Il fiore di loto

di Fabi96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - la realtà dei fatti ***
Capitolo 2: *** Luce e tenebre ***
Capitolo 3: *** Tenere una maschera ***
Capitolo 4: *** Petali che cadono ***
Capitolo 5: *** Aiutati che il cielo ti aiuta ***
Capitolo 6: *** Contrattaccare ***
Capitolo 7: *** Lacrime di pioggia ***
Capitolo 8: *** Raccogliere i cocci ***
Capitolo 9: *** La verità che non puoi nascondere ***
Capitolo 10: *** Missione liberazione ***
Capitolo 11: *** Riavvicinarsi al fuoco. ***
Capitolo 12: *** Silenzio e controllo ***
Capitolo 13: *** Tutto torna a galla, e noi affoghiamo. ***
Capitolo 14: *** Noi diamo fuoco ***
Capitolo 15: *** Scosse di dolore ***
Capitolo 16: *** Volere e Dovere (parte I) ***
Capitolo 17: *** Toccami come tu solo sai (II parte) ***
Capitolo 18: *** Verso l'alto ***
Capitolo 19: *** Facile impazzire ***
Capitolo 20: *** Insorgere, e fallire ***
Capitolo 21: *** Inondazione ***
Capitolo 22: *** Solo Dolore ***
Capitolo 23: *** L'ennesima volta ***
Capitolo 24: *** L'uomo che voglio essere ***
Capitolo 25: *** Punto di rottura ***
Capitolo 26: *** Pietà ***
Capitolo 27: *** Giustizia ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - la realtà dei fatti ***


 

L'ultimo degli iniziati si era appena posizionato sulla poltrona.
Gli interni avevano già concluso la prova da tre ore ormai e rimanevano solo più i ragazzini tras-fazione. 
Elise era troppo soddisfatta dei suoi allievi per accorgersi del continuo movimento nei corridoi di intrepidi e dei capifazione che dietro gli schermi della sala delle simulazioni erano ormai rimasti in pochi. Dov'erano gli altri? 
Era obbligatorio durante l'esame che ci fossero almeno la metá del numero dei capi presenti. 
Cosa stava succedendo? 
Scocciata da questo fatto distolse la sua attenzione dalla simulazione del ragazzo ex-erudito, ormai quasi conclusa, per rivolgere la sua attenzione al gruppo dei capi, ignorando completamente il gruppo di eruditi radunati intorno ai computer. 
Erano rimasti solamente  Robert, responsabile dei rapporti con gli eruditi e del test e Jack, uno dei capofazioni piu giovani tra quell'elite di eruditi. 
Ma dov'era il più giovane? Dov'era Eric? 
Era da mesi che si comportava in modo schivo e strano con lei. Erano giorni che non lo vedeva rientrare in camera a un'ora decente ed era da giorni che non parlavano, nemmeno un 'buongiorno' o un 'come stai'. E adesso non era nemmeno presente nella sala dove, come la chiama lui ,  la 'carne fresca' stava dando il meglio di se per dimostrare di essere degni degli intrepidi? Lui che era il responsabile degli iniziati? 
Stava capitando qualcosa, e il caos che si stava creando nei corridoi della fazione ne era l'indizio lampante. 
Elise interruppe i suoi pensieri, e si accorse che la simulazione si era conclusa e che il ragazzo l'aveva passata per il rotto della cuffia. Avrà tutto il tempo di migliorare adesso che era tra loro. 
Sentì qualcuno dietro di lei avvicinarsi e poggiare le mani sulle sue spalle , si voltò di scatto : era Jack. 
Era un ragazzo molto attraente. Era stato l'istruttore di Elise durante la sua iniziazione. C'è chi lo definerebbe uno stronzo di prima categoria e un DonGiovanni. Elise lo ha sempre visto come un fratello maggiore. 
Quel pomeriggio indossava la solita divisa nera degli intrepidi e la giacca di pelle dei capifazione (dopotutto era una cerimonia ufficiale, quella del test finale). La cresta di capelli neri non era stata fatta con la solita cura che Jack il perfettino ci metteva di solito, ai lati della testa aveva dei disegni rasati sul capello gia corto, linee dritte che gli conferivano una aria seria ma anche sexy.  
"E dopo questa penosa prova, che ne dici se ci avviamo insieme verso il pozzo?
Ascoltiamo per la quinta volta il discorso di Max, per te sarebbe la seconda, e poi ti offro qualcosa da bere?"
"No grazie. Devo prima controllare una cosa, ma se vuoi chiedi ad Eric, e digli pure che prima di chiederlo a lui, lo hai chiesto a me. Sono sicura che si farà una risata."
"Come minimo il pazzo mi spaccherebbe di nuovo il naso. Ma che posso farci? Si è accaparrato la più carina e da due anni la tiene occupata! Cioè, non esiste! Vorrei che fosse un pò abnegante nell'animo e imparasse a condividere e non a renderti una sua esclusiva! Cavolo, avete diciannove anni! " disse scocciato.
"Sta zitto Jack, e vatti a bere quel bicchierino!"
"Prima bisogna sistemare tutti e poi, potrò divertirmi"
si girò e la lasciò li, ammutolita e confusa dopo quell'affermazione. Aveva la pella d'oca e piccoli brividi le erano saliti lungo la schina.
Cosa voleva dire? Possibile che ci fosse sotto qualcosa di grosso? Si girò verso il gruppo di eruditi: Jeanine non era più lì. 
Doveva trovare Eric. 
Il silenzio di quelle settimane era collegato di sicuro all'affermazione di Jack, al continuo crescere dei rapporti con gli eruditi, alla decisione di eliminare gli iniziati meno forti. Tutti i nodi tornavano: aveva accompagnato Eric un mese fa alla sede dei cervelloni e se ne era uscito con tre carichi di sieri per le simulazioni. Non era quello il fine. Non erano per le allucinazioni. Lei era la responsabile delle scorte e del funzionamento delle simulazioni, e di siero ce n'era per un esercito intero. Perché prenderne altrettanto?
E in quel momento capì.
Uscì di corsa dalla sala e corse attraverso i corridoi dela residenza. Doveva arrivare al pozzo il prima possibili. Non era importante trovare Eric: sapeva perfettamente dov'era. 
Sentiva un dolore all'altezza della parte sinistra del costato. Perche stava facendo tutto ciò? Perche collaborava con gli eruditi? Continuava a pensare che lo avessero ingannato. Si stava autocinvincendo che lo avessero tenuto all'oscuro delle motivazioni di quelle azioni, di quelle decisioni. Ma se era ignaro di quello che stava facendo in quei giorni, perche essere cosi schivo per mantenerlo segreto? Non era logico, ma non voleva essere logica e realistica su di lui. Non voleva rovinare il pensiero che aveva di lui.
Spuntò da una delle entrate rialzate rispetto al suolo della sala principale, e potè vedere quello che sperava con tutta se stessa non accadesse. Gli intrepidi erano in coda in più file, e i capifazioni stavano iniettando un liquido ambrato, dello stesso colore di quello che veniva utilizzato per le simulazioni. 
Era troppo tardi. 
Non dovevano vederla, si girò per ritornara velocemente sui suoi passi, per raggiungere la sua camera, ma sbatte contro un muro di muscoli che non aveva sentito muoversi dietro di lei.
 Eric la stava fissando con il viso corrugato e gli occhi sorpresi, sorpresi di vederla lì?
"Detesto quando qualcuno mi arriva alle spalle, che fai adesso? Ti sei messo a strisciare come un vigliacco?" 
Glie lo sputò in faccia, era troppo arrabbiata per attivare il filtro cervello-bocca. Troppo arrabbiata con lui per perdonargli quest'ennesima bugia. 
Non le importava della possibilità di farlo arrabbiare; lo sapeva che una sola parola fuoriposto o un unico insulto gli avrebbe fatto perdere le staffe. I suoi scatti d'ira erano incontrollabili, nemmeno lei riusciva a limitarne i danni, e molto spesso si concludevano col naso spaccato di quello che aveva osato offenderlo, o nel caso fosse stata lei a rispondergli, una grandiosa litigata pari a un concerto metal che si sarebbe sentito anche negli appartamenti della sede dei pacifici. 
Non siamo mai stati amici Liz" le rispose, con tono profondo guardandola dall'alto al basso.
Con uno scatto le intrappolò le braccia tra le sue mani e la strinse a se, buttandosi a capofitto sulle sue labbra, senza ritegno. 
Da quanto tempo non la guardava più, non la toccava, non la baciava. Pensava si fosse stancato di lei, troppi anni di intimità e amore, perche potesse durare più a lungo. Ricambiò il bacio. E lui rispose con ancora piu enfasi. 
La spinse contro il muro, all'interno della galleria, lontano da occhi indiscreti. E la divorò. La sua bocca non le lasciava il tempo di respirare. Le sue mani le portarono le braccia sopra la testa e con una sola mano intrappoló nella sua stretta i polsi sottili della ragazza. Partendo dalla nuca, con la mano sinistra, percorse la spalla, il braccio, tornando poi su, e sfiorandogli il seno destro, il fianco, lo stomaco, la coscia. Le mancava l'aria. Doveva separarsi subito. Doveva fare delle domande. Ma il corpo non rispondeva. Anzi, rispondeva nel modo sbagliato.
Alzo il bacino verso di lui, non aderendo piu al muro, e lui, per tutta risposta, grugni nella sua stessa bocca, e la roportò di nuovo contro il muro, afferrandola sotto i glutei ed incastrando il suo corpo tra il suo possente busto e non permettendole di scivolare con la vita. Era sollevata da terra. Eric la guardava con uno sguardo febbricitante
"E tutta questa rabbia, dove e stata nelle ultime settimane?"
Lo guardò sbigottita.
"Adesso la colpa sarebbe mia? Tu dov'eri quando io tornavo dagli allenamenti serali e ti aspettavo fino alle due di notte sperando che arrivassi da quelle riunioni clandestine con i capifazione?" 
Il suo sguardo cambiò, da concentrato e desideroso, a furbo e eccitante, ancora piu di prima
"Possiamo dire che sono stato con te solo per il tempo della doccia"
"Non c'eri mai al mio ritorno, non c'eri mai quando entravo sotto la doccia e non c'eri mai quando avevo bisogno di te"
"Guardare alcune volte non nuoce" disse con il suo sorriso sornione sulle labbra.
Per tutta risposta lo fulminò con lo sguardo, e si strofinò su di lui, rubandogli un gemito di approvazione per il movimento che gli avevo regalato e che, secondo lui, aveva chiuso la discussione. Non era cosi.
Rinizio a baciarla, stavolta non solo piu la bocca, anche il collo e la sua base, e inizio a scendere... Allungò le mani sotto il suo sedere, per posizionarla meglio e con un colpo di reni porto il busto di lei all'altezza del suo viso. E in quel momento Elise entrò in azione. 
Lo attaccò. Appoggiò le braccia sulle sue spalle e prese lo slancio per liberare le gambe e stringergliele intorno al collo. 
Eric Perse l'equilibrio all'indietro atterrando sulla schiena e dopo una capriola repentina di lei, Elise fu in posizione d'attacco, acquattata su un ginocchio, con la gamba sinistra stesa, pronta per lo scatto che l'avrebbe salvata dalla riposta di Eric.
Il capofazione non si mosse dalla posizione supina in cui era atterrato, aveva gli occhi serrati. 
Elise, non vedendo risposta del suo attacco e nessun accenno di movimento dal corpo del ragazzo, si tiro su in piedi, e si avvicino molto lentamente al corpo. Che l'avesse stordito a causa della torsione del collo, o per la caduta? 
C'era solo silenzio in quella galleria poco illuminata dalla luce antincendio nel lato destro a 5 metri di distanza dall'uscita. Il buio gettava delle ombre sui loro corpi che lasciavano su di lei e i suoi capelli ramati solo buio. 
Si chinò sul corpo senza sensi di Eric, aveva il viso rilassato, forse era veramente svenuto. Il viso era per metà illuminato dalla fievole luce, sul collo si vedeva la fine del grande tatuaggio che iniziava da metà busto, continuava sulle braccia, fino all'altezza del mento. Aveva sempre amato quel tatuaggio: rappresentava la forza, l'essere di Eric. E amava baciarglielo al mattino presto, quando lui era ancora tramortito dalla nottata appena passata ad amarsi. 
Lo amava, lo amava cosi tanto, da non poter credere in un suo coinvolgimento in quello che stava per succedere. 
Elise si rialzó e lo scavalcò. Con Eric fuori gioco per poche ore, aveva tutto il tempo di entrare negli uffici dei capi e cercare delle tracce e dei motivi del trasporto di quel siero e della sua natura. 
Eric piegò la testa verso la sua ragazza ormai al fondo della galleria, la osservò camminare: determinazione. Ecco cosa vedeva in lei. Determinazione. Era la stessa cosa che gli altri capifazione avevano notato, e gli avevano reso piu facile quello che avrebbe dovuto fare. Portarla con se. Senza l'approvazione dei capi sarebbe stato complicato salvarla. Ora tutto era piu facile, Sarebbero stati insieme di nuovo, e l'avrebbe potuta difendere. Avrebbe potuto nascondere il suo segreto. La sua divergenza. 

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Capitolo 2
*** Luce e tenebre ***


L'ufficio dei capifazione si trovava nella zona più alta della fazione, sopra l'alloggio di Eric e di tutti gli altri esponenti degli intrepidi. 
Saranno state le otto si sera, e fuori era già buio.  A quest'ora quasi tutta la fazione era riunita o al pozzo o nella mensa. 
Aveva esattamente mezz'ora di tempo per concludere la sua missione. Stranamente gli uffici erano aperti dato che la porta antincendio era completamente spalancata.  
Di sicuro Jack (Elise sapeva che era il suo turno serale di controllo del settore) aveva fretta di arrivare per primo alle patatine fritte del venerdì sera. Sorrise, soddisfatta di essere stata facilitata davanti a una difficoltà che aveva previsto molto più complicata da superare. 
Gli uffici dei capifazione erano disposti ai lati di un corridoio poco illuminato, e molto lungo, che concludeva con una grande vetrata che dava sulla città, dove si poteva osservare la sede degli eruditi, l'unica con le luci esterne ancora accese. 
Ci saranno stati minimo 50 uffici. 
Doveva concentrarsi e non curiosare in giro. 
L'ufficio di Max. Era quello il suo obbiettivo. Sapeva dov'era, non era la prima volta che veniva condotta da lui. Dopotutto lei era la responsabile delle simulazioni e quindi dei tras-fazione. Se si voleva tenere sotto occhio lo sviluppo di divergenza nelle nuove generazioni, dovevano chiedere a lei. 
E Max si rivolgeva solo a lei. 
Corse verso la vetrata e girò a sinistra. Altre porte, altri uffici. Quello di Max era quello con la porta molto grande, illuminato dalle lampade appese alle pareti. Aveva esattamente 20 minuti. E scassinare la porta le sarebbe costato una grande perdita di tempo. Non c'erano rumori e nemmeno ombre. Che fossero veramente andati tutti a cena? 
Si abbassò all'altezza della toppa, e iniziò con il suo coltellino che teneva nell'anfibio, a forzare l'apertura.
Dopo 5 minuti la serratura produsse un sonoro CRaCK. 
E questo sarebbe il rumore di una serratura che si apre? 
Elise si alzò e provò ad abbassare la maniglia. Non era aperta. Aveva rotto il meccanismo? Si girò per controllare che non ci fosse nessuno, che il rumore non avesse attirato qualcuno. E in quel momento vide che le luci accese del corridoio non erano piu quelle due che si trovavano alle pareti vicino al ufficio di Max. Si erano illuminate tutte e in lontananza, solo in quel momento, si accorse di un suono: l'allarme! 
Che Max fosse stato cosi terrorizzato da quello che conteneva il suo ufficio da installare un allarme?? 
Corse a perdifiato verso il corridoio principale. 
Sentiva già i passi frettolosi degli intrepidi e le voci concitate provenire dal piano di sotto e dalla porta principale. Doveva velocemente togliersi dalla visuale di quelli che a momenti sarebbero entrati. 
Si lanciò nella prima porta aperta che trovò e la chiuse. Pose l'orecchio sulla soglia e cercò di calmare il respiro. Intanto sentiva gli uomini entrare nella zona e percorrere velocemente il corridoio. Ascoltava ogni porta che veniva aperta e poi sbattuta e le voci degli intrepidi che si rispondevano a vicenda con "libero" , " qui non c'è nessuno". 
" Deve esserci!" quella voce la riconobbe subito. Doveva allontanarsi velocemente. Si girò verso l'oscurità della camera, lasciandosi la porta alle spalle, cercando una finestra, una conduttora dell'aria, qualcosa che le servisse da via di fuga. Non vedeva nulla in quella penombra! Accese la luce con l'interruttore sulla destra della porta. 
Quando vide quello che conteneva quella stanza, il suo stomaco non resse lo spasmo di orrore che la assalì. Le pareti erano ricoperte di pile e pile di contenitori pieni di quel liquido ambrato. Ma la cosa che la disgustò erano i corpi di uomini distesi su sette barelle, coperti da teli di plastica neri, con il viso e le braccia scoperte. Erano pallidi e l'odore di quella stanza non lasciava nessun dubbio: erano morti.
Non ce la fece, e si piegò sulle ginocchia, vomitando quel poco che era riuscita a mangiare a colazione. 
I conati non gli permettevano di respirare, e stava tossendo per l'acido che le inondava la gola. Doveva smettere in fretta se non voleva essere scoperta. 
Si tirò su, mettendosi a posto i capelli e pulendosi il sudore della fronte e la bocca con la parte inferiore della maglia. Decise in fretta, non poteva soffermarsi sui corpi e sulla loro identità. 
Si avvicinò ai contenitori del siero e ne buttò uno per terra dal suo appoggio mandandolo in frantumi. In questo modo aveva eliminato almeno 50 litri di quella misteriosa sostanza. Il contenitore era grande quanto un frigorifero e il vetro che si trovava sul pavimento unito al liquidume rendevano i suoi movimenti instabili. Era calato un silenzio pauroso sul piano. Fece velocemente. Buttò per terra anche il secondo contenitore, e poi quello successivo, e cosi altri tre. Ne rimanevano solo due, ma ormai il danno era fatto, non solo per il piano che gli eruditi stavano progettando, ma anche il suo nascondiglio era stato scoperto. 
La porta si aprì rivelando un Eric stupito, quanto infuriato. Veramente infuriato. 
La guardò, squadrandola dalla testa ai piedi e poi... Le saltò addosso. 
Le si avventò letteralmente addosso, con i pugni all' altezza della faccia. 
Liz lo schivò con la sua velocitá felina, ma ciò le costò una caduta rovinosa dovuta al pavimento scivoloso. Cadde sui vetri rotti dei contenitori e un dolore lancinante la  trapassò da parte a parte nel braccio destro. 
Eric non si era mosso dallo spazio in cui era finito dopo essere stato schivato. E non si mosse nemmeno quando la vide riversa a terra a premere la parte superiore del braccio, il sangue che iniziava a  riversarsi sul pavimento unendosi al colore ambrato.
Doveva alzarsi. L'Elise che conosceva, che aveva allenato e che aveva ammirato si sarebbe alzata. Ma non dava segno di reazione, gli occhi chiuse dal dolore, il corpo in posizione fetale, spasmi che la facevano tremare , forse a causa dei vetri sparsi per il corpo. 
Si girò e notò le barelle. Le spostò una a una contro il muro. Erano stati esclusi utilizzati come cavie per il nuovo siero. Di certo, si puo affermare che gli eruditi abbiano migliorato il nuovo liquido, o almeno si spera, altrimenti il giorno dopo si sarebbero ritrovati un esercito di morti.
 Le si avvicinò. 
Stava ansimando, dal male o forse dalla fatica, e il suo viso era percorso da una smorfia di dolore e disgusto, verso di chi? Verso lui? Non poteva fissarla e vedere come lo stava giudicando. Non voleva guardare la realtà che lei vedeva in lui, le sue mani macchiate di sangue, lo sporco che era dentro di lui, una macchina di morte. 
Con lo sguardo seguì quello della ragazza che si fermò ai piedi della sagoma che si ergeva sull'entrata della stanza. 
Max guardava la scena con uno sguardo freddo, le labbra erano sottili e tirate, le mani unite sul davanti, il cappotto nero di pelle che gli sfiorava i polpacci. Si mosse verso Elise e le si avvicinò. Quando i suoi piedi furono vicini alla ragazza, con molta lentezza, appoggiò il piede sul braccio ferito di Elise, proprio sopra al pezzo di vetro che sporgeva dalla lesione, non sentendo nessun verso di protesta o di dolore.
"Mia cara Elise, che dolce sorpresa trovarti qua. E dimmi. Chi stavi cercando, o meglio, cosa?" 
Elise non rispose, mosse solo la testa per girarla verso Max e guardarlo negli occhi.
"Niente?" Insistè lui.
La ragazza non fece una piega.
"Eric vuoi aggiungere qualcosa?"
Eric lo fissò negli occhi e si accorse di essere in trappola. Non poteva opporsi, non poteva salvarla. E non parlò.
"Perfetto, te lo faremo dire a modo nostro. Elise?"
Non mosse il suo sguardo da quello del capofazione.
"Sii coraggiosa" e premette con il piede sul pezzo di vetro, lacerando ancora di piu la ferita e la pelle della ragazza. Si sentì un lamento strozzato dalle sue labbra serrate. 
Max, indispettito da ciò, alzo il piede, e con forza, pestò il braccio provocando, finalmente, la reazione di lei. 
Un urlo forte, straziante, ruppe il silenzio che aveva riempito l'area, le lacrime iniziarono a scorrere sul suo viso che per metà era sporco di vetri e sangue e liquido ambrato. Non poteva sopportare ancora a lungo. 
Reagì. Il braccio sano corse ad afferrare la caviglia che spingeva ancora sulla ferita, piantandogli le unghie nella carne e costringendolo ad allontanarsi. Con uno scatto di forza, forse l'ultimo barlume di speranza che le era rimasto, si alzò con una spinta di reni, non potendo utilizzare le braccia, e si buttò su Max, puntando alla pistola che aveva legata al fianco. La trovò e la afferrò, ne inserì il cane, e fece fuoco, ormai senza piu percezione del dolore e incosciente a cosa mirava.
Max capitolò a terra, imprecando in modo poco garbato a proposito della sua virtù.
Si buttò a capofitto verso l'entrata senza trovare resistenza da parte di Eric. 
Nel corridoio vide l'uscita bloccata da alcuni intrepidi intenti a caricare e scaricare le armi, perdendo tempo. 
Appena la videro, iniziarono a correrle dietro. Erano troppo lenti, e ormai lei aveva deciso come sfuggire alla sua cattura. 
Si girò verso la fine del corridoio e si slanciò verso la finestra, sfondando la vetrata e volando nel vuoto, nel buio della notte, con una consapevolezza nel cuore: Eric non l'aveva fermata, non l'aveva afferrata, e adesso che si trovava a fluttuare nella notte in cerca di tempo prima di raggiungere il suolo, si trovò a pensare che dopotutto, la luce della fazione degli eruditi aveva un suo fascino. Nulla avrebbe potuto sostituire la bellezza della luce che lascia il passo all'oscurità dei bassi fondi delle strade di Chicago.

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Capitolo 3
*** Tenere una maschera ***


Max era riverso a terra sul fianco destro. Il proiettile lo aveva colpito al braccio sinistro, caso volesse proprio all'altezza della ferita di Elise. 
Il capofazione promise a se stesso che la avrebbe uccisa per la stoltezza del suo gesto. Le avrebbe fatto passare le pene dell'inferno. Si concentrava sulle milioni di possibilità per farla soffrire pur di non pensare al dolore al braccio. 
Non fece trasparire dal suo viso il fastidio della ferita quando Eric lo aiutò a issarsi in piedi, con un gesto repentino, e lo esaminò con un'occhiata, scannerizzondo il corpo e i movimenti del suo capo, e notando qualsiasi motivo di dolore che potesse trapelare dal suo viso. Sembrava tutto a posto, se non la ferita da fuoco che aveva all'altezza della spalla. 
Lo fece sedere nel suo ufficio e gli analizzò la ferita. 
Non poteva andare a controllare Elise. Non poteva far trapelare la sua disperazione alla vista della finestra sfondata. Le aveva dato l'occasione di scappare, e lei, se l'era presa. Ma non pensava di averla condannata a quello. 
A un suicidio inconsapevole. 
Voleva correre. 
Raggiungerla. 
Vederla. E soffrire, per quello a cui l'aveva costretta. Voleva inginocchiarsi davanti a lei e toccarla, aveva un bisogno assurdo di sentire la sua presenza sotto le sue dita, sentire che era reale, che era reale quello che era successo. Baciare le sue mani, le sue spalle, le sue guance. Fissare i suoi occhi ormai senza vita. 
No. Era viva. Non poteva scomparire cosi. Era la sua Liz. 
"È a posto. Il proiettile è uscito. Non ci sarà il bisogno di intervenire per rimuoverlo. Max vai in infermeria a farti fasciare la spalla e fermare l'emorragia."
Si pulì le mani con la carta del bagno dell'ufficio di Max e si avviò lungo il corridoio, non tenendo conto delle domande e degli ordini ormai lontani che il capifazione gli stava rivolgendo. Nulla lo avrebbe trattenuto lì, neanche per un minuto in più. 
Uscito dalla area della zona di controllo degli uffici, iniziò a correre, a perdifiato, giù per le scale, oltre il pozzo, fuori dalla sede degli intrepidi, per trovarsi in strada.
Era buio, completamente buio. Ma un gruppo di intrepidi e di capifazione ( riconobbe quell'imbecille di Jack) erano intenti intorno a qualcosa, ma non poteva vedere chi o cosa attirava tutta la loro attenzione. C'era gente che andava avanti e indietro dall'entrata della fazione, e quelli che uscivano in strada portavano con se torce, e un trasportino. 
Perché non ci era arrivato subito? La sua mente si rifiutava di metabolizzare la verità? Si buttò a capofitto sulla massa di gente,aprendosi un varco. E la vide. 
Non poteva essere morta. Non c'era sangue, se non quello sul braccio ferito dal vetro, e le ossa sembravano in una posizione composta, nulla di strano a vedersi dalla prima occhiata, nulla di rotto. Ordinò di allontanarsi per farla respirare, e si chinò per sentire il fiato: regolare. Poi il polso: c'era. E poi la parte che piu lo preoccupava: iniziò a tastare le braccia: niente di rotto; le gAmbe.
Il bacino: nessun mugolio di dolore. 
Il collo. E la testa: nessuna ferita, ma non poteva non pensare a un rischio di emorragia interna. Iniziò ad analizzare il suo viso: c'erano alcuni graffi sugli zigomi e un brutto taglio sulla guancia destra, causato di sicuro dallo sfondamento della finestra o dai detriti del pavimento della sala degli esperimenti. 
In un istante, due occhi azzurri gli perforarono il cuore. Lo stava fissando e lui ricambiò lo sguardo fisso di lei. Non parlarono, non le disse ' va tutto bene' o stronzate simili. Si limitò a guardarla, poi ad appoggiare una mano sulla guancia ferita, e lei non fece una piega.
Allora avvicinò il suo volto a quello di Elise, e lei non si ritrasse.
"Alcune volte vorrei che fossimo soli. Solo io e te."
"La stessa cosa vale per me." la sua mente era annebbiata, non vedeva nient'altro che non fosse Eric. Cosa doveva fare, allontanarlo? Erano forse i loro ultimi istanti insieme. Desiderava con tutta se stessa che fossero solo loro due. Se in quel mondo fossero rimasti solo lei e lui tutto quello che stava per succedere si sarebbe potuto evitare. Avrebbero potuto costruirsi una vita insieme. 
Eric bruciò gli ultimi centimetri che li separavano per sfiorare le labbra di Elise con un bacio leggero, e appoggiando la propria fronte su quella di lei, consapevole che i passi che sentiva alle sue spalle fossero quelli di Max. La guardò e i suoi occhi azzurro cielo lo resero consapevole che anche lei sapeva quello che stava per succedere. 
Liz Gli accarezzò la guancia, per far poi scivolare la sua piccola mano sul collo, vicino al tatuaggio, per poi andare ad accarezzare il petto
"Ti amo." Era vero. Lo amava. Amava il suo cuore. Quello che aveva fatto poteva aspettare per farla ricredere da quel sentimento. Ma ora come ora, guardando quegli occhi color dell 'asfalto, lo amava.
"Allontanati da lei Eric" Max era alle spalle del capifazione. Le persone che si trovavano in cerchio intorno alla scena si erano diramate nella strada. 
" Verrà portata via. Deve essere giudicata per tradimento alla fazione. Riunirò il consiglio sta notte. Non ci sarà tempo domani."
Detto questo, osservò gli altri, che si ritirarono all'istante, rientrando, fissò Eric in piedi ed Elise stesa al suolo.
"Non puoi. E una delle nostre migliori tiratrici. Non ti conviene tenerla fuori dai combattimenti di domani e dal periodo che sta per arrivare." disse lui risoluto con voce  sicura. 
"Perché insisti sul suo coinvolgimento? Eric devo considerarti compromesso? Tutto il lavoro di questi mesi in fumo per una ragazza? 
"Non ho detto né dato questa impressione" gli rispose con un ringhio e in modo aggressivo. 
Max Lo ignorò e fece un passo verso Elise, si piegò sulle ginocchia per avvicinarsi al suo viso, o forse ai suoi occhi, per leggere la verità. Eric rimase immobile, con la mascella contratta e i muscoli delle braccia nude in tensione.
"Ti hanno iniettato il siero oggi?" le sussurrò.
"No. Nessuno mi si e avvicinato con una siringa" disse lei, tirandosi su con il busto, per avere gli occhi alla altezza di quelli del capofazione. Quello che non si aspettava era il sorriso che spuntò sulle labbra di Max. 
"Eric la tua camera sta notte sarà l'unico luogo più sicuro della fazione. Tienila lì. E iniettale quel siero. "
E con quello, si allontanò, e solo in quel momento Elise si accorse della fasciatura che spuntava dal cappotto di Max. La sua mira stava facendo cilecca. Alzò il suo sguardo su Eric, e lo vide sorridere.
" Perche sei così felice?"
" Perchè te, Liz Lawrence, sei la personificazione della fortuna!" iniziando a ridere in modo naturale, vero e ... Giovane. E la contagiò, iniziò a sorridere, ma una fitta alla guancia le fece ricordare la sua condizione: una che era appena volata dal terzo piano. 
Eric smise subito. Si piegò vicino a lei, le mise le braccia sotto le ascelle e le ginocchia e la tirò su.
E rientrò. Si diresse prima in infermeria, raccattando qualcosa per medicarla, e poi si diresse verso la sua stanza. Erano le 11 di sera. Non c'era più nessuno nel pozzo e nei corridoi. E l'indomani non ci sarebbe stato più anima viva in quel palazzo. 
 
 
A metà del strada per arrivare alla loro camera, Elise perse i sensi, ed Eric aumentò la stretta intorno al suo corpo. Cercò con una mano di posizionare la testa di lei sulla sua spalla, perchè non cadesse all'indietro come un peso morto. La guancia ferita era appoggiata al suo petto e il respiro era tranquillo e regolare. I suoi capelli rossi erano appiccicati alla fronte sudata ed erano bagnati di quella sostanza liquida e appiccicosa. 
Ha sempre adorato quei capelli ribelli, dritti come degli spaghetti, rossi come il fuoco, lunghi fino alle spalle. Rendeva la sua natura di guerriera ovvia agli occhi di coloro che non la conoscevano, e se avevano dei dubbi, venivano distrutti quando entrava in azione: sia come combattente corpo a corpo, come tiratrice e come atleta era la migliore del suo anno, e la migliore tra tutte le donne della fazione, e di buona parte degli uomini. 
Era la sua gemma, il suo tesoro. L'aveva allenata, temprata e protetta da ormai tre anni, dalla prima volta che era riuscito ad atterrarlo durante la loro iniziazione da tras-fazione. E ora non avrebbe permesso a nessuno di portargli via il suo diamante. Men che meno Max si sarebbe avvicinato a lei o avrebbe avuto parola in capitolo sul suo futuro. Lui sarà il capofazione, ma è da mesi che è cosciente di essere soltanto di figura. Il giorno dopo le cose saranno rese reali. Alla luce del sole.
Erano entratati nel corridoio del secondo piano, dove al fondo, c'era la loro isola solitaria, lontana da tutti, il loro rifugio, la loro casa. 
Riuscì a entrare senza dover lasciare la presa dal corpo della ragazza, sorpassò l'atrio e raggiunse il loro letto. 
La stanza e completamente buia, ma il letto si trovava contro la parete, per metà coperta da vetrate, e la falce di luna illuminava quella porzione di camera, come un abat-jour. 
La depositò sul lato che lei era solito occupare, e si avvicinò al banco del piccolo angolo cucina, e sull'isola depositò le medicazioni che aveva recuperato, il suo giubbotto smanicato, la ricetrasmittente nel suo orecchio destro, e la pistola che portava al fianco. Girava sempre armato in quegli ultimi mesi. 
La fissò, e si distaccò per un attimo dalla realtà. 
Cosa avrebbe dato perchè le cose fossero più facili. Si passò una mano tra i capelli, si avvicino al letto con passo lento e felpato, si chinò su Elise e iniziò a spogliarla di quei vestiti zuppi. 
La Canutiera logora e strappata dai vetri. La gettò a terra. 
I pantaloni stretti e pieni di tasche, tipici degli intrepidi. Slacciò il bottone e tirò giù la zip, e con lentezza glie li sfilò, controllando lo stato delle gambe e della pelle. Se le ossa erano state risparmiate, la pelle era piena di lividi: il ginocchio sinistro, sulla coscia destra aveva dei graffi, anche se i pantaloni l'avevano protetta in parte dalla caduta rovinosa e dai detriti. 
La accarezzò con tutte e due le mani dal bacino, scendendo verso le cosce, le ginocchia, le gambe, quasi come un massaggio, controllando qualsiasi motivo di dubbio sulla sua condizione. 
Come aveva fatto a non rompersi nulla? 
Spostò le coperte, e glie le rimboccò. Doveva stare tranquilla, riprendersi, e solo dopo le avrebbe spiegato il suo piano.
Aveva bisogno di una doccia. Si alzò e si avviò verso lo spazioso bagno dell' appartamento, l'unica altra camera del loft. Mentre si avvicinava alla porta si tolse la maglietta, macchiata di sangue, per fortuna era nera. La gettò sulla sedia vicino al letto, e fece seguire gli anfibi e i pantaloni. 
Entrò in bagno, aprendo l'acqua della doccia e impostando il getto caldo. 
Si fissò allo specchio: quante cicatrici, quante storie, e quanti ricordi. Molti tristi e devastanti, altri felici e emozionanti, tutti che hanno insegnati una lezione di vita: non credere a nessuno al di fuori di te, non essere mai scoperto, incapace di proteggerti. Ma sopratutto, non far cucinare Liz, o in quel caso, tagliare le verdure: finisci in infermeria con un taglio da 20 punti all'altezza dello stomaco. Sorrise al ricordo dello spavento che si era presa e del senso di colpa che l'aveva torturata per una settimana intera. Ma poi avevano fatto pace. Come dimenticarsi i tre giorni di malattia di tutte e due, passati in quel loft, giorno e notte avvinghiati a soddisfarsi a vicenda, e forse da parte sua, a vendicarsi di quella piccola ferita infertagli involontariamente! Quando lui non era ancora entrato nella corsa al fianco di Jeanine. 
Si tolse l' ultimo strato di indumenti che aveva addosso, i boxer, aprì la porta della doccia, che praticamente era una, ma se ne potevano ottenere tre da tutto quello spazio, e si immerse sotto il getto caldo, rilassando i muscoli per la prima volta in quella giornata. 
Dopo 10 minuti di acqua che scorreva sulla sua testa, con il volto rivolto verso il muro, non si era nemmeno ancora insaponato, troppo distrutto per interrompere quel getto rinvigorente che lo stava scaldando.
Sentì la porta del bagno aprirsi, ma non si girò. La doccia era composta da una porta sul lato sinistro e un muretto che partiva dal pavimento per arrivare all'altezza del bacino del ragazzo. Il vetro della porta era trasparente, mentre quelli della parte superiore del rialzo erano fumè. Il resto era parte della parete reale del bagno. Il vapore dell'acqua calda aveva reso impossibile vederci qualcosa in quel bagno.
Sentì Elise aprire la porta della doccia, avvicinarsi a lui, e abbracciarlo da dietro, appoggiando la guancia sulla sua schiena. Aveva addosso ancora il reggiseno. 
Eric strinse le sue mani con le proprie e con uno scatto fulmineo la afferrò per un braccio e la spostò sotto il getto bollente, schiacciandola tra il suo corpo e la parete. Senti i suoi mugolii di protesta per la temperatura elevata.
"È solo acqua calda" le sussurrò. 
Lei annuì impercettibilmente, e spostò le proprie mani dietro alla schiena, sul gancio dell'intimo. Lui la fermò, ottenendo il permesso dai suoi occhi di sganciarlo lui stesso. Lo lasciò scivolare lungo il corpo perfetto di lei e si inginocchiò per sfilarle l'ultimo pezzo di intimo, baciandole il ventre, la cicatrice sul fianco destro, l'ombelico, accarezzandole le cosce ben tornite e avvicinandosi all' interno coscia, strappandole di un sospiro di impazienza. 
Si alzò e la guardò negli occhi. Come altezza era nella media, ne troppo alta, ne troppo bassa, i cappelli rossi erano zuppi e le incorniciavano il viso pallido, i suoi occhi lo fissavano desiderosi e le sue mani si aggrapparono al suo collo, costringendolo ad abbassarsi alla sua altezza per finalmente incontrare le sue labbra. E lo baciò, come se il suo respiro fosse ossigeno, come se non sapesse cosa significava vivere senza quel contatto. 
Le ultime settimane erano state terribili. L'assenza di lui riempiva i giorni, non li rendeva vuoti. Lei lo aspettava ogni ora, ogni minuto, come se fosse stato un lavoro o una missione da compiere: vederlo entrare da quella porta. Non lo aveva piu baciato, accarezzato, amato, da settimane. E quel gesto, in quel momento, era il gesto piu naturale e vivificante del mondo, come respirare. 
Le mani di lui corsero ai suoi fianchi e la schiacciarono ancora di più contro il muro, e il suo corpo si premette su quello di lei, nel tentativo di distruggere i centimetri di pelle che li separavano, come per diventare una persona, un corpo solo.
Le braccia di lei corsero ad accarezzare i  suoi pettorali, per scendere ai suoi addominali e tracciarne i contorni, arrivando a quella spettacolare "v" che l'aveva sempre rapita e incuriosita durante l'allenamento da tras-fazione. E poi era diventata una caratteristica del fisico da adone di Eric, del suo Eric. Stava per scendere ancora con la mano, quando Eric glie la afferrò, e se la portò alle labbra, baciandole il dorso, e poi un dito alla volta, e salendo lungo il braccio, fino alla ferita provocata dalla caduta nella sala degli esperimenti.
"Hai rimosso il pezzo di vetro?" la ferita era pulita, e non era stata l'acqua della doccia. Aveva la voce venata di risentimento e severità. Elise aveva imparato a non dare mai peso ai cambiamenti impercettibili dell'umore di Eric, e gli rispose con la verità.
"Non c'era bisogno di medicazioni, non ha toccato nessun tendine o lesionato altro. Come al solito, sono fortunata." sussurrò, guardandolo negli occhi, cercando di prevedere la sua reazione. 
Lui si allontanò di botto, e appoggiò la schiena contro il vetro della doccia, e si prese la testa tra le mani. Cosa era successo? Liz gli si avvicinò e gli circondò il viso con le sue. 
"Eric" Nessuna risposta. 
Aveva gli occhi serrati. 
"Eric!" la seconda volta che lo chiamò urlò.
"Guardami!" . Due occhi color ghiaccio si spalancarono. Erano vacui, come se si fosse perso. Sentì il bisogno di rassicurarlo.
"Andrà tutto bene! Ne usciremo! Mi racconterai tutto e metteremo le cose a posto con gli altri della fazione! Quattro ci proteggerà! Se mai domani dovrà succedere il finimondo, i buoni ci ascolteranno! Eric!" lo richiamò. 
Non le rispose, spostò gli occhi sul fondo della doccia, come se guardasse un punto fisso dietro di lei.
"Eric!" lo urlò, di nuovo. 
E lui reagì. La fece stare zitta invertendo le loro posizioni, appoggiandola al vetro, la afferrò dalle natiche, lei gli avvolse intorno al bacino le gambe, e lui tornò alla realtà. 
Era disorientata, in quella posizione perse il punto della situazione, ma sopratutto gli occhi di Eric erano di nuovo fissi in quelli di lei: il cervello si era staccato. 
Le intrappolò le braccia ai lati della sua testa, contro il vetro. E la fece sua. 
All'inizio fu lento e intenso. Era da tanto che non stavano insieme. Elise chiuse gli occhi e si lasciò andare alla sensazione di completezza. Eric iniziò e baciarle il collo, a morderle la pelle delle spalle, e risalire fino al viso di Liz, reclinato all'indietro. Con la mano destra le portò le mani sopra alla testa e le tenne i polsi intrappolati con una sola, mentre l'altra le afferrava il mento per farle rivolgere il viso verso di lei. 
"Elise, guardami!". Lei sbarrò gli occhi, e Eric aumentò il ritmo, portandola al culmine. E lui la seguì, appoggiando la sua testa sulla spalla di lei, lasciandole le braccia, che si spostarono sulle spalle di lui aggrappandosi, per non cadere, a causa della mancanza di forze.
La discussione era chiusa. 

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Capitolo 4
*** Petali che cadono ***


Si erano asciugati, ognuno per conto suo, occupando il proprio spazio personale e tipico in quel luogo comune per loro, muovendosi con disinvoltura nella camera, come se fossero stati abituati sin dalla nascita a convivere l'uno con l'altro. E poi si erano addormentati sul letto, avvinghiati e scaldandosi solo con i propri corpi.
Saranno state le sei di mattina quando Eric decise di alzarsi. Era da ore che era sveglio, a osservare il sole nascere, il cielo colorirsi alle loro spalle, il silenzio del piano della fazione. 
Iniziò a vestirsi: pantaloni neri della tuta da intrepido, t-shirt nera e giubbotto smanicato, tipico dei capifazione. Si avvicinò all'isola della cucina per indossarlo, e poi afferrò la pistola, inserendola nella sua custodia e allacciandola in vita.
Indossò gli anfibi, sedendosi sul suo lato del letto, osservando con la coda dell'occhio la schiena nuda di Elise, scoperta fin sopra ai fianchi. La testa rivolta verso l'altra parte del letto, i capelli sparsi disordinatamente sul cuscino. E il tatuaggio della ragazza al centro della sua schiena: un fiore di loto. Se l'era tatuato quando aveva diciassette anni, durante il primo anno da intrepida. Non l'aveva accompagnata, avevano litigato, e non si videro per quasi tre settimane, ma quando fecero pace, nella foga di arrivare in camera per iniziare a spogliarla e riprendere da dove si erano lasciati, si era ritrovato spiazzato quando aveva visto quel tatuaggio curato nei minimi dettagli. Si trovava proprio al centro della sua schiena, nell'incavo fra le due scapole. Non era colorato, solo inchiostro nero. Le aveva chiesto cosa significasse, e lei gli aveva risposto in un modo ancora più spiazzante. "Perchè anche se mi tratterai male, mi annegherai nel dolore, o mi ferirai, rinascerò sempre, per tornare da te. A commettere lo stesso errore, un milione di volte ancora."
Doveva svegliarla, era ora. Ma prima sfilò il coltello da sotto il cuscino, per inserirlo all'interno dell'anfibio destro. Un abitudine, dura a morire.
Si alzò, girò intorno al letto, si chinò per arrivare con il viso all'altezza di quello di Elise, e con il dito indice accarezzò il naso della ragazza. 
Lei non si mosse. Lo rifece,e Elise arricciò le labbra, il naso, in una buffa espressione. Accarezzò il viso di lei a partire dallo spazio in mezzo agli occhi, fino alla punta del suo naso piccolo e perfetto, e lei, per tutta risposta, dette una manata decisa alla sua, come per scacciare una mosca. A Eric non potè scappare una risata. 
"Stai tentando di portarmi a commettere un omicidio di prima mattina? O magari una tortura?" disse, con voce roca e ancora addormentando, tirandosi sù dal cuscino, e aggiustandosi i capelli rossi e scompigliati dietro le orecchie. Si accorse solo dallo sguardo ardente di Eric che era poco presentabile, anzi, nuda. Prese le lenzuola candide, e se le tirò su fino a coprirsi il seno. Eric non disse nulla, e la sua espressione rilassata scomparve.
"Rivestiti e datti una rinfrescata, tra un quarto d'ora dobbiamo essere dagli iniziati".
E si allontanò dal letto, uscendo dall'appartamento.
 
Si vestì con la sua solita divisa da intrepida, Canutiera nera, giacca di pelle nera e pantaloni della tuta. Nel mentre, nella sua testa stava gia cercando di crearsi un discorso convincente per salvare la faccia a lei e a Eric, durante l'incontro con la parte leale agli intrepidi, e condannare invece quella parte della fazione che si era venduta agli eruditi, arrivati addirittura a spegnere il loro cervello e a cancellare tutti quei valori che erano stati insegnati sin dal primo momento in cui avevano posto la loro mano ferita sui Carboni ardenti.
Era pronta. Indossò gli anfibi e si abbassò a prendere il coltello che teneva sotto il cuscino per posizionarlo dello stivale destro. Amava gli intrepidi, ma questo non significava che si fidasse completamente.
Un rumore la fece tirare sù dalla posizione che aveva assunto per assicurarsi all'interno della scarpa il coltello. Eric era rientrato nell'appartamento, e aveva con sè una pistola e un fucile. "Che cosa sono quelle?"
"Alla faccia della miglior tiratrice! Sei solo capace a sparare e non a riconoscere un arma?" disse con una vena ironica un pò troppo tendente all'insulto.
Non gli diede retta: "Non mi servono, non ce ne sarà bisogno" gli disse risoluta. E fece per uscire dall'appartamento. La mano di Eric la afferrò per un braccio con forza. 
"Si invece, i divergenti potrebbero decidere di difendersi in qualche modo, e sono tutti armati secondo gli ordini, come gli altri soldati. Ed inoltre, gli abneganti posso sembrare indifesi quanto vogliono, ma sono i primi a possedere un arma tra quelle quattro mura spoglie e grigie!" Le spiegò. E si accorse di averla spiazzata.
"Cosa vuoi dire? Cosa avete fatto?"
"Quel siero, di cui tu hai distrutto buona parte della nostra scorta, rende gli intrepidi in una simulazione permanente, comandata da un sistema e un programma progettato dagli eruditi."
"Con quale fine?" Disse in un soffio. 
L'ossigeno non arrivava alla testa. La sua paura era diventata realtà. 
Eric decise di spiegare in quel momento tutto. Senza più riserve o segreti. Svuotò tutto quello che si era portato dentro per mesi. 
"Trovare i divergenti, immuni alle simulazioni, e attaccare la fazione degli abneganti, per far salire al potere noi e Jeanine." 
Non sapeva cosa aspettarsi dopo quella rivelazione. E la guardò  passare da un espressione di paura, a una di confusione, fino a quella che era la sua firma: determinazione. 
"Bisogna avvisarli, siamo ancora in tempo. Bisogna salvare quei pochi che si saranno svegliati non sotto l'effetto del siero." 
Stava blaterando, si muoveva freneticamente nella camera, raccogliendo una sacca e riempendola di provviste: delle bende e dei medicinali raccattati la sera prima, come se volesse andare via per alcuni giorni.
"Quattro di sicuro non sarà sotto simulazione, bisogna parlare con Jack, lui sarà dalla nostra parte, mentre Robert e Max penso siano gia compromessi" continuava a camminare da una parte all'altra della stanza. 
Eric non aveva più pazienza, e non c'era più tempo. 
La afferrò per le spalle nel momento che le era a portata di presa, e le sbattè in faccia la verità 
"Liz sono tutti compromessi, non andremo a salvare nessuno, e non avviseremo gli abneganti. Adesso tu ti darai una calmata, ti metterai al mio fianco, e terrai la tua posizione per tutta la giornata, finchè non saremo alla base degli eruditi. E starai zitta. Devi sembrare sotto l'effetto del siero per rimanere con me. Poi prenderemo i nostri posti come nuovi capi della rivoluzione contro i divergenti. Hai capito?" 
Lo urlò. Doveva afferrare tutto e subito. Non poteva permettersi altri errori.
"Liz hai compreso? Questo non è un desiderio, è un ordine! Ma soprattutto, fingi di essere sotto l'effetto." 
"No." Gli sussurrò.
Eric non chiese di ripeterglielo, aveva compreso molto bene quello che aveva risposto. Ma non lo avrebbe mai permesso. Piuttosto l'avrebbe stordita, e poi si sarebbe abituata all'idea.
"No Eric, non sono una traditrice, non sottostarò mai al potere degli eruditi, e non mollerò i miei compagni. Piuttosto iniettami il siero, e seguirò il loro stesso destino. O se preferisci, uccidimi". 
"Lo sai che anche se volessi non riuscirei" 
Le prese il viso tra le mani e avvicinò il suo volto a quello della ragazza.
"Lo farò io da sola in questo momento. Mi hai di nuovo nascosto qualcosa. Hai di nuovo costruito un castello intorno a me, e proprio nel momento più bello di felicità, me lo hai sbriciolato addosso."
Riprese fiato, e poi gli riversò addosso mesi di dolore.
"Fa male. Fa di nuovo male Eric!" questa volta urlò, afferrando le mani di lui e cercando di allontanarle. Non glie lo permise.
"Fa cosi male! Avevi promesso che non sarebbe più successo. Che non avrebbe piu fatto cosi male! " iniziò a singhiozzare e le lacrime scorrevano sulle sue guance arrestando la loro caduta a causa delle mani serrate del ragazzo sul suo volto. Appoggiò la fronte su quella di Elise , e la guardò negli occhi. 
"Ho bisogno di te. E tu hai bisogno di me. L'unico modo è che tu venga con me. Non ti torcerei un capello, non ti torcerei mai un capello, piuttosto mi ucciderei io stesso."
"Siamo ancora in tempo per mettere a posto le cose" piagnucolò, posando anche lei i palmi delle mani sul viso di lui. 
"No. Non voglio. Ho lavorato per dei mesi perché avvenisse tutto ciò che accadrà oggi. Io ho voluto questo, Elise, e voglio anche te."
Lei appoggiò le mani sul petto tonico di Eric e si diede la spinta necessaria per sfuggire alla sua stretta.
"Non puoi. E non mi avrai. Io rimarrò con loro, e combatterò contro Jeanine. Salverò la fazione,gli abneganti e i divergenti! Mi opporrò con tutta me stessa contro di voi!" 
Urlò di nuovo, ora era tornata la vera Elise, la determinata. Tirò fuori dall' anfibio il coltello, e glie lo puntò addosso. Eric rimase impassibile alla vista del coltello.
"Quando dicevo che se anche avessi voluto, non sarebbe accaduto, non mi riferivo alla morte. Ma al siero."
"E questo cosa centra ora?" disse lei, gesticolando con la lama contro di lui, arrabbiata per il cambiamento del discorso
"Elise, non te l'ho mai detto, perche non lo consideravo così rischioso il tuo stato, dopotutto me ne ero accorto dopo mesi che stavamo insieme, e dopo mesi che facevi mensilmente i test di aggiornamento sulle paure"
"Arriva al punto Eric!" 
"Hai una divergenza leggera, ma è pur sempre una divergenza"
Le si gelò il sangue. 
Era vero. 
Durante il test dove le doveva essere svelata la fazione più appropriata per lei, aveva ricevuto tre possibilità, e la persona presente aveva deciso di salvarla, ed inserire manualmente all'interno del computer la sua personale decisione: intrepidi. Aveva passato le prime settimane dell'iniziazione nel terrore piu totale per la paura di essere scoperta, ma poi era scomparsa. 
E quando diceva scomparsa, non mentiva. Non se ne era mai più accorta, e se ne era completamente dimenticata.
Ora ritornava. Ora Eric aveva una cosa per cui ricattarla: anni di protezione per difenderla dal suo destino segnato da quella società aggressiva e senza principi morali contro persone inconsapevoli della loro natura. 
"Non cambia nulla. Non cambia quello che sei diventato."
Abbassò il braccio armato. E, a debita distanza, pronunciò le ultime parole.
"Eric, non verrò con te. Non rispetterò i tuoi ordini, e mi dichiaro Colpevole di tradimento verso i capi della fazione. Ma rimango fedele agli intrepidi e ai loro valori. Hai davanti a te una divergente, e ora, devi decidere: lasciami passare, o prova a fermarmi. Io ho già fatto la mia scelta." 
Eric la fissò: le gambe divaricare, la schiena dritta, il mento alzato leggermente, le braccia lungo i fianchi, la mano serrata sul manico del pugnale, lo sguardo color del cielo che non si staccava mai da il suo. Il braccio ferito, coperto dalla giacca di pelle, era stato fasciato con una garza candida. Era irremovibile. 
"Mi abbandoni? Non ti ho mai dato l'illusione di star costruendo qualcosa di importante con te. Abbiamo sempre vissuto alla giornata. Non abbiamo mai parlato dello sdolcinato " insieme per sempre". Ho la responsabilità di una città intera sulle spalle, ho ambizioni, e quando Jeanine mi ha contattato le ho permesso di fare tutto ciò, diventando il suo braccio destro, solo con la promessa che tu rimanessi accanto a me, che non ti accadesse nulla." chiarì, e le mani che erano lungo i fianchi, si strinsero in pugni.
"Sai quello che provo per te. Lo hai sempre saputo" le sussurrò.
"Dimmelo" gli rispose.
"Rimaniamo insieme" disse,  come se stesse chiedendo un compromesso. Come se esprimere i suoi sentimenti avesse bisogno di qualcosa in cambio. L'amore che lei provava era la sua moneta di scambio. Elise sentì una fitta al petto.
"Hai tradito quello che eravamo. Non c'e più un noi. E stanotte era l'ultima volta che mettevi le tue mani su di me. E me ne pentirò per sempre per avertelo permesso ". 
Lo disse con disgusto. Era quello che sentiva per non essersi opposta. Era appena volata da un altezza di tre piani, e non si era fermata, e lui non aveva avuto nessuna remora a continuare.
Lui rise. Gli stava ridendo in faccia?!
"Chi mi terrà caldo durante la notte?" disse con ironia, quasi con l'obbiettivo di affievolire la tensione che c'era nella stanza. Il suo ghigno maligno, che lei aveva sempre ritenuto la sua firma, occupò il posto dell'espressione dura di pochi secondi fa. E spostò il peso all'indietro, sulla gamba destra, acquisendo una posizione più rilassata e derisoria verso di lei. Elise non ci vide più.
"Scopati Jeanine" gli sputò addosso.
E in quel momento Eric non ci vide più. 
Azzerò la distanza tra di loro, afferrò il polso che teneva il coltello, e glie lo torse, facendo cadere l'arma per terra. Risalì lungo il braccio, mentre con la mano destra, con una presa ferrea, bloccò il collo di Elise, limitandogli il passaggio dell'ossigeno. Circondò il braccio ferito di lei, proprio sulla benda, e strinse, provocando un urlo di dolore dalla ragazza, bloccata dall'aggresività e dalla celerità di Eric. 
Il ragazzo prese la sua decisione. 
L'avrebbe lasciata. 
Perché Liz avesse l'opportunità di crearsi un nuovo futuro nel mondo reale, aldilà della barriera. Il suo obbiettivo non era mai stato quello di acquisire il potere, ma di portarla via con lui da Chicago, per vivere e costruire finalmente qualcosa nella realtà. Non in questa perenne simulazione. In questo mostruoso esperimento.
"Elise non ti farò del male, ma non ti lascerò rovinare tutto." le disse a fior di labbra. Strinse di più la mano intorno alla lesione, stritolando il braccio. 
Le bende si macchiarono di un rosso scarlatto. Elise urlò di nuovo e sentì che le sue forze stavano venendo meno, e la sua visuale si era appannata dal dolore.
Lui la zittì baciandola, ma lei non voleva e cercò di divincolarsi, ma era troppo forte. 
Le sussurrò all' orecchio "Vattene via dalla città. Creati un nuovo futuro, dove io e le fazioni  non rovineremo tutto quanto". E le torse il collo, tramortendola. 
La depositò sul letto e uscì chiudendo la porta a chiave con due mandate. 
E da lì in poi fece ciò che tutti noi gia conosciamo, ottenendo la sconfitta degli abneganti, la fuga di Tris e Quattro, e una pallottola nella gamba. Insomma, a ognuno il suo! 

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Capitolo 5
*** Aiutati che il cielo ti aiuta ***


Si svegliò di soprassalto. 
Stava fissando un soffitto bianco, le pareti erano dello stesso colore, e dall'odore sembrava di essere in un infermeria.
Provò a muovere la testa, ma una fitta al collo non glie lo permise. Mosse le braccia per toccare la superficie su cui era stesa. Era fredda: metallo.
"Si è svegliata!" sentì delle voci fuori dalla porta, e un clic le fece capire che erano entrate. Un volto conosciuto entrò nel suo campo visivo. 
"Splendore, ti aggiorno sulla tua situazione" disse con non chalance, tipico di lui sdrammatizzare. 
"Sei tutta intera. Hai solo qualche livido sul collo e sulle braccia. La ferita è stata curata mentre eri priva di sensi. E sei sotto il siero della verità." Disse l'ultima parte della frase in un unico fiato.
"Cosa? Zeke perchè? Dove siamo?" cercò di alzarsi, ma il filo della flebo non le permetteva di muoversi liberamente.
E in quel momento le tornò tutto in mente, come uno schiaffo in pieno viso. I suoi occhi si inumidirono, e brividi le scesero lungo la schiena. Il respiro le si spezzò, e la voce che uscì dalla sua bocca era appena udibile.
"Zeke, dimmi che è stato solo un brutto incubo" sussurrò, terrorizzata che le orecchie potessero ascoltare cose non vere, o peggio, cose terribilmente vere. E dolorose.
Lo fissò negli occhi rossi, aspettandosi una risposta. Era stanco, era sporco di polvere, e aveva pianto, si vedeva. 
La guardò, e scosse la testa.
Riappoggiò la testa sul cuscino, chiuse gli occhi, e solo in quel momento, dopo ore e ore di adrenalina in circolo, si accorse che l'unica cosa che voleva in quel momento era piangere
E si lasciò andare, a un pianto liberatorio e disperato, soffocando i singhiozzi. 
Zeke si stese accanto a lei sul tavolo di metallo, facendo attenzione al filo, e la abbracciò, consolandola, spiegandole per filo e per segno quello che era accaduto. 
Le persone uccise dagli intrepidi, di cui tre da lui, il momento di lucidità, quando erano tornati a capire cosa stavano facendo. La spiegazione dei capi di ciò che stava per accadere, la divisione della fazione: i traditori e i lealisti. La fuga dalla fazione degli abneganti, per trovare rifugio solamente dai candidi, perchè la loro sede era stata circondata, e avevano perso troppe persone.
Mentre raccontava, ogni tanto Zeke si asciugava una lacrima, o tirava su con il naso e accarezzava ritmicamente i capelli e il viso di Elise, mentre lei si lasciava andare ai singhiozzi. 
"Elise abbiamo perso tante persone, ma molte sono sopravvissute"
"Chi"
Non c'era espressione nella sua voce. Era piatta, come il battito del suo cuore in quel momento per ascoltare la risposta di Zeke. Aveva paura di chiederlo, ma si sentiva responsabile.
Responsabile di non essere riuscita a fermare ciò che aveva scoperto prima di tutti. Di non essere riuscita a capire l'uomo accanto a se. Ma anche di non averlo fermato quando ne aveva avuto l'occasione. 
"Will, uno dei tras-fazione" sussurrò.
"E Cristina?" 
"È con la sua famiglia. Si sta tenendo tutto dentro. Non fa mai bene comportarsi cosi. Il dolore ti mangia dall'interno, come un parassita." pensò Zeke ad alta voce.
"Cosa possiamo fare? Ci sono capifazione rimasti tra i leali?"
L'ultimo barlume di speranza per sentire il Suo nome tra le parole di Zeke.
"Jake, e nessun altro. Tutti traditori. Persino..."
"Ho capito. Aiutami a liberarmi di questo filo, e andiamo a vedere com'è la situazione con il capofazione dei pacifici."
Lui si alzò ma quando lei cercò di scendere dal tavolo di metallo la fermò:
"Elise come sei arrivata fino a noi? Come facevi a sapere dove eravamo?" la afferrò per le spalle, per guardarla negli occhi, forse per vedere se era completamente sincera.
"Pensavo mi aveste trovata nella mia camera. Avevo perso i sensi." rispose confusa.
"Elise, ti abbiamo trovato davanti all'entrata dei pacifici, quando noi eravamo gia qui da due ore!"
Era incredulo.
Era seduta sul tavolo, con le gambe che penzolavano dal bordo. Si prese la testa tra le mani, e Zeke fece scivolare le braccia e le appoggiò vicino ai suoi fianchi sul bordo del tavolo, circondandola, per darle un pò di conforto.
 " Quanto sono stata priva di sensi?" 
"Sono le 3 di notte, ed è domenica mattina." le disse. 
"Come hai fatto ad arrivare fino a qua?" sapeva che nel suo sangue era in circolo il siero della verità, se era una spia, non poteva mentire. Nessuno della fazione si fidava della sua presenza fra di loro, era dopotutto la ragazza di Eric.
"Io non lo so" disse Elise, la sua voce si incrinò e Zeke vide il suo dolore, la realtà dei fatti: Eric non aveva tradito solo la fazione, aveva tradito anche lei. Le aveva spezzato il cuore. Lei era sul punto di riscoppiare a piangere, ma si alzò dal tavolo e si incamminò verso la porta, superando Zeke. 
Era ora di mettere le cose a posto con il Candido, e di capire cosa era necessario fare per iniziare il prima possibile il contrattacco. In quel momento non c'era tempo per piangere.
Zeke la seguì per i corridoi. 
E lei iniziò a tartassarlo di domande. In che stato erano i contatti e i rapporti con le altre fazioni. I candidi si erano alleati con loro, dei pacifici non si sapeva nulla, gli eruditi si erano divisi: quelli che seguivano la causa di Jeanine, distruggere i divergenti che contaminavano il sistema delle fazioni, e quelli che si opponevano, anche loro allo " spietato generale", sede dei Candidi.
Arrivò nell'atrio, una grande sala, con un tetto molto alto, che concludeva con una cupola completamente in vetro. Le ricordava molto la sala delle simulazioni al piano più alto della sede degli intrepidi. 
Sentiva la ferita tirare e bruciare al di sotto della giacca. L'avrebbe controllata più tardi. 
Buona parte della gente riunita li la riconobbe, erano quasi tutti vestiti di nero, c'erano pochi abitanti della fazione ospitante. Calò il silenzio nella sala, e mentre lei si dirigeva al centro, la gente si diramava per lasciarle la strada sgombra. 
Elise si fermò nel centro, e li guardò tutti, uno per uno. Una sagoma si staccò dal resto della gente. Non riusciva a vederla nitidamente, era notte fonda, e l'unica fonte di luce erano le lampade appese alle pareti. La figura le si gettò letteralmente addosso, afferrandola per il collo e stringendola in un'abbraccio. Marlene la stava stritolando!
"Elise sono così felice di vederti incolume!! Ero così in ansia! Quando ti ho vista tra le braccia di Jack, senza sensi e pallida... "
Le si incrinò la voce. Ricambiò l'abbraccio.
"Sono qui Marlene. Adesso metteremo le cose a posto" le sussurrò all'orecchio. 
Si staccò da quel caldo e amichevole abbraccio e cominciò a cercare una figura tra la folla, vide jack spiccare per la sua altezza in mezzo a tutti: era appoggiato al muro, le braccia conserte, lo sguardo basso, una garza gli copriva tutto il braccio destro, e una ferita che gli deturpava l'orecchio sinistro. Continuò a cercare.
"Dove è Quattro?" chiese a Marlene. 
Non le rispose.
Si rivolse a Zeke alle sue spalle.
"Dove. È. Quattro?" Scandì tra i denti. 
L'orrore le stava attanagliando il cuore. E riusciva a pensare soltanto 'non lui'!
"È riuscito a fuggire, e anche Tris. Erano tutte e due divergenti. Durante l'attacco agli abneganti li avevano scoperti, portati alla sede degli eruditi per studiarli, sotto ordine di Jeanine. Si vocifera che sia stata Tris a cancellare il programma che comandava il siero della simulazione." gli rispose una figura femminile che conosceva molto bene. 
Tori si fece avanti, la squadrò e con sguardo sufficiente le disse "Non ti vogliamo qui. Sei una traditrice. Non dovrei nemmeno dirti tutte queste cose. Informazioni che potresti riportare. Sei solo una bambinetta piagnucolosa e una vigliacca!" le urlò contro avvicinandosi ancora di più a lei in modo minaccioso.
Elise prese un respiro profondo, e la guardò, dritta negli occhi. 
E Tori, per una volta nella sua vita, si accorse di aver parlato troppo. 
"Dopo tutti questi anni passati ad allenarci, ad aiutarci, a ridere insieme, tu, proprio tu, quella che mi ha salvato più di una volta, tu mi accusi di vigliaccheria! Tu che conosci il mio modo di lavorare e di combattere, il mio modo di pensare e ragionare! Tori, l'aria dei candidi ti fa male al cervello." 
Liz era stata tentata di saltarle addosso e romperle qualche cartilagine, magari quella del naso. Ma avrebbe compromesso la sua posizione agli occhi degli intrepidi, già imbilico. 
Tori la fissò di nuovo con sufficienza, poi il suo viso si trasformò, da tirato e severo, a spensierato, con un ghigno divertito sulle labbra. Forse il primo sorriso che faceva dall'attacco agli abneganti.
"Stai pensando di rompermi il naso?" chiese, ormai impresa a una risata contagiosa
"Tu sola sai leggermi nella mente!" le rispose, sollevata. 
Si abbracciarono, come solo i maschi sanno fare: scontrandosi con il petto e circondando le spalle dell'altra con le braccia dandosi delle pacche sulla schiena. Da vere dure! 
Si separarono e Elize tornò determinata 
"Dobbiamo parlare con Jack Kang, e contattare i Pacifici per sapere la loro posizione riguardo alla guerra che inizierà."
Iniziarono a incamminarsi verso la zona centrale della sede, dove si trovava l'ufficio di Kang. 
"Elise non puoi chiamarla guerra! Siamo indifesi!"
"Siamo intrepidi!". Urlò girandosi, rivolgendosi non solo a Tori ma a tutti i presenti
"Noi non molliamo! Riporteremo la pace!" e un grido di accordo si levò dalla folla.
"Vendicheremo i nostri compagni caduti per la pace" un altro coro di approvazione.
"Distruggeremo coloro che hanno osato attaccare con l'inganno la nostra fazione, giudicheremo i traditori, e ci opporremo alla dittatura spietata dell'erudita Jeanine, glie la faremo pagare per aver stravolto le nostre vite!" urlò di nuovo, con ancora più potenza. 
Gli intrepidi scoppiarono, urlarono e iniziarono a saltare, facendo tremare il pavimento e Elise si sentì riportare indietro nel tempo, mesi prima: le feste della fazione erano leggendarie. La spensieratezza di quei periodi... Bruciata. Non sarebbe mai più tornata. Se ne accorse in quel momento. Tutto era mutato. Non si urlava più per festeggiare e impazzire, ma per chiedere vendetta. 
Si allontanò, con Zeke e Tori alle calcagna.
"Lo sai che Kang e una testa di cazzo, vero?" le chiese Zeke.
"Sono abituata a parlare con le teste di cazzo." gli rispose, continuando a camminare con passo sostenuto
"Uh, questa ha fatto male!" disse lui, soffiando sulla mano, come per far capire di essere stato scottato.
"Dovrai contattare i pacifici, e il suo capofazione. Lo sai gia come si proclameranno verso questa guerra." le disse Tori.
"Johanna è un'altra testa di cazzo in più" disse Zeke, velocizzando il passo per stare dietro alle due ragazze.
"Per te tutti sono teste di cazzo?" gli chiese Tori.
"Tu certo che no dolcezza! Sei solo poco abnegante, mettiamola così" disse lui, gesticolando in modo ridicolo.
"E tu ti arrendi subito!" lo imbeccò.
Elise non ascoltava. Era in pensiero per la vita di Quattro. Aveva bisogno di lui in quel momento. Si fermò di colpo. Tori rischiò di andarle addosso, mentre Zeke si scontrò contro la schiena della ragazza, troppo distratto dalle sue parole per fare attenzione a dove stava andando. 
Elise si intrufolò nel primo ufficio che trovò aperto, gli altri due la seguirono, e chiuse la porta. Accese la luce. Era una stanza sgombra.
"Zeke dammi il tuo trasmettitore, so che ce l'hai."
La guardò perplesso. Ma alla fine cedette tirandolo fuori dalla tasca interna del gilè di pelle. 
"Se scoprono che ce l'ho ancora, al diavolo l'ospitalità dei candidi. Ci hanno ordinato di consegnare armi e qualsiasi altro aggeggio "intrepido"!" Disse con scazzo.
"Candidi deficienti!" sbuffò. Tori gli tirò una gomitata.
Elise sapeva che gli eruditi avrebbero mappato la chiamata. Di sicuro stavano cercando di capire le mosse del nemico, e quindi le chiamate che uscivano dalle fazioni erano controllate. Ma le era necessaria una risposta.
Inserì il codice di emergenza che solo i capifazione avrebbero dovuto conoscere. Lo strumento si collegò alla rete. 
Una voce femminile, dopo pochi secondi, rispose.
"Quale è l'emergenza?" la donna dall'altro capo della linea era in guardia.
"Devi dirmi se ci sono degli intrepidi tra i tuoi. Ma sopratutto se il figlio di Marcus Eaton è tra di loro."
"Riconoscerei la tua voce tra mille. Ho temuto il peggio quando mi hanno informato del coinvolgimento del tuo ragazzo" le rispose con voce spenta
"Johanna devi dirmelo. Verranno a cercarli. E ho bisogno di Eaton per organizzarmi."
"Lizzie farò quello che posso. Ma la mia fazione non deve essere coinvolta. Vogliamo rimanere neutrali" 
"È troppo tardi. Li avete ospitati. E li state proteggendo. Ti conosco. Non lasceresti mai dei ragazzi senza protezione."
"Ma ho lasciato te senza nessuna difesa" disse la donna dall'altro capo del telefono con voce sofferente. Si sentiva in colpa?
"È sempre stata una mia scelta. Fai in modo di mandarli via sani e salvi. E convinci il consiglio a unirsi a noi. Dobbiamo contrattaccare."
"L'aggressività non ha mai fatto parte del tuo essere"
"Quando il mondo ti cade addosso, ti adegui, e lo ricostruisci, se non per te, almeno per gli altri. Ormai la mia anima è rovinata." rispose Elise, con tristezza.
"C'è qualcosa che non mi stai dicendo Liz" disse Johanna risoluta e spaventata dalla sincerità della ragazza.
"Nulla Mamma. Non è mai nulla di importante"
E chiuse la comunicazione. 

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Capitolo 6
*** Contrattaccare ***


Ma io non resisto! E quindi anche sta sera pubblico in nuovo capitolo! Buona lettura.
È da un po' che non vi sento! Non mi fate demoralizzare! :)
Recensite! 


Jack Kang si era rivelato per quello che era: un vero deficiente senza peli sulla lingua, e senza il filtro cervello-bocca.
Alla fine avevano ottenuto da lui il "permesso" di restare allo 'spietato generale'.
Ma in realtà era più in pericolo lì che in qualsiasi strada di Chicago, sotto la pioggia battente. Saranno state le sette del mattino quando Elise si prese il lusso di appoggiare il suo corpo distrutto dagli sforzi della giornata su una brandina nel corridoio accanto alla sala grande. Accanto a se c'erano altri quattro intrepidi, tra cui riconobbe Jack, addormentato come un sasso.
E lei lo imitò.

Sentì una mano accarezzarle il naso. Sorrise. Era la stessa solfa ogni mattina. Tranne quando si svegliava prima lei. Non si mosse.
Ma la mano continuò a punzecchiarla e ad accarezzare il suo viso, poi le sue labbra, e poi tornò al suo naso. Liz diede uno schiaffetto alla mano, sorridendo come una deficiente " Eric basta, voglio dormire ancora un po!" disse ridendo e si giró dall'altra parte. Delle labbra cesellate si impossessarono della sua bocca, rubandole un bacio dolce e semplice. Si alzó dal letto per continuare il contatto e per fargliela pagare. Aprì gli occhi per guardarlo, ma quando lo fece, si trovò in un corridoio bianco e buio, da sola.
Da sola. Un'altra accoltellata al cuore, un altro pezzetto di lei che se ne andava.
Dal fondo del corridoio si vedeva una luce. Sarà stato gia giorno. Che ore erano? Si alzò: il collo le doleva, la testa pulsava come se qualcuno stesse cercando di uscirne, e di sicuro la sua faccia era uno straccio! 
Si diresse verso la sala grande, o magari un bagno, dove potesse lavarsi il viso, o farsi una doccia! Ne aveva proprio bisogno. I suoi capelli urlavano pietà. Li legò con l'elastico che teneva al polso in una coda alta. Sentì una voce familiare, quella che da prima di addormentarsi aveva bisogno di sentire!
Corse fino alla fine del corridoio e lì ci trovò Quattro intento a parlare con Zeke, vicino a lui c'era Tris. Si vedeva che era sfinita. Aveva gli occhi vuoti, i capelli sporchi e i vestiti non erano quelli degli intrepidi. Erano scappati dai pacifici ed erano riusciti a sfuggire agli eruditi! 
Qualcosa stava andando per il verso giusto. Quando Quattro notò Elise nel corridoio, smise di parlare a Zeke e si diresse verso di lei. Anche lei gli andò incontro. Si fermarono uno davanti all'altro. Si guardarono negli occhi. E poi Quattro la abbracciò.
" Risolverò tutto Liz." le sussurrò.
" Non c'è nulla da risolvere. Quello che è stato è stato. Ora devi darmi delle buone notizie dai pacifici e un miracolo per iniziare a muoverci." disse lei risoluta, staccandosi dall'abbraccio e iniziando a camminare verso l'entrata della sala. 
"I pacifici non si schiereranno, daranno asilo a chi lo cerca, ma dopo l'attacco di ieri da parte degli eruditi, Johanna era molto contraria alla decisione del consiglio. Lei è dalla nostra parte, e una buona parte della fazione anche."
Di ieri? Quanto aveva dormito? Le girò la testa, ma si raddrizzò appoggiandosi alla parete. Quattro si fermò, allarmato dal gesto della ragazza, Tris era rimasta indietro, per essere curata. Quel momento di debolezza lo aveva visto solo lui.
"Liz tutto a posto?" Le chiese.
"Come sempre!" disse lei, girandosi verso di lui e sorridendo.
"Ho un miracolo" e ripresero a camminare.
"E con questo cosa vorresti dire?" chiese curiosa.
"Gli esclusi. Sono loro il nostro alleato. Sono numerosi. E tra di loro c'è uno di noi: Edward, il ragazzo che Peter aveva ferito due settimane fa."
"Come hai fatto a contattarli? " ormai erano quasi arrivati.
"Abbiamo passato la notte da loro io ,Tris, Peter e Caleb. Il loro capo ci ha offerto il loro aiuto contro Jeanine"
"E lui cosa vuole in cambio?" entrarono nella sala. Non c'era nessuno. Ma che ore erano?
"È mia madre Liz." le si gelò il sangue. Ora i morti tornavano indietro dall'oltretomba?
"Capisco." Disse fermandosi e si girò verso di lui 
"Beh, i miracoli esistono e tu me ne hai portati non uno ma due!" e risero insieme.
A un certo punto una porta si aprì, e nella stanza si riverserarono tutti gli intrepidi, circa una centinaia, seguiti da Tori, Jake e i più anziani che si erano ribellati ai traditori.
"Abbiamo deciso di eleggere nuovi capifazione" disse Rosalie: era una intrepida di circa 50 anni, aveva due figli; la ragazza più grande aveva 27 anni e si era trasferita negli abneganti, l'altro figlio ne aveva 15. Elise aveva saputo che erano morti tutti e due nell'attacco alla fazione. Ci fù subito silenzio nella sala. Nessun candido era presente. 
"Io nomino Tris" disse Huria. 
Tris avanzò, "Rifiuto, non ne sono in grado" era ferita al braccio, stanca e Elise aveva saputo che nell'attacco erano morti i suoi genitori. Era venuta a conoscenza della sua forte divergenza. 
Marlene voleva opporsi, ma non insistette, forse lei sapeva il vero motivo del rifiuto.
"Io nomino Quattro" si sentì urlare dall'altra parte della sala. Lui fece un passo avanti "Accetto".
"Nomino Tori" e Tori si avvicinò al centro della sala "Accetto".
"Nomino Elise" disse Marlene ad alta voce, e un vociare concitato iniziò a crescere nella sala: grida, fischi, chi era d'accordo, chi era contrario,
Elise fece un passo avanti. 
 "In questo momento sono compromessa, non posso accettare, ma sarò fedele agli altri capi per qualsiasi consulto o aiuto. Siamo intrepidi, e saremo coraggiosi! Viva Quattro, viva Tori" urlò, credendoci davvero in quello che diceva. E gli intrepidi risposero al suo urlo di incoraggiamento! 
"Ce ne andremo di qua, sono troppi giorni che rischiamo di diventare merce di scambio! Non mi fido di Kang" disse Quattro all'orecchio di Liz, dopo che tutti si erano dispersi per la fazione. 
" Sono d'accordo con te. Quattro" disse
" si?" 
" Che giorno è?"
" Martedì" le rispose, girandosi e andando verso Tori.
Due giorni? Due giorni di sonno? Come era possibile? Perche Zeke non l'aveva svegliata? Decise di andarlo a cercare. Ci mise mezz'ora per sapere dove si trovava. 
Lo trovò in infermeria, accanto al letto dove Tris stava riposando.
" Zeke, che cazzo hai fatto? Ho dormito per dei giorni e tu non mi hai svegliato?" era furiosa, afferrò Zeke per il braccio, e anche se lui era più alto di lei di alcune spanne, lo spinse verso il fondo dell'aula. 
"Calmati zucchero. Eri in stato comatoso! E ora so anche il perche! Jake mi ha detto che sei volata dal terzo piano venerdì sera! Ci credo che avessi un trauma cranico! Sei fortunata Lawrence per essere ancora viva! Quando ti sei addormentata é come se fossi svenuta. Quando, verso pomeriggio, ho provato a svegliarti, tu non rispondevi, e ti abbiamo dovuto curare." spiegò in fretta, quasi senza respirare.
" non ho danni cerebrali?" disse lei, sottovoce, come se la domanda fosse rivolta più a lei che allo stesso ragazzo.
"Te lo detto Liz, c'hai culo!" Le disse gesticolando nervosamente. 
"Ma dobbiamo parlare di un'altra cosa." disse lui, portandola davanti a una porta, in una nicchia del corridoio , fuori dall'infermeria.
" Sai del tuo stato?" le chiese con voce bassissima, abbassando il suo sguardo su quello della ragazza, per vedere se rispondeva sinceramente.
" Lo sospettavo" si, lo sapeva, da tre settimane.
"Cosa hai intenzione di fare?" chiese lui. Elize non lo stava guardando, si vedeva che era in difficoltà.
"Se faccio tutto questo lo faccio per lui. Per nessun altro. È brutto da dire Zeke, ma non ho più nulla per cui battermi, per cui vivere, se non per proteggere lui."
" È di Eric?" la domanda fatale. Un dolore lancinante al petto la percorse, un' altra accoltellata, un altro petalo che cadeva.
"Non dovrà mai saperlo" sussurrò, continuando a non guardarlo. Si portò una mano al ventre.
 "Tra poco sarà ovvia la tua situazione, e cosa dirai? Sono ingrassata per colpa del cibo dei candidi?" sdrammatizzò.
"In questo momento l'unica cosa importante è organizzare la nostra fuga da questa prigione" cambiò discorso lei. Zeke le accarezzò la guancia e le alzò il viso per far incontrare i loro occhi. Era un gesto fraterno, non poteva essere visto come altro.
"Se mai avremmo la meglio in tutto ciò, Eric sarà giudicato come il principale responsabile di questa guerra. Sai cosa dice la nostra legge. Mi dovrei frustare da solo per quello che sto per dire, ma lui ha diritto di sapere. Potrebbe cambiare idea." 
"Ormai quello che ha fatto ha reso evidenti le sue intenzioni. Non sarò io con una scusa così a farlo tornare il mio Eric. Non ho più nessun potere su di lui, nessuna influenza. È andato via. E ci ha lasciato" stava parlando con un filo di voce, trattenendo le lacrime, ma dentro di s'è stava piangendo.
"Adesso andiamo, dobbiamo decidere. Raggiungiamo gli altri." e in questo modo Elise chiuse la conversazione.

Eric era seduto vicino al tavolo della sala degli interrogatori, aveva davanti a s'è un altro escluso, un altro poveraccio puzzolente, che parlava a vanvera, e non diceva nulla allo stesso tempo. Jeanine insisteva con la convinzione che loro avessero qualcosa a che fare con la chiamata che era partita dalla sede dei candidi, della fuga di alcuni intrepidi dai pacifici, e dei due intrepidi fedeli a lei morti per le strade.
"Te lo richiederò per l'ultima volta, dove è il punto di ritrovo del vostro gruppo clandestino?" disse scocciato, incazzato. Stanco di fare le stesse domande da ore.
"Sotto il ponte che collega la parte nord della città con la parte distrutta dalla vecchia guerra." disse il pazzo escluso, che sembrava più di la che di qua, dopo le quattro ore di tortura che aveva subito. 
"Un altro ponte, e con questo li hai detti tutti. Tutti i ponti che si trovano a Chicago tu li hai nominati. E tutti sono gia stati controllati" disse ormai senza più pazienza. Lui era nato senza pazienza!
"Qual'è il tuo ruolo nel gruppo?" chiese di nuovo, passandosi la mano sul viso stanco dalla mancanza di sonno. 
"Raccolta di scatolame" 
Ora basta! Si alzò, girò intorno al tavolo dove si trovava l'escluso sofferente e moribondo e da dietro, gli afferrò la testa con una mano e glie la sbattè sul tavolo. Prese la pistola dalla custodia e glie la puntò alla nuca. E fece fuoco.
Pulì la pistola dal sangue fuoriuscito dalla ferita. Il casino che c'era sul tavolo ci avrebbero pensato gli altri. Lui lì aveva finito. 
La porta della stanza si aprì, e la sagoma di una ragazza fece capolino dall'entrata. Era alta, bionda, magra e molto bella. La ragazza più desiderata dagli intrepidi. Peccato per quella cicatrice sulla parte destra del viso, sullo zigomo. Era lunga circa quanto un dito indice. Eric si ricordava ancora quel giorno: era entrata in palestra un anno fa esatto. Eric aveva la responsabilità degli allenamenti dei tras-fazione: Quattro era in missione ormai da due giorni, e avevano rifilato a lui i bambini per la lotta corpo a corpo, mancavano tre giorni al passaggio al secondo modulo. Stava usando Elise per mostrare le varie tecniche di difesa nel caso l'avversario avesse attaccato alle spalle, quando una Lucille incazzata nera era entrata dalla porta della palestra, si era aperta un varco a spintoni tra i neo arrivati, e aveva raggiunto loro due, avvinghiati e concentrati in quello che stavano dimostrando. Afferrò i capelli lunghi e scarlatti di Elise con così tanta forza che Eric non provò nemmeno a trattenere il corpo della ragazza, ritirando le mani, per paura di peggiorare soltanto la situazione. Elise fù scagliata sul tappeto del corpo a corpo, e Lucille le salì a cavalcioni sul bacino, bloccandole le gambe. 
"Tu! Mi hai rubato il ruolo!" E La colpì in faccia con la mano aperta. 
"È da tre anni che sono responsabile delle simulazioni. E arrivi tu, quarta della tua classifica, e io vengo messa da parte? Urlò ormai più che infuriata. La colpì di nuovo.
I ragazzi si avvicinarono ad Eric, come per spingerlo ad intervenire. Ma il capofazione li trattenne. Dovevano risolvere da sole. 
" Dimmelo! Dimmi che ti sei scopata il capofazione per ottenere il ruolo!" Ormai era senza controllo, e Elise non aveva modo di muoversi perché Lucille le aveva bloccato le braccia ai lato della testa. 
"Dì la verità" si chinó e le sussurró all'orecchio "Ti sei fatta scopare anche da Max"
E in quel momento Elise non ci vide più. Si tiró su, tirando una testata in faccia a Lucille, che non si aspettava la reazione della rossa. Ribaltarono le situazioni. Ora era Liz a bloccare il corpo di Lucille. 
" Lucille ti svelo un segreto: le cose si ottengono anche tenendosi le mutandine addosso e le gambe chiuse". Le tiró uno schiaffo, e si alzó, dandole le spalle. Lucille si tiró su sulle ginocchia, prese il coltello nella tasca dei pantaloni, e le saltò addosso. 
Prontamente Elise si giró, fermó il polso armato, e gli ritorse contro la sua stessa arma, ferendola al viso. 
Dopo quello Eric mandó via gli iniziati, prese per un braccio un Elise più che incazzata, ma sapeva bene che appena arrivati in camera il senso di colpa l'avrebbe divorata. 
"Un ultima cosa ragazzi" urló rivolto agli iniziati che si stavano avviando verso l'uscita della palestra. 
"Mai dare le spalle al nemico. Non sempre sarete così fortunati da riuscire a proteggervi." E detto quello sapeva di aver impartito una lezione anche a Liz. Si ricordava che la prima cosa che lo aveva fatto incazzare veramente di quel confronto tra le due ragazze era stata la poca autodifesa di Liz. Non era mai stata molto preoccupata per se stessa. Più per gli altri. E non sempre lui ci sarebbe stato a proteggerla.
 Come adesso. 
"Che casino Eric! Se sporchi poi pulisci" lo ammonì.
Eric si riprese da quel flashback e si avviò verso l'uscita per raggiungere l'ufficio all'ultimo piano della sede, per aggiornare Jeanine, ma Lucille lo fermò, appoggiando una mano sul suo braccio scoperto quando la affiancò per attraversare la porta dove lei si era appoggiata allo stipite. "Invece di andare da Jeanine, ho un idea migliore per farti passare il cattivo umore." disse languida, avvicinandosi al petto di lui e appoggiandoci tutte e due le mani sopra.
"Ho poco meno di un'ora" disse lui, senza nemmeno guardarla in faccia.
"Allora sarà meglio se ci sbrighiamo a raggiungere la mia camera. " disse lei, prendendolo per mano e avviandosi fuori dalla camera, su per le scale della fazione.

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Capitolo 7
*** Lacrime di pioggia ***


Nuovo capitolo!! Una delle scene migliori che la mia mente abbia creato, fino ad'ora. Sperò possiate confermare! 
Buona lettura! E mi raccomando, recensite! 





"Lo spostamento deve avvenire sta notte. Raggiungeremo la nostra sede in meno di 45 minuti, sono 20 km se percorriamo la strada principale." 
Quattro stava descrivendo il piano a Tori e agli altri 5 intrepidi responsabili di ogni gruppo di soldati. Uscire dal quartiere dei candidi sarebbe stato un gioco da ragazzi, ma percorrere la strada principale per impiegare meno tempo, sarebbe stato un suicidio.
" Quattro è troppo rischioso: la strada è larga. Non avremmo copertura, le truppe di ricognizione passano ogni 10 minuti in quella zona. Siamo una centinaia di persone, non possiamo spostarci silenziosamente e velocemente allo stesso tempo. Quello che proponi è una strage." Elise era sconcertata dalla proposta di Quattro. Non aveva un senso logico, non poteva pretendere quel rischio. Che fine aveva fatto la sua bravura nelle strategie di guerra?
Quattro la fissò dall'altro capo del tavolo della sala, dove sopra si trovava una mappa urbanistica della città. 
"Elise non mi hai fatto finire." la stava fissando con sguardo severo. Forse non era stata un ottima idea contraddirlo.
" ogni intrepido responsabile di un gruppo formato da uomini, ragazzi bambini e donne, si muoverà su una strada diversa. Ma il punto di arrivo sarà lo stesso per tutti: la nostra sede." guardò tutti gli intrepidi in faccia, e con quello aveva concluso.
"si parte tra mezz'ora."
Quattro uscì dalla camera, e le altre persone iniziarono a parlare tra di loro, altri invece si diresse verso i loro gruppi, altri ancora si rivolsero a Tori per conoscere il tragitto che dovranno seguire.
Elise era troppo infuriata per stare in un punto così affollato. Raggiunse l'infermeria, e la trovò vuota. In un attacco d'ira, prese un lato del tavolo metallico vicino alla finestra, e lo scaraventò dall'altra parte della stanza, rovesciando i contenitori che si trovavano sopra la piattaforma. Afferrò il letto che si trovava accanto, e lo capovolse con un unico scatto. Si buttò contro il muro, prendendolo a pugni, a calci, ferendosi le nocche per l'aggressività e la forza che ci metteva. 
Era in trappola! Non poteva fare nulla per fermare ciò che stava per avvenire. Si avvicinò alla finestra, aveva il fiatone, i capelli sporchi piatti e scompigliati. 
Guardò fuori dalla finestra. Stava piovendo. Da quando era iniziata quella guerra non smetteva mai di piovere. Da quando il suo cuore si era spezzato il cielo condivideva con lei quel dolore. Faceva male, come una ferita aperta, più della sua ferita al braccio. 
La Sua mente si concentró su di lui, sulla sua figura, il suo tocco, il bacio di ogni mattina, di questa mattina. Aveva un bisogno disperato della sua vicinanza, di quella sicurezza. Le mancava,  come l'aria. Era compromessa: voleva andare da Eric, il suo cuore lo pretendeva, ma i suoi valori, il suo onore non la lasciavano libera di decidere. Sarebbe morta sola per onore: non poteva più fare nulla. Non poteva opporsi alla decisione di Quattro, lo avrebbe compromesso agli occhi di tutti. Ma non poteva veder morire altre persone. 
"Cosa sta succedendo" Elise si girò verso l'entrata dell'infermeria, sorpresa.  Non aveva sentito Marlene arrivare.
Marlene osservò la stanza, poi lei e infine i suoi occhi si posarono su di lei.  Camminò molto lentamente verso Elise, con le mani sollevate, come se volesse farle vedere che era disarmata, che era li solo per lei.
Era a pochi centimetri dalla rossa, allungò la mano destra, e molto lentamente afferrò il manico del coltello, che Elise aveva afferrato dal tavolo, che il suo cervello non aveva registrato, allontanandolo del petto dell'amica.
" Liz non è questo il piano migliore." le sussurrò, come se l'avesse detto ad un bambino.
" fa maledettamente male Mar. Questo coltello non è nulla al confronto! Non posso avere quello che voglio. Cosa serve andare avanti? Moriró comunque, anche se questa guerra si girasse in nostro favore, saró "rotta" per tutta la vita" le si spezzò la voce, ma non pianse, non aveva più lacrime.
"Ho un piano, per portarci tutti sani e salvi alla fazione".
Elise non stava ascoltando, era come ipnotizzata " perchè lo stai dicendo a me?"
"perchè ho bisogno di te per compierlo. Ho bisogno della migliore"
" Marlene non posso farcela" le sussurrò, cadendo sulle ginocchia. L'intrepida si abbassò al suo livello. 
"Devi resistere, ancora per un pò. Devi resistere, ti prego, poi ti lascieró fare tutto quello che vuoi. Ma in questo momento c'è bisogno di te" e la abbracciò. 
 
Pioveva a dirotto. Da giorni. La strada principale, dove al fondo si potevano vedere le luci degli eruditi, era completamente allagata, almeno 10 centimetri di acqua. 
"Allora, il piano è questo" Marlene era al centro chinata sul terreno, mentre Elise, jack, Zeke, Christina, Edward e Uriah la accerchiavano. Erano tutti pronti per una battaglia all'ultimo sangue. Armati fino ai denti.
"E giunta notizia a Quattro che c'è stata una fuga di notizie. Caleb Prior ha parlato.
E riuscito a scappare dallo Spietato Generale e a raggiungere la sede degli eruditi."
Christina era provata, si vedeva perfettamente, aveva appena saputo che Will era morto per una pallottola sparata da Tris durante la fuga dalla sede degli abneganti. Era li solo per vendetta, se no Elise sapeva che avrebbe preferito proteggere la sua famiglia e raggiungere la fazione.
"La sorveglianza è aumentata perchè il piccolo cervellone era a conoscenza del piano di Quattro. Quindi le cose cambiano."
Disse alzandosi, afferrando il fucile che aveva legato dietro alla schiena " È nostra responsabilità eliminare le pattuglie che intralceranno la strada dei cinque gruppi di intrepidi che raggiungeranno in esattamente 45 minuti la sede dall'altra parte dei grattacieli." 
La pioggia iniziava a farsi sentire, veniva giù a secchiate, e ormai erano tutti zuppi.
" Uriah e Zeke seguono Quattro, uno sui tetti e l'altro a terra."
" Christina tu segui Rosalie con le donne" la ragazza annuì e afferrò le due pistole che aveva posizionato lungo i suoi fianchi.
"Jack tu e Elise seguirete il gruppo che percorrerà la strada più corta, questa principale. Vi lascio in due perchè proprio qua si concentreranno le difese nemiche"
" Io seguirò le altre due formazioni di intrepidi, lungo il corso del fiume. Lì non dovremmo trovare troppi problemi."  La città era immersa nel buoi più totale, solo qualche spruzzo di luce di qualche fortunato lampione. Si vedeva movimento davanti all'entrata della sede degli eruditi.
Era molto pericoloso, era rischioso. Ma Erano intrepidi. 
"Si torna a casa" pronunciò Jack, guardando uno per uno negli occhi. E si separarono. Elise afferrò Marlene in un momento di distrazione degli altri che si stavano scambiando provviste e munizioni.
" Marle ti prego fa attenzione. Vicino al fiume è il primo posto che controlleranno.
Quando entri nella fazione dal pozzo, fa attenzione all'entrata sotterranea per il Rio, potrebbe essere controllato. Ma sopratutto, non ucciderli, sono traditori, ma sono anche intrepidi." e la abbracciò. La sua miglior amica e il suo pilastro da quando aveva abbandonato i pacifici.
" Tu non farti spaventare dai fantasmi Liz. Sei la più forte. Ricordatelo sempre."
E si separarono. Lei e jack iniziarono a percorrere i marciapiedi della strada principale. Entravano in ogni atrio di ogni palazzo abbandonato, per controllare che non ci fosse nessuno. Jack saliva su ogni tetto, per non trovare sorprese di cecchini nascosti. Niente di simile. A un certo punto sentirono dei rumori lungo la strada parallela a quella principale. Salirono sui tetti e poterono osservare il gruppo di 20 persone che si stava muovendo per raggiungere la fazione. Erano partiti. Chissà che faccia aveva fatto Jack Kang quando Quattro l'aveva informato del loro spostamento.
Di certo non potranno aspettarsi un alleanza con il candidi adesso gli intrepidi.
Jack si girò di scatto verso i cancelli degli eruditi, vedendo avvicinarsi una jeep. Puntò il fucile di precisione verso il movimento sospetto nella penombra " Liz ci sono 5 uomini in avvicinamento su un mezzo a quattro ruote. Io non ne sono capace di metterli fuori combattimento da questa distanza." disse sinceramente, voltandosi verso di lei.
Elise si coricò vicino al cornicione che dava sulla via principale. Saranno stati a sette piani di altezza. " Jack continua controllare il percorso del gruppo. Seguili attraverso i tetti". Lui eseguì l'ordine e lo sentì saltare da un cornicione all'altro.
Guardò attraverso il mirino, e potè vedere che alla guida del mezzo c'era un uomo, un'altro accanto a lui, e quattro nei posti posteriori, in piedi. Non c'era nemmeno il problema del tettuccio del mezzo, perchè era una jeep aperta.
Prese la mira sull'autista, e quando ebbe il momento perfetto, decise di mirare alla mano, non alla testa. E sparò.
La macchina sterzo verso destra, andando a sbattere contro l'unico lampione che permetteva di vederci qualcosa, togliendole la sua fonte di luce. Non c'era problema, avrebbe guardato attraverso il mirino del fucile di precisione.
La pioggia di certo non aiutava. Gli uomini che si trovavano sulla macchina la abbandonarono, lasciando il loro compagni su di essa.
Elise riuscì a colpire uno alla gamba, mandandolo per terra. E subito dopo un altro al braccio, e poi al piede. E tre erano fuori gioco. Ne mancavano altri due.
" Liz ho sentito degli spari, qua la zona e completamente sgombra. E molto strano" sentì il trasmettitore che aveva nell'orecchio gracchiare, e la voce di Marlene inondarle la testa.
" ragazzi sto seguendo il gruppo di rosalie e ho incontrato quello di Quattro. Nella mezz'ora che noi eravamo già fuori dalla residenza, c'è stato un attacco, gli eruditi hanno sparato contro la nostra gente. Ma non c'è nessun ferito. E doppiamente strano. Si sono ritirati subito, non sono andati avanti con l'offensiva. Il numero dei traditori era sotto la decina." Annunciò Jack dalla ricetrasmittente. 
" chi è il più vicino alla fazione? Necessito di aiuto. Marlene"
La chiamò Elise, guardando la strada, completamente illuminata adesso dai lampioni che si erano accesi tutti magicamente, " sono tutti qua!"   
Davanti a s'è aveva la strada principale bloccata da un confine umano di intrepidi con allacciato intorno al braccio un nastro azzurro, e alle loro spalle l'entrata degli eruditi. Occupavano la parte più vicina alla sede, non tutta la strada, ma stavano iniziando a dividersi tra le piccole vie tra i palazzi. Elise si mise in azione. Tornò sdraiata. E iniziò a sparare, senza più controllare a chi o a cosa puntasse, la preoccupazione che qualcuno di loro potesse raggiungere uno dei gruppi le attanagliava il cuore. Colpì uno di quelli che occupavano la rete centrale della linea, e subito dopo un altro: caddero tutte e due al suolo, e le teste dei traditori si girarono verso la direzione dello sparo, e la videro. 
"Liz vattene via di lì, subito! Se ti scoprono ti catturano!" marlene le stava urlando nell'orecchio attraverso la trasmittente
"No Mar, devo fermarli prima che vi raggiungano." disse pacata "E da questa distanza, possono solo uccidermi." sentì dall'altro capo del mezzo un sospiro di disperazione, quasi un singhiozzo "Il tuo umorismo è proprio macabro. Segui i miei ordini, non pos..." e il collegamento cadde. Che cazzo! 
Si alzò, si girò dall'altra parte per allontanarsi dal posto, troppo vicino alla linea formata dai nemici, ma una voce la fermò
"Dividetevi nelle strade, 20 di voi entrino in ogni palazzo!" stava dando ordine a chiunque fosse inattivo, "Si stanno muovendo! Che nessuno ci scappi!"
Lo vide. Era l'unico con la divisa nera e la giacca di pelle smanicata, i capelli corti biondi bagnati, fradicio da capo a piedi, stava guardando nella sua direzione.
" Liz!" Le urlò. Si buttò sul pavimento del tetto, coprendosi dietro il cornicione
"So che sei lì! Non costringermi a venirti a prendere!" urlò di nuovo
"Abbiamo trovato un gruppetto dei tuoi amici che si faceva una bella scampagnata!"
E si sentì un altro urlo. Elise uscì dal suo nascondiglio e vide le persone che avevano seguito Marlene, circondate dai traditori, che puntavano le armi contro di loro. Marlene era a terra, sulle ginocchia, la testa rivolta verso l'asfalto, verso terra, le gambe completamente immerse nell'acqua della strada allagata, una riga di sangue che partiva dalla testa le attraversava il viso. Un traditore le puntava una pistola alla nuca. Ed Elise non ci vide più. Prese la mira, e colpì l'intrepido alle spalle di Marlene, che si liberò. Colpì subiti gli altri due vicini a lei con un attacco repentino alle loro gambe. Facendoli cadere, e rubandogli le pistole. Le puntò verso i soldati che tenevano il gruppo accerchiato e iniziò la carneficina. 
Marlene eliminava da terra, così come alcuni del gruppo che avevano seguito la strada del fiume, mentre Elise eliminava dall'alto. Ma non potevano andare avanti così. Una ragazza intrepida fù colpita, e cadde morta sull'asfalto bagnato, la seguì un bambino e così un uomo. Elise non riusciva più a distinguere chi fossero i cattivi e chi no. "Ragazzi dove siete. Qua abbiamo bisogno di voi! Chi è ormai in prossimità della sede venga ad aiutarci, e avvisi Quattro di ciò che sta accadendo" disse Elise alla ricetrasmittente, scendendo le scale del palazzo il più in fretta possibile. Quando uscì dalla struttura, era calato il silenzio più totale nella strada. Nessuno rispondeva alla sua chiamata di aiuto. E vide l'impensabile: il gruppo era riverso a terra. Era a 100 metri di distanza. Iniziò a correre. Che le sparassero! Quando arrivò in prossimità della linea nemica si spostò in una stradina laterale tra due palazzi, mancando per un soffio un proiettile che era partito indirizzato a lei, e aveva rotto il silenzio.
" Elise ora puoi uscire, il peggio è passato!" le urlò Eric.
Cosa era? Una vigliacca? Era quello che voleva far credere a tutti?
Armò per l'ultima volta le sue pistole, si tolse la giacca di pelle, ormai zuppa, l'appesantiva soltanto, siabbassò e si allacciò molto forte gli stivali, prese il coltello e lo posizionò nella tasca posteriore dei pantaloni. Uscì dal nascondiglio, e si posizionò al centro della strada. La linea era distante 10 metri. Alzò le pistole. E iniziò a sparare. Colpì tre persone, prima di iniziare a correre verso di loro. Due intrepidi  le bloccarono la corsa, lei con una mossa repentina, saltando, attorcigliò le gambe intorno al collo del primo, portandolo con sè a terra, mentre con una capriola si riportava in posizione di attacco, tramortendo il soldato, e con un filo di metallo recuperato dalle sue tasche, fece cadere l'altro attorcigliandolo intorno alle gambe. Prese la loro spranga, e iniziò a tramortire ogni persona che le si parava davanti. Era una furia. Nemmeno tre intrepidi messi insieme riuscivano ad avere la meglio su di lei. Ma erano comunque troppi. E la disperazione di Elise non la rendevano immune dalla stanchezza dei muscoli, e le lacrime di dolore vedendo i visi dei suoi compagni riversi per terra, iniziavano a pungere e a combattere per uscire. Urlò dalla frustrazione di non aver potuto proteggere nessuno! Si avventò su un ragazzo che cercò di afferrarle il bastone di metallo, ma senza successo, finendo morto a terra con la testa fracassata. Era incontrollabile, non riconosceva più la forza che metteva nelle sue azioni. All'ennesimo colpo che sta per dare a un traditore pronto a colpirla con un coltello, una mano le blocco l'arma e con l'altra le itrappoló il polso, forzandola ad allentare la presa sulla spranga, che cadde nell'acqua, procurando un tonfo sordo. Due occhi color del metallo le perforarono il cuore, che riprese a ragionare. E a battere. 
In un momento di razionalità non reagì, e gli intrepidi traditori intorno a lei smisero di attaccarla, sperando di poter vedere da quel momento di pausa la sua prossima azione omicida. 
Elise crollò sulle ginocchia, lasciò l'arma e reclinò il capo verso il basso. Aveva le gambe completamente sommerse dall'acqua, la pioggia che la colpiva con la forza di proiettili, i polsi ancora bloccati nella presa ferrea di Eric. Aveva davanti a se le gambe del capofazione, la sbarra era stata sommersa, non c'era più. Eric si abbassò al suo livello, appoggiando le ginocchia nella pozzanghera che era diventata la strada.
Le prese il viso tra le mani callose e forti, e la guardò negli occhi: vuoti, desolati
" Mi dispiace" le sussurrò. E lei gli rispose con tono di voce piatto, come un automa, gli occhi fissi nell'acqua illuminata dalle luci. 
" È troppo tardi Eric, ormai sono un mostro. Come te." 
"Abbandonate le posizioni! Lasciate i corpi dei morti a terra, raccogliete i feriti. Avete cinque minuti" disse a i suoi, guardandoli. Poi tornò a lei, le accarezzò il viso e le spostò il capelli bagnati dal viso perfetto, ma incrinato, come un vetro che stava per sbriciolarsi. 
" Elise molti non sono morti. È l'ultima volta che vi lascio un' opportunità di salvezza.
Ma non smetterò mai di chiedertelo: rimani con me."
Elise alzò la testa, e lo guardò negli occhi. " Ho troppe colpe per ottenere quello che voglio." disse di nuovo con un tono di voce che si addiceva di più a una depressa, che all'elise piena di vita che Eric conosceva.
" Ti amo. E non mi perdonerò mai per averti portato a questo" le sussurrò, facendosi sfuggire una lacrima. Si avviccinò a lei. 
 Elise appoggiò la mano destra sulla guancia di lui, per fermare la goccia di lacrima che si confondeva con la pioggia.
" Adesso vattene" disse tra i denti, guardandolo negli occhi, con sguardo assassino.
Eric rimase senza parole, sbigottito. Le prese il viso tra le sue forti mani, e lo avvicinò al suo. La baciò, con disperazione. Con urgenza. Con passione. Con amore. La stava perdendo, si stava consumando tra le sue mani. Doveva trovare in fretta un modo di portarla con se. Si alzò e si allontanò con gli altri traditori. Quando le luci si spensero di nuovo sulla strada, Elise potè finalmente urlare, spezzando quel silenzio disumano che era calato sulla strada, cercando gattonando il viso familiare di Marlene. Quandò la trovò, cercò di sentire se aveva respiro. Era riversa a faccia in giù in una pozzanghera di pioggia e sangue. Non c'era respiro. Provò a rianimarla, a far uscire l'acqua che aveva bevuto, a darle ossigeno. Nulla. E si lasciò andare alla disperazione. Abbracciò il corpo di Marlene portandosi il suo viso sul suo grembo, e iniziò di nuovo a piangere. A singhiozzare rumorosamente, e a gridare, verso il cielo, imprecando, pregando che tutto ciò fosse un sogno, e che lo stesso destino capitasse al lei in quel momento, per non dover più essere testimone di tutto quel dolore. Le baciò la fronte, le accarezzò il viso sporco di sangue, togliendole i capelli neri e bagnati dal viso, continuando a piangere. Non riusciva più a fermarsi.
Quando vide qualcuno al fondo della strada, nella parte opposta alla fazione degli eruditi, non si prese nemmeno la preoccupazione di alzarsi per controllare che non fossero altre truppe nemiche. 
Ma quando vide Quattro, non ce la fece e crolló, inghiottita dall'oblio della notte, dal buco nero del dolore. 

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Capitolo 8
*** Raccogliere i cocci ***


E andiamo avanti! 
Il capitolo precedente ha messo a dura prova la nostra Liz, e forse anche lo stesso Eric. La lontananza tra i due ha cambiato qualcosa? O quando si rincontreranno tornerà tutto normale tra loro? Elise gli perdonerà i suoi errori?
non penso che sarà così facile per il capofazione.
Ma non si sa mai... Trovate che ho sconvolto troppo la trama dei libri? 
Ditemi la vostra... Ho troppi dubbi!!!! 
E adesso vi lascio alla lettura di questo capitolo, che raccoglie i cocci degli avvenimenti di "quella notte".
Buona lettura!! 




 
Era in una stanza molto grande, su un letto e poteva scorgere dalla sua posizione un tavolo di metallo, delle flebo: l'infermeria degli intrepidi. 
Tirò un sospiro di sollievo. Ce l'avevano fatta. Ma a che prezzo. Si era svegliata a causa di un rumore. E poi più nulla. Lo sentì di nuovo.
Qualcuno stava bussando alla porta aspetandi una risposta  in cambio.  
E Elise non rispose, non si mosse nemmeno dal letto, si accoccolò ancora di più tra le coperte, con le mani a coppa sul ventre, come se cercasse qualcosa a cui appigliarsi, per non cadere nel buio. Le immagini di quella notte le stavano tornando tutte in mente.
Sentì la porta aprirsi e Tris ne fece capolino, con un vassoio pieno di prelibatezze allo stile intrepido. Appoggiò il tutto sull'isola dell'angolo cucina, e si andò a sedere davanti al lato del letto dove Elise stava riposando. 
Tris vide che era sveglia. 
" Quattro non sarà felice quando saprà che sei stata qua. Che ore sono?" le disse la rossa.
" Non devo spiegazioni a nessuno, nemmeno a Quattro. Sono passate due ore dal tuo arrivo qua. "
"Che è successo su quella strada Liz?" le chiese in modo apprensivo. Era preoccupata... Per la sua incolumità mentale?
Elise si mise dritta, facendo scivolare le coperte sul fondo del letto, rimanendo con la Canutiera e i pantaloni neri da intrepido.
" Cosa è successo nella fazione dei Candidi mentre noi eravamo in strada Tris?
Perchè Caleb ha tradito?" voleva una risposta, non avrebbe parlato prima lei. Doveva conoscere il motivo che aveva portato alla morte delle persone che amava.
" E sempre stato dalla parte di Jeanine." rispose, abbassando sempre di più la voce. E poi si lasciò andare.
 "È colpa mia se Marlene è morta!" la sua voce si incrinò e i suoi occhi diventarono lucidi, una lacrima scappò al suo controllo, percorse la sua guancia destra, fino a fermarsi sulla bocca.
" Era tuo fratello Tris. Era un tuo dovere di sorella riporre la tua fiducia in lui, proteggerlo. Non è colpa tua. È colpa mia, da sempre." 
Tris si alzò dal posto in cui era seduta e si andò a sdraiare insieme a Elise, che le aveva fatto spazio.
"Elise, sono bloccata. Non riesco a muovermi. Non riesco nemmeno a respirare!" disse Tris.
"Tris un motivo per andare avanti c'è sempre. Tu adesso non lo vedi, ma ce l'hai sotto gli occhi. Come io il mio." le sussurrò sul collo. Erano stretta l'una all'altra, Tris com la schiena rivolta verso Liz, come se volessero tenere insieme i pezzi di cui erano fatte.
"Hanno attaccato tutte le persone all'interno della fazione dei candidi, e si è scoperto che hanno iniettato in ognuno di noi un siero di simulazione." prese un respiro, e la sentii tremare.
" che possono attivare quando vogliono. Ogni due giorni che noi non accettiamo la resa, verrà uccisa una persona."
Elise non si mosse, abbracciò più forte Beatrice. Ecco perchè tutti quei traditori si trovavano per le strade. Avevano appena abbandonato il luogo dell'assalto. Quattro era subito fuggito, certo pensando che le difese intorno alla sede degli intrepidi fossero state diminuite. Non aveva tutti i torti.
"Chi comandava l'attacco?" chiese alla fine Liz, preoccupata della risposta.
"Eric. Stava cercando coloro che non sarebbero svenuti dopo lo sparo del siero.
Ha ucciso un bambino" sussurò l'ultima frase, addolorata, aveva visto la scena.
"Senza pietà, gli ha sparato senza pietà in testa" ripetè di nuovo, con la voce che si incrinava sempre di più. Elise, senza accorgersene, spostò le mani sul suo grembo, e strinse i denti. 
" Tris non fare cazzate. Non adesso. Quattro non te lo perdonerebbe mai. Non è stata colpa tua. Risolveranno tutto." la consolò.
" Si hanno notizie degli esclusi e dei pacifici?" 
" Il rapporto tra tobias e Eveline è molto particolare. Lui ci soffre molto."
"Lo ami Tris? Lo so che sei molto giovane, ma quello che sta capitando ci sta facendo crescere in fretta, o almeno, siamo state obbligate." 
" Penso di si Liz."
"E tu, lo ami ancora?" le chiese, senza ragionare sulle conseguenze di quella domanda.
"Come potrei smettere da un giorno all'altro. Sono una personalità autodistruttiva. Lui mi attira come una calamita. Lui è la mia medicina e la mia rovina insieme.". Stava ricadendo di nuovo nel solito dormiveglia che la stordiva parzialmente. La stanchezza! Mannaggia a quell'esserino! 
Tris si accorse dello stato d'animo della sua allenatrice, le baciò i capelli, in segno di affetto, e si alzò.
Tris scese giù dal letto, e uscì dalla zona dei capifazione, andando verso l'uscita. Non poteva permettere che capitasse qualcosa a qualcun'altro. Avrebbe pagato al posto di suo fratello, lo avrebbe fatto per salvare la sua nuova fazione. La sua nuova famiglia.
 
Era stato richiesto nell'ufficio di Jeanine, appena era rientrato dalla strada. Ma prima aveva bisogno di cambiarsi i vestiti zuppi.
"Ti vuole immediatamente nel suo ufficio". Quello stupido erudito lo stava seguendo da quando aveva varcato la soglia della zona per per gli intrepidi, e lo stava seguendo anche verso la sua camera, mentre saliva le scale per arrivare al quarto piano. "Non accetterà un no come risposta. Vuole sapere il perche della ritirata. Ma sopratutto perchè con voi non sono arrivati anche dei divergenti."
Parlava, parlava, e correva, non riusciva a stargli dietro. 
"Stupido intrepido! Fermati!" Eric si fermò di colpo, ma non si girò, le mani si strinsero a pugno. La rabbia gli stava annebbiando la mente.
"Finalmente ti sei fermato. Ora raggiungi la signora nel suo ufficio da fidato cane che sei!". si girò e imprigionò il suo esile collo nella morsa ferrea della sua mano, lo strattonò contro la ringhiera, facendo cadere dal viso del ragazzo i suoi occhiali, che volarono da un altezza di quattro metri dalla tromba delle scale. Era un palazzo completamente in vetro, e il pavimento del primo piano era trasparente. Al di sotto si poteva vedere la sala riunioni del piano terra, dove di solito Jeanine riuniva i capi.
"Hai scelto persona e momento sbagliato per insultare un intrepido, imbecille."
Gli ringhiò addosso, e lo spinse contro la ringhiera. Ancora pochi centimetri, e il ragazzo sarebbe volato giù.
"Io non sono clemente." Si mosse per sporgere completamente il poveraccio, ma una voce lo richiamò. "Lo sempre detto che sei distruttivo.". Max uscì dall'ombra del corridoio, avvicinandosi, "lo sempre detto che sei solo capace di uccidere. Una possente e invincibile arma da usare contro il nemico più agguerrito.".
Teneva le mani unite dietro la schiena. Indossava come suo solito il cappotto di pelle che gli arrivava fino ai polpacci, e lo stava fissando. Eric mollò la presa sul ragazzino erudito, che cadde con un tonfo sulle scale di metallo, e senza nemmeno prendersi il tempo di riottenere l'equilibrio e raddrizzarsi, corse giù per la rampa di scale.
"Non amo le persone che mi strisciano alle spalle." e si girò, per imboccare l'entrata del corridoio della sua camera.
"Su questo sei molto simile alla tua compagna. Perché sei rientrato senza divergenti?" gli chiese, alzando la voce, per farsi sentire.
"Non devo nessuna spiegazione a te. Non hai più nessun potere su di me. E non nominare Elise. Non hai il diritto nemmeno su quello". Continuò a camminare. "E chi ce l'ha? Jeanine? Te lo detto Eric, sei un arma. Non sei capace di prendere decisioni da solo. Almeno non quelle giuste." era serio, non stava ridendo, ne ironizzando, era serissimo.
"Li ho uccisi. Un lavoro più pulito." e con questo se ne andò in camera definitivamente.
La sua stanza era semplice: un letto al due piazze, una scrivania dall'altra parte del muro, un bagno, e due muri di vetrate. Era notte fonda, ma nella sede degli intrepidi le luci esterne erano sempre accese. Non poteva vedere le stelle. E in quel momento aveva il bisogno corporeo di vederle. Aveva la necessità di osservare qualcosa di realmente reale. 
Non era le stelle quelle che voleva. Voleva i suoi occhi, la sua risata, i suoi occhi indagatori e determinati. In quel momento aveva il bisogno corporeo di toccarla. Aveva la necessità di proteggerla. Di saperla al sicuro fra le sue braccia, di rimettere insieme la sua Elise. Sulla strada aveva visto una parte di lei di non avrebbe mai voluto saperne l'esistenza: disperata. Il modo in cui attaccava, colpiva a vuoto, ma con la volontà di ferire. Era diventata come lui, un arma. Stava diventando come lui. Glie l'aveva anche detto: " sono un mostro, come te" .
Quella frase lo stava divorando da dentro, lo stava consumando.
Si tolse la t-short e ino scatto di rabbia, la gettò contro la scrivania, e seguirono gli anfibi e i pantaloni. Si fiondò in bagno, sotto il getto caldo della doccia. E urlò. Tutta la frustrazione, la tensione, la delusione, la rabbia, la furia di quei giorno senza di lei vennero fuori dalla sua bocca. Aveva ben poco da urlare: tutti quei sentimenti repressi li aveva già sfogati più volte: tre donne, sei ragazzi, un bambino. Un bambino candido. Sbattè la fronte contro il muro della doccia, urlando di nuovo, più per la realtà che per il dolore, e prese a pugni la parete, provocando un leggero cratere nelle piastrelle. La sua mano iniziò a sanguinare, le nocche si erano ferite.
Non riusciva a salvarla. Lei non voleva. Lui non ci riusciva.
 Era un arma, non la mente. Era un arma non la mente. 
Quelle parole stavano prendendo possesso della sua mente. Doveva resistere. Doveva proteggere la verità, la società delle fazioni dall'orrore del mondo esterno.
 
"Eric grazie di esserti unito a noi" disse Jeanine quando il capofazione degli intrepidi entrò nella sala delle riunioni al piano terra.
"Figurati." le rispose, con tono ironico, e si andò a sedere al suo posto, capotavola, appoggiando i piedi sul tavolo e mettendosi comodo.
Jeanine prese posto dall'altro lato del stavo lo a cui erano seduti altre 10 persone tra eruditi, candidi e intrepidi.
"Vorrei essere aggiornata sugli avvenimenti di questa notte. E sapere il numero dei divergenti che avete catturato per andare avanti con le ricerche.
Ah. Già. Non ce ne sono!" Jeanine sbattè la mano sul tavolo di vetro, che vibrò fino all'altro capo, dove Eric era tranquillamente e impassibilmente sdraiato.
"Voglio conoscere il motivo di ciò!" urlò di nuovo, rivolgendosi al capofazione.
"Non ho potuto catturarne, ci attaccavano, e noi abbiamo risposto. Portarli con noi sarebbe stato uno spreco di tempo. Gli intrepidi rimasti si stavano spostando verso la loro sede. Per far avvenire l'attacco alla base dei candidi ho dovuto lasciare scoperte le strade ed eliminare le ronde intorno alla sede." spiegò Eric.
"Ti giustifichi cosi?!" Jeanine era furibonda, non l'aveva mai vista perdere le staffe in questo modo. I suoi capelli color della paglia le ricadevano Davanti agli occhi dall'impeto dei gesti.
"Io non mi giustifico. Ti sto cortesemente spiegando quello che è avvenuto. Non devo nessuna spiegazione" disse pacatamente Eric
"Fatto sta che, anche se vi siete ritirati per bloccare la fuga degli intrepidi, non ci siete riusciti!" urlò di nuovo. Eric non poteva sopportare ancora a lungo le urla di quella donna. Non contro di lui.
"C'è stato un contrattacco dai tetti! Non eravamo preparati! Ed eravamo in venti, gli altri soldati perlustravano le zone per trovarli. Sono stati veloci, e sulla strada principale siamo riusciti a uccidere quattro persone! Non c'era più nulla da fare. Samo rientrati." e con quello il discorso per lui era chiuso.
"E voi non eravate preparati!? Chi contrattaccava? La Prior? Eaton? Chi ha guidato l'attacco? Cosa stanno macchinando!" era rossa in viso. Non si stava calmando. Si rivolse agli altri stavolta.
"Una donna. Aveva iniziato a sparare dai tetti, ma poi, dopo la cattura del gruppo di intrepidi, è scesa in strada, e ci ha attaccato." spiegò un ragazzo vestito completamente di nero, con una fascia azzurra sul braccio, in mano teneva una mitragliatrice. Era di guardia all'entrata. Era nella gruppo di soldati che si era portato appresso.
"Una?! Ma che cosa siete? Deboli? Vigliacchi? Avete paura?"
Eric si alzò con impeto, buttando per terra la sedia, e sbattè le mani sul tavolo, sporgendosi verso il lato opposto del lungo tavolo di vetro, facendolo vibrare e facendo calare il silenzio in tutto il piano terra 
" Noi siamo Intrepidi! Non sottostiamo a nessuno. Abbiamo deciso per la ritirata. Non devo nulla a te! Nulla!" era furioso. Di nuovo. La mano destra, fasciata per il piccolo diverbio che era avvenuto con la parete della doccia, gli doleva.
"Chi era la ragazza?" chiese con tranquillità Max, mentre Eric e Jeanine si guardavano ancora in cagnesco, tutte e due in piedi.
"Come combatteva?" insistè. Il ragazzo alla porta dovette rispondere, pur sapendo la situazione in cui avrebbe messo il suo capo, Eric.
"Aveva la miglior precisione nel tiro che io abbia mai visto. Veloce nel combattimento corpo a corpo. Una ragazza, più che una donna. Era istruttrice prima della rivolta. "
"I fantasmi esistono!" le spalle di Max furono percorse da un brivido, e poi da una risata, che gli uscì dalla bocca, e che riempì la stanza. Non poteva crederci. Non lo aveva seguito. Elise aveva rifiutato Eric, ed ora il ragazzo era compromesso. Lo sarebbe stato per sempre ora che lei guidava gli intrepidi leali. Aveva già vinto.
Jeanine riprese la parola 
"Deve essere eliminata. Avete sempre fatto solo dei danni voi intrepidi. Dite che allenate soldati, ma in realtà create solo ribelli." disse più pacatamente, aggiustandosi la giacca dei tailleur blu, e mettendosi i capelli biondi dietro le orecchie, riacquistando un contegno.
"Con chi stanno creando contatti?"
Jack Kang, che si trovava in quella stanza, prese la parola.
"Con gli esclusi, e una parte dei pacifici. Una dei loro capifazione si è dissociata dalla loro decisione di neutralità. Johanna."
"Gli esclusi..." stava macchinando già qualcosa. Eric si alzò, guardò i presenti, e uscì da quella stanza, ma il soldato di prima lo fermò afferrandolo per un braccio. Non reagì, non voleva mutilarlo davanti a tutti, non efa il momento adatto, ma non glie l'avrebbe perdonato quell'affronto. Stupido ragazzo.
"Eric non sono stati quattro i morti sta notte." gli sussurrò all'orecchio. Lo stava informando di un dettaglio che non voleva che altri conoscessero.
"Una ragazza, quella che comandava l'attacco, è morta. La conoscevo. Era Marlene." Sbiancò. Marlene. La piccola, forte, spudorata, logorroica Marlene. L'unica persona fondamentale nella vita di Liz tra gli intrepidi leali. Questo la sua Elise non glie lo avrebbe perdonato facilmente. Aveva ucciso Marlene. 
Andò verso la porta principale del palazzo, in cerca di aria fresca. Uscito fuori, respirò a pieni polmoni.
In lontananza, nei giardini degli eruditi vedeva un gruppo di intrepidi avvicinarsi a lui, erano intorno a un altro corpo. Più si avvicinavano, più era incredulo.
Quando la vide passargli accanto, la pattuglia si fermò e lei lo vide, gli rivolse uno sguardo di rabbia, ma anche di sconfitta. "Grazie per averli salvati." sussurrò. 
Era ovvio a cosa si stava riferendo, ma Eric sperò che gli altri non l'avessero sentita. Era troppo compromesso a questo punto. Le si avvicinò, e le diede un pugno nello stomaco. Non provò pietà. Dopotutto la sua gamba non sarebbe mai più stata quella di una volta. Tutto per una patetica tras-fazione.
Tris si piegò su se stessa e tossì. Le prese i capelli con una mano, e li strattonò per portare il viso di lei alla sua altezza 
"Ti sbagli enormemente se pensi di trovare pietà in me. Prova con Jeanine." e con ciò la lasciò andare, e Tris cadde atterra, sorretta soltanto dalle braccia degli intrepidi traditori. 
"Portatela al settimo piano nelle celle. E avvertite Jenaine che adesso ha la cavia che tanto desiderava." e detto questo se ne andò verso la sua camera. Aveva bisogno di sfogarsi.
Entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle. Lucille era sulla poltrona davanti alle finestre, a rimirare la pioggia che stava ancora torturando Chicago. Lo skyline non era visibile a causa di tutte quelle nuvole. Da giorni il solo era stato inghiottito dall'oscurità.
"Ho sempre odiato la pioggia: viscida, bagnata, mi si appiattiscono tutti i capelli." si lamentò Lucille, alzandosi sinuosamente dalla sedia, avvicinandosi a lui.
"Anche i vestiti, ti si appiccicano addosso. Meglio stare senza." e iniziò togliendosi la maglia nera, lanciandola ai piedi del letto. Uscendo dai suoi anfibi, lasciandoli vicino alla scrivania, e avvicinandosi a lui.
"Noiosa, sempre uguale." continuava a parlare della pioggia
"inarrestabile. Catastrofica. Selvaggia." lui la vedeva così la pioggia. Ormai Lucy gli era di fronte, e i suoi seni gli sfioravano il petto. Allungò una mano sul viso esile della ragazza, sfiorandole e seguendo la cicatrice lungo il suo zigomo. 'Elise'.
"Brutta Troia! Hai fatto bene a liberartene." le sussurrò all'orecchio depositando un bacio nel punto che aveva scoperto il ragazzo rabbrividiva, dietro al lobo.
Eric la afferrò per le braccia, e la costrinse a guardarlo negli occhi.
"Non baciarmi. Mai." e la spinse sul letto. Lei lo afferrò per la t-shirt obbligandolo a piegatsi alla sua altezza per sfilargliela, per poi passare le mani sui suoi addominali, tracciare con la lingua i solchi dei muscoli. 
Arrivò al bottone dei pantaloni neri. E glie lo slacciò con foga. Lui le fece fare. Quella notte non voleva fare nulla. Si sarebbe limitato a scaricarsi. Niente di più. Nemmeno un briciolo di sentimento. Ne rimaneva così poco nel suo cuore, che non voleva sprecarlo. 

 

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Capitolo 9
*** La verità che non puoi nascondere ***


Ragazzi! Non vi sento partecipi! Che fine avete fatto? 
Forse sto andando troppo "fuori tema". Ditemi se la pensate così!! 
Comuqnue andiamo avanti. Elise dovrà rispondere delle sue azioni, e verrà in qualche modo punita, senza che lei se ne accorga. Cosa decideranno di fare i nostri intrepidi? 
Leggete e ditemi cosa ne pensate nel nuovo capitolo, e della storia che si sta sviluppando!
buona lettura :)


 
Si svegliò dopo quattro giorni. Era rimasta per così tanto tempo in un dormiveglia tormentato da incubi, si alzava dal letto della camera di Eric solo per andare in bagno.
La fazione era stata ripulita da telecamere, e ora tutti erano più sereni e tranquilli.
 Erano morte quella notte sette persone, tra cui due bambini, tre donne un uomo e Marlene. La cerimonia funebre era stata svolta due giorni dopo l'arrivo degli intrepidi nella residenza, e lei subito dopo era stata esiliata nella camera dell'ex capofazione per rimanere sotto controllo, dopo aver disubbidito agli ordini di Quattro. Era appena venuta a sapere da Zeke, che le portava ogni giorno inutilmente da mangiare, che gli alleati sarebbero arrivati in giornata. Era stanca, perennemente stanca. Mangiare la faceva vomitare, e vomitare non la faceva mangiare. La pancia iniziava a farsi vedere: un mese e mezzo. Glie lo aveva fatto notare Zeke. 
Si vestì velocemente e raggiunse il luogo dell'incontro. A questo punto non le importava un cazzo delle decisioni di Quattro.
Elise salì alla cupola, sapendo di trovarci Il nuovo leader e quindi di rischiare di essere di nuovo sbattuta in camera, per aver per l'ennesima volta disubbidito. 
Entrò nello spazio illuminato dalle luci al neon, e vi ci trovò molte persone, molti intrepidi, ma anche persone senza colori, e un piccolo gruppo di pacifici messi in disparte. Ma al centro la vide. 
Le dava le spalle, indossava i colori arancioni e accesi della sua fazione. Della loro fazione. Non dovette nemmeno chiamarla. Stava parlando con altre persone tra cui Elise riconobbe Tori.
Johanna si voltò, la vide, e gli occhi le si inumidirono. La raggiunse con calma, senza correre, avevano tutto il tempo del mondo per la prima volta in quei giorni. 
Quando furono abbastanza vicine Elise non riuscì a trattenersi, e dimostrò a tutti che in lei c'era ancora un po' di quello spirito da pacifica amante dei fiori, e abbracciò sua mamma, stritolandola, nascondendo il proprio viso nell'incavo della spalla di Johanna.
"Tu non hai idea di quanto sono felice di vederti!" le disse. Ed era vero. Troppa gente era morta. E il fatto che sua mamma fosse ancora li con lei, la rendeva la persona più fortuna al mondo. Molto egoistico come ragionamento. Ma non poteva farne a meno. Era vero. 
" Mia cara bambina, ora metteremo le cose a posto. Ce la faremo. Per una volta Lizzie, possiamo essere positive, insieme ce la faremo. Mi dispiace per quello che hai passato. Sei dimagrita? Hai freddo tesoro? Perchè porti un maglione e una giacca?"
'Perché si vedrebbe l'accenno di pancia mamma' non poteva rispondergli così, l'avrebbero guardata tutti in modo diverso. Non poteva dire la verità. Su quello non era ottimista, gli intrepidi non le avrebbero perdonato questo problema.
Si avvicinarono al gruppo di intrepidi che si trovava in piedi, al centro della sala. 
Quattro era tra di loro, quando la vide, i suoi occhi rimasero impassibili, il suo viso era provato. Da quanto tempo è che non dormiva?
"Grazie per esserti unita a noi." La sua voce non era un rimprovero. Si avvicinò a lei.
"Se ne andata Liz. Si è consegnata." mi sussurrò all'orecchio.
Capii subito. "Cosa hai intenzione di fare?"
Si allontanò e parlò alle persone presenti: Zeke, Tori, Johanna, Marcus, suo padre e Edward, rappresenta gli esclusi, al posto di Eveline.
"Mi consegnerò spontaneamente a Jeanine"
"Sei impazzito! Non servirà a nulla! Ci lascerai scoperti! Saremo senza un capofazione, potrebbero tirarti fuori sotto tortura i nostri piani!" ma cosa cavolo gli girava in quella sua testa malata! Elise era furiosa, perchè Tobias non capiva. Sapeva che non doveva rispondergli così, metterlo in difficoltà davanti agli alleati. 
"Liz sei stata nominata capofazione principale, mentre eri isolata nella stanza di... Di"
"non e un demone Quattro. Il suo nome lo puoi dire senza rischiare di bruciarti la lingua. Cos'è questa cavolata? Chi ha richiesto le votazioni?" era scocciata. Cosa cavolo si era persa in quei giorni?
"Io. Avevo bisogno di una sostituta, la abbiamo messa alle votazioni. Gli intrepidi hanno scelto di mettere il comando, le decisioni, nelle mani di un unica persona." le disse risoluto, incrociando le braccia. Tutti i rappresentanti degli alleati la stavano fissando. E adesso? 
"Accetto, ma non mi riterrò mai l'unica a dover prendere delle decisioni." doveva essere chiara sin dall'inizio. 
"Accetto. Dovrete mettermi al corrente di tutto, e io vi spiegherò come dovremo muoverci per salvare Tris e attaccare Jeanine. Basta aspettare, non lasciamole più il tempo di preparare un altro assalto."
E con quelle parole si accorse di aver appena rinunciato alla sua di libertà, Al Suo futuro. Si accarezzò il ventre leggermente gonfio.
"Se hai deciso di offrirti volontario, ti spiegherò subito il tuo obbiettivo."
Guardò quattro negli occhi.
"devi trovare i due punti di controllo, in questo modo metterai fine ai collegamenti che Jeanine comanda su quelli che sono stati soggetti al siero. 
Ti verremo a recuperare. Sia te che Tris. Tenetevi pronti. Noi sapremo quando intervenire, perche la distruzione di quei due centri provocherà un black out di un ora su tutta la zona. Quando ciò accadrà arriveremo il prima possibile, e in 30 minuti vi tireremo fuori. Avrai una ricetrasmittente quando ti consegnerai, in questo modo, prima che la scovino, tu ci avrai fornito la struttura del palazzo: i piani, gli uffici, le celle, la camera dei capifazione traditori e di Jeanine. Saremo pronti a intervenire."
"Siamo in buone mani. Quelle teste di cazzo sono rovinate!" disse Zeke, agitando le braccia, quel ragazzo alto un metro e novanta si comportava sempre in modo esuberante, pensando di essere un chihuahua! Tori si spostò appena in tempo, evitando la manata che Zeke le stava per dare dritta in faccia.  
Tutti stavano guardando Elise con ammirazione, e ottimismo, quello di cui le aveva parlato sua mamma: speranza. 
"Sai che è preoccupante che dici così spesso la parola "Cazzo"?!" disse Tori rivolta a Zeke guardandolo di sottecchi. Il ragazzo rimase perplesso, ma poi comprese il significato della frase della sua capofazione. Si rabbuiò.
"Fanculo Rigida!" disse, sbottando. L'orgoglio maschile!
"Adesso anche il culo? Sei rovinato!!" gli rispose la capofazione, ridendo sotto i baffi.
"Non dire cazzate!" 
Edward rise. Era la prima volta che lo vedevo reagire a qualcosa che si era detto in quella sala. 
Si rivolse a me "Noi siamo con te Elise. Vi aiuteremo in tutti i modi. Siamo numerosi. E siamo armati." Edward era sempre stato un intrepido con i fiocchi. Ma Peter lo aveva attaccato con così tanta rabbia, da non lasciar scelta ai vertici della fazione. Avevano dovuto eliminare il migliore. 
"Seguimi Edward. Devo conoscere i vostri centri. E i vostri piani. Ma sopratutto le vostre condizioni." e si avviarono verso la zona uffici.
 
Solo in quel momento Quattro si accorse cosa aveva chiesto a Elise. 
Quello che lui stava andando a recuperare, a lei lo aveva sottratto dandole in cambio una responsabilità enorme. Un onore illimitato. L'aveva defraudata del sentimento che lui voleva in tutti i modi salvare. 
L'amore. 
Cosa aveva fatto? 
 
 
Erano passati due giorni. Due giorni da quando Quattro era partito dalla sede. E non era ancora successo nulla.
Lei nel mentre aveva incontrato la madre di Quattro, venendo a conoscenza delle basi degli esclusi, della loro posizione in cttà, ma anche della storia di questa donna. Del suo carattere. Delle sue decisione. Aveva abbandonato il figlio per scappare da un uomo violento, lasciando che la rabbia di quella bestia si riversasse su una creatura innocente. Una donna spregevole. Adesso capiva il copertamente di Quattro nei suoi confronti. Non sfidava, e non si sarebbe mai fidato.
Marcus rimaneva nella zona mensa della sede tutto il giorno, come pronto da un momento all'altro ad intervenire. Era sicura che fosse terrorizzato dal perdere il potere che aveva ottenuto dopo tanti anni di sacrifici negli abneganti. Era per gente egoista come lui che il sistema non aveva funzionato. Jeanine era della sua stessa tempra. Molto pericoloso come nemico. Johanna, sua mamma, gli stava troppo vicino da giorni per i suoi gusti, e Liz non potè fare a meno di costruirci sopra dei castelli sulla loro presunta relazione di amicizia. Sua madre era stata un ex intrepida. Che si siano conosciuti durante l'infanzia? Non le hanno mai raccontato nulla a proposito di chi era suo padre, delle storie amorose di sua mamma. I pacifici erano molto aperti, ma non si impacciavano dei fatti altrui. Gli intrepidi invece sono sempre stati dei gran ficcanaso. 
Si trovava da un ora in un ufficio della fazione al terzo piano, nell'area vicino alla sua camera. Avevano montato sulla parete una mappa molto precisa di Chicago e delle sue strade, viadotti, palazzi, tutto quello che poteva essere utile per organizzarsi.
Stava fissando la sede degli eruditi, e la stava confrontando con delle piantine di quella stessa trovate nell'ufficio di Max, quando sentì bussare alla porta. 
"Avanti." c'era un grande via vai per il piano, a causa dei preparativi per un imminente attacco, quindi non si girò nemmeno a vedere chi fosse l'ennesimo rompiscatole. 
"Liz, sono Jack." entrò nella stanza, e si chiuse la porta alle spalle. Elise si girò e lo fissò: era dimagrito, vestiva la divisa da intrepido, con una t-shirt nera. Niente più giacca di pelle. Forse un rifiuto inconsapevole di quello che era passato. Aveva un livido sullo zigomo destro che ormai non era più viola, ma solo giallognolo, segno che stava scomparendo. L'orecchio che era stato ferito nell'attacco agli abneganti era stato medicato, senza procurargli nessun inestetismo. Era rimasto di un bello assassino, come al solito. I capelli gli erano cresciuti, non erano più corti, ma leggermente lunghi. Neri come la pece. 
Si appoggiò al tavolo con le braccia, e fissò le cartine.
"Hai gia scelto chi andrà a riprenderli?" le chiese, continuando a guardare il piano.
Avevano saputo da Quattro attraverso la trasmittente che il piano terra era la zona dove si riunivano, praticamente occupato interamente da una sala per riunioni, con un soffitto in vetro. I piani erano sette, o forse otto, e le celle dove li tenevano erano al sesto piano. Sarebbe stato facile arrivare sul tetto da un grattacielo e infiltrarsi nei piani di reclusione. 
"Si. Probabile che non ci saranno nemmeno problemi con la sorveglianza. Se partiamo dai tetti con Una specie di zip line, bisognerà assicurarsi di eliminare i cecchini. Avete trovato in armeria i proiettili che stordiscono?" continuava a non fissarlo. Si sentiva in imbarazzo quando era da sola con lui, sopratutto quando la guardava con cosi tanta insistenza. 
Jack non potè fare a meno di pensare che la fatica di quei giorni non la scalfivano, e che quando era concentrata le si formava una fossetta sulla pelle tra gli occhi. Era bellissima. Scrollò la testa, risvegliandosi da quel pensiero stupido e sdolcinato. E rispose:
"Si. Ma penso che gli altri intrepidi non saranno altrettanto clementi." disse pacatamente Jack. Era vero. Gli altri intrepidi non ci avrebbero pensato due volte ad ucciderli. 
"Andremo io e te, Jack. E basta." continuava a fissare la mappa.
Caló un silenzio imbarazzante nella camera. Elise si aspettava una risposta, anche solo un si. 
Solo silenzio. 
E poi Jack reagì. 
"Perché tu? Perchè non Zeke? C'è Tori! Perché te?!" sbattè una mano sul tavolo di metallo, che vibrò e si avvicinò arrabbiato a lei, a pochi centimetri dal suo viso.
"Perchè solo io sono capace a sparare da quella distanza. E perchè le decisioni le prendo io. Tu verrai per aiutarmi se ci saranno da trasportare feriti. Non penso che Jeanine se ne sia fregata altamente di avere tra le sue mani due divergenti. Saranno allo strenuo delle loro forze." gli urlò in risposta. Nessuno doveva permettersi di apostrofarla, non da quando doveva essere la più forte tra tutti, non da quando era diventata capofazione.
 Elise continua a blaterare, a parlare dei rischi, e si girò di nuovo verso la mappa, indicando delle strade da percorrere.
Ma Jack era troppo distratto, furioso. Non avrebbe messo di nuovo la sua vita a rischio. La prese per i fianchi e la fece voltare, bloccandole il viso con le proprie mani.
"Non te lo lascerò fare Liz, conosco il tuo stato. Non ti ho salvato una volta, per mettere la tua vita di nuovo a rischio. Hai delle responsabilità qua, verso gli intrepidi e gli alleati, e verso di te." le disse a fior di labbra. Ma forte. Doveva capirlo. 
"Anche verso Eric. Posso odiarlo quanto voglio perché ti aveva fatto male. Perchè continua a fartelo. Ma è il padre di un bambino che crescerà o in un mondo governato da eruditi o da intrepidi e esclusi. Pensa al tuo futuro Liz."
La stava fissando dritta negli occhi, e poi spostò il suo sguardo sulle labbra della ragazza, e infine colmò quei pochi centimetri che li separavano. Fu un bacio rude, le sue labbra furono assaltate da quelle di Jack, che le chiedevano l'accesso per approfondire quel bacio così sbagliato. Elise non lo fermò, e aprì le labbra.
Lui la spinse di più contro il muro, impossessandosi della sua bocca, baciando leccando il labbro superiore, per poi passare ad accarezzarle i fianchi, ripetutamente, e lei intreccio le sue mani sulla nuca di Jack, per avvicinarlo ancora di più a lei. Infilò le mani al disotto del maglione e le accarezzò la schiena, per poi afferrarla al di sotto dei glutei e portarla alla sua altezza, schiacciandola ancora di più contro il muro, sentendo il rigonfiamento della pancia di lei. La spostò sul tavolo e la fece sedere, con le gambe a penzoloni, e riniziò a baciarla. Le labbra, il collo. Lei aveva scelto Eric da anni. E lui sin dalla sua entrata negli intrepidi, aveva provato qualcosa per lei al di la dei sentimenti fraterni, al di la di quelle sveltine e rapporti con le altre donne. Provava per lei amore, e un giorno sarebbe stato capace di dirglielo. Ma non in quel momento.
 Le mani di lei si spostarono ai lati della sua testa, lo afferrarono, e lo allontanarono, ponendo fine a quel bacio così liberatorio, ma così sbagliato.
La guardò sconvolto. Pensava di essere riuscito ad ottenere il suo consenso.
"Mi dispiace! Non..." ma Elise lo zitti appoggiandogli un dito sulle labbra. 
"Jack e successo, e lo voluto anch'io. Ma non voglio prenderti in giro. O illuderti."
Gli appoggiò una mano sul petto, invitandolo a spostarsi dalle sue gambe, e scese dal tavolo. Mentre usciva dall'ufficio, si girò "Grazie di avermi portata dai pacifici. Ti devo la vita. Andrò solo io a recuperare Quattro e Tris. È un ordine." e se ne uscì, lasciando un jack più che sconvolto. Ferito. 
 
Si era andata a sedere contro una parete, al pozzo, in attesa del black out, sua mamma l'aveva trovata, e le si era seduta accanto, senza parlare. Erano in silenzio. 
Johanna appoggiò la testa sulla spalle della figlia, e si addormentò. E anche Liz potè finalmente dormire per un po', e per la prima volta, senza incubi.
Si svegliò di soprassalto, e fu stupita quandò notò la sua mano appoggiata a coppa sulla sua pancia. Stava diventando per lei un istito naturale proteggerlo.
Ma si accorse subito del rischio che stava correndo. Chissà chi aveva visto quella scena cosa avrà potuto pensare! La sua spalla era ancora occupata da una Johanna che era più che esausta. 
"Mamma." le sussurrò all'orecchio, ma non si svegliava. Le passò un dito sul naso, com le faceva sempre Eric al mattino.
Si sentì un mugolio di rimprovero provenire da Johanna, che si raddrizzò su io, un po' stordita ancora dal sonno.
"Da quanto non riposavo cosi bene!" disse, con la voce ancora impastata. Si ricompose velocemente. 
"Ho fame, prendiamo qualcosa da mangiare!" disse Liz alzandosi, e offrendo una mano alla madre. Si avvicinarono alla mensa, saranno state le dieci di sera, o forse anche più tardi, era gia buio, si vedeva dalle vetrate del pozzo.
E proprio quando le due donne si stavano per sedere ai tavoli, la luce della zona venì a mancare. 
Johanna cercò la mano della figlia e glie la strinse. 
"È ora" le disse. Elise non poteva vedere la sua faccia, era troppo buio. Ma capì dalla sua voce che questa sarebbe stata la prima di molte vittorie contro Jeanine.
"È ora." 
 
XI
"Conosci il piano Tori. Se qualcosa dovesse andare storto segui gli appunti che ho lasciato nell ufficio al terzo piano. Jack sa Dove sono. " 
Si stava preparando, aveva esattamente 50 minuti per arrivare al grattacielo di fronte alla base degli eruditi, entrare, liberare Quattro e Tris, e tornare.
"Non ti dirò che non devi farlo. Sei un intrepida. Solo... Torna tutta intera Liz." e con questo la lasciò sola nell'armeria. Le serviva un facile da cecchino, due pistole, più una di riserva, se mai avesse avuto bisogno che Quattro la aiutasse. Ma non sarebbe stato necessario, aveva studiato troppo a fondo il piano perchè incontrasse dei problemi o qualcosa andasse storto. Uscendo dall'armeria, urtò contro una persona.
L'ultima che in quel momento avrebbe voluto incontrare. Si scontrarono, e lei non si girò nemmeno a chiedergli scusa, continuò a camminare.
"Liz aspetta!" le urlò dietro Jack, inseguendola.
"Ti prego rallenta!". Entrò al pentagono, dove sapeva che Zeke le aveva riposto l'attrezzatura per la Zip-line. Se la caricò in spalla, e si mise la pistola per il rampino nella fodera intorno al polpaccio.
Quandò si girò per uscire, Jack le stava davanti, senza il minimo cenno di volersi spostare.
"Ti prego. Parliamone." le disse, con sguardo pietoso, con il fiatone.
"stai scherzando? Non c'è tempo. A dopo Jack." e con questo lo scartò, superandolo.
"Se lo fai, se esci da quella porta, dirò a tutti che sei incinta."
'incinta!' nessuno era ancora riuscito a dirglielo in faccia, nemmeno lei. Quelli che lo sapevano lo nominavano con "il tuo stato". Nessuno era riuscito a parlarne ad alta voce. Perche era una cosa che non si doveva sapere.
"Se sei arrivato a questo punto, a ricattarmi, mi disgusta il fatto di aver perso tempo con te, amico mio." si avviò di nuovo, ma una mano le afferrò il braccio armato di pistola, e li Elise non ci vide più. Glie la puntò addosso, e Jack finalmente indietreggiò, alzando le mani.
"ho detto che devo andare! Mi stai rallentando!"
"sanno tutti perchè hai deciso di partecipare anche te in questa missione. Cosa credi? Che siano tutti cechi come Johanna?! Si vede che sei incinta, anche sotto strati di maglie e maglioni!" le ulrò addosso, immune dalla paura della pistola rivolta contro il suo petto.
"L'ho capito perchè vuoi andare! Per vedere lui! Sei una traditrice! Magari era da giorni che programmavo la tua fuga per raggiungerlo, e hai mandato Quattro a una fine spregevole! Di la verità Liz, sei uguale a lui!"
Liz rimise la pistola nel fodero e con velocità felina si avvicinò al viso di jack, si alzò sulle pinte, e gli depositò un bacio sulla guancia livida. E poi gli diede uno schiaffo ben assestato. 
"Mi dispiace non provare per te ciò che ti sento per me, ma non offendere il mio onore. Ho sacrificato troppo per sentirmi dire queste cazzate." e uscì, lasciandolo per l'ennesima volta solo. Ferito. Arrabbiato. Deluso di se stesso per il suo comportamento. Il filtro cervello bocca si era bloccato. Che testa di cazzo!
Mentre la vedeva uscire non potè non pensare che quello schiaffo avrebbe procurato un livido, dove finalmente stava scomparendo quello che Eric gli aveva provocato durante l'attacco agli abneganti con un pugno. I casi della vita! 

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Capitolo 10
*** Missione liberazione ***


Mi dispiace informare che questo è l'ultimo capitolo che posterò di questa storia. 
Nom sono stata soddisfatta del modo in cui ho deciso di rendere la vicenda che mi ero creata intorno al misterioso personaggio di Eric. La storia lo già finita sul mio computer privato, ma non ne sono né sicura ne convinta, mi fermerò per un periodo col fine di rielaborare il tutto, ma non vi prometto nulla... Sono un po' giù di morale... Sinceramente le poche recensioni non mi hanno aiutato di certo a farmi forza.
imsomma! Non sono soddisfatta! Ma questo capitolo è stato un parto! Molto difficile da rendere sul foglio, ma penso che sia un momento importante e decisivo per Elise, anche se Eric per questo momento non si farà vedere.
criticate!! Tiratemi dei nomi! Mandatemi a quel paese! Ma ditemi cosa ne pensate...
buona lettura
 




La zip line era a posto. Era mezzanotte, aveva ancora trenta minuti prima che la luce tornasse. Era su un palazzo di 20 piani, sarebbe stato divertente scendere fino al ottavo piano della sede degli eruditi, le avrebbe dato la giusta carica. 
C'erano cinque cecchini sul tetto, e ci mise esattamente due minuti a stordirli tutti. Abbandonò il fucile di precisione sul tetto, posizionò meglio le tre pistole nelle fodere, si assicurò una torcia all'interno della giacca, e un coltello nella tasca anteriore dei pantaloni. Si aggrappò all'anello con due braccia, e si lasciò andare, nel vuoto, il vento della notte le sferzava il viso, raggiungendo una velocità molto elevata, ma che non era nulla in confronto alla vera Zip Line, il problema ora era riuscire ad atterrare: prese le giuste misure e fece il giusto sforzo per compiere un salto mortale perfetto, atterrando in piedi, senza sbilanciarsi, mancando per poco il cornicione del tetto. Sistemò la zip line in modo che quando fossero arrivati lì fosse pronta per riportarli su con una carrucola automatica.
Sia avviò con la torcia accesa lungo il tetto, e trovò l'entrata per il piano sottostante aperta. Si era di nuovo risparmiata il tempo di scassinare la porta.
Scese le scale e raggiunse il pianerottolo del settimo piano. C'era un silenzio di tomba. Sentiva solo i passi degli intrepidi traditori di ronda. Spense la torcia, e si posizionò dietro un angolo, sentendone arrivare uno. Quandò la superò, dandole le spalle, lo prese per il collo e lo tramortì, si spostò velocemente all' iinterno del corridoio che aveva liberato. Secondo la sua memoria, alla fine di quello doveva essercene un altro con sul lato destro le celle. Camminò velocemente, controllando ogni angolo, ogni stanza aperta. Era tutto libero. Troppo facile così. 
Arrivò alla porta, dove potè scorgere una chioma lunga e bionda che spuntava dallo spioncino. Tris!
Bussò e sussurrò il suo nome. La ragazza sembrava ridestarsi, e quandò riconobbe gli occhi di Liz, si alzò in fretta dal pavimento e le andò incontro, appoggiando le mani sulla porta. "Liz allora sei riuscita a venire a prenderci!" era sollevata, ma anche spossata, si sentiva dalla voce rotta, incrinata. Non poteva salvare prima lei, aveva bisogno di aiuto se doveva trasportarla. Tris era troppo provata per farcela da sola. 
"Dov'è Quattro?" 
"la porta i fondo al corridoio. L'ultima." 
"Arrivo subito Tris."
Corse fino alla fine del corridoio e lo trovò. Legato al muro, incatenato. Sudato e pieno di sangue incrostato. Il suo cuore perse un battito. Anche lui la riconobbe subito. 
"Liz! Mi hanno appena rimesso in questo buco. Adesso tirami fuori di qui!" Disse. 
Era distrutto. Che cosa gli avevano fatto? Torture? 
"Quattro ora ci penso io. Solo... Resisti!" e si chinò sulla toppa, cercando di capire l'ingranaggio il piu in fretta possibile. Dopo due minuti la porta si sblocco.
E con quella si sblocco anche il black out. Tornò la luce. E una sirena si levò nell'aria.
"Elise sei una sfigata!" si disse a se stessa. Entrò velocemente nella cella, e chissene frega se avrebbe fatto troppo rumore, tirò fuori una pistola dalla fodera e la punto tenendola con tutte due le mani allecatene vicino alla testa di Quattro. Si ruppero e fu libero. Si alzò in fretta, producendo mugolii di dolore, ma non per questo rallento. Si lanciò nel corridoio, verso la cella di Tris, e Liz gli andò dietro. 
Puntò la pistola alla toppa e sparò due volte, spaccando gli ingranaggi. Quattro entrò di corsa, prendendo Tris da terra e portandola in braccio. 
"Per di qua!" urlò Elise, superandoli.
Sentiva i passi degli intrepidi che salivano le scale. Erano troppi. E vicini. Arrivò al pianerottolo e si piazzò davanti alla rampa di scale con le pistole in mano, pronta a sparare.
"Tobias corri! Su per le scale. C'è una zip line. È gia pronta per portarvi sul tetto del grattacielo." 
Quattro la guardò, come se non stesse capendo.
"Quattro corri. È un ordine!" gli urlò contro. Non c'era più tempo e qualcuno doveva restare per dare copertura, oppure avrebbero rischiato un attacco proprio mentre usavano la zip line. Uno sparo le sfiorò la guancia, procurandole un taglio sullo zigomo. Abbassò il viso, e poi rivolse la pistola verso il ragazzo che dal fondo delle scale che l'aveva mancata completamente. Sparò, colpendolo al ginocchio, guardandolo accasciarsi sul pavimento.
"Quattro corri o ti sparo io prima che lo facciano gli altri!" questa volta era veramente infuriata. Quattro si voltò verso la rampa per salire, e non si girò indietro. Arrivato alla porta che dava sul tetto urlò: " Liz ti verremo a prendere! Te lo prometto!" e se la chiuse dietro.
Liz si spostò dal pianerottolo e corse fino al fondo del corridoio delle celle trovando uno spazio molto grande, che doveva essere una specie di entrata. Si vedevano tre ascensori sulla parete di fronte, era uno spazio molto ampio. Al centro di questa stanza c'era un buco, da cui si vedevano i diversi piani del palazzo, e terminava col soffitto di vetro del piano terra di cui Quattro le aveva parlato, la sala delle riunioni.  
Le altre pareti erano vetrate che davano sullo skyline si Chicago.
Vide due corpi muoversi su di esso. Ce l'avevano fatta. La sua missione era finita. Ora ne iniziava un altra. Distruggere i documenti degli eruditi. La sala computer. 
 Il vociare degli intrepidi nei corridoi era forte. Corse verso un ascensore, lo chiamò. Arrivò subito, e si fiondò dentro, ponendosi dietro l'angolo coperto del contenitore di metallo, proprio quando gli intrepidi erano arrivati e l'avevano vista, tentando invano di colpirla con i proiettili che rimbalzavano sulla parete di ferro.
Le porte si chiusero, e lei ebbe il tempo di ricaricare le pistole, togliersi la giacca di pelle, e abbandonarla sul pavimento, e legarsi i capelli. Quando l'ascensore annunciò con un trillo l'arrivo al terzo piano, lei era pronta ad affrontare un intero reggimento. 
Le porte si aprirono, e lei si lanciò fuori, e come un fantasma, attaccò la massa di soldati che si frapponevano come un muro al corridoio della sala computer. Sparò contro quattro ragazzi,che avevano sprecato la loro unica opportunità di colpirla, e tramortì altri due andandogli addosso e infilando il coltello nelle gambe, non avvicinandosi all'arteria femorale. Sarebbero rimasti per terra fino alla fine della sua missione. Si avviò nel corridoio correndo, non c'era nessuno, ma sentiva che dai piani superiori stava arrivando dell'altra gente alla festa. 
Entrò dalla porta a due battenti, se la chiuse alle spalle. Era piena di computer e di grandi schermi, alcuni erano addirittura accesi e mostravano le telecamere della sede degli eruditi, ma anche dei candidi e dei pacifici. 
Ce n'era un altra, che riconobbe non subito. Si avvicinò di più allo schermo, riconoscendo le lenzuola di un letto. La sua camera. La loro camera.
Impossibile. Aveva controllato più volte! L'angolazione era quella al di sotto delle finestre, nel lato destro del letto, proprio nell 'angolo del soffitto con la parete. L'avevano spiata per tutto quel tempo. Forse aveva compromesso l'incolumità della sua creaturina. 
Sparò allo schermo, per vendetta, per averla derubata anche della sua privacy,  e poi tutti gli altri accesi.
Si riavvicinò all'uscità, tirò fuori tre granate, tolse la sicura e le lanciò in tre diverse direzioni.
Uscì dalla stanza, passando da un altro corridoio, non tornando sui suoi passi. Si ritrovò di nuovo nel centro del piano, nella sala degli ascensori, e non era da sola. C'erano 30 intrepidi circa ad attenderla, e davanti a loro una sagoma si stagliò dal buio. Max. 
Si rifugiò dietro la parete che la  schermiva dal fuoco nemico. Quello da cui voleva difendersi era in realtà il capo fazione: l'aveva sempre messa a disagio, con frasi, parole e gesti poco adatti a un uomo della sua età verso una ragazza così giovane come lei. A Eric non era mai andato a genio, ma lei non ci faceva mai caso, anzi molto spesso litigava con il suo ragazzo per difendere Max. 
Si odiò per il pensiero di quel momento, ma non poté non dire che Eric aveva avuto ragione: quel bastardo aveva ragione sempre su tutto. Max provava qualcosa per lei.
"Elise, non finirai mai di stupirmi! Prima il mio ufficio, poi il volo dalla finestra, e adesso, un altro atto suicida? Che ragazza piena di sorprese! Una vera guerriera! Ora esci e parliamone da buoni amici, se possibile anche da più che amici." disse ironicamente. La bocca di Liz si storse in una smorfia di disgusto, se fosse stato Eric presente, gli avrebbe spaccato le ossa delle braccia e della lingua, o peggio... Evirato! Che esagerazioni gli uomini quando ci si mettevano, figurarsi quando di mezzo c'è una femmina! 
Non gli rispose, mancavano pochi secondi alla detonazione. Ormai non poteva nemmeno provare a scappare adesso: durante il caos del momento si sarebbe mossa.
"Gli ordini sarebbero quelli di ucciderti sul posto. Ma Jeanine non sa Che prelibata cavia tu sei. Penso che ti ferirò soltanto, giusto per vendetta. E mi divertirò di più a guardarti agonizzare sotto l'effetto del siero della paura e magari in altre belle attività, tanto Eric ormai ti ha scaricata, come un giocattolo fuori uso! Ma spero che tu sia ancora funzionante." e iniziò a ridere, puntandole la pistola addosso, ma proprio in quel momento le granate detonarono.
Si sentì un grande rombo spezzare il silenzio del piano e la risata di Max, ed Elise si buttò da una parte, giusto in tempo per scansare la forza della bomba che era arrivata. 
Si rimise velocemente in piedi, e si spostò dietro un angolo, in un corridoio che dava sulla sala, e iniziò a stordire quelli che erano a portata di mira. La cosa le risultava molto difficile.. Perche continuava ad arrivare gente da ogni parte, e quando i proiettili finirono non potè far altro che uscire dal suo nascondiglio e attaccare. Corpo a corpo. 
Sentiva spari provenire sia dal fondo del corridoio che aveva abbandonato, e dalla sala in cui si era buttata a capofitto. Tramortiva chi le si parava davanti, con mosse veloci e repentine. Cercava una sola persona, Max.
All'ennesimo ragazzo che le si parò davanti, lo prese per le spalle frontalmente, artigliandogli il polso, per fargli mollare il fucile che aveva abbassato per fermare l'assalto della ragazza, ma era troppo lento e impacciato. Elise lo tramortì dandogli una testata sul naso, e il ragazzo cadde, steso per terra.
Lo superò, e in quel momento notò che tutti soldati che si trovavano nella sala erano per terra, alcuni svenuti, altri che erano gia stati feriti in precedenza da lei. 
Si raddrizzò dalla posizione di difesa che aveva assunto e si portò i ciuffi ribelli scappati dalla coda dietro le orecchie, controllando le ferite che aveva sulle braccia nude. Niente di grave, due graffi e qualche livido per lo scontro diretto contro i corpi robusti di alcuni traditori e le loro pistole. 
Doveva allontanarsi velocemente. Cosa aveva rischiato. Cosa Gli aveva fatto rischiare. Quel pensiero automaticamente risvegliò in lei il sesto senso che aveva acquisito in quei giorni. Posò una mano sulla pancia leggermente gonfia, una fievole rotondità. La sorte non sarebbe stata di nuovo così buona con lei. Jack aveva ragione, doveva mettere la testa a posto, o non avrebbe mai portato a termine la gravidanza. Sarebbe morta prima, o peggio: l'avrebbe perso. 
La consapevolezza del rischio che avrebbe potuto correre le gelò il cuore, e per un attimo si rese conto di cosa la circondava, dove era. In mezzo al campo nemico.
Uno sparo ruppe il silenzio che era calato nella sala degli ascensori, e il proiettile le colpì di striscio il braccio destro, procurandole un dolore allucinante, come una bruciatura, ma un milione di volte più forte.
si chinò in avanti, afferrandosi la ferita, stringendo i denti, e si girò verso la fonte di quel attacco, trovandoci un Max col fiatone, affaticato, con la pistola ancora puntata, che la guardava.
"Ti ho proprio rovinato quel braccio vero, capofazione?" glie lo disse apposta. L'aveva mancata dopotutto.
"Puttana!" e con passo veloce la raggiunse, colpendola con un calcio dietro le ginocchia, facendola cadere sul pavimento, con la testa rivolta verso di lui, obbligandola a guardarlo le intrappolò i capelli di fuoco della nuca nella sua presa ferrea, e le puntò la pistola alla tempia.
"Questa volta non farò l'errore di lasciarti in vita. Elise, non pensare che ti dirò le parole che ti spetterebbero come intrepida. Non lo sei mai stata. Sei sempre stata la forte compagna di Eric, una comparsa. Non di certo una guerriera. Puoi sembrarlo, puoi essere la miglior combattente del mondo, ma sarei sempre sottomessa a lui: a un uomo!" le sussurrò all'orecchio, strattonandola.
"Non riuscirai a difendere la tua fazione."  avvicinò ancora di più alla sua bocca Il viso della ragazza e le sussurrò a fior di labbra:
"Non salverai neanche Eric." 
Elise si diede lo slanciò e gli chiuse la bocca con le labbra. Max rimase per un istante sorpreso, ma poi cercò di approfondire quel bacio.
Elise ne approfittò, e gli morse le labbra, facendolo urlare. Quando Max la allontanò con uno spintone, Liz rotolò sul pavimento, portando con se la pistola che l'uomo teneva nell'altra mano, e glie la puntò al petto.
"Finche respirerò, sarò una spina nel fianco per te, e per tutti quelli che la pensano come te. Traditore." gli urlò. 
Dei passi frettolosi di intrepidi arrivavano su dalla balaustra che dava sugli altri piani, segno che stavano arrivando i rinforzi.
"Non uscirai di qua viva." aprì le braccia, come per prenderla in giro. Pensava che non gli avrebbe mai sparato, non in quelle circostanze.
"Non salverai la tua famiglia." voleva vederla cadere, non riuscire a premere quel grilletto.
"La mia famiglia è con me." e portò una mano sul ventre. Era sdraiata per terra. Max sgranò gli occhi, incredulo, il suo viso cambiò subito espressione: arrabbiato.
"E nemmeno tu uscirai di qua vivo." 
Max urlò, gettandosi su di lei, ma Elise fu più veloce.
 E gli sparò, dritto nel cuore.
Il colpo fu così potente che Max fu spinto contro il vetro della parete trasparente che dava sullo skyline, ed Elise continuò a sparare ancora tre volte, e due sul vetro per farlo cedere. 
Era morto. E quando la parete si sbriciolò, il corpo del capofazione rimase per un momento in imbilico, fra il pavimento del piano e il marciapiede dei giardini degli eruditi.
E alla fine cadde giù.

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Capitolo 11
*** Riavvicinarsi al fuoco. ***


E dopo le vacanze di natale, l'inizio di un anno nuovo, la befana, torno con un capitolo super revisionato! E oggi è esattamente un'anno che sono iscritta a EFP! (Sto festeggiando!!!)
È già passato un anno... 
Ritornando a noi: nel capitolo precedente abbiamo visto come la missione di salvataggio di Liz sia andata a buon fine, e di come quell'antipatico di Max sia stato eliminato dalla scena (che cattiva che sono!).
 Ma ora arriva il momento in cui Liz non potrà più contare sulla sua sola forza nel cercare di fuggire dalla sede del nemico e dovrà riaffrontare il suo demone: di chi starò parlando? Di Eric? Di Lucy? O di Jeanine? 
Buona lettura!! E mi raccomando... Mandatemi a quel paese, lasciate un commento, una critica... Insomma,
Recensite! 
 
 
Elise si tirò su subito, vedendo ormai dal fondo del corridoio arrivare i soldati. 
Si sporse dal finestrone frantumato, guardando giù: saranno pur stati al terzo piano, ma un salto le avrebbe almeno rotto una gamba o addirittura messo a rischio il suo stato. 
Poteva prendere un ascensore, ma di sicuro il piano terra doveva essere ormai gremito di intrepidi traditori. 
Poteva tornare alla sala della biblioteca: decise. 
Si avviò verso il corridoio, ma fu fermata da una scarica di proiettili diretta verso di lei. 
Si gettò dietro la balaustra del buco che dava sul pavimento del primo piano, ringraziando di non essere stata raggiunta da nessuno di quei colpi. Prese la sua terza pistola dal polpaccio e  guardò i proiettili che aveva ancora: tre. Era spacciata. 
Si avvicinavano. 
Li sentiva. Gli ordini, i commenti, non parlavano sotto voce e sentiva molto chiaramente le parole che provenivano dai walkie-talkie: era vero dunque, gli altri piani erano pieni.
Si alzò dal posto in cui si era nascosta, nascose la pistola nella parte posteriore dei suoi pantaloni, e alzò le mani in segno di resa, aspettando l'arrivo del nemico, fissando lo skyline notturno di quella città distrutta. Prese un profondo respiro, ascoltando i passi dei soldati e regolarizzando il fiato corto.
Si girò molto lentamente e guardò la ventina di intrepidi che le puntavano i fucili contro in posizione di difesa e la circondavano, tutti attenti a ogni suo movimento. Non mosse nemmeno un muscolo, non voleva allarmarli e no avrebbe fatto la coraggiosa in quel momento di mettendo a rischio la sua vita per un ultima disperata e incosciente azione da intrepida. No. Sarebbe stata una scelta egoista. Non era più sola. Erano in due.
"Alza le braccia, mani in vista," gli urlò il ragazzo vestito di nero, con gli occhi nascosti dagli occhiali infrarossi. 
'Addirittura' pensò sarcasticamente Elise. 
Si avvicinò a lei, tenendo con una mano il fucile, e con l'altra le tastò le tasche dei pantaloni, girandole in torno. E trovando la pistola. La prese e la gettò lontanto. Poi si rivolse al suo trasmettitore.
"È disarmata." avvisò l'altra persona.
La risposta arrivo più chiara di quello che Liz si aspettava da un trasmettitore.
"Lei è sempre armata, anche quando dorme. Ricontrolla.".
Il ragazzo con uno sguardo fece cenno agli altri di avvicinarsi e circondarla con i fucili, così che lui potesse abbassare il suo, e iniziare a metterle le manette alle mani, posizionandogliele dietro la schiena. 
La spostò al centro della sala, sotto il tiro di tutti gli altri, e cominciò a perquisirla sul serio. Le sembrava troppo bello che la catturassero lasciandole almeno il suo coltello. Di sto passo lo avrebbero trovato presto, ci aveva sperato troppo. La sorte si stava vendicando.
Sentì le porte di un ascensore aprirsi, e riconobbe il Suo passo, ma non potè vederlo perchè dava le spalle a quella parete. Aveva invece di fronte la vetrata frantumata dove Max era volato giù. Il soldato che le si era avvicinata, si irrigidì, segno che aveva paura del suo capo, e Elise notò solo pochi secondi dopo, che nell'atrio era calato il silenzio più totale.
"Allontanati. Controllo io." Sentì gli anfibi stridere sul pavimento di marmo del piano, e con passi pesanti e veloci il ragazzo bruciò i pochi metri tra la parete degli ascensori e la sua posizione centrale in quella sala.
Elise si accorse della sua presenza ancora prima di riconoscere la sua voce. 
Da quanto non le si infiammava il sangue in quel modo, o il cuore non le batteva forte per quel sentimento che le stava bruciando l'anima. Dopo tutto la sofferenza che le aveva fatto patire, la sua mente non riusciva a eliminarlo, a chiuderlo fuori dal suo cuore dolorante.
Aveva detto bene: per lei, lui era una droga, ne era assuefatta, disperatamente bisognosa del suo tocco. E lui esaudì il suo desiderio.
Le accarezzò il collo, spostandole i capelli lisci dalle spalle sudate, passando una mano lungo la spina dorsale, fino al fondo della sua schiena. Con l'altra mano le stava percorrendo la clavicola, per poi scendere lungo lo sterno, accarezzandole la pancia al di sopra dello strato spesso della canutiera. 
Non la stava perquisendo, la stava "ubriacando". Un contatto così diretto, dopo giorni di lontananza. Lo stava facendo apposta lo stronzo. E lei stava al gioco. 
E rispose. Spostò il peso all'indietro, sbilanciandosi e abbandonandosi contro al petto muscoloso di Eric,  contro il suo bacino, le sua gambe, appoggiando la testa sull'incavo della sua spalla, sentendo il suo respiro caldo sulla gola. Le passò la mano sotto il collo esile e candido, accarezzandolo. Le sospiró nell'orecchio, stava per dire qualcosa.
Ma si trattenne e si allontanó. Gli sfuggi un sospiro ma si riprese subito, e con un calcio la fece cadere in ginocchio, prendedola per i capelli, non permettendole di voltare il viso. Le girò intorno senza mollare la presa, le si posizionò davanti. C'era solo silenzio in quella stanza. Tranne i loro passi. I loro respiri.
Gli intrepidi erano tutti intorno a loro, lo sapeva, ma poteva solo vedere quelli posizionati al fianco della finestra. I corpi di quelli storditi o feriti erano gia stati rimossi. Che efficienti! Le rivoluzioni fanno bene! Erano così pigri prima di tutto ciò!
Eric indossava i soliti anfibi neri, e i pantaloni tipici da intrepido. 
Si abbassò molto lentamente al suo livello, per guardarla negli occhi, piegandosi sulle ginocchia. La stava ancora tenendo per i capelli. Lei si strattonò, per avvicinarsi di più al Suo viso e lui la lasciò, prendendola per il mento con la mano destra. Per un attimo i loro respiri si mescolarono, e Liz non potè non deglutire.
"Non ho mai visto un diamante nel fuoco. Felice di rivederti. " 
lo sguardo era bollente, ma anche sinistro.
"Lo sapevo. Ti fa male l'aria degli eruditi. Ora mi sei diventato un poeta." gli disse, accennando un sorriso, aveva la gola secca. 
L'intrepido si rialzò e si rivolse al soldato che l'aveva perquisita, chiedendogli le novità.
"Con delle metafore nemmeno tanto brillanti." Continuò lei ad alta voce, rivolgendosi più che a lei stessa, al soldato accanto a lei, che non si scompose. Che noia! 
Se doveva rimanere li per un po', poteva almeno divertirsi, doveva sopprimere il senso di debolezza che le stava percorrendo il corpo in quel momento, in quella posizione, completamente sottomessa al volere del nemico. Di Eric. Doveva tenere lontano il terrore, combattere la paura, è un pò di senso dell'umorismo allontanava quei sentimenti che l'avrebbero compromessa e resa poco lucida.
Eric continuava a parlare con il soldato sottovoce, e solo allora Elise si accorse di un altro passo che continuava a muoversi avanti e indietro alle sua spalle. Troppo agitato per essere di un uomo. Era una donna. Non era Jeanine. Le scarpe erano con una suola spessa: anfibi. 
Un intrepida. 
Vide Eric che si scostava dal soldato. 
Si passò una mano sul volto tirato in una smorfia di contrarietà. Per cosa?
"Ne hai fatti di danni Liz in 50 minuti." e detto questo le si avvicinò e le tirò uno schiaffo in pieno volto, facendole perdere l'equilibrio sulle ginocchia, e facendola cadere malamente sul pavimento, atterrando sulla spalla destra. 
Il terrore le attanagliò il cuore, sentiva dei movimento concitati alle sue spalle, ed Eric era uscito dal suo campo visivo.
 Non vedeva chi combattere e non poteva proteggersi. 
Cercava di alzarsi, ma le mani legate glie lo impedivano. Ci mise le ultime forze che aveva ancora nei muscoli e si raddrizzò; la paura e l'adrenalina la portarono a mettersi in piedi con uno scatto felino, ma un colpo di fucile sulle gambe la fece di nuovo tornare sulle ginocchia, di nuovo davanti alla finestra. 
Aveva il fiatone, più per lo spavento che per lo sforzo. No riusciva a ritornare lucida. Il terrore la stava facendo diventare pazza, come se fosse sotto simulazione. Ma non lo era. Quella era la realtà. Lo scatto di Eric l'aveva spiazzata, l'aveva fatta sentire indifesa. E in quel momento non poteva muoversi. 
Una sagoma le si parò davanti. Aveva ragione era un ragazza intrepida. "La"ragazza intrepida.
Quella troietta di Lucille. La sorte si stava vendicando, lentamente.
"Guarda chi si rivede, la troietta." non si abbassava per guardarla.
Ed Elise non alzò lo sguardo, lo puntò verso lo skyline di Chicago.
"Guarda un po',è lo stesso termine che ho pensato appena ti ho riconosciuta. Come poter dimenticare quella bellissima voglia che hai sul viso." le disse con disinvoltura.
Uno schiaffo raggiunse la sua guancia destra, la parte opposta dove Eric aveva colpito. 
"Eravate in vena di dare schiaffi?!" disse, distesa di nuovo sul pavimento.
 Ma questa volta si alzò velocemente sicura di se e si parò davanti a Lucy. 
Doveva passare al contrattacco. Era comunque un intrepida. E non si faceva chiamare troietta da un'ipocrita.
E le diede una testata sul naso, sentendo la cartilagine cedere sotto il colpo, e vedendo il sangue iniziare a colare.
Sentì in un istante le pistole spostarsi nell'aria e ritornare puntate su di lei, le urla della ragazza  il rumore dei proiettili pronti a partire, Lucy che si allontanava da lei, andando ad appoggiare le mani alla parete vicino agli ascensori, ancora sconvolta dalla mia azione. 
E con la stessa velocità con cui lei aveva colpito la ragazza, Eric la spinse contro la parete vetrata, facendole perdere l'equilibrio e costringendolo a portarcela di peso.
 La schiacciò contro il vetro, con il busto e il viso bloccati contro di esso, i polsi ammanettati, doppiamente imprigionati dalle mani del capofazione. Il bacino di lui che le bloccava le gambe. Era immobilizzata.
"Adesso basta Liz!" le ringhiò all'orecchio. 
Le tastò il sedere, e tenendole sempre i polsi con una mano, scese con l'altra lungo la gamba destra, per arriva agli anfibi e guardare nella loro parte superiore dove era il coltello. Lo trovò subito. Lo afferrò e lo mise nella sua tasca anteriore dei pantaloni della divisa da "capo fazione traditore".
"Non ti ricordavi l'anatomia del sesso opposto, capofazione? Siamo a questi livelli dopo alcune settimane di separazione? " disse sarcastica Elise. Li stava prendendo in giro. Ormai era la sua unica arma.
"Stai tranquilla troietta, lo tenuto in allenamento." la voce proveniva da Lucy, ancora appoggiata al muro con le spalle, e una mano sul setto nasale sicuramente lussato e non rotto. 
Gli occhi di Elise si spalancarono a quella riposta. 
Voleva solo ferirla. Non era vero. 
Eppure la sua vocina nella mente la sgridava. Cosa si aspettava? L'aveva lasciato. Cosa pretendeva da lui? Ma il il petto le doleva, molto. 
Un altro petalo che cadeva.
Il cuore mancò più battiti in quegli istanti di silenzio nella stanza. 
Lucy era consapevole di aver fatto centro, di averla zittita. Ma anche ferita.
Elise scivolò contro il vetro, di nuovo in ginocchio. Le lacrime spingevano per uscire. Ma non le avrebbe versate. Non davanti al nemico.
Non voleva essere toccata da lui. Cercò di divincolarsi ma Eric non allentava la presa sui polsi e il suo bacino non si spostava di un millimetro.
Le stava facendo male. E con tutte le sue forzè diede una testata all'indietro con la speranza di colpirlo e di distrarlo per quel millisecondo in cui avrebbe lasciato andare un minimo la presa ferrea.
E ci riuscì. Eric bestemmiò, lasciandole andare le mani, e lei si allontanò quanto bastava per girarsi verso di lui e gli tirò un calcio all'altezza dello stomaco, lasciandolo senza fiato. Non tentò di riacciuffarla, si piegò su se stesso, e si limitò ad urlare degli ordini con tono più che incazzato.
"Fermatela!" 
Ma Elise si era già rivolta verso il davanzale che dava sulla tromba delle scale e dove si vedevano gli altri piani, e in fondo il soffitto di vetro trasparente della sala principale. Sentì gli intrepidi muoversi accanto a lei al suo passaggio, cercando di afferrarla, ma senza successo. Con un salto da gatto, scavalcò il parapetto, e per un istante si sentì leggera come una nuvola, capace di prendere quota, e non di cadere. E l'istante dopo era aggrappata alla balaustra del piano sottostante. Sentiva i piedi che penzolavano, e con sforzo disumano si issò oltre il parapetto, e quando toccò terra sentì il braccio ferito che pulsava, a causa del grande sforzo a cui l'aveva sottoposto. Si afferrò l'avambraccio premendo intorno alla ferita, per fermare il dolore che le stava annebbiando la testa. 
C'era un corridoio che comunicava con il palazzo degli eruditi. 
Dopotutto i morti che c'erano stati in quei giorni, quelli di cui lei era responsabile, di aver messo a rischio e di aver ucciso, l'ultima che avrebbe dovuto subire quella pena era solo una: Jeanine. Ora doveva trovare il suo ufficio. Ora voleva solo vederla morire.
Un proiettile le sfiorò l'orecchio destro, alle sue spalle, proveniente dal piano superiore, si spostò dietro una parete, girandosi a vedere chi era stato.
Un Eric più che furente la stava fissando. 
Lui non sbaglia mai un colpo. Non l'aveva mancata. L'aveva fatto apposta.
"Liz stai peggiorando la tua situazione" Eric le stava puntando la pistola contro. Stava aspettando che Elise venisse fuori. Non sarebbe riuscita a scappare e se Questo casino continuava ad andare avanti Jeanine si sarebbe insospettita e sarebbe venuta a controllare. 
E lei non doveva vederla.
"Vaffanculo Eric ". L'insulto arrivò da dietro la parete dove Elise era protetta, ma si sentì molto bene anche al piano superiore, strappandogli un sorriso. Abbassò la pistola, allargando le braccia, con fare arrendevole, non sapeva più che fare.
"L'hai voluto tu, dolcezza." e con scatto felino, superò il parapetto e si lanciò su quello del piano inferiore, opposto alla posizione precedente. Lo scavalcò con facilità, e quando appoggiò i piedi sul pavimento, si raddrizzò, si sistemò la t-shirt nera e il gilè di pelle sulle spalle, e incontrò lo sguardo terrorizzato e stupefatto della rossa. Aveva i capelli scompigliati, acquattata per terra, pronta a scattare, con il fiatone, si vedeva.
Ma non fu abbastanza veloce da sfuggirgli. In un batter d'occhio colmò i metri di distanza tra loro due e la afferrò proprio mentre lei stava scattando verso uno dei corridoi. Era in trappola. La afferrò da dietro, intrappolandola nella morsa delle sue braccia. 
Elise cercò di ferirlo di nuovo con una testa, ma stavolta lui fu pronto, e la schivò, tirandole una ginocchiata alle gambe,per ripicca.
Lei per tutta risposta, iniziò ad urlare, molto forte.
Porca vacca! Non doveva essere sentita! Le tappò la bocca.
"Adesso basta Liz. Ci metti in difficoltà." le sussurrò all'orecchio.
"Se non ti calmi le cose andranno molto peggio." 
Sentiva pian piano che la ragazza stava smettendo di reagire e respingerlo. E quando smise di muoversi, Eric, allo strenuo delle sue forze, appoggiò la fronte sulla nuca della ragazza, non allentando la presa, inspirando il profumo dei suoi capelli, del suo collo, del suo sudore. La sua Liz. Le sue spalle andavano su e giù, la ragazzina era senza fiato. Finalmente! 
Sentì il "Din" degli ascensori raggiungere il piano e vide riversarsi nella hall tutti i ragazzi del piano superiore,dietro di loro uscì per ultima Lucy. 
E Jeanine.
Si posizionarono uno di fianco all'altro lungo le pareti, mentre Jeanine occupò lo spazio al centro davanti all'ascensore. Lucy si appoggio alle porte ormai chiuse di quello, con fare menefreghista, una mano ancora appoggiata al setto nasale. Stava guardando Elise con sguardo omicida. Di sicuro era molto incazzata.
Eric si era raddrizzato un istante, ma non mosse un muscolo verso Jeanine ne ordinò a uno dei suoi di prendere in custodia Liz. Era sua. Nessuno avrebbe deciso per lei.
"Eric chi è la tua amica?" chiese cortesemente e con tono pacato la capofazione degli eruditi. L'intrepido non proferì parola. Limitandosi a tranquillizzare il fiato e mantenere un espressione neutra.
"È la causa di tutto questo caos? Dov'è Max?" insistè, sapendo dove stava andando a parare: lo sapeva benissimo.
Di nuovo Eric mantenne il silenzio. Forse stava peggiorando solo le cose, ma dopotutto era ancora in collera con Jeanine per la mancanza di rispetto che gli rivolgeva durante le riunioni, andarle contro anche questa volta sarebbe stata l'ennesima.
"È stato ucciso e buttato di sotto dalla finestra del quarto piano dalla ragazza, mentre cercava di fuggire." rispose Lucy, alle spalle della donna. 
Liz era inerme tra le braccia ancora serrate intorno a lei di Eric, e si sentiva protetta. Chissà perche ma in quel momento era come se tutto il mondo fosse contro loro due soli, come una volta, come una settimana fa.
"Questo non va assolutamente bene, mette in dubbio la nostra prontezza, e le nostre capacità. Come ha fatto a entrare, perche è qua?" insiste Jeanine senza nemmeno voltarsi verso Lucy, tenendo gli occhi fissi in quelli di Liz, esaminandola.
"Sembra dal tetto, perchè i prigionieri sono riusciti a fuggire da lì." Lucy non si accorse che aveva appena rivelato una verità più che sconvolgente alle orecchie di Jeanine. 
"I prigionieri?" era proprio vero che gli eruditi risultavano a quanto antipatici. Fanno domande per ottenere risposte che sanno gia, solo per portarti a dirle ad alta voce, per avvalorare le loro ragioni: sanguisughe.
"Tobias Eaton. Tris Prior." scandì la ragazza intrepida, ma non Lucy. Elise aveva appena rivolto la parola a Jeanine.
La donna attraversò i cinque metri di distanza che la separavano dalla rossa.
Le arrivò a pochi centimetri dal viso: erano alte uguali, e gli occhi di ognuna era inchiodati in quelli dell'altra. L'afferrò per il mento, e la osservò, spostando la testa un pò a destra, e poi di nuovo a sinistra.
"Hai fatto tutto questo da sola?" le disse a bassa voce, come se volesse dirle un segreto. E Liz stette al gioco "Tutto questo per te. Un regalino da nulla da parte degli intrepidi." 
Jeanine si allontanò di poco per osservarla completamente, da capo a piedi.
"Tu!" e indicò un soldato alla parete. "È il fantasma dell'altra notte? La ragazza che vi ha bloccato?" chiese, facendosi sentire da tutti sta volta. Cosa aveva in mente? Eric era preoccupato, ma non lo avrebbe mai dato a vedere, sarebbe riuscito a tirarla fuori da quei cinque minuti più brutti di quella giornata di merda. 
"Si signora. È lei." fece un passo avanti il ragazzo rispondendo.
"È colpevole della morte di qualche tua collega?" chiese, guardandola negli occhi. E Elise comprese dove voleva parare. 
"Si signora. Mio fratello. Aveva 25 anni. La notte dell'attacco ai pacifici." lo disse con voce monotona, senza far trapelare la sofferenza della perdita del fratello, e il dolore della madre, rimasta tra i lealisti. Elise lo conosceva, e conosceva anche la povera donna. E conosceva il suo dolore per i due figli perduti, uno rubatogli dalla morte, l'altro da questa guerra.
"Vuoi vendetta? Vieni qui." e il ragazzo la raggiunse e si posizionò accanto a lei.
"Colpiscila." 
A Eric si gelò il sangue. 
"Non ti permetto di comandare i miei uomini. Rispondono solo a me." disse con parole aspre, e tono severo.
"Torna al tuo posto. La prigioniera verrà con me, visto che le celle non sono affidabili." Era risoluto, e stava elencando ordini a manetta, mentre Jeanine guardava, con le mani raccolte davanti, con un sorriso sul volto.
"Che il corpo di Max venga rimosso, e i piani siano controllati a fondo. Andate a mettere a posto la zona del laboratorio computer." e con questo lasciò la presa su Elise, limitandosi a tenerla per un braccio, e si avviò verso l'ascensore, verso la sua camera.
"Viste le perdite di questa sera, la ragazza dovrà prendere il posto per lo studio della divergenza, e domani inizierete a interrogarla. Voglio sapere le posizioni dei gruppi di intrepidi, il nuovo capo. Fai qualcosa di utile Eric, per una volta." 
 
 
Aprì con una chiave la porta della sua stanza, spingendoci dentro per prima Liz, e ri chiudendosela alle spalle. 
Ci si appoggiò contro, reclinando la testa all'indietro, e chiudendo gli occhi. Era distrutto. Gli facevano male le braccia, il volto, il naso. Vaffanculo alla testa di Liz!  
Si staccò dalla porta e si tolse il gilè di pelle, abbandonandolo sulla sedia della scrivania. E poi si appoggiò al tavolo, godendosi la vista.
Liz era davanti a lui, con il volto rivolto verso lo skyline di Chicago: i suoi capelli rossi risaltavano sull'oscurità della notte della città buia. La sua pelle candida era come guardare una foto in bianco e nero: il nero dello sfondo e il bianco del suo corpo. 
Si girò verso di lui con uno scatto, guardandolo finalmente in faccia. E il suo viso si incrinò è tutta la rabbia che tratteneva da quando aveva fatto irruzione nella zona uffici, a quando l'aveva stordita, dopo averla abbandonata, la morte di uomini, donne e bambini, colpevoli solo di essere divergenti; la distruzione della pace tra le fazioni. La morte di Marlene: 
"È colpa tua! Tu mi hai portata a questo, tu hai portato tutti noi a questo!" stava urlando. La raggiunse con passi lunghi e le intrappolò il viso tra le mani. Non stava piangendo. Aveva la voce incrinata, ma non aveva versato una lacrima.
"Se ti riferisci a quello che è successo prima con il ragazzo, non è nulla! Jeanine cercava di farti del male, per far vedere la mia impotenza. È solo un gioco di potere!" le sussurrò, appoggiando la fronte sulla sua.
"Ho ucciso delle persone, dei fratelli, degli intrepidi. Ho causato la morte di tante persone. Marlene non ce piu." l'ultima frase la urlò di nuovo.
"Siamo in guerra Liz!" la abbracciò e la culla fra le sue braccia,
"Siamo in guerra." le ripetè. Come una ninna nanna.
"È solo un gioco di potere, tra te e Jeanine" ripetè lei, consapevole di volerlo ferire. Ma senza riuscirci. 
La lasciò e si allontanò andando verso il letto.
"Vai a farti una doccia, non so da quanto è che non ne fai una decente." lei lo guardò togliersi gli anfibi, e dirigersi verso il mobile, ed estrarre una t shirt nera per la notte.
"non dormirò con te." doveva mettere le cose in chiaro.
"Allora non mi serve rimanere qua. Dormi. Domani sarà una lunga giornata. Dovrai rispondere delle tue azioni. Togli quella fasciatura. La ferita sta di nuovo sanguinando. " e dopo questo uscì dalla stanza, scalzo.
"Spero di non essere nella stessa stanza con te quando sarai giudicato per i tuoi.
Che almeno la sorte mi risparmi questo dolore." disse tra se, sola. Di nuovo. 
Si portò una mano sul ventre. Lei e il suo piccolo quel giorno era stati molto forti. Ce l'avevano fatta. Ora dovevano resistere fino all'arrivo di Quattro.
Ma ora aveva bisogno di un bel bagno e di una dormita. L'acqua avrebbe lavato via anche le ferite più profonde, almeno per poche ore.

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Capitolo 12
*** Silenzio e controllo ***


Eccoci di nuovo! Il capitolo precedente vedeva finalmente l'incontro ( molto movimentato) tra Eric e Liz. Può essere una cosa positiva? Oppure aggraverà la situazione e il loro fragile rapporto, messo a dura prova da Jeanine e Lucy?
Questo capitolo ê un po' corto, ma molto intenso. 
Grazie a chi ha recensito, a chi ha letto, e a chi segue la storia! 
Come al solito... Recensite! E buona lettura
 
 
Eric era seduto sulla sedia della scrivania, da ore ormai. E guardava il panorama.
Dalle due pareti davanti a lui al fondo della stanza vedeva che Il cielo stava schiarendo, mentre il sole sorgeva, lasciandosi dietro il caos di quella notte. 
Liz dormiva tranquillamente, nel lato del letto più lontano dalla porta, e più vicino alle finestre. Era stesa a pancia in giù, il volto rivolto verso di lui, i capelli non più umidi, scompigliati e sparsi sul cuscino. Aveva addosso la canottiera della notte precedente, e poteva vedere il tatuaggio  loto che spuntava da sotto. Le mani erano rannicchiate una a stringere il cuscino vicino alla guancia, e l'altra lungo il fianco sinistro. Era una visione. 
Le era mancata, e averla nel suo letto in quel momento, vestita in quel modo, solo con quel pezzo di stoffa e le lenzuola a coprirla, gli costava molto autocontrollo per non toccarla.
L'unica cosa che lo fermava era la consapevolezza che forse era la prima notte che la ragazza chiudeva occhio, che riposava senza incubi. Era tornato in camera due ore dopo averla lasciata lì, e lei stava gia dormendo. 
Avevano trovato tre intrepidi che giravano intorno alla recinzione della sede degli eruditi, li avevano catturati e interrogati tutta la notte mentre lui si limitava ad ascoltarli e guardarli cedere sotto le torture da dietro un vetro, dalla sala degli interrogatori.
Quegli scienziati strizza cervelli avevano iniettato nei soggetti una dose non diluita del siero della paura: i due uomini avevano ceduto dopo nemmeno cinque minuti di incubi, chiedendo pietà in cambio di informazioni, mentre la ragazza era morta dopo 10 minuti di silenzio doloroso.
L'aveva impressionato: alla fine era riuscita a non proferire parola, ed è morta a causa della paura.
A causa di quello che li fortificava e per cui si allenavano durante tutta la loro vita da intrepidi. 
Il suo terrore più grande era sempre stato non essere all'altezza, ma in quelle settimane la sua paura più grande nelle simulazioni era stata veder morire tutti, mentre lui rimaneva da solo, in uno spazio vuoto e silenzioso. Di nuovo quella parola: il silenzio.
Lui amava il silenzio, come in quel momento, ma lo terrorizzava allo stesso tempo. 
La porta alle sue spalle si spalancò, senza che lui avesse sentito bussare, o che abbia concesso il permesso di entrare. Non si girò nemmeno, aveva riconosciuto l'odore di fragola di Lucy. 
La ragazza sbattè la porta, e poi osservò la scena in quella stanza: la troietta stesa sul letto di Eric, e lui seduto a fissarla: non potè non pensare che con lei non lo aveva mai fatto, anzi, le chiedeva sempre di andarsene dopo essere stati insieme, non aveva mai passato la notte nella sua stanza. 
Eric alzò la mano, in segno di silenzio, o di rimprovero per aver fatto rumore. Ma chisssene fregava! 
Liz non si mosse dalla sua posizione. 
Eric pensò che per dormire così profondamente si doveva sentire al sicuro, altrimenti un intrepida al minimo rumore sarebbe scattata in piedi: ed Elise era così. 
Un lume di speranza si accese in lui.
Lucy si avvicnò alla sedia, andando a posizionarsi alle spalle del capofazione e appoggiando le sue mani sulle sue spalle, facendo scorrere i palmi lungo il torace muscoloso di Eric, chinandosi in avanti per arrivare più in giù sul petto del ragazzo, baciandogli la parte sensibile dietro l'orecchio, per scendere sul collo e morderlo vicino all'incrocio tra la scapola e il collo. Eric non si mosse, e non spostò nemmeno il suo sguardo da Liz, non curandosi di ciò che stava facendo la ragazza.
Lucy non vedendo nessuna reazione da parte dell'intrepido, ritirò le mani e si raddrizzò con stizza, frustrata per il rifiuto silenzioso di lui. 
"Deve essere portata giù. Quei ragazzi di stanotte hanno rivelato che gli intrepidi avevano deciso, prima della consegna spontanea di Quattro, che fosse eletto un capofazione unico per loro." tornò seria, da soldato, ma comunque scocciata.
Eric nom rispose, ne chiese chi fosse. Sospettava già qualcosa.
Inclinò la testa di lato, continuando a osservare il corpo di Liz, e non potè non pensare che adesso che Tris, la sua divergenza speciale, il soggetto perfetto per gli esperimenti di Jeanine era fuggita, la donna avrebbe preteso un rimpiazzo. Solo lui sapeva della leggera divergenza della sua ragazza. Ma sotto effetto di quel siero avrebbero potuto farle rivelare di tutto.
"È stato fatto il suo nome." concluse Lucy, incrociando le braccia sotto il seno.
"Chiaro. Puoi andare a preparare la sala per l'interrogatorio. La porto giù tra venti minuti." e con questa la congedò, e la ragazza doppiamente arrabbiata per il trattamento che le era stata riservato, se ne andò, sbattendo alle sue spalle di nuovo la porta.
Questa volta Liz sussultò, tirandosi su a sedere con velocità felina. 
Si guardò intorno, disorientata per un attimo, e quando capì dov'era, si accorse di aver mandato ai piedi del letto le lenzuola che le coprivano le gambe nude, ma non si mosse per ricoprirsi. 
Gli occhi di acciaio di Eric l'avevano pietrificata. La fissava, e lei fece altrettanto.
Si alzò dalla sedia, raggiunse il letto con passo lento, arrivando davanti al lato dove si trovava lei, dando le spalle al rosa del cielo di prima mattina, e si chinò sulle ginocchia, per guardarla negli occhi. Il letto era molto basso, non come quello nella loro stanza alla base degli intrepidi. 
Allungò una mano per accarezzarle una guancia, ma lei, che era rannicchiata contro la parete, gli diede un colpo, allontanado il suo gesto. Eric si guardò la mano, e arricciò le labbra:
"La ragazzina è scontrosa sta mattina".
Si alzò e si avvicinò a lei, salendo sul letto. 
Liz fu per un attimo terrorizzata: cosa le avrebbe fatto? Cercò di allontanarsi, muovendosi verso il lato opposto del letto e raggiungere il bagno,per chiudersi dentro. 
Ma Eric fu più veloce e la afferrò per i piedi, portandola sotto di se e bloccandole i polsi ai lati della testa. 
Era completamente disteso, ma non pesava su di lei. 
Liz cercò di divincolarsi, e pensò anche di urlare, ma voleva sapere fino a che punto si sarebbe spinto, contro la sua volontà.
Si guardarono negli occhi, tutte e due stavano trattenendo il fiato, ed Eric non potè non notare la nota di impotenza negli occhi di Liz, la consapevolezza di essere prigioniera. Di lui.
Si abbassò per avvicinare la sua bocca a quella della ragazza, sfiorando all'inizio le sue labbra, come una carezza, un tentativo per vedere come avrebbe reagito. Era rigida, immobile. 
Si allontanò e la guardò negli occhi di nuovo. L'azzurro era diventato blu scuro. 
Ed Eric desiderò annegare in quell'oceano. 
Si lanciò sulle labbra di Elise, e la assaporò, lambendo con la lingua le sue labbra, chidendole il permesso di approfondire quel contatto. 
E lei non rifiutò. 
La sentì rilassarsi sotto il suo peso, e lui si abbassò , aderendo completamente al corpo di lei, sentendo le gambe nude anche attraverso lo strato dei pantaloni, il seno e il bacino al di sotto della canottiera. 
C'era qualcosa di disperato, di appassionato nella sua risposta, che si rispecchiava in quello che stava provando Eric. 
Il desiderio gli esplose nel corpo, tutta la tensione della notte passata esigeva uno sfogo. Liz si strinse contro di lui, afferrandolo per gli avambracci, cercando di più. Lingue che si intrecciavano, respiri che si fondevano, mani che si accarezzavano. 
Le sue mani erano sulle sue cosce nude, e risalirono verso gli sleep, verso la canotta , infilandosi al disotto di essa e accarezzandole la schiena, sollevata dal materasso per andargli incontro. 
Eric si staccò per respirare: i suoi occhi erano scuri, il respiro affannoso e le labbra schiuse. 
"Mi fai impazzire." sussurrò, si avvicinò ancora di più, prendendole la gamba al di sopra del ginocchio e posizionandola intorno ai fianchi. 
Elise lo sentì, e non riuscì a respingerlo. 
Fece scorrere la sua lingua lunga la gola di lei. Gemette, si aggrappò alla sua schiena tatuata di Eric, gettando la testa all'indietro. Le sensazioni erano troppe. 
"Fermami, se lo vuoi." disse in un respiro, e Elise inarcò la schiena in riposta, premendosi contro di lui. Non stava ragionando, stava seguendo il suo istinto. 
Le mani di Eric abbandonarono il suo corpo per slacciarsi i pantaloni, e il rumore della zip riportò Liz sulla terra, nella realtà. Allungò le mani verso i suoi slip, ma la ragazza lo fermò, afferrandogli  i polsi con tutte e due le mani, fissandolo negli occhi.
"Non arriveremo dove vuoi" gli sussurró a fior di labbra, assaporò il suo respiro ancora un ultima volta e poi si liberò del suo peso, rotolando di lato e scendendo dal letto, dirigendosi verso il bagno, dove aveva lasciato i pantaloni. 
Eric era rimasto impietrito, e non la afferò, si limitò a guardarla scivolare via da sotto di lui e allontanarsi, mentre lui rimaneva lì, più che deluso.
Si fece cadere sul materasso, girandosi poi sulla schiena e guardando il soffitto.
Il desiderio gli aveva annebbiato la mente. Si rimise a posto i pantaloni, sia alzò e raggiunse la scrivania, dove afferrò la sua giacca di pelle e la indossò. 
Aprì la porta, vedendo Liz ,gia pronta, sorpassarlo per uscire davanti a lui. 
La afferrò per un braccio, e con una scossa le fece voltare il viso in modo che si guardassero negli occhi. Era arrabbiata. 
Lui non aveva fatto nulla di male! Lei le aveva dato il via libera.
I capelli erano raccolti in una treccia a lato della testa. I suoi occhi erano più azzurri del solito, e le sue labbra erano rosse e gonfie. Il suo istinto più profondo lo fece sentire orgoglioso per aver segnato quel territorio rimasto lontano da lui troppo a lungo. 
Lui doveva essere quello arrabbiato: l'aveva avuta nel suo letto tutta la notte e non era riuscito a combinare niente, stava perdendo colpi. Un anno fa solo il pensiero di tornare in camera insieme avrebbe significato una sessione di sesso non stop con la ragazza più eccitante della fazione, e ora... Lei provava ribrezzo per lui. 
"Cosa c'è capofazione? Sembri deluso e scocciato. Adesso capirai come si è sentita quella povera troietta." 
Eric continuò a fissarla, a contemplarla ma alla fine si fece scappare un sorriso, più un ghigno.
"oh Liz! Spero che il tuo atteggiamento cambi prima dell'interrogatorio. E l'attesa migliora solo il valore della vincita, anche se sei gia un premio vinto più volte dal sottoscritto." e con questo Liz si zittì, e raggiunsero in silenzio la sala.
 

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Capitolo 13
*** Tutto torna a galla, e noi affoghiamo. ***


Nuovo capitolo!
Questo e uno dei miei momenti preferiti della storia. 
Tutto viene a galla nella vita, oppure "tutti i nodi vengono al pettine". In qualsiasi modo vogliamo metterla, non si può nascondere qualcosa per sempre. La vita ci mette alla prova, noi cresciamo a ogni ostacolo e a ogni problema che viviamo e superiamo. Le nostre paure mutano con il tempo, come noi dopotutto. E molto spesso non è solo colpa del tempo, ma anche delle persone che ci circondano. La nostra Liz dovrà fare i conti con questo suo cambiamento, affrontando le sue nuove paure, non più legate solo a se stessa. È cresciuta, non è solo un intrepida: è una donna, che deve prendere le sue decisioni, e non farsi influenzare da nessuno, nemmeno da Eric.
E dopo questo pensiero , per cui sono uscita un po' fuori tema, vi auguro buona lettura! E mi raccomando, non facciamo come ha fatto Didone!
 
 
 
 
 
"Sei testarda. Allora, riproviamoci." 
L'intrepido trentenne era appoggiato al muro della stanza degli interrogatori con fare disinteressato, le braccia conserte e la testa bassa.
La stanza era tutta bianca, sia le pareti che il soffitto che il pavimento di marmo. L'unica cosa che stonava era il pannello di vetro in mezzo a uno dei muri, nel quale si poteva solo vedere il proprio riflesso. Al di là di esso si trovavano Eric, Lucy e Jeanine che stavano assistendo all'interrogatorio ormai da tre ore.
Un altro intrepido era nella stanza con il trentenne: era inginocchiato vicino a una bacinella colma d'acqua e teneva con una mano le braccia della ragazza ferme intrappolate nella sua morsa dietro alla schiena, e con l'altra costringeva la testa di lei nella bacinella. 
La ragazza cercava di ribellarsi con strattoni per respirare. Di sto passo, l'avrebbero fatta annegare. 
I polmoni le andavano a fuoco. La testa le doleva.
L'intrepido finalmente allentò la presa e la tirò su, fuori dalla bacinella. 
Liz riemerse, portando con se una grande quantità d'acqua, sia a causa dei capelli, sia quella che aveva bevuto e che le bloccava le vie respiratorie. Si sarebbe accasciata a terra, ma il ragazzo la sosteneva. 
Prese un lungo respiro, e tossì senza trattenersi. L'avevano costretta più a lungo di quelle precedenti questa volta. Le mancava il fiato, non riusciva a ricevere ossigeno anche se stava respirando. I capelli rossi erano appiccicati al volto e ai vestiti, gli occhi erano rossi dallo sforzo e non riusciva a smettere di tremare. Non per il freddo.
"I centri degli esclusi." Disse per l'ennesima volta L'intrepido appoggiato al muro.
Lei lo guardò, alzando gli occhi dalla sua posizione: era in ginocchio, la schiena piegata in avanti, le mani costrette dietro ad essa. 
"Non lo so." Era senza fiato. 
"Non è vero" cantilenò lui.
"Perchè hanno fatto il tuo nome gli intrepidi quando ho chiesto chi comandava?" Chiese, di nuovo.
"Perchè hanno sparato un nome a caso, Liz è un nome comune tra la gente." Si scusò lei, sotto sotto contenta della sua disinvoltura nel prenderli in giro, ma forse un po di paura doveva averla.
"Che scusa di merda!" Sentenziò lui alzando il volto e guardandola in faccia, sorridendo.
"Come la tua faccia!" Disse lei con disinvoltura, sorridendo affabilmente, con voce suadente.
Il ragazzo indispettito indicò con la mano al suo collega di tirarla giù, e Liz si ritrovò di nuovo costretta a bere acqua su acqua.
Riemerse dopo due minuti di apnea, ma la sua scorta d'ossigeno non era durata così a lungo e aveva bevuto troppo, tossì di nuovo.
"Chi sei tu per loro?" Chiese, tornando ad appoggiarsi al muro.
Elise non riusciva a calmare il respiro!
Non rispose. Lui le si avvicinò e si inginocchiò davanti a lei, al suo livello.
La guardò, le prese il mento con una mano: "Chi è il responsabile degli intrepidi?"
Non Rispose di nuovo, ma reagì, spostò con velocità fulminea il viso verso destra e gli morse la mano con tutta la forza che le rimaneva. Il ragazzo sussultò e imprecò alzandosi dalla posizione che aveva assunto, faticando a far staccare Liz dalla sua mano. Quando ci riuscì si allontanò subito in un angolo della stanza, dando le spalle a quella specie di bestia.
Elise sentiva il sangue di quel pezzente nella bocca: era riuscita a ferirlo.
Lui si guardó la ferita, e furente per l'affronto ricevuto si giró di colpo e la centrò in pieno viso con uno schiaffo ben assestato. 
Liz non cadde. 
Con un colpo così forte a chiunque sarebbero mancati i sensi. La testa le si girò di scatto verso la parte opposto della stanza da dove era arrivato lo schiaffo: gli occhi le si inumidirono per il dolore che si irradiò in tutto il viso, la pelle le bruciava da morire.
La afferrò per le spalle e la raddrizzò, sollevandola dal pavimento: "Non ho più pazienza traditrice! Dimmi dove hanno intenzione di attaccare!" E la colpì di nuovo, ma stavolta Liz, dopo aver ricevuto lo schiaffo, si voltò di nuovo verso di lui e gli sputò addosso.
Chiuse gli occhi, ma non mosse un muscolo, aspettando l'arrivo dell'ennesimo schiaffo.
L'intrepido la mollò e lei cadde con un tonfo per terra, era troppo debole per tenersi in piedi.
Si allontanò e andò a riposizionarsi contro la parete candida.
Qualcosa la punse all'altezza della carotide, ma non fece in tempo a girarsi che Jeanine aveva già finito di iniettarle un liquido arancione. 
"No!" Fece in tempo a urlare, ma le uscì dalla bocca un suono strozzato, come se non avesse voce. 
Cercò di afferrare l'erudita per le gambe, ma non riusciva a muoversi con velocità e i suoi movimenti erano scoordinati, come se fosse ubriaca. 
"Se non parli con le buone, ti farò parlare con le cattive, Elise." 
L'ultima cosa che vide furono le ginocchia di Jeanine starle davanti, e poi:
Più nulla. 
 
 
Stava cucinando, nella loro stanza della fazione. Quel giorno Eric sarebbe rientrato in tempo per la cena, ed era tutto il giorno che lavorava fuori dalla città con i pacifici, doveva essere distrutto.
Prese la padella dove stava facendo saltare le zucchine e le mosse con un movimento del polso. Stava preparando il suo piatto più buono, e anche il più semplice di cui era sempre stata sicura della riuscita.
Aveva già buttato la pasta, e intanto ragionava sul come fare per chiedere a Max un appartamento più grande, magari con due camere! 
Quando sentì all'improvviso due braccia che le cinsero i fianchi e delle mani grandi e forti che le accarezzavano il pancione: Eric appoggiò il suo mento tra i capelli rossi fuoco di Liz e respirò il suo profumo, il suo preferito. 
Lei appoggiò le sue mani su quelle di lui, e risalì le braccia tatuate e forti del suo ragazzo, avvicinandosi ancora di più al suo corpo, non lasciando centimetri tra loro. Eric la fece voltare e la baciò, un bacio profondo, che la lasciò senza fiato. Le premette la mano aperta sulla schiena per farla avvicinare.
"Più vicini di così non si può! Tuo figlio è ingombrante!" Disse Liz tra un bacio e l'altro, sorridendo della cosa.
 
Tornò un attimo alla realtà, vedendo Jeanine davanti a una scrivania, e lei capì di non essere più nella sala degli interrogatori: la schiena le doleva, era su una piattaforma fredda, di metallo. 
Vide gli schermi dove di sicuro era stata proiettata la sua simulazione. Di nuovo. L'avevano di nuovo privata della sua coscienza, delle sue decisioni! Non lo avrebbe permesso ancora a lungo. Si ribellò.
Si raddrizzò di colpo portando con se fili di flebo e il tavolino con sopra le siringhe. Cercò di raggiungere Jeanine, doveva aggredirla, graffiarle la faccia da stronza so tutto io, ucciderla a mani nude. 
Nessuno doveva più avere il potere di controllare la mente altrui, o di conoscere i più profondi segreti.
Venne fermata appena mise piede giù dal tavolo e fu riportata con forza con la schiena appoggiata sul freddo metallo. Urlò, con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Le bloccarono la testa due mani, e le braccia altre quattro mani, e poi un piccolo bruciore sul collo la riportò in quello stato di torpore e stanchezza da cui era appena uscita e poi di nuovo più nulla.
 
 
Gli intrepidi erano disposti a semicerchio davanti allo strapiombo del pozzo.
Un uomo dava le spalle al precipizio, aveva le mani legate dietro alla schiena, e guardava fisso dritto a lui, negli occhi di lei. 
I tatuaggi delle braccia erano tesi, e quelli del collo anche. 
La sua espressione era neutra, insensibile a quello che stava per succedere, ma lei sapeva leggere le sue espressioni, vedeva negli occhi di lui quella vena di dolore che le attanagliava il cuore, il fiato che le veniva a mancare, la bocca dello stomaco chiusa. 
"Chi vota a favore, alzi la mano" una voce in quella camera si era elevata tra tutti: Jack, seguita poi dal suo movimento del braccio che avrebbe dichiarato la fine della vita di Eric.
Ne seguirono altre tre tra i capi fazione e i rappresentanti delle alleanze, mancava la sua.
Non la alzò. Non fece quel gesto. 
Ma Quattro le passò comunque la pistola, essendo lei il capo in carica. La guardò negli occhi, e le accarezzò una guancia
"Mi dispiace Liz, non avrei mai voluto farti questo." Glie lo disse con voce decisa, a Quattro non si incrinava facilmente: era un vero intrepido. 
Elise si staccò dalla massa  e si avvicinò ad Eric.
La guardò. Cosa poteva dire, o fare. Le sue azioni avevano già causato abbastanza dolore. Forse le doveva quel silenzio. Almeno quello le spettava.
"Non dici nulla? Dopo anni di noi, non vuoi obbiettare, fermarmi?!" Si avvicinò ancora di più a lui, ormai era a pochi centimetri: sentiva il rumore del fiume al disotto del dirupo, e il fiato di Eric sulla sua pelle alabastrina. 
La pistola era nella sua mano destra, lungo il fianco.
 Il suo viso era inclinato verso l'alto, verso quello di Eric, verso i suoi occhi di platino.
Eric non parlò, si limitò a osservarla, per l'ultima volta.
"Perchè non me lo chiedi Eric? Perchè?" Sibilò tra i denti. L'indecisione la stava divorando da dentro.
"Dimmi cosa devo fare!" Lo urlò quasi, ma si trattenne. I suoi occhi erano spalancati in cerca di una reazione da parte di lui. Continuò a guardarla, senza proferire parola. Elise capì che tutte e due avevano avuto un dovere da svolgere: lui l'aveva portato fino in fondo, e alla fine era stato sconfitto. Lei aveva preso la sua scelta rispettando il suo credo, e ora doveva mettere fine a quella storia.
"Ti prego.." Non ce la faceva più. Non voleva, e non poteva, non contro lui.
Non avrebbe portato avanti una vita vuota, non ce l'avrebbe fatta. Allora decise.
Portò la canna della pistola alla propria tempia, e lo guardò negli occhi. 
Sentì un movimento provenire alle sue spalle, gli intrepidi che si muovevano per fermarla, e vide negli occhi di Eric il terrore.
 Lui si mosse per andarle addosso, ma non era mai stato abbastanza veloce al contrario di lei. Mai. Per elise era stata la sua condanna.
"Ti am.."
E fece fuoco.
 
 
Nero. Completamente. Era a terra e si sentiva distrutta, indolenzita. 
Una guancia era sul pavimento nero e le mani erano una sul ventre e l'altra per terra, che stava facendo forza per alzarsi.
Si issò in piedi con enorme sforzo, e quando lo fu, il suo equilibrio non era dei più resistenti. Si guardò intorno. Niente. Nessuno.
A un certo punto una sagoma uscì dall'oscurità, rivelando chi era: Eric.
"Eric!" Urlò, era lontano, ma voleva raggiungerlo. Iniziò a correre con grande difficoltà.
Quando finalmente gli fu davanti lo abbracciò. La paura la stava percorrendo e le stava attanagliando il cuore, aveva bisogno del contatto con lui per calmarsi.
"Eric sono in una simulazione, devo riuscire a calmare il respiro" disse più a se stessa che a lui. 
Lo stava abbracciando, ma lui era rigido e non ricambiò la stretta. 
La afferrò per le braccia e la fece girare con uno scatto che le procurò un dolore lancinante alle braccia, una terribile torsione. 
Si ritrrovò con il volto che fissava l'oscurità e Eric che la intrappolava le mani alle sue spalle, inerme, terrorizzata.
Non lo sentiva nemmeno respirare. Doveva calmare il respiro, ma lo era già. Perchè non finiva?! Un'altra sagoma si stagliò dall'oscurità: Jeanine. 
Si avvicnò a passo lento e deciso, aveva in mano qualcosa, ma Liz non riuscì a capire cosa era. 
Ora le era davanti, due metri di distanza.
"Sei un soggetto particolare, Elise. Il tuo stato ti rende ciò. Ma non possiamo accettare che tu possa far nascere un altra creatura con un alta probabilità di divergenza. 
Sarà doloroso, ma sei un intrepida dopo tutto." 
Si avvicinò ancora di più a lei con un coltello in mano, e lei, incapace di soffocare il terrore, urlò. Strattonava cercando di liberarsi dalla presa di Eric, pregandolo di lasciarla andare, piangendo e urlando insieme. Perché la simulazione non finiva! Perché!?
"Sii coraggiosa Lizzie." Le sussurrò L'intrepido all'orecchio.
 Jeanine ormai le era a pochi centimetri ed Eric la afferrò per i capelli, bloccandole la testa, perché stesse ferma. 
E lei urlò di nuovo, ancora di più quando il coltello affondo nel suo ventre, lacerando la pelle e la vita che c'era in lei.
Tutti i sacrifici di quei mesi, bruciati. Uccisi. Jeanine ritirò il coltello dalla ferita fresca, la guardò negli occhi quasi spenti dal colpo mortale, e se ne andò. 
Eric mollò la presa sulle braccia di Elise, e lei cadde sulle ginocchia, e poi si ritrovò con la faccia sul pavimento. E urlò di nuovo! Disperata, delusa, ferita. Un altro petalo che cadeva.
Avvicinò le mani al ventre coperto di sangue, le avevano tolto tutto: l'amore di Eric, l'amore di un figlio. Non avevano avuto pietà. 
Ora la simulazione era finita.
 
Non avrebbe resistito ancora a lungo. Elise era sul piano di metallo nella sala degli esperimenti che si contorceva e urlava, senza ritegno, come se le sue corde vocali non ne risentissero di quello sforzo immane. Le sue mani si erano sbiancate per la forza che ci stava mettendo stringendole insieme e trattenendosi dall'entrare nella camera. Un altro urlo, e questa volta Liz si mosse, spostando il viso verso il soffitto, e le mani sul ventre, come... Come...
Se stesse proteggendo...
Non poteva essere! Eric sbiancò, e non resistette un minuto di più. Guardò lo schermo, prima si era trattenuto per non macchiarsi di un altra colpa con Liz, ma ora doveva sapere il motivo di quel dolore: le sue simulazioni. 
Le guardò, e capì. E si arrabiò. 
Il suo sangue era diventato fuoco dalla furia, i suoi occhi erano spalancati dalla sorpresa e le braccia erano tese. Il cuore stava galoppando e gli occhi gli si inumidirono. Era in preda alla furia e alla pazzia. E se non voleva fare un disastro di doveva allontanare subito da quel luogo. 
Se ne andò, uscì dalla stanza adiacente alla sala esperimenti e si diresse verso le sue camere.
"Aspetta!" Lucy lo chiamò, vedendolo uscire furente, ma lui non si girò nemmeno, e continuò ad allontanarsi, sbattendosi la porta alle spalle. Lo inseguì.
"Eric, dove vai? C'è la riunione tra poco con Jeanine, non..."
Lui si girò di colpo, minacciato da quella ragazza testarda e poco assennata secondo lui. 
Le intrappolò il collo con una mano, e la sollvò da terra.
Lucy non se lo aspettava, e quando non sentì più il pavimento sotto i piedi, cercò con le mani di allentare la stretta di Eric, ma senza successo.
Le mancava il fiato, non riusciva a respirare, ed Eric non sembrava aver l'intenzione di lasciarla, cercò di tirargli un calcio, ma non lo scalfì minimamente. 
La testa le si stava annebbiando, e i polmoni le bruciavano mentre era in cerca di aria che non poteva respirare. Eric moltiplicò gli sforzi, e Lucy svenne.
La mollò li, facendola cadere con un tonfo, e andandosene senza curarsi di nulla e di nessuno. Poteva ucciderla, una goccia di sangue in più o una in meno non lo avrebbe fatto sentire meno assassino. Ma non ne aveva la forza: l'unica persona che voleva uccidere in quel momento era Liz.
 

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Capitolo 14
*** Noi diamo fuoco ***


No comment su questo capitolo. (E il titolo di questo capitolo è veramente "noi diamo fuoco"' per citare una canzone di Ed sheeran).
Ringrazio chi recensisce, chi legge in silenzio, e chi segue, logicamente.
Recensite anche sta volta e raccontatemi cosa ne pensate di questo momento, perchè questi due personaggi, sinceramente, mi stanno straziando il cuore.
Anche chi passa silenziosa, faccia un piccolo commento, siamo a un punto della storia dove viene fuori tutto l'umanità di Liz ed Eric, le loro paure, i loro desideri , e le loro speranze distrutte da una guerra. Che non apparirà mai realistica quanto lo è oggi, dopotutto stiamo parlando di un libro. Ma alcune volte ci fa bene fuggire dal nostro mondo e rincuorarci in questi piccoli momenti di dramma e romanticismo, che ci fanno vedere i lati positivi di una vita "vera". E quelli negativi.
Buona lettura
 
 
 
 
Si svegliò in una stanza della residenza degli eruditi, con addosso una camicia blu e dei pantaloni dello stesso colore: il colore degli eruditi.
Era ancora sudata a causa dello sforzo e della paura che aveva vissuto nelle simulazioni. 
Andò nel piccolo bagno accanto a quella stanza minuscola con un letto e una piccola finestra; la porta era sbarrata, aveva già provato ad aprirla.
Si lavò il viso, sfregando più che poteva per togliersi la sensazione di terrore dalla pelle. 
Da settimane non si sottoponeva al test per certificare le sue paure: erano cambiate; ora le sue paure più grandi erano legate tutte ad Eric, questo significava solo una cosa, non poteva andare avanti così, se mai fosse uscita da quel posto viva avrebbe rinunciato al ruolo di capo. Non sarebbe stata responsabile della distruzione di Eric, e nemmeno della propria.
Sentì la serratura della porta scattare, e quella stessa che pochi secondi dopo sbatteva con forza. Si asciugò in fretta il volto e si fiondo fuori dal bagno, rimanendo pietrificata sulla soglia della stanza, vedendo chi si trovava nel mezzo: Eric la guardava, ma non la stava veramente guardando negli occhi: stava fissando il suo petto, il suo stomaco: il suo ventre.
Liz, con un gesto spontaneo di protezione, portò la sua mano a coprire la lieve protuberanza, e il viso di Eric si alzò finalmente a guardarla in faccia: la ragazza poté leggerci tutto il dolore che non aveva mai visto in quegli anni scaturire da Eric: aveva gli occhi rossi, e non per la stanchezza, le braccia tese, il respiro accelerato, come se stesse facendo un enorme sforzo per trattenersi dal compiere qualcosa di terribile.
"Non te l'ho detto... Lo so, ho sbagliato." Vedeva che non le rispondeva, non cambiava espressione, e quegli occhi le stavano lacerando il cuore.
"Ma tu eri così preso dalle riunioni, io dagli allenamenti, e poi è successo tutto questo. Tu mi hai lasciata, e io..." La sua voce era debole, non riusciva a trovare le parole giuste. Aveva sbagliato, non c'erano scuse per spiegare il motivo di averglielo nascosto.
"Io non sapevo come dirtelo! Non sapevo se avrebbe cambiato qualcosa!" Non le rispondeva, e rimaneva distante da lei, sulla soglia della stanza, le mani lungo i fianchi.
"Non potevo deludere la fazione con questo fatto, il mio stato non lo conosce nessuno." Stava parlando a vanvera, come se spiegare le sue circostanze la mettesse più a suo agio, come se avesse delle scusanti.
"Lo fatto per proteggerlo!" Adesso stava urlando dal terrore. La sua più grande paura non era perdere Eric, era rivelare la verità.
Silenzio. 
Continuò ad arrampicarsi sui vetri. 
Le mani di lui si strinsero a pugno.
"Tu sapevi tutto, di questo. Le simulazioni comandate. Le vittime utilizzate come cavie. Hai cercato di aggredirmi negli uffici degli intrepidi. Mi hai preso per il collo il mattino dell'attacco agli abneganti!" Gli stava mettendo tutto davanti, tutto il dolore che lei ogni volta seppelliva per non andare ad intaccare la figura di Eric, ora tornava a galla: la verità.
"Mi hai ferito, mi hai umiliata, abbandonata, delusa!" Gli urlò contro, sfogando sentimenti repressi di mesi, e rendendosi conto ogni secondo di più dell'incoscienza dimostrata in quei giorni.
"Mi hai messo le mani addosso. Mi. Hai. Abbandonata. Con il tuo bambino nella pancia." Scandì a voce più alta.
"Hai pensato solo a te stesso. È soltanto ora mi accorgo..." Prese un respiro, era doloroso solo pensarlo, dirlo ad alta voce avrebbe significato renderlo reale, le tremava il respiro.
"Che non mi hai mai amata." 
Le mani le caddero lungo i fianchi e gli occhi le si inumidirono. 
Poi lo vide avanzare, bruciare in pochi secondi i metri che li separavano, spingerla contro il muro alle sue spalle, intrappolando le sue braccia nella presa ferrea, facendole male.
"Non è vero! Tu lo hai fatto apposta! Per ferirmi!" Stava urlando. Urlò di nuovo, un grido di rabbia liberatorio, e mollò la presa sulla sua spalla destra, tirando un pugno di fianco al suo volto, contro la parete, provocando un tonfo sordo, spaventandola, ma Liz non mosse un muscolo. 
"Perchè non mi ami?!" Urlò di nuovo. La resa dei conti. 
"Di la verità, non è mio! Con chi sei stata?!" La afferrò e la scrollò per le spalle, facendole sbattere la testa. 
Liz chiuse gli occhi, e spostò la testa di lato.
"Perché non mi hai mai amato!? Hai rovinato tutto Liz!" Continuava a sfogarsi a pochi centimetri dal suo volto. Continuava a respirare velocemente, infuriato.
"Tutto! Potevo darvi il mondo!" Non si calmava, anzi era sempre più irruente, continuava a colpire il muro.
Poì si fermò, aprendo gli occhi, che aveva chiuso per la rabbia e lo sforzo nella voce e nella forza di colpire il muro. 
Stava piangendo, con un ultimo atto di furore le prese i due lembi della camicia e glie li strappò, facendo saltare tutti i bottoni e lasciandole il petto nudo. Reclinò il capo verso il pavimento, e scivolò a terra, sulle ginocchia. Le mani gli scivolarono lungo i fianchi di lei fino a fermarsi sul leggero rigonfiamento della pancia. 
Liz non aprì gli occhi, continuò a tenere il viso rivolto verso l'altra parete. Se doveva porre fine a tutto, non lo avrebbe fermato: sarebbe stato una sua scelta. 
Le mani di Eric le accarezzarono il ventre, mentre la sua fronte si appoggiava alla pancia di Liz, e lei per un momento pensò che stesse ridendo. 
Ma ben presto capì di aver frainteso: singhiozzava. Sentiva le lacrime sul suo stomaco, sul suo ventre. Le mani di lui si aggrapparono  sui fianchi di lei, per avvicinarla di più.
"Scusami!" Diceva lievemente tra un singhiozzo e l'altro. E lo ripeteva.
Liz non riuscì più a trattenere le lacrime, e si appoggiò definitivamente alla parete, reclinando la testa verso il soffitto, e spostando le sue mani che si erano appiattite contro il muro, intorno alla testa di Eric, tra i suoi capelli, accarezzandolo, cercando di calmarlo, ma nemmeno lei potè reprimere i singhiozzi. 
La strinse di più a se, continuando a scusarsi, continuando a piangere, accorgendosi della realtà: aveva distrutto tutto: le fazioni, le persone, il loro governo, Elise, Marlene, la sua vita, il suo futuro, il loro amore, la loro famiglia.
Liz si chinò al suo livello, inginocchiandosi, e prendendo il suo caro viso tra le mani, e asciugandogli le lacrime con i pollici, cercando di farlo tornare in se,
"Eric, mi dispiace." Era sincera, le dispiaceva, di averlo fatto soffrire.
Aveva il respiro accelerato, i singhiozzi erano scomparsi, gli occhi erano ancora rossi e aveva smesso di piangere. 
Lei no: vederlo in quello stato l'aveva terrorizzata. Nemmeno lui vedeva un futuro per loro. 
Portò il viso di lui sul suo petto per abbracciarlo ancora di più, e Eric si fece trasportare, e si sdraiarono sul pavimento. Quando il suo respiro si fu calmato, e il cuore tornò a battere normalmente, si alzò da terra, e fece alzare anche Liz. 
Le sistemò la camicia in modo che non si vedesse la sua pelle nuda. Le accarezzò la guancia, e lei, bisognosa di quel contatto, reclinò la testa verso la sua mano, per prolungare il gesto. La guardò, e si accorse di averla persa quando quella sera aveva accettato il patto con Jeanine, non quando lei aveva deciso di non seguirlo.
Le sistemò una ciocca rossa dietro l'orecchio
"Addio Elise. Sarai sempre nei miei pensieri, perché sinceramente non so se ho un cuore." E con questo si mosse verso la porta, aprendola e uscendo, senza girarsi, lasciandola li con più dubbi che certezze. Con più dolore che delusione. Con il cuore spezzato.
 

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Capitolo 15
*** Scosse di dolore ***



Buona sera! Oggi il capitolo si concentra sulla nostra Liz, e su quello che deve succedere, perché dopo tutto questo tempo passato nella sede degli eruditi dovrà succedere qualcosa!! 
E il nostro Eric non può, e dico proprio " non può" abbandonarla in un momento di bisogno, come quello di essere in territorio nemico. 
Bisognerà aspettare ancora un po' per un addio decente, e serio! 
E quindi torna Super Eric alla riscossa a salvare la damigella in pericolo, ma che sia chiaro: Liz non è affatto una damigella! Alla fine, lo so già, anzi, ne sono sicura, si salverà da sola. Chi fa da se... 
Vi ho confuse vero?? Bene così commenterete, mi manderete a quel paese, e recensirete perché voglio tante opinioni!!!! 
Buona lettura...
 
 
 
 
 
Di nuovo. Le era crollato tutto addosso. Di nuovo.
Lei continuava a costruire quella realtà, lei continuava a inventarsi quei castelli di vetro, che immancabilmente Eric le distruggeva, sgretolandoglieli addosso.
Lei era l'unica colpevole della sua stessa sofferenza. Non doveva incriminare Eric, non doveva odiarlo, non ci riusciva nemmeno.
L'aveva guardata con odio, con disprezzo. E poi si era lasciato andare alla disperazione, al dolore. 
L'aveva lasciata sbigottita, intimorita, stupita: lui più di lei stessa aveva capito cosa significava, cosa avevano distrutto con le loro mani e le loro azioni: una vita insieme, una famiglia.
Il loro sogno mai espresso.
O almeno per lei non era mai stato una priorità: la carriera lo era stata, e ora, a guardarsi distesa per terra, con il viso tra le braccia raccolte, a piangere e singhiozzar, si ritrovò a pensare quanto è effimera l'ambizione di una persona, e quanto era reale il sentimento che provava per Eric. 
Non aveva idea di che ore erano, ma quando sentì la porta cigolare mentre si apriva, capì che era ancora l'ora di interrogare per gli intrepidi traditori.
Lucy entrò nella stanza e si chiuse la porta dietro di se.
Non voleva veramente farlo?!
Iniziò a camminare molto lentamente lungo il perimetro della piccola stanza, fissando il corpo indifeso di Elise disteso al centro del pavimento. 
Il viso era nascosto dai capelli e dalle braccia, e non si era mossa di un millimetro dalla sua posizione a terra.
Non la stava guardando in faccia, e Lucy non lo accettava. Accelerò il passo raggiungendola, la prese per i capelli e la costrinse ad alzare la testa. Liz si fece sfuggire un lamento, per la fitta che le percorse la schiena.
"Mi hanno detto che Eric è stato qui. Io e te Liz dobbiamo mettere le cose in chiaro." 
Strinse di più la presa sui capelli, costringendola a guardarla negli occhi dalla posizione semi sdraiata in cui si trovava mentre lei non si era chinata nemmeno di pochi centimetri. 
Liz si morse dall'interno della bocca la guancia, per non far scappare nemmeno un lamento, per non rispondere al gesto, per non attaccarla. Non era nel pieno delle sue forze per uno scontro con Lucy.
"Smettila di attirrarlo a te. Lo stai compromettendo. Lui e Jeanine sono allo stesso livello in questa rivoluzione, ma tu lo stai mettendo a rischio: molto presto l'erudita deciderà di toglierlo dai piedi e Eric non potrà nascondersi dietro la sua maschera di vetro e indifferenza." Prese un respiro, e si avvicinò al suo orecchio, per sussurrarle un segreto, una confessione.
"Perché tu sei qui. Tu sei il suo punto debole." 
Con l'altra mano libera le accarezzò la guancia, e Liz si irrigidì a quel contatto. Cosa aveva in mente? Perchè le stava dicendo quelle cose? Perchè quel gesto? 
"Ti ama troppo, ma non sei giusta per lui." Si abbassò ancora di più.
"Risolverò la faccenda." Sussurò, mentre le tirava ancora di più i capelli, facendola urlare. 
La fece girare a terra, portandola con la pancia in sù.
"E la prima cosa che devo risolvere è lo stupido errore che ti tieni nella pancia!" E le assestò un calcio a livello dello stomaco.
Tutta l'aria che Liz aveva nei polmoni le uscì a causa del colpo, e le lacrime le salirono agli occhi già rossi per lo sforzo delle ore precedenti.
Un altro calcio, e Elise cercò di difendersi mettendosi in posizione fetale, coprendo il ventre. Il suo bambino, la sua creaturina. 
"Brutta puttana!" Le urlò contro, assestando altri calci per costringerla a spostare le braccia messe in difesa del ventre. 
Sentì uno scricchiolio quando le diede un colpo molto più potente sulle mani: le aveva di sicuro rotto qualche dito.
"Tu hai rovinato la sua vita, la mia! Ero stai cercando di rovinare i nostri progetti! Stronza!"
Di nuovo la colpì in faccia, ed Elise non riusciva più a sentire i colpi, il suo corpo era diventato insensibile al continuo dolore, e la testa le si stava annebbiando. Doveva urlare. Almeno qualcuno sarebbe venuta a fermarla, dopo tutto sarebbe ancora servita a Jeanine come cavia, non l'avrebbe lasciata morire pestata da una sua marionetta.
Un altro calcio la stava per colpire al ventre, ma Elise fermò e intrappolò in tempo la caviglia di Lucy, e la tirò verso di se con tutta la forza che aveva nelle braccia, ignorando le lacrime e le fitte di dolore alle mani, facendola cadere. 
Lucy venne presa alla sprovvista e si ritrovò stesa per terra con Liz a cavalcioni su di lei . Uno schiaffo le raggiunse il viso, sul lato della cicatrice.
"Non sono mai stati vostri, non c'è mai stato un voi. È sempre stato solo lui! Apri gli occhi Lucy, nessuno potrà mai stare con te, con una stronza e traditrice." 
Sibilò Liz all'orecchio di Lucy.
Non poteva dirle quelle cose, non doveva! La prese per il collo, liberandosi le braccia dalla presa debole di Liz, e si scambiarono i posti. 
Strinse ancora di più la presa intorno all'esile collo bloccandole le vie respiratorie, e Liz terrorizzata iniziò a urlare, con l'ultimo fiato che le rimaneva. La vista le si annebbiò ma vide appena in tempo la ragazza bionda essere presa per le spalle e buttata in un angolo della camera, prima di perdere i sensi, e di tornare a respirare.
 
 
 
 
 
Si svegliò di soprassalto, come da un incubo, per un rumore. 
Una fitta alla nuca le ricordò il piccolo scontro che si era tenuto tra lei e Lucy nella stanzetta che loro chiamano "cella". Ma per favore! Se quelle erano delle celle allora cosa era il dormitorio degli iniziati? Ergastolo all'inferno? 
Era legata. Di nuovo. Nel laboratorio dove si era risvegliata durante la prima iniezione di quel veleno della paura. 
Il tavolo di metallo era freddo e la pelle nuda lasciata scoperta dalla tunica azzurra che le arrivava appena a metà coscia non alleviava la sensazione di gelo nelle ossa.
Il rumore che l'aveva svegliata continuava persistere. Era alla sua sinistra, girò il capo per capire cosa fosse: Jeanine stava armeggiando con un macchinario con dei fili molto lunghi, che lo collegavano con il computer, con un altro macchinario e poi i fili raggiungevano il tavolo, e le circondavano i polsi, al di sotto delle manette che la tenevano legata.
"Ben svegliata! Oggi andremo avanti con degli esperimenti. Questa che vedi è una macchina che i fisici sperimentali usano di solito per studiare i campi elettrici, per caricare un conduttore scarico e studiarne i vari fenomeni."
Aveva smesso di armeggiare con il macchinario e le si era avvicinata, con in mano quello che doveva essere una specie di telecomando. Il suo solito sguardo da saputella saccente, il solito perfetto tailleur blu erudito e i capelli corti e raccolti in uno chignon, la rendevano perfetta e ordinata: terrificante.
"Voglio vedere quanto la divergenza può esserti utile al di fuori di una simulazione, e quanto il feto possa rimanere attaccato alle pareti del tuo utero: ne hai passate molto Elise, ci deve essere qualcosa di anomalo per spiegare il perché del tuo stato ancora al sicuro."
Liz comprese cosa voleva fare, e il suo cuore iniziò a battere all'impazzata, il sangue a ribollirgli nelle vene. "Tu sei pazza! No!" Iniziò a divincolarsi con forza, sentendo la carne dei polsi tagliarsi sotto la pressione delle manette. 
"No! Sono incinta! Non farlo! No!" Insisteva, guardava a destra a sinistra, con la speranza di trovare qualcuno che capisse cosa stava succedendo, cosa le stava facendo: voleva uccidere un bambino innocente! Cercava qualcuno con un cervello in mezzo a tutti quegli scienziati che fissavano Jeanine e i loro computers senza muovere un dito. Cercava Eric! 
"Ti prego Jeanine no! Ti prego!" 
"Un intrepida che prega. Questa è nuova per sino per me!" E girò la manovella del telecomando. 
E Tutto il corpo di Liz fu percorso da spasmi allucinanti, che le fecero irrigidire e contrarre i muscoli, chiudere gli occhi, serrare la bocca, sentendo i denti digrignare. Le braccia erano tese e le mani si chiudevano a pugni, conficcando le unghie nei palmi.
La scossa terminò dopo 10 secondi, ma Liz non se ne era nemmeno accorta del tempo che passava.
"Come ti senti?" Le chiese garbatamente. 
Liz stava sudando, aveva il fiato e per la paura le lacrime agli occhi per la paura: era terrorizzata. E non rispose.
"Direi che se hai l'energia per opporti, possiamo andare avanti ancora per un po'. Con più potenza."
"No!" 
Ma era troppo tardi, Jeanine aveva già girato la manopola, in una posizione più alta.
Questa volta l'ondata fu così violenta da mozzarle il fiato, fermandole l'urlo di terrore che stava per emettere, facendola tremare visibilmente sul tavolo di metallo.
La scossa terminò, stavolta dopo 20 secondi.
"Come ti senti?" Le richiese, sempre con quella stupida voce da infermierina.
Le lacrime ormai scendevano senza controllo. Ma la voce di Liz non era incrinata. Tremava, non riusciva a controllare i muscoli, le articolazioni, le dita, muovendole, erano a scatto.
"Non sono ancora abbastanza fritta, se vuoi aumentare ancora un po, la cottura sarà perfetta." Balbettò, visibilmente sotto sforzo.
Jenaine era sul punto di rigirare l'accensione, ma la porta del laboratorio sbattè contro la parete, e un Eric più che infuriato entrò nella stanza, avvicinandosi al tavolo metallico e guardando la scena. Non ci pensò due volte e liberò i polsi di Liz dalle manette, cercando di tenerle ferme le mani, che non gli permettevano di aprire le manette con facilità a causa del forte tremore.
"Basta, è finita Liz, calmati." Sussurrava, mentre le accarezzava le braccia e poi il collo e dopo il viso, come farli rivivere, far riscorrere il sangue. La prese tra le sue braccia, fissando Jeanine
"Non avevamo finito di interrogarla. Usa i tuoi alunni come cavie, non i miei prigionieri." E con questo se ne andò, uscendo dalla stanza, lasciando li Jeanine sorridente, in qualche modo aveva ottenuto anche sta volta una vittoria verso il capo fazione. E aveva la dimostrazione che il suo presentimento era giusto: il punto debole di Eric c'era, e lei lo aveva a portata di mano.
 

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Capitolo 16
*** Volere e Dovere (parte I) ***


Grazie a chi ha commentato lo scorso capitolo! 
Ho deciso di dividere questo in due parti perché ho voluto approfondire di più lo stato psicologico di Elise: una ragazza di 19 anni, madre, innamorata, in lotta contro il mondo, la sua vita appesa a un filo sottilissimo e impotente davanti alla realtà dei fatti: la consapevolezza di non poter avere una vita normale, una famiglia unita. Dovevo darle un po' di spazio! 
In questo capitolo si vedrà una prima parte del colloquio tra Liz e Eric. Una prima resa dei conti.
Nel prossimo... Chi lo sa! 
Mi raccomando recensite in tanti! 
Buona lettura
 
"Sono troppo stanca per ripetere quello che ho già detto" disse Liz, sgranchendosi il collo e alzando un braccio verso il soffitto per avere un po di sollievo. 
Saranno state almeno quattro ore che era chiusa dentro quello stanzino seduta davanti a un tavolo, a rispondere alle stesse, dannatissime domande.
Erano già tutti andati a dormire secondo lei. Non c'era più nessuno al di là del vetro nero.
Eric la fissava, seduto dall'altra parte del tavolo, dando le spalle alla parete e il volto verso lo specchio della sala antecedente.
Le mani erano appoggiate sul tavolo, una aperta e l'altra a reggergli la testa.
"Andate a dormire presto voi intrepidi traditori." Disse giocherellando con le dita, che fortunatamente non erano rotte. 
Il ragazzo decise di ignorare completamente l'ultima frase che Elise aveva appena pronunciato.
"E io sono stanco di farti le stesse domande. Propongo un patto."
Lo guardò negli occhi, lo scrutò per vedere quale inganno ci potesse essere sotto. 
E poi si convinse: sarebbe stato almeno meno noioso.
"Ti ascolto."
Eric cambiò posizione, allungò le gambe al di sotto del tavolo e incrociò le braccia sul petto, assumendo una posa rilassata e scomposta sulla sedia.
"Tu mi dai una risposta e io rispondo a una tua domanda ogni volta che lo farai."
"Chi ti dice che io voglia sapere qualcosa da te?" Chiese, spostando il corpo in avanti e appoggiando le braccia sul tavolo.
"Intuito"
"E tu ti fidi sempre troppo del tuo intuito."
"Non sbaglia mai." Disse pacato, come se fosse una cosa naturale
"Questa è una cosa che odio di te." 
"Una?" Era offeso. 
Liz pensò che era troppo spassoso, ma non rise, la situazione non era delle migliori: l'aveva appena salvata da una frittura insieme a Jeanine e per ora ci era andato piano.
"Perchè ti sei alleato con lei?"
"Me lo ha chiesto e io da gentile intrepido quale sono, ho risposto di si. E in quel momento era la scelta giusta."
"E adesso?" 
Il silenzio calò di nuovo nella stanza, e Liz lo fissò in quegli occhi di platino, alla ricerca di un barlume di umanità, cercando di scavalcare il suo solito muro di indifferenza che erigeva anche con lei ormai da anni, da quando si erano conosciuti. Poche volte era riuscita a farlo cadere. Ma l'ultima volta che era successo l'aveva spiazzata: non se lo sarebbe mai immaginato. Ed era successo solo poche ore fa.
"È la scelta giusta ancora adesso." Rispose, con voce grave, fissandole il ventre.
Automaticamente Liz portò una mano in segno di protezione, abbassando lo sguardo.
"Tocca a me." Si sedette composto, portando le braccia sul tavolo e unendo le mani.
"Chi è il capo degli intrepidi leali?" 
Di nuovo quella domanda. Ormai non ci rimetteva nulla a rivelarlo: torturarla l'avevano torturata, del bambino avevano saputo, non aveva nulla da perdere che non fosse già a rischio.
"Sono io. "
"Perchè ti sei offerta? Non hai mai ambito al ruolo."
"Sbaglio o era una domanda ciascuno?" Disse scocciata.
"Hai ragione, tocca a te."
"Perché mi hai salvata? Perché prima mi hai detto addio, se ora siamo seduti qui a chiacchierare?!" 
La sconcertava non poco questo fatto. E la sua reazione all'esperimento di Jeanine: l'aveva lasciata sorpresa. E di nuovo quel maledetto sentimento di debolezza e di incoscienza le inondava il cuore e la mente: speranza.
"Prima non è successo nulla. Dimenticalo. Perché io l'ho già fatto"
Un altro petalo che cadeva, un altro frammento di cuore che si staccava. 
Le aveva sputato in faccia la verità, nuda e cruda.
"E se ti friggevano il cervello, non avrei avuto più modo di interrogarti."
Giusto! Sempre molto pragmatico! 
"E non accetto che quella pazza ti tocchi. Fino a prova contraria sei mia." 
Silenzio, Liz non gli risponde, ma lo guardò allibita.
"Mia prigioniera." Rettificò lui.
E quel pezzettino di cuore che si era staccato da Liz, tornò in un lampo al suo posto, re incollandosi! Ma Liz non diede vedere il suo rossore per la dichiarazione del ragazzo. 
Cavolo! Era un intrepida! Quella cavolo di 'speranza' la faceva sembrare fatta di chissà quale sostanza dei pacifici.
"Contenta?"
"Si molto! Hai fatto una domanda ora tocca a me!" Fece Liz, vedendo il viso di Eric contrarsi in una smorfia interrogatoria, per poi passare subito a quella sua espressione cupa e strafottente, accorgendosi di essere stato appena fregato.
"Cosa intendevi la mattina dell'attacco agli abneganti coll'andare al di là della barriera? Oltre i campi dei pacifici non c'è nulla. Lo so. Ci ho vissuto!" Quella era una domanda che la tormentava da un po, una pulce nell'orecchio.
"Perchè esiste una verità al di là di quella barriera, che non deve essere rivelata alla nostra società. Crollerebbe tutto."
"Perché? Non è già crollato?" 
Le uscì involontaria quella frase, in un sussurro strozzato.
"Una domanda. Tocca a me." 
Tornò ad appoggiare la schiena e ad allungare le gambe al di sotto del tavolo. 
Liz non si sentiva a suo agio con addosso solo quella casacca blu che le arrivava a metà coscia, ma diciamo che non aveva avuto tempo di cambiarsi con qualcosa di più adatto per un interrogatorio di mezzanotte con il suo ragazzo traditore.
"Perchè sei capofazione?"
"Me lo hanno chiesto e io , da gentile intrepida che sono, ho risposto di si." Disse, ripetendo le esatte parole che aveva usato lui prima.
"Potevi dire di no."
"Questa non è una domanda."
"È un dato di fatto." 
Calò il silenzio. Non aveva avuto motivo di dire di no agli intrepidi: la fazione prima del sangue.
"Quante persone hai ucciso?" Voleva chiederglielo da quando le voci erano iniziate a girare, dalla notte della battaglia in strada. Dalla morte di Marlene.
"Non le ho contate."
"Bugiardo!" Sbattè le mani sul tavolo di metallo, ma Eric non fece una piega, e rimase rigido e serio, con gli occhi socchiusi, fissandola.
"Ero consapevole di quello che facevo e per cosa lo facevo. Per la nostra causa. Non devi sapere di più." Rispose risoluto.
Elise ammutolì e decise di non insistere, più per paura della verità che della reazione che avrebbe potuto avere Eric.
"Chi avete contattato dai pacifici una settimana fa con il trasmettitore dei capifazione?"
"Io faccio domande più interessanti!" 
Elise iniziò a giocherellare con le dita, non curandosi dello sguardo più che stufo e frustrato del ragazzo.
"È un patto, non una gara. Rispondi."
"Johanna, avevo bisogno di parlare con lei." 
Liz si stava innervosendo, iniziò a stringere le dita intorno alle sue braccia, per controllarsi.
Non stava mettendo a rischio nessun piano degli intrepidi, non stava tradendo.
"C'è un alleanza tra voi e i pacifici?"
"Una ragazza con il cuore spezzato non può chiamare sua madre!?" Disse scocciata, puntando i gomiti sul tavolo di metallo. 
Eric non fece di nuovo una piega.
"E come sta Johanna, saranno mesi che non la sento. Non mi ha mai potuto sopportare." Disse, incurante della reazione della ragazza.
"Dimmi, Eric, c'è qualcuno che ti sopporta?" Disse a denti stretti, guardandolo in cagnesco.
"Tu, Elise" 
"Hai fatto la tua domanda, vado avanti io." Disse risoluto.
"Vai a farti fottere!" Gli urlò contro, e indietreggiò con la schiena, allontanandosi il più possibile dal bordo del tavolo. 
"Perchè sei qui?" 
Il silenzio in quella stanza era assordante. 
Perchè Liz era lì? Non lo sapeva nemmeno lei. O almeno, si lo sapeva.
Gli occhi di Eric stavano scrutando qualsiasi suo movimento.
"Perchè dovevo salvare Quattro e Tris." Quella era la verità.
"Non si erano offerti altri?" Questo gioco stavano diventando noioso, e il nervoso che Liz era riuscita a soffocare stava di nuovo prendendo il sopravvento.
"No. Solo io so sparare da quella distanza. E mi sono accorta che non stai rispettando le regole del patto." 
Lui alzò la mano e fece un gesto, come per dirle di parlare allora e di fargli la sua domanda.
"Ti ricordi la sera della festa della memoria per la guerra delle generazioni precedenti?"
Dove voleva andare a parare? Eric socchiuse gli occhi, come per intimorirla, per metterla all'erta, lui non era lì per perdere tempo.
Ma poi nel ripensare a quell'evento, un ghigno si formò sul suo viso. E stette al gioco.
"Eri così arrabbiata! Per una stupidaggine." 
"Era un fatto di onore! Non potevi entrare nella mia ora di lezione agli iniziati e pretendere di insegnare qualcosa del corpo a corpo usandomi come manichino. Mi avevi umiliato. Non era una stupidaggine."
"Ma poi durante la festa di quella notte, mi avevi perdonato." Sussurrò, rievocando dolcissimi ricordi.
"Mi hai convinta per inerzia. Anzi! Non mi hai dato la possibilità di allontanarti."
"Ciò che voglio, io lo prendo, non chiedo." Rispose Eric. 
E un brivido di paura percorse la schiena di Liz: anni insieme riassunti in un unica frase.
 
 
 
"Dov'è Eric?" Chiese Marlene, urlando al di sopra della musica assordante che rimbombava nel pozzo.
"A farsi fottere!" Le rispose con stizza. 
Era tutta la sera che Liz era intrattabile, e persino per Marlene era impossibile farle godere la festa e dimenticare quello stupido incidente nella sala degli allenamenti.
"Speriamo di no! Se no dovrai trovarti qualcuno all'altezza per rispondergli a tono!" 
"Marlene!" La rimproverò Liz. 
Non voleva parlarne, anche perché se no sarebbero rimaste nella sua camera, e non sarebbero andate alla festa. Ma Liz non voleva proprio discuterne, sfogarsi. Glie l'aveva fatta grossa Eric.
Ma cosa cazzo pensava quel ragazzo? Che era l'unico per Liz? Ce n'erano molti che facevano la fila per la sua amica. 
Vide un movimento sospetto nel cunicolo della balconata su cui si trovavano in quel momento lei è Liz, e riconoscendo il colore di quei capelli, decise di allontanarsi un attimo dalla sua amica.
"Liz arrivo subito. Vado a prendere da bere. Tu... Non ti buttare giù, va bene? Perché vista la quantità di gente che balla sotto di noi, non ti faresti nulla, attutirebbero il colpo, ok?" 
E si allontanò, strappandole un sorriso: il primo della serata.
Si infilò nel cunicolo, e vide la sagoma di Eric illuminata dalle luci al neon.
La musica lì per fortuna permetteva di parlarsi. O forse per sua sfortuna.
"Cosa cazzo vuoi Eric ora?" Lo spinse contro il muro, e lui si lasciò spostare. 
Di certo Eric non si sarebbe mai osato rispondere a Marlene, la rispettava, era la migliore amica di Liz, ed era una grande intrepida, e una buona compagnia. 
Marlene si accorse del gesto di Eric, di non rispondere. Finalmente stava imparando qualcosa.
"L'ho combinata grossa vero?" 
"Grossa? Vengo a farti il culo a strisce durante una riunione dei capi, e poi vediamo come reagisci!" 
"Lo aiutata negli allenamenti altre volte, non si è mai arrabbiata così." 
"Non ė la stessa cosa, e tu lo sai! Che cosa stai facendo? Era una vendetta? Per qualcosa che è successo tra di voi?" Gli puntò il dito contro, ma Eric non indietreggiò e assotigliò lo sguardo.
Guardò Marlene, e poi spostò i suoi occhi al di fuori del tunnel, vedendo Liz con i gomiti appoggiati alla ringhiera, le spalle giù, il viso reclinato, i capelli rossi e lisci che le arrivavano a metà della schiena lasciata nuda dal vestito. 
Era proprio un coglione.
Marlene notò il suo sguardo, e prese un lungo, ma lungo respiro.
"Deve decidere lei se riprendersi una testa di cazzo come te. Ma falle ancora una volta una cosa del genere, e non ti farò solo il culo a strisce. Non umiliarla più. È un intrepida, più di me e di te messi insieme. È fiera, e tu hai cercato di umiliarla per ripicca. Cerca di crescere." 
Eric si trattenne, piantò le sue unghie nei palmi per soffocare lo scatto di ira che quelle parole avevano acceso in lui. 
Come si permetteva! Chi era lei per parlargli così?! 
Chiuse gli occhi, e quando li riaprì, Marlene era già al fondo del tunnel. 
Con tre respiri profondi, riottenne un barlume di calma, e si avvicinò alla balconata.
Appoggiò le mani sulle spalle nude di Liz, sentendola tremare al suo tocco.
Cercò di allontanarsi da lui, ma la fece girare, e la intrappolò tra il suo petto e la ringhiera. 
"Mi dispiace. Sono uno stupido. Per favore perdonami, per quello che ho fatto." 
Lo disse in un unico sussurro, continuando a guardarla nei suoi occhi azzurri, arrossati e truccati di viola. 
Non gli rispose, e sentiva che stava tenendo il respiro.
Il suo sguardo cadde sulle sue labbra scarlatte,e Liz non potè non notarlo, e come al solito, lo perdonò. Non lo allontanò, ed Eric bruciò gli ultimi millimetri tra di loro.
E la baciò, con intensità. Come ebbro del suo ossigeno, bisognoso del suo tocco, della sua bocca. 
Liz si lasciò andare e aprì le labbra approfondendo il bacio, afferrando Eric per i capelli con una mano, mentre l'altra gli circondava il collo, spingendolo ad approfondire ancora di più il bacio.
Si sentì un boato al di sotto di loro, che sorpassava l'eco della musica in tutto il pozzo. 
Si separarono e guardarono giù. 
Tutti gli intrepidi stavano fischiando e urlando nella loro direzione.
Liz non poté non sorridere divertita da quella stupida reazione da parte della fazione. Si girò verso Eric e lo guardò.
"Promettimi che non mi ferirai mai più così." Gli disse, continuano a tenerlo stretto a se.
"Te lo prometto"
E suggellò quel patto con un altro bacio, ancora più spinto, più profondo.
E il pozzo venne giù di acclamazioni.
Intrepidi! 
 
 
"Cosa c'entra adesso?"
"Mi avevi umiliata, e io ti avevo perdonato. Perché ti amavo. Non avrei sopportato di starti lontano. Ora è diverso."
"Cos è cambiato?" Eric lo sapeva che era una domanda azzardata. La Risposta era scontata, anzi aveva una miriade di risposte sensate che potevano rispondere a quella stupida domanda.
"Non c'è più Marlene a pararti il culo." Sussurrò, e non poté non farsi sfuggire una lacrima. Riportare a galla quei ricordi era come mettere un dito in una ferita fresca. 
Liz stava lentamente perdendo terreno. E la testa. Non sapeva dire a cosa avrebbe portato quella chiacchierata, quella resa dei conti: non era sicura di nulla. Nemmeno di cosa era giusto e di cosa era invece sbagliato.
In quel momento voleva tornare alla notte della festa, alla sua adolescenza.
Riottenere un pretesto per ritornare a essere irresponsabile. Quando il nero e il bianco erano solo una sfumatura.
Ma non era ancora finita, e lei pian piano stava sprofondando, oppressa dal dolore di fare quello che era giusto e dal desiderio di seguire quello che era sbagliato.

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Capitolo 17
*** Toccami come tu solo sai (II parte) ***


 
Ragazze, il titolo è una promessa! 
Questo capitolo è stato scritto almeno quattro volte, e avrò circa tre versioni diverse, ma alla fine ho deciso di pubblicare questa. Perché è la mia preferita! 
Non voglio aggiungere di più, perché voglio sentire cosa ne pensate voi!
Recensite in molti!! 
 Buona lettura!
 
Ps: Lo so che questi ultimi capitoli sono stati molto tristi, ma non riesco ad uscire da questo tunnel  senza luce che è la vicenda di Eric e Liz senza qualche lacrimuccia, o almeno non si può proprio. Esprimete la vostra idea: troppo triste o è la giusta dose di tristezza? 
 
Eric ammutolì, e non rispose. 
Marlene. 
Una delle sue colpe. 
Quanta gente che conosceva era morta, e quanta era ancora viva. Non riusciva a contarle, e non riusciva a ricordarsi Marlene. 
Aveva la sua età. 
È ora non c'era più.
Aveva degli amici, che ora piangevano la sua morte.
E Liz era una di quelle. Zeke, Quattro, Jack...
Un fulmine a ciel sereno, che lo fece riscuotere dal momento di distrazione, e che senza calibrare le parole, gli fece fare una domanda troppo azzardata, persino per lui.
"Lo ami?" 
Quella domanda spiazzò Liz. 
Lo sguardo di Eric la stava bruciando. 
Stava parlando di chi? 
"Non ho capito bene la domanda, più che altro l'oggetto." 
Spostò i piedi nudi il più lontano possibile dagli anfibi del ragazzo, al di sotto del tavolo. Non voleva toccarlo.
"Ami Jack?" Ripeté di nuovo, scandendo una per una le due parole. 
Il suo sguardo non si era spostato un istante dal viso della ragazza.
"Cosa hai visto?" 
Liz capì che pur avendo ripulito la sede dalle telecamere, non erano mai stati al sicuro completamente. Li spiavano ancora. Ma poteva ritenersi soddisfatta che dopo l'esplosione del laboratorio la notte della liberazione di Quattro, gli eruditi si sarebbe fatti gli affaricci loro! 
Il bacio con Jack, ecco qua l'era il problema. Quello negli uffici dei capi fazione. 
Eric era geloso? Di Jack?
Non le rispose.
"Per un bacio Eric? Tu e la troietta avrete fatto molto, molto di peggio!" Rispose con voce acida, ridendo sull'ultima parte della frase, e cambiando direzione dello sguardo, fissando le pareti della stanza, per non far notare gli occhi arrossati dal nervoso. 
Voleva fare il geloso? Per cosa? Un bacio? Non era più sua, aveva smesso di avere l'esclusiva quando se ne era andato, ma la faceva divertire il fatto che pensasse di averla sempre avuta. Lei era libera, forte, indipendente, e per la propria sfortuna, innamorata cotta di quello stupido capo fazione senza cervello nella sfera sentimentale.
"A me sembrava più di un bacio. Almeno era bravo?" Insisté lui. 
"Alcune volte penso che dietro quei muscoli e quel ghigno non ci sia altro. Fatti furbo!" 
"Non hai risposto alla domanda."
Lo guardò, con sguardo scazzato. 
E diamogli anche questa soddisfazione!
"No. Non lo amo. È come un fratello per me. "
"Poveretto. Però questo non glie lo dire, perché lo castreresti!"  
Di nuovo quel ghigno.
"Se tu tiri fuori quel discorso, io inizierò a farti domande su quella troietta. Anzi, non voglio sapere nulla, c'è un limite alla mia pazienza."
Fece per alzarsi, ma fu bloccata dalle manette che le tenevano il polso destro legato alla sedia. Se ne era scordata dopo tutte quelle ore di 'chiacchiere'.
Sbuffò, scocciata ancora di più quando vide tirarsi un sorriso sul volto di quello stronzo.
Eric le mostrò la sua mano, alzandola dal tavolo.
"Calma i bollenti spiriti, piccola. Voglio sapere ancora delle cose da te."
Lei si risedette.
"Max. Dimmi di Max."
"Non è una domanda!" Disse Liz con foga, gesticolando quanto poteva, limitata dalle manette.
"Sta zitta, e rispondi."
Sbuffò, contrariata, ma dopotutto, voleva sapere ancora delle cose da lui. E stette al gioco.
"Mi puntava una pistola addosso, mi avrebbe ucciso. E dovevo concludere la mia missione."
"L'avevi già conclusa. Mi stai dicendo che il tuo obbiettivo era un altro?"
"Ero intrappola Eric. Cosa avresti fatto tu, come ultimo atto di pazzia, per vendetta?" 
Lo sguardo di Liz mutò, e guardò Eric con astio e disgusto: perché non capiva? Perché le stava facendo delle domande così stupide? 
"Ho visto la registrazione di quella notte."
"Quanti filmini vi guardate qui alla fazione. Spero che rimaniate nei canoni della decenza. Ma da Lucy mi potrei aspettare di tutto."
Eric non rispose alla provocazione, e non si mosse. Si limitò a serrare la mascella e a irrigidire i muscoli del volto.
"So che quel bacio non significava nulla. Lo hai distratto, e poi gli hai sparato. Crudele come gesto, persino per te. E ora..."
Si raddrizzò sulla sedia, e allungò le mani sul tavolo, per avvicinarsi ancora di più a quelle di Liz, che soppresse l'istinto di allontanarsi. Le afferrò i polsi, e li strattonò, voltandole le mani a palmi in su. Le procurò una fitta allucinante al polso legato alla sedia: il metallo le si conficcò nella carne.
"Vuoi che ti faccia vedere la realtà? Quanto le tue mani gocciolino del sangue che hai versato? Vuoi che inizi a contare le vite che hai strappato?"
Quella frase la colpì come una svecchiata di acqua gelida: le orecchie della ragazza iniziarono a fischiare, gli occhi si sbarrarono, il respiro le si spezzò, per poi diventare corto. 
Impallidì.
"Sta zitto." Sussurrò.
"Vuoi che elenchi i nomi di quelli che hai ucciso? I motivi inutili ed egoistici?"
Eric parlava ringhiando, ma senza mai alzare la voce.
"Non sei diversa da me. Siamo uguali: forti, coraggiosi, passionali."
"Basta! Stai zitto!" Gli urlò contro, sbattendo le mani sul tavolo e sporgendosi in avanti, alzandosi dalla sedia. 
Eric si alzò con lei, spezzando il silenzio della stanza con il rumore della sedia e del tavolo che venivano spostati con forza. 
Non le mollò i polsi, anzi raddoppio lo sforzo, invitandola a risedersi, altrimenti glie li avrebbe spezzati.
Liz si lasciò ricadere sulla sedia, e si prese il viso tra le mani.
Faceva male, così male da mozzarle il respiro. Strinse la mascella, digrignò i denti, per cercare di fermare il flusso di pensieri che la stava soffocando, di zittire la sua coscienza.
"Sei un mostro! Tu mi hai costretto a questo!" Gli disse, ancora con le mani sul viso.
"Ora che lo abbiamo detto, che siamo arrivati tutte e due a questa conclusione, vuoi dare tutta la colpa a me? Fai cosa vuoi, la mia coscienza è pulita." Disse risiedendosi al suo posto, con una compostezza tipica degli eruditi.
"Pulita?" Sussurrò Liz.
"Pulita?!" Questa volta lo urlò, alzando il viso e sbattendo le mani sul tavolo.
"Sin dall'inizio sapevi cosa ero, e non mi hai voltato le spalle. Non mi hai allontanato. Sei una calamita per le cose complicate Liz, sei masochista, autodistruttiva. Se ti mettessero davanti a un bivio sceglieresti la strada più difficile. Sei un disastro e c'è solo casino nella tua testa.
Io non ho mai provato a essere qualcun altro, a cambiare, non sono mai stato il tipo che finge.
Mentre tu! Tu non hai mai accettato la vera parte di te. Quella nera, realista, che ama il ragazzo sbagliato."
"Non è vero!" Urlò, come una bambina che è stata scoperta a dire una bugia.
"Sono sempre stato un ragazzo pericoloso, aggressivo, testardo. E ogni volta che ti ferivo, tu tornavi da me. Marlene non ti ha mai rispettato per questa tua scelta. Si vedeva da come ti guardava, e da come guardava me: mi odiava. Perchè ti ferivo. Ti disprezzava, perchè eri come me: un mostro, che si impone per scappare da quello che è."
"Io non sono un mostro." Disse con un respiro appena sussurrato.
"E non ti amo" la voce di Liz era monotona, senza sfumature, come se avesse perso il suo carattere, ferita da quelle parole, di nuovo al punto di partenza: ferita. 
Ma di nuovo pronta a perdonarlo se glie lo avesse chiesto. Il solito errore.
"Io non mi divoro dentro per nasconderlo, sono così. L'ho voluto io. Tu ti distruggi per sottomettere il mostro che dimora in te."
"E ti dirò di più: Noi non amiamo. Non è nella nostra natura." 
A Liz scappò un singhiozzo, come un respiro mozzato, incapace di rispondere, incapace di trattenere ancora le lacrime. 
E in quel momento non poté non chiedersi che cosa ne aveva fatto della sua vita?!
Il ragazzo si allungò sul tavolo, per raggiungerle il polso, sfiorandole il braccio, lasciandole dei dolci, ma dolorosi, brividi sulla pelle, che raggiunsero la schiena, fino al basso ventre. 
Chiuse gli occhi.
Eric passò un dito sull'apertura delle manette, che al suo contatto si aprirono, permettendo a Liz di liberarsi di quelle maledette. 
Lei si strofinò il polso dolorante, violaceo. Eric glie lo afferrò e lo massaggiò con tutte e due le mani, portandolo al centro del tavolo, e fece la stessa cosa con l'altro, questa volta con delicatezza.
Liz era confusa da quel gesto, ma il suo sguardo, il suo tocco, la discussione, il fatto di essere soli, rendevano evidente quello che sarebbe successo. Quello che doveva succedere.
"Noi ci distruggiamo, quando amiamo. E ogni volta che mi tocchi porti via un pezzo del mio buon senso, lasciandomi più simile a un animale, che a un uomo. Una bestia. Un mostro."
Quella confessione la destabilizzò completamente, dando il colpo finale alla sua capacità razionale: Eric era scoperto. Non c'era più un muro! E lei non vedeva quel mostro che insisteva a far credere di essere. 
Era indifeso, davanti a lei. E Liz non poté rifiutarlo.
Eric le afferrò tutte e due le mani, e la spinse ad alzarsi solo guardandola, accompagnandola senza mai mollare la presa sulle sue mani, le fece fare il giro del tavolo.
Con un colpo, la sedia dove era seduto scivolò all'indietro, allontanandolo dal bordo del tavolo.
La tirò a se, costringendola a mettersi a cavalcioni su di lui.
Le posò la mano sinistra aperta sulla schiena, per avvicinarla a se, e la mano destra appoggiata sulla sua guancia, accarezzandole quel dolce viso.
"Adesso, è veramente colpa tua." 
Liz lo fissò dritto nei suoi occhi color del platino, e si sentì perduta, e di nuovo a casa allo stesso tempo. Ma quel senso di inquietudine la devastava. E diede voce alle sue paure.
"Non ho mai saputo chi sono, e cosa voglio dalla vita. Ero così occupata a orbitarti attorno. Sei sempre stato il mio punto di riferimento, il mio sole. E per l'ennesima volta, hai distrutto il mio mondo perché avevo deciso di metterti da parte. E quando non ci sarai più? Sarò capace a tornare alla normalità?" 
Liz fu completamente sincera: era smarrita. Sentiva nulla. La sua coscienza era sparita. Come drogata dal tocco e dalle parole del ragazzo. Come vicina alla sua dose, dopo settimane di astinenza forzata. 
La sua mente non razionalizzava più. Forse erano più simili di quello che lei pensava: era caduta  in una specie di trans, Eric le stava facendo il lavaggio del cervello. 
Oppure le stava dicendo la verità? 
Quale era il mondo reale? Quello fatto di battaglie, guerra, perdite, dolore e sangue.
O quello con Eric, fatto di amore, pace, sicurezza. Famiglia.
"Non ne hai bisogno, io ci sarò sempre. Mi occuperò io della tua realtà. Non dovrai più pensare a cosa è giusto e cosa è sbagliato."
"Questo è sbagliato, non posso." 
Ma Elise non mosse un muscolo, non respirò e non lo fermò.
Era il suo Eric, per alcuni momenti sarebbe stato il suo Eric. Non avrebbe perso l'occasione dei suoi ultimi momenti con lui. 
La prima volta, quella notte del volo dalla finestra, non era conoscente che sarebbe stata l'ultima. Ora lo era, e il fato le stava dando un altra possibilità. Di chiuderla lì.
"Non puoi, ma vuoi che accada. E lo voglio anch'io. Lascia che decida io."
Gli prese il viso fra le mani.
"Allora distruggimi, almeno per sta notte. Amami nel modo che conosci. Toccami come tu solo sai." 
E bruciò gli ultimi centimetri tra di loro, baciandolo con ardente desiderio: le annebbiava la mente, ma i sensi erano svegli. 
Sentì Eric risponderle, leccandole il labbro superiore, intrappolandolo tra i suoi denti e tirando.
Lei gemette, aprendo appena la bocca, ma bastò perchè Eric approfondisse il bacio.
La sua lingua la invase, togliendole il respiro. 
O ridandoglielo, non ne era sicura.
La mano di Eric si spostò dalla guancia, per andare molto lentamente ad accarezzare il collo, le spalle, i seni, continuando a baciarla e a tenerla premuta contro il suo petto, raggiungendo il ventre leggermente gonfio, per poi aggrapparsi ai suoi fianchi e stringerla più a se.
"Stai cambiando, il tuo corpo sta cambiando" le sussurrò tra un bacio e l'altro.
Liz si fermò, guardandolo, riprendendo fiato. I suoi occhi erano una pozza di desiderio. Grigi scuro.
"Sei tu che ti sei abituato al corpo sbagliato."
Continuarono a fissarsi negli occhi, mentre lui spostava la sua mano sulla coscia ormai nuda di lei, stringendola e accarezzandola, la mano dietro la schiena raggiunse il sedere della ragazza, spostando la veste blu e tirandogliela su, per andare ad accarezzare la schiena pallida e liscia. La portò ancora più vicino a lui, fino a farle sentire l'evidente desiderio. 
La sentì ansimare nella sua bocca. Quel suono lo accese ancora più di prima: stava bruciando dentro. 
Liz si fiondò di nuovo sulle labbra del ragazzo,e iniziò a muoversi, provocando in Eric il punto di rottura tra autocontrollo e l'animale che era in lui. 
La sollevò appena, permettendole di appoggiarsi con le mani alle sue spalle e sfiorare il pavimento con la punta dei piedi per tenersi in equilibrio. 
Le afferrò la casacca e glie la sfilò dalla testa, lasciandola meravigliosamente nuda, con solo addosso quel minuscolo pezzo di stoffa degli sleep. Le baciò un seno, mentre con le mani partiva dal collo e le accarezzava ogni centimetro di quel corpo perfetto: le spalle, glie le baciò, il seno, la schiena, il sedere.
Insinuò un dito al di sotto dell'elastico dell'intimo e tirò, strappandolo.
La riportò a cavalcioni su di lui, e la guardò mentre armeggiava con la cerniera dei pantaloni della tuta nera e blu. 
Liz si fermò. Le mani si allontanarono dai bottoni slacciati, il suo sguardo tornò a fissarlo, come se gli stesse chiedendo il permesso. 
Eric annuì impercettibilmente. 
E Liz si sbilanciò in avanti, prendendogli il viso tra le mani, e baciandolo di nuovo, con leggerezza, senza fretta, solo uno sfiorarsi di labbra.
Gli tolse la giacca della divisa e la fece cadere a terra, facendole seguire poi la maglia nera. 
Poi si allontanò di nuovo e tornò a guardarlo negli occhi.
Eric la vide così docile, indifesa: quel corpo perfetto nudo davanti a lui, su di lui. Gli occhi azzurri come l'acqua, il viso pallido, i capelli lunghi e rossi che le ricoprivamo in parte il seno e le spalle. Sembrava fragile, come un pezzo di vetro. 
Lentamente Liz  lo baciò di nuovo, accarezzandogli la mascella con le labbra, baciandogli il collo e percorrendo il tatuaggio fino lungo il suo petto nudo, verso il suo ventre muscoloso e piatto, fino ad arrivare alla cerniera, ultima barriera.
La tirò giù e si spostò più vicino al petto di lui, mentre le mani di Eric le afferravano le ginocchia e le aprivano di più, per poi tornare una sul suo fianco, l'altra dietro la schiena di lei. Le afferrò la nuca, e la baciò profondamente, non permettendole di allontanarsi. 
Basta giochi. 
Elise si allontanò dal bacio, e appoggiandosi alla sua spalla lo possedette con dolcezza e calma.
Eric, emise un suono gutturale, stupefatto dal cambio di ruoli. Non stava più comandando.
Le afferrò i fianchi, piantandole le unghie nella carne per rallentarla e gustarsi il senso di possesso. 
Le accarezzò l'intero corpo per arrivare al viso.
Si inarcò sotto di lei, strappandole un gemito lungo. 
Lei non resistette a quegli occhi profondi e freddi allo stesso tempo, vuoti. Vuoti. Dovevano colmare il divario fra loro, e non c'era soluzione migliore.
Si avventò sulla sua bocca, portandogli le mani intorno al collo, sulla nuca, iniziando a muoversi, su e giù.
Gemette forte, afferrandola dietro la testa, infilandole la lingua in bocca, avido.
Le mise le mani sul sedere, prendendo il controllo del ritmo, approfondendo il contatto.
Liz gemette anche lei, presa dal desiderio e vicina al culmine, e il ragazzo aumentò il ritmo. 
Eric aveva perso il controllo, il respiro era accelerato, tratteneva a stento i gemiti di piacere: quei giorni di tensione, di odio per lei, di dolore e desolazione, cosciente che aveva perso tutto, che avrebbe perso anche lei, lo resero ancora più euforico.
"Sei mia. Ricordatelo sempre."
Il mondo intorno a Liz scomparve: tutte le cose orribili che aveva vissuto, tutto il dolore fisico di quei giorni e il suo cuore ferito, scomparvero. Riusciva vedere solo il volto sincero e sconvolto di Eric. 
Si avvinghiò di più a lui, affondando il viso nel suo collo e le mani sulla sua schiena forte e contratta per la tensione, in preda al desiderio. 
Gemette forte e Eric contraccambiò l'abbraccio e la strinse tra le braccia, mentre raggiungeva il culmine, appoggiando la fronte sudata sulla spalla nuda di Elise.
Gli prese la testa fra le mani, seppellendo le dita tra i capelli corti, e venne anche lei, tra le lacrime di gioia. E di dolore. 
Si lasciò andare sulle spalle del ragazzo, sfinita, esausta dall'amplesso. 
Erano stretti in un abbraccio involontario, ed Eric aveva addosso ancora gli anfibi e i pantaloni. 
Un silenzio eterno li avvolse, lasciandoli crogiolare ancora un po' nella loro sfera privata, ancora uniti.
 Alla fine Eric si ridestò, si raddrizzò e invitò con lo sguardo Liz ad alzarsi.
Era finito. Tutto finito. 
E la Gioia che aveva provato prima scoprì essere solo dolore, per l'ultimo momento di completezza che avrebbe vissuto con l'amore della sua vita, tornato freddo e distaccato. 
Eric aveva ragione: erano distrutti. 
Ma non l'uno dall'altro, ma dalla battaglia, dalle perdite, dal dolore. E Liz tornò in se, riottenne il buonsenso:
Era stata sconfitta: aveva perso definitivamente Eric. 
Ma era riuscita ad ottenere una verità. La sua unica vittoria in quella guerra dove aveva perso tutto. 
Anche se lui non se ne rendeva conto, era stato amore vero.

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Capitolo 18
*** Verso l'alto ***


Colpo di scena!! Ma non vi anticipo nulla. Mi limito a ringraziare le lettrici le ragazze che hanno recensito e che mi seguono!!
Buona lettura
 
 


Trenta minuti di silenzio. 
Quello che era successo non aveva modo di esprimersi attraverso le parole, e gli sguardi erano un gesto troppo poco significativo perché potessero dire qualcosa.
La loro presenza, in quella stanza era la cosa più concreta in quel momento, di quel l'attimo di pace strappato alla guerra.
L'avrebbero pagato caro quel tempo rubato.
Eric lo sapeva. La sua mente era in subbuglio, i suoi valori stavano vacillando per la prima volta. Il sentimento di Liz per lui era così forte da scavalcare qualsiasi dovere morale.
Qualsiasi considerazione logica per la propria vita lei l'aveva messa in secondo piano.
Era sempre stata la più forte tra loro due, Eric lo vedeva, era lampante. Ma non riusciva a concepirlo e ad ammetterlo.
Liz era sempre stata la bilancia tra le due realtà: la sua, e quella delle fazioni.
Forse la sua verità era quella fasulla. Ma era troppo tardi per cambiare idea. Ma una minima cosa poteva ancora farla. 
Piccola, ma giusta. 
Finalmente giusta.
Liz non era fatta per stare con lui. Non era realmente un mostro. 
L'aveva rovinata, infettata, ma avevano creato qualcosa di puro, da salvare.
Eric chiuse gli occhi, ispirò ed espirò. Di nuovo. 
E di nuovo.
E di nuovo.
Aprì gli occhi e guardò Liz.
E Liz si decise a tirare su gli occhi dal pavimento e a ricambiare quello sguardo vuoto con uno uguale. 
Per la prima volta, non comprese lo stato d'animo di Eric. Rimase immobile a fissarlo, aspettando si un gesto, una parola, un respiro.
Nulla.
Eric si alzò dal suo posto, girò intorno al tavolo, e dolcemente la afferrò per la spalla, invitandola ad alzarsi.
La prese per una mano e la condusse al di fuori della stanza degli interrogatori, velocizzando sempre di più il passo, allontanandosi da quella zona, attraversando corridoi, atri, piani, per poi arrivare alla tromba delle scale, e iniziare a salirli, piano per piano, ormai correndo. 
Non si sentiva nulla, se non i loro Passi e il rumore della stoffa della tuta da intrepido che si sfiorava. 
Liz faticava a star dietro ad Eric: i piedi scalzi non la facilitavano e le scale non finivano mai, il cervello era distratto da altro: dove la stava portando? Perché tanta fretta?
Ma la ragazza non proferì parola.
Più volte Eric si era dovuto girare, senza arrestare la sua corsa, per sorreggerla e invitarla con una muta richiesta a continuare a seguirlo, senza mollarle nemmeno per un istante la mano.
Arrivarono all'ottavo piano, davanti a una porta, che Eric aprì grazie al passe-partout che aveva tirato fuori dalla tasca interna della giacca della divisa, senza lasciarle la mano.
Appoggiò la chiave sullo schermo del lettore, accanto alla maniglia della porta, e la serratura scattò.
Entrarono, e Liz fu percorsa da un brivido che le rinvigorì le membra, un ondata di aria fredda la pervase e si attorcigliò intorno a lei, spettinandola e muovendole la veste.
 
Era fuori! Vedeva Chicago, vedeva le strade. Era sul tetto della sede, ed era fuori.
Si mosse per andare al di là della soglia della porta, Eric non le permise comunque di lasciargli la mano e seguì i suoi movimenti. E Liz fece un passo sul cemento freddo, avvicinandosi al cornicione.
Sentiva freddo ai piedi, e il suo viso era colpito da goccioline di acqua.
Non era pioggia: era neve.
Stava nevicando.
Si girò verso Eric, che era rimasto leggermente indietro rispetto a lei, le loro mani erano ancora legate.
Lo guardò e deglutì. Il ragazzo stava guardando la città, rapito anche lui dalla bellezza dei grattacieli coperti dal primo strato di neve dell'anno.
Il viso bagnato, i capelli biondi umidi e, rilassato. Dopo tanto tempo, in pace con se stesso e con tutto.
"Mi stai dando una scelta?" Chiese Liz, continuando a guardarlo, estraniandosi dal mondo che la circondava, dal gelo che le congelava il naso e la pelle, dai piedi doloranti per il freddo del cemento e della neve.
"No. Sto dando a noi una possibilità." 
Le strinse la mano, e la avvicinò a se, al calore del suo corpo.
Le prese anche l'altra e appoggiò la sua fronte su quella di Liz. 
E chiuse gli occhi, sentendo il profumo del suo respiro, della sua pelle, i capelli rossi che gli accarezzavano il viso e il corpo, sferzati dal vento gelido.
"Salvaci Liz, almeno il buono di noi rimarrà. E ti ricorderai solo il buono, e non il male che vi ho fatto." 
In quel momento capì che era la scelta più giusta, la cosa più logica. Ma il corpo non rispondeva, e il cuore le batteva forte. Un dolore fisico la percorse da capo a piedi, come un brivido, uno strappo a livello del costato. Non voleva lasciarlo. 
Come una bambina, voleva puntare i piedi per terra, lasciare il gioco, perché non stava vincendo. Voleva portarlo via con se e ricominciare tutto da capo. 
Gli afferrò il viso fra le mani, e cercò con tutte le sue forze di avvicinarsi di più per non rompere quel legame, e non riuscì a trattenere un singhiozzo, e poi una lacrima, e poi un altra.
Eric appoggiò le sue mani sulle guance bagnate e rigate di lacrime di Liz, assaporando quell'ultimo istante di lei, continuando a premere la propria fronte su quella della ragazza.
Forse lui non era un mostro, ma aveva fatto del male a troppa gente per pensare di possedere il lusso di una possibilità di perdono. Non era più tempo per loro.
Sentiva in lontananza il rumore della zip-line che veniva percorsa.
Spostò le sue labbra sulla fronte di Liz, e le premette, facendo una muta preghiera: che quel bambino fosse migliore di lui.
"Ti dovrei portare con me come prigioniero per i crimini che hai commesso" 
La voce di Quattro si elevò nel silenzio della notte e della neve.
Liz non si voltò, ma rabbrividì: il momento era veramente arrivato.
"Abbiamo ancora tempo prima dello scontro finale, Quattro. Sii paziente. Ora portala via."
Pur pronunciando quelle parole, la sua voce si incrinò, e i suoi occhi non abbandonarono mai quelli di Elise, ma il contatto delle mani e dei loro corpi cessò.
Liz cercò di riafferrargli una mano, in preda allo sconforto più totale, come una bambina che si vede portare via l'amico di una vita, il suo gioco più caro.
"Non prendiamo ordini da te" questa volta a parlare era stato Jack, e dietro di lui spiccava la figura alta e solida di Zeke.
"No, ma da lei si." 
Liz alzò la testa, guardando il suo viso ancora una volta, e decidendo di girarsi e affrontare la realtà, di abbandonare quel comportamento da ragazzina. Smise di muoversi, e guardandolo ancora negli occhi, pronunciò le ultime parole per suggellare quell'addio. 
Era la cosa più giusta. Non per lei, e non per lui. 
Per loro, una cosa al di là  del presente. Tutto per il futuro.
"Andiamo." Sussurrò, avvicinandosi al gruppo dei tre intrepidi, dandogli le spalle.
Zeke la prese in braccio appena in tempo, prima che cadesse a causa del torpore ai piedi. E si voltò verso la zip-line, seguito da Jack. Si posizionarono e si lanciarono sul palazzo di fronte, prima il ragazzo e Liz, poi il capofazione.
Quattro affiancò Eric, incrociando le braccia sul petto.
"Hai fatto la cosa giusta Eric, l'hai salvata. E allo stesso tempo ti sei condannato. L'attacco alla sede avverrà domani mattina."
"Perchè me lo stai dicendo?" 
Continuò a guardare le figure che si allontanavano sullo skyline di Chicago, senza battere ciglio, tornando il freddo e spietato Eric di sempre.
"Voglio vedere quale parte di te è più forte. Quella che ci ha consegnato salva Liz, o quella omicida e intrepida. Lo capirò domani."
Eric vide Liz, ormai molto lontana dal suo sguardo, seguire i due intrepidi  all'interno del palazzo. Scomparve alla sua vista.
"Avrà una vita migliore." E si mosse verso la zip line, a sua malincuore, sistemandosi l'imbracatura.
"Non sarà così, preparati al peggio rigido, la guerra inizierà domani, e non sarà contro una insulsa erudita." 
Eric gli voltò le spalle, e se ne andò, lasciando Quattro perplesso e dubbioso.
Cosa sarebbe successo il giorno dopo? Quella guerra quanto sarebbe ancora durata? 
Chi era il vero nemico? E i divergenti cosa centravano? 
"Quattro!" Il trasmettitore gracchiò la voce di Elise, e il ragazzo portò una mano all'orecchio dove si trovava il microfono.
"Liz arrivo."
"Passamelo."
Non si sarebbe liberato facilmente di Eric. Quattro sbuffò, si voltò controvoglia e lo richiamò.
"Eric. Fermati." 
Gli si avvicinò e gli consegnò il microfono.
All'inizio Eric rimase interdetto, poi riconobbe l'oggetto, e se lo portò all'orecchio. Si voltò verso il palazzo a più di cento metri di distanza, e la vide, vicino al cornicione. Che lo guardava.
"Ti rivedrò. È una promessa. E io mantengo sempre le promesse." Dalla sua voce si sentiva che stava sorridendo, ma Liz aveva il viso rigato dalle lacrime che erano sfuggite al suo controllo.
"Io non ne sono mai stato capace, e non ne farò." 
Non le avrebbe mentito di nuovo. Non avrebbe sprecato fiato.
Sentiva gli intrepidi che salivano le scale del piano sottostante. Avevano scoperto tutto.
Eric mosse il capo, dando il segnale a Quattro di muoversi e salvarsi prima che arrivassero e arrestassero tutti.
Non aveva la pistola dietro, l'aveva abbandonata nella stanza degli interrogatori, aveva solo il coltello nell'anfibio.
Continuò a tenere vicino all'orecchio il trasmettitore, e ad ascoltare Liz che respirava, in cerca di parole. 
La stava guardando, e lei guardava lui. Si chinò per prendere il coltello.
"Lo farò io per tutte e due. Ti amo."   
"Ne sono sicuro." E mentre lo sussurrava più a se stesso che a lei, la porta del tetto sbattè, e gli intrepidi si riversarono sul piano, circondandolo.
"Rigido muoviti!" Eric urlò in direzione di Quattro, indeciso se aiutarlo o percorrere la zip-line. Alla fine si decise, e si lanciò, con il cuore in gola. In fin dei conti, avrebbe preferito battersi al fianco di Eric piuttosto che ripercorrere quella diavoleria.
Eric fu circondato, i ragazzi si tenevano a debita distanza, mentre un altro gruppo si avvicinava alla zip line.
"Corretele dietro. Non devono scappare. Ordini di Jeanine!"
A parlare era stata Lucy, che si dirigeva verso di lui con la pistola puntata. 
Eric si mosse velocemente verso il cornicione, abbandonando per terra il trasmettitore, aprendosi un varco a spallate tra gli intrepidi che lo circondavano. 
Strinse la presa intorno al manico del coltello, superò correndo anche il gruppetto di soldati che si stavano dirigendo a inseguire Liz, e li mise ko uno a uno con mosse e attacchi veloci e precisi.
Si fermò vicino al confine del tetto, guardò verso il palazzo e vide Quattro arrivato sano e salvo. E si diede ancora il diritto di un ultimo sguardo verso Elise. 
Si stava per lanciare dalla zip-line! Non le avrebbe permesso di rovinare tutto.
Lucy gli urlava di fermarsi, ma lui non sentiva e non vedeva nulla, se non la figura di Liz pronta a saltare e raggiungerlo, Quattro che cercava di afferrarla, ma lei scalciava troppo forte.
Alzò il braccio e lo abbasso con rabbia, con forza e tutta la brutalità che aveva assunto in quegli anni da intrepido, e durante tutta la sua vita, scalfendo di molto il cavo di metallo.
 
 
Uno sparo riempì l'aria, e tutto si fermò. 
 
 
E subito dopo l'urlo di Liz gli arrivò dritto alle orecchie, pur essendo così lontano.
Eric abbassò lo sguardo sul proprio torace. Un punto rosso all'altezza del fianco destro stava diventando sempre più grande, fino a formare una chiazza indistinta e intrisa di sangue sulla maglietta nera.
Non sentiva il dolore, il freddo l'aveva reso insensibile.
Con il doppio della forza di prima, calò di nuovo il braccio, colpendo di nuovo il cavo, e poi di nuovo.
"Basta Eric! No!" L'intrepida bionda non voleva arrivare a tanto.
 
 
Lucy gli sparò di nuovo, sta volta alla gamba.
Eric si fermò per un istante, afferrandosi la gamba. 
 
 
E di nuovo un urlo scuarciò l'aria.
"No!" Liz dal tetto opposto cercava di allontanare Quattro da lei, per raggiungerlo. Ma il ragazzo non glie lo permetteva.
"Basta! No! Eric!" Le lacrime le annebbiavano la vista, e l'imbracatura le limitava i movimenti non permettendole di scalciare via Quattro.
Il ragazzo la spinse per terra, e la sovrastò con il suo corpo, inchiodandola al pavimento innevato.
Liz urlava, con tutto il fiato che aveva.
"Liz! Basta! Ci sta salvando!" 
 
 
Si sentì nell'aria un altro sparo, e poi il colpo di tensione del cavo che si rompeva.
E poi più nulla.
 
 
"No!" Un ultimo urlo allucinante, come un ululato rivolto verso il cielo nuvoloso, un ultimo disperato richiamo di Liz, soffocato dalle lacrime.
"Andiamo via." Disse Quattro, ma non si mosse, aspettando l'ok di Liz.
E la ragazza affondò il viso nel suo petto, piangendo e urlando il proprio dolore, aggrappandosi alle sue braccia.
"Quattro fai qualcosa! Ti prego!" Singhiozzò.
"Ti porterò a casa. Solo questo. Andiamo." 
Liz mosse la testa, annuendo. E poi scuotendola. 
"Ti porto io." 
E se la caricò tra le braccia, bagnata e gelida.
 
 
Uno sparo sfiorò le loro sagome intrecciate e Quattro si buttò per terra, rotolando sulla schiena per non schiacciare Liz.
"Elise! L'hai ucciso! Sei contenta ora? Nessuna di noi potrà averlo! Era questa la tua vendetta?! Soddisfatta?!" Urlò Lucy, in piedi sul cornicione del tetto degli eruditi, furibonda, ferita, sporca di sangue. 
 
 
Eric era riverso ai suoi piedi.
"Sei sempre stata troppo melodrammatica Lucy. Ora portami dove devi e piantala con questo teatrino. Sei ridicola." Sussurrò, trattenendo i gemiti di dolore, con il respiro corto.
"Andiamo" disse allora la ragazza rivolgendosi agli intrepidi, che sorressero Eric per le spalle e lo trascinarono lungo il tetto, giù per le scale.
 
 
 
"Andiamo" disse Quattro, risollevandosi, e stringendo la presa intorno alle gambe e alle spalle di Liz. Cercando di calmare i singhiozzi strazianti di lei.
Non riusciva a respirare, a inghiottire la saliva e le lacrime. Si strinse le braccia al petto, cercando di tenere insieme il cuore. 
 
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** Facile impazzire ***


Sono viva!! 
Periodo di pausa e di produzione! Proprio perché ho dovuto rielaborare la mia storia mentale, mi avete chiesto di non andare fino in fondo con il "vero" finale che avevo progettato per Eric e Liz, e quindi ho avuto bisogno di un periodo di stop!
Ma eccomi di nuovo qua, con un capitolo nuovo e scoppiettante di novità!
 Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, e chiedo scusa se non ho risposto! Lo farò questa volta. Ringrazio tantissimo le lettrice e le ragazze che puntualmente recensiscono la mia storia. Siete fantastiche! 
Ditemi cosa ne pensate di questo capitolo, che vedo inserito cronologicamente alla fine di Insurgent!! 
Buona lettura! 





Facile impazzire



Mollarono la presa sulle sue spalle, e cadde a peso morto, incapace di appoggiarsi sulla gamba dolorante. Aveva perso molto sangue, lo vedeva. Lo sentiva. La testa era annebbiata, respirava a fatica e gli occhi gli si chiudevano continuamente.
Per fortuna non gli avevano reciso l'arteria femorale con quella pallottola, se no a quest'ora sarebbe stato già bello che morto.
Sentiva che il proiettile nella coscia era uscito, ma quello nel fianco lo costringeva a mordersi l'interno della guancia ogni volta che si muoveva o lo spostavano, ogni volta che un muscolo veniva solo appena messo in tensione.
Stava impazzendo dal dolore e ormai aveva la bocca impastata dalla mancanza di saliva e dal sangue.
Lo avevano portato nella parte della sede degli eruditi.
"Sei uno stupido! Stava andando tutto perfettamente." 
Lucy gli stava davanti, mentre lui era steso per terra, con la guancia premuta sul pavimento di cemento.
Cercò di alzarsi, appoggiando i palmi delle mani insanguinate sul pavimento, e facendo forza, ma Lucy appoggiò l'anfibio sulla sua spalle e lo spinse indietro con un calcio, costringendolo a ritornare sdraiato, con la faccia sul pavimento.
"Eri a capo di tutto. Jeanine è rimasta zitta e non ha mai cercato di liberarsi di te. Avevi tutto Eric!" 
Eric si girò a pancia in su, procurando una fitta allucinante al petto che gli mozzò il fiato, e guardò il soffitto.
La vista gli si stava offuscando. Non poteva svenire. Non poteva permetterselo.
Il soffitto era molto alto, di cemento armato.
Erano al di sotto della fazione, nella zona sotterranea delle fondamenta, le fogne della vecchia città , dove si trovavano le caldaie. Sentiva l'acqua scorrere.
Girò la testa verso destra, e a pochi metri da lui c'era una ringhiera, e sotto di sicuro si trovava il torrente che attraversava tutte le fazioni, quello che attraversava il pozzo degli intrepidi. Il problema non era tanto riuscire a fuggire, quanto invece il fatto di non sapere quanto fosse alta la ringhiera dall'acqua, non poteva capirlo, quindi avrebbe dovuto rischiare. Più morto di così non poteva essere, quindi avrebbe rischiato il tutto per tutto. 
Si portò una mano alla ferita al costato: stava sanguinando ancora, ed era molto profonda. Provare a togliere la pallottola in quel momento era da escludere al cento per cento: sarebbe svenuto.
Doveva fare quell'azione con quella dannata nel petto.
"Avevi il posto di capo! E ora ti sei giocato tutto!" Continuava ad andare avanti, nervosa e arrabbiata. A un certo punto, mentre lui era concentrato a non svenire,
Lucy gli tirò un calcio nel fianco dolorante, e lui in risposta gridò per la fitta lancinante che lo percorse, chiuse la bocca e grugnì, soffocando l'urlo di poco prima.
Si zittì subito dopo e schiantò la propria mano racchiusa a pugno sul cemento del pavimento per cercare di controllarsi. Cazzo quanto faceva male! Pulsava come se il proiettile stesse cercando di essere sparato nuovamente dal suo corpo. 
"Avevi me. Non avevi bisogno di lei." La chioma bionda di Lucy gli si avvicinò, perché aveva deciso di chinarsi su di lui. Gli prese il viso tra le mani, continuando a rimanere inginocchiata dietro il capo del ragazzo.
"Finiamola qui. Ordini di Jeanine, Eric. Prenderò io il tuo posto. Nulla di personale." 
Fece per rialzarsi, ma Eric le afferrò i capelli biondi che gli avevano sfiorato il viso e con uno strattone la costrinse ad avvicinare le labbra alle proprie. 
E la baciò: un bacio rude, un cozzare di labbra.
Lucy si irrigidì, ma subito dopo si lasciò andare a quel contatto. 
Le morse il labbro selvaggiamente, sentendo il sangue fuoriuscire dalla ferita appena fatta, e un urlo nacque dalla gola di Lucy, che cercò di allontanarsi, solo peggiorando il taglio al labbro.
Eric le tirò una ginocchiata sulla testa, facendola cadere all'indietro.
I due intrepidi si mossero per aiutarla ad alzarsi, ed Eric approfittò del momento di défaillance, per rotolarsi sul fianco più volte, fino a raggiungere la fine del pavimento, passando al di sotto della ringhiera di protezione.
"No! Fermatelo!" Urlò Lucy, tenendosi una mano premuta sulla testa e l'altra sul labbro tagliato. Era perplessa, la paura e la frustrazione erano disegnate sulla sua faccia. Le mani erano macchiate di sangue e i due intrepidi accanto a lei non si erano mossi abbastanza velocemente. 
Eric la guardò un'ultima volta, e le sorrise. Le mostrò il suo miglior ghigno.
"Niente di personale."
E si buttò giù, tra la corrente dell'acqua torbida.
"Pezzo di merda!" Gli urlò dietro Liz, ma lui ormai era già stato risucchiato dal canale di scolo.



Fu subito inghiottito dalle profondità dell'acqua. Si era schiantato sullo strato superficiale come un oggetto lanciato dal terzo piano di un palazzo si infrange sull'asfalto della strada. La corrente lo strattonò verso il canale buio, lontano dalla zone dei sotterranei. La corrente era fortissima, e lui non riusciva a sopraffarla.
E in quel momento Eric comprese che non ce l'avrebbe fatta.
Le pareti continuavano a restringersi, il suo corpo cozzava contro di esse con impeto e il buio non gli permetteva di capire dove poteva respirare e dove invece c'era solo acqua.
Andava troppo veloce, e all'ennesimo colpo contro la parete di cemento, la vista gli si appanno, e l'ultima cosa che vide fu il suo corpo risucchiato dal vortice, l'acqua che lo ghermiva e lo circondavano, e i polmoni che gli andavano a fuoco.
Poi più nulla.



"Quattro, aggiornami." 
Erano nel' infermeria vuota della fazione degli intrepidi, e Elise stava cercando di infilarsi la t- shirt senza dare fastidio al dottore che continuava a visitarla, anche se lei non voleva fin dall'inizio.
Stava bene.
Non era vero: stava male. Ma stava bene.
All'ennesima tastata sulle sue costole sensibili dopo le numerose botte di quei giorni che quell'imbecille di candido le fece, lei sbottò, spingendolo con forza contro la barella al lato opposto.
L'uomo sulla cinquantina cadde per terra, e Quattro fu subito al suo fianco per aiutarlo a rialzarsi.
"Ora basta Liz. Ti devi calmare."
"Quando ti sarai calmata ti spiegheremo tutto" 
Questa volta a parlare era stato Jack, appena entrato silenziosamente dalla porta della stanza, vestito da capo a piedi di nero, con addosso la giacca di pelle, un fucile legato sulla schiena e due pistole sui fianchi.
"Io non mi devo calmare! Lo sono già! Adesso andiamo dove dobbiamo andare." 
Afferrò i pantaloni nuovi neri che le avevano dato e che si trovavano al fondo della propria barella, senza mostrare fastidio per essere stata tutto quel tempo con le gambe scoperte. 
Si mosse verso la porta, dando una spallata al dottore, ma la mano forte di Jack la fermò, afferrandola per il braccio dolorante.
"Ti ho detto. Di darti. Una. Calmata!" Scandì Jack tra i denti.
Aveva lo sguardo furioso, e il viso era tirato in un'espressione di puro odio.
Liz non si fece intimidire, strattonò il proprio braccio e si liberò dalla presa.
Jack indispettito, la afferrò per le spalle e la sbatte contro il muro accanto all'uscita, portando il suo viso a un centimetro da quello di lei.
"Jack! Lasciala subito!" Gli ordinò Quattro, con un tono di voce che non ammetteva repliche.
Allora Jack strinse di più la presa ferrea intorno al braccio e al collo di Liz.
La ragazza non riusciva a muoversi e, nemmeno a pensarlo, a liberarsi.
Jack stava stringendo la mano intorno al suo collo, limitandole il passaggio dell'ossigeno. Facendole male.
"Se devi impazzire Jack, vallo a fare su un manichino." Gli disse a mezza voce.
"Tu non hai idea di quello che abbiamo rischiato per recuperarti. Di quanto ero preoccupato!" 
Mollò la presa, ma non si allontanò. Le afferrò le spalle con entrambe le mani e avvicinò il suo viso a quello della ragazza, mettendo a contatto le proprie fronti e inchiodando il suo sguardo in quello di lei.
"Pensavo di averti perso. Non lasciarmi mai più." 
Le mani di Liz erano contro al muro, all'altezza dei propri fianchi. Non poteva muoversi, e non disse una parola. Quel contatto era strano, innaturale, fuori luogo. Prima la prende per il collo, prima ha quello sguardo assassino... E poi? Le mostra quanto era preoccupato per lei?! 
Jack le posò un bacio sulla tempia destra e poi le si allontanò, permettendo al sangue delle braccia di lei di tornare in circolo, E lasciando Liz dubbiosa di come comportarsi:
Perché le aveva detto quelle cose? L'ultima volta era stata molto chiara a riguardo: per lei lui era come un fratello, niente di più.  
"Jack, ora raggiungi il tuo gruppo. E non osare mai più intervenire senza il mio permesso nella mia area".
Quattro lo squadrò da capo a piedi, inflessibile e severo.
Che gruppo doveva raggiungere Jack? Liz era confusa. E allibita: Jack senza dire una parola e senza ribellarsi all'ordine di Quattro uscì, lanciandole uno sguardo intenso, fuori luogo.
Quando la porta sbattè, Liz si rivolse a Quattro, che con uno sguardo invitò il dottore candido ad uscire dalla camera.
"Di quale gruppo stavi parlando?"
"Attacchiamo tra un ora. Mentre tu non c'eri i rapporti con gli esclusi si sono fatti pericolosi. Adesso siamo divisi a gruppi. Anche durante l'attacco lo saremo"
"Cosa intendi?" 
"Mia madre è pericolosa, e gli esclusi non sono da meno. Se ristabiliamo il potere con il loro aiuto, pretenderanno di ottenere qualcosa: una zona della città, un posto nel consiglio... Non lo so!" Sbottò.
Quattro si portò una mano tra i capelli corti e scuri, disperato.
"Non è stato facile tenere tutto sotto controllo nella tua assenza, non è stato facile riportare in sé Tris, e non è stato facile tenere a freno i vaneggiamenti di mia madre, di mio padre e di Tori. Per non parlare di Jack."
"Che cosa ha che non va Jack?" Chiese, massaggia dosi il collo e ripensando a quello che era accaduto solo pochi secondi fa.
Che era successo? Era stata via due giorni! Cosa era successo!?
"Non ragiona più lucidamente. Quando io sono tornato con Tris, e lui non ti ha visto... Era sconvolto: Ha cercato di uccidere Tris con dei colpi di pistola. Per fortuna non ci sono stati feriti. Ma è stato uno scatto d'ira non da lui." 
A Quattro gli si stava affievolendo la voce, segno che non era facile raccontare quello che aveva visto in quel periodo di assenza di Liz.
"Nemmeno Cristina ha mai provato a spararle, pur essendo stata la responsabile della morte di Will! È stato un gesto avventato, rabbioso. Da pazzo." 
Si stropicciò gli occhi. Aveva due occhiaie scure e profonde sul viso. Da quanto è che non dormiva? 
"E inoltre... Passa troppo tempo con mia madre. Ho smesso di fidarmi di lui. Ho paura che qualcuno gli abbia fatto il lavaggio del cervello. Oppure è semplicemente impazzito."
Liz, dopo aver ascoltato quello, si allontanò appena dalla sagoma di Quattro, andò verso la porta e appoggiò la mano sulla maniglia dell'uscita. Si mosse con molta lentezza, i muscoli le dolevano ancora.
"Penso che sia molto semplice impazzire. Non te ne accorgi nemmeno."
La testa le pulsava, la appoggiò alla porta facendo una muta preghiera: di non pensare a quello che aveva sentito sul tetto. Di non realizzare la verità. Di non pronunciarla nemmeno.
In quel momento non poteva provare dolore.
"Andiamo a rompere il culo a quegli eruditi. Mi spiegherai il piano lungo la strada."
Abbassò la maniglia, ma la voce di Quattro la fermò dall'aprire la porta.
"Basta parlarne Elise. Se ti tieni tutto dentro, peggiori solo la situazione. Vuoi parlarne?" 
Quattro che si abbassava a quelle smancerie da amichetti le fece piegare le labbra in un sorriso.
"Magari dopo quattro. Or come ora, voglio solo concludere questo macello che dura ormai da troppe settimane."

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Capitolo 20
*** Insorgere, e fallire ***


Insorgere e Fallire 
"Tori fermati!" Attraversò di corsa l'entrata dell'ufficio di Jeanine, con il fiato corto e mozzato per la scena che le si era parata davanti.
Le orecchie le fischiavano per lo sforzo compiuto in quell'ultima mezz'ora.
Era stata un'azione veloce, ma era durata più del previsto. Doveva essere risolto tutto in pochi minuti, e invece si era prolungata a causa del numero elevato di intrepidi traditori.
Ma i colpevoli principali erano gli esclusi: non avevano seguito le istruzioni date da Jack, non avevano rispettato le tempistiche, mandando a quel paese ogni dettaglio del piano studiato meticolosamente da Quattro, causando molti feriti, e troppi, troppi morti.
Aveva la pelle del viso arrossata e il corpo caldo, quasi febbricitante, gli occhi lucidi, i muscoli delle braccia e delle gambe le dolevano, per non parlare delle mani: erano rosse di sangue, non suo. Aveva cercato in tutti i modi di limitare gli spari, e tramortire con colpi precisi, al contrario di Edward e della sua squadra. Aveva perso di vista il gruppo di Tori, per poi ritrovarlo nella sala principale durante la sparatoria finale, senza il suo capo.
 
Tori le dava le spalle, era in piedi di fronte a una Jeanine bianca come la neve, stesa per terra, in preda al terrore. Si muoveva in cerca di una fuga, ma Tori la tratteneva pestandole la gamba destra, di sicuro ferita, perché il pavimento era macchiato di sangue. Molto sangue. Elise non abbassò le braccia, stringendo la presa intorno alla pistola. Da quando aveva abbandonato la sala principale ormai messa in sicurezza dal gruppo di Quattro e dagli esclusi, non aveva mai osato tirare giù le braccia, continuando a tenere alta la guardia, con il terrore di incontrare qualche pericolo dietro ogni angolo, ogni porta; la tensione era alle stelle.
Liz si spostò lungo la parete per avere una visuale migliore, molto lentamente, per vedere finalmente che il sangue sul pavimento di marmo bianco non proveniva dalla gamba, ma da uno squarcio all'addome della donna stesa a terra. E finalmente vide cosa Tori stringeva convulsamente nella mano sinistra: un coltello.
"Tori fermati!" Ripeté.
L'intrepida fissava Jeanine pronunciando parole disconnesse tra loro, o forse Elise era così ubriaca di dolore e i suoi sensi distrutti da non comprendere il filo del discorso.
Non aveva abbassato la pistola per tutto il tragitto per entrare nella fazione. E non la abbassò nemmeno adesso.
"Tori allontanati, e butta il coltello a terra." Le ripeté.
Tori non si voltò a guardarla, si limitò a risponderle.
"Non sono affari tuoi Elise, questa è una questione che devo chiudere io." 
E si mosse verso Jeanine, lanciando in aria il coltello per impugnarlo in modo che la lama fosse in basso.
"Ho. Detto. Ferma."
Tori aveva appoggiato un ginocchio vicino al fianco dell'erudita, che non aveva mosso un muscolo, probabilmente sotto shock.
"È una prigioniera di guerra. Sarà processata davanti alle fazioni. Non hai il diritto di farti giustizia da sola." 
Rinforzò la presa intorno alla pistola, mirando alla mano di Tori, in caso non avesse seguito il suo ordine.
"Abbandona il coltello a terra, lontano dalla donna. Alzati. Esci dalla stanza con Tris." Scandì quegli ordini come se stesse parlando con un bambino. 
Di nuovo calò il silenzio nella stanza. Forse l'unica a fare rumore era la stessa Jeanine, non riuscendo a controllare il suo respiro.
Ora aveva paura, la stessa che testava sulle sue vittime. Meritava di morire, ma non per mano loro. Tutti avevano il diritto di vederla soffrire, di avere giustizia, non solo Tori.
Tori non si voltò, di nuovo, tenendo il suo sguardo fisso sulla preda. Mosse le dita intorno all'impugnatura del coltello, si passò una mano sulla nuca tatuata e sudata dalla tensione, spostando alcuni ciuffi di capelli neri e bagnati, prendendo in considerazione quello che Liz aveva appena ordinato, pensando a cosa era giusta e a cosa era sbagliato. E in quel momento, lei non stava facendo nulla di sbagliato: anni e anni di dolore soffocato nel cuscino, nascosto agli occhi di tutti, ora poteva essere premiato. Poteva defraudare Jeanine della stessa cosa che più e più volte aveva portato via a lei e alla società: la vita. Prese la sua decisione, più convinta di prima.
"Bel discorso Lawrence." Sussurrò.
Liz si sentì sollevata, tirò un lungo respiro di sollievo e si distrae . L'errore decisivo.
"Ora se non ti dispiace..." 
E le saltò addosso, abbassando la lama, che sprofondò nel ventre della donna, facendola urlare e contorcere per terra, in cerca di una via di fuga dalla sua assalitrice. 
La circondò con le gambe, rialzò la lama e la affondò di nuovo nella carne di Jeanine, procurando un altra rottura del silenzio del piano. La sua pistola era puntata sulla mano armata di Tori, ma appena la ragazza si era mossa per colpire l'erudita, Liz non era stata in grado di sparare, si era imbambolata, bloccata. 
Tori la colpì al ventre, una, due, tre volte. Poi alle braccia, strappandole ormai solo singhiozzi muti, pieni di sangue. Tirò fuori la lama e si abbassò sull'orecchio della donna.
"Per mio fratello." Le sussurrò. E le trapassò il cuore.
Liz non poté muovere un muscolo, nemmeno quello del dito sul grilletto, incapace di sparare dallo spavento, dalla paura e dall'orrore. Il sangue che fuoriusciva dal ventre della donna macchiava il pavimento, mentre gli occhi di lei diventavano scuri, la pupilla completamente dilata, per poi trasformarsi in vetro freddo. E morto.
Le mani afferrarono quelle di Tori, ancora premute sull'area conficcata nel petto, come ultimo spasmo di vita. Jeanine roteò gli occhi verso l'alto, cercò di prendere fiato, senza successo, producendo dei suoni sordi e spezzati, lottando per ricevere ossigeno. Si accasciò sul pavimento, il volto cadde di lato, verso Liz, e i suoi occhi terrorizzati incontrarono quelli di lei. Un ultimo spruzzo di vita, poi esalò l'ultimo sforzo, e la vita la abbandonò, la testa le cadde sul pavimento duro, sulla nuda pietra.
"Per mio fratello." Ripetè Tori, ritraendo l'arma dalla ferita mortale, e compiendo l'atto più crudo e orrendo che Elise potrà mai ricordare nella sua vita: le sfigurò il volto.
Tris voltò il capo verso l'uscita, per risparmiarsi quella visione.
Liz non mosse un muscolo, sotto shock, come lo era stata Jeanine.
Tori si alzò dalla posizione accovacciata che aveva assunto per mutilare il corpo, pulì il coltello sul tailleur blu della donna, e lo ripose nella custodia che era fissata alla sua coscia. Si avviò verso l'uscita, sorpassando Liz, seguita da Tris, pallida in volto e anche lei scossa per quello che era appena accaduto.
Liz non mosse un muscolo, e non abbassò la pistola, tenendo la traiettoria del colpo ancora verso lo spazio in cui erano state le mani di Tori, incapace di sparare, incapace di giustificare il suo errore.
Ma quello sparo era ancora in canna.  
Rinforzò la presa intorno alla pistola.
E fece fuoco.



"Il comando passerà agli esclusi, il governo sarà restaurato e la società delle fazioni subirà dei cambiamenti. La verità non cambierà nulla: dobbiamo rimanere uniti in questo momento di confusione. Vi guiderò finché c'è ne sarà bisogno!" 
Eveline parlava alla piazza gremita di gente che si era radunata davanti alla sede degli eruditi quella mattina presto, subito dopo che la notizia della morte di Jeanine e la cattura dei traditori aveva raggiunto tutte le fazioni. 
Le strade erano affollate dalla gente di Chicago, e i colori delle fazioni spiccavano come non si vedeva da tempo.
Elise era ancora scossa da tutto quello che era successo nelle ultime ore: Jeanine, Tori, Tris, Quattro. La sconvolgente verità che la Prior aveva rivelato. Quella che Eric aveva cercato di nasconderle. Quella oltre la barriera. E ora Eveline cercava di camuffare il danno, cercava di soffocare la popolazione.
Era stato il suo piano sin dall'inizio: approfittarsi della situazione per riottenere potere e un posto nella società per gli esclusi. 
Si fece avanti tra la folla, sfuggendo alle braccia forti di Zeke che avevano cercato di afferrarla e trattenerla.
"Merda Liz! Non dire cavolate, o sti qua ci fanno la pelle!" Le disse tra i denti, non riuscendo a fermarla. 
"Bell'intrepido che sei!" Disse la voce di un ragazzo alle spalle di Zeke, facendo sorridere tutto il resto del gruppo degli inziati. 
"Tu sta zitto testina di cazzo!" Lo zittì Zeke, tirandogli uno scappellotto che fece sbilanciare l'intrepido in avanti, facendolo cadere rovinosamente a terra, questa volta suscitando le risate di tutto il gruppo. Intrepidi! Solo la fine del mondo poteva tenerli seri! 
La gente formò uno spiazzo intorno a Liz costringendo Eveline a interrompere il suo discorso.
"Non è vero quello che dici! Non ascoltatela!" Urlò Liz rivolta alla massa. 
C'erano migliaia di persone, molte erano costrette a occupare anche i vicoli della piazza, e altri ascoltavano e guardavano da lontano lo spiazzo sulle spalle dei loro compagni o dei loro familiari. 
Erano presenti tutte le fazioni, tutte le persone legate a Chicago, tutti i prigionieri di quella enorme simulazione. 
Eveline si trovava più in alto rispetto a Liz, che era invece in mezzo alla gente, in mezzo alla strada. Si zittì, e con riluttanza non interruppe la ragazza intrepida. Ma la fissò, l'aveva riconosciuta: i capelli, gli occhi, il modo di parlare: era lei, per forza.
"La Prior ci ha detto cosa fare! Propongo che venga formata una squadra, che si riuniscano i rappresentanti delle fazioni, e che si inizi a riorganizzare la società. Ci sono le provviste da far rigirare in città, la gente sta morendo di fame. Bisogna Controllare le sedi, distruggere i programmi creati dagli eruditi e dai cittadini che erano sotto il comando di Jeanine, trovare e processare i colpevoli di questa guerra." 
A ogni punto che veniva aggiunto da Liz in quella lista immaginaria, la gente rispondeva con un si, all'inizio appena accennato, ma poi sempre più convinto, fino a sfociare in un urlo.
Eveline alzò un mano, per riottenere la calma e il silenzio.
Rivolse il suo sguardo a Liz, pur essendo lontana da dove si trovava lei, poteva vedere le fiamme di rabbia che le rivolgeva solo con lo sguardo, mentre il viso era piatto, tirato, inespressivo: era da brividi.
Dopo lunghi secondi di mutismo, appena il silenzio si fu ristabilito nello spiazzato, Eveline riprese a parlare. 
"Sta sera ci riuniremo, per decidere. Ma fino ad allora, nessuno deve lasciare la città, e nessuno deve entrare. Edward e il suo gruppo controlleranno i confini." 
Detto questo si voltò, lanciando un ultimo sguardo alla ragazza intrepida: sfida, ecco cosa si poteva leggere in quegli occhi penetranti, così simili a quelli di Quattro.
La donna si mosse verso la sede degli eruditi, seguita dal suo branco di seguaci armati fino al collo. 
Tra cui un Edward guardingo, intento a far saettare il proprio sguardo lungo la piazza che si stava svuotando molto velocemente. Con un cenno del capo verso Jack, gli diede il permesso di muoversi dove avevano già stabilito andasse.

Liz non era soddisfatta della risposta. La verità era stata appena svelata: bisognava far partire subito un gruppo per andare a esplorare i territori oltre la barriera. 
Eveline non avrebbe mai permesso ciò. Fece per allontanarsi dal centro della strada, mentre la gente si disperdeva per Chicago, quando un braccio la afferrò per la spalla e la trascinò nel vicolo più vicino e più all'ombra, sbattendola contro il muro.
La figura losca e coperta da un cappuccio si rivelò a lei, e gli occhi color del cioccolato di Jack, per la prima volta, non la fecero sentire al sicuro, come era stato ogni volta. Il suo sesto senso le diceva che era in una situazione pericolosa: le formicolavano le mani.
"Ti stai mettendo nei pasticci Liz. A Eveline non piacciono le persone ficcanaso, e nemmeno quelle troppo eloquenti. Morditi la lingua, o ti farò stare zitta io. Hai capito?!" Sibilò tra i denti all'orecchio della ragazza. Le era troppo vicino.
La scrollò, raddoppiando la forza della presa sul suo braccio , e bloccandole la testa all'indietro, dopo averle afferrato i capelli rossi sulla nuca e averli tirati, strappandole un gemito di dolore e di sorpresa, e forse di paura.
Aspettò una sua risposta, ma la ragazza rimase muta, in cerca di parole da dire, ma era ancora scossa e sorpresa dal gesto del ragazzo, e non fu abbastanza veloce per allontanarlo o farlo desistere.
La fissò negli occhi, e poi sfiorò col proprio sguardo le labbra, la pelle nuda del collo e traducendo il silenzio della ragazza come una specie di permesso, azzerrò la distanza tra i loro corpi e le loro bocche.
Liz si irrigidì, e non mosse le labbra, serrandole, ma Jack forzò la bocca di lei per approfondire il bacio, sentendola mugugnare per allontanare il contatto non voluto. Lui insiste, premendo il proprio corpo su quello flessuoso e rigido di lei. 
Le tirò di più i capelli dietro la nuca, spostando la mano lungo il fianco, dalla spalla, al seno, al ventre, rubando quelle calde carezze.
Liz non riusciva ad allontanarlo: il suo corpo le pesava addosso, e la presa ferrea le premeva sulla ferita del braccio, non del tutto guarita. Alla fine fu lui ad allontanarsi, permettendole di riprendere fiato e di allontanarsi, scansandolo di lato. 
Liz si piegò su se stessa, prendendosi il viso fra le mani, trattenendo le lacrime dal nervoso, dalla frustrazione.
Nessuno si era mai permesso di costringerla a fare qualcosa contro la sua volontà, e in quel momento si sentì come tradita, usata.
Si girò verso di lui e con tutta la forza che aveva gli rifilò un pugno sul viso, facendogli girare di scatto il viso e provocandogli di sicuro un bel ematoma.
"Non farlo mai più. Io non provo nulla per te, vuoi capirlo?!" 
Si prese la mano dolorante per il colpo con l'altra e se la avvicinò al ventre: pulsava e bruciava. Che colpo, ragazzi!
"Io ti voglio bene Jack! Sei come un fratello per me!" 
Voleva andarsene! Nessuno doveva più toccarla, non in quel modo. Nessuno doveva baciarla! Lei non voleva, l'aveva fatta sentire impotente come non si era mai sentita prima. 
Eric non le avrebbe mai fatto una cosa del genere. Ma lui non era un buon esempio: quante cose lei non avrebbe voluto fare, ma erano accadute a causa di Eric, perché lo amava troppo. 
Gli occhi le si inumidirono: l'aveva amato. Doveva andarsene, o il cuore le sarebbe scoppiato davanti a Jack: aveva bisogno di un posto dove urlare, e un vicolo vicino alla strada principale non era adatto. Si rivolse di nuovo a Jack, questa volta per chiudere lì quello che era successo. Stava perdendo troppe persone in questa guerra, non avrebbe permesso anche a lui di allontanarsi da lei, doveva solo essere molto chiara e le cose sarebbero tornate normali.
"Eri la mia sicurezza. Che cosa ti sta succedendo?" Gli urlò addosso, ormai quasi vicino al pianto.
Liz gli si allontanò avvicinandosi all'uscita del vicolo, respirando e inspirando, riprendendo il controllo, fermando le lacrime.
Con risolutezza lo fissò.
"Stammi. Lontano. Almeno per un po'. Torna in te." Scandì tra i denti e si voltò verso la strada, uscendo dall'oscurità di quel vicolo e tornando alla luce. 
Aveva un gruppo di intrepidi da organizzare per scoprire cosa c'era al di là di quella barriera. Non aveva tempo per le crisi di cuore. O almeno non ne aveva le forze.
"Ti convincerò a rivelarmi il tuo amore Liz. Non capisco perché insisti a nascondermelo. Io lo so." Sussurrò più a se stesso che alla figura della ragazza coi capelli rossi che era appena corsa via da lui.
"Te lo farò dire, Anche se dovrò costringerti." 
 

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Capitolo 21
*** Inondazione ***



Allora... Avevo promesso il ritorno di Eric... Ma il capitolo veniva troppo lungo, quindi ho deciso di rimandare. Chiedo scusa! Ma sono settimane molto, molto intense e fitte di impegni e non sono riuscita a finire il "futuro" capitolo. Di solito pubblico una parte della storia solo se ho pronta quella successiva, per non rimanere troppo indietro. Quindi questa volta il nostro Eric non è presente, ma pur non essendoci succede a di tutto, e dico proprio "di tutto!" 
Grazie a chi ha recensito il capitolo scorso! Se non ci foste voi... Altro che momenti di crisi 
Buona lettura! 




Inondazione 




Dovete sbrigarvi, mancano trenta minuti alle otto. Dovevate essere alla barriera un 'ora fa." Disse preoccupata, seguendo Tris lungo i corridoi della sede degli intrepidi.
"C'è la faremo Elise, tranquilla. È già buio, passeremo inosservati." La tranquillizzò la ragazza, raggiungendo il tunnel di uscita della fazione. Tutti i treni erano stati bloccati su ordine di Eveline per impedire che qualcuno potesse uscire dalla fazione senza il permesso diretto della "signora"della città. Questa l'aveva infuriata non poco. Ma la cosa peggiore che avevano fatta era stato allontanare buona parte della fazione dei pacifici dalla città, obbligandoli a tornare al di là della barriera. Non aveva avuto l'opportunità di riabbracciare Johanna, e in quel momento ne aveva bisogno così tanto. Come l'aria. 
"Ci seguiranno anche Peter e Caleb. Saremo di ritorno appena avremo scoperto e risolto questo problema." Disse Quattro quando tutte e due le ragazze lo raggiunsero sulla strada di Chicago che conduceva alla zona meno illuminata della città. In questo modo avrebbero evitato in parte le rappresaglie degli esclusi.
"Vieni con noi." Le disse, fermandosi per un attimo da quello che stava facendo, riempire gli zaini di scorte e di armi.
La fissò negli occhi, e con sguardo supplicante le stava ponendo quella domanda.
Elise lo guardò, e ricambiò lo sguardo con un altrettanto disperato e pietoso.
Poteva lasciare la città in quel momento di bisogno? Poteva lasciare la città nel suo stato, con il pancione che ormai era evidente? Poteva lasciare la città, sapendo quello cosa significava? Ricominciare. 
Lei poteva ricominciare? 
Non ne sarebbe mai stata in grado. 
Guardò Tris, poi Cristina accanto a lei, e infine Zeke, in cerca di un appoggio, un appiglio su cui far ricadere la sua scelta. Era troppo stanca per commettere di nuovo l'errore di fare la scelta sbagliata: qualcuno avrebbe dovuto farla per lei. 
Zeke comprese, e fece un passo avanti, appoggiando una mano sulla spalla nuda e fredda di Liz, e prendendosi la responsabilità di quella decisione.
"Lei deve rimanere, e io con lei. Vi copriremo le spalle."
Quattro annuì, non volendo replicare, insistere sarebbe stato inutile, e non c'era tempo.
"Così sia. Tieniti lontano dai guai, e tenete sotto controllo mia madre. Non è una bestia, ma allo stesso tempo non sottovalutatela." 
Le si avvicinò, le prese il viso tra le mani grandi, ruvide e callose, e infine le,posò un bacio sulla fronte, indugiando, e riflettendo: poteva portarla via con la forza, caricarsela sulle spalle, ma non avrebbe avuto senso. Obbligarla a fare ciò per cui non era destinata. 
Si scambiarono ancora uno sguardo di puro amore, e infine quattro si allontanò, salutando Zeke con un cenno del capo e allontanandosi per raggiungere il gruppo che piano piano stava scomparendo nella nebbia della notte umida di Chicago, e nell'oscurità della periferia della città. 
"Fa attenzione ragazzino!" Gli urlò, ormai quando la vista non le permetteva di vedere oltre la figura di Quattro,
"Sei più grande di me di poco, Elise. Non fare la spaccona!" Si sentì rispondere in lontananza.
Si strinse le spalle in un abbraccio per il freddo e i brividi che le stavano percorrendo la schiena.
Fece una muta preghiera al cielo nuvoloso: che quella notte finisse il più in fretta possibile. Perché la diga stava cedendo. Un altro colpo, e sarebbe crollata.
Zeke la prese per mano, e la condusse in strada, verso la sede degli eruditi.




"Sai che non devi farlo per forza." Disse, mentre camminavano verso l'edificio, percorrendo le strade della città ancora coperto dallo strato di neve gelata scesa la notte passata.
Lasciò passare alcuni minuti prima di rispondergli, ma Zeke non si era mostrato spazientito dal suo mutismo, aspettava silenzioso una sua parola, un sussurro, qualsiasi cosa gli dimostrasse che la cosa migliore da fare era portarla via di lì, seguire Quattro, cercare di salvarla da quella situazione, perché se fino ad ora aveva resisto dal crollare, quando finalmente si sarebbe lasciata andare, non sarebbe stato facile per lui arginare il disastro.
Gli unici rumori della notte erano i loro respiri, e lo scricchiolio della neve ghiacciata che si spaccava al loro passaggio. 
"Lo so. Voglio farlo. Voglio rendermi utile, come tutti. Zeke..."
"Si?" 
"Rimani con me durante la riunione. Stai al mio fianco, sempre." 
Finalmente! Una richiesta! Pensava fosse solo in grado di dare ordini! 
"Lo farò, sempre. Purché non si presenti un intrepida più carina e meno incinta di te! Capiscimi piccola hippy, ho dei bisogni, anche in momenti di guerra! La natura chiama, tu dovresti saperlo meglio degli altri!" 
Le labbra di Liz si incurvarono in un accenno di sorriso.
"Detta così sembra che devi andare in bagno Zeke." 
Dopo un momento di pausa gli chiese"Perché dovrei saperlo meglio degli altri?"
"Di sicuro non è stato il fantasma formaggino a metterti incinta. E alla veneranda età di 19 anni, dovresti  sentirti fortuna di esserlo. Tutto merito degli ormoni che ti faccio mettere in circolo solo con la mia presenza!"
Scoppio a ridere! Come poteva essere così serio a dire quelle cose?! E perché lei stava ridendo invece di fargli rimanere quelle dannate cazzate?!
"Sei proprio un imbranato!!"
"E tu sei ingrassata!" Disse, facendo seguire alle sue parole uno schiocco delle dita nell'aria, esclamando "Colpita e affondata! Chiusa! Non replicare piccola, non ti conviene! Nessuno batte il possente Zeke al suo stesso gioco!" 
A quel punto Liz non poté trattenersi e iniziò a ridacchiare, spingendo il ragazzo con una spallata al lato opposto della strada.
Zeke cercò di riacciuffarla e si misero a correre per un momento, un attimo di spensieratezza, ma il gioco durò pochi secondi, perché l'attimo dopo si trovavano davanti all'entrata dei giardini della fazione degli eruditi.
Elise si gelò sul posto, e Zeke per poco non era caduto a terra per scansarla e non portarla con se sull'asfalto ghiacciato.
Liz inghiottì un boccone amaro. Aveva voglia di vomitare. Era il nervosismo.
"Ok! Io posso stare serio al massimo per mezz'ora quindi concludiamo questa riunione il più in fretta possibile se non vuoi che spacchi il muso a qualche escluso perché non ha il senso dell'umorismo."  
Liz gli diede un pugno sul braccio, procurando si una fitta alla mano. Ridicolo! 
Si incamminarono.


"Ci siamo tutti?" Chiese Edward, chiudendo la porta di vetro della sala delle riunioni alle sue spalle.
Liz non sarebbe rimasta muta, aveva un unica occasione per far valere il volere della gente, e coraggiosamente avrebbe contrastato i piani di Eveline, come aveva fato in piazza, e come aveva fatto con Jeanine.
"No. Manca la rappresentate dei pacifici, e il rappresentate degli abneganti, Marcus." 
"Non voglio quelle due persone a questo tavolo." Disse Eveline, seduta al lato opposto del lungo tavolo di vetro rispetto a Liz. Quella stanza era immensa e piena di persone, ma ben poche davano l'impressione che fosse in atto una riunione, e non invece una resa.
Liz era armata solo di una pistola e di un coltello, e di sicuro Zeke non aveva dietro il suo fucile, mentre i soldati che si trovavano li con loro e che accerchiavano il tavolo erano armati fino ai denti. I nervi di Liz erano alle stelle e i suoi sensi erano vigili. Non sarebbe andata a finire bene, se lo sentiva.
"Perché mai? Come puoi pretendere di dettare un alleanza tra le fazioni senza i rappresentanti di due di queste?" Chiese Liz, alzando la voce per farsi sentire fino all'altro capo della stanza.
A metà del tavolo si trovava Jack Kang, capofazione dei candidi, sopravvissuto (sfortunatamente) a quelle settimane di guerra, e un erudito di fronte a lui, sulla trentina, anche più vecchio, ricordava il suo nome e il suo volto: Thomas.
Era stato il medico degli intrepidi per molti anni, ma due anni fa aveva lasciato il posto per fare carriera all'interno della propria fazione. Quante volte l'aveva ricucita! 
Si scambiarono uno sguardo amichevole, ma la stessa cosa non successe con Jack Kang. Forse era ancora arrabbiato per la fuga dallo Spietato Generale, o forse per come era andata a finire la guerra, o forse ancora per fatti suoi. Liz non li sopportava i candidi, era inutile!
"Tu sei qui perché Tobias non ha voluto subentrarti, se no non ci saresti nemmeno tu. Iniziamo questa riunione." 
Alzò una mano, e la porta della sala si aprì, facendo entrare un gruppo di uomini e donne, vestiti di colori sgargianti: pacifici.
Il bambino più piccolo, che avrà avuto cinque anni, piagnucolava attaccato alla gonna della madre, che Liz non conosceva, non l'aveva mai vista, ma era molto giovane, di sicuro una trae-fazione di qualche anno fa. 
La guardia alla porta spinse con il fucile l'ultimo della fila, obbligandolo a darsi una mossa. 
Si disposero in riga, davanti al tavolo, distanti due metri da Johanna. Gli uomini intorno a lei si misero tra la donna e il gruppo di persone, impugnando i fucili.
Liz si alzò dalla postazione, appoggiando le mani sul tavolo e spingendo indietro la sedia.
Cosa stava succedendo?
"Allora. Da adesso in poi il treno sarà attivo solo un giorno alla settimana, per permettere il trasporto degli alimenti e delle provviste dai campi dei pacifici alla città. Nessuno potrà uscire dalla barriera o entrare in città. Chiunque possa essere sospetto di questa infrazione sarà giustiziato istantaneamente." 
Dava le spalle al gruppo di pacifici, guardando davanti a se, fissando Liz. 
Stava aspettando la sua reazione. Ma elise era impietrita, di nuovo incapace di muoversi dalla paura.
"Avete capito?"
Si alzò dalla sua poltrona e si portò davanti alla ragazza che Liz non era riuscita a riconoscere.
"Dopo ciò che ho detto, ti chiedo: vuoi restare in città o andare dalla tua fazione?" 
Le mani della ragazza tremavano, ma lei cercava di non darlo a vedere tenendole giunte. Non abbassò lo sguardo da quello della donna, coraggiosa per suo figlio che si era zittito ma aggrappato con più insistenza alla gonna.
"Mio figlio soffre d'asma cronico. Deve rimanere in città, vicino a qualcuno che possa controllarlo. Voglio rimanere in città." 
Eveline la guardò, fissò poi il bambino, e infine fece un passo indietro.
"Scelta sbagliata." E fece cenno con la testa ad Edward.
"No!" Liz afferrò la pistola, sali sul tavolo, ma non fu abbastanza veloce: nel tempo che lei impiegò a percorrere il tavolo, Edward aveva già fatto fuoco, e la donna era stesa a terra, con un buco nella fronte, gli occhi spalancati, i capelli neri sparpagliati sul pavimento bianco. 
Il bambino era rimasto in piedi, lasciando le gonne della madre appena il suono dello sparo gli aveva riempito le orecchie. 
Gli occhi spalancati, Rossi dalle lacrime si riempirono di nuovo, Ma non ne verso nemmeno una. 
"Penso che gli altri abbiano capito. Portateli al confine e fateli passare. Ogni venerdì il treno dovrà partire carico di alimenti per la città. Comunicatelo a Johanna." 
"Tu sei pazza! Sei un animale!" Le urlò addosso Liz, non mollando la pesa intorno alla pistola, spostando il mirino da Edward a Eveline.
"Devi imparare Elise la differenza tra necessario e giusto. Questo era necessario." 
Edward le stava puntando addosso il fucile, e in quel momento Liz non aveva nessun intenzione di abbassare l'arma. C'avrebbe messo pochi secondi a sparare a Eveline, ma Edward avrebbe sparato a lei. Il pancione. Non poteva. Una mano le afferrò il polso invitandola a scendere dal tavolo: il dottore. La aiutò, e Zeke, pallido come un cencio, la riportò al suo posto. 
Il gruppo fu costretto ad uscire dalla stanza, il corpo della donna fu spostato subito dopo e il bambino seguì lo stesso percorso, singhiozzando, incapace di razionalizzare ciò che era successo.
Liz aveva il fiato corto. Guardava la scena con gli occhi sbarrati, esterrefatta, muovendo la testa di scatto da una parte all'altra, accorgendosi solo allora che jack era presente, in un angolo della stanza, messo in ombra.
"Ora che abbiamo chiarito la parte dell'alimentazione, cosa che ti interessava così tanto..." Disse Eveline, muovendosi verso il suo posto e sedendosi di nuovo.
"Possiamo passare a parlare del governo. Non verranno ristabilite le fazioni."
"Cosa significa? Avevamo detto..."
"Le persone che verranno viste indossare i colori della fazione verranno fustigate sulla piazza della città."
"Tu sei pazza. Tutto quello che abbiamo fat..."
"Chiunque venga sospettata di tradimento verso il governo detenuto dagli esclusi sarà processata e condannato a morte."
"Questo non è un governo!"
"Chiunque venga sospettato di mantenere dei contatti al di là della barriera, sarà processato e condannato a morte." 
"Non puoi farlo!"
"Chiunque attacchi un escluso o non si sottoponga alle punizioni dettate dalla nuova legge, verrà processato e condannato a morte."
"Ora basta! Non hai il potere per comandare tutto ciò!"
"Tu non hai il potere per opporti, e nemmeno loro." 
Sia Jack Kang che il dottore erudito teneva il capo chino sul tavolo, come se stessero guardando un puntino sulla superficie candida del mobile, come se non avessero sentito nulla di tutto quello.
"Soccombete, o morirete. Qualche volontario?" 
Le mani d Elise si strinsero a pugno intorno all'aria, conficcando lunghi nella carne dei palmi. Era inerme e impotente. 
"No? Bene. Possiamo procedere con il processo ai traditori." 
"Non esiste! Tutto quello per cui abbiamo lottato nelle ultime settimane, svanito. Sostituito da questa dittatore del terrore, non esiste! Le persone che sono morte non si sono sacrificate per ottenere questo!Ora dovrai ascoltarmi!" 
"Belle parole. Sei perfetta per il ruolo del comandante eloquente. Ma non sono le parole che ti salveranno." 
Eveline si passò una mano sul viso, snervata, e con l'altra fece cenno a Edward.
Il ragazzo e altri due alle spalle di Liz si mossero verso di lei, e l'ex intrepido la afferrò per il braccio in malo modo, per farla alzare.
"Vacci piano, tesoro. Giù le mani dalla signorina." Disse Zeke, afferrando per il polso il soldato e stritolandoglielo.
Edward e l'altro ragazzo armato puntarono i fucili su Zeke, e Liz riafferrò la pistola e la punto contro Edward, mentre Zeke mostrava il coltello all'altro.
"Ora basta!" Urlò Eveline, sbattendo una mano sul tavolo. 
Ci fu un momento di riluttanza a eseguire quel l'ordine da parte di Edward, ma alla fine abbassarono le armi, e così fecero Liz e Zeke.
"Fate entrate la traditrice." 
La sala si riempì di grida femminili, e Liz di girò per trovarsi davanti una ragazza che avrebbe potuto riconoscere in capo al modo, anche ridotta in quel modo. Stava su a fatica, si vedeva da come non riuscisse a mettere un piede dietro l'altro. Il viso era sporco di nero e di sangue lungo il fianco sinistro, le gambe scoperte piene di lividi e le braccia altrettanto. La cascata di capelli biondi era scomparsa. Glie li avevano tagliati
"Cosa le avete fatto?" Disse con orrore, storcendo la bocca.
"Ha ammesso di essere colpevole di tradimento alle fazioni, di avere commesso omicidio e di essere il secondo in capo a Jeanine. Merita la morte secondo il verdetto del processo."
"Quale processo?! Non c'è stato nessun processo! E lei non è il capo in seconda!" Urlò Liz. 
Era ancora in piedi, incapace di sedersi dalla tensione, e Lucy era inginocchiata a due metri da lei, tenuta alle spalle da due energumeni.
"Hai ragione. Ma il capofazione Eric è morto. Sarebbe stato difficile da far crollare con la tortura. Un fastidio in meno." 
Centro. Aveva fatto centro. Il viso di Liz si incrinò. Gli occhi le si riempirono di lacrime. No! La barriera stava crollando.
"Ora... Capofazione Elise... prendi la tua pistola e uccidila." 
"No" disse, senza pensarci.
"Fallo. Per vendetta. Ti do l'opportunità." 
Il diavolo le stava offrendo il suo più gran desiderio su un piatto d'argento.
La Liz razionale non avrebbe accettato, ma quella distrutta si sarebbe sentita meglio dopo aver tolto dalla faccia della terra quella bestia, che le aveva portato via tutto.
Puntò la pistola alla testa di Lucy, e ne inserì il cane.
Lucy la stava fissando, col fiatone e le lacrime agli occhi: le stava chiedendo pietà. 
Lei era pietosa? Lucy era stata pietosa?
No.
Strinse la presa intorno alla pistola, pronta per fare fuoco.
"Non sei migliore di lei, se lo fai." Sussurrò Zeke, dietro di lei di qualche metro, circondato da tre soldati.
Lo fissò e capì che non si sarebbe sentita meglio se le avesse tolto la vita. Una persona in più per cui provare rimorso. Sarebbe stata un altra scelta sbagliata.
Stava per abbassare l'arma.
"Sparagli, o io sparo a lui." 
Eveline teneva puntato un fucile al cuore di Jack, trattenuto con le mani dietro la schiena da Edward: gli occhi le chiedevano di salvarlo.
"Forza Elise spara. O il tuo amico morirà." 
Le mani le stavano iniziando a sudare e le braccia a dolere. 
Guardò di nuovo verso Lucy, ormai in lacrime. E poi di nuovo verso Jack.
"Spara." Disse Eveline.
Di nuovo guardò Lucy. Perché doveva scegliere! 
"Spa.Ra" 
La scelta giusta. Chi voleva salvare? Chi voleva essere? Come Lucy? 
"Come vuoi." Urlò Eveline, spostando il fucile più vicino a Jack, dando un colpo dietro le gambe del ragazzo e facendolo cadere sulle ginocchia. Puntò alla testa per fare fuoco.
L'aria della stanza fu sferzata dal rombo del proiettile che usciva dalla canna ed entrava nel petto di Lucy.
La ragazza Si fece scappare un singhiozzo, forse di stupore e orrore allo stesso tempo, reclinò la testa verso il basso e fissò la macchia scarlatta che si stava espandendo sulla tenuta nera e infine sogghignò, utilizzando l'ultimo alito di ossigeno di vita che le rimaneva per ridere in faccia a Liz un'ultima volta. E poi spirò, cadendo all'indietro.
Liz mollò la presa intorno alla pistola, che cadde pesantemente sul pavimento, e portò una mano a coprirsi la bocca, soffocando l'urlo che le grattava l'inizio della gola per venire fuori.
"Bene. La riunione è finita. Come ho già detto è stato ordinato un coprifuoco. Chiunque non lo seguir..." 
"Verrà condannato a morte, abbiamo capito." 
Disse Zeke, senza vena di presa in giro. Era serio, anche lui provata dalla scene a cui aveva dovuto assistere impotente, concentrato sulla figura paralizzata di Liz.
Eveline lo squadrò, e poi si rivolse a Jack, ancora in ginocchio. Abbassò il fucile e lo posò sul tavolo.
"La signorina Elise e il suo amico saranno accompagnati fino alla sede degli ex-intrepidi. Non le sarà permesso lasciare la stanza se non si mio ordine. E Jack... Grazie per esserti prestato" 
"È sempre un piacere." Le ripose il ragazzo, massaggiandosi i polsi.
Liz li fissò, ma non ebbe le forze per ribattere. 
Non aveva avuto il coraggio di muoversi da quelle due mattonelle su cui erano posati i suoi piedi.
Zeke la prese per le spalle, e con grande fretta la portò fuori dalla stanza, verso l'uscita, terrorizzato dall'idea che Eveline potesse cambiare idea.



Arrivati all'uscita incontrarono un gruppo di esclusi vestiti con stracci ma anche loro armati fino ai denti. Due di loro stavano trasportando un corpo sulle spalle.
Zeke si irrigidì, e Liz alzò lo sguardo per osservare quello che aveva fatto rabbrividire l'amico 
Lui non si fermò, anzi velocizzò il passo e cercò di fare da scudo e di mettersi in mezzo per non permetterle di vedere.
Troppo tardi: l'aveva riconosciuto. Il tatuaggio di una fenice sul collo. I capelli neri sparsi sulla schiena dell'escluso. La testa penzolante.
Tori.
Liz si aggrappò alle spalle di Zeke, cercando di farlo girare per tornare indietro, ma il ragazzo la afferrò per le braccia e continuò a camminare verso il lato opposto, dove si trovava l'uscita.
"No" sussurrò Liz, cercando di opporsi, puntando i piedi, ma senza riuscire a fermarlo.
E urlò, squarcio il silenzio della notte, gridando, sfogando tutto quello che aveva visto. 
La diga era crollata e i pezzi di cuore si frantumavano a terra e come proiettili volavano nell'aria.
Urlò di nuovo, incapace di tenersi dentro quel l'amaro della vita che l'aveva consumata. 
E urlò ancora perché non era sta capace di fermare tutto, perché avevo avuto paura per se stessa: Codarda. Voleva tornare indietro. Voleva Tori. Voleva Lucy. Marlene. Eric! Voleva ammazzarlo, abbracciarlo, piangergli addosso! Lo voleva così tanto.
E Urlò di nuovo e pianse, mentre Zeke ormai stava correndo, portandola in braccio, per allontanarsi da quel posto.



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Capitolo 22
*** Solo Dolore ***


Ci siamo!! Ragazzi vi scrivo da Vienna! Gita scolastica... Dopo aver cercato disperatamente un Wi-Fi sono riuscita a postare il nuovo capitolo. 
La storia sta arrivando al giro di boa decisivo, penso che ci vorranno ancora cinque capitoli per vedere l'epilogo finale! 
Avete già in mente qualcosa?
La mia speranza è che vi abbia portato completamente fuoristrada tanto da non permettervi di capire cosa possa succedere adesso! Che cattiva!
Ditemi cosa ne pensate
Mi scuso con Kaimy11 se non ho risposto. Ti ringrazio tantissimo per la recensione. Siete sempre presenti!! E grazie anche a Kathline24!!
Buona lettura 
 
 
 
 
 
 
 
Datti una mossa. 
Devi muoverti, devi muovere quel cavolo di dito.
Respira! Cerca di respirare! 
Sputa l'acqua, non ingoiarne più! 
Tra poco sarà tutto finito, tutto. Non farai più casini. Tra poco potrai finalmente riposare.
Puoi sentire di essere arrivato alla fine, ma allo stesso tempo sei tentato da quella sensazione di salvezza, da quella minima possibilità. La senti, e ne sei attratto: il dolore della vita sulla terra è troppo intenso da decidere di non viverlo mai più. 
Cerchi di muovere quel maledetto dito, di respirare, alzare l'addome contro la pesantezza del sonno, di aprire quei dannatissimi occhi, di uscire da quel bianco che ti sta accecando.
Eric, apri quei cazzo di occhi, adesso!
 
Spalancò gli occhi, e si tirò su con uno scatto felino, iniziando ad analizzare il luogo intorno a lui.
Era una stanza piccola, con pareti di legno. Era notte, lo vedeva dalle immense vetrate davanti a lui che davano su un campo buio, ma comunque era visibile il bianco della neve che lo ricopriva. Le mani erano puntellate indietro, per aiutarlo a sostenersi. Il suo respiro era veloce, e ogni boccata di ossigeno che prendeva gli dava una fitta fastidiosa al torace.
Abbassò lo sguardo sulle sue gambe, vedendo finalmente dove si trovava: in un letto, bianco, aveva una coperta che lo copriva fino ai fianchi e indossava una tuta altrettanto candida, una t-shirt esattamente uguale e sentiva il petto stretto.
Afferrò con la mano destra la maglietta e se la tirò su: una fasciatura fatta di bende altrettanto candide gli circondava buona parte del torace dove si ricordava aver sentito la pallottola penetrargli il cuore durante la discesa nelle fogne. Per fortuna non era andata così.
Per fortuna... 
Non ne era sicuro fino in fondo. 
Portò una mano a stropicciarsi gli occhi, distrutto e disperato allo stesso tempo, più che altro sconvolto: il destino l'aveva salvato un altra volta. Possibile che non potesse morire e basta? 
E dove si trovava? Chi si era preso la scocciatura di salvare un fuggitivo moribondo e mezzo affogato? Chi cavolo lo aveva curato? Un pazzo, non c'erano dubbi... Dalle stelle alle stalle, di male in peggio: passate da una stronza, a un pazzo. Qualcuno si stava decisamente divertendo con la sua vita.
Sentì un rumore di chiavistello, girò la testa a destra, verso una porta che non aveva visto perché mimetizzata con le pareti in legno scuro. L'entrata fu appena aperta per far passare un individuo che Eric avrebbe riconosciuto in capo al mondo: il suo incubo.
Non l'aveva mai incontrata nel suo scenario della paura, per fortuna il siero glie lo aveva risparmiato, perché lei poteva benissimo essere al primo posto tra le persone che lo terrorizzavano.
"Non dirmi che sei stata tu?" 
Johanna chiuse la porta alle sue spalle, ci si appoggiò contro, prese un lungo respiro, e percorse la camera, fino ad arrivare a una sedia accanto al letto del ragazzo, la afferrò e si sedette, girata verso Eric. 
Il ragazzo era stupito, ma non lo dava di certo a vedere. Abbandonò la mano che si trovava a mezz'aria sul materasso, cercando invece con l'altra di allentare le fasciature che non gli permettevano di respirare fino in fondo.
Johanna si rialzò dal posto che aveva occupato, e con uno schiaffo allontanò la mano del ragazzo, ammonendolo con lo sguardo.
Si spostò i capelli ribelli e rossi dietro le orecchie, si chinò all'altezza del busto di Eric, e rimise a posto le bende, stringendole con forza.
Ad Eric scappò un lamento di dolore per la fitta ricevuta. Si zitti subito, soffocandola in un grugnito, storse le labbra in una smorfia di fastidio e chiuse gli occhi per sopportarla. 
Si appoggiò all'indietro contro un muro di cuscini.
Johanna tornò al suo posto.
"Se fosse stato per me ti avrei lasciato in quel canale a marcire: sei molto più utile sotto forma di letame."
"La gentilezza fatta persona. Ma?"
Johanna alzò le spalle "Respiravi." 
Colpito e affondato, Eric capì che era meglio non disturbare il can che dorme. Stuzzicarla di più non avrebbe portato a nulla. Doveva essere diretto ma discreto.
Aprì la bocca per parlare, ma la donna lo scavalcò.
"Avevi due costole incrinate per il colpo di pistola, una gamba fuori uso a causa di una ferita da arma da fuoco molto profonda, un polmone collassato, e un proiettile che ci sono volute tre ore per tirare fuori. Ora..." 
Si spostò avanti sulla sedia, avvicinandosi al letto, quasi cercasse di farsi sentire meglio da Eric.
"Come cavolo fai a essere vivo?" 
Eric la fissò e ricambio lo sguardo intenso, ma meno aggressivo rispetto a quello della donna.
"L'erba cattiva non muore mai." Disse. 
"Come è vero."
Tornò seduta dritta sulla sedia, si risistemò il ciuffo di capelli che era sfuggito all'acconciatura di nuovo dietro l'orecchio.
"Sei nella fazione dei pacifici, se non fosse abbastanza chiaro. Sei stato addormentato per un giorno intero, ma noi ti abbiamo trovato solo questa mattina. Sei uscito dalla sala operatoria solo due ore fa, e sei già sveglio." 
A Eric non sfuggì il tono di stupore della donna. 
"Hai perso molto sangue, ma il tuo colorito è normale e il tuo battito è regolare. Dovrai comunque restare qui da noi finché non ti sarai rimesso completamente. Ci vorrano delle settimane ragazzo, quindi calma i bollenti spiriti e mettiti comodo."
"Perché fai tutto questo?" Non era abituato a ricevere nulla senza qualcosa in cambio.
"Perché hai messo incinta mia figlia, traditore. E perché in questo momento la speranza che ho di riabbracciarla e soffocata dalla situazione di terrore che c'è in città, e tu... Tu potresti rappresentare la nostra merce di scambio con la capo fazione degli intrepidi. Non sei tenuto a sapere, ma ormai non sei più una minaccia per nessuno." 
Prese un lungo respiro, come se fosse combattuta se rivelargli la verità.
Eric si zittì, in attesa.
"La città è sotto il potere degli esclusi. Eveline non permette a nessuno di entrare e uscire dalla barriera, men che meno comunicare. Un ora fa è arrivato un gruppo dei nostri dalla città, tra cui un bambino sottoshock: le hanno uccisa la madre davanti agli occhi con un colpo di pistola, così la stessa cosa è capitata nella piazza dei candidi. Jack Kang è stato arrestato, io allontanata..." La voce le si spezzò, ma senza farla sembrare fragile. 
Era questo che aveva sempre terrorizzato Eric: la donna che era Johanna, una donna senza lacrime, senza emozioni spontanee, tutt'altro che pacifica, come se avesse vissuto una vita nel terrore e adesso non potesse far a meno di quella barriera di apatia. Elise l'aveva sempre detto, sua madre era un pilastro per lei, ma nulla di più. Non una madre piena di affetto: rigida, severa, assente. Ma Liz non glie lo aveva mai fatto pesare. Chissà cosa aveva dovuto vivere Johanna per chiudersi in quel modo dai sentimenti. Chissà cosa le aveva fatto passare il padre di Elise. La ragazza non parlava mai ad Eric di quell'uomo, una volta si era osato chiedergli il perché non lo nominasse mai e lei le aveva risposto che non era abituata a parlarne, né a immaginarselo o a ritenere importante una figura paterna nella sua vita. C'era sua madre, e quello bastava. Per Elise c'era lui, e lei si era sempre considerata troppo fortunata, era stata sempre convinta di non meritarlo. 
Ripensando a quello, Eric non poté non sentirsi invadere da un profondo malessere che gli stava annebbiando la mente, il cuore, Gli occhi. 
Evelina riprese a parlare. 
"E di Elise non so nulla! Alcune voci dicono che abbia ucciso lei stessa dei traditori, ma non posso crederci fino in fondo. Lei non si sarebbe comportata così. Non ho idea di dove sia, non so se è... Se è ancora..."  
Eric, leggendo il dolore negli occhi di quella donna, si allungò oltre il bordo del letto e le afferrò la mano, stringendola per rassicurarla: un vero gesta da rigido, complementi Eric! 
"C'è un modo per vedere dove, ma devi portarmi qui uno schermo, un computer, un televisore, qualsiasi cosa che sia collegabile alla rete della sede." Scandì.
"Tu mi hai salvato, ripagherò il debito. Salverò lei." 
 
 
 
Non sentiva le mani, le dita che si muovevano. Quando afferrò la maniglia della porta dell'appartamento non senti il contatto con il metallo freddo. 
Quella missione l'aveva stravolta: tre giorni al gelo della Chicago abbandonata. Lei e Lynn erano state molto brave, venir fuori da quella situazione non era stato per nulla facile.
Tre giorni di gelo, non riusciva a toglierselo di dosso nemmeno premendo il proprio corpo contro il riscaldamento della stanza. Aveva bisogno di una doccia.
Si fiondò in bagno e iniziò a spogliarsi.
Gettò a terra la cintura delle armi, slacciando anche la cintura dei pantaloni e svuotando le tasche dall'auricolare, il gps che depositò sul bordo del lavandino.
Continuava a non sentire il contatto con gli oggetti. 
Si sfilò la giacca pesante, che non aveva impedito comunque di soffrire il freddo.
Era risultato veramente difficile solo ascoltare e osservare quel gruppo di esclusi in quella parte di città dove non c'era nulla, se non macerie e ratti; per un intero giorno erano riuscite a non farsi notare, ma non erano comunque riuscite a ricavare nessuna informazione da passare al centro di controllo. Max le aveva chiesto di essere discrete, di tenere il profilo basso, non dovevano attaccare o mostrare la loro presenza perché quel gruppo di esclusi era troppo importante e non potevano perdere la loro posizione dopo mesi di ricerche. E molto pericoloso.
Liz si sbottonò con grande difficoltà la chiusura dei pantaloni. Soffiava tra i denti per cercare di trattenere i brividi che le percorrevano la pelle e le labbra viola.
Avevano preso troppo freddo, dormito tra pareti gelate. Avrebbe preferito essere colpita da cento proiettili, avrebbe fatto altrettanto male.
Quando si fu liberata dei vestiti, rivolse il proprio sguardo allo specchio: un livido enorme aveva preso forma sul fianco destro del costato: il calcio di quell'imbecille! 
Si accarezzò la parte destra del viso, avvicinandosi al riflesso. Aveva un ematoma all'altezza dell'occhio, ma sarebbe passato in pochi giorni.
L'ultimo giorno era uscita allo scoperto alla ricerca di qualcosa per accendere un fuoco, Lynn era rimasta all'interno di quelle quattro pareti che avevano preso come base in quella zona disastrata; l'avevano trovata, presa per i capelli e malmenata, cercando di cavarle il perché lei era lì, il perché li stesse osservando da giorni, scovando poi Lynn e legandole. 
Le avevano portate al di sotto di quella zona, bendandole, ma loro non erano alle prime armi: avevano memorizzato il tragitto è appena si fossero liberate lo avrebbero comunicato al centro di controllo.
Le avevano divise e interrogate separatamente, Elise non si ricordava molto bene quel frangente, perché prima di farla entrare in quella stanza le avevano tappato la bocca con uno straccio intinto di cloroformio, e l'unico suono chiaro di cui era sicura esseri successo davvero era stato l'urlo di Lynn che pronunciava la parola d'ordine per chiedere aiuto al centro di controllo.
Si era svegliata distesa nel retro di un camion degli intrepidi, con Zeke seduto all'altro capo di esso, Lynn seduta al posto del conducente. 
"Hai fatto incazzare molte persone Elise. Non era una missione per te. Lynn passerà dei guai per averti portata con se, pur avendola ingannata tu stessa." Aveva detto Zeke. Era seduto e appoggiava i gomiti sulle ginocchia, tenendosi le mani tra i capelli corti. 
"Molte persone, o una soltanto?" Aveva risposto. 
Eric glie l'aveva vietato, ma lei non aveva dato retta. Era una missione molto importante, le avrebbe dato punti agli occhi di Max, e lei ne aveva bisogno. Si sentiva inutile: lei non era un allenatrice, ne un informatica che doveva rimanere chiusa dentro le mura della sede. Lei era un soldato, che ad Eric andasse giù o meno. 
Quando erano arrivati nessuno le venne incontro. Lei è Lynn si mossero verso gli uffici di Max, ricevendo da lui una lavata di capo è un ringraziamento per le informazioni che avevamo passato alla sede in quei due giorni. Di Eric nemmeno l'ombra. 
Si buttò sotto l'acqua bollente, segno che nessuno si faceva una doccia da almeno un giorno intero, non era facile il discorso doccia calda alla sede degli intrepidi, nemmeno nelle stanze dei capifazione.
Si lavò, sfregò ogni parte del corpo per riscaldarsi. Le mani stavano riprendendo il senso del tatto e il viso riprendeva il colore sempre pallido, ma meglio di quel blu causato dalla mancata assiderazione. 
Aveva ancora freddo, sin nelle ossa. Sentendo che la doccia non stava migliorando nulla si asciugò, e nuda, tornò in camera. 
Si avviò verso la parte di stanza dove si trovava il suo armadio e armeggiò per trovare un intimo pulito, una canottiera pulita e un pantalone da allenamento. Aveva bisogno di scaldarsi, e l'unica maniera era tirare di box.
Entrò in palestra, non c'era nessuno, era troppo tardi perché ci fosse qualcuno ancora in piedi.
Si posizionò davanti al sacco da box e iniziò con i colpi di base, ma poi si fece prendere dal l'euforia del momento e dalla sensazione di calore che la stava aggredendo. Finalmente! 
Non era solo il caldo, anche la frustrazione: Eric non si era fatto vedere! Se voleva essere arrabbiato con lei, che la affrontasse. Vigliacco! Cosa serviva ignorarla?!
Accelerò i passaggi da un colpo all'altro, respirando tra un movimento e l'altro.
Quando raggiunse il suo limite di sopportazione, si fermò, riprendendo fiato e allentando la presa introno ai pugni.
Si avvicinò agli armadietti al fondo della palestra, riponendo i guantoni e afferrando un asciugamano pulito e profumato di fresco. 
Tornò indietro, per mettere a posto il sacco da box, passando di fianco al muro davanti alle piattaforme del lancio con i coltelli. 
Si accorse dello spostamento, ma era troppo tardi, il coltello era andato a segno, non aveva avuto nemmeno il tempo di irrigidirsi o voltarsi per vedere dove provenisse. 
Vide una ciocca dei suoi capelli arancioni svolazzarle davanti agli occhi e cadere a terra. 
Alzò lo sguardo da terra e lo vide. 
Stava soppesando un altro coltello, guardandola fissa negli occhi. 
"Eric, cosa credi di fare?" Gli urlò, furiosa. Le aveva lanciato un coltello, tagliato i capelli! Ma era impazzito del tutto? 
Portò il braccio teso all'indietro e diede lo slancio per il lancio. Sta volta il coltello si conficcò vicino al fianco di Elise, intrappolando un lembo della sua canottiera contro il pannello di legno. 
Elise afferrò il manico della lama, cercando di tirarlo via e liberarsi, ma le mani non erano abbastanza forti, ancora doloranti dal freddo e dallo sforzo della box. 
"Dami un buon motivo per fermarmi."
Disse, rimanendo posizionato dietro la linea di lancio. 
Fissava la lama che si stava rigirando tra le mani. 
A Elise mancarono le parole, o meglio ancora una scusa  
"Perché non ho fatto nulla di male." 
Lanciò il coltello in aria per afferrarlo poi dalla punta, soppesandolo. 
"Motivo sbagliato."
Tirò il coltello, questa volta più forte di prima. Si conficcò nel pannello al disotto del viso di Elise, accanto al collo, ferendola. 
Liz si fece scappare un gridolino di sorpresa più che di dolore. Un rivolo di sangue percorse il solco del collo. 
"Dammi un buon motivo per fermarmi, Elise." Scandì a denti stretti, ormai con le mani sfornite di coltelli. Serrava i pugni con molta forza, le dita era sbiancate e i muscoli erano in tensione. 
Ora basta! Si era stufata! Era sfuggita a un 'ibernazione, era stata strapazzata da tre omoni esclusi e aveva appena ricevuto una lavata di capo da Max. Eric non sarebbe stato un punto di quella lista. Non comandava lui e non poteva punirla! 
"Perché la colpa è di quello stronzo del mio fidanzato che crede di comandare il mondo e di poter pretendere che io me ne stia nella sede a tenere d'occhio dei bambini!" Gli urlò contro. 
Eric serrò la mascella, chiuse gli occhi prendendo un profondo respiro. 
Quando riaprì gli occhi lo sguardo era cambiato: grigio scuro, quasi nero. A Elise salirono dei brividi lungo la schiena, ma non si scompose. Lei aveva ragione. 
Eric si girò verso il tavolo dove erano posizionati ordinatamente i coltelli, ne afferrò uno e con uno scatto felino si girò e lo lanciò. La lama si conficcò nel pannello, sfiorandole il fianco sinistro. Di nuovo si volse verso il tavolo, ne afferrò un altro e lo tirò: taglio L'aria e colpi il legno, la lama continuava a vibrare vicino alla mano destra di Elise. La ragazza era rimasta ferma, non conveniva muoversi. 
"Ti avevano detto di non andare!" E ne tirò un altro. Le sfiorò la guancia. 
Basta, per favore, basta. Elise non poteva far a meno di avere paura, ma rispose comunque. 
"Tu non puoi ordinare nulla a me!" Gli urlò. 
Eric ne lanciò un altro, che le sfiorò la spalla, procurandole una bruciatura per il contatto durato un millisecondo con la lama. 
"Io sono il tuo capo fazione! Io ti ordino quello che voglio!" Le urlò addosso. 
"No! Sei il mio ragazzo! E non hai seguito il buon senso di un capo, ma l'istinto di un compagno iperprotettivo!" 
Eric si immobilizzò. 
"Stai dicendo che non sarei un buon capo?" Le chiese con tono offeso e furioso, ancora più di prima. 
Elise avvicinò la mano al coltello che le bloccava la canottiera, cercando di sfilarlo. 
Un altra lama si conficcò in quel momento nel punto dove la sua mano stava facendo forza: la tolse appena in tempo prima di vedersela sanguinante. Urlò per la frustrazione. 
"Sei impazzito! Non ho detto quello! È la mia carriera, non puoi intralciarla!"
"E tu non puoi infilarti in situazione da cui non posso tirarti fuori!"
Le urlò di rimando. 
Ecco qual'era il problema. Aveva detto bene: iperprotettivo. Non ne era mai stata sicura al cento per cento, aveva sempre accettato i sentimenti di Eric come lui glie li dava: incerti, rari, intensi e incomprensibili. Non si era mai soffermata sulla possibilità che lui potesse tenerci veramente a lei. O almeno non così tanto. 
"Se ti può interessare, ce la siamo cavata, non si sa come. Non pensavo che saremmo tornate tutte intere. Ho avuto paura Eric."
Era sincera. Il freddo che le percorreva il corpo e le ossa non era per i giorni e le notti al gelo dell'inverno, ma per la paura della morte, scampata non si sa come. Il ricordo del modo in cui quei tre uomini l'avevano picchiata l'avrebbe accompagnata per tutta la vita. 
"E sto provando la stessa paura ancora adesso, e non riesco a farla andare via." Singhiozzò. 
L'ansia delle ultime ore stava venendo fuori nel peggiore dei modi: lacrime. 
Eric mollò i coltelli, facendoli cadere a terra. 
Si lanciò verso i pannelli, afferrando lama per lama, staccandole e facendole tintinnare a terra anche esse. 
Le prese il viso tra le mani ruvide e callose. Calde. Familiari. 
Le asciugò le lacrime, che non era riuscita a trattenere, con i pollici e la strinse a se. 
"Non ti fermerò mai più. Ma quando ti do un ordine devi seguirlo, per il tuo bene. E per la mia sanità mentale." 
La baciò vicino all'occhio, dove si trovava il livido. 
"Glie la farò pagare a quei pezzenti per averti toccata. Quello posso farlo solo io."
Le scappò una risata mista a un singhiozzo, che Eric zittì con un bacio profondo. Le premette una mano sulla nuca, facendole reclinare il volto. 
"Sono iperprotettivo, ma continuerò comunque a proteggerti sempre. Anche adesso che sei sola, ma non lo sei in realtà. Devi resistere, combattere contro il freddo, contro la febbre. Liz combatti! Devi svegliarti! È un sogno, non avere paura. Ti sto guardando e ti sono vicino. "
 
 
Riaprì gli occhi, prendendo il respiro più lungo e rinvigorente della sua vita. 
"Ha aperto gli occhi! È cosciente!" Urlò Zeke. 
"È una buona notizia. Se è cosciente abbiamo qualche ora in più prima del peggio. Dove sono quegli stracci bagnati?!" Urlò un uomo che Liz non riusciva a inquadrare. Sentiva il ventre contratto, la pelle che andava a fuoco, e il freddo che la divorava. 
"La pancia! Fa male!" Singhiozzò. 
"Dottore! La prego!"
"Non possiamo! Eveline ha impedito ogni accesso a farmaci e medicinali! Bisogna aspettare i rimedi dai pacifici."
Non poteva farcela. Non poteva farcela. Chiuse gli occhi e urlò.
"Non arriverà a domani!" Disse Zeke, preso dal panico. 
"Liz non perdere i sensi, stai con me!"
Gli occhi non reggevano, i crampi erano troppo forti. 
"Il bambino." Sussurrò il dottore. 
Spostò le lenzuola del letto della ragazza e le tasto il ventre. 
"E in atto un aborto spontaneo. Non c'è modo di salvarlo." Disse l'uomo sottovoce a Zeke, ma Elise aveva sentito.
"Toglietemelo! Portatelo via! Fa troppo male!"
Urlò, rimanendo senza fiato. E il buio la reclamò. 
 
 
"Sono riuscito a inserirmi nel server delle telecamere della città. Possiamo vedere dove sono tutti."
Eric era intento a collegare i vari canali su quel televisore di decenni fa, seduto vicino a un tavolino nella stanza dell'infermeria dei pacifici.
Johanna era alle sue spalle, più agitata che mai! 
"Trova lei! Trova lei!"
"L'avranno rinchiusa da qualche parte. Lasciami cercare."
Dopo mezz'ora di schermate vuote o immobili, erano comunque le prime ore del mattino, la trovarono, nella loro vecchia camera della sede, stesa in un letto e circondata da due uomini. Si muoveva tra le lenzuola. 
"Attiva l'audio." Gli ordinò Johanna. 
Io ragazzo si immobilizzò, percependo da quelle immagini la verità. 
"Sinceramente pacifica, non ne ho il coraggio."
Johanna lo scavalcò e alzò il volume del macchinario, distinguendo tra i rumori delle onde di trasmissione le urla della figlia, quelle del dottore e la figura di Zeke piegato su se stesso: sembrava disperato. Era molto chiaro quello che stava succedendo. 
Eric aveva perso colore in faccia, aveva mollato tutto e si era alzato, mettendosi le mani tra i capelli corti. Il respiro era accelerato e faceva fatica a trattenere la frustrazione e le lacrime. E ad ogni urlo che veniva fuori dall'apparecchio il suo torace veniva meno di un battito. 
La porta della stanza fu spalancata da una figura femminile con il fiatone. 
"Johanna ci hanno richiesto erbe e medicinali dalla sede degli intrepidi. Cosa facciamo? Rispondiamo?" 
Johanna la raggiunse "Subito, rispondiamo subito! Accordatevi. Fate attenzione a non essere trovati dagli esclusi. Anzi, vengo con te."
Se ne uscì dalla stanza. 
Un altro urlo "Toglietemelo!" E Eric si spezzò: tirò un pugno contro il vetro davanti a lui, incrinandolo e procurandosi numerose ferite sulle nocche. Lo colpì di nuovo, e di nuovo. Un mugugno di dolore gli uscì dalla bocca. 
Se lo meritava. Colpi di nuovo, e di nuovo. Che il dolore lo mangiasse, non si meritava la salvezza, si meritava solo dolore. 
Solo. Dolore. 
 
 
 
 

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Capitolo 23
*** L'ennesima volta ***


Buona sera! Tornata dalla gita, e quindi posso pubblicare questo nuovo capitolo scritto a cavallo tra l'Austria e la Slovacchia... (Wow! Che avventura). E concluso nel mio letto a casa mia. L'ispirazione potrà venire dai viaggi, ma nulla è meglio di casa propria! 
L'ultima volta vi ho lasciate con il fiato sospeso, in questo capitolo cercherò di far venire tutti i nodi al pettine (se si può dire). 
Grazie alle ragazze che hanno recensito, siete stupende! 
Ormai mi sto completamente distaccando dal libro, sono su tutta un altra strada, e sto trovando difficile attenermi del tutto agli avvenimenti reali della Roth. Ditemi cosa ne pensate, se è troppo, o se posso osare. Sta diventando noioso? Siate sincere!! (E coraggiose!!)
 
L'ennesima volta 
 
 
"Devi essere coraggiosa."
Eric le stava accarezzando ritmicamente la guancia destra con la sua mano e sfiorando i lineamenti del viso. Le prime luci del giorno irradiavano e illuminavano tutta la stanza di un colore roseo arancione, rendendo la pelle di lui di quel colore così caldo. 
"Non devi avere paura, non è successo nulla." 
Cercava di confortarla, stesi nel loro letto, avvinghiati tra loro, come erano soliti stare dopo una notte di puro amore. Il braccio del ragazzo era intorno alla vita di lei, le loro gambe intrecciate, il viso di Elise appoggiato sulla sua spalla, respirava sul collo di lui. 
Le accarezzò nuovamente la guancia, scendendo sulla spalla, lungo il braccio, spostando la mano di lei dal ventre, dove non si ricordava di averla appoggiata. 
Elise abbassò il viso, distogliendo lo sguardo da quegli occhi così amorevoli è così poco simili a quelli di Eric. Si fece prendere dallo sconforto, perché finalmente aveva collegato tutto quello che era successo e aveva capito perché non si ricordasse come faceva a essere li a rivivere quel momento: un sogno. Il suo respiro cambiò e il cuore prese a battere più velocemente, mentre il dolore le attanagliava la mente.
"Come fai a dire che non è successo nulla." Sussurrò, facendo sfuggire alcune lacrime. 
Eric le sfiorò il mento, per sollevarlo e riportare i loro occhi in contatto. Fece scorrere il pollice sul solco bagnato che la lacrima aveva lasciato sulla guancia. 
"Lizzie è una bambina, ha i capelli scuri, è di quasi sei mesi. Ed è bellissima."
A Elise scappò un singhiozzo, aprì la bocca per far uscire le parole ma ne ricavò solo un altro singhiozzo. 
"Ha tutte le dita?" Chiese senza pensare. 
"Cinque per ogni piedino e per ogni mano. E per fortuna due mani e due piedi." Disse lui, senza riuscire a non farsi scappare una tirata di labbra, che agli occhi di Elise era il sorriso più radioso che Eric le aveva mai rivolto. 
"Posso vederla?" 
Eric appoggiò la sua fronte su quella di lei e avvicinò le labbra al suo volto, baciando via le lacrime che continuavano a uscire senza argini, le circondò il viso con le sue mani, cercando di tranquillizzarla. 
"Non è il momento. Non è quello che devi fare. Adesso ti devi riprendere. Devi proteggere la città, contattare Quattro, mettere le cose a posto. Non è ancora il momento di fare la madre, hai capito?" 
Liz chiuse gli occhi, scuotendo appena la testa, per poi iniziare a tremare in preda alla disperazione. 
"Non è giusto, non lo voglio fare! Portami con te! Perché non sono ancora con te, con voi!" 
Ora piangeva, urlava e singhiozzava senza ritegno. Si avvinghiò alle spalle di lui, sprofondando il viso nel suo petto.
"Perché non è ancora il momento. Quando avrai finito staremo insieme. Ma prima devi finire qua. Sii coraggiosa piccola." 
La strinse a se, appoggiando il viso sui suoi capelli rossi, respirandone il profumo, come se in un sogno si potessero sentire gli odori. 
"Avrei voluto fosse uguale a te. Che fosse un pezzo di te, un modo per averti con me."
La prese per le spalle, inchiodando il suo sguardo in quello di lei, facendola concentrare sulle parole che stava per pronunciare. 
"Elise te lo già detto: sarò sempre con te." 
Spostò le mani intorno al suo viso, la tirò sul suo petto e la baciò. Disperatamene. Lei aveva il bisogno fisico di quel contatto, di un contatto con lui. Ma era un sogno, e non sentiva nulla. Senza permetterle di prendere respiro, lei sentiva di non averne bisogno, la fece rotolare di lato e sdraiare sulla schiena premendola contro il letto. 
"Piccola, devi svegliarti, prenditi il tempo che vuoi, ma devi svegliarti e mettere a posto i mie casini. Dopo potrai venire con me." Le soffiò sulle labbra. 
"Devo sempre mettere a posto i tuoi casini."
"Sei molto brava a farlo. E io crescerò la piccola, mentre ti aspetto."
E dopo, la luce accecante del giorno la stordì e le pervase i sensi e la mente. 
 
 
 
 
Eveline era seduta su una sedia in quella stanza. Aveva molte cose più importanti da fare, ma era lì. Era accanto a quel letto, in attesa che aprisse gli occhi. 
La guardava e ne vedeva sempre di più la figura di una giovane Johanna, appena diventata rappresentate dei pacifici. Solo i capelli erano diversi: quelli di Elise erano lisci, dritti e rossi scuro, quasi 
sul marrone. 
La guardava e ne vedeva sempre di più la sua rovina, la personificazione del proprio dolore, del motivo per cui era scomparsa, per cui Marcus era diventato così violento. L'unica persona che doveva soffrire era quella pacifica: ne lei stessa, ne suo figlio. 
E l'unico modo per colpire fin nel profondo Johanna e Marcus, era colpire Elise. 
E lei lo stava facendo, lentamente, dolorosamente. 
Prima il suo prezioso capo fazione traditore Eric, poi aveva riottenuto il favore di suo figlio, aveva allontanato Johanna, dopo aver avuto con lei un colloquio molto acceso, che aveva visto la coraggiosa pacifica sconfitta da un esclusa: l'amante distrutta dalla moglie. Raccontarle la verità delle violenze di Marcus l'aveva fatta sentire potente, e aveva visto finalmente quella donna diabolica piegarsi per il senso di colpa. Finalmente, tutto girava come voleva lei. L'unica spina nel fianco era stata Elise, la capo fazione. 
Ma come sua madre, si era fatta rovinare da un uomo. 
Come lei. 
Avrebbe imparato la lezione con la stessa violenza che era stata inferta a lei. 
 
Vide un movimento appena percettibile delle dita della ragazza stringersi intorno al lenzuolo, e poi gli occhi di lei si spalancarono. 
Liz non riusciva ancora a mettere a fuoco il luogo intorno a lei, ma in pochi secondi riconobbe la figura seduta accanto al letto. 
Si raddrizzò subito, senza spostarsi dall'altra parte del letto. Non le avrebbe dato quella soddisfazione. 
"Ben svegliata."
La ragazza si guardò intorno: erano da sole, la porta era chiusa, e tutti gli arnesi chirurgici dell'altra sera non c'erano più, non c'era segno del dottore che aveva visto durante i pochi ricordi che aveva del risveglio. 
Pochi, ma intensi. 
Portò una mano istintivamente sulla pancia, cercando quella protuberanza a cui ormai si era abituata: non sentiva nulla. Ne battito, ne movimenti. 
"Non c'è più." 
Si girò verso la donna che aveva pronunciato quelle parole.
"Mia cara Elise, succede nella vita di una donna. Tu sei molto giovane, eravate tutte e due molto giovani, avere un bambino a quest'età non sarebbe convenuto a nessuno dei due, men che meno adesso che sei rimasta sola." 
Impallidì e gelò sul posto: non aveva nulla da dire, nulla da chiedere, nulla da provare. Ricordava il sogno, ma non ricordava cosa doveva fare, cosa doveva essere. 
Non riusciva nemmeno a trovare le lacrime, non ne aveva più. 
Doveva contattare Quattro! 
"Il dottore?" Sussurrò Elise. 
"Non poteva vivere, aveva infranto più di una legge imposta dal nuovo governo, tu sai quanto sono scomode queste decisioni, sopratutto perché il rappresentate degli eruditi era molto utile e competente nel suo campo, ma i primi tempi bisogna essere di ferro, se no anche le altre persone ne approfitteranno. È entrato nella sede e ha preso medicinali e apparecchi vietati." 
Pausa di un minuto intero, di sessanta secondi scanditi dai respiri accelerati di Elise. 
"Fucilato in piazza, se può interessarti."
Disse con severità la donna. 
"Quanto ho dormito?" 
"Dopo che ti ha somministrato i medicinali, e dopo averti assistito nella fase post-aborto non ti sei svegliata per quattro giorni. Quindi noi non ti abbiamo disturbato, perché Jack ha insistito, ma adesso, in tarda serata, sei attesa in sala riunioni alla ex sede degli eruditi. Dobbiamo discutere di alcune cose successe in questi ultimi giorni." 
Si alzò dalla sedia pieghevole e si avviò verso la porta. 
"Il tuo amico Zeke non è stato ancora intercettato, ma non passerà molto tempo prima che lo trovino. Ma ne parleremo meglio dopo." La vide uscire affiancata da due esclusi, tra cui Edward. 
 
Quando finalmente si sentì sola, veramente sola, si alzò dal letto, si avvicinò al tavolo della cucina dove aveva individuato una scatola dei medicinali. 
La prese, la osservò: sonniferi. 
Avrebbe potuto dormire per un bel po', ricostruire una vita nel mondo al di là con Eric, nel mondo dei sogni, raggiungere lui e la sua piccola lei. 
Aprì la scatola e rovesciò le pastiglie sulla mano. Erano più di una decina: sarebbe durato un bel po' quel viaggio, almeno lungo una vita. 
Si portò la mano alla bocca e se la riempì di quelle pillole. 
Appoggiò la scatola al tavolo, afferrò il bordo del mobile con le mani e lo strinse con forza, costringendosi a inghiottire. 
Mollò la presa e sbatte  il pugno chiuso sul piano, facendolo scricchiolare per la violenza: non ce la faceva. 
Scivolò a terra ritrovandosi seduta sul pavimento gelido, le mani ancora afferrate al bordo. 
E sputò fuori una a una quelle pillole maledette: la sua unica via di fuga. 
Una. A. Una. 
Quando finì, si prese la testa tra le mani, affondano le dita tra i capelli. Respirò piano, poi ancora e ancora. 
E poi urlò. Con tutto il fiato che aveva. 
Perché per l'ennesima volta aveva avuto paura, e per l'ennesima volta, non aveva avuto coraggio. 
Per l'ennesima volta, aveva ucciso qualcuno. 
Per l'ennesima volta, aveva perso Eric. 
 
 
 
 
"Mi sono rotto le palle di stare rinchiuso qui." Sbottó Eric, dopo l'ennesimo controllo di routine della donna pacifica che puntualmente ogni giorno si presentava per medicargli le ferite, cambiargli le fasciature e rifilargli qualche strano liquame a base di erbe e corteccia.  
Si alzò dalla branda scomoda che ormai da giorni era diventata il suo letto e, spingendo via la donna, si allontanò da quel ripostiglio che non poteva assolutamente chiamare camera. 
Ma dopotutto non poteva pretendere, doveva rimanere nascosta la sua presenza, sopratutto da quando gli esclusi avevano aumentato le visite alla sede dei pacifici. 
Dopo che Johanna aveva permesso il passaggio di quei medicinali l'unico modo per tenere nascosto il fatto era stato il caro dottore. Rimettendoci la vita.
Erano quattro giorni che non vedeva Johanna, quattro giorni che non osservava dall'apparecchio cosa stava capitando in città. 
Non era il tipo che se ne stava con le mani in mano, e non avrebbe accettato un giorno di più rinchiuso in quella stanza. 
Percorse il corridoio che collegava il bungalow al padiglione principale degli eruditi.
Passò per il giardino ancora bagnato dalla poca neve rimasta, ormai del tutto sciolta. Faceva freddo, e lui indossava soltanto una maglietta nera e i pantaloni neri e blu con cui era arrivato. Nemmeno morto avrebbe indossato i colori dei pacifici. Non era un hippy.
Entrò nel padiglione della sala mensa da una porta a due ante, completamente di vetro e legno, ritrovandosi davanti il deserto più totale: saranno state le sette di sera, a quell'ora doveva esserci già qualcuno che cenava, e invece non c'era anima viva.
Si avvicinó alle cucine, dove trovò del pane appena sfornato abbandonato sul tavolo da lavoro. Rubò due pagnotte e attraversò l'uscita di servizio delle cucine, ritrovandosi in un ala della sede che non aveva mai visitato.
Percorse i corridoi bui: non erano come gli altri, di vetro o illuminati dalla luce naturale del sole.
Ormai era in una zona completamente buia, se non per uno spiraglio di luce che proveniva dallo spioncino di una porta a due ante. Si affacció allo spiraglio e osservó dentro, appoggiando una mano all'anta della porta.
Vide una chioma di capelli rossi: Johanna. 
Era seduta su una sedia, e gli dava le spalle. Era china su qualcosa, su un tavolo.
No. Su un contenitore, non sapeva dirlo con precisione.
Una figura davanti a lei stava parlando, ma Eric non riusciva ad afferrare nessun significato di quelle parole.
Una figura ai limiti della sua visuale, che infatti non aveva notato, si fece avanti, verso Johanna, appoggiandole una mano sulla spalla, sussurrandole qualcosa all'orecchio. Johanna alzò la testa dal tavolo e si rivolse all'uomo, ricambiando il gesto.
Eric lo riconobbe. Zeke. Alto, vestito di nero, carnagione scura. Come aveva fatto a non riconoscerlo subito?!
Fu una frazione di secondo, Eric non ebbe nemmeno il tempo di reagire e nascondersi dietro la parete. 
Con la coda dell'occhio Zeke lo vide dallo spioncino e si immobilizzò.
Il suo sguardo da stupito, divenne pieno di rabbia, collera, violenza. Che non riuscì a controllare. 
Corse verso la porta, aprendola con uno scatto.
Eric non gli disse nulla, e nemmeno l'intrepido pronunciò parola. Si limitò a gettarglisi addosso, colpendo il viso di Eric con un gancio destro che gli fece perdere l'equilibrio. Eric lo afferrò per il bavero della giacca, cadendo tutte e due per terra.
Johanna si era alzata dalla sedia ed era corsa fuori nel corridoio, dove i due ragazzi si stava menando, rotolando da un lato all'altro del corridoio, sbattendosi contro i muri, per cercare di fermare l'altro, o di ferirlo, Johanna non ne era certa.
"Bastardo! Sei vivo! Non riesci proprio a morire!" Gli urlò Zeke, sovrastandolo e stringendogli le mani al collo.
"Ci vuole più che una pallottola per liberarsi di me!" E gli tirò una testata sul naso.
Zeke cadde indietro, liberando Eric dalla presa alla gola.
Il ragazzo gli saltò addosso con il pugno alzato, pronto a colpirlo al viso.
"Ora basta!" 
Eric rimase con il pugno sospeso per aria, la mano che teneva fermo Zeke per la giacca, l'intrepido steso per terra con la testa premuta contro il muro.
Johanna in piedi davanti alla porta teneva le ante aperte, permettendo alla luce di illuminare quella scena.
"Ora basta. Non posso sopportare un'altra lotta, non posso. Ora. Basta." Ripete, con voce flebile ed esausta. La donna si appoggiò al muro e si prese il viso tra le mani.era pallida, sconvolta, invecchiata di dieci anni negli ultimi giorni. Cosa era successo?!
Eric non mollò la presa, ma acuì la vista è guardò al di là delle spalle di Johanna, all'interno della stanza. 
Quello che pensava essere un tavolo, era invece un contenitore di vetro, o di qualsiasi altro materiale trasparente. In quel momento non era importante quello.
L'univa cosa importante era quel movimento: su e giù. 
Veloce, evidente, faticoso. Così veloce che sembrava sul momento di fermarsi dallo sforzo.
Il suono di quei fiati corti.
Il colore della pelle: rosa, molto rosa.
Quei ciuffi, disordinati e arruffati. 
Johanna notò la reazione di Eric, e anche Zeke non poté non accorgersene.
"No!" Fece per afferrarlo per le spalle e buttarlo a terra, ma Eric lo premette contro il muro, avvicinando il suo volto a quello di Zeke.
"Non ti intromettere più." Gli ringhiò. 
Lo mollò lì, in quel modo, e Zeke non reagì.
Si alzò, scavalcò Johanna e il suo sguardo preoccupato e desolato. 
Era un diritto di Eric vederlo, non poteva opporsi. Non avrebbe tolto questo alla sua Elise, non avrebbe privato quella creaturina del padre, traditore o meno.
Eric si avvicinò e lo vide.
Un neonato, in quella culla di coperte, protetto da un incubatrice trasparente. 
Aveva gli occhi chiusi, il petto che andava su e giù, i capelli marroni arruffati. 
Ne aveva tantissimi! Come era possibile? 
Dieci dita ai piedi. Dieci dita alle mani. La pelle rosa. Le guance paffute.
Era una femmina. 
Ed era bellissima.
Come era possibile? Alzò il volto e si rivolse all'uomo che doveva essere un medico. Articolò le uniche parole che in quel momento si muovevano vorticosamente nella sua mente.
"Come è possibile?" Il cuore stava battendo a ritmo del respiro della piccola, si abbassò piegandosi sulle ginocchia per avere il viso all'altezza dell'incubatrice, appoggiando sul bordo del tavolo di metallo le mani.
La creaturina girò il viso verso quello di Eric, calmando il respiro, rallentando il "su e giù" del petto.
"Il rappresentante degli eruditi, il dottor Thomas, aveva lavorato a stretto contatto con il suo insegnante per anni a questo esperimento. È un incubatrice, tiene in vita la neonata. Le fornisce la temperatura costante necessaria per la crescita all'interno del grembo materno. Ogni due ore le forniamo via endovena sali minerale, elettroliti, glucosio. Inoltre cresce più velocemente. Questo è il fattore sperimentale."
"Non mi piace la parola sperimentale. Cosa può danneggiarla?"
"Lo sperimentale è quello che permette che cresca più in fretta, che sviluppi tutti gli organi e i muscoli e i tessuti. Sono onde radioattive, sotto perenne controllo. Non sono nocive, ma il dottore non aveva mai sperimentato su un essere vivente questo prototipo. Troppo rischioso."
Si stava stringendo le mani, in preda alla paura.
Eric avrebbe voluto fargli fare la fine di Zeke in quel momento. 
'Sperimentale, mai sperimentato?! Stiamo scherzando?!
Si alzò di botto, rese per il collo il dottore e lo sbatte contro il muro.
"Lei non è un esperimento! Staccala subito!"
"Eric mettilo giù!" Gli urlò Johanna, correndo verso di lui. Gli si aggrappò alle spalle, ma il ragazzo se la scrollò di dosso in malo modo, buttandola per terra.
"Non c'era altro modo. L'intrepido ci ha riportato le istruzioni di Thomas! Se non avesse tolto la bambina sarebbero morte tutte e due, sia la madre che la neonata. Ha fatto un miracolo!" Singhiozzava il dottore tra un respiro spezzato e l'altro. Eric non gli permetteva di respirare fino in fondo, solo quanto bastava per rispondere alle domande.
Lo lasciò, e l'uomo scivolo lungo il muro, fino a terra.
Eric si voltò e scavalcò Johanna, ancora seduta per terra.
"Voglio vederla! Dov' e quel televisore?"
Si incamminò verso la porta, ma Johanna lo afferrò per la gamba impedendogli di andare avanti.
"Non devi più avvicinarti a lei! Non te lo permetterò!"
Le diede un calcio, costringendola a lasciare la gamba. Razzolò per terra.
"Tu? Proprio tu mi fermerai?! Tu le starai vicino?!" Urlò. 
Si passò una mano sugli occhi, voltandosi verso l'uscita, non voleva perdere il controllo. 
Ma quella questione doveva essere chiusa una volta per tutte quindi ci ripensò, e si girò di nuovo verso Johanna stesa a terra.
"Non ti basta tutta la merda che le hai gettato addosso in questi anni? Non ti basta averla cresciuta nell'insicurezza? Cosa pensavi, che non le sarebbero mai pesati tutti i tuoi segreti?!"
Johanna era ammutolita, lo guardava con sguardo torvo, come non riuscisse a capire cosa intendesse con quelle parole. Aveva cercato di dare il meglio a sua figlia. 
Eric lesse nel suo sguardo lo stupore, e capì di aver incastrato la capofazione più tosta in quella città.
"Pensavi che non lo sapessi? Mi credi un idiota? Ogni volta che incrociavi lo sguardo di Quattro, o addirittura quello di Marcus durante le assemblee era chiaro!"
Johanna si appoggiò al muro e cercò di tirarsi su da terra.
"Cosa stai insinuando?" Chiese con voce flebile.
"Che Marcus Eaton è il padre di Elise. E che tu hai rovinato la vita a Quattro e a quella pazza di esclusa. Tutto quello che sta soffrendo Liz..."
Prese respiro.
"È colpa tua." 
Johanna si infiammò. "E tu allora? Le hai rovinato la vita! L'hai ferita, l'hai distrutta, intrappolata! Tu non meriti di vivere!" Gli urlò addosso, non riuscendo a trattenere delle lacrime di rabbia.
Eric si girò, dandole le spalle.
"Dovevi pensarci cinque giorni fa."
Sorpassò la soglia della porta, Zeke gli si parò davanti.
"Elise non saprà mai che sei stato qui. Non farò parola che in realtà sei vivo. Nessuno lo farà. Sarai come un fantasma. Non ti permetterò entrare di nuovo nelle nostre vite, e nasconderò sino alla morte la verità. Se non ti posso sparare, ti punirò in questo modo."
Si fissarono, Eric irrigidì la mandibola, tutti i muscoli tesi dalla rabbia.
"Io so sopravvivere con le menzogne e la mani sporche di sangue. La domanda è: tu puoi?"
Zeke strinse gli occhi a fessura: l'avrebbe fatto, pur di non dargli di nuovo la possibilità di rovinarle la vita.
"Ora. Vattene." Gli ringhiò l'intrepido tra i denti.
"Con molto piacere." 
Ma prima, doveva vedere dove era lei.
 
 

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Capitolo 24
*** L'uomo che voglio essere ***


Due settimane di attesa! Non mi stupirei se alcune di voi andassero a rileggersi lo scorso capitolo perché non se lo ricordano più! 
Ma mi faccio perdonare! Lo giuro! 
Questo capitolo è molto delicato... Vado a toccare un argomento molto ma molto difficile che non ero convinta fino in fondo di inserire. Ma volevo qualcosa di realistico l, qualcosa di tragico e inoltre dovevo risolvere il personaggio di Jack. 
Basta non vi dico di più! 
Grazie alle puntualissime ragazze che recensiscono. Anche le altre, aggiungetevi! Seguite la storia da molto, e sono curiosa di sentire i vostri commenti. 
Buona lettura! Aspetto i vostri pensieri, le vostre critiche e tutto quello che volete commentare
 
 
 
 
L'uomo che voglio essere
 
 
 
"Marcus devi dirmi dove siete! Non posso rimanere qui. Avete contattato Quattro? Zeke è con te?" Dall'altra parte del telefono le risposte erano confuse, a causa del collegamento scadente di quello stupido aggeggio vecchio anni luce.
"Non abbiamo molto tempo, potrebbero aver già rintracciato la chiamata. Mi stai mettendo a rischio ragazza. Devi raggiungerci nella parte est della città, allo spietato generale. Li ti troverà uno dei nostri e ti condurrà dove siamo. Non abbiamo notizie degli usciti dalla recinzione. Elise, tu stai bene? Ti hanno fatto del male?"
Perché voleva saperlo? Come mai tutta quella confidenza? Elise si stava facendo prendere dalla preoccupazione, doveva essere successo qualcosa di terribile in quei giorni. 
Marcus e un gruppo di persone della città si erano distaccati e avevano innescato una catena incessante di continui attacchi per intralciare e bloccare il nuovo governo dittatoriale degli esclusi. La gente moriva di fame, oppure di infezioni per le ferite non curate, un epidemia aveva colpito la parte est della città e l'acqua pulita era un miraggio per le persone di Chicago. Tutto stava andando in rovina, e le vittime di quella pazzia e reclusione in quelle mura erano gli stessi esclusi. Se le persone innocenti sarebbero morte, anche i colpevoli di quei mali sarebbero caduti con loro. 
L'inverno non stava risparmiando nessuno. 
"No, sto bene. Ma devo allontanarmi da loro. Sta notte vi troverò la?"
"Muoversi di notte?! È da irresponsabili, meglio alla luce del giorno. Domani mattina, ti aspettiamo. Se non ti troviamo, verremo a cercarti. Zeke Pedrad è dai pacifici, si è rifugiato la. Ma non sarà al sicuro per molto. Fa attenzione Elise. Chiudo la chiamata."
E la linea cadde.
Appoggiò la cornetta sull'apparecchio che aveva trovato sotto il letto, stranamente collegato alla vecchia linea telefonica, ancora funzionante per di più. 
Si alzò dal pavimento e si diresse verso l'armadio contro il muro, dall'altra parte del letto. Aprendo le ante il profumo degli indumenti la travolse.
Una lacrima le solcò la guancia, automaticamente la ferita al cuore le si riaprì: il suo odore, i suoi vestiti. Aveva paura di esserselo dimenticato, e invece eccolo di nuovo lì: Eric.
"Sai che non è facile per me dirlo, ma in questo momento avrei tanto bisogno della tua presenza. Anche solo un insulto, un arrivederci, un addio!' Sussurrò ad alta voce. 
Qualsiasi cosa le permettesse di capire se aveva dimenticato la sua voce. 
Prese una maglione nero dallo scaffale e se lo avviccinò al viso, annusando il profumo di ammorbidente e colonia impregnato nel tessuto consumato dagli anni.
Lo gettò sul letto, si chinò, afferrò dal fondo del l'armadio una sacca nera, che mandò a seguire il maglione sul piumone del letto. Così come delle maglie di ricambio, pantaloni, armi, coltelli, due pistole e alcune ricariche, provviste, acqua. Tutto quello che poteva essere trasportabile di quell'appartamento e che poteva starci in quella misera sacca. 
Quando finalmente riuscì a chiudere la cerniera si accorse di non aver messo nemmeno un ricordo di quell'appartamento, di quella vita spazzata via dal fuoco. 
Non una foto, nemmeno un oggetto stupido regalatole da Eric, o il suo libro preferito.
Non un ricordo di loro. 
Non aveva più nulla di loro, nemmeno quel piccolo esserino. Si prese il viso tra le mani, non riuscendo a reprimere un singhiozzo di disperazione e angoscia, quando dalla porta provenì un rumore di chivistello.
L'entrata si spalancò e la figura alta e scura di Jack si stagliò nella luce fioca dell' abat-jour.  
Non entrò, ebbe la decenza almeno di non dissacrare quel luogo con la sua schifosa presenza.
"La riunione è stata spostata qui, alla sede degli intrepidi per facilitarti lo spostamento. Lo chiesto io stesso a Eveline."
Cosa credeva di ottenere? Lei si era fidata di lui! L'aveva tradita! Quattro aveva ragione, era completamente impazzito, gli avevano fatto il lavaggio del cervello. Quella donna glie lo aveva fatto. Avrebbe dovuto capirlo dal giorno che l'aveva sbattuta contro il muro, da quella mattina in piazza che l'aveva baciata contro la sua volontà. Aveva aspettato troppo, e ora le sue mani erano macchiate di altro sangue, e la sua coscienza grondava sensi di colpa, anche per quella traditrice di Lucy.
"Fai come vuoi." Gli rispose con strafottenza. Si avviò verso la porta, ma si bloccò vedendo che lui non si spostava, che non le permetteva di passare senza sfiorargli il petto: non voleva toccarlo. Le faceva schifo.
"Spostati." 
"Lizzie non devi arrabbiarti così! Lo fatto per noi, solo così potevamo stare insieme con la benevolenza di Eveline: gli esclusi non ci faranno del male ora che siamo dalla loro parte."
Lo disse con lo stesso tono di voce che una volta usava con lei per rimproverarla sull'ultima litigata con Eric, o per non aver rivolto a lui la parola per un intera giornata: quella vocina da fratellone, che lei aveva sempre riputato da "familiare" apprensivo e amorevole. Ma in quel momento suonava come una cosa così sbagliata e "sporca". 
"Non sprecherò fiato per ripetere ciò che ho già detto. Fammi passare. E stammi lontano."
 
 
"Bentornata nel mondo dei vivi, Elise." 
Era seduta al tavolo della sala delle riunioni al piano degli uffici dei capifazione.
Il caso voleva che l'unico posto libero intorno a quel tavolo gremito da decine e decine di esclusi era quello che occupava sempre Eric. 
Un campanello d'allarme iniziò a trillare in un posto lontano nella mente di Elise.
La stanza era veramente affollata, ma tutta l'attenzione era puntata sulla figura centrale di Eveline. Era appoggiata allo schienale della sedia e la fissava come un rapace che si sta per avventare sulla carcassa: una caccia troppo facile. 
Quel campanello stava diventando sempre più assordante nella sua mente. Pericolo. 
Pericolo.
Lo sguardo del rapace non abbandonò il corpo di Elise finché lei non si fu seduta sulla poltrona.
C'era veramente troppa gente in quella sala che conteneva al massimo quindici persone.
Tutti armati, logicamente. Molti li conosceva di vista: intrepidi traditori. Non avevano perso tempo ad arruolare quelli che erano capaci ad impugnare un arma, anche se ex alleati di Jeanine. 
La guerra è un pozzo di incoerenze.
"Abbiamo limitato i danni contratti dagli ultimi attacchi da parte del gruppo radicale degli Alleanti, che hanno deciso di non rispondere alla nostra richiesta caritatevole di incontro per cercare di appianare i rapporti e stabilizzare gli animi. Non possiamo rischiare che la popolazione della città rischi la vita o non riceva protezione, verremmo a meno al nostro compito. Mantenere l'equilibrio."
Bugiarda. Bugiarda. Bugiarda. 
Elise lo stava urlando nella sua testa, stava strepitando e battendo i pugni contro il muro nella sua mente. 
Se avese avuto tra le mani il gruppo di Marcus e degli altri fuggitivi li avrebbe uccisi, torturati, fatti impazzire! Bugiarda!
"Bugiarda." 
Tutta la sala spostò la propria attenzione su di lei,  e il viso di Eveline cambiò completamente: dalla sua sicurezza che aveva mostrato solo alcuni istanti prima alla più totale inespressività.
Elise non si era nemmeno accorta di averlo realmente detto.
Eveline la fissò, spostò lo sguardo sulle proprie mani, e poi tornò a guardarla. Gli occhi di tutti erano fissi su di lei, in attesa di sentire la risposta del capo, la decisione di chissà quale pena capitale per l'impudenza di quella ragazzina. E Eveline non voleva deludere le loro aspettative.
"Elise, cara Elise, non sei nelle condizioni di poter giudicare, comprendere la situazione. Non dopo quello che hai passato. Voglio solo che tu sappia che Tobias è fuggito oltre la recinzione, e che tutte le informazioni confermano ciò che io già sospettavo: tu hai organizzato la fuga. Tu mi hai costretta ad aprire il fuoco sui fuggitivi, sulla tua amica intrepida." 
Elise afferrò la sedia sotto le sue cosce con la mano destra per cercare di costringersi a non rispondere. Dopotutto era vero.
"Tu hai costretto il tuo amico e il rappresentate degli eruditi a mentire al nostro nuovo governo, a mettere a dura prova la nostra organizzazione. A mettere fine alla pace instaurata con tanta fatica e sangue dalla gente. Mi hai costretta a far giustiziare il dottore."
Non rispondere, elise non rispondere. Se lo continuava a ripetere, come una formula magica.
"Il tuo amico è fuggito, ma adesso so dove era diretto. Johanna sarà molto colpita dal doppiogioco condotto dalla figlia, sin dall'inizio. Sei stata molto scaltra a non aver destato sospetti in nessuno, nemmeno nel tuo compagno Eric. Ma agli occhi della legge e della gente stai apparendo per quello che sei: un mostro traditore! E Johanna lo saprà molto presto! "
Elise si alzò dal posto, facendo cadere la sedia alle sue spalle. 
"La città lo sa già Elise, tu non sei più nulla, non servi più a nessun obbiettivo e non hai dove nasconderti! In questo momento i miei soldati si stanno muovendo oltre la barriera per catturare i tuoi amici e coloro che li hanno aiutati. Faranno pulizia tra i pacifici!"
"Come hai potuto, sono solo bugie!" Urlò. Stava elaborando tutto. Zeke, Johanna, la barriera, i medicinalie. Da dove potevano arrivare, se non dai pacifici?! Cosa aveva fatto? Aveva condannato una fazione intera.
"Li hai condannati, come hai condannato gli intrepidi, i tuoi amici, il tuo ragazzo. È partito tutto da te: da una ragazzina egoista e ambiziosa!" 
"Non è vero! Da te! E colpa tua e della tua insana idea di vendicarti su Marcus attraverso me!" 
Il viso di Eveline e la sua sicurezza si incrinarono.
Fece passare minuti prima di rispondere. Allora la ragazza lo sapeva, ne era a conoscenza.
"Non nominare quel nome. Non fare e dire più nulla."
E Eveline si lasciò andare sulla sedia, risiedendosi.
"Anzi, sai cosa? Di e fai cosa vuoi, ormai non hai più nulla su cui far leva." 
Liz si guardò attorno. E capi di non avere via di scampo. 
Johanna si voltò verso le finestre che davano sulla città buia sommersa dalla pioggia.
Elise indietreggiò, andando a sbattere contro il petto di un soldato, si girò di scatto, e lo scartò, uscendo con passo veloce da quella stanza. Il corridoio era vuoto, quando arrivò al fondo senti distintamente la porta della sala riunioni aprirsi e i passi degli esclusi scricchiolare sul pavimento. 
Arrivavano. 
Varcata la soglia del reparto uffici, iniziò a velocizzare ancora di più il passo, ancora e ancora finché non si ritrovò a correre giù per le scale per raggiungere il suo appartamento. 
Doveva andarsene subito, non avrebbe aspettato la mattina dopo.
Prese la chiave e con mani tremanti riuscì ad aprire dopo interminabili secondi la porta dell'appartamento. 
Ormai erano sul piano: gli anfibi bagnati facevano un rumore udibili a metri di distanza. Si chiuse la porta alle spalle, appoggiandovi contro il peso e cercando di recuperare ossigeno e calmare il respiro.
 
Jack era seduto sulla sponda del letto, giocando con la cerniera della sacca. Quando la vide entrare si alzò da dove era seduto. 
"Tu. Qui. No!" Gli urlò addosso, asciugandosi le lacrime sfuggite al controllo, e gli si avventò contro. Gli sferrò un pungo degno di un dieci e lode nel combattimento del primo anno, che gli fece perdere l'equilibrio, sbilanciandolo all'indietro. 
Jack afferrò i polsi a Elise, trascinandola con lui contro il tavolo della cucina. 
Ci si appoggiò con tutto il suo peso per non cadere, e il tavolo si trascinò per tutta la distanza con il muro finché non ci sbatte contro.
Elise non riuscì a liberarsi i polsi in tempo che Jack aveva già invertito le loro posizioni: ora lei si trovava schiacciata contro il bordo del tavolo, faccia a faccia con lui.
"Non fare così Lizzie, finché sei con me non ti possono toccare." 
Le alitò addosso, incastrando i suoi polsi tra il piano del tavolo e le sue mani.
"Non mi chiamare così!" E gli tirò una testata sul naso, riuscendo a ferirlo.
Jack si prese il viso tra le mani, urlò e grugnì dal dolore. 
La ragazza si lanciò per afferrare la sacca e poi si voltò verso la vetrata alle spalle del letto.
Fece un respiro profondo e prese la rincorsa. 
Si lanciò contro il vetro, sfondandolo in mille pezzi.
Si ritrovò a rotolare sul tetto adiacente al suo appartamento. 
Ora che era fuori doveva solo correre, scendere e nascondersi in strada.
I vetri l'avevano ferita al fianco destro, lo sentì quando cercò di tirarsi su facendo leva sul braccio che era già stato ferito da quel volo di mesi prima. Ma la fitta fu allucinante e cadde con la faccia contro il cemento bagnato del tetto.
Vide gli scarponi neri di Jack avvicinarsi, scricchiolare sulla ghiaia del tetto e la pioggia. 
"No Liz, così non va bene!" La prese per le spalle e la tirò su, mettendola in piedi.
Le accarezzò con la mano destra una guancia, lei cercò di scostarsi, procurandosi una fitta da brividi lungo tutto il busto.
Lui la guardò con sguardo ammonitore, poi con la mano sinistra le afferrò il pezzo di vetro e glie lo tolse dal fianco. Come un cerotto.
Elise urlò. Si prese il fianco gocciolante di sangue e premette le mani sopra la ferita per arginare la perdita di liquido rosso. Mugolò dal dolore e si piegò su se stessa. Lui le appoggiò le mani tra i capelli ormai bagnati. 
"Piccola, devi fare più attenzione." Le cantilenò.
E li non ci vide più. Tirò su di scatto la testa andando a scontrarsi di nuovo con il suo naso.
Il ragazzo urlò dal dolore e anche dalla frustrazione. Si piegò su se stesso, lasciando la presa di Liz, che distrutta e stanca a causa della perdita di sangue, si accasciò a terra.
Non doveva arrendersi. Non doveva! 
Strisciò verso la sacca che si trovava a pochi metri da dove era caduta dopo il salto.
Un ultimo sforzo.
Ma le mani di Jack tornarono sulle sue spalle. La tirò su di nuovo, in malo modo. Se la caricò sulle spalle premendole sulla ferita fresca.
Urlò, scalciò e gli batte con i pugni sulla schiena. Cercò di graffiarlo in volto, di accecarlo in qualche modo, usando le sue ultime riserve di energia.
Quando ebbe varcato la finestra sfondata, la lasciò sul letto gettandolesi addosso. Ma lei fu più veloce e rotolò di lato, cadendo dal materasso e strisciando verso l'armadio dove sapeva di trovare delle lame. 
"Dove credi di andare piccola, concludiamo quello che avevamo iniziato prima che andassi dal tuo fidanzato psicopatico." 
La afferrò per le caviglie e la trascinò sul pavimento verso di se, vicino al tavolo della cucina. 
Sembrava di vedere un gatto che si divertiva a giocare con il topo in trappola. 
Elise affondò le unghie nel pavimento, cercando di impedirglielo.
La tirò su e la sbatte contro il tavolo. La afferrò per la gola e la obbligò a stendersi sul piano, mentre con l'altra mano le alzava la maglietta. 
"No! " Singhiozzò, senza più fiato dalla stanchezza. 
"Basta lottare! Mi ha annoiato questo gioco!" Rispose scocciato. 
La afferrò per i fianchi e la spostò di peso. Fece schiantare la schiena della ragazza contro il muro vicino al tavolo, procurandole una fitta che le appannò la vista. 
"Basta Lizzie, adesso facciamo quello che dico io."
Avevano tutte e due il fiatone, e una mano di Jack le afferrò i polsi impedendole di muoversi, posizionandoli al disopra della sua testa. Con l'altra le accarezzò il seno, la pancia, fino a scendere in mezzo alle gambe, cercando di tirare giù la cerniera e riuscendo a sbottanarglieli.
"No ti prego Jack, non così. Non lo fare, per favore!" Lo stava pregando: non quello.
"Ma è da così tanto tempo che volevamo farlo, sei solo scioccata dagli ultimi avvenimenti, lascia decidere a me." Le alitò all'orecchio, leccandoglielo.
'Lascia decidere a me' la frase che le aveva detto Eric, ma suonava così sbagliata detta da Jack, in quel momento. 
Cercò di divincolarsi e finalmente riuscì a liberare una gamba dal peso del bacino del ragazzo. Con le ultime forze che le rimanevano diede lo slancio necessario per colpirlo proprio in mezzo alle gambe. 
Jack imprecò, e allentò la presa intorno ai suoi polsi. Con uno strattone si liberò del tutto e si gettò verso la porta. Che la prendessero, meglio il proiettile di un escluso che quello che stava per capitare.
Fu troppo lenta, causa principale la ferita al fianco. Le saltò addosso e la spinse contro la parete accanto alla porta, costringendola ad appoggiare la fronte e la guancia contro la parete mentre lui la schiacciava con il suo peso.
"Basta Lizzie, ti fai solo più male. Possiamo stare finalmente insieme non capisci?" 
Non gli rispose, cercava inutilmente di colpirlo con le gambe, ma era bloccata dal peso del bacino di lui. 
Le mani di Jack corsero alla cerniera dei pantaloni di Liz, tra il corpo di lei e la parete. Liz glie le prese cercando di allontanarle, ma lui le intrappolò i polsi dietro la schiena, tenendoli poi con una sola mano.
 Liz urlò dalla frustrazione, era impotente. Non riusciva a muoversi.
Le abbassò i pantaloni neri quanto bastava è la accarezzò. 
Per tutta risposta la ragazza cerco ti tirare una testata all'indietro colpendo il nulla.
"Dobbiamo trovare un giusto ruolo alla tua testa Lizzie, così non cercherà più di rompermi il naso" e le schiacciò il viso contro il muro, tenendo una mano premuta sulla nuca della ragazza, non permettendole in fine nemmeno quel movimento. Era immobile. 
E per una volta decise di smettere. Si immobilizzò, e il silenzio crollò in quella stanza. L'unico rumore era il respiro affannato di Jack, la pioggia che batteva sul cemento del tetto e dei vetri rotti. Stranamente lei non aveva il fiato corto, anzi era tranquillo, lungo, regolare. Pronto a fermarsi. 
Sentì la cerniera di Jack venire abbassata e poi la mano del ragazzo che tornava tra i suoi capelli, obbligandola a premere la fronte contro la parete.
E chiuse gli occhi.
E la prima fitta arrivò più dolorosa di quello che si aspettava. 
Mai in quegli anni le aveva fatto così male. 
E non riusciva a immaginare che fosse Eric a fare tutto quello, perché lui non l'avrebbe mai presa così freddamente, e mai contro la sua volontà. 
Chiuse gli occhi.
Come poteva solo immaginare che fosse Eric a fargli una cosa simile?
Che tipo di uomo poteva farlo?
Solo un mostro.
 
 
 
"Io lo uccido!" Si alzò dalla sedia, rovesciandola. Si mise le mani tra i capelli, per poi coprirsi la bocca e alla fine urlare. 
"Lo ammazzo, lo uccido!" Prese la sedia e la lanciò contro il muro.
Un gemito uscì fuori dalla televisione, non il grugnito di Jack, ma un gemito di dolore. Di Liz. 
No, no, no! Io respiro del ragazzo accelerò e non poté controllarsi più. 
Eric prese lo schermo e lo lanciò contro la parete, mandandolo in mille pezzi.
"Non doveva andare così! No no no!" Si coprì gli occhi. Cazzo stava piangendo, ma non riusciva a calmarsi. L'aveva toccata, picchiata. La stava...! E lui era lì e non faceva nulla. Nulla.
"No! Lizzie fai qualcosa, ti prego!" 
Si lanciò contro il muro, e di nuovo verso l'altro opposto. Voleva farsi male. Doveva farsi male, in questo modo avrebbe fatto meno male. Male. Male.
Bruciava, pulsava, tutto. Tutto! Tutto faceva male.
Urlò di nuovo e prese a pugni il muro.
E infine appoggiò la fronte e le mani contro la parete. 
Regolarizzò il respiro. 
E decise. 
Aveva seguito il discorso della pazza esclusa. Stavano arrivando.
A prenderli. 
E lui la stava toccando. Contro il suo volere.
E decise. 
"Scusami Liz. Perdonami." 
Premette la fronte più forte contro il muro.
"Ti prego, perdonami per quello che sto per fare." Disse tra se di nuovo.
Lasciò scivolare le mani lungo i fianchi, si raddrizzò, e uscì da quella stanza.
 
 
 
"Qua dentro c'è tutto. Cibo per due settimane, sieri e medicine per combattere qualsiasi crisi possa avere. Ti ho lasciato degli appunti in modo che tu possa consultarli." 
Il dottore era indaffarato a riempire quello zaino con tutto quello che trovava nell'armadietto della' infermeria , mentre Eric si stava legando contro il petto la bambina avvolta intorno alle coperte.
"È come se avesse solo sette mesi dalla nascita, abbiamo interrotto bruscamente la fase di crescita, ma è in salute e con tutti i medicinali che ti ho dato ci rimarrà. Ma non posso assicurarti nulla." 
Eric si mise in spalla lo zaino.
"Non serve che mi assicuri nulla. Hai già fatto abbastanza."
"È difficile riuscire a cavarvi un grazie a voi intrepidi. Il primo segno di essere umani e a più di 70 chilometri da qui. Come riuscirai ad arrivarci?" 
"Sono un intrepido, e anche lei lo è. Ce la faremo." Si avviò verso la porta.
"Ragazzo!" Lo richiamò.
 Eric si voltò verso il dottore. 
"Sei il più coraggioso tra tutti, lo sai questo?"
"No. Quelli che rimangono lo sono. Prima che arrivino, noi saremo già oltre i campi. Non coprirci, rischieresti la vita." 
Si soffermò sulla soglia e gli uscì spontaneo dirgli un ultima cosa.
"Sei una delle persone più coraggiose che abbia mai incontrato, dottore. Stranamente in questi mesi ho incontrato gente più coraggiosa degli intrepidi, mentre la mia fazione mi ha definitivamente deluso. Continua a proteggerli. Un giorno ricambierò il favore."
E si diresse verso l'uscita della zona, stringendosi a se quel fagottino che era diventato la ragione della sua vita. Se non voleva che lui e Liz morissero, doveva tenere in vita l'unico loro motivo ancora esistente.
"Non me lo perdonerò mai piccola, ma sento che è la cosa giusta."
E si inoltrò tra l'oscurità dei campi, il freddo della notte e la disperazione della pioggia.
Quella sua decisione avrebbe deciso che tipo di uomo voleva essere. 
Un codardo?
No. 
Un padre.
 

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Capitolo 25
*** Punto di rottura ***


Tadam! Sto andando lenta, lo so. Ma giuro che lo sto facendo apposta, per aumentare la suspense. 
Comunque, sono troppo contenta delle vostre recensioni, perché mi avete convinta del capitolo che avevo scritto. Anche quando aspettavo i vostri commenti ero molto tentata di andare a cancellare quello che avevo appena pubblicato. Non mi piaceva, non mi convinceva. Ma poi, iniziando a scrivere questo, mi sono accorta che la storia non poteva andare avanti senza quel pezzo di puro strazio. Ci voleva un punto di rottura. A break point, alla Foggia inglese. 
E quindi ecco a voi la continuazione! In realtà volevo scriverne ancora un pezzettino, ma ero troppo ansiosa di pubblicare. 
Il prossimo capitolo sarà praticamente di pre-epilogo. Siamo quasi alla fine!! 
In conclusione, vi auguro buona lettura, ringrazio le tre migliori ragazze del mondo che si sono prese l'impegno puntualissimo di commentare ogni mio capitolo. Siete mitiche! 
E vi aspetto nelle recensioni: commentate, criticate, mandatemi a quel paese. Risponderò a tutto, sta volta.
Ma una cosa di sicuro non ve la dirò: il nome della bimba. Dovrete aspettare ancora un po'! 

 
 
Punto di rottura 
 
 
Le sue braccia la circondavano. Il petto le sfiorava la schiena ancora coperta dalla t-shirt zuppa di pioggia. Sentiva il suo respiro regolare soffiarle tra i propri capelli scompigliati e umidi. 
L'aveva tirata giù, sul pavimento, si era steso per terra e l'aveva stretta fra le sue braccia, lasciandole qualche bacio sul collo, sull'orecchio tra i capelli.
Come due amanti.
La stava coccolando, come farebbe una coppietta dopo aver fatto l'amore.
Lei invece stava solo aspettando che chiudesse gli occhi, che si addormentasse. Avrebbe abbassato la guardia. 
E lei lo avrebbe ammazzato.
Non le importava più di raggiungere gli alleanti. In quel momento voleva solo ammazzare Jack.
Ne sentiva il bisogno sin nelle viscere, le mani le prudevano, il suo respiro era accelerato, come dopo una maratona. Era arrabbiata, furiosa. E se nei giorni scorsi il senso di colpa l'aveva divorata, in quel momento non glie ne poteva importare di meno, e la sua coscienza era con lei: reclamavano ambedue vendetta per quell'azione.
Le accarezzò una guancia. 
Di nuovo. 
E di nuovo. 
E ogni volta Liz combatteva contro se stessa per non rabbrividire e mostrare il ribrezzo che si accendeva in lei per quel gesto. 
"Ti amo, e le cose finalmente si sistemeranno. Devi avere solo un po di pazienza e abituarti all'idea di non poter più fare ciò che vuoi." 
Le accarezzò il collo, la spalla, fino a scendere lungo la t-shirt nera, sfiorandole la curva dei seni arrivando al fianco ferito. Elise rabbrividì e sobbalzò a causa della fitta di dolore.
"Stai ancora sanguinando!" 
Jack osservò la propria mano macchiata di rosso scuro, del sangue di Liz.
"È ora di alzarsi, piccola." 
Si rialzò dal pavimento, aggiustandosi la maglietta, allacciandosi i pantaloni e afferrando la giacca dal pavimento.
Elise rabbrividì di nuovo al suono della zip che si chiudeva. Un conato di vomito la scosse. Ingoiò l'acido che le stava venendo su per la gola.
"Torno subito, vado a cercare qualche benda per la tua ferita." 
La guardò ancora per qualche secondo rivolgendole uno di quegli sguardi che avrebbe fatto sciogliere le gambe a qualsiasi ragazza della fazione. 
Ma anche quel l'ennesimo gesto la fece sentire sporca, lurida dentro. E fuori.
"Va bene." Sussurrò, continuando a stare distesa per terra.
"Grazie" continuò.
Jack uscì dalla stanza.
Elise si issò in piedi con molta, molta fatica. Si fece sfuggire alcuni gemiti di dolore e si avvicinò al tavolo dove sapeva poter trovare un po' di morfina. Se ne somministrò poca, ma abbastanza da attutire il dolore al fianco.
Abbastanza poca da essere cosciente e da raggiungere la finestra sfondata.
Recuperare la sacca sul tetto. E gettarsi sotto la pioggia, verso lo Spietato Generale, oltre il fiume. Verso aiuto.
 
 
 
 
"Doveva essere già arrivata! Il sole è sorto due ore fa! Dobbiamo muoverci! " Scoppiò Zeke.
"Non potete rischiare di essere visti a quest'ora del mattino, vi individuerebbero." Gli rispose Johanna per l'ennesima volta. Era appoggiata al tavolo della piccola cucina di quell'appartamento abbandonato, spoglio e decadente. Le pareti erano scrostate, ammuffite, e dal soffitto gocciolava dell'acqua: era stato messo un secchiello sul pavimento per limitare i danni, dovevano svuotarlo ogni dieci minuti. La notte prima erano entrati in quella stanza e avevano trovato il pavimento completamente allagato. 
Era venuto giù il mondo, altro che pioggia: il cielo si era sfogato e la natura si era presa una rivincita contro la città. 
Il rumore incessante della pioggia contro i vetri e le pareti aveva scandito nella testa di Johanna le ore per tutta la notte. Dopo la fuga immediata, il pericolo a cui erano appena scampati, la paura delle ultime ore, Marcus l'aveva avvisata immediatamente del breve contatto con la sede degli intrepidi dove tenevano reclusa Elise. E ora stava aspettando l'arrivo di sua figlia, ma ogni secondo in più che si aggiungeva a quella tortura la stava lentamente consumando dall'interno. Era sfinita, ferita, sporca e distrutta. Ma più di tutto delusa. 
Delusa dalla vita: aveva avuto la possibilità di salvare il ragazzo di sua figlia, la possibilità di liberarla. E ora tutto era stato spazzato via.
L'unica possibilità per lei e per Elise di riniziare  gli era stata portata via, rubata durante l'attacco degli esclusi, rapita dall'unica persona che fra tutti coloro che erano morti, forse era quella che se lo meritava di più. Di morire. Tra atroci sofferenze. 
"È di tua figlia che stiamo parlando!" Le urlò addosso l'intrepido, riportandola alla realtà e sottraendola dai suoi deprimenti pensieri.
"Non alzare la voce con lei ragazzo!" 
Marcus si era messo in mezzo tra i due, cercando di acquietare gli animi.
"Dovete mandare qualcuno a prenderla! Subito! È in pericolo ogni minuto in più che aspettiamo a decidere cosa fare!"
"Non prendo ordini da un ragazzino!" Gli urlò Marcus.
"Sei completamente pazzo vecchio! Chissene frega chi da o non dà ordini, io devo andare a recuperare Liz!" 
"Calmatevi!" Una voce fuoricampo distrasse i due litiganti, gli sguardi dei presenti nella stanza nel ritrovo degli alleanti si spostarono verso un gruppo di donne dai vestiti colorati e diversi tra loro: donne di fazioni diverse.
"Andremo noi a prenderla, un gruppo di donne passa più inosservato che uno di uomini. La riporteremo sana e salva." 
Erano quattro donne di mezza età, madri, mogli, sorelle. E si erano offerte di andare a recuperare un emerita sconosciuta per alcune di loro. Eppure si erano messe in gioco, si erano offerte volontarie. Zeke non poté non sentirsi in dovere di rispondere
"E io vi accompagnerò. Indosseremo vestiti meno vistosi per non attirare l'attenzione di qualche pattuglia in perlustrazione che potremmo incontrare." 
Il ragazzo si avviò verso la porta della stanza accanto dove sapeva poter trovare dei vestiti, facendo segno alle quattro donne di seguirlo.
Una mano lo afferrò per il braccio, stritolando glielo e costringendolo a fermarsi.
"Tu non vai da nessuna parte. Loro non si muoveranno da qui." Gli scandì a un soffio dal viso Marcus con fare minaccioso. Il gruppo di donne si immobilizzò. 
Era sempre stato un uomo ben piazzato per essere un rigido che si nutriva di cavolo e minestre, e aveva sempre dato un timore reverenziale alle persone intorno a lui.
"Le telecamere non mostrano movimento nel quartiere dello Spietato Generale. Lei non si è presentata. Quindi non permetterò a nessuno di mettere a rischio un intero gruppo dei nostri per un azione non certa. Sono stato chiaro?" L'ultima frase uscì fuori dalla sua bocca più come un ruggito che come una domanda.
Zeke rimase zitto, non rispose.
Fissò Marcus con sguardo letale e sinistro. Con odio puro.
"Potrebbe non essere riuscita a sorpassare il fiume. Ieri sera era in piena all'altezza di Cicero Avenue, ed era già esondato pochi chilometri prima di arrivare al lago, vicino ai nostri terreni. " 
Lo sguardo di tutti si concentrò dalla scena di tensione dell'uomo e del ragazzo sulla figura di Johanna che finalmente aveva ripreso a parlare.
"E in oltre i ponti sono controllati perennemente da gruppi di esclusi armati."  Lo sguardo di Johanna era preoccupato: aveva appena realizzato un possibile pericolo.
Zeke comprese subito i pensieri della donna, e senza che lei avesse il tempo di spiegarli, Zeke diede voce a quella possibilità.
"Può aver nuotato. C'è la possibilità che si sia buttata per raggiungere a nuoto la sponda opposta. Per raggiungerci da questa parte del fiume."
Marcus scosse la testa.
"Non lo avrebbe mai fatto. È pieno inverno, l'acqua è gelida. Non è una ragazza stupida." Senza mollare la presa intorno al braccio di Zeke, l'uomo si girò verso Johanna cercando il suo consenso.
Ma gli occhi della donna erano ormai deformati dal l'orrore, dalla paura.
"Lascialo." Sussurrò.
Marcus non fu sicuro di capire. "Cosa?" Chiese.
"Lascialo andare, deve andare ad aiutarla!" Disse con più enfasi, finalmente raddrizzandosi e abbandonando l'appoggio sicuro del piano del tavolo.
"Non è possibile, te l'ho detto nessuno..." 
"Ho detto che devi lasciarlo andare!" Urlò.
Marcus mollò la presa intorno al braccio del ragazzo immediatamente. 
"Ho. Detto. Di. No." Scandì.
"Nessuno si muoverà di qui." Disse, senza alzare la voce per rispondere a tono a Johanna.
"È tua figlia, dannazione! Ci vado io!" 
"Tu non ti muovi di qui!" 
"Non puoi controllare tutti! Hai fallito Marcus, fatti da parte! Gli alleanti non sono il tuo trampolino di lancio. Non ti risolleverai solo perché hai aiutato una città a uscire dalla fogna in cui l'hai portata! Rimarrai uno dei colpevoli. E mia figlia non sarà una delle tue ennesime vittime!" Gli urlò contro ormai senza più ritegno. Aveva perso le staffe. 
Tutti nella stanza non mossero un dito. Le donne che si erano proposte volontarie rimasero i disparte, ma rimasero lì, ad aspettare una decisione definitiva. Tutti gli alleanti sapevano che era la scelta giusta: liberare una capofazione era lo stimolo necessario per far comprendere alla città che esisteva ancora una possibilità di resistenza e di vittoria. 
"No." Ripeté Marcus, esprimendo la sua decisione finale. Le diede le spalle e si avviò verso la porta d'uscita.
 
 
"Fallo Zeke." Disse Johanna. 
Una padellata raggiunse la nuca di Marcus che non ebbe il tempo nemmeno di stupirsi e di grugnire per il dolore, che perse immediatamente i sensi e crollò sul pavimento umido della stanza.
"Se ristabiliremo le fazioni, voglio introdurre la padella antiaderente come nuova arma." 
Disse Zeke sorridendo come un cretino e girandosi la padella tra le mani senza far notare lo sforzo dei muscoli nel maneggiare l'oggetto pesante.
"Spero che tu lo abbia solo tramortito, o lo spiegherai te a Liz che suo padre è morto a causa di una padellata." 
"Ci vuole molto di più per uccidere un omone come lui Johanna. Tu e tua figlia avete una passione per gli uomini con la testa dura."
"Ora basta giocare. Andate a recuperarla." 
 
 
Le donne si muovevano avanti e indietro sulla riva del fiume, facendo attenzione a non inciampare nei detriti che il fiume la notte prima aveva disseminato a causa della tempesta.
Il fango non permetteva di camminare senza rischiare di scivolare ad ogni passo.
La donna più anziana, una candida, lo si poteva intuire dal vestito bianco, anche se indossava un paio di pantaloni neri da intrepidi, stava osservando la sponda opposta, più in alto rispetto alle altre. Avrà avuto cinquant'anni, capelli scuri, corporatura robusta. Per Zeke rimaneva comunque un emerita sconosciuta. 
L'unica che conosceva era l'intrepida che scrutava le acque verso il lago Michigan, era amica di sua madre da anni. Aveva tre figli.
Aveva...
Un altra, vestita di abiti che il ragazzo non riuscì a identificare con i colori di una fazione, forse una pacifica, si poteva intuire dai capelli lunghi e grigi raccolti in una crocchia disordinata, aveva l'acqua all'altezza delle ginocchia, ed era pochi metri più in là delle altre, cercando anche lei di individuare qualcosa al di là del fiume.
La nebbia non permetteva una visuale precisa e il cielo era ancora coperto da nuvoloni neri, anche se aveva smesso finalmente di piovere.
Zeke era al di sopra della riva, sulla strada, vicino alla macchina che avevano usato per arrivare al ponte più vicino allo Spietato Generale, pur rimanendo in allerta per una possibile visita non desiderata di esclusi in ricognizione. 
"Qua non c'è nulla. Potrebbe essere passata dalla foce del fiume, è meno largo il passaggio dell'acqua." disse la candida.
"O mio Dio..." Sussurrò la pacifica quando vide qualcosa galleggiare a più di dieci metri da lei.
"Aiutatemi!" E iniziò a correre, annaspando con le ginocchia per muoversi più velocemente. Le altre tre si gettarono in acqua, senza mostrare un minimo di brividi al contatto con il gelo del fiume. Muovevano le braccia per cercare di spostare la massa d'acqua e riuscire a correre.
 Alcune inciampavano, sprofondavano e poi si rialzavano per rimettersi a inseguire la candida.
Quando tutte le donne si ritrovarono intorno a quel viso, a quella macchia bianca che traspariva dal velo d'acqua, si affrettarono con mani tremanti ma delicate a sollevarla per le spalle.
La pacifica le accarezzò il volto, spostando i capelli rossi dal viso.
"Povera ragazza" sussurrava con voce incrinata, le lacrime agli occhi.
Sembrava morta, le braccia lasciate aperte, mosse dall'acqua, la testa che pendeva all'indietro appesantita dalla massa di capelli bagnati, la bocca aperta, inespressiva, come in cerca di ossigeno che in realtà non stava respirando.
Una donna cercò di portare un braccio al di sotto della schiena della ragazza per portare il braccio sulle proprie spalle e trasportarla fino a riva.
"Chi le ha fatto questo?" Sussurrò un altra, ma non era una domanda che richiedeva una risposta. Era più un espressione di disgusto alla vista di lividi sulle braccia della ragazza, sul collo, sulla vita scoperta dalla maglietta, sull'attaccatura dei capelli della nuca.
"Forza ragazza, sei forte. Riprenditi." Ripeteva l'intrepida accarezzandole il viso ripetutamente.
Zeke era entrato in acqua nel momento in cui aveva riconosciuto la massa scura che le donne tenevano tra le braccia a venti metri da lui.
Iniziò a correre.
"Portiamola via, ha bisogno di calore." Ripetè la candida.
Un colpo di tosse le paralizzò li dov'erano, lontano dalla riva del fiume, immerse nell'acqua gelida.
La ragazza che finalmente prendeva una boccata di puro ossigeno, come per la prima volta, come un bambino appena nato. Le mani di Liz afferrarono le braccia delle donne che la sostenevano, la testa era ancora riversa all'indietro. E respirava velocemente, profondamente, singhiozzando rumorosamente.
Bruciava, bruciava tutto: la gola, i polmoni! 
Cercò di ributtarsi in acqua andando contro la forza che le donne opposero al suo scatto. 
Perché la trattenevano. Stava andando a fuoco! Doveva togliere il dolore!
"Calmati bambina, ti prego!" 
Zeke finalmente le raggiunse e afferrò Liz per le spalle, costringendola a raddrizzarsi. Le prese il viso fra le mani.
"Liz basta, sono io. Siamo noi. Sei salva!" Le urlò, ma lei continuò a cercare di allontanarsi. Afferrò le braccia del ragazzo e ci conficcò le unghie.
"Lizzie ti prego, siamo noi! Siamo i buoni!" Gli urlò intrappolandola per le spalle e abbracciandola. 
Elise rabbrividì, cercò di scappare di nuovo con spasmi e scatti, ma senza successo. La parete di muscoli intorno a lei non glie lo permetteva. E alla fine si lasciò bruciare dal dolore. E sveni di nuovo. 
 
 
 
"Era fuori di se. Non riconosceva chi aveva attorno. Non ha parlato." 
Zeke stava guardando al di là del vetro, nella stanza dove Elise era stata reclusa per controllare il suo stato di salute.
Johanna gli era accanto, le braccia conserte.
"Nemmeno quando si è svegliata. Non ha detto una parola." Gli rispose. 
"È sotto shock." Concluse Zeke, incrociando le braccia davanti a lui.
"L'hanno distrutta." Concluse Johanna.
Una lacrima le solcò la guancia. Si sfregò subito il punto del viso che aveva bagnato.
"Segni di ustione intorno ai polsi." Disse Zeke, aspettandosi una spiegazione da parte della donna. Che non tardò ad arrivare. Lei aveva visto la cartella medica di Elise, sapeva cosa i dottori avevano trovato sul suo corpo.
"L'hanno torturata con l'elettroshock. Ma i medici pensano che le ferite risalgano a settimane fa. Presumo al periodo di Jeanine." 
Zeke si zittì. Come aveva fatto a non notarle prima?
"Lividi su tutto il corpo. Sul collo, sulle braccia. Sul bacino. Segni di..."
Johanna prese un profondo respiro. E dopo un intero minuto di silenzio espirò.
"Segni di..." Singhiozzò. Non c'è la faceva. Era troppo. Una madre non dovrebbe vedere queste cose. Una ragazza di vent'anni non dovrebbe provarle sulla propria pelle. In una società civilizzata non dovrebbero accadere.
"Violenza!" Sputò fuori.
Zeke la guardò per un momento confuso, poi realizzò. Collegò. E si prese il viso fra le mani.
"Mi ha contatto Cara. Quattro sta arrivando." Sussurrò con ancora la testa reclinata in avanti.
Johanna annuì, asciugandosi l'ennesima lacrima. Doveva continuare a tenere duro. 
Stava per finire tutto, se lo sentiva. Si girò verso Zeke e lo invitò con lo sguardo a riprendersi e ad agire. Nessuno doveva mollare, ormai erano a un passo dalla vittoria.
"Zeke vai da tua madre e prepara la gente alla possibilità di un ultima battaglia. Se Quattro si è deciso a rientrare da oltre la recinzione, vuol dire che avverranno dei cambiamenti. E, per la prima e ultima volta, sono ottimista."
Zeke si raddrizzò e quando incrociò lo sguardo risoluto della donna, si ricompose e fece per uscire dalla stanza adiacente a quella dove Elise avrebbe dovuto riposare, invece era seduta sul bordo del letto, e guardava nel vuoto davanti a lei, verso dove si trovavano loro.
"E ragazzo, un giuramento è un giuramento. Sei un intrepido, e anche se ormai le fazioni sono cadute, lo rimarrai sempre nel cuore. Hai giurato di non rivelare mai e poi mai la verità su Eric."
Zeke annuì.
"Ti chiedo di aggiungerci una cosa: la bambina non è mai esistita. Lei non deve saperne nulla. Venire a conoscenza che il suo compagno è fuggito chissà dove con il bambino che pensava di aver perso la farebbe crollare definitivamente. Anch'io terrò fede a questo giuramento. Saremo in due a portare questo peso."
Zeke annuì, suggellando quel patto. Quella menzogna. 
E poi uscì.
 
 
 
"Stai buono mostriciattolo, ce lo quasi fatta!" 
Era circa da mezz'ora che Eric cercava di accendere un fuoco. 
Aveva camminato per due giorni, la bambina aveva pianto per la maggior parte del tempo e si era dovuto fermare molte volte per farla mangiare, per riposare, ma per fortuna non erano stati inseguiti da nessuno. Aveva fatto attenzione a non lasciare tracce del loro passaggio.
Una scintilla fece rosseggiare la superficie del pezzo di legno e finalmente una fiammella iniziò a prendere vita.
Ma la bambina continua a piangere anche se il buio si era completamente diramato, sconfitto dalla luce rossa del focolare. 
"Ti prego. Non piangere più. Riposiamo per poche ore. Anche se tu non ne hai bisogno, dormi praticamente tutto il tempo, e poi piangi. E poi dormi. E poi ti rimetti a piangere." 
Iniziava a essere un perfetto imbecille, li a parlare con una neonata, praticamente a discutere da solo. La prese tra le braccia tirandola su dal giaciglio di coperte che aveva formato, cercò nello zaino le piccoli dosi di cibo della bambina.
Tasto un po' il fondo dello zaino, senza trovare nulla. Ci riprovò.
"Due settimane un cazzo!" Sbraitò. 
Finiti! Come cavolo era possibile che fossero già finite le scorte?! 
Abbassò lo sguardo sulla bambina. Gli occhietti erano chiusi. Si era addormentata. Per un po' sarebbe stato salvo dall'ira di quel mostriciattolo. Ma appena avesse capito che non c'era più cibo, glie l'avrebbe fatta pagare.
Una fitta allucinante gli percorse il petto. Le ferite erano ancora fresche.
"Va bene, facciamolo." 
Appoggiò il fagottino sulle coperte e si avvicinò di nuovo allo zaino in cerca di bende pulite.
Si tolse la maglietta e appoggiò alla schiena contro la fredda pietra di quella parete di rocce dove avevano trovato riparo per un po dalla desolazione della pianura. Avevano camminato per giorni, ma non erano ancora usciti da quella zona perennemente gialla, sabbiosa, terrosa e di rado verde. Come raramente avevano incontro una fonte d'acqua. 
Muoversi verso sud si sarebbe rivelata la scelta più sbagliata che Lui avesse mai fatto nella sua vita, se lo sentiva.
Le bende gocciolavano sangue, ne erano impregnate completamente. 
Si mise la maglietta tra i denti e con estrema delicatezza si sfasciò la benda attorno al torace, fino ad arrivare all'ultimo strato, in contatto con la ferita.
Morse la t-shirt per sopprimere le urla di dolore, ma non poté non farsi sfuggire qualche mugugno di fastidio. La buttò nel fuoco, per evitare di lasciare tracce del loro passaggio.
Prese il liquido che il dottore gli aveva lasciato per disinfettare e lo spruzzò sulla ferita. Non fu preparato al dolore che ne conseguì e si fece sfuggire un urlo, seguito da un imprecazione.
Riafferrò l'orlo della maglietta che gli era sfuggita dalla bocca e notò solo in quel momento come fosse zuppa di sangue. Non lo aveva notato prima perché era nera.
Si girò verso la bambina, che dormiva profondamene tra il calore delle coperte. Per fortuna non aveva fatto troppo freddo in quei giorni, ma la notte prima era stata una tortura. Pochi intrepidi avrebbero saputo combattere il freddo, più doloroso di un proiettile nella carne, doveva ammetterlo.
Prese le fasce pulite e si medicò con gesti veloci, grossolani e imprecisi, non riusciva da solo a far un buon lavoro, la spalla gli doleva troppo, per non parlare della gamba.
Appoggiò la testa al muro di roccia, e senza accorgersene crollò in un sonno profondo, confortato dal calore del fuoco e dal respiro della piccola che scandiva il tempo.
 
 
"Chi è questo?" Sussurrò.
"Non ne ho idea. Mai visti dei vestiti così. Guarda le sue braccia!" Gli rispose, avvicinandosi al corpo addormentato dell'uomo.
"C'è li ha anche sul collo, che senso!" 
"Smettila, e non toccarlo. O finiremo nei pasticci. Guarda cosa ho trovato." 
Non si allontanò, anzi si avvicinò ancora di più, piegandosi sulle ginocchia e accarezzando il viso del ragazzo con una mano, dal sopracciglio al piercing, fino a quello sul labbro. 
"Deve essere doloroso." Sussurrò a se stesso.
"Un bambino! Un neonato per la precisione. Ma guarda che carino!" 
Lo prese in braccio strappandolo dal calore delle coperte, la bimba si svegliò e fissò quegli occhi scuri con curiosità. Allungò le mani verso il viso di quello strano ragazzo che la teneva tra le braccia.
Il ragazzo si girò verso il suo compare.
"Guarda che carino! Possiamo tenerlo? Dai George! Possiamo, possiamo? Lo guarderò io, non dovrai occuparti di niente. Il mangiare, i bisognini, farò tutto io giuro! Ma lasciamelo tenere!" 
Lo supplicò facendogli gli occhioni dolci.
"Non puoi tenere un neonato come se fosse un cucciolo, alcune volte penso che ti manchi una rotella, fratellino. Dobbiamo portare il nostro sconosciuto davanti al capo." Disse afferrando il fagotto del bimbo in malo modo. 
La bimba, sentendosi in pericolo per lo scrollo ricevuto, iniziò a piangere, e poi a strillare.
"Falla star zitta!" Disse George.
"E come? Non c'è un interruttore!" 
Eric spalancò gli occhi, e quando gli si presentò davanti la scena, cercò di alzarsi con un colpo di reni, ma venne raggiunto da una bastonata sul ventre che lo costrinse a ritornare per terra, stavolta sdraiato completamente al suolo. Gli occhi gli si appannarono di nuovo, il fuoco si era consumato, e l'oscurità della notte non gli permetteva di capire cosa stava succedendo. 
Sentiva solamente la piccola strillare, e quello gli bastava per capire cosa stava succedendo. Erano stati attaccati. Cercò di rialzarsi, ma qualcuno gli si era seduto sulla schiena.
"Fratello, questo è un toro! Non so per quanto lo terrò fermo." Disse il fratello minore.
La vista di Eric si appannò di nuovo, era senza forze.
"Stai tranquillo, è ferito. Adesso perde i sensi." 
"Sta svenendo, per fortuna. Non c'è la facevo più! " 
E l'oscurità gli calò addosso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 26
*** Pietà ***


È un po più lunghino del solito... Giusto per scusarmi dell'attesa infinita di questi mesi! 
La scusante è... Che l'ispirazione era venuta meno. Anzi non avevo proprio intenzione di continuarla. Ma l'altra sera mi sono ritrovata a rifare i miei viaggi mentali che avevano fatto iniziare tutta la storia, e quindi mi sono rimessa a scrivere. 
Ditemi cosa ne pensate! Secondo me mancano due o tre capitoli. Forse due. O uno. Non lo so! Non l'ho ancora scritto! 
Avete già in mente come potrebbe finire? E se vi dicessi che odio i finali scontati e felici? 
Si vedrà! Scusate ancora per il ritardo, e spero di riuscire a farmi perdonare con questo capitolo. 
Chiedo scusa anche alle ragazza che di solito recensiscono di non essere più stata presente nelle loro storie tra i commenti. Mi sono completamente scollegata da EFp in questi mesi... 

Scusate, abbiate pazienza... Buona lettura. 




Pietà 


"Cosa c'è? Cosa ho fatto?" Sbraitò, spingendo via la donna vicino a lei. 
La scodella di zuppa scivolò dalle mani dell'infermiera e si schiantò sul pavimento della stanza. Quattro si staccò dal muro, le fece cenno e con gentilezza la invitò ad uscire dalla stanza. 
La donna raccolse il resto del cibo di Elise e per l'ennesima volta in quella settimana se ne andò senza essere riuscita a farle mangiare nulla.
"Non è cosa hai fatto, ma cosa stai facendo." Sussurrò, tornando ad appoggiarsi con la schiena al muro della stanza.
"Non sto facendo nulla." 
Elise tornò sotto le coperte del letto e si ridistese, e per l'ennesima volta in quei giorni, chiuse gli occhi.
"Perché passi tutto il giorno in un letto, quando sai che non prenderai mai sonno? So che in realtà non dormi." 
Quattro incrociò le braccia al petto. 
Ogni giorno da quando era tornato in città passava le ore notturne all'ospedale della città, nel corridoio adiacente la camera di elise, durante i pasti accompagnava l'infermiera per vedere se la ragazza mangiasse, e così non era, Elise faceva tanto che ogni volta un'infermiera se ne andava via piangendo con il cibo addosso o con il piatto rotto, come quella sera. Sperava che la sua presenza potesse incuterle timore e quindi mangiasse un minimo. Ma non era così. Johanna lo aveva avvisato della situazione di Elise, aveva pianto contro il suo petto mentre lui cercava di confortarla per il dolore degli ultimi avvenimenti. 
Finiva sempre così, lui cercava sempre di trovare qualcuno a cui appigliarsi, qualcuno a cui dedicarsi, aprirsi agli altri per cercare di alleviare il dolore. E cazzo se faceva male, faceva ancora molto male. Glie lo aveva insegnato lei. Trovare conforto negli altri. Elise stava facendo esattamente il contrario, si stava facendo morire dentro da sola.
"E lo sai così bene perché passi le tue giornate a fissarmi. Sono stanca. Lasciami riposare." 
Si girò, voltandogli le spalle e sistemandosi su un fianco, con le ginocchia raccolte contro il petto.
"Non sei stanca. Sei in piene forze, quindi muovi quel culo e scendi dal letto. Ho bisogno del tuo aiuto."
Con due falcate raggiunse la sponda della branda, prese le lenzuola bianche tra le mani e le tirò verso il fondo del materasso.
"No! Ho detto che sono stanca!" Urlò cercando di ritirare su le coperte.
"Non puoi continuare così." Strattonò ancora le lenzuola cercando di strapparle dalle mani di Liz, ma lei, persistente, insisteva a tirarle verso di lei, stando inginocchiata sul materasso, con il camice sollevato sulle cosce.
"Vai a cercare qualcun altra da annoiare con la tua presenza!" Continuava a tirare, come una bambina.
"Cosa credi? Che se tu stai qua a guardarmi star male, tutto si risistemerà? Sei patetico!" 
Cercava di ferirlo, ma ci voleva molto di più per scalfirlo. Tirò verso di lui le coperte di nuovo, sentiva la stoffa molto vicino allo strapparsi, ma non l'avrebbe accontenta, quel capriccio e quel comportamento dovevano finire! 
"Faccio cosa voglio! Me lo sono meritata!" 
Il telo delle lenzuola cedette e Elise perse l'equilibrio, cadendo dal letto. Quattro molto lentamente aggirò il mobile. Non l'avrebbe aiutata. 
Secondi di silenzio, solo il rumore del respiro irregolare e arrabbiato di Elise. 
"Io mi merito un po' di riposo!" Urlò. 
"Ho fatto tutto quello che era giusto!" Singhiozzò con il viso tra le mani, premuto contro il pavimento, rannicchiata per terra. 
Il suo respiro non si calmava.
Finalmente, una reazione! Il silenzio di quei giorni Quattro non poteva gestirlo, ma le lacrime si.
"L'ho lasciato, ho accettato il ruolo di capo, era diventato il mio nemico!" Urlò l'ultima parte con il viso rivolto verso un Quattro pietrificato, in piedi a pochi metri da lei. Elise sentiva le lacrime rigarle il viso, scavare le guance, lungo un tragitto a loro così familiare.
"Ho messo le vite di tutti davanti alla mia!" 
Un altro singhiozzo spaccò il silenzio e un urlo muto le sfigurò il viso. Quattro si abbassò al livello della ragazza, inginocchiandosi davanti a lei e prendendola per le spalle per confortarla, tirandole indietro i capelli rossi dal viso bagnato. Le accarezzò la schiena più volte, cercando di calmare i singhiozzi.
"L'ho sacrificato. Li ho sacrificati...per il bene...di tutti!" Disse tra un fiato rotto e l'altro.
"Calmati." Le sussurrò, accarezzandole la nuca e stringendola di più contro il suo petto. Anche la voce di lui era incrinata.
"Li abbiamo sacrificati, Quattro. E..." Prese fiato. 
"A noi cosa..." Lo prese di nuovo. 
"A noi cosa è rimasto?" disse in un unico respiro.
Allora Lo sapeva! Sapeva di Tris, sapeva cosa era successo in quella settimana.
E Quattro si lasciò andare al dolore con lei. 
La strinse più forte, per fermare il fiato rotto che sentiva provenire dal suo petto. Gli occhi gli si inumidirono e le lacrime iniziarono a sgorgare involontariamente. Abbassò la testa e la seppellì nella spalla di lei, in cerca di riparo da tutto il peso del dolore che lo coglieva di nuovo, più forte che mai.
"Cosa ci è rimasto?" Ripeté, strozzando la parola, quasi senza fiato.
Quattro prese un lungo respiro, alzò il viso e allineò i suoi occhi a quelli di Elise obbligandola a guardarlo, ponendo le sue mani ai fianchi del suo viso.
"Tu. Mi sei rimasta tu. E ti sono rimasto io." 
Elise appoggiò la fronte contro quella di Quattro, i singhiozzi si erano calmati, ma le lacrime non si fermavano.
"Sono così stanca..." 
"Lo so. Ma siamo alla fine. Devi fare un ultimo sforzo. Dobbiamo farlo insieme." 
"Per cosa? Per chi? Non voglio più aiutare nessuno."
"Non è vero. Puoi salvare il nome di Eric, puoi rendere pubblico il fatto che non è stato un traditore fino in fondo. Ci ha salvato quella notte, ha salvato te e me. Puoi redimerlo."
Lo guardò dritto negli occhi. Poteva lei farlo? Eric se lo meritava? Non doveva nemmeno domandarselo. Tutte le cose brutte che le aveva fatto non erano nulla comparate alle cose belle che avevano vissuto e condiviso, all'amore che si erano dedicati, tutto il male che le era stato fatto non era avvenuto a causa di Eric, erano vittime di quella dannata guerra. Se lei ne sarebbe uscita, l'avrebbe fatto anche il nome di Eric. 
"Ho bisogno di farmi una doccia.." Si scusò, reagendo per la prima volta in quei giorni. 
Si asciugò le lacrime dalle guance e si alzò dal pavimento, guardandosi attorno e poi riportando lo sguardo su Quattro, ancora in ginocchio. 
"Sei la persona più forte che conosca Tobias, dopo di lei. Lei era la più coraggiosa, più di tutti noi. Ma glie l'hai insegnato te come crescere, tu lei hai permesso di essere se stessa. Le hai insegnato a combattere, e poi a vincere. Se sei ancora vivo e perché lei l'ha voluto con tutta se stessa, non pentirti mai di essere ancora qui, e non con lei."
Si girò verso la porta del piccolo bagno della stanza.
 "Troppi sacrifici sono stati fatti per mandare tutto a puttane da soli..." 
La porta si chiuse e Quattro si ritrovò da solo. Ma per la prima volta in quei giorni non si sentì veramente solo, si lasciò cadere sul pavimento, sedendosi. Sorrise, appoggiando la testa contro il materasso del letto. E poi scoppiò a ridere, una risata cristallina di pura liberazione, meglio di un urlo, meglio di una corsa, pura aria che gli lasciava i polmoni nel migliore dei modi. Attraverso un sorriso. Perché il brutto non era ancora finito... Ci sarebbero voluti anni per tornare alla normalità. 
E poi pianse, ancora. 




"Abbiamo deciso di non utilizzare nessuna legge che preveda la morte di questi individui. Primo motivo, perché il desiderio di tutti è riniziare, e il migliore dei modi è ricostruire tutto da capo, partendo dalla nostra costituzione e creare una giustizia per tutti, non più legata alla relativa fazione. La morte non è prevista come pena." Annuncio  l'uomo davanti a tutta la folla che si era radunata alle porte della barriera.
Quattro, Johanna, Zeke, Elise erano tra tutti, in prima fila. 
Davanti a loro i traditori, con le mani legate e i visi sporchi e pallidi.
"Secondo motivo perché è stato deciso da una persona del consiglio di non praticare la pena che è stata utilizzata per troppo tempo durante la guerra contro i divergenti. Troppe persone sono state vittima di essa." 
Elise fece un passo in avanti, distanziandosi dalla folla e avvicinandosi a un prigioniero.
Era inginocchiato tra la polvere e la sporcizia, con la testa bassa. Quando gli stivali della ragazza entrarono nel suo campo visivo, alzò di scatto la testa, cercando il suo sguardo, con la speranza di grazia.
"Permetteremo a ognuno di loro di scegliere." Disse Elise ad alta voce in modo che tutti potessero sentire la decisione del consiglio.
Lo suo sguardo tornò in quello del ragazzo davanti a lei. 
I suoi occhi le davano i brividi, la sua voce la faceva scattare, ma stava controllando l'orribile sensazione di scappare il più lontano possibile da lui. Doveva superare la sua paura.
"Jack puoi scegliere. Se chiedere perdono, prendere il siero che ti permetterà di ricominciare da zero, oppure andartene. Per sempre."
"L'esilio? Andarmene dalla città?! Ma io non ho fatto nulla! Ho seguito gli ordini di Eveline!" Gridò, rivolgendo poi lo sguardo alla folla, in cerca della donna che lo aveva portato a quello.
"Eveline ha chiesto perdono. E ha espresso il desiderio di rimanere." Disse Quattro dalla folla in risposta all'affermazione di Jack.
"Come posso chiedere perdono per qualcosa che non ho fatto!?" Chiese ad alta voce, urlando come un pazzo verso l'uomo che aveva letto il volere del consiglio, e poi rivolgendo lo sguardo alla folla. Non voleva incrociare gli occhi di Elise.
"Ti sto dando l'opportunità di riniziare Jack. Di dimenticare quello che hai fatto. Accettalo." Sussurrò Elise guardando fisso il muro della barriera per non incrociare quegli occhi schifosi.
"No! Non cancellerò mai quello che c'è tra noi! Non ne sei ancora convinta?" Si alzò da terra con uno scatto cercando di afferrarla.
"Dobbiamo stare insieme!"
La afferrò dal polso con le mani legate, ma Elise fu più veloce e gli assestò una ginocchiata dritta all'inguine. Cadde pesantemente sul terreno. 
"Non mi toccare! Mai più!" 
L'urlo della ragazza lo fece indietreggiare ancora di più, strisciando nella polvere.
"Scegli!" Gli urlò ancora, ormai furente. Alcune lacrime di rabbia le erano sfuggite al proprio controllo. 
Jack la guardò ancora, poi fissò la gente, e infine strisciò nella polvere per raddrizzarsi e dare le spalle alla città, correndo e zoppicando verso l'ignoto al di là della barriera. 
Elise lo guardò allontanarsi per tutta la durata del pomeriggio, mentre gli altri traditori decidevano le loro sorti. Quando il punto della figura di jack scomparve al di là dell'orizzonte, inghiottito dal sole morente, Elise si lasciò andare contro Quattro, l'ultimo a dover compiere quell'atto di pietà. 
"Io non avrei mai dato la possibilità dell'esilio, lo sai." Le sussurrò all'orecchio.
"Ne abbiamo già discusso. Non mi macchierò le mani di altro sangue. Il mondo lo giudicherà per quello che ha fatto." 
"Gli avrei dato volentieri la morte." Commentò Zeke alle loro spalle. 
"A suon di padellate, da cosa ho sentito dire..." Gli rispose Cristina al suo fianco.
Marcus era davanti a loro, ultimo traditore a dover scegliere. 


Rimbombava tutto.
Le parole che sapeva che molte persone dicevano intorno a lui... Quanta gente stava parlando! Che caos! Non riusciva a distinguerne nessuna, e non poteva comprendere il significato di esse perché erano disconnesse tra loro:
"Fuga... Protezione... Eliminare... Barriera... Esperimento... Modificato."
"State zitti" ripeteva, ma parlava da solo, non riusciva a vedere nulla, se non una luce intensa al di là delle palpebre. Si, le palpebre, perché sentiva che era incapace di aprirle, che erano troppo pesanti.
"Ditemi dove sono. Dov'è lei?" Urlò dall'apprensione.
Ma chi poteva sentirlo? Solo lui sentiva la sua stessa voce, e il proprio urlo lo scongelò da quell'incoscienza, e riuscì ad aprire le palpebre.
Chiuse gli occhi ripetutamente finché lo sfondo che aveva davanti non si mise a fuoco.
"Sta chiedendo della bambina, penso" un altra voce si aggiunse al coro che lo circondava. Non riusciva a capire se stessero parlando tutti insieme o solo se tutto stava rimbombando nella sua testa.
"Si!" Cercò di urlare.
"Si di lei.." Una fitta gli spezzò il fiato, e il dolore lo percorse dalla ferita alla spalla fino alle dita dei piedi. Strozzò l'urlo che gli stava nascendo dal fondo della gola, e ringhiò, sbattendo il pugno contro il piano su cui era appoggiato.
"Non..." Singhiozzò.
"Fatele del male." Sussurrò prima di perdere i sensi. Di nuovo.




"Devi muoverti molto lentamente. Le ferite non si sono ancora cicatrizzate completamente." 
Eric si raddrizzò dalla posizione distesa in cui era sulla barella di quell'infermeria ambulante. Non sapeva quante ore aveva passato li, forse erano anche giorni, non ne era sicuro. Aveva perso i sensi così tante volte. 
Mise giù i piedi sul pavimento gelido fatto di roccia. Da quello che aveva potuto capire era stato trasportato attraverso tunnel bui, con solo una linea di luce al neon appese al soffitto, fino ad arrivare a quella specie di caverna dove lo avevano ricucito.
"Prova ad alzarti, ma non forzare le braccia o i muscoli della schiena." 
Fece forza sulle gambe e si raddrizzò: sentì ogni legamento del suo corpo tendersi. Era debole, aveva molta sete, era mezzo nudo, coperto solo da una t-shirt e dei boxer.
"Dov'è lei?" Chiese, girandosi verso la voce dell'uomo che aveva parlato.
Era alto, sulla cinquantina, aveva i segni dei suoi anni intorno agli occhi, ma il corpo era tonico, i capelli neri striati di bianco, ed era vestito completamente di nero. Le braccia erano conserte ed era appoggiato alla porta della stanza, come per farlo desistere da qualsiasi tentativo di fuga.
Il ragazzo si avvicinò al mobile dove aveva notato appoggiati sopra un paio di pantaloni neri, non i suoi, ma erano di sicuri stati destinati a lui. Li indossò velocemente. 
"Elise, vuoi dire?" Chiese, senza spostare i suoi occhi da quelli di Eric.
"Non ti interessa. Come conosci quel nome?" Una fitta alla spalla lo fece grugnire e rallentare le sue azioni.
"È il minimo, non pensi Eric?" 
"Come fai a conoscerci?!" Urlò.
"Devo sapere chi sto nascondendo, e comunque..." Si scusò.
"Non hai ripetuto nient'altro che quei due nomi, mentre eri incosciente. Ho tirato le conclusioni da solo." 
La sua voce era profonda, quella che ci si aspetterebbe di sentire da uomo così massiccio.
Eric si appoggiò al muro per cercare sostegno.
"Cosa sono quei segni?" Indicò con la testa l'uomo.
Il ragazzo si guardò le braccia.
"Tatuaggi." Tagliò corto.
"Ti hanno obbligato?" 
Perché gli stava chiedendo quello? Scosse la testa, ghignando.
"Li ho voluti io. Servono per distinguersi dal resto delle persone." 
Appoggiò completamente la schiena alla parete opposta alla porta. Pochi metri li separavano. 
"Cosa eri tu per quelle persone?" 
Non erano domande intelligenti, nemmeno ovvie. Erano insensate, ma Eric aveva capito cosa stava facendo quell'uomo. Non sapeva dove era, non sapeva con chi stava parlando, e se fossero stati alleati con gli esclusi per lui e la piccola non ci sarebbe stata via di fuga questa volta.
"Un insegnante." Mentì. 
"Un insegnate..." Pesò la parola.
"Eri proprio un insegnate antipatico se ti hanno riempito di pallottole." Sorrise l'uomo.
"Chi sei? Dove sono?" Cercò di cambiare discorso Eric.
"Sono John, e sono il capo della gente di questa zona. Io ho ordinato che venissi curato." 
"Perchè? Potevo essere un rischio per voi. Mi avevano trovato due uomini! " 
"Se fossero lontanamente vicino al poter essere chiamati 'uomini', ora io non sarei qui a chiederti quello che sto per chiedere." 
"Ma cosa cazzo stai dicendo? Non conosco questo posto, non ero nemmeno certo di trovare qualcuno al di là della barriera. Non ho tempo da perdere." Si diede una spinta contro il muro e si mosse per sorpassare Andrew e uscire dalla porta.
Andrew lo prese per la spalla e lo sbatté contro il muro, accanto all'uscita, dove prima si trovava lui.
"Non hai altro modo Eric. Sei fuggito, chissà da dove e da cosa, ma hai un neonato con te e sei ferito. So che se ti metti in viaggio adesso, in queste condizioni, metterai a rischio la tua e la sua incolumità. Ti sto offrendo una via più facile." 
La spalla aveva iniziato a bruciare e a pulsare, il respiro di Eric era veloce a causa della rabbia.
"Non c'è altra strada! Non accetto aiuto da nessuno. Fatti da parte!" Spinse con le braccia sulle spalle dell'uomo con tutta la sua forza, ben poca a quanto vide, perché John non si mosse di un millimetro. 
"Sei un combattente, si vede. Sai sparare e lottare, sarai stato anche un insegnante, ma secondo noi sei stato molto di più per la tua gente. Io ti assicuro una casa, cure, un lavoro e protezione. Persone intorno a te. Una nuova vita. Un nuovo inizio." 
Eric si era immobilizzato, ipnotizzato da quelle parole.
John capì che aveva la sua piena attenzione e continuò.
"In cambio ti chiedo di allenarli. Allena i miei ragazzi. Abbiamo armi qua, al di sotto del deserto, ma non sono capaci ad usarle e non sono in grado di proteggere se stessi, figurarsi la propria gente. Ti chiedo di insegnarglielo." 
Eric guardò il pavimento. 
Non si meritava un nuovo inizio. Non poteva riniziare senza di lei. Non era giusto.
"Non merito un nuovo inizio." Diede voce ai suoi pensieri.
John mollò la presa intorno alle spalle del ragazzo e fece due passi indietro.
"Tutti lo meritano. Ti sto dando la possibilità di redimerti per tutto quello che può essere successo prima, per quello che vi ha costretto a fuggire. Accetta." 
Allungò la mano, in attesa della decisione di Eric.
Ci pensò, ci pensò veramente. Così profondamente da fargli male la testa. L'istinto gli urlava di andarsene. Prendere la bambina e andarsene. 
Allungò una mano e strinse quella dell'uomo.
"Voglio vederla." 
La stretta si sciolse e John alzò le mani in aria, con un sorriso vittorioso che Eric avrebbe tanto voluto cancellare da quella faccia a suon di pugni. Aveva bisogno di sfogarsi.
"Certo!" 
Aprì la porta, invitandolo ad uscire per primo. 
"Come fai a conoscere il nome di lei?" Chiese, seguendolo oltre l'uscita, verso un altro cunicolo buio. In qualche modo quel posto gli ricordava la sede degli intrepidi. 
"L'hai ripetuto molte volte. Comunque, ottima scelta." 
"Cosa?"
"Il nome della bambina, Elise. Molto bello. L'hai chiamata molte volte mentre eri nei fumi del dolore, e la nostra bambinaia ha capito che ti riferivi a lei."


Qualcuno lassù si stava veramente prendendo gioco di lui.

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Capitolo 27
*** Giustizia ***


Questo capitolo è uno dei miei preferiti. Adoro le scene d'azione, e quando ci metti di mezzo anche un po' di disperazione, è una combinazione scoppiettante (eh si, ho detto "scoppiettante"). 
Comunque... Ditemi cosa ne pensate! Qualcuno di voi è già stato molto vicino nello "spoilerare"il finale... Se lo volete lieto fine, sarà ovvio come finirà. Ma cercherò di fare alcune varianti, per sorprendervi! 
Cosa ne pensate in tanto di questo, vi è piaciuto? Ve lo aspettavate? Cosa non è vi è piaciuto, invece?? 
Grazie alle ragazze che mi sostengono e recensiscono sempre... Anche dopo tutti quei mesi di silenzio! 
Buona lettura 
 
 
 
 
 
 
Otto mesi dopo...
 
L'ultimo colpo di scalpello diede il segnale alla folla nella piazza principale della città a un applauso rispettoso e collettivo. Molta gente piangeva, altra rimaneva solo in silenzio, in quel giorno in cui tutti ricordavano i loro cari caduti durante la guerra dei divergenti. 
La verità era stata svelata, i cancelli della barriera aperti, il dipartimento occupato da un gruppo della città, i contatti con le altre realtà oltre quella di Chicago stavano per nascere. 
La guerra tra i geneticamente puri e danneggiati nella città era svanita. 
Le fazioni distrutte.
Le vite di tutti sconvolte dal cambiamento, ma volenterosi di ricostruire un governo solido e giusto. 
Al primo accenno di pioggia nessuno si mosse dal ciottolato della piazza, ma al secondo potente scroscio che fece piegare gli alberi, la gente iniziò a rifugiarsi nelle case e nei palazzi. 
Elise non riuscì a muoversi, un po' a causa della quantità di gente che correva da una parte all'altra, un po' perchè si era incantata a guardare la fiamma della torcia accesa accanto al pannello di marmo. Era molto grande, ricopriva quasi completamente il muro dell'ex sede degli eruditi per almeno dieci metri. 
Salì i quattro scalini per raggiungere l'ultimo nome impresso nella roccia, l'ultima lettera fatta dallo scalpello, l'ultima parola a cui era seguito quell'applauso. 
C
Sfiorò La superficie del nome, seguendone la linea. Lo accarezzò di nuovo, soddisfatta di essere riuscita a farlo inserire tra i caduti per la città, e di averlo fatto accettare alla gente di Chicago. Aveva notato come il consiglio e la popolazione avessero tenuto conto della sua richiesta, e dopo molte settimane di attesa glie l'avevano concesso. Coloro o che erano ancora vivi, come lei, Quattro e Zeke, o come tutti gli altri che erano sopravvissuti ai giorni di guerra erano visti come degli eroi, trattati come tali e favoriti in molte cose. Oltre ad avere un posto fisso nel consiglio della città. 
Elise poteva tenersi occupata in quel modo, nella ricostruzione e nell'organizzazione della nuova città, e non pensare al fatto che quando sarebbe tornata a casa nell'enorme ultimo piano del grattacielo del' Hancock, nel loft che le avevano assegnato come residenza, sarebbe stata da sola. Da quello spazio gigantesco, dove le finestre del soggiorno davano sulla barriera, oltre i campi dei pacifici, cercava di scappare, di non ritrovarcisi mai. Stava da Johanna da due mesi, ormai. 
Si raddrizzò, fece un passo indietro e rilesse tutti i nomi dei caduti, camminando lungo la lunghezza del monumento.
Marlene
Uriah 
Tris
Tutti e due i genitori di Beatrice 
Tori
È così andando avanti. Le gocce di pioggia si mescolavano con le sue lacrime. 
Una mano le si appoggiò alla spalla e la riscosse dal torpore della pioggia.
"Elise." Le sussurrò.
"Arrivo Zeke, mi ero solo distratta. Adesso vi raggiungo a casa." Si scusò, continuando a scorrere i nomi. 
"Io... Volevo solo dirti una cosa."
Ma venne interrotta dalla ragazza.
"Non ti ho mai detto quanto mi sia dispiaciuto per quello che è successo a Uriah. Mi dispiace moltissimo. Ho pianto quando l'ho saputo. Mi dispiace di non esserci stata, di essere stata così egoista da pensare solo a me e non al mio migliore amico. Non sei costretto a perdonarmi, ma almeno accetta le mie scuse."
Zeke non ce la fece più, la prese per le spalle e la abbracciò stretta contro il suo petto. Ora erano tutte e due completamente fradici. Ma non importava, non in quel momento.
L'unica cosa che Zeke sentiva era il senso di colpa. Per Uriah, per Tris, per Elise. Doveva alleviarlo in qualche modo.
"Elise." Singhiozzò.
"Si, Zeke?" Lo confortò.
"Sono vivi." 
 
 
 
 
 
 
 
 
"Devi tirare più forte. Ce li hai i muscoli, hai anche una buona altezza. Utilizza questi fattori a tuo favore." Ordinò.
"Rigido qua, e qua. Rilassa invece i muscoli qui." Diede istruzioni ad un altro.
Si voltò verso il vociare che sentiva dall'altra parte della sala degli allenamenti. Si allontanò dai Sacchi per avvicinarsi al ring. 
Un ragazzo, George, stava di nuovo combattendo contro suo fratello sul ring. Finì al tappeto dopo nemmeno tre tentativi di colpire l'avversario al viso. 
"Non ci perdo più tempo con te." Urlò Eric, scocciato. 
Il ragazzo si alzò di nuovo. Tentò un gancio destro alla gola del fratello, ottenendone solo una schivata e un calcio sul retro del ginocchio, che lo fecero raggiungere nuovamente il tappeto. 
Eric sbuffò.
"Tieni alta la guardia, e prova a non attaccare per primo per una volta. Quando lo fai perdi completamente il controllo della mossa successiva. Non farlo più. Aspetta il momento giusto." Gli ripeté per l'ennesima volta. 
"Si capo!" Scherzò. 
Eric si passò una mano tra i capelli sudati e si avvicinò alla zona di tiro. 
Qualcuno era migliorato molto in quei mesi di allenamento. Altri invece erano ancora degli incapaci. Come George. Suo fratello invece nel corpo a corpo era un ottimo allievo. 
"Dovete imparare a montare e smontare un fucile nel più breve tempo possibile." Urlò al gruppo di ragazzi. 
Alcuni era più giovani di lui, altri invece erano molto avanti con l'età e non accettavano volentieri ordini da lui. Ma in quei mesi di vita spesi sottoterra a stretto contatto con quella gente si era fatto rispettare e si era costruito una reputazione: spietato, rigido, se si voleva dire, severo. 
"Eccola che arriva!" 
Una donna entrò nella palestra, e tutti gli sguardi degli uomini in quella stanza si spostarono lungo le sue curve. Sonia era una bella ragazza, non si poteva negarlo, bionda, slanciata, formosa, con il colore della pelle leggermente più scuro di tutti gli altri, abituati a rimanere sotto terra per delle settimane intere, mentre lei invece, da cosa aveva sentito Eric, era cresciuta in superficie, tra le steppe del centro del continente.  Tutta l'attenzione era su di lei, ma gli occhi di Eric erano fissi solo su Elise. Era cresciuta molto in quei mesi, aveva iniziato a farsi sentire, a dire qualche parola, ma ancora senza senso. A gattonare, lungo qualsiasi tunnel della città. Se non ci fosse stata in quei mesi Sonia dietro a Ellie, Eric non se la sarebbe mai cavata. 
La donna si avvicinò a lui, allungando le braccia, per assecondare il volere della bimba, che stava già iniziando ad agitarsi per andare in braccio al papà. 
"Ciao, piccola! Cosa hai combinato oggi? Qualche disastro?" 
"Solo una ciocca dei miei capelli in meno." Disse Sonia mostrando la ciocca mancante tra i suoi capelli dorati. 
"Come cavolo ha fatto?" Chiese allibito, mentre si sistemava la bambina sulle spalle.
"Un coltello, mi ero distratta mentre preparavo il pranzo." Raccontò, ancora sconvolta.
"Iniziamo presto, a quanto pare." Ghignò Eric a spese della ragazza. 
"È per forza tua figlia capo!" Disse George, spuntando da dietro la spalla di Eric. 
Elise si aggrappò ai capelli del ragazzo, tirando forte, e George non poté reprimere un urlo di dolore. 
"Mostriciat..." 
Uno sguardo di ghiaccio di Eric lo fece desistere dall'insulto che stava per uscire dalla sua bocca.
"Che angioletto!" Si corresse, e se ne andò con la coda tra le gambe, tirando dietro di se qualche sguardo in più a Sonia. 
"Un giorno avrà il coraggio di chiederti di uscire." Disse Eric a Sonia, concentrato a gestire Elise sulle sue spalle.
"Ah... Si, ma sono molto impegnata in questo periodo, sai con i bambini." 
Il suono della sirene riempi l'aria della caverna, avvisando che era l'ora di uscire all'aria aperta per l'arrivo delle provviste e ponendo fine allo scambio di battute tra i due. 
"Posso lasciartela ancora per due ore? Sono arrivate le nuove munizioni, e l'ultima volta ho mandato John a pagare i mercanti. Lo avevano derubato di una bella somma." Si scusò, tirando giù dalle sue spalle Elise, e piegandosi per far appoggiare i piedini della bimba per terra. I suoi capelli biondi e boccolosi non lasciavano nessun dubbio a chi guardava che fosse sua figlia. 
Eric la amava, era il suo tesoro, le voleva così bene, che ogni volta che doveva lasciarla per seguire il suo lavoro con gli allenamenti si sentiva sempre in colpa, come se si stesse perdendo un pezzo della sua crescita. Che rammollito che era diventato. 
Ogni volta che la fissava, che osserva quella massa di capelli biondi gli si stringeva la gola, gli si spezzava il fiato. Non assomigliava a Elise in nulla, se non per gli occhi. Azzurri, quasi sul grigio, ma di quel color cielo di cui era così innamorato. 
La sirena suonò una seconda volta, e gli uomini abbandonarono gli attrezzi e la stanza per salire in superficie. 
"Ci vediamo dopo" salutò Eric. 
George gli si affiancò lungo la rampa.
"La uccidi quando fai così." 
"Non ti chiedo nemmeno di cosa stai parlando, perché non ho voglia di sentirti raccontare cazzate." Chiuse la chiacchierata.
"Quando la tratti come la tua migliore amica e poi torni a quei toni freddi che usi per rivolgerti alla babysitter di tua figlia" continuò George.
"È la babysitter di mia figlia. E tu non puoi dirmi nulla a riguardo perché non hai nemmeno il coraggio di avvicinarti a lei senza usare mia figlia come scusa." Cercò di zittirlo Eric.
"Ma io gli chiederei di uscire se solo tu mettessi in chiaro che non sei interessato a lei. Prima che arrivassi tu, lei era molto disponibile con me. E adesso è tutta 'Eric di qua, Eric di la! La bambina di Eric, e così un bravo papà'!" Fece il verso.
Non era molto alto George come ragazzo, anzi, era proprio un nano rispetto a Eric, e suo fratello era come lui, ma quello che mancava in altezza, suo fratello lo rimpiazzava con l'intelligenza e L astuzia. Due qualità che mancavano completamente in George. 
"Fai un figlio anche te George, ma devi trovare una ragazza che te la dia!" Lo riprese suo fratello.
Tutti gli uomini sulla rampa scoppiarono a ridere. 
"Ah ah! Che ridere, fratello... Mi sto sbellicando" si lamentò il ragazzo. 
La luce della sera li zittì tutti da quelle risate, arrivarono nello spiazzo dell'entrata della città e si riunirono subito con gli altri. Eric doveva raggiungere John, che era più avanti degli altri, tra le vie di quelle capanne decadenti fatte di resti di macchine e metallo. Molta gente abitava ancora in superficie, tra la sporcizia e il pericolo di attacchi, ma quasi tutti si sapevano difendere o avevano le armi per farlo. Infatti non era sicuro girare per quei vicoli. Ma una regola della città sottoterra è di non stare armati. Quindi Eric si doveva affidare solo sulla sua capacità di stare fuori dai guai, per non creare troppo chiasso durante il momento di contrattazione tra i mercanti.
Vide John tra la polvere della sabbia che stava contrattando con il mercante dall'altra parte della strada. Si avviò per attraversare .
Una mano lo afferrò per lo stivale. Eric si girò di colpo per osservare la figura dell'uomo sudicio ai suoi piedi che lo aveva fermato. 
"Un po d'acqua, per pietà..." Sussurrò. 
L'altra mano gli afferrò il braccio destro, portandoselo più vicino agli occhi. Quando i tatuaggi di Eric furono in vista, sentì la figura sussultare e mollare la presa sulla gamba e il braccio. Ma era troppo tardi, Eric lo aveva afferrato per lo straccio nero di maglia che aveva addosso, e lo stava tirando su di peso dalla pozza di fango e polvere e sporcizia che lo ricopriva. 
Quando il viso dell'uomo fu alla luce del sole calante, quando Eric riconobbe quei lineamenti, e quando vide i suoi tatuaggi sulle braccia, non ci furono dubbi. 
E perse io controllo delle sue azioni. Automaticamente il corpo fece quello che Eric aveva sognato di fare da quando aveva lasciato la città. Fece quello che era automatico per lui.
Prese slancio con il braccio che non era intorno al collo del ragazzo, e gli diede un pugno in pieno viso.
Il corpo rotolò per terra, nella polvere. Eric si gettò su di lui, gli afferrò i capelli neri e schiantò con tutta la forza che aveva il cranio del ragazzo contro il pavimento della strada battuta. Un pugno lo raggiunse allo zigomo destro, non molto forte, ma abbastanza da farlo infuriare ancora di più. Lo prese per le spalle e lo gettò di nuovo in mezzo alla strada. Si alzò velocemente, lo raggiunse dove lo aveva lanciato e gli diede un calcio in faccia, uno nello stomaco.
Si chinò di nuovo su di lui e lo intrappolò con il proprio peso. Lo tempestò di pugni in faccia.
"Eric, basta. Pietà!" Urlò il ragazzo, tra un respiro e l'altro, tra uno sputo di sangue e sabbia.
"Pietà" fischiò Eric tra i denti, quasi come un ringhio. 
"Pietà?!" Urlò. 
Mise le sue mani intorno al collo dell'uomo e strinse con tutta la forza che aveva.
"Eric, allontanati!" Ordinò John. 
Eric alzò lo sguardo, allentando la stretta. Un gruppo di persone si era riunito a cerchio intorno a loro.
"È un ordine, allontanati." 
Ci pensò due volte. Se l'avesse ucciso, nessuno si sarebbe fatto domande perché nessuno lo conosceva. Ma avrebbe messo in cattiva luce John davanti a tutti. 
"Eric." Lo richiamò.
Si alzò di scatto, e il ragazzo tornò a respirare, tossendo sangue e sabbia. 
John fece cenno a due uomini di avvicinarsi e prendere il ragazzo per le spalle.
"Chi sei?" Gli chiese John. 
Stava ancora tossendo, e non riusciva ad articolare le parole. Tra lo sporco e le ferite al viso che Eric gli aveva procurato era irriconoscibile. 
"Si chiama Jack. E viene dallo stesso posto da cui vengo io." Rispose Eric al suo posto.
"È uno di quelli che ha cercato di ucciderti?" Chiese. 
"No!" Urlò jack. 
"Assolutamente no! Eravamo dalla stessa parte io ed Eric!" Disse buttandosi ai piedi di John. 
Eric non ci vide più.
"Non osare nemmeno dire una cosa del genere! Io ti ammazzo! Con le mie mani!" Urlò gettandosi di nuovo addosso a lui. Due braccia lo fermarono, costringendolo a fermarsi. Le strattonò e si liberò dalla presa di un suo compagno. 
"Ha cercato di uccidere Elise!" Menti a John. Al pensiero della verità, Eric si infiammò ancora di più. 
Quelle mani... glie le avrebbe strappate! 
Doveva fare ragionare John. Era suo! Doveva ucciderlo lui! 
"La tua compagna?" Chiese spiegazioni, con quel verme ancora attaccato al suo stivale.
"Non è vero! Ci amavamo! Lei mi amava!" 
"Stai zitto!" E gli si avventò contro, sfuggendo alle mani dei compagni. Gli tirò un calcio nello stomaco, prima di essere spinto di nuovo indietro da un uomo accanto a John che immaginava essere il mercante di armi, era grosso, scuro di pelle, molto alto. Ma Eric non si sarebbe tirato indietro se necessario. Quell'uomo si mise dietro, alle sue spalle, come pronto a fermarlo di nuovo.
Perché la gente non si faceva gli affari propri?! 
"Perché sei qui Jack?" Continuò a interrogare John.
"Lei mi ha dato la possibilità di riniziare, e io ho scelto l'esilio, mi volevano costringere a prendere un siero per dimenticarla. Ho preferito andarmene." 
John continuava a guardare Eric mentre stava interpellando Jack, come se stesse cercando di comprendere il suo stato d'animo. Oppure come se stesse macchinando qualcosa...
"Eric lei l'ha fatto, io l'ho fatto con te..." Disse rivolgendosi al diretto interessato.
Eric iniziò a camminare avanti e indietro. La gente era ancora intorno a loro, e i suoi compagni stavano fissando la scena. E lui si stava tormentando, sfregando le mani contro i pantaloni della tuta per non metterle addosso a Jack.
"Non puoi chiedermi questo!" 
"Io ti ho concesso di riniziare, non conoscendo i tuoi errori. Devo dare a lui la stessa opportunità" 
Jack si aggrappò alla tunica nera che John indossava ringraziandolo, piangendo. 
"Non puoi farmi questo!" Gli urlò contro, fermando la sua camminata impulsiva. 
"Elise ha mostrato pietà, lo farai anche tu. Ci vorrà più tempo, ma devi imparare anche tu." 
"Non fare il fottuto maestro con me!" 
John si abbassò per porgere la mano a Jack, in attesa che la afferrasse. 
Eric non riuscì a guardare la scena, si girò verso il lato opposto, dove si trovava il mercante, e cercò di andarsene il più velocemente possibile. 
Non voleva Jack li! Non lo voleva vicino alla nuova vita che aveva costruito. Non lo voleva in mezzo alle persone, era pericoloso. Non lo voleva vicino a Elise! 
"Potrai essere perdonato per il tuo passato ... " Disse John a Jack, aiutandolo ad alzarsi.
Eric agì distinto. 
Afferrò la pistola dalla fondina del mercante d'armi, si girò di scatto e prese la mira.
"... Ma all'inferno!" 
E fece fuoco. 
L'uomo a cui aveva sottratto l'arma gli fu addosso, buttandolo per terra, ma il colpo aveva ormai già lasciato la canna della pistola e aveva colpito Jack in fronte, portandolo a cadere di schiena tra le braccia di John, che non rafforzò la presa e fece cadere il corpo a peso morto tra la polvere e il fango della strada. 
Eric rimase disteso a fissare il viso di Jack morto per qualche minuto, mentre la folla intorno si diradava e il mercante se ne andava con le sue armi. La vendita era sfumata. 
John gli si avvicinò, Eric poteva vedere solo i suoi anfibi.  
"Fai in modo che i tuoi tatuaggi scompaiano. Non voglio altri problemi di questo tipo." Disse. 
Era arrabbiato, poteva sentirlo dal suono duro della sua voce. Quella era la punizione: il suo ultimo legame con il passato doveva essere cancellato, e nel modo più doloroso. 
Avrebbe fatto bene provare un po di dolore, dopo la sensazione di soddisfazione che aveva sentito riempirgli il corpo quando aveva premuto il grilletto e l'euforia che aveva iniziato a scorrergli nelle vene alla vista del capo di Jack che scattava all'indietro. 
Si sentiva meglio?
 
 
 
 
Assolutamente si
 
 
 
 
 
 
Lo spinse via. 
Le fischiavano le orecchie. Se era uno scherzo, era di cattivo gusto, perché non era assolutamente divertente.
"Cosa stai dicendo?" Chiese schifata.
Zeke non provò ad avvicinarsi, ma si tenne a distanza di sicurezza.
"Che sono vivi. Tutte e due." Ripeté.
Prese un respiro, un singhiozzo strozzato. Ma niente lacrime, le aveva esaurite.
"Da quanto lo sai?" Sussurrò frettolosamente. 
Zeke la fissò. E non rispose. Aveva paura della reazione.
Elise gli si avventò contro e lo spinse di nuovo, facendolo scendere dagli scalini.
"Da quanto lo sai!" Urlò, irrigidendo le braccia e stringendo i pugni lungo i fianchi.
Zeke non rispose di nuovo, gli si era mozzata la voce.
Elise lo fissò con ancora più rabbia, e poi il suo viso si incrinò.
"Otto mesi... Otto mesi passati a essere convinta che lui non ci fosse più!" Si prese il viso tra le mani.
"Lo stavo superando... Ce la stavo facendo!" Si coprì gli occhi. 
"Da quanto lo sai Zeke?" Sussurrò, non riuscendo quasi a far uscire la voce dalla gola.
Zeke inghiottì a vuoto.
"Da quando io e il dottore eravamo andati dai pacifici." 
Elise trattenne un lamento, e si accasciò a terra, sulla pedana del monumento, e si prese di nuovo la testa tra le mani.
"Lo avevano curato, avevano trovato un modo per far continuare la crescita del neonato al di fuori del grembo materno. Ma quando gli esclusi sono arrivati a catturare i fuggiaschi dalla città, Eric ha preso la bambina e se ne è andato. Oltre i campi dei pacifici. Nessuno sapeva dove fosse diretto e nessuno li ha mai più visti." Raccontò in un solo sospiro.
Liz appoggiò  una mano sul pavimento, fece leva e si alzò. Zeke si avvicinò per aiutarlo ma il braccio di Elise si alzò per fermarlo. 
"Stammi lontano." Ordinò. E corse via.
 
 
Il pozzo non poteva sembrare più sporco.
Gli intrepidi erano conosciuti per il loro disordine, ma quella era sporcizia delle strade.
Tutta la sede era stata abbandonata da mesi perché il consiglio non si era ancora concentrato sul trovarle una nuova funzione. Quella zona della città non era stata ancora risanata. 
Diede un calcio alla spazzatura che le ostacolava la strada per entrare nel tunnel che portava agli alloggi dei capifazione. Corse su per le scale, arrivò alla porta e la aprì tutta ad un fiato. 
Era tutto come lo aveva lasciato quella notte. Chiuse la porta e le si appoggiò contro con la schiena, chinò il capo, e non si accorse nemmeno di aver iniziato a tremare, che il respiro le si era fatto irregolare e che il petto le andava su e giù ad una velocità pericolosa. 
Urlò tutta la frustrazione di quelle ore, la rabbia che non aveva usato contro Zeke, si avvicinò al tavolo dall'altra parte della stanza, ne prese l'estremità dal bordo, e lo rovesciò. Tutto quello che c'era sopra volò per terra, frantumandosi in mille pezzi. 
Afferrò lo schienale di una sedia e lo lanciò contro il lato della finestra ancora integro, rompendolo, mentre dall' altro, che aveva frantumato lei stessa quella notte, entrava acqua a non finire. 
Scivolò sulla pozzanghera d'acqua che si era formata sul pavimento, perdendo l'equilibrio a causa del troppo impeto dei suoi movimenti, come una bambina. Non vedeva chiaramente, aveva gli occhi annebbiati da lacrime che non voleva uscissero, e cadde tra i vetri rotti, sentendo in qualche punto del corpo aprirsi piccole ferite per il contatto con il materiale tagliente. 
Urlò dal disagio dei tagli, appoggiò i palmi sulla superficie cosparsa di cristalli. Un urlo silenzioso le sfigurò il volto, e si lasciò andare a un impianto inconsolabile.
"Liz..." Una voce la fece saltare, si girò verso la persona che l'aveva chiamata.
Quattro era nell'appartamento, davanti alla porta, e dietro di lui c'era Zeke.
"Lo sapevi anche tu!" 
"Lo sapevate tutti! E ve lo siete tenuti per voi!" Si alzò dal pavimento e si scaraventò contro Quattro. 
Era alto e forte, che le facesse da sacco da box per una volta. Doveva sfogarsi! 
Lo spinse dalle spalle, facendole indietreggiare quanto bastava per caricare il colpo e cercare colpirlo in faccia con il pugno destro. La sua mossa venne prontamente fermata dal braccio sinistro di Quattro, in posizione di difesa.
"Vuoi sfogarti Elise? Allora vai avanti, ma non ti aspettare che io stia fermo a prendermi i tuoi colpi da femminuccia." La istigò. Aveva bisogno che si stancasse, che tornasse in se. Quattro sapeva che elise doveva sbollire tutta la rabbia.
Elise urlò per l'insulto e cercò di colpirlo con più serie di di calci alti, diretti al viso e al petto, intervallati da pugni alla cieca. Era troppo violenta, aveva perso il controllo dell'attacco. Prima regola che le avevano insegnato, mai perdere il controllo. 
Troppo tardi.
Quattro le intrappolo il braccio che stava cercando per l'ennesima volta di colpirlo alla gola, fece leva e glie lo torse, procurandole un urlo di dolore, la sbattè contro il muro, con la guancia premuta alla parete. Il ragazzo con tutto il suo peso la schiaccio contro esso, intrappolandole le braccia contro il muro.
"Hai pensato che se tu non potevi riavere Tris, nemmeno io potevo essere felice?! Solo Perché tu non potrai mai più abbracciare tuo fratello, io devo condividere il vostro stesso dolore?! Perché me lo avete nascosto?!" Urlò contro tutte e due.
"Urlaci cosa vuoi Liz, insultaci!" Tenendola ancora premuta contro la parete.
Voleva essere ferito. Va bene! 
"Non mi siete stati vicini mai! Quando avevo bisogno di voi, dove eravate!"
"Siete degli egoisti bastardi!" 
Nessuno rispondeva, e quattro non lasciava la presa
"Dove eravate quando Jack mi ha violentata!" 
Quattro sussultò, e Zeke si portò le mani al viso, girandosi verso la porta.
"Cosa stavate facendo? Zeke tu eri con Eric, sbaglio? Con mia madre, ad organizzare tutta la frottola. E tu quattro?" Nessuno rispose.
"Immagino! Eri occupato con Tris a fare amicizia con il dipartimento!" Una risata amara le uscì dalle labbra.
"Sai Quattro..." 
"Jack mi aveva bloccato nella stessa posizione. Contro il muro." Disse, con la voglia di colpirlo nel profondo.
Ma si accorse di essersi ferita da sola, quando sentì altre lacrime lasciarle gli occhi, i singhiozzi scuoterla. Quattro la mollò subito, liberandola dal peso del suo corpo. La spinse in mezzo alla stanza.
Era disgustato. Lei si raddrizzò, riacquistando l'equilibrio.
Ma lo perse subito, cadendo a terra, quando uno  schiaffo deciso di Quattro raggiunse la sua guancia.
"Torna in te!" Le disse.
Si avviò verso la porta, lasciandola sul pavimento.
"Domani mattina ci sarà una riunione del consiglio. Prova ad esserci, e a non comportarti da pazza. Aggiusteremo questo casino." 
E uscì dalla stanza.
Zeke le si avvicinò offrendole la mano, ma lei si alzò da sola, rifiutandola.
Lo sorpassò. 
"Lui non lo sapeva, Liz. Solo io e Johanna." 
"Non mi parlare per un po, Zeke." 
"Ma lizzie... Lasciami spiegare." Cercò di afferrarla per un braccio.
Lei si scansò e corse giù per le scale, verso il nulla.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Aggiungiamo due commenti alla fine.... 
Come vi sembra? Vi soddisfa la fine di Jack? Eric ha fatto bene, oppure si è di nuovo macchiato le mani di sangue, non seguendo il desiderio di Elise, e non imparando di nuovo nulla? 
Cosa ne pensate della reazione di liz alla notizia che Eric e la piccola fossero ancora vivi? E Quattro? È stato troppo violento? 
Commentate commentate !! 

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