Otto dimensioni

di steffirah
(/viewuser.php?uid=700933)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day 1 - First meeting ***
Capitolo 2: *** Day 2 - Blushing ***
Capitolo 3: *** Day 3 - Protecting ***
Capitolo 4: *** Day 4 - Touch ***
Capitolo 5: *** Day 5 - Moment that made you happy ***
Capitolo 6: *** Day 6 - Moment that made you sad ***
Capitolo 7: *** Day 7.1 - Almost confessions ***
Capitolo 8: *** Day 7.2 - Confessions ***



Capitolo 1
*** Day 1 - First meeting ***


Day 1 – FIRST MEETING
 
~ The world of your smile ~
 
Quello era il giorno del compleanno del mio onii-san. Senza farmi notare sgattaiolai fuori dalla mia stanza per assistere alla prima alba - e poter esaudire un desiderio per lui - quando mi imbattei in mio padre. Mi massaggiai il naso che aveva sbattuto contro il suo fianco e lui mi sorrise, abbassandosi alla mia altezza per carezzarmi la testa.
«Buongiorno principessa. Siete già sveglia?»
«Buongiorno padre!», ricambiai raggiante. Gli spiegai il motivo per cui fossi su di giri e lui mi guardò contento, lasciandomi proseguire per raggiungere la mia meta.
Scesi le scale in fretta, a piccoli saltelli, e raggiunsi il giardino che affacciava verso est, sedendomi accanto ad un grosso ciliegio. Arrivai giusto in tempo: i primi raggi di luce bianca stavano stracciando il velo del cielo, volgendo al giorno. L'orizzonte si tinse di un celeste leggero, che in breve divenne un arancione rosato, e quando vidi un piccolo raggio di sole sorgere dal lontano confine chiusi gli occhi e benedii quella giornata, affinché fosse propizia per il mio fratellone. Mi lasciai carezzare dalle lunghe braccia del sole che ben presto mi avvolsero con il loro calore, appoggiandomi alla corteccia e ascoltando i canti mattutini degli uccellini.
Sorrisi beata, totalmente immersa nella natura, da non rendermi conto che era già trascorsa un'ora e alcuni ospiti erano già arrivati. Me ne accorsi sentendo un vociare sommesso e leggere risate, così mi alzai, stiracchiandomi e pulendo il vestito dalla sabbia. Girai attorno all'albero, pronta a dare a tutti il benvenuto, quando vidi passare il signor Fujitaka. Gli corsi incontro, felice di vederlo. Era uno degli abitanti del Regno di Clow, ma prima di ciò era un grande amico di mio padre. Lo consideravo, in parte, come uno zio.
«Fujitaka-san! Buongiorno!», gridai sbracciandomi, cercando di farmi notare.
Lui si voltò a guardarmi e mi rivolse uno dei suoi enormi sorrisi, venendomi incontro e inginocchiandosi per raggiungere la mia altezza.
«Sakura-hime! Buongiorno!»
«Siete qui per il compleanno di Touya-niisan?», mi informai, dondolando sui piedi.
«Anche.», rispose ridacchiando. «In realtà ne stavo approfittando per presentare mio figlio a vostro padre.»
«Suo figlio?», ripetei confusa. Conoscevo il signor Fujitaka da... Sempre, praticamente. E non ricordavo fosse sposato.
«Esatto. Lui.», confermò, indicando con la testa dietro di sé.
Seguii il suo gesto e notai un bambino in piedi accanto ad una colonna, con una mano appoggiata su di essa e lo sguardo fisso diretto verso ciò che poco prima stavo ammirando anche io. Lo guardai da lontano, zittendomi, trattenendo il fiato. Dal suo volto trasparivano sentimenti che mi erano completamente nuovi: una solitudine profonda si rifletteva nei suoi occhi, spenti dalla tristezza e l'apatia. Era come se il suo cuore si stesse stringendo, costretto da migliaia di spine. Potevo fare qualcosa per alleviare il suo dolore?
«Ah, Fujitaka! Tuo figlio è proprio un bravo ragazzo.» Sentii la voce di mio padre a pochi metri da me, ma non riuscivo a voltarmi. Era come se qualcosa, simile a una corda invisibile, mi legasse al suo triste sguardo, impedendomi di sfuggirvi.
«Principessa, hai già conosciuto Shaoran?»
«Shaoran?», ripetei, riuscendo finalmente a spezzare quella sorta di ipnosi in cui ero caduta e alzando lo sguardo su mio padre.
«Mio re, ancora non si sono presentati.», si intromise Fujitaka-san e dal tono sembrava mortificato.
«Fujitaka-san, Shaoran è suo figlio?», chiesi rivolgendomi a lui, lanciando un'altra occhiata a quel bambino così lontano da noi. Era distante. Totalmente assente, come se la sua mente si trovasse altrove. Eppure, per me, per il mio cuore, era presente come nessun altro lo era mai stato.
«Sì.», confermò.
Mi oscurai, riflettendo: «Sembra... Perso.» Non mi accorsi di aver parlato ad alta voce, ma sentii il signor Fujitaka annuire rumorosamente.
«È a causa del suo passato. È un argomento un po' difficile da trattare, soprattutto perché lui non ricorda niente.»
«Come?», chiesi incredula, quasi soffocando nella mia stessa voce.
«Meglio che vada ad avvisarlo. Se volete scusarmi...»
Vidi Fujitaka-san allontanarsi, in direzione di suo figlio e mio padre mi si mise davanti, bloccandomi la visuale.
«Principessa, ascoltatemi con attenzione. Il signor Fujitaka ha trovato quel bambino poche settimane fa, mentre faceva delle ricerche. Pioveva a dirotto e fu un miracolo se si accorse di lui: correva per cercare un riparo quando lo vide, in fondo ad una strada abbandonata, pieno di bende e ferite, raggomitolato su se stesso. Si sentì stringere il cuore e, non avendo un figlio tutto suo, decise di adottarlo. Gli chiese il nome, da dove venisse, chi fossero i suoi genitori... Ma lui non ha saputo rispondere a nessuna di queste domande. Così Fujitaka ha capito che non ricorda nulla del suo passato. Quel bambino ha perso la sua identità, probabilmente non ha mai ricevuto amore da nessuno e non ha nulla in cui credere.»
«È terribile.», sussurrai, prossima alle lacrime. Si poteva essere così crudeli con un bambino? Possibile che lui avesse dovuto soffrire così tanto?
Mi affacciai al di sopra della spalla di mio padre e notai Fujitaka-san rivolgergli un sorriso paterno che, tuttavia, non veniva ricambiato. Mi trattenni dal piangere e tirai su col naso, guardando mio padre con determinazione. Avrei fatto qualcosa per lui. Tutto ciò che era in mio potere.
«Desideri parlargli?»
«Sì.», risposi senza indugio. Avrei estratto tutte le spine che gli circondavano il cuore, una alla volta, lenendo le sue ferite.
Mi guardò soddisfatto, i suoi occhi sembravano pieni di orgoglio e soddisfazione, quando poi si avvicinò al signor Fujitaka e salutò Shaoran arruffandogli teneramente i capelli, prima di allontanarsi insieme al primo. Deglutii e feci qualche passo avanti quando Shaoran si girò ed incontrò i miei occhi. Lo vidi sorprendersi, ma ci feci poco caso. Non appena era iniziato il nostro contatto qualcosa era decollato in me: riconobbi il desiderio di aiutarlo. Il desiderio di salvarlo. Il desiderio di vederlo sorridere. Il desiderio di fare qualsiasi cosa per lui pur di vederlo... sereno. Gioioso. Allegro. Qualunque cosa pur di non dover più scorgere quell'oceano di lacrime che trascinava via i suoi sentimenti. Non stava versando una lacrima, eppure mi sembrava di vederle: potenti, irruenti, come delle cascate scorrevano impetuose sul suo viso e trafiggevano il suo cuore, alimentando il suo dolore.
Mi parve di annegare in esse quando decisi di darmi una scrollata e raggiungerlo. Ovunque si trovasse, io avrei raggiunto il suo spirito solitario. Forse camminai con troppa irruenza perché dopo alcuni passi inciampai nel bordo del mio vestito e caddi con la faccia a terra.
«Ahia!», mi lamentai.
«Vi siete ferita?»
Sorpresa, alzai lo sguardo su di lui, trovandolo piegato in avanti, porgendomi una mano per aiutarmi a rialzarmi. Il suo sguardo continuava ad essere inespressivo, tuttavia dalla sua voce traspariva sincera preoccupazione. Capii, in quell'istante, che era un bambino premuroso. Gentile. Altruista. Una spina era già svanita.
«Sto bene, grazie!», esclamai, rincuorata, prendendo la sua mano e lasciando che mi aiutasse a rialzarmi. Lo sentii irrigidirsi e ipotizzai potesse infastidirlo un contatto così improvviso. Ritrassi la mano a malincuore e lo guardai dritto negli occhi sorridendogli.
«Io sono Sakura!», mi presentai e lui attese qualche istante prima di fare altrettanto.
«Il mio nome è Shaoran.»
Realizzai che la scelta delle sue parole non era casuale e cercai di infondergli sicurezza.
«So che sei Shaoran. Tuo padre sembra molto fiero di te.» Mi guardò meravigliato, come se non se lo aspettasse e io gioii dentro di me alla vista di tutte quelle espressioni che si stavano facendo breccia sul suo viso. Mi infondevano speranza. «Poco fa stavamo parlando e credimi, non l'ho mai visto tanto contento. Devi essere stato una gioia per lui.»
«Perché... lo pensate? Non sono un fastidio?»
Si rabbuiò e io negai forte con la testa.
«Affatto. Fujitaka-san ha sempre vissuto da solo, ma adesso che ci sei tu potrà finalmente sentirsi parte di una famiglia. Tu sei la sua famiglia.», spiegai. Era soltanto un'ipotesi, ma avevo l'impressione di non sbagliarmi.
«Io... La sua famiglia? Ma io...» Tacque, sviando lo sguardo e io non mi frenai dal prendergli le mani per attirare la sua attenzione.
«Ci vorrà un po' di tempo, ma vedrai che andrà tutto bene. Te lo assicuro.», gli promisi, sorridendogli con tutta l'anima e lui abbassò lo sguardo mormorando:
«Mi dispiace...»
«Non dispiacerti. In questi casi si dice “Grazie”, se proprio vuoi, ma non ce n'è bisogno. Non ho fatto nulla.» Non ancora, almeno.
Lui annuì e, rialzando lo sguardo su di me, disse con voce ferma: «Grazie.»
Non me lo aspettavo, perciò mi imbarazzai. Gli lasciai le mani, portandomi le mie dietro la schiena e stringendole forte tra loro. Improvvisamente sentivo una nuova e forte emozione che non riuscii a riconoscere.
«Di niente, Shaoran.», sussurrai arrossendo lievemente. Poi mi resi conto di quanto fossi informale e chiesi, indugiante: «Ehm... Posso chiamarti “Shaoran”?» Lui annuì, in silenzio, e io sospirai risollevata. «Allora anche tu, chiamami soltanto “Sakura”.»
«M-ma... Voi siete la principessa e -»
«Solo “Sakura”.», ripetei.
Lui prese tempo prima di chiamare il mio nome, quasi intimidito. «Sa... Sakura.»
Sentii il mio cuore fremere, come le ali di un uccellino. Gli rivolsi un enorme sorriso, esclamando: «È un vero onore conoscerti, Shaoran!»
Per il resto della mattinata gli feci fare un giro del castello, presentandogli poi quel mostro di mio fratello - che sembrava non avere alcuna pietà di lui. Provai a lamentarmi per il suo comportamento, ma lui cominciò a beffeggiarmi definendomi una “bambina” e decisi di portare Shaoran lontano da lui prima che mi facesse fare ulteriori figuracce.
Ciononostante, grazie all'intervento del futuro sacerdote, Yukito-san, anche Shaoran fu invitato al banchetto che si tenne quella sera nel nostro immenso giardino. Tutto era illuminato da numerose lanterne e stelle filanti dorate e al di sotto di questa atmosfera aurea vidi il primo sorriso di Shaoran. Era timido, ma sincero. Ed era completamente dedicato a me.
Mi sentii scaldata da quella piega all'insù appena appena visibile agli angoli della sua bocca, apparsa poco dopo il nostro primo incontro. Un incontro che aveva segnato il nostro destino perché, anche se ancora non lo sapevo, non era accaduto per caso. Come poi avrei scoperto, al mondo ogni cosa era semplicemente inevitabile. Così, anche il fatto che ben presto mi sarei innamorata di Shaoran.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Day 2 - Blushing ***


Day 2 – BLUSHING
 
Soba ni ite ne ~
 
Seduta ad un tavolino del Mc, bevevo tranquillamente il mio Milk-shake alla fragola, scrutando l'orizzonte lontano, in cerca di qualcosa. Mi stavo annoiando a morte. Le mie compagne di classe parlottavano tra di loro, allegramente, e io le ignorai. Non perché volessi, ma perché non riuscivo a concentrarmi. Su nulla. L'unica cosa che udivo era il canto delle cicale, così stridente, così perforante... Chiusi gli occhi, mentre la voce di una di esse andò affievolendosi, fino a spegnersi del tutto. Era appena morta. Mi chiedevo quante persone ci pensassero, ma la mia opinione era che l'estate fosse, probabilmente, la stagione più triste di tutte. C'erano pochissime cose che riuscivano a confortarmi, ma piuttosto che andare in vacanza, uscire con gli amici, prendere il sole, fare shopping ecc... C'era un'unica cosa che volevo fare. E un'unica persona che volevo incontrare.
Mi alzai in fretta, spaventando le ragazze, e mi scusai per l'andare via così all'improvviso. Ma dovevo andare prima che fosse troppo tardi. Dovevo informarmi, dovevo chiedergli se sarebbe partito. Avrei resistito tanti giorni senza vederlo? Consapevole della sua lontananza? Era soltanto un'ipotesi, ma qualcosa mi suggeriva di sbrigarmi. Il destino era imprevedibile e sapevo quanto lui amasse viaggiare. Sicuramente ne avrebbe approfittato, ora che non aveva più impegni scolastici.
Gettai il contenitore vuoto in un cestino e uscii correndo fuori dal locale, attraversando le varie strade della città con tutta la velocità che i miei polmoni - e le mie gambe - mi permettevano. Arrivata a metà strada, fui sorpresa da un acquazzone estivo e affrettai il passo, iniziando ad intravedere l'edificio a cui avevo pensato per tutta la giornata: la biblioteca. Con la speranza che lui stesse ancora lavorando. Accelerai nell'ultimo tratto e salii le scale due alla volta, fermandomi solo una volta che ero arrivata al riparo. Mi portai le mani al petto, ansimando per lo sforzo, e starnutii. Accidenti ero tutta bagnata. Aprii la borsa, sperando che la pioggia non avesse raggiunto anche l'interno e presi diversi fazzoletti per asciugarmi il viso e il collo prima che mi ammalassi. Inutile dire che servì soltanto a farli inzuppare d'acqua.
«Sakura-chan?» Saltai sul posto, voltandomi a rallentatore, udendo la sua voce. La sua voce! Non poteva trovarsi a passare suo padre?
Arrossii di botto, balbettando: «Bu-buonasera, Shaoran-kun!» Era lì! Davanti ai miei occhi! Non se n'era andato!
Cercai di aggiustarmi nei limiti delle mie possibilità, ma probabilmente dovevo dare l'impressione di un gattino bagnato.
«Accidenti, sei fradicia.» Mi guardò con uno sguardo preoccupato, lo stesso che assumeva tutte le volte in cui mi facevo male - ed erano tante, anche se non lo facevo apposta. Ero semplicemente... Distratta. E la maggioranza delle volte era lui a distrarmi.
Mi si avvicinò, prendendomi per mano e invitandomi ad entrare con un «Vieni con me.»
Arrossii maggiormente, ma cercai di celarlo con le corte ciocche bagnate - le quali, volente o nolente, mi si attaccavano lo stesso al viso. Strinsi la sua mano, trovandola calda, asciutta, accogliente. Le sue grandi dita avvolsero le mie, come un tenero abbraccio, infondendomi sicurezza. Protezione.
Entrammo all'interno della struttura e salutai rapidamente Fujitaka-san, quasi nascondendo le nostre mani unite per la vergogna. Shaoran se ne accorse e mi si mise accanto, celando il nostro piccolo punto di contatto dietro la schiena mentre si fermava accanto al bancone, chiedendo al padre se c'erano degli asciugamani in bagno. Il padre annuì e mi raccomandò di riguardarmi. Feci un cenno con la testa per poi passare oltre con Shaoran, camminando l'uno affianco all'altro, circondati da ciò che lui più amava a questo mondo: i libri. Dei piccoli scrigni preziosi che avevo scoperto grazie a lui, contenenti un'infinità di tesori. Adoravo la mia città, ma il momento migliore della mia giornata era quando raggiungevo la biblioteca, visto che era stata proprio essa a farmi trovare Shaoran.
«Continui ad esserne affascinata?», mi chiese, incuriosito, bussando alla porta dei miei pensieri e entrandovi con parecchia facilità. Inutile dire che la soglia del mio cuore l'aveva attraversata ancora più facilmente. Vi si era proprio lanciato, divenendo il motivo principale per il quale la notte faticavo a prendere sonno, durante le lezioni diveniva difficile concentrarsi, e spesso mi ritrovavo a fissare il vuoto e pensare a lui.
«Sì. Non smetteranno mai di affascinarmi.» Mi rivolgevo specialmente a lui, ma Shaoran voltò la testa da un'altra parte, ridacchiando. Fece dondolare le nostre mani con allegria, nel chiedere:
«Che libro vuoi che ti presti, stavolta?»
«No, in realtà... Vorrei stare un po' qui... E leggere qui... Se non disturbo.», indugiai e lui mi guardò con un enorme sorriso.
«Tu non disturbi mai!»
«Ma se...» Presi un respiro, sforzandomi affinché la voce non mi tremasse, dando forma ai miei timori. «Se dovete partire... per le vacanze... Non voglio essere una spina nel fianco...»
Lui non rispose subito e guardò dritto davanti a sé, mentre salivamo delle scale in marmo. Abbassai la testa, mortificata, chiedendomi se non avessi esagerato, ma dopo qualche istante lo vidi scuotere il capo con la coda dell'occhio.
«Quest'anno non partiamo.»
«Eh?» Ero incredula. Non poteva essere vero!
«Si, insomma... Mio padre non può, è stato chiamato per alcuni scavi all'estero, e io non posso seguirlo. Qualcuno deve pur sempre occuparsi della biblioteca, no?» Il suo tono mi sembrava un po' triste e lo guardai imbronciata, appoggiandogli la mano libera sul braccio, aspettando che mi guardasse.
«E a te sta bene così?»
Lui spalancò gli occhi, come se gli avessi posto una domanda cruciale. Tesi le labbra, serrandole tra i denti, ma lui sorrise raggiante, spostandomi alcuni capelli dal viso.
«Certo che sì, se ho la possibilità di vederti.» Il mio cuore cominciò a galoppare, cercando di convincermi che quello era tutto un sogno. «E poi...», continuò, ricominciando a camminare e conducendomi in un largo e lungo corridoio pieno di antichità. «Questo sarà il tuo ultimo anno, il più difficile per te. Scommetto che già sei in alto mare con la sessione estiva, vero?», mi punzecchiò, colpendo nel segno.
«Ugh... Sì.», ammisi, con non poca vergogna.
«Sempre matematica e storia?»
«No, diciamo che ora storia riesco a comprenderla e memorizzarla quasi subito.», specificai. Ed era tutto merito suo. Da quando avevo capito che fosse un appassionato di storia avevo preso in prestito tutti i libri su tale disciplina che mi sembravano interessanti, arricchendo così il mio - una volta misero - bagaglio culturale.
«È una notizia splendida!», esclamò pieno di gioia.  «Quindi matematica soltanto?»
«E inglese...», aggiunsi.
«Non eri brava in questa materia?»
«Si, ma... ultimamente l'ho trascurata...» Per dedicarmi ad altro. Ossia tutto ciò che lo riguardava.
«D'accordo allora, se vuoi ripetiamo un po' insieme.», propose e io esultai dentro di me.
«Sarebbe un'ottima idea!» Poter trascorrere ancora altro tempo con lui... Sì, probabilmente ero ancora stesa nel mio letto, imprigionata in una dimensione onirica e presto mi sarei svegliata. Quindi dovevo approfittarne, finché potevo.
«Soltanto dopo che ti sarai asciugata quanto basta.», ordinò, fermandosi davanti ad una porta in legno e aprendola, conducendomi con sé in bagno. Mi lasciò la mano per avvicinarsi a degli armadietti e subito le mie dita sembrarono intorpidirsi. Ghiacciarsi. Le aprii e richiusi più volte, sperando che il sangue riprendesse a scorrere, ed ero talmente impegnata a farlo da non accorgermi che Shaoran si era fermato a pochi centimetri da me, poggiandomi un asciugamano sui capelli e strizzandomeli con delicatezza. Con un altro panno morbido mi asciugò le poche goccioline d'acqua che mi erano rimaste sul viso e sul collo. Alzai lo sguardo su di lui, trattenendo il fiato da sì tanta vicinanza, sentendo il cuore galopparmi nel petto, e notai anche le sue guance imporporarsi. Distolse lo sguardo in fretta, sentii le sue dita indugiare sulla mia pelle e per poco non mi sentii svenire. Ero certa di essere diventata rossa come un pomodoro maturo.
Si allontanò dopo un po', lasciandomi gli asciugamani e tornando agli armadietti, in cerca di qualcos'altro che sembrò non riuscire a trovare. Lo vidi togliersi la T-shirt e porgermela, scusandosi con uno sguardo.
«È meglio se ti cambi, ma purtroppo non sono riuscito a trovare nulla di pulito. Mi dispiace se è già stata indossata.»
Con dita tremanti presi la stoffa di cotone tra le mani, lasciandogli intendere che non mi importava. Cercai di non far caso al fatto che era rimasto soltanto con una canottiera nera - la quale metteva fin troppo in risalto il suo fisico - e appoggiai la sua maglietta sul lavandino pulito.
«Non avrai freddo?», chiesi stupidamente e lui rise.
«Con questo caldo? No, al contrario! Lì c'è il phon.» Indicò la parete accanto agli armadietti. «Asciugati per bene e prenditi tutto il tempo che ti serve. Io ti aspetto giù.» Mi informò, prima di voltarmi le spalle e uscire dalla stanza.
Quando non sentii più i suoi passi scivolai sul pavimento, cedendo alle mie gambe tremanti, e mi portai la sua maglia al viso, inspirando il suo dolce odore. Il cuore sembrò scoppiarmi nel petto e per poco non temetti un infarto. Sentii un piacevole calore impossessarsi di ogni angolo della mia pelle, ardendo con forza mentre sprofondavo il viso nel cotone che gli apparteneva, consapevole che ben presto anch'esso mi avrebbe avvolta, portandomi più vicina a lui.
 
~ Soba ni iru yo ~
 
Era stata una sorpresa. Veniva a trovarmi tutti i giorni ormai, sin da quando ci eravamo conosciuti, ma quando avevo visto la pioggia battente precipitare con forza dal cielo avevo perso tutte le speranze. E invece era venuta e l'avevo trovata bagnata dal capo ai piedi, tremante come un gattino infreddolito. Non riuscivo a credere che fosse giunta fin qui mentre infuriava la tempesta. La stagione delle piogge, eh? Tutti coloro che conoscevo amavano l'estate, vedendola come la stagione del divertimento. La stagione dell'amore. L'amore... Ogni estate venivo separato da Sakura, contro la mia volontà. Ora che mi ero diplomato potevo scegliere se partire o meno: non ero più costretto. Libero dallo studio sarebbe stato molto più semplice andare via, esplorare l'ignoto, apprendere nuove cose... Ma volevo restare. Per lei. Per Sakura. La ragazza che nemmeno la pioggia era riuscita a fermare.
Sospirai, fermandomi accanto ad una finestra e vedendo chicchi di grandine infrangersi in mille pezzi al suolo. Rabbrividii al pensiero che aveva fatto giusto in tempo a correre al riparo. Era pazza ad uscire con un simile tempaccio senza neppure portare con sé un ombrello? Chiusi gli occhi, impallidendo al solo pensiero di quanto avesse inconsciamente rischiato. Era sempre così avventata... Ma, con questa, sembrava che tutte le barriere fra di noi fossero state infrante.
C'erano momenti in cui mi sentivo uno stupido senza speranze: ero totalmente innamorato di lei, molti lo definirebbero un “colpo di fulmine”, anche perché dopotutto lei mi aveva colpito in tutti i sensi. Il nostro primo incontro era avvenuto quattro anni prima, puramente per caso, in un giorno simile a questo: pioveva a dirotto e lei, tornando da scuola, si diresse in biblioteca, per proteggersi dall'acqua. Me la ritrovai davanti all'improvviso, tanto che scivolammo entrambi a causa del pavimento bagnato, insieme ad una valanga di libri. Lei mi chiese scusa per la sua sbadataggine, aiutandomi a raccogliere quello che avevo fatto cadere, e mi rivolse un sorriso che poteva definirsi... celestiale. Il solo ricordo della sua prima dolce espressione sembrava farmi volare via il cuore dal petto.
Mi portai le mani sulle guance per raffreddarle, sperando che il rossore sparisse e non mi tradisse. Ecco perché mi consideravo un idiota; o, meglio, un codardo. La amavo, eppure non avevo il coraggio di farmi avanti. Di dichiararmi. Ma come avrei potuto? Ero un semplice bibliotecario, mentre lei avrebbe ereditato la ricca compagnia di suo padre. Al di là della questione sociale, non ero ben visto da suo fratello - che mi considerava un topo da biblioteca. Per quanto lo rispettassi non potevo non trovarlo irritante. Ma, dopotutto, aveva ragione. Avrei trascorso giornate intere seduto a leggere libri, immergermi in decine di centinaia di migliaia di universi paralleli, mondi fantastici, storie vere o irrazionali, spazi temporali, personaggi fittizi che ogni volta che sfioravo le pagine diventavano parte di me, ambientazioni paradossali, universi variopinti, trame intricate e piene di azione che mi formavano, mi riempivano, mi costruivano, mi completavano...
C'erano stati istanti in cui avevo desiderato far provare anche a Sakura le mie stesse sensazioni e, col tempo, sembravo esserci riuscito. Leggeva tantissimi libri, il più delle volte chiedeva consiglio a me e sceglieva sempre i miei preferiti. A volte li portava a casa, altre si immergeva nella lettura davanti ai miei occhi, e allora accadeva sempre qualcosa di magico: il suo sguardo si sperdeva, viaggiava lontano seguendo la scia della sua fantasia, vagabondava tra le righe, viveva ogni momento descritto come se fosse suo. Come se riuscisse anche lei a sentirvi un'appartenenza. L'inchiostro sembrava sciogliersi dai legami con le pagine ingiallite, che sapevano di vissuto, per carezzarle la mente e infiltrarsi nel suo cuore, scrosciando nelle sue vene, divenendo il suo sangue.
La vedevo appassionarsi sempre di più, tanto che alla fine di ogni libro piangeva perché la storia si era conclusa. Quando le dissi che si sbagliava, perché ogni volta che si legge un libro quella storia diventa tua, tu diventi un nuovo scrittore, tu diventi il tempo e il luogo, tu diventi i personaggi, tu diventi il loro futuro, presente e passato, tu puoi scegliere come continuarla, lei mi aveva guardato meravigliata. Con le lacrime agli occhi.
E quel giorno mi sorprese ulteriormente quando, mentre l'aiutavo a studiare - e mi sentii un infante nel cercare di convincermi da solo che non si trattava di un appuntamento -, esordì all'improvviso proclamando: «Voglio diventare una scrittrice.»
Mi colse alla sprovvista con quelle parole che mi fecero quasi scattare dal pavimento per guardarla in viso. Volevo capire se non mi stesse prendendo in giro. Forse era stanca - erano trascorse parecchie ore da quando era scesa e avevamo cominciato con la materia in cui dimostrava avere più difficoltà - e non si rendeva conto di quello che diceva.
Le osservai la schiena, essendosi seduta al tavolo dandomi le spalle per risolvere un'equazione, e si abbassò fino ad appoggiare la testa tra le braccia, sfiorando con le dita il dorso della risma di libri alla sua destra. La sua voce divenne un semplice sussurro, attutita dalla sua stessa pelle. «Presto ci faranno fare il questionario sulle nostre scelte future... Io…  Mi piacerebbe scrivere una storia. Volare lontano... Inventare questi mondi e portarli alla vita, mettendoli nero su bianco. Mi trovi pazza, Shaoran-kun? Credi sia impossibile... per una come me?» La sua voce si spense fievolmente e mi alzai raggiungendola, sfiorandole una mano.
«No, Sakura-chan. Sono certo che ci riuscirai. E le tue storie saranno le più belle che io abbia mai letto in vita mia.», le risposi sincero.
Lei sorrise, guardandomi intensamente negli occhi, per poi chiudere debolmente le palpebre e mormorare: «Se tu... scriverai... questa storia... insieme a me...» Avvampai, sentendo in queste parole più di quanto era dovuto. Era una semplice richiesta di collaborazione no? Non dovevo fraintendere. Non dovevo equivocarle. Lei... Non intendeva dire altro.
«Perché... da sola... non ci riuscirò mai... Ho bisogno di te, Shaoran-kun.»
Mi sembrò quasi che il mio corpo si stesse infiammando. Vi stavo dando troppo peso. Era stanca, aveva sonno, non lo intendeva davvero. Percepii il suo respiro divenire regolare, vidi le sue guance rosee stendersi, i tratti rilassarsi, le labbra schiudersi come un piccolo bocciolo di rosa... E capii fosse crollata. Si era appena addormentata. Sorrisi intenerito di fronte al suo viso angelico - non era cambiata di una virgola, anzi aveva resistito anche troppo visto che di solito con la matematica crollava subito - e le carezzai i capelli ora asciutti con delicatezza, cercando di fare piano per non svegliarla. Con cautela mi abbassai, posandole un bacio leggero sulla testa, quasi all'altezza di una tempia e bisbigliai dolcemente, accanto ad un suo orecchio, la mia risposta.
Forse non lo intendeva davvero, ma anche se fosse così, «Per me sarebbe un vero piacere, Sakura.»

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Day 3 - Protecting ***


Day 3 – PROTECTING
 
~ Un’armonia condivisa con te ~
 
Aprii gli occhi, sbadigliando, voltandomi da un'altra parte, accoccolandomi contro Moko-chan. Me li stropicciai, infastidita da quella forte luce azzurra e arancio.
«Shiroi manjuu, dove diamine siamo finiti stavolta?!»
«Neee Kuro-tan, quella non ti sembra una vespa gigante?»
Sentii un grido da parte dell'interessato e una risata allegra e divertita provenire dal secondo. Mi sforzai di alzarmi, dondolando un po' la testa, ancora intontita, e vidi Kurogane-san inseguire Fay-san con intento omicida. Quando la mia visuale non sembrava più offuscata dal velo del sonno misi a fuoco l'ambiente che ci circondava: la prima cosa che vidi furono lunghi grappoli di fiori violacei, simili a tanti chicchi d'uva, che parevano estendersi fino a quel cielo, la cui luce continuava ad infastidirmi. Erano enormi, come se fossero delle lunghe torri, dalle prominenze soffici e le tinte delicate.
Una volta seduta mi resi conto, in ritardo, di essere stesa accanto a Shaoran-kun ed essermi involontariamente raggomitolata attorno al suo braccio, pensando si trattasse di Moko-chan. In effetti, mi sembrava strano considerato che quest'ultima correva dietro i nostri compagni di viaggio, prendendo in giro Kurogane-san. Mi allontanai con cautela, riappoggiando il braccio accanto al suo corpo, e gli sfiorai una guancia. La sua espressione sembrava ancora dolente e mi morsi le labbra, sentendomi in colpa.
Nel mondo precedente c'eravamo trovati in pericolo, sorpresi alle spalle da grossi nemici che mai avevamo incontrato prima. Era un universo assurdo e orribile: lì la natura sembrava spoglia, morta, e la mia piuma veniva utilizzata per alimentare dei macchinari con i quali si facevano degli esperimenti sugli esseri umani. Eravamo stati subito catturati e imprigionati da quei mostri viscidi, disgustosi, simili a dei vermi, ma con otto occhi e dieci zampe e il corpo molto più grande, agile e flessibile del nostro.
Shaoran-kun aveva un piano per poter rubare la piuma - a trattare con loro ci rinunciavamo, visto che il nostro primo tentativo non era andato a buon fine, anzi: era stato proprio in quel momento che ci avevano incatenati e portati via, divisi in due celle diverse, per poterci "studiare". Era stata un'esperienza terrificante.
Avevo provato a spiegare il motivo per cui ci trovavamo lì, perché le piume erano tanto indispensabili per ritrovare i miei ricordi perduti, ma il loro unico interesse sembrava quello di farmi del male. Venni torturata, provai tante sensazioni terribili al corpo che piano piano sentivo indebolirsi sempre di più, ma scoprii che non era nulla in confronto a quello che avevano fatto a Shaoran-kun. Lui aveva provato a ribellarsi, più di quanto mi fossi sforzata io, aveva lottato contro di loro ed era corso a liberarmi. Mi prese per mano e anche se traballavo, anche se avevo la vista offuscata, potevo vedere chiaramente che le sue condizioni non erano migliori delle mie: graffi e bruciature lungo tutto il corpo, segni insanguinati lasciati dalle strette catene nel tentativo di liberarsi, rivoli scarlatti rotolavano giù dalla sua tempia sinistra e la mano che impugnava la spada sembrava bagnata nell'acido.
Mentre mi conduceva all'uscita venimmo scoperti e la cosa peggiore era che Moko-chan non  si trovava con noi: eravamo stati separati dal resto del gruppo, e non avevo la minima idea di dove si trovassero. Pregavo che almeno loro stessero al sicuro, ma più di ogni altra cosa ciò che mi allarmava erano le condizioni di Shaoran-kun. E il fatto che non cessava di attaccare ogni nemico che incontravamo lungo il tragitto, subendo ogni volta una nuova ferita.
Avevo cercato un'arma anche per me, seppure fossi sicura che non sarei mai riuscita ad utilizzarla per fare del male ad un altro essere vivente. Ma qui si trattava di una questione di vita o di morte e non avrei più permesso che Shaoran-kun si lasciasse ferire davanti ai miei occhi per proteggermi. Come faceva sempre. Ma non doveva più rischiare la vita per me, non lo meritavo. Provai ad impugnare la prima cosa letale che trovai a portata di mano, ma lui fu più veloce di me e mi si lanciò addosso, ricevendosi un ennesimo colpo destinato a me.
«Non fate sciocchezze, hime! Potreste farvi del male!», mi rimproverò tenendomi giù e io provai a far sentire la mia voce mentre ci allontanavamo dal pericolo, scivolando in alcune tubature piene di alghe e acqua stagnante che sembravano sicure, strisciando rasi al suolo per non farci scoprire.
«Ma voglio fare qualcosa anche io, Shaoran-kun. Ti prego, lascia che anche io mi renda utile...»
Lui si girò lentamente a guardarmi, in conflitto con se stesso.
«D'accordo. Potete tenere il pugnale, ma soltanto se vi serve come difesa. Non fate nulla di avventato.», sussurrò, riprendendo a gattonare in avanti, mentre quell'acqua sporca gli imbrattava le ferite. Dovevano fargli un male cane, ma lui non emetteva neppure un lamento. Come riusciva ad essere così forte? Non era insensibile al dolore, tutti i suoi arti lo tradivano, tremanti, ormai prossimi al loro limite... Ma aveva uno spirito di ferro. Anche in una situazione simile la sua determinazione non faceva una piega. Cosa lo spingeva a comportarsi così? Perché si teneva tutto dentro? Perché non si apriva con me? Pensava che fossi cieca? Che non mi accorgessi di tutta la sofferenza che portava nel cuore? Anche io, da parte mia, ero stanca di quella situazione. Stanca di essere la “principessa” che doveva essere sempre protetta. Stanca di vederlo rischiare la sua vita per le mie piume. Avevo deciso che dal mondo successivo me ne sarei occupata personalmente. Shaoran-kun si sarebbe sicuramente ribellato, quindi avrei chiesto a Kurogane-san di allenarmi e insegnarmi ad utilizzare almeno un'arma. Se non per offendere, quanto meno per difendermi... E difenderci.
Fortunatamente raggiungemmo l'uscita senza incappare in ulteriori complicazioni e fummo aiutati da Fay-san e Kurogane-san ad uscire. Scoprimmo che loro due erano finiti in un posto poco lontano da lì e ci avevano trovati grazie a Moko-chan, la quale aveva rintracciato la piuma e, grazie al loro ausilio, l’avevano portata via.
Prima che perdessi completamente i sensi nel ricevere nuovi ricordi sentii Kurogane-san esclamare: «Oi, ragazzo!» E Fay-san sibilare: «È più grave di quanto ci aspettassimo.» Moko-chan prossima alle lacrime gridare: «Shaoran!!» E vidi lui cadere tra le braccia di Kurogane-san, chiudendo gli occhi, quasi come un peso morto grondante fiumi di sangue.
Chiusi le palpebre, piangendo, sussurrando il suo nome, e dopo averli riaperti eccoci qui, in un nuovo mondo.
Gli tolsi i capelli dal viso, abbassandomi a baciargli una guancia, sfiorandogli le cicatrici ancora visibili. Quanto tempo ero rimasta priva di coscienza? Tanto, a giudicare dai suoi tagli ripuliti e dalle bende che lo avvolgevano. Qualcuno, per fortuna, sembrava essersi preso cura di lui.
«Mi dispiace.», sussurrai, sentendomi il cuore pesante. Mi portai le mani al petto, respirando a fatica, con la sensazione che qualcuno me lo stesse spezzando coi denti, per strapparmelo via. Era tutta colpa mia. Se Shaoran-kun stava così male... Era colpa mia.
Nuovamente prossima alle lacrime, fui distratta da una voce cristallina.
«Non è in pericolo.» Alzai lo sguardo verso la direzione da cui era giunta e mi posi davanti a Shaoran-kun, facendogli da scudo con il mio corpo. Spalancai gli occhi di fronte alla minuscola creatura seduta comodamente su uno di quei petali giganti: era simile ad una farfalla, il suo volto sembrava scolpito da piccole lucciole, il corpo era circondato da foglie di un verde sgargiante, talmente carico come mai l'avevo visto prima. Il colore delle sue ali variava da una leggera tinta rosata ad un giallo pallido, e terminava con una piccola peluria rossastra.
«Potrebbe guarire ancora più in fretta se bevesse.» La sua voce risuonava e riecheggiava nella mia mente, simile ad uno scampanellio continuo.
«Cosa dovrebbe bere?», chiesi, mettendomi sull'attenti.
«Acqua.», fece spallucce.
Acqua... Ma certo! Aveva bisogno di rinfrescarsi e bere qualcosa, visto che aveva rischiato il dissanguamento! E così avrei anche ripulito le sue ferite!
«Dove posso trovarla?»
«Ti ci condurrò io, principessa. Seguimi.», ordinò, cominciando a volare via.
«Aspetta!», esclamai alzandomi. Alzai la voce, attirando l'attenzione di Mokona. «Moko-chan, per favore, resta un attimo accanto a Shaoran-kun, io torno subito!»
Lei annuì e attesi che prendesse il mio posto prima di inseguire quella creatura. Era difficile tenerla d'occhio, facendomi largo tra tutti quegli enormi steli che mi sembravano un grosso labirinto, per cui l'abitante di quella terra mi semplificò il compito prendendomi per la vita e facendomi volare con sé. Così realizzai che, altro che minuscola, la sua corporatura era poco più grande della mia. E la sua apertura alare era enorme.
Mi voltai verso il suo viso e notai che le sue sembianze fossero simili a quelle di una giovane donna.
«Tu... Chi sei?», mi informai.
«Una Yumemi. Ho visto la vostra venuta in sogno. Sapevo che avevate bisogno di me e della nostra acqua.»
«Nostra?», ripetei confusa. Quindi ce n'erano altri, come lei?
«Sì, io sono la regina delle ninfe e quello che vedete dinanzi i vostri occhi è il mio Regno. Siate la benvenuta, principessa Sakura, insieme ai vostri compagni. Vi auguro un piacevole ristoro.»
Ringraziai e mi voltai ad ammirare il panorama, estasiata. La distesa di fiori sembrava immensa, interrotta in alcune aree da piccole pietre bianche e grigie dalla forma ovale, rigate con insenature salate e brillanti; all'orizzonte si intravedeva una vasta catena montuosa innevata, le cui rocce risaltavano di un arancione acceso e le cime invece di essere bianche e candide come mi aspettavo erano giallognole. Chiedendomi cosa fosse questa luce potentissima e accecante alzai lo sguardo verso l'alto, proteggendomi gli occhi con una mano, andando in visibilio. Il cielo era azzurro, sgombro di nuvole, come se fosse mezzogiorno, ma al posto di un unico sole c'erano tanti agglomerati di stelle, che splendevano vicinissime, illuminando tutto attorno a loro. Alcune zone erano spezzate da nebulose color arcobaleno e galassie concentriche che si estendevano in lunghezza e larghezza, rendendo l'universo simile ad un dipinto. Era fantastico, come se giorno e notte si fondessero insieme e vivessero in comunione.
«Meraviglioso...», sussurrai, desiderando dentro di me che anche Shaoran-kun fosse in grado di vederlo. Doveva aprire gli occhi il prima possibile.
Raggiungemmo una pozza d'acqua circondata da un sottile strato di sabbia bianca, situata esattamente al centro del prato fiorito. Cominciammo la discesa e lei mi fermò a pochi centimetri dalla riva, cacciando da una piccola tasca fatta di rametti, che non avevo notato, una minuscola fiala che riempì con quell'acqua limpida e cristallina. Era talmente pulita che riuscivo a vedere dei piccoli fiori che crescevano sul fondo e riuscii a riconoscerli perché erano gli stessi che avevo scoperto nel Regno di Clow insieme a... a...
Sospirai, non ricordando di chi si trattasse, e per un istante la superficie del lago sembrò tremare, dissolvendo il mio riflesso e sostituendolo col volto di Shaoran-kun. Sbattei gli occhi e tutto scomparve, al che mi chiesi se non l'avevo puramente immaginato.
«Oh, capisco. È la persona che più ti sta a cuore, vero?»
«La persona che più mi sta a cuore?», ripetei dietro di lei e la vidi annuire. Mi porse la fiala prima di riprendermi tra le braccia e portarmi indietro.
«A quanto pare vivete una situazione difficile. E tu non te ne sei neppure resa conto. Ma non importa, non è colpa tua. La strega stavolta ha chiesto davvero un prezzo crudele.»
La guardai senza capire di cosa parlasse e lei mi fece intendere che non aveva importanza, perché stava rimuginando tra di sé. Cercai di non darvi troppo peso, ma era difficile togliermi le sue parole dalla testa. Qualcosa picchiettava contro la mia mente, come se fosse fondamentale comprendere, come se fosse un puzzle da completare, ma più mi sforzavo e mi concentravo su quel puntino così lontano dal raggio dei miei pensieri e più mi sentivo indebolita. Affaticata.
Deglutii, chiudendo gli occhi per un istante, prima di atterrare accanto a Shaoran-kun. Fay-san e Kurogane-san ci guardavano incuriositi e la regina si presentò anche a loro. Mi porse la fiala e mi informò che ne bastava una goccia sulle ferite per farle guarire e, per agevolare il processo, poteva anche berne qualcuna.
Annuii comprendendo il processo e chiesi, in un sussurro soffocato: «Soffrirà...?»
«No. Anzi, proverà finalmente un po' di sollievo.»
Mi sorrise fiduciosa e io ricambiai il suo sguardo, prima di cominciare ad occuparmi della sua guarigione.
Fay-san e Moko-chan si proposero di aiutarmi e rimasi scioccata da me stessa quando reagii non permettendo loro di avvicinarsi. Forse ero stata un po' troppo brusca, ma dovevo essere io ad occuparmi di lui.
«Non avrebbe effetto se fosse qualcuno di voi a farlo.»
«Eh?», ci voltammo quasi tutti a guardarla, straniti. Quasi, perché Kurogane-san sembrava aver già capito tutto e se ne stava seduto in disparte, sonnecchiante, con le braccia incrociate.
«Quest'acqua proviene da una sorgente pura e solo un cuore totalmente sincero può berla e servirsene. Ognuno di voi, volente o nolente, si è ritrovato più volte a mentire nella sua vita. Questi due ragazzi non l'hanno mai fatto, e se talvolta è successo è stato non per proteggere se stessi, ma per fare in modo di non perdere o ferire la persona che è loro più cara.», continuò a spiegare, ma io cessai di ascoltarla, guardando Shaoran-kun col batticuore. Ignorando la loro presenza sciolsi le bende, facendo cadere una goccia d'acqua dove mi sembrava più grave, e già mi parve di vederlo rilassarsi. Stendersi. Sollevata che avesse un effetto quasi immediato gli tenni la testa alzata, mentre con l'altra gli facevo bere altre poche gocce. I suoi tratti sembrarono ammorbidirsi e lo lasciai riposare, chiudendo la boccetta e restituendola alla regina, ma lei la rifiutò.
«Tenetela, potrebbe servirvi in futuro.»
La ringraziai con tutto il cuore per quello che aveva fatto per noi e vegliai costantemente su Shaoran-kun, finché pochi minuti prima della nostra partenza non aprì gli occhi, sorridendomi.
«Buongiorno, Shaoran-kun.», gli augurai lasciandogli la mano che gli avevo tenuta stretta per tutto il tempo.
«Buongiorno, Sakura-hime. Dove ci troviamo?», si informò e lo aiutai a mettersi seduto.
«In un mondo pacifico e pieno di colori.»
Lui si guardò un po' intorno, spaesato, e alla piacevole ombra dei petali dei fiori sorrise raggiante, illuminando tutto ciò che lo circondava.
«Sembra magnifico.»
«Lo è.», confermai, avvicinandomi al suo viso. «Shaoran-kun, come ti senti?»
«Pieno di energie.», mi rassicurò, stiracchiandosi, e lo guardai sollevata.
«Meno male.»
«Grazie infinite, hime.»
«Per cosa?»
«Per esservi presa cura di me, in ogni istante. Anche se non ero cosciente, sentivo che la vostra presenza mi era vicina.»
Arrossii, abbassando lo sguardo.
«L'ho fatto perché volevo...», lo resi consapevole. Non perché mi sentissi in dovere.
Mi alzai, imbarazzata, e mi allungai verso di lui per aiutarlo a fare altrettanto. Avevamo ancora pochi minuti a disposizione ed ero decisa a mostrargli quella meraviglia. Dovevo condividere la mia scoperta con lui.
Quasi come se avessero letto i miei pensieri fummo raggiunti da delle ninfe, le quali, sotto ordine della loro padrona, dovevano farci volare per mostrarci il Regno. Ci librammo nel cielo e ammirammo dall’alto quel mondo straordinario, incantevole.
Shaoran-kun mi sembrò lieto che condividessi quell’esperienza con lui e stese le sue labbra, rivolgendomi uno sguardo grato. Mi rilassai, indugiando per qualche istante sui suoi dolci occhi che riflettevano l’ambiente circostante, perdendomi in essi. Smarrendomi in un aroma di colori fioriti e cieli riuniti.
 


 
 
NdA: Salve a tutti! Steffirah vi parla da Nessundove (?) :3
Vi chiedo scusa se mi faccio viva solo adesso, ma è la prima storia che pubblico e ancora non capisco come funzionano le cose >.< Pensavo che ci fosse una zona a parte per scrivere eventuali note, ma forse mi sbagliavo x//D Oppure c’è davvero e sono sul serio una svampita haha
Come potete ben vedere sono “nuova” da queste parti, quindi ogni consiglio/aiuto/suggerimento è ben accetto! In qualunque campo (sia nel sito che nella scrittura ^_^)!!
Sebbene avessi già dovuto dirlo in precedenza, specifico che la maggior parte delle One-shot riguarda i cloni e nonostante siano storie AU molte cose (scene/frasi) sono prese dal manga.
Perché pubblico proprio adesso? Ad un anno dall’iscrizione sul sito e ad un mese dalla week? Vi basti sapere che è una sfida che sto facendo con me stessa e una persona a me cara :’)
Detto ciò, vi auguro buona lettura!
 
P.S.: よろしくおねがいします!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Day 4 - Touch ***


Day 4 – TOUCH
 
~ Yume no Tsubasa ~
 
«Shaoran-kun!», ansimai, gridando, mettendomi seduta. Mi tastai le guance, trovandole rigate da lacrime ancora calde, che continuavano a scivolarmi sul viso, bagnandomi le labbra. Deglutii la saliva salata, cercando di riprendere il contegno e calmarmi, ma il tremolio delle mie mani sembrava inarrestabile. Automaticamente mi tastai la schiena, sentendo il dolore perforarmi le scapole, come delle lame affilate.
Non riuscii a trattenere un singhiozzo, quando mi sentii avvolgere in un caldo abbraccio.
«Sakura-hime, cosa succede?»
«Shaoran-kun! Shaoran-kun!!», continuai a ripetere imperterrita il suo nome, tra una lacrima e un'altra. Mi voltai e mi aggrappai alle sue spalle, stringendomi forte a lui, come alla ricerca di un appiglio, di una roccia sicura a cui aggrapparmi per non sprofondare negli abissi dell'ombra.
«Ssh, hime, va tutto bene.» Mi strinse a sé, baciandomi i capelli e massaggiandomi delicatamente la schiena, come se fossi una bambina.
Cercai un ritegno nascosto in qualche angolo remoto della mia lontana coscienza per tornare in me e allontanarmi quanto bastava per riprendere il controllo sul mio respiro e smettere di imbrattare la sua maglietta di lacrime.
«Cosa vi è successo?»
Lessi la preoccupazione nelle sue iridi scure, a malapena distinguibili al buio, e spiegai, asciugandomi gli occhi con il dorso di una mano: «Un incubo.»
Lui prese quella stessa mano e la strinse, mentre con l'altra mi asciugava i residui brucianti rimasti sulle guance e sul collo.
«Volete raccontarmelo?»
Annuii e mi strinsi nuovamente a lui, nascondendo la testa sul suo petto, riportando il brutto sogno alla memoria.
«Mi trovavo in una foresta, completamente sola, e avevo con me un ombrello riccamente decorato con intarsi color oro e smeraldo, anche se non pioveva. Gli alberi erano radi, ma l'erba era alta e folta, arrivandomi fino alle ginocchia. Tirava un vento leggero e mi sentivo bene, seppure provassi una strana inquietudine. D'un tratto alzai lo sguardo verso il cielo, che era completamente bianco, e capii di essere circondata dal nulla; di trovarmi in nessun luogo, eppure in ogni dove.» Feci una pausa, contraendo le spalle, stringendo la sua maglia tra le mie tese dita. «Proprio in quell'istante sentii un fastidioso prurito alle scapole e la stoffa del mio vestito si strappò, liberando delle grosse ali bianche. Da queste si levò un fumo sempre più tossico e soffocante che rese il cielo color pece. Non vedevo più nulla, finché l'erba non prese fuoco e apparve una figura alle mie spalle: non la riconobbi, aveva celato le sue sembianze in una fitta nebbia argentea, ma mi sembrava familiare. Egli mi afferrò le ali, tirandole verso di sé, e mi strappò una piuma alla volta, senza alcuna pietà. Urlavo per il dolore insopportabile, mi dibattevo, ma i miei sforzi erano vani. Sembrava essere sordo alle mie grida, cieco alla mia sofferenza, e le bruciò, con lentezza, torturandomi crudelmente. Le vedevo ardere, sfrigolare al contatto con le fiamme incandescenti, sbriciolarsi, svanire e cadere al suolo, come sabbia in una clessidra, divenendo nient'altro che cenere. La cenere dei miei ricordi... Ogni volta perdevo una parte di me stessa, la mia vita, la mia esistenza, me la stavano strappando via con la forza... Ma prima che dimenticassi completamente ciò che ero, prima che mi perdessi definitivamente, prima di divenire nient'altro che un guscio vuoto, una bara, spoglie di una cicala... Tu sei apparso. Volevo parlarti, gridarti di andare via, di scappare, dirti che mi saresti mancato, che ti volevo tanto bene e che ti ringraziavo per tutto quello che avevi fatto per me, che eri una persona speciale, l'unica per la quale avessi mai provato un sentimento tanto potente in tutta la mia vita, ma la mia bocca pareva improvvisamente secca. Riarsa. Non riuscivo ad emettere più alcun suono, gridavo, ma neppure io riuscivo a sentirmi, e stavo andando nel panico quando miriadi di schegge di legno con lingue infuocate trafissero il tuo corpo. Il tuo sangue mi schizzava sul viso e io non potevo far altro che stare a guardare, inerme, senza poter far niente, guardare mentre ti ammazzava e grossi pipistrelli si nutrivano del tuo sangue, guardare, con gli occhi sbarrati, come sparivi, lentamente, infrangendoti in mille pezzettini che crollarono al suolo, come vetro scheggiato. Poi lui mi tolse anche l'ultima piuma e non ti riconobbi più, non sapevo più chi fossi, non capivo cosa ci facevo lì, non capivo cosa significasse respirare e, intossicata dal fumo, mi accasciai al suolo, mentre le radici delle mie ali si dissolvevano nell'aria, come polvere. L'ultima cosa che ricordo è che sono riuscita a prendere uno dei cocci di vetro, forse quello del tuo cuore, prima di morire. E poi mi sono svegliata.»
Rabbrividii, raccontandoglielo, e ricominciai a piangere copiosamente, stringendomi maggiormente a lui, avvolgendo le braccia attorno alle sue spalle, singhiozzando con l'animo straziato: «È stato terrificante! Ho avuto così tanta paura! Sembrava così reale! Ho temuto d'averti perso, per sempre! Shaoran, non svanire, ti prego! Per favore, restami accanto, resta con me, non abbandonarmi! Non morire! Non morire, non morire!»
Glielo ripetei almeno un'altra decina di volte, con lui che ricambiava la mia stretta e mi consolava, mormorandomi dolci parole confortanti all'orecchio destro.
«Sono qui, Sakura, non vado da nessuna parte. Ti starò sempre accanto, te lo prometto. Adesso calmati, va tutto bene, sto bene, e stiamo insieme. Ssh, Sakura, va tutto bene.»
Tirai su col naso, calmandomi per qualche istante, e mi allontanai per guardarlo. Lui fece i miei stessi gesti e, così, mi ritrovai ad una spanna dal suo viso. Si creò tra di noi un'atmosfera imbarazzata che sostituì immediatamente il panico, per cui mi feci più indietro, tornando al mio lato del letto. Presi un respiro e deglutii, ristendendomi composta e portandomi le mani al viso, sentendo le gote roventi sotto i polpastrelli. Non riuscivo a crederci, trascinata dal flusso delle emozioni mi ero praticamente gettata su di lui senza il minimo pudore, senza neppure considerare l'ipotesi che probabilmente gli dava fastidio. Ma se non m'aveva allontanata significava che non disdegnava la mia vicinanza, no? Tuttavia era la prima volta che lo abbracciavo in maniera tanto... intima. Se poi vi aggiungevamo la notte trascorsa con lui... Scossi la testa, rendendomi conto di star diventando paranoica. Quante volte avevamo dormito fianco a fianco? Quante volte ero svenuta e avevo continuato a dormire tra le sue braccia? Perché dopo una notte come tante altre mi sembrava che il cuore potesse scapparmi dal petto? Forse la risposta stava nel fatto che era, a dire il vero, la prima in assoluto in cui dormivamo soli. Completamente soli. In un letto matrimoniale. Era ironico riflettere sul fatto che lui, inizialmente, si fosse rifiutato, proponendo di dormire per terra. All'istante non vi avevo visto nulla di male, ma ora iniziavo a comprendere il suo disagio. Ma dopotutto non avevamo una scelta molto vasta in quanto l'unica camera libera oltre alla nostra era una doppia con due letti singoli - che avevano occupato Kurogane-san, Fay-san e Moko-chan.
Non avevo considerato le difficoltà nel dormire accanto ad un ragazzo, e non uno qualsiasi, ma il ragazzo che più mi era caro da quando avevo ricominciato a recuperare la memoria. Non avrei mai pensato di potermi sentire così... impacciata. Un po' in difficoltà, ecco.
Ciononostante, al momento della scelta delle camere ero troppo entusiasta. Sin da quando eravamo atterrati in questo mondo mi sentivo frenetica, allegra e gioviale. Era adorabile! Le strade erano sostituite da lunghi torrenti traversabili con ponti sospesi tra due edifici e piccole imbarcazioni dalla forma tondeggiante. Le abitazioni sembravano tutte uguali, piccole e squadrate con grosse vetrate colorate, addobbate con fiori e zucchero filato. Il tempo scorreva in maniera diversa da ciò a cui eravamo abituati ed era imprevedibile: si passava dall'alba al tramonto all'aurora alla notte al crepuscolo al mezzodì e così via, in fasi alternate e sconnesse, con una durata differente. Ma tra questi fenomeni quello che ci aveva colpito maggiormente era la notte che riluceva di piccole lanterne dalle forme e le dimensioni più svariate, le quali brillavano alte nel cielo, più splendenti delle stelle. Le stesse che ora, al di là della nostra finestra a mosaico, delineavano la figura di Shaoran-kun, facendola risplendere  come se irradiasse un'aura angelica.
Arrossii e sviai lo sguardo per non farmi scoprire a fissarlo e perlustrai nuovamente la stanza con lo sguardo, attraverso gli occhi lucidi. Adoravo quelle quattro mura che ci circondavano: le pareti, d'un colore sbiadito e antico, erano chiazzate d'oro e ricoperte di foglie autunnali, rosse, gialle, arancioni, marroni, rosa e così via; sulle nostre teste file di piccole luci, grandi quanto perline, illuminavano il soffitto, affrescato da costellazioni fatte di cristallo; sui piccoli mobili vi erano lampade a motivo floreale, orsacchiotti di pezza, e le porte avevano intagli in legno, pieni di simboli che a me sembravano sconosciuti, ma che Shaoran-kun sembrava riuscire a decifrare. Su ogni entrata c'era un'incisione e la nostra recitava:
 
Viaggiando lontano con te, ricucirò i ricordi sulle ali di un sogno

Sembrava, in qualche modo, rispecchiarmi. L'avevo scelta subito e, se avevo ancora qualche dubbio, questo svanì quando ebbi modo di tastare la morbidezza di quel letto: non era molto grande, di appena due piazze, ma bastava per far entrare entrambi e dormire comodamente, accolti dall'agio e dalla sua soffice consistenza. E poi, c'erano ben 6 cuscini, anche più di quelli con cui dormivo a palazzo!
Gongolai tra me, riabituandomi a quella piacevole sensazione, quando percepii il respiro calmo, regolare, ma soprattutto caldo di Shaoran-kun farsi più vicino. Non riaprii gli occhi, timorosa di incontrare il suo sguardo, e sentii le sue morbide e ardenti labbra posarsi al centro della mia fronte.
«Non temete, principessa, vi proteggerò io. Anche dai vostri stessi incubi.», sussurrò, la sua ardente lena mi carezzava gentilmente la pelle, e a stento mi trattenni dallo schiudere le labbra e ingannarmi. Ma lui non si allontanò, anzi prese a sfiorarmi il viso, toccando appena la mia cute. Capii che le mie palpebre tremanti mi stavano tradendo e aprii lentamente gli occhi, preparandomi all'impatto con il suo corpo così vicino al mio.
Mi si mozzò il fiato quando, sorridendomi altrettanto imbarazzato, ridacchiò: «Stanotte sto esagerando con il contatto fisico, vero?»
E mi sorpresi nell'udire la mia voce rispondere, di sua spontanea volontà: «No, al contrario, ci sono momenti in cui vorrei tu mi toccassi di più.»
Mi resi conto in ritardo della mia dichiarazione esplicita facilmente fraintendibile e se avessi potuto avrei masticato e ringoiato le mie parole in un unico colpo. Ma, oramai, non potevo più tornare indietro.
Alla fioca luce artificiale notai le sue guance arrossire, e si tirò subito indietro, stendendosi al suo lato e voltandosi verso il muro, dandomi le spalle.
«Buonanotte, Sakura-hime», mi augurò agitato, senza però perdere la sua solita formalità. Sorrisi alla sua reazione, in cuor mio soddisfatta che anche lui fosse scombussolato - e di certo non me ne vantavo. Mi voltai a guardargli le spalle e posai una mano sul suo fianco sinistro, stringendogli un lembo della maglietta tra le dita. Dopo qualche istante di immobilità fece inavvertitamente scivolare le sue dita sulle mie, avvolgendole come un nastro di velluto.
«Buonanotte.», mormorai assonnata, chiudendo nuovamente gli occhi e appoggiando la fronte contro la sua nuca, per essergli ancora più vicina. In breve sprofondai nel mondo dei sogni, quello vero stavolta, cullata dai petali di ciliegio, e da un piccolo lupo che mi cantava la sua ninna nanna.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Day 5 - Moment that made you happy ***


NdA: Avviso importante!
1) Vi sono alcuni – parecchi – riferimenti al popolo Maya
2) Per i “momenti” mi sono ispirata a delle immagini di capitolo del manga
3) Vorrei che TWC finisse così :’) …… Okay no, non c’entra nulla x’D
 
Buona lettura!

 

 
Day 5 – MOMENT THAT MADE YOU HAPPY
 
~ La mappa del cuore ~
 
Stavo raccogliendo delle conchiglie sulla spiaggia quando lo trovai. Era privo di sensi, fiacco, a malapena respirava. Temetti di essere arrivata troppo tardi, quando quel piccolo leoncino si mosse. Sorprendentemente aprì gli occhi, le lunghe e spesse ciglia tremanti ancora bagnate intersecate dalle gocce del mare... Anche se sembravano lacrime. Con lo sguardo perso biascicò qualcosa, ma purtroppo non lo capii. Gesticolai, cercando di esprimermi al meglio delle mie possibilità, e cercai nel cesto che avevo al mio fianco dell'acqua potabile da offrirgli. Lui allungò a fatica una mano, il suo viso una maschera di sofferenza, così mi proposi di aiutarlo tenendogli il busto dritto, alzato, per semplificargli le cose, portandogli la sacca alle labbra. Lui bevve avidamente e lo lasciai trangugiare tutto il contenuto, sperando non si strozzasse per la fretta con cui deglutiva. Probabilmente era disidratato, o forse i suoi polmoni bruciavano per il sale; in tal caso, avrebbe prima dovuto purificare i suoi organi e le sue cellule. Quando non rimase più una goccia emise un sospiro soddisfatto, chiudendo gli occhi, mugugnando altre parole incomprensibili.
«Mi dispiace, non riesco a capirti.», mormorai mortificata e lui sorrise, riacquisendo vigore.
«Grazie.», disse nel mio linguaggio.
«Eh?! Tu parli la mia lingua??», chiesi esterrefatta.
«Qualche parola. Scusa per... Acqua.», indugiò, smozzicando le parole, chiedendomi conferma con uno sguardo. Io scossi la testa da un lato all'altro, con tanta veemenza da frustarmi il viso con i miei stessi capelli.
«A me non serviva.», lo rassicurai.
«Come ti chiami?», aggiunsi, incuriosita. Era la prima volta che incontravo uno straniero!
«Shaoran.»
«Che nome buffo.», commentai ridendo, portandomi le mani alla bocca. Lui assottigliò gli occhi e tossicchiai, tornando composta. «Il mio è Sa-kuh'ra.» A stento lo vidi trattenere una risata e mi indispettii. «Okay, forse anche il mio suonerà strano per te.», gli concessi.
Lui negò e mi corresse: «È carino.» Sorrise gentilmente e sviai lo sguardo, scrutando la spiaggia deserta.
«Come sei arrivato sull'isola?»
Un'ombra calò sulle sue iridi, oscurandole. «Naufragio.»
Impallidii e mi trattenni dal domandare dove si trovasse il resto dell'equipaggio. Mi alzai, chiedendogli se ce la faceva a camminare sulle proprie gambe per raggiungere il mio villaggio e trovare una soluzione insieme agli adulti. Magari saremmo riusciti a trovare altri sopravvissuti.
Quello era il giorno del mio settimo compleanno e il vasto oceano m'aveva fatto il regalo più grande che potessi mai desiderare: uno scrigno di tesori preziosi, una perla in una distesa di ostriche, per le quali qualunque uomo avrebbe pagato oro. M'aveva portato l'uomo che sarebbe diventato il compagno della mia vita.
Con questo pensiero crescemmo insieme, l'uno al fianco dell'altra, nonostante la sua vocazione lo portasse lontano da me, come ricercatore e studioso di rovine. Tuttavia già prima che si scoprisse il suo talento aveva dimostrato un interesse unico nei confronti della mia civiltà, integrandosi a meraviglia. Tanto che, ben presto, lui non fu più visto come uno straniero, bensì divenne uno di noi. Lo affascinavano l'assetto del villaggio, le strade in pietra rialzate, i nostri variopinti palazzi, i nostri templi di pietra scolpita su catene montuose, a forma piramidale, le nostre abitazioni di legno affrescate, i nostri vasti campi da gioco, le strutture dedicate all'osservazione astronomica, le nostre merci, le produzioni in ceramica, le steli su cui scrivevamo con la scrittura geroglifica locale, i nostri libri ricchi della storia del milieu, i nostri calcoli matematici, i calendari, i ricchi gioielli di ossidiana e giada che ci commissionavano, i nostri riti religiosi, i lunghi rituali mattutini e serali a cui dovevo prendere parte ogni giorno, fino al raggiungimento dei miei dodici anni, la nostra cultura, la gentilezza e l'affabilità del nostro popolo, la nostra costante allegria e il nostro ottimismo, l'assenza di guerra e carestie, le piantagioni di mais, peperoncino, zucca, pomodori e fagioli, le coltivazioni di cotone, vaniglia e cacao - che scoprii apprezzasse in maniera particolare, nonostante non fosse schizzinoso e mandasse giù qualsiasi tipo di cibo: anche pietre, se gliele avessero offerte.
Si riscoprì essere un ragazzo cortese, dalle buone maniere. Visse con noi a palazzo e quando scoprì che ero una Kalomte, una principessa, un membro della famiglia reale, cominciò a comportarsi come un suddito persino nei miei confronti. C'erano voluti mesi per fargli capire che con me, perlomeno, non doveva essere formale. Questione diversa con mio fratello maggiore, il quale era un B'aah ch'ok, ossia il legittimo erede al trono, e mio padre, definito un "Ajaw Ku'hul", che significava "Signore divino". Infatti, si credeva che la famiglia reale si facesse garante dell'equilibrio tra il mondo dei vivi e quello dei defunti e, a riprova di ciò, persino io riuscivo a sentire quelle che venivano definite le "non voci". Alla morte di mio padre, essendo mio fratello impegnato con le procedure per l'incoronazione, mi occupai io della veglia funebre, purificando il suo spirito, pregando per la sua anima affinché potesse ritornare alla sua dimora originaria, insieme agli dei. Per quanto riguarda l'intronizzazione assistetti soltanto alla consegna dello scettro, della fascia color smeraldo e del copricapo di piume, partecipe al plauso del pubblico. Avevo soltanto 10 anni, ma non mi sentivo triste. Con me c'era Shaoran, e lui non mi avrebbe mai lasciata sola.
Come già detto, io e lui trascorrevamo la maggior parte del tempo insieme. Ci dedicavamo a diverse attività, alcune tranquille come renderci utili nel confezionare stoffe pregiate da barattare, dando il nostro piccolo contributo alla società, altre un po' più avventurose e pericolose, come quella volta quando all'età di nove anni costruimmo una casa su un albero e, nel tentativo di salvare delle uova non ancora schiuse di pappagallo dall'attacco di spietati serpenti velenosi Shaoran finì col sbucciarsi braccia e gambe sulla corteccia, durante l'arrampicata e l’impacciata discesa. Mi ero presa amabilmente cura di lui, come una madre, quella madre che lui aveva perduto in quel tragico incidente, quando nemmeno io ricordavo più il volto della mia. Col mio premuroso gesto ricambiai ciò che lui aveva fatto per me quando, pochi mesi prima, ci eravamo arrampicati di nascosto sulla sommità del tempio. Lui si era opposto per tutto il tempo, ripetendo in ansia che rischiavo di ferirmi, e che ci era proibito l'accesso al tempio. Al che avevo osato ribattere, temeraria: «Non possiamo entrare, ma nessuno ci impedisce di scalarlo, rimanendo all’esterno. E poi so che, seppure stessi per farmi male, tu ti precipiteresti subito da me e lo impediresti. Non ho nulla da temere!»
Lui mi aveva seguita un po' rassegnato, non togliendomi gli occhi di dosso neanche per un istante, e quando raggiungemmo la cima esultai, dimostrandogli che avevo ragione, facendo scappare con il mio saltellare tutti gli uccellini che vi riposavano, i quali si librarono in volo in un vortice di colori rosati e pallidi, ma candidi alla luce del giorno.
Shaoran dovette ammettere che non c'era pericolo e anzi, da lassù la visuale era fantastica e tirava una brezza leggera che ammorbidiva le sfarzose vesti che indossavamo. Ciononostante non riuscì a rilassarsi finché non raggiungemmo nuovamente il suolo e proprio qui persi l'equilibrio e caddi col viso accanto ad uno scalino, graffiandomi metà guancia sinistra per l'impatto, la quale si gonfiò e illividì. Subito Shaoran si incolpò, accusando se stesso per non essere riuscito a reagire prontamente nel tentativo di afferrarmi al volo e non volle sentire ragioni, nonostante gli ripetessi che stavo bene ed era soltanto un graffio. Non sentivo dolore, se lui mi era accanto, e visto che decise di curarmi personalmente il mio buonumore quel giorno non poté far altro che migliorare. Questo ha iniziato a peggiorare non appena aveva cominciato a lavorare, dimezzando drasticamente le ore che trascorrevamo insieme.
Il suo tirocinio aveva avuto inizio all’età di 12 anni, e quella stessa prima notte, per asciugarmi le lacrime, mi propose di andare all'osservatorio per ammirare la stelle. Ci sedemmo, l'uno di fianco all'altra, e con un braccio mi cingeva le spalle, mentre con la mano libera mi indicava delle costellazioni segnate su una mappa che teneva appoggiata sulle sue gambe, trasportandole nel cielo e rendendole reali. Lo considerai un mago, quando lui mi spiegò che il processo avveniva al contrario: la gente osservava quei punti luminosi lontani e li rappresentava come meglio li riceveva sulla carta, e unendoli creava delle forme antropomorfe, in modo tale che fosse più semplice riconoscerle.
Più tempo trascorreva e più mi rendevo conto della sua intelligenza - la curiosità non era una novità -, e lo ammiravo talmente tanto che talvolta lo imploravo di raccontarmi dei suoi viaggi, delle sue scoperte, istruirmi su tutto ciò che di nuovo apprendeva. Così, poco alla volta, imparai ad amare il suo lavoro, tanto che un giorno gli chiesi esplicitamente di insegnarmi una nuova lingua. Lui si illuminò di pura e genuina gioia alla mia semplice richiesta, quasi come se così facendo lo avessi reso la persona più felice dello spazio. Nel giro di un mesetto di lezioni riuscii a riconoscere quasi tutti quei caratteri cuneiforme e mi mise alla prova facendomi leggere un reperto archeologico. Quando arrivai alla fine provai a tradurlo e, riuscendoci in maniera impeccabile, esultai, mentre gli occhi di Shaoran mi guardavano straripanti d'orgoglio. Mi abbracciò, rivelandomi che era fiero di me e della mia velocità di apprendimento, ma io gli feci capire che era tutto merito suo: era lui ad essere un ottimo insegnante.
Così erano trascorsi un paio di anni e quel mattino mi svegliai di buon'ora per dargli il bentornato. Finalmente rincasava da una lunghissima spedizione, durata ben 10 mesi. Se non mi avesse spedito regolarmente delle missive già sarei sprofondata negli abissi della disperazione e della solitudine più assoluta.
Mi rivestii in fretta e furia, uscendo agilmente dalla mia finestra per tagliare la strada, quando lo trovai appoggiato comodamente accanto ad un totem, con le braccia incrociate, a rigirarsi assorto un fiorellino tra le dita, quasi come se lo stesse studiando da diverse angolazioni. Chissà da quanto tempo era lì! Decisi di spaventarlo e, senza farmi notare, raggiunsi il lato opposto della colonna, affacciandomi appena. Sobbalzai nel trovarlo voltato nella mia direzione, con un sorrisetto divertito a dipingergli il volto, e così fu lui a sorprendere me. Da quando era diventato così alto? E, sbagliavo, o i suoi capelli erano più lunghi di qualche centimetro? La sua pelle sembrava più abbronzata, dorata dal sole. E i suoi occhi... Erano sempre stati così profondi? Così intensi? Avevano sempre avuto quella tinta unica del cacao da cui ultimamente ero assuefatta, visto che mi sembrava la cosa che mi potesse tenere più legata a lui?
Mi ritrovai a mormorare, con un filo di voce: «Bentornato...» Sbattei gli occhi, ricordandomi in ritardo che non era così che avevo immaginato il nostro bramato incontro.
Lui sorrise come un raggio di sole, prima di rispondere: «Sono torna- wah!» Lo interruppi, girando attorno alla colonna e correndo tra le sue braccia, trattenendo a stento i singhiozzi.
«Mi sei mancato. Desideravo così tanto rivederti!», mi sfogai, rendendomi conto in ritardo del mio gesto.
Avvampai, scostandomi da lui, sviando lo sguardo, ma anche senza guardarlo percepii il suo sorriso sfiorare dolcemente il mio volto. Mi si riavvicinò, stringendomi tra le sue forti braccia, concludendo quello che stava dicendo: «Sono tornato.»
Mi baciò i capelli, seguendo la nostra tradizione - anche se secondo il mito era un gesto salvifico da compiere con la propria moglie quando si ritornava da lunghi viaggi e, per questo motivo, finii col sentirmi più emozionata di quanto fosse dovuto. Il cuore prese a battermi con furia, superando la velocità delle ali di un colibrì, mentre lui riprendeva quello stesso fiore che aveva catturato i suoi pensieri e me ne fece dono, intrecciandolo abilmente ai miei capelli.
«È un ciliegio.», spiegò. «L'ho preso nel regno del Giappone, lì ha il vostro stesso nome.»
Mi carezzò le guance, facendo scorrere il suo amorevole sguardo lungo tutto il profilo del mio viso, osservandone ogni ombra con aria malinconica, mentre lo scrutavo a mia volta confusa, cercando di scoprire dove fosse l'inganno.
«Il mio nome?»
«Esatto. Lo chiamano “sakura”.» Pronunciò il mio nome con una nuova cadenza, più melodica, meno gutturale, e mi innamorai immediatamente di quelle tre sillabe. Sorrisi intenerita, non riuscivo a credere che avesse fatto un collegamento simile.
«Anche tu mi hai pensata?», mi lasciai sfuggire, pentendomene immediatamente. Sperai non lo infastidissero tutte quelle attenzioni, ma davvero... Mi era mancato troppo.
«In ogni istante.», confermò, stringendomi nuovamente a sé. Chiusi gli occhi, cullata nel suo abbraccio.
«Ogni notte, prima di dormire, mi chiedevo cosa stessi facendo tu... Guardavo le stelle di cui tu mi avevi illustrato i nomi, sperando che per quanto lontano fossi tu facessi lo stesso... Ti ho sognato quasi ogni notte e di mattina il mio primo pensiero eri tu...», confessai, nascondendo il viso sul suo petto, inalando il suo odore, riempiendomene i polmoni, tornando finalmente a respirare.
«Sono le stesse cose che ho fatto io, Sa-kuh'ra. Non sei scomparsa neppure per un istante dalla mia mente.»
«Spero almeno di non essere diventata una distrazione durante le ricerche.», osservai rimpicciolendo, alzando lo sguardo su di lui. Lui rise flebilmente, tranquillizzandomi a tal riguardo.
In seguito abbassò il volto e soffiò a pochi centimetri dalle mie labbra: «Però... Anche io, non ho smesso neppure un istante di pensarti. Volevo rincontrarti, ad ogni costo. Mi sei mancata tantissimo.»
Mentre parlava con la mano sinistra mi bloccava contro il pilastro, con la destra mi carezzava i capelli, facendovi scorrere le dita fino alla loro lunghezza. Quando tacque mi si avvicinò maggiormente e chiusi gli occhi, preparandomi al contatto con la sue morbidi labbra. Finalmente, quel tesoro era tornato da me.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Day 6 - Moment that made you sad ***


Day 6 – MOMENT THAT MADE YOU SAD
 
Issho ni ~
 
 
Allungai un braccio alla mia destra, convinta di trovarvi Shaoran. Tastai al buio il cuscino, trovandolo freddo e vuoto. Sbattei gli occhi, perplessa, e mi alzai, sgusciando fuori dal sacco a pelo e indossando il grosso giubbino di piume, di due taglie più grandi. Rimisi gli stivali alti imbottiti di pelliccia, ricordando sciarpa, guanti e cappello di lana, prima di aprire la tenda e affacciarmi all'esterno. Vagai con lo sguardo nella grotta, ma nemmeno lì c'era traccia di lui. Scossi la testa e uscii, richiudendomi la cerniera alle spalle. Mi avviai verso l'imboccatura della piccola cavità in cui ci eravamo rifugiati e abbassai la testa per uscire, preparandomi psicologicamente per il gelido impatto che avrei subito all'aria aperta. Sorprendentemente, non arrivò neppure una folata di vento. E io che mi aspettavo una bufera di neve. Mi diedi della ridicola mentre mi guardavo intorno, aguzzando la vista, cercando di abituarmi al buio e intravidi un'ombra. Ero lontana, ma mi sembrava lui, così corsi alla velocità concessami dalla neve e mi arrampicai sulle rocce, congiungendomi a lui. Mi sedetti alla sua sinistra, ricevendomi così un'occhiataccia.
«Sakura.», disse soltanto, in tono esasperato.
«Shaoran.», sorrisi innocentemente.
Lui chiuse gli occhi e sospirò, prima di allungare un braccio e stringermi a sé. Mi accoccolai contro il suo petto, approfittando del calore del suo corpo per riscaldarmi, e lui mi massaggiò la schiena, con movimenti lenti e regolari.
«Non hai freddo?», chiese premuroso e io scossi la testa in risposta, rilassandomi tra le sue braccia.
«Tu, invece, che ci fai qui fuori?»
Nemmeno lui mi rispose, ma si limitò ad indicarmi davanti a sé. Seguii la traiettoria tracciata dal suo dito e spalancai occhi e bocca, senza fiato. Da dove ci trovavamo riuscivamo a scorgere un braccio della montagna che ci ospitava momentaneamente, totalmente nera rispetto al bianco azzurrognolo che la circondava. Al di là di essa vi era un'altra catena montuosa innevata che ci impediva di vedere più lontano, ma la vera meraviglia stava nel cielo al di sopra di essa. Nonostante fosse piena notte era talmente chiaro che sembrava illuminato da numerosi fari posizionati sulla Terra, quasi come se fossimo noi a donare luce all'universo e non il contrario. Le stelle splendevano, come dei fuochi fatui, e creavano un torrente sregolato, mostrandoci la Via Lattea. Questa scorreva su delle nubi larghe, blu notte e grigie, che parevano onde del mare, densi raggi celesti che si estendevano verso di noi, come se volessero crearci un cammino per attraversare lo spazio e bagnarci nel fiume del cielo. Ma nemmeno questo era ciò che mi sorprendeva davvero. Estasiata, i miei occhi non riuscirono più a staccarsi dagli squarci verdi del cielo, che sembravano stendersi sull’esosfera come crema, dai contorni smeraldo e l'origine cinabro.
«È bellissimo.», sussurrai, allontanandomi da Shaoran per farmi più avanti, quasi come se così potessi raggiungere l'eternità più facilmente.
Lui annuì rumorosamente, prendendomi una mano e stringendola nella sua.
«L'aurora boreale...», esordì, con voce roca. «Oggi ha lo stesso colore dei tuoi occhi.»
Il cuore mi sobbalzò nel petto, lieto per la sua constatazione, e sorrisi tra me, stringendo la sua mano. Abbassai gli occhi sul mio ventre, sfiorandolo con la mano libera, e lui se ne accorse quando mi si affiancò.
«Ti fa male la pancia?», domandò, subito allarmandosi, e io lo tranquillizzai mormorando:
«No, mi stavo soltanto chiedendo se riuscisse a vederlo anche lui.»
Colsi una sua occhiata confusa e presi un respiro profondo, rendendomi conto che era giunto il momento di dirglielo. Feci per aprire bocca, ma non ce ne fu bisogno. Dai suoi occhi emerse la consapevolezza e mi fissò per un lungo istante, facendo scattare lo sguardo dal mio viso alla mano ancora posata sul mio ventre al mio viso e così via. Trascorse quasi un minuto e iniziai a convincermi d'averlo sconvolto, quando si aprì in un enorme sorriso. I suoi occhi si riempirono di lacrime mentre mi chiedeva, la voce impastata in un misto di meraviglia e incredulità: «Dici davvero?»
Annuii, energeticamente, e lui mi strinse la mano, avvicinandomisi. Una lacrima straripò dal suo occhio sinistro, scivolandogli sulla guancia, cadendo sul suo cuore, dove vi lasciò una piccola macchia bagnata.
«Ne sei sicura?» Stavolta la sua voce era accorata, ricca di emozione, e io risposi commossa:
«Sì. Aspetto un bambino, Shaoran.»
Lui mi abbracciò di slancio, piangendo tra i miei capelli, ripetendomi quanto fosse felice di diventare padre e quando si calmò un po' si allontanò per guardarmi negli occhi, intensamente.
«Diventerò padre.»
«Sì.»
«E tu sarai madre.»
«Sì.»
«Saremo genitori. Insieme.»
«Insieme.», ripetei, e calde lacrime sgorgarono anche dai miei occhi, mentre sorridevo, dolcemente. «Per sempre.»
«Per sempre.», mi fece eco, guardandomi con decisione e poi mi strinse di nuovo, con più delicatezza, facendomi appoggiare a lui e posando la sua mano sulla mia, carezzando dolcemente nostro figlio. Il nostro bambino. Intrecciammo le nostre dita, abbracciando il seme non ancora germogliato che portavo in me, facendo tintinnare le nostre fedi.
Il mattino dopo rimettemmo a posto i nostri effetti personali e, zaini in spalla, ci incamminammo verso il paese più vicino. Shaoran si riempì del carico più pesante, anche se mi rimproverò a lungo per non averglielo annunciato prima. Era insicuro circa la mia salute, cercava di tenermi - anzi, tenerci al più caldo possibile, divenendo a tratti paranoico.
«È un clima troppo rigido, non dovevamo venire.»
«Shaoran, non mi accadrà nulla. Sono soltanto quattro settimane, non sto così male. E poi, non potevamo rifiutare quest'offerta. Quante altre volte ti verrà chiesto di lavorare tra i ghiacciai? Pensaci.»
«Potevamo rifiutare, Sakura, non metto il lavoro davanti alla famiglia.»
«Nemmeno io, per questo ho deciso di seguirti, seppure conscia delle mie condizioni.»
«Ma se dovesse venirti una febbre? Se ti ammalassi? Se cominciassi a sentire dolori?»
«Basterà un po' di neve sulla fronte. Oh, insomma, ho pensato a tutto e ho portato tutte le medicine di cui potrei aver bisogno. Non preoccuparti per me, concentrati sulla tua missione.»
Era assurdo pensare che dopo tutti quegli anni trascorsi insieme era la prima volta che litigavamo, ma la verità era che non riusciva a capacitarsi del motivo per cui non gliel'avevo detto prima. Ad essere onesta, non avevo paura che si arrabbiasse o altro; semplicemente volevo prima esserne sicura, e poi sapevo che venendone a conoscenza avrebbe rinunciato alle ricerche. Mi sarei sentita troppo in colpa, non avrei mai potuto perdonarmelo. E poi, desideravo vederlo sul campo in un ambiente diverso.
Ciononostante, proprio quel giorno me lo impedì e mi impose di restare allo chalet, senza uscire per nessun motivo al mondo. Mi sedetti indispettita sul divano, davanti al fuoco, con le braccia incrociate, ma il mio umore migliorò quando feci amicizia con altre donne. Anche una di queste era incinta e mancava poco alla nascita, così scoprendo che anche io ero gravida mi informò un po' sulle cose positive, quelle negative, quelle da fare, quelle da evitare durante gli otto mesi rimanenti. Parlammo amabilmente per ore, sorseggiando del buon tè davanti ai ceppi d'un fuocherello allegro e scoppiettante, quando sentimmo il parquet tremare sotto i nostri piedi. Si trattò di un breve istante e mi convinsi che non fosse stato altro che un'illusione dei sensi. Dovevo averlo immaginato.
A disagio, mi misi più comoda sul divano, alzando le gambe, e rivolsi un'occhiata all'esterno dalla finestra che avevo di fronte. Sbiancai quando vidi una valanga di neve scivolare giù dalla montagna prossima all'albergo e correre inesorabilmente nella nostra direzione. Era silenziosa, come una biscia strisciava perfidamente verso di noi, allungando le zanne sulla nostra vita.
Balzai in piedi e senza neppure avere il tempo di pensare afferrai la mano della donna con cui stavo conversando e la condussi al piano superiore, per portarla in salvo. Una parte di me mi suggeriva di uscire il prima possibile, ma non mi sembrava una buona idea: avremmo soltanto accelerato la nostra fine. Corsi a perdifiato, salendo due gradini alla volta, gridando alle altre ospiti di cercare un riparo che potesse essere caldo e sicuro come coperte, piumoni o roba simile, ma loro si limitarono a guardarmi spaesate. Non c'era il tempo per spiegare loro che lo spirito del luogo stava reclamando le nostre anime e tutta quella calma mi snervava. Non aveva senso.
«Sbrigatevi, prima che sia troppo tardi!»
Spinsi la donna nel corridoio ma per la fretta, per l'impatto della neve contro le pareti di legno, per il cemento armato che ci minacciava, per il panico che mi attanagliava, per la paura che mi soffocava, persi l'equilibrio e caddi, rotolando giù lungo tutta la rampa di scale. Sbattei la testa contro qualcosa di rigido e appuntito, la mia visione divenne offuscata, come se stessi guardando il mondo dalle profondità dell'oceano, un liquido caldo e doloroso mi rigò il viso, raggiungendo la mia bocca, inghiottendo le mie tonsille, stritolando i miei polmoni, arrestandomi la mente. L'ultima cosa che ricordo è il suo viso, quello di Shaoran. E poi, il nulla.
 

Salutai i miei colleghi, sollevato che fosse finita, e raccolsi i miei attrezzi, pronto a tornare da loro. Da Sakura e dal nostro bambino. Mi sembrava ancora incredibile. Al solo pensiero affiorava un sorriso inconsapevole sulle mie labbra e ci avevo pensato talmente tante volte nell'arco della giornata che gli altri m'avevano preso in giro senza troppi complimenti. Alla fine dovetti arrendermi alla loro curiosità e spiegare il motivo di tanta felicità: ne gioirono insieme a me e si congratularono con gioia. Dopotutto, ci conoscevamo sin dai tempi dell'accademia e avevamo vissuto parecchie esperienze insieme, anche non lavorative. Erano come dei fratelli per me.
Tuttavia, mentre studiavamo e restauravamo quel nuovo reperto archeologico, così distante dalla società odierna, provai una brutta sensazione. Era come se qualcuno m'avesse pugnalato il cuore all'improvviso, cogliendomi alla sprovvista, privo di difese, e avesse rigirato la lama nel mio organo vitale ripetutamente, fino a crearvi un varco grondante sangue. Ero stato male e oltre che fisico, si trattava di un dolore nell'anima: riuscivo a vederla, dinanzi ai miei occhi, si librava a pochi centimetri dal suolo, tremava, gli occhi rispecchiavano un terrore puro, quando due grosse zampe mi afferrarono due lati della testa e la spaccarono a metà, continuando a tirare e strappare il resto in due parti uguali, facendo fuoriuscire tutta la mia essenza, facendola evaporare, risucchiandola in un vortice, derubandomi dell'esistenza. Persi coscienza, il mio sguardo divenne vacuo, e fu allora che sentii la voce di Sakura invocare disperatamente il mio nome.
Percepii, in me, che qualcosa di terribile era successo, ma non potevo muovermi dalla mia postazione - lei non me l'avrebbe mai perdonato - e oltretutto si trattava solo di un'altra mezz'oretta. Potevo farcela. Eppure ero distratto, in ansia per lei e per il bambino, così dissi ai miei colleghi che sarei tornato un po' prima per assicurarmi che stesse bene.
Corsi al fuoristrada e guidai come un pazzo, la testa che pareva scoppiarmi come tante bollicine, amplificando i rumori che mi circondavano, tanto che il suono delle sirene mi arrivò fin troppo chiaramente. Frenai di colpo, quel matto suono ritmato che si insinuava nel mio timpano, sfracassandolo, perforando la mia mente come un trapano. Le luci rosse e blu si alternavano davanti alle mie pupille, pungendole come aghi, il sordo rumore delle pale degli elicotteri scuoteva le mie ossa, rendendole di gesso, tanto che bastava grattarci con un'unghia per sgretolarle, sbriciolarle. No...
«No!!», gridai a pieni polmoni, le lacrime che mi offuscavano la visuale, mi si ghiacciavano sulle guance, mentre inseguivo quel pianto di dolore, sempre più vicino, sempre più vicino... Più vicino a lei... Più vicino a loro... E mi fermai, senza fiato, non riconoscendo più quel posto. Certamente, dovevo essermi sbagliato. Lo chalet era grosso, sicuro, di almeno tre piani, ma quello... Quello non era altro che un agglomerato di legna, pietre e neve. Non era il luogo in cui li avevo lasciati. Dovevo aver sbagliato strada, m'ero lasciato guidare dalla paura e avevo commesso un errore.
Tuttavia, riconobbi il proprietario. Era in disparte, e mirava la scena, lo sguardo inespressivo, il corpo rigido, immobile, come se si fosse congelato. Mi avvicinai a lui e lo scrollai malamente, chiedendogli cosa diamine fosse successo, perché c'erano tutti quei poliziotti, quei vigili, quelle ruspe per spalare la neve, chiedendogli dove fosse Sakura, la mia Sakura, ma pareva inutile tentare di estorcergli informazioni. Dentro di me conoscevo già la risposta, ma non riuscivo ad accettarla. Come potevo rassegnarmi all'idea che... Che lei... Che mentre io...
Non riuscendo a formulare più alcun pensiero razionale spinsi da parte l'uomo di ghiaccio, spaccandolo in mille frammenti, e corsi vicino alla prima ambulanza. Scorsi una donna incinta, in lacrime, e notai che a parte qualche graffio, la brina che ricopriva le sue vesti e lo spavento sembrava stare bene, ma il suo viso era sconvolto. Alzò lo sguardo dal nulla, incrociando il mio, e parve riconoscermi. Grosse lacrime le bagnarono il viso mentre allungava un dito, tremando come una foglia scossa dal vento, indicando verso l'ambulanza. Scattai come un lampo in quella direzione e la trovai: lì, su quella barella, inerme, ferita, immobile, il sangue le ricopriva gran parte del viso, sfigurando il suo angelico volto, non respirava... Sakura...
«Sakuraaa!!!!!»
Mi lanciai verso di lei, percepivo un suono lontano, voci che mi parlavano, braccia che cercavano di tenermi fermo, una siringa mi perforava la pelle, il suo liquido che entrava in circolo nelle mie molli arterie, tentacoli che mi afferravano la gola stringendola per soffocarmi, martelli che battevano contro la mia testa, spappolandomi il cervello, corvi che mi beccavano gli occhi, coyote si nutrivano della mia carne, sanguisughe prosciugavano le mie vene, avvoltoi stracciavano, masticavano, ingurgitavano il mio cuore senza alcuna pietà. Non capivo più niente e quando ricominciai a dare un senso alla vita, alla mia esistenza, mi ritrovai in una sala d'attesa. Vi diedi un nome: ospedale. Di fronte a me sedeva un uomo vestito con un camice azzurro-verdino, osservandomi pazientemente, in attesa, i ricci e crespi capelli brizzolati schiacciati da una cuffietta che stringeva tra le mani inguantate. Riconobbi anche lui: chirurgo.
«Sakura...», sussurrai, la mia voce un alito spento di vento, giungeva morta persino alle mie orecchie ormai sorde.
«Signore, la prego di ascoltarmi con calma. Ho cattive notizie.»
Non lo lasciai continuare, mi nascosi il viso tra le mani, disperato. Non riuscivo ad accettarlo. Non poteva essere... Non ero in grado di pensare a quella terribile parola. Non potevo averli persi, entrambi, in un istante. Era tutta colpa mia. Se non avessi accettato quel lavoro, tanto chiunque aveva la possibilità di sostituirmi, non li avrei mai messi in pericolo. Se fossi corso subito da loro, o fossi rimasto insieme a loro, o li avessi portati insieme a me agli scavi... Avrei potuto salvarli. Li avevo uccisi. Con le mie stesse mani. Mi guardai i palmi, disgustato da me stesso. Mi odiavo. Volevo sparire. Dovevo scomparire, all'istante. Dovevo punirmi e morire, subito, ma uccidendomi lentamente...
Strinsi i pugni, pianificando il mio suicidio, quando la voce del dottore sfiorò le corde del mio cuore, che credevo ormai sfibrate, facendole vibrare.
«Vostra moglie è salva.»
Alzai lo sguardo sul suo viso, speranzoso. Il suo tono m'era sembrato sincero.
«Sakura è... viva?», chiesi esitante, pregando affinché fosse vero.
«Sì.», confermò e lo guardai incredulo. Non riuscivo a crederci... Non riuscivo a crederci!!
«Posso vederla?!» Era una domanda retorica, dato che già stavo per entrare nella sua stanza, ma il medico fu più veloce e mi posò una mano sulla spalla.
«Non ancora.» La sua voce pacata, professionale, tradiva una nota di preoccupazione.
«Il bambino. Come sta il bambino?», lo affrontai, preparandomi a qualsiasi risposta.
I suoi occhi scintillarono tristemente per un istante e scosse la testa. Strinsi le palpebre, mordendomi le labbra tremanti, serrai i pugni, ficcandomi le corte unghie nelle pieghe della pelle. Non ero riuscito a proteggerlo. Non l'avevo salvato. Non ero un buon padre.
«Vuole sedersi? Le posso offrire un bicchiere d'acqua mentre le illustro le condizioni di sua moglie.»
Annuii in silenzio, seguendolo nel suo studio, sorvolando sulle sue parole. Illustrarmi. Illustrarmi! Come se dovesse parlarmi di una ricetta medica qualsiasi. Digrignai i denti, ma non aveva senso sfogare il mio dolore su qualcun altro.
Mi sedetti, teso, e trangugiai il bicchiere offertomi, mentre la mia gola secca, riarsa e bruciante ringraziava. Anche la vescica sembrava fare i salti di gioia. Li avrei sparati entrambi, seduta stante.
Fissai l'uomo all'altro lato della scrivania col viso tirato e, una volta appoggiato il bicchiere sul tavolo, mi descrisse l'accaduto in base alle altre testimonianze. Non mi sorpresi quando mi disse che la prima cosa che Sakura aveva cercato di fare era stato portare in salvo gli altri ospiti - era tipico di lei pensare per ultima a se stessa -, ma il resto delle sue parole divennero una vivisezione cosciente, priva di anestesia. Era come se tagliasse ogni angolo della mia pelle con un bisturi e vi creasse uno squarcio, infilandovi le dita, tirandomi fuori ogni singolo componente del mio corpo. Mi descrisse la caduta, le ferite che ne erano derivate, le ossa fratturate, la perdita di nostro figlio, il colpo profondo alla testa, l'operazione riuscita, le sue cellule che si rigeneravano in fretta, i suoi globuli che compievano il loro dovere, ma... Ma.
«Vi sono state delle conseguenze sul suo sistema nervoso. Siamo positivi nel credere che non ci saranno ripercussioni sul controllo del proprio corpo, riuscirà a camminare, a compiere i gesti quotidiani una volta guarita completamente, ma... Ma la sua memoria… Non tornerà più.» E con quelle parole mi uccise, per la terza volta quella notte. O forse era la quarta, avevo cominciato a perdere il conto di tutti i momenti in cui mi ero sentito morire. «Sono rari i casi in cui essa ritorni, dovrebbe fare delle analisi neurologiche regolari una volta dimessa... Purtroppo non posso promettere nulla.»
Si accese un briciolo di speranza nella valle devastata che era diventata la mia miserrima anima, ma non sarebbe riuscita a sciogliere neppure un fiocco di neve... Pallida. Fredda. Gelida. Crudele. Spietata. Empia. Turpe. Senza pietà.
«L'importante è che almeno lei sia ancora viva... Il resto... Potrò superarlo...» Con questa menzogna mi segnai sulla lista della morte, dandomi in pasto ai pescecane, gettandomi tra le braccia dell'essere incappucciato, aggrappandomi alla sua falce, cercando di sopravvivere. 
 

Buio. Era tutto buio. Ma cos'era il buio? Non lo sapevo... Cosa significava il verbo "sapere"? E "verbo"? E il termine "significare"? E "termine"? Cos'era tutto quel... nulla? Quel... Vuoto? Non mi capacitavo del come riuscissi a trovare le parole. Semplicemente prendevano forma lì, nella mia mente. Riuscivo a riflettere, ma era davvero una mente? Sembrava soltanto un involucro vuoto... Si formò un immagine che associai ad un "guscio di una noce".
Vagai nelle tenebre, andando avanti, guardando i miei piedi. "Piedi". Così si chiamavano quelle strane protuberanze, con cinque piccole ramificazioni.
La parola che cercavo era... Scavai nella mia mente... Un dolore terribile all'altezza del cranio. Il cranio. L'immagine di un libro. Io avevo un cranio. Perché io ero un "essere umano". Un essere umano, quindi... "vivente". Ero... "viva". Ma cosa faceva un essere... Vivo? Si poteva vivere nel nero più assoluto? No, dovevo fare qualcosa per uscirne. Trovare un'apertura, un varco...
Un... Un essere umano, sì. Ma un essere umano aveva un corpo, giusto? Dov'era il mio? Non lo vedevo. Non vedevo niente! Non lo sentivo. E un nome, giusto? Una... "identità". Qual era la mia? Chi ero io? Un dolore, una fitta, quasi al centro di quello che speravo fosse il mio corpo. Un po' più a sinistra. Il "cuore". Era la risposta? L'avrei trovata lì?
No, dovevo uscire. Dovevo fuggire. Non potevo restare in quel posto per sempre, avevo bisogno di risposte. Cosa faceva un "corpo" per "vivere"?... Apriva gli "occhi". Vedeva la "luce".
“Apri gli occhi. Apri gli occhi. Apri gli occhi!!”
Qualcosa tremò. Un sottile strato di... "pelle". Si trovava in alto. Davanti. Era la zona del mio cranio... Più o meno. Una flebile luce verdastra. C'ero vicina.
“Apri gli occhi.”, ripetei il comando all'infinito (ma cos'era, questo "infinito"?) finché non sentii uno scatto. Luce abbagliante. Verde cupo. Bianco acceso. Era fastidioso. Dovevo resistere. In fretta imparai come orbitare i miei occhi. Mi sembrava la parola giusta. Ancora non avevo capito perché alcuni termini mi saltavano subito alla mente, mentre invece altri dovevo cercarli in angoli bui della mia testa. Forse le prime erano conoscenze di base. Bisognava saperle. Qualcosa entrò come un soffio in due buchi poco al di sotto dei miei occhi. "Aria." Mi sentii spaventata. Un suono... Veloce... Raggiunse le mie "orecchie". Era il mio "cuore". Ero terrorizzata. Era forte. L'aria mi attaccava. La luce mi rendeva cieca. Ero sola...
"Sola"! No... Non mi piaceva! Non volevo essere sola. Di nuovo, cos'ero io? Chi ero? Qualcosa mi strinse la... Un'altra cosa con cinque diramazioni, più in alto dei piedi... La "mano".
C'era qualcuno! Non ero sola!
Spostai gli occhi da quella luce insopportabile, posandoli in un colore che riconobbi subito: cioccolata. Ma era un... "cibo". Quelle due sfere non sembravano cibo, piuttosto... "Occhi". Al centro c'erano dei pallini neri, che improvvisamente diventarono più piccoli. "Pupille."
«Sakura... Ti sei... svegliata...» Una... "voce". Quella dello... "sconosciuto". «So che ti senti un po' spaesata, ma si risolverà tutto. Te lo prometto.»
Si poteva versare acqua dagli occhi? L'essere umano che mi parlava sembrava riuscirci. Poi le riconobbi... "lacrime". Ma non sapevo a cosa servissero.
«Tu... Chi sei?» Un impulso, un altro tic, m'aveva portato ad aprire la bocca ed emettere quei suoni... Sembravano insensati, ma era la mia voce. Era così debole.
«Io sono Shaoran.» L'acqua continuò a bagnargli il viso, nonostante le sue labbra si fossero stese in quello che seppi definire "sorriso". Tuttavia, non mi sembrava... "felice".
«E io? Io chi sono?» Era diventato più semplice "parlare".
«Tu sei Sakura. Hai perso la memoria, ma presto la ritroveremo. Insieme.»
Le sue "spalle" ebbero un sussulto, e al suono di quella parola sentii acqua scendere anche dai miei occhi.
«Insieme.», ripetei e lui fece un cenno col capo, tremando. Chiusi di nuovo gli occhi e ripetei nella mia mente le sue parole.
“Io ero Sakura. Lui era Shaoran. Noi avremmo ritrovato la mia memoria... insieme.”

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Day 7.1 - Almost confessions ***


Day 7.1 – ALMOST CONFESSIONS
 
A faint scent of love ~
 
Misi piede nel locale e, come ogni giorno, i fuurin tintinnarono per annunciare un nuovo cliente. Fui accolta da una brezza leggera, saporita, che penetrò nelle mie narici, raggiungendo le papille gustative, mettendomi l'acquolina in bocca. Rivolsi uno sguardo al pasticciere, sorridendogli apertamente.
«Konnichiwaaaa!», esclamai ad alta voce, annunciandomi.
Lui sorrise, chiudendo il ricettario che stava consultando, incatenandomi nei suoi occhi. Sembrava felice di vedermi.
«Konnichiwa, Sakura.» Trillai dalla gioia dentro di me, come tutte le volte in cui mi guardava, o mi parlava, e mi avvicinai al bancone saltellando, facendo un giro su me stessa.
«Che te ne pare?»
Lui mi scrutò per qualche istante, analizzandomi dalla testa ai piedi. Rimasi in attesa, fiera di me. Quel mattino i miei capelli erano lisci come la seta e splendevano, in tonalità dorate, riflettendo la luce abbagliante dei lampadari come cristallo. Avevo incorniciato gli occhi con del mascara, rendendomi carina per lui... Sperando se ne accorgesse. Al di sotto della divisa avevo indossato una camicia bianca come le ali di una colomba e l'avevo infilata nella gonna grigio perla, alzandola al punto giusto. Nascosta dal gilet di maglia beige, avevo lasciato qualche bottone aperto, coprendo la pelle con un fiocco rosso perfettamente legato. I calzini neri mi arrivavano sotto il ginocchio e le scarpette marroni mi calzavano a pennello. M'ero messa d'impegno per essere graziosa almeno il primo giorno di liceo e, specchiandomi prima di uscire, m'ero sentita alta e slanciata come non lo ero mai stata.
Preoccupata dal suo silenzio prolungato, gonfiai le guance, avvicinandomi a lui, reggendo la cartella con entrambe le mani.
«Allora?»
Lui annuì, guardandomi seriamente.
«Stai molto bene con questa divisa.»
"Yatta!!!", gioii mentalmente, girando in tondo nella mia psiche, rimbalzando sulle pareti dei miei pensieri come una biglia impazzita, dopo aver ricevuto una scarica di felicità.
Lo fissai gongolante, ma notando il suo sguardo ancora fermo su di me arrossii, e rivolsi l'attenzione ai pasticcini. Mi allontanai da lui e li scrutai uno per uno, senza parole.
«Li hai fatti tutti tu?!»
«Non tutti, ma la maggior parte. Assaggia questo.», mi invitò, porgendomi una crostatina. La afferrai subito - da quando andavo da lui non facevo più colazione, forse approfittando un po' della sua gentilezza - e la rigirai tra le dita, ammaliata dalla sua forma.
«Deve esserci uno stampo, non puoi essere così perfetto...», mi lasciai scappare, per poi portarmi una mano alla bocca. Lo guardai allarmata, ma fortunatamente non se la prese. Anzi rideva.
«Infatti, non sono perfetto, ho ancora un lungo cammino da percorrere prima di poter raggiungere Fay-sensei.... E sì, per l'impasto c'è uno stampino.»
Osservai la superficie ondulata del dolcetto, seguendone la cresta con la punta dell'indice, riflettendo.
Immersi il dito nella crema e me lo portai alle labbra, saggiandola. La consistenza era soffice, come morbida ovatta, si scioglieva al contatto con la lingua. Tolsi la farfalla di cioccolato e diedi un morso, afferrando tra i denti anche una fragolina. Chiusi gli occhi, gustandomelo con piacere, e me lo finii in un battibaleno.
«Era squisito!», commentai, leccandomi le dita e lui parve soddisfatto, rispondendomi con un sorriso smagliante.
«Ero certo che ti sarebbe piaciuto. L'ho preparato pensando appositamente a te.»
«A me?», ripetei, pulendomi gli angoli delle labbra con un fazzoletto squadrato.
Assentì sviando lo sguardo, e io rimasi in silenzio. Il mio cuore fece una capriola all'idea che anche lui mi pensava. Tornai alla farfalla e la posi davanti alla sua testa, accorgendomi solo in quell'istante che aveva lo stesso colore dei suoi capelli e si mimetizzava con essi. Non mi trattenni dal ridacchiare e lui alzò un sopracciglio, aspettandosi spiegazioni. Non gliele concessi, al contrario specificai:
«Comunque intendevo per questa. C'è uno stampino, no?»
Lui non esitò neppure per un secondo.
«No. L'ho intagliata a mano.» Fece spallucce, quasi fosse ovvio, una cosa da niente.
«Che cosa?! Ma... Ma! È bellissima! Così piccola, eppure ricca di dettagli! È un'opera d'arte, Shaoran! Non la si può mangiare!!», esclamai infervorata, tenendola con delicatezza nel palmo alzato, nel timore che potesse sciogliersi a momenti ed evaporare in tante goccioline, volando via da me.
«Sakura, non è una scultura. Puoi mangiarla.» Usò un tono che poteva definirsi "rassicurante", ma non potevo essere tanto crudele. Non volevo diventare una vandala.
Scossi energeticamente la testa e gliela restituii, al che lui se la riprese, emettendo un flebile sospiro. Alzai lo sguardo su di lui e lui mi colse di sorpresa, costringendomi a mangiarla. Un ghigno sul suo volto, come pochi ne avevo visti.
«Missione compiuta. Che te ne pare? È puro cacao, con qualche soffio di cannella e una goccia di caramello.»
Feci le lacrime agli occhi, ingoiando, e mi nascosi la testa tra le braccia, appropriandomi del banco con la cassa.
«È deliziosa. Come tutte le cose preparate da te. Ma adesso mi sento in colpa. Mi hai reso una criminale.», mi lagnai e lui ridacchiò, scompigliandomi i capelli con quelle sue grandi mani dall'essenza zuccherata.
«Non hai fatto del male a nessuno, al contrario. Mi sento gratificato.»
Alzai la testa, scontrandomi con la sua fronte a pochi centimetri dalla mia, e mi allontanai saltando all'indietro, imbarazzata. Anche le sue guance parvero assumere un colorito più roseo del normale e riprese il libro che stava precedentemente sfogliando, mentre le sue iridi nocciola si posavano su un orologio a muro a forma di cupcake.
«Ehm... Non dovresti correre a scuola?»
Spalancai gli occhi, s'era fatto davvero tardi! Non pensavo di rimanere così a lungo, e inoltre ancora non gli avevo spiegato il motivo della mia visita.
«Oggi pomeriggio sei libero?»
Lui sembrò spaesato per la mia improvvisa domanda e rispose perplesso. «Il mio turno finisce alle 5, poi dovrei essere a casa...  Perché?»
«Fantastico! Te lo spiego meglio stasera! Sappi solo che ci servono gli ingredienti necessari per preparare una torta facile facile, ma sono certa che a casa tua non mancheranno! Alle 6 sarò da te!», parlai frettolosamente, mi allungai a baciargli una guancia e filai dritta a scuola, arrivando giusto in tempo per la cerimonia d'apertura.
A fine giornata mancava ancora un po' al mio incontro con Shaoran, così andai insieme a Hikaru, Umi e Fuu in un maid café. Presi un fondant au chocolat, ma stavo quasi per rigettarlo al primo morso. Non c'era niente da fare, non era la prima volta che lo sperimentavo, ma da quando avevo assaggiato i dolci preparati da Shaoran cinque anni prima non riuscivo a buttare giù nient'altro che vi si avvicinasse, se preparato da altri. Cedetti anche la mia porzione a Hikaru e, una volta finito il tè rosso ci alzammo e ci salutammo per separarci. Mi affrettai a raggiungere casa di Shaoran, sperando non fossi in ritardo, e una volta arrivata davanti alla sua porta divenne un'impresa ardua riuscire a decelerare i palpiti furiosi del mio cuore.
«Non essere stupida. Non si tratta di un appuntamento, è un tuo dovere.», mi dissi, ed esitai per un secondo, prima di suonare al campanello. Nel giro di un battito di ciglia Shaoran mi aprì, come se sapesse che mi trovavo lì fuori da tempo. Come se potesse leggermi quella matassa sdolcinata che erano divenuti i miei pensieri, finendo per scioglierli a bagnomaria.
«Buonasera.», mi salutò cortesemente, facendosi da parte per farmi passare.
«Con permesso...»
Entrai e trattenni il fiato, restando un po' di più accanto allo spiraglio d'aria che entrava dalla porta semiaperta per sbollire. Abituata a vederlo quasi sempre in tenuta formale da chef pasticciere, talvolta dimenticavo che era un ragazzo della mia età e che i vestiti da adolescente gli stavano...
«Un amore...»
«Eh?»
«Niente! Com'è andata al negozio?» Cominciai a sudare freddo e per fortuna mi volse le spalle, chiudendo la porta.
«Come al solito. A te piuttosto? Che te ne pare del liceo?»
Mi guardò sinceramente interessato e io esultai: «Sarà una grande avventura!» Poi mi rattristai, aggiungendo: «Se solo ci fossi anche tu...»
«Dispiace anche a me.», sospirò. «Ma devo portare avanti l'attività di famiglia. Ora che i miei genitori non ci sono più qualcuno dovrà pure occuparsene e... eccetto me... non c'è nessuno.» Un'ombra calò sul suo viso, ottenebrando i suoi mesti occhi.
«Scusa. Non volevo renderti triste.» Gli sfiorai una guancia, mortificata, e lui accennò ad un sorriso. Subito mi resi conto di quanto fosse finto e mi sentii stringere il cuore.
«Va tutto bene.»
«Non sei solo.», le parole mi sfuggirono dalle labbra, come se avessero vita propria. Abbassai lo sguardo, poggiando a terra la cartella,  chiudendo dolcemente una sua mano tra le mie. «Ci sono tante persone che ti amano.... Anche io... Anche io ti-»
«Lo so, Sakura.», mi interruppe, alzandomi con delicatezza il mento, costringendomi a guardarlo. «Lo so. Grazie.»
Con un solo braccio mi strinse a sé, tenendomi stretta, facendomi aderire al suo petto. Posai la testa poco al di sotto del suo mento, inspirando il suo odore. Sapeva di pulito, ma erano rimaste tracce di cacao... E nocciola. Schiusi istintivamente le labbra e lui si ritrasse di poco, rivolgendomi una domanda sensata.
«Ora puoi spiegarmi la faccenda della torta?»
Dovevo ammetterlo, ci misi un po' a riprendermi, dopo aver concretizzato - con non poca vergogna - che sì, ero in procinto di morderlo. Per cosa l'avevo scambiato, per un muffin?! No, col suo corpo sarebbe riuscito a sostituire degnamente il fondant che m'era rimasto sullo stomaco e... Mi diedi una scrollata. Stavo impazzendo.
«Domani è il compleanno di mio padre. Compie 40 anni e per l'occasione volevo preparargli io la torta, come regalo.», spiegai, lieta di potermi esprimere in maniera diversa rispetto al tifone tropicale che infuriava nel mio animo, distruggendo e ricostruendo la parola "amore" a ripetizione, sballottandola da tutte le parti.  «Ho provato a parlarne con nii-san... Però lui non ha fatto altro che deridermi per tutto il tempo. E in fondo ha ragione perché sono davvero una frana ai fornelli. Ma ho pensato che tu... magari... avresti accettato di aiutarmi.»
Gli rivolsi uno sguardo timido e lui annuì, contento. Mentre mi conduceva in cucina precisò: «Tuttavia, farai tutto tu. Io interverrò soltanto in caso di necessità e sono certo che non ce ne sarà molto bisogno.»
Lo ringraziai per il suo aiuto e il suo tempo, colpita dalla sua fiducia nei miei confronti. Mi mise davanti gli ingredienti già bell'e pronti sul tavolo da lavoro e mi chiese se avessi già un'idea di come avrebbe dovuto essere. Gliela spiegai in parole brevi: «Semplice pan di Spagna, ripieno di crema Chantilly (se tu sei d'accordo) con pezzi di ciliegia e scaglie di cioccolato, e sopra una semplice copertura in panna con qualche fragolina qua e là e la scritta "buon compleanno". È troppo difficile?»
Lo guardai insicura, mordendomi le labbra, e mi accorsi che aveva lasciato la matita a mezz'aria, osservandomi poco convinto.
«È minimale.», mi contraddisse, mirando dritto al cuore.
«Te l'avevo detto che non me ne intendo...», dichiarai in mia difesa, ma lui non mi ascoltò e si alzò dalla sua postazione, avvicinandomisi per mostrarmi il block-notes.
«Sul serio la immaginavi così?»
C'era da ammettere che era davvero misera.
«Non so pensare di meglio...», mi demoralizzai, e lui subito provò a tirarmi su, correggendo la bozza ad una velocità impressionante.
«Avrà un ottimo sapore, ma Sakura, tu puoi fare molto di più. La copertura va bene, ma io vi aggiungerei anche dei fiocchi di panna montata nei contorni, interrotti parimente da delle fragole, come tu desideri. L'augurio potremmo scriverlo con del caramello sciolto, e il resto lo si potrebbe decorare con riccioli di cioccolato. Poi, potremmo aggiungere qualcosa con della pasta di zucchero, per esempio -»
«Un garofano!», lo interruppi, stregata dalle sue parole. «È il fiore della mamma...», spiegai con un filo di voce, e lui sorrise, approvando.
«Vedi? Adesso è davvero perfetta.»
Mi mostrò il disegno e rimasi senza parole. Era bellissima! Sarei mai riuscita a rappresentarla concretamente?
«Shaoran ma io... Non so lavorare la pasta di zucchero.» Impallidii di fronte a quel dettaglio non poco trascurabile e lui sorrise rassicurante.
«Ti insegno io.»
«Però promettimi che se viene male lo fai tu.» Allungai il mignolo e lui temporeggiò prima di cedere.
«D'accordo. Dopotutto non abbiamo tutto questo tempo. Forza all'opera.»
Seguii le sue indicazioni per filo e per segno, misurando ogni ingrediente con parsimonia. Fortunatamente lui non se ne stava con le mani in mano e sbatteva la crema mentre io impastavo la base, o montava la panna mentre riempivo la torta una volta cotta e così via. Proprio qui combinai il mio primo casino. Avevo tagliato il preparato in due parti e mentre la parte superiore riposava in un piatto, sulla inferiore cominciai a stendere la crema... In maniera errata, a giudicare dall'espressione sconvolta di Shaoran. Mise da parte quello che stava facendo e si portò alle mie spalle, posando le mani sulle mie, guidandomi nei gesti giusti da eseguire.
«Devi essere più delicata, come se stessi carezzando una nuvola. Non con movimenti bruschi, ma morbidi. Versi un po' di crema, creando le onde del mare, poi il vento s'acquieta e l'oceano diventa calmo, uniforme, talmente dritto da perdere il confine col cielo...»
Lo ascoltai con ammirazione e rispetto, imparando da lui, e quasi mi parve di sentire l'odore salmastro marino. La sua voce si infranse come piccoli cavalloni accanto ai miei duri scogli, lasciandovi un solco in profondità, assieme ad una scia lenitiva. S'era reso conto di quanto le sue parole fossero divenute poetiche? Era un artista, in tutti i sensi.
Dopo quella dimostrazione mi lasciò continuare da sola e vi aggiunsi le gocce di cioccolato e le striscioline di polpa di ciliegia, sforzandomi di distribuirle in maniera uniforme, accertandomi di star agendo bene. Una volta finito passammo alle ultime decorazioni e qui ebbi bisogno parecchio del suo aiuto, ma alla fine ci riuscimmo ed uscì una torta perfetta. Ogni due fiocchi di panna erano interrotti da una fragola dal colore rosso acceso, alla cioccolata Shaoran aveva alternato buccia d'arancia, creando una fitta rete da pesca che aveva catturato decine di noccioline triturate. Al centro danzava sulla neve la scritta "Happy birthday" in maniera elegante e raffinata – se l'avessi fatta io sarebbe sembrata la calligrafia di un bambino di 4 anni. E in conclusione, anche il garofano l'avevo lasciato a Shaoran. Era talmente realistico da essermi illusa per un attimo che fosse vero, tanto dal chiedermi quando fosse uscito per comprarlo. L'aveva posizionato strategicamente, in maniera tale da risultare parte integrante in sinfonia con la nostra creazione.
«È perfetta...»,  sussurrai incredula, una volta che la ebbe messa nel frigo.
Mi rivolse un'occhiata eloquente, voltandosi appena, e mi si avvicinò per toccarmi una spalla.
«Sei stata bravissima.», si complimentò, e io avvampai, infiammandomi come una lanterna cinese.
«No-non è vero! Tu sei magnifico, Shaoran! Mi lasci senza parole e poi, è la prima volta che ti vedo al lavoro!» Esclamai elettrizzata ma lui scosse la testa, umilmente.
«Non ho fatto niente.»
«E tu me lo chiami “niente”? Per me è qualcosa di fantastico e disumano, non capisco come si possa essere tanto abili con le mani. Sei un talento nato.» E non stavo cercando di elogiarlo, era la verità. Un po' lo invidiavo, anche io avrei voluto essere in grado di compiere meraviglie... E sorprenderlo, in un modo o nell'altro.
«Sakura, si tratta soltanto di pratica. Un giorno ne sarai in grado anche tu.» E in quell'affermazione ci colsi qualcosa di più, come una promessa a lungo termine... Non riuscendo a sostenere l'intensità delle sue iridi mi ritrovai a guardare la sua mano, ancora ferma sulla mia spalla sinistra. Lui la ritrasse improvvisamente, come se si fosse ustionato.
«Scu-scusa, non volevo essere tanto invadente.»
Invadente? Credeva sul serio di invadere i miei spazi se mi sfiorava?
«E non le ho nemmeno ancora lavate, perdonami se ti ho sporcata, credimi non era mia intenzione.»
Stava già per voltarsi verso il lavello quando lo fermai, tirandogli leggermente un’estremità della maglietta.
«Io non mi sento sporca.»
Si voltò di scatto, a guardarmi sorpreso, mentre continuavo a sentirmi confusa. Gli presi le mani e sfiorai le sue dita con delicatezza. Erano rimaste delle tracce di zucchero e caramello, ma le mie non erano messe meglio visto che erano ancora impiastricciate di crema e farina. Avvicinai i suoi palmi al viso, inalando il suo profumo che come una scia confluiva in me, raggiungendo zone nascoste del mio cervello, inviandovi tanti impulsi fosforescenti, e posai le sue mani alle estremità del mio viso, sulle mie guance. Chiusi gli occhi, immergendomi in quella sensazione. La sua pelle era liscia, calda, mi colmava con un ripieno zuccheroso e naturale.
«Tu non sei sporco.», sussurrai, aprendo lentamente gli occhi.
Le sue pupille splendevano d'una luce mai vista prima, intermittente, simile al segnale di un faro che stava cercando di attirarmi a sé, per salvarmi, per riportarmi a riva. Schiuse le labbra per dire qualcosa, ma lo precedetti.
«Shaoran, io... Se trovassi le parole per descriverti come mi sento... Ma non credo le troverò mai... Vorrei poter fare lo stesso per te, un giorno... C'è questo lato di me che vorrebbe stare costantemente al tuo fianco e apprendere molto, molto di più. Perché io, Shaoran... Io... Io ti a-»
Il citofono. La parola che cercavo di proferire venne tagliata in due parti simmetriche quando già nuotava eccitata e frenetica nel mio respiro. Perché qualcuno aveva bussato alla porta.
Restammo entrambi immobili, col fiato sospeso per qualche istante, finché non sentii una voce fin troppo familiare e irritante sbraitare all'esterno.
«Sakura! So che sei lì dentro, vedi di muoverti ad uscire! Sai che ore sono?»
Smisi di ascoltare i suoi rimproveri insensati quando Shaoran si allontanò da me, palesemente in difficoltà, per andare ad aprirlo. Prima che Touya distruggesse tutto afferrai al volo la cartella e mi alzai in punta di piedi, dando a Shaoran un bacio su una guancia, come quella mattina.
«Grazie.», soffiai direttamente nel suo orecchio e quasi contemporaneamente la porta si spalancò.
«Grazie per l'aiuto, Shaoran.», ripetei ad alta voce, sbrigandomi ad affiancare mio fratello, senza dargli il tempo di aprire bocca. «Domani mattina passo a prendere la torta.» Volontariamente misi maggiore enfasi nell'ultima parola, lanciando una frecciatina a Touya.
«Non disturbarti, posso anche passare io.», si offrì e io annuii.
«Allora dopo ti chiamo e ci mettiamo d'accordo per l'orario. Buonanotte.»
Mi limitai a salutarlo con la mano e lui fece altrettanto. Ci girammo per rincasare e isolai la voce petulante di Touya, concentrandomi sul tonfo sordo della porta che si chiudeva. Alzai lo sguardo verso il cielo pieno di stelle, rivedendo in esso i fondali marini di quell'oceano d'amore che si estendeva per Shaoran.



 
 
Nda: Salve! Scusate se non aggiorno quotidianamente, ma gli esami mi tengono pareeecchio impegnata, insieme a feste patronali e così via. Meh!
Come avrete ben notato, vi sono in questa AU parecchi riferimenti al manga (l’affermazione «Tu non sei solo» ad esempio, o la presenza di Hikaru, Umi e Fuu – anche se questo è una sorta di super crossover essendo TRC già un megacrossover e… Confusion! XD). Gli Shaoran e Sakura trattati possono essere sia i cloni che i veri, sta a voi scegliere!! ^w^
Vi spiego alcuni termini che potrebbero non essere chiari.
fuurin sono i tipici campanellini che i giapponesi lasciano tintinnare al vento.
“Konnichiwa” è una forma abbastanza informale di saluto, la si potrebbe tradurre come “Buongiorno” in questo caso.
Anche “Yatta” ha molteplici significati, qui era inteso come un “Evviva!”
Sperando di esservi stata utile, presto arriverà la fine di questa raccolta ç.ç miao.
Con tanto affetto! :3

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Day 7.2 - Confessions ***


NB: Crossover con CCS!
Avviso: è alquanto diverso dagli altri capitoli. Capirete leggendo ^//^

 
 
Day 7.2 – CONFESSIONS
 
~ The warm heart of the travelers ~
 
Una luce abbagliante, il vuoto, lo spazio intero a portata di mano, poi il suolo. Per una volta atterrarono sui propri piedi, sfiorando il terreno asfaltato con la punta delle scarpe, quasi timorosi di una rivolta da un momento all'altro. Erano fuggiti da una sanguinosa guerra e temevano più di ogni altra cosa quello che li aspettava al di là della bocca di Mokona - eccezion fatta per Kurogane, ovviamente, che aveva finalmente potuto confrontarsi con un vero esercito.
Tra i cinque viaggiatori, colei che ne aveva sofferto di più era Sakura: tutta quella devastazione, quella distruzione, quella povertà, quella decadenza l'avevano dilaniata dal profondo, scavando un senso di miseria e frustrazione in lei. Si era sentita inutile perché non poteva far altro che riprendersi la piuma per liberarli da quella follia omicida. Ma la miccia che s'era accesa non si poteva spegnere con tanta facilità; così erano stati costretti a fuggire, come dei conigli, per non diventare anch'essi vittime e precipitare negli squarci conseguenti a quel violento terremoto.
Si guardarono intorno, sollevati da tanta tranquillità, anche se avevano imparato a stare all'erta perché dietro ogni quiete infuriava una tempesta, e provarono un senso di dejà-vu. Fu Mokona ad esprimere quel senso comune.
«Sembra il mondo in cui vive Yuuko!», gioì, le orecchie le si rizzarono, ondeggiando per l'emozione.
«La strega?», chiese Kurogane, afferrando l'esserino magico per tenerlo fermo.
«Siamo tornati al punto di partenza, quindi?», osservò Fay con un sospiro.
Shaoran rivolse un'occhiata a Sakura, rivivendo quel terribile giorno ancora una volta nei suoi ricordi. Le piume che si disperdevano. L'anima che volava via. Il suo corpo, gelido tra le sue braccia. Il calore svanito. L'immobilità. La morte. La pioggia che gli batteva sulla testa e che in seguito aveva asciugato le sue lacrime. La perdita.
Strinse i pugni, prendendo un respiro. Ora Sakura stava bene, non importava che non si ricordasse di lui. Come gli disse anche lei una volta, avrebbero creato dei nuovi ricordi, insieme. E anche se quel sentimento ormai lontano non fosse mai tornato, lui sarebbe rimasto al suo fianco. Per sempre. O, almeno, finché lei non si sarebbe stancata di lui. E allora si sarebbe limitato a vegliare su di lei da lontano, affinché un evento tanto angosciante non potesse ripetersi. L'aveva promesso, l'avrebbe protetta anche se il prezzo fosse stato la sua stessa vita. Ad ogni costo.
Lei non sembrò accorgersi del monsone estivo che scuoteva l'animo del ragazzo, troppo presa a guardarsi intorno con aria confusa. Se Moko-chan non si sbagliava erano già stati in quel luogo, ma lei non poteva ricordarlo. Lei non era ancora... sveglia.
Si rattristò, considerandosi ancora una volta un fardello per il gruppo, e tenne lo sguardo inchiodato ad un albero in fiore. Non erano ancora sbocciati tutti,  eppure quei petali rosati le erano vagamente famigliari. Le ricordavano il paese di Oto, anche se questo era un posto completamente diverso. C'era una schiera di numerose casette moderne, allineate l'una accanto all'altra, delimitate da giardini e recinzioni, che si alternavano ad edifici più alti, in vetro, simili a grattacieli. Torri e abitazioni si fondevano e si incrociavano in un labirinto di strade e vicoli ricoperti da ciottoli, completamente vuoti. Sentiva nell'aria la presenza costante di vita. Una vita serena, libera da crucci, senza pensieri. Ma non capiva da dove provenisse. Dov'erano tutti gli abitanti?
«Mekkyo! Percepisco due forti oscillazioni!»
Tutti si voltarono a guardare Mokona.
«Da che parte?», chiese Shaoran, preparandosi come un corridore in attesa dello sparo, su una linea di partenza immaginaria.
Sakura si disse che non sarebbe rimasta indietro, così si preparò a seguirlo, ovunque lui l'avesse portata.
«Sono due direzioni opposte. Anche se a destra sembra più forte. Ma è una strana sensazione...», osservò, indicando ad ambo i lati.
Shaoran annuì e prese per mano Sakura.
«Allora dividiamoci. Io vado da questa parte con la principessa, sono sicuro che anche lei sarà in grado di sentire qualcosa.»
Lui, si affidava a lei. Lei se ne rese conto per la prima volta da quando erano partiti. Era già trascorso un anno... Il tempo, che concetto astratto. Variabile. Diverso, in ogni dimensione, tanto che non avevano avuto la possibilità di festeggiare il loro compleanno. Non ne poteva essere certa, ma sentiva il peso di questi mesi. Si rendeva conto di quanto fossero cresciuti e maturati, tutti insieme. Lo vedeva soprattutto in Shaoran. Più andavano avanti, più aumentava la sua forza, più il suo fascino la ammaliava, più il suo sorriso la riscaldava, più la sua voce la tranquillizzava, più il suo sguardo, posato su si lei, la faceva sentire viva. Lui le aveva dato un ruolo a questo mondo. Se lei esisteva era soltanto grazie a lui.
«D'accordo, ragazzo. Noi allora andiamo da questa parte con la polpetta bianca. Entro il tramonto ci rincontreremo qui.», annunciò Kurogane, appropriandosi di Mokona.
«Se non vi vediamo arrivare vi veniamo a cercare.», aggiunse Fay e Shaoran annuì.
«Lo stesso vale per noi.»
Si divisero, ognuno continuando per la propria strada e, seguendo le indicazioni di Sakura, raggiunsero una casa. Sembrava come tutte le altre ma da questa Sakura percepiva una forte energia. Non era come con le piume: era qualcosa di più grande, di primitivo, che non riusciva a spiegarsi. Qualcosa che riguardava il suo passato.
Senza indugiare ad oltranza Shaoran si avvicinò e bussò alla porta, la quale dopo poco si aprì lasciando sbucare fuori il viso di una ragazza familiare. Fin troppo conosciuta. Sbatté gli occhi più volte, convinto che i sensi gli stessero giocando un brutto scherzo. Ciò che era più assurdo era che sembrava riuscisse a metterla meglio a fuoco con l'occhio destro. Era la prima volta che gli succedeva una cosa simile. Ma cosa stava succedendo?
«Shaoran... Kun?», chiese la padrona di casa, altrettanto confusa. Com'era possibile una cosa simile? E quando era diventato così grande?
Shaoran spalancò gli occhi, riconoscendo quella voce da bambina.
«Hime?», chiese incredulo e lei arrossì di botto. Il fumo le uscì dalle orecchie, mentre esclamava un «HOEEEEEE?!», facendosi sentire per tutto il vicinato.
Lui cercò di ragionare, non poteva essere Sakura perché lei si trovava accanto a lui. Si voltò alla sua destra ma un brivido gli percorse la spina dorsale quando si accorse che era sparita.
In realtà lei non si trovava da nessun'altra parte, aveva soltanto smesso di seguirlo prima di entrare perché la sua attenzione era stata attirata da qualcun altro. Un ragazzo, pareva più piccolo di loro, camminava nella loro direzione e quando incrociò il suo sguardo si pietrificò. Lei cercò di razionalizzare quello che stava vedendo, ma non aveva senso. Quello davanti ai suoi occhi era proprio...
«Sakura?! Ma che? Cosa?» La confusione del suo sguardo rifletteva quella di lei. Un affetto materno uscì fuori dalle porte sbattenti del suo cuore, guardando quel viso infantile. Era così tenero! L'istinto prese il sopravvento e si gettò su quel bambino, stringendolo al suo petto. Avrebbe voluto riempirlo di coccole e carezze. Quest'ultimo, tuttavia, parve quasi svenire. Da quando Sakura era diventata così... Aggraziata? E impulsiva?
Ad uno sguardo più attento comprese che si sbagliava. Non era lei, anche perché la sua Sakura aveva appena emesso uno dei suoi gridi caratteristici. La sconosciuta gli si allontanò, trasalendo per lo spavento, e lui ne approfittò per sgusciare via ed entrare nel cortile della sua ragazza... incrociando lo sguardo di un altro se stesso.
«Ma cosa diamine sta succedendo?», sibilò tra sé e Sakura subito ottenne la sua attenzione.
«Shaoran-kun!! Questo ragazzo ti somiglia!! Mi ha chiamata "Principessa"! Credo mi abbia scambiata per qualcun altro, ma non so – oh cielo, anche quella ragazza mi somiglia!!!» Il suo tono si alzò di parecchie note, quasi come se improvvisamente parlasse attraverso un megafono.
"Rumorosa come sempre", pensò Shaoran, con un sospiro.
«Cos'è questo baccano?», chiese un Kero-chan ancora dormiente, sbadigliando rumorosamente. Quando si accorse dei due nuovi arrivati strabuzzò gli occhi. «La principessa di Clow!!!!», esclamò, indicandola, assumendo le sue vere sembianze e inchinandosi dinanzi a lei. «È un vero onore conoscerla.»
La principessa in questione ci mise un po' a tornare con i piedi per terra e capire che si stava rivolgendo a lei. Arrossì, scuotendo la testa.
«Non c'è bisogno di tutte queste formalità.»
«Oi peluche, spiega un po' anche a noi.», intervenne Shaoran, incrociando le braccia.
«Moccioso, cosa ci fai qui a quest'ora? Fila a casa.», lo aggredì, ringhiando nella sua direzione, non facendo altro che irritarlo maggiormente.
«Cosa ci faccio qui?! Sto cercando di portare Sakura all'Hanami, devo anche chiedere il permesso?!»
«In assenza di suo padre devi rispondere a me.», confermò il guardiano, riempiendosi di sé.
Il battibecco continuò per altre poche battute che crearono una scarica elettrica nell'aria, finché la padrona di casa non perse la pazienza ed esplose come una mina.
«Vedete di piantarla! Occupiamoci prima dei nostri ospiti! Tu, Kero-chan, non avrai più torte e biscotti per un mese se non ci illumini sulla situazione.»
Al di là della sua volontà, assassinato da quella tremenda minaccia, Cerberus dovette arrendersi e, dopo aver fatto accomodare gli ospiti all'interno, si presentarono. Kinomoto Sakura e Li Shaoran di quel mondo compresero che quei due ragazzi, tanto simili a loro, non erano altro che loro stessi, ma provenienti da un'altra dimensione. Ci misero un po' ad assimilare l'idea, così simile ad una favola, ma non si sorpresero più di tanto una volta che venne fatto di nuovo il nome di Clow. Con lui tutto diveniva possibile. Anche la loro unione, seppure cominciata come un terribile confronto e rivalità. Ciò che non capirono era il perché loro due non stessero insieme, visto che rappresentavano loro stessi. Ma, a quanto pareva, i loro destini erano diversi. Shaoran raccontò loro che stavano cercando le piume della memoria della principessa, ma qualcosa non quadrava. Per capirne di più li invitarono al fiume, ma prima dovevano cambiarsi altrimenti avrebbero attratto troppo l'attenzione con quei vestiti ancora sbrindellati e sporchi di sangue dall'ultimo viaggio. Sakura prestò gli abiti di Touya all'altro Shaoran, anche se secondo lei continuavano ad essergli troppo grandi, ma meglio di niente. Per quanto riguardava l'altra se stessa scoprì che nonostante fosse poco più grande i suoi abiti le calzavano a pennello.
Raggiunsero la riva del fiume e, separandosi, Shaoran spiegò al piccolo sé di quel mondo il prezzo che aveva dovuto pagare per salvarla. Lui lo ascoltò con attenzione, senza interromperlo, e si rattristò ad un pensiero simile. Si chiese se anche lui avesse avuto la forza necessaria per accettare una decisione come quella.
«Io non l'ho accettata.», precisò il viandante. «Semplicemente, non sono intenzionato ad arrendermi. In un modo o nell'altro si risolverà.», affermò, fiducioso nel futuro.
Intanto le ragazze, che camminavano qualche metro davanti a loro, affrontavano un tema simile. Tuttavia, quando la Kinomoto le rivolse una questione critica, la principessa non seppe come risponderle.
«Perché non gli dichiari i tuoi sentimenti?»
Già, perché non lo faceva? Per i ricordi? Per la sensazione remota di conoscerlo da sempre, ma non poterne parlare? Talvolta, aveva paura persino di pensarlo. Come se, con una frase non detta, potesse cancellarlo dalla sua memoria più di quanto potesse farlo attraverso i gesti o le parole. Ma come glielo spiegava, senza addolorarsi?
I due abitanti del loco, mossi a pietà dalla loro storia, dal destino così crudele con loro, decisero insieme di aiutarli ad esprimersi, affinché il tutto potesse risolversi nel migliore dei modi. Tesero il filo del fato e lo tessero attorno ai loro corpi, riunendoli in una zona appartata del fiume che pochi conoscevano e allontanandosi per lasciare loro un po' di intimità.
Rimasti soli si sedettero all'ombra di un ciliegio e si guardarono attorno, ammaliati da quello spettacolo. Entrambi si allungarono verso un ramo fiorito, le loro dita si sfiorarono e si guardarono per un fuggevole attimo, imbarazzandosi. Rivolsero lo sguardo altrove, sentendo le orecchie in fiamme, i loro cuori che battevano all'unisono e danzavano sulle note dello stesso pentagramma.
Shaoran fu il primo a rialzare la testa, gli occhi vagavano attraverso i fitti rami della corolla di fiori che li incorniciava, assumendo uno sguardo melanconico.
«Hime...», esordì, con un tono sommesso e accorato, sperando di attirare la sua attenzione.
«Sì?»
Continuò a parlare in una sorta di ipnosi, trascinato via dalle sue stesse parole.
«Voi per me siete come questo ciliegio.»
«In effetti, in questo mondo ha il mio stesso nome...», rifletté lei, ma lui scosse la testa.
«Non intendevo questo.», precisò, tenendo gli occhi fissi sui fiori. «Voi siete perfetta, come questi petali. Siete circondata da molte persone che vi amano, che vi adorano, che vi proteggono. Ma, allo stesso modo di questi fiori, siete fragile, delicata e talvolta cadete, mentre altre volte avete la forza di resistere e rialzarvi. Tuttavia...» Fece una pausa, sospirando, chiudendosi sempre di più nella sua interiorità, quasi come se si stesse rivolgendo unicamente a se stesso. «Tuttavia temo che anche voi possiate essere portata via dal vento... Lontana da me... E io non potrò fare nulla per fermarvi. Anche voi sarete effimera, svanirete in un istante; con la stessa velocità con cui siete entrata nella mia vita allo stesso modo uscirete da essa, lasciando dietro di voi soltanto una stria di brezza leggera....» Tacque nuovamente, sorridendo amareggiato, portandosi una mano sugli occhi. «Ma chi voglio prendere in giro. Voi non siete un flebile venticello che va semplicemente avanti, senza mai arrestarsi. Voi vi siete fermata nella mia vita e l'avete sconvolta, travolta, come un potente uragano. Siete diventata il mio centro e, a quel punto, avete piantato le vostre radici nel mio cuore, prendendone possesso. Quando andrete via, un giorno... Quando mi rimuoverete completamente dalla vostra memoria... Le sradicherete via senza pietà, strappando il fiore che avete seminato in me. Che stupido, non dovrei farvi questo discorso. Ben presto lo dimenticherete.»
«Allora, prima che dimentichi qualcosa…», lo interruppe, afferrando la sua mano e costringendolo a guardarla. «Lascia che ti dia la mia risposta.»
Prese un respiro profondo e si fece coraggio, prima di proseguire: «Forse hai ragione, Shaoran-kun. Io sono come il vento: volo lontano e mi faccio trascinare dagli eventi, seguendo la loro direzione. Vado dovunque mi porti il cuore e per questo, anche se un giorno dovessimo essere separati... Anche se dovessimo trovarci in due diverse dimensioni... Io tornerò, Shaoran.» Scandì bene il suo nome, avvolgendolo con la propria voce. «Tornerò da te. Tornerò alle mie radici, perché tu sei la mia casa. Tu sei il mio nido. Tu...» Arrossì fino alla punta delle orecchie, ma si sforzò di essere più audace per riuscire ad esprimersi come desiderava. «Tu sei il mio fuoco. La tua fiamma a volte rimpicciolisce, altre volte giganteggia sugli eventi. Non ti arrendi mai, sei sempre convinto di quello che fai, sei coraggioso, determinato, forte, uno spirito ardente e combattivo. Hai lo sguardo sempre rivolto a ciò che ti sta di fronte e in certi momenti è come se nelle tue iridi baluginassero delle scintille, soprattutto quando si tratta di qualcosa che mi riguarda. Per questo ora mi hai fatto pensare che... che solitamente il vento alimenta il fuoco. Forse sono un po' presuntuosa a pensare di poter avere così tanta influenza su di te, ma -»
Le parole le morirono in gola quando lui la colse di sorpresa, stringendola a sé e posando le sue labbra sulle sue. Colta alla sprovvista trattenne il fiato, mentre una stella esplodeva nel suo petto, lanciando scintille fluorescenti in ogni direzione.
Lui si allontanò per un istante, insicuro d'aver fatto la cosa giusta, ma lei lo attirò verso di sé e riprese da dove si erano fermati prima che fosse troppo tardi. Con gli occhi serrati, temendo che potesse finire da un momento all'altro, mormorò, senza staccarsi dalle sue labbra.
«Ti amo, Shaoran.»
«Anche io. Ti amo, Sakura. Da sempre.»
Sorrise, ascoltando quelle parole, e seppure un giorno si fossero volatilizzate, lei le avrebbe custodite gelosamente, chiudendole a chiave nel suo cuore, insieme a quel momento che aveva il sapore dell'infinito.
 
 
 
 
NdA: Siamo giunti alla fine! Tutto ciò è così triste T^T
 
Come nel precedente capitolo, vi spiego alcune parole che potrebbero essere poco chiare:
  • Hime = Principessa
  • L’Hanami è una festa tradizionale che si potrebbe tradurre come “ammirare i fiori”, e consiste appunto nel godere delle fioriture primaverili (tra la fine di marzo/inizio aprile), in particolare dei ciliegi
 
Non so quando avrò la possibilità di pubblicare di nuovo qualcosa, comunque non penso riguarderà ancora TRC o opere CLAMP… Per il semplice motivo che le amo troppo. Ci tengo tantissimo e non voglio rovinarle con la mia pessima scrittura çwç
Spero, in ogni caso, che abbiate trovato piacevoli queste storielle!
Grazie mille per avermi seguita fin qui!
Con affetto,
 
Steffirah :3

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3230276