Mistery's Academy

di SweetNemy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incontro ***
Capitolo 2: *** Il progetto ***
Capitolo 3: *** La famiglia Starlight ***
Capitolo 4: *** La tempesta ***
Capitolo 5: *** L'arcobaleno ***
Capitolo 6: *** Due passati oscuri ***
Capitolo 7: *** La missione ***



Capitolo 1
*** L'incontro ***


 
Salve a tutti :3 grazie per essere entrati a leggere ^^ 

Spero che la storia vi piaccia anche perché il personaggio principale maschile è un personaggio a cui tengo molto :D


MISTERY’S ACADEMY


CAPITOLO 1. L’INCONTRO

Restavo in piedi di fronte a un imponente cancello scuro.
Il sole non riusciva a guardare il mondo quella mattina giacché il cielo era ricoperto di nuvole.
Rimasi lì, ferma a guardare per un bel po' e inevitabilmente mi chiesi come mai mi trovassi lì.
Una scia di frammenti della mia vita, chiamati usualmente "ricordi", prese il controllo della mia mente; dopo un incidente nel piccolo quartiere di Ottawa in cui vivevo la mia vita e quella della mia famiglia sono radicalmente cambiate.
Da allora mio fratello gemello non riesce più a parlare, mamma continua a dire che è rimasto profondamente traumatizzato.
Ci siamo trasferiti qui nella speranza che, non vedendo più quel luogo in cui il suo cuore è crollato, la sua vita riprenda a scorrere come una volta.
La campanella mi riportò alla realtà: mi trovavo di fronte al cancello del mio nuovo liceo di Arnavant, vicino Marsiglia, Francia.
La ferrea struttura si aprì e tutti si decisero ad entrare, con l'entusiasmo dei primi giorni di scuola che, ahimè, si perde durante l'anno scolastico.
Come al solito trovai i soliti gruppi, più o meno grandi, di persone che si dirigevano verso la porta d'ingresso, insieme o separandosi.
-Iris? Sei pronta? - mi chiamò mio padre distraendomi dal paesaggio circostante.
-Eh? Certo. Andiamo. -                                                                                                                      
Ci dirigemmo verso la porta d'ingresso e, a differenza di tutti che andavano a destra, noi imboccammo la sinistra, verso un cartello bianco in cui giaceva la scritta "PRESIDENZA".
-Buongiorno. - Salutammo all'unisono io e mio padre, e l'uomo davanti a noi si alzò ricambiando il gesto di cortesia e chiedendoci di accomodarci.
-Quindi tu sei Iris, la nuova alunna? - domandò il preside cercando, probabilmente, di farmi sentire a mio agio -Spero la scuola sia di tuo gradimento e spero riuscirai ad ambientarti dopo diversi anni che quei ragazzi sono uniti. La maggior parte ha fatto le scuole medie insieme.
-Lo spero anch'io, signore. -
-Ti prego, il signore è uno soltanto. Chiamami "professore". -
-D'accordo, professore. -
Dopo aver saputo la sezione e il modo per raggiungerla salutai cortesemente e m'incamminai.
"Per essere un preside di un istituto così grande e importante, è davvero una bravissima persona." pensai mentre raggiungevo la 2^ D, la mia nuova classe.
Questo istituto era particolare: aveva un’ala per la scuola media e un'altra per il liceo; ogni anno di corso stava su un piano, il primo anno sul primo piano e così via.
Dopo aver chiesto svariate volte ai collaboratori di piano dove si trovasse la mia classe, ecco che mi si presenta davanti: era una normale classe di liceo, ma già la sentivo speciale.
Succede sempre così, ho, ogni volta, delle grandi aspettative.
Bussai e aspettai mi venisse dato il consenso per entrare, dopodiché varcai la soglia e salutai cortesemente.
-E tu chi diamine saresti? Ti pare questa l’ora di arrivare in classe? – mi rispose, “cordialmente”, il professore che scriveva alla lavagna un resoconto del programma, che da quanto leggevo, doveva essere di francese.
Era un uomo sulla sessantina, con capelli e baffi bianchi, che camminava con la schiena un po’ curva e il bastone; gli occhiali così doppi che se non avessi saputo com’è fatto un paio d’occhiali, avrei azzardato l’ipotesi che abbia messo due vetri antiproiettile agli occhi.
Era un personaggio alquanto goffo, e penso anche smemorato, visto che avrebbe dovuto sapere del mio arrivo.
-Sono Iris Starlight, la nuova alunna. Sono arrivata quest’anno in Francia. –
-Starlight hai detto? Adesso controllo sul registro di classe. – disse mentre prendeva in mano l’oggetto in questione e iniziava a guardarlo da cima a fondo. –Ah, ecco il tuo nome. Però sei arrivata in ritardo comunque. –
-Ero in presidenza con mio padre. Se vuole può chiederglielo. –
-A tuo padre? – questo tipo era davvero rimbambito.
-Al preside. – risposi, anche leggermente seccata.
-Preside? No, non lo ritengo necessario. – probabilmente tra quei due non correva buon sangue. –Bene, ragazzi. Questa è Iris, la vostra nuova compagna di classe. Spero andrete d’accordo. – si rivolse ai ragazzi, poi guardò me –Beh, cara, siediti pure dove c’è posto. – disse guardandosi intorno e cercando una sedia vuota, che trovò in seconda fila, accanto a un ragazzo biondo con la testa fra le nuvole. –Mi dispiace, ma ti tocca Caron come compagno di banco. –
-Ha detto qualcosa professore? – domandò il mio nuovo compagno di banco.
-Mi prendi in giro Caron? –
-Questo spetta a lei deciderlo. – sorrise beffardo – Se vuole, può portarmi in presidenza. –
-No, non lo ritengo opportuno. Forse mi sono semplicemente scaldato un po’, alla fine sei un bravo ragazzo. – adesso era chiaro che questo tipo aveva paura del preside. Chissà per quale ragione.
Finita l’ora di lezione, captai dalle voci dei miei compagni di classe che il prossimo professore avrebbe fatto tardi ad arrivare.
-Ehm... – il ragazzo seduto accanto a me si schiarì la voce, ricevendo la mia attenzione. – Mo… molto piacere, sono... Arsène. – iniziò a grattarsi la testa. – Tu come ti chiami? Sai, prima ero in dormiveglia e non ho ascoltato. –
-Iris. – dissi sorridendogli e stringendogli la mano.
-Ragazzina, non farti illudere dal suo finto sorriso, questo tipo è un ripetente svogliato e maleducato. – se ne uscì un tipo con una t-shirt nera bucherellata e una catena al collo.
-Joёl, è più credibile la gravidanza di un toro, che quello che esce dalla tua bocca. –
-È più credibile la gravidanza di un toro, al fatto che tu sia un bravo ragazzo, vorrai dire. –
-Vuoi davvero morire, è? – si alzò Arsène e prese l’altro ragazzo per il bavero dei vestiti.
-Non ci stai facendo una bella figura. – rispose a tono l’altro, anche trovandosi in posizione di svantaggio. – Avanti, dille la verità. –
-Credi che non ne abbia il coraggio? – lo lasciò andare in maniera brusca e mi guardò –Sono ripetente, è vero. Ma questo non significa che sia maleducato o svogliato. – riprese a fissare quel tipo –E non dirò di certo a te le mie ragioni. –
-Non... ascoltarlo. – cercai di dirgli. Purtroppo non conoscendolo, non sapevo come prenderlo –Io credo in ciò che vedo, non in ciò che gli altri mi dicono di aver visto. –
-Figurati, sto bene. Ho semplicemente sonno. – rispose sbadigliando e appoggiando la testa sul banco.
Che strano tipo!
Alzai le sopracciglia e sospirai rassegnata.
Approfittai del ritardo della prof seguente per parlare con qualcuno della classe e per copiarmi gli appunti che il prof di francese aveva dettato prima che io entrassi in classe e l’orario delle lezioni.
Avevo appena finito di sistemare gli appunti, che ecco entrare la prof di matematica: una donna sulla quarantina dai capelli biondi e corti e abbastanza in carne.
-Buongiorno. – salutammo tutti all’unisono, alzandoci.
-Seduti ragazzi. – appoggiò la borsa sulla cattedra e si preparò al solito discorso di ogni professore all’inizio dell’anno. Ma prima, bisognava, come da regolamento, scrutare ogni faccia per evidenziarne differenze da tre mesi prima. – Joёl, da quanto sei entrato nel club dei metallari? Mio figlio ti vede spesso lì dentro tutto truccato e fumare canne, vediamo di calmarci o potrei dirlo a tua madre. – guardò dall’altro lato, dove sedevano le ragazze –Cos’è successo? Siamo ritornati alla scuola fascista? Le ragazze da un lato e i ragazzi da un altro? Ci vuole progresso, popolo! – poi posò l’occhio su di me e il mio compagno di banco –E chi sono questi due ragazzi? Siete nuovi? –
-Sì, sono arrivata oggi. – risposi cercando di essere più cortese possibile.
-Ah, capisco. Non sei francese vero? –
-No. Sono del Canada. –
-Come ti chiami ragazza canadese? –
-Iris Starlight. –
-E il tuo compagno di banco? –
-Non mi riconosce? – alzò la testa Arsène e la guardò annoiato.
-Caron! Spero che tu abbia messo la testa a posto. –
Ecco un altri mistero: come mai ce l’hanno tutti con Arsène? Ok, è stato bocciato, ma questo non vuol dire che sia una persona cattiva o quant’altro.
Credo che la gente non riesca ad andare oltre l’apparenza, ma che si fermi ad osservare le cose solo in superficie. È più facile aggrapparsi a cose che già conosciamo, che magari non vengono neanche da noi, ma a noi non importa, le diamo per certe e le facciamo nostre. Bisognerebbe invece diffidare delle opinioni comuni e cercare da soli le risposte che vogliamo ottenere.
A volte la verità è tutt’altra quella che sembra, a volte non sappiamo tante cose e insistiamo lo stesso, giudichiamo senza pudore.
O forse, è tutto vero, Arsène è un cattivo ragazzo e io lo vedo sotto una luce positiva, sono cose che scoprirò solo vivendo.

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Capitolo 2
*** Il progetto ***


CAPITOLO 2. IL PROGETTO

Dopo due ore di matematica in cui si è parlato di tutto tranne che della materia in questione, un’ora di inglese in cui ho subito un interrogatorio da parte del professore sulla cultura e sulle tradizioni canadesi, mezz’ora di educazione civica e mezz’ora di agronomia e territorio finalmente, arrivò l’ora di pranzo.
 La mensa della scuola era immensa, e davvero ben pulita. Come le aule, anche le stanze con i tavoli appositi per consumare i pasti erano tante quanti gli anni di corso. Per evitare di perdermi seguii Arsène.
-Quanti ricordi in questa stanza! – disse il mio compagno di banco sorridendo.
A pensarci bene, era la prima volta che lo vedevo sorridere da stamattina, tuttavia quel sorriso aveva un retrogusto amaro: portava con sé malinconia.
Forse era dispiaciuto di non essere più con i suoi amici dell’anno scorso.
-Posso sedermi accanto a te a pranzo? – gli chiesi.
-Non ti basta avermi accanto in classe? –
-Sei l’unica persona che conosco. – risposi semplicemente.
-D’accordo. Occupa quei due posti lì in fondo. – mi indicò un piccolo tavolo vicino a una grande vetrata che dava sul giardino sul retro della scuola.
Arrivò poco dopo con un vassoio in mano e si sedé di fronte a me.
-Quanto ti devo? – dissi mentre mi porgeva il vassoio.
-Nulla, figurati. –
Dopo vari tentativi di non farmi offrire il pranzo, vinse lui; ma una cosa mi lasciava ancora perplessa: lui aveva preso un solo vassoio e l’aveva dato a me. A lui nulla.
Mi venne spontaneo chiedergli perché non stesse mangiando.
Nessuna risposta. Fece spallucce e si appoggiò come al solito con la testa sul banco.
-Visto che non mangi, puoi farmi una panoramica sulle persone della classe? –
-Non le conosco tutte, ma ti posso dire che ci sono principalmente tre gruppi: gli asociali, cioè coloro che non fanno parte di grandi compagnie; gli snob e le snob. –
-Quindi per avere amici devi per forza essere snob? –
-Sì. Se volevi un’analisi più approfondita, mi dispiace. Al contrario degli altri non mi piace parlare della gente in loro assenza. – ritornò ad appoggiare la testa sul banco.
-Voglio solo un tuo parere, non è detto che sia la verità. Cosa mi dici di quella ragazza laggiù con la maglietta corta e la minigonna? –
-Vai a scegliere proprio il meglio, vedo. – mi guardò, poi spostò lo sguardo fuori dalla finestra.
-Lei è Giselle, è una troia, se proprio vuoi la mia opinione. L’ha data a mezza scuola e ci ha provato con tutti i ragazzi “snob” con cui aveva amici in comune. –
-E di quel tipo con gli occhiali che mangia il prosciutto con la forchetta? –
-So solo che viene chiamato Fin, lui fa parte degli asociali. –
-E tu, di che gruppo fai parte? –
-Io preferisco stare fuori da queste sciocchezze. Mi etichettano nei ripetenti, mi etichettano negli asociali. Comunque se vuoi fare amicizia con delle ragazze della classe ti consiglio il gruppo di Claire, sono un po’ più umili; anche se da quanto so, adorano passare i fine settimana nei centri commerciali. -
-Quando ero in Canada, passavo i week-end sulle sponde dei laghi della zona. I paesaggi erano davvero suggestivi e rilassanti. –
-D’accordo, forse è meglio che lasci perdere e.... sicuramente troverai qualche anima che ama la natura, tranquilla. –
-A te piace la natura? – gli chiesi, e la sua faccia divenne alquanto buffa: sbarrò gli occhi.
Sorrise, poi rispose –Sì, mi piace. Anche se la preferisco senza serpenti, api, ragni e insetti rompiscatole. –
-Conosci dei posti immersi nella natura, tranquilli, dove l’anima e gli occhi si perdono? Intendo nei dintorni…-
-Sì, ma bisogna comunque prendere un pullman o due. Mi dispiace, ma siamo in una città molto popolata, vicino Marsiglia tra l’altro. Qui vicino c’è un parco ma è piccolissimo... bisogna salire, andare verso nord per trovare quei posti che ti piacciono tanto. –
-Beh, allora qualche volta ci andrò. – finii il pranzo e presi a fissare il tavolo per trovare il coraggio di chiedere una cosa al mio interlocutore –Oggi… ti va di studiare insieme? –
-Studiare il primo giorno di scuola? Non hanno assegnato nulla. –
-In realtà il professore di inglese ha assegnato a ogni due di noi un cartellone su uno stato, una città o un monumento anglo-sassone. E a me e te ha assegnato il Canada, dato che sono canadese. –
-Che due palle. – sospirò. – I cartelloni? Ma stiamo al liceo o alle elementari? –
-Se ti scocci faccio da sola e metto anche il tuo nome, non preoccuparti. –
-Addirittura? Allora non scherzavi quando dicevi di non credere alle opinioni altrui. – alzò la testa dal banco e si strofinò gli occhi –Non faccio così schifo da farti fare tutto da sola, non preoccuparti. Da me o da te? –
-Ti inviterei volentieri da me ma... – pensai a mio fratello –Ho… ho ancora problemi con il trasloco e non vorrei che ci fosse troppo casino, capisci? –
-Tranquilla, vieni pure da me. I miei non ci sono. –
-A che ora vengo? –
-Subito dopo scuola, oggi finisce alle 4. Anche se alle 15 c’è l’ora di laboratorio e come ogni prima lezione dell’anno si discuterà di come comportarsi durante l’anno per essere elogiati come migliore classe e avere la possibilità di fare qualche viaggio d’Istruzione. – parlò a caricatura, come se non ne fosse affatto entusiasta.
-Sembra un’iniziativa valida. Perché non ti piace? –
-Ehm... perché dovremmo eleggere il rappresentante di classe e sicuramente salirà quel gallo di Joёl. –
-Io non conosco bene tutti, per chi devo votare? –
-Vota per Noёl, è il secchione della classe, è super logorroico ma ha molte idee e non ha paura di parlare. –
-D’accordo. –
Passò velocemente la pausa pranzo e fummo costretti a ritornare nella nostra classe, ai soliti posti, aspettando la campanella per iniziare con le votazioni.
Dopo mezz’ora le votazioni furono concluse: Noёl e Joёl pari merito: carta, sasso forbici per decretare il vincitore (metodo alquanto discutibile) e per la gioia di Arsène trionfò Noël!
Usciti dalla scuola, chiamai i miei dicendo che sarei andata dal mio compagno di banco per fare un cartellone assegnatoci oggi in classe; e poi seguii Arsène verso casa sua.
Era una casetta davvero graziosa, con un piccolo cortile all’ingresso e le fondamenta alte tre gradini dal suolo; il tutto era molto armonico, delicato e piacevole, come le villette che si trovano in campagna.
Dentro, però, l’armonia che c’era fuori era disturbata da un po’ di disordine... no, non era solo un po’ di disordine.
-Scusa il casino. – mi disse grattandosi la testa. –Di solito metto in ordine dopo scuola. Se aspetti un po’ risolvo tutto. –
-Dove sono i tuoi? –
-Al lavoro. – rispose semplicemente.
Sembrava sgarbato chiederglielo... ma a me sembrava come se in quella casa non si desse una riordinata da un bel po’, come se sua madre non stesse lì da un po’ di tempo.
-Che lavoro fanno i tuoi? – chiesi, sperando di ottenere qualche informazione.
-Sono avvocati. – continuava a dare risposte secche –Adesso aspetta qui, io riordino un po’ e poi torno e facciamo... il cartellone. –
-D’accordo. – dissi togliendomi la tracolla e appoggiandola sullo schienale di una sedia. – Se vuoi ti do una mano. –
-No, tranquilla. Faccio in un attimo. –
Aveva un metodo alquanto discutibile di riordinare, più che altro spostava il disordine da una parte all’altra.
Dopo una decina di minuti si presentò da me, acclamando di aver finito.
-Scusa, ma la donna delle pulizie viene una volta alla settimana e dovrebbe venire domani. Quindi c’è un po’ di casino. –
-Figurati. Ma quindi i tuoi genitori stanno poco a casa con te? –
Il suo sguardo si spense e prese a guardare il pavimento, la sua bocca si mosse –Tornano di sera tardi e vanno via la mattina presto. – cercò di cambiare discordo, avevo capito che quest’argomento lo infastidiva – Dovrebbero esserci dei cartelloni nello studio di mio padre, seguimi. –
-D’accordo. –
-Ci metteremo in camera mia. –
Salimmo la rampa di scale fatte di legno scuro e, mentre lui proseguì fino in fondo al corridoio, invitò me ad accomodarmi in un’altra stanza, probabilmente la sua. Entrai.
Diedi uno sguardo intorno: almeno la sua stanza era in ordine e davvero molto bella. Presentava i muri bianchi arricchiti con tante foto e il pavimento dello stesso colore, la scrivania di legno scuro era molto vintage e si abbinava al letto e all’armadio e consentiva di creare un contrasto perfetto con la parete luminosa.
Dalla porta-finestra del balcone lasciata aperta entrava un filo di vento, che faceva muovere le tende in modo, definirei, armonioso.
Mi incamminai verso l’interno osservando più nel dettaglio quelle foto: su quelle pareti c’era tutta la vita di Arsène, tutte cose che a lui piaceva ricordare.
Tra tutte le foto, (vi erano quelle in cui il mio compagno di banco giocava a calcio, in cui suonava la chitarra e insieme ai suoi genitori e amici, credo fossero), ce n’era una che m’incantai a guardare: egli aveva un sorriso puro, che faceva brillare anche gli occhi, il sorriso di chi è davvero felice e che rendeva i suoi occhi di un celeste acceso come il cielo sereno.
La guardavo e mi chiedevo cosa fosse potuto succedere per essere cambiato così radicalmente, ma in quell’istante Arsène varcò la soglia della porta con il cartellone in mano, sorprendendomi a guardare fissa e con aria pensierosa una delle sue foto.
-A che pensi? – mi chiese curioso.
-A nulla – sussultai – stavo aspettando che venissi e mi è caduto l’occhio sulle foto. Scusa. – gli dissi abbassando il viso.
-Beh, l’importante è che non mi farai domande sul perché io le abbia ancora in camera se sono foto del passato. –
-Tutti abbiamo in camera nostra foto che raccontano di noi, dei nostri ricordi. –
-Eppure sì, sembra naturale averle. Ma… possibile faccia così male ricordare i momenti felici quando sai di non poterli più rivivere e sei consapevole che la tua completa esistenza non avrà senso? Quando l’unica cosa che ti tiene aggrappato alla vita non è più il desiderio di cambiarla, di perfezionarla, ma solo la paura di rinunciare ad essa? –
-Cosa è successo per farti pensare questo? – gli chiesi, e per certi versi aveva completamente ragione. Ma sta di fatto che la penso così dopo la storia di mio fratello, di quello che è successo e per cui sono cambiata, anche se cerco di nasconderlo e a volte finisco per negarlo a me stessa. Deve essergli capitato qualcosa di altrettanto grave, che l’ha scosso profondamente.
-Troppe cose. – sospirò, poi abbozzò un sorriso – dovevamo fare un cartellone, no?
Dopo la discussione malinconica di pochi secondi prima, era davvero ora di iniziare il cartellone.
Prendemmo gli strumenti necessari e ci mettemmo all’opera: un lavoro che durò quasi tutto il pomeriggio fino alle 7 di sera, orario in cui decisi di andarmene. Tuttavia, una frase di Arsène mi insospettii e decisi di prendere una strada diversa.

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Capitolo 3
*** La famiglia Starlight ***


CAPITOLO 3. LA FAMIGLIA STARLIGHT

-Beh, direi che abbiamo finito. – disse Arsène colorando l’ultima vignetta. Aveva davvero una bella mano, un controllo delle dita pazzesco, quasi lo invidiavo. –Iris...? – mi chiamò mentre stavo pensando a tutt’altro.
Scossi la testa e la alzai proiettando lo sguardo nel suo, nei suoi occhi tanto chiari quanto ignoti. –Dicevi? – in realtà furono le uniche parole che decisero di uscire.
-Direi che abbiamo finito. – ripeté il ragazzo, appagando la mia sbadataggine, se così poteva essere definita.
-Sì. – risposi con un’espressione da perfetta idiota. – Cosa si fa adesso? –
-Proporrei di accompagnarti a casa, si sta facendo tardi. – mi disse con finta premura. Sì, l’ho capito subito, mi nascondeva qualcosa. –Non fraintendere ma... non vorrei che girassi da sola per i vicoli bui di questo quartiere. -
-Non preoccuparti, la mia casa non dista molto da qui. Vado a piedi. – in realtà non avevo alcuna intenzione di andare a casa, volevo scoprire cosa mi nascondesse.
-Non sono un gentiluomo, ma non lascerei mai una ragazza camminare per strade scarsamente popolate a quest’ora. –
A un certo punto dovetti accettare, insisteva proprio tanto. –D’accordo. Se proprio insisti. –
Tirò un sospiro di sollievo, non di certo perché sarei arrivata a casa sana e salva. Ah, caro biondino, cosa mi nasconderai di tanto grave?
Per tutto il tragitto non dicemmo una parola, lui probabilmente per non tradirsi e io perché sapevo benissimo che qualsiasi riposta sarebbe stata una bugia.
Giungemmo a casa mia dopo circa dieci minuti, pensavo ci volesse di più ma Arsène conosceva bene le scorciatoie di quel quartiere di Arnavant e cercò di prendere la strada più breve.
-Beh, dovrebbe essere questa casa tua. – mi disse collegando l’indirizzo che gli avevo dato a quello che aveva davanti agli occhi.
-Sì, grazie mille. – lo salutai con un cenno della mano. –Passa buona serata. –
-Anche tu, ciao. – perché hai urlato così tanto, dannazione!
Questo ragazzino sembra stupido, ma ci sa fare! Non avevo alcuna intenzione di tornare a casa, avrei aspettato che girasse l’angolo per seguirlo e scoprire finalmente cosa nascondesse. Tuttavia, urlando, mio padre è riuscito a udire la sua voce e si è affacciato dalla finestra vedendomi nel cortile della mia nuova casa e ... addio pedinamento.
Volevo fare qualcosa di adrenalinico ma mi tocca rimandare, se non è oggi sarà domani.
-Iris? – mi chiamò mio padre distraendomi dai miei piani alquanto folli. –Vuoi entrare? –
Gli sorrisi e mi diressi verso la porta.
Entrai in casa e posai subito la cartella sulla prima sedia che trovai, mi diressi verso camera mia e di mio fratello e posai il cartellone.
Girai lo sguardo e lo vidi steso sul letto con le cuffie alle orecchie –Ciao, Lewis. – lo salutai, certa che però non avrei ricevuto risposta. Neanche mi degnò di uno sguardo.
Lewis era mio fratello gemello: gemello eterozigote eppure eravamo identici in tutto e per tutto, prima che succedesse l’incidente era il mio migliore amico.
Ogni oggetto che fissavo l’avevo condiviso con lui, a cominciare dalla playstation: mi batteva spesso, anzi, quasi sempre eppure mi divertivo un mondo a giocare con lui. Avevamo un rapporto invidiabile.
Di solito non ero una che si autocommiserava ma non potevo nascondere la malinconia che mi stringeva il cuore al ricordare quei momenti.
-Iris? Sei tornata? – la voce di mia madre mi fece tornare alla realtà.
-Sì, mamma. Da qualche minuto. –
-Quante volte ti ho detto di non lasciare la borsa sulle sedie in cucina? – aveva sempre da rimproverarmi e seppur avessi fatto tutto giusto avrebbe sempre trovato qualcosa che non le andasse. –Portala in camera tua e aiutami a preparare la cena. –
E se non le avessi obbedito, non oso immaginare cosa mi avrebbe fatto. Sospirai e le obbedii anche se non ne avevo alcuna voglia.
-Gentile quel ragazzino, a riaccompagnarti a casa. – spuntò dal nulla mio padre mentre portavo la tracolla in camera mia.
Gli sorrisi e accennai solo un –Già. – dirigendomi verso la porta interessata.
-Cos’è questa storia? – chiese mia madre.
-Il compagno di classe da cui è andata oggi, l’ha riaccompagnata fin sotto casa. Molto premuroso visto che neanche la conosce. –
-E tu le hai dato il permesso di andare a casa di uno sconosciuto? E se l’avesse violentata? Sei uno sconsiderato! – proferì mia madre arrabbiata.
-Ti ricordo che ha alle spalle ben cinque anni di arti marziali. Sa cavarsela da sola. –
-Scusa ma dopo un figlio che mi è diventato rimbambito non voglio proprio una figlia che mi diventi incinta. –
-Ha subito un trauma, dannazione. – cercò di controllare il tono di voce mio padre ma riuscivo a sentire comunque e rimanevo in stanza guardando mio fratello aggrottare le sopracciglia e sperando che quell’mp3 fosse acceso.
Presi un respiro e andai in cucina –E non lo supererà mai se continuerete a comportarvi come due bambini. La smettete di litigare? - ritornai poi in camera e chiusi la porta avvicinandomi a mio fratello.
Gli tolsi le cuffie e cominciai a parlare –Ti avrò fatto questa domanda almeno cento volte, ma non mi hai mai risposto. Ad essere sinceri non hai risposto a nessun’altra domanda. Dimmi, cos’è successo quella notte? – mi fissò con i suoi occhi scuri, uguali ai miei. Il suo sguardo supplicava di non parlarne, ma di parole non ne disse.
Guardai la libreria di ciliegio di fronte a me e vidi appoggiato alla base destra dell’oggetto una lavagnetta metallica, una di quelle che usano il meccanismo a calamita. La presi e scrissi sopra un semplice “COME STAI?”, poi la porsi a mio fratello. Cancellò quello che c’era scritto subito dopo averlo letto trascinando verso sinistra la levetta sulla lavagna. Poi prese la penna e iniziò a scrivere.
“MORTO.”, scrisse. Il cuore mi si strinse in una morsa. Era il suo modo di rispondere quando qualcosa non andava, era un ragazzo di poche parole. Anche se adesso erano decisamente troppo poche.
Gli accarezzai la fronte sforzando gli angoli della bocca in su per fingere un sorriso, avevo il viso terribilmente teso, stavo cercando di trattenere le lacrime.
Chiuse gli occhi girando leggermente la testa verso di me, poi li riaprì e mi fissò, aprì la bocca ma quel che ne uscì fu solo aria, respiri deboli.
Forse davvero non riusciva più a parlare ma in realtà avrebbe voluto.
-Ho capito. – lo rassicurai, anche se in realtà non avevo capito nulla.
Dopo, quella parola sulla lavagnetta “MORTO”, mi si presenta ancora davanti agli occhi e la associo al sangue: mi si chiuse lo stomaco.
Annunciai di non avere più fame e andai a letto, sperando di addormentarmi presto, ma ogni volta che si spera di anticipare la fase REM, ci si ritrova imbattuti in diecimila pensieri impossibili da concepire di giorno che ti portano a non addormentarti affatto.
O, nel mio caso, ad addormentarsi alle quattro del mattino e a fare quindi solo tre ore di sonno.
La sveglia suonò come preimpostata sempre allo stesso orario, ma avevo talmente tanto sonno che richiusi gli occhi come se non avesse mai suonato. Fu lì che, con un urlo dalla cucina sobbalzai quasi cadendo giù dal letto: la delicatezza di mia madre! Pover uomo mio padre...
Fortuna che avrei dovuto mettere la tuta visto che avevamo educazione fisica quel giorno e non persi tempo a scegliere i vestiti: probabilmente sarei stata l’unica ragazza a venire direttamente in tuta ma era l’unica possibilità visto che ero decisamente in ritardo!
Mi preparai in fretta e furia con l’idea che mio padre sarebbe stato fuori ad aspettarmi per darmi un passaggio, mia unica salvezza: tuttavia mia madre mi riferì che quella mattina aveva un colloquio di lavoro e che sarei dovuta andare a scuola a piedi da sola.
CAZZO! L’unica parola che mi passava per la mente. Inoltre, tanto perché le cose non vengono mai da sole: c’era un cielo grigio che non prometteva nulla di buono! Presi la cartella e l’ombrello e mi incamminai, fortuna che ricordavo la scorciatoia che mi aveva mostrato Arsène, in questo modo in dieci minuti dovrei essere a scuola; peccato che la campanella fosse suonata dieci minuti fa!
Corsi a perdifiato ma arrivai a scuola alle 8.15, con un quarto d’ora di ritardo, per fortuna non aveva piovuto ed ero, almeno, asciutta.
Mi avvicinai alla porta della classe intenta ad aprirla, ma una voce acuta e stridula mi fermò.

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Capitolo 4
*** La tempesta ***


Salvee :3 Grazie a tutti quelli che stanno leggendo la storia, mi auguro che questo capitolo vi piaccia! Ciaoo ^^


CAPITOLO 4. LA TEMPESTA

-Signorina. – mi chiamò una signora alta, dai capelli ricci color mogano (probabilmente tinti), vestita in maniera molto allegra, anzi forse era decisamente troppo allegra!
-Mi dica. – le risposi, probabilmente doveva essere una prof.
-Ti sembra questa l’ora di arrivare? Sono quindici minuti di ritardo. Ritieniti fortunata che stamattina ho avuto un contrattempo e adesso sto entrando. La prossima volta ti mando in presidenza. –
-La ringrazio. Non ricapiterà. – che tipa strana, perlomeno avevo capito di non fare tardi il martedì mattina.
Entrammo in classe e presi posizione accanto al bellissimo Arsène. Okay, perché l’ho chiamato bellissimo?
-Buongiorno. – gli dissi sperando in una risposta, che non arrivò perché... stava dormendo. –Arsène? – lo chiamai, ma dormiva davvero profondamente nonostante tutto il casino in classe.
-Bene ragazzi. – proferì la super simpatica professoressa di fisica e chimica. – Cominciamo con un po’ di ripetizione di chimica. Adesso chiamo qualcuno alla lavagna per fare qualche ossido o qualche acido. – si guardò attorno e notò il mio compagno di banco particolarmente attento alle sue parole. –Caron, vieni tu! – urlò come una matta facendo spaventare tutti.
Arsène non fece una piega. La prof allora si avvicinò al nostro banco e gli afferrò la folta e scombinata chioma bionda tirandogli i capelli: un buon metodo per fargli aprire gli occhi. –Caron, quando io parlo voglio attenzione, ben svegliato comunque. Vieni alla lavagna. –
Il biondino non disse una parola, le afferrò il braccio e le impose di lasciargli i capelli. Poi si passò una mano tra di essi e andò alla lavagna.
-Bene, Caron. Vedo più collaborazione. – pensò guardando la tavola periodica. –Ossido ferrico. – proferì la signora sicura di sé.
Arsène lo scrisse alla lavagna, imponente, chiaro, ma si limitò a fare quello. –Ecco. – rispose freddo come al solito.
-Sappiamo tutti come si scrive, fammi il composto. – urlò nuovamente la prof.
-Non so farlo. – semplicemente disse lui, tonandosene a posto.
-Questo è il livello quest’anno? In quest’ora scrivete tutti una pagina sui tre principi della dinamica, con opportuni esempi e dimostrazioni. Non accetto che non sappiate fare composti elementari! –
-Caron, fai schifo. Adesso ci tocca lavorare. – Joёl doveva sempre dire la sua, ma non poteva starsene zitto.
-Le parole dei drogati non mi pesano minimamente. – rispose con freddezza e indifferenza il mio compagno di banco. Che voce sottile e calda che aveva!
-Figurati a me quanto mi pesano quelle di un bocciato. Sei utile quanto una pubblicità prima dei video su You Tube. -  proseguì l’altro scatenando il riso dei suoi compagni un filo più scemi di lui.
-Risus abundat in ore stultorum – mi venne da dire, anche se probabilmente mi capii solo la prof che osservava la scena come una spettatrice di una lotta clandestina. Chissà se avrei mai visto un professore normale in quella scuola!
Passarono presto le ore in quella classe infernale, e finalmente arrivò il momento del pranzo: stesso tavolo, stesso cibo, stesso compagno di pranzo che finalmente vidi mangiare.
-Iris – mi chiamò distraendomi dal guardare fuori dalla finestra e sorprendendomi perché di solito non iniziava mai un discorso da solo – Posso farti una domanda? –
Annuii e dopo aver bevuto un sorso d’acqua con una grazia che non gli avrei mai attribuito, mi chiese –Cosa significa quella frase che hai detto prima a Joёl e la sua banda? –
-Il riso abbonda sulla bocca degli stupidi. – spiegai. – è latino. –
-Conosci il latino? – lo vidi stupito.
-Qualche frase, non molto. –
-Fe2O3 – disse lui, come se mi volesse rivelare un suo segreto.
-Come? –
Mi ripeté quello che aveva detto prima, in realtà avevo capito le parole in sé, non avevo capito perché le avesse dette. Poi le collegai all’ora di chimica di stamattina, all’ossido ferrico che la prof gli aveva richiesto e notai che la formula corrispondeva. Che avesse saputo farlo?
-Sapevi farlo? – chiesi insospettita.
-Certo. Non sono così stupido. Solo che non voglio dargliela vinta. –
-Io non ti capirò mai. – gli risposi sorridendo.
Mentre gli risposi, un fulmine catturò l’attenzione di tutti.
-Ho fatto bene a portarmi l’ombrello. – lasciai uscire i miei pensieri rassegnata.
-Io non mi ricorderò mai di portarlo. – si rimproverò da solo per la sua sbadataggine
-Nel caso piovesse potrei accompagnarti a casa, non ci sono problemi. – cercai di rassicurarlo, lo vidi più preoccupato e pensieroso del solito.
-Ascolta, stamattina avrai visto il cielo, no? Le nuvole erano grigie, ma di una tonalità molto più tenue di quella di adesso. È come se si fossero caricate di umidità. Tra poco inizierà a diluviare forte. – mi sorpresero molto le sue parole, era un abile osservatore con un’intelligenza che non gli avrei mai attribuito. – Inoltre Marsiglia è vicina al mare, penso tu lo sappia. E saprai anche che non vi sono catene montuose sulla costa meridionale francese. – lo ascoltavo attentamente esporre le sue tesi alternando lo sguardo dalle sue labbra sottili ai suoi occhi quasi blu elettrici in quel giorno senza sole. – Stamattina il vento soffiava dal mare, quindi non ti dico che tempesta ci sarà: un vento insostenibile che probabilmente porterà via gli ombrelli. E di solito queste tempeste durano molto. Non ci faranno uscire almeno che qualcuno non ci venga a prendere. –
-Potrei chiamare mio padre. – mi voltai verso la finestra, quando un altro fulmine si protese dal cielo, portando via la corrente elettrica. Dopodiché iniziò a piovere a ritmo sostenuto.
-È anche andata via la corrente. Finisci di mangiare, andiamo dal prof di scienze. –
Finii l’ultima parte del pranzo più velocemente che potei, per poi alzarmi per seguire Arsène chissà dove.
Accesi il flash del cellulare per avere la strada illuminata e cominciai a correre dietro al mio compagno di banco che si muoveva con padronanza tra i meandri bui della scuola: salimmo le scale fino al quarto piano: la “mansarda” della scuola. Il prof sorseggiava il caffè davanti a una grande vetrata.
-Professore! – pronunciò Arsène, interpellando l’uomo alto dai capelli neri.
-Ah, ciao Caron. Hai notato, vero? –
-Cosa, professore? –
-La tempesta, hai notato che andrà per le lunghe. –
-Certo, professore, per questo sono venuto a cercarla. Era una giornata come questa l’anno scorso. – non capivo di cosa diamine stessero parlando!
-Sei stato premuroso, ma stai tranquillo. Non avevo intenzione di fare nulla di spericolato. –
-Suo fratello era l’unico insegnante che ha creduto in me fino alla fine, abbiamo instaurato un vero legame. Se per me è difficile, non immagino lei cosa stia passando. – non ci stavo capendo un emerito cazzo! Tanto che decisi di chiedere cosa stesse succedendo.
-Cosa… cosa è successo? –
-Ah, giusto. Tu dovresti essere la ragazza nuova. Adesso ti spiego. – aveva la tipica espressione addolorata, ma allo stesso tempo consapevole, lo sguardo che cercava tra i ricordi quello giusto da raccontare. – L’anno scorso mio fratello gemello aveva la cattedra di scienze naturali, un vero genio, un uomo meraviglioso. Finché non scomparve misteriosamente chissà dove, il suo corpo non è più stato trovato. –
-Quindi potrebbe essere ancora vivo? – chiesi.
-È ancora vivo. Sai, noi fratelli gemelli, monozigoti per giunta, siamo legati da un filo invisibile e se morisse, morirebbe anche una parte della mia anima. Lo sento che è ancora vivo, ma non so dove sia. –
-Capisco perfettamente, anch’io ho un fratello gemello. – pensai a mio fratello e alla sua condizione e mi sentii particolarmente vicina al professore.
-Caron, comunque non farò stupidaggini, non preoccuparti. Preferisco che muoia una parte della mia anima che una della sua. –
-Certo, professore. Secondo lei ci faranno rimanere a scuola? –
-È pericoloso anche solo uscire di qui per raggiungere l’auto. I continui cambiamenti climatici stanno facendo diventare questa pacifica cittadina un posto pericoloso. –
-Professore mi scusi. – pensai dato che ancora non era tornata la corrente elettrica. – le luci di emergenza non ci sono nell’istituto? Almeno se tornasse l’elettricità si attenuerebbe un po’ il panico. –
-Certo che ci sono. Sono state installate dopo la tempesta dell’anno scorso. Ma si accendono dal centro di controllo che si trova nei sotterranei e spero non sia allagato. –
-Piove da dieci minuti, non penso si sia già allagato tutto. – concluse la conversazione Arsène, prima di avviarci tutti al piano di sotto.
Arrivammo al piano terra dopo aver sceso quattro piani di scale, percorremmo un lungo corridoio e giungemmo dinanzi a una porta metallica con su scritto “DIVIETO D’ACCESSO AL PERSONALE NON AUTORIZZATO”, ovviamente entrammo lo stesso!

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Capitolo 5
*** L'arcobaleno ***


Salvee :3 Grazie per essere passati a leggere e per essere arrivati fin qui :)
Spero vi piaccia il capitolo!
SweetNemy


CAPITOLO 5. L’ARCOBALENO

Scendemmo le ulteriori scale di alluminio, guidati sempre dal flash del mio cellulare, sia lodata la tecnologia! Tuttavia, il nostro entusiasmo venne subito troncato dall’acuta osservazione del prof di scienze.
-Ragazzi. – ci fermò, costringendoci a voltarci alle nostre spalle per poterlo ascoltare meglio. –Avete notato l’acqua a terra? – ci indicò il pavimento.
-Iris illumina l’acqua, per favore. – eseguii il suo desiderio, ma non capivo dove Arsène volesse andare a parare. –Non mi sembra tanto alta. – non voleva mica buttarsi? –Saranno 20-30 centimetri. –
-Quasi quasi mi butto io allora e accendo la luce. – presi l’iniziativa dopo la constatazione del mio compagno di banco.
-Meglio che ci vada io, ci vuole forza per aprire quel pannello di controllo. – rispose il biondino, probabilmente giustificandosi con una scusa: non avrebbe mai ammesso che non voleva lasciar fare il lavoro sporco a una donna.
Si tolse le scarpe e vi infilò all’interno i calzini, si tirò all’insù i pantaloni, bloccandoli con una piega in modo che non fossero scesi. Era davvero chiaro sia di carnagione che di capelli: i peli sulle gambe erano appena visibili. D’accordo, perché guardavo le sue gambe?
-Arsène, fa’ attenzione. – gli raccomandò il professore.
Il mio amico annuì in modo deciso e mi chiese di far luce sul pannello di controllo. Appoggiò il piede destro sulla superficie dell’acqua, scendendo pian piano.
-È gelata. – constatò a primo impatto, mentre appoggiava anche il secondo piede camminando lentamente in avanti.
Afferrò la maniglia del pannello di controllo e tirò con forza, potevo notarlo dai muscoli tesi del braccio. Probabilmente faceva costantemente palestra per avere un bicipite così: non era gigante, non mi sarebbe piaciuto altrimenti, ma nemmeno inesistente, era... equilibrato. Mi perdevo troppo spesso nei particolari di quel ragazzo, dannazione!
Senza rendermene conto aveva già aperto la porta e cercava con lo sguardo il tasto giusto da premere, finché il prof gli indicò la posizione.
-Vedi in alto a destra, c’è una scritta in rosso. Cosa c’è scritto? –
-Emergenza. – lesse lentamente Arsène. –Grande prof! – allungò il braccio notando che il pulsante a cui era interessato fosse troppo in alto. –Non ci arrivo. –si alzò sulle mezzepunte, ma c’erano ancora dei centimetri di scarto tra le sue dita e il tasto.
-Caron ti avrei detto più alto. – sogghignò il professore notandolo in difficoltà.
-Prof, sono sufficientemente alto per la mia età. – rispose lui a tono.
-Comunque allungati un po’, sei a meno di dieci centimetri dal tasto. – gli consigliò il docente.
-Vorrei sapere chi è il genio che ha l’ha messo così in alto. – ripeteva Arsène provando a toccarlo, mentre notava che il livello dell’acqua saliva. –Prof, so che il pavimento è fatto di piastrelle e potrei scivolare, ma se saltassi lo raggiungerei senza problemi. – detto, fatto.
Neanche il tempo di replicare che si slanciò fino a toccare e premere il tasto, mentre scendeva però si aggrappò alla porta del pannello per non scivolare e così fu: mi sorprendeva a volte la sua intelligenza! Richiuse la porta e tornò sulle scale.
-Tieni. – gli porsi l’asciugamano che probabilmente aveva portato per l’ora di educazione fisica.
Mentre si rimetteva le scarpe, il prof gli parlò con fare gentile.
-Sei cambiato molto, ragazzo. – sospirò catturando l’attenzione di Arsène. –Mio fratello ha sempre avuto molta stima di te e so che ti confidavi con lui quasi come se fosse tuo padre, e lui spesso mi raccontava le cose che gli dicevi, quindi un po’ ti conosco anch’io. Voglio solo dirti di impegnarti quest’anno, di non sprecare la tua intelligenza, qualsiasi cosa succeda o sia successa in passato. So che hai chiesto ai tuoi genitori di farti bocciare per precise ragioni, che non riguardano l’ambito scolastico, ma, ascolta, non essere orgoglioso: studia quanto puoi in tutte le materie e fai ricredere quegli stronzi dei miei colleghi. – concluse deciso un discorso che mi colpì molto, ma allo stesso tempo mi incuriosì. Arsène aveva chiesto ai genitori di farsi bocciare?
-Prof, apprezzo molto le sue parole e credo che seguirò il suo consiglio. Solo che voglio precisare una cosa... Ho chiesto ai miei di farmi bocciare perché avrei dovuto recuperare tutte le materie tranne scienze, agronomia e educazione fisica e ho preferito essere bocciato. –
-Come va adesso con i tuoi? –
-Ascolti prof, non mi sembra né il posto, né il momento giusto per parlarne. – rispose alzandosi e andando via da solo.
-Professore, perché ha reagito così? – chiesi sperando di ottenere qualche informazione.
-Mio fratello sparì a febbraio, tutti i dettagli li ho saputi dal preside stesso: so solo che i genitori sono due avvocati di successo e che non avrebbero mai accettato un figlio ripetente, per questo l’hanno lasciato da solo. –
-Cosa? Arsène mi raccontò che i suoi vivevano con lui, ma che andando via la mattina presto e tornando la sera tardi non li vedeva quasi mai. –
-Non poteva di certo dirti di vivere da solo... ci sono tante cose che vorrei sapere su quel ragazzo, ma purtroppo non posso forzarlo a parlare. Anche se vorrei che lo facesse, per il suo bene. –
-Magari vado a parlargli. – dissi dopo aver captato preoccupazione da parte del prof. –Qualsiasi cosa sia, lo opprime e deve cacciarla fuori. –
-Ti dico, spero che tu ci riesca, ma non penso che cederà tanto facilmente. – scosse la testa aggrottando le sopracciglia.
Furono parole vane quelle del mio professore, perché intanto ero già in cammino in cerca di Arsène, peccato che non avevo la minima idea di dove potesse essere.
Uscii dal corridoio cercando qualcuno che magari potrebbe averlo visto. Notai un ragazzo seduto sulle scale che beveva da una tazza fumante, mi avvicinai intimidita, ma la voglia di trovare Arsène e conoscere le ragioni del suo dolore mi diedero il coraggio di parlare.
-Ehi, scusa. Hai visto passare Arsène per caso? – chiesi nella convinzione che egli lo conoscesse.
-Chi sarebbe Arsène? – rispose con un forte accento francese, probabilmente non era di Marsiglia.
-Il ragazzo ripetente della 2D. – precisai con l’epiteto usato per indicare il mio compagno di banco.
-Ah, quel tipo biondo! Sì, è salito, probabilmente lo trovi nello sgabuzzino delle scope al secondo piano. So che ci va perché l’anno scorso vi tenne una rissa con il mio migliore amico. –
-È davvero così un cattivo ragazzo? –
-Chi lo sa, signorina... com’è che ti chiami? –
-Iris. – risposi con disattenzione, il mio pensiero era diretto solo ad Arsène.
-March. – l’avevo sentito appena il suo nome, in quel momento era l’ultima cosa che m’importasse. –Andiamo, ti accompagno. – disse notando che cercavo di concludere in fretta il discorso. –Come mai ti interessa parlare con quel tipo strambo? – mi chiese mentre cominciavamo a salire i gradini.
-M’interessa parlargli proprio perché è “strambo”! – mi venne spontanea la frase.
-Scusa ma non l’ho capita. – rispose grattandosi la testa e guardandomi.
-Lo conosco da pochissimo, penso tu abbia capito che sono straniera, però il mistero che avvolge quel ragazzo mi ispira. Voglio sapere di più su di lui e credo faccia bene anche a lui parlarne con qualcuno. –
-E io, non ti ispiro? – domandò lui dopo aver ascoltato attentamente la mia riflessione.
-Non ti conosco abbastanza per attirarmi. –
-Hai fatto due discorsi in contraddizione. Hai detto che ti piace il mistero e che non posso attirare la tua attenzione perché non mi conosci a sufficienza. Se mi conoscessi non potresti trovare un mistero in me, di conseguenza posso essere intrigante anch’io in quanto sconosciuto ai tuoi dolci occhi. –
-March, parli troppo per i miei gusti! – feci una pausa. –Hai fatto un discorso senza senso! –
-Tu dici? Beh, questa è la mia classe, sono arrivato! – notai che indicava la 3A –vai in fondo al corridoio: lo sgabuzzino si trova dopo i bagni! –
Lo salutai e lo ringraziai e mi concentrai sul da farsi.
Seguii le indicazioni del ragazzo e, dopo i bagni, trovai una porta bianca piccola contrassegnata da una striscia gialla: dato che dopo essa non vi era nulla, capii che il ripostiglio tanto cercato era davanti ai miei occhi. Aprii la porta lentamente, assecondandone il cigolio e a primo impatto non vi vidi nessuno. Camminai per la stanza scoprendo un’ala appena visibile dall’ingresso che terminava con una finestra che si affacciava sulla pista da corsa della scuola: Arsène era lì.
-Ehi. –
Si voltò di scatto, come se non mi avesse sentito arrivare e mi guardò con uno sguardo meno assente del solito, probabilmente stava pensando ed era ancora in parte immerso nel suo mondo.
-Come hai fatto a trovarmi? –
-Non c’è anima nella scuola che non ti conosca, ho chiesto in giro. –
-Bello vero? – prese a guardare di nuovo oltre il vetro della finestra. –Quello che si vede da qui è l’incontro tra un miracolo e una catastrofe. Un prato verde che circonda la pista, non è paragonabile a un miracolo della natura? Però le cose belle sono fonte, oserei dire, d’invidia per le tempeste, che le fulminano, ne intaccano la perfezione. Ma una cosa bella rimane tale, non può essere distrutta neanche da un diluvio come quello di oggi, anzi, domani l’erba arricchita dalla rugiada sembrerà ancora più bella. – si fermò per un istante. M’incantavo ad ascoltare le sue parole, ma allo stesso tempo sapevo che quel discorso non era così positivo. –Ti chiederai come mai allora guardo un film di cui già conosco la trama, in realtà mi piace guardare la pioggia tagliare l’aria, patetico vero? Pensa di distruggerla e invece forma qualcosa di magnifico come l’arcobaleno. Io sono un po’ come l’arcobaleno, bello da vedere, ma originato da una tempesta. È triste pensarci così, vero? Sembra così bello, così imponente, che quando lo vedi non pensi alla serie di eventi che l’ha portato a crearsi, ma io ci penso perché sono così. –
-Ti va di parlarmi di questa tempesta? – il suo discorso mi aveva molto scossa, ma allo stesso tempo aveva incrementato la mia voglia di sapere.
-Non ho voglia di raccontare le mie debolezze... – si voltò di nuovo verso di me –Scusa Iris, sei una ragazza dolcissima, sul serio. Ma non sono ancora pronto a raccontarti certe cose, non so nulla di te... – beh, in effetti aveva ragione: mi stavo comportando da perfetta egoista, senza pensare minimamente a come si sentisse lui in tutta questa situazione.
-La mia vita è stata abbastanza monotona, tutto ordinario. – lo rassicurai. Mentii.
-Allora perché ti sei trasferita? – ero pronta a replicare, ma non mi lasciò il tempo di aprire bocca. – E non raccontarmi la storia che tuo padre ha trovato un’offerta di lavoro migliore qui, in questo buco di paese, rispetto ad Ottawa. Non sono il tipo che segue il commercio e il telegiornale, ma mi pare che l’economia canadese vada molto meglio di quella francese. –
-Certi particolari non li conosco, è stato principalmente per cambiare aria perché nell’isolato in cui vivevo stavano succedendo cose strane. – cercai di non mentire, ma nemmeno di andare troppo nello specifico. –Ma sono venuta qui per te. –
-Ti ha mandato Soleil? – mi chiese, nella convinzione che io sapessi di questo tipo.
-Chi diamine è Soleil? –
-Il prof di scienze, Leon Soleil. –
-Ah, si chiama Soleil? Nome azzeccato per un prof di scienze direi… e comunque no, non mi manda lui, sono venuta di mia spontanea volontà. – cercai di sembrare preoccupata più di quanto in realtà lo fossi –Ero seriamente preoccupata per te. Sembravi così a disagio per una domanda normalissima. –
-Iris, se tu sapessi determinate cose su di me, non diresti che è stata una domanda “normalissima”. –
-Spero ti vada di uscire dallo sgabuzzino delle scope e tornare in classe che tra poco incomincia la lezione di agronomia. – dissi rendendomi conto che era abbastanza tardi e che la lezione era già cominciata da alcuni minuti.
-Quel tipo è svitato, non se ne accorgerà nemmeno che non ci sono. Come minimo, tra l’altro, arriverà con venti minuti di ritardo. – si incamminò verso il muro, sedendosi su uno sgabello di cui mi era ignota l’utilità in quel contesto.
-Fai come ti pare, io vado. – non so perché mi preoccupavo così tanto per quel tipo, come ha detto lui manco lo conoscevo del tutto.
Eppure aveva qualcosa che mi attraeva, mi faceva sentire titubante e insicura: forse i suoi occhi imponenti, forse quel sorriso che accennava ogni tanto, forse le sue mani che avrebbero ispirato il più completo dei pittori.
Tornai in classe sperando che il prof non fosse già arrivato e la trovai semi deserta.

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Capitolo 6
*** Due passati oscuri ***


Ciaoo a tutti e banvenuti nel sesto capitolo della storia ^^
Ringrazio chiunque la legga :3

SweetNemy


CAPITOLO 6. DUE PASSATI OSCURI

-Che succede? – chiesi a quelle dieci, forse dodici anime che si trovavano lì.
-Il prof di agronomia non c’è. È passato il collaboratore ad avvertirci. – rispose una ragazza dai lunghi capelli neri.
-Già, quando piove non viene mai perché non ha l’auto. – continuò malinconico Fin, il ragazzo di cui avevo chiesto il giorno prima ad Arsène. Quasi mi sembrava dispiaciuto che il prof non fosse venuto.
A quel punto, decisi di tornare dal mio compagno di banco. Ripercorsi la stessa strada a varcai nuovamente la porta dello sgabuzzino (che non era poi così piccolo, era più grande del bagno di casa mia).
-Arsène! – gridai il suo nome come se non lo vedessi da un millennio.
-Che succede? – chiese lui senza distogliere lo sguardo dalla finestra.
-Il prof di agronomia non c’è. –
-Lo so, non viene mai quando piove perché non ha l’auto. – rispose lui sicuro.
A quel punto mi incazzai perché la interpretai come una presa in giro, come una scusa per rimanere da solo, quando non gli faceva affatto bene rimanere da solo!
-Se lo sapevi perché diamine mi hai mandato in classe? –
-Sei andata tu, non ti ho di certo chiesto io di tornare in classe. –
-Sì, hai ragione. – risposi solo. Tutta quella situazione mi rendeva insopportabilmente lunatica. Sembravo una di quelle galline che si alterano per la più pallida sciocchezza. Non mi sentivo tradita o delusa dal fatto che lui non volesse confidarsi con me, lo conoscevo da pochissimo; ero semplicemente frustata nel vedere una persona che ho sentito speciale fin da subito, stare male così: non lo mostrava, non piangeva, né si contorceva, né gridava, ma annegava, lo vedevo che stava annegando nella pioggia oltre il vetro di quella finestra.
Risposi breve e la chiusi lì perché con tutta quella situazione mi saliva il pianto, non so perché, sembra stupido. Mi lasciavo troppo coinvolgere, a volte, da determinate situazioni. Io non sono debole, ma non ho la forza di ammetterlo. Quindi arrivo a non avere più una concezione di cosa sia la forza e di cosa sia la debolezza, non sono più consapevole del mio carattere, perdo l’equilibrio che mi ha sempre caratterizzata. Annego anch’io, con lui, ma in modo diverso, in un lago diverso. E devo cercare di non annegare anch’io perché altrimenti non potrei salvare lui da quelle acque impervie più, forse, delle sabbie mobili.
Quel nodo in gola diventava sempre più forte, che alla fine fu difficile trattenersi. Mi allontanai dal transetto di quella stanza, appoggiandomi al muro affianco alla porta, dove lui non poteva vedermi e iniziai a far scendere le lacrime, curandomi di non singhiozzare affinché non mi avesse sentito.
Avevo dimenticato, però, che aveva una grande intelligenza e una grande logica e non ce ne volle molta a ricordare di non aver sentito il suono della porta chiudersi, aveva capito che ero rimasta, ma che non potevo stare nell’ala con lui.
Si alzò e oltrepassò il muro, potendomi così guardare, in quello stato.
Non me lo aspettavo.
Appena i suoi occhi incrociarono i miei, coprii il viso con una mano e con l’altra girai la maniglia uscendo dallo sgabuzzino e camminando verso i bagni. Tuttavia, il mio intento non riuscì perché Arsène mi bloccò per il braccio dopo che ebbi lasciato la porta e mi costrinse a tornare nella stanza.
-Perché adesso piangi? – quell’adesso era peggio di ogni offesa del mondo, sottolineava un cambiamento di stato, lo so, l’ho ammesso a me stessa che stavo apparendo lunatica; ma la pesantezza con cui l’aveva detto era...sì: terribile!
-Nulla, lasciami. – cercai di divincolarmi, ma la sua presa era ben salda. Mi tornò in mente la faccenda del bicipite nel pannello di controllo e mi salì l’imbarazzo.
-Ti ho mandato al manicomio col mio modo di fare e sfoghi così – disse ironicamente – o c’è altro? – questo con aria da chi sa già tutto. Ovviamente era una strategia, lui non sapeva nulla.
-C’è altro in effetti. C’è che io non ho mai ritenuto una persona interessante perché sembrano tutti uguali, sembrano fatti in industria, geneticamente sono diversi, ma si comportano tutti allo stesso modo. Tu, invece, non sei come gli altri, sei una persona che vorrei imparare a conoscere ma tu ti tieni dietro una barriera. – non so perché lo dissi, in quel momento ero così vulnerabile che confessai tutte le mie debolezze.
-Il motivo per cui non ti ho mandato a quel paese e non ti ho impedito di restare è che vedo una potenziale amica anch’io. Ma tutto deve avvenire per caso, non si forza mai nulla. Non voglio parlarne adesso perché sono cose delicate, ma se hai bisogno di qualcosa sono qui. – mi scompigliò la folta chioma dorata fissandomi con i suoi occhi blu. –Non piangere per me, in generale non piangere per nessuno. Piangi solo per emozione, felicità.  La gente gode vedendo piangere gli altri. –
Gli sorrisi. –Grazie biondino. – sono un’idiota. Biondino? Penso che Arsène davvero mi abbia fatto diventare pazza.
-Farò finta di non aver sentito la seconda parte, ho i capelli color paglia smorta. I tuoi sono molto più belli, sembrano dorati.  – affermò sollevandoli.
-Adesso vado in palestra, mi ambiento prima di iniziare la lezione. –
-Lezione? Basta che vede toccarti una palla, per lei va bene. È gioco, svago, non lezione. –
-Vado lo stesso, perché non vieni anche tu? –
-Credo che resterò qui un altro po’. Ci vediamo dopo. – si avventurò di nuovo dietro l’ala dello sgabuzzino e io varcai la soglia per uscire.
Uscendo, mi incamminai verso la rampa di scale e vidi un simpatico giovanotto appoggiato al muro: il tizio che mi aveva accompagnata prima da Arsène, non ricordavo neanche il suo nome, così decisi di ignorarlo. Tuttavia, lui non fece lo stesso.
-Signorina, si saluta. Non sia maleducata, non le si addice. –
-Devo risponderti? – dissi altamente seccata.
-Ho sempre avuto un debole per i capelli biondi, sai? –
-Abbiamo una cosa in comune allora. – gli guardai i capelli. – Uh, che peccato, sei moro! –
-Te l’hanno mai detto che sei un po’ stronza? –
-Solo con chi voglio. –
-Ho un debole per le stronze, sai... Iris? – il modo con cui pronunciò il mio nome mi inquietava parecchio. –Dimmi un po’, ti ricordi il mio nome vero? –
-Iniziava con la “m”. – in effetti, seriamente non lo ricordavo. –Mi sembra. –
-Stronza fino al midollo, March. Come fai a non ricordare il nome di un ragazzo così affascinante? – si ingigantì pesantemente, il suo ego era più grande di Giove!
-Forse perché non ti ritengo così “affascinante”. – risposi a tono. Sì, mostravo il mio lato peggiore in compagnia di quel tipo. Mi urtava tremendamente.
-Il mio ego non viene intaccato dalle tue affermazioni senza senso. – spostò lo sguardo verso l’alto.
-Oh lo vedo, credimi. – sì. in effetti il suo ego era più grande dell’intero sistema solare. –Come mai non sei in classe? –
-Ho l’ora di scienze e ho dieci in scienze. Ho detto al professore che avrei dovuto completare un progetto per l’esame pratico del primo trimestre e lui se l’è bevuta. –
-Sei un secchione quindi? –
-Un secchione figo. – quanto cavolo poteva essere irritante quel tipo? Era il tipico francesino del cazzo con il ciuffo a onda e il nasino all’insù, lo stereotipo che speravo di non trovare qui.
Scesi le scale e mi ritrovai di fronte il prof di scienze intento a salire, lo salutai.
-Hai parlato poi con Arsène? – mi chiese desideroso di sapere.
-Certo prof, ma non mi ha voluto dire nulla riguardo quella faccenda. Credo sia anche giusto così, magari è troppo presto per parlarne con me, mi conosce appena. –
-Credo che per scoprire qualcosa in più su di lui bisogni pedinarlo. – allora non sono l’unica malata che l’ha pensato, feci finta di nulla però.
-Pedinarlo? – ripetei – Ma lei è matto? –
-No. Ma non dirmi che l’idea non ti entusiasma. Insomma, potremmo scoprire qualcosa. – si fermò per un istante vedendo la mia faccia perplessa – Ascolta, adesso non vedermi come un professore, vedimi come se fossi un tuo amico e dobbiamo pedinare la sua ragazza perché lui crede che lei lo tradisca. – mi fece un’espressione per chiedere la mia approvazione.
Tanto per dire la verità, avrei voluto farlo fin dal primo giorno ma visto che c’è un professore con me, che comunque conosce la città, conosce i posti e, soprattutto, le vie di fuga si potrebbe fare.
-Va bene professore, oggi non ho ricevuto compiti per casa, quindi subito dopo scuola lo seguiamo. – non vedevo l’ora, ma cercavo di non farlo notare troppo.
-Bene Iris, intraprendenti! Speriamo solo smetta di piovere. – dopo una breve pausa riflessiva continuò –Se pur piovesse ho l’auto, al contrario del prof di agronomia. – mi lanciò un’occhiata complice e riprese a salire le scale.
Io, al contrario, ripresi a scenderle, finché una voce arrestò il mio intento.
-Signorina, non ti facevo il tipo da improvvisare pedinamenti coi professori. – di nuovo quel tipo, dannazione!
-Ma hai origliato? –
-Ho sentito la tua voce soave provenire dalle scale e così mi sono avvicinato e ho ascoltato. Nulla di particolare, solo che devi pedinare qualcuno subito dopo scuola con il professore Leon Soleil. –
-Faccende private. – cercai di essere breve per togliermelo dalle scatole.
-Sì? Ma se lo conosci da meno di un giorno? – perché questi ragazzi avevano una logica tale da farmi inventare bugie su bugie per sostenerla? –Comunque sia, pedina chi vuoi. Ti andrebbe di uscire però, quando hai finito? –
Possibile essere così intelligenti e allo stesso tempo così idioti? –Non mi sembra la giornata ideale... – riuscivo ancora a mantenere un certo contegno.
-Mio padre è laureato in meteorologia col massimo dei voti, mi ha riferito che verso le diciotto smetterà di piovere. – non bastava vantarsi di sé, adesso iniziava a vantarsi anche del padre.
-Comunque sia non uscirei mai con un tipo come te. – chiusi la conversazione, intenta ad incamminarmi.
-Se non accetti di uscire con me oggi, andrò a dire a quel tipo strambo che vuoi pedinarlo. – come cazzo sapeva di Arsène? – non ci vuole un genio per capire che stavate parlando di lui e modestamente io lo sono. –
Tu non sai neanche cosa sia la modestia, razza di filibustiere ricattatore. Cominciavo ad avere istinti omicidi nei riguardi di questo tipo. Stetti al suo gioco: la mia “missione” aveva la priorità.
-E quindi hai bisogno di un ricatto per uscire con una ragazza? Hai toccato un tasto dolente, d’accordo usciamo. –
-Alle sei fuori scuola. Ci divertiremo, vedrai. – okay, adesso aveva assunto la tipica espressione da maniaco.

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Capitolo 7
*** La missione ***


CAPITOLO 7. LA MISSIONE

Era finita anche questa giornata di scuola, la pioggia continuava a scendere impetuosa ma meno forte rispetto a qualche ora prima.
Aprii l’ombrello intenta a tornare a casa, presi un bel respiro e mi preparai per l’impatto una volta uscita dalla zona coperta.
Mentre mi preparavo per diventare la nuova campionessa di salto in lungo della pozzanghera, una voce gridò il mio nome a squarciagola. Mi voltai, era Arsène. Lì ricordai tutto, l’appostamento, dannazione. Dov’era il prof di scienze?
-Ehi, aspettami! – disse un Arsène bagnato dalla pioggia.
-Scusa, ero sovrappensiero. – sì, a quante belle cose stavo pensando!
-Figurati, mi dai un passaggio fino alla fermata del pullman? Detesto prenderli perché sono zeppi di gente, ma in queste situazioni sono costretto a fare uno strappo alla regola. – chiese con una gentilezza che mai gli avrei attribuito.
Annuii, dato che la fermata era a qualche metro dall’uscita della scuola.
Una volta lasciato il mio compagno di banco al suo destino, tornai indietro nel cortile del liceo e incominciai a cercare il professore di scienze, finché non mi chiamò come aveva fatto Arsène minuti prima: cominciavo a pensare che entrambi avessero escogitato un piano per far sapere il mio nome a tutta la scuola!
Dopo averlo salutato cordialmente (al contrario di lui), ci dirigemmo verso la sua auto senza scambiare una parola, un silenzio imbarazzante che di solito cerco di non creare: ma, dannazione, lui era il mio prof!
Per fortuna aveva l’auto parcheggiata nell’area riservata ai docenti, un parcheggio adiacente al cortile della scuola e raggiungibile in pochi minuti. Dopo essere entrati mi pose una domanda.
-Allora Iris, prima ti ho vista accompagnare Arsène da qualche parte, spiegami tutto. – certo che faceva sul serio!
Risposi con un –Sì...- esitante per lo stupore, poi diedi le opportune spiegazioni –L’ho accompagnato alla fermata dell’autobus. – non capivo cosa importasse.
-Perfetto, allora cominciamo col seguire il suo autobus! – sì, faceva decisamente sul serio!
 
Accese il motore non appena vide l’autobus arrivare e iniziò a seguirne le tracce come farebbe un agente di polizia con un criminale.
Il ragazzo non aveva mentito: scese dall’autobus ed entrò a casa sua.
Il tutto era diventato così monotono e noioso: Arsène non usciva di casa, ciò nonostante il professore non distoglieva un attimo lo sguardo dalla porta d’ingresso della casa del ragazzo.
-Prof, siamo qui da un po’. Non credo uscirà dato il cattivo tempo. – non finii di parlare che Arsène uscì di casa.
Aveva l’ombrello e una maglietta nera che avrebbe potuto evitare di mettersi: sembrava un ringo! Entrò nel piccolo orto accanto all’ingresso e raccolse qualche foglia di basilico, poi rientrò.
-Il basilico. – pronunciò Soleil leggermente adirato. –Dannazione. –
Poco tempo dopo smise di piovere, guardai l’ora: erano le sei! Non sapevo se la cosa mi rendesse felice o incazzata dato che il padre di quell’idiota aveva azzeccato l’ora alla perfezione.
Lì però ricordai: dovevo uscire con quello!
Dato che poteva risentirne la missione, tra l’altro fallita, decisi di sbrigarmi, quindi salutai il professore dicendo che alle sei sarei dovuta ritornare a scuola.
Tuttavia, il docente si offrì di accompagnarmi e io ovviamente accettai.
Giunta a scuola mi sedetti su un muretto al coperto e lo aspettai. Non pioveva più ormai, ma le zone all’aperto erano comunque bagnate dalla pioggia.
Non feci in tempo a sedermi che il signorino si avvicinò con fare saccente.
-Hai ritardato di sette minuti, ma per stavolta ti perdono, dai! – Iris, stai calma. Sorridi e annuisci e non dargli un pugno in faccia.
-Scusa, ho trovato traffico. –
-Inutile che inventi scuse, stavi pedinando il tizio e non hai gestito bene il tempo. – già, lui lo sapeva... –E dimmi, com’è andata? –
-Male. È stato tutto il tempo dentro casa. Del resto, con questa pioggia. – detestavo dirgli che i miei piani erano andati in fumo, perché sapevo che il suo ego sarebbe cresciuto ancora!
-E cosa ti aspetti da uno come quello? –
-Eppure sarei curiosa di sapere cosa faccia dentro tutto il giorno per essere così stanco la mattina. –
-Senti bellezza, se vuoi mettergli le telecamere in casa non contare su di me. – io lo ammazzo.
Tra l’altro, il mio sguardo esprimeva chiaramente questo mio pensiero.
-Come cavolo ti chiami, non arrivo a certi livelli di follia. –
-March, tesoro, non ho un nome così difficile. – disse passandosi una mano tra i capelli. –Sai che sei particolarmente sexy quanto ti arrabbi? –
-Sarei sexy anche se ti dessi un calcio nei testicoli? –
-Non lo faresti mai. –
Dopo l’ennesimo litigio, decise di lasciare la scuola e dirigerci in qualche posto.
Salimmo su un pullman ma lui non aveva alcuna intenzione di dirmi dove portasse.
-Dove stiamo andando? –
-Sono sicuro ti piacerà. Tutte le ragazze che vi ho portato, hanno adorato quel posto. –
-Chi ti dice che io sia come loro? –
-Faccio lo stesso effetto a tutte le ragazze. Dicono di odiarmi, ma l’odio non è altro che una voglia troppo intensa di amare. –
-Non pensi che possano odiarti sul serio? – aveva un atteggiamento rivoltante quel tipo, iniziavo davvero ad odiarlo anch’io.
-No. Dopo una settimana al massimo finiamo col baciarci, poi le ragazze in questione iniziano ad attaccarsi troppo, io mi scoccio e le mando a quel paese. Questo è il mio modo di fare. Basta un bacio per farmi amare. –
-Non è tanto intelligente da parte tua rivelarmi i tuoi piani. –
-Nel momento in cui ti bacerò li avrai già dimenticati. – stavo davvero cominciando ad avere istinti omicidi nei riguardi di quel tipo, mi ribolliva il sangue nelle vene.
Tuttavia, decisi di calmarmi e di comportarmi nell’unico modo in cui avrei potuto spiazzarlo.
-Hai così tanto carenze d’affetto da dover trattare male delle povere ragazze per avere attenzioni? –
-Mi comporto così per lo stesso motivo per cui tu uccidi una formica. –
Non avevo capito il collegamento, o meglio, speravo di non averlo capito!
-Che vuoi dire? –
-Tu ti senti di poter decidere della vita di una formica perché ti credi superiore ad essa. Io mi sento superiore a queste persone per questo mi sento bene a trattarle male. –
Preferii ignorarlo perché l’omicidio è illegale!
Una mezz’ora dopo mi invitò a scendere dall’autobus: eravamo in un posto immerso nella natura, un piccolo villaggio alle cui spalle vi era una collinetta facile da raggiungere.
E così fu, raggiungemmo la collinetta fino in cima, e ci sedemmo su una panchina sotto un leccio.
-Sai come sono diventato il più bravo della scuola? – mi chiese lui, per poi spiegarmi la faccenda con entusiasmo –Beh, a parte il fatto che ho una mente adatta a questa scuola e delle buone basi grazie ai tutori che mi assegnava mio padre, grande meteorologo, il segreto è che ho letto tanto dalla biblioteca della scuola. –
-La biblioteca della scuola? Senz’offesa, quando ho fatto visita alla scuola per conoscerla, ho visto che c’erano solo tre scaffali con delle semplici enciclopedie che posso trovare in qualsiasi biblioteca. –
-Non quella biblioteca, ma l’altra, quella nei sotterranei. –
-Non c’è nessun’altra biblioteca. – Cosa voleva dire March? Avevo ben capito che in quella scuola ci fossero dei segreti, come la faccenda del fratello del prof di scienze, ma questa cosa mi sembrava al quanto strana. Non era strano il fatto che ci fosse una vecchia biblioteca, bensì il fatto che nessuno ne parli mai.
-C’è una biblioteca sotterranea che conoscono poche persone, molto ben fornita, anche se è un casino entrarci! Magari riuscirai ad ottenere risultati migliori. –
-Come mai mi riveli i tuoi piani? –
-Tanto non raggiungerai mai i miei livelli! - 

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