Il tuo ricordo in me di civia93 (/viewuser.php?uid=59194)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Basta un ricordo... ***
Capitolo 2: *** 2. Un nuovo abbandono ***
Capitolo 3: *** 3. Un male bellissimo ***
Capitolo 4: *** 4. Il dottor Carlisle Cullen e la signora Esme Cullen ***
Capitolo 5: *** 5. L'incontro con Emmett Cullen e Rosalie Hale ***
Capitolo 6: *** 6. Jasper Hale, Alice Cullen... e la fine di tutto ***
Capitolo 7: *** 7. Il tuo ricordo sarà sempre in me ***
Capitolo 1 *** 1. Basta un ricordo... ***
Ciao
ciao!!!
Allora, mentre "La
vita secondo Nessie" procede a gonfie vele, inizio questa nuova storia,
un po' malinconica e molto drammatica, che ha come protagonista
assoluto la nostra Isabella Swan, Bella. Questa ff l'ho ideata appena
finito di leggere New Moon e prima di inziare Eclipse, ma non l'ho mai
scritta perchè non mi appassionava più di
tanto.... ma poi, un giorno per caso, buttai giù una bozze
del primo capitolo, e mi piacque molto tanto da decidere di continuare
la storia.
Questa ff è
dedicata soprattutto a due persone in particolare: Claudia, che si
è subito appassionata nonostante poi abbia combiato il
titolo centinaia di volte, e Federica, che mi spronava ogni giorno a
scrivere nuovi capitoli. Grazie ragazze!
Naturalmente a voi
cari lettori, chiedo solo il favore di recensire questa storia e di
dire quello che pensate, anche se sono cose cattive!! ^_^'
Un bacio...
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1. Basta un ricordo...
Soffrivo.
Vedevo Bella e soffrivo.
Eppure era
quello che volevo, no? Volevo
che Bella
avesse una vita normale, no? E ora l’aveva, una vita normale,
da umana. Aveva
trovato anche qualcuno che l’avrebbe protetta come avrei
fatto io. Certo Jacob
Black non era tra i miei preferiti, ma era pur sempre un licantropo e
per i
guai in cui di solito si cacciava Bella andava proprio bene. Inoltre la
amava.
E lei amava lui. Tutto era perfetto.
Ma allora
perché soffrivo? Perché quando la vedevo felice
tra le braccia di Jacob Black
soffrivo? Perché avrei tanto voluto andarle incontro,
abbracciarla, sfiorarle
le guancie fino a farla arrossire, sentire il suo profumo, toccarle i
capelli,
baciarla? Perché?
Semplice: la
amavo.
Volevo che
lei fosse felice tra le mie braccia.
Volevo proteggerla io. Volevo che
passasse la sua vita con me.
Ero egoista.
Lo sapevo. E nonostante questo continuavo a volerlo.
Forse lo
voleva anche lei. Forse quello che provava per Jacob Black era soltanto
una
finzione. Forse mentre abbracciava lui pensava a me.
No.
Bella mi ha
dimenticato. Bella si è rifatta una vita. Una vita in cui io
l’ho abbandonata.
Mentre dorme non sussurra più il mio nome.
Potevo farmi
perdonare. Perdonare per averla abbandonata così, per aver
lasciata, per averle
mentito.
No, non
dovevo, non ne avevo il diritto. Ho
sconvolto la sua vita abbastanza. Dovevo essere forte abbastanza per
lasciarla
vivere, per evitare di dannarle l’anima per sempre. Devo farlo.
Sarà
difficile per me avere la forza necessaria di non intromettermi
più nella sua
vita. Sarà difficile dimenticarla. Ma cosa dico? Non
sarà difficile, ma impossibile.
Bella è stata l’unica che
mi abbia mai acceso il cuore, che lo abbia fatto ribattere nonostante
fosse
ormai freddo e morto. Bella è la mia vita.
Io la amo.
Voglio che sia felice e che abbia una vita normale.
Ora è
felice
e si è rifatta una vita. Devo essere
contento.
E allora
perché continuo a soffrire?
Me ne
andrò.
Non so dove. Ho già provato a dimenticarla, ma non ce
l’ho fatta. Ora
riproverò.
Ce la devo
fare. Lo farò per lei. Lo farò
perché l’amo e l’amerò
sempre.
10 anni dopo
Parcheggiai
la mia Fiat Punto davanti casa di Jake. Era passati 8 anni da quando il
mio
pick-up si era spento. Jacob aveva provato in tutti i modi di
aggiustarlo ma
non ce n’era stato verso. Così prima di andare
all’università aveva raccolto un
po’ di soldi e mi ero comprata quella macchina, che non
intendevo cambiare.
Presi
le chiavi dalla mia borsa ed entrai: in casa regnava un silenzio
assoluto,
interrotto solo dal russare di Billy in soggiorno e di Jacob al piano
di sopra.
In punta di piedi, chiusi la porta del soggiorno e andai in cucina:
come al
solito c’era una pila di piatti sporchi da lavare. Sospirai e
aprii l’acqua del
lavandino. Quando non avevo da fare, venivo a casa di Jake per dare una
mano
con le faccende domestiche. A Billy non piaceva il fatto che gli facevo
da
cameriera, però non nascondeva mai il piacere di vedere la
casa in ordine di
tanto in tanto.
Poi
sentii delle braccia bollenti cingermi i fianchi e un bacio sul collo.
–Buongiono
Voltai
la testa di lato e gli diedi un vero bacio, visto che avevo ancora le
mani
bagnate. –Buon pomeriggio Jake.
-Pomeriggio?
Di già?
-Non
dirmi che ti sei svegliato adesso?
-Ehmm…si.
-Sei
incredibile Jake!
-Tu
invece questa mattina ti sei alzata presto, non è vero?
Alzai
le spalle. –Come sempre.
A
volte io e Jake passavamo la notte insieme. Billy non ci diceva niente:
ormai
eravamo entrambi adulti e vaccinati, e decidevano da soli.
Jacob
scosse la testa. –Questo lavoro ti sta facendo impazzire.
-Non
è vero. Il mio lavoro mi piace e mi alzo presto tutte le
mattine solo perché il
mio studio si trova a Seattle. È un bel viaggetto tutte le
mattine.
Dopo
la scuola, ero andata all’università e poi mi ero
diplomata in giurisprudenza,
diventando avvocato. Il mio studio legale si trovava a Seattle,
perché era
impensabile aprire uno studio legale a Forks.
-Sarà,
ma secondo me ti sta facendo impazzire.
-Invece
di pensare, dammi una mano con i piatti.
Si
staccò da me, prese un asciugamano e iniziò ad
asciugare i piatti.
-Piuttosto,-
aggiunsi io –tu non dovresti andare a lavoro?
Jake
era il meccanico ufficiale di LaPush.
-Avrei
del lavoro da fare, ma adesso non ne ho voglia.
Alzai
gli occhi al cielo: Jake era sfaticato come pochi.
Finimmo
il lavaggio con i piatti. Guardai il mio orologio: era ora di andare.
-Beh,
adesso vado. Ho un appuntamento.
Jacob
alzò gli occhi al cielo. –Non è
possibile Bella! Hai sempre da fare con il tuo
stupido lavoro! Non riusciamo mai a stare un po’ insieme!
Sospirai.
–Non ho un appuntamento di lavoro. Devo andare a parlare con
l’organizzatrice
del matrimonio. Te lo ricordi che tra due settimane ci dobbiamo
sposare?- gli
sorrisi, facendogli vedere l’anello di fidanzamento che mi
aveva regalato una
settimana fa.
-Ah
si, è vero. Non ti preoccupare, non me lo scordo:
l’ho segnato sul calendario!
Risi
e gli misi le braccia al collo. –E poi per passare un
po’ di tempo insieme,
abbiamo tutta la notte a disposizione, no?
Sorrise
e mi baciò. –Si, hai ragione.
Viaggiavo
tranquillamente sulla strada verso Seattle. Dovevo fare ancora tante
cose per
il matrimonio: la prova del vestito, la scelta dei fiori, gli inviti da
spedire…. Ecco perché avevo deciso di rivolgermi
ad una organizzatrice: avrebbe
pensato a tutto lei, mentre io mi sarei concentrata sul mio lavoro.
Forse
Jacob aveva ragione: quel lavoro mi stava facendo impazzire. Ero
impegnata
dalla mattina alla sera e a volte anche nei weekend. Non che la cosa mi
dispiacesse: amavo il mio lavoro. Il fatto di essere avvocato mi dava
una
stabilità d’animo mai sentita prima: mi faceva
sentire importante, e ogni volta
che vincevo una causa ne ero felice e orgogliosa, anche se devo
ammettere che
alcune volte mi era toccato difendere la parte del torto.
L’unico inconveniente
di quel lavoro era che il mio studio legale si trovava a Seattle, e
fare il
tragitto Forks-Seattle tutte le mattine non era proprio una
passeggiata. Ma non
mi preoccupava molto: dopo il matrimonio io e Jake avevamo deciso di
andare a
vivere a Seattle: era una città più grande, e
soprattutto stavamo per comprare
un appartamento vicino al mio studio.
Risi
tra me e me: ancora non mi capacitavo del fatto che tra due settimane
mi sarei
sposata. Quando Jacob me l’aveva chiesto, per poco non mi era
venuto un
infarto. All’inizio pensavo che fosse una cosa stupida
sposarsi, ma poi l’idea
mi piacque, e così avevo accettato. Tutti ne furono
contenti: Billy, Sam, e
tutti quelli del branco. Chissà come l’avrebbe
presa Charlie…
Mi
asciugai una lacrima con stizza: ormai erano passati 4 anni dalla morte
di
Charlie, e ancora mi faceva male ricordarlo qualche volta. Mi mancava
terribilmente il mio papà,
mi sarebbe
mancato terribilmente il giorno del matrimonio. Sospirai e cercai di
concentrarmi sulla strada, ma la sapevo a memoria, e così la
mia mente vagò nel
ricordo di quel giorno terribile: Charlie che aveva fatto tardi la
sera, io che
ero rimasta ad aspettarlo fino a mezzanotte, le sirene
dell’auto della polizia,
io che correvo alla porta per aprirgli credendo che fosse lui, lo
stupore nel
vedere che era il suo vice, il dolore alla notizia
dell’incidente stradale. Scacciai
quel pensiero dalla mente: stavo per sposarmi e dovevo essere felice,
Charlie
avrebbe voluto così. La sua… nostra
casa
a Forks l’avevo messa in vendita, sia per risparmiare dei
soldi per comprare
l’appartamento a Seattle, sia per liberarmi di ricordi
dolorosi…
Per
evitare che mi deprimessi, cambiai discorso, ripassando la lista degli
invitati, che ormai sapevo a memoria. E questo mi fece ricordare che
ancora non
avevo ricevuto una risposta da Renèe, dopo che le avevo
inviato un e-mail
quando avevo detto si a Jacob. Non potevo neanche chiamarla,
perché non sapevo
dove fosse in questo periodo: Phil era diventato un professionista
molto bravo,
e diverse squadre di tutto il mondo lo volevano nella loro formazione.
Per cui
lui e mia madre cambiavano spesso casa, all’inizio sempre
negli Stati Uniti,
ora anche oltre oceano (l’ultima volta stavano in Cina!). Per
mia madre
chiamarmi era diventato un incubo: non riusciva mai ad indovinare il
fuso
orario giusto, e parecchie volte mi svegliava all’una di
notte. Anche se da due
anni le sue telefonate “soffocanti” erano
totalmente cessate, e questo lo devo
anche al mio fratellastro Tom, che non ho mai visto in vita mia. Quando
mi
chiamò Phil per dirmi della notizia, rimasi scioccata, e
volevo anche venire a
vederlo, ma in quel periodo si trovavano in Spagna. Ero contenta di
avere un
fratellino, ma adesso iniziavo ad odiarlo: Renèe si era
totalmente gettata nel
suo ruolo di mamma, che si era dimenticata della sua prima figlia. Il
fatto che
non mi avesse ancora risposto alla mia e-mail riguardante il matrimonio
ne era
la prova. E a me mancava la mia mamma.
Parcheggiai
davanti al bar in cui io e Mel, l’organizzatrice, ci eravamo
date appuntamento.
Quando entrai, non la vidi per cui mi sedetti su un tavolino e ordinai
un
caffè. Dopo pochi minuti, la vidi entrare e le feci un segno
con la mano. Mel
venne a sedersi di fronte a me e iniziò subito a parlarmi
del matrimonio,
facendomi vedere cataloghi su cataloghi di composizioni floreali, torte
nuziali
e roba simile. Ero contenta di aver dato le redini
dell’organizzazione a una
tipa come Mel: superattiva, veloce e scattante, una che sa sempre
quello che
fare e che si prende carico di tutte le responsabilità. Io
non sarei mai stata
in grado di fare una cosa del genere.
Rimanemmo
a parlare per tutto il pomeriggio. Quando Mel si accorse che era
diventato
buio, mi propose di andare a cenare insieme in un ristorante li vicino.
-Vedrai,-
mi disse –cucinano dei piatti di pesce buonissimi.
-Perché
no?- sorrisi e uscii dal bar andando alla mia macchina, che si trovava
vicino a
quella di Mel, riconosciuta per via del peluche attaccato al finestrino
uguale
a quello che aveva attaccato alle chiavi della macchina. Spostai lo
sguardo dal
peluche alla macchina. Mi bloccai.
-È
un
locale non molto lontano da qui. Ci si arriva con dieci minuti di
macchina- e
tolse l’allarme alla sua Volvo grigio metallizzata.
Una Volvo grigio
metallizzata.
-Ehi
Bella! Tutto bene?
Una Volvo grigio
metallizzata.
-Bella!
Che ti prende? Sembra che hai appena visto un fantasma!
-Scusami
Mel, ma mi sono ricordata di un appuntamento urgente… devo
andare… ci sentiamo
domani…- ed entrai di corsa nella mia auto, facendo manovra
e andandomene dal
bar. Tutto questo senza guardare la Volvo.
Scusami Jake. Sono molto
stanca: l’incontro con
l’organizzatrice mi ha stressato molto! È meglio
se stasera dormo da sola. Ci
sentiamo domani.
Inviai
questo sms a Jacob, mentre salivo precipitosamente le scale del mio
ufficio.
Aprii la porta con violenza e per poco non rompevo la chiave. Lanciai
la mia
borsa per aria e urlai più forte che potevo, riempiendomi
gli occhi di lacrime.
Ma
perché, perché, PERCHÉ?
Perché ogni volta che la mia vita sembrava aver preso
una piega giusta, lui doveva
ricomparire in un modo o nell’altro? Perché quando
credevo anche solo per un
secondo di averlo dimenticato,
doveva
apparire qualcosa che me lo ricordasse?
Ma
soprattutto, perché io ci stavo
ancora
così male?
Erano
passati dieci anni, e allora perché il suo
rifiuto mi pesava ancora? Perché ogni volta mi
riecheggiavano le sue parole nella
testa, e la mia mente
focalizzava un’immagine sfocata della sua
espressione dura di quel giorno, e perché mi sentivo
rifiutata come se fosse
successo ieri?
La
risposta la sapevo, ma non volevo ammetterlo.
Io lo amavo ancora. Io amavo Edward.
Ammetterlo
mi fece urlare ancora più forte, e poi mi accovacciai sul
pavimento, scoppiando
in lacrime in una crisi isterica. Odiavo ammetterlo. Odiavo ammettere
che non lo avevo ancora
dimenticato. Odiavo
ammettere questa debolezza.
Ma
era più forte di me. Ogni volta ripensavo a quei suoi occhi dorati, quel suo
viso perfetto, quei suoi capelli
castano ramati, quel suo sorriso
sghembo mozzafiato. Piansi più forte, pensando che per un
po’ tutta quella
bellezza era stata mia, che potevo
abbracciare il suo corpo marmoreo,
accarezzare la sua pelle
bianchissima, udire la sua voce
melodiosa nelle orecchie, sentire il suo
respiro sul mio collo, baciare le sue labbra
fredde come il ghiaccio.
Un
altro urlo di dolore.
Ma
perché mi aveva lasciato? Perché non mi voleva
più? Perché?
Perché
eravamo diversi. Io umana, lui vampiro.
In fin dei conti, forse l’ho sempre saputo che sarebbe andata
a finire così.
Che lui prima o poi si sarebbe
stancato
di me, una semplice, goffa, insignificante umana. Lo sapevo che prima o
poi mi
avrebbe lasciata. Ma in quei momenti ero troppo felice di stare con lui, che il resto non contava. E adesso lui mi ha dimenticata.
Ma io
no.
Ci ho
provato, e ci sono anche riuscita in parte: la storia e il futuro
matrimonio
con Jacob ne erano la prova. Ma poi bastava un niente, come vedere una
Volvo,
per ritornare in questo vortice di dolore. Io lo sapevo:
l’amore che provavo
per Jacob era un niente in confronto a quello che continuavo a provare
per Edward. Amavo Jacob, ma non
come Edward. Questo mi fece
rabbia, e
ricominciai ad urlare battendo i pugni per terra.
Dovevo
smetterla. Dovevo dimenticarlo. E
più
me lo ripetevo, più sentivo che lo
amavo con tutta me stessa.
Stanca
dalle urla e dal pianto, con la testa gonfia di quelle considerazioni,
caddi in
sonno profondo.
E
dopo dieci anni, ricominciai a sognare Edward.
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Capitolo 2 *** 2. Un nuovo abbandono ***
Ciao
ciao!!!
Allora, il debutto di
questa nuova fanfiction non è andato tanto male...
ringrazio 0207pantera, aquizziana, Benjamina, federob, Lovely_Dayi
per averla aggiunta ai preferiti...
e ringrazio Dunkel Prinzesschen, Balenotta, franci_cullen, per avermi commentato la prima
puntata...spero ke continuerete a farlo...
e ora un nuovo
capitolo!!
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2.
Un nuovo abbandono
La
luce del sole filtrò attraverso la finestra del mio studio,
inondando
completamente il mio ufficio. Aprii leggermente gli occhi, e fui
costretta a
richiuderli subito per la luce troppo forte. Poi mi misi seduta si
spalle alla
finestra, mi stirai e sbadigliai. Mi alzai in piedi e andai nella
piccola
cucina a prepararmi un caffè, mentre risistemavo il mio
ufficio, dopo l’ultima
crisi di ieri.
Ormai
ci ero quasi abituata a queste crisi isteriche: erano dieci anni che le
avevo,
ed erano dieci anni che non riuscivo ad evitarle. Bastava un niente per
scatenarle, un semplice ricordo, una semplice parola, una semplice
frase. Ed
infatti, non potevo più avvicinarmi a Port Angeles, vedere
un qualsiasi tipo di
Volvo, sentire Debussy, vedere e sentire qualcuno che suonava al piano,
osservare i leoni nei documentari o allo zoo, aver a che fare in
qualsiasi modo
con il ghiaccio e evitare tinte per capelli color castano ramato. E
naturalmente, evitare assolutamente storie e film sui vampiri: la notte
di
Halloween ero costretta a starmene chiusa in casa, evitando anche di
dare le
caramelle ai bambini. Certo, la mia vita era un po’ limitata
con queste
restrizioni, ma era necessarie per evitare una crisi isterica pari a
quella
della serata prima.
Forse
sarei dovuta andare da uno psicologo: forse mi avrebbe aiutato di
sicuro ad
evitare queste crisi, ma non potevo andare da uno strizzacervelli e
dirgli che
non riuscivo a dimenticare il mio ex-ragazzo vampiro. E poi non volevo
dirlo a
nessuno, non volevo parlarne: era un mio dolore personale, mio e solo mio. E proprio per
nasconderle a tutti,
ogni volta che avevo una crisi isterica mi nascondevo da qualche parte,
e il
mio ufficio mi è sempre sembrato accogliente e adatto per
contenerle e
sopportarle. Ma soprattutto era distante da LaPush, e quindi anche da
Jacob: ci
mancava solo che Jacob sapesse che soffrivo ancora per lui, come se ci fosse
bisogno di un altro motivo per farglielo odiare.
Cosa
per me impossibile: non potevo odiare
Edward.
Io
lo amavo ancora,
ma non lo ammettevo. Ma lo sapevo.
Quando
ci pensavo, ricadevo nel baratro vuoto nel quale mi aveva lasciato, e
riemergere era sempre più complicato. Ma quando riuscivo a
confinare quel
vortice di pensieri e dolore in angolo della mia mente, non ci facevo
neanche
caso a questa consapevolezza, e continuavo a vivere la mia vita
normalmente. Gran parte del merito era di Jacob, che prima
d’amico, ora da fidanzato, prossimamente da marito, riusciva
a farmi
dimenticare tutto il resto oltre e noi due. Ero innamorata di Jacob ed
ero pronta
ad essere sua moglie. Non l’ho mai preso in giro: Jacob era
la mia anima
gemella, Edward
l’amore
della mia
esistenza. Due cose tanto diverse e tanto distinte per me.
E
poi, uno mi ricambiava, mentre l’altro
mi aveva lasciata.
Sentii
la porta che si aprì.
-Oh,
signorina Swan! Già qui di prima mattina?
-Buongiorno
Diana- era la mia segretaria -Veramente ho dormito qui: ieri sera ho
fatto
tardi con l’organizzatrice e visto che mi trovavo nei paraggi
dell’ufficio, ho
preferito dormire qui sul divano della sala d’attesa che
tornarmene a Forks.
Diana
storse la bocca. –Immagino che non sia stata una notte
comodissima.
Alzai
le spalle. –Non si preoccupi Diana, ne ho viste di peggiori.
Alzò
gli occhi al cielo, e andò a sedersi sulla sua scrivania,
accendendo il
computer, controllando la mia posta e la mia agenda. La lasciai al suo
lavoro e
me ne andai nel mio ufficio, finendo di bere il mio caffè.
Diana
era una persona efficiente, lavora duramente e si impegnava nelle cose
che
faceva. L’avevo assunta proprio per queste sue
qualità e anche per la sua
disponibilità ventiquattro ore su ventiquattro: questo anche
perché si
ritrovava ad avere 45 anni senza essere sposata. Una zitella, insomma.
Mi
sedetti sulla poltrona della mia scrivania, sul quale c’erano
un computer, un
telefono, un barattolo con delle penne e matite, una cornice con una
foto di me
e Jacob, un’altra con la foto di mio padre, delle pratiche
aperte, altre chiuse,
e una pila di fogli bianchi pronti per prendere qualche appunto. Il
minimo
indispensabile: non volevo riempirla con abbellimenti inutili e
ingombranti.
Così come tutto il resto del mio ufficio: la stanza aveva
una grande finestra,
davanti alla quale c’era la mia scrivania e la mia poltrona.
Così, mi ritrovavo
ad avere alle spalle la finestra e davanti la scrivania con delle sedie
per i
clienti. Le pareti non erano decorate con una carta da parati
particolare, ma
con una neutrale tinta unita che dava sul beige, e non
c’erano quadri, se non i
miei certificati di laurea, che davano al cliente l’idea di
avere a che fare
con una persona di un livello superiore.
Anche
la sala d’attesa non era molto arredata: era molto spaziosa,
e la porta
d’ingresso dava proprio al centro della stanza, e poi di
fronte aveva la porta
del mio studio. Quando ero seduta sulla mia poltrona e la porta era
aperta,
riuscivo a vedere senza difficoltà il divano e le due
poltrone ai lati che
stavano sulla sinistra, e la scrivania di Diana che invece si trovava
dalla
parte opposta. Non riuscivo però a vedere le due porte alle
spalle della
scrivania di Diana, cioè quelle del bagno e della piccola
cucina.
Accesi
il mio portatile e chiamai subito Diana per ricordarmi gli impegni del
giorno:
due appuntamenti nella mattinata, un pranzo di lavoro con un cliente e
poi il
pomeriggio libero. Forse avrei chiamato Mel e mi sarei messa
d’accordo con lei
per un altro incontro, magari in posto che sarebbe stato facile da
raggiungere
a piedi senza bisogno che prendesse la macchina… quella
macchina…
Il
mio telefonino iniziò a squillare. Diedi
un’occhiata al display e sorrisi:
Michelle. Michelle era mia cugina, la figlia della sorella di
Renèe. Io e
Michelle eravamo legatissime e stavamo sempre insieme,
finché poi i suoi
genitori sono morti in una rapina ad una banca, e i servizi sociali
l’hanno affidata
ad una famiglia in Australia. Quindi abbiamo perso un po’ i
contatti, ma
comunque ci sentivamo a Natale, Pasqua, compleanni e roba simile. E
certamente,
non potevo non invitarla al mio matrimonio.
-Ciao
Michelle! Dove sei?
-Ciao
Bella! Sono all’aeroporto. Tra dieci minuti prendo
l’aereo e arrivo a Seattle
per il pomeriggio. Ci vediamo all’aeroporto alle 5?
Addio
al mio pomeriggio libero. –Si, va bene.
-Perfetto!
Non ci posso credere che la mia cuginetta si sta per sposare! Non vedo
l’ora di
conoscere Jacob!
Sorrisi.
–Sono sicura che ti piacerà.
-Ora
è meglio che vada: hanno chiamato il mio volo e non voglio
perderlo. Ci vediamo
dopo! Un bacio!- e chiuse la comunicazione.
Sospirai
e tornai al mio lavoro. Andai a controllare la mia posta elettronica, e
tra
varie e-mail pubblicitarie, trovai un’e-mail di mia madre. La
aprii subito,
curiosa e ansiosa. Ma invece della gioia, al suo posto c’era
solo la delusione:
Tesoro che bella notizia!
Sono contenta che ti
sposi! Mi piacerebbe tanto essere presente al matrimonio della mia
bambina, ma
ci troviamo in Nuova Zelanda, e Phil è all’inizio
del campionato. Mi dispiace
tanto. Io e Phil ti facciamo gli auguri. E anche Tom. Devi vedere come
sta
crescendo: l’altro giorno gli abbiamo fatto una festa per i
suoi 3 anni. Ti
invio qualche foto così puoi vedere da te
com’è il tuo fratellino. Nella prima
si vede lui che…
E
l’e-mail continuava così per almeno altre centinai
di righe, in cui descriveva
particolare per particolare le foto del mio fratellastro. Non ci potevo
credere:
mia
madre
aveva sprecato 3 righe per
il mio matrimonio, il matrimonio di sua
figlia,
e 400 righe per il compleanno del suo nuovo figlio, di cui mi aveva anche
inviato 4 foto
nell’allegato. Per mia madre non contavo più,
ormai si era dimenticata di me,
della sua
bambina.
Cacciai
dentro le lacrime: piangere non mi sarebbe servito a niente. Ma non
potevo
ignorare il fatto che al mio matrimonio non ci sarebbe stato nessuno
della mia
famiglia.
Fortunatamente avevo
Michelle. E anche Jacob. Non ero sola.
-Allora,
parlami un po’ di questa tua cugina…- mi chiese
Jacob, mentre aspettavamo che
l’aereo di Michelle atterrasse.
-Mmm…
è simpatica, carina, estroversa, sicura di se, atletica,
socievole…
-Insomma
il tuo esatto contrario.
Alzai
le spalle. –Più o meno… lei era sempre
perfetta in tutto, e io ero quella che
le stava dietro.
-Ah,
capisco: quindi sei gelosa?
-No,
questo no…- o forse si? –E poi lei
stava sempre con me e non mi faceva mai pesare il fatto che lei era
migliore di
me… io le voglio bene come ad una sorella e lei ne vuole a
me.
Poi
ci fu l’annuncio dell’atterraggio del volo di
Michelle. E poi vedemmo una
ragazza sui venticinque anni, alta e magra, bionda e abbronzata, con
uno zaino
in spalla e una valigia in mano, che veniva verso di noi.
-Bella!-
e mi abbracciò, lasciando cadere il suo bagaglio.
-Michelle!-
ricambiai l’abbraccio: erano anni che non riabbracciavo la
mia cuginetta. Era
così bello poterla riabbracciare, sentire la sua risata.
Erano passati 13 anni
dal’ultima volta che ci eravamo viste, dall’ultima
volta che mi ero confidata
con lei, dall’ultima volta che avevamo giocato e scherzato
insieme. Era sempre
stata la mia migliore amica e la mia sorella gemella. Anche se sapevo
benissimo
che lei era migliore di me in tutto, non riuscivo a non volerle bene.
Anche se
a volte ero stata gelosa di lei.
Michelle
si staccò da me. -È così bello
rivederti dopo tanto tempo. Non sei cambiata per
niente!
-Neanche
tu!- io ero sempre la solita ragazza goffa e impacciata, lei la ragazza
super
atletica e spigliata –Michelle, ti presento Jacob, il mio
futuro marito.
Lei
diede un’occhiata a Jacob. –Complimenti Bella! Te
lo sei scelto proprio carino!
Piacere io sono Michelle, la cugina di Bella- e gli porse la mano.
Jacob
era rimasto a fissarla, e non distoglieva lo sguardo dai suoi occhi.
Michelle
lo guardava con aria interrogativa. –Jacob
c’è qualcosa che non va?
Anch’io
non riuscivo a capire, ma poi osservai meglio la sua espressione:
sembrava un cieco
che vedeva il sole per la prima volta.
No…no…no…
i
miei occhi iniziarono a
riempirsi di lacrime, il mio piccolo mondo iniziò a
frantumarsi, le mie gambe
stavano per cedere. –No Jacob, no… ti prego, dimmi
che non è vero… dimmi che
non è vero…
Jacob
si rivolse verso di me, con uno sguardo pieno di dolore.
–Bella, io…
Le
lacrime iniziarono a scendermi lente sul viso. No…non di
nuovo…
Michelle
non capiva niente. –Bella che cos’hai?
Perché hai iniziato a piangere?
Le rivolsi
uno sguardo furioso. In fin dei conti avrei dovuto immaginarlo: chi
poteva aver
l’impriting con Jacob se non la mia perfetta e bella cugina?
Che è l’esatto
contrario di me?
Che è meglio di me in tutto?
-Perché?
Tu mi chiedi perché? Perché tu sei sempre stata
migliore di me. Perché lo sei
ancora. E perché lo sarai ancora e ancora.
Michelle
rimase spiazzata. Non riuscivo più a trovare un minimo di
sentimento benevolo
verso di lei: tutto il veleno che ho provato verso di lei, mi stava
uscendo
spontaneamente dalla bocca.
Tutto
questo era accaduto in due secondi…
in due
orribili secondi….
come
10 anni fa…
-Bella,
aspetta,- mi disse Jacob tenendomi un mano sulla spalla
–forse possiamo
risolvere la cosa…
-Certo:
tu spiegherai la faccenda a Michelle, vivrete felici e io me ne
andrò. Non ti
preoccupare per me Jake, in fondo ci sono già passata, no?
Sicuramente riuscirò
a superarlo, visto che non ti ho mai amato come ho amato…
come amo
Edward.
Jacob
ritrasse la mano e rimase pietrificato.
-È
meglio se non ci vediamo più, credimi…- gli dissi
più fredda che mai.
Inizia
a correre, a scappare, ad andare via da
lì.
In
macchina, in viaggio verso una meta indefinita, iniziai a piangere, a
piangere
senza inutili tentativi di fermare le lacrime. Un altro rifiuto, un altro
rifiuto… Riuscirò
a farcela
questa volta? La risposta la sapevo forte e chiara:
SI. Avevo trovato anche
il coraggio di dirlo a Jacob: io non
l’avrei mai amato nel modo in cui amavo Edward… due cose
distinte… una che
vale più dell’altra… e poi comunque, avevo
sempre saputo anche questo: che
prima o poi Jacob avrebbe avuto l’impriting con
un’altra ragazza. Ma non doveva essere mia cugina,
non quella mia cugina, che amavo
tanto
nonostante tutto, ma che adesso odiavo dal più profondo del
mio cuore, sia per
il presente sia per il passato. Respirai profondamente: ormai non
potevo più
farci niente.
Ma il
fatto per cui io continuavo a piangere non era il rifiuto, ma
l’abbandono, un nuovo abbandono,
definitivo.
Un abbandono perché io non ero
perfetta. Tutte le persone che amavano mi avevano abbandonato
perché non ero perfetta, perché non
andavo bene,
perché
non piacevo abbastanza…
Adesso
sul serio non
avevo più nessuno: mio
padre era morto, mia madre si era dimenticata di me, i miei vecchi
amici del
liceo mi avevano tutti lasciato perdere dopo che avevo iniziato a
frequentare
LaPush, Jacob aveva avuto il suo impriting, l’unico membro
della mia famiglia
con cui ero rimasta in contatto aveva causato proprio
l’impriting, e tutti gli
amici del branco di Jacob avrebbero sicuramente preso le sue parti.
E il
mio unico e vero amore, l’amore
della mia
esistenza,
mi aveva abbandonato dieci anni prima e io continuavo ancora a
soffrirci.
Chi
mi era rimasto? Nessuno.
Ancora
una volta, stavolta definitivamente ero rimasta sola.
Sempre e solo io.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
allora, questo
capitolo a mio modesto parere è penoso....
ma serve per andare
avanti con la storia!! =P
Comunque, cosa fara la
nostra Bella ora che è rimasta sola e senza nessuno??? Il
ricordo dell'abbandono di Edward tornerà a tormentarla???
Tutto questo nella
prossima puntata....!!
Un bacio....
|
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Capitolo 3 *** 3. Un male bellissimo ***
Salve
a tutti!!!
Prima di tutto, vorrei
augurare a tutte le coppie un
felice San Valentino!!!
=D
Poi, vorrei
ringraziare:
samy93: sono molto contenta che la
storia ti stia piacendo....grazie mille!!! =D
wbloom: già, dispiace anche
a me un po' per Bella...per quanto riguarda Edward, non ti anticipo
nulla!!! XD XP
franci_cullen: e io che pensavo di aver fatto
un capitolo penoso ^_^'''.....spero che questo nuovo ti piaccia!!!
francef80: ti ringrazio molto e spero che
continuerai a leggere la mia storia.....^_^
annuxiaaa: ti ringrazio per avermi
aggiunta tra i preferiti.....spero sul serio di non deluderti!!! =D
flydreamer: beh....non posso dirti se
Bella rimarrà sola ancora a lungo....ma posso sperare che
questo nuovo capitolo ti piaccia!!! ^_^
e ringrazio anche: 0207pantera, amimy, annuxiaaa, aquizziana, bellemorte86, Benjamina, debblovers, federob, francef80, Lovely_Dayi, Princesseelisil, Razorbladekisses, the
forgotten dreamer,
wbloom
per aver aggiunto
questa storia tra i loro preferiti....
Bene, adesso
ricapitoliamo la nostra storia....
eravamo arrivati
quando Michelle, la cugina di Bella, aveva avuto l'impriting con
Jacob...
vediamo ora cosa
succederà alla nostra begnamata Isabella Swan....
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
3.
Un male bellissimo
-Ma
che vuol dire che è tutto annullato?- mi chiese Mel al
telefono.
-Il
matrimonio è stato annullato. Io e Jacob
abbiamo…- come potevo spiegarlo ad una
comune mortale? -…abbiamo capito di non essere fatti
l’una per l’altro.
-Uh
che peccato, mi dispiace tanto. Va bene, se doveste cambiare idea il
mio numero
ce l’hai.
-Certo,
non ti preoccupare.
-Ok.
Ciao ciao- e chiuse la conversazione.
Abbandonai
la testa sul divano, allungandomi completamente e lasciai il mio
cellulare per
terra. Chiusi gli occhi e cercai di non pensare a niente, il che era
impossibile: c’erano troppi pensieri, troppe immagini, troppi
ricordi… e tutti
dolorosi…
Ma
nonostante ciò, non avevo ricominciato a piangere, non avevo
avuto una crisi
isterica, e soprattutto, la sua immagine
non era nella mia testa. Non lo considerai come una sorta di segno,
piuttosto
pensai come se lui avesse capito
che
stavo soffrendo e non voleva farmi soffrire ancora di più.
Si lo
so, ero patetica.
Il
cellulare iniziò a squillare. Irritata per questa
interruzione, allungai la
mano e presi il telefonino. Guardai il display: ancora Michelle. Con
tutta la
rabbia e l’ira che avevo in corpo, lanciai il telefonino
contro la parete di
fronte al divano, che si ruppe in tanti pezzi. Era la quinta volta che
provava
a chiamarmi dopo che me ne ero andata dall’aeroporto:
probabilmente Jacob le
aveva raccontato tutto, dell’impriting, dei licantropi, dei
“freddi”… chissà se
le aveva raccontato anche di Edward…
e ora voleva parlare con me.
Ma parlare di
cosa?
Di cosa c’era bisogno di
parlare? La cosa era molto semplice: lei doveva
stare con Jacob, mentre io dovevo rimanere
da sola. In fin dei conti, lei era la migliore.
Ma
adesso basta stare a pensarci su, bisognava reagire. Primo, bere un bel
caffè
per risvegliarsi dal quel torpore post-lacrime e per cancellare
l’ira. Secondo,
sarebbe stato salutare dedicarsi un po’ al mio lavoro, per
distrarmi da vari
pensieri. Terzo, andare su internet e comprarsi un nuovo telefonino con
un
nuovo numero. Quarto, cercare una nuova città dove vivere e
dove lavorare.
Cambiare
città era fondamentale: Jacob e Mich… loro
sapevano dov’era il mio studio, e sapevano anche
qual’era l’appartamento
che avevo già acquistato per metà. Quindi
rimanere a Seattle era fuori
discussione. Inoltre, volevo proprio cambiare zona, se non stato: erano
successe troppe cose che ancora mi facevano male in quella zona della
penisola
di Olimpia, nello stato di Washington. Avevo in mente delle
città caotiche tipo
New York o Los Angeles: il caos sarebbe stato l’ideale per
farmi dimenticare.
Ma andavano bene anche altre cittadine più calme,
purché siano zone molto
soleggiate…
Lo
squillo del citofono mi fece saltare, facendo cadere qualche goccia di
caffè
sul pavimento della cucina. Presi un panno umido e pulii subito il
pavimento, lasciando
il citofono a squillare per la seconda e terza volta, con la mia
irritazione
che cresceva sempre di più. Poi andai a rispondere.
-Si?
-Scusi
signorina Swan. Sono Carl Parks. Non so se mi conosce, ma sono
l’uomo che ha
acquistato la sua casa a Forks.
-Ah.
Posso fare qualcosa per lei?
-Ehm
veramente sono io che ho fatto qualcosa per lei, in certo senso. Se
cortesemente può scendere un attimo, così le
spiego meglio la situazione.
-Ok,
scendo- e riagganciai la cornetta al suo posto sulla parete.
Presi
le chiavi dell’ufficio e uscii, optando per
l’ascensore che per le scale. Nella
cabina pensai a cosa mai volesse quell’uomo da me.
Probabilmente doveva essere
successo qualcosa che aveva a che fare con la casa: strano
però, mi ero messa
in regola su vari certificati ed atti di vendita, non avevo trascurato
niente.
Cavolo, ero un avvocato, potevo mai dimenticarmi qualche scartoffia
burocratica? …sono io che ho fatto
qualcosa per lei, in un certo senso…, che diamine
vorrà mai dire? L’unica
cosa da fare era andarlo a scoprire: aprii le porte
dell’ascensore e andai
verso il portone.
Carl
Parks era un uomo sulla quarantina, alto, corporatura robusta, capelli
corti.
Dava l’idea di un giocatore di rugby, e forse lo era proprio,
anche perché
indossava una tuta. Chissà perché un tizio del
genere aveva comprato la vecchia
casa di Charlie a Forks. Per terra vicino a lui, c’era una
scatola.
-Salve
signor Parks- e gli porsi la mano.
-Buongiorno
signorina- e me la strinse.
-Allora,
c’è qualche problema con i contratti di vendita?
-No
no, assolutamente no. È solo che sto facendo ristrutturare
la casa. Volevo
riverniciare le pareti e fare qualche modifica alla struttura:
allargare
qualche stanza, buttare giù qualche parete, insomma cose
così…
Trasalii
solo un po’: in fin dei conti la casa ormai era la sua e
poteva farci quello
che voleva. Non dovevo sentirmi sconvolta perché la casa di
mio padre nella
quale avevo passato momenti belli e brutti, adesso stava per essere
modificata:
l’avevo venduta proprio per dimenticare e smantellarla
sarebbe stata proprio
una bella idea. Eppure mi sentii stranamente male pensare che quella
casa, così
come l’aveva sempre tenuta Charlie, adesso stava per cambiare
radicalmente.
-Beh,
sono contenta che si sia subito messo al lavoro,- sorridendo per
sembrare
convincente –ma questo cosa centra con me?
-Ecco,
mentre stavamo levando le assi del pavimento nelle stanze…
sa, voglio mettere
della moquette… e abbiamo trovato delle cose.
Inarcai
le sopracciglia. –Delle cose? Ma che cose? Quando ho fatto il
trasloco
definitivo ho portato via tutto… e poi non mi sembra di aver
mai messo niente
sotto le assi del pavimento…
Carl
sorrise. –Chissà, forse stavano lì
sotto già da prima che la casa fosse sua.
Comunque, io non ci facevo niente e avevo anche intenzione di buttarle,
ma poi
ho pensato che fossero sue così sono venuto a portargliele-
ed indicò la
scatola –Ma se non sono neanche le sue, penso che buttarle
sia la scelta
migliore.
Forse
è roba che Charlie aveva nascosto. –Me le dia lo
stesso: voglio prima dargli
un’occhiata. Se non dovessi trovare niente, ci
penserò io a buttarle. Grazie
per il disturbo.
-Si
figuri. Adesso è meglio che torni: ho un appuntamento con
l’architetto. È stato
un piacere- e mi porse di nuovo la mano.
-Anche
per me- e la strinsi –In bocca al lu… buona
fortuna per i lavori!
-Grazie-
e si avviò verso il suo furgoncino.
Guardai
la scatola: una comunissima scatola per scarpe. La sollevai: non
pensava molto.
La agitai e sentii qualcosa muoversi. Mentre aspettavo
l’ascensore cercavo di
resistere alla tentazione di aprire la scatola, ma mi ero ripromessa
che
l’avrei aperta su in ufficio. Nella cabina però,
la mia curiosità ebbe la
meglio e aprii la scatola: c’erano solo due biglietti aerei,
un CD e tre foto.
Le
mie gambe cedettero e finii seduta sul pavimento
dell’ascensore, mentre non
smettevo di guardare il contenuto della scatola, ma soprattutto una
delle tre
foto: era una foto di Edward Cullen.
Pelle
bianchissima, capelli castano ramato, occhiaie marcate, occhi dorati. E
il
fattore più importante: bellezza soprannaturale. Edward
Cullen. Edward Cullen.
Si
era fatta sera, e io non riuscivo a smettere di fissare
quell’immagine, quella
foto scattata più di 10 anni fa nella cucina di casa mia.
Ero seduta per terra,
in ginocchio, con le braccia sul divano che non facevano altro che
accarezzare
quell’immagine, e le lacrime che scendevano piano, mute,
bagnando la mia
camicia. La scatola si trovava a terra sotto il divano,con dentro
ancora i
biglietti aerei che ricevetti in regalo da Carlisle e Esme per il mio
diciottesimo compleanno che dovevano servire per andare a trovare mia
madre in
Florida insieme ad Edward, e le altre due foto. Mentre il CD si trovava
nel mio
computer e non faceva altro che riprodurre la ninna nanna…
la mia ninna nanna…
Mi
stavo facendo del male. Lo sapevo. Ma era
così dolce quel male: sentire le note che lui
aveva composto per me e
vedere il suo bellissimo viso, dopo 10 anni di sola immaginazione, era bellissimo.
Un male
bellissimo.
Naturalmente,
quando poi ero riuscita ad uscire dall’ascensore ed ero
entrata nel mio
ufficio, la prima cosa che avevo fatto era subito vedere il resto del
contenuto
della scatola: ero rimasta di sasso quando avevo visto che erano tutti
i regali
che avevo ricevuto per il mio diciottesimo compleanno, quei regali che
erano
spariti dopo che era sparito anche lui.
Sarà
come se non fossi mai
esistito…
E poi
era arrivata, la crisi isterica, forte e orribile come mai prima
d’ora: iniziò
contemporaneamente a quando partì la prima nota della prima
canzone, la mia ninna nanna. Non ne
avevo mai
avuta una simile prima: mi ero messa ad urlare fino ad esaurire la
voce, a
piangere talmente forte che non riuscivo neanche a respirare, a
sbattere i
pugni sul pavimento fino a farli diventare rossi e indolenziti, a
prendere
tutto quello che mi capitava tra le mani e a lanciarlo contro il muro,
a
spaccare gli specchi del bagno facendo sanguinare le mani.
Ed
infatti era a quel punto che ero svenuta, per poi rinvenire dopo un
po’, con
ancora la testa che mi girava. Mi ero subito lavata le mani e il
pavimento per
evitare che l’odore del sangue mi desse ancora fastidio. Poi
avevo del tutto
ignorato i danni che avevo provocato nel mio ufficio ed ero andata a
sentire di
nuovo il CD e a vedere la foto ancora. E
ancora, ancora, ancora….
Guardavo
solo quella foto, le altre mi facevano più male di quella:
una ritraeva Edward
e mio padre intenti a guardare la tv, mentre l’altra me ed
Edward vicini.
Nella
prima mi faceva già star male guardare il mio papà
che guardava tranquillo la tv, con
quell’espressione
completamente assorta dal notiziario sportivo, ma si notava benissimo
la sua
postura tesa per via della presenza di Edward. E
lui, era così rilassato, comodo, e beato sulla
poltrona del mio
ex salotto, con lo sguardo posato sulla schermo, ma la mente da
tutt’altra
parte, e la cosa più incredibile era che assomigliava ad uno
dei quei quadri
del Rinascimento italiano; ma la cosa che mi faceva male era vedere la
sua
espressione fredda, circospetta,
riservata, la sua espressione che era cambiata quando aveva
capito che io
non ero la ragazza giusta per lui e stava già pensando
di…. di lasciarmi.
E
l’ultima era quella che più mi faceva capire il perché lui se ne era andato e
mi aveva lasciato: io ero affianco a
lui, ed era come mettere a confronto una statua greca con una statuetta
fatta
con il pongo da un bambino dell’asilo, diverse,
troppo diverse. Una migliore dell’altra: lui era
così… perfetto
in quella posa rigida ma sciolta, anche se aveva quello
sguardo, mentre io riuscivo ad apparire goffa e anonima anche stando
ferma ed
impalata. Eravamo troppo diversi.
Ma
poteva benissimo cambiarmi. Perché non l’ha fatto?
Semplice: non voleva passare
l’eternità con una come
me. Forse non era solo perché
ero
umana il motivo per cui mi ha lasciata, forse non
gli sono mai piaciuta… forse ero stata solo un
giocattolo per
lui…
...basta poco per
trovare una
distrazione,
mi
aveva detto l’ultima volta. E chi mi dice che non ero stata io una di quelle distrazioni?
E
allora perché conservare tutte queste cose invece di
distruggerle? Se doveva
essere come se lui non fosse mai esistito, la cosa migliore non era
certo
metterle sotto le assi del mio pavimento… e
allora perché?
Ricacciai
quelle due foto velenose dentro la scatola, e mi sdraiai sul divano con
la foto
di Edward accanto e le sua ninna nanna nelle orecchie: mi sarebbe
piaciuto
tanto rivederlo, anche se lui non mi voleva… rivederlo
solo una volta… solo per un capriccio…
Mi
misi seduta di scatto: ma certo rivederlo.
Poteva essere una soluzione: giusto il tempo di vederlo un secondo, e
poi me ne
sarei tornata alla mia vita, ma con almeno un briciolo in
più di coraggio e
forza, giusto per aiutarmi a riprendermi da quello che ho passato
ultimamente…
No, no e NO. Sarebbe stata una cosa
impossibile da digerire: tutta quella perfezione che mi disprezzava, che non mi voleva…
Diedi
un violento pugno sullo schienale del divano: non dovevo comportarmi
così,
dovevo essere forte e soprattutto dovevo riuscire a dimenticarlo. Se
l’avessi
visto, forse avrei avuto la forza giusta per riuscire a superare il suo
rifiuto
e a farmi più coraggio. Col tempo ero diventata
più forte, più sicura di me e
meno impacciata. Il mio unico punto debole era il dolore,
non solo del rifiuto di Edward ma anche di tutto
quello che mi era
successo ultimamente.
Se fossi riuscita a superare l’addio di Edward sarei riuscita
a superare tutto
il resto. E per fare ciò l’unica situazione era rivederlo.
Si,
si… lo farò…
Sarà
difficile capire dove si sono trasferiti i Cullens, ma non diranno di
no ad “un
avvocato che cerca informazioni per un caso”. Sorrisi
soddisfatta: domani avrei
iniziato le ricerche.
Anche
se lui non mi avrebbe voluto vedere, a me
serviva, e l’avrei trovato ad ogni costo.
In me
stava lentamente rinascendo la speranza che sarei potuta uscire
incolume da
quel vortice di dolore.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Secondo voi, ce la
farà Bella a trovare Edward e a superare il bruttissimo
periodo che sta passando ora???
Ma soprattutto,
capirà il vero motivo per cui Edward ha lasciato tutti i
suoi regali sotto le assi del pavimento????
Un bacio a presto....!
|
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Capitolo 4 *** 4. Il dottor Carlisle Cullen e la signora Esme Cullen ***
Ciao ciao!!!!
Come state miei
appassionati lettori??? Spero bene....
cullengirl: sono contenta che la storia ti
piaccia..... e cmq, me nn dice nulla!!!! =P=P=P
franci_cullen: certo non diranno no ad un
avvocato....XD grazie per la recensione ^__^
Astarte92: già, in questa ff
Bella soffrirà parecchio....+__+ me malefica!! cmq ti
ringrazio per avermi aggiunta tra i preferiti
flydreamer: sono contenta che la storia ti
stia piacendo e spero di non deluderti con questo nuovo capitolo ^___^
Razorbladekisses: spero di saziare la tua
curiosità con questo nuovo capitolo ^__^
Miryta: XDXDXDXDXD è stato
"emozionante" leggere le tue emozioni sui capitoli precedenti....e cmq
x qnt ringuarda il problema dell'età, Bella in fin dei conti
ha solo 28 anni...non sono poi tanti....
Shadowin: ti ringrazio molto tesoro
della tua recensione....era anche un bel po' che non ci sentivamo
sull'altra ff...=P spero che ti piaccia anche questo capitolo...
e naturalmente, un
grazie alle 20
persone che hanno messo questa ff tra le loro preferite....
ora, passiamo alla
storia...
avevamo lasciato al
nostra Bella alla decisione di partire alla ricerca di Edward....
e diciamo che ci
è andata molto vicino....
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
4.
Il dottor Carlisle Cullen e la signora Esme Cullen
L'aereo sta per
atterrare. Pregiamo i signori
passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza e di rimanere al
proprio
posto.
Allacciai
con cura la cintura e ispirai forte, appoggiando la testa sul sedile e
chiudendo gli occhi. Non volevo pensare a quello che stavo facendo:
stavo
andando a rivedere i Cullen, la
famiglia di cui un tempo avrei voluto far parte.
Trovare
il luogo dove si erano trasferiti non fu una cosa semplice: prima di
tutto ero
andata all’ospedale di Forks, chiedendo informazioni riguardo
un certo dottor
Carlisle Cullen, che 10 anni fa aveva lavorato là come
medico. Il direttore, un
uomo sulla quarantina dai capelli brizzolati, se lo ricordava ancora:
aveva
appena iniziato a lavorare in quell’ospedale come medico del
pronto soccorso, e
non poteva certo scordarsi del medico più brillante e
affascinante
dell’ospedale. Mi disse che 10 anni fa lasciò
l’ospedale in fretta e furia, per
trasferirsi insieme alla sua famiglia a Los Angeles, perché
aveva ricevuto
un’offerta migliore da un altro ospedale.
Los Angeles. Non era certamente
la città più
adatta se fai parte di una famiglia di vampiri immortali e se vuoi
passare
inosservato. No, non poteva essere.
Infatti, per confermare la mia teoria, quando avevo fatto una rapida
ricerca
sui medici più brillanti di Los Angeles, non mi era uscito
il nome Carlisle
Cullen. Così avevo dovuto ricominciare da capo con le
ricerche. Avevo provato
anche digitando su Google “dottor Carlisle Cullen”,
ma non mi era uscito fuori
niente. Ma dovevo aspettarmelo: se ogni volta dovevano sparire dalla
circolazione
per poi iniziare una nuova vita da tutt’altra parte, dovevano
essere
attentissimi a non lasciare nessuna traccia.
Quando
stavo per lasciar perdere mi era venuto in mente una cosa che mi aveva
detto
Edward: “…l’unica
famiglia simile alla
nostra che conosciamo è in Alaska. Per un certo periodo
abbiamo vissuto insieme
a loro…” . Il Clan di Denali.
Forse erano tornati dai loro amici vampiri
vegetariani. Era una possibilità… Avevo
confermato la mia ipotesi cercando il
nome di Carlisle Cullen tra quello di tutti i medici
dell’Alaska ed ero esposa
in un urlo di gioia quando lo avevo trovato.
Scesi
dall’aereo e salii su un taxi, dirigendomi verso il mio
hotel. Avevo detto a
Diana di cancellare tutti i miei appuntamenti per il prossimo mese, e
di
chiudere lo studio per “motivi personali”.
Chissà cosa avrebbero pensato i miei
clienti: probabilmente mi avrebbero creduto una persona di cui non
bisogna
fidarsi e avrebbero contattato un altro avvocato. Peccato.
Chissà
cosa avrebbero pensato Jacob e Michelle…
scacciai quel pensiero: ormai loro
erano una storia vecchia, non me ne
importava più niente.
Arrivata
nella mia stanza, posai il mio portatile sul tavolo e la mia valigia
nell’armadio senza disfarla: non avevo la minima intenzione
di fermarmi a
lungo, giusto il tempo di vederlo un attimo… a me bastava anche se
non ci saremmo parlati…
Il
solo pensiero che l’indomani l’avrei rivisto mi
fece sentire felice come mai
prima d’ora: il solo pensiero di rivedere il
suo corpo, il suo viso, i suoi capelli castano ramato, i suoi occhi
dorati,
mi fece sorridere involontariamente e mi fece sentire contenta e
rassicurata.
Mi sdraiai sul letto a pancia in su: si, vederlo mi avrebbe proprio
fatto bene.
Ma non sapevo cosa sarebbe successo dopo: dopo che
l’avrò rivisto, avrei sofferto di
nuovo? Sarei stata
capace di andarmene? O sarei rimasta qui? Tante domande, troppi
dubbi.
Presi il cuscino e mi ci coprii gli occhi: basta agitazione, basta
paura. A
me serviva.
L’unica
cosa che mi preoccupava un po’ di più era la
sua reazione:
come si sarebbe comportato quando mi avrebbe rivisto? Mi
avrebbe respinto brutalmente? Mi avrebbe cacciata via? No. Edward non avrebbe
mai trattato una persona in quel modo. Molto
probabilmente mi avrebbe parlato di nuovo cercando di capire il
perché io mi
fossi rifatta viva dopo 10 anni. E io gli avrei anche chiesto il
perché delle
foto,del CD e delle altre cose nascoste sotto le assi del pavimento di
casa
mia. E poi ci saremmo salutati di nuovo e ognuno avrebbe continuato al
propria
vita. Forse.
La
cosa più bella del mondo sarebbe stata che lui mi avrebbe chiesto di
tornare insieme,
ma sapevo benissimo che era impossibile. Ma la speranza
è l’ultima a
morire.
Naturalmente
non passai una nottata tranquilla: non riuscivo a prendere un sonno
tranquillo
e mi svegliavo di continuo in preda ad incubi frequenti, anzi ad un incubo: io che non riuscivo a
rivederlo.
Era sempre lo stesso: io che mi
trovavo davanti la famiglia Cullen, Carlisle e Esme abbracciati, Emmett
e
Rosalie uno affianco all’altra, Jasper con davanti Alice, che
mi fissano, neutri.
Ma
lui non c’era. E nonostante io
continuassi ad urlare il suo nome, a chiedere dove fosse, nessuno mi rispondeva,
nessuno mi dava una risposta.
La
mattina mi alzai presto: un po’ per mancanza di sonno e un
po’ per agitazione.
Indossai un paio di jeans e una felpa rosa, e poi scesi a fare
colazione.
Chiesi informazioni al direttore, dicendogli che dovevo andare
all’ospedale per
trovare una mia zia malata, e lui mi disse che l’ospedale si
trovava
leggermente fuori città, e che potevo benissimo raggiungerlo
o con un taxi o
con trenta minuti di cammino. Nonostante il freddo, optai per andare a
piedi:
mi sarei schiarita meglio le idee, anche se già lo erano
abbastanza.
Entrando
nell’ospedale fui accolta dal solito odore di medicinale e
dal vociare di sottofondo
di pazienti e dottori. In quel momento fui presa dal panico: cos’avrei
detto a Carlisle? Come mi sarei dovuta
comportare? Cosa mi avrebbe detto lui? Scossi la testa: tutte quelle
paure e
preoccupazioni erano inutili. Il resto dei Cullen non aveva niente di
male
contro di me. Al massimo Carlisle non mi avrebbe rivolto parola, e a
quel punto
avrei capito che neanche Edward voleva parlarmi.
Andai
da un’infermiera che stava all’entrata
dell’ospedale.
-Mi
scusi. Stavo cercando il dottor Carlisle Cullen- chiesi educatamente.
L’infermiera
mi sorrise e guardò sul computer davanti a sé.
–Si, certo. Dovrebbe essere… no,
eccolo lì!- e mi indicò un angolo della sala
d’ingresso.
C’erano
due infermieri con entrambi in mano delle cartelle cliniche e stavano
parlando con
un dottore, il
dottor Carlisle Cullen. Naturalmente
era uguale a 10 anni fa: giovane, biondo, pallido, occhi dorati,
occhiaie
marcate e bello come un divo del cinema. Carlisle, il capofamiglia dei
Cullen.
Fu stranamente emozionante rivederlo dopo 10 anni, provai una strana
sensazione
di sicurezza e la mia bocca si curvò automaticamente in un
sorriso
involontario. Abbandonando ogni preoccupazione, mi incamminai verso il
dottore,
che aveva appena finito di parlare con i due infermieri.
Avevo
percorso metà dello spazio che ci divideva quando lui si
voltò dalla mia parte
e incrociò il mio sguardo: era un misto di sorpresa, gioia e
confusione.
-Bella…-
mormorò e mi venne incontro abbracciandomi.
Quel
contatto fisico mi commosse un po’: nonostante tutto, gli volevo ancora bene.
-Carlisle,
che bello rivederti- gli dissi, quando ci separammo
dall’abbraccio.
-Ti
trovo bene… ma come mai sei qui? Ti sei trasferita in Alaska?
-No,
sono venuta qui per un motivo in particolare. Vi stavo
cercando…
Carlisle
si fece pensieroso. –E perché mai?
Abbassai
lo sguardo. –Beh… vorrei rivedere
Edward…- e gli spiegai per sommi capi cosa era successo alla
mia vita dopo che
se ne erano andati.
-…e
quindi lo vorrei rivedere solo per un minuto, solo un
momento…- avrei voluto
dirgli perché mi serviva, ma avevo
già confessato troppe debolezze.
Carlisle
scosse la testa. –Glielo avevamo detto che… lo sai
che tecnicamente lui ci ha
vietato di interferire con la tua vita?
L’avevo
messo in considerazione, ma la batosta fu comunque difficile da
sopportare.
–Sono stata io quella che è venuta a cercarvi, la
colpa non è vostra. E
comunque anche se lui non vuole più vedermi, anche se non
vuole più sentire il
mio nome, anche se vi ha vietato di parlarvi…- era
così difficile e doloroso da dire –Io
lo devo vedere.
L’espressione
stupefatta di Carlisle mi sorprese. –Bella, credo che tu
abbia capito male.
-Cosa?-
chiesi ancora più sorpresa.
-Ecco
vedi…- ma si sentì uno squillo che proveniva dal
suo cercapersone –Scusami
Bella, ma hanno bisogno di me. Può spiegarti tutto Esme: si
trova in una
piccola casetta fuori città. Tieni ecco
l’inidirizzo, l’avvertirò io del tuo
arrivo- e mi porse un foglietto –Ti spiegherà
tutto lei. Ci sono delle cose che
non sai, ma penso che ora sia il momento che tu ne venga a conoscenza.
È stato
bello rivederti, Bella. Spero che l’occasione si
ripresenterà anche in futuro-
mi sorrise e se ne andò verso un corridoio, lasciandomi con
un foglietto in
mano e la testa piena di dubbi.
Questa
volta presi un taxi, che mi portò ad una casetta fuori
città: era una semplice
casa rettangolare a due piani, con davanti la porta e due finestre in
alto, le
pareti di un giallo molto chiaro e il tetto fatto con tegole rosse.
Sembrava
una di quelle casette delle favole e fu proprio questo che mi sorprese:
non era
una casa da
Cullen.
Scesi
dal taxi e percorsi il vialetto che conduceva alla porta. Non mi
bastò neanche
suonare il campanello che la porta si aprì e mi trovai
davanti una figura
esile, minuta, con i capelli soffici color caramello, che mi fissava
con uno
sguardo pieno di gioia e commozione. Esme
Cullen.
-Oh
Bella…- e mi abbracciò.
Risposi
all’abbraccio. –Esme…- le avevo voluto
bene…. le volevo bene come se fosse una mia
seconda madre. E nella
situazione in cui ero trovai in quell’abbraccio tutto
ciò che Renèe non mi
aveva più dato dopo la nascita di Tom: sicurezza,
rassicurazione, dolcezza,
pace… amore.
-Oh
Bella, sono così contenta di vederti. Ma vieni, entra- e mi
fece strada
attraverso la porta d’ingresso.
L’interno
della casetta non era molto diverso da come me lo ero immaginato:
l’entrata
dava su un’ampia stanza, decorata con quadri che mi
sembravano famigliari
(probabilmente stavano anche nella vecchia casa a Forks) e due grandi
divani di
pelle bianchi ai lati della stanza. In corrispondenza della porta
d’entrata,
c’era un caminetto, sopra il quale c’era un
televisore al plasma, e ai lati del
caminetto c’erano due aperture, una che dava sulla cucina,
linda e pinta solo
per un fattore puramente estetico, e l’altra occupata da una
rampa di scale di
legno finemente decorata che portava al piano superiore.
Mi
accomodai su uno dei due divani e Esme si sedette vicino a me.
-Scusami
se non ti offro niente, ma ho saputo del tuo arrivo solo dieci minuti
fa quando
mi ha chiamato Carlisle.
Sorrisi.
–Non ti preoccupare, figurati. Ma perché non
sapevi del mio arrivo? Alice non
mi ha vista arrivare?- pronunciare il suo nome fu strano: desideravo vedere
anche lei, ma avevo anche paura della sua
reazione. Piuttosto mi chiedevano dove fossero tutti gli altri
componenti della
famiglia: forse erano di sopra, o forse erano anche andati a caccia.
Forse
c’entrava qualcosa con i dubbi che mi aveva lasciato
Carlisle… dovevo sapere.
L’espressione
dolorosa di Esme mi sorprese. –Diciamo che la faccenda
è abbastanza complicata.
Ma adesso dimmi di te: cosa hai fatto negli ultimi 10 anni?- era ovvio
che
voleva cambiare discorso.
Nonostante
fossi ancora più piena di dubbi, iniziai a parlare di quello
che mi era
successo: della mia laurea in giurisprudenza, della morte di Charlie,
del nuovo
figlio di Renèe e Phil, della relazione con Jacob,
dell’impriting con
Michelle…. e della mancanza di
Edward e
delle crisi isteriche. Non volevo dirglielo,
ma in fin dei conti era anche
uno dei motivi per cui mi trovavo lì. Esme tacque per tutto
il mio monologo, e
mi guardava sempre con uno sguardo che era un misto di compassione e
dolore.
-…e
questo è in poche parole il perché mi trovo qui e
perché ho bisogno di rivedere
Edward- ormai pronunciare quelle parole non era più un peso
per me. Erano
una necessità.
Riecco
apparire quello sguardo doloroso. –Carlisle ha ragione,
è giunto il momento che
tu sappia la verità. Al diavolo Edward e tutte le sue
stupide proibizioni. Ci
hai rimesso anche tu alla fine…
Non
capivo. –Verità? Quale verità? Che vuol
dire “stupide proibizioni”? E che
centra Edward?
Esme
sospirò. –Fin’ora mi hai raccontato cosa
ti è successo, adesso ti racconto
quello che è successo a noi: quando 10 anni fa Edward ha
preso la decisione di
lasciarti, ci siamo tutti trasferiti qui in Alaska, tornando a vivere
insieme
al clan di Tanya. Non viviamo nella stessa casa, la loro si trova
più giù
rispetto a questa. Comunque, comprammo questa casa e venimmo a vivere
qui:
ricominciammo una nuova vita. Ma Edward
non ci riusciva: era sempre triste, sempre perso nei suoi pensieri,
sempre con
la sguardo vacuo, non era più lo stesso. Come era triste
lui, lo eravamo anche
noi, standogli vicino e cercando di tirarlo su di morale. Lui se ne
accorse e
così decise di andarsene di casa, ma per noi la sua assenza
pesava ancora di
più che della sua tristezza. Ma poi ad Alice
arrivò una visione: Edward che
tornava a Forks, Edward che aveva deciso di tornare da te. Ero
felicissima:
tutto sarebbe tornato alla normalità ed Edward sarebbe stato
di nuovo felice. Ma
qualcosa andò storto: Alice non riusciva a vedere cosa ti
fosse successo, ma
aveva chiaramente visto Edward andarsene di nuovo via da Forks, ancora
più
triste e ferito. Carlisle aveva detto di lasciargli un po’ di
tempo per
calmarsi, ma poi Alice ebbe un’altra visione, che
però non ci rivelò mai.
L’unica cosa che io e Carlisle abbiamo saputo era che una
mattina non abbiamo
più trovato Alice, Jasper, Emmett e Rosalie, che erano
partiti tutti a cercare
Edward. È successo più o meno 8 anni fa, e da
allora non abbiamo più ricevuto
loro notizie- se poteva, probabilmente si sarebbe messa a piangere.
Quello
che era successo ai Cullen mi aveva sconvolto, ma c’era una
cosa che non
capivo. –Ma perché Edward era triste?
Perché era tornato a Forks? Perché poi
era scappato di nuovo?
Esme
mi sorrise triste. –Non l’hai ancora capito Bella? Edward ti ama.
Nulla. Tutta la mia mente si
rifiutava
di pensare e l’unica cosa che riempiva la mia testa era il nulla. Il respiro divenne
affannoso, scattai in piedi e sgranai gli
occhi. Rimasi muta e aspettai un continuo di Esme.
-Edward
ti ama. Ti ha sempre amata. Lui era triste perché ti aveva
lasciata, perché
senza di te si sentiva solo, inutile, insignificante. È
tornato a Forks perché
voleva ritornare con te, voleva chiedere il tuo perdono. E da quello
che tu mi
hai detto, deve averti vista felice insieme a Jacob e deve aver deciso
di
andarsene si nuovo e lasciarti vivere la tua vita normale.
Le
parole mi arrivavano lente e la mia mente le percepiva come un leggero
canto di
gioia e speranza. Ma era troppo bello
per
essere vero.
–Non è possibile… non può
essere vero… lui non può
amarmi! Lui
mi ha lasciata! Mi ha detto che non mi
voleva più! Perché l’avrebbe fatto
altrimenti?
-Per
lasciarti vivere una vita normale, una vita da umana. Era stanco che tu
fossi
costretta a vivere sul filo del rasoio per causa sua, e
l’incidente avvenuto
con Jasper durante la tua festa di compleanno è stata la
goccia che ha fatto
traboccare il vaso. Ti ha lasciata per concederti la
possibilità di avere una vita
normale, l’ha
fatto perché ti ama. Ti
ha detto che non ti voleva più, ma in realtà ti
ha mentito. Ti
ha mentito perché ti ama. L’ha fatto per
te.
Le
gambe iniziarono a tremarmi. Volevo tanto
crederle.
Esme
continuò. –Ci ha fatto promettere che non avremmo
mai e poi mai interferito con
la tua vita, che non saremmo mai venuti a cercarti. Principalmente se
l’è
ripromesso lui. Ma non ce la faceva a starti lontano…
Non
la feci continuare. –No, no, no e NO! Non dirmi bugie Esme!
Se lui non vuole
vedermi basta dirlo! Non riempirmi la testa con menzogne!- le lacrime
iniziarono a scendere, rigandomi il viso.
Esme
mi guardò con un’espressione calma. –Non
sono bugie Bella. È la verità.
Inizia
a camminare per la stanza per evitare di cadere per terra o di prendere
qualcosa
e romperla. –Non è possibile…
-È
così Bella. Perché non vuoi crederci?
Non
l’ascoltavo. La mia mente era un turbine di ricordi, immagini
e sensazioni: la
sua espressione tesa e dura quando mi aveva lasciato, la sue parole
taglienti,
il suo sguardo impenetrabile… possibile che quello sia stato
tutta una finzione? Non poteva
essere… era impossibile…
Edward non poteva amarmi
ancora! Quella
fissata e patetica ero io…
Presi
la mia borsa dal divano e me ne andai verso la porta. –Quando
vedi Edward digli
almeno che sono passata!- riuscii ad urlare tra i singhiozzi.
Esme
mi sbarrò la strada fermandomi per le spalle: la sua presa
era ferrea. –Bella
calmati! Ascoltami: Edward ti ama e l’ha sempre fatto. Cosa
c’è d’impossibile? Tu lo sai che
è vero!
-No,
io non lo so!- le urlai.
-E
allora perché ti avrebbe lasciato tutta la tua roba sotto le
assi del pavimento
piuttosto che buttarle via? Me lo hai detto tu che il tizio che ha
comprato la
tua casa a Forks le ha trovate lì.
Rimasi
immobile a fissarla. Era vero. Lui
quelle cose me le aveva lasciate. Le aveva lasciate a me. Se io non fossi stata
più niente per lui le avrebbe distrutte,
e invece no,
me le aveva lasciate.
Improvvisamente
tutto fu più chiaro e la mia mente fu invasa dalla luce: Edward mi amava. Lo
aveva sempre fatto. Mi aveva lasciata solo
per
il mio bene, solo per concedermi una vita serena e felice. Per il mio bene. Ma anche lui aveva
sofferto, non riusciva a stare
lontano da me. E così si era deciso a ritornare, a chiedere
il mio perdono. E
forse saremmo tornati di nuovo insieme se io non mi fossi messa con
Jacob….
Mi
sarei volentieri incolpata da sola, ma ero troppo felice per farlo: guardai
Esme negli occhi. –Edward mi ama?
Lei
allentò la presa sulla mie spalle e mentre mi accarezzava la
testa, mi sorrise.
–Si… è così…
Iniziai
a ridere e a piangere contemporaneamente, abbracciando Esme.
–Edward mi ama!
Edward mi ama! Edward
mi ama!-
urlavo
tra un singhiozzo e l’altro.
-Si…-
mi disse Esme. Dal tono della sua voce capii che se poteva si sarebbe
messa a
piangere anche lei: era felice perché io ero tornata e
perché potevo sistemare
le cose, potevo far tornare Edward felice, potevo far tornare ad essere
unita
la famiglia Cullen, e io potevo
finalmente farne parte. Sarei andata a
cercarlo e l’avrei trovato, dovunque
fosse.
Ma di
quello non me ne preoccupai al momento: Edward
mi amava
e volevo godermi quella consapevolezza bellissima.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
finalmente Bella ha
capito che Edward la ama....piuttosto, cosa gli è
successo??? Dove è andato???? e gli altri Cullen???
tutto nel prossimo
capitolo!!!! XP
un bacio...
|
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Capitolo 5 *** 5. L'incontro con Emmett Cullen e Rosalie Hale ***
Salve a tutti!!!
Tutto bene??? Io
personalmente sono appena guarita dall'influenza....=D
Valle89: ti ringrazio molto per i tuoi
complimenti...spero di leggere altre tue recensioni e di non deluderti
^__^
aliceundralandi: mi
dispiace, ma non dico niente!!! =P sono contenta che questa ff ti stia
piacendo ^__^
francef80: beh, la spiegazione logica
c'è! certo, in questo capitolo te ne dico solo una parte.
L'altra.... =D=P
annuxiaaa: no ma grazie a te che leggi la
mia storia....grazie davvero!! ^__^
cullengirl: deo gratias!! XD spero di non
averci messo molto ad aggiornare...
flydreamer: ho voluto "creare" una Bella
più sicura di sè e nelle sue scelte....spero di
esserci riuscita! ^__^''
patu4ever: ho visto che hai recensito
ogni capitolo...devo dedurre che la storia ti stia piacendo molto e ne
sono molto contenta...spero ti piaccia anche questo nuovo capitolo ^__^
franci_cullen: XDXD cullen brothers... che
carino!! XDXD anche se sembra il nome di una boy band....e cmq, oggi ne
troviamo due...gli altri prossimamente...
Razorbladekisses: sensazionale è
esagerato....grazie grazie davvero spero che ti piaccia anche il nuovo
capitolo ^__^
e anche tutti quelli
che hanno aggiunto la storia tra i loro preferiti (siamo arrivati a 33
grazie grazie grazie) e anche a tutti quelli che semplicemente mi
leggono...GRAZIE!
Allora, abbiamo
lasciato la nostra Bella con la rivelazione dell'amore di Edward....
ora deve andarlo a
trovare...
ma dov'è? e
che fine hanno fatto gli altri Cullen? e quale visione ha avuto Alice??
Beh, in questo
capitolo ci sono solo delle risposte parziali....
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
5.
L'incontro con Emmett Cullen e Rosalie Hale
Restai
una settimana con Carlisle ed Esme. Era molto di più di
quanto mi aspettavo di
rimanere, ma dopo l’ultima bellissima rivelazione non potevo
certamente
andarmene subito. Anzi, ora non dovevo neanche andarmene: i Cullen ora erano la mia famiglia.
A volte
restavo sdraiata sul letto e mi mettevo a ridere da sola, fino a
piangere: Edward mi aveva sempre amata e io
avevo
sofferto per 10 anni per niente. Certo avrei dovuto
immaginarmelo che
quello che mi aveva detto quella volta nella foresta doveva essere una
bugia:
non avevo mai conosciuto uno come Edward che poteva minimamente amare
una donna
nel modo in cui lo faceva lui. E poi il
suo sguardo: mi guardava sempre come se io fossi la cosa
più importante del
mondo, e non riuscivo mai a capacitarmene. Forse è stato
proprio il suo sguardo
a deviarmi: in quei giorni l’avevo visto così
duro, così pensieroso, così distante…
lo era perché stava pensando a
come lasciarmi. Ma lo faceva
perché mi amava, perché
non voleva che
rischiassi più la vita stando con lui, lo
aveva fatto per il mio bene. Esme mi aveva raccontato che
subito dopo
l’incidente accaduto al mio compleanno, ha deciso che
dovevano andarsene subito
perché non dovevano mai più interferire con la
mia vita: non voleva più che la
mia vita fosse in pericolo a causa del fatto che loro erano dei
vampiri. Voleva che io fossi sana e salva, a
costo
anche di lasciarmi e farsi del male da solo.
In
parte ero arrabbiata: come poteva pretendere che io
mi dimenticassi di lui? Non c’ero riuscita in 10
anni. Ma in
parte si: l’amore che avevo provato per Jacob ne era stata la
prova.
Ma
dall’altra parte, non riuscivo proprio ad essere arrabbiata
con lui: lui aveva
fatto tutto questo perché mi
amava, ed
era bellissima quella sensazione di sapere di essere tanto importante
per lui.
E poi comunque, anche lui aveva sofferto.
Esme
mi raccontò che tutto il primo periodo dopo il loro
trasferimento Edward era
come diventato come vuoto: passava
molto tempo da solo, non leggeva più, non ascoltava
più musica, non suonava
più, insomma non si divertiva più, trascurava
perfino Emmett e Jasper. E con il
tempo, anche il resto della famiglia iniziò ad adombrarsi a
loro volta:
Carlisle non sorrideva più, Rosalie era più
scorbutica del solito, Emmett stava
sempre con il muso, Alice non era frizzante come al solito, e Jasper si
isolava
del tutto. Mi sentii strana quando mi raccontò tutto
ciò: era esattamente quello che
era successo a me, passavo le giornate
da sola senza fare niente, deprimendo mio padre e i miei amici.
Ma
poi Edward si era reso conto di quello che stava facendo, e
così se ne era
andato via. Ma a quel punto, la situazione peggiorò, e di
molto: ciascuno dei
Cullen stava per conto suo, senza mai sorridere. Una
situazione orribile. Ma poi tutti erano diventati
più contenti
quando avevano saputo che Edward stava tornado da te, che finalmente
aveva
capito che senza di me non poteva vivere.
Era
così bello da dire e da
sentire…
Tutti
pensavo che una volta che Edward fosse ritornato da me implorando il
mio
perdono e ottenendolo (ne erano certi), tutto sarebbe tornato alla
normalità:
Edward sarebbe tornato lo stesso di sempre, si sarebbe riunito ai
Cullen e ogni
cosa avrebbe ripreso il proprio corso. Ognuno dei Cullen aveva iniziato
a
rimpacchettare la propria roba, pronti per il trasloco che avrebbero
rifatto da
lì a poco, a Forks. Ma poi arrivò la nuova
visione di Alice: Edward ancora più
triste, Edward solo senza di me. L’umore generale cadde di
nuovo nel baratro
della depressione. Durò per tre anni interi, i
più lungi anni per l’immortale famiglia Cullen.
E poi
venne la nuova visione: arrivò ad Alice
all’improvviso, mentre lei, Carlisle e Esme
erano a caccia. Si bloccò di colpo, con lo sguardo fisso nel
vuoto e
l’espressione contratta. Esme mi disse solo che Alice le
aveva detto che era una
cosa che riguardava Jasper e che doveva andargliela a riferire subito,
e dalla
sua espressione capì che era qualcosa di grave. E per questo
la lasciò tornare
a casa senza chiederle spiegazioni. Ma quando lei e Carlisle tornarono
a casa
solo un foglietto di Alice, che diceva che lei, Jasper, Emmett e
Rosalie erano
andati a cercare Edward, perché
era una
questione urgente. Da allora non avevano avuto mai
più loro notizie.
Vidi
in Esme tutta la disperazione possibile che una madre può
provare nei confronti
della mancanza dei propri figli. Mi sentii immensamente responsabile
della sua
tristezza: la causa dell’allontanamento di Edward, e quindi
di conseguenza di
Alice, Jasper, Rosalie e Emmett, ero io. Se
quella volta che Edward era tornato per chiedere il mio perdono io non
mi fossi
trovata insieme a Jacob, ora sarebbe
tutto sistemato. E invece no. Ma
d'altronde la colpa non era neanche la mia: io pensavo che Edward mi
avesse
lasciata e che non mi amasse più, e l’unico
rifugio dalla depressione che mi
assaliva era stato l’amore di Jacob. L’avevo
accettato per sentirmi meglio e
per dimenticare, e aveva anche funzionato tranne per l’ultima
parte. Che ne potevo sapere io che il mio
sogno più
grande era la verità?
Poco
importava ora il passato: bisognava pensare al futuro. Ora dovevo fare
una
cosa: trovare Edward. Sarei stata
disposta anche a fare il giro del mondo, e in certo senso ne avevo
anche la
sensazione. Ma non sapevo da dove potevo iniziare.
-Quando
Alice e gli altri sono andati a cercarlo, non vi hanno detto nulla su
dove lui
fosse?- chiesi.
-No,
non ce l’hanno detto- mi rispose Carlisle –Ma poi
due anni dopo ci arrivò una
cartolina: era di Emmett e Rosalie. Ci dicevano che si erano stancati
di
seguire Edward per i cinque continenti e che ancora non erano riusciti
a capire
quale fosse stata la visione di Alice.
Proseguì
Esme. –C’era scritto anche che volevano passare un
po’ di tempo da soli, senza
stare in famiglia. Non era la prima volta che se ne stavano in
disparte, lo sai
anche tu. E così abbiamo accettato la loro decisione.
-Quindi
avete l’indirizzo di Rosalie e Emmett?- chiesi con una certa
impazienza.
-Si,
ma ci inviarono la cartolina cinque anni fa. Non so poi se hanno
traslocato di
nuovo…- mi disse Esme.
-Tanto
vale provare. In che paese si trovano?
Carlisle
e Esme mi sorrisero fiduciosi: speravano che io potessi far riunire di
nuovo la
famiglia Cullen. E non erano i
soli…
-Europa.
Islanda. Reykjavik.
Da
freddo dell’Alaska al freddo dell’Islanda. La
differenza non era molta, ma per
me era comunque un eccesso: e nonostante indossassi la mia tuta per la
neve,
continuavo a sbattere i denti. Ma forse non erano per il freddo, ma per
la paura.
Non
mi aspettavo di certo di ritrovarmi Edward davanti (magari…),
ma avevo paura della reazione
di Rosalie. Non tanto di quella di Emmett: io e lui eravamo
sempre stati in
ottimi rapporti, e avevamo instaurato un’ottima amicizia. Ma
non potevo dire lo
stesso con la sua legittima consorte: era sempre sfavorevole alla
relazione tra
me ed Edward, anche se dopo lo scontro con James si era
“addolcita” nei miei
confronti, ma non di molto. Figurarsi adesso, che praticamente ero
stata la
causa della separazione dei Cullen. Cercai di non pensare a questo, ma
solo
allo scopo della mia visita: sapere dove
fosse Edward.
Entrando
in un bar del centro di Reykjavik, chiesi alla barista se mi sapesse
indicare
la direzione dell’indirizzo che Carlisle mi aveva dato.
Questa, una ragazza
venticinquenne molto simpatica e cordiale e che parlava perfettamente
inglese,
mi disse che si trovava leggermente fuori città. Avrei
dovuto aspettarmelo. Mi
disse anche che la coppia che vive là già da
cinque anni ormai, raramente
vengono in città e preferiscono starsene per i fatti loro.
Stranamente non
accennò alla loro bellezza straordinaria e al
perché io li stessi cercando,
fortunatamente. Ma mi offrì un passaggio sulla sua
motoslitta e io accettai
molto volentieri.
Mi
lasciò alle pendici di una piccolissima collina innevata: in
cima, tra gli
alberi, c’era una casetta di legno. Mi ricordò
molto una di quelle baite di
montagna che si vedono nei film, e capii perché
l’avessero scelta: era un luogo
decisamente isolato e ottimo per passare inosservati. Salutai la
barista e
iniziai a camminare verso la casa.
Ero
spaventata ma anche eccitata, felice per averli trovati e per aver
fatto un
passo avanti nella ricerca di Edward. Cercai di calmarmi
all’ansia che provavo
per la loro reazione. In quel momento avrei tanto voluto che Carlisle e
Esme
fossero lì con me e che io non avessi rifiutato il loro
aiuto: quando mi ero
decisa a partire, mi avevano chiesto se volevo che venissero con me, ma
io
avevo detto di no, che la causa di tutto
ero io e io dovevo risolvere la situazione. E ricordando
ciò, mi feci
coraggio e arrivai in cima.
La
casetta, vista da vicino, non assomigliava affatto ad una baita: era
fatta di
un materiale resistente che da lontano sembrava legno, il tetto era di
vetro
scuro, come le finestre, e la porta era scorrevole, bianca.
Respiro
profondo e suonai il campanello. Non passarono neanche due secondi che
la porta
si aprì violentemente.
-Rosalie…-
mormorai.
La
vampira più bella dei Cullen si trovava di fronte a me,
appoggiata alla porta
con entrambe le mani. Come sempre mi sentii invadere
dall’invidia alla vista
della sua bellezza: capelli lunghi biondissimi, corpo e viso perfetto.
Ma
quest’ultimo era livido, contratto dall’ira. Gli
occhi erano dorati come al
solito, ma furiosi e mi guardavano fissa. In quel momento ebbi sul
serio paura
di lei e di quello che era capace
di
farmi.
-BELLA!!!-
mi urlò con tutta la rabbia possibile.
E poi
non capii più niente: mi ritrovai tutta indolenzita in un
mucchio di neve,
distante dalla casa. Compresi che Rosalie dover avermi colpito ed ero
atterrata
su quel cumolo.
Mi fu
subito davanti. –Che cosa ci fai qui? Non hai fatto
già abbastanza per noi? Non
ti basta averci rovinato l’eternità? Che cosa ci
sei venuta a fare qui!!!
Rimasi
li sdraiata sulla neve con gli occhi sbarrati, a fissarla: non l’avevo mai vista così. In
lei non c’era rabbia, c’era molto di
più: frustrazione, stanchezza,
dolore. Più
la fissavo e più avevo paura: poteva uccidermi senza il
minimo sforzo. E lei lo desiderava, lo
voleva. Non
riuscivo a parlare.
-Rose!
Cavolo, cerca di calmarti!
Riconobbi
all’istante quella voce: Emmett. Le
fu subito affianco, passandole un braccio intorno alla vita e una mano
sulla
spalla.
-Su,
Rosalie. Adesso calmati- le sussurrò dolcemente.
Gli
sorrisi involontariamente: anche lui mi
era terribilmente mancato.
Rosalie
si rilassò un po’ e abbandonò la
posizione contratta verso di me. Ma non staccò
lo sguardo furioso dal mio viso. Ancora spiazzata, cercai di rialzarmi
in
piedi.
Ma
subito Rosalie mi ruggì contro. –Ti ho chiesto che
cosa ci fai qui!!
Saltai
a quell’urlo, scivolando e finendo nella neve di nuovo.
-Diavolo
Rose, così la fai morire!- esclamò Emmett.
-È
quello il mio scopo.
Lo
sguardo che mi lanciò era tutto fuorché
sarcastico. Mi uscì un gemito di paura
involontario.
-Calmati,
ti ho detto di calmarti- poi si rivolse a me –E tu Bella, non
ti preoccupare.
Alzati in piedi, possibilmente senza farti male.
Con
una lentezza degna di un bradipo, mi rialzai in piedi, spostando lo
sguardo da
Rosalie ad Emmett.
Quest’ultimo
mi sorrise. –Ciao Bella! Come va?
Rosalie
lo fulminò. –“Come va”? Che
diamine stai facendo, Emmett??
-Rilassati
Rose. È solo Bella.
-Solo
Bella??? SOLO??? Ti
ricordi che è per causa sua che Edward se ne è
andato di
casa?
-Si,
lo so. Però…
-Però
cosa!?! È tutta colpa sua!!
È colpa sua se Edward
non è tornato a
casa ed è scappato chissà dove a fare
chissà cosa! È colpa sua
se la famiglia si è divisa! È
colpa sua se sono anni che non passiamo un momento felice
tutti e
sette!!! È colpa sua se
mi sono
stancata di starmene nella stessa casa con Esme che tiene sempre il
muso lungo
e Carlisle che non sorride mai!!! È
colpa
sua se mi sono stancata anche di dare la caccia ad Edward per
il mondo per
riportarlo indietro!!! È colpa sua
se
questa immortalità per me sta diventando un peso
più di quanto non lo fosse già
stata!!!
Le
sue parole furono come dei coltelli affilati che mi trapassarono da
parte a
parte: me lo aspettavo che Rosalie fosse in collera con me, ma non così tanto. Su di me
aveva
riversato tutto il suo rancore, tutto il suo dolore, tutta la sua
frustrazione.
La domanda era una sola: me lo meritavo? Probabilmente
si.
Emmett
fece un respiro profondo, probabilmente per espellere tutta la sua
frustrazione. –Questo lo so Rosalie. Ma non puoi certo
attaccarla così su due
piedi. Non sai neanche perché è qui!- poi si
rivolse a me –Che ci fai da queste
parti Bella?
Ignorai
Rosalie che roteava gli occhi irritata.
–L’indirizzo me lo hanno dato Esme e
Carlisle. Li avevo cercati per… sono venuta qui per cercare
Edward.
Rosalie
esplose. –COSA!?!
Se
non fosse stato per Emmett che le si era messo davanti, io ero
già morta.
-Cosa
vuol dire Bella?- mi chiese Emmett, con un misto tra la
curiosità e la
speranza.
-Io
Edward non l’ho mai dimenticato. Ultimamente mi sono successe
diverse cose
spiacevoli e l’unica cosa che poteva tirarmi su di morale era
rivederlo. Quando
poi ho incontrato Carlisle e Esme, mi hanno detto tutto. E ora sono qui
per
sapere da voi qualcosa su dove potrebbe essere.
Le
urla di Rosalie si sprecarono. –Vuoi ancora immischiarti
nella nostra vita??
BASTA!!! Non hai rovinato abbastanza questa famiglia?
Deglutii
e mi avvicinai cauta verso Rosalie. –Lo so che la causa di
tutto questo sono
io. Ma posso sistemare le cose…
Rosalie
mi interruppe di nuovo. –Sistemare?
Non ti sembra un po’ tardi per sistemare
le cose? Tu hai aperto una spaccatura nella nostra famiglia
che non si può
mica richiudere con uno sciocco di dita!!
Arretrai
di nuovo, spiazzata dalla verità effettiva di quelle parole.
Se non fosse stato
per Rosalie ed Emmett, mi
sarei messa a
piangere.
-Ma
io…- cercai di dire.
-La
situazione qui sta sfuggendo di mano. Rosalie, tu ed io adesso ce ne
andiamo a
caccia così tu ti sfoghi un po’. E tu Bella, forse
è meglio se te ne vai.
Guardai
Emmett: era teso nel cercare di tener ferma Rosalie dietro di se. Era
chiaro: non sapevano niente, oppure
non volevano dirmi niente, ma
questo era
solo il caso di Rosalie. Annuii con la testa.
-Perfetto-
disse piano Emmett.
-VATTENE
VIA SUBITO!!!- mi urlò Rosalie.
E io
me ne andai giù per la collinetta, lasciando che
l’aria congelasse le mie
lacrime sul viso.
Stavo
seduta nella sala d’aspetto dell’aeroporto. Avevo
le gambe incrociate e giocavo
nervosamente con la zip della valigia. Era stato un buco
nell’acqua, o almeno
in parte: Rosalie ed Emmett vivevano ancora in Islanda, ma non mi
avevano detto
niente riguardo Edward.
La
cosa che mi aveva più sconvolto più di tutti era
stata la reazione di Rosalie:
non avrei mai immaginato che mi odiasse così
tanto. Non che il motivo del suo odio fosse sbagliato: la separazione
della
famiglia Cullen era colpa mia. Ma
volevo riparare ai miei errori, volevo far tornare tutto come prima.
Perché
Rosalie non aveva fiducia in me? Ma
in fin dei conti non l’aveva mai avuta in me.
Mi
passai una mano in mezzo ai capelli: cosa
avrei fatto adesso? L’incontro con Rosalie ed
Emmett è risultato
infruttuoso e io ero di nuovo al punto di partenza. Edward
dove sei? Chiusi gli occhi e mi abbandonai completamente
allo schienale per niente comodo della sedia.
La
signorina Bella Swan è pregata di andare
all’ufficio oggetti smarriti. Grazie.
Ripeterono
l’avviso per due volte. Ero sorpresa: che diamine ci dovevo
fare all’ufficio
oggetti smarriti? Presi la mia valigia e andai a vedere. Allo sportello
c’era
un uomo sulla quarantina, mezzo calvo, che stava facendo un cruciverba
indossando un paio di occhiali da vista molto spessi.
-Mi
scusi- chiesi ottenendo la sua attenzione –Sono Bella Swan.
Ho sentito
l’annuncio all’altoparlante.
-Ah
si. Abbiamo un cosa per lei- e si girò dandomi le spalle e
cercando qualcosa
–Un signore molto gentile ce la consegnata. Dicendo che
l’aveva trovata
all’entrata e che forse poteva essere urgente- si
voltò porgendomi un busta
–Ecco qui!
Presi
la busta: dalla parte del destinatario c’era scritto il mio
nome. –Ma non è
mia!- esclamai.
-Ne
è
sicura? L’uomo che ce la consegnata sembrava così
certo che fosse la sua.
Inoltre il nome corrisponde.
Mi
venne un dubbio. –Com’era quest’uomo?
-Robusto,
muscoloso, capelli neri ricci, ed una bellezza straordinaria.
Emmett!
–Ah ok. Non mi ricorda nessuno. Comunque terrò lo
stesso la busta. Arrivederci!
Tornai
a sedermi e aprii subito la busta: c’era una lettera e un
biglietto aereo.
Ciao Bella!
Visto che non penso che tu sia
abbastanza intelligente da capirlo, te lo dico io: sono Emmett. Ti
volevo
chiedere scusa per il comportamento di Rose: negli ultimi cinque anni
non ha
fatto altro che incolparti di tutto quello che ci è
successo. Personalmente io
non ce l’ho con te, ma neanche con Edward: doveva succedere.
Basta. Comunque ti
volevo dare delle indicazioni: due giorni fa Jasper mi ha spedito una
lettera
dicendo che saresti arrivata e che dovevo mandarti da lui e da Alice.
Ma che ne
sapevo io dove stavano! Ma poi ho visto il biglietto aereo e ho capito
tutto!
Te l’avrei dato oggi, ma c’è stato un
imprevisto, come hai potuto notare. Così
eccolo qui! In bocca al lupo Bella. Ti prego, riporta Edward a casa,
riunisci
la famiglia. Io so che solo tu puoi farlo.
La
lettera finiva là. Mi asciugai una lacrima. Grazie
Emmett.
Presi
il biglietto e controllai la destinazione: Italia.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
mmmmmmm.....Italia.....
ma perchè
proprio l'Italia???
Beh, è un
paese come un altro, no??
Si, ma chi
c'è in particolare in Italia???
Vorrei dirvi che
questo era il terzultimo capitolo.....eh già, questa storia
è abb corta!!! ^__^''''''
Alla prossima!!!!
Un bacio....
|
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Capitolo 6 *** 6. Jasper Hale, Alice Cullen... e la fine di tutto ***
Ma
ciao!!! Vi sono mancata??
BellaCullen88: sn contenta ke la storia ti
stia piacendo.... cmq nn ti preoccupare, nn si è unito ai
Volturi....anke se forse era meglio....
mileybest: ma lo sai che piacerebbe anke
a me ke Bella e Rosalie andassero d'accordo??? ma nn lo posso mettere
nella storia.... il perchè lo scoprirai ora
cullengirl: eddy ke si vuole suicidare....
O___O ma come hai fatto??
patu4ever: sn contenta che ti dispiaccia
ke la storia stia per finire....questo vuol dire che ti sta piacendo
molto =D e cmq risposta esatta, in Italia ci sn i Volturi, e Edward....
damaristich: ti ringrazio molto dei tuoi
commenti e sono contenta che la storia ti piaccia.... ma m dispiace
dirti che non hai indovinato, Edward non è andato dai
Volturi per diventare uno di loro....
Valle89: uao, ke accanimento su
Rosalie.... la "Barbie Rose", trp forte!!! XDXDXD hai ragione, Edward
è andato dai Volturi, ma xkè?
Astarte92: mi dispiace che tu ci sia
rimasta male alla notizia ke la storia stia per finire, ma qst ff
è abbastanza breve.... ^__^
franci_cullen: sn contenta ke il capitolo ti
sia piaciuto.... con Rose ho cercato di dare il massimo nel trasmettere
il terrore che incuteva a Bella =D e hai ragione a dire che c'entrano i
Volturi....
Razorbladekisses: ti ringrazio per i
complimenti...sono contenta che la storia ti stia piacendo e spero
continuerai a recensire....
Dunque, avevamo
lasciato la nostra Bella all'aeroporto con un biglietto per l'Italia...
ora scopriremo
finalmente tutta la verità....
e penso ke x me sia
meglio iniziare a scrivere il mio testamento....
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
6. Jasper Hale, Alice
Cullen.... e la fine di tutto.
-Signorina?
Signorina, si sente bene?
Era
quella la voce che mi aveva svegliato: l’hostess di bordo,
una ragazza sui
trent’anni, vestita con un uniforme blu con dei ricami verdi
e bianchi sulle
maniche e sul colletto, che si trovavano anche sul cappello coordinato,
che
tentava inutilmente di dominare i folti capelli neri ricci. Aveva lo
sguardo
preoccupato fisso su di me, e aveva poggiato una mano sulla mia spalla
e
nell’altra teneva un bicchiere d’acqua.
-Signorina,
si sente bene?- ripeté
–Vuole un bicchiere
d’acqua per calmarsi?
In
quel momento feci mente locale: mi trovavo sull’aereo che mi
avrebbe portato a
Firenze, in Italia. E mi resi anche conto che tutte le persone che
viaggiavano
in aereo mi stavano fissando: chi con curiosità, chi con
preoccupazione, chi
con disinteresse e chi con irritazione.
Presa
alla sprovvista, accettai l’acqua con un debole cenno.
L’hostess mi sorrise e
se ne andò, lanciandomi due occhiate preoccupate mentre
percorreva il
corridoio. E tutti i passeggeri dell’aereo tornarono a
coprirsi con le coperte
ed ad appoggiarsi sui cuscini, cercando di dormire almeno un
po’: era notte
fonda.
Io
bevvi tutta l’acqua, cercando di tornare a respirare
regolarmente. Il signore
di fianco a me, un uomo d’affari sulla cinquantina, con i
capelli brizzolati e
i lineamenti del mento e degli occhi pesantemente marcati, mi guardava
ancora
con un misto di preoccupazione e curiosità.
-È
sicura di risentirsi bene?- mi disse –Con
quell’urlo ha svegliato tutto
l’aereo!
-Urlo!?!- ero sorpresa ma anche
imbarazzata.
-Si.
Stava dormendo, quando poi ha iniziato ad agitarsi. Me ne sono accorto
perché
mentre stavo sistemando alcune mie pratiche, ho sentito alcune sue
piccole
urla. Così ho chiamato l’hostess, e mentre le
stava portando dell’acqua, ha
urlato svegliando tutto l’aereo.
Sgranai
gli occhi. –Sul serio?
Il
signore annuì. –Ha fatto venire una bella paura a
tutti lo sa? Ma come mai ha
urlato? Soffre di qualche malattia?
E
allora ricordai: mi ero appoggiata con la testa sul cuscino solo un
attimo,
giusto il tempo di recuperare un po’ di sonno. Ma soprattutto
per cercare di
non pensare a varie cose: la famiglia Cullen divisa,
Carlisle ed Esme afflitti
e tristi, Rosalie arrabbiata e
furiosa, Emmett speranzoso e
fiducioso. Tutto questo mi creava un caos terribile. E
così avevo optato
per un sonno rilassante. Errore.
Avevo
rifatto lo stesso sogno che avevo fatto prima di andare a trovare
Carlisle
all’ospedale, lo stesso incubo: la
famiglia Cullen al completo, tranne per Edward, e quando chiedevo di
lui, nessuno mi rispondeva. Solo
che questa
volta Carlisle, Esme, Rosalie ed Emmett non c’erano,
c’erano solo Alice e
Jasper. Lui non mi guardava neanche: aveva lo sguardo fisso nel vuoto,
ma uno
sguardo di dolore, sofferenza, senso di
colpa, dispiacere. Mentre Alice mi guardava negli occhi,
neutra, ma non mi
diceva niente. E io più
urlavo il
nome di Edward, meno ricevevo risposte. Nessuno
sapeva, nessuno volevo dirmi niente.
Possibile
che mi sia messa addirittura ad urlare? Nel sogno ero sconvolta
naturalmente,
ma non credevo possibile che ero addirittura arrivata ad urlare veramente.
-N-no,
non ho nessuna malattia- risposi all’uomo, balbettando giusto
un po’ -È che
soffro di una strana forma di sonnambulismo.
L’uomo
mi guardò con uno sguardo sospettoso.
–Ah… beh, comunque le consiglio di farsi
visitare da qualche medico. Forse trova una cura per questa sua
“strana forma
di sonnambulismo”- e poi se ne tornò alle sue
pratiche, disposte sul tavolino
reclinabile del sedile di fronte a lui.
Sospirai,
appoggiando la testa sul sedile: probabilmente il signore affianco
pensava che
gli avessi mentito, oppure mi dava della pazza. Inutile informarlo del
modo in
cui si svolgevano le mie crisi isteriche o i miei incubi.
Trascorsi
il resto del viaggio sveglia, riflettendo su quello che stavo andando a
fare:
andare da Alice e Jasper per trovare
Edward, per tornare di nuovo
insieme. Saremo tornati insieme e tutto si sarebbe
sistemato: la famiglia
si sarebbe riunita di nuovo e io ne avrei finalmente fatto parte.
Sorrisi: era
la cosa più bella del mondo.
E se
Alice e Jasper non avessero ancora trovato Edward? Era
un aspetto da
considerare, benché mi sembrasse strano che dopo 7 anni di
ricerche non lo
avessero ancora trovato. Ma comunque, anche se fosse stato
così, li avrei aiutati. Non
sarei tornata
indietro e non mi sarei demoralizzata inutilmente: avrei aiutato Alice
e Jasper
e insieme avremmo trovato Edward. Ne ero
più che sicura.
Forse
sarei stata più d’aiuto se fossi stata
anch’io una vampira, ma
ci sarebbe voluto troppo tempo per la mia
trasformazione: tre giorni di dolore e poi molti mesi per controllare
la mia
sete e la mia forza. Troppo tempo. Me
lo aveva già proposto Carlisle prima di partire verso
l’Islanda, ma avevo
rifiutato. Adesso la mia prima priorità era trovare Edward,
poi si sarebbe
pensato al futuro.
Futuro. Il futuro di Edward che Alice
aveva visto 7 anni fa. ...una questione
urgente… aveva trovato scritto Esme sul biglietto
che gli avevano lasciato
Alice e gli altri. Ma quale questione
urgente? Che cosa aveva visto Alice di così importante e
urgente che riguardava
Edward? Era ovvio che fosse una cosa importante, visto che
erano partiti in
fretta e furia, ma non riuscivo ad immaginare cosa potesse
essere…
Ebbi
un sussulto e ignorai il signore di fianco a me che era saltato: e se Edward si fosse trovato in pericolo?
Scaccia
subito quel pensiero: non poteva essere, non doveva
essere. Ma se fosse stato… la colpa era la mia, e
non me lo
sarei mai perdonato. Mai.
Pericolo… ma che genere di
pericolo? Se
fosse successo qualcosa con un altro clan di vampiri, sarebbe
certamente
tornato dalla sua famiglia in cerca di aiuto. E invece erano loro che
erano
andati a trovare lui. Ma poi mi vennero in mente le parole che mi aveva
urlato
Rosalie: …è colpa sua
se mi sono stancata
di dare la caccia ad Edward per il mondo per riportarlo
indietro…
Questo
significa che per 2 anni Rosalie e gli altri hanno
“inseguito” Edward per i
cinque continenti. E mi sembra impossibile che Edward sapendo che la
sua
famiglia lo stava cercando (perché doveva averlo intuito per
forza), sarebbe
“scappato” da loro se era nei guai e aveva bisogno
d’aiuto. No, non poteva
essere.
E allora che cos’era?
Lasciai
perdere le mie supposizioni e allacciai le cinture, mentre
l’aereo si preparava
ad atterrare.
L’aeroporto
era affollatissimo. Doveva essere un fine settima, in cui molte persone
partono
per una piccola vacanza, oppure arrivavano a visitare Firenze da altri
paesi.
Naturalmente
a me non importava molto del caos che c’era
all’aeroporto, ma rimasi comunque
ferma impalata davanti l’uscita principale: adesso
dove vado?
Nella
lettera che mi aveva dato Emmett non c’era scritto niente di
cosa avrei fatto
al mio arrivo all’aeroporto. E non me ne ero neanche
preoccupata di molto:
Alice aveva visto che sarei andata a trovare Emmett e Rosalie e
così aveva
fatto mandare a Jasper quella lettera, e avrebbe sicuramente visto io
che
arrivavo all’aeroporto. Ma non vedevo nessuno, né
lei né Jasper.
-Caspita,
sei cresciuta- disse una voce profonda alle mia spalle.
Mi
voltai e per poco non mi venne un colpo nel vedere un giovane dalla
pelle
bianchissima, gli occhi dorati e i capelli biondo miele: Jasper.
Se ne stava un po’ distante da me e mi fissava con
un
leggero sorriso e una strana ombra di malinconia negli occhi, con le
mani nelle
tasche della sua giacca.
Cacciai
indietro le lacrime di commozione e gli saltai al collo,
abbracciandolo: anche lui mi era mancato. Da
parte sua,
Jasper fu sorpreso del mio abbraccio improvviso, e ne rimase anche un
po’
imbarazzato: probabilmente non si aspettava una mia reazione del genere
nei
suoi confronti. In fin dei conti, l’ultima volta che
c’eravamo visti per poco
non mi uccideva. Ma poi sospirò e ricambiò
l’abbraccio.
Mi
staccai da lui. –Sono così contenta di vederti.
Sorrise.
–Si, anch’io.
-Ma
dov’è Alice?
-Ci
aspetta a casa nostra. Abitiamo in un piccolo appartamento nella
periferia di
Firenze- e prese la mia valigia –Andiamo, la macchina si
trova di qua- e si
avviò verso destra.
Lo
seguii e quando fui salita in macchina, mentre lui metteva in moto,
presi
coraggio e parlai. –Dov’è
Edward?
Jasper
si irrigidì e si concentrò sulla retromarcia che
stava facendo per uscire dal
parcheggio, benché non ne avesse bisogno. –Ogni
cosa a suo tempo Bella. Ti
spiegherà tutto Alice.
Rimasi
sorpresa dalla sua risposta e così rimasi muta per quasi
tutto il tragitto,
osservando silenziosamente la città di Firenze. Stranamente
ero calma,
probabilmente per merito di Jasper.
Poi
improvvisamente, rise. Mi voltai a guardarlo: il suo sguardo era
puntato sulla
strada, ma la sua mente era da tutt’altra parte.
-Ridi?-
chiesi totalmente a mio agio.
-Già-
rispose continuando a fissare la strada –Rido
perché mi sembra strano.
-Cosa?
-Che
per me tu non provi il minimo odio.
-E
perché mai dovrei odiarti?
Sospirò.
–Beh, se non fosse stato per causa mia Edward non ti avrebbe
mai lasciato.
Mi
voltai di scatto a guardarlo: i suoi occhi erano lo specchio della
malinconia e
senso di colpa.
Continuò.
–Se la sera del tuo compleanno non ti avessi attaccata, ad
Edward non sarebbe
mai venuto in mente il pensiero che tu stando con lui potessi essere in
pericolo. Anzi, lo ha sempre saputo che più tu passavi del
tempo con lui, più
rischiavi: poteva perdere il controllo da un momento
all’altro. Ma quando ha
visto quello che è successo al tuo compleanno, ha capito che
non era lui
l’unico pericolo che correvi, ma tutti
noi. Tutti noi, a partire da me a Carlisle, eravamo un
pericolo per la tua
umanità. L’ha capito solo in quel
momento, e per farti trascorrere una vita tranquilla ti ha lasciato. La
colpa di
tutto questo è mia.
Rimasi
sbalordita: la colpa di tutto non era mia, era
di Jasper. Se non fosse stato per lui, adesso io e Edward
eravamo ancora
insieme, e molto probabilmente io ora ero come lui, vampira. La colpa di tutto era sua.
Scossi
la testa e lasciai perdere la sensazione di rabbia che provai
all’istante (di
cui, molto probabilmente, il merito era di Jasper): la colpa non era sua.
-Non
è stata colpa. La colpa di tutto ciò non
è tua, è mia.
Rise
ancora di più, una risata senza umorismo. –Colpa
tua? E di cosa, del fatto di
essere umana?
-No,
di quello di essere sbadata. Se non mi fossi tagliata il dito con la
carta tu
non mi saresti saltato addosso.
-Va
bene, si forse hai ragione. Ma ti saresti comunque ferita in un altro
modo e
sarebbe successa la stessa cosa. Non dirmi Bella che non ti saresti
più fatta
male, perché non ci credo.
-Hai
ragione. Ma visto che poteva capitare altre volte, in queste altre
volte
potresti non essere stato tu quello che mi avrebbe attaccato.
Sospirò.
–Sarà. Ma ormai è successo. Basta. Ma
non me lo perdonerò mai, perché io lo so
che la colpa della divisione della nostra famiglia è mia, e
non tua.
Scossi
la testa. –Ti sbagli. Se io non mi fossi messa con Jacob
quando Edward era
tornato da me, ora sarebbe tutto sistemato.
-Si,
ma…
Lo
interruppi. –Basta! Di chi è la colpa ormai non ha
più importanza! Sono qui e
sistemerò tutto!
Era
incredibile che Jasper si prendesse la colpa di tutto quello che era
successo:
la colpa era mia, del fatto che io
sono umana, mentre Edward
è un vampiro
immortale. È colpa mia se la famiglia Cullen si era divisa e
ora era mio dovere
sistemare le cose.
Jasper
sospirò. –Hai ragione. Ormai niente
ha
più importanza…
Il
palazzo dove abitavano Jasper e Alice era un normalissimo palazzo
bianco di 8
piani, ma senza ascensore. Il loro appartamento si trovava
all’ottavo piano.
Quando entrai nell’appartamento, rimasi deliziata nel
vederlo: era formato da
un’unica stanza grande, enorme, la cui porta
d’entrata si trovava sulla destra;
di fronte a questa c’era un corridoio, che portava al bagno e
alla camera da
letto, inutilizzata; mentre sulla sinistra c’era una penisola
che divideva il
salone dalla cucina, inutilizzata anch’essa, e poi una grande
finestra che
portava ad un grande balcone, dal quale si poteva ammirare tutta
Firenze.
Jasper
andò a posare la mia valigia nella camera dal letto, mentre
io entrai sul
balcone: era enorme, la ringhiera era piena di fiori, mentre alla mia
destra un
tavolo con quattro sedie, che sembrava provenire da un negozio
d’antiquariato.
Su una di queste sedie c’era una ragazza, dai capelli corti
corvini e con il
viso da folletto, che mi fissava con commozione e mi sorrideva
impaziente. Alice.
-Ciao
Bella- si alzò in piedi -È da tanto che non ci
vediamo.
-Alice…-
mormorai e le saltai subito al collo.
Ricambiò
l’abbraccio. In quel momento sentii le mie guance inondarsi
di lacrime:
inevitabile, Alice era quella della famiglia Cullen che mi era mancata
di più
di tutti. Eccetto Edward, naturalmente.
-Oh
Alice, è così bello rivederti!
Lei
si
staccò da me e mi asciugò le lacrime.
–Si. Anch’io sono contenta di vederti.
Vieni dai, siediti di fronte a me.
Mi
sedetti su una sedia, e Alice su quella di fronte a me. Mi accorsi solo
allora
che Jasper era lì sul balcone insieme a noi, e si
posizionò alle spalle di
Alice. Lei, mi prese una mano e mi sorrise, ma il suo sguardo rimaneva
neutro.
Ero sorpresa e forse anche un po’ in ansia, ma non potevo
dirlo con esattezza
quando nei paraggi c’era Jasper con il suo dono speciale.
-Allora,-
iniziò Alice –Ho visto tutto quello che ti
è successo, tranne che per la parte
di Jacob, di cui però ho sentito abbastanza a casa di Esme e
Carlisle. Mi
dispiace molto per Charlie.
-Lo
so- sospirai.
-E
anche per quanto riguarda Jacob e tua cugina Michelle. Se
c’è qualcunq…
La
interruppi. –Non voglio più parlarne. Ormai loro
sono storia passata.
Alice
mi sorrise ed annuì.
Presi
un bel respiro e un bel po’ di coraggio. –Dov’è
Edward?
Alice
sospirò e chiuse gli occhi, mentre io fui invasa dalla
tranquillità: certamente
era merito di Jasper, perché in realtà io ero
agitata e nervosa. Ormai ero
arrivata alla fine: Alice aveva visto, Alice doveva
sapere.
E
ora
finalmente anch’io avrei saputo.
-È
una storia abbastanza lunga- iniziò lei aprendo gli occhi
–E non finisce come
tutti vorremmo.
Sebbene
quelle parole mi avrebbero dovuto mettere ancora di più in
agitazione, ero
sempre calma e tranquilla. In attesa.
-Allora,
come già ti ha raccontato Esme, ebbi la visione che Edward
tornò da te per
chiedere il tuo perdono. Ma poi ne ebbi un’altra: Edward che
se ne andava via
senza di te. Solo oggi, dopo quello che hai raccontato, capisco il
perché: ti
ha vista con Jacob Black, e ti ha lasciato vivere felicemente con lui.
È strano
il fatto che io non sappia vedere i licantropi: infatti poi non sono
più
riuscita a vedere niente nel tuo futuro, finché non ho visto
che eri partita
alla ricerca di Edward.
-Ma
non sono l’unica che è andata a cercarlo.
Sorrise.
–Già. Dopo che Edward se ne era andato via di
nuovo, per tre anni non ebbi
nessuna visione. Ma questo non significa che di tanto in tanto non
sbirciavo
nel suo futuro. È stato quasi tutto il tempo in America
Latina, ma non faceva
mai niente di che. Soffriva, questo
si. Ma poi ebbi una visione strana: Edward si era reso conto che non ce
la faceva
a starti lontano, si era reso conto che era più forte di
lui, aveva capito che
non poteva riuscire a vivere per l’eternità senza
averti accanto. Ma non voleva
neanche dannarti per sempre, o rovinare di nuovo la tua vita. E
così aveva
preso una decisione irrevocabile. Definitiva.
Ormai
la tranquillità emessa da Jasper non faceva più
effetto: ero in preda
all’agitazione più pura. –Che
decisione?
Non
mi rispose, ma andò avanti. –Corsi subito a casa e
avvisai subito Jasper:
dovevamo andare a cercarlo, a fermarlo. Ma
ci imbattemmo in Rosalie ed Emmett: non ci lasciavano andare via, ci
dissero
che non potevamo far del male a Carlisle ed Esme anche noi. Ma poi gli
dissi
che si trattava di Edward, che era una cosa urgente, ma non gli dissi
la verità.
Vennero con noi.
Il
mio respiro divenne un affanno. –Che decisione, Alice?
-Si
trovava sempre in America Latina. Lo raggiungemmo, ma non riuscimmo a
prenderlo: lui ci scoprì e saltò sul primo aereo
per l’Europa. E da lì iniziò
la vera “caccia”. Per due anni lo seguimmo per
tutta l’Europa: Spagna,
Portogallo, Inghilterra, Russia, Norvegia, Finlandia, Francia, Grecia,
Polonia,
Germania, Islanda. Lì Rosalie ed Emmett si fermarono: si
erano stancati di
cercare Edward all’infinito in giro per il mondo.
Così continuammo io e Jasper.
Ci portò fino in Cina, Giappone, India, e in Australia.
Iniziavo
a spazientirmi. –Alice, dimmi che
decisione aveva preso Edward.
-Ma
poi, quando prese l’aereo per andare in Africa, in Egitto, ci
fregò: prendemmo
l’aereo secondo a quello che aveva preso lui, e solo allora
mi arrivò la
visione che aveva cambiato idea, che non aveva più preso
quell’aereo, che ne
aveva preso un altro, verso l’ Italia.
-Alice!-
alzai un po’ la voce.
-Se
non sbaglio ti ha parlato dei Volturi, vero? Comunque, sono una
famiglia
potentissima, la stirpe reale dei vampiri, la puoi considerare. Edward
ti ha
detto che non vanno infastiditi, a meno che…
Respirai
a fondo alzandomi in piedi e poggiando le mani sul tavolo.
–Alice, per cortesia
dimmi cosa voleva fare Edward- controllavo la mia rabbia, ma non ci
sarei
riuscita per molto.
-È
andato a Volterra, la città dei Volturi e ha ottenuto quello
che voleva.
Purtroppo non siamo arrivati in tempo…
-Alice,
che significa?- la mia voce tremava.
-Non
siamo tornati indietro… non ce la facevamo a dirlo agli
altri. E non credo che
lo faremo in futuro.
A
quel punto sbottai. –Alice, diamine! VUOI
DIRMI CHE DECISIONE HA PRESO EDWARD!!???!!
Il
mio respiro era affannoso e la mia mente stava per scoppiare: avevo
fatto tanto
e adesso pretendevo di sapere cosa fosse successo. Guardai Alice: mi
fissava
con un’espressione neutra, ma anche con una piena di dolore e
rimpianto. Se
poteva, il suo viso sarebbe stato rigato da delle lacrime.
-ALICE!!!
PARLA!!!
E
quando parlò, tutte le mie speranze, tutti i miei sogni,
tutte le mie
sicurezze, tutto di me
crollò.
-Bella…
Edward è morto.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
NON
MI UCCIDETE!!!!! VE NE PREGO, NON MI UCCIDETE!!!! VI SCONGIURO,
LASCIATEMI VIVERE!!!
Ok, Edward è morto,
va bene l'ho fatto morire io....
per cortesia
però, abbassate le torce e i forconi
me ha paura della
folla inferocita ke si è creata....
Per favore.....
>.<
Vi prego, calmatevi....
Ke poi a me Edward piace, anzi lo venero, quindi perchè
dovete....
*la folla inferocita inizia a sbraidare ancora più forte*
Ok ok, sto zitta! ^__^''''
Se mi lasciate viva, vi dico ci vediamo al prossimo capitolo
Ciao ciao!
|
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Capitolo 7 *** 7. Il tuo ricordo sarà sempre in me ***
Ma
salve a voi, mia cara folla inferocita in attesa.... ^__^'''
prima di tutto vi
ringrazio di avermi lasciata ancora in vita....
grazie davvero.... ^__^
poi ringrazio BellaCullen88, aliceundralandi, free09, JessikinaCullen, Astarte92, francef80, ColeiCheAmaEdward, franci_cullen, mileybest, cullengirl, Valle89, patu4ever
che hanno
commentato il capitolo precendente, e che vedo anke qui presenti in
mezzo alla folla inferocita..... ^___^''''
Allora prima di
iniziare con il capitolo, ci tenevo a precisare due punti:
1---> questo
è l'ultimo capitolo. Questa storia ce l'avevo in mente
drammatica e corta, ed infatti è di soli 7 capitoli.
2---> Edward
è morto, punto e basta. Mettetevi l'anima in pace, non
tornerà in vita.
*la folla inferocita
si scatena dopo questi due punti, in particolare il 2* CIVIA
AL ROGO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
*me inizia a scappare
terrorizzata*
AAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
-dopo 20 minuti di
fuga-
*me ha l'affanno*
forse ho seminato la folla inferocita, ma non ne sono sicura....
comunque prima che mi
ritrovi, eccovi l'ultimo capitolo
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
7. Il tuo ricordo
sarà sempre in me
Buio.
Vuoto.
Nulla.
Era
tutto ciò che la mia mente riusciva a percepire,
che
i miei occhi riuscivano a vedere,
che
le mie orecchie riuscivano a udire.
Nulla.
Niente.
Non
so bene dove mi trovavo. Molto probabilmente ero ancora a casa di
Jasper e
Alice.
Aprii
meglio gli occhi e mi accorsi che la visuale era sempre quella: buio. La camera da letto completamente
inutilizzata di Jasper e Alice era come al solito buia, a causa della
mia
richiesta di voler le serrande abbassate.
Non
ricordo come mai ero finita in quella stanza. Ad un certo punto mi ero
svegliata, dopo lo svenimento, e mi ero trovata su un letto
matrimoniale,
posizionato al centro di un’enorme stanza, illuminata dalla
finestra alla
sinistra del letto.
Vuoto.
Mi
alzo debolmente a sedere sul letto. Non mi ricordo niente. O forse
si…
Dopo
che mi ero accorta di trovarmi in quella stanza, avevo iniziato ad
urlare, a
piangere, a rompere tutto quello che mi capitava in mano. Poi ricordo
soltanto
la presa gelida e ferrea di qualcuno, che mi aveva calmato e mi aveva
riaddormentato.
Sopirai:
una delle mie solite crisi isteriche.
Presi
il cuscino e me lo sistemai dietro la schiena, per appoggiarmi
più comodamente
al muro. Ma lo riposai immediatamente: era umido.
Guardai meglio, nonostante la scarsa luminosità:
non era solo umido, ma
proprio bagnato.
Lacrime. Tra un risveglio e un
altro
l’unica cosa che avevo fatto era piangere.
Lasciai
stare il cuscino e mi alzai, rischiando di cadere a causa delle mie
ginocchia
molli. Andai alla finestra, tirai su le serrande e aprii la finestra.
La luce
mi fece male agli occhi, ma non li chiusi: mi affacciai e respirai
quanta più
aria pulita potei.
Punto della
situazione: mio padre era morto, mia
madre non mi
considerava più, Jacob e Michelle avevano fatto coppia
fissa, i miei amici di
scuola non li ho più sentiti né frequentati, la
famiglia Cullen era divisa, ed
Edward era morto.
Ancora lacrime. Lentamente sentii le
mie guancie
inondarsi di pianto, il mio respiro che era diventato affannoso, e i
miei
singhiozzi che agonizzavano.
-Che
faccio ora? Sono sola, SOLA!!! CHE DIAMINE FACCIO ORA!?!
Dolore. Avevo spaccato il
vetro della
finestra con un pugno. Il polso pulsava, probabilmente me lo ero
slogato. Il
sangue ricopriva tutta la mano e lentamente cadeva verso il pavimento.
Ma non
mi importava. La fitta al polso era indolore e il sangue non mi faceva
effetto.
Adesso non mi importava più niente.
Ero di nuovo
sempre e solo io.
In
quest’ultimo mese ero riuscita miracolosamente ad andare
avanti, a combattere,
a sperare per una causa, per un motivo, per qualcosa che potevo e
volevo avere.
Edward.
Ma
ora, lui non c’è.
È morto. Si è fatto
uccidere solo per non interferire più nella mia vita, per
evitare che il suo
desiderio lo soggiogasse.
È
morto a causa mia. Questo non me lo
perdonerò mai.
Eppure
ci ero andata così vicino: avevo scovato Esme e Carlisle,
raggiunto Rosalie ed
Emmett, incontrato Alice e Jasper, ma lui no.
Il
solo pensiero che non avevo potuto vedere il suo volto, perdermi nei
suoi occhi
dorati, sentire il suo respiro sulla mia pelle, annusare il suo odore,
toccare
la sua pelle dura e fredda, ascoltare la sua voce melodiosa,
sciogliermi
davanti il suo sorriso sghembo, sentire
il contatto delle nostre labbra, mi faceva stare male. Anzi, no male, mi faceva credere di essere morta. E in
fondo lo ero.
Mi
affacciai alla finestra: otto piani erano molto alti. Non avrei sentito
niente,
nessun dolore… sarebbe accaduto tutto in fretta… bellissimo…
La
finestra era aperta. Il vuoto mi attraeva. L’altezza non mi
faceva paura.
Un
vento leggero mi scompigliò i capelli. Delle foglie
scendevano lentamente verso
il basso e atterravano con grazia sul suolo. Era un ciclo affascinante
e
ipnotizzante. Volevo essere come loro: leggera e abbandonata al vuoto e
al
vento.
Mi
aiutai con le mani e riuscii a sedermi sul bordo della finestra, con
una gamba
fuori e una dentro.
Chissà
come era la morte. Chissà cosa c’è
dopo. Spero pace.
Non voglio
più soffrire.
Chiudo
gli occhi. Il suono del vento è l’unica cosa che
sento. Mi sbilancio un po’…
-BELLA!!!!!!
Una
presa fin troppo salda mi afferrò per un braccio e mi fece
cadere rovinosamente
sul pavimento. Era come se mi avessero svegliato nel bel mezzo di un
bel sogno.
-Ma
sei impazzita? Cosa pensavi di fare? UCCIDERTI?- mi ruggì
contro Alice.
Sollevai
leggermente la testa e la guardai: gli occhi era rabbiosi, furiosi, ma
anche
immensamente tristi e preoccupati.
-Cos’altro
mi rimane da fare secondo te Alice? Dimmi secondo te
cos’altro mi rimane da
fare. Dimmelo tu, perché io non lo so
più…- e iniziai
di nuovo a piangere, più forte, appoggiando
la testa per terra e bagnando il pavimento.
Sentii
le braccia fredde di Alice avvolgermi dolcemente le spalle.
–Bella…
-Dimmelo
tu, Alice! Perché io non so più che fare! NON SO
PIÙ CHE ALTRO FARE!!!- le
urlai contro il suo petto roccioso.
Alice
mi accarezzo la testa. –Non lo so neanch’io Bella.
Shh, adesso calmati.
Qualcosa faremo. Ma togliersi la vita non è certamente la
scelta giusta. È una
cosa stupida. Edward non lo avrebbe mai permesso.
Urlo
più forte. –EDWARD!! PERCHÉ??
Perché te ne sei andato?? Perché mi hai lasciato
da sola in quest’inferno?? Perché, Edward,
perché…
E continuai
a piangere tra le braccia fredde di Alice, che se avrebbe potuto si
sarebbe
unita a me nella crisi isterica.
Acqua. Lentamente mi scorreva
sul mio
corpo, mi attraversava la pelle, mi purificava da ogni
impurità. Avevo sempre
amato fare la doccia: per me era un momento di completo relax. Ma ora,
mi
sembrava solo un banale gesto per lavarsi.
Dopo
il mio tentato suicidio, ero rimasta sul pavimento a piangere vicino ad
Alice
per un bel po’. Poi era arrivato Jasper, e per evitare uno
scempio, aveva
subito pulito il pavimento sporco di sangue e disinfettato la mia
ferita. Come
uno zombie, mi ero diretta verso il bagno per farmi una doccia, secondo
il
consiglio di Alice. Ed ora ero chiusa in bagno da un bel po’,
rimuginando sulle
mie sensazioni di poco fa.
Stanchezza.
Dolore. Debolezza. Tutto qui.
Volevo
farla finita con quel mondo che mi aveva fatto soffrire. Era
così difficile da capire? Era così difficile da
ottenere? Era
pretendere troppo?
Chiusi
l’acqua e indossai i vestiti puliti che mi aveva portato
Alice. Mi vestii con
gesti meccanici, senza neanche notare quello che mi stavo mettendo.
Aprii la porta
del bagno e andai verso il salone, trovando Jasper che si trovava sul
divano,
con la testa tra le mani, mentre Alice si trovava in cucina.
-Bella,
per favore siediti. Mangia qualcosa- mi disse, mentre posava un piatto
sulla
penisola.
Mangiare
cibo. Dare energia all’organismo. Senza cibo,
l’organismo muore. Ma il
mio stomaco era più forte, e l’appetito di
parecchi
giorni iniziò a farsi sentire. La mia forza di
volontà era ridotta al minimo,
per cui mi ritrovai a camminare verso la penisola, a sedermi, a
mangiare.
Ingoiavo. Non mi importava di quello che mangiavo, e i sapori neanche
li
sentivo.
Alice
mi guardò con compassione e pena, sospirò e se
andò a sedersi vicino a Jasper.
Edward. Prendevo un pezzo di
carne con la
forchetta. Edward. Lo infilavo in
bocca. Edward. Masticavo a bocca
chiusa. Edward. Ingoiavo. Edward. Prendevo un altro pezzo di
carne. Edward.
Il
ciclo era sempre quello. Il mio pensiero fisso, sempre lui. Il mio
dolore
aumentava ogni volta.
Allontanai
il piatto da me e mi presi la testa con le mani. Perché
avevo fatto quel viaggio? Perché
mi trovavo lì? Perché
non
mi ero semplicemente trasferita, invece di andare per il mondo a
cercarlo? Perché mi
ritrovavo al punto di
partenza?
Perché
mi hai abbandonato,
Edward? Ti
prego, torna. Ti amo. Ho bisogno
di
te. Ma tu non ci sei più.
Perché
a me?
Alzai
la testa e mi asciugai le lacrime che nel frattempo erano scese. Fu in
quel
momento che la intravidi.
Era
una busta, bianca, con scritto il mio nome. Era ben nascosta, ma il
vento della
finestra aveva dovuto farla cadere per terra. Ma la cosa che mi aveva
colpito,
era che quella era la sua calligrafia:
elegante, raffinata, inconfondibile.
-Cos’è
quella?
La
mia voce era incredibilmente salita di volume. Alice e Jasper per poco
non si
spaventarono.
Jasper
guardò incuriosito la busta per terra e poi corse a
prenderla.
-L’hai
lasciata in giro in modo che la potesse vedere??- la sua voce era lo
specchio
dell’ira e della rabbia.
-Cos’è
quella?- e mi alzai in piedi.
Lo
sguardo di Alice era neutro. –Ho visto che la leggeva. Ho
visto che quella
lettera l’aiutava.
-Cos’è
quella?- continuavo a ripetere.
-L’aiutava?
Ma Alice, hai visto cosa ha tentato di fare?? Si voleva uccidere! Vuoi
anche
farle anche leggere questa??
-CHE
COS’È QUELLA?
Jasper
si voltò rapidissimo verso di me: la sua espressione era
contratta al massimo.
Alice mi guardava neutra, seduta composta sul divano.
-Bella,-
e Alice si alzò, prese la busta dalle mani di Jasper e si
avvicinò verso di me
–quando siamo arrivati a Volterra, l’unica cosa che
abbiamo visto era un enorme
pira eretta nella campagna vicino la città, e
l’odore di Edward che veniva da
lì.
Il
mio sussulto fu come una persona che agonizzava.
Jasper
scosse la testa abbattuto e se ne andò verso la camera da
letto, senza neanche
provare ad alleggerire l’atmosfera.
Alice
continuò, senza neanche guardare per un secondo il suo
compagno. –Vicino alla
pira però, incastrata in un ramo, trovammo una lettera. Era
di Edward. La
aprimmo senza neanche controllare per chi fosse e solo allora ci
accorgemmo che
era per te.
-Cosa?-
per me? Edward aveva scritto una
lettera d’addio per me?
-Te
l’ha scritta prima di morire. Se vuoi puoi leggerla- e me la
porse.
Guardai
la busta e il mio nome scritto sopra. Prima
di morire a pensato a me.
Afferrai
la busta e me ne andai verso il balcone, a leggerla.
Alice
non mi seguì. Probabilmente capì che volevo stare
sola.
Mi
sedetti su una sedia e aprii la busta.
Presi
la lettera e inizia a leggere, mentre il mio viso si rigava di lacrime
mute.
Isabella Marie Swan.
Bella.
Il tuo nome risuona nella
mia mente. Il
tuo viso rivive nella mia memoria. La tua voce riecheggia nelle mie
orecchie.
A volte mi sembra di
sentire il tuo dolce
profumo… dannatamente buono…
È incredibile
come non riesca a
dimenticarti…. sei costantemente presente in me…
È incredibile
quanto sia potente l’amore
che provo per te.
Non so neanche
perché, adesso, mentre
sono sull’aereo verso l’Italia, ti scrivo questa
lettera, che tanto tu non
leggerai.
Tu credi che io non ti
amo più… che io ti
abbia abbandonata perché non ti voglio
più…
Quale terribile
bestemmia…
Io ti amo. Io ti amo,
Isabella Marie
Swan.
Io ti amo più
della mia stessa vita…
quello che sto andando a fare ne è la prova:
sto per andare a
suicidarmi dai Volturi,
e lo sai perché? Perché non riesco a starti
lontano.
Perché il
desiderio di averti, di
stringerti delicatamente tra le mie braccia, di annusare il tuo
meraviglioso
profumo, di guardare le tue guancie colorarsi di rosso, di osservare i
tuo
stupendi occhi color cioccolato,
supera di gran lunga la
mia forza di
volontà…
quella stessa forza di
volontà che avevo
messo alla prova tempo fa per stare con te e per non
ucciderti…
Che egoista che sono
stato.
Avrei dovuto capirlo
allora che stando
con te ti avrei condannato ad una vita d’inferno, ad una vita
pericolosa… e io
questo non lo volevo.
Ma volevo anche stare con
te. Conciliare
i due desideri era impossibile.
Ed ecco perché
me ne sono andato via,
ecco perché ti ho lasciata.
Sicuramente avrai
sofferto, e me ne pento
amaramente.
Ma poi, quando sono
tornato e ti ho vista
felice, sono stato contento che ti eri dimenticata di me.
Che non soffrivi
più per il mio
abbandono…ero contento che avessi ripreso una vita felice e
normale.
…
Ti ho appena mentito per
la seconda
volta.
Non è per
niente vero che ero contento.
Ho sofferto come non mi era mai capitato nella mia esistenza.
E questo
perché semplicemente ti amo e
perché voglio stare con te.
Sono egoista, lo so.
Chiedo di perdonarmi
per questo.
E ti chiedo anche di
perdonarmi per la
mia debolezza. Si, sono un debole per non riuscire a starti lontano.
Ti rovinerei la vita di
nuovo, e io non
voglio questo.
Preferisco morire per
sempre piuttosto
che cedere a questa stupida debolezza.
Ed è quello
che sto per fare.
Sto per morire per te.
Non a causa tua,
non confondere, ma per te.
Per te sto anche voltando
le spalle alla
mia famiglia. Sto rovinando anche la loro esistenza.
Non credo che esista
persona più egoista
di me al mondo.
Avrei voluto che la mia
famiglia non lo
venisse mai a sapere, ma non posso competere con Alice.
E infatti mi sono subito
venuti a cercare.
E per non farmi prendere
sono dovuto
scappare di paese in paese ogni volta.
Ma ora, non possono
fermarmi: arriverò a
Volterra e scatenerò subito l’ira dei Volturi,
senza aspettare udienze varie.
Questi sono i miei ultimi
minuti di
esistenza. E li sto spendendo scrivendoti i miei ultimi pensieri.
…
È naturale che
tra i miei pensieri ci sia
tu.
Mi ricordo ancora la
prima volta in cui
sono venuto a vederti dormire… quando hai pronunciato il mio
nome nel sonno…
È stato allora
che ho capito che eri
troppo importante per me, è stato allora che ho sentito il
mio cuore battere di
nuovo, è stato allora che ho capito di amarti.
È stato allora
che ho trovato il sole
della mia immutata mezzanotte.
Quel sole che poi ho
dannato con la mia
esistenza, con il mio essere orribile.
Avrei dovuto non
coinvolgerti. Avrei
dovuto lasciarti perdere.
Eppure non riesco a
pentirmi totalmente
di quello che ho fatto:
ogni singolo istante,
ogni singolo
secondo, ogni momento che io passavo con te, per me era il
più bello in
assoluto di tutta la mia esistenza.
Sono ricordi che mi
porterò fino alla
fine. Cioè tra poco.
Lascio questo mondo.
Lascio questo mondo felice,
però.
Felice perché
sono sicuro che il mio
desiderio si è realizzato:
tu vivi una vita normale.
Tu vivi la vita
che ti spetta di diritto.
Tu vivi la tua vita.
E non
c’è niente che mi possa far sentire
meglio in questo momento.
Per cui, le mie ultime
parole sono
queste, il mio ultimo desiderio è questo:
vivi la tua vita. Vivila.
E adesso ti dico addio
amore mio. Addio.
Ti amo.
Edward.
PS: Ricordati: il tuo
ricordo sarà sempre in me.
Sempre.
La
lettera finiva lì.
L’avevo
completamente inzuppata di lacrime. Le parole si leggevano a stento, ma
io ne
avevo capito il senso.
Edward
voleva che vivessi la mia vita. Edward voleva che avessi una vita
normale.
Edward voleva che io mi godessi la mia vita.
E io che cosa sto
facendo adesso?
Mi
sto
scontrando contro gli imprevisti della vita, e lascio che loro la
abbiamo
vinta.
No. Non potevo
permetterlo. Edward
non voleva.
E non
lo avrei permesso.
Mi
alzai in piedi e mi affacciai alla ringhiera: la città di
Firenze era inondata
da un bellissimo sole splendente, e si sentiva la presenza di una
leggera
brezza.
Respirai
a pieni polmoni. Mi asciugai le lacrime. Sorrisi guardando quel
panorama.
-Cosa
dice Edward?
Mi
voltai. Alice mi sorrideva dall’entrata del balcone.
-Dice
che vuole che io viva la mia vita.
-E tu
cosa farai?
La
guardai negli occhi. Dentro di me sapevo perfettamente cosa dovevo fare.
-Vivrò.
Lo farò per lui. Perché lo
amo.
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Bene, e questa
è la fine.
Ora, molto
probabilmente mie cari lettori e anke mia cara folla inferocita, che si
è calmata per leggere il capitolo,
alcuni di voi saranno
rimasti delusi da questo finale....
chiedo a queste
persone scusa, ma secondo me questa è la fine che merita la
nostra Isabella Swan....
Ringrazio chi ha
commentato questa storia, chi la seguita dall'inizio e chi invece si
è appassionato mano mano che andava avanti,
ringrazio 0207pantera, aliceundralandi,
amimy, annuxiaaa, aquizziana
,
Astarte92, bellemorte86,
Benjamina, bibosky,
carlitz, ColeiCheAmaEdward, crazy_gio90,
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Dubhe92, EleCal1988, Fantasy_Mary88, fede72, federob,
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nene1964,
patu4ever, piccolakia,
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Razorbladekisses,
RockAngelz, salf, sexy_eclipse, sissy_cullen_4ever, the
forgotten dreamer,
valeEfla, Valle89, wbloom
e tutti quelli che
l'hanno semplicemente letta.
GRAZIE
Un bacio grande
alla prossima
storia.....
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