undicenne.»
mormorò fingendosi esasperato. «Comunque…
pronta, per le domande?»
***
«Padrone…»
«Cosa
c’è?»
gli si rivolse con un sibilo, sgridandolo con gli occhi per il tono
troppo alto
che aveva usato nel chiamarlo. Diede un’occhiata ad Hermione,
fortunatamente
ancora addormentata di fianco a lui.
«Il
signor Harry Potter,
padrone. È sotto che aspetta padron Malfoy.»
Il biondo si affrettò a
rivestirsi, dopo aver congedato l’elfo, riflettendo sul
motivo che avrebbe
dovuto spingere Potter a presentarsi a casa sua. Sapeva di non riuscire
a darsi
una risposta, al momento, e comunque non prima di aver parlato con
l’Auror. Che
Weasley gli avesse spifferato tutto quello che era accaduto poche ore
prima?
No, non poteva essere, pensò subito dopo. Lenticchia non era
il tipo da
umiliarsi con gli amici, per quanto tardo potesse essere.
Si affrettò a
raggiungerlo, incuriosito, e lo trovò nel corridoio centrale
che si guardava
intorno, accompagnato da un nucleo di altri Auror. Draco li
guardò uno per uno,
non riconoscendoli.
«Potter.»
lo chiamò, piazzandosi davanti. «A
cosa devo l’onore di
avere te ed altri… sei Auror in casa mia?»
«Siamo
qui per Narcissa
Malfoy.»
gli rispose, ed il biondo capì ancora meno di prima.
«Mia
madre?»
sussurrò, l’espressione sinceramente confusa. «Cosa
volete da lei?»
«Affari
del Ministero.»
lo liquidò lapidario, ma fu grazie a quella reazione che
Draco capì il motivo
di quella visita. Gli unici affari del Ministero, perlomeno i
più urgenti,
riguardavano tutti l’assassinio di suo padre e
l’attacco a quel negozio. Ma
perché il dipartimento Auror avrebbe dovuto cercare sua
madre? Cosa c’entrava
lei, e in che modo quella situazione la riguardava?
«Perché
la cerchi,
Potter?»
gli domandò, ma l’Auror scosse la testa
dimostrando così la sua intenzione a
non rispondergli.
«È
qui?»
Draco tentennò, non
sapendo bene cosa rispondergli. Da un lato, sapeva che prima o poi
Potter e gli
altri se ne sarebbero accorti, della sua menzogna, ma d’altro
canto… era pur
sempre di sua madre, che si stava parlando. Sapeva che erano
lì per
interrogarla - Merlino solo sapeva per quale effettivo motivo - e
ostacolarli
sarebbe significato finire immischiato anche lui. Ed era
l’ultima cosa di cui
aveva bisogno in quel momento, caricare di lavoro extra Blaise,
già indaffarato
per conto di Hermione.
«Ecco,
non…»
«Hermione?» l’esclamazione
stupita di Potter lo fece
voltare verso le scale che lei stava scendendo. Si fermò a
metà, rivolgendo uno
sguardo altrettanto stupito ad Harry, sinceramente sorpresa di trovarlo
lì.
Come lui, del resto.
«Ciao, Harry. Volevo
andare in cucina.»
si scusò lei, distogliendo imbarazzata
lo sguardo per fissarlo su Draco. «Ma
non so dove sia.»
Lui le sorrise, grato
di quel momentaneo diversivo. Le porse una mano, aspettando che lei
l’afferrasse. «Non
potevi chiamare l’elfo? Ti avrebbe portato
qualunque cosa volessi.»
«Assolutamente
no!»
esclamò infervorata. «Non
sfrutterò Sock, Draco. E poi, non
voglio disturbare.»
«Sciocchezze.»
minimizzò lui. «È
pagato,
per questo.»
Hermione lo guardò
prima allibita, ma subito un espressione contenta sostituì
la precedente. «Lo
paghi? Davvero?»
«Certo.»
Malfoy annuì, ghignando davanti al suo viso stupito,
tornando a prestare
attenzione a Potter. Hermione lo imitò, guardandolo con
curiosità.
«Cosa
succede? Perché
Harry è qui?»
«Questioni
di lavoro,
suppongo.»
le spiegò brevemente Draco. «Lui
e gli altri cercano mia madre.»
«Oh.
Per quale motivo,
Harry?»
«Per
questa.»
Tutti
i presenti si
voltarono in direzione delle scale, dove la voce limpida di Narcissa
Malfoy li
aveva interrotti. Stava scendendo i gradini con la solita grazia che la
contraddistingueva, tra le mani una maschera.
Draco sgranò gli occhi,
riconoscendola, osservando distrattamente che tutti gli Auror presenti
avevano
le bacchette pronte in mano. Narcissa lo raggiunse, superandolo di
poco, e si
sistemò a metà tra il gruppo del Ministero e lui
ed Hermione.
«Cercava questa, signor
Potter?»
gli domandò retoricamente, porgendogli la maschera da
Mangiamorte di Lucius. «Suppongo
di sì. La prenda, non mi servirà più.»
La maschera passò di
mano in mano, finendo tra quelle di un Auror che si
smaterializzò
immediatamente, sotto lo sguardo confuso di Draco.
«Madre…
cosa sta
succedendo?»
Narcissa si voltò verso
di lui, fiera come era sempre stata, e suo figlio poté
sentire un singulto
provenire dalle labbra di Hermione. Ma non ne capì il motivo.
«Ti
voglio bene, Draco.
Te ne ho sempre voluto.»
cominciò lei, imponendosi di non
piangere davanti a suo figlio. I Black
non piangono, i Black affrontano
tutto a testa alta. Ed era esattamente quello che stava
facendo Narcissa,
anche se le costava come nient’altro nella sua vita. Nemmeno
dare alla luce
Draco le era stato così doloroso. «Tutto
ciò che ho fatto…
è stato per te. Perché tu fossi davvero felice,
perché tu potessi essere
realmente te stesso, senza costrizioni, pregiudizi ed ordini.»
Draco la guardava a
bocca lievemente aperta, e lei vi vedeva non l’adulto che era
adesso, ma il
bambino paffuto e maldestro che era da piccolo. Questo, sarebbe stato
sempre
per lei : il bambino che amava abbracciarla, confortandosi del suo
profumo, e darle
baci di nascosto a suo padre, custodendoli gelosamente come un segreto
solo tra
loro due; il bambino che con la sua prima magia aveva rotto il vaso
preferito
di Lucius, vecchio di trecento anni; il bambino dolce che era un tempo,
prima
di essere plasmato ad immagine e somiglianza del suo stesso genitore. E
quegli
occhi grigi… nonostante tutto, erano ancora infantili. Dopo
tutto quello che
Draco aveva passato nella sua vita, i suoi occhi avevano ancora quella
purezza
fanciullesca che l’aveva affascinata fin da subito, fin dalla
prima volta che
li aveva incrociati.
«Ti
chiedo di
perdonarmi, se puoi.»
riprese lei, sforzandosi di parlare
con voce chiara, nonostante gli occhi umidi. Ma non avrebbe mai pianto. «Per
il gesto che ho compiuto. Chiunque avrebbe agito così.»
«Madre…»
Draco la chiamò con un mormorio, più confuso di
prima. «Cosa
hai fatto?»
Narcissa non gli
rispose; si voltò verso Harry Potter con i polsi uniti ma a
testa alta. Nessuno mai
gliel’avrebbe fatta abbassare,
pensò in quel momento, lei era e
sarebbe
stata sempre una Black.
«Narcissa
Malfoy.»
Harry chiamò il suo nome, ignorando le occhiate supplicanti
di Hermione e lo
sguardo perso di Draco. Non poteva fare altrimenti. «Lei
è accusata formalmente dal Ministero per
l’assassinio di Lucius Malfoy
e l’attacco al negozio di Madama McClan.»
Narcissa gli annuì,
schiarendosi la voce per scacciare quel blocco che le stava impedendo
di
parlare. «Come
ha capito che ero stata io, signor Potter?»
L’Auror si raddrizzò
velocemente gli occhiali, cieco però alle occhiate che
Hermione gli lanciava
per fargli capire di non parlare davanti a Draco. Ma Malfoy era un
adulto, e
comunque prima o poi sarebbe venuto comunque a conoscenza delle
motivazioni di
sua madre.
«Ha
commesso un errore,
Narcissa. Certo, è stato forse involontario, ma
l’ha fatto. La bacchetta di
Biancospino. Abbiamo trovato un frammento di quel legno mischiato ad
altri, sia
dove esisteva il negozio di Madama McClan che sul luogo del…
dove è stato
trovato suo marito, insieme con Acacia e Noce.»
spiegò Harry,
prendendo un respiro veloce prima di tornare a parlare. «Gli
Incendio e l’Ardemonio non sono riusciti a distruggerli del
tutto. Ma
è stato grazie al Biancospino che sono riuscito a risalire a
lei.»
«Quella
bacchetta è di
Draco.»
puntualizzò Narcissa, e l’Auror annuì.
«Sì,
ma sappiamo tutti,
qui, che suo figlio non sarebbe stato in grado di fare male nemmeno ad
una
mosca. Non poteva essere stato lui. Non è un assassino, e
questo l’abbiamo già
appurato vent’anni fa.»
la voce di Harry finì in un sussurro,
ricordando la morte di Silente nella torre. «In
più, quella maschera
era l’unica che mancava all’appello. Quello che non
riesco a capire, - aggiunse
subito dopo, - è il motivo. Perché…»
«Perché
colpire il
negozio?»
Narcissa lo interruppe con un gesto secco della mano. «Un
semplice diversivo, signor Potter.»
«Ha
ferito delle
persone!»
Harry alzò la voce, incurante delle occhiate che la Malfoy
gli lanciava. «Decine
di persone finite al San Mungo!»
«È
vero. Ma sono ancora
vive, no? Avevo bisogno di qualcosa che vi tenesse impegnati,
mentre…»
Narcissa prese un profondo respiro, guardando addolorata suo figlio, ma
lui non
sembrava realmente vederla. Aveva gli occhi vacui, e nemmeno gli
abbracci di
Hermione sembravano riscuoterlo dallo stato in cui era caduto.
«Mentre
ordinava
l’uccisione di Lucius Malfoy?»
le domandò Harry, un finto tono
sarcastico che stonava terribilmente con tutta quella situazione, ma
lei lo
fissò con stupore.
«Ordinare?»
ripeté, le labbra strette in una linea severa. «Non
sono una stupida,
signor Potter. Non avrei mai rischiato che qualcun altro
potesse… potesse
tradirmi. Non ho ordinato alcunché a nessuno.
L’unica responsabile sono
solamente io.»
L’Auror aggrottò le
sopracciglia, guardandola con confusione. «Ma
i testimoni… giurano
di aver visto almeno un paio di persone.»
«Signor
Potter, non
credo che sia mio dovere ricordarle quanto le persone possano essere
estremamente suggestionabili. Specialmente quando vedono del sangue. Ed
un buon
Confundus ha fatto il resto, facendo credere loro che le persone
fossero molte
di più.»
«Ha
fatto tutto da sola,
quindi.»
ripeté Harry, incredulo a ciò che sentiva. «Non
mi spiego un’altra
cosa. Come ha fatto ad ucc… a colpire
suo marito?»
si corresse subito, dopo l’occhiata truce di
Hermione verso di lui. «I
Medimaghi hanno detto che sembrava
qualcosa di simile al Diffindo, ma che era un incantesimo di
tutt’altro genere.
Quale ha usato?»
Sul
volto di Narcissa
spuntò un sorriso amaro. «Le ricorda nulla, signor
Potter, il Sectumsempra?»
L’Auror sgranò gli
occhi, balbettando poi parole incomprensibili. «La
formula di Piton?»
le domandò, incredulo. «Come
fa a conoscerla?»
«Signor
Potter, come le
ho già detto, non sono una sprovveduta. Severus mi ha
confessato che lei ha
usato quella stessa formula su mio figlio, al vostro sesto anno. Se
Lucius non
avesse fallito, l’anno prima, Draco non sarebbe stato
Marchiato per rimediare
agli errori di suo padre, come invece è stato, e tantomeno
non sarebbe stato
vittima di quella maledizione. Lucius meritava di morire nello stesso
modo in
cui aveva rischiato la vita il suo unico figlio.»
spiegò senza
tentennamenti, animata dalla rabbia che la vigliaccheria di suo marito
le aveva
provocato in passato.
Si voltò brevemente
verso Draco, trovandolo con lo sguardo perso nel vuoto, e gli
accarezzò una
guancia. Lo fece piano, con estrema lentezza : voleva imprimersi ancora
una
volta la sensazione - la bellissima sensazione - che provava ogni volta
che le
sue dita entravano in contatto con la pelle di suo figlio. E, per lei,
sarebbe
stato davvero sempre un bambino, qualunque età potesse mai
avere.
Narcissa sapeva cosa
stava per accadere, lo aveva sempre saputo. Era cosciente che Azkaban
era
inevitabile, per una come lei, e nonostante conoscesse dal principio la
fine
che l’avrebbe aspettata, non aveva esitato neanche un
momento. Forse, realizzò
in quell’istante, Azkaban era un
buon compromesso.
«Non
mi pento di nulla.»
gli mormorò, mentre un sorriso dolce spuntava dalle sue
labbra rosse. «Perdonami.»
Si allontanò da lui,
pronta a consegnarsi definitivamente nelle mani del Ministero, ma un
sussurro
timido la fece voltare nuovamente indietro. «Perché?»
Narcissa guardò con
gratitudine Hermione, abbracciata a suo figlio nel tentativo di
sostenerlo, e
non poté trattenere un sorriso dolce. «Perché
ti voglio bene.
Perché sei il mio unico figlio. Perché tu,
più di tutti gli altri, meriti di
essere felice al fianco di una donna come Hermione. Perché
sono una madre.»
Si voltò, dopo aver
accarezzato ancora una volta con un sorriso il viso di suo figlio, e
superò
tutti quegli Auror giunti per arrestarla.
A
testa alta.
***
«Te
l’avevo detto che
Blaise era bravo, no?»
Hermione annuì,
giocando con l’angolo del lenzuolo attorcigliandolo tra le
dita. «Sì,
è vero. Ha fatto un buon lavoro, per Narcissa. E per me,
trovando un cavillo
che riuscisse a farmi ottenere i miei figli, nonostante avessi torto.»
«Ed
è così. La Legge
Magica è alquanto severa, su temi come questo. Sono le
madri, ad avere la
potestà in caso di separazione, o di divorzio, non i padri.»
«Non
esserne così
contento, Malfoy.»
lo rimbeccò lei, sentendo il tono con
il quale aveva pronunciato la parola divorzio. «Il
fatto che, ora,
Ronald ed io lo siamo non significa che puoi…»
«Gioirne?»
domandò lui, accarezzandole un fianco fino a farla
rabbrividire. «E’
stato difficile? Firmare quei documenti.»
Hermione
ci pensò su per
qualche istante, ma poi scosse convinta la testa. «Credevo di
sì, sai? Credevo
che avrei esitato, e che me ne sarei pentita subito dopo.»
«E
non è successo.»
«No,
non è successo.»
ripeté, strappandogli un bacio. «Merlino,
dovrò rivederlo. Devo andare a prendere Hugo, e so che Ron
sarà alla Tana. Per fortuna
che c’è Molly, con sua madre presente non
potrà fare sciocchezze.»
«Ti
stai dimenticando di
me, Mezzosangue.»
le ricordò con un bisbiglio, sfiorandole
i capelli, ed Hermione trattenne il respiro. Alzò la testa
per guardarlo, non
leggendo altro che sincerità nel grigio dei suoi occhi.
«Vuoi
essere presente?
Perché?»
«Hermione.»
scandì lentamente. «Dopo
tutto quello che è successo, come
puoi dubitare che non voglia fare parte della tua vita? Di ogni singolo
aspetto?
Devi essere davvero sciocca, per non esserci ancora arrivata.»
Lei sentì il cuore prendere
a battere forte, sempre più forte, e non poté
trattenere la parola che le uscì
dalle labbra. «Tu…»
«Sì.»
la interruppe, deglutendo improvvisamente in imbarazzo. Lo era sempre,
quando
si parlava di sentimenti, e non avrebbe mai potuto farci niente. «Mi
pare di averlo già detto. In una qualche sala da
tè, se non ricordo
male. Probabilmente quella del San Mungo.»
«Ma
non era rivolto a me,
bensì ad Astoria.»
puntualizzò lei, gonfiando lievemente
le guance come una bambina, e lui sogghignò davanti
quell’espressione buffa. «Sai,
sono contenta che sia in attesa. È una brava donna, si
merita questa
felicità. Anche Terence mi sembra gentile.»
«Vero,
lo sono entrambi.
Lo desiderava da tanto, un altro figlio, e sono contento che Terence
sia
riuscito a darglielo.»
«Ti
dispiace, non averne
avuto un altro?»
gli domandò Hermione, ma evitò di
guardarlo in volto.
«Sì,
se devo essere
sincero. Avrei tanto voluto avere una bambina. Ma Astoria…
prima non riusciva a
rimanere incinta. Aveva dei problemi, ma per sua fortuna li ha risolti.»
«Magari,
in un futuro…»
Draco la guardò con un
espressione indecifrabile, ma dentro si sentiva pieno di gioia per il
solo
fatto che lei potesse valutare quell’opportunità. «Sì,
magari.»
Hermione sospirò, non
sapendo cosa dire. Si sentiva la testa libera da qualsiasi pensiero,
ora che
era lì con Draco. Le aveva proposto di trasferirsi da lui
solo qualche giorno
prima, dietro la scusa della solitudine : le aveva detto che non voleva
sentirsi solo, in quella villa enorme, e che la sola compagnia di
Narcissa non
gli bastava. Voleva quella di Hermione, e l’aveva ottenuta.
«Sei
tu, la mia scelta
volontaria.»
affermò lui dopo qualche istante di silenzio. «E
non avrei potuto farne una migliore, nella mia vita.»
Draco le accarezzò il
volto arrossato, ammirandola mentre lo guardava trattenendo ancora il
respiro. «Voglio
darti tutto, Hermione. A volte non sarà facile, ma cosa lo
è? Potrà
capitare che litigheremo, arrabbiati l’una con
l’altro, ma sono cose che
potremo superare. Se tu lo vorrai.»
Attese in silenzio una
sua risposta, pregando Merlino che fosse quella che lui si aspettava e
non
quella che sarebbe stata capace di distruggerlo completamente. Ci aveva
riflettuto fin da quando l’aveva incontrata di nuovo, un paio
di mesi prima, e
con il passare del tempo si era reso conto che non aveva mai avuto
scelta; si
era reso conto di dipendere da lei, dai suoi sorrisi, dalle sue
occhiate e dalle
sue parole in un modo che non aveva mai creduto di provare. Nemmeno il
matrimonio, ormai sciolto, con Astoria era stato così. Ed
Hermione… Hermione gli mostrò con i gesti, quale
sarebbe stata la sua
risposta.
Draco la guardava,
abbracciata a lui e con la testa postata contro il suo petto, e sorrise
al
vuoto nella sua camera.
Era un Malfoy.
Tutto
si era risolto.
Ed
i Malfoy ottenevano
tutto ciò che desideravano, da vincenti quali erano.
Sua
madre aveva ottenuto il permesso dal Ministero per scontare la sua pena
alla
villa.
Draco
aveva ottenuto
Hermione.
Lui
aveva divorziato, ed anche lei. Sarebbero potuti stare insieme senza
ostacoli.
Fino
a quando lui l’avrebbe
voluta.
Forse…
Per
il resto della sua vita.
Note.
Scrivere
la parola fine ad una storia
è sempre difficile, ma per questa lo è stata il
doppio. Vuoto per pieno
è stata una
storia nata per caso, senza essere minimamente programmata, e fino alla
fine
non sapevo quale esito ne avrebbe avuto. Sarebbe stata a lieto fine?
Avrebbe
avuto un finale triste? Non lo sapevo, fino a quando non ho scritto
l’ultima
parola di questo capitolo.
E ne sono soddisfatta.
Nonostante i ritardi, nonostante i
blocchi che la stesura di questa breve storia mi ha portato ad avere,
ne sono
soddisfatta : si è svolta esattamente come l’avevo
immaginata fin dall’inizio,
ed è stato bello leggere i vostri commenti man mano che
postavo, sia in
pubblico che in privato, perché mi hanno aiutata ad essere
più celere e -
probabilmente - meno dispersiva negli stessi dialoghi tra i personaggi.
Per
chi se lo stesse chiedendo, Terence
ed Astoria hanno avuto una bambina, con grande invidia di Draco. Il
nome è a
vostra discrezione, ed anzi vi vorrei chiedere di suggerirmene alcuni per un probabile seguito al quale sto pensando.
Non
so se effettivamente Daphne e Blaise
fossero sposati, né se tantomeno entrambi avessero avuto dei
figli, e
sinceramente poco importa, ma questi sono personaggi a cui mi sto
affezionando
e non potevo assolutamente non metterli insieme. Con tanto di
pargolette al
seguito, i cui nomi riprendono le radici familiari dei Greengrass.
Per
quanto riguarda Ronald, anche se nel
capitolo non è specificato, diciamo che una certa Lav-Lav in forma decisamente corporea ha
fatto nuovamente capolino
nella vita del suo Ron-Ron.
Ultimo
ma non ultimo, ci terrei a
ringraziare le lettrici che hanno recensito questa storia, che hanno
semplicemente letto in silenzio e che l’hanno aggiunta nelle
varie liste.
Mi
auguro che anche quest’ultimo
capitolo vi sia piaciuto.
Per l’ultima volta, grazie di essere
arrivati fin qui.
erzsi.
P.S.
: Capitolo non betato. |
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