I close my eyes, and give you a kiss deep in sins

di Rota
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** 2. Capitolo due ***
Capitolo 4: *** 3. Capitolo tre ***
Capitolo 5: *** 4. Capitolo quattro ***
Capitolo 6: *** 5. Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** 6. Capitolo sei ***
Capitolo 8: *** 7. Capitolo sette ***
Capitolo 9: *** 8. Capitolo otto ***
Capitolo 10: *** 9. Capitolo nove ***
Capitolo 11: *** 10. Capitolo dieci ***
Capitolo 12: *** 11. Capitolo undici (Flashback) ***
Capitolo 13: *** 12. Capitolo dodici ***
Capitolo 14: *** 13. Capitolo tredici ***
Capitolo 15: *** 14. Capitolo quattordici ***
Capitolo 16: *** 15. Capitolo quindici ***
Capitolo 17: *** 16. Capitolo sedici ***
Capitolo 18: *** 17. Capitolo diciassette ***
Capitolo 19: *** 18. Capitolo diciotto ***
Capitolo 20: *** 19. Capitolo diciannove ***
Capitolo 21: *** 20. Capitolo venti ***
Capitolo 22: *** 21. Capitolo ventuno (flashback) ***
Capitolo 23: *** 22. Capitolo ventidue ***
Capitolo 24: *** 23. Capitolo ventitré ***
Capitolo 25: *** 24. Capitolo ventiquattro ***
Capitolo 26: *** 25. Capitolo venticinque ***
Capitolo 27: *** 26. Capitolo ventisei ***
Capitolo 28: *** 27. Capitolo ventisette ***
Capitolo 29: *** 28. Capitolo ventotto ***
Capitolo 30: *** 29. Capitolo ventinove ***
Capitolo 31: *** 30. Capitolo trenta (flashback) ***
Capitolo 32: *** 31. Capitolo trentuno ***
Capitolo 33: *** 32. Capitolo trentadue ***
Capitolo 34: *** 33. Capitolo trentatré ***
Capitolo 35: *** 34. Capitolo trentaquattro ***
Capitolo 36: *** 35. Capitolo trentacinque ***
Capitolo 37: *** 36. Capitolo trentasei ***
Capitolo 38: *** 37. Capitolo trentasette ***
Capitolo 39: *** 38. Capitolo trentotto ***
Capitolo 40: *** 39. Capitolo trentanove ***
Capitolo 41: *** 40. Capitolo quaranta ***
Capitolo 42: *** 41. Capitolo quarantuno ***
Capitolo 43: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 0. Prologo ***


*Nickname: Rota23/Rota
*Titolo: I close my eyes, and give you a kiss deep in sins
*Fandom: Free! Iwatobi Swim Club
*Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Sentimentale
*Rating: Arancione
*Pairing/personaggi: MomotarouxAiichirou, MakotoxHaruka, SousukexRin, SasabexAmakata// Aiichirou Nitori, Momotarou Mikoshiba, Nuovo Personaggio (secondari), Un po' tutti
*Elementi utilizzati: Strega
*Avvertimenti/Note: Supernatural!AU, Shonen ai, What if...?
*Quarta classificata al contest "Lunghe, anzi... lunghissime" indetto da Ili91 sul forum di EFP
*Nda: Lyrics del titolo prese dall'opening di Shiki “Kuchizuke”, dei Buck-Tick, opportunamente tradotte in inglese.
Ho visto il film “ParaNorman” e me ne sono innamorata davvero tantissimo, così ho deciso di prenderci spunto per la mia fic. Stessa cosa dicasi per “Silent Hill”: ho preso diversi elementi anche da questo tipo di universo, e le ho inserite dentro la mia trama.
La mia storia ha decisamente molti tratti in comune con l'opera originale, come l'esistenza del club di nuoto della Iwatobi e certi tipi di relazione tra i vari personaggi. Rimane però, per me, una AU in quanto io ho personalmente modificato quasi tutto il resto, e ho inserito diversi elementi che la discostano dalla semplice interpretazione del What if. Spero di aver reso la cosa in modo efficace e comprensibile yy
Ogni capitolo ha, alla fine, una strofa di quelle che per me sono alcune tra le più belle canzoni d'amore che io conosco. Giusto un po' di colonna sonora xD
Ci sono alcuni rapporti d'età opportunamente sfalsati, ma a ragion veduta – io spero. I personaggi principali rimangono invariati, ma il contorno no.
Detto questo, buona lettura!

 



 

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I close my eyes

And give you a kiss deep in sins

 

 

 

 

 

0. Prologo

 

 

 

Scosta la tenda, in punta di dita.
Sul vetro della piccola finestra c'è calore appannato, sia sui bordi che un poco più all'interno – soltanto una minuscola aureola è rimasta trasparente, e mostra con la chiarezza sognante tipica delle sere d'inverno un esterno ammantato dell'ultima neve candida di Febbraio. Le sue dita morbide lasciano una scia sottile, una curva dolce che finisce nel nulla lì dove sono state sollevate dalla superficie verticale, e i polpastrelli hanno raccolto l'angolo delicato del tessuto bianco per tenerlo sospeso nel vuoto, in bilico come una parete davvero tangibile: non è un segreto ciò che in quel momento viene mostrato, ma è ugualmente prezioso e caro, avvolto da un'atmosfera di malinconia che sfoca già ogni labile definizione più dell'ora tarda.
Aiichirou sospira con sguardo affranto, e una folata di vento davvero freddo fa danzare di fronte al vetro un agglomerato di grossi fiocchi di ghiaccio, trasportandoli poi via; lui si sporge, come se potesse continuare a vederli muoversi, ma torna alla propria posizione pochi secondi dopo.
I piedi scalzi, appoggiati di dorso sopra la coperta pesante del letto, gli rimandano una sensazione di gelo non soltanto fisica, che lui tenta di scacciare con pochi e timidi gesti di dita, senza ottenere troppi risultati. Allora un brivido lo percorre, fino a incastrarsi alla base della nuca, e lì è capace di scuotergli tutto il corpo in un unico movimento di gelo, che riaccende i suoi sensi e quindi il suo dolore.
Neanche quella sera è riuscito a mangiare tutto il proprio pasto, e quando lo stomaco si contorce alla visione più precisa di quel casolare lontano, che riconosce essere la dimora di un amico di infanzia tanto caro, il malessere è quasi maggiore, proprio perché non incontra la minima resistenza.
Vorrebbe quasi cercare di consolarsi con la prospettiva di un sonno lungo e profondo, capace di donare all'animo pace momentanea e una tranquillità rasserenatrice, ma si ricorda le ore travagliate e piene di incubi delle ultime settimane e questo non acquieta il suo animo neanche un poco.
Può solo guardare fuori dalla finestra, finché le palpebre non gli si fanno pesanti e le labbra non gli si riempiono di sbadigli – i passi di sua madre, dietro la porta d'ingresso della stanza, gli intimano che forse è bene arrendersi, per quella sera. Lascia andare la presa, e la tenda bianca torna al proprio posto, oscurando l'esterno e imprigionandolo in quattro mura di legno caldo.
Si allunga oltre il bordo del materasso, facendo pendere dal proprio polso magro la manica troppo larga del pigiama preferito; in un click, spegne la lampada del proprio comodino e si immerge assieme al tutto in un nero totalizzante. È chiudere le palpebre e lasciare che il vuoto si impadronisca di tutto – è una sensazione simile alla calma, per Aiichirou, o anche all'annullamento di qualsiasi emozione senziente: il sonno si avvicina alla morte proprio in questo.
Con la sensibilità della mano trova il cuscino e l'orlo delle proprie coperte spesse e calde, sotto di sé; lo tira, scoprendo un triangolo di materasso abbastanza grande da potersi infilare dentro senza troppo sforzo.
Anche lì, si annidano freddo e brividi. Poco importa, ormai.
Sospira e fissa la presenza appena luminosa che galleggia nel nulla accanto al suo letto. Come ogni sera, si affida alla speranza di essere visto, mentre sorride, perché le labbra di quella donna anziana fluttuante si piegano nello stesso, identico gesto solo dopo che lui l'ha fatto, e Aiichirou non sa se è per risposta oppure per semplice gentilezza.
Riconosce occhi simili ai suoi, e quella voce gracchiante resa stanca più dalla vita che dalla morte.
Però, per la prima volta, il sorriso non dura molto agli angoli di quella bocca, e il fantasma pare più triste del solito.
-Sai, Aiichirou-chan? Mi sarebbe piaciuto darti la buona notte per sempre.
Non vorrebbe, non vorrebbe davvero, ma gli scappa un tono addolorato, e prima che se ne renda conto è di nuovo seduto sul materasso, a stringere nella notte le proprie lenzuola e a incoraggiare qualcosa che può vedere, sentire e percepire solo lui.
Non può usare un volume più alto, altrimenti lo sentirebbero tutti, e spiegare per l'ennesima volta a padre e madre quello che avverte sarebbe solo sfiancante e mortificante.
Quindi, il suo unico interesse risiede in lei.
-Puoi ancora farlo. Ora niente te lo impedisce.
Ne guadagna un ulteriore sorriso, per quanto amareggiato. Il fantasma si allunga, e Aiichirou percepisce davvero la carezza alla guancia di quelle dita nodose, perché oltre a volerlo con il corpo lo vuole anche con lo spirito, ed è solo quel tipo di volontà che può mettere in contatto la sua realtà con quella delle anime.
-Tu sei un caro ragazzo. Spero davvero che tu possa vivere bene, nella tua nuova casa.
-Lo spero anche io. Davvero.
Si protrae verso di lei, senza allungare braccia o mani: ha imparato dopo diversi tentativi e svariate sviste che è inutile farlo.
-E spero che anche tu stia bene, nell'aldilà.
-Ci sono tante persone care, ad attendermi. Già solo questo rende tutto più bello.
Sorridono entrambi. Come non ci sarà più, domani, un motivo per lui di restare, non ci sarà neanche per lei nel momento in cui la famiglia che ha voluto proteggere si slegherà dalla terra a cui la sua sorte è incatenata.
Liberazione, nel senso più lato e vero del termine.
Il ragazzo si stende, e quando sente l'ultimo brivido di freddo scuotergli la persona sa che la causa non è temperatura esterna, implacabile come sempre, ma le labbra di una presenza non inopportuna accanto.
-Buona notte, Aiichirou-chan.
Si addormenta con il cuore stretto e mezza lacrima che gli scivola lungo il profilo del naso.
-Buona notte, nonna.

 

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Capitolo 2
*** 1. Capitolo uno ***


1. Capitolo uno

 

 

 

Gou afferra con mano veloce il manico sottile della spazzola del bagno, sollevandola dalla ceramica bianchissima del lavandino per portarla al proprio capo e quindi cominciando a spazzolare la massa informe di capelli rossicci sparpagliati in ogni dove – ogni mattina è così, da ormai diciassette anni, e benché l'abitudine abbia stemperato un poco l'irritazione, non è riuscita a debellarla del tutto: pare quasi una lotta, la sua, che non è intenzionata a perdere. Sono morbidi e lisci, lavati da pochi minuti e asciugati da un phon caldo, che ha soffiato anche sul suo collo esposto e l'ha accaldata non poco: la pelle rimane ancora un poco rossa, lì dove la spalla si alza per sostenere la testa piccola e graziosa, e non presto tornerà al suo colore naturale; per fortuna, c'è già la divisa scura a coprire questa macchia più rosata, e il colletto alto della camicia bianca che le fascia tutta la gola.
Gou controlla la propria estetica nel riflesso del grande specchio che si trova davanti, rincorrendo anche il più piccolo ciuffo disordinato. Dopo diversi minuti, riesce parzialmente nel proprio intento, e sostenendo tutta la massa dei capelli con una mano recupera con l'altra il nastro colorato che ha lasciato sempre sul lavello per poter annodare quanto contengono le proprie dita.
Un giro, due giri, tre giri, un grande fiocco, ammosciato verso le spalle.
Lo sguardo dubbioso di lei si fissa poi sulla frangia regolare, cresciuta di qualche centimetro dall'ultima volta che si è dovuta preparare per uscire acconciata a quel modo. Prende il pettine e fa quel che può, appiattendo anche quella ciocca ribelle che le cadeva di sbieco: tutto a posto, in pochi gesti del polso.
Ai lati del viso, che quasi ricade molle come cornice del suo sguardo, un taglio più lungo viene incorporato in un'unica striscia di colore, non dispersiva, e accuratamente sistemata lì dove deve rimanere.
Un ultimo sguardo anche al viso, privo di occhiaie oppure di macchie particolari e fastidiose, e anche alla figura intera, composta e per nulla appariscente. Gou sorride, piena di soddisfazione.
-Sei ancora a prepararti? La colazione è già pronta!
La voce di sua madre arriva dallo spiraglio che la porta del bagno, aperta, lascia dal corridoio. Non è particolarmente affrettata, ma manca di una tranquillità serena, che lascia scorrere placido il tempo che rimane.
La ragazza si rassetta un poco la gonna, ed esce dalla stanza per raggiungere la cucina.
-Arrivo!
La donna sospira, mentre si prepara per uscire: sull'uscio di casa, vengono deposte delle pantofole pelose, di color rosato, mentre tacchi eleganti e non troppo alti calzano sotto talloni solidi.
-Per fortuna non hai fratelli, Gou! Altrimenti litighereste ogni mattina per i turni al bagno!
La ragazza è già sparita in cucina, così che la sua espressione sghemba non possa essere vista, e il suo borbottio contrariato non possa essere sentito.
Strofina le gambe della sedia contro il pavimento, per coprire le proprie parole.
-A me non dispiacerebbe avere un fratello...
Mangia in silenzio, anche mentre la porta dell'ingresso viene chiusa in un gesto morbido; sorride all'idea di qualcuno oltre a lei, in quella famiglia, che si deve preoccupare di essere pronto, o che faccia la colazione con lei la mattina presto. La sensazione di non essere mai completamente sola, in quella casa, è ben presente, ma dare a presenze appese all'ambito dell'irrealtà la responsabilità di una solitudine mortificante non è davvero cosa da farsi, specialmente per una ragazza che deve iniziare, quel giorno, il suo secondo anno di liceo.
Gou Matsuoka mangia la sua colazione in silenzio, senza pensare più a nulla.

 

Scuote il braccio indolenzito quando, finalmente, riesce a prendere posto su una di quelle macchie verde acido che formano le sedie della metropolitana – cartella pesante a terra, tenuta tra caviglie e polpacci, che dondola a ogni fermata goffa del mezzo, a destra e poi a sinistra.
Rei non riesce a trattenere uno sbadiglio tra le proprie labbra, e ha fatica alza la mano destra per coprirsi la bocca nel momento di cedevolezza; nessuno lo nota, d'altronde, nella folla addormentata per l'ennesimo giorno iniziato troppo presto.
Il sole tra le nuvole rade, sprizzante e allegro, suggerisce l'avvicinarsi di quel bel tempo stiracchiato tipico della primavera giapponese.
Sorride con tutto il viso, guardando oltre la propria spalla e al di fuori del vetro mezzo appannato.
I suoi occhiali penzolano più in basso all'ennesima fermata troppo brusca, e qualcuno tra le delle persone in piedi borbotta lamentandosi di essere stato recuperato da una sonnolenza altrimenti rassicurante. Nonostante questo, riesce a individuare ben chiaramente l'ingresso di una bassa testa bionda, che a lui si avvicina con pochi passi affrettati.
-Rei-chan, buongiorno!
Rei si sposta un poco a sinistra, con tutto il corpo, come se quel gesto istintivo dovesse concedere all'altro ragazzo più spazio sul proprio sedile – è qualcosa che definisce stupido ogni volta che si sofferma a pensarci, ma non può evitare di farlo. Sospira appena, stringendo le gambe tra di loro.
-Buongiorno a te, Nagisa-kun.
Tutta la fila di passeggeri seduti registra il movimento di Nagisa Hazuki, come la sua voce più che energica.
-Non ho proprio voglia di andare a scuola, oggi!
La cartella di lui, con i suoi spigoli duri e i suoi bordi rigidi, viene spinta anche contro le gambe dell'altro ragazzo, fino a graffiarlo un po' da sopra i vestiti. Nagisa si è rilassato troppo sul proprio sedile, lasciandosi privo di forza alcuna.
Rei si deve sistemare gli occhiali prima di rispondergli, cercando il sorriso che ha avuto in precedenza sulle proprie labbra.
-Tu non avresti voglia di andarci mai, temo.
-È tutto così noioso. Così sempre uguale.
Si appoggia alla sua spalla, come se fosse normale il contatto fisico tra di loro.
Quella certa intimità intima che Nagisa gli ha dato fin da principio non ha più luogo di preoccuparlo di alcunché, o di impensierirlo: rimane un simbolo di normalità, tra di loro, che quasi quasi Rei gradisce.
-Non dovresti dire certe cose, sai? È nostro dovere studiare.
-Per fortuna le attività del club inizieranno a breve!
Lo sente un po' fremere, per quanto la cosa sia stupida e insensata dal suo punto di vista.
Dietro di loro, al di fuori del mezzo di trasporto, la campagna continua a scorrere, nelle sue risaie infinite, creando un panorama rilassante, accarezzato da una luce solare appena più sveglia.
-Veramente, dovremo aspettare almeno un mese per iniziare a nuotare...
-Oh, Rei-chan! Stamattina sei troppo catastrofista! Non mi va di parlare con te!
Nagisa si lamenta di lui, ma non si scosta dalla sua spalla. Lui non capisce, alza un poco la voce.
-Ma cosa ho detto?
È la loro fermata: devono scendere, se vogliono arrivare a scuola in tempo.

 

Primo giorno di scuola.
La professoressa Amanaka sbadiglia piano, velocemente, nascondendo a stento quella momentanea debolezza di fronte alla tribuna, ancora ben ritta in piedi sopra il palco allestito apposta per la grande cerimonia – un collega alla sua sinistra forse la nota, e certo non le risparmia un'occhiata piena di rimprovero oltre la punta del naso su cui ballano degli occhialetti tondi tondi. La donna accenna un sorriso imbarazzato, e torna composta l'istante successivo.
Nell'animo suo e in quello dei ragazzi è ancora vacanza: si sentono aleggiare nell'aria i profumi di montagna e di mare spento, la pallida primavera ingombra di nuvole scure, che sboccia tremolando assieme alla schiusa di delicati petali rosati, fragili come una bocca che trema d'emozione. La donna sa, ormai davvero bene, come la natura possa influenzare gli animi sensibili delle persone più o meno giovani, perché ne ha riprova ogni anno, ad aprile, quando la presenza sua e quella degli altri insegnanti introduce nello spirito ma non del tutto l'allusione a un nuovo anno che viene, di studi e di fatica. Lo vede nei loro occhi e nei loro sguardi, mentre ascoltano il lungo discorso del preside della scuola, stretti nelle loro divise e abbelliti dal senso del nuovo e dell'ilare che coinvolge tutti.
Sono tanti, ma questo non impedisce loro di condividere lo stesso tipo di sentimento.
In quel momento sono ancora in piedi e guardano in alto, dove un cono di luce li invita a seguire anche con il senso della vista l'uomo di fronte a loro. Parla da venti minuti, e pare non accennare il minimo segno di resa.
Qualcuno sospira, qualcuno sbadiglia, qualcuno si è dimenticato persino della formalità.
Miho sorride, intenerita. Pensa che se avesse altra reazione invece che quella, con ogni probabilità fare l'insegnante non sarebbe il mestiere adatto a lei, e neppure l'educatrice. È stata una sua scelta, e non un ripiego semplice di chi, raggiunta la matura età, decide di costruirsi una reputazione rispettabile abbastanza da poterne parlare senza vergogna anche con i propri familiari più intimi.
In minima parte, quella massa di cervelli riuscirà a comprendere la bellezza di un testo classico di letteratura, oppure la grazia di una forma artistica piuttosto che un'altra. Non è quello il suo scopo, però, e lei lo ha davvero a mente.
Rendere tutti loro cittadini rispettabili, adulti in grado di decidere con giudizio e ragione: questo è il fine ultimo dell'educazione che lei intende insegnare, non altro. Anche se non può che ammettere che se almeno qualcuno di quelli riuscisse a condividere con lei un minimo di passione per la letteratura non sarebbe così male.
Sbadiglia di nuovo, ma questa volta nessuno la guarda.
Parte un grande applauso, e lei sa che la prima parte della cerimonia è dunque terminata.

 

Si siede sopra il muretto duro dell'aiuola, sentendo finalmente i muscoli delle gambe rilassarsi, accompagnando il gesto con un sospiro parecchio teatrale. Ha le palpebre chiuse, di chi ha tutta l'intenzione di estraniarsi dal mondo almeno per i successivi cinque minuti, e niente riuscirebbe a farlo desistere dal suo intento. Se solo fosse solo, in quel marasma di gente che è il primo giorno di scuola. Come un'onda, percepisce arrivare la sua presenza, ed è morbida e carezzevole nella stessa identica maniera che la spuma bianca del mare.
-Haru!
Il lieve affanno che lo ha preso per quei dieci passi da solo, senza la sua compagnia, svanisce in un sospiro liberato, e quando il giovane Nanase apre di nuovo le palpebre, Makoto è già seduto accanto a lui.
Per entrambi loro, l'inizio del terzo anno di liceo porta diversi significati, e l'incombere anche di un traguardo sempre più vicino, a cui è impossibile rinunciare. La mente è ancora ferma su altre questioni, legate per lo più a eventi materiali e concreti, ma già nell'animo c'è il germe di quella che potrebbe essere una futura preoccupazione non indifferente.
Eppure, come ogni giorno dalla loro infanzia, rimangono uniti: l'uno accanto all'altro.
-Fra poco dobbiamo andare. Gou ci sta aspettando, e anche gli altri.
Guarda in cielo, e il vento gli stende addosso il rumore delle chiacchiere dei suoi compagni di scuola, ammassati attorno a stand sempre uguali e sempre ugualmente colorati.
I club sportivi saranno presenti dopo la presentazione ufficiale all'interno del padiglione grande, una sorta di piccolo teatro interno all'edificio. Hanno impiegato giorni, tutti loro, a mettersi d'accordo su un'esibizione efficacie, e l'idea della giovane Matsuoka ha avuto la meglio.
-Rei e Nagisa saranno già con lei.
Sorride come solo lui sa fare, stretto nella giaccia della divisa scolastica. Ha baciato quei lineamenti morbidi soltanto la sera precedente, incidendo il loro profilo sulle labbra – e per quante volte lo faccia, non gli viene mai a noia.
Makoto non è come l'acqua, perché non fa parte della sua essenza spirituale, ma come sangue e carne gli è irrinunciabile in egual misura, tanto che solo averlo vicino rende tutto, proprio tutto, qualcosa di diversamente unico.
-Ho saputo che sono capitati nella stessa classe.
-Anche noi.
Sorride anche lui, e il vento è tanto crudele da spazzargli di lato la frangia scura, oscurandogli parte della vista.
Solo in quel momento sente le dita di lui che sfiorano la propria mano, sullo spazio di muretto che lo divide. Nessuno fa caso a loro, né alla loro felice quotidianità.
-Beh, come ogni anno. No?
Sorride anche lui, alla fine.
-Sì.

 

Oh, kiss me beneath the milky twilight
Lead me out on the moonlit floor
Lift your open hand
Strike up the band and make the fireflies dance
Silver moon's sparkling
So kiss me

[Sixpence None The Richer – Kiss me]

 

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Capitolo 3
*** 2. Capitolo due ***


2. Capitolo due

 

 

 

Secondo giorno di scuola. Qualche traccia sparsa della cerimonia di apertura del nuovo anno rimane imperterrita, agli angoli dimenticati dei muretti più isolati o ai piedi delle aiuole ignorate dagli studenti e dal corpo docenti, lì dove batte poco il sole di meridione o dove non cade lo sguardo più distratto, portato lontano da ben altro oggetto: un po' di sporco, uno striscione colorato che procede sospinto dal vento fresco rotolando in avanti, qualche foglio accartocciato male che fa lo stesso rumore delle foglie secche in autunno, l'illusione del vociare allegro di una discreta massa di gente emotivamente coinvolta dallo sbocciare dei fiori di ciliegio. Il paesaggio muterà ancora, in pochi giorni, divenendo qualcosa di stabile soltanto nella quotidianità ripetitiva che trova espressione in un placido e calmo rituale, eseguito dal mattino fino a sera, chiamato vita.
L'aria fresca di primavera, però, rimedia alla mancanza di quell'entusiasta profumo di nuovo che ha accompagnato la cerimonia colorata e allegra, trasportando la delicata fragranza di corolle appena schiuse e pure il sottile rumore di ali di insetto qui e là, distribuito con poca accuratezza lungo tutto il giardino verdeggiante della struttura scolastica da una natura ancora stanca e sonnecchiante dell'ultimo gelo lasciato indietro.
L'Iwatobi High School si presenta di un candido splendore che riflette non soltanto la luce del mattino, ma anche le tiepide aspirazioni e le giovani ambizioni di tutti i suoi studenti, vecchi o nuovi. Rimane eretta, con quello sfondo lontano di colline morbide, alla fine di una dolce salita, tra case di legno al di là della ringhiera di confine e un poco della città che si adagia sul terreno fertile di una campagna tranquilla. Tre piani, due ali e una serie piuttosto numerosa di stanze più o meno grandi.
Nitori Aiichirou sente la spalla pesare più del dovuto, e con un'occhiata veloce nota che la spallina della sua borsa è scivolata un poco, verso il gomito, e sbilancia tutto il peso dei suoi libri; la recupera, con dita svelte, e si sistema in un gesto come meglio può in modo da non dover pendere tutto da un lato e basta. Ancora corre in avanti, con l'ansia non di chi è in ritardo, ma piuttosto di chi è consapevole di non sapere la strada e quindi di avere la necessità di trovare quella giusta il prima possibile, o almeno in tempo per non perdere la lezione della prima ora. È un continuo scusarsi con gente sfiorata, riconoscere persino i propri passi e il rumore assordante del proprio respiro nelle orecchie, pur nel corridoio colmo di gente ritardataria che si affretta più consapevolmente di lui.
Si ferma in tempo, ancora con la mano protesa nel vuoto, per non afferrare la maniglia di una porta e spalancarla del tutto, ricordandosi quasi all'improvviso di aver sbagliato aula. Zampetta, saltella sul posto, prima di riprendersi dalla propria ansia. Si guarda attorno, alla ricerca di un segno qualsiasi, quando gli torna in mente di aver visto di sfuggita un cartello, all'inizio del corridoio pavimentato di scuro, che indicava la sezione a lui necessaria.
Non si concede neanche il lusso di respirare: parte di nuovo di corsa, con le dita di una mano strette attorno alla spallina dello zaino e le altre chiuse a pugno, a dettare un ritmo forsennato.
Se avesse attenzione da sprecare, in tutto quello, noterebbe un'ombra insolita, piuttosto stravagante e allegra, che lo segue per tutte la superficie vetrata del passaggio e poi sparisce quando lui si immerge nel buio di una nuova rampa di scale.

 

Il ragazzo ha pagato a caro prezzo la sua fatica, oltre che fin troppi ansimi e un sudore scivolato lungo tutta la schiena, appiccicato sia alla sua camicia bianca sia alla sua giacca scura.
I muscoli delle gambe, ancora piegati in una posa seduta contro una sedia troppo grande e troppo alta per la sua postura minuta, tremano e si irrigidiscono a ogni più piccola mossa, resistendo alla volontà del loro padrone con una pesantezza che mai hanno avuto prima e un lieve tremore a livello dei tendini delle ginocchia.
Aiichirou sospira, un poco affranto, e si accascia con una parvenza priva di forze sulla superficie orizzontale del proprio banco. Attorno a lui, i compagni di una classe in cui non ha ancora molta voglia di integrarsi parlano, chiacchierano e mangiano assieme, tranquilli in un habitat che è loro congeniale e senza nessun tipo di disagio in corpo: sono ragazzi, a quanto pare, che si conoscono da diverso tempo, e che non provengono da altre zone che non quelle adiacenti all'edificio scolastico – magari un quartiere un poco più in là, verso il mare, o magari un quartiere verso nord, più nell'entroterra, ma sempre lo stesso appezzamento di terreno.
Batte, leggero, la fronte contro il legno freddo, facendo scivolare in avanti la corolla di capelli chiari che gli circonda tutta la testa. Quel taglio gli è nuovo, come tutto attorno a lui, altro simbolo fisico e visibile di quel cambiamento radicale che ha dovuto affrontare nell'ultimo mese della sua vita.
Senza più pensare a niente, imponendosi un vuoto mentale appena ristoratore, recupera dallo zaino il sacchetto con il cestino del pranzo; la sua pancia non emette alcun segnale di esigenza, così come l'appetito gli muore in gola alla sola idea di appesantirsi ancora di più. Ma sa anche, purtroppo, che se non mangia durante la pausa delle lezioni non potrà farlo altrimenti, e non è molto sicuro di riuscire ad arrivare alla fine delle lezioni senza neanche una briciola nel proprio stomaco.
Onigiri, tramezzini e qualche polipetto arrostito: almeno in quelle certe abitudini, i componenti della sua famiglia non si discostano dalla normalità.
I primi bocconi vengono accompagnati da uno sguardo perso nel vuoto, che non ha intenzione di catturare niente né ha una precisa volontà; mastica lento, in maniera piuttosto meccanica, e i sapori come i pezzi di pane gli scivolano sulla lingua e non lasciano traccia di sé, per finire a gonfiare il suo ventre poco a poco.
Cattura però solo un guizzo, con la coda dell'occhio, che proviene dalla superficie del vetro della stanza. Impiega qualche secondo a realizzare che non si tratti di una mera illusione, e che qualcosa intenzionalmente sta compiendo un gesto: ha le guance piene, l'ultimo tramezzino stretto tra le dita, nel momento in cui si accorge che qualcosa ha appena compiuto un movimento.
Si guarda attorno, cercando reazioni da parte dei suoi compagni, ma nessuno pare essersi accorto di quello che sta accadendo. Quindi, per lui, la soluzione è fin troppo semplice.
Sospira, per poi tornare alle proprie occupazioni senza altro interesse.

 

-Ti uniresti al club di nuoto?
Un'altra presenza, ben più ingombrante e fisica, con quella spazzolata di biondo sopra il capo e due occhi che sembrano grandi quanto metà viso e espressivi come un'emozione intera, si fa così vicina alla sua persona che non gli è proprio possibile ignorarla, neanche volendo o facendo finta. Ha un tono di voce piuttosto squillante, difficile da non sentire, penetrante quanto può esserlo un trapano non discreto.
Eppure, è poco più di un metro e mezzo di altezza, la stessa sua età e un sorriso solare, una divisa allacciata bene sul davanti e dei terribili pantaloni troppo appariscenti.
Se Aiichirou si trova a disagio, è più per il modo con cui l'altro si pone a lui, sconosciuto non solo ai più della scuola, ma anche e in specie al proprio interlocutore. Rimane quindi perplesso, fermo com'è stato raggiunto presso gli armadietti delle scarpe, con una stringa ancora slacciata e un calzino bianco esposto per la caviglia rialzata. Non può appellarsi alla pietà dei passanti, anche se sulle prime cerca con lo sguardo qualcosa con cui svicolare dall'altro – non lo trova, e allora è costretto ad affrontarlo in qualche modo, trovando le parole sul fondo della propria gola.
Dita strette attorno alla maniglia dello zaino, spalla che quasi tocca il metallo dell'armadietto.
-C-club di nuoto...?
La titubanza mostrata è genuina, ma non sembra affatto venire percepita dall'altro, che non si schioda dal proprio stato d'essere. Si protende, persino, con il busto nella sua direzione; ora ha gli occhi ancora più grandi, e gli angoli della bocca ben scavati nelle guance.
-Sì, esatto! La nostra scuola ne ha uno! Ti interessa?
Aiichirou si ricorda, più o meno all'improvviso, di quel ragazzo.
Lo ha visto quasi tutta la mattinata andare avanti e indietro per i corridoi della scuola, con dei volantini in mano, ad avvicinare ogni genere di ragazzo gli capitasse a tiro o avesse la sfortuna di incrociarlo lungo la propria strada. Non lo ha mai visto dubitare di se stesso neanche un secondo, e per un istante ha ben sentito una qual invidia dentro il petto, nonché una notevole pena per tutti quelli che venivano catturati.
-Io, ecc-
-Sai? È molto divertente! Siamo ancora in pochi, ma abbiamo già partecipato a diverse gare!
Non riesce a formulare alcuna parola, ma almeno gli rimane intatta la capacità di pensare e ricordare, ancora.
Giorno precedente, durante la cerimonia di apertura del nuovo anno. Aiichirou è stato troppo preso dai propri sentimenti per accorgersi davvero di quello che gli capitava attorno, preso dalla quantità di gente presente e confuso da toni e voci che non conosceva ancora; ha cercato di portare attenzione laddove pensava servisse, anche se il suo interesse scemava di tanto in tanto in cali dovuti a una mancanza di sonno per la troppa ansia e a troppi particolari messi assieme, datigli tutti in una volta.
L'esibizione del club di nuoto, però, se la ricorda a tratti.
Alza le mani, cercando di frenare in qualche modo l'entusiasmo di lui, ancora così sfavillante.
-Io non credo ch-
-Non fa niente se non sai nuotare! Rei-chan è bravo solo con lo stile farfalla, ma rimane comunque in squadra!
-Forse sarebbe il caso che io-
-Sei dei nostri, dunque?
Con la schiena contro l'armadietto, Aiichirou sente di dover troncare tutto ciò in quel momento esatto, prima di venire completamente catturato. Si fa serio, all'improvviso, tanto che il suo interlocutore rimane basito dal cambiamento repentino, e con parole fin troppo educate accenna un inchino in avanti, quasi contro di lui.
-Ci penserò, davvero!

 

Buio, di notte.
Chiude gli occhi, e c'è nero. Apre le palpebre, e continua a imperare attorno a lui un'ombra scura duratura, che avviluppa ogni singola cosa. Ne ha avuto paura, da piccolo, prima di imparare a conviverci esattamente come ogni altra cosa della vita – il contrasto con la luce, per Aiichirou, ha un significato diverso che per tutti gli altri.
O quasi: per quello che sa e può ricordare, soltanto un'altra persona è stata in grado di percepire e comunicare con gli spiriti o con i fantasmi, ed è stata la sua defunta nonna materna. Oltre lei, al suo vecchio villaggio, nessuno riusciva a comprendere la sua capacità, e questo è stato solo uno dei tanti motivi per cui, fin da piccolo, non ha avuto molte persone attorno a sé definibili come amici.
Riesce a stento a far finta che gli importi relativamente. Quando i suoi occhi capitano all'incrocio di una strada, per lui è normale intravedere una scia opalescente, ancora più rarefatta di una boccata di fumo appena uscita dalle labbra di un vivo, che ha le sembianze e le fattezze più o meno precise di un giovane una volta così tanto vitale da andare a schiantarsi contro un muro o un lampione per via di un eccessivo amore per la velocità e la vita. Oppure, passando davanti a un giardino ben tenuto, la schiena curva di signori anziani e paffuti, intenti ad accarezzare con polpastrelli non più senzienti la fogliolina verdastra di una pianta cresciuta con cura e dedizione, che nonostante tutto è sopravvissuta ai suoi anni e persino alla sua mancanza.
C'è malinconia, negli sguardi di tutti loro, e rimpianti così forti da non poter essere superati. Solo alcune anime riescono ad ascendere al cielo, e sono beate proprio per questo.
Aiichirou non ha mai creduto nell'esistenza dell'inferno o del paradiso, né come minaccia o come ricompensa soltanto morale né come luogo fisico dove le anime vengono risucchiate per qualche motivo, perché la sensibilità di tutte loro è l'unica benedizione e l'unica maledizione con cui il creato può toccarle. Crede però in un sonno perenne, e molto calmo: l'assoluta negazione dell'esistenza e del movimento è un ghiacciato sogno infinito.
L'unico desiderio che lo lega all'idea di morte è la volontà di trovarsi nella propria ultima ora senza rimpianti o rimorsi in mano o nel proprio petto, in modo da attenuare il dolore.
Non può toccare il buio, come non può toccare la notte o il peccato. Può sentire, però, perché quel qualcosa che accomuna lui e tutti i fantasmi che ha potuto incontrare risiede proprio nell'intensità del sentimento. Sua nonna ha potuto parlargli degli spiriti rancorosi, che vagano più nella propria disperazione che in un luogo prettamente fisico, e investano con la loro negatività tutto ciò che gli si rivolge. Allontanarsi, scappare, rifiutare l'incontro: sono le uniche vere armi per quelli come loro, incapaci di combattere l'essenza invisibile.
Si volta, girandosi nel letto, appoggiando quindi la guancia alla federa fresca del cuscino. Socchiude gli occhi e intravede nel silenzio della stanza forme di oggetti che gli ricordano la normalità del suo essere adolescente. Uno zaino pieno di libri, una scrivania e un tappeto morbido. Butta fuori in un sospiro gli ultimi rimasugli di coscienza, con la testa sempre più pesante e la razionalità che si fa fioca, come una favola raccontata male.
Fuori da quella finestra che non è ancora riuscito ad avvicinare, pare battere qualcosa. Ma sarà soltanto il vento, e poco altro.

 

If I could fall
Into the sky
Do you think time
Would pass me by
'Cause you know I'd walk
A thousand miles
If I could
Just see you
Tonight

[Vannesa Carlton – A thousand miles]

 

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Capitolo 4
*** 3. Capitolo tre ***


3. Capitolo tre

 

 

 

Si sveglia di soprassalto, emergendo dal buio, con la sensazione di essere appena sfuggito a qualcosa di innominabile addosso, mentre il cuore gli pulsa nelle tempie e il respiro è affannoso nella gola. Sbatte le palpebre più volte, alla vista dei fasci di luce che penetrano dalla serranda non abbassata completamente e che illuminano di precise fattezze elementi della stanza in cui si trova.
Ingoia saliva che non c'è, a vuoto. Ritrova la sensibilità del tatto, scoprendo che la coperta che in precedenza ha sollevato fino quasi al mento è scivolata in basso, oltre l'altezza delle ascelle, e le sue lenzuola si sono aggrovigliate in una matassa informe che preme contro lo stomaco, a formare una palla non proprio dura. Le gambe divaricate hanno assunto una posizione innaturale, contratta, che gli sforza i tendini e i muscoli sennò molli e ancora caldi, facendo affondare più del dovuto il suo bacino nel materasso morbido.
Uno strato sottile di sudore gli appanna la pelle di tutta la fronte.
Aiichirou si alza di scatto dal proprio letto, recuperando la tuta di casa con pochi e veloci gesti. Si sente agitato, troppo scosso per rimanere fermo in tutte le proprie parti, e quando già comincia a camminare il sollievo gli sale dalle caviglie fino quasi alle ginocchia.
Scende al piano terra della propria abitazione, salutando solo con qualche parola la propria madre intenta a preparare una colazione abbondante. La sorpresa di lei è prevedibile e logica, così come anche la mancanza di insistenza da parte sua.
-Non mangi qualcosa?
-Faccio solo una passeggiata e poi torno, mamma!
C'è tempo per tutto, d'altronde, anche per abitudini non ancora sedimentate o la novità non del tutto integrata nella propria esistenza. La donna può comprendere il desiderio dolce di evasione, e lo può anche giustificare: suo figlio, d'altronde, le è sempre parso di quella razza sensibile e fragile che necessita una certa dose di attenzione.
Aiichirou apre la porta di ingresso ed esce da quella abitazione, lasciando che l'aria del mattino lo faccia rabbrividire per lunghi istanti. Respira quell'ossigeno, fino a colmare con esso i polmoni – si stringe nella propria felpa e comincia a correre, per raggiungere in fretta la spiaggia poco lontano da casa. E quando finalmente riesce a sentire la morbidezza dei granelli morbidi sotto la suola delle scarpe, accelera quel tanto da poter concentrarsi solo sul proprio sforzo fisico e niente del resto, che sia la propria malinconia oppure qualcosa di diverso.
Il freddo che si stende lungo tutta la sabbia gli sbatte contro a ogni passo che fa, sui polpacci scoperti. Si avvicina appena al mare, anche se rimane oltre l'orma bagnata delle onde biancastre colorate della prima alba, per non sporcarsi troppo. Riesce a prendere un certo ritmo, alla fine, che gli meccanizza i gesti e gli fa volare altrove la mente.
Intravede un poco più avanti una coppia di ragazzi giovani, intenta nella medesima attività che gli muove i piedi. Lascia una certa distanza da loro, per non doverli in nessun modo disturbare, ed è più volte tentato di interrompere la propria corsa e quindi tornare indietro, che ormai l'ansia è scivolata via e ciò che lo porta avanti è solo molle pigrizia.
Quando, in effetti, si decide di tornare a casa, volge lo sguardo a quell'onda che tenta di toccarlo con le sue dita lunghe, sul bordo di una scarpa chiara; scansa all'ultimo secondo quella spuma di bollicine vivace, ritirandosi verso l'entroterra di qualche passo.
E quindi, la vede di nuovo. Un po' a disagio, torna a correre più in fretta, consapevole un'altra volta di essere seguito da quella presenza molesta e ancora più estroversa dello stesso mare.

 

In realtà, quello che vede fuori dal finestrino del tram non gli dispiace.
Quel piccolo villaggio fatto di case basse di legno, con i tetti spioventi e i giardini curati, non è molta diversa dal ritratto tipico dell'immaginario anche più banale circa le località marittime di qualsiasi angolo del Giappone insulare. Non sembra avere una personalità vera e propria, di suo, e questo lo rende abbastanza quieto da non minacciare in alcun modo la sua tranquillità – o forse, come nei suoi peggiori timori, questa banalità di fondo è soltanto la parvenza di una emotività dimenticata, messa a tacere con il tempo e con la scusa delle stagioni passate.
Il presentimento di un qualcosa di cattivo, presente nell'aria come in ogni altro elemento, lo ha colto nel momento stesso in cui ha messo piede nella sua nuova dimora, e non lo lascia mai, neanche quando si allontana ogni giorno dalla propria stanza. Ma se da una parte ha imparato, per esperienza e insegnamento, a considerare piuttosto reali tutti i suoi funesti presagi, dall'altra la propria ricerca di normalità lo spinge a non considerare l'ipotesi irrealizzabile che qualche spirito maligno si possa materializzare, all'improvviso, sotto i suoi occhi e quindi tentare di ucciderlo in modo davvero atroce.
Sente il peso della realtà vivente che gli grava sulle spalle a ogni considerazione fuori luogo, neanche stesse esprimendo a voce alta i propri dubbi circa la spiritualità del luogo che è andato ad abitare.
Trattiene a stento un sospiro dietro le labbra, quando la metro parte nuovamente dopo essersi fermata alla richiesta di un signore anziano, carico di una borsina piena di sementa. Balla con il profilo della propria persona quando la macchina cigola piano, borbottando fuso e annaspando con una certa difficoltà in avanti, per mangiare sempre più metri. Attorno a lui, riconosce diverse divise scolastiche, e troppe camice da ufficio. Per un solo pensiero, torna a considerare quanto non gli piaccia quel mondo degli adulti che non capisce né vuole capire davvero e quanto distante sia la loro supponenza di fondo, che non ammette ragioni – anche un giudizio tanto è pesante, sulla coscienza, in considerazione del fatto che non è generato da alcun tipo di invidia.
Stringe a sé lo zaino pieno di libri, con lo sguardo che si concentra verso il basso, tra le scarpe degli altri passeggeri e un poco di spazio libero che rivela un pavimento bucherellato e antiscivolo; ci striscia sopra la punta delle scarpe, per ritirarsi subito dopo senza una traccia di vergogna.
Considera, solo a quel punto, l'eventualità di affrontare davvero il cambiamento. Non può debellare la propria ansia dal nulla, e neppure può permettersi di pensare che le cose possano cambiare da sé. Lo sa fin troppo bene a cosa porta l'inerzia e l'apatia, e con tutto il proprio cuore non ha proprio voglia di diventare un fantasma come quelli che vede galleggiare in aria: non prova molta simpatia per esseri del genere, e cerca in tutti i modi di non provare neanche pietà.
Il nuovo anno è iniziato da poco più di una settimana, e così anche la sua nuova vita. Il destino ha donato a lui una possibilità che in pochi possono sfruttare, e nel vederla Aiichirou ha realizzato la propria fortuna.
Guarda di nuovo fuori dal finestrino della metropolitana, verso la piccola collinetta che porta alla scuola alla quale è iscritto. Non sarà certo in grado di rivoluzionare o salvare il mondo, ma già affrontare un nuovo giorno può essere un discreto inizio.

 

La piscina dell'Iwatobi Swim Club è all'aperto, sopra il tetto dell'edificio scolastico ed esposta alle intemperie dell'aria aperta; c'è un albero di ciliegi in fiore, sulla parte a ponente, che si sporge dal bordo della ringhiera di metallo come un insolito e curioso spettatore, con le braccia fatte di rami scuri e occhi colorati di un rosa appena pallido. Il cielo, in quella bella giornata di primavera, sembra essere a loro favore, e conta sulle dita di una sola mano il numero di nuvolette leggere, sospinte mollemente da un vento troppo alto per colpire chi cammina sulla terra.
Aiichirou è rassicurato da quella visione, almeno un poco. Gli sembra qualcosa di conforme a tutto il resto della scuola e del villaggio stesso, espressione di una periferia intima che non è chiusa in sé stessa ma si accontenta di piccoli spazi meravigliosi, caldi abbastanza da levare di dosso ogni traccia di disagio. Lascia che le proprie dita ammorbidiscano la presa sul bordo della felpa sportiva, rilassando così i muscoli di tutte le braccia e, di conseguenza, anche quelli del corpo. Accenna persino un mezzo sorriso in viso, sulle labbra chiare.
A lui è sempre piaciuto nuotare, dopotutto, anche quando è stato costretto in una stanzetta poco riscaldata di quell’edificio fatiscente di un paesino disperso tra le montagne del profondo Nord. E questo gli permette di soprassedere sul fatto che, ancora, non c'è proprio acqua nella piscina, ma soltanto quattro ragazzi con spazzoloni in mano e quelle tante alghe cresciute sul fondale durante le vacanze da scuola da grattare via.
Sente dei passi leggeri avvicinarsi a lui, e si volta giusto in tempo per registrare il lento appropinquarsi di una ragazza dai lunghi capelli rossicci e una bella espressione tranquilla sul volto. Gli parla in modo gentile, con la testa un poco piegata di lato e un briciolo di aspettativa nel tono della voce.
-Allora, hai deciso di iscriverti al club?
Aiichirou intuisce essere la manager del gruppo, o qualcosa di simile. È colpito dalla grazia dei suoi movimenti, oltre che dall'effettiva bellezza dei tratti, e questo gli colora le gote di un leggero rosa pallido – non è proprio abituato a parlare con persone dell'altro sesso, e ciò lo ammorba di iniziale timidezza.
-N-no, non ancora. Ero solo curioso di vedere come eravate organizzati.
Il ragazzo del giorno prima, d'altronde, non gli ha detto della situazione attuale, e trovare tutto il club in quelle condizioni è stata veramente una sorpresa per lui, per quanto non proprio inaspettata.
Lei non smette di sorridere, ma è chiaro che è rimasta leggermente delusa dalla sua risposta, come se si aspettasse qualcosa del genere.
-Oh, beh. È anche giusto.
Non è più alta di lui e non sembra neanche più grande: ha addosso una felpa dai colori chiari, e la gonna della divisa scolastica. Alza la mano per sistemarsi ciuffi ribelli di capelli troppo lunghi quando, con un gesto morbido, dà un'occhiata non troppo veloce agli altri ragazzi del club, ancora intenti nella loro lotta contro uno sporco fin troppo ostinato.
Aiichirou tenta un nuovo contatto, più tranquillo di prima.
-Siete davvero in pochi, vero?
-Sì, siamo tutti quelli che vedi.
-Non siete troppo pochi per fare una squadra?
-Siamo il numero minimo, e questo ci basta.
Pensa di aver capito, ma abbassa gli occhi quando lei torna a guardarlo direttamente. E una volta assicuratasi che non si muoverà da quel posto – e anche la vicinanza di uno sgabello dove potersi sedere senza sforzare troppo a lungo la schiena – recupera il fischietto che ha appeso al collo e torna dai suoi atleti, piena come sempre di vigore, per incoraggiarli da lontano.

 

Si è ritrovato presto con il manico di una spazzola in una mano e il manico di un secchio pieno d'acqua nell'altro, intento a strofinare con setole decisamente non più bianche l'incrostazione strana di qualcosa che non ha davvero intenzione di identificare: c'è molto nero, sul bordo verticale della vasca, come c'è molta disperazione nel suo sospiro lento.
Immerge per sbaglio troppo la mano nell'acqua ormai sporca e priva di bolle di sapone, bagnandosi un pezzo della manica della felpa. Fa una smorfia di disapprovazione e fastidio, scuotendo quindi all'indietro la spazzola per liberarla da ogni residuo di eccesso. Colpisce, inavvertitamente, il piede del ragazzo lì vicino, e quindi passa i successivi venti secondi a scusarsi e a inchinarsi davanti a lui.
Quello sorride, neanche troppo disturbato dalla cosa – piuttosto, un po' mortificato dalla situazione.
-Mi dispiace che tu sia stato costretto a fare questo genere di lavoro.
Nitori si ferma, per guardarlo bene in viso. È il più alto di tutti, nel gruppo, ma sebbene sia di stazza e corporatura piuttosto massicce, la sua espressione è placida e serena, come quella di una creatura troppo imponente per contare sottigliezze e particolari fini.
Gli rivolge, solo, un po' di premura.
-È ancora troppo presto per nuotare all'aperto, e l'unica cosa che possiamo fare per ora è mettere in sesto quello che abbiamo, in attesa di tempi migliori.
Il giovane Nitori non è, come non è mai stato, una persona incapace all'adattamento, o semplicemente così timida e riservata da lasciarsi intimorire dall'altrui persona, e se trova una piccola nicchia di tranquillità a cui appoggiarsi, ben volentieri si apre a un più immediato coinvolgimento.
-La scuola non può fornirvi un posto più adatto dove allenarvi?
-No, questo è tutto quello che possiamo avere.
Sorride ancora, alzando la mano con il manico dello spazzolone in suo possesso.
-Almeno finché non vinciamo qualche gara sportiva.
Ma ritrova una rassicurazione da fornirgli, velocemente, e un'espressione forzatamente rassicurante.
-Ma ci alleniamo altrove, durante la primavera. Per non sprecare tempo prezioso.
Aiichirou annuisce, comprendendo la situazione. Neanche il luogo da cui proviene è mai stato in possesso di grandi somme di denaro, ma la limitatezza così stretta di strutture rende decisamente più piccolo un mondo già modesto di suo – abbastanza da credere che forse ci vuole un poco più impegno del previsto per farne parte, per lui.
Il ragazzo si ferma, definitivamente, per parlargli con più tranquillità.
-Tu sei iscritto al secondo anno? Non ti ho mai visto prima.
-Mi sono trasferito da poco, qui.
-Oh, davvero? E come ti trovi?
-Forse è un po' presto per dirlo.
-Hai ragione.
Sorride un po' tirato, più per il disagio di una verità non propriamente comoda che per la verità stessa, anche se decide di non limitarsi a quello, l'istante successivo.
-Però per ora mi piace. L'atmosfera è un sacco accogliente!
Qualcun altro si avvicina a loro due, introducendosi nel discorso senza essere interpellato direttamente. Ha occhi azzurri, di un azzurro che Aiichirou ha visto solo nei riflessi profondi del mare, e questa è la prima cosa che nota di lui.
-Dove eri prima nuotavi?
Se il primo ragazzo ha tutte le caratteristiche del nuotatore tipico, questo è molto più asciutto e smilzo, per quanto dotato di una certa muscolatura. Lo ha visto applicarsi con una strana dedizione alla pulizia della vasca, dal momento in cui è arrivato lì in poi, e questo gli ha trasmesso una strana simpatia a pelle.
Accenna un sorriso anche a lui.
-Sì, mi è sempre piaciuto molto!
-In che stile?
Il primo ragazzo, però, lo blocca: con una mano appoggiata sulla spalla, richiama la sua attenzione a sé, per placare un entusiasmo pacato forse considerato eccessivo.
-Ah, Haru. Non pensi sia un po' presto per chiedergli questo? Non è ancora iscritto al club.
-Davvero?
Haru lo guarda, con una punta di delusione nello sguardo che Aiichirou non può in alcun modo sfocare. Si sente colpevole, e non sa neanche perché.
-Devo ancora decidere bene.
Stringe la spazzola al petto, in un gesto istintivo. In realtà, c'è ben poco che lo trattenga dal dire semplicemente di sì, a parte il tempo e lui stesso. Non sa ancora per certo se è pronto ad affidarsi a quella maniera a un gruppo preciso di persone, e questo lo frena abbastanza.
-Non c'è fretta, non c'è fretta. Piuttosto, come ti chiami?

 

If I could, then I would
I'll go wherever you will go
Way up high or down low
I'll go wherever you will go

[The calling – Wherever you will go]

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Capitolo 5
*** 4. Capitolo quattro ***


4. Capitolo quattro

 

 

 

Le persone appartengono al buio esattamente come le persone appartengono alla luce. O forse, per meglio formulare i rapporti di potere che intercorrono tra i vari elementi della natura, è il buio, in egual misura e in egual abbondanza che la luce, a possedere le persone; anima, corpo, sentimenti e storia: ognuna di queste caratteristiche diventano non altro che insieme sempre più infinito, atto a riempire il tutto dell'esistenza.
C'è poca distinzione e nessuna morale di definizione, tra le due parti, perché il bilanciamento finale è la componente più importante e più elevata, anche a discapito del facile giudizio di chi si sente troppo piccolo di fronte all'immenso tutto.
Questi sono concetti che Nitori Aiichirou conosce da tempo immemore, più o meno dal momento in cui sua nonna è diventata consapevole della capacità che l'avvicinava così tanto al proprio nipote. Se ha potuto raccogliere un bambino spaventato da qualsiasi tipo di ombra, facile preda dei demoni più deboli e esigenti, ha potuto anche consegnarlo a una vita con tutte le basi pronte per diventare non soltanto un adulto degno, ma anche un chiromante in grado di gestire se stesso e la grande verità in proprio potere. Non è riuscita a sradicare, dal suo intimo, la paura atavica di fondo, anche se la consapevolezza di una responsabilità in tal senso è più che presente, dentro il ragazzo, e questo non fa che fomentare tutta la sua angoscia più profonda, nel senso di impotenza sempre pronto a comparire nella coscienza presente e nella debolezza fisica che si imputa come una colpa eccessivamente grande.
Aiichirou non ha pianto, quando sua nonna è morta. Pur sapendo cosa sarebbe accaduto entro lo stesso giorno, pur conscio di non aver perso quel contatto spirituale che lo univa con lei, il dolore lo ha toccato ugualmente, impietoso persino nei suoi confronti. E se questo terribile sentimento è stato lenito con l'affetto del sorriso sincero di lei, non ha potuto comunque scomparire di fronte all'evidenza: non c'era più vita in lei, né mai ci sarebbe stato quel calore tanto buono e tanto bello nelle sue mani che lo accarezzavano, lo toccavano, lo stringevano.
Rifugiarsi in braccia incapaci di comprendere il suo tormento interiore o qualsiasi altra sua parola – le braccia dei suoi genitori, verso cui avrebbe dovuto provare la più profonda e incondizionata devozione – non è solo come un tradimento perpetuato a ogni gesto e a ogni singola sillaba, è pur accettare la condizione che quella parte della sua esistenza, quella parte a cui lui non può rinunciare se non con la morte stessa, non avrà mai più lo stesso valore di prima.
Crescere con uno strappo tanto violento porta sconquasso, anche all'anima più pronta; porta una vera rivoluzione, invece, in quella che proprio non è stata avvisata in alcun modo e quindi si lascia travolgere dalla novità senza opporre troppa resistenza.
Aiichirou Nitori riemerge dal buio dei propri sogni anche quella mattina, trascinandosi dietro l'immagine malinconica di un sorriso stanco. Non ha sorriso quando sua nonna è morta, diversi anni prima, ma quella mattina, con le dita che stringono spasmodicamente le lenzuola del suo letto e le gambe divaricate nell'ennesima posizione stravagante, si scioglie in diversi lamenti e in diversi ansimi addolorati.

 

Da qualche giorno a quella parte, l'impressione di essere seguito in ogni dove da una ben specifica anima diventa più certezza, per Aiichirou. Non sono più sporadici episodi che lui coglie, di tanto in tanto, o magari scherzi semplici per attirare l'attenzione di quel raro tale in grado di registrare le sue azioni, ma veri e propri agguati, con tanto di premeditazione e logica.
Il ragazzo ha potuto vedere, non così sporadicamente come avrebbe sperato, la meraviglia iniziale negli occhi dei fantasmi, che diverse volte si è trasformata in successivo tormento per lui e insistenza molesta nei suoi confronti: ha imparato ben presto per questo motivo tutto ciò che è necessario per allontanare gli spiriti da sé, o quantomeno dalle proprie stanze, per non dover farne i conti anche in momenti di intimità e guardia bassa.
Anche per questo motivo Aiichirou non nutre molta simpatia per quel genere di anime erranti.
Mangia con più calma che può il riso nella propria ciotola, portando il boccone bianco tra le bacchette alle labbra e masticando piano; si guarda attorno circospetto, anche in quel momento, perché non ha capito con quale tipo di criterio l'anima si presenti a lui, e non gli piace l'idea di essere colto di nuovo alla sprovvista, come tutte le volte precedenti.
Sua madre, ancora addosso il grembiule giallo che le piace tanto, nota questa sua generale distrazione, e ne è inizialmente incuriosita.
-Ai-chan, tutto bene?
Lui la guarda, con gli occhi sgranati, sorpreso di aver ricevuto una domanda proprio da lei – rimane sospeso senza alcuna reazione, tanto che lei, a quel punto, si preoccupa davvero.
-Ti vedo un po' assente.
Il ragazzo mastica veloce il riso che ha in bocca, per poterla tranquillizzare.
-Sì, mamma. Sto bene.
-È successo qualcosa a scuola?
-No, no davvero.
-Hai poi deciso se vuoi entrare nel club di nuoto?
Aiichirou sa fin troppo bene come la preoccupazione possa assumere diverse forme.
C'è l'interesse indiscreto, molto visibile e riconoscibile, che non dà spazio a dubbi di alcun tipo e si propone più o meno sempre uguale a se stesso. E poi c'è quello con la faccia più bruta e anche più cruda, che si risolve in una presa di posizione che non ammette alternative. Lui deve sopportare entrambe queste cose, dall'una e dall'altra parte del tavolo.
Guarda suo padre con lo sguardo un po' colpevole, già di partenza.
-N-no, non ancora.
L'uomo si trattiene dallo sbuffare, in specie quando la moglie lo guarda male e non dice nulla per interrompere il loro dialogo. Non hanno ancora deciso come comportarsi con la stravaganza di un figlio adolescente, e questo crea non poco disagio tra tutti loro. Sentono di essere colpevoli almeno quanto Aiichirou, e questo non li aiuta nella loro impresa. E poi, c'è anche l'orgoglio e la sfacciataggine del loro essere adulti.
Suo padre non lo guarda in viso, mentre gli parla.
-Dovresti pensarci per bene. Così magari hai qualcosa da fare durante il giorno, e non perdi tempo a pensare troppo.
-Hai ragione, papà.
-E poi ti faresti degli amici. Amici veri.
Fa una pausa solo per alzare lo sguardo qualche secondo verso di lui – c'è la parvenza di un sorriso, sulle sue labbra, e questo crea ancora più disagio in Aiichirou.
-Non ti piace l'idea?
-Mi piace molto, papà.
-Bene. Allora sai cosa fare.
Torna a mangiare in silenzio, senza più alcuna fame.

 

Siede sul letto di camera sua, in attesa. Ha le gambe incrociate sul materasso, una coperta sulle spalle e il pigiama che gli fascia stretto la pancia appena più gonfia del solito. Ha solo una luce accesa: la piccola lampada nuova sopra il suo comodino, poco distante dal cuscino, irradia una porzione di muro e di spazio con un tenue bagliore giallastro. Rimane fermo in quella posa remissiva e senza alcuna difesa, in un invito esplicito ad essere avvicinato.
Stringe un cuscino piccolo, premendoselo contro il petto; i suoi occhi si muovono veloci, da destra a sinistra e viceversa, sondando ogni possibile angolo dimenticato. Immagina ombre che non sono tali, e la sua fantasia è così stimolata dall'ansia che inventa suoni e rumori in realtà per nulla esistenti. Quando si rende conto che le proprie dita sono così tese da fargli male, e che il guanciale che ha tra le braccia è strizzato forse un po' troppo, cerca di rilassarsi con un sospiro, e chiude gli occhi per qualche istante.
Qualcosa batte al vetro della sua finestra. Lui si muove lento, molto lento, cercando istintivamente di rimandare sempre più il primo contatto concreto con quell'essere. Alla fine, facendosi coraggio, riesce a scostare la tenda; non c'è niente, ad attenderlo, soltanto una foglia incastrata nel legno della cornice.
Sospira di nuovo, rilassato come in poche altre occasioni.
-Nitori-senpai!
Sobbalza, con un solo gesto violento, e si ritrova con la pelle d'ora per tutta la propria persona e gli occhi così spalancati da non far vedere più neanche un misero pezzo di palpebra. Finalmente lo vede: è riflesso sullo specchio a figura intera appeso al suo armadio, proprio di fronte al letto. È un ragazzo non troppo alto, con i capelli di un colore acceso – indossa una divisa scolastica di stile piuttosto vecchio, una strana corolla di fiori al collo e un sorriso gigantesco.
Più che altro, Aiichirou è sorpreso dal modo con cui è stato interpellato, perché gli manda al cervello fin troppo informazioni che non hanno spiegazione d'essere.
-S-senpa-
L'altro lo interrompe, con una voce di volume sproporzionatamente alto.
-Nitori-senpai, ci hai messo un po' a vedermi! Sei un po' lento! Come mai hai cercato di ignorarmi per così tanto tempo?
Il ragazzo cerca di ricomporsi, per quanto può: recupera la coperta che intanto è caduta dalla sua spalla destra e si avvolge meglio con quella. Guarda con più attenzione il fantasma, ignorando con tutta la tranquillità del mondo la sua domanda. L'altro è fermo, in attesa di una qualsiasi parola da parte sua, e non gli stacca quegli occhi chiari di dosso.
Decide di parlargli, e così di aprire la prospettiva di un dialogo: i fantasmi, più di qualunque altra creatura di quella terra, necessitano del permesso esplicito dei viventi per poter fare qualcosa.
-C-chi sei?
Il ragazzo si mostra ancora più contento – è quasi paradossale vedere l'intensità della sua gioia nell'espressione del viso, come se non avesse aspettato altro da sempre. E il velocissimo pensiero che sia davvero così colpisce il cervello di Aiichirou per un istante, perché quello dopo tutta la sua persona è dolorante per l'ennesimo strillo che deve subire addosso.
-Io mi chiamo Momotarou Mikoshiba, ma puoi chiamarmi semplicemente Momo! Abitavo qui prima di te!
-Come mai sei nel mio specchio?
-Oh, questo è uno dei pochi posti dove mi è concesso stare! Non posso fluttuare come gli altri fantasmi!
-Ah.
Stringe il cuscino, per istinto. Quello che ha appena sentito lo tranquillizza parecchio, aiutandolo nella consapevolezza che non verrà toccato fisicamente o in nessun altro modo da quella strana creatura. E questo, già di per sé, è qualcosa di positivo per lui.
Si fa un poco arcigno, ora con un tono più rilassato e calmo. Non ha ancora intenzione di rivolgersi a lui con il nome che gli è stato proposto, ma ha qualcosa da chiedergli comunque.
-Perché mi segui?
-Tu puoi vedermi! Vero, Nitori-senpai? Nessun può farlo, in questo villaggio!
-In effetti, non conosco altre persone che abbiano questa capacità.
-Vero! Vero!
Saltella, come un ragazzino giovane. Il tempo si è fermato per, lui, d'altronde, e nella sua personalità pare esserci un poco di fanciullesca vitalità spensierata, capace di gioire delle più piccole cose.
Come un contatto in grado di debellare la solitudine totale, per esempio.
-Sono tanto felice di averti incontrato, Nitori-senpai!
-Perché mi chiami così?
Cerca di zittirlo, in qualche modo, senza accorgersi di star alzando la voce.
-Io ti seguo da parecchio tempo! Tuo padre si chiama Nitori-san, e tu vai alla scuola del comune!
Il fantasma compie un gesto, che è come quello di una persona che si avvicina a uno specchio. Sembra quasi che lui sia confinato in un altro mondo e che quello specchio, come ogni altra superficie riflettente, sia il modo per comunicare con la realtà di Aiichirou.
-Sono potuto uscire da qui grazie a te, Nitori-senpai!
-Potresti smetterla di urlare? Ti sento benissimo.
Dei passi, oltre la porta della stanza, si fermano proprio in prossimità dell'ingresso, e la voce di una donna preoccupata fa capolino tra loro due.
-Ai-chan, tutto bene?
Il ragazzo si affretta a smentire ogni dubbio, con il volto colorato di imbarazzo.
-Sì! Sto bene, mamma!
Torna a guardare torvo il fantasma, che non ha smesso di sorridere. Ci sono i presupposti per un odio ragionevole, per lui, in specie perché non può in alcun modo far fronte alle sue grida senza dar luogo di conseguenza a una serie di equivoci.
Non vuole proprio che suo padre lo senta urlare contro il nulla.
-I tuoi genitori non riescono a vedermi! Ho provato a farmi notare anche da loro, ma gli sono completamente invisibile! Tu invece ci riesci!
-A quanto pare...
-Sono felice, Nitori-senpai! Finalmente non sarò più solo!
È sconfortato, e questo l'altro non sembra troppo capirlo.
Preso da se stesso e dai propri rancori, preso da se stesso e dalla propria realtà congelata: i fantasmi sono sempre così, qualsiasi forma abbiamo e di qualsiasi male siano tormentati.
Ad Aiichirou proprio non piacciono.
Sbuffa, liberandosi di cuscino e coperta aggiuntiva. Si infila con pochi movimenti sotto le coperte del proprio letto, scocciato da tutta quella serie di circostanze che lo riguardano.
-Ora vorrei andare a dormire. Potresti non parlare più?
-Certo! Come vuoi! Sarò più muto di un pesce!
Per un po' c'è anche silenzio, e Aiichirou spera che per il momento gli sarà possibile godere di un poco di pace.
Poi si muove un filo di vento molle, gentile, e trasporta delle parole carezzevoli che gli finiscono direttamente nell'orecchio e dentro l'anima.
-Buona notte, Nitori-senpai.

 

I've found a reason for me
To change who I used to be
A reason to start over new
and the reason is You

[Hoobstank – The reason]

 

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Capitolo 6
*** 5. Capitolo cinque ***


5. Capitolo cinque

 

 

Fanart bellissima che mi ha fatto silvietta, tutta per voi




 

Si affretta verso il bagno a lei più velocemente possibile, con la cesta dei panni sporchi tra le braccia e un equilibrio precario che le fa scivolare all'indietro le ciabatte morbide che avvolgono i suoi piedi; batte con il gomito sul legno dell'anta della porta di ingresso alla stanza, abbastanza forte da poter essere sentita da chi ne sta dentro, o almeno per sperare che sia davvero così. Inizialmente, però, non riceve alcuna risposta, e questo le dà la giustificazione giusta non solo per preoccuparsi un poco di più, ma anche di insistere su quella superficie verticale.
-Ai-chan, tutto bene?
La fretta di dover stendere i panni bagnati di pioggia non la smuove più di tanto, anche se l'ha fatta correre verso il balcone esterno della casa nel momento in cui ha visto le nuvole grigie in cielo e le prime tracce di goccia sul vetro della serranda del salotto; il vento smuoveva le lenzuola candide lavate di fresco, portando ovunque quell'odore tipico di salsedine che proviene direttamente dal mare. C'è ancora il rumore del fischio del vento, da una finestra lontana, e una scia leggera e minuta di aria fresca introdottasi da qualche spiraglio non ben sigillato della casa.
La mano della signora Nitori si sta per posare sulla maniglia della porta, quando dall'interno della stanza viene una voce ovattata, che a stento riesce a decifrare. Deve chiedere una terza conferma per essere sicura che quello che ha risposto è proprio suo figlio.
-Tutto bene, mamma.
Guarda con apprensione il pavimento, come se si trovasse davanti il profilo sottile del proprio primogenito. Qualcuna delle sue amiche le ha detto di portare pazienza, con il figlio adolescente: l'età di transizione asciuga ogni possibile sicurezza più di quanto non faccia il carattere in sé, e se la donna pone la propria sicurezza su una base solida, dove il suo Aiichirou è un fanciullo non delicato ma sicuramente gentile e discreto, non può sperimentare appieno la propria indole ansiosa per non ferire nessuno, specialmente la sensibilità dei suoi cari più vicini.
Non può far nulla con quel bambino strano che racconta le bugie, se non sperare in un domani pieno di confidenza. Sospira, e lascia la porta del bagno per obbligarsi a occupare la mente con ben altri pensieri.
A qualche metro da lei, oltre quella porta spessa, un ragazzo vivo sospira, con l'ennesima goccia piena di sapone e bolle che dalla fronte gli passa strisciando sulle palpebre, e un brivido di freddo lo scuote per tutto il corpo. Guarda lo specchio grande sopra il lavandino, proprio davanti alla doccia entro cui ha ancora i piedi bagnati.
-Per favore, potresti evitare?
Momotarou si muove un po', considerando i bordi della superficie entro cui si muove, e i suoi occhi grandi non catturano il punto della situazione.
-Di fare cosa?
-Di apparire così all'improvviso.
Aiichirou non vorrebbe davvero arrivare a cacciarlo esplicitamente, perché è a conoscenza della violenza che un gesto del genere comporta. Ma certo, vivere la propria vita di tutti i giorni con la minaccia continua di ritrovarsi davanti un fantasma pieno di vitalità non rientra proprio nelle sue ambizioni più alte.
Recupera con un gesto un po' pieno di irritazione la boccetta nuova di bagnoschiuma, colpevole soltanto di essere la causa del suo scostare la tendina della doccia e sporgersi nel vuoto. Che il suo sguardo sia capitato sullo specchio è stato un caso, d'altronde, come il suo gridolino in risposta.
Il fantasma si imbroncia, come il ragazzino che è.
-Tu non mi cerchi mai, Nitori-senpai. Io mi sento così solo!
-Beh, di sicuro mentre mi sto facendo la doccia non mi convinci a cercarti!
-Non vai spesso davanti agli specchi. E quello di camera tua ha sopra la tua divisa scolastica. Come faccio a comunicare con te?
Aiichirou non è così brutale da rivolgergli la risposta che meriterebbe, anche se è sicuro che quella sarebbe in grado di annullare ogni tipo di fraintendimento tra di loro. Non è sicuro di aver capito da quale epoca quello spirito arrivi, anche se è sicuro che di certo il suo carattere totalmente disinibito integri la già poca educazione che ha ricevuto in vita.
Si rintana, quindi, dietro la tendina di plastica con l'ennesimo sbuffo risentito, mentre all'altro non resta che borbottare contrariato.
-Attendi.
-Non mi pare una buona idea...

 

Nei giorni che seguono, per un periodo di tempo sufficiente a logorare poco a poco i nervi del ragazzo fino a renderlo scattante alla minima vibrazione accanto a sé, Aiichirou ritrova la sua immagine riflessa ovunque, anche quando non abbassa la guardia e la figura del fantasma si palesa con più o meno definizione in luoghi piuttosto banali.
L'episodio del bagno non è l'unico del suo genere, e se all'interno della doccia può nascondere la propria nuda persona dietro a uno strato sottile di plastica a pois gialli, in altre situazioni gli è davvero più difficile. Anche perché Momotarou non ha il minimo senso del pudore, così come non ha in sé la concezione di spazio intimo – l'altro non fa proprio niente per evocarlo vicino, anche perché è piuttosto inutile visto l'insistenza con la quale si presenta in ogni circostanza.
Diverse volte riesce a vederlo sui vetri dei negozi dove viene costretto dai genitori a fare commissioni, che sia un kombini vicino a casa oppure al negozio di scarpe dove suo padre ha prenotato dei sandali nuovi per la bella stagione che sta arrivando. È come un qualsiasi essere vivente, appannato dietro una superficie più o meno riflettente, che produce suoni ovattati e ha colori sfumati da un qualcosa non completamente trasparente.
La gente del villaggio si abitua presto alla stramberia dei ragazzi, così come la tiene di peso nel caso servisse all'occorrenza, e se Aiichirou può giustificare fino a un certo punto il proprio comportamento, è anche vero che non può sapere in anticipo cosa lega le viscere della storia di quel posto al concetto di magia e spiritualità: nessuno lo giudica per qualche colpo di sonno o una parola sentita per sbaglio, ma la quantità di fantasmi infestanti quel mare e quella terra hanno reso nel tempo l'aria abbastanza pesante da rendere l'atmosfera non troppo leggera e non troppo ignorabile.
A scuola gli capita in egual modo, così come in strada o in altre parti. L'acqua riflette, il marmo lucido riflette, persino le lastre di metallo degli armadietti freddi riescono in questo intento, e non danno alcuna tregua al ragazzo, che si ritrova letteralmente a fare i conti con un'insolente, sgradita ombra.

 

Pochi posti all'interno dell'edificio scolastico presentano delle aree abbastanza lontane da vetri di qualche sorta da permettergli un poco di respiro e di tranquillità, e con le giornate passate e i vari tentativi di fuga che lo hanno spinto negli angoli più remoti del piccolo complesso il ragazzo pensa seriamente di averle scovate tutte.
I suoi piedi quindi si fanno lesti per quell'ultimo tratto di corridoio, pieni di gioia nello stesso ritmo alla prospettiva di una meritata pausa dall'incessante caccia a cui è sottoposto. C'è silenzio ad accoglierlo, oltre il ciglio di una porta piuttosto vecchia, e un odore di carta stampata da poco. Lui si avvicina al bancone posto accanto all'ingresso, dove un'anziana insegnante alza lo sguardo sulla sua persona e gli sorride con un solo lato della bocca – controlla con un'occhiata stanca il tesserino che il giovane le mostra, senza neanche leggere per bene quanto dichiara ma soffermandosi più sulla fotografia lì schiacciata: è il ragazzo giusto, non ci sono dubbi. Lo lascia passare, permettendogli di entrare nel locale.
Una luce grezza, priva di ostacoli o di qualsiasi impedimento, si allunga dalla vetrata che copre una parete intera della biblioteca scolastica, in specie in quella bella giornata di fine Aprile. Si può ammirare il giardino della scuola, con quei pochi studenti che cinguettano come fringuelli affannati a solidificare il proprio nido, oppure semplicemente l'orizzonte in lontananza che brilla del riflesso delle onde, scintillante di un azzurro tenue.
Aiichirou vira veloce prima ancora che gli occhi capitino per sbaglio in quella direzione, e si immette tra due scaffali alti, per percorrere pochi metri che lo portano alle scrivanie più interne, un paio di banchi posti uno di seguito all'altro in modo da creare uno spazio confortevole di studio circondato soltanto dai libri e dalla loro essenza. Non si rende conto di sorridere, per nulla.
Appoggia con pochi gesti silenziosi il proprio zaino a terra, in modo da alleggerirsi di quel peso fisico che lo segue per la maggior parte del giorno, e con un piccolo tonfo e tanta soddisfazione si accomoda su una delle sedie di metallo, sistemandosi un poco e rimanendo fermo a gustarsi la stasi del momento. Impiega qualche secondo per riprendere a respirare con la giusta quiete, poi allunga la mano di lato e quindi recupera il libro di testo su cui deve preparare il compito di matematica che lo aspetta il giorno seguente.
Il silenzio gli permette di alienarsi dal mondo per una quantità di tempo indefinita, dove non conta più nulla se non l'oggetto della propria concentrazione: non c'è fatica che tenga, non c'è stanchezza come non c'è emozione di alcun tipo, solo un continuo fluire di stimoli diretti al cervello che immagazzina ed elabora in un secondo momento. Una capacità del genere è vitale per qualsiasi studente che si rispetti e che sia degno di questo nome, e Aiichirou integra la propria naturale resistenza alla posizione rigida con una perseveranza tutta di carattere che gli è propria.
Tuttavia, ad un certo punto è costretto a sentire le palpebre sbattere sui propri occhi quando lo sguardo si acciglia così tanto che comincia a far male lungo tutta la fronte. Scostando lo sguardo dal libro pieno di numeri, si accorge in un secondo momento della mancanza di luce naturale che ha oscurato tutto l'ambiente e la non tempestività della responsabile della biblioteca a porre rimedio a tale problema: si vede meno, anche a una distanza esigua come quella, e l'ulteriore sforzo si aggiunge all'altro lavoro solo per renderlo più grave. Decide quindi di chiudere per qualche secondo il manuale rilegato, per prendere un sospiro – vede a quel punto il ragazzo seduto dall'altra parte della scrivania, e quasi non fa un balzo sulla propria sedia.
Rei Ryugazaki, occhiali di sempre e divisa ben allacciata contro il collo; non lo ha visto arrivare, né sentito accomodarsi, e questo lo costringe in qualche secondo di imbarazzo a cercare determinate parole che faticano a scivolare dalla punta della lingua. L'altro ragazzo sembra cogliere al volo l'occasione che si è presentata, come se non stesse aspettando altro da un tempo indefinito.
-Questo posto è molto tranquillo, per studiare.
È calmo e tranquillo, gli sorride con delle labbra dolci e morbide, rilassate dalla fatica di un lungo studio. Si sente a proprio agio, nei suoi confronti, e anche quando aggiunge una seconda considerazione, non può che sentire una certa attrazione emotiva verso di lui.
Non si aspettava di certo di trovare qualcuno di conosciuto in un luogo del genere, ma questo non gli impedisce certo di goderne la compagnia.
-Non passa molta gente, di qui.
-Anche tu vieni spesso in biblioteca?
-Sì, abbastanza. Prima anche di più.
-Prima quando?
-Prima di entrare nel club di nuoto.
La sorpresa gli ruba qualche secondo di stasi, e una mezza risata all'altro. È un po' rosso sulle guance, anche se non troppo di imbarazzo. Ora quel sentimento nato prima si è formato meglio, nel suo petto, e c'è qualcosa di più concreto che lo avvicina a lui.
Chiude definitivamente il proprio libro, mettendolo in parte.
-Quando è successo?
-Fino al primo anno, frequentavo il club di atletica. Poi ho deciso di cambiare.
Rei sospira, portandosi le braccia al petto ed esalando un sospiro pieno di drammaticità teatrale.
-Nagisa-kun sa essere molto, molto insistente, quando vuole.
Riesce a trattenersi a stento dal dargli fin troppa ragione – stringe i pugni sulle cosce chiuse, facendo un po' ciondolare la testa nel vuoto prima di tornare a parlargli.
-E la tua scelta ti ha portato soddisfazione?
-Sì, non ho più dubbi a riguardo.
Succede una cosa strana, a quel punto. Il ragazzo non grida, ma è come se la sua intera figura brillasse di energia pura: la sua voce si imposta, i suoi muscoli assumono una posizione statuaria e il suo sguardo si rivolge a un pubblico immaginario, in estasi quanto lui.
-La bellezza della perfezione artistica si raggiunge nel momento più alto dell'esistenza! Pura meraviglia!
Strambo a dir poco, stravagante davvero. Imbarazzante, anche, senza dubbio.
Aiichirou si guarda attorno, nella speranza di non vedere nessuno accanto a loro. Per sua fortuna, l'unico rumore che riesce a sentire è lo starnuto secco della responsabile della biblioteca, troppo lontana per poter assistere allo spettacolo che si sta svolgendo di fronte ai suoi occhi.
-Il nuoto garantisce la postura dinamica coordinata e simmetrica e un'esecuzione in pieno regime della beltà più pura!
-Posso capire.
Sospira rassicurato, mentre l'altro torna in una postura normale, con un sorriso sincero e largo sulla faccia, lo stesso di poco prima.
-E poi, mi diverto molto. Penso sia molto importante.
-Hai ragione.
Aiichirou si ritrova ad annuire senza rendersene conto, toccato da quella semplicità tranquilla.
E anche quando Rei si mette in gioco, chiamandosi in causa come parte integrante di un gruppo interessato, Aiichirou non si sente preso in contropiede, né sente di star subendo un torto morale o implicito, da parte sua.
La lieve insistenza della sua educazione, dopotutto, non è niente che lo possa impressionare.
-Noi tutti vorremmo che tu ci pensassi bene, Nitori-kun. Saremmo davvero molto felici.
Gli risponde con un sorriso caldo, che sa di vero.
-Sei gentile, Ryugazaki-kun. Parlerò con Tachibana-senpai, in questi giorni.
In effetti, la prospettiva di definire compagno una persona del genere gli garba parecchio, anche dimentico di tutti i problemi che avvolgono la sua vita intera.
E questo gli permette di respirare dopo una lunga apnea, di tanto in tanto.

 

When you cried I'd wipe away
all of your tears
When you'd scream I'd fight away
all of your fears
I held your hand through
all of these years
But you still have
All of me

[Evanescence – My immortal]

 

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Capitolo 7
*** 6. Capitolo sei ***


6. Capitolo sei

 

 

 

Makoto Tachibana dà l'impressione di essere come l'oceano in bonaccia, quando lo si guarda in viso in modo distratto, su quelle guance distese e spesso pronte al sorriso sereno e quegli occhi chiari, dolci come poche cose; strano, per un ragazzo della sua età, ma non per questo meno piacevole. La calma piatta della superficie, levigata dal sole e da una serenità implicita, lascia scivolare qualsiasi cosa sopra di sé e non pone alcun tipo di resistenza, perché imperscrutabili sono i sentimenti profondi che agitano l'intima essenza di un simile elemento, incomprensibile a occhi umani se non nella misura dello stupore e della meraviglia che accomuna ogni tipo di bellezza troppo esplicita.
Aiichirou non ha esperienza diretta di tutti i fenomeni marini, e anzi la sua conoscenza dei tali è piuttosto bonaria e superficiale, senza quell'approfondimento che rende sicuro un argomento di conversazione; respira salsedine a pieni polmoni, e gioca con le dita dei propri piedi con la sabbia fine e molle della spiaggia – la sua anima è legata alla natura in ben altro modo, dopotutto, e questo lo rende fuggevole e basso come potrebbero esserlo soltanto gli abissi. Eppure, quando si lascia cogliere in fallo e guarda uno a uno i componenti di quel club, non può fare a meno di notare piccole cose, e la sua mente si lascia invadere piano da metafore e paragoni del tutto spontanei, che gli vengono più facili del pensiero stesso. Si è chiesto, alle volte, cosa gli altri vedessero in lui nel momento del confronto, e non ha mai voluto cercare una risposta per sé, abbastanza spaventato dalla cosa.
Riesce ad avvicinare il ragazzo la mattina di un venerdì appena bagnato, reduce da una notte piena di acqua fredda. Lo coglie durante l'intervallo del pranzo, in un momento in cui è solo per un motivo non meglio definito; di certo, l'assenza di Haruka lo aiuta e lo incoraggia, per quanto possa definire da sé piuttosto vile una considerazione del genere.
Non ci sono finestre, vicino a lui, né vetri o altro: le sue lunghe braccia sono stese in alto per raccogliere dalla bacheca degli annunci scolastici il grande poster preparato da Gou e dal resto del gruppo nel tentativo di attirare altri aspiranti nuotatori con tutti quei colori vivaci e quelle belle scritte esplicite. Un sospiro della sua bocca, però, rende implicita l'inefficacia di quell'ennesima prova deludente; un rumore basso fa scattare le puntine agli angoli del largo cartellone, e tutto quel colore scompare poco alla volta in un rotolo ben avvolto e stretto in due grandi mani.
È il di Makoto turno di sorprendersi, quando il ragazzo più basso riesce a farsi notare da lui, ma con un sorriso e un saluto cordiale rimedia a quell'attimo di inaspettato.
Lui è il capitano dell'esiguo club di nuoto, quello che anche durante i preparativi sembrava più propenso a dare determinati ordini e a prendere le misure di un potere che vuole in qualche modo gestire secondo la propria molle propensione. Quindi è lui la persona più adatta a quel genere di comunicazioni, per quanto Nagisa lo abbia inizialmente tallonato per ogni passo che faceva e Haruka è l'elemento di spicco del gruppo.
Vede gli occhi del ragazzo brillare, pur in una gioia posata, e raccoglie la promessa di una vita normale dalla sua espressione. Non può pentirsene, davvero.

 

Scende dalla metropolitana con una sensazione di stanchezza più acuta di quello che ha previsto nel momento della salita, passo dopo passo su quella banchina mezza vuota – il mezzo pubblico, dietro di lui, riparte lentamente, con un cigolio di ruote che insiste nelle sue orecchie anche una volta che il vagone di ferro si è allontanato non di poco, e questo irrigidisce ancora di più la sua espressione già non propriamente rilassata. Con le spalle tese e i vestiti leggeri che si gonfiano al passaggio di un vento allegro, Aiichirou schiude gli occhi al posto che ha raggiunto in soli dieci minuti di viaggio, in quella giornata tranquilla e di sole, senza scuola a occupargli le ore della mattinata. Spostato oltre le due collinette del villaggio di Iwatobi, sopra un accenno di cumulo di terra che li sopraeleva rispetto al resto dello spiano, può vedere bene ciò che la vista gli offre con generosa accondiscendenza.
C'è un accenno di città che si irradia verso destra, lungo una vallata che viene costeggiata da morbide colline lontane punteggiate come in un dipinto di una flora in piena fioritura – molto verde, di ogni possibile gradazione e variazione, fino a dove l'occhio non confonde i colori in un azzurro continuo che si ingrigisce verso l'alto, in uno sbuffo di cielo basso. Case basse, strade larghe contornate da aiuole in fioritura, e un centro commerciale a più piani che si staglia proprio sul ciglio della via maestra, in un ingresso invitante dalle vetrate chiare e cristalline. Periferia bassa, appena creata, che sottrae l'anima fredda della modernità allo smog e all'inquinamento per catturarne semplicemente le strutture portanti, portandole in un contesto dove vengono integrate nell'armonia già esistente del mondo. Sembra quasi un altro posto, o forse è soltanto una prospettiva nuova della stessa realtà che fatica a vedere ogni giorno.
Gli è stato detto che sarebbero andati a prendere dei costumi nuovi, anche per lui, e come prima attività dell'intero club non gli è sembrata una cattiva proposta. Non se ne pente, affatto, e si gode quei tre secondi di calma per respirare l'aria nuova che gli gioca attorno, mentre gli altri ragazzi gli si radunano vicini e proseguono verso l'uscita della metropolitana.
Una mano batte, non troppo forte, sotto le spalle di Aiichirou, con il palmo ben aperto sulla sua schiena longilinea.
-Ai-chan, non fermarti!
Quella stessa mano poi, lesta, assieme all'altra si chiude attorno alle braccia del ragazzo, per spingerlo con una certa allegria in avanti; non sa come reagire, alle sue mosse, perché ha la capacità di prenderlo in contropiede.
Per tutta la durata del viaggio gli è stato accanto, a scaricare la propria vitale energia inesauribile, e questo gli ha impedito, almeno per una buona parte, di godersi il paesaggio di montagne e di mare strisciante.
-Andiamo!
Passi indecisi, all'inizio, che si lasciano guidare da quell'entusiasmo sempre più palese metro dopo metro.

 

Superato il reparto di indumenti femminili al primo piano, si accede a una scala mobile piuttosto ripida che, riparando i visitatori da possibili indizi circa l'esterno con delle pareti opache capaci di isolare l'interno, immette direttamente al secondo piano, dedicato quasi totalmente all'abbigliamento maschile; salendo ancora un piano, finalmente, si arriva alla sezione dedicata all'ambito sportivo.
Gli scaffali sono disposti per ordine, in tante linee immaginarie parallele le une alle altre. Inizia con i classici sport più popolari, dal calcio alla pallacanestro per poi fare mostra di una lunga fila di biciclette più o meno pesanti, appese in alto per il manico duro e con i cerchioni neri delle ruote esposte verso i clienti. Una serie di banconi orizzontali, poi, per tutte le tute e le felpe occorrenti, con variazioni possibili di tempo atmosferico e temperatura esterna, nel caso servissero per escursioni in terre lontane da ogni traccia di civiltà.
Benché abbastanza lontano dall'entrata, il reparto dedicato esclusivamente al nuoto è piuttosto ampio, e permette una possibilità variegata di scelta. Camerini in fondo all'area, due scaffali dritti e una serie di manichini esplicativi, costumi piegati a figura intera oppure molto ridotti, sia per piscina al chiuso che per il mare e l'oceano.
Gou Matsuoka è la persona più a proprio agio nel gruppo, in quel momento. Il suo sguardo analitico sonda il materiale proposto, analizzandolo con accuratezza e attenzione come potrebbe farlo soltanto un'esperta in materia. Consiglia un costume intero a uno, uno più leggero all'altro, a un certo punto prende semplicemente Rei in disparte e comincia a parlottare circa la fantasia sfavillante di un capo in bella vista, con un allegro tema piuttosto inquietante e violetto.
Aiichirou si ritrova in mano un paio di costumi corti, sui colori caldi, piuttosto leggeri ma molto elastici nei materiali. Ricevuto il consenso da Makoto con il semplice cenno della testa, si allontana verso i camerini e ne sceglie uno nel quale rintanarsi pieno di entusiasmo: non credeva possibile essere tanto allegro per una cosa del genere, ma è indubbio che l'ilarità generale ha toccato anche lui.
Toglie i primi indumenti, con la tenda già ben tirata a nascondere qualsiasi cosa, quando gli capita di guardare lo specchio e di sgranare gli occhi all'inverosimile.
-Ciao, Nitori-senpai!
Stessa espressione gaia, stessa corolla di fiori attorno al collo. Le braccia di Aiichirou scattano, e vanno a proteggersi quel poco di nudità che si è venuta a creare sulla sua persona, a livello del ventre, dove la maglietta è stata appena appena alzata.
È incredulo, ma abbastanza presente da non alzare troppo la voce.
-Cosa ci fai tu qui? Come sei arrivato?
-Sono venuto con te!
-Come?
-Attraverso i vetri della metropolitana. Il tuo sguardo riesce a condurmi ovunque.
Sempre più incredulo, non trova le parole adatte per rispondere a una cosa del genere.
Esserci solo in quanto visto: sempre che Momotarou viva questo controsenso nella sua essenza di fantasma, e che soltanto grazie alla sua capacità possa acquisire quel poco di forza a compiere ogni gesto e ogni movenza sua, nel mondo che è proprio di Aiichirou – raccolto come un amuleto, lo segue più che altro come una benedizione inaspettata, venuta dall'alto.
Il fantasma fa come per guardarsi attorno, con quell'espressione davvero incuriosita che non gli scende mai dal viso.
-Non avevo mai visto un negozio del genere, certo che è davvero grande!
Dietro lo specchio del camerino, pare esserci il fondo del negozio, come se in realtà non ci fosse alcuna parete a separare il ragazzo vivo dall'esterno. Questo lo mette parecchio a disagio, ed è quando lui si stringe di più nel proprio stesso abbraccio che il fantasma nota una cosa.
-Cosa hai in mano?
-Niente che ti riguardi. E ora per favore vai via.
-Anche i tuoi amici hanno una cosa del genere. Che cos'è?
-Non mi hai sentito? Ho detto di andare via!
Non vuole essere sprezzante, ma comincia ad avere più freddo del dovuto, e la cosa non gli piace: sa a cosa è dovuto, e questo non fa che aumentare il suo disagio.
Non si è accorto, in compenso, di aver alzato la voce, spazientito dall'insistenza di quella creatura, e quando la tenda si apre e lui deve proteggersi da un altro sgradito visitatore, un certo rossore gli incendia tutto il viso.
-N-nagisa-k-
-Non ti sei ancora cambiato? Forza, fallo! Voglio vedere come ti sta addosso!
Lo guarda sorridendo finché Aiichirou, un po' costretto, non gli fa cenno con la testa di aspettare fuori, che si cambierà nel giro di qualche secondo. Si è addossato al fondo del camerino, senza accorgersene, proprio nelle vicinanze dello specchio. Ha visto come Momotarou guardasse Nagisa, non così sorpreso di non essere visto dagli occhi di una persona: non è triste, ma non può in alcun modo interagire.
Per questa solitudine implicita, Aiichirou si ammorbidisce un po', e sbuffa.
-Ti spiace almeno voltarti?
-Anche io voglio vederti!
-Puoi farlo anche dopo che mi sarò cambiato.
-Ma io ti guardo sempre mentre ti cambi, quando sei a casa.
La mancanza di una risposta pronta lo fa vacillare nella sua sicurezza, e manca davvero poco che il ragazzo non urli una seconda volta al suo indirizzo; si è alzato completamente la maglietta, e ora è a petto nudo davanti a lui.
-Non va bene?
-No, non va bene affatto. Il senso del pudore non te l'hanno insegnato?
-Non mi ricordo, in realtà.
Fa una pausa, mentre Aiichirou si toglie la seconda scarpa. Quando tocca ai pantaloni, cerca di farlo più in fretta possibile.
-Mi ricordo poco, di quando ero vivo.
Lo guarda in viso, ricambiato. Momotarou sorride appena, perché non capisce quanto possa essere triste e limitante una cosa del genere – la sua condizione glielo impedisce, d'altronde, e questo rende il tutto ancora più malinconico.
-È una cosa normale.
Indossa il costume sopra l'intimo sottile, con attenzione.
Momotarou saltella, per catturare la sua attenzione: ora vuole cambiare argomento, ed è pronto di nuovo a tempestarlo di domande.
-Tu hai conosciuto tanti fantasmi?
-No, non tanti.
Ma qualcuno chiama da fuori, impaziente quanto lui, e Aiichirou deve dare il giusto peso alle cose.
La vita che ha a disposizione è una sola, d'altronde, ed è l'unica che può metterlo in contatto con gli altri esseri viventi, perché la morte nera cancella ogni possibilità di fare questo.
-Ai-chan?
-Vengo, vengo!
Gli rivolge un leggero inchino, prima di tirare la tenda ed esporsi alla vista altrui.
-Devo andare, ora. Scusami.
Momotarou sorride, grato e riconoscente per quelle parole. Sembra quasi che, per un secondo, Aiichirou abbia dimenticato le loro diverse nature, e gli abbia parlato come a una qualsiasi altra persona.
Ha le guance rosate, quando si complimenta con lui.
-Quella roba addosso ti sta bene, Nitori-senpai!
E per fortuna l'altro gli è di spalle, a farsi ammirare da un più che entusiasma Nagisa, altrimenti esporrebbe quell'imbarazzo naturale dei suoi zigomi.

 

Just give me a reason
Just a little bit's enough
Just a second we're not broken just bent
And we can learn to love again
It's in the stars
It's been written in the scars on our hearts
We're not broken just bent
And we can learn to love again

[P!nk - Just give me a reason]

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Capitolo 8
*** 7. Capitolo sette ***


7. Capitolo sette

 

 

 

Le giornate piovose sono lungi dal concludersi, in quella stagione di mezzo che pare più innaffiata di molte altre in precedenza, e il buio accompagna la maggior parte dei giorni come una reale ombra che avviluppa lo stesso desiderio di rinascita in ogni germoglio e in ogni bocciolo timidamente attaccato al picciolo.
L'orario scolastico passa stanco in frequenti sbadigli e molli coscienze, tra gli sguardi che si appiccicano come gocce d'acqua sui vetri che danno all'esterno e tra pelli umide che sanno di passività stirata, ancora assopita sotto uno strato spesso e pesante di disagio.
Aiichirou sente l'acqua anche nei propri sogni – l'ovunque, per lui, comprende la propria situazione onirica come un elemento normale che gli completa la vita di una presenza in più. Sgorga da una fonte intima, come da una fontana distrutta, e zampilla nelle vene strette per raggiungere ogni singola cellula del suo corpo, come essenza vitale migliore dello stesso sangue. Non sa come spiegare questa novità dentro di sé, o se sia anche il caso di farlo: c'è segnale in ogni elemento, anche nel nero che si sfalda in altre sembianze per assumere diverse forme di espressione. Aiichirou conserva la paura per la propria persona e per quel miscuglio di emozioni non espresse e latenti che potrebbero spaccarlo in due, in una deflagrazione assolutamente totale. Il timore di non essere abbastanza attento a tutti lo destabilizza, e lo rende più inquieto del solito. Ma d'altra parte, crede anche che la semplice novità del tutto, fatta anche da una stagione che non riconosce propria e che gli infreddolisce i piedi a ogni passo in avanti che compie, sia fisicamente che sentimentalmente, sia normale e giustificata, non impressionabile.
La dicotomia tipica dell'adolescenza è solo una delle tante espressioni che riesce a dare al proprio sentire, non così sicuro di poter essere ridotto a semplice definizione.
Lo coglie un tremito di freddo, quando qualcuno apre la porta dell'aula. È l'inserviente della scuola che porta un annuncio all'insegnante di inglese: qualcuno lo vuole in segreteria, ed è meglio che faccia presto perché sembra piuttosto urgente. La donna si sistema gli occhiali e richiama il capoclasse, che con zelante prontezza si alza dalla propria sedia e comincia già ad ammonire il resto del gruppo con quell'espressione di cedimento al potere effimero che quasi, e solo quasi, parrebbe ridicola, spoglia del misero contesto in cui è inserita. Per la classe, l'unico rumore che finalmente si sente è quello di qualche sospiro stanco e uno sbuffo poco celato, ripreso immediatamente da un'occhiata in tralice.
Il ragazzo si porta le mani alle spalle, stirando le maniche corte della camicia bianca della divisa scolastica e infilandoci sotto le dita, per trovare un poco di calore al tremore che gli ha preso tutta la pelle. Non guarda più fuori dalla finestra, e si perde ugualmente nei meandri della propria incoscienza.
Definisce finalmente quella sensazione che gli annoda lo stomaco e gli fa palpitare il cuore in un modo non appropriato, nei momenti di galleggiamento nel nulla, accompagnandolo al contempo ovunque.
Presagio.

 

Fa ancora un passo lungo il vicolo stretto, arrivando finalmente a svoltare l'angolo di una recinzione alta di legno; si immette in una strada nuova, dove l'eco dei suoi passi si allunga come può allungarsi la polvere in ogni dove, spostando soltanto un po' d'acqua in schizzi fatti da piedi disattenti e scarpe troppo frettolose per badare ad altro. Nota un certo muoversi nel riflesso delle pozzanghere, soltanto le poche volte che abbassa abbastanza lo sguardo da poter scorgere quella data chioma colorata e quella conosciuta corolla di fiori – un petalo bianco, anche, cade sopra la sua scarpa, e viene subito portato via dal vento al passo successivo.
Casa Matsuoka si staglia appena isolata dalle altre, su un pezzo di strapiombo che scende fino al mare, per più di qualche metro. Ha un giardino che la circonda, abbastanza curato e con residui di una fanciullezza non troppo dimenticata, belle aiuole e un acciottolato biancastro che arriva dritto al suo ingresso elegante, con una cornice tinteggiata da poco. La struttura in toto esprime qualcosa di vecchio e antico, anche se la sensazione rimane soltanto tale nell'animo di Aiichirou; forse è quel tetto fatto in modo strano, o il colore delle pareti che non si abbinerebbe mai ad alcun tipo di modernità, o anche la posizione in sé, che sembra rimarcare la differenza tra un passato nobile e quindi isolato e quel restante villaggio fatto solo di legno e poche anime perse.
Ma le finestre irradiano una luce calda, ammorbidite dal colore caldo di tende morbide, e questo basta ad accarezzare ogni pensiero.
Il ragazzo suona al campanello con il dito indice teso, sentendo l'eco del proprio gesto espandersi nella casa chiusa. Subito c'è movimento, o almeno così sembra, e poco dopo qualcuno apre il cancello di ingresso e lo invita, così, a entrare, come se lui fosse un'altra delle anime perse che girovagano in quella zona.
Momotarou resta fuori, però, e a quanto pare non ha neanche intenzione di chiedergli di poter fare altrimenti. In quel frangente, Aiichirou non può che esserne intimamente rinfrancato.
La signora Matsuoka lo accoglie all'ingresso con un sorriso davvero largo e un'espressione serena, aspettando la sua presentazione e il suo inchino di cortesia – il ragazzo, pur scorgendo dietro di lei la compagna di scuola che lo saluta con una mano ben alzata in aria, non si svincola dai propri doveri di etichetta, e fa tutto quello che è necessario fare da brava e rispettosa persona.
L'ingresso della residenza, come l'esterno, è contornato di un essenza di passato che non sa spiegarsi: forse il pavimento che scricchiola è soltanto indice di un usura radicata, eppure sente diverse presenze che galleggiano sopra il suo capo, come appese al soffitto. Per un momento alza lo sguardo, ma vede soltanto ballare un lampadario ricco di gocce di vetro lucente.
Entra ancora di qualche passo, e lascia che la propria timida felicità venga corrotta da un profumo invitante di cibo appena fatto, come dalle voci conosciute dei suoi compagni di club.

 

Lo stomaco pieno brontola un poco, menzionando una digestione in atto che è stata per qualche minuto dimenticata, dopo un pasto abbondante e diverse risa. Fa ancora più freddo di prima, e la coperta calda che lo avvolge tutto non pare abbastanza per proteggere completamente il suo corpo da quella temperatura umida.
Aiichirou rabbrividisce quando il pantalone della tuta che indossa si alza un poco e lascia scoperta la caviglia appoggiata al pavimento di legno di quella soffitta, anche solo per qualche istante. Fa un verso strano con la bocca, socchiudendo gli occhi, e per fortuna in quel momento nessuno lo sente perché sono tutti presi dai volteggi che Nagisa fa fare alla luce della torcia che tiene tra le mani.
-Voi credete ai fantasmi?
Un suo movimento quasi lo acceca, portando il fascio di luce artificiale sopra i suoi occhi: per fortuna, è abbastanza pronto a difendersi con una mano tesa.
-Perché dovreste proprio.
Accanto a Aiichirou, più o meno disposti a cerchio, ci sono gli altri ragazzi del club di nuoto, ugualmente pieni e ugualmente satolli. Gou è seduta un po' più isolata, mentre tiene abbracciate le proprie stesse gambe; è quasi attenta, se non che ogni tanto un ciuffo di capelli le cade sugli occhi e la distrae. Rei, da parte sua, non osa staccargli gli occhi di dosso, ed è così concentrato che lascia la sua coperta cadere pian piano, centimetro dopo centimetro.
Makoto e Haruka sono terribilmente vicini, perché condividono la stessa grande coperta – e questo ha permesso al capitano di arpionarsi alle spalle dell'altro in modo totalmente disinibito e anche istintivo, quasi stesse provando una reale paura per l'argomento soltanto citato.
In effetti, neanche lui si sente a proprio agio in quel momento, e se prende come scusa morale il terrore dell'espressione del proprio compagno, è per una ragione ben più personale che tenta di sedare sul nascere ogni cosa.
-Hazuki-kun, forse non è il caso-
Viene interrotto bruscamente da uno strillo più che eccitato, e da un dito indice puntato direttamente contro di lui. Si zittisce all'istante, ed è come se una scarica lo faccia sobbalzare.
-Ai-chan! Io sono sicuro che tu ne conosci!
-I-in verità non è ver-
Viene interrotto una seconda volta, perché pare che Nagisa si sia accorto di altre cose attorno a lui.
-Mako-chan! Sbaglio o stai tremando?
-È il freddo. Davvero, è il freddo!
L'interpellato rabbrividisce con estrema evidenza, con il capo nascosto dietro la spalla di Nanase. Nagisa si guarda attorno, e non vede alcuna risposta al proprio entusiasmo, ma ben lungi dal rinunciarvi per questo abbassa invece la torca e la luce che ne proviene per mostrare loro, piuttosto che un'espressione maliziosa, qualcosa di molto simile a un broncio.
-Oh, ragazzi! Siete così seri! Dovreste rilassarvi un po', invece di rimanere tutti impettiti!
Qualcuno gli viene in aiuto, inaspettatamente.
-Io conosco un paio di storielle, se a qualcuno può interessare.
-Ryugazaki-kun, non credo tu dovresti incitarlo...
Makoto viene ancora ignorato, nei suoi tentativi piuttosto miseri di cambiare argomento o comunque di non farlo iniziare neanche, e quindi Rei comincia a raccontare quello che deve.
Aiichirou si estranea dalla scena, per qualche minuto; le sue mani cercano i bordi della coperta spessa che lo copre e tirandoli se ne avvolge meglio, fino a nascondere anche tutte le gambe. Quella soffitta gli piace poco: l'aurea nera che l'avvolge è quel qualcosa che ha percepito una volta entrato nella dimora dei Matsuoka, e aver la certezza che un fatto davvero spaventoso sia accaduto in quel luogo non lo aiuta a rilassarsi o a pensare ad altro. Si guarda attorno con occhi attenti, cercando nell'ombra qualche traccia che lo possa aiutare a rintracciare elementi chiarificatori, ma viene distratto dalle lamentele di Nagisa.
-Rei-chan, la tua storia non fa paura!
-Aspetta! Ne ho anche un'altra!
-No, non la voglio sentire! Di sicuro sarà triste e noiosa come questa!
-Io conosco una storia, ma non parla di fantasmi.
Il ragazzo biondo guarda la ragazza che ha appena parlato, con una nota di speranza nella voce e nell'espressione del viso.
-E di cosa parla allora, Gou-chan?
-Uhm, di anime maledette, direi.
Fa una pausa, più che saputa.
-E di fantasmi tormentati.
Ne fa un'altra, e Aiichirou davvero non crede sia una coincidenza che proprio in quel momento scenda un fulmine all'esterno, in un fragore di suono e luce che li fa tremare tutti, e fa strillare Makoto più del necessario.
-E di streghe.
Solo in due persone, nel gruppo, si eccitano abbastanza da compensare l'aspettativa che tutta quella farsa ha creato, nella ragazza, e tra questi non compare assolutamente Aiichirou, più propenso a pensare che forse sarebbe meglio, per lui, distrarsi un'altra volta.
Eppure, non può fare a meno di pensare che quello che sentirà sarà soltanto una parte della verità che gli serve per comprendere l'angoscia che sta provando.
-Dicci di più, Gou-chan!
-Dovete sapere che la famiglia Matsuoka appartiene al villaggio Iwatobi da molte, molte generazioni. C'è chi parla di almeno trecento anni di storia in questi luoghi, poche altre famiglie sono vissute così tanto a lungo nel villaggio.
Il vento batte forte contro la parete della casa, facendo muovere con violenza i rami dell'albero del giardino – una grande magnolia che sparge petali rosa ovunque. Aiichirou sospira piuttosto affranto, attirando le gambe sottili al petto e chiudendo cosce e polpacci in un abbraccio stretto, in modo da appoggiare il mento sulle proprie stesse ginocchia.
Nagisa le passa la torcia, in modo che possa giocarci come meglio crede, e lei lo ringrazia con un sorriso appena accennato.
-Molti dei suoi esponenti si sono legati alla terra di loro proprietà, sia in vita che in morte.
-In morte, Gou-chan?
-Certo, in morte. Come fantasmi con questioni in sospeso, pieni di rammarico e rimorso!
Qualcuno trema, aspettandosi di veder comparire un'essenza opalescente da un momento all'altro.
La ragazza sembra più brava a raccontare favole piuttosto che preparata in quello che sta dicendo, ma quantomeno sembra che la cosa li tenga impegnati per un po'.
Una folata di pioggia scroscia contro una parte del tetto, arrivando persino a farla vibrare di molto.
-Ma uno solo di noi ha vissuto l'incontro ravvicinato con una strega. Era un giovane che si chiamava Rin, abitava in questa stessa casa quasi cento anni fa, prima delle grandi guerre che hanno sconvolto la nostra nazione. Era il rampollo del nostro casato, l'elemento di spicco della famiglia di quel tempo.
La torcia viene mandata con la testa in alto, in modo che il fascio di luce la illumini da mento in su, creando un effetto piuttosto lugubre con quelle ombre lunghe nei posti giusti.
-Si dice che c'era un essere mostruoso dalle sembianze di un angelo, a Iwatobi, capace di ammaliare qualsiasi persona con la sua bella apparenza priva di malizia. E per quanto Rin fosse bravo e buono, non ha potuto resistere alle lusinghe di questa malvagia creatura.
-E cosa gli è successo?
Tutti in silenzio, per colpa di passi oltre la scala di legno che fa da ingresso alla soffitta: qualcuno si è mosso, in basso, forse per rammentare l'ora tarda che è giunta. Il primo a riprendersi dalla sorpresa è proprio Nagisa, che salta in piedi e quasi aggredisce Makoto.
-È stato ghermito e alla fine gli ha fatto esplodere la testa!
-Ah! No!
Aiichirou guarda in alto, e finalmente capisce.
-No, alla fine Rin si è impiccato in questa stanza.
Quando si rende conto di aver pensato ad alta voce, abbassa lo sguardo dal soffitto e vede le espressioni attonite degli altri; soltanto Haruka non ha mutato la propria, ma sarebbe stato strano il contrario.
Avvampa, all'improvviso in imbarazzo.
-Sc-scusatemi, non avevo intenzione-
-Nitori-kun ha ragione, è andata proprio così.
Gou lo interrompe prima che ceda al panico ancora di più, senza un poco di irritazione per essersi vista rubare proprio la parte più bella della storia da qualche parola detta a caso. Riprende il tono di prima e anche l'atmosfera con una capacità davvero ammirevole.
-La strega aveva delle mire sulla nostra famiglia, e prima di essere uccisa dagli abitanti del villaggio ha lanciato la propria maledizione. Rin ha passato gli ultimi anni di vita nell'angoscia più pura e disperata, prima di diventare un fantasma infestante.
Nagisa ha gli occhi che brillano di felicità e di eccitazione, mentre gli altri rimangono sconvolti ai propri posti.
-Quindi si trova qui?
-Beh, sì.
-Proviamo a chiamarlo?
Makoto, però, decide che è davvero il momento di smettere, per quanto il ragazzo più giovane possa lamentarsi e dire qualsiasi cosa.
-No, assolutamente no! Mi rifiuto!
-Oh, Mako-chan! Sei sempre un fifone! Non ti sai proprio divertire in alcun modo!
Aiichirou sospira, chiusosi un'altra volta in se stesso. Ringrazia la voce tempestiva della signora Matsuoka, direttamente dalla tromba delle scale, come il suono più dolce e rassicurante di sempre. Per quella sera è abbastanza, a quanto sembra, ed è ora di andare a coricarsi.

 

Oh, won't you stay with me?
'Cause you're all I need
This ain't love, it's clear to see
But darling, stay with me

[Sam Smith – Stay with me]

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Capitolo 9
*** 8. Capitolo otto ***


8. Capitolo otto

 

 

 

Il nero della notte e dei sogni lo rigurgita, come un qualsiasi ospite sgradito. Si ritrova quindi a boccheggiare, in una posizione scomposta, sopra il materasso del proprio letto, con il lenzuolo finito chissà dove – pendente da un lato, con gli angoli che strisciano sul pavimento.
Ha poche sensazioni dentro il petto, e il senso di vuoto che lo attanaglia all'altezza del cuore viene vinto solo poco a poco, con la costrizione di un respiro non affannato e abbastanza, se non del tutto, controllato. Aiichirou si porta una mano alla testa, trovando sudore sotto lo strato di frangia e per quasi tutta la fronte; i muscoli indolenziti delle sue spalle gli induriscono ogni tentativo di movimento, tanto che lui è costretto a farsi scappare una smorfia di disagio, quando cerca di ricomporsi, come meglio può.
Si alza, e la maglietta che aveva alzata fino quasi al petto scende da sola, oltre il bordo dei pantaloncini del pigiama. Sbadiglia mentre percorre pochi passi in avanti, alla ricerca delle ciabatte da casa e della vestaglia con la quale ha intenzione di scendere al piano di sotto per andare a fare colazione: sarebbe davvero troppo poco coperto, altrimenti, e troppo poco decoroso per presentarsi di fronte ai suoi genitori.
Quando finisce lo stesso gesto, uno sguardo ben conosciuto gli si piazza davanti, all'altezza di sempre.
-Buongiorno, Nitori-senpai!
Una certa premura dell'altro gli ha risparmiato un volume troppo alto della voce, così da lasciarlo nello stordimento della sua prima veglia senza trascinarlo via brutalmente, come altre volte. Aiichirou prova una sorta di gratitudine immotivata, nei suoi confronti, che esplicita con un grugnito poco elegante.
-Buongiorno, Momo.
Gli ci vuole qualche altro secondo, però, per definire sospetto il silenzio che segue alle proprie parole, quando ormai ha già infilato la vestaglia e lo può guardare più che incuriosito.
-Cosa c'è, Momo?
Per la prima volta, vede nella sua espressione tracce di disagio e di imbarazzo, e lo sguardo del fantasma che si fa basso lo meraviglia tanto che fa un passo in avanti, nella direzione di lui – chiude le braccia attorno al proprio petto, sempre un poco sulla difensiva.
-Mi chiedevo se tu stessi bene, oggi.
-Come mai me lo stai domandando?
Non lo aiuta nei secondi di silenzio che seguono, così come segue solo distrattamente la sua mano che sale alla nuca, in un altro gesto pudico. Però Momotarou lo guarda in faccia ogni volta che gli parla, e questa è davvero una cosa bella.
-Ti ho visto mentre ti agitavi nel sonno, e mi chiedevo se avessi fatto qualche incubo.
È sempre stato consapevole di essere spiato in ogni occasione della sua vita privata, anche se ha imparato a farci i conti e a non venir guidato da questo malessere sottile: vivi e morti sono cose ben distinte, e la malizia appartiene soltanto ai primi, come tutta un'altra serie di emozioni spiacevoli.
Aiichirou, proprio perché vivo, sente il cambiamento delle proprie sentenze, e si smuove dalla propria irrinunciabile posizione di pregiudizio.
Accenna un sorriso, con le guance rosse.
-Non più del solito.
-Li fai spesso, quindi?
-Sì, piuttosto spesso.
Torna a guardarlo, e lo vede davvero dispiaciuto. Ne è colpito in un modo che non pensava possibile, e come se fosse una qualsiasi altra persona – come se lui fosse reale, e non un semplice scherzo della sua mente sovreccitata, in grado di recepire ogni traccia che l'Aldilà ha lasciato dietro di sé per pura noia e per puro tedio – risponde alla sua ansia con altrettanta ansia, con altrettanta passione.
-Ah, non devi dispiacerti. Sono cose che capitano, non riesco a controllarlo.
Ma l'altro non si fa incantare, e se con le dita ha cominciato a giocare con i fiori appesi al suo collo, negli occhi ha una sicurezza ancora più risoluta.
-Nitori-senpai, tu pensi a cose brutte, non è vero? È inevitabile fare incubi se pensi spesso a cose brutte!
Non gli dice ciò che gli viene in mente, a quelle parole, circa l'immancabile apparizione di immagini inquietanti e presenze ultraterrene. Il contatto, anche veloce, con tutta quella concentrazione di sentimenti irrisolti, sortisce i suoi effetti in maniera davvero inevitabile.
Il fantasma fa diversi gesti con le mani, come a dipingere nel nulla oggetti di varie dimensioni e azioni diversificate. È abbastanza ridicolo, e questo fa sorridere Aiichirou, rilassato dopo tanto penare.
-Dovresti essere più allegro, Nitori-senpai!
Gli è davvero grato, e per questo non ha esitazioni nel parlare.
-Ti ringrazio, Momo.
Non ricorda bene quando ha permesso a se stesso e all'altro una confidenza più del necessario, ma in quel frangente ne raccoglie i delicati frutti caldi, nel tepore di una gentilezza senza doppi fini. Anche il fantasma sorride, le braccia ancora ben in alto: quello è sicuramente l'inizio di una bella giornata.

 

Con un ultimo gesto delle dita sottili, la cuffia viene sistemata come meglio è possibile sulla testa piccola, a raccogliere tutta la massa di capelli chiari: sui bordi non crea più alcuna piega strana, ma si mantiene liscia e dritta fino a coprire metà della fronte, nascondendo l'attaccatura particolare dei ciuffi morbidi. Aiichirou, prima di uscire dagli spogliatoi, ricorda di dover recuperare anche i propri occhialini, tenuti soltanto nel caso di estrema necessità; torna quindi con qualche rapido passo di ciabatta verso lo sgabello basso dove ha appoggiato la propria borsa sportiva, frugandovi dentro con una sola mano. Una volta recuperato quanto deve, lo alza in aria e lo guarda con un'espressione felice, un poco raggiante, e lo mette al collo senza esitare oltre, lasciandolo ciondolare un poco privo della leggerezza che vincerebbe la stessa forza di gravità.
Nel momento in cui esce dalla piccola stanza, vestito soltanto del costume nuovo che ha comprato e con un accappatoio sulle spalle per dopo, sente la frescura di un ambiente non ancora del tutto riscaldato sulla pelle, in particolar modo sul viso e su tutte le guance. Il sole che entra a fasci dalle finestre alte fa brillare il pelo dell'acqua, e si diverte a rimbalzare sulle piccole onde che increspano la superficie altrimenti liscia della piscina, smossa soltanto dalla presenza di Haruka.
In quel frangente, il club sembra vivo quanto vitale, e quell'allegria di fondo che pervade ogni elemento del gruppo lo contagia senza incontrare resistenza alcuna nel suo animo, ma solo un'accettazione passiva quanto entusiasta.
Uno sguardo va alla signorina Amakata, adagiata sopra i propri avambracci con il busto quasi del tutto esposto dal cornicione della piccola terrazza; sembra stagliarsi contro il soffitto color cemento, come una presenza rassicurante e colorata che li sorveglia da lontano Anche quello fa parte del quadro completo, e Aiichirou non sente l'invadenza del suo sguardo o della sua presenza, per quanto vicina.
Ancora un'occhiata veloce alla struttura che li ospita, chiusa con un soffitto che li ripara da tutto, e la sua attenzione può essere dirottata su un punto preciso.
Makoto, davanti a lui, prende la parola per la prima volta come capitano della squadra, affiancato da una fidata quanto indispensabile Gou e da un vigilante e silenzioso signor Sasabe, con cui già ha potuto discorrere. Coordina in poche parole il riscaldamento, dapprima fuori la vasca e poi anche dentro. Divide gli esercizi a seconda delle persone e delle capacità, e così come affida a Rei il compito di esercitare le proprie gambe con l'utilizzo di una tavoletta, istruisce Nagisa a fare in ben altro modo, perché non perda tempo con qualcosa che non gli gioverebbe a nulla. Haruka, tra tutti, e quello che segue di meno le sue parole, anche se alla fine della giornata il numero di vasche da lui percorso è forse anche superiore a quello di tutti loro.
Aiichirou, d'altra parte, si allena con il capitano, essendo pratico dello stesso stile di nuovo: si immergono prima l'uno e poi l'altro, ma con un solo cenno del capo partono in sincrono e in sincrono vanno, in quell'intesa naturale che è riuscita a legarli dalla prima volta in poi. Qualche vasca assieme, prove di velocità, un paio di staffette a tempo e altro ancora, finché la pelle e l'essenza tutta non sa dello stesso sapore e dello stesso odore dell'acqua.

 

Si perde qualche secondo a guardarlo, quando gli capita di stare abbastanza attento a lui da poter ammirarne la figura.
Haruka Nanase appartiene all'acqua: è così evidente, dalla confidenza con cui tratta e viene trattato dall'elemento, e per un attimo Aiichirou non si sente più il solo e unico – e il suo sguardo si fa meraviglia, stupore, sensazione pura.
Un fluttuo come un altro, sinuoso e longilineo, che si scioglie nell'essenza liquida e non crea attrito nel movimento. Quella visione gli fa nascere dentro un'ammirazione senza pari.
Aiichirou prende di nuovo il respiro e si tuffa, ancora, nell'acqua piena di cloro della piscina.

 

Si sente la felicità addosso, a ogni respiro a pieni polmoni che esala quando riemerge dalla superficie. Inala energia pura a ogni bracciata, per quanto le sue forze defluiscano dal suo corpo e lo lascino via via sempre più svuotato; la sensazione di pienezza è tutta emotiva, e questo gli è facile da capire anche nel momento in cui c'è la mano dello stesso Haruka ad aiutarlo a uscire dalla vasca, a pomeriggio inoltrato, mentre già un sole altrettanto stanco muore in un arancione rossastro per finire inghiottito dall'oceano all'orizzonte.
Un ultimo scroscio: riemerge completamente, e i piedi nudi toccano il pavimento liscio e pulito subito dopo il bordo chiaro. Raccoglie le parole di Makoto, soddisfatto del lavoro svolto durante l'allenamento, e anche le rassicurazioni di Gou, che però si assicura di fornirgli riguardi circa la dieta alimentare da tenere da quel momento in avanti, come se non l'avesse mai fatto prima di quel frangente. Sasabe è l'ultimo a prendere parola, in qualità di loro istruttore, e li minaccia con una vaga promessa di ben altro lavoro che quello. Tutti sorridono, persino lui.
Viene accompagnato agli spogliatoi da Nagisa e Rei, mentre Haruka rimane indietro ad aiutare a mettere a posto alcune cose – passare lo straccio per terra e ritirare gli strumenti usati da tutti loro – anche se forse è una semplice scusa per rimanere ancora un poco a contatto con l'acqua. Aiichirou non ha mai visto una persona così legata a un elemento, ai suoi occhi pare qualcosa di più che affascinante.
La sensibilità che ha, per forza o meno, verso un certo particolare della vita lo rende anche consapevole delle diversità vere che il mondo racchiude, tra cui varie propensioni naturali che non concernono molto con ciò a cui di solito si pensa, immaginando cosa sia l'istinto dell'uomo. Aiichirou ha potuto conoscere persone o fantasmi legati al vento come persone o fantasmi legati alla terra, all'acqua e al fuoco, al suono e alla tempesta, ha raccolto in sé una serie infinita di racconti e aneddoti che racchiudono l'essenza vitale di quella per lui è la concezione dell'umano, anche oltre il nero della morte.
Si sente legato al buio, e allo stesso modo sente Haruka Nanase legato invece all'acqua.
Gli sfiora il pensiero, in un momento di totale distrazione, che se fosse concessa la magia in quel mondo, non si stupirebbe di trovargli attaccata alle caviglie una piccola pinna da pesce. Scuote la testa in tempo, prima di ritrovarsi a immaginare cose impossibili persino per lui.
Gli unicorni, come gli angeli e i demoni, non esistono, ma le emozioni che dovrebbero rappresentare sono più che vere e concrete.
Accompagna Nagisa e Rei fuori dalla stanza che fa loro da spogliatoio, e cammina assieme ai soliti strilli più che eccitati di Hazuki circa la cena che lo attende a casa e la straordinarietà della giornata appena conclusa. Rei non fa così chiasso, eppure riesce a dire cose altrettanto assurde.
Si trova bene, in quell’anomalo concetto di normalità quotidiana, tanto che è solo per caso che si ricorda, quasi sull'uscita della palestra improvvisata, di aver dimenticato qualcosa indietro.
Sorride agli altri due, e fa loro cenno con una mano di proseguire.
-Torno subito, non aspettatemi!

 

Freddo e gelo: tutto stravolto per un solo sguardo di troppo.
Potrebbe anche ripetersi all'infinito, che sia proprio un caso l'aver dimenticato il proprio accappatoio a meno di due metri dalla scena, ancora appoggiato alla sedia dove il signor Sasabe appoggiava il marsupio con le chiavi e i propri documenti, e ogni tanto si sedeva, proprio vicino al bordo. E che, forse, se sta accadendo tutto quello non è propriamente colpa sua, ma soltanto la conseguenza di una serie sfortunata di coincidenze.
L'imbarazzo che lo paralizza deriva essenzialmente dalla sorpresa, non dalla scena in quanto tale – anche se deve ammettere che Makoto, con quel sussurro non troppo lieve, non aiuta per nulla.
-Haru...
Del capitano, vede soltanto la schiena nuda, e il capo chinato in avanti, probabilmente appoggiato alla spalla dell'altro. Haruka, invece, resta chiaramente addossato al muro della parete con la schiena, e si offre a lui in modo spontaneo e tranquillo. Lo sta guardando con occhi che non ha mai avuto, mentre muove la mano tra i capelli dell'altro ragazzo.
C'è il chiaro rumore di schiocco di un bacio, mentre Tachibana si stringe contro Haruka, in un abbraccio che pare davvero esigente: lui non si è accorto di nulla, e il suo compagno non pare per niente intenzionato a renderlo partecipe dell'ospite indesiderato.
Sono soli, dipinti dell'arancio del tramonto in assenza di altra luce artificiale, e sarebbe davvero tutto perfetto tra di loro se solo Aiichirou non fosse presente, a pochi metri di distanza, con il cuore in gola e nessun respiro nel naso. È dietro il muretto basso delle docce che collegano gli spogliatoi alla piscina, oscurato per la maggior parte da quello scudo solido che ne annulla la figura; il viso esposto, al di là di quelle mattonelle lisce, è già troppo.
Si raggomitola a terra velocemente, senza osare fare altro tipo di rumore. Vorrebbe annullarsi all'istante, in qualsiasi modo, e quello che si limita a fare è pigolare piano una richiesta di aiuto e tenersi le gambe strette in un abbraccio.
Un rumore di qualcosa che si muove, forse una panchina o forse una sedia, Makoto che ansima appena più forte. Aiichirou strizza gli occhi e porta le mani alla testa.
-Nitori-senpai!
Accanto a lui, all'improvviso, riflesso sulla parete liscia del muretto, c'è la figura sbiadita di Momotarou. Non ne vede chiaramente il contorno, ma quella voce e quell'intonazione bastano perché lui si fidi in modo assoluto della sua identità.
Piagnucola, ancora pieno di imbarazzo.
-Fammi sparire.
Non lo dice con ferma presenza, soltanto spinto dalla propria vergogna irrinunciabile. Se potesse pensare, in quel momento, si morderebbe la lingua più e più volte, con forza disumana.
Ma Momotarou ascolta la sua preghiera e decide di aiutarlo. Per riconoscenza, per empatia, per reale simpatia nei suoi confronti.
Così, il muro dove la schiena di Aiichirou è appoggiata si annulla all'improvviso, e il ragazzo cade all'indietro proprio mentre due arti, dal nulla, lo stringono in un freddo abbraccio.

 

The Space Between
The tears we cry
Is the laughter keeps us coming back for more
The Space Between
The wicked lies we tell
And hope to keep safe from the pain

[Dave Matthews band – The space between]

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Capitolo 10
*** 9. Capitolo nove ***


9. Capitolo nove

 

 

 

Il nero lo ingloba, ancora una volta, ma Aiichirou non sa se quello che sta vivendo è un sogno, un incubo o qualcosa che si avvicina a entrambe le cose: percepisce troppo, e il suo corpo rimanda sensazioni che non appartengono all'incoscienza dello spirito, quanto piuttosto a un fluttuare senza gravità. Prova a muoversi, e sente tutta la tensione del giorno sui legamenti, che tira e stringe come in un qualsiasi altro momento.
Le braccia che lo sostengono non mollano la presa neanche quando il suo viso si volta all'indietro, cercandone il padrone.
-Momo...?
Non lo vede in volto se non con la coda dell'occhio, e quell'espressione tirata sulle sua labbra gli è difficile da decifrare, lì per lì. Sente il suo cuore che pulsa, forse a un ritmo più veloce del previsto, e il petto morbido premuto contro le sue scapole.
È tutto così vivido, ora, che sembra irreale.
Guarda davanti a sé, cogliendo la sensazione precisa di star cadendo in un fluido, come un corpo morto che guarda verso il pelo dell'acqua mentre affoga pian piano, verso il fondale degli abissi. Solo, non c'è luce oltre la superficie del niente, ed è ancora più strano per questo che riesca a vedere il proprio corpo e quello che lo tiene saldo a sé, come se lasciarlo sia peccato.
La vergogna che ha provato fino a qualche secondo prima è stemperata dall'assenza di punti di riferimento validi, e persino la mente fa fatica a galleggiare in quel buio uniforme.
Si aggrappa a lui con dita angosciate, attorno al suo polso sottile – e l'altro nasconde il proprio viso contro la sua nuca, soffiando piano quello che è senza ombra di dubbio del fiato caldo.
Quando riesce a parlare, dopo diversi minuti di lotta interiore, lo fa in una esalazione sottile, dalle sembianze di gracchiante rantolo.
-Questo è il tuo mondo, Momo?
Sente che scuote la testa, senza suono: ha ancora il cuore a mille, esattamente come il suo.
Aiichirou cerca di tenersi saldo con considerazioni razionali, perché è consapevole di non potersi permettere nessun attacco isterico.
Sa di essere vivo, e questa è un pensiero irrinunciabile; sa che Momotarou è morto, e questo è una convinzione altrettanto indispensabile. Eppure, quello che percepisce è reale come la vita e come la morte, e non riesce a decifrarne la natura implicita. Si agita troppo, in quell'abbraccio, tanto che il fantasma dietro di lui è costretto a intrecciare le dita della propria mano alle sue.
-Non lasciarmi mai! Va bene, Nitori-senpai? Non devi lasciarmi mai!
Aiichirou stringe d'istinto e davvero non vuole fare altrimenti. Sente lacrime di paura uscirgli dagli occhi, e le accoglie come una liberazione dei sensi: una reazione terrorizzata, ma pur sempre una reazione.
Ha un solo spasmo del petto, e finalmente si calma. Quel nero, all'improvviso, si presenta in tutta la sua verità, e non è poi così diverso dalle sue notti.

 

La presa delle sue dita si fa appena più morbida, così come il tono della sua voce. Porta la mano libera al viso, per asciugarsi quelle sottili scie bagnate che si è permesso nell'attimo di debolezza. Ritrovando se stesso, ne deve affrontare anche le dirette conseguenze.
-Dove ci troviamo, Momo?
Lo spirito non gli risponde, sulle prime, e questo gli crea non poco disagio. Si muove una seconda volta all'indietro, cercando la sua testa e anche la sua attenzione.
-Momo?
Sente la tensione di lui iniziare a sciogliersi, almeno lungo le braccia che lo tengono sospeso. Ne ricava una sensazione di tranquillità pacata, senza troppi slanci. La voce di lui è più controllata del solito, ma questo non lo disturba più di tanto, anzi.
-Nel mondo di quelli come me.
-Dei fantasmi?
-Il mondo degli spiriti pieni di rimpianti.
Aiichirou si guarda ancora attorno, come alla ricerca di qualcosa comparso all'improvviso. Comincia a fargli un po' male, tutto quel niente, anche se non si sente più sperso. I suoi capelli e i suoi vestiti, che si muovono come prima sospinti da acqua invisibile – che li gonfia e li rilassa, a seconda del momento – sono una piccola distrazione tra le sue parole, nulla che gli rubi più di due secondi di silenzio.
Neppure sua nonna gli ha mai parlato di un luogo simile, e per quanto la curiosità faccia fatica a dipanarsi dal germoglio con cui è nata nel suo spirito, c'è quella punta di interesse che continua a far vibrare la sua pelle.
-Pensavo vagaste per il nostro come presenze infestanti.
Momotarou strofina le proprie labbra secche contro la pelle nuda del collo di lui, ricercando la fonte di calore a lui più vicina. Il bisogno che ha di sentirlo vivo è palese ed esigente, tanto che Aiichirou prova un poco di disagio.
-Quando non possiamo essere visti, ci rifugiamo qui.
-Ma quindi ce ne sono altri, oltre te?
-Sì, molti altri.
Avvicina le gambe a lui, creando una superficie di appoggio più ampia. La voce si fa sfuggente, ritrovando la propria natura di fantasma.
-Questo villaggio è pieno di spiriti, Nitori-senpai. È un luogo con un passato pieno di peccato e di tragedia.
Ora la sensazione della caduta si attenua, sembra essere terminata in qualcosa di appena più fisico e concreto. Aiichirou, però, poco si fida di quelle sensazioni tutte mentali, perché teme che l'illusione sia più forte di qualsiasi convinzione creata dalla sua mente.
In una situazione del genere, sentire la propria voce aiuta a non perdere completamente il senno.
-Non è da te parlare così.
Momotarou sogghigna, preso in contropiede – quello che Aiichirou capisce è imbarazzo, e se ne stupisce parecchio. Non ricordava neanche lui, d'altronde, come l'altro avesse iniziato la propria esistenza in quanto essere umano, e questo gliel'ha portato di nuovo alla coscienza.
-È la prima volta che un essere umano varca la soglia dello specchio. Non so come comportarmi.
Lo stringe tra le dita, con il pollice che passa più volte, in tanti cerchi, sul palmo della sua mano. Aiichirou rabbrividisce un poco, non sa se di piacere o di una nuova tenue paura.
-E non ho idea di come gli altri potrebbero reagire.
Sospira appena, per scaricare almeno un poco della propria angoscia.
-Questo luogo è soltanto nostro. È la nostra adorata prigione. C'è chi ha la possibilità di scappare da qui, ma sempre ci facciamo ritorno. Da soli, non possiamo realmente andarcene via.
Il ragazzo non ha neanche il tempo di pensare all'implicito pericolo di queste considerazioni, anche se nel suo subconscio è sempre stato consapevole delle conseguenze della furia degli spiriti.
Le storie che porta come bagaglio personale, come ancestrale conoscenza, raccontano non soltanto di streghe maledette, ma anche di demoni e diavoli, di mostri propriamente detti, che non si limitano ad aspettare la morte altrui.
La sua propensione al buio lo rende più sensibile a queste cose, e non può rimanervi impassibile.
Momotarou, però, ritrova se stesso nella propria paura, e finalmente lascia la sua schiena.
-Vieni, ti faccio vedere una cosa.
Non molla la sua mano, neanche un secondo: la stringe di più, mentre si fa al suo fianco e inizia a nuotare nel vuoto accanto a lui. Sorride, perché non ha nulla da preoccuparsi fintante che gli resta accanto, e Aiichirou sente d'istinto di potersi fidare di quella creatura.
Lo segue e qualcosa cambia nel momento stesso in cui prova, con coscienza, questi sentimenti distinti.
Cambia attorno a lui la concezione dello spazio e della materia, qualcosa sulla sua pelle si fa più denso e arriva a pesargli davvero, contro il corpo e la testa. C'è una parvenza di luce, verso cui Momotarou si dirige, sopra i loro capi.
E come se stessero risalendo una lunga conca marina, una grotta risalita dalla sua parte più intima, si arriva senza un reale perché, proprio come in un sogno privato della sua logica, a tastare con i piedi il suolo freddo di un prato coperto di fiori gialli, soleggiato e ventoso.
Da acqua a aria fredda: la pelle di Aiichirou è già asciugata ancora prima che lui possa pensare diversamente.
Rimane sbalordito da tutto, e negli occhi conserva soltanto la meraviglia più palese e sincera.
-E questo?
Momotarou ride tanto, festoso e allegro. Saltella sul posto, così felice da non riuscire a rimanere fermo. Si guardano e cominciano a saltare assieme, mano nella mano, rimbalzando di volta in volta.
Anche i fiori attorno al collo del fantasma paiono brillare, ed è così tutto immerso nella luce che non pare finto.
-Ti piace?
-È tutto così luminoso, Momo!
-Lo so! Qui non viene nessuno perché molti ne rimangono accecati!
-Ma che cos'è? È reale?
-Lo è come lo sono io. E fintanto che io lo ricordo, esisterà.
-È il tuo rimpianto?
-La mia faccenda in sospeso, come dite voi umani.
Una pausa sola, tra di loro, piena di mille sorrisi.
-Non poteva che essere così.
-Cosa intendi dire?
-Beh, è proprio da te. Questo sole, questo prato, questi colori. È tutto così tuo, Momo! È come se fossi dentro il tuo cuore!
Si fermano sotto un albero dalla chioma folta, verde come lo smeraldo alla luce. Aiichirou respira con un poco d'affanno, seguendo l'idea di una concreta fatica. Momotarou, forse, non ne ricorda le fattezze, e non c'è sulla sua espressione neanche una traccia di sforzo, ma soltanto una dolcezza schietta che lo fa sorridere con tutti i denti esposti.
-Sei sempre così gentile, Nitori-senpai.
Pochi esseri umani gli hanno parlato in modo così diretto, e ancora meno lo hanno fatto con l'intenzione di fargli un complimento. Aiichirou concepisce il pensiero di aver appena ricevuto la seconda gentilezza dal fantasma – la prima è stato l'abbraccio che lo ha rapito, anche se a quel modo tanto brusco e tanto improvviso.
Sente calore, dentro il petto, ed è sicuro che non sia soltanto la rappresentazione dei pochi sentimenti che il fantasma riesce a ricordare della propria vecchia natura umana.
-Mi piacerebbe poterti aiutare.
Momotarou lo guarda con occhi strani, intuendo davvero cosa implichi quella frase.
Ha le guance rosse, ora.
-Davvero?
-Sì, davvero. Ma dovresti dirmi tutto ciò che ti ricordi.
Guance ancora più rosse, e uno sguardo che si fa serio.
In alto, il cielo comincia ad annuvolarsi e l'aria si percepisce più fresca, mentre ancora i fiori fanno danzare i propri petali raggianti al passare molle del vento.
-Intendi dire della mia vita nel tuo mondo?
-Esatto.
Non lascia le sue mani, le stringe appena. Il tronco dell'albero dietro di loro trema, come se fosse animato da un cuore impazzito di dolore.
Ed ecco che qualcosa si sfalda, nella felicità gioiosa di Momotarou.
-Non mi ricordo tanto. Mi ricordo che facevo diverse passeggiate sulla spiaggia, le feste del villaggio, il mare in tempesta.
Aiichirou risponde alla sua stretta e si fa più vicino a lui – non indietreggia e sente il suo calore reale quasi in faccia, nello schiaffo morale di un'esistenza che non gli appartiene.
La ragione di questo cambiamento improvviso sta soltanto nella sua natura e nel suo perché: Aiichirou lo sa, come sa che con i fantasmi bisogna soltanto insistere il giusto.
Tutte le verità hanno il loro prezzo.
-Ci dev'essere per forza dell'altro.
-No, non ricordo.
-E quei fiori che porti al collo?
Momotarou si guarda il collo, e pare illuminato da qualcosa che dovrebbe essere un ricordo.
Trema già, senza rendersene conto.
-Questi fior-
Momotarou trema, trema troppo,come se stesse scoppiando dentro.
Tutta la luce del suo mondo viene risucchiata dal suo petto, in pochi attimi, e quindi sputata dalla sua bocca, assieme a un grido disumano. Trema nei suoi contorni e diventa brillante come una torcia, incandescente come il fuoco capace di bruciare ogni cosa.
Quello è il rancore di un altro fantasma, brucia di un'intensità immensa. Aiichirou percepisce quel dolore assurdo non come fisico, in tutta la sua accezione onirica e surreale.
Lascia le mani dell'altro ragazzo, e viene risucchiato dal vuoto attorno a lui.

 

Buio, peggio che in ogni sogno. È tornato nelle viscere dell'assenza pura, catapultato da un sentimento repellente che non lo vedeva come oggetto o soggetto, ma di cui ha potuto soltanto testimoniare l'esistenza.
L'elemento lo avvolge, tirandogli la pelle in un tentativo più che esplicito di possederlo tutto, perché gli appartenga ancora più di quanto già non faccia.
Aiichirou prova paura. Sa di non potersi abbandonare al nero, altrimenti perderebbe se stesso – completamente assorbito da qualcosa che umano non è, si priverebbe della sua consistenza unica. Non ha agganci ai quali sostenersi, non ha luce a cui rivolgersi, non ha niente. Neanche Momotarou.
La sua mente comincia a vacillare. Ricorda vecchie poesie in grado di richiamare l'oscurità, così come di scacciarla: sua nonna si è ben premunita per ogni eventualità possibile, e lo ha dotato di certe capacità indispensabili; in quel frangente, però, non sa né cosa scacciare né cosa richiamare, sospeso in una bolla di totale niente.
Non c'è neanche la sensazione di vuoto, attorno a lui, e questo comincia a essere pesante sia nel petto sia nel respiro.
Una nenia gli viene in memoria, e lui recita e recita, senza fermarsi. Un ritmo più sostenuto del normale, ma che conserva tutta la grande magia racchiusa nella parola salvifica, l'unica cosa in grado di esprimere appieno l'umanità che gli appartiene.
E i ricordi, anche quelli, la sua storia come identità, la sua memoria come essenza.
Il primo fantasma che vide, il cane morto dei vicini. Uno degli anniversari di matrimonio dei suoi genitori, una grande torta alla frutta di sua madre. Un compleanno della nonna, il pacco brutto e maldestro che gli ha fatto – e il suo sorriso. La neve e il freddo di casa. Makoto e Haruka contro la ringhiera.
Apre gli occhi nel buio, di scatto. Prova a parlare ancora, ma dalla sua bocca non esce niente, neanche un lamento funebre.
Ma sente, e si aggrappa a questa percezione labile, una canzone lontano. Volta la testa in quella che concepisce come direzione, e si ritrova ad ammirare il sogno di qualcun altro.
Come un disperato che finalmente ha trovato la fede, compie un balzo, e si ritrova ritto dentro una stanza che puzza di legno marcio.

 

Will you still love me
When I'm no longer young and beautiful?
Will you still love me
When I got nothing but my aching soul?
I know you will, I know you will
I know that you will
Will you still love me when I'm no longer beautiful?

[Lana del Rey – Young and Beautiful]

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Capitolo 11
*** 10. Capitolo dieci ***


10. Capitolo dieci

 

 

 

-La tramontana soffia su corpi distesi nel letto di morte, soffiando via anime come spiriti irrequieti.
Quel luogo ha tratti che già conosce, fattezze che ritrova nella propria memoria – per questo strabuzza gli occhi e poi li assottiglia, incuriosito da tutto quello che percepisce. Si stringe in se stesso, quasi avesse qualcosa tra le mani: c'è di sicuro una sensazione di mancanza, tra le dita, che gli pesa più di qualsiasi altra considerazione.
-La tramontana soffia su corpi distesi nel letto di morte, raccogliendo l'essenza della vita abbandonata.
Il rumore di un oggetto che viene spostato lo desta, e all'improvviso appare davanti ai suoi occhi una corda che pende dal soffitto, di fattura grezza e ruvida. Il vento fischia fuori dalla finestra di vetro opaco, e c'è il battere incessante di un ramo contro la parte pendente del tetto esterno.
Aiichirou pensa di essere capitato in uno dei propri sogni, prima che quella voce maschile non ripeta per la terza volta la strofa di una litania davvero lugubre.
-La tramontana soffia su corpi distesi nel letto di morte, estirpando la colpa con una vendetta buia di notte.
Ecco che allora compare anche un uomo, un uomo piuttosto giovane e dai capelli di un rosso tanto scuro e cupo da sembrare quasi viola. Ha l'espressione assente, guarda in alto mentre sulle assi del pavimento fa strisciare i piedi di una sedia, fino a portarla sotto il cappio.
C'è gelo, nella soffitta, e Aiichirou si accorge di non star respirando da troppo tempo.
-E dal mare sorgerà il peccatore con falce assassina. E dalla terra risorgerà la putrefazione dimenticata. Nero che fagocita ogni spilla di luce.
Immancabilmente, sente quel dolore: la sensibilità viva lo rende preda facile dei rimpianti dei morti.
Il ragazzo si appende che ancora la bocca gli è piena di parole, calcia lontano la sedia e rimane a dondolare nel vuoto, come un fantoccio privo di consistenza.
E quando si volta verso Aiichirou, i suoi occhi ancora si muovono, e il sorriso gli appare su quelle labbra screpolate, rivelando denti da squalo affamato di vita e di altro.
-Oh, come vorrei intonare strofe d'amore. Se solo la mia lingua ne fosse capace, canterei tutto il tempo che mi resta aspettando l'ultima delle mie ore.
Veste come un fantasma puro, di un bianco latte che ne annulla le fattezze umane. Ha sul viso quel gonfiore tipico dei morti per asfissia, e gli occhi iniettati del rosso di un sangue rappreso anzitempo.
Aiichirou trema con tutto il proprio essere; gli occhi gli si sono così spalancati da fare male in maggiore misura, e nessuno dei suoi muscoli accenna al movimento.
Rin rimane la sola cosa che si muove, lì dentro, mentre la tempesta continua a perseverare.
-Tu hai paura dell'abbandono, giovane disperso? Io non ne ho avuta abbastanza.
La soffitta intera, come se fosse un'unica esistenza con lui, scricchiola e pare cedere verso l'interno di sé. Una prigione dalla quale è impossibile uscire diventa soltanto teatro di una morte continua e dolorosissima.
Aiichirou retrocede, spaventato ancora di più – cade nel vuoto, all'indietro, come si fa quando si inciampa in qualcosa.

 

Il tallone si scontra con qualcosa di duro, e lui perde di nuovo l'equilibrio, sbilanciandosi, munito di colpo della forza di gravità. Sbatte con il sedere contro cemento duro, e all'ultimo secondo vi ci graffia anche il palmo della propria mano portata all'indietro nel tentativo di attutire, in qualche modo, la caduta. Macchia il suolo del suo sangue rosso, di qualche goccia appena.
Apre di nuovo gli occhi, ritrovandoseli chiusi e non il ricordo di averlo fatto in precedenza. La percezione del luogo è cambiata: è in un altro sogno, ora, nella mondo di un altro fantasma.
Iwatobi si presenta a lui deserta, appannata dello stesso colore del fondale marino in una notte di tempesta – il cielo è pieno di nuvole gonfie, grigie, che tremano di tuoni e si illuminano di bagliori fulminei.
Muove la testa di scatto, da una parte e dall'altra. Non c'è il minimo segno di vita umana né animale, soltanto qualche pianta qui e là, ma nulla di che.
La terra trema, secondo il suono del cielo, e pare borbottare un certo astio. Aiichirou capisce di non essere il benvenuto, in quel luogo. Si affanna a muoversi, sentendo le membra scattanti per la troppa paura.
Una volta voltato l'angolo di quel vicolo di corsa, senza considerare la quantità e la qualità del fiato che gli ferisce gola e polmoni, riconosce la strada che si distende davanti ai suoi occhi: solo una delle tante discese che portano alla spiaggia, costellata di scogli appuntiti. Scatta verso destra, proseguendo dritto verso una meta diversa.
Al suo fianco, può vedere il mare ribollire: ha il fuoco dentro, e una gran rabbia che non fa fatica a riemergere. Ringhia e si dimena, si dibatte intrappolato in qualcosa di stretto.
Aiichirou cade a terra quando la caduta di un fulmine lo coglie di sorpresa, e si graffia ancora le mani di cemento. Emette un suono pietoso, di animale in trappola – ma fugge prima che dei tentacoli di vento lo prendano per le caviglie e lo trascinino lontano.
Passa davanti alla casa della vecchia signora Mei, tagliando per quel suo giardino curato con la sabbiolina fine e bianca; ha un aspetto diverso da quello che si ricordava, meno fatiscente e con meno piante esposte. Corre in avanti, ritrovandosi però la strada bloccata da una casa che non esiste, nella sua memoria.
Fa in fretta a trovare una via di fuga, perché la mente eccitata dal terrore non gli concede un attimo di tregua.
Alla fine, riesce a vedere la propria dimora, e vi si avvicina di gran corsa. La porta d'ingresso si apre senza chiave, lui vi entra e vi appoggia contro la schiena quando la deve richiudere, scivolando a terra in preda alle convulsioni.
Ha la fatica di mille corse sulle gambe, ma la porta contro le sue scapole trema e preannuncia catastrofe. Ringhia ancora. Deve sbattere con violenza la porta, facendo sussultare Aiichirou e tutta la casa, perché il ragazzo urli e scappi spaventato.
Fa quello che l'istinto gli dice: corre verso camera sua, chiudendovisi dentro.
Si guarda attorno e ancora si accorge che niente, di quello, trova riscontro in ciò che gli appartiene. Il letto, i mobili, persino le tende della finestra.
Tranne lo specchio grande addossato al muro.
E prima che tutto crolli sopra di lui, vi si tutta dentro senza la minima esitazione.

 

Agonizza sul tappeto della propria stanza, come se gli sia concesso di vivere soltanto dopo aver raccolto i pezzi sparsi della propria anima. Rantola con le braccia chiuse al petto, nella posa in cui gli insetti deboli si concedono alla morte: sguardo al soffitto, parole vuote tra le labbra.
Sente un dolore al petto che non sa come descrivere con parole umane. Eppure, ovunque vadano i propri occhi, vede oggetti che può riconoscere e può definire, che concepisce nella funzione e nella finalità, di cui ricorda la storia e che può tranquillamente nominare in un soffio di coscienza.
La luce penetra dalla finestra della stanza in fasci chiarissimi, illuminando a chiazze il pavimento su cui è ancora disteso.
Grida piano, annaspando. Sente la pelle della pancia tendersi nel gesto, ritrova la propria tridimensionalità. I polmoni si riempiono di aria vera e due lacrime scendono dai suoi occhi, a reclamare la vita come una cosa necessaria e assolutamente fondamentale.
Non trova niente di utile nel proprio cervello, e quindi decide di non pensare, non ancora almeno.
Appoggia la pianta dei piedi a terra e sente, in un brivido, il freddo della mattonelle che ricoprono il pavimento della stanza. Muove le dita piano, tendendo e rilassando un paio di volte, poi apre le gambe e lascia che le cosce si spalanchino per colpa della gravità, inermi come tutto il resto.
Finalmente, trova il fastidio dei capelli appiccicati in fronte. Passa una mano sulla frangia scomposta, spostandola dagli occhi e liberando così il proprio campo visivo. Le dita, però, una volta raggiunto il capo da lì non si muovono, si chiudono a pugno e battono qualche colpo.
Dolore, c'è dolore fisico.
Aiichirou piange ancora, in un altro spasmo, riversando la paura all'esterno del proprio corpo. Quello non è il sogno di un altro fantasma, la sua vera realtà d'essere: il mondo che appartiene al giorno a cui lui è naturalmente votato.
Rotola sul fianco, per poggiare le mani aperte a terra. Sente dolore, sui palmi, e il bruciore tipico dei tagli non profondi. Con la testa che ciondola in avanti, tra due spalle morbide, riesce ad alzarsi sulle ginocchia, come prima tappa.
Sente poi un rumore proveniente dal basso, piano terra della casa. Sua madre annuncia il proprio arrivo con il solito saluto pieno di stanchezza e di abitudine, che fa fatica a essere davvero allegro.
Ma quello è l'ennesimo incantesimo scatenato da parole umane: Aiichirou si ritrova in piedi in qualche secondo, con la capacità di compiere più passi l'uno dietro l'altro. Scende le scale senza troppe incertezze, senza modificare l'espressione stravolta del viso.
Quando compare di fronte alla donna, appare quasi un fantasma: lei sobbalza, colta di sorpresa, e non riesce a sorridergli subito.
-Ai-chan, che succede? Perché stai piangendo?
Suo figlio scuote la testa piano, come faceva quando era piccolo e le diceva di aver visto cose muoversi nel buio, di notte. Stesse lacrime, stessa espressione: il tempo non sembra essere proprio andato avanti. Questo pensiero la immobilizza, e la lascia inerme mentre lui le abbraccia la vita e nasconde il proprio viso contro di lei.
L'abbraccio arriva dopo pochi secondi e dopo pochi singhiozzi, stretto e morbido.

 

Guarda immobile il posto vuoto accanto a sé, senza riuscire neanche a continuare a masticare il boccone che ha tra le guance.
C'è una tovaglietta apparecchiata, con la ciotola piccola per la zuppa e quella un poco più grande per il riso, un piatto bianco non ancora riempito e le bacchette unite posizionate in bilico su di esso, in attesa di essere prese e utilizzate. La sedia però non sorregge nulla, ed è la causa principale di quel silenzio davvero troppo che è stabile quanto stantio nella casa da ormai tre giorni.
Il signor Nitori appoggia con troppa veemenza il proprio riso sul piano orizzontale del tavolo. L'irritazione delle prime ore non è scemata, ma ha lasciato posto via via sempre più alla preoccupazione, per quanto al suo orgoglio costi ammetterlo. Non può che lanciare un'occhiata di tralice alle scale che danno al piano superiore, come ad aspettarsi che il figlio, soltanto per il suo volere, compaia zampettando dal nulla e prenda il suo posto accanto a lui.
Andrebbe bene anche una qualsiasi scusa, oppure la totale assenza di questa: comincia davvero a non sopportare tutto quello e non ha intenzione di nasconderlo un minuto di più.
Il giorno prima ha bussato con energia alla porta di Aiichirou, senza entrare nella sua stanza. Gli ha intimato diverse cose, e gli ha fatto notare con poca dimestichezza di grazia che non era possibile che un ragazzo della sua età saltasse così tanti giorni di scuola, che avrebbe dovuto prendersi le responsabilità della propria età e non accontentare i capricci dell'ultimo momento. La mancanza della reazione di Aiichirou lo ha fatto sentire davvero impotente, sentimento che mai prima di quella situazione ha potuto provare così forte e acuta.
Non lo capisce, ed è forse questo che gli fa davvero più male. In gioventù e durante tutta l'infanzia ha dovuto subire le stramberie di una donna convinta di vedere chissà cosa, nella realtà a lui invisibile, e di conoscere verità inaccessibili al più della società; ha patito diversi schermi, sguardi malevoli e la concreta possibilità di non essere inserito in alcun gruppo, l'umiliazione del diverso. Si è ripromesso, anzitempo, di salvare il proprio unico figlio da quel destino e di fare tutto il possibile perché quello non accadesse anche a lui.
Ma è stato tradito dal proprio stesso sangue, che ha provveduto a donargli un altro di quegli esseri: un ragazzo con le stesse capacità assurde di sua madre. Non è stato così meschino da considerare Aiichirou come un fallimento, perché suo figlio è e rimane il prodotto dell'amore con sua moglie, e questo niente può cambiarlo. Eppure, non sa come gestirlo.
Non sa come combattere la sua paura.
Non sa come porgergli parole di conforto.
Non sa come trovare una soluzione per i suoi mali.
E tutto questo gli crea molta rabbia dentro, e un disagio che non riesce a esplicare.
Quasi balza sulla sedia, quando decide di dover fare qualcosa – ha ancora gli occhi puntati sulle scale, uno sguardo che non mira ad altro. Però si blocca, così come ha iniziato il movimento, quando sente una mano gentile e ferma serrare le dita attorno al suo avambraccio, nel tentativo di placare la sua ira. Si volta, e vede la signora Nitori con il volto rivolto in basso, i capelli morbidi afflosciati sulle spalle.
La testa fa un movimento di diniego, e questo basta più di tante altre parole. Non è così che sconfiggeranno il suo dolore, e nell'intimo del suo cuore lo sa anche l'uomo.
La sua espressione si modifica a ira cieca, e passa tutte le fasi della furia anormale. Si spegne piano, quando torna a sedersi a capotavola e quando prende in mano la ciotola del riso.
Non ha più fame.

 

That I love you
I have loved you all along
And I miss you
Been far away for far too long
I keep dreaming you'll be with me
and you'll never go
Stop breathing if
I don't see you anymore

[Nickelback – Far away]

 

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Capitolo 12
*** 11. Capitolo undici (Flashback) ***


11. Capitolo undici
(Flashback)

 

 

 

Sousuke Yamazaki amava farsi accarezzare dal vento. Saggiava sulla pelle la delicatezza di quell'elemento dalle possibilità terribili, che sembrava quasi divertirsi tra i suoi capelli e i suoi vestiti stretti assieme al piacere della sua stessa anima. Sentiva tutto ciò che lui raccoglieva, correndo su quella terra: gli odori, le storie, i colori e tutti quei segreti bofonchiati piano quando nessuno pareva sentire. Le orecchie del vento erano le orecchie di Sousuke, perché lui sapeva ascoltare fin troppo bene.

 

C'era un lungo e grande prato, sulla collina che innalzava il villaggio Iwatobi. Un sacco di fiori diversi, tutti sbocciati verso la fine di aprile, rendevano la primavera un tripudio di colori e bellezza a cui pochi sapevano resistere. I ragazzi più giovani, quando liberi da impegni scolastici, correvano di lungo e in largo, perdendo l'orientamento dell'unica strada battuta che portava da una parte all'altra del piccolo villaggio, unendo la casa patronale del signorotto locale alle dimore popolari del resto della gente.
Sousuke, come ogni giorno, passava lungo l'intero fianco di quella distesa immensa di verde, camminando quasi sulla punta estrema della scogliera dove la collina si buttava a precipizio giù al mare, in verticale, tra scogli e altre rocce dall'aspetto pericoloso. In quel punto, poteva sentire forte l'aria piena di salsedine, e i rombi entusiastici delle onde che si infrangevano contro la parete di dura terra. Ogni tanto guardava in basso, perché gli piaceva vedere come la schiuma bianca del mare si insinuasse nelle fenditure nere verticali creando dei contrasti più che interessanti. Poteva anche guardare l'orizzonte lontano, da quel punto, e ripetersi in continuazione che lo avrebbe raggiunto, prima o dopo, ovunque si trovasse davvero, perché come il vento voleva essere: guidato da una libertà d'essenza illimitata, priva di ogni tipo di catena.
Ad un certo punto, la strada cominciava a pendere, verso l'alto o verso il basso – dipendeva da dove si erano iniziate le proprie considerazioni – e anche se di rado Sousuke esternava in modo palese la propria felicità, quel giorno decise che ne sarebbe valsa la pena. Strinse nella mano destra il rastrello nuovo che aveva comprato al mercato quella mattina stessa, lungo il manico di metallo che l'aveva aiutato a considerarlo abbastanza solido da non rompersi per un bel pezzo, e cominciò ad accelerare il passo, finché non venne aiutato anche dalla gravità che lo spingeva in avanti.
Rincorreva e veniva rincorso dai mille sospiri soffusi del vento.
Investì una farfalla dalle ali arancioni, e se la portò appresso per qualche passo prima che quella appassisse a terra, tra i fili di splendida erba. Ne raccolse, in memoria, l'impronta dell'ultimo rumore delle sue ali, per conservarne almeno un poco di bellezza viva.
Sousuke corse finché, in lontananza, non riuscì a scorgere le fattezze della residenza della famiglia Matsuoka – seppe, allora, di essere entrato nella loro proprietà, e quindi di essere giunto alla propria destinazione.
Giardiniere per l'uomo più ricco del luogo: come lavoro era qualcosa che faceva invidia a parecchi, specialmente perché era stato dato proprio a lui.
Sousuke lo strambo, Sousuke lo svitato, Sousuke che sentiva le voci.
Anche Sousuke sentiva le voci piene di malizia dei suoi compaesani; le sentiva davvero, perfettamente, e quando da piccolo gli avevano dato ripetutamente del bugiardo aveva giurato di dire sempre, sempre la verità. Questo, almeno nelle sue convinzioni, lo avrebbe protetto per sempre da ogni possibile cattiveria altrui.

 

Il suo mestiere prevedeva un'attesa quieta dello scorrere del tempo, lo zittire della frenesia vitale così tipica di tutti gli esseri umani, così preoccupati del momento della fine da non riuscire a gustarsi lo sbocciare di fiori sempre nuovi a ogni primavera che nasceva all'inizio dell'anno.
Colmo di una verità sempre eterna, Sousuke ritagliava quella serenità nello spazio che gli era concesso, e la custodiva come una delle cose più preziose al mondo. Non aveva rinunciato a quella sua passione naturale che aveva nell'animo, perché il suo spirito era comunque umano e si accendeva divampando in una forza incredibile, qualora necessitasse di essere messa alla prova; di fronte alla bellezza reale, però, si ammansiva, diventava placida, veniva domata da quell'ultraterreno che lo colmava di beatitudine vera.
La maggior parte del tempo veniva occupato dal rastrellare la sabbia bianca della parte ovest della residenza, dove una distesa di candore addolciva ogni sensazione racchiusa nel suo sguardo. Curava anche la pianta bassa che vi cresceva in mezzo, vecchia tanto quanto il padrone di casa – il vecchio padrone, ormai morto, aveva piantato quel seme prezioso il giorno stesso della nascita del primogenito, per celebrare il lieto evento. Un ciliegio importato da sud, perché da sud i Matsuoka erano venuti, almeno cinque generazioni prima. Era sopravvissuto, tristemente, all'uomo il cui arrivo aveva celebrato, lasciando la casata in mano alla moglie e a un solo figlio ereditario, girovago quanto il vento.
E ogni anno, Sousuke era il fortunato che raccoglieva tutti quei petali rosati dei fiori – li metteva in diverse teche per seccarli, e quindi darli alle poche signore del villaggio che ancora gli parlavano perché odorassero di buono gli ambienti delle proprie dimore.
Ogni tanto, il capo-giardiniere lo chiamava per un aiuto a diserbare le erbacce cresciute nelle aiuole più grandi, poste davanti all'entrata principale, che circondavano una fontana di marmo sempre attiva e splendente. Il vecchio si dimenticava sempre di ricordargli di portare i guanti, e spesso Sousuke doveva usare, per lavorare con ortiche e altre creature simili, le proprie mani nude, così da tornare a casa la sera pieno di lividi e vesciche.
Pensava di non poter essere più felice di così.

 

Sousuke sapeva bene chi fosse Rin Matsuoka: era il figlio del padrone con cui giocava spesso, da più piccino, mentre sua madre occupava il tempo a pulire e ripulire l'argenteria della signora – gli anni e l'artrite le avevano poi impedito di muovere più le mani senza tremare, e benché la famiglia Matsuoka ricordasse i servigi resi e le mandasse a casa, in caso di necessità, diverso cibo con cui sfamarsi, non poteva porre rimedio a una malattia così intima.
A Rin piacevano le sfide, ed era velocissimo. Faceva sempre a gara a chi arrivava primo al villaggio, presso la salita al santuario degli dei, oltre la spiaggia grande dove si fermava la scogliera. Ogni tanto vinceva, ogni tanto no, anche se le sue gambe erano più lunghe di quelle dell'altro.
Quando era partito per il college, in un paese con il doppio della popolazione, non aveva nascosto di star soffrendo molto. Rin si era anche proposto di mandargli delle lettere, durante la sua assenza, ma sarebbe stato alquanto inutile, perché Sousuke a quel tempo non sapeva neanche leggere. Rin glielo aveva insegnato, così che le lettere che gli arrivavano sempre avessero qualche tipo di senso, anche quando lui dava sfoggio di parole complicate appena imparate in quella scuola lontana.
Rin era l'unico che gli credeva sempre, ed era sinceramente legato a lui.

 

Quello era l'ultimo anno di scuola per il giovane erede. Anche l'università era finita, e lui si era istruito a dovere.
Per il ritorno in grande stile, la signora Matsuoka aveva richiamato tutta la poca servitù, posizionandola a cerchio nel cortile principale; lei al centro, con addosso il suo abito migliore di sempre.
Sousuke sentì l'arrivo di Rin ancora da lontano, assieme a un rumore davvero insolito: una macchina, sembrava, che sputava dal retro fumo nero in gran baccano. Anche tutti gli altri la videro, quando fu abbastanza vicina da essere registrata con lo sguardo.
Non c'erano mai state macchine a Iwatobi, prima di allora, e questo solo fatto fece un gran scalpore sia tra gli abitanti del villaggio sia tra la servitù lì presente che guardava più che attonita. Quando Rin scese, indossava un completo in stile occidentale, che ammutolì ogni presente e persino la padrona, stretta nel proprio kimono tradizionale.
Era elegante, sicuro, anche abbastanza arrogante, con i capelli lunghi e quasi spettinati, legati solo da un laccio all'altezza della nuca; un cilindro nero sopra la testa, che pareva buffo come niente altro al mondo.
Il giovane uomo si fece avanti, e qualcuno finalmente lo accolse: Sousuke, con un inchino profondo e un gran sorriso.
-Padrone Matsuoka.
La stasi di tutti durò poco, perché subito seguirono inchini di ogni tipo e un generale saluto di benvenuto. Durò poco, ma abbastanza perché Sousuke captasse lo sguardo diretto del proprio giovane padrone, dritto su di sé.

 

-Avete visto? Il signorino Rin è tornato!
-È ancora più bello di quello che mi ricordavo!
-È sempre stato bello, sciocca!
-Oh, guardate, guardate! Sta passando!
-Viene a salutarci tutti, che gentile!
-Beh, ora è lui il padrone del villaggio. È anche giusto che si faccia vedere.
-Questa volta quindi resterà?
-Resterà per sempre a Iwatobi. È diventato un dottore!
-Un dottore?
-Si è laureato.
-Oh!
-Oltre che bello, è anche molto intelligente, quindi!
-Ma si sa qualcosa, non so.
-Parla chiaramente.
-Si sa se è impegnato con qualcuna? O se è promesso!
-Non credo.
-Magari è soltanto molto riservato, e non lo dice.
-Ora che è libero da altri impegni, immagino comincerà a cercare moglie.
-Davvero?
-Beh, è naturale, no? Chi vuol rimanere solo per tutta la vita?
-Dovrà riempire quella casa di tanti bambini!
-Bambini bellissimi! Meravigliosi!
-Ora non cominciare a fantasticare troppo. Ricorda il tuo posto.
-Immaginare non offende nessuno, no? Che male c'è a farlo?
-Non mi dispiace.
-Oh, guardate! Sta arrivando qui, sta arrivando qui!

 

Rin aveva la pessima abitudine di fumare, prima di coricarsi per andare a dormire; si sedeva sull'altalena bassa che sua madre aveva costruito tanto tempo addietro, quando ancora giocava tranquilla con il proprio marito, appesa a due pali su cui iniziava il grande roseto di famiglia, curato esplicitamente solo dalle mani sapute del capo-giardiniere.
Lì Sousuke lo trovava sempre, dopo aver concluso il proprio lavoro: riordinare, dare un'ultima volta da bere alle piante con il favore del buio, scacciare i piccoli rapaci chiari che si nascondevano volentieri tra le fronte degli arbusti più alti.
Circondato dalle rose, padron Rin sembrava ancora più bello.
Sousuke si avvicinò con un passo silenzioso, senza disturbare la quiete dell'altro. Una volta vicino, fermo accanto al palo di destra, Rin gli sorrise e gli porse la sigaretta che aveva portato appositamente per lui – l'accese con un fiammifero esile, per spegnere quell'unica luce nell'aria con un gesto rapido della mano.
Stettero tranquilli, l'uno accanto all'altro, in silenzio per diversi minuti. Sousuke continuava a fissarlo, in viso o lungo il corpo che fosse, e Rin non lo trovava per niente strano.
Il padrone buttò la testa all'indietro, senza sbilanciarsi, così da esporre il collo bianco. Lo guardò con occhi stanchi, assonnati.
-Sei cresciuto parecchio, Sousuke.
-Anche lei.
Fece una smorfia piuttosto esplicita.
-Non essere così formale! Siamo soli!
-Scusami.
Non disse altro, oltre quel mezzo sorriso sincero: sarebbe stato un poco difficile spiegargli, senza mostrare imbarazzo, come la lontananza lo avesse privato dell'abitudine cara dell'intimità con lui. Era solo un po' di debolezza, e di desiderio a venir ripreso da quella voce piegata alla stizza.
Rin gli piaceva anche così.
Il padrone carezzò con la punta delle dita un bocciolo chiuso, rosso intenso, la più bella delle rose del giorno. Poi si sporse all'indietro, e Sousuke capì abbastanza in fretta di dover andare dove la testa di lui sarebbe arrivata, per sostenerlo e averlo contro di sé.
Rin era disinvolto in queste cose, aveva l'animo da signore per quanto riguardava l'esternare le proprie emozioni. Sgombro di pregiudizi e preconcetti.
E un tono della voce così morbido da far sciogliere.
-Hai ricevuto l'ultima lettera?
-Sì, l'ho ricevuta.
-L'hai anche letta?
-No, lo direttamente lanciata nel mio caminetto per riscaldarmi un po'. Sai, questa primavera è molto più fredda del previsto.
Non riuscì a trattenersi dal ridere quando vide la sua faccia così scandalizzata e mortificata – posò però una mano sulla spalla di lui, per non indurlo in tentazione di allontanarsi da lui, anche se così irritato.
-Stavo scherzando.
-Sei un'idiota!
-E tu un credulone.
Scosse la testa, prima di appoggiarla di nuovo contro il suo ventre. Sousuke non aveva niente di morbido come le camice di lui, o quelle giacche eleganti che aveva portato con sé dalle grandi città; indossava semplicemente i suoi stracci da lavoro, un kimono grezzo che ormai era diventato persino troppo corto per la sua stazza.
Poco importava, però: il profumo dei capelli di Rin lo distraeva da quelle stupidaggini.
Lo accarezzò lì, scivolando di tanto in tanto anche sulla nuca – Rin si dimenticò della propria sigaretta, sotto le sue dita.
-Non mi hai dato tempo per rispondere, però.
-Non è colpa mia se le lettere arrivano così lente, qui.
-In città sono più veloci a consegnarle?
-Nel giro di pochi giorni. Da quando abbiamo le macchine, tutte le distanze sono molto più corte! È come viaggiare per un mondo diventato più piccolo.
Aveva gli occhi chiusi, e un totale abbandono in corpo, come se non sentisse alcun tipo di pericolo.
Era bello, e si fidava di lui come nessun altro faceva.
Ma il sentimento di riconoscenza e di gratitudine era qualcosa che apparteneva soltanto all'adolescenza di Sousuke, perché in quel momento ben altro lo animava.
Quella lettera era arrivata dopo un mese da quando era stata scritta, secondo la data registrata da Rin, e appena una settimana prima del suo grande arrivo a casa.
Parlava di determinate cose che avevano lasciato sveglio Sousuke per sette notti di fila, e reso ancora più frenetico di giorno. Conteneva domande tanto imbarazzanti che Sousuke aveva impiegato cinque tentativi – li aveva persino contati – prima di intendere coscientemente cosa intendesse.
Si era maledetto per averglielo lasciato fare per primo, perché se fosse stato per lui non ce ne sarebbe stato neanche bisogno: tutto come prima doveva continuare, perché era già abbastanza perfetto.
Ma Rin aveva trovato il modo di renderlo ancora migliore.
Sousuke lo accarezzò sulla guancia, per richiamare la sua attenzione.
-Mi piacerebbe vederlo assieme a te, questo fantomatico mondo.
-Beh, lo puoi fare. Se lo vuoi.
-Lo voglio.
Rin alzò lo sguardo. Luccicava, colmo di una felicità indescrivibile. Nell'aria, c'era il suono di un pianto meraviglioso, che Sousuke avrebbe sicuramente amato.
Come tutto il resto, d'altronde.
-Sì?
-Sì, Rin. Lo voglio.

 

Take me to church
I'll worship like a dog at the shrine of your lies
I'll tell you my sins and you can sharpen your knife
Offer me that deathless death
Good God, let me give you my life

[Hozier – Take me to Church]

 

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Capitolo 13
*** 12. Capitolo dodici ***


12. Capitolo dodici

 

 

 

Ha percepito addosso, dal momento in cui è entrata in quella casa, una pressione strana, qualcosa che non le capita spesso di riscontrare nella dimora di persone tranquille e dalla vita apparentemente normale. Sembra quasi aria pesante, mista a una sostanza appiccicosa e invasiva come lei potrebbe definire l'olio o il catrame: resta incollata addosso e impregna, grava sui muscoli e sulle ossa, stordisce i sensi.
Eppure, nessuno dei ragazzi che sono con lei sembra badare a questa cosa, o sembra risentirne. Sono pieni di sorrisi e di belle parole per i padroni di casa Nitori come conviene per etichetta, e paiono piuttosto presi dal tè e dai dolcetti che la signora ha offerto loro, dopo averli fatti entrare dalla porta d'ingresso. Si vede la preoccupazione nell'espressione di lei, anche se tenta di mascherarla con una gentile accondiscendenza nei loro confronti: di certo, avere all'improvviso un figlio tanto malato da non riuscire neanche a rispondere al telefono per quattro giorni non deve essere una cosa molto rassicurante.
Gou non osa guardarsi attorno, perché ha come timore che, vedendo il proprio riflesso su una qualsiasi superficie riflettente della dimora, possa scorgere qualcosa che non è di quel mondo. Lei non ha mai avuto paura dei fantasmi, ma non può che ammettere di avvertire strane presenze, a casa Matsuoka, nelle notti di tempesta impetuosa. Più o meno assomigliante al lamento funebre di un'anima priva di pace che vaga, vaga, e poi cessa del tutto il proprio essere: è nel silenzio così mortale che lei depone i propri più oscuri timori.
Si parla di scuola, per alcuni anche di progetti futuri, si parla del tempo e dell'attività dei genitori. Makoto parla un po' per tutti, si vede che è il capitano del club anche in questo. È sempre morbido, d'altronde, e non forza mai al silenzio imposto la parte di cui è portavoce.
Quando è concesso loro di avvicinarsi alla camera personale di Aiichirou, vengono lasciati semplicemente a ridosso delle scale che portano al piano superiore con un gentile invito a fare sentire la propria amichevole voce. Salgono tutti, uno a uno, e Gou rimane un poco indietro, per distrazione.
A ogni gradino sente quella sensazione di prima farsi sempre più evidente.
Il corridoio del secondo piano è piuttosto stretto e lungo, e li obbliga a rimanere quasi in fila indiana. C'è Makoto davanti a loro, affiancato da Nagisa e da Haruka – il primo tocco di nocche è di Tachibana, che riesce a essere delicato come sempre.
-Aiichirou, siamo noi. Siamo venuti a trovarti.
Nessuna risposta, da dietro la porta. Gou sospira affranta dopo altri tre tentativi, e anche quando intervengono Nagisa e Rei la situazione non cambia molto. Aiichirou arriva a parlare, pieno di scuse e di ringraziamenti, ma non apre mai la porta.
Pare tutto molto stanco, flemmatico, sul punto di sciogliersi con un niente. Gou lo sente, e la sua preoccupazione si fa davvero reale: è tutto lì dietro, e ha come centro proprio il giovane Nitori.
Bussa anche lei.
-Ai-chan, noi siamo tuoi amici. Siamo venuti qui per te. Non ti devi preoccupare.
Refrattario, il ragazzo insiste in un testardo silenzio, e c'è anche quasi la tentazione di lasciar perdere e di tentare, magari, un altro giorno; Makoto frena la mani di Nagisa, già sulla maniglia, in un gesto imposto però per nulla educato.
Gou non stacca mai gli occhi di dosso la porta, neanche quando questa inaspettatamente si apre per solo uno spiraglio di vuoto.

 

Sono composti tutti a sedere, sul tappeto morbido della stanza dove sono stati fatti accomodare. Makoto è un poco a ridosso dell'armadio e Rei ha le gambe stese sotto la scrivania, per un pezzo sotto le ginocchia, e la camera non è mai stata così piena di vita e di carne come in quel momento. Aiichirou è sul bordo del letto, con il pigiama mollemente messo addosso, e stringe in un abbraccio un cuscino dalla federa rosa. Li guarda un po' tutti, e da tutti un po' fugge con lo sguardo, senza posarsi su nessuno di loro in particolare. Morde il cuscino con la punta di denti bianchissimi.
-Ai-chan, perché non hai risposto mai al telefono?
Nagisa si sporge verso di lui, alzandosi un poco sulle proprie cosce. I suoi occhi grandi lo stanno a dir poco squadrando, tanto che gli sembra essere totalmente inglobato da quella massa violacea. Ha una contrazione alle spalle, come un piccolo brivido, che Gou registra con sguardo attento.
-Mi dispiace.
-Eravamo tutti davvero preoccupati per te!
-Vi chiedo scusa.
Aiichirou sa che quella è pura e sincera preoccupazione, non ha motivo di pensare il contrario – e per quanto possa essere sfacciata, non è così maleducata da poter essere usata come pretesto per un'ignobile fuga. Deve rimanere lì, ancorato alla propria gravità, a fare i conti con i sentimenti altrui.
Gou, però, non è la sola che ha notato il suo disagio: Da dietro, Makoto tenta di acquietare la troppa energia del suo compagno di club con una voce impastata di morbido e tranquillo, che non tradisce fretta né sentimenti adulteri.
-Suvvia, Nagisa. Non c'è bisogno di comportarsi così. Aiichirou è stato male per tutti questi giorni, non devi stressarlo di più.
Nagisa lo guarda male, gonfiando le guance a quella insinuazione.
-Io non lo sto stressando!
Però, dopo, non parla per diversi secondi, forse considerando anche il punto di vista del proprio capitano. Non è sua intenzione mortificare Aiichirou, in alcun modo. Il suo silenzio permette anche agli altri di intervenire, e il primo che ne approfitta è Rei, quello più vicino al letto del malato.
Ha un tono gentile, seppur in modo diverso da Makoto: è una strada in mezzo al capitano e a Hazuki, che vela di dramma e di commozione un'educazione altrimenti troppo fredda.
Aiichirou, nel suo intimo, gradisce tutte quelle forme di umanità.
-Ora come ti senti, Nitori-kun?
-Un po' meglio, grazie.
-Pensi di tornare a scuola e al club, domani?
Fa una pausa, morde ancora il cuscino tra le sue mani. Mente, dopo un sospiro lento.
-Non lo so, credo di sì.
Il senso di colpa si concentra a livello del ventre, come sempre ha fatto. Diventa acido, si trasferisce da stomaco a intestino e viceversa, si assottiglia e si sparge in ogni vena, tanto da arrivare al cervello come una scarica gelata.
Aiichirou china la testa in avanti, con tutto il suo cordoglio sulle labbra.
-Mi dispiace avervi fatto preoccupare così. Perdonatemi.
È Makoto a parlare, perché è quello che, sempre, riesce a parlare a nome di tutti.
-Non c'è niente da scusare, Aiichirou.
-Mi dispiace aver saltato gli allenamenti del club.
-Non farti problemi per quello, recupereremo il tempo perso.
Ma il suo tono non basta, la sua premura non è sufficiente: forse per la posizione che occupa, forse anche per quella in cui Aiichirou l'ha rilegato nella propria testa, rimane un mezzo estraneo sempre sul punto di scomparire, proprio come un fantasma.
C'è solo un confine labile tra i due mondi del ragazzo, e lui non è riuscito ancora a distinguerli bene nelle loro specifiche identità – il dolore nasce da questo, ed è davvero angosciante.
Gli ospiti si guardano tra di loro, senza aver parole diverse da offrirgli. È però Gou a prendere la parola, ancora una volta, con ciò che è giusto da pronunciare.
-Nitori-kun, non devi essere così agitato. Siamo venuti qui per vedere come stavi.
Aiichirou la guarda, e in lei vede lineamenti che non vorrebbe ricordare più, sugli occhi e la linea della mascella che termina con una curva morbida. Stringe il cuscino nel proprio abbraccio, ma non abbassa lo sguardo: questo da motivo a lei di continuare, con un sorriso gentile che le si allarga, dolce, sulle labbra rosa.
-Siamo felici che tu stia bene, ora.
-Siete tutti molto gentili.
-Siamo tuoi amici, no? È naturale preoccuparci per te.
Guarda Haruka, che ha preso parola per la prima volta. Aiichirou lo guarda in un momento di distrazione, e vuole addurre altra ragione che non un ben specifico ricordo per l'imbarazzo che gli colora un poco le guance. Non c'è niente di accusatorio, nell'altro ragazzo, e il tono che ha usato non nasconde niente di implicito.
Sincero e diretto.
-Amici?
Interviene anche Nagisa, e questa volta lo tocca: sporto com'è, con le braccia sul materasso del letto, gli tocca la pelle appena nuca delle ginocchia.
-Certo, amici! Cosa pensavi che fossimo?
Si accorge Makoto del suo imbarazzo e della sua titubanza – ne prende atto e si comporta di conseguenza, prima che qualcuno ne possa approfittare di più.
-Sei sempre stato molto solo, non è forse vero?
-Non ho mai avuto molta gente attorno.
Si rende conto di aver detto troppo, con quelle poche parole. È come se sentisse dentro qualcosa che si è incrinato: il muro di bugie codarde che ha eretto per difendersi dalla peggiore delle proprie ipotesi ha una piccola, minuscola crepa, forse nata da quella fiducia calda che si è ritrovato a provare senza riuscire a rendersene conto in tempo.
Ora riconosce un nuovo tipo di paura, dentro di sé. E ha il dubbio che il conto della perdita, alla fine, non valga nessun tipo di egoismo. Non si sente pronto a rispondere a tutte le possibili domande, però non può ritirarsi proprio in quel momento.
È una cosa tutta sua, tutta mentale, perché ogni volta che incrocia i loro sguardi si vergogna come un peccatore terribile.
Stringe il cuscino e ne morde un angolo rosa.
-Io... io ho qualcosa che fa allontanare la gente. Una capacità particolare. Al mio vecchio villaggio lo sapevano tutti, per questo mi evitavano.
I primi commenti sono genuini, immediati, e anche le prime domande.
-Che brutte persone!
-Perché lo facevano?
-E che capacità è?
Ecco, l'orlo del suo baratro personale. Il nero che diventa totale e che lo ingloba fino a farlo una cosa tutta sua. Trema e questo preoccupa moltissimo gli altri ragazzi, che si prestano attenti anche alla più piccola sillaba – è un fiato, l'argine che alla fine si rompe.
Pronuncia l'ennesimo incantesimo, di cuore e di mente.
-Vedo i fantasmi.
Neppure quando era in vita sua nonna ha mai usato quella parola di sua sponte, ma solo per rispondere timidamente alle provocazioni delle persone che la avvicinavano con cattive intenzioni. Gli suona strana, sulla lingua, eppure è l'unica nel vocabolario umano che rende preciso il significato di ciò che è.
Impiega qualche secondo ad alzare gli occhi dal nulla, aspettandosi la reazione tipica che si ha di fronte ai matti, oppure ai malati, perché sempre è stato così da che ha memoria.
C'è sorpresa, è evidente, e all'inizio anche indecisione lampante se prendere quelle parole come vere oppure no – specialmente in Nagisa, che pare ammutolito come mai è stato.
Gou pensa un poco, prima di parlare.
-Haruka riesce a stare in apnea per più di cinque minuti, e non fa mai allenamenti per quello.
E Rei l'aiuta subito, con il capo che si muove in segno di assenso.
-E poi la sua pelle non fa le pieghette neanche dopo ore e ore!
Haruka, stizzito, non rimane più zitto, e da questo si genera una reazione a catena che innesca ilarità e movimento inaspettato.
-Nagisa riesce a parlare ininterrottamente per una quantità di tempo disumana.
-Rei è bravo in matematica.
-E questa sarebbe una capacità fenomenale?
-Abbastanza, direi!
-Abbiamo tutti qualità particolari, Nitori-kun.
Alla fine, lo sguardo di Aiichirou ricade su Makoto, che ha ritrovato la morbidezza nel proprio sorriso. Non ha lacrime negli occhi, ma guance che stanno quasi per infiammarsi lì, proprio in quel momento, da tanto sono rosse di gratitudine.
-N-non vi dà fastidio?
-Perché dovrebbe?
Si scuote e anche lui, anche lui trova la vecchia vitalità sua, quella che non prevede fantasmi, quella che si sprigiona quando sta uscendo dal buio e si tende, totalmente, verso la luce alla quale crede di appartenere.
La sua anima che si rivela, sincera fino in fondo, e che vibra con accorate parole.
-Perché non è normale! Non è affatto normale! Io li vedo in ogni posto. Lungo le strade, attorno alle case, per non parlare dei cimiteri. Il mondo è pieno di gente morta.
-Fintanto che non ti fanno del male direttamente, non c'è problema.
Gou sa poco del mondo degli spiriti, perché è attenta soltanto alle dicerie del proprio piccolo paese, né più né meno. Tuttavia, ha la sensibilità di intuire quale sia il problema, e un vero interesse nel consolare la tristezza e la solitudine di un suo amico.
Secondo questo punto di vista, i fantasmi sono ciò che ancora non gli ha nuociuto in nessuna maniera, né fisica né mentale. O almeno, non direttamente.
E prima che altri considerazioni occupino la sua mente, Nagisa riesce a prendergli l'avambraccio, con un altro slancio dei suoi. Ora i suoi occhi sono davvero, davvero vicini, e sembrano così grandi ed espressivi.
-Che poi, questo significa che tu sai un sacco di storie di paura, no? Intendo, quelle vere!
-Non credo sia un argomento di cui parlare, Nagisa.
-Perché no?
Makoto tenta senza riuscirci di fermarlo, forse convinto che quello possa essere un argomento non propriamente piacevole. E Aiichirou è finalmente toccato dall'intensità della loro premura, tanto che vi si abbandona.
Sorride a Nagisa.
-Beh, sì. So un sacco di storie sui fantasmi. Di quelle vere.
Nagisa è contento, davvero molto contento. Più contento di tutti gli altri messi assieme.
-Dovremo organizzare più spesso delle serate assieme, Ai-chan! Sono sicuro che ci divertiremmo un sacco!
Forse troppo contento, a dir la verità.
Aiichirou prova a svicolare, con un'espressione educata un po' tirata.
-Penso che mia madre sia uscita. Vado a prendere qualcosa da bere.
Gou si alza con lui e vedendolo barcollare su piedi che non camminano da qualche giorno, si offre subito per prendere il suo posto.
-Resta qui, facciamo noi.
-Non vi preoccupare, riesco ad alzarmi.
-Vengo ad aiutarti.
Se alla ragazza riesce a sfuggire, però non riesce a fare altrettanto con Haruka Nanase.
E questa volta non gli si sottrae – non ci prova neanche, perché sa benissimo di cosa parleranno una volta da soli, loro due, e non ne ha per nulla paura o non ne prova imbarazzo. Non vede perché dovrebbe, dopotutto.
-Va bene, Nanase-senpai.

 

Unconditional, unconditionally
I will love you unconditionally
There is no fear now
Let go and just be free
I will love you unconditionally

[Katy Perry - Unconditionally]

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Capitolo 14
*** 13. Capitolo tredici ***


13. Capitolo tredici

 

 

 

Mettere per la prima volta piedi nudi, nel costume adatto al nuovo e non ad altri scopi, sul pavimento bagnato e freddo della piscina all'aperto della scuola Iwatobi gli regala un brivido lungo la schiena che è piacere e gelo nello stesso momento. Le giornate si sono fatte davvero calde, nel giro di pochissimo tempo, e il cambio di divisa scolastica comunque non ha aiutato abbastanza ad affrontare in maniera adeguata quel cambio di temperatura così repentino.
Ora può ammirare lo spettacolo meraviglioso di tutta quell'acqua fresca, animata da spirito imbelle e dal vento che arriva direttamente dal mare. L'albero di ciliegio ha perso i petali dei suoi fiori, ma ha una chioma verdastra che è stupenda e grande, foltissima. Gli brillano gli occhi d'emozione.
Le docce dell'ingresso, quelle che lavano via le tracce dell'esterno e donano al corpo il primo risciacquo sulla pelle sono un ottimo benvenuto, di primo acchito – poi c'è Nagisa ad attenderlo, con i suoi occhi giganti, che esplica a parole quello che l'intera atmosfera gli dona.
-Bentornato, Ai-chan!
Lo prende per un braccio, più o meno morbidamente, e lo porta di forza più in avanti, verso il bordo della piscina dove anche gli altri ragazzi lo possano vedere. Anche i restanti componenti del club lo guardano per qualche secondo di troppo, carezzando la sua figura con un sentimento semplice, per quanto gradevole.
Aiichirou sorride tanto, davvero tanto, e prende a salutare tutti quanti: prima la professoressa, poi il capitano, quindi la manager infine quelli del suo anno. Per ultimo, saluta di nuovo Nagisa.
E proprio quando ha finito il giro di saluti personali, vede Haruka avvicinarsi al bordo della vasca dal lato dove lui si trova. È già in acqua, e probabilmente ha già fatto qualche vasca senza ascoltare nessuno e senza chiederne il permesso; però, quando lo vede, si ferma con gli avambraccio fuori dall'acqua, poggiando il proprio mento sulle mani. Aiichirou si libera con un gesto distratto dalla presa del ragazzo biondo per avvicinarsi a lui, pieno di un entusiasmo che nessuno, lì, ha mai visto prima.
-Nanase-senpai, buongiorno!
Haruka non rimane di stucco per più di due secondi, ricambiandone subito il saluto con un cenno del capo. Aiichirou blatera ancora qualcosa circa la volontà di allenarsi per bene durante quella giornata e di fare tutto il possibile per rimediare al tempo perso; Haruka non mostra disagio nel sentirsi rivolgere quelle parole, e anzi lo sprona a realizzare esattamente i progetti esposti – poi torna in acqua e riprende a nuotare senza dire più nulla.
Makoto guarda la scena da una posizione un poco in disparte, piuttosto incuriosito da tutto quel movimento. Ha visto qualcosa cambiare già da quel pomeriggio di due giorni prima, quando si trovavano a casa Nitori e i due ragazzi erano rimasti soli non più di cinque minuti. Lui ignora cosa si siano detti, ma una parte di lui è grata ad Haruka per essere riuscito a rassicurare così tanto l'animo di Aiichirou. E quella parte mette a tacere qualsiasi tarlo del dubbio, in ogni caso.
Si porta avanti, lasciando la giacca della propria divisa nelle mani della sua manager. Con un'esclamazione detta a voce alta, dà inizio ufficialmente agli allenamenti della giornata.

 

-Nanase-senpai, non mi devi spiegare niente.
Tra le sue dita, il tè freddo fluiva dalla bottiglia di plastica al secondo bicchiere del vassoio, inclinato un poco per lasciar scivolare il liquido al suo interno. Era stato difficile guardare quello e Haruka assieme, sia per evitare che il liquido trasbordasse sia per non perdere il contatto visivo con l'ospite.
Haruka, da parte sua, lo aveva guardato un po' di sottecchi, come di una persona che si affronta a viso aperto e senza peli sulla lingua.
-Non sono qui per spiegare, infatti.

Lui e Makoto non avevano in sé neanche il concetto di colpa, o la minima traccia di peccato. Ma se Haruka era cosciente di questo suo stato d'essere, lo era anche circa i pensieri vigenti al villaggio, e quanto bassa potesse essere la comprensione di un luogo vecchio e rachitico come poteva essere, intimamente, Iwatobi. Voleva, soltanto, essere lui a decidere cosa dire a chi, senza che voci indiscrete si spargessero senza il suo controllo.
Questo, Aiichirou, lo ha capito un secondo più tardi. Sulle prime non sapeva cosa dirgli, se rivolgergli ancora delle scuse oppure se rassicurarlo circa il fatto che non avrebbe detto niente, sicuramente, perché non era una cosa che lo riguardava – poteva riguardarlo solo in un modo, ovvero nel caso questo fosse stato motivo di litigio con i suoi amici, ma oltre ciò davvero non gli tangeva in alcun modo. Si impose la calma, anche per lo sguardo in attesa dell'altro.
Il senso di colpa che lo aveva spinto a tutto quello si era dissipato nel momento stesso in cui era rimasto solo in stanza con Haruka, rifiutando di fuggire da lui. Era difficile da capire per lui, ma ritrovandosi a dover rispondere delle proprie azioni e dei propri pensieri senza poterci pensare troppo, senza valutare dall'inizio cosa fosse appropriato e cosa fosse semplicemente giusto, gli veniva spontaneo dar retta al suo cuore, sgombro di ogni maschera di convenienza. Fantasma o meno, sarebbe stato in grado di scacciarlo ugualmente con una semplice parola; ma quanta sconfitta, quanta umiliazione, quanto dolore per quel poco di vigliaccheria. Non si amava così poco da poterlo permettere.
Sospirò, pianissimo, proprio per non farsi sentire. Riempì anche il terzo bicchiere, mentre gli parlava messosi di spalle.
-Mi dispiace avervi visti in quel momento di intimità, non era mia intenzione.
Sentiva soltanto i suoi occhi addosso, da quella posizione; lo sentì affievolirsi, pian piano, e immaginò Haruka intendere i reali sentimenti che aveva messo in quella singola frase. Ne fu grato, con tutto il cuore.

-È stata una svista nostra, non scusarti.
Il suo tono si era decisamente ammorbidito, quasi ad ammettere una piccola colpa.
Aiichirou si era voltato verso di lui con il vassoio pieno e una bella espressione sul volto.
-Tachibana-senpai è un ragazzo molto gentile!
-Sì, lo è.
-Anche tu lo sei, Nanase-senpai! E io sono tanto felice di conoscere entrambi!
Era arrossito, sotto i suoi occhi. Così dolce e delicato, sembrava un giglio appena fiorito.
Amano davvero quelli che tremano a dire che amano, e lui non faceva eccezione.
-Grazie, Nitori-kun.

 

Entra in camera come un soffio di vento, per chiudersi dietro le spalle la porta di ingresso: nessun rumore. La finestra ha le ante socchiuse, e la tenda bianca balla un poco picchiettando il proprio angolo morbido contro la superficie verticale, a un ritmo strano e poco regolare. Aiichirou ha le caviglie esposte, piccole, lasciate nude da pantaloni corti fin appena sotto il ginocchio, in onore del bel tempo che allunga sempre di più le giornate di una bella stagione alle porte; rabbrividisce appena, con un leggero tremore soffuso che si espande anche sotto i vestiti leggeri.
Non sente alcun rumore, né percepisce nessuna presenza. È passata più di una settimana dal suo viaggio nel mondo degli spiriti, e non sa bene come intendere questa diretta conseguenza. Ignora se la solitudine raggiunta sia a causa di qualcosa che lui ha detto o ha fatto, senza ben accorgersene, oppure soltanto l'imbarazzo e il disagio del fantasma nei suoi confronti. In ogni caso, non gli piace. Trova di essere stato forzato da qualcosa esterna a sé, ancora una volta, in una condizione che gli è in parte estranea al proprio volere, che non ha conseguito né ricercato con le proprie azioni, ma che invece gli è capitata per colpa d'altro, piombata dal cielo come una maledizione, o una benedizione a seconda dei punti di vista.
Non lo può accettare – non può farlo più, dopo quello che è successo: sarebbe come tradire i sentimenti che ora prova per Makoto e per Haruka, e se vuole mantenersi coerente con se medesimo, prima di tutto, deve fare i conti anche con la propria vigliaccheria, e con le vittime di questa.
Non ha mai provato a comprendere Momotarou, o anche solo a rivolgergli un sincero interesse. Provare senso di colpa per tale comportamento una volta sarebbe stato per lui impensabile, ma dopo il dolore che lo ha toccato direttamente, peggio di uno schiaffo in volto, la sua anima è diventata più sensibile a tutto, e il suo spirito ricomposto anche più forte.
È solo un piccolo passo in avanti, e Aiichirou spera basti per cambiare qualcosa.
Si dirige con passo sicuro vero l'armadio che ha di fronte al letto e prende, con entrambe le mani, lo specchio che ha girato in modo che non rivolgesse la parte riflettente verso l'esterno, il giorno stesso in cui era tornato: l'ha nascosta contro le ante di legno, come per imprigionare qualsiasi immagine. Lo mette nella stessa posizione in cui è sempre stato in precedenza, né più né meno. E ora le sue ginocchia nodose si stringono, su quello specchio, e il bacino stretto viene nascosto da una maglietta troppo grande per lui, che cela i muscoli formati da poco dal nuoto e da troppi allenamenti.
Ma non vede altro, anche sondando con attenzione ogni dettaglio. Tocca la superficie fredda con palmo aperto, e non succede niente. Rimane al di qua dello specchio, perché la porta è stata chiusa e lui non ha la chiave per entrare in alcun mondo.
Sospira, un po' affranto, e con nuovo sguardo deciso si siede sul tappeto a poca distanza dall'oggetto. Le proprie intenzioni sono chiare nella sua mente, come il proprio desiderio.
Evocazione ed esorcismo sono circa la stessa cosa, o almeno in teoria. Passa tutto per la parola, basta che sia abbastanza potente.
Aiichirou non esita neanche un secondo.
-Momo! Per favore, compari!

 

Sulle prime, c'è soltanto un silenzio prolungato, che viene interrotto da un fischio gentile del vento – apre l'anta della finestra e la fa sbattere piano, senza reale colpo. Aiichirou strabuzza gli occhi, cercando segni che non riesce proprio a vedere in nessun modo.
Forse, ipotizza, non è stato abbastanza convinto e convincente. In casa c'è soltanto lui, e questo gli dà una certa sicurezza: per quanto possa urlare, nessuno verrà a rimproverarlo, o a riprenderlo scosso da chissà quale paura. Non vuole impressionare i propri genitori, dopo quello che è successo.
Alza la voce, quindi.
-Momo! Per favore, compari!
Ancora nulla, neppure il più piccolo movimento. Allora grida usando tutto il fiato che ha in corpo.
-Momo! Per favore, compari!
Impiega qualche secondo a riprendersi, ma anche dopo aver aspettato un po' di tempo non accade niente: vista e suono non rimandano segnali di alcun tipo, e c'è una calma irreale che assomiglia di tanto a quella della notte.
Una lacrima viene abbozzata agli angoli degli occhi, e con voce contornata di sconforto, Aiichirou riesce a singhiozzare piano qualcosa: poche parole strascicate.
-Momo. Ricompari. Per... per favore.
Sguardo verso il pavimento, testa in basso; le mani si appoggiano alle ginocchia, e senza rendersene conto il ragazzo ha assunto la posizione di supplica e di preghiera.
-Ti prego.
Compare prima il suono dell'immagine, ed è una delle cose più dolci che Aiichirou abbia sentito da sempre.
-Stai piangendo, Nitori-senpai?
Alza subito gli occhi ed è lì, nella stessa sua posizione seduta, quasi a meno di mezzo metro di distanza. Lo guarda preoccupato, con le guance rosse e lo sguardo sfuggente.
Ma è lì, e lo vede piangere.
Aiichirou porta il braccio a proteggersi la parte superiore del viso, colto da un improvviso e inspiegabile senso di vergogna; non riesce a smettere di singhiozzare, però, e le parole gli escono come un fiume in piena, senza freni e senza argini.
Non ha intenzione di lasciarlo scappare un'altra volta.
-P-pensavo fossi scomparso. Che non tornassi più da me. Che mi lasciassi per sempre.
-No, sono sempre stato qui. Ma non mi facevo vedere.
-Sei sempre stato qui?
-Non volevo... lasciarti solo.
Quella rivelazione lo colpisce appieno, come uno schiaffo. Smette sia di singhiozzare che di piangere, poco alla volta. Il suo viso è bagnato su tutte le guance, quando riesce finalmente ad alzare lo sguardo sul fantasma al di là dello specchio, e nota come lui non abbia mai cambiato la propria posizione.
Il suo animo è rassicurato dalla costanza della sua presenza, per quanto razionalmente non riesca ancora del tutto ad accettarla. È una sensazione nuova, che gli fa bene al cuore.
E la voce di Momotarou è sempre morbida, come una carezza. Si vergogna molto della propria debolezza, ma più che ricercare rassicurazione, come farebbe un vigliacco, si espone al suo giudizio con sincera prontezza, dando e prendendo tutto quello che si può.
-Perché stavi piangendo, Nitori-senpai?
-Perché sono uno stupido, Momo.
-Non è vero che sei stupido. Anche io ho avuto paura della strega.
Si fa un poco più cupo, e il suo sguardo tradisce una preoccupazione più profonda di quello che è stato inizialmente – quasi stesse parlando del diavolo proprio con le sue labbra da peccatore.
-Sai, ultimamente è molto agitata. Pare stia fremendo per qualcosa che non ricordo.
Aiichirou non comprende il suo stato d'animo, e questa volta ne chiede ragione.
-Ma lei cosa c'entra, con te?
-Infesta il luogo dove sono morto. Non mi è possibile rimanere impassibile, di fronte a lei.
Il fantasma si agita, portando le braccia in aria e mimando un oggetto grosso, molto grosso.
-Scombussola tutto, Nitori-senpai! È davvero troppo forte!
-Ho capito, ho capito!
Cerca di frenarlo con un gesto delle mani, e pare funzionare. E, ancora, nel silenzio che segue trova sentimenti troppo gravi, dentro di sé, per rimanere zitto a guardarlo tormentarsi.
Piega la testa in avanti, con le ennesime parole sulla lingua.
-Mi dispiace.
-Perché ti scusi anche con me, Nitori-senpai?
-Tu hai cercato di aiutarmi, e invece-
-Invece ti ho fatto vivere una bruttissima esperienza. Non accadrà più, te lo prometto.
Lo guarda, si guardano. Così, per la prima volta.
Aiichirou si ritrova con le guance arrossate, sotto le strisce di lacrime. Si pulisce un poco, sperando di recuperare almeno in parte l'aspetto dignitoso perduto.
Lentamente, porta la mano sulla superficie verticale del vetro.
-La prossima volta ti terrò la mano.
-Ma, Nitori-senpa-
-Sempre!
Lo interrompe deciso, perché sa quanto importanti siano le parole che uniscono il mondo dei vivi e il mondo dei morti – lo ricorda anche a Momotarou, con i suoi gesti sicuri, e vuole che comprenda appieno.
Il fantasma impiega qualche secondo ad accettare la cosa, quella nuova promessa detta senza parole.
Porta il palmo della propria mano dove è quello di lui, come se lo stesse toccando.
-Va bene!
E forse il calore che sente Aiichirou, proprio sotto i polpastrelli, non è solo l'illusione dei propri sensi burloni.

 

It's a private emotion that fills you tonight
And a silence falls between us
As the shadows steal the light
And wherever you may find it
Wherever it may lead
Let your private emotion come to me
Come to me

[Ricky Martin – Private Emotion]

 

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Capitolo 15
*** 14. Capitolo quattordici ***


14. Capitolo quattordici

 

 

 

-Ti va di scendere qui?
L'altro lo coglie un po' alla sprovvista, durante una pausa della mente. Makoto alza lo sguardo a lui, per poterlo vedere per bene in viso e rivolgergli un'espressione carica di sorpresa.
-Mancano ancora due fermate alla nostra, Haru.
Il tram balla sotto di loro, e li fa ballare di conseguenza, mentre Haruka continua a riservargli quell'espressione apatica, senza smuoversi di un solo centimetro. Evidentemente, sottintende un bisogno primario diverso.
-Lo so.
Ci sono momenti in cui Makoto non riesce a comprendere proprio tutto di Haruka, ma non per questo rinuncia a stargli vicino o ad accettare la sua volontà: si alza dal proprio posto, prendendo con un braccio la cartella di scuola e con la mano dell'altro il palo di metallo più vicino all'uscita del mezzo, per scendere senza fretta una volta raggiunta la fermata – Haruka si mette accanto a lui in pochi passi, e quando è il momento scendono assieme.
Vuole parlargli, e avere abbastanza tempo per farlo senza dover rinunciare a qualche parte del proprio discorso. Oppure, vuole semplicemente stare un poco più con lui, senza dover correre subito a casa e quindi separarsi dalla sua presenza.
Sulla banchina del treno c'è un anziano signore che si regge con le mani sottili sul suo nodoso bastone da passeggio; quando i due ragazzi passano, li segue con lo sguardo per qualche secondo appena, prima di tornare a fissare il vuoto e ad attendere chissà quale treno in arrivo.
Prendono la via più esterna al villaggio, quella che con ogni probabilità è collegata in modo diretto alla spiaggia, andando più avanti. È Makoto che conduce il passo dei due, almeno per quel tratto, e sa bene di certe necessità dell'altro ragazzo. Come può, provvede.
Haruka gli è sempre di fianco, accanto, e questo lo illude quasi che non ci sia poi molto di cui preoccuparsi. Lascia che passino diversi secondi di silenzio, a sentire le eco del mare non troppo lontano, e il profumo discreto di salsedine che gli arriva al viso in zaffate dolci del vento.
Si domanda, come tante altre volte, come sia essere in sincrono con un elemento della natura. E specialmente se è possibile, per uno come lui, capire questa sensazione miracolosa.
È abbastanza perso in se stesso che quando Haruka parla lo coglie, ancora una volta, alla sprovvista.
-Nitori-kun.
Si volta verso di lui, e per un attimo deve socchiudere gli occhi per non venir accecato dalla luce del sole bassa sull'orizzonte.
-Cosa, Haru?
-Pensi davvero che Nitori-kun stia bene?
Makoto continua a non capire, sinceramente – si perde in un attimo di distrazione quando Haruka gira verso sinistra, superando una recinzione bassa di legno, e attraverso un cancelletto cigolante, aperto a metà, si introduce in uno sprazzo di spiaggia poco pulita, dove ciuffetti verdastri spuntano di tanto in tanto tra i sassi e altre cose. Quando lo raggiunge, Haruka tenta a modo suo di spiegarsi.
-Quella storia dei fantasmi.
Basta quella precisazione perché l'altro, alla fine, intenda. Haruka non è mai stato una persona prolissa, e d'altra parte Makoto lo conosce abbastanza da poter ipotizzare con precisione quali siano i ragionamenti della sua testa e dove la sua sensibilità lo porti.
-Non ti ha del tutto convinto, non è vero?
-No, non lo ha fatto.
Sospira, pensando un attimo alle parole giuste da usare. Makoto è solito usare gentilezza nei suoi confronti, e non per qualcosa di dovuto, ma piuttosto per assecondare il sentimento che lo lega a lui.
L'ennesima leggera folata di vento glielo avvicina un poco, così da far quasi sfiorare le loro braccia.
-Beh, secondo me tu sei la persona che più lo può comprendere. No? Voglio dire, il rapporto che hai con l'acqua.
È il turno di Haruka a non capire l'altro: lo guarda un po' infastidito, con la pelle sopra il naso raggrinzita dal sospetto e dalla stizza. Sbuffa persino, più avanti di un passo accelerato per sbaglio.
-Non ho mai messo in dubbio le parole di Nitori-kun.
-E io credo nella tua buona fede, Haru. Se sei preoccupato per lui, dovresti dirglielo. Sono sicuro che anche lui ha capito che siete simili.
Gli rivolge gli occhi al viso e si rende già conto del proprio sbaglio. La sua permalosità, di solito, non è stuzzicata dalle parole di Makoto, ma in quel momento la preoccupazione, non così tanto latente come vorrebbe lui stesso, rende meno ferma la sua calma, e lui mostra al fidanzato qualcosa di ancora più sensibile.
-Come fai a dirlo?
-Beh, è abbastanza evidente che provi ammirazione per te.
-Questo non c'entra nulla.
-Tu dici? Eppure lui è consapevole di quello che è.
-Pensi che anche io possa vedere i fantasmi?
-Spero davvero di no, Haru.
-Perché?
Makoto ride, in maniera evidentemente forzata – allunga il passo e si introduce di nuovo all'interno del villaggio rurale, prendendo una strada che sale sulla collina dolce. Gradino su gradino, si ritrova ad accarezzare con le proprie dita quelle di Haruka, senza poterle mai davvero afferrare. Non c'è nessuno attorno, e il loro legame rimane comunque più leggero, piacevole, di una carezza.
Si ferma, a un certo punto.
-Siamo arrivati a casa tua.
-Vuoi venire dentro?
-Mia mamma mi sta aspettando per la cena.
-Puoi sempre mandarle un messaggio e dirle che ti fermi da me.
-Hai qualcosa da mangiare in frigo che non sia pesce?
Pausa, e già Makoto ha capito cosa si deve aspettare.
-No.
-Passiamo prima da un kombini, per favore.

 

Scivola contro di lui, sotto la coperta che gli copre appena metà delle gambe – infila i piedi tra i suoi polpacci, si fa un po' largo lì dove non c'è niente per pretendere quel poco di spazio che, anche senza reclamarlo a parole, è soltanto suo.

Pieno di cibo, Makoto è ancora più placido del solito, e quando lo guarda in volto lo fa con un sorriso dolce e tranquillo, più che carezzevole; Haruka fissa, senza realmente guardarla, la televisione accesa al di là del tavolino basso, poggiandosi all'indietro con entrambe le mani. Ricambia il suo sguardo solo nel momento in cui sente le sue mani calde sopra le ginocchia, mentre si muovono in tante carezze circolari. Basta poco per stare bene: Makoto ha imparato col tempo a dare un nome preciso ai sentimenti che nascondeva dentro di sé, e Haruka ha calibrato il tiro della propria gelosia e ha potuto scoprire come il contatto fisico possa essere piacevole, tra le dita giuste.
Quelle di Makoto sanno farlo vibrare, e regalargli tante diverse sensazioni.
Solleva un piede, e la mano dell'altro gli prende la caviglia, per sorreggerlo. Trema un poco quando sente le sue labbra contro la pelle nuda del tallone, e per quanta dolcezza possa esserci dispersa su quella bocca qualcosa dentro di lui si scioglie, meglio dell'acqua.
Ritira la gamba, in un invito a farsi seguire; Makoto va anche oltre il ginocchio, e si stende per terra accanto a lui, sui cuscini sparsi sul pavimento.
Lo abbraccia, viene abbracciato: c'è una profusione di baci gentili, da quel momento fino all'arrivo della notte profonda.

 

***

 

Si ferma, finalmente, quando il bip del suo orologio sportivo ha raggiunto l'ultima tacca di volume e gli ricorda, quasi istericamente, che ha superato il limite di tempo e di distanza previsto in partenza. Si toglie il cappellino dalla fronte con un gesto veloce, per poi recuperare con l'altra mano la borraccia attaccata al marsupio leggero, ancora attaccato all'altezza della vita al suo corpo. Guarda in alto, verso il cielo sgombro di nuvole, assottigliando lo sguardo mentre si perde a seguire il volo di un gabbiano troppo in alto – l'acqua, in un getto sottile e fresco, gli bagna la lingua e poi scivola in gola, calmando la sua sete e il suo bisogno di liquidi almeno in apparenza.
Sfruttare ogni minuto libero per allenarsi non è un problema, per lui, considerando come si sente nei confronti degli altri componenti del suo club. Persino Nitori, l'ultimo arrivato, ha una conoscenza più profonda di lui del nuoto, e si muove meglio in acqua – per quanti siano evidentemente i suoi difetti e i suoi limiti. Rei è consapevole di essere moralmente in torto, che le fortune altrui non dovrebbero in alcun modo influire sul suo benessere psicologico, e in parte, in buona parte, è così; questo non significa, però, che non sia spronato a fare ancora di più del proprio meglio, e a cercare con ogni traccia della propria forza il miglioramento che sente dentro sé, per dedizione e speranza. Le sue gambe sono forti e resistenti come quando frequentava il club di atletica, e per questo vuole tenerle allenate il più possibile: davanti a Nitori, davanti a Nanase-senpai e agli altri non ha intenzione alcuna di sfigurare.
Si guarda attorno, mentre riprende il fiato dalla propria corsa. Il percorso che ha scelto per l'allenamento supplementare di quel giorno gli ricorda diverse cose, come la prima volta che ha incontrato Nagisa e l'altro ragazzo ha cominciato a importunarlo. Irritante, lo deve ammettere, almeno di primo acchito. Poi ha potuto imparare a essere riconoscente verso questa insistenza molesta, e ora prova più che mai gratitudine. Perché forse non è stato solo il giovane Hazuki a cambiargli la vita, ma la vicinanza con tutti i membri del gruppo a farlo maturare dentro, in molti modi.
Scoprirsi più che determinati a raggiungere uno scopo lo ha reso orgoglioso di se stesso, il che equivale davvero a una piccola rivoluzione personale.
Guarda le spighe alte del riso piegarsi, come pettinate dal vento a onde verdi e morbide; si lascia investire dall'odore che l'elemento trasporta, anche se deve trattenere a forza il proprio cappellino sulla testa, prima di doverlo rincorrere tra il fango delle risaie e l'acqua sporca.
Si guarda il polso: la pausa finirà entro pochi secondi, secondo quanto previsto dal programma. Prende un profondo respiro, più di incoraggiamento che di stanchezza, e attacca la borraccia di nuovo al proprio marsupio. Si sistema i capelli indietro, per passarsi il palmo aperto di una mano sulla fronte e sulle linee morbide del viso, per raccogliere un poco del sudore che lo bagna tutto; fatto il gesto, risistema anche il cappellino sopra il capo, si gira su se stesso e procede di nuovo, correndo in senso inverso.

 

***

 

Lei sorride, ed è così bella che, per un attimo solo, lui si perde, e non capisce più molto.
-Cosa sta guardando?
Goro abbassa gli occhi quando lo fa anche lei: gli sembra di aver di nuovo scoperto la sua adolescenza, o forse la parte stupida e innocente del sentimento romantico, non sa dirlo con precisione. È soltanto contento, tanto che a stento si accorge di quello che lo circonda.
Ha impiegato mesi a capire che la professoressa Amakata gli piacesse in un determinato senso, e il doppio del tempo per trovare il coraggio per chiederle un appuntamento – lei, d'altra parte, si è presa quasi un'intera giornata per rispondergli, facendogli provare un'ansia tale che non ricordava di averne mai provate, neppure quando nuotava in modo professionale.
A pensarci bene, nel caso dovesse davvero farlo, riterrebbe quasi un sogno il poter sedere al suo stesso tavolo, parlare al di fuori del contesto scolastico ed educativo, mangiare e vederla in quell'abito da sera bianco, discreto ma elegante. Hanno parlato dei ragazzi, per la maggior parte del tempo, argomento che li accomuna su quella sfera lavorativa in grado di non essere troppo personale, e quindi non creare più del dovuto disagio di partenza; sul finire della cena però è stata la stessa Miho a fargli qualche domanda appena più intima, quasi non osasse intromettersi di più nella sua sfera.
Delicata, raffinata e dolce.
Si potrebbe domandare, tra tutto, cosa valga davvero guardare in quel frangente. Se il ristorante a cui siedono, con i camerieri perfetti e le pietanze prelibate, oppure semplicemente la compagnia più unica che rara, e sentirsi fortunato per quello.
Il signor Sasabe ritiene di aver passato una buona serata.
-Vuole prendere il dolce?
-Sa se ne fanno di buoni?
-In realtà no, ma possiamo chiedere al cameriere.
Sorride di nuovo, ed è ancora più bella di prima; si pettina una ciocca invisibile di capelli, portandoseli dietro l'orecchia destra – l'uomo segue senza rendersene conto il gesto, fissandosi sul polso sottile lasciato ben in evidenza.
Ma lei non ha intenzione di restare ancora in silenzio.
-Non vedo l'ora di vedere i nostri ragazzi alle gare.
-Mancano pochi giorni, in effetti.
-Davvero pochissimi.
Si sporge sul tavolo, mentre un cameriere passa e ignora i tentativi dell'uomo di fermarlo.
-Lei ci sarà?
-Certamente.
-Ne sono davvero felice.
Rossa all'improvviso, sulle guance, per aver detto qualcosa di troppo – e rosso anche lui di conseguenza, l'attimo dopo, per aver pensato a qualcosa di troppo.
-E ovviamente lo saranno anche i ragazzi, questo è sicuro.
Dice ancora qualcosa, probabilmente un proverbio pescato a caso dal proprio repertorio, per evitare l'imbarazzo del silenzio che segue; Goro sorride, e finalmente un cameriere si ferma al loro tavolo, per raccogliere le loro ordinazioni.

 

Baby you're all that I want
When you're lyin' here in my arms
I'm findin' it hard to believe
We're in heaven

And love is all that I need
And I found it there in your heart
It isn't too hard to see
We're in heaven

[Bryan Adams - Heaven]

 

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Capitolo 16
*** 15. Capitolo quindici ***


15. Capitolo quindici

 

 

 

Si sveglia di soprassalto, emergendo dal buio con la sensazione di essere appena sfuggito a qualcosa di innominabile addosso, mentre il cuore gli pulsa nelle tempie e il respiro è affannoso nella gola. Sbatte le palpebre più volte, alla vista dei fasci di luce che penetrano dalla serranda non abbassata completamente e che illuminano di precise fattezze elementi della stanza in cui si trova.
Ingoia saliva che non c'è, a vuoto. Ritrova la sensibilità del tatto, scoprendo che la coperta che in precedenza ha sollevato fino quasi al mento è scivolata in basso, oltre l'altezza delle ascelle, e le sue lenzuola si sono aggrovigliate in una matassa informe che preme contro lo stomaco, a formare una palla non proprio dura. Le gambe divaricate hanno assunto una posizione innaturale, contratta, che gli sforza i tendini e i muscoli sennò molli e ancora caldi, facendo affondare più del dovuto il suo bacino nel materasso morbido.
Uno strato sottile di sudore gli appanna la pelle di tutta la fronte.
Questa sensazione appartiene a qualcosa di più intimo che la recente paura, e ha un altro potere sul suo subconscio – profondo, dentro di lui.
Aiichirou si alza di scatto, dal proprio letto, recuperando la tuta di casa, leggere ed estiva, con pochi e veloci gesti. Si sente agitato, troppo scosso per rimanere fermo in tutte le proprie parti, e quando già comincia a camminare il sollievo gli sale dalle caviglie fino quasi alle ginocchia nude.
Scende al piano terra della propria abitazione, salutando solo con qualche parola la propria madre intenta a preparare una colazione abbondante. La sorpresa di lei è prevedibile e logica, così come anche la mancanza di insistenza da parte sua. C'è solo un velo di preoccupazione che non riesce a trattenere per sé, mentre
-Non mangi qualcosa?
-Faccio solo una passeggiata e poi torno, mamma!
Si lascia guardare più di qualche secondo, dai suoi occhi scuri, concedendo loro quell'intimità che non ha mai osato dare: per timidezza, per paura, per tante cose.
E la signora Nitori non lo tradisce neanche quella volta.
-Non fare troppo tardi, Ai-chan, che poi tuo padre mangia tutto.
Aiichirou apre la porta di ingresso ed esce da quella abitazione con un sorriso, lasciando che l'aria del mattino lo faccia rabbrividire per lunghi istanti. Respira quell'ossigeno, fino a colmare con esso i polmoni – slaccia la propria felpa per il troppo calore e comincia a correre, raggiungendo in fretta la spiaggia poco lontano da casa. E quando finalmente riesce a sentire la morbidezza dei granelli morbidi sotto la suola delle scarpe, accelera quel tanto da poter concentrarsi solo sul proprio sforzo fisico e niente del resto, che sia la propria malinconia oppure qualcosa di diverso che finalmente è riuscito a conoscere.
La resistenza compatta che si stende lungo tutta la sabbia gli sbatte contro a ogni passo che fa, lungo i muscoli dei polpacci scoperti. Si avvicina appena al mare, anche se rimane oltre l'orma bagnata delle onde biancastre colorate della prima alba, per non sporcarsi troppo. Riesce a prendere un certo ritmo, alla fine, che gli meccanizza i gesti e gli fa volare altrove la mente.
Intravede un poco più avanti una coppia di ragazzi giovani, intenta nella medesima attività che gli muove i piedi. Li riconosce, questa volta, e lascia una certa distanza da loro, per non doverli in nessun modo disturbare; è più volte tentato di interrompere la propria corsa e quindi tornare indietro, che ormai l'ansia è scivolata via e ciò che lo porta avanti è solo molle pigrizia.
Quando, in effetti, si decide di tornare a casa, che il suo stomaco reclama qualcosa per cui lavorare, volge lo sguardo a quell'onda che tenta di toccarlo con le sue dita lunghe, sul bordo di una scarpa chiara; scansa all'ultimo secondo quella spuma di bollicine vivaci, ritirandosi verso l'entroterra di qualche passo.
E quindi, lo vede. Con un sorriso gigante, le braccia spalancate come se fossero quelle dell'albero di una barca, a raccogliere tutto un vento invisibile. Sparge a ogni passo petali di fiori invisibili.
Per niente a disagio, torna a correre più in fretta, spronando Momotarou a un gioco nuovo, consapevole che quella presenza molesta e ancora più estroversa dello stesso mare lo seguirà come sempre.

 

***

 

A ogni sobbalzo del motore, ha uno spasmo e diverso fiato trattenuto. Come a ogni curva, e a ogni secondo di quel breve tragitto in autobus da casa sua al luogo dell'appuntamento – al luogo della gara di quel giorno.
Guarda fuori, guarda dentro, non è riuscito neanche ad accendere la musica negli auricolari che compare, alla fermata a cui il mezzo di trasporto si accosta, il nome della sosta precedente alla sua; allora mani e dita tremanti cominciano a stringere qualsiasi cosa loro vicino, per lo più il manico della borsa di nuovo, gonfio e pieno, appoggiato sulle ginocchia del ragazzo.
Scende di corsa, e quando il primo piede atterra con un balzo minuscolo sul suolo fermo, qualcosa di freddo gli attraversa l'intera schiena fino a rannicchiarsi alla base della nuca. Allora, più avanti, vede Nagisa agitare le braccia in alto, come se non possa vederlo. Tante altre persone attorno, in gruppi composti e più o meno corposi o isolate: non le può vedere, così preso da quello che fa.
Si muove con gambe isteriche e una frenesia sconosciuta, addosso, tanto da non sentire sulla spalla neanche il peso dei vestiti di ricambio e della propria tuta che si porta appresso. I suoi compagni di squadra sono già tutti riuniti in un punto, con le divise nelle borse e dei sorrisi giganteschi sul volto.
È il capitano a salutarlo per primo, con un benvenuto un po' stropicciato.
-Finalmente sei arrivato anche tu!
Tutto rosso in viso, Aiichirou cerca di riprendere fiato dalla propria impazienza e dalla propria emozione, ma dalla bocca gli escono soltanto dei piccoli gorgoglii tutt'altro che comprensibili. Gli altri ridono, per scacciare un poco di tensione accumulata, e lui si ritrova il braccio di Nagisa stretto attorno al proprio.
-Dobbiamo andare, prima di fare tardi per le iscrizioni!
Si lascia trascinare in avanti, con il cuore che non riesce a rallentare neppure per un secondo.

 

Picchia forte il sole, su di lui, e illumina tutto quanto in modo da farlo risaltare come brillante e splendido agli occhi già emozionati di ogni ragazzo presente. In particolar modo, Aiichirou.
La grande piscina dove si tengono le gare è all'aperto, sprovvista del tetto, e mostra così un cielo limpido e confortante, confortevole, tutto chiarore e azzurro – solo un paio di nuvole lontane, a lasciare un'orma passeggera sulla terra, neanche il tempo di sentire piccoli brividi sulla pelle che è già da qualche altra parte.
L'odore del cloro si solleva ogni volta che l'acqua viene smossa, o da un braccio o da una gamba; riempie tutto, persino i suoi polmoni.
Gli spalti, che circondano i lati più lunghi della piscina, sono tappezzati di diversi colori, e già qualcuno intona cori allegri di sostegno.
Il piccolo gruppo dell'Iwatobi Club si apposta un poco in disparte, per lo più dove altri concorrenti hanno parcheggiato parenti e amici con molto tempo libero. Si apposta nervoso, un po' eccitato, dai piedi e dalle mani scalpitanti, con qualche urletto subito ripreso.
Aiichirou si appoggia con gli avambracci alla ringhiera di metallo, per godersi qualche secondo di serenità e la vista proposta. Nota subito un gruppo numeroso di persone, dall'altra parte della piscina, con le tute di colore nero. Anche senza contarli, individua circa una trentina di persone.
Sobbalza quando si ritrova Nagisa accanto senza averlo sentito arrivare.
-Ai-chan, sei impressionato?
Aiichirou non riesce a trattenere un sorriso nervoso, né un passo indietro per mettere un poco di distanza dagli occhi enormi dell'altro ragazzo.
-È la prima volta che partecipo a questo genere di gara.
Sospira, un po' affranto.
La massa muscolare che ha sviluppato lungo le braccia negli ultimi tempi non è sufficiente a rassicurarlo come basta, e il ragazzo trattiene per sé quell'insicurezza tipica degli ultimi arrivati.
-Sono un po' intimorito.
Haruka ha ancora un braccio nel proprio zaino quando interviene, nel tentativo di acquietare un po' la sua ansia: la sua gara risulta tra le prime della programmazione, e lui non ha intenzione di perdere tempo.
-Non ti preoccupare. Sei migliorato molto, in questo ultimo periodo.
Aiichirou è un po' rosso quando si china in avanti per ringraziarlo, con tutto il suo cuore – e il tono della voce si alza senza che lui se ne renda conto.
-Grazie, Nanase-senpai!
Preso da quella nuova, confortevole calma, riesce persino a sorridere come sempre.
Viene interrotto di nuovo, questa volta però da un coro che proviene dall'altra parte degli spalti. Lo stesso gruppo nero di prima.
Li indica con una mano, incuriosito.
-Che scuola rappresenta, quel gruppo laggiù?
Rispondono tutti i suoi compagni, a turno, aggiungendo dettagli a ogni parola e a ogni battuta.
-La Samezuka.
-Dicono che siano molto bravi.
-L'anno scorso li abbiamo affrontati alle regionali in staffetta.
-Sono quasi certo che quest'anno siano anche migliorati.
Si intromette nel discorso solo quando la placidità del loro capitano glielo permette.
-Ma voi siete bravissimi! Di sicuro saprete farvi valere!
Sorridono ancora, come stupidi.
-Grazie, Nitori-kun.
-Faremo del nostro meglio tutti quanti.
Si chiudono in un abbraccio stretto, un cerchio dove poter condividere forza e aspettativa.
Un solo urlo li unisce, come all'interno di un rito propiziatorio – poco dopo, Haruka viene chiamato per la sua gara.

 

Come acqua che scorre, veloce e irrefrenabile. La forza delle maree, la profondità dell'oceano e la temerarietà delle correnti: tutto questo, agli occhi meravigliati di Aiichirou, pare essere racchiuso nella sola persona di Nanase Haruka. Sente quella positività dirompente generata dall'affinità del ragazzo con l'elemento in cui è immerso e a cui si affida con totale e abbandonata fiducia, generando un'armonia a cui nessuno può rimanere indifferente.
La sua è una gara breve, di velocità più che di resistenza, fomentata per lo più da una foga e da una passione momentanee, che accendono la miccia e la consumano come se fosse la vita stessa, stretta in un pugno chiuso. Ma quando lo guarda Aiichirou si dimentica di alzare la voce per usare parole di tifo, rimane incantato a mirare l'acqua che gli scivola addosso e lo fa sembrare quasi una creatura ultraterrena, che poco ha a che fare con l'essere umano.
Eppure, è tutto lì: non c'è niente di diverso che al solito – Haruka e l'acqua sono come lui e l'ombra, come Aiichirou Nitori e il nero. Se n'è accorto ben prima, la sua sensibilità gli ha reso noto questo fatto già dalle prime volte in cui ha potuto assistere a quella creatura che si immergeva, come un bisogno estremo e vitale, nel liquido trasparente.
Non si è chiesto se fosse giusto o sbagliato, perché non possono esserci dubbi a riguardo. È così evidente che l'elemento e l'umano hanno ottimizzato un legame fino a renderlo fertile di qualcosa di più, di qualcosa di meglio.
Poca gente al mondo può godere di un simile privilegio, perché poca gente è scelta dall'acqua come proprio protetto.
Neppure lui ha avuto questa fortuna, perché qualcosa di diverso lo ha reclamato per sé. Aiichirou potrebbe chiedersi se, forse, lui stesso può raggiungere un simile livello di profondità, se davvero l'elemento a cui appartiene è capace di tali magie.
Perché Nanase Haruka ha grazia, compostezza, bellezza specialmente quando è in acqua: esistono come due individui con lo stesso nome e con la stessa fisionomia, ma sono la sublimazione l'uno dell'altro.
Si potrebbe domandare cosa raggiunge lui, immerso nel nero. Nessuno vedrebbe la sua bellezza, se mai arrivasse a possederla, perché la mancanza di luce ruberebbe elementi preziosi alla vista, con i quali si potrebbe giudicare una qualità simile; la grazie e la compostezza anche, per le medesime ragioni.
Cosa, allora, potrebbe donargli il buio. Questo è il vero mistero, a cui Aiichirou non è riuscito a trovare una risposta. Il buio sembra essere molto più geloso di qualsiasi altro elemento, perché inghiotte tutto e non lascia niente indietro: il vero dilemma di chi si confronta con lui, direttamente o meno.
Ma la curiosità è degli esseri senzienti, che riescono a recepire richiami provenienti dall'esterno e si pongono quesiti per essi, in forma razionale o meno. In modo consapevole o meno.
Aiichirou prova meraviglia, tanta meraviglia, a mirare la stupenda opera di Nanase Haruka – rimane sospeso nel tempo, come se non esistesse altro che quello, in tutto il mondo. Ed è questo suo sentimento che fa da ponte al suo subconscio per coltivare, dentro, un poco di speranza, un poco di illusione.
Quel poco che serve per mitigare la paura cieca e irrazionale, che può vincere persino l'ombra.

 

Trust I seek and I find in you
Every day for us something new
Open mind for a different view
And nothing else matters

[Metallica – Nothig else matters]

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Capitolo 17
*** 16. Capitolo sedici ***


16. Capitolo sedici

 

 

 

Raccoglie uno sbadiglio, soltanto uno, piuttosto sonoro e prolungato, con la mano piegata a conca davanti alla propria bocca. Il cielo colorato di tramonto manda la sua luce strabiliante da sinistra, lì dove il vetro del pullman su cui il ragazzo appoggia la punta della spalla non scherma niente e lascia trasparire ogni dettaglio del panorama che scorre assieme ai chilometri, lungo la strada.
Un po' dell'eccitazione per la gara è scemata via, assieme all'odore del cloro e della sensazione di appiccicaticcio che il sole, assieme alle ventate di salsedine provenienti dal mare, ha incollato addosso.
Ricordi meravigliosi che rimangono negli occhi, nella mente, nel cuore.
Aiichirou guarda qualche posto più in là, avanti a sé. Lo può fare perché al ritorno sono quasi tutti assieme, almeno per più di una manciata di minuti; poi, Nagisa e Rei dovranno scendere.
Nota solo qualche ciuffo della capigliatura mora del capitano della squadra, appoggiata di lato lì dove il ragazzo ricorda essersi messo Haruka – sembra abbastanza rilassato, forse sta riposando o forse semplicemente si è lasciato andare, tranquillo in un momento di guardia abbassata; l'altro non si muove, rimane fermo sotto il suo peso e lo sostiene con la propria rigidezza.
Nagisa è accanto a Gou, e parla ancora. Si trovano dall'altra parte dell'autobus, ma Aiichirou riesce a notare un braccio che si alza, oltre la testa del posto, e la vitalità di quella ricorda fin troppo bene quella del compagno di club. Sogghigna, senza riuscire a trattenersi.
-È stato divertente, vero?
Rei è accanto a lui.
Gli sorride, sincero e ancora emozionato.
-Sì, lo è stato!


Salite le scale dal piano terra, la prima porta che si trova a destra è quella dell'unico figlio della coppia dei coniugi Nitori. Rimane sempre ben chiusa, alcune volte è stata persino serrata con una chiave – ma sono stati giorni bui, quelli, in cui ancora meno delle parole i sentimenti stessi hanno faticato a comunicare qualsiasi cosa, che fosse caloroso affetto o semplice apprensione. Ora non vibra più di sofferenza e solitudine, ma scherma al mondo la reale essenza di ciò che nasconde dietro di sé.
Il signor Nitori si ferma a un passo di distanza quando sente la voce del figlio piuttosto alta, allegra e vivace.
-Ed è stato wow, è stato! È stato bellissimo, Momo! Avresti dovuto esserci!
Non sa con chi sta parlando – è sicuro che sia da solo e che abbia il telefono cellulare spento, perché a quell'ora di sera non lo tiene mai acceso. Non sa se vuole sapere con chi sta parlando oppure godersi il suo pregiudizio come ha sempre fatto fino a quel momento.
Eppure, Aiichirou ha amici reali, ora. Esce con loro, parla di loro, è coinvolto da loro come un qualsiasi adolescente normale: integrano la sua vita non come elementi di passaggio, ma come peculiarità e particolarità che arricchiscono.
Lo sente ancora, con voce sempre squillante.
-Nanase-senpai è riuscito a classificarsi per le regionali! Non poteva che essere così, è stato bravissimo, non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, quando nuotava!
Si è detto così tante volte che sarebbe bastato poco, per toccarlo: aprire una porta, fare qualche passo, e sedersi accanto a lui.
Ma si ritrova, anche a quell'età, anche essendo adulto, ad avere paura del buio.
Viene chiamato, quando ormai ha le dita della mano ferma sul pomello della porta, dalla luce della propria camera da letto e dalla voce incerta di sua moglie, che non sentendo più alcun rumore s'è allarmata e ha preferito riempire il silenzio con alcune parole; lascia ogni proposito e si concede, di nuovo, alle proprie allucinazioni.
Nitori sente qualcosa – passi soffusi, ovattati – e capisce di dover abbassare almeno un poco il proprio tono.
Momo lo guarda mentre gli si rivolge per l'ennesima volta, e deve chinarsi in avanti per ascoltare i suoi bisbigli. Raggomitolati a terra come sono entrambi, sembra quasi che si stiano scambiano racconti dell'orrore o segreti, che più o meno sono la stessa cosa, per quelli come loro.
-È stato lo spettacolo più bello di sempre, mi sono emozionato un sacco!
Aiichirou non ha freno, chiude le mani a pugno e le agita in aria come se stesse scuotendo qualcosa, preso dalla propria felicità. Dietro di lui, poggiata sul comodino accanto al letto, la sola lampada accesa illumina in modo soffuso, di un colore tra il giallognolo e quasi l'arancione, lo spazio che c'è tra lo specchio del fantasma e il ragazzo umano.
-Anche Tachibana-senpai è stato bravissimo! Però lui non si è qualificato, è stato davvero un peccato!
Momotarou tiene le gambe incrociate come l'altro, seduto su un tappeto che pare uguale al suo. Gioca nervosamente con le proprie stesse dita, a fare schiocchi senza ritmo e a incrociare gli indici.
Aiichirou ha ancora in testa, e davanti agli occhi, le emozioni che ha vissuto quel pomeriggio – sente quasi il calore del sole sulla pelle nuda delle spalle, ed è tutto un fermento.
-Anche con la staffetta sono riusciti a classificarsi, andranno alle regionali!
-E tu, che hai fatto?
-Io ho fatto soltanto una gara. Tachibana-senpai ha detto che sono stato bravo e che si vede che sono migliorato.
-Sei riuscito a qualificarti?
Si rattrista quasi all'improvviso, e un po' si spegne. Momotarou non si accorge dell'errore che ha fatto, e rimane in attesa di ascoltare quello che l'altro ha da dire. Ma è solo in quel momento che, in effetti, il ragazzo umano si rende conto della poca attenzione effettiva che l'altro gli sta prestando, e più del resto si risente proprio di quello.
-No. Sono arrivato terzo nella mia batteria.
Il fantasma fa un segno con la testa, di assenso, ma è chiaro che non abbia capito. Aiichirou sospira, spiegandosi.
-Passano soltanto i primi due.
-Però sei stato bravo.
-Sì, me lo hanno detto tutti.
Sorride un po' meno vistosamente di prima, eppure sorride – e lo fa anche il fantasma, in reazione.
I pugni delle sue mani tornano in alto, a testimoniare una ferma decisione e motivazione. È tornato il calore nel suo sguardo, che ora brilla.
-Mi impegnerò a fare il tifo per loro, quando andremo alle regionali!
-Quando saranno?
-Fra poco più di un mese, dopo il periodo estivo!
Guarda lontano, in una direzione non ben precisata.
La sua camera è sempre la stessa, e per questo offre una quotidianità che, con l'immaginazione fervida, può essere resa implicita per la costruzione di abbagli ben più appetibili: una spiaggia dalla sabbia bianca e fine, un mare dal fondale luminoso e dall'acqua cristallina, la salsedine sulla lingua e che impasta la pelle.
-Passeremo le vacanze ad allenarci! Matsuoka-san ha già detto di aver programmato qualcosa!
Si bea di quella visione come se fosse già reale, attorno a lui.
-Non vedo l'ora! Darò il massimo, per rendere i senpai orgogliosi!
Quando c'è la paura, tra le sue parole, è per sottolineare un intento più implicito.
-Per rendere Nanase-senpai orgoglioso!
Non c'è seguito alle sue parole, e anche quando il suo entusiasmo si spegne con un ritmo più regolare e tranquillo del respiro, il silenzio permea nel suo udito e lo graffia con un gelo che non è per nulla estivo.
Torna a guardare il fantasma al di là dello specchio: le sue dita non hanno smesso di muoversi, e si sorprende quando si accorge di essere guardato. Compiere il gesto del sorriso è troppo tardivo, perché nell'animo di Aiichirou ormai la teoria di una troppo discreta premura è stata soppiantata da qualcosa di ben peggiore.
-Momo, stai bene?
-Cosa intendi dire?
-Sei più silenzioso del solito. C'è qualcosa che non va?
Il fantasma non risponde e abbassa lo sguardo, chiaramente a disagio. Aiichirou guarda il fondo dell'immagine dello specchio, cercando possibili altri indizi circa la condizione emotiva del fantasma e delle cose che lo circondano, ma pare che niente sia diverso dal solito. Forse allora non è niente di tanto grave come ha iniziato a temere, eppure non si spiega il comportamento dell'altro.
Lo richiama, piano.
-Momo?
Vedendo che non ottiene risposta, alza la mano e ne appoggia il palmo aperto sulla superficie verticale dello specchio. Finalmente il fantasma lo guarda, con gli occhi lucidi di un'emozione che non riesce a interpretare.
E neppure il suo sorriso stempera l'angoscia che sente.
-Sei Momo, non è vero?
-Certo che sono Momo! Chi dovrei essere, Ai-senpai?
Sente calore quando Momotarou appoggia la propria mano sull'impronta della sua, in quello che gli appare come l'unico e vero contatto diretto che possono avere, loro due. Sospira, con gli occhi chiusi, richiamando a sé tutta la propria calma e tutta la tranquillità possibile.
Si avvicina di mezzo passo, e lo stesso fa l'altro – potrebbero toccarsi con la punta delle ginocchia, se fossero entrambi vivi.
-Momo, perché mi chiami “senpai”?
-Avevo quindici anni quando sono morto. Questo me lo ricordo abbastanza bene.
Il fantasma lo colpisce sempre con risposte semplici, che paiono alle sue orecchie come depurate di ogni malizia e di ogni paura. Aiichirou può solo immaginare come fosse, lui, da vivo, perché quello che ha davanti sono gli ultimi ricordi di quello che fu Momotarou di se stesso.
-Tu sei più grande di me, non è vero?
-Sì, sono più grande di te.
Tende le dita, e il fantasma lo guarda pieno di nuovi dubbi.
-Mi dispiace.
Sente gli occhi pieni di lacrime lucide, salate – forse è solo per quello che fa così male, e non rendersi conto di una vita spezzata troppo presto e così ingiustamente data alla morte.
È pietà, e fa davvero così tanto male.
Momotarou lo guarda impotente, al di là dello specchio, e sente una nuova forma di dolore appesantirgli il petto. Cerca di sorridere, ma non ci riesce la prima volta, quindi raccoglie parole amare dalla gola secca e le pronuncia nel modo più gentile che conosce.
-Penso che se non ricordo della mia morte, significa che non è stata poi così dolorosa.
Scuote la testa in segno di assenso, quando Aiichirou lo guarda di nuovo trattenendo un piccolo singhiozzo.
-Gli spiriti hanno ben memoria del dolore che hanno provato, ma io non ricordo proprio niente riguardo quello.
È vero, il ragazzo lo sa fin troppo bene, perché è il motivo del suo più profondo disprezzo per quel genere di creature. Ma, detto a quella maniera da un fantasma a cui si è affezionato, fa davvero un altro tipo di effetto.
Si rende conto che la sua paura lo ha reso insensibile, troppo poco umano.
-Forse sono morto felice, dopotutto!
Aiichirou si asciuga le lacrime con la manica corta del proprio pigiama, in risposta a quel positivismo forzato: non può essere l'unico, tra loro due, che da mostra a quella maniera della propria sofferenza, perché sarebbe davvero troppo indecoroso.
Momotarou lo aiuta ancora, perché sa cosa sia la vera gentilezza e non ha intenzione di tirarsi indietro.
-Sarebbe una bella cosa.
E finalmente Aiichirou gli risponde, con ancora le guance un po' lucide – ma lo trova bello lo stesso, anche con il naso che gocciola.
-Sì, penso di sì.
Stringe le dita, per stringere le sue: si ricorda tardi che non può, e allora ridacchia pieno di imbarazzo.
-Domani hai scuola, giusto?
-Sì. Ho anche il club nel pomeriggio.
-Allora è meglio che tu vada, ora. Così domani sarai carico di energie!
-Hai ragione. In effetti sono un po' stanco.
-Buona notte, Ai-senpai.
-Buona notte, Momo.
Di nuovo nero, ovunque si possa posare occhio o udito umani.


Nero, che non rilascia angoscia.
Nero, che respira assieme a lui.
Nero, che si lascia toccare.
Aiichirou allunga una mano, si ricorda di non avere paura, schiude gli occhi ed è dentro una bolla sospesa. Galleggia, ma si sente diverso da quando è in acqua, perché sulla pelle non c'è nient'altro che la carezza leggera di un tentacolo freddo.
La tridimensionalità non ha senso, e allora si riduce a semplice puntino e tutto diventa ancora più grande e immenso. Può volare, può annegare, può sotterrarsi e può anche esplodere: la sua esistenza non è limitata a niente di così fisico, ma rimane un concetto tutto mentale che lo rende particolare, e quindi unico.
Aiichirou guarda, perché in sé è presente il concetto di vista e quindi ha occhi, ha pupille in grado di vedere coscientemente; si accorge, quando volta lo sguardo nel vuoto, di non aver mai compreso nulla, di tutto quel nero.
È come essere immersi nell'universo, costellato di punte luminose: brilla, di emozione, anche quel mondo.
Quando si sveglia, tra le coperte del proprio letto, come una delle tante illusioni che gli hanno preso la coscienza ultimamente, non sente la minima ansia nel proprio petto.

 

Ooh, baby, do you know what that's worth?
Ooh, heaven is a place on earth.
They say in heaven love comes first.
We'll make heaven a place on earth.
Ooh, heaven is a place on earth.

[Belinda Carlisle – Heaven is a Place on earth]

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Capitolo 18
*** 17. Capitolo diciassette ***


17. Capitolo diciassette

 

 

 

Casa Nanase non possiede molti inquilini, dispersi per lo più in luoghi diversi per lavoro e altre intenzioni. Per quanto Makoto lo sappia implicitamente, c'è quella parte del ragazzo che concerne l'educazione che porta i suoi piedi sempre, ogni volta che si appropinqua alla dimora, verso l'ingresso principale, quello che dà sul davanti della casa fatta di legno, a suonare con il dito indice il campanello della porta; il gesto viene ripetuto anche diverse volte, reiterato per scrupolo, fino a diventare scusa per qualcosa di diverso, appena più intimamente subdolo, nel momento in cui non riscuote in cambio proprio niente.
Makoto si muove verso destra, accerchiando la ringhiera che delimita il giardino della casa e finisce contro il lato Ovest della stessa, lasciando scoperto soltanto il retro. Lì, proprio lì, c'è quella porta mai chiusa, di cui lui possiede persino la chiave.
Apre piano, nel timore di chissà che cosa. E si fa avanti solo col busto, all'inizio, sbirciando in un corridoio in penombra.
-Haru?
Nessuna risposta ad accoglierlo. Trattiene un piccolo sospiro ed entra, senza essere introdotto da nessuno; appoggia le scarpe dall'ingresso, lì dove il parquet della casa si interrompe in un gradino un poco alto, e con i calzini completamente bianchi scivola sulle assi di legno per qualche metro.
I suoi piedi, per abitudine, si dirigono in un posto preciso, la cui porta è stata lasciata socchiusa – sul pavimento c'è l'impronta della luna, in una striscia biancastra che si allunga e si arrampica per un pezzo di parete verticale.
Chiama di nuovo, e c'è ancora silenzio: stranamente, non è in bagno.
Questa volta sente un suono distinto arrivare da qualche stanza più in là, e si affretta a inseguirlo: è un richiamo simile all'onda, che bagna la punta dei piedi e si ritira poi, solo per farsi inseguire nelle tracce di spuma bianca.
-Haru?
Lo accoglie con occhi niente affatto sorpresi, mezzo disteso sul letto: finestra aperte, stelle in cielo. Non è tanto l'abitudine a lasciarlo come indifferente al suo arrivo, ma la speranza che nutre perché lo faccia, ogni volta.
E il disinteresse per tutto il resto che lo circonda, come per esempio il suono del campanello di casa – se non è importante, non arriva neanche a lui.
Makoto oltrepassa l'ingresso della stanza, sconfinando nel suo territorio personale. Si guarda attorno, facendo notare un particolare di degna rilevanza.
-Perché hai la luce spenta?
-Non mi andava di accenderla.
-Ma così non si vede niente.
Sorride, sogghigna, è intenerito. Dolce come al solito, forse finamai troppo zuccheroso. Non si muove di un passo, e questo non piace troppo ad Haruka, che guarda con la coda dell'occhio il cielo stellato.
I vestiti che indosserà entro breve sono già stati selezionati tra i suoi e messi, in precedenza, all'angolo più distante del letto, per aspettare il momento giusto.
Makoto li vede, e li indica con un cenno della testa.
-Non sei pronto per la festa?
-Sei in anticipo di quasi un'ora.
-Oh, davvero?
Ogni tanto fa il finto tonto, ogni tanto tonto lo è davvero.
Questa volta Haruka però non ha dubbi, specialmente perché quando Makoto si siede accanto a lui, sul letto, ha lo stesso sorriso di prima.
Come se non fosse ovvio il motivo della sua presenza, in un orario del genere.
-Non prendermi in giro.
-Non era mia intenzione, in realtà.
Gli accarezza la caviglia nuda, in un tocco che è sempre gentile – e quando alza gli occhi al suo viso, vede nella penombra qualcosa di diverso, un tocco di rosso sulle guance.
Definirla timidezza sarebbe sbagliato, perché più che altro è premura verso di lui: quasi che si ritrovasse a vezzeggiare, in punta di dita, la cosa più bella del mondo.
Allunga la gamba, comunica per contatto; Makoto risale fino al ginocchio, e si china di lato per posarvi qualche bacio leggero.
Ha le labbra fresche.
-Ti dispiace ancora che la luce sia spenta?
-Beh, vorrei vederti meglio in viso.
Gli piace anche il rumore della sua voce. Lo sente da tanti anni, e non se ne è ancora stancato.
Non pensa che mai riuscirà a farlo, a questo punto, e la cosa non gli dispiace per niente.
Stende il braccio e lo accarezza sulla guancia, prendendogli il colletto della maglietta elegante – gliela stropiccia un poco, giusto per lasciare il segno su qualcosa che gli appartiene.
-Stammi vicino e mi vedrai benissimo.
Lo vede sorridere, al chiarore della luna di quel giorno di festa, e avvicinarsi sempre più al suo viso.
Gli piace guardarlo sempre, anche quando sussurra a un fiato di distanza dalla sua bocca.
-Hai ragione, Haru.
Lo prende per primo, perché lui è decisamente molto meno paziente.

 

***

 

Si è distratto un attimo: rumore di passi veloci lo riportano alla realtà dal mondo di niente che fissava verso un punto indefinito, nel vuoto che rende nero il cielo stellato. Gou gli sorride apertamente, facendosi vicina a lui con movenze sicure e sempre meno celeri. Ha una pettinatura diversa dal solito e molto più colore addosso, ora che non indossa la divisa scolastica. Persino un pendente che le circonda il collo bianco, nascosto dentro il colletto un poco alto della camicia.
Nagisa potrebbe davvero dire che è graziosa, se non fosse così tanto sconveniente persino per uno come lui.
Rei è il primo a salutarla, più veloce e accorto dell'altro ragazzo, e quando si ritrovano tutti vicini c'è quella solita atmosfera familiare che tranquillizza e rilassa le loro anime, d'istinto.
L'invito arriva da una sola delle loro bocche, ma è come se fosse condiviso da tutti.
-Andiamo?
Lasciano, con qualche passo verso Nord, l'incrocio che interseca la strada che parte da casa Matsuoka e quella che scende dalla collina su cui si ferma la metropolitana da dove i due ragazzi arrivano: si dirigono in sincrono verso la festa di paese.
Iwatobi raccoglie, in una sera, tutta la popolazione che scende dalla piccola valle a cui funge da termine ultimo, come una laguna tutta l'acqua del suo affluente. Si anima parecchio, non troppo di rumore quanto di luci e suoni carezzevoli, odori di fritto e di ogni più tipica festività giapponese.
La festa della strega: così viene chiamata quella celebrazione, o almeno così sembrano dire i giovani troppo pieni di scherno e troppo poco di rispetto verso gli anziani – in verità, come tutte le feste delle città sul mare, celebra l'abbondanza delle acque marine e augura una buona pesca per la durata di tutta la bella stagione. Una sorta di rito propiziatorio antico, volendo a tutti i costi classificarla in qualche modo.
E la moda di rendere qualsiasi cosa commerciale ha riempito le strade di bancarelle piene di pesce fritto e qualche carovana con modesti quanto simpatici giochi, come la pesca dei pesci rossi o il tiro a segno.
È da quando Nagisa ha memoria che, ogni anno, si festeggia a quel modo. Non ha ancora perso l'abitudine di divertirsi con poco e di godere di quella pacata allegria condivisa. Prende per il polso Rei, a un certo punto, trascinandolo in avanti di qualche metro giusto per giocare un po'. Ovviamente l'altro si lamenta, e cerca di ritardare i giochi a quando saranno tutti presenti, anche i restanti membri del gruppo – Gou sospira, ma non li fermerebbe per nulla al mondo.
Guarda l'orologio che ha al polso, notando come l'ora dell'appuntamento non sia troppo lontana.
La marea calma, poco distante, si rilascia in onde pigre, basse e piene di riflessi colorati: una luna tonda è l'unica vera luce che rischiara il cielo scuro, rendendo candide e quasi perlacee le curve morbide delle poche nuvole presenti.
-Gou-chan, vuoi da mangiare? Io e Rei-chan prendiamo qualche spiedino!
Si sistema la borsa a tracolla sulla spalla destra, ripercorrendone il manico con la parte di carne nascosta sotto le unghie colorate di smalto leggero. Qualcuno le passa attorno, e la sua mano si alza a salutare il pasticcere che vive a pochi isolati da lei.
-Non aspettiamo gli altri, per iniziare?
Il ragazzo gonfia un po' le guance, gesticolando come un ragazzino annoiato.
-Ho fame adesso!
-Sei sempre piuttosto impaziente, Nagisa-kun.
-Gli altri sono lenti e io non ho cenato!
In effetti, c'è già un buon odore ovunque, di quelli capaci di far venire appetito anche ai più restii, e la brezza leggera e giocosa che sale dalla marea non aiuta per nulla. Rei sospira al posto di Gou, e questo dà adito all'altro ragazzo di lamentarsi ancora un poco.
Poi qualcosa si illumina, nel suo sguardo, e la mano si mette in avanti a indicare qualcosa di preciso.
-Oh, Nitori-kun!
Aiichirou si avvicina al gruppo con passo svelto, accelerato dalla paura di aver fatto in ritardo. Ha il fiato corto quando finalmente si ferma davanti a loro – e non passa più che qualche secondo che subito Nagisa gli prende il braccio tra le proprie.
-Ai-chan! Hai fame?
Non gli lascia neanche il tempo di riprendersi e di rispondere che già è partito, trascinandolo in avanti con sé.
-Vieni a prendere il pesce con me!
Aiichirou inciampa nei suoi stessi piedi, ma piuttosto ubbidiente non dà altra forma alla propria resistenza. Non verrebbe ascoltato o anche solo notato, nel migliore dei casi.
-A-aspetta un secondo!
Gou e Rei, alla fine, sono costretti a loro volta a seguirli, prima di perderli nel numero di bancarelle presenti.


Andando avanti con le ore la massa si è intensificata, riempiendo man mano ogni anfratto più piccolo con un vociare chiassoso e allegro, per quanto posato.
Accorrono per lo più per i fuochi d'artificio di fine chiusura e per il falò sulla spiaggia che tarda più del dovuto ad accendersi: lì, su quella grande pira stagliata verso il cielo come se fosse una croce chiodata, è stata appesa la figura grottesca di un corpo umano dal volto angosciante, terribile, di una vecchia dal naso adunco e appuntito come un uncino. Alcuni bambini, con la tipica malizia della loro età, già le corrono attorno, mimando di tanto in tanto il gesto di appiccare fuoco, nel divertimento macabro che è tipico della più bassa e istintiva popolazione – senza pensiero logico, esattamente come l'istinto che conduce alla vita piuttosto che alla morte. Qualcuno addita gli scogli dove la leggenda narra sia morta la strega vera, cento anni a quella parte, appesa morente a quei sostegni di pietra gelata mentre lanciava la sua terribile maledizione contro il villaggio e contro ogni forma vivente; anche in quel momento c'è il fragore del mare contro la riva e contro la parete di roccia che libera ventate di salsedine fresca contro tutti i presenti, i respiri dei fantasmi che furono. Qualcuno di particolarmente sensibile ha un brivido che scambia per semplice reazione al freddo, ma la maggior parte non traduce quelle invocazioni di vendetta e rimane tranquillo nell'animo.
Nitori è inquieto, e non trova Momotarou in nessun riflesso. Siede a una panchina oltre le bancarelle, con le gambe che penzolano avanti e indietro, e si guarda attorno piuttosto spesso come alla ricerca di qualcosa.
Un'ombra, probabilmente, abbastanza grande da oscurare tutto il resto.
-Sicuro di non avere fame?
Nagisa, questa volta, è più preoccupato che altro, accanto a lui. Tiene in mano altri due spiedini di pesce, mentre sta masticando qualcosa con denti voraci. Non è il solo a guardarlo: anche Makoto e Rei hanno gli occhi puntati su di lui.
-Non hai mangiato molto.
Sorride, con la solita smorfia forzata, ma cerca in tutti i modi di essere abbastanza rassicurante.
-Non c'è problema, davvero. Sono pieno.
Sono tutti vicini, chi seduto chi in piedi. Non c'è sbilanciamento tra di loro, per quanto Haruka tenda a estraniarsi guardando l'oceano e i suoi risvolti bianchi e il capitano gli è insistentemente accanto. Nagisa insiste perché Rei e Gou lo accompagnino per la terza volta alla bancarella del tiro a segno, perché quella sera vuole proprio portare a casa almeno un pupazzetto, un premio da guardare con stupida ammirazione nei giorni futuri; la ragazza, d'altronde, ha già quello che gli ha regalato Rei, così come il campione del loro club ne ha uno altrettanto piccolino e colorato.
Nagisa cambia all'improvviso interesse: mangia in un sol boccone quello che gli rimane del pesce e si avvicina saltellante a un chioschetto ambulante, raccogliendo quante stelle filanti possano concedergli una banconota da pochi yen. Si avvicina a tutti loro con la medesima energia, e in specie a Aiichirou.
-Ti piacciono i fuochi? Eccoti qua!
Il ragazzino si ritrova in mano una lunga asticella di zolfo con la punta accesa, scoppiettante. Sulle prime è un po' sorpreso, tanto che allontana la mano dal proprio corpo; poi vede gli altri sorridere, e allora pieno di imbarazzo si rilassa, tornando forzatamente tranquillo.
-Stanno per accendere il falò! Guardate!
Tutti seguono la direzione indicata dal braccio e dalla mano di Gou, vedendo un signore anziano che regge a fatica una torcia, abbassandola ad un certo punto fino alla base della grande pira. Dopo qualche minuto di incentivo, e una seconda e una terza torcia applicate in altri punti, diverse lingue di fuoco giallastre cominciano timidamente a spuntare.
Subito Nagisa commenta la cosa, con il bastoncino che tiene tra le dita ormai spento.
-Ne fanno sempre uno grandissimo!
Non sente nessuno, però, a rispondergli, e un po' si offende. Torna alla sua vittima preferita, e all'improvviso si siede accanto a Aiichirou.
-Sei impressionato, Ai-chan?
-Un po', sì.
-Vedi lo spirito della strega, per caso?
La domanda non lo sorprende più di tanto, quanto piuttosto il tono con cui è stata pronunciata: non sa se attribuirla a malizia oppure a semplice ignoranza. Eppure, lui riesce a percepire distintamente tutta la vibrazione dell'aria, come se qualcuno la riempisse con i propri sentimenti.
Si stringe nelle spalle, improvvisamente infreddolito.
-No, non riesco a vederlo. Ma lo sento distintamente. È come se ruggisse.
-Ruggisse?
-Sì.
Nagisa è meravigliato, e molto.
Attorno a loro, il colore rosso e arancio del fuoco si sta allungando sempre più, mischiandosi con il nero che gli è sullo sfondo. Qualcuno già balla, altri fischiettano e intonano una canzone per accompagnare i gesti delle persone, ma i tamburi e i flauti tardano a partire, aspettando il segno del capo degli anziani del villaggio.
Aiichirou guarda il vuoto: ombre che si stagliano sulla parete di roccia, grottesche e per nulla umane.
-Ha molta, moltissima rabbia in sé.
-Ed è un male?
Quando il ragazzo guarda Rei, senza parole adatte tra le labbra a rispondere a una tale domanda, si sente il fragore di un tuono tra le nuvole alte, mischiatesi in cielo.

 

-La tramontana soffia su corpi distesi nel letto di morte, soffiando via anime come spiriti irrequieti. La tramontana soffia su corpi distesi nel letto di morte, raccogliendo l'essenza della vita abbandonata. La tramontana soffia su corpi distesi nel letto di morte, estirpando la colpa con una vendetta buia di notte.
Una vecchia, dalla folla, guarda il cielo come lo guarda lui: nel medesimo modo sofferente. Per un istante, Nitori confonde la sua figura con quella della nonna tanto amata, così da non trovare niente di strano in quello che fa poi.
Sua nonna capisce il disagio dei morti come capisce quello dei vivi – e se lui parla di cose oscure quanto il vuoto, non c'è giudizio che lo inchiodi.
Le parole gli scivolano fuori dalle labbra in modo naturale, da sole. E sembra tanto il recitare di una formula magica.
Terribile, davvero terribile.
-E dal mare sorgerà il peccatore con falce assassina. E dalla terra risorgerà la putrefazione dimenticata. Nero che fagocita ogni spilla di luce.

 

The smile on your face
Lets me know that you need me.
There's a truth in your eyes
Saying you'll never leave me.
The touch of your hand says you'll catch me whenever I fall.
You say it best when you say nothing at all

[Ronan Keating – When you say nothing at all]

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Capitolo 19
*** 18. Capitolo diciotto ***


18. Capitolo diciotto

 

 

 

Sobbalza l'intero villaggio – come una sola anima timorosa, assistendo immobile alla violenza della terra e del cielo: un turbine leggero di acqua si arrotola fino alle nuvole, aggrappandosi sempre più in alto con unghie invisibili, fino ad aprirsi in una grande circonferenza di nulla e quindi piovere in basso fino a bagnare la sabbia fine.
Qualcuno alza le mani per proteggersi le spalle, e stringersi in un abbraccio che sa di fittizia illusione. Ci si riscalda in vestiti sottili per sedare quei piccoli brividi improvvisi, sgraditi per lo più per quanto riguarda la sorpresa che per altro.
I nasi sono rivolti al mare, però, che pare ribollire in modo strano di una quantità inusuale di schiuma bianca. All'orizzonte, dove già proviene buio pesto, le ombre di nuvole grondanti si ammassano tutte assieme creando uno scudo per l'esterno, isolando quasi di fatto quel pezzo di costa a ogni altro occhi curioso.
Il falò divampa, si piega al vento per poi ingrandirsi di più in un ruggito feroce, orgoglioso. Passi indietro sulla sabbia, e pelle di un colorito rossastro non naturale.
E risa di nuovo, il ricordo di dover festeggiare tutti assieme.

 

Nagisa appoggia di nuovo le proprie mani calde sulle spalle esile di Aiichirou, che squittisce quasi e viene rubato al proprio incubo cosciente.
-Ai-chan, ti spaventi facilmente!
Il ragazzo riesce a malapena a balbettare qualcosa, con la pelle che ancora trema e le mani chiuse a pugno, all'altezza dello sterno. Nagisa non smette per questo di scherzare con lui.
-È soltanto una tempesta! Hai paura anche dei temporali, oltre che dei fantasmi?
Lo guarda con occhi spalancati, come se non riuscisse a capacitarsi della mancanza di tatto dell'altro. Il ragazzo biondo è fondamentalmente buono, ma in certe situazioni e in certi momenti riesce davvero ad avere poco tatto.
-Io non ho paura dei fantasmi!
-Ma come? Il fatto che li puoi vedere non li rende ancora più spaventosi?
Interviene Makoto tra i due, avvicinatosi un poco di più e percependo il disagio nella voce fattasi squillante di Aiichirou. Non vuole dare spettacolo, né permettere agli altri due di farlo, in particolar modo con argomenti delicati come quelli.
-Nagisa, ora basta.
È Rei ad alzare di nuovo gli occhi al cielo, impensierito dal rumore di altri tuoni in sempre minor lontananza – ha le sopracciglia aggrottate e tanti pensieri tra le piccole rughe della fronte quando parla.
-Credo sia il caso di rientrare. Fra poco inizierà a piovere.
Nagisa si scorda abbastanza in fretta dell'argomento che prima lo ha impegnato, e notando che in generale l'idea dell'amico è condivisa, causa sguardi abbastanza rassegnati e facce alquanto deluse, fa notare tutto il proprio disappunto.
-E perdere tutto lo spettacolo dei fuochi d'artificio? Con questo tempo si vedranno davvero bene!
-Non lo so, con l'aria così piena di umidità è difficile anche che li accendano.
I ragazzi tergiversano ancora un poco, giusto il tempo per permettere agli uomini del villaggio e agli organizzatori della festa di decidere il da farsi. Qualcuno si muove sulla spiaggia, c'è un parlare veloce e deciso, anche tra la folla che non ha intenzione di disperdersi altrove. Con una fiaccola grande, luminosa e rossa, qualcuno accende la prima miccia, e già nell'aria si sente odor di bruciato.
Il profumo di polvere da sparo arriva subito dopo, assieme a un'onda di fumo nerastro.
-Oh, guardate! Hanno deciso di accenderli lo stesso, alla fine!
Gou punta il dito in alto, verso quel muro nero perfetto e il fiore blu e giallo che si apre di fronte ai loro occhi, luminoso di tantissime piccole fiammelle. Non hanno altro che meraviglia ora, sull'espressione, e l'ombra del timore è scivolata via dalle loro facce.
Perché basta poco, all'animo umano, per convincersi che valga la pena non provare l'ansia del timore.
-Che meraviglia!
Aiichirou fa un passo indietro per separarsi dal gruppo di amici.
Deve respirare, profondamente, senza farsi vedere, prima che quelle certe emozioni che lo hanno colpito in modo diretto traspaiano troppo e facciano vedere quanto in realtà sia agitato anche solo di restare lì.
Vorrebbe scappare. Ha un distinto desiderio di dileguarsi, e non ha idea se sia a causa del luogo o della ricorrenza, oppure entrambe le cose, ma se prima quello spirito inquieto è stato solo vagamente presente, ora lo schiaccia con forza e lo fa tremare.
Vorrebbe scappare. E il rombo dell'esplosione di fuoco colorato non lo aiuta a mantenersi lucido nei propri stessi desideri.
-Stai bene?
Haruka lo fa sobbalzare, perché sono ancora tutti così impegnati a guardare i fuochi che non si aspettava davvero un avvicinamento umano e fisico. Ma percepire il battito calmo di un cuore umano lo fa tranquillizzare, e per questo riesce persino a parlare.
-S-sì. Grazie, Nanase-senpai.
-Non hai l'aria di uno che sta bene.
-Ho solo una brutta sensazione addosso, non è niente di più.
Haruka lo guarda negli occhi, proprio quando una bolla verde illumina tutto quanto, compresa la sua persona.
-Mi fido del tuo giudizio.
Fa una pausa per far passare le urla di acclamazione della folla tutt'attorno a loro – è infastidito, ma non con lui.
-E mi fido di te.
Aiichirou capisce d'istinto cosa voglia intendere, con quelle parole.
La fiducia che dice di riporre in lui riguarda la sua capacità di analizzare la situazione, la sua esperienza nel farlo, la sua precisione nel trarre determinate conclusioni. Non lo considera uno sciocco allucinato, o qualcuno che ha visto troppe cose e ha perso il senno.
Aiichirou è per lui qualcuno la cui parola conta davvero.
Abbassa gli occhi, un solo attimo, percependo quello che dovrebbe essere imbarazzo per timidezza.
-Nanase-senpai, è difficile da spiegare. I fantasmi lasciano dietro di sé tracce di sentimenti, come le loro orme.
-Tu le percepisci?
-Sì, distintamente.
Altro scoppio, e questa volta l'odore di bruciato è ancora più persistente; il botto è moltiplicato per tre, e la nube di luce si espande per quasi tutto il cielo visibile, come un unico grande astro.
Makoto si accorge che i due ragazzi stanno parlando, ma non si avvicina neanche di un passo.
-Quindi è vero che qui c'è stata una strega.
-Sì. È morta molto, molto arrabbiata. Ha detto parole terribili, votando il proprio cuore all'odio.
-Una maledizione.
-Esatto, una maledizione.
I botti alla fine cessano, e vengono sostituiti dai rumori cupi dei tuoni, ora sopra le loro teste.
Attorno c'è meno gente di prima, qualcuno è già fuggito via e sembra anche piuttosto velocemente. Assieme al fumo, si mescola anche l'odore di umido e delle alghe sul lungo mare.
Gou si copre il capo con la mano, prima che Rei le offra la propria giacca come riparo.
Si alza un coro di frasi sconnesse, poco prima del fruscio forte di una classica, quanto improvvisa e fredda, pioggia d'estate.
-Ora inizia davvero a piovere.
-Qualcuno di voi ha per caso un ombrello?
-Chi poteva immaginare che piovesse proprio oggi!
-Ah, cominciate a correre! Correte, correte!

 

Capelli bagnati, che le cadono appena pesanti sulle spalle; alcuni ciuffi più audaci le sono scivolati sotto la maglietta, strisciando sulla pelle bagnata tra le scapole ben delineate. La giacca di Rei non è riuscita a proteggerla come conveniva, e a un certo punto l'ha semplicemente abbassata e l'ha stretta al proprio fianco, zuppa quanto lo era lei.
A ogni passo, la suola del sandalo una volta elegante sprofonda in una pozzanghera nuova, alzando ai lati del piede piccole onde di acqua fredda e anche un po' sporca. Il vento non aiuta in questo, e ogni tanto si vede un oggetto viaggiare lontano, strisciando sul pelo del suolo e fuggendo lontano il più velocemente possibile.
Un piccolo ombrello ancora aperto, una bustina della spesa, un cappellino e persino una piccola borsetta vuota.
Makoto e Haruka hanno deciso di allungare la strada e di rifugiarsi a casa Nanase, Aiichirou con loro, ma Rei e Nagisa l'hanno attesa all'incrocio di strade, prima di correre verso la fermata della metro assieme a lei, per ripararsi almeno cinque minuti. Hanno aspettato la corsa giusta tra brividi più che evidenti e una tensione che non riusciva a far scoppiare risate neppure per sbaglio o sfogo, e l'unica cosa che li ha distratti dal loro freddo è stato lo stridio prodotto dall'acciaio del mezzo di trasporto.
-Ci vediamo domani, Gou-chan.
Un saluto, e Gou si ritrova di nuovo da sola, con il rumore della pioggia battente che tamburella sopra la tettoia sotto la quale è riparata. Ha un brivido lungo tutta la schiena quando si volta piano e guarda in direzione della spiaggia da cui è fuggita via. Il buio della sera non aiuta granché, e la pioggia rende ancora più difficile l'atto.
C'è però una nube particolare, gronda di fulmini, proprio sopra la spiaggia dei fuochi, che pare concentrarsi in maniera particolare in quell'area. Gou non ne sa abbastanza di fantasmi, non almeno quanto dovrebbe saperne in teoria Aiichirou; eppure non le è possibile ignorare quella brutta sensazione, così palpabile e vera.
Si chiede come abbiano fatto gli altri a non percepirla. O forse Aiichirou l'ha sentita, e non ha espresso ad alta voce i suoi dubbi – deve parlare con lui, assolutamente, per capire cosa sia successo su quella spiaggia. Anche gli anziani del villaggio non le sono sembrati molto tranquilli, durante i fuochi e la fuga generale che è seguita, e non può dare la colpa di una siffatta angoscia a un semplice temporale fuori stagione.
Gou vorrebbe davvero capire cosa stia animando il villaggio in cui è cresciuta. Ogni anno, in quella data, si festeggia la caduta della strega con un grande falò attorno al quale si riuniscono tutti i membri più importanti del piccolo paese, e i giovani e i meno giovani. Interpretarlo come un atto scaramantico, più che propiziatorio, non risulta poi così audace in virtù di quello che è accaduto quel giorno.
Sarebbe anche da capire, tra le altre cose, il particolare che ha fatto la differenza tra la semplice normalità di cento anni di tradizione e quell'anno, invece, di straordinari eventi.
Un lampo più grande degli alti colpisce vicino, una porzione di mare che diventa trasparente e tutto schiumoso. Un rombo incredibile investe, in un'onda, tutto il villaggio di Iwatobi, e pare quasi che le anime tremino – dei morti o dei vivi è difficile saperlo.
Anche Gou trema, e decide di muoversi da lì: casa sua, probabilmente, è un luogo più sicuro di quello. Si stringe in un abbraccio esile e corre, concedendosi di nuovo alla tormenta.

 

***

 

La spuma del mare ribolle e ribolle ancora, tanto da diventare grigia e mescolarsi con il colore di sabbia del fondale basso. I pesci sono già fuggiti anzitempo, ben più sensibili degli esseri umani a certi tipi di cambiamenti – di fronte a certi pericoli non c'è spavalderia utile, questo è chiaro a tutti loro.
Non c'è più nessuno sulla spiaggia, ormai: le bancarelle, quelle poche che sono state lasciate indietro, di impalcatura abbastanza solida da non temere alcun tipo di vento, rimangono scheletri rigidi contro l'infuriare della tempesta, assi e barre di ferro pesante e freddo impiantate per bene nel cemento grigio della banchina lunga che va a concludersi ai piedi della collinetta dove di solito gli innamorati, nelle belle sere d'estate, decidono di concedersi qualche attimo di intimità.
Da una delle caverne della scogliera esce un ruggito angosciante, che è fin troppo simile alla natura umana. Erutta dalle scanalature lasciate vuote nell'ammasso disordinato dei grandi massi, e fa vibrare la pietra peggio di un terremoto.
È il richiamo che si stava aspettando.
Qualcosa sotto la superficie dell'acqua comincia a muoversi. Sposta una gran quantità di liquido a ogni gesto che compie, goffo e impedito da qualcosa. Lotta, contro se stesso e contro quello che si viene sempre più a definire come un groviglio di corde e di alghe, attorno ad arti superiori e inferiori. La sabbia si alza a ogni tentativo di passo della creatura, e il mare stesso schiuma sopra il suo capo, tutt'attorno alla figura mostruosa.
Passo, passo, passo.
Qualcosa emerge dal bianco e dal nero, verde e dal sapore marcio delle alghe morenti. Apre due occhi di ghiaccio, vivi quanto terribili. Con uno strappo forte e deciso, si libera delle catene che lo tenevano fermo sul fondale, e continua a procedere, fino a riemergere completamente e calpestare il manto della spiaggia ammorbidito dalla pioggia incessante.
Ancora un rombo del cielo: un fulmine illumina la strada alla creatura, e il tuono che segue ne copre in ogni parte l'urlo di vita.
Quel che resta di Mikoshiba Seijuuro avanza verso il villaggio maledetto.

 

I want to reconcile the violence in your heart
I want to recognize your beauty is not just a mask,
I want to exorcise the demons from your past,
I want to satisfy the undisclosed desires in your heart

[Muse – Undisclosed desires]

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Capitolo 20
*** 19. Capitolo diciannove ***


19. Capitolo diciannove

 

 

 

Nel nero, Aiichirou apre ancora una volta i propri occhi chiari. Ricorda di essersi addormentato nel proprio letto, poco prima, anche se la dimensione precisa del tempo gli sfugge, per lo più, e lo lascia disorientato come qualsiasi altro senso in suo possesso.
Non riesce ancora ad allungare le mani nel nulla, ma la leggera confidenza con cui tratta l'elemento che lo circonda rende il suo cuore un poco meno isterico, e la sua ansia meno agitata del solito. Naufraga dolcemente nelle proprie sensazioni, ed è un connubio di completa stimolazione e pace irrisolta, che torna a pungolarlo in spigoli freddi lungo tutto il fianco scoperto.
Ha capito che quella è la sacca dove tutte le emozioni umane finiscono: ha potuto sentire un dolore non suo, così forte e acido da fargli male tutto quanto il ventre; ha potuto sentire una gioia dimenticata, una fanciullezza racchiusa nel cianciare allegro di due ragazzine che corrono assieme tra i fiori e le farfalle spaventate; ha potuto sentire la soddisfazione e l'orgoglio di un risultato raggiunto dopo un gran lavoro e una gran fatica, il traguardo di una vita finalmente oltrepassato e il premio che attende al di là di quel limite tutto mentale. E la rabbia, e l'amore, e la terribile angoscia.
Dimentico della propria paura e di se stesso, Aiichirou riesce a comprendere il meraviglioso tesoro che quella dimensione racchiude – non c'è niente di più magnifico, d'altronde, che l'umana esperienza e l'umana anima. Eppure, ancora non si approccia a niente di tutto quello con mano sicura, più timoroso di fare uno sgarro ai vecchi possessori piuttosto che invogliato a possedere un tale potere. Sono i fantasmi ad aver perso qualcosa, e non è un suo diritto rubare ciò che loro hanno dimenticato per colpa della terribile, terribile morte.
Osserva, però, quello che lo circonda, e lo registra come dato di fatto, limitandosi ad annotare e ricordare una serie di dettagli sempre più grande, in modo quasi di non tralasciare nulla. Questo è quello che si sente fare, e non crede di voler andare oltre il compito che si è prefissato.

 

Sono passati diversi giorni dalla serata dei fuochi, diverse notti di relativa calma a tentare di acquietare il cuore e l'anima, quando succede una cosa strana.
Aiichirou non ha mai avuto il permesso di entrare nel sogno di qualcuno da solo, ma soltanto accompagnato da Momo, che sempre gli tiene la mano stretta tra le proprie dita. Questo perché la materia del nero è troppo forte per il suo fisico, e rinunciare alla propria persona di carne e di ossa non è ancora cosa che il ragazzo contempli con fare molto voglioso. Serve materia concreta, per dare logica al flusso di pensieri e di emozioni che l'anima ha lasciato indietro, ma serve anche quella componente metafisica per approcciarsi a un mondo in cui i sensi sono alterati, e in cui il tutto può diventare niente e viceversa in pochi attimi di secondo. E solo a un fantasma è concessa l'entrata di servizio in ogni sogno, senza dover subire il peso dei sentimenti altrui.
Anche gli esseri umani sognano, ma al di là di se stessi non percepiscono nulla. Quando Aiichirou sogna, riesce a mettersi in comunicazione con l'intero creato invisibile, nello stesso modo esatto in cui lo fa anche da sveglio. I suoi sogni non sono niente di statico, niente che rimanga immutabile e in una sola forma – lui è vivo, dopotutto, ed è sempre nel cambiamento che la vita trova la propria più intima espressione – ma ogni tanto Momotarou gioca con le nuvole dei cieli di Aiichirou, ogni tanto cade nella stessa acqua in cui l'altro ragazzo nuota incessantemente, quasi inghiottito da abissi neri. E se Aiichirou si perde in una boscaglia nera, dove ci sono più rovi e spine che altro, è la mano di Momotarou che trova sempre protesa, pronta a stringere la sua.
È riuscito a imparare a sorridergli, poco alla volta, con quella sincerità che illumina il volto del fantasma dai capelli arancioni. Momotarou è felice, come tiene a ribadire ogni tre passi, è felice davvero di avere lui come amico, e non tanto per colmare la solitudine quanto piuttosto perché i fiori del suo sogno sono diventati più luminosi, la quarta volta che Aiichirou li ha calpestati, e l'albero sopra la collina in fondo al viale di strada battuta è più alto e più verde, come se dovesse vivere ancora.
Aiichirou non può che vedere tutto questo, e ricordare comunque.
Gli occhi di Momotarou sono sempre sinceri, quando si rivolgono a lui, ed è per questo che si accorge anche dell'angoscia della sua coscienza. Momotarou costruisce per lui una meravigliosa menzogna, perché forse si è legato a lui come quella cosa terrena in grado di dargli finalmente pace, e nella speranza di un trapasso felice lo ha fatto entrare nel proprio intimo, anche fisicamente. Gli è devoto come qualcosa di più che un semplice amico, e Aiichirou lo sente con una chiarezza incredibile.
Continua a ricordare, di lui e della strega. La corona di fiori che Momotarou porta al collo è il monito ultimo della sua condizione, e Aiichirou non riesce a ignorare questo fatto. È difficile da sopportare, anche tutta quella gioia, a fronte del fatto che non crede di potersela permettere.
Perché se l'affetto, o quel che c'è di più, di Momotarou è sincero, lo è anche ciò che prova Aiichirou verso quel fantasma.
E non può che provare paura, per lui.

 

La terra su cui sono seduti ha la stessa consistenza rarefatta che Aiichirou darebbe per definizione alle nuvole del cielo, sia nella morbidezza sia per la curva rotonda che assume quando sposta, con un braccio o una gamba, il baricentro del proprio peso. Appoggia la schiena al dorso di una radice, uscita dalla terra nera, dell'albero che lo protegge e gli fa riparo dal sole luminosissimo e alto nel cielo. Prova la sensazione di respirare, ma sa che è solo un'illusione: tutto ciò che percepisce, lo registra perché è Momotarou che glielo permette.
Il profumo dei fiori, il rumore del ronzio delle api, la luce che filtra dalla chioma dell'albero che si ammorbidisce di tanto in tanto e si muove al passaggio di una finta brezza. E anche quella tempesta lontana, che oscura l'orizzonte altrimenti perfetto e limpido.
Le dita del fantasma non lasciano mai le sue, neppure quando decide di distendersi al suo fianco, con il viso all'altezza delle ginocchia esili del ragazzo vivo. Fa assumere al proprio braccio una posizione strana, ma che gli possa permettere di rimanere sempre in contatto con lui. Nessuno dei fiori della corona che ha al collo perde anche uno solo dei loro petali, e rimangono perfetti in una stasi che è quasi eterna.
Il ragazzo dai capelli arancioni inizia a far girare il pollice sul dorso della mano di Aiichirou, in tanti cerchi tutti uguali, e per sbaglio lo graffia anche.
-Ai-senpai, ti piace stare qui?
Non lo guarda in viso, ma ha un tono giocoso e anche piuttosto allegro. Mima il gesto di respirare piano, con tranquillità, e questo aiuta Aiichirou a rispondere con il medesimo sentimento.
-Sì, è sempre molto bello.
-È abbastanza simile alla realtà?
La domanda colpisce l'altro ragazzo, che viene preso piuttosto alla sprovvista.
È passato il tempo in cui considerava Momotarou soltanto uno stupido con la mania di gridare troppo, perché la sensibilità che ha dimostrato più volte e la cura con cui si rivolge a lui sono abbastanza palesi da fargli pensare diversamente.
Aiichirou non è avvezzo alla gentilezza, e l'abitudine di aver accanto uno spirito che non conosce odio o rancore lotta con la sua convinzione di non meritare alcun tipo di comprensione, né da parte dei vivi né da parte dei morti.
Gli scalda il cuore immaginare che lì, in quel luogo, quella cosa così naturale e semplice gli è permessa. E quindi sorride, annuisce con tanta forza – il sole splende quando lo fa, e illumina tutto con più forza.
-Come un bel dipinto su un libro illustrato.
-Cos'è un libro illustrato?
-Un libro dove ci sono tante fotografie e immagini.
-Cosa sono le fotografie?
-Sai, l'uomo ha inventato questa macchina capace di registrare un istante e dipingerlo su un pezzo di plastica.
-Come un dipinto?
-Sì, ma lo fa una macchina.
Preso dalla propria foga, però, Aiichirou non si è accorto del leggero mutare lento dell'espressione del fantasma. Momotarou ha compreso qualcosa che l'altro ragazzo ha implicitamente dichiarato con la sua spiegazione.
-Ho capito.
La finzione, o la rappresentazione inesatta della vita, appartiene soltanto alla morta, com'è giusto che sia, e un fantasma non potrà mai varcare quella soglia limitante. Neppure Momotarou, per quanti sforzi possa compiere e per quanto gelosamente custodisca i propri ricordi.
E c'è il timore, nel ragazzo che ancora vive, che le sue parole nascano dalla sensazione di angoscia che prova in fondo al proprio cuore e che lui avverte nell'altro da troppo tempo ormai: ogni sillaba che pronuncia, il sospetto diventa sempre più fondato.
-Beh, in effetti, qui non siamo nel mondo reale.
Aiichirou avverte la tristezza della sua voce, e nota che all'improvviso anche il pollice di lui ha smesso di muoversi contro la sua mano.
-Non volevo dire che fosse finto.
-Non lo è?
In quel momento lo guarda proprio in modo diretto, ed è questa sincerità che fa male a Aiichirou, come se lo avesse appena colpito in faccia – senza l'intenzione di fargli del male, ma pretendendo per se stesso nient'altro che la cruda verità. Nessuna bella bugia avrebbe, dopotutto, cambiato la realtà dei fatti, e avvicinato più di così i loro mondi o le loro persone.
Messa a questo modo fa un male terribile, anche se la voce di Momo non è poi così pesante come un'accusa, dopotutto. Forse, anche per questo riesce a entrargli dentro e a scuoterlo a quella maniera.
Aiichirou sente la necessità di cambiare argomento.
-Momo, volevo chiederti una cosa.
Con leggerezza, il fantasma si rimette a sedere accanto a lui, e poggia la mano libera sul suo ginocchio per poi sporsi con il busto verso di lui, avvicinandosi ancora di più.
-Dimmi tutto, Ai-senpai!
-Tu conosci i fantasmi del villaggio, giusto?
-Alcuni meglio di altri.
Momotarou pensa diversi secondi, e qualcosa – è evidente – gli balza in testa, perché fa un'espressione corrucciata e abbastanza infastidita.
-Non tanto il signor Mei, perché è davvero un guastafeste! Non mi lascia mai entrare nel suo giardino! Ma io mica ci voglio andare! Là è tutto grigio e brutto!
Ha tutte le guance gonfie, ed è quasi divertente. Se non fosse che Aiichirou deve fargli altre domande, ben poco allegre e piuttosto difficili: si ricorda bene cosa è successo l'unica volta che ha provato a chiedergli del suo passato, e non ha intenzione di replicare. Questa volta deve solo chiedere conferma a una propria curiosità, perché ha cominciato a chiedersi diverse cose riguardo le maledizioni e gli spiriti che popolano quei luoghi.
Non parlerà di streghe, questa volta.
-P-per caso, Momo, conosci un fantasma che si impicca?
-Un fantasma che si impicca?
-Sì, esatto. In una soffitta.
È stranito, sulle prime, e sembra non capire molto bene. Come tutti i fantasmi, ha contatti con altre creature di quella dimensione, ed è un po' strano per Aiichirou che non ricordi nulla su un fantasma così particolare. Tenta di fornirgli, timidamente, altri dettagli.
-Dovrebbe chiamarsi Matsuoka, se non mi sbaglio.
Non succede nulla di terribile: no esplosioni, no boati, no luci accecanti. La mano di Momotarou continua a stringerlo.
Il fantasma abbassa lo sguardo e il mento per borbottare qualcosa che Aiichirou capisce a stento.
-Sì, si chiama così.
Poi alza gli occhi all'improvviso, e quasi fa cadere all'indietro il ragazzo dai capelli chiari.
-Ai-senpai, io-
Lo acchiappa prima che possa scivolargli via, e il loro contatto diventa una sorta di abbraccio strano, dove Aiichirou si ritrova tra le gambe di Momotarou, con la spalla e il profilo del viso appoggiati al suo petto.
Non c'è alcun battito e alcun calore, ma Aiichirou prova imbarazzo lo stesso – abbastanza da rimanere immobile e teso.
-Io credo che la mia faccenda in sospeso riguardi anche lui.
-Davvero?
-Sì, davvero.
-E come fai a dirlo?
-Sento la sua tristezza. Sempre. E non posso fare nulla per consolarlo.
Aiichirou si scioglie un poco, e forse è la carezza naturale quanto del tutto istintiva che Momotarou riserva alla sua spalla – preme un poco di più la guancia contro il suo petto ed eccolo, eccolo lì: il cuore che batte. Che sciocco è stato a pensare che non ci fosse.
Gli riprendere la mano tra le proprie dita, per carezzarla nel medesimo modo gentile.
-Mi dispiace, per entrambi voi.
Momotarou lo stringe dopo qualche secondo di silenzio e stasi, con le dita che si infilano tra i ciuffi corti e morbidi dei suoi capelli e lo spettinano tutto.
-Tu sei davvero gentile, Ai-senpai. L'essere umano più gentile che io abbia mai incontrato!
Lottano un po', per gioco; ad Aiichirou scappa un piccolo strillo, e il fantasma ride davvero tanto di gusto.
Gli prende i polsi, nelle proprie grandi mani, e per un attimo è quasi sul punto di spingerlo all'indietro e fargli cadere addosso la corona di fiori che ha al collo. Aiichirou però fa resistenza, e un'espressione ancora più dolce.
-Vorrei solo che tu trovassi la pace, per sempre.
-Non so se questo sia più cattivo o più gentile, Ai-senpai. Insomma, vuoi davvero disfarti così presto di me?
Mentre Aiichirou capisce di aver detto un'altra cosa molto crudele, Momotarou ride e fa promesse al vuoto.
-Prometto che non ti fisso più mentre dormi! O mentre fai la doccia! Posso anche non seguirti mentre vai a scuola, davvero!
Lo ferma e lo zittisce, la testa china in avanti in modo che l'altro non possa vederlo in viso.
-Momo!
-Sì?
-Mi dispiace!
Il primo singhiozzo non viene recepito dal fantasma, né il suo significato. Il secondo e il terzo però sì, e anche tutti quelli che seguono. Il suolo di quel sogno si bagna in fretta delle lacrime di Aiichirou, ed è come se piangesse direttamente sul cuore dell'altro ragazzo.
-Mi dispiace, Momo!
Momotarou lo lascia piangere in silenzio, senza lasciarlo mai. Aspetta che si sia calmato un poco prima di tornare ad abbracciarlo – e il gesto, così, ha un significato ben diverso e più sentimentale di prima.
Aiichirou si addormenta contro di lui, dopo pochi secondi; l'alba, di lì a qualche ora, vedrà la sua coscienza riposta nel corpo originario, con ogni possibile cura e attenzione.

 

I got my mind made up, man, I can't let go.
I'm killing every second 'til it saves my soul.
(Ooh) I'll be running, (Ooh) I'll be running,
'Til the love runs out, 'til the love runs out.
And we'll start a fire, and we'll shut it down,
'Til the love runs out, 'til the love runs out.

[OneRepublic – Love runs out]

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Capitolo 21
*** 20. Capitolo venti ***


20. Capitolo venti

 

 

 

Il nero non ha mai colpa: essendo un elemento naturale, risiede al di sopra di ogni giudizio morale che può compiere un essere umano qualsiasi. Il nero non ha mai colpa, perché privo di quelli che i comuni mortali chiamano coscienza, e quindi non è consapevole né del male né del bene che può portare, in quanto questi stessi concetti non sono possibili da applicare qualsiasi cosa succeda.
Come l'esistenza in sé, il nero conserva sé medesimo e le proprie regole – non si tratta neanche di gelosia o di egoismo, egocentrismo tutto umano, per quanto sia facile cadere in errore di pensarlo con questi determinate definizioni, ma di una legge superiore che dall'umano può essere soltanto contemplata.
Il nero rimescola, ripropone, ribalta concetti già esistenti; non aggiunge nulla e non toglie nulla a quello che già c'è. Se Aiichirou fa determinati sogni, è perché tutti gli elementi che vede e vive in quella dimensione esistono in un'altra, o forse anche direttamente in quella, e la sua anima li rivive in modo più personale, come quasi si trasformasse in un fantasma per qualche minuto.
C'è la tempesta, sopra la sua testa. La tempesta che rende tutto il mondo grigio e che ruba ogni forma di vita.
Iwatobi è un deserto fatto di case e di strade sgombre, giardini senza neppure una voce e scuole dai banchi vuoti. Non ci sono gatti neri, né gabbiani bianchi in cielo che strillano avvertimenti in ogni angolo.
Aiichirou si ritrova alla stazione del vecchio treno, davanti a un vicolo che dritto conduce alla spiaggia dove si festeggia la morte della strega. Sente come unico rumore il battito dei propri denti e il tremore delle proprie ginocchia; quando si guarda attorno, Momotarou non è presente, e questo lo spaventa non poco.
Crede di aver capito dove si trova, in quel momento.
L'esperienza gli insegna che è l'unico che può davvero iniziare il movimento, di qualsiasi natura sia, quando si tratta di agire di fronte a un fantasma; l'immutabile forma della morte può solo tentare uno sfogo momentaneo della propria frustrazione, senza mai però trovare vera soddisfazione. E finché non permetterà al male di entrare dentro di lui, niente e nessuno in quel mondo potrà mai fargli qualcosa.
Passo dopo passo, il ragazzo procede in avanti.
Vede con chiarezza un mulinello nero erigersi dall'acqua del mare, non sa se sia acqua stessa oppure vento perché non ha mai visto niente del genere. Più si avvicina, più c'è rumore e lampi e tuoni, come se si stesse avvicinando al centro di un ciclone.
Vibra una voce, assieme alla tempesta, qualcosa che lo fa piegare a terra dal terrore. Ma più che una voce di donna, sembra tanto quella di un uomo – qualcosa che non riesce a capire, di primo acchito, e che lo lascia spiazzato e inerme.
Tenta di alzarsi, ma la voce lo investe come un'onda terribile, e lo fa rotolare indietro. Non sembra un atto di protezione di qualcosa, ma più uno sfregio per la sua stessa esistenza.
Aiichirou trema, e si alza tremando in tutto il corpo. Ed è in quel momento che il cielo assume la forma del volto di un giovane uomo, con due occhi così grandi da coprire tutto. Chiari con l'acqua, terribili: potrebbero ucciderlo in ogni istante.
Il ragazzo si sveglia urlando nel proprio letto, madido di sudore.

 

***

 

Makoto lo ferma a bordo vasca, inginocchiato sul bordo bianco e appena rialzato.
-Fai cinque minuti di pausa, Nitori-kun. Sei parecchio affaticato.
Aiichirou si solleva dalla superficie dell'acqua reggendosi con l'avambraccio sinistro, per sporgersi verso il capitano, e fa in tempo a riprendere fiato per replicare qualcosa di concitato e preoccupato.
-Ma non sono stanco! Posso ancora nuotare!
Makoto gli lascia il benefico del dubbio, giusto qualche secondo in più in cui aggrotta le sopracciglia e la sua fronte diventa una matassa di preoccupazione.
-No, voglio che tu faccia una pausa. Vai da Gou-chan e chiedile qualcosa da bere.
Lo lascia quasi subito per andare a dire qualcosa a Nagisa, qualche corsia più in là. Aiichirou rimane solo a galleggiare nell'acqua piena di cloro, con un groppo in gola che non lo fa deglutire. Sente in tempo qualcuno arrivare dalla sua destra, e prima che Haruka si fermi per parlargli e per capire cosa stia succedendo, è già uscito del tutto e cammina verso la giovane Matsuoka.
La professoressa Amakata rimane come al solito in disparte, e alza il proprio ombrellino dai colori scuri per poterlo seguire finché non è seduto sulla panchina accanto a Gou; riprende quindi la lettura della propria rivista, in assoluto silenzio.
Gou si mostra più apprensiva, però, e subito vuole capire come mai il ragazzo è stato messo a riposare.
-Stai bene, Nitori-kun?
Aiichirou è preso, in quel momento, dalla propria frustrazione, e un poco si sorprende dell'attenzione che lei gli rivolge. Fa fatica a nasconderlo, d'altra parte.
-S-sì, io sto bene. Tachibana-senpai mi ha detto di prendermi una pausa.
-Allora stai qui con me cinque minuti.
Lo fa sedere a forza, spingendo le sue spalle con le proprie mani.
Come prima cosa, gli passa un asciugamano pulito e asciutto, perché si strofini un poco i capelli bagnati e la faccia, in modo da non gocciolare ovunque. Poi si allontana qualche istante, per andare a frugare nella propria borsa e tornare dal ragazzo con un tonico energizzante, preparato proprio dalle sue stesse mani.
-Tieni, ecco a te!
Aiichirou ha già avuto contatto diretto con la cucina di Gou Matsuoka, e sa bene a quali possibili terribili conseguenze può andare incontro. Però, per non essere maleducato né mortificarla, accetta comunque il dono con entrambe le mani e fa un mezzo inchino con il capo.
-Grazie, Gou-chan...
Una bottiglietta il cui contenuto liquido assomiglia, per colore, a una innocua aranciata. Basta che il ragazzo tolga il tappo dal collo per svelare un odore insolito, per nulla rassicurante. Sotto gli occhi attenti della ragazza, Aiichirou alza la bottiglietta alla bocca, e l'appoggia soltanto alle labbra, senza osare dischiuderle neanche di un poco. Basta un leggero contatto con quella cosa per farlo rabbrividire tutto e donargli quanta adrenalina possibile.
Gou si siede accanto a lui quando vede che l'altro abbassa la mano, evidentemente abbastanza soddisfatto del suo intruglio.
-In effetti Tachibana-senpai ha ragione. Oggi non sei concentrato come al solito.
Ad Aiichirou dispiace dare quel tipo di impressione ai propri compagni di club, perché non vuole proprio che qualcuno di loro si preoccupi, più o meno, per lui. Rimane un po' sulla difensiva, a ragionare sulla propria tristezza e il modo con cui sta affrontando quei giorni di tensione.
Quando Gou lo coglie alla sprovvista e gli riempie gli occhi di sorpresa.
-Sei dispiaciuto per non esserti classificato per le regionali?
-Eh? Ah, quello.
Si ricompone, sotto lo sguardo un po' dubbioso di lei.
-Beh, sì. Pensavo di essere migliorato di più.
Ottiene però l'effetto contrario a quello sperato, perché la ragazza crede davvero che quella sia la ragione principale, se non l'unica, dei suoi mille pensieri. E quindi si comporta di conseguenza, sempre più vicina a lui.
-Non dire così, Nitori-kun! Tu sei migliorato davvero tanto nell'ultimo anno! Sei sempre venuto agli allenamenti, abbiamo tutti visto quanto ti sei impegnato!
Chiude le mani a pugno e fa un gesto eloquente, piuttosto forte, che indica la volontà di continuare a combattere per il proprio credo. Cerca di essere incoraggiante, in ogni modo, tanto che Aiichirou è rincuorato, grato e intenerito assieme da questi suoi sentimenti sinceri,
-La costanza premia sempre, a lungo termine. Non ti scoraggiare!
-Grazie, Gou-chan. Sei molto gentile.
Abbassa lo sguardo a terra, e vede di nuovo la bottiglietta che ha tra le mani, come se fosse possibile dimenticarsene per più di qualche minuto. Mima ancora il gesto di bere, e una seconda scarica elettrica lo attraversa per tutto il corpo, svegliandogli il cervello. Gou sorride, ed è davvero bella – fortunato l'uomo che lei vorrà per sé.
L'attenzione di Aiichirou viene catturata da un rumore proveniente dalla piscina: Rei e Nagisa stanno discutendo di qualcosa relativo all'ultimo tuffo del primo, e pare che il ragazzo abbia preso abbastanza a cuore la faccenda da come sta alzando la voce. Makoto non tenta neanche di avvicinarsi, lasciando a quei due il compito di risolvere i loro problemi. Come sempre, Haruka nuota senza sosta.
Aiichirou ritrova un poco di felicità.
-Mi piace davvero stare con tutti voi.
La ragazza impiega un secondo a registrare le sue parole, perché è stata distratta da tutto il resto.
Ricalca l'ovvio come pensa che l'altro ragazzo abbia fatto con quella frase, ricordando una sentenza detta qualche tempo addietro e che, per lei, è sempre stata una verità implicita. Lo canzona un poco, da un certo punto di vista, ma lo fa col sorriso sulle labbra, e così anche lui poi.
-Ma è naturale. Siamo amici, no?
-È vero.
Aiichirou si rilassa completamente, chiude gli occhi e lascia che tutte le brutte sensazioni scivolino via dal proprio corpo. Non vuole pensare ad altro, in quel momento.
Ma Gou, vedendolo così disarmato e inerme, cede alla tentazione di porgli una domanda scomoda, o almeno al tentativo di farlo.
-Nitori-kun, posso chiederti una cosa?
-Dimmi pure.
-È solo per il nuoto che tu sei preoccupato?
Lui riapre gli occhi, e la guarda senza comprendere. C'è la punta del sospetto che lei intenda qualcosa di davvero specifico, perché Aiichirou sa come la sensibilità umana, o almeno una certa parte di essa, possa acuirsi molto a un contatto prolungato con i fantasmi e altre simili manifestazioni dell'ultraterreno – e la giovane Matsuoka vive con un fantasma da quando è nata –, ma non osa dare adito a questo brutto pensiero.
-Non capisco.
Così, Gou è costretta a insistere, con le guance un poco colorate di imbarazzo. Sembra quasi stupido domandargli una cosa del genere, eppure anche lei prova un'angoscia tale, al petto, da non riuscire a dormire bene da quella fatidica sera.
-Vorrei chiederti se c'è altro che ti preoccupa.
Irrompe nella scena tra i due Nagisa, che privo di ogni concezione o conoscenza del tatto, si avvicina a Aiichirou o pretende tutta la sua attenzione per sé.
-Ai-chan, Mako-chan dice che ti sei riposato abbastanza!
Gli prende il polso e lo trascina via, facendolo alzare con un balzo e con diversi versi di protesta.
-Vieni, è ora di tornare a sgobbare!
Mentre i due si allontanano piuttosto rumorosamente, Gou rimane con una delusione spiccata in viso, e in mano la bottiglietta di aranciata che Aiichirou non ha neppure assaggiato.

 

***

 

C'è un gatto nero che soffia, all'angolo di un vicolo. Ha il pelo tutto gonfio e la gobba ben in vista, nel tentativo vano quanto stupido di farsi credere più grande di quello che è. I denti ancora bianchi, per la giovane età, sporgono dalla bocca aperta, e le unghie esposte dalle morbide zampe. Arretra stando ben attento a cosa ha davanti, fino a che un tentativo di calcio non lo fa correre via, e l'uomo ubriaco non biascica insulti e improperi a mezza voce.
Iwatashi Nobuto, il farmacista della terza strada, con la brutta abitudine di rientrare un po' troppo tardi, il venerdì e il sabato sera – sua moglie non lavora più, e lo attende sempre. Si giustifica con gli amici e un bar, il tempo che passa e la voglia di divertirsi, non arrendendosi all'evidenza che gli addossa più responsabilità di quante lui ne abbia mai richieste durante tutta la propria vita.
Ha i sensi abbastanza acuiti da sentire la propria stessa puzza, alcool e fumo assieme, e questo è sia un male che un bene. Ora sa che deve infilarsi in bagno per una doccia prima che sua moglie lo interceda e pretenda da lui un saluto più degno che una mezza parola smozzicata; sa anche, però, che nel caso la coniuge riesca a mettere le mani sulla sua giacca prima che sia riuscito a nasconderla da qualche parte ci sarà ad attenderlo una ramanzina che neppure suo figlio di tredici anni ha mai dovuto subire.
Rutta, all'improvviso, e la sorpresa del proprio stesso gesto lo fa andare a sbattere contro il legno duro della recinzione di una casa. È abbastanza vicino alla propria dimora per riconoscere il proprietario di quella, essendo il suo vicino, e insultare un ben specifico nome. Gli cedono le ginocchia, e per qualche secondo di poca lucidità scivola a terra e lì rimane.
Sente un rumore avvicinarsi e pensa, stupidamente, sia di nuovo il gatto di prima. Ha già diversi insulti appropriati in bocca quando si rende conto che dall'angolo è uscito qualcosa di ben più grosso di un semplice gatto randagio.
Da terra, il suo sguardo risale fino al capo di quella creatura di melma, senza soffermarsi troppo sulle fattezze antropomorfe e grottesche. Gli si avvicina zoppicando, e quando la creatura si accorge di essere stata notata si ferma all'istante, per fissare l'uomo che la sta raggiungendo. Vibra con un sottile ringhio minaccioso, mani protese in avanti da cui penzolano foglie secche di alghe scure.
Quando è abbastanza vicino, l'odore del signor Iwatashi non è così forte da sovrastare quello dell'altro, cosicché l'uomo fa una smorfia di disappunto e indica senza alcuna educazione la creatura.
-Dovresti proprio lavarti, sai?
Zoppica via senza fretta, illudendosi di non essere poi così tanto sporco, dopotutto, e quasi sicuro, ormai, che sua moglie non dirà nulla a tal proposito.
La creatura lo segue con lo sguardo fino a quando non scompare alla sua vista; quindi, torna a camminare rantolando per le strade di Iwatobi.

 

I try to picture me without you but I can't

'Cause we could be immortals, immortals
Just not for long, for long.
And live with me forever now,
You pull the blackout curtains down
Just not for long, for long.

[Fall Out Boy – Immortals]

 

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Capitolo 22
*** 21. Capitolo ventuno (flashback) ***


21. Capitolo ventuno
(Flashback)

 

 

 

Il vento, quella mattina, gli era parso felice. Aveva sempre giocato, volentieri e spesso, con alberi e erba, ogni espressione verde e naturale del creato: riusciva a disegnare la propria fantasia, un'immagine che di semplice aveva molto, persino l'anima, ma che proveniva al contempo dall'ancestrale sentire di qualcosa che non poteva avere inizio e non poteva avere neanche fine. Per la sua espressione così intoccabile, risultava meravigliosa e altissima.
Sousuke pensò che forse, però, tutta quella bellezza gli nasceva anche da dentro. Non influiva né influenzava il corso degli eventi, perché era soltanto un uomo piccolo con aspirazioni modeste, in grado di provvedere unicamente a se stesso – il fatto che fosse così affine a un elemento gli ridava la precisa dimensionalità in cui gli era consentito muoversi, e questo non lo limitava affatto dal pensare di poter fare ogni cosa, nel senso umano del termine. Aveva due mani e una volontà, una forte decisione e così tanta gioia nel cuore che faceva brillare tutto: la vera forza della sua razza risiedeva tutta lì, in quell'incastro benevolo di banalità terrene.
Per questo aveva provato, una volta fuori di casa, a fare qualcosa che mai aveva osato fare.
Un enorme campo di frumento, spighe alte e forza nel colore dorato di spighe mature; versante nord della collina più alta, lì dove sorgeva già il tempo. Lui aprì entrambe le braccia, in modo da formare con il corpo una croce di carne, rigida nei muscoli ma scattante. Iniziò a scendere di corsa, sempre più veloce, saltando oltre i sassi e i piccoli fossi perché li conosceva come conosceva ogni altro angolo e pezzo di Iwatobi. La sua impronta si impresse bene nel terreno, e il giovane uomo lasciò dietro di sé una linea per lo più dritta, come una firma senza inchiostro o penna; ma a un certo punto qualcosa si mosse assieme a lui, assecondandolo in quel divertimento.
Tutto, tutto il vento lo accompagnò, fino alla fine della collina – e tutto, tutto il vento rubò la sua risata alta, cristallina, per conservarla come una ricompensa dovuta.

 

***

 

Lo trovò lì, mentre stava pregando. Appena il ragazzo lo vide, aprì gli occhi e gli rivolse un sorriso grande quanto il proprio viso, gioviale come sempre; non interruppe la propria preghiera, però, perché sembrava davvero importante – con ogni probabilità, stava pregando per i propri studi o qualcosa di molto semplice, coerente con tutte le precedenti volte in cui lo aveva interrogato a tal proposito. Stretto nell'unico abito elegante che non fosse collegato all'ambiente sacrale, ovvero la divisa scolastica, dava comunque un'impressione piuttosto ilare.
Momotarou Mikoshiba era, per Rin, la rappresentazione vivente dell'anima semplice e nobile della popolazione di Iwatobi.
Fece diventare i propri passi ancora più silenziosi, per non disturbare il ragazzo. Si concesse, inoltre, un lungo sguardo al luogo: fu colto da una vertigine di malinconia, ritrovandosi in un posto frequentato in un periodo della propria esistenza caro, ma oltremodo distante dal proprio presente. Il silenzio che permeava tutto, poi, gli permetteva una calma che in città non sarebbe mai stato possibile avere.
Almeno, fintanto che il giovane Mikoshiba era impegnato con le proprie preghiere. Batté forte le mani, a un certo punto, e suonò la campana ancora una volta per chiudere il rito propiziatorio; quando ringraziò la divinità dell'attenzione, sembrò quasi parlare con una vecchia conoscenza, e questo faceva ridere quasi tutti, al villaggio, perché il ragazzo era ancora nell'età di poter essere scusato per ogni piccola stravaganza. Se fosse stato altrimenti, e se suo fratello non fosse stato il principale sacerdote del tempio, qualche vecchio di Iwatobi si sarebbe permesso ben più di una parola di rimprovero.
Lo vide avvicinarsi e rivolgersi a lui come sempre, quasi gli anni non fossero mai passati.
-Padron Matsuoka, padron Matsuoka! Sei tornato al villaggio!
I sandali di legno colpirono velocemente e con decisione il pavimento di pietra, spandendo il suono in diversi buffetti di aria allegra. Rin si accorse, quando il ragazzo gli fu abbastanza vicino, di quanto in effetti fosse cresciuto: non doveva più chinarsi per guardarlo in viso.
Era cresciuto assieme a suo fratello, dopotutto, oltre che assieme a Sousuke – frequentando sia il tempio, per questioni familiari, sia la residenza Mikoshiba appresso a quello, era stato piuttosto facile vedere crescere quella palla di luce e occhi che una volta aveva preso il nome di Momotarou. Gli era affezionato come il fratello che non aveva mai potuto avere, e questo gli permetteva di soprassedere all'intimità incredibile che l'altro si concedeva nei suoi confronti.
-Questa volta resterai per un po'?
Gli sorrise, tranquillo.
-Sì, non me ne andrò più via da qui.
-Davvero? Ne sono felice! Anche mio fratello sicuramente ne sarà felice!
-Voi state bene?
-Sì! Ultimamente mio fratello è stato impegnato con una carovana di pellegrini venuti da ovest, erano veramente in tanto!
-Pellegrini?
-Sì! Li abbiamo ospitati al tempio per qualche giorno!
Sorrise ancora, e questa volta alzò la mano alla sua testa, per scompigliargli i capelli come faceva di solito. Li teneva lunghi, benché raccolti in una coda all'altezza della nuca. Come lui, d'altronde.
-Sei sempre pieno di energia.
Momotarou rispose al suo sorriso, gratificato da quel genere di attenzioni. Era piuttosto avvezzo al contatto fisico, perché con suo fratello non erano rare le manifestazioni d'affetto in quella maniera, ma non gli era mai dispiaciuto riceverne anche da altre persone, anzi. Da quel punto di vista era un po' vanitoso, anche se di quella vanità con cui si fanno belli i ragazzini.
D'un tratto, spalancò ancor di più gli occhi, e prese la mano di Rin.
-Padron Matsuoka, vuoi vedere una cosa bella?
Non attese una risposta: lo trascinò per metà dello spiazzo, portandolo appresso al pozzo principale dell'acqua santa. Lì, in una aiuola piccola fatta per lo più di terra messa per caso e qualche seme sperduto, stavano crescendo alcuni fiori gialli, ancora timidi e piccoli.
Momotarou li presentò all'uomo con orgoglio estremo.
-Li sto coltivando io. Ho chiesto a Yamazaki-kun di insegnarmi un po' di giardinaggio, e lui mi ha detto che se riesco a far sopravvivere questi fiori poi mi insegna anche altro!
Erano i boccioli, come lui: pieni di aspettative per la vita, con mille possibilità davanti. Rin pensò che Sousuke dovesse aver pensato la stessa cosa, per donare a Momotarou un fiore del genere. Per fortuna, a Iwatobi c'era almeno lui a fargli compagnia.
Gli scompigliò di nuovo i capelli, nell'ennesimo complimento.
-Vai sempre d'accordo con tutti, noto.
-Certo!
Un rumore interruppe la loro piacevole conservazione, e fece a entrambi alzare il viso. Momotarou fu ancora più contento di vedere a chi appartenevano i sandali che avevano appena prodotto quel suono, e corse verso l'entrata dell'haiden.
-Fratello Seijuuro!

 

La stanza era oscurata per la maggior parte da una fitta tenda posta sopra l'unica fonte di luce della stanza, una finestra piuttosto ampia di lato. Il leggero vento che vi entrava, oltre che trasportare quel poco di foglie secche che la spazzola dei guardiani non era riuscita a raccogliere, smuoveva anche le giravolte del fumo proveniente dalla punta degli incensi, distribuendo nella camera piccola un profumo di bruciato e di erba, delicato quanto una carezza. Seijuuro adorava la stanza della reliquia, e quando doveva pregare la propria divinità la sua intera figura veniva permeata da uno stato vicino alla beatitudine spirituale e fisica assieme, in un connubio che lo aiutava nella recitazione rituale.
In piedi davanti all'altare, si muoveva con grazia, senza fare il minimo rumore.
In quel momento il suo animo non era turbato, per quanto le parole che uscirono dalle sue labbra fossero piuttosto dure e severe – dava l'impressione di essersi incrinato, seppur leggermente.
-Rin Matsuoka, quello che chiedi è decisamente fuori dall'ordinario.
Il suo interlocutore non disse nulla, strinse semplicemente i pugni appoggiati sulle cosce piegate. Seduto a terra, si sentiva più piccolo di quanto già non fosse, e sentì pure la potenza della sacralità del luogo tutta sulle proprie spalle – non gli era bastato vestire in abiti tradizionali, per arrivare fin lì, perché aveva ancora un ostacolo, nel proprio cuore, per riuscire a creare la perfetta sintonia col tutto. Non per questo, però, aveva intenzione di rinunciare al proprio proposito.
Seijuuro Mikoshiba si rivolse di nuovo a lui, senza voltarsi nella sua direzione.
-Yamazaki Sousuke è a conoscenza del fatto che ti trovi qui?
-No, non lo sa.
-Sei qui solo di tua iniziativa?
-Sousuke non ha pensato di fare qualcosa di ufficiale.
-O di chiedere consiglio a qualcuno.
Quella considerazione, più di molte altre, pesò sul cuore di Rin, facendogli capire l'importanza del giudizio sociale sulla propria vita e su quella dei propri cari. Al di là dei pregiudizi, ognuno di loro era legato al proprio tessuto sociale, e non se ne poteva slegare semplicemente con un'educazione straniera oppure qualche bella parola: era più intimo, il problema, e li vincolava in modo profondo.
Seijuuro fece suonare una piccola campanella di cristalli, richiamando la sua attenzione.
-Forse non crede opportuno legarti a sé in questa maniera. Lui è molto romantico, dopotutto.
Per lasciarlo libero di andarsene quando più lo potesse aggradare e di sentirsi in diritto di smetterla quando più avrebbe sentito la necessità. Lo stesso pensiero gli fu insopportabile, nella testa, eppure abbastanza chiaro. Si irritò con quello sciocco, con violenza, e le sue guance divennero rosse in pochi istanti. Nonostante tutto, non era riuscito a fargli capire quanto importante fosse, e questa era solo colpa sua – un motivo in più per insistere con il sacerdote.
Seijuuro batté le mani, piano, invocando la divinità oltre l'altare. Un profumo di fiori di ciliegio li avvolse a poco a poco: in una teca non troppo distante, al riparo del fuoco sacro, c'era uno dei vasi di Sousuke, ancora intatto.
-Voi non siete così sciocchi da non capire quanto quello che state facendo è poco ortodosso.
Continuò lento il proprio sermone, con tutta la calma del caso. Scelse le parole una a una, senza sbagliare mai, perché la richiesta che gli era stata rivolta da quel signore non era niente che potesse essere risolto con poche e semplici scuse.
-Tutto il senso delle nostre tradizioni va contro ciò che tu mi stai chiedendo di fare, e oserei dire che è quasi sacrilego il fatto che tu sia qui a farlo.
In ginocchio, sul nudo legno scuro; Rin guardò le sue spalle larghe, ben tese, e si domandò quali altre ovvietà avrebbe dovuto ancora sentire.
-L'onore della tua famiglia e quella dello stesso Yamazaki ne verrebbe scalfito in modo irrecuperabile. Ogni principio naturale soverchiato.
Non si sentì neanche un poco mortificato, da tutto il discorso del sacerdote: aveva avuto tempo di chiarirsi le idee molto prima di quell'incontro, e prepararsi ad affrontare la più strenua resistenza. Era giovane, arrogante, ma abbastanza avvezzo di vita e di mondo da capire certi funzionamenti, e tutte le prassi che lo regolavano. La sfacciataggine di essersi presentato a quel tempo, poco prima, era unita anche alla consapevolezza di poter addurre argomenti validi alla propria tesi.
-Lo so, Mikoshiba. Sono a conoscenza di tutto questo. Sono giorni che mi ripeto queste cose. Per me e la mia famiglia sarebbe molto più semplice che io mi cercassi una buona moglie da sposare e con cui far figli.
-Cosa allora ti impedisce questa scelta?
Abbassò lo sguardo, anche se il sacerdote non lo stava guardando direttamente.
Si espose, come aveva intenzione di fare fin dall'inizio, perché la questione era più privata che altro, e sui sentimenti umani lui faceva leva.
-Non sarei mai felice. E offenderei l'onore di quella donna, quello di Yamazaki, il mio e quello di tutti gli dei, vivendo una vita piena di menzogna. Come si può vivere una vita così? Non è forse peggio che seguire il pregiudizio umano?
-Allora, se così è, perché sei venuto qui a chiedere la mia benedizione? Se sei conscio di star andando contro tutto ciò che la logica prevede, perché sei in questo tempio, costruito da uomini per gli uomini? Non ambisci forse anche tu a una rassicurazione morale? Hai intenzione di scaricare il peso della tua debolezza su qualcos'altro?
Il sacerdote si girò verso di lui, finalmente: aveva finito di pregare, e ora stava affrontando l'uomo che era.
Rin tremò, poco. Tremò nel proprio corpo e tentennò per qualche istante, con parole morte sopra la lingua.
Gli venne in soccorso il vento, che oltrepassata la tenda della finestra lo accarezzò sulla poca pelle nuda delle mani, come una rassicurazione o una stretta di mano – per Rin, fu come ritrovarsi accanto a Sousuke, in un burlesco scherzo dell'immaginazione. Ritrovò quindi la propria calma.
-No, mi assumo ogni responsabilità terrena della mia scelta. E sono fermamente convinto che gli dei non siano contrari a tutto questo. Perché altrimenti non mi avrebbero reso capace di innamorarmi di un uomo.
Lo sguardo del sacerdote era inamovibile, e allo stesso tempo imperscrutabile. L'uomo ebbe il dubbio, a quel punto, se semplicemente lo stesse mettendo alla prova, perché non intravide in lui alcun segno di malizia e la cosa lo insospettì non poco.
-Dovrei cacciarti da questo tempio e impedirti di mettervi di nuovo piede.
Ne ebbe conferma subito dopo, e il suo cuore si riempì di gratitudine cieca.
-Dimmi solo un'altra cosa, Rin Matsuoka. Lui ricambia il tuo sentimento con pari intensità?
Quella volta, divenne rosso per l'imbarazzo – Seijuuro si convinse definitivamente, e quando il giovane ebbe finito di parlare, si aprì in un sorriso sincero, grande, buono.
Proprio come lui.
-Lui mi ha insegnato ad amare.
-Rin Matsuoka. Io non posso celebrare la vostra unione con i riti che la mia dottrina mi ha insegnato. Ma posso comunque benedire formalmente il legame che vi unisce, in una cerimonia originale, adatta soltanto a voi. Spero che basti ai vostri cuori.
Rin pianse che ancora lo guardava.
Si buttò a terra, con la fronte contro il legno del pavimento, e lo ringraziò con quante lacrime gli era possibile versare.
Una felicità tale che faceva bene allo spirito: Seijuuro Mikoshiba non poteva avere rimpianti o rimorsi per la propria scelta, giammai.
-Ti ringrazio! Ti ringrazio tanto!

 

Give me love like never before,
'Cause lately I've been craving more,
And it's been a while but I still feel the same,
Maybe I should let you go

[Ed Sheeran – Give me love]

 

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Capitolo 23
*** 22. Capitolo ventidue ***


22. Capitolo ventidue

 

 

 

Si ritrova a svegliarsi con la guancia premuta contro il finestrino e la bocca un po' aperta, da cui esce un piccolo rivolo di saliva chiara: quella notte non ha chiuso occhio per più di cinque minuti consecutivi, e solo ora il suo corpo e la sua mente hanno deciso di recuperare almeno qualche secondo di sonno, giusto per compensare – ricorda, nel dolore alla fronte che sente appena dopo la veglia, di aver sbattuto contro la superficie del vetro per almeno due volte prima di essere vinto. Si massaggia quindi con una mano e si pulisce il mento con l'altra; l'orologio che ha al polso, quando lo guarda con un poco più di attenzione, segna quasi le nove del mattino.
Guardando fuori, Aiichirou quasi smette di respirare. Non che il paesaggio sia così incredibile di per sé, in realtà, né tanto diverso da quello a cui si è abituato negli ultimi mesi. Un mare lindo e bellissimo si allunga oltre ogni sguardo, e il sole appena alto lo fa brillare tutto.
Dall'altra parte della strada, la città alta, grigia e piena di colori artificiali. È là in mezzo che le gare regionali si sosterranno, lo sa bene.
Forse, però, è l'emozione che gli gioca dei brutti scherzi. Pur non essendosi qualificato, può pensare alla tensione dei propri compagni, alla loro agitazione e al loro desiderio. Le aspettative che ripongono in se stessi e nel lavoro che hanno fin lì svolto.
La loro estate sta passando più in fretta del previsto, e anche quei giorni di scuola costretti sotto quel che rimane di un sole stanco e brillante, cela una punta di malinconia pronta a sbucare fuori alla minima distrazione. Quella tensione che ha provato con la sagra della strega, tempo prima, è diventata una striscia sotto la pelle che non lo ha più disturbato più di tanto, innocua quanto una sensazione lontana.
Oggi Aiichirou vuole gridare per i propri compagni, vuole fare il tifo per loro finché non ha voce ancora in corpo e nei polmoni. Vuole che sentano tutto il suo fervore, come lui sente il loro.
Ha la borsa con due trombe, per l'occasione, e un megafono fatto di carta – Gou ha portato un cartellone fatto con le sue mani e l'aiuto di un'amica, ed è sicuro che sia davvero bellissimo.
È la ragazza stessa che lo chiama, poco dopo, già pronta per la fermata.
-Nitori-kun, è ora di scendere.
Lui si agita all'improvviso, arraffando tutto quello che deve.
-Arrivo!
Scende dopo qualche secondo, in quello che sembra un complesso di strutture sportive di diverso genere. La navetta li ha portati davanti a una piazza dai colori tenui, da su si innalza una scalinata quasi infinita di gradini bassi e levigati alla perfezione, terminanti in un palazzo basso di vetro, molto elegante e allungato verso l'alto. Quella è la piscina dove si devono dirigere, esattamente, ed è così meravigliosa che fa quasi paura.
-Andiamo, Nitori-kun?
Fa un solo cenno con il capo, e si incammina assieme a lei.

 

Con i suoi atleti sparsi un po' ovunque sulla parte occidentale degli spalti, nutriti anche da una piccola folla di tifoseria affezionata, la squadra della Samezuka, ancora una volta, risulta essere una delle più rumorose lì presenti. Non che la cosa dia particolarmente fastidio, c'era davvero troppa gente perché una minoranza in quella possa infastidirlo in qualche modo, ma risulta comunque all'occhio come qualcosa di particolare. Il cartellone morbido che per primo srotolano oltre la ringhiera di confinamento ha una scritta ben chiara, che cita il nome di un certo “Minami Kazuki” - forse il capitano della loro squadra, sicuramente abbastanza bravo da riuscire a gareggiare nelle competizioni del giorno. Si riesce a leggere persino a quella distanza, seduto dall'altra parte della grande piscina.
A Aiichirou arriva aria dal posto che sta alla sua sinistra, e quando si volta vece la professoressa Amakata che sventola un ventaglio tondo davanti al proprio viso. Si alza quasi all'istante.
-Le posso portare qualcosa?
La giovane donna è presa un po' alla sprovvista, ma alla fine gli sorride sincera.
-Niente di gasato, per favore. Se fresco, è anche meglio.
Si aggiungono subito anche Gou e il signor Sasabe, con la richiesta di una bevanda al limone e con qualche monetina per convincere meglio il ragazzo; gli altri non bevono né ne hanno desiderio, da tanto sono tesi.
Aiichirou fa un piccolo inchino e scappa via veloce, uscendo dall'area degli spalti.
Quel luogo è davvero immenso. La sua fortuna è di avere un senso dell'orientamento abbastanza decente da ricordarsi la strada che ha fatto poche ore prima, dall'ingresso dove ha trovato tutta la squadra all'ingresso della piscina e dello spazio dedicato al pubblico: ottima memoria fotografica, questo lo poteva dire.
In ogni dove, vede divise diverse. Non sa riconoscerne la provenienza, perché sono davvero moltissime e lui è nuovo da quelle parti, ma ogni tanto intravede nomi di città che sa collegare, luoghi che non gli sono poi così estranei almeno a un mero livello cognitivo.
Verdi, viola, gialle, bianche, rosa, rosse. Un mare di arcobaleno sperso tra i corridoi e le sale di quella grande struttura.
Prima si è sentito sperso, tra tutta quella gente, come una goccia in mezzo all'oceano infinito. Ha sentito una punta di disagio immotivata all'idea di stare in quel luogo, pur essendoci solamente per tifoseria. Ma è bastata una parola di Nagisa per spezzare la brutta tensione che ha avuto addosso, la mano di Makoto sulla sua spalla e il sorriso di Rei, quasi come se per calmare lui trovassero il modo per acquietare anche loro stessi. Si è sentito di nuovo parte di qualcosa, e la bella sensazione ha sovrastato qualsiasi altra.
Digita sul display della macchinetta un'aranciata e una limonata, più un succo di frutta per sé. Il resto tintinna nel piccolo scomparto apposito, e lui lo recupera con dita svelte.
Si guarda intorno ancora una volta e si rende conto di un particolare: non ci sono spiriti tormentati in quel luogo. Sorride, con tutta la propria forza, e trotterella sulla via del ritorno fin troppo allegro.

 

Prima della competizione a squadre si svolge la gara di stile libero a cui partecipa Haruka.
Gou già strilla completamente coinvolta, e tiene stretta la mano della professoressa, ora abbastanza presa da dimenticare tutto il sudore appiccicoso che le scivola addosso. Nagisa è quello che strilla con più forza, e subito dopo c'è Aiichirou, contagiato dal suo spirito. Makoto e Rei sono un poco più in disparte, ma appena viene annunciata la battuta in cui gareggia anche il compagno di squadra si agitano come tutto il resto del gruppo – il capitano toglie di mano a Aiichirou la tromba che sta alzando in aria, e la sventola come se farsi sentire dal fidanzato fosse la cosa più importante al mondo.
Si vede, da lontano, Haruka che alza lo sguardo nella loro direzione, senza però fare cenno o altro in risposta. Basta questo perché le loro grida si intensifichino, in forza e volume.
L'annunciatore richiama l'attenzione dei partecipanti, e i giudici di gara si avvicinano alle proprie rispettive corsie. I ragazzi si piegano in avanti sul trampolino, pronti per lo scatto d'inizio. Come Haruka, anche gli altri trattengono il fiato, prima che la sirena suoni, scoppiando in un istante.
Sono subito in acqua, con una rapida e forte spinta. Haruka vi rimane sotto un poco più a lungo, e quando riemerge si ritrova confuso tra tutti quegli schizzi e non di acqua che le sue braccia sollevano, e le onde che i corpi degli altri ragazzi generano.
Per un po' rimangono tutti vicini, più o meno allo stesso tempo – un ragazzo solo è più avanti degli altri, di pochi centimetri, e non sembra per niente affaticato. Quando però devono voltare per tornare indietro e fare gli ultimi cinquanta metri, il ragazzo in testa non dà la dose giusta di forza alle proprie gambe, e il secondo lo supera con facilità: quello è un errore piuttosto banale, arrivati a quei livelli.
Sono davvero pochi secondi alla fine, ma è come se il tempo si fermasse.
Haruka si muove con una tale grazia, nell'elemento che gli appartiene, che sembra sprigionare qualcosa di non umano che non può essere definito davvero. Rei continua a sottolinearlo con un mantra di “è magnifico, è bellissimo”, e sono tutti così concentrati nell'atto che non gli dicono niente e lo lasciano proseguire come meglio crede. Gou ha gli occhi lucidi, anche se nessuno la vede, e le mani che coprono la bocca nel caso le sfugga senza volerlo qualche versetto troppo acuto – già succede, in realtà, da tanta è l'emozione. Il signor Sasabe stringe la professoressa, dimentico di essere in pubblico, e sospeso in un momento che se non stesse facendo altro sarebbe alquanto imbarazzante. Makoto non pensa più, non respira più, si trattiene a stento dal piangere.
Aiichirou vive nel proprio sogno chiamato realtà.
Un tale livello di meraviglia che rimangono tutti incantati. Poi il tutto finisce, con l'ultimo dei ragazzi che arriva, e il tempo di ognuno dei concorrenti scritto in maniera ben evidente sul tabellone nero che occupa tutta una parete.
Haruka Nanase: secondo posto, superata la prima eliminatoria.

 

-È come se gareggiassi anche tu con noi, Nitori-kun. Come anche Gou, la signorina Amakata e il signor Sasabe. Ci siamo tutti, là in piscina.
Aiichirou ha sorriso a Makoto quando gli sono state dette quelle parole, perché è riuscito davvero a crederci: è stata la sicurezza con cui il suo capitano gli ha parlato, il candore di una verità ritenuta assoluta e assolutamente incontrastabile. Aiichirou ha creduto a Makoto e gli ha fatto i più sentiti auguri, come a tutto il resto della squadra.
L'amarezza di non poter scendere con loro, laggiù vicino all'acqua piena di cloro, viene ingoiata a forza, e dimenticata anche presto.
Quando persino la professoressa Amakata chiede di avere qualcosa da sventolare, oltre la ringhiera degli spalti, si capisce a che livello di coinvolgimento ed emozione sono arrivati tutti.
Davanti al bordo della vasca, anche il grande Makoto sembra qualcosa di piccolo e domabile; ma non è solo, e questo fa la differenza.
Il capitano è il primo a scendere all'interno dell'acqua, piantato come un palo; si aggrappa alla maniglia del trampolino, ed è già in posizione di partenza – si può sentire la sua tensione da lontano, però è piccolo e stretto. Nagisa si avvicina per dirgli qualcosa, e solo allora sembra ridere un attimo.
Non si distrae più: tutto deve partire. Fischio d'inizio, si tuffano come un unico corpo. C'è un concorrente che scivola male, ma non è Makoto, che già tiene un buon ritmo. È veloce, e potente, Gou sospira qualcosa riguardo il miglioramento che ha fatto nell'ultimo anno e Aiichirou trattiene il fiato nel momento del giro, dall'altro lato della corsia.
È il turno di Nagisa, e il cambio è perfetto. Anche con il ragazzo biondo Gou fa commenti sulla sua massa muscolare aumentata e sull'estensione delle gambe che gli provoca un leggero vantaggio davvero importante, per tutta la durata dei cento metri: non sbaglia una bracciata, e pare essere diventato perfetto.
Anche il cambio con Rei è pulito e viene in modo veloce, come deve essere. Con lui, Gou non ha più neanche ritegno: urla con tutta la propria voce, sperando che il ragazzo la senta davvero. Aiichirou sente persino commozione nel tono della sua voce, quando la professoressa la richiama un attimo al contegno e la fa calmare. Non ha saputo resistere.
Lo svantaggio che l'inesperienza di Rei ha fatto guadagnare alla squadra viene subito ripreso da Haruka, pochi attimi dopo l'entrata in vasca. È veloce, sembra quasi più di prima, e di nuovo accade quel fenomeno di meraviglia. I suoi compagni sono lì vicini e lo vedono meglio, ne possono venire contagiati con più efficacia.
Bracciata dopo bracciata, arriva sempre più vicino al traguardo, in bilico tra le prime posizioni assieme alla squadra della Samezuka e un'altra scuola che viene da ovest.
Ultimo metro, e il fischio di fine. A guardare in alto, Haruka riesce a leggere il proprio nome sotto soltanto un'altra scuola: secondo posto, eliminatoria superata.
Grida come non mai: Makoto lo aiuta a uscire dall'acqua, mano protesa e un sorriso perfetto sul volto, che pare dover sciogliere qualsiasi cosa. L'abbraccio di gruppo che ne segue è qualcosa di intimo e bellissimo, che li fa tutti piangere in quel groviglio di braccia e di spalle. Anche se è solo l'inizio della loro gara, è già stupendo così, per quello che hanno provato tutti assieme e per quello che sono riusciti a dimostrare.

 

Kiss while your lips are still red
While he`s still silent
Rest while bosom is still untouched, unveiled
Hold another hand while the hand`s still without a tool
Drown into eyes while they`re still blind
Love while the night still hides the withering dawn

[Nightwish – While your lips are still red]

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Capitolo 24
*** 23. Capitolo ventitré ***


23. Capitolo ventitré

 

 

 

Nagisa alza la fetta di pizza come se fosse un bicchiere contenente alcool: la stessa allegria e lo stesso fervore di un uomo adulto che può permettersi un festeggiamento ogni tanto, ma anche la gioia di poter riempire la propria vita con tanti di quei momenti – o forse soltanto la sciocca speranza di questo.
-All'Iwatobi Swim Club!
Il formaggio cola dalla punta del triangolo, ballando un poco e spargendo sul suo polso nudo e sul cartone appoggiato sul letto macchine di grasso colante.
Gli altri ragazzi si uniscono tutti, contagiati dallo stesso entusiasmo, sorridenti come non mai. E magari facendo anche più attenzione per non sporcare ovunque.
Rei gli allunga subito un fazzoletto, ma ancora prima che l'idea di adoperarlo gli balzi in mente ha già provveduto a pulirsi la pelle con la propria lingua, e quindi a mangiare ghiotto.
L'esaltazione degli ultimi giorni non è nient'altro che una scusa, lo sanno tutti, e nonostante questo sono più propensi a perdonargli i suoi eccessi. Il viaggio per le regionali ha messo dentro a tutti loro qualcosa di incredibile, che li rende ancora eccitati. Poco importa se la loro squadra non è riuscita a classificarsi oltre il sesto posto alla staffetta, e che solo Haruka ha avuto la possibilità di accedere alle nazionali di fine estate.
C'è sempre un motivo per festeggiare, per Nagisa, come anche un motivo per riempirsi la pancia.
E ritrovarsi a casa di qualcuno per mangiare tutti assieme è una cosa che non facevano da tempo, presi com'erano da tutto quanto. Ci sono anche la professoressa Amakata e il signor Sasabe, stranamente più vicini del solito, che parlano in modo altrettanto felice e coinvolto. Tutto assume un'aria familiare e piacevole, rilassante, in pochissimo tempo.
Aiichirou viene sorpreso per sbaglio a guardare il vuoto, oltre la finestra irrorata del rosso del tramonto – è Nagisa stesso a piantargli un gomito nel fianco, per avere la sua attenzione.
-Ai-chan, ti vedo un po' spento!
L'altro sobbalza sul posto, e si ritrae ancora di più. Aiichirou non ha paura di Nagisa, ma si sente un poco a disagio a trattare certi suoi slanci di pura energia, nonostante siano trascorsi mesi dal loro primo incontro. Conserva, nonostante tutto, dei momenti di timidezza.
-No no, sono contentissimo! È solo la stanchezza, tutto qui.
Il ragazzo biondo muove il capo in un gesto di assenso, comprendendo bene cosa il ragazzo voglia dire. Lo può sentire bene anche lui.
-Questi giorni sono stati davvero pieni, è normale.
Gou dice qualcosa al gruppo, e Rei si avvicina di mezzo metro al suo fianco per poter meglio rispondere alla questione – i restanti presenti vengono coinvolti più o meno raramente, anche perché sembra che Haruka, più che prestare attenzione al resto del mondo, preferisca dormire appoggiato alla spalla di Makoto con gli occhi appena aperti.
Aiichirou si ritrova, naturalmente, a guardare un'altra superficie riflettente, nella speranza che qualcuno appaia. Ma nulla: nonostante si trovi al centro del villaggio Iwatobi, Momo non gli fa visita.
Non lo fa da diversi giorni, e questo lo preoccupa non poco.
Altra gomitata nel fianco, questa volta meno forte.
-Ti mancano i tuoi fantasmi?
-Eh?
Nagisa si avvicina a lui, forse col tentativo di confabulare sottovoce, in una cosa intima solo tra loro due – Aiichirou ha l'istinto di allontanarsi ancora di più, a dire il vero, ma lo convince a desistere quella faccia seria che il compagno gli propone. Pare quasi che non abbia più intenzione di prenderlo in giro.
-Mi chiedevo da parecchio tempo se qualcuno di loro fosse tuo amico, sai?
Riesce a sorprenderlo, questa volta. Nagisa ha sempre mostrato di essere molto curioso di quella parte della sua vita, e a tratti anche indebitamente invadente, e quindi una tale delicatezza risulta quasi inaspettata. Ma non per questo sgradita.
-Sì, qualcuno lo è.
-Oh! E non ce lo presenti?
-È un po' difficile farlo, Nagisa-kun.
Riesce persino a sorridere un poco, di fronte a un'evidenza così schiacciante. Sarebbe impossibile, per chi non ha il suo dono, riuscire a vedere o anche solo percepire un fantasma non come semplice sensazione.
E Aiichirou sorprende se stesso nel considerare che ha appena definito “dono” una capacità che lo ha condannato per anni alla solitudine; gli viene da sorridere, al pensiero che sua nonna insisteva a chiamarlo così, anche di fronte a tutte le lacrime che lui versava da solo.
Nagisa però insiste, al suo fianco, ed è più che reale.
-Allora dimmi com'è, dai!
-È sempre presente, mi segue ovunque! E non la smette mai di parlare quando comincia!
L'altro non ride, non cambia espressione, rimane in ascolto avido, come se stesse raccontando una bella storia. E non serve Nagisa, davvero, perché Aiichirou riesca a capire da solo che Momo è davvero, davvero bello.
Gli si colorano un po' le guance ad ammetterlo ad alta voce, e le gambe gli finiscono contro il petto, in un abbraccio stretto.
La sensazione di rimanere seduto in quel piccolo salotto, sopra un pavimento riscaldato dal calore dell'estate, diventa qualcosa di piacevole come il tono pieno di carezze che usa.
-Però, sorride sempre, e mi porta in un mondo pieno di luce.
-Dove ti porta?
-Ogni fantasma ha il suo personale sogno, dove rimane rinchiuso. Quello di Momo è pieno di fiori e cose belle.
-Oh, si chiama Momo questo fantasma!
-Sì, Momotarou Mikoshiba.
Nagisa si illumina, perché finalmente c'è qualcosa che anche lui sa. Non si accorge di alzare la voce, a quel punto, e quindi di richiamare all'improvviso l'attenzione di tutti gli altri del gruppo; persino Haruka si sveglia dal suo torpore, guardando la coppia con tutto l'astio che può provare.
-Mikoshiba! Come la famiglia che tiene il tempio!
-C-che tempio?
-Il tempio shintoista che c'è sull'altra collina del villaggio. Non lo sapevi?
Aiichirou è un poco intimorito dal suo entusiasmo, però si rende perfettamente conto di essere arrivato a un punto di possibile risoluzione di tutto: ha di fronte a sé il primo vero indizio sia per risalire all'identità reale di Momotarou sia di capire cosa lo lega a quella “strega”.
-Mi ci potresti accompagnare, Nagisa-kun?

 

La calura del giorno è davvero insostenibile, e costringe Aiichirou a fermarsi sopra i gradini di pietra per la terza volta nel giro di neppure dieci minuti. Gli alberi che contornano la scalinata non gettano la propria ombra verso l'interno del sentiero, e non c'è alcun tipo di refrigero naturale se non un lieve sospiro del vento che appiccica ancora di più la maglietta bagnata di sudore alla pelle fredda e tremante.
Il ragazzo preleva la bottiglietta d'acqua con cui si è premunito dal marsupio legato in vita, per bere l'ultimo sorso di liquido ormai caldo. Fa uno strano verso, poi, di resa.
-Forza, Ai-chan! Ancora poco e siamo arrivati!
Nagisa in compenso non pare sentire alcun tipo di fatica, nonostante il suo viso grondi della stessa quantità di sudore che gronda dal suo.
Il torii rossastro che apre al tempio non è molto lontano, contornato dalle belle e folte chiome di due cipressi alti, dai tronchi larghi. Dietro si intravede già qualcosa, oltre a un miscuglio di colori tra il grigio del cemento e il verde degli arbusti sparsi. Aiichirou si dà carica, e riesce ad arrivare in cima. Passa il romon alto, di legno scuro, e oltre la tettoia una nuova prospettiva si completa per lui.
Si stampa, nella sua vista, l'immagine tipica di un santuario qualsiasi, con i suoi edifici in legno e la poca pietra che fa da pavimentazione al tutto. Ci sono due koma-inu ai lati dell'ingresso del tempio principale, e un paio di lanterne di pietra a seguire il percorso dritto che vi conduce, dal torii in poi. L'ombra degli alberi, in quel luogo, da un poco di refrigero, e il rumore della fonte sacra che scorre tra le vene sotterranee di terra e pietra non fa che addolcire ancora di più l'animo. Passa sullo sfondo un giovane uomo dai capelli rosa che spazza per terra la polvere accumulata che li vede e sorride tranquillo, facendo solo una piccola pausa per rivolgere a loro un gesto del capo, ricambiato sentitamente.
E mentre Nagisa si gode del benessere naturale e pacifico del posto, senza curarsi di molto altro se non la propria soddisfazione, Aiichirou alza le mani al petto e sente, con un altro tipo di percezione.
Persino in quel luogo ci sono tracce della maledizione della strega. Non così terribili come in altre parti del villaggio Iwatobi, ma della stessa fattura, quasi che l'identica mano li avesse creati con ugual odio.
Aiichirou riconosce il tocco della strega, in quello. Avvolge l'area come una cupola di vetro, di quelle usate per custodire i fiori delicati e preziosi da tutte le intemperie. Fa uno strano effetto, perché non è per nulla aggressivo, e non vi sono racchiusi sentimenti intimidatori.
Nagisa lo chiama a un certo punto, considerando la pausa di silenzio che ha avuto davvero troppo lunga.
-Ora vieni! Ti faccio vedere una cosa!
Lo spinge verso il pozzo della fonte sacra, lì dove durante i matsuri si raccolgono preghiere e desideri. C'è il pendolo di una campana piccola, appesa in alto, e Nagisa lo agita un paio di volte prima di congiungere le mani davanti al petto, con gli occhi chiusi. Aiichirou impiega qualche secondo per capire cosa stia facendo, e subito inizia a pregare anche lui.
Per Momo, prima di tutto. Per la strega e il fantasma impiccato.
Aprendo gli occhi dopo questi pensieri, gli capita per sbaglio di abbassare lo sguardo, dove un ciuffo di erba irriverente è germogliato tra le varie pietre del pavimento e si è allungato sulla parete del pozzo. Sorride, perché sono fiori molto belli.
Non sorride più, perché sono gli stessi fiori che ha al collo anche Momotarou, e questo può essere tutto tranne che un caso.

 

***

 

La signora Mei si appoggia al proprio bastone quando finalmente, dopo diverse ore passate a guardare semplicemente l'esterno permettendo al tempo di carezzarle la schiena e di scivolarle addosso pian piano con delicatezza, decide di alzarsi dall'alto gradino che solleva il bordo della sua piccola terrazza dal terreno arido del giardino.
Oltre quelle assi di legno, quando era un poco più giovane e le sue vene non erano così delicate, ha fatto penzolare per ore intere le proprie gambe, facendole danzare un poco nel vuoto soltanto per un divertimento senza senso. Ora le tiene chiuse sotto di sé, nella posa rigida convenzionale che si confà di più alle donne maritate, di tutte le età – non sente più dolori come una volta, e la sua posa plastica può sorreggerla per un tempo che lei non ha mai voluto contare.
Le piace ancora assistere ai cambiamenti del cielo, perché le pare di sentirsi così in sintonia con la natura che poche cose di quel mondo terreno la possono toccare. Però, il senso della fame ancora la inchioda a una fittizia materialità, e lei non può che sorridere di se stessa e assecondare l'esigenza del proprio corpo.
Si muove piano, nel proprio kimono stretto e pieno di bei colori, fino a ritrovarsi in posizione dritta. Dona uno sguardo sfuggente alla dimora che si apre oltre la portafinestra della terrazza, perché quel silenzio e quell'immobilità non li gradisce proprio mai.
Non ci fa caso subito, quando avverte un rumore di strisciato: la sua mente collega quel sgradito particolare a qualcosa di altrettanto sgradito come i ragazzini del quartiere che d'estate non fanno altro che un sacco di rumore e corrono da tutte le parti, specialmente davanti al suo giardino. Chissà quale altro gioco hanno inventato per darle ancora più fastidio del solito.
Lo nota la seconda volta, che qualcosa è più strano del normale. Si ferma in un punto ad ascoltare questi passi strani, occhi socchiusi ed espressione arcigna. Poi, però, quando sente anche quella puzza nauseabonda arrivarle direttamente al naso, decide che non vuole più sopportare.
Alza il proprio bastone al vento e recupera tutta la propria voce gracchiante, quasi a voler sembrare minacciosa a tutti i costi.
-Quante volte vi ho detto di non venire a giocare qui! Abbiate rispetto per gli anziani! Non siete altro ch-
Quello che vede è davvero troppo grosso per essere uno dei tanti ragazzini dell'isolato. Le ricambia lo sguardo, come la più impudente e svergognata delle creature ultraterrene, e procede lento nella sua direzione.
La signora Mei ha il cuore che pompa velocemente. Rivaluta, per la propria incomprensione e la propria paura, un'intera esistenza di credenze, per cui ad azione corrisponde una reazione, e un peccato corrisponde una punizione.
Ma a cosa dovrebbe far risalire l'apparizione di quel demonio di alghe?
La creatura la sorpassa senza però toccarla, o anche solo con l'intenzione di farlo.
Passano altre ore prima che la signora Mei riesca a muoversi di nuovo, come la sua volontà le dice di fare – e quando telefona alla sua vicina per avvisarla che c'è un mostro, un mostro terribile a Iwatobi, la signora Izuka può ridere di gusto e consigliarle di tornare a dormire, che sognare a occhi aperti alla sua età è più che frequente.

 

Oh what's love got to do, got to do with it
What's love but a second hand emotion
What's love got to do, got to do with it
Who needs a heart
When a heart can be broken

[Tina Turner – What's love got to do with]

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Capitolo 25
*** 24. Capitolo ventiquattro ***


24. Capitolo ventiquattro

 

 

 

Chiude la portiera posteriore della macchina con un gesto più violento di quello che ha voluto, ritrovandosi a socchiudere anche gli occhi e aspettare un attimo perché il rumore prodotto si disperda nell'aria e non si possa più sentire. Dentro, suo figlio lo guarda un po' strano, incuriosito da tanta veemenza: ha fatto più resistenza del solito, la precedente mattina a colazione, quando lui ha voluto annunciare alla propria famiglia che avrebbero passato il week- end assieme in una di quelle vecchie località che frequentavano quando ancora abitavano in montagna, poco meno di un anno prima. Avrebbero impiegato diverse ore a raggiungerla, ma per il signor Nitori ne sarebbe valsa la pena, perché voleva dire condividere quel momento libero assieme a sua moglie e a suo figlio, col classico atteggiamento di chi festeggia per sé non ogni giorno ma giusto le occasioni importanti, incisive.
Entra al posto del conducente, senza più aspettare o riflettere, e subito la donna accanto a lui indica con un gesto del proprio dito indice il cielo all'esterno.
-Caro, sei ancora sicuro di voler andare? Non succede nulla se rimandiamo di una settimana...
La donna è preoccupata più che altro per il mal tempo che sovrasta quella zona da diversi giorni, con una serie di nuvole cariche di pioggia e di altre brutte intemperie che girovagano in continuazione senza trovare mai pace, minacciose a dir poco. Il marito guarda nella direzione che lei indica, come a dimenticarsi per pochi secondi ciò che lui stesso ha visto da sé, senza bisogno di suggerimenti.
Fa una faccia strana, con espressione sospesa, e pondera davvero di prendere in considerazione quello che lei ha detto; picchia sul volante con entrambe le mani e decide il da farsi. Non vuole cedere, in realtà.
-Abbiamo già tutto pronto. Sarebbe davvero un peccato non andare, a questo punto.
Si sporge anche il ragazzo dai sedili posteriori, nello spazio stretto che c'è tra i posti davanti, cercando con lo sguardo di creare un contatto con il proprio genitore. Se si limitasse a considerare con quanta decisione gli sta parlando – cosa che non ha mai fatto prima – il signor Nitori troverebbe anche di ché dargli ragione, tuttavia non ha comunque voglia di capitolare, e lo dice molto chiaramente.
-Possiamo prepararci meglio e con più anticipo la settimana prossima, papà.
-No. Passeremo questi due giorni assieme, che voi lo vogliate o meno.
Li guarda entrambi, sentendosi assediato a tradimento. La moglie e il figlio non sono delusi, mostrano soltanto la medesima preoccupazione sincera: sono anime gentili in egual modo, ed è anche per questo che si sente così attratto da loro, in un modo e in un altro.
Non li guarda in faccia, ma fissa un punto avanti, quel pezzo di vialetto che ha fatto in retromarcia perché fosse più agevole inserire nel bagagliaio le poche valigie utili a due giorni di tranquillità in montagna.
-Voglio festeggiare come si deve i risultati di mio figlio. È un'idea così sbagliata, forse?
Non avrebbe voluto dirlo così presto, forse nella vana speranza di lasciare un poco intatta la sorpresa che aveva architettato in precedenza; tuttavia è abbastanza irritato dai loro dubbi, e questo lo fa intendere nella sola maniera con cui è capace di comunicare: diretto, senza giri di parole.
La signora Nitori arriccia l'angolo della bocca in un sorriso intenerito, convinta quel tanto da lasciare spazio al beneficio del dubbio e alla speranza che, tutto sommato, una probabile pioggia valga la pena di un evento simile.
-Non lo è.
Si gira verso il figlio e anche lui sta sorridendo, con più imbarazzo che mai – gli fa un cenno della testa, incentivandolo a dire qualcosa.
Aiichirou, d'altronde, è davvero sorpreso e toccato dalla cosa, e non vuole perdere l'occasione di dirlo, perché nonostante tutto quella premura riesce a farlo sentire meglio.
-Grazie, papà.
Basta davvero così poco perché l'atmosfera si alleggerisca di colpo e tutte le cose non dette vengano comunicate a quella maniera. Il signor Nitori si gira verso il figlio per qualche secondo appena, e gli sorride poco.
Per dirgli quanto è orgoglioso di lui, per dirgli quanto è felice, per dirgli un sacco di cose che la sua bocca e le sue labbra sono incapaci di pronunciare.
Quando si volta per mettere in moto il mezzo, Aiichirou ha capito tutto, e per la prima volta dopo tanto tempo non si sente a disagio con il proprio genitore. È una sensazione nuova e così bella che vi si abbandona per diverso tempo, concentrandosi unicamente su quella.

 

Ad Aiichirou non è mai troppo piaciuta la sera della montagna, prima di quel momento. Scuro troppo presto, il nero si allunga con facilità: sembra che la terra e la roccia gli siano amica, e si lascino travolgere in profondità, cullate da un sonno placido e piacevole, con il ventre calmo e assonnato che non manda presagi di sventura o altri tribolazioni col suono vibrante di terrore.
Tra gli alberi dei boschi si nascondono i fantasmi peggiori, quelli nati da omicidi brutali fatti di nascosto, lontano in senso morale e fisico da ogni traccia di civiltà. E poi le fiere dagli occhi luccicanti, i suoni improvvisi che fanno tremare anche le foglie.
Aiichirou si rende conto di aver vissuto un periodo carico di paura senza senso, ora che guarda gli stessi luoghi e gli stessi elementi. Gli verrebbe quasi da ridere.
Il centro termale in cui la sua famiglia alloggia è piccolo e poco conosciuto, ben lontano dalle solite grandi mete turistiche, a tratti anche riservato. Viene aperto solo in determinati periodi dell'anno, e non può ospitare più di un certo numero di clienti. Eppure, ha un largo terrazzo con una vista che si apre lungo una valle ancora del tutto verde, incontaminata, e da cui si può vedere chiaramente dove il cielo confina con il fianco delle montagne di cui l'orizzonte è pieno, in quella linea che sembra tanto solo un miraggio o uno scherzo burlesco. Si tende a respirare piano, per non fare troppo rumore e per non disturbare la natura oltre la propria stessa esistenza.
Con una granita adagiata delicatamente sul tavolino basso di legno accanto a sé, il ragazzo rilassa tutti i muscoli del corpo e tende i piedi sulla propria sdraio, con fare molto flemmatico. È rimasta solo sua madre con lui, anche se il sole è calato da un pezzo e ha cominciato a fare freddo. Hanno addosso soltanto gli asciugamani indossati dopo il bagno alle fonti calde di quel pomeriggio, perché non è servito loro nient'altro, e la cena è stata gustata lenta, in un silenzio non teso.
Ha voglia di socchiudere gli occhi e non pensare a niente, lavato com'è di ogni cosa. Ma qualcosa si posa sul suo naso e lui sobbalza all'improvviso; quando apre di nuovo gli occhi, non fa in tempo a vedere cosa sia.
Sua madre ride piano, di fronte alla sua sorpresa.
-Quando ero piccola, andavo a caccia delle lucciole.
A queste parole, il ragazzo si guarda meglio attorno e comincia a vedere quelle piccole creature sospese a mezz'aria, mentre ronzano con delicatezza. Luci a intermittenza, sembrano esserci e non esserci allo stesso tempo, e cambiare dimensione e forma ogni volta.
È la prima volta che riesce a essere così ammirato di un fenomeno simile, e per questo non coglie subito la voce di sua madre che ancora gli parla.
-Aspettavo che gli adulti si addormentassero tutti, per uscire in giardino e catturarle.
Però si volta per vederla un poco pensierosa, nell'atto di ricordare qualcosa.
-Vivevo in una casa con un giardino modesto, però era sempre bello correre tra l'erba a piedi nudi.
Sorride al pensiero: doveva essere davvero una cosa piacevole.
Ai suoi occhi, sua madre non è mai stata una persona superficiale, anzi. Benché il suo giudizio fosse scevro da pesantezze di natura sovrannaturale, soppesava con i propri sentimenti anche i più duri giudizi, senza mai lasciarsi andare a una prima impressione sfuggente.
In quel momento si ritrova con il desiderio di vederla sorridere, ancora. Non può pretendere di recuperare il tempo perso, perché sarebbe un'inutile quanto infruttuosa lotta, ma raccogliere di propria volontà i momenti preziosi con lei, da quella sera in avanti, gli sembra un attimo proposito.
Più che alleggerire il senso di colpa, riempie l'animo di un prezioso sentimento.
La donna chiude le mani velocemente, di fronte a sé, causando un rumore secco; quando le riapre, svolazza via indignata una lucciola, e lei ride con semplicità.
Aiichirou ne cerca una per sé, e quando ci riesce impiega due tentativi per catturarla senza ucciderla; sua madre è divertita, è chiaro, ma si zittisce quando lui si rivolge a lei e le accosta l'insetto al viso, come se fosse la cosa più bella del mondo.
Anche quella è una creatura della notte e del buio, dopotutto, e vederla a quel modo, nella conca che creano due mani chiuse, assieme a uno sguardo che sa sorprendersi anche delle piccole cose, ricorda ad Aiichirou di non aver bisogno di niente che non appartenga già a lui stesso, proprio dentro di sé.

 

 

***

 

Arriva zoppicando alla porta del bagno, abbassando piano e senza fare troppo rumore la maniglia di ottone pulito, per scostare l'anta di legno e infilarsi dentro la stanza assieme a uno sbadiglio con poco fiato.
C'è un silenzio che gli fa davvero male, in quel luogo.
Stringe il bordo dei pantaloncini che gli fanno da pigiama, e le sue dita tremano un po'. Qualche passo sulle mattonelle chiare, fredde, e quindi si ritrova davanti allo specchio grande appeso alla parete, lì dove lo ha incontrato una delle prime volte mentre faceva la doccia. Sembra passato tantissimo tempo, e invece a conti fatti sono solo pochi mesi – neanche tre, a ben vedere.
Eppure, di Momotarou nessuna traccia, neanche a cercare bene.
Aiichirou allunga la mano per riflesso incondizionato, verso la superficie liscia dell'oggetto. L'accarezza in punta di dita, come farebbe con la pelle di una persona particolarmente cara, e rimane a vagare con il pensiero per diversi minuti. Ricorda la sensazione di dita forti che stringono le sue, e un poco il cuore rallenta il proprio ritmo.
Il fantasma non si fa vedere ormai da una settimana. Neanche a sorprenderlo come gli è sempre piaciuto, o anche solo parlare attraverso uno specchio troppo brutto e troppo rotto perché il suo viso fosse visibile: ha trovato modi così fantasiosi, alle volte, che Aiichirou ha dovuto per forza complimentarsi, piuttosto che scappare da lui. Se sapesse la ragione di un tale distacco non esiterebbe a rimediare il prima possibile, con tutte le proprie forze; quella, d'altronde, è un'altra delle cose che lo fanno sentire impotente, perché pieno di dubbi non riuscirà a trovare facilmente la soluzione a un problema che neanche comprende.
Gli manca, e la cosa lo addolora più di quanto possa davvero ammettere.
Sospira e ritira la mano, tornando alle proprie faccende: forse, se ignora il pensiero per più di due minuti, Momotarou arriverà da sé a fargli una sorpresa, e lui potrà abbandonare tutta quella sciocca preoccupazione che gli appesantisce il petto.
Con questo spirito si lava la faccia e i denti, fa tutte quelle cose tipiche per la propria igiene personale che il rito mattutino prevede, con meticolosa scrupolosità. Si cambia piano, con la schiena rivolta allo specchio – non ha mai avuto molto piacere a vedersi nudo, e ultimamente ancora di meno. Proprio per questo genere di considerazione, si volta, sempre lento.
Ha la pelle pallida, come qualcuno che non viene toccato molto spesso da mani calde. È liscio e appena lungo, non troppo sottile a dire il vero, e con quei tratti un poco fanciulleschi che si attardano sulle membra e sullo sviluppo dei muscoli.
Momotarou una volta gli ha fatto un complimento a tal proposito, mentre lui stava per addormentarsi e il fantasma credeva di non essere sentito davvero.
Si domanda la ragione, dal momento che il ragazzo che sta vedendo allo specchio è così misero e fragile da non riuscire neanche a trattenere a sé il proprio migliore amico e ancora, nonostante tutto, non riesca a comprendere i suoi bisogni e le sue paure. Perché altro non può essere se non quello il motivo della sparizione di lui, oltre che la minaccia della strega.
Vorrebbe piangere per una semplice questione di sfogo, ma si trattiene. Si guarda ancora, all'altezza del viso, e fa una promessa a quegli occhi chiari che Momotarou ha definito “tanto belli”, abbastanza belli da dipingere il proprio cielo dello stesso identico colore. Non ha intenzione di permettere che le cose finiscano a quel modo, nella maniera più assoluta.
Affronterà il mostro del villaggio Iwatobi. Per Momotarou.

 

And I can feel it coming in the air tonight, hold on
I've been waiting for this moment for all my life, hold on
I can feel it coming in the air tonight, hold on, hold on
And I've been waiting for this moment all my life, hold on, hold on

[Genesis – In the air]

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Capitolo 26
*** 25. Capitolo venticinque ***


25. Capitolo venticinque

 

 

 

Ha gli occhi chiusi quando sente il suo bacio sulle labbra – non li riapre subito, lasciandosi invece convincere dalla sua bocca ancora un altro po'. È più pigrizia che malizia, ma Makoto gli regge il gioco e Haruka non sente il bisogno di impegnarsi a fare altro che rimanere lì, in quell'esatta posizione, a farsi accarezzare dalla sua bocca.
Schiude le palpebre piano, e la prima cosa che vede, meraviglioso, è il suo viso sorridente.
-Ti sei addormentato all'improvviso.
Makoto poi scivola all'indietro, sedendosi ancora sul tappeto davanti al proprio letto, dove l'altro è rimasto inerme e fermissimo per più di dieci minuti. Il ventilatore acceso, posto in alto sopra il comodino, fa un rumore lieve, e l'aria che manda è piuttosto fresca e forte, piacevole.
Tuttavia, il sudore che continua a sentirsi appiccicato addosso non è per niente piacevole, e lo fa sbuffare.
-Fa troppo caldo per fare qualsiasi cosa.
-Dovresti bere un po' di più.
Makoto si sistema gli occhiali sul naso, mentre seguita a leggere l'ultimo capitolo del paragrafo: ha continuato per tutto il pomeriggio a studiare qualcosa, ignorando per lo più Haruka e abbandonandolo a se stesso; non che la cosa gli abbia fatto tanto dispiacere, ma si è ritrovato a considerare di desiderare più del previsto le sue attenzioni, specie in quelle ore di calma relativa e di relax.
Il fidanzato percepisce questo bisogno, come se fosse detto a parole, e si gira nella sua direzione. Ha lo sguardo stanco, nonostante tutto.
-Vuoi un ghiacciolo?
Haruka rotola sul materasso, facendosi più vicino a lui. Gli accarezza i capelli per un po', finché l'altro non gli prende il polso con le proprie dita e si porta il suo palmo alla propria bocca per baciarlo; non ha ancora del tutto passato la fase dell'imbarazzo, e benché certe cose gli vengano naturali e gli siano necessarie, si rende conto solo in un secondo momento quanto siano intime, e quindi diventa tardivamente rosso in viso – così carino, a dire il vero, che con la scusa del caldo arrossisce un po' anche lui.
-Del tè freddo.
-Vado a prenderlo.
Makoto lascia la sua mano, ripone il libro che stava leggendo, un testo che Haruka non riconosce, lontano sullo stesso pavimento, e si alza, tranquillamente. Non fa neanche un passo che si deve fermare: le dita di lui stanno trattenendo la sua maglietta leggera, per un bordo.
-Cosa c'è?
Haruka non risponde, e invece affonda il proprio viso ancora di più nel cuscino bianco di lui. C'è un odore così delicato, della sua essenza, che gli piace.
E non ha intenzione di lasciarlo andare.
-Haru, se non mi lasci non posso andare a prenderti niente.
Lo guarda solo con un occhio e mezza faccia, e sembra tanto un bambino piccolo.
-Non subito.
Makoto sorride abbassandosi nuovamente accanto a lui, con le ginocchia sul pavimento e soltanto il busto sul materasso, vicino all'altro ragazzo.
-Siete tutti strani, ultimamente. Tu, Nitori-kun, Gou-chan.
Lo bacia ancora, perché nella completa libertà di una casa vuota di parenti e fratelli minori, oltre che nella sicurezza di una porta chiusa a chiave, può persino rischiare qualcosa di più. Lo accarezza tra i capelli, come farebbe con un gatto.
-Che cosa avete?
Haruka lo abbraccia, trattenendolo a sé. Makoto sente, in ogni suo respiro, una gravità che prima non ha mai sentito.
Si sente toccato dentro da quella preoccupazione celata, e non sa come reagirvi – non sa, d'altronde, se la cosa sia dovuta al proprio senso di colpa per non aver detto proprio tutto al fidanzato oppure se sia il solito altruismo che lo muove.
Per una volta, una volta soltanto, ha sottovalutato la sensibilità di Haruka.
-Niente.
Lo bacia e lo lascia andare solo dopo aver strofinato la punta del naso contro la sua, lasciandolo sorridente e stordito.
-Vai a prendere il tè.

 

 

***

 

-Non è esattamente educato far visita a una signorina malata!
Mentre Gou parla, le scappa un colpo di tosse che le scuote tutto il torace di un freddo davvero pieno di disagio. Porta una mano alla bocca, per proteggere anche la cornetta e il proprio interlocutore dalla piena potenza del suono, e allontana il telefono dal proprio viso onde evitare che il ragazzo senta troppo. Un ciuffo di capelli le si appiccica alla guancia appena sudata, aumentandole il fastidio.
Quando il telefono torna vicino al suo orecchio, c'è di nuovo il rumore di chiasso di prima, che non fa bene al suo mal di testa. Makoto tenta di parlarle, di dirle qualcosa, ma viene continuamente interrotto, e la ragazza ha anche l'impressione che la cornetta gli sia rubata di mano, ad un certo punto.
-Vorremmo solo sapere come sta-
-Kou-chan! Kou-chan! Devi guarire in fretta! Abbiamo bisogno di t-
-Matsuoka-chan, spero tu riesca a riprenderti prest-
C'è rumore di lotta, anche se per breve tempo, e il capitano della squadra zittisce i due membri disturbanti. In un silenzio quasi irreale, Gou sente di nuovo vicino il fiato un po' meno calmo del ragazzo.
Non è riuscita a trattenersi dal sorridere.
-Siete tutti molto allegri, noto.
Il ragazzo sospira, e pare che stia compiendo lo sforzo di trattenere, fisicamente, qualcuno al proprio posto – facile intuire chi, a quel punto.
-Nagisa-kun e Rei-kun sono solo molto preoccupati.
-L'ho potuto sentire.
-E lo siamo un po' tutti.
Lui lo sottolinea, perché sente che ce ne sia bisogno e che lei lo capisca bene. C'è un moto di rosso, sulle guance della ragazza, che è gratitudine e imbarazzo assieme. Mentre risponde, abbassa le dita della mano libera a giocare con l'orlo delle lenzuola chiare del letto. Se prima il pensiero di potersi concedere un poco di fastidio per essere stata disturbata dal proprio giusto sonno l'aveva sfiorata, ora è solo contenta di poter sentire i propri amici.
-Non dovete preoccuparvi, è solo un po' di raffreddore.
-In estate?
-Forse sto scaricando l'ansia per le gare nazionali.
-Forse è quello.
Sorridono nello stesso momento, e Makoto è costretto a interrompersi per zittire di nuovo Nagisa al proprio fianco. A quanto Gou ha potuto capire, si sono ritrovati tutti a casa Tachibana dopo la scuola e dopo l'orario degli allenamenti, per chiederle direttamente come mai quel pomeriggio non ha fatto la propria comparsa. Tutti gentili, davvero.
Makoto torna con voce più allegra da lei.
-Anche Haru vuole dirti qualcosa.
-Nanase-senpai? Davvero?
Non ha il tempo di meravigliarsi più di tanto che sente un lungo silenzio prolungato, e intuisce che la cornetta è stata passata all'asso della squadra. Dopo un po', ha persino il privilegio di sentire anche la sua voce.
-Ti aspettiamo tutti.
-Oh, certo! Tornerò presto!
La cornetta viene passata di nuovo di mano, in un chiaro suono. C'è anche un rumore soffuso di fondo, una donna che chiama al raduno perché è pronto da mangiare, e in men che non si dica quattro corpi di diversa stazza si muovono più o meno in sincrono per allontanarsi velocemente.
Pronta la cena.
Qualcuno, però, è rimasto a parlarle.
-Matsuoka-chan!
-Nitori-kun! Ci sei anche tu!
-Matsuoka-chan! Non hai niente di grave, vero?
-No, solo qualche linea di febbre. Niente di più.
-Sono contento.
C'è una pausa che non capisce, tra di loro, che dura ben più di quello che si sarebbe aspettata da una telefonata di cortesia.
Aiichirou, alla fine, ha capito la motivazione dell'angoscia di lei. L'ha capita, e vorrebbe anche dirle che ha intenzione di porvi rimedio, di fare qualcosa non solo per sé ma anche per tutti loro, in modo da non guardare più il cielo con espressione preoccupata.
Ha così tante parole dentro, di amicizia e calore, che non riesce a sceglierne nessuna, ed è costretto a ripetersi come in un mantra.
-Sono molto contento.
La ragazza intuisce, oltre il proprio mal di testa, almeno un poco, e tenta un approccio gentile. D'altronde, il peso sul proprio petto non è ancora stato levato da alcuna parola sincera, e il suo animo è in balia di una paura sottile quanto persistente.
-C'è qualcosa che non va, Nitori-kun?
Il ragazzo, però, decide che non è ancora il tempo giusto per parlare. E allora sorride, ritirandosi nella propria cortesia.
-No, non c'è niente. Riprenditi quanto prima, tutta la squadra ha bisogno di te!
Sorride anche lei, e dopo pochi convenevoli le è permesso di tornare a dormire e guardare, ancora una volta, il cielo bucherellato di stelle opache dalla finestra di camera sua.

 

Sobbalza sulla propria sedia, e non trattiene un profondo respiro.
Attardatasi per correggere gli ultimi compiti del periodo scolastico – proprio quelli che avrebbero dovuto dare le medie per la fine del blocco estivo, in vista dell'inizio della preparazione degli esami di inverno e oltre – la signorina Amakata viene sorpresa dalla pioggia che batte forte contro il vetro ampio della sala insegnanti. Un fulmine è appena caduto, parecchio vicino visto il forte rombo che ha prodotto, ma non sembra dover essere l'unico della serata appena cominciata.
Sospira di nuovo e mette a posto le ultime cose che ha lasciato sparse sopra la propria scrivania. Un solo collega è rimasto con lei, a fare lo stesso tipo di lavoro, e quando si alza per recuperare la propria borsa e il proprio cappotto, le sorride abbastanza stanco, spossato: è strano notarlo anche negli adulti, ma il brutto tempo degli ultimi giorni non ha fatto che peggiorare l'umore di tutti quanti.
Per fortuna quella mattina si è ricordata di portare l'ombrello con sé, giusto per evenienza.
“Non si è mai troppo prudenti”: non si ricorda se queste parole le ha pronunciate lei stessa o derivano da un detto antico cinese che ha imparato addietro, in qualche modo. Ha poca importanza.
Scende le scale con una certa velocità, strette la cartella e la borsa sotto un braccio e stretto nella mano dell'altra il proprio ombrello. Si cambia anche lei le scarpe nell'atrio, appresso agli armadietti appositi per gli insegnanti; scarpe con un tacco basso, troppo poco alte per far fronte all'acquazzone dell'esterno. La donna guarda sconsolata il cortile della scuola, al di là delle vetrate che la proteggono, che pare quasi si sia intensificato rispetto a qualche minuto prima.
Prende coraggio, a un certo punto, ed esce velocemente.
Il vento subito le va contro, sollevandole parte della gonna e mettendola nell'imbarazzo di dover decidere se salvare il proprio lavoro o la propria persona. Si muove ancora più veloce, cercando di non correre per non scivolare a terra, e superato il cortile scolastico si immette nella strada che discende la collina, per raggiungere i mezzi pubblici. Con i pesi che ha addosso, è difficile fare tutto quello assieme, specialmente quando il vento soffia verso l'alto e tenta di strapparle l'ombrello dalle dita.
Riesce a raggiungere l'ultimo pezzo della discesa, dove una delle strade più grandi di Iwatobi scorre per un bel pezzo e accerchia tutta la collina come un grande anello. Sta per continuare in avanti, quando lo sguardo le capita su una strada secondaria, sterrata, che di solito non fa spesso – ricorda, però, che è molto meno lunga dell'altra, anche se più ripida. Decide in pochi attimi di sviare verso quella, anche se le gambe le tremano un poco.
È sempre il vento a soffiarle in faccia acqua fredda, dandole un sacco di brividi e lavando via ogni preoccupazione dal viso. Fino a qualche ora prima, è stata in pensiero per i propri studenti – per Makoto e Haruka, del terzo anno, e per quello che ha letto nelle loro schede motivazionali per la scelta dell'università. Si è chiesta se il giovane Tachibana avesse fatto la propria scelta spinto da qualcosa in particolare, e se ne avesse parlato con i propri amici; ma dallo sguardo che ha avuto negli ultimi giorni le è parso quasi di no, perché è stato abbastanza triste da farle pensare un'eventualità del genere. Forse, però, è stato soltanto il tempo, che spazza via ogni cosa, come in quel momento.
Non è compito suo preoccuparsi di queste cose, quanto piuttosto che il ragazzo si trovi bene con la scelta che ha fatto e che l'affronti come deve, in tutto e per tutto. È il suo ruolo di insegnante a darle questo compito, e non intende tirarsi indietro. La formazione dell'individuo richiede gli strumenti giusti e l'indicazione delle vie appropriate – che poi la persona decida o meno di intraprendere il giusto cammino non è compito dell'educatore deciderlo, ma del libero arbitrio tanto caro alla morale contemporanea occidentale. Certo è, e non può che ammetterlo, che se Makoto o Haruka si ritrovassero degli adulti insoddisfatti di se stessi, anche lei ne soffrirebbe parecchio, a livello personale.
Ha quasi raggiunto la propria meta, passo dopo passo. Stringe l'ombrello al fianco in un gesto di felicità, e fa persino un balzo in avanti per la contentezza.
Le si para davanti, all'improvviso, una massa informe e scura di qualcosa che non identifica.
Sobbalza all'indietro e cade, lasciando andare l'ombrello – urla più per la sorpresa che per reale spavento, ma quando si accorge che quella creatura è tutto fuorché umana allora strilla, strilla più forte. La creatura arretra e si allontana quanto più velocemente può, con le sue gambe molli e le alghe che appesantiscono tutto.
La professoressa rimane immobile a gridare, tra il fango che le sporca la gonna e la pioggia che le bagna il resto, finché la creatura non è sparita entro un altro vicolo interno, che ha un solo e unico sbocco: la residenza Matsuoka.

 

And can you feel the love tonight
It is where we are
It's enough for this wide-eyed wanderer
That we got this far
And can you feel the love tonight
How it's laid to rest
It's enough to make kings and vagabonds
Believe the very best

[Elton John – Can you feel the love tonight]

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Capitolo 27
*** 26. Capitolo ventisei ***


26. Capitolo ventisei

 

 

 

Perché le parole possano sprigionare il loro e senso più potente, devono essere usate con precisione nel loro unico significato intrinseco. Chiamare con il nome giusto ogni cosa permette la padronanza senza eccessi e senza esitazioni, la conoscenza ultima e più intima di tutti i segreti del creato.
Sua nonna, in vita come in morte, gli ha sempre ricordato questi precetti filosofici fondamentali, riproponendoli alla sua memoria con una costanza metodica, in modo da farli interiorizzare a un Aiichirou più giovane e ancora spaventato da ogni ombra attorno a sé.
A ogni rito le giuste formule, a ogni rituale la giusta invocazione. Aiichirou non ha mai provato sulla propria pelle le conseguenze di un'evocazione andata male, però ha potuto leggere e ascoltare molte cose a riguardo.
Gente che spariva completamente nel nulla, gente mutilata negli arti e pure di parti più importanti della propria persona, gente divenuta pazza e perdeva per sempre il lume della ragione, gente senza più uno spirito in corpo che vegetava fino alla morte naturale.
Altro motivo per temere con tutti se stessi i fantasmi: come gli esseri umani, sono capaci delle più terribili crudeltà, così animati dall'unico sentimento che li ha colti nel momento del trapasso.
Aiichirou non vuole incontrare quello spirito chiamato strega senza nessuna protezione. Deve riuscire a richiamarlo senza però lasciargli libertà di spazio e di azione, nei suoi confronti come di tutto il resto. Se dovesse diminuire ancora di più la distanza che c'è tra il mondo e l'odio di quell'essere, di sicuro sarebbe un guaio più che grande.
Sarebbe quasi una catastrofe.

 

Sposta, dalle ante dell'armadio, lo specchio dove contatta di solito Momotarou, per aprire una parte che di solito lascia sigillata. Lì dentro vede custoditi tutti i ricordi della propria vecchia vita, tra cui anche ciò che sua nonna gli ha lasciato in intima eredità.
Diverse scatole piene di profumi e incensi, piccole bambole e qualche oggetto strano, circolare. Una cassetta in particolare, però, contiene tanti piccoli fogliettini, assieme a un pennello e un piccolo cilindro, molto usato, di inchiostro secco: Aiichirou prende quello, per lasciare il resto intonso e pieno di polvere come sempre.
Un senso di nostalgia lo coglie, impreparato, e gli inumidisce di lacrime gli occhi sensibili. Deve stringere al proprio petto il cofanetto per sentire l'essenza di sua nonna. Anche senza lo spirito che vola accanto a lui, ne sente il calore e i sentimenti.
Torna alla propria scrivania, dove tanti fogli di brutta, stropicciati e arrotolati, sono sparsi per tutta la superficie orizzontale. Ne scansa un po', per far spazio al cofanetto; apre il piccolo lucchetto a combinazione, e benché il metallo sia un poco vecchio alla fine fa uno strano “click” acuto e si concede docilmente al nuovo padrone.
Non vede quei fogli giallastri ormai da mesi, e la puzza di muffa è sempre la stessa. Deve essere molto delicato nel prelevarne uno dalla piccola fila, perché facendo appena poco più di pressione il bordo si spezza e può danneggiare anche tutto il resto della carta. Aiichirou è attento a quello che fa, forse davvero così teso da non riuscire a respirare troppo; quando appoggia il foglio sopra il proprio tavolo, è come se avesse appena toccato un oggetto sacro.
Fa sciogliere l'inchiostro in una tazzina piena d'acqua, mescolando il liquido con la punta del cilindro nero in continui vortici gentili. Quando l'acqua è abbastanza colorata e l'inchiostro abbastanza denso, toglie il cilindretto nero e lo appoggia sul tavolo, per farlo sgocciolare e quindi asciugare.
Prende uno dei pennelli più sottili che ha in mano. Trema solo a quel punto, con la punta delle setole vicino all'inchiostro. Non è mai stato troppo bravo in scrittura, e di questo sua nonna lo rimproverava spesso: chiaro in modo che sia diretto, diceva lei, senza sbavature neppure nell'intenzione.
Aiichirou ha scritto e riscritto la preghiera da rivolgere alla strega per due giorni interi, nel tentativo di perfezionarla sempre di più. Ricorda i costrutti da rivolgere per certe proposte, e le parole chiave che bisogna assolutamente pronunciare: il resto è nella sua fantasia, e nell'accoglienza dello spirito che sente e riceve l'invocazione.
Si volta per qualche istante verso lo specchio appoggiato al proprio armadio. Ha intenzione di entrare da lì, nel mondo della strega, perché è da lì che è uscito l'ultima volta che ci è entrato dentro per sbaglio – non ha intenzione di addormentarsi e di lasciare al proprio subconscio il compito di gestire un simile e delicato fardello, preferendo una consapevolezza piena e capace.
E assieme alla decisione, c'è anche la totale paura della conoscenza.
Nel migliore dei casi, la strega potrebbe semplicemente lasciarlo fuori al proprio sogno e ignorarlo, continuando la propria esistenza di odio e di terrore. C'è una piccola parte di Aiichirou che spera questo, dopotutto, e che non si vuole concedere alla giustezza del destino.
Il resto di lui, però, è quello che lo fa sospirare e tornare a rivolgersi al foglietto rituale, gli muove la mano verso l'inchiostro e, alla fine, gli fa scrivere la giusta preghiera ottimale.

 

Seduto sul pavimento, con i polpacci sotto le cosce e i piedi chiusi verso interno: anche la posizione del rito durante la celebrazione deve essere elaborata, altrimenti ha poco senso.
In casa Nitori vige un silenzio di tomba. Il padrone di casa è fuori per la notte causa lavoro, come fa abbastanza spesso da quando ha quel nuovo impiego che lo ha fatto anche trasferire lontano dalla casa natia; la moglie dorme profondamente, senza che niente e nessuno possa disturbarla.
Aiichirou è solo, in ogni possibile senso, e accanto a sé lo illuminano soltanto due lumi discreti: uno a destra e uno a sinistra, bassi riposti in ciotole di terracotta.
Il ragazzo congiunge le mani davanti al proprio viso – tra le dita, il foglietto scritto bene, con la formula dell'evocazione. Chiude gli occhi, alla ricerca di una concentrazione che stenta un poco ad arrivare, tra tutto quel tremare del corpo e il dubbio dello spirito. Sente l'aria vibrare, perché la natura è cosciente di buona parte del proprio destino, sia presente sia futuro: è nell'aria che le parole e tutti i suoni arrivano, non c'è scampo a questa sorta di preveggenza intrinseca. Come l'istinto animale, anche l'esistenza più pura protegge se stessa.
Aiichirou alza la voce, perché si senta bene. Alza la voce e batte le mani tre volte, ripetendo l'inizio della propria evocazione: formula iniziale, perché gli sia aperta la porta degli spiriti.
La prima volta non succede nulla, ma la seconda già la superficie dello specchio trema, e il nero comincia a vagare in vene sottili fino a unirsi tutto al centro e dare una tonalità di morte a tutto quanto. Quando il ragazzo ripete la terza volta, si vede chiaramente qualcosa vibrare, in attesa.
I suoi occhi lo vedono chiaramente, e tutta la sua persona lo percepisce.
Continua con la propria evocazione, imperterrito. A una parola gli trema la voce – quando deve dire “strega”, ma non il resto – e questo non riesce comunque a fermarlo. Ripete anche questo per tre volte, perché non ci siano fraintendimenti.
La natura stessa ha un singulto, tutt'attorno a lui: terra, aria, fuoco, acqua, nero e bianco.
Lo specchio si apre verso un mondo grigio, spalancato come una voragine che risucchia tutto, e il foglietto che Aiichirou teneva tra le dita si sgretola con un soffio di aria gelida che proviene proprio da lì.
Anche il ragazzo trema, a quel punto; non riesce proprio a trattenersi. Geme piano, in una richiesta implicita d'aiuto, e si immobilizza sul posto, come se non avesse più forma o spirito.
Sente qualcosa deriderlo – non ha faccia né espressione, eppure è corporeo e reale – e invitarlo a seguire la sua angoscia, come a introdurlo in un posto che non appartiene più a lui: sul limite della voragine che fa precipitare all'inferno delle anime dannate.
Aiichirou viene stregato. Gattona verso lo specchio e infine vi entra dentro.

 

Fredda e umida, come la nebbia: Aiichirou ha tentato di dimenticarla, con tutto se stesso, ma non ci è riuscito completamente, e quindi ritrova uno degli elementi degli ultimi sui incubi sulla pelle, reale e concreto.
Quello è il sogno in cui è rinchiusa la strega di Iwatobi.
La stanza in cui è entrato è speculare alla propria, almeno nella struttura. Quello che si discosta dal proprio ricordo è la mancanza completa di colore.
Aiichirou rabbrividisce e cade a terra al primo tentativo di alzarsi in piedi. Chiude gli occhi, richiamando a sé ogni briciola di forza di volontà. È sempre tremando che si alza di nuovo e comincia a camminare per quella strana casa: esce dalla stanza, percorre il corridoio, scende le scale e infine si dirige alla porta di ingresso. Un cigolio, ed è fuori la propria dimora.
Ora può farci caso, e nota diversi elementi che al primo arrivo non è riuscito neanche a registrare. Il villaggio lì riprodotto non è del presente a cui lui appartiene, ma di qualche decennio prima, secondo una logica che lui non capisce. Alcune strade e alcune case sono rimaste invariate, la maggior parte del complesso che ne dirige la forma e la prospettiva pure; casa Matsuoka è molto meno isolata, ora, e persino la scuola dotata di una strada diretta, senza che si sia obbligati ad avventurarsi per un boschetto ancora vivo e piuttosto vaporoso.
Tutto grigio, opprimente come poche cose al mondo. Il cielo in tempesta, come sempre, e il mare in burrasca.
La voce di prima chiama Aiichirou, dentro di lui, sfidandolo a fare ancora dei passi e ad avvicinarsi al cuore di quell'incubo. Il ragazzo trema, e si muove in avanti.
Non si guarda molto attorno, per quanto possa essere curioso. A ogni passo, una fitta di dolore gli prende i talloni e i polsi, divenendo sempre più acuta; si intensifica un malessere al ventre, tanto che procedendo c'è la netta sensazione che incominci a sanguinare copiosamente. Ad un certo punto, Aiichirou guarda indietro, la strada che ha percorso: una striscia di sangue rosso è l'unica cosa colorata che riesce a vedere, e non ha idea di quando lo ha perso.
Sa che è un'illusione, e solo questa verità non lo rende pazzo. Vorrebbe tanto vomitare e scappare da quel posto.
La voce lo attrae in avanti e lo dirige verso un posto preciso: la spiaggia. È lì che lui si ferma, ed è lì che lo vede. Cammina verso di lui, piano, con i piedi immersi nella sabbia e pochi vestiti addosso; quando gli arriva davanti, ha l'aspetto di un uomo giovane e avvenente, grosso e con i muscoli da nuotatore.
Occhi del colore del vento.


 

-Sei arrivato fin qui. O sei un eroe, oppure sei terribilmente stupido.
C'è vento, ma niente è più alto e chiaro della sua voce. Aiichirou è più che impressionato da questo svolgersi di una realtà non naturale, e deve ancora abituarsi a una distorsione che non riesce a giustificare con i propri sensi. Non è il suo sogno, ma è quello della strega.
Quell'uomo sorride, cattivo.
-Propendo per la seconda.
Tutto il terreno è diventato sabbia, e le gambe del ragazzo cedono, fino a che le sue mani non si immergono nell'elemento morbido, umido. Guarda a terra, con il capo chino, e a fatica si rialza e gli parla.
-T-tu sei la strega di Iwatobi?
Vede chiaramente il fastidio muoversi sulla sua espressione, e una certa dose di disprezzo irrecuperabile – ci sono più fulmini in cielo, e l'acqua ribolle di mille sensazioni sgradevoli.
-Sono colui che ha maledetto questo villaggio, cento anni fa.
-Cento anni fa?
Aiichirou è sorpreso.
La ricostruzione del villaggio che ha visto riflette qualcosa di più recente che un secolo prima, o almeno così è portato a pensare: le costruzioni sono di cemento, non solo di legno, e le strutture di comunicazioni che già prevedono la luce elettrica.
L'uomo rimane immobile come un monolite mentre parla, sotto quelle labbra scheggiate.
-Non sei il primo che mi fa visita. Quelli di voi che vengono da questa parte dello specchio mi permettono di guardare il mondo di fuori attraverso le immagini che si portano negli occhi. Io non posso uscire da solo.
Aiichirou trema quando l'altro specifica un nome particolare, ricordandosi alla perfezione la sua più recente vittima.
-Si chiamava Kisumi Shigino, quell'uomo.
L'uomo ricorda bene quell'animo pieno di luce, perché alla fine lo ha piegato e inglobato nel proprio incubo. Attraverso la sua mente ha potuto rivalutare l'estetica del mondo dove è imprigionato, aggiungendo elementi in più senza però cambiare la sostanza. Come lo spirito della vendetta che si affina, di secondo in secondo, in trame sempre più articolate e piene di macabro.
La distorsione del tempo, d'altronde, un'altra qualità dei fantasmi pieni di rancore, che si portano fino alla fine qualcosa incapace di mutare e di cambiare.
Aiichirou si alza, nel tentativo di affrontarlo: non ha più intenzione di perdere tempo.
-Ti chiedo di lasciare il villaggio, e di ascendere al cielo.
-E come? Rinunciando al mio odio? Rinunciando al motivo della mia maledizione?
Lui lo deride, prima che tutto il cielo gli dia una risposta di tuono e la terra sotto i suoi piedi tremi, per farlo di nuovo cadere.
-Mai.
Si volta dandogli la schiena, per sfregio. Non ha, addosso a sé, il minimo segno di morte, e il ragazzo intuisce che lo stia nascondendo apposta, per non mostrarsi a quegli occhi in grado davvero di vedere tutto. Non si alza più, ma urla contro la tempesta.
-Cosa ti spinge a continuare così? Non troverai mai pace!
-E non lo faranno neanche gli spiriti di coloro che mi fecero soffrire in vita.
-Strega, io-
Lo zittisce con una cattiveria che prima non ha avuto, e il suo volto si fa vento e nuvola nera, pieno dell'elemento così terribile e così audace. Aiichirou ha troppa paura, a quel punto, per capire cosa ha sbagliato nelle proprie parole.
-Non sono una strega! Quegli uomini mi hanno dato un nome così odioso! Così odioso!
Aiichirou trema, e non osa abbassare ancora lo sguardo: a quel punto, potrebbe tranquillamente ucciderlo, senza fare neanche troppo sforzo.
Ma la sicurezza muove la strega, e una sorta di sottile tracotanza, tanto superiore che forze non bagna di sangue le proprie dita. Torna nella forma di uomo, tra le piccole dune della sabbia grigia.
-Il tuo mondo sta per essere capovolto. C'è ancora un sigillo in grado di salvarlo.
Sorride, immaginando la prevedibilità di un mondo pieno della paura che lui stesso ha messo, artificialmente, pronto al collasso definitivo.
-E verrà presto sciolto.
Muove il vento e porta parole che persino Aiichirou riesce a sentire. Sono lontane e vicine allo stesso tempo, appartengono a un'altra creatura che unisce quei due mondi – qualcosa che la strega non può dominare completamente, ma che in qualche modo è legata a lui anche oltre la barriera della vita.
-Lo senti? È la mia parola che diventa realtà.
Aiichirou è più spaventato di prima, perché in quel momento si ritrova in completa balia della strega esattamente come quella creatura – era un prete, o l'immagine di un rosario buddista lo ha solo immaginata? - è in balia degli uomini. Trema, e ancora non riesce a muoversi. Si sente schiacciato anche da una paura che non è solo sua.
-Tu dovresti sapere cosa questo significa. Sei venuto qui perché conosci il significato della magia.
L'uomo è pieno della propria vittoria e non vuole concedergli altro tempo. Si stufa della sua misera figura, e per quanto sarebbe utile avere di nuovo il potere del nero, decide da sé che un essere simile non gli è di alcun aiuto. E quindi, lo scaccia.
-Vattene.
Con più forza, con una forza mostruosa.
-Vattene!
Aiichirou riesce a muoversi: scappa verso il portale, con tutta l'energia che ha.

 

Love is only a feeling
(Drifting away)
When I'm in your arms I start believing
(It's here to stay)
But love is only a feeling
Anyway

[The Darkness – Love is only a feeling]

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Capitolo 28
*** 27. Capitolo ventisette ***


27. Capitolo ventisette

 

 

-Avete sentito?
-Cosa? Cosa?
-Pare esserci un mostro a Iwatobi.
-Davvero? Ne sei sicura?
-Sicuramente stai scherzando!
-Come può essere?
-No, è vero! Fidatevi che è vero!
-L'ho visto con i miei occhi!
-Ma com'è possibile?
-È dalla festa delle streghe che stanno succedendo strane cose, al villaggio!
-Tutti ne sono al corrente! Tutti quanti!
-È vero! L'ho sentito anche io!
-Questa tempesta non è normale! È simbolo di sventura!
-La signora Izuwi ha sentito strani rumori l'altro giorno.
-E la signora Mei dice di aver visto qualcosa di molto, molto strano aggirarsi vicino a casa sua!
-C'è una sola causa per tutto questo!
-Ma pensate che la strega c'entri qualcosa?
-In che modo?
-È la sua maledizione, non è ovvio?
-Certo che sì!
-Come la bufera! Come la tempesta!
-Anche il mare è in tumulto! Non lo vedete?
-È la maledizione della strega!
-Dobbiamo scacciare la creatura!
-Dobbiamo esorcizzare il male da Iwatobi!
-Dobbiamo uccidere la creatura!

 

***

 

Gou viene svegliata dal vento: qualcosa va a sbattere, forte, contro la sua finestra, rubandola al sonno più profondo di sempre e facendola sobbalzare sopra il materasso del proprio letto come una molla resa tesa da mani invisibili. Impiega qualche istante a mettersi seduta, con la schiena contro la tastiera del letto, a strizzare gli enormi cuscini sparsi un po' ovunque e a voltare lo sguardo e tutto il viso nella direzione da cui proviene la poca luce di quella notte.
Tempesta e pioggia.
La violenza dei fulmini le fa battere le palpebre più del dovuto, illuminando il mondo così di colpo e con così tanta foga da essere surreale. Gou si chiede se quella sera la natura stia cercando in qualche modo, di saldare un grosso credito e stia ributtando la propria violenza a lungo sopita.
Il mal di testa le torna poco a poco, quando riesce a calmarsi abbastanza da respirare normalmente. La prima sensazione di pericolo cessa per colpa della malattia, che continua ad annidarsi nelle sue membra e la rende meno reattiva del solito. Per questo motivo impiega più del dovuto a ricordarsi di essere sola in casa, per quella sera; ha impiegato diverso tempo a rassicurare la propria madre circa la sicurezza personale, che se anche resta lontana per qualche ora non le succede nulla – ma la cornetta del telefono vicino al letto ha rassicurato più di qualsiasi altra cosa, e la ragazza ha così avuto la meglio su ogni tipo di apprensione materna.
Soffia di nuovo il vento, contro la parte a ovest dell'abitazione: un ululato scende dalle scale, dalla soffitta, e si perde per tutto il resto della casa. Gou rabbrividisce, e decide di recuperare una felpa da mettersi sulle proprie spalle.
Sente sete, all'improvviso, e qualche altro bisogno fisico che la paura ha prima mascherato. Accende con un gesto placido la lampada del proprio comodino e ritrova un elastico morbido per legare i capelli. Le ciabatte a coniglietto sono lì, tra il limite dello scendiletto e il pavimento fresco della camera. Ne prende solo una, nella fretta, e non si ferma a raccogliere anche l'altra.
Scende le scale e deve fermarsi un attimo, quando una folata di vento le viene addosso. È freddo, e inaspettatamente forte – forse sua madre ha lasciato qualcosa aperto e questo è il risultato. Lo troverebbe strano, se non fosse così infastidita dalla cosa da considerare tutt'altro.
Scende fino ad arrivare in cucina, appena dopo il corridoio. L'acqua fresca è in frigo, il bicchiere pulito ad asciugare sopra il lavello; ogni tanto la stanza viene illuminata dai lampi che provengono dall'esterno, che colorano di un bianco spettrale tutti i mobili e gli oggetti, e slancia il profilo stesso della ragazza sopra la parete in maniera innaturalmente lunga.
Quando il vento si acquieta qualche attimo, le sovviene ai sensi qualcosa che fino a quel momento ha scusato con la propria nausea e la recezione alterata. Un odore talmente sgradevole, di bagnato e di sporco, da farla tremare sul posto. Rimette il bicchiere nel lavandino e si dirige lenta verso la fonte probabile di quella puzza terrificante.
Uscita dalla cucina, va verso il salotto elegante, dove sua madre tiene ogni tipo di argenteria e i divani larghi, davanti alla televisione. Si muove nel buio mossa dalla memoria, senza trovare ostacoli sul suo cammino.
La puzza viene coperta di nuovo dal vento: lei è costretta a stringersi addosso i bordi della propria felpa e a chiudere gli occhi. Un rumore di passi, e la paura torna più potente di prima.
Decide allora di accendere la luce, come in un lampo di ragione, e di gridare ad alta voce.
-Chi c'è?

 

Come se lo avesse evocato, un tuono scuote le pareti della casa e tutti i mobili contenuti dentro di essa – lei no, perché è bloccata in un solo istante, così stranita e basita da non rendersi conto di essere ancora presente. Non pensa neanche per un istante che ciò che vede sia frutto della propria malattia, magari un brutto sogno creato dall'incoscienza che le fa sentire e percepire cose strane, irreali.
La creatura di melma ricambia il suo sguardo con piena consapevolezza, rimanendo ferma come lei.
Dietro, si potrebbe intravedere la porta- vetro che si apre sulla terrazza del retro, spalancata ma ancora completamente integra, e l'anta principale che sbatte con furia a ogni passaggio del vento.
Tutto bagnato, per terra, di quel diluvio che ha coperto ogni odore e ogni rumore. Sembra che ogni parte della creatura stia piangendo pioggia e salsedine, spargendo la propria sporcizia in ogni dove.
Un senso di repulsione le viene istintivo dal cuore, come se fosse stato piantato da qualcuno in modo artificiale e non provenisse soltanto da lei. La paura è fondata, ma quel qualcosa in più che sente, come la recezione di una vera e propria minaccia, lo riconosce implicitamente come estraneo. Tuttavia, non le è permesso il pensiero razionale.
La creatura le viene addosso, all'improvviso. Lei non urla, senza forze: si accascia soltanto a terra, con le gambe che non riescono più a reggerla e la mente e il corpo paralizzati. Chiude gli occhi è fa il gesto sciocco, istintivo, di portare le mani al capo, per proteggersi con quel poco che ha.
Ora che quella cosa è così vicina a lei, è ancora più facile sentirne l'immane puzza; Gou è tutta contratta, e non osa muovere un muscolo.
La creatura, però, si ferma di nuovo, e dopo qualche secondo di immobilità si pronuncia in una specie di verso. Vede che lei non reagisce, e allora ripete la propria comunicazione altre volte, finché la ragazza non si decide a guardarlo di nuovo. Si ferma, e ripete il verso più piano, come dolcemente.
Gou riprende fiato e si allontana di qualche metro, strisciando per terra. Lo fissa con occhi spalancati, senza capire più niente, e quando la creatura si abbassa, forse chinandosi per terra, continua a fissarla interdetta.
Riesce a stento a sentire una parola, in mezzo a un biascicare che ricorda tanto il rumore delle alghe che vengono tirate e strappate.
-A...ut-...o.
Il cuore le rallenta di colpo, e tutto inizia di nuovo a scorrere: il tempo, il pensiero, il sangue nelle vene.
Non abbassa però lo sguardo, neanche un istante, per non perdersi il minimo gesto di quell'essere. La creatura non dice più nulla, e a un certo punto sembra scossa da qualcosa, inizia a muoversi in maniera strana. Gou è spaventata, all'inizio, ma poi registra un particolare che la tocca dentro, nell'animo.
La creatura sta piangendo – e quelli sono occhi umani, senza alcun dubbio.
La ragazza allunga la propria mano verso la creatura; si muove solo lei, pian piano, arrivando a toccarlo al petto. Lì sente il suo cuore, senza possibilità di errore.
Alza di nuovo lo sguardo al suo viso, ritirando con la stessa velocità la propria mano. Prende coraggio, e senza aspettarselo davvero, trova anche le parole giuste dentro di sé.
Tutta, tutta la paura e l'angoscia, tutto l'odio e il terrore spariti.
-Come posso aiutarti?

 

La prima cosa che le sovviene in mente di fare è chiamare i suoi amici. La creatura continua a biascicare poche parole che non hanno molto senso neppure assieme, e la ragazza da sola è sicura di non riuscire davvero a fare poi molto. Quindi, le serve una mano – e non è propensa a pensare che gli adulti di Iwatobi siano in grado di provvedere ai suoi bisogni momentanei, o comunque l'istinto la porta in una precisa direzione.
Sale le scale per andare a recuperare velocemente il proprio cellulare. Benché sia tardi, l'eccezionalità del momento giustifica ogni tipo di azione, e questo la rassicura psicologicamente almeno da quel punto di vista.
Il primo numero che chiama è, senza pensarci, quello di Aiichirou, perché l'impressione che lui possa in qualche modo soccorrere lei e la creatura è più forte di qualsiasi pensiero razionale. Una, due, tre squilli: il ragazzo non risponde, neppure alla sua insistenza. La ragazza lascia anche un messaggio, nel caso riesca a svegliarsi in tempo utile.
“Nitori-kun, per favore richiama. È molto importante.”
Niente formalità o giri di parole inutili: spera che così si possa capire la necessaria fretta.
Tenta con Rei, in secondo luogo. Chiude gli occhi e spera forte, e al secondo squillo la voce impastata di sonno e anche un po' di irritazione del ragazzo risponde alle sue speranze. Ha appena finito di studiare matematica.
-Matsuoka-chan, cosa c'è?
Le vengono le lacrime agli occhi dalla felicità, perché le è bastato davvero poco per ritrovare un briciolo della speranza giusta. Non perde secondi preziosi se non quelli di un singolo sospiro.
-Ryugazaki-kun, ho bisogno che tu venga qui a casa mia! E non solo tu, ma anche gli altri ragazzi!
-Come?
-C'è qualcosa che devo farvi vedere!
-E non si può aspettare domani mattina?
-No, non si può!
Se inizialmente il ragazzo non è riuscito a capire l'urgenza della sua richiesta, l'insistenza e quel tono pieno di dramma sincero fanno vacillare la riluttanza che ha dentro di sé. E sono le ultime parole di Gou a convincerlo appieno – anche se fuori c'è la tempesta, anche se è tardi e dovrà farsi metà della strada a piedi perché i mezzi pubblici sono più lenti di quanto gli serva, a quell'ora.
-Per favore, Ryugazaki-kun! È davvero importante!
-Chiamo Nagisa-kun. Tu avverti Tachibana-senpai e Nanase-senpai!
Sente la sua felicità, come ultima cosa, ed è tutto quello che gli serve.
-Sì!
Riattacca lui e riattacca lei; quando però le dita di Gou stanno per comporre il numero del capitano della squadra di nuoto, sente distintamente un rumore forte provenire dal piano in basso, dove ha tentato di nascondere la creatura. Temendo che qualcuno sia entrato in casa e l'abbia scoperta, corre più velocemente che può fino a raggiungere il salotto.
La creatura è riversa a terra, come tutto l'armadio dell'argenteria che sua madre ha curato tanto. Visibilmente scossa, la creatura trema e blatera qualcosa, cerca disperatamente un oggetto che non trova. Gou le va vicino, cercando di calmarla in qualche modo.
-Non ti preoccupare! Non è successo niente!
La creatura non presenta ferite sul proprio corpo, le alghe si sono seccate ma rimangono attaccate a quelli che sono i suoi arti e il suo busto. Eppure, Gou percepisce benissimo i sentimenti che la animano, e non può fare a meno di rimanerne toccata. Tenta ancora di calmarla, come meglio può, lasciando che il telefono le cada di mano nello sforzo di placare la sua ansia. La creatura striscia in avanti, tra i pezzi di vetro e le posate ormai sporche. Si ferma da sola, nel bel mezzo del disastro, e vomita in un sol colpo tutto quello che il suo probabile stomaco contiene.
Gou fa fatica a non vomitare a propria volta di fronte a tutto quello, e se non lo fa è per mantenere il proprio controllo e la propria dignità. La creatura ruggisce oltre il tuono che cade, e si alza con un oggetto tra le mani: un anello piccolo, oro bianco, donato alla famiglia Matsuoka cento anni prima, quando la famiglia era retta da un certo Rin venuto dall'ovest.

 

Follow you heart
Let you love lead through the darkness
Back to a place you once knew
I believe, I believe, I believe
In you

Follow your dreams
Be yourself, an angel of kindness
There's nothing that you can not do
I believe, I believe, I believe
In you.

[Il divo / Celine Dion – I believe in you]

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Capitolo 29
*** 28. Capitolo ventotto ***


28. Capitolo ventotto

 

 

 

Fradicio di pioggia e cattivo tempo, Rei corre oltre il cancello aperto di casa Matsuoka per andare a ripararsi, stupidamente, la testa già zuppa tra i capelli sotto la piccola tettoia che anticipa la porta d'ingresso – Nagisa gli è vicino con un sorriso e una risata fuori luogo, alla fine di una lunga serie di saltelli che lo hanno portato a scansare le pozzanghere più profonde del vialetto principale. Lo guarda male, mentre chiude l'ombrello, e allungando un braccio suona al campanello della dimora.
La tempesta persevera, facendo cadere un fulmine in un tratto di mare piuttosto vicino allo strapiombo che cade a pochi metri di distanza, oltre il giardino non più ben curato. Rei rabbrividisce tutto proprio nel momento in cui la porta viene aperta da una Gou trafelata dalla propria malattia e coperta solo dal pigiama.
Non li saluta neppure, perché altre cose sono ben più importanti dell'etichetta, in quel momento – e lo testimonia anche il fatto che hai piedi continua ad avere soltanto una delle due ciabatte.
-Promettetemi che non urlerete.
Entrambi i ragazzi sono abbastanza confusi dal suo atteggiamento, anche se hanno avuto tutto il tempo del viaggio fino a quel luogo per curare la propria ansia e piuttosto indirizzarla verso l'apprensione più disinteressata.
-Matsuoka-chan, che succede?
-Cosa è successo qui? E cos'è questo fetore?
-Promettetemelo, e io vi spiegherò tutto.
Però la ragazza è ancora inamovibile, e Rei comincia a notare la tensione delle sue mani e delle sue dita, che stringono in maniera convulsa sia lo stipite verticale dell'ingresso sia la sua anta di legno. Decide che non può permettersi titubanze, e allora le viene incontro.
Lo stesso fa Nagisa, su suo esempio.
-Lo prometto, Matsuoka-chan.
-Prometto, Gou-chan.
La ragazza sospira, evidentemente rinfrancata dalle loro intenzioni. Si fa in disparte, per permettere loro di entrare dentro.
-Tachibana-senpai e Nanase-senpai sono già qui.
Raccoglie i loro cappotti fradici e li porta in salotto, posizionandoli su una sedia. Ancora all'ingresso, e senza l'odore di pioggia nelle narici, Nagisa comincia a registrare qualcosa di anomalo, cominciando da quell'odore sgradevolissimo che arriva proprio da quella parte della casa.
-Gou-chan, davvero. Dovresti pulire più spesso.
Lei sorride a stento, con un solo angolo della bocca. Procura loro velocemente qualcosa con cui asciugarsi, almeno un poco, i capelli e il viso, andando a prendere degli asciugamani dal bagno del piano terra. Dopo aver fatto questo, li conduce per il corridoio, ignorando le scale alla propria sinistra e infilandosi nella parte sul retro della casa, dove si apre una seconda stanza più larga, usata davvero di rado – sua madre ha borbottato a qualcosa riguardo un vecchio uso patronale circa quell'area, in disuso ormai da troppo.
In quel posto, la puzza aumentò di colpo, e la luce discreta di una lampada soltanto fece apparire in tutto il grottesco possibile la creatura coperta di melma.
Nagisa impallidisce, pietrificato sul posto, mentre Rei si concede un'esclamazione di disgusto bloccata in tempo da Gou.
-E questo cosa-
-Ryugazaki-kun!
Il ragazzo si riprende a stento dalla propria meraviglia. Nota anche altre presenze nella stanza: Haruka seduto poco più in là rispetto a quell'ammasso informe di roba verdastra e Makoto dietro di lui, fermo per miracolo e con uno sguardo più che attento e guardingo, visibilmente spaventato.
Almeno, sa di non essere l'unico a reputare quel tutto alquanto particolare.
-C-cosa dovrebbe essere?
-Non lo sappiamo. E questo è uno dei problemi.
Gou si avvicina alla creatura, che alzato lo sguardo non ha staccato gli occhi di dosso ai due nuovi arrivati, regalando al ragazzo con gli occhiali non pochi brividi di terrore.
-Avete chiamato Nitori-kun?
-Non risponde al telefono! È stato il primo che ho tentato di contattare!
Nagisa si fa finalmente avanti, tornato in sé. È incuriosito da quel nuovo arrivato, per nulla interessato al fatto che è più simile alla definizione comune di mostro che altro. La creatura non si muove mentre il ragazzino seguita a ispezionarla con lo sguardo, resistendo in maniera passiva alla vicinanza che c'è tra di loro. Nagisa alla fine sorride.
-Fa una puzza incredibile!
-Se vuoi vomitare, fallo in bagno. Ho già dovuto pulire due volte la casa.
-Ma ha qualcosa in mano?
-Sembra di sì.
Lui, Gou e Haruka sono gli unici che possono effettivamente guardargli le mani e notare come le tenga serrate, chiuse tra di loro in una specie di congiunzione strana, come quella che fanno le persone che pregano. Rei è ancora spaventato, ma si scopre più scocciato a rimanere in disparte: si avvicina cauto mentre gli altri continuano a parlare.
-Gou-chan dice che è un anello.
-Posso vedere?
La bestia fa un suono gutturale quando Nagisa si allunga verso le sue mani, per intimidirlo. Rei e Makoto si spaventano davvero, e il ragazzo biondo ha l'accortezza di fermarsi e di non procedere più, per evitare altre reazioni più violente. Gou, però, mette una mano su quello che dovrebbe essere il polso della creatura, e gli sussurra frasi ferme, dolci.
-Loro sono miei amici, ti puoi fidare.
La creatura si ammorbidisce, e sembra guardare con occhi nuovi chi sta attorno. Apre le mani, rivelando effettivamente ciò che teneva nascosto.
Un poco di bianco puro, bellissimo.
Nagisa commenta subito, forse trillando troppo, e di seguito anche Rei..
-Che bello!
-Sarebbe anche più bello se non fosse coperto di melma.
Gou è felice del loro entusiasmo, sente che si sono rilassati un poco e questo è più che bene – ci sono altri motivi per cui avere paura, e non derivano affatto dalla creatura al suo fianco.
-È della nostra famiglia, lo ha preso dall'argenteria.
-E come mai lo tiene così?
-Non lo so...
Rei si dimostra pratico come suo solito, e mentre pian piano il suo naso si abitua al tanfo insopportabile del mostro, le chiede poche cose fondamentali, o almeno ritenute tali.
-Com'è arrivato qui?
-Penso che la tempesta lo abbia coperto nel suo girovagare. L'ho trovato in salotto poche ore fa, spaventato e confuso.
-Ti ha fatto del male?
-No, non l'ha fatto.
Lei gli sorride, grata di quella piccola premura; abbassa anche lo sguardo, perché sa cosa voglia dire essere preoccupati per un proprio amico, ed è contenta di sentirsi così ben voluta da Rei e da tutte le persone che la circondano in quel momento.
Per la prima volta, però, sente anche la voce del capitano della squadra.
-Qualcun altro sa che è qui?
Si gira verso Haruka, e Makoto che parla da sopra la sua spalla.
Nagisa, accanto a lei, pare aver cominciato a giocare con la creatura, in un tentativo goffo di comunicazione spicciola.
-No, nessuno. Perché?
-Il villaggio pare in tumulto. Ho visto molta gente per le strade, ed è piuttosto strano visto che è notte fonda.
-Pensi che stiano cercando proprio questa cosa?
-Ne sono quasi certo. E non lo fanno con buone intenzioni.
Questa affermazione porta tutti, persino Nagisa, a guardare nella sua direzione; Haruka si scosta un poco per poterlo guardare in faccia, benché non pare avere l'intenzione di lasciare la sua mano ancora tremante. Se Makoto parla, lo fa dall'alto del proprio ruolo di capitano, perché la sua rispettabilità è più forte di qualsiasi altro senso lo muova – e tutti gli altri sono pronti ad ascoltare ogni sua sillaba, nel gioco perfetto delle parti.
Recupera un briciolo di autocontrollo prima di parlare.
-La gente del villaggio è rimasta molto impressionata da quello che è capitato la notte della festa della strega. Sono tutti molto suscettibili, e il mal tempo degli ultimi tempi non ha migliorato gli umori.
Fa un'ulteriore considerazione, dopo quello.
-Penso che ricolleghino la vecchia maledizione della strega a questa creatura.
Qualcuno sussurra piano un verso terribile – Haruka guarda il mostro illuminato dalla lampada, e solo in quel momento si rende conto che, forse, non è stata fatta più luce apposta per nasconderli tutti quanti.
-E dal mare sorgerà il peccatore con falce assassina.
Tutti hanno un brivido di freddo e di terrore. La creatura gorgoglia, guardando verso un fuori che non c'è la tempesta che infuria ancora. Sembra decisamente calma, rispetto a prima, anche se le sue mani sono tornate a serrarsi tra di loro. Fa uno strano effetto, vista così.
Gou le si lancia addosso, prendendole il braccio e facendola gorgogliare più forte.
-Io capisco che possa fare spavento. Lo vedete che non è una cosa normale, naturale. Posso capire che ci si possa spaventare a vederlo, perché non è umano. Ma se ci si soffermasse un solo secondo, se si volesse capire come realmente stanno le cose, si capirebbe che non è per niente pericoloso.
Sembra convinta che gli altri non le credano quando aggiunge ancora qualcosa.
-È buono! Mi ha chiesto aiuto!
Qualcuno asserisce, qualcuno non lo ritiene necessario. Gou non lascia il braccio della creatura, che sembra quasi apprezzare quel nuovo tipo di contatto: le posa una mano sulla spalla, e quando la ragazza si volta a guardarlo in viso nota un cambiamento nella smorfia sotto gli occhi, come l'impressione di un sorriso. Non riesce a esserne felice, in quel momento.
Rei si fa avanti, piano, andando a guardare l'anello ancora nella mano della creatura. Lo trova curioso, ma soltanto perché con l'attenzione portata a un solo oggetto la sua mente può vagare abbastanza da formulare un concetto concreto.
-Sapete una cosa? Durante i giorni di tempesta mi ha assalito sempre una strana sensazione di tristezza e malinconia, una naturale emozione di solitudine e abbandono. Ultimamente, però, con gli ultimi giorni, ho sentito dentro di me qualcosa di diverso, simile all'inquietudine. È una cosa che non mi è mai capitata prima.
A questo, si aggiungono altre considerazioni veloci, dette e condivise un po' da tutti – come un'unica e sola fede comune.
-Anche io ho provato una cosa del genere!
-È vero! L'abbiamo sentita tutti!
-Voi pensate che le cose siano collegate?
-E come potrebbero esserlo?
-Nitori-kun vede i fantasmi, no? Sappiamo tutti che lui è ferrato in queste cose!
-Lui ha parlato della strega e del fatto che è molto arrabbiata! Lo ha fatto con me quella sera di festa!
-Allora la strega esiste davvero.
-Pensi che sia collegato?
-Potrebbe esserlo.
-Allora forse è davvero così. La maledizione della strega è una cosa reale, non soltanto una leggenda.
Si fermano a respirare, avendo completato il quadro principale della situazione. Anche Haruka è stato coinvolto nello scambio di battute, e pur rimanendo fermo nella propria posizione ha stretto di più la mano attorno a quella di Makoto, in risposta a un sentimento che non è visibile agli altri; si guardano per qualche istante, mossi da un'apprensione che può essere solo loro, e quindi tornano dal gruppo.
Gou lascia a poco a poco il braccio della creatura, e si fa a fianco del vice capitano. Rei, finalmente, si siede accanto a loro, prendendo posto davanti alla ragazza e a Nagisa.
-Cosa dovremmo fare, ora?
-Dovremmo cercare di contattare Nitori-kun, assolutamente. Lui potrebbe averne un'idea.
-E se non riusciamo?
-Allora...
Interviene Makoto, e nessuno ha più dubbi a riguardo.
-Allora dobbiamo portare questa cosa in un posto più sicuro. Se rimane al villaggio rischia di essere linciato.
Gou trattiene il fiato, e dimentica della promessa che ella stessa ha fatto mantenere a tutti gli altri alza la voce, piena di sconforto.
-Non voglio!
-Nessuno di noi lo vuole, e per questo dobbiamo proteggerlo.
-Ha ragione Tachibana-senpai!
-Allora, proviamo per prima cosa a chiamare Nitori-kun.
Si ritrovano ancora una volta d'accordo, e pronti all'azione. La ragazza si alza in piedi – poco o niente della debolezza della sua malattia è stato trattenuto dal suo corpo, con tutta quell'adrenalina in circolo: le sue gambe sono scattanti come sempre, e l'attenzione è più che viva.
Non vuole proprio assistere a una tragedia inspiegabile, che sarebbe fin troppo disumana.
-Sì! Vado a prendere il telefono!

 

***

 

La professoressa Amakata ha l'ennesimo spasmo improvviso, all'altezza del petto.
Circondata dalla gente del villaggio, è stata come trascinata dalla volontà comune in quello che è stato eletto a luogo di ritrovo: uno spiazzo lungo il dorso della collina più a ovest, sempre all'interno del villaggio.
Qualcuno parla ancora, sotto gli ombrelli aperti, e dirige un andirivieni sempre più concitato.
Quando ha parlato di un mostro di melma che le si è parato davanti, lungo la strada per il ritorno a casa, non intendeva dare alcun giudizio morale – eppure qualcuno ha già parlato di uccidere, di morte e di altre brutte cose. Più volte ha tentato di prendere la parola, mentre qualche vecchio deliberava una condanna senza pietà, ma la giovane età propria e la malvagia ostinazione di quelli hanno annullato ogni parvenza di umanità dei suoi possibili interventi.
Resta aggrappata alla propria borsa ancora gronda di fango rappreso, eppure umido e sporco, seguendo con disattenzione consapevole cosa le accade attorno. Non le è stato permesso di riposarsi neanche un minuto da quando è stata trovata ancora a urlare sotto la pioggia; le ore sono passate lente, piene di pesantezza sempre più elevata.
Aspetta, restando in angoscia, e non riesce a staccarsi da quella sensazione agghiacciante.
Ha l'impressione chiara che ci sia un fermento troppo concitato, per tutto il villaggio: qualcosa di terribile, che è rimasto sopito come una bestia e che ora viene fuori nel momento di un illusorio pericolo minaccioso.
Danno colpa alla strega, tutti loro. Questa fantomatica creatura simbolo del male.
Le pare che tutti le si appellino in qualità di spauracchio, come quelle anime povere di nobiltà in grado solo di giudicare gli altri e mai se stessi. Per questo, ha paura della loro grettezza e della loro violenza implicita.
Qualcuno fa il nome del custode del tempio in cima alla collina, ma viene quasi subito fatto tacere.
Qualcuno fa il nome della famiglia Matsuoka; pare che anticamente ci fosse un legame tra il vecchio clan patronale e la figura della strega, e forse il tempo non l'ha reciso. Più e più bocche decidono che sia il caso di verificare se sia effettivamente così.
La natura infuria, ma non è ciò che fa tremare il petto della giovane donna, appesa semplicemente alla speranza che tutto, proprio tutto, sia unicamente una crudele menzogna.

 

Oh Lord
Ooh somebody - ooh somebody
Can anybody find me somebody to love ?
(Can anybody find me someone to love)

[Queen – Somebody to love]

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Capitolo 30
*** 29. Capitolo ventinove ***


29. Capitolo ventinove

 

 

 

Appeso a un soffitto immaginario, niente aria nei polmoni e la forza di gravità che comprime il petto. Una punta dentro la testa che gli martella la tempia.
Aiichirou si ritrova ad annaspare prima di capire cosa sia successo davvero e dove si trovi in quel momento, se quello è uno dei suoi sogni oppure è quello di un fantasma che lo sta perseguitando.
Scalcia nel vuoto, e alzando le braccia cerca a tentoni di afferrare una corda troppo dura per le sue delicate dita. Non riesce a fare nulla: sente la gola chiudersi e il respiro affievolirsi sempre più, un bruciore lancinante per tutto il proprio tronco.
La morte non sovviene – c'è rumore di passi, però, e di una sedia grattata sul pavimento.
-Hai preso il mio posto, giovane disperso.
Aiichirou guarda in basso, riuscendo a vedere una figura alta dai capelli rossi che gli sorride in modo strano, tra la malinconia e una punta di derisione.
Il fantasma di Rin Matsuoka prende la sedia al proprio fianco e la gira, fino a ritrovarsi la parte orizzontale davanti a sé; si siede con un gesto fluido, appoggiando entrambe le proprie braccia allo schienale di legno di quella. Ricambia il suo sguardo, poi, senza fare nulla per cambiare la sua situazione.
-Il mondo sta per essere ribaltato completamente. Ancora una volta.
Aiichirou gratta disperatamente la corda con cui è appeso, con le unghie o quello che ne resta. Piangerebbe pure, con gli occhi che gli bruciano tantissimo, se solo avesse la possibilità di non soffocare nei propri stessi singhiozzi. Non riesce neanche a chiedergli aiuto. Una punta dentro la testa che gli martella la tempia.
Il fantasma sospira annoiato.
-La tramontana soffia su corpi distesi nel letto di morte, soffiando via anime come spiriti irrequieti. La tramontana soffia su corpi distesi nel letto di morte, raccogliendo l'essenza della vita abbandonata. La tramontana soffia su corpi distesi nel letto di morte, estirpando la colpa con una vendetta buia di notte. E dal mare sorgerà il peccatore con falce assassina. E dalla terra risorgerà la putrefazione dimenticata. Nero che fagocita ogni spilla di luce.
Si sporge indietro, sorreggendosi comunque sulla spalliera. Mentre guarda il vuoto, attorno a loro si costruisce pezzo dopo pezzo l'atmosfera della soffitta dove è trapassato – Aiichirou percepisce ciò che lui, in punto di morte, ha potuto sentire: odori, colori e tutto il resto. Non gli piace.
-Sai? C'è un pezzo di questa profezia che molti dimenticano.
Sembra importante, per il fantasma, così importante che il momento di silenzio e disagio che lo coglie lo fa ridere in maniera piuttosto crudele. Quando torna a rivolgersi a lui, ha i capelli tutti scompigliati, e la pelle del colore dei morti per asfissia.
Un livido violaceo gli circonda il collo altrimenti candido.
-Ed è strano, perché me lo sono dimenticato anche io.
Ride ancora, seppur in modo meno plateale. Si alza all'improvviso, in un gesto deciso, scansa via la sedia con un calcio.
Si avvicina a lui e gli prende le gambe, sollevandolo per farlo respirare almeno un poco – un gesto di pura umanità, perché Aiichirou non potrebbe mai morire in quella dimensione, ma soltanto soffrire in eterno.
Eppure, gli occhi del ragazzo si riempiono di gratitudine, e potrebbe assumere come verità assoluta qualsiasi menzogna il fantasma pronuncerebbe in quel momento. La punta dentro la testa che gli martella la tempia è la voce di Momotarou, capace di trascinarlo via.
-Tu dovresti essere in grado di ricordare, Ai. Devi esserlo.
La corda si spezza da sola, e Aiichirou cade nel vuoto.

 

-Ai-senpai!
Si risveglia, con piena coscienza, sul pavimento della propria camera, con tutta la pelle coperta di sudore e di brividi di freddo – la finestra sopra il letto, a pochi metri di distanza, è spalancata, e fa entrare vento e pioggia battente, mentre le tendine sottili vengono sballottate in ogni direzione da una furia cieca. Gli fa male ogni cosa, specialmente lo zigomo con cui la sua testa si appoggia alle assi di legno.
Un particolare, però, è più importante di quello.
-Ai-senpai! Apri gli occhi!
Aiichirou esegue l'ordine che gli è stato detto: tutto il mondo visto da una prospettiva diversa, e lo specchio che ha attraversato per entrare nel mondo degli spiriti. È proprio lì che la solita figura luminosa di Momotarou sta battendo, cercando di farsi sentire da lui.
-Momo...
Lo realizza davvero in pochi secondi, e in un attimo è già sulle proprie ginocchia, dimentico di tutto. È lì, presente, concreto, con lui.
-Momo! Sei tu?
Fa una domanda stupida, perché è troppo preso da ciò che vede per badare al resto. Gli si gonfia il petto dolorante di qualcosa dolceamaro, una sensazione madida di commozione. Appoggia le mani dove si trovano quelle del fantasma, per cercare e trovare un contatto necessario.
Ma Momotarou è preoccupato per altri motivi, e non bada a queste cose.
-Ai-senpai, il telefono!
Muove le mani lontano dalle due, e basta questo distacco perché il ragazzo presti attenzione davvero alle sue parole e non soltanto alla sua vicinanza. Si volta a cercare il telefono cellulare.
-Cosa-
Cade un lampo, si propaga un tuono; Aiichirou si alza con qualche difficoltà in piedi e corre a chiudere la finestra, prima di ritrovarsi tutta la camera allagata. Con i capelli scompigliati dal vento e ancora tremante, cerca con lo sguardo il proprio cellulare, trovandolo lampeggiante sopra il comodino accanto al letto.
Più di dieci chiamate e di messaggi, tutti da parte di Gou Matsuoka. Ritrova la paura dentro di sé.
-Devi andare a casa Matsuoka, Ai-senpai! È importante!
Momotarou dice qualcosa, ma non viene più ascoltato: il telefono squilla di nuovo, e questa volta il ragazzo è veloce a rispondere.
-Pronto, Matsuoka-chan!
-Nitori-kun! Finalmente rispondi!
-Scusami, avevo la suoneria in silenzioso.
-Nitori-kun, abbiamo un problema!
A quel punto, qualcosa al di là della cornetta fa uno strano rumore, come un verso gutturale e profondo, particolarmente non umano.
Aiichirou rabbrividisce, e riesce a intuire qualcosa.
Gou è più spaventata che mai, quando torna a parlare con lui.
-Nitori-kun, non esistono soltanto i fantasmi! Esistono anche i mostri!
-Ne avete uno in casa?
-Sì, ne abbiamo uno qui!
Aiichirou guarda Momo, per trovare una rassicurazione ai propri sospetti. Lo scotto dell'ingenuità che ha sempre avuto circa il collegamento tra mondo degli spiriti e mondo dei vivi lo sta pagando in quel momento, in quella massa di ansia e di pericolo che vive assieme ai suoi amici.
Gou risveglia i suoi sensi, con un mezzo strillo.
-Nitori-kun! La gente del villaggio lo sta cercando! E non ha buone intenzioni!
Ha paura, si sente chiaramente.
-Ci serve il tuo aiuto!
Ha paura anche lui e ha paura anche Momotarou, ma finalmente capisce quale sia il collegamento nel tutto. Il mostro non può essere altro che il secondo sigillo che tiene racchiusa la strega. E per questo, non deve correre alcun tipo di rischio.
-Andatevene da quel posto! Nascondetevi! Fuggite! Io vi raggiungo appena possibile!

 

Aiichirou non presta molta attenzione al rumore che fa, e il risultato è che ne fa tanto, davvero troppo. Prima di riuscire ad avvicinarsi abbastanza alla porta di casa per uscirvi e correre quindi sotto la tempesta, al riparo di un solo piccolo ombrellino, una voce lo inchioda con ancora il piede a mezz'aria e il fiato trattenuto.
-Ai-chan, che cosa succede?
Sua madre, in vestaglia, emerge dal corridoio, e con un click dell'interruttore illumina tutta la casa. Si ben stupisce dell'abbigliamento del figlio: maglia, pantaloni, calze alte e una giacca invernale. Non tarda a temere che voglia uscire a quell'ora di notte.
-Ai-chan, che cosa hai intenzione di fare, conciato così?
Le parole che usa sono più dettate dalla preoccupazione che da una volontà implicita di derisione, ma risultano comunque appena urticanti. Suo marito, poco dopo, fa la propria comparsa accanto a lei – ed è terribilmente più sveglio e pronto.
-Aiichirou?
Il figlio lo guarda, reprimendo un naturale atto di paura. In tutto quello, sarebbe davvero paradossale avere paura del proprio genitore, eppure così istintivo che Aiichirou recepisce il dolore derivante da questo paragone. Abbassa gli occhi, mortificato per un motivo che l'uomo adulto fraintende.
-Che cosa succede, Aiichirou?
Il ragazzo stringe i bordi della giacca con le proprie dita, pieno di disagio. Accenna qualcosa, un borbottio sordo, che il genitore interrompe subito, parecchio irritato.
-Dev... devo-
-C'entrano ancora quelle storie con i fantasmi?
La velocità con cui alza lo sguardo, colpevole, irrita ancora di più l'uomo. Sbuffa, piuttosto contrariato, e con un'espressione tutt'altro che benevola lo ammonisce con un tono che li riporta tutti quanti a qualche mese addietro, quando non c'era la minima armonia tra di loro e un distacco così radicale che sembravano tutti non essere neanche parte della stessa famiglia.
-Non avevi smesso, Aiichirou?
Aiichirou non risponde, abbassa di nuovo lo sguardo. Sua madre, preoccupata, si avvicina a lui e gli poggia una mano sulla spalla – lo sente rigido, sotto il proprio tocco, e le procura un dolore immenso. Stringe la presa: il figlio non le si nega più, e si decide a parlare ancora.
-Una mia amica ha bisogno di me.
Si sente chiaramente il verso tirato che il capofamiglia gorgoglia, alla base della voce. Un non tanto sottile strato di rabbia lo copre tutto, dai pugni stretti delle mani all'espressione dura che gli rivolge.
Tutta la pazienza che ha avuto, negli ultimi tempi, e la speranza che finalmente le cose potessero andare lisce, evidentemente non sono servite a nulla.
È frustrato, e lo scambio che ha con suo figlio non migliora il cattivo umore.
-Tu non uscirai con questo tempo.
-È importante, papà!
-Dimmi se c'entrano i fantasmi.
-... sì.
-Allora non ho intenzione di assecondare questa tua stramberia.
Si volta, stringendosi nel tessuto della propria vestaglia, ben deciso a troncare lì la discussione. Sue sono le decisioni, sue sono le delibere: sotto quel tetto, non c'è niente che possa definirsi strano o anormale.
Deve, però, sopportare il peso della ribellione del suo stesso figlio a questo statuto, che urla tutto d'un tratto e lo muove a meraviglia, di nuovo, verso la sua persona.
-Papà, per favore! Perché non mi credi? Che motivo avrei di mentirti?
Il signor Nitori non è una persona insensibile e mai lo è stata. Vede benissimo le lacrime negli occhi di suo figlio, e potrebbe anche capirne il dolore – se solo non considerasse i propri sentimenti più importanti, a lunga durata, di quelli di un adolescente ancora in fase di sviluppo.
Però, si concede una piccola confidenza: sospira, rilassando le spalle.
-Non saperlo mi addolora tantissimo.
Aiichirou comprende, perché tra i due è quello con la mente ancora più elastica e portata all'empatia naturale. Considerare i propri genitori come persone e non come altro è il grande passo per l'età adulta, e lui non l'ha ancora compiuto; vedere suo padre come un uomo che soffre per lui è una novità e uno shock assieme, che lo scuote nel profondo. E tutte quelle cose nuove su cui ragionare lo confondono, lo destabilizzano per abbastanza tempo da fargli perdere il confronto.
Se solo, a quel punto, non intervenisse sua madre, scuotendolo delicatamente per la spalla su cui è ancora poggiata con la mano.
-L'amica che è nei guai è reale?
-Sì, è una mia compagna di scuola.
-Sta male?
-Penso sia in pericolo.
-Dove sono i suoi genitori?
-Sua madre è fuori per lavoro per tutto il week end. Non ha più il padre.
Lei gli sorride, permettendosi il gesto gentile di accarezzarlo sulla guancia. Se il suo cuore è preoccupato, la sua mente è ancora in allerta circa la veridicità delle teorie strampalate che sempre lo hanno accompagnato.
Ma più di ogni altra cosa, in quel momento, è importante per lei salvare la sua famiglia, e il legame che tutti li unisce. Si rivolge, quindi, al proprio marito.
-Possiamo accompagnarlo a casa di quest'amica, per vedere come sta.
Vede una scintilla di risentimento nello sguardo di lui, che riesce a troncare prima che possa avere forma concreta e verbale, perché non vada oltre il semplice seme.
-Cara, non mi dirai che anche tu-
-Si tratta di qualcuno in carne e ossa, qui. Non dello spirito di un morto.
Sorride anche a lui, dopo qualche secondo, per permetterglisi di raccogliere idee da questa nuova ottica, ma anche per non farlo sentire tradito. Lei non ha scelto di combattere, né di schierarsi da una parte o dall'altra: non c'è alcuna divisione, per quanto la riguarda, e deve agire di conseguenza.
Gli tende una mano, perché si avvicini a lei e anche ad Aiichirou.
-Caro, magari non è successo niente, ma accertarcene è meglio. Non credi?
Il figlio lo guarda con occhi grandi, pieni di speranza. Era da tantissimo che non lo vedeva così, e gli fa male al cuore.
Sarebbe facilissimo spezzare tutto, per una semplice questione di principio.
Decide di dare colpa alla stanchezza, se cede l'attimo dopo.

 

Ha preso il volante della macchina tra le mani con una stizza incredibile, non più di venti minuti prima – girare per Iwatobi con quella tempesta terribile gli era sembrata un'altra pessima idea, oltre a restare sveglio a quell'ora tardiva, anche se forse l'accumularsi di tutta quella frustrazione è stato dovuto a una sua naturale debolezza.
Ha girato, ha girato, ha girato; s'è fatto guidare da suo figlio verso una meta più o meno precisa, cambiata in pochi minuti: i suoi amici si erano mossi, a quanto gli era parso di capire, e si trovavano anche loro nel bel mezzo della tempesta. Ha avuto la tentazione di urlare contro Aiichirou, a un certo punto, e contro quella pazza di sua moglie che lo voleva accontentare.
Poi ha notato la folla, la gente tutta nelle strade. Ha notato l'ammassarsi di presenze, e urla sempre più alte, anche oltre la pioggia.
È stata veloce quanto improvvisa, l'apparizione di quella creatura. Neppure lui ha potuto dire che era qualcosa di umano.
Stava scappando, terrorizzata, urlando quanto e più di tutti gli altri, quasi a chiedere pietà e perdono. Lo ha sentito nel cuore, lo strazio assurdo.
L'hanno uccisa lì, davanti alla sua macchina immobile, illuminati dai suoi stessi fari.
Con ombrelli, rastrelli, mani e unghie. Un atto mostruoso e terribile, gestito da una violenza sovrumana.
Il signor Nitori non ha potuto immaginare, nel suo sconcerto, che dietro di sé suo figlio poteva sentire le urla ancora più straziate del fantasma di Momo, che batteva contro il finestrino dell'auto.
E gridava, gridava guardando suo fratello morire.

 

La strega ha compiuto il primo atto della propria vendetta, e finalmente è libera.

 

I climbed across the mountain tops
Swam all across the ocean blue
I crossed all the lines and I broke all the rules
But baby I broke them all for you
Because even when I was flat broke
You made me feel like a million bucks
You do
I was made for you

[Brandi Carlile – The story]

 

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Capitolo 31
*** 30. Capitolo trenta (flashback) ***


30. Capitolo trenta
(Flashback)

 

 

 

Luna, mutevole e pallida: spirito femminile atto a celare appassionate storie tremanti d'amore, segreti preziosi come gioielli e stelle.
Sousuke la guardava, pieno nel petto di dolce tranquillità, lasciandosi cullare dal vento fresco della notte. La luce bianca aveva condotto il suo passo fino a lì, facendogli attraversare quel fitto bosco che proteggeva il versante nord della collida su cui era stato costruito il tempio, tempo addietro. Nessun pericolo lo aveva minacciato, e il danzare del vento era stato così lieve e armonioso, accompagnandolo in una marcia nuziale discretamente silenziosa.
Il santuario si apriva a lui con una piccola scalinata di piedi, coronata da lanterne di pietra e un torii più minuto di quello dell'entrata principale, ugualmente rosso. L'acqua sacra scorreva in un canaletto costruito artificialmente, e un piccolo santuario per le divinità del bosco si offriva per la pratica dei tributi.
Rin era già arrivato, e lo accolse con un sorriso radioso, ben imbarazzato. Oltre lui, però, c'era pure un ospite inaspettato, che gli corse incontro più felice che mai.
Momotarou lo abbracciò prima che riuscisse a fermarlo.
-Yamazaki-kun, Yamazaki-kun! I fiori sono cresciuti, sai? Li ho curati bene!
Indossava il suo abito bianco e azzurro, datogli probabilmente da un compagno del tempio più anziano. Sembrava un custode, in quella tenuta, e si era persino pettinato un poco i capelli all'indietro. Sousuke non si sorprese a essere contento della sua presenza.
-Sei contento, Yamazaki-kun?
-Sì, lo sono.
Lo accarezzò sulla testa, senza però scompigliargli i capelli troppo. Momotarou ne fu felice lo stesso, dimentico del tempo che aveva impiegato a lavarsi e a prepararsi a quel modo – non soppesava troppo quelle cose stupide, e piuttosto lo lasciò andare per permettergli di arrivare vicino al suo promesso.
Rin era ancora più bello del solito, per lui. Forse era dovuto all'aria di quella sera, o anche alle guance rosse che venivano celate, neanche così bene, dall'oscurità.
Gli prese la mano con esigenza, tralasciando da parte per qualche minuto il pudore. Le sue mani erano così calde, e lo stringevano con così tanto bisogno. Si sentì amato, come ogni altro giorno della propria vita.
Si rese conto della troppa vicinanza con il giovane Mikoshiba e, pur non essendone irritato, lo trovò quasi strano. Non lo voleva cacciare: fu solo per la troppa emozione che il tono della voce gli uscì burbero.
-Tu resti qui?
-Mio fratello ha pensato che serva almeno un testimone per rendere tutto più serio!
-Oh, e quindi ha scelto te.
-Mi sono offerto io prima che lui scegliesse qualcun altro!
Sorrideva contento come non mai, emozionato come se si trattasse di una vera e propria cerimonia ufficiale. Per lui era effettivamente così, anche se Seijuuro aveva tentato di spiegargli l'eccezionalità dell'evento.
Si sfregò la punta del naso, e i suoi occhi tornarono a brillare – guardò prima l'uno e poi l'altro, in viso.
-Sono contento sia per padron Matsuoka che per Yamazaki-kun! E sono contento che loro siano contenti!
Gli sposi si guardarono tra di loro, scoppiando a ridere di gioia dopo pochi attimi di stasi, creando in lui non poca confusione. Le loro dita strinsero più forte, e si ritrovarono ugualmente a fargli qualche carezza, come a un animaletto particolarmente festante. Non che lui rifiutasse quel genere di attenzioni.
-Ti ringraziamo, Momo.
Fu nel passargli la mano sul collo, in modo distratto, che però Sousuke si accorse di una cosa.
Lui era più abituato di Rin ad avere a che fare con la sua fisicità, e riconosceva con più velocità certi segnali del suo corpo; bastava ben poco, in effetti, per capire una persona come Momotarou, specialmente se la frequentazione capitava massimo una volta ogni tre giorni.
Si scurì appena, con lo stesso tono di prima.
-Sicuro di essere davvero contento?
Il ragazzo si sentì preso in contropiede e per un attimo pensò di negare tutto quello che era possibile negare – niente, dal momento che non c'era neanche un'accusa specifica.
Ma era troppo sincero e onesto per nascondere quel suo piccolo cruccio: sospirò in una sola volta, liberandosi di tutto.
-Andrete via dal villaggio, dopo la cerimonia?
-È molto probabile.
-Sarà difficile per noi restare qui.
Qualcosa incrinò la sua felicità abbagliante, nel momento esatto in cui una nuvola, spinta dal vento, mascherò la luna di un nero ombroso, che rubò l'esatta vista a tutti loro.
Momotarou dava sempre l'impressione di reagire alla luce naturale, ed era così strano e curioso. Sembrava un folletto selvatico.
-Ve ne andrete per sempre?
Rispose subito Rin, perché era il più debole di fronte a questo genere di domande. Subito dopo, si unì anche Sousuke a lui, e questo fece sciogliere ogni malumore di Momotarou.
-No, questo no. Torneremo ogni tanto.
-A trovare te e tuo fratello.
-Portatemi qualcosa da mangiare! E tanti semi! Voglio creare un campo di papaveri!
-Tu come conosci i papaveri?
Risero ancora, tutti assieme. La nuvola, in cielo, era già sparita, e qualche animale sospettoso si era affacciato dal retro del bosco, per vedere cosa stesse succedendo. Sousuke notò una civetta grigia, bellissima, che lo fece sorridere rilassato – e Rin che gli si poggiava contro, al suo fianco.
-Mi spiace. Non ho nessun regalo da donarvi.
-Sei qui, e questo è già un bel regalo.
Ancora risate, e Momotarou che arrossiva di colpo.
-Oh, padron Matsuoka. Sei fin troppo sentimentale!

 

Fecero l'amore tutte le sere, da allora.
Sui tappeti del bosco, di foglie secche oppure di prato verde. Su qualche materasso della casa Matsuoka, quando non c'era nessuno vicino e quando, casualmente, le finestre rimanevano aperte. Sulla spiaggia, mentre il mare rimaneva tranquillo a rotolare nella propria spuma bianca. Nascosti tra la siepe del giardino, mentre a fatica Rin si tratteneva dal ridere e dal dargli dello stupido, perché non poteva guardarlo a quel modo e pretendere di non essere baciato.
Mentre facevano il bagno assieme, tra i rivoli d'acqua salata che allagavano gli anfratti degli scogli e coperti dallo scrosciare rumoroso delle onde che si infrangevano più o meno in tumulto. Come quel giorno.
Rin sorrideva contro le sue labbra, mentre lo baciava. Si guardava intorno di sfuggita, un po' preoccupato dal resto e dal quel sole alto che li illuminava. Non più di tanto, giusto nei momenti di pausa tra un respiro e l'altro.
Era nudo, e la sua pelle sapeva di salato.
Rideva tanto, si divertiva a calpestare l'acqua con i piedi e schizzare di salsedine il proprio uomo – suo marito, come sussurrava di tanto in tanto, quando l'orgasmo e la contentezza lo stordivano abbastanza. Accolse volentieri la gamba di lui in mezzo alle cosce, e per averlo stretto a sé, come se fosse normale la sola idea di separarsi un secondo, gli circondò la vita con le braccia e lo attirò presso il proprio corpo, schiacciandosi contro lo scoglio alle proprie spalle.
Anche Sousuke era nudo, e un sorriso in volto solo per lui. Si lasciò toccare la schiena mentre gli toglieva i ciuffi bagnati dei capelli dal profilo del viso – gli baciò lo zigomo e la guancia, per procedere verso l'orecchio, punto sensibilissimo di lui.
Non lasciava segni sul suo corpo, e un solo vezzo si era concesso, in tutto quel tempo.
Dei soldi che aveva tenuto da parte, una notevole quantità erano serviti per comprare un solo, piccolo oggetto di oro bianco. Occidentale, come era Rin.
In quel momento, il giovane dai capelli rossi portò la mano davanti al viso, e ammirò con le guance rosse l'anello che aveva al dito. Era solo un oggetto, non poteva negarlo, e in confronto a quello che era la vita umana non valeva nulla; era un regalo suo, però, e questo valeva un'intera esistenza.
Sousuke gli baciò le dita, una a una, prima di morderle e leccarle poi, con desiderio. Rin spalancò gli occhi, giammai abituatosi a tutto quello. Il suo sguardo lo sconvolgeva sempre.
Sousuke sorrise, con quella smorfia così tipica di lui, cominciando a scendere piano, tempestando di baci tutto il suo corpo.
Sapeva di mare anche lì, e per questo lo canzonò.

 

***


-Avete visto quel ragazzo?
-Sousuke Yamazaki?
-Il ragazzo strano, quello che sentiva le voci da piccolo.
-Sousuke il bugiardo!-Sousuke lo svitato.
-Da quando frequenta casa Matsuoka?
-Da sempre. È il giardiniere della residenza!
-E da piccolo giocava spesso con il padroncino Rin.
-È disdicevole che gli stia vicino a quel modo.
-Avete notato come lo guarda? È disgustoso!
-Sembra un pervertito!
-Cosa ci si può aspettare da uno come lui?
-Il padroncino Rin non dovrebbe stare vicino a lui.
-A una persona del genere!
-È in pericolo la sua rispettabilità.
-Si dovrebbe intervenire, dopotutto.
-Bisogna farlo, prima che la situazione peggiori.
-Prima che il padroncino Rin si metta in qualche guaio per colpa sua!
-Non bisogne permettere a quel ragazzo di stargli ancora vicino.
-Qualcuno ne ha parlato con la padrona?
-Sembra di sì, ma loro sono troppo buoni.
-Lo tengono per la buona condotta della madre. Quella donna li ha serviti molto bene, per tutta la propria esistenza.
-Quella donna ha il demonio come figlio.
-Demonio! Demonio!
-Che sente le voci e guarda il padroncino con quello sguardo!
-Sousuke lo strambo! Sousuke il bugiardo!
-Dobbiamo prendere provvedimenti.

 

Se solo la sua felicità non fosse stata così cieca da ottenebrare tutto il resto, probabilmente avrebbe continuato nel tempo ad ascoltare le voci. Sousuke era inebriato dalle proprie emozioni, e lo restò per mesi e mesi di totale appagamento. Non viveva alla luce del sole la propria relazione, perché ancora era troppo vicino a orecchie e occhi indiscreti – sottostimava ogni possibile reazione del popolo di Iwatobi, propenso più che altro a cercare posti, luoghi e secondi per respirare l'aria dalla bocca di lui, e accrescere la propria vita con la sua presenza.
Rin gli aveva promesso che una volta sistemati gli ultimi preparativi sarebbero fuggiti da quel posto: avrebbero rincorso il vento, trasportati in chissà quale luogo, mai schiavi di niente e di nessuno. Il suo Rin, che già era la fonte di primaria felicità, gli aveva promesso una gioia ancora maggiore, sempiterna, che lo abbagliava in una promessa lusinghiera e meravigliosa.
Se solo avesse ascoltato il vento, che gridava pericolo, non si sarebbe ritrovato a capovolgere la propria vita in quella maniera, e trasformare tutta quella letizia in una maledizione rovinosa e sanguinaria.

 

Era tornato a notte fonda, caldo d'amore, alla propria dimora. Sulla via del ritorno, era passato di fianco all'alta scogliera che dava direttamente sul mare, tagliando per un buon pezzo di strada all'interno del villaggio Iwatobi, per non stare troppo vicino a quelle case e a quelle strade a cui non era ancora riuscito a dire addio. Era strano a considerarsi, per tutto quello che gli era capitato nella vita, ma si era ritrovato a considerare quanto affetto implicito lo legasse a quel luogo. O forse era soltanto la paura di un distacco definitivo. Sorrideva della propria stupidità, come il più sciocco e innamorato dei giovani.
Non trovò sua madre sveglia, e questo non lo impressionò molto, anzi: era contento che non lo aspettasse in piedi, vista la tarda età di lei e vista l'ora in cui era rientrato. Di quella stagione era facile accampare scuse per il tanto lavoro, e non suonava strano che dovesse fare straordinari al posto di una parte di servitù sempre più anziana e meno prestante. Gli doleva tutto il corpo, e i muscoli fremevano.
Si accorse tardi che c'era qualcosa di strano, in quel silenzio così surreale – non si era neanche avvicinato al proprio giaciglio, nell'angolo a est di quell'unica grande stanza che formata tutta la sua dimora, che si rese conto della totale assenza della propria madre. E di presenze sconosciute nell'ombra.
Non capì mai chi fossero, quelle persone, né vide mai i loro volti. Sentì la loro rabbia e il loro disprezzo, anche senza l'uso delle sue capacità particolari.
Il primo colpo di pugnale fu alla spalla, e lo fece gridare dal dolore. Ne seguirono diversi, più e più volte, specialmente quando si accasciò privo di forze e senza più neanche la voglia di gridare. Insistettero su alcune parti del corpo – il ventre e il petto, a ricordargli che non era una donna e mai lo sarebbe potuto diventare, e questa era la sua punizione.
Non si seppe perché, ma risparmiarono il viso.
Una volta credutolo morto, presero quel che restava di lui e lo avvolsero in un panno, portandolo altrove.


Quando fu buttato, come immondizia, giù dalla scogliera, era già morto nel corpo. Nei suoi occhi di tornado v'era ancora una sola goccia di coscienza, che lui aveva trattenuto con tutte le proprie forze e con tutta la propria volontà.
Batteva, su tutta Iwatobi, la più grande tempesta di sempre.
Non aveva più sangue né vita dentro la propria carne, ma impresso vi era quell'odio che lo aveva ucciso, e che lui aveva tutta l'intenzione di restituire nel più cruento dei modi.
Si rivolse al vento, che solo lo avrebbe ascoltato. Non urlò con la gola e la parola, ma le sue parole furono comunque udite.
Maledisse ogni cosa, ogni persona di quel luogo. Maledisse quanto lo aveva cresciuto e quanto lo aveva odiato, maledisse chiunque avesse camminato per quelle strade e quei prati.
Non maledisse il proprio amore, perché sarebbe stata l'unica cosa veramente sacrilega, ma maledisse chi non l'aveva rispettato, e pretese per sé i testimoni che non fosse tutta una bugia e che la verità era solo e soltanto sua.
Quando capì che il vento lo aveva sentito e aveva intenzione di vendicarlo, spirò da questa esistenza e divenne uno spirito vagante.

 

Don't wanna close my eyes
I don't wanna fall asleep
'Cause I'd miss you, baby
And I don't wanna miss a thing

'Cause even when I dream of you
The sweetest dream would never do
I'd still miss you, baby
And I don't wanna miss a thing

[Aerosmith – I don't wanna miss a thing]

 

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Capitolo 32
*** 31. Capitolo trentuno ***


31. Capitolo trentuno

 

 

 

La tempesta che spazza Iwatobi è diventata un tornato, già dalle prime ore del mattino precedente.
Violenta, affamata, implacabile: un simile fenomeno non è mai accaduto, in quei luoghi, e non può che destare quantomeno meraviglia negli animi di tutti gli abitanti del villaggio, anche quelli più scettici riguardo stregonerie e cose del genere – quelli che la notte hanno dormito, pacifici, nelle proprie dimore, piuttosto che riversarsi nei vicoli e nelle vie a cacciare la rappresentazione falsata del demonio.
Alcuni tra gli alberi più giovani sono stati sradicati facilmente, perché le loro radici non sono così profonde da garantire un equilibrio più che stabile: la parte est della collina più grande ha avuto problemi di comunicazione con il resto, per un grande cipresso rovesciatosi lungo tutta la carreggiata della strada principale, di traverso, in modo che né all'andata né al ritorno potessero passare autoveicoli. Una parte di villaggio più isolata, oltre la collina a nord, fatta di poche case di legno e di pochi abitanti, ha smesso di dare notizie per qualche ora a causa di un blackout della corrente e dell'elettricità tutta, prima che l'intervento della polizia locale potesse in qualche modo far fronte al danno accaduto. Diversi degli studenti delle due scuole principale, l'istituto pubblico Iwatobi High School e l'istituto privato Samezuka, abitanti della periferia più lontana, hanno dovuto rinunciare alla giornata di scuola a causa dell'impossibilità di raggiungere, con i pochi mezzi di terra ancora funzionanti delle zone rurali, il centro del villaggio.
Le autorità locali, passati i primi pochi giorni di meraviglia, si sono scusate con la popolazione tutta dell'inefficienza delle forze dell'ordine competenti, che ancora non sono riuscite a sistemare quanto dovuto. Più di questo, però, non hanno potuto fare, se non garantire velocità e precisione per i prossimi tempi futuri e mortificarsi altrimenti.
É davvero sorprendente, comunque, come l'uomo risulti ancora in balia di forze più grandi della propria misera razza, nonostante i progressi fatti nel tempo con l'assoluta intelligenza a lui donata.

 

Casa Nitori è davvero silenziosa, quella mattina. Nessuno ha dormito, da quando la macchina guidata dal padrone di casa è stata parcheggiata nello spiazzo davanti alla dimora, fino oltre l'alba.
Il signor Nitori e sua moglie vivono in uno stato di shock apparente, incapace di far fronte alla realtà. Rimangono silenziosi persino nel compiere i gesti meccanici abitudinari, come far colazione oppure vestirsi per andare a lavoro.
Non è stato consegnato il giornale dal postino, quella mattina – il signor Nitori accoglie la notizia con un'espressione vaga, senza emettere un suono.
Il pesce da accompagnare al riso è stato bruciato troppo da un lato e lasciato quasi crudo dall'altro – la signora Nitori se ne scusa, ma lo fa senza neanche un sorriso.
Aiichirou non ha la forza di dire alcunché, ai propri genitori, mortificato per altre cose. La colpa di non essere uscito dalla propria macchina per tentare, quantomeno, di salvare quella povera creatura, è qualcosa che gli pesa troppo nel cuore, e lo terrorizza allo stesso tempo. Non è neanche riuscito a piangere quella notte, e si porta appresso un peso insopportabile, all'altezza del petto.
Non crede più di essere in grado di salvare qualcuno.
Mastica piano soltanto due bocconi, prima di rinunciare a tutto il resto: ha paura di vomitare quel poco che ha ingerito, e non sarebbe proprio il caso. Recupera la divisa scolastica e la cartella di scuola, saluta piano i genitori ancora seduti al tavolo e li guarda per qualche secondo in più, con tristezza.
Ripete il saluto ed esce da quella casa, sperando di riuscire a dimenticare almeno per qualche ora quei visi spenti.

 

Nessuno di loro ha voglia di allenarsi, quel pomeriggio.
Dopo una mattinata a guardare le nubi fuori dalle finestre, a sentirsi sporchi in un gruppo di persone che ridono, parlano, mangiano come se niente sia successo, tutti loro sono soltanto stanchi e spossati, e non hanno il minimo desiderio di fare alcun tipo di attività. Persino Haruka, che guarda la piscina sotto la pioggia, sconsolato, non esce dalla stanza che fa loro da spogliatoio, e rimane appoggiato con una spalla allo stipite della porta che dà all'ingresso. Qualcuno si è messo il costume da bagno, soltanto per abitudine, e rimane sospeso come una parola a mezz'aria senza sapere esattamente cosa fare, dopo.
Aiichirou è entrato, in ritardo per colpa della propria disattenzione e di un conato di vomito che lo ha trattenuto troppo tempo in bagno; e li ha trovati tutti lì, in attesa.
Gou ha atteso che posasse la propria borsa a terra prima di avvicinarsi a lui e tentare un approccio.
-Nitori-kun.
Nessuna reazione, se non un leggero movimento della testa, in segno di diniego. Il ragazzo guarda in basso, senza alzare lo sguardo su di loro – e anche se provano tutti quanti a richiamare la sua attenzione, è abbastanza testardo da perseverare nella propria cocciutaggine.
-Nitori-kun, ascolta.
-Nitori-kun!
-Ai-chan, dobbiamo dirti qualcosa!
Alza la voce, per farli smettere tutti di un colpo. Strizza gli occhi, buttando fuori tutta l'aria dei propri polmoni.
-Non voglio sentire!
Il gruppo ammutolisce, Haruka si volta a guardare la scena, distratto a forza dalla propria contemplazione.
Il capitano della squadra si avvicina più di tutti, con lentezza e tranquillità, sicurezza persino. È abbastanza vicino perché l'altro ragazzo senta, a tutti gli effetti, la sua presenza, e quando è abbastanza certo di non ricevere un netto rifiuto, porta una mano alla sua spalla.
-Nitori-kun, è importante. Quella creatur-
Eppure, Aiichirou lo rifiuta – fa un passo indietro, anche, per non essere più toccato da lui, e pur non alzando lo sguardo rimane ferito, mortificato, arrabbiato.
È fragile e insicuro, e per questo cerca in tutti i modi di rimanere isolato. Dopo tanto tempo, vorrebbe davvero tornare nel proprio nero e non ricomparire mai più su quella terra.
-No! Non voglio sentire! Non voglio sentire niente!
-Nitori-kun, capiamo che sei spaventato. Anche noi lo siamo. Quello che è successo ieri sera è stato qualcosa di terribile. Ma non per quest-
-Voi non potete neanche immaginare cosa sia successo! Quella cosa, quella creatura. È morta. L'hanno uccisa, sotto i miei occhi!
-Lo sappiamo.
-L'hanno ammazzata!
-Sì.
-I loro volti non erano neanche più umani! Non erano niente!
C'è un principio di pianto, nei suoi occhi. Makoto è rimasto fermo a prendere tutto il suo dolore, direttamente addosso, e non si è spostato neanche un poco. Rimane lì, ad accogliere la sua tristezza e la sua paura come un vero amico: lo guarda senza distribuire facili giudizi, e attende con calma che si riprenda da solo, senza intervenire.
-Non capite cosa significa? La strega ha vinto! La sua maledizione è stata realizzata!
Aiichirou alza le mani alle proprie spalle, in un gesto istintivo di protezione. Non si è accorto di tremare, prima, e ora sente sulla pelle quel formicolio tipico dei muscoli tenuti troppo tempo rigidi.
-È quell'odio maledetto dentro ognuno di noi che distrugge ogni cosa. Quella è la sua maledizione!
Fa un lungo respiro; nessuno più fiata. Gou è sull'orlo delle lacrime, e così anche Rei. Nagisa è rimasto esterrefatto da questa sua scena, e non trova le parole adatte per rianimarlo: sono ancora tutti troppo sconvolti da quello che è successo quella notte per riuscire ad affrontarlo.
-Noi non possiamo fare nulla, ormai.
-Se tu ci ascoltassi, Nitori-kun-
-No, non voglio sentire.
-Ora devi calmarti, Nitori-kun.
-Io ho visto la strega. Sono andato nel suo sogno e l'ho incontrata.
In questo momento alza lo sguardo sul capitano, e Makoto vede finalmente cosa nasconde in quegli occhi capaci di vedere proprio tutto: non ha mai avuto motivo di dubitare che dicesse bugie, e in quel momento più che mai crede a tutto quello che proferisce. Si sente mortificato dal suo dolore, e questa volta le sue movenze si fanno più sulla difensiva, per quanto è nella sua volontà non mostrarsi refrattario.
Aiichirou lo sente, chiarissimo.
-Non c'è più niente che possiamo fare.
Qualcuno oltre a Makoto, però, interviene. Facendosi avanti come s'è fatto avanti Aiichirou.
-Ti arrendi?
Haruka è accanto a Makoto, quando parla di nuovo – lo guarda per chiedere conferma, e trovandola la sua espressione diventa dura.
-Se è così, allora non abbiamo bisogno di te.
Aiichirou rimane sbigottito e interdetto, come tutti gli altri. Makoto tenta di far ragionare almeno Haruka, ma l'asso della squadra è inamovibile. Non risparmia la propria severità a Aiichirou, che rimane fermo a sentire le sue parole.
-Torna a nasconderti. Torna nei tuoi sogni. È lì che vuoi rimanere, no?
Anche loro hanno sofferto, quella sera. Anche loro sono stati coinvolti. Forse non nello stesso modo in cui lo ha fatto l'altro ragazzo, ma hanno potuto sentire a livello inconscio la gravità di tutto. Che fosse realtà, e non un sogno, è evidente, e ben impresso in tutti loro.
Haruka è più che mai ferito dalla volontà dell'altro di rinunciare a qualsivoglia forma di lotta, abbandonando il campo, e loro, al proprio destino. Non lo può perdonare.
Aiichirou, prima di piangere, recupera la propria borsa in un gesto veloce e scappa via, correndo.
Sente soltanto la voce di Gou da lontano, quando corre sotto la pioggia lungo il viale che lo riporta all'edificio scolastico.
-Nitori-kun!

 

***

 

Le ore passano fin troppo lente, chiuso in quella stanza.
Ha buttato la propria cartella di scuola in un angolo, senza neanche vedere dove sia effettivamente andata a sbattere; una volta entrato nella propria camera, si è semplicemente disteso sul proprio letto e avvolto tra le coperte, cercando un riparo dal mondo esterno. Nessuno, d'altronde, gli ha più detto nulla, e il telefono cellulare è stato da lui precedentemente spento, in previdenza di eventuali fastidi futuri.
La tempesta turbinosa sbatte anche contro il vetro delle sue finestre, impietosa e terribile. Lampeggia e tuona molto più dei giorni precedenti, sembra quasi libera da qualsivoglia ostacolo e limite: si gonfia in ogni vicolo e in ogni stradina, senza tralasciare nulla. Ed è incredibile come abbia già lavato via tutte le tracce di quell'orribile peccato – Aiichirou è passato sul luogo della strage, al ritorno, allungando la strada appunto per appurarsi ancora una volta che non si fosse trattato di uno sbaglio o di un'allucinazione, o forse sperandoci con tutto il proprio cuore; il sangue, in effetti, non si vedeva più, e neanche i pochi e miseri pezzi della carcassa che era rimasta.
Ma le voci, le urla strazianti, le eco dei colpi di martello e di arnese sull'asfalto, dove la materia non poneva più resistenza, c'erano ancora, e facevano più male che tutte le possibili illusioni del caso.
Si stringe lo stomaco, cercando un poco di sollievo nel dolore fisico. Non trova nulla ad appagarlo, soltanto miseria morale.
Finalmente, però, riesce a piangere, e riversa quel poco che può sul lenzuolo sottile che lo avvolge, infradiciandolo ben presto.
Non è una bugia.
Non è una bugia.
Non è una bugia.
Non è una bugia.
Il nero lo richiama a sé e lui si lascia placidamente andare.

 

Rimane a galleggiare nel vuoto della propria incoscienza per un tempo che non gli pare contabile con misura umana. Quando schiude le palpebre, è come vivere una notte totale, e la sensazione di inesistenza gli allerta i sensi come ha fatto per tanti anni – ricordarlo proprio nell'ora più dolorosa è una condanna e una punizione, per lui, che non si aspettava di essere tradito anche dal proprio stesso corpo. Non gli rincresce più di tanto: porge la testa all'indietro, in un movimento di muscoli che porta a rilassare l'intera figura, e si lascia sprofondare a poco a poco.
Ma come non ha intenti benevoli, il nero non ha neppure intenti maligni. Assiste silenzioso ai drammi umani, e ne raccoglie soltanto le esperienze. Come un grande libro di storia, un racconto interessante e pieno di sentimento, viene scritto poco a poco, di secondo in secondo. Ha infinita pazienza, e quasi una premura materna.
Aiichirou ritrova nella propria mente l'impronta di un fatto passato, come se sempre sia stato lì. La sensazione di un abbraccio: ecco cosa il nero gli fa ricordare, quasi vivesse un sogno dalle mille forme.
Ricorda gli scatti dei muscoli, ricorda anche il terrore e il sollievo finale, ricorda un fantasma che gli ha stretto le dita.
Apre gli occhi, ritrovandosi sul proprio letto, e guarda di lato, verso l'armadio della stanza.
Non c'è velo che copra la superficie dello specchio; Momotarou è lì, che lo guarda con un'espressione preoccupata. Ma sorride, quando vede che lui lo fissa e lo ritrova, sempre pronto.
Aiichirou capisce, con una semplicità del tutto sua, di non essere solo.

 

I want to stand with you on
a mountain
I want to bath with you in the sea
I want to lay like this forever
Until the sky falls down on me

[Savage Garden – Truly Madly Deeply]

 

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Capitolo 33
*** 32. Capitolo trentadue ***


32. Capitolo trentadue

 

 

 

Sono passati soltanto tre giorni, e ha ancora paura: non riesce a guardare fuori dalla finestra, e ha serrato tutti i vetri per non essere costretta a farlo o compiere il gesto sovrappensiero, per puro sbaglio. Ha ascoltato musica per un giorno intero, alzando il volume abbastanza per non sentire le raffiche di vento – batterie usa e getta finché gli stessi vicini non le hanno intimato di smetterla, che stava dando fastidio a tutti quanti. Miho si è scusata con l'intero condominio dove abita, promettendo di non commettere più l'errore.
Ha usato auricolari che non credeva più neanche di avere, almeno finché non le è girata abbastanza la testa da farla cadere distesa sul materasso del letto e lasciarla lì, in un silenzio costruito e artificiale.
Il giorno prima ha chiamato la scuola, appena la linea glielo ha permesso, per prendere un solo giorno di ferie, perché ha temuto di cedere, di nervi e di spirito. Non ha ancora intenzione di farsi vedere in quello stato dai propri studenti, anche se è ben consapevole di non poter evitare lo scontro.
Guarda il soffitto della propria camera da letto, cercando nei propri pensieri una logica a tutto quello sconvolgimento che ha nel petto. Ha uno spasmo, che la porta a gemere piano e ad alzare la mano alla camicia da notte sottile che indossa; stringe la stoffa chiara, e dopo qualche secondo torna anche a respirare.
Niente nello stomaco, l'impressione appiccicosa del sudore da paura sulla pelle. Persino la sua condizione fisica non le dona agio o un minimo di conforto, e se solo avesse voglia di porvi rimedio, con una sciacquata veloce e uno spuntino, probabilmente non sentirebbe tutto quel peso addosso.
Ma riesce solo a pensare a quella sera, a rivivere quelle scene ancora e ancora e ancora, senza tregua. Ha dormito poco, e la realtà si confonde al sogno in ogni secondo che passa. La memoria delle urla della creatura la conduce a ben più dettagli, che la fanno irrigidire in un solo istante.
Qualcuno ha avvistato il mostro, in un preciso momento, e sono partiti tutti all'inseguimento, sparpagliandosi per il circondato.
Vedere, solo per un istante mentre la fiumana di gente la trasportava via, che i suoi studenti erano in strada, presenti, l'ha spaventata – i suoi piedi però non si sono fermati, e la pioggia ha ripreso a battere sopra la sua testa, perché l'ombrello che la riparava era volato via a una raffica di vento. I ragazzi erano fermi al ciglio della strada, e quell'abbozzo di nero e alghe correva come un disperato.
Il rumore di una macchina ha spaventato tutti, specialmente la creatura. E una volta ferma, non c'è stato più scampo per lei.

Fa male: ha un altro spasmo del petto. Rotola sul fianco e morde, per istinto, l'angolo del proprio guanciale, ancora bagnato del suo sudore secco.
Sa che non potrà mai dimenticare, e questo le procura un dolore straziante. Perché c'è un sentimento, neanche troppo nascosto in lei, che è stato picchiato a morte esattamente come quella creatura: la pietà. Non soffrirebbe così tanto, se non avesse saggiato con la propria sensibilità la terribile concretizzazione dell'odio umano.
Più di ogni ferita di sangue e più di ogni botta, è quello ciò che le è rimasto dentro, e il senso di impotenza di fronte a una tragedia così grande.
La sveglia del cellulare suona, a ricordarle che è ora di svegliarsi e di riprendere la propria quotidianità. Per qualche secondo, Miho la ignora, facendo finta di avere una valida ragione per considerare il proprio dolore ancora per qualche ora, prima di affrontare la realtà.
Ma qualcosa la spinge a fare altrimenti, e non trova molta resistenza.
La donna, quindi, si alza, e si prepara per una giornata di normalità nella scuola dove lavora.

 

***

 

Nella realtà dei fatti, i ragazzi della scuola, così come buona parte della popolazione locale che non è stata colpita direttamente dalla maledizione, hanno notato qualcosa di strano. Parlottano più spesso tra di loro, esprimono un disagio sottile quanto presente, che a tratti è piuttosto esplicito e si quantifica in parole più che preoccupate.
Riescono a essere sinceri l'un con l'altro, o in forma lieve o in forma più profonda, ma si arriva a un livello tale di consapevolezza sufficiente perché ci sia una diffusa consapevolezza che non tutte le cose stanno andando come dovrebbero, e che forse sarebbe anche il caso di reagire al tutto.
Al di là dei disguidi per i mezzi di comunicazione, e quella furiosa tempesta che non accenna a diminuire o addirittura finire, la sensazione che qualcosa di vivo muova intenzionalmente gran parte dei fatti che avvengono negli ultimi tempi diventa sempre più forte, man mano che le ore passano.
C'è una malignità intrinseca, che è tutt'altro che naturale. E fa sempre più paura, anche se sembra difficile capirne la motivazione a livello logico e razionale.
Pochi hanno l'abitudine di pregare, o di intendere la spiritualità come parte integrante della vita di tutti i giorni: la modernità affascina perché senza preoccupazioni, problemi o responsabilità, ed è facile avvolgersi da un'aria di diffidenza, quando il mondo reclama i propri crediti.
Le responsabilità, dopotutto, non sono loro; spaventa, per lo più, l'ignoranza in materia di base, che li rende estranei a qualsiasi tipo di soluzione pratica.
Però le lezioni vanno avanti, nonostante tutto, nella ritmicità di una abitudine che rende passive tutte le persone, e celebra il rito della noncuranza.

 

Aiichirou guarda fuori dalla finestra, pensieroso. Ha il proprio pranzo sparso un po' ovunque sul banco a cui è seduto – un panino comprato in mensa che ha sbriciolato sulla superficie orizzontale, liberando mollica e pezzi di pane vecchio conservato male – e una bottiglietta di acqua fredda in uno degli angoli di quel preciso rettangolo.
Ha mangiato quasi tutto, a dire il vero, perché reduce da troppi giorni di digiuno per affrontarne un altro in quelle condizioni fisiche.
Accanto alla sua immagine, riflessa sul vetro della finestra, c'è Momotarou. È abbastanza silenzioso, per il suo solito, e durante l'ora di matematica non gli è scappata neanche una boccaccia. Rimane a sorvegliarlo, sembra, forte di una promessa che gli ha fatto anzitempo e che lo lega a lui come la più vincolante delle mansioni: il senso di fedeltà che lo anima è nobile, per quanto possa sembrare artificioso.
Il fantasma, però, fa un gesto particolare, che è simbolo tra di loro della voglia di contatto. Mette la mano aperta sul vetro, con il palmo ben visibile e le dita tese, tutte e cinque: lo stesso gesto che Aiichirou ha fatto, appena tornato dalla visita alla strega.
Momotarou dice tutto a parole. Momotarou è una persona che rende scomoda persino l'onestà. Momotarou non ha scrupolo alcuno.
Ma con lui è diverso, e Momotarou glielo dimostra anche in quel modo; la gestualità, con lui, si rende parte espressiva davvero importante, ed entra nel gioco della comunicazione in modo decisivo. Quel semplice gesto ricorda, ancora una volta, che non può permettersi alcun atto o alcun pensiero che implichi solitudine, e ribadirlo, in un momento di apparente stasi, riporta alla memoria diversi tipi di pensieri.
Si mescola tutto con la paura e il disagio, tanto che Aiichirou fa fatica ad alzare la propria mano e rispondere al fantasma. Ma l'altro è paziente, almeno in quel momento, e non gli mette alcuna fretta.
Tutto è iniziato da lui, e tutto in lui continua. Aiichirou spera che non debba per forza finire, con lui, e l'antica incoerenza del suo desiderio gli fa più male.
Prende come scusa la propria incapacità per giustificare il non volerlo più salvare.
Si rende però conto di quanto sia stupida e debole, di nuovo, una cosa simile, e aspramente si rimprovera; se mai ne dovesse parlare con il fantasma, di sicuro lui riderebbe, perché è così pieno di luce che non potrebbe fare altrimenti. La sua breve vita non gli ha insegnato né il rancore né l'odio, e lui, da morto, non può davvero provarli.
Si sente in colpa, e non alza la mano. Momotarou lo chiama, con un tono che sembra addurre un bisogno intrinseco di lui e della sua presenza. Lo guarda in viso: anche il fantasma ha paura, chiaramente.
Eppure, la sua mano è alzata, e lui per tutte quelle notti è rimasto a vegliarlo. Una volta è scappato, per il proprio senso di colpa, ed è anche tornato. Aiichirou si chiede quante volte gli sia concesso di scappare, a quel punto, perché possa davvero meritare di stare alla presenza dell'altro.
Si decide di alzare la mano e rispondere al suo richiamo: la superficie del vetro è fredda, e da una sensazione di realtà piuttosto concreta. Momotarou sorride, finalmente contento, e lui gli risponde sciogliendosi un poco, prima che la luce dell'edificio venga meno e ci sia un totale nero che fa strillare di paura chiunque dei vivi lì presenti.

 

***

 

Il punto di ritrovo, per le emergenze, per tutta la parte nord del villaggio di Iwatobi adiacente a dove sorge la scuola, è la palestra dell'istituto scolastico, unico spazio abbastanza grande da poter ospitare diverse persone al proprio interno e proteggerle da ciò che accade all'esterno. Il corpo docenti, assieme agli assistenti e ai tecnici del complesso, dirigono le normative di emergenza, accogliendo le persone in fuga e facendole accomodare dove lo spazio libero consente. Distribuisce, per quanto po', coperte e tè caldo, per scaldare almeno un poco animi e corpi in cerca più che altro di una rassicurazione.
La sirena dell'allarme ancora suona, imperterrita, richiamando tutti quanti a raccolta. La tempesta non è cessata, per nulla, e sono più gli ombrelli che volano via piuttosto che quello che arrivano assieme ai loro padroni.
Si sta abbastanza stretti, tutti ammassati a quel modo, ma sembra l'unica soluzione codificata del caso, a cui tutti gli abitanti del villaggio fanno appello: è difficile, nell'emergenza, prendere iniziative di propria sponte, considerando che non si ha i mezzi per fare alcunché – ci si affida quindi all'autorità e ai suoi ordini, più che mai ritenuti previdenti.
Ogni tuono e ogni fulmine fa vibrare di paura tutti quanti, scossi da una sola idea di terrore.

 

Aiichirou è stato spinto, come tutti gli altri membri della sua classe, in un angolo abbastanza stretto della palestra, dove iniziano le panchine degli spalti. Sono quasi in trenta ragazzi seduti vicini, su un pavimento duro che fa male ai loro muscoli. La capoclasse, fiera e in piedi, provvede a sorvegliarli tutti, perché non infrangano le regole spinti dal proprio panico personale. Una ragazza molto sensibile è stata fatta accomodare più a lato, in uno spazio più libero degli altri, perché possa respirare a fondo senza avere la sensazione di essere schiacciata ovunque; ha già vomitato due volte, e minaccia di farlo anche una terza. Qualcuno piange ininterrottamente da due ore, e rimane un pessimo spettacolo di lacrime, muco e altri umori simili.
Il ragazzo ha rinunciato alla propria coperta, non sentendo particolarmente freddo, cedendola piuttosto a una ragazza del primo anno, minuta e spaurita, che lo ha ringraziato con un sorriso timido. Rimane accovacciato su se stesso per diverso tempo, seduto e con le ginocchia al petto, abbracciate strettamente; attende che la situazione si calmi un poco, o almeno spera che questo succeda.
Assiste a uno spettacolo quasi delirante: da un inizio piccolo, lontano da dove si trova, si sparge la voce che sia colpa della strega, tutto quello, e la follia prende a poco a poco tutte le parti della grande palestra fino a diventare un'opinione collettiva.
Brusio, brusio, brusio. Una persona urla – un adulto, che dovrebbe fare da esempio – e tocca al dirigente scolastico fargli notare che deve tornare a posto, anche quando ormai ha dato mostra a tutti quanti del proprio minimo autocontrollo.
La situazione rimane pesante fino a pomeriggio inoltrato. Il cibo della mensa scolastico viene distribuito come meglio si può dagli addetti e anche dai responsabili di classe, poco a poco. C'è un po' di pane per ognuno, e chi è fortunato anche qualcosa di più; si mescola brodo caldo, per dare da bere, e la cuoca principale passa con il suo carrello e le sue ciotole, piano e con ordine.
Un altro tuono scoppia, persino la terra trema un po', assieme a tutte quelle persone.
Aiichirou si alza dal proprio posto, avvicinandosi alla responsabile di classe: le chiese se gli è permesso andare al bagno, che la sta trattenendo da ore. Lei lo guarda davvero male, definendolo nella propria testa una probabile fonte di problemi – lo lascia andare, intimandogli di tornare entro i dieci minuti, perché altrimenti sarebbe andata lei stessa a prenderlo.
Aiichirou fa un inchino e ringrazia, prima di correre via.

 

***

 

La tempesta della strega è riuscita nel proprio intento, sebbene abbia impiegato ben quattro giorni per compiere il proprio compito fino alla fine.
Le vie di comunicazione sono tutte interrotte. Un blackout dell'elettricità, ben più che momentaneo, sarà soltanto in parte risolto da attrezzature di supporto per i casi di emergenza. Le strade principali che comunicano con l'esterno invase o da frane o da alberi. Il mare in tempesta.
Ben pochi apparecchi umani riescono, in tempo reale, a far fronte a una situazione del genere, e benché la strega non abbia le cifre esatte della propria libertà di manovra, sa bene cosa scatenare e quando.
L'acqua dell'oceano, appena oltre la spiaggia del grande falò, brulica ancora e trema di spuma bianca. L'aria del tornado che si è formato sopra la spiaggia del grande falò, sputa e vomita essenza corporea, di diversa forma.
E ci sono occhi che spuntano, e ci sono bocche che ringhiano. Camminano, volano, in quella landa che sembra diventata l'incubo di uno spirito pieno di rancore, le diverse rappresentazioni dei mali dell'umanità, alla ricerca di peccatori da punire.

 

 

 

 

 

Lullaby by birdland whisper low
Kiss me sweet, and we'll go
Flying high in birdland, high in the sky up above
All because we're in love

[Ella Fitzgerald – Love in birdland]

 

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Capitolo 34
*** 33. Capitolo trentatré ***


33. Capitolo trentatré

 

 

 

Si attarda nei luoghi della struttura, ciondolando più del consentito: non ha molta voglia di tornare indietro in fretta, e questo suo sentimento gli appesantisce le gambe. Passa attraverso un corridoio la cui parete a sinistra è formata soltanto da non troppo spesse lastre di vetro, che fanno vedere l'esterno. Momotarou lo ha seguito, e cammina a poca distanza da lui, distinguendosi con difficoltà tra i rivoli di pioggia che cascano su tutta la superficie della vetrata.
L'esplosione di un lampo fa tremare il ragazzo vivo, e manda una scarica di luce talmente forte che deve coprirsi gli occhi per non rimanere accecato – sente il vetro tremare per il rombo del tuono successivo, e la paura continua ad agitarsi sotto la sua pelle. Ma quando riapre le palpebre, gli occhi gli cadono per sbaglio sulla corona di fiori che il fantasma ha al collo, e sono quelli a far scattare un meccanismo di associazioni nella sua mente che, a lungo, schiacciato più che altro dalla paura e dall'ansia, è rimasto addormentato.
La tempesta infuria, e fa da sottofondo sonoro al vorticare che ha in mente.
Non ha contato, prima di quel momento, diversi particolari che avrebbe dovuto notare anzitempo.
L'eccezionalità dei poteri di Momotarou non può essere un caso – non, almeno, dato il suo collegamento con la strega e la sua maledizione. Quando Aiichirou ha incontrato lo spirito dell'uomo che ha lanciato la maledizione, lui ha parlato di sigilli, e che la creatura è stata soltanto il secondo. Le probabilità che la creatura fosse collegata in modo stretto alla vita della strega sono molto alte, anche in virtù del fatto che era fratello di Momotarou, quindi un altro Mikoshiba; questo rende altrettanto alta anche la probabilità che Momotarou stesso sia un sigillo che teneva intrappolata la maledizione in uno stato in potenza, mai in essere.
Le ipotesi continuano a formularsi, nella mente di Aiichirou, anche quando si ferma qualche istante a ricambiare lo sguardo incuriosito del proprio amico fantasma.
Se Momotarou è stato un sigillo, allora la sua capacità di viaggiare attraverso i due mondi liberamente deve avere qualcosa di particolare. Ma molti fantasmi possono viaggiare in quel portale, quasi tutti a ben vedere, e questo non è eccezionale.
Però, lo è il fatto che Momotarou sia riuscito a portare una persona nei sogni dei fantasmi, e sia stato capace di tenerlo in quel mondo senza che si disperdesse impazzito o distrutto nell'anima.
In cento anni da che è morta la strega, e presumibilmente anche Momotarou in contemporanea, non devono essere passate molte persone affini all'elemento del nero, e questo ha vincolato la maledizione della strega: è facile intuirlo perché Momotarou stesso ha detto di essere stato solo molto a lungo, e gli sarebbe stato alquanto impossibile trasportare nel nero una persona che l'elemento stesso non avrebbe accettato in sé. Quindi, Aiichirou ipotizza che il momento in cui lui stesso ha varcato la barriera degli spiriti, questa si è aperta anche per il potere della strega, che ha potuto operare nel mondo esterno, seppur in minima parte. Una delle prime conseguenze è stata l'instabilità fisica dello stesso Momotarou, che in un primo momento è deflagrato in una bomba di luce, per poi ridimensionarsi e ritrovare il proprio equilibrio.
Tutto questo ha portato al risveglio completo della creatura, e il ragazzo pensa anche di sapere anche quando è successo, a quel punto. Se il suo istinto non lo tradisce, potrebbe quasi essere sicuro che sia stato durante la celebrazione della morte della strega, evento spiritualmente molto vicino e molto collegato a quel fantasma pieno di rancore.
Per poter essere libera completamente, ha dovuto operare sul secondo sigillo, e non è difficile credere che tutto l'odio che la popolazione del villaggio si è ritrovata a provare sia stata opera sua, e opera della tempesta sua complice.
C'è la possibilità, a quel punto, che in vita quell'uomo fosse affine all'elemento del vento, e questo gli ha permesso di muovere una maledizione ai danni di Iwatobi molto più violenta che una maledizione qualsiasi.
Il problema, ora, è riuscire a capire come poter rimediare a quando è accaduto per la completa disattenzione umana. E capire anche se la propria paura gli consentirebbe una qualsiasi azione di lotta o rivoluzione.
Aiichirou torna alla realtà, d'un tratto, rendendosi conto delle cose che ha pensato così intensamente – il freddo che sente sulla propria pelle esposta dalla divisa estiva aiuta nel processo, e anche la mano di Momotarou che si muove sul vetro cercando di catturare la sua attenzione. Quando si vede ricambiato nello sguardo, il fantasma accenna un mezzo sorriso, e smette di muovere le dita.Ripensa al loro primo incontro, perché il vuoto del terrore lascia volentieri spazio a una dolce malinconia.
Gli verrebbe quasi da ridere, se fosse il momento.
Vede se stesso riflesso vicino a Momotarou, e come i pensieri gli sono capitati in testa, lo stesso fa anche un confronto diretto. Considerare quanto è riuscito a cambiare, in quei mesi, è d'obbligo.
Risulta piccolo, fragile, con quel caschetto preciso in testa e i capelli lunghi, per un maschio. Un aspetto quasi femminile, dopotutto, che è ancora della sua adolescenza forse non così tanto acerba come lui ha sempre sperato, immaginando una maturazione piuttosto virile. Di muscoli se ne vedono pochi, l'altezza è nella media e i suoi tratti non sono particolarmente duri.
Il fantasma, accanto a lui, sorride, e gli mette una mano sulla spalla – Aiichirou lo sente, e spalanca gli occhi. Sente in ritardo rumore di passi avvicinarsi a lui, così da rimanere colto di sorpresa.

 

-Ai-chan!
Nagisa si ferma accanto a lui, rubandolo dalla propria visione. Ha il fiatone, e deve riprendersi: si sporge in avanti, appoggiando le mani alle proprie ginocchia, ma impiega solo qualche attimo ad alzare di nuovo lo sguardo su di lui.
-Ai-chan, sei qui!
È sinceramente felice, forse perché per il suo ordine di priorità non vedere un amico stretto per quasi tre giorni è un fatto grave, specialmente con quello che è successo ultimamente. È molto vicino a lui, e questo ricorda ad Aiichirou in maniera forse poco felice il loro primo incontro, tanto che dalle sue labbra esce qualcosa di molto simile a un pigolio frustrato.
-C-ciao, Nagisa-kun.
-Come mai non sei con gli altri?
-Sono andato in bagno.
Una raffica di vento batte contro la vetrata al fianco di entrambi i ragazzi. C'è un rumore lontano di pali che cadono, e nel vortice che si forma in aria non solo foglie e oggetti di poca consistenza danzano in circolo, spinti da una forza maggiore.
Nagisa non perde tempo, e gli prende le mani con le proprie.
-Ai-chan, devi venire con me!
Aiichirou è ben più che sorpreso, e in un primo momento non tenta neanche di fare resistenza. Ma qualcosa è già scattato in lui.
-Dove?
-Haru-chan, Mako-chan, Rei-chan e Gou-ch-
Prima che se ne renda davvero conto, dice qualcosa che lo vincola a una parte della propria volontà – si rende palese una determinazione che non sapeva neanche di possedere, e che ritrova implicita, in se stesso, ora che la propria figura e la propria persona gli sono chiare.
Ha sempre paura dei fantasmi, ma questo non gli impedisce di essere curioso circa la loro storia, e abbastanza umano da provare pietà per loro.
Ha degli amici che si preoccupano per lui, e che arrivano persino a litigare con lui nel momento in cui devono fargli notare che ha assunto un atteggiamento sbagliato.
I suoi genitori gli credono. Alcuni adulti gli credono, aumentando la sua fiducia in quella generazione lontana che non ha mai potuto avere prima.
E lui vive, assieme a tutti gli altri, una situazione di vero pericolo.
Mesi prima, non avrebbe saputo come affrontare una situazione del genere. Non l'avrebbe affatto affrontata: si sarebbe rinchiuso da qualche parte sperando di rimanere vivo, alla fine, in qualche modo, anche a costo di perdere tutto e tutto. Ora no, non è più disposto a perdere tutto, e mettersi in gioco gli pare ben più che accettabile.
Può proteggerli – deve proteggerli.
È suo dovere, perché si è ritrovato con una capacità in grado di porre rimedio a quel danno grave. Sentire la responsabilità di un compito del genere lo spaventa e lo motiva al tempo stesso.
Si ripete, perché ha l'erronea impressione che Nagisa non abbia voluto sentirlo.
-Io non torno.
-Cosa?
-Non torno assieme agli altri.
-Cosa stai dicendo, Ai-chan?
-Vado a fronteggiare la strega.
Ma l'amico lo ben sorprende, con uno sguardo serio e parole che non si sarebbe mai aspettato.
-Sei sicuro, Ai-chan? È davvero una cosa che vuoi fare?
Non lo sta fermando, e non lo sta neanche giudicando. Vuole essere sicuro, però, che la scelta che ha fatto è sua e solamente sua, senza alcun tipo di manipolazione al proprio interno. Nagisa dimostra di avere fiducia in lui, con quelle domande, perché si aspetta qualcosa dalla sua persona che pochi altri gli hanno mai rivolto: aspettativa.
Stringe la sua mano, e gli risponde sicuro.
-Sì, lo è.
Nagisa allora torna a sorridergli, e smette di tirare – solo per un istante, perché dopo si ricorda di una cosa davvero importante.
-Gou-chan ti deve parlare! Deve assolutamente farti vedere una cosa!
Aiichirou si rende conto di non poter rinunciare all'aiuto dei propri amici, grazie a Nagisa, e ricorda anche di avere diverse questioni in sospeso con loro.
Necessita della loro presenza, assolutamente. Ma non può rimanere in quel luogo, anche perché è quasi sicuro che qualcuno stia già arrivando, cercandolo, per portarlo indietro, e lui non può permetterselo.
-C'è poco tempo! Porta qui tutti quanti! Dobbiamo andare via!
Si ritrova a sorridere, ricordandosi di un fatto avvenuto non troppo tempo prima.
Lascia le sue dita e corre verso la palestra, da solo, per andare a recuperare tutto il resto del gruppo.
Viene ricambiato da un sorriso consapevole.
-Sempre in fuga. Non è vero, Ai-chan?
-Questa volta no.
Aiichirou si volta verso il vetro, quando l'amico è già lontano. Si avvicina a Momotarou, si china e si siede a terra; si appoggia alla superficie fredda con la tempia e un solo lato del capo, chiudendo gli occhi. Sente la sua carezza proprio sulla guancia, ed è tutto quello di cui ha bisogno in quel momento.

 

Come è andato via correndo, pochi minuti prima, così torna, trascinando tutto il gruppo del Club di nuoto.
-Ragazzi! Eccolo là!
Lo trovano inizialmente a terra, e quando si alza fanno a turno per abbracciarlo stretto. Sono tutti preoccupati, chi in maniera più palese chi meno, e vederlo relativamente calmo e presente, incline al contatto fisico, fa scemare soltanto un po' d'ansia.
-Nitori-kun...
-Nitori-kun.
-Nitori.
Prima Gou, poi Rei. Makoto e Haruka rimangono fermi al loro posto, limitandosi a guardarlo – il primo sorride velato, il secondo non fa neanche lo sforzo.
Quando li vede, Aiichirou prova un senso di vergogna che gli colora le guance di rosso: si china in avanti in un gesto deciso, e fissa il pavimento con ostinazione e pudore.
-Mi spiace. Per tutto quello che ho detto, mi spiace.
È sincero, e i suoi amici lo capiscono davvero. Non lo fermano, fintanto che lui ha qualcosa da dire, e attendono che si sia spiegato a dovere.
-Avevo paura! E l'ho anche adesso, è vero! Ma non avrei dovuto dire quelle cose!
Makoto è il primo che reagisce, e dapprima gli mette una mano sulla spalla, per farlo alzare. Sempre con un sorriso dolce sul volto, lo abbraccia e lo rassicura, perché non c'è assolutamente alcun rancore che lo anima. È solo contento che lui stia meglio.
Haruka non fa un passo, ma dalla sua espressione si può tranquillamente evincere che lo ha perdonato a propria volta. In questo momento, può esternare la propria preoccupazione, e Aiichirou può riceverla senza altro imbarazzo.
-C'è il tuo amico fantasma, qui?
-Sì, è qui con me.
Il ragazzo si volta verso la vetrata, sorprendendosi a vedere il fantasma un poco interdetto mentre guarda i componenti del gruppo: non è molto sicuro di sé, come suo solito, e rimane in disparte. Non può chiedere al diretto interessato cosa succeda, che il compagno maggiore gli fa un'altra domanda.
-Come si chiama?
Risponde Nagisa per lui, perché l'unico, in quel momento, che lo sa.
-Momotarou! Momotarou Mikoshiba!
Questo ricorda, nella maggior parte di loro, come quel nome sia abbastanza famoso. Sono tutti cresciuti in quei posti, a Iwatobi, quindi il collegamento con il tempo shintoista è piuttosto immediato. Per nessuno di loro può essere un caso.
Gou, all'improvviso, torna vicina a Aiichirou, con la mano sporta ben aperta.
-Nitori-kun! Ti devo fare vedere una cosa!
Ha il piccolo anello di oro bianco con sé, e lo mostra al ragazzo – stupido, incuriosito.
-Perché l'hai qui?
-Non potevo certo lasciarlo a casa! La creatura l'ha trovato in casa mia, e da come si comportava sembrava molto prezioso.
Aiichirou comprende poco, ma comincia a fare altre ipotesi. È possibile, a quel punto, che la famiglia Matsuoka e la strega abbiano avuto un collegamento di qualche tipo, esplicato da quell'anello. Deve solo avere una conferma per il proprio pensiero.
Si volta verso il vetro e fa vedere l'anello al fantasma.
-Momo.
Momotarou non gli risponde subito, più interessato a un altro particolare.
È come se vedesse, in versione femminile e più moderna, il proprio giovane padrone Rin.
-Quella ragazza. È una Matsuoka, vero?
Aiichirou gli risponde affermativamente con un cenno della testa, e i propri dubbi diventano ancora più fondati: ora è quasi sicuro della propria teoria.
Richiama l'attenzione del fantasma con un gesto, e Momotarou guarda prima lui e poi l'anello tra le sue dita. È a disagio, molto a disagio, e non riesce a tenere lo sguardo fermo – gli legge chiaramente la tentazione di scappare da quel luogo, o anche solo vanificarsi in una nuvola di luce.
Se compie lo sforzo di non dissolversi, lo fa per lui.
-Momo, riconosci questo oggetto?
-S-sì...
Decide di aiutarlo; mette una mano sul vetro, in modo che il legame che unisce loro due lo protegga in qualche modo – non si stupisce più di tanto che, in effetti, Momotarou si rilassi molto quando risponde al suo richiamo.
Gli altri ragazzi fissano in discreto silenzio la scena, senza considerare il proprio compagno pazzo neanche per un istante.
-Momo, prendimi la mano.
Aiichirou insiste.
-Questo anello è legato alla strega?
-P-penso lo si-a. Non lo so bene!
Nagisa è un po' impaziente, e cerca di capire meglio cosa stia succedendo, anche perché Aiichirou ha smesso di parlare da un po' e fa una faccia truce.
-Che dice?
-Dice che pensa di sì.
Non si separa dal vetro, ma ci appoggia la fronte alla ricerca di un contatto ancora più intimo.
-I suoi ricordi sono molto sfalsati. Deve avere un legame stretto con la strega, che gli impedisce di ricordare qualcosa. Qualcuno commenta in altro modo il tutto, in una volontà comune.
-Dovremmo andare al tempio. Forse lì hanno delle risposte.
-Lo credo anche io.
Aiichirou vuole essere chiaro ed esplicito con tutti loro, perché solo in questo modo si sente di ricambiare l'amicizia grandissima di cui è oggetto. Vuole loro bene, e non ha intenzione di tradirli.
E quando pronuncia la propria frase, lo fa con tutta la sicurezza in proprio possesso.
-Voglio esorcizzare la strega.
Makoto, Haruka, Nagisa, Rei e Gou lo guardano, seri.
Poi il capitano della squadra pronuncia la propria sentenza definitiva, che tutti hanno il dovere di seguire, di lì in poi.
-E noi ti aiuteremo a farlo.
Aiichirou sente un poco di paura svanire.

 

I put a spell on you because you're mine
You better stop the things that you do
I ain't lyin', no, I ain't lyin'
I just can't stand it babe
The way you're always runnin' 'round
I just can't stand it, the way you always put me down
I put a spell on you because you're mine

[Annie Lennox – I put a spell on you]

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Capitolo 35
*** 34. Capitolo trentaquattro ***


34. Capitolo trentaquattro

 

 

 

Lo trova nei pressi dell'uscita di emergenza, assieme a un gruppo di ragazzi che riconosce essere quelli che sono andati a casa a trovarlo, quando è stato malato – il suo istinto lo ha condotto fin lì, quando ha saputo che il proprio figlio era disperso e non si trovava nei luoghi comuni dell'edificio; più dell'assistente e della capoclasse, è stato lui ha entrare nel panico, e ha voluto a tutti i costi avere il permesso di andare a cercarlo. Assieme a due adulti, un insegnante e il proprietario di una piscina locale, è partito alla ricerca. Ma ancora prima che gli altri potessero dirgli qualcosa, si è diretto verso i percorsi e i corridoio che portavano all'esterno.
E infatti, ha avuto ragione.
Il signor Nitori ha il fiatone da persona minimamente abituata allo sforzo fisico quando apostrofa suo figlio, immobilizzandolo sul posto.
-Dove pensi di andare?
Aiichirou lo guarda con occhi spersi, probabilmente pensando di star vivendo la peggiore delle ipotesi possibili. Tra tutti gli adulti, proprio lui doveva capitargli.
Tenta di parlare, ma viene interrotto quasi all'inizio della frase dall'uomo.
-Papà, io devo-
-No, tu non devi niente. Ci sono le autorità competenti, lascia fare a loro.
Non barcolla, né retrocede. Il signor Nitori lo nota, anche se è piuttosto irritato – non potrebbe essere altrimenti, con un figlio con manie da eroe come il proprio, che gli sfugge dalle mani ogni volta che ne ha l'occasione. Non vuole ritrovarsi con niente da stringere, e quindi comprime più che può.
Ma Aiichirou lo affronta, e non abbassa gli occhi.
-Non è una cosa che qualcun altro può fare.
Sente quella frase come una provocazione, e allora alza la voce. Non serve a niente che l'insegnante Amakata tenti di calmarlo, o che il signor Sasabe sia quantomeno perplesso dal suo comportamento.
Quello è suo figlio, e tocca a lui educarlo.
-Cosa ti fa credere che rischiando la tua vita riuscirai a cambiare qualcosa?
-La nonna mi ha sempre preparato a questo.
-Tua nonna diceva un sacco di fesserie!
-No, ha sempre avuto ragione. E tu lo sai. Non puoi non saperlo.
Lo blocca la sicurezza con cui lo apostrofa di rimando, una durezza che riconosce quasi propria.
La stessa, d'altronde, che spesso gli ha rivolto, ma scevra di irritazione o rabbia. Aiichirou è molto più innocente di quanto lo sia mai stato lui.
-Papà-
Ricorda la creatura che ha visto uccidere, ricorda il proprio dolore e la propria impotenza – ed è incredibile come molti adulti abbiano le stesse debolezze, alla fine, perché accomunati da un generale senso di avercela fatta, dopotutto, nel superare l'adolescenza e la minor età. Dimentichi di essere umani, che cambiano ogni minuto e imparano con altrettanta velocità.
E soffrono, e amano, e vivono.
Il signor Nitori si dibatte contro qualcosa che non vuole accettare.
Lo colpisce con uno schiaffo, andandogli abbastanza vicino; il gesto scoppia assieme a un lampo, e lascia tutti i silenzio, meravigliati e sorpresi.
-Tu non andrai da nessuna parte!
Per quanto quello lo lasci qualche secondo interdetto, il ragazzo torna a guardarlo piano, senza dare segni di profondo turbamento.
-Ti prometto che tornerò. Non sto fuggendo, né da te, né dalla mamma, né dalla realtà. Non questa volta.
L'uomo non può competere con la forza di suo figlio, che addirittura non retrocede.
È ancora piccolo e fragile, e addosso ha un evidente terrore; non di lui, giammai di lui. Si chiede, Aiichirou, come sia stato possibile essersi permesso di avere timore del proprio stesso genitore.
Che sciocca debolezza.
-Papà, fidati di me. Anche io ho paura, ma questo non mi fermerà più, perché ho degli amici con me. E ho anche voi, che mi avete sempre protetto.
Il signor Nitori capisce, finalmente, che quello è il suo limite. Non può decidere per suo figlio, anche se implicitamente il fatto che lui abbia gli strumenti per farlo è merito soltanto suo e di sua moglie.
Piange, senza accorgersene, e scivola a terra in silenzio.
Aiichirou lo abbraccia forte.
-A dopo, papà.

 

***

 

-Cosa credete di fare?
-Dobbiamo andare al tempio!
-Quello sull'altra collina?
-Sì!
-E come pensate di arrivarci?
-Correndo!
-Non dite stupidaggini! Venite con me!

 

Quella mattina, Miho non ha avuto voglia di affrontare la tempesta con il proprio ombrello rotto. Sa bene che per gli studenti è proibito arrivare a scuola con la macchina, ma non lo è altrettanto per gli insegnanti – oltre il giardino della scuola, protetto dalla stessa recinzione che circoscrive la zona delle biciclette degli alunni, si trova il parcheggio pieno soltanto della sua piccola utilitaria color rosso cupo e l'auto nera che appartiene al preside della scuola.
Nella sua borsa, ci sono le chiavi dell'auto.
-Vi porto io!
La pioggia scuote tutto, e alza ripetutamente la gonna di Gou; Rei tenta di proteggerla come può, con tutto il pudore possibile, ma è ben complicato dato la forza del vento – questo però non impedisce alla ragazza di apprezzare il suo gesto.
Makoto tiene Haruka stretto a sé, come nel terrore che possa volare via da un momento all'altro.
Aiichirou è davanti alla professoressa, abbastanza perplesso.
-Siamo in troppe persone.
-Nessuno ci fermerà per fare dei controlli, con questa tempesta.
-Non vorremmo coinvolgerla.
-Siete miei studenti. Solo per questo sono coinvolta.
Ha un attimo di titubazione, prima che un'altra folata freddissima scompigli tutti i suoi capelli e lo costringa a prendere una pausa dai propri pensieri. Ormai sono tutti fradici, e rimanere fermi ancora per molto non pare una buona idea a nessuno. Eppure, il ragazzo sente di dover chiedere una cosa molto importante alla donna.
-Lei sa perché dobbiamo andare al tempio, vero?
Lei sorride, quasi con fare materno. Le viene fuori una confessione fuori luogo, che però fa capire quale sia il livello di intimità che li lega tutti.
Ancora una volta, Aiichirou si sorprende di quanto poco solo sia sempre stato.
-Nitori-kun, Gou-chan mi parla spesso di te. So di cosa sei capace.
-E le va bene?
Ora è lei ha titubare, per qualche istante.
Non può negare di essere stata paralizzata dal terrore, e di esserlo ancora di fronte a certi pensieri. Le sue gambe tremano, e non ha davvero idea di come li aiuterà a raggiungere il tempio shintoista, in quello stato d'animo.
C'è sensibilità e sensibilità, però, e di fronte al coraggio del ragazzo, anche lei ha ricordato quale sia il suo compito: basta attribuire il giusto valore ai nomi, e tutto sarà perfetto – è un concetto filosofico intrinseco nella loro cultura, per quanto rielaborato.
E lei è una professoressa, con il dovere di formare dei futuri perfetti cittadini.
Sorride a lui, con tutta la forza che ha.
-Tu hai deciso di affrontare la tua paura, no? E anche la strega, o chiunque muova questa tempesta.
Lo tocca sulla spalla, giusto per sottolineare la propria decisione.
-Non posso certo essere da meno rispetto a un mio studente. Sarebbe oltremodo vergognoso.
Aggiunge anche un detto strambo, probabilmente di origine cinese, che fa sogghignare un po' tutti.
Aiichirou sorride, e ancora sorridendo si rivolge agli altri ragazzi – cominciano a salire in macchina, poco alla volta.
Qualcuno, però, resta indietro.
-È giusto.
Il signor Sasabe non può entrare in macchina: davvero gli sarebbe impossibile, e Miho se ne accorge. Si avvicina a lui, con tutti i capelli attaccati alla testa.
È un po' incerta – lui gli prende le mani, per stringerle forte.
-Tu mi aspetti qui?
Sorride e la bacia, per darle tutto il coraggio che possiede nel proprio corpo.
-Non credo di poter aiutare in altro modo.
Si uniscono in un abbraccio veloce, stretto e caldo. La macchina parte celere, mentre il signor Sasabe rimane a guardarla fintanto che non sparisce oltre la curva morbida della collina.

 

Gou davanti, nel posto dell'accompagnatore, accanto alla professoressa che guida, perché non è elegante far accomodare una signorina sulle gambe di un compagno di classe – e nonostante quello che accade, tutti loro ben ricordano cosa sia il pudore. Haruka stretto dalle braccia di Makoto, Nagisa arrampicato contro Rei; Nitori in mezzo, che guarda dove la macchina si dirige, e a sobbalzare senza riparo alcuno a ogni piccolo sasso che quelle ruote incontrano.
Amakata non è spericolata, al volante, ma sa come andare veloce, e conosce piuttosto bene le strade di Iwatobi.
Una volta presa la discesa principale della collina, ha proseguito per un bel pezzo in linea dritta, senza sbavature o intralci. Il forte vento della tempesta ha cercato di far andare fuori strada la piccola vettura, ma forse il grande peso che porta o forse l'alta velocità l'ha inchiodata al cemento, senza farla volare via.
È apparso un albero sradicato a metà, a un certo punto, che ballava nel vuoto. La professoressa ha schiacciato di più l'acceleratore, proprio nel momento in cui un fulmine è caduto vicino e ha fatto tremare tutto il versante sinistro della collina, così che, lentamente, le ultime radici resistenti cedessero. Poco a poco, l'albero cadeva – Makoto ha urlato, e ha chiuso gli occhi dietro la spalla di Haruka, per non dover sopportare la forza dell'ansia, mentre Gou si è tenuta al proprio sedile con entrambe le mani. Sono passati, appena prima che l'albero cadesse a terra, e Nagisa potrebbe aver giurato di aver sentito le foglie dei rami accarezzare il tetto della vettura.
Un mucchio di fango ha deviato, poco più in basso, il tragitto lineare del gruppo, e con una virata davvero pericolosa Miho ha imboccato una via laterale, soltanto per i pedoni, fatta per lo più di scale e scalini ma abbastanza larga da far passare la sua utilitaria. Makoto e Rei si sono piegati un poco in avanti, per non sbattere la testa contro il soffitto; Aiichirou si è aggrappato con tutte le proprie forze ai due sedili anteriori, per non venir sbalzato via a un gradino più alto degli altri. Appena la professoressa ha trovato un varco per la strada vera, ha girato colpendo la staccionata di una casa, e sfregando le portiere di metallo contro un muretto stretto è tornata in carreggiata, mentre già la macchina borbottava non piano.
È lì che li vede – proprio in questo momento. Per un istante, la guida le sfugge di mano, tanto che la porta a sbandare contro il corpo di uno di quegli esseri, tanto da attirare la sua attenzione.
I piedi della collina sono invasi da strani mostri: non hanno altre definizioni per descrivere ciò che stanno vedendo. Masse di muscoli e corpi deformi, assomiglianti solo vagamente a creature vive; si muovono, alla ricerca di qualcosa, distruggendo ciò che trovano sul loro cammino.
Case scoperchiate. Muri distrutti. Vetture fatte a pezzi.
Qualcosa fa intuire al gruppo che non sono gli oggetti quello che loro cercano, specialmente quando due di queste alte creature, con le zampe più lunghe dell'intero corpo, cercano di afferrare negli artigli la vettura della professoressa.
Nagisa urla il pericolo che arriva da sinistra, e con una manovra saputa la donna scappa dall'una e dall'altra mano, immettendosi in una strada secondaria che porta verso la spiaggia.
Solo una delle due creature parte all'inseguimento.

 

Miho regge molto bene la pressione. Nagisa urla ogni volta che un mostro allunga una mano o un artiglio, o si avvicina troppo – ha occhi attenti e una lingua veloce, fatta apposta.
La macchina sfreccia fino ad arrivare, finalmente, alla base della collina, e prende la strada del lungo mare arrivando a correre sulla sabbia bagnata dall'acqua, dura e compatta.
Quando Aiichirou guarda in alto, al cielo, vede chiaramente una nube più chiara delle altre da cui emergono dei tratti quasi facciali, come se un enorme viso stesse guardando tutto ciò che succede su quel pezzo di terra. L'uomo chiamato strega è lì, e sta assistendo a tutto.
All'improvviso, il muro di una casa viene fatto cadere in spiaggia, proprio davanti alla macchina: un mostro più piccolo, tentacolare, esce da un'abitazione disabitata, e si fa avanti. La vettura sbanda, e va a finire contro un piccolo stabile balneare, sbattendo con la parte anteriore.
Aiichirou non viene catapultato in avanti soltanto per la cintura che lo tiene fermo al proprio posto, pur trattenendolo in un modo tale da farlo piegare dolorosamente. L'unica che si perde qualche secondo di razionalità è proprio la professoressa, che avendo girato apposta la macchina dalla propria parte, in modo da evitare il danno maggiore ai propri studenti, colpisce di forza con la testa il volante della macchina.
Haruka non si deve slacciare niente: esce dal finestrino abbassato e scivola sul cofano della macchina, cercando di raggiungere i posti in avanti della vettura. Vedendo sangue sul vetro, si spaventa, e tenta di aprire la porta. Un ringhio, dietro di lui, lo riporta alla realtà.
È strano come, a quel punto, la sua mente si focalizzi più che altro sull'aspetto del mostro che ha davanti, e non sulla sua pericolosità. Appare un polipo, con braccia al posto dei tentacoli, e strani occhi bianchi sul capo tondo e molle. Fa per prenderlo e trascinarlo in acqua, quando qualcosa spinge via il ragazzo e ne prende il posto, proteggendolo.
Lo sguardo di Makoto che si perde nel terrore è la cosa che lo fa tornare, di violenza, alla realtà – e prima ancora di vederlo affogare assieme al mostro, s'è già tuffato in acqua, nonostante le urla di Gou e Aiichirou.

 

And I need you now tonight
And I need you more than ever
And if you only hold me tight
We'll be holding on forever
And we'll only be making it right
'Cause we'll never be wrong together
We can take it to the end of the line
Your love is like a shadow on me all of the time (all of the time)
I don't know what to do and I'm always in the dark
We're living in a powder keg and giving off sparks
I really need you tonight
Forever's gonna start tonight

[Bonnie Tyler – Total Eclipse of the heart]

 

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Capitolo 36
*** 35. Capitolo trentacinque ***


35. Capitolo trentacinque

 

 

 

Tutto è nero, scuro come la notte che si è stagliata sul villaggio di Iwatobi. Sotto la superficie dell'acqua salata del mare, c'è soltanto un'ombra che ingloba tutto, e tutto dissolve.
Makoto rilascia ossigeno in tante bolle trasparenti, e sembra soffrire una mancanza d'aria sempre più opprimente. Il fondale non è molto basso, ma la creatura tiene ben strette le sue caviglie senza lasciarlo andare giammai; per quanto si dimeni, per quanto cerchi di fare resistenza, rimane sempre immobile, come un'ancora nelle profondità oscure.
Haruka raggiunge lui e la bestia mostruosa con poche bracciate, ritrovandosi senza sapere bene cosa fare. Strattona lui, strattona le dita giganti che lo tengono immobile, da calci alla creatura e si dibatte con altrettanta violenza. Nuota a cerchio attorno al ragazzo, sperando che la creatura prenda lui e lo lasci andare libero – non gli importa niente di star rischiando la vita, perché sul piatto della bilancia c'è Makoto.
Ma lo stesso vale per il fidanzato, che pur con il petto che brucia per i polmoni stretti e vuoti lo spinge via, per quanto può, e lo incita ad allontanarsi con quel gesto.
La creatura, sotto di loro, apre le fauci senza denti, allargando le labbra elastiche fino oltre le dimensioni di una persona umana: il suo stomaco è un buco, pieno di punte aguzze che appaiono zanne, che comincia a risucchiare tutto e trasporta il corpo sempre più inerme del capitano della squadra di nuoto. Haruka lo prende per i polsi, cercando di trattenerlo, ma si rende conto che il risucchio della creatura è più forte di quanta energia lui possa mai possedere.
Sarebbe quasi facile lasciarlo andare e scappare – le sue braccia glielo permetterebbero, e anche l'affinità con l'acqua, che tutto farebbe per proteggere il proprio pupillo: questo il ragazzo lo sente distintamente, quando qualcosa lo spinge in alto e tenta a tutti i costi di allontanarlo da Makoto.
Non lo fa. Non lo farebbe neanche per la propria vita. Non lo farebbe, proprio per paura di una vita senza Makoto. Non lo fa, perché sa quale sia il valore del loro legame, lo percepisce irrazionalmente.
Allora gli abbraccia il petto, stretto, e si cinge a lui con braccia e gambe. Si solleva appena, quando la creatura lascia i piedi del ragazzo e permette al suo corpo di venire risucchiato dalla bocca; lo bacia sulle labbra, attendendo che la morte li colga assieme.
Sousuke attende l'ultimo secondo, però, per ordinare al proprio schiavo di sputare la coppia già nella sua gola: ha visto abbastanza. Quei due non sono stati attaccati dalla sua maledizione, è più che evidente.
Makoto e Haruka hanno qualcosa che lui ha perso, e questo gli impedisce di punirli come vorrebbe. Lui si sarebbe sacrificato per Rin, per donargli una vita felice – non come Haruka, che non ammette vita senza il proprio amore. Colpito, nel profondo, permette loro di andare liberi, e non ha più intenzione di toccarli.

 

Haruka si accorge qualche secondo in ritardo di essere stato sputato dal mostro. Apre gli occhi, e vede il chiaro che si infrange contro la superficie dell'acqua; l'ombra si è un poco ritirata, e non li tocca più. Si muove appena, trovando forza nelle proprie gambe, e ancora abbracciato a Makoto risale in alto, fino a trovare l'aria per sé. L'acqua lo aiuta a raggiungere la riva, tra pioggia e onde alte, e lo abbandona al sicuro sulla sabbia compatta, per non toccarlo più.
Incurante di quello che gli sta attorno, dei mostri e delle creature, dei suoi compagni che lo stanno raggiungendo di corsa, ha attenzioni soltanto per il fidanzato. Ha già visto Makoto in quelle condizioni, diverso tempo prima, ma ora non ha più alcun dubbio su cosa deve fare: gli tappa il naso e soffia nella sua gola, per immettere ossigeno e un poco di aria nei polmoni. Ripete il gesto un paio di volte, sempre più pieno di terrore, e finalmente ottiene il risultato sperato.
Makoto vomita tutta l'acqua ingoiata, mettendosi di lato, continuando a sputare per colpa del bruciare che sente lungo tutta la gola. Impiega un po' per riprendersi del tutto, quindi si volta verso Haruka. Il ragazzo è sul punto di piangere, costretto in una condizione davvero frustrante.
Haruka lo colpisce al petto, facendolo di nuovo tossire.
-Tu e la tua mania di fare l'eroe.
Si china contro di lui, appoggiandosi con la fronte al petto, per evitare che l'altro effettivamente scambi la pioggia che gli cade dagli occhi per qualcosa di ben più imbarazzante.
Se non lo amasse così tanto, potrebbe quasi dire di odiarlo.
-Avresti potuto morire.
Makoto lo accarezza piano sulla testa, tra i capelli bagnati, sia per farsi un poco perdonare sia per dirgli, comunicargli che è lì, e che non andrà più da alcuna parte. E il merito è soltanto suo.
-Grazie per non averlo permesso.
Un altro pugno, anche se più debole e piccolo.
-Idiota. Affronterei il futuro per te. Questo è niente, a confronto.
Tutto quello che hanno sofferto e pensato negli ultimi mesi – le loro angosce per la fine della scuola, il terrore di doversi separare anche solo per poco, la paura di non riuscire più a vivere il loro rapporto come prima – è svanito di colpo, perché si sono ritrovati con in mano verità e sentimenti incancellabili, troppo grandi. Non hanno più paura di niente.
Per questo si baciano, sotto la tempesta, unendo labbra e anima in un sol gesto.

 

La pioggia sembra essersi calmata un poco, vicino alla spiaggia, e questo ha permesso ai ragazzi di prelevare il corpo della professoressa Amakata e di trasportarlo in uno stabile lì vicino, in modo da metterlo al riparo. È ancora viva – respira – ma difficilmente sarebbe in grado alzarsi e correre assieme a loro: è un problema.
La lasciano lungo distesa sul pavimento di legno, a guardarla sospirare piano, con gli occhi chiusi. Makoto si strappa un pezzo della propria maglietta fradicia, per poterle pulire la fronte e i capelli dal sangue; la ferita ha smesso di sanguinare, e quel poco di pioggia che è rimasta le ha lavato un poco il viso, almeno, anche se non in modo sufficiente.
È sempre il ragazzo a sedare ogni dubbio sospeso.
-Restiamo noi, qui con lei.
C'è un piccolo tentativo di protesta, da parte di Rei, che viene subito zittito.
-Ma i mostri-
-Si stanno dirigendo tutti verso la cima della collina, no? Qui nascosti non ci accadrà nulla.
Sorride, come solo lui sa fare; Haruka gli si stringe vicino, in modo che sia chiaro che lui è d'accordo con quanto detto dal capitano. L'acqua sarà la loro protezione, e lui per forza di cose deve rimanere lì con loro.
-Ora andate, state perdendo già troppo tempo.
Gli altri ragazzi si guardano l'uno con l'altro, prima di alzarsi da terra e cominciare ad andarsene. È vero: non possono rimanere in quel luogo ancora a lungo.
Nagisa si concede un'ultima premura, prima di correre via assieme agli altri.
-Prendetevi cura di Ama-chan!
Makoto sorride e li saluta, per poi stringersi al suo Haruka e rassicurare anche lui – lo sguardo che il nuotatore tiene fisso non può che essere un chiaro messaggio, per lui.
-Se la caveranno, non ti preoccupare.
Haruka arrossisce un poco, per poi alzargli il braccio di forza e farsi stringere, sempre in silenzio.

 

Arrivano alla lunga scalinata per il tempio correndo, quasi sempre su una linea piana. Hanno dovuto inventarsi un itinerario alternativo, per scansare tutte le case scoperchiate e le residenze distrutte dal passaggio di quei mostri. Si sono anche dovuti nascondere dietro un muro basso, ad un certo punto, e aspettare che una delle creature piene dell'odio della strega passasse per conto proprio, nella speranza che non li percepisse e non li attaccasse – con la terra che tremava a ogni suo passo, quella bestia si è allontanata poco a poco, confondendosi quindi con l'ombra e la tempesta. Riprendendo il cammino veloce, vanno sempre più in alto.
Gou accenna moti di fatica già dalle prime rampe, abituata ancor meno di tutti gli altri a quel tipo di sforzo fisico. La sua convalescenza non è del tutto terminata, e tra sudore e pioggia, temperatura alta per colpa dell'adrenalina e il freddo di tutta quell'aria che le spira addosso, il suo fisico è più provato di quanto non possa o voglia ammettere. Quando, in effetti, la sua fatica rallenta troppo il gruppo, Rei e Nagisa le vanno vicini, prendendola per le spalle e trascinandola di peso. Vanno più lenti, ma almeno non si fermano ogni venti gradini, e questo fa la differenza.
Aiichirou, una volta che il gruppo ha raggiunto una certa altezza, riesce a vedere il disastro in cui verte il villaggio, da una spaccatura degli alberi che si è aperta sul fianco della collina.
C'è un turbine d'aria, non troppo in lontananza, che fa disastro con i tetti bassi delle case. Si vedono come orme di mostro, ovunque: è facile capire dove siano passati, perché non hanno lasciato niente di integro. La pioggia ha ripreso a battere forte, fortissimo, e copre ogni tipo di rumore e ogni tipo di vibrazione della terra e dell'aria.
Sembra che il villaggio di Iwatobi sia morto, e ciò che lui vede è solo il cadavere martoriato che ne rimane. È una visione più che triste, straziante, anche per una persona come lui che in quel luogo ha vissuto poco meno di un anno.
-Ai-chan!
Nagisa lo chiama, e lui riprende a correre.
L'attimo dopo, però, Nagisa lo chiama ancora, e questa volta con più fermento e fretta, in uno strillo acuto.
-Ai-chan!
Fa appena in tempo a capire la ragione del suo terrore, che si china in basso e per evitare il colpo di un mostro; un albero, ai lati della scalinata, muore al posto suo. Il ragazzo rotola di fianco, cercando di allontanarsi per quanto può.
Un fulmine lo aiuta a vedere meglio ciò che gli si para davanti, e non è per nulla riconoscente. Una torre alta, come un golem di sassi e pietra aguzza, che ruota su se stesso e vortica, in una spirale che ricorda tanto la logica dell'incoscienza che anticipa il sogno.
Il mostro si china e spacca i gradini della scalinata – Aiichirou urla, e tenta di alzarsi in piedi, ma le sue gambe non lo ascoltano e continuano a tremare, impedendogli di rialzarsi anche solo per qualche secondo. La creatura, almeno, è lenta, e prima di assestare un altro colpo deve prepararsi per bene; non sembra in gradi di camminare, rotola sul masso più basso che si trova a contatto col terreno. Aiichirou viene recuperato da Rei e Nagisa, che lo prendono per le braccia e lo trascinano, sempre strisciando, su gradini più alti.
-E questo cosa dovrebbe essere?
Rimangono terrorizzati in un punto, senza sapere bene cosa fare. Non hanno idea se quella creatura è in grado di salire i gradini come loro, se è in grado di correre o meno.
Urlano tutti, l'un vicino all'altro.
-È uno dei mostri della strega! Deve averli creati quando è diventata un fantasma!
La creatura sferra un altro colpo, e i ragazzi si ritrovano a doversi rifugiare tra gli alberi della colline, alla ricerca di riparo. Pessima mossa: quella cosa comincia a colpire gli alberi, facendoli cadere uno a uno.
-Che facciamo?
Aiichirou alza lo sguardo: il versante della collina è ripido, pieno di fango e di sassi. Probabilmente, nasconde anche qualche altra bestia. Ma è l'unica via percorribile.
Nagisa lo ha intuito a propria volta, ma si spinge nella direzione opposta, dove c'è la creatura.
-Voi continuate a salire! Io penso a questa bestia!
-Ma, Nagisa-
Sorride, mentre si fa vedere dal mostro e ne cattura l'attenzione. Sembra che ora quella creatura si sia irritata, e il vorticare delle sue rocce ha una maggiore velocità: ogni colpo che sferra è sempre più forte.
Rei ha paura, e urla ugualmente.
-Rimango anche io!
Non può lasciare l'amico da solo, in quelle condizioni, perché non se lo perdonerebbe mai. E con due obiettivi la creatura sembra più che mai stordita, almeno per il momento.
Ci starebbe da scommettere quanto la coppia possa resistere, e quanto invece la creatura sia forte.
Aiichirou, però, non vuole fare niente del genere. Prende la mano di Gou, ingoiando tutta la frustrazione che sta provando, e va avanti, arrampicandosi sulla collina.

 

Finalmente, il tempio.
Sporchi di fango e pieni di graffi, irritazioni e tagli, Aiichirou e Gou sono arrivati sulla cima della collina. Il luogo sembra ancora intatto, non toccato da mano nemica, e questo fatto è piuttosto singolare.
I ragazzi corrono ancora, lungo il viale contornato dalle lanterne di pietra ormai spente, entrando nella prima sala che trovano. La sala del sessha si apre a loro illuminato solo da qualche candela, e animato da un silenzio ben più che mortale. Gou cade a terra, sfinita, tenendosi a malapena la chioma rossa sfatta.
-Chi è là?
Da un angolo buio, appare un giovane uomo, armato di rastrello. La ragazza squittisce di paura, non riconoscendolo subito come umano; per fortuna, Aiichirou ha abbastanza spirito in corpo per rispondere alla domanda di lui.
-Siamo due ragazzi! La prego, signor sacerdote, abbiamo bisogno del vostro aiuto!
L'ujiko si fa avanti, venendo meglio illuminato dalla poca luce presente. Li guarda sospettoso, ma poi abbassa il proprio strumento da battaglia.
-Cosa ci fanno due ragazzi come voi qui, nel giorno dell'apocalisse?

 

I practice every day to find some clever lines to say
To make the meaning come through
But then I think I'll wait until the evening gets late and I'm alone with you
The time is right, your perfume fills my head, the stars get red and, oh, the night's so blue
And then I go and spoil it all by saying something stupid like "I love you"

[Frank Sinatra – Somethin' Stupid]

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Capitolo 37
*** 36. Capitolo trentasei ***


36. Capitolo trentasei


-Il signor Mikoshiba è stato portato via dagli infermieri. Essendo molto malato, non poteva muoversi da solo, e la moglie ha insistito perché non rimanesse al tempio con il rischio che crollasse tutto quanto.
Hayato Shigino guarda i due ragazzi seduti davanti a loro, sopra dei cuscini che ha loro personalmente donato. Tremano di freddo, pur stando bevendo il tè caldo che ha opportunamente preparato – specialmente la ragazza, che non riesce proprio a fermarsi, e si guarda attorno come se dovesse irrompere nella stanza un mostro o qualcosa del genere da un momento all'altro.
Il ragazzo mostra lo stesso tipo di paura, ma rimane un poco più controllato, fermo nella propria posizione. Lo guarda in viso, aspettando qualcosa, forse una particolare parola per iniziare un discorso più lungo.
Da quando hanno messo piede al tempio, c'è una strana atmosfera; non di pericolo, perché anche prima l'aria era in fermento, e la terra tutta tremava di paura. Piuttosto, qualcosa legato alla notte e alla morte, che gridava vendetta.
Hayato sospira, piccolo, nei propri panni di semplice spettatore, e sorride amaro a ogni parola che pronuncia.
-Io sono rimasto al tempio perché è mio dovere proteggerlo, nel caso manchi un'autorità più alta.
-Il signor Mikoshiba non ha figli?
-I signori Mikoshiba sono una coppia molto sfortunata. Non hanno avuto la benedizione di una nuova vita.
Quindi, al tempio non è rimasto nessun sacerdote con un incarico formale: Aiichirou pensa a questo, e riconosce con un certo rammarico che questo lo mette in difficoltà più grandi di quelle che temeva.
Hayato è stato gentile, con loro. Li ha accolti e li ha riscaldati, con una coperta e del buon tè; ma è abbastanza chiaro che li reputi poco più che intrusi, e fatica a credere alle loro parole. Non vuole farlo, questa è la verità, e finché non riusciranno ad abbattere quella sua resistenza tutto sarà abbastanza inutile – anche aver lasciato gli altri ragazzi indietro, nella speranza di una risoluzione salvifica.
Il custode sospira, cercando di mostrarsi quantomeno affranto.
-Riguardo quello che mi avete chiesto. Temo sia impossibile per me farvi accedere alla stanza dell'honden. Questo rimane un luogo sacro, anche se stiamo vivendo una situazione non ordinaria.
Aiichirou capisce che non può tergiversare, di fronte a quanto appena detto. La serietà della situazione glielo impone, e anche la fretta che sente sotto le dita.
Si decide semplicemente a dire la schietta verità, perché è tutto ciò che gli resta: anche a costo di sembrare stupido, anche nella prospettiva di dover giustificare anni e anni di negazione forzata.
Non può, in alcun modo, permettere all'uomo di bloccarlo proprio a quel punto.
-Signor Shigino, lei crede ai fantasmi?
-Dopo quello a cui ho assistito nelle ultime ore, anche se non volessi crederci, oserei dire che ne sono costretto.
-Conosce la storia della strega di Iwatobi?
L'uomo sorride, abbastanza affabile – ha un animo gentile, dopotutto, e uno spirito pronto all'empatia. Aiichirou ne ha riprova, e ha intenzione di sfruttare questa sua dote; lo ascolta mentre recita, con voce limpida, il ritornello di quella filastrocca che ormai sa anche lui a memoria.
Sembra quasi una preghiera, nella sua bocca.
-La tramontana soffia su corpi distesi nel letto di morte, soffiando via anime come spiriti irrequieti. La tramontana soffia su corpi distesi nel letto di morte, raccogliendo l'essenza della vita abbandonata. La tramontana soffia su corpi distesi nel letto di morte, estirpando la colpa con una vendetta buia di notte. E dal mare sorgerà il peccatore con falce assassina. E dalla terra risorgerà la putrefazione dimenticata. Nero che fagocita ogni spilla di luce. È un ritornello che si dice spesso ai bambini, perché obbediscano. Anche io sono cresciuto al villaggio, la conosco bene. E se non mi ricordo male, c'è anche un'altra parte, oltre quello.
Interviene, per la prima volta, anche Gou. Alza lo sguardo verso il custode del tempio, che rimane zitto per lasciarle la parola.
Qualcosa va a sbattere contro la parete esterna della stanza, probabilmente il ramo spezzato di uno dei cipressi lì presenti. Gou non si impaurisce, non più, anche se le parole non le vengono precise alla memoria.
-Se lacrime di luce... luce-
Hayato le sorride tranquillo, e completa la frase per lei.
-Ma se lacrime di luce scenderanno sulla mano del peccatore, il cielo tornerà ad aprirsi. E la pace, e l'amore, e tutte le cose belle splenderanno. Ascenderanno gli angeli, il mare e il vento saranno di nuovo domati.
Gou riesce persino a sorridere, a quelle parole, ricordandosi finalmente anche lei tutta la filastrocca che ha sentito così tante volte da bambina. Ricorda, in effetti, di non averne mai avuto paura, ma solo crescendo non ricordava più il perché.
In quella nuova strofa, Aiichirou trova la soluzione a tutti i loro problemi: ha capito, probabilmente, come fermare la strega. E lo comunica con decisione al custode.
-Signor Shigino, io vorrei evocare lo spirito che ha maledetto questo villaggio.
-Per quale motivo?
-Vorrei provare a fare un esorcismo.
A quelle parole, l'uomo davanti ai ragazzi ha una vibrazione più forte delle altre. Si chiude a bere un lungo sorso di quel tè ormai quasi del tutto freddo, e per ben più di un attimo rimane a fissare il vuoto, rivivendo certi sentimenti dimenticati. Aiichirou riconosce un dolore non dimenticato, e una malinconia ben radicata.
-Altre persone prima di te hanno tentato, e probabilmente avevano anche mezzi efficaci per farlo. Nonostante questo, sono cadute in un confronto diretto con lei.
Azzarda un nome, che fa spalancare gli occhi all'uomo, di stupore e meraviglia.
Dopo così tanti anni, certo non si sarebbe aspettato di sentire quelle due parole proprio in bocca a un ragazzino spaurito.
-Conosce Kisumi Shigino?
-Come fai a sapere il nome di mio fratello?
-Ho già evocato lo spirito. Mi ha fatto lui questo nome.
Hayato ha un altro momento di raccolta, che gli fa abbassare gli occhi. È giovane, per essere solo un custode, e già ha sulle proprie spalle il peso della morte di una persona cara.
Lui ricorda Kisumi, gli voleva davvero bene. Il fratello maggiore era riuscito a entrare nel tempio in veste di sacerdote, per sopperire alla mancanza di eredi diretti da parte della famiglia Mikoshiba. Era bravo, portato per quel lavoro, caritatevole e pieno di talento. Adorava, poi, rimanere fuori la notte, a parlare con gli spiriti della natura, e gli piaceva tantissimo chiacchierare con i fantasmi.
Quella notte, il suo spirito sparì completamente. Restò un corpo vuoto, privo di anima, finché qualcuno non ebbe la pietà di cremarlo.
Hayato ebbe quasi un conato di vomito, a ricordare i propri tredici anni, e tutta la solitudine di quegli anni.
La voce di Aiichirou lo riporta alla realtà
-Signor Shigino, lei è pratico di evocazione?
Prima di rispondere, considera lentamente diverse cose.
Se ha davvero intenzione di farlo.
Quali saranno le possibili conseguenze per lui, emotive in particolar modo.
Quali le possibili conseguenze per quel ragazzo.
Se ne valga la pena, di fronte alla morte.
Lo sguardo di Aiichirou, quando lo incrocia, possiede già tutte le risposte – le parole tardano ad arrivare solo per cortesia, non per reale imbarazzo.
-Conosco tutte le tecniche di mio fratello. Le ho studiate in questi anni.
-Le vorrei chiedere di aiutarci.
Non è ancora del tutto convinto, in realtà. Il ragazzo lo sente, e capisce di dover ancora qualche spiegazione. Non può, in effetti, chiedergli fiducia se non gliene dimostra assolutamente, confidandogli quello che sa riguardo la faccenda.
É breve, per quanto esplicativo.
-Lo spirito della strega in realtà è un uomo, e sono portato a pensare che fosse legato strettamente sia a questo luogo sia alla famiglia Matsuoka.

Porge la mano alla propria amica, con il palmo aperto; lei all'inizio non capisce, per poi ricordarsi di un dettaglio fondamentale. Quindi, poggia l'anello tra le sue dita – lui lo mostra all'uomo, in tutto il suo candido splendore.
-Lo vede, questo? È un dono che quell'uomo ha fatto alla famiglia Matsuoka.
-Come lo sai?
-Un fantasma me lo ha detto. Un fantasma che ha evidenti collegamenti con lo spirito di quell'uomo, e allo stesso tempo anche con il tempio.
Vede perplessità residua: si spiega meglio.
-È lo spirito di un Mikoshiba.
-I resoconti storici raccontano che due Mikoshiba sono morti nello stesso periodo in cui la leggenda colloca la strega. Il maggiore era già sacerdote del tempio, mentre il minore solo un ragazzino.
Questo aggiunge qualcosa alla conoscenza di Aiichirou, che prima non sapeva. Gli sale un moto di tristezza, per quanto assurdo: un fantasma è già morto, non si dovrebbe considerare triste la sua dipartita. Eppure, lo sguardo del ragazzo vada appena, nella stanza, come alla ricerca di una superficie riflettente; ha necessità di vedere come sta, di sapere se c'è ancora. Di avere una conferma che quanto detto sia effettivamente verità, proprio dal diretto interessato.
-Momotarou...
-Sì, il minore si chiamava così.
-Momo è mio amico. Lo è da quando mi sono trasferito qui.
Gli vengono in mente altri dettagli, e il discorso tra lui e l'uomo continua, in uno scambio di particolari nient'affatto superficiali. Aiichirou non usa più pronomi femminili per indicare lo spirito che ha lanciato la maledizione, e così evita di fare anche Hayato, per rispetto.
-Porta al collo una corona con gli stessi fiori che ho visto crescere qui, nelle aiuole. Non penso sia un caso.
-Mikoshiba Seijuuro era noto per essere un sacerdote anticonvenzionale. Molto aperto di mentalità e di indole. Accoglieva volentieri gli stranieri nelle terre del villaggio, era piuttosto singolare come autorità. Non ci sarebbe da stupirsi se lo avesse ucciso qualcuno proprio per questo.
-Forse quell'uomo li riteneva troppo preziosi per questo mondo, e ha cercato di averli per sé.
-Molto crudele.
-Da quello che ho potuto capire, vive in un rancore feroce da quasi cento anni.

Stringe i pugni contro le proprie cosce, in un gesto di vero dolore.
Hayato, a vedere quell'immagine, rimane piuttosto impressionato – si ricorda vagamente suo fratello e le lacrime che ogni tanto versava, a parlare di fantasmi e affini, perché Kisumi è sempre stato, nei suoi ricordi e nella realtà, molto sensibile al dolore altrui. E vedere quel ragazzo così minuto comportarsi allo stesso modo gli fa tornare nel cuore tutta la forza di cui ha bisogno.
-Io vorrei capire la fonte di questo dolore e aiutarlo a superarlo, finalmente. Perché se è vero che c'è salvezza, per ogni spirito o fantasma, allora sono pronto a lottare perché quell'uomo trovi finalmente riposo dopo tutto questo tempo.
Sono le parole giuste, il modo giusto, la giusta ragione.
Hayato sorride, facendogli capire che ha intenzione di accogliere la sua richiesta; Aiichirou è felice, in quella situazione drammatica, ed è pronto ad affrontare il pericolo per tutti loro. Gou allunga una mano alla sua, per stringergliela: non lo lascerà solo, per quanto le è concesso.
Hayato si alza, per andare a prendere l'occorrente per l'evocazione. Si sposteranno appena preso il necessario.
Ma Aiichirou lo ferma poco distante dalla porta d'uscita.
-Signor Shigino!
-Sì?
-Mi serve uno specchio, per l'evocazione.
-Non c'è problema.

 

La preparazione è lunga, quanto complicata. La stanza sacra dell'honden viene riempita con otto pergamene di carta consacrata, che come i raggi di una grande circonferenza si incontrano tutte al centro, dove Aiichirou viene fatto accomodare e deve restare in ginocchio, in atto di preghiera. Poco a poco, con una precisione e una pazienza davvero incredibili, Hayato scrive con inchiostro appena fatto otto formule tutte uguali, in modo da intensificarne l'efficacia e la potenza; i suoi caratteri, grandi quanto una mano intera, sono scritti con sicurezza, ben più marcati di quelli che ha fatto Aiichirou a suo tempo: l'inchiostro non sbava, rimane nello spazio apposito, e si staglia netto contro il candore di carta nuova, profumata di fresco.
Tutto quello ha un profondo significato. Le movenze, le gestualità, persino i sussurri pronunciati.
Gou viene fatta accomodare alla fine di una pergamena, e le vengono disegnati sopra i polsi due caratteri particolari: sangue, chi. Perché è ciò che lega il clan dei Matsuoka nel tempo, dalla morte di Rin alla nascita stessa della ragazza. Lei rimane in silenzio, con le braccia in alto, ben in vista.
Dall'altra parte del cerchio, come davanti a lei, viene posizionato l'anello, al centro di un altro carattere sacro: corpo, karada.
Aiichirou stesso viene dipinto con un carattere, sulla fronte: spirito, seishin.
Hayato si mette dietro di lui, di fronte in linea d'aria allo specchio tondo che vuole usare per aprire il portale al mondo degli spiriti, in modo che il ragazzo possa entrare nel sogno della strega.
Il custode inizia a pregare, e il rito ha dunque inizio.

 

Il sutra di Hayato è una formula ripetuta all'infinito, con un volume di voce che inizia basso e arriva sempre più alto. Dopo dieci volte, aggiunge un pezzo; dopo venti volte, ne aggiunge un altro; alla trentesima volta, l'inchiostro sui polsi di Gou inizia a cadere, come in gocce di sangue, e lo stesso vale per il carattere sulla fronte di Aiichirou – l'anello si alza dal suolo e brilla, in una piccola luce fissa.
Ora Hayato urla, e tutto viene scosso da un turbine di tempesta.
Aiichirou non sente più niente: è preso da una sensazione strana, che lo isola da ogni umano sentire. Ma apre gli occhi, e vede riflesso sullo specchio Momotarou che lo chiama.
-Vieni, Ai-senpai.
Gli porge la mano, che pare uscire dalla superficie dello specchio. Aiichirou fa solo qualche passo – sente il suolo sotto i piedi, non può sbagliarsi – afferra la mano di Momotarou ed è di nuovo nel sogno di Sousuke.  


And when I touch you I feel happy inside
It's such a feeling that my love
I can't hide, I can't hide, I can't hide

Yeah, you got that something
I think you'll understand
When I say that something
I wanna hold your hand

[The Beatles – I wanna hold you hand]

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Capitolo 38
*** 37. Capitolo trentasette ***


37. Capitolo trentasette



 

Momotarou è l'unica cosa colorata, in quel mondo grigio: è difficile non notarlo, e Aiichirou non crede sia solo merito della distanza ravvicinata in cui si trova da lui. Il fantasma gli stringe forte la mano, pieno di un sentimento di paura che lo rende molto più silenzioso e nervoso del suo solito – si stringe a lui appena varcata la soglia del sogno di Sousuke, cercando forse una sorta di riparo e di protezione.
Aiichirou si guarda attorno, e vede lo stesso luogo che ha lasciato, solo con meno colore e con meno anni. L'altare sacro è a pochi passi da lui, svuotato di ogni senso logico. Pare che Sousuke conosca piuttosto bene quel luogo, avendolo riprodotto nei minimi dettagli per costruire la propria prigione. Aiichirou intreccia le dita del compagno, e lo conduce all'esterno, con passo sicuro, oltrepassando una porta sottile di telo scuro.
Fuori non batte la tempesta, pare quasi sereno, pur in un cielo che ha delimitazioni cromatiche e rimane una massa di niente fino a che lo sguardo stesso non si sperde. Incredibile rimane il fatto che in quel posto soffi il vento: è leggero, tranquillo, rilassato, molto diverso dalla brezza minacciosa che lo ha spinto verso la spiaggia, l'ultima volta che ha fatto visita a quel luogo. La tempesta si è spostata in altro luogo, e ha lasciato l'animo dello spirito, così anche il suo sogno, sgombro dei più turpi sentimenti.
Ma la presenza di Sousuke è ovunque, e si sente a ogni respiro: impregna l'aria e ogni elemento, si fa concreta contro la pelle.
Momotarou trema, e geme contro di lui. Ha davvero paura, il suo corpo non smette un secondo di vibrare. Non lascia la mano del ragazzo, e questo permette ad Aiichirou di sentire ogni movimento accennato dei muscoli.
Vorrebbe scappare, per non tornare mai più. La violenza che si sta facendo, nel rimanere lì, è davvero forte.
E se Momotarou serve ad Aiichirou per non perdere il controllo del proprio vagare, permettendogli una solidità in quel mondo di pura fantasia, Aiichirou serve al fantasma a concretizzare la forza più umana che resta in suo possesso, ovvero la volontà del pensiero. Ragione e sentimento assieme: questo potrebbe fare davvero la differenza.

Momotarou non esploderà più in tanti pezzi luminosi, e Aiichirou non si perderà più in incubi altrui. Almeno, nelle loro più rosee aspettative.
Si siedono entrambi sul muretto che delimita una delle aiuole più grandi, in attesa.

 

Sousuke non impiega poi molto a localizzarli e raggiungerli – prima di avvicinarli in forma umana, assume l'aspetto di una nuvola nel cielo, nel centro esatto di un turbine nero. Aiichirou si alza subito, e trascina con sé anche Momotarou.
-Sei tornato, sciocco umano. Eppure, mi sembrava di averti avvisato.

Non fa cenno di aver visto l'altro fantasma, né lo calcola davvero, quasi come se la sua presenza gli sia sgradita a tal punto da tentare di ignorarla completamente, con tutte le proprie forze. Il tono dello spirito si fa malizioso, provocatorio, e cerca di mettere a disagio il proprio interlocutore.
-Forse non hai capito bene il pericolo che stai correndo e contro chi ti sei messo.
Perentorio, deciso, mortale.
Sousuke non è crudele, nella propria ottica, ma soltanto giusto. Ora che ha la vittoria in mano, e il villaggio di Iwatobi sta morendo per causa sua, non può permettere a quella piccola distrazione di rubargli il benché più piccolo secondo di gioia.
-Non ti darò una seconda possibilità di salvezza.

Momotarou si stringe a lui quando il vento comincia a soffiare abbastanza da fargli gonfiare i vestiti di aria e dargli brividi artificiali di freddo. Aiichirou volta verso di lui la testa, per qualche secondo, assecondando l'istinto di sussurrargli parole dolci, che lo facciano calmare. In realtà non dice nulla, ma il fantasma riesce a guardarlo negli occhi e rimane un poco più calmo di prima – è sufficiente questo, per il momento.
Aiichirou, quindi, urla al cielo tutta la propria convinzione.
-Sono venuto ancora a chiederti di rinunciare al tuo odio e di sciogliere la maledizione con cui colpisci il villaggio di Iwatobi.
-Insisti? Non vuoi forse capire?
Sousuke gli soffia addosso, per scompigliargli i capelli e fargli chiudere gli occhi, in una posa di disagio che esprime soltanto bisogno di protezione, e pericolo imminente. Quel ragazzino sta diventando ben più di un fastidio.
-Ho vinto io, e non c'è niente che tu possa fare per cambiare la realtà.
Aiichirou ha paura di fronte a questo continuo atteggiamento di sfida. Ha preso sul serio la minaccia di morte dello spirito: è a conoscenza che i fantasmi, pur non potendo adoperare sul corpo fisico degli esseri umani, posso tranquillamente agire sulla loro anima, e fare in modo di donarle lo stesso tipo di dannazione proprio.

Ma non può arrendersi a quella maniera, anche se deve urlare con il doppio, con il triplo della forza. Stringe le dita di Momotarou, e fa tutto quello che può.
Sousuke gli risponde senza fatica.
-Tu potresti ascendere al cielo, trovare finalmente la pace! Perché ti ostini nel tuo odio?
-Non hanno pagato abbastanza. Nessuno di loro ha pagato come doveva.
-Ma loro sono morti! Tu sei morto cento anni fa!
-Hai visto come hanno ucciso Seijuuro Mikoshiba. Senza alcuna esitazione.
Il vento non spira più addosso alla coppia di giovani: si ritira, in una spirale scura, formando un piccolo tornado particolarmente sottile.
E quando si dipana e lascia libera la vista, in mezzo al recinto del tempio si erge ancora lo spirito in fattezze umane, vestito soltanto con un lenzuolo bianco annodato alla vita. Non ha tracce di morte, sul corpo: si mostra a loro come meglio la vita lo ha preservato, tempo addietro.

Momotarou chiude gli occhi e si rifugia dietro la schiena di Aiichirou quando Sousuke avanza verso di loro. Non riesce a guardarlo, a stento sopporta la sua presenza; la pancia gli formicola e sembra dover spezzarsi da un momento all'altro.
Lo spirito dell'uomo non si avvicina troppo, però, e questo gli dà la possibilità di resistere.
-Niente è cambiato. Continuano ad aver paura di ciò che non comprendono.
Sousuke si tocca il petto, verso sinistra, appena più in là dell'ascella – in un punto ben preciso.
-Io non ho istigato l'odio, nei loro cuori. Li ho resi soltanto più sinceri. E un essere umano sincero è un essere umano cattivo. Per questo meritano una punizione.
-Anche tu la meriti?
La domanda del ragazzo un po' lo sorprende, un po' no. La retorica umana è qualcosa che ha già sentito un'altra volta, e ricorda di non aver avuto molta pazienza in quell'occasione.
Il ragazzo ha uno sguardo basso, seppur non sottomesso. Gli parla di sentimenti, a ricercare quella parte di lui che ha voluto a tutti i costi dimenticare. È fastidioso, molto.
-La vita dà alle persone la possibilità di rimediare ai propri errori, ma i fantasmi credono che la morte neghi loro questo diritto. Puoi sempre salvarti.
-Io non voglio alcuna salvezza. Non la desidero, né ora né mai.
-Perché? Per quale motivo?
-Non avrebbe senso alcuno averla, a questo punto.
Sousuke guarda il proprio mondo con dolore, che forma una smorfia su quel viso giovane.
Aiichirou non sa, nessun umano sa, come il suo sogno si stia sgretolando. Ai confini di Iwatobi, rimane una nuvola di nebbia che finisce in niente, e circoscrive una gabbia nella quale è sempre vissuto: la sua condanna più grande, perché non ha mai odiato altro luogo se non quello. Casa Matsuoka è l'unica cosa che manca, al suo posto rimane un grande ciliegio e un'altalena su cui lui va spesso, e si lascia andare alla più profonda malinconia. Qualsiasi altro sentimento, a eccezione della rabbia e del dolore, è bandito dal suo intimo. Lo fa soffrire la percezione di essere morto e di aver perso non soltanto il proprio amore, ma anche la propria umanità. C'è una consapevolezza disperata, in lui, che lo spinge ad attuare la propria vendetta a tutti i costi. Il vento rimane l'unico vero amico che ha.
-Io non sono come te. Io ritenevo la mia vita preziosa abbastanza da immolarla per qualcuno. Ma mi è stata tolta la possibilità di farlo, è stato violato un mio diritto. E ora tutto non ha senso, esattamente come questo sogno in cui sono rinchiuso.
Fa una pausa, per camminare verso la porta grande del tempio – i cipressi, secondo un suo ordine mentale, si piegano di lato, e lasciano libera la visuale. C'è un mare magnifico, in fondo alla collina, che brilla di luce spenta.
-Io non vedevo i fantasmi, da vivo, ma sentivo le loro voci. Non mi hanno mai spaventato.
Torna a guardare il ragazzo: è piccolo, e sta per morire. Non ha molto da riservargli, se non un'acuta commiserazione.
-Tu sei spaventato da me, piccolo eroe? Sembri terrorizzato dalla visione che ti propongo. Eppure, è soltanto la realtà.
-Mi dispiace che tu abbia sofferto.
-La tua pietà non cambierà ciò che è stato fatto.

-Non è pietà!
Momotarou emette un piccolo gemito, dietro di lui; Aiichirou si accorge di aver stretto troppo la sua mano, e che ora gli sta facendo male. Rilascia un poco quelle dita, e si scusa con lo sguardo.
Poi, però, decide di fare una cosa crudele: lo indica a Sousuke.
-Tu conosci questo fantasma, non è vero? È Momotarou Mikoshiba.

-So chi è. L'ho ucciso io.
-Davvero? E perché?
-Per non lasciarlo in mano a quelli.
Aiichirou ha immaginato una motivazione del genere, perché le logiche dei fantasmi sono distorte dalla loro visione assolutistica delle cose. Sousuke ha pensato di poter giudicare chi meritevole di morte e chi no: per questo, oltre che per la sua maledizione, è condannato a vivere nel proprio odio.
L'uomo sorride, come se li stesse ironicamente ringraziando.
-Grazie a lui, e grazie a te, io mi sono liberato.
Momotarou tenta di sfilarsi, per scappare via. Aiichirou lo trattiene a forza, perché non vuole rimanere solo, e perché questa volta, più delle altre, non può permettersi di venire sconfitto da quello spirito così pieno di rancore.
-Tu eri legato a lui, no?  Per provare questi sentimenti, eri legato a lui. A una parte bella del mondo. Perché non provi a ricordare quella parte?
Abbassa gli occhi quando deve parlare di cose così importanti, per mantenere il pudore di fronte a concetti del genere. Sousuke lo capisce, come capisce che la paura che ha nei suoi confronti non lo spingerà mai a una ritirata strategica.
Dimostra un coraggio che non ha mai potuto vedere.
-L'odio è facile da ricordare: incide, peggio di una ferita, sui nostri cuori. Ma il bene che facciamo alle altre persone, e che le altre persone ci fanno. Rimane ugualmente nel nostro cuore.
I suoi occhi sono in grado di vedere tutto, ed è per questo motivo che si trova nel mondo del fantasma. Vedono, capiscono, comprendono. Un essere umano del genere si approccia alla realtà in modo molto diverso da qualsiasi altro, rimane in bilico nelle proprie supposizioni per una questione di umiltà e non per incoscienza oppure ignoranza.
-Non è forse così anche per te? Il tuo è un amore crudele solo perché sei stato condannato a una crudeltà perenne. Ma tu non eri così, io ne sono sicuro. Quale persona cattiva avrebbe regalato un anello tanto bello al proprio amico?
-Era mio marito.
Lo zittisce con qualcosa che non ha potuto immaginare, e che fa capire quale sia il grado dell'immenso dolore che Sousuke prova. Ha un principio di pianto, negli occhi – e a Sousuke brucia, perché è tutto vero: senza alcuna bugia.
-Mi hanno ucciso perché io ero povero ed ero un uomo. Per loro non avevo il diritto di amare o di essere amato.
-Eri nobile d'animo, e lo era anche il tuo amato.
-Non è servito a niente, perché ci hanno separati comunque.
Urla di rabbia, contro di lui.
-Per sempre!
Si avvicina alla coppia di ragazzi, e a ogni passo che compie il cielo emette un tuono, un lampo, uno spasmo di dolore. Ricorda, vuole ricordare tutto quello che gli è capitato, tutti gli anni in cui è stato prigioniero in quel luogo, a macerare in quei pochi sentimenti che la morte gli ha permesso di conservare.
-Me lo hanno strappato dalle mani! Me lo hanno tolto! Mi hanno impedito di amare il suo viso e le sue dolci labbra! Mi hanno privato della vita perché dicevano che fossi sporco, bugiardo e insolente!  Mi hanno ucciso perché ero amico del vento!
Aiichirou trema più forte, e si blocca nella propria paura, freddato da tutta quella rabbia.
-Anche io sono come te.
-Sei morto?
-No. Ma ho un'amicizia scomoda. Non è facile vivere in un mondo di uomini che vede la morte e il nero in modo soltanto negativo.
-I tuoi discorsi mi irritano e basta. Ho sentito abbastanza stupidaggini, e mi sono stancato.
Lo colpisce con uno schiaffo, per farlo cadere a terra. Momotarou si china con lui, più spaventato all'idea di lasciargli la mano che dover affrontare il fantasma di Sousuke.
Tutto diventa nero, all'improvviso, e i due si ritrovano a galleggiare in un mare di niente.
Sousuke è sparito, e li accerchia: è la bolla di ombra e di odio che li sorregge.
-Ucciderò te, come ho fatto con quel sacerdote, e spargerò per sempre il tuo amico perché non riesca a ricomporsi mai più!

 

How I wish, how I wish you were here.
We're just two lost souls swimming in a fish bowl,
year after year,
running over the same old ground. What have we found?
The same old fears,
wish you were here

[Pink Floyd – Wish you were here]




 

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Capitolo 39
*** 38. Capitolo trentotto ***


38. Capitolo trentotto



 

Ecco cosa può fare uno spirito: indurti nell'animo talmente tanto dolore da desiderare la morte. L'anima, che figurativamente ha preso le fattezze del corpo reale, viene costretta a soffrire come se potesse sanguinare e ricevere ferite, come se potesse strapparsi davvero in tanti brandelli di carne. Non c'è limite al patimento, se non nella volontà e nella preghiera delle vittime che tutto finisca – e la morte, il nero, è molto indulgente, in queste occasioni.
Aiichirou prova la sensazione di una lama dentro di sé, che lo ferisce. Viene pugnalato la prima volta da una mano invisibile, che lo colpisce al fianco; si accascia, e tenta di gridare di dolore, ma mentre spalanca la bocca per lasciar andare il suono, un altro colpo lo ferma e arresta, e tutte le sensazioni terribili che sta provando si espandono in modo assoluto.
Non riesce neanche a gridare.
Perde il conto delle pugnalate che riceve, e via via persino la razionalità si scioglie nella sua mente, divenendo priva di consistenza.  Prova ad abbozzare una parola, una frase di resistenza, e la pronuncia a bassa voce su labbra tremanti: è una formula di confinamento, in un tentativo piuttosto misero di rispondere alla furia di Sousuke.
E per qualche secondo, lo spirito si arresta, arretrando con un grido isterico che sa quasi di sofferenza. Momotarou regge il capo di Aiichirou, urlando nelle orecchie il suo nome, per scuoterlo e svegliarlo; non può permettere che si addormenti, a quel punto, anche se vuol dire farlo soffrire ancora e maggiormente. Le dita della mano lo stringono forte, senza lasciarlo mai.
-Ai-senpai!
Per un momento, è la voce di quel fantasma la sola ragione per cui Aiichirou resiste – i suoi occhi sono luce, e così la sua voce. In mezzo a quel grigio e a quel nero, Aiichirou lo vede distintamente.
Sousuke però torna, ed è più arrabbiato di prima.
Il mondo cambia, si fa mare in burrasca. I due ragazzi si ritrovano schiacciati contro dei sassi aguzzi e bagnati, all'improvviso, e il peso di una caduta che non hanno mai fatto schiaccia le loro ossa. Aiichirou riconosce il versante della scogliera vicino alla spiaggia dei falò, dove si dice sempre che la strega sia morta. Lo realizza un istante in ritardo: Sousuke è sopra di lui, cavalcioni, e gli pianta un coltello all'altezza del cuore.
-Muori.
Rivendica la possibilità dell'odio come suo diritto.
Momotarou grida di spavento a quella visione, mentre Aiichirou prende il polso di Sousuke e lo stringe: ha pensato, vanamente, di avere abbastanza forza quantomeno da cercare di fermarlo, ma dietro tutta quella sofferenza la forza difficilmente si intravede, e lo abbandona quasi del tutto inerme.
Digrigna i denti, e si lascia cadere all'indietro.

 

Uno spostamento d'aria più massiccio degli altri fa tremare la struttura dell'honden.
Gou apre gli occhi, ricordandosi di essere ancora in quella stanza, e cerca d'istinto la fonte del rumore che ha sentito. È rimasta immobile nella posa che gli è stata imposta per dieci minuti, e ora sta sentendo davvero forte il dolore alle spalle e ai gomiti; vorrebbe abbassare le braccia, ma il signor Hayato sta ancora pregando, e non le ha detto nulla: probabilmente, il rituale non è ancora finito.
Un altro rumore, ben più forte, arriva dal tetto della struttura. Lei guarda in alto, stupidamente, perché da lì non può vedere cosa sia planato sopra le tegole scure.

Una furia. Corpo da rapace e petto di donna, testa di vecchia con occhi di brace. Vomita dopo aver strillato alto al cielo per farsi vedere dal suo padrone, sopra il tetto, aggrappata al legno con i suoi terribili arpioni, catrame nero, che corrode il materiale pian piano, e scioglie tutto in una nube scura tossica.
Continua a graffiare, urlare e dimenarsi, mentre il catrame svolge lentamente il proprio compito.
Gou, all'interno del tempio sacro, guarda il custode con faccia spaventata, non sapendo bene cosa fare. Aiichirou è sparito davanti a lei come se niente fosse – lo ha visto entrare nello specchio e venire risucchiato da una forza che non conosce, per poco non sveniva sul posto – e lei si è ritrovata sola con l'inchiostro a colarle dai polsi. La sensazione di essere sempre più debole, poi, non l'abbandona, e ora si aggiunge anche la paura di un nuovo mostro all'attacco.
Non sa che fare. Ha paura che rimanere semplicemente ad aspettare non sia sufficiente.
Ha abbandonato tutti i suoi amici al loro destino, senza poter fare nulla per impedirlo. Rimane sempre in attesa che le cose migliorino, e la frustrazione che sente a livello del cuore quasi la schiaccia. Le scappa una lacrima, dagli occhi, e una supplica a vuoto dalle labbra.
-Per favore, per favore fa che stiano tutti bene...

Ogni parola, in quel contesto, può assumere un significato – ogni parola, già nel momento in cui viene pronunciata, possiede una forza incredibile, e ancora di più ne può avere se viene detta durante una preghiera.
Sousuke non è l'unico spirito legato a Iwatobi per mezzo di quell'anello e del sangue dei Matsuoka. Quindi appare di fronte alla ragazza il fantasma di Rin, richiamato in quei luoghi; lui non sarebbe mai potuto uscire dal proprio incubo, con le sue sole forze, ma l'evocazione ha avuto effetto anche su di lui, e questo ha portato il suo vagare al tempio dove è stato unito in matrimonio.
Rimane spaesato, seppur malinconico, di fronte alla giovane ragazza; è al centro del cerchio di caratteri neri, lì dove prima c'è stato Aiichirou. Si volta, e vede il proprio anello: lo vuole prendere. Al primo tentativo fallisce, e anche al secondo. Prova rabbia, perché quello è tutto ciò che vorrebbe avere, ed è suo. Urla contro la ragazza dai capelli rossi di restituirgli ciò che gli appartiene.
Gou non può vedere gli spiriti, e Rin non fa eccezione. Sente la sua presenza, e percepisce anche l'alterazione dell'umore, ad un certo punto, ma più di così non riesce. Chiude gli occhi e prega, lasciando il fantasma alla propria furia.
Rin, vedendo che quello che dice non trova riscontro, si rivolge allora verso l'evocatore. L'uomo rimane assolto a recitare il proprio sutra, estraneo a qualsiasi manifestazione del mondo.

Come ultimo atto, il fantasma si accorge dello specchio, e anche del mondo che è racchiuso dentro la superficie riflettente. Sente uno strappo al petto, come se lo cogliesse una seconda morte.
Sa fin troppo bene cosa sia, quell'incubo, e chi appartenga. Gli sfugge un nome dalle labbra, e delle lacrime sul viso.
Sousuke è sempre stato così vicino, d'altronde.
Si rende conto di non poter valicare quel confine – ha bisogno che qualcuno di umano e vivo lo chiami, da dentro. Ma per far sentire la propria presenza, si avvicina allo specchio e comincia a chiamare.
-Sousuke. Sousuke. Sousuke.
Continua, continua a chiamare, perché qualcuno gli risponda.

 

-Basta così!
Davanti a Sousuke, si mette Momotarou; non lascia la mano di Aiichirou, gli fa girare il polso in modo tale da poter reggersi sulle gambe appena sopra l'altezza del suo petto, senza toccarlo. Spinge via l'altro fantasma con la mano libera, o almeno ci tenta – in realtà, i loro due visi sono fin troppo vicini, e Sousuke può leggergli nell'espressione tutto il dramma che sta vivendo. Il suo pianto si confonde con l'acqua che le onde sputano sopra le rocce e che arriva, in zaffate colme di salsedine, alle loro pelli.
Non demorde.
-Basta così, Yamazaki-kun! Devi smetterla subito!
Sotto di lui, Aiichirou è più morto che vivo. Sta ancora tremando, nell'assenza di sangue che non gli ammorbidisce il dolore, e vorrebbe davvero sollevare l'altra mano per afferrargli una gamba, nei larghi vestiti che indossa, ma rimane inerme lì, a soffiare flebile.
-Mo-omo...
Momotarou lo sente, e prima di parlare di nuovo all'altro spirito gli stringe la mano.

Sembra brillare di più, rispetto a prima, perché ha preso nuova forza.
-Non puoi uccidere Ai-senpai! Non puoi e non devi!
Sousuke lo guarda quasi volesse e potesse davvero ucciderlo, e risponde ai suoi gesti con una naturale forza maggiore. Non arretra neanche di mezzo centimetro.
-Tu sei solo uno stupido fantasma come un altro!
Fa un gesto sprezzante, con la propria mano, e gli intima di retrocedere. Tra le dita, lui stringe il manico del pugnale con il quale ha tutta l'intenzione di infierire di nuovo contro l'altro.
Momotarou non si lascia più vincere dalla paura.
-Vattene!
-Yamazaki-kun, questo è troppo! La tua rabbia è troppo! Non puoi fare una cosa del genere! Ai-senpai vuole soltanto aiutarti! Ai-senpai è buono, non è come le persone che ti hanno fatto del male! Ai-senpai non merita tutto quello che gli stai facendo! Quindi smettila, smettila subito! Yamazaki-kun, devi fermarti!
-Idiota eri e idiota sei rimasto! E parli sempre troppo! Ho già ucciso una persona, e non avrò pietà per questo ragazzo!
-Te lo impedirò, con tutto me stesso! Non puoi fare una cosa del genere! Io te lo impedirò!
-Io ti ho ucciso, e tu hai paura di me. Perché allora fai questa resistenza?
Il paesaggio cambia, a quel punto. Momotarou ha preso a illuminare tutto, quasi sia un faro. Sousuke è costretto ad arretrare, per non soccombere a quella luce incredibile, e vola sospeso nel vuoto di una rupe che non c'è più. C'è solo un masso volante, dove è disteso Aiichirou e dove rimane inginocchiato Momotarou, con le gambe poste ai fianchi del corpo dell'altro, e un nero che fa fatica a definire i contorni del proprio odio.
Aiichirou pensa, razionalmente, di aver sempre sbagliato tutto. Momotarou non può essere un fantasma, non con quella forza lì. Momotarou, probabilmente, è quello che nelle definizioni umane potrebbe assumere il nome di angelo.
-Yamazaki-kun, io non ho mai avuto paura di te.
-E allora perché non sei mai venuto nel mio incubo? Perché sei venuto soltanto con quel ragazzo? Perché non sei arrivato a salvarmi prima?

-Non te lo ricordi, Yamazaki-kun? Tu sei sempre stato un uomo scontroso, anche con me. Specialmente quando ti arrabbiavi. Lo sapevo che non lo facevi apposta, ma quando eri arrabbiato eri davvero terribile. Io ti lasciavo stare per un po', e tu tornavi tranquillo.
Fa una pausa, ma non gli sorride: non è così stupido da non capire la gravità della situazione, e le sue parole sono pesanti da ascoltare, molto di più da pronunciare. Momotarou ha ritrovato se stesso nel contatto con le mani di Aiichirou, ma la forza l'ha sempre avuta dentro il proprio intimo. Doveva capitare che fosse qualcuno di importante a rischiare la morte, o qualcuno in grado di portare davvero salvezza a lui e a Sousuke, perché potesse soltanto pensare che ne valesse la pena.
Sacrificarsi o combattere per Aiichirou: questo ha senso.
-Io non ho mai avuto paura di te, Yamazaki-kun. Ho sempre avuto timore della tua rabbia, ma mai di te. Non ti ho mai considerato un mostro.
-Allora perché mi hai permesso di uccidere quel sacerdote, Kisumi?
-Se solo avessi saputo quali fossero le tue intenzioni! Altrimenti sarei venuto qui a impedirtelo! È stato un mio errore, soltanto un mio errore! Yamazaki-kun, tu stesso credi di essere un mostro, perché gli altri ti hanno messo in testa quest'idea tremenda!
Scuote la testa, tra il rassegnato e l'impietosito – è proprio quel genere di sguardo che fa arrabbiare Sousuke, verso l'atto definitivo.
-Convinciti che non potrai per sempre fingere di essere così!
-Stai zitto!
Lui, in quel mondo, è padrone e arbitro. Con uno schiaffo che non ha entità fisica, lo fa sparire, lo cancella dall'incubo, per non averlo più davanti a sé.

 

***

 

Per un attimo, Aiichirou si crede perduto per sempre. Per un attimo, e un attimo solamente, il ragazzo potrebbe cedere all'idea di non avere più alcuna speranza. Per un attimo, e quello dopo no, quel corpo vivo perde la ragione di esistere. Perde la luce.
La ritrova nella propria mano – sensazione di dita che vengono strette.
La luce non è scomparsa, è stata solo inglobata nel buio. E il buio, ormai Aiichirou lo sa bene, è suo amico e alleato.
Sorride, raggomitolandosi su se stesso, tenendo il contenuto della mano come un prezioso tesoro. Apre di nuovo gli occhi, e riesce a vedere tutto.
Le paure e il terrore di Sousuke spariscono, nelle fattezze del sogno che li circonda, e quel castello di angoscia e rancore trema, per cadere pezzo a pezzo, sotto gli occhi esterrefatti della strega, che rimane inerme di fronte a lui, rivelandosi come il povero spirito errante che è.

 

I try to say goodbye and I choke
I try to walk away and I stumble
Though I try to hide it, it's clear
My world crumbles when you are not near
Goodbye and I choke
I try to walk away and I stumble
Though I try to hide it, it's clear
My world crumbles when you are not near

[Macy Gray – I try]

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Capitolo 40
*** 39. Capitolo trentanove ***


39. Capitolo trentanove



 

Sousuke capisce che qualcosa è cambiato dal suo sguardo, e avverte il cambio dell'aria tra di loro. Quella goccia di luce che il ragazzo davanti a lui sostiene con le mani aperte, come una piccola e fragile creatura, gli fanno dubitare, anche solo per qualche secondo, che Momotarou non se ne sia effettivamente allontanato. Ma poco importa: tra le sue, di dita, compare di nuovo il pugnale, e questa volta Aiichirou non ha più alcuno scudo per sé.
Il suo pensiero cambia, e l'incubo li porta in una baracca povera, durante una notte che tutto oscura. Il ragazzo vivo tiene le mani al petto, e lo guarda fare un passo nella sua direzione.
-Yamazaki-san, ti sei mai accorto di una cosa?
Essere chiamato così sorprende molto Sousuke, che si accende ancor più di rabbia: lo afferra per la spalla e lo fa sbattere contro una parete verticale, intrappolandolo in quello poco spazio con l'imponenza del suo corpo. Vorrebbe sembrare minaccioso, e per questo alza la voce.
-Non chiamarmi a quel modo!
Trova una calma, in quel ragazzo, che non ha visto in molte altre occasioni. Per un attimo, si accorge che la ferita che gli ha fatto poco prima è scomparsa, e tutto quello che ha tentato di strappargli di dosso è tornato integro, perfetto. La voce di Aiichirou non ha più sbavature, se non un accorato coinvolgimento emotivo. Se si trattasse di semplice pietà, sarebbe fin troppo facile da condannare – ma Aiichirou non lo tratta come un corpo morto, insensibile e commiserevole.
-Yamazaki-san, ti sei mai accorto di essere protetto dall'amore dei due fratelli Mikoshiba?
Sousuke strabuzza gli occhi, senza riuscire a replicare.
Aiichirou accenna un minuscolo sorriso al ricordo dei due spiriti alleati, perché soltanto affetto profondo può provare quando parla di Momotarou e quella che fu la sua famiglia. Anche per questo motivo, Sousuke si distrae e perde l'occasione per zittirlo con altri colpi.
-Si dice che i fantasmi non possano provare in morte quello che non hanno imparato a provare in vita. E lo credo.
Ha occhi grandi, chiari. Un tono di voce un po' infantile, per un ragazzo della sua età, e un corpo minuto che se solo Sousuke stringesse appena su quella spalla probabilmente si spezzerebbe. Se non lo fa è perché il vento freme, e sta raccogliendo parole più forti della tempesta, per quanto stupide, per quanto banali.
Aiichirou non lo odia, e non ha più paura.
-Momotarou è un essere pieno di luce, non potrebbe mai odiarti. Suo fratello ha cercato disperatamente un modo per donarti la pace, appena ne ha avuto la possibilità, attraverso l'anello con cui tu e Matsuoka-san vi siete sposati. -Sono fermamente convinto che sia così.
Sente quel nome, Sousuke, che non vorrebbe mai sentir pronunciato da labbra altrui. Alza il proprio polso e quindi anche il pugnale, e già il dolore si insinua nell'addome del ragazzo davanti a lui, quasi un riflesso condizionato. Per questo, e l'ombra che si staglia più alta che mai, Aiichirou gli preme all'improvviso le mani sul petto e si spinge contro di lui; spingerlo è impossibile, ma fare forza e alzare la voce no, perché lui senta e non fugga di nuovo a crogiolarsi nel proprio rancore.
-Yamazaki-san, sacrificheresti l'amore di queste due persone per la tua vendetta? Due persone che ti sono state vicine per tutto questo tempo, anche se per forza?
Vedendo che questa serie di domande insinua un principio di dubbio, nel fantasma, Aiichirou parla ancora, e questa volta lo fa in modo chiaro quanto spietato.
-Yamazaki-san, sacrificheresti l'amore di Matsuoka-san per la tua vendetta?
Sousuke trema, di fronte a questo. Inizialmente non capisce, perché per cento anni è stato convinto di non poter toccare Rin perché toccato da una sorte troppo diversa dalla sua per poter anche solo ambire a un incontro. Quello che Aiichirou dice e che continua a dire pare togliere pezzi di verità al suo castello di bugie. E più che odio, Sousuke ricomincia a provare un terribile dolore.
-Anche lui è un fantasma, e infesta la vecchia residenza che appartiene ancora alla sua famiglia. Si è impiccato, probabilmente perché anche tu eri morto.
Il pugnale cade dalla mano del fantasma, ma ancora prima di arrivare a terra e produrre un suono metallico di rimbalzo, svanisce in una nuvola di fumo, come anche tutto il resto. Il tavolo di legno, la finestra storta, l'angolo di paglia dove sua madre dormiva, il camino spento con sopra il calderone arrugginito: ogni ricordo svanisce, e torna nella sua mente. Sousuke arretra, e si ritrova nel vuoto.
-Sono cento anni che lui ti aspetta, Yamazaki-san. E tu sei stato cieco per colpa del tuo odio.
Aiichirou non sorride più. La luce nei suoi palmi ha cominciato a vorticare, a scrivere nel buio spirali dorate, allegre: è Momotarou che sente tutto, ed è presente come prima. Non è scappato, nonostante lui abbia tentato di colpirlo e di ferirlo, per cercare un risentimento in lui adatto a lasciarlo da solo assieme al ragazzo vivo. Sousuke si sente impotente, di fronte a questo, ma ha ancora sprazzi di aggressività dentro di sé. Il suo corpo si copre di sangue e di tagli, esattamente nei punti dove cento anni prima è stato colpito dai pugnali; con quell'aspetto di morte e di pallore, accenna un movimento verso di lui.

Aiichirou lo vede, e lo anticipa ogni mossa.
-Vuoi ancora odiare me? Fallo! Fallo, Yamazaki-san, odiami con tutto te stesso! Ma devi sapere che il tuo odio non solo condanna la tua anima a un dolore ancora più grande di quello che hai patito, ma imprigiona anche Matsuoka-san nel suo incubo! E Mikoshiba-san, e anche Momo! Quanto puoi odiare per aver dimenticato persino come si ama?
Aiichirou gli si è avvicinato, nel buio, senza più paura. Ha gridato contro di lui, specie con l'ultima parola detta. C'è una strana eco che rimbalza ovunque, e sembra che il nero non sia poi così vuoto: sono i confini in cui il fantasma è rinchiuso da tutto quel tempo.
C'è ancora qualche resistenza in lui, ma il ragazzo ha capito come smussarla e vincerla.
-Ti sta chiamando, io lo sento. È vicino, e ti chiama.
-Non sento niente.
-Perché non vuoi ancora sentire.
Sorride delicato, accennando un movimento della testa. La luce, contro il suo petto, forma delle spirali eterne, e illumina il viso del ragazzo di un chiarore quasi angelico.
Come emissario della morte, Aiichirou è pregno di gentilezza e amore.
-Rinuncia al tuo odio e lo potrai sentire. Lui potrà venire qui, da te. Potrete tornare assieme di nuovo.
Sousuke si guarda intorno, per cercare la possibile fonte del richiamo del suo amato. Continua a non sentire niente, e si rende finalmente conto che è soltanto colpa sua. Se ne rincresce, e se ne addolora come mai prima.
Ora manca poco perché ogni lordume venga lavato dalla sua anima, ma lui ha ancora un dubbio, che purtroppo Aiichirou non può calmare.

-Cosa ne sarà dei peccati che ho commesso?
-Io questo non so dirtelo, non ho il compito di giudicare le anime. Sono solo un ragazzo come tanti altri. Ma penso che sia arrivata l'ora che tu conceda un po' di pace al tuo cuore.
Sousuke scuote la testa, continuando a dargli le spalle; si china sulle ginocchia, e trova un pavimento che lo sorregge: questa volta è il prato verde della collina che termina nella residenza Matsuoka, come è stato cento anni prima. C'è un sole pallido, e una brezza leggera che soffia.
Aiichirou gli accarezza la spalla, in punta di dita.
-Non sei un mostro, Yamazaki-san. Convincitene.
Sousuke riesce a piangere, liberando se stesso e tutto il dolore dentro il proprio petto.

 

Un fascio di luce si apre dal cielo e illumina il fondale marino dove sono affogati, nel frattempo – come il corpo di Sousuke, per troppo tempo legato alla realtà terrena. I vestiti danzano lenti, sospinti da un flusso che in realtà non esiste, e ogni tanto dal naso parte qualche bolla chiara, verso una superficie troppo alta; ma non c'è pressione, non c'è il freddo, non c'è il bagnato che gli abissi presumono, e Aiichirou può stare accanto a Sousuke a guardarlo versale lacrime su un fondale fatto di sabbia molle: sono sempre più bianche e pure.
Il fantasma non ha il coraggio di alzare lo sguardo, all'inizio, occupato a singhiozzare e a incavare la testa tra le proprie spalle, pieno di vergogna concreta. Ha così tanto da lasciare, accumulatosi per tutto quel tempo, che non è facile, per niente, valutare qualcosa di diverso dalla propria sofferenza. Non bada ad Aiichirou che si allontana, pian piano, per lasciare spazio a qualcuno di più importante.
Sente i passi, e li ignora. Quando la sua vista si sgombra un poco dalle lacrime, nota delle scarpe che ha già visto, lucide e bianche, di fattura molto fine; occidentali, secondo una moda ormai passata da più di un secolo.
Rin si china su di lui e lo abbraccia soffice, piangendo a propria volta. Gli bacia la schiena nuda, e solo dopo un po' Sousuke reagisce, alzando le braccia e stringendolo a sé. È sul suo petto quando Rin affonda le dita tra i suoi capelli e lo tiene fermo, per sentirlo di più.
Sembra quasi che vivano, perché l'amore e la passione di quel momento sono ben più che la semplice impronta di quello che è stato: rimane, perché eterno, e perché loro.
Rin trova Aiichirou con lo sguardo, ancora in disparte; anche lui ha gli occhi umidi di commozione, e cerca di mantenersi più in silenzio che può. Il fantasma lo ringrazia con un gesto del capo che vuol dire mille cose – le parole non gli escono, sarebbero di troppo in un momento del genere, e ora vuole solo dedicarle a Sousuke. La prima cosa che gli dice, quando finalmente i loro sguardi si incrociano dopo cento anni, è un insulto molto simile come concetto a “idiota”, solo che un poco più antiquato; la seconda non si capisce bene, perché Sousuke lo bacia e gli ruba le sillabe dalle labbra, senza troppo dispiacere da parte di Rin.
Il fascio di luce che ha accompagnato Rin si allarga e si intensifica, lasciando visibili soltanto i loro profili abbozzati. E quando le loro figure tornano a essere registrabili anche a occhio umano, non c'è più alcuna impronta della morte sui loro corpi: il collo di Rin è nitido come la neve, e così pure tutto il torace di Sousuke. Il sogno della strega, come anche la sua maledizione, si sgretola in maniera definitiva, e un vuoto confortevole occupa tutto il resto.
Dalla mano di Aiichirou, cresce Momotarou e torna in forma umana. Non ha più bisogno di afferrare le dita di Aiichirou, ma lo fa lo stesso perché gli piace. Si sorridono, e Momotarou ricorda una cosa molto importante: si allontana qualche secondo dal ragazzo, e offre il proprio regalo di nozze alla coppia: si toglie la corona di fiori che ha addosso, e la mette al collo di Rin, che fa una faccia buffa e molto imbarazzata. Momotarou torna dal suo Aiichirou, e gli sorride di nuovo.
Sousuke e Rin si alzano, lentamente. Ascendono al cielo come anime prive di legami alla terra, e lì seguiranno il loro destino.
Prima di sparire definitivamente, Sousuke guarda in basso, Momotarou e Aiichirou. Il primo lo saluta contento, il secondo gli sorride come poche altre persone hanno fatto. Sente beatitudine dentro il cuore, ed è tutto ciò che lo può portare alla salvezza eterna.
Sparisce in una cascata di bianco abbagliante.

 

-Sai? Avevo un altro rimpianto, oltre a quello.

 

***

 

Nagisa ancora zoppica, pur aggrappato alla spalla di Rei e di Haruka. Salta gli ultimi gradini della scalinata di pietra più in fretta che può, preso dall'euforia che finalmente è arrivato in cima. Makoto rimane dietro al trio, perché ha sinceramente paura che qualcuno di loro possa scivolare su una delle numerose pozzanghere di acqua che la pioggia ha lasciato, sparse un po' ovunque. La professoressa Amakata li segue in disparte, senza mai allontanarsi troppo.
Il tempio non è rimasto intatto, oltre il torii rosso: sul tetto dell'edificio principale, si è creato una falla ben evidente, e si riesce quasi a vedere l'interno del luogo sacro.
Ma più di ogni altra cosa, ai ragazzi interessa quella figuretta seduta accanto al leone di pietra, che strofina con insistenza il proprio braccio tutto sporco di inchiostro, insistendo con uno straccio grigio.

Nagisa è il primo che urla, dimentico del luogo dove si trova.
-Gou-chan!
Qualcuno lo zittisce, ma il passo di tutti si accelera. Amakata è la prima che arriva, di corsa, e abbraccia la ragazza stretta, trattenendo a stento un singhiozzo; il turbante che le hanno fatto sulla testa, come la miglior bendatura possibile al momento, casca di lato, e lei deve tenerlo in equilibrio con una mano. I ragazzi le raggiungono appena dopo, e la caricano di domande.
Su come stia, su cosa sia successo, su dove si trovi Aiichirou.
Lei non risponde con nient'altro che un cenno del capo, e rimane in silenzio. Nagisa e Rei sono gli unici a protestare, perché prima che lo faccia anche Makoto Haruka li zittisce tutti. Non è proprio il tempo delle domande.
Le chiede soltanto se Aiichirou stia bene, e a questo lei risponde: sì.
Allora il ragazzo si siede accanto a lei, e si concede di abbracciarla a lungo, stretto, per compensare tutta l'ansia che ha provato nelle ultime ore. Makoto aspetta che anche Rei e Nagisa, calmando la loro curiosità invadente, si accomodino attorno a lei e le si stringano addosso, in modo da afferrare tutti in un grande, definitivo abbraccio, e farli sentire uniti. Qualcuno piange anche, perché gli pare giusto essendo finalmente arrivato il tempo per farlo, e nessuno lo ferma.
C'è il sole che sorge sul villaggio, oltre l'orizzonte a Est.
A Iwatobi è permesso tornare a vivere in pace.

 

All of my life
Where have you been
I wonder if I'll ever see you again
And if that day comes
I know we could win
I wonder if I'll ever see you again

[Lenny Kravitz – Again]

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Capitolo 41
*** 40. Capitolo quaranta ***


40. Capitolo quaranta



 

-Anche se non sei sotto allenamento, dovresti stare attento a quello che mangi!
Nagisa la guarda male, per qualche istante, prima di addentare il suo panino dolce ripieno di crema alla fragola e parlarle con le guance gonfie di cibo e di irritazione.
-Gou-chan, sei sempre cattiva!
-Io cattiv-
La ragazza diventa rossa quanto i suoi capelli, per l'offesa, ma riesce a ricomporsi in fretta. Non vuole scusare per l'ennesima volta l'amico, ma sa quanto lui sia testardo e indisponente, se si mette in testa un'idea, e non c'è verso di fargli cambiare opinione. Tenta la strada della diplomazia, almeno per un poco.
-Se appesantisci troppo i tuoi muscoli con tutto quel grasso e quello zucchero poi la ripresa sarà più difficile!
Ma il ragazzo biondo la tratta quasi con sufficienza, chiudendo in quel momento la discussione. Fa anche un gesto della mano blando, per sottolineare la mancanza di interesse momentaneo.
-Ci penserò poi, ci penserò poi.
Continua a mangiare, sotto lo sguardo sconfitto della ragazza.
Dalla notte della tempesta della strega, la gamba di Nagisa ha subito due interventi, perché i medici non avevano capito inizialmente la gravità delle sue condizioni. E quando il resto del gruppo ha saputo quel che era capitato ai suoi legamenti e alle sue ossa, non è stato molto piacevole. Rei, specialmente, si è sentito in colpa come mai nella propria vita, e se è abbastanza inutile rimpiangere di non essere riuscito ad aiutare il proprio migliore amico durante la fuga dal golem, nel mezzo di tutta quella pioggia furiosa, coprirlo di attenzioni e di premure potrebbe alleviare appena il suo malessere.
Di sicuro, Nagisa gradisce, e un poco se ne approfitta. Ma lo ripaga con molteplici sorrisi.
In quel momento, allunga la confezione regalo che i suoi genitori gli hanno comprato il giorno prima, per viziarlo un po'.
-Volete anche voi?
Rei allunga subito le mani, prendendo un panino per sé.
-Io favorisco volentieri, grazie!
Gou passa, e le capita di abbassare gli occhi sulle stampelle del padrone di casa. Non è la prima volta che fa visita a casa Hazuki, e le piace guardare quell'arredamento moderno ma allo stesso modo confortevole. Beve tranquillamente il proprio tè a piccoli sorsi: ormai la tazza non è più troppo calda, e lei può tenerla in mano senza la paura di scottarsi le dita.
Ritrova il sorriso facilmente, e si immerge nel discorso degli altri due ragazzi.
-Avete pensato a cosa fare per questo capodanno?
-Manca quasi un mese, Nagisa. C'è tempo per pensarci.
-Non è mai troppo presto per pensare alle vacanze. Potremmo organizzare qualcosa noi del club.
-Hanno aperto un nuovo karaoke, al centro commerciale.
-Non è un po' triste festeggiare al karaoke l'ultimo dell'anno?
-Prova a proporre un'idea migliore tu, allora.
-Non credo sia male. E magari prima mangiamo qualcosa assieme, che ne pensate?
-Oppure la sera si può andare al cinema.
-Anche questa cosa mi piace!
Sorridono assieme, continuando a discutere per diverso tempo, come se neanche un giorno fosse passato da allora. Come se Aiichirou Nitori fosse ancora presente con loro e non se ne fosse mai andato, sparendo quasi nel nulla.

 

***

 

Per il villaggio è sparsa la prima neve bianca dell'anno, scesa quella notte mentre le stelle rimanevano a riposare dietro nuvole pregne di ghiaccio soffice. È divertente, per gli animi più leggeri, imprimervi le impronte delle scarpe, per vedere qualcosa di fatto con le proprie capacità che rimanga impresso nella natura per qualche secondo appena.
Miho rimane a guardare la propria impronta per sbaglio, perché le è capitato in mente un pensiero più pesante degli altri, che l'ha fermata in un punto preciso. Goro se ne accorge, e richiama la sua attenzione con in gesto della mano – sta stringendo quella di lei, e gli basta poco perché la giovane donna si ridesti dalle proprie profonde elucubrazioni.
-Ti piace quello?
Indica davanti a loro, alla vetrina dove sono fermi da qualche minuto: con il Natale che ormai si avvicina, i negozi più lesti hanno già allestito per l'occasione, e vantano sconti regalo sugli ultimi capi alla moda, appena arrivati.
Un tubino morbido nero, con maniche a tre quarti e gli orli di un bel dorato discreto.
La professoressa non si lascia prendere impreparata, e ha già pronto un bel sorriso sulle proprie labbra, quando gli ricorda, con un'occhiata più profonda delle altre, il motivo per cui stanno facendo shopping assieme.
-Penso sia molto carino, non trovi?
E l'uomo è facile, da far felice. Guarda l'abito con occhi nuovi, e un colorito rosato sulle guance.
Primo Natale assieme, già pensarlo gli suona fin troppo bene.
-Beh, forse non hai torto.
Lei ride un po' della sua timidezza, perché la intenerisce – la fa sorridere d'amore.
Lo tira un poco verso di sé, e continuano la passeggiata assieme.
Non c'è ancora molta gente nelle strade, e forse questo è dovuto al fatto che la temperatura è scesa di colpo, nel giro di pochi giorni. Le previsioni del tempo della rete nazionale dicono che è colpa della pressione, e di un forte vento che viene dalla Russia. Non cambia molto, a dire la verità.
Da quel giorno, ogni cosa ha un significato nuovo, per la donna. È riuscita a ritrovare il proprio ottimismo e la sua profonda gentilezza grazie ai ragazzi e al signor Sasabe, ma si è ritrovata a considerare l'aspetto più crudo della realtà che la circonda. Un sentimento quasi più maturo e consapevole, per quanto risulti strano: è cresciuta anche lei, assieme ai suoi alunni, e di questo si ritiene fortunata.
Perché non è forse compito dell'insegnante accompagnare i propri studenti fino all'età adulta? Se la risposta è sì, vuol dire allora che anche l'insegnante deve essere disposto al cambiamento, altrimenti quello che fa e quello che predica non ha alcun senso.
Saluta ancora la signora Mei, quando la vede sbucare dall'ingresso di un negozio di giocattoli, e saluta tutti i nipoti del vecchio che abita all'angolo della sesta strada, con i loro cagnolini rumorosi. Non ha potuto rinunciare a quel pezzo di realtà.
Conosce l'ipocrisia e la durezza, e li conserva con verità dentro il proprio cuore, perché all'occorrenza possa usarle.

Per fortuna, Goro le stringe di nuovo la mano e riesce a superare il proprio imbarazzo: l'abbraccia, lì alla luce del sole, e le stringe la mano sulla spalla. Per un attimo, questa volta, è davvero sorpresa, ma poi sorride fin troppo contenta, e continua a passeggiare in silenzio.

 

***

 

All'inizio, lo sveglia un sogno appena finito: il suo corpo ha uno spasmo leggero, che si irradia proprio lì dove la coperta si è sollevata e ha lasciato un pezzo di pelle al freddo, tra il calzino e il bordo del pigiama chiaro. Haruka bofonchia insoddisfatto, per rigirarsi nell'abbraccio abbandonato di Makoto e trovare un poco di calore proprio lì; vi si strofina contro, respirando quindi piano. Sente le braccia del fidanzato muoversi appena, segno che anche lui si è destato nel frattempo, e che come prima necessità ha quella di sentirlo davvero vicino – aver dormito l'ennesima notte nello stesso letto non è sufficiente, a quanto pare, per il capitano della squadra di nuoto.
Gli trova la schiena e i fianchi: glieli accarezza piano, dolcemente, come se fossero preziosi.

Come se lui, tutto intero, fosse prezioso.
In questo, Makoto è sempre stato chiaro nei gesti e nelle parole, senza mai lasciar intendere il contrario. Haruka si vergogna un po' a considerare quanta premura riceva dall'altro, per una semplice questione di pudore; non gli piace l'idea di abituarsi, un giorno o l'altro, a tutto quello, perché è dell'opinione che non può considerarsi normale, ordinario, comune. Makoto non è niente di tutto quello, per lui.
Specialmente quando lo sveglia e gli dice, con quello sguardo soddisfatto, che è una di una gioia incredibile soltanto per aver visto lui come prima cosa in assoluto, anche quella mattina. Non ha bisogno di tante parole, oltre il bacio con cui gli bagna le labbra.
Respira il suo odore, schiacciandosi contro il suo corpo molle e caldo degli ultimi residui di sonno. Cerca di abbracciarlo, mettendogli un braccio sulla vita e strisciando piano i polpastrelli delle dita contro il suo pigiama, sulla schiena. Makoto strofina la punta del proprio naso contro quella del suo, felice, e riprende a baciarlo. Lo spinge piano contro il materasso del futon, fino ad averlo disteso sotto di sé.
Questo è un giorno di ferie, per gli studenti di tutte le scuole, eppure casa Nanase è priva della presenza dei suoi proprietari perché il lavoro li ha portati, questa volta più di tutte, abbastanza lontani da non riuscire a rientrare per un breve week end. Makoto e Haruka hanno unito i loro futon, come loro solito, creando una sorta di letto matrimoniale per loro due, con una unica e grande coperta a unirli.
A Makoto piace perdersi a guardare il suo viso, quando sulla pelle è abbozzato un po' di rossore per il caldo e il piacere. Preferisce pensare che Haruka sia innocente piuttosto che fargli un effetto così devastante, che gli basti poco più di tre baci per ammorbidire, o indurire, ogni parte di lui; è timidezza, pudore, modestia assieme. E troppo, troppo amore.
Haruka lo lascia accomodarsi tra le proprie gambe ancora fasciate dal pigiama, e lo abbraccia stretto all'altezza del collo quando si sdraia contro di lui – non lo lascia più scappare. E se questo rende difficoltosa l'operazione di togliersi i vestiti di dosso, perché è immensamente più bello sentire il calore l'uno dell'altro a diretto contatto con la pelle, li inebria di gioco e di allegria leggera, obbligandoli quasi a rotolare da tutte le parti per ritrovarsi sempre e comunque in un groviglio stretto, e in un bacio perenne.
Makoto è sempre gentile, anche quando penetra nel corpo di lui e tocca il punto più profondo della sua intimità. Lì, i due ragazzi si sentono davvero legati, e si arrischiano a chiamare quell'atto con la definizione arrogante di perfezione.

 

L'aria è ancora più fredda, all'esterno, e lo fa rabbrividire con forza. Nell'attenderlo, Makoto ha cominciato a saltellare sul posto, e a ogni respiro veloce che fa una nuvoletta di vapore gli si condensa di fronte alla bocca, congelandosi e sparendo nel giro di qualche attimo; è infreddolito a propria volta, e non manca di farglielo notare con una smorfia addolorata.
-Sbrigati, Haru! Fa freddo!
È un po' scocciato quando gli risponde. Non nuota già da alcuni giorni, perché la piscina ha chiuso per le ferie natalizie, mentre il club a scuola non può svolgere le proprie normali attività per colpa del tempo: anche se Makoto lo costringe a fare esercizio fisico ogni giorno per mantenere almeno il minimo indispensabile della massa muscolare, gli appartiene sempre un poco di insoddisfazione sottopelle.

-Lo sento anche io che fa freddo.
Lo supera, scendendo già gli gradini della discesa che porta alla spiaggia, e viene subito raggiunto da un Makoto abbastanza preoccupato. Questo lato del suo carattere, un poco lamentoso, non lo abbandonerà mai e l'averlo ripreso così in fretta, negli ultimi tempi, non può che rassicurare Haruka, sotto sotto. Vuol dire che la situazione si è stabilizzata di nuovo, e l'animo di Makoto ha ritrovato la propria tranquillità.
Il mare è placido, gli comunica una calma profonda. Risuona di profondi silenzi, echi che vengono da troppo lontano, oscurità abissali che respingono persino la luce – tutto come al solito, d'altronde, perché niente ha disturbato la quiete di Iwatobi da quella famosa notte.
Makoto e Haruka raggiungono presto la spiaggia dura di freddo, e i loro passi producono rumori regolari che si espandono ovunque. Un signore anziano, fermo su una panchina del lungomare, con un bastone nodoso in una mano il proprio ginocchio nell'altra, li guarda arrivare e li segue, finché la vista glielo permette. Haruka ha accelerato il passo, quando lo ha scorto appena più in là, e torna a correre normalmente solo quando è sicuro che c'è soltanto Makoto, assieme a lui.
Non ha mai gradito molto lo sguardo di certe persone, quando è in presenza di Makoto. La storia della strega e di quel tale, Yamazaki, gli ha insegnato a tenersi stretti gli affetti e gli amori, e di non condividere troppo con chi non è in grado di valutare il proprio e il valore altrui. Aver rivelato la loro relazione soltanto a parenti e amici non significa che si trovano ancora nella condizione mentale di doversi difendere da tutto e da tutti, ma piuttosto hanno ritrovato un vivere comune molto più tranquillo e rilassato, anche e specialmente per loro stessi.
Ripensare a Nagisa e al suo “ma noi lo sapevamo già” lo riempie di tedio, e Makoto se ne accorge subito, e si avvicina a lui per vedere se qualcosa non va. L'acqua del mare gli bagna le scarpe, con la spuma bianca; nel tentare di scansarsi, si scontra con la spalla del fidanzato, e per un attimo pare che entrambi perdano l'equilibrio. Si fermano a reggersi a vicenda, per poi sorridere e ridere.
Continuano a correre, piano. Ed è in quel momento che Haruka sente qualcosa, dietro di loro. Si volta, con la netta percezione di essere seguito, e quando Makoto lo vede sorridere fa lo stesso anche lui.
Si ritrova pieno di gioia, all'improvviso.
-Bentornato!
Si fa appena più in là, per permettere al nuovo arrivato di mettersi in mezzo, e di correre assieme a loro.

 

Love me tender,
Love me true,
All my dreams fulfilled.
For my darlin' I love you,
And I always will.

[Elvis Presley – Love me tender]



 

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Capitolo 42
*** 41. Capitolo quarantuno ***


41. Capitolo quarantuno



 

-Il seme di quei fiori me lo aveva dato Yamazaki-kun. La notte del matrimonio non erano ancora abbastanza grandi per farci una corona, ma poi sono cresciuti sempre di più. Il giorno in cui sono morto stavo portando i fiori alla scogliera, per gettarla in mare, in modo da donarla allo spirito del mio amico. Ma sai? Avevo un altro rimpianto, oltre a quello. Io ero ancora un ragazzino, non avevo mai vissuto al di fuori del tempio della mia famiglia. Tuttavia, quella notte vidi qualcosa che riuscì a toccarmi il cuore, e che mi cambiò radicalmente. Fu una notte importante anche per me, perché conobbi il significato dell'amore. Ma ero invidioso, molto invidioso, perché io non sapevo ancora cosa significasse davvero amare. Lo desideravo: desideravo tanto impararlo. E ora, grazie a te, ci sono riuscito. Ho capito cosa si prova.
Non aveva capito, all'inizio – o forse, non aveva voluto capire. Mentre stava per dissolversi in una nuvola di vapore lucente, Momotarou gli aveva sorriso con tutta la propria forza, e lo aveva stretto tanto.
Più nulla lo avrebbe ancora legato a quella dimensione terrestre, e quindi il suo posto era in un altro luogo. Paradiso o inferno, come lo si sarebbe voluto chiamare: comunque, lontano da lui. Aiichirou, nell'istante in cui lo ha realizzato, ha mutato espressione, e ha balbettato parole sconnesse.
Di diniego, di assoluto diniego, di incredulità e di assenza.
Non avrebbe potuto finire così, all'improvviso, senza neanche l'opportunità di rimediare. Non avrebbe mai voluto salutare Momotarou, non aveva neanche contemplato l'idea.
Eppure, Momotarou già stava sparendo, e la sua fisicità svaniva di secondo in secondo.
Aiichirou si era ritrovato a piangere ingoiando le proprie stesse parole.
-N- non voglio-
Momotarou aveva sorriso, spiegando le ali che gli erano cresciute sulla schiena, per prendere meglio il volo. La sua espressione apparteneva già a un'altra dimensione, mentre aveva seguitato a parlargli, per dire la cosa più crudele e dolce di sempre.
-Ti ringrazio, Ai-senpai. Ti ringrazio per avermi insegnato ad amarti.
Si era chinato a donargli un bacio soffice, quasi inesistente; poi, si era dissolto, esattamente come un bel sogno. Lasciando Aiichirou da solo, a piangere e urlare nella dimensione degli esseri umani vivi.

 

***

 

Iwatobi ha ancora profonde ferite nel proprio spirito, ed è facile vedere come questo sia evidente. Basta camminare appena poco più in là, oltre gli edifici nuovi di recente fattura, dove la sfavillante allegria della festa si spegne un poco nella quotidianità consueta e tranquilla, che cambia in meno tempo e rimane più a lungo. La scalinata del tempio è addobbata di fiori sempre freschi, a ricordare le notti buie di sventura e scacciare il malocchio possibile che è restato su quelle terre. C'è un profumo lievissimo di rose, oltre l'aroma della prima neve. Aiichirou e Haruka passano oltre, lasciandosi anche quel pezzo di dolore alle spalle.
Makoto non è con loro: è rientrato a casa con una scusa, andando a prendere i propri fratelli dalla noia di una domenica mattina. Ha preferito lasciarli soli, dopo essersi assicurato che il proprio amico stesse bene e che la sua famiglia non presentasse ancora feriti gravi. Rimaneva un ragazzo dolce quanto attento, dopotutto, e sembrava ritenere Haruka il più adatto a parlare con Aiichirou, in quel momento.

Forse, ha anche ragione.
Aiichirou nasconde quel poco di tensione che ha addosso in saltelli irregolari, che seguono l'andamento delle mattonelle della pavimentazione. Lo guarda di rado in viso, con una giustificazione ben precisa.
-I ragazzi del club stanno bene?
Haruka trova strana la domanda, ma poi capisce cosa sottintende. Rimane un po' rattristato, e tuffa le mani infreddolite nelle tasche della propria felpa.
-Non hai intenzione di andarli a trovare.
Non è una domanda, quanto piuttosto un'affermazione. Aiichirou nasconde un sorriso un poco amaro, un'espressione con una punta di malinconia.
-No, per ora no.
-L'avrai nel futuro?
-Necessariamente.
Altri tre saltelli, di fila.
Il giorno si è colorato con un cielo acceso, che riscalda appena e non riesce a sciogliere i duroni di ghiaccio che la neve ha formato agli angoli più nascosti delle strade, quelli che rimangono all'ombra la maggior parte del tempo. Per poco, anche Aiichirou non cade, mettendo male il piede sopra uno di quelli – poi però ride, preso al volo dalle braccia pronte del compagno, che lo guarda male e lo lascia andare.

-Gou non ha mai saputo dirci che cosa ti fosse successo, quel giorno.
-È stato molto doloroso anche per me.
-La tua famiglia?
-Stanno tutti bene, ma dubito torneranno in questi luoghi. Io ho bisogno di tempo, ma tornerò.
Sospira e rallenta un poco il passo. Sembra tutto così normale, anche se stanno parlando di sentimenti gravi. Aiichirou è forte, Haruka non può che ammirare il suo spirito tenace, e per qualche secondo, lo ammira abbastanza da voler assomigliargli almeno un poco.
Dopo il sorriso di lui, e quegli occhi spalancati alla completa adorazione, lo distraggono.
-Tu e Tachibana-senpai avete deciso cosa farete il prossimo anno?
-Sì, siamo riusciti a capire cosa vogliamo.
-Ne sono felice.
Ma sono tutti modi per tergiversare, Aiichirou lo sa bene: sta intenzionalmente ignorando la domanda principale, quella a cui Haruka non rinuncerà mai. E se lo deve dire a qualcuno, in effetti, forse è bene che lo dica proprio a lui.
Sospira di nuovo, e rilascia il primo pezzo di verità.
-Quella notte ho visto il limite della mia impotenza, Nanase-senpai. Non avrei potuto essere più forte di allora, eppure non è bastato.
-Hai salvato tutti, non credi di pretendere un po' troppo da te stesso?
Aiichirou lo guarda, ed è la stessa durezza che una volta è riuscito a convincerlo a trovare la forza dentro di sé. Anche Haruka è gentile, seppur non dolce; crede nei propri amici, e ha fiducia nelle loro capacità. Poter chiamare amica una persona del genere è, per Aiichirou, un grande privilegio.

Il ragazzo più giovane si commuove, e non fa niente per nascondere il principio di pianto che gli bagna gli occhi.
-Nanase-senpai... Ti ringrazio. Le tue parole significano molto, per me.
Haruka si accorge solo in quel momento dove il passo di Aiichirou li sta conducendo. Può intuire il suo scopo, ma non azzarda ipotesi. Certo è che avvicinarsi alla spiaggia dei fuochi, dove si è svolta sei mesi prima la festa della strega, non può essere davvero un caso.
Lui, tra le altre cose, sta cominciando a sentire davvero freddo.
-Dopo quella notte, io e la mia famiglia siamo scappati. Siamo davvero scappati. Siamo tornati alla nostra vecchia casa, in montagna. Mio padre ha avuto diverse crisi di panico, gli sono stato vicino. Mia madre è dovuta tornare a lavoro per mantenerci. Ma stiamo bene, davvero. Davvero!
Ride, per convincere più che altro se stesso. Haruka non ha bisogno di rassicurazioni per credere alle sue parole, e lo quieta con domande semplici, per quanto dirette.
-Perché sei qui?
-C'è ancora una cosa che devo fare. Ora sono pronto a dire addio a una persona.
-Vuoi che ti accompagni?

-No, grazie. Devo farlo da solo.
Il ragazzo più grande si ferma alla base della scogliera, lì dove un'altra scalinata dolce porta alla cima della vetta, dove si dice che la strega sia morta. Si stringe nella propria tuta, con le braccia alte a tenere le spalle.
Aiichirou gli sorride, grato.
-Ti aspetto qui, allora.
-Grazie.

 

C'è una panchina, appena prima della ringhiera che protegge la camminata dalla ripidità della scogliera: negli anni, qualcuno ha pensato bene di far qualcosa per evitare spiacevoli incidenti.
Aiichirou decide di sedersi lì, dopo essere arrivano fino in cima con una lemma che suggerisce una certa ansia. Passo dopo passo, si è goduto il panorama che gli veniva offerto, guardando la meraviglia dell'oceano in tardo autunno e l'agitarsi dei venti in lontananza, ben distante dalla riva e dalla spiaggia sulla quale viveva metà della popolazione locale.
A ogni respiro, si sentiva fisicamente bene.
Prese a far danzare, sotto la parte orizzontale della panchina, le proprie gambe, in un gesto piuttosto fanciullesco. Si guardava i guanti di pelle, scuri, che nascondevano alla vista le dita sottili, ancora così fragili e delicate. Non era più riuscito a toccare nessuno, da quel giorno, e ancora la cosa gli pesa.

Sa che Iwatobi ha contato delle vittime, sotto l'attacco della strega. Un paio di signori anziani che non sono riusciti a raggiungere la zona del raggruppamento di emergenza, rintanatisi quindi in casa nell'attesa che tutto fosse passato, e un agente delle forze dell'ordine che ha dimostrato troppo zelo nel proprio lavoro e quindi, per questo, paradossalmente punito. Il ragazzo ha pregato per loro per interi giorni, sprecando diverse lacrime per la salvezza delle loro anime. Ma non è riuscito a rivolgere una sola parola a qualcuno cui era più abituato.
Ha deciso, però, che è arrivato il momento per farlo, perché portarsi dentro un dolore simile non può fare che danno. Specialmente in vita.
Quindi prende un respiro profondo, e comincia a parlare, forse troppo concitato.
-Momotarou-
Fa una pausa e ride di se stesso, pieno di ansia. Se ne libera un poco e riprende a respirare con calma – ma deve fare almeno altri due tentativi come il primo per riuscire davvero a mettere più di tre parole le une dietro le altre.
Alla fine si irrita e basta, e trova un attacco davvero ignobile.
-Sei uno stupido!
Strabuzza gli occhi: si è piegato in avanti col busto, e il ventre gli fa abbastanza male. Torna in una posizione dritta, e guarda il cielo sopra di sé. Trova le parole.
-Sei uno stupido, Momotarou, e io lo sono stato molto più di te. Ho aspettato più di tre mesi per riuscire ad arrivare qui, su quella che dovrebbe essere la tua tomba.
Guarda in basso, sul suolo di cemento che prima ha calpestato: non ha davvero idea di come Momotarou e suo fratello siano veramente morti, ma può immaginare mille modi in cui Sousuke li può aver richiamati a sé; sarebbe bastato poco, anche una piccola malattia, di quei tempi.

Non vuole pensarci – torna a guardare in alto, perché è lì, ormai, che Momotarou si trova.
-C'è molto più silenzio ora che non ci sei tu. Posso dormire tranquillo e passeggiare per casa senza avere la paura di uno dei tuoi agguati. Sai? Le prime volte era piuttosto imbarazzante. Avevo quasi paura di te. Poi sei diventato una noiosa abitudine, un po' come lavarsi i denti dopo un buon dolce.

Ancora una pausa, perché viene distratto da una nuvola.
-Poi però sei diventato indispensabile, Momotarou.
Crede di sentire un rumore di passi, e allora si zittisce all'istante. Arriva invece un gattino curioso, che guarda il ragazzo con occhi vispi e allegri, per sparire dietro un cespuglio di rovi e far cadere a terra un mucchio di bianca neve. Aiichirou sospira, e si rilassa contro lo schienale della panchina.

Mantenere lo sguardo verso l'altro, con il collo abbandonato sul bordo freddo, è più facile, così.
-Ancora oggi mi chiedo se avessi potuto fare qualcosa per trattenerti qui. E lo so che sarebbe stata una crudeltà nei tuoi confronti, perché il tuo posto non era qui con me da moltissimo tempo. Tu eri morto, e dovevi andare dove vanno i morti. È stato giusto che tu sia andato via, dopotutto. Non hai più dovuto vivere il dolore di Yamazaki-san. Però, Momo, ho provato dolore io. E non qualcosa di tollerabile, o di passeggero. Qualcosa che possa essere dimenticato. È stato come pensare di averti lasciato morire una seconda volta, e di non poterti mai più rivedere. Perché, Momo, io ho capito di aver bisogno di vederti e di averti vicino. Ho capito che tutte le volte che mi era concesso toccarti per me era una benedizione.
Si toglie il guanto dalla mano, senza guardare, e rivolge il palmo aperto verso le nuvole silenziose.
-In cuor mio, senza che me ne rendessi conto, ho benedetto la maledizione di Yamazaki-san. Quale atto più blasfemo di questo? Non ne conosco. Ma credimi che io l'ho trovato dannatamente giusto, Momo. Perché, con tutto il male che quella maledizione ha fatto, mi ha permesso di incontrare te. Siamo nati in epoche sbagliate, Momo. Tu non dovevi nascere cento anni fa, e io non dovevo nascere diciassette anni fa. Questo è davvero sbagliato, non l'amore di Yamazaki-san per Matsuoka-san. Io dovevo essere il tuo migliore amico, il tuo compagno, avrei dovuto esserci ogni giorno che passava e ancora di più. Avrei dovuto sentire ogni tuo respiro e ogni tua risata. Invece, mi è toccata soltanto la tua morte opalescente.
Sente pizzicare gli occhi, di irritazione, e solo in quel momento si accorge di aver cominciato a piangere. I singhiozzi rallentano le sue parole, ma non le fermano – niente può più fermarlo, ormai.
-Mi sarebbe bastata anche quella, se fosse stata eterna. Sono egoista e stupido, ma preferisco averti piuttosto che sopportare l'idea di rimanere solo per sempre. Capisco Yamazaki-san, lo capisco sinceramente. Come si può volere questo? Come si può sopportare questo dolore?
Si copre gli occhi, perché non riesce più a guardare niente.
-Io ti amavo, e ti ho perduto per sempre.

Piange e singhiozza, lasciando però la mano nuda protesa verso l'alto, dimenticata lì per caso.
Cade, dal cielo, una piuma illuminata da un bagliore anomalo, che si deposita piano sul suo palmo.
-Non è vero, Ai-senpai.
Aiichirou sente prima la voce che la sensazione sulla pelle; sobbalza, e guarda cosa è caduto tra le sue dita. Cerca attorno a sé dei segni che confermino l'ipotesi folle che gli è capitata in testa, e si deve persino alzare, per riuscire a vederlo.
Non è un fantasma, non più.
Il vestito è lo stesso, ma ha quelle stesse strane ali bianche che lo hanno portato in cielo, e che ora lo sostengono mentre lo guarda tranquillo. Sorride come sempre, sotto la capigliatura rossiccia e spettinata.
Il suo angelo custode. Quello che un tempo fu Momotarou Mikoshiba, un essere pieno di luce.
Aiichirou si china a terra, e continua a piangere più forte – Momo gli si avvicina, e lo chiude tra le sue ali in un abbraccio tutto bianco.

 

And I will love you, baby - Always
And I'll be there forever and a day - Always
I'll be there till the stars don't shine
Till the heavens burst and
The words don't rhyme
And I know when I die, you'll be on my mind
And I'll love you - Always

[Bon Jovi – Always]

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Capitolo 43
*** Epilogo ***


0. Epilogo



 

Scosta la tenda, in punta di dita.
La giovane infermiera guarda l'anziano con occhi abituati a cogliere particolari rivelatori, ma la sua espressione non lascia trasparire molta fiducia o molta aspettativa: sono ormai tre giorni che il suo paziente non dà alcun segno di volersi muovere dal lettino in cui è stato riposto, e guarda in direzione del vuoto, come se qualcuno stesse accanto a lui per tutto il tempo. Crede che sia il caso di rivolgergli commiserazione, oltre che ultime parole di conforto e la cruda verità: è fortunato se durerà ancora per qualche giorno.
E proprio mentre sta considerando questo pensiero, più la mole di lavoro che l'attende per la prossima mezza giornata, ecco che i macchinari attaccati sia al petto sia al braccio del signor Nitori cominciano a mandare messaggi di allarme piuttosto esigenti.
Ha smesso di respirare.
Chiama, allarmata, qualcuno che la aiuti, altri infermieri e pure l'intervento di un medico. Scosta la tenda che isola il paziente dagli altri, in modo che le persone possano arrivare presto, senza alcun fastidio sul proprio cammino. Ancor prima che il medico le dica cosa fare, sa già dove mettere le mani: bisogna innanzitutto rianimarlo, e costringere il suo cuore a battere ancora. Per quanto non ci sia neanche un poco di speranza, è quello il suo compito, e lei sa di doverlo svolgere.
Ben presto, quel poco spazio disponibile viene sommerso di persone veloci e pratiche; il medico guarda con occhio celere i parametri delle macchine, e chiede ulteriori informazioni con una domanda secca. È già tutto pronto, quando dà il via all'azione generale.
Momotarou si è fatto appena un poco più in là, per guardare meglio la scena. Tutto è abbastanza strano, per lui, è anche abbastanza divertente.
-Quando sono morto io non c'era certo tutta questa gente!
Lo dice con un sorriso sulle labbra, per anche a distanza di tempo non ha mai considerato la morte come dolorosa; piuttosto, assai necessaria. Aiichirou, accanto a lui, sospira affranto, e guarda il proprio corpo privo di vita come se si trattasse di una carcassa qualsiasi. Non lo credeva possibile, ma ritrovarsi a guardare quel corpo vecchio e fragile non gli fa né pena né tristezza, gli istiga solo una malinconia pacata.
Sotto i suoi occhi, Momotarou assume le sembianze del ragazzo che fu, adattandosi alla forma ideale con cui l'anima di Aiichirou si è staccata dal corpo – negli anni, l'angelo ha cercato di modellare il proprio aspetto in riflesso a quello che assumeva anche l'altro, per non creare disagio con una differenza che non poteva essere colmata in alcun modo; gentile e accorto, come sempre.
Hanno, circa, l'età del loro primo incontro.
Momotarou gli sorride ancora, guardandolo mentre si stringe nelle proprie braccia. Un po' di disagio è normale, per quella nuova forma, anche solo per il riadattamento a una sensibilità diversa. Glielo chiede senza malizia.
-Vuoi restare ancora qui?

Il sottinteso è se abbia qualche rimpianto o qualche rancore da risolvere, su quella terra.
Aiichirou pensa, cercando di sgomberare la mente dalle inutili emozioni del momento – l'età adulta lo ha reso molto più calmo e posato, per quanto con lo stesso fervore appassionato dello spirito.
Ha vissuto tutto il proprio tempo in pienezza di vita. Viaggiando, conoscendo persone, incontrando ogni genere di pensiero; tutti i fantasmi che ha aiutato, tutte le genti che ha visto, hanno reso la sua esistenza davvero gronda di felicità.
Non è riuscito a fermarsi un attimo, e questo ha dato una impronta particolare al tutto. Ma essere felici, anche in quel modo, è stato straordinariamente facile.
Perché, dopotutto, c'era sempre Momotarou, che calibrava il suo essere pieno di ombra con una luce abbagliante, perennemente pura. L'equilibrio della loro unione ha creato la vera perfezione, per entrambi.
Aiichirou, volteggiando su quel gruppo di infermiere che stavano registrando l'avvenuta morte del suo corpo, riesce a sorridere al proprio angelo custode.
-No, non mi serve più.
Momotarou si illumina, e gli offre la propria mano – Aiichirou la stringe, forte, e si aggrappa a lui quando decide di volare via, ben lontano da quel luogo troppo pieno di morte.
Il cielo è sempre più vicino, a quella velocità. Si sorpassano nuvole e pezzi di azzurro, ci si ritrova immersi in un infinito che non ha consistenza o spessore. Anche ad Aiichirou sbucano le ali, in una piega di sensibilità della schiena, ma è tutto così naturale che non ci fa neanche caso.
Momotarou lo accoglie in quello che sembra il suo sogno: un paradiso di fiori giallissimi, distesi ben oltre il limite della vista umana. Non è realtà quella, e Aiichirou lo sa bene, perché gli viene semplicemente da ridere e non farsi alcuna domanda sulla logica o sulla verosimiglianza.

C'è solo una felicità perfetta, dentro di lui, e le mani di Momotarou tra le dita.
-Ben arrivato, Aiichirou!

 

When the night has come
And the land is dark
And the moon is the only light we'll see
No I won't be afraid
Oh, I won't be afraid
Just as long as you stand, stand by me

So darling, darling
Stand by me, oh stand by me
Oh stand, stand by me
Stand by me

If the sky that we look upon
Should tumble and fall
All the mountains should crumble to the sea
I won't cry, I won't cry
No, I won't shed a tear
Just as long as you stand, stand by me

And darling, darling
Stand by me, oh stand by me
Oh stand now, stand by me
Stand by me

[Ben E. King – Stand by me]







 

Note finali

 

Se inizialmente Aiichirou non è sembrato completamente IC, penso di dover dare una spiegazione in merito. Anche legato al fatto che, necessariamente, questa fic è partita lenta in quanto volevo descrivere le premesse per una situazione piuttosto nuova per l'universo di Free!, Aiichirou non ha gli stessi elementi di appoggio che ha avuto nell'anime, come per esempio una stabilità emotiva e Rin, o un “elemento di ammirazione”. Haruka poi verrà a sostituire Rin, nel suo ruolo, ma prima che questo possa accadere Aiichirou deve affrontare diverse prove.
La mia storia è un racconto di formazione, in pratica, e spero di aver reso chiari i riferimenti dell'inizio e della fine a tal esplicito proposito, proprio nell'epilogo e nel prologo. Quindi, la prima prova che il protagonista deve affrontare, nonché quella più gravosa, è il confronto con se stesso. Un se stesso che non riesce ad accettare e di cui ha intrinsecamente paura, un se stesso che inizialmente non approva per nulla, in quanto legato in modo molto intimo a un elemento che lo spaventa più di ogni altra cosa: il nero, che per certi versi è collegabile direttamente alla morte. Non è un caso che come prima cosa in assoluto racconti della nonna morta, proprio per rendere chiaro come Aiichirou senta questo avvenimento nel proprio cuore. La figura della nonna, nella fic, non scompare mai veramente, ma si priva man mano di quegli elementi terribili che aveva in precedenza, e diventa una figura di riferimento positiva, specialmente nel momento in cui Aiichirou deve affrontare l'esorcismo di Sousuke.
Il confronto con la vita è la seconda prova. Dacché Aiichirou è legato per lo più a un elemento “in contrasto” con la vita, questo confronto gli appare più un contrasto insormontabile, all'inizio, e questo lo rende implicitamente remissivo, nei confronti di tutto. Trova poi elementi di vita, paradossalmente, in Momotarou, e nella sua capacità di produrre una “luce accecante”. Ho cercato di rendere, in questo modo, il loro legame strettamente necessario e implicitamente indispensabile per la risoluzione della storia, perché senza Momotarou e la sua luce Aiichirou non avrebbe accettato l'ombra dentro di sé.
L'ultima prova, o confronto, è con le altre persone. Ho cercato di rendere variegati i miei personaggi, da quelli più accomodanti a quelli meno. Ho cercato di fornire anche un quadro di vita che non fosse unicamente giovanile, perché mi sembrava paradossale e molto forzato. Inizialmente, i genitori di Aiichirou non avrebbero dovuto avere un ruolo così fondamentale, ma poi mi sono accorta che mi sarebbero potuti servire moltissimo, specialmente considerando che, nella formazione di un giovane uomo, il confronto diretto con i propri genitori è più che necessario; ho cercato, quindi, di rendere i genitori “persone”, e non soltanto genitori, con le loro sensibilità, le loro paure e le loro ansie, e anche il loro coraggio finale. Gli amici di Aiichirou hanno subito un processo simile. Haruka in particolar modo ha subito un processo di trasformazione, dall'inizio alla fine, in merito alla propria relazione con Aiichirou. Rimane un po' in sospeso, è vero, ma credo anche che sia nel carattere di Haruka di lasciare “tempo al tempo”, e di non forzare le cose; è cresciuto gradualmente il suo affetto per Aiichirou, ed è questo che lo lega davvero al ragazzo, specialmente considerando che è partito da una situazione di assoluta indifferenza.
La relazione con Momotarou esula dal contesto delle “prove”, ma rientra nella formazione finale di Aiichirou. All'inizio,lui odia i fantasmi come odia se stesso, li detesta e li commisera perché sono esseri che non sono riusciti ad accettare la realtà, dimostrando anche non poca ipocrisia dal momento che si macchia della stessa colpa. Momotarou per natura è fastidioso e insistente, ma come vediamo nell'anime alla fine riesce a incontrare la sensibilità di Aiichirou, perché dimostra anche sensibilità e accortezza. Lo stesso, spero, succede nella mia fic, dove Momotarou risponde prontamente a ogni richiesta di aiuto di Aiichirou; sbagliando, facendo disastri, ma rimanendo fedele all'altro in modo totalmente sincero, e questo Aiichirou lo sente, e alla fine ne viene conquistato. Come ho già detto, Momotarou è la soluzione finale di molti dei problemi personali di Aiichirou, e proprio per questo io penso che la loro possa essere definita senza indugio relazione romantica: se da una parte Momo ama tutto ciò che Aiichirou è, dall'altra Aiichirou acquistando consapevolezza e sicurezza riesce a emergere per com'è davvero e rinuncia alla paura. Momotarou alla fine diventa l'angelo custode di Aiichirou perché non mi piaceva l'idea di slegarli per sempre, e ho trovato molto più romantica questo tipo di soluzione.
Volevo dire qualcosa anche riguardo a Sousuke. Nell'anime ha solo una parvenza di burbero, e questo lo so bene. La concezione di lui come “strega” è stata articolata, e verte molto sul suo legame con Rin. Spero sia chiaro che il suo odio è generato non tanto dalla morte in sé, che sì è terribile ma secondaria in questo caso, ma dal fatto che la morte lo ha portato a una separazione dal suo Rin, che non potrà più rivedere: questo è per lui insopportabile, e nell'anime tutto ciò che presumibilmente lo porta lontano da Rin è visto come nemico da eliminare. La risoluzione, in questo caso, è semplice, perché alla fine Aiichirou deve soltanto capire che l'unica cosa che Sousuke desidera e per cui rinuncerebbe a tutto il proprio odio è il ricongiungimento con il suo amato. Sousuke è disperato e fa una strenua resistenza, perché comunque cento anni di odio non sono pochi, ma alla fine rinuncia ai propri propositi. Ho pensato a lungo se assolverlo o meno, considerando anche quello che ha fatto a Kisumi, ma volevo che l'amore trionfasse e che il suo pentimento risultasse tanto profondo da essere salvifico.
Stilisticamente parlando, penso di aver dato il peggio di me nelle sezioni descrittive dedicate alla relazione di Aiichirou con il nero. Sono ovviamente parti molto introspettive, psicologiche al massimo, e credo che il mio stile si sia un po' intestardito in quelle parti, ma anche volendo evidenziare l'importanza della cosa. Ho cercato di bilanciare questa gravità con le scene della vita di tutti i giorni di Aiichirou, raccontando la sua storia completa, e non soltanto squarci scomposti. Spero che alla fine il quadro risulti completo.
Spero sinceramente che la lettura sia stata piacevole, e che alla fine la storia abbia emozionato.

 

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