Memento Mori

di FuckEdison
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Fango ***
Capitolo 2: *** Welcome to the jungle ***
Capitolo 3: *** Learn to fly ***
Capitolo 4: *** Neutron Star Collision ***
Capitolo 5: *** Don't look back in anger ***
Capitolo 6: *** The glass prison ***



Capitolo 1
*** Prologo - Fango ***


Nessuna guerra, nessuna carestia, nessuna calamità naturale minaccia il corso della storia.
Nel 2030 l'uomo vive tranquillamente la propria esistenza contando su un governo presente, una forte economia ed una perfetta organizzazione sociale.
L'essere umano ha raggiunto Marte, estrae preziose risorse dalla crosta lunare ed affida alla precisa mano dei robot gli impieghi gestionali più tediosi e complessi. L'ingegneria genetica ha posto fine alle malattie ed ognuno può sognare di riprodursi, di trovare un discreto impiego e di invecchiare in pace.
Non è forse questo ciò a cui l'uomo ha sempre teso?
Il Nuovo Ordine Mondiale, governo globale che ha unificato i paesi del mondo in un'unica grande nazione, ha visto la sua escalation al potere fornendo alla malata società umana una meravigliosa panacea.
L'incredula gioia, però, ha insabbiato la coscienza dell'uomo sicché non potesse porsi alcune cruciali domande: dove sono finite le ambizioni umane? E le pulsioni? Che fine ha fatto la curiosità? Cosa ha portato l'uomo a sacrificare la propria libertà in cambio di una vita anestetizzata e che non contempla alcun tipo di emozione o sentimento negativo?
Pecore felici ed ignare, lobotomizzati resi incapaci di ogni autodeterminazione, illusi burattini manovrati dalle mani dei loro stessi aguzzini.
"L'uomo ha smesso di guardare alle stelle ed ha abbassato il capo per coprire i propri sogni di fango."
Qualcuno però, pur facendone parte, osserva con occhio critico la società e la sua innaturale evoluzione. Cosa è cambiato? Ma, soprattutto, per opera di chi?
Alcuni membri della comunità scientifica, protetti dal loro status di intellettuali utili al governo e nient'affatto soggiogati da esso, operano nascosti in quello che un tempo era il sacro altare della scienza moderna: il CERN.      




 
 
--- #FuckEdison ---
L'idea giusta ed il tempo necessario a scriverla si incrociano casualmente ed inaspettatamente quest'estate (2015). Complice di tutto un computer portato dietro quasi per caso ed una compagnia sufficientemente fastidiosa da costringemi ad infilare le cuffiette ed immergermi nel meraviglioso mondo della fantascienza.
Grazie in anticipo a chi avrà la voglia ed il piacere di seguirmi.
---

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Capitolo 2
*** Welcome to the jungle ***


It gets worse here everyday
Ya learn ta live like an animal
In the Jungle where we play
If you got a hunger for what you see
You 'll take it eventually
You can have anything you want
But you better not take it from me
- Guns n' Roses -
 

Era annoiato.
L'attesa lo faceva scivolare nel solido e profondo tunnel dei pensieri e lo estraniava più del dovuto da quella situazione a cui, invece, avrebbe dovuto prestare attenzione. Era certo che, se si fosse parlato di qualcosa di interessante, il suo udito selettivo lo avrebbe ripescato e riportato in superficie. Il mondo dei suoni era come un indistinto tappeto di segnali aggrovigliati ed indistinguibili che lui lasciava volentieri fuori dall'impenetrabile rifugio dei suoi pensieri.
«Nìkola!»
Tornò al mondo quasi dolorosamente mentre si ritrovava a fare i conti con il roseo faccione di Turing.
«Stiamo per iniziare!»
Il serbo annuì, accennò un sorriso affettato e si risistemò dritto sulla scomoda sedia di vetroresina e carbonio. Al tavolo semicircolare sembrava non mancare proprio nessuno, almeno fisicamente. L'enorme schermo a led organici s'accese, virò sul blu che indicava l'assenza di segnale e, infine, divenne una finestra aperta su un piccolo e disordinato ufficio. Dietro la scrivania un uomo in carrozzina muoveva freneticamente gli occhi onde comporre le parole il più velocemente possibile.
«Signori. E. Signore. Bentornati.» L'uomo aveva la rara capacità di risultare ironico nonostante il tono metallico del demodulatore vocale. «L'uomo .Ha smesso. Di guardare. Alle stelle. Ed ha abbassato. Il capo...»

Alan Turing roteò gli occhi, sbuffò e scimmiottò annoiato la continuazione della solita litania con cui Stephen esordiva ogni volta. Ne aveva sentite troppe durante la sua vita biologica per lasciarsi impressionare da simili sciocchezze. Piuttosto era sicuro che, se avesse avuto fra le mani quel demodulatore, si sarebbe divertito a modificarne il timbro. Trovò piacevole l'immaginarsi una sensuale voce di donna associata a quel carrettino un po' sgangherato con cui il fisico teorico si trascinava in giro.
No, non riuscì proprio a sedare il sogghigno e fu quasi felice di attirare l'attenzione di qualcuno.
«Shh!»
Marie aveva la dote tutta femminile di saper prevedere i pensieri altrui e, in più, conosceva Alan a sufficienza da sapere esattamente fin dove la fantasia del matematico inglese potesse arrivare. Erano stati vicini di cluster, chissà. Lo sguardo affilato di lei fu sufficientemente pregno di stizza da farlo sentire quasi in colpa. Quindi si zittì, tornò serio e riuscì quasi a fingersi interessato alle parole di Hawking.   
«...nessuno. E' qui. Per caso. E sono. Certo che. Alcuni. Di voi. Avevano. Già messo. In conto. Di. Dover. Tornare.» Stephen, attraverso il proprio sistema di sintesi vocale, continuava a parlare e ad ignorare i siparietti fra Alan e la Curie. La genialità poneva il drammatico problema della mancanza di osservanza delle convenzioni sociali.   

Albert, invece, aveva mal di testa.
Lo sfarfallio iniziale dello schermo lo aveva abbagliato ed ora se ne stava con le palpebre calate, lottando contro quelle macchie di luce che ancora galleggiavano sulla sua retina.
Continuava a massaggiarsi la tempia destra ed era certo che presto avrebbe mostrato a tutti il contenuto del suo stomaco. Non che fosse riuscito a mandar giù chissà che cosa, ma nessuno dei suoi colleghi era stato particolarmente buono con lui; si aspettava un "bentornato" migliore. Era certo che fosse tutta una ripicca, probabilmente la Relatività doveva averli costretti a troppe notti insonni. Sorrise nonostante il sapore acidulo in bocca, si versò un mezzo bicchiere d'acqua e lo mandò giù in un unico lungo sorso. Neppure lui riusciva a seguire Hawking come avrebbe voluto.
Sospirò, strizzò gli occhi e decise che era ora di fare una veloce capatina al gabinetto.


 

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Capitolo 3
*** Learn to fly ***


"We sat around laughing and watched the last one die
I'm looking to the sky to save me
Looking for a sign of life
Looking for something to help me burn out bright
I'm looking for a complication
Looking cause I'm tired of lying
Make my way back home when I learn to fly"
- Foo Fighters -

 

Il rombo dei quattro potenti motori di quel vecchio cargo Lockheed Martin C-130 Hercules non aiutava di certo il mal di testa di Albert Einstein. Si trovava seduto su di una panca dai sedili in metallo, con la cintura allacciata troppo stretta, schiacciato fra Tesla e la Curie.
«Meno di tre minuti, signora.» Il pilota ruotò la testa per quel che bastava a scambiare un cenno d'intesa con Marie. Albert aveva sempre pensato fosse una donna risoluta e non poté fare a meno di sentirsi rincuorato dalla sua presenza.
Non poteva dire lo stesso di Tesla poiché il loro ultimo scambio di lettere, negli anni '30 del ventesimo secolo, non era stato troppo felice a causa dell'aspra critica che il serbo aveva riservato alla relatività. Inoltre l'eccentricità di Tesla era considerata eccessiva persino per la pittoresca società scientifica del tempo che, negli ultimi anni della sua vita, gli aveva riservato un trattamento da vero indesiderato.
Intanto, con una serie di fastidiosi sobbalzi e scossoni, Albert vide la pista d'asfalto rattoppato iniziare a scorrere sotto di loro. Il piccolo finestrino rimandava un paesaggio brullo e i pochi alberi che nascondevano la pista erano scossi da un debole vento caldo che innalzava tristi polveroni di sabbia rossa. Oltre la pista, una sconfinata pianura ospitava strane e decadenti costruzioni: c'era un'enorme ed arrugginita ruota panoramica, delle strutture a serpentina che un tempo dovevano essere state delle emozionanti montagne russe, enormi aiuole vuote, un labirinto di cespugli oramai invaso dai rovi e la sagoma di un principesco castello diroccato. Ma dove diavolo era finito?

«Signori, tenetevi forte!» Il pilota spinse al massimo la leva dell'acceleratore e tirò la cloche. Un vuoto allo stomaco avvertì tutti che l'aereo stava prendendo quota. Albert ebbe la sensazione d'aver fatto un paio di capriole e quel mal di stomaco che credeva di aver lasciato a terra tornò alla carica. Sentì il sapore del tonno tornargli alla gola ed i succhi gastrici bruciargli l'epiglottide. Odiava perdere il controllo delle proprie facoltà.

Alan, intanto, accomodato di fronte ad Einstein, stava godendosi il pallore del fisico tedesco e stava cogitando sul tempo che quest'ultimo avrebbe impiegato a dare di stomaco. La Alcor, oramai resa illegale, era solita utilizzare una procedura di scongelamento particolarmente brusca quando aveva a che fare con la Lega ed era chiaro che l'ex azienda di criogenia umana volesse liberarsi dei suoi ospiti nel più breve tempo possibile. Un Einstein redivivo ma vicino al collasso ne era il risultato. Alan sapeva bene quanto male ci si sentisse e sapeva di non essere nella posizione di poter biasimare Albert. A breve si sarebbe sentito meglio, aveva solo bisogno di tempo e comprensione, quella comprensione che qualcun altro gli stava per negare.

«Neppure il tempo di arrivare e già sei un rottame. Sei il meno adatto a questo lavoro. Lo sai, vero?» Nìkola non aveva mai avuto un particolare tatto. A volte sembrava incapace di distinguere una affermazione innocua con una parecchio offensiva. Tentare di fargli capire un concetto così semplice era un'assoluta perdita di tempo e di energie mentali.

«Grazie Nìkola, anche per me è bello rivederti.» Albert si liberò della cintura di sicurezza e si sbottonò i primi due bottoni della camicia. Era madido di sudore, ma ora che l'aereo era a quota costante poteva godere di un attimo di tregua dalle proteste del suo stomaco. La testa, però, non smetteva di martellare.
«Nikola, per cortesia, non è il momento...» Marie cercò Alan con gli occhi sapendo che da lui poteva ottenere supporto. L'inglese, chiamato in causa, s'affrettò a liberarsi della cintura, si mise precariamente in piedi e spinse Tesla nel vano posteriore della cabina.
«Dai Niko vieni, mettiamoci a giocare un po' col radar.»
« Turing, non mi toccare. Avrei preferito di gran lunga Fermi a lui, lo sai.»
Rispose il serbo mentre si lasciava trascinare da Alan ed indirizzava un'occhiataccia al povero fisico tedesco.
«Ma che problemi ha?» Domandò Albert. Sapeva che Tesla, pur seduto alla postazione radar, continuava a guardarlo in cagnesco. Marie si limitò a scuotere la testa ed a sospirare; era stanca.

Il silenzio era più profondo del rombo dei motori e si insinuò nelle loro menti annullando la percezione del tempo. Albert, con lo sguardo fisso sul pavimento in laminato, stava visivamente ripercorrendo le ultime frenetiche ed assurde ventiquattro ore.
«Ho tante domande, Marie.»
«Lo so. Tieni.»

«Grazie. Cosa sta succedendo?»
Albert accettò di buon grado la fiaschetta d'acqua della Curie, ne svitò il tappo e mandò giù due lunghe sorsate.
«Ci vorrà tempo affinché tu riesca a mettere insieme i pezzi, Albert. Devi sapere che la Alcor è stata smantellata. Recuperarci e scongelarci è stata una procedura di emergenza attuata da Mister D. I nostri corpi sarebbero caduti in mano al governo, sarebbe stata la fine.»
Una smorfia di dolore corrugò il viso del fisico tedesco. Ricordava bene quando, pochi anni prima di morire, aveva ritrovato nella buca delle lettere quello strano plico. Il logo della Alcor Cryonics in rilievo, la precisione con cui venivano descritte le finalità dell'azienda, la firma di Mister D, tutto era sintomo di un grande progetto. Aveva pensato di non avere nulla da perdere, aveva accettato di farsi ibernare.

«Dove stiamo andando?» Albert mise da parte i ricordi, ci avrebbe pensato in un altro momento. Ora aveva bisogno di avere informazioni a più breve termine.

«Stiamo andando al CERN, è il centro operativo della Lega. Ti piacerà, Albert.» Marie sorrise debolmente; ora finalmente la riconosceva.
«Da dove siamo partiti?»
«Dalla residenza di Mister D. E' lì che ha conservato i blister sopravvissuti al rastrellamento del Governo.»
«Quindi ci sono anche altri...?»

«Più o meno.»
Tagliò corto Marie mentre una leggera turbolenza scuoteva la cabina dell'aereo. Le nubi che avvolgevano le ali del cargo pian piano si diradarono mostrando la valle che accoglieva il lago Ginevra. Stavano atterrando. Il sole rosso del tramonto si specchiava sulle acque increspate e faceva brillare d'oro le cime della folta vegetazione. Albert non ricordava d'aver mai visto nulla di più bello.

La pista d'atterraggio, che un tempo era stata un parcheggio per i turisti, si stendeva come una perfetta linea retta e separava il lago dal verde che era cresciuto rigoglioso. Il pilota del Lockheed si allineò alla pista priva di luci, decelerò e, in pochi secondi, toccò terra.
«Veloci!» Ordinò la Curie mentre si avviava al portellone. Tirò la leva d'apertura quando il cargo era ancora in movimento e, con un cenno del capo, ordinò ai tre di scendere.
 

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Capitolo 4
*** Neutron Star Collision ***


The world is broken
halos fail to glisten
you try to make a difference
but no one wants to listen

Hail, The preachers, fake and proud
their doctrines will be cloud
they’ll dissipate
like snowflakes in an ocean

- Muse -

 

Era stato dimostrato che il cervello umano, dopo 72 ore di deprivazione dal sonno, produceva allucinazioni simili a quelle ottenute con una modesta dose di LSD; Alan non ci teneva a sperimentare simili situazioni e fu per questo che si lanciò a peso morto sulla sua brandina. Sentì le palpebre farsi immediatamente pesanti, i muscoli rilassarsi e la coscienza spegnersi dolcemente.
Era stanco ed era convinto di meritarsi almeno un'ora di sonno.

A Nìkola Tesla, invece, il volo Parigi-Ginevra era ampiamente bastato a ricaricare le batterie: infatti era già furioso.  
Aveva lasciato lo studio di Hawking senza poter neppure godere della gioia di sbattere la porta visto che il progettista della base segreta aveva optato per più funzionali porte a scorrimento laterale automatico.
Percorse il tunnel fiancheggiando quel grosso tubo blu che, meno di venti anni prima, aveva fatto parte del progetto umano più ambizioso della storia: l'acceleratore di particelle più grande del mondo. Ora sembrava solo un pezzo di ottima rubinetteria a cui i passanti assestavano qualche distratto colpo di nocche.
«...Hawking se ne pentirà, questo è certo...» Borbottava fra i denti, desideroso di raggiungere la propria stanza il più presto possibile. Anche in questo caso dovette lasciar fare tutto al sensore di prossimità che si incaricò di azionare il meccanismo che trascinava indietro la porta. Il fallimento della volontà umana risiedeva proprio nell'utilizzo della tecnologia anche per compiere i più banali gesti quotidiani. Avevano piantato in asso il suo progetto sull'energia libera per imbottire l'uomo di comodità di cui non aveva bisogno.
Superò la soglia ed entrò in camera.
La sagoma di Turing, piegata su di un lato, giaceva immobile sulla brandina a lui riservata; dormiva. Tesla scosse il capo e si diresse all'altro lato della stanza; quello era il suo spazio. Una branda ed una piccola scrivania fiancheggiavano il muro su cui, come un quadro, era stata fissata una gabbia. Anche la colomba bianca al suo interno dormiva.
Nìkola dovette arrendersi con piacere alla solitudine ed al silenzio in cui era stato relegato.

Albert, a qualche corridoio di distanza, non riusciva proprio a smettere di sorridere. Marie lo aveva condotto attraverso il CERN, in una veloce visita guidata di ciò che era rimasto dell'impianto. Padiglione dopo padiglione, Albert aveva compreso l'entità dei progressi scientifici umani nella fisica teorica e sperimentale e, senza nascondersi troppo, si era piacevolmente ritrovato con gli occhi lucidi. Avrebbe dato il Nobel pur di poter vedere quel miracolo tecnologico in funzione.
Ora, seguendo le istruzioni lasciategli dalla chimica polacca, si stava dirigendo a quello che a detta di Marie era un buon posto per riposare e schiarirsi un po' le idee. Dubitava si trattasse di una suite presidenziale, ma nelle condizioni in cui era, gli sarebbe andata bene anche una stalla ed un letto di fieno. Fiancheggiò il grosso condotto blu, deviò a sinistra e percorse lo stretto corridoio fino in fondo, imboccò il varco sulla destra e si ritrovò nuovamente a camminare accanto al simpatico tubo.
La sua stanza doveva trovarsi da quelle parti.
Era in procinto di voltare nuovamente l'angolo quando dei veloci e sequenziali colpi al tubo lo fecero voltare. Era come se qualcuno alle sue spalle avesse picchiettato sulla superficie metallica.
«Chi c'è?»
Non c'era nessuno.
Il cuore gli era saltato in gola e martellava con una forza di cui non credeva essere capace.
Deglutì, tirò un profondo sospiro e riprese a camminare.
La necessità di trovare la sua stanza diventò un'urgenza e spinse di più sui talloni così da affrettare il passo.
Si sentì spiato.
Il condotto blu scorreva velocemente al suo fianco e, altrettanto velocemente, i picchiettii metallici tornarono. Al diavolo le indicazioni di Marie, si ritrovò a correre alla cieca, conscio del fatto che la sua meta non sarebbe dovuta essere lontana; con un colpo di fortuna sarebbe riuscito a mettersi in salvo da qualunque cosa lo stesse seguendo.
"Meow"
Albert si congelò all'istante, sgranò gli occhi e si voltò. Un gatto? Trattenne a stento l'ilarità e cercò la creaturina con gli occhi. Il micio lo seguiva ad un paio di metri di distanza, camminando in equilibrio sul condotto blu, parzialmente mimetizzato nella semi oscurità dal suo mantello pece. L'animale colmò speditamente la distanza che li separava e salutò Einstein con una generosa dose di fusa.
«Vieni qui.» Il felino si lasciò prendere di buon grado e si appallottolò morbidamente fra le braccia di Albert.
Ritrovò più umanità nel saluto di quella bestiola che nel comportamento dei suoi colleghi.

«Hei! Tieni quel mostro lontano da qui!» Tesla scattò come una molla quando Einstein entrò in camera con il gatto fra le braccia. Il felino si liberò dalla stretta del suo nuovo amico, s'arrampicò sulla scrivania del serbo ed iniziò a puntare minacciosamente il piccione dormiente.
«Giù di lì!» Il gatto non sembrò particolarmente preoccupato di Nìkola e parve quasi eccitarsi quando il volatile, strappato al sonno, iniziò a frullare rumorosamente le ali.
«E' incredibile il determinismo con il quale riusciate a NON fare silenzio quando dormo io» Alan era stato destato da Nìkola che aveva certamente più a cuore le sorti del suo piccione che i sogni di Turing.
«Perdonatemi per l'intrusione signori, Marie Curie mi ha indirizzato da voi. Mi ha assicurato che mi avreste trovato una sistemazione per la notte. Mi va bene qualunque cosa.»Albert era deciso ad essere meno invadente e problematico possibile, sapeva quanto fosse difficile trovare un punto di incontro con Nìkola.
«E ci mancherebbe, seguimi...ehi, Schrodinger, giù!» Nìkola fece per accompagnare Albert alla sua branda, quest'ultimo però era stato appena folgorato da un'idea mostruosa e rivoltante.
«Quello...quello è Erwin?» Albert indicò il gatto mentre il suo volto assumeva un'espressione che fondeva alla perfezione disgusto e paura. Cosa diavolo avevano fatto a Schrodinger? Quale mente deviata aveva mai potuto pensare di tramutare un essere umano in un animale? Cosa diavolo passava per la testa degli scienziati del ventunesimo secolo?   
I tentativi di Alan di soffocare una risata furono vani, il matematico inglese, infatti, scoppiò in una tale ilarità che quasi cadde dalla sua branda.
Tesla, invece, voleva credere che Albert lo stesse prendendo in giro.
«Il cervello te lo hanno scongelato, vero?» Sbuffò il serbo mentre accostava una brandina vuota e faceva cenno ad Albert di avvicinarsi.  Einstein rimase immobile, ancora chiaramente dubbioso.
«Santo cielo Albert, quello è solo un gatto! Lo abbiamo chiamato Schrodinger perché...insomma, lo sai il perché.»
«E dov'è Erwin?»
«Il cluster con il corpo di Erwin è stato distrutto tempo fa.»

Turing, intanto, aveva quasi sputato un polmone dalle risate.

 

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Capitolo 5
*** Don't look back in anger ***


Gonna start the revolution from my bed
'Coz you said the brains I had went to my head
Step outside 'coz summertime's in bloom
Stand up beside the fireplace, take that look from off your face
'Coz you ain't ever gonna burn my heart out


 
Era difficile avere percezione del tempo a così tanti metri di profondità. Gli orologi fornivano indicazioni prive di valore senza il raffronto con l'oggettività del moto solare.
Nikola Tesla amava tutto ciò, si sentiva svincolato dalle incombenze dei ritmi circadiani, libero d'organizzarsi in base alle sue personalissime necessità.
Era accomodato alla sua piccola scrivania e stava disegnando per gioco lo schema dell'amplificatore ua741. Adorava quell'inutile passatempo, lo aiutava a tenere allenata logica e memoria in un colpo solo.
 D'improvviso il buzzer del suo orologio da polso suonò.
«Che c'è?»
«E' ora di muoversi.»
«Bene, arriviamo. Chiudo.»

Era la Curie che, spinta da una ferrea motivazione, chiamava il gruppo all'ordine.
«Signori, sveglia!» Nìkola amava farlo, adorava insinuarsi nei sogni dei dormienti e tirarli fuori dolorosamente da essi. Turing ci si era abituato e, con un lamento nasale, biascicò qualcosa di incomprensibile, si stiracchiò le braccia e si voltò dall'altro lato. Albert invece aprì gli occhi all'istante, ritrovandosi semisveglio e confuso, catapultato di nuovo in quella strana realtà. Non aveva riposato affatto, la tensione lo aveva portato sul limitare del mondo dei sogni senza realmente lasciarlo affondare.
Meno di quindici minuti dopo Albert Einstein, Nikola Tesla e Alan Turing, entrarono nella sala conferenze del CERN; in ordine decrescente di altezza sembravano tutt'altro che minacciosi.
Marie Curie era già lì, accomodata all'enorme tavolo circolare, che tamburellava nervosamente le dita sul piano in vetro.
«Eccovi.» Si voltò al loro arrivo e li salutò con un leggero cenno del capo. Stephen Hawking, affiancato da Neil Degrasse Tyson e da Michio Kaku, occupava il semicerchio opposto del tavolo.
I tre, senza verbo ferire, presero posto al tavolo.  
«Abbiamo. La certezza. Che un carico. Di Memento. Destinato. All'impianto idrico. Di Berlino. Partirà stanotte. Dalla Bayer. Di Leverkusen.» Spiegò Hawking mentre Tyson distribuiva un plico sigillato ad ognuno dei presenti.
«Essere scoperti. O, peggio, la distruzione. Dell'intero carico. Sarebbe un. Fallimento. E metterebbe. A rischio. La nostra. Copertura. Ciò che. A noi interessa. E' entrare. In possesso. Di un campione. Di Memento.» Il modulatore vocale di Hawking, privato di ogni inflessione vocale, lasciava ampio spazio all'interpretazione del tono con cui il fisico si stava esprimendo. Intanto Schrodinger li aveva raggiunti in sala conferenze e si era silenziosamente accoccolato sulle gambe di Stephen.  
«Il lockheed vi trasporterà fino a Colonia, non potrà andare oltre per via dei radar. Da lì procederete da soli fino a Leverkusen. Sull'aereo troverete tutta l'attrezzatura necessaria ad infiltrarvi senza essere visti.» Michio, al contrario di Stephen, parlava speditamente e con tono asciutto. Era un uomo determinato, con la decisa ed invidiabile abnegazione al dovere di ogni orientale, ma era chiaramente preoccupato.  
«Bene. Se non c'è altro noi andremo.» Marie s'infilò il plico sotto braccio, strusciò la sedia indietro e si mise in piedi. Gli altri tre fecero lo stesso.
«Buona fortuna.»

Il lockheed già rombava nel parcheggio deserto e polveroso riconvertito in pista d'atterraggio. I quattro scienziati salirono al volo mentre il pilota faceva salire di giri i quattro motori del vecchio cargo. Attese che il portellone venisse chiuso prima di dare un colpo di acceleratore e spingere l'aereo lungo la pista. Il volo sarebbe durato circa un'ora ed i quattro avrebbero avuto tutto il tempo di vestirsi ed equipaggiarsi.
«Cosa c'è scritto di bello nel plico?» Alan si accomodò sorridente di fronte ad Albert e strappò il lato lungo del fascicolo sigillato.
«Tante cose, Alan. Vorrei averne capite la metà.» Il tedesco si sentì così rincuorato dal buon umore e dalla socievolezza dell'inglese che non ebbe alcuna remore a palesare nuovamente la sua assoluta confusione.
«Non mi pare proprio tu sia l'ultimo degli stupidi, Albert. Hai solo bisogno di tempo e di qualche informazione più dettagliata.» Ancora una volta Alan sorrise.  
«No, Tesla ha ragione, non sono portato per questo lavoro. Eppure sono qui,non l'ho scelto io ma mi sento in dovere di fare del mio meglio. Avrò bisogno del tuo aiuto, Alan.» Albert stava combattendo contro quel sé stesso irrazionale che proprio non voleva arrendersi a quell'inattesa realtà. Il fisico tedesco si sentiva solo, spaventato, perso, come qualsiasi altro essere umano. La genialità non era nulla in confronto all'ancestrale paura dell'ignoto. Turing sapeva esattamente come Albert si sentisse e si limitò a stirare le labbra in un leggero sorriso che si estese anche agli occhi.
 
«Devi smetterla!» Marie era nella parte posteriore del cargo insieme a Tesla. Aveva appena indossato un tailleur molto elegante, legato i capelli in una austera crocchia ed inforcato un paio di occhiali dalla montatura di resina nera.
«Cosa?» Nìkola Tesla corrugò la fronte e storse le labbra; non capiva.
«Devi smetterla di trattare Albert in quel modo. Magari appagherà il tuo istinto di prevaricazione ma è altamente distruttivo per la nostra missione.» Gli occhi di Marie erano puntati in quelli di Tesla, armati di una forza tale da costringere il serbo a guardare altrove.
«Ti sbagli, è solo una tua impressione. Spostati per favore.» Nìkola superò Marie per dirigersi alla postazione radar, staccò il suo laptop da tutte le periferiche, inserì la modalità stand-by e lo infilò nello zaino.
«Nikola, se hai un problema con Albert risolvilo quando saremo di ritorno alla base, ma non farlo sentire un reietto mentre siamo in missione. Salvare lui e non Fermi è stato un errore, è vero, ma la colpa è solo nostra, è inutile prendersela con lui.» Marie non sembrava decisa a demordere visto che considerava ogni malumore fra i membri della squadra anche un suo problema.
«Marie, se avessimo salvato Enrico e non Albert metà dei nostri problemi non esisterebbe. Enrico non si troverebbe nella pessima situazione in cui si ritrova, il mondo non sarebbe minacciato da una apocalisse nucleare e noi avremmo un importante alleato dalla nostra parte. Invece? Invece per la stupida curiosità di Hawking ci troviamo una palla al piede e l'angoscia di un amico in pericolo.» Nikola era sollevato dal fatto che finalmente lui e Marie avessero preso l'argomento. Lei, per giorni, aveva sistematicamente evitato di palarne, sperando forse che il tempo fungesse da deterrente per la rabbia. Ma Tesla difficilmente dimenticava, anzi tendeva ad elaborare i concetti più volte così da esasperarli anche a se stesso.
«Nìkola, Stephen ha già ammesso di aver sbagliato. Era certo che Albert sarebbe stato utile a...»
«No!» Nìkola interruppe Marie  mentre la rabbia gli esplodeva in viso. «...Stephen voleva solo conoscere Einstein, nulla di più! Ha ceduto alla curiosità personale mettendo a rischio ciò che rimane della popolazione umana.»
«Basta, ti prego.» Marie scosse la testa e avvertì distintamente il bisogno di abbandonare fisicamente quella conversazione tossica. Tesla glielo impedì piazzandosi davanti al varco che conduceva alla parte anteriore dell'aereo.
«Il nostro compito è provvedere alla sopravvivenza umana e tu non ammetti che la Lega possa aver deviato da questo proposito. L'idea che Hawking stia procedendo a tentoni ti terrorizza. Vero, Marie?» Tesla aveva uno strano modo di arrabbiarsi. Non alzava mai la voce, anzi tendeva ad abbassarla fino al limite inferiore dell'udibile, impregnandola di tutta la stizza possibile, rendendola molto simile al sibilo di un mortale serpente.
«Non hai idea di come ci si senta ad essere abbandonato dai propri colleghi e ad essere ritenuto inadatto, Nikola. Quindi lascia in pace Albert.»
Il sorriso con cui il serbo rispose era più simile ad una smorfia.
«E' chiaro che non sai niente di me, allora. Mi stupisci, Curie.»
Tesla si scostò e Marie fu finalmente libera di raggiungere Alan ed Albert.
La storia si ripeteva. Tesla l'indesiderato lasciato in disparte dal gruppo poiché unico capace di fare illazioni sui poteri forti. Nìkola sorrise amaramente, tirò un lungo sospiro e tornò ad occuparsi del suo zaino.   
  
«Albert, devi vestirti e devi assolutamente liberarti di quei baffi.» Marie si accomodò accanto a Turing e cercò di mascherare la frustrazione dietro un sorriso tirato.
«Io e te entreremo alla Bayer utilizzando dei documenti falsi. Saremo due ricercatori. Alan e Nikola saranno due operai della manutenzione. Dobbiamo essere veloci, non ci metteranno molto a rilevare la presenza di intrusi.»
Albert annuì conscio del fatto che doveva prendere le cose così come venivano.   

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Capitolo 6
*** The glass prison ***


Crawling to my glass prison
A place where no one knows
My secret lonely world begins
So much safer here
A place where I can go
To forget about my daily sins
Life here in my glass prison
A place I once called home

Dream Theater 
 
«Cosa diamine è il Memento?» Chiese innocentemente Albert con il sedere comodamente piazzato sul sedile posteriore della Model S di Nìkola. Erano atterrati a Colonia, avevano scaricato l'automobile elettrica dal cargo ed erano partiti alla volta di Leverkusen. Tesla era alla guida, la Curie accanto a lui, Albert ed Alan stavano dietro.
«Direi che è quello che stiamo andando a scoprire.» Fu Tesla a rispondere ed Albert lesse nel suo inaspettato tono neutro un singolare tentativo di proporre un armistizio.  
La verde campagna tedesca scorreva placida accanto alla strada ed una serie di villette a schiera iniziava a sbucare in lontananza fra gli alberi. Era un complesso nuovo, esposto al sole morente del tramonto ed i colori vivaci delle facciate davano l'idea di felicità. Un gruppo di ragazzini si passavano una palla da basket per poi lanciarla verso il canestro. Le loro urla divertite s'intrecciavano al cinguettio degli uccelli ed il tutto concorreva a chiudere il bel quadretto di vita quotidiana.
«Che meraviglia...» Einstein sorrise e seguì con gli occhi la parabola di un lancio particolarmente ardito che però finì fuori di poco.
«Non è come sembra.» Turing, seduto accanto ad Albert, era riemerso dai suoi pensieri da finestrino. «Nessuno è più cosciente di ciò che accade nel mondo. La popolazione umana è così assuefatta dai media da preferire credere alle loro stronzate piuttosto che all'oggettiva realtà dei fatti. Sarebbero in grado di vedersi bombardare il giardino e negherebbero comunque l'esistenza di una guerra.» Il perenne sorriso di Alan si increspò: perfino lui, eterno sognatore, stava dolorosamente cozzando contro la realtà.
«Oggi i conflitti non si combattono più con le armi convenzionali, Albert.» Tesla intervenne ed il suo tono placido confermò ad Einstein la volontà dell'altro di sedare gli attriti. Che il serbo si fosse improvvisamente ravveduto?
Marie Curie, accomodata davanti, riservò un sorriso solo per Nìkola.  

Superarono la zona residenziale, si immisero sull'autostrada ed imboccarono la corsia per la zona industriale. Il grattacielo della Bayer svettava sopra ogni cosa, mostrando il logo con l'enorme "B" a chilometri di distanza. Era un edificio di acciaio di almeno una cinquantina di piani, a base triangolare e con finestre specchiate.
La sola vista fece calare il silenzio nella Model S.
Procedettero per alcuni chilometri chiusi nei loro pensieri, cercando la concentrazione giusta per affrontare quel compito per cui non erano mai stati addestrati. Chissà quanto un libro di fisica potesse dirsi utile in casi come quello. Il pensiero comune li conduceva alla spiacevole conclusione che i loro altisonanti titoli accademici valessero veramente poco al cospetto del compito loro assegnato. Erano al punto di non ritorno, sull'orizzonte degli eventi: pochi minuti e non avrebbero più potuto tornare indietro, condannati a cavalcare pericolosamente le circostanze.
L'urlo improvviso di una sirena fece saltare il cuore in gola ai quattro che vennero riportati alla dura realtà dei fatti con crudele violenza. Nìkola diede un'occhiata allo specchietto retrovisore e venne abbagliato dalla luce intermittente di due frenetici lampeggianti.
Deglutì dolorosamente ed accentuò la stretta delle mani attorno allo sterzo. Tenere le redini della paura era un compito arduo persino per lui che si diceva fiero di poter vantare un carattere forgiato da mille sventure.
«Sono gli Inceneritori.» Mormorò preoccupandosi di tenere la corsia più a destra e di procedere a passo moderato. Fece in tempo a scambiare un'occhiata preoccupata con Marie prima che la pattuglia li superasse senza problemi e procedesse oltre a marcia spedita. Fu un sollievo per tutti.
«Dite sospettino qualcosa?» Sussurrò Alan con un nodo alla gola, sporgendosi nell'anfratto fra i due sedili anteriori.
«Impossibile.» L'affermazione di Nìkola mise un punto provvisorio alla strisciante paura che qualcuno potesse sapere di loro e della loro missione.

Si stavano introducendo nella tana del leone e, se il leone fosse stato già allertato, allora non avrebbero avuto scampo.
Chissà se Hawking, attraverso il supporto vitale, aveva percezione tangibile del rischio che stavano correndo.
L'uscita per la zona industriale si fece più prossima, Tesla inserì la freccia e si incolonnò insieme alle altre automobili. L'edificio della Bayer campeggiava su di loro e, man mano che ci si avvicinavano, si poteva notare una sempre maggiore presenza di Inceneritori. Raggiungere la Bayer tutti insieme, con un'auto tutt'altro che modesta, avrebbe dato troppo nell'occhio. Quindi svoltarono in una stretta via secondaria che faceva da malsano retro ad un ristorante asiatico, parcheggiarono la Model S e scesero.
«Fate attenzione , tenete le radio accese e buona fortuna.» Albert e Marie, che nel plico avevano trovato documenti falsi e un pass come ricercatori esterni, si allontanarono velocemente. Avrebbero preso un taxi e si sarebbero fatti portare alla Bayer dall'ingresso principale.

Nìkola e Alan, invece, sarebbero entrati come addetti alla manutenzione dall'ingresso secondario. Scaricarono dal portabagagli due cinture cariche di attrezzi e due tute da lavoro, le indossarono velocemente e coprirono la Model S con un telo a trama fotovoltaica: l'auto si sarebbe ricaricata nel frattempo che loro erano alla Bayer.
Nìkola andava particolarmente fiero di quella sua semplice ma geniale invenzione ed era certo che gli altri, seppur troppo orgogliosi per dirglielo, ne erano rimasti colpiti. Alan sapeva che Nìkola bramava i complimenti ma era divertito all'idea di non dargli soddisfazioni ed era certo che prima o poi sarebbe sbottato. Era una lotta silenziosa che divertiva entrambi.
«Allora?» Domandò Alan mentre si stringeva alla vita la cintura porta attrezzi colma dell'occorrente studiato per la missione. Sembrava quasi rallegrato dalla situazione di pericolo e Nìkola era certo che quella fosse solo una modalità di elaborazione della paura.
«Allora cosa?» Il serbo era pronto e stava circumnavigando l'automobile elettrica per assicurarsi fosse perfettamente coperta dal telo color antrace.
«Da quando sei agli ordini di Marie, Nikky?» Cinguettò l'inglese.
«Alan, non abbiamo molto tempo. Muoviti.» Tesla diede un'ultima controllata all'auto, si assicurò che il vicolo fosse deserto e si avviò lungo il marciapiede.
«E quelle occhiate?» Turing non si diede per vinto ed accelerò il passo per raggiungere il collega. Chissà, magari sotto quella corazza di risentimento c'era davvero del buono. Che Edison e Morgan avessero fallito nello strappare via ogni grammo di linfa vitale al povero Tesla? Era plausibile, dopotutto Nìkola era famoso per il suo strenuo attaccamento alla vita. 
«Un hobby? Non ti interesserebbe trovarne uno?»
« Nikky, tu sei il mio hobby.»
«Non mi pare di averti mai autorizzato ad utilizzare quel nome, Alan.»

Andarono avanti così mentre l'edificio della Bayer si destava come un mastodontico mostro sopra di loro. Il timore li accomunava e li rendeva vicini nonostante le divergenze personali.
Camminarono per dieci minuti buoni e ne approfittarono per racimolare energie mentali. Era sempre così, un po' come succedeva per gli atleti: settimane di preparazione per arrivare a dare il meglio in un breve lasso di tempo in cui ci si gioca tutto.

«Salve, documenti.» Il casellante accolse Tesla e Turing con una seccata freddezza. Accanto a lui due Inceneritori armati fino ai denti avevano già iniziato a squadrare i due scienziati in incognito. Nìkola e Alan allungarono i documenti e cercarono di assumere un'aria altrettanto scocciata.
«Siete quelli della manutenzione?» Il casellante visionò i documenti e li inserì nello scanner.
«Già.» Nìkola cercò di apparire neutro ma stava combattendo per mantenere il sangue freddo. Sentiva gli occhi delle guardie su di sé e dovette combattere contro quel folle diavolo che avrebbe voluto fargli incrociare lo sguardo dei due energumeni. Sarebbe stato divertente, ma assolutamente stupido e deleterio.
«In genere mandano quegli altri due tizi...» Borbottò il casellante mentre attendeva pigramente risposte dal monitor.
«Cosa vuoi che ne sappia, oggi hanno mandato noi.» Il serbo fece spallucce e sperava che la superficialità e il disinteresse li avrebbero fatti passare in sordina. Al più poteva dirsi seccato dal fatto che fosse costretto a recitare la stereotipata parte del povero e scontroso immigrato serbo, sfruttato e sottopagato, costretto a fare il mestiere che capita per portare a casa la pagnotta...un momento, lui lo era! L'esistenza, come al solito, si prendeva sadicamente gioco di lui.  
Lo scanner intanto rimandò qualche dato al terminale del casellante, emise due "beep" ed accese il led verde sulla scocca. Alan non riuscì a trattenere un sorrisetto, sentiva il cuore scivolargli nell'intestino.
«Bene, siete registrati. Buon lavoro.»
«Grazie.»

Uno dei due soldati si spostò verso la cancellata e, pigiando un codice sul tastierino numerico, la aprì per far passare i due. Li squadrò con insistenza, ne vagliò visivamente l'attrezzatura da lavoro e scrutò i loro volti quasi avesse il potere di percepire le cattive intenzioni. Alla fine, con sollievo di entrambi gli scienziati, l'Inceneritore li lasciò perdere tornandosene mollemente a vigilare il casello.     
«Cavolo, siamo dentro!Mio Dio, hai visto come ci guardava?» Sussurrò Turing mentre teneva il passo del compagno d'avventura e, insieme a lui, si addentrava alla Bayer.
«Sangue freddo, Alan,  e attento alle telecamere.» Lo ammonì l'altro calandosi la visiera del cappellino sul volto mentre veniva inquadrato dalla videocamera a circuito chiuso dell'ingresso. L'addetto alla sicurezza, chiuso nel suo centro di controllo, notò appena quei due tipi anonimi, in abiti da lavoro che entravano alla Bayer tramite l'ingresso secondario.

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