Il tuo ricordo in me

di civia93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Basta un ricordo... ***
Capitolo 2: *** 2. Un nuovo abbandono ***
Capitolo 3: *** 3. Un male bellissimo ***
Capitolo 4: *** 4. Il dottor Carlisle Cullen e la signora Esme Cullen ***
Capitolo 5: *** 5. L'incontro con Emmett Cullen e Rosalie Hale ***
Capitolo 6: *** 6. Jasper Hale, Alice Cullen... e la fine di tutto ***
Capitolo 7: *** 7. Il tuo ricordo sarà sempre in me ***



Capitolo 1
*** 1. Basta un ricordo... ***


Ciao ciao!!!
Allora, mentre "La vita secondo Nessie" procede a gonfie vele, inizio questa nuova storia, un po' malinconica e molto drammatica, che ha come protagonista assoluto la nostra Isabella Swan, Bella. Questa ff l'ho ideata appena finito di leggere New Moon e prima di inziare Eclipse, ma non l'ho mai scritta perchè non mi appassionava più di tanto.... ma poi, un giorno per caso, buttai giù una bozze del primo capitolo, e mi piacque molto tanto da decidere di continuare la storia.
Questa ff è dedicata soprattutto a due persone in particolare: Claudia, che si è subito appassionata nonostante poi abbia combiato il titolo centinaia di volte, e Federica, che mi spronava ogni giorno a scrivere nuovi capitoli. Grazie ragazze!
Naturalmente a voi cari lettori, chiedo solo il favore di recensire questa storia e di dire quello che pensate, anche se sono cose cattive!! ^_^'
Un bacio...

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1. Basta un ricordo...


Soffrivo. Vedevo Bella e soffrivo.
Eppure era quello che volevo, no?  Volevo che Bella avesse una vita normale, no? E ora l’aveva, una vita normale, da umana. Aveva trovato anche qualcuno che l’avrebbe protetta come avrei fatto io. Certo Jacob Black non era tra i miei preferiti, ma era pur sempre un licantropo e per i guai in cui di solito si cacciava Bella andava proprio bene. Inoltre la amava. E lei amava lui. Tutto era perfetto.
Ma allora perché soffrivo? Perché quando la vedevo felice tra le braccia di Jacob Black soffrivo? Perché avrei tanto voluto andarle incontro, abbracciarla, sfiorarle le guancie fino a farla arrossire, sentire il suo profumo, toccarle i capelli, baciarla? Perché?
Semplice: la amavo.
Volevo che lei fosse felice tra le mie braccia. Volevo proteggerla io. Volevo che passasse la sua vita con me.
Ero egoista. Lo sapevo. E nonostante questo continuavo a volerlo.
Forse lo voleva anche lei. Forse quello che provava per Jacob Black era soltanto una finzione. Forse mentre abbracciava lui pensava a me.
No.
Bella mi ha dimenticato. Bella si è rifatta una vita. Una vita in cui io l’ho abbandonata. Mentre dorme non sussurra più il mio nome.
Potevo farmi perdonare. Perdonare per averla abbandonata così, per aver lasciata, per averle mentito.
No, non dovevo, non ne avevo il diritto. Ho sconvolto la sua vita abbastanza. Dovevo essere forte abbastanza per lasciarla vivere, per evitare di dannarle l’anima per sempre. Devo farlo.
Sarà difficile per me avere la forza necessaria di non intromettermi più nella sua vita. Sarà difficile dimenticarla. Ma cosa dico? Non sarà difficile, ma impossibile. Bella è stata l’unica che mi abbia mai acceso il cuore, che lo abbia fatto ribattere nonostante fosse ormai freddo e morto. Bella è la mia vita.
Io la amo. Voglio che sia felice e che abbia una vita normale.
Ora è felice e si è rifatta una vita. Devo essere contento.
E allora perché continuo a soffrire?
Me ne andrò. Non so dove. Ho già provato a dimenticarla, ma non ce l’ho fatta. Ora riproverò.
Ce la devo fare. Lo farò per lei. Lo farò perché l’amo e  l’amerò sempre.
 
 
 
10 anni dopo
 
Parcheggiai la mia Fiat Punto davanti casa di Jake. Era passati 8 anni da quando il mio pick-up si era spento. Jacob aveva provato in tutti i modi di aggiustarlo ma non ce n’era stato verso. Così prima di andare all’università aveva raccolto un po’ di soldi e mi ero comprata quella macchina, che non intendevo cambiare.
Presi le chiavi dalla mia borsa ed entrai: in casa regnava un silenzio assoluto, interrotto solo dal russare di Billy in soggiorno e di Jacob al piano di sopra. In punta di piedi, chiusi la porta del soggiorno e andai in cucina: come al solito c’era una pila di piatti sporchi da lavare. Sospirai e aprii l’acqua del lavandino. Quando non avevo da fare, venivo a casa di Jake per dare una mano con le faccende domestiche. A Billy non piaceva il fatto che gli facevo da cameriera, però non nascondeva mai il piacere di vedere la casa in ordine di tanto in tanto.
Poi sentii delle braccia bollenti cingermi i fianchi e un bacio sul collo. –Buongiono
Voltai la testa di lato e gli diedi un vero bacio, visto che avevo ancora le mani bagnate. –Buon pomeriggio Jake.
-Pomeriggio? Di già?
-Non dirmi che ti sei svegliato adesso?
-Ehmm…si.
-Sei incredibile Jake!
-Tu invece questa mattina ti sei alzata presto, non è vero?
Alzai le spalle. –Come sempre.
A volte io e Jake passavamo la notte insieme. Billy non ci diceva niente: ormai eravamo entrambi adulti e vaccinati, e decidevano da soli.
Jacob scosse la testa. –Questo lavoro ti sta facendo impazzire.
-Non è vero. Il mio lavoro mi piace e mi alzo presto tutte le mattine solo perché il mio studio si trova a Seattle. È un bel viaggetto tutte le mattine.
Dopo la scuola, ero andata all’università e poi mi ero diplomata in giurisprudenza, diventando avvocato. Il mio studio legale si trovava a Seattle, perché era impensabile aprire uno studio legale a Forks.
-Sarà, ma secondo me ti sta facendo impazzire.
-Invece di pensare, dammi una mano con i piatti.
Si staccò da me, prese un asciugamano e iniziò ad asciugare i piatti.
-Piuttosto,- aggiunsi io –tu non dovresti andare a lavoro?
Jake era il meccanico ufficiale di LaPush.
-Avrei del lavoro da fare, ma adesso non ne ho voglia.
Alzai gli occhi al cielo: Jake era sfaticato come pochi.
Finimmo il lavaggio con i piatti. Guardai il mio orologio: era ora di andare.
-Beh, adesso vado. Ho un appuntamento.
Jacob alzò gli occhi al cielo. –Non è possibile Bella! Hai sempre da fare con il tuo stupido lavoro! Non riusciamo mai a stare un po’ insieme!
Sospirai. –Non ho un appuntamento di lavoro. Devo andare a parlare con l’organizzatrice del matrimonio. Te lo ricordi che tra due settimane ci dobbiamo sposare?- gli sorrisi, facendogli vedere l’anello di fidanzamento che mi aveva regalato una settimana fa.
-Ah si, è vero. Non ti preoccupare, non me lo scordo: l’ho segnato sul calendario!
Risi e gli misi le braccia al collo. –E poi per passare un po’ di tempo insieme, abbiamo tutta la notte a disposizione, no?
Sorrise e mi baciò. –Si, hai ragione.
 
Viaggiavo tranquillamente sulla strada verso Seattle. Dovevo fare ancora tante cose per il matrimonio: la prova del vestito, la scelta dei fiori, gli inviti da spedire…. Ecco perché avevo deciso di rivolgermi ad una organizzatrice: avrebbe pensato a tutto lei, mentre io mi sarei concentrata sul mio lavoro.
Forse Jacob aveva ragione: quel lavoro mi stava facendo impazzire. Ero impegnata dalla mattina alla sera e a volte anche nei weekend. Non che la cosa mi dispiacesse: amavo il mio lavoro. Il fatto di essere avvocato mi dava una stabilità d’animo mai sentita prima: mi faceva sentire importante, e ogni volta che vincevo una causa ne ero felice e orgogliosa, anche se devo ammettere che alcune volte mi era toccato difendere la parte del torto. L’unico inconveniente di quel lavoro era che il mio studio legale si trovava a Seattle, e fare il tragitto Forks-Seattle tutte le mattine non era proprio una passeggiata. Ma non mi preoccupava molto: dopo il matrimonio io e Jake avevamo deciso di andare a vivere a Seattle: era una città più grande, e soprattutto stavamo per comprare un appartamento vicino al mio studio.
Risi tra me e me: ancora non mi capacitavo del fatto che tra due settimane mi sarei sposata. Quando Jacob me l’aveva chiesto, per poco non mi era venuto un infarto. All’inizio pensavo che fosse una cosa stupida sposarsi, ma poi l’idea mi piacque, e così avevo accettato. Tutti ne furono contenti: Billy, Sam, e tutti quelli del branco. Chissà come l’avrebbe presa Charlie…
Mi asciugai una lacrima con stizza: ormai erano passati 4 anni dalla morte di Charlie, e ancora mi faceva male ricordarlo qualche volta. Mi mancava terribilmente il mio papà, mi sarebbe mancato terribilmente il giorno del matrimonio. Sospirai e cercai di concentrarmi sulla strada, ma la sapevo a memoria, e così la mia mente vagò nel ricordo di quel giorno terribile: Charlie che aveva fatto tardi la sera, io che ero rimasta ad aspettarlo fino a mezzanotte, le sirene dell’auto della polizia, io che correvo alla porta per aprirgli credendo che fosse lui, lo stupore nel vedere che era il suo vice, il dolore alla notizia dell’incidente stradale. Scacciai quel pensiero dalla mente: stavo per sposarmi e dovevo essere felice, Charlie avrebbe voluto così. La sua… nostra casa a Forks l’avevo messa in vendita, sia per risparmiare dei soldi per comprare l’appartamento a Seattle, sia per liberarmi di ricordi dolorosi…
Per evitare che mi deprimessi, cambiai discorso, ripassando la lista degli invitati, che ormai sapevo a memoria. E questo mi fece ricordare che ancora non avevo ricevuto una risposta da Renèe, dopo che le avevo inviato un e-mail quando avevo detto si a Jacob. Non potevo neanche chiamarla, perché non sapevo dove fosse in questo periodo: Phil era diventato un professionista molto bravo, e diverse squadre di tutto il mondo lo volevano nella loro formazione. Per cui lui e mia madre cambiavano spesso casa, all’inizio sempre negli Stati Uniti, ora anche oltre oceano (l’ultima volta stavano in Cina!). Per mia madre chiamarmi era diventato un incubo: non riusciva mai ad indovinare il fuso orario giusto, e parecchie volte mi svegliava all’una di notte. Anche se da due anni le sue telefonate “soffocanti” erano totalmente cessate, e questo lo devo anche al mio fratellastro Tom, che non ho mai visto in vita mia. Quando mi chiamò Phil per dirmi della notizia, rimasi scioccata, e volevo anche venire a vederlo, ma in quel periodo si trovavano in Spagna. Ero contenta di avere un fratellino, ma adesso iniziavo ad odiarlo: Renèe si era totalmente gettata nel suo ruolo di mamma, che si era dimenticata della sua prima figlia. Il fatto che non mi avesse ancora risposto alla mia e-mail riguardante il matrimonio ne era la prova. E a me mancava la mia mamma.
Parcheggiai davanti al bar in cui io e Mel, l’organizzatrice, ci eravamo date appuntamento. Quando entrai, non la vidi per cui mi sedetti su un tavolino e ordinai un caffè. Dopo pochi minuti, la vidi entrare e le feci un segno con la mano. Mel venne a sedersi di fronte a me e iniziò subito a parlarmi del matrimonio, facendomi vedere cataloghi su cataloghi di composizioni floreali, torte nuziali e roba simile. Ero contenta di aver dato le redini dell’organizzazione a una tipa come Mel: superattiva, veloce e scattante, una che sa sempre quello che fare e che si prende carico di tutte le responsabilità. Io non sarei mai stata in grado di fare una cosa del genere.
Rimanemmo a parlare per tutto il pomeriggio. Quando Mel si accorse che era diventato buio, mi propose di andare a cenare insieme in un ristorante li vicino.
-Vedrai,- mi disse –cucinano dei piatti di pesce buonissimi.
-Perché no?- sorrisi e uscii dal bar andando alla mia macchina, che si trovava vicino a quella di Mel, riconosciuta per via del peluche attaccato al finestrino uguale a quello che aveva attaccato alle chiavi della macchina. Spostai lo sguardo dal peluche alla macchina. Mi bloccai.
-È un locale non molto lontano da qui. Ci si arriva con dieci minuti di macchina- e tolse l’allarme alla sua Volvo grigio metallizzata.
Una Volvo grigio metallizzata.
-Ehi Bella! Tutto bene?
Una Volvo grigio metallizzata.
-Bella! Che ti prende? Sembra che hai appena visto un fantasma!
-Scusami Mel, ma mi sono ricordata di un appuntamento urgente… devo andare… ci sentiamo domani…- ed entrai di corsa nella mia auto, facendo manovra e andandomene dal bar. Tutto questo senza guardare la Volvo.
 
Scusami Jake. Sono molto stanca: l’incontro con l’organizzatrice mi ha stressato molto! È meglio se stasera dormo da sola. Ci sentiamo domani.
Inviai questo sms a Jacob, mentre salivo precipitosamente le scale del mio ufficio. Aprii la porta con violenza e per poco non rompevo la chiave. Lanciai la mia borsa per aria e urlai più forte che potevo, riempiendomi gli occhi di lacrime.
Ma perché, perché, PERCHÉ? Perché ogni volta che la mia vita sembrava aver preso una piega giusta, lui doveva ricomparire in un modo o nell’altro? Perché quando credevo anche solo per un secondo di averlo dimenticato, doveva apparire qualcosa che me lo ricordasse?
Ma soprattutto, perché io ci stavo ancora così male?
Erano passati dieci anni, e allora perché il suo rifiuto mi pesava ancora? Perché ogni volta mi riecheggiavano le sue parole nella testa, e la mia mente focalizzava un’immagine sfocata della sua espressione dura di quel giorno, e perché mi sentivo rifiutata come se fosse successo ieri?
La risposta la sapevo, ma non volevo ammetterlo.
Io lo amavo ancora. Io amavo Edward.
Ammetterlo mi fece urlare ancora più forte, e poi mi accovacciai sul pavimento, scoppiando in lacrime in una crisi isterica. Odiavo ammetterlo. Odiavo ammettere che non lo avevo ancora dimenticato. Odiavo ammettere questa debolezza.
Ma era più forte di me. Ogni volta ripensavo a quei suoi occhi dorati, quel suo viso perfetto, quei suoi capelli castano ramati, quel suo sorriso sghembo mozzafiato. Piansi più forte, pensando che per un po’ tutta quella bellezza era stata mia, che potevo abbracciare il suo corpo marmoreo, accarezzare la sua pelle bianchissima, udire la sua voce melodiosa nelle orecchie, sentire il suo respiro sul mio collo, baciare le sue labbra fredde come il ghiaccio.
Un altro urlo di dolore.
Ma perché mi aveva lasciato? Perché non mi voleva più? Perché?
Perché eravamo diversi. Io umana, lui vampiro. In fin dei conti, forse l’ho sempre saputo che sarebbe andata a finire così. Che lui prima o poi si sarebbe stancato di me, una semplice, goffa, insignificante umana. Lo sapevo che prima o poi mi avrebbe lasciata. Ma in quei momenti ero troppo felice di stare con lui, che il resto non contava. E adesso lui mi ha dimenticata.
Ma io no.
Ci ho provato, e ci sono anche riuscita in parte: la storia e il futuro matrimonio con Jacob ne erano la prova. Ma poi bastava un niente, come vedere una Volvo, per ritornare in questo vortice di dolore. Io lo sapevo: l’amore che provavo per Jacob era un niente in confronto a quello che continuavo a provare per Edward. Amavo Jacob, ma non come Edward. Questo mi fece rabbia, e ricominciai ad urlare battendo i pugni per terra.
Dovevo smetterla. Dovevo dimenticarlo. E più me lo ripetevo, più sentivo che lo amavo con tutta me stessa.
Stanca dalle urla e dal pianto, con la testa gonfia di quelle considerazioni, caddi in sonno profondo.
E dopo dieci anni, ricominciai a sognare Edward.

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Capitolo 2
*** 2. Un nuovo abbandono ***


Ciao ciao!!!
Allora, il debutto di questa nuova fanfiction non è andato tanto male...

ringrazio 0207pantera, aquizziana, Benjamina, federob, Lovely_Dayi per averla aggiunta ai preferiti...
e ringrazio Dunkel PrinzesschenBalenotta franci_cullenper avermi commentato la prima puntata...spero ke continuerete a farlo...

e ora un nuovo capitolo!!

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2. Un nuovo abbandono


La luce del sole filtrò attraverso la finestra del mio studio, inondando completamente il mio ufficio. Aprii leggermente gli occhi, e fui costretta a richiuderli subito per la luce troppo forte. Poi mi misi seduta si spalle alla finestra, mi stirai e sbadigliai. Mi alzai in piedi e andai nella piccola cucina a prepararmi un caffè, mentre risistemavo il mio ufficio, dopo l’ultima crisi di ieri.
Ormai ci ero quasi abituata a queste crisi isteriche: erano dieci anni che le avevo, ed erano dieci anni che non riuscivo ad evitarle. Bastava un niente per scatenarle, un semplice ricordo, una semplice parola, una semplice frase. Ed infatti, non potevo più avvicinarmi a Port Angeles, vedere un qualsiasi tipo di Volvo, sentire Debussy, vedere e sentire qualcuno che suonava al piano, osservare i leoni nei documentari o allo zoo, aver a che fare in qualsiasi modo con il ghiaccio e evitare tinte per capelli color castano ramato. E naturalmente, evitare assolutamente storie e film sui vampiri: la notte di Halloween ero costretta a starmene chiusa in casa, evitando anche di dare le caramelle ai bambini. Certo, la mia vita era un po’ limitata con queste restrizioni, ma era necessarie per evitare una crisi isterica pari a quella della serata prima.
Forse sarei dovuta andare da uno psicologo: forse mi avrebbe aiutato di sicuro ad evitare queste crisi, ma non potevo andare da uno strizzacervelli e dirgli che non riuscivo a dimenticare il mio ex-ragazzo vampiro. E poi non volevo dirlo a nessuno, non volevo parlarne: era un mio dolore personale, mio e solo mio. E proprio per nasconderle a tutti, ogni volta che avevo una crisi isterica mi nascondevo da qualche parte, e il mio ufficio mi è sempre sembrato accogliente e adatto per contenerle e sopportarle. Ma soprattutto era distante da LaPush, e quindi anche da Jacob: ci mancava solo che Jacob sapesse che soffrivo ancora per lui, come se ci fosse bisogno di un altro motivo per farglielo odiare.
Cosa per me impossibile: non potevo odiare EdwardIo lo amavo ancora, ma non lo ammettevo. Ma lo sapevo.
Quando ci pensavo, ricadevo nel baratro vuoto nel quale mi aveva lasciato, e riemergere era sempre più complicato. Ma quando riuscivo a confinare quel vortice di pensieri e dolore in angolo della mia mente, non ci facevo neanche caso a questa consapevolezza, e continuavo a vivere la mia vita normalmente.  Gran parte del merito era di Jacob, che prima d’amico, ora da fidanzato, prossimamente da marito, riusciva a farmi dimenticare tutto il resto oltre e noi due. Ero innamorata di Jacob ed ero pronta ad essere sua moglie. Non l’ho mai preso in giro: Jacob era la mia anima gemella, Edward l’amore della mia esistenza. Due cose tanto diverse e tanto distinte per me.
E poi, uno mi ricambiava, mentre l’altro mi aveva lasciata.
Sentii la porta che si aprì.
-Oh, signorina Swan! Già qui di prima mattina?
-Buongiorno Diana- era la mia segretaria -Veramente ho dormito qui: ieri sera ho fatto tardi con l’organizzatrice e visto che mi trovavo nei paraggi dell’ufficio, ho preferito dormire qui sul divano della sala d’attesa che tornarmene a Forks.
Diana storse la bocca. –Immagino che non sia stata una notte comodissima.
Alzai le spalle. –Non si preoccupi Diana, ne ho viste di peggiori.
Alzò gli occhi al cielo, e andò a sedersi sulla sua scrivania, accendendo il computer, controllando la mia posta e la mia agenda. La lasciai al suo lavoro e me ne andai nel mio ufficio, finendo di bere il mio caffè.
Diana era una persona efficiente, lavora duramente e si impegnava nelle cose che faceva. L’avevo assunta proprio per queste sue qualità e anche per la sua disponibilità ventiquattro ore su ventiquattro: questo anche perché si ritrovava ad avere 45 anni senza essere sposata. Una zitella, insomma.
Mi sedetti sulla poltrona della mia scrivania, sul quale c’erano un computer, un telefono, un barattolo con delle penne e matite, una cornice con una foto di me e Jacob, un’altra con la foto di mio padre, delle pratiche aperte, altre chiuse, e una pila di fogli bianchi pronti per prendere qualche appunto. Il minimo indispensabile: non volevo riempirla con abbellimenti inutili e ingombranti. Così come tutto il resto del mio ufficio: la stanza aveva una grande finestra, davanti alla quale c’era la mia scrivania e la mia poltrona. Così, mi ritrovavo ad avere alle spalle la finestra e davanti la scrivania con delle sedie per i clienti. Le pareti non erano decorate con una carta da parati particolare, ma con una neutrale tinta unita che dava sul beige, e non c’erano quadri, se non i miei certificati di laurea, che davano al cliente l’idea di avere a che fare con una persona di un livello superiore.
Anche la sala d’attesa non era molto arredata: era molto spaziosa, e la porta d’ingresso dava proprio al centro della stanza, e poi di fronte aveva la porta del mio studio. Quando ero seduta sulla mia poltrona e la porta era aperta, riuscivo a vedere senza difficoltà il divano e le due poltrone ai lati che stavano sulla sinistra, e la scrivania di Diana che invece si trovava dalla parte opposta. Non riuscivo però a vedere le due porte alle spalle della scrivania di Diana, cioè quelle del bagno e della piccola cucina.
Accesi il mio portatile e chiamai subito Diana per ricordarmi gli impegni del giorno: due appuntamenti nella mattinata, un pranzo di lavoro con un cliente e poi il pomeriggio libero. Forse avrei chiamato Mel e mi sarei messa d’accordo con lei per un altro incontro, magari in posto che sarebbe stato facile da raggiungere a piedi senza bisogno che prendesse la macchina… quella macchina…
Il mio telefonino iniziò a squillare. Diedi un’occhiata al display e sorrisi: Michelle. Michelle era mia cugina, la figlia della sorella di Renèe. Io e Michelle eravamo legatissime e stavamo sempre insieme, finché poi i suoi genitori sono morti in una rapina ad una banca, e i servizi sociali l’hanno affidata ad una famiglia in Australia. Quindi abbiamo perso un po’ i contatti, ma comunque ci sentivamo a Natale, Pasqua, compleanni e roba simile. E certamente, non potevo non invitarla al mio matrimonio.
-Ciao Michelle! Dove sei?
-Ciao Bella! Sono all’aeroporto. Tra dieci minuti prendo l’aereo e arrivo a Seattle per il pomeriggio. Ci vediamo all’aeroporto alle 5?
Addio al mio pomeriggio libero. –Si, va bene.
-Perfetto! Non ci posso credere che la mia cuginetta si sta per sposare! Non vedo l’ora di conoscere Jacob!
Sorrisi. –Sono sicura che ti piacerà.
-Ora è meglio che vada: hanno chiamato il mio volo e non voglio perderlo. Ci vediamo dopo! Un bacio!- e chiuse la comunicazione.
Sospirai e tornai al mio lavoro. Andai a controllare la mia posta elettronica, e tra varie e-mail pubblicitarie, trovai un’e-mail di mia madre. La aprii subito, curiosa e ansiosa. Ma invece della gioia, al suo posto c’era solo la delusione:

Tesoro che bella notizia! Sono contenta che ti sposi! Mi piacerebbe tanto essere presente al matrimonio della mia bambina, ma ci troviamo in Nuova Zelanda, e Phil è all’inizio del campionato. Mi dispiace tanto. Io e Phil ti facciamo gli auguri. E anche Tom. Devi vedere come sta crescendo: l’altro giorno gli abbiamo fatto una festa per i suoi 3 anni. Ti invio qualche foto così puoi vedere da te com’è il tuo fratellino. Nella prima si vede lui che…

E l’e-mail continuava così per almeno altre centinai di righe, in cui descriveva particolare per particolare le foto del mio fratellastro. Non ci potevo credere: mia madre aveva sprecato 3 righe per il mio matrimonio, il matrimonio di sua figlia, e 400 righe per il compleanno del suo nuovo figlio, di cui mi aveva anche inviato 4 foto nell’allegato. Per mia madre non contavo più, ormai si era dimenticata di me, della sua bambina.
Cacciai dentro le lacrime: piangere non mi sarebbe servito a niente. Ma non potevo ignorare il fatto che al mio matrimonio non ci sarebbe stato nessuno della mia famiglia. Fortunatamente avevo Michelle. E anche Jacob. Non ero sola.
 
-Allora, parlami un po’ di questa tua cugina…- mi chiese Jacob, mentre aspettavamo che l’aereo di Michelle atterrasse.
-Mmm… è simpatica, carina, estroversa, sicura di se, atletica, socievole…
-Insomma il tuo esatto contrario.
Alzai le spalle. –Più o meno… lei era sempre perfetta in tutto, e io ero quella che le stava dietro.
-Ah, capisco: quindi sei gelosa?
-No, questo no…- o forse si? –E poi lei stava sempre con me e non mi faceva mai pesare il fatto che lei era migliore di me… io le voglio bene come ad una sorella e lei ne vuole a me.
Poi ci fu l’annuncio dell’atterraggio del volo di Michelle. E poi vedemmo una ragazza sui venticinque anni, alta e magra, bionda e abbronzata, con uno zaino in spalla e una valigia in mano, che veniva verso di noi.
-Bella!- e mi abbracciò, lasciando cadere il suo bagaglio.
-Michelle!- ricambiai l’abbraccio: erano anni che non riabbracciavo la mia cuginetta. Era così bello poterla riabbracciare, sentire la sua risata. Erano passati 13 anni dal’ultima volta che ci eravamo viste, dall’ultima volta che mi ero confidata con lei, dall’ultima volta che avevamo giocato e scherzato insieme. Era sempre stata la mia migliore amica e la mia sorella gemella. Anche se sapevo benissimo che lei era migliore di me in tutto, non riuscivo a non volerle bene. Anche se a volte ero stata gelosa di lei.
Michelle si staccò da me. -È così bello rivederti dopo tanto tempo. Non sei cambiata per niente!
-Neanche tu!- io ero sempre la solita ragazza goffa e impacciata, lei la ragazza super atletica e spigliata –Michelle, ti presento Jacob, il mio futuro marito.
Lei diede un’occhiata a Jacob. –Complimenti Bella! Te lo sei scelto proprio carino! Piacere io sono Michelle, la cugina di Bella- e gli porse la mano.
Jacob era rimasto a fissarla, e non distoglieva lo sguardo dai suoi occhi.
Michelle lo guardava con aria interrogativa. –Jacob c’è qualcosa che non va?
Anch’io non riuscivo a capire, ma poi osservai meglio la sua espressione: sembrava un cieco che vedeva il sole per la prima volta.
No…no…no… i miei occhi iniziarono a riempirsi di lacrime, il mio piccolo mondo iniziò a frantumarsi, le mie gambe stavano per cedere. –No Jacob, no… ti prego, dimmi che non è vero… dimmi che non è vero…
Jacob si rivolse verso di me, con uno sguardo pieno di dolore. –Bella, io…
Le lacrime iniziarono a scendermi lente sul viso. No…non di nuovo…
Michelle non capiva niente. –Bella che cos’hai? Perché hai iniziato a piangere?
Le rivolsi uno sguardo furioso. In fin dei conti avrei dovuto immaginarlo: chi poteva aver l’impriting con Jacob se non la mia perfetta e bella cugina? Che è l’esatto contrario di me? Che è meglio di me in tutto?
-Perché? Tu mi chiedi perché? Perché tu sei sempre stata migliore di me. Perché lo sei ancora. E perché lo sarai ancora e ancora.
Michelle rimase spiazzata. Non riuscivo più a trovare un minimo di sentimento benevolo verso di lei: tutto il veleno che ho provato verso di lei, mi stava uscendo spontaneamente dalla bocca.
Tutto questo era accaduto in due secondi… in due orribili secondi…. come 10 anni fa…
-Bella, aspetta,- mi disse Jacob tenendomi un mano sulla spalla –forse possiamo risolvere la cosa…
-Certo: tu spiegherai la faccenda a Michelle, vivrete felici e io me ne andrò. Non ti preoccupare per me Jake, in fondo ci sono già passata, no? Sicuramente riuscirò a superarlo, visto che non ti ho mai amato come ho amato… come amo Edward.
Jacob ritrasse la mano e rimase pietrificato.
-È meglio se non ci vediamo più, credimi…- gli dissi più fredda che mai.
Inizia a correre, a scappare, ad andare via da lì.
In macchina, in viaggio verso una meta indefinita, iniziai a piangere, a piangere senza inutili tentativi di fermare le lacrime. Un altro rifiuto, un altro rifiuto… Riuscirò a farcela questa volta? La risposta la sapevo forte e chiara:
SI. Avevo trovato anche il coraggio di dirlo a Jacob: io non l’avrei mai amato nel modo in cui amavo Edward… due cose distinte… una che vale più dell’altra… e poi comunque, avevo sempre saputo anche questo: che prima o poi Jacob avrebbe avuto l’impriting con un’altra ragazza. Ma non doveva essere mia cugina, non quella mia cugina, che amavo tanto nonostante tutto, ma che adesso odiavo dal più profondo del mio cuore, sia per il presente sia per il passato. Respirai profondamente: ormai non potevo più farci niente.
Ma il fatto per cui io continuavo a piangere non era il rifiuto, ma l’abbandono, un nuovo abbandono, definitivo. Un abbandono perché io non ero perfetta. Tutte le persone che amavano mi avevano abbandonato perché non ero perfetta, perché non andavo bene, perché non piacevo abbastanza…
Adesso sul serio non avevo più nessuno: mio padre era morto, mia madre si era dimenticata di me, i miei vecchi amici del liceo mi avevano tutti lasciato perdere dopo che avevo iniziato a frequentare LaPush, Jacob aveva avuto il suo impriting, l’unico membro della mia famiglia con cui ero rimasta in contatto aveva causato proprio l’impriting, e tutti gli amici del branco di Jacob avrebbero sicuramente preso le sue parti.
E il mio unico e vero amore, l’amore della mia esistenza, mi aveva abbandonato dieci anni prima e io continuavo ancora a soffrirci.
Chi mi era rimasto? Nessuno.
Ancora una volta, stavolta definitivamente ero rimasta sola.
Sempre e solo io.
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allora, questo capitolo a mio modesto parere è penoso....
ma serve per andare avanti con la storia!! =P

Comunque, cosa fara la nostra Bella ora che è rimasta sola e senza nessuno??? Il ricordo dell'abbandono di Edward tornerà a tormentarla???
Tutto questo nella prossima puntata....!!
Un bacio....
 

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Capitolo 3
*** 3. Un male bellissimo ***


Salve a tutti!!!
Prima di tutto, vorrei augurare a tutte le coppie un felice San Valentino!!! =D
Poi, vorrei ringraziare:

samy93: sono molto contenta che la storia ti stia piacendo....grazie mille!!! =D
wbloom: già, dispiace anche a me un po' per Bella...per quanto riguarda Edward, non ti anticipo nulla!!! XD XP
franci_cullen: e io che pensavo di aver fatto un capitolo penoso ^_^'''.....spero che questo nuovo ti piaccia!!!
francef80: ti ringrazio molto e spero che continuerai a leggere la mia storia.....^_^
annuxiaaa: ti ringrazio per avermi aggiunta tra i preferiti.....spero sul serio di non deluderti!!! =D
flydreamer: beh....non posso dirti se Bella rimarrà sola ancora a lungo....ma posso sperare che questo nuovo capitolo ti piaccia!!! ^_^

e ringrazio anche: 0207pantera, amimy, annuxiaaa, aquizziana, bellemorte86, Benjamina, debblovers, federob, francef80, Lovely_Dayi, Princesseelisil, Razorbladekisses, the forgotten dreamer, wbloom
per aver aggiunto questa storia tra i loro preferiti....


Bene, adesso ricapitoliamo la nostra storia....
eravamo arrivati quando Michelle, la cugina di Bella, aveva avuto l'impriting con Jacob...
vediamo ora cosa succederà alla nostra begnamata Isabella Swan....

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3. Un male bellissimo


-Ma che vuol dire che è tutto annullato?- mi chiese Mel al telefono.
-Il matrimonio è stato annullato. Io e Jacob abbiamo…- come potevo spiegarlo ad una comune mortale? -…abbiamo capito di non essere fatti l’una per l’altro.
-Uh che peccato, mi dispiace tanto. Va bene, se doveste cambiare idea il mio numero ce l’hai.
-Certo, non ti preoccupare.
-Ok. Ciao ciao- e chiuse la conversazione.
Abbandonai la testa sul divano, allungandomi completamente e lasciai il mio cellulare per terra. Chiusi gli occhi e cercai di non pensare a niente, il che era impossibile: c’erano troppi pensieri, troppe immagini, troppi ricordi… e tutti dolorosi…
Ma nonostante ciò, non avevo ricominciato a piangere, non avevo avuto una crisi isterica, e soprattutto, la sua immagine non era nella mia testa. Non lo considerai come una sorta di segno, piuttosto pensai come se lui avesse capito che stavo soffrendo e non voleva farmi soffrire ancora di più.
Si lo so, ero patetica.
Il cellulare iniziò a squillare. Irritata per questa interruzione, allungai la mano e presi il telefonino. Guardai il display: ancora Michelle. Con tutta la rabbia e l’ira che avevo in corpo, lanciai il telefonino contro la parete di fronte al divano, che si ruppe in tanti pezzi. Era la quinta volta che provava a chiamarmi dopo che me ne ero andata dall’aeroporto: probabilmente Jacob le aveva raccontato tutto, dell’impriting, dei licantropi, dei “freddi”… chissà se le aveva raccontato anche di Edward… e ora voleva parlare con me.
Ma parlare di cosa? Di cosa c’era bisogno di parlare? La cosa era molto semplice: lei doveva stare con Jacob, mentre io dovevo rimanere da sola. In fin dei conti, lei era la migliore.
Ma adesso basta stare a pensarci su, bisognava reagire. Primo, bere un bel caffè per risvegliarsi dal quel torpore post-lacrime e per cancellare l’ira. Secondo, sarebbe stato salutare dedicarsi un po’ al mio lavoro, per distrarmi da vari pensieri. Terzo, andare su internet e comprarsi un nuovo telefonino con un nuovo numero. Quarto, cercare una nuova città dove vivere e dove lavorare.
Cambiare città era fondamentale: Jacob e Mich… loro sapevano dov’era il mio studio, e sapevano anche qual’era l’appartamento che avevo già acquistato per metà. Quindi rimanere a Seattle era fuori discussione. Inoltre, volevo proprio cambiare zona, se non stato: erano successe troppe cose che ancora mi facevano male in quella zona della penisola di Olimpia, nello stato di Washington. Avevo in mente delle città caotiche tipo New York o Los Angeles: il caos sarebbe stato l’ideale per farmi dimenticare. Ma andavano bene anche altre cittadine più calme, purché siano zone molto soleggiate…
Lo squillo del citofono mi fece saltare, facendo cadere qualche goccia di caffè sul pavimento della cucina. Presi un panno umido e pulii subito il pavimento, lasciando il citofono a squillare per la seconda e terza volta, con la mia irritazione che cresceva sempre di più. Poi andai a rispondere.
-Si?
-Scusi signorina Swan. Sono Carl Parks. Non so se mi conosce, ma sono l’uomo che ha acquistato la sua casa a Forks.
-Ah. Posso fare qualcosa per lei?
-Ehm veramente sono io che ho fatto qualcosa per lei, in certo senso. Se cortesemente può scendere un attimo, così le spiego meglio la situazione.
-Ok, scendo- e riagganciai la cornetta al suo posto sulla parete.
Presi le chiavi dell’ufficio e uscii, optando per l’ascensore che per le scale. Nella cabina pensai a cosa mai volesse quell’uomo da me. Probabilmente doveva essere successo qualcosa che aveva a che fare con la casa: strano però, mi ero messa in regola su vari certificati ed atti di vendita, non avevo trascurato niente. Cavolo, ero un avvocato, potevo mai dimenticarmi qualche scartoffia burocratica? …sono io che ho fatto qualcosa per lei, in un certo senso…, che diamine vorrà mai dire? L’unica cosa da fare era andarlo a scoprire: aprii le porte dell’ascensore e andai verso il portone.
Carl Parks era un uomo sulla quarantina, alto, corporatura robusta, capelli corti. Dava l’idea di un giocatore di rugby, e forse lo era proprio, anche perché indossava una tuta. Chissà perché un tizio del genere aveva comprato la vecchia casa di Charlie a Forks. Per terra vicino a lui, c’era una scatola.
-Salve signor Parks- e gli porsi la mano.
-Buongiorno signorina- e me la strinse.
-Allora, c’è qualche problema con i contratti di vendita?
-No no, assolutamente no. È solo che sto facendo ristrutturare la casa. Volevo riverniciare le pareti e fare qualche modifica alla struttura: allargare qualche stanza, buttare giù qualche parete, insomma cose così…
Trasalii solo un po’: in fin dei conti la casa ormai era la sua e poteva farci quello che voleva. Non dovevo sentirmi sconvolta perché la casa di mio padre nella quale avevo passato momenti belli e brutti, adesso stava per essere modificata: l’avevo venduta proprio per dimenticare e smantellarla sarebbe stata proprio una bella idea. Eppure mi sentii stranamente male pensare che quella casa, così come l’aveva sempre tenuta Charlie, adesso stava per cambiare radicalmente.
-Beh, sono contenta che si sia subito messo al lavoro,- sorridendo per sembrare convincente –ma questo cosa centra con me?
-Ecco, mentre stavamo levando le assi del pavimento nelle stanze… sa, voglio mettere della moquette… e abbiamo trovato delle cose.
Inarcai le sopracciglia. –Delle cose? Ma che cose? Quando ho fatto il trasloco definitivo ho portato via tutto… e poi non mi sembra di aver mai messo niente sotto le assi del pavimento…
Carl sorrise. –Chissà, forse stavano lì sotto già da prima che la casa fosse sua. Comunque, io non ci facevo niente e avevo anche intenzione di buttarle, ma poi ho pensato che fossero sue così sono venuto a portargliele- ed indicò la scatola –Ma se non sono neanche le sue, penso che buttarle sia la scelta migliore.
Forse è roba che Charlie aveva nascosto. –Me le dia lo stesso: voglio prima dargli un’occhiata. Se non dovessi trovare niente, ci penserò io a buttarle. Grazie per il disturbo.
-Si figuri. Adesso è meglio che torni: ho un appuntamento con l’architetto. È stato un piacere- e mi porse di nuovo la mano.
-Anche per me- e la strinsi –In bocca al lu… buona fortuna per i lavori!
-Grazie- e si avviò verso il suo furgoncino.
Guardai la scatola: una comunissima scatola per scarpe. La sollevai: non pensava molto. La agitai e sentii qualcosa muoversi. Mentre aspettavo l’ascensore cercavo di resistere alla tentazione di aprire la scatola, ma mi ero ripromessa che l’avrei aperta su in ufficio. Nella cabina però, la mia curiosità ebbe la meglio e aprii la scatola: c’erano solo due biglietti aerei, un CD e tre foto.
Le mie gambe cedettero e finii seduta sul pavimento dell’ascensore, mentre non smettevo di guardare il contenuto della scatola, ma soprattutto una delle tre foto: era una foto di Edward Cullen.
 
Pelle bianchissima, capelli castano ramato, occhiaie marcate, occhi dorati. E il fattore più importante: bellezza soprannaturale. Edward Cullen. Edward Cullen.
Si era fatta sera, e io non riuscivo a smettere di fissare quell’immagine, quella foto scattata più di 10 anni fa nella cucina di casa mia. Ero seduta per terra, in ginocchio, con le braccia sul divano che non facevano altro che accarezzare quell’immagine, e le lacrime che scendevano piano, mute, bagnando la mia camicia. La scatola si trovava a terra sotto il divano,con dentro ancora i biglietti aerei che ricevetti in regalo da Carlisle e Esme per il mio diciottesimo compleanno che dovevano servire per andare a trovare mia madre in Florida insieme ad Edward, e le altre due foto. Mentre il CD si trovava nel mio computer e non faceva altro che riprodurre la ninna nanna… la mia ninna nanna…
Mi stavo facendo del male. Lo sapevo. Ma era così dolce quel male: sentire le note che lui aveva composto per me e vedere il suo bellissimo viso, dopo 10 anni di sola immaginazione, era bellissimo.
Un male bellissimo.
Naturalmente, quando poi ero riuscita ad uscire dall’ascensore ed ero entrata nel mio ufficio, la prima cosa che avevo fatto era subito vedere il resto del contenuto della scatola: ero rimasta di sasso quando avevo visto che erano tutti i regali che avevo ricevuto per il mio diciottesimo compleanno, quei regali che erano spariti dopo che era sparito anche lui.
Sarà come se non fossi mai esistito…
E poi era arrivata, la crisi isterica, forte e orribile come mai prima d’ora: iniziò contemporaneamente a quando partì la prima nota della prima canzone, la mia ninna nanna. Non ne avevo mai avuta una simile prima: mi ero messa ad urlare fino ad esaurire la voce, a piangere talmente forte che non riuscivo neanche a respirare, a sbattere i pugni sul pavimento fino a farli diventare rossi e indolenziti, a prendere tutto quello che mi capitava tra le mani e a lanciarlo contro il muro, a spaccare gli specchi del bagno facendo sanguinare le mani.
Ed infatti era a quel punto che ero svenuta, per poi rinvenire dopo un po’, con ancora la testa che mi girava. Mi ero subito lavata le mani e il pavimento per evitare che l’odore del sangue mi desse ancora fastidio. Poi avevo del tutto ignorato i danni che avevo provocato nel mio ufficio ed ero andata a sentire di nuovo il CD e a vedere la foto ancora. E ancora, ancora, ancora….
Guardavo solo quella foto, le altre mi facevano più male di quella: una ritraeva Edward e mio padre intenti a guardare la tv, mentre l’altra me ed Edward vicini.
Nella prima mi faceva già star male guardare il mio papà che guardava tranquillo la tv, con quell’espressione completamente assorta dal notiziario sportivo, ma si notava benissimo la sua postura tesa per via della presenza di Edward. E lui, era così rilassato, comodo, e beato sulla poltrona del mio ex salotto, con lo sguardo posato sulla schermo, ma la mente da tutt’altra parte, e la cosa più incredibile era che assomigliava ad uno dei quei quadri del Rinascimento italiano; ma la cosa che mi faceva male era vedere la sua espressione fredda, circospetta, riservata, la sua espressione che era cambiata quando aveva capito che io non ero la ragazza giusta per lui e stava già pensando di…. di lasciarmi.
E l’ultima era quella che più mi faceva capire il perché lui se ne era andato e mi aveva lasciato: io ero affianco a lui, ed era come mettere a confronto una statua greca con una statuetta fatta con il pongo da un bambino dell’asilo, diverse, troppo diverse. Una migliore dell’altra: lui era così… perfetto in quella posa rigida ma sciolta, anche se aveva quello sguardo, mentre io riuscivo ad apparire goffa e anonima anche stando ferma ed impalata. Eravamo troppo diversi.
Ma poteva benissimo cambiarmi. Perché non l’ha fatto? Semplice: non voleva passare l’eternità con una come me. Forse non era solo perché ero umana il motivo per cui mi ha lasciata, forse non gli sono mai piaciuta… forse ero stata solo un giocattolo per lui…
...basta poco per trovare una distrazione, mi aveva detto l’ultima volta. E chi mi dice che non ero stata io una di quelle distrazioni?
E allora perché conservare tutte queste cose invece di distruggerle? Se doveva essere come se lui non fosse mai esistito, la cosa migliore non era certo metterle sotto le assi del mio pavimento… e allora perché?
Ricacciai quelle due foto velenose dentro la scatola, e mi sdraiai sul divano con la foto di Edward accanto e le sua ninna nanna nelle orecchie: mi sarebbe piaciuto tanto rivederlo, anche se lui non mi voleva… rivederlo solo una volta… solo per un capriccio…
Mi misi seduta di scatto: ma certo rivederlo. Poteva essere una soluzione: giusto il tempo di vederlo un secondo, e poi me ne sarei tornata alla mia vita, ma con almeno un briciolo in più di coraggio e forza, giusto per aiutarmi a riprendermi da quello che ho passato ultimamente…
No, no e NO. Sarebbe stata una cosa impossibile da digerire: tutta quella perfezione che mi disprezzava, che non mi voleva…
Diedi un violento pugno sullo schienale del divano: non dovevo comportarmi così, dovevo essere forte e soprattutto dovevo riuscire a dimenticarlo. Se l’avessi visto, forse avrei avuto la forza giusta per riuscire a superare il suo rifiuto e a farmi più coraggio. Col tempo ero diventata più forte, più sicura di me e meno impacciata. Il mio unico punto debole era il dolore, non solo del rifiuto di Edward ma anche di tutto quello  che mi era successo ultimamente. Se fossi riuscita a superare l’addio di Edward sarei riuscita a superare tutto il resto. E per fare ciò l’unica situazione era rivederlo.
Si, si… lo farò…
Sarà difficile capire dove si sono trasferiti i Cullens, ma non diranno di no ad “un avvocato che cerca informazioni per un caso”. Sorrisi soddisfatta: domani avrei iniziato le ricerche.
Anche se lui non mi avrebbe voluto vedere, a me serviva, e l’avrei trovato ad ogni costo.
In me stava lentamente rinascendo la speranza che sarei potuta uscire incolume da quel vortice di dolore.
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Secondo voi, ce la farà Bella a trovare Edward e a superare il bruttissimo periodo che sta passando ora???
Ma soprattutto, capirà il vero motivo per cui Edward ha lasciato tutti i suoi regali sotto le assi del pavimento????
Un bacio a presto....!

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Capitolo 4
*** 4. Il dottor Carlisle Cullen e la signora Esme Cullen ***



Ciao ciao!!!!
Come state miei appassionati lettori??? Spero bene....

cullengirl: sono contenta che la storia ti piaccia..... e cmq, me nn dice nulla!!!! =P=P=P
franci_cullen: certo non diranno no ad un avvocato....XD grazie per la recensione ^__^
Astarte92: già, in questa ff Bella soffrirà parecchio....+__+ me malefica!! cmq ti ringrazio per avermi aggiunta tra i preferiti
flydreamer: sono contenta che la storia ti stia piacendo e spero di non deluderti con questo nuovo capitolo ^___^
Razorbladekisses: spero di saziare la tua curiosità con questo nuovo capitolo ^__^
Miryta: XDXDXDXDXD è stato "emozionante" leggere le tue emozioni sui capitoli precedenti....e cmq x qnt ringuarda il problema dell'età, Bella in fin dei conti ha solo 28 anni...non sono poi tanti....
Shadowin: ti ringrazio molto tesoro della tua recensione....era anche un bel po' che non ci sentivamo sull'altra ff...=P spero che ti piaccia anche questo capitolo...

e naturalmente, un grazie alle 20
persone che hanno messo questa ff tra le loro preferite....

ora, passiamo alla storia...
avevamo lasciato al nostra Bella alla decisione di partire alla ricerca di Edward....
e diciamo che ci è andata molto vicino....

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4. Il dottor Carlisle Cullen e la signora Esme Cullen


L'aereo sta per atterrare. Pregiamo i signori passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza e di rimanere al proprio posto.

Allacciai con cura la cintura e ispirai forte, appoggiando la testa sul sedile e chiudendo gli occhi. Non volevo pensare a quello che stavo facendo: stavo andando a rivedere i Cullen, la famiglia di cui un tempo avrei voluto far parte.
Trovare il luogo dove si erano trasferiti non fu una cosa semplice: prima di tutto ero andata all’ospedale di Forks, chiedendo informazioni riguardo un certo dottor Carlisle Cullen, che 10 anni fa aveva lavorato là come medico. Il direttore, un uomo sulla quarantina dai capelli brizzolati, se lo ricordava ancora: aveva appena iniziato a lavorare in quell’ospedale come medico del pronto soccorso, e non poteva certo scordarsi del medico più brillante e affascinante dell’ospedale. Mi disse che 10 anni fa lasciò l’ospedale in fretta e furia, per trasferirsi insieme alla sua famiglia a Los Angeles, perché aveva ricevuto un’offerta migliore da un altro ospedale.
Los Angeles. Non era certamente la città più adatta se fai parte di una famiglia di vampiri immortali e se vuoi passare inosservato. No, non poteva essere. Infatti, per confermare la mia teoria, quando avevo fatto una rapida ricerca sui medici più brillanti di Los Angeles, non mi era uscito il nome Carlisle Cullen. Così avevo dovuto ricominciare da capo con le ricerche. Avevo provato anche digitando su Google “dottor Carlisle Cullen”, ma non mi era uscito fuori niente. Ma dovevo aspettarmelo: se ogni volta dovevano sparire dalla circolazione per poi iniziare una nuova vita da tutt’altra parte, dovevano essere attentissimi a non lasciare nessuna traccia.
Quando stavo per lasciar perdere mi era venuto in mente una cosa che mi aveva detto Edward: “…l’unica famiglia simile alla nostra che conosciamo è in Alaska. Per un certo periodo abbiamo vissuto insieme a loro…” . Il Clan di Denali. Forse erano tornati dai loro amici vampiri vegetariani. Era una possibilità… Avevo confermato la mia ipotesi cercando il nome di Carlisle Cullen tra quello di tutti i medici dell’Alaska ed ero esposa in un urlo di gioia quando lo avevo trovato.
Scesi dall’aereo e salii su un taxi, dirigendomi verso il mio hotel. Avevo detto a Diana di cancellare tutti i miei appuntamenti per il prossimo mese, e di chiudere lo studio per “motivi personali”. Chissà cosa avrebbero pensato i miei clienti: probabilmente mi avrebbero creduto una persona di cui non bisogna fidarsi e avrebbero contattato un altro avvocato. Peccato.
Chissà cosa avrebbero pensato Jacob e Michelle… scacciai quel pensiero: ormai loro erano una storia vecchia, non me ne importava più niente.
Arrivata nella mia stanza, posai il mio portatile sul tavolo e la mia valigia nell’armadio senza disfarla: non avevo la minima intenzione di fermarmi a lungo, giusto il tempo di vederlo un attimo… a me bastava anche se non ci saremmo parlati…
Il solo pensiero che l’indomani l’avrei rivisto mi fece sentire felice come mai prima d’ora: il solo pensiero di rivedere il suo corpo, il suo viso, i suoi capelli castano ramato, i suoi occhi dorati, mi fece sorridere involontariamente e mi fece sentire contenta e rassicurata. Mi sdraiai sul letto a pancia in su: si, vederlo mi avrebbe proprio fatto bene. Ma non sapevo cosa sarebbe successo dopo: dopo che l’avrò rivisto, avrei sofferto di nuovo? Sarei stata capace di andarmene? O sarei rimasta qui? Tante domande, troppi dubbi. Presi il cuscino e mi ci coprii gli occhi: basta agitazione, basta paura. A me serviva.
L’unica cosa che mi preoccupava un po’ di più era la sua reazione: come si sarebbe comportato quando mi avrebbe rivisto? Mi avrebbe respinto brutalmente? Mi avrebbe cacciata via? No. Edward non avrebbe mai trattato una persona in quel modo. Molto probabilmente mi avrebbe parlato di nuovo cercando di capire il perché io mi fossi rifatta viva dopo 10 anni. E io gli avrei anche chiesto il perché delle foto,del CD e delle altre cose nascoste sotto le assi del pavimento di casa mia. E poi ci saremmo salutati di nuovo e ognuno avrebbe continuato al propria vita. Forse.
La cosa più bella del mondo sarebbe stata che lui mi avrebbe chiesto di tornare insieme, ma sapevo benissimo che era impossibile. Ma la speranza è l’ultima a morire.
Naturalmente non passai una nottata tranquilla: non riuscivo a prendere un sonno tranquillo e mi svegliavo di continuo in preda ad incubi frequenti, anzi ad un incubo: io che non riuscivo a rivederlo. Era sempre lo stesso: io che mi trovavo davanti la famiglia Cullen, Carlisle e Esme abbracciati, Emmett e Rosalie uno affianco all’altra, Jasper con davanti Alice, che mi fissano, neutri. Ma lui non c’era. E nonostante io continuassi ad urlare il suo nome, a chiedere dove fosse, nessuno mi rispondeva, nessuno mi dava una risposta.
La mattina mi alzai presto: un po’ per mancanza di sonno e un po’ per agitazione. Indossai un paio di jeans e una felpa rosa, e poi scesi a fare colazione. Chiesi informazioni al direttore, dicendogli che dovevo andare all’ospedale per trovare una mia zia malata, e lui mi disse che l’ospedale si trovava leggermente fuori città, e che potevo benissimo raggiungerlo o con un taxi o con trenta minuti di cammino. Nonostante il freddo, optai per andare a piedi: mi sarei schiarita meglio le idee, anche se già lo erano abbastanza.
Entrando nell’ospedale fui accolta dal solito odore di medicinale e dal vociare di sottofondo di pazienti e dottori. In quel momento fui presa dal panico: cos’avrei detto a Carlisle? Come mi sarei dovuta comportare? Cosa mi avrebbe detto lui? Scossi la testa: tutte quelle paure e preoccupazioni erano inutili. Il resto dei Cullen non aveva niente di male contro di me. Al massimo Carlisle non mi avrebbe rivolto parola, e a quel punto avrei capito che neanche Edward voleva parlarmi.
Andai da un’infermiera che stava all’entrata dell’ospedale.
-Mi scusi. Stavo cercando il dottor Carlisle Cullen- chiesi educatamente.
L’infermiera mi sorrise e guardò sul computer davanti a sé. –Si, certo. Dovrebbe essere… no, eccolo lì!- e mi indicò un angolo della sala d’ingresso.
C’erano due infermieri con entrambi in mano delle cartelle cliniche e stavano parlando con un dottore, il dottor Carlisle Cullen. Naturalmente era uguale a 10 anni fa: giovane, biondo, pallido, occhi dorati, occhiaie marcate e bello come un divo del cinema. Carlisle, il capofamiglia dei Cullen. Fu stranamente emozionante rivederlo dopo 10 anni, provai una strana sensazione di sicurezza e la mia bocca si curvò automaticamente in un sorriso involontario. Abbandonando ogni preoccupazione, mi incamminai verso il dottore, che aveva appena finito di parlare con i due infermieri.
Avevo percorso metà dello spazio che ci divideva quando lui si voltò dalla mia parte e incrociò il mio sguardo: era un misto di sorpresa, gioia e confusione.
-Bella…- mormorò e mi venne incontro abbracciandomi.
Quel contatto fisico mi commosse un po’: nonostante tutto, gli volevo ancora bene.
-Carlisle, che bello rivederti- gli dissi, quando ci separammo dall’abbraccio.
-Ti trovo bene… ma come mai sei qui? Ti sei trasferita in Alaska?
-No, sono venuta qui per un motivo in particolare. Vi stavo cercando…
Carlisle si fece pensieroso. –E perché mai?
Abbassai lo sguardo. –Beh… vorrei rivedere Edward…- e gli spiegai per sommi capi cosa era successo alla mia vita dopo che se ne erano andati.
-…e quindi lo vorrei rivedere solo per un minuto, solo un momento…- avrei voluto dirgli perché mi serviva, ma avevo già confessato troppe debolezze.
Carlisle scosse la testa. –Glielo avevamo detto che… lo sai che tecnicamente lui ci ha vietato di interferire con la tua vita?
L’avevo messo in considerazione, ma la batosta fu comunque difficile da sopportare. –Sono stata io quella che è venuta a cercarvi, la colpa non è vostra. E comunque anche se lui non vuole più vedermi, anche se non vuole più sentire il mio nome, anche se vi ha vietato di parlarvi…- era così difficile e doloroso da dire –Io lo devo vedere.
L’espressione stupefatta di Carlisle mi sorprese. –Bella, credo che tu abbia capito male.
-Cosa?- chiesi ancora più sorpresa.
-Ecco vedi…- ma si sentì uno squillo che proveniva dal suo cercapersone –Scusami Bella, ma hanno bisogno di me. Può spiegarti tutto Esme: si trova in una piccola casetta fuori città. Tieni ecco l’inidirizzo, l’avvertirò io del tuo arrivo- e mi porse un foglietto –Ti spiegherà tutto lei. Ci sono delle cose che non sai, ma penso che ora sia il momento che tu ne venga a conoscenza. È stato bello rivederti, Bella. Spero che l’occasione si ripresenterà anche in futuro- mi sorrise e se ne andò verso un corridoio, lasciandomi con un foglietto in mano e la testa piena di dubbi.
 
Questa volta presi un taxi, che mi portò ad una casetta fuori città: era una semplice casa rettangolare a due piani, con davanti la porta e due finestre in alto, le pareti di un giallo molto chiaro e il tetto fatto con tegole rosse. Sembrava una di quelle casette delle favole e fu proprio questo che mi sorprese: non era una casa da Cullen.
Scesi dal taxi e percorsi il vialetto che conduceva alla porta. Non mi bastò neanche suonare il campanello che la porta si aprì e mi trovai davanti una figura esile, minuta, con i capelli soffici color caramello, che mi fissava con uno sguardo pieno di gioia e commozione. Esme Cullen.
-Oh Bella…- e mi abbracciò.
Risposi all’abbraccio. –Esme…- le avevo voluto bene…. le volevo bene come se fosse una mia seconda madre. E nella situazione in cui ero trovai in quell’abbraccio tutto ciò che Renèe non mi aveva più dato dopo la nascita di Tom: sicurezza, rassicurazione, dolcezza, pace… amore.
-Oh Bella, sono così contenta di vederti. Ma vieni, entra- e mi fece strada attraverso la porta d’ingresso.
L’interno della casetta non era molto diverso da come me lo ero immaginato: l’entrata dava su un’ampia stanza, decorata con quadri che mi sembravano famigliari (probabilmente stavano anche nella vecchia casa a Forks) e due grandi divani di pelle bianchi ai lati della stanza. In corrispondenza della porta d’entrata, c’era un caminetto, sopra il quale c’era un televisore al plasma, e ai lati del caminetto c’erano due aperture, una che dava sulla cucina, linda e pinta solo per un fattore puramente estetico, e l’altra occupata da una rampa di scale di legno finemente decorata che portava al piano superiore.
Mi accomodai su uno dei due divani e Esme si sedette vicino a me.
-Scusami se non ti offro niente, ma ho saputo del tuo arrivo solo dieci minuti fa quando mi ha chiamato Carlisle.
Sorrisi. –Non ti preoccupare, figurati. Ma perché non sapevi del mio arrivo? Alice non mi ha vista arrivare?- pronunciare il suo nome fu strano: desideravo vedere anche lei, ma avevo anche paura della sua reazione. Piuttosto mi chiedevano dove fossero tutti gli altri componenti della famiglia: forse erano di sopra, o forse erano anche andati a caccia. Forse c’entrava qualcosa con i dubbi che mi aveva lasciato Carlisle… dovevo sapere.
L’espressione dolorosa di Esme mi sorprese. –Diciamo che la faccenda è abbastanza complicata. Ma adesso dimmi di te: cosa hai fatto negli ultimi 10 anni?- era ovvio che voleva cambiare discorso.
Nonostante fossi ancora più piena di dubbi, iniziai a parlare di quello che mi era successo: della mia laurea in giurisprudenza, della morte di Charlie, del nuovo figlio di Renèe e Phil, della relazione con Jacob, dell’impriting con Michelle…. e della mancanza di Edward e delle crisi isteriche. Non volevo dirglielo, ma in fin dei conti era anche uno dei motivi per cui mi trovavo lì. Esme tacque per tutto il mio monologo, e mi guardava sempre con uno sguardo che era un misto di compassione e dolore.
-…e questo è in poche parole il perché mi trovo qui e perché ho bisogno di rivedere Edward- ormai pronunciare quelle parole non era più un peso per me. Erano una necessità.
Riecco apparire quello sguardo doloroso. –Carlisle ha ragione, è giunto il momento che tu sappia la verità. Al diavolo Edward e tutte le sue stupide proibizioni. Ci hai rimesso anche tu alla fine…
Non capivo. –Verità? Quale verità? Che vuol dire “stupide proibizioni”? E che centra Edward?
Esme sospirò. –Fin’ora mi hai raccontato cosa ti è successo, adesso ti racconto quello che è successo a noi: quando 10 anni fa Edward ha preso la decisione di lasciarti, ci siamo tutti trasferiti qui in Alaska, tornando a vivere insieme al clan di Tanya. Non viviamo nella stessa casa, la loro si trova più giù rispetto a questa. Comunque, comprammo questa casa e venimmo a vivere qui: ricominciammo una nuova vita. Ma Edward non ci riusciva: era sempre triste, sempre perso nei suoi pensieri, sempre con la sguardo vacuo, non era più lo stesso. Come era triste lui, lo eravamo anche noi, standogli vicino e cercando di tirarlo su di morale. Lui se ne accorse e così decise di andarsene di casa, ma per noi la sua assenza pesava ancora di più che della sua tristezza. Ma poi ad Alice arrivò una visione: Edward che tornava a Forks, Edward che aveva deciso di tornare da te. Ero felicissima: tutto sarebbe tornato alla normalità ed Edward sarebbe stato di nuovo felice. Ma qualcosa andò storto: Alice non riusciva a vedere cosa ti fosse successo, ma aveva chiaramente visto Edward andarsene di nuovo via da Forks, ancora più triste e ferito. Carlisle aveva detto di lasciargli un po’ di tempo per calmarsi, ma poi Alice ebbe un’altra visione, che però non ci rivelò mai. L’unica cosa che io e Carlisle abbiamo saputo era che una mattina non abbiamo più trovato Alice, Jasper, Emmett e Rosalie, che erano partiti tutti a cercare Edward. È successo più o meno 8 anni fa, e da allora non abbiamo più ricevuto loro notizie- se poteva, probabilmente si sarebbe messa a piangere.
Quello che era successo ai Cullen mi aveva sconvolto, ma c’era una cosa che non capivo. –Ma perché Edward era triste? Perché era tornato a Forks? Perché poi era scappato di nuovo?
Esme mi sorrise triste. –Non l’hai ancora capito Bella? Edward ti ama.
Nulla. Tutta la mia mente si rifiutava di pensare e l’unica cosa che riempiva la mia testa era il nulla. Il respiro divenne affannoso, scattai in piedi e sgranai gli occhi. Rimasi muta e aspettai un continuo di Esme.
-Edward ti ama. Ti ha sempre amata. Lui era triste perché ti aveva lasciata, perché senza di te si sentiva solo, inutile, insignificante. È tornato a Forks perché voleva ritornare con te, voleva chiedere il tuo perdono. E da quello che tu mi hai detto, deve averti vista felice insieme a Jacob e deve aver deciso di andarsene si nuovo e lasciarti vivere la tua vita normale.
Le parole mi arrivavano lente e la mia mente le percepiva come un leggero canto di gioia e speranza. Ma era troppo bello per essere vero. –Non è possibile… non può essere vero… lui non può amarmi! Lui mi ha lasciata! Mi ha detto che non mi voleva più! Perché l’avrebbe fatto altrimenti?
-Per lasciarti vivere una vita normale, una vita da umana. Era stanco che tu fossi costretta a vivere sul filo del rasoio per causa sua, e l’incidente avvenuto con Jasper durante la tua festa di compleanno è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ti ha lasciata per concederti la possibilità di avere una vita normale, l’ha fatto perché ti ama. Ti ha detto che non ti voleva più, ma in realtà ti ha mentito. Ti ha mentito perché ti ama. L’ha fatto per te.
Le gambe iniziarono a tremarmi. Volevo tanto crederle.
Esme continuò. –Ci ha fatto promettere che non avremmo mai e poi mai interferito con la tua vita, che non saremmo mai venuti a cercarti. Principalmente se l’è ripromesso lui. Ma non ce la faceva a starti lontano…
Non la feci continuare. –No, no, no e NO! Non dirmi bugie Esme! Se lui non vuole vedermi basta dirlo! Non riempirmi la testa con menzogne!- le lacrime iniziarono a scendere, rigandomi il viso.
Esme mi guardò con un’espressione calma. –Non sono bugie Bella. È la verità.
Inizia a camminare per la stanza per evitare di cadere per terra o di prendere qualcosa e romperla. –Non è possibile…
-È così Bella. Perché non vuoi crederci?
Non l’ascoltavo. La mia mente era un turbine di ricordi, immagini e sensazioni: la sua espressione tesa e dura quando mi aveva lasciato, la sue parole taglienti, il suo sguardo impenetrabile… possibile che quello sia stato tutta una finzione? Non poteva essere… era impossibile… Edward non poteva amarmi ancora! Quella fissata e patetica ero io…
Presi la mia borsa dal divano e me ne andai verso la porta. –Quando vedi Edward digli almeno che sono passata!- riuscii ad urlare tra i singhiozzi.
Esme mi sbarrò la strada fermandomi per le spalle: la sua presa era ferrea. –Bella calmati! Ascoltami: Edward ti ama e l’ha sempre fatto. Cosa c’è d’impossibile? Tu lo sai che è vero!
-No, io non lo so!- le urlai.
-E allora perché ti avrebbe lasciato tutta la tua roba sotto le assi del pavimento piuttosto che buttarle via? Me lo hai detto tu che il tizio che ha comprato la tua casa a Forks le ha trovate lì.
Rimasi immobile a fissarla. Era vero. Lui quelle cose me le aveva lasciate. Le aveva lasciate a me. Se io non fossi stata più niente per lui le avrebbe distrutte, e invece no, me le aveva lasciate.
Improvvisamente tutto fu più chiaro e la mia mente fu invasa dalla luce: Edward mi amava. Lo aveva sempre fatto. Mi aveva lasciata solo per il mio bene, solo per concedermi una vita serena e felice. Per il mio bene. Ma anche lui aveva sofferto, non riusciva a stare lontano da me. E così si era deciso a ritornare, a chiedere il mio perdono. E forse saremmo tornati di nuovo insieme se io non mi fossi messa con Jacob….
Mi sarei volentieri incolpata da sola, ma ero troppo felice per farlo: guardai Esme negli occhi. –Edward mi ama?
Lei allentò la presa sulla mie spalle e mentre mi accarezzava la testa, mi sorrise. –Si… è così…
Iniziai a ridere e a piangere contemporaneamente, abbracciando Esme. –Edward mi ama! Edward mi ama! Edward mi ama!- urlavo tra un singhiozzo e l’altro.
-Si…- mi disse Esme. Dal tono della sua voce capii che se poteva si sarebbe messa a piangere anche lei: era felice perché io ero tornata e perché potevo sistemare le cose, potevo far tornare Edward felice, potevo far tornare ad essere unita la famiglia Cullen, e io potevo finalmente farne parte. Sarei andata a cercarlo e l’avrei trovato, dovunque fosse.
Ma di quello non me ne preoccupai al momento: Edward mi amava e volevo godermi quella consapevolezza bellissima.

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finalmente Bella ha capito che Edward la ama....piuttosto, cosa gli è successo??? Dove è andato???? e gli altri Cullen???
tutto nel prossimo capitolo!!!! XP

un bacio...

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Capitolo 5
*** 5. L'incontro con Emmett Cullen e Rosalie Hale ***



Salve a tutti!!!
Tutto bene??? Io personalmente sono appena guarita dall'influenza....=D

Valle89: ti ringrazio molto per i tuoi complimenti...spero di leggere altre tue recensioni e di non deluderti ^__^
aliceundralandi: mi dispiace, ma non dico niente!!! =P sono contenta che questa ff ti stia piacendo ^__^
francef80: beh, la spiegazione logica c'è! certo, in questo capitolo te ne dico solo una parte. L'altra.... =D=P
annuxiaaa: no ma grazie a te che leggi la mia storia....grazie davvero!! ^__^
cullengirl: deo gratias!! XD spero di non averci messo molto ad aggiornare...
flydreamer: ho voluto "creare" una Bella più sicura di sè e nelle sue scelte....spero di esserci riuscita! ^__^''
patu4ever: ho visto che hai recensito ogni capitolo...devo dedurre che la storia ti stia piacendo molto e ne sono molto contenta...spero ti piaccia anche questo nuovo capitolo ^__^
franci_cullen: XDXD cullen brothers... che carino!! XDXD anche se sembra il nome di una boy band....e cmq, oggi ne troviamo due...gli altri prossimamente...
Razorbladekisses: sensazionale è esagerato....grazie grazie davvero spero che ti piaccia anche il nuovo capitolo ^__^

e anche tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra i loro preferiti (siamo arrivati a 33 grazie grazie grazie) e anche a tutti quelli che semplicemente mi leggono...GRAZIE!


Allora, abbiamo lasciato la nostra Bella con la rivelazione dell'amore di Edward....
ora deve andarlo a trovare...
ma dov'è? e che fine hanno fatto gli altri Cullen? e quale visione ha avuto Alice??
Beh, in questo capitolo ci sono solo delle risposte parziali....

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5. L'incontro con Emmett Cullen e Rosalie Hale


Restai una settimana con Carlisle ed Esme. Era molto di più di quanto mi aspettavo di rimanere, ma dopo l’ultima bellissima rivelazione non potevo certamente andarmene subito. Anzi, ora non dovevo neanche andarmene: i Cullen ora erano la mia famiglia.
A volte restavo sdraiata sul letto e mi mettevo a ridere da sola, fino a piangere: Edward mi aveva sempre amata e io avevo sofferto per 10 anni per niente. Certo avrei dovuto immaginarmelo che quello che mi aveva detto quella volta nella foresta doveva essere una bugia: non avevo mai conosciuto uno come Edward che poteva minimamente amare una donna nel modo in cui lo faceva lui. E poi il suo sguardo: mi guardava sempre come se io fossi la cosa più importante del mondo, e non riuscivo mai a capacitarmene. Forse è stato proprio il suo sguardo a deviarmi: in quei giorni l’avevo visto così duro, così pensieroso, così distante… lo era perché stava pensando a come lasciarmi. Ma lo faceva perché mi amava, perché non voleva che rischiassi più la vita stando con lui, lo aveva fatto per il mio bene. Esme mi aveva raccontato che subito dopo l’incidente accaduto al mio compleanno, ha deciso che dovevano andarsene subito perché non dovevano mai più interferire con la mia vita: non voleva più che la mia vita fosse in pericolo a causa del fatto che loro erano dei vampiri. Voleva che io fossi sana e salva, a costo anche di lasciarmi e farsi del male da solo.
In parte ero arrabbiata: come poteva pretendere che io mi dimenticassi di lui? Non c’ero riuscita in 10 anni. Ma in parte si: l’amore che avevo provato per Jacob ne era stata la prova.
Ma dall’altra parte, non riuscivo proprio ad essere arrabbiata con lui: lui aveva fatto tutto questo perché mi amava, ed era bellissima quella sensazione di sapere di essere tanto importante per lui. E poi comunque, anche lui aveva sofferto.
Esme mi raccontò che tutto il primo periodo dopo il loro trasferimento Edward era come diventato come vuoto: passava molto tempo da solo, non leggeva più, non ascoltava più musica, non suonava più, insomma non si divertiva più, trascurava perfino Emmett e Jasper. E con il tempo, anche il resto della famiglia iniziò ad adombrarsi a loro volta: Carlisle non sorrideva più, Rosalie era più scorbutica del solito, Emmett stava sempre con il muso, Alice non era frizzante come al solito, e Jasper si isolava del tutto. Mi sentii strana quando mi raccontò tutto ciò: era esattamente quello che era successo a me, passavo le giornate da sola senza fare niente, deprimendo mio padre e i miei amici.
Ma poi Edward si era reso conto di quello che stava facendo, e così se ne era andato via. Ma a quel punto, la situazione peggiorò, e di molto: ciascuno dei Cullen stava per conto suo, senza mai sorridere. Una situazione orribile. Ma poi tutti erano diventati più contenti quando avevano saputo che Edward stava tornado da te, che finalmente aveva capito che senza di me non poteva vivere.
Era così bello da dire e da sentire…
Tutti pensavo che una volta che Edward fosse ritornato da me implorando il mio perdono e ottenendolo (ne erano certi), tutto sarebbe tornato alla normalità: Edward sarebbe tornato lo stesso di sempre, si sarebbe riunito ai Cullen e ogni cosa avrebbe ripreso il proprio corso. Ognuno dei Cullen aveva iniziato a rimpacchettare la propria roba, pronti per il trasloco che avrebbero rifatto da lì a poco, a Forks. Ma poi arrivò la nuova visione di Alice: Edward ancora più triste, Edward solo senza di me. L’umore generale cadde di nuovo nel baratro della depressione. Durò per tre anni interi, i più lungi anni per l’immortale famiglia Cullen.
E poi venne la nuova visione: arrivò ad Alice all’improvviso, mentre lei, Carlisle e Esme erano a caccia. Si bloccò di colpo, con lo sguardo fisso nel vuoto e l’espressione contratta. Esme mi disse solo che Alice le aveva detto che era una cosa che riguardava Jasper e che doveva andargliela a riferire subito, e dalla sua espressione capì che era qualcosa di grave. E per questo la lasciò tornare a casa senza chiederle spiegazioni. Ma quando lei e Carlisle tornarono a casa solo un foglietto di Alice, che diceva che lei, Jasper, Emmett e Rosalie erano andati a cercare Edward, perché era una questione urgente. Da allora non avevano avuto mai più loro notizie.
Vidi in Esme tutta la disperazione possibile che una madre può provare nei confronti della mancanza dei propri figli. Mi sentii immensamente responsabile della sua tristezza: la causa dell’allontanamento di Edward, e quindi di conseguenza di Alice, Jasper, Rosalie e Emmett, ero io. Se quella volta che Edward era tornato per chiedere il mio perdono io non mi fossi trovata insieme a Jacob, ora sarebbe tutto sistemato. E invece no. Ma d'altronde la colpa non era neanche la mia: io pensavo che Edward mi avesse lasciata e che non mi amasse più, e l’unico rifugio dalla depressione che mi assaliva era stato l’amore di Jacob. L’avevo accettato per sentirmi meglio e per dimenticare, e aveva anche funzionato tranne per l’ultima parte. Che ne potevo sapere io che il mio sogno più grande era la verità?
Poco importava ora il passato: bisognava pensare al futuro. Ora dovevo fare una cosa: trovare Edward. Sarei stata disposta anche a fare il giro del mondo, e in certo senso ne avevo anche la sensazione. Ma non sapevo da dove potevo iniziare.
-Quando Alice e gli altri sono andati a cercarlo, non vi hanno detto nulla su dove lui fosse?- chiesi.
-No, non ce l’hanno detto- mi rispose Carlisle –Ma poi due anni dopo ci arrivò una cartolina: era di Emmett e Rosalie. Ci dicevano che si erano stancati di seguire Edward per i cinque continenti e che ancora non erano riusciti a capire quale fosse stata la visione di Alice.
Proseguì Esme. –C’era scritto anche che volevano passare un po’ di tempo da soli, senza stare in famiglia. Non era la prima volta che se ne stavano in disparte, lo sai anche tu. E così abbiamo accettato la loro decisione.
-Quindi avete l’indirizzo di Rosalie e Emmett?- chiesi con una certa impazienza.
-Si, ma ci inviarono la cartolina cinque anni fa. Non so poi se hanno traslocato di nuovo…- mi disse Esme.
-Tanto vale provare. In che paese si trovano?
Carlisle e Esme mi sorrisero fiduciosi: speravano che io potessi far riunire di nuovo la famiglia Cullen. E non erano i soli…
-Europa. Islanda. Reykjavik.
 
Da freddo dell’Alaska al freddo dell’Islanda. La differenza non era molta, ma per me era comunque un eccesso: e nonostante indossassi la mia tuta per la neve, continuavo a sbattere i denti. Ma forse non erano per il freddo, ma per la paura.
Non mi aspettavo di certo di ritrovarmi Edward davanti (magari…), ma avevo paura della reazione di Rosalie. Non tanto di quella di Emmett: io e lui eravamo sempre stati in ottimi rapporti, e avevamo instaurato un’ottima amicizia. Ma non potevo dire lo stesso con la sua legittima consorte: era sempre sfavorevole alla relazione tra me ed Edward, anche se dopo lo scontro con James si era “addolcita” nei miei confronti, ma non di molto. Figurarsi adesso, che praticamente ero stata la causa della separazione dei Cullen. Cercai di non pensare a questo, ma solo allo scopo della mia visita: sapere dove fosse Edward.
Entrando in un bar del centro di Reykjavik, chiesi alla barista se mi sapesse indicare la direzione dell’indirizzo che Carlisle mi aveva dato. Questa, una ragazza venticinquenne molto simpatica e cordiale e che parlava perfettamente inglese, mi disse che si trovava leggermente fuori città. Avrei dovuto aspettarmelo. Mi disse anche che la coppia che vive là già da cinque anni ormai, raramente vengono in città e preferiscono starsene per i fatti loro. Stranamente non accennò alla loro bellezza straordinaria e al perché io li stessi cercando, fortunatamente. Ma mi offrì un passaggio sulla sua motoslitta e io accettai molto volentieri.
Mi lasciò alle pendici di una piccolissima collina innevata: in cima, tra gli alberi, c’era una casetta di legno. Mi ricordò molto una di quelle baite di montagna che si vedono nei film, e capii perché l’avessero scelta: era un luogo decisamente isolato e ottimo per passare inosservati. Salutai la barista e iniziai a camminare verso la casa.
Ero spaventata ma anche eccitata, felice per averli trovati e per aver fatto un passo avanti nella ricerca di Edward. Cercai di calmarmi all’ansia che provavo per la loro reazione. In quel momento avrei tanto voluto che Carlisle e Esme fossero lì con me e che io non avessi rifiutato il loro aiuto: quando mi ero decisa a partire, mi avevano chiesto se volevo che venissero con me, ma io avevo detto di no, che la causa di tutto ero io e io dovevo risolvere la situazione. E ricordando ciò, mi feci coraggio e arrivai in cima.
La casetta, vista da vicino, non assomigliava affatto ad una baita: era fatta di un materiale resistente che da lontano sembrava legno, il tetto era di vetro scuro, come le finestre, e la porta era scorrevole, bianca.
Respiro profondo e suonai il campanello. Non passarono neanche due secondi che la porta si aprì violentemente.
-Rosalie…- mormorai.
La vampira più bella dei Cullen si trovava di fronte a me, appoggiata alla porta con entrambe le mani. Come sempre mi sentii invadere dall’invidia alla vista della sua bellezza: capelli lunghi biondissimi, corpo e viso perfetto. Ma quest’ultimo era livido, contratto dall’ira. Gli occhi erano dorati come al solito, ma furiosi e mi guardavano fissa. In quel momento ebbi sul serio paura di lei e di quello che era capace di farmi.
-BELLA!!!- mi urlò con tutta la rabbia possibile.
E poi non capii più niente: mi ritrovai tutta indolenzita in un mucchio di neve, distante dalla casa. Compresi che Rosalie dover avermi colpito ed ero atterrata su quel cumolo.
Mi fu subito davanti. –Che cosa ci fai qui? Non hai fatto già abbastanza per noi? Non ti basta averci rovinato l’eternità? Che cosa ci sei venuta a fare qui!!!
Rimasi li sdraiata sulla neve con gli occhi sbarrati, a fissarla: non l’avevo mai vista così. In lei non c’era rabbia, c’era molto di più: frustrazione, stanchezza, dolore. Più la fissavo e più avevo paura: poteva uccidermi senza il minimo sforzo. E lei lo desiderava, lo voleva. Non riuscivo a parlare.
-Rose! Cavolo, cerca di calmarti!
Riconobbi all’istante quella voce: Emmett. Le fu subito affianco, passandole un braccio intorno alla vita e una mano sulla spalla.
-Su, Rosalie. Adesso calmati- le sussurrò dolcemente.
Gli sorrisi involontariamente: anche lui mi era terribilmente mancato.
Rosalie si rilassò un po’ e abbandonò la posizione contratta verso di me. Ma non staccò lo sguardo furioso dal mio viso. Ancora spiazzata, cercai di rialzarmi in piedi.
Ma subito Rosalie mi ruggì contro. –Ti ho chiesto che cosa ci fai qui!!
Saltai a quell’urlo, scivolando e finendo nella neve di nuovo.
-Diavolo Rose, così la fai morire!- esclamò Emmett.
-È quello il mio scopo.
Lo sguardo che mi lanciò era tutto fuorché sarcastico. Mi uscì un gemito di paura involontario.
-Calmati, ti ho detto di calmarti- poi si rivolse a me –E tu Bella, non ti preoccupare. Alzati in piedi, possibilmente senza farti male.
Con una lentezza degna di un bradipo, mi rialzai in piedi, spostando lo sguardo da Rosalie ad Emmett.
Quest’ultimo mi sorrise. –Ciao Bella! Come va?
Rosalie lo fulminò. –“Come va”? Che diamine stai facendo, Emmett??
-Rilassati Rose. È solo Bella.
-Solo Bella??? SOLO??? Ti ricordi che è per causa sua che Edward se ne è andato di casa?
-Si, lo so. Però…
-Però cosa!?! È tutta colpa sua!! È colpa sua se Edward non è tornato a casa ed è scappato chissà dove a fare chissà cosa! È colpa sua se la famiglia si è divisa! È colpa sua se sono anni che non passiamo un momento felice tutti e sette!!! È colpa sua se mi sono stancata di starmene nella stessa casa con Esme che tiene sempre il muso lungo e Carlisle che non sorride mai!!! È colpa sua se mi sono stancata anche di dare la caccia ad Edward per il mondo per riportarlo indietro!!! È colpa sua se questa immortalità per me sta diventando un peso più di quanto non lo fosse già stata!!!
Le sue parole furono come dei coltelli affilati che mi trapassarono da parte a parte: me lo aspettavo che Rosalie fosse in collera con me, ma non così tanto. Su di me aveva riversato tutto il suo rancore, tutto il suo dolore, tutta la sua frustrazione. La domanda era una sola: me lo meritavo? Probabilmente si.
Emmett fece un respiro profondo, probabilmente per espellere tutta la sua frustrazione. –Questo lo so Rosalie. Ma non puoi certo attaccarla così su due piedi. Non sai neanche perché è qui!- poi si rivolse a me –Che ci fai da queste parti Bella?
Ignorai Rosalie che roteava gli occhi irritata. –L’indirizzo me lo hanno dato Esme e Carlisle. Li avevo cercati per… sono venuta qui per cercare Edward.
Rosalie esplose. –COSA!?!
Se non fosse stato per Emmett che le si era messo davanti, io ero già morta.
-Cosa vuol dire Bella?- mi chiese Emmett, con un misto tra la curiosità e la speranza.
-Io Edward non l’ho mai dimenticato. Ultimamente mi sono successe diverse cose spiacevoli e l’unica cosa che poteva tirarmi su di morale era rivederlo. Quando poi ho incontrato Carlisle e Esme, mi hanno detto tutto. E ora sono qui per sapere da voi qualcosa su dove potrebbe essere.
Le urla di Rosalie si sprecarono. –Vuoi ancora immischiarti nella nostra vita?? BASTA!!! Non hai rovinato abbastanza questa famiglia?
Deglutii e mi avvicinai cauta verso Rosalie. –Lo so che la causa di tutto questo sono io. Ma posso sistemare le cose…
Rosalie mi interruppe di nuovo. –Sistemare? Non ti sembra un po’ tardi per sistemare le cose? Tu hai aperto una spaccatura nella nostra famiglia che non si può mica richiudere con uno sciocco di dita!!
Arretrai di nuovo, spiazzata dalla verità effettiva di quelle parole. Se non fosse stato per Rosalie ed Emmett,  mi sarei messa a piangere.
-Ma io…- cercai di dire.
-La situazione qui sta sfuggendo di mano. Rosalie, tu ed io adesso ce ne andiamo a caccia così tu ti sfoghi un po’. E tu Bella, forse è meglio se te ne vai.
Guardai Emmett: era teso nel cercare di tener ferma Rosalie dietro di se. Era chiaro: non sapevano niente, oppure non volevano dirmi niente, ma questo era solo il caso di Rosalie. Annuii con la testa.
-Perfetto- disse piano Emmett.
-VATTENE VIA SUBITO!!!- mi urlò Rosalie.
E io me ne andai giù per la collinetta, lasciando che l’aria congelasse le mie lacrime sul viso.

 
Stavo seduta nella sala d’aspetto dell’aeroporto. Avevo le gambe incrociate e giocavo nervosamente con la zip della valigia. Era stato un buco nell’acqua, o almeno in parte: Rosalie ed Emmett vivevano ancora in Islanda, ma non mi avevano detto niente riguardo Edward.
La cosa che mi aveva più sconvolto più di tutti era stata la reazione di Rosalie: non avrei mai immaginato che mi odiasse così tanto. Non che il motivo del suo odio fosse sbagliato: la separazione della famiglia Cullen era colpa mia. Ma volevo riparare ai miei errori, volevo far tornare tutto come prima. Perché Rosalie non aveva fiducia in me? Ma in fin dei conti non l’aveva mai avuta in me.
Mi passai una mano in mezzo ai capelli: cosa avrei fatto adesso? L’incontro con Rosalie ed Emmett è risultato infruttuoso e io ero di nuovo al punto di partenza. Edward dove sei? Chiusi gli occhi e mi abbandonai completamente allo schienale per niente comodo della sedia.

La signorina Bella Swan è pregata di andare all’ufficio oggetti smarriti. Grazie.

Ripeterono l’avviso per due volte. Ero sorpresa: che diamine ci dovevo fare all’ufficio oggetti smarriti? Presi la mia valigia e andai a vedere. Allo sportello c’era un uomo sulla quarantina, mezzo calvo, che stava facendo un cruciverba indossando un paio di occhiali da vista molto spessi.
-Mi scusi- chiesi ottenendo la sua attenzione –Sono Bella Swan. Ho sentito l’annuncio all’altoparlante.
-Ah si. Abbiamo un cosa per lei- e si girò dandomi le spalle e cercando qualcosa –Un signore molto gentile ce la consegnata. Dicendo che l’aveva trovata all’entrata e che forse poteva essere urgente- si voltò porgendomi un busta –Ecco qui!
Presi la busta: dalla parte del destinatario c’era scritto il mio nome. –Ma non è mia!- esclamai.
-Ne è sicura? L’uomo che ce la consegnata sembrava così certo che fosse la sua. Inoltre il nome corrisponde.
Mi venne un dubbio. –Com’era quest’uomo?
-Robusto, muscoloso, capelli neri ricci, ed una bellezza straordinaria.
Emmett! –Ah ok. Non mi ricorda nessuno. Comunque terrò lo stesso la busta. Arrivederci!
Tornai a sedermi e aprii subito la busta: c’era una lettera e un biglietto aereo.

Ciao Bella! Visto che non penso che tu sia abbastanza intelligente da capirlo, te lo dico io: sono Emmett. Ti volevo chiedere scusa per il comportamento di Rose: negli ultimi cinque anni non ha fatto altro che incolparti di tutto quello che ci è successo. Personalmente io non ce l’ho con te, ma neanche con Edward: doveva succedere. Basta. Comunque ti volevo dare delle indicazioni: due giorni fa Jasper mi ha spedito una lettera dicendo che saresti arrivata e che dovevo mandarti da lui e da Alice. Ma che ne sapevo io dove stavano! Ma poi ho visto il biglietto aereo e ho capito tutto! Te l’avrei dato oggi, ma c’è stato un imprevisto, come hai potuto notare. Così eccolo qui! In bocca al lupo Bella. Ti prego, riporta Edward a casa, riunisci la famiglia. Io so che solo tu puoi farlo.

La lettera finiva là. Mi asciugai una lacrima. Grazie Emmett.
Presi il biglietto e controllai la destinazione: Italia.

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

mmmmmmm.....Italia.....
ma perchè proprio l'Italia???
Beh, è un paese come un altro, no??
Si, ma chi c'è in particolare in Italia???

Vorrei dirvi che questo era il terzultimo capitolo.....eh già, questa storia è abb corta!!! ^__^''''''
Alla prossima!!!!
Un bacio....

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Capitolo 6
*** 6. Jasper Hale, Alice Cullen... e la fine di tutto ***



Ma ciao!!! Vi sono mancata??

BellaCullen88: sn contenta ke la storia ti stia piacendo.... cmq nn ti preoccupare, nn si è unito ai Volturi....anke se forse era meglio....
mileybest: ma lo sai che piacerebbe anke a me ke Bella e Rosalie andassero d'accordo??? ma nn lo posso mettere nella storia.... il perchè lo scoprirai ora
cullengirl: eddy ke si vuole suicidare.... O___O ma come hai fatto??
patu4ever: sn contenta che ti dispiaccia ke la storia stia per finire....questo vuol dire che ti sta piacendo molto =D e cmq risposta esatta, in Italia ci sn i Volturi, e Edward....
damaristich: ti ringrazio molto dei tuoi commenti e sono contenta che la storia ti piaccia.... ma m dispiace dirti che non hai indovinato, Edward non è andato dai Volturi per diventare uno di loro....
Valle89: uao, ke accanimento su Rosalie.... la "Barbie Rose", trp forte!!! XDXDXD hai ragione, Edward è andato dai Volturi, ma xkè?
Astarte92: mi dispiace che tu ci sia rimasta male alla notizia ke la storia stia per finire, ma qst ff è abbastanza breve.... ^__^
franci_cullen: sn contenta ke il capitolo ti sia piaciuto.... con Rose ho cercato di dare il massimo nel trasmettere il terrore che incuteva a Bella =D e hai ragione a dire che c'entrano i Volturi....
Razorbladekisses: ti ringrazio per i complimenti...sono contenta che la storia ti stia piacendo e spero continuerai a recensire....


Dunque, avevamo lasciato la nostra Bella all'aeroporto con un biglietto per l'Italia...
ora scopriremo finalmente tutta la verità....
e penso ke x me sia meglio iniziare a scrivere il mio testamento....


 

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6.  Jasper Hale, Alice Cullen.... e la fine di tutto.


-Signorina? Signorina, si sente bene?
Era quella la voce che mi aveva svegliato: l’hostess di bordo, una ragazza sui trent’anni, vestita con un uniforme blu con dei ricami verdi e bianchi sulle maniche e sul colletto, che si trovavano anche sul cappello coordinato, che tentava inutilmente di dominare i folti capelli neri ricci. Aveva lo sguardo preoccupato fisso su di me, e aveva poggiato una mano sulla mia spalla e nell’altra teneva un bicchiere d’acqua.
-Signorina, si sente bene?- ripeté  –Vuole un bicchiere d’acqua per calmarsi?
In quel momento feci mente locale: mi trovavo sull’aereo che mi avrebbe portato a Firenze, in Italia. E mi resi anche conto che tutte le persone che viaggiavano in aereo mi stavano fissando: chi con curiosità, chi con preoccupazione, chi con disinteresse e chi con irritazione.
Presa alla sprovvista, accettai l’acqua con un debole cenno. L’hostess mi sorrise e se ne andò, lanciandomi due occhiate preoccupate mentre percorreva il corridoio. E tutti i passeggeri dell’aereo tornarono a coprirsi con le coperte ed ad appoggiarsi sui cuscini, cercando di dormire almeno un po’: era notte fonda.
Io bevvi tutta l’acqua, cercando di tornare a respirare regolarmente. Il signore di fianco a me, un uomo d’affari sulla cinquantina, con i capelli brizzolati e i lineamenti del mento e degli occhi pesantemente marcati, mi guardava ancora con un misto di preoccupazione e curiosità.
-È sicura di risentirsi bene?- mi disse –Con quell’urlo ha svegliato tutto l’aereo!
-Urlo!?!- ero sorpresa ma anche imbarazzata.
-Si. Stava dormendo, quando poi ha iniziato ad agitarsi. Me ne sono accorto perché mentre stavo sistemando alcune mie pratiche, ho sentito alcune sue piccole urla. Così ho chiamato l’hostess, e mentre le stava portando dell’acqua, ha urlato svegliando tutto l’aereo.
Sgranai gli occhi. –Sul serio?
Il signore annuì. –Ha fatto venire una bella paura a tutti lo sa? Ma come mai ha urlato? Soffre di qualche malattia?
E allora ricordai: mi ero appoggiata con la testa sul cuscino solo un attimo, giusto il tempo di recuperare un po’ di sonno. Ma soprattutto per cercare di non pensare a varie cose: la famiglia Cullen divisa, Carlisle ed Esme afflitti e tristi, Rosalie arrabbiata e furiosa, Emmett speranzoso e fiducioso. Tutto questo mi creava un caos terribile. E così avevo optato per un sonno rilassante. Errore.
Avevo rifatto lo stesso sogno che avevo fatto prima di andare a trovare Carlisle all’ospedale, lo stesso incubo: la famiglia Cullen al completo, tranne per Edward, e quando chiedevo di lui, nessuno mi rispondeva. Solo che questa volta Carlisle, Esme, Rosalie ed Emmett non c’erano, c’erano solo Alice e Jasper. Lui non mi guardava neanche: aveva lo sguardo fisso nel vuoto, ma uno sguardo di dolore, sofferenza, senso di colpa, dispiacere. Mentre Alice mi guardava negli occhi, neutra, ma non mi diceva niente. E io più urlavo il nome di Edward, meno ricevevo risposte. Nessuno sapeva, nessuno volevo dirmi niente.
Possibile che mi sia messa addirittura ad urlare? Nel sogno ero sconvolta naturalmente, ma non credevo possibile che ero addirittura arrivata ad urlare veramente.
-N-no, non ho nessuna malattia- risposi all’uomo, balbettando giusto un po’ -È che soffro di una strana forma di sonnambulismo.
L’uomo mi guardò con uno sguardo sospettoso. –Ah… beh, comunque le consiglio di farsi visitare da qualche medico. Forse trova una cura per questa sua “strana forma di sonnambulismo”- e poi se ne tornò alle sue pratiche, disposte sul tavolino reclinabile del sedile di fronte a lui.
Sospirai, appoggiando la testa sul sedile: probabilmente il signore affianco pensava che gli avessi mentito, oppure mi dava della pazza. Inutile informarlo del modo in cui si svolgevano le mie crisi isteriche o i miei incubi.
Trascorsi il resto del viaggio sveglia, riflettendo su quello che stavo andando a fare: andare da Alice e Jasper per trovare Edward, per tornare di nuovo insieme. Saremo tornati insieme e tutto si sarebbe sistemato: la famiglia si sarebbe riunita di nuovo e io ne avrei finalmente fatto parte. Sorrisi: era la cosa più bella del mondo.
E se Alice e Jasper non avessero ancora trovato Edward? Era un aspetto da considerare, benché mi sembrasse strano che dopo 7 anni di ricerche non lo avessero ancora trovato. Ma comunque, anche se fosse stato così, li avrei aiutati. Non sarei tornata indietro e non mi sarei demoralizzata inutilmente: avrei aiutato Alice e Jasper e insieme avremmo trovato Edward. Ne ero più che sicura.
 Forse sarei stata più d’aiuto se fossi stata anch’io una vampira, ma ci sarebbe voluto troppo tempo per la mia trasformazione: tre giorni di dolore e poi molti mesi per controllare la mia sete e la mia forza. Troppo tempo. Me lo aveva già proposto Carlisle prima di partire verso l’Islanda, ma avevo rifiutato. Adesso la mia prima priorità era trovare Edward, poi si sarebbe pensato al futuro.
Futuro. Il futuro di Edward che Alice aveva visto 7 anni fa. ...una questione urgente… aveva trovato scritto Esme sul biglietto che gli avevano lasciato Alice e gli altri. Ma quale questione urgente? Che cosa aveva visto Alice di così importante e urgente che riguardava Edward? Era ovvio che fosse una cosa importante, visto che erano partiti in fretta e furia, ma non riuscivo ad immaginare cosa potesse essere…
Ebbi un sussulto e ignorai il signore di fianco a me che era saltato: e se Edward si fosse trovato in pericolo?
Scaccia subito quel pensiero: non poteva essere, non doveva essere. Ma se fosse stato… la colpa era la mia, e non me lo sarei mai perdonato. Mai.
Pericolo… ma che genere di pericolo? Se fosse successo qualcosa con un altro clan di vampiri, sarebbe certamente tornato dalla sua famiglia in cerca di aiuto. E invece erano loro che erano andati a trovare lui. Ma poi mi vennero in mente le parole che mi aveva urlato Rosalie: …è colpa sua se mi sono stancata di dare la caccia ad Edward per il mondo per riportarlo indietro…
Questo significa che per 2 anni Rosalie e gli altri hanno “inseguito” Edward per i cinque continenti. E mi sembra impossibile che Edward sapendo che la sua famiglia lo stava cercando (perché doveva averlo intuito per forza), sarebbe “scappato” da loro se era nei guai e aveva bisogno d’aiuto. No, non poteva essere.
E allora che cos’era?
Lasciai perdere le mie supposizioni e allacciai le cinture, mentre l’aereo si preparava ad atterrare.
 
L’aeroporto era affollatissimo. Doveva essere un fine settima, in cui molte persone partono per una piccola vacanza, oppure arrivavano a visitare Firenze da altri paesi.
Naturalmente a me non importava molto del caos che c’era all’aeroporto, ma rimasi comunque ferma impalata davanti l’uscita principale: adesso dove vado?
Nella lettera che mi aveva dato Emmett non c’era scritto niente di cosa avrei fatto al mio arrivo all’aeroporto. E non me ne ero neanche preoccupata di molto: Alice aveva visto che sarei andata a trovare Emmett e Rosalie e così aveva fatto mandare a Jasper quella lettera, e avrebbe sicuramente visto io che arrivavo all’aeroporto. Ma non vedevo nessuno, né lei né Jasper.
-Caspita, sei cresciuta- disse una voce profonda alle mia spalle.
Mi voltai e per poco non mi venne un colpo nel vedere un giovane dalla pelle bianchissima, gli occhi dorati e i capelli biondo miele: Jasper. Se ne stava un po’ distante da me e mi fissava con un leggero sorriso e una strana ombra di malinconia negli occhi, con le mani nelle tasche della sua giacca.
Cacciai indietro le lacrime di commozione e gli saltai al collo, abbracciandolo: anche lui mi era mancato. Da parte sua, Jasper fu sorpreso del mio abbraccio improvviso, e ne rimase anche un po’ imbarazzato: probabilmente non si aspettava una mia reazione del genere nei suoi confronti. In fin dei conti, l’ultima volta che c’eravamo visti per poco non mi uccideva. Ma poi sospirò e ricambiò l’abbraccio.
Mi staccai da lui. –Sono così contenta di vederti.
Sorrise. –Si, anch’io.
-Ma dov’è Alice?
-Ci aspetta a casa nostra. Abitiamo in un piccolo appartamento nella periferia di Firenze- e prese la mia valigia –Andiamo, la macchina si trova di qua- e si avviò verso destra.
Lo seguii e quando fui salita in macchina, mentre lui metteva in moto, presi coraggio e parlai. –Dov’è Edward?
Jasper si irrigidì e si concentrò sulla retromarcia che stava facendo per uscire dal parcheggio, benché non ne avesse bisogno. –Ogni cosa a suo tempo Bella. Ti spiegherà tutto Alice.
Rimasi sorpresa dalla sua risposta e così rimasi muta per quasi tutto il tragitto, osservando silenziosamente la città di Firenze. Stranamente ero calma, probabilmente per merito di Jasper.
Poi improvvisamente, rise. Mi voltai a guardarlo: il suo sguardo era puntato sulla strada, ma la sua mente era da tutt’altra parte.
-Ridi?- chiesi totalmente a mio agio.
-Già- rispose continuando a fissare la strada –Rido perché mi sembra strano.
-Cosa?
-Che per me tu non provi il minimo odio.
-E perché mai dovrei odiarti?
Sospirò. –Beh, se non fosse stato per causa mia Edward non ti avrebbe mai lasciato.
Mi voltai di scatto a guardarlo: i suoi occhi erano lo specchio della malinconia e senso di colpa.
Continuò. –Se la sera del tuo compleanno non ti avessi attaccata, ad Edward non sarebbe mai venuto in mente il pensiero che tu stando con lui potessi essere in pericolo. Anzi, lo ha sempre saputo che più tu passavi del tempo con lui, più rischiavi: poteva perdere il controllo da un momento all’altro. Ma quando ha visto quello che è successo al tuo compleanno, ha capito che non era lui l’unico pericolo che correvi, ma tutti noi. Tutti noi, a partire da me a Carlisle, eravamo un pericolo per  la tua umanità. L’ha capito solo in quel momento, e per farti trascorrere una vita tranquilla ti ha lasciato. La colpa di tutto questo è mia.
Rimasi sbalordita: la colpa di tutto non era mia, era di Jasper. Se non fosse stato per lui, adesso io e Edward eravamo ancora insieme, e molto probabilmente io ora ero come lui, vampira. La colpa di tutto era sua.
Scossi la testa e lasciai perdere la sensazione di rabbia che provai all’istante (di cui, molto probabilmente, il merito era di Jasper): la colpa non era sua.
-Non è stata colpa. La colpa di tutto ciò non è tua, è mia.
Rise ancora di più, una risata senza umorismo. –Colpa tua? E di cosa, del fatto di essere umana?
-No, di quello di essere sbadata. Se non mi fossi tagliata il dito con la carta tu non mi saresti saltato addosso.
-Va bene, si forse hai ragione. Ma ti saresti comunque ferita in un altro modo e sarebbe successa la stessa cosa. Non dirmi Bella che non ti saresti più fatta male, perché non ci credo.
-Hai ragione. Ma visto che poteva capitare altre volte, in queste altre volte potresti non essere stato tu quello che mi avrebbe attaccato.
Sospirò. –Sarà. Ma ormai è successo. Basta. Ma non me lo perdonerò mai, perché io lo so che la colpa della divisione della nostra famiglia è mia, e non tua.
Scossi la testa. –Ti sbagli. Se io non mi fossi messa con Jacob quando Edward era tornato da me, ora sarebbe tutto sistemato.
-Si, ma…
Lo interruppi. –Basta! Di chi è la colpa ormai non ha più importanza! Sono qui e sistemerò tutto!
Era incredibile che Jasper si prendesse la colpa di tutto quello che era successo: la colpa era mia, del fatto che io sono umana, mentre Edward è un vampiro immortale. È colpa mia se la famiglia Cullen si era divisa e ora era mio dovere sistemare le cose.
Jasper sospirò. –Hai ragione. Ormai niente ha più importanza…
 
Il palazzo dove abitavano Jasper e Alice era un normalissimo palazzo bianco di 8 piani, ma senza ascensore. Il loro appartamento si trovava all’ottavo piano. Quando entrai nell’appartamento, rimasi deliziata nel vederlo: era formato da un’unica stanza grande, enorme, la cui porta d’entrata si trovava sulla destra; di fronte a questa c’era un corridoio, che portava al bagno e alla camera da letto, inutilizzata; mentre sulla sinistra c’era una penisola che divideva il salone dalla cucina, inutilizzata anch’essa, e poi una grande finestra che portava ad un grande balcone, dal quale si poteva ammirare tutta Firenze.
Jasper andò a posare la mia valigia nella camera dal letto, mentre io entrai sul balcone: era enorme, la ringhiera era piena di fiori, mentre alla mia destra un tavolo con quattro sedie, che sembrava provenire da un negozio d’antiquariato. Su una di queste sedie c’era una ragazza, dai capelli corti corvini e con il viso da folletto, che mi fissava con commozione e mi sorrideva impaziente. Alice.
-Ciao Bella- si alzò in piedi -È da tanto che non ci vediamo.
-Alice…- mormorai e le saltai subito al collo.
Ricambiò l’abbraccio. In quel momento sentii le mie guance inondarsi di lacrime: inevitabile, Alice era quella della famiglia Cullen che mi era mancata di più di tutti. Eccetto Edward, naturalmente.
-Oh Alice, è così bello rivederti!
Lei si staccò da me e mi asciugò le lacrime. –Si. Anch’io sono contenta di vederti. Vieni dai, siediti di fronte a me.
Mi sedetti su una sedia, e Alice su quella di fronte a me. Mi accorsi solo allora che Jasper era lì sul balcone insieme a noi, e si posizionò alle spalle di Alice. Lei, mi prese una mano e mi sorrise, ma il suo sguardo rimaneva neutro. Ero sorpresa e forse anche un po’ in ansia, ma non potevo dirlo con esattezza quando nei paraggi c’era Jasper con il suo dono speciale.
-Allora,- iniziò Alice –Ho visto tutto quello che ti è successo, tranne che per la parte di Jacob, di cui però ho sentito abbastanza a casa di Esme e Carlisle. Mi dispiace molto per Charlie.
-Lo so- sospirai.
-E anche per quanto riguarda Jacob e tua cugina Michelle. Se c’è qualcunq…
La interruppi. –Non voglio più parlarne. Ormai loro sono storia passata.
Alice mi sorrise ed annuì.
Presi un bel respiro e un bel po’ di coraggio. –Dov’è Edward?
Alice sospirò e chiuse gli occhi, mentre io fui invasa dalla tranquillità: certamente era merito di Jasper, perché in realtà io ero agitata e nervosa. Ormai ero arrivata alla fine: Alice aveva visto, Alice doveva sapere.
E ora finalmente anch’io avrei saputo.
-È una storia abbastanza lunga- iniziò lei aprendo gli occhi –E non finisce come tutti vorremmo.
Sebbene quelle parole mi avrebbero dovuto mettere ancora di più in agitazione, ero sempre calma e tranquilla. In attesa.
-Allora, come già ti ha raccontato Esme, ebbi la visione che Edward tornò da te per chiedere il tuo perdono. Ma poi ne ebbi un’altra: Edward che se ne andava via senza di te. Solo oggi, dopo quello che hai raccontato, capisco il perché: ti ha vista con Jacob Black, e ti ha lasciato vivere felicemente con lui. È strano il fatto che io non sappia vedere i licantropi: infatti poi non sono più riuscita a vedere niente nel tuo futuro, finché non ho visto che eri partita alla ricerca di Edward.
-Ma non sono l’unica che è andata a cercarlo.
Sorrise. –Già. Dopo che Edward se ne era andato via di nuovo, per tre anni non ebbi nessuna visione. Ma questo non significa che di tanto in tanto non sbirciavo nel suo futuro. È stato quasi tutto il tempo in America Latina, ma non faceva mai niente di che. Soffriva, questo si. Ma poi ebbi una visione strana: Edward si era reso conto che non ce la faceva a starti lontano, si era reso conto che era più forte di lui, aveva capito che non poteva riuscire a vivere per l’eternità senza averti accanto. Ma non voleva neanche dannarti per sempre, o rovinare di nuovo la tua vita. E così aveva preso una decisione irrevocabile. Definitiva.
Ormai la tranquillità emessa da Jasper non faceva più effetto: ero in preda all’agitazione più pura. –Che decisione?
Non mi rispose, ma andò avanti. –Corsi subito a casa e avvisai subito Jasper: dovevamo andare a cercarlo, a fermarlo. Ma ci imbattemmo in Rosalie ed Emmett: non ci lasciavano andare via, ci dissero che non potevamo far del male a Carlisle ed Esme anche noi. Ma poi gli dissi che si trattava di Edward, che era una cosa urgente, ma non gli dissi la verità. Vennero con noi.
Il mio respiro divenne un affanno. –Che decisione, Alice?
-Si trovava sempre in America Latina. Lo raggiungemmo, ma non riuscimmo a prenderlo: lui ci scoprì e saltò sul primo aereo per l’Europa. E da lì iniziò la vera “caccia”. Per due anni lo seguimmo per tutta l’Europa: Spagna, Portogallo, Inghilterra, Russia, Norvegia, Finlandia, Francia, Grecia, Polonia, Germania, Islanda. Lì Rosalie ed Emmett si fermarono: si erano stancati di cercare Edward all’infinito in giro per il mondo. Così continuammo io e Jasper. Ci portò fino in Cina, Giappone, India, e in Australia.
Iniziavo a spazientirmi. –Alice, dimmi che decisione aveva preso Edward.
-Ma poi, quando prese l’aereo per andare in Africa, in Egitto, ci fregò: prendemmo l’aereo secondo a quello che aveva preso lui, e solo allora mi arrivò la visione che aveva cambiato idea, che non aveva più preso quell’aereo, che ne aveva preso un altro, verso l’ Italia.
-Alice!- alzai un po’ la voce.
-Se non sbaglio ti ha parlato dei Volturi, vero? Comunque, sono una famiglia potentissima, la stirpe reale dei vampiri, la puoi considerare. Edward ti ha detto che non vanno infastiditi, a meno che…
Respirai a fondo alzandomi in piedi e poggiando le mani sul tavolo. –Alice, per cortesia dimmi cosa voleva fare Edward- controllavo la mia rabbia, ma non ci sarei riuscita per molto.
-È andato a Volterra, la città dei Volturi e ha ottenuto quello che voleva. Purtroppo non siamo arrivati in tempo…
-Alice, che significa?- la mia voce tremava.
-Non siamo tornati indietro… non ce la facevamo a dirlo agli altri. E non credo che lo faremo in futuro.
A quel punto sbottai. –Alice, diamine! VUOI DIRMI CHE DECISIONE HA PRESO EDWARD!!???!!
Il mio respiro era affannoso e la mia mente stava per scoppiare: avevo fatto tanto e adesso pretendevo di sapere cosa fosse successo. Guardai Alice: mi fissava con un’espressione neutra, ma anche con una piena di dolore e rimpianto. Se poteva, il suo viso sarebbe stato rigato da delle lacrime.
-ALICE!!! PARLA!!!
E quando parlò, tutte le mie speranze, tutti i miei sogni, tutte le mie sicurezze, tutto di me crollò.
-Bella… Edward è morto.









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NON MI UCCIDETE!!!!! VE NE PREGO, NON MI UCCIDETE!!!! VI SCONGIURO, LASCIATEMI VIVERE!!!

Ok, Edward è morto, va bene l'ho fatto morire io....
per cortesia però, abbassate le torce e i forconi
me ha paura della folla inferocita ke si è creata....
Per favore..... >.<
Vi prego, calmatevi....

Ke poi a me Edward piace, anzi lo venero, quindi perchè dovete....
*la folla inferocita inizia a sbraidare ancora più forte*
Ok ok, sto zitta! ^__^''''

Se mi lasciate viva, vi dico ci vediamo al prossimo capitolo
Ciao ciao!



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Capitolo 7
*** 7. Il tuo ricordo sarà sempre in me ***



Ma salve a voi, mia cara folla inferocita in attesa.... ^__^'''
prima di tutto vi ringrazio di avermi lasciata ancora in vita....
grazie davvero.... ^__^
poi ringrazio BellaCullen88aliceundralandifree09 JessikinaCullenAstarte92,  francef80ColeiCheAmaEdwardfranci_cullenmileybestcullengirl Valle89patu4ever
che hanno commentato il capitolo precendente, e che vedo anke qui presenti in mezzo alla folla inferocita..... ^___^''''


Allora prima di iniziare con il capitolo, ci tenevo a precisare due punti:
1---> questo è l'ultimo capitolo. Questa storia ce l'avevo in mente drammatica e corta, ed infatti è di soli 7 capitoli.
2---> Edward è morto, punto e basta. Mettetevi l'anima in pace, non tornerà in vita.

*la folla inferocita si scatena dopo questi due punti, in particolare il 2*  CIVIA AL ROGO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
*me inizia a scappare terrorizzata* AAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!


-dopo 20 minuti di fuga-
*me ha l'affanno* forse ho seminato la folla inferocita, ma non ne sono sicura....
comunque prima che mi ritrovi, eccovi l'ultimo capitolo



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7. Il tuo ricordo sarà sempre in me



Buio.
Vuoto.
Nulla.
Era tutto ciò che la mia mente riusciva a percepire,
che i miei occhi riuscivano a vedere,
che le mie orecchie riuscivano a udire.
Nulla.
Niente.
 
 
Non so bene dove mi trovavo. Molto probabilmente ero ancora a casa di Jasper e Alice.
Aprii meglio gli occhi e mi accorsi che la visuale era sempre quella: buio. La camera da letto completamente inutilizzata di Jasper e Alice era come al solito buia, a causa della mia richiesta di voler le serrande abbassate.
Non ricordo come mai ero finita in quella stanza. Ad un certo punto mi ero svegliata, dopo lo svenimento, e mi ero trovata su un letto matrimoniale, posizionato al centro di un’enorme stanza, illuminata dalla finestra alla sinistra del letto.
Vuoto.
Mi alzo debolmente a sedere sul letto. Non mi ricordo niente. O forse si…
Dopo che mi ero accorta di trovarmi in quella stanza, avevo iniziato ad urlare, a piangere, a rompere tutto quello che mi capitava in mano. Poi ricordo soltanto la presa gelida e ferrea di qualcuno, che mi aveva calmato e mi aveva riaddormentato.
Sopirai: una delle mie solite crisi isteriche.
Presi il cuscino e me lo sistemai dietro la schiena, per appoggiarmi più comodamente al muro. Ma lo riposai immediatamente: era umido. Guardai meglio, nonostante la scarsa luminosità: non era solo umido, ma proprio bagnato.
Lacrime. Tra un risveglio e un altro l’unica cosa che avevo fatto era piangere.
Lasciai stare il cuscino e mi alzai, rischiando di cadere a causa delle mie ginocchia molli. Andai alla finestra, tirai su le serrande e aprii la finestra. La luce mi fece male agli occhi, ma non li chiusi: mi affacciai e respirai quanta più aria pulita potei.
Punto della situazione:  mio padre era morto, mia madre non mi considerava più, Jacob e Michelle avevano fatto coppia fissa, i miei amici di scuola non li ho più sentiti né frequentati, la famiglia Cullen era divisa, ed Edward era morto.
Ancora lacrime. Lentamente sentii le mie guancie inondarsi di pianto, il mio respiro che era diventato affannoso, e i miei singhiozzi che agonizzavano.
-Che faccio ora? Sono sola, SOLA!!! CHE DIAMINE FACCIO ORA!?!
Dolore. Avevo spaccato il vetro della finestra con un pugno. Il polso pulsava, probabilmente me lo ero slogato. Il sangue ricopriva tutta la mano e lentamente cadeva verso il pavimento.
Ma non mi importava. La fitta al polso era indolore e il sangue non mi faceva effetto. Adesso non mi importava più niente.
Ero di nuovo sempre e solo io.
In quest’ultimo mese ero riuscita miracolosamente ad andare avanti, a combattere, a sperare per una causa, per un motivo, per qualcosa che potevo e volevo avere. Edward.
Ma ora, lui non c’è. È morto. Si è fatto uccidere solo per non interferire più nella mia vita, per evitare che il suo desiderio lo soggiogasse.
È morto a causa mia. Questo non me lo perdonerò mai.
Eppure ci ero andata così vicino: avevo scovato Esme e Carlisle, raggiunto Rosalie ed Emmett, incontrato Alice e Jasper, ma lui no.
Il solo pensiero che non avevo potuto vedere il suo volto, perdermi nei suoi occhi dorati, sentire il suo respiro sulla mia pelle, annusare il suo odore, toccare la sua pelle dura e fredda, ascoltare la sua voce melodiosa, sciogliermi davanti il suo sorriso sghembo,  sentire il contatto delle nostre labbra, mi faceva stare male. Anzi, no male, mi faceva credere di essere morta. E in fondo lo ero.
Mi affacciai alla finestra: otto piani erano molto alti. Non avrei sentito niente, nessun dolore… sarebbe accaduto tutto in fretta… bellissimo…
La finestra era aperta. Il vuoto mi attraeva. L’altezza non mi faceva paura.
Un vento leggero mi scompigliò i capelli. Delle foglie scendevano lentamente verso il basso e atterravano con grazia sul suolo. Era un ciclo affascinante e ipnotizzante. Volevo essere come loro: leggera e abbandonata al vuoto e al vento.
Mi aiutai con le mani e riuscii a sedermi sul bordo della finestra, con una gamba fuori e una dentro.
Chissà come era la morte. Chissà cosa c’è dopo. Spero pace.
Non voglio più soffrire.
Chiudo gli occhi. Il suono del vento è l’unica cosa che sento. Mi sbilancio un po’…
-BELLA!!!!!!
Una presa fin troppo salda mi afferrò per un braccio e mi fece cadere rovinosamente sul pavimento. Era come se mi avessero svegliato nel bel mezzo di un bel sogno.
-Ma sei impazzita? Cosa pensavi di fare? UCCIDERTI?- mi ruggì contro Alice.
Sollevai leggermente la testa e la guardai: gli occhi era rabbiosi, furiosi, ma anche immensamente tristi e preoccupati.
-Cos’altro mi rimane da fare secondo te Alice? Dimmi secondo te cos’altro mi rimane da fare. Dimmelo tu, perché io non lo so più…- e iniziai  di nuovo a piangere, più forte, appoggiando la testa per terra e bagnando il pavimento.
Sentii le braccia fredde di Alice avvolgermi dolcemente le spalle. –Bella…
-Dimmelo tu, Alice! Perché io non so più che fare! NON SO PIÙ CHE ALTRO FARE!!!- le urlai contro il suo petto roccioso.
Alice mi accarezzo la testa. –Non lo so neanch’io Bella. Shh, adesso calmati. Qualcosa faremo. Ma togliersi la vita non è certamente la scelta giusta. È una cosa stupida. Edward non lo avrebbe mai permesso.
Urlo più forte. –EDWARD!! PERCHÉ?? Perché te ne sei andato?? Perché mi hai lasciato da sola in quest’inferno?? Perché, Edward, perché…
E continuai a piangere tra le braccia fredde di Alice, che se avrebbe potuto si sarebbe unita a me nella crisi isterica.
 
Acqua. Lentamente mi scorreva sul mio corpo, mi attraversava la pelle, mi purificava da ogni impurità. Avevo sempre amato fare la doccia: per me era un momento di completo relax. Ma ora, mi sembrava solo un banale gesto per lavarsi.
Dopo il mio tentato suicidio, ero rimasta sul pavimento a piangere vicino ad Alice per un bel po’. Poi era arrivato Jasper, e per evitare uno scempio, aveva subito pulito il pavimento sporco di sangue e disinfettato la mia ferita. Come uno zombie, mi ero diretta verso il bagno per farmi una doccia, secondo il consiglio di Alice. Ed ora ero chiusa in bagno da un bel po’, rimuginando sulle mie sensazioni di poco fa.
Stanchezza. Dolore. Debolezza. Tutto qui.
Volevo farla finita con quel mondo che mi aveva fatto soffrire. Era così difficile da capire? Era così difficile da ottenere? Era pretendere troppo?
Chiusi l’acqua e indossai i vestiti puliti che mi aveva portato Alice. Mi vestii con gesti meccanici, senza neanche notare quello che mi stavo mettendo. Aprii la porta del bagno e andai verso il salone, trovando Jasper che si trovava sul divano, con la testa tra le mani, mentre Alice si trovava in cucina.
-Bella, per favore siediti. Mangia qualcosa- mi disse, mentre posava un piatto sulla penisola.
Mangiare cibo. Dare energia all’organismo. Senza cibo, l’organismo muore. Ma il mio stomaco era più forte, e l’appetito di parecchi giorni iniziò a farsi sentire. La mia forza di volontà era ridotta al minimo, per cui mi ritrovai a camminare verso la penisola, a sedermi, a mangiare. Ingoiavo. Non mi importava di quello che mangiavo, e i sapori neanche li sentivo.
Alice mi guardò con compassione e pena, sospirò e se andò a sedersi vicino a Jasper.
Edward. Prendevo un pezzo di carne con la forchetta. Edward. Lo infilavo in bocca. Edward. Masticavo a bocca chiusa. Edward. Ingoiavo. Edward. Prendevo un altro pezzo di carne. Edward.
Il ciclo era sempre quello. Il mio pensiero fisso, sempre lui. Il mio dolore aumentava ogni volta.
Allontanai il piatto da me e mi presi la testa con le mani. Perché avevo fatto quel viaggio? Perché mi trovavo lì? Perché non mi ero semplicemente trasferita, invece di andare per il mondo a cercarlo? Perché mi ritrovavo al punto di partenza?
Perché mi hai abbandonato, Edward? Ti prego, torna. Ti amo. Ho bisogno di te. Ma tu non ci sei più.
Perché a me?
Alzai la testa e mi asciugai le lacrime che nel frattempo erano scese. Fu in quel momento che la intravidi.
Era una busta, bianca, con scritto il mio nome. Era ben nascosta, ma il vento della finestra aveva dovuto farla cadere per terra. Ma la cosa che mi aveva colpito, era che quella era la sua calligrafia: elegante, raffinata, inconfondibile.
-Cos’è quella?
La mia voce era incredibilmente salita di volume. Alice e Jasper per poco non si spaventarono.
Jasper guardò incuriosito la busta per terra e poi corse a prenderla.
-L’hai lasciata in giro in modo che la potesse vedere??- la sua voce era lo specchio dell’ira e della rabbia.
-Cos’è quella?- e mi alzai in piedi.
Lo sguardo di Alice era neutro. –Ho visto che la leggeva. Ho visto che quella lettera l’aiutava.
-Cos’è quella?- continuavo a ripetere.
-L’aiutava? Ma Alice, hai visto cosa ha tentato di fare?? Si voleva uccidere! Vuoi anche farle anche leggere questa??
-CHE COS’È QUELLA?
Jasper si voltò rapidissimo verso di me: la sua espressione era contratta al massimo. Alice mi guardava neutra, seduta composta sul divano.
-Bella,- e Alice si alzò, prese la busta dalle mani di Jasper e si avvicinò verso di me –quando siamo arrivati a Volterra, l’unica cosa che abbiamo visto era un enorme pira eretta nella campagna vicino la città, e l’odore di Edward che veniva da lì.
Il mio sussulto fu come una persona che agonizzava.
Jasper scosse la testa abbattuto e se ne andò verso la camera da letto, senza neanche provare ad alleggerire l’atmosfera.
Alice continuò, senza neanche guardare per un secondo il suo compagno. –Vicino alla pira però, incastrata in un ramo, trovammo una lettera. Era di Edward. La aprimmo senza neanche controllare per chi fosse e solo allora ci accorgemmo che era per te.
-Cosa?- per me? Edward aveva scritto una lettera d’addio per me?
-Te l’ha scritta prima di morire. Se vuoi puoi leggerla- e me la porse.
Guardai la busta e il mio nome scritto sopra. Prima di morire a pensato a me.
Afferrai la busta e me ne andai verso il balcone, a leggerla.
Alice non mi seguì. Probabilmente capì che volevo stare sola.
Mi sedetti su una sedia e aprii la busta.
Presi la lettera e inizia a leggere, mentre il mio viso si rigava di lacrime mute.
 
Isabella Marie Swan.
Bella.
Il tuo nome risuona nella mia mente. Il tuo viso rivive nella mia memoria. La tua voce riecheggia nelle mie orecchie.
A volte mi sembra di sentire il tuo dolce profumo… dannatamente buono…
È incredibile come non riesca a dimenticarti…. sei costantemente presente in me…
È incredibile quanto sia potente l’amore che provo per te.
Non so neanche perché, adesso, mentre sono sull’aereo verso l’Italia, ti scrivo questa lettera, che tanto tu non leggerai.
Tu credi che io non ti amo più… che io ti abbia abbandonata perché non ti voglio più…
Quale terribile bestemmia…
Io ti amo. Io ti amo, Isabella Marie Swan.
Io ti amo più della mia stessa vita… quello che sto andando a fare ne è la prova:
sto per andare a suicidarmi dai Volturi, e lo sai perché? Perché non riesco a starti lontano.
Perché il desiderio di averti, di stringerti delicatamente tra le mie braccia, di annusare il tuo meraviglioso profumo, di guardare le tue guancie colorarsi di rosso, di osservare i tuo stupendi occhi color cioccolato,
supera di gran lunga la mia forza di volontà…
quella stessa forza di volontà che avevo messo alla prova tempo fa per stare con te e per non ucciderti…
Che egoista che sono stato.
Avrei dovuto capirlo allora che stando con te ti avrei condannato ad una vita d’inferno, ad una vita pericolosa… e io questo non lo volevo.
Ma volevo anche stare con te. Conciliare i due desideri era impossibile.
Ed ecco perché me ne sono andato via, ecco perché ti ho lasciata.
Sicuramente avrai sofferto, e me ne pento amaramente.
Ma poi, quando sono tornato e ti ho vista felice, sono stato contento che ti eri dimenticata di me.
Che non soffrivi più per il mio abbandono…ero contento che avessi ripreso una vita felice e normale.

Ti ho appena mentito per la seconda volta.
Non è per niente vero che ero contento. Ho sofferto come non mi era mai capitato nella mia esistenza.
E questo perché semplicemente ti amo e perché voglio stare con te.
Sono egoista, lo so. Chiedo di perdonarmi per questo.
E ti chiedo anche di perdonarmi per la mia debolezza. Si, sono un debole per non riuscire a starti lontano.
Ti rovinerei la vita di nuovo, e io non voglio questo.
Preferisco morire per sempre piuttosto che cedere a questa stupida debolezza.
Ed è quello che sto per fare.
Sto per morire per te. Non a causa tua, non confondere, ma per te.
Per te sto anche voltando le spalle alla mia famiglia. Sto rovinando anche la loro esistenza.
Non credo che esista persona più egoista di me al mondo.
Avrei voluto che la mia famiglia non lo venisse mai a sapere, ma non posso competere con Alice.
E infatti mi sono subito venuti a cercare.
E per non farmi prendere sono dovuto scappare di paese in paese ogni volta.
Ma ora, non possono fermarmi: arriverò a Volterra e scatenerò subito l’ira dei Volturi, senza aspettare udienze varie.
Questi sono i miei ultimi minuti di esistenza. E li sto spendendo scrivendoti i miei ultimi pensieri.

È naturale che tra i miei pensieri ci sia tu.
Mi ricordo ancora la prima volta in cui sono venuto a vederti dormire… quando hai pronunciato il mio nome nel sonno…
È stato allora che ho capito che eri troppo importante per me, è stato allora che ho sentito il mio cuore battere di nuovo, è stato allora che ho capito di amarti.
È stato allora che ho trovato il sole della mia immutata mezzanotte.
Quel sole che poi ho dannato con la mia esistenza, con il mio essere orribile.
Avrei dovuto non coinvolgerti. Avrei dovuto lasciarti perdere.
Eppure non riesco a pentirmi totalmente di quello che ho fatto:
ogni singolo istante, ogni singolo secondo, ogni momento che io passavo con te, per me era il più bello in assoluto di tutta la mia esistenza.
Sono ricordi che mi porterò fino alla fine. Cioè tra poco.
Lascio questo mondo. Lascio questo mondo felice, però.
Felice perché sono sicuro che il mio desiderio si è realizzato:
tu vivi una vita normale. Tu vivi la vita che ti spetta di diritto.
Tu vivi la tua vita.
E non c’è niente che mi possa far sentire meglio in questo momento.
Per cui, le mie ultime parole sono queste, il mio ultimo desiderio è questo:
vivi la tua vita. Vivila.
E adesso ti dico addio amore mio. Addio. Ti amo.
Edward.
PS: Ricordati: il tuo ricordo sarà sempre in me. Sempre.
 
La lettera finiva lì.
L’avevo completamente inzuppata di lacrime. Le parole si leggevano a stento, ma io ne avevo capito il senso.
Edward voleva che vivessi la mia vita. Edward voleva che avessi una vita normale. Edward voleva che io mi godessi la mia vita.
E io che cosa sto facendo adesso? Mi sto scontrando contro gli imprevisti della vita, e lascio che loro la abbiamo vinta.
No. Non potevo permetterlo. Edward non voleva.
E non lo avrei permesso.
Mi alzai in piedi e mi affacciai alla ringhiera: la città di Firenze era inondata da un bellissimo sole splendente, e si sentiva la presenza di una leggera brezza.
Respirai a pieni polmoni. Mi asciugai le lacrime. Sorrisi guardando quel panorama.
-Cosa dice Edward?
Mi voltai. Alice mi sorrideva dall’entrata del balcone.
-Dice che vuole che io viva la mia vita.
-E tu cosa farai?
La guardai negli occhi. Dentro di me sapevo perfettamente cosa dovevo fare.
-Vivrò. Lo farò per lui. Perché lo amo.






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Bene, e questa è la fine.

Ora, molto probabilmente mie cari lettori e anke mia cara folla inferocita, che si è calmata per leggere il capitolo,
alcuni di voi saranno rimasti delusi da questo finale....
chiedo a queste persone scusa, ma secondo me questa è la fine che merita la nostra Isabella Swan....


Ringrazio chi ha commentato questa storia, chi la seguita dall'inizio e chi invece si è appassionato mano mano che andava avanti,
ringrazio 0207pantera, aliceundralandi, amimy, annuxiaaa, aquizziana
, Astarte92, bellemorte86, Benjamina, bibosky, carlitz, ColeiCheAmaEdward, crazy_gio90, debblovers, Dubhe92, EleCal1988, Fantasy_Mary88, fede72, federob, fiorella91, flavia93, fofficina, francef80, franci_cullen, free09, gli, JessikinaCullen, Kagome19, Lovely_Dayi, lupacchiotta_mannara, meredhit89, mileybest, mimi14, Miryta, mylifeabeautifullie, nene1964, patu4ever, piccolakia, Princesseelisil, Razorbladekisses, RockAngelz, salf, sexy_eclipse, sissy_cullen_4ever, the forgotten dreamer, valeEfla, Valle89, wbloom
e tutti quelli che l'hanno semplicemente letta.
GRAZIE


Un bacio grande
alla prossima storia.....


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