Segreti nella baia

di QWERTYUIOP00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Un’altra?”
“Sì, mi signore, proprio questa notte. Stiamo lavorando per recuperarne i resti”, l’ufficiale era sull’attenti esibendo la sua armatura da guardia, da come parlava sembrava orgoglioso del suo incarico, della sua posizione, della sua vita.
“E il peggio”, pensò  Servatus, “E’ che lo è davvero. Fiero di lavorare nella topaia che la gente chiamava Bravil, di far rispettare la legge in posti che non l’avevano mai conosciuta. Di servire un conte che… ” non gli veniva in mente una parola che potesse descrivere Regulus Terentius, conte di Bravil.
Il conte sbuffò, era annoiato. La sera prima aveva passato tutto il periodo della cena illustrando ai cortigiani il programma di caccia che si era prefissato. Ma un’altra  nave era affondata. Il conte doveva ascoltare un altro rapporto. E questo lo irritava; voleva porre fine a tutto ciò.
“Se non altro per non dover passare un’altra mattina sui rapporti della guardia” rifletté Servatus “Anzi forse solo per quello”
Il conte si rivolse direttamente a Servatus, una volta che l’ufficiale fu uscito: “Ho scritto, su consiglio della mia sovrintendente, una lettera alla città imperiale affinché il Consiglio degli Anziani crei una commissione su questa faccenda. E, indovina? Hanno accettato la proposta” .
“E’ stata infatti una saggia mossa impiegare il suo tempo per scrivere quella lettera, conte” rispose ossequioso l’altro con un sorriso “Come al solito lei compie il bene per tutti noi”.
“Beh, sì non c’è dubbio. Non l’ho proprio scritto io quella lettera, capisce” rispose Terentius borbottando “Avevo cose più importanti… ” “Capisco perfettamente” interruppe con lo stesso tono di prima il cortigiano.
“Si, beh, era ovvio che accadesse, no?”  continuò il conte “Oltre il fatto che una richiesta mia non poteva essere rifiutata vi è un altro motivo che quei biechi consiglieri credevano di non far notare. Tutte le navi che stanno affondando nella Baia… non sono altro che le navi merci che riforniscono di cibo e altri beni gli oziosi abitanti della loro grande e magnifica capitale bianca dove la merda non è in strada e le persone non vengono trovate ogni giorno morte nei canali. E per questo si credono i padroni del mondo”.
“Ragionamento interessante…” pensò Servatus “Anche se loro sono i padroni del mondo”
“Ora lei dovrà viaggiare per la Città Imperiale per lavorare in quella commissione come rappresentante di Bravil” concluse in tono deciso il signore di Bravil. Aveva fretta, voleva  finire al più presto la conversazione e andare alla sua dannata battuta di caccia.
Servatus partì per la capitale il giorno dopo, raggiante.
Aveva abbandonato quel letamaio. Da quel momento in avanti sarebbe stato in contatto con gli alti funzionari dell’Impero. Avrebbe stretto legami, fatto favori… e magari non sarebbe mai tornato a Bravil.
 
 
Viaggiò in carrozza, per motivi di sicurezza, e arrivò nella Città Imperiale il giorno dopo.
Tutti rimangono estasiati dalla Città Imperiale; alcuni perché vi rivedono gli antichi fasti degli Ayleid, altri ricordano la grandiosa battaglia di Martin, trasformatosi nell’incarnazione di Akatosh, contro Mehrunes Dagon, altri semplicemente per i suoi grandi palazzi bianchi e altri ancora ne lodavano l’assenza di cadaveri e sterco per le strade come Terentius.
Servatus non apparteneva a nessuna di queste categorie.
Lui ne rimaneva estasiato per ciò che rappresentava: il potere. La Torre Oro Bianco proiettava le persone in alto, se queste erano capace di padroneggiare questo mezzo.
Ma i pochi che riuscivano ad arrivare alla cima non potevano che cadere, e questo Servatus lo sapeva.
Una persona per vincere non deve raggiungere la cima
Il vincente è quello che riconosce a che piano fermarsi.
E poi sapere dominare dal basso, nell’oscurità.
Servatus ci pensò su.
Nessuno  ce l’aveva fatta.
 
 
Il suo alloggio nella Città Imperiale era nell’Hotel di Tiber Septim, ovviamente pagato coi soldi delle casse della sua amata città natale.
Al banco vi era una donna bionda sulla sessantina che indossava un elegante vestito nero.
“Come posso aiutarvi?” disse quella con voce squillante “Se cercate un alloggio nella città più bella dell’Impero lontano dai brutti ceffi, i seccatori o i ladri potete smettere di cercare: L’Hotel di Tiber Septim offre spaziose camere finemente arredate, il cibo migliore della città e la sicurezza della Torre Oro Bianco. Io non conosco nessuno che è entrato illegalmente nella Torre Oro Bianco e immagino neanche lei. Quindi posso offrirle tutto ciò che ho elencato a soli quaranta septim? ”
Leggermente frastornato dal discorso della signora, Servatus disse balbettante: “Io… ecco ci sarebbe…” e di nuovo l’onda di parole della logorroica signora lo travolse elencandogli i vari tipi di stanze e chiedendo i gusti del cliente.
“Forse potrei aver sottovalutato la difficoltà del mio lavoro qui” pensò l’uomo “Se mi faccio schiacciare da una locandiera”
“Veramente, signora” si impose a voce alta, cercando di mantenere un tono gentile “Ho già una camera qui. Sono il delegato di Bravil, incaricato personalmente dal conte Regulus Terentius…”
“Oh… capisco…” mormorò lei imbarazzata.
Dopo che la dura prova fu terminata Servatus si rilassò sul letto della sua camera. “La più ampia e ricca dell’intero Hotel” aveva affermato, non senza un certo orgoglion la locandiera, e ,in effetti, era migliore di quella dello stesso conte a Bravil.
“Ed è solo l’inizio…” si assicurò Servatus nell’addormentarsi sul letto.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


“Grazie, Augusta” disse Servatus con un sorriso alla locandiera “Puoi lasciarci ora”.
Una volta che la donna fu uscita dalla stanza lo sguardo dell’imperiale si volse sul giovanotto alto e smilzo che lo fissava timoroso.
“Un ragazzo timido e obbediente” pensò Servatus “il tipo di persona che segue gli ordini alla lettera, e ciò è un bene. Ma è anche il tipo di persona a cui non bisogna affidarsi per improvvisazione e situazioni che necessitano di mente lucida”
“Dunque come ti chiami?” domandò nel modo più gentile possibile – era meglio non innervosirlo- “ E che compiti ti sono stati affidati prima di questo?”.
“Il… il mio nome è Rodrcick Saine Sono…sono stato il messaggero di un mercante di minerali Balmorra che visitava spesso la capitale” rispose lui con voce quasi meccanica.
“Si è preparato delle risposte. E’ previdente ma lo nasconde male” osservò Servatus “Ho forse trovato il primo bretone nella storia che non eccelle nell’arte oratoria”.
“Bene, Rodrick” disse il rappresentante di Bravil “Lasciami spiegarti quali saranno le tue mansioni: tu consegnerai i miei messaggi, farai commissioni per me, scriverai le mie lettere e risponderai a me, e a me solo. Sono stato chiaro?”
“Certo, signore” rispose impacciato lui.
“Magnifico, comincia trovandomi una lista dei rappresentanti nella commissione a cui appartengo ora e, se ce la farai, ad accumulare informazioni su tutti questi. Queste missive mi servono entro stasera in modo che possa prepararmi per la seduta d’apertura di domani, siamo intesi? ” ordinò Servatus
 Dopo che Rodrick fu uscito, l’imperiale passò il resto della mattinata ad organizzare la stanza e, una volta ultimata l’opera, uscì per una passeggiata.
La Città Imperiale contiene all’interno delle sue mura svariate meraviglie che destano stupore tra i visitatori, specialmente se questi vengono da una città come Bravil: la Piazza di Talos, l’Arboretorium, l’Arena, il Tempio dell’Unico con i resti del drago Akatosh… eppure Servatus non coglieva queste bellezze.
Gli unici viaggi che lo interessavano erano quelli per lavoro, e il lavoro lo chiamava nel Porto della città.
Se c’era un posto a Cyrodiil che facesse sentire a casa gli abitanti di Bravil… beh questo era proprio il porto.
E se c’era una cosa che Servatus non voleva, era sentirsi a casa.
La “piccola Bravil”, formata da baracche fatiscenti di legno abitate da ladri, impiegati del porto e spacciatori era celata, però alla vista di quelli che arrivavano dalla città da un lungo muro candido scanalato su cui si affacciavano i magazzini del porto.
Dal centro di questo arco spiccava un ponticello che collegava il porto al faro e il faro all’isola principale e nello spazio in mezzo si affiancava il gruppo di navi, a cui apparteneva il “Galleggiante gonfio”, che ospitava la locanda del quartiere.
Servatus entrò fermò un uomo magro e basso chiedendogli chi fosse i gestore del porto.
“Cos’è hai qualche rimostranza? Per caso non ti è arrivata una veste da diecimila septim che avevi ordinato? Ti conviene andartene, c’è una ragione se i ricchi non girano da queste parti” sbraitò scocciato l’uomo.
“Voglio solo parlargli” rispose con voce melliflua Servatus “E non porto con me nulla che valga la pena rubare”
“Rubare… certo” borbottò l’altro “E’ un Redguard di nome Vossan, vacci piano con lui: è fresco di nomina dopo che quel bastardo di un bretone è andato in pensione… “
“Certo, farò del mio meglio” assicurò il rappresentante.
“Bene… è quello là” aggiunse l’altro soddisfatto indicando un Redguard alto e corpulento appena uscito da un magazzino”
“Grazie tante” rispose Servatus, raggiungendo a passi svelti il gestore del porto che, una volta saputo con chi parlava, fece subito accomodare l’imperiale nel suo ufficio, offrendogli del Tamika 415.“Allora… immagino lei sappia perché sono qui, signor Vossan” domandò Servatus dopo aver assaggiato il vino.
Il liquido era amaro e forte all’inizio, ma subito dopo si addolcì risultando leggero, la consistenza stessa era diventata pastosa. Era fasullo, un’imitazione poco riuscita.
“Sì, beh, immagino per affare delle navi che affondano nella Baia di Niben, brutta faccenda ” affermò il Redguard.
“Lei crede che i territorio del Niben, in particolare la baia sia inadatto alla navigazione marittima o possa esserlo diventato?” chiese in modo diretto Servatus.“Beh, ecco, io…” borbottava il Vossan, sembrava cercare le parole esatte “non… non ho mai navigato nel Niben, né osservato con attenzione il territorio…”
“Ah, sì?” interruppe  l’imperiale ”è strano allora che lei sia a capo del più importante porto che si affacci su d esso, non crede?  Dove navigava allora, nel Mare Abeceano? Nel Mare dei Fantasmi forse?”
Il Redguard sussurrò “Ecco…”
“Signor Vossan” riattaccò Servatus “Lei ha mai navigato?” ormai il quadro gli era chiaro “o forse la sua posizione è dovuta solo ai suoi buoni rapporti coi criminali del porto ai quali ha promesso affari come la vendita illegale di merce contraffatta?”
Il gestore del porto non rispose, semplicemente lo fissava con uno sguardo mito tra odio e paura.“
Non si preoccupi, signor Vossan” lo rassicurò l’imperiale “non è mio compito indagare sulla corruzione nel Porto. Non ancora…”
Il Reguard diventò ponazzo.
Sorridendo, Sevatus si congedò e abbandonò l’edificio.
Nonostante non abbia avuto notizie sulle navi aveva ottenuto qualcosa.
“L’ho in pugno” sussurrò mentre tornava in città con un sorriso malizioso stampato in faccia.
 
 
Servatus si era sdriato sul letto dopo aver consumato la sua abbondante cena a base di maialino al latte con varie verdure da contorno e un vero Tamika 415 sorseggiato lentamente mentre l’imperiale attendeva che Rodrick tornasse dal compito affidatogli svariate ore prima.
“Due ore alla mezzanotte” pensò Servatus “e non è ancora tornato”
Forse non era stato troppo discreto come l’imperiale sperava? O magari Vossan aveva deciso di togliere di mezzo Servatus cominciando dai suoi servi?
Lo riteneva improbabile, almeno così presto.
Alle undici di sera Rodrick finalmente bussò, aveva con sé la lista.
“Magnifico, Rodrick” lo accolse con voce esultante “ottimo lavoro, se avrò bisogno di te ti farò chiamare, ok? Ora và a riposarti, te lo sei meritato ”
Il tono incalzante fece effetto sul ragazzo che andò subito via, come aveva sperato Servatus. Aveva perso già troppo tempo.
Prese la lista, si sedette sulla sua sedia davanti alla scrivania d’ebano e cominciò a leggere.
“In data ventitrè di Ultimo focolare anno 4E 16
Commissione straordinaria numero quattordici
Nove membri, come i Divini, compreso Martin Valga che presiede la commissione.
Cugino del defunto marito della contessa Arianna Valga di Chorrol, presente nel Consiglio degli Anziani da trent’anni, fino ad adesso  non vi sono particolari azioni compiute da lui.”
“Primo incarico importante” rifletté Servatus “l’inesperienza potrebbe aiutare, o essere nociva. Oltretutto dovrebbe essere avvezzo ormai a come funzionano le cose nel Consiglio. Ciò significa probabilmente che sia facilmente corruttibile”
“Sir Arthur Lancas, bretone nominato cavaliere durante la Guerra di Betony entrato da un mese nel consiglio.”
“Un vecchio cavaliere che si crede un lord. Potrebbe essere un problema”
“Oman Irthings, signore della guerra nord arricchitosi durante la Crisi dell’Oblivion, ora mercante.
Gerold Deeks, Siranus Othas, Lucien Almentos. Nessuna notizia di questi.
Cornelius Sintas, membro del Consiglio degli Anziani da dieci anni, molto rispettato e ascoltato da tutti, buoni rapporti con l’esercito e le Gilde, di cui difende i diritti”
“Questo potrebbe essere un valido alleato. O un pericoloso nemico.” Pensò il rappresentante di Bravil.
“Soliman Lewie, ambasciatore del Dominio Aldmeri”
“Questa è una sorpresa…” Servatus era stupito “cosa c’entrano i Thalmor? Sono immischiati?”
“Servatus Bantos, rappresentante di Bravil, non presente nel  Consiglio degli Anziani.”
“Oh questo ancora per poco…” disse ad alta voce Servatus.
 
 
La luce penetrò nella stanza la mattina seguente ma non colse l’imperiale addormentato, per neanche un singolo secondo egli riuscì a sprofondare nel sonno ristoratore.
Pochi minuti e questi era pronto mentre avanzava celermente verso la Torre Oro Bianco, passando per la Green emperor’s way, strada che circonda la torre ed è a sua volta racchiusa da un prato che conserva le tombe e i mausolei degli uomini più importanti nella Storia dell’Impero.
“Sono un membro della Commissione straordinaria numero quattordici” si annunciò autorevolmente alla guardia che prestava servizio all’ingresso.
“Benvenuto, signor… ” cominciò cortesemente la guardia.
“Bantos. Servatus Bantus.” completò il rappresentante con falsa cortesia, che celava la rabbia.
“Benvenuto, signor Bantos. Vuole che una guardia le mostri la via alla Commissione?” chiese il soldato.
“Vuole fare ammenda?” si domandò Servatus “Va bene”.
“Sarebbe un grande piacere se mi accompagnasse, sì” concesse.
Il milite sembrò guardarlo torvo per un attimo, ma subito dopo acconsentì e lo guidò nella sala della Commissione.
Arrivarono in una grande sala riccamente decorata con arazzi e dipinti e il soffitto a cassettoni in legno. Al centro era situato un tavolo rotondo in ebano con rifiniture d’oro con un buco in mezzo attorno al quale prendevano posto i commissionari.
“Signori commissari, vi presento il nono membro di questa istituzione. Il rappresentante di Bravil Servatus Bantos” lo introdusse un uomo sulla sessantina, probabilmente Valga “Si accomodi, prego”
Servatus si sedette e le giostre iniziarono.
“Ma il Niben è da sempre utilizzato come via principale per il trasporto e lo scambio di beni e persone” ribatté seccato Oman Irthings  ad una precedente affermazione .
“Ed è già successo in passato che le navi passanti per il fiume affondassero” controbatté Cornelius Sintas, che al momento non dava segni di cedimento o stanchezza “In più le condizione del terreno possono cambiare e rendere la navigazione impossibile”
“E quindi?!” sbraitò sir Luncas “dovremmo tagliare fuori la capitale?”
Per un momento, un sottile sorriso parve apparire sul volto di Sintas, Servatus fu l’unico a notarlo.
“Ha un’idea” pensò “Risolvere questo problema avrebbe un certo peso per la sua fama”
“I rifornimenti non devono naturalmente essere annullati” disse con tono calmo
“Dove vuole andare a parare?” domandò Deeks.
“Potrebbero passare… per esempio ,per la Via d’oro?” rispose Cornelius.
Sulla sala calò il silenzio.
Servatus doveva fare qualcosa. Doveva agire subito.
“Non ritengo” si intromise “che una faccenda di questa portata possa essere introdotta e discussa così facilmente in una Commissione di questo calibro, perciò…”
“E quando ritiene che possa essere discussa, signor Bantos?” lo interruppe Sintas “non neghiamolo: questo impero ha svariati problemi, notevoli e non. Cerchiamo di alleggerire il carico del Potentato e del Consiglio con un’amministrazione burocratica veloce ed efficiente: che risolve i problemi”
“Una sostituzione tra le rotte commerciali” cercò di contrattaccare il delegato di Bravil ”è un fatto disturbante e destabilizzante per i…”.
“Nessun problema se agiamo con efficacia” disse qualcuno.
“Con efficacia? Ma sapete di cosa si parla qui? E’ un…”
“Se solo non fossimo rallentati…”
“Rallentati?! Rallenta…”
“Silenzio!” tuonò Valga sbattendo la mano sul suo desco “E’ ovvio che la Commissione non è in grado di discutere della questione oggi. La seduta è aggiornata”
E in poco tempo i commissionari uscirono dalla stanza eccetto il Thalmor e Bantos, stremato.
“Mi tolga una curiosità, Lewie” disse quest’ultimo “Cosa ci fanno i Thalmor in questa Commissione? Per caso è per voi che siamo qui ma prima di rivelarcelo vogliono che ci scanniamo a vicenda?”
L’elfo sorrise.
“Sono in questa commissione perché questi problemi toccano Il Dominio” rispose “E questo scambio di rotte mi rende alquanto preoccupato”
Bantos lo guardò stupito.
“Con la Strada d’oro come via principale per i rifornimenti ne gioverebbero soprattutto i porti nel nord del Mare Abeceano come Daggerfall, Betony o Sentinel, che in più appartengono all’Impero mentre ora tra i principali partner commerciali  per i rifornimenti per la capitale vi siamo noi Aldmeri.”
“E allora perché non è intervenuto prima?!” si adirò Servatus.
“Io non sono uno sciocco” rispose Lewie “di certo non voglio scontrarmi con città come Daggerfall o Sentinel. In più, specialmente dopo la morte di Ocato, che voi attribuite a sicari Thalmor, io ho molti nemici qui e non voglio farmene altri, come Sintas. A volte, il silenzio è la via della diplomazia”
Bantos era sconcertato; non si sarebbe mai aspettato una tale capacità politica in un mer, anche se questi era l’ambasciatore del Dominio.
“Beh, allora potrebbe aiutarmi senza dare nell’occhio? Presto Sintas tornerà alla carica e dovremo… dovrò essere pronto non trova?” gli propose l’imperiale.
“Oh dovrà esserlo” sghignazzò l’altmer “sono abbastanza sicuro sul fatto che il Dominio possa resistere a quello. Non posso dire lo stesso di Bravil, però.”
Lo stava prendendo in giro. Quello sporco mer lo stava prendendo perché, a differenza sua, aveva un supporto potente su cui contare, mentre Servatus…
“Mi aiuterà, allora?” ripose la domanda.
“Farò ciò che posso” assicurò l’ambasciatore “ma lei cerchi di essere più preparato la prossima volta che decide di attaccare un uomo come Sintas in quel modo… la prossima volta potrebbe non essere salvato da un bisticcio tra nobili”.
Detto questo, Lewie si alzò e se ne andò, lasciando Bantos da solo coi suoi pensieri.
Il primo incontro con la commissione non era andato bene quanto sperava, ma almeno aveva trovato un alleato.
Un alleato Thalmor.
Non sapeva neanche se si sarebbe dovuto fidare di lui, ma aveva bisogno di un compagno.
La sua carriera poteva già essere stroncata sul nascere.
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Lo guardò negli occhi, quei suoi viscidi occhi da rettile, e l’altro ricambiò lo sguardo.
Non un movimento.
Le altre persone nella locanda se avessero guardato in quell’angolo avrebbero visto due uomini immobili che si fissavano come ebeti seduti ad un tavolo.
“Quattro” disse uno.
“Non sarà meno di sei” ribatté l’altro.
“Staremo a vedere” concluse l’argoniano sorridendo mentre con un deciso movimento del braccio lanciava i dadi sul tavolo di legno marcio.
I due cubi rimbalzarono più volte: prima sul tavolo, poi tra di loro e poi di nuovo sul tavolo cessando il loro vagare nello spazio.
Due numeri: due due.
La faccia dell’argoniano si tese, la bocca si aprì mostrando l’orrida dentatura in un sorriso grottesco mentre sul viso dell’imperiale si delineava una smorfia di delusione nelle due metà speculari del tavolo che crea il gioco d’azzardo.
“Ti giuro, Loreius, ti sarò sempre grato per avermi aiutato per quella faccenda. Ma non ti presterò altro denaro, anzi. Voglio i miei soldi entro la prossima settimana” le parole risuonavano frastornanti nella testa dell’Imperiale.
“Ti giuro, Loreius. Ti sarò sempre riconoscente. Ma non esiterò a farti del male.”
“Hai perso. Di nuovo” sibilò l’argoniano “E’ il momento di pagare”
“Un ultimo giro” ribatté Loreiu.
L’altro parve soppesare la proposta per un momento.
“Un ultimo giro” concesse “Tiro io”.
“Tiri sempre tu” rispose rassegnato l’Imperiale.
“Sette” vomitò con quella sua voce orribile l’argoniano.
“Sei o meno” decise l’altro.
I dadi volarono. I dadi caddero.
Tre.
Quattro.
Sette.
“Baro” Loreius lo apostrofò con voce colma di disprezzo “Stai truccando la partita?!”.
Con una mano lo additava alzando la voce, l’altra scendeva verso la vita.
“Hai perso, paga” orinò l’argoniano.
“Credevi di potermi fregare?!”  urlò l’Imperiale “credevi di potermi fott…”
La bestia era scattata, il braccio era dritto davanti a lui, con in mano un pugnale.
“Paga” ribadì con voce sicura.
Loreius passò all’attacco. Con un unico movimento fluido tornò indietro col busto allontanando anche collo e testa mentre con  il braccio, impugnata la spada fendette l’aria e colpì il pugnale facendolo volare dall’altra parte della locanda.
Locandiere e clienti, sobri e ubriachi li fissavano trattenendo il respiro.
In pochi attimi chiunque, nella stanza, aveva la mano sulla propria arma, con una coordinazione sovrannaturale.
L’Imperiale volse di nuovo lo sguardo verso l’argoniano, che lo guardava con i suoi occhi viscidi con uno sguardo colmo di disprezzo e paura.
La bestia scattò a sinistra, verso il muro, ma, mentre Loreius lo stava per falciare con la spada, con un’agilità sorprendente si  fece pressione coi piedi sul muro, spingendosi dalla parte opposta, raso terra, evitando il fendente.
Una volta fermo, la lucertola scattò in piedi e, preso un boccale lo scagliò in faccia a Loreius, che lo schivò.
Nella Capanna dei Tre Artigli calò il caos.
Chiunque nella stanza estrasse l’arma e cominciò ad avventarsi con chi gli capitava vicino.
L’argoniano schivò quattro fendenti per poi finire a terra col cranio fracassato dalla mazza di un Nord.
Due dunmer ubriachi si avventarono su Loreius, entrambi muniti di pugnale.
Quello a destra, un tipo basso e esile si lanciò sull’Imperiale, mentre questo, con una piroetta lo schivava e fendeva il busto del compagno, che si accasciò a terra mentre spruzzava sangue.
L’altro, che, ubriaco, aveva sbattuto contro il muro, cadde al suolo svenuto.
Sistemati i due, Loreius si voltò verso la mischia, che nel frattempo era diminuita, il pavimento era ricoperto di corpi, svenuti e morti.
In piedi vi era ancora un Imperiale e il Nord, che combatteva contro due Khajiit a mano libera e, con grande stupore di Loreius, le stava prendendo.
Loreius prese un boccale e lo scagliò contro l’altro membro della sua specie per poi colpire con l’elsa della spada uno dei Khajiit alla nuca.
Il compagno di questo, rimasto da solo, si diede alla fuga, subito dopo aver spaccato un piatto in testa al Nord, che cadde anch’esso steso sul pavimento.
Loreius guardò un attimo lo stato della locanda, divertito. Sembrava essere passato Mehrunes Dagon in persona.
Perquisì i vari corpi prelevando i septim e gli oggetti di valore di ciascuno e, quando passò dall’argoniano, si accorse che non aveva nulla in tasca. “Abbastanza sicuro del risultato” ridacchiò l’Imperiale.
Soddisfatto, lasciò il locale per tornare alla nave, appena fuori da Leyawiin.
 
 
Il proprietario originale, nel momento in cui aveva scelto il nome della sua “Dreugh morente”  doveva aver avuto una di quelle illuminazioni che vengono solo a grandi artisti e poeti.
Quella nave si meritava appieno il suo nome: il legno di cui era composto era di quercia della Grande foresta, uno dei più pregiati attualmente in circolazione, ma era marcio, rigonfio d’acqua e alcune parti dello scafo che erano rimaste bucate durante la navigazione erano state come “tappezzate” con intrecci di legni d’arbusto a rete, talmente sottile che non facevano entrare l’acqua.
L’albero, il timone e gran parte di porte, muri erano anticamente decorati, ora non solo avevano perso li intagli, ma erano stati più volte rimaneggiati, tagliati e sostituiti.
In alcune parti erano stati proprio strappati di netto.
“Com’è andata?” lo apostrofò al suo arrivo Ondonimal, un altmer a cui era stato affidato di recente il ruolo di primo ufficiale, e che non mancava di ricordarlo a tutti.
“Magnificamente” rispose Loreius “un baro. Uno schifoso baro argoniano, per di più senza neanche un septim in tasca.”
“Sì, ma parlami del resto del locale” ridacchiò l’elfo.
“Cosa intendi?” domandò l’Imperiale con l’aria di uno che non sa di cosa si sta parlando.
“Lo hai fatto di nuovo, non è vero?” indovinò Ondonimal.
“Non è stato per me” ribatté scocciato l’altro “non è del tutto mia la colpa”
“Ahah” annuì l’altmer “sì ne sono sicuro. E’ meglio che tu vada sottocoperta ora se non vuoi tu rispondere alle domande delle guardie che verranno qui cercando un ubriaco responsabile di una rissa con vittime alla locanda”
“Forse è meglio sì” acconsentì l’altro.
“Sì, signore” precisò l’altro “Sono stato nominato Primo Ufficiale, se non te ne sei accorto”
“Devo essermi perso l’edizione del Corriere Nero al riguardò” scherzò Loreius mentre si avviava all’interno della Dreugh morente.
 
 
Loreius si svegliò alle sei ore più tardi, richiamato dalle urla di Ondoliman che chiamava gli uomini per il pasto mattutino prima di partire.
L’Imperiale sospirò maledicendo l’elfo, la sua specie, e quella del baro della notte precedente.
Una volta aperto un occhio, si alzò e avanzò ciondolando verso il ponte tendendo sempre un occhio chiuso e, una volta fuori, si coprì gli occhi dai letali raggi che il Sole gli scagliava contro.
Dopo una decina di secondi riacquisì la lucidità e si sedette al tavolo dove erano presenti Ondoliman, Flavius, un imperiale nato ad Elsweyr, e Ultor, un nord proveniente da Bruma che bevevano vino e sgranocchiavano semi vari.
“Ah eccoti, finalmente” lo accolse Ondoliman “le guardie sono venute stanotte ma erano talmente stanche che non hanno voluto assicurarsi che tu non fossi qui”
Gli altri seduti al tavolo sghignazzarono.
“Allora?” gli chiese Flavius “hai abbastanza per il bastardo?”
“No, poco più che metà” rispose Loreius “ma con questo lavoro dovrei essere in pari”
“Sempre che lo finiamo questo lavoro” precisò Flavius “o pensi che noi saremo quelli che raggiugeranno la Città Imperiale dall’inizio degli incidenti?”
“Oh, piantala” lo rassicurò Ondoliman “Ce la faremo”
“Già, Flavius rilassati” si aggiunse Ultor “Con questa formidabile nave cosa potrebbe andare storto?”
“La nave stessa, tanto per cominciare” rispose Loreius
Il gruppo ricominciò a ridere mentre Ondoliman si alzava, seccato “Piantatela di fare gli sbruffoni e quando avete finito mettete via i tavoli” ordinò.
“Se proprio dobbiamo” risposero in coro gli altri tre
“No, no!” sbraitò l’elfo “sì, signore!”
“Oh, puoi chiamarmi Loreius come hai sempre fatto” lo canzonò l’Imperiale
L’altmer digrignò i denti, per poi andarsene senza proferire parola.
I tre uomini fecero quanto ordinato per poi sedersi su alcune botti.
“Seriamente, ragazzi. Secondo voi ce la faremo?” chiese Flavius serio in volto mentre scrutava l’orizzonte verso nord.
Loreius lo guardò. Era ancora un ragazzo, nato dopo la Crisi dell’Oblivion, un ragazzo imperiale nato in una ricca villa dei suoi ricchi genitori ad Elsweyr.
A quindici anni però era scappato di casa per esplorare per un po’ di tempo il deserto e, quando era tornato, suo padre lo aveva disconosciuto come figlio e cacciato di casa; dopo un anno e mezzo di peregrinazioni aveva conosciuto il capitano della Dreug morente, Roger Dwelles, un mercante bretone caduto in disgrazia con la Crisi dell’Oblivion che si improvvisò corriere marittimo ottenendo un discreto successo. Purtroppo tre mesi prima era stato colto dalla gotta e in quel momento era costretto a letto tutto il tempo.
Dwelles fu come un secondo padre fin da subito per Flavius, che rischiava di perdere anche quello da un momento all’altro.
Loreius non riusciva a capire se un naufragio era quello che il ragazzo temeva o bramava.
“Non lo so” rispose “stanotte dovremmo avere delle risposte”
E lui? Loreius?
Lo temeva o ci sperava?
Non sapeva neanche questo.
 
 
La sagoma della Dreugh morente avanzava silenziosamente nella notte, intorno ad essa si stagliava la Baia del Niben e, sul lato occidentale di questa  vi era la città di Bravil.
Loreius stava seduto su una botte sul ponte ed osservava avanti, in mano stringeva una boccetta.
“Sei ancora convinto di quello?” domandò Ultor, indicandola.
“Sì, qualsiasi cosa accada non la voglio affrontare sobrio” rispose sicuro l’altro.
“Beh magari potrebbe essere più facile evitarla, o scappare, da sobrio piuttosto che imbottito di skooma” ironizzò l’altro.
“Se ne sei convinto…” ribatté l’Imperiale prima che un rombo lo  interrompesse.
“Per i nove dei…” sussurrò Ultor.
L’intero fianco sinistro era in fiamme.
“Forza! Muovetevi, c’è un incendio da spegnere!” urlò Ondoliman mentre tutti accorrevano.
“Oh te l’avevo detto!” esclamò Loreius ingurgitando il contenuto.
Una lieve nebbia scese sui suoi occhi, le gambe non lo reggevano più, ma allo stesso tempo aveva un fuoco in sé, doveva fare qualcosa.
“Muovetevi!” sbraitava l’Altmer.
Un lampo si riversò sull’albero, che crollò rovinosamente sulla cabina del capitano.
Per un attimo, tutti i marinai stettero zitti a fissare la scena.
Loreius si immaginò il capitano, immobile per la gotta che si era visto piombare addosso un tronco di una decina di metri.
Un’altra esplosione, la carena era a pezzi.
Mentre correva l’Imperiale notò degli schizzi sull’acqua, questi potevano essere circolari o un scia.
Qualcosa si muoveva là sotto.
“Forza!” un ultimo urlo di Ondoliman, prima che la nave si spaccasse a metà.
Loreius si aggrappò ad uno sperone e riuscì a rimanere saldo.
Si guardò in torno e vide Flavius che, con la pelle ustionata rantolava, a terra poco prima di essere inghiottito dall’acqua.
Loreius bestemmiò e cercò di aggrapparsi alla polena, ma mancò la presa.
Cadde.
Il suo corpo fece un tonfo  in acqua e lui cadde su un barile. Una fitta dolorosa gli percosse tutto il corpo mentre cercava di muoversi.
Era finito. Era tutto finito.
Loreius, imprecando per il dolore, cominciò a nuotare verso la riva, l’unica speranza di salvezza mentre l’urlo straziato di Ondoliman gli trapanava la testa.
Gli doleva tutto il corpo e aveva la vista offuscata ma continuò, forse grazie alla carica della skooma, finché, arrivato ad un certo punto, si voltò.
Qualcuno era intorno alla barca.
Qualcuno era sull’acqua. Alcuni stavano salendo a bordo.
Si voltò di nuovo per andare verso riva, ma si bloccò.
Davanti aveva una sagoma oscura. Questa gli diede un pugno e, una volta stordito, prese la testa di Loreius e la trattenne sott’acqua mentre il resto del corpo era colto da spasmi.
In quel momento Loreius lo seppe.
Desiderava quel naufragio.
Desiderava la morte.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


“Come si chiamava?” 
Dreugh morente” ripeté Lewie.
“Che strano nome per una barca… specialmente ora, dopo quello che è successo” osservò Servatus.
“Già…” concordò l’elfo per poi bere dal suo calice di Brandy Cyrodillico.
“Ma la cosa peggiore” aggiunse poi “è che hanno sospeso il traffico marittimo per il Niben”
Servatus tamburellò con le dita per un po’.
Era l’ultima cosa che doveva accadere. Fino a quel momento, il suo incarico non aveva portato molti frutti.
E ora li dava, negativi.
“Ad ogni modo, questa è l’ennesima conferma della stupidità della vostra specie” continuò il Thalmor “Sette navi. Sette navi una dopo l’altra sono  tante. Non mi stupisce che il vostro impero stia andando a rotoli”
“Fino a sedici anni fa” gli ricordò l’Imperiale “Vi eravate anche voi”
“E per fortuna non ci siamo più” ribatté il mer “non potete mettere una sorveglianza militare nella zona per monitorarla? Devo venirvelo a dire io?”
Servatus guardò l’ambasciatore negli occhi chiedendosi se per caso lui sapesse cos’avrebbero trovato dei legionari ispezionando la zona.
“Un tentativo abbastanza fiacco per cominciare una guerra” pensò.
Dai Thalmor si aspettava qualcosa di più appariscente.
“Una presenza armata nella Cyrodiil meridionale metterebbe in agitazione la gente del posto, e il suo Dominio, ritengo, ambasciatore” disse l’Imperiale.
Il Thalmor si limitò a fare spallucce e a finire il Brandy.
“Discreto, questo liquore” decise infine “Ora è meglio che io vada. A domani, signor Bantos”
“A domani, ambasciatore” lo ricambiò l’Imperiale con voce rassegnata.
“Potrebbe non essere una brutta idea” rifletté Servatus “come potrebbe essere un disastro”
Sfortunatamente, però, lui non aveva altre scelte.
“Un reparto di legionari darebbe troppo nell’occhio” cominciò a parlare a voce alta “e quei briganti smetterebbero di attaccare le navi, per il momento.
“Ciò sarebbe anche un bene, ma non possiamo permetterci di tenere impegnato un intero reparto a tempo indeterminato, specialmente in questo periodo; serve qualcosa di furtivo o non inerente all’esercito, magari”
“La Gilda dei Guerrieri potrebbe fare al caso nostro” stava cominciando a girare per la stanza in cerchio “ma costa troppo. Se solo la Compagnia di Blackwood esistesse ancora…”
“Signore…” bisbigliò Rodrick sbucando da dietro la porta, tentennante “il signor Sintas chiede di parlare con lei…”
Che cosa voleva ora Sintas?
“Fallo accomodare” ordinò “E portaci dell’altro brandy”
“E’ saggio, signore?” chiese l’altro.
“Non preoccuparti” lo zittì Bantos “reggo bene l’alcool”
“Bene, signore” si congedò Sayne, e sparì dietro la porta.
Poco dopo apparve Cornelius Sintas, un uomo sulla sessantina, coi capelli completamente bianchi e gli occhi dalle iridi di un marrone talmente scuro da confondersi con la pupilla.
L’uomo guardò prima Bantos in modo strano, quasi indagatore per poi guardarsi intorno, come se cercasse qualcosa, qualcuno.
Servatus imprecò a denti stretti: “Sentivano che parlavo da solo” capì.
“Si sieda, Cornelius. Posso chiamarla Cornelius?” lo accolse il padrone di casa con un sorriso affabile.
“Ma certo, Servatus. Grazie” ricambiò quello con un sorriso a umido, senza denti.
“Ho fatto portare del Brandy Cyrodillico, le va?” chiese Bantos.
“Oh, grazie, non doveva” rispose l’altro.
Sembravano vecchi conoscenti che si rincontravano dopo tanto tempo.
Era una situazione strana. Imbarazzante con quei due uomini che si sorridevano guardandosi senza dire niente, mentre ognuno pensava a come rispondere alle frecciate che sarebbero volate.
“Ho visto Lewie mentre arrivavo qui” cominciò Sintas.
Servatus imprecò di nuovo mentalmente.
“Un personaggio che francamente non capisco appieno” continuò Corelius “sempre taciturno, sempre ad osservare. E non dev’essere un tipo particolarmente interessante. Per me sta tramando qualcosa.
“Del resto, di cosa mai si potrebbe parlare con un Thalmor?”
Servtus imprecò un’altra volta, e maledisse Sintas, Lewie e se stesso, il tutto mantenendo la sua maschera sorridente.
“So dei tuoi incontri ‘segreti’ con un Thalmor” voleva dirgli “posso incastrarti per tradimento quando voglio”
“Beh, infatti: non è molto interessante” rispose Servatus “non ha detto una parola. Solo chiedendomi cosa ne penso del recente naufragio. Ormai non so più cosa pensare. Chi lavora per chi, chi fa questo per cosa, cosa vuole da qualcuno…”
Mi capisci, Cornelius?
“Quanto vero c’è nelle tue parole…” concordò Sintas con voce rassegnata “ormai le persone che fanno il proprio dovere sono sempre di meno, sempre di meno…”
“E’ una minaccia?” pensò Servatus.
“E’ questo il problema dell’Impero. Queste persone dovrebbero occuparsi del proprio dovere, smettere di pensare in piccolo e lavorare per il bene di tutti, tutti gli abitanti dell’Impero… ” suggerì Sintas.
In quel momento arrivò Rodrick con i due calici di Brandy.
“Grazie” disse Cornelius prendendone uno e cominciando a bere.
“Grazie Rodrick, puoi andare ora” lo congedò Servatus.
“Tornando al nostro discorso…” continuò Servatus “Se solo fosse così semplice…”
“Concordo appieno” rispose Sintas finendo il suo Brandy “nello stato attuale delle cose ci vorrebbe un po’di magia”
Detto questo se ne andò, ringraziando Servatus.
“Un po’ di magia…” rifletté.
Sapeva cosa fare per le navi.
Bevve tutto di un sorso il suo Brandy e, un po’ caracollante, uscì dirigendosi verso l’Università Arcana.
 
 
Sede un tempo della prestigiosa Gilda dei Maghi, l’Università Arcana era una sorta di imitazione in piccolo della Città Imperiale, alla quale era collegata tramite un ponte che si congiungeva con la parte verde della capitale: l’Arboretoreum.
L’Università era costituita dalla Torre dell’Arcimago al centro, una semplice torre sormontata un ripido tetto, collegata al Planetario.
Intorno alla torre vi era una cinta di mura circolare scanalata, e all’interno un muro che passava per la residenza dell’Arcimago divideva in due la struttura.
A collegare la prima parte, visitabile liberamente, con la seconda vi erano due cancelli incantati in modo che i non appartenenti all’Università non potessero attraversarli.
La parte chiusa al pubblico comprendeva uno spazio verde che seguiva la forma delle mura e degli edifici addossati ad esse, nelle quali vi erano gli alloggi, le aule, l’archivio e i laboratori di alchimia e incantamento.
Dalla fine della Crisi dell’Oblivion, e lo scioglimento della Gilda dei Maghi, l’Università ospitava due gilde ottenute dallo scioglimento della precedente: il Sinodo, apparato magico completamente nelle mani del Consiglio degli Anziani e la più libera Accademia dei Sussurri, i cui adepti si specializzavano nell’evocazione dei Daedra.
In più, da sempre, l’Università aveva ospitato il quartier generale dei Maghi Guerrieri, il reparto specializzato nelle arti magiche belliche dell’Esercito.
Esso comprendeva  le stanze d’allenamento, le residenze dei soldati e gli uffici burocratici e aveva sede nella torre in mezzo agli edifici delle Gilde addossati alle mura.
Servatus avvicinò una guardia: “Mi scusi, sono un membro della Commissione straordinaria quattordici. Posso parlare col vostro Comandante in capo?”
La guardia lo squadrò un attimo, poi soffocò un risolino e infine rispose: “Certo, vado subito a chiamarlo, lei attenda nell’atrio della torre”
“Grazie” concluse Servatus ed entrò nell’atrio, una piccola stanza circolare con un tappeto al centro e delle panche.
Verso le pareti vi erano delle vetrinette da esposizione contenenti gemme dell’anima e dei banconi alchemici.
Dopo qualche minuto arrivò il comandante, un biondo bretone alto e robusto, con delle mani grandi quanto un melone.
“Salve, sono Servatus Bantos, membro della Commissione straordinaria quattordici” si presentò l’Imperiale.
“Sì, ho sentito parlare di quella commissione. Bel lavoro state facendo” ironizzò l’altro concludendo con una grassa risata “Generale Maudelaire, comandante in capo del Reparto di Maghi Guerrieri Imperiali, al vostro servizio”
Detto questo ostentò un inchino canzonatorio.
“Come posso aiutarvi?” aggiunse poi.
“Necessitiamo di un gruppo di Maghi Guerrieri” andò subito al sodo  Servatus.
L’uomo si scosse un attimo, poi chiese: “E per cosa, se posso permettermi?”
“Preferirei non dirlo” tagliò corto Bantos.
“Ed io preferirei non dovere insistere” ribatté l’altro. Il suo tono di voce era deciso e burbero.
“Per risolvere definitivamente la questione delle navi nella Baia di Niben” anche la voce di Servatus si era adattata: adesso era fredda e tagliente, in contrasto con il suo viso sorridente.
“Dovrà essere più preciso, temo, non vorrei sprecare uomini per qualcosa di stupido” la tensione stava diventando tangibile.
“Un reparto di maghi guerrieri resi invisibili, una nave che viene attaccata, i nostri eroi scoprono cosa succede, uccidono qualsiasi cosa sia e al ritorno potrebbero avere una medaglia. Forse anche lei” spiegò Servatus “Molto semplice e vantaggioso. Per tutti.”
“Mi sta prendendo in giro?!” tuonò lui con voce irata. C’era qualcosa che non andava…
Il bretone scoppiò in una fragorosa risata che dovevano aver sentito persino nell’Oblivion.
“Stia… si rilassi, signor Bantos, la stavo solo prendendo in giro” disse il generale tra una risata e l’altra.
Servatus si chiese come una persona del genere avesse fatto tanta strada.
Parente di un membro del Consiglio degli Anziani?
Probabile.
“Ad ogni modo non ho nessun uomo da darle” disse Maudelaire una volta calmatosi “Tutti i reparti sono via e le reclute prima di essere pronte avranno bisogno di mesi”
“Ne è sicuro?” chiese Servatus “proprio nessuno?”
“Nessuno” ripeté il bretone “ora, se volete scusarmi, le auguro buona giornata. Ho molti compiti pressanti a cui riservare la mia attenzione”
“Ne sono sicuro” disse l’Imperiale, e si congedò.
Quella visita non l’aveva convinto molto.
C’era qualcosa che non andava in quell’uomo.
C’era qualcosa che non andava in quell’Impero.
 
 
“Sì, salve sono Servatus Bantos, membro della Commissione straordinaria quattordici” si presentò il rappresentante di Bravil.
“Salve, signor Bantos. Come posso aiutarla?” chiese l’addetta all’Archivio Bellico Imperiale.
“Vorrei dare un’occhiata ai registri inerenti ai reparti di Maghi Guerrieri Imperiali” disse Servatus.
“C’entrano qualcosa con la faccenda delle navi?” chiese la donna confusa “Oh, mi scusi. Non sono affari miei”
“Non si preoccupi, signorina” la rassicurò Servatus.
“Perfetto, mi segua, signore” disse la dunmer e cominciò a camminare tra le varie librerie che contenevano i libri su cui era scritta la Storia bellica dell’Impero e dell’intera Tamriel. Forse qualcosa anche di Akavir.
Tutti i risultati delle battaglie, i numeri, i generali, le analisi degli esperti e, nella sezione confidenziale, anche i rapporti, le liste delle spie…
“Ecco qua” disse l’addetta porgendo a Servatus un tomo e indicando un tavolo “Può leggerlo qui se vuole. Mi chiami se ha bisogno”
“Grazie, lo farò” rispose sorridendo Bantos per poi sedersi al tavolo.
Cominciò  sfogliando le pagine inerenti i vari reparti di maghi, ognuna aggiornata regolarmente sulle posizioni attuali.
“Reparto 08211. Attualmente di stanza a Solitude. Reparto 96882. Sciolto. Reparto 12322. Attualmente di stanza a Riverhold”
“Potrebbe essere quello giusto” pensò Servatus appuntandosi mentalmente il numero.
“Reparto 55540. Attualmente di stanza a Rimmen. Causa  rivolte nella zona.”
“Oh, questo è perfetto” esultò sorridendo Servatus per poi osservare meglio la pagina.
“Ma che diavolo?”
Non vi erano rapporti da tre mesi.
“Una svista dell’addetta, un funzionario negligente, un comandante che non è in condizione di scrivere niente, o semplicemente quell’idiota di un bretone ha cucito i rapporti insieme per farne lo zerbino del suo ufficio”
Era perfetto, era a pochi chilometri dal confine con Cyrodiil e, da quel che vedeva, era composto completamente da soldati veterani. Ne avevano viste di guerre…
Si segnò il numero del reparto su un foglio. 55540.
Soddisfatto del lavoro, Servatus chiuse il libro, lo rimise a posto e uscì salutando l’addetta.
Aveva un piano. Un piano un po’ avventato ma comunque fattibile.
Giunto a casa si mise a scrivere una lettera a nome suo e di tutta la Commissione indirizzata ad Albert Nelles, bretone a capo del reparto.
Doveva essere una vera leggenda, quel Nelles, trent'anni di servizio con lodi in ogni missione nella quale era stato inviato. A suo tempo era l’uomo più giovane a comandare un reparto di maghi da battaglia. E in quel momento era il più vecchio.
Voleva pur dir qualcosa, no?
Una volta finito, Servatus chiamò il suo attendente.
“Rodrick, mi hai detto di essere stato un messaggero di un mercante dunmer” cominciò il rappresentante.
“E’ esatto…” rispose l’altro titubante.
“Sei mai stato ad Elsweyr?” chiese l’Imperiale.
“Svariate volte, mio signore. In tutta Elsweyr”  disse il bretone.
“Anche a Rimmen?” domandò  Servatus.
“Anche a Rimmenl, mio signore” precisò Rodrick “un mio caro amico vive lì. Posso chiedere perché?”
“Ho bisogno che tu consegni personalmente questa lettera ad un comandante di reparto di Maghi Guerrieri Imperiali che stanzia lì da un po’. Il nome suo e del reparto sono sulla busta. Questa missione richiede molta inventiva, discrezione e persuasione, Rodrick. Posso contare su di te?” chiese l’Imperiale.
Il bretone fissò con uno sguardo rassegnato la busta.
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Lo stivale sprofondò nella sabbia, poi si risollevò, si mosse in avanti e si immerse di nuovo nel terreno.
E ricominciò di nuovo.
Migliaia di volte al giorno.
Per decine di giorni.
Da quanto stava camminando?
Settimane ormai.
Ma ora era arrivato, aveva raggiunto Rimmen.
Rodrick sforzò gli occhi; poteva vedere le mura della città, ancora un paio di ore e sarebbe arrivato.
Era già stato a Rimmen varie volte, e non aveva mai brillato per bellezza, neppure tra le città desertiche della parte nord di Elsweyr: una sottile cinta muraria racchiudeva uno sparuto gruppo di piccole case addossate.
Gli unici luoghi che si distinguevano era la piazza del mercato, uno spazio circolare all’interno del quale vi erano centinaia di banchi e botteghe, e il “palazzo”.
Forse un tempo era stato davvero un bel palazzo con giardini e cortili, ma quei tempi erano passati.
L’arrivo dei Daedra durante la Crisi dell’Oblivion aveva distrutto tutto ciò che era stato costruito nei secoli dai Khajiit del luogo, come nel resto di Tamriel.
Rodrick aveva sentito dire che persino la Torre di Cristallo nelle Isole Summerset era crollata.
Doveva essere stato orribile per gli altmer, Rodrick non si stupiva del fatto che in seguito si erano affidati ai Thalmor.
Raggiunta la porta principale, la attraversò immischiandosi nel flusso di gente, soprattutto Khajiit,  che riempiva le strade.
“L’artiglio di J’Sasto”, la locanda nella quale si doveva incontrare con K’Rahttad, era all’angolo con la Piazza del Mercato.
Il Bretone entrò nel locale anonimo, con le pareti sbiancate e le porte aperte, che doveva ospitare l’incontro con l’amico.
L’interno si accomunava perfettamente con ciò che si poteva vedere dall’esterno: squallidi tavoli in legno scuro erano circondati da varie sedie anch’esse di legno.
Una cosa, o meglio una persona, risaltava nella stanza; K’Rahttad, un Khajiit dalla pelle bronzea era adornato con vesti multicolori decorate con motivi appariscenti e vistosi, dalle linee delle cuciture spuntavano piccole piume rosee che rimanevano comunque offuscate dallo splendore delle vesti.
“K’R… K’Rattad?” esordì Rodrick titubante.
Il Khajiit squadrò per alcuni momenti il Bretone, per poi esclamare allargando le braccia: “Rodrick? Rodrick!”
“Ma quanto sei cambiato… e non in meglio te lo garantisco!” asserì K’Rahttad scoppiando in una fragorosa risata “non ti fa per niente bene star troppo lontano da Elsweyr, amico mio. Per niente.
“Ti vedo un po’ pallido. Ah! Qui ci vuole una vacanza. Una lunga vacanza ad Elsweyr!”
“Sì, forse…” cedette Rodrick sotto l’incalzare dell’amico “anche tu sei cambiato… non so dirti se in meglio o in peggio” si azzardò.
K’Rahttad lo fissò con finto sguardo truce: “Oh, Rodrick! E’ così che saluti un amico? Io, a differenza tua, mi sono messo in proprio! Ah, questi tempi sono essi stessi una miniera d’oro. Entri in possesso di un po’ di armi di squisita fattura elfica… fai un viaggio a Black Marsh, o come la chiamano ora ‘Argonia’ e vendi le armi alle lucertole. Oh, loro ne vogliono di armi! Armi elfiche per combattere gli elfi, straordinariamente ‘Tiberiano’, solo al contrario: Tiber Septim usò un’arma dei pelle grigia contro i pelle gialla. Ora le lucertole usano armi dei pelle gialla contro i pelle grigia! Non è fantastico?!”
Rodrick fissava confuso l’amico, senza capire cosa stesse blaterando. Non voleva neanche sapere come si era impossessato delle armi elfiche.
“Tiberiano”, poi, K’Rahttad doveva essere fatto. Di nuovo.
“Credevo avessi smesso di assumere zucchero lunare, K’Rahttad.” replicò con voce spenta.
“Zucchero lunare?” ribatté l’altro, stizzato “Oh no, ho smesso, smesso, smesso…
“Stavo dicendo…” si ricompose “che ho smesso. Lo giuro. Uso di meglio” disse gonfiando il petto, come orgoglioso “la compro dalle lucertole… prodotto della loro terra. Linfa di Hist. Molto più potente della banale skooma o zucchero lunare, e meno costoso...” ridacchiò.
“All’inizio ha un effetto allucinogeno, che col tempo si affievolisce fino a creare solo un senso di euforia. E pensa che sulle lucertole non ha nessun effetto! ” esclamò trionfante.
“Va bene, K’Rahttad, ma non mi interessano gli effetti dei tuoi narcotici. Ho… un lavoro da fare.” Tagliò corto Rodrick, sperando che il Khajiit capisse.
“Già. Sempre ligio al dovere, tu” sbottò K’Rahttad “dipendi ancora da quel dunmer di Balmorra?”
“No… lui è…” rispose il Bretone “è morto.”
“Ah. Gli dei abbiano pietà della sua anima. Aveva una buona mercanzia: la sua Sujamma…” disse sorpreso K’Rahttad “a quanto pare non lo hai servito così bene…”
Rodrick sbuffò. In effetti non lo aveva servito molto bene.
Se non fosse stato per quel Sujamma…
No, ora doveva concentrarsi sul presente
Aveva un nuovo capo.
Servatus Bantos.
Alla fine, la differenza che si era aspettato nel cambiare lavoro non si era manifestata.
Le uniche cose che si erano rivelate diverse erano il nome e la razza; anche per ciò che riguardava la legalità, la discrezione… si era aspettato un cambiamento.
Eppure eccolo lì come al solito ad Elsweyr a svolgere una mansione segreta, potenzialmente illegale con un trafficante d’armi e spacciatore di linfa di non sapeva cosa.
“Dunque…” Rodrick si rivolse al Khajiit “mi puoi essere utile?”
“Oh, beh, ragazzo mio!” esclamò K’Rahttad “così mi insulti!
Certo che ti posso essere utile e, per la cronaca, sì, non ho impegni oggi e ti posso aiutare”
“Anzi, in effetti…” aggiunse con quel suo sorriso a metà tra orgoglio e soddisfazione “l’ho già fatto! Non sono un buon amico, Rodrick?”
“Gra… grazie. Te ne sarò sempre riconoscente” disse il bretone.
“Oh, risparmiami la tua falsa gratitudine, Rodrick! Non ne ho bisogno” ribatté l’altro “ho già quella degli elfi e delle lucertole e, gli dei mi scampino, non ne voglio da Bretoni, Imperiali o anche Akaviri!” e irruppe di nuovo nella sua grassa risata.
“Ma ora è meglio muoversi” aggiunse il Khajiit, sfregandosi le mani “vai al banco e chiedi di andare sul retro e indossa questi” disse passandogli degli abiti raffinati anche se, e di questo Rodrick ne fu immensamente grato, molto lontani dalla stravaganza ostentata da K’Rahttad.
“Indossa questi e preparati” sorrise il Khajiit mostrando i denti affilati “Stasera si mangia da re”.
E rise di nuovo.
 
 
Una volta giunto il tramonto, K’Rahttad e Rodrick uscirono dalla locanda completamente vestiti con abiti decorati con filigrane d‘oro mentre intorno a loro una massa di lavoratori Khajiit che indossavano stracci o maglie marroni sporche o strappate si stava dirigendo verso casa.
K’Rahttad indossava ora anche un cappello turchese a turbante sormontato da una piuma nera e un mantello bordò foderato con piume rosse.
“Sei mai stato ad una cena al cospetto di un re?” chiese il Khajiit pompando la voce.
“No” rispose secco Rodrick.
“No, certo come potresti!” esclamò ridendo K’Rahttad “è meglio se lasci parlare me; conosco il re e non rovinerei una buona cena con un pessimo discorso. A proposito, chi servi ora, eh? Un qualche schiavista pelle grigia? Uno strozzino bretone? Un signore della guerra orco? Per gli dei, chi?!”
“Un membro di una commissione del Consiglio degli Anziani” replico offeso Podrick.
“Lo riteneva una persona tanto orribile?” pensò il bretone.
“Uuuh! Il nostro Rodrick lavora in grande oggi. E dimmi, che interessi ha una persona tanto nobile dal re di Rimmen? ” chiese con tono canzonatorio il Khajiit.
“Non sono affari tuoi” chiuse secco Rodrick.
Il “palazzo” si stagliava davanti ai loro occhi; all’interno delle mura la situazione era anche peggiore rispetto all’esterno.
Tra i cortili, i colonnati, le logge di un tempo si ergevano ora accampamenti militari, tende, trincee e piazzaforti circondate da barricate rivolte verso la città.
Dovettero passare tre posti di blocco e due perquisizioni prima di arrivare alla sala grande. Questa aveva più o meno la forma di un cubo spoglio all’interno, se non per una rampa di scale che portava al piano superiore.
Superato il quarto posto di blocco con perquisizione i due si ritrovarono in una loggia con colonnato al cui centro vi era un tavolo da pranzo.
Seduto al tavolo c’era il re, un Khajiit dalla pelliccia scura, vestito con abiti che facevano sembrare ordinari quelli di K’Rahttad. Un trionfo di sete, satin, piume e pellicce con colori sgargianti che risaltavano ancor di più sui peli neri del Khajiit.
Di fianco al re vi era in pedi il suo primo ministro, abbigliato con vesti ordinarie ma eleganti, e una guardia.
Tutt’intorno a loro, il deserto.
“Sedetevi, sedetevi!” li accolse il re “sedetevi e maniate, ristoratevi! Non si dica mai che la casa di J’Rakka re di Rimmen sia inospitale! E’ vero ultimamente vi sono state delle… rivolte, le chiamate voi. Io direi semplici disordini. Ma come potete vedere la situazione è sotto controllo, no?”
“Certamente, oh illustre sovrano” rispose inclinando in avanti il capo enfatizzando l’aggettivo K’Rahttad “Questa città brilla. Brilla come mai aveva fatto. Questa e tutte le città del Nirn. Del Mundus direi!” esclamò scoppiando in un risata.
“Ad ogni modo” riprese sedendosi “I tuoi incarichi sono tanti e gravosi. E io non intendo sprecare il tuo tempo con i vaneggiamenti di un povero mercante”
“Povero” pensò irritato Rodrick “vallo a dire agli abitanti di questa città. Povero.”
Una volta che tutti si furono seduti si misero a mangiare le pietanze sul tavolo, prevalentemente frutta fresca.
“Ho visto le Tue barriere davanti al Tuo glorioso palazzo” aggiunse dopo un po’ K’Rahttad “purtroppo però non servono solo barriere per difendere la Tua persona, o uomini fedeli. Servono anche armi forti.”
“Ed è per questo che siamo qui, no?” rispose dopo aver finito un calice di vino il re “è già passato un po’ tempo, e se vogliamo finire di contrattare prima di mezzanotte sarà meglio che iniziamo, no?”
K’Rahttad sorrise un’altra volta.
“Alle contrattazioni!” esclamò alzando il calice ridendo.
“Alle contrattazioni!” urlò di rimando il re.
Rodrick assisteva incredulo guardando K’Rahttad, furibondo.
Gli aveva promesso un discorso con il re riguardo ai maghi guerrieri.
Ed ora stava vendendo al re le sue armi e, chissà forse anche la sua “linfa di Hist”.
Questa non gliela perdonava.
Parlarono per tutta la cena riguardo ai prezzi, la quantità, la qualità e altri aspetti dell’affare nei quali Rodrick si perse già all’inizio.
“Molto bene” dichiarò soddisfatto lisciandosi i baffi K’Rahttad.
“Vi è, però un altro motivo per la mia visita” aggiunse poi “vi sarete senz’altro chiesti cosa ci fa il mio compagno qui non prendendo parte agli accordi. Ebbene egli voleva parlarvi per conto di un membro di una commissione del Consiglio degli anziani”
Il re tacque.
Guardò il suo consigliere, poi squadrò prima K’Rahttad, poi Rodrick, e di nuovo K’Rahttad.
“Che commissione?” si limitò a chiedere con freddezza.
“Commissione straordinaria numero quattordici, è…” la frase di Rodrick fu interrotta dal sovrintendente che si chinò a bisbigliare qualcosa all’orecchio del re.
“Ah, sì, ho sentito parlare della faccenda delle navi” disse il sovrano alla fine.
“Per cosa posso esservi utile?” domandò poi.
“Volevo parlare con un certo… un certo” Rodrick si sforzò per ricordare il nome “Albert Nelles, il capo del reparto di mag…maghi guerrieri qui”
Gli occhi del re si spalancarono un attimo, poi tornarono alla normalità, quello si umettò le labbra un attimo.
“Sono spiacente, ma i maghi guerrieri non sono… non sono qui” si affrettò a rispondere “Loro sono una parte importante nell’esercito che schiero per sconfiggere i ribelli. Sono partiti giusto qualche giorno fa per distruggere un avamposto di ribelli nella caverna di… di.. come si chiamava?”
“Southlow, mio signore” rispose il sovrintendente.
“Southlow, sì! Proprio quella” esclamò il re.
“Come non detto, allora” disse Rodrick “vuol dire che aspetterò”
Il re annuì piano mentre i due ospiti si alzarono e si congedarono, ringraziando.
Una volta raggiunta la porta, Rodrick si voltò indietro.
Il re ed il sovrintendente si stavano fissando.
 
 
“Dev’essere una cosa importante” osservò scuro i volto K’Rahttad.
“Perché?” chiese Rodrick.
“Perché dev’essere una faccenda molto importante e pericolosa se il re ti ha mentito così” rispose quello.
“Cosa? Perché mai?”
“Svegliati!” esclamò il Khajiit “Non so se te ne sei accorto, ma qui ad Elsweyr gli imperiali e in generale gli umani non sono ben visti, specialmente se nibenesi.
“Lo sai tu che a Bravil il conte ha da sempre un inquisitore per i Khajiit della sua città? Lo sai che i Khajiit insieme alle lucertole a Leyawiin scompaiono e vengono ritrovati morti o feriti gravi? E, non dico i morti, ma nemmeno i vivi vogliono dire cosa è successo loro!”
“Ma quindi…”
“Il reparto di maghi guerrieri, quello del quale stai cercando il comandante non è mai stato qui. Mai.
“E a quanto pare sia il re con il sovrintendente sia quel Nelles ne sanno molto di più di quella faccenda delle navi affondate nel Niben di quanto ne sa il tuo capo”
“Cosa posso fare?” chiese Rodrick ancora sconvolto.
“Scappa” rispose il Khajiit “è stato bello vederti, Rodrick, ma ora devi fuggire e andare a riferire tutto al tuo capo, sperando che sia un po’ più furbo di quel mercante pelle grigia”.
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


“E quindi?” chiese Valga.
“Beh, signore, sto facendo il mio lavoro, raccogliendo prove ed informazioni… insomma le prometto che tra qualche giorno le fornirò un resoconto sul perché dovrebbe aspettare nel mettere ai voti la proposta di Sintas” rispose Servatus.
“Si rende conto che il Potentato e tutto il Consiglio degli Anziani mi sta col fiato su collo perché vogliono conclusa questa faccenda?” ribatté  l’altro seccato “E che lei è ormai l’unico che ne ritarda l’epilogo?
“Persino i più accaniti sostenitori della sua tesi hanno cominciato a cambiare idea o a dubitare dell’effettivo vantaggio che ricavano da questi ritardi” continuò il Commissario capo.
“Ed è appunto per questo che vi chiedo solo qualche giorno per evitare che venga presa la decisione sbagliata…” ripiegò Servatus.
“Tre. Tre giorni al massimo.” decise freddo Valga guardando Servatus negli occhi.
Servatus ricambiò lo sguardo.
Martin Valga era un uomo canuto, sulla sessantina, coi capelli che gli circondavano il centro della testa, dove ormai erano caduti, e la fronte.
I suoi occhi erano un pozzo senza fondo racchiuso da pesanti palpebre e da vistose occhiaie.
Nessuno sapeva molto di quell’uomo, non aveva doti particolari, non aveva compiuto atti celebri o rimarchevoli azioni, e doveva la sua carriera al suo cugino, il conte di Chorrol.
Per tutta la vita, Martin era stato all’ombra del parente a cui doveva tutto e anche quando quello era morto, era continuato ad essere “il cugino del conte Valga”.
Per la prima volta aveva avuto un incarico importante, dopo trent’anni che era nel Consiglio degli Anziani, ma la speranza di fama dopo una veloce risoluzione degli eventi nella Baia di Niben era scomparsa dopo che quelli eventi si erano prolungati, anche per colpa dell’insistenza di Servatus.
L’Imperiale non sapeva neanche perché gli concedesse così tanto.
Che sperasse in una soluzione in grande stile che l’avrebbe consacrato per sempre invece di un banale scambio di rotte commerciali?
“La ringrazio infinitamente” si congedò Servatus.
Il tempo stringeva, aveva bisogno dei maghi guerrieri di Nelles.
Dov’erano?
Dov’era Rodrick?
“Servatus!” la voce gioiosa dell’elfo lo chiamò da lontano.
“Ancora lui” sussurrò seccato l’imperiale.
“Ambasciatore” lo accolse sorridendo “Cosa ci fa da queste parti?”
“Ci lavoro, presumo” rispose ironico Lewie “E mi godo una bellissima giornata, non trovi?”
Era strano quel giorno, sembrava come soddisfatto.
Di cosa, solo gli dei lo sapevano.
“Temo di non condividere la tua visione ottimistica di questo giorno” disse Servatus “e, francamente non capisco cosa ci trovi di così bello”
“Perché  non dovrei trovare magnifica questa giornata?” continuò l’elfo.
“Valga mi ha dato tre giorni” rivelò l’Imperiale “Il quarto la proposta sarà passata ai voti.
“Credevo ti interessasse la faccenda delle rotte commerciali”
“Ah, mio caro ottuso Imperiale” disse il mer “quella faccenda non sta andando affatto male come tu pensi”
“E questo come fai a dirlo?” domandò dubbioso Servatus.
Cosa stava cercando di dirgli?
“Qualcuno è appena tornato da una vacanza esotica” rispose mellifluo Lewie con un sorriso “ci sono importanti novità, a quanto pare”
“Figlio di un...” pensò l’Imperiale.
Sapeva tutto, ma non aveva fatto nessun accenno ai maghi imperiali di Nelles.
Che Rodrick fosse stato così lungimirante da tenerli a debita distanza dalla capitale per informarlo prima?
“Ti ringrazio, Lewie” disse sorridendo Servatus per poi congedarsi e tornare all’Hotel di Tiber Septim.
 
 
 
Rodrick sedeva nel suo studio, con un’espressione preoccupata.
“Mio signore…” cominciò lui.
“Allora, Rodrick?” lo interruppe subito Servatus “Dove sono Nelles e i suoi uomini? Li hai trovati?”
“Ho…” cominciò il Bretone “ho incontrato il… il re di Rimmen, J’Rakka che mi ha risposto che i maghi guerrieri erano in viaggio per ripulire un avamposto ribelle…”
“E quindi?” lo incalzò l’Imperiale.
Dove voleva andare a parare?
“Ma dopo… dopo il colloquio il mio amico, K’Rahttad, mi ha riferito che quel gru gruppo di maghi guerrieri non era mai arrivato a Rimmen” concluse lui.
“Non vi erano mai stati?” chiese alzando la voce Servatus, pentendosene subito dopo.
“Mai, mi mio signore” confermò Rodrick.
Che cosa voleva dire?
Servatus si ricordò la faccia di Lewie.
Lo sapeva? Era coinvolto anche lui?
Di quello non poteva esserne sicuro come del resto non poteva essere del tutto sicuro sull’attendibilità dell’amico di Rodrick, ma se quello diceva il vero…
Il dossier sul corpo di maghi guerrieri era firmato da Anton Maudelaire, il bretone a capo del Corpo di Maghi Guerrieri Imperiali.
Voleva dire che non solo che quell’uomo era  un idiota, ma aveva anche mentito.
Aveva mentito a Servatus
Ma… perché?
“Rodrick” disse infine.
“Sì, mio signore?” rispose titubante il bretone.
“Voglio che tu tenga d’occhio il comandante dei Maghi Guerrieri Imperiali” gli ordinò “voglio che tu lo segua, che tu sappia dove va, con chi parla, con chi beve, persino con chi dorme, sono stato chiaro?”
“Sì, mio signore, comincerò subito” disse quasi sussurrando Rodrick, prima di andarsene dallo studio.
Servatus rimase immobile.
Doveva stare chiuso nel suo appartamento, parlare solo con Rodrick. Ormai era chiaro che erano tutti involti: Maudlaire, il re di Rimmen, Nelles, Sintas…
Persino Lewie sapeva qualcosa, ne era sicuro; eppure lo aveva aiutato per tutto quel tempo.
Perché?
Ormai stava dubitando di Valga stesso.
Quanti erano involti in questo complotto? E che scopo aveva?
Servatus sbarrò la porta dei suoi appartamenti. Aveva bisogno di dormire.
E chissà se qualcuno avesse voluto fargli una visita durante la notte.
Aveva troppi nemici, era circondato.
Maledisse Lewie, maledisse Maudlaire, maledisse il conte Terentius e maledisse se stesso
Poi sprofondò nel sonno.
 
 
Qualcuno bussò.
Servatus si alzò dal letto sfatto, si mise una leggera veste porpora e si avvicinò alla porta.
“Chi sta bussando?” chiese in  tono burbero, mentre raccoglieva un pugnale.
“Sono Rodrick” rispose l’uomo “il vostro attendente”
Servatus aprì di scatto la porta puntando l’arma contro chi era fuori.
Rimase sollevato dal fatto che era veramente Rodrick, che lo guardava con gli occhi sbarrati, pallido in volto.
“Entra Rodrick, entra” lo invitò l’Imperiale abbassando l’arma “hai notizie?” chiese poi chiudendosi la porta dietro.
“Ho seguito Anton Maudelaire tutta la notte” dichiarò deciso l’attendente.
“E dov’è andato?” chiese Servatus, impaziente.
“Ha passato tutta la sera nella Locanda Onnissanti, ha be bevuto tanto, probabilmente, perché quando è uscito, a mezzanotte a stento si reggeva in piedi” rispose Rodrick.
“Sì, sì, ma poi?” incalzò Servatus in tono sempre più agitato “Dov’è andato?”
“In un bo bo bordello, mio signore” continuò il Bretone “E’ rimasto lì fino all’alba”
“E basta?” l’Imperiale ormai stava tremando.
“No” rispose l’attendente “in un giardino sul retro ha incontrato una persona.
“Cornelius Sintas”
“Vai avanti. Li hai sentiti?” proseguì Servatus.
“Sì” annuì Rodrick “Maudelaire era preoccupato. Aveva… aveva ricevuto una lettera dal re di Rimmen. Diceva che lei sapeva, che aveva capito. Sintas, invece cercava di ca calmarlo dicendo che ormai era finito tutto.
“Ma Maudelair non si calmava e così Sintas gli ha detto che stanotte a mezzanotte avrebbero incontrato Lui”
“Lui chi?” chiese Servatus, la sua espressione era trionfante, e allo stesso tempo terrificata.
“Non… non lo so” rispose il Bretone chinando il capo, come vergognatosi.
“Non… non è niente, Rodrick” lo rassicurò l’’Imperiale “oggi scopriremo chi c’è dietro tutto questo”
L’attendente annuì, per poi andarsene.
Ce l’aveva fatta.
Ormai aveva capito tutto tranne chi.
Chi c’era dietro tutto quello?
Lo avrebbe scoperto quella sera, a mezzanotte.
Stappò il Tamika 399, il miglior vino di tutta Tamriel nella migliore annata che si ricordi.
Lo versò nel suo calice e lo bevve.
Non era la prima volta che assaggiava quella prelibatezza, ma il gusto del vino quella volta era diverso, era qualcosa di particolare.
Poi Servatus sorrise, capendo il perché.
Sapeva di vittoria.
 
 
Quel giorno passò lentamente stando chiuso nei suoi appartamenti per tutto il tempo.
Quando finalmente uscì, provò un incommensurabile piacere nel sentire sulla sua pelle la delicata brezza serale tipica della capitale.
Rodrick lo atteneva, avvolto in un mantello con cappuccio verde scuro che si confondeva perfettamente tra la vegetazione ai margini della città.
Servatus aveva scelto un approccio più originale.
Con sé portava vari boccette contenenti pozioni dell’invisibilità, ma siccome Maudlaire avrebbe potuto usare un incantesimo Individua vita, decise di portarsi due pergamene di rifletti incantesimo, una per lui e una per Rodrick.
Il suo attendente lo guidò con cautela attraverso gli svariati cunicoli che riempivano lo spazio tra le mura della  Città Imperiale.
Giunsero infine ad un piccolo ma alto edificio bianco con, accanto alla porta, un lanterna rossa.
Quello doveva essere il bordello.
I due passarono intorno all’edificio e si nascosero tra le piccole aiuole piene di arbusti e piante che si affacciavano sul giardino posto sul retro della casa del piacere per poi usare le pergamene e Servatus bevve la pozione.
Attesero lì accovacciati per venti minuti, poi videro arrivare Maudelair.
Il bretone non si era preso neanche la briga di togliersi la scintillante armatura da ufficiale del Corpo di Maghi Guerrieri e, come previsto da Servatus, usò un incantesimo di Individua vita.
Una volta soddisfatto, fece segno di venire avanti a qualcuno che non vedevano.
La figura emerse dalle ombre, indossava una cappa di cuoio, degli stivali da pescatore e un mantello marrone sporco con il cappuccio alzato.
Servatus impiegò un po’ di tempo per capire che quella figura non era altro che Sintas.
Dopo un paio di minuti, arrivò un’altra persona, completamente bardata di viola scuro, con il consueto mantello e il cappuccio alzato.
Alla mano destra portava un anello nero di squisita fattura: aveva la forma di una testa di un lupo con gli incavi degli occhi riempiti da due ametiste.
“Non dovrei certo ricordarvi, specialmente a te Sintas, che i nostri contatti dovrebbero essere minimali, specialmente ora, a due giorni dalla votazione” l’ultimo arrivato riprese gli altri due con tono autoritario.
“E’ sorto un problema” sembrò scusarsi Sintas “qualcosa di non previsto”.
“Il rappresentante di Bravil, Servatus Bantos.” sbottò irritato Maudelair “Sa tutto. Sa dei maghi guerrieri, della collaborazione  del re di Rimmen e, soprattutto, della mia. Quell’uomo può rovinarmi la carriera!”
“Come ha fatto a sapere del re di Rimmen?” chiese l’uomo vestito di viola ignorando le lamentele del mago guerriero.
“Pare glielo abbia riferito un suo amico, un mercante Khajiit di nome K’Rahttad, subito dopo il suo attendente è fuggito” rispose pacato Sintas.
“Di quello non c’è da preoccuparsi” assicurò Maudelair “J’Rakka mi ha assicurato di essersi occupato del mercante dalla lingua troppo lunga” e rise di gusto.
Servatus guardò Rodrick; aveva gli occhi sbarrati e aveva delle piccole convulsioni.
“Calmati” disse l’Imperiale prendendolo per il polso “non è colpa tua”
“E come ha fatto a sapere delle truppe fantasma inviate a Rimmen” continuò freddo l’uomo sconosciuto.
“Era venuto a chiedermi delle truppe, io gli avevo risposto di no. E’ andato all’archivio e ha scoperto degli uomini di Nelles a Rimmen. Poi ha inviato il suo attendente” spiegò Maudelair.
“Per gli dei!” sbottò lo sconosciuto “come gli è venuto in mente dei maghi guerrieri?!”
Gli altri due tacquero.
“Ha passato molto tempo co l’Lewie” suggerì Sintas “quell’elfo. Sempre a sussurrare qua, a consigliare là…”
“Credono di essere i padroni del mondo!” grugnì approvando il mago guerriero.
“E l’elfo come diavolo ha fatto a scoprire il tutto?” proseguiva l’uomo in viola.
“Questo non lo sappiamo” ammisero in coro i due.
“A quanto pare l’organizzazione del tuo padrone non è così perfetta come ci avevi assicurato” rispose tagliente Sintas.
“Tutti gli errori che sono stati commessi, li avete commessi voi” ribatté acido lo sconosciuto.
“E di quel Servatus quindi, cosa ne facciamo?” chiese Maudelair “posso farlo uccidere?”
“Tu non farai nulla” lo zittì l’uomo in viola “Hai già compiuto troppi errori. Voglio che voi due non facciate niente. Non prima della votazione, almeno. Sono stato chiaro?”
Gli altri due annuirono.
“Poi, quando te lo dirò” aggiunse lo sconosciuto rivolto a Maudelaire “Potrai uccidere quel Bantos”

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Rodrick rimaneva fermo nello studio ad ascoltare Servatus, che parlava velocemente eccitato.
“Per tutto questo tempo!” esclamava “sono stato cieco!”
“Come tutti gli altri! La verità era sotto gli occhi di tutti, palese. Eppure…”
Notando lo sguardo incerto del Bretone, l’Imperiale chiese: “Ma come? Non hai capito?”
“Veramente… no” rispose quasi sussurrando Rodrick.
Che cosa c’era di così palese?
“Avrai notato anche tu l’anello al dito dello sconosciuto, no?” cominciò Servatus.
“Sì… ce certo, ma…” disse il Bretone.
“Un lupo nero su sfondo viola” dichiarò l’Imperiale “è un emblema. Lo riconosci?”
Il bretone si sforzò di pensare, ma non si ricordò nulla.
Non se ne intendeva di emblemi.
“Il marchio di Kvatch” spiegò Servatus “Il vessillo dei Goldwine”
“Ma com’è possibile?” chiese Rodrick “I Goldwine sono tuti morti e…”
“E…?” lo interruppe l’Imperiale, sorridendo, gli occhi che brillavano.
“E Kvatch fu dis distrutta dai Daedra sedici anni fa”
“Esatto” esultò Servatus “E ora è in ricostruzione.
“In più, anche se in Goldwine si sono estinti anch’essi, il loro emblema non ha fatto altrettanto. E’ ora usato da un signore della guerra coloviano, autoproclamatosi ‘Conte di Kvatch’. Quest’uomo, questo guerriero si è messo anche in testa di dover proteggere e sostenere la gente di quella città in rovina.
“E loro hanno cominciato ad amarlo, oh sì, a rispettarlo, sì, e ad obbedirgli. Ormai è a tutti gli effetti il Conte di Kvatch.
“E che cosa si mette in testa questo conte tanto amante del suo popolo? Che con la principale linea commerciale di Cyrodiil passante per il suo dominio lui potrebbe arricchirsi, la sua città ricostruirsi e prosperare. E quell’uomo diverrebbe una delle persone più potenti della Provincia Imperiale, se non dell’Impero stesso. E’ stato un atto d’amore, capisci Rodrick? Per il suo popolo, per la sua città e per la sua persona.
Quest’uomo, che ha corrotto re, membri del Consiglio degli Anziani, generali e guerrieri, ha di nome Titus Mede e, lasciamelo dire, è l’uomo più pericoloso in circolazione al momento.”
Rodrick rimase in silenzio a fissare Servatus.
Aveva un sorriso soddisfatto in viso, gli occhi che brillavano, le mani che fremevano.
Sapeva di aver vinto.
Quella era la faccia del trionfo.
“E che che cosa… possiamo fare?” chiese alla fine.
“Oh, vi è ben poco che possiamo fare noi” rispose l’altro scuotendo il capo.
“Per questo, comincerò immediatamente a scrivere una lettera al conte Terentius. Abbiamo bisogno del suo appoggio” cominciò a spiegare.
“E tu andrai a consegnarla” aggiunse poi.
Vedendo la faccia preoccupata e non del tutto soddisfatta del Bretone, gli disse: “Oh, non preoccuparti per me. Me la caverò. Egregiamente, ne sono sicuro.
“Quanto a te, non dovresti avere problemi lungo la strada”
“Come dice lei, mio signore…” cedette Rodrick.
“Molto bene” convenne Servatus “or và a riposarti, te lo sei meritato.”
E Rodrick uscì dalla stanza.
 
 
 
Passeggiò per un po’ tra le vie della capitale, quella città che sembrava tanto bella, tanto gloriosa…
E invece Rodrick l’aveva trovata più sporca dei peggior quartieri di Balmorra.
Tutte quelle persone, tutte viscide figure che l’animavano. Tutte persone che si salutavano per strada sorridenti mentre quando erano in casa passavano notti insonni su come far affondare gli altri.
Rodrick era già avvezzo a quel genere di cose… ma non le aveva mai viste in quella misura.
Tutti sapevano che a Morrowind la Legge Imperiale aveva poco seguito, così come tutti sapevano che ad Elsweyr regnava praticamente l’anarchia, i re erano corrotti, i mercanti prosperavano alle spalle della gente comune…
Come K’Rahttad…
Il pensiero trafisse il Bretone in mezzo al petto.
No, era meglio non pensarci.
Tutti sapevano che certi luoghi a Tamriel erano adatti a fare affari sottobanco e certi no.
Ma tutti erano concordi sullo splendore e la magnificenza della Città Imperiale e dei suoi abitanti, quando invece era anche peggio.
Una città di sorrisi davanti e pugnali dietro.
Erano tutti così, persino il suo padrone, Servatus, non era da meno, Rodrick lo sapeva.
Tutta quella sua frenesia, quel suo modo di spiegare come funzionava il complotto così naturale…
Fino a che punto, in Servatus, arrivava il dovere morale verso Bravil e i suoi cittadini?
E dove, quello della sua ambizione?
E se quel compito gli fosse tato affidato per tenerlo lontano dalla capitale? Per renderlo più “libero” di agire?
Rodrick decise di rimandare quelle preoccupazioni soffocandole in un bicchiere di idromele.
 
 
 
A pomeriggio inoltrato, Rodrick entrò nello studio del rappresentante di Bravil.
“Ah, Rodrick!” lo accolse Servatus “Sei arrivato, finalmente. Non c’è tempo da perdere”
“Salve, mio signore” lo salutò Rodrick.
“Questa lettera” disse l’Imperiale “è la cosa più importante al mondo, per ora, per te e per me. Capisci, Rodrick?”
“Sì sì, mio signore” rispose il Bretone.
“Bene, molto bene” continuò l’Imperiale “dovrai consegnarla personalmente al Conte di Bravil, Regulus Terentius. Non alla guardia, non alla sovrintendente, non all’inquisitore. E gli dei mi scampino, non a suo figlio, mi sono spiegato?”
“Sì… mio signore” ripeté Rodrick.
“Lo riconoscerai, un tipo non molto simpatico, vestito elegante, viso sempre irritato, capelli castani con una coda. E probabilmente sarà seduto su un trono” descrisse Servatus.
Il bretone annuì.
“Perfetto” continuò soddisfatto l’Imperiale “Prendi un cavallo alla scuderia; ecco questi dovrebbero bastare”
Servatus gli passò un sacchetto pieno di septim.
“Cavalca e non fermarti, va bene? Dovresti arrivare domani mattina” spiegò Servatus “Consegna appena puoi la lettera al conte e poi potrai tornare qui. E’ tutto chiaro?”
“Si, mio signore” rispose Rodrick e, prendendo la lettera, si avviò verso la porta.
“Ah, un ultima cosa” lo fermò l’Imperiale “Se dovesse succedere qualcosa… “
Stette in silenzio per qualche secondo, poi aggiunse: “Addio, Rodrick”
Il Bretone non disse niente e si avviò verso le stalle.
 
 
 
Rodrick arrivò come previsto la mattina seguente all’alba.
Era da due giorni che non dormiva, le gambe gli dolevano e le palpebre erano pesanti mentre i suoi pensieri erano sempre più ottenebrati.
Bravil aveva la fama a Cyrodiil di non essere una città, ma di avvicinarsi di più ad un letamaio.
E, con grande sorpresa di Rodrick, era all’altezza della sua reputazione.
La città si articolava su tre isolotti posti sulla costa occidentale della Baia del Niben e, all’interno delle mura, quelle zone rocciose erano separati da vari canali dove venivano probabilmente scaricati i rifiuti e gli escrementi, a giudicare dall’odore.
La situazione non era migliore neanche nella parte alta della città: ad eccezione del castello e della cappella, tutte le abitazioni e le botteghe erano delle sudicie baracche di legno marcio che si estendevano soprattutto per altezza, tanto che vi erano “case” poste l’una sopra l’altra.
Le strade erano sporche, la gente si incontrava raramente e in giro si trovavano praticamente solo guardie o mendicanti.
Mentre attraversava la città, Rorick non riuscì a staccare le mani dalla sua borsa mentre continuava a guardarsi in giro con aria più preoccupata che minacciosa, come avrebbe voluto.
Infine raggiunse il ponte di legno che collegava il resto dell’abitato dal castello, che si estendeva austero su un’isola a sud.
Oltrepassato il portale principale, si ritrovò immerso nei giardini del castello. Un posto che risultava anche piacevole, in netto contrasto co il resto della città; in lontananza un giardiniere Khajiit canticchiava mentre potava una pianta.
Non poté non ripensare a K’Rahttad.
Una volta oltrepassato un altro varco, Rodrick entrò nel cortile del castello, da dove si accedeva alla Sala grande.
Questa era composta da un’antisala firmata da un grande spazio a tre navate completamente spoglio di decorazioni, se non per gli stendardi che erano appesi tra le arcate.
Dall’antisala so potevano raggiungere le segrete o , proseguendo dritto, la sala del trono, che aveva a metà del muro in fondo alla sala una pedana rialzata sul quale vi era il trono del conte.
Ai lati della pedana due rampe di scale salivano simmetricamente per poi congiungersi in un palco che portava agli appartamenti.
Rodrick notò con rammarico che il trono era vuoto, ma vi era una Khajiit davanti ad esso.
“Salute visitatore” lo accolse quella “sono Dra’Nahrahe, sovrintendente personale del conte Regulus Terentius. Come posso esserti utile?”
“De devo consegnare una lettera al conte” disse senza formalità il Bretone.
Quella conversazione lo metteva a disagio.
“Oh, capisco” fece lei “il conte è spesso molto impegnato coi suoi doveri quotidiani. Il mio compito è alleviare il suo fardello. Dunque posso vedere la lettera?”
“Ho ricevu  ricevuto precise is istruzioni” ribatté Rodrick “di consegnarla al conte di persona”
“E posso sapere almeno da parte di chi?” insistette la Khajiit, offesa.
“Servatus Bantos” rispose il Bretone, deciso.
Gli occhi della donna diventarono due fessure, le orecchie si eressero e il suo tono di voce divenne freddo: “Attenda” disse soltanto e fece per andarsene quando Rodrick la fermò: “Perché ha avuto quella reazione?”
“Se sapessi cos’ha fato quell’uomo per avere il posto che ha adesso non saresti così orgoglioso di servirlo” sibilò, per poi salire le scale.
Dunque i suoi sospetti era più che fondati. Servatus apparteneva corpo e anima a quella gente.
Si chiese cosa stesse facendo in quel momento.
La khajiit ritornò dopo un paio di minuti con un uomo uguale a come l’aveva descritto Servatus.
La cosa che aveva descritto meglio era la faccia scocciata, che in quel momento svelava anche n po’ di rabbia repressa.
“Chi sei, tu?” chiese in tono brusco.
“Rodrick Saine, mi mio signore” si presentò Rodrick “attendente di Servtus Bantos”
“Sì, lo so” irruppe il conte mantenendo lo stesso modulo di voce “quel buffone sta facendo proprio un bel lavoro alla capitale. E io che mi ero fidato. Cosa vuoi, dunque?”
“Devo farle leggere que questa lettera” rispose il Bretone.
“Farmi leggere?” ora Terentius era anche offeso “Mi credi un servo? Un bifolco a cui puoi dare ordini?”
Seguirono brevi attimi di silenzio.
“Su, dammi qua” aggiunse spazientito il conte strappando la lettera dalle mani esitanti di Rodrick.
Mentre la leggeva la faccia del conte passò dall’essere incuriosita a sorpresa, poi incredula e infine di nuovo furibonda.
Alzò lo sguardo fissando Rodrick intensamente con quella luce di disgusto costante nei suoi occhi.
Al Bretone venne un groppo alla gola.
Il conte rilesse la lettera.
E, una volta finita, la rilesse un’altra volta.
Ultimata la terza lettura si rivolse a Rodrick: “E’ vera questa storia, ragazzo?” chiese.
“S sì” rispose il Bretone portando la testa su e giù varie volte. “Mio signore” aggiunse poi.
“Fallo attendere nella sala” ordinò il conte rivolto alla sovrintendente, che rispose con un inchino.
Il conte sparì dietro la porta dalla quale era comparso.
Rodrick dovette attendere un paio d’ore.
Persino attraverso possenti mura del castello si riuscivano ad intuire le urla del conte infuriato mentre stava discutendo con qualcuno.
Al termine della riunione, Terentius uscì dalla porta che conduceva agli appartamenti seguito da tre persone.
La prima era completamente in armatura, una donna castana che seguiva ossequiosamente il conte.
La seconda, un dunmer, anche lui in un armatura di ferro con appeso alla schiena uno scettro, la sua espressione era cupa, quasi spaventata.
“Il mago di corte” pensò Rodrick.
La terza, invece era un altro dunmer con i capelli bianchi e guizzanti occhi rossi, vestito on un elegante abito in oro e borbogna, tra i più pregiati a Cyrodiil.
A quest’ultimo si rivolse il conte.
“Chiediglielo” disse indicando Rorick “chiediglielo, testardo di un dunmer!”
L’elfo si avvicinò al Bretone e gli chiese: “Sei a conoscenza del contenuto della lettera?”
Rodrick annuì.
“E ti rendi conto delle conseguenze che potrebbe avere, se quella storia risultasse vera?” continuò il mer.
Ancora una volta l’altro annuì.
“Ora ti chiedo di rispondermi sinceramente”  disse il dunmer “Tutto ciò che è scritto in quella lettera è vero?”
Per la terza volta, Rodrick annuì.
“Non annuire, idiota!” si avventò l’elfo “Rispondi! E’ vero o no?!”
“Sì” disse semplicemente, intimorito, il Bretone.
“Bisogna avanzare con cautela, mio signore…” consigliò il mago di corte.
“Niente cautela!” urlò Terentius “E’ da sedici anni che so che questo impero è destinato a morire, che non è nei miei, negli interessi di Bravil continuare a servirlo! Sin da quando il potere è passato ad uno sporco elfo. Un elfo al comando dell’Impero di Talos!”
Parlava come se non notasse la presenza di due elfi nella stessa sala.
“Dro’Narhahe” chiamò poi il conte “Manda un messaggero a Leyawiin. Che dica al conte Caro di presentarsi a Bravil con un battaglione di uomini, ditegli che ne va dell’esistenza di Bravil, di Leyawiin, e di tutto il Niben!
“Quanto a te” disse indicando Rodrick “non tornerai nella Capitale”
“Dro’Nahahe” ordinò di nuovo “manda anche un corriere imperiale a consegnare la lettera che scriverò a Bantos nella Città Imperiale”
“Spero che la vostra storiella sia vera” disse rivolgendosi nuovamente a Rodrick “Perché molte persone moriranno per i fatti di oggi”
“Ha… ha intenzione di muovere guerra all’Impero?!” esclamò incredulo Rodrick.
“Esattamente” gli rispose il conte “ma prima farò tornare il mio uomo dalla capitale”
 
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


“Quanti a favore?” la voce di Valga si impose sulle altre.
Sei commissari , tra cui Sintas e Valga, rassegnato, alzarono le mani.
“Quanti contrari?” chiese poi.
I tre commissari rimasti, tra cui Lewie e Servatus, alzarono le mani.
“Dunque, per i poteri conferitomi quale presidente di commissione dal Potentato Thules, io dichiaro che la primaria rotta commerciale per la capitale d’ora in avanti sarà la Strada d’Oro passante per la Colovia invece del Niben” dichiarò soddisfatto Valga.
“Questa via rimarrà chiusa a tempo indefinito finché questa commissione” aggiunse guardando Servatus “non troverà la causa dei ripetuti naufragi. La seduta è aggiornata”
Mentre tutti intorno si alzavano, Servatus guardò Sintas.
Non appariva soddisfatto, trionfante, e se lo era lo nascondeva bene. Guardò per un attimo il rappresentante di Bravil, per poi scomparire dietro la porta.
Bantos si alzò e prosegui per il corridoio diretto al Tiber Septim Hotel.
“Ormai Terentius avrà ricevuto la lettera” pensò mentre si avviava “se lo conosco ci sarà d’aiuto avere una forza militare, seppur minima alle spalle come minaccia”
Doveva trovare delle prove che potessero convincere Valga, per i maghi guerrieri aveva prove, ma non testimoni, mentre riguardo alla correlazione con Sintas e Titus Mede, non aveva nulla.
Rodrick avrebbe potuto essere un testimone… ma per un affare del genere lui non era adatto, e loro potevano comunque dichiarare che il Bretone fosse di parte, che stesse mentendo…
In uno scontro del genere Servatus sarebbe rimasto sicuramente sconfitto.
“E morto. Soprattutto morto.”
 
 
 
Entrò nella locanda e, attraversando la vasta sala d’ingresso, si diresse a passo svelto verso le scale che conducevano ai piani superiori quando venne fermato dalla locandiera.
“Ah, signore. È arrivato un messaggio per lei” disse col suo tono vispo.
“Un messaggio?” chiese Servatus sospettoso.
L’unico messaggio che doveva arrivargli lo avrebbe dovuto portare Rodrick.
E lui non l’avrebbe lasciato ad una persona qualsiasi.
“Sì, è arrivato stamane un corriere imperiale” rispose la locandiera, gioiosa.
“Ha detto da dove veniva?” domandò il rappresentante di Bravil.
“No, non l’ha detto” rispose lei “Aspetti… no ne sono sicura. Ma c’è scritto sulla busta”
Una volta detto prese l’oggetto e, leggendo ad alta voce, declamò: “Castello di Bravil”
Servatus tremò.
Prego tutti gli dei che quella non fosse la risposta alla lettera che aveva scritto al conte due giorni prima.
“Perfetto, grazie Augusta”  disse infine sorridendo.
Prese la lettera dal bancone e si diresse ancora più velocemente di prima verso la sua camera, col cuore in gola.
Aprì la porta di scatto e la sbatté nel richiuderla, per poi sbarrarla.
Esitante ruppe la busta e aprì la lettera.
Lesse il contenuto.
Era morto.
Era un uomo morto, era bruciato.
“Idioti, idioti, idioti!” imprecò.
Affidarsi ad un corriere imperiale… cos’era passato per la testa a quell’idiota del conte Terentius?
“Abbiamo saputo dal suo attendente del complotto di Titus Mede ai danni di Bravil e Leyawiin…”
“Idioti, idioti!”
“Del coinvolgimento del commissario Cornelius Sintas, del generale Anton Maudelaire, del re di Rimmen J’Rakka…”
“Idioti! Ma Rodrick dov’era?!”
“dei maghi guerrieri…”
“Che i daedra vi prendano tutti!” urlò.
“E ti assicuro che queste persone pagheranno caro il prezzo delle loro colpe. Un battaglione di soldati comandati dal conte Marius Caro si sta dirigendo qui a Bravil per discutere della strategia da intraprendere ai danni dell’Impero…”
“Folli! Non possono dire sul serio…”
“Il tuo incarico è annullato, e ti è ordinato di tornare subito a Bravil. Sua grazia, il conte Terentius”
Servatus scagliò la lettera dall’altra parte dello studio.
Era un uomo morto.
“Ora Sintas e Maudelaire sanno che io so tutto, che Bravil e Leyawiin si vogliono rivoltare!”
Doveva andarsene, su questo la lettera aveva ragione.
“Bastardi…”
Ma non poteva fuggire così, aveva bisogno di aiuto. E ben poche persone potevano darglielo.
Scese le scale e chiamò Augusta.
“Posso aiutarla in qualche modo, signore?” chiese quella.
“Si, puoi chiamarmi una persona…”
 
 
Bussarono alla porta un’ora più tardi.
Servatus, preso il pugnale, aprì appena la porta e si sporse con la testa per vedere.
“Sei arrivato” osservò.
“A quanto pare. Mi fai entrare?” rispose l’altro.
L’Imperiale aprì la porta lasciano entrare l’elfo.
“Posso sapere ora perché  mi hai fatto venire qui?” chiese Lewie “Ho urgenti questioni a cui badare, specialmente ora che hai fallito nel tuo compito” ridacchiò.
“Ho bisogno del tuo aiuto…” gli rispose il rappresentante di Bravil.
“Ah, sì? E per cosa?” domandò il mer ”Per caso il tuo attendente è scomparso? Ci sono persone che vogliono ucciderti o hai ricevuto una lettera indesiderata?”
Le sue labbra si curvarono in un sorriso divertito, che Servatus trovò quasi sadico.
 Anche lui sapeva. Persino lui aveva letto la lettera.
Allora non vi era davvero speranza.
“Mi faresti un enorme piacere” gli disse “se consegnassi una mia richiesta ad una certa persona. Come puoi capire io ne sono impossibilitato e il mio attendente si è preso una vacanza”
“E a chi dovrei portare questa richiesta?” chiese il Thalmor “E quale sarebbe, la richiesta?”
“E’ un Redguard incaricato di gestire il magazzino e il porto. Lo troverai là, si chiama Vossan” rispose Servatus.
“Digli che ho un urgente bisogno di una nave. Non segnata che parta per Bravil al più presto possibile” aggiunse poi.
“Uh, potrebbe non essere una cosa saggia” osservò Lewie “una nave non segnata, un passeggero clandestino… vuoi avere problemi con la legge?”
“Ce li avrò comunque molto presto…” ribatté l’Imperiale.
“Mai furono dette parole più vere…” continuò l’elfo “ma… passare per la Baia non potrebbe essere molto saggio in questo momento… certo a meno che tu non voglia scoprire cosa si nasconde là”
“’Cosa’  si nasconde, Lewie? Non fare giochetti con me” pensò Servatus.
“Non preoccuparti per me” disse invece.
“Oh. Ma io mi preoccupo per te invece” sorrise l’elfo “o no sarei qui ora. E perché questo Redguard, questo Vossan, ti dovrebbe mettere illegalmente su una barca illegale destinata ad affondare?”
“Mi deve un favore…” spiegò Servatus.
Lewie, soddisfatto, se ne andò, per poi tornare due ore più tardi.
“Domani mattina all’alba” dichiarò senza giri di parole “ti accoglierà un suo uomo”
“Grazie, Lewie, durante tutta la mia permanenza qui sei stato un vero amico” gli rispose Servatus.
“Non farmi piangere ora” ironizzò l’elfo “e ora… visto che probabilmente non ci vedremo più… addio”
“Addio”
L’elfo uscì, sempre sorridente.
La mattina dopo, non era un bene. Servatus avrebbe preferito quella sera stessa ma si doveva accontentare.
Prese alcuni vestiti di Rodrick dall’armadio della sua camera, attigua alla sua e, vestitosi, uscì dagli appartamenti.
Si diresse velocemente fuori dalla locanda evitando di incrociare lo sguardo con la locandiera e, una volta in strada, lasciò la Piazza di Talos.
 
 
 
La Pensione di Luther Broad  era una delle tante locande che erano presenti nella Città Imperiale, quella in particolare era nel distretto residenziale detto “Giardini Elfici”.
Al suo interno, un anziano imperiale con indosso una tunica azzurra lo accolse.
“Saluti straniero, permetti a questo vecchio di offrirti un approdo per questa notte” disse “Letti comodi e cibo caldo. Oh, sì anche un buon vino coloviano, che ne dici?”
“Ne ho il vomito dei coloviani” ribatté Servatus “ma accetterò il letto. E anche un pasto caldo. E sono disposto a pagare due septim in più se me lo portassi nella mia stanza”
“Oh, ok” rispose quello un po’ stupito.
In effetti Seravtus si era premurato di apparire povero, un viaggiatore consumato. E con i vestiti di Rodrick sporchi dai suoi ultimi viaggi e troppo piccoli per lui ci era riuscito perfettamente.
“Sali le scale, prima porta a sinistra” aggiunse in fine il vecchio e, mentre Servatus si avviava tossì dicendo, come se stesse per dimenticarlo: ”Oh, sono venti septim”
“Ma certamente” rispose il rappresentante di Bravil posando sul bancone venti monete luccicanti.
Luther Broad sorrise soddisfatto: “Arriverò con la cena tra poco” lo rassicurò.
“Grazie” furono le uniche parole di Servatus, deciso a chiudere quello scambio.
Come promesso, Luther Broad arrivò nella piccola ma accogliente camera dell’ospite dopo dieci minuti portando un arrosto di manzo e del semplice vino.
Una volta accertatosi che fosse tutto a posto, lasciò Servatus da solo.
Ancora una volta, l’ex rappresentante di Bravil non chiuse occhio, continuando a fissare la porta e la finestra tutta la notte.
 
 
 
Una volta accertatosi che l’alba stesse ormai giungendo, Servatus si alzò e avanzò verso l’uscio ma si fermò quando udì il legno scricchiolare dall’altra parte della porta.
Qualcuno era là fuori.
La maniglia della sua porta cominciò a tremare. Stavano scassinando la serratura.
Servatus impugnò il coltello e si posizionò di fianco alla porta contro il muro.
Dopo qualche secondo, la serratura cedette, la porta si spalancò e il sicario argoniano piombò dentro la stanza senza accorgersi di avere il suo obbiettivo di fianco.
Disorientato per l’assenza di Servatus nel letto, rimase fermo per qualche secondo, sufficiente all’Imperiale per conficcare il pugnale nella schiena dell’assassino più volte.
Il corpo martoriato cadde a terra.
Era il momento di andare.
Servatus scese velocemente le scale pulendo il pugnale imbrattato di sangue.
Una volta fuori, venne avvistato da due persone vestite di nero che lo additarono e cominciarono a corrergli incontro.
L’imperiale scattò zigzagando tra i vicoli della città prendendo una strada, poi cambiandola, per poi tornare in dietro.
Nonostante tutte queste distrazioni, i sicari gli stavano comunque dietro continuando ad indicarsi tra di loro le vie che prendeva.
Dopo dieci minuti, passò il portale per il quartiere del Tempio dell’Unico.
Quell’edificio, a pianta rotonda, era una volta sormontato da una cupola che durante gli ultimi eventi della Crisi dell’Oblivion esplose.
Sa quel momento in poi nel Tempio ospitò ciò che rimaneva della manifestazione di Akatosh che sconfisse Merhunes Dagon. Un gigantesco drago di pietra che svettava tra le pareti del Tempio, ormai a cielo aperto.
Servatus continuò ad prendere strade laterali, piccole, e a cambiarle per confondere gli inseguitori, ma non stava funzionando e a lui ormai mancava il fiato.
Passò per il tunnel che conduceva al Porto. Ormai era salvo.
Corse lungo il ponticello, quella via di pietra che collegava il Porto alla Città Imperiale.
Ormai vedeva la nave. Poteva farcela.
Per smentire le sue rassicurazioni, i due sicari corsero più in fretta, lo avevano ormai raggiunto.
“Non posso correre oltre” pensò esausto Servatus.
Si fermò di colpo e, voltandosi, lanciò con tutta la sua forza il pugnale contro uno degli inseguitori.
L’arma lo colpì in faccia e quello, fermatosi improvvisamente coprendosi il volto con le mani si fece travolgere dal suo compagno e, perdendo l’equilibrio, cadde in acqua.
L’altro era in quel momento steso sul viadotto.
Servatus con un energico calcio gli fece perdere i sensi.
“E’ fatta, finalmente” sospirò l’imperiale.
Si avvicinò alla nave, accanto alla quale vi era lo stesso uomo basso e smilzo che Servatus aveva incontrato la prima volta al Porto, vestito con giubbotto di cuoio, l’espressione divertita.
“Quegli uomini stavano cercando di uccidermi” si lamentò il fuggiasco.
“E a quanto pare hanno fallito” si limitò a rispondere l’altro facendo spallucce.
“Vieni, questa è la nave che ti porterà a casa” disse all’ex rappresentante di Bravil mentre quello saliva sul ponticello che collegava il porto alla nave “Oh, un’altra cosa…”
Servatus sentì una fitta acuta al petto, un dolore lancinante.
Gli mancava l’aria e cominciava a sentire l’odore del sangue in bocca.
Abbassando la testa vide che dal suo petto spuntava una lama d’acciaio luccicante.
“Vossan manda i suoi saluti” disse l’uomo mentre, appoggiando la mano sulla spalla di Servatus e spingendolo di lato, faceva cadere il suo corpo nell’acqua. ◢

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


Marius Caro, conte di Leyawiin, a prima vista non dava l’idea di essere una persona molto intelligente.
E non lo era affatto.
Così, per Terentius, coadiuvato da Drels Theran, il dunmer che si era voluto accertare della veridicità della storia dei maghi guerrieri, riuscì nel convincerlo ad aiutarli nella loro folle impresa di una rivolta contro l’Impero.
Il conte Caro si era rivelato molto stupito da quelle notizie e, per un primo momento aveva preso le parti dell’Impero dicendo che vi era sicuramente un errore.
Dopo un po’ i due avevano dovuto chiamare Rodrick per assicurare al conte di Leyawiin che quella era una storia vera.
Al Bretone venne detto di sedersi, mentre Caro si versava del vino in una coppa, per poi riprendere il proprio posto.
“Dunque, tu ti chiami Rodrick, giusto?” chiese quello.
Aveva una faccia perfettamente rotonda, paffuta, dal mento sporgente.
Sembrava più una scimmia che un uomo dai suoi lineamenti.
I suoi occhi erano di un azzurro vispo sempre splendenti che fissavano Rodrick con intensità. Ma non era la stessa cosa ti quando si ritrovava a fissare il conte Terentius, o Lewie, o Servatus…
“Sì, mio signore. I il mio nome è Rodrick Sa sa Sayne”
“Conosci cosa c’è scritto, lì non è vero?” chiese il conte in tono gentile mentre sorseggiava dalla sua coppa.
“Sì, mio signore. È è tutto vero” rispose il Bretone anticipando la domanda che sarebbe seguita.
Ormai gliele avevano poste una cinquantina di volte quelle domande.
“Chi lo ha scoperto?” continuò Caro.
“Se…” Rodrick faceva fatica a parlare “Ser Servatus Bantos”
“E dov’è ora?” la domanda era posta a tutti i presenti “il suo aiuto ci farebbe comodo”
“Tra gli dei” rispose seccamente Terentius “lo hanno assassinato ieri mattina mentre stava per fuggire dalla capitale a bordo di una nave”
“Lo hanno assassinato” ripeté il conte di Bravil “perché sapeva, perché aveva scoperto tutto. Perché sapevano che era riuscito a svelarcelo”
Marius Caro abbassò lo sguardo verso la coppa che stava bevendo, con aria mogia.
“Potremmo scrivere una lettera al Potentato Thules al riguardo…” suggerì infine.
“Oh no che non potremmo!” esclamò Terentius.
Il conte di Leyawiin si ritrasse come spaventato per lo sfogo del suo collega di Bravil.
“Hanno assassinato un mio uomo nella loro ‘Città Imperiale’! Hanno permesso che un bifolco come Titus Mede potesse diventare Conte di Kavtch de facto e fargli compiere ciò che ha fatto a noi!
“Ci siamo fatti governare prima da quel sudicio elfo che già incantava da quindici anni l’Imperatore Uriel Septim per poi comandare su di noi per un altro decennio e, quando finalmente qualcuno lo ha tolto dal Trono di Tiber Septim chi ci hanno messo? Quell’idiota di Thules!”
Terentius sputò per terra: “Questo” disse indicando lo sputo “è tutto ciò che manderò a quel buffone, sono stato chiaro?!”
Marius Caro sospirò per poi ripassare alla sua coppa di vino.
“Ormai ci sono dentro come voi” osservò infine “non me ne andrò”.
Il conte si era arreso.
Leyawiin era in rivolta.
“Magnifico!” esclamò Drels Theran estraendo da un cassetto una pergamena e stendendola sul tavolo.
“Qui, miei signori, vi è l’atto d’indipendenza. La dichiarazione ufficiale dell’assoluta libertà della ‘Diarchia del Niben’. Firmate qui signori”
Una volta che la pergamena fu firmata, i tre si concessero un brindisi al quale non invitarono Rodrick.
“Congratulazioni, miei signori” sorrise l’elfo “ora siete gli indipendenti Signori del Niben. D’ora in avanti siete in guerra”
“Giusto, proposito di quello…” interruppe Terentius ingurgitando il vino rimasto “io e Theran ci siamo permessi di stendere una primitiva strategia iniziale. Mentre noi a Bravil manterremo le legioni imperiali lontane dalla baia, lei dovrebbe tornare a Leyawiin e, nel tragitto di ritorno, uccidere quel gruppo di maghi guerrieri che ci ha causato tanti problemi. Una volta a casa, con il nostro contributo, comprerà del legname da Black Marsh e Valenwood con il quale costruirà la flotta che ci porterà alla gloria nella Città imperiale!”
Il conte Caro fu affascinato dalla strategia e i tre si concessero un altro brindisi.
Una volta soddisfatti, Marius Caro, Regulus Teretius e Drels Theran uscirono nella Sala Grande dove annunciarono la nascita del Diarcato del Niben tra festanti soldati di Bravil e Leyawiin e cittadini.
Rodrick schivò la confusione che stava venendo a crearsi nella sala ed uscì nell’unico posto che aveva trovato accettabile nella città: i giardini del castello.
Rimase fermo in mezzo agli alberi per un po’ di tempo.
Pensava a K’Rahttad. Pensava a Servatus. Pensava a tutte quelle persone che esultavano in quella sala.
Per quanto avrebbe retto quella ribellione?
Solo dopo parecchio tempo si accorse di non essere da solo: un Khajiit poco lontano era chino su un aiuola con alcuni attrezzi. Lo stesso che aveva visto quando era arrivato in città in quella stessa posizione. In quello stesso atto.
Gli si avvicinò chiedendogli: “Che cosa stai facendo a quest’ora?”
Il Khajiit non si voltò neanche e continuò il suo lavoro: “Dro shanji ti saluta. Dro’shanji si occupa dei giardini del castello. Dro’Shanji è molto fiero del suo lavoro. Dro’shanji ti conosce?”
“No” ammise Rodrick “conoscevi il mi vecchio padrone, forse. Se Servatus Bantos”
“Ah sì. Dro’shanji lo conosceva. A Dro’shanji piaceva e gli dispiace per la sua morte” rispose quello “Ma se Dro’shanji sa qualcosa del potere e di quello che Bantos faceva è una cosa: il potere è come una rosa, la vedi?” disse accarezzando i petali di una rosa bianca tra le mani pelose “è bellissimo, ma più lo tocchi” e ritrasse subito la mano mettendosi un dito in bocca “più rischi di pungerti”
“Ed è esattamente quello che stanno facendo Terentius e Caro là dentro” pensò Rodrick “ma questa volta ci sono migliaia di persone a seguirli.
“Migliaia di persone che sanguineranno”
 
 
Eccoci qua alla fine della prima storia della saga “Downfall”.
Tra non molto comincerò anche il prossimo “libro” che parlerà della rivolta di Bravil e Leyawiin e, con molta originalità, si chiamerà “La rivolta del Niben”.
Spero che la storia vi sia piaciuta e che leggiate anche il seguito.
Ciao.

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