Un allegra comitiva a spasso verso l'ignoto

di Caramel Macchiato
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un treno che rompe la routine ***
Capitolo 2: *** 2. ***



Capitolo 1
*** Un treno che rompe la routine ***


Sembrano due lumaconi rosa che si dimenano l’uno addosso all’altro. Lucidi, disgustosi, e piene di brutte parole. Sì, sono labbra, non fraintendete, però s’avvicinano in modo agghiacciante a due lumaconi.
Distolgo piano la mia attenzione da quelle labbra, che continuano a sputare fuori frasi, manco fossero un macchinario impostato per la produzione di bastonate tra capo e collo, e alzo piano la mia attenzione sul resto della proprietaria. Un tempo era sicuramente una bella donna, ma ormai gli anni e l’inattività hanno pizzicato quel viso ( e quel corpo, dannazione!) fino a farlo diventare flaccido, bruciato in modo innaturale e malato dal sole, su cui spiccano quei labbroni… La smetto! I suoi occhi di un azzurro cristallino dardeggiano da me a… Ah, giusto che stiamo valutando il mio materiale d’esame.
Si porta i capelli biondi dietro le spalle con un gesto preciso della mano grassoccia dalle dita corte, mentre con l’altra sposta i miei lavori in modo da disporli uno accanto all’altro.
“Non inzozzarli con quelle tue manacce!” Vorrei esclamare, ma non riesco a risvegliare la mia voce dal torpore in cui sembro essere caduta. Non sento nulla di quello che sta dicendo, solo un flebile ronzio nelle orecchie. Eppure lei sembra non rendersene conto e continua a gesticolare e a muoversi tutta mentre va avanti con il suo monologo. Mi rendo conto che la stanza è vuota, eppure una lucina grigiognola illumina l’ambiente, come una nebbiolina luminosa che avvolge la scena. Mi volto verso la probabile fonte di quella luce, ma non vedo nulla.
Il mio cervello comincia a diventare sospettoso e a riattivarsi piano piano. Dove diavolo sono?
Mi alzo di scatto, la donna continua a parlare a vanvera indicando i miei lavori, il ronzio nelle orecchie diventa sempre più forte, appoggio le mani sul tavolo in preda al panico…
 
Mi sveglio di scatto al suono penetrante del fischietto del capotreno, il cuore in gola e almeno due anni di vita che giacciono stecchiti ai miei piedi.
- In carrooozzaaaaa!- Esclama pieno di brio l’uomo, trasformando le “a” finali in “è”.
Ci metto un nano secondo a capire che sono nei guai, ad afferrare uno spallaccio del mio zaino grande come un menhir e a compiere uno scatto disumano verso la porta del treno che ho davanti, rischiando per un pelo di restarci incastrata.
La porta si chiude con uno scatto inquietante alle mie spalle e il treno si mette in moto. Resto per un attimo schiacciata sulla scaletta d’entrata a fissare la stazione dall’oblò della porta, cercando di calmare il mio cuore da quello shock post-risveglio-traumatico, poi finalmente salgo la scaletta e apro la porta che divide la carrozza vera e propria dal corridoio, per poi accasciarmi sul primo posto libero che vedo.
Sfilo faticosamente il braccio dallo spallaccio del mio zaino-menhir e mi lascio cadere sul posto di fronte, riprendendo una respirazione regolare, lo sguardo stanco perso nel paesaggio semi urbano che scorre fuori dal finestrino.
Non è la prima volta che sogno di quel giorno catastroficamente orripilante, simbolo del mio fallimento totale, ancora che mi costringe a restare attraccata a questo capitolo della mia vita per un altro anno.
Ero arrivata al giorno dell’esame positiva, piena di buona volontà come al solito, dicendomi che nessuno avrebbe bocciato una ripetente per la seconda volta, a un passo dal diploma. Certo: salve buoni propositi, l’uscita è sulla destra. Stroncata di nuovo, con motivazioni-fotocopia dell’anno scorso, dati per di più da una delle persone che più odio al mondo. Sì, labbra-lumaconi…
Il controllore del treno spalanca la porta della carrozza e annuncia con un po’ troppo entusiasmo:
- Biglietti prego!-
Frugo stancamente nel mio marsupio e porgo all’uomo il mio biglietto, guadagnandomi un’occhiata tra il sorpreso, il sospettoso e il paterno da parte sua. Lo timbra e mi regala un breve sorriso professionale e un “grazie”, prima di voltarsi verso i passeggieri nei posti di fianco, seguito da una scia di acqua di Cologna che per poco non mi fa starnutire.
Ripongo il mio biglietto nel marsupio e appoggio il mento su una mano.
Sogno la stessa cosa almeno una volta a settimana: sbagliato, impreciso, sbavato, banale, paragonabile ai lavori dei primini. Una brutta sorpresa inspiegabile, a detta loro.
Mi accorgo che sto scuotendo la testa. Mi strofino gli occhi e cerco il cellulare nel marsupio.
 
Ciao mamma. Il treno era in ritardo così ho perso la coincidenza e ho dovuto aspettare un’ora per la prossima. Mi sono addormentata ma sono riuscita a prenderla per un soffio. Tra poco sarò al confine quindi non credo riuscirò più a scriverti. Ti manderò una cartolina per ogni posto che visito come promesso. Non stare troppo in pensiero e riguardati!
 
Premo il tasto invio con un sorriso sarcastico. “Non stare troppo in pensiero”. Già mi vedo mia madre che legge e comincia a ribattere che è stata lei a buttare me e zaino fuori di casa per fare un po’ di “esperienze positive” che mi “aiutino a proseguire per la retta via”.
Mi scappa un lungo sospiro un po’ malinconico. Cerco una posizione più comoda contro il finestrino e chiudo gli occhi, cercando di liberare la mente da questa brutta sensazione che mi attanaglia…
 
Quando ritorno dal mondo dei sogni so già che è sera, senza bisogno di aprire gli occhi. Sento un leggero profumino di cibo nell’aria, probabilmente il pasto dei pendolari che tornano a casa dopo gli straordinari. Le voci sono più soffuse, le risate meno sguaiate, i bambini cominciano ad essere stanchi, percepisco la luce più fredda, da sotto le palpebre. Apro piano gli occhi e per poco non sobbalzo nel constatare che qualcuno ha avuto il coraggio di sedersi accanto al mio zaino.
Si tratta di un’elegante ragazzo, fine e slanciato, dalla pelle color avorio, gli abiti scuri. È intento a leggere un libro che sembra avere i suoi bei annetti.
Mi stropiccio gli occhi poi mi affretto ad allungare le mani verso il mio gigante.
- Chiedo scusa, lo sposto subito- Biascico con voce impastata.
Il ragazzo in questione alza gli occhi dal libro che sta leggendo e mi rivolge un caldo sorriso.
- Non disturbarti, non mi da alcun fastidio-
E ritorna al suo libro. Io però resto a fissarlo sbigottita, e non perché sono una maleducata: gli occhi del ragazzo sono uno dorato e l’altro di un verde impressionante, nonché di un elegante forma leggermente a mandorla. Ora che ci faccio caso pure i suoi capelli argentati e i suoi abiti stravaganti hanno un che di particolare. Mi guardo rapidamente attorno, rendendomi conto che i sedili vicini sono vuoti. Per un attimo mi assale un attacco di panico, poi m’impongo la calma. Che vuoi che sia? Un semplice cosplayer in trasferta…
- Uhm…-
D’un tratto mi rendo conto che lo sto ancora fissando, e che lui se n’è accorto… Vorrei alzarmi e uscire dalla carrozza urlando dall’imbarazzo.
- Ehm, stavo guardando il suo costume. È davvero fatto bene!- Riesco ad esclamare allegramente, come se fosse ovvio che un ragazzo del genere fosse seduto su un banalissimo treno. Intanto però le guance mi stanno diventando di un pericoloso color porpora.
Il ragazzo sembra non capire.
- Costume?-
- Sì. Cosplay, o come lo vuole chiamare. Da cosa è vestito?-
Il ragazzo continua a sembrare spaesato. Si dà una rapida occhiata ai vestiti  d’epoca che indossa, poi torna a fissarmi.
- Da… Me stesso?-
Cala un breve silenzio in cui prendo atto della sua affermazione, rendendomi conto della seconda clamorosa gaffe che ho fatto in breve tempo.
- Cioè lei va in giro vestito così tutti i giorni?!- Esclamo un po’ troppo forte e giusto un po’ troppo direttamente.
- Sì, perché?-
- È… è… Bizzarro, inusuale. Un po’ passato… Moda dell’800?-
Gli occhi del ragazzo brillano.
- Esatto! Vittoriano per essere precisi. Sono un amante di quegli anni…-
Mi mostra la copertina del libro che sta leggendo: Le avventure di Oliver Twist, di Charles Dickens.
- Per caso… Il mio modo di vestire la infastidisce?-
Continua timidamente, guardandomi di sott’occhi.
- Perché potrei cambiare posto altrimenti…-
- No! Figuriamoci, no! Non volevo dare questa impressione! Sono rimasta solo sorpresa! Non ho mai incontrato qualcuno che avesse il coraggio di vestire come gli pare e piace, senza seguire la moda del giorno d’oggi…-.
M’interrompo senza sapere come continuare, ma non ce n’è bisogno: il ragazzo ridacchia e si scosta con un gesto sbarazzino una ciocca tendente al turchese dal viso pallido, poi mi porge una mano.
- E bizzarro darci del “lei”, non trovi? Diamine, non siamo poi così anziani! Il mio nome è Lysandre-
- Sono Anna. E in effetti il “tu” mi sembra più adatto-
Sorrido afferrandogli la mano, tralasciando il “diamine” detto in modo teatrale.
Lui ricambia la stretta poi lancia un’occhiata rapida allo zaino al suo fianco.
- Ora che ci siamo introdotti… Posso chiederti dove stai andando con questo?-
Sorrido, sistemandomi più comodamente sul mio sedile.
- Non ho una meta precisa-
- Un’avventura! Mi piace-
- Mmm… Sì, immagino si possa chiamare così, finché avrò soldi. Poi sarà una lotta alla  sopravvivenza-
A Lysandre scappò un sorriso sempre più preso.
- Fantastico! Potrebbe essere un Robinson Crusoe contemporaneo! Tralasciando isola e selvaggi-
- E capre- Mi scappa.
Lui scoppia a ridere di una risata cristallina e spontanea, una di quelle che adoro e mi contagia, inducendomi a seguirla come una beota.
- Parlando di capre: se non hai un posto dove stare puoi fermarti da noi! Sai, i miei genitori hanno una fattoria…-
Lancia un rapido sguardo alla fermata annunciata sullo schermo sopra la porta e il sorriso si dilegua, lasciando posto a un espressione sbalordita, che mi fa girare a mia volta.
- Cosa?- Chiedo, tornando a sedermi composta, senza capire.
- Uhm… Temo che l’abbiamo passata senza che me ne accorgessi-
- Come? Ma annunciano tutte le fermate!-
- Sì, è vero. Credo che fossi così immerso nella lettura da non essermene accorto…-.
Resto a fissarlo sbalordita, mentre lui scuote piano la testa, mortificato.
- Ehi, non importa. Accetto volentieri il tuo invito, perciò scendiamo alla prossima fermata e prendiamo il treno che va in direzione inversa- Cerco di rassicurarlo, sorridendo fiduciosa.
Lysandre ricambia piano il mio sorriso, poi però il suo sguardo si posa nuovamente sullo schermo sopra la porta e la sua faccia si fa sempre più corrucciata.
- Però… Non so, qualcosa non quadra-
- Che cosa?-
- La prossima fermata… Non è al confine?-
- Sì… Questo è un treno diretto che si ferma solo nelle grandi città-.
Lysandre strabuzza gli occhi, poi si copre la faccia con una mano.
- Cioè ho sbagliato treno fin dal principio?-
 
 
 
 
Ehilà, ben ritrovate! Dopo una luuunga pausa torno con una nuova storia semi reale( ueooooh XD). Spero di riuscire ad intrigarvi, anche se nelle introduzioni sono una frana... Come sempre, per qualsiasi critica o se trovate un qualsiasi tipo di errore, vi prego di riferirmelo subito!
Questa volta non posso garantire un attività precisa come per le altre storie( più meno) ma cercherò di esserlo il più possibile!
Spero, al prossimo capitolo!
Ciao ciao
 

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Capitolo 2
*** 2. ***


Avete presente quella meravigliosa sensazione che si prova quando ci si svegliano piano piano, senza fretta e senza preoccupazioni, tornando alla realtà con delicatezza? Ecco, quella sensazione sarebbe da imbottigliare e vedere, così il mondo assumerebbe una tonalità migliore.
Devo dire che come primo pensiero della giornata non è niente male!
Apro piano gli occhi, un sorriso soddisfatto che m’increspa le labbra. Mi ritrovo nella camera in cui Lysandre mi ha depositato dopo altre due ore di attesa e viaggio dal confine fino a questo paesino sperduto di montagna.
Quando, la sera prima, ci siamo trascinati dalla fermata del treno a quella del bus, Lysandre ha cercato di tirarmi su di morale parlando del più e del meno, passando da un argomento all’altro con la velocità di un pezzo di sapone su un pavimento bagnato. Per un po’ mi ero fatta abbindolare ed ero stata al gioco, ma quando il bus si è trascinato fino a quel buco di paese con un che di spettrale in cui lui vive, mi era passata la poesia e avevo cominciato ad aver paura sulla vera identità di quel ragazzo strano.
Ad accoglierci avevo trovato due signori anziani, perfettamente incastrati in quel ambiente da chalet svizzero, e un ragazzo silenzioso che ci aveva appena salutati. Il fratello maggiore di Lysandre, mi avevano poi spiegato.
La vecchina ci aveva fatto ingollare quasi a forza due bei tazzoni di latte tiepido con il miele, poi mi aveva trascinata nella camera degli ospiti, invitandomi a dormire. Non me l’ero fatto ripetere due volte: ero distrutta, nonostante fosse solo il primo giorno di viaggio.
Mi alzo a sedere e mi stiro, il sorriso beota sempre presente. Mi sento in una specie di pubblicità, con questa voce soffusa e…
Il rombo di un trattore rompe la magia che si è creata nella stanza, subito seguito da una protesta sonora, seguita da un “èèèè?” del padrone di casa.
Butto le gambe fuori dal letto e apro le imposte della finestra, individuando subito padre e figlio in un grande campo che la sera prima non avevo visto. Lysandre cerca di stare dietro al padre, gasatissimo sul suo trattore azzurro.
- SPEGNI QUESTO CATORCIO, NON HO FINITO DI PARLARTI!-
Si sgola il ragazzo, convincendo finalmente il vecchio a fermarsi. Quest’ultimo spegne il trattore e si gira esasperato verso il figlio, che lo raggiunge arrancando con il fiatone.
- Questi giovani, sempre ad urlare! Hai passato una giornata in città e non hai già più fisico!-.
- Ma quale fisico! Prendi sempre la scusa della sordità quando non vuoi ascoltare quello che ti si dice!-.
Mi scappa un sorriso. Decido di vestirmi e di fare la mia comparsa ufficiale nella fattoria dei miei ospiti.
Scendo le scale esercitandomi a presentarmi, ma quando arrivo in cucina la trovo vuota.
Mi aggiro perplessa per l’intero pian terreno, superando un salotto degno della casa di Babbo Natale, una veranda aperta sui campi circostanti e la scala che porta alla cantina.
- Cerchi qualcosa?-
Salto in aria come una molla al suono di quella voce spettrale. Mi giro con il cuore in gola e mi ritrovo davanti il fratello di Lysandre, la faccia da cane bastonato di sempre e i capelli neri sugli occhi.
- Uhm, ecco… So-sono Anna, piacere!-
Lui annuisce e sembra non far caso alla mia mano tesa.
- Tu sei?- Chiedo dopo qualche attimo di silenzio imbarazzante.
- Leigh-
- Ah ecco, Leigh! Che bel nome!-
Lui annuisce una volta, decisamente senza avere idea di come continuare quella conversazione scomoda.
- Mmm… Sei il fratello maggiore di Lysandre, giusto?-.
Mi ritrovo piuttosto a disagio anch’io.
- Sì-
- E dimmi: dove andate a trovarli questi vestiti così… Uhm… Particolari?-.
Chiedo, indicando il lungo cappotto scuro e decisamente passato di moda che Leigh indossa.
- Oh, li faccio io- Risponde con noncuranza, spolverandosi di dosso un qualche granello di polvere inesistente.
- Cosa? Li cuci tu? Sai cucire?-
- Beh, sì. Non mi sembra questo grande miracolo-.
Si muove a disagio da un piede all’altro.
- Vorrai scherzare! Voglio dire: sono incredibili! Precisi al millimetro!-
Mi rendo conto di essermi fatta prendere un po’ troppo dall’entusiasmo quando gli afferro una manica di velluto e mi metto a studiarla da vicino, sentendo il ragazzo irrigidirsi di colpo.
- È…È solo un hobby. Come se potessi far altro che rastrellare prati-.
Borbotta districandosi dalla mia presa, quasi sussurrando amaramente la seconda parte della frase. Si gira e se ne va a grandi passi fuori, lasciandomi interdetta in mezzo al corridoio.
 
Dopo aver trovato qualcosa da mettere sotto i denti, decido di scrivere la prima pagina del mio diario di bordo, perciò mi sistemo sui gradini della veranda, con la luce del sole che mi bagna il viso e l’aria frizzante di montagna che congela l’aria che respiro, facendomi una specie di lavaggio del cervello.
Comincio a scrivere qualche frase, poi mi metto a fissare l’immensa distesa verde davanti a me e mi perdo in contemplazione, ascoltando il suono della brezza nei campi e seguendo il volo di un qualche occasionale uccello alpino nel cielo.
- Che scrivi?-
Sobbalzo. Lysandre mi si sede da parte, silenzioso come un felino, e mi rivolge un sorriso.
- Il mio diario di bordo. Tutto bene con tuo padre?-
Mi scappa un sorriso, mentre la sua espressione si fa sconsolata.
- La vecchiaia gioca brutti scherzi- Borbotta, scostandosi i capelli dalla fronte sudaticcia.
- Ti piace scrivere?- Chiede invece.
- Abbastanza. Più che altro voglio ricordare ogni particolare di questo viaggio, così quando rileggerò il diario di bordo ricorderò anche le sensazioni che ho provato-
Gli occhi del ragazzo s’illuminano.
- Sì, lo capisco perfettamente, è la medesima cosa che cerco di fare io con i miei testi-.
- Tu scrivi?-
Lui annuisce e prende a frugare nelle tasche dei pantaloni e del gilet, il sorriso che gli si spegne piano piano.
- Ehm… Temo di averlo lasciato in camera-
- Che cosa, hai lasciato in camera?-
Lui non risponde e si alza un po’ troppo precipitosamente.
- Torno subito!-
E scompare come un razzo dentro la casa. Qualcosa mi dice che quel quaderno non è affatto in camera, ma chissà dove.
Sorrido scuotendo la testa, un’idea sempre più precisa della psicologia del mio ospite che mi si forma in testa.
Mentre ritorno in casa, pochi minuti dopo, sento Lysandre parlare al telefono con voce concitata, probabilmente già dimentico del suo compito precedente.
Mi sporgo verso il corridoio principale e lo vedo che smanetta a destra e manca, parlando entusiasta con la cornetta del telefono praticamente fagocitata dai suoi capelli.
- Ah, starà ciarlando ancora con quel poco di buono-.
Borbotta la signora di casa passandomi di fianco, il viso pieno di disappunto e una cesta di panni gigantesca tra le braccia.
- Si lasci aiutare signora!- Esclamo, afferrando un bel mucchio di panni dalla cesta – Chi è questo poco di buono?- Chiedo interessata.
La signora mi rivolge un’occhiata bonaria, poi scrolla la testa di nuovo infastidita.
- Castiel, il ragazzo di città che ha incontrato a scuola… Beh, il suo amico. Contano di andare in giro per il mondo con la loro musica… Quel ragazzaccio ha fatto il lavaggio del cervello a Lysandre!-
- Musica? Cioè Lysandre fa musica?-
- Beh, più che farla la scrive. Ha una voce divina, sai? Non si direbbe mai che un corpicino così gracile abbia una voce così potente! Se solo mangiasse di più…-
- Mi ha detto di scrivere poesie, non testi musicali- Rifletto a voce alta, aspettando che la signora poggi la cesta a terra per metterci sopra la mia pila e aiutarla a stendere.
- Sì, a volte le due cose si mischiano- Sento una nota d’orgoglio nella voce della donnina, che s’allunga in modo pericoloso verso i fili per stendere- Però questa idea della band non mi piace, Lysandre è convinto di potersi mantenere con quella. E poi questo suo amico non l’ho mai visto, ma sono sicura che è uno di quei ragazzacci di città, pieni di anelli in faccia e tatuaggi volgari-
Sorvolo la “band” detta con la “d” doppia, ma un sorriso per gli “anelli in faccia” mi scappa.
- Non pensa comunque che in città avrebbe più possibilità di esprimersi? Vale anche per Leigh! Dal poco che ho visto direi che ha un vero talento per il cucito!-
Le rughe sul viso della donna si fanno più marcate e gli occhi di un azzurro acceso si offuscano.
- La città è piena di brutte tentazioni e c’è il pericolo in ogni angolo. Averli qui vicini mi rende più sicura sul loro futuro. Poi la vita quassù non è poi così medievale! Pensa che hanno aperto da poco un nuovo piccolo supermercato e la figlia della cugina della signora Rose prenderà a breve il diploma di parrucchiera e aprirà un salone proprio qui!-
La donnina prende a raccontarmi vita, morte e miracoli del paesino di montagna, pettegolezzi vari di perfetti sconosciuti e alcune lamentele sulla convivenza con soli uomini; uno sordo quando gli fa comodo, uno musone che se ne sta sempre zitto e il terzo con la testa sempre tra le nuvole e idee troppo fantasiose.

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