Never Opened Myself This Way

di Santanico_Pandemonium
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAP.1 ***
Capitolo 2: *** CAP.2 ***
Capitolo 3: *** CAP.3 ***
Capitolo 4: *** CAP.4 ***
Capitolo 5: *** CAP.5 ***
Capitolo 6: *** CAP.6 ***



Capitolo 1
*** CAP.1 ***


NEVER OPENED MYSELF THIS WAY
 
CAP.1
L’ho conosciuto per caso.
Non avevo nessuna intenzione di farlo ne tanto meno di incontrare qualsiasi altra persona, ma è successo e ogni giorno dentro di me aumenta la convinzione che forse era destino che lo facessi. Forse era destino che incontrassi proprio lui.
 
Era una notte abbastanza tiepida quel giorno e me ne stavo fuori dal locale, seduta sul marciapiede, con una sigaretta accesa in mano. Non c’era molta gente per strada, erano tutti in giro a divertirsi e a sbronzarsi festeggiando la loro giovane vita e brindando ad un futuro avvenente. Al solo pensiero di tutti quei miei coetanei, con il loro stupido sorriso stampato sul volto e i loro calici pieni stretti tra le mani, mi veniva il voltastomaco.
Io invece me ne stavo lì, immobile, fissando il nulla davanti a me e con quella cavolo di sigaretta che si consumava piano piano tra le dita, pensando a quello che ne avrei fatto della mia vita da quel momento in avanti. Gli altri festeggiavano la loro appena acquisita libertà, immaginando futuri rosei e soddisfacenti. Io facevo lo stesso, ma non riuscivo ad immaginare nient’altro che il vuoto. Zero.
Ora che avevo finito la scuola si sarebbero dovute aprire mille porte, mille opportunità ed esperienze da prendere al volo. Peccato che io non vedevo altro che un nero assoluto.
Feci un altro tiro di sigaretta e buttai giù il fumo mentre ancora tenevo gli occhi fissi sulla strada.
Perché avevo deciso di uscire quella sera? Forse perché le mura della mia camera stavano iniziando a diventare troppo strette.
Non sono mai stata un’amante delle feste. Anzi, diciamo che non sono mai stata un’amante della gente in generale. Del frastuono assordante delle centinaia di voci che ti circondano quando sei in un ristorante, o degli sguardi indiscreti che ti seguono quando cammini per strada. Cercavo di rapportarmi con le persone il meno possibile, o quantomeno lo facevo solo se obbligata. Non credo che sia timidezza, paura o insicurezza, è più tipo “Lasciami stare che sto bene così” o una cosa simile.
Sorrisi a quella strana descrizione di me stessa e portai la sigaretta tra le labbra di nuovo.
«No, vado solo a prendere una boccata d’aria. Siamo stati grandi comunque!»
Quasi non avevo sentito quella voce. Era parsa come un normale rumore di sottofondo, indistinto tra gli altri suoni della Los Angeles notturna.
«Vedi di rientrare in fretta però. Voglio sentire cosa dice la gente.» aveva detto qualcun altro.
«Si, lasciami solo un secondo per riprendermi cazzo!»
In realtà mi sentivo anche una stupida. Insomma dai, vent’anni e nessuna ambizione, nessun programma per la propria vita o nessuno stupido sogno nel cassetto. Niente di niente.
“E’ mai possibile che tu sia così insignificante?” mi disse la mia voce nella testa.
Scossi il capo per cercare di cancellare un po’ di quei pensieri che mi tormentavano e buttai giù il fumo.
«Ok, ma tu fai presto.» si chiuse la porta.
Fu quel tonfo sordo a farmi voltare.
Qualcuno aveva appena sbattuto la porta sul retro del locale provocando un rumore che mi aveva fatto sobbalzare e distolto dalla mia contorta mente.
Poi li vidi. Quegli occhi. Credo che non riuscirò mai a dimenticarli tanto erano belli. Di un blu intenso.
Rimasi a guardarli per un tempo che parve infinito e loro rimasero fissi sui miei fino alla fine, quando mi girai di scatto abbassando lo sguardo verso le mie scarpe. Il silenzio che fino a quel momento mi era sembrato così rassicurante ora era diventato un’imbarazzante situazione dalla quale sarei scappata a gambe levate.
Ma nonostante stessi fissando le mie Converse sgualcite, non vedevo altro che quegli occhi blu.
Così raccolsi il coraggio a due mani e mi voltai di nuovo verso la porta. Li incontrai ancora.
Questa volta però furono loro a staccarsi da me per primi, cambiando direzione.
Così, nascondendomi dietro ai capelli lunghi, osservai il proprietario di quegli occhi, che ora con la testa bassa si era appoggiato al muro dello stabile vicino al locale.
Era un ragazzo alto, della mia età o poco più grande. Lunghi capelli biondi che ricadevano scompigliati sulle spalle larghe. Aveva le gambe lunghe ed era pressoché magro ma le braccia e il torace sembravano incredibilmente forti nonostante non fosse eccessivamente  muscoloso. Indossava una maglia dei Misfits alla quale aveva tagliato le maniche, jeans strappati e scarpe da ginnastica bianche.
Se ne stava lì, immobile, puntato contro la parete con una gamba piegata e sollevata e le mani nelle tasche anteriori dei jeans. Testa bassa e sguardo fisso a terra.
All’improvviso alzò il viso in alto, sbuffando verso il cielo.
«Non è un po’ troppo solitario qui fuori?»
Subito non mi resi conto che quella domanda proveniva da lui.
«Come scusa?» dissi a mia volta voltandomi completamente verso quel ragazzo.
«No, dico, magari i tuoi amici si staranno preoccupando non vedendoti tornare.» continuò lui. Le mani sempre affondate nelle tasche. Parlava velocemente, sembrava imbarazzato.
Pensai a una risposta decente. Rimanevo lì fissa su di lui pensando a qualcosa di sensato da dire.
«No, ehm… Loro, loro sanno che sono qui, ehm… Tutto ok, non si preoccupano.» conclusi.
“Ma quali amici? Sei venuta qui da sola! Sei una gran cretina.” pensai.
«Beh, in tal caso…» tornò a fissare il pavimento.
“Ora vedi di non continuare a comportarti da deficiente e parlagli. E’ evidente che lui ti piace dato che non smetti di pensare ai suoi occhi.” continuava la mia voce.
Quella era una di quelle situazioni che cercavo di evitare da quando ero nata. Nella mia testa disegnai due possibili conclusioni a quell’imbarazzante momento. Nella prima c’ero io che mi alzavo di scatto e scappavo via correndo più in fretta possibile. Sarei tornata a casa e avrei rimuginato su quanto era appena accaduto convincendomi che uscire era stata un’idea pessima. Questa era la soluzione più allettante. Nella seconda, invece, infrangevo tutte le mie regole riguardanti “il primo approccio con gli estranei” e mi inventavo qualcosa per continuare la conversazione. Conclusione questa che avrei quasi sicuramente scartato.
“Avanti, non fare l’idiota. Quante occasioni vuoi ancora perdere nella vita?” la mia voce dentro di me mi spronava.
«I tuoi amici invece?» le parole mi uscirono quasi involontariamente.
«Come? No, ehm, sono stato io che mi sono allontanato per un momento. Abbiamo appena finito di suonare e avevo bisogno di un attimo di pausa prima di tornare in mezzo al casino.» rispose il biondo.
«Sei in uno dei gruppi che suonano? Fico.»
«Si. Eri venuta qui per il concerto?»
“Digli di si, digli di si!”
«No, a dire il vero ho visto il volantino poco prima di entrare. Avevo bisogno di uscire un po’ da casa e quindi...» alzai le spalle.
“Cretina.” mi ammonì la mia voce.
 «Già, capisco…» sorrise guardandomi.
Quegli occhi meravigliosi. Sarei rimasta a fissarli per ore.
«Beh, io sono James.» sfilò la mano destra dalla tasca e si avvicinò.
«Oh…» mi alzai velocemente dal marciapiede.
«Io sono Harleen, ma tutti mi conoscono semplicemente come Harley. Sai, come le moto.» afferrai la sua mano e la strinsi. Era calda e forte. Lui ricambiò appena la stretta e mentre i nostri sguardi si incrociavano per l’ennesima volta, i miei occhi si spostarono sulle sue labbra, impercettibilmente curvate in un sorriso.
“Si, abbiamo capito che lo baceresti volentieri. Ora però piantala di guardargli la bocca o sembrerai una stupida per davvero. Stai andando bene fin’ora.”
Sorrisi a mia volta e liberammo le mani dalla stretta.
«Non l’avrei dimenticato comunque.» disse. Non appena realizzò quello che aveva detto però, aggrottò le sopracciglia e, grattandosi la testa, sorrise imbarazzato.
“Ragazza, tu gli piaci. Si si.”
Sorrisi anche io e mi morsi il labbro inferiore altrettanto imbarazzata. Speravo solo di non arrossire e mi preparai ad un’eventuale fuga.
«Ehm, ora devo andare…» dissi d’un tratto. Il silenzio si stava prolungando troppo e io non sapevo che altro aggiungere per evitare tutto quell’imbarazzo.
«Si, certo. Buona notte.»
«Ciao.» guardai ancora quegli occhi per l’ultima volta prima di voltarmi incrociando le braccia e dirigermi verso la macchina che avevo parcheggiato poco lontano dal locale. Cercai di imprimerli nella mente il più possibile.
«Ehi aspetta!» mi ero già incamminata quando la sua voce mi fece girare un’altra volta.
«Noi suoniamo ancora qui tra due weekend. Ti vedrò di nuovo?» chiese. Il tono di voce leggermente più alto perché potessi sentirlo.
Involontariamente sorrisi per quella domanda.
«Si, mi rivedrai.» risposi.
Anche lui sorrise prima di richiudersi la porta alle spalle.


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Ok, dunque, questa è la mia prima storia sui Metallica. Comincio dicendo che mi sono avvicinata a questa band da poco e non li conosco ancora "come le mie tasche" ma mi sono davvero affezionata molto a loro e li sto amando sempre di più con tutto il mio essere. Detto ciò, spero vi piaccia.
Sono aperta ad ogni tipo di commento/suggerimento e spero non ci siano troppi errori di grammatica ma quando scrivo velocemente e con mille idee in testa alcuni errorini mi scappano oppure non li vedo quando rileggo il capitolo. Mi scuso in anticipo.
Grazie mille e buona lettura.
Ilaria

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Capitolo 2
*** CAP.2 ***


CAP.2
«No, siamo andati bene. Si, magari abbiamo fatto un po’ di casino qua e là ma complessivamente è andata bene. Molto meglio delle altre volte.»
«Si, è quello che dico anche io. Cazzo ero gasatissimo, hai visto la gente come cantava? Molti di loro conoscevano le canzoni a memoria, è stato fantastico!» disse Lars camminandomi affianco.
Avevamo appena finito di suonare e quello era stato uno dei nostri migliori concerti fino adesso. Il pubblico era stato grandioso e nonostante qualche piccola imprecisione avevamo fatto davvero un ottimo lavoro.
«Ma che fai, te ne stai andando?»
«No, vado solo a prendere una boccata d’aria. Siamo stati grandi comunque!» risposi aprendo la porta sul retro del locale.
Ero tutto accaldato e sudato e avevo bisogno di respirare un po’ d’aria fresca.
«Vedi di rientrare in fretta però. Voglio sentire cosa dice la gente.»
«Si, lasciami solo un secondo per riprendermi cazzo!» sbraitai uscendo nel nero della notte di Los Angeles.
Lars era un maniaco del controllo. Non mi lasciava respirare un attimo.
«Ok, ma tu fai presto.» rispose lui sbattendosi la porta alle spalle.
In quel momento notai il suo sguardo su di me.
Quelle labbra erano meravigliose, impercettibilmente socchiuse. Sembrava come ipnotizzata. Era bellissima.
Distolse velocemente gli occhi da me. Forse si era accorta che mi stava fissando un po’ troppo ma nonostante questo io ero ancora rivolto verso di lei quando si voltò a guardarmi di nuovo. Questa volta però fui io a distogliere lo sguardo.
Mi appoggiai alla parete di fronte a me e abbassai la testa ripensando a tutto quello che era successo quella sera. Ero super eccitato per quello che io e i ragazzi avevamo appena fatto dentro quel locale. Cavolo, chi se lo sarebbe mai aspettato che avremmo trovato quella sintonia perfetta tra di noi.
“Chissà se quella ragazza era dentro a guardarci suonare…” pensai tra me e me.
Alzai gli occhi al cielo sbuffando mentre guardavo le stelle.
«Non è un po’ troppo solitario qui fuori?» chiesi ad un certo punto.
Lei si voltò di soprassalto e bisbigliò qualcosa. Sembrava non aver capito cosa le avevo chiesto.
«No, dico, magari i tuoi amici si staranno preoccupando non vedendoti tornare.» riformulai la domanda. Avevo le mani nelle tasche dei jeans e le sentivo sudare.
Non so perché mi stavo comportando in quel modo, di solito non lo facevo. Probabilmente era l’adrenalina post concerto a darmi tutta quella carica. O forse il semplice fatto che lei era stupenda.
Indossava una tshirt dei Black Sabbath e già questo avrebbe dovuto dirmi molto su di lei. Insomma, i Black Sabbath! Cavolo, quella ragazza doveva essere una che se ne intendeva di buona musica. La maglia era infilata dentro a dei jeans a vita alta che le stavano leggermente larghi. Aveva i capelli biondo scuro e gli occhi grigi. Più la guardavo e più sembrava irreale.
Disse qualcosa sul fatto che i suoi amici non si sarebbero preoccupati per lei, sapevano che era lì fuori da sola.
«Beh, in tal caso…» tornai a fissare il pavimento.
“Non le interessi. Non hai visto come ha tentennato per risponderti? Non vuole che la disturbi.” pensai.
«I tuoi amici invece?» chiese ad un tratto.
Le dissi del concerto, che avevo bisogno di un po’ d’aria perché avevamo appena finito di suonare.
«Sei in uno dei gruppi che suonano? Fico.» continuò.
«Si. Eri venuta qui per il concerto?»
«No, a dire il vero ho visto il volantino poco prima di entrare. Avevo bisogno di uscire un po’ da casa e
quindi...» rispose.
Dunque non era dentro a guardarci suonare. Peccato. Strano che una con la maglia dei Black Sabbath non fosse venuta al locale per sentire della buona musica.
 «Già, capisco… Beh, io sono James.» risposi sorridendole e porsi la mano con gentilezza.
«Oh… Io sono Harleen, ma tutti mi conoscono semplicemente come Harley. Sai, come le moto.» disse lei alzandosi dal marciapiede sulla quale era seduta e ricambiando il saluto.
Strinsi leggermente la sua mano e la osservai. Era alta qualche centimetro meno di me e i capelli lunghi le ricadevano sulle guance incorniciandole il viso. Notai che mi stava guardando le labbra.
«Non l’avrei dimenticato comunque.» dissi.
“Ma che cazzo dici James?” pensai subito dopo. Curvai la bocca in un sorriso imbarazzatissimo e mi sentii sprofondare nel terreno. Anche la ragazza sorrise mordendosi il labbro e sembrava imbarazzata quanto me.
Piombò il silenzio spezzato solo da qualche clacson di auto in lontananza e vocii indistinti di persone.
«Ehm, ora devo andare…» disse lei all’improvviso interrompendo quel breve momento di imbarazzo. L’avrei fatto io ma non mi era venuto in mente niente di intelligente da dire.
«Si, certo. Buona notte.» la salutai.
«Ciao.» si voltò e si incamminò per la strada.
La guardai dalla testa ai piedi e, se devo essere sincero, non mi sentii per niente dispiaciuto nel farlo. Era davvero bella. I jeans le stavano alla perfezione, avvolgendole il corpo slanciato. Camminava leggera e i capelli svolazzavano nel vento della sera.
Sarei rimasto a guardarla camminare all’infinito.
«Ehi aspetta!» gridai.
Non potevo lasciarla andare così. No, non potevo. Sarebbe stato da veri idioti e io non lo sono fino a questo punto.
«Noi suoniamo ancora qui tra due weekend. Ti vedrò di nuovo?» domandai alzando la voce.
Vidi chiaramente che le si dipinse un sorriso su quelle labbra perfette.
«Si, mi rivedrai.»
Poi si voltò e tornò sui suoi passi.
Mi appoggiai alla porta non appena me la fui richiusa alle spalle. Il frastuono del locale mi invase le orecchie all’improvviso ma io stavo ancora pensando a lei. Un altro gruppo stava suonando sul palco ma non riuscivo a distinguere i suoni.
«Che cavolo è quel sorriso ebete che hai sulla faccia James?» la voce di Lars mi riportò alla realtà.
«Se passi tra la folla alcune persone vogliono stringerti la mano e congratularsi per il buon lavoro. E’ pazzesco, la gente inizia davvero a conoscerci e prenderci sul serio!» mi prese per un braccio e mi trascinò con lui.
L’avrei rivista, me lo sentivo, e non vedevo l’ora che arrivasse quel momento.

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Capitolo 3
*** CAP.3 ***


CAP.3
Sistemavo distrattamente la casa, gli Iron Maiden suonavano in sottofondo dalle casse dello stereo, e cercavo di farla sembrare più ordinata possibile, ma la verità era che non ci riuscivo neanche minimamente. Sono sempre stata una persona disordinata, fin da piccola, e questo lato del mio carattere si rispecchiava sul mio appartamento. L’avevo ufficialmente affittato da qualche mese, poco prima di finire la scuola. Era in una zona abbastanza squallida della città ma l’affitto era basso e riuscivo a permettermelo da sola, senza chiedere soldi ai miei genitori. Durante quell’ultimo anno scolastico avevo trovato un lavoretto in un bar, ero riuscita a conciliare lavoro e studio e guadagnavo abbastanza soldi da permettermi di vivere per conto mio. Fatti gli esami finali avevo mantenuto il lavoro al bar e l’appartamento era diventato ufficialmente casa mia.
Mentre spolveravo qua e là e raccoglievo da terra cartacce e vestiti, mi ritrovai davanti il calendario.
“Sono già passate due settimane.” pensai rimanendo a fissarlo.
«Già due settimane…» continuai ad alta voce.
Quella sera ci sarebbe stato il concerto di quel ragazzo, James. Il problema è che non mi aveva detto a che ora avrebbero suonato e io non avevo idea di come contattarlo.
«Bella mossa. Avrei dovuto chiedergli il numero di telefono.» sbuffai.
Questo significava che mi sarei recata al locale ad un orario approssimativo, sperando di riuscire a vedere l’esibizione di James e i suoi amici.
Guardai l’orologio in preda al panico. Fortunatamente segnava ancora le 2 del pomeriggio. Tirai un sospiro di sollievo.
 
Fuori dal locale c’era parecchia gente, molta più dell’altra volta.
Immediatamente iniziai a guardarmi intorno sperando di scorgere James da qualche parte. Non che sarei andata da lui, ma mi avrebbe trasmesso un senso di sicurezza vederlo.
Sentivo occhi addosso a me. Sapevo che molti ragazzi mi stavano guardando e così la mia attenzione si spostò sul mio abbigliamento. Ero vestita praticamente come al mio primo incontro con James, solo che questa volta avevo indossato una maglia dei Mötorhead e un giubbotto in pelle nera. Non ero sexy, o provocante o chissà che altro, anzi era un abbigliamento abbastanza da “maschiaccio”, ma i ragazzi continuavano comunque a rivolgere i loro sguardi su di me. Mi sentii a disagio.
Entrata nel locale trovai un tavolo libero. Cercai una sistemazione strategica in modo da avere una buona visuale del palco. Volevo poter vedere bene James e i suoi amici e allo stesso tempo volevo che lui sapesse che ero lì, che scorgesse i miei occhi su di lui mentre si esibiva.
«Cosa ti porto?» una cameriera dai capelli corti si era avvicinata.
«Una birra, grazie.» risposi sorridendo.
Dato che non sapevo quanto tempo sarei dovuta rimanere lì, un po’ di alcol sarebbe sicuramente stato utile.
Anche il locale era abbastanza pieno di persone, soprattutto ragazzini di diciassette o diciotto anni. Fortunatamente qui, seduta al tavolo in mezzo a tutta quella gente, nessuno pareva notarmi.
«Ecco a te. Ti porto qualcos’altro?» disse la cameriera dai capelli corti porgendomi il bicchiere di vetro.
«No grazie, per ora va bene così.» risposi sorridendo.
Sorridendo a sua volta tornò ad occuparsi degli altri clienti. Guardandola pensai che ero fortunata a non lavorare quella sera, altrimenti non sarei potuta stare lì al locale e vedere James e la sua band.
“Chissà che musica suonano…” pensai.
Ripensando a lui e al suo modo di vestire sembrava avere buoni gusti in fatto di musica. A quel tempo tutti indossavano pantaloni elasticizzati con stampe animalier e canottiere a rete, capelli gonfi e molto trucco sulla faccia. James invece sembrava essere uno un po’ più sul “classico”, ma forse era solo una mia impressione.
«Buonasera ragazzi! Siete carichi?»
Improvvisamente qualcuno parlò dal microfono sul palco e così, sorseggiando la mia birra, mi concentrai sullo spettacolo.
Annunciò il nome di una band che non ricordo, ma appena apparvero i musicisti mi accorsi che non erano James e i suoi. Pazienza, tanto avevo tutto il tempo a disposizione.
Ascoltai tutte le canzoni, una per una, osservando quei ragazzi suonare e la gente intorno a me. Tutti saltavano e ballavano al ritmo di quella musica che ormai sentivo tutti i giorni. Erano la cover band di un qualche gruppo glam rock in voga al momento. Non che il glam mi dispiacesse, ma io ero più una da “vecchio stile”, ascoltavo band più classiche come i Led Zeppelin.
Avevo del tutto smesso di ascoltare quel gruppo quando la voce dal microfono parlò di nuovo.
«E bravi ragazzi! Ora è il turno di un’altra band. L’ultima volta sono stati grandi e vi hanno fatto scuotere la testa su e giù, vediamo se saranno in grado di rifare altrettanto anche questa sera. Coraggio, un bell’applauso per i Metallica!»
“Metallica? Che nome stupido. Forse dovrei andarmene, magari James e il suo gruppo neanche si sono presentati.” pensai deglutendo altra birra.
Stavo per alzarmi e andarmene quando scorsi una figura che conoscevo.
Proprio lì, sul palco, c’era James attorniato da altri tre ragazzi. Sistemarono gli strumenti e i microfoni e iniziarono a suonare.
Dunque i Metallica erano loro. E dire che il nome mi era sembrato così idiota. Decisi che tanto valeva restare ad ascoltarli.
James era il cantante e il chitarrista ritmico. La folta chioma dorata e scompigliata gli ricadeva sulle spalle mentre strimpellava sulla sua Gibson Explorer.
“Quanto è bello.” pensai. E lo era. Sembrava così a suo agio mentre suonava e cantava, non era impacciato come quando aveva parlato con me due settimane prima.
Dietro di lui un ragazzino piccolo, basso e magro, dai capelli altrettanto lunghi, sbatteva forte sulla batteria mantenendo un ritmo veloce. Ai lati di James c’erano il chitarrista solista, biondo come il cantante, altrettanto alto, un ragazzo di bell’aspetto e dal fisico curato, e il bassista, alto e con i capelli castano-rossicci, una maglietta dei Misfits – probabilmente la stessa che indossava James la sera che ci siamo incontrati – e un paio di jeans a zampa molto stile anni ’70. Complessivamente erano carini e sembravano in buona sintonia.
Appoggiai il mento sul palmo della mano e rimasi fissa a guardarli suonare senza battere ciglio.
Ad un tratto gli occhi blu di James caddero su di me e sentii il cuore perdere un colpo. Mi fece un cenno e io sorrisi di rimando. Da quel momento in poi, fino alla fine della loro esibizione, il cantante spostò ripetutamente il suo sguardo sui miei occhi e io sussultavo ogni volta che lo faceva.
Quando smisero di esibirsi, quasi un’ora dopo, migliaia di grida e applausi risuonarono nel locale. Avevano fatto davvero un buon lavoro, erano stati molto bravi.
“E ora che faccio?” pensai quando se ne andarono dal palco per lasciare spazio ad un’altra band.
Non sapevo come comportarmi. Ero andata a vedere James suonare come gli avevo detto, ma adesso? Non avevo la minima intenzione di andare in giro per il locale a cercarlo. Insomma, avevamo parlato per dieci minuti o poco più e non ci eravamo nemmeno scambiati i numeri di telefono, praticamente era un estraneo.
“Non osare alzarti da questa sedia e andartene.” mi ammonì la mia voce.
In quel momento passò di lì la cameriera dai capelli corti.
«Scusa, potresti portarmi un’altra birra?» le chiesi.
«Certamente!»
Non me ne sarei andata, ok. Ma dovevo avere più alcol nel sangue per reggere quella situazione.
Quindi rimasi lì, aspettando la mia seconda birra e osservando un altro gruppo salire sul palco di fronte a me.
«Allora sei venuta davvero.» una voce alle mie spalle quasi mi fece sussultare.
Mi voltai di scatto e incrociai quegli occhi blu che tanto mi piacevano.
«Certo che sono venuta. Mantengo le promesse.»
«Era una promessa?» disse James. Mi sentii arrossire.
«E’ lei? Piacere, Cliff.» dietro al cantante spuntò il ragazzo dai jeans a zampa di elefante.
Non feci nemmeno in tempo a rispondere che si aggiunsero anche gli altri due componenti della band.
«Ehi ciao!»
«Come va?»
«Calma ragazzi! Allora, lei è Harley. Loro sono Cliff, Lars e Dave.» disse James sorridendo imbarazzato mentre indicava i suoi amici e cercava di dargli un contegno.
“Cliff il bassista, Lars il batterista, Dave il chitarrista…” ripetei tra me e me sapendo che molto probabilmente li avrei dimenticati nel giro di due minuti. Mi girava la testa.
«Prendi la tua birra ed usciamo di qui, c’è troppa confusione non riesco a parlarti.» disse James avvicinandosi al mio orecchio. Riuscii a sentire il suo profumo.
Annuii e, mentre gli altri andavano ad ordinare da bere, uscii con lui.
La temperatura era diminuita e fortunatamente avevo il mio giubbotto in pelle. Il cantante invece aveva addosso una semplice tshirt, eppure non sembrava avere freddo.
«Allora, come siamo andati?» disse ad un tratto.
«Sinceramente? Mi siete piaciuti. Non lo dico tanto per dire, ma avete uno stile, ehm… diverso.» risposi sorridendo.
«Si vero? Dopo tutte queste band glam rock, un po’ di sano metal non guasta!» sentii la voce del piccolo Lars dietro di me.
I ragazzi si aggiunsero alla chiacchierata.
«Ci ispiriamo alle band della New Wave of British Heavy Metal. Ne hai sentito parlare? Tipo, sai, gli Iron Maiden. Sono loro che hanno dato il via a tutto. Pensa che li conosco, sono grandi!» continuò il batterista. Parlava talmente veloce che sembrava non prendere neanche fiato tra una parola e l’altra.
«Piantala Lars, stai un po’ zitto!» il bassista, Cliff, lo afferrò con il braccio e lo strattonò facendogli versare mezza birra per terra.
Scoppiai a ridere assieme a James e Dave.
«Ti va se facciamo un giro?» James si era avvicinato ancora al mio orecchio, sussurrando.
«Si.» sorrisi annuendo.
 
«No davvero, Lars spesso è insopportabile. Le prime volte che ci incontravamo lo avrei preso a cazzotti ogni cinque minuti.»
Risi come una cretina a quello che aveva appena detto. Forse avevo un po’ troppo alcol in corpo.
«Sono arrivata, qui c’è il mio appartamento.» dissi.
Quella sera ero uscita senza la macchina. Dopotutto il locale non era eccessivamente distante da dove abitavo e un po’ di esercizio fisico non fa mai male. Chi l’avrebbe mai detto che lasciare a casa la macchina mi avrebbe permesso di passare più tempo con James?
«Senti, lo so che suonerà strano, ma ho intenzione di prepararmi una tisana e qualche caffè per smaltire questa sbronza al meglio. Ti va di salire, così ne preparo qualcuno anche a te… Sai, funzionano alla grande per i giramenti di testa.» sorrisi mordendomi le labbra.
Si, avevo decisamente bevuto troppo.
James esitò un attimo, ma non parve turbato da quello che avevo appena detto. Subito dopo, infatti, sorrise anche lui.
«D’accordo.» rispose.
Dandogli le spalle presi le chiavi dalla tasca dei jeans e aprii la porta del palazzo.
“Che cosa stai facendo Harley? Lo hai invitato a salire? Sei sicura di sentirti bene?” pensai tra me e me mentre percorrevo le scale.
«E’ al terzo piano. Mi dispiace ma l’ascensore è fuori uso.» sorrisi un tantino imbarazzata verso il cantante.
«Non c’è problema.»
“E certo che non c’è problema! Intanto da quella prospettiva si gode una bella visuale.” disse la voce nella mia testa. Cercai di cancellare quel pensiero.
Arrivata alla porta del mio appartamento infilai le chiavi e aprii, facendomi da parte per lasciare entrare James.
«Prima gli ospiti. Scusa il disordine.» sorrisi alzando le spalle.
Per fortuna avevo un po’ riordinato. L’appartamento si presentava bene.
«Carino.» esclamò superata la soglia.
«Preparo le tisane e i caffè. Tu fa come se fossi a casa tua.» dissi appoggiando il giubbotto di pelle sul divano.
C’era un ragazzo in casa mia. Un ragazzo che mi piaceva. Non riuscivo a credere a quello che avevo appena fatto, insomma, non era per niente nel mio stile. Non mi sarei mai sognata di andare a fare una “passeggiata” con un ragazzo che conoscevo appena, figuriamoci farlo salire nel mio appartamento. Non mi riconoscevo.
Misi sul fuoco l’acqua per la tisana.
«Quanti bei dischi!» sentii esclamare James dal soggiorno, così lo raggiunsi.
«Grazie.» risposi.
Era chinato verso la mia collezione di vinili e li esaminava uno per uno.
«Coraggio, fammi sentire cosa ti piace.» dissi sorridendo.
«No, io per questa sera ho già fatto la mia parte in fatto di musica. Piuttosto fammi sentire cosa piace a te.» rispose venendo verso di me.
Alzai lo sguardo verso il soffitto e sbuffai un “E va bene.” mentre lui ridacchiava compiaciuto.
Avevo notato che questa volta era lui ad indossare una maglietta dei Black Sabbath, così optai per un loro album. Erano uno dei miei gruppi preferiti.
«It's a long way to nowhere,
and I'm leaving very soon.
On the way we pass so close,
to the back side of the moon.
Hey join the traveler, if you got nowhere to go.
Hang your head and take my hand,
It's the only road I know.»
la voce di Ronnie James Dio iniziò a cantare.
«”Lonely Is The Word”, è una delle mie canzoni preferite dei Sabbath.» sorrise, serio.
Aveva appena terminato la frase e si avvicinò a me, lentamente. Le luci del soggiorno erano tenui e illuminavano appena la stanza.
Era a pochi centimetri da me, quegli occhi meravigliosi fissi sui miei. Sentivo il suo respiro calmo. Io non riuscivo a pensare a niente, solamente mi perdevo in quegli occhi blu e nel giro di un attimo, che parve infinito, la sua mano mi accarezzava la guancia e lui era ancora più vicino.
Nessuno dei due parlava. Eravamo in totale silenzio, con i Black Sabbath in sottofondo.
«E’ da quando ti ho vista la prima volta che lo voglio fare…» sussurrò, ormai a solo un centimetro dal mio viso.
«E’ da quando ti ho visto la prima volta che voglio che tu lo faccia…» dissi io, deglutendo.
Sembrò passare un’eternità prima che le sue labbra si appoggiassero alle mie, ma quando successe non riuscii a pensare ad altro.
Mi baciò intensamente e feci scorrere le dita tra i suoi capelli mentre lui mi teneva stretta per i fianchi, avvicinandomi al suo corpo.
Il suo profumo mi invase le narici e io lo stringevo sempre di più, spingendolo verso di me. Le sue mani scesero sulle mie cosce e riuscì a sollevarmi, mi avvinghiai a lui il più possibile mentre avanzava. Sentii il muro contro la schiena e mi ci premette addosso con tutto il corpo mentre intanto la chitarra di Tony Iommi suonava il suo assolo conclusivo. Le mani di James ovunque su di me, le mie che scorrevano sotto la sua t-shirt accarezzando la pelle calda.
Quando la canzone finì udii il fischio della teiera sul fuoco e per un attimo tornai al mondo reale.
«La tisana è pronta…» ansimai inclinando la testa all’indietro.
«Che cosa?...» mi stava baciando il collo.
«La tisana… Eri salito per la tisana…» riuscivo appena a parlare.
Ci baciammo ancora per un attimo prima di staccarci l’uno dall’altra.
«Wow… Scusa.» disse sospirando e sgranando gli occhi.
«Scusami tu…» feci altrettanto, sistemandomi la maglietta.
Mi morsi il labbro inferiore e piombò il silenzio. Il disco aveva finito di suonare e ora girava a vuoto producendo quello scricchiolio tipico dei vinili.
«Forse dovremmo andare a bere quella tisana…» disse.
«Già…» ero imbarazzata. Molto.
Sorrise dolcemente e poi mi prese per mano conducendomi in cucina.
Mentre versavo l’acqua bollente in due tazze nere, il vapore che usciva dalla teiera mi fece venire ancora più caldo. Non riuscivo a concentrarmi e ripensavo a quel bacio e a quanto avrei voluto che quello stupido fischio non ci avesse interrotti.
Quando mi sedetti davanti a lui ed iniziai a sorseggiare la tisana, piombò un silenzio tombale. Il disco ancora girava a vuoto e gli scricchiolii erano l’unico rumore in sottofondo, assieme ai clacson di auto fuori in strada.
Nessuno dei due parlava. Entrambi eravamo con lo sguardo rivolto verso il liquido all’interno della tazza e ne io ne James alzavamo gli occhi.
«Ehm… Credo sia meglio che vada ora. I ragazzi si staranno chiedendo dove sono finito…» disse ad un tratto e allora lo guardai.
La luce pallida della cucina lo illuminava e aveva ancora le mani attorno alla tazza.
Annuii debolmente.
“Non voglio che te ne vada!” mi ripetevo nella mente ma non riuscivo a pronunciare quelle parole.
«Ok… Grazie per la tisana.» si alzò dalla sedia.
Non feci nemmeno in tempo ad alzarmi a mia volta per accompagnarlo all’uscita che aveva già richiuso la porta alle sue spalle lasciandomi sola.

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Capitolo 4
*** CAP.4 ***


CAP.4
Altre due settimane.
“Devi smetterla di pensarci Harley.” mi ripetevo.
Erano passate altre due settimane e di James neanche l’ombra. D’accordo non aveva il mio numero o nessun altro modo per contattarmi, ma sapeva dov’era la mia casa e sarebbe potuto passare da me se proprio voleva rivedermi.
“Il punto è che NON vuole rivederti.” continuai.
Ero al lavoro e stavo ripulendo il bancone del bar mentre rimuginavo su quanto accaduto.
Quel bacio. Cazzo quel bacio era stato così perfetto per me e mi era sembrato che fosse stato lo stesso anche per lui. Allora perché non era venuto a cercarmi? Perché non era tornato a casa mia con una stupida scusa per potermi rivedere? Eppure era stato lui a dirlo: “E’ da quando ti ho vista la prima volta che lo voglio fare.”.
«Sono qui dentro da circa dieci minuti e sono dieci minuti che ti osservo. A guardare quel broncio direi che stai lavorando troppo.» una voce femminile mi fece trasalire.
Davanti a me, seduta su uno sgabello, c’era la ragazza che lavorava al locale in cui si erano esibiti i Metallica, quella che mi aveva portato da bere. Stava sorseggiando un caffè che io stessa le avevo servito ma non mi ero accorta di lei.
«Ciao.» sorrisi.
«Si, in effetti sono un po’ stanca.» mentii continuando a lucidare il bancone.
«Se vieni al locale anche questa sera la birra te la offro io e poi possiamo andare un po’ in giro, così ti rilassi. Ogni tanto ci vuole una pausa.» disse gentile.
In quelle ultime due settimane ero andata al locale più volte, principalmente con la speranza che avrei rivisto James. Ma non era mai accaduto.
Rimasi a guardarla assorta nei miei pensieri mentre lei ancora sorseggiava il caffè.
«Oh, scusa sono una maleducata. Il mio nome è Lauren.» mi porse la mano.
«Io sono Harley.» contraccambiai.
«Allora? Ci stai?»
Tentennai un attimo prima di rispondere.
«E va bene.»
Un po’ di svago mi avrebbe fatto solo che bene. Se dovevo smettere di pensare a James tanto valeva iniziare a farlo seriamente.
«Allora ci vediamo al locale questa sera. Oggi stacco alle undici, se vieni un po’ prima ti offro la birra così intanto ti godi anche un po’ di buona musica e appena finisco usciamo.»
Annuii.
«A stasera. Ciao!» mi salutò alzandosi e uscendo dal bar.
Ricambiai con un cenno della mano.
“Smettila di pensare a James.” mi ripetevo.
 
«Tra dieci minuti ho finito.» disse Lauren avvicinandosi al mio tavolo.
«D’accordo.» sorrisi.
Ero andata al locale, come promesso. Stavo seduta su un tavolo in fondo e osservavo da lontano le diverse band che come ogni weekend si esibivano.
Stavo per finire la mia birra quando una chioma di capelli attirò la mia attenzione, così decisi di avvicinarmi.
«Lars?» chiesi non appena fui dietro quella figura.
«Harley! Ciao, come stai?»
Era Lars, il piccolo batterista dei Metallica. Era vicino al palco e stava parlando con un energumeno grande e grosso con la barba lunga.
«L’ultima volta che abbiamo suonato qui Dave ha dimenticato la custodia della sua chitarra. Sai è un tipo tutto organizzato e tiene molto alle sue cose. Non è che tu per caso l’hai vista in giro?» disse.
«Ehm, no. Non l’ho vista.»
«Allora come stai? Non ci siamo più visti dopo quella sera, purtroppo. Abbiamo finito di suonare qui, ora ci sono altri locali in cui ci esibiamo. A quanto pare stiamo diventando famosi.» rise.
James aveva ragione. Lars non stava mai zitto.
«Lars, come sta James?» chiesi ad un tratto. Fui schietta e diretta.
«Allora Cliff aveva ragione quando diceva che tra voi due c’è del tenero, eh?» ridacchiò.
«James non lo credeva possibile. Quando è tornato da noi due settimane fa, dopo la vostra “passeggiatina”, non ha fatto altro che ripetere che tu sei troppo perfetta per essere vera. Non crede possibile che una ragazza così simile a lui, e anche così bella, sia attratta da uno così. Per me è un idiota, gli ho detto “Ma, cazzo, ha ricambiato quel bacio. Non vedo dove sta il problema.” invece lui…»
«Ha parlato del bacio?» esclamai interrompendolo bruscamente.
«Se ha parlato del bacio? Non pensa ad altro da due settimane! Ogni volta che prende in mano la chitarra sbaglia anche gli accordi più semplici da quanto è distratto. In più, per complicare ancora di più la situazione, stiamo avendo un po’ di problemi con Dave...» rispose il batterista.
Dentro di me esplosero i fuochi d’artificio. Allora non si era dimenticato di me.
«Harley, possiamo andare?» Lauren si era avvicinata a noi.
«Senti, noi suoniamo in quel locale a tre isolati dal Whiskey a Go-Go questa sera. Vieni lì così potrai parlarci tu con James.» disse Lars.
«No non posso. Ho da fare stasera…»
Non potevo piantare Lauren per andare da James. Mi sarei sentita una vera stronza.
«Allora cercherò di convincerlo a venire a casa tua. Io e Cliff lo trascineremo con la forza se sarà necessario.» rise il batterista.
Sorrisi felicissima per quella bella notizia e lo ringraziai.
«Allora ci si vede. Ciao.»
Mi salutò e ricambiai con un cenno della mano.
Quando mi voltai verso Lauren la mia espressione era totalmente cambiata e lei se ne accorse perché mi guardò storto ma con un sorriso di comprensione sulla faccia.
«Ora mi racconti tutto.» disse mentre ci avviavamo all’uscita.
 
«Quindi vi siete baciati al primo appuntamento, fantastico!» rideva al mio fianco.
«Dai non prendermi in giro! Non era un appuntamento, e lui è davvero un bravo ragazzo.» borbottai.
«Si ne sono sicura. Non ti stavo prendendo in giro, penso solo che da come mi hai raccontato voi due sembrate davvero attratti l’uno dall’altra.»
«Si… insomma, lui mi piace molto. Anzi moltissimo.» confessai abbassando gli occhi è arrossendo.
«E ti ha spinta contro il muro??» chiese Lauren sgranando gli occhi.
«Si!»
«E c’erano i Sabbath come sottofondo?»
«Esattamente!» risposi ridendo come una pazza.
«Vi sposerete. Già me lo sento.» concluse lei incrociando le braccia e poi scoppiando in una fragorosa risata.
Stavamo passeggiando per le strade di Los Angeles e io non riuscivo a credere a quello che mi aveva detto Lars. In quel momento molto probabilmente i ragazzi stavano suonando davanti al loro pubblico che di giorno in giorno diventava sempre più grande e io avrei tanto voluto essere lì per sentire James cantare e incrociare il suo sguardo stupendo.
Lars mi aveva promesso che avrebbe trascinato James a casa mia se fosse stato necessario e non stavo più nella pelle pensando al giorno del nostro prossimo incontro.
«Ma raccontami qualcosa di te. Abbiamo parlato solo di me e James.» sorrisi rivolta a Lauren.
«Che dire… Sono una semplice ragazza di vent’anni. Ho il mio appartamento, proprio sopra il locale in cui lavoro. A differenza tua non ho terminato gli studi. Sono sempre stata una ragazza, ehm, come dire, ribelle…» rise.
«Non ho finito la scuola e ho trovato lavoro. Ora però me ne sono pentita e quindi quando ho le serate libere frequento dei corsi di studio.» rispose.
Era molto diversa da me, lo si vedeva subito. Era così disinvolta e sicura di se. Sapeva come comportarsi con le altre persone a differenza mia che mi sento a disagio se solamente mi guardano.
«Tu invece non sei una che parla molto, vero?» sorrise lei.
«No affatto. Meno parlo e meglio è. Sono una persona solitaria. Lo sono stata fin da piccola. Non sono timida, o impaurita, è solo che sto bene con me stessa. Non sento il bisogno di stare in mezzo la gente… E’ difficile da spiegare.» risposi abbassando nuovamente lo sguardo verso i miei piedi.
«Non devi spiegare assolutamente niente! Ne a me ne a nessun altro. Sei fatta così e non c’è niente di male in questo. Il mondo è bello proprio perché siamo tutti diversi.» rispose lei.
Era la prima persona che me lo diceva e sentire quelle parole mi fece quasi piangere.
«Ti ringrazio.» dissi. Ed era un “grazie” detto davvero con il cuore.
«Figurati.»
Avevamo camminato abbastanza e chiacchierando non mi ero nemmeno accorta che eravamo tornate al locale.
«Eccoci qui. Senti, ti lascio il mio numero così ci vediamo un’altra volta e magari usciamo di nuovo. Mi ha fatto davvero piacere conoscerti. Aspetta che trovo una penna… Eccola.» disse non appena arrivammo davanti l’entrata del locale.
Mi prese la mano e scrisse il suo numero sul palmo.
«Ecco fatto. Mi raccomando, attendo notizie sul bel biondo.» rise Lauren.
«Ci puoi scommettere. Ciao!» la salutai e andai verso la macchina.
Mentre guidavo verso casa ripensai a quella serata.
Era andato tutto benissimo. La giornata era cominciata davvero male, con me che mi tormentavo pensando continuamente al biondo cantante. Alla fine poi ho conosciuto una ragazza davvero simpatica e ritrovato Lars che mi ha dato la splendida notizia su James.
Avevo voglia di saltare di gioia.

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Capitolo 5
*** CAP.5 ***


CAP.5
«Ma perché cavolo vi ho dato retta?»
Stavamo sotto casa sua, appena davanti la porta d’entrata dell’edificio.
«Ci hai dato retta perché sai che è la cosa giusta.» rispose Lars.
«Dai amico, lei ti piace.» Cliff gli dava ragione.
Mi avevano praticamente convinto a tornare da lei. Non che non lo volessi fare, ma non ne avevo il coraggio. In più mi sentivo un idiota.
«In questo momento saremmo potuti essere a casa a provare per il prossimo concerto.» sbraitai facendo dietrofront. Cliff mi prese per un braccio.
«Cliff, almeno tu…» supplicai.
«Piantala di piagnucolare, Hetfield! Sei un uomo porca miseria! Primo, Dave è incazzato quindi oggi non avremmo suonato proprio un bel niente. Secondo, non fai che pensare a lei dall’ultima volta che vi siete visti e cioè secoli fa. In più Harley ti vuole quanto un orso vuole un vasetto di miele, quindi smettila di fare il coglione e va da quella ragazza.» continuò Lars mentre mi strattonavano davanti l’entrata dell’edificio.
«Il portone è aperto. Va da lei. Noi siamo al locale, ci vediamo più tardi. Dai Cliff, andiamo.»
Attraversarono la strada e si allontanarono.
«Begli amici che ho!» gridai.
«Ci ringrazierai più tardi, amico!» Cliff mi salutò con la mano.
«Fanculo…» sussurrai mentre superavo la porta d’ingresso.
Stavo salendo le scale – l’ascensore era ancora fuori uso – e immaginavo qualcosa da dire non appena me la fossi ritrovata davanti. Forse non era neanche in casa, il che sarebbe stato la mia salvezza da quella situazione. Ma appena iniziai a salire il terzo piano, sentii della musica e capii che era lei.
Stava ascoltando “Bicycle Race” dei Queen.
“Ascolta i Queen…” pensai. Appena arrivai davanti la porta del suo appartamento riuscii anche a distinguere la sua voce mentre cantava. Era stonata ma rimasi fermo ad ascoltarla per due minuti buoni. Sapevo che non appena la musica avesse smesso di suonare avrei dovuto bussare alla porta per farmi sentire.
Così, non appena piombò il silenzio, bussai.
«Arrivo!» gridò.
“Cazzo, e ora? Scappa James. Vattene.”
Si aprì la porta. Silenzio.
Indossava una maglietta nera, con il simbolo degli stessi Queen stampato davanti. La t-shirt le stava grande, anzi enorme, coprendole appena il fondoschiena e lasciando le gambe nude scoperte. I calzini bianchi ai piedi, i capelli scompigliati e il trucco sfatto. Dio quanto era bella. Pensai che avrei voluto vederla così per il resto della mia vita.
Sgranò quegli splendidi occhi grigi non appena realizzò che le stavo di fronte e dischiuse le labbra in un’espressione di stupore.
«Ciao.» riuscii a dire, interrompendo il silenzio.
Non sapeva cosa rispondere ma la vidi allungare la maglietta con le mani, cercando di coprirsi di più le gambe.
«Io… Io non mi aspettavo di vederti… Ehm… Entra.» biascicò, ancora disorientata mentre si scansava per farmi spazio.
«Vado a mettermi dei pantaloni…» continuò richiudendo la porta. La vidi correre verso la camera da letto.
“Bella mossa. Adesso la situazione è ancora più imbarazzante.” pensai. Non avevo la minima idea di cosa avrei detto ma infondo ero felice di rivederla.
«Non preoccuparti, non starò qui mol…»
«Lars mi ha detto tutto.» mi interruppe dall’altra stanza.
“Chiaro che Lars le ha detto tutto. Non tiene mai la bocca chiusa quell’idiota.”
Tornò in corridoio, tenendo ancora la mano sullo stipite della porta. Mi guardava con la testa leggermente inclinata e uno sguardo vagamente “materno” sugli occhi.
«Sono un coglione.» ammisi, spostando lo sguardo verso il soffitto e infilando le mani nelle tasche dei jeans.
«Lo sei.»
Stava sorridendo.
Senza rifletterci troppo, mi avvicinai a lei e le spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio, accarezzandole il viso con la punta delle dita. Chiuse gli occhi e si morse le labbra.
«Sono un coglione, ma sono felice di rivederti.»
«Anche io. Molto.» sussurrò.
Mi beai del suo volto per alcuni secondi che parvero interminabili prima di chinarmi a baciarla. Fu un bacio casto, appena accennato, non certo come quello della volta prima. Si alzò in punta di piedi e mi abbracciò forte non appena le nostre labbra si divisero. Mi avvolgeva con quelle braccia fine e io a mia volta la stringevo, premendola contro il mio corpo.
Mi ero immaginato chissà quali scenate isteriche per il mio stupido comportamento del nostro precedente incontro, invece era stata fin troppo comprensiva. Capii che era speciale.
 
«Avete fatto sesso?»
Sia io che Cliff ci voltammo verso Lars guardandolo storto.
«Che c’è? Stavo solo chiedendo.»
«No, e comunque non sono affari tuoi Ulrich.» lo rimbeccai io tornando a concentrarmi sulla mia birra.
«Ti prego, almeno dimmi che inizierete a frequentarvi un po’ più spesso. Non potrei sopportare un altro dei tuoi deprimenti monologhi alle 3 di notte.» scherzò Cliff dandomi una pacca sulla spalla e facendomi quasi soffocare.
«E io dovrei pubblicare un annuncio per cercare un nuovo cantante e chitarrista ritmico. Sei stato un pessimo musicista in queste ultime settimane.» continuò il batterista.
«Tranquilli. Le ho chiesto scusa per il mio comportamento da cretino e si, ci frequenteremo più spesso.» sorrisi alzando il mio boccale di birra.
«Bene, felici di averti aiutato James. Ora però torniamo a cose più serie. Che si fa con Dave?»
Mi fece immediatamente sparire il sorriso dalla faccia. Dave. Altro bel problema del cazzo.
«Lo sai già cosa ne penso, Lars. Per me può andarsene anche domani mattina appena si sveglia.» risposi trangugiando altra birra.
«Dai James… Solo perché oggi avete litigato non significa che devi essere così stronzo.» disse Cliff, poggiando il mento sulla mano.
Rimanemmo in silenzio per un attimo, riflettendo.
«In ogni caso, non è la prima volta che torniamo su questo discorso. Sappiamo tutti come si sta comportando Dave ultimamente, così come sappiamo tutti che questo suo comportamento sta davvero andando oltre il consentito. D’accordo, neanche noi non siamo dei santi, ma lui potrebbe diventare un problema per la band. Almeno, questo è quello che credo.» disse Lars incrociando le braccia.
«Per non parlare poi del suo egocentrismo.» continuai.
Cliff si limitò ad alzare le spalle anche se l’espressione che aveva sul volto ci dava perfettamente ragione. Infondo anche lui la pensava come noi.
Certo, Dave è un ottimo musicista, talentuoso e con la “forza” adatta per farsi largo nella scena musicale, ma il suo comportamento degli ultimi tempi era diventato un assoluto disastro. Tutti noi eravamo “sopra le righe” e ci divertivamo a fare festa ogni giorno, ma Dave sembrava non avere un limite. In più, dato che era sempre sbronzo, non sapevi mai cosa ti saresti ritrovato davanti, se il Dave gentile e piacevole, o il rompicoglioni strafottente e casinista, che inscenava una rissa per una qualsiasi cazzata gli passasse per la testa in quel momento.
«D’accordo, dunque mi pare di capire che siamo unanimi nella decisione. Dave deve andarsene.»
Con quelle parole, dure ma vere, Lars chiuse la discussione e tornammo a bere le nostre birre in silenzio.

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Capitolo 6
*** CAP.6 ***


CAP.6
«San Francisco?»
«San Francisco.» rispose.
James era seduto su uno sgabello di fronte a me, sorseggiando una birra che gli avevo offerto qualche minuto prima. Era il mio orario di lavoro ma aveva comunque deciso di venirmi a trovare al bar.
«E quando tornerete?» continuai.
«Non torneremo. E’ questo il punto. Quando Cliff è entrato nella band gli avevamo promesso che ci saremo trasferiti lì. Già aver fatto questi due concerti qui non gli è piaciuto granché. Los Angeles proprio non gli va giù.» rise.
Avevo le mani appoggiate sul bancone e stavo fissando il marmo freddo. Conoscevo questo ragazzo da così poco tempo e già dovevamo separarci.
“E’ ingiusto.” pensai.
«L’idea non piace molto nemmeno a me. Ma non possiamo fare altrimenti.» rispose, come se mi avesse letto nella mente.
Alzai le spalle e continuai a servire i clienti mentre James mi seguiva con lo sguardo.
«A questo punto non so cosa dire.» continuai.
«Vieni con noi.»
«Cosa? No, sei pazzo.» sgranai gli occhi appena terminò la frase.
«Non sono pazzo. E’ una cosa fattibile.» sorrise lui, bevendo altra birra.
«Non posso andarmene così, ho una famiglia qui, una vita. E poi cosa farei io? Porterei avanti e indietro strumenti e amplificatori? Sistemerei il vostro guardaroba? Non è per niente una cosa fattibile James… Ecco qui il suo caffè signore.» continuavo a servire i clienti mentre nella testa mi vorticavano una serie di pensieri aggrovigliati.
«E’ l’unica cosa che mi è venuta in mente. Noi dobbiamo trasferirci per forza, anche perché ci servono soldi per fare una registrazione decente. Abbiamo bisogno di contatti, e San Francisco potrebbe offrirci nuove possibilità. Qui ormai sono band come i Mötley Crüe e i Ratt a sfondare, non noi. Tutto questo per dire che non sarà una vacanza di fine settimana, non so quando potrò tornare qui a LA.» disse il cantante guardandomi con i suoi occhi blu.
Ricambiai il suo sguardo.
«Io… Io non so davvero cosa dire…» distolsi i miei occhi dai suoi e per un breve momento ci fu solo silenzio tra noi.
«Senti, ora devo andare, i ragazzi mi aspettano. Passo da te più tardi, quando stacchi da qui. Va bene?»
«Si ok.» bisbigliai.
Fece un sorrisetto e poi, aggrappandosi al bancone, si allungò verso di me per baciarmi una guancia.
«A più tardi.» uscì dal locale.
Sbuffai.
“Tutto questo è davvero ingiusto.” ripetei nella mia mente.
«Aspetta, ma il tuo ragazzo non è il cantante in quel gruppo… come si chiamano…» disse un uomo sulla quarantina che a quanto pare aveva distolto gli occhi dal suo quotidiano e assistito a tutta la scena.
«Metallica.» risposi io sorridendo mentre asciugavo una tazza.
«Si, si! I Metallica. Quei ragazzi sono davvero forti. Avranno successo, ne sono sicuro.» concluse tornando a concentrarsi sul giornale.
«Già…»
 
Avere le sue labbra sulle mie era sempre una meravigliosa sensazione.
Stavo seduta a cavalcioni sopra a James, sul mio divano, mentre i Led Zeppelin suonavano in sottofondo. Lo abbracciavo forte e lo baciavo cercando di imprimere nella mente il più possibile di quel momento.
«Mi stai distogliendo da cose molto più importanti…» dissi tra una breve pausa e l’altra.
«Perché? Questo bacio non è una di quelle cose?» chiese concentrandosi sul mio collo.
«James…» lo baciai ancora.
«Davvero, dobbiamo risolvere quello di cui abbiamo parlato a pranzo.»
Mi allontanai da lui, spingendo con le mani sulle sue spalle. Chiuse gli occhi e sospirò profondamente prima di tornare a guardarmi.
«Non posso partire, lo sai. Non ora, non adesso.» quelle parole facevano tanto male a lui quanto a me ma era la verità. Andarmene da Los Angeles senza sapere per quanto tempo significava perdere il lavoro e perdere il lavoro significava perdere soldi che, nella situazione in cui mi trovavo, erano essenziali. Non volevo farmi mantenere da James e comunque fino a che la band non avesse inciso qualcosa da distribuire sul mercato della musica neanche i Metallica potevano definirsi “ricchi”. Sempre se avessero inciso qualcosa.
«Io invece devo andarmene…» disse lui, con un tono di amarezza.
«Lo so e voglio che tu lo faccia. E’ importante per la band.»
Ci guardammo negli occhi per un minuto che parve interminabile e i suoi occhi blu si riempirono di tristezza.
«Questo è solo un arrivederci. Ci terremo in contatto.» sorrisi cercando di tirargli su il morale.
«Ti chiamerò tutti i giorni, sempre.»
«Lo so…» lo abbracciai.
«Ma stare lontano da te sarà comunque difficile.» concluse sprofondando il viso sulla mia spalla.
Lo strinsi ancora più forte.

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