Atlantis

di Alessia Krum
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Posta ***
Capitolo 2: *** Uno strano pacchetto ***
Capitolo 3: *** Un nuovo mondo ***
Capitolo 4: *** Casa ***
Capitolo 5: *** Ciao, zia! ***
Capitolo 6: *** Nuove scoperte ***
Capitolo 7: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 8: *** Non ti crediamo ***
Capitolo 9: *** Arkàn ***
Capitolo 10: *** Guarigione ***
Capitolo 11: *** Una strana compagna ***
Capitolo 12: *** Dei e fatine ***
Capitolo 13: *** Gocciolina ***
Capitolo 14: *** Collane ***
Capitolo 15: *** Ho un piano! ***
Capitolo 16: *** La prima battaglia ***
Capitolo 17: *** Vacanza in montagna ***
Capitolo 18: *** Ripresa ***
Capitolo 19: *** Allergia ***
Capitolo 20: *** Il nuovo attacco ***
Capitolo 21: *** Cora la Terrestre ***
Capitolo 22: *** Il Consiglio di Guerra ***
Capitolo 23: *** Mamma, papà e...Max! ***
Capitolo 24: *** Gelosia? ***
Capitolo 25: *** Un'occasione ***
Capitolo 26: *** Ricordi dal passato ***
Capitolo 27: *** Il ritorno della spada ***
Capitolo 28: *** Preparativi ***
Capitolo 29: *** L'abisso dei suoi occhi ***
Capitolo 30: *** Stupida! ***
Capitolo 31: *** Aria di primavera ***
Capitolo 32: *** Tre secondi ***
Capitolo 33: *** Abbastanza brava ***
Capitolo 34: *** Punto di rottura ***
Capitolo 35: *** Ferite insanabili ***
Capitolo 36: *** Non c'è più ***
Capitolo 37: *** L'ultimo barlume ***
Capitolo 38: *** Per lei ***
Capitolo 39: *** Oscuri riflessi ***
Capitolo 40: *** Immobile ***
Capitolo 41: *** Più di quello che pensi ***
Capitolo 42: *** Sconfitta ***
Capitolo 43: *** Vincitori e vinti ***
Capitolo 44: *** Le tre profezie ***
Capitolo 45: *** Mamma ***
Capitolo 46: *** La fine di un'era ***



Capitolo 1
*** Posta ***


Capitolo 1
Posta
 
Era un lunedì mattina. Un lunedì come tanti. Oppure no. Acquamarina era nel salone del palazzo e stava pulendo i vetri delle enormi finestre che davano sul giardino. Le “duchessine” Janissa e Kate, come volevano essere chiamate, le avevano dato un sacco di lavoro da fare in un solo giorno. Mentre lucidava il vetro, Acquamarina sentiva dei suoni metallici. Era il suo braccialetto, quello che aveva da quando l’avevano trovata, un piovoso 26 luglio. Quel giorno Lyliana aveva aperto l’ingresso dell’appartamento dei domestici e aveva trovato un fagottino. Era Acquamarina. Aveva quel braccialetto da sempre e l’aveva tenuto sempre. Non perché voleva tenerlo, ma perché non riusciva a toglierlo. Ogni volta che provava a levarlo, s’incollava alla sua pelle, e anche muoverlo di un millimetro era impossibile!
Suonò il campanello. Acquamarina lasciò lo straccio sul davanzale e si diresse verso la porta.
Sapeva perfettamente chi era. Tutti i giorni alla stessa ora, puntuale come sempre, arrivava il postino. Max era un grandissimo amico di Acquamarina. Anzi, forse l’unico.
- Ciao Acqua! – la salutò appena lei aprì la porta.
- Ciao Max, molte bollette oggi?- Lui sorrise.
- Come va? Che ne dici di andare a fare un bagno al lago oggi pomeriggio?-
- Mi piacerebbe moltissimo, sai quanto adoro nuotare, ma non posso. Oggi ho una montagna di cose da fare e se non le finisco, sono fritta!-
- Ah…mi dispiace. Peccato, oggi era una bella giornata. Ecco le tue bollette: gas, luce… eccetera eccetera! Ah, dimenticavo questo pacco è per te…Ci vediamo domani!!!-Poi Max sparì così come era arrivato. Acqua era sorpresa. Un pacco… per lei? Non la conosceva nessuno e sul pacco non era scritto chi era il mittente. Strano!
Decise comunque di portare il pacco in camera sua, prima che Janissa e Kate lo vedessero e cominciassero a farle la predica. Passò dalla porta sul retro, quella che conduceva alle camere dei domestici e lasciò lo strano pacco nella sua stanza. Per tornare al salone, Acqua passò per il corridoio su cui davano il salone dei ricevimenti, la biblioteca, la cucina e la sala dove c’erano gli strumenti musicali. Come ogni lunedì, Janissa era a lezione di musica e Acquamarina dovette fare molta attenzione passando per quel corridoio. Se Janissa la vedeva dove non doveva essere… erano guai seri! Acqua procedette attentamente ascoltando le stonatissime note che provenivano dall’interno della sala: era quell’imbranata di Janissa che “provava” a suonare il violino. Il maestro di musica la rimproverava a ogni nota che faceva e lei continuava a strillare: - Se non la smetti di urlare in questo modo, chiamo mio padre il duca perché ti licenzi! Le mie note sono perfette! -
Acqua si trattenne dal ridere.
Ritornò senza farsi notare in salone, appoggiò le lettere sul tavolino e continuò a pulire il vetro della finestra. Dopo qualche minuto iniziò a spazzare il pavimento canticchiando una canzoncina che le aveva insegnato Lyliana. Solo dopo cinque minuti si accorse che Kate la stava osservano, con il suo atteggiamento da “so tutto io”.
- Insomma, Acquamarina! Quando imparerai la buona educazione? Quando i tuoi padroni entrano, devi fare la riverenza! –
- Ma…-
- E non osare ribattere! Fai la riverenza o lo dico a mio padre! - Acqua fece un piccolo inchino e poi continuò:
- Io la riverenza la faccio, ma ai miei padroni! –
- Bene, e allora perché non l’hai fatta quando sono rientrata?-
- Tu non sei la mia padrona. Io sono obbligata a fare l’inchino solo a tua madre e a tuo padre! E ora, se vuoi scusarmi, dovrei lavare il pavimento. -
- Basta! Come osi parlare in questo modo… a me! Vado subito da mio padre a riferirgli l’accaduto! Non ne sarà per niente contento… sei finita, Acqua!! –
- Ehi, un momento! Chi ti fa le torte che ti piacciono tanto? – disse Acqua con un’aria da angioletto.
- Di certo farò presto a trovare un’altra domestica che me le cucini. –
- Dimentichi che queste torte le ho inventate io e quindi nessuno a parte me conosce la ricetta…-
- Che rabbia!! Non ti licenzierò, però ricordati…Ti tengo d’occhio!!  -Kate sparì nella sala musica pestando i piedi e sprizzando rabbia da tutti i pori.
Acqua sorrise. Aveva vinto un’altra battaglia. Ma del resto era abituata a delle scenate come quelle.
L’operazione “salvati da una catastrofe imminente improvvisando” aveva sempre funzionato.
La ragazza riprese a lavare il pavimento. Non le era mai piaciuto fare lavori di quel tipo. Eppure l’acqua le piaceva.





--- Angolo autrice ---
Ciao a tutti, sono Alessia e questa è la prima storia che pubblico su efp!
Inizio subito dicendo che questa è una storia molto importante per me, infatti la sua scrittura mi accompagna da quando avevo dieci anni, e non è ancora conclusa. Non che sia chissà quale capolavoro, e forse il fatto che ci stia ancora lavorando dopo tanti anni dipende dalla mia pigrizia (e da un'altro fattore uccidi-ispirazione meglio noto come scuola), però mi ci sono affezionata talmente tanto che ormai non ne posso più fare a meno! :)
Ci sono tante cose che vorrei cambiare, soprattutto nei primi capitoli, tante cose nella trama che non mi soddisfano per niente, e tantissime cose che a rileggerle mi darei una sberla da sola per quello che ho scritto. Tra queste ci sono anche i nomi dei personaggi, più banali di così non potevo trovarne.
Se vi state chiedendo perchè non ho cambiato tutte queste cose come qualsiasi persona sana di mente avrebbe fatto, ecco la risposta: penso che in questa storia sia racchiusa la mia evoluzione, tutti i cambiamenti che ho fatto da quando avevo dieci anni ad oggi, nello stile, nel modo di sentire e di trasmettere le emozioni, nella maniera in cui vedo il mondo. In questa storia c'è una gran parte di me, perciò non voglio cambiarla.
Detto questo, non pensate che io sia una pazza psicopatica. 
Vi prometto che, se avrete la pazienza di andare avanti nella lettura, i capitoli diventeranno sempre meglio. Per adesso vi tocca sorbirvi le fantasie della me stessa di dieci anni.
Lasciatemi una piccola recensione se vi va, altrimenti me ne farò una ragione, per me è già tanto che qualcuno legga la storia :D
Al prossimo capitolo,

Alessia Krum <3

 

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Capitolo 2
*** Uno strano pacchetto ***


Capitolo 2
Uno strano pacchetto
 
Era quasi sera e Acqua aveva appena finito di fare tutti  i lavori che le avevano dato. Andò in camera sua e prese il pacco. Era di cartone, non tanto grande. Lo aprì e quando riuscì a guardare dentro, rimase molto sorpresa. Era una cosa un po’ strana da mandare per posta, ma comunque utile. Bagnoschiuma e shampoo! Decise subito di andare a fare una doccia per provarli… c’era scritto che erano i prodotti più efficaci per avere una pelle liscia e dei capelli favolosi!
Prima di svestirsi Acqua lesse le istruzioni sul retro dello shampoo:
 
 "Applicare una noce di shampoo sui capelli 
bagnati e massaggiare dolcemente. Sciacquare dopo
qualche minuto e sentirete subito la benefica azione
di questo prodotto!"
 
Si svestì e andò sotto il getto d’acqua che, come al solito, era fredda gelata.
Poi seguì alla lettera le istruzioni, rabbrividendo di freddo ogni volta che andava sotto l’acqua. Dopo il risciacquo, Acqua sentì i suoi capelli lisci come la seta.
Prese il bagnoschiuma. Sul retro c’era scritto:
 
"Applicare la schiuma massaggiando delicatamente
sulla pelle e risciacquare con cura sotto l’acqua. Risultati 
garantiti: pelle liscia e morbida!"
 
Acqua si mise la schiuma sul corpo con una spugna vecchia e ruvida. C’era solo quella. Il bagnoschiuma era profumato alla vaniglia e un dolce profumo si sparse nel bagno. Acqua pensò: “ vorrei che l’acqua fosse più calda”. Nello stesso istante l’acqua divenne tiepida.
 - E’ un miracolo! – esclamò Acquamarina – Era da 15 anni che non era così calda! -
Quando si lavò ebbe una bellissima sensazione: ogni goccia e particella d’acqua erano parte del suo corpo. Era una bellissima e strana sensazione e decise di lasciarsi avvolgere. Ogni secondo l’acqua  diventava sempre più calda, così Acquamarina pensò di farsi un altro shampoo, ma una goccia di quel fantastico prodotto le finì nell’occhio. Allora si sciacquò l’occhio e, quando lo riaprì, ci vedeva perfettamente.
Ma, dopo due minuti, la vista le si annebbiò, incominciò a girarle la testa e le vennero i brividi di freddo. Si disse di non preoccuparsi, che se si fosse messa sotto l’acqua, che oramai era bollente, le sarebbe passato tutto. Ma non passava.
Ora ebbe l’impressione che l’acqua rovente la volesse evitare. Le sue gambe sembravano di pastafrolla e fu costretta ad appoggiarsi al muro per rimanere in piedi. Poi non vide più niente. Acqua ebbe l’impressione che i suoi occhi vedessero un vortice di luce azzurra. Era un’immagine assurda. Cadde a terra, come svenuta, ma riusciva ancora vedere quelle immagini.
 
***
 
Lyliana sentì un tonfo. Smise di lavare i piatti e, presa da una grande preoccupazione, si precipitò in bagno, da dove era venuto il rumore.
Aprì la doccia e vide Acquamarina a terra, con gli occhi chiusi.
Era disperata, non sapeva cosa fare. Vedendo sua figlia in quello stato si paralizzò, con la bocca aperta e gli occhi spalancati.
Prese un grande asciugamano e vi avvolse Acquamarina  per non farle prendere freddo, poi, con qualche sforzo, la portò sul letto.
Rimase qualche minuto a fissarla, sperando che fosse un modo per poterla risvegliare. Ma non accadeva nulla. Lyliana corse al telefono a chiamare Max. Compose il numero, ma lui non rispondeva. Allora Lyliana provò ancora quattro volte e, alla quarta, Max rispose:
- Pronto? –
- Max, devi venire subito! E’ successa una cosa terribile…io…Acqua…-
- Acqua! Cos’è successo? –
- Vieni e lo vedrai da te! –
- Arrivo subito. – e poi Max chiuse la comunicazione. 
 
***
 
Subito dopo il vortice, Acquamarina aveva continuato a vedere immagini, immagini brutte e spaventose, che non avrebbe mai voluto vedere. Acqua poteva pensare e vedere quelle figure, ma non stava né dormendo, né era svenuta, non era sveglia e non poteva svegliarsi. Voleva vedere e capire che cosa stava succedendo. Vide un villaggio, un piccolo villaggio sormontato da un castello. Il paesino sembrava tranquillo, ma fuori dalle mura si stava svolgendo una feroce battaglia. Persone con la pelle blu e le pinne combattevano con tutto quello che avevano e una grande speranza contro eserciti interi di mostri viscidi, squamosi e rivestiti da armature pesanti che mandavano bagliori sinistri. La battaglia infuriava. Per ogni mostro abbattuto, morivano almeno due uomini. Poi Acqua vide un uomo, protetto da un cerchio di mostri, che sembravano i più potenti e i più grossi. Quell’uomo aveva un qualcosa di sinistro e malvagio. Indossava un pesante mantello nero e continuava a dare ordini e a lanciare fiamme ovunque.
- Avanti, Cavalieri, sopprimete Atlantis e l’oceano intero sarà mio! –
Acqua non voleva più vedere queste scene. Cercò con la mente di vedere qualcos’altro. Le sarebbe piaciuto vedere all’interno del villaggio. Improvvisamente la scena cambiò. Vedeva dentro il paese ora. Nella grande piazza c’erano alcune madri in lacrime per la preoccupazione. Alcuni bambini chiedevano : - Mamma, cosa sta succedendo?-. Altri piangevano a dirotto, i ragazzi più grandi, invece, volevano andare a combattere al fianco del popolo per impedire che gli assalitori conquistassero il paese. Acqua però non riusciva a capire come mai tutti avessero le pinne, la pelle blu e ciocche di capelli azzurri.
Acquamarina decise di spostare la visuale, ormai aveva capito come si faceva, anche se non poteva scegliere dove andare.
Ora vedeva una casa e un bambino, solo. Guardava fuori dalla finestra, in direzione del castello. Suo padre era fuori, a combattere, e sua madre era andata a cercare delle notizie. Il bambino uscì e iniziò a correre. Andava verso il castello.
La visuale di Acquamarina si spostò di nuovo: ora era nel giardino del palazzo e poteva vedere una bella ragazza dai capelli biondi che teneva in braccio una bambina con minuscole pinne. La bambina piangeva e la ragazza tentava di calmarla dicendole parole dolci. Poi la mise in un cesto.
- Max, vieni avanti – disse. Il bambino di prima uscì dal suo nascondiglio. Sembrava conoscere la fanciulla.
- E’ questa la principessa? – chiese il bambino chinandosi a guardare la bimba nel cestino.
- Sì, ed è meglio che rimanga al sicuro fino a quando non sarà abbastanza grande da poter tornare. –
- Ma dove andrà? E’ così piccola! –
- Sulla Terra. E qualcuno la dovrà accompagnare. Che ne dici Max? Porta il cestino davanti a una casa e poi suona. Ma torna subito qui, o i tuoi genitori si arrabbieranno molto. –
- Ma come faremo ad andare sulla Terra? –
- Tieni questo bracciale, è fatto con le alghe di Keyra. Ti porterà nel posto più giusto. Questo è per la principessa. – e mise alla bambina un braccialetto con pietre colorate e il suo nome inciso – Non si staccherà mai dal suo braccio, così non lo perderà. Buon viaggio, Max. Addio…Acquamarina. -


--- Angolo autrice ---
Eccomi con il secondo capitolo! Ringrazio tantissimissimo Riminimini e Nadine5 che hanno recensito il primo capitolo, mi avete reso felice *^*  Ciao a tutti,

Alessia Krum

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Capitolo 3
*** Un nuovo mondo ***


Capitolo 3
Un nuovo mondo
                                                                                               
Max suonò il campanello. Quando Lyliana aprì la porta, Max la vide preoccupata. I capelli grigi e raccolti in una crocchia erano arruffati e spettinati e sul viso aveva un’espressione triste.
- Ma cos’è successo? – le chiese.
- Seguimi. -
Lyliana condusse Max nella stanza di Acqua. Appena lui la vide capì perfettamente ciò che era accaduto.
- Io non so cos’è successo, l’ho trovata così nella doccia, probabilmente ha sbattuto la testa contro il muro, non lo so…io…Max, mi devi aiutare…-
- Lyliana, io sono certo di una cosa: Acqua si sveglierà presto. Però lei deve stare tranquilla, agitarsi non serve a nulla. Se deve finire dei lavori vada pure; anzi, se vuole resterò con Acqua fino a domani mattina.-
Lyliana annuì e se ne andò trattenendo le lacrime.
Max chiuse la porta a chiave, non voleva che nessuno entrasse.
Poi andò vicino al letto di Acqua e le accarezzò i capelli. Se ne stava distesa sul letto con la testa inclinata di lato. La sua espressione era dolce e Max notò che stava sorridendo. Era il momento. Max si mise in ginocchio e prese la mano di Acqua. Fu un attimo: appena il ragazzo sfiorò il suo braccialetto, un potente vortice di calda luce azzurra si sprigionò nella stanza e li avvolse.
 
***
 
Il sogno di Acqua era finito. Ora lei sapeva. Veniva da quello strano e sconosciuto mondo, ma non era un abitante qualsiasi. Lei era la principessa. Le ultime parole della ragazza glielo avevano confermato. E il bambino…beh, era Max.
Acqua sentì qualcuno prenderle la mano e poi venne avvolta da una ventata di calore. Sentì di poter di nuovo aprire gli occhi… e li aprì. Vide un paesaggio ormai a lei famigliare: una grande pianura sabbiosa e il paesino sullo sfondo. Acqua si girò e vide Max di fianco. Erano su una collinetta.
- Max! Un momento. Pelle azzurra…pinne…ciocche azzurre nei capelli…siamo nel mio sogno!  - Acqua guardò Max. Era diverso e indossava una tunica bianca, ma per il resto era sempre lui. La ragazza portò una mano sul collo e sentì piccole fessure che si aprivano e si chiudevano ritmicamente. Ho le branchie!, pensò sorridendo.
- Non è un sogno, Acqua. È la realtà, questo è il tuo mondo. - Lei si girò ad ammirare le punte di ghiaccio del castello, sconvolta dalla nuova rivelazione. Era spaventata, certo, e non sapeva cosa fare, ma sentiva che tutto quello era giusto. Normale, quasi.
- Già. È qui che sono nata vero? – Max annuì.
- Questa è Atlantis, capitale del pianeta omonimo. È l’unica città rimasta in questo mondo. Tutte le altre sono state distrutte da un mago potentissimo, che vuole il predominio assoluto e la devastazione del nostro mondo, Darcon. Da quindici anni a questa parte cerca di distruggere Atlantis, ma noi cerchiamo di impedirglielo come possiamo. – Max guardò Acqua in versione marina.
Era bellissima. Aveva un top e una gonna costruiti con scaglie di pesce turchese intrecciate, dei pantaloni di lino subacqueo, le pinne e  i capelli sciolti. Anche lei sembrava abbastanza sorpresa del suo aspetto.
- Fammi indovinare, Darcon è quell’uomo con il mantello che dava gli ordini ai mostri?-
- Sì. I mostri si chiamano Cavalieri. Vieni, andiamo in città, così saremo più al sicuro. - I due si incamminarono. Max era seriamente preoccupato, aveva voluto arrivare su quella collinetta per offrire ad Acqua una vista panoramica della sua città, ma il percorso per arrivarvi poteva rivelarsi pericoloso. Durante il tragitto, Acqua vide diverse specie di piante: una sembrava un groviglio di rovi, una un grosso masso, una era morbida come la seta. Max non era per niente sorpreso dal paesaggio che vedevano a pochi passi da loro, anzi, sembrava completamente a suo agio. In quel breve viaggio Acqua imparò, inoltre, il motivo per il quale avevano le pinne. Infatti, essendo nell’acqua, si poteva “volare” semplicemente facendo un salto. Quando arrivarono alle mura di Atlantis, Max si mise in un punto preciso e gridò: - Shinex!
Poi spiegò ad Acqua che quella era la parola d’ordine per entrare nella città. La ragazza pensò che fosse inutile, visto che le sentinelle potevano benissimo vedere la differenza tra un atlantiano e un Cavaliere. Lo disse a Max, ma lui le spiegò che alcuni cavalieri, chiamati Mutaformi, potevano mutare aspetto ed entrare facilmente nella città.
Appena i pesanti portoni si aprirono, Acquamarina vide una folla di gente che era indaffarata lungo le viuzze di Atlantis. Le persone si girarono verso di lei e cominciarono ad esclamare: - La principessa è tornata!-, - Evviva!-, - Olimpia aveva ragione! -.
Acqua era un po’ imbarazzata, ma dopo qualche secondo, la vita ricominciò a scorrere normalmente. Acqua ne approfittò per chiedere a Max:
- Chi è Olimpia?
- Tua zia. È una tipa un po' strana, conosce praticamente tutta la città e probabilmente si è lasciata scappare qualcosa sul tuo ritorno... -  
- Ho una zia? - 
- Certo. E anche una cugina. Si chiama Corallina. -
- E dei genitori? -
- In un certo senso. -
- Cosa significa “in un certo senso”? -
- Tuo padre è morto in una terribile battaglia sei anni fa, ma ha combattuto fino alla fine per il suo popolo. E’ stato un grande sovrano. - Acqua deglutì a fatica e sentì che i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime.
- Continua. -
- Tua madre è stata catturata pochi mesi fa. Probabilmente è stata imprigionata nel ghiaccio proprio come gli altri prigionieri. Sono per lo più membri della famiglia reale e persone che sapevano usare la magia, quindi stai molto attenta. - Max notò la grande tristezza di Acquamarina e quindi decise di allungare un po’ il percorso, passando per il mercato delle spezie. Quello era un bellissimo luogo verso il centro di Atlantis dove i mercanti organizzavano delle bancarelle e vendevano spezie di ogni tipo. Gli Atlantiani adoravano infatti speziare il cibo e avevano scoperto migliaia e migliaia di sostanze diverse. Si partiva dalla dolce Oricanea, poi c’era l’alga Limacha che dava un sapore aspro e leggermente piccante. Alcune poi davano un particolare colore al cibo, come le foglie di Alete triturate che davano un tocco di rosso.
Appena varcato il grande arco che introduceva alla piazza delle spezie, l’umore di Acquamarina passò dalla tristezza allo stupore e poi all’allegria. Nell’aria, anzi, nell’acqua, c’era un odore stranissimo, a causa della mescolanza di tutti quei profumi, che metteva allegria. All’inizio molto stupita, Acquamarina iniziò a girare per le bancarelle chiedendo a Max ogni genere di informazione su questa o su quella spezia. L’unica cosa che le sembrò strana era che, chiunque le passasse vicino, le faceva un saluto o un piccolo inchino, cosa a cui non era per niente abituata. Una simpatica signora grassottella le regalò persino due o tre stecche di un’alga preziosa che cresceva solo a distanza di centinaia di anni. Oltrepassando un altro arco e percorrendo alcune viuzze strettissime Acquamarina e Max arrivarono presto al palazzo che la ragazza aveva visto più volte nel suo sogno/ricordo. Era un enorme edificio fatto di ghiaccio con bassorilievi che raccoglievano molti animali subacquei e grandissimi arabeschi.
Si estendeva molto in altezza e in alto svettavano tre grandi torri che salivano verso la superficie con intrecci di ghiaccio. Acquamarina rimase incantata dalla sua imponenza e faticò a credere che quella fosse la sua vera casa. Appena entrati, i due ragazzi si trovarono in una grande sala (di ghiaccio!) con  dei bellissimi tappeti per terra che decoravano il pavimento. Due grandi finestre facevano entrare la luce: erano altissime e prive di vetri, con archi in cui erano scolpiti fiori e alghe sottomarine ancora sconosciute ad Acquamarina. In alto c’era un grande lampadario di cristallo, che rifletteva la luce proveniente dalle finestre.
In fondo alla sala c’era una grande scalinata che si divideva in due, ed era coperta da un tappeto rosso fuoco intrecciato con alghe colorate. Acquamarina notò subito una ragazza che volteggiava in acqua e si soprese per le complicatissime evoluzioni che riusciva a fare. Doveva avere qualche anno in meno di lei. Portava i capelli rossi in un caschetto molto corto e, ovviamente, aveva le immancabili strisce blu! La pelle azzurrina e le pinne erano ormai un elemento famigliare agli occhi di Acquamarina. La ragazza portava un bellissimo vestito lungo fino alle ginocchia che si apriva a palloncino gonfiandosi d’acqua, con dei graziosi ricami sul corpetto. Acquamarina stava ancora ammirando le meraviglie del castello, quando sentì Max urlare alla ragazza che volteggiava: - Corallina! Quante volte ti ho detto che non devi fare evoluzioni qui dentro! Si potrebbe rompere il lampadario…per la quarta volta! -
Acquamarina capì che quella era la cugina di cui le aveva parlato Max, così si fece avanti. Corallina capì subito chi era la misteriosa “ospite”, e chiese a Max (cambiando completamente discorso): - È mia cugina? –
Vedendo che Max annuiva, Corallina si buttò subito ad abbracciare Acqua.
Era molto contenta e, come al solito, era esplosa senza controllarsi. Non conosceva ancora la cugina, ma era sicura che sarebbero diventate amiche. A causa della guerra, infatti, nessun membro della famiglia reale poteva uscire dal perimetro delle mura, o addirittura dal castello e Corallina aveva pochissime amiche per questo. Anche Acquamarina era contenta che la cugina avesse deciso di essere spontanea, perché a lei piaceva proprio così. Quando si sciolsero dall’abbraccio, Corallina invitò Acqua a visitare il castello. Dopotutto era casa sua!
Chiacchierando insieme Corallina la condusse nella sua stanza. Acqua era meravigliata da tutto quello splendore. Non c’era proprio abituata! Al centro della stanza c’era un bellissimo letto a baldacchino, con delle tende turchesi  morbide e soffici.  A destra c’era un bellissimo armadio di madreperla  e un separé di canne intrecciate con lo stemma di Atlantis dipinto sopra. A sinistra c’era invece una specchiera di ghiaccio e  una piccola scrivania di legno levigato con una boccetta di inchiostro e una piuma per scrivere. Acquamarina aprì l’armadio e vi trovò una marea di vestiti bellissimi e sontuosi, pieni di conchiglie  e ricami di madreperla. Ma per lei erano troppo eleganti, e così scelse di indossare una tunica bianca e di legarsi i capelli con un fiocco blu, che riprendeva i ricami sul vestito. Così, a suo agio, decise di riprendere la visita del castello da sola. Corallina era infatti andata nella sua stanza a studiare.
La ragazza aveva spiegato ad Acqua che nel tempio di Atlantis si svolgevano le lezioni tenute dalla signora De Orchis. Ad Atlantis non esisteva una scuola e i ragazzi andavano al tempio per imparare a leggere e scrivere, ma anche per studiate la geografia, la storia e la musica. Per qualche alunno la signora De Orchis teneva anche lezioni speciali di magia. Ora, però, non poteva aspettare un secondo di più: le meraviglie del castello al attendevano!




--- Angolo Autrice ---
Benvenuti ad Atlantis, spero che questo capitolo vi piaccia!
Come sempre aggiornerò la prossima settimana o un po' più tardi (dipende dalla voglia di collaborare del wi-fi), per adesso vi auguro buona fortuna per l'inizio della scuola (T.T).
Felice anno scolastico, e possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!

Alessia Krum

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Capitolo 4
*** Casa ***


Capitolo 4
Casa
 
Acquamarina aveva iniziato a vagare per il castello. Ovunque andava scopriva stanze sfarzosamente arredate e decorate, una cosa molto strana per lei, abituata a cose essenziali e semplici. La prima stanza che visitò fu la sala da pranzo. Sul soffitto immagini di dei antichi e animali mitologici si intrecciavano tra loro. Un grande lampadario pendeva con le gocce di cristallo al centro della stanza.
Anche il pavimento e le pareti erano decorate da affreschi, che si interrompevano per dare un affaccio su Atlantis grazie alle grandi finestre simili a quelle che Acquamarina aveva visto nel salone. Il grande tavolo al centro della sala era di legno decorato con intarsi d’oro. Sopra vi era una bellissima tovaglia di lino con pizzi e decorazioni e una grande fruttiera, su cui era appoggiata una grande quantità di frutti sconosciuti e profumati. A fianco della sala da pranzo vi era la cucina. Più avanti, Acquamarina entrò in alcune camere da letto, meno sfarzose della sua, ma comunque molto belle.
Nell’ala opposta, Acquamarina entrò prima in una grande sala da dove si poteva accedere ai sotterranei e poi in una sala con molti scaffali su cui erano appoggiati una grande quantità strumenti musicali diversi.
Al centro del castello, c’era la sala del trono. Il soffitto era altissimo, sempre affrescato con scene mitologiche. Sul pavimento c’era un tappeto rosso che arrivava fino ai tre troni in fondo alla stanza. Su quello più alto, che doveva essere stato di suo padre, Acquamarina vide intrecci di onde e una miriade di incisioni. Sopra allo schienale era scolpita una corona e un nome: re Aquarius.
Sul trono di destra era scolpito il nome di sua madre, Azzurra, mentre su quello di sinistra il suo. Accanto vi era una piccola culla. La ragazza stava ancora osservano, incantata, le piccole lenzuola e il cuscino ricamato d’oro e d’argento, quando sentì una voce alle sue spalle:
- Allora, cugina, come va?  -  Acquamarina riconobbe la voce allegra di Corallina e si sorprese della silenziosità con cui era arrivata. O era lei che era un po’ troppo soprappensiero?
- Bene, stavo solo guardando…  -
- Ah, comunque posso chiamarti Acqua, vero? E’ così che ti chiama Max quando ci parla di te…ogni giorno quando torna a casa ci racconta per filo e per segno quello che fate insieme! – poi Corallina si coprì la bocca con le mani, come per dire che aveva parlato troppo – Ops, forse ho esagerato. Scusami. –
- Figurati! E comunque certo che puoi chiamarmi Acqua, siamo cugine, no? A proposito di casa, da quanto tempo sono qui?  -
- Circa tre ore, perché?  -
- Non so quando posso tornare a casa, e soprattutto, non so come andare a casa.  –
- Beh, io questo non lo so, ma di solito, quando Max ritorna qui, sulla Terra è il tramonto, ma da noi è appena l’alba…  -
- Quindi adesso dovrebbe essere notte… sai dove si trova Max? –
- No, veramente no, però io ti devo fare vedere una cosa, seguimi!  -E Corallina spiccò un salto, si alzò da terra e cominciò a nuotare. Acquamarina la imitò, ma ormai la cugina la aveva distanziata ed era rimasta molto indietro. Per darsi una spinta maggiore, Acquamarina nuotò anche con le braccia, come quando si immergeva nelle acque del lago insieme a Max. Ci andavano spesso d’estate e, poiché Max era più grande di lei e Lyliana si fidava molto, andavano soli e rimanevano in acqua per moltissime ore, fino a quando sentivano che ormai non ce la facevano più ed erano costretti ad uscire.
Acqua riuscì a raggiungere Corallina e le chiese dove stessero andando.
- Aspetta e vedrai!  -  le rispose la cugina, e ricominciò a nuotare ancora più forte di prima, distanziando nuovamente la principessa.
E così, quella che sembrava una passeggiata per raggiungere un posto misterioso, si trasformò in una gara.
Corallina svoltò in un corridoio pieno di quadri e poi cominciò a salire rampe interminabili di scale, al cui termine vi era un grande portone che sembrava molto antico con delle strane incisioni. Corallina si fermò improvvisamente e Acqua, presa alla sprovvista, andò a sbattere contro al portone. Massaggiandosi la testa, si alzò in piedi e vide Corallina che si stava esibendo in una specie di danza e agitava le braccia in alto urlando: - Ho vinto, ho vinto, ho vinto! Evvai!  -
Poi all’improvviso si fermò e indicando il portone disse: -  Questa è la biblioteca. So che ti piacciono i libri e quindi… -
Il viso di Acquamarina si illuminò e finalmente si decise ad aprire il portone.
- Aspetta, non è così semplice! Vedi quella specie di spirale? Devi farle fare tre giri in senso orario e poi spingere verso sinistra il dragone d’acqua  che si trova sotto e bussare due volte. Ricordatelo!  - Corallina fece l’occhiolino alla cugina e la guardò mentre cercava i simboli che le aveva detto ed eseguiva i movimenti. Dopo poco il portone si aprì e dietro di esso un anziano signore le salutò con un gesto del capo e disse: 
- Benvenute. La biblioteca è al vostro servizio.  – Mentre il vecchio si allontanava, Acquamarina si chiese come facesse anche solo a stare in piedi: era magrissimo, con i capelli e la barba bianchi e lunghi fino ai piedi e una tunica verdina decisamente troppo grande. Nelle lunghe maniche nascondeva le mani, i piedi non si vedevano nemmeno. Il volto era rugoso, la bocca sottilissima e gli occhi…beh, Acquamarina gli occhi non li aveva nemmeno visti. 
Inoltrandosi in mezzo agli scaffali con il naso per aria, la ragazza ammirava i milioni di libri che vi erano in quel luogo: la maggior parte erano antichissimi, rilegati con copertine di pelle e coi titoli scritti con l’inchiostro dorato.
- Allora, ti piace?  - chiese Corallina
- E me lo chiedi anche! Certo che mi piace! Ma chi era…  -
- Quel vecchio decrepito? Non ha un nome, lo chiamano il Saggio e saggio lo è molto…però molte volte secca un po’… ‘non è prudente fare questo’,‘ non è prudente fare quello’. Che noia! E per fortuna che Max non è qui, altrimenti anche lui mi farebbe una ramanzina! Dice che non devo parlare così del Saggio, ma è la verità!!  -
- Per fortuna che  Max non è qui, eh? - Il ragazzo spuntò da dietro uno scaffale e fissò con aria divertita Corallina, che nel frattempo era arrossita e poi era diventata bianca come un lenzuolo. La ragazza riuscì solo a balbettare: - M-Max! Che…che ci fai qui? -
- Niente, sono solo venuto a prendere un libro.  -  disse lui mostrando il grosso volume che teneva in mano.
- Bene, io ora vado…vi lascio in pace!  -  Corallina se la svignò lasciando Max e Acqua con un palmo di naso. Non si aspettavano, soprattutto Acqua, che la ragazza riuscisse a riprendersi così in fretta.
- Questa biblioteca è fantastica, non avevo mai visto tanti libri! Neanche in quella sottospecie di sgabuzzino che i miei “padroni” chiamano biblioteca.–
- Comunque il libro misterioso che ero venuto a cercare è questo. Prendilo, credo che ti possa interessare.  –  Acqua prese con cura il volume che le porgeva Max. Non avrebbe mai voluto che si rovinasse! Lesse piena di curiosità il titolo.
- “Storia di Atlantis  e dei suoi sovrani”. Oh, mamma, Max! Che bello!! Grazie! - Acqua abbracciò Max contentissima. Ormai si era già dimenticata di tutte le domande che doveva fargli.
- E di cosa? E poi, mica ti posso dire tutto io, eh?  -
- No, tutto no, però una cosa almeno me la puoi dire? Per favore!  -
- Sarebbe?  -
- Come faccio a tornare a casa?  -
- Sei già a casa.  –
- No, dico a casa sulla Terra.  –
- Ah. Tua madre mi aveva detto che dovevi toccare la pietra sul tuo bracciale. Da qui è semplicissimo, ma dalla Terra non so se è uguale…perché ritornerai, vero?  -
- Certo! Ma secondo te sono così stupida da lasciarvi in un pasticcio simile?!  -
- Mah, non lo so, fammi pensare…  -
- A parte gli scherzi, una volta che sarò qui, dovrò andare a scuola, vero? Dove va Corallina...  -
- Non era una sola la domanda che mi dovevi fare? –
- Dai! Rispondi. –
- Non lo so, non credo che sia molto sicuro farti allontanare… -
- Ma se ci va Corallina, non posso andarci anch’io?-
- Direi di sì, ma prima devi parlare con tua zia. Però, se lei accetta, prometti che andrai solo quando ti sarai adattata. Qui non è uno scherzo e bisogna fare molta attenzione. –
- Ok. –
- Seguimi. – Max si incamminò in mezzo agli scaffali e condusse Acquamarina davanti a una grande finestra senza vetri che dava su una terrazza. Da lì si poteva vedere tutta la città.
- Ma scusa, non c’è la porta, come facciamo ad uscire?  -  chiese Acqua.Per tutta risposta, Max spiccò un salto e attraversò la finestra, nuotando come Acquamarina e Corallina poco prima. La ragazza si mise la mano sulla fronte come per dire: “Che sbadata!”. Poi raggiunse Max sul terrazzo.
- Vedi, là si trova la porta sud, da dove siamo entrati noi. Lì c’è il mercato delle spezie. Più a est c’è il tempio e poi la bottega del fabbro. Al centro c’è la piazza e poi nella parte ovest ci sono solo case. Dalla porta ovest si arriva alla cascata dei principi e al fiume delle fate, da quella ad est alla grotta di ghiaccio, ma là non ci andare, ci sono fila di Cavalieri ovunque. –
Acqua contemplò per qualche istante lo splendido paesaggio che poteva vedere dall’alto.
- A est ci sono solo case, eh? Tu abiti lì, vero? –
- Sì, ma ormai sto più qui che a casa. –
- Ecco perché non ho mai visto casa tua! Sulla Terra, intendo. - 
- Vieni, ti porto da Olimpia. –

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Capitolo 5
*** Ciao, zia! ***


Capitolo 5
Ciao, zia!

Max ormai era già andato e Acquamarina era davanti alla porta della stanza di sua zia. Era lì da circa dieci minuti e non riusciva a decidersi. Entrare, oppure no? Era agitatissima. Molte volte aveva desiderato di ritrovare la sua famiglia, ma mai avrebbe pensato che ci sarebbe riuscita sul serio. Ora all’idea di incontrarne un componente era andata nel panico. Prima con la cugina non era successa la stessa cosa perché era stata proprio Corallina a  rompere il ghiaccio. Ma con la zia come avrebbe dovuto comportarsi? Alla fine prese un gran respiro e girò lentamente la maniglia. Aprì uno spazio e mise dentro la testa. La camera della zia era un po’ lugubre. Piena di scaffali altissimi e severi, aveva un’aria…inquietante. Il letto era davanti a una grossa e imponente libreria, mentre dall’altro lato della stanza vi era una piccola scrivania tra due scaffali. Davanti ad un tomo gigante stava seduta la zia. Ora Acquamarina non sapeva assolutamente cosa fare. Se aveva una camera così severa, molto probabilmente anche Olimpia era severa.
Ma, fortunatamente, fu proprio lei a parlare per prima.
Entra, Acquamarina, vieni pure, cara. – Poi si alzò dalla sedia e trotterellò in modo buffo verso la ragazza, stringendola subito in un grande abbraccio. Acquamarina aveva subito notato il suo buffo viso, rotondetto e simpatico, e il colorato abito a strisce che portava. Olimpia era una donna grassottella, e le ricordava un po’ la sua mamma adottiva. Con l’unica differenza che aveva pinne, pelle azzurrina e ciocche azzurre tra i capelli. Contrariamente a quello che pensava, Olimpia si era subito rivelata simpatica e buffa.
- Cara nipotina, credevo che non saresti più entrata, perché ci hai messo così tanto tempo? Sono d’accordo che la mia stanza sia un po’… bruttina, ma non credevo fino a questo punto! -  Acqua rise insieme alla zia e poi riprese ad ascoltare il turbine di parole che uscivano dalla bocca di quell’incredibile donna.
- Allora, come stai, ti piace Atlantis? Non siamo proprio nei periodi migliori per una gita turistica, ma la nostra bella città è incantevole lo stesso. Non è così? Io trovo proprio di sì. Certe volte passeggio per il mercato e mi sorprendo che la gente sia lì nonostante tutto. Ma poi mi dico: la gente viene qui perché sa che così si può riprendere la normalità, anche se adesso la normalità è vivere tutti i giorni con la paura di essere assaltati e poi magari anche rapiti, ma… oh, scusami certe volte inizio a parlare e poi non mi fermo più. Fatti vedere un po’. -  Olimpia prese il viso di Acqua tra le mani e la guardò a lungo.
- Sei proprio identica a tua madre. Il suo ritratto! Sei bellissima, proprio come lei! –
- Beh, io veramente non l’ho mai vista… -
- Come non l’hai mai vista? Se sei andata in biblioteca devi per forza essere passata per il corridoio dei quadri! –
- Scusami, ma come fai a sapere che sono stata in biblioteca? –
- In primo luogo perchè me l'ha detto mia figlia. Ma l'avrei saputo comunque grazie ai poteri della mente, cara Acqua, se sei forte e decisa puoi fare quello che vuoi, ricorda. –
- Forse ho capito qual è il corridoio dei quadri. Comunque non sono qui per parlare di quadri. –
- Sì, certamente. Fammi tutte le domande che vuoi. Se c’è una cosa che so fare bene, quella è parlare. –
“Me ne sono accorta” pensò Acquamarina, ma subito dopo si vergognò di quello che aveva pensato. Aveva appena conosciuto la zia, non poteva certo giudicarla al primo sguardo. Olimpia la fece accomodare su uno sgabellino sgangherato di fronte a lei.
- Allora, Corallina mi ha detto che frequenta una specie di scuola al tempio e ha detto anche che per alcuni alunni l’insegnante tiene corsi di magia. La mia domanda è: che tipo di magie intendeva Corallina?  -
- Ho una figlia che parla decisamente troppo. Ricordi quello che ti ho detto prima? –
- Con i poteri della mente si può fare tutto. Questo, no? –
- Esatto. Ora, i membri della famiglia reale, in particolar modo re e regina, e alcune persone speciali, sono capaci di controllare l’acqua, le maree, le correnti e altri elementi subacquei. Altre persone invece possono fare magie di altri tipi, come far apparire cose dal nulla. Tuo padre controllava le maree e le correnti, mentre tua madre il fiorire degli alberi e delle piante subacquee. Tu, per tua natura, hai il potere di attirare le particelle di acqua e di utilizzarle per creare vortici e cose simili. Puoi cambiare la temperatura dell’acqua e farla muovere come più ti piace. Io credo che i tuoi poteri siano ancora in fase di sviluppo e perciò siano ancora un po’ deboli. Per questo avevo proposto a Max di chiedere aiuto a Mara De Orchis. Per far crescere il tuo potere, e per renderti in grado di difenderti. Ma noi crediamo anche che, nella spada di tuo padre, quella che usò nella sua ultima battaglia, ci sia ancora un po’ del suo potere. E che, siccome solo i membri della famiglia reale possono usarla, tu sia in grado di riprendere questa scintilla di potere e controllarla. Ma prima dovrai riuscire a usare i tuoi, di poteri. –
Acquamarina ripensò a quando, nella doccia, aveva avuto la sensazione che l’acqua fosse stata parte di lei. E quando aveva variato la temperatura del getto d’acqua semplicemente pensandolo.
- Ok, ci ho capito qualcosa. –
- É già un inizio! –
- La seconda domanda è: perché Max pensa che mia mamma sia prigioniera e non che Darcon l’abbia…uccisa? –
- Perdonami, tesoro, ma ti devo rispondere con una domanda. Hai visto degli alberi quando sei venuta qui? –
- Sì, certo. –
- E come ti sono sembrati? Erano marci? –
- No, anzi. –
- Appunto. Max pensa che tua madre sia ancora viva perché vede che i suoi poteri sono ancora vivi. –
- Ma non potrebbe essere Darcon a usarli?  -
- Tu credi che lui li userebbe per far fiorire le piante? –
- Ah, giusto. Al massimo le farebbe marcire.  –
- Esatto! –
- E allora perché non ha ucciso mia madre come ha fatto con mio padre? –
- Darcon prende come prigionieri solo coloro che possono e sanno usare la magia. In questo modo può appropriarsi dei poteri e usarli a suo vantaggio. -
- Se sono i poteri che vuole, perché mio padre è morto? Perché l’ha ucciso? –
- Quella volta Darcon era troppo accecato dall’odio e dalla rabbia per poter comprendere quello che stava accadendo.  Era talmente contento di aver finalmente catturato tuo padre che voleva avere la soddisfazione di ucciderlo con le sue mani. Ma non ha pensato, e ha fatto un grandissimo errore.  –
Acqua sembrò riflettere per un po’, poi guardò il viso allegro della zia e la sua acconciatura a dir poco spettinata e le fece un grande sorriso.
- Grazie zia. Non so proprio come avrei fatto senza tutte le risposte che mi hai dato. Ora vado a fare una cosa molto importante. Ciao! –
Acquamarina si alzò dallo sgabellino e si diresse verso la porta. Diede un ultimo sguardo alla stanza piena di libri e uscì. Appena fu nel corridoio sentì un invitante profumino venire da destra. Ormai era ora di pranzo ad Atlantis e dovevano essere tutti a tavola. “ Io ho già mangiato sulla Terra per oggi, se mangio ancora potrei diventare una balena!” pensò Acqua e quindi si diresse dalla parte opposta delle cucine. Voleva andare a vedere il ritratto di sua madre. Secondo quello che aveva detto la zia, il corridoio si trovava sulla strada per la biblioteca e Acqua ricordava di aver visto molti quadri mentre nuotava dietro a Corallina. Secondo lei, il corridoio di cui parlava Olimpia era proprio quello. 
E infatti, eccolo lì. Il quadro in cui i suoi genitori sorridevano vicini era a un passo da lei. Guardò lo sguardo dolce di sua madre e quello deciso di suo padre. 
Azzurra era uguale a lei. Proprio come aveva detto zia Olimpia. Gli stessi occhi grandi e azzurri, lo stesso naso un po’ schiacciato e la stessa identica bocca sempre sorridente. Sui capelli biondi percorsi da striature azzurre c’era una bellissima corona tempestata da gemme e pietre preziose. L’abito era molto semplice: con una scollatura a V e le maniche a palloncino, cadeva fino ai piedi e si apriva a campana. Lo sguardo della regina era rivolto verso il suo sposo: il re Aquarium. Fiero e sicuro di sé, guardava avanti tenendo per mano la regina.
Indossava un mantello rosso rubino sopra ad un’elegante camicia  bianca e un paio di pantaloni della stessa tonalità del mantello.
Acquamarina rimase lì ad osservare il quadro, mentre mille pensieri si rincorrevano nella sua mente. Voleva al più presto trovare il modo di riprendersi il potere di suo padre, ma prima doveva imparare a usare i suoi, anche se aveva promesso a Max di aspettare. Ma lei non voleva aspettare.




--- Angolo autrice ---
Probabilmente dopo quasi tre mesi di assenza mi credevate morta. Ebbene, non lo sono. Mi dispiace tantissimo essere scomparsa per così tanto tempo, ma sono sommersa da montagne e montagne di roba da studiare :(
Scusatemi tanto. Sperando che questo capitolo, più simile a un interrogatorio che al primo colloquio zia-nipote, non vi abbia completamente disgustato, vi porgo i miei più distinti saluti,

Alessia Krum

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Capitolo 6
*** Nuove scoperte ***


Capitolo 6
Nuove scoperte
 
Sola in camera sua, Acqua stava sdraiata sul letto e cercava di riposare, ma tutto quello che le era successo glielo impediva. Era stanchissima perché, con il cambio da un mondo all’altro, era come se fosse stata sveglia per due giorni di seguito.
Non riusciva a dormire e, se provava a chiudere gli occhi, rivedeva le immagini della battaglia. Decise di concentrarsi su qualcosa di gioioso. Le vennero in mente il viso di Lyliana, le divertenti gite al lago con Max, quando si tiravano le palle di neve in inverno e quando si riscaldavano davanti al fuoco del camino dopo una di quelle "battaglie". Vide il viso di Corallina e ripensò a tutte le figuracce che faceva, le incontrollabili chiacchiere della zia, la fantastica biblioteca e il profumato mercato delle spezie. Poi pensò al quadro che ritraeva i suoi genitori e, grazie a tutti questi pensieri allegri, riuscì ad addormentarsi.
 
***
 
Max era appena tornato e decise di andare a cercare Acqua. Aveva scoperto una cosa fantastica. Sapeva che la ragazza aveva parlato con Olimpia, quindi andò nella sua stanza e le chiese dove si trovasse.
- Non ne ho idea, è uscita più di un’ora fa dicendo che doveva fare una cosa importante. - Max ringraziò e continuò a cercarla. Non poteva permettere che le fosse successo qualcosa. Cercò di calmarsi e di riflettere. Che cosa doveva fare Acqua di così importante? Augurandosi che la ragazza non fosse uscita dal castello, iniziò a percorrere corridoi e sale per cercarla e solo quando fu davanti alla stanza della principessa si accorse che quello era il luogo più adatto dove cercarla. Aprì la porta e tirò un sospiro di sollievo quando la vide lì, sdraiata sul letto. Si sarebbe risparmiato una bella passeggiata se, invece di farsi prendere dal panico, avesse ragionato. Si avvicinò al letto e scosse Acqua per svegliarla.
- Ehi, svegliati! C’è una grossa novità! - La ragazza si stropicciò gli occhi e si mise a sedere.
- Non si può nemmeno dormire qui? Ti ricordo che sono sveglia da due giorni ormai! -
- Sì, dopo potrai dormire, ma ora ascoltami. Abbiamo scoperto dove si trova Darcon! -
- Sul serio? Che bello! -  Acqua abbracciò Max fino a stritolarlo, poi riprese:
- E dove si troverebbe questo posto? -
- É la grotta di ghiaccio! Ed ecco svelato il motivo di tante fila di Cavalieri nei paraggi. -
- Un momento! Perché hai detto “abbiamo” scoperto? -
- C’è stata una piccola spedizione oggi, dopo pranzo, e io sono andato a dare una mano. Siamo usciti dal villaggio e siamo riusciti a raggiungere la grotta senza dare nell’occhio. Però qualcosa è andato storto e ci hanno scoperti. Ma fortunatamente ce la siamo cavata.-
- Ti sei cacciato nei pasticci? Uffa, non voglio che ti succeda qualcosa! -
Non ti preoccupare, so difendermi. Cosa credi che avrei fatto altrimenti in questi quindici anni? -
Per questo vinci sempre quando facciamo a palle di neve! Non è giusto, è sleale! Quest’inverno te la farò pagare. E poi, siccome la neve è formata da acqua, te la rivolterò contro! Creerò una mega sparatoria di neve!  -
- Hai parlato con tua zia per la questione dei poteri, vero? -
- Certo. Ma ti ho promesso che fino a quando non mi sarò ambientata, non andrò al tempio, quindi devo aspettare. -
- Molto bene. E’ meglio essere prudenti. Ora, se mi vuoi scusare, devo andare in villaggio. -
- Un’altra spedizione? -
- No, vado dal fabbro perché mi si è spezzata una spada prima e me ne serve un’altra. Ci vediamo! - 

***
 
Acquamarina si stava annoiando. Non sapeva più che cosa fare. Poi le venne in mente del libro che le aveva trovato Max. Era appoggiato sulla scrivania. La ragazza si alzò, aprì il libro e si sedette davanti alla piccola scrivania. E iniziò leggere. Saltò le prime pagine, per arrivare direttamente al punto. Il primo attacco.
 
***
 
Acqua era troppo impegnata a leggere per accorgersi che qualcuno aveva bussato. La porta si aprì e Corallina mise dentro la testa.
- Ehilà, cugina! No, non mi dire che stai studiando! -
- No, no, stai tranquilla, non sto studiando. Sto solo leggendo un libro! -
- Fa' vedere! “Storia di Atlantis e dei suoi sovrani”. Che barba! Dai, vieni con me per un’avventurosa passeggiata in giardino. É il massimo del divertimento qui. -
- Ok, ci sto. - Le due ragazze scesero in quello che Corallina aveva chiamato giardino. Ma era più un gigantesco parco che un giardino. Serre, aiuole, boschi, boschetti, ruscelli e laghetti, tutti tenuti in vita dal potere della regina. Non vi era nemmeno un giardiniere al castello. Le piante non avevano bisogno neanche d’acqua, perché vi erano immerse!
Acqua e Corallina si sedettero all’ombra di un albero e rimasero lì a chiacchierare per un po’.
- Allora, è stata interessante la lettura di quel noiosissimo libro? -
- Ma tu sei proprio allergica! Comunque non molto, non ho scoperto niente che non conoscessi già. Sai dov’è Max? Aveva detto che andava dal fabbro, ma non è ancora tornato. -
- Chissà come mai parli sempre di Max…ci sarà qualcosa di strano che io non so? Non è che quando vi ho lasciati soli in biblioteca è successo qualcosa? Qualcosa di tenero intendo… -
- Scusami tanto se sono stata con lui per solo quindici anni della mia vita! E comunque non è successo assolutamente niente! -
- Ok, ok, se lo dici tu! - Acqua e Corallina continuarono a chiacchierare e ridacchiare fino a quando arrivò Max.
- Ehi, guarda chi si vede! - esclamò Corallina, facendo l’occhiolino ad Acqua.
- Acqua, ormai sono le sei. Credo che sia meglio che torniamo sulla Terra. Se tua madre si sveglia e vuole venirti a vedere…mi sa che non ci trova! -
- Perché mi dovrebbe vedere? -
- Ah, sembra che quando sei entrata in contatto con il tuo ricordo sei rimasta in sospeso tra la realtà e quello che vedevi e quindi il tuo corpo resta immobile, ma tu sei sempre sveglia. Tua mamma questo non se lo spiega e crede che tu sia svenuta. Mi è dispiaciuto lasciarla lì così, era preoccupatissima. Devi cercare di svegliarti. –
- Ok, ci proverò. - la ragazza rimase pensierosa per un attimo, poi tornò alla solita vivacità.
- Ciao Corallina, ci vediamo domani! - Acqua abbracciò la cugina e poi raggiunse Max e toccò la pietra sul suo braccialetto, proprio come le aveva detto il ragazzo. Un vortice azzurro li avvolse e poi, subito dopo, Acqua non capì più niente.


--- Angolo Autrice ---
Ciao a tutti, scusatemi tanto se anche questo capitolo è arrivato in ritardo. :(
Rileggendo questi primi capitoli della storia mi sto rendendo conto sempre di più di quanto sembrino dei copioni, formati soltanto da sterili dialoghi senza descrizioni a intervallarli. Lo so che è bruttino, ma cambiando tutto questo mi sembra di manomettere lo scritto originale. E so anche che è una cosa un po’ stupida, ma mantenendo uguale il testo (a parte per qualche piccola modifica, ovvio) e andando a rileggere le parti vecchie riesco meglio a capire cos’è che non andava nel mio modo di scrivere di allora, e quindi mi miglioro. :D
E mi dispiace, ma di capitoli così ce ne saranno ancora per un po’. Spero soltanto che quando arriverò a pubblicare i capitoli più recenti, ci sia ancora qualcuno a leggere la storia.
Per questo ringrazio tantissimo tutti quelli che sono arrivati fino a qui, e spero che vogliate continuare a leggere. <3
Non mollate, vi prego. *occhioni dolci*
Ah, e già che ci sono, mi farebbe piacere sapere che ne pensate…che ne dite di una recensioncina, anche minuscola?
Ok, ora la smetto.
A presto,

Alessia Krum

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Capitolo 7
*** Ritorno a casa ***


Capitolo 7
Ritorno a casa
 
Max andò ad aprire la porta in camera di Acqua. Come aveva previsto, Lyliana era già in piedi e non aveva esitato a bussare. Se fossero arrivati un secondo più tardi, non avrebbe fatto in tempo ad aprirle. La donna entrò, rivolse una rapida occhiata al letto e poi tornò a guardare Max.
- Allora, come sta? - gli chiese, sperando di sentire che la sua “bambina” sifosse risvegliata durante la notte e ora stesse solo dormendo. Ma invece Max le rispose:
- Non si è svegliata, ma si vede che sta meglio. Guarda, sorride. Sono certo, anzi, super sicuro che tra poco si sveglierà. Non ti preoccupare. -
- Oh, Max, lo spero tanto anch’io. Non capisco come tu possa essere così tranquillo… -  Lyliana lo abbracciò e poi, tormentandosi il grembiule, gli disse:
- Senti, io devo andare ora. Per qualunque cosa, qualunque, sono nei paraggi. Ma tu resta qui! -
- Non muoverò un passo, promesso! - sorrise lui.
- Non pretendevo tanto! - Poi Lyliana uscì e Max rimase seduto vicino al letto di Acqua. “Devi riuscirci, Acqua” pensò, rilassandosi sulla seggiola. Anche lui non dormiva da alcuni giorni e l’ultimo combattimento era stato davvero duro.
 
***
 
Acquamarina ormai non sapeva più che fare. Aveva tentato di riprendersi il controllo del suo corpo, ma una forza più potente si era impossessata di lei: era attratta dal rimanere in quello stato. Sapeva molto bene quello che Max le aveva detto, ma non ce la faceva. Era stanca. E si lasciò trasportare.
 
***
 
Max sentì il rumore di qualcosa che andava in pezzi. E si svegliò. Che ora era? Non si era nemmeno accorto di essersi addormentato. Guardò fuori dalla finestra, ed era quasi buio. Non poteva aver dormito un giorno intero! Oppure sì? Acqua era ancora nel suo letto, immobile. Il ragazzo si alzò dalla seggiola e uscì per andare a sgranchirsi le gambe nel parco, ma prima che riuscisse ad arrivare alla porta, Lyliana gli si materializzò davanti armata di una scopa.
- Fermo, non muovere un passo! - Max non riuscì neanche a pensare “che cosa le prende?” che lei disse:
- Ho rotto un vaso prima, e c’è mancato poco che tu pestassi i cocci! - Max tirò un sospiro di sollievo. Poi tornò in camera. Ormai si era deciso. Doveva portare Acqua ad Atlantis e trovare il modo di farla svegliare.
 
***
 
- Acqua, ma che ti prende? Avevi detto che avresti provato a risvegliarti! -
- Infatti è così, ci ho provato! Solo che non ci riesco… è più forte di me! - Max le voltò le spalle e incrociò le braccia. Acqua ormai lo conosceva troppo bene e sapeva che, quando faceva così, doveva lasciarlo solo. Così si allontanò e, sedendosi a gambe incrociate, guardò la città al buio, dalla stessa collinetta dove erano arrivati la prima volta. Era ancora notte e Atlantis era illuminata da infinite torce e lumini verdognoli, soprattutto sulle mura e sulle torri. Raccolse una manciata di sabbia da terra e la sollevò in aria, facendola volare. Poi vide un lampo azzurro alla sua destra e voltò la testa. Max se n’era andato.
Acqua toccò l’acquamarina sul suo bracciale e ritornò sulla Terra.
Appena sentì di essere arrivata riunì tutte le sue forze e, cercando di far ritornare l’immagine del viso arrabbiato di Max in fondo alla sua mente, si concentrò e pensò intensamente.
Voglio tornare a casa, voglio tornare a casa, voglio tornare a casa, voglio tornare a casa, voglio tornare a casa, voglio tornare a casa, voglio tornare a casa…
Poi sentì quella sensazione speciale che aveva provato una volta sola. Sentì di essere parte di ogni minima goccia d’acqua e solo allora sentì di potercela fare. Un vortice di corrente calda l’avvolse. Sentì di nuovo di poter controllare il proprio corpo. Si stiracchiò un po’, si strofinò gli occhi e poi, aiutandosi con le braccia, si mise a sedere. E aprì gli occhi. Max era lì, davanti a lei, con l’espressione più felice del mondo dipinta sul volto.
- Acqua! Acqua, ce l’hai fatta! - Il ragazzo la strinse forte. Era contentissimo e aveva già dimenticato la piccola discussione di prima.
- Piano, piano. Sono stanchissima…Mettimi giù che mi fai girare la testa… - mormorò la ragazza con un fil di voce e poi si rimise a sedere. Ma dal corridoio arrivò la voce di Lyliana: - Bambina, bambina mia! Arrivo! -
La donna si precipitò nella stanza ancora in camicia da notte, e quasi travolse la ragazza. La abbracciò molto forte, e di nuovo lei chiese di lasciarla andare.
- Che udito fine che hai, mamma! - biascicò.
- Oh, sono felicissima! Alla fine Max aveva ragione. Non faceva altro che ripetermi che ti saresti svegliata. Meno male! Ti voglio bene, bambina mia! Che spavento che mi hai fatto prendere! - Acqua guardò l’amico e lui le fece l’occhiolino.
- Ma che ore sono? - chiese Acqua assonnata.
- Che ore sono?!? Hai dormito per due giorni, come fai ad essere stanca? –
- Non è che sono stanca. Mi sento debole… - rispose pronta. Anche se in realtà era molto, molto stanca.
- Sono le dieci e mezza… - a Lyliana non importava molto dell’ora, adesso che la sua “bambina” si era svegliata. Ci fu un rapido scambio di sguardi tra Acqua e Max. Che significava: “Andiamo?”. Ma il ragazzo, appoggiato al muro con le braccia conserte, fece un gesto per dire: “Ne parliamo dopo”.
Lyliana, seduta per terra, cominciò a parlare alla ragazza di tutto quello che era successo in quei due giorni, che ormai sembravano anni.
- ...Avresti dovuto esserci! Quando gliel’ho detto, Kate ha fatto una faccia… praticamente non aspettava altro che tu stessi male! Janissa invece è rimasta senza parole, non poteva sopportare di non averti più intorno…solo per tormentarti, ovvio… - E continuò così ancora per un po’, poi, stanchissima, salutò i due ragazzi e andò in camera a dormire. Max chiuse a chiave la porta e Acqua finalmente gli chiese:
- Allora, andiamo? - sperava molto in una risposta positiva.
- Ascolta, io credo che sia più opportuno aspettare ancora un po’. Tua madre potrebbe anche venire in camera tua ogni tanto, e non credo proprio che tu possa restare chiusa a chiave tutta la notte. E poi non sappiamo ancora come fare per portarti di là. -
- Ma… -
- Per favore, Acqua, almeno per oggi. Ti prometto che cercherò qualcosa in biblioteca per capire come fare a passare ad Atlantis, ma oggi resta qui. -
- D’accordo… -
- E ora vado, tra un po’ è ora di pranzo. -
- Eh? Ah, già, è vero che tu vai al contrario… ciao! - Un lampo azzurro, e Max sparì.

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Capitolo 8
*** Non ti crediamo ***


Capitolo 8
Non ti crediamo!
 
“Meno male che gli ho dato ascolto!” pensò Acquamarina. Tra poco sarebbe sorto il sole, e lei era riuscita a dormire veramente poco. Ogni tanto Lyliana entrava nella stanza con una tazza di tè o un bicchiere d’acqua e si accertava che andasse tutto bene. In più, la teneva sveglia il pensiero che non sarebbe potuta tornare ad Atlantis. Se Max non avesse trovato niente in biblioteca, probabilmente non sarebbe più riuscita a vedere quel fantastico mondo di cui, pochi giorni prima, non sapeva nemmeno l’esistenza.
Certo, il ragazzo avrebbe potuto benissimo portarla con il suo braccialetto, ma se per qualche motivo lui fosse stato bloccato da qualcosa…
Acqua provò a toccare la pietra incastonata nel bracciale, come faceva quando da Atlantis andava sulla Terra, ma non successe nulla. Nessun lampo turchese, nessun vortice di calda luce azzurra. Niente di niente.
Passarono alcuni minuti, poi la ragazza si alzò, si mise un vestito e si guardò allo specchio. Di certo si sentiva più a suo agio con quegli abiti che con quelli sontuosi e impegnativi da principessa.
Uscì dalla sua stanza e si diresse al salone, dove iniziò a fare i suoi soliti lavoretti. Ma, poco dopo, arrivarono Janissa e Kate nei loro abiti pieni di pizzi e merletti, e, con la loro solita aria da snob, cominciarono a parlare:
- Oh, vedo che ti sei ripresa, cara Acqua - iniziò Janissa.
- Già, cos’avevi? Ah, sì eri svenuta. E hai preso una tale botta in testa che sei rimasta addormentata per…due giorni! - continuò Kate.
- Poverina…ti sei fatta molto male, vero? La tua testolina è talmente delicata che ti sarà venuto un bernoccolo enorme! - stranamente la voce delle due era dolce e gentile, anche se era ovvio che la stavano prendendo in giro. Se avessero parlato così per davvero, Acqua si sarebbe seriamente preoccupata.
- E tua mamma era così angosciata… -
- Ma quanto sei scema, Janissa! Lyliana non è sua mamma. Acqua è una povera orfanella, non è vero? -
- Sì, ma sua mamma era preoccupata lo stesso… e anche quel suo amichetto, il postino. E’ stato per giorni rintanato in camera sua senza neanche mangiare… -
- Sai una cosa, Acqua? Noi non ti crediamo per niente al mondo! - esclamarono le due sorelle.
- Già, tu volevi soltanto un paio di giorni di ferie, e per rendere più credibile la cosa, ti sei fatta aiutare da quel postino…Max, mi pare. - continuò Janissa.
- E io ieri sera, passando per caso davanti a camera tua, ho sentito che lui parlava di pranzo alle undici di sera e tu dicevi: “Sì, tu fai tutto al contrario…”. Come mai? -
- Ma che cosa state dicendo? Guardate che sono veramente stata male! E se non ci credete, vi mostro pure il bernoccolo. E comunque oramai non sei più una bambina, Kate, dovresti sapere che non sta bene origliare. - rispose Acqua. Temeva che quell’impicciona avesse sentito anche la prima parte del discorso.
- Non dirmi quello che devo fare o non fare. Ricordati che sono molto più importante di te! E poi non hai risposto alla domanda. -
- Allora, sentite: mia mamma, quando io ero svenuta, ha passato un po’ di tempo con Max, e, per distrarsi, hanno fatto un gioco: dovevano dire delle frasi parlando al contrario. Ieri sera, quando mi sono svegliata, mi hanno raccontato cos’era successo durante questi giorni e poi abbiamo continuato a scherzare. Max lo ha detto per fare una battuta e basta. -
- Sì, certo. E noi secondo te dovremmo crederti? Ma per favore! Ora scusaci, ma io e mia sorella dovremo andare a un’importante lezione di musica. Vieni, Janissa! - Le due si voltarono e, tenendo la testa alta, tornarono indietro. Acqua non era sicura che se la fossero bevuta, ma sull’argomento “io sono più importante di te” aveva qualcosa da dire. Dopotutto era sempre una principessa, non avrebbero dovuto trattarla così. Ma ormai ci era abituata.
Guardò fuori dalla finestra, sperando di vedere Max arrivare con la posta. Era impaziente e voleva scoprire se aveva scoperto qualcosa. Ma dovette attendere una buona mezz’ora  prima che il campanello squillasse. Si precipitò subito alla porta e, senza nemmeno chiedere chi fosse, aprì.
- Per fortuna che sei arrivato, Max! Scoperto qualcosa? -
- Purtroppo no… -
- Ah…io invece ti devo dire una cosa importantissima. Vieni nel parco. - Acqua prese il ragazzo per un braccio e lo strascinò in quello che la duchessa chiamava “un prodigio di botanica”: due aiuole, un paio di alberi striminziti, una panchina minuscola e un altrettanto minuscola fontana.
La ragazza si sedette, si guardò intorno e cominciò a parlare:
- Kate, ieri sera, è passata “casualmente” davanti alla mia stanza e ha sentito quello che dicevamo. -
- Aspetta, cosa ha sentito? -
- Per fortuna l’ultima parte… quando tu hai detto che andavi a pranzo. Ho provato a inventarmi una scusa, ma non credo che ci abbia creduto… -
- Speriamo. Io oggi ho guardato in biblioteca, ma non ho trovato niente di utile. Ho provato a parlare con tua zia, e lei mi ha detto che non sapeva nulla, ma mi ha chiesto come hai fatto a risvegliarti. -
- Ho pensato. Ho pensato molto intensamente e poi ho sperato con tutto il cuore di riuscirci. Ad un certo punto però ho sentito una sensazione strana, come…se fossi diventata parte di ogni goccia d’acqua. Ho sentito una corrente calda e poi ho aperto gli occhi. Di preciso non so cosa è successo. - Max rifletté per un po’, fissando un punto davanti a sé. Poi il suo volto si illuminò.
- Io invece lo so! Acqua, sono stati i tuoi poteri! Sono stati loro che ti hanno aiutata! La corrente calda che hai sentito era originata dalla tua forza di volontà. Ora ho capito…Facciamo una prova. -
- Che prova dobbiamo fare? Io veramente non ci ho capito molto… -
- Ascolta. Prova a rifare quello che hai fatto quando eri sospesa tra i due mondi. Secondo me è come se tu fossi passata da  un mondo all’altro. -
- Adesso ho capito! Ok, ci provo. - Acqua chiuse gli occhi e raccolse le sue energie. Si concentrò e pensò intensamente ad Atlantis. Alla sala del trono. Al suo trono. E alla sua culla.
In quell’istante la ragazza sentì il vortice di luce azzurra e, quando aprì gli occhi, si ritrovò proprio lì, sul suo trono. Sfiorò il suo braccialetto e tornò sulla Terra con un sorriso raggiante.
- Fantastico! Sei un genio, Max! -


- - - Angolo autrice - - - 
Sì, ok, lo so che non aggiorno da sette(mila) anni, più o meno, e che avevo già promesso di impegnarmi a pubblicare più costantemente...ma che ci volete fare, proprio non ci riesco. Giuro che questa volta farò la brava bambina. (si spera)

un'Alessia Krum molto dispiaciuta :c

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Capitolo 9
*** Arkàn ***


Capitolo 9
Arkàn
 
Acqua girò la chiave nella toppa e attese alcuni secondi. Poi fece un respiro, chiuse gli occhi e pensò intensamente al luogo in cui voleva arrivare. Diritta nel grande letto a baldacchino della sua stanza. Era stanca morta, e con Max si era messa d’accordo che lo avrebbe raggiunto più tardi. Veramente non sapeva nemmeno dove doveva portarla, ma di sicuro era una cosa importante.
Dopo poco tempo Acqua si ritrovò esattamente dove aveva immaginato di trovarsi. “I miei poteri mi conoscono!” pensò, e poi si addormentò.
 
***
 
Acqua sentì in lontananza qualcuno bussare, e una voce: - É permesso? -
Ma, evidentemente, a chi aveva bussato non importava molto rispettare le buone maniere, perché spalancò la porta con un boato assordante e si fiondò direttamente sul letto.
- Finalmente, cugina! Ma dov’eri finita? Due giorni fa avevi detto che saresti tornata a trovarmi! - Corallina rubò il cuscino da sotto il viso di Acqua e glielo tirò in testa.
- Starei cercando di dormire! - rispose Acqua, riprendendosi il cuscino e mettendoselo sulle orecchie.
- E io ti ho fatto una domanda. Mi sono annoiata a morte ieri, lo sai? E tutto per colpa tua! - la principessa, che ormai era sveglia, si mise a sedere sul letto.
- Uffa! La colpa non è solo mia, devi ringraziare anche Max per questo. E poi non potevo tornare, dovevo ancora capire come fare! -
- Sì, sì, certo… Ora, per farti perdonare, ti devo far fare qualcosa di terribile… vediamo, che cosa potresti  fare… Ce l’ho! Ti dovrai mettere un vero vestito da principessa! E non queste sottospecie di tuniche che non indosserebbe neanche mia nonna in carriola. Vieni! - Corallina aprì l’armadio ed esaminò attentamente tutti i vestiti uno a uno. Acqua provò a divincolarsi dalla stretta di sua cugina, che le teneva un braccio, ma non ci riuscì. Alla fine Corallina scelse un abito semplice, che Acquamarina non aveva notato la prima volta, di color verde acqua con le maniche a sbuffo e perle cucite in cintura. Era molto bello. Acqua lo indossò, e poi chiese alla cugina:
- Come vanno le cose quando io non ci sono? -
- In che senso? -
- Intendo dire: che cosa fate di solito? -
- Io non posso fare assolutamente niente. Di solito me ne sto rintanata in camera a studiare. Non posso fare mai niente di diverso. Se esco dal palazzo devo per forza essere accompagnata, se vado a fare un giro al mercato altrettanto. Di uscire dalla città non se ne parla nemmeno. Se resto dentro le mura mi guardano tutti come se fossi un’aliena. Invece nel palazzo sono trattata come una bambina. Non mi dicono mai nulla. Addirittura se mamma e Max devono parlare di qualcosa di importante cercano ogni sorta di scuse per allontanarmi. -
- Quindi non sai nemmeno dove mi vuole portare Max. -
- No, anzi, non sapevo nemmeno che Max ti voleva portare da qualche parte. Lo vedi che mi trattano come una bambina! Tu puoi fare quello che ti pare quando ti pare, e io non posso nemmeno uscire dal palazzo! Abbiamo solo un anno di differenza, non è mica tanto! -
- Aspetta, quanti anni hai? -
- Quasi sedici. -
- Ma anch’io ho quasi sedici anni! -
- No. Tu ne hai quasi diciassette. Quando Max ti ha portata sulla Terra avevi appena compiuto un anno.  Sommando questi “quasi sedici anni” ne ottieni diciassette. -
- Ah, giusto, è vero. Mi sembra strano, però. Forse perché ormai mi sono abituata a dire che ho quasi sedici anni. Va be’.  Ma quando sarebbe il mio vero compleanno? -
- Il 19 luglio. - Mentre Acqua si sistemava i capelli, la porta si aprì, e comparve il viso di Max.
- Acqua, ormai è tardi, dobbiamo andare…Wow, stai benissimo! -
- Sono stata io! - esclamò contenta Corallina. Max le sorrise, poi prese per mano Acqua e, mentre lei salutava la cugina con un cenno della mano, la portò in corridoio.
- Ma dove dobbiamo andare di preciso? -
- All’antica città di Arkàn…non c’è rimasto molto, ma le statue e i monumenti più belli sono ancora lì. -
- Non sarà pericoloso uscire dalla città? -
- Finché ci sarà questa con noi, saremo sicuri. - rispose lui mostrando la spada, che un attimo prima Acqua non aveva nemmeno notato.
- Mi devo fidare? - scherzò lei. Max prese una mantella per Acqua. Le spiegò che era meglio che non la riconoscessero per strada. Anche lui prese una mantella, e si tirò su il cappuccio, imitato dalla principessa. Poi, chiacchierando, i due ragazzi uscirono dal palazzo. Max imbucò subito una stretta stradina a sinistra, che, girando attorno al palazzo, li condusse alla porta nord. Usciti, cominciarono a nuotare sempre più velocemente, fino a quando, un quarto d’ora dopo, arrivarono ad avvistare le rovine della città. Ovunque c’era desolazione, tristezza e distruzione. Nei pressi di quello che doveva essere stato il tempio, numerose colonne giacevano a terra. Alcune erano spezzate, altre si reggevano ancora in piedi per miracolo.
- Scusa se te lo chiedo Max, ma quale sarebbe la causa di questo…questo…- Acqua cercò di trovare un termine adatto per descrivere quello che vedeva, ma non lo trovò.
- Indovina… -
- Ah, ho capito… Ma perché sembra così antica? -
- Perché è antica. Ed è’ stata fondata ancora prima di Atlantis… la nostra città è molto più giovane di Arkàn. Ora vieni, ti devo mostrare l’unica cosa che non è stata distrutta. - Max condusse Acqua in una specie di piazza. Al centro vi era una statua che doveva rappresentare un dio antico. La ragazza fu molto colpita. Lo sguardo del dio era fiero e sicuro, guardava la piazza con aria imponente, come se fosse stato il  sovrano e volesse proteggere tutto quello che aveva intorno. Una targhetta mezza bruciata recava la scritta: “ Il dio Horun, il Signore dei Mari, che difende e porta conforto agli abitanti di questa città.”
Acqua fece un giro attorno alla statua. Era molto affascinata da quella bellissima scultura, non riusciva a staccare gli occhi. Accarezzò il marmo lucido, e una strana sensazione la colpì. Per un attimo vide tutto bianco, poi la luce svanì e immagini strane apparirono. Vedeva dagli occhi della statua del dio i tempi felici. I bambini giocavano allegramente nella grande piazza, le madri, sedute sulle panchine che non erano più sbriciolate, chiacchieravano insieme, il sole splendeva, e le case erano di nuovo in piedi, belle e lucenti come non mai. Era bellissimo vedere la città di Arkàn al suo antico splendore. Ma una voce la riportò alla realtà. Vide di nuovo bianco, poi la distrutta città di Arkàn ricomparve ai suoi occhi. Per alcuni secondi non ricordò nulla, ma poi tornò tutto normale. Con la testa che le girava, seguì Max che la guidava verso un altro edificio. Il ragazzo si fermò bruscamente e, guardandosi intorno allarmato, chiese:
- Hai sentito anche tu questo scricchiolio? -
- No. Da dove veni… - La ragazza non fece in tempo a finire la frase, che un esercito di Cavalieri uscì dal nulla con un boato assordante. Max, sveltissimo, prese Acqua per un braccio e la trascinò via con sé. Cominciarono a correre a perdifiato, fino a raggiungere la fine di Arkàn. Ma la ragazza inciampò in una colonna che non aveva notato e cadde a terra.
- Ahia! Max, aiutami, mi sono slogata una caviglia! - urlò. Lui rivolse un rapido sguardo dietro di loro, e poi le disse:
- Aggrappati a me, ce la fai a nuotare? -
- Direi di sì. -
- Ok, allora raggiungi quella grotta e resta lì finché non tornerò. - “E se non tornasse?” pensò Acqua, ma allontanò subito il pensiero.
La ragazza si alzò, e cominciò a nuotare verso la grotta. Ci arrivò in alcuni minuti, poi si sedette a terra appoggiandosi con le spalle alla roccia. L’entrata era piuttosto stretta, e un Cavaliere avrebbe faticato moltissimo ad entrarci. Si riposò alcuni minuti, poi mise la testa fuori e diede un’occhiata. La battaglia infuriava, ma lei non poteva farci nulla. E, soprattutto, Max era lì fuori e stava combattendo, solo, contro centinaia e centinaia di mostri almeno due volte più grandi di lui. Certo, si difendeva bene, ma aveva pochissime speranze di vittoria. All’improvviso provò una paura fortissima, temeva di non poter più rivedere l’unico amico che aveva avuto per quindici anni, anzi, sedici. Si sporse di nuovo e vide il ragazzo che stava per essere attaccato alle spalle da un mostro che non poteva vedere.
Mise la testa tra le ginocchia e sentì una lacrima che le scivolava lungo la guancia. Non aveva senso. Era immersa a migliaia di kilometri di profondità, ed era impossibile riuscire a piangere. Le venne in mente la frase di zia Olimpia: “con i poteri della mente si può fare tutto.” E pensò che la zia avesse ragione.
Guardò di nuovo fuori e vide il mostro con la spada sospesa a mezz’aria. Di nuovo quella fortissima paura la avvolse, poi chiuse gli occhi e sentì di fare parte dell’oceano intero. Una frazione di secondo dopo, quando riaprì gli occhi, vide che il mostro che stava per attaccare Max era stato sbalzato in alto da un grande vortice ed era atterrato a terra con un tonfo. Il ragazzo si girò, mentre parava un attacco, e le fece un segno di ringraziamento. Lei non capì bene che cosa aveva fatto, ma se era servito a qualcosa, doveva rifarlo. Riprese a creare vortici dal nulla e a scaraventare a terra mostri su mostri, continuando a sentire uno strano calore che si irradiava in tutto il suo corpo. Fino a quando non rimasero che pochissimi Cavalieri, che però decisero di ritirarsi. Solo uno rimase a sfidare Max che, anche se era stanchissimo e molto provato, con un buon colpo riuscì a conficcargli la spada nel petto. Acqua uscì dalla grotta e si diresse verso Max che, stanco e barcollante, aveva un labbro rotto e due ferite sul braccio e sulla gamba.
Gli si avvicinò, gli mise un braccio intorno alle spalle e sussurrò:
- Andiamo. - Si avviarono pian piano, e rimasero in silenzio per tutto il tempo. Ci misero quasi un’ora per arrivare. Quando arrivarono in vista della porta, Acqua urlò:
- Apriteci, per favore! Siamo stati attaccati! - ma dalla torre di guardia rispose una voce imperiosa:
- La parola d’ordine! - Acqua ci pensò un po’.
- Shinex! - Le porte fecero un rumore sordo e ruotarono sui cardini. Dopo alcuni istanti, i due ragazzi entrarono.

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Capitolo 10
*** Guarigione ***


Capitolo 10
Guarigione
 
Max era sdraiato sul letto, e attendeva paziente stringendo i denti mentre Olimpia finiva di spalmargli uno strano unguento sulle ferite e terminava di fasciarle. Diceva che era una crema miracolosa, che aveva sempre funzionato nel giro di pochi giorni, anche se all’applicazione bruciava molto. Comunque Acqua era preoccupata lo stesso. Olimpia chiese a lei e a Corallina di uscire per lasciare che Max si riposasse.
- Ma è tardissimo! È quasi ora di cena! - esclamò Corallina. Acqua sbiancò.
- Come ora di cena? Devo assolutamente tornare sulla Terra! -
- No…di già? Uffa… - per evitare di sentire una serie di commenti interminabile, Acqua tagliò corto.
- Ciao, cugina, ci vediamo domani. -
- Ciao! - Acqua salutò con la mano e sparì.
 
***
 
Il mattino seguente, Acqua era stanchissima. Doveva ancora abituarsi a dormire solo due o tre ore al giorno, altrimenti non sarebbe riuscita ad andare ad Atlantis. E poi, quelle ultime ore erano state diverse dal solito. Smise di cucire il vestito sgualcito di Kate e si affacciò alla finestra. Sapeva che era ancora molto presto, ma non vedeva l’ora di vedere Max. Sperava con tutto il cuore che stesse meglio, averlo visto in quella condizione era stato davvero molto brutto. Ma doveva fidarsi del magico unguento della zia, di sicuro lei sapeva quello che doveva fare. E poi Corallina le aveva detto che molte volte Max si era procurato delle ferite combattendo, ed era sempre guarito perfettamente. Tutti questi motivi in realtà dovevano rassicurarla, ma lei non faceva altro che pensare a quando lo aveva creduto spacciato, in mezzo ad un’ondata di nemici grandi e possenti. Per distrarsi cercò di pensare a qualcos’altro, ma le venne in mente solo la fantastica sensazione che aveva provata rivedendo, con gli occhi della statua, i tempi felici di Arkàn. Per un attimo le mancò il respiro. Era stata una cosa fortissima, ma non riusciva ancora a spiegarsi perché lo aveva fatto. Aveva pensato di chiederlo alla zia, ma quando l’aveva vista, era troppo preoccupata per Max. Ecco di nuovo che il suo pensiero faceva un giro in tondo, tornava sempre per pensare a lui. E, per smettere di continuare a farlo, intonò un’allegra canzoncina che non ricordava molto bene, ma le sembrava quella più adatta al momento.
 
***
 
Finalmente il tanto atteso suono del campanello arrivò. Erano passate alcune ore. Acqua le aveva trascorse passando da un lavoro all’altro, ma con la testa sulla Luna. Anzi, su Atlantis. Si fiondò alla porta e la aprì in tre secondi netti. Max era lì, sorridente e tranquillo come sempre. Solo che aveva due strane fasciature su una gamba e su un braccio.
- Come stai? - gli chiese.
- Bene. E la tua caviglia - Acqua se l’era già dimenticata.
- Bene, bene. Comunque la mia caviglia non è niente in confronto a quello che hai fatto per me. Non potrò mai ringraziarti abbastanza. -
- Per così poco? - 
- E tu lo chiami poco affrontare un’orda di nemici grossi il doppio di te quando sapevi benissimo che non ce l’avresti potuta fare? -
- Beh, non proprio, ma sei stata tu a fare la maggior parte. -
- In che senso? -
- Come in che senso? Non vorrai dirmi che ho avuto le traveggole quando ho visto i vortici! Quelli che hai generato tu con i tuoi poteri per mettere a terra tutti quei Cavalieri. - 
- Sono stata io? -
- Sì. E credo che non potrai mantenere la promessa che mi hai fatto. Dovrai subito iniziare a frequentare la scuola del tempio, soprattutto per i corsi di magia. É già la terza volta che usi i tuoi poteri senza accorgetene e, secondo me, questo significa che sei pronta. Non possiamo aspettare ancora. Andrò a parlare con la signora De Orchis e domani inizierai i corsi. -
- Sei sicuro? - Acqua non stava più nella pelle.
- Certo. Anzi, vado subito. -
- Ma non è notte ora? - 
- Sì, ma tanto ormai stiamo tutti svegli. - Max si girò e fece per andare via, ma Acqua lo fermò:
- Aspetta, ti devo ancora dire una cosa. Hai presente la statua del dio che abbiamo visto ad Arkàn? - Max annuì. - Beh, quando l’ho vista…è come se ci fosse stata una forte attrazione. Ti può sembrare strano, ma… -
- Non mi sembra strano…sei stata mezz’ora a fissarla! - Acqua arrossì.
- E poi…ho visto dai suoi occhi. Ho visto quando tutto era ancora bello e luminoso, i bambini che giocavano, le madri che chiacchieravano… Come te lo spieghi? -
- Questo non me lo spiego. Non mi sembra che sia successo in passato. Molte persone hanno visitato le rovine, per lo più spedizioni di uomini e soldati, ma nessuno aveva mai fatto una cosa simile. Nemmeno tua zia… Glielo chiederò, magari lei sa qualcosa in più. -
- Ok, ciao! -
- Ciao. - Acqua rientrò, ma poi si accorse che non aveva in mano nessuna busta, quindi si affacciò alla porta e urlò a Max, che era ancora in fondo alla stradina:
- E la posta, che fine ha fatto? - lui si girò e, ridendo, le rispose:
- Scusa, sono un po’ distratto! -
- Solo un po’? - Dopo che la ragazza ebbe appoggiato sul tavolino le pochissime lettere, tornò a cucire il vestito, ma, involontariamente, zoppicò un poco e la madre, che era appena arrivata, lo notò.
- Che cosa ti sei fatta alla caviglia? - le chiese.
- Oh, niente, ho solo messo male il piede. - rispose lei, cercando di essere il più convincente possibile. Ma, come la prima volta che aveva raccontato una bugia, le sembrò di non essere creduta.

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Capitolo 11
*** Una strana compagna ***


Capitolo 11
Una strana compagna
 
Max aveva insistito per farle percorrere le ultime vie di Atlantis ad occhi chiusi. Voleva farle una sorpresa, e sapeva che sarebbe rimasta incantata dall’antico splendore del tempio. E infatti, appena Acqua vide le alte colonne di marmo bianco con le venature azzurre e i bassorilievi scolpiti ovunque rimase mezz’ora a bocca aperta e con il naso all’insù. Ma poi arrivò il momento di entrare, attraverso un grande arco, perché ormai le lezioni erano iniziate. Ma, appena misero un piede all’interno, una signora che era seduta sul pavimento a gambe incrociate si alzò e si diresse verso di loro, sotto lo sguardo incredulo di molti ragazzi. Tra di loro, Acqua scorse Corallina, che la salutò e le fece l’occhiolino.
Intanto la signora, con i capelli grigi riuniti in una crocchia, era uscita dal tempio e li aveva raggiunti.
- Buongiorno, signora De Orchis! -
- Ciao, Max. Allora, la nostra nuova studentessa è pronta? - chiese, facendo un enorme sorriso ad Acqua.
- Certo. - poi il ragazzo sussurrò qualcosa all’orecchio dell’insegnante, e lei annuì.
- Vieni, Acqua. - Lei la seguì, mentre Max si allontanava. La signora De Orchis le fece cenno di sedersi dove voleva. Tutti i ragazzi erano sistemati sul pavimento a gambe incrociate, con i libri a fianco o a terra. Non doveva essere una posizione molto comoda, ma si diresse dalla cugina e si sedette accanto.
- Stai attenta, a volte è una vera e propria arpia, non farla arrabbiare! - le sussurrò. Ma arrivò subito un’occhiataccia dell’insegnante.
- Ecco, te l’avevo detto! - si lamentò Corallina. La lezione riprese da dove era stata interrotta, e la signora De Orchis cominciò a spiegare le geografia del territorio circostante. Acqua si guardò intorno. Nella stanza c’era un silenzio spettrale, come se i ragazzi avessero paura anche solo di respirare. A dir la verità, molti avevano lo sguardo perso nel vuoto e altri avevano un’espressione veramente annoiata. Solo una ragazza era attentissima alla lezione, con lo sguardo concentrato sull’insegnante. Il suo corpo non si muoveva, fatta eccezione per la mano che continuava a scrivere appunti su un quaderno. Continuava ad annotare frasi su frasi, senza nemmeno guardare quello che scriveva. E continuava a tenere lo sguardo fisso sulla signora De Orchis. Sembrava una macchina, tanto era immobile e rigida. Però aveva dei fantastici capelli neri, ovviamente con le consuete ciocche azzurre, e dei bellissimi occhi azzurri. Poi Acqua decise di smetterla di guardarsi intorno e di cominciare a seguire anche lei quello che diceva la signora De Orchis.
 
***
 
- Allora, come ti è sembrata la lezione, Acqua? - chiese Corallina, tornando a casa.
- Normale, come mi sarebbe dovuta sembrare altrimenti? - rispose lei.
- Non lo so, chiedevo! - si difese la cugina.
- Ma come mai siete tutti così…addormentati? Sembravate delle mummie! -
- Non dire così, cugina. Eravamo solo un po’ annoiati… tutte queste cose le abbiamo già studiate… -
- Ah, sì? E come mai? - Acqua era incuriosita.
- La signora De Orchis ha deciso di fare un po’ di ripasso di tutto  in modo da farti entrare nella classe già preparata. - questo spiegava tutto.
- Ah. Tu sai che cosa sta tramando Max con l’insegnante? -
- No, come al solito non ne so niente. Perché? - chiese Corallina con un’aria triste.
- Non lo so, stamattina le ha bisbigliato qualcosa all’orecch… - Ma Acqua non fece in tempo a finire la frase, perché, essendo rivolta verso la cugina, non aveva visto una ragazza che andava nel senso opposto e le arrivò addosso, facendo finire a terra una pila interminabile di libri. Appena la guardò, riconobbe la ragazza dai capelli corvini che aveva notato a lezione, con un’aria decisamente scocciata. Non la guardò neppure quando Acqua le chiese scusa, imbarazzatissima. Si limitò a rispondere con un grugnito, poi recuperò i libri e continuò imperterrita per la sua strada. Senza nemmeno salutare.
- Ciao, eh! - fece Corallina per prenderla in giro, e poi fece una smorfia.
- Ma quant’è simpatica! - fece ironica Acqua.
- Lo so, non la sopporto! Si chiama Celeste. Hai visto a scuola come si comporta? Non riesco a capire perché prenda tanti appunti, bastano già i libri, no? Non c’è bisogno di un supplemento! Quando ci vediamo in giro per la città non mi degna neanche di uno sguardo, come ha fatto adesso. Cammina sempre a un metro da terra, si crede la migliore di tutti. A volte dà delle occhiatacce perfino alla prof, e lei non le dice niente di niente. Non mi sta per niente simpatica! -
- Sai, ho appena deciso che sta antipatica anche a me! Ma ho notato qualcosa nel suo sguardo prima, qualcosa di strano… -
- Te l’ho detto, è egocentrica e altezzosa, è questo che hai visto nel suo sguardo! -
- A parte gli scherzi, ho davvero notato qualcosa. -
- Tu sei tutta matta, cugina! - Corallina spettinò i capelli ad Acqua, poi la prese sottobraccio e insieme si diressero verso il castello. 
***
 
Appena arrivò in camera sua, Acqua si fiondò sul letto. Avrebbe studiato più tardi. Ma, dopo esattamente due minuti, Max entrò nella stanza.
- Forza, Acqua, andiamo! - esclamò.
- Uffa, dove? Io veramente mi ero appena addormentata... -
- In teoria non dovresti nemmeno essere qui. Mara non ti ha detto nulla? -
- Chi è Mara? - Chiese Acqua ancora un po’ frastornata.
- La tua insegnante che ti sta aspettando da più di un quarto d’ora per la lezione di magia! -
- Ma come lezione di magia? Io credevo di dover tornare a casa come Corallina! La signora De Orchis non mi ha detto niente! -Acqua si alzò di corsa e uscì dalla stanza.
- Aspetta, ti devo dire una cosa! -
- Sì, ciao, a dopo! - Acqua cominciò a correre e in dieci minuti riuscì a raggiungere il tempio. Fortuna che si era ricordata la strada! Si sedette a terra un paio di minuti per riposarsi e normalizzare il respiro, poi entrò nella grande stanza, ma, vedendo che non c’era nessuno, si fermò disorientata. Solo allora notò l’arco che introduceva nel giardino interno del tempio. Sbirciò fuori e vide la signora De Orchis e Celeste sedute su una panchina. La ragazza si girò in quell’esatto momento, si alzò e si diresse verso l’uscita. Come al solito non salutò, ma Acqua decise di non darci peso. Guardò di nuovo fuori e vide un giardino stupendo con l’erba di un verde brillante e centinaia e centinaia di fiori diversi. L’insegnante le faceva cenno di raggiungerla.
- Scusa per il ritardo, cara. -
- Ha fatto bene, io sono arrivata un minuto fa, non credevo di dover partecipare subito dal primo giorno alle lezioni di magia. - si scusò.
- Oh, già, che sbadata! Mi sono dimenticata di dirtelo stamattina. Max me lo ha anche ricordato! -
"Ecco che cosa le ha detto stamattina!” pensò la principessa.
- Possiamo iniziare? - chiese Mara De Orchis.
- Va bene. -
- Allora, Max mi ha detto che i tuoi poteri si attivano senza che tu te ne accorga. -
- Esatto. -
- Questo perché tu non riesci ancora a controllarli. Io veramente non ti posso aiutare, perché sei tu che devi imparare a controllare i tuoi poteri, li devi sentire tu. Però, qualcuno che ti può aiutare c’è. -
- Chi è? -
- Chi sono. Circa un migliaio di fatine sottomarine che abitano nel fiume. -
- Le fate del fiume… Max me ne ha parlato. -
- Sono le uniche che ti possono aiutare. Sono delle vere esperte di magia. Bene, andiamo. - Acqua rimase un attimo allibita.
- Adesso? - chiese.
- Sì. - disse l’insegnante, come se fosse stata la cosa più normale del mondo.



- - - Angolo autrice - - -
C'è ancora qualcuno che legge questa storia? >.<  Se sì, vi ringrazio tantissimo, spero che riusciate a resistere ancora un po', per quando arriveranno dei capitoli un po' più decenti... non manca molto :D
Intanto, con questo capitolo avete conosciuto un nuovo personaggio, Celeste, che adoro <3. Quando l'ho creata non avevo le idee ben chiare su di lei, ma poi il suo personaggio si è definito molto con il passare del tempo e ora mi ci sono affezionata tantissimo. E devo dire che è molto cambiata da come l'avevo immaginata all'inizio :)
Detto questo, addio, al prossimo capitolo ^.^

Alessia Krum

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Capitolo 12
*** Dei e fatine ***


Capitolo 12
Dei e fatine
 
Arrivate al fiume, Acqua guardò il paesaggio intorno. C’erano alcuni alberi tutti attorcigliati. Davano un’impressione un po’ spettrale, ma quei pochi che erano fioriti erano davvero molto carini. Non c’era altro intorno a parte il fiume. Acqua si avvicinò, ma non vide nulla.
- Ma dove sono le fat… -
- Shhh… fai piano, per loro il nostro solito volume di voce è un frastuono fastidiosissimo. Per chiamarle ti devi mettere in contatto con l’acqua del fiume. Loro ti sentiranno. - sussurrò la signora De Orchis. Acqua entrò nel fiume, ma da fuori a dentro non ci fu nessun cambiamento. Era comunque nell’acqua! Chiuse gli occhi e provò ad evocare i poteri proprio come faceva quando andava ad Atlantis. Ci riuscì e sentì di fare parte del fiume e di essere una piccolissima particella d’acqua. Desiderò di poter vedere una fata e, quando aprì gli occhi, la fata era proprio lì, davanti a lei. Era piccolissima ed emanava una leggero bagliore rosa. Le sue ali erano bellissime anche se erano davvero molto piccole. Avevano mille tonalità e sfumature di rosa e sembravano fatte di cristallo.
- Ciao, io sono Lille. Ho sentito il tuo richiamo, hai bisogno di qualcosa? - chiese la minuscola fatina con la sua piccolissima voce.
- Esatto. Mi potresti aiutare? -
- Ma certo! Cosa ti serve? - rispose lei. Acqua notò che aveva un’aria un po’ triste.
- Devo cercare di dominare i miei poteri e usarli solo quando voglio. -
- Ma non l’hai fatto prima? -
- Quando? -
- Quando sei entrata in contatto con il fiume. Tu li hai usati per fare quello che desideravi, non è questo che volevi? -
- É vero, hai ragione! -
- Ti serve solo un po’ di pratica. -
- Grazie per avermi aiutata! - 
- Di niente. Ciao! - Lille salutò Acqua con la sua piccola manina e si nascose trale rocce. La principessa uscì dalle acque del fiume e riferì l’accaduto alla signora De Orchis. Era riuscita ad usare i suoi poteri per fare quello che voleva! E questo significava che l’idea di Max di farle frequentare la scuola in anticipo era assolutamente sensata!
 
***
 
- Concentrati, Acquamarina! -  La voce dell’insegnante le rimbombava nella mente.Seduta a gambe incrociate con i palmi delle mani appoggiati sulle ginocchia,
Acqua cercava di svolgere un semplicissimo esercizio. Doveva riuscire a muovere una piccola corrente d’acqua col pensiero, solo che non ci riusciva. Ma allora come aveva fatto a entrare in contatto con il fiume, prima? Forse il problema era che non si stava impegnando abbastanza. Si concentrò ancora di più, ma la sensazione di appartenenza all’oceano non era ancora arrivata. E di solito, quando la sentiva, significava che i suoi poteri erano in azione. 
- Per oggi può bastare, Acqua, riprenderemo domani. -
- Ma Lille ha detto che dovevo fare pratica! -
- Lo so, ma sforzarti così tanto non servirà a niente, se non a stancarti e basta. -
- Va bene, allora. Arrivederci. -
- A domani. - Acqua uscì dal tempio e si diresse verso il castello. Era davvero sfinita.
 
***
 
- Ciao, cara. Come stai? E’ da un po’ che non ci vediamo. - salutò la zia Olimpia appena la ragazza entrò nel salone.
- Ciao zia. Sono distrutta. - rispose lei sprofondando in una poltrona.
- E come mai? Vuoi che ti prepari una tazza di infuso di alghe? -
- Tanto per cominciare non dormo da circa ventiquattro ore. In più ho fatto una simpatica chiacchierata con le fate del torrente, che, per la cronaca,  non sono proprio vicinissime al villaggio. Aggiungi un’ora di esercizi per provare ad usare i poteri e ottieni una principessa distrutta. -
- Ah, capisco. La vuoi sì o no questa tazza di infuso? - chiese la zia ridendo.
- Sì, grazie. - Acqua la seguì con lo sguardo fino a quando scomparve in cucina. Ritornò dieci minuti più tardi con due tazze bollenti in mano.
- Ecco, tieni. Stai attenta, che scotta. -
- È buonissimo! Prima o poi mi insegnerai a farlo! -
- D’accordo. Allora, sei stata al fiume? - chiese la zia soffiando sulla tazza.
- Sì, ed è stato fantastico! Ho parlato con una fatina, ma alla fine avrei anche potuto non farlo. Dovevo solo usare il cervello. -
- Come si chiamava la fatina con cui hai parlato? -
- Lille, perché? -
- Lo dovevo immaginare. Era amica di tua madre. - Acqua quasi si strozzò con l’infuso quando lo sentì.
- Cosa? E perché non me l’ha detto? -
- Perché le fate rispondono alle domande, non sono il tipo da iniziare una conversazione. Non hanno molta voglia di parlare, sono timidissime. -
- E quando si sono conosciute? -
- Chi? -
- Lille e mia mamma. -
- Più o meno quando Azzurra aveva la tua età. Andava sempre al torrente a trovarla. Pensa che una volta sua mamma, che è anche tua nonna, la stava cercando per portarla a un ballo, ma non la trovava. Ha sguinzagliato amici, parenti e conoscenti, praticamente tutta la città per cercarla. E alla fine, dov’era? Al torrente. -
- É come ascoltare una favola. E secondo te, a Lille manca mia mamma? -
- Secondo me, sì. Perché me lo chiedi? -
- No, stavo solo ripensando alla prima volta che mi hai visto: hai detto che sono identica alla mamma. Vedendomi, Lille avrebbe potuto pensare che fossi lei. Poverina…io non sapevo che conoscesse mia mamma, dev’essere stata una bella delusione sapere che non ero lei! Tra l’altro, io non sapevo nemmeno che si conoscevano e non le ho detto nulla. Come mi dispiace… -
- Non ti preoccupare, sono certa che ha capito. Le fate hanno come…un sesto senso! - disse Olimpia per consolare Acqua. Poi decise di cambiare argomento:
- E invece ieri, com’è andata ad Arkàn? A parte l’attacco, intendo. Quello non dev’essere stato molto divertente! -
- Bene, ma è stato un po’ triste vedere tutta quella desolazione… -  poi si ricordò di quello che aveva detto a Max, la mattina prima. - Ah, zia, ti devo dire una cosa. Quando sono stata davanti alla statua del dio Horun… ho provato qualcosa. Una sensazione strana. E poi l’ho toccato, e sono entrata nella sua mente, ho visto i suoi ricordi, credo, ma Max ha detto che non era mai successo prima e non mi ha saputo spiegare il perché. Tu lo sai, vero? -
- Come hai detto che si chiamava il dio? -
- Horun. -
- Horun…fammi pensare… Horun…ci sono! E so anche perché hai fatto quello che hai fatto. -
- Cioè? -
- Ascolta. Horun in realtà non era proprio un dio, ma era un re e aveva poteri speciali. Controllava l’acqua e per questo tutti iniziarono a venerarlo come una divinità. Ma ora ascoltami. Tu controlli l’acqua e le fai fare quello che vuoi. Tu e lui avete gli stessi poteri, che sono stati originati dalla stessa identica particella di magia. Praticamente tu e lui siete la stessa persona, dal punto di vista dei poteri. Ed ecco spiegato perché solo tu sei riuscita ad entrare nella sua mente e a vedere i suoi ricordi. Solo tu perché tu e lui siete una cosa sola. Ed è come se i suoi ricordi fossero i tuoi ricordi. -
- Sì, il ragionamento non fa una piega, anche se faccio un po’ fatica a crederlo. Va beh! Non mi dovrei più sorprendere davanti ad una cosa simile. Peccato che io non sappia ancora usare i miei poteri. -
- Con i poteri della mente si può fare tutto. Te l’ho già detto, no? -

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Capitolo 13
*** Gocciolina ***


Capitolo 13
Gocciolina
 
Acqua aveva deciso di usare il giorno libero sulla Terra  per poter riposare un po’. Era a letto da due ore in più del solito e se le stava godendo tutte. Da qualche giorno non dormiva così tanto. Rimase a letto fino a tardi. Ma poi si svegliò improvvisamente e, non riuscendo più a riaddormentarsi, si alzò e uscì in giardino. Voleva ridare un po’ di vita a quelle povere piante, che non venivano bagnate da almeno un mesetto. La rilassava occuparsi di loro e lì era l’unico luogo dove lo poteva fare. Su Atlantis sicuramente non avrebbe saputo dove mettere  le mani. Andò a recuperare un annaffiatoio e iniziò a bagnare gli alberi. Poi potò la siepe, tolse le erbacce e le foglie secche dai fiori  e spazzò per terra. Certo, non era splendido come il parco della sua casa ad Atlantis, ma poteva andare. L’unica cosa a cui non era riuscita a ridare un po’ di vita era la fontana. Era di pietra e, visto che l’acqua non fuoriusciva da molto tempo, l’edera aveva deciso di crescere lì sopra. Proprio in quel momento sentì una voce che si avvicinava. Acqua riconobbe quella stridula e antipatica di Kate. Stava parlando con qualcuno, ma Acqua non riuscì a capire chi era fino a quando non la vide. La duchessa. Vestita di pizzi, fiocchetti, fiocchi e merletti, ornata di gioielli tanto grandi ed esagerati che sembrava un albero di Natale. Proprio come la figlia.
- Oh, guarda, mammina, hai visto chi c’è? La piccola povera Acqua che si diletta in giardinaggio! Proprio lei cercavo.  -
- Beh, veramente oggi ho un giorno libero, non pensavo di dover fare qualcosa… -
- Tranquilla, non ti devo far fare nulla, devo solo parlare a mia mamma di una piccola cosetta quasi insignificante…Quasi! -  e alla principessa venne in mente della questione in sospeso con lei. Ma Kate non aveva prove per accusarla. Non poteva dire che faceva finta di stare male per riposarsi. Almeno non senza prove.
- Ti ricordi mammina, quando Acqua è stata male? Mi è dispiaciuto moltissimo per lei, tu lo sai, ma l’altro giorno ho sentito una cosa che mi ha amareggiato ancora di più. Passavo per caso vicino alle stanze dei domestici e… - A quel punto Acqua non riuscì più a controllarsi: era arrabbiatissima e doveva fare qualcosa per fermare la lingua biforcuta di Kate. Ma non le venne in mente nulla. Fortunatamente, prima che la ragazza riuscisse a finire la frase, successe qualcosa. Qualcosa che Acqua non si sarebbe mai aspettata: usò i suoi poteri. E poteva controllarli come le piaceva. Decise quindi di fare uscire l’acqua dalla fontana dopo molti anni che non funzionava più. Uscì un potentissimo getto d’acqua che si rivolse direttamente ai piedi di Kate, facendola scivolare a terra sotto lo sguardo della madre, che riuscì solamente a balbettare:
- Hai…Hai visto anche tu… la fontana… - Quello che aveva fatto era stato formidabile. Non avrebbe potuto scegliere un diversivo migliore. E l’acqua, che non saliva più da molto tempo nei tubi della fontana, le aveva ubbidito e aveva fatto esattamente quello che desiderava.
Certo, dopo Acqua fu costretta da aiutare Kate e la “povera” madre che era in preda al panico, ma ne valeva la pena. E poi, si era appena salvata da una fine impietosa.
 
***
 
- Max, ho usato i miei poteri! Ce l’ho fatta! - esclamò Acqua saltando di gioia e stringendo il ragazzo fino a fargli male. Era appena tornata ad Atlantis, e un’inspiegabile voglia di andare di nuovo a scuola l’aveva invasa.
- Hai usato i tuoi poteri sulla Terra? - lei annuì - Sul serio? - chiese lui, incredulo.
- Certo, come potrei dirti una bugia simile? - Acqua era quasi offesa.
- Ma allora è una notizia fantastica! -
- Già, ed è stato anche utile. Ho fatto scivolare a terra Kate facendo uscire acqua dalla fontana del giardino. L’ho diretta proprio ai suoi piedi, in modo che cadesse subito. E l’acqua lo ha fatto. E’ stato incredibile! -
- Già, se sei riuscita a fare uscire acqua da quella fontana vecchia decrepita, è davvero un miracolo! A parte gli scherzi, sono molto contento per te. -
- Anch’io sono contenta! E non vedo l’ora di andare a scuola. -
- É strano quello che dici! Ieri sei riuscita a studiare? - Acqua sbarrò gli occhi e diventò pallida come un lenzuolo.
- Non ho studiato! Ma come si può essere così stupidi? Ora vado in camera, cerco di immagazzinare qualche informazione prima di uscire. Chissà, magari ci riesco! Ciao! - Max la vide correre via verso la sua stanza, saltellando su e giù. Era incredibile come riuscisse sempre a fare battute, anche in momenti abbastanza seri come quelli. Ma ancora più incredibile era che fosse riuscita ad usare i suoi poteri sulla Terra. Max doveva abituarsi, ne sarebbero successe di cose incredibili! Doveva tenerla d’occhio. Era una ragazza speciale. E molto.
 
***
 
Acqua raccolse tutte le sue energie. Prese un respiro e tentò per l’ultima volta. Ce la poteva fare. Ce la doveva fare. Si concentrò intensamente e sentì un’energia conosciuta scorrerle per il corpo. Ora si trattava solamente di riuscire ad utilizzare questa energia. Sembrava un gioco da ragazzi, ma fu piuttosto impegnativo. E finalmente, quando stava per arrendersi, qualcosa successe. Mossi dalla sola forza di volontà, i suoi poteri uscirono fuori. Ora la ragazza era una gocciolina. Una minuscola gocciolina in mezzo all’oceano. Acqua generò una piccolissima corrente che le scompigliò i capelli. L’insegnante sorrise. Soddisfatta di quel piccolo, ma significativo progresso, si alzò dalla panchina, salutò la signora De Orchis e si diresse verso casa. Era molto orgogliosa di quello che era riuscita a fare. Ma si rendeva benissimo conto che non era niente in confronto a tutto quello che  avrebbe dovuto affrontare.
Ma, per il momento, non vedeva l’ora di andare a letto.
Quando arrivò nella sua stanza, però, trovò sulla scrivania una bellissima collana di corallo con una grande perla al centro. Di fianco c’era un bigliettino. Diceva:
"Per la cugina più simpatica del mondo. Anzi, di tutti i mondi!
Corallina
P.S. L'ho fatta io! "
Acqua mandò un bacio alla cugina. La collana era molto bella, non ne aveva mai viste di così particolari. La indossò e si guardò allo specchio. Semplicemente fantastica! Non troppo lussuosa, ma nemmeno troppo semplice. Insomma, perfetta per lei. Si ripromise di chiedere alla cugina il procedimento per fare le collane in stile subacqueo. Chissà che facce avrebbero fatto Janissa e Kate vedendola! 

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Capitolo 14
*** Collane ***


Capitolo 14
Collane 

Era passata circa una settimana dal giorno in cui Acquamarina era riuscita a controllare il potere dell’acqua. Ogni giorno che passava faceva piccoli progressi. Nel giro di un mesetto al massimo avrebbe imparato tutto ciò che le sarebbe servito, anche se, a dir la verità, un mese le sembrava un po’ troppo. Per cercare di migliorare più in fretta, si esercitava in qualsiasi momento. Adesso, per esempio, mentre lavava il pavimento faceva fare strani giochetti all’acqua nel secchio. Creava onde e gorghi, spirali che si arricciavano e piccole fontanelle, faceva ribollire la superficie e la increspava di bolle. Si divertiva un mondo a fare queste cose e intanto si passava il tempo. Quando aveva qualche ora libera si rifugiava in camera sua chiudendosi a chiave e studiava. Era riuscita a portarsi i libri da Atlantis e, in questo modo, aveva l’opportunità di mettersi un po’ avanti e di risparmiarsi ore di studio nel suo fantastico e adorato pianeta natale. 
Stava cercando di ripassare il metodo per cambiare temperatura all’acqua per far ghiacciare la sua opera, quando sentì dei passi in lontananza e si allarmò. Tutti i giochi e gli incantesimi che aveva eseguito sul secchio svanirono e l’acqua cadde con un tonfo.
Quando Janissa entrò nella sala vide Acqua con un’espressione sul volto che era a metà tra la rabbia e la paura. 
- Sei sicura di stare bene? Hai una faccia… - le chiese, con un’aria disgustata.
- Ehm… Sì, sì, tutto a posto, stavo solo…pensando a una cosa… - rispose evasiva lei. Non voleva di certo che Janissa venisse a sapere di quello che stava combinando. La duchessina la squadrò con aria superiore, poi si bloccò. Indicò con il dito il collo di Acquamarina.
- E quella? Non l’avrai rubata a mia madre, vero? -  Acqua era spaesata. Non capiva a che cosa si riferisse. Si portò le mani al collo e se ne rese conto: aveva ancora indosso la collana che le aveva regalato Corallina! Doveva inventarsi qualcosa, e in fretta. Ma qualcosa che potesse essere credibile, per una collana di così grande valore. Di certo non che l’aveva ereditata. Sulla Terra non aveva parenti! Poi le venne l’illuminazione.
- Me l’ha regalata la mia migliore amica! - e di certo non era una bugia. 
- Ah, giusto… E chi sarebbe questa tua amica? - altra domanda spiazzante. 
Acqua si sarebbe dovuta inventare un’altra frottola. Ma la gamma, non vastissima, di quelle di cui disponeva, era finita. E di nuovo le venne un colpo di genio.
- É la cugina di Max. - e, per evitare altre domande a cui non sarebbe riuscita a rispondere, continuò: - L’ho conosciuta l’anno scorso, quando sono andata in montagna con Max. C’era anche lei… - Janissa sembrò soddisfatta e se ne andò con un’espressione invidiosa sul viso. Una collana così bella di certo non ce l’aveva nemmeno sua madre!
 
***

Acqua e Corallina stavano percorrendo la strada che le avrebbe portate al tempio. Acqua colse l’occasione per ringraziare la cugina.
- Grazie per la collana, Corallina, è davvero stupenda! - 
- Sul serio ti piace? Sono davvero contenta! - 
- Come hai fatto a farla? Vorrei imparare. - chiese Acqua.
- Allora, è semplicissimo. Prendi un po’ di corallo Chourà, che è speciale perché puoi dargli la forma che vuoi, poi lo modelli a forma di collana. Però devi lasciare una fessura aperta, in modo da poter mettere la chiusura. Infili la perla bucata in un ramo del corallo verso il centro della collana, e poi lo unisci con il ramo principale. Questa è la versione più semplice da bambini di cinque anni, poi le puoi fare con tutti i rami secondari pieni di perle e ti viene una cosa più elaborata. Se vuoi si può anche… -
- Va benissimo la versione da bambini di cinque anni! Non sono così esperta! - la interruppe Acqua. Poi, vedendo la faccia imbarazzata di Corallina, la rassicurò:
- Oggi mi mostri come si fa, così magari ci capisco qualcosa! -
- Sì, d’accordo. C’è solo un piccolissimo problema: ho finito il corallo… -
- E dove si può trovare? - chiese la ragazza. 
- Ovunque in mezzo all’oceano. Solo che per trovarlo dovrei…uscire dalle mura. E tu lo sai, non mi permettono di fare nulla, specialmente se devo uscire dalla città. - mormorò Corallina, fermandosi seria in mezzo alla stradina. Anche Acqua si fermò.
- Dai, non ti preoccupare, troveremo una soluzione. Te lo prometto. - la ragazza si avviò pensierosa e la cugina la seguì, continuando a parlare. Poi si fermò di nuovo.
- A cosa troverai una soluzione, al fatto che mi trattano come una bambina o a trovare il corallo? Perché io… - Acqua la interruppe di nuovo.
- Se tu continui a parlare, io non riesco a pensare. Dai, cammina, altrimenti arriviamo in ritardo. -
- Ok, ma tu non mi hai risposto. - disse Corallina un po’ arrabbiata.
- Troveremo una soluzione a entrambi i problemi, ma ricordati che non farò sconti sul prezzo! - E continuarono a fare battute fino all’arrivo a scuola.
 
***

Acqua si girò e notò per l’ennesima volta che Celeste la stava guardando, senza smettere di scrivere sul suo quaderno. Era da qualche giorno che faceva così.
Sembrava che la stesse sondando, che stesse cercando qualcosa in lei. Le dava fastidio e, come aveva detto Corallina, sembrava una gran egocentrica. E tutte le volte che Acqua si girava a guardarla, lei si voltava dall’altra parte. “Antipatica!” pensò Acquamarina, ma in quell’esatto momento si ricordò della prima volta che l’aveva vista negli occhi. Aveva notato uno scintillio, un qualcosa di speciale, ma non aveva saputo dire cosa fosse. Forse aveva ragione la cugina, se l’era solo immaginato. Ma c’era qualcosa che le sfuggiva, ne era sicura.

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Capitolo 15
*** Ho un piano! ***


Capitolo 15
Ho un piano!

Tornando a casa dal tempio, Acqua cercava di pensare a qualcosa per aiutare Corallina. Le dispiaceva vederla così triste. E, in un certo senso, aveva ragione a dire che la trattavano come una bambina.
- Ho trovato! - esclamò ad un tratto.
- Cosa? - Corallina, come suo solito, si fermò in mezzo alla strada.
- Cugina, puoi essere contenta, ho appena avuto un’idea geniale! - Corallina sgranò gli occhi. 
- Un’idea geniale per cosa? -
- Ma ti sei già scordata di quello che ti ho detto stamattina? Ho trovato l’idea giusta per procurarci quel corallo. - il viso della cugina si illuminò.
- Davvero? Dai, allora, cosa aspetti? Racconta. - Acqua fece un’espressione che la incuriosì ancora di più.
- Ok, però continua a camminare. Senti, tutti ti vietano di fare qualsiasi cosa? Perfetto, questo è un ottimo motivo per fare il contrario. Oggi pomeriggio usciremo dalla città e andremo a raccogliere quel benedetto corallo! -
- No, no, e poi no, e se dopo ci scoprono? - la ragazza sentì smorzarsi tutto l’entusiasmo di poco prima. La preoccupazione ne aveva preso il posto. Stranamente, Acqua era calmissima.
- Meglio così, tu dirai loro tutto quello che pensi e loro non avranno motivi per castigarti, si devono arrendere all’evidenza! - Corallina non era ancora del tutto convinta.
- Non credo che lo faranno. Potrebbero benissimo dirmi che fuori è pericoloso, che non dovevo correre il rischio, eccetera, eccetera, eccetera…e alla fine quella che ci rimette sono sempre io. - Acqua continuava a essere calma.
- Non ti diranno un bel niente. E sai perché? Perché, se vengo con te, non avranno motivi di dirti che hai corso dei pericoli. Anche se ci attaccassero, potrei difenderti benissimo. Ricorda che adesso i poteri li so usare, e anche molto bene! -  Corallina sembrò rifletterci un attimo, poi sorrise:
- Lo sai che sei un geniaccio? Anche di più di quella… -  ma Corallina non riuscì a finire di parlare, perché arrivò una gomitata dalla cugina. Da una strada secondaria era sbucata improvvisamente Celeste. Che le fulminò con lo sguardo, come se avesse sentito tutto. Acqua continuò per la sua strada, ma vide che Celeste si era bloccata, e che la stava di nuovo fissando. Non le piaceva come la guardava. Anzi, non la guardava. La sondava.
- Ehi, Celeste! Ci sei? Stai bene? - chiese Corallina. Per tutta risposta, lei scostò il ciuffo di capelli neri dagli occhi, si voltò e bofonchiò un: - Sì - praticamente inavvertibile. Acqua e Corallina ripresero a camminare, ma la principessa aveva di nuovo percepito la sensazione di essere guardata troppo. Che durò praticamente un istante, ma c’era stato.

***
 
Il pomeriggio, dopo aver riposato un poco e aver dato un’occhiata a quello che doveva studiare,  Acqua si alzò dalla scrivania e si diresse verso la camera della cugina. A dire il vero non ci era mai stata, ma sapeva dove si trovava perché ci passava molto spesso. Infatti quel corridoio era l’unica strada per poter accedere al salone del ghiaccio. Quando arrivò davanti alla porta, attese un secondo e bussò. Dall’interno provenivano rumori strani. Acqua riuscì a distinguere il fruscio di fogli, seguito da un rumore metallico, poi una sedia che si strusciava sul pavimento e qualcosa che cadeva.
Passi sul pavimento e poi la porta si aprì.  La cugina mise la testa fuori e la salutò:
- Ciao! -
- Ciao. Ti è per caso entrato un elefante in camera? - chiese sarcastica Acqua.
- E che cosa sarebbe un elefante? - Corallina non ne aveva la più pallida idea.
- Scusa, lascia perdere.  -
Corallina aprì del tutto la porta e fece entrare Acqua. Lei si guardò in giro. Nella camera della cugina il disordine regnava sovrano. Era ben oltre tutto quello che mente umana potesse immaginare. Un mucchio di fogli era sparpagliato a terra, la seggiola rovesciata nel bel mezzo della stanza, il portapenne di corallo rotto sulla scrivania e tutte le penne erano in giro per il letto. L’armadio era aperto, con tutti i vestiti gettati dentro alla rinfusa, le lenzuola stropicciate  e i quadri appesi al muro erano tutti storti.
- Scusa il disordine, di solito la mia stanza non è così disordinata. Anzi, è disordinata, ma non così tanto! Mi hai fatto prendere un colpo quando hai bussato. Mi sono alzata in fretta per venirti ad aprire, ma ho perso l’equilibrio, rovesciando la seggiola,  poi ho fatto cadere i fogli e mi si è impigliata una manica del vestito nel portapenne. E l’ho fatto cadere. Solo io sono capace di creare una serie di catastrofi in così poco tempo! -
Corallina rise e fece sedere la cugina su una parte di letto libera dalle lenzuola aggrovigliate. Erano rosa, come tutto il resto nella stanza di Corallina. Rosa il letto, la scrivania, l’armadio e persino le tende! Corallina si mise a frugare tra il mucchio di fogli sparso a terra.
- Ma dove l’ho messo? - mormorava ogni cinque secondi. Infilò la testa sotto il letto, sotto la scrivania e cercò in mezzo al mucchio di vestiti.
- Cosa stai cercando? - chiese Acqua
- Una cosa… ma è una sorpresa, quindi non posso dirtelo. - cercò di nuovo nel mucchio di fogli.
- Possibile che non riesca mai a trovare niente? - si alzò con aria sconsolata e si avvicinò alla cugina. Proprio in quel momento, quando stava per mollare, lo vide, sulla scrivania, dove era rimasto prima ancora di combinare la serie di catastrofi. Si batté la mano sulla fronte, prese il foglio e si buttò sul letto.
- Ecco qua! Ho trovato una vecchia mappa in biblioteca. Magari a te può servire! Guarda, qui - e indicò un punto abbastanza vicino al fiume - è il posto dove si può trovare più facilmente il corallo. Direi di andare lì. -
- Per me va benissimo. Suppongo che dovrai fare strada tu, io non sono molto esperta in queste cose… - ribattè Acqua.Le due cugine si avviarono, uscendo normalmente come se dovessero andare a fare un giretto in piazza. Con le mantelle ben calate sul viso uscirono dalle mura e, quando furono abbastanza lontane dalla torre di avvistamento, cominciarono a nuotare. Corallina andava veloce come un missile, mentre Acqua faticava un po’ a tenerle dietro. Si avvicinò a lei e le chiese di rallentare un po’. 
- Scusami, cugina, sono un po’ tesa! - le rispose lei - Tra poco arriveremo. Speriamo che questa storia finisca presto, non vorrei mai che ci attaccassero. -
- Hai paura? - chiese di nuovo Acqua.
- Sì. E se ci succedesse qualcosa? -
- No, non preoccuparti. Vedrai che tra poco saremo di nuovo a palazzo. - la rassicurò Acqua.
Trascorse ancora qualche minuto. Le due cugine rimasero in silenzio per questo breve tragitto. Almeno, fino a quando Corallina non urlò.
- Eccoci, siamo arrivate! Il corallo è sulla cima di quella collinetta. - Corallina indicò il piccolo cumulo di sabbia e cominciò a salirci sopra. Acqua la seguì, rimanendo un po’ indietro. Quando anche lei arrivò in cima, la cugina le mostrò il piccolo arbusto che cresceva al centro. 
- Dai, facciamo in fretta. Raccogliamone un rametto e andiamocene velocemente. - disse.
Acqua la guardò mentre toglieva un pezzetto dalla pianta.
- Bene, possiamo andare. - Corallina aveva fretta, non si sentiva per niente sicura.
- Ti dispiace se ci fermiamo un attimo al fiume?- le chiese Acqua.
- Sì, mi dispiace. Voglio tornare dentro le mura! -
- Solo un attimo! - la implorò la principessa
- Oh, per favore, facciamo in fretta! Cosa devi fare? -
- Tra due minuti lo scoprirai. - Le due ragazze si avvicinarono alla sponda del fiume. Acqua vi entrò e invitò la cugina a fare lo stesso. Ma, recuperata la sua solita spavalderia, Corallina si tuffò senza preoccupazioni e, con il rametto di corallo in mano, guardò Acqua. Lei le parlò sottovoce.
- Ascoltami, bisogna parlare molto piano perché le fatine hanno un udito molto sensibile, d’accordo?  -
- Stai per chiamare una delle fatine del fiume? - chiese sorpresa. Ne aveva sentito parlare solo alla scuola del tempio.
- Sì, devo parlare con una di loro. Non so se la conosci. Si chiama Lille. - Corallina
scosse la testa. Come al solito non ne sapeva nulla. Acqua prese un gran respiro e chiuse gli occhi. Corallina non sapeva cosa stesse facendo, ma aspettò che succedesse qualcosa. E pochi secondi dopo apparve una fata minuscola, sembrava una creatura delle fiabe o qualcosa di simile, era delicatissima. Quasi si potesse rovinare da un momento all’altro, pareva di porcellana.
- Wow, che carina che sei! - disse Corallina rimirando gli intrecci di rosa, violetto e fucsia delle piccole ali della fatina. Era estasiata da quella bellissima mescolanza di colori in diverse tonalità, che poteva sembrare un po’ caotica a prima vista, ma alla fine dava un bellissimo effetto.
Corallina si pentì subito di aver fatto quel commento, forse un po’ affrettato. Acqua non aveva ancora detto nulla, forse stava cercando le parole giuste per farlo, ma a Corallina sembrava di aver detto qualcosa di inopportuno. Pensò che forse doveva fare attenzione a tenere a freno la lingua; dopotutto Acqua le aveva detto che era una cosa importante...si fece in disparte e attese che la principessa parlasse:
- Lille, scusami per l’altra volta, non volevo ferirti, te lo giuro. Non sapevo che tu e…  - Acqua fece una piccola pausa - la mamma…vi conosceste. Me lo ha detto zia Olimpia quando sono tornata a casa, ma ti assicuro che non sapevo nulla. Puoi perdonarmi? -
La fatina rimase immobile, stupita. Ma se lei era stupita, Corallina era letteralmente sbalordita dalle parole della cugina. Un’altra cosa che non le avevano detto. E stavolta anche la cugina l’aveva tenuta all’oscuro. Non le sembrava che fosse così pericoloso sapere che una fatina era amica della regina, non era chissà quale segreto di stato! Ricacciò indietro le lacrime che facevano già capolino. Lille si era fiondata ad “abbracciare” Acqua, per farle capire che era tutto a posto.
- Sai che mi ricordi tanto lei? Siete veramente due gocce d’acqua. Quando sei venuta, la prima volta, pensavo che tu fossi Azzurra, che l’avessero liberata o che fosse riuscita a scappare. Mi sembrava impossibile, infatti poi ho capito che non sapevi nulla di me. Ma non importa! - disse con la sua vocina debole. 
- Mi piacerebbe un sacco che fosse qua, ma non è possibile. Tu non sai quanto vorrei poterla abbracciare, chiacchierare con lei...ma non possiamo. Quindi bisogna essere forti e andare avanti. Ti prometto che farò di tutto per liberarla, Lille, ma per ora non sono abbastanza pronta per farlo. Occorrerà aspettare un altro po’. - disse Acqua con voce strozzata, commossa.
- Sì, e noi fatine ti staremo sempre vicino, ricordalo. Per qualsiasi cosa, noi siamo con te, Acqua. - dichiarò Lille.


- - - Angolo autrice - - -
Questa settimana ho pubblicato il capitolo prima del solito perchè nel weekend non avrei potuto. :D
Comunicazione di servizio: non pubblicherò per qualche settimana, perciò vi lascio una pausa di riflessione...se vi venisse voglia di scrivere una recensione, non esitate! Vorrei veramente sapere che cosa ne pensate fino a questo punto, mi basta anche un commento sintetico, non pretendo una recensione coi fiocchi. xD
Bando alle ciance, sono felice di annunciare che d'ora in poi i capitoli faranno un po' meno schifo, almeno dal punto di vista dello stile... con questo capitolo si è conclusa la parte della storia che mi piace di meno >.<  
Nel prossimo capitolo ci sarà più azione, e comparirà anche un nuovo personaggio; inoltre vedremo Celeste abbandonare il ruolo da "comparsa" che ha avuto fino ad ora ed entrare in azione!
Ciao ciao, un bacino e un abbraccio coccoloso a chi è ancora qua <3

Alessia Krum
 

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Capitolo 16
*** La prima battaglia ***


Capitolo 16
La prima battaglia

 
Sulla Terra, Acqua finì di chiudere le tapparelle della sua stanza, prese la chiave arrugginita dal cassetto del comodino e chiuse la porta senza far rumore per evitare che qualcuno se ne accorgesse dall’esterno. “È solo una precauzione”, pensò. Si mise a ridere pensando al caos che avrebbe scatenato sua madre Lyliana se non l’avesse trovata a dormire nel suo letto. Dopo aver terminato di chiudere finestre e porta si coricò sul letto, chiuse gli occhi e li riaprì poco dopo, sentendo che ormai era arrivata e si ritrovò a sedere alla sua scrivania, nel palazzo di Atlantis. Casa sua. Si mise a giocherellare distrattamente con il suo braccialetto, scoprendo che quando era ad Atlantis riusciva a toglierselo e lo appoggiò sulla scrivania, incrociò le braccia e vi posò la testa sopra.
Era stanchissima: da molto tempo ormai, circa un mese da quando era stata ad Atlantis per la prima volta, non dormiva più di due ore al giorno. Arrivava alle 10.30 ad Atlantis, appena in tempo per preparare i libri, raggiungere Corallina e andare a scuola. Poi, mentre i suoi compagni tornavano a casa per pranzo, lei rimaneva a scuola per esercitarsi con la signora De Orchis e fare lezioni di magia, dopodiché tornava finalmente a casa dove poteva riposarsi per due orette. Nel resto della giornata stava con Corallina, Max, la zia, studiava, leggeva, spesso andava in biblioteca con la cugina oppure a fare delle passeggiate in paese.
“Ma dov’è finita Corallina? Come mai oggi non è ancora arrivata?” pensò Acqua, ma decise di aspettare un altro po’ di tempo e si mise sul letto a riposare, dato che aveva già preparato i libri. Quando sentì che stava per addormentarsi aprì gli occhi e diede un’occhiata all’orologio. Le dieci e tre quarti! Fu come se qualcuno le avesse dato un pugno in faccia. Entro dieci minuti dovevano essere a scuola per l’inizio della lezione e Corallina non era ancora pronta!
Si alzò in fretta, prese la sacca con i libri e aprì la maniglia della porta, decisa a dare una bella sgridata alla cugina, ma se la ritrovò davanti, con la mano sulla maniglia esterna e una faccia super dispiaciuta per il ritardo, così decise di perdonarla.
- Scusa, scusa, scusa se ho fatto tardi, ma mi ero scordata dove avevo messo il libro di matematica e non lo trovavo più…ci ho messo un sacco di tempo a ritrovarlo! - disse Corallina velocemente, tanto che rimase senza fiato.
- Non ti preoccupare cugina, però adesso andiamo, o arriveremo in ritardo. - Le due ragazze si misero a correre, o meglio a nuotare, verso il tempio e alla fine arrivarono in anticipo di cinque minuti per la corsa che avevano fatto. Quando si fermarono stanche, affannate e accaldate nella piazzetta davanti alla scuola, in mezzo ai loro amici, qualcuno disse:
- Ehi, ragazze, cosa vi è successo? - a parlare era stato Henri, un loro compagno di classe, grande amico di Corallina, il più simpatico di tutti. La ragazza, che ormai aveva ripreso fiato, rispose:
-  Niente, lo so che può sembrare che siamo appena state attaccate da uno squalo, ma non è così, te lo assicuro. Ho passato la mattinata a cercare il libro di matematica che aveva deciso di non farsi trovare. Ma alla fine ce l’ho fatta, solo che eravamo in ritardo e abbiamo nuotato fino a qui. -
- Siete arrivate giusto in tempo per non farvi beccare da un altro squalo! - commentò il ragazzo, indicando la figura dell’insegnante che li stava già richiamando per andare in classe. Acqua seguì i due amici, sentendo dietro di sé lo sguardo indagatore di Celeste, che non aveva smesso di fissarla con quell’aria altezzosa dal primo giorno. Si voltò indietro per lanciarle un’occhiata, come per dirle di smetterla, e vide che quel giorno nel suo sguardo c’era anche una vaga nota di rimprovero. Ma di che cosa poteva rimproverarla? Se era per il ritardo, allora doveva starsene zitta, non spettava a lei sgridarla. Acqua decise così di ignorarla e si sedette, come al solito, in mezzo, Corallina a destra ed Henri a sinistra.
Henri era veramente un caro ragazzo, simpatico e gentilissimo, forse un po’ timido e impacciato. Era alto e smilzo e portava gli occhiali, che gli davano un’aria buffa, e aveva una marea di lentiggini sulle guance e perfino sul naso. I suoi capelli erano di una tonalità abbastanza strano di rosso, sembravano arancioni, e le ciocche azzurrine erano così chiare che sembravano bianche. E così, arancione e strisce bianche, tutti lo chiamavano scherzosamente Pesce Pagliaccio. Ma a lui non dispiaceva e non si lamentava mai se qualcuno lo prendeva in giro per la sua timidezza o perché era un po’ strambo, ed era sempre disponibile con tutti.
Le lezioni stavano per cominciare, mentre ancora Henri e Corallina stavano chiacchierando e ricordando tutte le volte in cui la signora De Orchis si era veramente dimostrata “uno squalo”: cattivi voti, compiti di punizioni, verifiche a sorpresa e quant’altro…Acqua li ascoltò distrattamente fino a quando l’insegnante richiamò tutti gli studenti perché stessero in silenzio. Mentre ancora qualcuno stava parlando e altri tiravano fuori i libri dalle cartelle, Acqua diede un’occhiata a Celeste, che stava più a sinistra, in terza fila, e la guardò mentre prendeva un quaderno e ci scriveva qualcosa sopra, probabilmente la data. Ma poi si girò e i suoi occhi azzurri, chiarissimi e freddi come il ghiaccio, si scontrarono con quelli di Acquamarina e alla ragazza parve di cogliere ancora quello strano scintillio nel suo sguardo che aveva notato la prima volta. Dimenticandosi delle chiacchiere di Henri e Corallina, Acqua guardò meglio e si accorse che c’era veramente qualcosa di speciale in Celeste e, che la cugina le credesse o no, lei ne era sicura.
- Allora, iniziamo? Prendete i libri di storia. Dove eravamo rimasti la scorsa volta? Ah, già, la fondazione di Arkàn… -

***
 
Acqua stava ascoltando la spiegazione della lezione e sottolineava dal libro i passaggi più importanti, per evitare di doverlo fare a casa. Ma, improvvisamente, sentì una strana stanchezza che si impossessava di lei, togliendole il respiro, facendole girare la testa. Sentiva che stava cadendo a terra, mentre la vista le si annebbiava sempre di più, ma Corallina la prese in tempo per non farle battere la testa a terra. Vedeva nero, e riusciva solamente a sentire, sentiva in lontananza i compagni preoccupati e il trambusto che si era creato nell’aula e la voce di Corallina che la chiamava, mentre Henri le chiedeva cosa si sentiva. Avrebbe voluto riuscire a rispondere ma non poteva, non riusciva. Mentre anche i suoni che riusciva a percepire si facevano sempre più lontani, smise di sentire il freddo pavimento di marmo sotto di sé. Solo allora capì che era stata sbalzata fuori dal suo corpo. Quando riprese a vedere qualcosa, pian piano, si accorse di non essere più in classe, ma stava vedendo dagli occhi della statua, ad Arkàn, e quello che vide la spaventò moltissimo: centinaia e migliaia di Cavalieri, in marcia sulle rovine della città, che si stavano chiaramente dirigendo verso Atlantis. Stavano per attaccare. Acqua si risvegliò tutto d’un colpo, sentendo di nuovo, improvvisamente,  tutte le sensazioni del suo corpo: la mano della cugina che la sosteneva, dietro la schiena, i mormorii di spavento dei suoi compagni e quando aprì gli occhi vide che tutti erano accalcati intorno a lei. Prima ancora di riprendere fiato, disse:  -  Vengono qui. Stanno per attaccarci.  –
Tutti si scambiarono degli sguardi preoccupati, ansiosi, nessuno sapeva cosa fare. Si creò una grande confusione, tutti che giravano da una parte all’altra della stanza, c’era chi era diventato pallido dalla paura e chi non vedeva l’ora di scendere in battaglia per difendere il paese. “Di certo” si disse Acquamarina “resterò qui a dare una mano. Combatterò, se dovesse servire”. A quel punto erano andati tutti nel panico e il rumore era tale che non si riusciva a sentire altro.
Ma qualcuno batté le mani per attirare l’attenzione, urlando:  - Silenzio!  -
Era Celeste, che per farsi sentire da tutti si era messa in piedi sulla cattedra. A poco a poco tutti si zittirono e anche la signora De Orchis rimase in silenzio per ascoltare cosa aveva da dire la ragazza.
- Ho un piano.  -  disse  -  Ma mi serve il vostro aiuto per metterlo in pratica, o non ce la faremo.  -  fece una piccola pausa e tutti rimasero zitti per incitarla ad andare avanti. A sorpresa, la ragazza si rivolse ad Acquamarina
- Dov’erano?  -  le chiese, con tono sgarbato. Acqua era sorpresa. Era la prima volta che sentiva la sua voce, in un certo senso, perché le aveva sempre risposto con  dei grugniti o degli sbuffi. E sicuramente, era la prima volta che parlava con lei.
- Ad Arkàn, davanti alla statua del dio Horun.  -  rispose con precisione la principessa, ancora un po’ stordita, come se la stessero interrogando.
- D’accordo, abbiamo ancora un po’ di tempo. Ascoltatemi attentamente e non fate niente di diverso da quello che vi dico, è importante. Ora tutti noi andremo verso casa, velocemente. Non è una passeggiata, ricordate. Passate nel vostro quartiere, di casa in casa, dite agli uomini di preparare tutte le armi che possiedono e di passare dal fabbro. Alle donne dite di tenere i bambini in casa e di sprangare tutte le porte e le finestre con le assi di legno anti-incantesimo. Nessun bambino dovrà uscire di casa, per nessuna ragione al mondo. I ragazzi potranno decidere se uscire a combattere, ma i loro genitori dovranno essere d’accordo. Se glielo vietano, allora dovranno restare a casa, e non dare altre preoccupazioni. Al contrario, non dovranno dare impiccio a nessuno e cercare di non distrarre gli altri mentre combattono. E sappiano che lo fanno a loro rischio e pericolo. Tutte le persone con poteri magici se ne vadano direttamente a casa, senza avvisare nessuno e non escano per nessuna ragione. Tu, Corallina, che sei la più veloce a nuotare tra tutti noi, vai dal fabbro e digli di preparare in fretta tutte le spade che può, poi torna  a casa. Ma non nuotare sopra i tetti delle case, rimani bassa in modo che non ti vedano da lontano. Io andrò ad avvertire il presidente del Consiglio di Guerra che deciderà una strategia, poi passerò in tutte le vie per accertarmi che ognuno sia stato avvertito. Tutto chiaro? Potete andare. - Alla fine tutti iniziarono ad uscire, Corallina fu la prima, ed Acqua si accodò agli altri per poter dare una mano.
- E tu dove credi di andare?  - Celeste la tratteneva per un braccio.
- Voglio dare una mano, mi sembra il minimo. Sono pronta a combattere.  -
- Ma allora non mi hai sentito? Ho detto che tutte le persone con poteri magici devono sparire dalla circolazione!  -
- Mi dispiace, ma non ho intenzione di farlo. E poi sono in grado di difendermi e anche di abbattere i nemici grazie ai miei poteri. Vi sarei d’aiuto! -  protestò la principessa, che voleva assolutamente prendere parte al combattimento.
- Ci saresti solo d’impiccio e attireresti sempre più nemici. Non solo hai i poteri più potenti di tutti, ma sei anche membro della famiglia reale. Vuoi crearci dei problemi in più?  -
- Posso occuparmi anche dei nemici che arrivano in più, non ti preoccupare, ormai i miei poteri li so usare e anche bene!  - rispose Acqua spazientita
- Sì, ma contro i poteri di Darcon non servirebbero a nulla. Ti disintegrerebbe in due secondi netti, prima che tu possa fare qualsiasi mossa. E può fare incantesimi talmente potenti che i tuoi non servirebbero a nulla. Sparisci, torna al castello, anzi, vai direttamente sulla Terra. Non causarci altri problemi. E ora vado, ho altre cose più urgenti a cui pensare. - E detto ciò, sparì dalla scuola, lasciando Acqua sola, perché ormai tutti erano già andati. Le parole della ragazza l’avevano ammutolita, aveva parlato con tanta foga, convinzione e rabbia da intimorirla. Ma cosa avrebbe dovuto fare? Certo, per quanto le scocciasse ammetterlo, Celeste aveva ragione. E probabilmente sarebbe stata più utile tutta intera e dopo la battaglia. Con un sospiro, fece per toccare la pietra sul suo bracciale, ma si accorse con sorpresa di non averlo più. Lo aveva lasciato sulla scrivania, quella mattina, mentre aspettava Corallina. “E adesso?” pensò. Proprio in quell’istante si sentì un gran boato e il clangore delle spade fuori dalle mura.
- Accidenti, sono arrivati prima del previsto!  - disse un uomo per strada e si affrettò a raggiungere il luogo della battaglia. Acquamarina continuò a pensare a cosa poteva fare e provò a trasferirsi sulla Terra col pensiero, ma non ci riuscì. Così si rese conto che l’unica possibilità era quella di tornare al castello, prendere il braccialetto e tornare a casa. Uscì in fretta dal tempio e cominciò a camminare verso il palazzo, nascondendosi dietro i muri per non farsi notare. Era circa a metà strada, girò verso destra e vide un bambino in fondo alla strada. Cosa ci faceva ancora in giro? Ma poi vide un uomo che usciva da una porta con fare circospetto e pensò che fosse suo padre, dato che appena vide il bambino, sorrise. Acqua adesso era a metà tra i due e vide chiaramente che l’uomo stava aprendo le braccia per far avvicinare il bambino, ma nel suo sorriso c’era qualcosa di strano. Era maligno. Appena la ragazza se ne rese conto, dalle braccia protese dell’uomo partirono delle scariche di lampi rossastri e i suoi occhi neri e opachi risplendettero di quel colore. Acqua realizzò in pochi secondi che quell’uomo era un Cavaliere Mutaforme infiltrato nel villaggio. La saetta rossastra andava velocemente verso il bambino, che nel frattempo era scoppiato a piangere chiamando la mamma, e Acqua non ebbe neanche il tempo di pensare. Fece la prima cosa che le saltò in testa e si buttò tra il bambino  e la saetta colorata per proteggerlo. Capì di aver fatto centro quando sentì una fitta di dolore lancinante alla gamba, dove probabilmente l’aveva colpita l’incantesimo. L’urto la sbalzò all’indietro, facendola cadere. La sua testa sbatté forte sul selciato della strada e lei vide nero. L’ultima cosa che sentì prima di perdere i sensi fu una spada che cozzava rumorosamente contro qualcosa di metallico.

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Capitolo 17
*** Vacanza in montagna ***


Capitolo 17
Vacanza in montagna
 
- Ehi, guardate, apre gli occhi! - disse Max, rompendo il silenzio che gravava nella grande stanza di Acqua. Corallina si alzò dalla sedia su cui era seduta, scattando come una molla: - Cugina, mi senti? - chiese subito. La principessa si passò una mano sulle tempie, con gli occhi chiusi.
- Sì. Che succede? - Ma nessuno ebbe il tempo di risponderle, né Max, né Corallina, né tantomeno la zia (che trafficava di spalle con qualcosa sulla scrivania), perché un dolore improvviso, forte e penetrante le attanagliò la coscia destra e non la lasciò più. La ragazza lanciò un grido dal dolore, coprendosi il viso con le mani.
- Oh, certo. Adesso sì che mi ricordo. Fantastico, ci voleva anche questa. - sussurrò.
- Non dire così, Acqua. È stato un grande gesto quello che hai fatto. Un incantesimo del genere avrebbe ucciso quel bambino in pochi giorni. Uno, due, al massimo. Sua madre ti è molto riconoscente. - disse Max, mentre guardava Acqua. La ragazza ansimava violentemente e teneva il capo reclinato sul poggiatesta del letto, con le palpebre chiuse e le braccia incrociate sul petto. Max la conosceva abbastanza da dire che, quando faceva così, stava cercando di non piangere. Ma sapeva anche che il dolore era veramente insopportabile: l’aveva già provato lui stesso.
- Qualcuno vuole spiegarmi meglio? - sbottò Corallina, a cui nessuno aveva ancora detto cosa era accaduto.
- Stavo tornando a casa per prendere il braccialetto ed andare sulla Terra, ma ho visto un bambino e il Mutaforme che aveva appena scagliato quell’incantesimo e mi sono messa in mezzo… - tagliò corto Acquamarina.
- Già, poi Max, che passava di lì, ti ha visto e ti ha riportata a casa, mentre un ragazzo si occupava di quel Mutaforme e il bambino tornava dalla sua mamma. - proseguì Olimpia - Penso che quel ragazzo fosse il fratello di Celeste. -
- Sì, era proprio lui. Alicarnasso. Era a scuola con me. - disse lui.
- Cosa stai facendo, zia? - chiese Acqua cercando di distarsi dal dolore alla gamba, che si faceva sempre più insopportabile.
- Sta preparando uno dei suoi intrugli malefici… - le rispose Corallina con una voce cavernosa e dura. Sembrava contenta che finalmente qualcuno si fosse degnato di dirle qualcosa.
- Sto preparando un rimedio all’incantesimo, Acqua. - disse invece la zia con tono di rimprovero per Corallina  - Ma ci vorrà molto tempo… - Acqua sembrava rasserenata all’idea di un rimedio, anche se avrebbe dovuto aspettare.
- Penso che sia più prudente portarla via di qui, Olimpia, almeno finché la battaglia non sarà finita… - disse Max, aggiungendo qualcosa sottovoce che né Acqua né Corallina riuscirono a capire. La zia annuì convinta e poi ricominciò a darsi da fare con le sue ampolle piene di polverine colorate.
Il silenzio venne rotto pochi minuti dopo. Acqua lanciava brevi gemiti chiamando la zia. La sua gamba aveva cominciato a tremare prima piano e poi sempre più violentemente fino a scuoterla tutta. Ma forse la zia se lo aspettava, perché prese un bicchierino che aveva lasciato in disparte e lo diede alla ragazza, sussurrandole: - Ecco cara, bevi questo. - poi scambiò un’occhiata preoccupata con Max.
- Acqua, sono quasi le sette, te la senti di tornare sulla Terra? - chiese il ragazzo.
- Sì, ma…come lo giustifichiamo questo con la mamma? - disse Acqua, con voce tremante, indicando la gamba che ancora la faceva sobbalzare.
- Non ti preoccupare, sulla Terra non sentirai nulla. Là la magia non esiste quindi, tecnicamente, non esiste neanche il tuo incantesimo. Ho già avuto modo di provare, sulla Terra non fa male. Ma bisogna tornare qui per un po’ di tempo, o non guarirai. - spiegò Max
- Ma io i miei poteri li uso sulla Terra… - obiettò debolmente Acqua.
- Quelli sono parte di te, non potrai mai abbandonarli, Acqua… - la ragazza sembrò soddisfatta e  fece un cenno della mano per salutare la zia e le cugina, poi toccò la pietra sul suo braccialetto, che Max le aveva appena dato (era rimasto sulla scrivania per tutto quel tempo), e sparì in un lampo azzurro, seguita subito dopo da Max.
 
***
 
Acqua passò i tre giorni seguenti sulla Terra, a fare i soliti lavori, leggere e studiare dai libri di Atlantis. Le sembrava che il tempo non passasse mai, non riusciva a distrarsi ed era perennemente agitata. Max non si era ancora fatto vivo da quando l’aveva lasciata nella sua stanza, nemmeno per consegnare la posta. Forse si era dato malato, perché Acqua era sicura che fosse andato a combattere ad Atlantis. L’aveva capito da come guardava la zia quando era ancora là…sembrava che non vedesse l’ora di scendere in campo.
Tuttavia, il terzo giorno, alle otto e mezza, un’allegra scampanellata echeggiò  per il salone. Questo è Max, pensò Acqua, che stava spazzando il pavimento e lasciò cadere la scopa con un tonfo: la postina semi-addormentata che lo sostituiva non avrebbe mai suonato in quel modo. La ragazza si precipitò alla porta e quando la aprì vide proprio Max, che la salutava con la mano. Fu sul punto di saltare dalla gioia: il ragazzo era lì, tutto intero, non aveva nemmeno riportato delle ferite dalla battaglia. Sembrava stanchissimo, però, e si vedeva: aveva delle pesanti occhiaie violacee e gli occhi arrossati, il suo volto, pallido, era illuminato solo da un debole sorriso.
- Si sono ritirati. - disse con sollievo, mentre abbracciava Acqua.
- Vieni a sederti da qualche parte. Sembri stanchissimo… -  lo invitò lei.
- E lo sono. Non ho dormito un solo minuto in questi tre giorni. -
- È durata così tanto? -
- No, si sono ritirati ieri pomeriggio, ma ho avuto…alcune faccende da sbrigare. - concluse lui, risoluto: aveva sentito dei passi nel corridoio. Acqua raccolse la scopa dal pavimento e la mise nell’armadietto, poi trascinò Max nella sua camera, chiuse la porta a chiave e vi si appoggiò, fissando il ragazzo, che si era seduto sul letto.
- Allora, com’è andata? - chiese Acqua, sussurrando, in modo che da fuori non sentissero di che cosa stavano parlando - Vedo che, per fortuna, non hai nemmeno un graffio. -
- È stata brevissima, Acqua, forse la battaglia più corta a cui abbia mai preso parte. Si sono ritirati quasi subito. -
- E allora perché non mi sei venuto a prendere direttamente? Non sai che ansia… -
- Sì, certo che lo so, ma volevo essere sicuro…poteva anche essere una strategia, potevano ritornare. Poi ho aiutato gli altri a trasportare i morti, abbiamo allestito la piazza per i funerali, abbiamo avvertito tutti che potevano venire fuori di casa, abbiamo medicato i feriti, e poi… - Max si interruppe, vedendo che Acqua era rimasta serissima e fissava con forza il pavimento. Forse era stato un po’ troppo duro, doveva risparmiarle quella cronica?
- Quanti sono i morti? - chiese la ragazza, con il labbro inferiore che le tremava, lo sguardo fisso a terra - Qualcuno che conosco…? - sollevò gli occhi pieni di lacrime verso il ragazzo e lui si alzò dal letto e la strinse in un abbraccio. Rimasero così per un po’, Acqua che singhiozzava sommessamente sulla spalla di Max, poi lui parlò.
- Sei. - le disse, accarezzandole i capelli. - Di questi sei tu conosci il padre di Shairina, la tua compagna di classe, il figlio di quella signora che ti ha regalato la spezia il primo giorno che sei venuta ad Atlantis e lo zio di Henri. Mi dispiace…  -
- Io non volevo che morissero! - esclamò lei, singhiozzando ancora più forte. - Volevo combattere insieme a loro…magari con i miei poteri a disposizione non sarebbero morti!  -
- Lo so, Acqua, nessuno lo vorrebbe. Ma la battaglia è durata poco proprio perché tu non eri là! Ti ho voluto mandare sulla Terra, perché loro stavano cercando te! Volevano te… - Acqua rimase in silenzio, stringendosi  a  Max. Capiva quello che voleva dire. Se lei avesse combattuto, la battaglia sarebbe durata molto di più e sarebbero morte molte più persone…
- Quando saranno i funerali? - chiese, con voce piatta, atona.
- Questa settimana. Ma se vuoi partecipare possiamo spostarli più avanti, ti occorrerà un po’ di tempo per guarire da quell’incantesimo. Che ne dici? -
- Ok, d’accordo. - si separarono dall’abbraccio, restando in silenzio. Dopo qualche minuto, sentirono dei passi fuori dalla stanza, nel corridoio.
- Questi sono i passi di mia madre, ne sono sicura. Viene qui! - disse Acqua.
- Apri la porta! Ho un’idea. - disse Max, così Acqua si asciugò le lacrime con i palmi delle mani e girò la chiave nella toppa. Lyliana entrò nella stanza poco dopo.
- Ah, ecco dov’eri finita! Ti stavo cercando dappertutto. - si accorse solo dopo della presenza di Max - Max, tesoro! Vieni qui…era da tanto che non ti vedevo. -  disse, abbracciandolo.
- Sì, sono stato a casa un po’ di giorni, avevo preso la febbre…sono venuto a salutare Acquamarina e visto che l’ho incontrata volevo chiederle una cosa. I miei genitori hanno affittato uno chalet in montagna per tutta l’estate e questa settimana e la prossima pensavamo di andarci. Volevo chiederle il permesso di portare anche Acqua…se per lei va bene. - la ragazza, che si era ritirata in disparte, rimase sorpresa da quella richiesta, ma poi capì dove voleva andare a parare Max, e rispose.
- Oh…sì certo. Per me va bene!  - cercò di metterci più entusiasmo possibile, ma sentì di non essere stata abbastanza convincente, almeno non quanto Max, che appena sentì il suo consenso fece un grande sorriso e si rivolse verso Lyliana. Si vedeva che lui era più abituato a mentire.
- Noi partiremmo domani mattina, se per lei va bene. - disse alla fine
- Sì, sì, va bene. Vado ad avvertire la contessa. Però, Max, la prossima volta dimmi qualcosa in anticipo, ok? È difficile organizzarsi con così poco preavviso. -
Acquamarina passò tutto il resto della giornata a ficcare il contenuto del suo armadio in due borsoni, dietro le continue insistenze della sua mamma adottiva, che temeva che prendesse troppo freddo e che non avesse abbastanza cose per due settimane intere. A dire il vero, Acqua non sapeva nemmeno che cosa se ne sarebbe fatta di quei borsoni ad Atlantis, ma Max le aveva detto di portarli lo stesso, per rendere più credibile la storia della vacanza. Cosa avrebbe detto sua mamma se si fosse trovata le valigie sotto al letto della sua stanza?
Quella sera Acqua andò a letto tardi, all’ora in cui di solito si trovava a scuola, in un altro mondo. Chissà se i ragazzi avevano già ripreso ad andare al tempio? Cosa stava facendo sua cugina Corallina in quel momento? E Max? Rimuginando su questi interrogativi, Acquamarina scivolò lentamente nel sonno.
 
***
 
Acqua stava camminando di fianco a Max, lungo il viale d’accesso al palazzo  del duca. Trasportavano un borsone per uno e avanzavano in silenzio, fianco a fianco. Usciti dal cancello, si scambiarono uno sguardo d’intesa e si nascosero dietro un cespuglio.
- Sei pronta? Tieni un tuo borsone in una mano, l’altro lo porto io. Arriveremo in camera tua, così non daremo nell’occhio.  - 
Acqua prese la mano libera di Max ed evocò il vortice azzurro. Il viaggio fu molto più lungo del solito. Sembrava che appena si avvicinavano alla meta, venissero trasportati indietro. Forse non ci sto mettendo abbastanza volontà, pensò Acqua e si impegnò ancora di più, fino a quando riuscì ad arrivare, atterrando con un tonfo sul pavimento, in camera sua. Il dolore alla gamba la assalì improvvisamente, non ebbe neanche il tempo di pensarci. Si lasciò sfuggire un grido. Max era finito dall’altra parte della stanza, anche lui sul pavimento.
- Atterraggio difficile, eh? - disse, mettendosi in piedi. Acqua non rispose e Max le si avvicinò, aiutandola a sollevarsi e a coricarsi sul letto.
- Caspita, avrò svegliato tutti! - esclamò lei.
- No, sono tutti svegli. Ti aspettavano. Corallina sta venendo qui, ora. -
- E tu come lo sai? -
- Poco dopo il tuo grido, ho sentito qualcosa di grosso rompersi in direzione della sua stanza. Tipico di Corallina. - rise Max, mentre metteva i due borsoni nell’armadio. - Vado a chiamare tua zia. Tu cerca di resistere due minuti, ok? Oh, e cerca di sopravvivere a tua cugina! Torno subito. -
Acqua sorrise della battuta, mentre Max chiudeva la porta e la stanza precipitava in un silenzio surreale.  Da fuori non proveniva nessun rumore di spade, o echi di lontana battaglia. Tutto era tranquillo. Ma una strana nebbia rossa spuntava tra le strade buie di Atlantis. Macchie di sangue.

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Capitolo 18
*** Ripresa ***


Capitolo 18

Ripresa

 
I giorni passavano lentamente. Acqua stava migliorando sempre di più, ma non c’era modo per lei di ingannare il tempo, che scorreva fin troppo lento.  Nei primi giorni, il dolore alla gamba era talmente insopportabile da costringerla a letto. Corallina passava tutto il tempo possibile con lei, anche perché la scuola non era ancora ricominciata dopo la battaglia. Durante il primo giorno le insegnò a fare le collane col corallo, ma poi, finite le spiegazioni (e anche il poco corallo che avevano raccolto), entrambe iniziarono ad annoiarsi. Max era sempre fuori perché aveva molti compiti da eseguire, anche se non diceva mai cosa faceva; quando tornava al castello era per i pasti, e passava tutto il tempo possibile con Acquamarina.
La zia Olimpia andava e veniva in continuazione e qualche volta portava libri dalla biblioteca, insistendo perché la figlia ricominciasse a studiare. Corallina non ne voleva sapere e ammucchiava i volumi in un angolo della stanza, ignorando gli avvertimenti della madre, che continuava a sostenere che la scuola sarebbe cominciata entro pochi giorni. E infatti, il quarto giorno, Henri passò a prendere Corallina, perché Max non voleva che andasse da sola, e partirono insieme nella nebbiolina rossa che ancora aleggiava sulle strade.
Acqua rimase sola nella sua stanza. Cercò di iniziare a ripassare qualcosa in vista del suo prossimo rientro a scuola ma, appena prese in mano il libro, cominciò a ripensare al suo ultimo giorno al tempio. In pochi secondi era cambiato tutto e per fortuna che lei aveva avuto quella visione! Le cose sarebbero andate molto peggio, sicuramente. Rievocò i primi istanti di panico generale e si ricordò con chiarezza di come Celeste avesse velocemente preso in mano la situazione e creato un piano perfetto. E tutti istantaneamente le avevano dato ragione e avevano fatto quello che aveva detto lei, senza opporsi: Acqua si ricordò che anche la signora De Orchis non aveva fatto una piega e le aveva obbedito subito. Strano. Strano perché, come aveva sempre notato, Celeste non stava mai in gruppo, era sempre taciturna, sola e non sembrava avesse legato con qualcuno in particolare. Tutti a scuola la prendevano in giro per il suo modo di fare, tranne ovviamente la signora De Orchis, perché era la sua alunna preferita. Pensandoci sopra, Acqua si rese conto che era alquanto bizzarro che le cose fossero andate in quel modo. Celeste, che solitamente non era presa in considerazione, aveva convinto tutti a fare la cosa giusta e nessuno l’aveva presa in giro in alcun modo. Si erano limitati a fare quello che lei aveva suggerito. Che questo fatto bizzarro avesse qualcosa a che fare con lo strano scintillio nei suoi occhi che aveva visto fin dalla prima volta che l’aveva incontrata? Acqua non sapeva darsi una risposta. Si rese conto che sapeva veramente pochissime cose del mondo di cui ora faceva parte. Non sapeva nulla, per esempio, della guerra, delle strategie di battaglia, di come funzionava il suo regno, pochissimo della storia della sua città e ancora altre mille cose che le sfuggivano.
Improvvisamene si alzò di scatto dal letto e si mise in piedi con qualche sforzo per via delle fitte che la attanagliavano ancora: aveva deciso di andare in biblioteca, voleva fare qualcosa. Si infilò velocemente un paio di pantaloni che aveva nei borsoni portati dalla Terra, che lei adorava perché erano comodissimi: basta gonne! Ne aveva aggiunti qualche paio al suo guardaroba ad Atlantis, che straripava di abiti, gonne, tuniche lunghe e corte, vestitini come quelli di Corallina, accessori e mille altre cose, ma che non conteneva nemmeno un paio di pantaloni. Impiegò un po’ più del previsto, perché le pinne non ne volevano sapere di arrivare fino in fondo. Alla fine, la ragazza uscì dalla camera e cominciò a dirigersi verso la biblioteca, camminando lentamente e zoppicando a causa del dolore insopportabile. Si fermò davanti al quadro dei genitori nel lungo corridoio del quinto piano e rimase lì immobile a rimirarlo per un po’ di tempo. Chissà come stava sua madre? E dov’era? Continuando a rimuginare riprese il percorso, ma quando si imbatté nelle rampe infinite di scale che doveva ancora percorrere, si spaventò. Sarebbe riuscita a fare tutte? Già con il primo scalino la gamba le fece un male atroce. Ebbe la tentazione di tornare indietro, in camera sua, ma poi provò a salire le scale nuotando e le sembrò di farcela, così iniziò ad andare su  lentamente finché non si trovò davanti al massiccio portone decorato. Si fermò un attimo per riposare, poi fece fare i tre giri in senso orario alla spirale, spinse il dragone d’acqua verso sinistra e bussò due volte. La porta si aprì da sola. Non c’era nessuno ad accoglierla, nemmeno il Saggio, che di solito era sempre lì a controllare chi entrava e chi usciva. Si diresse verso il reparto dedicato alla magia per cercare qualcosa sul dragone d’acqua, visto che non ne aveva mai sentito parlare e aveva notato che sul portone aveva una certa rilevanza, anche rispetto alle altre figure. Passò quasi tutta la mattina tra uno scaffale e l’altro e alla fine riuscì a trovare un libro interessante: “Storia della magia. Le origini e il dragone”. Ritornò lentamente nella sua camera, ma due secondi dopo essersi seduta sul letto e aver girato la copertina di pelle del libro, Corallina aprì la porta, scaraventò a terra la borsa e si tuffò letteralmente sul letto, sollevando la coperta ovunque.
- Wow, che entrata catastrofica! - commentò Acqua, recuperando il cuscino che era finito per terra. - Avanti, cosa è successo? -
- Sono già stufa della scuola. Tu non sai che catasta di compiti che ci ha riservato la De Orchis… - rispose sbuffando la cugina.
- Non mi sorprende! C’era da aspettarselo. Dai, racconta. Voglio rimanere aggiornata. -
- Mah, non è successo niente di speciale. Dya continuava a cantare quella canzoncina scema in continuazione durante la spiegazione di storia, non riuscivo a stare attenta. Non che ne avessi voglia, ma hai capito il senso. Sil faceva le sue solite facce buffe e non abbiamo fatto altro che ridere per tutta l’ora di matematica… - Acqua sogghignò, al pensiero delle espressioni esilaranti che riusciva ad assumere Silandro, pur di non dover ascoltare matematica - …Mi sono beccata un votaccio orrendo in geografia delle correnti e Celeste ha continuato a prendere le sue solite trenta pagine di appunti giornaliere. Poi, che altro…ah, Henri ti saluta! -
- Come sta? - chiese Acqua, riferendosi ad Henri, ma pensando a Celeste. Si era comportata come al solito.
- Abbastanza sconvolto. Ma è comprensibile. - rispose Corallina, facendo una pausa. - Sai, certe cose mi fanno venire in mente…quando è morto lo zio e… - Corallina controllò la cugina, per vedere come stava. Aveva lo sguardo fisso a terra e guardava sempre la stessa mattonella del pavimento. - …anche quando è morto mio padre. Io lo so come ci si sente, so come ti senti tu, come si sente Henri…Avevo tre anni quando è successo, capisci? Il giorno prima mi aveva regalato questo, guarda. - Corallina frugò nella tasca della gonna e tirò fuori un bellissimo medaglione rosa con inciso il suo nome sopra: lo aprì, rivelando un micro-ritratto del padre. - È l’unica cosa che non perdo mai. - aggiunse, ridendo - Ma non si può essere sempre tristi. Bisogna andare avanti, bisogna sperare, no? - disse Corallina. Acqua rimase in silenzio e una lacrima dorata rigò la sua guancia.
- Tu sai piangere! - esclamò Corallina. Acqua le rivolse uno sguardo interrogativo, la lacrima che ancora brillava d’oro.
- È una cosa bellissima…sai, qui in pochi sanno piangere. Io non ne sono capace. Si dice che chi riesce a farlo, avrà sicuramente un bellissimo futuro. - Acqua si asciugò la lacrima con una mano, sorridendo. Le due cugine si abbracciarono.
- Bene, e adesso pensiamo a cose più serie: si pranza! - esclamò Corallina e si tuffò dal letto, cominciando a nuotare a velocità supersonica verso il piano terra. Acqua riuscì a pensare ad un solo aggettivo, perfetto per lei: incorreggibile! 

***

Trenta minuti più tardi, le due ragazze erano sedute vicine a tavola e avevano appena finito di mangiare, quando entrò Max che, salutandole, crollò su una sedia.
- Giornata dura…  -  mugugnò. La zia si alzò dalla sedia e andò in cucina a preparare qualcosa anche per lui. Acqua aveva scoperto con piacere che nel castello non vi erano né domestici né servi e bisognava fare tutto da sé, proprio come piaceva a lei e come era abituata a fare.
- Caspita, che occhiaie, Max! Ti dovresti riposare ogni tanto, non credi? - chiese Acquamarina, che era seriamente preoccupata per lui, dato che era una settimana che non si riposava, tanto era passato dal giorno dell’attacco.
- Sai quanto mi piacerebbe! Stanotte sono stato di ronda… -
- È successo qualcosa di strano? - domandò Corallina, che ormai era resa molto più partecipe degli eventi.
- No, niente. Ci era sembrato di vedere qualcosa ad un certo punto, ma alla fine non è successo nulla. Domani tocca di nuovo a me. - disse Max, sospirando.
- Non sarebbe meglio se ti riposassi? Hai già fatto cinque nottate di ronda e le altre due di battaglia e altro. È da una settimana che fate delle perlustrazioni notturne e spedizioni armate e non avete visto nulla di strano. - continuò Acqua, pensando ai bagliori dei lumini verdi che si vedevano di notte sul perimetro delle mura.
- Lo so, ma non si è mai troppo prudenti. Potrebbero tornare da un momento all’altro! -
- Certo, ma io lo vedrei… - questa volta fu Corallina ad interromperla:
- No, non lo vedresti. Credimi, Darcon non sarà così stupido da passare di nuovo sotto gli occhi della statua. Ha già capito tutto, Acqua. -
- D’accordo, mi arrendo, avete ragione. - rinunciò la ragazza.
- E stamattina? C’era un  bel po’ di movimento intorno alla piazza del mercato. - chiese Corallina.
- Abbiamo allestito una specie di ospedale in una grande casa disabitata, stiamo curando un sacco di persone ferite. Purtroppo stamattina è morta una bambina…si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, poverina. Aveva cinque anni. - in quel momento arrivò la zia con un buonissimo pranzo per Max.
- Lo sai che non è stata colpa tua, Max. Non ce l’avrebbe fatta comunque, povera piccola, aveva delle ferite troppo profonde…non potevi guarirla. - Acqua capì che Max aveva tentato di curarla, ma non ci era riuscito. Doveva sentirsi malissimo.
- Ehm…vieni, Corallina. Andiamo a studiare. - Acqua si alzò lentamente dalla sedia e salutò Max, poi si avviò pian piano verso la sua stanza, con Corallina al fianco.
- Ma cosa caspiterina ti sei messa addosso? - le chiese Corallina, notando i jeans per la prima volta. Erano tutti scoloriti e strappati sul davanti, per tutte le volte che Acqua li aveva messi.
- Li ho portati dalla Terra. Si chiamano pantaloni. -
- Grazie, lo so come si chiamano…ma le ragazze non li usano qui, li mettono solo gli uomini quando combattono… -
- Allora credo che dovrai abituarti a vedermeli addosso, perché penso che me li metterò tutti i giorni. - Corallina fece una smorfia.
- Se è questo quello che vuoi… -
- Dovresti provarne un paio, sono comodissimi. - ribatté Acqua e la cugina si mise a ridere, la sua voce argentina si sparse per tutto il corridoio. Infondeva allegria.
- Dimmi una cosa: Max è un medico? Non me lo ha mai detto. - chiese Acqua appena Corallina smise di ridere.
- In teoria no, non avrebbe ancora il via libera per farlo, ma all’ultimo anno di scuola ha frequentato un corso di medicina e siccome non ci sono molti medici qui, o almeno non tanti quanti ne servirebbero, lo hanno preso comunque. Ti assicuro che è bravissimo, quasi quasi se ne intende di più che la mamma, però si sta buttando giù per il fatto di quella bambina...è da un paio di giorni che ne parla. - Le due ragazze proseguirono in silenzio e, quando arrivarono in camera di Acquamarina, si misero a studiare, un po’ controvoglia da parte di Corallina.

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Capitolo 19
*** Allergia ***


Capitolo 19
Allergia

 
Qualche giorno più tardi, Acqua se ne stava in camera sua, sola: Corallina era già andata a scuola. La ragazza si sedette alla scrivania e prese dal cassetto il libro che aveva trovato in biblioteca. Era tutto ricoperto di pelle rossa, e il titolo era impresso in corsivo e dipinto d’oro. Acqua aprì la prima pagina del libro, saltò la parte introduttiva e iniziò a leggere:
Quando si formò l’universo , la magia che vi era nell’aria si aggregò ad alcuni pianeti, mentre altri ne restarono privi. Si operò quindi una distinzione tra questi due tipi di pianeta. Come sappiamo, il nostro fa parte dei pianeti magici. La magia è, infatti, una componente fondamentale per la vita. Quando si è formato, il nostro pianeta era ed è tuttora composto da due entità differenti, ma indivisibili e inseparabili, unite da un profondissimo legame. Alla distruzione di una di queste due parti corrisponde anche la distruzione dell’altra. La prima delle due entità è il pianeta vero e proprio su cui viviamo, ricoperto dalle acque, mentre la seconda è rappresentata dal cosiddetto dragone d’acqua, costituito appunto da acqua, detentore di tutti i poteri magici esistenti sul nostro pianeta e il loro unico vero possessore. Il dragone d’acqua è colui che dona i poteri agli uomini attraverso il suo canto, simile a una dolce sinfonia, che possono udire solo i destinatari dei poteri. Per ogni tipo di potere magico non vi può essere che un destinatario. I modi in cui un potere può essere trasmesso si dividono in tre categorie: due di queste categorie sono naturali. La prima modalità del passaggio dei poteri si verifica quando il canto del dragone viene udito da un bambino appena nato, che è in grado fin da piccolo di utilizzarli, ma per la maggior parte dei casi non può controllarli completamente. Il destinatario deve essere quindi istruito a controllare i suoi poteri appena possibile. La seconda modalità del passaggio di poteri si verifica quando il canto viene udito da una persona che è già adulta, o comunque non alla nascita. Anche in questo caso è necessario esercitarsi, perché non sempre la persona utilizza i poteri in modo responsabile e controllato. Vi è poi una terza possibilità per imparare ad utilizzare i poteri, ma non è naturale ed inoltre non si è possessori del potere, ma solo utilizzatori, come se si “prendessero in prestito” i poteri di qualcun altro. Questo avviene quando il possessore dei poteri, che li ha ricevuti alla nascita o in seguito, insegna ad un’altra persona a riconoscere il canto del dragone… ≫  Acqua interruppe la lettura perché Max era entrato in camera. Il ragazzo si buttò sul letto, la abbracciò e le scompigliò i capelli, come ormai era diventato di rito in quei giorni.
- Allora, che stai facendo? - le chiese.
- Leggo. - rispose Acqua, chiudendo la copertina per fargli leggere il titolo. - E tu? - gli chiese poi.
- Dovevo dire una cosa a tua zia, così sono passato a salutarti. Come va la gamba? -
- Benino. Fa un po’ male, ma è sopportabile! Quella che non è sopportabile è la noia… -
- Senti, stavo pensando…è già una settimana che sei qui. Ti andrebbe di ricominciare la scuola, pensi di riuscirci?  -
- Certo, non aspettavo altro! Non sai che noia stare a casa tutte le mattine…ricomincio domani? - chiese la ragazza
- Va bene. Allora io faccio il possibile per organizzare i funerali nel giro di breve. Abbiamo ancora una settimana, poi la vacanza finisce… - le ricordò Max. I due rimasero in silenzio, e Acqua vide che Max stava leggendo la pagina che lei aveva finito poco prima.
- Posso farti solo una domanda? - chiese Acqua
- Spara. - rispose lui, con gli occhi ancora sul libro.
- Io a quale dei tre tipi appartengo? - Max la guardò negli occhi, sorridendo.
- Proprio tu me lo chiedi? Naturale, dalla nascita. - 

***

Il giorno dopo a scuola, Acqua stava fissando Celeste che, ormai da un’ora, continuava ostinatamente a prendere appunti senza nemmeno guardare quello che scriveva. Proprio come al solito. La voce dell’insegnante le arrivava smorzata dalle chiacchiere dei suoi compagni, che quella mattina non riuscivano a stare zitti.
- ...la bandiera della nostra città è rimasta molto simile a quella creata alla sua fondazione: è costituita da un quadrato bianco con il contorno blu, simbolo di armonia, e un cerchio, sempre blu, al centro. Su questo cerchio hanno appoggio quattro colonne stilizzate che si dirigono ognuna verso un vertice del quadrato. La bandiera simboleggia quindi le quattro colonne portanti che reggono l’armonia della città e che…  -  Acqua smise di ascoltare eritornò a fissare Celeste, ma nell’istante in cui si voltò incontrò gli occhi azzurri come il ghiaccio della ragazza, che si era voltata.
- Vogliamo fare silenzio? - chiese l’insegnante, rivolta al gruppetto alle spalle di Acquamarina. Celeste si girò. 

***

La piazza era gremita di gente. Acquamarina non aveva mai visto così tante persone in un solo posto da quando aveva percorso per la prima volta le vie della sua città. Dove di solito erano sistemati i banchetti del mercato avevano trovato posto file su file di sedie, panche e panchine. Tutti stavano prendendo posto e, man mano che la piazza si riempiva, scendeva il silenzio. Acqua vide che in prima fila, molto distante da dove si trovavano lei, Max, Corallina e la zia, c’erano tutti i parenti dei defunti. A sinistra c’era Henri con la sua famiglia, poi vi erano molte persone che la ragazza non conosceva, Shairina con la madre e i suoi tre fratelli e, nell’ultima sedia a destra, Celeste. Cosa ci faceva lì, in prima fila? Da quanto ne sapeva Acquamarina, non era morto nessuno dei suoi parenti. E per di più era sola, non c’erano né i suoi genitori, né il fratello, quindi non poteva essere lì per la morte di un parente. Alle sue spalle qualcuno cominciò a suonare una melodia tranquilla, ma ben udibile e tutti si sedettero. Solo allora Acqua poté vedere che nella parte libera della piazza erano posizionate dieci piccole cataste di legno scuro e sopra erano stati posizionati i corpi dei morti. Il numero delle vittime era cresciuto. Acqua riuscì a trovare la bambina di cui parlava Max, che si trovava su una pila di legno verso destra. Anche da lontano erano perfettamente riconoscibili le ferite profonde che le erano state fatali, sul viso, sulle braccia e sulle gambe e, quella più grave, sul collo. Acqua vide anche che, mentre la musica continuava, il Saggio lentamente si alzava e si avvicinava alla prima catasta. Quella dello zio di Henri. Acqua lo capì perché il compagno, insieme ai familiari, si era alzato in piedi. La musica cambiò. 

***

Acqua piangeva in silenzio. Un po’ per le fitte alla gamba, ma soprattutto per la tristezza che le attraversava l’anima. Da poco era finita la cerimonia per lo zio di Henri, composta da canti e preghiere in lingua antica, che Acqua non era riuscita a seguire perché le era sconosciuta. Verso la fine i parenti si erano avvicinati alla catasta di legno per salutare per l’ultima volta il defunto e vi avevano deposto sopra alcuni oggetti che avevano avuto un grande valore per l’uomo.
Poi tutta la cerimonia ricominciò, questa volta in onore della bambina. Acqua la seguì distrattamente, pensando a tutte le vite innocenti che si erano piegate sotto la forza del male. A tutti quelli che avevano combattuto per la salvezza, ma non ce l’avevano fatta. A quelli che non avevano niente a che vedere con la battaglia, ma erano rimasti schiacciati dalla violenza delle armi, lasciando i parenti e tutte le persone care in un mare di dolore. Tra le vittime, oltre ai combattenti e alla bambina vi erano giovani e ragazzini. Nella pira di legno al centro giaceva il corpo di un ragazzino di tredici anni, che se ne era andato lasciando tutto e non aveva più un futuro. Non era giusto, la guerra doveva al più presto finire.
La famiglia della bambina si diresse verso il centro della piazza, per l’ultimo saluto. Acqua notò che in mezzo al piccolo gruppetto vi era un’altra bambina, della stessa età di quella  che riposava sulla catasta di legno. La gemella.
La piccolina dai capelli biondi si era avvicinata al corpo della sorella e le aveva messo in mano una bambola di pezza. Le diede un bacio sulla guancia, poi si rimise a sedere al proprio posto, piangendo, ma Acqua notò che le lacrime cadevano solo dall’occhio sinistro. Rivolse uno sguardo interrogativo a Max, ma lui era  troppo coinvolto nella cerimonia e le rispose la zia, sottovoce:
- È una caratteristica dei gemelli, piangono da un occhio solo. E se uno dei due fratelli piange con l’occhio sinistro, è certo che l’altro lo fa con l’occhio destro. - Acqua capì che la prima parte della cerimonia era finita. Non si sentiva più la musica e tutti si erano alzati in piedi sotto l’invito del Saggio, che guidava lo svolgersi del funerale:
- Ora vi prego di fare silenzio, sta per avere inizio l’ultima parte della cerimonia di oggi: diamo omaggio alle vittime con il Fuoco della Purezza e dell’Addio. - Acquamarina si stava chiedendo cosa significassero le parole del Saggio, quando una fiamma si sprigionò dalla parte bassa delle cataste e avvolse completamente le prime due pire, come in un abbraccio materno. I cadaveri bruciavano lentamente insieme agli oggetti che erano stati depositati loro accanto, ma il legno non dava alcun segno di bruciatura e non si rovinava. La cosa che colpì di più Acqua fu che il fuoco non si spegneva anche se erano sott’acqua, ma rimaneva sempre costante. Dopo molto tempo, verso sera, le ceneri iniziarono a sollevarsi verso l’alto e a ruotare come una spirale.
La ragazza rivolse uno sguardo alle persone in prima fila e notò che guardavano tutte verso il basso, tranne Celeste. Aveva lo sguardo puntato verso il fuoco e non lo distoglieva mai. Sembrava incantata, proprio come quando a scuola prendeva appunti guardando la signora De Orchis. Nel momento esatto in cui il fuoco finì, abbassò lo sguardo e cercò quello di Max, voltandosi indietro, gli occhi colmi di tristezza e inquietudine, le sopracciglia aggrottate. Cercava qualcosa da lui. Appoggio, aiuto, comprensione. Per una volta sembrava una persona normale. Vide Max risponderle con un piccolo cenno della testa, come un incoraggiamento. Celeste si girò di nuovo in avanti, e i suoi capelli ondeggiarono lievi sulle sue spalle. 

***

Acqua era tornata sulla Terra da un paio di giorni. La vita era ripresa normalissima, salvo per il torrente di domande che la mamma le aveva riservato. Per fortuna che, prima di porre fine alla loro “vacanza in montagna”, Acqua e Max si erano accordati su ogni minimo particolare di quello che avrebbero dovuto fare durante quei giorni, inventando una bugia colossale in modo che, se Lyliana avesse chiesto qualcosa, sarebbero stati pronti a rispondere. E infatti, Acqua dovette raccontare più volte alla madre ogni particolare delle due settimane trascorse via: per il primo giorno Lyliana non fece altro che fare domande, ma pian piano era tornata alla routine di sempre.
Acqua se ne stava sdraiata sul letto della sua camera, sulla Terra, aspettando che sorgesse il sole. Era tornata da poco dall’ultima giornata ad Atlantis, ed erano le sei di mattina. Quei giorni erano stati tristissimi. Dopo il funerale dello zio di Henri e della bambina le cerimonie erano continuate e ogni giorno Acqua vi partecipava. Erano giornate malinconiche, piene di dolore e anche in quel momento, ripensandoci, le venne voglia di piangere. Max continuava sempre a consolarla, ma non c’era niente da fare. Per lei era insopportabile l’idea della morte di quelle persone, avrebbe voluto fare qualcosa per loro, ma non ci era riuscita.
- Tesoro…sei sveglia? - le sussurrò Lyliana dalla porta.
- Sì, mamma. Stavo per alzarmi. - rispose lei, rivolgendole uno sguardo assonnato. Si era abituata bene ad Atlantis, dormendo anche di notte…
- Che occhi che hai. Sono tutti rossi e gonfi. Sei sicura di sentirti bene? -
- Sì, è tutto ok. Probabilmente sono allergica a qualcosa che mi ha dato fastidio in questi giorni. - disse Acqua, raccontando l’ennesima frottola. Sì, probabilmente sono allergica alla guerra, pensò la ragazza.



- - - Angolo autrice - - -
Ho tentato in tutti i modi di inserire l'immagine della bandiera di Atlantis che avevo creato apposta per pubblicarla, ma non ci riesco e non capisco cosa sbaglio... accidenti >.< 
Che dire, in questi capitoli l'atmosfera si è fatta un po' più cupa e Acqua si sta rendendo conto di che cosa significa veramente essere in guerra... In questo capitolo ho spiegato anche un po' come funziona il mondo di Atlantis e i poteri che vengono donati dal Dragone. Quando ho scritto questo capitolo (un sacco si tempo fa, a quanto pare :D) , mi sono resa conto che fino a questo punto non avevo mai detto niente di preciso sulla questione dei poteri ecc. e quindi ho cercato di fare un po' di chiarezza. 
Comunque, piccola nota di servizio, per qualche settimana non potrò pubblicare, quindi ci sentiamo verso settembre! ;)

Alessia Krum

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Capitolo 20
*** Il nuovo attacco ***


Capitolo 20
 Il nuovo attacco

La sua furia era incontenibile. Non solo l’ultima battaglia si era risolta con una sconfitta clamorosa ed avevano dovuto abbandonare il loro progetto iniziale, ma ora gli venivano anche a comunicare che tutte le spie infiltrate si erano fatte uccidere miseramente…Darcon alzò un braccio e lasciò che la sua rabbia si sfogasse. Dalle dita aperte partirono raggi di energia rossa che si andarono a schiantare contro la parete della grotta e fecero franare la roccia ovunque, sollevando un gran polverone. Il Capo dei Cavalieri che era venuto a dargli la notizia si riparò dalle frane alzando un braccio squamoso, mentre dal punto in cui si trovava prima il suo Signore si diffondevano grida di rabbia.
- Siete inutili! A cosa mi servite se non sapete neanche usare tutti i poteri che vi ho dato? Siete forti e potenti, ma se non usate il cervello, i muscoli non vi serviranno più! Siete così stupidi che anche queste rocce saprebbero fare meglio di voi! Per questa volta lascerò perdere, ma ricordate che io vi ho creato e posso anche distruggervi in pochi secondi, se fosse necessario. Andate, attaccate quell’insulsa città e questa volta fate in modo di vincere: mirate ad uccidere e ad infiltrarvi più numerosi che potete. Ma soprattutto uccidete senza pietà, tutti quelli che trovate sulla vostra strada devono essere eliminati. - concluse Darcon, mentre il suo servitore scappava via velocemente. Inutili ammassi di stupidi, pensò il Signore Oscuro. 
Sperò che quella volta facessero di meglio, che dandogli come solo obiettivo quello di uccidere, il motivo per cui erano stati creati, forse avrebbero agito meglio. La volta precedente aveva detto loro di cercare la principessa, colei che rappresentava il pericolo più grande per la loro vittoria, ma aveva sottovalutato i suoi poteri. Lei li aveva subito intercettati e poi era scappata da vigliacca, lasciando la sua gente a morire al posto suo. Ma gli abitanti erano pronti, erano riusciti a sconfiggere gran parte dei suoi soldati e lui era stato costretto a ritirarsi. Perché per ricreare la gran parte del suo esercito avrebbe dovuto spendere un sacco di energie, al contrario di quello che dava a vedere.
Ma nella sua mente si stava già formando un nuovo piano e per farlo aveva bisogno di nuovi poteri. Si diresse verso la parete opposta della grotta, dove si trovava la fila dei prigionieri del ghiaccio. Puntò verso la ragazza bionda accucciata a terra e appoggiò le mani sul ghiaccio freddo. 
 
***
Da quanto tempo era lì? Non se lo ricordava. La ragazza, imprigionata nella morsa di ghiaccio, non si rendeva conto del tempo che passava. Poteva essere passata un’eternità da quando era stata fatta prigioniera, come potevano essere passati pochi minuti. Non sapeva cosa ne sarebbe stato di lei, non sapeva se avrebbe avuto un futuro o se sarebbe rimasta intrappolata lì dentro, non sapeva se il Signore Oscuro le avrebbe fatto del male. Era completamente sola, abbandonata al suo destino e ormai non aveva neanche più la forza per sperare. La ragazza, immobilizzata nel terribile attimo in cui, rannicchiata a terra, cercava di proteggersi dall’attacco nemico, udì dei passi raggiungerla. Era preoccupata, ma quando vide il mantello scuro di Darcon, al limite del suo campo visivo, che si avvicinava, il terrore l’assalì. Ancora non le era successo nulla di male, ma era sicura che la calma non sarebbe durata così a lungo. Ecco che Darcon appoggiava le mani sul ghiaccio e cominciava a sottrarle energia e, insieme, i suoi poteri. Era questo che voleva. I poteri di metamorfosi, che erano la sua essenza, la sua vita. La ragazza sentì un forte dolore, vicino al cuore, che non la faceva respirare. Spalancò gli occhi e provò ad urlare, ma non ci riuscì, il ghiaccio le tappava la bocca. Si rendeva conto che le forze la stavano abbandonando, non riusciva a tenere gli occhi aperti e non sentiva più le mani ed i piedi. Ma il dolore insopportabile rimaneva, e cresceva ogni secondo di più, fino a quando raggiunse il suo apice, poi sparì. E si portò dietro i suoi poteri, la sua voglia di vivere e tutto quello che le apparteneva. 

Chiuse gli occhi.
***

Darcon si avvicinò alla parete franata e con le rocce e i suoi nuovi poteri creò un nuovo Cavaliere, simile agli altri ma dotato di nuove capacità. Lo avrebbe mandato in mezzo alla mischia, ma non a combattere. Era il suo asso nella manica per la riuscita del suo piano.
 
***

Acqua girovagava per il mercato da circa mezz’ora, sulla Terra. Ora che aveva imparato a sfruttare appieno i suoi poteri aveva molto più tempo libero: lavava i pavimenti usando i suoi poteri mentre leggeva o studiava, e il lavoro era finito molto prima. Anche tutti gli altri lavoretti con l’acqua li eseguiva in quel modo, ed era diventato naturale per lei usare i suoi poteri anche sulla Terra, tanto che quando doveva lavarsi le mani apriva l’acqua e regolava la temperatura senza toccare il rubinetto. Quella mattina aveva finito presto di fare i suoi lavori e stava facendo un giro per il mercato della città, ma per via della folla non era ancora riuscita a vedere un banchetto. Si sollevò sulle punte dei piedi per vedere al di là del fiume di gente, ma si sentì afferrare il braccio da qualcuno. 
La presa, energica, la stava trascinando verso un angolo scuro della piazza, dove due alti palazzoni disposti ad angolo creavano una zona d’ombra. Acqua cercò di opporsi alla forza che la trascinava, ma quando riuscì a scorgere tra la gente il viso di Max, si rilassò un po’. Ma che cosa ci faceva lì a quell’ora il ragazzo? Si erano visti solo un paio di ore prima…
Max raggiunse una zona nascosta dagli sguardi della gente in un vicolo buio, poi si fermò davanti ad Acqua. La sua espressione era stranissima. Un misto di paura, incredulità, sconforto, dolore, coraggio e determinazione che fecero presagire il peggio alla ragazza. “Cosa è successo?”, stava per chiedere, ma Max la anticipò:
- Siamo sotto assedio. - disse. Fu come un pugno nello stomaco. Acquamarina rimase immobile alcuni istanti, tramortita dal peso di quelle parole, immobilizzata dal panico, il respiro corto e le gambe che tremavano.
- Ci circondano completamente, abbattono le porte, si infiltrano in massa…hanno delle nuove armi e delle strane cavalcature. Distruggono tutto quello che incontrano e hanno già fatto un gran numero di morti. -
- Ok. Ok…sono pronta. Dammi solo un po’ di tempo per inventarmi una scusa decente per la mamma e poi ti raggiungo… - disse Acqua cercando di mettere in fila le cose.
- No, no…mi hai frainteso. Non voglio che tu combatta, non questa volta. È la battaglia più disastrosa che io abbia mai visto, è troppo pericoloso per te ora. Non me lo perdonerei se ti succedesse qualcosa di grave...è veramente una cosa senza precendenti. Hanno buttato giù una parte del castello e sono venuto per dirti che avevo intenzione di portare Corallina qui sulla Terra. Solo per un po’ di tempo…ho già pensato a tutto io. La lascerò in un hotel dove tenevo sempre una stanza per me, insomma…per le evenienze. Dovrai solo andare da lei ogni tanto o portarla con te al palazzo.  -  Acqua vedeva che Max era in grave difficoltà e aveva bisogno d’aiuto. Avrebbe accettato volentieri, ma c’era ancora uno scoglio da superare.
- Ok, per me va benissimo, anzi, sono molto contenta, ma…rimane da convincerla! - finalmente L’espressione di Max si alleggerì un pochino.
- Se è per questo è tutto a posto…gliene ho già parlato ed è entusiasta…non vede l’ora di vedere il posto dove sei cresciuta e soprattutto di incontrare Lyliana. - 
- Ah…molto bene. Allora siamo d’accordo. -
- Ok! Vado a recuperarla, la porto in hotel e poi veniamo da te… - disse Max abbracciandola e stringendola forte. Acqua vide una macchia rossa che si allargava sempre di più sulla camicia di Max, dietro la schiena.
- Sei ferito! -
- Ehm…già. Piccolo incidente di percorso…comunque non ti devi preoccupare, è una cosa da niente e ormai ci sono abituato, è sopportabile!  -
- Sarà, ma io non sono tranquilla… - Max toccò il suo braccialetto: stava per andare…
- Buona fortuna! - sussurrò Acqua e fece appena in tempo, perché mezzo secondo dopo Max non c’era più.
 
***

Acqua correva a perdifiato verso casa, seguendo con gli occhi il percorso degli alberi che fiancheggiavano la strada, e cercando di stare al passo con i suoi pensieri. Ancora una volta era successo tutto in fretta. Troppo in fretta. Lo scontro rischiava di portarle via tutto quello a cui si era affezionata in quel periodo, tutto quello di cui non poteva più fare a meno.
La battaglia poteva distruggere Atlantis, ma quello che le interessava di più era che poteva distruggere la vita di un sacco di gente. Perché ormai lo sapeva, battaglia equivaleva a morti, anche  se non erano molti, erano pur sempre persone che si erano sacrificate. Inoltre, c’era anche un altro fattore che inquietava la ragazza, anche se prima non ci aveva mai pensato: la madre aveva preso la decisione di farla crescere sulla Terra per proteggerla dai continui assalti. Ma allora perché non l’avevano fatta tornare dopo la fine della guerra, se l’obiettivo era quello di proteggerla? Il pericolo era uguale allora come quindici anni prima...e c’era anche un’altra cosa che non le piaceva: avevano deciso di proteggerla per tutto quel tempo, ma la sua vita non valeva di più di quelle di tutte le persone che erano rimaste ad Atlantis. Come la vita di quella bambina…
Nel frattempo il cielo si era fatto scuro.
 
***

Suonarono alla porta. Quando Acqua aprì, incontrò subito il viso raggiante di Corallina, che le si buttò subito addosso per abbracciarla.
- Wow, sei bellissima!  - le fece i complimenti Acqua. Erano cambiate un po’ di cose, per esempio che i suoi capelli erano rossi e basta, senza ciocche azzurre, e la pelle era di un normalissimo rosa, ma i suoi occhi verde smeraldo e il suo sorriso contagioso erano sempre gli stessi.
- Grazie! Anche tu, non ti avevo mai vista così… -
- Terrestre? -
- Già. Proprio la parola giusta! -
- Come ti senti? -
- Solo un po’ strana. Anche tu sei strana, e anche Max lo è, gliel’ho detto poco fa... - esplosero le chiacchiere Corallina. Il ragazzo da dietro scosse la testa e replicò:
- Se vuoi l’aggettivo più adatto per descriverla in questo momento, io la definirei euforica... - i tre scoppiarono a ridere. Max le salutò e fece per chiudere la porta, ma Acqua lo bloccò:
- Fermo, tu! Dove credi di andare? Girati di spalle. - il ragazzo mise le mani in alto e si voltò, con un sorriso divertito. Acqua osservò per bene la sua maglietta, diversa da quella di prima.
- Ok, puoi andare, hai passato l’esame! - commentò la ragazza con tono di approvazione, vedendo che le macchie di sangue erano sparite. Doveva essersi fatto medicare nel frattempo. Max sorrise e se ne andò, lasciando le due cugine che ridevano come matte. Trascorsero qualche istante in quel modo.
- Ok. E adesso che facciamo? Mi porti a conoscere la mia zia adottiva? -  chiese Corallina, con gli occhi pieni di allegria.
- D’accordo. Però poi tu mi dovrai raccontare un po’ di quello che è successo. Ho già parlato alla mamma di te. Devi solo rispettare due “regole”, per rendere più credibile la cosa. Uno, ti chiami Cora e non Corallina, perché è un nome alquanto insolito qui. Due, sei la cugina di Max e non la mia, quindi non chiamarmi cugina. Io ovviamente non ho parenti qui sulla Terra. -
 
***

Corallina era estasiata. Acqua le stava facendo vedere il palazzo dei suoi padroni, che ovviamente non aveva nulla a che vedere con il castello ad Atlantis, ma ogni cosa che vedeva la stupiva. Andava avanti e indietro per il corridoio ad osservare i soprammobili, i quadri, i lampadari…
Acqua la seguiva sorridendo divertita. A Corallina sembrò che la situazione si fosse ribaltata rispetto a quando aveva portato la cugina a fare una visita del  castello di Atlantis. Arrivarono in un corridoio molto grande dove,  da una delle stanze, si sentivano provenire molti rumori di voci. Acqua le fece segno di fare silenzio e di tornare indietro. Corallina le mostrò la lingua e fece dietrofront di mala voglia. La cugina la prese sottobraccio.
- Sala da pranzo. - le spiegò - Non dovrei essere qui a quest’ora...ti porto dalla mamma. -
Corallina esultò mentalmente, non vedeva l’ora. Acqua la condusse nelle cucine. Aprì lentamente la porta.
- Mamma? - la chiamò.
- Vieni, tesoro. - disse una voce dolce dall’interno della stanza.
Acqua spalancò la porta e si fiondò tra le braccia della signora grassoccia dai capelli grigi che spignattava davanti ad una pentola fumante. Le due si abbracciarono con calore, come se non si vedessero da secoli, poi la signora le stampò un bacio sulla fronte. Sembrano proprio madre e figlia, pensò Corallina con una punta di tristezza. 
- Mamma, questa è Cora. - la presentò Acqua.
- Salve! - salutò Corallina.
- Ciao, cara. Sei molto gentile, ma diamoci del tu... - 
- Ehm, mamma...la pentola! - esclamò Acquamarina, vedendo che l’acqua sul fuoco cominciava a bollire.
- Sono un disastro...ecco, adesso sistemo tutto. Voi intanto sedetevi, aspettiamo gli altri e poi mangiamo... - comunicò Lyliana.
- Oh, io non pranzo… - disse Corallina.
- Ha già mangiato in albergo. - si affrettò a riparare le cose Acqua. 
- Sei sicura che non vuoi niente? - chiese Lyliana, premurosa come al solito.
- No, grazie. - 
 
***

- Ecco, è andata così. -
Corallina finì di raccontare e si buttò sul letto di Acqua. Lei se ne stava seduta su una sedia accanto alla finestra e guardava fuori con aria mesta. Pioveva a dirotto e il tempo sembrava proprio in linea con il suo umore. La parte ovest del castello, dove si trovavano la sala da pranzo e la cucina e la camera dei suoi genitori era andata distrutta. La porta nord era andata distrutta. Le case di molta gente erano andate distrutte. Insomma, gran parte della città era andata distrutta e con essa anche la sua capacità di sperare. Ma d’altra parte non voleva rovinare la giornata anche a Corallina, che di certo sapeva meglio di lei quello che era successo. La cugina si era divertita moltissimo quel giorno, aveva finalmente fatto la conoscenza di tutte le persone che conosceva Acqua, aveva esplorato il palazzo ed ora se ne stava estasiata ad osservare la pioggia…che ovviamente ad Atlantis non esisteva.
- Che forza... - commentò, la bocca spalancata dallo stupore e gli occhi sgranati - gocce d’acqua che cadono dal cielo...stranissimo, ma bellissimo. -
Acqua non poté fare a meno di notare la differenza fra le loro due espressioni: lei triste e abbattuta, la cugina felice come un bambino davanti ad un sacchetto di caramelle.
Le venne da ridere.
- Ok, vieni. Andiamo fuori, facciamo un gioco che abbiamo inventato io e Max quando eravamo piccoli. -
- Ma non sarà pericoloso uscire con la pioggia? - domandò Corallina e Acqua sorrise.
- No, non penso...al massimo ci becchiamo un raffreddore! Ormai è maggio, fa già caldo. -
- Se lo dici tu... -
- Ok, si gioca così: adesso usciamo e stiamo fuori sotto la pioggia senza ripararci sotto gli alberi o cose del genere…la prima che si arrende e torna alla porta perde! - spiegò Acqua mentre andavano fuori.
Rimasero sotto la pioggia battente per più di un’ora: si divertirono un mondo, correndo per il parco e inzuppandosi dalla testa ai piedi. Ma Acqua non smise mai di pensare alla battaglia che si stava svolgendo ad Atlantis. Giocarono a rincorrersi, Acqua insegnò alla cugina ad arrampicarsi sugli alberi (il suo primo impulso era stato quello di spiccare un salto e di muovere le braccia come per nuotare) e risero moltissimo quando, al primo tuono, Corallina aveva fatto un salto per lo spavento.
Stavano ancora ridendo per quel motivo, quando videro Max arrivare dal cancello del parco. Gli corsero incontro e gli si buttarono addosso senza smettere di ridere.
Lui le abbracciò una alla volta e le guardò con aria interrogativa. Avevano entrambe i vestiti fradici e dai capelli appiccicati al viso scendevano goccioline che rigavano loro le guance.
- Il gioco della pioggia! - spiegò Corallina tutta contenta, con un’aria da angioletto. Max la riacciuffò e le mise un braccio intorno al collo, strofinandole il pugno chiuso sui capelli e spettinandola tutta. Per tutta risposta lei gli fece una linguaccia.
- Allora, come vanno le cose? - chiese Acqua, facendosi improvvisamente seria.
- Non molto bene, ma suggerirei di cambiare argomento e magari anche l’espressione terrorizzata delle vostre facce: Lyliana ci sta guardando dalla finestra di camera tua, Acqua. - disse Max salutando con la mano verso la finestra e le due ragazze lo imitarono. Attesero scherzando che la signora ritornasse ai suoi impegni e poi Acqua ripartì all’attacco:
- Non sai quanto sono in pensiero! Cosa succede, allora? -
- È un disastro, continuano ad arrivare altri Cavalieri…stiamo cercando di elaborare una strategia, nel frattempo ho chiesto a tutte le persone disponibili e dotate di poteri di aiutare per ricostruire almeno le case della gente, poi si vedrà. -
- Quindi anche la mamma è...? - chiese Corallina con  tono apprensivo.
- Sì, anche lei sta dando una mano, è normale…dopotutto lei ha un grandissimo potere di ricostruzione. Comunque non ti devi preoccupare perché abbiamo preso tutte le protezioni possibili, quindi lei non è in pericolo. E poi c’è stato un grande miglioramento dopo che si è verificato un fatto strano: sembra che si sia creata una cupola protettiva sopra la città che non lascia entrare nessuno da fuori ma che permette alle persone all’interno di uscire. Copre anche le porte e tutto il perimetro delle mura. Insomma, una vera e propria benedizione.  -  concluse lui sorridendo. Acqua gli accarezzò un braccio per dimostrargli vicinanza.
- Possiamo andare dentro? Ho un freddo cane. - chiese Corallina stringendosi nella giacca che, però, era bagnata fradicia.
- Sì, d’accordo. Siamo tutti stanchi e infreddoliti, che ne dite se faccio un tè? - commentò Acqua. In quel momento era l’unica cosa che si sentiva di fare.
Era stranamente stanca; più del solito, considerato che dormiva due ore al giorno. Anche Max non aveva una bella cera e di sicuro anche lui era distrutto. Ritornarono tutti dentro all’asciutto e si riposarono davanti ad una bella tazza di tè bollente avvolti nelle coperte invernali di Acqua, per asciugarsi almeno un po’.
- Cosa pensi che sia? - chiese ad un tratto la ragazza, svegliandosi dalla specie di trance in cui era sprofondata da un po’, ma rimanendo sempre immersa nei suoi pensieri.
- Cosa? - rispose Max.
- Cosa pensi che sia la cupola protettiva? - ripeté Acqua con aria assorta.
- Non lo sappiamo di preciso. Finché dura la battaglia non abbiamo tempo per guardarci, insomma, siamo un tantino occupati... Però ho provato a fare alcune ipotesi e sono arrivato alla conclusione che finalmente il Dragone d’acqua si sia risvegliato dopo tutti questi anni. Perché, essendo il garante della pace e dell’armonia nel nostro mondo dovrebbe aver fermato questa guerra da un sacco di tempo e invece non si è mai fatto vivo. Ed è una cosa strana...  -
- Già, considera che questa guerra minaccia seriamente di distruggere il mondo e quindi anche il Dragone...non é mai successo che una guerra durasse così tanto...prima che le cose volgessero al peggio é sempre intervenuto.  Questo periodo è stato chiamato il Grande Letargo - lo interruppe Corallina. Evidentemente su quell'argomento era abbastanza informata. Ma neanche lei riusciva a spiegare il motivo della lunga assenza del Dragone. Rimasero per un'oretta a fare congetture sulla causa della comparsa della cupola e, visto che non riuscirono a trovare un motivo più valido di quello di Max, rinunciarono. 



- - - Angolo autrice - - -
E eccomi di nuovo, scusate per l'assenza, ma come avevo detto non ho potuto pubblicare per vari motivi. In questo capitolo veniamo a conoscenza di un piano di Darcon (che ovviamente cercherò di non farvi capire fino alla fine, eheh), Corallina fa un viaggetto sulla Terra e ad Atlantis succede una cosa strana. Tra qualche capitolo scopriremo da dove viene questa cupola protettiva; nel frattempo ricordatevi di questo fatto singolare!
Negli ultimi capitoli si è sentito molto parlare del Dragone e ormai avrete capito che, nonostante il suo lungo periodo di inattività, la sua figura è destinata a ritornare molte volte nei discorsi e nelle azioni dei personaggi. Il Dragone è come una leggenda a cui tutti credono e che tutti prendono per vera, qualcuno spera ancora nel suo intervento, ma non ci vorrà molto perchè queste speranza inizino a sgretolarsi...  
Al prossimo capitolo :)

Alessia Krum

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Capitolo 21
*** Cora la Terrestre ***


Capitolo 21
Cora la Terrestre
 
Passò una intera settimana, e poi un'altra ancora, ma da Atlantis pochissimi miglioramenti. Max andava a trovare Acqua e Corallina, ribattezzata Cora, appena poteva, ma le sue visite si fecero progressivamente sempre più rare. Le ragazze comunque non lo biasimavano per questo, anzi capivano perfettamente. Il tempo sembrava dilatato, le lancette dell'orologio giravano talmente lente che una giornata non finiva più. Acqua avrebbe veramente voluto far conoscere bene a "Cora" il suo mondo, e impazziva dalla voglia di portarla al lago dove andava sempre con Max, tuttavia il suo umore non era dei migliori, e quello di Corallina men che meno. Così passavano il tempo chiacchierando di cose inutili, come i vari pettegolezzi di scuola e aneddoti della loro infanzia, tranquille e rilassate in modo che chiunque, ascoltandole, non avrebbe potuto sospettare nulla. Ma in realtà i loro animi erano molto più agitati. Corallina raccontò ad Acqua che faceva fatica a dormire la notte, un po' per quello che avevano chiamato fuso orario tra i due mondi, un po' per la tensione e un po' per i sogni terribili che faceva.
- Sto cominciando ad avere degli incubi di notte...- aveva infatti raccontato ad Acqua tre giorni prima.
- Raccontameli. - disse Acqua sedendosi vicino alla cugina.
-  Allora, hai presente quell'incantesimo che ti ha colpito due mesi fa?- dopo aver ricevuto conferma da Acqua, Corallina proseguì - Beh, due anni fa anche Max se lo è beccato, solo dieci volte più forte, e in pieno petto. - Acqua rabbrividì pensando al dolore che doveva aver provato - Stava per morire, cugina, ti rendi conto? Sentivo le sue urla di notte e anche di giorno. E credimi, è una cosa molto rara sentire Max urlare. La mamma mi ha raccontato che per farlo stare calmo ha dovuto legargli le braccia e le gambe al letto. Io non ho avuto il coraggio di andarlo a vedere per tre settimane, e quando sono andata era ancora in preda al dolore... Per fortuna che la mamma lo ha trovato in tempo quando gli hanno scagliato l'incantesimo ed è riuscita a curarlo... Beh, fin qui è filato tutto bene, o almeno al meglio possibile. Invece stanotte ho sognato che lui era... Beh, era... era morto! So che potrebbe sembrarti una cosa banale. Insomma, è solo un sogno, però sembrava così reale che, ti giuro... mi sono spaventata moltissimo. -
 
***
Il giorno dopo andò nello stesso modo, con Corallina che raccontò alla cugina di aver visto morire Henri davanti ai suoi occhi e di non essere riuscita a fare niente per salvarlo. 
- Penso che il direttore dell'albergo sia cominciando a preoccuparsi: la sua stanza è poco lontana dalla mia e sono già due notti che urlo e mi agito nel sonno... - riferì. Così le due ragazze decisero che Corallina quel pomeriggio si sarebbe trasferita nella camera di Acqua. La contessa era al corrente della presenza di quella strana ragazza negli alloggi dei domestici, ma tenne il naso lontano dagli affari che non la riguardavano. Quelle che invece non riuscivano a farsi gli affari loro erano Janissa e Kate, che continuavano ad origliare e a seguirle. Acqua non poteva più svolgere le faccende con l'uso della magia, cosa che invece faceva sempre quando, per esempio, doveva lavare i pavimenti, e quindi ci impiegava sempre più tempo. Corallina le faceva sempre compagnia, ma il più delle volte stava zitta perché le due antipatiche sorelle erano sempre in agguato, con le orecchie tese. Due giorni dopo Corallina, sempre più stanca, si stese un attimo sul letto di Acqua e lì si addormentò. Essendo il giorno libero di Acqua, la ragazza prese uno dei libri che si era portata da Atlantis e lesse il titolo. “Storia della magia. Le origini e il dragone”. Non aveva mai finito di leggerlo... Inoltre tutti gli altri libri che aveva li sapeva ormai a memoria. Così si sedette su una sedia ai piedi del letto e iniziò a leggere.
 
***
- No. No!! -Acqua stava ancora leggendo il libro, quando Corallina iniziò a mugugnare nel sonno e a girarsi e rigirarsi nel letto. Acqua chiuse il libro tenendo il segno con le dita e si girò verso la cugina, chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare... In quel momento Corallina cacciò un urlo talmente forte che si decise a lasciar cadere il libro a terra e a tuffarsi sul letto per svegliare la cugina. Quando la prese per le spalle e cominciò a scuoterla stava ancora urlando.
- Coral… Cora! Cora, svegliati! - le gridò e la cugina si alzò all'improvviso, gli occhi sbarrati, il respiro corto e il viso imperlato di sudore.
- Noooo… - gemette, affondando il viso fra la mani - Ancora, nooo… non ce la faccio più, sono così stanca di questa situazione! - 
- Ti va di raccontarmi cosa hai visto? - le chiese Acqua, poggiandole la mano sulla spalla. Corallina rimaneva immobile, a gambe incrociate con le mani nei capelli e gli occhi stanchi.
- No, non ne ho voglia. - rispose lei, saltando giù dal letto e sistemandosi i vestiti spiegazzati  - Piuttosto, spero che Max si faccia vivo il più presto possibile, non posso più sopportare quest’ansia, devo sapere cosa succede là… Potrebbe anche essere che qualcuno che conosciamo sia… -  
- Non dirlo neanche! - strepitò Acqua, e corse ad abbracciarla. Le accarezzava leggermente i capelli, che profumavano di mare e la cugina, che aveva stretto i pugni attorno alla maglietta di Acqua, mormorò a bassa voce: -  Mi pizzicano gli occhi… - si sciolsero per un attimo dall’abbraccio e Acqua vide che agli angoli degli occhi si erano formate due piccole lacrime che brillavano d’azzurro.
- E’ normale, cugina: stai piangendo!  - 
***
 
Il giorno dopo, come se lo avessero chiamato, Max si presentò puntuale all’ora della posta. Quando Acquamarina lo vide percorrere il vialetto d’ingresso mollò la scopa e, insieme con la cugina, scorse a perdifiato fino a quando non finirono direttamente addosso a Max, rischiando di farlo cadere. Rimasero stretti l’uno all’altra per parecchio tempo e i loro tre cuori battevano così veloci che potevano essere scambiati per il battito delle ali di un uccellino di passaggio. Corsero tutti insieme verso la panchina più vicina senza fiatare, Corallina si sedette in braccio a Max come un cucciolo impaurito, lui la stringeva con tenerezza. Acqua notò che il ragazzo aveva l’aria veramente malconcia: in effetti sembrava uno zombie e aveva lividi, tagli e croste dappertutto. Particolarmente evidente era la cicatrice ancora non perfettamente rimarginata sullo zigomo destro, doveva aver preso un bel colpo…
- Ti prego, raccontaci qualcosa… coma vanno le cose là? - partì subito Corallina, in ansia.
- Beh, la battaglia vera e propria è finita oggi. Li abbiamo fatti fuori quasi tutti, la barriera ha retto e questo ci ha dato un grande vantaggio. I rifornimenti di Darcon sono finiti e lui ha bisogno di tempo per rigenerare completamente il suo esercito. Ora viene la parte più difficile; dobbiamo ricostruire tutto, montare la guardia sia di giorno che di notte, contare i morti e preparare i loro funerali e curare i feriti: sarà un periodo di inferno! Ma ora è più sicuro, non dovrebbero più tornare per un po’ di tempo.  - spiegò Max con estrema lentezza e voce stanca.
- I morti e i feriti? - chiese Acqua.
- Già: quanti sono e chi sono? - completò Corallina, i cui occhi luccicavano già di azzurro. Da quando aveva scoperto che poteva piangere, ne approfittava più spesso per sfogarsi.
- Un centinaio di feriti e un’ottantina di morti: molti di più della volta scorsa, ora capisci Acqua perché ti dicevo che erano pochi? Tra i morti nessuno che conoscete, tra i feriti invece molti giovani , tra cui anche vostri compagni di classe ed Henri, ci tenevo a dirtelo, Cora. -  nel sentire il nome dell’amico, Corallina scoppiò letteralmente in singhiozzi. Max le lasciò qualche minuto perché si calmasse e dopo un po’ lei gli chiese, balbettando, come stava. 
- E’ una ferita da taglio su un braccio, colpa di una spada. E’ abbastanza profonda, ma ti posso assicurare che non è nulla di preoccupante, l’ho già controllato io personalmente. - la ragazza allora chiuse gli occhi, fece un paio di respiri profondi e poi, finalmente rassicurata, sorrise. 
- Se volete tornare, vi dò il via libero già da domani. Il castello è già ricostruito grazie ai poteri di Olimpia, probabilmente vi annoierete molto, ma capisco che abbiate voglia di vedere tutti gli altri. Quindi, Cora la Terrestre, si sloggia!! - lei emise un piccolo ululato di contentezza, poi precisò che le era piaciuto stare sulla Terra e tutto il resto, ma avrebbe preferito farlo in un altro frangente. Poi cominciò a saltellare allegra verso l’alloggio dei domestici per iniziare a preparare le sue cose, visto che quella sera sarebbe tornata a casa. 
- Sicuro di stare bene? - chiese Acqua a Max. Entrambi cominciarono a seguire lentamente Corallina.
- Sì, sono solo stanco. Ce la siamo cavata anche se, sinceramente, è stata la battaglia più disastrosa che abbia mai visto! Però è andata bene. -  Acqua sembrava molto, molto scettica. 
- Sto bene, davvero! - la rassicurò lui - Solo che mi aspetta un periodo non facile, non so quanto dormirò. - 
- Se vuoi puoi fermarti qui a riposare, oggi. Tanto ora è notte, là. - Acqua tentò il colpo, ma evidentemente non fece centro.
- Devo cominciare già a curare alcune persone che sono messe veramente male. Non so quanto posso aspettare ancora. Un ragazzino rischia di perdere un braccio e io… mi sento abbastanza responsabile, ecco. Ora vi saluto poi vado, vi aspetto stamattina. - 
- Aspetta! Prima di andare spiegami come funzionano i poteri della zia, non ne avevamo mai parlato.  -
- Beh, diciamo così: riesce a scandagliare ogni più piccolo frammento di materia e trovare le particelle dello stesso tipo, poi le unisce tutte insieme formando l’oggetto iniziale. Un po’ come un puzzle microscopico… in realtà non so bene come funziona, ma lei me lo ha sempre spiegato così. -

***
 
Tutto era tornato alla normalità, o quasi. Una settimana e mezzo dopo, quasi tutti gli edifici erano stati ricostruiti grazie a Olimpia, anche se nei pressi di case disabitate si ergevano ancora cumuli di macerie. I funerali erano iniziati e non sarebbero terminati entro poco, perché il numero dei morti era salito a novantadue nel frattempo. La scuola era ripartita e i ragazzi erano più occupati che mai, il chiaro intento della signora De Orchis era impedire loro di andare in giro a scuriosare dando fastidio a chi lavorava. Henri era tornato qualche giorno dopo per via della ferita, le due cugine lo avevano riaccolto con grandissimo affetto e anche ammirazione quasi esagerata da parte di Corallina. Lei lo riteneva veramente coraggioso, dato che era riuscito ad immischiarsi nella battaglia senza farsi vedere dai genitori. Ogni tanto gli chiedeva:
- Ti fa male? - guardando il braccio bendato e lui rispondeva, imbarazzato:
- Un po’... - 
Corallina gli rivolgeva un sacco di attenzioni e Acqua notò anche l’affetto profondo con cui lo guardava. Sorprese anche Henri a lanciare alla cugina qualche imbarazzata occhiata affettuosa. Quando i loro sguardi si incrociavano, entrambi si giravano dall’altra parte facendo finta di niente, anche se in realtà avvampavano fino alle orecchie, diventando colore dei loro capelli. Acqua aveva rischiato molte volte di mettersi a ridere quando capitavano queste scene. Avrebbe potuto aspettarsi questa grande timidezza da “Pesce Pagliaccio”, ma da Corallina proprio no! Lei che era sempre impulsiva e agiva secondo l’istinto… ricordò che anche al loro primo incontro le si era subito buttata addosso e perciò stentava a credere che d’improvviso fosse diventata così timida. Gliel’aveva fatto notare a volte, ma lei negava tutto, anche la più remota possibilità che Henri le piacesse. Tuttavia, aveva cominciato ad invitarlo molto spesso al castello con la scusa dei compiti e, quando arrivava a casa da scuola, trangugiava in fretta il pranzo, per poi rifugiarsi in camera sua ed attendere con impazienza il suo arrivo. Ogni volta che gli chiedeva, con falsa disinvoltura, mentre tornavano a casa con i libri sottobraccio:
- Sei libero oggi pomeriggio? - e lui rispondeva di sì, sul volto di entrambi si dipingeva un sorriso che avrebbe potuto illuminare anche l’abisso più profondo. Il resto del tragitto lo percorrevano in silenzio attraverso le dense nubi rosse di sangue che ancora aleggiavano per le vie e, arrivati al punto dove di solito si salutavano, si abbracciavano con molto calore, ovviamente senza dimenticare Acqua, ma quando si stringevano solo loro due, sembrava che appartenessero ad un universo tutto loro… Poi, al pomeriggio, mentre Acqua dormicchiava nella sua stanza e loro “facevano i compiti insieme” chiacchieravano e ridevano con un volume di voce talmente alto che a volte Acqua li sentiva. E la camera di Corallina era dall’altra parte del castello.
Comunque Acqua era contenta per loro, li trovava molto carini insieme.
La cosa che invece non le andava giù era l’assenza di Celeste da scuola. Certo, era contenta di non vederla per un po’, e capiva che magari era rimasta ferita nella battaglia quindi aveva bisogno di riposo e di restare a casa, ma non era così. Celeste continuava ad andare in giro tranquilla, come se nulla fosse e per di più non aveva nessuna ferita! Quindi saltava la scuola di proposito e la signora De Orchis non diceva nulla, perché anche lei l’aveva vista in giro per le vie di Atlantis, con quel suo irritante ciuffo di capelli neri sugli occhi. Quando le parlava non poteva neanche fissarla in quegli occhi azzurro ghiaccio, per via di quel ciuffo antipatico… non la sopportava! Mentre pensava queste cose nella tranquilla calma del biblioteca, sentì dei passi affrettati e anche abbastanza rumorosi venire verso di lei e due voci eccitate che ridevano e chiacchieravano insieme e poco dopo Corallina ed Henri sbucarono nella corsia dove si trovava.
- Usciamo a fare un giro in giardino? - proruppe Corallina e senza aspettare una risposta, si tuffò giù dalle finestre per atterrare circa dieci piani più sotto, seguita da Henri e dalla cugina che si era fatta condizionare subito dalla sua allegria.
Max si arrabbierà con noi più tardi, ma ormai è fatta!, pensò. Il ragazzo aveva infatti raccomandato a tutti di non fare cose che potessero renderli visibili da lontano, e tuffarsi dalla torre più alta del castello di sicuro rientrava nella categoria.

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Capitolo 22
*** Il Consiglio di Guerra ***


 

Capitolo 22
Il Consiglio di Guerra

 
Acqua aspettava appoggiata all’arco di pietra che introduceva al giardino del tempio. La signora De Orchis non era ancora arrivata per la lezione di magia e lei si stava annoiando un sacco. Vide una sagoma arrivare da lontano e sperò ardentemente che fosse lei, ma dopo pochi secondi scartò l’ipotesi. Troppo alta e slanciata per essere lei. In effetti più si avvicinava, più Acqua distingueva una figura maschile che, dopo aver varcato la soglia della scuola, riuscì a riconoscere: era Henri.
- Ciao Acqua! - la salutò, deponendo la sacca dei libri a terra.
- Ciao! - la ragazza era contenta di avere qualcuno con cui passare il tempo. - Che fai di bello? - gli chiese.
- Sono venuto perché devo chiedere una cosa alla signora De Orchis, ma lei non è ancora qui, vero? -
- Esatto, hai indovinato. - Seguì un momento di silenzio, dato che nessuno dei due sembrava avere un interessante argomento di conversazione.
- Senti, non per essere impicciona, ma cosa devi chiederle? Perché se ci metti poco ti lascio andare prima di me, io ho la mia lezione di magia e ti farei aspettare troppo... - disse Acqua. Non le sembrava il caso di lasciarlo lì in piedi per un'ora ad aspettare.
- Grazie, sarò velocissimo, devo solo chiederle una cosa per il Consiglio di Guerra...- rispose lui, distratto, e si accorse solo dopo di aver detto troppo. Acqua lo stava già guardando con occhi confusi, ma lui le disse subito, agitato:
- No, non ti dirò cos'é. Non guardarmi con quegli occhi, non avrei nemmeno dovuto parlarne. - e si limitò a fissare un angolo della stanza.
- Eddai, ti prego... - ma, vedendo che le sue suppliche non sortivano l'effetto desiderato e forse la facevano sembrare una bambina capricciosa, Acqua cambiò strategia.
- Tu non tu puoi immaginare quanto ci sentiamo escluse da tutto questo io e Corallina, siamo sempre fuori dalle cose importanti, nessuno ci dice mai niente... - ma non fece in tempo a finire la frase, che Henri ribatté:
- Non é assolutamente vero, tutti i ragazzi al di sotto dei diciotto anni non ne sanno nulla, perciò non siete le uniche. -
- E allora come mai tu ci sei dentro? - chiese la ragazza, sapendo di aver colto nel segno. In effetti Henri rimase spiazzato per qualche secondo, prima di rispondere. Lui aveva sedici anni.
- Beh, suppongo che sia per via dei miei poteri... - disse, riluttante. Acqua rimase di stucco.
- Che...cosa? Io...non sapevo che tu avessi dei poteri! - esclamò, sorpresa.
- Lo so, lo tengo segreto apposta... - rise lui - Diciamo che non ne vado molto fiero, ma almeno mi danno la possibilità di dare una mano. Sai, io sono sempre stato un bambino sincero, non mi piaceva mentire. Poi, quando avevo nove anni ho sentito il canto del Dragone, e indovina il potere che mi capita? Illusione. Menzogna, in poche parole. Guarda. - chiuse gli occhi, e in un attimo il suo viso cambiò. Era diventato biondo, le lentiggini e gli occhiali erano spariti e gli occhi azzurri ora erano molto più scuri. - Ora tu mi vedi in modo diverso. Ma in fondo sono sempre io. Se mi specchiassi, il vetro manderebbe indietro la mia immagine normale. - e ritornò sé stesso storcendo il naso - Vedi perché non vorrei che tutti lo sapessero? Penserebbero tutti che sono un bugiardo. Insomma, potrei anche essere travestito da Cavaliere e ammazzare metà della gente che c'é qui, poi tornare nei miei panni e fare l'innocente. -
- Ma bisogna essere veramente stupidi per pensare una cosa del genere di te! - ribatté Acqua.
- Aspetta a dirlo, alcuni lo pensavano. É stato Max a convincerli del contrario quando mi ha ammesso al Consiglio. -
- Anche Max...? -
- É il presidente. - disse Henri d'un fiato.
- Cosa? Ma...lui non me l' aveva mai detto... - provò a protestare Acqua.
- É quella stupida regola dei diciotto anni...nessuno la vuole cambiare a parte me, Max e un altro paio di persone. Ma al Consiglio siamo più di cinquanta, quindi dobbiamo stare alla maggioranza... -
- E cosa fate quando vi riunite? - chiese Acqua, sempre più incuriosita. Henri si rifiutò di rispondere, ma la ragazza gli fece notare che ormai gli aveva detto quasi tutto.
- Ok, ma non dire a Max che sono stato io a dirtelo...digli che lo hai sentito da delle signore che parlavano o una cosa del genere. - Acqua giurò.
- Bene, intanto io non sono l'unico sotto i diciotto ammesso, ma ce ne sono anche altri. Durante le riunioni parliamo principalmente di strategie di guerra o cose simili e organizziamo spedizioni o le cure per i feriti, i funerali eccetera...la volta prima dell'ultima battaglia abbiamo provato questa strategia dove io ero il centro e diciamo che non é finita benissimo, quindi abbiamo lasciato perdere. - disse indicandosi il braccio fasciato.
- Oh. E cosa prevedeva questa strategia? -
- In teoria dovevo travestirmi da Cavaliere e attirare un po' di quei bestioni senza cervello in un vicolo cieco dove mi aspettavano gli altri per ammazzarli tutti... Intanto stavo mantenendo sotto copertura altra gente e mi sono distratto. Sono passato davanti a una finestra e un Cavaliere mi ha visto...puoi immaginare il finimondo che si é scatenato,mi erano tutti addosso. Non avranno cervello, ma sono fatti per uccidere, quei maledetti mostri...ero sicuro che non ne sarei uscito vivo, invece sono arrivati gli altri. E per fortuna! Ora però preferirei non parlarne più... - Acqua annuì, mogia. Altro silenzio interminabile. Poi la ragazza parve risvegliarsi.
- E invece come vanno le cose con Corallina? - disse con la voce da angioletto, ammiccando. Henri diventò rosso come un pomodoro.
- B-bene. - balbettò, ma fu salvato in extremis dalla signora De Orchis che stava arrivando. Il ragazzo si fiondò da lei, lasciando Acqua, che rideva sotto i baffi, da sola.
 
***
 
Acqua non disse nulla a Max, perché non voleva mettere nei guai Henri, ma non si astenne dal manifestargli il proprio risentimento, dato che l'aveva tenuta all'oscuro di tutto. Lui non capiva il perché di tanta ostilità, non gli sembrava di aver fatto cose particolari, per cui alla fine si spazientì delle rispostacce e dell'umore nero di Acqua.
- Mi vuoi dire perché ti comporti così? Non ti ho fatto niente! - le disse un giorno, dopo che lei gli aveva risposto male.
- Sì, hai ragione. - rispose lei, rassegnata, ormai le era passata la rabbia - Sono solo stanca. Probabilmente é perché non sono più abituata a non dormire, dopo due settimane normali durante l'attacco. Però non sono convinta, anche sulla Terra ero così stanca e là dormivo... -
Acqua diceva sul serio. Dall'ultimo attacco si sentiva stanchissima, come se qualcosa le stesse prosciugando le forze. Max propose una settimana di solo Atlantis, così si misero d'accordo con Lyliana (con largo anticipo) per qualche giorno in montagna. Il primo giorno di "vacanza" era talmente contenta di potersi riposare che si mise a cantare mentre andava a scuola. La mattinata passò in un soffio, e così il resto del giorno. La notte dormì benissimo, sebbene dalla piazza venissero strani rumori che probabilmente avevano a che fare con la ricostruzione, ma il giorno dopo il senso di stanchezza non era passato. Così Max si offrì di farle una visita, per capire cosa non andava. Fece un sacco di prove, ma non riuscì a tirarne fuori nulla.
- Proviamo con l'ultima cosa. - disse, rassegnato. - Sdraiati sul letto. - Acqua obbedì. Max le poggiò le mani sul collo e lei sussultò, non perchè fossero fredde, ma perché i polpastrelli di lui le avevano sfiorato le branchie e aveva sentito una strana sensazione. Era come solletico, ma diverso. E non avrebbe saputo dire perché, ma non le piaceva per niente. Max sorrise.
- Lo so, é strano. Dà fastidio anche a me, sai? Però é un po' diverso...a me prudono le dita. - anche Acqua sorrise e Max sospirò - Bene, iniziamo. Adesso farò una cosa strana, non ti preoccupare però, stai tranquilla e non dire niente. - al minuscolo accenno di Acqua, Max iniziò il conto alla rovescia - Tre...due...uno... - il ragazzò serrò delicatamente le dita attorno al collo di Acqua, le tappò per un attimo le branchie, fece una leggera pressione e alzò lentamente le mani. Incrociò per un attimo lo sguardo della ragazza. Non aveva paura, Max sapeva che si fidava di lui, ma quando dai suoi palmi cominciò a formarsi una bolla gialla che si ingrandiva sempre di più, Acqua sgranò gli occhi.
La bolla si estese fino a diventare grande esattamente quanto Acqua. Max ormai faceva fatica a non farla scoppiare, era fragilissima. La bolla inglobò il corpo della ragazza e lo sforzo divenne ancora più grande per Max. Non si era ancora abituato, malgrado lo facesse praticamente tutti i giorni.
- Dammi le mani! - disse ad Acqua e lei alzò le braccia, confusa da quello che stava succedendo, ma non disse nulla. Le loro dita si intrecciarono e finalmente la bolla si stabilizzò. Max continuò a stringere le mani di Acqua fra le sue, in attesa di vedere una cosa precisa, poi avrebbe fatto scoppiare la bolla. Sapeva esattamente cosa avrebbe potuto vedere e sapeva ancora meglio cosa voleva vedere. Fissò Acqua negli occhi e attese insieme a lei. Passarono alcuni minuti, poi improvvisamente la bolla divenne nera. Era successo esattamente l'opposto di quello che avrebbe voluto. - Che succede, Max? - urlò la ragazza dall'interno e la bolla si ruppe.
- Era questo lo scopo di quello che ho fatto. Purtroppo non sono notizie belle, né utili. - disse, mollando la presa sulle mani di Acqua e aiutandola a rialzarsi. É una cosa che serve per capire l'origine delle malattie o di strani sintomi come il tuo. Se la bolla diventa verde, sono cause normali, se diventa nera, l'origine di queste cose é un incantesimo. - spiegò.
- Ma come é possibile? Nessuno avrebbe potuto colpirmi! Durante tutta la battaglia sono stata sulla Terra... - protestò la ragazza.
- Sì, é quello che penso anche io. A meno che...non ci siano dei Cavalieri infiltrati dentro alle mura. Proverò ad organizzare qualche rastrellamento per trovarli. Intanto tu prova a riposarti, magari ti passa. - rispose Max, con un sorriso incoraggiante. Ma, in fondo, non ci credeva nemmeno lui.


- - - Angolo autrice - - -
É da molto che non pubblicavo e mi dispiace molto per questo ritardo, però ora che è iniziata la scuola non riesco più ad avere il tempo necessario per correggere e pubblicare. Mi dispiace, ma credo che per un po' non riuscirò ad aggiungere capitoli su efp, mentre invece la scrittura va avanti! Pubblicherò qualche capitolo saltuariamente, quando ne avrò il tempo...per adesso vi saluto e, come sempre, grazie per essere arrivati qui! <3

Alessia Krum

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Capitolo 23
*** Mamma, papà e...Max! ***


Capitolo 23

Mamma, papà e...Max!
 
Il giorno dopo Acqua si recò in biblioteca, perché doveva fare una ricerca per la scuola. Girava per gli scaffali cercando qualcosa che la ispirasse per scrivere il tema sugli attacchi di squali dai denti a sciabola degli ultimi secoli, ma era un argomento talmente assurdo che nessuno dei libri della biblioteca sembrava parlarne. Decise di rimanere in biblioteca per studiare, il silenzio là dentro era tale da riuscire a far concentrare anche il ragazzo più distratto del mondo. E lei aveva proprio bisogno di concentrazione, rimbalzava da un pensiero all'altro talmente velocemente che temeva che la testa le potesse scoppiare da un momento all'altro. Percorse gli ultimi metri di corridoio sovrappensiero e non si accorse che c'era una piega nel tappeto, così inciampò e cadde rovinosamente a terra. Dimenticandosi che sott'acqua la caduta era molto più lenta, cercò di aggrapparsi a uno scaffale con il solo risultato di trascinare con sé un mucchio di libri. Si rialzò sbuffando e cominciò a reinserire i libri in ordine quando notò l'angolino di un quaderno che sporgeva dietro alla fila interminabile di volumi noiosissimi. Incuriosita, afferrò l'angolo del quaderno e lo tirò fuori. Finì di rimettere a posto gli altri libri osservando la sua copertina. Era un quaderno normalissimo, come quelli che usava lei per andare a scuola, con la prima pagina di alghe colorate intrecciate fra loro. Pensò di portarlo al Saggio, nel caso qualcuno lo avesse dimenticato venendo a studiare in biblioteca. Un sacco di gente veniva lì, magari era di qualcuno che conosceva. Aprì la prima pagina e le venne un tuffo al cuore quando lesse il nome che c'era scritto sopra. Non poteva crederci! Azzurra, ecco il nome scritto in fretta e furia al centro della pagina in una grafia disordinata e con le lettere arrotondate, tremendamente simile alla sua. Quel quaderno apparteneva a sua madre! Acqua non stava più nella pelle dalla voglia di aprirlo, ma non poteva farlo lì dove tutti la potevano vedere. Insomma, non era stupida, sua madre non si era accidentalmente dimenticata il quaderno di scuola dietro uno scaffale intero di libri, no, lei lo aveva nascosto, e di sicuro non si trattava di un normale quaderno. Prese un libro a caso e lo nascose dentro, poi si avviò per uscire dalla biblioteca. Purtroppo il Saggio era lì seduto alla scrivania, come al solito, che leggeva un tomo alto quasi più di lui. Acqua gli passò vicino e lui le fece un piccolo cenno con il capo per salutarla. Lei ricambiò nascondendo meglio il quaderno, ma non poté fare a meno di sentirsi sciocca. Il Saggio sapeva tutto, non importava come riuscisse ad indovinare quello che ti passava per la testa, ma comunque lo faceva. Acqua aveva la netta sensazione di sembrare una grande idiota con quel sorriso finto stampato sulla faccia, ma sperava che lui non si accorgesse di nulla. Invece il risultato fu esattamente l'opposto, la ragazza notò un'aria divertita negli occhi dell'anziano signore ed esitò un attimo.
- É tuo di diritto, ragazza mia. - le disse sorridendo con enorme affetto, e lei se ne andò via felice, scomparendo attraverso il pesante portone della biblioteca.
 
***
 
Allora, se sei riuscito ad aprire questo quaderno significa che sei una persona di cui mi fido, o alla quale avrei voluto far leggere queste pagine. Ho messo un incantesimo sulle fibre di alghe della copertina, perciò quelli che non rientrano nelle categorie sopra non possono aprire il quaderno. Ma cominciamo dall'inizio: questo NON é un diario, diciamo che é piuttosto un racconto di quello che é successo negli ultimi giorni, mi fermerò qui. Non penso di avere il tempo di scrivere un diario, avrei troppe cose da dire, già ora sono un po' confusa. Adesso però sto divagando, dovevo partire dall'inizio ma non l'ho fatto. Mi chiamo Azzura, ho diciassette anni e mezzo, e sono in punizione a vita. Ma rifarei mille volte quello che ho fatto per meritarmela. In realtà secondo me questa faccenda é assurda ma
Non riesco a tenere il filo del discorso! Riparto un'altra volta e questa volta voglio raccontare tutto per bene. Il motivo per cui mi sono "meritata" un castigo infinito é che sono scappata. Via. Fuori. Per un giorno intero. Con il mio ragazzo (quanto lo adoro!).
No! Adesso non smettete di leggere pensando che io sia una stupida adolescente frivola e senza cervello, ci ho pensato moltissimo, anche con Aquarius, e siamo arrivati a questa conclusione insieme. Non ne possiamo più! Stiamo insieme da tre anni ormai e non possiamo neanche comportarci come due fidanzati normali. Beh, in realtà non siamo normali, lui é il figlio del re (e ci tengo a precisare che non sto con lui solo perché così diventerò regina, come sostengono tutte le altre ragazze - anzi, non mi piace stare al centro dell'attenzione, suppongo che dovrò abituarmici), ma questa non é una motivazione sufficiente per quello che ci stanno facendo. É soprattutto quella vecchia megera della madre di Aquarius, Dona, che ci mette i bastoni fra le ruote. Secondo lei esistono queste vecchie regole di comportamento per cui i fidanzati reali (cioè noi), non possono esibirsi in certe "effusioni" in pubblico. Ovviamente non siamo così sciocchi da metterci a baciarci davanti a tutti, ma la vecchia sta esagerando, ci esaspera. Non possiamo neanche tenerci per mano nei corridoi deserti del castello, se ci vede parte subito la ramanzina. E lei ha il potere di vedere attraverso i muri, perciò non conta a nulla nascondersi in una stanza per avere un po' di privacy. Scommetto che se ci fosse un'altra ragazza al posto mio non sarebbe così severa. Non le sono mai piaciuta, di questo sono sicura. Io e Aquarius ci siamo conosciuti al ballo di primavera tre anni fa, abbiamo ballato insieme per caso e poi, dopo la festa, abbiamo iniziato ad uscire insieme. Sono sicurissima di non piacere a Dona, già dalla prima volta che mi ha visto, mentre ballavo con suo figlio. Di sicuro lei voleva scegliere la ragazza più giusta per Aquarius secondo i suoi criteri, e lui mi ha raccontato che ci ha provato diverse volte, anche se non gli interessavano le ragazze che gli venivano presentate. Ha detto che quando mi ha visto é stato un colpo di fulmine...questa cosa mi fa impazzire di gioia! Comunque adesso sembra che Dona mi abbia un po' accettata, ma questo non la rende più simpatica con me. Per questo abbiamo deciso di scappare per un giorno. Aquarius é passato stamattina molto presto a prendermi e siamo usciti dalle mura, siamo andati lontanissimi da tutti i posti in cui si potrebbe pensare che ci nascondiamo. Lontano da Arkàn, lontano dal fiume e lontano dalle grotte. Abbiamo trovato un enorme masso ai piedi della montagna Emersa e ci siamo nascosti lì dietro. Purtroppo sono crollata a dormire poco dopo, ero veramente esausta perché ci siamo alzati prestissimo stanotte. Ci siamo addormentati abbracciati e posso giurare di aver sentito che mi accarezzava ogni tanto...
Mi ha risvegliato coprendomi di baci, abbiamo fatto colazione insieme con i dolci che avevo preparato per l'occasione, e abbiamo trascorso la giornata coccolandoci a vicenda. Abbiamo parlato di tutto, abbiamo scherzato, ci siamo riposati e poi abbiamo potuto finalmente comportarci come due veri fidanzati. Ne avevamo bisogno, non siamo quella coppietta di ragazzini stupidi che stanno insieme una settimana e poi si lasciano subito. Noi vogliamo stare insieme per sempre, non importa quello che dicono gli altri. Anzi, Aquarius ha detto che la prima cosa che farà quando sarà re sarà cancellare le regole di comportamento di sua madre. Cerco solo di non pensare che quando lui sarà re, io sarò regina (tutte le volte che mi viene in mente mi si stringe lo stomaco dall'ansia). E questo accadrà nel giro di un anno e mezzo, dato che io e Aquarius ci sposeremo tra un anno. Le nozze sono già fissate ma, se devo essere sincera, non sono sicura di volermi sposare ora...avrò solo diciotto anni! Non che io non ami Aquarius, anzi… Lui é tutta la mia vita, non so come farei senza di lui, ma diciotto anni mi sembra veramente troppo presto. Nel frattempo cerchiamo di sfruttare questi momenti di privacy, anche se adesso penso che faremo veramente fatica, dato che non posso uscire di casa praticamente per il resto dei miei giorni... Quanto sono depressa!  :(
 
***
 
Acqua accarezzò la copertina del quaderno e lo rimise sulla sua scrivania. Una nuova sensazione si era impossessata del suo cuore, ma non sapeva che nome darle. Tristezza? Solitudine? Nostalgia, forse? Probabilmente sì, ma c'era anche qualcosa di più. Si era resa conto solamente in quel momento di quanto le erano mancate in tutta la sua vita le figure dei genitori. Certo, voleva un mucchio di bene a Lyliana e non sapeva come ringraziarla per tutto quello che aveva fatto per lei, ma era una cosa diversa. L'aveva cresciuta come una figlia e non le aveva mai fatto mancare nulla, ma Acqua avrebbe pagato qualsiasi prezzo per avere i genitori ancora lì con lei. Si sdraiò sul letto, e cercò di rilassarsi, era tardissimo perché aveva deciso di leggere il diario della mamma quando tutti erano a letto, ma non sarebbe mai riuscita ad addormentarsi con tutte quelle diverse sensazioni che le vorticavano nel cervello, rimbalzavano nello stomaco e le serravano la gola. Incominciò a vedere tutto dorato, le lacrime le offuscavano la vista. Il peggio era che lei non poteva farci niente, suo padre era morto e sua madre imprigionata nel ghiaccio di Darcon. La ragazza inghiottì il groppo che le si era formato in gola. Ma perché doveva succedere tutto questo?, pensò Acqua. Stavano così bene insieme. Stavamo così bene insieme! Aggiunse una vocina nella sua testa. Chiuse gli occhi, e una piccola, calda lacrima solitaria scese sulla sua guancia. Si addormentò con l'immagine del ritratto dei genitori fissa in mente, quel quadro che era l'unica cosa che le era rimasta di loro e dell'amore che li univa.
 
***
 
Quella notte sognò il giorno in cui Max l'aveva portata sulla Terra, gli ultimi momenti che aveva passato ad Atlantis. Rivide tutto con la stessa chiarezza e nitidezza di quando aveva rivissuto il ricordo qualche mese prima, quando aveva ritrovato le sue origini, ma quella notte ripercorse ogni cosa dal suo punto di vista.
Vide la preoccupazione sul volto della madre quando uno squillo di trombe risuonò per tutto il villaggio, segno di un nuovo attacco. Sentì passi pesanti rimbombare per tutto il corridoio dove Azzurra camminava inquieta con lei in braccio, alla ricerca di qualcosa o di qualcuno. La sua espressione era ansiosa e, appena scorse il marito arrivare dall'altro capo della stanza, affrettò il passo, fino a correre, veloce quanto glielo permetteva il peso della bambina. Vide i genitori salutarsi con grande inquietudine scambiandosi un bacio veloce. Vide il padre in armatura, con la spada che penzolava sul fianco, avvicinarsi e prenderla in braccio. Le aveva fatto un sacco di coccole e l'aveva coperta di baci, poi si era fermato a guardarla, triste, accarezzandola con un dito sulla guancia. Acqua ricordava il tocco leggero e carico d'amore del padre sulla pelle, ricordava perfettamente il suo volto, giovane e allegro, quel volto bellissimo che le metteva allegria ad ogni sguardo, ma che sapeva essere fiero e autorevole proprio come un re doveva essere. Non avrebbe mai potuto dimenticare i suoi occhi castani... Un puro concentrato di dolcezza, forza e determinatezza, un semplice sguardo l'aveva sempre tranquillizzata. Ma non quel giorno. Sebbene fosse piccolissima, Acquamarina aveva capito che qualcosa non andava, il papà era stranamente taciturno. La sua espressione tradiva un grandissimo dolore, era quasi sull'orlo delle lacrime, ma Acqua sapeva che lui non poteva piangere. Non aveva neanche un'ombra d'oro negli occhi tristissimi, lei era sicura che nessuna lacrima sarebbe mai uscita da quei profondissimi occhi castano chiaro. Neanche se avesse potuto farlo, era un uomo veramente forte. Aquarius percepì un leggero cambio d'umore da parte di Acqua, che a sua volta aveva sentito la tensione nell'aria. Strofinò il nasino contro il suo e contemporaneamente le fece il solletico sotto una pinna. Acqua cominciò a ridere come una matta e i genitori sorrisero per la tenerezza. Il padre la strinse fortissimo a sé e la madre li abbracciò entrambi. Rimasero così per diversi minuti, col respiro rotto, fino a quando Aquarius si separò lentamente dal gruppo.
- Devo andare. - disse, in un sussurro. Accarezzò dolcemente il braccio della moglie, confusa e tormentata. Sembrava spezzata dal dolore.
- Stiamo facendo la cosa giusta. - disse il re con fermezza. - Per il futuro della nostra bambina. - credeva moltissimo in quello che diceva, era sicuro della scelta che avevano fatto. Avevano deciso di sacrificarsi completamente per permettere ad Acqua di vivere un'infanzia sicura. Non importava quanto la scelta fosse difficile e dolorosa per loro.
Accarezzò di nuovo la bambina sulla guancia.
- Addio, piccola mia. -  la baciò sul capo, sospirando.
- Sarò di ritorno fra pochissimo. - disse, rassicurando Azzurra, e poi si voltò e partì a grandi passi. Il corridoio rimase silenzioso.
- La cosa giusta. - ripeté la regina per darsi forza.
Poi il sogno finì, avvolto nelle tenebre. I ricordi di Acqua non erano più così chiari in seguito. La carezza del padre le bruciava ancora come una scottatura sulla pelle, il ricordo vivido come non mai, la tristezza le riempiva il cuore anche nel sonno. Sentì di nuovo le dita morbide che le sfioravano la guancia. Poi un'altra volta, ed un' altra ancora. Questo non è un sogno, pensò Acqua, con la parte vigile del suo cervello, qualcuno mi sta davvero accarezzando.
Aprì gli occhi molto lentamente, e si trovò davanti il viso di Max.
Era lui che la accarezzava, in un punto indefinito tra lo zigomo e la tempia, scendeva leggermente lungo il profilo della mascella e il mento, e risaliva fino a sfiorarle le labbra. Lui la stava accarezzando.
- Mhmpfh... - mugugnò, ancora mezza addormentata.
- Ehi. Ti ho svegliata? - le domandò Max. Era tutto così surreale. Cosa ci faceva Max nella sua camera di prima mattina, accovacciato accanto al suo letto?
- Che stai facendo? - chiese lei, innocente. Doveva riprendersi da quel sogno. Era stato un colpo troppo forte, e per di più si trovava davanti ad un ragazzo con gli occhi castani come quelli di suo padre, che la accarezzava esattamente come faceva suo padre. Voleva lasciar affondare quel sogno nei meandri della sua mente, non voleva più pensarci, almeno per quella mattina.
- Niente. - rispose lui, imbarazzato - Stavo solo... guardando che cos'hai qua. - Acqua capì che si era inventato una scusa all'ultimo secondo, ma gli resse il gioco.
- Qua dove? - domandò di nuovo, rannicchiandosi sotto le coperte. Chissà se avrebbe fatto altri sogni simili in quei giorni. Le piaceva ricordare, ma allo stesso tempo la faceva soffrire. Chissà se i suoi genitori avevano pensato a quell'eventualità. Ma no, non era colpa loro.
- Proprio qua, vicino all'occhio sinistro. C'è una specie di cicatrice. - Max stava giocando, sapeva benissimo che cos'era quella cicatrice. Aveva solo voglia di stuzzicarla, così continuò con la voce da finta tonta.
- Ma davvero non ti ricordi? Beh, vediamo se riesco a rinfrescati un po' la memoria... Circa dodici anni fa giocavo ad arrampicarsi sugli alberi con un certo bambino, e questo bambino mi ha tirato un ramo addosso… -
- Non l’ho fatto apposta, sono scivolato! - protestò Max, interrompendo il discorso di Acqua.
- Lo so, lo so, scherzavo! - Max finse di offendersi e mise il broncio, ma dopo neanche due secondi erano entrambi esplosi in risate.
- Ti ricordi a cosa stavamo giocando? - chiese Acqua, immersa nei ricordi.
- Ai pirati? -
- Già. Giocavamo sempre ai pirati! Mi pare che quel giorno stessimo facendo le vedette, ci arrampicavamo sugli alberi per vedere meglio all’orizzonte… - Acqua si alzò buttando via le coperte, e salì nuotando sul baldacchino del suo letto. Si portò una mano agli occhi per vedere lontano e all’improvviso, puntando un dito verso Max, urlò:
- Nemico a dritta! -
- Ah, è così? Vuoi combattere, eh? - la provocò lui, e iniziò così una mini-battaglia con le spade, che erano in realtà le grucce che Acqua usava per appendere i suoi vestiti nell’armadio. I due si muovevano circospetti in cerchio sul letto di Acqua.
Max fece un affondo che lei riuscì miracolosamente a schivare girando su sé stessa. La ragazza attaccò, e poi ancora e ancora, ma Max riusciva sempre a parare.
- Sei proprio una schiappa! - infierì il ragazzo, ma questo non fece che aumentare la grinta di Acqua. Certo, stavano giocando con delle grucce sul suo letto, ma quella pratica avrebbe potuto essere un valido allenamento per quando si fosse trovata a dover combattere sul serio.
- Mi allenerai? - chiese Acqua tentando l'ennesimo affondo. Max lo parò ancora prima di quanto si sarebbe aspettata. Era formidabile, capiva le sue mosse ancora prima che lei le iniziasse. Forse era lei troppo prevedibile, o forse era lui veramente bravo. Acqua sapeva che aveva una grande esperienza, per ovvie ragioni, ma mai avrebbe pensato che fosse così agile, ed elegante nei movimenti.
- No. - disse lui, fermamente.
- Perché? Se capitassi nel bel mezzo di una battaglia... -
- Il punto è che tu NON capiterai nel bel mezzo della battaglia, non posso rischiare che ti succeda qualcosa. Per cui non ti permetterò di combattere. - Acqua provò a protestare debolmente, ma Max in pochi, fluidi movimenti le fece volare via l'arma improvvisata e la afferrò da dietro, bloccandole le braccia dietro alla schiena e premendole la gruccia contro la gola.
- Vedi? È così che si muore… loro non aspettano un secondo a tagliarti la testa, sappilo. - le sussurrò all'orecchio con voce spettrale e vagamente disgustata. Lanciò lontano la gruccia. Acqua vedeva che non ce la faceva più a sopportare quella carneficina a cui era costretto a partecipare quasi a settimane alterne, capì quanto doveva essere dura. E all'improvviso desiderò di non doversi mai trovare costretta a combattere. Aveva sempre i poteri dalla sua parte, ma non era un grande aiuto se dal lato fisico era così imbranata.
 
***
 
Due bambini erano seduti su una panchina nel parco. Una bambina di cinque anni circa si lamentava a bassa voce, mentre un ragazzino più grande la coccolava tranquillo. Dagli occhi azzurri della bambina uscivano grosse lacrime, i capelli biondi erano arruffati e da un taglietto vicino all'occhio sinistro usciva un po' di sangue.
- Ehi, adesso basta piangere, Acqua. Non ti sei fatta niente. - disse un Max più piccolo, con i capelli lunghi, come ce li aveva da bambino.
- No! - protestò Acqua, sfregandosi la manina sulla minuscola ferita e mostrando a Max il sangue che aveva raccolto.
- Ti fa paura il sangue? - le chiese Max con gentilezza.
- No. -  Acqua sembrò riflettere per un attimo, con gli occhi inondati di lacrime. - E a te? - chiese poi.
- Neanche a me. Ma allora perché piangi? -
- Perché fa male! - piagnucolò la bambina, tirando su col naso.
- Non ci credo! Stai solo facendo un po' di scena. Quel taglietto è piccolissimo, non può farti così male... -
- Ma esce tanto sangue... - si lamentò Acqua.
- Lo so, ma nella testa le ferite sanguinano di più. - disse Max, come se fosse esperto di ferite.
- Perché? - chiese Acqua col broncio.
- Non lo so, ma funziona così. Sul serio, quel taglietto è minuscolo. - Acqua non era ancora convinta e un lacrimone scese rigandole la guancia.
- Vuoi che ti faccia vedere com'è grosso? - chiese Max con pazienza. La bambina annuì, e Max avvicinò l'indice prendendo le misure. - Guarda, è piccolo così. - disse, mostrando una lunghezza come quella della falange del dito.
Acqua si rilassò, ma un paio di lacrime continuarono a solcarle il viso.
- Andiamo dalla mamma? - le chiese Max e lei annuì. Si alzarono dalla panchina e cominciarono a dirigersi verso l'appartamento dei domestici. Max aveva preso per mano la piccola Acqua, che procedeva strofinandosi gli occhi, e si era sistemato il braccialetto di alghe sul polso destro.
 
***
 
Max sospirò e scese dal letto con un piccolo salto, sedendosi per terra e appoggiandosi al letto con la schiena. Acqua lo seguì, silenziosa.
- Non ne posso più! - gemette il ragazzo, con gli occhi chiusi e il viso rivolto verso il soffitto. - È un inferno… - sussurrò poi. Max si passò le mani sul volto. Acqua lo lasciò sfogare, era un normalissimo momento di frustrazione. Forse era successo qualcosa al centro di guarigione dei feriti. Acqua aveva capito che se qualcosa andava storto, Max sprofondava in un abisso di tristezza. Purtroppo lei non era in grado di consolarlo. Era nella stessa situazione.
- Sai, ieri sera pensavo a… - cominciò a dire, ma poi non riuscì a finire la frase.
- Pensavi a… ? -
- Mamma e papà…devo fare qualcosa! Non ce la faccio più a stare con le mani in mano… e non parlo di combattere! - aggiunse poi, vedendo l’espressione contrariata dell’amico. - Cioè, mi piacerebbe, vorrei imparare e tutto quanto, però se tu dici di no, farò la brava. Intendevo un’altra cosa. Appena arrivata qui, la zia mi aveva parlato di una certa spada con i poteri di mio padre. Una cosa del genere, non ricordo bene. Vorrei recuperarla, magari serve a qualcosa. La zia ha detto che avrei potuto impadronirmi dei poteri di papà una volta aver imparato ad usare i miei. E… beh, mi sembra arrivato il momento. - disse Acqua, le sue parole erano piene di determinatezza e serietà. Max sospirò.
- L’Intoccabile, la chiamavano tutti così, la spada di tuo padre. Una spada bellissima, forse la migliore che io abbia mai visto. Versatile, forte, quasi indistruttibile, era stata forgiata apposta per lui. Si adattava così bene alla sua mano, al suo corpo, quando combatteva sembrava che il suo braccio avesse un prolungamento affilato, e non che tenesse un’arma. Era bravissimo, starlo a guardare era impressionante. Cercavo sempre di capire come si muoveva, i suoi gesti, per migliorarmi. Quando ero piccolo era come un idolo per me. - ricordò Max, in adorazione alla bravura di quello che era stato il suo sovrano.
- Guarda che anche tu sei bravissimo. - sottolineò Acqua. Aveva ancora impressa l’abilità con cui l’aveva disarmata, pochi minuti prima. Non aveva neanche capito da dove venivano gli attacchi. Max rise, divertito.
- Sei rimasta impressionata, prima? Me lo ha insegnato lui. Praticamente tutto quello che so me lo ha insegnato lui. Ma, credimi, l’ho sfidato qualche volta per gioco e non duravo più di dieci secondi. Comunque, ritornando alla spada, la chiamavano Intoccabile perché solo tuo padre poteva tenerla in mano, e anche Azzurra, ma gli altri no. Questo perché i Cavalieri non potessero impossessarsi di un'arma così perfetta se fossero riusciti ad eliminarlo. Sinceramente non ho mai provato ad afferrarla, preferisco non rischiare. - Max fece una piccola pausa, poi si schiarì la gola.
- La notte in cui Darcon lo uccise, pochi istanti prima che accadesse, Aquarius ha trasferito i suoi poteri e i suoi ricordi nella spada, in modo che anche una piccola parte di lui potesse sopravvivere. -
- E tu pensi che io possa prenderla in mano? - chiese Acqua titubante, ma speranzosa.
- Certo. Mentre Darcon faceva scena davanti a tutti chiedendosi in quale modo avrebbe potuto ucciderlo, - disse Max, sprezzante, il mento che sporgeva in avanti in un'espressione di disgusto - lui recitava incantesimi uno dietro l'altro, senza fermarsi un secondo. E Darcon non ha sentito nemmeno una parola. Ma io sì, e tra le prime cose che ha detto... -
- Aspetta. Tu eri lì? - chiese Acqua incredula,  facendo velocemente i calcoli. Suo padre era morto sei anni prima, perciò Max doveva avere circa quattordici anni allora.
- Sì. - rispose lui, riluttante. - Ed ero in prima fila, se ti interessa sapere. È stato orribile, ho visto tutto. E ne ho viste un sacco di persone morire, ma quello è stato...Cavolo, è indescrivibile. - Max continuò a parlare, guardando il soffitto. - Darcon gli aveva impedito con un sortilegio di formulare incantesimi, ma quello di cui non si è reso conto è che quel sortilegio era mirato solo a quelli offensivi e difensivi, perciò Aquarius era libero di fare qualsiasi altro incantesimo. Per prima cosa ha reso la spada accessibile anche a te. L'ho sentito, lo ha detto.  Ricordi il terzo metodo di possesso di poteri? Lui ha  fatto la stessa cosa che si fa quando qualcuno insegna i propri poteri a qualcun'altro.  In un certo senso tuo padre ha insegnato i suoi poteri alla sua spada...e legati ai poteri tutti i suoi ricordi. Poi, dopo la fine della battaglia, tua madre ha portato l'Intoccabile nella foresta dove si trova ancora e dove si è creata da sola una barriera protettiva. Tu puoi entrare, ne sono sicuro. -
- Potresti portarmi? -
- Certo che ti porto. Devo solo trovare un giorno in cui sono libero, perché questa foresta è molto lontana, per cui ci vuole un po' a raggiungerla. -
Acqua annuì, finalmente contenta di poter combinare qualcosa. Avrebbe reso onore a suo padre. Dopotutto, se lui aveva voluto lasciare i suoi poteri in un luogo a cui poteva accedere soltanto lei, significava che dovevano andare a lei. Gli occhi le si riempirono di lacrime.
- E la mamma? -
- Lei è viva, ma non sappiamo ancora per quanto. Purtroppo lo decide Darcon, come tutto ormai. Speriamo che rimanga così. -
- Così come? -
- È imprigionata nel ghiaccio, come tutti i suoi ostaggi. O strumenti, chiamali come ti pare. -
- E tu come fai a saperla, questa storia del ghiaccio? -
- Il ghiaccio è il potere principale di Darcon. Tutti gli altri li ha sottratti ai prigionieri. E poi, ho certi informatori...che mi forniscono queste notizie. Sappiamo tutto questo solo grazie alle spedizioni che facciamo ogni tanto. -
Rimasero entrambi in silenzio. Max valutava se fornire o no altre informazioni ad Acqua, e decise poi di restare zitto. Non voleva dirle troppe cose.
Acqua rimuginava con lo sguardo perso nel vuoto. Con la spada del padre in suo possesso, sarebbe stata abbastanza forte per affrontare Darcon da sola e liberare i prigionieri? Di sicuro no, e le sembrava una cosa troppo azzardata da fare. Ma così sua madre sarebbe rimasta per sempre lì.
Acqua si sdraiò sul pavimento, seguita a ruota da Max.
- Mi mancano troppo... - disse, più triste che mai. Le lacrime cominciarono a scendere.
- Anche a me mancano molto, erano come una seconda famiglia. - Max le prese la mano e cominciò a giocherellare con le sue dita, mentre lei singhiozzava senza tregua. All'improvviso Max si girò su un fianco e costrinse Acqua a fare la stessa cosa, così si ritrovarono faccia a faccia. Lui cominciò ad asciugale le lacrime dorate con l'indice, sulle guance, sul mento e sulla punta del naso, poi di nuovo sulle guance. Il che scatenò una nuova esplosione di pianto. Acqua scostò delicatamente le dita di Max dal viso, scuotendo la testa in segno di diniego. Max non capiva perché si comportasse così, cercava solo di essere carino. Intrecciò di nuovo le dita alle sue. Non voleva che Acqua fosse così triste. Certo, anche lui si struggeva nel dolore, a volte, ma vedere lei in quello stato lo faceva stare male. Qualcosa dentro di lui cominciò ad agitarsi e a scalpitare, come un cavallo selvaggio.
Max lentamente avvicinò il volto al suo, sempre mantenendo le mani unite. Quanto era bella Acqua, anche quando piangeva. Gli occhi inondati di oro brillavano come due diamanti al sole. Le lacrime le avevano tracciato piccoli sentieri dorati sulle guance, che rilucevano ad ogni respiro. Il suo viso, il suo profumo, tutto era perfetto in lei. Max si avvicinò ancora un po' e notò l'espressione confusa della ragazza, con le sopracciglia aggrottate, gli occhi socchiusi, le labbra morbide leggermente dischiuse...
 
***
 
Max si avvicinava sempre di più, Acqua non capiva cosa volesse fare. Guardò rapita quei due bellissimi occhi castano chiari, che di riflesso guardavano i suoi, e il respiro cominciò ad accelerare. Il cuore batteva forte, troppo forte, i battiti veloci si ripercuotevano in punti strani. Li sentiva sulle punte delle dita che stringevano senza molta convinzione la mano di Max, sfiorandogli il dorso pieno di graffi e abrasioni. La mano cominciò a tremare. Che cosa le stava succedendo? Per tutta risposta Max strinse ancora più forse la presa sulle sue dita. Lei andò in iperventilazione. Il cuore stava per esplodere dietro le costole. Max ormai era a pochi centimetri dal suo viso. Percorse la distanza che rimaneva e i loro nasi si sfiorarono. Max inclinò leggermente la testa. Acqua chiuse istintivamente gli occhi, il cuore che stava per sfondare la cassa toracica. Sentiva il respiro affannoso del ragazzo sulle sue labbra. Quell'attimo durò in eterno, poi Max si allontanò, mollando la presa delle mani, e si rimise a pancia in su sul pavimento, fissando ostinatamente il soffitto. Deglutì.
Acqua ritornò a sdraiarsi come prima, con gli occhi chiusi, cercando di normalizzare il respiro e i battiti del cuore. Si sentiva le guance in fiamme.
Non le importava il perché di quella strana azione di Max, a spaventarla più di qualsiasi altra cosa era stato il suo allontanamento. Lo aveva avvertito come uno strappo, una lacerazione nel profondo. Le aveva fatto male.
Ma perché si era scostato? Non riusciva proprio a capirlo.  L’unica cosa che capiva in quel momento era che la vicinanza conquistata prima era andata persa. Erano a poco più di un metro di distanza, ma sembrava già uno spazio infinito.
Max aveva rovinato tutto. Perché non poteva più averlo vicino come prima?
Improvvisamente Acqua capì perché era così distrutta, dilaniata dal dolore. Perché tutto ciò che lei voleva (i suoi genitori, Max) si erano in qualche modo allontanati da lei. Sua madre e suo padre non l’avevano fatto apposta, certo, ma Max…non ne era sicura. Però lui era ancora lì, poteva ancora stare in sua compagnia. E lei non poteva permettere che accadesse qualcosa di brutto, come con i suoi genitori. Aprì gli occhi di scatto.
- Max? - lo chiamò con voce esitante. Evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo, gli prese la mano e la strinse forte.
- Dimmi. - rispose lui, preoccupato. Forse aveva paura di sentirsi porre domande a cui probabilmente non sarebbe riuscito a rispondere.
- Mi prometti una cosa? - chiese lei, decisa.
- Dipende. - Acqua sapeva di essere infantile, ma proseguì.
- Mi prometti di non andartene? - Max capì subito cosa intendeva. ‘Andartene’ nel senso di morire o di essere catturato. Il ragazzo sospirò.
- Non so, è difficile promettere una cosa del genere. Però posso prometterti che starò attento. - disse, girandosi verso di lei. Acqua annuì sorridendo. Non avrebbe perso anche lui.



- - - Angolo autrice - - -
Ciao a tutti, volevo dire che sono ancora viva! Con questo capitolo abbastanza lungo cercherò di ricominciare a pubblicare abbastanza spesso, spero che qualcuno sia ancora interessato a questa storia ^^  e scusatemi per l'assenza... d'ora in poi comincia la parte della storia scritta più di recente (anche se recente per adesso è una parola grossa), ad ogni modo quella parte che mi sembra scritta meglio e in cui la trama comincia ad avere qualche svolta. Come sempre, sarò felicissima se vorrete darmi il vostro parere :)
A presto,

Alessia Krum

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Capitolo 24
*** Gelosia? ***


Capitolo 24

Gelosia?
 
 Acqua camminava nervosamente in giro per la biblioteca. In realtà non stava cercando nulla, aveva sperato di trovare in quel luogo la pace per poter pensare tranquillamente. Ora che quel momento era passato, aveva rimuginato tantissimo su quello che aveva fatto Max. Non lo aveva detto a nessuno, nemmeno a Corallina, perché era troppo sconvolta. L’intento del ragazzo era parso chiarissimo fin da subito, lui voleva baciarla. Ma la cosa che la confondeva più di tutte era che lei quel bacio lo voleva.
Non aveva mai pensato a lei e a Max in quel senso, come fidanzati. Ma quell’idea le sembrava stranissima. Lo aveva sempre visto come un grandissimo amico, e pensarlo come il suo ragazzo le sembrava innaturale. Ma c’era sempre quel bacio.
Quindi non potevano essere amici e basta, era riduttivo. Ma non potevano nemmeno stare insieme, lo percepiva come qualcosa di sbagliato, era contro l’ordine naturale delle cose. Acqua credeva che anche Max la pensasse così, perciò si era allontanato prima che le loro labbra si incontrassero del tutto.
Non erano amici, ma neanche fidanzati. Erano una mezza via tra le due cose. Più-che-amici, meno-che-fidanzati. Ecco la cosa giusta.
Finalmente sollevata per essere riuscita a sistemare i pensieri nella sua testa, Acqua cominciò ad avviarsi verso l’uscita della biblioteca. Era tardo pomeriggio e entro un’ora al massimo sarebbe dovuta tornare sulla Terra.
Improvvisamente l’atmosfera tranquilla della biblioteca fu spezzata da risate incontrollate. Acqua sobbalzò per lo spavento. Era sicura di riconoscere una delle due voci: senza dubbio era Max. Ma non riusciva a capire a chi appartenesse l’altra voce femminile. Le sembrava di non averla mai sentita. Incuriosita, si diresse senza far rumore verso il tavolino da cui proveniva tutto quel fracasso. Le due voci ricominciarono a parlare normalmente mentre lei si avvicinava. Arrivata alla fine dello scaffale che la nascondeva, Acqua diede la schiena alle pile di libri e si sedette usandoli come schienale. Poi sbirciò dietro di lei. Al tavolino, seduti l’uno accanto all’altra, c’erano Max, come aveva intuito, e Celeste. Acqua rimase di stucco. Mai avrebbe pensato che quella voce cristallina appartenesse a lei. Ogni volta che l’aveva sentita dire qualcosa (e questo non era accaduto molto spesso), aveva parlato con voce roca, profonda, oppure si era limitata a sbuffare.
Acqua rimase pietrificata, con la bocca spalancata per la sorpresa. Loro due erano girati di spalle rispetto a lei, quindi non potevano vederla a meno che non si fossero girati indietro. Ora parlavano sottovoce in tono serio e Acqua faceva fatica a capire cosa dicessero.
- …capisci? Penso di non essere adatta per questo compito. È difficile, Max. Io…lo so che tu stai facendo del tuo meglio per aiutarmi, ma è una cosa troppo pesante. Non ce la faccio più. Ogni giorno mi sento sempre più demoralizzata, quando penso di essere forte abbastanza per farcela, un altro peso mi piomba addosso. È troppo per una persona sola. O, almeno, è troppo per me. Sei sicuro che sia io la persona giusta? A me non sembra di esserlo…mi sento sempre presa di mira come se volessero schiacciarmi da un momento all’altro. È dura. Ora, scusa se mi sto lagnando troppo, ma sei l’unico con cui posso sfogarmi, gli altri non capirebbero. Forse potrei parlare con mio fratello, ma lui non è dentro questa cosa come te. - sussurrò Celeste. Aveva un aspetto stranissimo, Acqua non l’aveva più vista a scuola e non si era certo preoccupata di andarla a cercare. Pallida, ancora più del solito, magrissima, gli occhi arrossati e profonde occhiaie, sembrava veramente esausta. Però gli occhi avevano un’espressione di forza e risolutezza che la rendevano bellissima anche se era ridotta male.
- Les…lo sai che se hai bisogno ci sono sempre per te, ok? Io non pensavo… insomma, se eri stanca potevi dirmelo prima, sai che non ci sono problemi. Possiamo rallentare il ritmo e trascurare qualcosa, nessuno ci corre dietro, manca ancora un anno e mezzo e abbiamo quasi finito…siamo a buon punto, quindi anche se per un po’ non ti eserciti, non succede nulla. So che tutto questo è difficile per te, e che ti sta comportando molti sacrifici, ma sono qui apposta, lo possiamo fare insieme. Ricorda che nessuno ha detto che sarebbe stato facile, purtroppo. - la rincuorò Max, appoggiandole la mano su una spalla. Acqua emise un piccolo sbuffo di fastidio, primo perché non capiva a cosa si riferivano, secondo perché vedere insieme quei due era tutt’altro che piacevole.
Celeste le dava ai nervi, anche ora che sembrava più fragile di un pesciolino di fronte a uno squalo. La irritava come sempre. Ma doveva proprio stare così vicina a Max?
- Già, penso che ora sia arrivato il momento di essere forte. Si fa sul serio. Però quello che mi dà più fastidio non è la cosa in sé, è… come mi guarda la gente, penso. È difficile essere sempre la brava ragazza che tutti si aspettano che io sia. Mi sento come… obbligata, in un certo senso. Rinchiusa in quello che dovrei essere. Ma anche questo fa parte di me. È la stessa identica frase che ha scritto Arcezio il Grande più di cento anni fa. Noi siamo tutti uguali. Poi, ovviamente, c’è chi è più debole e chi è più forte. Ma è stato difficile per tutti. - disse Celeste, mesta. Acqua continuava a non capire niente, anche se le sembrava di aver già sentito quell’Arcezio…
- E io voglio essere forte. - aggiunge poi la ragazza, stringendo i pugni sul tavolo.
- Ma tu sei già forte, piccola brontolona che non sei altro. - le disse Max, scompigliandole i capelli. Poi, dopo essere riuscito a strapparle una sottospecie di sorriso, con una mano avvolse il minuscolo pugno di Celeste. Caspita, quanto era gracile in confronto a lui.
- Sul serio, Les, a vederti non ti darei un soldo, ma sei la persona più maledettamente forte che io conosca. Sei speciale, e nessuno potrebbe mai sostituirti, nessuno sarebbe più adatto di te, d’accordo? Devi credere di più in te stessa. Ti giuro che la prima volta che ti ho vista all’opera sono rimasto incredulo, ed eri così piccola… -
- Ma ora non sono più piccola, capisco quello che succede, so che non è un gioco, Max! E se qualcosa non dovesse andare bene? - disse lei, con una nota di isterismo nella voce. Acqua attese che Max rispondesse, ma era come se la loro conversazione stesse andando avanti senza parole. Si lanciavano strane occhiate senza dire niente. Acqua vide centomila espressioni diverse sul viso di entrambi, ma cambiavano così velocemente che non riuscì a capire nulla. Era una vera e propria conversazione muta. Poi all'improvviso Celeste distolse lo sguardo, appoggiò i gomiti sul tavolino rotondo e nascose il viso tra le mani. Max la guardò confuso, e un singhiozzo inaspettato le fece tremare le spalle. Max avvicinò la sua sedia a quella della ragazza e la abbracciò. Acqua si nascose meglio dietro lo scaffale, Celeste ora era girata verso di lei e avrebbe potuto vederla, se non avesse avuto gli occhi chiusi. Si sporse di nuovo. Celeste le faceva pena, con il viso inondato di lacrime, stringeva i denti come se stesse sopportando il più terribile dei dolori. Celeste continuò a piangere per qualche minuto, Acqua era sorpresa da quanto si era lasciata andare con Max. Doveva avere una grande confidenza con lui, infatti di solito la ragazza non si esprimeva molto. Acqua era sicura di non averla mai vista esternare un sentimento in pubblico, era sempre rigida e impassibile come un blocco di marmo. Fredda, proprio come i suoi occhi color del ghiaccio. Mentre Celeste continuava a lamentarsi stretta a Max, Acquamarina cominciò a contare i libri sullo scaffale di fronte a lei. Quella grande complicità tra Max e Celeste le dava ai nervi. Sentiva una strana sensazione sulla pelle, che la faceva impazzire. Al cento trentaquattresimo libro, quando ormai Celeste si era calmata, Acqua si sporse di nuovo oltre lo scaffale. La ragazza si era sottratta all'abbraccio di Max.
- Quanto sono infantile! - urlò Celeste, asciugandosi gli occhi dalle lacrime dorate. Imprecò. - Non era così che doveva andare! - passò le mani tremanti per la rabbia sulla camicia bianca per eliminare ogni traccia dorata mentre continuava a borbottare parolacce a mezza voce. Acqua notò che aveva pantaloni lisi e strappati, cosa molto strana perché anche lei, come tutte le altre ragazze, portava sempre gonne o vestiti. In meno di un quarto d'ora, l'idea che si era fatta di Celeste era stata letteralmente spazzata via, era il contrario di quello che lei immaginava. Di sicuro la Celeste che vedeva tutti i giorni, quella tranquilla, studiosa, fredda, meccanica, scorbutica ed egocentrica non era quella che era seduta al tavolino a pochi metri da lei.
- Cominciamo, non voglio perdere un altro secondo per le mie stupidaggini! - disse ancora la ragazza prendendo un grosso libro rilegato in pelle e aprendolo per cercare la pagina giusta. Si muoveva a scatti, nervosa. Max con gesti decisi le bloccò le mani. Lei lo guardò con aria interrogativa, e lui per tutta risposta le poggiò le mani ai lati del viso e la baciò sulla fronte. Il cuore di Acqua esplose. Cominciò a sentire una strana elettricità a fior di pelle, sugli avambracci e elle punte delle dita.
- Va tutto bene, ok? - sussurrò Max dolce, guardando Celeste negli occhi. Ma Acqua quasi non riuscì a sentire la frase, perché si era già alzata in piedi e stava camminando a lunghe falcate verso il portone. Poteva quasi immaginare l'espressione di Celeste, triste ma risoluta, e terribilmente falsa. Perché tutto in lei era falso, Acqua l'aveva appena visto con i suoi occhi. Aveva due facce. E Max era doppiamente falso. Che ipocrita! E lei che pensava anche di essere qualcosa di più di un'amica per lui!
 
***
 
Acqua era appena tornata da scuola, e stava salendo le scale per andare in camera sua. Sentiva ancora quella strana sensazione sulla pelle, e la cosa strana era che sulla Terra era scomparsa. Pensava sempre a quei due insieme, e non riusciva a toglierseli di testa per più di un minuto. Ripensava alle loro parole ogni istante. Ora oltre all'elettricità era comparsa anche la rabbia per non essere riuscita a capire niente. Aveva sempre sospettato che Celeste nascondesse qualcosa, e a pochi passi da scoprire che cosa si era lasciata sopraffare dall'istinto e se n’era andata. A metà di una rampa di scale si vide arrivare incontro Max. Lo ignorò apertamente. Aveva fatto la stessa cosa la mattina prima sulla Terra. Quando era arrivata l'ora della posta aveva mandato Lyliana ad aprire con la scusa di dover andare a finire di sbattere i tappeti al primo piano. Così l'aveva evitato per un giorno intero. Ma non riuscì ad evitare che lui la salutasse, mentre andava nella direzione opposta alla sua. Si incrociarono a metà strada, poi Max si fermò e si voltò verso di lei.
- Ehi, perché mi ignori? - chiese. Lei proseguì imperterrita. - Acqua, va tutto bene? - la ragazza si fermò impalata a metà di un passo. Appoggiò il piede sullo scalino, fissando la propria mano sulla ringhiera. Max aveva usato le stesse identiche parole che aveva sussurrato a Celeste il giorno prima. Quelle parole che avevano aperto una ferita pulsante nel cuore di Acqua, e la perseguitavano ad ogni ora del giorno. Perché per lei non andava tutto bene. Si ritrovò invasa dalla rabbia, e le frasi le uscirono ancora prima che riuscisse a formularle.
- Faresti meglio a trovare dei nascondigli migliori per gli incontri segreti, la prossima volta. - disse, fredda, spietata. Max ci mise poco a capire, percorse il pianerottolo  e salì di slancio gli scalini che li separavano.
- Cos...c'eri anche tu? - Max era sconvolto. Evidentemente non sapeva che pesci pigliare.
- Già. - rispose serafica Acqua, voltandosi verso di lui a braccia conserte. Era due scalini più in alto.
- Senti, Acqua, non giudicare prima di aver ascoltato la storia, non è come pensi... - iniziò a dire Max. Acqua sentiva l'elettricità peggiorare di secondo in secondo, ora la percepiva ovunque.
- ...Celeste lascia la scuola per studiare medicina, ma ha intenzione di specializzarsi in una cosa molto particolare che la carica di responsabilità, perciò è nervosa e crede di non potercela fare. Io l'aiuto. - disse, ma suonava talmente poco sicuro che non convinceva nemmeno sé stesso. Acqua era ancora lì, ferma, la mascella serrata, rigida come un palo. Max le si avvicinò e tentò di appoggiarle la mano sulla spalla. Ma venne subito trafitto da una scarica di elettricità e ritirò prontamente la mano.
- Ma tu...tu sei gelosa! - disse lui, sorpreso, continuando a spostare lo sguardo dal palmo della mano al viso confuso della ragazza. Pensava che fosse arrabbiata perché non l'aveva messa al corrente di quello che succedeva, e invece era gelosa. Max sorrise divertito, scuotendo la testa. Acqua lo coglieva sempre di sorpresa.
- L'elettricità che senti è gelosia! Qui funziona così. - disse continuando a ridere.
- Pensi di prenderti gioco di me ancora per molto? - Max diventò serio di colpo.
- No, io non intendevo... Scaricati contro il ghiaccio. - Acqua si avvicinò al muro, diffidente, e sfiorò la superficie ghiacciata con i polpastrelli. Immediatamente la tensione si allontanò da lei come un fiume in piena. La sentiva scorrere sotto le dita.
- Acqua, io...non posso dirti la verità. Però non voglio neanche mentirti, quindi non cercherò una giustificazione. Sappi che è necessario che io mi incontri con Celeste. - Max parlava guardandola intensamente negli occhi, ma lei fissava il vuoto. Il ragazzo le serrò i polsi con la mani.
- Vattene. - disse lei, senza ascoltare realmente quello che lui diceva.
- Acqua, ti assicuro che tra me e lei non c'è nulla, se è questo che ti fa star male. -
- Vattene! - gli intimò di nuovo.
- Volevo solo spiegarti che... -
- Se non te ne vai tu me ne vado io!! - urlò Acqua, e sparì nel vortice azzurro.
 
***
 
Non riusciva proprio a dormire. Si era messa in tutte le posizioni possibili, ma non ne voleva sapere di chiudere gli occhi. In quel momento era abbracciata al cuscino. Cominciò a prenderlo a pugni, soffocava i singhiozzi mordendosi le labbra. Anche se il cuscino era pur sempre morbido, si ritrovò con le nocche arrossate e il morale ancora più a terra di prima. Accese la lampadina sul comodino e saltò giù dal letto gettando via il lenzuolo. Si diresse verso il piccolo scaffale e prese uno degli innumerevoli album di fotografie che la mamma le aveva composto quando era più piccola. Arrivò subito alla fotografia che cercava, lei aveva nove anni e Max tredici, e si tenevano per mano nel mezzo del giardino. In preda alla collera, cominciò a strappare la fotografia dividendo loro due bambini. Ma appena arrivò alle loro mani unite, non riuscì più a proseguire. Forse Max aveva ragione, era veramente gelosa. Ma non aveva senso rovinare tutto quello che avevano creato insieme, la loro amicizia o quello che era. Era sbagliato. Riparò la fotografia applicando un pezzo di scotch sul retro. Nella realtà, però, le cose erano più difficili. Non si aggiustavano semplicemente con lo scotch.

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Capitolo 25
*** Un'occasione ***


Capitolo 25
Un’occasione

Il campanello suonò per la milionesima volta.  Acqua, seccata, andò ad aprire. Erano le otto e mezza precise, perciò era sicuramente Max. Aveva pensato più volte a come comportarsi con lui, ed era arrivata alla conclusione che tutto doveva continuare ad essere come prima. Non aveva senso rovinare tutto. Per cui non aspettò nemmeno un saluto da parte di Max e si buttò subito:
- Scusami, Max, ho esagerato ieri… - ma si fermò subito perché il ragazzo aveva detto esattamente le stesse parole rivolgendosi a lei.
- Aspetta… di cosa dovresti scusarti tu? - chiese lei, irritata. Era lei quella che avrebbe dovuto scusarsi. Max si passò una mano tra i capelli.
- Di non poterti dire la verità. Vorrei farlo, veramente, solo che non posso. Però non vorrei che questa cosa ti facesse star male… - 
- Di questo volevo parlarti, ieri mi sono un po’ fatta prendere dalla… dall’elettricità. - evitò accuratamente di dire la parola ‘gelosia’, si sentiva ancora strana pensandoci. 
- Quindi scusami, ho esagerato. - Acqua trattenne il fiato, in attesa della risposta.
- Ok, scuse accettate, non ero nemmeno arrabbiato. Però io vorrei farmi perdonare sul serio, perché anche se tu dici che non ti dà fastidio non poter sapere il motivo del mio incontro con Celeste, so che non è completamente vero. Perciò ti andrebbe ti venire al lago oggi pomeriggio? Voglio farti una sorpresa prima che tu torni ad Atlantis, e questo non è esattamente il posto più adatto in cui parlartene. E poi, non ci andiamo dall’anno scorso. -
- Sì… direi di sì. - rispose lei, titubante, un po’ perché non se l’aspettava, un po’ perché la giornata prometteva pioggia. Ma aveva una voglia matta di passare un po’ di tempo con lui e il lago era un’idea geniale. Non c’era mai nessuno e, in un certo senso, era come un rifugio per loro.  C’erano sempre andati insieme da soli, fin da quando Acqua aveva circa nove anni, che in realtà erano poi dieci per via dell’anno che aveva trascorso sul suo pianeta natale da neonata. Partivano la mattina presto con il pranzo al sacco e tornavano dopo il tramonto.
- Bene. Allora passo a prenderti oggi dopo pranzo! - Max la salutò e fece per voltarsi.
- Max, aspetta! - disse Acqua, allungando una mano verso di lui. Il ragazzo si girò e Acqua scese velocemente gli scalini davanti alla porta, ma divenne improvvisamente timida per quello che voleva chiedergli.
- Tu ne hai… insomma, ne hai parlato a Celeste? - sussurrò, le sopracciglia aggrottate. Continuava a tormentare i lacci del cappuccio della felpa che aveva quel giorno. Ovviamente si riferiva al fatto che li aveva spiati e poi si era ingelosita.
- Oh, ehm… - Max fece spallucce e sorrise imbarazzato. - In realtà… sì. Lei ne è coinvolta più di me e mi sembrava giusto infomarla… -
- Sì, sì, è giustissimo, hai fatto bene… - Acqua rimase in silenzio, con lo sguardo fisso su un albero. Le sue dita erano talmente intrecciate ai lacci della felpa che iniziavano a pulsare per la circolazione bloccata. - Allora… allora potresti dirle che mi dispiace? Per la mia scenata e per avervi origliato. - chiuse gli occhi - Mi sono comportata come una bambina, mi sento un’idiota e ci sto malissimo, veramente. - disse, sempre più imbarazzata. 
Tenendo gli occhi chiusi, sentì Max che la abbracciava e si lasciò andare. Non si era accorta di essere diventata rigida come un blocco di marmo, per cui si rilassò non appena sentì le mani del ragazzo cingerle la vita stringendola a sè. 
- Ti ho già detto che è tutto a posto! Però vorrei chiederti un favore: non giudicare Celeste per come si comporta, è costretta a farlo, in un certo senso. - disse lui. Acqua mugugnò per far capire che ci avrebbe provato.
- Lascia davvero la scuola? - chiese poi.
- Sì. Non riesce più ad avere abbastanza tempo per tutte le cose, e la scuola era l’unica sacrificabile.  -  poi, cogliendo lo scetticismo di Acqua, aggiunse: - Oh, e la signora De Orchis sa benissimo che cosa sta passando, per questo non ha problemi al riguardo. E comunque Celeste è avantissimo sul programma, sta per completare anche gli ultimi argomenti dell’anno prossimo, quindi… -  il ragazzo lasciò la frase in sospeso. Sicuramente Acqua non aveva voglia di sentirsi enumerare tutte le competenze di quell’incredibile ragazza, perciò lasciò perdere. Non voleva farla a pezzi ancora di più di quanto non avesse già fatto, comunque aveva trovato sorprendente la sua capacità di scusarsi, anche se era distrutta per quello che era successo e tormentata dalla gelosia. E per di più, voleva scusarsi anche con Celeste. Max sapeva che Acqua aveva sempre provato una profonda antipatia nei suoi confronti, soprattutto a causa del suo modo di fare. E la stessa cosa valeva per Corallina, e per tutti gli altri ragazzi della loro età. Per qualche strano motivo, Celeste faticava moltissimo a crearsi amicizie, diceva che tutti la evitavano come una malattia contagiosa. E, da un lato, questo era vero, ma anche lei faceva la sua parte. Voleva sempre essere perfetta, anche se sapeva che non ci sarebbe mai riuscita. Si chiudeva in sé stessa, come una lumachina nel suo guscio, e restava indifferente a tutto quello che la circondava. Ma, quando si trovava a non sopportare più l’isolamento e usciva dalla sua personalissima prigione, si ritrovava sola. Ogni anno, mese, giorno, secondo che passava era sempre più sola, e se ne rendeva conto. Ma non faceva nulla per cambiare.
***

- Magnifico… - sussurrò Acqua. Il sole, alto nel cielo, scaldava come in una giornata d’agosto, sebbene fosse solo maggio . Alla fine tutte le nuvole che preoccupavano Acqua quella mattina erano svanite in un paio d’ore e la giornata si era rivelata incredibilmente calda. Erano rimasti in acqua per tutto il pomeriggio, scherzando e facendo a gara da una sponda all’altra, e alla fine Acqua si era sbizzarrita con i vortici, le fontane e i geyser, trasformando il piccolo laghetto in un parco acquatico in miniatura. Dopo quasi quattro ore, avevano entrambi esaurito le energie, per cui ora si stavano rilassando sui sassi della riva, Acqua sdraiata sulla ghiaia ad occhi chiusi, che si godeva il sole, e Max seduto su una roccia, che faceva rimbalzare i sassolini sulla superficie liscia del lago. Mentre si beava della fantastica sensazione di pace che solo quel luogo sapeva regalarle, Acqua non poté fare a meno di pensare a cosa l’attendeva quel venerdì. Iniziò a fantasticare su cosa avrebbe trovato in quella foresta polare, e il suo cuore scoppiettò per la gioia. Max le aveva finalmente rivelato cos’era la sorpresa con cui contava di farsi perdonare. E, beh, c’era riuscito alla grande. Era molto più di quanto si aspettasse. Poco più di tre giorni, e l’avrebbe accompagnata a riprendere la spada di suo padre. Quando aveva finalmente accettato di rivelarle la sorpresa, Acqua era impazzita. Finalmente poteva fare qualcosa. Non voleva più rimanere a guardare mentre la gente moriva, voleva reagire, e quella era la sua occasione. La spada l’avrebbe aiutata, ne era sicura. 
Max le aveva fornito tutte le informazioni necessarie. Aveva accordato con amici dei cambi di turno per la ronda per poter andare con lei. La foresta dove era stata nascosta l’Intoccabile si trovava all’incirca al polo nord di Atlantis e, considerato che la città omonima si trovava molto vicino all’equatore, la distanza era notevole, per quanto quel pianeta avesse dimensioni microscopiche in confronto alla Terra. Comunque il ragazzo le aveva assicurato che aveva già pensato a risolvere il problema del tempo, quindi non si preoccupava. 
Le aveva raccontato che attorno alla foresta si era formata da sola una protezione, e che vi potevano passare attraverso solo lei e la madre. 
Le aveva anticipato che, una volta all’interno della protezione, avrebbe dovuto fare tutto da sola e che non poteva aiutarla in nessun modo. 
Le aveva detto del freddo pungente che regnava in quella parte del pianeta.
In un certo senso, le aveva riferito tutte le cose più sconfortanti, in un debole tentativo di dissuaderla. Probabilmente l’idea di metterla in pericolo in quel modo non gli andava particolarmente a genio. 
Gli attacchi erano frequenti in quella zona. Faceva freddo. Non sapeva cosa avrebbe trovato all’interno della foresta. 
Ma a lei non importava. Ci sarebbe andata, sebbene da sola, infreddolita ed impaurita, avrebbe fronteggiato qualsiasi cosa le avrebbe impedito di arrivare al suo obiettivo, e sarebbe tornata a casa con quella spada, che gli piacesse o no. Punto.
Mentre continuava a crogiolarsi al sole e a pensare che quel venerdì avrebbe potuto rendersi utile - quel venerdì! - Acqua mugolò, soddisfatta.
- Sei già asciutta? - le chiese Max, sorpreso. Acqua si passò una mano sulla pancia e sul costume. Nemmeno umido.
- A quanto pare. - disse. 
- È strano, siamo usciti dall’acqua neanche mezzo minuto fa. - disse Max, lanciando un altro sasso. Acqua si appoggiò sui gomiti e guardò il ragazzo socchiudendo gli occhi per la luce. In effetti lui era ancora completamente bagnato, le goccioline luccicavano al sole sul suo corpo muscoloso. Proprio in quel momento un paio di gocce scivolarono giù per il bicipite di Max e si staccarono dalla sua pelle, finendo sulla roccia su cui era seduto e vi disegnarono due palline. Acqua si mise a sedere e controllò i sassi dietro di sé, che però non mostravano neanche un minimo segno di bagnato.
- Sembra che l’acqua sia evaporata. - constatò Max, allora Acqua capì.
- Sono stata io, forse mi sono concentrata troppo sul caldo. - disse, sospirando - A volte non mi accorgo di usare i poteri e faccio tutto involontariamente. Come quando apro l’acqua dei rubinetti per lavarmi le mani. Non lo faccio apposta. - disse la ragazza, tornando a sdraiarsi sui sassi.
- Aspetta, usi i tuoi poteri senza accorgertene? - ripeté Max.
- Sì, è quello che ho detto. Sei diventato sordo, per caso? - disse lei, ridendo. Max per ripicca la schizzò con l’acqua. Acqua non fece una piega. 
- Ritieniti fortunato che non ho voglia di fare niente. Altrimenti ti avrei annegato subito. All’istante, capito? - 
- Sì, certo. - la prese in giro Max, e la spruzzò di nuovo. Acqua aprì gli occhi e gli scoccò un finto sguardo assassino. Poi ritornò in stato vegetativo e sbadigliò sonoramente.
- Ah, giusto, sei ancora così stanca? - le chiese Max, mentre si voltava a guardare il sole che si buttava a capofitto tra le pareti di due montagne. Quel tramonto era sempre stato qualcosa di unico, per lui.
- Già. - rispose Acqua, rassegnata - Ma ormai comincio a pensare che sia normale. Non so, ormai non dormo più neanche quando potrei. Sono troppo agitata per tutte le cose che succedono.  - Max lanciò un sasso, che rimbalzò quattro volte sul pelo dell’acqua prima di affondare con un plop. Acqua non ne era sicura, ma sembrava che Max avrebbe aspettato a parlare fino a quando non avesse sentito il sasso atterrare sul fondo. Il ragazzo continuò a tacere per qualche minuto, inseguendo i suoi pensieri, poi di punto in bianco, come se avesse avuto una rivelazione, le chiese:
- Da quanto tempo sei così esausta? - 
- Mah, non lo so con esattezza. Forse da quando hai portato qui Corallina. - azzardò lei - Sì, ora che ci penso, la stanchezza è partita da lì. - 

***

Ora tutto era più chiaro. La seconda battaglia. La stanchezza. Acqua che usava i poteri involontariamente. La cupola protettiva intorno alla città. Immagini diverse si susseguivano velocemente nella mente di Max. Era tutto collegato. Istintivamente, Max si maledisse per non averci pensato prima. Era Acqua il centro di tutto. Era lei che, inconsapevolmente, proteggeva la città da quando si era verificato quel forte attacco, ed era per questo che era stanca e facilmente irritabile. Ecco perché la sua bolla è diventata nera, si disse Max, l’incantesimo che la sfinisce in quel modo è il suo. Stava utilizzando tutte le sue energie per proteggerli. Senza saperlo. Max fu subito colpito dalla sua forza. Come aveva fatto a resistere per più di un mese con quel peso da sostenere? Il ragazzo la osservò, stesa sui sassi, sembrava che stesse per addormentarsi. Aveva la pelle arrossata, il sole le aveva sempre fatto quell’effetto. Non era mai riuscita ad abbronzarsi. L’acqua con cui l’aveva schizzata prima si era quasi completamente dissolta. Era quasi impercettibile, ma sopra di lei si levava una nebbiolina sottile che testimoniava come stesse facendo evaporare l’acqua in fretta. 
Però sembrava una ragazza normalissima, tranquilla e senza preoccupazioni, invece non era così. Perché teneva sulle spalle la più grande responsabilità di tutte, la protezione di una città intera. 
La prima cosa che Max avrebbe fatto tornando ad Atlantis, sarebbe stata andare a parlare con Celeste. Doveva essere la prima a saperlo. 
Max prese un sassolino da terra, lo fece saltellare un paio di volte nella mano e poi lo scagliò lontano nel lago, con forza. Affondò subito. 
- Questa volta hai fatto cilecca. - lo prese in giro Acqua, senza muovere un muscolo, né aprire gli occhi.
- Un lancio a dir poco schifoso. - disse Max, per divertirla. In realtà aveva tirato il sasso con tutta quella forza per sfogarsi. Si trovava in una brutta posizione e non sapeva cosa fare. Ma poi aveva deciso di non dire niente ad Acqua. Sapeva com’era fatta, e si sarebbe spaventata moltissimo per quella novità. Era una responsabilità troppo grande, sarebbe stata in continua tensione e costantemente agitata per paura di sbagliare qualcosa. No, non le avrebbe detto nulla. Aveva già abbastanza a cui pensare.
- Ah, e non ho finito di raccontarti le novità. Ma non penso che quello che sto per dirti ti piacerà. - disse Max per distrarsi. Acqua aprì un occhio per far capire di essere in ascolto. Max prese un respiro e iniziò a spiegare.
- Il primo giorno di primavera, che ad Atlantis coincide con il primo giugno, è una festa importante per noi. In antichità venivano organizzati vari eventi, alcuni dei quali (anzi, la maggior parte) erano abbastanza stupidi e pericolosi. Gare, sfide, tornei… insomma, cose di poca importanza. Alla fine del periodo di festa si teneva un grande ballo al castello, al quale partecipavano i nobili e i membri dell’intera famiglia reale con i rispettivi figli. E, beh, l’unica cosa che è rimasta nel tempo è proprio il ballo. - 
Max lanciò un’occhiata ad Acqua. Lei lo fissava con aria interrogativa, forse chiedendosi dove voleva andare a parare. Evidentemente lo capì da sola, perché spalancò gli occhi e si mise a sedere in meno di un secondo. 
- Non mi starai chiedendo di andare ad un ballo? - si affrettò a domandargli, sconvolta.
Max abbozzò un sorrisino colpevole, facendo spallucce, ed Acqua reagì con l’espressione disgustata tipica di una persona che mangia cibo andato a male.
- Sai già che non accetterò mai, vero? - chiese di nuovo.
- Dai, Acqua, è divertente! Fidati, neanche a me piacciono tutte queste cose, ma il ballo di primavera è uno spasso! E poi, insomma, sei la principessa e si aspettano tutti di vederti. Per di più ora che sei tornata. Stai tranquilla, non ci sarà tutta la città, solo i discendenti dei nobili… non che importi molto la classe sociale, ma la tradizione dice così. - le spiegò Max - Alla fine non è nemmeno la metà degli abitanti. -
- Cosa? Tutti gli sguardi di mezza città su di me, e dovrei stare tranquilla?!? - esclamò Acqua, che già rabbrividiva immaginando la scena. - No, grazie, non ci tengo proprio. - 
- Tale madre, tale figlia. - disse Max, scoppiando a ridere. - Credimi, siete identiche in ogni minimo particolare. -
- Max, smettila di ridere, non intendo partecipare, non ci riesco! Forse la mia avversione dipende dal fatto che ai balli sono sempre stata in cucina o a servire da bere agli invitati… no, no, io non vengo! Non so nemmeno ballare… - continuò a protestare Acqua. 
- A questo posso rimediare io. - disse Max, alzandosi in piedi, poi allungò una mano verso la ragazza che, sempre più perplessa, lo guardava come uno scarafaggio morto; infine Max si inchinò e le disse, con un sorriso divertito:
- Vieni, ti insegno a ballare. - 
- No. - rispose Acqua, fermissima - Mi sembra di averti già detto che non verrò al ballo, quindi non sprecare energie inutilmente per cercare di convincermi. - Max sbuffò.
- Ok, d’accordo, non ti obbligherò a venire, ma almeno concedimi questo ballo. - la supplicò Max - Ci tengo. - aggiunse poi.
- Max, no! per quanto mi dispiaccia deluderti, non voglio venire. Mi sentirei troppo guardata da tutti e non so quanto possa resistere. - sussurrò Acqua, le sopracciglia aggrottate. Max sospirò, scuotendo la testa. Acqua pensò che fosse dispiaciuto per il suo comportamento. Ma no… l’espressione che aveva sul viso era… disappunto?
- No, non va bene così, Acqua. Quando un ragazzo ti chiede di ballare, dovresti rispondere “sì, grazie”, oppure “mi piacerebbe”, o cose del genere. - disse il ragazzo con un sorriso sghembo dipinto sul volto. Senza dubbio si stava divertendo molto. Poi, con un gesto fulmineo, afferrò Acqua per i polsi e la costrinse ad alzarsi per stringerla a sé. Lei non capì nemmeno cosa avesse fatto, che si ritrovò abbracciata all’amico. Poi Max guidò con gesti esperti, ma delicati, le sue mani verso le posizioni corrette: una sulla sua, e l’altra sulla spalla. Le dita di Acqua si appoggiarono lievemente alla sua pelle. Il ragazzo fece scorrere la mano libera dietro la sua schiena e l’avvicinò ancora di più, poi iniziò a dondolarsi leggermente. Osservando deliziato l’espressione confusa della ragazza , pensò a quanto diamine fosse bella. 
- Ora ti insegno. - le sussurrò, dolcemente. - é un semplice valzer, lo avrai visto mille volte. Non so perché, ma ad Atlantis i balli corrispondono perfettamente a quelli che ci sono sulla Terra. Cerca di seguire i miei passi, ok? - Acqua annuì piano, e Max cominciò a muoversi lentamente, contando i tempi sottovoce in modo che potesse capire come spostarsi. All’inizio Acqua era un po’ disorientata e gli pestava i piedi in continuazione, così Max la correggeva, paziente, e ricominciavano tutto da capo. Ma poco tempo dopo Acqua aveva cominciato a padroneggiare i vari movimenti e si spostava con molta più disinvoltura. Max ora si limitava a suggerirle in che direzione andare quando si confondeva.
In quel momento, mentre volteggiava di fronte al lago insieme a Max, Acqua si sentì in pace col mondo. Era tutto così perfetto, sembrava un sogno.  In quel momento Acqua capì che il loro rapporto era rimasto intatto anche in quel periodo difficile. Che cosa poteva separarli, ormai? 
Abbandonò la testa sul petto di Max e si lasciò andare. Lui la baciò in fronte. 
Si sentiva così bene tra le sue braccia, era come un rifugio naturale. 
Chiuse gli occhi e lasciò che le sue gambe si muovessero da sole, ora che aveva imparato la coreografia. Max era così bravo a condurre che le trasmetteva una tale sicurezza… la mano su cui la ragazza aveva poggiato la sua era forte e solida come una roccia; l’altra dietro la sua schiena, era un appiglio robusto, marmo che la accarezzava e la sosteneva. I suoi movimenti erano un concentrato di eleganza, la sua presa forte, ma al tempo stesso dolce.  Quasi si dispiacque quando Max si fermò al centro della pista improvvisata. Entrambi però non mossero un passo e così rimasero lì a cullarsi.
- Allora, cosa hai deciso di fare? - le sussurrò Max all’orecchio.
- Ci penserò. - gli assicurò lei.
- Acqua, se il problema è che non vuoi essere l’attrazione della serata, possiamo inventarci qualcosa insieme. Se vuoi posso ballare con te, all’inizio della festa, se questo ti rende meno nervosa. - Propose Max.
- Aspetta. Perché dici “all’inizio”? - 
- Alla fine del primo ballo si formano due cerchi, quello esterno degli uomini e quello interno delle donne. Questi due cerchi iniziano a ruotare in senso opposto fino a quando non finisce la musica e si formano nuove coppie. La tradizione dice che devi ballare con il tuo nuovo partner per tutta la sera. E non si può in alcun modo prevedere con chi capiterai. - spiegò Max. Acqua sentì le sue ultime speranze svanire nel nulla. Ma se poteva iniziare la serata insieme a Max, il resto sarebbe sembrato meno brutto. E poi, insomma, era così terribile? In fondo era solo un ballo.

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Capitolo 26
*** Ricordi dal passato ***


Capitolo 26
Ricordi dal passato

- Vedrai cugina, sarà bellissimo… immaginati la sala da ballo degli specchi tutta addobbata… ah, non ci sei mai stata? Malissimo, bisogna rimediare. Ah, comunque, mi devi dare una mano per gli addobbi floreali, quest’anno mi sono offerta di sistemarli ma penso proprio che da sola non ce la farò mai! E poi… - Corallina, appena messa a conoscenza della partecipazione di Acqua al ballo, aveva iniziato a blaterare senza sosta, presa dall’entusiasmo. Lei, Acqua, Max e zia Olimpia erano in sala da pranzo e stavano facendo colazione. Ovviamente la principessa non toccava cibo, per via del “fuso orario” tra un pianeta e l’altro. Semplicemente le piaceva far compagnia alla sua famiglia. Però, quel giorno era speciale. Era venerdì. Entro pochi minuti sarebbe partita insieme a Max, dire che era in ansia sarebbe stato un eufemismo. In più, doveva sorbirsi le chiacchiere incessanti della cugina, che si barcamenava tra un argomento e l’altro ad una velocità impressionante.
- Sai, verrà anche Ellys, chissà che abito avrà, lei che indossa sempre i primi vestiti che le capitano sottomano. Non mi stupirei se venisse con un abito corto come il mio, ormai sono tre anni che mi copia. Oh…  - e qui si illuminò - potrei aiutarti a scegliere il tuo, che ne pensi? - chiese ad Acqua con gli occhi dolci - Ti preeeego! - 
La cugina alzò gli occhi al cielo. Era sicura che accettare l’aiuto di Corallina avrebbe comportato una quantità esagerata di fiocchetti e brillantini ovunque, ma non sapeva come fare. Da sola non avrebbe mai ottenuto un risultato almeno decente. Doveva ammettere che il suo piano prevedeva di indossare un abito scelto a caso dall’armadio. 
Max, di fronte a lei, sorrise alla sua espressione scocciata. Sembrava dire: “sono contento di non essere al tuo posto”.
- Ok, d’accordo. Fai pure tu, Corallina. - rispose Acqua, controvoglia. Questo non fece che aumentare l’euforia della ragazza, che riprese a parlare senza sosta.
Nel frattempo Max aveva finito di mangiare e si era alzato.
- Andiamo? - chiese ad Acqua. Lei si alzò in piedi come una molla, facendo cadere la sedia dietro di sé. Rimise tutto a posto, poi scattò sull’attenti, facendo ridere la cugina.
- Fate attenzione. - raccomandò loro Olimpia che, invece, di ridere aveva poca voglia. Era preoccupatissima per l’alta possibilità di attacchi nemici al di fuori delle mura, e sarebbe stata in ansia per tutto il giorno, fino a quando i due non sarebbero tornati. Li abbracciò e li baciò entrambi, poi i ragazzi si avviarono.
Arrivati al salone d’ingresso, Acquamarina si sarebbe aspettata di proseguire ed uscire dal castello, invece Max la condusse verso una porticina sprangata che si distingueva appena nel muro. 
- I sotterranei. - disse lui, togliendo la spranga e aprendo la porta. Fece passare Acqua, poi entrò anche lui e richiuse la porta a chiave. Il piccolo pianerottolo su cui si trovavano era largo circa un metro e lungo due. Una piccola torcia accesa scoppiettava in un angolo, ma dalla scala che Acqua pensava fosse davanti a loro non veniva nemmeno un piccolo bagliore, era completamente buio.
Max si allungò a prendere la torcia e iniziò a scendere le scale, prendendo Acqua per mano. Lei si accorse solo in quel momento di tremare per il nervosismo, così si  impose di calmarsi. 
Max teneva la torcia ben stretta davanti a loro, ma la luce bastava appena per illuminare due scalini. Dopo un paio di minuti Max si fermò . Avevano trovato una torcia molto più grande appesa al muro, e lui la stava accendendo con quella che aveva in mano. Da lì in poi, ogni dieci metri c’era una torcia da accendere, e il percorso si fece via via più luminoso. 
Continuarono in questo modo per una decina di minuti, Max a suo agio come a casa propria, Acqua col cuore in gola, poi le scale si trasformarono in un lunghissimo corridoio dove , su entrambe le pareti, si aprivano celle di ghiaccio con strettissime sbarre di ferro sul davanti.
Il pensiero di dover passare lì in mezzo inquietava Acqua (e non poco), ma la ragazza non aveva notato la piccola porticina sulla destra dove era appena entrato Max. Si sentì tirare per la mano e, sollevata di poter evitare quel percorso oscuro, lo seguì. 
Entrarono nella stanza, che era già illuminata da quattro torce negli angoli. Max lasciò la mano di Acqua per andare a posare la piccola fiammella in un apposito buco al centro di un tavolo. La ragazza si guardò intorno. 
La camera non era poi così grande, al centro c’era un tavolo rotondo di legno e sulla parete a sinistra c‘era un armadio enorme, lungo come tutta la stanza. I muri erano fatti di mattoni di ghiaccio, un tipo di costruzione che Acqua non aveva mai visto e che, come le spiegò Max in seguito, era molto resistente. 
Sulle pareti, ogni centimetro di spazio disponibile era occupato da variati tipi di armi: spade, balestre, mazze chiodate, archi, frecce, lance, arpioni, spade ad uncino e scudi erano appesi in bella mostra e qua e là si trovavano pezzi di armature e ed elmi. 
In alto, sopra tutta quell’accozzaglia di pezzi di ferro, svettava uno stendardo quadrato con il simbolo di Atlantis, le quattro colonne blu notte che sorreggono il mondo.
- Ok, Acqua, questa è la stanza delle armi, penso che tu l’abbia capito. Si trova qui nei sotterranei perché è la zona più protetta del castello. - disse Max. Poi, seguito dalla ragazza, aprì una delle ante dell’armadio e tirò fuori dal ripiano più alto una cintura con doppio fodero. La indossò, poi prese due spade dal muro e le studiò per bene. 
- Questa è messa malissimo. - sospirò, osservando quella sinistra. L’appoggiò sul tavolo e infilò l’altra nel fodero. Si diresse nuovamente verso il muro e scelse un pugnale lungo una quindicina di centimetri. 
- Questo è per te, spero che tu non ne abbia bisogno, ma non si sa mai. - disse, porgendolo alla ragazza. 
- Ti ricordo che sei stato tu a non volermi insegnare a combattere. - ribatté lei, e gli rifilò un pugno sulla spalla. Lui sorrise, ma non disse nulla; dalla sua espressione Acqua capì di non avergli fatto nemmeno il solletico. Accettò di buon grado di prendere il pugnale e rimase ad osservare le sue dita chiuse sull’elsa. In tutta la sua vita l’idea di impugnare un’arma non l’aveva neanche mai sfiorata e ora si trovava con un pugnale in mano e ben contenta di averlo. Pensò a quanto fosse strana la vita, a volte. La lama di ferro scintillò alla luce della torcia.
Intanto Max aveva preso fuori dall’armadio due mantelli color sabbia e li aveva stesi sul tavolo. Dietro, sulla schiena, vi erano state cucite due bandiere di Atlantis. 
- Queste sarebbero da togliere, così ci mimetizziamo meglio. Riesci a farlo tu? Io intanto affilo la spada. - le chiese Max
- Certo, per queste cose sono bravissima, è quello che faccio da quindici anni a questa parte. - disse Acqua. Quindi afferrò un lembo di quella strana stoffa, morbida e spessa più di due centimetri, e cominciò a scucire lo stemma. Anche Max si mise al lavoro e, preso uno strano aggeggio dall’armadio, iniziò a passarci la spada attraverso, avanti e indietro. Faceva movimenti precisi e veloci, e in poco più di cinque minuti aveva finito. Ripose tutto nell’armadio e infilò anche quella spada nel fodero, poi prese un altro pugnale dal muro e aiutò Acqua a finire di scucire. Anche se come sarto non era proprio il massimo, se la cavava. Acqua aveva la sensazione che avesse dovuto imparare a fare molte cose da solo, negli anni. 
Quando ebbero finito, indossarono i mantelli (che essendo entrambi della misura di Max, ad Acqua stava a dir poco enorme), e ritornarono nel salone del castello, per poi uscire.
- Noi adesso dovremmo uscire dalla porta nord, quindi dovremmo girare intorno al castello, però mi hanno chiamato urgentemente dalla torre sud-est e dovrei fare un salto, se non ti dispiace. - disse Max, passandosi una mano tra i capelli, evidentemente dispiaciuto di dover rimandare la partenza di un altro po’. Acqua annuì, alzando le spalle.
- Sì, penso che si possa fare. In fondo una mezz’ora non cambia molto. - disse Acqua, così si incamminarono. Non aveva ancora detto a Max che sapeva che lui era il presidente del Consiglio di Guerra, ma non poteva intralciarlo nei suoi compiti. Sarebbe andata con lui senza protestare. La giornata era lunga e non ci avrebbero messo così tanto ad arrivare alla foresta. O almeno era quello che sperava. Improvvisamente le venne un’idea. 
Raggiunse Max che camminava qualche metro davanti a lei e gli disse quello che le era venuto in mente.
- Max! Per risparmiare tempo non potremmo andare sulla Terra e da là trasferirci direttamente alla foresta? Sarebbe molto più veloce in questo modo. - 
- Ci avevo pensato anche io, ma sembra che non si possa. Il campo magnetico della foresta ti rispedisce indietro subito. -  rispose lui, scuotendo la testa. - Comunque il mezzo di trasporto (se si può chiamare così) che ho scelto è abbastanza veloce e ci metteremo circa tre quarti d’ora ad arrivare, non preoccuparti. E poi ci metto poco a fare quello che devo fare. - le sorrise. Continuarono a camminare in silenzio. Al loro passaggio la gente si inchinava e salutava e Acqua non poté fare a meno di sentirsi imbarazzata. Anche se scene del genere le capitavano ogni giorno, non ci aveva ancora fatto l’abitudine.
- Mi sembra di essere un marziano. - rise Acqua - Mi guardano tutti! - 
- Dovrai farci l’abitudine… - le disse allora Max. Proprio in quel momento arrivarono alla base delle scale che correvano sul fianco delle mura e arrivavano fino in cima. 
- Vieni, piccola marziana, saliamo qui. - disse Max, con un piede sullo scalino. Acqua lo raggiunse e gli diede una spinta scherzosa.
- Non si scherza con il fuoco. - commentò lui, ridendo, e la spintonò a sua volta. Continuarono con quel gioco fino alla fine delle scale. Acqua si soffermò a guardare fuori dalle mura. Il paesaggio sembrava strano, diverso. Più… consumato, gli alberi distrutti, quelle poche case che c’erano fuori dalle mura erano ridotte a cumuli di cenere, e ovunque posasse lo sguardo vedeva mucchi di Cavalieri morti, ossa e armi sparpagliate alla rinfusa. Anche Max si era fermato accanto a lei, e osservava la desolazione più profonda con occhi assenti. 
Si riscossero entrambi al suono di un corno lì vicino, e proseguirono verso la torre sud-est. 
Il camminamento sulle mura era abbastanza stretto e Max e Acqua, affiancati, occupavano tutto lo spazio disponibile. La ragazza fece appena in tempo a scorgere una colonna di persone che si dirigeva in senso opposto al loro, che Max si spostò e si mise davanti a lei, per far passare tutti quei soldati che si stavano avvicinando. Si mise in punta di piedi e, oltre la spalla di Max, vide una moltitudine di mantelli color sabbia come il suo che camminavano in fila. In testa a tutti stava una persona molto più bassa e gracilina delle altre, ma quello che colpì Acqua da lontano fu che portava un mantello diverso da tutti gli altri, blu notte con lo stemma sabbia. Probabilmente era un comandante, o qualcuno di importante, anche se dalla statura e dalla corporatura sembrava solo un ragazzino. Ma questo non si poteva confermare con facilità, dato che il cappuccio del mantello era perfettamente calato sul viso e i lineamenti si potevano solo immaginare. Tuttavia, Passò qualche minuto prima che il gruppo di soldati arrivasse a passare a fianco ai due ragazzi, che si fermarono accanto al muro per lasciarli passare più velocemente. Max fece un cenno di saluto al comandante della spedizione e questi rallentò il passo, sollevando il viso di qualche millimetro.
Finalmente Acqua riuscì a scorgere il suo volto: il viso di una ragazza, dai lineamenti delicati, gli occhi color del ghiaccio e lunghi capelli neri che le ricadevano sulle spalle. Rimase di sasso: il comandante  che aveva scambiato per un ragazzino in realtà era Celeste. 
- Fermatevi. - ordinò brusca ai suoi soldati. Acqua la salutò con la mano e un cenno della testa; sebbene le risultasse difficile provare un qualsiasi tipo di simpatia per lei, tentò di dimostrarle che l'ostilità se n'era andata. La ragazza slacciò il mantello sul davanti, lasciando intravedere l'armatura dorata che indossava sotto e facendo attenzione che il cappuccio rimanesse ben fermo a coprirle il viso. Ricambiò il saluto di Max mettendosi sull'attenti e quello di Acqua con un veloce sorriso.
- È andato tutto come previsto, Generale. Nessuna complicazione. - disse Celeste con la sua solita voce roca. Pian piano il suo volto si rischiarò e alla fine della frase sorrise, compiaciuta. Max non fece una piega, la sua espressione rimase impassibile come se stesse parlando del tempo con una persona incontrata per caso.
- Voglio un resoconto scritto entro stanotte, intesi? Voialtri potete andare a riposarvi. - Disse Max, al che Celeste ripeté il saluto.
- Sissignore! - disse, quindi si voltò e ordinò ai suoi di continuare per la loro strada, in testa al gruppo. Anche Acqua e Max proseguirono per la loro strada, silenziosi. In pochi minuti arrivarono alla torre ed entrarono nella stanza alla base di essa, dove trovarono un ragazzo più o meno dell'età di Max che scattò sull'attenti.
- Buongiorno, generale! Principessa. Il capitano Geyer vi aspetta al piano di sopra. Mi ha raccomandato di non farvi salire fino a quando non vi avesse chiamato lui stesso. Nel frattempo avete bisogno di qualcosa, Generale? - disse, trattenendo il fiato in attesa di ordini. 
- Riposo. Al momento non necessito di nulla, Kole, grazie per l'interessamento. Aspetterò che il capitano mi chiami. - rispose Max, poggiandogli una mano sulla spalla. - Ottimo lavoro, ieri, con quel Mutaforme. - 
- Grazie, signore. - rispose umile il soldato, che sembrava avere una grande soggezione di Max. Nel frattempo una voce profonda dal piano di sopra li invitò a salire. I due ragazzi si arrampicarono su per una stretta scala a chiocciola fino al piano superiore. 

***

Completata anche quell'incombenza, Acqua e Max furono liberi di attraversare la città e arrivarono in un baleno alla porta nord. Acqua ascoltava rapita il cigolio ritmato dei cardini della porta, che si apriva lentamente per farli passare. In pochi secondi si ritrovarono al di fuori delle mura, oltrepassando l'invisibile confine che separava il territorio sicuro da quello in mano al nemico. Un brivido corse lungo la schiena di Acqua quando si accorse che il viaggio vero e proprio iniziava lì. 
Max le fece strada, deviando leggermente il loro percorso ad est. Probabilmente il ragazzo aveva capito che lei sapeva che era il comandante dell'esercito, dato che non si era sorpresa quando, al suo passaggio, tutti scattavano sull'attenti e lo chiamavano Generale. Ma a quanto pareva aveva deciso di non chiederle il perché. Acqua non poteva fare a meno di pensare a quanto fosse diverso il Max che conosceva lei, quello solare, divertente e dolce, dal Generale Max, che tutti temevano e rispettavano. Insomma, anche lui aveva una doppia faccia. Ma aveva deciso che non le importava. 
Nuotarono fianco a fianco nel più assoluto silenzio per circa un quarto d'ora, percorrendo infinite distese di sabbia simili al deserto. Acqua si chiese come diavolo facesse Max a orientarsi in mezzo a quelle dune tutte uguali. In effetti, sembrava che il ragazzo stesse facendo una tranquillissima gita, e non dava segni di preoccupazione. Ogni tanto controllava una specie di orologio che portava al polso, che probabilmente era una bussola o qualcosa di simile. Continuarono a nuotare fino a quando non intravidero qualcosa in lontananza. Era come un filo sottile che si muoveva sinuoso all'orizzonte, più in alto della sabbia. Man mano che si avvicinavano, Acqua riusciva a capire meglio che cosa si trovava di fronte: era una specie di vortice cilindrico che ondeggiava come un nastro sospinto da una brezza leggera. Ormai arrivati in prossimità del vortice, Max rallentò il ritmo e si fermò. Acqua lo imitò, attendendo una spiegazione da parte del ragazzo.
- Questa è una corrente di traslazione, viene usata per spostarsi velocemente, dato che all'interno convergono un insieme di correnti che consente di viaggiare ad una velocità elevatissima. Se vogliamo, è l'equivalente di un'autostrada terrestre. Questa corrente porta direttamente dove dobbiamo andare noi. - disse lui - Prima della sua morte, era tuo padre a controllare questo tipo di correnti. Con il trasferimento dei poteri alla spada, le correnti sono rimaste esattamente come erano durante l'ultimo secondo di vita del re. Io e tua zia pensiamo che, quando tu prenderai possesso dell'Intoccabile, i poteri si trasferiranno a te. Quindi dovrai ricominciare da capo con le lezioni di magia, molto probabilmente non riuscirai a controllarli da subito. - Acqua annuì, l'acquisizione di nuovi poteri non la preoccupava. Tutto quello che voleva era diventare più forte.
- E noi come facciamo a prendere questa "autostrada"? - chiese, divertita.
- Avanzando di pochi metri entreremo nel raggio di azione della corrente, poi la forza dell'acqua farà tutto da sé. Adesso prendi la mia mano, le diverse correnti all'interno potrebbero farci viaggiare a velocità differenti, se non restiamo uniti. - 

***

Il viaggio all'interno della corrente di traslazione fu incredibile. Dopo alcuni minuti di stordimento generale, dovuto alla velocità folle a cui viaggiavano e ai continui sballottamenti, Acqua si sentiva come al luna park. Poi Max le aveva insegnato come assecondare la corsa dell'acqua e tutto diventò molto più semplice e divertente. Fra capriole e volteggi Acqua si sentiva come a casa propria, e imparò più velocemente di chiunque altro a cui Max avesse mai insegnato a barcamenarsi tra le correnti. Forse merito del suo potere, la ragazza provava una strana ed eccitante sensazione di libertà, ed era più euforica che mai. Circa a metà del tragitto, i ragazzi si imbatterono in un gruppo di tartarughe che come loro stavano viaggiando verso nord, ma su una corrente più bassa e lenta. Acqua fu talmente entusiasta di quell'incontro che trascinò Max verso le tartarughe e cominciò a saltare sul loro dorso, fino a quando la corrente non li trascinò via. Circa un quarto d'ora più tardi, Max controllò la bussola.
- Acqua, dobbiamo uscire! - urlò alla ragazza. Lei annuì, e si lasciò trasportare dalla mano di Max che si stava dirigendo verso il bordo della corrente. Il ragazzo sporse una mano all'esterno e, con uno strattone violentissimo, i due furono sbalzati fuori. Acqua atterrò dolcemente al fianco di Max. Il paesaggio intorno a lei era decisamente cambiato: le rocce che spuntavano ovunque erano ricoperte da coralli ghiacciati ed alghe talmente piccole da sembrare muschio. Alghe simili spuntavano anche in mezzo alla sabbia, una miriade di ciuffetti sparsi qua e là. Davanti a loro iniziavano a crescere alberi simili a betulle e pini, con la differenza che avevano le foglie marroni come i tronchi. Più avanti formavano una vera e propria foresta. Ma la differenza più importante era che faceva freddissimo. Acqua rabbrividì e chiuse meglio il mantello sul davanti. 
- Andiamo? - disse, fissando la foresta all'orizzonte, rendendosi conto solo dopo che la voce le era uscita tremula. Max partì subito, senza rispondere, a piedi, e Acqua lo seguì. Da qualche parte aveva letto che durante le spedizioni meno si parlava, meglio era. In quel modo si potevano sentire i più piccoli rumori, compresi quelli di nemici nascosti da qualche parte in agguato. Ma Acqua non riusciva proprio a trattenersi, doveva chiedere a Max una cosa importantissima e non aveva intenzione di rimandare a più tardi. Accelerò il passo e si affiancò all'amico.
- Max, devo chiederti una cosa. - sussurrò la ragazza, sempre più in ansia. La foresta si stava infittendo passo dopo passo e diventava sempre più inquietante. - Secondo te cosa succederà quando prenderò la spada? - chiese, senza aspettare che Max le desse il permesso di parlare. Lui sorrise.
- Nervosa, eh? - 
- Giusto un pochino. - rispose, sarcastica, roteando gli occhi. Sembrava che Max la stesse prendendo in giro e questo la faceva arrabbiare.
- Dai, Mister Simpaticone, non hai risposto alla mia domanda. - 
- Non posso dirlo di preciso, però penso che dovresti sentire il canto del Dragone. é così che dovrebbe andare. In fondo in quel momento riceverai un nuovo potere, quindi... - Max scrollò le spalle. 
- E non si sa nulla di quello che troverò dentro la cupola? O di dove si trova la spada? Questa foresta potrebbe essere estesa kilometri, non riuscirei mai a cercare ovunque... Max? - Acqua era talmente presa dal suo discorso che non si era accorta che lui era rimasto indietro. Ritornò sui propri passi e lo trovò nascosto da alcuni alberi, spingeva con le mani contro una barriera invisibile. Solo quando la toccava si poteva percepire la sua esistenza, altrimenti non si sarebbe nemmeno notata. Acqua aveva oltrepassato la cupola senza rendersene conto. Rimase per qualche secondo ad osservare Max che aveva le mani contornate da uno strano alone colorato e non poté fare a meno di ridere. Cercò di appoggiare le punte delle dita alla barriera dall'interno, ma non trovò nulla di solido che la sostenesse. Ora aveva mezza mano fuori e tutto il resto del corpo dentro. Oltrepassò la cupola, come prima senza sentire assolutamente niente. 
- Allora io vado. - disse, con un sorriso nervoso. Max la sorprese con un abbraccio, che la rese un po' più tranquilla. Si concesse qualche secondo fra le sue braccia prima di partire. Poi si separarono, con uno struscio di vestiti che accompagnò Acqua nei minuti successivi. Il silenzio intorno a lei la opprimeva. Camminava a passo spedito, senza sapere dove andare. Si dirigeva automaticamente verso nord, ogni secondo che passava faceva sempre più freddo. Gradualmente il paesaggio cambiava: ai pini si erano sostituiti alberi simili a grandi querce di ghiaccio e senza foglie. E forse era solamente lei che si stava impressionando, ma sentiva fruscii dappertutto. I rami si muovevano da soli al suo passaggio e risplendevano di strani colori, come se fossero stati attraversati da un arcobaleno. Una scia di luce dorata passò accanto ad Acqua, sembrava una cometa. A quel punto la ragazza cominciò a preoccuparsi. Si guardò intorno respirando affannosamente: quella storia non le piaceva per niente. Estrasse il pugnale che aveva portato con sé. Un'altra cometa le passò di fianco, a sinistra. Poi un'altra ancora da destra, da sopra, vedeva arrivarne da ogni direzione. Poi improvvisamente una di esse esplose, spandendo luccichii iridescenti ovunque. Dove si trovava prima il corpo della cometa si era formata una nebbiolina sottile, piena di riflessi colorati. Acqua si fermò a guardare, vedendo che la nebbia si stava addensando, formando strane figure. Diversi minuti dopo si erano delineati i volti di tre personaggi. Quando li riconobbe, Acqua stentò a crederci. Si portò una mano tremante alla bocca, incredula. Uno era suo padre, in armatura, l'altra era sua madre e l'ultima figura era lei stessa. Era la scena dell'ultimo addio con il papà, esattamente uguale a come se la ricordava lei, a grandezza naturale e talmente reale che sembrava stesse accadendo sotto i suoi occhi. Poi la scena si dissolse, sparendo nell'acqua. Quelle specie di comete che vagavano nella foresta erano i ricordi di suo padre, e come primo ricordo lui le aveva mostrato quello, che era l'ultima volta in cui l'aveva vista. Il padre le aveva dato un personalissimo benvenuto. Acqua dal canto suo capì subito che in quella foresta c'era qualcosa di soprannaturale, sentiva una presenza intorno a lei che colmava il vuoto. Non si sentiva più così sola come prima. Tutti i rami degli alberi di ghiaccio nelle vicinanze si protesero verso di lei, come per stringerla in un abbraccio. Acqua lasciò andare il pugnale, come poteva non fidarsi? Suo padre era lì intorno, ovunque, lo sentiva. Cercava di abbracciarla, di esprimerle il suo affetto, il suo amore. Non riuscì ad impedire che una lacrima le scorresse sulla guancia. 
- Anche io ti voglio bene, papà. - sussurrò, la gioia che le riempiva il cuore, un velo di lacrime che le offuscava la vista. Altre comete sfrecciarono sopra la sua testa dirigendosi verso nord. Acqua decise di seguirle. Man mano che andava avanti e si avvicinava ad alcune di quelle scie luminose, queste scoppiavano, mostrandole ogni volta una scena diversa della sua vita da neonata, i ricordi più belli di suo padre quando era insieme a lei. Assistette strabiliata al suo primo giorno di vita, alla sua prima nuotata, ai momenti delle coccole, ai capricci, al suo primo giocattolo, al suo primo compleanno. Non riusciva a smettere di sorridere. Poi il padre passò ai ricordi in cui era con Azzurra, quando ancora Acqua non era nata. Mille comete esplosero mostrandole il loro primo incontro al ballo, le uscite, il giorno in cui erano fuggiti, una delle frequentissime sfuriate della nonna, il primo bacio, la proposta di matrimonio, l'incoronazione, il giorno del sì, il momento in cui Azzurra le aveva rivelato di essere incinta. Acqua seguiva le comete, dimenticandosi completamente del motivo per cui era lì.
- Adesso mi mostri qualcosa di te? - chiese, apparentemente al nulla. In realtà il padre era costantemente presente, e per rispondere di sì agitò i rami dell'albero lì vicino. I ricordi successivi furono una carrellata sulla sua infanzia e sulla sua adolescenza, sul suo ingresso nell'esercito, sui piccoli momenti di vita quotidiana. Poi i ricordi si interruppero, non c'erano più comete che arrivavano a tutta velocità.
- I ricordi sono finiti? - chiese Acqua, e ancora una volta si vide rispondere con una scrollata di rami che interpretò come un sì.
- Peccato. Ora sarà meglio che mi dedichi alla ricerca della spada, o non la troverò mai… - disse, e si sentì spingere da dietro da una corrente fortissima.
- Mi stai indicando la strada? - chiese e, quando vide l'ennesimo movimento dei rami, un sorriso le illuminò il volto.
- Bene, ti seguo! - esclamò con entusiasmo. La corrente la spingeva sempre verso nord. Il freddo le penetrava nelle ossa, si insinuava in ogni singolo anfratto disponibile. Acqua si stringeva sempre di più nel mantello, ma non bastava per proteggerla  da quel freddo polare. Tremava come una foglia quando arrivò in quello che doveva essere il polo nord del suo mondo. C'era una specie di radura in mezzo agli alberi e il ghiaccio aveva preso il posto della sabbia, a terra. Al centro della radura c'era il tronco tagliato di un albero di ghiaccio, alto all'incirca fino ai suoi fianchi. L'interno, che sembrava cavo, era pieno di aghi di ghiaccio di mille colori, talmente fitti che non si poteva infilare una mano dentro senza pungersi. Eppure Acqua era sicura che la spada si trovasse lì dentro. Si avvicinò lentamente al ceppo e appoggiò le mani sul bordo. Mosse la destra come per infilarla dentro, ma si fermò subito. Quegli aghi erano così appuntiti, la spaventavano moltissimo. Ma la spada si trovava lì dentro, ne era sicura, come era sicura della presenza del padre. E poi, dopo tutte le manifestazioni d'affetto a cui aveva assistito, come poteva il re permettere che quegli aghi le maciullassero un braccio? Si fece coraggio e immerse la mano negli aghi. Come aveva immaginato, erano solo un'illusione, aveva oltrepassato anche quell’ostacolo senza sentire nulla. La sua mano si strinse sicura sull'elsa, e un brivido di eccitazione le corse giù per la schiena. Ce l’aveva fatta! Sorrise, battendo i denti, strinse di più sull’impugnatura e tirò su la spada, facendo leva con l’altra mano, che era appoggiata sul bordo del ceppo. Dovette sforzarsi, e non poco, per sollevarla completamente e tenerla dritta davanti a sé. 
Dunque era quella la famosa Intoccabile. 
Anche per lei, che non era di sicuro un’esperta di armi, la differenza tra quella e una spada normale sembrava evidentissima. Innanzitutto, era grande il doppio, se non il triplo, di una spada normale. Era di un metallo stranissimo, blu e iridescente, e tempestata di gemme preziose ovunque. Proprio sull’elsa, che era esageratamente grande per la sua mano, si trovavano tre grandi pietre: al centro un diamante, a destra uno smeraldo e a sinistra un’acquamarina. 
Acqua rimase ferma con entrambe le mani sull’impugnatura, la lama ben dritta di fronte, in attesa di sentire il canto del Dragone. Ma non succedeva proprio nulla. 
Inclinò leggermente la spada, e colse di sfuggita il proprio riflesso sul metallo. 
In quel momento dalla spada si sprigionò una fascia di luce incredibile. Per un momento Acqua non vide niente, accecata da quella che sembrava un’esplosione in piena regola. Piantò le pinne a terra per contrastare la forza dell’onda d’urto, e si voltò per proteggersi dalla luce che le feriva gli occhi. Quando la luce si attenuò, e Acqua si fu abituata a quella luminosità eccessiva, si erano formate centinaia di nuove comete che si scontravano tra loro e si fondevano, fino a dare vita ad un'unica, grande stella. La ragazza rimase a guardare, abbassando la spada, quello stranissimo spettacolo. La stella poi cominciò ad ingrandirsi e a prendere le forme di migliaia di persone. Davanti ai suoi occhi, Acqua vide materializzarsi l'ultimo, terribile ricordo.

Una distesa infinita di sabbia. Una città le cui mura si intravedevano appena in lontananza. E una folla enorme, una marea di combattenti che si agitavano come un mare in tempesta. Un urlo si levò, fortissimo, sopra il frastuono della battaglia. Il Signore del Buio sorrise, mentre avanzava lentamente, protetto dalla schiera di Cavalieri più temibili e forti. 
Acqua sussultò, e perse la presa sulla spada, che cadde a terra e si conficcò con la punta nel ghiaccio.
Alcuni dei mostri nemici avanzavano tra la folla, spingendo la gente a retrocedere sempre di più. Formavano una lunga fila che impediva agli atlantiani di avanzare. Tutti i mostri che erano impegnati in combattimento si fermarono e raggiunsero gli altri, racchiudendo tutti gli atlantiani in una specie di recinto. Altri Cavalieri stavano giungendo raggruppati in un manipolo e oltrepassarono la barriera di corpi diretti verso il Signore Oscuro Darcon, trasportando qualcosa con loro. Qualcosa o qualcuno. 
Due mostri depositarono il prigioniero, o meglio, lo scaraventarono a terra, in ginocchio davanti al loro padrone, mantenendolo stretto per i polsi, legati dietro la schiena, in modo che non si potesse liberare. Un altro mostro infilò le dita sudicie tra i suoi capelli, castani e tagliati a scodella, e tirò forte per fargli alzare la testa. Lo sguardo castano dell'uomo si alzò in segno di sfida verso gli occhi crudeli e spietati del nemico. 
- Mio signore! - urlò un atlantiano in mezzo alla folla, e cercò di schivare l'attacco dei mostri per lanciarsi in aiuto del sovrano. Ma un Cavaliere lo precedette e la sua lama calò precisa sul collo dell'uomo, che in meno di un secondo giaceva a terra, decapitato.
- Ascoltatemi tutti! - urlò il re con voce solenne - Non muovete un solo passo! Restate tutti dove siete , non fate nulla! - nemmeno per un secondo il re smise di fissare Darcon. La bocca dell'Oscuro signore si curvò in un sorriso folle.
- Bene, bene, bene. Ci comportiamo ancora da eroi, eh? Anche adesso che è in mio potere, il reuccio non può fare a meno di mostrarsi coraggioso e proteggere i suoi stupidi sudditi. Non è vero? - il cavaliere che teneva il re per i capelli tirò più forte.
- Non si tratta di questo, lo sai benissimo. - rispose Acquarius, con una smorfia di dolore dipinta sul volto. Nei pressi del suo fianco sinistro l'acqua si tingeva lentamente di rosso, era ferito. 
Le mani di Acqua iniziarono a tremare, e non era per il freddo.
- Bene, allora illuminami, grande sovrano. - bisbigliò Darcon, in evidente tono canzonatorio.  - Di cosa si tratta? -
- Si tratta di impedire che muoiano troppe persone innocenti, ma a quanto pare sto perdendo tempo, dato il soggetto con il quale sto parlando. Il tuo unico scopo è la distruzione, la morte, e non sembra che le cose di cui sto parlando non ti interessino molto. Ma sai una cosa? Non mi importa. Non mi importa, e continuerò a ripeterlo, questa guerra non sta portando altro che morti inutili... -
- E non è questo per cui combattiamo? -
- Forse è quello per cui combatti TU. Ma io combatto per la libertà. - Darcon rimase a fissare Acquarius, un sopracciglio inarcato. Passò molto tempo prima che si riscuotesse.
- Mhm, bene, penso che questa non ti serva più. - disse, e rispondendo ad un movimento della sua mano, l'intoccabile lacerò il fodero e fu scagliata lontano. Il re seguì con a coda dell'occhio i movimenti della spada, fino a quando la perse di vista, non potendo girare la testa. Il signore oscuro pronunciò un'altra parola magica, e Acqua ricordò il racconto di Max. Quello doveva essere l'incantesimo che gli impediva di difendersi. 
- Sai, ho sempre desiderato che arrivasse questo momento e non posso permettere che tu e le tue schiocche filosofie me lo roviniate. - disse Darcon. Acquarius cercò con la coda dell'occhio qualcosa alla sua destra, ma evidentemente era al di là del suo campo visivo. Seguendo il suo sguardo Acqua arrivò al bordo della folla di atlantiani e, in prima fila, teso come una corda di violino, in posizione di attacco con le spade spianate, ma immobile, trovò Max, esattamente come se lo ricordava quando aveva quattordici anni. Altissimo, magro e con i capelli lunghi fino alle spalle, aveva le sopracciglia aggrottate e le narici dilatate, sembrava che si stesse concentrando per trattenersi ed evitare di finire decapitato. Nel frattempo Darcon continuava a parlare. 
- Volevo solo renderti prigioniero e divertirmi con te, qualche volta, ma sai che c'è? Mi stai facendo cambiare idea...vederti così, in ginocchio e completamente disarmato...mi fa venire voglia di prolungare il tuo tormento. Voglio lasciarti morire lentamente, e assaporare ogni secondo della tua agonia, ogni singola sfumatura del tuo dolore… - mentre Darcon parlava, senza prestare attenzione al suo prigioniero, Il re aveva iniziato a parlare sottovoce, un sussurro appena accennato, le labbra che si muovevano veloci, parola dopo parola, si aggrappava ad ogni singolo respiro, come se fosse l'ultimo appiglio possibile, e in effetti era proprio così. A volte Acquarius si interrompeva per riprendere fiato, specialmente quando Darcon si girava verso di lui, interrompendo i suoi folli ragionamenti. Il tempo non passava mai, e ogni secondo che passava era una pugnalata dritta al cuore di Acquamarina, che guardava il ricordo come se fosse parte di esso,  ma allo stesso tempo cercava di staccarsene.  Acquarius proseguiva sempre più faticosamente, esitava e faceva lunghe pause tra una parola e l'altra, il suo petto si alzava e si abbassava in modo frenetico. La nube rossa si espandeva attorno al suo fianco. Nel bel mezzo del suo macabro discorso, Darcon vide la sofferenza del suo nemico e non poté fare altro che gioirne. I suoi occhi brillarono di una luce folle, e con l'espressione estasiata, chiese, sputando fuori ogni parola come veleno: - Non mi implori, non mi supplichi di risparmiarti la vita, grande sovrano? - 
- Io...non ti supplicherò...mai! - urlò il giovane re, ansimando. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Darcon lo guardò, pieno di disprezzo e odio, consapevole di essere stato battuto anche in quella situazione, disgustato dal coraggio e dalla sincerità disarmante del re. La pazzia ebbe la meglio nel suo animo instabile, caricò il colpo e si lanciò con tutta la sua forza contro il prigioniero, con la spada in pugno. Fu un attimo, e il re venne completamente trafitto dalla lama. Mentre urlava per il dolore, il corpo rigido, e gli occhi sbarrati, fuori dalle orbite, un'altra nuvoletta rossa si sprigionò dal suo petto e dalla sua schiena, dove spuntava la punta della spada. Acqua sussultò, e congiunse le mani al petto, conficcandosi le unghie nella carne, mentre le si riempivano gli occhi di lacrime. Un fiotto di sangue sgorgò dalla bocca spalancata di Acquarius, e il re, a metà tra la vita e la morte, riuscì solo a pronunciare poche parole, con un cupo rantolo che gli saliva dalla gola. - Questa non è la fine... - disse.


Poi il ricordo finì, si dissolse come fumo nell'aria come se non fosse mai esistito. Ma in realtà, c'era stato eccome, e Acqua era rimasta sconvolta. Cadde in ginocchio, lasciando sfogare tutta la rabbia, il dolore, l'odio, l'impotenza che si sentiva dentro, piangendo e urlando senza trattenersi. Era da moltissimi mesi che stava tenendo tutto dentro di lei, senza lasciare trasparire più di tanto l'angoscia e l'inquietudine che le pesavano come un macigno. Ma era troppo, troppo, per una persona sola, non sarebbe potuta resistere più di così. 

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Capitolo 27
*** Il ritorno della spada ***


Capitolo 27
Il ritorno della spada

Era passata più di un'ora da quando Acqua era scomparsa tra gli alberi. Max l'aveva seguita con lo sguardo, le mani appoggiate alla cupola, fino a quando era diventata una figura indistinta tra la vegetazione. Poi si era lasciato cadere a terra, la schiena contro un tronco, perdendosi tra i suoi pensieri che, come al solito, erano decisamente troppi. C'era Acqua, la spedizione, il fardello che si portava dietro inconsapevolmente, c'era Celeste, le sue preoccupazioni, il suo dolore, la sua debolezza nascosta, c'era l'esercito, c'era la guerra e c'era il faticoso compito di portare avanti una città che stava lentamente procedendo verso la morte. Ma soprattutto c'era quella necessità impellente di capire perché, all'improvviso, non riuscisse ad evitare di abbracciare Acqua ogni volta che la vedeva, non potesse fare a meno di gioire ogni volta che i loro occhi si incontravano, e uno strano calore lo invadeva. Perché, da un po' di tempo, Acqua non le bastasse più come semplice amica.
Il ragazzo controllò l'ora e cominciò a preoccuparsi. Acqua ci stava mettendo tantissimo, era via da parecchio tempo, e lui non poteva fare niente per aiutarla. Passarono altri cinque minuti, un altro quarto d'ora. Poi, all'improvviso, Max sentì un rumore di passi alle sue spalle, da dove era scomparsa Acqua, si voltò e la vide. La ragazza avanzava trascinando i piedi, e stringendo la spada con la mano destra. La punta dell'arma toccava il terreno, disegnando una scia incavata nella sabbia. Acqua camminava lentamente a testa bassa, e rabbrividiva in continuazione, le spalle che sobbalzavano ogni secondo. Max si alzò da terra per andarle incontro, e lei sentendo il fruscio degli abiti alzò il volto. Aveva le labbra viola e gli occhi rossi, e sulle sue guance brillavano dorate lacrime congelate. Appena vide Max, Acqua scoppiò di nuovo in singhiozzi, abbandonò la spada all'interno dell'area protetta e corse verso di lui. 
- Acqua, ma sei gelata! - esclamò il ragazzo, stringendola forte e cercando di trasmetterle quanto più calore poteva. Ancora una volta si rimproverò per aver accettato di accompagnarla lì, dove non poteva aiutarla in alcun modo. Nel frattempo lei continuava a singhiozzare.
- Acqua, che ti è successo? - chiese Max, accarezzandole i capelli.
- Ho visto...tutto. - balbettò la ragazza, tra le lacrime, affondando il viso nel mantello di Max.
- Tutto. - gemette, prima di abbandonarsi all'abbraccio del ragazzo. 

***

- E sei proprio sicura di non aver sentito nulla? - le chiese ancora Max.
- Certo, te l'ho detto, non ho sentito nessuna musica, niente di niente. - rispose Acqua, sempre più demoralizzata e abbattuta. Dopo il loro ritorno, Max aveva lasciato un po' di tempo alla ragazza per riposarsi e riprendersi dall'esperienza. Poi la zia li aveva chiamati nella sua stanza a raccontare il loro viaggio, e poco dopo erano arrivati anche Corallina ed Henri, che stavano studiando insieme nella camera della ragazza. Acqua aveva descritto, con poche ma esaurienti parole, quello che era successo là dentro. Era partita dai ricordi più belli che aveva visto, dipingendo ogni cosa come straordinaria, e incredibile, con il viso illuminato dalla gioia, per poi parlare del ritrovamento della spada e di quello che era avvenuto dopo. Alla fine del racconto, esausta, si era asciugata velocemente gli occhi, ed aveva ascoltato Max esporre il suo dubbio. 
- Non hai sentito il canto del Dragone? - le chiese. Ancora una volta la risposta fu negativa. Acqua si prese la testa fra le mani e, sospirando, aggiunse: 
- Non so che cosa sia andato storto, ma non ho sentito nulla. È stato tutto inutile. Pensavo che da questa spedizione avrei potuto ricavare qualcosa, e invece niente. Non sapete quanto sia disperata. - 
- Dai, cugina, non abbatterti, magari è stato solo un particolare che ti è sfuggito, o forse era una strana situazione e non doveva per forza andare così. - tentò di risollevarle il morale Corallina, perché la vedeva troppo dispiaciuta e inoltre poteva immaginare il dolore che aveva provato entrando in contatto, in qualche modo, con l’anima del padre per poi doversene separare. Aveva sentito il distacco, aveva veramente capito cosa significasse aver perso la sua famiglia. Il peso della perdita l’aveva più volte sfiorata, si era fatto sentire in diverse occasioni, ma quel giorno le era proprio piombato addosso. Corallina non poté fare a meno di sentirsi solidale verso la cugina, anche lei aveva perso suo padre e capiva perfettamente come si sentiva. Si tuffò sul letto dove era seduta Acqua, e la abbracciò con affetto, stringendola fino a stritolarla. 

***

Il giorno dopo, Acqua era andata nei sotterranei da sola, per rivedere la spada. Max aveva deciso che il luogo più sicuro dove lasciarla era appunto nelle segrete del castello, e lì l’aveva portata subito dopo il loro ritorno. L’intoccabile era stata provvisoriamente sistemata su uno degli innumerevoli appigli sul muro, per poi venire ricollocata in una teca di cristallo. Con mani tremanti, Acqua aveva infilato la chiave nella serratura e aveva aperto l’anta. Aveva allungato la mano verso l’elsa della spada, indugiando alcuni secondi prima di sfiorare la superficie di metallo. Ma alla fine, sperando che succedesse qualcosa, si era decisa e aveva impugnato forte l’arma. Al contatto con la propria pelle, un sensazione di familiarità l’aveva avvolta, come se avesse già vissuto quel momento milioni di volte, ma nulla di più. Nessuna musica, ne era sicura.
Aveva ritirato la mano, sempre più consapevole che quella spedizione non aveva portato a nulla. 

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Capitolo 28
*** Preparativi ***


Capitolo 28
Preparativi

Alicarnasso finì di chiudere i bottoni della camicia e si guardò allo specchio, soddisfatto.
- Celeste, muoviti, tra mezz'ora dobbiamo essere là e non voglio arrivare in ritardo! - urlò alla sorella che se ne stava stranamente tranquilla nel suo letto-cuccetta scavato nel muro. Lo aveva costruito lei stessa all'età di cinque anni. Dalla parete si levò uno sbuffo contrariato e la ragazza uscì, raggiungendo il fratello. 
- Sì, scusa Nass, non voglio privarti dell'opportunità di pavoneggiarti in mezzo ad un gruppo di ragazze adulanti e impazienti di passare qualche istante tra le tue braccia. Perdono. - rispose lei. Le sue parole dovevano essere una battuta, ma senza nemmeno l'ombra di un sorriso sul suo volto e voce totalmente piatta e priva d'emozione, la frase risultò incredibilmente scontrosa. 
- Dai, Celeste! Non essere musona, il ballo é fatto apposta per divertirsi, e io ne approfitto. In fondo che male c'é se qualche bella ragazza vuole, diciamo, intrattenersi con me? D'altronde non é colpa mia se sono così irresistibilmente affascinante! - concluse il ragazzo, passandosi una mano fra i capelli, e contemplando l'immagine riflessa nello specchio.
- Sbruffone. - sibilò Celeste, e andò nell'altra stanza a cambiarsi.
In realtà Alicarnasso era veramente un bellissimo ragazzo, capelli neri accuratamente tenuti abbastanza lunghi, occhi azzurri come il ghiaccio della stessa tonalità di quelli della sorella, alto e muscoloso. Aveva la stessa incredibile bellezza fredda e ammaliante di Celeste, ma come carattere era esattamente il suo opposto. Tanto quanto lei era gelida, solitaria e chiusa in sé stessa, lui era amichevole, spiritoso e amava stare in compagnia. Così come Celeste era severa nelle sue relazioni con gli altri, non faceva spesso trapelare le sue emozioni in pubblico per paura del giudizio degli altri e poche persone potevano realmente dire di esserle amiche, Alicarnasso era fin troppo espansivo, si trovava bene con tutti, non aveva difficoltà a fare amicizia con gente nuova, e non si curava di quello che gli altri pensavano di lui a tal punto che non gli importava se tutta la città lo vedeva scambiarsi effusioni con ragazze diverse a distanza di breve tempo. Infatti una delle cose per cui Alicarnasso era famoso era la sua grandissima popolarità tra le ragazze, e lui se ne vantava. Spesso cambiava ragazza, e non lo considerava una mancanza di rispetto verso le sue “ammiratrici”. Per lui era un divertimento, e ai continui rimproveri di Celeste rispondeva che quando avesse trovato la ragazza della sua vita, l'avrebbe trattata bene. Forse l'unica cosa che avevano in comune i due fratelli era la testardaggine. 
Comunque il ragazzo era ben lontano dall'essere irrispettoso o insensibile, perché quando le circostanze lo richiedevano era attento, comprensivo, delicato. Lo dimostrava anche il profondissimo legame che aveva con la sorella, per la quale era un supporto, una spalla, e non mancava mai di aiutarla nei momenti di difficoltà o di sostenerla e incoraggiarla se si sentiva abbattuta. Da quel punto di vista, Alicarnasso era il miglior fratello che Celeste avesse mai potuto desiderare.

Dieci minuti dopo, Alicarnasso stava ancora contemplando il suo riflesso, aggiustandosi di tanto in tanto qualche ciuffo di capelli. Non sentendo più i continui sbuffi di Celeste nel tentativo di sistemare un vestito che le stava decisamente troppo largo, decise di andare a chiederle se avesse bisogno di aiuto. Ma aveva appena messo un piede in corridoio, che la sorella gli sfrecciò davanti, con i bottoni del vestito ancora mezzi slacciati sulla schiena e una mano premuta sulla bocca, correndo verso il bagno. "Oh, no" pensò Alicarnasso "Non ancora!", e si affrettò a raggiungere Celeste, ma si trovò davanti ad una porta chiusa.
Afferrò la maniglia e cominciò a tirare, ma niente da fare, la serratura era stata chiusa dall'interno. - Celeste! Celeste, aprimi!! - le intimò da fuori, sbattendo il pugno libero sulla porta, le orecchie tese a sentir qualsiasi rumore. Ma l'unico suono proveniente dall'interno del bagno era quello dei continui conati di Celeste. Alicarnasso sferrò un altro pugno alla porta, arrabbiato e frustrato, ormai non sapeva più cosa fare. Restò per qualche minuto in ascolto, imprecando e continuando a chiamare la sorella, finché non sentì la debole voce della ragazza, in un sussurro, ordinargli: - Vai via! Non ho bisogno di aiu... - ma un nuovo conato le impedì di terminare la frase. Alicarnasso tentò nuovamente di scassinare la serratura, ma i suoi tentativi furono vani. Restò con le mani sulla porta, completamente impotente, aspettando che Celeste si sentisse un po' meglio e che aprisse. Sentendo il vestito frusciare, pensò che forse la sorella stesse per uscire e si scostò un pochino, ma siccome non succedeva nulla, provò a spingere la porta. Solo quando sentì che la pressione era aumentata moltissimo, Alicarnasso capì: Celeste si era seduta a terra con la schiena contro l'ingresso. Armeggiò ancora un po' con la maniglia, ma subito fu interrotto dalla voce della sorella.
- Ti prego, Nass, vai via... -  sussurrò la ragazza, singhiozzando con la testa appoggiata alla porta.
Alicarnasso rimase impietrito qualche istante, le braccia stranamente rigide lungo i fianchi. Celeste lo aveva implorato? Proprio lei, la ragazza di ghiaccio, che non si faceva mai mettere i piedi in testa da nessuno? Sfiorò con la punta delle dita il legno scheggiato, cercando di far capire alla sorella che, in caso avesse avuto bisogno, sarebbe sempre stato pronto per lei, anche se dubitava seriamente che lei gli avrebbe mai chiesto aiuto. Lei era una persona abituata a fare tutto da sola, e difficilmente riconosceva di essere debole in qualcosa. Come sempre quando si trovava nei guai, se la sarebbe cavata da sola, ce l'avrebbe fatta. Lei era forte. Alicarnasso restò fermo ancora per un poco, indeciso sul da farsi, i singhiozzi di Celeste che gli rimbombavano nel cervello. Alla fine se ne andò, stranito. Non aveva mai sentito la sorella piangere.

***

Acqua si guardò allo specchio e l’unica cosa che riuscì a pensare fu “Wow”.
Sulla terra era il primo di giugno, ad Atlantis era la notte che Acqua pensava sarebbe stata la più lunga della sua vita. Per la madre adottiva, la ragazza era in montagna per tre giorni, in vacanza; in realtà gli ultimi due giorni non erano stati per niente una passeggiata. 
Aveva aiutato la cugina per la preparazione e l’addobbo delle sale, aveva preso parte a lunghissime (e, doveva ammetterlo, divertenti) lezioni di ballo insieme a Max e, a volte, alla cugina, per poi passare un’intera giornata dedicandosi alla prova e al perfezionamento degli abiti che avrebbero indossato quella sera. 
All’inizio Acqua aveva pensato che avrebbe finito per odiare il proprio. Conosceva i gusti di Corallina, e sapeva che le piacevano i pizzi e i merletti in una misura un po’ troppo alta. 
Ma, alla fine, la cugina aveva rispettato i suoi, di gusti, e le aveva fatto indossare un abito che corrispondeva perfettamente ai requisiti. Semplice, forse un po’ troppo scollato, ma non esageratamente appariscente. Ed era rosa pesca. Il corpetto era tutto arricciato, con le spalline di tulle, e morbide rose di stoffa erano adagiate sul suo fianco destro e scendevano leggere lungo la gonna, come una cascata.
Acqua continuò a guardarsi allo specchio mentre Corallina le sistemava i capelli in uno chignon arruffato e scomposto, che contrastava con la composta eleganza dell’abito. La principessa sedeva tranquilla, mangiandosi le unghie e fissandosi nel riflesso, perplessa.
- Non sembro nemmeno io. - sussurrò, piano. Non voleva urtare l’orgoglio di Corallina, che aveva fatto un bellissimo lavoro, solo che non si era mai vista così, e l’effetto era…strano.
- Certo che sembri tu, sei solo più elegante e carina del solito. – replicò la cugina, la cui felicità era in quel momento indistruttibile. Lei viveva per quella serata, e non riusciva a capire il nervosismo della cugina. 
- E così vieni con Max… - la buttò lì, cercando di tirarle su il morale, o almeno di distrarla.
- Già. - rispose Acqua, laconica.
- Scelta alquanto prevedibile. - commentò la rossa, scuotendo la testa. - Ci avrei scommesso. - rise.
- È già tanto che io venga, non sarei in grado di ballare con nessun altro. -
- Lo sai che poi dovrai cambiare partner, vero? - azzardò Corallina. Probabilmente, invece di distrarre Acqua, la stava facendo pentire della scelta. Ops. 
- Cerco solo di non pensarci. - sospirò Acqua. Seguì un momento di silenzio, in cui Corallina cercò di capire se poteva spingersi oltre con i commenti. 
Ma, d’altronde, era Corallina, e non riuscì a trattenersi.
- Comunque, sai che tu e Max siete proprio carini? - gongolò, assaporando l’espressione imbarazzata di Acqua, che era arrossita fino alle orecchie. La principessa provò a biascicare un rapido quando prevedibile “siamo-soltanto-amici”.
- Non contraddirmi, non  siete “soltanto amici”. Non sono stupida, cugina. Ho visto il modo in cui vi guardate, come vi sorridete, come vi tenete per mano. E, fidati, non è una cosa da amici. - Corallina smise per un attimo di pettinarla e la fissò negli occhi.
- Sul serio, perché non vi mettete insieme? - insistette. Acqua distolse lo sguardo, arrossendo ancora.
- Beh… in realtà… non sono molto sicura di… quello che provo. E per niente sicura di quello che prova lui. - sussurrò.
- Ma dai, Acqua… lui è cotto marcio di te! -  sbraitò Corallina.
- Dici sul serio? - 
- No, sto scherzando. - Corallina smise un’altra volta di pettinarla, irritata, un sopracciglio inarcato. - Ovvio, stupidona!!! A volte mi domando se tu ci veda bene. O hai delle cozze sugli occhi? -  Acqua non poté fare a meno di sorridere.
- Non lo so, Corallina. È tutto così strano… dovrei rifletterci per bene. – disse Acqua, poi rimase in silenzio. Il discorso era chiuso, ma nulla le impediva di divertirsi anche lei un po’ con la cugina.
- E tu con chi vieni? - le chiese, ammiccando.
- Con un tizio appiccicoso meglio noto come Mik Gilsh. - Sentendo il nome, Acqua soffocò le risate.
- Con quell’imbranato? Mi stupisco di te. - la punzecchiò.
- Ridi, ridi pure. Sappi che potrebbe capitarti chiunque dopo, e che ti riserverò lo stesso trattamento in caso finissi con qualcuno del genere. -
- Scusa. Perché non Henri? Pensavo che voi due foste a un passo dal matrimonio, ormai. - rise Acqua.
- Ahahah, divertente. Avrei voluto, ma lui non può venire, perché la sua famiglia non discende da quelle nobili dei tempi antichi. E poi, non si è fatto avanti in nessun modo. - sospirò Corallina.
- Cugina, ma hai presente di chi stiamo parlando? Pensi sul serio che Henri abbia il coraggio di farsi avanti, timido com’è? - 
- Lo so, hai ragione, ma non voglio forzarlo. Capisco che sia un po’ titubante e non voglio che si senta obbligato a stare con me. Non vorrei che stesse solo immaginando di sentire qualcosa che in realtà non sente, e che gli sto facendo credere io… - Corallina fece spallucce e continuò a pettinare Acqua per qualche minuto.
- Finito! – disse e, allontanandosi un pochino, ammirò il suo lavoro.
- Sei perfetta, cugina! Adesso possiamo passare al trucco! –

***

Mancava poco più di mezz’ora all’inizio del ballo, quando Max entrò nella stanza di Corallina, dove le ragazze stavano finendo di prepararsi.
- Buonasera, incantevoli fanciulle. - disse. - Mi permettete di trascorrere qualche incantevole momento nella vostra incantevole compagnia? – domandò, con voce esageratamente ridicola. Le due ragazze si misero a ridere. 
- I miei complimenti, Corallina, ogni anno superi te stessa. Siete bellissime tutte e due, da mozzare il fiato, veramente. - 
- Grazie, ma lo sapevamo già! - cinguettò allegra Corallina, saltellando da una parte all'altra della stanza, e provandosi diversi fiori colorati sui capelli. 
- Sono elettrizzata, non sto più nella pelle! - 
- Non si capisce, sai? Dissimuli molto bene la tua euforia. - commentò Max, che non poteva fare a meno di ridere, a fianco di Acqua. 
- Fai pure tutti i commenti che vuoi, sappi che non distruggerai mai la mia felicità! – sussurrò Corallina, rivolta a Max, con un finto sguardo truce. Meno di tre secondi dopo, aveva ripreso a canticchiare e ballare per la stanza.
- Oh, allora presumo che non ti farà nessun effetto sapere che il tuo accompagnatore è già arrivato. - ribatté Max. Acqua vide la cugina sbiancare e spalancare gli occhi. - Sei sicuro? - chiese, voltandosi di scatto verso di lui. Il ragazzo annuì, ridendo. 
- Oh, mio dio. - sussurrò Corallina. - Oh, mio Dio!!! - strillò ancora una volta, saltellando da un piede all’altro. - Come sto, cugina? I capelli? Il trucco? - chiese rivolta ad Acqua. 
- Non ti preoccupare, sei bellissima. - rispose.
- Dici davvero? - domandò di nuovo Corallina.
- Ovvio, stupidona! A volte mi domando se tu ci veda bene. O hai delle cozze sugli occhi? - rispose Acqua, facendole l’occhiolino. Le due ragazze cominciarono a ridacchiare insieme nello stesso istante.
- Ok, non so che cosa abbiate voi due contro le cozze e mi dispiace interrompere il vostro divertimento, ma Corallina farebbe meglio ad andare. - disse Max. 
- Sì, hai ragione. - rispose lei, senza smettere di ridere.  - Divertitevi, buona serata! - disse, e li congedò con un gesto della mano come per dire: - Vi tengo d’occhio. - 
Max e Acqua rimasero soli nella stanza di Corallina. 
- Allora, come va, Acqua? - le chiese il ragazzo, vedendola un po’ corrucciata.
- Tutto bene, sono solamente un po’ nervosa. -  rispose lei. Anche se “solo un po’” le sembrava un bugia, la verità era quella: era tremendamente nervosa per quella che Max aveva chiamato “la loro entrata trionfale davanti a tutti gli invitati”, e che sarebbe stata seguita dal “primo vero ballo di primavera degli ultimi sei anni”. Max le aveva raccontato che la madre non aveva più preso parte ad un evento del genere dopo la morte del re, e che quindi tutti avevano grandi aspettative in lei. Ancora meglio. Acqua ricominciò a mangiarsi le unghie, fissando il pavimento.
- Non c’è bisogno di agitarsi così, Acqua. - le sussurrò Max, mettendole una mano sulla spalla e accarezzandola lievemente. 
- Già, non c’è bisogno! Tanto c’è solo mezza città là sotto che non vede l’ora che io arrivi! - strillò Acqua, in preda all’isterismo. Max la abbracciò, sollevandola da terra.
- Non stai andando al patibolo, testarda di una principessa, è una festa! - le disse Max - Nessuno si aspetta niente, solo che tu ti diverta e che passi una serata allegra diversa dal solito! Capito? - Acqua si rilassò, sospirando e sperò che fosse realmente così. I due ragazzi rimasero abbracciati, immersi nel loro mondo, cullandosi al ritmo dell’allegro chiacchiericcio che proveniva da sotto. Acqua chiuse gli occhi e abbandonò la testa sul petto di Max. Si concentrò sull’eco di conversazioni e risate sparse, inframmezzate qua e là da qualche sporadica nota - i musicisti che si stavano preparando per la serata. Acqua immaginava la colorata moltitudine di giovani agghindati per l’occasione che vagavano per la sala in cerca di nuove conoscenze, il profumo de fiori che lei e la cugina avevano aiutato a sistemare in allegre ghirlande, gli innumerevoli specchi che riflettevano tutto quel trionfo di luci e colori. La ragazza sorrise, pensando che i genitori si erano conosciuti proprio così. Come nei ricordi di Acquarius durante il cambio del partner, rivedeva la madre volteggiare in un magnifico abito celeste tra la folla, bellissima ma semplice, e finire tra le braccia del principe. Ricordava le prime parole imbarazzate, il rossore istintivo che si era sparso sulle guance di quella splendida ragazza, e la gioia che aveva percepito nei ricordi del padre a fine serata.
Malgrado tutte quelle immagini le facessero sentire la voglia di piangere, piegò le labbra in un debole sorriso irrazionale. Certo, la tristezza era inevitabile, ma da qualche parte dentro di lei sentiva una tenerezza profonda. I suoi genitori erano l’emblema di un amore forte, sincero e vero, che non l’avrebbe mai abbandonata, qualsiasi cosa fosse accaduta.
- E ora cosa faremo? - chiese a Max, sciogliendosi leggermente dall’abbraccio. Lui aggrottò le sopracciglia, disorientato.
- Cosa faremo ora che abbiamo recuperato la spada, ma è stato tutto inutile? - ripetè la ragazza.
- Non lo so, Acqua. - rispose lui - Ma non devi preoccuparti troppo per questo. Forse ci siamo sbagliati e i poteri sono semplicemente tornati al Dragone. Non sempre una spedizione porta successo, ma non devi abbatterti così. - Acqua lo guardò negli occhi, avvilita e delusa.
- Era l’ultima cosa che mi legava a loro. - sussurrò, spostando lo sguardo verso il basso. Si strinse le braccia intorno allo stomaco, come se avesse avuto improvvisamente freddo. 
- Era l’unica cosa che forse mi avrebbe reso più forte, che mi avrebbe permesso di renderli fieri di me. - continuò, lo sguardo a terra. Max sorrise.
- Loro sono già fieri di te, Acqua. - sussurrò il ragazzo. Le appoggiò una mano sulla spalla e si avvicinò, accarezzandole il braccio. Quando Acqua sollevò lo sguardo, i loro visi erano a pochi centimetri di distanza.
- Grazie. - sorrise lei, con una nuova luce negli occhi. Una luce fiera, risoluta. 
- Non c’è di che. - bisbigliò Max. 
Il ragazzo ebbe un piccolo tentennamento, come un attimo di indecisione, poi posò una mano sulla guancia di Acqua e, con una carezza, la attirò dolcemente verso di sé. Acqua non sapeva più cosa pensare. Con il battito del cuore così accelerato da non riuscire più a distinguerne i battiti, sperò solamente che lui non stesse solo giocando, e che non si ritirasse come era successo in precedenza. Ma questa volta Max sembrava intenzionato a continuare. Acqua lasciò che le sollevasse il viso con due dita sotto il mento e chiuse gli occhi, mentre appoggiava le labbra sulle sue. Il cuore di Acqua aumentò il ritmo. Quel momento era così perfetto: le labbra di Max, così ruvide e allo stesso tempo così dolci, sapevano di sale, forza e coraggio; i loro respiri, uniti, si fondevano come parti della stessa anima.
La ragazza sentì un brivido correrle giù per la schiena, quando Max fece scivolare una mano sul suo collo e la spostò sulla sua nuca. Acqua gli mise un braccio intorno alle spalle e cercò di avvicinarsi e stringersi ancora di più a lui. 
Ora Acqua era incapace di fermarsi, era così felice che mai avrebbe deciso spontaneamente di lasciarlo andare. Fu l’orologio a cucù della camera di Corallina a interromperli, segnalando a gran voce che erano le otto. I due ragazzi si separarono, gli sguardi incatenati.
- Penso che sia ora di scendere. – constatò Max, senza degnare l’orologio di uno sguardo.
- Dobbiamo proprio? – chiese Acqua, il respiro affannoso.
- Non vorrai deludere mezza città. – scherzò Max, meritandosi un amorevole pugno sulla spalla da parte della principessa. Poi la prese per mano e la condusse verso la sala da ballo.

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Capitolo 29
*** L'abisso dei suoi occhi ***


Capitolo 29 
L’abisso dei suoi occhi

Un allegro scampanellio risuonò nella sala affollata e coprì per un attimo il brusio della folla. Acqua rivolse uno sguardo preoccupato a Max.
- Dobbiamo già andare? - chiese, sgranando gli occhi.
- Vuoi restare qui altri venti minuti a fissare la gente che balla? - disse Max, sarcastico. Da quando erano scesi e si erano preparati nel corridoio rialzato nascosto, la ragazza non aveva fatto altro che sbirciare in sala, mordicchiandosi le labbra.
Vedendo che Acqua stava per rispondere di sì, Max le prese una mano e si avvicinò a lei, impedendole di dire qualsiasi cosa con un bacio.
- E invece no. Andiamo, timidona. – sorrise il ragazzo. Acqua si sollevò sulle punte delle pinne per restituirgli il bacio, e lo seguì di malavoglia verso la grande scalinata che dovevano percorrere per unirsi al gran ballo. Solo allora si accorse del silenzio tombale che si era imposto in pochi secondi sulla sala da ballo. Tutti i presenti si voltarono verso la scala, chi con il volto raggiante, chi un po’ scocciato di dover interrompere le danze. Acqua restò rigida e impalata a fianco di Max, senza sapere cosa fare. Vedeva ogni singola persona fissarli col fiato sospeso, c’era perfino qualcuno, tra i più giovani, che era rimasto a bocca aperta. E il peggio era che Acqua conosceva gran parte delle persone lì dentro. Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata, e le gambe a tremare, mentre i musicisti accennavano qualche nota, creando una melodia dolce e lenta. Max strinse più forte la mano di Acqua e iniziò ad avanzare e a scendere uno scalino dopo l’altro. Acqua lo guardò, il cuore in gola, mentre cercava di far muovere i piedi senza inciampare. Max sorrideva fiero, a testa alta, talvolta salutando qualcuno tra la folla con un movimento del capo,  e scendeva le scale lentamente, con una postura impeccabile, degna di un sovrano. Acqua cercò di imitarlo, raddrizzò le spalle e abbozzò un lieve sorriso imbarazzato, concentrandosi sugli scalini e sul movimento dei piedi. Destro, sinistro, destro, sinistro, destro…
Faceva scorrere lentamente gli occhi sulla marea di persone presenti, soffermandosi sui volti sconosciuti, passando oltre quando vedeva qualcuno che conosceva, per non distrarsi. In mezzo alla calca notò un uomo con una lunga cicatrice che gli sfregiava il lato sinistro del volto, che osservava imbronciato la gente intorno a lui. Poi il suo sguardo fu attirato da una ragazza con i capelli rasati su un lato, che indossava un vestito nero corto, e si muoveva agile tra un labirinto di persone immobili, più a sinistra, per raggiungere chissà chi. Ma quello che la colpì più di tutto era una trama fittissima di disegni neri che si arrampicava per tutto il suo braccio destro, quasi senza lasciare libero un centimetro di pelle. La ragazza in nero si voltò ad incrociare il suo sguardo proprio mentre Acqua cercava di mettere a fuoco il disegno sul suo braccio. La principessa distolse lo sguardo, arrossendo, e tornò a concentrarsi sui suoi passi.
Erano circa a metà della scalinata, quando dal lato più a destra della sala qualcuno cominciò ad applaudire. Acqua fece saettare lo sguardo in quella direzione e distinse chiaramente la massa di capelli rossi di Corallina, che saltellava di gioia mentre tutti i presenti si univano al suo applauso. 
Acqua si voltò confusa verso Max, ma il ragazzo continuava ad avanzare sorridente come se niente fosse. Acqua si chiese come riuscisse a sopportare di essere così tanto sotto i riflettori. Lei non ce la faceva più, dopo neanche un minuto. Abbassò lo sguardo, per evitare di dover guardare chiunque, ed elaborò un piano di vendetta sulla cugina. Nel frattempo era avvampata fino alle orecchie, e il cuore batteva così forte che temeva si potesse sentire. Gli ultimi scalini furono un’agonia, e fu solo quando arrivarono al centro della pista, circondati dalla folla, che tutti cominciarono a spostarsi per fare posto. Acqua tirò un sospiro di sollievo al cambio della musica, si avvicinò a Max, fece strisciare le mani nella loro posizione e finalmente liberò la tensione, lasciando che fosse lui a controllare i passi e gli spostamenti. Dopo qualche secondo posò la testa sul suo petto e si rilassò. Max le accostò la bocca all’orecchio.
- Non ti nascondere. - le sussurrò.
- Mi nascondo quanto mi pare. - replicò lei, sorridendo, e chiuse gli occhi. Max non aggiunse nient’altro e continuò a ballare, come se fossero solo loro due.
Acqua si concentrò sul suo respiro, sul ritmico alzarsi e abbassarsi del suo petto, ascoltò il battito del suo cuore, ed escluse tutto il resto del mondo. Dimenticò completamente tutte le altre persone presenti, tutti gli sguardi puntati su di lei, e continuò a seguire Max, che si muoveva forte come una roccia ed elegante come al solito. C’erano solo loro due, insieme; gli altri non esistevano. Lentamente sentì il suo cuore decelerare e ritornare al suo normale ritmo, sentì il rossore defluire dal viso e il respiro normalizzarsi. Qualcuno iniziava a ballare attorno a loro: Acqua sentiva il fruscio degli abiti tutt’intorno e capì che non erano molti quelli che ancora esitavano. Erano tutti in pista. Acqua aprì gli occhi e sbirciò intorno: nessuno li stava più guardando. 
- É finita! - sospirò, sollevata, alzando il viso verso Max.
- Non è stato così terribile, no? - sorrise Max, appoggiando la fronte su quella di Acqua.
- Parla per te. - rispose lei - Sembravi perfettamente nel tuo ambiente. -
- Diciamo che mi capita spesso di stare davanti a un sacco di gente. - minimizzò Max, poi si chinò a sfiorarle le labbra.
- Però è la prima volta che ci sei anche tu con me. - aggiunse. Acqua sorrise, senza dire nulla, e continuarono a dondolarsi avanti e indietro, rallentando senza accorgersene, tanto erano presi l’uno dall’altra. Quando la musica finì, erano quasi fermi. 
Il chiacchiericcio ricominciò, e si formarono alcuni gruppetti di amici che scherzavano insieme. Acqua sapeva che dopo il primo ballo c’era sempre un momento di pausa per conoscere nuove persone. L’occasione si presentò subito; infatti passò un ragazzo che salutò Max con una sonora manata sulla schiena, prendendolo in giro.
- Ci diamo da fare, eh, Generale? – gli disse, con aria maliziosa. Acqua arrossì, mentre Max salutava l’amico.
- Potresti essere un po’ più delicato la prossima volta. – protestò Max. Il ragazzo scrollò le spalle.
- Acqua, questo è Alicarnasso, il fratello di Celeste. – disse Max, spostandosi vicino alla ragazza e cingendole la vita con un braccio. In effetti Acqua aveva notato una certa somiglianza. Alicarnasso era identico a sua sorella, capelli neri e occhi di ghiaccio, un po’ più basso di Max, ma in compenso più forte e muscoloso di lui. E aveva un sorriso da togliere il fiato. Acqua restò allibita dalla sua bellezza, e si accorse in ritardo dello sguardo furioso dell’accompagnatrice di Alicarnasso, una ragazza bionda, coi capelli lunghi e lisci, che sembrava essere molto gelosa. Acqua si ricompose in fretta, ma Alicarnasso si avvicinò a lei e le fece un elegantissimo baciamano, che le causò un altro attacco di rossore.
- Sei bellissima. - le sussurrò, con un sorriso smagliante e gli occhi luminosi. 
- Ehm, beh… g-grazie. - balbettò Acqua, imbarazzata. Dio, quant’era affascinante…
La ragazza al fianco di Alicarnasso, che era attaccata al braccio del ragazzo, riuscì ad attirare la sua attenzione, e gli rivolse uno sguardo stizzoso. Il ragazzo la guardò per un attimo, poi la ignorò, tornando a dedicarsi ad Acqua.
- Sai, l’ultima volta che ti ho vista eri priva di sensi, non eri proprio al tuo massimo. Ma ora sei decisamente stupenda. - dichiarò il ragazzo dallo sguardo di ghiaccio. Acqua sentì le orecchie andarle a fuoco. Se non era ancora diventata del colore del corallo, ci mancava poco.
- Grazie per quella volta, col Mutaforme. - biascicò lei, spostando lo sguardo a terra.
- Figurati, ammazzare mostri camuffati è il mio passatempo preferito. - disse Alicarnasso, inchiodando Acqua con un altro dei suoi sorrisi ammalianti. 
La ragazza bionda sbuffò, cercando di attirare di nuovo l’attenzione del ragazzo, che ormai non le badava più. 
- Celeste non c’è? - s’informò Max, assumendo d’un tratto un’espressione preoccupata. Acqua era contenta che Max avesse spostato l’attenzione di Alicarnasso su qualcun altro, anche se quel qualcun altro era Celeste. Il ragazzo scrollò le spalle.
- Non è venuta, non…si sentiva bene. - rispose, esitando sulle ultime parole.
Proprio in quel momento la musica ricominciò. Il volto di Alicarnasso si illuminò, e sembrò ricordarsi solo allora della ragazza che lo accompagnava.
- Beh, sarà il caso di andare, giusto Bay? - chiese il ragazzo. Lei roteò gli occhi. Era quello che cercava di suggerirgli da dieci minuti buoni. Poi il ragazzo salutò Max e si avvicinò ad Acqua, dandole un bacio delicato sulla guancia.
- Ciao, bellezza, a dopo. - le sussurrò all’orecchio. Poi si allontanò, le fece l’occhiolino e se ne andò con Bay, seguito da uno stuolo di ragazze che gli stavano appiccicate, cercando di sottrarlo alle grinfie della ragazza bionda.
Acqua rimase qualche secondo interdetta, sentendo il tocco delle labbra di Alicarnasso come fuoco sulla pelle. 
- Tipo strano, eh? - commentò Max, offrendo la propria mano ad Acqua, per ricominciare a danzare. 
- Già. - rispose lei, perplessa, avvicinandosi a Max.
- Non ti preoccupare, fa il cascamorto con ogni ragazza che incontra. È fatto così. - sussurrò, mentre iniziavano a volteggiare per la sala. Acqua sorrise.
- Sembra che la dose di espansività mancante in sua sorella sia passata a lui. - rise la ragazza, e si abbandonò a quello che sarebbe stato il suo ultimo ballo con Max per quella sera. 

***

Al momento del cambio del partner, la musica cambiò di intensità. Da una dolce melodia qual era, crebbe fino a diventare un ritornello ritmato e veloce. A quel punto, gli uomini afferrarono le loro accompagnatrici per la vita e le lanciarono in  alto, tra risolini divertiti, raggiungendole poco dopo in un salto. Le coppie così ricostituite si allinearono tutte su un unico piano, circa a metà dell’altezza della sala: da quel momento la danza continuava in alto. Un po’ alla volta, i ballerini si disposero in cerchio, le ragazze all’interno e i ragazzi all’esterno, e formarono due cerchi concentrici che ruotavano in direzioni opposte. Da lì cominciava il vero divertimento: prendendosi per mano, i componenti dei cerchi dovevano iniziare una complicata coreografia fatta di saltelli, giravolte e movimenti delle braccia, che aumentava di ritmo con l’avanzare della musica. Come al solito ci fu qualche problema, come qualcuno che sbagliava la coreografia, qualcuno che si fermava di botto causando una collisione multipla, altri che andavano troppo veloci e trascinavano dietro di sé una fila impazzita. Ma il bello era quello: la coreografia non veniva mai bene, e tutti si divertivano un mondo. Anche Acqua, nel cerchio delle ragazze, doveva ammettere che non era così terribile. Riusciva a stare al passo con la musica e a eseguire la coreografia al punto da evitare di fare figuracce, e questo le bastava. Era solo in ansia per quando la musica sarebbe finita. Erano i musicisti a decidere la fine, perciò erano sempre loro che determinavano le nuove coppie. Quell’anno la stavano tirando in lungo, certe volte sembrava che rallentassero, ma poi tornavano ad aumentare la velocità.
Infine, uno dei musicisti iniziò a decelerare e tutti lo seguirono. Quello era il segnale che tutti aspettavano: i ragazzi smisero di muoversi e le ragazze si aprirono a raggi volteggiando verso l’esterno, mentre la musica si raddolciva e scemava.
Acqua atterrò tra le braccia di un perfetto sconosciuto, e insieme scesero verso il pavimento della sala, come tutte le altre coppie. Acqua studiò con calma il suo nuovo partner, mentre entrambi attendevano che la canzone terminasse e si scambiavano sorrisi imbarazzati. 
Doveva avere al massimo diciannove anni, era altissimo, anche più di Max, e magro. Portava i capelli, neri e abbastanza lunghi, raccolti in una coda sulla nuca, ma qualche ciuffo corto sulla fronte sfuggiva e si posava sulle tempie e sulla fronte.
Acqua restò sorpresa dal suo sguardo: non aveva mai visto ad Atlantis qualcuno con gli occhi più scuri di quel ragazzo. Erano neri come la pece, tanto che le iridi non si distinguevano dalle pupille. La musica cessò, lasciando qualche minuto alle nuove coppie per presentarsi.
- Ciao. - disse il ragazzo, abbozzando un sorriso timido.
- Ciao. - rispose Acqua, imbarazzata. Odiava quei momenti di timidezza, ma non ci poteva fare niente, quando non conosceva qualcuno era sempre un po’ impacciata.
- Io sono Julian. - si presentò il ragazzo. Acqua sorrise.
- E io sono… - 
- Sì, so chi sei. - la interruppe Julian.
- Giusto, hai ragione. - rispose Acqua, le guance che già si coloravano di rosso, dopo quello strafalcione. Rimase per un attimo senza parole dall’imbarazzo, poi aggiunse:
- Però puoi chiamarmi Acqua. - Julian sorrise, e Acqua incrociò il suo sguardo, perdendosi per qualche istante nell’abisso senza fine dei suoi occhi. Si accorse un po’ in ritardo che la musica era ricominciata.
- Allora, andiamo? - domandò il ragazzo, vedendo che Acqua aveva la testa fra le nuvole.
- Sì, scusami. - mormorò la ragazza, stranita, e ricominciarono a ballare.

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Capitolo 30
*** Stupida! ***


Capitolo 30
Stupida!

Max si appoggiò alla parete di ghiaccio della sala, ad osservare le coppie che ballavano poco distanti da lui. Era capitato con una ragazza che conosceva, quella con il tatuaggio sul braccio. Avevano ballato per un po’, poi lei gli aveva chiesto se gli dispiaceva lasciarla andare a ballare con un altro, e lui l’aveva fatta andare. Max guardava come se la stavano passando gli altri. Corallina era raggiante, ancora più del solito, perché era finita con un bel ragazzo, con cui tutte quelle della sua età speravano di ballare. Acqua invece era con un tizio che Max non aveva mai visto, neanche di sfuggita. E gli sembrava strano, perché lui conosceva più o meno tutti in città. C’era qualcosa di strano in quel tipo, ma non riusciva a capire cosa. Acqua salutò Max con la mano e lui le rispose con un sorriso, lottando contro l’istinto che gli diceva di andare da lei e strapparla dalle braccia di quel tizio. Si controllò anche quando lo sconosciuto si voltò e lo inchiodò con uno sguardo scuro come la notte, che stonava tantissimo sulla sua espressione cordiale e gentile. No, c’era qualcosa che non andava.

***

Acqua non si accorgeva del tempo che passava. Julian era veramente simpatico e gentile. Anche se Acqua avrebbe preferito continuare a ballare con Max, non poteva certo lamentarsi. Certo, Julian era un po’ incerto nel ballo, e avrebbe fatto una magra figura accanto a Max, dato che non aveva nemmeno un briciolo della sua forza ed eleganza, ma Acqua sapeva che non poteva pretendere troppo. Insomma, non potevano essere tutti dei ballerini provetti, tanto più che anche lei era un disastro senza Max.
Lei e Julian si erano conosciuti un po’ meglio e da subito si erano trovati molto bene l’uno con l’altra. Dal niente avevano iniziato a chiacchierare del più e del meno, lui le aveva chiesto della sua vita sulla Terra, di come si trovava ad Atlantis, e altre cose. Acqua si trovava a suo agio con quel ragazzo premuroso e cortese, e già dopo poco che si erano conosciuti, sembrava che fossero amici da secoli.

***

Max intravide con la coda dell’occhio la figura di Alicarnasso che si avvicinava furtiva, e si spostò in tempo per schivare la sua solita manata di saluto. 
- Ti vedo concentrato… - commentò il nuovo arrivato - È così interessante osservare le danze standosene in disparte? - chiese, con un sorriso furbetto. Max lo guardò di sottecchi, distogliendo lo sguardo dai ballerini per la prima volta.
- Parla quello che ha come hobby “ammazzare mostri camuffati”. - replicò Max, facendogli il verso. - Ti ho mai detto quanto sei spaccone? - aggiunse, con tono scherzoso. Alicarnasso  finse di aversene a male, ma neanche due secondi dopo un sorriso divertito si era fatto strada sul suo volto.
- Oh, siamo gelosi qui. Non preoccuparti, sai che la lascerò stare. È tutta tua! - ammiccò Alicarnasso, dandogli di gomito.
- Sì, sì, lo so. - rispose Max. Dopotutto si fidava di lui, era un suo grande amico.
- È  solo che mi piace divertirmi. E poi, è così facile metterla in imbarazzo che non c’è nemmeno gusto! - dichiarò Alicarnasso. Max ridacchiò.
- L’hai traumatizzata, prima. - 
- Meglio, così si ricorderà di me per molto tempo. - Max avrebbe voluto controbattere, ma decise di lasciar perdere. Con Alicarnasso era tempo sprecato, testardo com’era. Rimase qualche secondo in silenzio fissando il centro della sala con occhi vuoti.
- Che cos’ha Celeste? - chiese, preoccupato. L’espressione di Alicarnasso si fece immediatamente seria.
- Non so più cosa fare con lei, Max. - sospirò - Sono tre giorni, ormai, che non riesce a mangiare qualcosa senza vomitare anima e corpo. È pallida come un cencio, non mangia e non si regge in piedi. Lei dice che non è niente di preoccupante, ma non le credo per niente. Oggi ha pianto, e ti giuro che è la prima volta in vita mia che la sento piangere. - Max ascoltò Alicarnasso con le sopracciglia aggrottate.
- Perché diavolo non mi dice niente? - esplose alla fine, arrabbiato e frustrato. - Ogni santa volta che cerco di parlarle, non risponde, mi ignora, fa finta di nulla. - 
- Il suo problema è che non si fida di nessuno, nemmeno di me, che sono suo fratello. Non importa quanto io le dimostri di essere degno della sua fiducia, si isola e basta. – protestò Alicarnasso. Max prese un profondo respiro.
- Non so quanto possiamo fare riguardo a questo. È nella sua natura. Però, penso di sapere cosa la fa star male così. - Max guardò negli occhi l’amico, che rispose sollevando le sopracciglia.
- Ne sei sicuro? - gli chiese.
- No. No, non ne sono sicuro per niente e devo riuscire a parlarle per sapere se la mia idea è corretta o no. - Max si passò una mano sul viso. - Perciò domani passerò da voi e le parlerò. - affermò, con aria risoluta.
- Non so se la troverai. Ultimamente è sempre fuori e non dice mai dove va… -
- Allora la cercherò ovunque, ma devo parlarle! Non può evitarmi per sempre! - sbottò Max, e distolse lo sguardo, puntandolo di nuovo al centro della sala. Alicarnasso annuì, in segno di approvazione. I due rimasero in silenzio per qualche istante, poi Alicarnasso posò una mano sulla spalla di Max
- Grazie, amico. Non mi piace vederla star male, le voglio troppo bene. - sussurrò.

***

Nei momenti di pausa tra un ballo e l’altro nella sala esplodeva il caos. Acquamarina aveva lasciato un attimo Julian per andare alla ricerca di Corallina, ma in mezzo a quel marasma non riusciva a trovarla da nessuna parte. Scorse in lontananza Max che parlava animatamente con un gruppo di ragazzi e ragazze, tra cui inevitabilmente spiccava la tizia con gli arabeschi tatuati sul braccio. Siccome sembravano molto impegnati, decise di lasciarli perdere e andò oltre.
Passò accanto a molte persone che conosceva, che appena la notavano si precipitavano da lei cercando di inserirla nel loro gruppo, ma lei scambiava solo qualche parola, poi, senza farsi notare, li abbandonava. 
Si spostò verso un angolo della sala, per uscire un secondo da quel groviglio di corpi agitati, ma si allontanò subito, vedendo che era già occupato da un Alicarnasso alquanto…impegnato, con una morettina bassa da indubbiamente molto bella tra le braccia. Acqua poteva giurare di averlo visto appartato nello stesso angolo con una ragazza diversa poco prima. Sorrise tra sé, pensando che, chissà come, era proprio il genere di cosa che si sarebbe aspettata da uno come lui. 
Acqua si avvicinò alle finestre, destreggiandosi tra la marea di persone che le comparivano davanti all’improvviso o che volevano a tutti i costi coinvolgerla nei loro discorsi, tirandola da una parte o dall’altra. Acqua cercò di essere gentile, anche se era esasperata da tutte quelle attenzioni.
Arrivò alle finestre accaldata dalla pressione della folla e si sporse un po’ fuori con il busto per rinfrescarsi.
- Ehi cugina, finalmente ti ho trovata! - esclamò Corallina, raggiungendola.
- Ciao, ti stavo cercando anche io… - iniziò a dire Acqua, ma come suo solito, Corallina la interruppe.
- Prima quando sei scesa con Max è stato bellissimo, Acqua! - eruppe la rossa, saltellando da un piede all’altro e guardandola con occhi adoranti.
- Non per me. - sibilò Acqua - Ah, e sappi che mi vendicherò per l’applauso. - aggiunse, con aria minacciosa.
- Vorrei poter dire che mi dispiace, ma non mi dispiace. - gongolò Corallina - Sul serio, siete stati magnifici! - 
Acqua mugugnò. Stava per dire qualcosa, ma Corallina riprese a parlare, costringendola a stare zitta.
- Indovina con chi sono capitata? - trillò, allegra.
- Con chi? - le fece eco Acqua, spazientita. Corallina non la lasciava parlare.
- Con quel bel pezzo di figliolo di Eriot! - sussurrò, con un sorriso radioso, come se fosse stata chissà quale rivelazione.
- Buon per te. Però… - ripartì Acqua. 
- E tu con chi sei? - chiese Corallina, notando qualche secondo dopo lo sguardo irritato della cugina.
- Oh, beh… forse dovevi dire qualcosa? - chiese, con finta noncuranza e un sorriso da angioletto. Acqua sospirò.
- Meno male che te ne sei accorta, pensavo di non avere più speranze. - disse. All’improvviso, però, si era fatta timida.
- Ehm, beh… Hai presente quello che mi hai detto prima? - iniziò, titubante. A Corallina si illuminarono gli occhi.
- Sì… - la spronò, con gli occhi spalancati e le sopracciglia sollevate.
- Insomma, forse avevi ragione. - restò sul vago Acqua. 
- Oh, mio dio!! Cos’è successo? Cos’è successo?? - esclamò Corallina, ridendo, come impazzita. Acqua arrossì.
- Mi ha baciata. - sorrise, fissando gli occhi della cugina. Corallina le saltò subito addosso, stringendola in un abbraccio spacca-costole, mentre saltellava e ululava di felicità.
- Te l’avevo detto, io. Te l’avevo detto! Lo sapevo! Devi ascoltare più spesso la tua saggia cugina! – urlava, stritolandola. Acqua credeva che sarebbe soffocata di lì a poco. Fortunatamente dopo un po’ di tempo Corallina si calmò, senza un motivo apparente. In realtà aveva visto avvicinarsi uno strano ragazzo dagli occhi scurissimi, ipnotici. Era rimasta per un attimo di troppo a fissare quelle iridi nere, catturata dalla loro incredibile profondità, senza nemmeno accorgersi che il ragazzo si era affiancato ad Acqua.
- Cugina, hai capito? Io vado con Julian. - ripeté la principessa, notando che Corallina si era distratta.
- Sì, va bene! - rispose la rossa, riscuotendosi. - A dopo! - esclamò, salutando la cugina, mentre lei e il ragazzo si allontanavano. Corallina pensò che sarebbe stato opportuno andare a cercare Eriot, ovunque fosse, perché di lì a poco sarebbero ricominciate le danze. Si apprestò a immergersi nella folla, quando un piccolo animaletto le sfrecciò davanti e si arrestò a due centimetri dal suo naso. Corallina ci mise un po’ a metterlo a fuoco, perché si muoveva in continuazione, ma quando finalmente l’animaletto si calmò, vide che era un cavalluccio marino messaggero, di una tenue sfumatura rosata. 
- Ciao, piccolino. - sussurrò - È per me questo messaggio? - chiese, indicando il piccolo pezzettino di carta legato a lui. Per tutta risposta il cavalluccio marino allungò la coda verso di lei, permettendole di sciogliere il fiocco che lo legava. Corallina fece appena in tempo a ringraziarlo, che era già schizzato via, fuori dalla finestra. Rimase perplessa, osservando il bigliettino e chiedendosi chi avrebbe potuto mandarglielo. Alla fine la curiosità ebbe la meglio, e aprì il quadratino di carta, intrigata da quel piccolo mistero. Sul foglietto c’erano poche parole, scritte con una calligrafia precisa e compatta.
Ti aspetto giù, H.
Corallina sentì il cuore cominciare una corsa folle, e lasciò la stanza nel giro di pochi secondi. Chi poteva essere H. se non Henri? La ragazza si fiondò a nuoto giù per le scale, mentre udiva le prime note fare eco dalla Sala degli Specchi. Ma del ballo non le importava più nulla, ora che Henri era lì. Giunse a piano terra sfinita, il cuore che batteva all’impazzata e i muscoli delle braccia doloranti. Si fermò un istante a riprendere fiato, sistemando i capelli e l’abito, e lanciò un’occhiata irrequieta fuori dal portone aperto. Una figura scura, alta e allampanata, indugiava lì davanti e Corallina realizzò con gioia che era proprio lui. Solo Henri si attorcigliava le dita delle mani in quel modo, quando era nervoso. Corallina non riuscì a trattenersi e iniziò a correre verso di lui sopraffatta dalla felicità. Si gettò sul ragazzo e lo abbracciò con entusiasmo, esclamando: - Sei venuto! - come se fossero secoli che non si vedevano, mentre in realtà si erano incontrati il giorno prima.
Solo dopo si rese conto che forse avrebbe potuto essere un po’ più delicata, ma lasciò perdere pensando che ormai non poteva più fare diversamente. Si separò da lui senza fare niente per nascondere il sorriso che si era fatto strada sulle sue labbra, e notò che anche Henri sorrideva. Il ragazzo si riscosse e diventò rosso.
- Sì, beh, ecco…io… - balbettava, senza avere il coraggio di completare una frase che avesse senso compiuto. Faceva saettare lo sguardo da Corallina, a terra, alle mura del palazzo, come un animale in trappola.
- Sei molto bella. - disse, all’improvviso, fermando lo sguardo sull’abito verde smeraldo della ragazza. "Anche tu ti sei tirato a lucido", avrebbe voluto rispondergli Corallina. In effetti Henri era molto elegante quella sera, e Corallina l’aveva notato. Però si trattenne e non disse nulla, Henri sembrava già abbastanza impacciato e insicuro senza che lei intervenisse. Si limitò ad un semplice grazie, e restò ad ascoltare quello che il ragazzo cercava di dirle. I suoi tentativi erano imbarazzati e timidi, ma Corallina si compiacque che lui stesse tentando di superare la sua timidezza per lei. E, di sicuro, quello che doveva dirle era una cosa molto importante, se lo agitava così. Henri rimase assorto per un po’, combattuto sul da farsi, poi si avvicinò a Corallina e le depose un pacchettino in mano.
- Volevo solo augurarti buona primavera. - disse, tutto d’un fiato. Poi restò immobile, speranzoso. Corallina fissò il regalo, stupefatta, e lo aprì trattenendo il respiro. Quando fece scivolare sul palmo della mano il contenuto della bustina ebbe un tuffo al cuore. Era una Collana dell’Alba, una di quelle che, secoli prima, venivano regalate in primavera dai ragazzi alle loro fidanzate. Era una catenina sottile, costituita da tre fili intrecciati insieme a perline trasparenti. Quella piccola catenina, ricevuta a sorpresa, proprio quella sera, l’aveva resa più felice di quanto Henri avrebbe mai potuto immaginare. 
Corallina gli gettò le braccia al collo per l’ennesima volta. Se fosse stata sulla Terra, avrebbe avuto sicuramente gli occhi lucidi ma, siccome non era sulla Terra, sprizzava gioia da tutti i pori. Proprio quando stava pensando che la serata non sarebbe potuta andare meglio di così, Henri le prese il viso tra le mani e le stampò un bacio frettoloso sulle labbra. Nella mente di Corallina scoppiarono mille fuochi d’artificio, anche se fu un momento brevissimo.
Henri la lasciò subito, mormorando - Oddio, scusami. -, imbarazzatissimo e di una tonalità di rosso preoccupante. Corallina sorrise alla vista delle sue mani tremolanti, fece scivolare le dita tra le sue e gliele strinse dolcemente, mentre poneva fine alla sua indecisione premendo la bocca sulla sua. "Ora sì che la serata é perfetta", pensò Corallina. Lentamente Henri si sciolse e abbandonò la timidezza. Liberò le mani dalla stretta della ragazza e le circondò la vita, mentre lei posava le proprie sulle sue spalle. Corallina sentì una piacevole sensazione di calore nello stomaco, come se un centinaio di pesciolini impazziti si stessero divertendo a farle il solletico. Ed era la cosa più bella del mondo. 
- Figurati. - gli rispose Corallina, disinvolta e raggiante, quando si separarono. Henri le sfilò la catenina dalle mani e gliela allacciò al collo. Corallina gli sorrise e rimasero in silenzio, senza parole.
- Quindi…quindi posso salire? - mormorò dopo un po’ il ragazzo, con le guance rosse.
- Oh… - mormorò Corallina. Henri la vide irrigidirsi e ne rimase perplesso. In realtà Corallina era stata a pochissimo dal rispondergli di sì di slancio, ma poi qualcosa l’aveva fermata. E, più precisamente, era il fatto che nessuno prima di allora aveva mai provato ad intrufolarsi al ballo e non sapeva quali avrebbero potuto essere le conseguenze. Malgrado le classi sociali non interessassero più a nessuno ormai, c’era sempre qualche tradizionalista pronto a scatenare un putiferio al Consiglio Cittadino per questioni di poca importanza come quella, in un periodo che invece non ammetteva discussioni inutili.
Corallina era spiazzata e non aveva idea di cosa rispondere.
- Non so…insomma…cioè, se non vogliono… e poi c’è Eriot… - era talmente confusa che non si rendeva nemmeno conto delle parole che le uscivano di bocca.
- Capisco. - Con un groppo in gola, Henri mascherò tutta la sua tristezza con un’espressione delusa, si voltò e si incamminò verso casa senza una parola, lo sguardo a terra. Ebbe bisogno di tutta la sua forza di volontà per ignorare Corallina, che lo seguiva a poca distanza blaterando scuse inutili che si riversavano su di lui come una frana. Una frana che lo avrebbe inghiottito presto. 
“Corallina preferisce ballare con Eriot” gli ripeteva una fastidiosa vocina. “Sei troppo timido”, “Eriot è mille volte meglio di te”, “Sei un disastro”, “Non puoi neanche lontanamente competere con lui”. 
Henri sapeva di essere patetico, ma già la sua autostima non era granché, e quella sera aveva ricevuto il colpo di grazia. Il senso di rifiuto pesava su di lui come un macigno. Si liberò dalla mano di Corallina che cercava di farlo voltare stringendogli il polso sinistro e iniziò a correre. La ragazza rimase indietro, ma continuò a seguirlo, tenace.
Henri si tuffò tra le strette vie di Atlantis seguito a ruota da Corallina. Non voleva fasi vedere da lei in quelle condizioni. Certo, si conosceva abbastanza da poter dire che una mezz’ora più tardi avrebbe metabolizzato il tutto e poi si sarebbe scusato con lei; ma in quel momento era troppo triste, scoraggiato e frustrato, aveva bisogno di un po’ di tempo. Correndo a perdifiato, valutò in che modo poteva sbarazzarsi per un po’ di Corallina. Di continuare a correre non pensò nemmeno: Corallina era molto più veloce di lui, l’avrebbe raggiunto in poco tempo. Rassegnato, constatò che l’unica possibilità che aveva era quella di ricorrere ai suoi poteri. Senza ulteriori esitazioni si infilò in un vicolo cieco, in pochi secondi individuò la posizione migliore affinché le finestre delle case non riflettessero il suo vero aspetto e si trasfigurò appena in tempo per vedere Corallina fermarsi ansimante all’imboccatura del vicolo, convinta di averlo messo con le spalle al muro. Invece tutto quello che trovò fu un omone pelato appoggiato al muro della casa. Corallina rimase allibita non trovando Henri. Lui la vide sedersi terra, scoraggiata, mormorando: - Non era quello che intendevo dire… - 
Henri, o meglio, l’omone pelato, dovette andarsene per non tradirsi. Ma questo non gli impedì di sentire Corallina sospirare e tirarsi quello che sembrava uno schiaffo, esclamando: - Stupida! –

***

Dopo un po’ di tempo passato a lanciarsi insulti di tutti i tipi seduta per strada, Corallina si rizzò in piedi e si diresse lentamente verso il castello, la testa fra le nuvole. Si sentiva come se fosse stata catapultata da un bel sogno a un incubo.
Come poteva essere stata così indelicata?
Praticamente aveva detto ad Henri che non era minimamente all’altezza di eventi del genere, gli aveva fatto capire che si vergognava di lui, anche se non era per niente vero, per non parlare poi di quel fatale accenno ad Eriot… ma si poteva essere più stupidi di così?
Ci mancava soltanto che l’avesse insultato esplicitamente, o chissà che altro, e il quadro sarebbe stato completo! Certo, Henri non era una di quelle persone che tengono il muso per anni, ma Corallina non poteva certo biasimarlo, era stata così crudele con lui. Si sentiva come una ragazzina sadica che si divertiva a giocare con i sentimenti delle persone per poi ridurli in briciole.
“Bene, ragazzina sadica.” si disse, entrando nella sala da ballo. “Ora convivi col casino che hai combinato.”
Immergendosi nell’atmosfera festosa, le sembrò di ricevere un pugno in viso. Le decorazioni, i fiori, gli stucchi d’oro, gli specchi, gli invitati, la musica, tutto le sembrava di troppo, come se avessero voluto inghiottirla.
Troppa felicità e gioia tutte in un colpo, sembrava che tutti si stessero prendendo gioco di lei, che pochi minuti prima pensava di essere finita in paradiso e poi era riuscita a rovinare tutto. Strisciò tra la folla e si accucciò alla base delle finestre, ad osservare la festa. Al momento, non era dell’umore più adatto per unirsi alle danze. In sua assenza, Eriot aveva trovato almeno altre cinque ragazze che lo pedinavano per riuscire a ballare con lui. In ogni modo, anche se fosse stato libero Corallina gli avrebbe girato alla larga, evitandolo come una malattia contagiosa. Per ora, il suo unico chiodo fisso era quello di rimediare a tutto quel pasticcio. Era talmente persa nei suoi pensieri che quasi fece un salto per lo spavento, quando il cavalluccio messaggero di poco prima le si parò davanti con un nuovo biglietto legato alla coda. Corallina lo slegò velocemente, pensando a chissà quale insulto o rimprovero da parte di Henri. Ma le poche parole scritte in fretta sembravano suggerire tutt’altro: Scusami, sono stato un idiota.
Poche parole che comunque bastarono a mandarla in iperventilazione nel giro di tre secondi netti.
Corallina si alzò di scatto e andò a recuperare una penna nella propria stanza, seguita dal piccolo messaggero rosa. Dopo aver messo in serio pericolo  l’incolumità di qualsiasi oggetto si trovasse nel raggio di sei metri, aver rovesciato tutto il possibile e vuotato il contenuto di un intero cassetto, trovò finalmente una penna e scrisse sul retro del foglio poche lapidarie parole: Se non sali immediatamente, mi arrabbio tantissimo! :)

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Capitolo 31
*** Aria di primavera ***


Capitolo 31
Aria di primavera

Max uscì dal quartier generale dell’esercito diretto verso il castello. Ora che aveva sistemato la questione di Celeste e risolo alcuni problemi di tipo militare, aveva finalmente tempo di fare colazione.
Ultimamente sembrava che tutti facessero il possibile per non lasciargli un attimo di tempo libero e, sebbene sapesse che la carica di Presidente del Consiglio di Guerra (per non parlare della posizione di spicco notevole che occupava nell’esercito in quanto Generale) non fosse un impegno leggero, era anche vero che persino lui aveva bisogno di qualche pausa. Aveva pur sempre vent’anni, non poteva passare la vita pianificando strategie e organizzando squadre, pattuglie e spedizioni.
Come, peraltro, aveva fatto dalle cinque di mattina a quella parte. 
Ad Atlantis si erano fatti tutti molto sospettosi, ormai era più di un mese che non si verificavano attacchi, e questo faceva stare tutti sulle spine. Inoltre la sera prima, mentre mezza città era assorta dai preparativi per il ballo, alcune guardie dalle torri ad ovest avevano scorto strani baluginii all’orizzonte che avrebbero potuto essere le torce dei Cavalieri, ma alla fine non era successo nulla di strano. 
Nonostante questa tranquillità apparente, Max ed altri membri influenti dell’esercito avevano ritenuto opportuno organizzare qualche squadra di valenti guerrieri per avere la certezza che fosse tutto sotto controllo.
Oltre che per questi problemi, Max era preoccupato per Acqua e per l’inconsapevole protezione che offriva alla città. Max dubitava che la ragazza sarebbe riuscita a resistere in quello stato ancora per molto e non aveva ancora idea di che cosa sarebbe potuto succedere alla prossima battaglia. 
Aveva elaborato milioni di ipotesi, pensato a migliaia di soluzioni, ma non aveva nessuna certezza, nessuno che gli dicesse quale fosse la cosa giusta, perciò per il momento le uniche cose sensate da fare erano far riposare Acqua e tenerla al sicuro lontana dagli scontri. Se le fosse successo qualcosa non sarebbe mai riuscito a perdonarselo. 
Rimuginando sulla possibile conseguenza di un attacco sulla resistenza della barriera, Max varcò la soglia del castello e puntò a grandi passi verso la cucina. Quando entrò nella stanza, fece appena in tempo a vedere Corallina seduta dalla parte opposta del tavolo, che venne travolto da Acquamarina. La ragazza gli gettò le braccia al collo e lo baciò, dimenticando completamente la presenza di Corallina, che si gustava la colazione proprio lì di fronte a loro. Nemmeno Max faticò a ignorare l'aria divertita della rossa, e strinse a sé Acqua, assaporando la loro complicità. Quanto avrebbe voluto che quei momenti durassero in eterno... Invece poco dopo (o almeno, a lui sembrava troppo poco) Acqua si scostò e, le fronti vicine, gli sussurrò: - Mi sei mancato. - 
Escludendo dai suoi pensieri la voce di Corallina che intonava le parole "lo sapevo, lo sapevo" su un motivetto vittorioso (o era una marcia nuziale?), Max sistemò una ciocca dei capelli di Acqua dietro il suo orecchio, e le rispose in un bisbiglio: 
- Anche tu. - Accidenti se era vero. A parte per qualche saluto da lontano, Acqua era stata inavvicinabile la sera prima, con quello spilungone dagli occhi color notte sempre accanto. Max si consolò pensando che probabilmente Acqua non lo avrebbe visto mai più. Inoltre, la ragazza era anche andata a dormire relativamente presto per gli standard del ballo, infatti la festa era proseguita ancora per molto tempo prima che gli invitati si decidessero ad andarsene, perciò non l'aveva vista nemmeno dopo. E, considerando che era stata una serata speciale per loro due, la cosa lo aveva infastidito abbastanza. 
- Quindi si può tranquillamente dire che state insieme, giusto? - domandò Corallina. I due si scambiarono uno sguardo complice e annuirono nello stesso istante, inzuccandosi a vicenda e scoppiando istantaneamente a ridere. - Questa é quella che si chiama sintonia! - esclamò Corallina, sbellicandosi dalle risate. Max recuperò qualcosa da mettere sotto i denti e si sedette al tavolo accanto ad Acqua. 
- Allora, com'è andata ieri sera? - chiese, addentando la prima cosa che gli capitò sotto mano. 
- Non é stato male... diciamo che non mi sono pentita di essere venuta. - rispose Acqua, sorridendo. Poi parve rifletterci su, e aggiunse: - Tranne quando siamo scesi dalla scalinata. - 
- Ma che dici, é stato il miglior ballo di primavera di sempre! - affermò invece Corallina, su di giri. Max la osservò per un attimo di sottecchi e si schiarì la voce. 
- Scusa se te lo faccio notare, ma per te tutti gli anni é il miglior ballo di sempre. - 
- No, no, quest'anno é stato veramente il più bello di sempre. - Replicò lei. Max notò che le brillavano gli occhi. 
- Mmm, forse a causa di una certa chioma rossa che ho visto ballare con te? - le chiese, come se fosse una supposizione strampalata. Corallina ammiccò, rivolse un breve sguardo complice ad Acqua, e rispose, con un tono misterioso: 
- Può darsi... - Acqua faticava a trattenere le risate. Il resto della colazione si svolse come al solito, Max che ingollava qualsiasi cosa si trovasse nel piatto, Corallina che mangiava il doppio di quello che avrebbe dovuto blaterando senza sosta, Acqua che sbocconcellava svogliatamente un pezzo di pane. Acqua e Max fingevano di ascoltare Corallina, ma lei continuava a parlare a vanvera.
Acqua sbadigliò e Corallina sembrò esaurire per un attimo gli argomenti di conversazione.
- Stanca? - chiese Max, a cui si era accesa la lampadina d’allarme.
- Le ore di sonno non bastano mai. - si lamentò Acqua. Le sue dita si intrecciarono a quelle di Max sotto il tavolo.
- Però sto bene. - lo rassicurò, con un sorriso.

***

La settimana successiva passò velocemente, immersa nella tranquillità della vita quotidiana, senza ombra di un attacco o di altri scontri. Però qualcosa era cambiato nell’atmosfera, da quando la primavera era iniziata. Era un’euforia pacata, un ottimismo diffuso, qualcosa che faceva presagire che molti stavano ricominciando a sperare. Qualcosa che faceva sì che i bambini saltellassero per strada, invece di camminare mogi come d’abitudine. Qualcosa che si rifletteva nei sorrisi di chi salutavi per strada, e nell’atteggiamento amichevole dei soldati. 
Sembrava che su Atlantis aleggiasse una nuvoletta di buonumore.
Acqua scoprì qualche giorno dopo il ballo di che cosa si trattava, più precisamente durante il tragitto verso scuola. Non era raro ad Atlantis vedere carri di merce girare per la città, trainati dai mercanti, ma non era normale vederne entrare dozzine alla volta. E per di più, trainati dalla magia delle fatine del fiume. Da qualche tempo girava voce che alcune di loro si fossero staccate dal gruppo e volessero stringere un’alleanza con gli uomini per stare al loro fianco in guerra, abbandonando la loro posizione neutrale e distaccata. E sembrava che la voce fosse vera.
Andando a scuola, Acqua e Corallina videro da lontano la carovana farsi strada sulla via principale di Atlantis e si arrestarono per osservare la scena. La lunga fila procedeva lentamente tra la folla che si era radunata lì intorno. In testa al gruppo vi era un ragazzo che guidava gli spostamenti e cercava di tenere indietro i curiosi, aiutato da qualche soldato. Probabilmente era uno dei contadini che vivevano negli accampamenti militari fuori dalle mura, dove si coltivavano anche i campi per fornire i viveri alla città. Era giovane, sui venticinque anni, ma tutto in lui sembrava suggerire che fosse più vecchio, partendo dalle pesanti occhiaie violacee sotto agli occhi e dai vestiti logori e sporchi. Si rivolgeva ai bambini con un’acidità incredibile, urlava loro di togliersi di mezzo e agitava  un lungo frustino, incurante degli strilli che si levavano quando colpiva qualcuno. In poco tempo riuscì a creare un varco davanti al carro, sebbene la folla continuasse ad accalcarsi ai lati, con un vociare curioso. Acqua notò che le fatine, a dispetto della loro indole schiva, sembravano trovarsi molto bene con i bambini. Loro erano meravigliati da quelle creaturine così fragili e dolci e al contempo così forti da far muovere un carro intero. Ma, oltre che dalle fatine, i bambini erano attratti dal contenuto di tutti quei carri. Quando uno di loro ebbe il coraggio, o piuttosto la sfrontatezza di arrampicarsi sulla ribaltina di uno di essi per scoprire che cosa trasportasse, si scatenò il caos. 
- Sono grani di chira!! - gridò il ragazzino, reggendosi forte per evitare di cadere per i sobbalzi del mezzo. Quando il conducente della carovana si accorse dell’accaduto, ormai era tardi: il ragazzino aveva cominciato a gettare giù manciate di quel dolcissimo cereale, che una volta triturato aveva un sapore simile al cacao, e la calca dei bambini che cercavano di prenderne un po’ costrinse il carro a fermarsi di nuovo. Ma la cuccagna durò per poco: il carovaniere afferrò per il colletto il bambino che si era arrampicato e lo tirò giù di peso, sbattendolo a terra.
- State giù dal carro, stupidi idioti! - urlava a chiunque gli capitasse sotto tiro, mentre alcune fatine, stordite dalle urla e dai rumori troppo forti, cercavano di trattenerlo, e altre calmavano con dolcezza i bambini. Ma niente sembrava fermarli: era ormai un anno che gli scarsi proventi del raccolto bastavano appena a sfamarli, la comparsa della chira li aveva risvegliati. 
La ressa era diventata insopportabile, c’era sempre più gente, anche adulti, che si accalcavano vicino ai carri nel tentativo di accaparrarsi qualcosa. Volarono insulti, minacce, alcuni arrivarono persino ai pugni. In poco tempo, le due guardie accanto al contadino erano diventate inutili. Niente sembrava fermare quel groviglio di corpi agitati e felici come non mai. 

***

Quando la cosa si era fatta ormai insostenibile, Acqua e Corallina videro Max avanzare con aria decisa da una via laterale. Bastò la sua comparsa per ammutolire l’intera folla. Tutti si immobilizzarono all’istante, immersi in un silenzio attonito. Qualcuno, tra i bambini, guardava con occhi sbarrati il Generale, rendendosi conto di averla combinata grossa. Un misto di vergogna e rimprovero serpeggiava tra i presenti, mentre Max li fissava con aria torva.
- Non c’è bisogno di dire che questa scena sia uno spettacolo assurdo. - tuonò, riponendo la spada nel fodero con un’aria delusa che non sfuggì a nessuno. - Vi prego di tornare alle vostre occupazioni e lasciar transitare i carri senza ulteriori interferenze. È vero, è stato un anno molto più produttivo del solito, ma questo non significa che ci si debba sbranare a vicenda per un po’ di cibo in più. - con la coda dell’occhio Max vide il contadino annuire compiaciuto. - E lei non è autorizzato a simili dimostrazioni di violenza. - sibilò, voltandosi verso di lui. Gli si avvicinò e gli sussurrò qualcosa  che nessuno riuscì a sentire, ma a giudicare dall’espressione del contadino che si incupiva sempre di più, non doveva essere qualcosa di piacevole. Max scambiò una rapida occhiata con le guardie che scortavano l’uomo, poi tornò al proprio posto e si rivolse di nuovo alla folla.
- Una volta arrivati tutti i carri, distribuiremo i proventi del raccolto ad ogni famiglia in base al numero di componenti, come sempre, chiaro? Perciò non stupitevi se ne ricevete di meno rispetto ad altri. - Acqua e Corallina rimasero per qualche secondo in più ad osservare Max che parlava con la gente, o prendeva accordi con i soldati che lo accompagnavano. Acqua non poté fare a meno di notare con quale calma stava gestendo la situazione. Sembrava fatto apposta per ricoprire il ruolo del Generale e probabilmente sarebbe stato anche un ottimo sovrano. Forse persino migliore di Aquarius. Era impossibile non rendersi conto del carisma che esercitava sul popolo e l’ammirazione che suscitava, anche solo al suo passaggio. E nonostante fosse solo un ragazzo di vent’anni, Acqua pensò che fosse il miglior sovrano che Atlantis potesse desiderare.

***

Corallina precipitò con il solito entusiasmo nella camera di Acqua, dove la principessa cercava di dormire. Con la sua delicatezza abituale, Corallina le sfilò il cuscino da sotto la testa e glielo lanciò addosso.
- Verrà mai un giorno in cui mi lascerete dormire? - sbuffò Acqua, provando a spingere Corallina giù dal letto.
- Probabilmente no! - rispose la rossa, ridendo. Acquamarina le si tuffò addosso, cercando di scompigliarle i capelli, con il solo risultato di farla ridere ancora di più.
- Cosa vuoi da questa povera ragazza assonnata? - le domandò, mentre Corallina si riprendeva dal troppo ridere.
- Oh, io niente… - le rispose - Però c’è il ragazzo del ballo che ti aspetta giù! - 

***

Acquamarina si era cambiata in fretta ed era sfrecciata giù per le scale, verso il salone d’ingresso dove Julian la stava aspettando. Lo scorse in lontananza, intento ad osservare il ritratto de suoi bis-bisnonni (o qualcosa del genere), la schiena dritta e i tratti del viso rilassati in un’espressione impassibile e distaccata.
Acqua notò che aveva lasciato i capelli sciolti, e questo gli dava un’aria sbarazzina, da ragazzino. 
- Ehi, che ci fai qui? - esordì Acqua, con un gran sorriso. Julian si voltò, come riemergendo dal fondo dei suoi pensieri, e ricambiò il sorriso incrociando il suo sguardo.
- Beh, ti avevo promesso che sarei venuto a trovarti, no? - ribatté, chinandosi per baciarla su una guancia.
- Mi fa piacere che tu sia qui. - gli sussurrò Acqua, come imbambolata, senza lasciare il suo sguardo nemmeno per un secondo. Gli occhi neri di Julian scintillarono quando un’idea gli illuminò il volto.
- Se non hai niente da fare, possiamo andare a fare un giro. - propose il ragazzo.

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Capitolo 32
*** Tre secondi ***


Capitolo 32
Tre secondi

Negli ultimi giorni, Acqua aveva continuato  a ripensare alla spedizione fallita dell’Intoccabile, e si era ricordata di quella conversazione avuta con Max qualche settimana prima. Con un’insistenza sempre maggiore, era tornato a perseguitarla il pensiero della battaglia. Avvertiva la necessità pressante di fare qualcosa. Sapeva di non poter più stare con le mani in mano, e l’unico modo per combinare qualcosa era quello di imparare a combattere. Spesso passava dei momenti in cui non faceva altro che fare congetture su quanto avrebbe potuto essere d’aiuto in combattimento con i suoi poteri. E, altrettanto insistentemente, le martellavano in testa le parole di Max: loro non aspettano un secondo di più a tagliarti la testa, sappilo. A volte, quelle parole le si incidevano talmente tanto nella memoria che pensava di ritrovarsi faccia a faccia con un mostro da un momento all’altro. A volte si sorprendeva a guardarsi le spalle, alla ricerca di un nemico che non c’era. Loro non aspettano un secondo di più a tagliarti la testa. Si sentiva totalmente inutile e spaurita, senza una possibilità di difendersi. E, allo stesso tempo, sentiva una smania di mettersi in campo che non riusciva a frenare. A volte se ne spaventava, non riuscendo a capire da dove venissero quegli impulsi, che la percorrevano come una scarica di adrenalina. Scese un paio di volte nella stanza delle armi, per vedere l’Intoccabile. E ogni volta che restava impietrita di fronte al metallo bluastro, sentiva la sua determinazione crescere sempre di più. Doveva imparare a combattere, nonostante tutto quello che diceva Max. Con altrettanta chiarezza, però, capiva che non sarebbe mai riuscita ad ottenere il suo aiuto, o anche solo il suo consenso.

***

Ad Acqua sembrò di aver visto una sagoma famigliare in lontananza, mentre passeggiava come al solito per il mercato con Julian, come era diventata abitudine negli ultimi giorni. Quella figura era Max, avvolto nella divisa blu dell’esercito. Il cuore di Acqua perse un battito. Non lo vedeva da un’eternità, anche se quell’eternità corrispondeva a un paio di giorni, non vedeva l’ora di restare qualche momento sola con lui. Si accorse qualche secondo in ritardo che accanto a lui camminava la figura esile di Celeste, come sempre altera. Quel giorno pareva essere di buon umore, perché la salutò con un sorriso cordiale che raramente aveva visto sul suo volto. A pensarci bene, l’aveva visto solamente una volta, qualche giorno prima, incontrandola per caso lungo le vie della città. In quel momento l’aveva notata per l’espressione beata che le rilassava i tratti del viso. Quando Celeste non si muoveva con cadenza militare era sempre aggraziata, ma era una grazia costruita, composta, mentre quella… beh, era una leggerezza così spontanea e vitale, che quel giorno Acqua aveva solo potuto immaginare che le fosse successo qualcosa di bello. Qualcosa di fantastico, a giudicare dalla testa tra le nuvole: l’aveva a malapena riconosciuta quando l’aveva salutata. 
Max invece sibilò un “ciao” con aria torva, lo sguardo tagliente inchiodato su Julian. Acqua si sarebbe aspettata un saluto più caloroso, ma rimase delusa. Max non la degnò nemmeno di uno sguardo e proseguì per la sua strada, scuro in volto.
Nonostante Acqua cercasse di essere comprensiva con lui - non poteva biasimarlo se era impegnato per l’esercito e non aveva molto tempo per il resto - ci rimase male. 
- Scusalo, è di fretta. - le disse Celeste, che sembrava aver capito il suo stato d’animo. Acqua si meravigliò di quanto stesse cambiando in quel periodo la ragazza di ghiaccio. Evidentemente a disagio, dopo averle rivolto un cenno, Celeste si lanciò all’inseguimento di Max. 
Acqua rimase un attimo interdetta, poi continuò per la sua strada, con la voglia bruciante di prendere a pugni qualcuno. Quei tre secondi erano bastati a rovinarle la giornata. 
- Non vorrei essere indelicato, ma che cos’ha il tuo amichetto contro di me? - chiese Hyles, seguendola.
Anche a me piacerebbe saperlo” pensò Acqua, stizzita. 
- Sai, penso che sia per via dell’esercito, lo assorbe totalmente. - sospirò la ragazza. Quella era la versione ufficiale, ma sentiva che sotto c’era qualcos’altro. Julian l’affiancò, le sopracciglia aggrottate.
- Già, dev’essere dura. Tutte quelle responsabilità, tutte le squadre da gestire…non riesco ad immaginare quante energie richieda un compito del genere. - commentò.
- In realtà non mi parla molto dell’esercito… penso che abbia voglia di accantonare certi pensieri almeno per un po’ di tempo, no? - disse Acqua. Procedettero qualche minuto in silenzio, fianco a fianco. Il rumore dei loro passi si mescolava ai suoni della città che brulicava di vita attorno a loro. - E in un certo senso è comprensibile. Però mi sento come tagliata fuori, come se volesse evitare di parlarmi di certi argomenti. Per esempio, come funziona l’esercito? Non mi ha mai detto niente a riguardo, e a scuola non ne ho mai sentito parlare. - 
- Beh, forse perché ormai per noi è una cosa normale e non avrebbe senso insegnarlo a scuola. A dire la verità le mie conoscenze sono abbastanza limitate. So che ci sono due Generali, di cui uno è il re, e che ogni Generale ha due squadre, una per le spedizioni verso i campi e di controllo dell’esterno e una per la difesa. Poi ovviamente queste squadre sono divise in vari gruppetti, però non so di più. Io non sono mai stato nell’esercito, combatto per conto mio. - Julian terminò la frase con una sorta di mezzo sorriso orgoglioso, gli occhi luminosi e fieri. Acqua rimase in silenzio. Fu il ragazzo a dare voce ai suoi pensieri: - Certo che è strano che tu non ne sappia niente. In fin dei conti, dovresti essere tu uno dei due Generali, e anche se non lo sei perché ormai è Max ad aver preso il posto di tuo padre, pensavo che almeno ti avesse spiegato come funziona. - Julian si scrollò nelle spalle, come se avesse detto una cosa di poca importanza. Ma Acqua continuò a rimuginarci su, un mostro nero fatto di dubbio e sospetto che le divorava i pensieri. Affamato, insaziabile.
- Sai, anche io lo trovo strano. È come… - esitante, la ragazza continuò la frase - …se stessero cercando di tenermi nascosto qualcosa. Per esempio, è da un po’ che chiedo a Max di insegnarmi a combattere, nel caso ne avessi bisogno… Continua a rifiutarsi, secondo lui “per proteggermi”, ma a me sembra solo una scusa, per nascondere qualcosa d’altro. - Acqua abbassò il viso, cercando di trattenere la sua profonda inquietudine. Non le piaceva pensare male di Max, ma non poteva evitarlo, era tutto così evidente.
- Se ti fidi, posso insegnarti io. - la buttò lì Julian, pensando che probabilmente la ragazza si sarebbe mostrata titubante, o almeno spaventata. Acqua invece alzò la testa di scatto, speranzosa. Era l’ultima cosa che Julian si sarebbe aspettato.
- Lo faresti? - chiese, sorpresa. Ormai non ci sperava più.
- Certo, però dovresti procurarmi delle armi, io ho solamente una spada. - le rispose lui, tranquillo. 
- Per quelle non c’è problema. - Era strano per Acqua sentirlo parlare così leggermente di armi, battaglie e combattimenti. Lui era un tipo gentile e tranquillo e non avevano mai parlato di argomenti di quel genere, perciò suonava un po’ strano. Gli lanciò un’occhiata di sottecchi, ma non vide nient’altro che il solito ragazzo sereno dagli occhi lucenti di profonda speranza.
Improvvisamente, Acqua si rese conto di quello che aveva appena fatto. Aveva deciso di imparare a usare un’arma, a lottare, a uccidere. Era pericoloso. Prendere parte alla guerra significava svegliarsi una mattina e affrontare il proprio destino, senza sapere se ci sarebbe stato un ritorno. Loro non aspettano un secondo di più a tagliarti la testa, echeggiarono nella sua mente le parole di Max.
Max. In un certo senso, stava tradendo la sua fiducia, stava andando incontro all’unica cosa che lui cercava di evitare. Acqua si sentiva in colpa. Magari Max cercava veramente di proteggerla e nient’altro. 
Ma lei non intendeva demordere. Avrebbe ottenuto ciò che voleva.
- Com’è combattere? - chiese, dopo un lungo silenzio che nessuno dei due si era azzardato a rompere.
- Beh, è complicato… - cominciò Julian, senza sapere come continuare. Le parole iniziarono ad uscire dopo un po’: - In battaglia è tutto…confuso, agisci solo in base agli istinti. La paura di tiene in pugno come se fosse l’unica cosa che ti fa andare avanti. L’unica cosa che respiri. Ti riempie completamente, ti piega al suo volere, ti blocca. Ma se hai un obiettivo chiaro dentro la tua testa e combatti per arrivare ad uno scopo, allora nulla può distoglierti dal raggiungerlo, nemmeno la paura. Quello è il motivo per cui sai di rischiare di morire, quello è il motivo per cui tutto il resto non conta, ed è quello che ti libera dalla prigionia della paura. Trova un motivo per cui combattere, cerca di raggiungerlo e nulla te lo impedirà. O almeno, con me ha sempre funzionato. - 

***

Seguendo il consiglio di Corallina, Max andò a cercare Acqua nel Salone degli Anemoni al terzo piano. Il salone era uno dei meno frequentati nel castello perché, essendo nell’ala est, si trovava nell’area degli appartamenti privati della corte reale, che essendo in quel periodo inesistente, era completamente disabitata. La stanza era una delle preferite di Max, perché era lì che si incontrava spesso con il re, quando ancora era vivo, per discutere di argomenti militari. Era il luogo dove aveva imparato tutto quello che sapeva, dove aveva posto le basi per diventare quello che era ora. La stanza trasmetteva un’atmosfera rilassata, famigliare e un po’ meno austera ed elegante rispetto al resto del castello. Intorno ad un tavolo centrale di legno scuro decorato da arabeschi dorati, erano posti poltrone e divanetti di morbido tessuto rosso cremisi, intervallati in modo che le poltrone fossero agli angoli e i divanetti tra le poltrone. Una parete era completamente occupata dalle finestre, mentre quella di fronte era rivestita di legno, intagliato ad imitare una barriera corallina, e decorata con drappi di tessuto rosso, che si ricongiungevano con il lampadario di cristallo al centro. Max entrò con cautela nella stanza e vi trovò Acqua, seduta sulla poltrona più vicina alla sua destra. Vi era accoccolata sopra con le gambe incrociate e la testa lasciata andare all’indietro sullo schienale imbottito. Si era appisolata nel bel mezzo dello studio, come testimoniava il libro aperto sulle gambe. Max sorrise notando quanto quelle poltrone enormi la facessero sembrare minuscola. La osservò con tenerezza, mentre chiudeva la porta. Poi le si avvicinò e le tolse delicatamente il libro dalle gambe, chiudendolo e riponendolo sul tavolo, facendo attenzione a non fare alcun rumore. Infine, con tutta la dolcezza del mondo, la svegliò con un lieve bacio. Acqua aprì gli occhi lentamente, accigliata. 
- Pensavo che fossi arrabbiato con me. - bisbigliò, confusa. Max rimase sorpreso, perché tra tutte le reazioni possibili che si era immaginato, non aveva pensato nemmeno per un secondo a una domanda del genere.
- Perché dovrei? - le chiese.
- Beh, ieri non mi hai neanche salutato e stamattina sulla Terra non sei venuto. - disse Acqua, senza distogliere lo sguardo dagli occhi di Max. Il ragazzo si sollevò dalla poltrona.
- Non sono arrabbiato con te. - si scusò, allontanandosi di qualche passo da lei. Era stato dolce e gentile, ma sembrava che fosse scoraggiato. Stanco, deluso. Acqua non avrebbe saputo dire il perché.
- E allora che hai? - gli domandò, preoccupata. Lo seguì con lo sguardo mentre si muoveva un po’ a caso per la stanza, irritato, fino a quando non si sedette sul divano accanto a lei. Le lanciò un’occhiata supplice, per poi abbassare subito gli occhi. Sembrava lacerato da un dubbio esistenziale.
- Niente - sospirò - è solo che sto impazzendo. Ho troppe cose a cui pensare, troppi compiti da svolgere, troppe responsabilità e, in poche parole, non capisco più cosa devo fare. - Acqua si alzò e gli si sedette di fianco, con le gambe di traverso sulle sue. 
- Sei perfetto così. - gli sussurrò, abbracciandolo. Max sorrise, intenerito ma scettico.
- Mi piacerebbe. - rispose, sarcastico. Acqua alzò gli occhi al cielo, spazientita. Possibile che non si rendesse conto di quanto fosse bravo?
- Sai, ti ho visto l’altro giorno, con quel carro di chira. - gli rivelò, stringendosi nell’abbraccio.
- Ah, si? - fu la reazione di Max, il quale non sembrava aver deciso se essere amareggiato o imbarazzato. Acqua alzò gli occhi verso di lui.
- Sì. Ho visto nei ricordi di mio padre altre situazioni del genere e ho capito un po’ anche il suo modo di pensare. Avrebbe fatto esattamente come te. - Acqua vide aprirsi un sorriso orgoglioso sul viso di Max, un sorriso che però recava con sé tracce di malinconia. La ragazza represse la sensazione di malessere che l’accompagnava quando si concentrava su quegli argomenti delicati. - Ad ogni modo, sono sicura che sarebbe fiero di te. - aggiunse, sapendo che avrebbe colpito nel segno. Sapeva quanto fosse smisurata l’ammirazione di Max nei confronti del sovrano e sapeva anche che lui stava cercando di seguire le sue orme, di continuare la sua opera. Acqua aveva immaginato che anche solo poter credere di essere a sua volta ammirato da Aquarius sarebbe stato il massimo per Max. Pieno di riconoscenza, Max si chinò e le diede un piccolo bacio giocoso, rimanendo poi vicini, con i nasi che si sfioravano.
- Mi dispiace di non avere molto tempo libero… - le sussurrò, stringendole le braccia attorno alla vita. Acqua gli disse che non doveva preoccuparsi, che capiva. Gli occhi di Max erano illuminati da un raggio di luce che entrava sinuoso attraverso le tende semichiuse della finestra alle loro spalle. Scintillavano, ricolmi di sollievo e d’amore. Acqua si sentiva in pace col mondo e allo stesso tempo euforica, ma c’era qualcosa che la turbava. Le sembrava di scorgere una punta di senso di colpa nello sguardo limpido di quegli occhi nocciola. Max si schiarì la voce e, sempre sussurrando, come se fossero in mezzo a una folla di curiosi, ruppe il silenzio.
- Ieri non ti ho salutato perché ho avuto vari problemi con l’esercito, e poi ho visto  che eri di nuovo con quel tipo e… - 
- Non ti va proprio  genio, eh? - domandò Acqua, con un sorriso indulgente.
- Per niente. - rispose Max, abbassando gli occhi, divertito. Acqua spostò una mano ad intrecciarsi con quella del ragazzo.
- Però non sei geloso. - constatò, sorpresa. Abbracciati l’uno all’altra e stretti come un nodo inestricabile, non percepiva nemmeno un briciolo di elettricità attraverso la sua pelle. Ed era una sensazione bellissima, sollevante.
- Perché so che di te mi posso fidare. - rispose lui, sicuro. Acqua pensò che forse la stava sottoponendo a una specie di test. Forse Max aveva percepito che lei si sentiva insicura e che gli nascondeva qualcosa. Forse voleva vedere come avrebbe reagito. Sentendosi osservata, Acqua sollevò lo sguardo dalle loro mani giunte e lo fissò dritto negli occhi, perfettamente a suo agio. Forse, invece, Max non sospettava niente, ed era solo lei che si creava inutili problemi. Si diede della stupida per quei pensieri vergognandosi di quanta poca fiducia dimostrava nei confronti dell’onestà del ragazzo.
E, dopotutto, non dirgli che si sarebbe allenata a combattere non le sembrava chissà quale mancanza. Non doveva per forza metterlo al corrente di ogni minima cosa, no? Ma il mostro che le si agitava dentro sembrava dire l’opposto.  
Scacciando quell’infida sensazione, Acqua gli sorrise a confermare la sua domanda.
- E comunque, te l’ho detto, è solo che mi sembra troppo sospetto. - continuò Max - Preferirei che non uscisse con te così spesso. - Acqua corse col pensiero a quello che aveva insinuato Julian il giorno prima.
Era la stessa cosa che le aveva detto lui a proposito di Max. Ma chi era tra i due ragazzi quello veramente sospetto? Acqua pensò che doveva assolutamente iniziare a fare ordine in quella matassa di ipotesi senza nessuna conferma. Così, cambiando discorso, pose a Max una domanda a bruciapelo, per togliersi i dubbi. Forse un po’ troppo diretta, ma se avesse aspettato un secondo in più avrebbe probabilmente finito per rimanere zitta.
- Anche io mi fido di te. Non mi nascondi niente, vero? - l’espressione di Max si indurì, gli occhi prima così luminosi si incupirono. Acqua attese una risposta, con il cuore che batteva a mille. Perché non parlava? La ragazza assistette al dibattito che si stava svolgendo dentro di lui, impaziente di sapere. 
Un angolo della bocca di Max si curvò verso l’alto.
- No. - rispose, risoluto. Ma, per quanto potesse sentirsi sicuro, il suo sorriso era poco convincente.

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Capitolo 33
*** Abbastanza brava ***


Capitolo 33
Abbastanza brava

- Cerca di muovere meno le braccia e lavorare di polso! - gridò Julian, parando con facilità un affondo di Acquamarina. La ragazza ci stava mettendo tutto l’impegno possibile, ma dopo un’ora di allenamento i muscoli delle braccia le dolevano talmente tanto che non riusciva più a reggere il peso della spada. Chiese un attimo di pausa e appoggiò l’arma ad un albero lì vicino, per rilassare il braccio.
- Come va? - le chiese il ragazzo, avvicinandosi e riponendo la propria spada nel fodero. 
- Questo affare pesa tantissimo. - si lamentò Acqua, spostandosi un ciuffo di capelli dagli occhi. 
- Vedrai che col tempo migliora, devi solo abituarti al peso. - sorrise lui - Però sei bravina, sai? Soprattutto in difesa. - Acqua sollevò lo sguardo e si appoggiò all’albero con il braccio ancora forte. Aveva le sopracciglia aggrottate e le guance arrossate.
- Però non sembra. Insomma, Max  mi disarma in cinque secondi. - protestò, ripensando a quando avevano duellato per scherzo. Julian rise e recuperò la sua spada.
- Lui disarma tutti in pochissimo tempo. Massimo due minuti e sei distrutto. - commentò. - Però ecco cosa puoi prendere da lui: è dinamico e non sta mai fermo nello stesso punto, si muove in modo fluido ed è elastico. -  Julian parlava mostrandole alcuni attacchi veloci, ripetitivi ma sempre diversi. Acqua riusciva a capire il funzionamento di certi meccanismi, il difficile era metterli in pratica. C’erano determinati movimenti che, eseguiti dal ragazzo, sembravano una sciocchezza, mentre quando cercava di farli lei…era tutta un’altra storia. Julian compì ancora qualche affondo a vuoto, concentrato con lo sguardo fisso avanti. Acqua riconosceva che era un ottimo insegnante, ma non poteva fare a meno di pensare a come sarebbe stato avere Max al suo posto. Ora che il suo occhio era un po’ più allenato, riusciva a mettere a confronto i loro due stili. Julian andava dritto al punto, era aggressivo e tenace, preciso e costante. Era un bravo combattente, anche perché aveva imparato da solo, ma la differenza tra lui e Max era abissale. Il Generale era molto più raffinato, veloce, sciolto, aveva la sua tecnica infallibile e una destrezza insuperabile. Stordiva l’avversario con la velocità e lo spingeva a fare quello che voleva. Era un trappola dalla quale era impossibile uscire.
Acqua ricordò quella che era sempre stata la sua tattica di combattimento. Nella sua infanzia non le erano mai mancate le occasioni per lottare con Max (che fosse per gioco o per un reale litigio, era sempre lui a vincere, anche se cercava di non esagerare) e Acqua pensò in quel momento che forse lui la stava allenando già allora. Se non allenando, l’aveva portata a considerare il combattimento come una cosa quasi normale. Le diceva sempre che sapersi difendere era molto importante e, per un pretesto o per un altro, erano più le volte che iniziavano a  fare a botte che quando giocavano normalmente. Forse era per quello che stava lentamente uscendo il suo lato guerriero: perché c’era sempre stato, e Max non aveva fatto altro che nutrirlo e farlo crescere per tutto quel tempo. Acqua si riscosse dai suoi pensieri quando Julian le porse la spada.
- Ora io ti attacco e tu cerchi di difenderti, vediamo cosa  succede. - le propose. Acqua serrò le dita attorno all’elsa e si allontanarono per mettersi in posizione. La ragazza sollevò il braccio destro, ignorando i muscoli che protestavano, e pose la spada trasversalmente per proteggersi. In meno di tre secondi Julian le fu addosso e l’attaccò con forza dall’alto. Acqua parò il colpo, ma il ragazzo era stato così violento che il suo braccio distrutto non riuscì a contrastarlo. La spada si abbassò di molto e le due armi scivolarono una sull’altra producendo uno stridio fastidioso.
- Posso tenerla con entrambe le mani? - domandò Acqua, che tremava per lo sforzo di sorreggere un peso doppio. Julian sollevò la sua spada e ritornò alla posizione di partenza.
- In teoria no. - rispose - Ma se ti aiuta, fai pure. L’importante in battaglia non è tenere la spada come da manuale. - Julian aspettò che Acqua si preparasse e ripartì con gli attacchi. Acqua capì che li stava facendo sempre più complessi, e sempre uno diverso dall’altro. Riuscire a sistemare la spada nella direzione adatta per parare i colpi diventava sempre più difficile. Con due mani l’arma era molto più leggera, ma Julian ci stava dando dentro. Acqua dovette fissare un piede dietro di sé per riuscire a contrastare gli ultimi affondi, alcuni dei quali la fecero indietreggiare per il contraccolpo. La ragazza stava capendo cosa significava esattamente lavorare di polso. Julian era quasi fermo con il corpo e con le braccia, l’unica parte che si muoveva era la mano con la spada, velocissima. La cosa che non riusciva a capire era come facesse ad imprimere tanta forza al colpo senza utilizzare i muscoli delle braccia. Forza e gioco di polso. La lama fendeva l’aria  rapidissima, e Acqua non riusciva più a stargli dietro. Riuscì a parare un colpo basso di striscio, ma non arrivò in tempo per bloccare quello successivo verso l’alto. La lama di Julian sfiorò la punta di quella di Acqua e finì la sua corsa nel vuoto tra la spalla e l’orecchio della ragazza. Acqua la guardò con la coda dell’occhio, incredula. Se l’era fatta scappare. Delusa e ansimante, la spostò con la punta della propria lama. 
- Niente male. - affermò Julian, riponendo la spada. Acqua sbuffò e conficcò la punta della propria arma nel terreno, appoggiandovisi sopra. 
- Dici? - sibilò. Anche Julian aveva il respiro corto come lei. 
- Non so se te ne sei accorta, ma hai resistito per un quarto d’ora. - sorrise lui, sedendosi sui talloni di fronte a lei. Scosse la testa per spostare i ciuffi che come al solito sfuggivano alla coda e gli cadevano sugli occhi, per poi sollevare lo sguardo penetrante verso il viso di Acqua.
- Per oggi abbiamo fatto abbastanza, non credi? - le domandò.
- Continuiamo domani? - replicò Acqua, abbassandosi nella stessa posizione del ragazzo. Lui la fissò un attimo negli occhi, divertito dall’aria battagliera quanto insolita della ragazza, e annuì.
- Perfetto. - sorrise Acqua, ed entrambi si alzarono e recuperarono le loro cose per tornare all’interno del castello.

***
 
La biblioteca era calma e silenziosa, avvolta in un’atmosfera ovattata, come se fosse esentata dal normale scorrere del tempo e dagli effimeri drammi umani. L’unica persona al  suo interno era un vecchio, ricurvo per il peso degli anni e gracile come uno scheletro mangiato dal tempo. Un vecchio, chino su un volume che pareva essere nato secoli prima, un vecchio i cui occhi cristallini erano persi alla ricerca della verità. C'era qualcosa di strano che non riusciva ad afferrare. Archias odiava quei momenti. Avvertiva una strana vibrazione nell’aria, come una punta di oscurità nascosta che non aspettava altro che uscire allo scoperto. Come al solito, non riusciva a decifrarla. Il dono della Veggenza che il Dragone gli aveva concesso era straordinario quando gli permetteva di spalancare le porte del destino e conoscere i segreti del futuro, ma in quei momenti l’avrebbe volentieri donato a qualcun altro. Era come essere costretti a sopportare enormi periodi di vuoto, come se i suoi occhi spalancati fossero aperti su una stanza scura. Aveva gli strumenti per vedere, ma spesso era costretto a rassegnarsi a non percepire altro che il buio più profondo. Sapere che c'era qualcosa di inafferrabile che aspettava di essere scoperto, e non poterlo fare, era frustrante. 
Da giorni si stava sforzando di andare a fondo in quella sensazione che gli attanagliava le viscere, una vocina che gli gridava che c’era qualcosa di oscuro in agguato, qualcosa che si nascondeva nell'ombra. Sentiva di avere la soluzione a portata di mano, ma non riusciva a raggiungerla. 
Il Saggio si sollevò con qualche difficoltà dallo scranno nero che occupava per uscire un attimo in terrazzo. Forse fare un giro all'aria aperta lo avrebbe aiutato a schiarirsi le idee. Fece vagare per qualche minuto lo sguardo sui tetti delle case che si ergevano ai piedi del castello, come tanti pargoletti protetti dal padre. Sorrise, guardando la città brulicare di energia. Era incredibile quanto il ritorno della primavera avesse sollevato gli animi di tutti, ma purtroppo la bella stagione non era riuscita a porre rimedio al suo tormento. Per un attimo lasciò i pensieri liberi, un’infinità di piccoli demoni che gli affollavano la mente. Pensò a tutto quello che era successo, e a tutto quello che doveva ancora venire. Pensò alla sua città natale, distrutta da molto tempo, e a quello che il futuro riservava per loro. Appoggiato alla balaustra del terrazzo e completamente rapito dai suoi pensieri, non si era accorto di aver abbassato lo sguardo sul parco del castello. Tra gli alberi,  nascosti dalle fronde, il Saggio vide la principessa e il ragazzo dallo sguardo che catturava la notte allenarsi nel combattimento. Difficilmente un occhio normale avrebbe potuto scorgerli, ma lui vedeva. La Veggenza era un dono particolare, che non si limitava al futuro, ma riguardava anche le cose del presente. Archias vedeva e sapeva cose incredibili. Quando il Dragone glielo permetteva, il suo sguardo oltrepassava le barriere degli oggetti, scavava nelle profondità delle anime, esplorava i pensieri, scandagliava il futuro. Era un incarico unico e di un'immensa importanza, e allo stesso tempo dolce e affascinante, dall’infinita bellezza. I più grandi misteri del mondo si schiudevano davanti ai suoi occhi, ma lui era schiavo del Dragone. Poteva vedere solo quello che Lui decideva di fargli vedere, ed era sempre Lui a permettergli di rivelarne una piccola parte agli altri uomini, sotto forma di enigmi complicati e quasi impossibili da risolvere. Teneva per sé tutto il resto, a costo di rovinare per sempre il corso del destino. Non gli pesava, perché sapeva che quello era il suo, di destino.
Un lampo di consapevolezza gli attraversò la mente. Non era quello che aveva sperato, ma il Dragone aveva comunque scelto di mostrargli qualcosa. Quando gli ingranaggi del portone della biblioteca si misero in movimento per far entrare la figura di Max, il Saggio aveva già trovato la copia degli Annali di cui aveva bisogno e l’aveva sistemata sulla propria scrivania, per poi tornare a dedicarsi alla lettura. 
Il giovane Generale si dirigeva verso la sezione della biblioteca dedicata all’Archivio, quando passò davanti alla scrivania del Saggio.
- Credo che quello che stai cercando sia qui. - gli si rivolse il vecchio, con la sua voce debole, ma allo stesso tempo così piena di autorità. Aveva parlato lasciando lo sguardo incollato alle pagine ingiallite del suo libro, ma sollevò gli occhi sentendo Max ritornare sui suoi passi. Un sorriso gli increspò le labbra sottili quando vide lo stupore sul volto del ragazzo che sfumava, come se stesse pensando che avrebbe dovuto aspettarselo. Max lanciò un’occhiata al volume dalla copertina di alghe che era stato preparato per lui e si avvicinò per prenderlo, ringraziando il Saggio.
- Ragazzo. - lo chiamò il vecchio, prima che potesse raggiungere il libro. Max si fermò e rimase ad ascoltare, incrociando lo sguardo limpido del guardiano della biblioteca. - Non credo che quello che hai intenzione di fare porterà dei risultati. - gli disse, con la voce ferma e tranquilla di chi sa quello che dice. Max sapeva che non era un tentativo di fermarlo. Il Saggio non si metteva mai contro le decisioni degli altri, qualunque esse fossero. Gli sorrise, come se niente fosse.
- Sempre meglio provare, no? -  

***

Max non staccò gli occhi dal libro quando sentì la porta del Salone degli Anemoni aprirsi. Doveva per forza riuscire a trovare qualcosa di concreto sugli Annali, altrimenti certi membri del Consiglio l’avrebbero scannato vivo, dopo tutto quello che aveva detto il giorno prima. Gli serviva solamente uno straccio di prova che dimostrasse che il Dragone non era scomparso, qualcosa che provasse la sua esistenza. Non sapeva per quale motivo, ma tutti avevano iniziato a pensare che quella del Dragone fosse solo una leggenda inventata per dare speranze alla gente. E ora che le speranze si erano sgretolate, in pochi continuavano a credere alla sua esistenza. Se era vero che la sua vita era legata a quella del pianeta stesso, come poteva non intervenire per porre fine al delirio di quei quindici anni di guerra? Era un interrogativo alquanto ricorrente, e a dire il vero anche piuttosto fondato, ma Max sapeva che ci doveva essere qualcosa a supporto delle sue idee. Per il momento però, aveva trovato solamente le testimonianze di due vecchi e una ragazza vissuti secoli prima che sostenevano di aver avuto incontri con “lo spirito dorato dell’anima del mondo”, ma non erano dati molto utili, dato che l’epoca di cui si parlava era molto antica.
Perso dietro ai suoi ragionamenti, Max si era scordato della persona che era entrata poco prima, fino a quando non avvertì qualcuno che si sedeva accanto a lui sul divanetto. Sollevò a fatica gli occhi dalle righe finissime che decoravano ininterrottamente le pagine ingiallite del volume. Aveva già un’idea di chi potesse essere il visitatore.
- Acqua. - sorrise, sollevato, come se finalmente qualcosa in quella lunga giornata fosse andata nel verso giusto. Lasciò il libro sul tavolino, senza curarsi delle pagine che si richiudevano per conto loro, e le si avvicinò come un naufrago che finalmente avvista la terra. 
- Scusami, non volevo disturbarti. - sussurrò Acqua, accoccolandosi accanto a lui sul divanetto. Max le circondò le spalle con un braccio e avvicinò la bocca all’orecchio della ragazza.
- Tu puoi disturbarmi quanto ti pare. - le rispose lui, dolcemente. Non gli importava di perdere tempo se era Acqua a farglielo perdere. Anzi, non poteva neanche considerarla come una perdita di tempo, perché ogni volta che passavano dei momenti insieme gli sembrava di rinascere, di lasciarsi tutti i problemi alle spalle. 
Era come un toccasana per il suo umore. 
Sorrise ricordando l'episodio di quella mattina sulla Terra. Quando Max era venuto a portare la posta, Acqua non aveva resistito alla tentazione di dargli un bacio. Era stata velocissimo, Acqua aveva fatto un passo avanti e con nonchalance aveva appoggiato le labbra sulle sue. Era stato un bacio dolce e innocente, come uno di quei baci che si danno i bambini, per vedere che effetto fa. Era stato così rapido che Max si era domandato se ci fosse stato veramente. Il ragazzo l'aveva guardata, in piedi sulla porta mezza nascosta dietro lo stipite, e le aveva detto, con un sorriso malizioso: - Principessa, un po' di contegno, per favore. -
Acqua aveva riso. - Ops...  - gli aveva risposto, poi era scomparsa, chiudendosi dietro la porta. Max era andato via con un sorriso indelebile sul viso, che non l’aveva abbandonato per le due ore successive. Acqua era come una tempesta per la negatività: distruttiva.
E la tempesta era appena ricominciata.
Max le lasciò un bacio delicato sulla tempia, affondando il naso nei capelli della ragazza, poi un altro poco più in basso, e continuò così, tracciandole sulla pelle un disegno che solo lui comprendeva. Acqua si lasciò trasportare dalla dolcezza del momento, lo assecondò seguendo con la testa i movimenti di lui ad occhi chiusi. Ogni volta che Max le sfiorava la pelle con le labbra, un brivido le correva lungo la schiena. Max continuò il suo disegno lungo la sua guancia, fino ad arrivare al profilo della mandibola e giù, lungo il collo, per poi risalire. Acqua lo fermò solo quando arrivò all’angolo della bocca: voltò di poco il viso per far combaciare le sue labbra con le sue.
- Non avevi qualcosa da fare? - sorrise lei, appoggiando la fronte su quella del ragazzo.
- Sì, ma può aspettare cinque minuti. - rispose lui, finendo la frase direttamente sulle labbra della ragazza. 
- Mh, comunque ero venuta per farti una domanda. - sorrise lei. Anche se era stata lei stessa a ricordare il motivo di quella visita, non aveva proprio voglia di lasciare da parte il momento delle coccole. 
- Dimmi. - sorrise Max. Ma Acqua non aveva voglia di rovinare subito l’atmosfera tenera che si era creata. Sicuramente la sua domanda avrebbe fatto arrabbiare il ragazzo, perciò cercò di schivare il momento ancora per un po’.
- Non è urgente…prima vorrei sapere che cosa stavi facendo. - disse, acciambellandosi accanto a lui. Max la assecondò, fingendo di dimenticarsi della domanda per un attimo. Le circondò le spalle con un braccio, recuperò il libro degli annali e se lo sistemò sulle gambe, girato verso la ragazza. 
- Una cosa inutile. - le rispose, sospirando. - Cercavo una traccia per dimostrare a dei vecchi testardi che il Dragone esiste veramente. Ma qua sopra non c'è nulla. - 
Acqua avrebbe voluto sapere di più riguardo ai vecchi testardi, perché sentiva - lo sapeva - che Max le stava tacendo qualcosa. Però non rischiò un’altra domanda, perché immaginava che quella per cui era venuta lì fosse già abbastanza azzardata. Non poteva giocarsi quell’occasione. La ragazza sfiorò le fragili pagine del volume cogliendo brandelli di frase qua e là, ma senza concentrarsi troppo sulle parole che leggeva.
- Queste parole sono in lingua antica! - esclamò, soffermandosi sugli strani caratteri che riusciva a capire solo a sprazzi. Una volta in biblioteca aveva trovato un libro di grammatica antica, ma dopo qualche giorno lo aveva lasciato perdere. A parte le cose elementari, era tutto troppo complicato perché lei riuscisse a studiare la lingua da sola. Sul foglio riconobbe gli articoli, il verbo essere e qualche parola qua e là, quelle più semplici e simile alla lingua corrente. Oro, anima, respiro. 
- Che cosa significa questa frase? - domandò a Max. Il ragazzo sorrise e tradusse senza il minimo sforzo. - "La luce color dell'oro avvolse le sue membra intorno ad egli e da allora nulla fu più come prima. Davanti a noi si ergeva la figura maestosa dell’anima del mondo, respiro dell'eternità." - 
- Wow. - fu l’unico commento della principessa, anche se non sapeva bene per cosa fosse. Forse per il significato di quelle parole che, anche se tradotte velocemente, avevano una forza evocativa unica. Non sapeva come spiegarlo, ma le avevano provocato una sensazione di calda familiarità. Come si faceva a vedere l’anima del mondo? Probabilmente Acqua avrebbe dato qualsiasi cosa per poterlo fare. 
Max rimase zitto qualche istante, lasciando che il silenzio alimentasse i muti ragionamenti della ragazza, poi ripose di nuovo il libro sul tavolo e fissò gli occhi nei suoi.
- Allora, questa domanda? - le chiese. Acqua tornò in sé, come risvegliandosi da un sonno profondo, e si rivolse a lui con un filo di voce.
- Non arrabbiarti, ti prego. - disse, temendo che Max avrebbe riso a quella richiesta. Sembrava la tipica frase di un bambino colto con le mani nel sacco. Ma Max sollevò impercettibilmente le sopracciglia e non aggiunse una parola; si limitò a farle un cenno, per spronarla a parlare.
- Volevo chiederti di poter partecipare a una battaglia al tuo fianco. - sospirò Acqua, timorosa. L’espressione di Max si indurì.
- Acqua, sai che probabilmente questa è la domanda più inutile della storia? - replicò Max.
- Già, avevo immaginato che avresti reagito così. - disse Acqua, spostando lo sguardo sul pavimento. Si alzò dal divanetto, allontanandosi leggermente. - Per questo ho anche pensato ad un piano. Il mio ruolo sarebbe unicamente quello di seguirti e coprirti le spalle, proteggendo te e altri dove tu non arrivi. In questo modo ti starei incollata come la tua ombra e potrei usare i miei poteri come scudo. Sarebbe utile ad entrambi. - spiegò, cercando qualche segno di approvazione che però non arrivava. - Seriamente. - riprese, abbandonando il tono remissivo e avanzando di qualche passo con la schiena raddrizzata e le braccia incrociate - I miei poteri sono un’arma pazzesca, ora che li so usare come se fosse la cosa più naturale del mondo. Posso fare qualsiasi cosa sia utile all’esercito, tutto quello che vuoi. Riesci anche solo ad immaginare a tutto quello che potrei fare? - Max non rispose, limitandosi a un sorriso tirato. Sapeva benissimo di che cosa era capace Acqua, quella che non lo sapeva era lei. Il suo silenzio spazientì ulteriormente la ragazza, che continuò a parlare senza sosta: - Ti giuro che eseguirò ogni tuo ordine senza discutere. Max, sento una voglia di mettermi in campo che non riesco  frenare. Non posso più nascondermi dietro un pretesto, perché troppa gente sta morendo mentre io sto a rimuginare invece di fare qualcosa di utile. E so di essere pronta e forte abbastanza per questo.- Acqua sentiva il cuore rimbombare nelle orecchie, mentre le sue parole galleggiavano nell’aria. Max si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e alzò lo sguardo verso di lei. Inaspettatamente, si ritrovò ad annaspare in cerca di una scusa.
- Acqua, questo è ciò che si chiama desiderio di morte, e non è una cosa molto bella. - le disse, ostentando un’aria divertita che però non fece altro che rendere l’intera situazione ancora più seria. - Quante volte devo ripeterti che non voglio che ti lanci in missioni suicide? - 
- E io cosa dovrei dire a te che sei sempre in prima linea a rischiare la vita? - ribatté la ragazza, senza pensarci un secondo. Max la guardò dal basso, sempre seduto sul divanetto, senza sapere più quale argomento mettere in campo.
- È diverso, Acqua. - sputò il Generale, a denti stretti. Lui stesso riconobbe l’infondatezza di ciò che aveva detto, ma doveva tentare tutti i modi possibili per proteggerla. Lei non poteva e non doveva trovarsi coinvolta in una battaglia. Sarebbe stata la fine.
- Cosa è diverso? - continuò imperterrita Acqua. Max accampò un’altra stupida scusa.
- Che io ci sono dentro da quando sono nato…per te è un altro discorso. - 
- In che senso?  - sbottò lei, spazientita da tutte quelle risposte enigmatiche e poco sensate. - È perché non sono cresciuta qui? -
- Acqua, ci sono tante cose, non è solo quello… -
- Come fai a dirlo? - domandò la ragazza, senza lasciare spazio a Max. Lui si alzò dal divano, avvicinandosi a lei e scostandole un ciuffo dalla fronte.
- Acqua, basta, per favore. - mormorò, con aria supplice.
- No, Max.- protestò lei, scostandosi lievemente dalle sue dita. Il suo tono era insistente come quello di un bambino capriccioso, che sa di stare per cedere e ne è indispettito.
- Per favore. - insistette il ragazzo, regalandole uno di quei sorrisi che avrebbero potuto far sciogliere un ghiacciaio perenne. Acqua lasciò che lui chiudesse l’argomento con un piccolo bacio. La principessa sospirò, e decise di lasciar perdere.

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Capitolo 34
*** Punto di rottura ***


Capitolo 34
Punto di rottura

Max camminava verso il castello con la solita sensazione di frustrazione che lo seguiva come una vecchia amica. Quel giorno aveva condotto una spedizione all’esterno, verso gli accampamenti militari fuori dalle mura. Era un’operazione di routine, che dirigeva una volta al mese, per accertarsi che tutto andasse bene. Ma quel giorno il malcontento dei contadini che vivevano lì si era riversato come un fiume in piena su di lui e le due squadre che aveva portato con sé. La situazione era troppo instabile al di fuori, con continui attacchi che occupavano ogni forza disponibile per essere fronteggiati. Senza contare che pochissimi, negli accampamenti, erano soldati con un solido addestramento, la maggior parte degli abitanti erano contadini che se la cavavano come potevano in battaglia.
Max aveva lasciato laggiù la sua squadra speciale per le spedizioni, capitanata da Alathiel, sperando che lui riuscisse a metter un po’ d’ordine in quel casino.
Il salone del castello era deserto. Dopo aver riposto le sue spade nel sotterraneo, non senza aver rivolto uno sguardo rassegnato all’Intoccabile, Max imboccò il corridoio per le scale che lo avrebbero portato alla stanza di Olimpia. Il ragazzo non ne aveva nemmeno percorso la metà, che sentì degli strani rumori provenire dall’esterno. All’inizio lasciò perdere, ma poi riconobbe in mezzo a quei rumori il suono di metallo contro metallo. Si arrestò nel mezzo del corridoio, indeciso sul da farsi, giusto il tempo che gli servì per decidere di tornare indietro ed entrare nella prima stanza sulla destra, una stanza vuota che una volta era utilizzata per i ricevimenti importanti. Attraversò lo spazio a grandi falcate, fino ad arrivare alla finestra.
Uno strano presentimento gli fece montare un’agitazione febbrile che non fece altro che farlo innervosire ancora di più. Circospetto, fece scorrere lo sguardo sul giardino, scandagliando ogni albero e arbusto per scoprire la fonte di quei rumori. Ora riusciva a distinguerli più chiaramente: oltre allo stridio del metallo, c’era il fruscio di fronde che venivano spostate e poi c’era il rumore di passi  di due persone ansimanti. Max s’insospettì: prestò più attenzione ai suoi sensi e uscì dalla finestra, camminando lento e circospetto, fino ad aggirare un gruppo di cespugli alti che gli ostruivano la visuale. Si nascose, silenzioso, dietro un albero e sbirciò tra gli arbusti più avanti. Quello che vide non gli piacque per niente.
Una delle due persone che si stavano fronteggiando era Acqua, concentrata sui propri movimenti, con la fronte corrugata e i denti che tormentavano il labbro inferiore. L’altra persona invece era più sciolta e si muoveva con discreta sicurezza. Max imprecò mentalmente quando capì con certezza chi era: lo sguardo scuro di quel bastardo del ballo era inconfondibile. Il Generale aveva una gran voglia di raggiungerlo e prenderlo a pugni finché non si sarebbe più mosso. Non sapeva esattamente da dove venisse quell’odio, ma quella faccia non gli ispirava neanche un minimo di simpatia. Max si trattenne per evitare di andare da lui e fare quello di cui aveva tanta voglia. Immaginò l’impatto delle sue nocche contro la mandibola del ragazzo e fremette di rabbia. Ogni secondo che passava era sempre più furibondo e faticava a tenere a bada i suoi istinti.
Si concentrò su Acqua e notò con soddisfazione che era brava. Chissà da quanto tempo si allenavano a quel modo. La ragazza non aveva certo una tecnica precisa - con quel principiante come insegnante, poi! - ma riusciva a difendersi e aveva una buona impostazione. A volte gli affondi che tentava andavano a segno:  allora la ragazza abbandonava l’espressione concentrata e sorrideva,  con una luce fiera negli occhi che ricordava a Max quando da piccoli giocavano a palle di neve e lei riusciva a beccarlo. Qui, però, c’era molto di più in gioco, non era una semplice battaglia a palle di neve. Acqua tornava seria subito dopo, attenta alle raffiche di attacchi che quel bastardo le infliggeva senza esitazioni. Lei riusciva a pararli quasi tutti, ansimando per lo sforzo e rischiando più volte di perdere la presa sull’elsa della spada. Ogni tanto il ragazzo le lanciava dei complimenti o dei consigli, e ogni volta Max era invaso da un’ondata di rabbia sempre più forte. Acqua restava impassibile e cercava di aggiustare il tiro, ma il Generale registrava ogni minimo errore che commetteva, come se li avesse visti su uno schermo, che si trattasse di un’angolatura sbagliata della lama o di un piede messo male.
Max non poteva fare a meno di pensare a cosa sarebbe successo se Acqua avesse veramente partecipato ad una battaglia. Oramai era convinto che lei se la sarebbe sbrigata da sola e, anche senza il suo consenso, avrebbe comunque fatto di testa sua. Non poteva fare nulla per impedirle di scendere in campo, per quanto questo lo turbasse. Acqua non era pronta per la battaglia. I suoi movimenti erano troppo imperfetti, e anche utilizzando i suoi poteri, Max era certo che non ne sarebbe uscita illesa. Per di più, quel ragazzo spuntato dal nulla la stava incoraggiando, lodandola anche quando sbagliava, e questo peggiorava tutto. Con un moto di stizza, Max si allontanò cautamente dal luogo dello scontro, cercando di calmare tutta quella collera che rischiava di sopraffarlo.
 
***
 
Acqua controllò che non ci fosse nessuno ad osservarla e si nascose meglio dietro alla siepe. Finalmente aveva un giorno libero sulla Terra e poteva dedicarsi all’allenamento. Lei stessa era sorpresa da quanto si stesse impegnando ultimamente. Aveva preso quella questione molto a cuore e cercava di dare del suo meglio in ogni occasione. A volte, mentre si allenava con Julian, le veniva in mente suo padre e si chiedeva come sarebbe stato se ad insegnarle quelle cose fosse stato lui. Ma quel pensiero durava poco: di recente Acqua si era accorta di essere diventata molto più realista di quello che era prima e tendeva a lasciare da parte i sogni a occhi aperti. Quello che le importava era l’azione, doveva fare qualcosa.
Recuperò il pesante bastone che si era procurata in mancanza di una spada, e cominciò a scaldarsi provando alcuni affondi verso un albero che si trovava lì vicino. Non era esattamente un avversario ideale, ma quello che cercava di fare sulla Terra era solamente rafforzare i muscoli, al combattimento vero e proprio ci pensava con Julian. Acqua si focalizzò sull’albero ed eseguì tre affondi di seguito, provando a sentire ogni muscolo che si tendeva, concentrandosi al massimo per ottenere il miglior risultato possibile. L’albero era il suo obiettivo: nulla poteva distrarla. Attaccava, ancora e ancora, ignorando lo sforzo e il caldo di giugno.
Atlantis l’aveva cambiata in molti aspetti, le aveva restituito parte della famiglia che le mancava e le aveva fatto scoprire una realtà distrutta ma tenace, ed era quella una delle cose che aveva acquisito con l’allenamento, oltre al costante dolore ai muscoli e una maggiore consapevolezza di quello che poteva fare: la determinazione. Era fiera di sé stessa, sapendo che quella era una delle caratteristiche per cui veniva ricordato suo padre. E non si sarebbe fermata per nulla al mondo.
 
***
 
Le labbra di Max si piegarono in un sorriso amaro, quando vide che anche sulla Terra Acqua si allenava a combattere. La ragazza aveva una fermezza invidiabile, continuava ad attaccare senza sosta l’albero davanti a lei, ignorando la fatica e il sudore che le imperlava la fronte per poi scendere a gocce lungo le tempie. Max la tenne d’occhio, seguendo la coda bionda che non accennava a fermarsi, mentre Acqua eseguiva un affondo, un altro e ancora un altro.
Si mosse senza alcun rumore verso di lei, afferrando lungo il percorso un ramo da terra. Acqua respirava pesantemente, arrancando sempre di più ad ogni movimento. Max era certo che la ragazza non l’avesse sentito arrivare. Si avvicinò ancora quel tanto che bastava, poi cominciò ad attaccarla con ferocia. Lei si girò di scatto, con un piccolo urlo di sorpresa, e cercò di difendersi come meglio poteva. Max ignorò lo sguardo allibito e interrogativo della ragazza e continuò ad indirizzarle un assalto dietro l’altro. Acqua era così stremata che riuscì a controbattere alle offensive di Max solo con deboli parate, che comunque erano troppo fiacche. La forza di Max le faceva spostare di molto le braccia ogni volta che i loro bastoni si incontravano, ed era costretta a retrocedere. La tecnica di Max era infallibile, prevedeva ogni singola mossa della ragazza; anche quando lei pensava di coglierlo di sorpresa, lui sapeva già cosa avrebbe fatto ed agiva di conseguenza, inducendola anzi a compiere errori che lo avrebbero favorito.
La colpì più volte, all’addome, alle spalle e su un braccio, senza trattenersi. Non avrebbe voluto arrivare a quel punto, ma doveva farle capire a cosa andava incontro. Si stava comportando esattamente come quando doveva mettere in riga qualche recluta arrogante, che non si rendeva conto fino in fondo di come fosse una battaglia. In battaglia si muore. Acqua non l’aveva ancora capito.
La principessa gemette per lo sforzo a cui la stava sottoponendo il ragazzo. Sentiva i polmoni in fiamme  e i muscoli che bruciavano, come se fossero stati sul punto di strapparsi. Con un’ultima mossa Max la disarmò e la inchiodò contro l’albero, ficcando la punta del suo ramo contro la corteccia accanto al collo di Acqua. Lei sobbalzò, ansando come se tutto l’ossigeno del mondo non bastasse per i suoi polmoni. Max la sovrastava con la sua altezza, guardandola dall’alto al basso con un’espressione dura. La furia gli aveva trasformato il viso in una maschera di pietra, la mascella serrata, le sopracciglia contratte. Acqua lo guardava come un cerbiatto smarrito, sempre respirando affannosamente. Il suo sguardo trasudava puro terrore.
Senza una parola, Max toccò il braccialetto di alghe e scomparve sotto i suoi occhi.
 
***
 
Il salone del castello era deserto e completamente buio. Acqua si guardò intorno, disorientata, riconoscendo a malapena il profilo delle finestre grazie ai lontani lumini verdi sulle mura e nient'altro. Nell'oscurità permeata di un silenzio totale, l'unico rumore erano i respiri affannosi della ragazza, che doveva ancora riprendersi dallo scontro. Il cuore le batteva a mille e si sentiva ancora carica di adrenalina. La sensazione di smarrimento non l'aveva ancora lasciata, e le sembrava di vivere nell'atmosfera ovattata di un sogno. L'unica cosa certa ora era che doveva trovare Max. Non importava dove lui si trovasse; se non fosse stato nel castello, Acqua avrebbe setacciato Atlantis intera pur di parlargli. Doveva. 
La principessa aveva ricondotto in un lampo la causa della furia di Max al suo allenamento segreto, e doveva spiegargli. Allo stesso tempo, non aveva idea di come iniziare a cercarlo. Semplicemente, rimase ferma al centro del salone, lasciando che l'affanno si riducesse, mentre i suoi occhi si abituavano a poco a poco alla mancanza di luce. Non vedeva altro che i contorni sbiaditi degli oggetti e dei mobili. Risvegliandosi dallo stato quasi di trance in cui sembrava essere caduta, la ragazza si avvicinò alla porta che conduceva ai sotterranei. Sapeva per certo che avrebbe trovato una torcia, e magari sarebbe riuscita ad accenderla per rendere la sua ricerca più agevole.
Ma appena si ritrovò nello stretto andito che precedeva le scale per scendere, notò uno strano chiarore provenire dal basso ed ebbe un tuffo al cuore: realizzò che la luce flebile proveniva dalla stanza delle armi e che l'unico ad essere lì in quel momento poteva essere Max. Scese le scale con un groppo in gola, prima a tentoni, poi sempre più rapidamente, aiutata dal chiarore che si intravedeva da sotto. La luce della torcia che Max utilizzava gettava ombre giallastre ovunque, e quando Acqua fu al punto di terminare le scale, la vista delle prigioni illuminate da quella luce malata e inquietante le fece accapponare la pelle. 
Max doveva averla sentita, perché Acqua lo vide uscire dalla stanza delle armi e cominciare a camminare con cadenza militare lungo il corridoio che costeggiava le celle, che nel buio le sembrava infinito. Lo chiamò, ma la sua voce rimbombò inutile e distorta contro i muri di pietra. 
– Max! – gridò di nuovo, seguendolo.
– Che cosa credi di fare? – le gridò lui, girandosi di scatto e fermandosi nel mezzo del corridoio. – Hai una vaga idea di quante volte saresti morta nello scontro di prima? Una decina circa, e di solito dopo la prima non hai altre possibilità. –
Come se glielo avesse ricordato, Acqua sentì la pelle pulsare dove Max l'aveva colpita col bastone e dove si stavano già formando dei grossi lividi violacei. Rabbrividì pensando alla foga con cui aveva visto Max attaccarla prima: per un po' aveva creduto che il mondo volesse giocarle uno scherzo - Max non avrebbe mai potuto farle del male a quel modo - e le era passata per la testa l'idea che fosse un cavaliere mutaforme arrivato chissà come sulla Terra. Ridicolo.
– Max, fammi spiegare... – tentò di dire Acqua, ma fu subito interrotta.
– No, fai parlare me. – gridò Max, avanzando di un passo. – Non so che cosa ti é venuto in mente, ma levati dalla testa questa storia degli allenamenti. Stai lontana da quell’idiota del ballo, capito? – Acqua incassò le urla di Max con la fronte corrugata.
– Ho chiesto io a Julian di allenarmi. – bisbigliò, sputando fuori le parole tra i denti, con una rabbia che sorprese anche lei. Max alzò gli occhi al cielo, sbuffando.
– Acqua, come devo fare per farti capire che non c’è niente di bello nel combattimento? – sbottò di nuovo. Il suo tono insofferente dava sui nervi ad Acqua. Sembrava che stesse sgridando un bambino capriccioso. – Io sto solo cercando di protegg… –
– Perché, Max? Dimmi che senso ha ostinarti a proteggermi così, quando sai meglio di me che non serve a niente? – gli gridò contro Acqua.
– Acqua, devo tentare, sei la dannata principessa, ti rendi conto? –
– E questo cosa importa? Cosa cambia tra la mia vita e quella di un qualsiasi  ragazzo che combatte? – urlò Acqua, esasperata. Max si prese la testa tra le mani.
– Sei un riferimento per il popolo intero, Acqua. – mormorò, guardandola tra le dita. Sentiva la rabbia che prendeva il controllo su di lui.
– E tu no? – rispose Acqua, arrogante. – Presidente del Consiglio di Guerra, Generale… non sei anche tu un riferimento? – gli domandò, gesticolando.
– Come ti ho già detto, è diverso… – sentenziò Max, stringendo i pugni. Un lampo passò per gli occhi di Acqua.
– Ah, e comunque, quando pensavi di dirmelo, Generale? – ora era la ragazza ad avanzare verso Max, calcando, sprezzante, sulla parola “Generale”.
– Cosa importa? Tanto lo sei venuta a sapere… – rispose lui, non meno velenoso di Acqua.
– Ma non l’ho saputo da te! Cosa ti costava dirmelo? – gridò Acqua, il tono di voce che rasentava l’isteria. Max era sorpreso dalla veemenza con cui la ragazza continuava a controbattere alle sue risposte. Sbuffò e, reprimendo la voglia di prendere a pugni il muro, rispose ad Acqua nel modo meno nervoso possibile.
– All’inizio non te l’ho detto perché non volevo mettere troppa carne al fuoco, poi ho semplicemente pensato che fosse meglio continuare così… – rispose, cercando di liquidare l’argomento al più presto. Per un attimo il silenzio scese su di loro. Acqua lo sguardava in cagnesco, con le braccia incrociate. Alla luce tremula della torcia nella stanza delle armi, il suo volto pareva solcato da un’espressione tanto risoluta quanto spettrale.
– Tu non ti fidi di me… – Max faticò a riconoscere la voce della ragazza, nascosta sotto tutta quell’amarezza.
– Ma che dici? Sto solo cercando di fare tutto per il meglio, e sto cercando di tenerti lontana dalla morte! Ma tu rendi tutto più complicato, ti stai comportando come una bambina, maledizione! – l’ira bruciante di Max non fece altro che alimentare quella di Acqua.
– Voglio fare quello che è giusto nei confronti di tutti quelli che muoiono. – gli rispose, alzando la voce. – Con i miei poteri… –
– Acqua, i tuoi poteri non ti salveranno da una morte inutile! – gridò Max, sovrastandola di nuovo.
– Salveranno altre persone! –
– Maledizione, smettila di fare l’eroina e ragiona! Non puoi metterti in pericolo in questo modo! – Max sembrava sull’orlo di esplodere, il volto paonazzo. – Devi. Stare. Lontano. Dalla battaglia. Perché… – il ragazzo si fermò con il dito a mezz’aria puntato  contro di lei, incapace di continuare. – Perché sì. –
– Max… sembra che tu mi tenga nascosto qualcosa. – Acqua usò un tono deluso che lo punse sul vivo. Max sospirò, e assunse un’aria grave.
– Ci sono cose che non posso dirti. – dichiarò il ragazzo.
– Pensavo che non avessi segreti per me. – sibilò Acqua, e la sua voce non poteva suonare più amareggiata di così.
– Oh, anche io lo pensavo di te… – rispose Max, frustrato, prima che la ragazza ripartisse alla carica.
– Perché non puoi dirmelo? –
– Sono cose segrete. – Acqua immaginò di aver ricevuto una stilettata al cuore, e comunque il paragone non rendeva.
– Cosa c’è di così importante, Max? – ritentò Acqua, trattenendo il respiro.
– Diavolo, Acqua, non posso! – sbraitò il ragazzo, mandando in frantumi l’ultima parvenza di calma che si era imposto. – Tu non puoi capire. – 
– Ah, non posso capire, eh? – chiese beffarda Acqua, sollevando il mento in un’espressione di sfida. Max le sputò addosso un no irritato, con il viso trasfigurato.
– Non ti fidi di me. – mormorò di nuovo la ragazza. Questa volta ne era certa. Il volto di Max era tornato la maschera di pietra che l’aveva colpita, sulla Terra.
– Come posso fidarmi di una che non vede l’ora di suicidarsi? – disse, guardandola con gli occhi ridotti a due fessure. Acqua fu accecata dalla furia più assoluta che avesse mai sperimentato in vita sua.
– Allora, visto che non ti fidi di me, me la sbrigo da sola! – Acqua si voltò e prese a camminare a grandi passi verso le scale. Quando fece un gesto stizzito con le braccia, un vortice d’acqua si sprigionò dietro di lei, rischiando di spegnere le torce accese sui muri. Dopodiché la ragazza fu catturata dalla luce azzurra per ritornare sulla Terra. Le fiamme delle torce traballarono per qualche secondo prima di ristabilizzarsi. Max strinse i pugni e li riaprì varie volte, il respiro pesante, cercando di sbollire la rabbia, ma fu tutto inutile. Con un unico movimento fluido, estrasse il pugnale che aveva legato alla cintura e lo piantò contro il muro, assaporando il piacere della tensione che si allontanava e del grido che gli risaliva la gola. Il pugnale non scalfì nemmeno la parete; la punta della lama sì incrinò e fu quasi sul punto di spezzarsi. In un nuovo impeto Max lo scagliò lontano, lungo il corridoio delle segrete. Non gli importava dove sarebbe finito, ormai quel pugnale era inutilizzabile. Il Generale tirò un pugno a una delle sbarre di una cella e ascoltò l’eco del suo urlo disperato. Si allontanò da quel luogo buio con le mani tra i capelli, frustrato al limite del possibile.
Tutto quello che aveva costruito in quegli anni si era volatilizzato. Tutti gli sforzi immensi che aveva fatto, dedicando la sua intera vita ad Atlantis, erano stati inutili. Stava cercando di tenere la città lontana dal suo destino di morte, stava cercando di proteggere quelli che amava, e non ci riusciva. Stava andando tutto al contrario di quello che avrebbe voluto. Evidentemente il destino era troppo forte, non importava quanto lui cercasse di combatterlo. Era stato così anche per lui. Era già tutto scritto, e non poteva farci niente.

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Capitolo 35
*** Ferite insanabili ***


Capitolo 35
Ferite insanabili

Il giorno dopo, ad Atlantis, Acqua era ancora più nervosa di prima. Corallina non riusciva a capire il perché di tanta acidità. Non le sembrava che il giorno prima fosse successo nulla di strano, perciò non riusciva a raccapezzarsi. Non che il giorno prima fosse stata molto tempo con lei; Henri l’aveva accompagnata al palazzo e poi avevano passato un po’ di tempo insieme, lasciando Acqua ai suoi affari. 
Corallina non riusciva a credere di essere così felice. Le sembrava che il cuore potesse scoppiarle dalla gioia, una volta o l’altra. Henri era due volte più impacciato del solito, ma a lei piaceva così. Era tenero, in un certo senso, e a volte le faceva un po’ ridere, però era immensamente dolce ed un inguaribile romantico. Corallina si divertiva a prenderlo di sorpresa, lasciandogli dei baci veloci sulle labbra quando meno se lo aspettava; e allora lui la afferrava per un braccio e, con le orecchie rosse come il corallo, la stringeva in un abbraccio interminabile e la tempestava di baci sulla fronte, sul naso, ovunque. Corallina si scioglieva per la dolcezza. Henri stava lentamente abbandonando la timidezza, la rossa a volte lo notava mentre la guardava con la coda dell’occhio in classe, e si sentiva lusingata oltre ogni misura. Corallina non si staccava da lui, lui cercava le sue mani. Sembravano due bambini in un negozio di caramelle, estasiati e allo stesso tempo cauti. Non volevano sprecarle, quelle caramelle. 
Corallina stava sempre meno tempo con Acqua, praticamente la vedeva solo alla mattina a scuola. Nel pomeriggio Acqua si addormentava appena metteva piede in camera, per poi svegliarsi sul tardi e andare a fare chissà che cosa. Corallina all'inizio credeva che Acqua continuasse ad uscire con Julian, il ragazzo del ballo. Poi, nei giorni in cui Acqua era diventata così irascibile, non l'aveva più visto. Però aveva visto Max, e anche lui non era al massimo della felicità. Corallina ci mise poco a fare due più due, senza chiedere nulla né alla cugina, né al Generale. Quei due avevano litigato. 
Corallina tentò di capire quale fosse la causa del litigio, urtando con nonchalance sia Acqua, mentre andavano a scuola, sia Max, mentre passava per andare a parlare con Olimpia. Niente da fare, nessuna traccia di elettricità su nessuno dei due, quindi Corallina scartò la possibilità che si potesse trattare di gelosia, magari di Max nei confronti di Acqua, visto che passava così tanto tempo con Julian. Quello Corallina l'avrebbe capito; ora invece non aveva idea di che cosa fosse successo tra loro due. Avrebbe voluto aiutarli a fare pace, ma se non sapeva la causa del litigio, non sarebbe stata di grande aiuto. Di chiedere ad Acqua cosa fosse successo, non ci pensò nemmeno. Era quasi sicura che l'avrebbe sbranata. 
Era un peccato, però. Come diceva sempre Corallina, quei due erano nati per stare insieme.
 
***

Nei giorni seguenti il litigio, Acqua sentì la rabbia crescere ogni secondo che passava. Le capitò, qualche volta, di incrociare Max, in giro per la città oppure a palazzo. Ogni volta, l'aveva squadrato con un sguardo di fuoco difficile da ignorare. E ogni volta, Max l'aveva evitata, senza dire una parola. 
Il primo giorno, al momento della posta, Acqua aveva mandato la madre a rispondere, inventando qualche scusa. Il secondo giorno Max non si presentò nemmeno. Poi, il terzo giorno, il ragazzo arrivò un po' in ritardo, esattamente quando Acqua era nel salone d'ingresso. Non aveva scuse per mandare la madre al posto suo, perciò dovette andare lei. Aprì la porta con aria imbronciata e rimase qualche secondo senza fare niente, a braccia conserte. 
– Acqua, volevo... – farfugliò Max, cercando le parole giuste. Acqua gli strappò le lettere di mano, senza una parola, e gli chiuse la porta in faccia, lasciando aleggiare l'eco delle sue parole nell'aria.
Il giorno seguente Max era stato più accorto. Prima che Acqua potesse afferrare le buste, le allontanò dalla sua portata con un gesto secco.
– Aspetta, Acqua… – provò a biascicare, ma prima ancora di riuscire a formulare un pensiero che avesse senso, Acqua lo interruppe.
– Cos’è, non posso neanche più prendere le lettere? Fammi indovinare, “non posso capire”? – gli chiese, arrogante, avanzando di un passo. 
– Acqua, se mi lasciassi spiegare… – iniziò lui, con lo sguardo accusatore di Acqua che lo inchiodava al posto.
– Le spiegazioni non cambiano i fatti, Max. Non importa quello che vuoi dire. – rispose Acqua, amareggiata ma risoluta. La ragazza indugiò un attimo sulla mascella contratta di Max, sull’espressione implorante del suo viso. Ma non cambiò idea.
– Quindi… – ricominciò il ragazzo. – Quindi per te non conta più niente? Qualsiasi cosa io dica non ha più nessun valore? – Acqua fu sorpresa da quelle domande, ma non lo diede a vedere. Senza accorgersene, strinse i pugni lungo i fianchi.
– Esatto. – sussurrò. Non era mai stata più inamovibile di così. Il silenzio di Max durò a lungo, prima che riprendesse a parlare.
– Farò comunque un tentativo. – disse, piazzando gli occhi dritti verso Acqua. Lei non mosse un muscolo. – Prima o poi capirai che non ti tengo nascoste certe cose per i motivi che credi. Non ti reputo una stupida, perché non lo sei. Quello che faccio non lo faccio perché non mi fido di te. Sai benissimo che mi fido di te al punto che ti affiderei la mia vita. Lo faccio solo perché sono stato costretto. – Acqua sentì l’ira tornare ad avere la meglio.
– Costretto da chi? – urlò, la rabbia bruciante che le velava gli occhi di lacrime. – Se almeno mi dicessi cos’è così importante da costringerti a tenermi all’oscuro di tutto! – si arrabbiò ancora di più sentendo che una lacrima le era sfuggita e le solcava la guancia destra. Max aprì la bocca, poi la richiuse.
– Non posso, Acqua. – sibilò, esasperato.
– Non puoi. – ripeté Acqua, con un filo di voce. Non dovette sforzarsi molto per far trapelare tutta la rabbia e la delusione che provava. La sua voce era un concentrato di collera. Max tentò di avvicinarle una mano al viso, per asciugare quella lacrima solitaria, figlia dell’ira. Acqua scattò senza neanche accorgersene. La sua mano si serrò sul polso di Max e lo bloccò prima che potesse finire il gesto. Nello sguardo del ragazzo Acqua notò un briciolo di sorpresa. A quel punto era sicura che dai suoi occhi stessero uscendo delle fiamme. 
Max si liberò dalla sua stretta e fece una cosa inaspettata. Avvolse Acqua in un abbraccio improvviso. La ragazza rimase rigida e impalata, ma non poté evitare che la tristezza sormontasse la rabbia. Il peggio era che lei non voleva che le cose fossero così. Lei voleva semplicemente Max, senza quel masso di segreti enormi che si trascinava dietro, voleva il Max che conosceva lei, e il desiderio era talmente grande che per un istante pensò semplicemente di dimenticare tutto. Ma quell’istante fu molto breve. Si lasciò andare all’abbraccio, inspirando il suo odore per un rapido momento. Poi, appellandosi a tutta la forza di volontà che aveva, si staccò da lui.
– Non pensare che un abbraccio risolva tutto. – disse, lanciandogli uno sguardo triste. La rabbia era scomparsa dalla sua voce, ma stavolta l’amarezza era mille volte più grande e pesante. Si voltò e chiuse la porta delicatamente, lasciando Max di nuovo fuori. La madre era appena entrata nel salone, quando Acqua ebbe l’impressione di aver sentito Max tirare un pugno alla porta. Una semplice occhiata bastò alla donna per capire che qualcosa non andava. 
– Che c’è, avete litigato? – chiese alla figlia. Acqua annuì, rivolgendole lo stesso sguardo triste che pochi istanti prima aveva riservato a Max. Lyliana trotterellò verso la figlia e Acqua si tuffò letteralmente nel suo abbraccio. Nessuna lacrima trovò più la via d’uscita, ma il peso nello stomaco era più forte di qualsiasi altra cosa. Lyliana sentì che la sua bambina ormai una bambina non lo era più. Avrebbe voluto che si confidasse con lei, ma capì che non l’avrebbe fatto. Rispettò il suo silenzio limitandosi a stringerla forte, mentre fuori dalla finestra osservava Max che se ne andava, tirando calci e pugni a qualsiasi cosa gli capitasse sotto tiro.
Nei giorni successivi nulla cambiò. I due giovani vivevano sospesi tra una strana sensazione di profonda irrealtà. Raramente si incontravano, e in quelle occasioni sembrava tutto così lontano: i momenti di divertimento, la complicità, la sintonia che c'era stata tra loro. Ad Acqua sembrava di vedere la scena attraverso gli occhi di qualcun altro. I loro sguardi si incrociavano, e lei non sentiva nulla, se non un'enorme delusione che alimentava la nostalgia. Acqua avrebbe voluto che quel litigio non ci fosse mai stato. Sarebbe rimasto tutto come prima, con una barriera di cose mai dette e segreti nascosti che li divideva, ma almeno sarebbero stati ancora uniti da qualcosa. Ora invece non c'era più nulla che potesse cancellare quel senso di delusione in cui entrambi annegavano. Acqua non poteva nasconderlo: Max gli mancava, immensamente, ma ormai erano troppo lontani per riavvicinarsi. Mancava la fiducia, sia da una parte che dall'altra, ed era una lacuna troppo grande per essere superata.
 
***

Entrambi riempivano le loro giornate grigie di rimpianti e rabbia sopita. Max aveva mille problemi a cui pensare, uno più grosso dell'altro. Non si fermava un attimo, e raramente aveva tempo per riposare. Le responsabilità lo divoravano, le preoccupazioni gli affollavano la mente di pensieri nefasti. Non era mai stato più abbattuto di così, lui che doveva essere la guida e la speranza del popolo, un esempio per gli altri. Avrebbe dovuto essere forte, e si sentiva debole come non mai.
Acqua non aveva mollato. Anche senza vedere Julian, continuava ad allenarsi senza sosta. Non le importava che Max potesse scoprirla di nuovo. Anche sulla terra esercitava i muscoli a compiere sforzi sempre più grandi. Era fiera di se stessa, e si sentiva bene, tranne per quel vuoto che corrispondeva alla mancanza di Max.
 
***

Acqua spolverava i mobili nel salone della musica, le mani che si muovevano meccanicamente in gesti che ormai poteva compiere anche ad occhi chiusi. Doveva sbrigarsi perché la lezione di violino di Kate sarebbe iniziata a minuti. Acqua era persa nei suoi pensieri, con lo sguardo perennemente fuori dalla finestra, verso l'ingresso del giardino: al posto di Max quella mattina era stata la sua sostituta a consegnare la posta. La ragazza era in ansia e non poteva evitare di sperare che Max comparisse e le dicesse che era tutto a posto. Nulla lo obbligava a farlo, però Acqua era in preda all'agitazione e non sapeva a cosa attribuire la sua assenza. 
Altri minuti passarono, senza che niente cambiasse, nel silenzio monotono che stringeva la stanza. Poi, all'improvviso, un forte malessere la travolse. Era come se qualcuno le avesse dato un pugno nello stomaco. Il colpo le fece mancare l'aria, e si ritrovò ad annaspare alla ricerca di ossigeno. Le sue mani si mossero convulsamente alla ricerca di un sostegno, fino a quando le sue dita non si strinsero sul marmo del davanzale. Aveva appena ripreso fiato, quando un nuovo colpo, più forte del precedente, la raggiunse. Le sfuggì un gemito, e una mano si staccò dall'appiglio per raggiungere l'imboccatura dello stomaco. Non c'era nulla di strano, eppure il pugno era stato talmente forte che l'aveva fatta barcollare. Le dita della mano destra erano strette talmente forte al davanzale che le nocche erano sbiancate.
– Cos'hai, tesoro? – Lyliana le corse incontro, e le cinse le spalle in un abbraccio.
– Non mi sento per niente bene, mamma – mugolò Acqua, pallida come un cencio.
Lyliana fu veloce a scortarla in camera, lasciando a metà il lavoro che stava facendo. Acqua si adagiò sul letto e, con gli occhi sbarrati, spiegò brevemente alla madre che cosa si sentiva. Lyliana rimase con lei tutto il pomeriggio. Vedeva la figlia sussultare e stringere i denti ad ogni nuovo colpo, a volte portandosi le mani allo stomaco, a volte fissando ostinatamente il soffitto. Aveva una tale aria preoccupata, e Lyliana capiva perfettamente, perché condivideva con lei la preoccupazione. Non le era mai capitato di stare così male e, soprattutto, non era un malessere normale. Un semplice mal di pancia non ti devasta come se qualcuno ti stesse picchiando a sangue. Lyliana si mangiava le unghie dall'ansia, lasciando ogni tanto una tenue carezza sul volto di Acqua. Le aveva proposto di chiamare un medico, ma Acqua l'aveva scongiurata di non farlo. 
– Starò meglio, passerà. – le disse, con un lieve sorriso, neppure troppo convincente. E poi venne il colpo finale. Fu talmente forte da farla gridare, e una lacrima le scese lungo la guancia. Si cinse il ventre con le braccia, rannicchiandosi su un fianco, rivolgendo la schiena alla madre. Era come se qualcuno l'avesse squartata, e le avesse tolto le budella per poi riposizionarle in ordine sparso. Si cacciò un pugno in bocca per evitare di urlare di nuovo, e rimase a fissare con gli occhi sbarrati fuori dalla finestra, fino a quando il sole non fu tramontato. Pian piano il dolore si era dissolto, volando via come sbuffi di fumo che si sfaldano, trasportati dal vento.
Acqua era certa che fosse successo qualcosa ad Atlantis, qualcosa di molto grave. L'ansia la tormentava e l'impotenza la faceva diventare matta. Aveva provato ad andare ad Atlantis, in un momento in cui la madre si era allontanata, ma era stato inutile. Il dolore la teneva inchiodata lì, impedendole di partire, proprio come quando si era ferita durante la prima battaglia. 
Verso sera si costrinse a fingere di dormire, simulando il respiro più tranquillo che riuscì ad imitare, mentre il suo cuore stava martellando così forte che pensava che l'avrebbero sentita a miglia di distanza. La madre doveva essersi convinta che lei si fosse assopita, così lasciò la stanza per lasciarla riposare. Il dolore se ne era quasi del tutto andato, riducendosi a una pulsazione di sottofondo. Acqua non ebbe nemmeno bisogno di rifletterci. In un secondo, visualizzò la sua meta, e scomparì in un vortice azzurro.
 
***

Max svoltò l'angolo, nuotando alla velocità massima che gli permetteva la pesante armatura che aveva indossato da qualche ora. Si portava dietro anche le sue due spade, il rumore del ferro che sbatteva lo seguiva come una presenza nella corsa verso casa. 
Le strade erano buie, nemmeno un lumino acceso nella notte. Si vedevano solo le lampade verdi sulle mura, che ammiccavano lontane come una promessa di morte. Li avevano avvistati, questa volta ne erano sicuri, ed erano almeno tre o quattro squadroni di Cavalieri. La città era scattata al suono del corno che indicava l'attacco. 
Max aveva subito iniziato a dare direttive, elaborando in poco tempo un piano che permettesse loro di conservare la cupola protettiva per quanto più tempo possibile. Max sperava ardentemente che non succedesse nulla al campo di forza, non aveva nemmeno il coraggio di pensare a che cosa sarebbe potuto accadere ad Acqua in quel frangente. Aveva impegnato anima e corpo nell'organizzazione della difesa, ma c'era ancora una cosa che doveva fare prima di schierarsi nelle fila della sua squadra. 
Percorse gli ultimi metri a nuoto e poi cominciò a correre a passo spedito, con l'armatura che faceva rimbombare i suoi passi. Molti combattenti gli passarono accanto nella direzione opposta, con uno sferragliare di armi e armature che era solo il preludio di quello che sarebbe stato il frastuono dello scontro. Casa sua era dietro l'angolo, e non appena lo ebbe oltrepassato, una figura esile uscì dalla porta di casa sua, richiudendola delicatamente dietro di sé. Max fu invaso dal sollievo, e si sentì come se qualcuno gli avesse alleggerito lo stomaco di un grosso peso. Si fermò davanti a lei, raddrizzando le spalle.
– Les! – sospirò con uno strano misto di sollievo e sorpresa che non riuscì a nascondere. Celeste sorrise debolmente. Max non era sicuro che l'amaro sollevarsi di un angolo della bocca potesse definirsi sorriso, ma complessivamente poteva interpretarlo come un buon segno. Ora che la vedeva, Max provava una felicità difficilmente contenibile, nonostante lo stato in cui versava la ragazza. Era pallida come un cencio e aveva un'aria malaticcia che la faceva apparire come un fantasma. La pelle lattea e le ossa che parevano volerla bucare di certo aiutavano. Era gracile più che mai, le braccia e la gambe ridotte al minimo della sottigliezza. Se non fosse stato per i muscoli, i suoi arti sarebbero stati ridotti a ossa ricoperte da un sottile strato di pelle. Gli occhi erano gonfi e iniettati di sangue, cerchiati da un'ombra nera e profonda. 
Max si sentì stringere il cuore vedendo quanto sembrava debole e così dannatamente fragile. Era un pulcino spaurito, e sembrava potersi spezzare da un momento all'altro. Lo sguardo trasognato, malinconico all'infinito, perso nel fondo del baratro in cui era affondata. Uno sguardo disilluso e privo di ogni speranza, che a Max sembrò spento. Qualcosa dentro di lei si era spento, per sempre. Era devastata. 
Il ragazzo sentì l'impulso di sollevare una mano in una carezza, asportare un po' del suo dolore, almeno per un po'. Restò fermo, invece, sapendo quanto quel gesto l'avrebbe fatta sentire male. Stava già facendo altro per lei, offrendole un rifugio al mondo esterno, un luogo in cui poter trovare la tranquillità che cercava, al riparo dall'esterno, dagli sguardi della gente, da ogni pressione.
– Ho sentito il corno. – mormorò la ragazza, con la voce flebile e lievemente tremante. Erano passate più di due ore da quando l'allarme aveva risuonato per la prima volta nella calma della notte. Max sorvolò sul dettaglio temporale. Celeste era in piedi e, nonostante le fossero servite due ore per decidersi, era uscita. 
Max la aggiornò con voce calma, come sempre, come se non fosse mai cambiato niente.
– Sono tre o quattro gruppi da duecento o trecento Cavalieri ciascuno, arrivano da sud–ovest, in formazione a v. Saranno qui al massimo tra un quarto d'ora e li accoglieremo preparati all'esterno, con dieci squadre di attacco e dieci di difesa, più due di guardia ad ogni porta, una ad ogni torre, e quattro squadre di arcieri sulle mura. – Celeste annuì distrattamente, passandosi una mano sulla clavicola. 
– Credi che la cupola reggerà? – domandò la ragazza, lasciando vagare lo sguardo in lontananza, a sud–ovest.
– Spero che Acqua ce la faccia. – disse Max. Celeste annuì di nuovo. 
– Tu cosa pensi di fare? – le chiese, spostando una mano sull'elsa della spada destra. Celeste sembrò tornare presente a sé stessa. Lo sguardo cupo si illuminò lievemente, niente di più di un luccicore vago nel pozzo profondo dei suoi occhi glaciali. 
– Vengo anche io, Max. – biascicò, riscuotendosi all'improvviso. – Starò con gli arcieri. – aggiunse, guardandolo per la prima volta negli occhi. Il segnale d'allarme suonò per due volte, cupo e minaccioso. Max annuì velocemente, e lanciò uno sguardo alle torri sud. C'era un discreto movimento. 
Un altro suono del corno. 
– Les, fai la brava. Mi raccomando. – le disse, appoggiandole una mano sulla spalla, guardandola intensamente. Lei sollevò gli occhi verso di lui e tentò di nuovo con una sottospecie di sorriso. 
– Andrò con Phatro, non farò nient'altro, te lo prometto. –
Il ragazzo approvò di nuovo, sentendosi fiero della sua piccola Les che tirava fuori gli artigli per l’ennesima volta. Non c’erano dubbi che la vita la stesse mettendo a dura prova, ponendo continui ostacoli lungo la sua strada. Ogni volta Celeste vi annegava, ma poi riusciva a riemergere. E anche questa volta, nonostante dall’abisso si vedesse solo un flebile raggio di luce che non sarebbe riuscito a riscaldare la più piccola delle creature, Celeste avrebbe lottato. 
Max la vide tentennare, e pochi istanti dopo si ritrovò con le sue braccia strette attorno al torace, il viso nascosto tra le piastre metalliche che gli cingevano il petto. Ne fu sorpreso, ma rimase in silenzio, avvolgendola tra le sue braccia, stringendola a sé come fosse l’ultima delle sue speranze.
Fu un abbraccio triste, ma senza dubbio scaldò il cuore di Celeste. Fu un abbraccio che sapeva di casa, e la lasciò piacevolmente stordita dai ricordi. E l’unica cosa a cui riuscì a pensare fu “Grazie”. 

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Capitolo 36
*** Non c'è più ***


Capitolo 36
Non c’è più

Max era troppo distratto quel giorno, se ne rendeva conto. Raramente gli capitava di essere così poco presente a se stesso in battaglia, ma non riusciva ad impedire ai suoi pensieri di ammassarsi dietro la figura di Acqua. Colpiva e parava quasi meccanicamente, come se davanti agli occhi avesse avuto un velo che sfocava la realtà. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere che stava bene. 
Gruppi di Cavalieri enormi, una decina di spanne più alti del normale, erano ammassati davanti alla porta sud e spingevano contro la barriera protettiva, che riluceva di un verde spettrale. Sembrava una bolla sul punto di rompersi. 
Max combatteva, rintronato dal rumore. Gli sembrava che tutto di fronte a lui si muovesse a rallentatore, come sfumato. Aveva temuto che Celeste non sarebbe stata in grado di badare a se stessa, nelle sue condizioni, ma ora avrebbe dubitato persino della propria concentrazione. E non era per niente buono.
Cercò di spazzare via dalla mente tutto ciò che lo distraeva. Cercò di fare chiarezza nei propri movimenti, e di recuperare quella lucidità che lo contraddistingueva sul campo di battaglia. Con una torsione del polso destro riuscì a muovere la spada in modo da disarmare il Cavaliere che lo tratteneva da qualche minuto. Un altro mostro viscido lo aveva raggiunto, minacciandolo dall’altro lato; il Generale finì con un colpo secco il primo e si voltò per fronteggiare il nuovo arrivato. Sfruttando il vantaggio della doppia spada, continuò per qualche istante a provocarlo sul lato sinistro, attendendo che il Cavaliere si traesse in inganno. Non appena il momento fu propizio, Max lo attaccò sul fianco destro con l’altra spada. Il mostro era lento, e ne rimase sorpreso. Non si accorse nemmeno della spada sinistra, che in pochi secondi calò sul suo collo. Il corpo cadde a terra con un tonfo. 
Il Generale si voltò a controllare la situazione del resto della sua squadra. Sembrava tutto sotto controllo. Accennò qualche passo, avvicinandosi all’uomo che combatteva alla sua sinistra, che sbuffava a ogni colpo inferto dal nemico. Max lo raggiunse, destreggiandosi nel marasma di combattenti, e sorprese da dietro il mostro, infilandogli la propria lama nell’addome. L’uomo gli urlò un ringraziamento, e finì di occuparsene, mentre Max si voltava di nuovo verso le mura. 
All’improvviso, un boato lo fece tremare. La parte illuminata della cupola si era crepata, e lo squarcio la stava risalendo, diramandosi in varie direzioni, formando un disegno complicato che aveva un suo terribile fascino. Spaventoso. Per un attimo il rumore del vetro infranto superò lo sferragliare delle armature e il clangore delle armi. La cupola si ruppe in infinite schegge dai bagliori di diversi colori. Di nuovo, tutto accadeva al rallentatore. Mille volti si girarono verso la città, con gli occhi pieni di terrore e le bocche spalancate, mentre i pezzetti di quella barriera si dissolvevano nell’acqua ancora prima di iniziare la discesa verso il suolo. 
A Max morì il respiro in gola. Fu un attimo di esitazione generale, ma poi tutto ricominciò, veloce e frenetico. L’esitazione costò cara a molti combattenti, che vennero travolti dalla forza schiacciante del nemico. Max era stato sopraffatto di nuovo dai pensieri, tutto gli scorreva accanto senza minimamente sfiorarlo. Acqua era il suo punto fisso. 
Si riscosse solo quando udì il sibilo di un’arma dietro di sé, e si scostò appena in tempo per evitarla. Perse l’equilibrio e gli ci volle qualche istante per ritrovare la stabilità. I nemici gli piombarono addosso come un fiume in piena. Si guardò intorno, parando i primi violenti attacchi, ma non c’era più nessuno dei suoi nei paraggi. Erano accorsi tutti alle mura, e non si era nemmeno accorto di essere rimasto solo, facile preda disorientata per un gruppo di Cavalieri che lo circondava completamente. Imprecò più volte, rispondendo con ferocia ad ogni attacco, girando su se stesso per evitare di essere colpito alla schiena. I colpi di quei maledetti bastardi erano forti, e un’ondata di panico lo travolse. La paura lo stava accecando, si muoveva come un animale braccato, agitando le armi senza una vera e propria logica. Gridò, chiamando aiuto, e si vergognò di se stesso. Non aveva mai permesso a qualsiasi avvenimento di turbare la sua calma glaciale in  battaglia, e ora stava agendo come un novellino. Odiandosi per il momento di smarrimento, riprese il controllo delle proprie azioni e mise in moto il cervello. 
Erano una quindicina di Cavalieri, ne sarebbero arrivati altri, era solo, e aveva due spade, più il pugnale nel fodero. Ce la poteva fare, anche se non ne sarebbe quasi sicuramente uscito illeso. Prese a rispondere agli attacchi, facendo saettare le lame contro due diversi mostri contemporaneamente. Sentiva il ferro penetrare nella carne squamosa e viscida dei Cavalieri, ma spesso le spade incontravano le corazze nemiche. Troppo spesso. Cambiò strategia. Lanciò brevi stilettate ad ognuno dei mostri più vicini a lui, quelli che lo minacciavano di più, affondando ripetutamente le spade nei loro arti. Molte armi volarono via, e Max riuscì ad ammazzare alcuni di quei bestioni. 
Ne aveva eliminati tre o quattro, e aveva più libertà di movimento; ma sempre nuovi nemici continuavano ad accorrere verso di lui, li vedeva accalcarsi come una folla di demoni. Cominciava a stancarsi di quel combattimento così sfiancante. Bastò che abbassasse un momento la guardia perché una lama lo colpisse sul braccio sinistro. Il pezzo di armatura che lo copriva si era disintegrato, lasciando il braccio libero. Un taglio rosso vi si era disegnato sopra, ma non era profondo; Max lo ignorò e continuò a battersi. 
Un altro mostro cadde a terra, e due inciamparono sul suo corpo. Il ragazzo li uccise entrambi con un unico colpo, con l’altra spada parò un attacco pesante, e il bruciore del taglio si fece sentire. Qualcosa lo colpì all’addome, ma l’armatura resse e Max accusò solo il colpo. Le sue spade andarono a segno innumerevoli volte, molti Cavalieri cadevano e venivano continuamente rimpiazzati. Di nuovo, il Generale venne raggiunto da una lama nemica, questa volta nel punto della corazza che congiungeva la lastra del petto con la protezione per la spalla, a destra. Il dolore lo annebbiò per un attimo, lasciandolo stordito. Avvertì con sgomento la spada sinistra che veniva strappata via dalla sua mano, e uno strano trambusto dietro di lui. Erano i rantoli di Cavalieri in punto di morte, quindi poteva soltanto sperare che fossero arrivati dei rinforzi. Impugnò la spada rimasta con entrambe le mani e riprese ad attaccare. Continuò, ancora e ancora, ma le ferite bruciavano e i muscoli imploravano riposo. Sobbalzò quando avvertì una presenza dietro la schiena: lanciò un breve sguardo all’indietro, pronto ad attaccare. 
Ma non era un Cavaliere. Due occhi neri come l’abisso più profondo, gli occhi inconfondibili del ragazzo che Acqua aveva conosciuto al ballo. Max tenne da parte l’odio che provava nei suoi confronti e accettò di buon grado l’aiuto che gli offrì. I due si coprivano le spalle a vicenda, e Max riuscì a tirare un sospiro di sollievo. 
Aveva ripreso il controllo della situazione, tutto gli era più chiaro, ogni mossa, ogni singolo movimento. Riusciva persino a percepire tutto quello che accadeva alle sue spalle. Aveva bene impresso lo stile con cui quel ragazzo combatteva, e coglieva ogni suo errore. Continuarono a lungo a fronteggiarsi con i mostri, seguendo un ritmo perfetto e preciso, quasi… surreale. Ad un tratto Max ebbe una strana sensazione. Si voltò, e il ghigno che vide dipinto sulla faccia di quel bastardo gli gelò il sangue nelle vene. Era una stramaledetta trappola. 
Accadde tutto troppo velocemente. Delle mani viscide lo afferrarono per le braccia, premendo sulle ferite, paralizzandolo. Un mostro lo tirò per i capelli, costringendolo in ginocchio. Il Generale cercò di divincolarsi, tra le urla, tirando poderosi strattoni con le braccia, ma fu tutto inutile. Gli venne in mente un’altra scena simile, di cui era stato spettatore sei anni prima. 
La storia si stava ripetendo, solo che ora il prigioniero braccato era lui. 
Un colpo alla nuca, e Max vide nero.
 
***

Acqua cercava di trattenere il tremito nelle mani, con gli occhi sbarrati fissi fuori dal portone nel castello. Non c’erano molti Cavalieri in città, ma il rumore era agghiacciante. La principessa immaginò che ce ne dovessero essere molti di più fuori dalle mura, impegnati in una battaglia all’ultimo sangue per riuscire ad entrare. 
Era il finimondo. Il poco che si vedeva dal castello bastò per farle accapponare la pelle. Su una via di Atlantis saliva una nuvola rossa, e lì vicino, sulle mura, una squadra di arcieri veniva presa d’assalto da due Cavalieri che erano riusciti a salire. Una torre di controllo delle mura andava a fuoco, disperdendo fumo grigiastro sui tetti delle case. 
Acqua ripensò a quello che aveva detto Julian. “La paura ti tiene in pugno come se fosse l’unica cosa che respiri”. Aveva ragione. La ragazza sentiva scariche di terrore attraversarle il corpo, impietrita nel salone del castello, senza riuscire a muovere un muscolo. Le ci volle un enorme sforzo di volontà per compiere qualche passo. Julian aveva detto che se hai un obiettivo chiaro, nulla ti può fermare. Lei un obiettivo ce l’aveva: accertarsi che Max stesse bene, e combattere. Nulla l’avrebbe fermata, nemmeno il Generale. Era una decisione importante, che avrebbe di certo avuto delle conseguenze, ma lei sentiva che era quello che avrebbe dovuto fare. E lo avrebbe fatto. 
Con le orecchie piene del frastuono della battaglia, raggiunse la porta dei sotterranei per andare a prendere le armi. Esitò un attimo, con la mano ferma sulla maniglia, schiacciata dal peso di ciò che stava per fare. Fu allora che la raggiunse la voce di Corallina, dalle scale.
– Acqua! – le gridò, scendendo alla velocità della luce. – Che ci fai qui? – 
– Ho sentito che c’era qualcosa che non andava, e volevo… – non ebbe il coraggio di continuare, e si limitò a rivolgere un cenno alla porta. Ma c’era qualcosa di strano in Corallina, qualcosa che le fece salire una strana angoscia nel cuore. La cugina aveva gli occhi cupi, e rifuggiva il suo sguardo. 
– Corallina, che ti succede? – le chiese, stordita dalla sensazione che qualcosa stesse andando per il verso sbagliato. La rossa rimase in silenzio, con gli occhi a terra. Ad Acqua sembrò che il tempo si dilatasse. Voleva spronarla a parlare, ma qualcosa la frenava. Dopo quella che le sembrò un’eternità, Corallina la serrò in un abbraccio, sorprendendola. Era tutto così sbagliato. 
– Acqua, Max non c’è più. – sussurrò, talmente veloce da essere quasi incomprensibile. – L’hanno catturato. –  Acqua ebbe l’impressione che il mondo girasse intorno a lei, lo stomaco serrato in una morsa. 
– Non è vero. – gemette Acqua. Scosse la testa, cercando di trattenere tra le dita  frammenti del suo mondo che si sgretolava. – No, non è vero. Max non può essere stato catturato. – ripeté, con gli occhi sbarrati e il respiro corto. Era rigida, sembrava che cercasse di opporre resistenza. Corallina la strinse più stretta, affondando il viso nell’incavo del suo collo. Solo allora Acqua rilassò i muscoli e si lasciò andare. Le lacrime  scesero a bagnarle le guance, offuscandole la vista. Cominciò a singhiozzare senza nemmeno rendersene conto. No, non era vero, non poteva essere vero. 
– No! – lo gridò al mondo intero, aggrappandosi alla cugina come alla sua ancora di salvezza. Non è vero. La principessa continuò a biascicare quelle parole, tra le lacrime, mentre la sua voce lentamente si perdeva tra i singhiozzi. Una litania senza senso, le cui parole avevano ormai perso il loro significato.
 
***

Quando Max si riebbe, la gravità di ciò che era appena accaduto lo travolse come un’onda. Con la testa annebbiata studiò la situazione. Le mura di Atlantis erano lontane, perse sull’orizzonte. Max era trasportato a peso morto da due Cavalieri che lo sorreggevano per le braccia, lasciando che le sue gambe trascinassero al suolo. Intorno a lui era disposto a cerchio un manipolo di Cavalieri, che ancora non si erano accorti del suo risveglio, mentre in testa al gruppo camminava Julian. 
Di lui Max intravedeva ben poco: la testa e un pezzetto dell’armatura scura che mandava strani bagliori riflettendo la luce dell’alba. Inequivocabilmente aveva ancora la sua forma umana, e il prigioniero si chiese cosa aspettasse a riprendere il suo vero aspetto. 
Il ragazzo era stato privato delle spade, ma poteva avvertire il peso rassicurante del pugnale nel fodero: fortunatamente non l’avevano notato. Nonostante si sentisse incredibilmente debole, Max doveva tentare di fuggire.  Non poteva cadere così semplicemente nelle mani  di Darcon. Prese un respiro e, carico d’adrenalina, puntò i piedi a terra e si liberò della presa dei Cavalieri. Qualche secondo dopo, uno dei due bestioni che lo trasportavano era morto, e tutto quello che di lui restava a Max era il suo sangue giallastro che gli imbrattava il pugnale e la mano. 
Il secondo Cavaliere si gettò su di lui, seguito da tutti gli altri. Max sbuffò. Erano tanti i mostri che lo circondavano e lui non era nelle migliori condizioni. Il corpo non rispondeva ai suoi comandi, stremato, mentre la mente non riusciva a tenere il passo di ciò che accadeva. Finì tutto in pochi secondi: altri due mostri lo afferrarono e lo spinsero a terra bloccandogli gli arti al suolo. Max cercò di divincolarsi, sbuffando, ma le ferite, vecchie o nuove, su cui i Cavalieri spingevano le loro dita viscide, dolevano da impazzire. 
Julian entrò nel suo campo visivo, con quel ghigno che non l’aveva abbandonato per un minuto. A Max sembrò che gli risplendessero gli occhi, e nemmeno mezzo secondo dopo si ritrovò attraversato da un dolore tremendo, inimmaginabile, come se ogni cellula del suo corpo fosse stata dilaniata da mille aculei. Si dimenò con foga, il cervello in fiamme, urlando come mai aveva fatto in vita sua. Le sue grida si persero nella pianura.
Julian gli si inginocchiò accanto, senza una parola, e gli strinse una mano sul collo. Max annaspò, in cerca di aria, sempre squassato dal dolore di quell’incantesimo assurdamente potente. Dalla mano di Julian cominciò ad irradiarsi un freddo innaturale, e Max cercò nuovamente di sottrarsi alla sua presa, ma era tutto così doloroso. Il gelo lo risalì completamente, avvolgendolo nella sua morsa, incuneandosi in ogni anfratto, pungente come artigli. La vista del prigioniero si offuscava, i sensi si indebolivano, ma non il dolore. E, improvvisamente, Max fu sottratto al suo corpo, relegato nel buio più profondo, e perse di nuovo i sensi. 
La scena si era ripetuta più volte, ad ogni risveglio del Generale, che non abbandonava i suoi folli tentativi di fuga. Era sempre più debole, e si muoveva come per inerzia, trascinato dalla forza di volontà, sempre più in contrasto con ogni razionalità. Non aveva senso continuare così, ma i suoi fiacchi tentativi non si fermarono.
Quando si risvegliò all’interno della caverna era distrutto. Il suo corpo era interamente ricoperto di graffi, tagli e ferite più o meno profonde. L’armatura che avrebbe dovuto proteggerlo era ridotta a brandelli, il pugnale aveva la lama storta e scalfita. Non avrebbe comunque potuto usarlo; degli anelli di roccia gli circondavano i polsi e le caviglie e lo immobilizzavano, inchiodati alla parete. I suoi piedi non toccavano terra, e la posizione in cui era costretto era faticosa e scomodissima. Doveva tenere la schiena inarcata per evitare che le rocce appuntite gli graffiassero ulteriormente la pelle. Max sollevò lo sguardo, senza riuscire a muovere la testa, ed esplorò rapidamente la stanza di roccia. 
Era piccola, di sicuro non era l'unica stanza della caverna. C'erano due porte, una grande alla sua destra, e una più piccola alla sua sinistra, dove sarebbe passata a fatica una persona. Dalla grande apertura a destra sembrava si diramasse un lungo corridoio, dalla cui fine entrava un po' di luce. Un silenzio surreale abbracciava quel luogo, come se lui fosse stato l'unico essere vivente nella quiete disperata di quella trappola oscura. A Max sembrava che quel silenzio fosse strano; lo percepiva vivo, come se stesse cercando di dirgli qualcosa. Alzò gli occhi al limite del possibile, con la testa abbandonata inerte sul petto, fino a quando riuscì a distinguere un'immagine che lo folgorò, lasciandolo travolto da un'onda di panico. Di fronte a lui c'erano altri prigionieri, incatenati alla parete. I loro occhi lo fissavano, vuoti, le loro bocche si aprivano in grida mute. Erano rinchiusi in bozzoli di ghiaccio, che riluceva della fioca luce della caverna mandando bagliori sinistri. Max fu scosso dai brividi, e abbassò subito gli occhi, sentendo il cranio perforato da quegli sguardi senza speranza.
Poi il silenzio si interruppe. Erano dei passi, che risuonavano secchi sui muri di pietra e ghiaccio. Max sentiva il sangue scivolare da una ferita superficiale vicino al sopracciglio sinistro. La pelle bruciava; al limite del campo visivo intravedeva una nuvoletta rossa che si disperdeva nell'acqua. Max attese nella calma angosciante dei suoi pensieri che quei passi si avvicinassero. Non poteva che essere Lui, e senza saperne il perché, Max sentiva che la sua meta era in quella stanza, davanti al corpo martoriato di un prigioniero che attendeva il suo destino. 
I passi si arrestarono dietro la piccola porta di sinistra, e nella stanza fece il suo ingresso Darcon, l'uomo che teneva in stallo il mondo intero. Max gli rivolse uno sguardo d'odio stanco, come se non avesse avuto energie nemmeno per quello. Il Signore del Ghiaccio lo squadrò soddisfatto, con i tratti del viso rilassati quanto glielo permettevano le numerose cicatrici che gli attraversavano la carne. Il suo volto sembrava un arazzo intessuto di simboli incomprensibili che solo lui avrebbe potuto decifrare, il significato dei ghirigori blu di tessuto cicatriziale apparteneva a lui soltanto. Guardava Max come si guarda un trofeo, e lui era uno dei suoi trofei più belli. 
– Alla fine arrivate tutti alla mia mercé... Uno... dopo... l'altro. – commentò con falsa aria annoiata, come se nemmeno i suoi successi gli interessassero più di tanto. Parlava con tono di voce grave, lentamente, dando ad ogni parola lo stesso, fatale, peso. Il suo volto si illuminò, acceso da una gioia folle. 
– Bravo, il mio nuovo assistente, non é vero? – sibilò, alludendo a Julian. Max si sentì invadere dalla furia, ma non disse nulla. – Nemmeno io so perché ho aspettato così tanto, ma ora sta andando tutto secondo i piani. – Darcon si riscosse e puntò lo sguardo dritto su Max. 
– Sai cosa vorrei, Generale? Vorrei che Aquarius potesse vedere dove sta finendo il suo regno, vorrei che potesse vedere te in questo momento, come tu lo hai visto morire sotto i tuoi occhi. – la serietà e l'odio nella sua voce e nel suo atteggiamento furono spazzati via da una risata gutturale, bassa e strascicata. Darcon scacciò via il pensiero agitando una mano. 
– Mi accontenterò di vedere la faccia della principessa, quando sarà qui e ti vedrà. – Max sussultò e il suo corpo urlò di dolore. Ecco perché non era morto, ed ecco perché Darcon non lo voleva uccidere, almeno non subito. Voleva la distruzione di due persone insieme, nel modo più plateale e doloroso possibile. 
Nemmeno lui avrebbe saputo dire come, ma dalle labbra di Max uscì un lamento strascicato, che traeva con sé l'eco di qualcosa di grande, potente: 
– Conosci il tuo destino. – sussurrò il prigioniero tra i denti, contraendo il viso in una smorfia. Quelle parole sussurrate, fiacche, suonarono invece forti e pregne di una minaccia invincibile. 
– E chi é il destino per dirmi quello che devo fare? – gridò Darcon, esplodendo di rabbia. – Io sono il mio destino, e io distruggerò questa dannata città, prendendo per me tutti i poteri che il Dragone non mi permette di avere. Io diventerò la Leggenda, e a quel punto non sarò inferiore nemmeno al Dragone! – l'eco delle sue parole si perse lungo i corridoi della caverna di ghiaccio, rimbalzando sulle pareti e tornando indietro deformate, inquietanti. Max trasalì, e seguì con orrore Darcon che si voltava e muoveva qualche passo verso il capo opposto della stanza.
– E ora, Generale... – sussurrò l'uomo, giocando con le parole come fossero sue servitrici. – ...é arrivato il momento di dire addio alla tua gloria! – gridò.
Per tutto quel tempo, Max non era riuscito a sostenere il peso del capo, ma quando Darcon si girò di scatto verso di lui e dalla sua mano aperta si sprigionò un'esplosione di cristalli di ghiaccio, il prigioniero alzò il volto, e affrontò il nemico a testa alta. 
Quell'aria di sfida rimase impressa nel ghiaccio eterno, a suggellare la sconfitta del più giovane e valoroso re che Atlantis avesse mai avuto.

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Capitolo 37
*** L'ultimo barlume ***


Capitolo 37
L’ultimo barlume

Erano passati due giorni. Due lenti, lunghissimi, interminabili giorni. La battaglia era finita, lasciando una scia di macerie e sangue che questa volta era difficile da cancellare. Le perdite pesano di più dopo un periodo di pace. In città c’era un gran movimento, ma mancava l’euforia che aveva caratterizzato i giorni precedenti alla battaglia. Anche se la primavera era appena iniziata, il buonumore della bella stagione se n’era già andato, portando con sé tutte le vane speranze che la gente si era costruita in quel periodo. Nulla era cambiato e nulla sarebbe cambiato. 
Mentre fuori tutti lavoravano alacremente, sebbene rassegnati, Acqua non abbandonava il suo stato di mutismo. Da quando aveva saputo che Max era stato catturato, non aveva quasi spiccicato parola. Il primo giorno, quando ancora fuori la gente combatteva, lo passò al fianco di Corallina, senza abbandonarla un attimo. E le lacrime non abbandonarono per un minuto il suo volto. La cugina cercava di distrarla, cambiando argomenti di conversazione alla velocità della luce, ma Acqua aveva un unico pensiero fisso ed era difficile che se ne scordasse. Corallina sembrava parlare da sola, mentre Acqua vagava con la mente cercando di immaginare ogni possibile scenario della cattura di Max. E in ogni modo se lo immaginasse, le sembrava sempre inverosimile. Una parte del suo cervello faticava ancora a crederlo. Com’era possibile che fossero riusciti a catturare Max? Ma l’altra parte del cervello era fin troppo lucida, percepiva la sua mancanza come un vuoto nell’aria. Attirava la sua attenzione ed era impossibile da ignorare. 
La cosa peggiore era riuscire a resistere la notte da sola. Finché era confortata dal chiacchiericcio costante della cugina, la mancanza si affievoliva, ma di notte tutto era più difficile. Il sonno faticava ad arrivare, e il buio la annientava, il silenzio la stordiva; perfino i lumini verdi sulle mura sembravano ammiccare da lontano, ricordandole quello che aveva perso senza nemmeno potergli dire addio. E allora singhiozzava sul cuscino, abbattendo la debole barriera che aveva cercato di erigere durante il giorno. Poi arrivava il sonno, e si portava via tutto. Almeno fino a quando non arrivavano i sogni.
Erano passati due giorni, e Acqua si sentiva sprofondare. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere come stava, se c’era anche una minima speranza di rivedere i suoi occhi color nocciola che le mancavano così tanto. 
Ma qualcosa le diceva di no.

Il giorno dopo tornò sulla Terra, per la prima volta da quando era scomparsa nel nulla. Ma era solo di passaggio, non si sarebbe fermata per ricominciare la sua solita vita. La scomparsa di Max le aveva lasciato un vuoto troppo profondo, e non sarebbe riuscita a mascherarlo neanche se fosse stata la migliore bugiarda di sempre. Non aveva più la forza di tenere su quel muro di menzogne, non ora che Max non c’era più. Arrivò in camera sua, e rimase qualche secondo a fissare quella stanza che l’aveva vista crescere. C’erano ancora il letto disfatto e la tapparella mezza sollevata, come quando se n’era andata. Sembrava tutto più strano, come se fosse in un ambiente ostile; Acqua si guardò intorno ed ebbe l’impressione di vedere la camera di qualcun altro; oppure di essere tornata indietro nel tempo ad un’epoca che non le apparteneva più. 
Il pensiero volò subito alla madre. La sua scomparsa doveva averla sconvolta, non meno di quanto aveva fatto quella di Max a lei. Le spezzava il cuore doverla lasciare senza una misera spiegazione, per un periodo che non sapeva nemmeno lei quanto sarebbe durato. E poi, una volta che si fosse sentita pronta a tornare alla sua vita, cosa le avrebbe detto? Acqua dovette chiudere gli occhi e prendere un bel respiro per evitare di scoppiare in singhiozzi e farsi sentire. 
Prese un foglietto dalla scrivania e scrisse velocemente un messaggio per Lyliana, per farle sapere che stava bene, più o meno. 
“Mamma, non ti preoccupare per me. Non posso dirti dove sono e non so quando tornerò, ma sarà il più presto possibile. Non volevo farti questo, scusami. Ti voglio bene.”
Le mani le tremavano quando chiuse il bigliettino, per poi metterlo in bella mostra sulla scrivania. Gettò un ultimo sguardo fuori dalla finestra, il respiro mozzato, poi tornò ad Atlantis.
Ad accoglierla trovò in camera sua Corallina ed Henri, che l’aspettavano seduti sul suo letto. Un’aura di tacito accordo aleggiava tra i due, ed Acqua si sentì minacciata inconsciamente, senza nemmeno saperne il motivo. Corallina le rivolse uno sguardo per spronarla a parlare, ma nemmeno una parola uscì dalla sua bocca. Rimase impietrita, sovrastata da quello che aveva appena fatto.
– L’hai vista? – domandò la rossa, mentre Acqua continuava a fissare ostinatamente il pavimento. Infine si riscosse, e mosse la testa in segno di diniego, senza rompere il silenzio. L’aveva abbandonata. Aveva abbandonato sua madre. 
Corallina scambiò uno sguardo veloce con Henri, per poi rivolgersi nuovamente alla cugina. 
– Io ti rispetto, Acqua, ma secondo me non hai preso la decisione giusta. – le disse, a voce bassa, come se temesse di svegliare qualcuno. La principessa alzò di scatto la testa, gli occhi fiammeggianti.
– Cosa avrei dovuto fare? – gridò – Non posso più continuare a mentire sperando di nascondere tutto quello che provo dietro una facciata! Prima la guerra, poi mio padre, Azzurra, e tutto il resto… Fino a lì potevo anche riuscire a tenere nascosta a mia madre la sofferenza che mi porto dietro! Ma per Max è diverso, non riuscirei mai a fare finta di nulla con lei. – si portò le dita alle tempie, e rise, con fare sprezzante. – “Scusa mamma, adesso va tutto bene” – recitò. – “L’unica cosa è che Max è stato catturato dalla persona che vuole distruggere il mio mondo e probabilmente non lo vedrò mai più in tutta la mia vita.” – Corallina tentò di ribattere, insoddisfatta della piega che stavano prendendo le cose, ma Acqua non si fermò, ritornando seria.
– Lui è sempre stato con me, sono cresciuta al suo fianco, e ora… non ce la faccio. – 
Corallina aprì la bocca, ma non riuscì a proferire parola. Era la cosa più dolce e maledettamente triste che avesse mai sentito. Un forte sentimento di compassione verso la cugina la investì, facendole dimenticare tutte le repliche che aveva immaginato. 
– Hai tutte le ragioni di questo mondo, e sappi che noi ti staremo accanto anche se la pensiamo diversamente. – disse Henri, facendo sentire la propria voce per la prima volta. Acqua sorrise debolmente e coprì velocemente la distanza che li separava, tuffandosi tra le braccia dei suoi amici più cari. E infine si lasciò andare, perdendosi tra il proprio pianto sommesso e il supporto delle due teste rosse che le stavano accanto, registrando ogni particolare di quell’abbraccio: la stretta affettuosa della cugina, il supporto silenzioso ma tenace di Henri, e il calore dei corpi vicini. E lei aveva un gran bisogno di calore.
 
***

Troppi sguardi, troppe attenzioni. Il nuovo inizio della scuola non aveva giovato all’umore di Acqua. Di sicuro la perdita di Max aveva avuto un influsso sulla vita di tutti, ma chiunque sapeva che la persona più colpita era stata sicuramente la principessa. Era chiaro come la luce del sole. Il Generale e la figlia del re erano nei pensieri di tutti, legati da un filo indissolubile che non se ne sarebbe mai andato. Acqua si domandava che cosa si aspettassero da lei. Tutte le persone che aveva incontrato l’avevano fissata insistentemente, quasi con sfacciataggine, e lei non sapeva se fosse per compassione o per cos’altro. 
In classe, non passava un secondo senza che non fosse raggiunta da uno sguardo curioso, o preoccupato, o triste. Sembrava quasi che la guardassero con pena, come se avesse dovuto scoppiare a piangere in qualsiasi momento. Ed era quello che la innervosiva più di tutto. L’insegnante aveva persino tenuto una specie di discorso, prima di cominciare a spiegare. Li incitava a non demordere, a non considerare l’accaduto come la fine del mondo. Il Consiglio di Guerra si stava riorganizzando, la caduta di Max non avrebbe significato la definitiva sconfitta della città. Ad Acqua sembrava che quelle parole fossero dirette implicitamente a lei. Come se ci fosse stato bisogno di tranquillizzarla, di coccolarla, come si fa con un bambino triste.
Si sentiva incompresa da tutti, a volte anche da Corallina ed Henri, nonostante loro cercassero sempre di essere a sua disposizione.
Le tornava, come un pensiero fisso, l’idea di rivedere Julian. Non lo aveva più sentito da quando Max le aveva impedito di incontrarlo. Avrebbe voluto andare da lui, parlargli, magari ricominciare ad allenarsi; ma allo stesso tempo ne aveva paura, perché sarebbe stato come contraddire Max, di nuovo, ora che lui non c’era più. Acqua lo vedeva come un’enorme mancanza di rispetto nei suoi confronti, e questo la frenò, almeno per la prima settimana. Poi però decise che non poteva più aspettare. Qualcosa la spingeva a volerlo assolutamente vedere. 
Uscì dal castello senza farsi notare, senza dire nulla a nessuno. Era una faccenda che riguardava lei, e lei soltanto. Si sarebbero accorti della sua mancanza e l’avrebbero rimproverata, dato che uscire era ancora pericoloso, ma non le importava. Avrebbe fatto i conti più tardi con la zia e Corallina.
Si avviò ostentando noncuranza verso la piazza del mercato, dove Julian una volta le aveva indicato la sua casa. Era convinta di volerlo vedere, ma al tempo stesso era dubbiosa rispetto a sé stessa. In fin dei conti, non sapeva nemmeno che cosa gli avrebbe detto una volta lì, e non sapeva che cosa potesse offrirle il ragazzo in più - comprensione, forse, conforto? Che cosa stava cercando in lui esattamente, non lo sapeva nemmeno lei. Fu sul punto di tornare indietro, una volta arrivata avanti alla porticina di legno dal batacchio di metallo consumato e arrugginito. La gente camminava e nuotava vorticosamente intorno a lei, che stava ferma davanti alla porta. Ma poi le sue dita sfiorarono il ferro, e picchiò due volte, con un suono debole e esitante. Qualche secondo dopo, uno scricchiolio profondo accompagnò l’apertura della porta. 
Una donna piccola e gracile comparve sull’uscio e lanciò un rapido sguardo alla ragazza. Sul suo volto si dipinse un’espressione di profonda sorpresa non appena si rese conto di chi fosse l’ospite. La donna raddrizzò la schiena e accennò un piccolo inchino in segno di ossequio, indecisa lei stessa su come comportarsi. Acqua cercò di capire quanti anni potesse avere. Le sembrava ancora giovane, nonostante avesse qualcosa, negli occhi, nella postura, che la faceva apparire anziana e debole, come se si fosse arresa. Le ricordò quel ragazzo che aveva visto entrare in città con il carro di provviste.
– Come posso aiutarla? – sussurrò la donna, mantenendo il capo un po’ abbassato. Aveva parlato con una riverenza e un rispetto incredibili, e Acqua si sentì lusingata dal sorriso cortese che le rivolgeva. 
– Sono qui per vedere Julian. – le rispose, cercando di sembrare altrettanto gentile, anche se il suo sorriso era senza dubbio più impostato e rigido.
– Come? – chiese, aggrottando le sopracciglia. I suoi occhi sembravano persi ad inseguire qualcosa di impalpabile come un respiro.
– Vorrei parlare con suo figlio. – ripeté Acqua, intimorita. C’era qualcosa che la inquietava. Un’ombra scura aveva avvolto i tratti della donna, e lei si era ritratta impercettibilmente, come se qualcosa l’avesse urtata, ferita.
– T-temo che non sia possibile. – balbettò, nascondendosi dietro lo stipite. Acqua sentì il cuore accelerare. Le rivolse una tacita domanda, mentre lei si ritraeva ancora di più.
– Mio figlio è morto quattro anni fa. – sussurrò la donna.– E non si chiamava Julian. – 
Il tempo si dilatò. Acqua non riusciva a respirare, si sentiva oppressa da un peso incredibile. Farfugliò qualcosa di incomprensibile e si allontanò rapidamente dalla casa. Non era possibile. Le mani le tremavano come foglie, mentre le passava sul viso, camminando a passo di marcia e cercando di ignorare il senso di colpa e quel malessere insostenibile. Si fermò nei pressi di un muretto e vi si sedette di fronte, appoggiandosi con la schiena.  Le dita serrate sugli occhi, respirava profondamente, cercando di ignorare i tremiti che la percorrevano. Le girava la testa vorticosamente, perché ormai aveva capito. 
Julian le aveva indicato esattamente quella casa, le aveva detto che viveva lì, ma non l’aveva mai invitata. Acqua era certa di quello che ricordava, casa sua era quella. O almeno, avrebbe dovuto esserlo. Ma Julian non viveva lì, nessun Julian era mai esistito. Non importava quanto cercasse di ingannare sé stessa, immaginando mille scuse diverse per sentirsi meglio. La consapevolezza di aver sbagliato la inchiodava al suolo. Era la sensazione peggiore che avesse mai provato. Era stata ingannata, e il peggio era che Max l’aveva avvertita, l’aveva messa in guardia. E lei, per difendere Julian, quel Julian che in realtà non esisteva, aveva perso la fiducia di Max, aveva perso Max per sempre. 
Lui non c’era più e il peggio era che lui aveva sempre saputo la verità e lei non gli aveva mai dato ascolto. Aveva commesso l’errore più grosso della sua vita e non poteva rimediare in alcun modo. Julian era un Cavaliere, e lei gli aveva permesso di avvicinarsi a tal punto da considerarlo uno dei suoi migliori amici. Si era fidata di lui, e gli aveva consentito di instillare in lei il dubbio, di dirottarla nella direzione voluta da Darcon, di manipolarla, di separarla dal Generale per sempre. Era stata lei a consentirlo, e gli aveva reso il compito molto più facile del necessario. 
Acqua era nauseata da sé stessa. Perché Max aveva ragione, ed era stato lui a soccombere al suo posto.
 
***

Acqua si svegliò di soprassalto, respirando affannosamente. Nell’aria sentiva ancora l’eco di un grido; il difficile era stabilire se fosse uscito dalla sua bocca o se fosse soltanto ciò che le restava del suo ultimo sogno. Si osservò le mani tremanti nella penombra della stanza. Non ricordava i particolari del sogno, ma quel grido che era rimasto con lei la angosciava. Senza poter fare nulla per impedirlo, le lacrime presero a scorrere lentamente sul suo volto. Cercando di calmarsi, si sistemò all’indietro i capelli che le erano caduti sul viso e si appoggiò con la schiena alla testata del letto. Sarebbe stato difficile dormire, ora. 
Aveva esperienza, ormai, e quando si svegliava a quel modo non valeva a nulla pensare positivo o cercare qualcosa con cui risollevarsi il morale. Si infilò di nuovo sotto le coperte e con gli occhi chiusi cercò di convincersi a riaddormentarsi. Ma i suoi pensieri ormai erano rivolti ad altro, e il buio e il silenzio le premevano addosso, costringendola ad accettare la realtà. Cominciò a tremare incontrollabilmente, riflettendo per la prima volta, con spietata serietà, su quante probabilità ci fossero che Max fosse ancora vivo.

Corallina non riusciva a dormire, restava semplicemente sveglia fissando i lumini sulle mura. Aveva sentito dei passi strascicati in corridoio, perciò quando la porta della sua stanza si aprì, non si spaventò. Acqua scivolò dentro in silenzio, e Corallina fissò il suo sguardo su di lei, che cercava di trattenere il pianto. 
– È morto. – disse, semplicemente, come una mera constatazione, per poi scoppiare in singhiozzi. La rossa le fece spazio sul letto senza dire una parola e Acqua si sistemò accanto a lei, continuando a piangere. A Corallina si strinse il cuore. Cosa poteva fare lei più di così per aiutarla a superare il dolore?
 
***

Corallina sbadigliò, confermando ad Acqua che quei cinque interminabili minuti di studio serio in biblioteca sarebbero finiti presto. La rossa aveva smesso di blaterare poco prima, quando uno sguardo eloquente del Saggio, poco più in là, l’aveva convinta a tacere e a sprofondare per un po’ con la testa nel libro. 
Acqua aveva accolto il silenzio della cugina con sollievo: ultimamente le sue chiacchiere le davano alla testa e preferiva la sua compagnia silenziosa, come la notte prima. Acqua si chiese se non stesse diventando un po’ troppo intollerante. Scacciò il pensiero e ricominciò a leggere, ma neanche mezzo minuto dopo si fermò, confusa. Nemmeno lei riusciva a concentrarsi: leggeva una frase e tornava indietro di due, non riuscendo a capire ciò che aveva appena letto. Sembrava che i suoi occhi scivolassero sulle parole come su una serie di lettere disordinate e prive di senso, senza trattenere nulla. 
– Senti, Acqua, io mi sto stufando. – proruppe Corallina – Che ne dici di… – 
Un suono forte e prolungato interruppe la proposta della ragazza. Ad Acqua sembrò che il mondo si fosse fermato, teso nel suo strazio verso quel richiamo minaccioso. Suonò due volte, come per accertarsi che tutti avessero capito, e poi tacque lasciando dietro di sé un eco grave. Acqua si girò verso la cugina, col cuore che batteva all’impazzata e una sensazione opprimente nel petto. Corallina era pallida come un cencio e aveva gli occhi sbarrati; cominciò a guardarsi intorno, armeggiando con qualsiasi cosa le capitasse sotto tiro. Le sue mani si muovevano febbrilmente, cercando di riunire tutte le cose che aveva sul tavolo, mentre Acqua la osservava, senza capire, i muscoli tesi e i pensieri confusi. Il suo istinto non le suggeriva nulla di buono, e il comportamento della cugina di certo non la rassicurava. 
– No, no, no, no, no… – mormorava quest’ultima a mezza voce, ripetendo convulsamente quella parola come una litania. Nonostante tutto, sembrava agire secondo un pensiero logico, mentre Acqua era priva di qualsiasi razionalità, in preda al panico, e non riusciva a fare altro che guardarla. Erano passati pochi secondi, che le erano sembrati un’eternità, quando finalmente trovò la forza di parlare.
– Corallina, che succede? – domandò, tremando incontrollabilmente, con la vista offuscata. Non si era nemmeno resa conto di aver afferrato con forza le estremità del tavolo. Corallina si alzò, imitata a fatica da Acqua.
– Loro sono qui. – disse, e cominciò velocemente a parlare – Due suoni lunghi significano che sono abbastanza vicini da essere distinti dalle torri. Questo vuol dire che in poco tempo saranno alle porte, diciamo un quarto d’ora, venti minuti, dopodiché attaccheranno. Stai tranquilla, adesso scendiamo a cercare mia madre, ci dirà lei cosa fare… – Acqua si sentì afferrare per un braccio e cominciò a nuotare dietro la cugina. Tra la confusione generale e l’angoscia, l’unica figura che la ragazza riuscì a distinguere con chiarezza fu la sagoma del Saggio, ritto ed immobile in mezzo al caos, come se gli eventi del mondo intorno a lui non lo sfiorassero nemmeno. I loro sguardi si incrociarono mentre Acqua si affrettava dietro a Corallina e le sembrò di scorgere un sorriso di incoraggiamento sul volto del vecchio, come se lui avesse capito qualcosa che ancora andava al di là della sua comprensione. 
Incontrarono Olimpia per caso, lungo un corridoio. Corallina si gettò tra le sue braccia, chiedendole se avesse informazioni più precise e che cosa dovesse fare. Dopo la cattura di Max, Olimpia era l’unico membro della casata reale in grado di prendere il suo posto, perciò ora era lei il Generale in carica. Acqua si mise in disparte, ascoltando distrattamente la loro conversazione concitata, con l’impressione che dialoghi simili fossero ormai diventati usuali tra le due. La ragazza realizzò di essere arrivata lì quasi in automatico, senza nemmeno rendersi conto di quello che stava facendo. I suoi ricordi dall’uscita dalla biblioteca a quel momento erano un insieme di immagini confuse, come se il suo cervello fosse temporaneamente andato fuori servizio. Il panico l’aveva accecata, e la stava ancora soggiogando: le gambe le tremavano e faticava a respirare normalmente. Guardando madre e figlia parlare, non riuscì a fare a meno di immaginare sé stessa lì accanto scambiarsi informazioni a bassa voce con Max, pochi passi lontano da lui, fissandolo con determinazione negli occhi e implorandolo o di non andare, o di accompagnarlo. E immaginava la sua espressione sofferente mentre pensava a cosa stava per accadere, e la dolcezza bruciante con cui l’avrebbe abbracciata e rassicurata. Se solo lui fosse stato lì. 
Acqua si riscosse al richiamo della zia e si unì all’abbraccio, trattenendo le lacrime, ascoltando le ultime raccomandazioni della donna per loro.
– Non andate da nessuna parte, vi prego. Il castello è l’unico posto protetto per adesso e l’ultima cosa che voglio è che usciate e vi succeda qualcosa mentre io vi credo al sicuro. Se le cose si mettessero molto male e dovessero riuscire ad entrare, farò venire delle guardie alle porte del castello, così potete stare tranquille. – le guardò per un’ultima volta, soffermandosi prima su Corallina e sorridendo con complicità alla figlia, per poi rivolgersi ad Acqua.
– Mi raccomando. – disse infine, con immensa serietà. Poi riprese la sua tipica aria distesa e mormorò – Ci vediamo dopo. – 
Diede un buffetto alla nipote, che sorrise amaramente, per poi allontanarsi senza aggiungere altro.
 
***

La lama bluastra scintillò nella teca sotto lo sguardo bramoso di Acqua. L'Intoccabile la richiamava, ma lei aveva scelto di non prenderla e ormai la sua decisione era irrevocabile. Combattere con la spada di suo padre sarebbe stata la mossa più stupida che avrebbe potuto fare, chiunque l'avrebbe riconosciuta. Prese quella con cui di solito si allenava insieme a Julian e la infilò nel fodero. Il pugnale che le aveva dato Max era già pronto, così come mantella color sabbia e l'armatura che aveva indossato, la più piccola che fosse riuscita a trovare nella stanza delle armi. Era passata qualche ora dall'inizio della battaglia, perché Acqua voleva essere certa di allontanarsi senza destare sospetti nella cugina, non avrebbe voluto trovarsela alle calcagna dopo mezz'ora. 
Era stato complicato riuscire a convincere Corallina a lasciarla sola. All'inizio aveva passato tutto il tempo ignorandola deliberatamente, fingendo di essere persa nei suoi pensieri. Beh, per quello non aveva dovuto sforzarsi troppo. Corallina però non demordeva, anzi sembrava intenzionata a passare tutto il tempo con lei. Perciò Acqua aveva atteso pazientemente il momento opportuno, che finalmente era arrivato qualche ora più tardi. 
Le due ragazze si erano sistemate sul letto della principessa, cercando di riposarsi. Era quasi ora di pranzo, ma il sonno accumulato dopo diverse notti di veglia le aveva convinte che in quel momento mangiare non era la cosa più importante. Parlavano sommessamente, come se avessero paura di disturbare qualcuno, ma quando un attimo di silenzio aveva interrotto i loro scambi di battute, Acqua aveva notato il respiro di Corallina farsi più pesante e regolare. I minuti passati ad aspettare che la cugina si fosse realmente addormentata le erano sembrati infiniti. Era rimasta immobile, con ogni muscolo teso ad ascoltare lo strano connubio tra il respiro tranquillo accanto a lei e il fragore che proveniva da fuori. Era buffo, ma sembrava quasi che insieme formassero un ritmo determinato, qualcosa di potente e irresistibile, che sembrava stregarla e catturare ogni sua fibra, con una forza incontrastabile. 
Era stato in quel momento che la volontà di combattere si era fatta più forte e che la ragazza aveva capito improvvisamente, come se un fulmine l'avesse colpita, che l'unico motivo per cui lo voleva fare era lui, Max. Se c'era anche solo la più piccola possibilità di trovarlo, vivo o morto, lei lo avrebbe fatto. Aveva lasciato un biglietto sul letto per la cugina. "Sono in biblioteca" aveva scritto, per poi abbandonare la camera, senza ripensamenti, nel silenzio assoluto. Mentre ultimava i preparativi nella stanza delle armi, prendendo l'orologio-bussola di Max e una cartina, pensò che forse non sarebbe più tornata. Non le importava. Tutto quello che contava, al momento, si trovava in una caverna a chilometri di distanza, rinchiuso nel ghiaccio. 
Si allacciò la mantella con fare febbrile e lanciò un ultimo sguardo all'Intoccabile. La teca le rimandò indietro il riflesso del suo viso e la ragazza non poté fare a meno di sentirsi orgogliosa. Nei propri occhi rossi e gonfi riconobbe lo stesso sguardo determinato di suo padre.
Risalì le scale in fretta, spegnendo velocemente le torce lungo la strada. Indugiò solo un attimo di fronte al portone semichiuso del castello. Ora capiva cosa intendeva Julian con quella frase. In quel momento, la paura riempiva il suo essere, minacciava di soggiogarla. Ma lei aveva un obiettivo e nulla era più importante.
Le sembrava di essere tornata indietro a quando stava per lanciarsi nella battaglia prima di apprendere della cattura del Generale: sentiva una smania irrefrenabile di buttarsi nella mischia, di fare qualsiasi cosa. 
Acquamarina uscì dal castello camminando con lunghe falcate e la testa bassa, nascosta dal cappuccio. Non si voltò indietro.
Dall'alto della torre della biblioteca, il Saggio sorrise.

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Capitolo 38
*** Per lei ***


Capitolo 38
Per lei

Acqua lesse l’incredulità sul volto di Henri, che aveva appena aperto la porta. Il ragazzo rimase a fissarla per un breve istante, sulle difensive. 
– Dove eravamo quando ti ho raccontato il mio segreto? – chiese, squadrandola come se cercasse qualcosa.
– Al tempio. – rispose brevemente Acqua. Henri aggrottò le sopracciglia.
– Allora sei veramente tu. – disse, combattuto tra il sollievo e la preoccupazione. Sbrigativo, l’afferrò per un braccio e la trascinò in casa. Acqua sbirciò nelle altre stanze mentre Henri era di spalle e richiudeva lucchetti e chiavistelli.
– I miei non ci sono. – disse, mentre si voltava verso di lei e incrociava le braccia. La ragazza ne fu immensamente sollevata, perché il suo folle piano non comprendeva cosa fare nel caso qualcun altro fosse stato in casa. 
– Cosa ci fai qui, Acqua? – le domandò Henri con una vaga nota di rimprovero nella voce. Lei la ignorò.
– Ho bisogno del tuo aiuto. – rispose, sperando che il suo tono fosse perentorio come se lo era immaginato. – Devo fare una cosa che mi impone di essere irriconoscibile. Solo tu puoi rendermi un’altra persona. – aggiunse.
– Stai scherzando, spero. Non so quali siano le tue intenzioni, ma nel caso non te ne fossi accorta, c’è una battaglia in corso là fuori. – Acqua pensò di non averlo mai visto più spaventato di così. Non appena aveva finito di spiegargli il suo compito, il ragazzo era impallidito e aveva preso a gesticolare ossessivamente.
– Henri, ti prego. – ripeté, cercando di far trasparire chiaramente quanto fosse importante il suo intervento. Lui scosse la testa, risoluto.
– La mia risposta è sempre un no. Sai già cos’è successo l’ultima volta che mi sono preso delle responsabilità... – Gli occhi del ragazzo faticavano a nascondere il senso di colpa.
– Ma io mi fido di te, so che puoi farcela! – 
– … è stato un massacro, Acqua! – esclamò lui, amareggiato, allontanando la mano che la ragazza gli aveva posato sulla spalla. – Non posso e non voglio farmi carico anche di te. Ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo? – il silenzio calò come una coltre di neve. Acqua lo guardò mentre si muoveva nervoso per la stanza; lei invece era immobile da quando era entrata. Prima di rispondere, esitò un attimo. Capiva quello che lui intendeva ma, allo stesso tempo, non poteva arrendersi. 
– Lo so. Ma sei l’unico che può aiutarmi. – ribatté infine, con estrema, pesante e solenne lentezza. Henri parve farsi più piccolo.
– Ma come faccio? – sbuffò. Le rivolse uno sguardo afflitto, che la trapassò come una lama sottile. Acqua capì da quello sguardo che avrebbe voluto aiutarla tanto quanto lei voleva intraprendere quella missione. Ma per quanto volesse, era per lui una responsabilità enorme, che lo avrebbe tormentato se qualcosa fosse andato storto. Henri rimase per un attimo solo con i suoi dubbi interiori, fronteggiando le sue insicurezze, soppesando attentamente ogni aspetto della richiesta di Acqua.
– Non importa cosa tu sceglierai. – disse lei, qualche istante dopo. – Ad ogni modo, io andrò in battaglia, con o senza la tua protezione. Non aspettarti che io rinunci alla mia missione perché non sono riuscita a procurarmi un’altra faccia. – Acqua si rese conto di essere stata indelicata, quasi arrogante, ma il tempo volava via e non lo voleva sprecare. Il ragazzo la fissò, come istupidito. 
– Qual è la tua missione? – domandò allora, rendendosi conto solo in quel momento che il vero cardine del discorso era quello. Acqua non rispose, ma i suoi occhi si velarono.
– Se te lo dicessi non mi lasceresti andare. –
– Si tratta di Max, vero? – ribatté subito lui, questa volta con la voce forte e sicura e un tono non di rimprovero, ma di dolce comprensione. Acqua non rispose, ma sottrasse lo sguardo e il ragazzo sentì l’ombra di un sorriso triste farsi strada sul proprio volto. Infine la principessa parlò.
– Henri...se al posto di Max ci fosse Corallina, tu che cosa faresti? – Henri si rabbuiò, sorpreso e spaventato da quella domanda. Gli passò davanti un’immagine di lei catturata, torturata, forse uccisa, e quasi gli girò la testa per il dolore che gli aveva provocato quel pensiero. Non poterla più vedere, non averla accanto… Sarebbe stato come perdere un pezzo di sé. Avrebbe preferito essere catturato lui stesso, piuttosto che accettare l’idea che a lei potesse succedere qualcosa, perché è più facile sopportare il proprio dolore che quello delle persone amate. Immaginò quanto sarebbero stati vuoti i suoi giorni senza  di lei. La sua esistenza non avrebbe avuto senso. E infine capì che la richiesta di Acqua era l’ultimo desiderio di chi ha perso la propria ragione di vita. 
Henri prese un respiro prima di comunicare all’amica, con voce ancora tremante, che l’avrebbe aiutata. Nessuna emozione trapelò dall’espressione grave di Acqua. 
– Dammi l’aspetto più ordinario possibile. – disse, con voce calma. Il ragazzo annuì e, dopo averle fatto un cenno, chiuse gli occhi. Acqua non sentì altro che un lieve calore attraversarle la pelle e quando lui riaprì gli occhi, si chiese quali sembianze avesse. Il vetro della finestra di fronte a lei le rimandava il suo solito aspetto. Henri la anticipò e, chiudendo di nuovo gli occhi, si trasformò nella stessa persona. Acqua immaginò che fosse come guardarsi allo specchio, anche se la figura che aveva davanti era completamente diversa da lei. Aveva la corporatura robusta e la pelle più scura della sua, i capelli castani raccolti in una coda e un viso allungato, naso piccolo e labbra sottili. Gli occhi erano scuri, le sopracciglia spesse. Indossava un’armatura che sembrava più leggera e meno pregiata di quella che realmente aveva, un po’ ammaccata sulla spalla destra. Anche la spada si era assottigliata e appariva più rozza, sgraziata, dentro un fodero malconcio. 
– Una vera guerriera. – osservò Acqua, compiaciuta della scelta. In un battito di ciglia, Henri tornò il solito. 
– Già. – fu il suo unico commento. Da fuori proveniva uno strano tumulto, che catturò per un attimo la sua attenzione. Poi il ragazzo sentì Acqua che lo stringeva in un abbraccio e ne rimase per un attimo stupito. La ragazza si era dimostrata risoluta e distaccata fino a quel momento, ma ora sembrava quasi bisognosa di aiuto e protezione. 
– Grazie. – disse lei – Non so cosa fare per ringraziarti. – 
– Basta che tu ritorni. – rispose Henri, con uno strano nodo in gola. Acqua annuì lievemente, scostandosi da lui. Era la prima volta che Henri trasfigurava qualcuno che gli stava tanto a cuore, e vedere Acqua con un aspetto così diverso la rendeva pressoché estranea ai suoi occhi, anche se in realtà era sempre lei. 
– Posso mantenere la tua copertura per un’ora circa. Dovrai uscire dalle mura in tempo, pensi di riuscirci? – chiese il ragazzo. In qualche modo sperava ancora che Acqua decidesse di rinunciare.
– Sì, ce la farò. – rispose lei, avviandosi verso la porta. Henri scattò davanti a lei per aiutarla ad aprire i lucchetti e le loro mani armeggiarono per qualche momento le une accanto alle altre. Infine, Acqua si voltò verso di lui e, nonostante fosse un’altra persona, nei suoi occhi scintillava lo stesso sguardo risoluto e fiero di quando era entrata da quella porta, decisa a portare avanti la sua missione.
– Non dire niente a nessuno. – sussurrò, con aria grave – Dai l’allarme solo se non ritorno entro stasera. – 
Acqua rimase voltata verso di lui, mentre apriva la porta ed usciva in strada, circospetta. Lo sguardo che gli rivolse prima di incamminarsi parve ad Henri una specie di addio. Solo in quel momento il ragazzo si rese conto di quello che aveva fatto, e della portata delle sue azioni. 
E mentre osservava la figura di Acqua andarsene lentamente, ad Henri sembrò che qualcosa di estrema importanza stesse accadendo, forse qualcosa che andava anche oltre la sua comprensione. 
 
***

Acqua si sporse dal muro e scandagliò la via. Era deserta, e se non fosse stato per il frastuono in lontananza e la calma spettrale che invece avvolgeva quel luogo, sarebbe sembrata una giornata come tutte le altre. La ragazza si mise in marcia, rimanendo all’erta e lanciando spesso rapide occhiate alle sue spalle. I suoi sensi sembravano dilatati, tesi a captare ogni anomalia. Si muoveva cercando di fare il minimo rumore possibile, per poter distinguere suoni sospetti in quel silenzio ovattato risuonante di echi della battaglia. La preoccupava il fruscio del mantello dietro di lei, che le riempiva le orecchie e le toglieva sensibilità verso gli altri suoni. Il suo cuore batteva furiosamente, angosciato da quella situazione. 
La ragazza si stava guardando intorno con circospezione, quando sentì un tonfo alle sue spalle. Scattò alla sua destra, verso la fonte del rumore, la testa che girava, in preda al panico. La mano corse all’elsa della spada, era pronta in posizione d’attacco… e riprese a respirare, sollevata, quando si accorse che era stata un’imposta che sbatteva. Si lasciò sfuggire una risatina nervosa, per poi tapparsi in fretta la bocca con una mano. Scandagliò di nuovo lo spazio intorno, immobilizzata dalla paura che qualcuno l’avesse sentita; ma sembrava che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, così riprese il suo cammino. 
Il suo primo obiettivo era riuscire ad attraversare la porta ad est della città senza farsi notare, in modo da dover percorrere il minor spazio possibile in direzione della caverna di Darcon. Continuò verso la prima delle sue mete attraversando piccole stradine secondarie, che sperava fossero più isolate dagli scontri. Man mano che si avvicinava alla porta, però, cominciò ad incontrare i Cavalieri che per primi erano riusciti ad infiltrarsi. Riuscì ad evitare i primi tornando sui suoi passi e nascondendosi, in silenzio, fino a quando non li sentiva allontanarsi. Restava appiattita contro i muri, coi muscoli in tensione e trattenendo il respiro, ed era in quei momenti che desiderava ardentemente tornare sui suoi passi e fingere che quel suo assurdo tentativo di salvare Max non fosse mai esistito. Ma subito il suo pensiero ritornava alla caverna dove (nella migliore delle ipotesi, in cui Acqua si sforzava di credere) un blocco di ghiaccio imprigionava Max come una larva senza vita, ad attendere la fine dei suoi giorni. Acqua si riscuoteva, e riprendeva il cammino.
Stava avanzando lungo una strada più larga quando un urlo disumano la sorprese dall’interno di una casa alla sua destra che sembrava disabitata. La ragazza cercò un luogo in cui nascondersi, mentre un gran frastuono proveniva dall’interno. Individuò una catasta di legno sul fianco di un edificio vicino, e si stava già precipitando in quella direzione, quando alle sue spalle la porta venne scardinata e cadde a terra con un tonfo. In preda al panico, la principessa si voltò, appena in tempo per difendersi in modo maldestro dalla spada di un grande Cavaliere rabbioso che si avventò su di lei. Acqua indietreggiò, ansimando, ma dovette ricominciare a difendersi subito dopo, incalzata senza tregua dal mostro. Realizzava appena quello che faceva, accecata dall’onda di terrore che si era impossessata di lei. Faticò a ritrovare la completa padronanza delle sue azioni, ma non poté fare a meno di pensare, fiera di sé, che anche in quella situazione riusciva comunque a cavarsela. 
Dopo un po’, tentò di controbattere alle offensive del Cavaliere, ma i suoi fiacchi affondi non arrivavano al bersaglio. Mentre continuava a combattere, una parte del suo cervello registrò con preoccupazione che il rumore nella casa non era finito. In un lampo, altri tre Cavalieri si precipitarono fuori e si avventarono su di lei. Acqua gridò, senza riuscire a tenere sotto controllo la situazione; menò la spada a caso, seguendo il disperato istinto di salvarsi la vita. Per un attimo incontrò gli occhi rossastri uno di quegli esseri maligni.
In quel momento, il tempo sembrò fermarsi, sospeso, e Acqua percepì con chiarezza quello che tutto il suo essere bramava, racchiuso in un'unica rapida decisione. Realizzò solo qualche istante più tardi quello che aveva fatto, come se la sua volontà avesse agito a sua insaputa: i mostri attorno a lei erano stati sbalzati indietro, investiti da una forte corrente. Acqua recuperò il contatto con la realtà, collegando la situazione a ciò che era appena successo. 
Un Cavaliere giaceva a terra, di fronte a lei, con la testa spaccata sul selciato, mentre i due che aveva ai lati erano stati proiettati contro i muri delle case. Uno si stava già riprendendo e prese a correre verso di lei impugnando la spada con entrambe le mani. Di nuovo, Acqua usò i suoi poteri, questa volta per immobilizzarlo, e riuscì con uno sforzo a conficcare la lama nel suo petto fino a quando non si accasciò a terra. Con la coda dell’occhio, Acqua intravide il secondo mostro che la attaccava di slancio; riuscì all’ultimo secondo ad estrarre la spada dalla carcassa a terra e a rotearla con malagrazia mirando alla spalla di quell’essere. Credette di aver raggiunto l’obiettivo quando sentì uno strepito furioso riempire l’aria; stava per riprendere la carica, convinta della vittoria, quando si sentì afferrare per il collo, un braccio viscido dell’ultimo Cavaliere rimasto serrato a bloccarle l’aria. Fu strattonata violentemente indietro, mentre cercava disperatamente di liberarsi. 
Fino a quando non sentì dei passi e un grido umano alle sue spalle, accompagnato dallo sferragliare di un’armatura. Il mostro rantolò e si fece pesante, cadendo a terra. Acqua saltò in avanti e si concentrò sull’ultimo nemico, già ferito alla spalla, da dove colava il sangue giallastro. Questa volta mirò direttamente alla gola e sentì una pazzesca scarica d’adrenalina vedendo il grosso corpo viscido cedere e cadere con un tonfo, come al rallentatore. In un attimo, tutto ricominciò a scorrere al normale ritmo: tornarono il fragore lontano e il suo ansimare cadenzato, insieme a quello del suo salvatore, alle sue spalle. La ragazza gettò un’occhiata ai cadaveri appiccicosi dei mostri uccisi, per poi voltarsi con un’espressione torva. 
Incontrò subito uno sguardo glaciale, illuminato però da un sorriso sornione.
– Quale piacevole incontro, principessa. – mormorò Alicarnasso, con tono divertito, accennando ad un piccolo inchino scherzoso. La ragazza avrebbe voluto salutarlo a dovere, ma rimase gelata al suo posto. Come aveva fatto a capire che era lei?
Il ragazzo ridacchiò a voce bassa, avvicinandosi di qualche passo. La sua espressione rivelava quanto fosse compiaciuto di averla colta di sorpresa, ma Acqua non poté fare a meno di giudicare il suo atteggiamento inadeguato alla situazione, sembrava quasi fuori luogo.
– Avevo visto qualcuno in difficoltà e stavo venendo a dare una mano, quando ho colto di sfuggita un riflesso di capelli biondi da una finestra. Poi c’è stata quella specie di esplosione e ho fatto due più due. Solo tu hai poteri del genere e conosco i trucchetti di quel tuo amico… molto utili, a dire il vero. – spiegò lui, tornando serio. Acqua si sentì sollevata, anche se si rimproverò per non essere stata abbastanza  attenta. Ripose la spada nel fodero, sorridendogli debolmente.
– Beh, allora grazie. – Il ragazzo le fece l’occhiolino.
– Figurati. – rispose. Acqua accennò di nuovo un sorriso, sebbene fosse ancora sconvolta dalla situazione; scavalcò una delle carcasse con un moto di disgusto e riprese il suo cammino. Alicarnasso la seguì spontaneamente, come se stesse rispettando un tacito accordo stabilito in quell’istante tra loro due. 
– E con questa fanno due volte che ti salvo! – aggiunse, in tono bonario. Acqua gli lanciò una veloce occhiata e analizzò la sua espressione apparentemente rilassata. Si chiese fino a che punto fosse studiata; lei stava ancora tremando dallo scontro, anche se cercava di nasconderlo.
– Già, come mai sei sempre nei paraggi quando ho bisogno di aiuto? – gli domandò. Alicarnasso si strinse nelle spalle con fare noncurante.
– Sarà il destino… – rispose, ammiccando. La principessa rimase colpita dalle sue parole e continuò a mettere un piede davanti all’altro per inerzia, facendosi coraggio, in qualche modo turbata da quella risposta volutamente ammaliante che però risuonava di un’eco misteriosamente potente. 
Lui continuava a seguirla, all’erta, ma il suo atteggiamento non rivelava nessuna particolare tensione. Acqua gli rivolse qualche sguardo di sottecchi, senza farsi notare, mentre avanzava. La sua presenza la rassicurava e la metteva a disagio allo stesso momento.
– Dove sei diretta? – le chiese lui, spezzando il silenzio. Chiacchierava come se niente fosse, ma Acqua lo percepiva rimanere costantemente all’erta. 
– Porta est. – rispose, laconica, per evitare ulteriori domande o osservazioni. Temeva che, se lo avesse saputo, il ragazzo le avrebbe impedito di raggiungere il suo scopo. Al contrario, Alicarnasso rimase in silenzio. 
– Mm, capisco. – borbottò  poi, quando Acqua credeva che l’argomento fosse definitivamente chiuso. Sembrava che il ragazzo avesse volutamente sfoggiato un tono sornione, divertito, e ciò le dava ai nervi. Non capiva se la stesse prendendo in giro o cos’altro. Acqua continuò a camminare spedita verso est; era talmente concentrata sui suoi pensieri che sussultò quando sentì la mano del ragazzo posarsi sulla sua spalla.
– Ti conviene uscire dalla porta sud per raggiungere la tua meta. – le disse Alicarnasso, serio questa volta, fissandola negli occhi. Acqua lo guardò, confusa.
– La maggior parte di loro arriva da est, il punto più vicino. Uscendo da sud sarai più al sicuro, anche se aumenterà la distanza che dovrai percorrere. – le spiegò lui, sfoderando il suo solito limpido sorriso. Acqua rimase incredula nel sentire quanto Alicarnasso la stesse aiutando. Gli rivolse uno sguardo complice e si lasciò prendere per mano, affrettandosi dietro il ragazzo che aveva cambiato direzione.
Percorsero buona parte della città evitando qualsiasi incontro con i Cavalieri, ma si imbatterono spesso in combattenti solitari o squadre dell’esercito che si dirigevano verso i luoghi dello scontro. Acqua fu sorpresa di notare gruppi di fatine accompagnare sporadicamente qualche guerriero, e si ricordò della decisione di alcune di loro di schierarsi nella guerra. Temette che le creaturine potessero rendersi conto del trucchetto che celava la sua identità, e notò alcune di loro soffermarsi nella sua direzione; ma nessuna la ostacolò o le rivolse la parola. 
Arrivando vicino alla porta sud, incontrarono qualche Cavaliere, ma non faticarono troppo ad abbatterli, lasciandosi dietro le loro carcasse. Alicarnasso aveva scelto di condurla alla porta sud attraversando una piazzetta, da dove mancavano poche centinaia di metri per raggiungere le mura. Ma le urla e lo sferragliare che provenivano dalla piazza non erano per nulla rassicuranti. I due ragazzi si nascosero dietro un muro e si sporsero per studiare la situazione. Alcuni edifici erano distrutti e le macerie erano sparse ovunque; in certi punti  il pulviscolo e il sangue si mescolavano nell’acqua, nascondendo i gruppi di combattenti e i Cavalieri. Acqua credette di non riuscire a sopportare lo spettacolo delle grida unite ai cadaveri sparsi di chi era perito e giaceva inerte con lo sguardo perso nel vuoto. 
Si sentì tirare da Alicarnasso, e i due corsero insieme verso un mucchio di macerie che poteva fungere da nascondiglio. Accovacciata dietro quell’ammasso di mattoni scalcinati e travi di legno, Acqua osservò il ragazzo che si sporgeva per studiare la situazione. Lei aveva una visuale più limitata, ma riusciva a vedere un gruppo formato da quattro o cinque uomini fronteggiare un manipolo di mostri. Sembrava che gli uomini se la cavassero, ma quegli esseri viscidi erano ancora in troppi per poter essere sicuri della vittoria. Tra gli altri, Acqua notò anche un ragazzino che doveva avere qualche anno in meno di lei; era protetto da un’armatura scura e massiccia, che lo rendeva goffo. La principessa distolse lo sguardo e lo posò nuovamente su Alicarnasso. Lui osservò la scena ancora un po’, per poi ritrarsi e avvicinarsi ad Acqua, appiattendosi contro il loro riparo improvvisato. 
– Teniamo d’occhio la situazione… Quando i Cavalieri saranno dimezzati, potremo allontanarci verso le mura. – disse il ragazzo in un sussurro. – Speriamo solamente che non si mettano a rincorrerci. In tal caso io rimango indietro e li blocco, tu corri e non pensare a me. –
Acqua annuì velocemente, gli occhi fissi nelle affascinanti iridi glaciali del ragazzo. All’improvviso, un pensiero la colpì.
– Perché fai tutto questo per me? – gli chiese, sconcertata dalla semplicità con cui il ragazzo si era messo al suo servizio, anteponendo la sua salvezza alla propria.
– Resto fedele alla mia sovrana. – rispose lui, con un cipiglio serio, sincero. Acqua ne fu sorpresa, ma non c’era la minima traccia di maliziosità nel volto dalla bellezza serafica del ragazzo, e il suo lieve sorriso era privo di ironia. La ragazza percepì la sua lealtà totale e incondizionata e gli sorrise commossa, stringendogli la mano. 
Qualche minuto più tardi, Alicarnasso scandagliò nuovamente la piazza, mentre Acqua lo osservava in silenzio, turbata e nervosa. 
– Che ne dici, andiamo? – sussurrò poi il ragazzo, ammiccando in direzione delle mura. Acqua annuì, rincuorata dal fatto di non dover più aspettare. I due si precipitarono fuori dal nascondiglio, cominciando a nuotare il più velocemente possibile. Acqua vide con la coda dell’occhio il ragazzino dall’armatura scura dimenarsi per tenere a distanza un Cavaliere, ma cercò di non soffermarsi troppo su di lui. Si sforzò di mantenersi concentrata sulla propria fuga, spingendo i muscoli al massimo dello sforzo, col cuore in gola. Sentiva Alicarnasso seguirla da molto vicino, senza rimanere indietro; e questa volta la ragazza era immensamente grata della sua presenza. 
Arrivati alle mura, trovarono i massicci portoni della porta sud chiusi e sbarrati. Acqua si maledisse per non aver pensato a quell’evenienza. Come avrebbe fatto se fosse stata sola? Alicarnasso sembrava sicuro di sé; scambiò uno sguardo veloce con i gruppi di soldati a guardia della porta, che non dissero nulla, e controllò senza farsi notare che non ci fossero arcieri sulle mura, oltre alle innocue sentinelle. Rallentando nella corsa, mise una mano su una spalla di Acqua e la spinse verso un pertugio quasi invisibile nel muro di mattoni. Ansimando per lo sforzo della fuga, i due percorsero un angusto e buio passaggio segreto, costretti dalla strettezza del corridoio a procedere rasenti alle pareti. 
– Sulle mura ci sono delle sentinelle che ti vedranno andare via, cerca di non essere più in vista quando tornerai al tuo vero aspetto.  – mormorò il ragazzo. – Io andrò da loro e dirò che sei figlia di un contadino e stai andando agli accampamenti militari fuori dalle mura per portare notizie, non è raro che succeda. A questo servono questi passaggi. – aggiunse poi. 
Acqua assentì, e continuarono la marcia per qualche momento prima di arrivare in uno minuscolo stanzino. Una torcia bruciava in un angolo, illuminando a sufficienza perché si potesse distinguere una sagoma sul muro di mattoni, simile a una porta. E in effetti c’erano i cardini e una miriade di serrature e spranghe di legno anti–incantesimo. Alicarnasso cominciò subito a lavorare alacremente per rimuovere tutte quelle protezioni, muovendosi velocemente, come se sapesse a menadito il procedimento. 
Gli servirono solo un paio di minuti per terminare; ma prima di aprire definitivamente la porta, si girò verso Acqua per cercare una conferma. Lei annuì, facendo un passo avanti. Senza un parola, il ragazzo fece ruotare faticosamente la pesante porta di pietra sui cardini, aprendo uno spiraglio abbastanza grande per far passare Acqua.
– Io non ti sto fermando perché credo nel libero arbitrio e, soprattutto, credo in te. – rivelò, un attimo prima che la principessa raggiungesse la soglia. Lei si fermò e si ritrovò nuovamente a guardarlo negli occhi.
– Grazie. – rispose, sperando che dalla propria voce trasparisse l’immensa gratitudine che provava nei suoi confronti. – Grazie di tutto. –
Alicarnasso parve riacquistare il solito atteggiamento sfacciato, e le fece l’occhiolino, ammaliante, mentre Acqua muoveva un passo all’indietro ed usciva dalla porta. La ragazza gli girò semplicemente le spalle, e cominciò a camminare.
– Ah, e comunque… – la richiamò lui. Acqua si voltò ad osservare la sua figura inquadrata nella pietra delle mura.
– Ti preferisco nella versione originale. – finì Alicarnasso, con il sorriso affascinante che si allargava sul suo volto. Acqua si sentì trafitta e riscaldata da quel sorriso, e rispose con il proprio, in quella situazione così assurda. Infine, si voltò di nuovo e cominciò il suo cammino, le guance in fiamme.

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Capitolo 39
*** Oscuri riflessi ***


Capitolo 39
Oscuri riflessi

Acqua rivolse uno sguardo preoccupato alle sue spalle e si chiese se fosse abbastanza lontana dalle mura, ora che era tornata al suo vero aspetto. Il suo cuore aveva perso un battito quando aveva visto le proprie mani, insieme ai vestiti e all’armatura, riacquistare il loro aspetto originale. Fulminea, si tirò il cappuccio sulla testa, in modo da nascondersi meglio agli occhi delle sentinelle. Sperava che ormai non la vedessero più, dopo un’ora abbondante di cammino, ma era difficile da capire.
Controllò per l’ennesima volta la bussola e la cartina, quasi consumando con gli occhi il punto sulla vecchia carta spiegazzata in cui si trovava la grotta di ghiaccio. Il suo pensiero corse all’uomo che la abitava, colui che reggeva le sorti del mondo, e non poté fare a meno di sperare con tutte le sue forze che in quel momento si trovasse sul campo di battaglia. 
Se almeno avesse potuto evitare quell’interminabile viaggio! Acqua aveva pensato di andare sulla Terra per poi teletrasportarsi nuovamente ad Atlantis, dentro la grotta di Darcon. Purtroppo la realtà non era così semplice… non essendo mai stata lì, era impossibile per lei arrivarci in quel modo.
In quel momento la principessa stava entrando in un piccolo villaggio abbandonato, in cui i palazzi in rovina e la vegetazione selvaggia sembravano la dimora perfetta per un popolo di fantasmi irrequieti. Il silenzio totale la rendeva paranoica e la faceva sussultare ad ogni rumore; ma continuava ad avanzare, attraversando prima il villaggio e poi una zona deserta, in cui solo qualche arbusto aggrovigliato spuntava dal suolo. Il paesaggio mutava sotto i suoi occhi, mentre lei procedeva decisa, e già si intravedevano i primi rilievi in lontananza. 
La pianura desertica si tramutò con estrema lentezza in un paesaggio collinare le cui piccole alture la circondavano, ma senza schiacciarla. Non era un paesaggio ostile, ma raccolto, come se un gruppo di monaci senza volto l’avesse accolta tra le braccia; come se quello fosse il luogo in cui avrebbe sempre dovuto dimorare. Acqua si sentiva stranamente a casa tra quelle alte colline sabbiose, ma non sapeva spiegarsi il perché di quella singolare sensazione. Allo stesso modo, il tempo le scivolava veloce sulla punta delle dita: quasi due ore erano passate dalla sua partenza, ma a lei non parevano che pochi minuti. Per tutto quel tempo, un unico pensiero le aveva occupato la mente. Max era vivo, la aspettava; lo avrebbe liberato. Ne era convinta, ora, non poteva andare diversamente. 
Questo pensiero non mutò nemmeno quando cominciarono a manifestarsi i segni della presenza nemica. Numerose frane mangiavano le pareti rocciose e spesso Acqua notava i probabili segni di esplosioni passate, terra bruciata, spuntoni di ghiaccio. Le tornarono alla mente le dicerie sul conto dei Cavalieri, le voci che li dicevano creature formate dal connubio di roccia e sabbia intrise di magia nera. Immaginò la figura di Darcon, ammantata di rosso scuro come lo aveva visto nei ricordi del padre, mentre piegava la roccia sotto il suo volere e creava un esercito di mostri senz’anima. 
Sottili guglie rocciose si levavano ora verso la superficie dell’oceano, di quando in quando, e sembravano grandi spade pronte a distruggere. Acqua continuava a sentirsi strana, ma ora era una viandante solitaria sperduta in un paesaggio minaccioso. La sensazione di sentirsi a casa aveva lasciato il posto allo sdegno che si prova nel subire un affronto. Ma anche se questi sentimenti così misteriosi facevano sì che il pensiero di tornare indietro si affacciasse nella sua mente, esso ne veniva subito scacciato. 
La ragazza si sentiva attirata dalla grotta di ghiaccio come se fosse stata sospinta verso di essa da una mano invisibile. Dentro quella grotta c’era qualcuno che la aspettava. Acqua seguiva l’impalpabile filo che la trascinava lì dentro, senza il minimo desiderio di andarsene.
Infine, dietro un cumulo di massi appoggiati ad una parete rocciosa, la principessa intravide un arco massiccio di ghiaccio, contornato da innumerevoli lame glaciali. Sarebbe stato uno spettacolo incantevole, se la ragazza non si fosse ricordata di chi aveva costruito quel luogo. Circospetta, Acqua si portò dall’altro lato del sentiero scavato dal passaggio dei Cavalieri e si nascose accanto all’ingresso. 
Il cuore le batteva all’impazzata al pensiero di quanto era vicina al suo obiettivo, di quanto era vicina a lui. Fece un respiro profondo, ad occhi chiusi, poi varcò la soglia della caverna, sfiorando con la mano il ghiaccio. 
Le ci volle qualche istante per abituare gli occhi alla luce fioca del passaggio che si apriva davanti a lei. Indugiò per un attimo prima di avanzare lungo il corridoio in penombra, che secondo le sue stime approssimative avrebbe potuto consentire il passaggio a due Cavalieri affiancati. Una brina luccicante ricopriva le punte di roccia sulle pareti e sul soffitto, creando un intrico di cristalli simile ad un’elegante trama di pizzo. 
Il silenzio di quel luogo era inquietante, mille volte più profondo di qualsiasi altro silenzio Acqua avesse mai sentito; come se persino il silenzio fosse ovattato e affievolito. La ragazza percorse gli ultimi metri col cuore in gola, fino ad arrivare alla fine del corridoio, che si apriva su una sala circolare. Non era uno spazio enorme, come aveva invece ipotizzato. La stanza riluceva di strani riflessi, e Acqua credette, nel buio, che si trattasse dello stesso tipo di ghiaccio del corridoio. Ma i bagliori avevano qualcosa di diverso: non erano luminosi, ma oscuri e sinistri. Acqua avrebbe giurato, se non fosse stato alquanto paradossale, che quei bagliori fossero neri. Si sforzò di osservare meglio l’interno buio, mossa dall’urgente bisogno di capire. All’improvviso vide qualcosa; trasalì, portandosi sconvolta una mano alla bocca. Le pareti erano sì ricoperte di ghiaccio, ma quello strano ghiaccio limpido e scuro custodiva al proprio interno, in un abbraccio di intricati cristalli pungenti, i corpi eternamente immobili dei prigionieri di Darcon. Sembravano crocifissi, incatenati alle pareti e torti nelle pose più dolorose, con le membra tese a proteggersi dalla fine, la sofferenza impressa in ogni loro cellula.  
Ma la cosa più terribile era vedere le loro espressioni supplicanti, terrorizzate, rivolte ad Acqua come se fosse stata lei la causa del loro dolore. Per i prigionieri il tempo si era fermato, i loro volti erano tramutati in maschere di terrore dagli occhi sbarrati. Impietrita dall’orrore, Acqua fece scorrere gli occhi su una fila di volti che le parve interminabile. Vide persone di ogni età, ragazzi e ragazze, uomini, nobildonne, soldati, bambini… Max! Era vivo! Era proprio lui, sul lato sinistro, incatenato al muro per le braccia, gli occhi fissi davanti a sé. Acqua si ritrovò di fronte a lui senza nemmeno rendersene conto, lo sguardo bloccato sul suo volto immobile. Gli occhi del ragazzo rilucevano di un’espressione fiera e guardavano in avanti con un’aria di sfida, nonostante sembrasse che il capo gli pesasse come un macigno. 
Acqua sfiorò il ghiaccio con le mani tremanti, cercando di trattenere la marea di emozioni che la stava travolgendo, inarrestabile. Gli occhi le si riempirono di lacrime dorate. Lui era lì davanti a lei, finalmente. Aveva aspettato quel momento per tanto tempo ed ora che era lì, le sembrava tutto così surreale… Il sollievo di averlo ritrovato vivo la riempiva di una felicità immensa; ma insieme ad essa una paura sorda si era impossessata della sua anima. Acqua era sola nella caverna che ospitava l’uomo più potente del mondo, un’aspra battaglia era in corso, e sotto i suoi occhi il ragazzo che amava con tutta se stessa era imprigionato in una morsa di ghiaccio. 
Tra le lacrime, Acqua cercò di usare i propri poteri per sciogliere quella scorza dai riflessi oscuri; ma nulla cambiava. Max rimaneva immobile sotto la coltre inalterata di ghiaccio. La ragazza si guardò intorno, ma non vide altro che i corpi imprigionati di tante altre persone, la cui disperata richiesta di aiuto la colpiva come uno sciame di frecce appuntite. Si sentiva impotente, inchiodata dagli sguardi immobili dei prigionieri.
Acqua si voltò di nuovo verso Max, cercando paradossalmente aiuto in lui. Notò in quel momento quanto martoriato fosse il corpo del ragazzo, la cui armatura era distrutta, e il suo pensiero corse a tutto quello che aveva dovuto affrontare lungo il tragitto verso la grotta. Lo sguardo deciso del giovane l’aveva distratta dalle ferite aperte sulla sua pelle, come se la sua nobile fierezza avesse offuscato le sofferenze subite dal suo corpo. Acqua sorrise amaramente e prese un respiro nel tentativo di calmarsi. Di nuovo provò a sciogliere il ghiaccio con i suoi poteri, ma nonostante la sua caparbietà, nulla sembrava scalfire la superficie trasparente.
La ragazza continuò a provare, sforzandosi di trovare la forza per liberare Max, per piegare il ghiaccio al suo volere e porre finalmente termine a quella situazione. 
I ripetuti tentativi ebbero l’unico effetto di sottrarle energia; sembrava che i suoi poteri si rifiutassero di obbedirle, nello stato confusionale in cui si trovava.  L’unica cosa che Acqua riusciva a fare era sentirsi sopraffatta dall’amore che provava per Max e dal senso di impotenza che alimentava la sua rabbia cieca. Le sue mani accarezzavano febbrili il ghiaccio oscuro in corrispondenza del volto del ragazzo, senza potere nulla contro di esso. 
Acqua si allontanò dalla parete, tremante e stizzita, seguendo l’impulso razionale che le suggeriva di calmarsi. Adocchiò la piccola porta di fronte a quella da cui era arrivata e si appoggiò allo stipite, dove la roccia non era occupata da un bozzolo di ghiaccio di un prigioniero. Chiuse per un attimo gli occhi, ma li riaprì di scatto quando realizzò ciò che aveva intravisto oltre il corto e stretto corridoio che si apriva dietro la porta. C’era un’altra stanza circolare, più grande, da dove si diramavano altri stretti corridoi. Ma ciò che l’aveva colpita era che la stanza ospitava nel proprio centro quella che le era sembrata una statua. Acqua si affrettò in quella direzione, senza sapere cosa la stesse spingendo lì. A prima vista si trattava di un’incantevole scultura dello stesso ghiaccio oscuro che intrappolava i prigionieri. Da dove si trovava, Acqua vedeva bellissimi cristalli che ricoprivano il corpo principale dell’opera, e una trama di brina creava affascinanti giochi di luce. Con il cuore in gola, Acqua coprì la distanza rimanente e mosse qualche passo attorno alla scultura. Quello che vide le fece venire i brividi: dal lato opposto, il ghiaccio trasparente lasciava intravvedere chi era l’ospite di quella splendida prigione, e per la prima volta Acqua vide dal vivo il volto di sua madre.
La regina sembrava dormire, intrappolata nel ghiaccio, il viso rilassato in un’espressione di calma assoluta. Irradiava un’aura di forza che colpì la principessa, il cui sguardo offuscato dalle lacrime era catturato dal bel viso di quella donna sconosciuta a cui era così legata. Azzurra si era sacrificata a tal punto per proteggerla! E il suo sorriso amorevole ora le arrivava distorto dalle forme del ghiaccio, toccandola profondamente. Acqua non riuscì a trattenere un lieve singhiozzo, mentre rifletteva sul coraggio di sua madre e sull’enorme difficoltà delle sue scelte. Aveva fatto tutto per lei.
– Che onore incontrarvi, principessa. – Acqua sussultò e si voltò di scatto ad incontrare l’espressione trionfante di Darcon. – Vi aspettavo da molto tempo. –
Acqua fu scossa dai brividi. L’uomo la squadrava con aria divertita, e la sua voce risuonava ammaliante nella mente della ragazza. Le sue parole erano intrise di beffarda ironia, come se sapesse che, alla fine, il momento della sua vittoria sarebbe giunto. Acqua rimase paralizzata, fremendo dalla paura. Darcon la fissava, sorridendo mentre muoveva pigramente qualche passo verso di lei, come se la principessa fosse già una sua proprietà. I suoi lineamenti erano contratti in una smorfia di follia, accentuata dalle numerose cicatrici bluastre che gli deturpavano il viso altrimenti attraente. Acqua indietreggiò lentamente fino a trovarsi a contatto con il ghiaccio che intrappolava la madre, cercando un modo qualsiasi per uscire da quella situazione. 
– Dopo tuo padre, tua madre e il Generale… – borbottò Darcon, inchiodandola con uno sguardo trionfante di follia – … tocca a te soccombere! – gridò infine, nell’istante in cui un’onda di ghiaccio partiva dalla sua mano verso Acqua. La ragazza riuscì solamente a cogliere un’immagine fugace dei cristalli oscuri che la stavano per raggiungere, e reagì d’istinto. Quasi inconsciamente, usò i poteri per creare uno scudo d’acqua davanti a lei. Il ghiaccio si bloccò a pochi centimetri dal suo volto, fiorendo a mezz’aria come un bocciolo nero. Qualche scheggia rimbalzò sullo scudo, venendo proiettata contro le pareti e al suolo. 
Acqua udì anche un flebile lamento da parte di Darcon, e approfittò del momento per fuggire, sperando di averlo ferito. Un fragore di vetri infranti riempì la grotta, mentre il ghiaccio cadeva a terra e Acqua, malferma sulle gambe tremanti, correva verso il corridoio d’uscita. Darcon riprese in un attimo il controllo del ghiaccio sparso al suolo e lo lanciò con furia verso la fuggitiva. Vide la principessa buttarsi a terra, in un tentativo di proteggersi dall’attacco, mentre le punte di ghiaccio venivano debolmente deviate dai suoi poteri. 
– Non puoi combattere il ghiaccio con il ghiaccio! – inveì Darcon, sprezzante. – Questo non te lo ha spiegato, il tuo amico Julian? – Sul suo zigomo, un piccolo taglio provocato da una scheggia rimbalzata sanguinava, riportando alla luce il dolore delle cicatrici. Lo ignorò, pulendosi pigramente col dorso della mano. Notò invece con piacere che la principessa lo fissava tenendosi il braccio sinistro, dove l’aveva raggiunta una lama di ghiaccio. Darcon riusciva quasi a percepire il suo dolore attraverso quello sguardo carico di disprezzo che gli rivolgeva come se fosse stato la sua arma più potente. 
– Era da un po’ che progettavo di creare esseri pensanti come lui. Mi mancava solo un particolare potere, e la ragazza a cui l’ho preso era così sciocca da non essersi nemmeno resa conto di cosa fosse realmente capace. Ma la cosa più divertente è che in questo modo, nemmeno voi sapevate di cosa fossi capace io. – Acqua stringeva i denti, un po’ per sopportare il bruciore del braccio, un po’ per la rabbia cieca che le provocava il pensiero di Julian. Come aveva fatto ad essere così ingenua da cadere dritta nella trappola di Darcon? Parlava di Julian come del suo più grande successo, orgoglioso delle sue prodezze. Acqua non poteva dargli torto: Darcon aveva ottenuto Max, e lei era lì alla sua mercé, come una stupida preda offertasi volontaria. La mente di Acqua si ribellò con forza a questo pensiero spontaneo. No, lei avrebbe lottato fino all’ultimo per non dargliela vinta, per cancellare quel ghigno vittorioso dal volto di Darcon. 
La principessa raccolse le proprie forze e orientò verso l’uomo una forte corrente per destabilizzarlo. Lui vacillò per un solo secondo, ma le fu sufficiente per alzarsi in piedi, traballando. Dovette subito ricomporsi e creare uno scudo per proteggersi dalla raffica di lame ghiacciate dirette verso di lei. Darcon reagiva sempre troppo velocemente ai deboli tentativi di attacco di Acqua. Le sembrava di non riuscire nemmeno a raggiungerlo, mentre il ghiaccio le aveva più volte sfiorato la pelle, che ora le bruciava in diversi punti. Acqua indietreggiava; si sentiva in trappola, mentre Darcon la incalzava, sempre più vicino. Con sgomento vedeva le sue mani muoversi incessantemente per creare lame mortali e scagliarle contro di lei. Nel caos, un pensiero irrazionale la colpì, portandola a meravigliarsi della sua eleganza. 
Terrorizzata, Acqua realizzò all’improvviso cosa poteva fare. Schivò un attacco e si concentrò sui movimenti delle mani di Darcon. Appena la sua mano destra si dischiuse per creare ghiaccio, Acqua riuscì a bloccarla con un vortice. Come aveva pensato, dall’altra mano si sprigionò subito un’esplosione cristallina. La ragazza esultò quando riuscì a manipolarla, rallentandola mentre il ghiaccio le si avvicinava e afferrandone subito un frammento. Agì d’istinto e approfittò della situazione per balzare verso di lui, facendosi spingere dalla corrente. Lo spuntone che teneva nel pugno aumentò di volume, mentre lei si scagliava sull’uomo, gridando. Riuscì a sentire la punta di ghiaccio penetrare nella sua carne, forse su una spalla, poi non capì più nulla. Fu scaraventata lontano e atterrò malamente sulla roccia, mentre tutto risuonava del lamento rauco di Darcon. Lo aveva ferito? Non appena il pensiero la sfiorò, il lamento si trasformò in parole ricolme d’ira. 
– Mossa stupida. – Acqua si spinse con le mani sul suolo roccioso per accucciarsi a terra, ma Darcon le era già addosso. Un pugno vigoroso la raggiunse tra le costole, molto più forte del normale, e altri lo seguirono. La ragazza cercò di difendersi formando febbrilmente piccoli scudi per parare gli attacchi. Acqua vide in un lampo le mani di lui, ricoperte di rocce e cristalli di ghiaccio. In quel momento si dirigevano verso la sua gola, serrando con la forza della roccia, il freddo glaciale che si diffondeva veloce. Annaspando, vide di sfuggita che la ferita aperta sulla spalla di lui si era quasi completamente rimarginata. 
“Ha troppi poteri”, pensò, divincolandosi disperatamente. Le ci volle uno sforzo immane per allontanarlo violentemente da sé con una forte corrente. Sentì un rumore sordo quando il suo corpo colpì la parete; ma un attimo dopo un masso ricoperto di ghiaccio la raggiunse dalla parte opposta. Fece appena in tempo a deviarlo e a vedere la figura di Darcon in quella direzione scomparire e riapparire poco distante. Di nuovo venne attaccata e Darcon scomparve. La scena si ripeté all’infinito. Acqua era tesa come una corda di violino, e incapace di tenere il passo dello scontro. Quel gioco grottesco la confondeva, e nonostante l’adrenalina scorresse nel suo corpo come un fiume in piena, si sentiva estremamente stanca e dolorante. Quando ormai sentiva di non poter più resistere, Acqua vide Darcon materializzarsi di fronte a lei con uno sguardo impenetrabile. L’uomo aprì la mano verso di lei e un’esplosione di ghiaccio la scaraventò contro una parete, cristallizzandosi su di lei. Il colpo le fece perdere i sensi per qualche momento; quando si riebbe, il ghiaccio si era ispessito, rendendola prigioniera come i tanti prima di lei. 
Acqua riusciva solamente a vedere la figura di Darcon, sfocata attraverso i cristalli di ghiaccio, che muoveva qualche passo verso di lei. La sua mente elaborava velocemente le informazioni: a quanto le aveva detto Max il primo potere di Darcon era il controllo del ghiaccio oscuro, a cui si aggiungeva quello di manipolare la roccia e darle vita. A sue spese, Acqua aveva poi scoperto che era capace di teletrasportarsi e di accelerare la propria guarigione. Chissà quali altre abilità teneva nascoste… Infine, come se tutto ciò non fosse bastato, Acqua era prigioniera in un blocco di ghiaccio e non aveva idea di come liberarsi. E anche se ci fosse riuscita, come avrebbe potuto riuscire a sopraffare Darcon? 
Per un istante, pensò  che, una volta libera, avrebbe semplicemente potuto ritornare sulla Terra e scappare da quell’inferno. Ma abbandonare così Max? E sua madre? Aveva affrontato enormi difficoltà per raggiungerli in quel luogo, e se ce l’aveva fatta era stato anche grazie ad una fortuna inattesa. Un’altra occasione simile non si sarebbe mai ripresentata, nessuno l’avrebbe mai lasciata tornare lì in futuro. 
Forse avrebbe potuto liberarsi dal ghiaccio, e cercare di contrastare Darcon quel tanto che bastava per ridare la libertà anche a Max… e poi fuggire con lui sulla Terra. Con Max di nuovo alla guida di Atlantis, avrebbero potuto affrontare insieme tutto il resto. Il pensiero le ridiede vigore; tuttavia, rimaneva il non trascurabile problema di come liberarsi. Il ghiaccio oscuro che costituiva le prigioni doveva essere diverso da quello usato prima da Darcon in combattimento: Acqua non riusciva a carpirlo, sentiva come un muro frapposto tra la sua volontà e l’essenza del ghiaccio oscuro. Tentò innumerevoli volte, ma non c’era nulla da fare, e lei era sempre più esausta. Chiuse gli occhi per un momento.
Solo allora sentì che in realtà qualcosa stava cambiando. Il ghiaccio si stava sciogliendo, poteva percepirlo. Si assottigliava sempre di più, accompagnato da schiocchi sonori quando si aprivano crepe e interi blocchi si staccavano, frantumandosi a terra. In poco tempo ebbe braccia e gambe libere, e ci volle poco perché tutto il ghiaccio che la teneva sollevata dal suolo cedesse. La principessa atterrò di colpo, gemendo. Era malconcia e dolorante dopo lo scontro, e la pelle bruciava per il sale in corrispondenza di tagli e abrasioni; ma Acqua si sforzò di pensare che la situazione non era così disperata. “Ricorda il tuo obiettivo”, pensò, sperando di poter comunque trarre qualcosa di utile dagli insegnamenti di Julian.
Acqua sollevò lo sguardo, incrociando l’espressione sorpresa di Darcon. La sua stessa meraviglia si rifletteva negli occhi di lei. La ragazza non capiva come fosse potuto accadere, ma era libera; solo quello contava.
– Sei tenace, a quanto vedo. – fu il commento dell’uomo, che la squadrava dall’alto in basso, immobile nella sua superiorità. – Per questo sarà più appagante per me annientarti. – aggiunse, in un soffio. Acqua sentì un brivido correrle lungo la schiena per l’espressione freddamene impassibile con cui la scrutava, come studiandola. 
– A meno che non lo faccia prima io. – ribatté la ragazza, senza sapere dove aveva trovato il coraggio di rispondere a quel modo. Si augurò che quell’atteggiamento spavaldo riuscisse a nascondere la paura viscerale che l’attanagliava.
Dalla gola di Darcon si sprigionò una risata sprezzante, dal tono irrisorio.
– Ho raso al suolo città, sterminato popoli e sottomesso un mondo intero! – declamò con fare solenne, alzando sempre più la voce – Credi che mi farò fermare da una ragazzina? – le gridò infine, orientando verso di lei una raffica di punte ghiacciate. 
– È curioso come tu abbia la stessa eroica ed ingenua presunzione di tuo padre di poter salvare il mondo dalla sofferenza. – riprese l’uomo, parlando con calma, mentre osservava la principessa che, spalle al muro, si agitava disperatamente per riuscire a difendersi. – La brutta notizia per te è che non si può, la sofferenza è l’unica cosa certa in questo mondo. – Darcon fece una pausa, lasciando che Acqua si illudesse di avere il controllo della situazione. La principessa aveva fermato il ghiaccio scagliato contro di lei e lo teneva bloccato davanti alle proprie mani protese in avanti. Darcon sogghignò. 
– Guarda tuo padre: tante buone intenzioni, tante belle parole. Ma alla fine sono stato io ad uccidere lui. –
– E hai commesso un grave errore. – reagì subito la ragazza, spinta dal dolore e dall’orgoglio. – La sua morte non ti ha reso più forte. – continuò, con veemenza.
– Ma ha indebolito tutti voi! – rispose lui con una punta di irritazione, che tuttavia lasciò subito il passo alla durezza. – E fidati, non ripeterò lo stesso errore un’altra volta. –

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Capitolo 40
*** Immobile ***


Capitolo 40
Immobile

Acqua temette di non riuscire a reggere la nuova ondata ghiacciata scagliata da Darcon contro di lei. Resisteva, cercando di combattere contemporaneamente anche l’immagine che le fluttuava davanti agli occhi in cui lei soccombeva, trafitta da bellissime e letali lame ghiacciate. Era sempre più difficile per lei riuscire a concentrarsi, e già rimpiangeva il tono sicuro ed orgoglioso con cui aveva tenuto testa a Darcon prima. Di sicuro quella non era la stessa ragazza che si affannava per riuscire a proteggersi, senza il minimo controllo della situazione e con la vista offuscata dalle lacrime. 
Nella confusione in cui si trovava, notò in ritardo un particolare che avrebbe potuto salvarla. Si maledisse per aver perso la lucidità, ma in quel momento non poteva rimanere a riflettere troppo sulle proprie mancanze. Cercò di elaborare la strategia migliore, mentre continuava a respingere le offensive di Darcon. Ciò che aveva adocchiato era una notevole sporgenza della parete di roccia sopra loro due, alla sua destra. Se avesse agito bene, forse avrebbe avuto una possibilità di farcela. Attese che le si presentasse l’occasione migliore: ad un attacco di Darcon particolarmente forte, si sforzò di prendere il più possibile il controllo del ghiaccio, creando allo stesso tempo una corrente intorno ad esso. Come aveva sperato, il ghiaccio fu dirottato verso la parete e vi si schiantò con un notevole fragore. Acqua non ebbe nemmeno il tempo di esultare, perché dovette immediatamente buttarsi di lato per non venire travolta dalla frana. Si rialzò subito, senza concedersi un attimo di tregua, mentre ancora i massi rotolavano al suolo. Gettò un rapido sguardo tra la fitta polvere che si era creata. Darcon non era in vista, perciò si azzardò a pensare che fosse rimasto coinvolto nel crollo. 
La principessa brancolava tra i detriti, alla ricerca della porta. Doveva arrivare alla stanza dove si trovava Max il prima possibile, riuscire a liberarlo e scappare al più presto. Ma come avrebbe fatto a sciogliere il ghiaccio che lo imprigionava? Ancora non aveva  capito cosa era successo prima, ed era convinta di non essere stata lei a distruggere la propria prigione. Tuttavia, allontanò subito il pensiero. La speranza di riuscire a farcela stava fiorendo dentro di lei, e non poteva permettersi di sprecare tempo prezioso. Non appena individuò il passaggio che portava nell’altra stanza, lo attraversò senza indugio e si diresse a passo spedito verso il punto in cui si trovava Max; ma Max non c’era. 
Acqua sentì il panico riaffiorare. Fu presa dai capogiri mentre ispezionava la parete, assurdamente vuota. Si appoggiò alle rocce, intimandosi di recuperare la calma. Le cose andavano assumendo un altro contorno, e la situazione si chiariva man mano che lei rientrava in sé. Era nella stanza sbagliata. C’erano tanti dettagli che lo suggerivano: la conformazione delle pareti, la grandezza della sala, la luce più fioca, prigionieri diversi. La realizzazione la sollevò enormemente, anche se ora sarebbe stato più difficile tornare sui suoi passi. Si era già avviata verso la porta, quando si accorse del rumore delle rocce che venivano spostate, unito ai grugniti di fatica di Darcon che se ne liberava. Acqua scandagliò freneticamente la nuova stanza alla ricerca di un nascondiglio. C’era una frattura nella roccia a mezza altezza che forse era abbastanza grande per poterla ospitare. Acqua non ebbe il tempo per valutare se offrisse un riparo adeguato; i passi di Darcon si avvicinavano a ritmo sostenuto all’ingresso. La ragazza si affrettò a nascondersi: si appiattì contro le rocce, infilata nella nicchia della parete come meglio poteva. 
Attese l’arrivo di Darcon con il fiato sospeso. Le sembrava di sentire i passi di lui echeggiare sulla pietra e rimbombare nella propria cassa toracica. Non c’era dubbio che si stesse dirigendo proprio verso la stanza, ma Acqua seguitava a sperare, forse ingenuamente, che l’uomo cambiasse direzione. Rimase tesa, immobile, nell’estenuante ed angosciosa attesa di ciò che sarebbe successo. Poi, all’improvviso, i passi di Darcon si fermarono. Era molto vicino, troppo vicino, ma Acqua non era riuscita a capire esattamente quanto. La ragazza sussultò quando lo sentì prendere la parola.
– È davvero poco dignitoso per te nasconderti in questo modo così vile… – fu il suo commento sprezzante. Acqua rimase impassibile, ascoltando il fruscio delle vesti di Darcon che si trascinavano sul pavimento. Sembrava che si stesse allontanando. – Non credo che il re tuo predecessore approverebbe. – sogghignò nuovamente l’uomo, prendendosi gioco di lei con un tono di rimprovero. 
Acqua fremette di rabbia, sentendo Darcon giocare con la memoria di suo padre per l’ennesima volta. Temette di essersi tradita con quel lieve movimento quando lo percepì fermarsi e rimanere in ascolto. Acqua fece la prima cosa che le venne in mente. Utilizzò i propri poteri per smuovere dei sassi in un angolo nascosto dalla parte opposta della caverna, sperando che Darcon fosse attratto dal rumore. Non riuscì a credere ai propri occhi quando lo vide materializzarsi in quel punto lontano: si precipitò fuori dal proprio nascondiglio, determinata a raggiungere Max e andarsene in fretta. Pensò fugacemente che avrebbe potuto trasportarsi sulla Terra e tornare direttamente nella stanza in cui si trovava il Generale, per evitare altri scontri. Fece appena in tempo a darsi della stupida per non averci pensato prima, quando avvertì delle dita ghiacciate serrarsi sul proprio polso. Un nanosecondo dopo, Darcon si era materializzato di fronte a lei, squadrandola con un ghigno beffardo: reggeva tra le mani il braccialetto per viaggiare tra i mondi. 
– Sei in trappola. – bisbigliò, potente, mentre con un gesto annoiato scagliava lontano il bracciale. Acqua esitò per un attimo, tremando. La sua unica via di fuga era appena svanita nel nulla; se anche ci fosse stata una possibilità di riuscita, quella si era appena volatilizzata. Indietreggiò di qualche passo, mentre realizzava che l’unico modo per uscire viva da lì era combattere senza tregua, con tutti i mezzi a sua disposizione. Oppure soccombere.
Un grido accompagnò il suo primo tentativo di attacco, che colse Darcon impreparato: l’uomo non riuscì a schivare il colpo e venne raggiunto ad un braccio. Acqua non perse tempo e cercò di replicare, ma Darcon scomparve. La ragazza sussultò quando sentì una presenza alle proprie spalle e la sua voce che le mormorava all’orecchio: 
– Non illuderti di potermi fermare… – la principessa si voltò di scatto e reagì prontamente, ma il suo colpo andò a vuoto. Darcon non c’era più, di nuovo.
– Non sei altro che un insulso sassolino sul mio cammino. – la voce le arrivò ancora con un sussurro all’orecchio. Acqua fu scossa dai brividi, ma si girò a fronteggiarlo. –  Tu non vincerai. – trovò la forza di dire. Chissà come, la speranza stava rimontando in lei; era frastornata e si rendeva conto della propria inferiorità, ma allo stesso tempo si era fatta strada nei suoi pensieri l’idea che non tutto fosse perduto. Anche il sorriso inquietante che si era appena formato sulle labbra di Darcon le incuteva meno paura.
– Io sono invincibile. – grugnì lui, senza abbandonare il sorriso sadico. Rispondendo a movimenti energici delle sue braccia, una moltitudine di macigni si staccò dalle pareti, ricoprendosi di ghiaccio come se stessero fiorendo. Immediatamente furono contro Acqua, che riuscì a proteggersi all’ultimo secondo creando uno scudo. L’impatto la fece indietreggiare, ma nulla di più. Sollevò lo sguardo risoluto sul volto di Darcon, solcato dalle enigmatiche cicatrici bluastre. I suoi occhi sembravano sfidarla, nella convinzione che non sarebbe stata così sconsiderata da accettare la provocazione. 
Invece, Acqua chiamò a raccolta le proprie forze; i poteri reagirono all’istante, comprimendo i massi fino a farli esplodere in un’infinità di schegge, e indirizzandole verso l’uomo. Lo scontro si riaccese, più estenuante che mai. Acqua combatté con tutta sé stessa, retta dalla propria rabbia cocente, spingendosi al limite delle sue capacità. Darcon scompariva e riappariva in continuazione, sferrandole attacchi sempre più forti, arrivando spesso a colpirla. Acqua si rialzava e continuava, caparbia nella sua lotta. Quando i suoi attacchi andavano a segno, la furia dell’uomo si scatenava infliggendole il doppio del danno, mentre le ferite di lui si rimarginavano sotto i suoi occhi increduli. Lentamente, Acqua perdeva lucidità. I suoi colpi erano sempre più fiacchi e deboli, nonostante la forza di volontà le imponesse di fare ancora di più, e ancora… 
“Devo resistere”, pensava, mentre la spossatezza e le lacrime le annebbiavano la vista. “Devo resistere… ” 
Parava e attaccava, nient’altro sembrava contare; la sua mente lavorava velocemente per decifrare la situazione, i suoi muscoli e i suoi poteri rispondevano stremati, ma ancora le rispondevano. 
Darcon sorrideva di quella sua testardaggine. Acquamarina era spacciata ormai, nulla avrebbe più potuto salvarla; eppure non demordeva e continuava a combattere. Darcon doveva ammettere che era un notevole sforzo da parte sua, e in un qualche modo l'ammirava; ma allo stesso tempo compativa quella sua ingenua presunzione di poter fare qualcosa. Come nel caso di suo padre, quella tenace resistenza non sarebbe servita a molto. Darcon stava solamente giocando con lei, divertendosi a vederla annaspare, e si dilettava a metterla sempre più in difficoltà per studiare le sue reazioni. Quella era la parte che più lo soddisfava nella propria gloria: percepire la propria schiacciante potenza, assaporare l'inebriante senso di onnipotenza che lo invadeva mentre osservava il suo nemico farsi piccolo, tentennare, implorare pietà, ed infine cadere. Amava così tanto quella sensazione, che indulgendo in essa aveva perso uno dei suoi più importanti obiettivi: la prigionia del re, e la possibilità di sottrargli i poteri. Invece, lo aveva visto contorcersi e rantolare ai suoi piedi, anche se non lo aveva mai sentito rivolgergli una disperata richiesta di pietà. E nonostante ciò, la soddisfazione enorme della sua morte aveva messo in secondo piano tutto il resto. 
Ora, grazie ai servizi del ragazzo che aveva creato, il Generale era alla sua mercé, e la principessa lo aveva raggiunto di sua spontanea volontà. Darcon non avrebbe ripetuto l'errore, non avrebbe mandato tutto all'aria di nuovo. I poteri della principessa erano la cosa più preziosa che avrebbe potuto ottenere, la sua vita era una sciocchezza in confronto. Perciò decise di porre fine al proprio divertimento, ora che la ragazza sembrava esitare. Le scagliò un incantesimo che le avrebbe impedito di liberarsi dalla sua prigione. Sicuramente la volta prima aveva usato un sortilegio oscuro che aveva imparato chissà come; null'altro l'avrebbe potuta liberare. Non appena l'anatema la raggiunse, Darcon si trasportò alle sue spalle e la braccò prima che potesse fare alcunché. Mantenne salda la presa, mentre la ragazza si divincolava e tentava di colpirlo; ma era troppo debole. 
Acqua sentì solamente la presa di Darcon, salda come cemento: un braccio serrato attorno al collo e uno avvolto attorno alla vita, le sue mani le raggiungevano una spalla e un'anca. Il gelo provocato dal tocco di lui si sprigionò diffondendosi in tutto il corpo, disegnando arabeschi ghiacciati sulla sua pelle. 
– Io sono il Destino! – le gridò lui, mentre il ghiaccio si ispessiva, immobilizzandola. Acqua avvertì il suo fiato sul collo mentre lui parlava; poi, tutto quello che le rimase fu l'abbraccio mortale del ghiaccio.
 
***

Per la seconda volta in quell’infinita giornata, Henri aprì la porta e temette di avere le allucinazioni. 
– Posso? – domandò Corallina, indecisa se guardare verso di lui o controllare la strada alle proprie spalle. Aveva un cipiglio così serio che Henri si preoccupò; tuttavia mise da parte il turbamento per sincerarsi che fosse veramente lei. 
– Aspetta… Dimmi qual è stato il mio regalo per te il giorno del ballo. – 
– La Collana dell'Alba. – mormorò lei in risposta, mostrandogli la catenina che indossava anche in quel momento – Poi mi hai baciato, e ti sei scusato per averlo fatto. – continuò, con l'ombra di un sorriso. L’aria divertita non le aveva però tolto le tracce di apprensione dal volto. Henri si fece da parte sulla soglia.
– Entra, veloce. – Era difficile anche per lui nascondere la preoccupazione ora. Una volta che Corallina gli fu passata accanto, ricominciò a chiudere le serrature. La ragazza lo affiancò subito, senza una parola. Lavoravano in sintonia come se fosse stata un’azione abituale; o almeno fino a quando Henri non notò le escoriazioni sanguinanti presenti sul braccio della ragazza.
– Santo cielo, Corallina, che ti è successo? – le chiese, mentre finiva velocemente il lavoro. Si affrettò verso il mobiletto dei medicinali, e con ansia crescente prese il disinfettante.
– Non preoccuparti, è una cosa stupida… – minimizzò lei, con un filo di voce. Henri si voltò un attimo e le lanciò uno sguardo scettico.
– Ho preso una curva troppo velocemente mentre nuotavo e sono finita contro il muro di una casa. – spiegò Corallina con fare sbrigativo. Henri notò il suo autentico imbarazzo, segnalato dal colorito roseo che stava comparendo sulle sue guance. 
– Comunque… sono qui per una cosa più importante. – continuò la ragazza, ricomponendosi. Henri la raggiunse e la sospinse dolcemente verso il divano, senza riuscire a liberarsi di un brutto presentimento. Le successive parole di Corallina glielo confermarono.
– Riguarda Acqua. – mormorò infatti, mentre si sedevano vicini. Henri armeggiò nervosamente con il flacone di disinfettante. 
– D-dimmi. – riuscì a balbettare, poco convinto. Corallina gli porse il braccio.
– Eravamo insieme nella sua stanza e io mi sono addormentata. Quando mi sono svegliata lei non c’era, ma mi aveva lasciato un biglietto per farmi sapere che era in biblioteca. In quel momento non mi è sembrato strano, sono semplicemente salita in biblioteca e ho chiesto al Saggio se l’aveva vista. Lui mi ha risposto tranquillamente che Acqua era lì, e allora io ho iniziato a cercarla. Ho setacciato la biblioteca in lungo e in largo; non c’era traccia di Acqua. Allora sono tornata dal Saggio e gli ho chiesto se lei nel frattempo se ne fosse andata. Ma il vecchio ancora mi ha risposto che Acqua era lì. Ho ripreso a girare come una pazza per la biblioteca, continuando a non trovarla. – Corallina cominciò ad infervorarsi. – Ho perfino nuotato fino alla cima della cupola per vedere dall’alto, ma ti giuro che non c’era. Quel vecchio rimbambito deve avere le traveggole! Insomma, per fartela breve, ho cercato per tutto il castello gridando come un’indemoniata per chiamarla. Niente di niente. Alla fine, ciliegina sulla torta, sono scesa nei sotterranei e ho visto che mancava un’armatura. – la giovane tacque per un attimo, guardando Henri che la medicava, accigliato. Il ragazzo era ben contento di avere una distrazione in quel momento, e si limitò ad annuire, mentre disinfettava le abrasioni. 
– Cosa dovrei pensare? – riprese la ragazza, con voce tremante. – Ho paura che Acqua si sia cacciata in un enorme casino. – Henri terminò il lavoro e si decise a dire qualcosa.
– In effetti è difficile pensare a qualcosa di diverso. – ammise, mantenendosi sul vago. Si sentiva in colpa a tradire Acqua, ma Corallina era talmente angosciata che gli risultava difficile anche guardarla. Fu estremamente sollevato quando lei riprese la parola; evidentemente, l’ansia aveva accentuato la sua già notevole parlantina. 
– Scusa se sono piombata qui, ma avevo bisogno di parlarti. All’inizio non volevo uscire, ma avevo paura che se ti avessi mandato un biglietto, qualcuno avrebbe potuto intercettarlo. Sai che guaio se qualcuno venisse a sapere che lei è là in mezzo? – Henri fu attraversato da un brivido; l’ora di protezione che aveva accordato ad Acqua gli era sembrata volare in un attimo. Sperò che tutto fosse andato per il meglio, perché altrimenti qualsiasi cosa fosse successa alla principessa sarebbe stata anche responsabilità sua. Il ragazzo lottò contro le sue stesse dita in preda all’agitazione per riuscire a richiudere il flacone di disinfettante, ma non ci riuscì fino a quando Corallina non lo aiutò ad avvitare il tappo. Lo ringraziò con un piccolo sorriso, accennando al proprio braccio, per poi schioccargli un bacio a sorpresa sulla guancia. Passò un momento di silenzio, in cui i due si scambiarono un mezzo sorriso e uno sguardo inquieto, i volti vicini.
– Tu non hai visto nulla di strano? – chiese Corallina, che non si dava pace. Henri cercò di non esitare.
– No. – rispose subito, forse con troppa convinzione. – No, io… – provò a continuare, ma gli mancò la voce. Che stava facendo? Si scostò, turbato, passandosi una mano sul viso. Davvero voleva mentirle così, mentre la guardava consumarsi nell’angoscia? Si alzò sbuffando, fingendo di voler riporre il disinfettante. 
– Henri? – Quando si girò, Corallina lo stava fissando con le sopracciglia inarcate. Il ragazzo sospirò. Gli ci volle un’eternità per decidersi, ma alla fine confessò.
– Acqua è stata qui. – ammise, mentre la bocca di Corallina si spalancava, in un’espressione a metà tra la sorpresa e l’accusa. Si alzò dal divano, mentre Henri aggiungeva:  – Scusa, mi aveva chiesto di non dire n… – 
– Stava bene? E dov’è andata?  Parla, Henri, vuoi farmi prendere un infarto?! – Corallina stava quasi urlando, gli occhi spalancati. Henri la raggiunse e le pose le mani sulle spalle, cercando di infonderle calma.
– Sì, stava bene. – le rispose, sentendola rilassarsi. Ma la sua espressione lo esortava a continuare, quindi Henri riprese a spiegare. – Non so dove sia ora. – disse, desiderando di non dover dire altro. – Ma voleva andare alla grotta di ghiaccio, da Max. – rivelò infine, con riluttanza. Corallina indietreggiò, liberandosi dal suo tocco. La ragazza era sconcertata, e continuava a fissarlo a bocca aperta. Henri avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi riparare da quell’incredulo sguardo di rimprovero.
– E tu l’hai lasciata andare?! – ripartì alla carica Corallina, incapace di trattenersi.
– Io … – balbettò Henri, senza riuscire a costruire una frase di senso compiuto. La ragazza lo zittì immediatamente.
– E perché è venuta qua? – chiese. Henri temette di essere annientato da quel tono accusatorio. Di nuovo, si arrese. Prese un sospiro, e si apprestò a lasciar andare anche quell’ultimo segreto.
– Immagino che sia arrivato il momento delle confessioni… – mormorò, riprendendo posto sul divano. Corallina lo fissò, interdetta; ma il suo sguardo si era addolcito, intenerito dalla sofferenza che il ragazzo manifestava. 
– Io ho un potere. – disse Henri, cercando di ignorare l’espressione esterrefatta di Corallina. – Lo tengo nascosto per ragioni strategiche e poi… Io… Beh, io… me ne vergogno. – ammise, guardando in basso. La ragazza le si sedette di fianco, facendo scivolare le dita tra le sue. Gli rivolse uno sguardo incoraggiante, cercando di mettere da parte lo stupore. Ma la cosa le risultò parecchio difficile quando Henri risollevò lo sguardo, e al posto del suo volto trovò quello di un uomo dai tratti marcati e una folta barba grigia.
– Non riesco a capire. – mormorò Corallina, inquietata. Henri notò che le sue mani erano diventate rigide come pietra.
– Illusione. – rispose, mesto. Cambiò la propria fisionomia ancora qualche volta, per dare il tempo a Corallina di capire e metabolizzare il tutto. – Odio questo potere, per me non è altro che un ignobile trucchetto per ingannare le persone. – Corallina si rilassò quando lo vide tornare alla normalità. Gli rivolse un timido sorriso.
– Ma a volte può rivelarsi utile. – continuò lui, deciso ormai a rivelarle ogni cosa. Si trasfigurò nell’uomo pelato che aveva usato come nascondiglio la sera del ballo. Corallina spalancò la bocca. – Eri tu! – rise, cercando di tirargli uno scappellotto. Henri si protesse come poté, ma poi tornò serio. 
– Acqua lo sapeva, ed è venuta qui per chiedermi un travestimento. – spiegò. – Se avessi rifiutato, sarebbe andata comunque. Ho pensato che almeno avrei potuto proteggerla, o aiutarla. – Corallina annuì, comprensiva, e prese ad accarezzargli la schiena con un braccio.
– Avresti potuto non lasciarla uscire. – fu il suo commento. Il suo tono era totalmente privo di rimprovero, ora. Sembrava gli stesse dando un suggerimento ovvio.
– Sì, come se lei non avesse dei poteri fortissimi con cui avrebbe potuto immobilizzarmi e scardinare la porta. – rispose Henri, sarcastico e abbattuto. Corallina fissava il vuoto, impassibile.
– Non è da lei, ma hai ragione. – concesse. Henri sbuffò.
– Oh, non hai visto la sua faccia. In quel momento era molto una cosa da lei. – ribatté, impaurito. Passò un attimo di silenzio, prima che Henri riprendesse a parlare. – In un certo senso la sua decisione è comprensibile… in fondo Max è la sua vita. – disse, fissando lo sguardo negli occhi di Corallina e augurandosi con tutto sé stesso di non perderla mai. La ragazza invece fu più dura.
– Sì, ma dovrebbe ricordarsi che anche noi facciamo parte della sua vita. E io in questo momento sto morendo di paura per lei. – 
– A chi lo dici! – sospirò lui, prendendosi la testa fra le mani. Rimasero entrambi a guardare nel vuoto per un tempo indefinito. 
– Cosa ho fatto? – le parole del ragazzo rimasero sospese, echeggiando nelle loro menti. Henri si sentiva soffocare per il peso delle proprie scelte; Corallina lo avvertiva rabbrividire al proprio fianco.
– Tranquillo, ti voglio bene lo stesso. – sdrammatizzò Corallina, rivolgendogli uno sguardo amorevole. Il tono poteva sembrare banale e giocoso, ma in quelle parole Henri trovò la forza per affermare che, con lei accanto, sopportare quel peso sarebbe stato più facile.

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Capitolo 41
*** Più di quello che pensi ***


Capitolo 41
Più di quello che pensi

Tutto ciò che sentiva era freddo e bruciore. Il ghiaccio le arpionava la pelle, il gelo la pervadeva. Ma, in un modo che non riusciva a spiegarsi, era anche rassicurante e seducente. A volte si ritrovava a desiderare di rimanere così in eterno. Quello che riscuoteva Acqua da quei pensieri era il bruciore delle ferite, premute contro i duri cristalli di ghiaccio. La tormentavano senza sosta, pulsanti di dolore, come se stessero gridando pietà. Acqua avrebbe voluto dimenarsi, gridare, invocare aiuto; ma ogni suo muscolo era immobile, fermo come il marmo di una statua. 
La ragazza aveva intravisto in modo confuso Darcon che si allontanava dalla propria prigione con passi misurati e trionfanti. Poco dopo la sua figura non era diventata altro che una macchia scura e deforme attraverso gli strati di ghiaccio, ma le era sembrato di averlo visto chinarsi, come per raccogliere qualcosa. Il braccialetto dorato, forse? Acqua fu attraversata da una fitta di disperazione. 
Il cuore le batteva ancora convulsamente nel petto, lo sentiva rimbombare nelle orecchie. Respirava pesantemente per la foga del combattimento, anche se non riusciva a capire come facesse l'acqua ad entrarle attraverso le narici e uscire dalle branchie, schiacciata com'era da tutto quel ghiaccio. In qualche modo, il ghiaccio la manteneva in vita, anche se lei non sapeva spiegarsi come. Allo stesso modo, non comprendeva cosa le avesse permesso di liberarsi, prima. Provò innumerevoli volte, ma nulla le permetteva di raggiungere l'essenza del ghiaccio e ghermirla, farla sua. Era sempre un passo troppo lontano. Per quanto si sforzasse, le sue capacità erano legate a catene troppo corte. Cercava di protendersi, sentendo lo sforzo quasi fisicamente; era come sollevarsi sulle punte dei piedi e allungare le braccia verso l'alto, tendendo i muscoli per arrivare ad afferrare il cielo, fino quasi a spezzarsi. Non ci riuscì. Ritornò in sé stessa, sbattendo le palpebre per recuperare la vista annebbiata. Una fitta di dolore le attanagliava le tempie, ma doveva riprovare. Non poteva essere finita così, si rifiutava di accettarlo. A cosa erano valsi tutta quella fatica e i pericoli corsi? Anche lei aveva finito per diventare un trofeo, come Max. 
Provò altre volte, con rabbia crescente, a prendere il controllo del ghiaccio. Inutile. Tutto quello che le restava era dolore, fatica, e un'immensa frustrazione. Pensò a Max, e si sentì terribilmente in colpa. Le forze la stavano abbandonando lentamente, ma cercava di resistere. Sentiva il ghiaccio sottrarle energia, piano piano, svuotarla di tutto. La sua mente era sempre più leggera, e opporsi al richiamo del riposo era troppo difficile. Poteva percepire il ghiaccio reclamare per sé le ultime forze rimaste. Acqua si opponeva con testardaggine, cercava di arginare quel flusso inarrestabile di energia che l'abbandonava. Ma era come nuotare controcorrente senza riuscire a vincere la forza dell'acqua. Il ghiaccio era troppo potente, troppo più forte di lei. A cosa valeva lottare in quel modo? Ormai pensava che non sarebbe mai riuscita a liberarsi da lì. 
Acqua era stremata, esausta. Più volte i suoi occhi si chiusero, e più volte si sforzò di riaprirli, ma era una fatica immane. Era stanca... Troppo stanca per opporsi ancora. Sperò che Max la potesse perdonare, perché aveva smesso di lottare. Ma non ce la faceva più. 
– Acqua! – Nel buio in cui stava precipitando la sua coscienza, la ragazza fu scossa da quel richiamo. Era molto lontano, quasi impercettibile, ma non riuscì ad ignorarlo. Qualcosa le diceva che era vero, per quanto potesse sembrarle impossibile crederlo: la voce che chiamava il suo nome era quella di Max. La ragazza tornò lentamente cosciente, emergendo con immensa fatica dall’oscurità. Una debole speranza la riscaldava, mentre la sua mente echeggiava di quel suono. 
– Acqua, sono io! – ripeté di nuovo quella voce, e la ragazza si sentì investita da un incredibile misto di gioia e dubbio. Non voleva essere delusa, nel caso avesse scoperto che si trattava solamente di un’elaborazione della sua mente, una fantasia delirante. Ma non riuscì ad impedire a sé stessa di rispondere.
– Max? Come...? – pensò, confusamente, sopraffatta dall’incredulità. Il cuore le esplose quando lo sentì rispondere, con tono sofferente, dandole conferma che era tutto vero.
– Ti prego, ascoltami senza dire nulla. – biascicò Max. Acqua sentì la sua voce risuonare per la propria mente, rimanendo in silenzio. – Questo ghiaccio ti mangia vivo e io... Non resisterò per molto ancora. Ho conservato le mie energie per parlarti, sapevo che sarebbe arrivato questo momento, che saresti venuta a prendermi. – Max si fermò, come per riprendere fiato. Acqua riusciva in qualche modo a percepire le sue sensazioni, come se insieme alle parole si stessero riversando nella propria mente anche ciò che sentiva. Max era allo stremo delle sue forze, ma tra la stanchezza Acqua sentiva la sua gratitudine. Viceversa, il ragazzo era stato investito dallo shock che provava lei, confusa per le modalità di quell’inaspettato contatto. 
– Qualche anno fa ho imparato il potere di comunicare col pensiero, per poter raggiungere le mie squadre dell'esercito. – spiegò Max, sentendo di doverle delle spiegazioni. – Era uno dei segreti che tenevo con te. Ho usato questa capacità per parlare con tua madre, dopo che era stata catturata. In questo modo sapevo che era viva, e cosa ne era dei prigionieri. – Acqua ricordò il suo stupore quando Max le aveva rivelato quei dettagli che sembravano impossibili da conoscere. Ma non disse nulla, e continuò ad ascoltare. – Mi passava le informazioni che riusciva a carpire, almeno fino a quando non ha smesso di rispondermi. Il ghiaccio si nutre delle nostre energie e dei nostri poteri, li immagazzina, e alla fine Darcon se li prende. – Max si arrestò nuovamente, rendendosi conto che stava divagando troppo; con immensa fatica ricominciò da capo, andando dritto al punto.
– Non ho molto tempo... Acqua, ascoltami: tu sei venuta fin qua per me, ma non è per questo che devi lottare. La tua missione è un'altra. – Max sapeva che ciò che stava per dire non sarebbe piaciuto a nessuno dei due, ma doveva farlo. Si sforzò di ignorare la confusione e l’inquietudine che provenivano da Acqua. 
– Tu devi ucciderlo, sei l'unica che può farlo. – rivelò, vincendo a fatica la sua stessa riluttanza. La reazione di Acqua fu incontenibile, come un fiume in piena. Max sentì le sue parole come se stessero lacerando il silenzio che le aveva imposto.
– Ma se non riesco nemmeno a liberarmi... – protestò la ragazza. La sua mente era sommersa dalla paura, dall’impotenza, dal senso di sopraffazione e da tanto altro che Acqua non riusciva a tradurre in parole, ma che Max comprendeva alla perfezione. Fu faticoso per il ragazzo riuscire a riprendere la parola, nel mezzo di quelle emozioni che erano così forti da travolgere anche lui.
– I tuoi poteri sono molto più forti di quello che pensi. Estremamente. Devi solo riuscire a trovare questa forza. – le disse. – Ricordi la cupola protettiva intorno alla città? Eri tu. Sei stata tu per tutto quel tempo, senza nemmeno saperlo. Ti rendi conto della tua grandezza? – Acqua non riusciva a nascondere la sua sorpresa per questa rivelazione, ma fu presto travolta dallo scetticismo. – Acqua, riuscirai a liberarti, lo so. Hai tutto ciò che ti serve. Sei forte. – le ripeté Max con convinzione.
– No, io non ce la faccio. – ribadì la principessa, anche se la sua sicurezza stava vacillando. Improvvisamente ebbe un’idea. – Max, libero anche te. Da sola non ce la farò mai, ho bisogno di te! – protestò. Con questa proposta stava dando per scontato di essere veramente capace di sciogliere il ghiaccio; ma dopo quello che le aveva rivelato Max riguardo la cupola, cominciava a credere che ci sarebbe riuscita. Tutto ciò che restava da affrontare dopo, però, rimaneva qualcosa di molto più grande di lei. Come poteva Max caricarla di un peso così enorme e lasciarla sola? 
– Ti prego, Acqua. Non sprecare la tua energia per me. Liberati e poni fine a tutto questo. Tu sei l'unica speranza, per tutti noi. Se c'è una sola persona che può farcela, sei tu. – La sicurezza che il ragazzo ostentava le dava i brividi, ma allo stesso tempo le sue affermazioni la rassicuravano. Acqua era ancora spaventata e titubante, ma qualcosa stava cambiando. Dopo una breve pausa, Max riprese a parlare. 
– Ho cercato per tanto tempo di impedire che questo accadesse, tutte le volte che ho cercato di impedire che tu combattessi... Volevo proteggerti da tutto ciò, avevo paura per te. Non riuscivo a sopportare nemmeno il pensiero che tu dovessi affrontare questo. – Acqua leggeva nella mente di Max una preoccupazione così profonda e autentica, che si vergognò per non aver mai veramente cercato di capire la sua posizione. Il Generale lo sentì, ma lasciò perdere quei vecchi litigi tra loro e continuò il suo discorso. 
– Però ho capito che non posso oppormi al destino, e questo è il tuo destino, scritto da tempo. – disse, ridendo della propria illusione di cambiare le cose. – Ho capito che devo lasciarti andare, e fidarmi di te. –
– Ho paura. – mormorò Acqua; ma le sue parole non erano più una protesta. Erano piene di accettazione; una fredda constatazione.
– Lo so. – rispose Max. – Ma nulla può fermarti. Acqua, credi nelle tue possibilità. Hai un potere immenso, infinito, così grande che nemmeno tu lo percepisci fino in fondo. Sei forte. Tanto forte. Ce la farai. – Il ragazzo era esausto per il continuo sforzo di quella conversazione, ma aveva parlato con una foga tale che il cuore di Acqua batteva a mille, totalmente pervaso di una nuova energia.
– Max. Ti amo. – sussurrò, semplicemente, sperando che insieme alle parole il ragazzo potesse sentire anche la marea di emozioni e l’immensità di gratitudine e amore che la travolgevano. Le sembrò di sentire qualcosa, e istintivamente il cervello le suggerì che Max stava sorridendo. La sua presenza si stava affievolendo, sentiva la comunicazione farsi sempre più distante, la coscienza affaticata di Max che si allontanava dalla sua mente. Ma prima che se ne andasse completamente, le arrivarono le sue ultime parole.
– Ti amo. – 
Avevano il tono malinconico di un addio, e la profondità infinita della resistenza più fiera. Erano la cosa più preziosa che Acqua avesse mai avuto.
 
***

Acqua si ritrovò completamente sola nella sua prigione di ghiaccio. Il vuoto lasciato da Max pulsava come una ferita ed era quasi impossibile da ignorare. Ma ogni pensiero rivolto a lui la riportava a quelle incredibili rivelazioni sul proprio conto, che a dire il vero avrebbe voluto dimenticare. Com’era possibile che un compito così grande toccasse a lei? Fra tutti proprio lei, la ragazza che aveva vissuto la sua vita su un altro pianeta, al sicuro dalla guerra che ora era chiamata a risolvere. Era una responsabilità troppo grande, così immensa che la paralizzava. 
Eppure, se tutto fosse andato come Max le garantiva, sarebbe stata veramente la fine di un incubo. Acqua pensò a tutta la sofferenza di cui era stata testimone e a tutta quella che non aveva direttamente sperimentato. Migliaia di morti, famiglie distrutte, vite rovinate per sempre, un pianeta sull’orlo del collasso… tutto ciò avrebbe potuto finire. E sembrava un’idea così vicina e raggiungibile, che per un attimo Acqua dimenticò i suoi timori. 
Poi però, un pensiero si insinuò nella sua mente e la colpì come una pugnalata. Avrebbe dovuto uccidere un uomo. Un pazzo, certo, un folle sanguinario che non aveva esitato a calpestare vite innocenti per chissà quale ideale… ma era pur sempre un uomo, e l’uomo più potente che quel mondo avesse mai visto. Acqua non era sicura di farcela, psicologicamente e materialmente. Al suo confronto, lei non valeva nulla. Darcon aveva infinite possibilità, lei non possedeva altro che i propri poteri; l’esito di un altro scontro era già scritto. 
O forse no? L’eco delle parole di Max le rimbombavano nel cervello. Il ragazzo aveva detto che era capace di cose che nemmeno avrebbe immaginato. Acqua era ancora incredula per la scoperta della cupola. Non riusciva a credere di essere stata lei stessa a creare un’opera del genere: uno scudo così forte da resistere a svariati attacchi, così esteso da avvolgere tutta la città, così robusto da durare per tutto quel tempo. E aveva salvato così tante persone… Era qualcosa di incredibile, difficile anche solo da immaginare. Ma era stata lei, lei sola. Era veramente capace di imprese impossibili. Acqua sentì come se una nuova forza la stesse riscaldando, riempiendola di orgoglio e determinazione. Poteva farcela, era arrivata fino a lì sulle sue gambe e avrebbe continuato. Ora aveva una nuova missione.
Con immensa fierezza pensò a Max, e il suo cuore palpitò di gioia. Si accorse solo dopo che, al margine del proprio campo visivo, la prigione di ghiaccio cominciava a ricoprirsi di goccioline. Si stava sciogliendo; lo percepiva, ora… E dopo un attimo di smarrimento si rese conto che era lei a comandare il processo, era lei che controllava l’essenza del ghiaccio oscuro. Riusciva a sentirlo, mentre si piegava alla sua volontà: una sensazione strana, che prima aveva semplicemente relegato nell’inconscio. Ma ora era decisa ad andare fino in fondo, e lasciò che accadesse: si impadronì del ghiaccio, senza filtri e senza paura, lo controllò e lo annientò. E come la prima volta, la sua prigione si sgretolò e finì a terra in una cascata di frammenti ghiacciati. 
Acqua rimase immobile qualche istante; si sentiva potente, si sentiva grande. Sentiva un’enorme energia scorrere nel proprio corpo, qualcosa che la attraeva e la inquietava insieme. Quando aveva agito inconsciamente, la magia oscura non aveva avuto effetti su di lei; in quel momento, invece, dopo aver intenzionalmente oltrepassato il confine di quel grande potere, si sentiva corrotta, come se avesse osato troppo. Prese un respiro, ricordandosi di ciò che aveva fatto in passato, della magia buona che aveva usato per la cupola. Non c’era stata nessuna ripercussione, e non ci sarebbe stata nemmeno ora. 
Un boato proveniente da una stanza vicina la risvegliò dalle sue riflessioni. Era il momento di agire. I suoi piedi si mossero da soli, mentre in testa le risuonava ciò che aveva detto Max. “È il tuo destino, scritto da tempo”. 
E questo pensiero la sospingeva, mentre un passo dopo l’altro arrivava a fronteggiare il volto sfregiato di Darcon. Per un breve attimo fu sorpreso di vederla, ma il suo volto non lo tradì. Al contrario, sulle sue labbra si fece strada il sorriso beffardo di chi prova piacere nel ridicolizzare un bambino.
– Ti sei liberata di nuovo. – la schernì lui, ma la ragazza rimase impassibile, misurando i respiri e chiamando a raccolta tutta l’energia rimasta. 
– Sei ostinata e orgogliosa, non cedi mai. – continuò, muovendo qualche passo verso di lei. – Mi ricordi me stesso, siamo molto simili, sai? Vuoi vendicare tuo padre, lo capisco. – aggiunse, facendosi serio e annuendo per dimostrarle la propria derisoria comprensione.  – Ma io mio padre l’ho ucciso, per vendicare mia madre. – ghignò nuovamente. Acqua fu percorsa dai brividi, percependo la freddezza di quel racconto. 
– No, ti sbagli, non si tratta di vendetta. – rispose lei, con la voce ben salda. – Si tratta di rinascita, liberazione. – rimaneva immobile, sentendo il proprio corpo che si rinvigoriva, ritrovando una forza che proveniva da un luogo a lei sconosciuto. 
– Ho già sentito queste parole dalla bocca di un re morente. – replicò lui, con aggressività crescente – Tutto si ripete, e alla fine quello che rimarrà sarò io. Nessuno può ostacolarmi! Riunirò in me tutti i poteri di questo mondo, sarò l’essere più potente mai esistito, diventerò la Leggenda! Ucciderò il Dragone e il mondo sarà definitivamente mio per sempre. –
Vedendo l’immutata calma della principessa, Darcon esaurì la pazienza. Fece per richiamare a sé le rocce ghiacciate del muro, ma chissà come Acqua aveva previsto la sua mossa. Fece in modo che il ghiaccio comprimesse le rocce fino a farle scoppiare nel momento in cui si avvicinavano a Darcon. La tecnica funzionò, ma la ragazza dovette proteggersi dai detriti che finirono per schizzare nella sua direzione. Non perse un secondo; mantenendo il controllo del ghiaccio, lo fece sciogliere e comandò il fluido oscuro per raccogliere i massi caduti o sospesi. 
Darcon era rimasto interdetto dalla prontezza della ragazza e non era riuscito a deviare i detriti dell’esplosione. Vedendolo coprirsi gli occhi per proteggersi, Acqua direzionò il fluido carico di rocce verso di lui ad altissima velocità, e allo stesso tempo riuscì, anche se con fatica, a creare lame di ghiaccio al suo interno. L’uomo grugniva, affannandosi per proteggersi; cercò allora di sottrarre alla ragazza il controllo di quel vortice letale, ma lei riuscì ad impedirlo. 
Acqua non ebbe il tempo di gioire, che qualcosa la colpì alle spalle, facendola crollare a terra. D’istinto creò uno scudo attorno a sé stessa, che la protesse dai colpi successivi di massi e lastre ghiacciate comandate da Darcon. Si rialzò, mantenendo la protezione, e ricominciò ad attaccarlo senza sosta, allentando occasionalmente le proprie difese per il troppo sforzo. Era sospinta da un’irriducibile smania di combattere e trionfare. Gioiva ogni volta che nella foga scorgeva una ferita aprirsi sulla pelle dell’avversario, e allo stesso tempo era spaventata da quella gioia profonda, ma cos’altro poteva fare? Se quello era veramente il suo destino, era arrivato il momento di renderlo realtà. 
Si destreggiava nel caos dei rispettivi poteri scatenati al massimo, ma senza retrocedere. Sentiva che la propria energia diminuiva, accusava i colpi di ogni attacco andato a segno; ma ignorava le ferite e la stanchezza, e proseguiva stoica. Comandare i propri poteri le risultava più semplice, come se avesse capito improvvisamente qual era tutto il potenziale celato in essi. Gli scudi che la proteggevano erano spessi ed elastici e rimbalzavano altrove ciò che non poteva più ferirla. Spesso si trasformavano in flussi che schizzavano come impazziti per la grotta, raccogliendo tutto ciò che incontravano sul proprio percorso, e finivano per diventare palle ghiacciate scagliate con la forza di un cannone verso il nemico. 
Numerose volte le lame di ghiaccio riuscirono a penetrare la carne di Darcon, che non se la cavava bene nonostante la capacità di guarire rapidamente. Ma la massima potenza della ragazza si scatenava quando riusciva ad accumulare abbastanza forza per raccogliere l’acqua intorno a Darcon e crearne vortici che lo travolgevano, e lo scagliavano contro le pareti rocciose. Anche Acqua subiva molto, ma le sembrava che fosse l’avversario quello più in difficoltà. E allora si sentiva potente ed esultava in cuor suo, pensando a Max e a quello che le aveva detto.
Acqua creò l’ennesimo vortice che finì per scaraventare l’uomo in un angolo a terra. Erano entrambi sporchi di sabbia, terra e sangue, entrambi allo stremo. Ma nessuno avrebbe ceduto. Inaspettatamente però, la reazione di Darcon tardava ad arrivare. Acqua si preparò ad un nuovo attacco, ma in un rapido e dannatissimo momento incrociò lo sguardo di lui. Un lampo attraversò repentinamente le iridi dell’uomo e Acqua non capì più nulla. 
I suoi sensi erano impazziti, le mandavano segnali confusi e contradditori: non riusciva più a distinguere l’alto e il basso, la destra e la sinistra. Nulla aveva più senso, lo spazio non le apparteneva più. La stanza prese a vorticare, mentre Acqua tentava disperatamente di rientrare in possesso del proprio corpo: sbatteva le palpebre, barcollava sulle proprie gambe intorpidite senza capire cosa stessa facendo. Non esisteva un punto fermo, niente a cui appigliarsi. Fu solo quando sentì la parete di roccia contro la propria schiena che riuscì a ritornare in sé. Ma le sensazioni subito successive furono le mani di Darcon strette attorno alla gola e i piedi che penzolavano nel vuoto. Annaspava disperatamente, cercando di respirare dalla bocca e dal naso; il dolore delle branchie, tappate a forza, era insostenibile. Ricordava la brutta sensazione di quando Max gliele aveva toccate per un secondo. Il contatto di un’altra persona, così violento e prolungato, era una vera tortura. Tentò di divincolarsi, ma il dolore le impediva qualsiasi sforzo efficace, e la presa dell’uomo era irremovibile.
– Anch’io sono stato un misero ragazzino come te. – sibilò lui, colmo d’ira. Acqua scorse il suo sguardo tagliente a pochi centimetri dal proprio volto, senza riuscire a concentrarsi su nulla. – Conosco la tua stessa presunzione illusoria di contare qualcosa, ma conosco anche la povertà e la perdita più assolute. Ho vissuto come feccia, come l’essere più vergognoso del mondo! – sputò, stringendo la presa sul collo di Acqua. – Chiunque avessi intorno mi ha voltato le spalle, dal primo giorno della mia vita, finché non ho imparato a farlo io, prendendomi ciò che mi spetta. Non una persona al mondo è stata mai fedele, perché ognuno persegue sempre e solo i propri obiettivi. – Acqua non riusciva più a seguire quel flusso di farneticazioni, col cervello annebbiato in mancanza di ossigeno. Il suo rantolo si trasformò in un grido quando le mani di Darcon si fecero fredde, pronte a fiorire in un tripudio di ghiaccio. Doveva riuscire a liberarsi al più presto.
– La verità è che le persone sono profondamente egoiste, e non è qualcosa che suppongo, lo so. – Continuava nel frattempo l’uomo, le cicatrici pulsanti sul volto. 
– Ed è per questo che il mio obiettivo è il più alto di tutti. – Acqua rabbrividì a quella dichiarazione, ma non perse tempo. 
Con l’ultimo briciolo di lucidità rimasto chiamò a raccolta i poteri e sperò che il suo piano funzionasse. Fu estremamente difficile riuscire a manovrare il ghiaccio, ma infine alle spalle di Darcon si materializzò un pugnale ghiacciato. In meno di un secondo era conficcato a fondo nel collo di Darcon; Acqua riuscì a percepirlo mentre lacerava la carne, poco prima di cadere a terra. Cercò di allontanarsi barcollando, mentre respirava affannosamente, avida d’ossigeno, e il grido di Darcon riempiva la caverna. 
La principessa pensò che avrebbe potuto sfruttare l’occasione per finirlo, per quanto quel pensiero fosse terribile. Darcon a terra cercava di controllare il ghiaccio per levarlo dal collo, e quando finalmente ebbe successo la ragazza era a pochi passi da lui, sul punto di agire. Bastava pochissimo… ma l’uomo scomparve sotto i suoi occhi. Acqua rimase interdetta, confusa per le proprie disperate condizioni e per quel potere che l’aveva di nuovo colta di sorpresa. Si voltò di scatto per cercarlo, ma rimase ansimante ad esaminare il vuoto. Nell’attesa snervante, percepiva ogni muscolo teso riflettere i battiti accelerati del suo cuore. Il silenzio così denso fu spezzato da un respiro pesante. 
– Ora basta giochetti. – sibilò Darcon. Non appena Acqua si accorse della sua presenza, avvertì le sue mani arpionarle il braccio destro, che si ghiacciò immediatamente. In una frazione di secondo, l’uomo piegò il ghiaccio fino a spezzarlo; lo schiocco della materia spaccata si propagò nello spazio insieme al grido di dolore di Acqua. Inconsciamente la ragazza creò un’esplosione d’acqua che li scaraventò lontani l’uno dall’altra, riuscendo a malapena a sorreggersi sulle gambe. Il dolore del braccio era così forte da impedirle qualsiasi pensiero lucido; la mente tornava ossessivamente allo schiocco delle ossa spezzate, mentre cercava di riprendere il controllo di sé respirando faticosamente. 
Un flusso di energia la investì buttandola a terra, e la vista le si annebbiò per un attimo. Subito percepì che il ghiaccio stava iniziando ad inglobarla, ma riuscì ad arrestare velocemente il processo. Fece uno sforzo immane per ignorare il braccio pulsante, e travolse Darcon in un vortice per allontanarlo, mentre lei lentamente si rialzava. L’uomo riuscì inspiegabilmente a fuggire dalla trappola, le ferite fresche che si rimarginavano lentamente sulla pelle straziata. 
Lo scontro ricominciò, ed infuriò per un tempo che ad Acqua parve infinito. Darcon era deciso a porre fine a quel combattimento che stava proseguendo da troppo. Attaccava la ragazza freneticamente, cercava di fermarla per sempre nella morsa del ghiaccio, renderla finalmente una di quelle statue silenti e sottomesse che non esistevano se non per servirlo. Ma ogni volta lei sfuggiva, guizzante come un animale che scappa dalla morte, anche se invano. Continuava ad allontanarlo, a trafiggerlo con lame ghiacciate, a investirlo di forti flussi e vortici. Ogni volta che lui si avvicinava eccessivamente, Acqua scoppiava in un’esplosione di correnti: non gli avrebbe mai più permesso di sfiorarla, o sarebbe finita. Era una danza letale senza fine: i due corpi si dimenavano cercando di respingersi, avvicinarsi, imprigionarsi, fuggire. Lui attaccava con foga, lei si sottraeva alla morsa del ghiaccio; lei scatenava la propria forza e lui retrocedeva per poi ricominciare. 
Acqua cercava in ogni modo di andare oltre, spingere i propri poteri sempre più in là. Non aveva dimenticato l’obiettivo finale, e cercava in ogni modo di raggiungerlo, anche se le sembrava sempre più lontano. Si sentiva sola, ora, abbandonata in qualcosa di più grande di lei. Ma se avesse mollato, avrebbe in ogni caso finito per soccombere. Una nuova idea la illuminò di speranza. Si liberò dal ghiaccio per l’ennesima volta e circondò Darcon in una barriera come quella che aveva usato per proteggere Atlantis. La serrò attorno a lui con vigore, concentrandosi particolarmente perché ogni via respiratoria fosse bloccata. Sperava di riuscire a soffocarlo, e continuò lottando contro il proprio ribrezzo per andare fino in fondo; per ucciderlo. Lo vide affannarsi e dimenarsi come un topo in trappola, e per la prima volta le sembrò che la vittoria fosse ad un passo da lei.
Ma fu un istante, e anche l’uomo riuscì ad emanare da sé stesso un’esplosione che lo liberò. La ragazza rimase ferma, sentendo ogni speranza svanire mentre i calcinacci si dileguavano, rivelando la figura di lui, in piedi immobile come la statua di un dio rabbioso e invincibile. In un lampo di terrore, Acqua realizzò che aveva già visto l’espressione impressa sul viso dell’uomo. Era il ghigno d’ira folle che aveva poco prima dell’assassinio del padre. 
Senza una parola Darcon evocò un’ondata di energia che investì in pieno Acqua e la mandò a sbattere con un terribile impatto sulla parete di nuda roccia. Lo schianto del corpo causò una grande frana e Acqua rimase sepolta sotto i massi, incapace di muoversi. Non riusciva più a percepire un singolo muscolo che le appartenesse, qualcosa che rispondesse ai suoi comandi. La sua mente vagava nel nulla, elaborava confusamente frammenti di immagini senza senso. Il dolore la annientava, soggiogava ogni frammento del suo essere. Si irradiava dalla spina dorsale, scorrendo come veleno attraverso le braccia spezzate e le gambe schiacciate dalle rocce. Ogni centimetro della sua pelle era diventato un groviglio di tagli e ferite che bruciavano al contatto con il sale. Dalla sua gola proveniva un cupo rantolo, i suoi respiri che divenivano sempre più deboli. Vide la figura confusa di Darcon entrare all’improvviso nel suo campo visivo, controllando le sue condizioni. Con un sadico sorriso, fece precipitare un’altra roccia sul suo torace, forzandola a sputare fuori la poca aria rimastale nei polmoni con un grido gutturale. Infine si allontanò con passo indolente, considerandola ormai troppo malridotta per meritarsi ancora la sua attenzione. Solamente si rimproverava di non essere riuscito a strapparle i poteri, ma ormai era troppo tardi. Gli eventi avevano voluto diversamente, proprio come era successo con quel re inetto che era suo padre.
In un lampo improvviso di lucidità, Acqua realizzò che stava morendo. Che presuntuosa era stata pensando di essere in grado di uccidere Darcon, colui che da quindici anni teneva in scacco un mondo intero con la sua potenza. Presuntuosa, ma anche ingenua, stupida, sprovveduta. Che morte inutile sarebbe stata la sua! Non era riuscita a porre rimedio a nulla, non aveva fatto niente, niente, per liberare Max, o sua madre, o uno qualsiasi di tutti gli altri prigionieri. 
La sua morte sarebbe servita solo a compiacere il folle ego di Darcon, solo a far sprofondare Atlantis nel panico, ora che anche lei era stata uccisa.
Aveva condannato a morte il suo mondo.
Tra l’annebbiamento del dolore, pensò a quanto aveva messo in pericolo Henri, Alicarnasso, e chiunque altro l’aveva aiutata rischiando enormemente. Corallina, la zia, tutti all’interno di quella sventurata città superstite erano ormai destinati a soccombere. E la sua mente fu investita da un dolore forse ancora più lancinante di quello che emanavano le sue ossa frantumate e la sua carne dilaniata, quando confusamente realizzò che non li avrebbe mai più rivisti. Li stava lasciando tutti quanti… Corallina con la sua allegria contagiosa, la zia e le sue premure, sua madre sulla Terra che non avrebbe mai più saputo nulla della figlia scomparsa… e Max. Max che fin da bambino le era stata accanto, che era cresciuto con lei. Max che l’aveva protetta, compresa, profondamente amata. Max coi suoi occhi dolci, il suo calore e la familiarità di chi la conosceva da sempre.  
Quando la morte le chiuse lentamente le palpebre, una lacrima dorata le scese lungo la guancia e brillò nell’oscurità della grotta. 
Fu quella piccola lacrima a sancire la fine di Acqua.

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Capitolo 42
*** Sconfitta ***


Capitolo 42
Sconfitta

Rimanere chiusi in casa non li aiutava a rilassarsi. Corallina ed Henri continuavano a scambiarsi sguardi inquietati, incapaci di rimanere fermi, perseguitati dall’angoscia. Corallina aveva già completato il giro della stanza innumerevoli volte, trovando sempre un motivo per continuare a camminare senza sosta. Henri rimaneva seduto sul divano, ma cambiava posizione ogni secondo, irrequieto come un bambino. Si alzava occasionalmente, col pretesto di sistemare qualcosa nella stanza, prendere un libro che rimaneva sistematicamente chiuso, controllare l’orologio. Poi tornava ad accasciarsi sul sofà come se fosse privo di ogni energia. Passò qualche ora, allietata solamente dal fatto che erano insieme e che potevano alleggerire l’attesa toccandosi, abbracciandosi, confortandosi. 
Fu dopo l’ennesima passeggiata per la stanza che Corallina si spazientì e si inginocchiò davanti ad Henri, perso a fissare il vuoto con la testa fra le mani. 
– Ti prego, facciamo qualcosa. – implorò la ragazza, le sopracciglia aggrottate e lo sguardo serio. 
– E cosa possiamo fare? Buttarci nella battaglia non mi sembra l’idea più sensata che possiamo avere. – sospirò Henri, prendendole le mani.
– Potremmo andare al quartier generale dell’esercito e chiedere cosa possiamo fare per aiutare in un posto tranquillo… – rispose lei, ma scosse immediatamente la testa. – No, che stupida che sono. Sicuramente mia madre sarà lì, se mi vede mi ammazza più velocemente di qualsiasi Cavaliere. – Henri sorrise, mesto. Corallina fece una pausa, ma poco dopo risollevò la testa come se le fosse venuta un’idea geniale.
– A meno che… – ammiccò, rivolta al ragazzo.
– No, Corallina, non chiedermelo, ti prego. Ho finito con le trasfigurazioni per oggi. Senza contare che è quasi impossibile non farsi scoprire, è pieno di finestre e specchi ovunque. – 
– Hai ragione. Così però siamo al punto di partenza… – sospirò lei, crollando a sedere sul pavimento. Henri pensava ancora che la cosa migliore fosse rimanere in casa, ma il senso di colpa continuava a tormentarlo, e sentiva di dover fare qualcosa per aiutare e rimediare ai suoi errori. Osservava Corallina tamburellare nervosamente con le dita sul dorso della propria mano. Non sarebbe mai riuscito a tenerla ferma.
– Che ne dici dell’ospedale? – le propose, sperando che l’opzione potesse piacerle. Almeno sarebbero rimasti in un luogo abbastanza sicuro. Lei lo guardò fisso per qualche momento, con una lieve nota di paura negli occhi. Ma infine annuì.
– Può andare. – confermò, alzandosi da terra e costringendo il ragazzo a fare altrettanto per abbracciarlo. 
Si prepararono con cura, proteggendosi con tutto ciò che Henri riuscì a trovare in casa, anche se erano solamente pezzi spaiati di armature e arnesi inutili. Si scambiarono un ultimo sguardo prima di uscire, bardati nei rispettivi mantelli. E infine Henri aprì la porta sul caos esterno. L’ospedale non era troppo lontano, ma i Cavalieri erano penetrati in ogni parte della città, e i due ragazzi furono costretti a tornare sui propri passi diverse volte per nascondersi, o a cambiare strada per evitare il peggio. 
Davanti all’abitazione tramutata in ospedale un nugolo di persone si agitava per trasportare all’interno i feriti gravi o dare indicazioni a tutti gli altri che necessitavano di medicazioni veloci. Molti soldati dell’esercito si affaccendavano tra gli altri, creando un impressionante via vai di uniformi color sabbia. Tra di loro spiccavano i capi, con le mantelle blu notte, che gridavano indicazioni senza sosta. A volte la folla si apriva con urgenza per far passare una barella; la tensione era così alta che Corallina ed Henri si sentirono fuori luogo come due intrusi non autorizzati. Si sistemarono in un angolino della folla, attendendo che qualcuno dei volontari dell’ospedale si accorgesse di loro. 
Fu una donna dallo sguardo stanco a notarli e chiamarli accanto a sé in mezzo alla confusione. Henri le spiegò velocemente le loro intenzioni e lei li squadrò per un attimo, forse riconoscendo la testa rossa di Corallina, ma non fece troppi problemi. Si accordò con loro in tono concitato, dando qualche rapida indicazione sul da farsi, poi li congedò in fretta senza troppi convenevoli. Finirono per essere rimbalzati da una persona all’altra, fino a quando non approdarono, silenziosi e disorientati, in una stanzina defilata dove il via vai sembrava ridotto. 
Era più che altro un magazzino ingombro di scatoloni e materiale medico di vario tipo; all’interno un gruppetto di ragazzi si stava già dando da fare per sistemare il marasma all’interno delle scatole e dividere bende, medicinali e strumenti in modo che fossero pronti all’uso. Al comparire dei nuovi arrivati, una testa si sollevò dal lavoro che stava svolgendo e si illuminò riconoscendoli. Henri e Corallina tirarono un sospiro di sollievo: riconoscere un compagno di classe tra quell’inferno di volti agitati li fece sentire un po’ meno a disagio. 
– Ragazzi! Che bello che siete venuti a darci una mano. – esclamò Namos, affrettandosi ad andar loro incontro. 
– A dir la verità non sappiamo cosa dobbiamo fare, abbiamo parlato con quattro persone una dopo l’altra e ognuna ci ha dato compiti diversi. – rise Corallina. Henri si passò una mano tra i capelli, imbarazzato. Ma a giudicare dalle espressioni degli altri era tutto nella norma. 
– Il caos regna sovrano! – mormorò una ragazza in un angolo, intenta a piegare delle lenzuola immacolate. Qualcuno soffocò delle risatine, e Corallina ringraziò il cielo di essere finita in un posto dove la gente riusciva ancora a ridere. 
I ragazzi si presentarono tutti velocemente, e in poco tempo Henri e Corallina furono integrati nel gruppo e messi all’opera. Lavoravano tutti con alacrità, scambiandosi di tanto in tanto consigli o indicazioni. Gli altri sembravano un gruppo affiatato, come se lavorassero insieme da secoli, anche se probabilmente si erano conosciuti solo poche ore prima. Più nelle retrovie di così non si poteva stare, ma l’esperienza della battaglia non faticava a raggiungerli fino a lì e ad unirli nell’avversità. 
I muri del palazzo venivano spesso scossi dai boati di cannoni e di chissà cos’altro, e i rumori degli scontri all’esterno giungevano ad ogni modo, anche se attutiti dalla distanza e dalle grida delle persone dentro l’ospedale. Quelle forse erano la parte peggiore, perché anche se i ragazzi cercavano di distrarsi mettendo in piedi frammentarie conversazioni, nulla poteva coprire i gemiti e i rantoli delle persone ferite e in fin di vita a pochi passi da loro. 
Dovevano consegnare scatole e attrezzature molto spesso, e Corallina ed Henri finirono presto per imparare l’intera planimetria dell’ospedale, destreggiandosi tra sale operatorie e stanze sovraffollate di persone in degenza, morenti, addormentate, deliranti. Corallina finì diverse volte a consegnare bende a chi si riversava all’ingresso dell’ospedale per sistemare ferite lievi, ma le situazioni più disperate non mancavano di certo, e in un paio di occasioni la ragazza vide feriti gravi morire sotto i suoi occhi mentre venivano trasportati verso i letti ancora liberi.
Henri, dal canto suo, ritirava gli strumenti utilizzati per consegnare quelli puliti e sterilizzati, e anche a lui non furono risparmiate scene di cruenta disperazione. 
L’unico conforto che avevano era essere lì insieme, potersi sostenere a vicenda con un semplice sorriso. Il tempo scorreva pesante, ma si facevano forza tra loro. Ma più le ore passavano, più entrambi non riuscivano a togliersi dalla testa il pensiero che la sera era vicina, e ancora non c’era alcuna notizia di Acqua. Non potevano fare altro che sperare, nonostante la loro anima fosse appesantita dall’angoscia, e continuare a tenersi occupati. L’andirivieni dalla stanza era costante e la concitazione, se possibile, sembrava aumentare.
Ad un certo punto un ragazzo fu chiamato in aiuto a un medico, mentre Namos da un po’ trascorreva più tempo fuori dal magazzino che dentro; si mormorava che avesse una persona cara da qualche parte in ospedale. Corallina ed Henri aumentarono il ritmo del lavoro, insieme agli altri ragazzi. E ogni secondo che passava, tutti loro sentivano il tempo sfaldarsi fra le dita con un sempre più forte e nauseante senso di urgenza, come se il mondo stesse mandando funesti segnali di morte. 
 
***

Il corpo di Acquamarina giaceva inerte sommerso dalle pietre, come le membra spezzate di una bambola dimenticata dal tempo. L’unica traccia rimasta della vita che lo aveva animato era l’ultima lacrima che era riuscita a fuggire dagli occhi. La gocciolina dorata tremava percorrendo un solitario sentiero lungo la guancia di Acqua. Tremava e riluceva nel buio, mentre proseguiva indisturbata il suo percorso; pulsante di vita, si insinuò sotto le rocce fino ad arrivare al petto della ragazza e a lambirle il cuore. L’ultima lacrima divenne luce pura e si fuse con la pelle, penetrando nel corpo della ragazza morta. 
Acqua ebbe un sussulto improvviso e venne trascinata verso l’alto come una marionetta a cui avessero tirato un filo. Dalla forza immane di quella piccola lacrima, che si stava espandendo dentro di lei, la vita ricominciò a scorrere nel suo corpo, inondandola di luce pura e raggiungendo ogni singola fibra del suo essere. Le ossa frantumate si fondevano insieme tornando forti e solide, mentre i tessuti dilaniati si rigeneravano sopra di esse e i muscoli tornavano alla loro funzione, guizzando pieni di energia. Le ferite si rimarginavano, cancellando dalla pelle i marchi del dolore, i polmoni presero nuovamente a riempirsi e vuotarsi seguendo il ritmo dei respiri e del cuore che pulsava veloce, spingendo il sangue a dare vitalità a quella carne rinata.
Acquamarina ritrovò la propria coscienza e fu sommersa da quelle meravigliose sensazioni. In poco tempo riprese il controllo del proprio corpo, sollevò la testa e aprì gli occhi. In lei scorreva l’energia vitale di tutto il pianeta, si sentiva immensamente potente e forte come non mai, inarrestabile. Sentiva fluire intensamente dentro di sé le sensazioni di ogni singola particella vivente del suo mondo, dalle fibre sfinite delle piante alle cellule indomite dei suoi resistenti concittadini; sentiva la vita aggrappata dentro di loro con radici che nessuno poteva strappare, sentiva l’incredibile forza e la testarda caparbietà di quegli esseri che si stringevano spasmodicamente alla speranza, che non rinunciavano a volere la libertà. 
Acquamarina aveva quasi perso sé stessa in quelle sensazioni  travolgenti. Era padrona del mondo, teneva il suo destino nelle proprie mani. 
Avvolta in una luce accecante, abbassò lo sguardo ritrovandosi a fissare superba il volto sconcertato e sgomento di quel folle che era Darcon e sentì che era giunto il momento della sua fine. Qualcosa dentro di lei fremette impaziente, qualcosa di potentissimo che presto sarebbe venuto fuori, incontrollabile. Darcon tentò disperatamente di difendersi pronunciando frettolosi incantesimi oscuri. 
L’improvvisa esplosione generata da Acqua inondò la grotta di luce dorata. Le pareti di roccia franarono con un rumore assordante, tutto precipitò nel caos. Darcon si agitava, senza più nessuna via di fuga, senza nulla che gli rimanesse. Il suo destino era segnato. Acqua rise di lui, rise di quel piccolo uomo insignificante  che si credeva così potente, ma in realtà altro non era che un granello di sabbia in confronto alla forza del destino, in confronto a lei.
Dall’onda d’urto dell’esplosione, la luce si era fatta accecante e andava solidificandosi intorno alla figura della ragazza, fino ad avvolgerla come una seconda pelle sotto forma di un corpo affusolato e squamoso. Acqua aveva capito tutto, e sapeva perfettamente qual era il proprio ruolo. Per quel tempo infinito, senza che lei ne avesse avuto il minimo sospetto, aveva riposato dentro di lei il Dragone d’Acqua, protetto sulla Terra in attesa del giorno in cui sarebbe stata fatta giustizia.
 Lei era il Dragone, il Dragone era lei, e tutto il mondo palpitava di vita in loro due. Acqua non lo percepiva come un’entità separata perché non esistevano confini tra loro, legati da qualcosa di indissolubile e indistruttibile. Erano una cosa sola, e insieme avrebbero riportato il mondo alla vita.
Acqua focalizzò la sua attenzione su Darcon che vagava impaurito abbagliato dalla luce, cercando di coprirsi le spalle. Non aveva idea di ciò che stava per accadere. 
Era finito.
Il dragone si separò da Acqua, srotolando sinuoso le proprie membra dal corpo della ragazza fiondandosi con slancio sul nemico, con un urlo sovrumano. Acqua si accorse con piacere che il grido era lo stesso che sgorgava dalla propria gola; quel grido che il mondo si teneva dentro da tanto, il grido dei morti che imploravano giustizia, il grido dei vivi che lottavano per la libertà.
Il Dragone raggiuse Darcon, che continuava testardo a difendersi. Acqua combatté insieme al Dragone, lo guidò, restò al suo fianco come una presenza eterea e spettrale, gli occhi spiritati e inondati d’oro, un’espressione vittoriosa dipinta sul viso. Acqua era il Dragone e il Dragone era Acqua. In poco tempo, Darcon fu intrappolato tra le sue spire lucenti, che lo serravano per impedirgli di divincolarsi. L’uomo era in trappola, eppure non si arrendeva, continuava a lottare.
– Non capisci, mortale? Questa è la tua fine! – sibilarono con la stessa voce tonante Acqua e il Dragone, stringendolo in un abbraccio letale. 
– Tu non sei poi così diversa da me. – sussurrò Darcon rivolto ad Acquamarina, il volto solcato dalle cicatrici deformato dall’odio. La ragazza gridò di nuovo, insieme al Dragone. In quell’istante, una nuova esplosione scosse la grotta, decretando per sempre la fine di Darcon. 
Mentre l’onda d’urto si affievoliva, il Dragone serpeggiò serafico verso la ragazza e si fermò a pochi centimetri dal suo volto. I loro occhi che si specchiavano gli uni negli altri risplendevano dello stesso colore dorato dell’esplosione. Acqua posò una mano sul muso del Dragone, l’anima dormiente del mondo. Poi, in un attimo, esso ridivenne luce e fluì come un ruscello venendo accolto nuovamente nel suo rifugio all’interno della ragazza, vicino al suo cuore.
Acqua si sentì svuotata di tutte le energie. Ritornò a poggiare i piedi a terra e barcollò tra i detriti verso la parete di ghiaccio, appoggiandovisi sopra. Nel mezzo della devastazione, il silenzio riempiva ogni cosa.
Era tutto finito.
Tutto finito.
Si accasciò a terra, sfinita, sconvolta e con i nervi a pezzi. E non riuscì ad impedire che il pianto e i singhiozzi la assalissero.
 
***

Sulle mura di Atlantis, gli arcieri si immobilizzarono con le frecce incoccate a mezz’aria. Il capo della squadra cominciò ad imprecare, urlando insulti perché i suoi sottoposti gli ubbidissero e scagliassero quelle dannatissime frecce. 
– S-signore, venite a vedere coi vostri occhi. – balbettò un soldato vicino. La folla dei Cavalieri radunata ai loro piedi sotto le mura si era improvvisamente immobilizzata, e cominciava a decomporsi sotto gli sguardi esterrefatti di tutti. I mostri mollicci si squagliavano al suolo scomponendosi in masse informi di rocce e sabbia. L’assordante confusione della battaglia si tramutò in un silenzio sbigottito e colmo di domande.
 
***

Acqua trasalì sentendo una mano posarsi sulla sua spalla. Soffocò un grido, togliendo le mani da davanti gli occhi. Rimase confusa, trovando Celeste inginocchiata davanti a sé, con un’espressione così dolce che quasi non le apparteneva. 
– Va tutto bene. – le sussurrò, anche se un po’ imbarazzata, in tono materno. Acqua era sconvolta dai singhiozzi e non riusciva a smettere di piangere, per qualche strano scherzo giocatole dai nervi. Ma doveva ammettere che semplicemente sentire la presa ferma della mano di Celeste sulla propria spalla la confortava. Le rivolse uno sguardo riconoscente, ed inaspettatamente Celeste la abbracciò. Acqua si perse per qualche tempo in quel contatto così umano e sfogò senza ritegno tutta la tensione e l’ansia che aveva accumulato. Celeste la lasciò fare, senza dire altro, aspettando che si calmasse. 
A poco a poco i singhiozzi si ridussero e Acqua ricominciò a respirare regolarmente, sospirando di quando in quando. Infine sciolse l’abbraccio, recuperando in quel momento un briciolo di vergogna a farsi vedere in quello stato da Celeste. Si asciugò velocemente gli occhi, mantenendo lo sguardo basso. L’altra si alzò in piedi e le offrì una mano. 
– Bene, ora dobbiamo liberare i prigionieri. Ce la fai? – le chiese. Acqua le prese la mano e accettò di buon grado l’aiuto per alzarsi. Annuì in modo quasi impercettibile, ma non riuscì a nascondere una certa aria interrogatoria sentendo quel “dobbiamo” al plurale. 
– Non preoccuparti ora, ti spiegherò più avanti. – rispose sbrigativa Celeste, e ad Acqua non dispiacque il fatto di non doversi fare troppe domande. Era troppo stanca per poter veramente far funzionare il cervello. Seguì la bruna nella stanza adiacente, dove si diresse con passo spedito verso uno dei prigionieri. Celeste pose le mani sul ghiaccio e questo iniziò a gocciolare, sciogliendosi, fino a creparsi e cadere al suolo. Acqua si affrettò ad imitarla, mettendosi all’opera coi i prigionieri a fianco. 
Celeste nel frattempo aveva quasi finito col primo uomo, e Acqua con la coda dell’occhio la vide fermarsi e iniziare a fare strani movimenti con le braccia, indirizzata al suolo. Il pavimento cominciò a tremare lievemente, per poi incresparsi e spaccarsi: una lastra di roccia fluttuava a mezz’aria ai piedi di Celeste. Subito la barella improvvisata si ricoprì di bolle, e la ragazza finì di liberare l’uomo e ve lo adagiò sopra con dolcezza. Gli sentì il polso, e un piccolo sorriso comparve sul suo volto. Nello stesso istante, una cornice di piccole fiamme si creò intorno al corpo dell’uomo dormiente, per mantenerlo al caldo. 
Acqua era esterrefatta dalle abilità di Celeste, non aveva mai sentito nulla di simile. La sua mente cominciò a vagare, pensando a tutte quelle volte che aveva creduto di aver visto qualcosa di speciale in lei, a tutte le volte in cui Max parlava di lei con gli occhi che brillavano. Ora forse capiva il perché di tutti quegli incontri e tutti quei segreti, o almeno cominciava ad intuirlo. 
Si riscosse dai quei pensieri, accorgendosi che la rallentavano. Avrebbe pensato più tardi, ora era il momento di portare quelle persone a casa, anche se il suo corpo esausto aveva esaurito le energie. Le due ragazze continuarono a lavorare in silenzio, Celeste velocissima e Acqua che arrancava dietro di lei, facendo quello che le sue ultime forze le permettevano. Ogni volta che cambiavano stanza, ora, uno stuolo di barelle le seguiva, spostate sempre da Celeste. Purtroppo non mancavano i letti senza alcun fuoco a scaldare il corpo, perché non c’era più nulla da scaldare. Le persone a cui Darcon aveva rubato i poteri erano perse per sempre; ma non per questo non ne avrebbero riportato i cadaveri alle famiglie.
Arrivarono infine alla stanza con la statua della regina al centro. Acqua rimase a guardare, senza riuscire a muovere un muscolo, mentre Celeste scioglieva il ghiaccio e adagiava la madre su una barella. Osservava quel volto sconosciuto e al tempo stesso così famigliare, mentre Celeste le toccava il polso e una fila di fiammelle comparivano attorno alla donna. Gli occhi di Acqua si riempirono di lacrime di commozione.
– Finisco io qua, tu vai pure da Max. – le disse Celeste, con un sottile sorriso di incoraggiamento. Acqua annuì, nascondendo di nuovo gli occhi lucidi, e si avviò con passo incerto verso la stanza successiva. Max era lì, immobile nella sua crisalide ghiacciata come se non fosse passato un istante dall’ultima volta che lo aveva visto. Quante cose erano successe, invece. 
Il ragazzo aveva gli occhi chiusi, ora. Acqua pose le mani in corrispondenza delle sue guance e scavò a fondo nelle sue ultime energie per riuscire a captare di nuovo il ghiaccio e farlo sciogliere. Aspettò con pazienza che le goccioline scendessero una ad una, mentre lo strato di ghiaccio si assottigliava lentamente e le sue mani si avvicinavano al viso di lui. La prigione iniziò a crepare e i cristalli di ghiaccio caddero a terra fino a liberare completamente il detenuto. La sua testa era abbandonata e i muscoli completamente rilassati, rimaneva sollevato da terra solo perché trattenuto dalle catene di roccia che lo inchiodavano alla parete. 
Le mani di Acqua arrivarono finalmente a toccargli il volto. Lei prese ad accarezzarlo, sentendosi come in un sogno. Le dita gli sfiorarono dapprima gli zigomi, passando incredule a scostargli i capelli dalla fronte. Il ragazzo ebbe un piccolo sussulto, e lentamente, con estrema fatica, aprì gli occhi. Si fissarono dolcemente senza una parola per qualche istante, mentre gli occhi di Acqua si riempivano di nuovo di lacrime e il viso di Max si illuminava.
– Sapevo che ce l’avresti fatta. – le sussurrò, anche se ogni parola gli costava una fatica immane. Acqua ridacchiò, lasciando che le sue mani continuassero a tracciare linee sul volto di lui. Le loro fronti si avvicinarono, fino a appoggiarsi l’una sull’altra, con immenso sollievo. Sentivano i loro respiri mescolarsi, voraci e cauti insieme. All’improvviso ci fu un colpo secco, e Max cadde liberato dalle catene. Riuscì a malapena a reggersi in piedi e finì per rovinare addosso ad Acqua, che non poteva dire di avere un equilibrio saldo. Fu un miracolo se non precipitarono a terra entrambi, ma in qualche modo quel maldestro abbraccio trovò la sua stabilità.
– Grazie, Les! – disse Max, con uno sguardo veloce verso la stanza adiacente, ma tornò subito a rivolgere tutte le proprie attenzioni ad Acqua, incapace di fare a meno di lei. Rimasero stretti per un tempo infinito, aggrappati l’uno all’altra come se da quello fosse dipesa la loro stessa vita. I loro corpi sembravano volersi fondere come a dimenticare di essere mai stati separati; le braccia si avvinghiavano all’altro con una forza impensabile per delle membra così esauste, ma l’esaltazione febbrile del ritrovarsi insieme vinceva la spossatezza. E fu con estrema naturalezza che i movimenti dolci delle carezze guidarono le loro labbra a incontrarsi in un bacio a lungo desiderato, con un trasporto tanto straordinario da riempire il loro mondo. 
Era così intenso e vivo e meraviglioso che dimenticarono tutto il resto, lasciando sfumare nel vuoto tutto ciò che non era semplicemente loro due, uniti.
– Avete finito, voi due piccioncini? – li interruppe Celeste con un tono che avrebbe voluto essere neutro, ma non nascondeva un briciolo di irritazione. – Avrei bisogno di una mano. – 
Acqua e Max dovettero separarsi, sebbene a malincuore, scambiandosi un sorriso complice. La principessa si assicurò che il ragazzo riuscisse a stare in piedi, mentre lui lanciava uno sguardo dispiaciuto verso Celeste. Lei procedeva nel suo lavoro, apparentemente indifferente, circondata dalle barelle dei prigionieri come una specie di dea della morte. Acqua non le fu di quasi nessun aiuto, considerando le condizioni in cui versava, ma cercò di darsi un contegno e fece il possibile per collaborare. Quando uscirono dalla grotta, seguiti dallo stormo dei prigionieri addormentati, era notte fonda. 
Celeste si assicurò che tutti fossero abbastanza lontani dall’ingresso di quel luogo terribile, per poi dar loro le spalle e fare qualche passo in avanti. Sembrava veramente una creatura sovrannaturale quando la terra cominciò a tremare obbedendo ai suoi comandi, sempre più forte man mano che lei sollevava le braccia. Il terremoto costrinse Acqua e Max ad appoggiarsi alla parete opposta per non cadere, mentre Celeste, a proprio agio nel caos della natura, abbassava le braccia con forza, facendo crollare la grotta e tutto ciò che la circondava, rendendola null’altro che un cumulo di macerie. Quando il pulviscolo della frana si dissolse e Celeste ne uscì senza battere ciglio, il gruppo si avviò verso la lunga marcia di ritorno.

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Capitolo 43
*** Vincitori e vinti ***


Capitolo 43
Vincitori e vinti

La notte circondava il loro incedere lento nel deserto. Celeste rimaneva in testa al gruppo, seguita dallo stormo delle barelle, in mezzo al quale arrancavano Max e Acqua. I due procedevano insieme in silenzio, sostenendosi a vicenda con le braccia attorno alle spalle dell’altro o a cingerne la vita. Era impossibile capire chi sorreggesse chi, perché erano entrambi così malridotti da non riuscire a sorreggere nemmeno sé stessi. Ma Max era stato irremovibile nel rifiutare una barella, pur di rimanere al fianco di Acqua, anche se quel viaggio sembrava non avere mai fine. 
La vista cominciò ad annebbiarglisi, ma cercò di non dare peso alla cosa, nonostante trascinare gli arti si fosse fatto sempre più faticoso. Incespicò una prima volta, evitando per un soffio una caduta rovinosa. Acqua fu quasi trascinata a terra, ma riuscì a mantenere salda la presa sul ragazzo impedendogli di cadere. Max si scusò velocemente, riprendendo a camminare in silenzio. Continuavano a seguire Celeste, che camminava come se non fosse successo nulla. Il bagliore delle fiammelle sui letti di roccia rischiarava di poco l’atmosfera attorno a loro, rendendo il buio un po’ meno fitto. Non passò molto tempo però prima che Max avesse un altro mancamento e cadesse in ginocchio, sorretto solamente dalle deboli braccia di Acqua a sostenergli il busto. Le barelle si arrestarono all’istante, mentre Celeste si voltava, rabbiosa. 
– Vuoi smetterla di fare l’eroe per una volta e ascoltarmi? – sbottò, e senza nemmeno attendere una qualsiasi reazione da parte sua, creò un altro lettino e aiutò Acqua ad adagiarvelo sopra. Una volta sistemato, Max rivolse un sorriso mesto alle due ragazze chine su di lui. Celeste ricambiò con uno sguardo trionfale e lo congedò con una pacca sulla spalla, riprendendo la sua posizione in testa al gruppo. Acqua rimaneva al fianco di Max, che alternava attimi di lucidità a momenti di dormiveglia. Ma le loro mani non si staccavano mai. 
Era quasi l’alba quando giunsero in vista delle mura della città; un chiarore rassicurante si diffondeva nell’atmosfera, rendendo tutto più sopportabile. Ciononostante, per Acqua cominciava ad essere veramente difficoltoso andare avanti, e la distanza che percorsero fino alle porte della città le sembrò infinita. Contemplò i pesanti portoni delle mura aprirsi, sentendosi come in trance, e in quello stesso stato di incredulo smarrimento varcò la soglia di Atlantis. 
Le strade brulicavano di vita, ospitando nelle prime luci della mattina tutte le persone che riuscivano a contenere. Tutti si erano riversati in strada non appena la notizia si era sparsa, troppo incredibile per essere trattenuta. La guerra era finita, i Cavalieri erano ridotti a cumuli di fango e detriti ai lati della strada, Darcon era stato sconfitto. Acqua avanzava, confusa ed esaltata insieme. Il cervello le suggerì che Max avesse comunicato mentalmente con qualcuno e avesse riferito l’accaduto; chissà, forse proprio alla zia. Di fatto, tutti in strada parevano sapere, e l’atmosfera già di per sé festosa si fece euforica e incontenibile al comparire della principessa, del Generale, e dei prigionieri salvati. 
Immediatamente la folla li circondò, trascinandoli con sé nei festeggiamenti chiassosi di un popolo che ritorna a vivere. Acqua si sentiva sopraffatta da tutte quelle voci che la acclamavano, quei canti che la invocavano, mani che cercavano di raggiungerla, regalandole una carezza, un ringraziamento. Ovunque era un tripudio di gioia, vitalità, schiamazzi ed esultanza. Si sentiva sballottata di qua e di là, in preda all’euforia, incapace di reggersi in piedi. Colse fugacemente lo sguardo preoccupato di Celeste, e qualche secondo dopo Acqua percepì la morbidezza di un letto di bolle sotto di sé e vide il mondo dal basso; in quell’annebbiamento continuarono a passarle davanti agli occhi immagini frammentate di persone, volti, mani, corpi che si protendevano, la cercavano, la celebravano. Credette di distinguere tra la folla i visi di Corallina ed Henri, ma non fu capace di separare illusione e realtà. Riuscì solo ad abbandonarsi al riposo, sprofondando finalmente nell’incoscienza del sonno, cullata e traportata dalla gioia del suo popolo libero.
 
***

Celeste camminava sola per le vie della città. Aveva un’infinità di altre faccende da sbrigare, ma per il momento si crogiolava nel sollievo di aver portato a casa sani e salvi sia Max e Acquamarina che tutti i prigionieri di Darcon. Aveva lasciato questi ultimi al quartier generale dell’esercito, perché l’ospedale era troppo sovraffollato per ospitarli tutti e, a dir la verità, ancora preferiva tenersi alla larga da quel luogo. Aveva incaricato alcuni dei suoi sottoposti di prendersi cura degli ex prigionieri, informare le famiglie e gestire il loro ritorno a casa; si stava proprio allontanando dalla caserma per incamminarsi verso la prossima incombenza, quando vide in lontananza suo fratello sbucare da una via secondaria. 
Il suo cuore si riempì di gioia vedendolo e fu sul punto di chiamarlo, quando si accorse che qualcosa non andava. Alicarnasso si dimenava agitando la spada davanti a sé, e una frazione di secondo dopo dal vicolo emerse un’altra figura. Celeste si sentì mancare, riconoscendo vagamente la corporatura allampanata di Julian. Max l’aveva messa in guardia! L’aveva avvisata, poco dopo essere stato catturato, che quell’essere aveva vita propria, e lei lo aveva dimenticato come una stupida! 
Cominciò a nuotare velocissima chiamando a gran voce il nome del fratello, ma non ebbe il tempo di fare nulla. Vide la scena come se il tempo si fosse fermato, mandandole le immagini al rallentatore mentre lei rimaneva inchiodata, inerme. Julian aveva scagliato una lancia con una forza sovrumana, e Celeste la vide distintamente penetrare la carne di Alicarnasso, trapassandogli l’addome da parte a parte; vide i suoi occhi sbarrarsi, la bocca socchiudersi a liberare una nuvoletta rossa, l’acqua attorno a lui colorarsi di sangue. Celeste esplose di rabbia, furibonda, e scatenò tutta la propria potenza contro quell’abominio di essere umano a metà. Voleva cancellare dal suo volto quel sorrisino beffardo di trionfo, metterlo a tacere per sempre, proprio come l’uomo che lo aveva creato. Senza stare a pensare un secondo, sollevò la terra intorno a lui a creare spuntoni di roccia che lo immobilizzassero, impedendogli ogni fuga. Con foga, prese a investirlo di lingue di fuoco, incapace di contenere la furia che l’aveva assalita. 
– Muori, bastardo! – gridò a pieni polmoni, mentre creava senza sosta lame di ghiaccio che lo trapassavano ovunque. – Non continuerai a portarmi via le persone che amo! – sentenziò la ragazza, accorgendosi solo qualche istante più tardi che nella sua collera cieca lo aveva già ucciso e non stava facendo altro che infierire sul cadavere. Ma aveva qualcosa di meglio a cui pensare. Lasciò in fretta che la roccia cadesse, scaraventando a terra il corpo martoriato di Julian e lasciando il fuoco a divorarlo. Il suo interesse per lui svanì in un istante.
Alicarnasso dietro di lei rantolava sul selciato, cercando di raggiungere con le dita la lancia piantata nel ventre. Celeste si precipitò al suo fianco, afferrandogli saldamente le mani impregnate di sangue.
– Fermo Nass, fermo, lascia fare a me. – sussurrò, prendendo ad armeggiare febbrilmente con un coltellino per cercare di tagliare via almeno la parte superiore della lancia. Cercò di fare il suo meglio per fermare il tremolio incontrollabile delle proprie mani, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Le sue orecchie erano piene del respiro affannoso e dei gemiti del ragazzo, ed era impossibile ignorarlo.
– Ci penso io a te, non ti preoccupare, andrà tutto bene. – mormorava Celeste, come in una litania senza fine, le cui parole cominciavano a perdere significato anche per lei. Trafficò col mantello per cercare di toglierselo il più velocemente possibile, e dopo averlo arrotolato lo premette con forza sulla ferita. Il ragazzo gemette, il volto deformato dal dolore. Fu estremamente difficile per lei mantenere salda la presa, sapendo che gli stava procurando una sofferenza indicibile; ma era il meglio che poteva fare.
– Les, lascia perdere. – rantolò lui con estrema fatica. Gli occhi cominciavano  a velarglisi, ma Celeste non voleva arrendersi. Non poteva permettere che suo fratello morisse così, sotto i suoi occhi.
– Scordatelo Nass, non ci pensare nemmeno! – sbraitò, cercando di tenere a freno il panico montante. Gli prese una mano e la strinse forte, cercando di trasmettergli sicurezza. – Dobbiamo solo stabilizzare la situazione, poi ti porterò all’ospedale e andrà tutto bene. – ripeté, imponendosi di essere forte. Ma nello stesso momento percepì con chiarezza la sensazione del sangue che imbeveva il tessuto nell’altra mano. 
– Non c’è niente da fare, Les. – biascicò Alicarnasso, la voce sempre più debole. No, no, Celeste si rifiutava di crederlo. Continuava ostinatamente a premere sulla ferita illudendosi che stava migliorando, che ce l’avrebbe fatta.
– Non lo dire neanche per sogno, idiota. – piagnucolò lei, sentendo il suo mondo farsi a pezzi e cominciare a precipitare. Alicarnasso ripeteva continuamente il suo nome come se fosse l’unica cosa che lo teneva ancorato alla vita. Fu allora che Celeste realizzò, in un lampo di terrore, che i suoi sforzi non sarebbero bastati. Urlò fino a sentire la gola bruciare, invocando disperatamente aiuto nella speranza che qualcuno sarebbe accorso presto. Gridò con tutta la voce che aveva, e l’eco rimbombò sordo lungo il vicolo. Non tutto era perduto… 
Gradualmente il respiro del ragazzo si fece fragile, da affannoso che era, e Celeste si ritrovò ad osservarlo disperata allungare le dita verso il volto della sorella. Lei appoggiò la guancia sul suo palmo senza una parola e circondò la mano con la sua. Lo guardava supplicante, cercando di rimandare indietro le lacrime e mostrarsi forte per lui. Un sorriso debole illuminò il volto del fratello, mentre fissava gli occhi nei suoi. Il cuore di Celeste perse un battito.
– Ti voglio bene. – rantolò il ragazzo. E improvvisamente la sua mano si fece pesante e i suoi occhi vagarono nel vuoto, privi di ogni espressione come se fossero stati fatti di cristallo.
– No! – gridò Celeste, saturando l’aria del proprio dolore, mentre le lacrime le inondavano prepotenti il viso. Continuò a ripeterlo all’infinito, tra i singhiozzi, e lo scosse per le spalle, cercando in ogni modo di farlo tornare in sé. Ma era tutto inutile. Lo sguardo rimaneva vacuo, il corpo inerte, e Celeste non riuscì a fare altro che accasciarsi sul petto del fratello, abbandonandosi a un pianto disperato.

Klio e Phatro avevano sentito le grida da lontano, ma non erano riusciti a capire da dove venisse quella straziante invocazione d’aiuto. Era già passato troppo tempo quando arrivarono a distinguere la figura di Celeste ripiegata a terra sul cadavere di un ragazzo. Si scambiarono uno sguardo preoccupato e fu solo dopo essersi avvicinati ancora che riuscirono a distinguere in quel volto deturpato dal dolore e dalla morte i bellissimi tratti del fratello della ragazza. Phatro si lasciò sfuggire un’imprecazione tra i denti, ma fu subito trattenuto dal braccio arabescato di nero di Klio. La ragazza gli fece cenno di avere un po’ più di riguardo, e gli intimò con uno sguardo severo di rimanere al suo posto, mentre lei si accovacciava senza far rumore a fianco di Celeste. 
– Mi dispiace molto. – le sussurrò, senza ottenere alcuna reazione. Attese qualche istante, poi le cinse le spalle per offrirle un qualsiasi supporto. Tutto quello che ottenne fu un leggero ringhio tra i singhiozzi, mentre Celeste si liberava dalla sua presa. Klio lanciò un breve sguardo a Phatro, in piedi dietro di loro, e non fece altro che appoggiare una mano sulla schiena  tremante di Celeste, per farle sapere che c’era. Passarono così un tempo infinito. Fu quando i tremiti e i singhiozzi si furono un po’ calmati, che Klio riprovò a parlare.
– Ti aiutiamo a portarlo a casa? – sussurrò, cauta. Celeste si raddrizzò di scatto a fissarla negli occhi, sconvolta. 
– A casa? – ripeté, ansimando. Il suo volto si fece duro, come irrigidito da una collera inspiegabile. – Con che coraggio lo porto a casa? – sibilò tra i denti, mentre Klio la fissava interdetta. – Io dovevo salvarlo! – gridò Celeste; intorno a lei un’improvvisa esplosione d’acqua scagliò Klio e Phatro lontano sul selciato. Il ragazzo si risollevò in piedi non senza difficoltà, stordito dall’impatto, e offrì un aiuto a Klio per rialzarsi; aiuto che venne prontamente ignorato. Celeste era inginocchiata accanto al corpo, la testa incassata nelle spalle scosse dai singhiozzi. 
– Vogliamo solo aiutarti! – sbottò il ragazzo, avanzando di qualche passo.
– Non puoi rimanere qui per sempre. – aggiunse l’altra, con tono dolce.
Celeste si voltò di nuovo, e il suo aspetto fece gelare il sangue ad entrambi. Il corpo di lei non smetteva di essere scosso dalle convulsioni, le mani strette in pugni erano insanguinate, così come i gli abiti e il volto incrostato di sangue, sudore e lacrime. I muscoli del viso erano contratti allo spasimo, e gli occhi sbarrati traboccavano di sofferenza. Phatro e Klio fecero appena in tempo ad abbassarsi  per schivare lingue di fuoco e lame di roccia dirette nella loro direzione. 
– Lasciatemi in pace! – il grido di Celeste risuonava nell’aria. Era completamente fuori di sé, stava sragionando, ed era troppo anche per lei. Phatro riuscì a slanciarsi verso di lei braccandola prima che potesse utilizzare di nuovo i poteri; Klio lo raggiunse poco dopo, aiutandolo a immobilizzarla. La ragazza si divincolava come un animale ferito, con una furia incontenibile. I due ragazzi fecero del loro meglio per trattenerla, ma era un’impresa quasi impossibile. Con un urlo disumano, Celeste riuscì a tirare un forte strattone per liberarsi le braccia. Il colpo fu così forte che quasi rovinò a terra, ma si rialzò subito correndo verso il fratello e gettandosi carponi accanto al suo corpo. I due ragazzi erano sfiniti, col respiro corto e doloranti per i pugni e i calci che Celeste aveva inferto loro. La ragazza dal braccio tatuato si pulì sul dorso della mano il sangue che fuoriusciva dal labbro rotto. 
– A mali estremi, estremi rimedi. – sentenziò, aprendo la bisaccia che teneva fissata attorno alla cintura. Ne estrasse una siringa di sedativo, e scambiò un cenno d’intesa con Phatro. I due si avvicinarono lenti e circospetti alla figura rannicchiata di Celeste, che stringeva convulsamente il corpo del fratello. Come prima, il ragazzo riuscì a farla alzare e tentò di immobilizzarla. Celeste si sentì arpionata da una forza esterna, troppo forte. Tentò di divincolarsi, tirando calci e pugni indiscriminatamente, urlando come una forsennata.  
– No! No!! – strepitava, come impazzita. La gola le bruciava. 
Phatro fu colpito numerose volte, ma riuscì a mantenere la presa, aiutato anche da Klio. Sembrava quasi che la volontà di Celeste si stesse affievolendo, anche se continuava a lottare con la stessa determinazione. C’era solo il fratello nei suoi pensieri, suo fratello che era lì davanti a lei, ma che le sue braccia non riuscivano a raggiungere.
– Fermi! – strillò di nuovo, sentendo che la stavano trasportando indietro, lontano da lui. 
– Non me lo portate via!! – urlò, si dimenò infuriata, lamentandosi sempre di più. Celeste sentì che i due tentavano di stringere la presa, ma stavano faticando e non ce l’avrebbero fatta ancora per molto. 
– Mi dispiace, Celeste. –  le sussurrò all’orecchio la ragazza, stringendo la presa. Rimase confusa: si riferiva a suo fratello o a cosa..? Poi sentì vagamente una mano fredda sulla spalla e qualcosa di piccolo pungerle il collo, ma capì troppo tardi. Riprese a lottare con tutte le forze che aveva, un animale in trappola. 
– No! Non me lo portate via! – implorò di nuovo, ma la voce le morì in gola. Il suo corpo lentamente non le rispose più, la sua volontà divenne sempre più debole. La droga la fece scivolare lentamente nel sonno, e l’allontanò dalla realtà. L’ultima cosa che Celeste vide fu il cadavere di suo fratello.
 
***

Acqua si svegliò di soprassalto, gridando istintivamente il nome di Max. La testa pulsava e le ci volle più di qualche momento per realizzare, ansimante e col cuore a mille, che si trovava nella sua camera da letto. La morbidezza delle lenzuola e la familiarità di tutto ciò che la circondava la tranquillizzarono velocemente. Accarezzò le coperte, come a sincerarsi che fosse tutto vero e che non si trattasse di un sogno. Il ricordo di ciò che era successo la travolse con prepotenza, lasciandola orgogliosa e disorientata allo stesso tempo. Il suo sguardo si volse all’ampia finestra, da cui spesso aveva osservato le luci delle ronde notturne sulle mura. Era giorno ora, e sulle mura il via vai era notevole, ma vitale. E nonostante diverse parti della città fossero distrutte, si percepiva l’energia della rinascita. Mentre Acqua rimaneva in contemplazione del mondo fuori dalla finestra, senza muovere un muscolo, la porta della stanza si aprì. Acqua si voltò ad incontrare il volto gioioso della cugina, che non perse tempo e si gettò ad abbracciarla.
– Santo cielo, Acqua, non sai quanto sono felice che tu sia viva! – esclamò, senza riuscire a nascondere una nota di commozione nella voce. Acqua la strinse più forte che poté, incredibilmente grata di essere ancora in grado di farlo. 
– Anche io lo sono. – rispose, ridacchiando, mentre Corallina si allontanava regalandole il sorriso più raggiante che avesse mai visto. E subito dopo la colpì con un pugno alla spalla. 
– Ahi! – si lamentò Acqua, incredula.
– Questo è per essere un’egoista irresponsabile che si getta nelle braccia della morte senza nemmeno un minuscolo avvertimento. – spiegò la rossa in tono provocatorio, sfoggiando un sorriso angelico. 
– Ok, potresti aver ragione. – concesse la principessa. Dopo un altro lunghissimo abbraccio, Corallina la informò che zia Olimpia era ancora occupata in città, com’era ovvio, e che sarebbe stato suo compito prendersi cura di lei. 
Le spiegò che le aveva tolto uno ad uno i pezzi dell’armatura, che ora giacevano abbandonati in un angolo della stanza, ma non aveva potuto fare molto altro mentre stava dormendo. Acqua si accorse solo in quel momento che indossava ancora gli abiti sbrindellati, infangati e impregnati di sangue della battaglia, e sporgendosi per vedersi nello specchio incontrò un viso stravolto e sporco, incorniciato da una matassa di capelli aggrovigliati. Accettò di buon grado l’aiuto della cugina per alzarsi e si lasciò travolgere dal suo entusiasmo mentre si adoperava a renderla di nuovo un essere umano degno di quel nome. Mentre le spazzolava i capelli, Corallina le raccontò di quello che era successo in sua assenza, di come si fosse precipitata da Henri per scoprire che cosa aveva fatto, e della sua immensa sorpresa per il potere del ragazzo. 
– Non me lo sarei mai aspettato da lui! – commentò a riguardo, scuotendo lievemente la testa. Si accontentò di un sorrisino da parte di Acqua, capendo che forse non aveva così tanta voglia di parlare. Dal canto suo, la principessa si godeva il racconto, trovando bellissimo essere resa partecipe degli sforzi di Corallina ed Henri. Era così fiera della cugina! Ascoltò il resoconto del lavoro all’ospedale con immenso interesse, per poi apprendere dello scompiglio con cui si era diffusa la notizia che i Cavalieri si stavano disgregando nel nulla. La città aveva vissuto sospesa in un’incertezza piena di speranza, fino a quando dal quartier generale dell’esercito era stata confermata la sconfitta di Darcon ad opera della principessa. Zia Olimpia ne aveva ricevuto il messaggio direttamente dai pensieri di Max. 
– Anche io ho saputo ora di questo potere, Acqua, altrimenti te l’avrei detto. – ci tenne a precisare Corallina, per poi procedere nel racconto dei festeggiamenti, e di come tutti si erano riversati lungo la strada che portava al castello non appena si era appreso dell’arrivo dei salvatori. 
– Sembravi appena uscita dall’inferno, Acqua, circondata da tutti quei prigionieri addormentati. Un demonio che cammina! Eppure non ti ho mai vista così potente, nonostante tutto. – commentò la rossa, con gli occhi che brillavano. 
– E Celeste? Ci sono rimasta di stucco! Chi l’avrebbe mai detto che quell’odiosa sarebbe stata utile a qualcosa? – commentò poi, fermandosi appena incrociò lo sguardo serio di Acqua. 
– Sai, credo che l’abbiamo giudicata troppo duramente. – disse lei, mesta. – Non merita nessuna critica affrettata. Senza contare che sono qui grazie a lei. – 
Corallina rimase in silenzio, imbarazzata. Acqua le promise che le avrebbe spiegato ogni cosa, e raccontato ogni minimo particolare della sua impresa; solo, non in quel momento, perché ancora non ce la faceva. Corallina si dimostrò comprensiva e insolitamente disposta ad attendere. La aiutò ad indossare un abito leggero e svolazzante, candido se non per qualche venatura rosa qua e là. Acqua si sentiva rinata, e in una maniera lievemente ironica quella serie di piccoli rituali le aveva ricordato uno dei suoi primi incontri con la cugina. Presto fu pronta a lasciare la stanza, e seguì con impazienza Corallina fino all’ala normalmente inutilizzata del castello, dove ora riposava la regina. 
Arrivata davanti alla porta, Corallina invitò Acqua ad aspettare e aprì l’uscio quel tanto che bastava per infilare la testa nella stanza. Quando si ritirò, Corallina diresse alla cugina un sorrisino compiaciuto, e si dileguò salutandola con la mano. Acqua aveva appena distolto lo sguardo dalla sua figura appena scomparsa dietro l’angolo, quando la porta socchiusa si aprì lentamente e ne uscì Max. Aveva una cera decisamente migliore, e gli occhi brillanti di gioia. Si abbracciarono con trasporto, tra sospiri di sollievo e risatine euforiche. Acqua si aggrappava a lui, mentre Max la tempestava di baci.
– Sei la mia salvatrice. – le mormorò dolcemente all’orecchio, per poi piegare la testa all’indietro a guardarla negli occhi. Lei gli gettò le braccia al collo, lasciando che l’afferrasse per la vita e la sollevasse alla sua altezza.
– E tu sei la ragione per cui ho lottato. – rispose, sostenendo il suo sguardo con estrema gioia. Le loro fronti riposarono l’una sull’altra a lungo, prima che il loro abbraccio si sciogliesse e Max facesse scivolare le dita fra quelle di Acqua, conducendola in silenzio dentro la camera semibuia. 
La ragazza entrò col cuore in subbuglio, ma la prima immagine che vide la riempì di tenerezza. Celeste era addormentata a gambe incrociate su una sedia, con le braccia strette in grembo e la testa abbandonata all’indietro, la bocca aperta. Acqua sorrise, piena di gratitudine, e si fece trasportare da Max verso l’enorme letto, al capezzale della madre circondata dai cuscini. 
– Sta bene, serve solo tempo perché si riprenda. – le sussurrò Max, posando un braccio attorno alle spalle di lei. Acqua rimase in silenzio, senza parole. Osservava la madre dormiente con una singolare sensazione di familiarità, eppure provava uno strano distacco. Dopotutto, era una sconosciuta. 
Max la guidò verso un divanetto accanto a Celeste, dove si sedettero l’uno a fianco dell’altra, abbracciati. 
– Celeste è crollata poco fa. – mormorò Max. – Abbiamo parlato molto, prima che tu arrivassi, ti dobbiamo un sacco di spiegazioni. Ma ti giuro che appena si sveglierà ti diremo ogni cosa.  – aggiunse, con tono mortificato. Acqua si strinse nelle spalle.
– Posso aspettare ancora un po’. – replicò, crogiolandosi nell’abbraccio. Lui l’accarezzò su una spalla per qualche istante, pensieroso.
– Acqua, scusa se rovino il momento, ma te lo dico ora per non essere indelicato con lei dopo. – bisbigliò Max, con un lieve cenno del capo verso la ragazza assopita accanto a loro. – Alicarnasso è stato ucciso da Julian, poco dopo il nostro ritorno. – Acqua si rizzò immediatamente a guardarlo in volto, gli occhi sbarrati. 
– Celeste è distrutta, anche se non lo darà mai a vedere. Non menzionarlo, per   ora. – terminò Max. Acqua ritornò ad accucciarsi al suo fianco, annuendo mentre cercava di trattenere le lacrime.
– Non ce l’avrei mai fatta senza di lui. – mormorò infine, lasciando che le parole cadessero nel silenzio della stanza colma d’attesa.

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Capitolo 44
*** Le tre profezie ***


Capitolo 44
Le tre profezie

La stanza era ancora immersa nel silenzio, quando Celeste ebbe un sussulto e si svegliò. Si stropicciò gli occhi, e solo dopo essersi profusa in uno sbadiglio gigantesco sembrò tornare alla realtà. Si volse a fare un confuso cenno di saluto a Max e Acqua, ricevendo in cambio un sorriso da lei, e si alzò lentamente dalla sedia, sentendo il corpo pesantissimo. 
– Ho bisogno di fare due passi per sgranchirmi. – bofonchiò, con la voce ancora impastata dal sonno. Acqua la osservò mentre si trascinava fuori dalla stanza, senza aggiungere altro. La porta si chiuse, leggera, e qualche istante passò prima che Acqua sentisse Max soffocare una risatina. Si rizzò ad osservarlo, divertita, mentre lui scuoteva la testa.
– Celeste si è appena ricordata che è arrivato il momento delle spiegazioni. – spiegò lui. – E mi ha implorato di cominciare senza di lei. – continuò, alludendo ad una comunicazione a distanza appena conclusa. 
– Sarà così terribile? – chiese Acqua, preoccupata. Max sorrise, questa volta mesto.
– No, più che altro sono argomenti che Celeste preferirebbe evitare. – rispose, rimanendo un attimo assorto dai pensieri. Acqua non poté fare a meno di trovare deliziosamente tenera quella sua espressione corrucciata.
– Ma tu non preoccuparti. – le sussurrò lui infine, riscuotendosi, e nel silenzio calò sulle sue labbra con un bacio delicato. Le sue dita si insinuarono tra quelle di Acqua, e le strinsero con forza e dolcezza. Non si accorsero del tempo che passava, nonostante Celeste avesse avuto bisogno di più di qualche minuto per riprendersi. Quando rientrò nella stanza della regina, sembrava sicuramente più vigile, ma l’ombra nera sotto gli occhi iniettati di sangue persisteva. Si diresse con calma verso Acqua, prima ancora di avvicinarsi alla propria sedia.
– Questo è tuo, l’ho ritrovato nella grotta. – le disse, porgendole il braccialetto dorato di cui Acqua aveva quasi scordato l’esistenza. La ringraziò mentre lo infilava al polso, colpita all’improvviso dalla nostalgia per quella che ormai non era più la sua casa. L’unico vero rimpianto che aveva era quello di aver abbandonato sua madre sulla Terra, e in un istante Acqua si ripromise di andare a prenderla non appena avesse avuto la certezza della guarigione di Azzurra. Cercò di relegare il senso di colpa in un angolino nascosto dei propri pensieri, per potersi concentrare sul presente. Si accorse in quel momento che Celeste e Max si fissavano senza una parola, evidentemente assorti in un’altra conversazione muta. Acqua ammise a sé stessa che quell’abitudine le dava alquanto ai nervi; ma poco dopo Celeste si abbandonò sulla sedia, lanciando un’occhiata eloquente a Max per spronarlo a parlare. 
– Da qualche parte dovremo cominciare. – sibilò, sorniona, rendendo chiaro che non sarebbe stato compito suo.
– E va bene. – sbuffò il ragazzo. Si schiarì la voce, raddrizzandosi sul divano e poggiando un braccio attorno alle spalle di Acqua.
– Ci sono tante cose che ti abbiamo tenuto segrete, Acqua.  – esordì. – Ti giuro che non l’avrei fatto se non l’avessi creduto necessario, e in parte lo era. In parte però si tratta solo di una mia ingenua speranza che le cose potessero andare diversamente, come già ti ho detto nella grotta. Ho sbagliato a questo proposito, e me ne sono reso conto solo dopo. Ma spero che dopo aver ascoltato tutto quello che stiamo per dirti capirai i nostri (e i miei) motivi. – Celeste annuì dalla sua sedia, sostenendo senza imbarazzo lo sguardo di Acqua, che rimase in silenzio. Max proseguì.
– Noi tre siamo legati da tre diverse profezie, svelate quando siamo stati messi al mondo. È il Saggio a formulare queste profezie, che gli giungono sotto forma di visioni inviate dal Dragone. Di solito è raro che riguardino singole persone, perché la maggior parte delle volte le visioni del Saggio riguardano il futuro di tutti noi. Ma noi tre siamo da sempre stati strettamente legati al futuro di Atlantis, ognuno di noi in un modo diverso. Comincerò dalla mia profezia. – Acqua annuì, lievemente turbata, e fissò lo sguardo negli occhi di Max, che le sorrise e ricominciò il racconto. 
– La mia famiglia non era particolarmente speciale, una normale famiglia del popolo, abituata a restare ai margini senza essere troppo notata. Alla mia nascita, il Saggio ebbe una visione: vide che io, un bambino qualsiasi, nato dal popolo, sarei diventato il sostituto del re. Le parole che usò furono precisamente queste, ed ebbero un impatto devastante. La notizia sviluppò un certo sconcerto tra gli anziani della città e tra la gente in generale. La mia famiglia ne fu distrutta. Pochi giorni dopo la mia nascita ero già stato segnato dal destino come colui che avrebbe preso il posto del re. Giravano varie teorie a riguardo e nessuno riusciva a trovare un accordo sull’interpretazione più giusta, ma la maggior parte delle persone pensava che un giorno l’avrei o spodestato, o assassinato. I miei genitori vennero trattati come dei reietti e per un paio d’anni vissero riducendo al minimo i contatti che il mondo esterno poteva avere col bambino che avrebbe ucciso il re. L’unico che cercò di vedere la situazione da un altro punto di vista fu proprio lui, tuo padre. Pensava che se davvero ero destinato a ucciderlo, lo avrei fatto comunque; così decise che tanto valeva avermi dalla sua parte. – Max fece una pausa, sorridendo divertito. 
– Si presentò in incognito a casa dei miei genitori, accompagnato solo da Azzurra, e non mento se dico che quello fu il giorno che cambiò la mia vita. Il re mi prese sotto la sua custodia, facendo in modo di farmi visita ogni tanto, e quando cominciai a camminare i miei genitori furono obbligati a portarmi spesso al castello, in modo che potessi crescere pensando a quel luogo come a una seconda casa. Intorno ai quattro anni iniziai a capire che quando giocavo in gruppo gli altri bambini si allontanavano da me perché facevo paura ai loro genitori, e per quanto possa sembrare folle, era vero. Ma in compenso passavo molto tempo a palazzo e il re e la regina dimostravano di tenere a me. La guerra cominciava a farsi problematica anche se le battaglie erano ancora lontane, ma loto trovavano sempre il tempo per giocare con me. E poi nascesti tu, Acqua. Qualche giorno dopo cadde l’ultima città rimasta oltre ad Atlantis, inondandoci di profughi e sopravvissuti. Infine arrivarono anche i Cavalieri. Durante questa prima battaglia ero rimasto solo in casa… – Acqua sbarrò gli occhi, ricordando la sua prima visione di Atlantis e quel bambinetto solo. 
– … Sì, avevo quattro anni, ma i miei genitori non si curavano troppo di me, come avrai capito. Allora scappai, e non so come arrivai fino a palazzo. Immagino che quello fosse il mio compito. Fu la prima volta che ti vidi, il giorno in cui ti portai sulla Terra. I tuoi genitori si fidavano a tal punto di me da affidare la loro unica figlia ad un bambino di quattro anni per portarla su un altro pianeta. Non capivo quello che stavo facendo, ma Aquarius e Azzurra mi avevano affidato un compito, e deluderli era la cosa che volevo meno al mondo. Così mi sono ritrovato in uno strano posto, e ti ho lasciata sui primi gradini che ho trovato, osservandoti mentre Lyliana apriva la porta e ti prendeva in braccio. – Sembrava che Max stesse rivedendo quella scena davanti agli occhi, mentre la evocava con tono emozionato. Era improbabile che ricordasse quel momento con precisione, ma Acqua immaginò che almeno le sensazioni che aveva provato allora avevano dovuto avere un grande impatto su di lui.
– Sai, ho visto il momento in cui mia madre mi ha affidata a te. – disse la ragazza, interrompendolo per dare voce a un dubbio arrivato spontaneo alla sua mente. 
– Però nei ricordi di mio padre non ho mai visto nulla di quello che mi stai dicendo, o almeno nulla che riguardasse le profezie. – Max annuì, senza riuscire a nascondere una certa aria di colpevolezza.
– Ci siamo accordati su questo, io e lui. Nella spada ha lasciato solo una parte dei propri ricordi, e avevamo deciso che ti avremmo nascosto la parte delle profezie. – 
– Oh. Quindi molte cose non le ho viste. – realizzò Acqua, amareggiata. Max non poté far altro che annuire e ribadire le proprie scuse per quegli inutili e ingenui segreti. Ci fu un attimo di imbarazzato silenzio, prima che il ragazzo riprendesse il racconto.
– Ad ogni modo, man mano io crescevo trascorrevo sempre più tempo a palazzo. A scuola venivo sempre accantonato perché non ero una compagnia raccomandata dai genitori. Non mi pesava, però, perché sapevo di avere cose più importanti a cui pensare. Il re aveva cominciato a insegnarmi a tirare di scherma, all’inizio per gioco. Poi i nostri allenamenti divennero costanti, e mi divertivo un mondo. Tua madre mi era sempre intorno quando ero a palazzo, e in un qualche modo mi sentivo ripagato dal disinteresse dei miei genitori per me, come se avessi trovato una seconda famiglia. Quando diventai abbastanza grande mi chiesero di  viaggiare di nuovo sulla Terra, ovviamente non senza mesi di preparazioni. Quella era la parte che preferivo, perché ero certo che nessuno avrebbe mai potuto fare quello che facevo io. Venivo da te ogni giorno, poi tornavo ad Atlantis e rivelavo ai tuoi genitori tutto quello che imparavo su di te, e vedere quella luce nei loro occhi mentre raccontavo della figlia lontana mi faceva sentire speciale. – 
Acqua vagava col pensiero alla loro infanzia comune, quando passavano pomeriggi interi a rincorrersi in giardino e combinare disastri. Più volte aveva fantasticato cercando di ricostruire tutto conoscendo qual era vera vita di Max oltre i momenti passati insieme. Sembrava così strano… E sempre un pensiero faceva capolino, come anche ora: perché solo Max? Forse il ragazzo intuì cosa stava pensando Acqua, e le offrì la risposta anticipandola. 
– Loro non avrebbero potuto avvicinarsi a te, per evitare di farsi scoprire, soprattutto tua madre. In più, ripetevano sempre che non sarebbero mai riusciti a trattenersi dal riportarti a casa, una volta averti incontrata. Da lì in avanti ho sempre vissuto una doppia vita, sulla Terra e qua. Ho inventato tante di quelle bugie per giustificare con Lyliana il fatto che gironzolavo sempre per conto mio, senza compiti da fare o genitori a controllarmi. Ovviamente col tempo ho imparato a destreggiarmi, e arrivato a dieci anni potevo dire di essermi costruito una vita parallela. Trascorrevo i pomeriggi con te sulla Terra, rubando ore di sonno qui ad Atlantis, e poi mi allenavo con il re, pendendo letteralmente dalle sue labbra per qualsiasi cosa. Lo seguivo ovunque, come la sua ombra, e pian piano la gente si abituò a vedermi al suo fianco, facendo sempre meno caso al fatto che avrei dovuto essere una minaccia. Dove era lui, ero anche io. Cominciò ad insegnarmi molto più che la scherma, perché mi stava letteralmente addestrando ad essere un sovrano. E un sovrano giusto, seguendo il suo modello che mi sembrava quello di un dio sceso in terra. Non so neanche esprimere a parole quanto lo ammirassi, e quanta riconoscenza provassi per lui. Mi sento una persona orribile per questo, ma quando morì mio padre non mi sentii così male come mi sentii per la morte di Aquarius. – 
Acqua serrò le dita di Max tra le sue, senza proferire una parola. Non sapeva come fare per poterlo liberare dal quel turbamento, ma sperò che fargli sentire la propria vicinanza potesse aiutarlo, in quel momento. Max sospirò brevemente, per poi riscuotersi e voltarsi a indicare la figura minuta di Celeste.
– Quando avevo dieci anni, il re mi confidò che stava allenando anche un’altra bambina molto speciale, e così conobbi Celeste. All’inizio ero geloso, perché avrei voluto essere l’unico protetto di Aquarius, l’unica persona con cui aveva un rapporto così speciale. Ma quando ho visto per la prima volta ciò di cui era capace quella bambinetta di sei anni, ho totalmente messo da parte quei pensieri. Sembrava un angioletto a vederla, ma riusciva in pochi istanti a scatenare l’inferno intorno a lei. – Celeste cercò di camuffare un sorrisino, e Max le rivolse un sguardo divertito. 
– Così iniziammo ad allenarci insieme. Aquarius ci guidava entrambi, e allo stesso tempo insegnava a me ad essere un buon maestro per Celeste. Non sapeva quanto sarebbe servito in futuro… Quando avevo dodici anni, Aquarius insistette perché io imparassi un potere. Diceva che sarebbe stato indispensabile per me, per i compiti che mi aspettavano. Così per un po’ di tempo presi lezioni da un anziano signore, che era disposto a cedermi il potere che il Dragone gli aveva donato dalla nascita: quello di stabilire comunicazioni mentali. Quando imparai a controllarlo a dovere, si rivelò estremamente utile. Ero costantemente collegato ai pensieri del re, anche quando eravamo lontani, e continuavo ad entrare nella mente di un sovrano seguendolo in ogni suo compito. In più, il nuovo potere mi permise di entrare sempre di più in sintonia con Celeste, infatti come vedi siamo fin troppo abituati a questo genere di conversazioni, ormai. Senza contare che accorciare le distanze e i tempi di comunicazione è indispensabile in battaglia, e in quei casi era importante che io e Celeste rimanessimo in collegamento costante. Io sono il primo Generale al posto di tuo padre, ma la qui presente Les … –
– Sono il secondo Generale, sì, ma ci arriveremo più tardi. – borbottò la ragazza, con aria infastidita. Sembrava quasi irritata dal tentativo di Max di spostare l’attenzione su di lei. Acqua, dal canto suo, rimase non poco sorpresa dalla scoperta. Aveva intuito che Celeste avesse una certa importanza, ma non immaginava di certo qualcosa di simile... Non poté trattenersi dallo sgranare gli occhi, cercando di far combaciare nella sua mente la ragazza dagli occhi di ghiaccio e la carica di Generale; cosa che si rivelò piuttosto difficile.
Distratta dalla propria incredulità, Acqua si accorse in ritardo che Max aveva ripreso a parlare.
– Riuscire a comunicare col pensiero fu indispensabile per permettermi di partecipare alle battaglie. Da molto tempo ormai ero di casa nell’esercito, ma ero sempre stato allontanato dal pericolo. Fino a quando il mio nuovo potere mi diede l’opportunità di rimanere in contatto con chiunque potesse aiutarmi. Accompagnavo tuo padre in battaglia, che lui fosse in prima fila o nelle retrovie, o a pianificare strategie nel Consiglio di Guerra. Continuammo così per molto tempo, e più crescevo più mi rendevo conto che la mia profezia era sbagliata. Più che un sostituto mi sentivo un aiutante indispensabile per il re, il suo fedele secondo. Ricordo che un giorno, quando avevo tredici anni, fui colpito da una strana realizzazione: pensai che se avessi dovuto, lo avrei seguito tra le braccia della morte, tanta era la lealtà che provavo per lui. Purtroppo mi sbagliavo, perché quando arrivò il momento non lo feci. Fu la cosa più terribile che avessi mai dovuto sopportare: vedere il mio re affrontare la morte a pochi passi da me, e non poter fare assolutamente nulla. – Max sentì salire come un nodo alla gola, e Acqua lo vide esitare, trattenuto dal dolore di quei ricordi. 
– Quando fu catturato, durante quella battaglia, avrei tentato qualsiasi cosa per liberarlo; ma non appena provai a parlargli nella mente per gridarglielo con tutta la mia foga, lui mi fermò, intimandomi di non fare nulla. Mi disse che la mia morte sarebbe stata inutile, perché il mio destino era un altro, e cioè diventare il suo sostituto. Mi disse quanto era fiero di me e che non avrebbe potuto sperare in un successore migliore. Nel frattempo, ero costretto ad ascoltare i deliri di Darcon che lo scherniva come fosse l’essere più ripugnante mai esistito. Aquarius mi disse che avrebbe lasciato i propri ricordi nella spada, e che dovevo farli arrivare a te, Acqua. Poi, mi escluse a forza dalla sua mente, per risparmiarmi il dolore di partecipare alla sua agonia. – Il ragazzo si passò una mano sul volto, chiedendosi esasperato se rivivere quel momento sarebbe mai diventato più facile. 
– A quattordici anni, vidi morire davanti a me la persona che ammiravo di più al mondo. Non so con quale forza rimasi lucido nel seguito della battaglia; ma riuscii a proteggere la spada Intoccabile, e accompagnai poi tua madre a recuperarla e a lasciarla nella foresta. Formalmente, Azzurra prese il potere dopo la morte del re, ma era così devastata che la sua presenza era solamente fisica e poco più. La accompagnavo ovunque, e cercavamo di farci forza a vicenda. Anche io ero distrutto, ma ero stato allenato per tutta la vita per quel compito, e lentamente mi sostituii a lei in ogni cosa, col suo consenso. Non ebbi nemmeno il tempo di realizzare cosa stavo facendo, lo feci e basta. Divenni il primo Generale dell’esercito a diciassette anni, senza mai essere stato un vero soldato. Eppure la gente mi seguiva, e mi dimostrava una lealtà che sorprendeva anche me. Nel Consiglio di Guerra, fui proclamato presidente poco tempo dopo, e la mia parola era tenuta in enorme considerazione. Ero diventato il sostituto del re, come la mia profezia annunciava, ma ora tutti mi rispettavano e capivano il vero significato di quelle parole. E anche quando Azzurra venne fatta prigioniera, nessuno mise mai in dubbio la mia posizione. – Acqua lanciò uno sguardo alla regina addormentata, osservando il suo petto alzarsi e abbassarsi ritmicamente, unico segno visibile di vita.
– Le mie comunicazioni mentali con Azzurra furono una preziosissima fonte di informazioni riguardo a Darcon e al suo esercito; inoltre scoprii cosa accadeva ai prigionieri e dove si trovava la base di Darcon, fino ad allora segreta. Le altre spiegazioni che ti ho dato riguardo a come avevo tutte queste informazioni sono un mucchio di scemenze. Come varie altre cose, del resto. – riconobbe Max ancora una volta, abbassando lo sguardo a terra. Sembrò riprendersi molto velocemente, però, cogliendo l’occasione per punzecchiare Celeste. 
– Ma direi che ora possiamo passare alla seconda profezia! – aggiunse infatti, con un entusiasmo scherzoso che fece ridere Acqua. 
– Con estrema gioia. – replicò Celeste, sbuffando e alzando gli occhi al cielo. Poi sospirò, come se stesse cercando da qualche parte il coraggio di cominciare. 
– Ok, Acqua, sappi che è uno sforzo immenso per me. – confessò, con tono nervoso, mentre la principessa le restituiva uno sguardo carico di sostegno. Poi Celeste iniziò a parlare, quasi in un sussurro.
– La mia profezia era nota già prima che io nascessi, perché c’erano stati moltissimi segni che portavano a immaginare ciò che sarebbe stato di me. Segni inequivocabili, che non lasciarono nessun dubbio riguardo alla profezia del Saggio. Io sono il Garante. – disse, proferendo quelle parole come se avessero un peso enorme. Acqua aggrottò le sopracciglia, confusa, e allora la mora cominciò a spiegare. 
–  Nessuno sotto i diciotto anni sa dell’esistenza di questa persona, almeno finché il suo addestramento non è finito. Il Garante è una persona che rappresenta il popolo contro gli interessi della monarchia. Storicamente era una figura eletta, ma ci fu un Garante nel passato che ricevette dal Dragone un potere enorme, e dalla sua morte il potere si trasmise al nuovo destinatario senza mai tornare al Dragone. Ogni persona che nasca con questo potere è destinata ad essere il Garante, e questo era ciò che diceva la mia profezia. Il mio potere è il controllo totale dei quattro elementi, come avrai potuto vedere, ed insieme alla figura del Garante è così caratteristico e radicato nella storia di Atlantis, che è rappresentato persino nella bandiera. Il cerchio al centro rappresenta la monarchia, e su di esso poggiano le quattro colonne dei poteri del Garante, che a sua volta sostengono il quadrato, simbolo dell’armonia e della stabilità. Il Garante ha un’enorme influenza sulla vita politica della città, ed è letteralmente lo Spirito del Popolo. Non è una cosa che si sceglie, ma ci si nasce: le persone sono portate ad obbedirgli incondizionatamente, perché in ogni caso il Garante agirà, consapevolmente o no, nei loro interessi. È una cosa che risulta difficile da comprendere persino a me, e molto spesso ho dubitato che fosse vero. – Acqua si ricordò all’improvviso di un particolare interessante, e non riuscì a trattenersi dall’interromperla.
– Come quando eravamo a scuola e ho visto l’arrivo di Darcon? – domandò, rievocando i momenti precedenti alla prima battaglia a cui avesse assistito. – Hai dato ordini a tutti e nessuno ha fatto una piega. – osservò, ripensando a quanto le era sembrato strano che una ragazza come Celeste, sempre in disparte e ignorata, fosse riuscita a guadagnarsi istantaneamente la fiducia e l’obbedienza di tutti. In quel momento, la bruna annuì.
– Esattamente. E questo è anche il motivo per cui il Garante è presente in qualsiasi istituzione pubblica: sono il secondo Generale, partecipo al Consiglio Cittadino, e nulla può essere deciso al Consiglio di Guerra se non ottiene la mia approvazione. – Acqua trovò estremamente difficile riuscire a contenere lo stupore. 
– Ora, tutto ciò è facile se il Garante è un adulto, ma la situazione è molto complicata finché è ancora in addestramento. Già da neonata manifestavo i miei poteri spontaneamente: se ero arrabbiata potevo scatenare incendi da un momento all’altro, e quando ero felice mi circondavo di bolle d’aria. È per questo che fin da subito Aquarius mi tenne sotto controllo: so che la prima volta che mi lasciarono sola con lui nell’arena del Quartier Generale dell’esercito avevo tre anni, e i miei poteri lo impressionarono a tal punto che lui stesso volle occuparsi del mio addestramento. Aveva imparato dal mio predecessore tutto quello che doveva sapere per farlo. Finché ero troppo piccola, si limitava ad accompagnarmi all’arena e osservare le mie esplosioni di potere, ma verso i sei anni ha cominciato ad allenarmi seriamente. Sapeva come guidarmi alla scoperta dei poteri, e mi mostrava il modo di controllarli, plasmandoli secondo la mia volontà senza diventarne schiava. Non so come facesse a sapere tutte quelle cose senza averle mai vissute, ma la sua guida fu indispensabile per me. – Un dolce sorriso aveva rischiarato il suo volto, mentre parlava di Aquarius. 
Acquamarina era profondamente toccata dall’importanza che quell’uomo, suo padre, aveva avuto nella vita di Max e Celeste. Ma, forse egoisticamente, una certa rabbia frammista a gelosia la pervadeva, perché fra tutte le persone che Aquarius aveva aiutato a crescere e illuminato con la sua saggezza, lei non era presente. Era la sua unica figlia, e allo stesso tempo l’unica persona che lui non aveva visto crescere, l’unica persona che non aveva mai conosciuto quell’uomo straordinario. Quel dolore echeggiava in un angolo della coscienza di Acqua, mentre ascoltava il prosieguo della storia di Celeste.
– Quando cominciai la scuola iniziai a farmi crescere i capelli per coprire l’occhio sinistro, l’unica cosa che poteva tradire la mia diversità. Nessuno ne ha mai capito il motivo, ma l’occhio sinistro del Garante prende colori diversi quando usa i suoi poteri. Qualcuno dice che sia l’unica vulnerabilità imposta al Garante nei confronti della monarchia: essere impossibilitato a mentire sull’uso dei poteri, doverne rendere conto. Da sempre, prima di me, il Garante è stato un uomo… e solo in pochi sono stati abbastanza furbi da nascondere questa vulnerabilità facendo crescere i capelli. Anche se io lo uso più come una maschera protettiva perché gli altri non sappiano chi sono. – Celeste si spostò in avanti sulla sedia, protraendosi verso Acqua, e fissandola intensamente scostò i capelli dal volto. Senza distogliere lo sguardo, sprigionò lingue di fuoco dal palmo di una mano, e la sua iride sinistra si colorò di rosso, donandole un’aria quasi satanica. Poi aprì anche l’altra mano, dove creò un vortice d’acqua in miniatura, e subito l’iride fu attraversata da una nuova sfumatura di blu, lasciandone però metà del colore del fuoco. Acqua lo trovò estremamente affascinante, e si pentì di tutte le volte che quel ciuffo davanti all’occhio le aveva dato ai nervi. Che Celeste condividesse con lei quel segreto le parve un segno di enorme fiducia: dopotutto, lei era parte della monarchia, e la ragazza avrebbe anche potuto non rivelarle la sua unica debolezza. A Celeste quella dimostrazione sembrò qualcosa di poco conto; si trascinò di nuovo indietro sulla sedia e ricominciò a parlare.
– Alla morte del mio predecessore, la regola dei diciotto anni è stata ristabilita, per cui nessuno sotto quell’età avrebbe dovuto sapere di me. Questo è un modo per proteggere il Garante dalle pressioni dei coetanei, ed è la cosa che più mi dà sicurezza perché ho sempre fatto affidamento sul fatto che, nonostante gli enormi pesi che mi porto dietro, avrei sempre potuto fingere di essere una ragazza normale. In passato la mia vita fuori dal comune non mi ha mai pesato più di tanto. Da piccola passavo la maggior parte del tempo ad allenarmi come una dannata insieme al re e Max, e anche se ero una bambina non mi dispiaceva essere diversa dagli altri. Sono entrata nel Consiglio Cittadino a nove anni, anche se all’inizio più che partecipare cercavo di imparare tutto ciò che potevo. Quando non mi allenavo, il Saggio mi aiutava a studiare ciò che era necessario per la scuola, mentre con Aquarius studiavo la storia delle città, il funzionamento delle istituzioni, strategie belliche. Dalla morte di Aquarius, Max si sostituì a lui diventando il mio mentore, nonostante avesse già abbastanza a cui pensare per conto suo. A undici anni ho cominciato a prendere parte al Consiglio di Guerra, affermando il mio ruolo col tempo. In quell’organo come saprai sono spesso presenti anche dei minorenni, e non mi sono mai svelata a loro. Dopo un anno ho iniziato a combattere nell’esercito, e dopo che Max si fu affermato come primo Generale, assunsi anche le responsabilità del secondo. – Celeste parlava osservando il vuoto e spostando occasionalmente lo sguardo tra l’espressione di supporto di Max e l’enorme curiosità di Acqua. Era inquieta e a disagio: le sue mani riposavano in grembo ma si tormentavano a vicenda, incapaci di stare ferme. 
– Ero fiera dei miei compiti, e sono sempre stata una perfezionista, nonostante le qualità innate del Garante mi abbiano sempre favorita donandomi resistenza, forza fisica, carisma nel momento del bisogno, capacità di ottenere obbedienza… Ultimamente mi sono spesso sentita inadeguata, non abbastanza. Ma capisci che tutto questo è un peso enorme in momenti normali, figurarsi quando è in corso una guerra. Il mio addestramento si concluderebbe tra un anno, e io ho già assunto tutte le cariche e le responsabilità che dovrei prendere in quel momento. Gli ultimi due anni in particolare sono stati molto duri e ho avuto diversi… problemi. – Celeste abbassò lo sguardo a terra, incapace di aggiungere altro alla sua ammissione di fragilità. 
Molti dettagli furono omessi: l’ospedale e le sue sofferenze, il giudizio di tutti sempre puntato contro di lei, le pressioni per il primo Garante donna che era una novità assoluta, la responsabilità delle vite umane che gravavano su di lei, e il logorante compito di accendere il fuoco agli innumerevoli funerali per vite spezzate, che senza di lei avrebbe richiesto tempi lunghissimi. Sospirò nuovamente, buttandosi tutto alle spalle. 
– Mi sono sentita sopraffatta e all’inizio non me ne ero nemmeno accorta, poi … Nulla, sto cercando di accettarmi. – sussurrò, con la voce rotta, tentando di nascondere che gli occhi le si stavano velando di lacrime. Acqua si allungò verso di lei, posandole una mano sul braccio in un tacito ringraziamento. Quando Celeste sollevò lo sguardo e le sorrise, si rese conto di quanto quella ragazza fosse ordinariamente umana ed incredibilmente forte. 
– Ora, vi prego, smettiamola di parlare di me. – borbottò infine, cercando di ricomporsi. Acqua raddrizzò la schiena, improvvisamente smaniosa di sapere e impaurita da quello che avrebbe scoperto.
– Immagino sia giunto il momento della mia profezia. – disse, preparandosi alle rivelazioni sul suo conto. Si sentiva quasi in difetto, essendo circondata da storie così straordinarie e piene di forza e sacrifici, mentre lei era cresciuta ignara di tutto e lontana da qualsiasi sofferenza. Max la fece riscuotere dai suoi pensieri, prendendo la parola.
– La visione del Saggio riguardo a te, Acqua, era la più oscura di tutte, perché le poche parole che pronunciò furono frammentarie e sconnesse. – disse il ragazzo, che venne subito interrotto da Celeste.
– Senza contare il fatto che le profezie sono formulate in lingua antica, e a volte la traduzione crea degli equivoci. – Max annuì. La principessa, ricordandosi della sua conoscenza approfondita della lingua antica, pensò che forse gli era servita per cercare di interpretare quella profezia. La curiosità aumentava, lasciando sempre meno spazio alla paura. Max allora le riportò il testo parziale della profezia. 
– Il Saggio disse che saresti tornata dopo quindici anni per abbattere il tiranno nell’inconsapevolezza. Ti definì “indifesa sebbene armata” e disse che avresti “protetto il protettore” in questo tuo compito, essendo “portatrice del bene che scorre” e accompagnata da “un’ombra inerte”. – Celeste intervenne a dare delucidazioni a riguardo.
– Non abbiamo mai capito molto di queste parole, se non due punti cardine: che il tuo destino era quello di distruggere Darcon, e che non dovevi sapere nulla. In un altro momento, il Saggio arrivò a prevedere che avresti fallito, se avessi saputo troppo. – 
– Per questo ti ho nascosto così tanto, Acqua. – disse Max, con foga. – Non so se fosse necessario solamente tenerti all’oscuro della profezia, ma non avrei potuto tenerla segreta se ti avessi parlato del mio ruolo e della mia profezia, e mi sembrava decisamente troppo. Così ho deciso di nasconderti anche i miei poteri, Les, e un’infinità di piccole cose. Non volevo rischiare di mandare tutto all’aria, perché era troppo importante. – Max si passò una mano tra i capelli, prima di aggiungere altro. 
– Però allo stesso tempo avevo una paura incredibile, perché se tu eri destinata ad uccidere Darcon, significava che avresti dovuto affrontarlo, e ho temuto questa possibilità più di ogni altra cosa al mondo. So che è stupido, ma ho provato ad oppormi al destino con tutte le mie forze, e ovviamente ho fallito. – sintetizzò infine, una nota di frustrazione nella voce. Acqua vedeva le sue scelte con estremo rispetto ora, anche se non era certa di condividerle fino in fondo. Ma si sentì sciocca per averlo giudicato mentre era in una posizione così difficile.
– Abbiamo passato un tempo infinito a cercare di decifrare le parole criptiche del Saggio. – aggiunse Celeste. – Quando sei arrivata ad Atlantis, non riuscivo a toglierti gli occhi di dosso perché non facevo altro che pensare alla profezia, e speravo di cogliere qualcosa in te che mi portasse a una qualsiasi rivelazione. Ora abbiamo capito cosa significavano quelle frasi senza senso: Max era il protettore da proteggere, e io ero l’ombra inerte che ti accompagnava, perché sono arrivata quando tutto ormai era finito. – spiegò, lasciando a Max la conclusione.
– Tutto il resto si riferisce al Dragone, era questo il bene che scorre dentro di te. E sei “indifesa sebbene armata” perché le tue abilità e i tuoi poteri non potevano molto contro Darcon, ma trasportare con te la forza del Dragone ti ha resa potente. – 
– Non avevamo idea che tu fossi il Dragone fino all’ultimo momento. – disse Celeste. – … nonostante avessimo fatto congetture per mesi. – Max confermò con un cenno di assenso. 
– Esatto, anche quando ti ho parlato, nella grotta, non avevo realizzato la grandezza della situazione. Pensavo solamente alla straordinarietà dei tuoi poteri, a come eri riuscita in tutti quei mesi a sorreggere il peso di una cupola grande quanto la città. – i suoi occhi brillavano di ammirazione, mentre rievocava quei ricordi, e Acqua si sentì più orgogliosa che mai.
– E non riuscivamo davvero a capire come facessi da sola. – continuò Celeste. – Non avevamo capito che dietro c’era molto di più. Eravamo solamente arrivati a concludere che la profezia si riferisse ad una tua capacità sovrumana, ma nulla oltre questo. – 
– Ma tu sei molto di più che un’umana con capacità incredibile, tu porti dentro di te lo spirito del mondo, Acqua. – le sussurrò Max, con una serietà nella voce che le fece battere il cuore per la meraviglia. – È incredibile. – aggiunse di nuovo lui, serrandole le mani fra le sue.
– E questo spiega anche la lunghissima assenza del Dragone durante la guerra. Lo tenevi al sicuro su un altro pianeta. – disse Celeste, come se fosse tutto stato ovvio fin dal principio. Acqua non poteva credere di essere così enormemente importante. Si accorse di star tremando per la realizzazione, e nonostante il peso della scoperta, si sentiva incredibilmente onorata. Max la abbracciò, strappandole un gridolino che sembrò quasi una risata nervosa. Poi il ragazzo sembrò ricordarsi di qualcosa all’improvviso. 
– Ah, riguardo alla spedizione per recuperare i poteri di tuo padre: non è stata un fallimento, semplicemente quel potere era già tornato a te, o meglio al Dragone, e quindi non poteva succedere altro. – Acqua annuì, soprappensiero, rincorrendo nella mente tutte quelle rivelazioni così potenti e liberanti. 
– Wow, sono… senza parole. – fu tutto ciò che riuscì a dire. Non c’era molto altro da aggiungere. Ora sapeva tutto, e nonostante grandi i grandi vuoti rimasti sui suoi genitori, fu fortemente colpita da una realizzazione improvvisa: che era amata, aveva una famiglia, e una madre da conoscere. La osservò, immobile davanti a lei, ma viva. E seppe che aveva tutto ciò che poteva desiderare.

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Capitolo 45
*** Mamma ***


Capitolo 45
Mamma

Acqua abbandonò la testa sulla spalla di Max, sentendo le palpebre farsi sempre più pesanti. Le giornate si susseguivano tutte uguali, come se fossero lo stesso istante sospeso nel tempo. Era quasi rassicurante, però, quel senso di calma e attesa speranzosa che aleggiava su tutti loro. Acqua non lasciava mai la stanza di Azzurra, se non per mangiare e riposare qualche ora la notte. Facevano i turni, perché tutti volevano assicurarsi che qualcuno fosse presente al risveglio della regina; ma la principessa era sempre lì, irremovibile, e continuava  a declinare qualsiasi proposta di svago. 
Celeste e Max spesso andavano e venivano dal castello, dovendo occuparsi di un’infinità di faccende che ovviamente non potevano essere rimandate. Acqua allora rimaneva sola con Corallina, che era stata messa al corrente di ogni cosa in un lungo pomeriggio di chiacchiere, e non poteva contenere la sua eccitazione per il fatto di essere finalmente considerata meritevole di sapere. A volte la rossa trascinava con sé Henri, e Acqua non poteva fare altro che compiacersi di quanto fossero affiatati quei due. Max la aggiornava sulla situazione, quando era lontano, e spesso stabiliva una connessione mentale con lei solo per raccontarle cosa stava facendo, nel tentativo di fare ammenda per tutte le cose taciute nel tempo. Acqua aveva la sensazione che un nuovo mondo si stesse spalancando davanti a lei. Tutto stava andando lentamente al suo posto.
La sua mente stava pian piano scivolando nel sonno, ripresentandole confusamente alcuni momenti dei giorni precedenti, quando Max si rizzò all’improvviso, riscuotendola dal torpore. Acqua mugugnò, riaprendo a fatica gli occhi e stiracchiando i muscoli indolenziti. Vide il ragazzo alzarsi in fretta in piedi, seguito subito da Celeste - uno dei rari momenti in cui erano presenti entrambi. Sulle prime Acqua non comprese, ma la realizzazione la colpì come un fulmine quando li vide precipitarsi a fianco del letto. Si alzò in piedi di scatto, col cuore che minacciava di esploderle nel petto. Max e Celeste le coprivano la visuale, e per qualche istante non riuscì a fare altro che rimanere lì in piedi, paralizzata, la testa che girava, senza comprendere bene il motivo di quell’agitazione inaspettata. 
– Che è successo? – borbottò una voce debole e affaticata, e il cuore di Acqua saltò un battito. 
– Va tutto bene. – disse Max, volgendosi verso la regina sdraiata, ad afferrarle una mano con un gesto affettuoso. 
– È tutto finito. – aggiunse Celeste, lasciando trapelare dalla voce un allegro sollievo. Acquamarina li vide chinarsi entrambi al capezzale della regina, rassicurandola e aiutandola con dolcezza a sollevarsi. Oltre la schiena di Celeste, intravide una manciata di capelli biondi ondeggianti nel movimento, e poco dopo comparve una mano, che andò ad aggrapparsi disperatamente alla spalla di Max.
– Lei è qui? – chiese la voce, in un soffio, timorosa ma impaziente di sapere, come se nient’altro avesse importanza. Max era rivolto verso la donna, ma Acqua riusciva a vederlo di profilo, mentre le rivolgeva uno sguardo tenero. Lo vide illuminarsi e annuire lentamente, mentre sul suo volto si allargava un sorriso. Acqua era rimasta ipnotizzata dalla stretta spasmodica delle dita della regina, che ora lentamente si rilassavano sulla spalla di Max, scivolando lungo il suo braccio fino a fermarsi sul polso. Max si voltò verso la ragazza, con gli occhi scintillanti di gioia e uno sguardo carico di incoraggiamento. Acqua capì che doveva avanzare, il momento era finalmente arrivato. Un’inspiegabile riluttanza tentava di fermarla, ma riuscì a non darle peso: con un nodo alla gola, mosse qualche passo esitante e percorse come in un sogno il poco spazio che la separava dal letto. 
Sembrava infinito, un viaggio lunghissimo in un tempo dilatato e viscoso, che faticava a scorrere. Sentì Max afferrarla per la vita e trascinarla accanto a sé. La ragazza si sedette sul bordo del letto, incontrando per la prima vera volta la donna che l’aveva messa al mondo. Acqua incrociò i suoi occhi e vagò con trasporto su quel volto che negli ultimi giorni aveva imparato a memoria in ogni singolo dettaglio: aveva un’espressione stanca e provata, ma il suo debole sorriso incredulo le rischiarava il volto gentile, disegnandole piccole rughe d’espressione intorno agli occhi e sulla fronte. I capelli le ricadevano disordinati ai lati del viso, e qualche ciocca ondeggiava davanti agli occhi azzurri, tanto simili a quelli di Acqua e traboccanti di emozione.
Il mento le tremava, contagiando il labbro inferiore in un leggero fremito, mentre le sue deboli mani si protendevano verso la figlia. Gradualmente, i suoi occhi si erano riempiti di incredule lacrime. 
– La mia bambina. – mormorò con la voce tremolante, senza riuscire a contenere il dolore e la gioia che trasparivano dirompenti sul suo volto, deformato eppure così bello e vero. Acqua lasciò che le posasse le mani sul suo volto, in una carezza dolce, quasi timida e timorosa come se la regina temesse di poter spezzare un sogno. Acqua fu stregata da quel tocco che le restituì un piacevole senso di familiarità. Gli occhi le si inondarono di lacrime spontanee, mentre la donna la attirava a sé e la abbracciava con immensa disperazione. Era così strano non conoscerla minimamente, ed essere così intimamente legata a lei da una forza incontrastabile, che le univa da sempre. Si chiese quando fosse stata l’ultima volta che sua madre l’aveva stretta tra le braccia, accorgendosi che in un modo o nell’altro le era mancato. 
Azzurra si sentiva senza fiato, sopraffatta dall’emozione più intensa che avesse mai provato nel suo cuore di madre. Anni di rimpianti e rinunce si annullavano in quell’istante, in cui poteva veramente stringere a sé la bimba abbandonata, il fantasma fatto di assenza e senso di colpa che la perseguitava da troppo tempo. Non avrebbe saputo dire chi aveva più bisogno dell’altra, in quel momento; sapeva solo che si aggrappava a lei con forza, e non l’avrebbe più lasciata andare.  Singhiozzarono insieme a lungo, strette in un abbraccio indissolubile che si perdeva tra le pieghe del tempo. Le loro anime unite si riconoscevano e si prendevano per mano, dopo essere state separate per una vita.
 
***

Ritornare in quel luogo dopo un’assenza così lunga fu stranamente piacevole. Non era esattamente la dimora più accogliente del mondo, ma Acqua era cresciuta in quel posto, anche se aveva dovuto sopportare le due capricciose sorelle e aiutare le domestiche da quando era piccola. Sulla Terra, nulla era cambiato in sua assenza, e la cosa le sembrava estremamente in contrasto con tutto ciò che era successo ad Atlantis. Il mondo era immutato, ed era così strano pensare che da qualche parte nell’universo, un altro pianeta che lei chiamava casa era stato risollevato da anni di miseria e guerra per riprendere la vita. Invece, l’unica cosa diversa nella villa di campagna dove era cresciuta era che lei non c’era più. 
Acqua osservava la sua stessa assenza dall’esterno, e si sentiva quasi un’altra persona, come se quella vita fosse distante anni luce. La percepiva lontana e distaccata, nonostante il giardino in cui si trovava le riportasse alla memoria infiniti ricordi dei giochi con Max, afosi pomeriggi estivi, e inverni irrequieti, merende nascoste tra i cespugli e arrampicate clandestine. C’era solo una cosa che ancora la teneva legata, e che non avrebbe mai e poi mai potuto dimenticare. Sua madre.
Acqua prese il coraggio a due mani e percorse il perimetro dell’ala della villa riservata ai domestici, abbassandosi per non farsi vedere dall’interno. Arrivò strisciando accovacciata fino alle finestre della cucina, fermandosi sotto una di esse. Si riposò un istate appoggiando le spalle al muro. Si sentiva come una ladra in casa propria, anche se non era certa di poterla ancora chiamare casa sua. Probabilmente ormai la sua scomparsa non era altro che una vecchia notizia per gli abitanti della villa, liquidata in fretta senza troppi problemi. 
L’unica che non l’avrebbe mai pensata a quel modo era Lyliana, perché come può una madre rassegnarsi alla scomparsa della figlia? Acqua si sentiva una persona orribile per averla abbandonata a quel modo. E, quasi ironicamente, era stata Azzurra la persona che più l’aveva capita. Lei aveva vissuto con quel peso per quindici interminabili anni, e le aveva offerto il supporto più prezioso incoraggiandola a sistemare le cose. Avevano parlato a lungo di un’infinità di argomenti, senza separarsi per giorni. Ora Acqua aveva un piccolo piano per riappropriarsi della madre adottiva; o almeno, un’idea di cosa poter fare. 
Si sporse silenziosamente dal davanzale della finestra, rizzandosi per gettare uno sguardo nella stanza e sperando di non farsi vedere. La cucina era affollata, ma nessuno badava a guardare fuori, presi com’erano dalla preparazione del pranzo. Acqua sorrise, conoscendo a quei momenti di concitata agitazione come se fossero parte di sé; e in effetti lo erano, anche se ora sembravano appartenere ad un’estranea. Erano parte di lei nella stessa misura in cui lo era quella donna straordinaria che trovò indaffarata ai fornelli. Le dava la schiena, ma non importava se il massimo che sarebbe riuscita a vedere di lei quel giorno era la sua nuca coi capelli ingrigiti scappati dalla cuffia. Una sensazione di casa si impadronì prepotente di lei, e il sorriso era così difficile da trattenere che vi rinunciò. Si allontanò dal davanzale della finestra, ritornando ad accovacciarsi a terra. 
Accarezzava l’erba accanto a sé, mentre vagava con la mente lasciando che la gioia si impadronisse di lei. Avrebbe dovuto svolgere un ultimo compito per quel giorno, e poi avrebbe lasciato del tempo a Lyliana per riflettere. Acqua si portò una mano in tasca a toccare la busta che avrebbe lasciato nella stanza della madre. La consistenza del foglio di alghe sembrava così strana sulla Terra, e il fatto la fece sorridere. Stringendo forte la lettera in una mano, fece il suo percorso all’indietro ed entrò in silenzio nell’appartamento dei domestici.
 
***

Lyliana entrò nella propria stanza e percorse qualche passo stanco prima di accasciarsi a sedere sul letto. Si prese la testa fra le mani, puntando i gomiti sulle ginocchia, e rimase in quella posizione per un tempo infinito. Era distrutta, fisicamente e mentalmente, e non ce la faceva più a sopportare il peso di quella solitudine così schiacciante. Certo, i colleghi cercavano di tirarla su di morale durante il giorno, ma il loro supporto si esauriva in fretta dopo qualche parola vuota e qualche finta espressione di empatia. Acqua era scomparsa da quasi un mese, e nonostante tutti i suoi sforzi e le interminabili ore passate negli uffici grigi della centrale di polizia, nessuna notizia le era giunta. Sembrava che la ragazza si fosse letteralmente volatilizzata nel nulla. 
Quello che aumentava la sua preoccupazione era il fatto che anche Max era totalmente irreperibile. Aveva atteso con impazienza ogni mattina, sperando di vederlo comparire con la posta e qualche informazione su Acqua. Ma da quando lei non c’era più, nemmeno il ragazzo era mai arrivato. Lyliana aveva provato ad indagare, ma all’ufficio postale tutto quello che avevano saputo dirgli di lui era il suo indirizzo. O meglio, il nome dell’hotel dove alloggiava sporadicamente. Null’altro aveva trovato sul suo conto; nessun parente, nessuna conoscenza in paese, nulla che potesse confermare il fatto che vivesse lì. Queste scoperte su di lui erano così frustranti da gettarla in un pozzo di disperazione ancora più profondo. E lei che pensava di conoscerlo così bene… 
Ciò che aveva peggiorato ulteriormente la situazione erano le voci che giravano alla villa. Tra i domestici giravano supposizioni sul fatto che Max avesse rapito Acqua nella notte, dopo essersi conquistato la sua fiducia nell’arco degli anni, per poter sfogare su di lei i propri istinti assassini. Le voci erano giunte fino alla famiglia del Conte e alle sue odiose figlie, le quali sembravano aver trovato un nuovo passatempo nel cercare di indovinare cosa fosse successo ai due. Lyliana le aveva ignorate, sulle prime, ma poi in qualche modo certe informazioni erano state scambiate, tra domestiche impiccione e le due sciocche sorelle; le quali si erano finalmente dette sicure di aver trovato la causa di tutto quel trambusto. Qualcuno aveva riferito loro che, il giorno della sua scomparsa, Acquamarina era stata colta da un malessere forte e improvviso, e ne avevano tratto le loro conclusioni: ovvero, che il postino l’aveva ovviamente messa incinta, e che avevano dovuto scappare insieme per dare alla luce il pargolo senza che le loro famiglie lo venissero a sapere. Nella loro testa, il ragionamento filava, e questo bastava per farlo diventare la realtà. 
– L’ho sempre detto, io, che quella era una poco di buono. – ripeteva Kate in continuazione. Le loro supposizioni non furono risparmiate a Lyliana, che le trovava estremamente insensibili e irrispettose. Faceva finta di non saperne nulla, ma si sentiva doppiamente offesa e la sua sofferenza cresceva ogni giorno. Non aveva nessuna certezza, e nonostante avesse trovato quel brevissimo messaggio da parte della figlia, nulla avrebbe potuto rassicurarla del tutto, se non vederla e assicurarsi di persona che stesse bene. 
Fu dopo lunghissimi minuti che, sollevandosi a fatica dal letto, posò distrattamente lo sguardo sulla scrivania. C’era qualcosa di estraneo posato lì sopra, che attirò con forza la sua attenzione. Era una busta, di un insolito colore verdognolo e una strana consistenza. La aprì con le mani tremanti, ed ebbe un tuffo al cuore vedendo con quale calligrafia erano scritte le parole della lettera. Dovette sedersi per riprendersi dal capogiro che l’aveva colta, ma non riuscì ad aspettare un secondo in più prima di leggerla.

“Ciao mamma, sono Acqua. Sto bene, anche se ora ho paura che non riuscirò mai a chiederti scusa abbastanza per il modo orribile in cui ti ho abbandonata. Quello che mi è successo ha dell’incredibile, e di certo non riuscirei mai a spiegarti tutto in una lettera. Per ora, ti dirò solo che ho scoperto quali sono le mie origini, chi sono i miei genitori, dove sono nata. Sono in quel luogo, adesso, e anche se la mia scomparsa è legata a motivi molto seri, ora tutto è risolto, e credo di voler restare qui per sempre. Ma nonostante io ora sia tornata alle mie origini e al luogo che mi appartiene, non potrei mai continuare senza averti al mio fianco. 
Tornerò qui tra una settimana e, se lo vorrai, potrai seguirmi nella mia nuova casa, che sarà anche la tua. Avrai una vita estremamente diversa da quella a cui sei abituata, e non dovrai più sopportare di essere trattata con sufficienza dalla famiglia del Conte, né da nessun altro. Spero che una settimana sia sufficiente per comunicare il tuo licenziamento e fare le valigie. Prepara quello che ti serve nella mia camera. Non c’è bisogno che porti tutto, solo ciò che ritieni indispensabile. Ma soprattutto, porta gli album di foto e qualsiasi ricordo tu possa trovare tra le nostre cianfrusaglie. Ci serviranno. 
Se invece non vorrai venire con me, cercherò di accettare la cosa e rispettare la tua scelta. Sappi però che non potrò raccontarti tutto, allora, perché sarebbe troppo complicato, e forse mi prenderesti per pazza. Ovviamente, verrei a trovarti spesso; ma non posso nascondere che preferirei immensamente averti con me sempre, e offrirti una vita migliore di quella che hai ora. Te la meriti. 
Ti voglio bene, mia insostituibile mamma.
Acqua”
 
***

Una settimana più tardi all’imbrunire, Acqua si materializzò direttamente nella propria stanza, trovandola ingombra di scatoloni e borse di ogni tipo. Osservò con lieve tristezza la sua camera vuota, scoprendo che era più difficile del previsto lasciarla andare, allontanarsi da quella parte della propria vita. Per farsi coraggio, cominciò a spostare borsoni e valige riunendoli tutti il più possibile, e ne trasportò un buon numero ad Atlantis, andando e venendo tra i due mondi in una specie di trasloco interplanetario. Aveva pensato che, altrimenti, non sarebbe stato facile spostare quella roba subito dopo aver trasportato Lyliana ad Atlantis. Chissà come, ma la ragazza prevedeva che il momento delle spiegazioni sarebbe stato molto lungo. 
Cercò di fare in fretta, e non appena ebbe trasportato l’ultima scatola piena di vecchie foto, si precipitò fuori dalla stanza. Non riusciva ad attendere un minuto di più. Bussò con impazienza alla stanza di Lyliana, e neanche mezzo secondo dopo la porta era spalancata. Acqua fu travolta da un abbraccio incredibilmente stretto, ma nonostante le stesse facendo perdere il respiro, non avrebbe mai voluto interromperlo. Si sciolse tra le braccia della donna, inondata da un affetto che non poteva essere trattenuto. Sentiva il respiro affannoso di Lyliana, come se stesse cercando di trattenere le lacrime; ma evidentemente non ci riuscì, perché quando la lasciò andare per fissarla in volto, i suoi occhi erano lucidi e le guance rigate. 
– Acqua, guardami negli occhi e dimmi che stai bene. E bada che me ne accorgo se menti. – le intimò, con un tono di voce che voleva sembrare duro, tradito in modo quasi comico dalle labbra tremanti e dalle mani che non smettevano di accarezzarle il volto.
– Sto bene, mamma, te lo giuro. – rispose lei, con un enorme sorriso che non riusciva a trattenere. Lyliana la riabbracciò una decina di volte, continuando ad assicurarsi che fosse tutto a posto.
– Non mi rifilare mai più uno scherzo del genere! – ripeteva senza sosta, tempestandola di baci e qualche ironico scappellotto. 
– Non avrei mai voluto, mamma, davvero. – le disse Acqua, sperando di riuscire per quel momento a tranquillizzarla. Non voleva doverle spiegare di una guerra su un altro mondo quando erano ancora in un luogo dove chiunque avrebbe potuto sentirle. 
– Devi avere proprio un buon motivo, cara mia, per potermi convincere! – replicò invece la donna, puntandole un dito contro. Acqua sospirò, alzando le spalle.
– Purtroppo il mio motivo è validissimo, ma te lo spiegherò più tardi. – rispose, liquidando in fretta l’argomento. – Piuttosto, mi sembra di aver capito che hai deciso di venire con me. – proseguì, eccitata.
– Beh, non so assolutamente nulla del posto dove vuoi portarmi, e sono abbastanza preoccupata in realtà. Ma non potrà mai essere peggio che qua. – spiegò Lyliana, scuotendo il capo. Acqua notò il suo tono triste, e gioì dentro di sé per il fatto di poterle donare un nuovo inizio. Non sapeva cosa fosse successo in quel mese di assenza, ma per Lyliana la vita non era mai stata facile, o particolarmente generosa, e Acqua non vedeva l’ora di rimediare. 
– Saresti pronta a partire anche subito? – le chiese, un po’ titubante. Non voleva affrettare troppo le cose, magari la madre aveva bisogno di un po’ di tempo per abbandonare quel posto. Per quello che ne sapeva Acqua, era stata la sua vita per gli ultimi trent’anni. Invece la donna si limitò a fare spallucce.
– È da una settimana che dico addio a questo posto, non ne posso più. – sbuffò. –  Non vedo l’ora di andarmene. – Acqua ridacchiò, e l’abbracciò di nuovo piena di entusiasmo. 
– Allora prendo queste borse, intanto tu siediti sul letto. – le disse, dandosi da fare per racimolare le ultime cose. Lyliana si sedette, guardandola confusa, fino a quando la figlia le si mise accanto. 
– Allora, non so bene da dove iniziare… – balbettò, un po’ in imbarazzo. – Il luogo dove stiamo andando è molto lontano, molto più di quanto tu possa immaginare. Il nostro viaggio sarà particolare, ma voglio che tu sia preparata soprattutto per questo: quando saremo arrivate, mi vedrai molto diversa. E anche tu sarai molto diversa, e ti sembrerà tutto estremamente strano e folle. Ti prego, non ti spaventare, e io ti spiegherò tutto. – le disse, con voce seria e ferma. Poteva vedere che Lyliana era preoccupata, anche se cercava di non farlo notare; ma la sua fronte era irrimediabilmente corrugata, e Acqua percepiva la tensione nei suoi muscoli. 
La ragazza si assicurò che la porta fosse ben chiusa e le tende della finestra tirate; dopodiché si sistemò le borse in grembo e abbracciò Lyliana, lanciandole un ultimo sguardo incoraggiante prima di toccare il proprio braccialetto. Acqua vide i contorni della stanza sfumare nell’indefinito, e salutò quella casa per l’ultima volta, mentre la luce le inghiottiva.

Lyliana non si era nemmeno accora di aver chiuso istintivamente gli occhi. Si sentiva stordita, come se l’avessero un po’ sballottata qua e là, ma riusciva ancora a percepire di essere seduta su un letto e quindi si stupì non poco quando Acqua le disse che erano arrivate. Aprì gli occhi, confusa. Stranamente tutto ciò che vedeva aveva un’insolita sfumatura azzurrina, e il primo pensiero che il suo cervello elaborò fu che l’atmosfera era in un certo senso cambiata. Subito dopo realizzò che non erano più nella sua stanza, ma in un luogo sconosciuto, anche se erano ancora sedute su un letto. Ma ciò che la turbò di più in assoluto fu vedere sua figlia.
– Oddio! – gridò, sussultando. Acqua ridacchiò.
– Te l’avevo detto! – disse, con aria divertita, e Lyliana non poté far altro che rimanere a fissarla, allibita. Era sì preparata al cambiamento, ma quello! Non poteva credere a ciò che vedeva. La pelle di Acqua era azzurra, così come varie ciocche dei suoi capelli, sul collo una serie di fessure si aprivano e chiudevano ritmicamente, e i piedi poi! Lyliana non sapeva se ridere o ritenersi definitivamente pazza. Si osservò le mani e i piedi, notando che lei stessa non era esente da quelle stranezze. Balbettò qualcosa di sconclusionato per qualche minuto, senza sapere realmente cosa pensare. Acqua la lasciò elaborare il tutto per un po’, prima di intervenire. 
– So che è uno shock molto grande, mamma. Sapessi quanto ci ho messo per abituarmi… Ma se tu puoi accettare che questo sia ora il nostro aspetto, non ti risulterà tanto difficile credere che siamo su un altro pianeta. – disse con estrema attenzione, cercando di valutare nel frattempo fin dove potesse spingersi con le rivelazioni.
– Un altro pianeta! – esclamò Lyliana, basita, guardandosi intorno. – Cosa vorresti dirmi, che sei un alieno? – aggiunse, in tono ironico, sperando forse in una risposta negativa.
– Non l’avevo mai pensato in questi termini, ma direi di sì. – sospirò invece Acqua. Lyliana la fissò a lungo, pietrificata, prima di aggiungere qualsiasi altra cosa. La figlia fu sorpresa, quando poco dopo la vide annuire tra sé e sé, borbottando qualcosa che assomigliava a un: – Forse è meglio di certe altre ipotesi… – 
Acqua decise di ignorare la frase, anche perché aveva altri pensieri per la testa. Non avrebbe mai pensato che raccontare la propria storia sarebbe stato così difficile. Prese una mano di Lyliana fra le sue, prima di riprendere la parola.
– Questo pianeta, e la città dove ci troviamo, si chiamano Atlantis. Devi sapere che è un pianeta molto piccolo, quasi una formichina se comparato alla Terra, e al momento Atlantis è l’unica città rimasta. – disse, con un misto di orgoglio e dolore, mentre lasciava che la madre vagasse con lo sguardo nella sua stanza e fuori dalla finestra. Stava albeggiando, mentre sulla Terra il sole era appena tramontato.
– Ricordi quando sono svenuta, mesi fa, e Max è venuto subito ad occuparsi di me? È stato da lì che tutto è cominciato. – Acqua sorrise per quanto le sembrava lontano quel momento, e quanto si sentiva cresciuta. 
– Mentre ero incosciente mi sono ritornati dei ricordi e ho avuto certe visioni del passato. Max mi ha riportata qui, facendomi conoscere il luogo dove sono nata. – fece una pausa, immaginando una reazione della donna, che in effetti non tardò ad arrivare.
– Quindi Max è qui con te? – chiese infatti, spalancando la bocca.
– Sì, mamma, Max è sempre stato con me in tutti questi anni per potermi portare indietro. Nemmeno lui è nato sulla Terra. – 
– Beh, si spiegano molte cose. – replicò la donna, alludendo a come non fosse riuscita a trovare traccia del ragazzo in paese.
– Già. – sospirò Acqua. – E tutte le volte che abbiamo passato qualche giornata in montagna, in realtà eravamo qua. – Lyliana annuì, quasi automaticamente. Una parte di lei continuava a rifiutarsi di credere a quell’assurdità, ma come poteva non crederci se era tutto davanti ai suoi occhi?
– E ora, se ti senti pronta, ti spiegherò tutta la storia, che è molto oscura e purtroppo non tanto piacevole. – Lyliana le strinse la mano e annuì in modo quasi impercettibile. Acqua prese un sospiro, e iniziò il racconto. – C’era un uomo, chiamato Darcon, che per anni ha portato avanti una guerra sanguinosa contro tutto e tutti, soggiogando una città alla volta. Fino a quando non rimase solo Atlantis. Darcon aveva dei grandi poteri magici, ma ciononostante non riuscì per lungo tempo ad annientarci. All’inizio del conflitto, i miei genitori decisero che mi avrebbero tenuto in salvo su un altro pianeta, per risparmiarmi di vivere le atrocità della guerra. Qui è dove entri in campo tu. – Acqua rivolse un sorriso smagliante alla madre. 
– Ma non potevo rimanere sulla Terra per sempre. Anche io ho dei poteri, controllo l’acqua; e i miei genitori sono il re e la regina di Atlantis. Io sono la principessa di Atlantis, mamma, e se non fosse abbastanza, una profezia pronunciata alla mia nascita mi individuava come colei che avrebbe posto fine alla guerra. – Lyliana rimase sbigottita a fissarla negli occhi, senza parole. Il racconto che ne seguì fu interminabile, e occupò a madre e figlia gran parte della mattinata. Acqua cominciò dal suo arrivo ad Atlantis, riferendo tutte le scoperte incredibili che l’avevano travolta, tra la curiosità di un nuovo mondo da conoscere e il peso di genitori persi ancor prima che ritrovati. 
Lyliana si rattristò immensamente per la morte di Aquarius, e rimase colpita nell’apprendere che avrebbe condiviso il ruolo di madre con un’altra donna. Ma prima di approfondire, Acqua proseguì il racconto, descrivendo la scuola, gli amici e Corallina (precisando che era cugina sua, non di Max), e la sua doppia vita quotidiana dei primi mesi. Dovette poi arrivare a parti un po’ più pesanti della storia, raccontando delle battaglie e dei difficili momenti che avevano vissuto. Raccontò anche il bello, però, facendo meravigliare Lyliana con la narrazione del ballo di primavera, e raccontandole con un velo di imbarazzo dei progressi nella relazione tra lei e Max, che le erano stati nascosti, anche se forse non troppo bene. Fu la notizia che più la entusiasmò, perché, a detta sua, li aveva sempre visti bene insieme; anche se le riportò fastidiosamente alla mente le voci maligne messe in giro dalle due altezzose contessine. 
La parte più dura fu il racconto dell’ultimo mese, partendo dalla scomparsa di Acqua dalla Terra in contemporanea alla cattura di Max, per poi arrivare fino alla battaglia e al grande scontro con Darcon. Acqua trovava difficile riportarle tutto ciò senza sconvolgerla troppo, anche perché era lei in primis ad essere ancora scossa dall’accaduto. Ma fece del suo meglio per raccontarle il tutto nel modo più preciso possibile, e concluse con la spiegazione delle profezie. 
Al termine della lunga conversazione, Lyliana si sentiva estremamente stordita, e faticava a mettere in ordine tutte quelle informazioni nella propria mente. Acqua la rassicurò, promettendole che col tempo ci avrebbe fatto l’abitudine; e comunque, lei ci sarebbe sempre stata per rispiegarle tutto ogni volta che avrebbe voluto. 

Poco prima dell’ora di pranzo, Acqua decise di accompagnare Lyliana nella stanza che aveva scelto per lei, per permetterle di dormire. Meritava un lungo riposo, dopo uno shock simile. Ma prima di condurla nella sua stanza, fece una piccola deviazione verso il Salone degli Anemoni per farle una sorpresa. Lì, tutta la sua famiglia si era radunata in attesa della nuova arrivata. Lyliana spalancò la bocca non appena entrò, individuando subito Max e Corallina in prima linea.
– Max, fatti vedere, brutto imbroglione che non sei altro. – scherzò la donna, attirandolo in uno dei suoi abbracci stritolanti. 
– Mi fa molto piacere rivederti! – esclamò Max, rallegrato dalla sua aria scherzosa.
– Anche a me! Anche se ho passato l’ultimo mese a maledirti per essere scomparso con mia figlia! – replicò lei, minacciandolo col dito. Acqua ridacchiò, chiedendosi da dove prendesse tutta quell’energia. Intanto incrociò lo sguardo di Azzurra, in piedi un po’ in disparte, e notò la sua espressione dolceamara in reazione all’esclamazione della donna.
Nel frattempo, Corallina si frappose tra Lyliana e Max, con un sorriso gigantesco.
– Posso chiamarti zia, ora? – chiese, con fare furbesco.
– Puoi chiamarmi come vuoi, signorina. – fu la risposta, prima che anche lei venisse travolta in un abbraccio. Poi fece la conoscenza di Henri, timido come sempre, e di zia Olimpia, che sembrava potesse andare molto d’accordo con lei. Quando infine Lyliana si rivolse verso l’ultima persona nella stanza, il cuore le saltò un battito. Di fronte a lei aveva la vera madre di Acqua, nonché regina della città. Acquamarina stava accanto a lei, e sorrideva incoraggiante. 
– V-vostra altezza. – balbettò Lyliana, facendo rimbalzare lo sguardo tra le due. 
– Santo cielo, siete uguale a lei. – constatò, trasognata. Le si aggrottò la fronte, mentre una dura realizzazione la colpì: Acqua aveva trovato la sua vera madre, e nulla avrebbe mai potuto eguagliare quel legame, nemmeno lei. Ne fu un po’ gelosa, ma si consolò pensando che probabilmente per la regina fosse lo stesso. Nessuno le avrebbe mai potuto restituire ciò che aveva perso in tutti quegli anni. Lo aveva vissuto lei al suo posto, ed era stata la cosa migliore che le fosse mai capitata. Vide Azzurra sorridere, mettendo da parte il risentimento. Oltre alla reciproca gelosia, le due donne condividevano altro: l’amore più profondo per la loro Acquamarina.
– Diamoci entrambe del tu. – disse allora Azzurra, tendendole le mani con immensa gratitudine. – Devo imparare molto dalla madre di mia figlia. – disse infine, mentre Acqua si precipitava a stringerle entrambe in un lunghissimo abbraccio.

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Capitolo 46
*** La fine di un'era ***


Capitolo 46
La fine di un’era

– Sai, non avrei mai sperato che andassero così d’accordo. – disse Acqua a Max, accennando con la testa a Lyliana e Azzurra che parlottavano fitto all’altra estremità della sala. Max sorrise, divertito, e rimase qualche secondo a guardarle.
– Direi che hanno molto in comune. – commentò, rivolgendosi poi verso Acqua ammiccando. Lei arrossì lievemente, senza riuscire a staccare gli occhi da quel sorriso ipnotico. Gli gettò le braccia al collo, con l’infinito entusiasmo che mai la lasciava quando era insieme a lui, e rapidissima gli stampò un piccolo bacio sul naso. Max le sorrise nuovamente, gli occhi luminosi, prima di afferrarla per la vita e condurla fuori dal salone, trascinandola a tratti e fermandosi spesso a lasciarle un bacio, punzecchiarla, farle fare una giravolta. In quel momento non avevano altri pensieri per la testa se non quello di vivere il momento e scordarsi di tutto il resto, godendosi il loro amore ritrovato come se null’altro esistesse. 
Si fermarono poco prima di uscire dal palazzo, sulla soglia che dava sul giardino verdeggiante e illuminato dal sole. Erano entrambi accaldati, ma sui loro volti i sorrisi trionfavano sulla fatica. Acqua era appesantita dai mille strati di gonne dell’abito che Corallina aveva scelto per lei, e le guance le si erano colorate di rosso vivo per la corsa e l’emozione; ma anche Max non era da meno, avvinghiato nell’alta uniforme militare che l’occasione gli richiedeva. I loro sguardi rimasero legati a lungo, mentre riprendevano fiato e si lanciavano reciprocamente cenni di sfida. Fu Max a cedere alla tentazione, colmando in un passo frettoloso la piccola distanza che li separava e prendendole il volto tra le mani per baciarla. Si persero nel tempo, soli in quel piccolo idillio che apparteneva a loro soltanto. 
Il castello era deserto, in quel punto, e l’unica percezione estranea che li raggiungeva era un discreto vociare che saliva dalla città, attraversando il giardino. La giornata era meravigliosamente bella, degna delle celebrazioni che l’avrebbero riempita. I due ragazzi faticarono non poco a ritornare alla realtà, persi com’erano nella loro favola. Max ignorò il richiamo per  un po’, cullando Acqua fra le proprie braccia come se stessero ballando. Sentire il suo capo sul proprio petto lo riempiva di gioia; mai come in quel momento capì che si appartenevano, stretti come se fossero uno e incapaci di lasciarsi. Fu quasi doloroso dover porre fine a quel momento, ma non poteva ignorare i segnali ancora a lungo.
– Tua madre mi sta dicendo che è tutto pronto, e che dobbiamo raggiungerli. – sospirò il ragazzo inclinando il capo per poter vedere la reazione di Acqua. 
– Dobbiamo proprio? – sbuffò lei, imbronciandosi in un modo che Max trovò adorabile. Le schioccò un bacio sulla fronte, prima di risponderle:
– Sai, mi sembra di avere un déjà-vu. – Acqua sorrise, arrendendosi al dovere, e si incamminarono lungo i corridoi per tornare al salone d’ingresso. Si presero il loro tempo, senza affrettarsi troppo; in fondo non sarebbe stato così terribile tardare di qualche minuto. Quando arrivarono, tenendosi per mano e ridacchiando tra loro, gli altri erano già tutti presenti: la regina, che non si era mossa, Celeste, e il Saggio Archias li aspettavano, mentre prendevano gli ultimi accordi. Oltre il portone d’ingresso era stato montato un enorme palco che si affacciava verso sud sulla via principale di Atlantis. Il rumore della folla radunata era impossibile da ignorare, e Acqua cominciava già ad agitarsi. Azzurra, elegantissima e impeccabile, le si avvicinò ad accarezzarle un braccio per dimostrarle la sua vicinanza.
– Nemmeno io ci ho mai fatto l’abitudine. – le disse, con complicità, e Acqua fu quasi divertita dalla sua avversione per le formalità e l’etichetta.
– Tu segui lui, e andrà tutto bene. – le sussurrò la regina, indicando Max con un cenno della testa. Il ragazzo finse di risentirsi per quel suggerimento non troppo celato.
– Signore mie, io qua noto una certa predisposizione a sfruttare la mia persona senza alcun ritegno! – esclamò, con tono offeso. Poi con l’espressione di un eroe costretto al martirio, si profuse in un inchino, aggiungendo con tono drammatico: 
– Ma fate di me quel che volete, non esisto per altro che servirvi! – le due scoppiarono a ridere, e quella scenetta riuscì a contagiare persino l’umore di Celeste, che se ne stava mogia in un angolino. Anche lei era in alta uniforme come Max, ma a differenza del ragazzo portava al di sopra un lungo mantello blu notte di un tessuto che sembrava molto pregiato. Il cappuccio, per il momento, riposava sulle sue spalle. Il vecchio Archias era invece ammantato di rosso, e sembrava investito di un’aura quasi regale da quei drappeggi cremisi decorati con fregi dorati. Il vecchio si fece lentamente strada verso l’ingresso, ricurvo sul proprio bastone, seguito dagli altri. 
Una volta all’esterno, il palco li celava ancora alla vista del pubblico, e poterono ritagliarsi un ultimo momento prima di dare ufficialmente il via alle celebrazioni. Max si avvicinò a Celeste, che ancora non aveva detto un parola, e la abbracciò con immenso orgoglio. La ragazza si lasciò coccolare, perché doveva ammettere che ne aveva un gran bisogno, e si fece piccola fra le sue braccia. 
– Ti aspettiamo lassù. – le disse Max, stringendola un’ultima volta. Celeste annuì brevemente, facendosi coraggio. Lei stessa aveva fatto quella scelta, e ne era convinta fino in fondo, anche se ora il momento si avvicinava e la voglia di affrontarlo stava lasciando spazio all’ansia e all’agitazione. 
Osservò Archias cominciare a salire i gradini del palco con fatica, seguito poco dopo dagli altri. Max stava al centro, affiancato da Azzurra da un lato e Acquamarina dall’altro e teneva quest’ultima affettuosamente per mano. Acqua salì i gradini aggrappandosi con tutta la sua forza di volontà alla vicinanza di Max, consapevole che quella era solo la prima di innumerevoli occasioni simili. Il Saggio era già arrivato in cima alle scale, sul palco, e la folla cominciò ad applaudire proprio nel momento in cui la testa di Acqua oltrepassò il margine delle scale, permettendole di vedere la massa di gente che si agitava di fronte a loro. Senza pensarci troppo, si strinse di più a Max, e sentì che lui la prendeva sottobraccio. Le regalò un ultimo sorriso mentre percorrevano gli scalini rimasti, poi il ragazzo rivolse lo sguardo in avanti verso la città, e Acqua si meravigliò di nuovo a vederlo così solenne nei panni di un re. Pensò che la profezia non avrebbe potuto essere più accurata. 
Una volta che furono tutti sul palco, lasciarono che l’applauso continuasse fino a scemare naturalmente. Max faceva vagare lo sguardo sulla folla, e con le spalle dritte e la postura impeccabile indirizzava cenni del capo in saluto qua e là; anche Azzurra si rivolgeva al pubblico, nonostante ostentasse molta meno sicurezza del ragazzo, e di tanto in tanto salutava lievemente con la mano. Acqua tentò di imitarla, e come Max raddrizzò la schiena, mentre riconosceva tra la folla volti noti e miriadi di sconosciuti. Tutta la città era accorsa, compresi coloro che abitavano negli accampamenti agricoli fuori dalle mura, e la folla era mille volte più grande rispetto al ballo di primavera. L’emozione fu fortissima, perché Acqua riuscì a percepire con chiarezza che quella era la sua gente, e si inorgoglì enormemente nel vederli tutti lì, ritti e ammassati davanti al castello, come un’unica entità. Si sentì a casa. 
In prima fila, Corallina la salutò con la mano, imitata subito da Henri. Zia Olimpia le sedeva accanto. Non aveva voluto salire sul palco, nonostante fosse stata lei a prendere il posto di Max quando era prigioniero: diceva che lei e il potere non andavano d’accordo, e se ne sarebbe tenuta ben alla larga. Poi, Acqua incrociò lo sguardo di Lyliana, e finalmente riuscì a sorridere, sentendosi più leggera. La donna sembrava quasi un’altra persona, con quello splendido abito e un’aria molto più felice del solito. Acqua non poté fare a meno di notare il profondo orgoglio con cui la guardava, e ne fu riempita di gioia.
Poco a poco, il pubblico si quietò, lasciando spazio a un allegro brusio intervallato da grida di esultanza. 
– Popolo di Atlantis, benvenuto! – disse il Saggio con voce inaspettatamente forte, producendo un altro rumoroso scroscio di applausi. 
– Possa l’allegria dei vostri applausi accompagnare la nostra città per lungo tempo! – continuò. – Questo è lo spirito che guida le celebrazioni di questa giornata. Sarà un momento per festeggiare la fine delle sofferenze condividendo la gioia, e per ricordare il dolore di chi non è tra noi. – Acqua ascoltò le parole del vecchio con estrema attenzione. Il suo discorso fu lungo, anche se semplice e diretto. Ciò che diceva arrivava dritto al cuore di ognuno, e per ognuno aveva un significato diverso. Per lei, raccontava di un inatteso e doloroso ritorno alle origini, di terribili scoperte e nuove occasioni, cambiamento profondo e faticosa rinascita. 
Mentre ascoltava rapita il discorso di Archias, fece vagare lo sguardo sulla marea di teste che si agitavano lievemente lì davanti. Il suo pensiero rincorreva tutto ciò che a lei era stato risparmiato, e fu infinitamente colpita dall’immensità di storie che vedeva dispiegate dinanzi a sé: storie di coraggio, di resistenza, di tenacia, di sofferenza… Storie ordinarie e storie speciali, storie che avrebbe voluto conoscere una ad una, se solo ne avesse avuto la possibilità. Il pensiero di quell’enormità quasi la commosse, al punto che fu riscossa solo dagli applausi alla conclusione del discorso.
A quel punto, Archias si fece da parte, inchinandosi lievemente al cospetto della regina che avanzava. La stessa Azzurra, una volta giunta sul bordo del palco, si piegò in un inchino riconoscente verso il popolo, come faceva d’abitudine. Era sempre stata la sua personale ribellione contro l’etichetta, da quando, in una delle sue prime apparizioni pubbliche con Aquarius, aveva provocato le ire di diverse nobildonne e signore dell’alta società.
– Vedervi tutti qui oggi mi riempie di gioia. – esordì, allungando le braccia verso il pubblico. – Durante la mia prigionia spesso ho sperato che questo potesse accadere. In prima persona ho sperimentato cosa significa essere strappati ai propri cari, e vi capisco. Voglio soprattutto rivolgere un saluto caloroso a coloro che come me sono riusciti a tornare e a ricongiungersi alle proprie famiglie. La nostra resistenza ci ha ripagato esaudendo il nostro desiderio; ma non possiamo dimenticare chi non ha avuto la stessa occasione. Siamo stati coraggiosi, ma anche fortunati. Ora vi chiedo di non sprecare quella fortuna, e continuare ad adoperare il vostro coraggio per ricominciare. È un cammino che tutti dovremo affrontare insieme, per quanto difficile esso sia. – quando Azzurra tacque, la folla rimase sospesa in un breve silenzio rispettoso, prima di tributarle un altro applauso.
– Alla morte di Sua Maestà il re Aquarius, non ho permesso che si officiasse il passaggio della corona perché nemmeno la celebrazione più sobria avrebbe mai potuto essere in linea con la gravità delle circostanze. Vi chiedo quindi perdono, se fino ad ora nessuna incoronazione ufficiale ha mai avuto luogo. È questo il momento per rimediare alla mia mancanza, rinnovando il mio giuramento a voi come erede di Sua Maestà Aquarius e legittima sovrana di Atlantis. – Acqua era rimasta immobile, incantata come tutti dalla grazia della madre. 
Si riprese quando sentì Max sfilare con dolcezza il braccio dalla sua presa. Lo lasciò andare con orgoglio e lo osservò camminare con elegante solennità sul palco fino a raggiungere un tavolo su cui era posato uno scrigno dorato. Il giovane lo aprì, con gesti misurati ad enfatizzare la formalità del momento. Il Saggio nel frattempo si era avvicinato alla regina, apprestandosi a compiere il rito. Max sollevò dallo scrigno la corona dorata appartenuta al re, maneggiandola con infinita delicatezza. Con pochi lunghi passi, si pose accanto al Saggio, dal lato opposto di Azzurra, e tendendo le braccia in avanti, gli porse la corona chinando il capo. Acqua vedeva tutta la bellezza di quel momento nella sua simbolicità: Max restituiva il potere di cui si era appropriato, e il Saggio lo conferiva nuovamente alla regina, ristabilendo l’ordine naturale. Acqua immaginò quanto dovesse essere liberatorio per Max sbarazzarsi ufficialmente dell’accusa di usurpatore.
Archias ricevette la corona dal ragazzo, e la sollevò in alto, rivolgendosi al popolo mentre intonava parole in lingua antica che dovevano far parte di un rito vecchio di secoli. Azzurra nel frattempo si inchinò, quasi inginocchiandosi al cospetto del Saggio. Continuando le arcane preghiere, il vecchio si volse verso di lei e cominciò a calare la corona fino a posarla delicatamente sul suo capo. La folla rispose con una frase cerimoniale nella lingua degli antichi, e la regina fu infine investita del potere e poté alzarsi al cospetto del popolo. Le gemme brillavano sulla sua testa, incorniciate dai capelli biondi, che ondeggiarono leggermente al suo movimento. La regina infatti non aveva terminato i propri annunci, e fu lieta di riprendere la parola.
– Non ho mai svolto questo compito appieno, non ritenendomi adatta al comando per la mia indole. Chiedo il vostro perdono per questo, e prometto che dedicherò il massimo impegno per rispettare ciò che è mio dovere. Tuttavia, credo di parlare a nome di tutti affermando che in questi ultimi anni, il peso del potere sia stato gestito in maniera eccellente da un giovane di straordinarie doti. Nessuno negherà che egli abbia incarnato al meglio tutto ciò che un sovrano giusto e saggio rappresenta, portando innanzi gravosi incarichi e conducendo tutti noi verso la luce. – 
Acquamarina osservò Max, che rimaneva composto nel punto in cui si era fermato, trasmettendo una certa fierezza ma con un’aria più seria e quasi dimessa. Notò il suo petto alzarsi e abbassarsi lentamente, come se stesse respirando profondamente, e Acqua sorrise a quel dettaglio. La ragazza si incamminò verso un’estremità del palco, dove prese fra le mani l’oggetto simbolo della prossima cerimonia. Il fodero era pesante nella sua presa, ma fu felice di essere lei a portarlo. Azzurra continuava a parlare, mentre la figlia lentamente la raggiungeva. 
– Ho deciso pertanto di ricompensare il suo valore, e chiedere il suo aiuto fidato per quegli incarichi a cui io mai sarò adatta. – Acqua le porse la spada Intoccabile, e le due si scambiarono un sorriso mentre le loro mani si sfioravano sul fodero di quell’arma così significativa. 
– In accordo col Consiglio Cittadino, annuncio ufficialmente al popolo ciò che segue. – disse la regina, mentre Max si inginocchiava rispettosamente al suo cospetto. 
– Nomino Maxerius Losenor come meritevole Erede della Spada Intoccabile e Principe Reggente del regno di Atlantis. Egli sarà il mio primo consigliere in ogni circostanza che riterrò opportuna, e manterrà la carica di Primo Generale dell’Esercito in mia vece. – declamò la regina, sollevando la spada e porgendola con riverenza al giovane inchinato di fronte a lei. 
Max osservò la spada con ammirazione, prima di accettarla con estremo rispetto e gratitudine; infine si alzò, e con un movimento fluido la estrasse dal fodero, puntandola a terra. Si piegò di nuovo in un inchino alla regina, e pronunciò con ardore il proprio giuramento, come se avesse aspettato quel momento per tutta la vita. Gli occhi di Acqua brillarono vedendolo così felice e compiaciuto, e gli fu accanto senza pensarci troppo, prendendolo per mano mentre la folla esplodeva in un grande applauso. 
– Per terminare il nostro festeggiamento, desidero finalmente rendere omaggio al ritorno della principessa, la mia amata figlia Acquamarina, e riconoscerla ufficialmente come membro della famiglia reale. Ma innanzitutto voglio rivolgere pubblicamente i miei ringraziamenti più profondi alla magnifica donna che l’ha cresciuta in mia vece, senza chiedere nulla in cambio. Che possa vivere una vita felice accolta da Atlantis tutta come parte di sé. – Acqua osservò Lyliana arrossire fra il pubblico, evidentemente lusingata mentre si godeva il lungo applauso dedicato a lei. 
Quando la calma fu di nuovo scesa su tutti loro, Azzurra si voltò a ricevere dal Saggio un fine diadema decorato da pietre celesti. Mentre Archias e il popolo intonavano le antiche parole che celebravano il ritorno, Acquamarina abbassò il capo verso la madre e chiuse gli occhi. Il cuore le batteva a una velocità folle, e credette che le sarebbe presto scappato dal petto se non lo avesse fermato. Avvertì il diadema posarsi sul proprio capo con leggiadria, come se fosse stata una carezza. Aprì gli occhi, e sentì le mani di Azzurra che scivolavano lentamente verso il basso, fino a fermarsi sul contorno del proprio viso. Le loro fronti riposarono unite a lungo, mentre le acclamazioni crescevano sempre di più, e il calore del popolo le avvolgeva entrambe. Azzurra parlò di nuovo, trattenendo a stento la commozione nella voce. 
– Noi tutti dobbiamo molto a lei e al suo coraggio, non solo per averci ridonato la salvezza, ma per aver protetto in sé il Dragone, anima del mondo. Non dimentichiamolo mai. – Passò un tempo lunghissimo prima che il silenzio si ristabilisse, ma d’altronde nessuno aveva la volontà di porre fine all’eccitazione fervente di quella giornata. 
Sul palco, Acqua, Max e Azzurra si scambiavano discreti segni d’affetto che, sebbene limitati dall’austerità che la situazione imponeva, erano estremamente carichi di significato. Infine, madre e figlia si fecero da parte, spostandosi da un lato del palco per lasciare la parola a Max e al Saggio. 
Il momento era arrivato, e Acqua si chiese cosa stesse provando Celeste in quell’istante. Non aveva potuto vedere nulla delle celebrazioni, ma lei stessa aveva scelto così. Acqua immaginava che rimanere sola coi propri pensieri fosse il modo migliore per lei di prepararsi al passo enorme che stava per affrontare. Per quanto potesse provare empatia per lei, però, non avrebbe mai potuto capire fino in fono cosa provava. 
Celeste ascoltò col cuore in gola Max e Archias raccontare la lunga storia del Garante, una storia che lei conosceva troppo bene, ma che era stata taciuta molto a lungo. Non voleva più vivere nell’ombra, e anche se prendere quella decisione le era costata immensa fatica, aveva scelto di anticipare il termine del proprio addestramento e l’investitura formale. Era il momento di porre fine ad un’epoca di insicurezze e sotterfugi per nascondere la sua verità. Era stanca di fingere e voleva mostrarsi senza più dover indossare un cappuccio a coprire il proprio volto. Forse avrebbe avuto più pressioni, ma in cuor suo sperava e credeva semplicemente che si sarebbe finalmente liberata di un peso dalle spalle.
Ascoltare le parole del Saggio e di Max fu come percorrere nuovamente la sua vita intera, con un misto di orgoglio e amarezza che la accompagnavano intrecciandosi. Mentre il racconto giungeva al termine, Celeste sollevò il cappuccio a coprirle il capo e chinò la testa, per l’ultima volta. Prese un sospiro gigantesco, e il suo pensiero volò a rincorrere le due persone incredibili che le avevano insegnato, anche se in modi molto diversi, a voler bene a sé stessa. 
Salì le scale, sentendosi quasi sospesa in un sogno. Le girava lievemente la testa per l’emozione, ma continuò a misurare i propri passi con cadenza lenta e grave, fino ad arrivare al bordo del palco, mentre Max annunciava che il Garante stava per svelarsi, anticipando di un anno la sua investitura. Celeste attese con impazienza che finisse il discorso; e quando Max tacque, avvertì i passi della regina e della principessa che si avvicinavano a lei. Il silenzio era carico di attesa e quasi la fece impazzire. Sollevò le mani tremanti ad afferrare il bordo del cappuccio. Poteva quasi sentire le persone trattenere il fiato, in attesa della rivelazione. Esitò solo un attimo, ma lo fece: il cappuccio fu spostato all’indietro, e mostrò il proprio volto senza più abbassarlo. 
Un mormorio si diffuse, concitato, mentre lei respirava affannosamente fissando dritto davanti a sé. Il suo sguardo era saldo e il viso contratto, e dovette combattere contro sé stessa e la sua immensa paura per mantenere il mento alto. Il mormorio non cessava, ma si trasformò lentamente in sorpresa e approvazione, e Celeste sentì i muscoli dei viso che si distendevano, permettendosi infine di accennare un sorriso fiero. Si voltò verso Azzurra e Acquamarina, rivolgendo loro un breve inchino privo di sottomissione. Poco dopo si raddrizzò, e rimase impassibile ad osservarle mentre entrambe si inchinavano profondamente davanti a lei, come voleva la tradizione. Ripeté lo stesso gesto con Max, e il rito proseguì con le parole sacre e antiche pronunciate dal Saggio. Il tutto si prolungò in un tempo infinito nella percezione di Celeste, ma non le parve spiacevole. Tuttavia, quando finì, si sentì immensamente felice. 
– Popolo di Atlantis. – disse, pronunciando quelle parole come se sgorgassero dalla sua anima. – Oggi più che mai sono fiera di rappresentarvi e di dare voce al vostro spirito. Al nostro spirito: siamo una sola entità, uniti nel sacrificio come nella gioia. Sono stati anni terribili, e so che ognuno di noi ha vissuto innumerevoli momenti bui, alcuni dei quali talmente tremendi da piegarci per sempre. Conosco perfettamente il vostro dolore, perché appartiene anche a me: ho impresso nel mio cuore la sofferenza e la perdita, come molti di voi. E vi invito a seguitare nella vostra lotta, a proseguirla ogni giorno per non rendere vano ciò che è stato fatto. Dobbiamo rialzarci, e sarà difficile, ma la volontà non ci manca, e il coraggio nemmeno. Celebrando la nostra rinascita, è nostro dovere anche ricordare gli eroi che hanno combattuto in quest’ultima o in tutte le altre battaglie. Di comune accordo, invitiamo ogni famiglia a ricordare i propri eroi, incidendo questo pomeriggio i loro nomi sulle mura, in corrispondenza della porta Sud. Saranno per noi costante monito del sacrificio passato, e speranza viva che alimenti il futuro. – 
Celeste fece una pausa, compiaciuta di aver dato lei stessa quella notizia, che aveva sparso entusiasmo ed eccitazione negli animi dei presenti. 
– Ho soltanto un’ultima preghiera per voi. Qualsiasi cosa sia stata e sarà, prendete tutto questo e trasformatelo in qualcosa di buono. – 
 
***

Acqua strinse la mano di Azzurra e dopo uno sguardo complice, si apprestò ad avvicinarsi al muro. La celebrazione si era conclusa da poco, dopo una lunga serie di premiazioni al valore dimostrato da diversi soldati e civili negli ultimi anni. Sia Max che Celeste avevano tenuto lunghi discorsi, riassumendo vittorie e sconfitte del conflitto e presentando la strada che avrebbero dovuto percorrere in futuro. La guerra era finita, ma c’era ancora molto lavoro da compiere per poter affermare che, infine, erano risorti.
Al termine delle cerimonie, i sovrani e il Garante avevano guidato la processione del popolo attraverso le vie della città, conducendoli alla porta Sud delle mura, dove molti avevano già iniziato a incidere i nomi dei propri cari. 
Acquamarina aveva aspettato un po’ in disparte, prima di ricongiungersi ad Azzurra, osservando decine di persone che esprimevano il loro orgoglio e il loro dolore incidendolo sulla pietra. Era un momento così pieno di emozione, che commuoveva anche solo osservarlo da lontano. Poi, madre e figlia si erano procurate un coltellino, e avevano trascorso qualche momento insieme a commemorare la loro perdita più grande. Si avvicinarono al muro, tenendosi strette per mano e osservando per qualche secondo una porzione ancora vuota della pietra. 
Insieme scrissero il nome di Aquarius, imprimendo nella roccia l’amore di una moglie e la devozione di una figlia perduta, che nonostante tutto non avevano mai smesso di sentire la sua mancanza. Fu liberatorio, anche se affrontare quei pensieri dolorosi era difficile come sempre, e rimasero qualche istante abbracciate l’una all’altra a fissare la scritta senza aggiungere una parola. Quando si separarono, Acqua fece scivolare lo sguardo ad osservare Celeste che si avvicinava con passo deciso al muro e scriveva il suo dolore. Acqua vide che incideva due nomi, ma decise di non intromettersi in quel momento così privato. Si allontanò, perdendosi tra la folla, e venendo chiamata da ogni angolo, implorata di una gentilezza e una parola di conforto. 

Fu qualche tempo dopo, in un momento di calma, che fermandosi a riposare in un angolo tranquillo, fu colpita da una bellissima scena.
A poca distanza da lei, due bambine giocavano, correndo qua e là. Immaginò che fossero sorelle, e rimase rapita a guardarle, ascoltando inosservata i loro discorsi fantasiosi e le loro voci squillanti. I capelli, agitandosi, ricadevano sulle loro guance accaldate per il movimento. La ragazza restò ammaliata dalla loro vivace innocenza e restò a lungo ad osservarle. 
Due bambine che giocavano potevano anche non significare molto per la vita dell’intera città di Atlantis, ma ad Acquamarina parve che quello potesse essere un ottimo inizio.




- - - Angolo autrice - - -
È con immensa gioia e orgoglio che posso finalmente dire di aver concluso questa storia. Dopo averci lavorato, tra pause e periodi più prolifici, per svariati anni, sono da una parte contenta della conclusione di questa avventura, ma dall'altra so che mi mancherà molto. Spero che qualche lettore qui su Efp sia arrivato fino alla fine e possa averci trovato qualcosa di bello; sarebbe un grande piacere sapere che questa storia può significare qualcosa per gli altri come lo ha fatto per me. 

Alessia Krum

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